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78 STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM
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© 2011, Edizioni Terra Santa - Milano
Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma rivolgersi a: Edizioni Terra Santa Via G. Gherardini 5 - 20145 Milano (Italy) tel.: +39 02 34592679 fax: +39 02 31801980 http://www.edizioniterrasanta.it e-mail:
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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ En pase grammatike kai sophia
Saggi di linguistica ebraica in onore di Alviero Niccacci, ofm
Gregor Geiger (ed.) in collaborazione con Massimo Pazzini
Franciscan Printing Press
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Edizioni Terra Santa
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Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti.
Proprietà letteraria riservata Edizioni Terra Santa s.r.l. - Milano Finito di stampare nel luglio 2011 da Corpo 16 s.n.c. - Bari per conto di Edizioni Terra Santa s.r.l. isbn 978-88-6240-129-6
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Indice generale
Prefazione
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Abbreviazioni
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Collaboratori
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BOTTINI G. Claudio Scheda bio-bibliografica di Alviero NICCACCI
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BARTELMUS Rüdiger !"! (!#!): Sein oder werden? Sein und werden! Ein hebräisches (aramäisches) Allerweltswort und das Phänomen des lebenslangen Lernens .....................................
53
CHIESA Bruno Divagazioni tiberiensi
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BARANOWSKI Krzysztof J. The Article in the Book of Qoheleth
..........................................................................
CRIMELLA Matteo Il Signore vede il cuore! Fra analisi sintattica e narratologia. Il caso di 1 Sam 16,1-13 ESKHULT Mats Thoughts on Phrases and Clauses Expressing Circumstance in Biblical Hebrew Narration
85
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107
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123
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129
FASSBERG Steven E. The Shift from qal to piel in the Book of Qoheleth GEIGER Gregor Erzählte Welt und wayyiqtol
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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
GROSS Walter wa=yiqtol für Anknüpfung/Wiederaufnahme: Stilmittel und redaktionelles Verfahren ...............................................
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ISAKSSON Bo The Textlinguistics of the Suffering Servant: Subordinate Structures in Isaiah 52,13-53,12
173
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JOOSTEN Jan A Neglected Rule and Its Exceptions: On Non-Volitive yiqtol in Clause-Initial Position
...............................
213
MESSINA Paolo Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale .........................................................
221
NOTARIUS Tania Text, Discourse and Tenses in the Victory Song in 2 Sam 22,33-46: In Search of the Underlying Literary Convention
...............................
257
PAZZINI Massimo The Peshi!ta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea ..............................................................
283
PIERRI Rosario Perifrasi verbali con "#$%&'( ed )*+,-' nei LXX
295
..............................
TALSTRA Eep Sinners and Syntax: Poetry and Discourse in Jeremiah 5
....................
337
VOLGGER David Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14) – oder: Die Tora Israels auf dem Weg von Ägypten nach Kanaan
..................
357
WATSON Wilfred G. E. Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico ...........................................................
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W.GRZYNIAK Wojciech La problematica temporale dei verbi nei salmi 14 e 53
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Indice generale
ZEVIT Ziony Syntagms in Biblical Hebrew: Four Short Studies
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393
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405
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415
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423
ZEWI Tamar On "(' !%$ &$ and ! )*!' +# !%$ &$ in Biblical Hebrew
Sintesi degli articoli Abstracts
Indici dei passi e degli autori citati
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Alviero Niccacci, ofm
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Prefazione
Il titolo di questa Festschrift, /$ 01*2 "3'&&'+(-4 -'5 *%6#7, dedicata al Prof. Alviero NICCACCI, ofm, in occasione del suo 70esimo compleanno, vuol sottolineare due campi di studi ai quali il festeggiato ha contribuito maggiormente, sia nell’insegnamento sia nella ricerca e pubblicazione: la grammatica, ossia la linguistica testuale ebraica, e la sapienza, ossia i libri sapienziali vetero-testamentari. I contributi qui raccolti si concentrano principalmente sul primo di questi campi. Tuttavia trattando la linguistica ebraica, i contributi (ed i contributori) si distinguono per una varietà notevole. È un grande piacere vederne qui uniti venti e ringrazio di cuore tutti i contributori. Tra di loro si trovano allievi dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, quindi allievi di P. Alviero, ma anche molti altri. Ci sono coetanei di P. Alviero, oramai professori emeriti, docenti di varie generazioni e anche dei giovani studiosi, che presentano qui per la prima volta i frutti della loro ricerca. Sono qui riuniti rappresentanti di vari paesi europei, dell’America e della Terra Santa. Hanno contribuito confratelli di P. Alviero, membri della famiglia Francescana, come pure fedeli di varie confessioni cristiane ed Ebrei; è un bel segno che la parola di Dio unisca fedeli di varie religioni, bello specialmente qui a Gerusalemme, dove capita che venga usata come arma contro l’altro. Alcuni contributi rispecchiano lo stesso approccio linguistico-testuale di Alviero NICCACCI, mentre altri seguono metodi diversi, non sempre compatibili con l’approccio e la terminologia che usano NICCACCI ed i suoi discepoli; è segno di una feconda discussione trovare in questa Festschrift anche articoli di studiosi che criticavano (e criticano), a volte molto apertamente, il sistema di NICCACCI. Il fattore che unisce tutti i contributori è l’interesse, o meglio la passione, per la Bibbia ebraica e per la lingua ebraica, ma è anche la stima per Alviero, che alcuni esprimono nei loro contributi, mentre altri l’hanno dimostrata in modo più personale. Ringrazio il Decano della Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia (Studium Biblicum Franciscanum), il Prof. G. Claudio BOTTINI, ofm, che ha dato l’inziativa a questa Festschrift. Ringrazio molto cordialmente il Prof. Massimo PAZZINI, ofm, che l’ha accompagnata fin dall’inizio e si è reso disponibile in ogni momento a portarla avanti. Ringrazio due collaboratrici instancabili dello Studium Biblicum Franciscanum, Osvalda COMINOTTO e Sinéad MARTIN. 9
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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
Mi sia permesso esprimere qui un ringraziamento personale ad Alviero. Non è stato solamente il maestro che mi ha introdotto nel suo sistema di sintassi ebraica e che ha accompagnato e sorretto i miei primi passi in questo campo (e che continua a farlo). Egli era anche il rettore dello Studium Biblicum Franciscanum quando arrivai per la prima volta a Gerusalemme come giovane studente di teologia nel 1992, e lo devo alla sua iniziativa se alcuni anni dopo potetti tornarvi per approfondire i miei studi e per inserirmi nel corpo docente dello Studium Biblicum come suo collega. Il titolo /$ 01*2 "3'&&'+(-4 -'5 *%6#7, preso dalla versione di Teodozione di Dan 1,17, letto nel suo contesto non sembra perfettamente adatto per una Festschrift in onore di un 70enne; infatti si parla lì del giovane Daniele e dei ) <$ =+ 2() 8+ !- +# 56$ 7- 0"!3 ' %4 !$ 0!1 2$ ,.- $/ “Dio concesse a questi suoi compagni. – !7$ <+ >$ +# &91 :;2 di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni sapienza.” Tuttavia sono convinto che queste caratteristiche ben si addicono anche al nostro festeggiato. Che Iddio continui a concedere ad Alviero di conoscere e di comprendere ogni scrittura e ogni sapienza. Gerusalemme, 13 Giugno 2011 Gregor GEIGER, ofm
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Abbreviazioni
AOAT ATS BDB BH BHS CAD DJD GK GKC HALOT JBL JNWSL JSOT JSOT.S JSS KAI KTU LA MT SBF STDJ ThWAT TM UF VT VTS ZAH ZAW
Alter Orient und Altes Testament Arbeiten zu Text und Sprache im Alten Testament BROWN - DRIVER - BRIGGS, Hebrew and English Lexicon of the OT Biblical Hebrew, biblisches Hebräisch Biblia Hebraica Stuttgartensia Chicago Assyrian Dictionary Discoveries in the Judaean Desert GESENIUS - KAUTZSCH, Hebräische Grammatik GESENIUS - KAUTZSCH, Hebrew Grammar (transl. COWLEY) The Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament (KOEHLER-BAUMGARTNER) Journal of Biblical Literature Journal of North-West Semitic Languages Journal for the Study of the Old Testament Journal for the Study of the Old Testament: Supplement Series Journal of Semitic Studies Kanaanäische und aramäische Inschriften (DONNER - RÖLLIG) Die keilalphabetischen Texte aus Ugarit Liber Annuus Masoretic Text, masoretischer Text Studium Biblicum Franciscanum Studies on the Texts of the Desert of Judah Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament Testo Masoretico Ugarit-Forschungen Vetus Testamentum Supplements to Vetus Testamentum Zeitschrift für Althebraistik Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft
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Collaboratori
G. Claudio BOTTINI, ofm, Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme Krzysztof J. BARANOWSKI, ofm, University of Toronto Rüdiger BARTELMUS, Uni Kiel Bruno CHIESA, Università di Torino Matteo CRIMELLA, Studio teologico del Pontif. Istituto Missioni Estere, Milano Mats ESKHULT, Uppsala University Steven E. FASSBERG, The Hebrew University of Jerusalem Gregor GEIGER, ofm, Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme Walter GROSS, Universität Tübingen Bo ISAKSSON, Uppsala University Jan JOOSTEN, University of Strasbourg Paolo MESSINA, ofmcap, Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme Tania NOTARIUS, Hebrew University of Jerusalem Massimo PAZZINI, ofm, Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme Rosario PIERRI, ofm, Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme Eep TALSTRA, Vrije Universiteit, Amsterdam David VOLGGER, ofm, Pontificia Universitas “Antonianum”, Roma Wilfred G. E. WATSON, Northumberland (GB) Wojciech W.GRZYNIAK, Uniwersytet Papieski Jana Paw8a II, Cracovia Ziony ZEVIT, American Jewish University, Los Angeles Tamar ZEWI, University of Haifa
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G. Claudio Bottini Scheda bio-bibliografica di Alviero Niccacci
Non è facile per nessuno racchiudere in poche parole la vita di una persona. È ugualmente arduo tentare di delineare gli eventi significativi della vita di uno studioso come padre Alviero NICCACCI che il 30 novembre 2010 ha celebrato il suo settantesimo compleanno. Il fatto che lo conosco da quarant’anni facilita solo parzialmente il mio compito. Alviero è nato il 30 novembre 1940 a S. Nicolò di Celle (Perugia). La personalità di due zii francescani (Rufino NICCACCI † 1976 e Angelo NICCACCI † 2005) appartenenti alla Provincia Serafica di S. Francesco d’Assisi lo ispirarono da bambino, al punto che a dieci anni Alviero iniziò nelle case di quella Provincia il percorso di formazione e studi che lo condusse dalla quinta elementare alla licenza liceale (Collegi Serafici di Todi e Perugia, San Damiano ad Assisi) e al quadriennio teologico (S. Maria degli Angeli). A 16 anni entrò nel Noviziato e a 22 fece la sua Professione definitiva nell’Ordine dei Frati Minori. Il 14 marzo 1965 fu ordinato presbitero. Per qualche anno restò in Umbria preparandosi agli studi superiori e facendo le sue prime esperienze tra i giovani e nella pastorale. In quegli anni la Provincia Serafica disponeva di un eccellente gruppo di docenti – tra di essi piace ricordare Angelo LANCELLOTTI † 1984, Lino CIGNELLI † 2010, Emanuele TESTA † 2011, futuri docenti dello Studium Biblicum Franciscanum – e indirizzava diversi giovani agli studi universitari in differenti discipline. Così il giovane Alviero fu inviato a studiare a Roma. Nel 1969 ottenne la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense, nel 1970 la Licenza in Lingue Orientali e nel 1972 la Licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico. Qui si iniziò allo studio della lingua e letteratura egiziana con Adhémar MASSART SJ († 1985). All’inizio del 1973 raggiunse lo Studium Biblicum Franciscanum dove si trovavano già i confratelli sopra ricordati e qui frequentò alcuni corsi biblici. A Gerusalemme, in vista della specializzazione in egittologia, fu a più riprese 8
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Scheda bio-bibliografica di Alviero Niccacci
allievo di Hans Jakob POLOTSKY (2?@ 1991) per l’egiziano (1973-1975) e per il copto (1979-1980). La frequenza di questo grande maestro di linguistica gli giovò non poco quando dovette dedicarsi all’insegnamento della sintassi ebraica. Studiando il sistema verbale ebraico NICCACCI si è lasciato “ispirare” dal approccio strutturale di POLOTSKY integrandolo felicemente con quello linguistico-testuale di Harald WEINRICH. Rientrato in Italia nel 1975, si iscrive all’Università La Sapienza di Roma Istituto del Vicino Oriente Antico e due anni dopo si laurea con una tesi in egittologia. Nella primavera del 1978 torna allo Studium Biblicum Franciscanum e inizia a insegnare esegesi dell’Antico Testamento e lingue biblico orientali e a condividere la conduzione della vita accademica. Diviene professore cooptato nel 1981, straordinario nel 1983 e ordinario nel 1988; nel triennio 1978-1981 ricopre la carica di Segretario, dal 1984 al 1990 quella di Vice Pro-Decano o ViceDirettore, dal 1990 al 1996 quella di Pro-Decano della Facoltà. Merita di essere ricordato che le sue amichevoli relazioni con l’architetto della Custodia di Terra Santa padre Alberto PRODOMO facilitarono non poco la realizzazione nel 1991 della nuova sede accademica dello Studium Biblicum Franciscanum iniziata sotto il suo predecessore Stanislao LOFFREDA. Come docente di introduzione all’Antico Testamento ha insegnato anche nello Studium Theologicum Jerosolymitanum. Per l’anno accademico 1978-1979 ha svolto il compito di segretario di redazione per le pubblicazioni e dal 2002 al 2005 quello di Direttore della Biblioteca. L’inizio dell’anno 2011 è stato dichiarato professore emerito. Ha anche iniziato le escursioni dello SBF in Egitto e ne ha guidate 6, nel 1983, 1986, 1989, 1992, 2002, 2005. Come sussidio nel 1992 ha preparato una guida, Egitto e Bibbia. Sussidi per l’escursione in Egitto, che prossimamente sarà disponibile nel sito dello SBF. Nei lunghi anni di insegnamento è stato moderatore o correlatore di numerose tesi di Dottorato e di Licenza; ha collaborato ininterrottamente a tutte le attività accademiche e di formazione permanente della Facoltà; ha sempre coltivato un dialogo costruttivo con studiosi e studenti anche esterni e ha preso parte con competenza e cordialità a seminari e colloqui scientifici in Israele e fuori. Il 2 giugno 2010 nella sede dell’Ambasciata Italiana a Tel Aviv NICCACCI ha ricevuto dall'Ambasciatore Luigi MATTIOLO la decorazione di Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana conferita dal Presidente della Repubblica Giorgio NAPOLETANO il 1 settembre 2009.
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G. Claudio Bottini
NICCACCI è autore di numerosi libri e articoli e di moltissime recensioni di libri scientifici. La sua produzione rivela una straordinaria versatilità che lo ha condotto – spesso dietro sollecitazione di amici e confratelli alle quali egli non si sottrae facilmente – a scrivere di diversi argomenti. Su tutti tuttavia dominano tre soggetti: l’Antico Testamento con speciale riguardo ai libri sapienziali, i testi egiziani antichi, la sintassi ebraica. Curiosamente lo studio della sintassi ebraica biblica che si è rivelata la “grazia” del professor NICCACCI non era tra i suoi interessi primari. Dovette occuparsene a partire dal 1984 a causa della prematura scomparsa di A. LANCELLOTTI che ricopriva la cattedra di ebraico nello Studium Biblicum Franciscanum. Due anni dopo il professor NICCACCI pubblica Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica che lo impone subito all’attenzione degli specialisti. L’opera viene tradotta in inglese nel 1990. Seguono vari articoli apparsi in riviste specializzate e nel 1991 il volume Lettura sintattica della prosa ebraico-biblica. Principi e applicazioni, anche questo accolto con molto interesse dagli studiosi. Una rielaborazione delle due opere, curata dallo stesso NICCACCI, viene tradotta in spagnolo nel 2002. Attualmente egli elabora una nuova edizione di queste due opere considerate oramai di fondamentale importanza nello studio della sintassi ebraica biblica.
Padre NICCACCI è membro dell’Associazione Biblica Italiana, della Catholic Biblical Association of America, dell’Ecumenical Theological Research Fraternity in Israel. Unendo intelligenza, cordiale disponibilità e francescana semplicità padre Alviero NICCACCI si inserisce con onore nella nobile schiera degli studiosi francescani secondo la migliore tradizione dei professori dello Studium Biblicum Franciscanum dalla Santa Sede elevato non senza il suo apporto nel 2001 a Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia. Ora che ha superato il traguardo biblico dei 70 anni ci felicitiamo con lui e gli auguriamo energie e anni per continuare a studiare e condividere la sua preziosa conoscenza della Parola di Dio che, come mostrano i suoi libri e il suo impegno di vita, va ben oltre la sequenza di wayyiqtol e qatal. La presente miscellanea di studi di filologia ebraica che la Facoltà gli offre, grazie al contributo di amici studiosi, colleghi ed ex alunni, sia per lui un segno di stima e gratitudine.
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Scheda bio-bibliografica di Alviero Niccacci
1. Libri (con O. BATTAGLIA), Il Vangelo oggi. Vol. V: Il Vangelo dello Spirito secondo Giovanni, Assisi 1973. (con O. BATTAGLIA), O Evangelho hoje. Vol V: O Evangelho da Verdade secundo João, Petrópolis 1980. Hyksos Scarabs (SBF. Museum 2), Jerusalem 1980. Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica (SBF. Analecta 23), Jerusalem 1986. Un profeta tra oppressori e oppressi: Analisi esegetica del capitolo 2 di Michea nel piano generale del libro (SBF. Analecta 27), Jerusalem 1989. Lettura sintattica della prosa ebraico-biblica: Principi e applicazioni (SBF. Analecta 31), Jerusalem 1991 (ristampa 2009). The Syntax of the Verb in Classical Hebrew Prose (JSOT.S 86), Sheffield 1990. (con la Provincia OFM di Toscana e la Custodia di Terra Santa, ed.), Padre Bellarmino Bagatti francescano, sacerdote, archeologo (SBF. Museum 9), Firenze - Gerusalemme 1991. (con l’Ufficio tecnico della Custodia di Terra Santa), Studium Biblicum Franciscanum, 17 novembre 1991, Jerusalem 1991. (ed.), SBF Notiziario: Numero speciale per l’inaugurazione della nuova sede dello SBF. A Special Issue for the inauguration of the new SBF, Jerusalem 1993. La casa della Sapienza: Voci e volti della Sapienza biblica (Narrare la Bibbia 2), Cinisello Balsamo 1994. (ed.), Divine Promises to the Fathers in the Three Monotheistic Religions: Proceedings of a Symposium Held in Jerusalem, March 24-25th, 1993 (SBF. Analecta 40), Jerusalem 1995. (ed.), Grammatica dell’Ebraico biblico, autore A. LANCELLOTTI (SBF. Analecta 24), Jerusalem 1996. (con M. ADINOLFI, ed.), L’Apocalisse (Centro di Spiritualità e Patrologia, Iskenderun - Turchia. Corsi Accademici 1), Modena 1996. A casa da Sabedoria: vozes e rostos da sabedoria bíblica, São Paulo 1997. Siracide o Ecclesiastico. Scuola di vita per il popolo di Dio (La Bibbia nelle nostre mani 27), Cinisello Balsamo 2000. Comentário ao Evangelho de João, Petrópolis 2000. (con M. PAZZINI), Il Rotolo di Rut/.B& .2- 'A7+ : Analisi del testo ebraico (SBF. Analecta 51), Jerusalem 2001 (ristampa 2009). (ed.), Jerusalem House of Prayer for All Peoples in the Three Monotheistic Religions: Proceedings of a Symposium Held in Jerusalem, February 17-18, 1997 (SBF. Analecta 52), Jerusalem 2001. 16
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G. Claudio Bottini
Sintaxis del Hebreo Bíblico, Traducido por Guadalupe SEIJAS DE LOS RÍOS-ZARZOSA (Instrumentos para el estudio de la Biblia 8), Estella 2002. (con M. PAZZINI - R. TADIELLO), Il libro di Giona: Analisi del testo ebraico e del racconto (SBF. Analecta 65), Jerusalem 2004. Il libro della Sapienza. Introduzione e commento (Dabar - Logos - Parola. Lectio divina popolare) Padova 2007. 2. Articoli “Testi dell’antico Egitto sulla ‘religione del povero’ e alcune concezioni bibliche”, in Rivista Biblica 21 (1973) 413-427. “Nuovi Scarabei Hyksos”, in Studia Hierosolymitana in onore del P. Bellarmino Bagatti: I. Studi Archeologici (SBF. Collectio Maior 22), Jerusalem 1976, 29-79, tavv. 1-12. “L’unità letteraria di Gv 13,1-38”, Euntes Docete 29 (1976) 291-323. “Il messaggio di Tefnakht (Stele di Piankhi, lin. 126-140)”, LA 27 (1977) 213-228, tavv. 41-42. “Esame letterario di Gv 14”, Euntes Docete 31 (1978) 209-260. “Sul detto 76 dei ‘Sarcofagi’ (CT II 1-17)”, LA 28 (1978) 5-23. “La fede nel Gesù storico e la fede nel Cristo risorto (Gv 1,19-51 // 20,1-29)”, Antonianum 53 (1978) 423-442. “Proverbi 22,17-23,11”, LA 29 (1979) 42-72. “Su una formula dei ‘Testi dei Sarcofagi’ ”, LA 30 (1980) 197-224, tavv. 5-6. “Giobbe 28”, LA 31 (1981) 29-58. (con B. BAGATTI), “Ostraca etmoylon dal Fayum (Egitto) nel Museo di Faenza”, Faenza 67 (1981) 141-142, tav. 49. “Esame letterario di Gv 15-16”, Antonianum 56 (1981) 43-71. “ ‘I monti portino pace al popolo’ (Sal 72,3)”, Antonianum 56 (1981) 804-806. “Sulla vita futura nei Proverbi”, Euntes Docete 34 (1981) 381-391. “Siracide 6,19 e Giovanni 4,6-38”, Bibbia e Oriente 23 (1981) 149-153. “La conclusione di Elihu (Giobbe 37,19-24)”, in G. C. BOTTINI (ed.), Studia Hierosolymitana III nell’Ottavo Centenario Francescano (1182-1982), Jerusalem 1982, 75-82. “Egitto e Bibbia sulla base della Stele di Piankhi”, LA 32 (1982) 7-58. “Su una nuova edizione della Stele di Piankhi”, LA 32 (1982) 447-460, tavv. 107-110. “L’ambiente del Nuovo Testamento e della Chiesa primitiva alla luce degli scavi dello Studium Biblicum Franciscanum (Gerusalemme)”, Antonianum 58 (1983) 6-47 (= La Terra Santa. Studi di Archeologia. Atti del simposio “Trent’anni di Archeologia in Terra Santa”, Roma 27-30 aprile 1982, Romae 1983, 6-47). 17
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Scheda bio-bibliografica di Alviero Niccacci
“La foi eschatologique d’Israël à la lumière de quelques conceptions égyptiennes”, LA 33 (1983) 7-14. “Nazaret nella storia”, in V. LEVI - R. CIUNI (ed.), La storia di Gesù, vol. I, Milano 1983, 73-78. “Trente ans de fouilles du ‘Studium Biblicum Franciscanum’ et l’exégèse du Nouveau Testament”, Bibbia e Oriente 26 (1984) 225-246. “La teologia sapienziale nel quadro dell’Antico Testamento: A proposito di alcuni studi recenti”, LA 34 (1984) 7-24. “Archéologie et Nouveau Testament: Capharnaüm et Tabgha”, Studia Orientalia Christiana Collectanea 18 (1985) 231-255. “Ancora sulla stele di Febronia a Deir Abu Hennis”, Studia Orientalia Christiana Collectanea 18 (1985) 165-174, tavv. 1-11. “Esodo 3,14a: ‘Io sarò quello che ero’ e un parallelo egiziano”, LA 35 (1985) 7-26. “Sullo sfondo egiziano di Esodo 1-15”, LA 36 (1986) 7-43. “Yahveh e il Faraone: Teologia biblica ed egiziana a confronto”, Biblische Notizen 38/39 (1987) 85-102. “A Neglected Point of Hebrew Syntax: Yiqtol and Position in the Sentence”, LA 37 (1987) 7-19. “Mosè e il Faraone: Sfida di Yahveh agli dèi di Egitto: Racconto biblico e paralleli egiziani”, Ateismo e Bibbia (Atti del XIII Convegno Biblico Italiano Francescano, Verona, 23-28 settembre 1985, Collectio Assisiensis 15, Assisi 1988) 119-130. “Archeologia e Nuovo Testamento: Cafarnao e Tabgha”, in Ateismo e Bibbia (Atti del XIII Convegno Biblico Italiano Francescano, Verona, 23-28 settembre 1985, Collectio Assisiensis 15, Assisi 1988), 329-353. “Basic Principles of the Biblical Hebrew Verbal System in Prose”, LA 38 (1988) 7-16. “An Outline of the Biblical Hebrew Verbal System in Prose”, LA 39 (1989) 7-26. “Sullo stato sintattico del verbo h!yâ”, LA 40 (1990) 9-23. “The City of Yahweh: Jerusalem in Prophetic Tradition”, The Bible Today 29 (1991) 5-7. “Cantico dei Cantici e canti d’amore egiziani”, LA 41 (1991) 61-85. “Dall’aoristo all’imperfetto o dal primo piano allo sfondo. Un paragone tra sintassi greca e sintassi ebraica”, LA 42 (1992) 85-108. “Simple Nominal Clause (SNC) or Verbless Clause in Biblical Hebrew Prose”, ZAH 6 (1993) 216-227. “Marked Syntactical Structures in Biblical Greek in Comparison with Biblical Hebrew”, LA 43 (1993) 9-69.
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G. Claudio Bottini
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B. BACKES - M. MÜLLER-ROTH - S. STÖHR (ed.), Ausgestattet mit den Schriften des Thot: Festschrift für Irmtraut Munro zu ihrem 65. Geburtstag: LA 59 (2009) 576-579. V. M. LEPPER, Untersuchungen zu pWestcar: Eine philologische und literaturwissenschaftliche (Neu-)Analyse: LA 59 (2009) 579-583. F. JUNGE, Einführung in die Grammatik des Neuägyptischen: LA 59 (2009) 584-587. Giovanni Claudio Bottini, ofm Decano della Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia (Studium Biblicum Franciscanum), Jerusalem
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The Problem The use of the definite article in the book of Qoheleth has been considered by some scholars to be irregular, erratic or chaotic.1 The presupposed irregularities in the use of the article have been used as an argument in favor of a nonHebrew original of the book or its late date of composition. ZIMMERMANN argued that all these anomalies can be explained only if the Hebrew is a translation from Aramaic.2 DAHOOD, on the other hand, regarded the erratic use of the article as cogent proof of the Phoenician syntactic influence in the book.3 SCHOORS adopted a more balanced stance as he recognized that Qoheleth’s irregular use of the article may be compared with some inconsistencies found in the books of Samuel, Kings and Chronicles. Nevertheless, he considered the use of the article as an indication of a later stage of the language, close to Mishnaic Hebrew.4 It is my contention that scholarly opinions on the use of the article in the book of Qoheleth are based on faulty assumptions about the regularity of the use of the article in the Hebrew Bible and in Northwest Semitic languages. Moreover, the methodology must take into consideration a larger, cross-linguistic perspective of the study of definiteness and use the definitions elaborated by modern linguistics. By doing so, I shall show that, in spite of the widespread claims, there is much regularity in the use of the article in the book of Qoheleth and that many apparent contradictions and exceptions are, in fact, nothing of the sort. For example, a recent commentary lists “der unregelmäßige Gebrauch des Artikels” among the peculiarities of the language of the book, See SCHWIENHORST-SCHÖNBERGER, Kohelet, 110. It should be remarked that it is impossible to polemicize against lists of inconsistencies of the use of the article such as these in ISAKSSON, Studies, 145-147, or DELSMAN, Zur Sprache, 358-359, because they do not state the reason for which each case is considered abnormal. 2 ZIMMERMANN, Aramaic Provenance, 20-23. 3 DAHOOD, Canaanite-Phoenician Influence, 197-201. 4 SCHOORS, Preacher, vol. I, 169. 1
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Notes on the article in the Hebrew Bible and Northwest Semitic languages A glance at modern grammars of Biblical Hebrew reveals a self-contradictory treatment of the use of the article. On one hand, grammar books offer lengthy and detailed discussions of the rules that concern the article. On the other hand JOÜON and MURAOKA confess openly that “the use of the article in Hebrew is rather loose.”5 This diagnosis of our understanding emerges also from James BARR’s comprehensive critique of the rules of the Hebrew article.6 He convincingly shows that the present understanding of the function of the Hebrew article and the rules that predict its occurrence are rife with contradictions and ad hoc solutions.7 This is not to say that we do not have any understanding of the sense of the article and of the usual situations in which it occurs. One should, however, be cautious about pronouncing clear-cut opinions about the appropriateness of the occurrence of the article in a particular case or about the grammatical error in the case of its lack. In short, the lack of research on the article in the Hebrew Bible suggests that the characterization of the use of the article in the book of Qoheleth as chaotic should be reinvestigated.8 A similar impression of an inconsistent use of the article emerges not only from the scrutiny of the Hebrew Bible in general and the book of Qoheleth in particular but also from a perusal of cognate Northwest Semitic languages. Indeed, in our rather limited corpus of inscriptions there are quite a few instances in which scholars find the occurrence or lack of the article puzzling. Epigraphic Hebrew sources show few instances of the absence of the article in phrases where it is expected.9 For example, in a few seals from Kuntillet Ajrud that belong to the governor of the city the article in the word “city” is lacking while it appears on two similar seals.10 A similar case of the omission of the article occurs on two seals on which the word mlk is anarthrous.11 In the JOÜON-MURAOKA, § 137 d. BARR, Determination. 7 However, the main thesis of BARR should not be accepted. Indeed, by arguing on the basis of the problematic cases that the article in Hebrew Bible is only loosely related to definiteness, BARR merely transposes the fuzziness of our understanding to the blurriness of the grammatical function itself. For a systematic critique of his argumentation see MÜLLER, Zu den Artikelfunktionen. 8 An example of reinvestigation that corrects a long-lasting statement of the traditional grammars is MILLER, Definiteness. She concludes that the definite article does not mark the vocative in Biblical Hebrew. See MILLER, Definiteness. 9 This discussion of Epigraphic Hebrew is based on GOGEL, Grammar, 173-175, and SCHÜLE, Syntax, 53-65. Interesting observations on the omission of the article can be found in SARFATTI, Hebrew Inscriptions, 71-73. 10 GOGEL, Grammar, 413; DAVIES, Inscriptions, vol. II, 207. LEMAIRE thinks that omission of the article in this case is a dialectal characteristic of Israelite Hebrew. See LEMAIRE, Hebrew and Aramaic, 193. 11 DAVIES, Inscriptions, no. 101.176: lḥlṣyhw bn mlk and AVIGAD-SASS, Corpus, no. 1205: 5 6
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Samaria ostraca the article appears inconsistently before the ordinal numbers in the formula bšt written in hieratic numerals.12 In Lachish letter no. 13 the article seems to be omitted after the nota accusativi.13 Also, the absence of the article with the word ym in Arad letter no. 40 is considered by scholars to be another problematic passage since it appears that the author refers to a definite day. On the other hand, the article is prefixed to the word ymm without any apparent reason in Arad letter no. 2:1-3: ntn lktym b\ 1 1 yyn lˀrbˁt hymm.14 The Phoenician epigraphic texts attest to a gradual development of the article and this partially explains why its use is fluctuating. One finds many examples similar to the problematic cases of the use and non-use of the article in the Hebrew Bible. For instance, the article may lack in the pronoun that follows an arthrous noun (hspr z, KAI 24:15) or a word that qualifies a personal name.15 Puzzling also are the lack of the article in the words that follow the nota accusativi (KAI 14:4: ˀl yptḥ ˀyt mškb z) and the apparent occurrence of the article on the first word in the construct chain (KAI 10:4: hmzbḥ nḥšt zn […] whptḥ ḥrṣ zn).16 The lack of the article on the noun followed by an arthrous adjective in KAI 14:22: ˀlnm hqdšm17 is also baffling. Similar difficulties may be detected in the corpus of the Transjordanian languages. YUN speaks about inconsistencies in the use of the article as he considers it lacking in the Moabite incense altar from Khirbet El-Mudeiyineh (AḤITUV, Echoes, 424: mqṭr ˀš ˁš ˀlšmˁ) and in the Ammonite Tel Siran Bottle (KAI 308:4-5: hkrm wh{.}gnt whˀtḥr wˀšḥt).18 On an Ammonite seal one notes also the lack of the expected article with the word mlk, a case similar to those on the Hebrew seals discussed previously.19
lˁśy[w] bn ml[k]. AVISHUR and HELTZER consider the absence of the article a sign of the archaic character of the seals. See AVISHUR-HELTZER, Studies, 73. One may argue also that the word mlk in these seals is a personal name that is known from rare attestations in the Hebrew Bible and epigraphic sources. See ZADOK, Pre-Hellenistic, 433. Indeed, this seems to be the opinion of AVIGAD and SASS who translate the legend of the seal: “Belonging to Aśay[aw] son of Mel[ek].” 12 It is possible that the omission of the article with the hieratic numerals was an orthographic convention. See GOGEL, Grammar, 175. 13 Lachish 13:3: [ ] ˀt . ˀšpt. Since the text is short and broken scholars resort to different hypotheses in order to explain this puzzling omission. See GOGEL, Grammar, 174. 14 GOGEL, Grammar, 175. DOBBS-ALLSOPP, Hebrew Inscriptions, 13, speculates that the article could refer to the number of days for some ceremony or a journey. 15 KAI 14:1: mlk ˀšmnˁzr; SEGERT, Grammar, no. 83.41: ˀnk ˁbdy bnˁbdˀlmn ˁrwdy. 16 For more examples see DAHOOD, Canaanite-Phoenician Influence, 198-199. 17 For an overview of the article in Phoenician see FIRMAGE, Definite Article, and especially GZELLA, Entstehung, for the syntax of the article in Phoenician and the importance of these apparent anomalies for tracing the origin of the West-Semitic article. 18 YUN, Transjordanian Languages, 759. 19 AVIGAD-SASS, Corpus, no. 861. SIVAN has no satisfactory explanation for this omission. See SIVAN, On the Grammar, 228.
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From this short overview one concludes that the “inconsistencies” of the use of the article were rather common in the Northwest Semitic languages. Hence, one should not be surprised to find them in the Hebrew Bible in general and in the book of Qoheleth in particular. Observations on the linguistic study of the article It seems that the scholars who studied the article in the Hebrew Bible did not always consider the complexity of issues that involve definiteness, indefiniteness and the article. Indeed, as KOSESKA-TOSZEWA and GARGOV observe: “the definiteness/indefiniteness category belongs to the class of extremely general linguistic semantic categories, any approach to which has inevitably to deal with the most fundamental issues of linguistics.”20 The traditional idea of the article is, however, narrowly focused on the fact that the article should refer to something known, particular or specific. This concept of the article and definiteness explains only a small part of the attestations of the use and non-use of the article in the Hebrew Bible and does not consider the variety of articles and their uses found in the languages of the world. Modern linguistic research on definiteness and the article points to a few fundamental facts that should not be overlooked.21 The most important of these facts are the relevance of the context and the need for the collaboration of the participants in a communication act in order to understand the reason for the use of the article in a particular case. Indeed, it is only in the context, when a particular world of references is established between the participants in the communication act, that the use or non-use of the article is meaningful. For example, the definite article in the sentence “The dog attacked me” is understandable if the preceding sentence is “I saw a dog this morning.” Similarly, the nurse who enters the operating theater and, using the definite article, asks “Who is the anesthetist today?” appeals to the context in which the presence of an anesthetist is expected. In the latter case the referent of the noun “anesthetist” is unknown to her and yet the use of the article is natural. This example shows too how important is the collaboration of the hearer who must accept the definite reference as such and interpret it. This being the state of the matter, the immediate consequence for our research is that many cases of the use and non-use of the article may be difficult to understand because of our imperfect comprehension of the context and of the author’s thought.
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Semantic Category, 11. An accessible synthesis of modern research can be found in LYONS, Definiteness.
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The problems with understanding definiteness call for a new definition. According to contemporary linguistic research it can be defined as a grammatical category which is on par with tense, number or gender and that expresses such concepts as identifiability, inclusiveness, uniqueness and familiarity. The prototypical concept of this category is probably identifiability. Since it is a grammatical category, it does not exclude uses other than prototypical ones. The article can be seen, therefore, as a means of encoding this category.22 Having in mind the complexity of the study of definiteness, both in the Northwest Semitic languages and in linguistics in general, we shall now turn to the book of Qoheleth in order to examine anew the use and non-use of the article. General observations on the study of the article in the book of Qoheleth There are two fundamental difficulties with the study of the article in the Hebrew Bible in general. The first is the Masoretic vocalization; the second is the lack of a general and diachronic study of the article in the Hebrew Bible. It is widely recognized that many instances of the non-consonantal article, that is, the one that appears as a vowel under the prepositions ְבּ, ְכּand ְל, are due to the Naqdanim and so do not belong to an earlier, original form of the text.23 It follows that the article with these prepositions may or may not reflect the uses of the author of the book. Hence, it would seem to be methodologically appropriate to exclude the occurrences of the non-consonantal article from the study. This radical approach, however, will not be adopted because the non-consonantal article in the book of Qoheleth appears to be in general employed in a similar way to the consonantal article.24 Moreover, both the consonantal text and the vocalization display well established use of the generic article.25 Since this use of the article is frequent in the book of Qoheleth, the exclusion of the non-consonantal article from the study would mean the exclusion of many interesting study cases. The cases of a problematic non-consonant article will be judged one by one, bearing in mind the possibility of their spurious origin.26 For a detailed explanation of this definition see LYONS, Definiteness, 253-281. BARR, Determination, 325-333. 24 Another reason for choosing the study of the actual Hebrew text as transmitted by the Masoretes is the fact that if one chooses not to consider the vocalic article some problematic cases disappear, but others arise. Thus, one ends up studying the difficulties that do not exist and leaves aside the real problems of the Masoretic text. 25 SCHORCH, Determination, 309-310. 26 The vocalic article is almost certainly a Masoretic addition in יוֹד ַע ֵ ה־לּ ָענִ י ֶ ( ַמ6,8) and רוֹמים ַר ִבּים ִ ( ַבּ ְמּ10,6). Accepting this possibility, a question arises. Didn’t the Masoretes know such 22 23
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The need to compare the use of the article in the book of Qoheleth and other books of the Hebrew Bible brings another methodological question: should the book of Qoheleth be compared with narrative or poetic sections of the Bible? This question is particularly relevant to the study of the article because Hebrew poetry has its own peculiarities of use, most notably its frequent omission. It seems that most appropriate would be to compare the book of Qoheleth with other wisdom books, particularly with Proverbs and the extant Hebrew portions of Ben-Sirach. Such a systematic comparison is, however, out of the scope of the present study and will be considered only in part. The article in generic statements Generic statements are utterances which convey general observations and conclusions about reality. An example of a generic statement is Qoh 5,9: ם־ז֖ה ָ ֽה ֶבל׃ ֶ ַבוּאה גּ ֑ ָ וּמי־א ֵ ֹ֥הב ֶבּ ָה ֖מוֹן ֣ל ֹא ְת ֽ ִ א ֵ ֹ֥הב ֙ ֶכּ ֶס ֙ף לֹא־יִ ְשׂ ַבּ֣ע ֶ֔כּ ֶסף He that loves silver is never satisfied with silver; nor he that loves abundance with his income; this also is vanity.27
Two preliminary remarks are in necessary. First, one should keep in mind that the interpretation of a generic statement as such arises not only from the formulation of the noun phrase but also from the meaning of a sentence as whole. It follows that the generic statements can be formulated both with arthrous and anarthrous subjects as well as with singular and plural subjects.28 Second, by their nature generic statements contain the error of missing quantification, an example of an incomplete formulation.29 In everyday use the generic statements are usually interpreted with universal quantification (“all,” “every”). It is, however, to be stressed, that generic statements should be interpreted in the sense of what is normal or typical for members of a class. Consequently, generic statements may employ a non-specific reference to a member of the class a simple “rule”—that the article must occur both on the noun and on adjective? If so, why did they waive it? 27 All translations are the author’s own. 28 For example, in English: 1. A dog has four legs. 2. The dog has four legs. 3. Dogs have four legs. For a brief survey of generics see LYONS, Definiteness, 179-198, and CHESTERMAN, On Definiteness, 32-40.74-78. 29 AJDUKIEWICZ, Pragmatic Logic, 56: “The error of an incomplete formulation is committed when an essential element of an expression is omitted. Thus, for instance, if we say that ‘Italians are hot-tempered,’ without indicating whether we mean all Italians, or some of them only, or a majority of them, then we commit an error of making an incomplete formulation, since we leave out an essential element of a formulation which is intended to be a statement. Without that element the formulation in question is neither true nor false, and hence is not a statement. It may become true, but it also may become false, according to the way in which we complete it. The error of incomplete formulation as described in the example given above is called missing quantification.”
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with the article. These two remarks about the generic statement are useful to explain many occurrences of the article in the book of Qoheleth. From my perusal it appears that the use or non-use of the article does not entail a generic or non-generic reading.30 Indeed, one finds singular and plural, arthrous and anarthrous noun phrases in generic statements: וּכ ִ֔סיל ֲא ֶ ֛שׁר לֹא־יָ ַ ֥דע ְל ִהזָּ ֵ ֖הר ֽעוֹד׃ ְ קן ֙ ֵ ָ זN֛טוֹב ֶי ֶ֥לד ִמ ְס ֵ ֖כּן וְ ָח ָכ֑ם ִמ ֶ ֤מּ ֶל Better is a poor but wise child than an old but foolish king who knows not to receive admonition any more. (Qoh 4,13) לוֹא־ל ַ֑חשׁ וְ ֵ ֣אין יִ ְת ֔רוֹן ְל ַ ֖ב ַעל ַה ָלּ ֽשׁוֹן׃ ָ ַהנָּ ָ ֖חשׁ ְבּNֹ ִאם־יִ ֥שּׁ If the snake bites without incantation, the charmer is of no avail. (Qoh 10,11) היםZ ֑ ִ יהם ְבּ ַי֣ד ָה ֱא ֖ ֶ ַה ַצּ ִדּי ִ ֧ קים וְ ַה ֲח ָכ ִ ֛מים וַ ֲע ָב ֵד The righteous, and the wise, and their works, are in the hand of God. (Qoh 9,1) שׁ־דּ ָב ִ ֥רים ַה ְר ֵ ֖בּה ַמ ְר ִ ֣בּים ָ ֑ה ֶבל ַמה־יּ ֵ ֹ֖תר ָל ָא ָ ֽדם׃ ְ ִֵ ֛כּי י Since there are many words that increase vanity, what is a benefit for the man? (Qoh 6,11)
The fact that the article may or may not be used in generic statements with great freedom accounts in a significant part for the apparent chaos in the use of the article in the book of Qoheleth. Indeed, in conformity with its genre, the book abounds with generic statements. The occurrence or the lack of the article in them must be interpreted case by case since the generic nature of the statement is not the reason for a particular use of the article. One of the frequent reasons for the use and non-use of the article is the mental representation of the arthrous noun as specific, definite and seen in opposition to others. In this case the lack of the article signals a more hypothetical and general level of the statement (achieved with the English indefinite article, bare plural or quantifier “some”) whereas the appearance of the article focuses the attention on the distinctive characteristics of the referent of the noun. Qoh 8,14 illustrates this point: שׂה ָה ְר ָשׁ ִ֔עים וְ ֵי ֣שׁ ֣ ֵ ֤יע ֲא ֵל ֶה ֙ם ְכּ ַמ ֲע ַ יקים ֲא ֶ֨שׁר ַמ ִגּ ִ֗ שׁר ֵי ֣שׁ ַצ ִדּ ֣ ֶ ל־ה ָא ֶרץ֒ ֲא ָ שׁר נַ ֲע ָ ֣שׂה ַע ֣ ֶ שׁ־ה ֶב ֮ל ֲא ֶ ֶי ם־ז֖ה ָ ֽה ֶבל׃ ֶ ַשׂה ַה ַצּ ִדּי ִ ֑ קים ָא ַ֕מ ְר ִתּי ֶשׁגּ ֣ ֵ ֥יע ֲא ֵל ֶ ֖הם ְכּ ַמ ֲע ַ ְר ָשׁ ִ֔עים ֶשׁ ַמּ ִגּ There is a vanity that occurs in the world: that there are righteous men, unto whom it happens according to the work of the wicked; again, there are wicked men, to whom it happens according to the work of the righteous—I said that this also is vanity.
At the first sight it may seem puzzling why the author speaks in the same verse once about ַצ ִדּ ִיקיםand ְר ָשׁ ִעיםand the other time about ַה ַצּ ִדּ ִיקיםand ָה ְר ָשׁ ִעים. A closer look reveals that the articles with these groups are used symmetrically. Moreover, when the author does not prefix the article he refers to the casual 30 A similar conclusion can be drawn from the examples of the generic use of the non-predicative participle collected in V. PEURSEN, Verbal System, 228-230.
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existence of a certain group of wicked/righteous men or to an indefinite number of cases of single wicked/righteous men. This blurred picture of some wicked/righteous men is contrasted with the precise image of the wicked/righteous men to whom the author refers with the article. By prefixing the article he portrays them as a specific group that can be identified by their quality of being wicked/righteous and by their particular conduct () ַמ ֲע ֶשׂה. Since the arthrous nouns ַה ַצּ ִדּ ִיקיםand ָה ְר ָשׁ ִעיםoccur in the construct chain, the bigger picture built by the author is the following: it may happen that some righteous men are requited as they are behaving in the way that is typical to the wicked and vice versa. In short, the article in this verse creates an opposition between a group seen as a few single members and a group seen as a collective. The author employs the article to build a perspective in which he sees the object of his discourse. This idea of different perspective toward objects and thoughts illuminates the use and non-use of the article in generic statements in overall terms. I suggest the following distinctions: 1. An anarthrous singular noun portrays the referent as one random member of a class that exemplifies its members. This use is comparable to an English noun with the indefinite article. 2. An arthrous singular noun singles the referent out of the class, depicts the referent seen in its individuality and considers him as a study case valid for the entire class. 3. An anarthrous plural noun produces a mental representation of a certain numbers of members of a class seen as separate and individual referents. This used is comparable with the English “some” followed by a plural noun. 4. An arthrous plural noun portrays the class as one collectivity without highlighting the distinctiveness of each member.31 Since the article is used to present the subjects of generic statements in different perspectives, each verse must be examined first separately and then in a wider context. Only in this way may one discover how the author uses the article to convey the nuances of his thought. This point is illustrated by Qoh 2,21-22. In these verses, although the article with the noun ָא ָדםin Qoh 2,22 is non-consonantal and thus due to the Naqdanim, its use epitomizes the nuances of the article in generic statements. In Qoh 2,21 the noun ָא ָדםappears without the article:
31 A plural noun in generic statements does not refer per se to all members of a class since, as explained above, the universal quantification is missing.
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ם־ז֥ה ֶ ֖ה ֶבל ֶ ַל־בּוֹ יִ ְתּ ֶנ֣נּוּ ֶח ְל ֔קוֹ גּ ֙ וּל ָא ָ ֞דם ֶשׁ ֤לּ ֹא ָ ֽע ַמ ְ וּב ִכ ְשׁ ֑רוֹן ְ וּב ַ ֖ד ַעת ְ י־י ֣שׁ ָא ָ ֗דם ֶשׁ ֲע ָמ ֛לוֹ ְבּ ָח ְכ ָ ֥מה ֵ ִכּ וְ ָר ָ ֥עה ַר ָ ֽבּה׃ For there is a man whose labor is with wisdom, and with knowledge, and with skill; yet to a man that has not labored therein shall he leave it for his portion. This also is vanity and a great evil.
In the next verse, however, the noun ָא ָדםoccurs with the article:
וּב ַר ְעי֖ וֹן ִל ֑בּוֹ ֶשׁ ֥הוּא ָע ֵ ֖מל ַ ֥תּ ַחת ַה ָ ֽשּׁ ֶמשׁ׃ ְ ל־ע ָמ ֔לוֹ ֲ ֠ ִכּי ֶ ֽמה־הֶֹו֤ה ָ ֽל ָא ָד ֙ם ְבּ ָכ For what does a man get for all his labor and the striving of his heart he labored under the sun?
The occurrence of the article in Qoh 2,22 can hardly be explained by anaphoric reference to the previous verse. Indeed, the author’s thought develops with two dependent but clearly separated statements. In Qoh 2,21 he considers a study case of a certain, unidentified man. In this verse the anarthrous noun ָא ָדם is almost the equivalent of an indefinite pronoun. The picture that this verse generates can be paraphrased: “Look, sometimes somebody who …”. Qoh 2,22 provides a motivation for the judgment delivered in the previous verse by evoking a truth that is valid for all human beings. Thus Qoh 2,22 speaks not about the case of a man discussed one verse earlier but about every man or all men in general. It follows that the noun ָא ָדםrefers to the class and not a particular individual. The reference to the members of the class is made with the arthrous noun in order to single out one member as an example of a typical fate of the members of the class. The use of the article with the noun ָא ָדםin these verses is sound and meaningful in spite of the first impression of being chaotic. Moreover, it contributes to deepening the thought, which considers a particular case (Qoh 2,21) in light of a general truth (Qoh 2,22). Since the occurrence or the lack of the article does not encode the generic or non-generic reading of an utterance but is used to establish the perspective of the statement, it is not surprising to find the article also with abstract nouns and concepts. The general tendency in the case of concepts and abstract nouns is the lack of the article. Hence, when it appears it should be considered particularly meaningful and the reason for its occurrence should be diligently investigated. The use of the article with the noun “evil” can be taken as an example of the typical behavior of abstract nouns. This noun occurs without the article in its masculine form in Qoh 4,17; 6,2; 8,11.12; 9,3 and in its feminine form in Qoh 2,21; 5,12.15; 6,1; 7,14; 10,5; 11,2.10.32 However, in 8,11 and 12,1 arthrous feminine forms are found and need to be explained as also in these instances the nouns have the usual, abstract meaning. Qoh 8,11 is partic32 This list is not exhaustive. For a comprehensive list of the occurrences of the word “evil” see SCHOORS, Preacher, vol. II, 145. Note that some of the attestations can be considered adjectives and not nouns.
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ularly interesting as the noun “evil” occurs in it twice, one time with the article and another time without it: י־ה ָא ָ ֛דם ָבּ ֶ ֖הם ַל ֲע ֥שׂוֹת ָ ֽרע׃ ָ ֵל־כּן ָמ ֞ ֵלא ֵל֧ב ְ ֽבּנ ֵ֡ ֲא ֶשׁ ֙ר ֵאין־נַ ֲע ָ ֣שׂה ִפ ְת ֔ ָגם ַמ ֲע ֵ ֥שׂה ָה ָר ָ ֖עה ְמ ֵה ָ ֑רה ַע Because a sentence against an evil deed is not executed swiftly, therefore the heart of the sons of men is fully set in them to do evil.
The noun “evil” in the infinitival phrase ַל ֲעשׂוֹת ָרעhas a wide meaning “bad things” that can be paraphrased with an adverb (“to behave wrongly”) and thus the article is missing. Its occurrence in the construct chain ִפּ ְתגָ ם ַמ ֲע ֵשׁה ָה ָר ָעהis due to the fact that the author builds a specific case and employs the article to delimit the situation to which he refers. The apparent contradiction becomes understandable when the context is accounted for. A similar interaction of the context explains the occurrence of the article with the noun “evil” in 12,1: ין־לי ֥ ִ אמר ֵ ֽא ַ ֔ ֹ שׁר תּ ֣ ֶ אוּ יְ ֵ ֣מי ָ ֽה ָר ָ֔עה וְ ִה ִגּ֣יעוּ ָשׁ ִ֔נים ֲא ֙ ֹ א־יָב ֙ ֹ ַ ֣עד ֲא ֶ ֤שׁר לkימי ְבּחוּר ֶ ֹ֑תי ֖ ֵ ִבּkת־בּ ְוֹר ֶ֔אי ֣ וּזְ כ ֹ֙ר ֶא ָב ֶ ֖הם ֵ ֽח ֶפץ׃ Remember then your vigor in the days of your youth, before the days of evil come and the years arrive of which you will say: “I have no pleasure in them.”
This occurrence of the article may seem particularly problematic when one reָ ) ְבּיוֹםand calls that in 7,14 Qoheleth speaks simply about a day of fortune (טוֹבה a day of evil () ְוּביוֹם ָר ָעה. Again, a look on the entire verse 12,1 reveals the reason for the occurrence of the article: the author wants to oppose the particular time-reference to the time of youth, which is grammatically definite because of the suffixed pronoun on the noun “youth”, with another specific time-reference, namely the reference to the period of misfortune. Thus, the use of the article in this case has little to do with the definiteness of the abstract noun itself. Finally, it is interesting to confront the use of the article in generic statements as found in the book of Qoheleth with its similar use in other books of the Hebrew Bible. Chapter 12 of Proverbs is a good test sample for such a comparison as it contains a series of generic statements. It is noteworthy that in the entire chapter one finds only one occurrence of the article, which is nonconsonantal and thus can be non-original (Prov 12,21). Although a larger study is needed, the non-use of the article in the generic statements in Prov 12 contrasted with the uses found in the book of Qoheleth shows the extent to which the languages of these two books are different. As it was stressed previously, the impression of chaos with regard to the article in the book of Qoheleth is caused mostly by the author’s choice to build different perspectives on subjects in the statements that contain general observations. Because of this choice it is necessary to analyze each occurrence of the article in its context. The same is true for the use of the article with certain categories of words, although in these cases some patterns can be discovered.
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The elements of nature Since the elements of nature are an identifiable and familiar reference, it is expected that the article will occur with them. Indeed, this is the major pattern in the book of Qoheleth. The article is found regularly with rivers (1,7), sea (1,7), heavens (1,13; 2,3; 3,1; 5,1; 10,20), clouds (11,3-4; 12,2), stars (12,2), moon (12,2) and sun (1,3.5.9.14; 2,11.17.18.19.20.22; 3,16; 4.1.3.7.15; 5,12.17; 6,1.12; 7,11; 8,9.15.17; 9,3.6.9.13; 10,5; 11,7; 12,2). However, the fact that the elements of nature are known and generally identifiable does not exclude the possibility that the author may choose to portray them as non-specific and therefore not employ the article. In some cases the use or non-use of the article produces significant change in meaning and thus dictates the author’s choices. Some examples illustrate this. The word ֶא ֶרץis usually used with the article (1,4; 3,21; 5,1; 7,20; 8,14.16; 10,7; 11,2.3; 12,7) but in 5,8 and 10,16-17 it occurs without the article. One should, however, note the difference in the meaning of the word ֶא ֶרץwhen used with and without the article. Indeed, when the article is employed the word ֶא ֶרץmeans consistently “the planet Earth” or part of it. This usage is contrasted with the anarthrous occurrences of the word ֶא ֶרץ, which refer to a country or state, a political entity, not the planet. It is impossible to know if the use of the article created this difference of meaning in the eyes of the author or if the lack of the article in 5,8 and 10,16-17 is due to the generic nature of these verses. In any case, this is one of the examples which show that the article is used not erratically but meaningfully. Similarly, a nice difference in meaning can be found with the word גֶּ ֶשׁם. In 12,2 when it designates an element of the world on par with other elements, it occurs with the article. On the other hand, in 11,3, when it refers simply to water that fills clouds, it is anarthrous. This difference could be also explained in terms of specificity or identifiability: rain seen as an element of the world is a specific meteorological phenomenon while rain in clouds is just an unidentifiable amount of water. ַ is somewhat more complicated as it The use of the article with the word רוּח shows the interaction of the semantics of the word and the role of the article. ַ has three basic semantic fields in the book of Qoheleth. It Indeed, the word רוּח refers to an atmospheric phenomenon or spirit as a psychological dimension and a vital force. Moreover, it is used metaphorically, in parallel with ֶה ֶבלto portray a fugacious reality.33 A choice of the unambiguous meaning is not always possible and maybe even not intended by the author who likes to play ַ is used metaphorically it has no with words and their associations.34 When רוּח The metaphorical use is, of course, based on the literal meaning “wind.” SCHOORS distinguishes only two meanings, wind and spirit. See SCHOORS, Preacher, vol. II, 161-165. 33 34
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article.35 The lack of the article in this case is explained by the fact that the parallel term ֶה ֶבלalso has no article and by the fact that the use of the article would make the image more specific and particular while the intended refeַ refers to the natural element or a vital force rence is a vague reality. When רוּח it has the article.36 In three instances this regular usage is, however, overridden by other factors that influence the use of the article. In 7,8 and 11,4 the word רוּח ַ is anarthrous because the author has chosen this particular perspective for his generic statement. Indeed, both verses have a quasi-proverbial flavor and it is possible that by the non-use of the article the author wanted to imitate the ַ because it is followed style of Proverbs. In 3,19 the article is not used with רוּח by ֶא ָחד, another word that expresses a specific reference.37 A problematic case of the lack of the article which involves an element of nature is 6,5. In this verse the article is lacking with the word “sun” which in all other occurrences in the book of Qoheleth (34 times) is arthrous. On the one hand, the omission of the article in Qoh 6,5 may simply be a lapsus linguæ which happens even to the best writers. On the other hand, one may think that the lack of the article is intentional and intended to reinforce the negation. Indeed, if the article is employed, the meaning of the phrase is that the subject did not see the sun, the celestial body; but without the article the meaning is stronger: the subject did not see not only the sun known to everybody but any sun. The use of the article would delimit the scope of negation to one object while its lack contributes to its widening. (The) God and (the) man ִ ֱא, 32 are with the prefixed article. AlOut of 40 occurrences of the word היםZ ִ ֱאis attested in the Hebrew Bible widely with and without though the word היםZ ִ ֱאin the book of Qoheleth rethe article, its preponderant occurrence with היםZ quires an interpretation. Some scholars hold that in this case the article is used to depersonalize God and to speak about him in the sense of “divinity.”38 I cannot agree with such an opinion because this would mean that the article has a particular use with nouns which renders them abstract. This is obviously not true as the article can appear with abstract nouns and concepts but generally does not. Hence, it is impossible that the author would employ the article in order to elevate the concept of God to a higher level of abstractness (“divinity”). ִ ֱאis in fact a part of the It is, however, true that the use of the article with היםZ 1,14.17; 2,11.17.26; 4,4.6.16; 6,9. The regularity of this usage indicates that the article in the prepositional phrase רוּח ַ ָלin 5,15 is a Masoretic addition and should be removed. 36 1,6; 8,8; 11,5; 12,7. 37 LYONS, Definiteness, 98. 38 SCHOORS, Preacher, vol. II, 110-111. 35
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author’s communication strategy and rhetoric. On the one hand, he never speaks about the God of Israel or uses the proper name of the God of Israel in order to make his book sound universalistic. On the other hand, since he is a pious Jew, when he speaks about God, he has certainly the God of Israel in ִ ֱאreflects a compromise bemind. The use of the article with the word היםZ tween the need for speaking about the unique God and for remaining universalistic. With the vast use of the article the author signals that he refers to one, particular God while by omitting the article in certain instances he remains sufficiently vague to admit a more universal idea of God.39 In any case, the arִ ֱאis used because of the uniqueness of the reference ticle with the word היםZ and not in order to create an abstract image of God. The occurrences of the article with the word ָא ָדםare a good example of regular and meaningful use of the article by the author of the book Qoheleth. In fact, this word with the article has the general meaning of “humankind”; when used without the article it refers to an individual, and in the latter usage it acquires almost an indefinite meaning akin to the English indeterminate pronoun “some, any.”40 The meaning “humankind” is particularly evident in the construct chain ְבּנֵ י ָה ָא ָדםemployed 10 times in Qoheleth. The indefinite use is nicely illustrated by Qoh 2,21, which was discussed above. The article in expressions of time Expressions of time offer another occasion to see how a particular perspective on a subject is reflected in the use of the article. Indeed, time can be seen both as a specific and identifiable moment and as an unspecified period. Correspondingly, the article may or may not be used in expressions of time. The difference between a non-specific and specific reference to time can be exemplified by use of the article with the word ֵעת. This word is usually anarthrous since the reference is to time in general, without indicating a particular moment. In some verses the non-specificity of the reference seems to be difficult to comprehend at first sight but a closer look reveals its logic. For instance, in 3,1-8 Qoheleth speaks about time in reference to a number of activities. At first sight it may seem that the article is erroneously lacking since the author wants to affirm that there is a specific moment in which a particular activity should be undertaken and therefore the article should be used. The lack of the article indicates, however, that his point is different. Indeed, he wants to affirm the mere existence of occasions in which it is appropriate to do certain things and not to 39 The instances in which the article is used or not are arbitrary; therefore the impression that the word היםZ ִ “ ֱאstands with or without article seemingly indiscriminately” (ISAKSSON, Studies, 145). 40 SCHOORS, Preacher, vol. II, 46-49.
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indicate that there is only one, specific moment in which a particular activity can be performed. The latter kind of reference is found with the word .5) in 10,17: R".N ' [+ G- %I 2H +# !&BG O $ +A=' B2<% )M I " .L5) =$ UJ '"&J - 8$ +# 0"&E>;, P ' =1 UO() 2+ F- X1 b&1 %M1 U"&L ) X+ %Happy are you, o land whose king is a free man and whose ministers eat at the proper time, in strength, and not in drunkenness.
Here the time reference is to a specific moment during the day; hence the word .5) is properly accompanied by the article. There is a tendency to use the article with expressions of time because the moment to which they refer is seen as specific or because the time of their reference is naturally identifiable. The first explanation is valid for the article with 0"%' =$ !- 0"7' $_!- in 2,16 or in the prepositional phrase 0E_=- in 12,3. The second justification accounts for the frequent use of the article with words such as day and night, morning and evening. The article and the organization of information Throughout our analysis it has become clear that the use and non-use of the article is motivated largely by the perspective that the author wants to convey. The article is therefore a means of organizing information. It may mark the topic of the sentence in opposition to a comment which contains a new piece of information. It may also be used with an element that is in the focused position of the sentence.41 Qoh 10,19 illustrates very well the use of the article as means of focusing and organizing information: R2I(N !;. - %1 !H/1 5Y -" K:O1 (1 !- +# 0"P_' >- >FL - 8- +" , '"mO"- +# 0>1 21 M 0"8IL ' 5 WE> J 8+ 2' A banquet is made for laughter, and wine makes life merry: but money answers every need.
The verse lists three positive objects with the emphasis on the last one since it presents a radical and global solution to all needs. The focus on the last phrase is increased with the article, which otherwise seems unexpected. A similar explanation can be accepted for Qoh 6,7:
41 LYONS, Definiteness, 227-236. The use of the article in these instances may produce the impression that the article functions also as an emphatic particle. See CROATTO, L’article. It must be then stressed that “focus” or “emphasis” are not independent usages of the article but are the effects obtained at the level of the text and that they are due to the basic grammatical meaning of the article as a means of expressing definiteness. In this context one may wish to recollect that in the language of medieval Spanish Hebrew poetry the letter ! with a &ewa could be added at the beginning of a word for emphasis (for example "2!, “indeed to me”). See GOLDENBERG, Hebrew, 656.
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ם־ה ֶנּ ֶ֖פשׁ ֥ל ֹא ִת ָמּ ֵ ֽלא׃ ַ ַל־ע ַ ֥מל ָה ָא ָ ֖דם ְל ִ ֑פיהוּ וְ ג ֲ ָכּ All the labor of man is for the sake of his mouth, and yet the appetite is not filled.
Here the focus is on the appetite which is never satisfied in spite of all human efforts. The opposition between two noun phrases is explicit and strong thanks to וְ גַ ם. Masterful use of opposition can be seen also in the formulation of a proverb in 9,4: A living dog is better than a dead lion.
ן־ה ַא ְר ֵי֖ה ַה ֵ ֽמּת׃ ָ חי ֣הוּא ֔טוֹב ִמ ֙ ַ ְל ֶכ ֶ֤לב
The use of the article (with its individualizing and demonstrative force) contributes to build the following picture: any dog that is living is better than this lion which is dead. The article on “lion” reinforces the opposition between one and many which is implied by the lack of the article with “dog.” Qoheleth’s discourse is frequently organized in what may be called “pictures” and “case studies.” Each of these can be seen as a small and separate world of references which serves to deliver a specific statement or a particular piece of information. The use and non-use of the article is one of the means of constructing these “pictures” and “case studies.” It follows that the use of the article with any word may differ because the world of the references in that “picture” is different. In other words, the fact that the article appears with a certain word in chapter 3 does not necessarily mean that the same word will have the article in chapter 7. Therefore one should expect logic and regularity of the use of the article within the boundaries of a “picture” or “case study” rather than throughout the entire book. Indeed, this is the case, as can be seen in the following examples. In 2,4-9 Qoheleth speaks about his enterprise and his amassing riches. Although the single components of Qoheleth’s wealth are specific from a semantic point of view (as they belong to a particular person), they are presented in a generic perspective without the article. It is noteworthy that, with two exceptions, the article is never used: וּפ ְר ֵדּ ִ ֑סים וְ נָ ַ ֥ט ְע ִתּי ָב ֶ ֖הם ֵ ֥עץ ַ יתי ֔ ִלי גַּ נּ֖ וֹת ִ ָע ִ ֣שׂ5 ֤יתי ִ ֙לי ָבּ ִ֔תּים נָ ַ ֥ט ְע ִתּי ִ ֖לי ְכּ ָר ִ ֽמים׃ ִ ִהגְ ַ ֖דּ ְל ִתּי ַמ ֲע ָ ֑שׂי ָבּ ִנ4 7 וּשׁ ָפ ֔חוֹת ְ יתי ֲע ָב ִ ֣דים ֙ ִ ִ֙צוֹמ ַח ֵע ִ ֽצים׃ ָקנ ֥ ֵ יתי ִ ֖לי ְבּ ֵר ֣כוֹת ָ ֑מיִ ם ְל ַה ְשׁ ֣קוֹת ֵמ ֶ֔הם ַי ַ֖ער ִ ָע ִ ֥שׂ6 ל־פּ ִרי׃ ֽ ֶ ָכּ 8 ׃ ָכּ ַנ ְ֤ס ִתּי ִ ֙ליnֽירוּשׁ ָל ָ י־ביִ ת ָ ֣היָ ה ִ ֑לי ַגּ֣ם ִמ ְקנֶ ֩ה ָב ָ ֨קר וָ ֤צ ֹאן ַה ְר ֵבּ ֙ה ָ ֣היָ ה ֔ ִלי ִמ ֛כֹּל ֶ ֽשׁ ָהי֥ וּ ְל ָפ ַנ֖י ִבּ ֖ ַ ֵוּבנ ְ יתי ֜ ִלי ָשׁ ִ ֣רים וְ ָשׁ ֗רוֹת וְ ַת ֲענוּ ֹ֛גת ְבּ ֵנ֥י ָה ָא ָ ֖דם ִשׁ ָ ֥דּה ִ וּסגֻ ַ ֥לּת ְמ ָל ִ ֖כים וְ ַה ְמּ ִדינ֑ וֹת ָע ִ֨שׂ ְ ם־כּ ֶ֣סף וְ זָ ָ֔הב ֶ ַגּ ַ ֥אף ָח ְכ ָמ ִ ֖תי ָ ֥ע ְמ ָדה ִ ֽלּי׃n֑ירוּשׁ ָל ָ הוֹס ְפ ִתּי ִמ ֛כֹּל ֶשׁ ָה ָי֥ה ְל ָפ ַנ֖י ִבּ ַ֔ ְוְ גָ ַ ֣ד ְל ִתּי ו9 וְ ִשׁ ֽדּוֹת׃ I multiplied my possessions. I built myself houses; I planted vineyards. I made myself gardens and groves and I planted every kind of fruit tree in them. I made myself pools of water, to irrigate with them a forest springing up with trees. I bought male and female slaves and stewards; also I had cattle, a lot of herds and flocks, above all that were before me in Jerusalem. I further amassed for myself silver and gold and treasures of kings and of the provinces; and I got myself male and female singers and the luxuries of the sons of men, coffers and coffers
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of them. Thus I became great and I gained more wealth than anyone before me in Jerusalem. In addition, my wisdom stood by me.
Two occurrences of the article in this passage are by no means erratic. The article with ָא ָדםappears in conformity to its use when the word refers to mankind. The article with the word ְמ ִדינוֹתis used because the reference is not to some provinces but the provinces par excellence, the provinces of the Persian Empire. Besides these two instances in which the article is used in a meaningful manner, the article is never used, giving the impression of coherency and regularity of its non-use within the “picture” built by the author in Qoh 2,4-9. Another case of a consistent and methodical use of the article is found in the famous poem on the darkness of death in chapter 12: נוֹת ִ ֣כּי ִמ ֵ֔עטוּ וְ ָח ְשׁ ֥כוּ ָהר ֹ֖אוֹת ֙ וּב ְט ֤לוּ ַה ֽטֹּ ֲח ָ שׁי ֶה ָ ֑חיִ ל ֣ ֵ ְעוּ שׁ ְֹמ ֵ ֣רי ַה ַ֔בּיִ ת וְ ִ ֽה ְת ַעוְּ ֖תוּ ַאנ ֙ ַבּיּ֗ וֹם ֶשׁיָּ ֙ ֻז3 ל־בּנ֥ וֹת ַה ִ ֽשּׁיר׃ ְ קוּם ְל ֣קוֹל ַה ִצּ ֔פּוֹר וְ יִ ַ ֖שּׁחוּ ָכּ ֙ ָוְ ֻסגְּ ֤רוּ ְד ָל ַ֙תיִ ֙ם ַבּ ֔שּׁוּק ִבּ ְשׁ ַ ֖פל ֣קוֹל ַ ֽה ַטּ ֲח ָנ֑ה וְ י4 ָבּ ֲא ֻר ֽבּוֹת׃ ָה ָא ָד ֙םN֤יּוֹנ֑ה ִ ֽכּי־ה ֵֹל ָ וְ יָ נֵ ֤אץ ַה ָשּׁ ֵק ֙ד וְ יִ ְס ַתּ ֵבּ֣ל ֶ ֽה ָח ֔ ָגב וְ ָת ֵ ֖פר ָ ֽה ֲא ִבNאוּ וְ ַח ְת ַח ִ ֣תּים ַבּ ֶ ֔דּ ֶר ֙ ַגּ֣ם ִמגָּ ֤בֹ ַהּ יִ ָ ֙ר5 6 עוֹל ֔מוֹ וְ ָס ְב ֥בוּ ָב ֖שּׁוּק ַהסּ ְֹפ ִ ֽדים׃ ַ ֣עד ֲא ֶ ֤שׁר ֽל ֹא־יֵ ָר ֵת ֙ק ֶ ֣ח ֶבל ַה ֶ֔כּ ֶסף וְ ָת ֻ ֖רץ גֻּ ַלּ֣ת ַהזָּ ָ ֑הב ָ ל־בּ֣ית ֵ ֶא ל־ה ֽבּוֹר׃ ַ וּע וְ נָ ֥ר ֹץ ַהגַּ ְל ַגּ֖ל ֶא ַ ל־ה ַמּ ֔בּ ַ וְ ִת ָ ֤שּׁ ֶבר ַכּ ֙ד ַע In the day when the keepers of the house shall tremble, and the men of valor shall bow themselves, and the grinders cease because they are few, and the ladies that peer through the windows shall grow dim, and the doors shall be shut in the street, when the sound of the mill is low and one shall start up at the voice of the bird, and all the daughters of the song shall be brought low; also when they shall be afraid of that which is high, and terrors shall be in the way; and the almond-tree shall blossom, and the grasshopper shall be burdened, and the caper berry shall fail because the man sets out for his eternal abode; and the mourners shall go about in the street; before the silver cord is snapped and the golden bowl is shattered, and the jar is broken at the spring and the wheel is shattered into the pit; then the dust will return to the earth as it was, and the spirit will return to God who gave it.
The frequent occurrence of the article in this passage is noteworthy.42 Moreover, it is not immediately clear why the article should occur with some words, for instance with “mill,” “bird” or “grasshopper.” Should one think that the author had in mind a specific mill that is known to the reader or that there is a certain species of birds which sing on ominous days and they are referred to as “the bird”? It seems that a separate explanation of each article would not be convincing. Indeed, the context larger than the sentence must be taken into account. In Qoh 12,3-7 the author transfers the reader into an imaginary world
42 The article is not used only with four nouns, ְדּ ָל ַתיִ ם, גָּ ב ַֹהּ, ַח ְת ַח ִתּים, and ַכּד. However, the lack of the article with these words does not nullify the general effect of the occurrence of the article. Moreover, the occurrence of the article with all the words would seem not natural to the reader as in the normal language pattern arthrous and anarthrous words alternate. The author, who was conscious of the natural language uses, chose to omit the article in a few instances.
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and builds a precise picture of it. The frequent occurrence of the article signals to the reader that he should be familiar with the references in this world and that he should be able to identify them.43 The use of the article helps to portray this specific world and time as a unified and tangible reality. In conclusion, the author of the book of Qoheleth is aware of the textual effects of the article. He uses it appropriately to organize his discourse into single parts of information and to build and convey his own perspective. Non-use of the article before the nota accusativi In seven instances Qoheleth uses the nota accusativi ֵאתbefore an anarthrous word. In four of them (4,4; 8,9; 9,1; 12,14) the article is not used with a word ָ ֶא. These occurrences are not as problematic as that follows the syntagma ת־כּל they may seem since this syntactic option is well attested elsewhere in the Hebrew Bible (Gen 1,21.29.30; 8,21; 39,23; 41,48; Lev 4,35; 11,15; Num 3,42; Deut 2,34; Josh 10,39; 2 Sam 6,1; 2 Kgs 25,9; Jer 25,23; 47,4; Ezek 27,5; Job 41,26; Est 2,3; 8,11; 9,29). Moreover, the word ָכּלimplies determination when the article does not occur because of its semantics. Indeed, the word ָכּלexpresses inclusiveness and in this function it overlaps with the article.44 This is why the noun ָכּלimplies a certain determination and is treated like a determinate noun.45 In 7,14 the nota accusativi occurs before the demonstrative pronoun זֶ ה. This case also poses no great difficulty since demonstratives are inherently definite and hence the “rule” (or rather our expectation) of the use of the nota accusativi before a determinate object is not violated.46 One should observe that in three of the seven problematic cases (8,9; 9,1; 12,14) the nota accusativi is employed before the syntagma ָכּל זֶ ה. Therefore, the two explanations provided above concur in these cases to account for the use of the nota accusativi. The use of ֵאתwith an indeterminate noun in 3,15 and 7,7 does not pose an insurmountable difficulty, as the nota accusativi may be used in the Hebrew Bible to indicate clearly the object also with indeterminate nouns (Ex 21,28; Lev 26,5; Num 21,9; Is 10,2; 41,7; 50,4; 64,4).47 One wonders, of course, why in these two instances the author did not use the article. The reason is the generic nature of the statements in which these direct objects occur. In 3,15 ֶאת־נִ ְר ָדּף
LYONS, Definiteness, 5-6: “The idea is that the use of the definite article directs the hearer to the referent of the noun phrase by signaling that he is in a position to identify it.” 44 LYONS, Definiteness, 32.148. 45 JOÜON-MURAOKA, § 125 h. 46 LYONS, Definiteness, 107; JOÜON-MURAOKA, § 125 g. 47 JOÜON-MURAOKA, § 125 h. For a possible occurrence of ֵאתbefore an indeterminate noun in Epigraphic Hebrew see DAVIES, Use, 19-20. 43
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refers to “whatever is pursued” in contrast to the arthrous ת־הנִּ ְר ָדּף ַ “ ֵאthe one who is pursued.” Similarly, in 7,7 the article and the nota accusativi are used in order to disambiguate the syntactic roles of the nouns in the generic statement. In the first stych the article clearly marks the subject while in the second stych the nota accusativi indicates the direct object. It is clear that in both cases the author wants to maintain the broad scope of his statement, and this explains apparent inconsistencies. In conclusion, the non-use of the article with the words that follow the nota accusativi poses no problems, if other similar examples in the Hebrew Bible are considered. The use of ֵאתbefore an indeterminate noun is an example of how Qoheleth explores all syntactic possibilities available in Biblical Hebrew and cannot be considered erroneous. Conclusions It is true that the use and non-use of the article in the book of Qoheleth may be perplexing at first sight. It was not my goal to treat exhaustively all possible exceptions and discrepancies. My intent was rather to show that careful consideration of these cases leads to discovery of possible explanations that are valid for single instances. This method of investigating the article is necessary because its use is highly contextual. Moreover, the article is a powerful tool in advancing discourse and thought. Indeed, it serves as a means of organizing information and it contributes to building a specific perspective in which the author perceives reality. All these suggest that one should try to understand the nuances of the meaning that the use or non-use of the article may produce and judge problematic cases in the light of these nuances. In this way one finds that the article in the book of Qoheleth is used not in a chaotic or erratic manner but is employed meaningfully in order to convey the intricacies of the author’s message. The use of the article is only a small detail of the peculiar style and vocabulary characteristic of the author of this formidable book. Nevertheless, these details confirm the characterization of Qoheleth as one of the first great Jewish thinkers made by Robert GORDIS48 already a half century ago: In any age Qoheleth would be an outstanding figure and his style would naturally mirror this characteristic difference. Moreover, his task was further complicated by the fact that he was a pioneer in the use of the Hebrew for quasi-philosophic purposes, a use to which the language had not been previously applied. A thousand years later, medieval translators like the Tibbonides, who rendered Saadiah, Maimonides, Judah Halevi and other Jewish philosophers into Hebrew,
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GORDIS, Qoheleth and Qumran, 407.
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still found that the language had not yet fully developed the flexibility, precision and vocabulary necessary for the treatment of philosophic themes. As a linguistic pioneer in this use of the language, Qoheleth found no models in Hebrew literature to imitate, no earlier texts that would lead him to classicize or archaize his style. He wrote as he thought. Krzysztof J. Baranowski, ofm University of Toronto
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!"! (!#!): Sein oder werden? Sein und werden! Ein hebräisches (aramäisches) Allerweltswort und das Phänomen des lebenslangen Lernens
Mancher Leser, vielleicht auch der Jubilar, dürfte sich schon bei der Lektüre des Inhaltsverzeichnisses dieses Bandes verwundert die Augen gerieben haben. Wie ist es möglich, dass in der Liste der Beiträger zur Festschrift für Alviero NICCACCI der Name eines Autors erscheint, dessen Stellungnahmen zu älteren Arbeiten des Jubilars mit dem Adjektiv „unfreundlich“ zu qualifizieren eine Verharmlosung darstellen würde? Indes: „Tempora mutantur et nos mutamur in illis“. Diese Binsenweisheit gilt nicht nur für Alviero NICCACCI, der in einer seiner neueren Veröffentlichungen freimütig zugestanden hat, jahrelang von einem Vorurteil betreffs der temporellen Funktion der hebräischen Verbalformen ausgegangen zu sein, das er nunmehr als einen Irrweg erkannt habe1. Sie gilt ebenso für den Autor dieses Beitrags, den der Auftrag, für das ThWQ den Artikel zu hyh (hwh) zu schreiben, dazu gebracht hat, ein von ihm vermeintlich bereits abschließend geklärtes wissenschaftliches Problem neu zu durchdenken. Hatte er in seiner Studie zu hyh den Umstand, dass es auch eine ganze Reihe von Belegen gibt, in denen hyh im nifal erscheint, noch recht unbedarft damit erklärt, dass in der Spätzeit unter dem Einfluss des Aramäischen eben manches möglich wurde, was in der „klassischen“ Phase undenkbar gewesen wäre, und zudem praktisch die Möglichkeit ausgeschlossen, dass ein Hebräer das Partizip qal von hyh anders als in der Nebenfunktion zum Ausdruck des „futurum instans“ gebraucht haben könne2, fielen ihm bei der Durchsicht der Qumran-Belege der Wurzel hyh plötzlich Schuppen von den Augen, Vgl. NICCACCI, System, 247. Die nach der grundsätzlichen Distanzierung von früheren Positionen gebotene Tabelle zu den „functions of the verbal system“ (248) zeigt überdeutlich, wie weit sich Kollege NICCACCI inzwischen von seinen früher vertretenen Extrempositionen distanziert und der in den siebziger Jahren des vergangenen Jahrhunderts im Münchener Kreis entwickelten Sicht des hebräischen Verbalsystems angenähert hat. (Der Umstand, dass die Schüler von A. DENZ und W. RICHTER nicht in allen Punkten identische Positionen vertreten, muss hier nicht ausführlich diskutiert werden – es geht um den gemeinsamen methodischen Ansatz). 2 Vgl. BARTELMUS, HYH, 170, Anm. 177 bzw. S. 89. 1
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deren Vorhandensein er vorher schlicht geleugnet hätte3: Die exorbitante prozentuale Steigerung der Belege für eine Verwendung des nifal und des Partizips qal von hyh, die in den Qumran-Texten (im Vergleich mit dem AT) wahrnehmbar ist, hat nichts mit aramäischem Spracheinfluss zu tun4 und stellt auch keinen Systembruch dar. Dass das nifal von hyh (wie auch das Partizip qal) in Qumran häufiger vorkommt als im AT erklärt sich vielmehr aus der Begegnung mit dem griechischen bzw. hellenistischen philosophischen Denken5. Anders als die Mehrheit der Juden, die um die Zeitenwende entweder aramäisch oder griechisch bzw. lateinisch sprach – z. T. auch schon mittelhebräisch –, hielt man in extrem konservativ orientierten Gruppen innerhalb der QumranGemeinschaft am alten Hebräisch fest, freilich ohne sich deshalb der Möglichkeit zu begeben, am aktuellen Diskurs teilzuhaben: Um bestimmte philosophische Denkfiguren, denen die Bevölkerung von Palästina bis dahin nicht oder nur ganz am Rande begegnet war, in der eigenen Sprache ausdrücken zu können, musste man keineswegs neue Worte (oder gar eine gänzlich neue Sprache) erfinden – man aktivierte vielmehr bis dahin ungenutzte, im eigenen Sprachsystem aber von Haus aus angelegte Ausdrucksmöglichkeiten, um Antworten auf zeitspezifische Fragestellungen zu formulieren bzw. um letztere ins Gespräch mit den alten Glaubenswahrheiten bringen zu können. Im folgenden soll die damit nur angedeutete neue, erweiterte Sicht auf hyh anhand von Beispielen ausführlicher dargestellt werden6. Dass dabei wiederholt auch aramäische Texte angesprochen werden, in denen natürlich hwh anstelle von hyh erscheint, ist dem Umstand geschuldet, dass das Corpus der Qumran-Bibliothek nun einmal mehr aramäische Texte enthält als das AT und dass man davon ausgehen kann, dass die semantisch nahezu gleichwertigen Wurzeln in unmittelbar vergleichbarer Weise gebraucht wurden7. Eine Ausnahme hinsichtlich der Vergleichbarkeit bildet naturgemäß die Verwendung der Wurzel im nifal, da diese Form der Stammbildung im aramäischen System fehlt. – Gerne widme ich diese Überlegungen dem Kollegen NICCACCI, mit dem mich augenscheinlich nicht nur eine Leidenschaft für das alte Hebräisch und die Überzeugung verbindet, dass Paulus recht hat, wenn er unser Wissen als
3 Unbeschadet seiner gut begründeten massiven Distanzierung von dem seinerzeit noch von vielen für wegweisend gehaltenen Opus von BOMAN, Das hebräische Denken (1952), war der Vf. damals offenbar zumindest latent immer noch von den Gedanken BOMANS beeinflusst. 4 Im Aramäischen fehlt diese Stammesmodifikation ja ohnehin! 5 Diese Möglichkeit hatte der Vf. seinerzeit zwar bereits „angedacht“, aber nicht weiter verfolgt; vgl. dazu BARTELMUS, HYH, 170, Anm. 177. 6 Dass sich dabei inhaltliche Überschneidungen mit dem erwähnten, bisher freilich noch nicht erschienenen Lexikon-Artikel ergeben, ist naheliegend; ich hoffe, der Jubilar nimmt daran keinen Anstoß. 7 Unmittelbare Angleichungen lassen sich v. a. im Bereich der Orthographie nachweisen.
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„Stückwerk“ qualifiziert (1 Kor 13,9), sondern neuerdings auch die Anerkennung der Tatsache, dass „different verbal forms need play different functions“8. I. Die oben angesprochene auffällige Häufung von Belegen für eine Verwendung des nifal und des Partizips qal von hyh in den Qumran-Texten anhand einer sauber gearbeiteten Statistik bis in Zehntel-Prozente hinein einigermaßen exakt aufzuweisen, ist im Falle der Qumran-Texte – anders als im AT9 – schlicht nicht möglich: Weit mehr als 10 % aller in den Konkordanzen aufgelisteten Belege für die Wurzel stammen aus Ein- bzw. Zweiwort-Fragmenten, die z. T. von den Editoren um Buchstaben ergänzt worden sind, die im Original fehlen, also aus Text-(Re-)Konstruktionen, und können somit nicht als sichere Belege gelten. Zieht man dann noch in Betracht, dass bei Verwendung einer reinen Konsonantenschrift selbst in komplett überlieferten Texteinheiten, wo durch den Kontext einige im Prinzip mögliche Lesungen polyvalenter Buchstabenkombinationen oft ausgeschlossen sind, nicht immer eindeutig geklärt werden kann, welche Formen/Lexeme der Autor „gemeint“ hat, wird vollends deutlich, dass man nur von Näherungswerten aus argumentieren kann: Wer – außer fundamentalistische Verfechter der Authentizität der masoretischen Vokalisation – wollte sich etwa im Falle von Jer 7,3 anmaßen, mit hundertprozentiger Sicherheit sagen zu können, ob die Lesung der Masoreten oder die im Apparat von BHS gebotene alternative Lesung der Intention des Autors der Tempelrede entspricht10? Wenn im folgenden unbeschadet dieser Relativierung mit Prozentzahlen argumentiert wird, ist das dem Bedürfnis nach Veranschaulichung geschuldet – „sichere“ Ergebnisse im Sinne naturwissenschaftliche Exaktheit sind im philologischen Bereich nun einmal nicht zu erzielen11. NICCACCI, System, 247. Vgl. dazu BARTELMUS, HYH, 80-89. Anspruch auf Exaktheit im naturwissenschaftlichen Sinn erheben die dort gebotenen statistischen Ausführungen freilich nicht. 10 Bezieht man den Kontext ein, in dem darauf verwiesen wird, dass Jahwe einst auch Silo verlassen hat, spricht eigentlich mehr für die Lesung im Apparat, die u. a. von der Vulgata gestützt wird. Mir scheint es freilich am wahrscheinlichsten, dass der Autor die Polyvalenz der Buchstabenfolge Mkt) hnk#)w nicht nur „billigend in Kauf genommen“, sondern bewusst eingesetzt hat: Wenn Jahwe eine Stadt verlässt, verlieren die Bewohner seinen Schutz und können dort nicht weiter leben. Mit den durch das Schriftsystem ermöglichten Ambivalenzen zu „spielen“, ist für Autoren im semitischen Kulturkreis eine Selbstverständlichkeit – dies nicht nur im Bereich der (erotischen) Poesie, sondern auch und gerade in theologischem Kontext. Gute Theologen wissen: Eindeutige Aussagen über Gott zu machen, hieße die Freiheit Gottes nicht ernst zu nehmen. 11 Leser, denen diese Ausführungen zu oberflächlich erscheinen, mögen den einschlägigen Passus im ThWQ zu Rate ziehen (BARTELMUS, hājāh). Dort finden sich auch Ausführungen zu 8 9
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Die Menge der Qumran-Belege deutet darauf hin, dass die Wurzeln hyh / hwh auch in Qumran die Rolle eines „Allerweltswortes“ beibehalten haben, mit dem Aussagen über Sachverhalte verzeitet werden, die beim Zeitbezug Gleichzeitigkeit/Gegenwart ohne verbales Element in Form von Nominalsätzen ausgedrückt werden12. Diese naheliegende erste Folgerung aus dem Blick in die Konkordanzen wird durch die Verwendung der beiden Lexeme in den Texten nicht nur bestätigt, es zeigt sich vielmehr, dass sich das hebräische hyh – aller Wahrscheinlichkeit nach unter dem Einfluss des aramäischen syntaktischen Systems13 – offenbar immer stärker in Richtung auf ein Hilfszeitwort hin entwickelt hat, was das (biblisch-) aramäische hwh schon war (a). – Dass auf der anderen Seite – dies offenbar unter dem Einfluss der hellenistischen Umwelt – eine Art Gegenbewegung in Richtung auf eine Verwendung der Wurzel als Vollverb stattgefunden hat, ist freilich ebenso festzustellen. Von da aus wurde es möglich, theologisch-philosophische Gedanken über „Sein“ und „Werden“ bzw. über „das Seiende“ und das „Werdende“ (“sich Anbahnende“)/„Gewordene“ zu artikulieren (b). a) Am deutlichsten lässt sich die Tendenz, hyh als bloßes Funktionswort zu verwenden, anhand der in Qumran breit belegten periphrastischen Fügung hyh qotel belegen, also der Kombination einer finiten Form von hyh mit dem Partizip aktiv eines beliebigen Verbs. Sie kommt zwar bereits im AT vor, spielt dort aber in den älteren Texten allenfalls eine Nebenrolle, um dann in der Spätzeit immer häufiger gebraucht zu werden: Gesamthaft gesehen repräsentieren nur rund 4,7 % aller alttestamentlichen Belege von hyh dieses Phänomen. Rund ein Drittel davon findet sich auffälligerweise in sicher nachexilischen Textkomplexen. Zieht man – ausgehend von dieser Wahrnehmung – nicht nur die von der Tradition als nachexilisch ausgewiesenen biblischen Bücher in Betracht, sondern berücksichtigt auch die unstrittigen Erkenntnisse der redaktionsgeschichtlichen Forschung, steigt die Zahl der nachexilischen Belege für diese Fügung auf weit mehr als die Hälfte14. Unterzieht man darüber hinaus die Vorkommen der Fügung hyh qotel im hebräischen Teil des AT einer genaueren Analyse, kann jedenfalls für die älden verschiedenen Lesemöglichkeiten der einschlägigen Buchstabenkombinationen. Eine Festschrift ist nach Meinung des Vf.s nicht der angemessene Ort für aufwändige Ausführungen zu Fragen der Statistik. 12 Vgl. dazu BARTELMUS, HYH, passim. 13 Diesen Hinweis auf aramäischen Spracheinfluss wird der Vf. – im Gegensatz zu dem oben bei Anm. 4 erwähnten – voraussichtlich nicht zurücknehmen müssen. – Anders argumentiert übrigens V. PEURSEN, Periphrastic Tenses, 158.162. 14 Bei hwh liegen die Dinge etwas anders, zumal die einschlägigen Texte unzweifelhaft spät sind: Fast drei Viertel aller Belege von hwh im aramäischen Teil des AT repräsentieren die Fügung hwh qatel.
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teren Texte die Feststellung getroffen werden, dass sie dort auf Fälle beschränkt ist, in denen dem Autor des jeweiligen Textes daran lag, die Dauer der angesprochenen Handlung zu betonen15. Dementsprechend geht es bei 71,7 % der Belege um Handlungen, die in der Vergangenheit stattgefunden haben, also um Ereignisse, bei denen die Information darüber, ob ein Sachverhalt schnell abgeschlossen war oder aber einige Zeit in Anspruch genommen hat, für den Leser bzw. Schreiber relevant war (ist). Warum umgekehrt immerhin bei knapp einem Drittel der Belege ein Zukunftsbezug gegeben ist, ist weniger leicht nachzuvollziehen: Die Frage der Dauer einer Handlung in der Zukunft kann ja sinnvoller Weise eigentlich nur in Gottesreden eine Rolle spielen – nur in seltenen Fällen reflektieren Menschen darüber, wie lange eine zukünftige Handlung dauern bzw. ob sie einen längeren Zeitraum in Anspruch nehmen wird. Ganz anders stellen sich die Dinge in den Qumrantexten dar: Hier scheint ab einer bestimmten Zeit die periphrastische Formulierung die einfache Darstellung von Sachverhalten mit finiten Verbformen zwar nicht gänzlich verdrängt, aber doch in den Hintergrund gedrängt zu haben. In der Tempelrolle etwa erscheint in knapp einem Drittel aller Belegstellen für hyh die Fügung hyh qotel, und dies – entsprechend dem präskriptiven Charakter dieser Schrift wenig überraschend – ausschließlich unter Verwendung von Formen aus dem Spektrum Imperfekt/Jussiv bzw. w-Perfekt. Dass hier hyh praktisch überall als bloßer „time indicator“ fungiert, (d. h. dass die Dauer des mit dem folgenden Partizip angesprochenen Vorgangs keine Rolle spielt), lässt sich exemplarisch anhand von 11QT 34,7 verdeutlichen. Dort ist betreffs der Priester die Anweisung gegeben: Myxbw+ wyhy bzw. Mysnwk wyhyw – es geht um die Schlachtung von Jungstieren und die dann folgende Blutapplikation. Dass der Schreiber auf die Dauer beider Handlungen abheben wollte, ist von der Sache her ausgeschlossen: Zumindest die Schächtung muss ja blitzschnell mit einem einzigen Schnitt erfolgen. Nicht viel anders liegen die Dinge in 11QT 31,7, wo es um die Beschreibung des Ortes geht, an dem man gewöhnlich in das Obergeschoss des Tempelhauses eintritt (My)b wyhy r#)16) – beim Weg ins Heiligtum trödelt man nicht! Auch in 1QM, der Kriegsrolle, lässt sich eine gehäufte Anwendung der Fügung wahrnehmen (wieder v. a. in präskriptiven Sätzen); hier liegt die Menge der Belege aber deutlich unter einem Drittel. Eher vereinzelt finden sich entsprechende Fügungen auch in anderen Textkomplexen. Wie weitgehend sich die periphrastische Formulierung in dieser Zeit im Alltag durchgesetzt hat, kann aus den Murabbaˁat-Verträgen entnommen werden. Dort, wo es um die Vgl. BARTELMUS, HYH, 206 mit Anm. 7.8, bzw. V. PEURSEN, Periphrastic Tenses, 158f. Die PK von hyh ist hier in Nebenfunktion zum Ausdruck des generellen Sachverhalts verwendet. 15 16
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Zahlungsmodalitäten geht, verwendet der Schreiber die Fügung hyh qotel17 – dass auf die Dauer des Zahlungsvorgangs analog Ratenzahlungen im modernen Sinne abgehoben sein sollte, ist auszuschließen. Umgekehrt ist festzustellen, dass dort, wo sich Schreiber darum bemüht haben, archaisierend im Stil der biblischen Texte zu schreiben (so in CD, 1QS und 1QH), Belege für die Fügung nur ganz vereinzelt zu finden sind. Als Beispiel für die redundante Verwendung der periphrastischen Formulierung beim aramäischen Äquivalent hwh sei auf 1QGenAp verwiesen. Mehr als die Hälfte aller Belege von hwh repräsentieren hier den Fügungstyp hwh qatel. Wie selbstverständlich aramäisch sprechende bzw. schreibende Angehörige der Qumran-Gemeinschaft nicht mehr die „einfachen“ Verbformen gebrauchten, sondern eine Formulierung des Typs hwh qatel bevorzugten, lässt sich anhand des Vergleichs eines in 1QGenAp „nacherzählten“ Textes aus der Genesis mit dem ursprünglichen Text erschließen. So ist aus dem knappen Mkyw („er schlug sie“) in dem Bericht von Abrahams Sieg über die vereinten Truppen der Ostkönige (Gen 14,15) in 1QGenAp 22,8 ein Nwhb l+q )wwhw geworden. Die Annahme, in solchen Fällen sei mit dem Gebrauch der periphrastischen Fügung die Konnotation der Dauer verbunden, kann mit hoher Wahrscheinlichkeit ausgeschlossen werden. Andernfalls müsste man die Verwendung der Fügung in Fällen wie 1QGenAp 21,7 bzw. 22,1.2.9 als hypertrophen Sprachgebrauch einstufen: Dort sind nämlich Verben mit hwh verbunden, die von Haus aus einen länger dauernden Vorgang bezeichnen, nämlich bty bzw. 18 Pdr („wohnen“/„bleiben“ bzw. „verfolgen“) : Die periphrastische Fügung (w)hwh qatel ist in dieser Zeit offenbar Standard in der aramäischen Erzählkultur – nicht viel anders als in (alt-)hebräischen Erzählungen bevorzugt wayyiqtol verwendet wird. Immerhin: Dort, wo im Zusammenhang mit Traumerzählungen bzw. Visionen die Fügung tywh )zx erscheint19, könnte man darüber spekulieren, ob durch diesen Fügungstypus evtl. darauf angespielt sein könnte, dass es sich nicht um eine bloße kurze Wahrnehmung gehandelt hat, sondern um eine längere „Schau“. Zieht man zum Vergleich das Danielbuch heran, wird diese Denk-Möglichkeit indes relativiert, denn dort wird – etwa in Dan 2,26ff20 – die Fügung promiscue mit finiten Formen des Verbums )zx gebraucht, ohne dass
Mur24 B,15; C,13; E,11. Eine relative Häufung des Fügungstyps taucht übrigens auch in den Fragmenten 4Q529-537 auf, die midraschartige Fortschreibungen von Gen 6 beinhalten (= 4QEnGiants); es handelt sich um Bestandteile der Henoch-Literatur. 19 „Ich sah“; so etwa 4Q206 4,I,18; vgl. auch 1QGenAp 23,9.10.11 bzw. 4Q530 2,II,6.9. Die Abfolge der beiden Lexeme variiert. 20 Anders als in den oben (Anm. 19) erwähnten Texten erscheint hwh hier nicht in der 1., sondern in der 2. Pers. 17 18
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unterschiedliche Bedeutungsnuancen zwischen den beiden Ausdrucksweisen feststellbar wären. b) Was den Bedeutungszuwachs der Wurzel in Richtung auf ein Vollverb betrifft, ist dieser auf die hebräische Wurzel hyh21 beschränkt. Als „primum movens“ kann man mit guten Gründen den Umstand vermuten, dass von hyh schon in alttestamentlicher Zeit eine Reihe von nifal-Bildungen belegt ist – eine Form der Stammbildung, die auf der einen Seite bei einem Zustandsverb auf den ersten Blick hin überrascht (jedenfalls wenn man gewohnt ist, das nifal vereinfachend als Passivum bzw. Reflexivum zu sehen22), und die auf der anderen Seite beim aramäischen hwh schon allein deshalb nicht vorkommen kann, weil das Aramäische diesen Stamm, dessen Funktion man mit dem von E. JENNI vorgeschlagenen Stichwort „Manifestativ“ angemessen umschreiben kann23, überhaupt nicht kennt. Dem Stamm nifal, der prinzipiell von jedem Verb gebildet werden kann, eignet – wie E. JENNI überzeugend dargelegt hat – die Funktion, „das Geschehen eines Vorgangs oder einer Handlung am Subjekt selber ohne Rücksicht auf die Art oder den Grad der Mitwirkung dieses Subjekts an diesem Geschehen“ zu beschreiben24. Wendet man diese Beschreibung mutatis mutandis auf das nifal von hyh an, ist es gleichsam dazu prädestiniert, in Opposition zum statisch konnotierten hyh qal das Phänomen des Eintretens, (Manifest-)Werdens, Geschehens lexikalisch auszudrücken, das bei der Verwendung von hyh qal gewissermaßen „unterschlagen“ wird: Ein Satz wie br( yhyw (Gen 1,5) drückt nun einmal – streng genommen – nur aus, dass der Zustand des Abend-Seins eingetreten ist: „dann war es Abend“. Wie es dazu gekommen ist, dass der Abend da war, ob der Vorgang ein prozesshaftes Geschehen war bzw. was gegebenenfalls alles abgelaufen ist, bis der mit dem Satz markierte (End-)Zustand erreicht war, ist für den Schreiber ohne Interesse und deshalb auch nicht ausgedrückt. Wenn alttestamentliche Autoren diese semantische Nuance einmal hervorheben wollten, griffen sie zu periphrastischen Fügungen wie etwa halok weqatol25. Ein Lexem-Paar, das – analog den griechischen Verben εἶναι und γίγνεσθαι – die Opposition Sein vs. Werden zum Ausdruck bringt, kennt das AT jedenfalls nicht; es wurde in älterer Zeit wohl auch nicht vermisst. Als „Lücke“ im Sprachsystem wurde dieser Umstand in der jüdischen Sprachgemeinschaft offenbar erst empfunden, als man im hellenistischen Zeitalter mit philosophischem Gedankengut konfrontiert wurde. Durch eine bewusste Differenzierung zwischen hyh qal und nifal konnte die Lücke indes unschwer geschlossen werden. 21 22 23 24 25
Sie erscheint freilich auch in der ans Aramäische angeglichenen Form hwh. Vgl. dazu unten Anm. 59. Vgl. JENNI, Funktion, und JENNI, Aktionsarten, bes. 70f. JENNI, Funktion, 63; vgl. aber auch JENNI, Präposition Beth, 101. Vgl. z. B. Gen 8,3.5.
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Worauf es bei diesem differenzierenden Gebrauch von hyh ankommt, lässt sich gut erkennen, wenn man nachvollzieht, wie hyh nifal bereits im AT, in Dan 12,1, in konsequenter Opposition zu hyh qal gebraucht ist: Nach der Ankündigung, dass eine Zeit der Not sein wird (hyh qal – w-Perfekt), ist dort ein erklärender Relativsatz eingeschoben. In ihm ist ausgeführt, dass eine solche Not noch nie eingetreten ist (hyh nifal – Perfekt), seit es Menschen gibt (hyh qal – Infinitiv). Auf der Basis der damit klar ausformulierten Opposition hat sich in Qumran dann ein vermehrter (und stark philosophisch konnotierter) Gebrauch von hyh nifal durchgesetzt: Machen im AT die Belege für hyh nifal gerade einmal 0,6 % aller Belege der Wurzel aus26, haben sich die Relationen in Qumran um den Faktor 15 verschoben: 9,3 % aller Belege von hyh stehen hier für das nifal, und mehr als die Hälfte von ihnen sind Partizipien: Das Phänomen des Werdens (Werdenden) bzw. Gewordenseins (Gewordenen) wird nun offenbar bewusst reflektiert. Analog dazu wurde in der Qumran-Gemeinschaft eine Möglichkeit entwickelt, in Opposition dazu mit eigensprachlichen Mitteln das Phänomen des Seienden zu reflektieren. Auch sie war im (alt-)hebräischen Sprachsystem zwar im Prinzip schon immer vorhanden, aber sie war doch nie realisiert worden: Im AT ist das Partizip qal von hyh zur Bezeichnung „des Seienden“ jedenfalls nirgends belegt27. Das liegt zum einen darin begründet, dass die Wurzel in alttestamentlicher Zeit augenscheinlich als bloßer „Funktor“ ohne semantischen Eigenwert verwendet wurde, um Sachverhalte mit einem „time indicator“ zu versehen, die beim Zeitbezug Gleichzeitigkeit/Gegenwart ohne jedes verbale Element in Form von Nominalsätzen ausgedrückt werden; auf der anderen Seite manifestiert sich darin das Desinteresse des AT an philosophisch-spekulativem Denken. Die Relation zwischen der Gesamtmenge aller Qumran-Belege von hyh qal und denen für das Partizip ist hier zwar nicht so auffällig wie im Falle des nifal (nur 2 % aller Belege sind Partizipien); berücksichtigt man freilich den Umstand, dass das Partizip von hyh – verwendet in seiner Grundfunktion – im AT vollkommen fehlt, ist die Zunahme dennoch exorbitant28. Noch einmal etwas anders liegen die Dinge beim Infinitiv, also bei der Form, mit der man „das Sein“ (im philosophischen Sinne) ausdrücken kann: Sind im AT etwa 4,85 % aller Belege von hyh Infinitive, ist dieser Anteil in Darunter findet sich mit Spr 13,19 nur ein – zudem unspezifisch gebrauchtes – Partizip! Zum Spezialfall Ex 9,3 – einem Partizip in der Funktion des futurum instans – vgl. BARTELMUS, HYH, 89. 28 Die beiden Belege für ein Partizip der Wurzel hwh in hebräischen Kontexten (Koh 2,22 und Neh 6,6) sind sicher nachexilisch und wohl aramäischem Spracheinfluss zu verdanken. Sie können von daher hier vernachlässigt werden, dies umso mehr, als im Falle von Neh 6,6 das Partizip ohnehin wohl in der Funktion des futurum instans gebraucht ist, der Beleg also als ein Sonderfall wie Ex 9,3 einzustufen ist. 26 27
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Qumran nahezu um den Faktor 4 gesteigert: Hier sind ca. 16,4 % der Belege Infinitive29. Auch wenn die Schreiber der Qumran-Texte bei ihrer Verwendung der Form in den wenigsten Fällen an das „Sein“ im philosophischen Sinn gedacht haben dürften, erlaubt diese statistisch relevante Verschiebung in der Verteilungshäufigkeit der Formen den Schluss, dass man in Qumran hyh allmählich wie ein vollwertiges Verbum zu gebrauchen begann. III. Sieht man von der Zunahme der Belege für das nifal, den Infinitiv und das Partizip bzw. für die periphrastische Fügung hyh qotel einmal ab, liegen keine signifikanten, jedenfalls keine theologisch relevanten Differenzen zwischen der Verwendung der Wurzel hyh im AT und der in Qumran vor. Lediglich in der Verteilungshäufigkeit der verschiedenen mit hyh „transformierten“ Nominalsatztypen gibt es Unterschiede, was zweifellos damit zusammenhängt, dass in Qumran andere Textgattungen dominieren als im AT. Und dementsprechend unterscheiden sich die Korpora auch in der Verteilungshäufigkeit der Tempora bzw. Modi, in denen die Wurzel hyh erscheint. Im AT halten sich die nachzeitig-futurisch konnotierten bzw. auslösenden Formen30 in etwa die Waage mit den vorzeitig-darstellenden Formen31. In den hebräischen Texten aus Qumran dominieren demgegenüber eindeutig die nachzeitig-futurisch konnotierten bzw. auslösenden Formen (67,8 %)32. Am größten ist die Differenz im Falle von wayyiqtol (AT: 28,7 % – Qumran: 6 %), was nicht nur dem Umstand geschuldet ist, dass mehrere Texte bereits mittelhebräischen Sprachduktus aufweisen; es hängt vielmehr ganz offensichtlich damit zusammen, dass – abgesehen von Aufnahmen bzw. Fortschreibungen alttestamentlicher narrativer Texte – keiner der in Qumran entdeckten hebräischen Texte dem Literatur-Typus „Erzählung“ zugeordnet werden kann. Anders gewendet: Im hebräisch formulierten Teil der Qumran-Literatur dominieren Texte mit präskriptiver Ten29 Im Blick auf den prozentualen Anteil der Belege, in denen der Infinitiv von hyh mit der Präposition l gefügt ist, unterscheiden sich die Texte aus Qumran nur wenig von den alttestamentlichen Texten. Da die Verwendung dieser finalen Konstruktion mit den hier diskutierten Fragen indes kaum etwas zu tun hat, gehe ich auf dieses Spezialfall der Verwendung von hyh hier nicht näher ein; einige Beispiele werden weiter unten diskutiert. 30 yiqtol, weqatal, qetol. Zählt man zu den auslösenden Formen den Infinitiv mit der Präposition l, ergibt sich ein kleines Plus im Blick auf diese Formen – zieht man allerdings die Fälle ab, in denen yiqtol und weqatal in Nebenfunktion zum Ausdruck von generellen bzw. iterativen Sachverhalten verwendet sind, liegt das Plus bei den vorzeitig-darstellenden Formen. 31 qatal, wayyiqtol. 32 Dieser auffällige Befund wird durch den Umstand, dass die Verwendung von yiqtol und weqatal auch in Qumran noch gelegentlich in der oben (Anm. 30) erwähnten Nebenfunktion vorkommt, nur geringfügig relativiert.
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denz – diese seit langem bekannte Tatsache wird durch den Befund bei hyh statistisch untermauert33. Entsprechend dem geringen Anteil von Formen des Typs wayyiqtol fehlen in den originären Qumran-Texten Belege für die Verwendung von yhyw als Tempusmarker für die Vergangenheit34. Aber auch im Blick auf die Verwendung von hyhw als Tempusmarker für die Zukunft resp. zur Einleitung von Konditionalsätzen liegt die Menge der Belege prozentual weit unter der im AT, ein deutliches Indiz für den Sprachwandel hin zum Mittelhebräischen. Auch hier sind die wenigen eindeutigen Belege zumeist Zitate aus dem AT, v. a. aus dem Dtn, so etwa 4Q175 6 und mehrere Stellen in 11QT 61; 62. Die übrigen (z. B. 1QS 6,4 par. 4Q258 2,9; 4Q398 14-17,I,5) sind wohl als bewusste Angleichungen an die Sprache des Gesetzgebers Mose zu deuten, können also nicht als repräsentativ für den Sprachgebrauch der Qumran-Gemeinde gelten. Was die verschiedenen Funktionen betrifft, die verblosen Nominalsätzen im Hebräischen eignen und die in der Verzeitung durch hyh im AT mehr oder minder breit belegt sind, d. h. die Funktionen Identifikation, Klassifikation, Qualifikation und Existenzaussage, fällt auf, dass die erstgenannte in Qumran so gut wie überhaupt nicht belegt ist – es sei denn man nimmt etwa im Falle von 4Q251 14,2 den Artikel vor Mrx semantisch ernst und übersetzt: „And the (nicht „a“) dedicated field shall be the holding of [the priest]“35. Allenfalls könnte man noch CD 8,3 hier verorten, jedenfalls sofern man nicht mit J. MAI36 ER nach 4Q266 3,III,25 emendiert bzw. erweitert und stattdessen den ʾašær37 Satz in Anlehnung an E. LOHSE als Objektssatz auffasst: „Die Fürsten Judas sind in den Zustand gekommen, dass du über sie den Zorn ausgießen wirst“. Überraschend ist dieser Befund nicht, hält sich doch auch im AT die Zahl der Belege für verzeitete Nominalsätze mit der Funktion „Identifikation“ in engen Grenzen. Das hängt auf der einen Seite damit zusammen, dass Sätze dieses Typs aufgrund ihrer semantischen Struktur eine Affinität zur Gegenwart aufweisen38; auf der anderen Seite hat dieser Befund damit zu tun, dass TextzuAnders liegen die Dinge im Bereich der aramäischen Texte, d. h. im Falle von hwh: Der Bestand an Formen des Bildungstyps q(e)tal (mit und ohne w copulativum) ist hier etwas größer als der bei den Formen mit auslösender bzw. nachzeitiger Funktion (q(e)tal/uqtal ca. 51 %; yaqtul/q(e)tul ca. 48 %). Das dürfte daran liegen, dass die „Henoch-Literatur“ wie auch das Genesis-Apokryphon – zusammen bilden diese beiden Komplexe einen gewichtigen Teil der aramäisch überlieferten Texte – narrativen Charakter aufweisen. Dass die darin integrierten direkten Reden demgegenüber häufig auch Direktiven bzw. zukunftsbezogene Aussagen enthalten, steht auf einem anderen Blatt, dürfte sich aber in jedem Fall auf die Menge der Formen mit auslösender bzw. nachzeitiger Funktion ausgewirkt haben. 34 Der einzige diesbezügliche Beleg (4Q252 I,12) ist ein Zitat aus Gen 8,6. 35 Anders J. M. BAUMGARTEN in DJD XXXV z. St. 36 Vgl. MAIER, Qumran-Essener I, 19. 37 Vgl. LOHSE, Texte, 81. 38 Vgl. BARTELMUS, HYH, 117-120. 33
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sammenhänge wie Gen 9,18; 10,10; 36,11ff. etc., in denen es um die Identifikation von Personen geht, in den hebräischen Texten von Qumran fehlen39. Weit mehr Belege finden sich im Blick auf die übrigen o. g. Funktionen, vor allem aber im Blick auf Sätze mit präpositionalen Fügungen. Als Beispiele für die Funktion „Klassifikation“ seien vier Stellen mit unterschiedlichen Tempus- bzw. Modus-Formen von hyh genannt. In 11QT 57,8 ist formuliert: „Alle Ausgewählten, die er (sc. der König) auswählen wird, sollen zuverlässige Männer (tm) y#n) wyhy) sein“. In 4Q398 14-17,II,1 – einem Fragment aus Miqṣat maˁaśe ha-torah – heißt es demgegenüber mit präteritalem Bezug: „Denke [an] David, der ein Gnadenmann war“40. In CD 6,16 erscheint eine mit lihyot eingeleitete Fügung gleicher Funktion; es geht um Witwen, die (zur) Beute (von Gottlosen) werden (könnten). Wenn schließlich in 1QSb 5,25f in den Benediktionen für den Maskil formuliert ist: „Es wird sein Gerechtigkeit der Gürtel [deiner Lenden]“, lässt sich daraus unschwer erschließen, dass der Schreiber in der Sprache des AT quasi „zu Hause war“, wendet er doch ein Zitat aus Jes 11,5 auf den Maskil an (wie er auch in der Folge mit Zitaten aus dem AT spielt). Ein Unterschied gegenüber dem Sprachgebrauch im AT ist auch bei anderen Sätzen mit der Funktion „Klassifikation“ nicht zu erkennen. Analoges gilt auch für Sätze, in denen die Funktion „Qualifikation“ vorliegt, zumal im Hebräischen keine klare Grenze zwischen Substantiven und Adjektiven gezogen werden kann41. Wenn in den Ermahnungen Miqṣat maˁaśe ha-torah die Fügung M(y)rwh+ twyhl erscheint (so 4Q394 3-7,I,18 bzw. 4Q395 10), ist es letztlich nur eine Frage deutschen Stilempfindens, ob man übersetzt „um rein zu sein“ oder aber „um Rei(n)e zu sein“42. Wenn demgegenüber in 11QT 47, wo über mehrere Zeilen hin das Thema „Reinheit“ diskutiert wird (3-18), einmal das Substantiv hrh+ (10) in Verbindung mit hyh verwendet wird, während sonst das Adjektiv rwh+ (4-7) Verwendung findet, geht es um die Unterscheidung von abstrakt und konkret, nicht aber um die Unterscheidung von Substantiv und Adjektiv. Mutatis mutandis gilt das auch, wenn hier #wdq neben #dqm erscheint: Unterschieden werden der heilige Ort und die Qualität „heilig“, die durchaus Personen oder Sachen eignen kann; haben letztere die Qualität „heilig“, sind sie „Heilige“/„Heiliges“. Auch wenn sich die Menge der Belege für Existenzaussagen, die mit hyh verzeitet sind, in Qumran und im AT prozentual nicht wesentlich unterschei39 Im aramäischen Genesis-Apokryphon dagegen gibt es dergleichen, so etwa wenn in 1QGenAp 12,10 von den Söhnen Sems die Rede ist oder wenn der Pharao feststellt, dass Sara, die ihm als Schwester Abrahams vorgestellt worden war, in Wirklichkeit die Ehefrau Abrahams ist (1QGenAp 20,27). 40 So MAIER, Qumran-Essener II, 375; ob die Wahl des Terminus „Gnadenmann“ für Mydsx #y) allerdings im Kontext einer Belehrung über die Tora theologisch angemessen ist, kann man mit guten Gründen bezweifeln – näher läge „ein [gesetzes-]treuer Mann“! 41 Vgl. BARTELMUS, HYH, 134. 42 So MAIER, Qumran-Essener II, 364 bzw. 367.
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det – hier gibt es dennoch einen gewissen Unterschied, und zwar im Blick auf den Abstraktionsgrad. Das hat aller Wahrscheinlichkeit nach mit dem erwähnten und unten (IV.) ausführlicher diskutierten Phänomen zu tun, dass im Gefolge der Hellenisierung des Orients philosophisch-theologisches Nachdenken über Sein und Werden, über das „Sein“ bzw. das „Seiende“, auch im Judentum eine Rolle zu spielen begann und demzufolge auch in Qumran Einzug hielt. Einen Satz wie CD 2,20: „sie wurden, als ob sie nie gewesen wären“43, findet man im AT nur ganz am Rande in einer späten Schrift44. Und wenn (Pseudo-) Ezechiel Jahwe die Frage stellt: hl) wyhy ytm „wann sollen diese Dinge geschehen?“ (4Q385 6,9)45, gibt es dafür keine unmittelbare alttestamentliche Parallele. Als weitere Beispiele erwähnt seien noch zwei, die ähnlich oder real auch im AT belegt sind. So heißt es in 1QS 4,18: „Gott … hat einen Zeitraum für den Bestand des Unrechts gegeben“46. Und in 11QT 61,3 findet sich die konditionale Fügung: „Wird sich das Wort nicht verwirklichen“47. Dies ist schlicht ein Zitat aus Dtn 18,22, das belegt, dass bereits im AT gelegentlich die Existenzmöglichkeit von Sachverhalten (rbdh) diskutiert wurde. Was die Fülle der Fügungen betrifft, in denen hyh in Kombination mit Präpositionalgruppen erscheint, erübrigt sich eine ausführliche Auflistung von Beispielen. Praktisch alle im AT mehrfach belegten Fügungen erscheinen auch in Qumran. Herausgehoben seien immerhin zwei besonders häufig vorkommende Fügungen, zum einen solche mit l in der Funktion des Lamed revaluationis bzw. ascriptionis48, zum anderen Fügungen, in denen der Infinitiv von hyh in Kombination mit den Präpositionen b oder l (einmal auch mit assimiliertem Nm) erscheint – sind letztere doch sehr spezifische Elemente der hebräischen Syntax49. Unter den vielen Belegen, in denen ein Lamed ascriptionis erscheint (in älterer Literatur spricht man in diesem Zusammenhang von der „Haben-Relation“), seien nur zwei theologisch relevante hervorgehoben: 1QM 6,6 und 4Q491 11,II,17. In beiden Fällen wird Obd 21 frei zitiert: „Die KönigsherrSo übersetzt LOHSE, Texte, 71 die Fügung wyh )lk wyhyw. So in Obd 16; vgl. Sir 44,9. 45 Die Übersetzung von MAIER, Qumran-Essener II, 349, stellt eine Anpassung an das deutsche Sprachempfinden dar – im Prinzip ist nur gesagt: „Wann wird das sein?“. 46 MAIER, Qumran-Essener I, 176; der deutende Begriff „Bestand“ steht für das hebräische twyhl, das man genauso gut mit „Sein“ oder „Existenz“ wiedergeben könnte. 47 MAIER, Tempelrolle, 265 – einmal mehr unter Vermeidung des Worts „sein“ verdeutlichend übersetzt. 48 Vgl. JENNI, Präposition Lamed, 33-41.54-66. 49 Für letztere Fügungen gibt es im aramäischen Teil des AT überhaupt keine und im aramäischen Teil der Qumran-Literatur nur drei Beispiele mit l (4Q213a 1,18; 4Q530 7,II,7; 11Q10 15,5), von denen lediglich das erstgenannte einigermaßen sicher zu interpretieren ist: Es geht dort um die Nähe zu Gott, und der Sprecher möchte ihm gehören. 11Q10 15,5 ist demgegenüber eine Übersetzung des schon an sich kaum verständlichen Verses Ijob 30,1 – also wohl ein Hebraismus, und bei 4Q530 7,II,7 ist die Lesung unsicher und der Kontext unklar. 43 44
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schaft wird dem Gott Israels gehören“ bzw. „… wird Gott gehören und seinem Volk“. Die Tradition der Malkut JHWH – in ihrer kriegerischen Variante – ist in Qumran lebendig geblieben. Dazu fügt sich 1QHa 11,37 – ein erstes Beispiel für die Verwendung des l in der Funktion des Lamed revaluationis: „Du bist mir eine feste Mauer gewesen“. Alles andere als kriegerisch klingt demgegenüber 1QHa 17,24 par. 4Q381 33+35,3: „Es wurde mir deine Zurechtweisung zur Freude“. Ähnliches wird auch in 4Q381 1,1 artikuliert, nur ist dort wohl eher auf Zukünftiges angespielt und statt von Zurechtweisung ist vom Gesetzesanweiser die Rede. Aber auch ins Negative gewendet erscheint die Fügung, so in 4Q166 II,12, einem Peschär zu Hosea: Gott schlug sein Volk, dass sie „zu Schanden werden und zur Schmach vor den Völkern“. Numerisch häufiger, v. a. aber theologisch gesehen weit wichtiger sind die Stellen, an denen mit dieser Fügung die Zuwendung Gottes zu Einzelnen bzw. zu seinem Volk ausgedrückt wird, so etwa in 4Q174 1-2,I,11, wo die Nathan-Verheißung zitiert wird (2 Sam 7,14); fragmentarische Erinnerungen an diesen Satz bieten wohl auch 4Q382 104,3 und 4Q418a 19,3. In 4Q381 76-77,15 wird schließlich der Topos der Erwählung Israels aus allen Völkern erwähnt, damit Israel „für ihn (JHWH) zum Volk wird“, und in 11QT 59,13 wird sogar die Bundesformel (Lev 26,12 bzw. Jer 7,23) fast wörtlich zitiert, allerdings unter Verwendung der 3. statt der 2. Pers. (wie in Ez 37,23), dazu in 11QT 29,7 ein weiteres Mal in freier Variation: „damit … sie für mich zum Volk werden. Und ich werde auf Weltzeit für sie (da) sein“50. Was den Infinitiv von hyh in Kombination mit den Präpositionen b oder l betrifft, dominieren im Falle von twyhb die Beispiele für die Funktion, punktuelle Zukunft auszudrücken51. Daneben finden sich zwei Beispiele, in denen wohl ein Beth instrumenti vorliegt, so in 1QS 10,10 par. 4Q258 9,10; man könnte in letzterem Fall im Prinzip auch von einer Kombination von Existenzaussage und Präposition sprechen, dann käme „das Sein“ in den Blick. Dem gegenüber ist der einzige Beleg für twyhm (4Q502 1,6) zu fragmentarisch, als dass von ihm aus theologisch relevante Rückschlüsse gezogen werden könnten. Was die vielen Beispiele für twyhl betrifft, stehen sie zumeist für die intentionale Verknüpfung, gelegentlich auch für die admissionale bzw. konsekutive Verknüpfung52: Etwas oder jemand zu sein bzw. eine Qualität zu haben, hat einen Zweck bzw. Folgen. Andere Beispiele mit twyhl, in denen hyh eine eigenständige semantische Rolle spielt, wurden bereits weiter oben angesprochen.
So MAIER, Tempelrolle, 131; gemeint ist natürlich „für immer“. So JENNI, Präposition Beth, 325. Beispiele: 1QS 3,16; 8,4.12; 9,3 par. 4Q258 6,6; 7,4; 4Q265 7,7; 4Q396 1-2,III,7; 4Q402 4,4; 4Q463 1,2; 11QT 48,16. 52 Vgl. JENNI, Präposition Lamed, 154ff. 50 51
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Unbeschadet dessen, dass die häufige Verwendung des nifal von hyh eine Eigentümlichkeit der Qumran-Texte darstellt, bedürfen Stellen wie 1QM 1,12; 18,10 oder 4Q418 126,II,5, wo hyh nifal im Perfekt verwendet ist, keiner gründlicheren Erörterung, ist doch bereits in den (spät-)nachexilischen Schriften des AT eine Tendenz festzustellen, Eingetretenes, (neu) Gewordenes von bloß gegebenem zu unterscheiden; für ersteres steht hyh nifal, für letzteres hyh qal53. Eingehender zu betrachten sind demgegenüber Beispiele, in denen eindeutig eine Qumran-spezifische theologisch-philosophische Verwendung der Wurzel hyh vorliegt, also die Stellen, in denen das Partizip (aktiv) verwendet ist – sei es qal, sei es nifal. Um sie sinnvoll diskutieren zu können, muss vorher freilich noch einmal kurz in Erinnerung gerufen werden, welche Funktion das Partizip (aktiv) im hebräischen Sprachsystem hat. Ein Vergleich der deutschen, englischen und französischen Übersetzungen der Qumran-Texte lässt ein solches Verfahren jedenfalls unumgänglich erscheinen – zu krass sind deren Unterschiede im Blick auf die temporelle Wiedergabe der einschlägigen Formen: Letztere sind so groß, dass man gelegentlich auf den Gedanken kommen könnte, den Übersetzern hätten unterschiedliche Texte vorgelegen54. Anders als das Partizip im Deutschen spielt das hebräische Partizip (aktiv) eine wichtige Rolle im Tempussystem. Figurativ gesprochen: Es ist kein Stiefkind der Syntax, sondern kommuniziert „auf Augenhöhe“ mit den finiten Verbformen qatal und yiqtol bzw. wayyiqtol und weqatal55. Konkret formuliert: qotel ist eine Verbalform mit den Basis-Konnotationen Gleichzeitigkeit, Imperfektivität, Durativität und steht in totaler Opposition zu qatal mit den Konnotationen Vorzeitigkeit, Perfektivität, Punktualität und in partieller Opposition zu yiqtol mit den Konnotationen Nachzeitigkeit, Imperfektivität, Punktualität 56. In Nebenfunktion steht es – sofern der Relationspunkt der Gegenwartspunkt des Sprechenden ist – für den Ausdruck der unmittelbar bevorstehenden Zukunft, das „futurum instans“. Noetisch gesehen reicht ja jeder in der Gegenwart andauernde Sachverhalt ein Stück weit in die Zukunft hinein – auch das deutsche Präsens kann man in dieser Nebenfunktion verwenden. Wenn jemand sagt: „Ich gehe“, muss er nicht hic et nunc unterwegs sein, er kann damit auch sagen, dass er in nächster Zukunft aufbrechen möchte: „Mental“ ist der Vorgang bereits Realität, die Ausführung wird sogleich erfolgen. Vgl. das oben zu Dan 12,1 Gesagte. Näheres dazu s. u. und Anm. 66. 55 Diese Erkenntnis teilt NICCACCI, System, 248 mit dem Vf. 56 Vgl. dazu BARTELMUS, Einführung, 204-206, u. ö. Hier ist nicht der Ort, um ausführlicher auf die „zusammengesetzten Tempora“ wayyiqtol und weqatal einzugehen oder die Unterschiede zwischen der Verwendung der einschlägigen Formen in Rede und Erzählung bzw. außerhalb der Artikulationsebene „Darstellung“ anzusprechen. Im Fokus steht hier allein das Partizip. 53 54
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Ins Hebräische übertragen: Angesichts einer Fügung wie ry+mm ykn) (Gen 7,4) muss man den Kontext zu Rate ziehen, um herauszufinden, ob Jahwe schon dabei ist, es regnen zu lassen, oder aber ankündigt, dies in unmittelbar bevorstehender Zukunft zu tun – hier ist dank der Zeitangabe „nach sieben Tagen“ jeder Zweifel ausgeschlossen. Ex 9,3 (und viele andere – zumeist mit hnh eingeleitete – Sätze wie Ex 23,20) zeigen indes, dass es nicht zwingend einer solchen Zeitangabe bedarf, um ein „futurum instans“ diagnostizieren zu können57. (Ganz anders stellen sich die Dinge natürlich dar, wenn ein Partizip durch den Artikel determiniert ist, also als reines Nomen fungiert; dann ist der [relative] Zeitbezug aus anderen Elementen im Satz zu entnehmen). All das Gesagte gilt nun aber nicht nur für das Partizip aktiv qal, sondern auch für das Partizip nifal.58 Die Beispiele dafür sind Legion, erwähnt seien nur Ex 14,25 (Mxl Partizip nifal) bzw. Jes 19,18 ((b# Partizip nifal): In Ex 14,25 ist davon die Rede, dass die Ägypter erkennen, dass Jahwe hic et nunc für Israel streitet. Und in Jes 19,18 – einer Weissagung über Ägypten – ist klar, dass der Vorgang des Schwörens nicht in der Vergangenheit liegen kann. So lange man freilich davon ausging, das nifal sei ein Passiv zum qal59, wurde dem Partizip nifal oft latent eine Konnotation unterstellt, die im Falle des echten Passivs zum qal – repräsentiert in der Form qatul – Fakt ist, nämlich die Konnotation der Perfektivität. Vereinfacht gesagt: Weil das hebräische Partizip passiv qal weitgehend dem lateinischen Partizip Perfekt passiv entspricht, muss – so wurde gefolgert – auch das als Passiv verstandene Partizip nifal etwas mit dem Perfekt zu tun haben. – Selbst wenn (was der Vf. ausschließt) diese Assoziationskette ein Körnchen Wahrheit enthielte, würde sie im Falle von hyh in die Irre führen – ist hyh doch ein Intransitivum. Eine über das Passiv laufende Assoziationskette verbietet sich angesichts dessen von selbst. Die Übersetzung von hyhn (Partizip nifal) mit „geworden“/„Gewordenes“, die sich v. a. in der deutschen Textausgabe von J. MAIER60 häufig findet, kann von daher nur schlicht als falsch bezeichnet werden. In den Übersetzungen der Reihe DJD erscheint für hyhn zumeist eine Formulierung mit futurischer Konnotation; daneben wird in einigen Fällen präsentisch übersetzt. Eine Ausnahme bilden die wenigen Stellen, wo das Partizip a 61 hyhn mit Artikel gefügt ist (vgl. dazu etwa 1QH 11,33) . Unbeschadet des Vgl. dazu oben (Anm. 27) mit dem Verweis auf BARTELMUS, HYH z. St. Natürlich auch für das Partizip piel, hitpael und hifil; diese Stammbildungen kommen bei hyh indes nicht vor, können also außer Betracht bleiben. 59 Schon GK, § 51 h, hatte sich vehement gegen diese Sicht verwahrt; dennoch hielt sich diese Sicht bis in die Gegenwart. Die meisten Schulgrammatiken beschreiben die Funktion des nifal nach wie vor mit reflexiv und passiv zum qal (häufig sprechen sie auch noch von „Bedeutung“ statt von „Funktion“!), so etwa SCHNEIDER, Grammatik, 101. Und selbst dort, wo die Forschungsergebnisse von JENNI (s. o. Anm. 22) aufgenommen sind, wird als erste „Ersatzkonstruktion“ zum Übersetzen das Passiv empfohlen (so bei KRAUSE, Hebräisch, 130f). 60 MAIER, Qumran-Essener I + II, passim – Beispiele werden weiter unten zitiert. 57 58
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Umstands, dass das Partizip als Grundfunktion den Ausdruck der Dauer bzw. der Gleichzeitigkeit aufweist, ist die futurische Übersetzung zumindest im Falle der geprägten Wendung hyhn zr in jedem Falle vorzuziehen (knapp die Hälfte aller Belege des Partizips nifal sind mit zr gefügt!), zumal das nifal im Falle von hyh – noetisch gesehen – geradezu paradigmatisch erkennen lässt, warum dem Partizip als Nebenfunktion der Ausdruck des futurum instans eignet: Das „Werdende“/„im Werden befindliche“ ragt immer ein Stück weit über die Gegenwart hinaus in die Zukunft hinein. Demgegenüber verfehlt eine präteritale Übersetzung des indeterminierten hyhn den Sinn der Form in jedem Fall. Belege für eine Verwendung des Partizips finden sich überraschender Weise nicht nur im Kontext spezifisch sapientialer Komplexe wie 4Q416-418 (415; 423) oder 1Q2662, wo man sie am ehesten erwarten würde: Mit Ausnahme der Tempelrolle enthalten vielmehr alle umfangreicheren hebräischen Textkomplexe und viele Einzeltexte einschlägige Belege. Rigides Insistieren auf gesetzestreuem Verhalten und Aufnahme von aktuellem Gedankengut aus der Umwelt bildeten in der Qumran-Gemeinde ganz offensichtlich keinen prinzipiellen Gegensatz: Wohl nicht ganz zufällig hat man in Qumran auch Texte in griechischer Schrift gefunden. Zudem ist es sattsam bekannt, dass die Qumran-Manuskripte alttestamentlicher Texte relativ häufig andere Textversionen bieten als die Textvorlage des MT: In solchen Fällen besteht relativ häufig eine Übereinstimmung mit dem Textverständnis der LXX bzw. mit der als Vorlage der LXX zu vermutenden hebräischen Textfassung, was auf (wie immer geartete) Verbindungen zwischen der hellenistischen Judenheit in Alexandrien und der Qumran-Gemeinde schließen lässt. Eine kritische Aufnahme bzw. Adaption fremder Traditionen stand ohnehin in keinem Fall in Gegensatz zum Selbstverständnis der frühen Judenheit (die Qumran-Gemeinde verstand sich als das wahre Israel!) – war doch ein entsprechender Umgang mit Traditionen unterschiedlicher Herkunft bereits im AT vorgegeben und konnte somit als Vorbild dienen. Letzteres Verfahren lässt sich exemplarisch etwa anhand von 1QHa 20,4-11 aufzeigen63. Eingangs wird in diesem Abschnitt unmissverständlich auf Gen 1,14-19 rekurriert – einen Teil der priesterschriftlichen Schöpfungsgeschichte, die ihrerseits zum größten Teil aus neu interpretierten Traditionen aus der altorientalischen Umwelt konstruiert ist. Die durch den Mund Gottes geschaffene Ordnung der Abfolge von Licht und Finsternis, Tag und Nacht, wird in der Folge als hwwh tdw(t bezeichnet (1QHa 20,9)64. Diese innovative hebräische theologische Formulierung ist – wie man aus dem danach folgenden sp) Ny)w erschließen kann – wohl im Sinn von „verbürgtem“ (also absolut sicherem) 61 62 63 64
Dies fügt sich gut zu dem oben generell Gesagten. Zu dieser Qualifikation der hier verhandelten Texte vgl. HARRINGTON, Raz nihyeh, 549f. Ein fragmentarisches Duplikat davon bietet 4Q427 2,II. MAIER, Qumran-Essener I, 103, übersetzt dies mit: „Bezeugung von Seiendem“.
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Seiendem zu verstehen. Die alte Überlieferung ist damit gewissermaßen „modernisiert“: Das einst von Gott Geschaffene ist nichts anderes als das Seiende (τὸ ὄν), über das die Philosophen der hellenistischen Umwelt nachdenken. Damit gibt sich der Autor indes nicht zufrieden, er vertieft die Aussage vielmehr, indem er das den Griechen vertraute, aber auch schon im AT belegte Drei-Zeiten-Schema anwendet65: Die hier und jetzt existierende Ordnung wird auch weiterhin sein, d. h. Bestand haben (hyht): Außer ihr ist nie eine andere Ordnung gewesen (hyh) und wird nie eine andere sein (dw( hyhy )wlw), denn „der Gott der Erkenntnis(se) hat sie festgesetzt. Ähnlich wie der Beter von 1QHa 20, wenn auch weniger differenziert und ohne konkreten Bezug auf Gen 1, wohl aber auf die Genesis insgesamt (es erscheinen Begriffe wie twdlwt bzw. twrwd) argumentiert auch der Autor von 1QS 3,13ff., wenn er in einer Belehrung für den Maskil (Unterweiser) feststellt: „Vom Gott der Erkenntnis(se) ist (stammt) alles Seiende (hwwh) und Werdende (hyyhn)“ (3,15)66. Bemerkenswert an 1QS 3,13ff ist darüber hinaus, dass der Autor die Aussage von Gott als dem Urgrund des Seienden und Werdenden konsequent zu Ende denkt und in Z. 15f so etwas wie eine Vorstufe der Prädestinationslehre ausformuliert: „Bevor sie waren/sind, hat er ihr ganzes Planen festgelegt, wenn sie da sind, erfüllen sie entsprechend dem verbürgten Plan seiner Herrlichkeit ihr Werk, und es gibt keine Änderung“. Die damit ausformulierte Überzeugung, Gott habe einen feststehenden Plan für diese Welt, und dieser sei bestimmten Personen zugänglich, teilt die QumranGemeinde mit dem apokalyptischen Daniel-Buch. In diesen Kontext gehört auch 1QS 11,11, ebenso vielleicht das etwas anders ausformulierte Fragment 4Q402 4,12 par. Mas1k 1,2, wo freilich das Perfekt hyhn (wyhn) verwendet ist: „Durch sein Wissen ist alles geworden und alles Seiende lenkt er nach seinem Plan, ohne ihn geschieht nichts“ bzw. „vom Erkenntnis-Gott her …“; schon kurz vorher ist in 1QS 11 vom „ewig Seienden“ (5) bzw. von Erwählung (7) die Rede und danach wird die Aussage noch einmal mit determiniertem Partizip nifal und dem Stichwort „(Wohl-)Gefallen“ anstelle von „Wissen“ reformuliert (vgl. dazu auch 1QHa 9,20 – dort Perfekt). Einen deutlich anderen Akzent setzt demgegenüber der Beter/Sänger von 4Q511 10,10f, wenn er Gott als denjenigen preist, der in Gerechtigkeit Recht schafft für die ewig Seienden und die (vor/in?) Äonen gewordenen (Dinge/LeVgl. dazu R. BARTELMUS, Strukturprinzip. MAIER, Qumran-Essener I, 173, übersetzt hier wie auch an den meisten anderen Stellen h(y)yhn präterital, womit er sich gegen einen breiten, gut begründeten Konsens in der Forschung stellt. Dass er im Falle von 1QS 10,5 par. 4Q256 19,3 einmal nicht präterital übersetzt und hyhn Cq richtig mit „eintretende(n) Zeit“ wiedergibt, ist angesichts dessen mehr als inkonsequent, noch mehr der Umstand, dass er hyhn zr einmal sogar mit „Geheimnis des Seins“ wiedergibt (1Q26 1,1; ebd. 237), während er sonst „Geheimnis“ bzw. „Mysterium des Gewordenen“ verwendet. 65 66
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bewesen)67. Hier erscheint die Welt überraschender Weise einmal nicht so invariabel determiniert wie an den übrigen in diesem Zusammenhang angesprochenen Stellen. In einer an weisheitliche Mahnreden erinnernden Passage schließlich, in der einmal mehr Gott als ein Gott der Erkenntnis erscheint (CD 2,2ff.), wird wiederum die Ordnung der Zeit angesprochen und in diesem Kontext auf das ewig Seiende und das Werdende abgehoben68. Die Erkenntnis Gottes wird hier in der Damaskusschrift als so weit in die Vorzeit reichend dargestellt, dass Gott die Werke der Frevler (My(#r) schon kennt, bevor letztere überhaupt geschaffen bzw. „gegründet“ wurden, und sie reicht bis dahin, dass er weiß, was am Ende dessen sein wird, das jetzt im Werden ist (CD 2,9f bzw. 4Q268 2,I,8). Änigmatisch verkürzt und auf den „Aufseher“ hin umformuliert erscheint Entsprechendes auch in CD 13,8; dass Werdendes bereits vor seiner Erschaffung in seinem Tun und Ergehen festgelegt ist, ist zudem in 4Q180 1,1f angesprochen. In all diesen Fällen ist eine gewisse Korrelation zwischen deterministischem bzw. prädestinatianischem Gedankengut und der Rede vom Seienden bzw. Werdenden wahrzunehmen, wobei die theologisch brisantere der beiden Varianten zweifellos darin liegt, dass auch das Werdende (d. h. das nicht bereits von Urbeginn an Existierende bzw. am Anfang von Gott geschaffene) durch Gottes Plan festgelegt ist. Eine andere Form prädestinatianischen Denkens begegnet in 1QM 17,5: In hypertroph chauvinistischer Akzentsetzung greift der Autor auf das Begriffspaar „Seiendes“ und „Werdendes“ zurück und behauptet, dass Israel Anspruch auf alles Seiende und Werdende habe, und zwar in allem, was immer (in Äonen) noch werden wird. Ins Universalistische gewendet – sei es in Kombination mit lwk, sei es mit (My)mlw(, sei es mit beiden Elementen zusammen – erscheinen Partizipien von a hyh schließlich auch noch in 4Q403 1,I,22; 4Q405 13,6 (qal) bzw. in 1QH 5,18; 19,14; 21,12 und 4Q418 69,II,7 (nifal). So einfach die Kombination des Partizips qal von hyh mit (My)mlw( nachzuvollziehen ist, so wenig ist verständlich erscheint auf den ersten Blick die Kombination des Partizips nifal mit diesem Lexem. Mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit kann man davon ausgehen, dass letzteres hier nicht im eingeschränkten Bedeutungsspektrum des AT gemeint ist: Mlw( meint in diesen Texten offenbar nicht „Ewigkeit“, sondern Mit den ewig Seienden gemeint sind wohl die Engel; das lässt sich mit hoher Wahrscheinlichkeit aus der parallelen Formulierung im Folgesatz erschließen, wo von Göttern und Menschen die Rede ist. 68 Die pluralischen hebräischen Formulierungen sind wohl als Abstraktplural zu interpretieren. Weisheit und Einsicht, Klugheit und Erkenntnis sind hier übrigens (nicht anders als die Weisheit im alttestamentlichen Buch der Sprüche) quasi als Hypostasen bzw. eigenständige Wesen gesehen, jedenfalls heißt es von ersteren, dass Gott sie vor sich hingestellt hat und von letzteren, dass sie Gott dienen – eine Formulierung, die wohl als synonymer Parallelismus membrorum einzustufen ist: Wer vor Gott steht, ist dessen Diener (vgl. 1 Kön 17,1b). 67
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bereits so etwas wie „Äon“, „Zeitalter“: Es ginge dann um das je und je im Verlauf von Äonen (eines Äons) Werdende. Die Übernahme der seit Hesiod im griechischen Bereich geläufigen Äonenspekulation durch die Judenheit – dokumentiert etwa in Dan 2 – hätte gemäß dieser Annahme Folgen für die Semantik von Mlw( gehabt; die Vermutung wird durch den mittelhebräischen Sprachgebrauch in gewisser Weise gestützt. Ganz auszuschließen ist allerdings auch nicht die Annahme, dass (My)mlw( in diesem Zusammenhang schlicht „für immer“ meinen könnte; (My)mlw( müsste dann als explikative Asyndese mit „und zwar für immer“ übersetzt werden. Unstrittig ist allein – das ist Konsens in den Lexika –, dass zwischen dem Sing. und dem Pl. von Mlw( in Qumran kein semantischer Unterschied zu erkennen ist. Massiv von apokalyptischen Vorstellungen geprägtes Denken manifestiert sich schließlich in der Fügung hyhn zr, auf die knapp die Hälfte aller Belege des Partizips nifal entfällt – „in the vast majority of cases … prefaced by the preposition b“69. Das aramäische (ursprünglich aus dem Persischen stammende) Lexem zr („Geheimnis“, „Mysterium“) ist im Daniel-Buch schon für sich allein Terminus technicus für bereits im Plan Gottes feststehende Sachverhalte, die sich in der Zukunft ereignen werden und die nur qua Offenbarung durch Gott selbst (hlg) und Deutung durch einen angelus interpres oder einen von Gott selbst informierten „Weisen“ zugänglich werden70. Erscheint der Terminus in hebräischen Kontexten als Lehnwort in Kombination mit hyhn, kann auch von daher kein Zweifel daran bestehen, dass das Partizip (gemäß den oben vorgestellten noetischen Überlegungen) angemessen nur als „future“ – genauer als futurum instans –, jedenfalls nicht als „past“ zu übersetzen ist71. Die Fügung kann geradezu als Musterbeispiel für die noetische Struktur des futurum instans gesehen werden: In der göttlichen Welt steht bereits fest, was sich (demnächst) ereignen wird, für Menschen ist es aber noch ein Geheimnis, das zu lüften allein dem Apokalyptiker vorbehalten ist. Auch wenn angesichts des fragmentarischen Zustandes des „Livre des mystères“ (1Q27) nicht eindeutig festgestellt werden kann, wer der Sprecher/ Schreiber ist, ist klar, dass nur Eingeweihte, d. h. vom „Lehrer der Gerechtigkeit“ bzw. von dem „Maskil“ instruierte Angehörige der Qumran-Gemeinschaft, um das hyhn zr wissen können. Nicht Eingeweihte kennen das Geheimnis des – demnächst – Eintretenden/im Werden Befindlichen nicht und können sich (ihre „Seele“) daher nicht vor ihm retten (1Q27 1,I,3.4 par. 4Q300 3,4)72. HARRINGTON, Raz nihyeh, 551. Vgl. dazu WILLI-PLEIN, Geheimnis, 68-74. 71 So dezidiert J. T. MILIK in DJD I, 104. 72 Letztere Stelle ist neben 4Q416 2,III,21 der einzige Beleg für eine Kombination der Fügung mit der Präp. Nm. Außer 1Q27 1,I,3 bieten nur noch 4Q416 2,III,14 und – vielleicht – 4Q418 77,2; 172,1 die Fügung ohne präfigierte Präp.; die letztgenannten Stellen sind aber so fragmentarisch, dass auf ihrer Basis keine weitergehenden Erkenntnisse gewonnen werden kön69 70
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In allen übrigen Fällen erscheint die Fügung mit präfigiertem b. Die Funktion dieser Präp. im jeweiligen Kontext wird in der Forschung alles andere als einheitlich gedeutet – dies nicht nur aus dem Grund, dass die Wendung in den Texten mit unterschiedlichen Verben gefügt erscheint. Die Einschränkung der Deutungsmöglichkeiten auf den lokalen und instrumentalen Gebrauch, wie sie D. J. HARRINGTON73 vornimmt, ist in jedem Fall zu wenig differenziert. Immerhin: Im Falle des einzigen Belegs für die Fügung, der nicht aus dem von der Forschung aus vielen Fragmenten rekonstruierten „Sapiential Work“ (1Q26; 4Q415-418; 423) und auch nicht aus dem „Livre des mystères“ (1Q27) stammt, aber sehr wohl sapiential konnotiert ist – d. h. im Falle von 1QS 11,3f – liegt eindeutig lokaler Gebrauch vor, genauer der Teilaspekt „geistiger Kontakt“74. Der Sprecher (aller Wahrscheinlichkeit nach der Maskil) erklärt, er sei aus der Quelle der Erkenntnis Gottes gewissermaßen „erleuchtet“ worden und fährt danach fort: „Auf seine Wunder schaute mein Auge und mein erleuchtetes Herz auf/in das Geheimnis des Werdenden/sich Anbahnenden und des ewig Seienden“ (+bn hifil)75. Eine andere Form des „geistigen Kontakts“ ist gegeben, wenn jemand dazu aufgefordert wird, Tag und Nacht über „das Geheimnis des Werdenden/sich Anbahnenden“ nachzusinnen (4Q418 43-45,I,4 par. 4Q417 1,I,6), es zu (be-) greifen (4Q418 77,4), im Blick auf das Geheimnis des Werdenden etwas zu prüfen (4Q415 6,4) oder etwas zu (unter-)suchen (4Q416 2,III,9)76. Dass diese Fügung indes auch so verstanden werden kann, dass durch die Präp. b das direkte Objekt bezeichnet ist77, ergibt sich aus der kurz darauf folgenden Formulierung in 4Q416 2,III,14. Dann wären beide Stellen als Aufforderung zu verstehen, das Geheimnis des sich Anbahnenden zu (unter-)suchen, d. h. sich mit ihm forschend auseinanderzusetzen. Weniger einfach zu deuten ist die Verwendung der Präp. in den mit r#)(k) eingeleiteten Sätzen, in denen davon die Rede ist, dass Gott das (die) Ohr(en) einer Person hyhn zrb geöffnet hat – in 1Q26 1,4 par. 4Q416 2,III,17f; 4Q418 nen (zu 4Q416 2,III,14 s. u.). 73 HARRINGTON, Raz nihyeh, 551. Er hat offenbar JENNI, Präposition Beth, nicht konsultiert. Deutschsprachige Literatur wird im anglo-amerikanischen Sprachraum bedauerlicherweise kaum mehr zur Kenntnis genommen, selbst wenn sie (wie in diesem Fall) von einem der bedeutendsten Hebraisten stammt, Grundlagenforschung darstellt und in einem renommierten Verlag erschienen ist – ein Armutszeugnis für den internationalen Wissenschaftsbetrieb. 74 Vgl. dazu JENNI, Präposition Beth, 248. 75 Imperativisch gewendet erscheint eine ähnliche Fügung (freilich ohne Verweis auf das ewig Seiende) in 4Q416 2,I,5 und 4Q417 1,I,18 (vielleicht auch 4Q417 2,I,11 und 4Q418 43-45,I,2; an beiden Stellen von den Herausgebern ergänzt – in ersterem Fall gestützt auf 4Q416 2,I,5). 76 Die Stelle ist dunkel, könnte aber mit den Herausgebern von DJD XXXIV evtl. als einziger Beleg für ein Beth instrumentale gewertet werden: „By the zr that is to come study the origins thereof“. 77 Vgl. dazu unten zu rxb.
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10a,1; 4Q418 184,2; 4Q418 190,2 ist ein „du“ angesprochen, in 4Q418 123,II,4 ist in der 3. Pers. von den „Verständigen“ die Rede. Instrumentaler Gebrauch der Präp. kann nicht vorliegen – das Geheimnis des im Werden Begriffenen ist schwerlich das Mittel, sondern doch wohl der Inhalt der Offenbarung. Somit könnte auch hier „geistiger Kontakt“ angenommen werden, und zwar in Analogie zur Verwendung der Präp. bei rxb78: Im Falle von rxb kann das direkte Objekt bekanntlich ohne erkennbaren Unterschied sowohl als Akkusativ erscheinen wie auch durch b markiert sein. Da hier nun die Position des direkten Objekts bereits mit „Ohr“ besetzt ist, könnte somit (quasi im Sinn eines doppelten Akkusativs) mit der Fügung das eigentliche Objekt der Offenbarung mit b hervorgehoben sein: Er hat die Ohren geöffnet „in Bezug auf“ das Geheimnis (und so das Geheimnis gelüftet). Zu erwägen ist aber auch eine Klassifikation als Spielform des Beth comitantiae79, oder als ein Beth communicationis80. Was – unabhängig von der genauen Klassifikation des b – freilich alle zuletzt diskutierten Stellen verbindet, ist die feste Überzeugung der von apokalyptischem Gedankengut geprägten Autoren (des Autors?), dass sich gemäß dem Plan Gottes (umwälzende) Ereignisse anbahnen: Allein den Lehrern der Qumran-Gemeinde wurde diese Tatsache durch den Einblick in die „Quelle der Erkenntnis Gottes“ zugänglich gemacht, und sie informieren die Gemeinde auf literarischem Weg über das „Geheimnis des Werdenden“. Da der Vf. kein Angehöriger der Qumran-Gemeinde, kein vom Maskil Belehrter ist, fehlt ihm der Zugang zum Geheimnis des im Werden Befindlichen. Immerhin meint er hoffen zu können, den Schleier über dem Geheimnis des „Seienden“ – der sprachlichen Gegebenheiten in Qumran – ein wenig gelüftet zu haben. Wenn es gelungen sein sollte, dem Jubilar damit ein wenig Freude zu bereiten, hat der Aufsatz in jedem Fall seinen Zweck erfüllt. Rüdiger Bartelmus Prof. em. Uni Kiel, Planegg
Bibliographie BARTELMUS R., „Tempus als Strukturprinzip. Anmerkungen zur stilistischen und theologischen Relevanz des Tempusgebrauchs im »Lied der Hanna« (1 Sam 2,1-10)“, in Biblische Zeitschrift. Neue Folge 31 (1987) 15-35 (= id., Auf der Suche nach dem archimedischen Punkt der Textinterpretation. 78 79 80
Vgl. JENNI, Präposition Beth, 256. JENNI, Präposition Beth, 93-96; hlg ist freilich kein Verbum der Bewegung. JENNI, Präposition Beth, 160-170; 169.
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Studien zu einer philologisch-linguistisch fundierten Exegese alttestamentlicher Texte, Zürich 2002, 133-157). BARTELMUS R., HYH. Bedeutung und Funktion eines hebräischen »Allerweltswortes« – zugleich ein Beitrag zur Frage des hebräischen Tempussystems (ATS 17), St. Ottilien 1982. BARTELMUS R., Einführung in das biblische Hebräisch, Zürich 22009. BARTELMUS R., „ ָהיָ הhājāh“, in H.-J. FABRY - U. DAHMEN (ed.), Theologisches Wörterbuch zu den Qumrantexten I, Stuttgart 2011, 762-779. BOMAN T., Das hebräische Denken im Vergleich mit dem Griechischen, Göttingen 1952. HARRINGTON D. J., „The Rāz nihyeh in a Qumran Wisdom Text (1Q26, 4Q415-418, 423)“, Revue de Qumran 17 (1996) 549-553. JENNI E., „Zur Funktion der reflexiv-passiven Stammformen im Biblisch-Hebräischen“, Proceedings of the Fifth World Congress of Jewish Studies:Volume IV, Jerusalem 1973, 61-70 (= id., Studien zur Sprachwelt des Alten Testaments I, Stuttgart - Berlin - Köln 1997, 51-60). JENNI E., Die hebräischen Präpositionen. Band 1: Die Präposition Beth, Stuttgart - Berlin - Köln 1992 JENNI E., Die hebräischen Präpositionen. Band 3: Die Präposition Lamed, Stuttgart - Berlin - Köln 2000 JENNI E., „Aktionsarten und Stammformen im Althebräischen: Das Piˁel in verbesserter Sicht“, ZAH 13 (2000) 67-90 (= id., Studien zur Sprachwelt des Alten Testaments II, Stuttgart -Berlin - Köln 2005, 77-96 KRAUSE M., Hebräisch. Biblisch-hebräische Unterrichtsgrammatik, herausgegeben von M. PIETSCH und M. RÖSEL, Berlin - New York 2008. LOHSE E., Die Texte aus Qumran. Hebräisch und deutsch. Mit masoretischer Punktation, Übersetzung, Einführung und Anmerkungen, Darmstadt 1964 MAIER J., Die Qumran-Essener: Die Texte vom Toten Meer, Band I: Die Texte der Höhlen 1-3 und 5-11, UTB 1862, München - Basel 1995. MAIER J., Die Qumran-Essener: Die Texte vom Toten Meer, Band II: Die Texte der Höhle 4, UTB 1863, München - Basel 1995. MAIER J., Die Tempelrolle vom Toten Meer und das »Neue Jerusalem«, UTB 829, München - Basel 31997. NICCACCI A., „The Biblical Hebrew Verbal System in Poetry“, in S. E. FASSBERG - A. HURVITZ (ed.), Biblical Hebrew in Its Northwest Semitic Setting. Typological and Historical Perspectives, Jerusalem - Winona Lake 2006, 247-268. V. PEURSEN W. Th., „Periphrastic Tenses in Ben Sira“, in T. MURAOKA - J. F. ELWOLDE (ed.), The Hebrew of the Dead Sea Scrolls and Ben Sira (STDJ 26), 1997. SCHNEIDER W., Grammatik des Biblischen Hebräisch, München 51982. WILLI-PLEIN I., „Das Geheimnis der Apokalyptik“, VT 27 (1977) 62-81. 43
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Bruno Chiesa Divagazioni tiberiensi
1. Nel mare dell’India, non lontano dallo Yemen – scriveva il poligrafo al-Masˁūdī1 –, vi è un’isola chiamata ‘isola della ragione’, e in essa si trovano acque chiamate ‘acque della ragione’; per questo, molti naviganti fanno rotta verso l’isola: tali acque, infatti, hanno un’eccezionale efficacia sul rinvigorimento di chi è dotato di ragione.
In realtà, al-Masˁūdī non diceva esattamente così,2 ma così gli fa dire il poeta andaluso Mosè Ibn Ezra (morto dopo il 1135),3 per aggiungere subito dopo: La stessa città di Tiberiade, per quanto si trovi nella provincia di Siria (waˀin kānat šāmiyya) – la sua aria e il suo lago, da cui si beve, sono speciali per l’affinamento della lingua, la sua purezza e il parlar fiorito.4
In altre parole, un’area della «Giordania» (al-ˀUrdun), una delle cinque province della Siria islamica (al-Šām),5 era equiparabile, secondo la teoria classica dei «climi», alla penisola arabica, considerata – quest’ultima – il migliore dei paesi, perché collocata nel migliore dei climi (il quarto sui sette canonici). Questa teoria sarà sottoscritta anche da Yehudah ha-Lewi (m. 1141 circa),6 come bene appare dalla risposta data al re dei Càzari, che aveva dichiarato senza mezzi termini di non avere mai sentito parlare di una qualche superiorità degli abitanti della Siria sulle altre popolazioni.7 Ma, mentre Yehudah ha-Lewi A Tiberiade nel 926 d. C. e morto probabilmente a Fusṭāṭ (Cairo Vecchia) nel 956 o 957; cfr. HUART, Littérature, 182-183. 2 Cfr. Prairies d’or, 35. – Del tutto casuale sarà il riapparire del concetto nel “Land des reinen Verstandes”, subito dopo qualificato come “Insel”, di I. KANT (cfr. Kritik der reinen Vernunft, edizione Hamburg 1956, 287) o ne L’Île de la raison di Pierre Carlet DE MARIVAUX (1727). 3 Sull’autore, cfr. DÍEZ MACHO, Mose ibn Ezra; ulteriore bibliografia in COHEN, Aesthetic, 282. 4 Kitāb al-muḥāḍara, ed. HALKIN, 30.68-72; ed. ABUMALHAM MAS, II, 34. 5 Cfr. MARMARDJI, Textes, 6. 6 Cfr. PIATTELLI, Khàzari. 7 Kūzarī II,19, ed. BANETH - BEN-SHAMMAI, 47s; cfr. ALTMANN, Torat ha-ˀaqlimim (ora accessibile anche in versione inglese, a cura di L. SCHRAMM: Theory of Climates). 1
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sottolineava, comprensibilmente, la centralità della terra d’Israele, nel passo di Mosè Ibn Ezra desta sorpresa la precisazione che il caso di Tiberiade è eccezionale («per quanto si trovi nella provincia di Siria»). Secondo N. ALLONY la ragione di questa ammissione a denti stretti sarebbe da ricercare nella situazione storica del tempo dell’autore, con le scuole masoretiche tiberiensi in declino e la Palestina in mano ai crociati.8 Checchè ne sia, è interessante seguire il ragionamento di Mosè Ibn Ezra, che così continua, senza un legame logico apparente: (… parlar fiorito), al punto tale che quanti dalla nostra diaspora si sono recati nel loro paese, intendo dire nel paese degli Arabi, e vi si sono stabiliti, hanno guadagnato una pronuncia più fluida, raffinato la lingua e ingentilito la propria poesia, perché si sono allontanati dall’aria umida della Siria per raggiungere l’aria del Ḥijāz, secca a confronto di quella.9
A riprova, l’autore ricorda come tra i poeti pre-islamici vi fossero personaggi dei quali (a lui) appariva indubbia l’appartenenza al giudaismo, come al-Samawˀal bin ˁĀdiyāˀ10 e altri. Ma dopo qualche divagazione su temi astrologici, Mosè Ibn Ezra ritorna all’«isola della ragione»: Gli Ismailiti, per il fatto di abitare su quell’isola già descritta e per lo stretto contatto con i paesi della Persia, dell’Iraq e della Siria, hanno ingentilito il proprio parlare, abbellito la poesia e raffinato l’eloquio, più ancora degli arabi puri, i Qaḥṭāniti, abitanti del deserto, che dimorano in tende, figli che Abramo ebbe da Qeṭurah, di cui è detto: Quanto ai figli delle concubine di Abramo (Gen. 25,6) – anche se noi non conosciamo se non quelle due, Hagar e Qeṭurah.11
In qualche modo Mosè Ibn Ezra è riuscito, quindi, a spostare quanto basta un dato geografico su cui poggiava la ˁarabīya12 e, pur ammettendo l’eccezionalità del caso, a recuperare tra i centri dell’elezione linguistica Tiberiade, la casa madre dei masoreti a cui si deve la sua, e nostra, Bibbia ebraica. L’impresa, del resto, non era così difficile. Già al-Yaˁqūbī (m. dopo l’872) aveva ricordato le acque calde di Tiberiade,13 capitale della Giordania (al-ˀUrdun).14 Dal canto suo, al-Muqaddasī (n. Gerusalemme nel 945) aveva più in generale sottolineato la temperatura media del clima della Siria e come essa si collegasse naturalmente al Ḥijāz, per aggiungere che l’efficacia terapeutica delle acque di Tiberiade era tale che, al tempo di Aristotele, il re della città era ALLONY, Reaction, 3s, con ulteriore bibliografia, in buona parte ora accessibile in ALLONY, Resurgimiento; su tutto il passo, cfr. anche CHIESA, Notizia, nonché ROTH, Jewish Reactions. 9 HALKIN 30.73-75; ABUMALHAM MAS, 34. 10 Cfr. MARGOLIOUTH, Relations, 71ss. 11 HALKIN 34, 7-11; ABUMALHAM MAS, 38. – Sui Qaḥṭāniti, cfr. KROPP, Geschichte. 12 Come dire la dottrina della superiorità della lingua araba; cfr. FÜCK, Arabiya. 13 Le qualità delle acque del lago erano ben note già a Giuseppe Flavio; cfr. Bellum 3, 506 (III, X, 7). 14 Kitāb al-buldān, ed. DE GOEJE, Leiden 1891, 327; traduzione francese in MARMARDJI, Textes, 5. 8
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stato costretto a far abbattere gli impianti in cui si curavano le più diverse malattie al fine di evitare che i medici restassero senza lavoro e pazienti. Al-Muqaddas" rilevava altresì che proprio a Tiberiade esisteva una scuola scribale di tradizione veneranda e – così come in Egitto – appannaggio esclusivo dei cristiani (sic!).15 Successivamente, e in termini più generali, al-Qazw"n" (m. 1283) riprenderà un dato della haggadah giudaica,16 ricordando come “il bene” fosse stato, a suo tempo, diviso in dieci parti, nove delle quali riservate alla Siria e una sola al mondo intero; “il male”, egualmente ripartito in dieci parti, assegnato per una sola parte alla Siria, il resto a tutta la terra, perché: La Siria è la terra santa, che Dio ha eretto a dimora dei profeti e dei giusti, e in luogo in cui discende la rivelazione. Il suo clima è eccellente, la sua acqua dolce. Gli abitanti sono i migliori in quanto a fisico e a morale, per l’aspetto e per i costumi.17
2. L’intrecciarsi di questi spunti leggendari può avere forse una qualche ricaduta sul problema dell’identificazione di un personaggio tradizionalmente collegato a Tiberiade, quell’Ibr#h"m al--abar!n,, che nell’anno 820 avrebbe sostenuto una disputa con ˁAbd al-Ra>m#n al-H#?im". Tutti i principali elementi autobiografici ricordati da questo personaggio, che si dichiara «della stirpe di Adamo, della famiglia di Qa>!#n, di Tiberiade di Siria, che abita in capanne (al-ˀakw!.), sorgente di scienza (ˁilm) e racconti (o: tradizioni, ˀa.b!r)», si ritrovano – come si vede – nell’esposizione, per quanto contorta, di Mosè Ibn Ezra, sicché è difficile sfuggire al sospetto che si tratti, anche in questo caso, di una ricostruzione di fantasia. Per contro, diventa pienamente comprensibile anche l’aggiunta che si ritrova nella recensione lunga del Dialogo, ovvero l’elogio fatto dall’emiro delle capacità oratorie del monaco, qualificato come fa%,$ wa-jayyid al-kal!m, «forbito e dal discorrere perfetto».18 A$san al-taq!s,m, 179.185s. (182 per gli scribi); MARMARDJI, Textes, 95.101; LE STRANGE, Palestine, 336 e 21-22 (alle p. 334-341 in traduzione inglese le principali fonti arabe su Tiberiade). Cfr. al-Muqaddasi, La migliore divisione. Apparentemente nessuna menzione di Tiberiade compare nei frammenti del Kit!b al-buld!n di al-J#>"@ (m. 869): cfr. PELLAT, Nouvel essai, 134, nr. *55 (ringrazio Francesca BELLINO per avermi indicato quest’opera). 16 Cfr. bQidd. 49b, sulle nove misure di bellezza assegnate a Gerusalemme, la sola restante al mondo. 17 /0!r al-bil!d, ed. WÜSTENFELD, 137; MARMARDJI, Textes, 106s. 18 Cfr. MARCUZZO, Le dialogue, § 20, p. 274-275 (e n. 16 per l’aggiunta, secondo il ms. di Parigi, ar. 215, f. 50v). MARCUZZO propende, invece, per la storicità del personaggio e identifica alˀakw!. con un toponimo ricordato in Y#q!t, Muˁjam I, 241, che lo definisce «località della regione di B#ni#s, poi di Damasco» (cfr. p. 108s). È difficile, comunque, che l’espressione «sor15
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3. Tra le altre figure leggendarie legate in qualche modo a Tiberiade – questa volta per le eccezionali doti di scriba e «lettore» – si può ancora ricordare il misterioso al-Ḫiḍr (o al-Ḫaḍir), a cui si allude già nel Corano (18:59-81).19 Abū Rifāˁa ˁUmāra b. Wathīma b. Mūsā b. al-Furāt al-Fārisī al-Fasawī, morto in Egitto nel 902, raccolse nel suo Libro sull’origine della creazione e le storie dei profeti tradizioni in parte già riunite dal padre, morto nell’851.20 Trattando del personaggio in questione, l’autore ricorda che egli fin dall’infanzia si distinse per una calligrafia senza pari e per l’espressività, ineguagliata, della lettura, tanto che il suo maestro, che proveniva da Tiberiade, affermò di non aver mai visto nulla di simile nel corso della propria vita. Quando poi il re ˁAmāˀīl bandì una gara per designare il più provetto degli scribi e ognuna delle mille città del suo regno selezionò il migliore dei propri scribi, la città di Tiberiade non trovò, tra tutti gli scribi che risiedevano in essa o nei dintorni, alcuno più bravo di al-Ḫiḍr. Inutile dire che il nostro risultò primo anche nella selezione generale, scoprendosi per giunta anche figlio del re. Il racconto ha, evidentemente, una coloritura tutta fiabesca, ma pare difficile non riconoscere nell’insistenza sulla rinomata scuola scribale tiberiense un’allusione alla scuola masoretica che rese famosa la città.21 4. Una vexata quæstio legata alle vicende storiche di tale scuola è l’affiliazione religiosa degli ultimi e più rappresentativi suoi adepti, la famiglia di masoreti ben Asher. Uno dei più strenui difensori della loro piena ortodossia, ovvero della loro appartenenza alla corrente rabbanita, anziché caraita, è A. DOTAN, il quale ha dedicato al tema una monografia non molto ampia, ma densa di argomentazioni.22 Tra gli argomenti addotti per provare tale tesi vi è la dimostrazione che il ben Asher contro il quale Saadia Gaon23 scrisse il poemetto ˀEśśa mešālī non è gente di scienza e racconti» si riferisca ad al-ˀakwāḫ e non, piuttosto, a Tiberiade. 19 Su questo personaggio e le sue metamorfosi in ambito islamico e giudaico, cfr. DE HOND, Beiträge, nonché TOTTOLI, Stories, spec. 105-106. 20 Cfr. LEVI DELLA VIDA, Manoscritti, 167; il testo è stato edito da KHOURY (Wiesbaden 1978); cfr. CHIESA, Fonti, 53s. 21 Il testo è nell’ed. cit., p. 6ss. La possibilità che il racconto contenga «una sorta di allusione alla scuola degli scribi (masoreti) di Tiberiade» era stata adombrata già da VAJDA, Rec. KHOURY, 142. 22 DOTAN, Creed. 23 Cfr. MALTER, Saadia Gaon; ROSENBLATT, Book of Beliefs.
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uno dei masoreti di Tiberiade, ma un qualche polemista caraita contemporaneo dell’autore stesso. In altri termini, non potendosi certo dimostrare che Saadia non scrivesse contro un caraita, si individua, quale destinatario della polemica, un caraita di nome ben Asher, che non fosse un masoreta. Ricerca non difficile, perché si ha memoria di un certo Samuel ben Asher ben Manṣūr, «conosciuto come Abū al-Ṭayyib al-Jabalī», caraita e non masoreta. La sola difficoltà è data dalla cronologia di tale personaggio: chi lo menziona, infatti, lo dice contemporaneo di Abū ’l-Faraj Hārūn,24 e poiché quest’ultimo terminò il suo Kitāb al-muštamil nel 1026 è difficile capire come Saadia (m. nel 942) possa averlo fatto bersaglio di un attacco personale. Per ovviare alla difficoltà, DOTAN propone di identificare il Samuel ben Asher ben Manṣūr, «conosciuto come Abū al-Ṭayyib al-Jabalī», con l’Abū alṬayyib, «soprannominato al-Jabalī», ricordato da Sahl b. Maṣliaḥ come uno dei confutatori di Saadia. E poiché Sahl b. Maṣliaḥ fu attivo nella seconda metà del sec. X,25 è da presumere che la sua informazione sia più attendibile di quella fornita da Ibn al-Hītī, l’autore della Cronaca dei dottori caraiti,26 del XV sec., da cui si desumeva l’altra cronologia. Il cerchio viene quindi a chiudersi in modo perfetto: Abbiamo così dimostrato chiaramente che Samuel ben Asher, conosciuto come Abū al-Ṭayyib al-Jabalī, fu un attivo polemista caraita, contemporaneo (e forse più vecchio) di Saadia Gaon. Da tutto ciò che sappiamo non c’è ragione per cui non dobbiamo ammettere che egli fosse il ben Asher contro il quale Saadia compose l’Essa meshali.27
Peccato che la cronologia di Ibn al-Hītī sia pienamente corretta: Abū al-Ṭayyib Samuel ben Asher ben Manṣūr è, difatti, il destinatario di un responsum del caraita Yūsuf al-Baṣīr, autore attivo nel primo terzo dell’XI sec.,28 come risulta ora da un manoscritto dello stesso secolo (!), conservato nella National Library of Russia di S. Pietroburgo tra i materiali delle collezioni Firkovich.29 Naturalmente si può anche scrivere che, alla fin fine, «il problema dell’identità della persona contro cui Saadia abbia scritto l’Essa meshali non ha peso per il punto principale della discussione»: quel che conta è l’aver provato che Aharon ben Asher e suo padre Mosè non erano caraiti.30 Basterebbe provarlo, appunto, e con argomenti più solidi.31 Su questo autore caraita cfr. da ultimo: KHAN - ÁNGELES GALLEGO - OLSZOWY-SCHLANGER. DOTAN, Creed, 84. 26 MARGOLIOUTH, Chronicle. 27 DOTAN, Creed, 64; le conclusioni di DOTAN sono state accolte da GIL, History, 182 (cfr. anche p. 179). 28 Cfr. VAJDA, Muḥtawī, 4. 29 St. Petersburg, National Library of Russia, II Firkovich Coll., Arab.-Yevr. 33, f. 1r; cfr. SKLARE, Judaeo-Arabic, 108. 30 DOTAN, Creed, 85. 31 Per un quadro sicuramente più attendibile, e avvincente, della questione del caraismo e i 24 25
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5. Per avviare a conclusione questa serie di aneddoti, che intendono colmare in qualche misura una raccolta più ampia di fonti sulla storia della scuola masoretica di Tiberiade,32 diamo notizia di un’ulteriore testimonianza circa la purezza della locale tradizione di lettura del testo biblico. A parlare (verso il 938 d. C.) è, questa volta, il caraita irakeno Ya‘qūb alQirqisānī, nel suo commento a Gen 49,21: Neftali … cerva libera e veloce. Con queste parole si alluderebbe alla preminenza dei figli di Neftali tra le altre tribù «per l’impareggiabilità del parlar forbito e del discorrere squisito». Altri vorrebbero, invece, vedervi un’allusione a Baraq figlio di Abinoam, che si scagliò contro Sisera (Gdc 4,16), così come con l’espressione «parole bellissime» (della fine del versetto) si alluderebbe al Canto di Debora (e Baraq) di Gdc 5,1-31. Un altro autore, però – continua al-Qirqisānī –, propone di intendere quest’ultima come un riferimento alla «lettura e recitazione (tilāwa) della Scrittura propria della gente di Tiberiade, perché Tiberiade è parte del retaggio di Neftali e la loro lettura della Scrittura è la più bella e la più corretta».33 Bruno Chiesa Università di Torino
masoreti si veda DRORY, Models; DRORY, Le rôle. 32 Cfr. CHIESA, Emergence (uno dei pochi scritti che abbia retto alle critiche di BARTHÉLEMY: cfr. Critique, xvi s). La documentazione letteraria ed epigrafica di età greca, romana e bizantina sulla città è stata adeguatamente studiata da ADINOLFI, Il lago, e da CAMPAGNANO DI SEGNI, Tiberiade; per i riferimenti alla città nelle fonti rabbiniche, cfr. SPERBER, City, p. 196 dell’indice, s. v. Tiberias; sempre fondamentale BALDI, Enchiridion. 33 S. Pietroburgo, National Libr. of Russia, II Firkovich Y.-A. I.4529, f. 101v (recensione breve del Kibāb al-riyāḍ). – Di ḥusn qirāˀat shèveṭ Naftali, ovvero della «eccellenza della lettura della tribù di Naftali», in specie della gente di Tiberiade, parla in riferimento allo stesso passo l’anonimo compilatore di un commento alla Genesi (S. Pietroburgo, National Libr. of Russia, II Firkovich Y.-A. I.1907, f. 2r), non senza rilevare la diversità di opinioni tra i commentatori e palesare la propria preferenza per un collegamento con Debora e Baraq. – Da ultimo, si può ricordare quanto scritto nel Sefer Pitron Torah (URBACH, 343), databile tra la fine del IX e l’inizio del X sec: «Tiberiade usa nella (lettura della) Torah un linguaggio chiaro più di chiunque al mondo, dacché essi hanno una pronuncia gradevole»; cfr. anche BEIT-ARIÉ, מבוא, 5-28.
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Matteo Crimella Il Signore vede il cuore! Fra analisi sintattica e narratologia: Il caso di 1 Sam 16,1-13
I. L’analisi sintattica Fra i molti contributi del professor Alviero NICCACCI nei vari campi degli studi biblici, indubbiamente spiccano i suoi saggi sulla sintassi ebraica1. Prendendo le mosse dalla teorizzazione di WEINRICH, il nostro festeggiato ha studiato la prosa dell’Antico Testamento, mettendone a punto il sistema sintattico. Tre sono gli aspetti posti in luce dalle sue ricerche: anzitutto l’attitudine linguistica (raccontare o commentare); poi la messa in rilievo (distinguendo il piano principale della narrazione e lo sfondo); infine la prospettiva linguistica (ovverosia l’informazione recuperata, il grado zero e l’informazione anticipata). Non è inutile offrire qui di seguito una breve sintesi del suo metodo. Nella prima fase occorre determinare l’attitudine linguistica, se cioè la proposizione appartenga al mondo narrato o al mondo commentato: il mondo narrato è caratterizzato dalla presenza della terza persona, mentre il mondo commentato (o discorso diretto) è dominato dalla prima e dalla seconda persona2. Osserva NICCACCI: «In ebraico la forma verbale della narrazione è il WAYYIQTOL, mentre lo YIQTOL è la forma principale del discorso. WAYYIQTOL e YIQTOL sono perciò le forme fondamentali della prosa ebraica (non YIQTOL e QATAL come suppongono le grammatiche tradizionali), in quanto esse vengono identificate dall’opposizione mondo narrato (WAYYIQTOL) – mondo commentato o discorso (YIQTOL)»3. A questa prima fondamentale distinzione ne segue una seconda: occorre individuare se la proposizione sia di tipo verbale o nominale. Le proposizioni 1 Esprimo un vivissimo ringraziamento alla comunità dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme (e in particolare al decano padre G. C. BOTTINI, ofm) la cui ospitalità nei mesi estivi del 2010 mi ha permesso di preparare il presente contributo. 2 Cf. WEINRICH, Tempus, 18-21. 3 NICCACCI, Sintassi, 18.
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verbali sono caratterizzate dal verbo in prima posizione (wayyiqtol, weqatal, weyiqtol e forme volitive in prima posizione), mentre le proposizioni nominali hanno un elemento non verbale in prima posizione (sostantivi, pronomi, congiunzioni, etc.). Queste ultime si dividono ulteriormente: abbiamo una proposizione nominale semplice laddove vi sono unicamente forme nominali (fra cui anche participi e infiniti); abbiamo invece una proposizione nominale complessa dove c’è un verbo ma non in prima posizione (quest’ultima categoria vede i costrutti x-yiqtol e x-qatal, dove x indica l’elemento non verbale in prima posizione). V’è un’ulteriore distinzione riguardante la messa in rilievo della proposizione (primo piano o sfondo) e la sua prospettiva linguistica (informazione recuperata o linea principale della comunicazione o informazione anticipata), in relazione al progredire della comunicazione testuale4. Di norma la linea principale della narrazione vede una catena di wayyiqtol, mentre le altre proposizioni verbali e nominali comunicano informazioni di secondo piano o di sfondo. Nel discorso, invece, il primo piano è indicato con x-yiqtol indicativo, forme volitive, (x)-qatal e la proposizione nominale semplice, mentre lo sfondo è segnalato da una proposizione nominale semplice (laddove si vuole indicare una circostanza contemporanea) e da waw-x-qatal (quando v’è una circostanza anteriore). Circa le forme di secondo piano (o di sfondo) NICCACCI afferma: «nella narrazione l’informazione recuperata (retrospezione o antefatto) è espressa con WAW-x-QATAL iniziale, il grado zero con WAYYIQTOL, […] l’informazione anticipata con YIQTOL»5. Invece nel discorso «Si usa QATAL retrospettivo, solo oppure preceduto da kî, ˀăšer, ecc., per l’informazione recuperata; YIQTOL (iussivo), imperativo, forme volitive, o proposizione nominale semplice per il grado zero; YIQTOL (indicativo), weQATAL, proposizioni finali, ecc. per l’informazione anticipata»6. La teorizzazione di NICCACCI oltre che essere un interessante strumento euristico per l’analisi sintattica della prosa biblica, si presta pure ad essere un’ottima base di partenza per lo studio del punto di vista, all’interno di un’indagine tipicamente narrativa. Bisogna però introdurre, sia pur brevemente, i termini della discussione a proposito della focalizzazione o punto di vista.
4 Afferma WEINRICH, Tempus, 56-57: «Über die Regulierung der Sprechhaltung durch die Tempus-Gruppen der besprochenen und der erzählten Welt hinaus sind im Tempus-System Unterscheidungen angelegt, die eine Orientierung im Verhältnis zur Textzeit ermöglichen. Sie erlauben insbesondere eine relativ freie Verfügung über die Textzeit. Es kann nämlich auf diese Weise Information entweder nachgeholt oder vorweggenommen werden». 5 NICCACCI, Sintassi, 76. 6 NICCACCI, Sintassi, 82.
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II. La focalizzazione o «punto di vista» Lo studio del punto di vista7 deve molto alla teorizzazione di GENETTE, che ha dominato per più di trent’anni8. Punto di partenza della riflessione del linguista francese è la domanda: chi vede nella narrazione e come vede? Oppure: con lo sguardo di chi il narratore sceglie di far vedere l’azione? E, di riflesso: chi percepisce ciò che sta accadendo, cioè l’avvenimento nel racconto? A partire da queste domande GENETTE distingue tre punti di vista (o focalizzazioni). Anzitutto la focalizzazione zero (o discorso non focalizzato): il narratore esce dai confini spazio-temporali entro i quali si svolge l’azione e offre un’informazione che non è percepibile rimanendo all’interno del racconto; il narratore ne sa più del personaggio. V’è poi la focalizzazione interna: il narratore accede all’interiorità del personaggio, rivelando che cosa pensa e/o desidera; il narratore ne sa come il personaggio. Infine v’è la focalizzazione esterna: essa corrisponde a ciò che ogni spettatore della scena è in grado di osservare; si tratta di una visione “dal di fuori” o “esterna” (esterna al personaggio, non alla scena) e inferiore rispetto a quello che può sapere un personaggio; il narratore ne sa meno del personaggio. Tale classificazione si è imposta, pur non mancando gli echi critici. L’affondo più significativo è venuto da BAL che ha rimproverato a GENETTE di non distinguere fra il soggetto della focalizzazione (focalizor) e l’oggetto della focalizzazione (the focalized object)9. In altre parole, il linguista francese si limiterebbe ad individuare il punto di vista che scaturisce dal narratore, senza riuscire a spiegare come e con quali modalità il narratore deleghi il suo punto di vista ai personaggi del suo racconto oppure lo assuma come un’affermazione propria. Nel pertugio aperto dalla BAL s’inserisce la più ampia riflessione di RABATEL. Il linguista di Lione ha elaborato una teoria del punto di vista che prende le mosse proprio dalla distinzione fra focalizzatore e focalizzato. Egli, in particolare, rifiuta la tesi GENETTEiana che vi sia un punto di vista esterno e un punto di vista zero10. La sua definizione è totalmente inclusiva:
Cf. la rassegna panoramica di MARGUERAT, Le point de vue, 97-102. Cf. GENETTE, Figures III, 206-211. La sua teoria è entrata anche nei manuali di analisi narrativa della Bibbia: cf. SKA, Our Fathers, 65-81. 9 Cf. BAL, Narratology, 142-161. 10 Afferma: «La définition de la focalisation externe a toujours posé problème : les considérations nombreuses et, surtout, fluctuantes, autour de ce soi-disant type “neutre“, “objectif“, “impartial“ témoignent des difficultés à définir son statut. Ce qui frappe le spécialiste, c’est d’abord l’absence de critères contrastifs linguistiques discriminant les différents types de focalisation, cette absence se faisant particulièrement sentir pour la focalisation zéro» (RABATEL, L’introuvable focalisation, 88; corsivi dell’autore). L’opera teoreticamente più impegnativa è: RABATEL, La construction textuelle. 7 8
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On nommera point de vue tout ce qui, dans la référenciation des objets (du discours) révèle, d’un point de vue cognitif et axiologique, une source énonciative particulière et indique, explicitement ou implicitement, ses représentations, et, éventuellement, ses jugements sur les référents.11
Secondo RABATEL v’è sempre un punto di vista perché il discorso enuncia sempre una percezione della realtà. In altre parole egli si congeda dall’idea di una neutralità enunciativa mentre difende la tesi che pure laddove il racconto sviluppa il punto di vista di un personaggio, esso costituisce contemporaneamente il punto di vista del narratore sul personaggio e sul punto di vista del personaggio, dando luogo ad una dissolvenza incrociata (fondu enchaîné). La differenza dei punti di vista si evince dalla presenza di alcuni segnali linguistici che denotano o connotano l’istanza enunciativa all’origine della referenziazione. Parole, pensieri, percezioni possono essere rapportati e/o rappresentati secondo schemi sintattici ed enunciativi identici. Proprio a questo livello l’elaborazione di RABATEL s’intreccia con le prospettive di WEINRICH e dunque di NICCACCI a proposito della prosa biblica. Il linguista francese offre la seguente classificazione: v’è anzitutto un punto di vista raccontato che corrisponde allo svolgersi dei fatti a partire dalla prospettiva di uno degli attori dell’enunciato (personaggio o narratore), senza pertanto ch’egli si esprima. Il segnale linguistico è il racconto in primo piano: la narrazione appare essere obiettiva e nasconde quasi interamente l’enunciatore. Si tratta cioè di un punto di vista embrionale, minimale, quasi assente. V’è poi un punto di vista rappresentato che permette al narratore di descrivere con parole sue (come locutore) le percezioni e i pensieri dei personaggi che ne sono la fonte enunciativa ma che rimangono quasi mascherati dietro il racconto. Si realizza dunque una disgiunzione fra il locutore e l’enunciatore. Il segno più evidente è il passaggio al racconto in secondo piano. Infine il punto di vista asserito corrisponde al discorso diretto i cui segnali linguistici sono più facilmente riconoscibili. Va aggiunta ancora un’osservazione: non è immediato distinguere fra il punto di vista del personaggio e quello del narratore, soprattutto perché la voce del narratore è sempre presente. Spesso si crea una vera e propria polifonia, cioè una dissolvenza incrociata di punti di vista: qualunque sia la forma del punto di vista (raccontato, rappresentato e asserito) e il soggetto del punto di vista, il narratore è dappertutto in sovrimpressione. Sulla base di questo breve duplice schizzo teorico, lo studio della pericope dell’unzione di Davide (1 Sam 16,1-13) mostrarà come l’analisi sintattica secondo il metodo linguistico-testuale sviluppato da NICCACCI si rivela essere un ottimo supporto per la ricerca del punto di vista secondo il modello posto in luce da RABATEL12. 11 12
RABATEL, Points de vue, 23. Istruttivi i contributi di WÉNIN che applicano ai racconti biblici le categorie di RABATEL:
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III. L’unzione di Davide (1 Sam 16,1-13) Dopo la campagna contro Amalek e la disobbedienza a Dio (1 Sam 15,1-9), il re Saul viene respinto dal Signore (v. 10-23); Saul implora invano il perdono da Samuele (v. 24-31); la divergenza fra re e profeta è tale che il veggente arriva a uccidere di spada il re Agag (v. 32-33). A questo punto le strade di Saul e di Samuele si dividono. E tuttavia il racconto non manca di osservare che non v’è solo una rottura fra il re e il profeta; la decisione di Dio a proposito di Saul rattrista il profeta, al punto che si delinea una sorta di spaccatura fra Samuele e il Signore (v. 34-35). 1. Esposizione (v. 1)13
v. 1
מוּאל ֵ֗ ל־שׁ ְ הוה ֶא ֜ ָ ְאמר י ֶ ֹ וַ ֨יּ
E disse YHWH a Samuele:
a
ל־שׁ ֔אוּל ָ תי ַא ָתּ ֙ה ִמ ְת ַא ֵבּ֣ל ֶא ֙ ַ ד־מ ָ ַע
b
ַעל־יִ ְשׂ ָר ֵ ֑אלAC֖ וַ ֲא ִנ֣י ְמ ַא ְס ִ֔תּיו ִמ ְמּ
c
ֶ֗שׁ ֶמןH֜ ְַמ ֨ ֵלּא ַק ְרנ
d
A֤וְ ֵל
e
ית־ה ַלּ ְח ִ֔מי ַ ֶאל־יִ ַ ֣שׁי ֵ ֽבּH֙ ֶ ֽא ְשׁ ָל ֲח
f
׃Aיתי ְבּ ָב ָנ֛יו ִ ֖לי ֶ ֽמ ֶל ִ י־ר ִ ֧א ָ ִ ֽכּ
g
«Fino a quando tu farai lutto su Saul mentre io l’ho rifiutato dal regnare su Israele? Riempi il tuo corno di olio, e va’, voglio mandarti da Iesse il Betlemmita, perché tra i suoi figli ho visto un re per me».
Il locutore dell’esposizione del racconto è la voce narrativa che si mostra fin dall’inizio onnisciente, rivelando di conoscere le parole del Signore a Samuele. Il sintagma la, rma (nella tipica forma narrativa in wayyiqtol) introduce un discorso riportato e indirizzato che corrisponde al punto di vista asserito del locutore. Chiari i segnali enunciativi: il pronome personale (hT'a;) rinvia al destinatario del discorso; l’avverbio temporale (yt;m'-d[;)14 e il participio (lBea;t.mi) manWÉNIN, Marques linguistiques; id., Le point de vue. 13 Il testo e la traduzione sono disposti graficamente in modo differenziato per evidenziare a colpo d’occhio i vari livelli: | Linea principale della narrazione ↑ Sfondo | Linea secondaria (antefatto) | Discorso diretto La strutturazione del testo è secondo lo schema quinario (cf. MARGUERAT-BOURQUIN, Pour lire, 58-66), ponendo in luce la moltiplicazione di “complicazioni”. 14 Commenta HABEL, The Form, 312: «Moreover, the expression ytm d[ normally implies a
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tengono il discorso nel presente, riprendendo quanto il narratore aveva già detto a proposito del profeta (15,35): Samuele fa lutto per Saul. E tuttavia a rivelare le azioni del profeta è lo stesso Signore mediante il rimprovero. In contrapposizione al lutto15 del profeta, un waw-x-qatal segnala un ritorno indietro nel tempo, ovverosia un’analessi che introduce un secondo piano, recuperando un contenuto proposizionale già offerto precedentemente (cf. 15,26); così il locutore (il Signore) ribadisce la scelta già compiuta e sulla quale non intende tornare. Né il narratore prima (15,35) né il Signore ora (16,1) esplicitano il motivo del lutto del profeta. Una tale ritenzione d’informazione, invece di essere colmata con varie ipotesi di ordine storico o psicologico16, ha da essere compresa anzitutto come strategia narrativa17. Ciò infatti che risulta è la divaricazione tra il profeta e Dio, facendo crescere l’attesa per quanto avverrà. I verbi all’imperativo (aLem; e %le) e in forma volitiva (^x]l'v.a,), poi, dirigono l’attenzione ancora su Samuele che, nonostante lo scacco, è nuovamente chiamato in gioco dallo stesso Signore. Con una nuova proposizione x-qatal si ritorna su un’informazione di livello secondario del discorso diretto che esprime la motivazione del nuovo incarico del veggente e rappresenta, narrativamente, la soluzione del problema benché ancora indeterminata: il Signore ha visto18 un re. «Non sarà dunque il “che cosa” succederà a mantenere la tensione narrativa a livello stilistico, ma il “come”»19. In altre parole non si tratterà di un intreccio di risoluzione (dove l’azione trasformatrice opera a livello pragmatico) tone of indignation rather than of tenderness». L’espressione è tipica dei rimproveri profetici: 1 Sam 1,14 (Eli rimprovera Anna per la sua presunta ubriachezza); 1 Re 18,21; Ger 4,14.21; Zac 1,12 (cf. KESSLER, Narrative Technique, 547, n. 21). 15 Il verbo lba all’hitpael ha il senso di «fare lutto» (cf. HALOT, 7); precisa BAUMANN, lb;a', in ThWAT I, 48-49: «Im Bereich des Gerichts bzw. der Gerichtsdrohung wird lba immer im Hinblick auf eine mögliche Wendung der Dinge vollzogen. […] Auch 1 Sam 15, 35; 16, 1 wird von hier aus zu verstehen sein». 16 Scrive POLZIN, Samuel, 154: «God had rejected someone whom Samuel had so successfully molded to his own power-driven specifications». 17 Come osserva FOKKELMAN, Narrative Art, 115: «The reader’s imagination fills in the text which itself leaves a blank here». 18 Compare qui per la prima volta il verbo har: il suo significato fondamentale è «vedere», anche se il verbo può indubbiamente anche assumere il senso di «scegliere, eleggere» (cf. HALOT, 1159); tuttavia si preferisce il primo significato (senza escludere il secondo) perché tutto l’episodio è giocato sulla differenza fra il vedere di Dio e il vedere di Samuele. Annota ALTER, The Art, 148-149: «The verb “chosen” (raˀho be) points neatly in two thematic directions. It is an antonym of “reject” (maˀos be) and “to choose not” (loˀ baḥor be), which function as Leitwörter referring both to the turning away of Saul and the choices not to be made among Jesse’s sons. At the same time, the literal meaning of the idiom is “to see in”, and the verb “to see” will be the other dominant thematic key-word of the story». 19 VIRONDA, Gli inizi, 265-266. Conviene ricordare la definizione offerta da BARONI, La tension narrative, 18: «La tension est le phénomène qui survient lorsque l’interprète d’un récit est encouragé à attendre un dénouement, cette attente étant caractérisée par une anticipation teintée d’incertitude qui confère des traits passionnels à l’acte de réception».
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ma di un intreccio di rivelazione (in cui v’è un aumento di conoscenza)20. Ricorrendo al linguaggio degli “universali narrativi” si può parlare di curiosità21: un elemento del passato (la scelta del nuovo re) sfugge al lettore perché il narratore ha deciso di passarlo sotto silenzio, mettendo in moto una ricerca basata sulle inferenze. 2. Prima complicazione (v. 2-4b)
v. 2
֙מוּאל ֵ אמר ְשׁ ֶ ֹ וַ ֤יּ
E disse Samuele:
a
A ֵא ֔ ֵלAֵ ֣אי
b
וְ ָשׁ ַ ֥מע ָשׁ ֖אוּל
c
וַ ֲה ָר ָג֑נִ י
d
«Come potrò andare? Certamente Saul sentirà e mi ucciderà».
e
הוה ֗ ָ ְאמר י ֶ ֹ וַ ֣יּ
E disse YHWH: Hֶעגְ ַל֤ת ָבּ ָק ֙ר ִתּ ַ ֣קּח ְבּיָ ֶ ֔ד
f
וְ ָ ֣א ַמ ְר ָ֔תּ
g
אתי׃ ִ יהו֖ה ָ ֽבּ ָ ִלזְ ֥בֹּ ַח ַ ֽל
h
«Una giovenca dell’armento prenderai nella tua mano e dirai: “Per sacrificare a YHWH sono entrato”!
v. 3
את ְליִ ַ ֖שׁי ַבּ ָזּ ַ֑בח ָ וְ ָק ָ ֥ר
E chiamerai Iesse al sacrificio,
a
ר־תּ ֲע ֶ֔שׂה ַ ֵ ֣את ֲא ֶ ֽשׁH֙ אוֹד ֲיע ֽ ִ וְ ָ ֽאנ ִֹ֗כי
b
׃Hוּמ ַשׁ ְח ָ ֣תּ ֔ ִלי ֵ ֥את ֲא ֶשׁר־א ַ ֹ֖מר ֵא ֶ ֽלי ָ
c
mentre io ti farò conoscere quanto dovrai fare e ungerai per me colui che ti dirò». v. 4
הוה ֔ ָ ְשׁר ִדּ ֶבּ֣ר י ֣ ֶ מוּאל ֵ ֚את ֲא ֵ֗ וַ ַיּ ַ֣עשׂ ְשׁ
E fece Samuele quanto aveva detto YHWH
a b
וַ ֖יָּב ֹא ֵבּ֣ית ָל ֶ֑חם
ed entrò in Betlemme.
Cf. MARGUERAT-BOURQUIN, Pour lire, 80-81. Cf. la teorizzazione di STERNBERG, Expositional, 65: «Suspense derives from a lack of desired information concerning the outcome of a conflict that is take place in the narrative future; […] curiosity is produced by a lack of information that relates to the narrative past». «For surprise, however, the narrative first unobtrusively gaps or twists its chronology, then unexpectedly discloses to us our misreading and enforces a corrective rereading in late re-cognition» (id., How Narrativity, 117). 20 21
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Il narratore riprende la linea principale del racconto, introducendo la risposta di Samuele. La domanda diretta del veggente (v. 2b-d) ha la forma dell’obiezione e introduce un ulteriore elemento di tensione, legato al pericolo della sua stessa vita22. Occorre osservare che il profeta si sente minacciato da Saul, non dal re: l’utilizzo del nome proprio invece che del titolo regale, segnala che il veggente, nonostante la sua interiore opposizione, ha accettato l’inappellabile decisione di Dio. La risposta divina all’obiezione di Samuele introduce un nuovo punto di vista asserito del Signore e dunque un nuovo cambio di locutore. Narrativamente l’intervento di Dio ha una duplice funzione: da una parte rappresenta l’azione trasformatrice che supera la prima complicazione, dall’altra fa avanzare il racconto introducendo una novità: l’unzione di uno dei figli di Iesse (già annunciata nel primo ordine [v. 1]) avverrà nel contesto di un sacrificio. La precisazione tuttavia non chiarisce l’identità del futuro re che rimane ancora sconosciuta. La linea principale del discorso diretto del Signore è interrotta da una proposizione di tipo waw-x-yiqtol (v. 3b) che esprime contemporaneità ma pure un sottile contrasto con quanto è stato detto precedentemente: l’accento cade sul pronome personale ykinOa' che rimanda solennemente al locutore23. A guidare tutta l’azione è il Signore: Samuele dovrà semplicemente agire di conseguenza24. L’enfasi sul ruolo da protagonista del Signore è ribadito da un altro segnale enunciativo, il complemento preposizionale yli (v. 3c) che richiama quanto già detto al v. 125. Il comando del Signore pone non pochi problemi; se dal punto di vista narrativo esso rappresenta l’azione trasformatrice, la sua interpretazione è discussa. Non pochi commentatori moderni parlano di “sotterfugio” per proteggere il profeta26; e tuttavia i commentatori ebrei medievali erano di tutt’altro avviso. Kimchi, menzionando l’interpretazione del midrash, pone in bocca al Signore questa espressione: «$twa grwh ym harnw ayshrpb $l»27. In altre parole: a fronte del timore di Samuele Dio ordina al profeta di compiere un sacrificio pubblico, così che l’unzione del nuovo re sia “ufficiale”. 22 Notevoli sono i parallelismi fra l’obiezione di Samuele e quella di Mosè (Es 3): 1. ambedue sono inviati: ^x]l'v.a, %lew> (1 Sam 16,1) e ^x]l'v.a,w> hk'l. hT'[;w> (Es 3,10); 2. v’è l’obiezione del chiamato: %leae %yae (1 Sam 16,2) e %leae yKi ykinOa' ymi (Es 3,11); 3. ricorre il motivo del sacrificio: ytiaB' hw"hyl; x:Boz>li (1 Sam 16,2) e hw"hyl; hx'B.z>nIw> (Es 3,18). Cf. HABEL, The Form, 297-305. 23 Come nota COSTACURTA, Con la cetra, 35: «Il pronome “io” è sovrabbondante per la sintassi ebraica, e perciò enfatico, sottolineando l’iniziativa di Dio e il fatto che tutto si deve risolvere tra Lui e il re». 24 Commenta FOKKELMAN, Narrative Art, 116: «This pair [v. 3bc] tresses the relationship of Samuel with his God, assumes his obedience, and pacifies him concerning his task: God himself assists him». 25 I due valori di dativus commodi e dativus possessoris sembrano essere entrambi pertinenti (cf. GKC, § 119 r-s). 26 Così SMITH, A Critical, 144. 27 83 ,twlwdg twarqm ,!hk.
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Col passaggio (v. 4a) alla linea principale della narrazione (per mezzo di una proposizione con wayyiqtol), la parola ritorna alla voce narrativa che annuncia l’esecuzione dell’ordine da parte del profeta. Se la prima complicazione ha trovato la sua soluzione per mezzo dell’azione trasformatrice (l’ordine del Signore), l’esecuzione di Samuele si realizza solo a metà. Allorché egli entra a Betlemme il narratore introduce una seconda complicazione. E tuttavia proprio l’esecuzione dei comandi divini (sintetizzati dal verbo f[;Y:w:, con una notevole accelerazione del racconto), pone finalmente il profeta in sintonia con la volontà di Dio28. 3. Seconda complicazione (v. 4c-5) אתוֹ ֔ יר ִל ְק ָר ֙ וַ יֶּ ֶח ְר ֞דוּ זִ ְק ֵנ֤י ָה ִע
Gli anziani della città vennero incontro a lui trepidanti
v. 4
c d
אמר ֶ ֹ וַ ֖יּ
e si disse29:
e
׃Hבּוֹא ֽ ֶ םC֥ ָשׁ
«Pace il tuo entrare»30?
v. 5
אמר ׀ ֶ ֹ וַ ֣יּ
E disse:
a
ָשׁ ֗לוֹם
b
אתי ִ ִלזְ ֤בֹּ ַח ַ ֽליהוָ ֙ה ָ֔בּ
c
ִ ֽה ְת ַק ְדּ ֔שׁוּ
d
אתם ִא ִ ֖תּי ַבּ ָזּ ַ֑בח ֥ ֶ וּב ָ
e
«Pace. Per sacrificare a YHWH sono entrato. Santificatevi, così entrerete con me al sacrificio»! ת־בּ ָ֔ניו ָ שׁי וְ ֶא ֙ ַ ִוַ יְ ַק ֵ ֤דּשׁ ֶאת־י
f
וַ יִּ ְק ָ ֥רא ָל ֶ ֖הם ַל ָזּ ַֽבח׃
g
E fece santificare Iesse e i suoi figli e li chiamò al sacrificio.
Continua la catena di wayyiqtol nella linea principale del racconto in bocca al narratore. È introdotta una seconda complicazione, proveniente dagli anziani di Betlemme, la quale corrisponde pure ad un rallentamento narrativo che fa crescere la suspense. Ancora una volta non è detto il motivo della trepidazione Cf. VIRONDA, Gli inizi, 268. Alcuni manoscritti hanno il plurale che sembrerebbe più coerente. GKC, § 144 d, lo interpreta come un impersonale. 30 La Septuaginta aggiunge a questo punto o` ble,pwn, variante attestata anche a Qumran: harh (4QSamb 4,4). 28 29
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timorosa degli anziani, come non si diceva da che cosa fosse causato il lutto di Samuele31. È possibile un’inferenza a partire da una costante dei capitoli precedenti: allorché Samuele si sposta (cf. 13,10.13-14; 15,12.13.15-23) v’è sempre un giudizio nei confronti della realtà (là la monarchia)32. Diventa così forse comprensibile il timore degli anziani a fronte della visita del profeta33. Se la risposta che Samuele offre agli anziani risolve subito la complicazione creatasi con il suo arrivo, l’ordine del profeta inizia a dare attuazione al comando ricevuto da Dio (cf. v. 2h). In realtà dopo il dialogo fra gli anziani e il veggente, il passaggio alla linea principale del racconto (v. 5fg) rappresenta un restringimento del campo d’azione del profeta: degli anziani e degli abitanti di Betlemme non si dirà più nulla; tutta l’attenzione si concentra su Iesse e i suoi figli. 4. Terza complicazione (v. 6-10)
v. 6
בוֹאם ָ֔ וַ יְ ִ ֣הי ְבּ
E avvenne che, nel loro entrare,
a
יאב ֑ ָ ת־א ִל ֱ וַ ַיּ ְ֖ רא ֶא
b
אמר ֶ ֹ וַ ֕יּ
c
vide Eliab e disse:
d
יחוֹ׃ ֽ הו֖ה ְמ ִשׁ ָ ְ ֶנ֥ גֶ ד יAַ ֛א
«Certamente è di fronte a YHWH il suo unto»! מוּאל ֵ֗ ל־שׁ ְ הוה ֶא ֜ ָ ְאמר י ֶ ֹ וַ ֨יּ
Ma disse YHWH a Samuele:
v. 7
a
b «Non prestare attenzione al suo aspetto e all’altezza della sua statura ִ ֣כּי ְמ ַא ְס ִ ֑תּיהוּ c perché l’ho rifiutato, ִ ֣כּי ׀ ֗ל ֹא ֲא ֶ ֤שׁר יִ ְר ֶא ֙ה ָה ָא ָ ֔דם d perché non [è] ciò che vede l’uomo; קוֹמ ֖תוֹ ָ ל־מ ְר ֵ ֛אהוּ וְ ֶאל־גְּ ֥בֹ ַהּ ַ ל־תּ ֵבּ֧ט ֶא ַ ַא
31 I commentari propongono diverse soluzioni: HERTZBERG, Die Samuelbücher, 105-106, afferma: «Der Empfang durch die Ältesten, die weit mehr geängstigt als geehrt erscheinen, mag darauf beruhen, daß sie von dem Zerwürfnis zwischen Samuel und Saul wissen und fürchten, Unannehmlichkeiten zu bekommen, wie später die Bewohner der Priesterstadt Mob». Di diversa opinione è KLEIN, 1 Samuel, 160: «Their trembling may reflect their general reverence for Samuel, […] but it also shows a good deal of apprehension». 32 Cf. VIRONDA, Gli inizi, 269. 33 Diversa, ma a nostro avviso meno fondata, l’interpretazione di CAQUOT-DE ROBERT, Les livres, 188: «La crainte manifestée par les anciens de Bethléem veut évoquer probablement le caractère extraordinaire de la mission de Samuel (cf. 21. 2). Par ailleurs, le rôle de celui-ci dans la célébration du sacrifice et l’insistance sur la sanctification rituelle le font apparaître sous des traits sacerdotaux».
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Matteo Crimella ִ ֤כּי ָ ֽה ָא ָד ֙ם יִ ְר ֶ ֣אה ַל ֵע ַ֔יניִ ם
e
יהו֖ה יִ ְר ֶ ֥אה ַל ֵלּ ָ ֽבב׃ ָ ַו
f
l’uomo infatti guarda negli occhi34 ma YHWH vede il cuore»35.
v. 8
ל־א ִ ֣בינָ ָ ֔דב ֲ שׁי ֶא ֙ ַ ִוַ יִּ ְק ָ ֤רא י
Iesse chiamò Abinadab
a
מוּאל ֑ ֵ וַ יַּ ֲע ִב ֵ ֖רהוּ ִל ְפ ֵנ֣י ְשׁ
b
אמר ֶ ֹ וַ ֕יּ
c
e lo fece passare davanti a Samuele, e [questi] disse:
d
הוה׃ ֽ ָ ְא־ב ַ ֥חר י ָ ֹ ם־בּ ֶז֖ה ֽל ָ ַגּ
«Nemmeno costui ha scelto YHWH»!
v. 9
וַ יַּ ֲע ֵ ֥בר יִ ַ ֖שׁי ַשׁ ָ ֑מּה
Iesse fece passare Sammà,
a b
אמר ֶ ֹ וַ ֕יּ
e [Samuele] disse:
c
הוה׃ ֽ ָ ְא־ב ַ ֥חר י ָ ֹ ם־בּ ֶז֖ה ל ָ ַגּ
«Nemmeno costui ha scelto YHWH»! מוּאל ֑ ֵ וַ יַּ ֲע ֵ ֥בר יִ ַ ֛שׁי ִשׁ ְב ַ ֥עת ָבּ ָנ֖יו ִל ְפ ֵנ֣י ְשׁ
E Iesse fece passare i suoi sette figli davanti a Samuele מוּאל֙ ֶאל־יִ ַ֔שׁי ֵ אמר ְשׁ ֶ ֹ וַ ֤יּ
e disse Samuele a Iesse:
v. 10
a b c
הו֖ה ָבּ ֵ ֽא ֶלּה׃ ָ ְא־ב ַ ֥חר י ָ ֹל
«YHWH non ha scelto fra questi».
34 Si preferisce questa traduzione (sacrificando la ripetizione del verbo «vedere»), perché idiomatica in italiano. 35 Il testo massoretico è difficile. La Septuaginta l’ha esplicitato in questo modo: o[ti ouvc
w`j evmble,yetai a;nqrwpoj( o;yetai o` qeo,j\ o[ti a;nqrwpoj o;yetai eivj pro,swpon( o` de. qeo.j o;yetai eivj kardi,an (così nel codice Vaticanus; il testo antiocheno è lievemente differente: o[ti ouvc w`j a'n i;dh| a;nqrwpoj( ou[twj o;yetai o` qeo,j …). Commenta MCCARTER, I Samuel, 274:
«The text of MT is defective (yr′h h′lhym having fallen out by homoioarkton), reading ky l′ ′šr yr′h h′dm ky h′dm yr′h l′ynym wyhwh yr′h llbb, “For it is not what (the) man sees, for (the) man looks into the eyes, but Yahweh looks into the heart.” Space considerations suggest that 4QSamb shared the longer reading of LXX». Difende la lezione del testo massoretico BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 189: «Mieux vaut admettre que le grec, ou plutôt sa Vorlage […] ont glosé un texte sobre de type massorétique». Anche la Peshitta ha una lezione diversa (al v. 7d): )$N) )zXd kY) D[Yg tYwh )L. Sostiene JOOSTEN, 1 Samuel, 229: «Though the MT is not clear, it gave the translator no cause to introduce a 1st person (pronoun or verb). I submit, therefore, that here, as in v. 6, the Syriac must be explained as being based on a variant Hebrew text. The following is a possible retroversion of the Syriac into Hebrew: kī lōˀ kaˀªšer yirˀeh hāˀādām ˀªnî (ˀānōkī), “I am not similar to what man sees”». E conclude: «It would seem that the MT is indeed secondary to the text preserved by the Peshitta version» (p. 231). Pure la Vulgata rende con la prima persona singolare: «nec iuxta intuitum hominis iudico». La differenza delle versioni testimonia la difficoltà del testo massoretico che, proprio per questa ragione, deve essere mantenuto.
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La terza complicazione è introdotta dal costrutto yhiy>w:, definito da NICCACCI un «segno macrosintattico della narrazione»36, con la funzione di rendere verbale la circostanza temporale che introduce. All’interno di uno schema sintattico a due membri37 la voce narrativa introduce i personaggi, in prima battuta senza svelarne l’identità (v. 6a), poi chiamandoli per nome (v. 6b.8a.9a). Quali sono le strategie narrative poste in essere dal narratore? In primo luogo la voce narrativa informa che Samuele (in realtà il soggetto non è espresso ma lo si può facilmente dedurre dal contesto) «vide Eliab» (v. 6b). Una tale informazione è della massima importanza perché proprio intorno al campo semantico del “vedere” è costruito tutto l’intreccio38. Il lettore sa che il Signore ha visto (e/o scelto) un re tra i figli di Iesse (v. 1) e conosce l’ordine divino dato al profeta (v. 3c). Il lettore attende dunque che il profeta individui il futuro re. E tuttavia, a dispetto delle attese dell’udienza narrativa, il narratore introduce una serie di elementi ritardanti che hanno l’effetto di far crescere la suspense, la quale è tanto più intensa quanto più prolungata; inoltre associa il lettore prima al punto di vista asserito di Samuele (v. 6d), poi a quello di Dio (v. 7b-f). Il dialogo tra il profeta e Dio è interamente giocato sulla contrapposizione di punti di vista. In realtà l’affermazione di Samuele a proposito di Eliab più che rappresentare il suo punto di vista asserito, intende esprimere il punto di vista di Dio. La presenza dei segnali enunciativi lo mostra: l’assenza della seconda persona, il riferimento a hwhy, l’uso del pronome di terza persona (Axyvim.) e la forma asseverativa spingono a cogliere nelle parole del profeta una troppo frettolosa (ed errata) anticipazione del giudizio di Dio39. In realtà la risposta divina, espressa ancora una volta per mezzo di un punto di vista asserito, capovolge la prospettiva40. Eliab è infatti descritto come un alter Saul: se il suo aspetto e la sua statura richiamano la bellezza e l’altezza del primo re d’Israele (cf. 9,2; 10,23), la reazione del Signore è ancora una volta il rifiuto (cf. 15,23; 16,1)41. Con un passaggio ad una proposizione nominale semplice (v. 7d)42, Cf. NICCACCI, Sintassi, 21. Lo schema sintattico a due membri è costituito da una protasi (preposizione + infinito costrutto [v. 6a]) e da un’apodosi (wayyiqtol [v. 6b]) (cf. ibid., 83-100). 38 Cf. l’analisi di FOKKELMAN, Narrative Art, 121-125, a proposito del verbo har. 39 Commenta STERNBERG, The Poetics, 97: «Ironically, the prophet commits his worst mistake in the first and easiest test. What would be more natural than to disqualify or at least distrust (with the reader) the candidate who shares the rejected king’s most salient feature? But Samuel again puts a favorable construction on physical stature and beauty (cf. 10:24), with ignominious results». 40 La formula d’introduzione (laeWmv.-la, hw"hy> rm,aYOw: – v. 7a) ricalca esattamente quella iniziale (v. 1a), offrendo così al lettore un indizio di rimprovero (cf. KESSLER, Narrative Technique, 546-547). 41 Si può anche ipotizzare che il suffisso del verbo (WhyTis.a;m.) si riferisca alle caratteristiche fisiche, sicché sarebbero proprio queste (aspetto e altezza) ad essere rigettate. 42 FOKKELMAN, Narrative Art, 122-123, individua nel v. 7d il centro del discorso di Dio, tro36 37
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sempre all’interno del discorso diretto del Signore, s’introduce l’opposizione fra il vedere dell’uomo e quello di Dio. L’uomo vede secondo la misura di ciò che percepisce con gli occhi43, ovverosia di ciò che appare44, il Signore invece scruta il cuore, cioè la ragione e la volontà. Nella contrapposizione dei due punti di vista emerge l’ironia drammatica, tutta a spese del profeta il quale, nonostante il suo stato e il suo ruolo ben riconosciuto, si ritrova in dissonanza con il Signore45. La contrapposizione dei punti di vista fa crescere la competenza di Samuele e del lettore. Se, come già si è osservato, v’è un intreccio di rivelazione, l’esplicitazione dei criteri divini offre una preziosa informazione a proposito delle caratteristiche del futuro re. Tuttavia cresce pure l’opacità: il testo infatti non esplicita (se non per negazione) quali siano i criteri corrispondenti al cuore di Dio. Il lettore poi è informato a proposito del dialogo fra Dio e il suo profeta, trovandosi così in una posizione di superiorità rispetto a Iesse il quale, invece, ignora la parola divina a Samuele. Per mezzo di questo scarto, allorché il padre presenta al veggente Abinadab, Sammà e gli altri figli, il lettore, ascoltando le tre sentenze del profeta che riferiscono il punto di vista celeste (v. 8-10), è pure in grado di inferire (almeno negativamente) il motivo della scelta di Dio, rigorosamente taciuto a Iesse: i suoi figli (che sembrano essere tutti i suoi figli) non corrispondono ai criteri richiesti da Dio per l’elezione del re. La narrazione, iniziata con una giusta velocità (v. 6), rallenta a motivo di una pausa descrittiva46 e riflessiva (v. 7), equivalente ad un’estrema lentezza narrativa ma, per mezzo della presentazione degli altri due giovani (v. 8-9), rivandosi in mezzo fra due yKi. 43 Per ben due volte si ripete il sintagma l. har; il lamed può indicare l’oggetto della visione (quindi: «vedere l’apparenza» e «vedere il cuore») oppure essere considerato come lamed normæ (cf. FOKKELMAN, Narrative Art, 724; JOÜON, Grammaire, § 133 d;). Nella stessa linea si pone JONGELING, La préposition, 97: «Il me semble que le deuxième L (LLBB) doit être compris dans le même sens que le premier (LcYNYM), et qu’il faut traduire: “YHWH voit selon (la norme) le (du) cœur”. Pour l’homme les yeux sont la norme selon laquelle il voit et juge, pour Dieu c’est le cœur». JENNI, Präposition Lamed, 281 parla di «normative Relationen („gemäß”)» e a proposito del nostro passo afferma: «bb'Lel; / ~yIn:y[el; „(sehen = beurteilen) nach den Augen/nach dem Herzen”» (p. 282). È forse possibile che l’espressione sia anfibologica: da una parte si dice che il Signore «vede il cuore», dall’altra che «vede secondo il cuore», coerentemente con quanto era stato annunciato in 13,14. Interessante è la versione dell’intero v. 7 offerta da BUBER e ROSENZWEIG: «ER aber sprach zu Schmuel: Blicke nimmer auf sein Aussehn, auf seinen ragenden Wuchs, denn ich habe ihn verworfen, denn nicht was der Mensch sieht ists, denn: der Mensch sieht in die Augen, ER aber sieht in das Herz» (BUBER-ROSENZWEIG, Bücher der Geschichte, 197). 44 DHORME, Les livres, 141-142 commenta: «Le mot ~yIn:y[e signifie l’aspect extérieur (cf. le v. 12 ; Lev. XIII, 5, 37, 55 ; Num. XI, 7). Le grec des Septante a traduit par pro,swpon». 45 Come già affermava Rashi (82 ,twlwdg twarqm ,!hk): «hawr $nyaX $[ydwm yna !ak ,(jy,j a״X) ״hawrh ykna ״lwaXl trmaX ,׳hawr ׳$mc[l tarqX p[״a». 46 La “pausa descrittiva” è un «ralentissement extrême de la narration, où un segment du récit correspond à une durée nulle sur le plan de l’histoire racontée» (MARGUERAT-BOURQUIN, Pour lire, 123).
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prende una velocità normale (dove il tempo del racconto equivale al tempo della storia) per aumentare ancor più con il sommario finale (v. 10a). Un simile stratagemma porta la tensione narrativa al suo acme. Infatti per mezzo dell’ultimo e autorevole giudizio di Dio (v. 10c) la complicazione sembra prendere il sopravvento sul programma iniziale (v. 1.3) sancendone il fallimento. A tirare una simile conclusione contribuisce pure l’utilizzo del numero «sette» che normalmente indica completezza. 5. Azione trasformatrice (v. 11-12)
v. 11
מוּאל ֶאל־יִ ַשׁ֮י ֣ ֵ אמר ְשׁ ֶ ֹ וַ ֨יּ
E disse Samuele a Iesse:
a b
ם ֒ ֲה ַ ֣תמּוּ ַהנְּ ָע ִרי
«Sono proprio finiti i ragazzi»?
c
אמר ֶ ֹ וַ ֗יּ
E disse: עוֹד ָשׁ ַ ֣אר ַה ָקּ ָ֔טן
d
וְ ִה ֵנּ֥ה ר ֶ ֹ֖עה ַבּ ֑צּ ֹאן
e
«È rimasto ancora il più piccolo, ed ecco sta pascolando il gregge».
f
שׁי ֙ ַ ִמוּאל ֶאל־י ֤ ֵ אמר ְשׁ ֶ ֹ וַ ֨יּ
E disse Samuele a Iesse: ִשׁ ְל ָ ֣חה
g
וְ ָק ֶ֔חנּוּ
h
ִ ֥כּי לֹא־נָ ֖סֹב ַעד־בּ ֹ֥אוֹ ֽ ֹפה׃
i
«Manda e prendilo perché non ci metteremo [a tavola] finché non sarà entrato qui»! v. 12
וַ יִּ ְשׁ ַל֤ח
E mandò
a
הוּ ֙ יא ֵ֙ וַ ִיְב
b
↑ ֑ר ֹ ִאי
c
e lo fece entrare מוֹני ִעם־יְ ֵ ֥פה ֵע ַינ֖ יִ ם וְ ֣טוֹב ִ֔ וְ ֣הוּא ַא ְד
ed egli era rossiccio, con bellezza di occhi e piacevole d’aspetto.
הו֛ה ָ ְאמר י ֶ ֹ וַ ֧יּ
E disse YHWH:
d
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Matteo Crimella ֥קוּם
e
ְמ ָשׁ ֵ ֖חהוּ
f
י־ז֥ה ֽהוּא׃ ֶ ִ ֽכּ
g
«Alzati, ungilo perché è lui»!
La domanda di Samuele a Iesse (v. 11b) introduce l’ultima azione trasformatrice che conduce alla soluzione; la questione del profeta rilancia la narrazione47 ma insieme riporta il lettore alla verità della parola pronunciata da Dio: «Samuele sospetta che ci siano ancora altri ragazzi, perché sa che la parola del Signore nel v. 1 deve essere vera»48. Ad essere sbugiardato è Iesse che non ha presentato al profeta tutti i suoi figli. Che il dialogo fra i due introduca qualcosa di nuovo lo si comprende dalla duplice introduzione del narratore (v. 11a.f) nel quale si esplicitano nuovamente sia il locutore come l’allocutore. Se la presentazione dei sette figli di Iesse e il relativo rifiuto divino avevano gettato un’ombra di sospetto sulla promessa divina e sulla missione del profeta facendo crescere la suspense, la narrazione riprende vigore per mezzo di una sorpresa che per modalità e contenuto contraddice gli indizi precedenti: Iesse ha un ottavo figlio il cui nome non è ancora esplicitato. Il ragazzo è presentato secondo il punto di vista asserito del padre come «il più piccolo»49, ora occupato nella cura del gregge come pastore. Il profeta e il lettore, a differenza di Iesse, conoscendo i criteri dati da Dio (v. 7), colgono nella presentazione del «più piccolo» il contraltare di Eliab e di Saul (cf. 9,2; 10,23), caratterizzati per l’altezza della loro statura. La stessa valenza ironica ha il riferimento al pastore del gregge: sulla bocca di Iesse denota una semplice circostanza, alle orecchie del lettore, invece, evoca una delle caratteristiche del re, pastore del suo popolo50 più che uomo d’armi. All’ordine di Samuele di convocare il giovanetto (v. 11g-i) corrisponde la pronta esecuzione di Iesse (v. 12a-b). Nel momento in cui il «più piccolo» entra51 la narrazione è al suo climax: l’intreccio di rivelazione è giunto alla sua soluzione. Ma, a dispetto delle attese, il narratore frena il racconto introducendo una descrizione (la cui velocità narrativa corrisponde a zero) e frustrando le Cf. CAQUOT–DE ROBERT, Les livres, 189. VIRONDA, Gli inizi, 274. 49 Commenta KLEIN, 1 Samuel, 161: «Perhaps we should see in the word !jqh (v 11) the connotation of “smallest”, as well as youngest». 50 Contro CAQUOT–DE ROBERT, Les livres, 189, che affermano: «La qualification de David comme “berger” a été surexploitée par certains théoriciens de la “royauté sacrée” qui voient en tout “pasteur” un titre royal». 51 FOKKELMAN, Narrative Art, 123, nota che le ricorrenze del verbo awb sono otto (v. 2h.4b.e. 5c.e.6a.11i.12b), così come (accettando la lezione della Septuaginta al v. 7d) quelle della radice har (v. 1g.6b.7b.d [2x].e.f.12c); ciò corrisponde al numero dei figli di Iesse. 47 48
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aspettative: «Ed egli era rossiccio, con bellezza di occhi52 e piacevole d’aspetto» (v. 12c). Prima di individuare la fonte enunciativa dell’apprezzamento del ragazzo occorre porre in luce le relazioni intertestuali. Due sembrano essere le allusioni reperibili nella descrizione del giovanetto. La prima allusione, legata alla bellezza/bontà (bwOj), ricorda la figura del neonato Mosè che proprio in questo modo (aWh bAj-yKi) era caratterizzato (Es 2,2). Se la bellezza di Mosè era la ragione della sua salvezza e quindi della sua crescita, la bellezza di Davide prelude ad uno splendido futuro. La seconda allusione è ad Esaù che alla nascita aveva l’inconsueto colore rossiccio (ynImod>a;) della pelle e/o dei capelli (Gen 25,25). «Due personaggi molto diversi tra di loro, ma con un importante punto in comune: ambedue hanno a che fare con il capovolgimento delle usuali graduatorie d’importanza tra fratelli. […] Forse c’è, velatamente, un gioco di personaggi, una strana somiglianza nel destino cui sono destinati, a parti invertite, questi due “rossi” protagonisti della storia d’Israele»53. Ma, al di là delle pur importanti allusioni, il lettore non tarda a cogliere la problematicità di un simile apprezzamento. Esso infatti riprende quasi letteralmente le espressioni utilizzate per tratteggiare Eliab e per offrire un nuovo modello di discernimento (v. 7b.e); il fatto poi che la descrizione del ragazzo culmini con l’espressione yairo bAj, echeggia l’importante motivo del “vedere” (har), filo rosso dell’intera narrazione, ma sembra smentire palesemente i criteri offerti da Dio per la scelta del re54. ESLINGER, prendendo le mosse da questa osservazione, afferma: «Of his [di Davide] heart, supposedly so central to the choice, the reader hears nothing at all. This selectivity of description, along 52 Sulla difficile espressione ~yIn:y[e hpey>-~[i v’è una discussione aperta. Scriveva DHORME, Les livres, 142: «La construction de ~[i avec un adjectif est difficilement admissible. Graetz et Krenkel ont proposé, chacun de son côté, de lire ~l,[, “jeune homme” (cf. XVII, 56 ; XX, 22), et cette conjecture est généralement admise. Inutile alors de recourir à une seconde correction de Krenkel qui voudrait remplacer ~[i par ~[in" “aimable” (II Sam. I, 23 ; Cant. I, 16)». Tuttavia nota KLEIN, 1 Samuel, 161: «Proposals to emend the text (e.g. ruddy and attractive; McCarter), fail to convince because of the nearly identical expression in 17:42». 53 COSTACURTA, Con la cetra, 43. Espressioni molto simili ritornano nel capitolo seguente in bocca al narratore ma, per mezzo di un décrochage sintattico, esprimono il punto di vista rappresentato di Golia: «Il filisteo guardò fisso e vide Davide e lo disprezzò perché era giovane, rosso (ynImod>a;) e bello all’apparenza (ha,r>m; hpey>-~[i)» (1 Sam 17,42). Evidente la torsione ironica delle espressioni, come ha finemente notato RABATEL, Points de vue, 22: «Le lecteur comprend en effet […] que le terme “gamin”, la mention de “la jolie figure”, à la grâce quasi féminine, tout comme celle du teint clair, qui caractérise davantage les femmes que les hommes, tout cela connote le mépris du mâle viril en son âge mûr pour un jeunot qui lui paraît appartenir sinon au monde des femmes, du moins ne pas faire partie du monde des hommes virils, et n’est, à ces titres, pas un adversaire digne de sa force». 54 La difficoltà dell’espressione è testimoniata anche dalla Septuaginta che glossa: avgaqo.j o`ra,sei kuri,w| (secondo il codice Vaticanus; il testo antiocheno legge: avgaqo.j th/| o`ra,sei kuri,ou). «Le “plus” de la LXX, “selon le regard du Seigneur”, est à mettre en relation avec l’exposition entre le regard de l’homme et celui de Dieu» (GRILLET-LESTIENNE, Premier livre des Règnes, 287).
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with the profuse descriptors of physical appearance marks the narrator’s forceful efforts to highlight the incongruity between what God has said and what he has done. God said, ‘don’t judge according to appearance’ (marˀēhû, v 7) and then he picks David, who is good to look at (rōˀî)»55. La conclusione di ESLINGER si basa sul fatto che l’apprezzamento del v. 12c rappresenti il punto di vista del narratore. Annota infatti: «There is no indication, in v 12, that the description of David’s appearance belongs to any other than the narrator. There are no distinctive linguistic qualities in the description that suggest or allow the reader to think that this is Samuel’s view expressed through the voice of the narrator»56. Occorre tuttavia chiedersi se davvero manchino segnali linguistici che permettano di riconoscere un differente punto di vista. Unendo considerazioni di tipo sintattico secondo il metodo di NICCACCI e la teoria dei punti di vista di RABATEL del v. 12c può essere offerta una differente interpretazione. Sintatticamente v’è una proposizione nominale semplice con ruolo di commento, dunque di sfondo: all’interno di un racconto dove tutte le informazioni appartenenti al mondo narrato sono collocate nella linea principale (cioè sono caratterizzate dall’utilizzo del wayyiqtol), la proposizione del v. 12c è la sola interruzione; è l’unico décrochage dell’intera narrazione: come interpretarlo? Secondo il linguista di Lione il passaggio sintattico dal primo al secondo piano può segnalare un punto di vista rappresentato, ovverosia un punto di vista nel quale avviene una disgiunzione fra locutore ed enunciatore57. L’osservazione ben si adatta a questo caso: la frase è detta dal narratore ma mette in scena un enunciatore intratestuale, Samuele, fonte enunciativa di un punto di vista, senza che questo punto di vista corrisponda a un discorso del profeta. La parafrasi corrisponderebbe ad una sorta di monologo interiore di Samuele che il narratore riporta per mezzo di parole sue; alla percezione è dato un carattere più oggettivante, con l’effetto di mascherare il personaggio che esprime i propri pensieri58. Su questo difficile aspetto analisi sintattica e studio del punto di vista mostrano la loro feconda reciprocità. In altre parole: non è qui espresso il punto di vista del narratore (come vorrebbe ESLINGER), perché questo condurrebbe al vicolo cieco dell’incongruenza fra i criteri divini di elezione e la loro concreta applicazione; v’è, invece, il punto di vista rappresentato di Samuele il quale sino alla fine, nonostante sia guidato dal Signore, non riesce a vedere se non con gli occhi, cioè secondo quanto appare59. Fino all’ultimo il punto di vista ESLINGER, A Change, 356. ESLINGER, A Change, 356, n. 21. 57 Cf. RABATEL, Points de vue, 22-23. 58 Rifacendosi alle teoria di GENETTE, FOKKELMAN, Narrative Art, 130-131, riconosce un caso di focalizzazione interna legata a Samuele (cf. anche VIRONDA, Gli inizi, 275-276). 59 Contro VIRONDA, Gli inizi, 276, che afferma: «[Samuele è un] personaggio che funge ormai decisamente da soggetto, senza più le valenze negative dell’inizio (oppositore)». 55 56
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dell’uomo (addirittura del profeta) differisce da quello di Dio. Lo scarto persiste, senza possibilità di soluzione. Ne consegue che la narrazione nega al profeta la capacità di vedere secondo il cuore (v. 7f), riservandola unicamente a Dio che guida la vicenda dell’elezione del nuovo re60. La scelta del re è solo opera di Dio, realizzata con criteri che superano la visione umana (e pure profetica) ma che non sono ancora del tutto espliciti. L’ordine dato a Samuele da Dio (v. 12e-g) segna ancora un passaggio al punto di vista asserito del Signore: v’è un’ulteriore indicazione della differenza fra il punto di vista del profeta e quello di Dio. Infatti l’ultima e definitiva parola detta da Dio a Samuele (aWh hz<-yKi – v. 12g)61 addita esplicitamente il ragazzo, superando la conoscenza che il profeta poteva avere. Con quest’ordine l’azione trasformatrice giunge al suo culmine: la promessa divina (cf. v. 1.3) si è compiuta. 6. Soluzione e situazione finale (v. 13)
v. 13
ת־ק ֶרן ַה ֶ֗שּׁ ֶמן ֣ ֶ מוּאל ֶא ֵ֜ וַ יִּ ַ ֨קּח ְשׁ
E prese Samuele il corno dell’olio,
a
ֹתוֹ ְבּ ֶ ֣ ק ֶרב ֶא ָחי ֒ו ֮ וַ יִּ ְמ ַ ֣שׁח א
b
ל־דּ ִ ֔וד ֵמ ַהיּ֥ וֹם ַה ֖הוּא וָ ָ ֑מ ְע ָלה ָ וּח־יְ הוָ ֙ה ֶא ַ וַ ִתּ ְצ ַל֤ח ֽר
c
מוּאל ֵ֔ וַ ָיּ֣ ָ קם ְשׁ
d
ָה ָר ָ ֽמ ָתה׃Aוַ ֵיּ ֶ֖ל
e
e lo unse in mezzo ai suoi fratelli
e fece irruzione lo spirito di YHWH in Davide da quel giorno in poi. E si alzò Samuele andò a Rama.
Le battute finali (una catena di wayyiqtol che mostrano la successione degli eventi) sanciscono la soluzione. Ora che il nuovo re è stato identificato, il profeta lo unge, consacrandolo62. Il riferimento allo spirito del Signore se da un lato è un elemento tradizionale (cf. Gdc 14,6.19; 15,14; 1 Sam 10,6.10; 11,6) che indica la forza divina di cui gli eroi sono investiti in vista delle loro imprese, dall’altro è un aggancio con l’episodio seguente: mentre lo spirito del Signore si posa su Davide (v. 13) si ritira da Saul (v. 14)63. 60 Scrive STERNBERG, The Poetics, 98: «The heart remains the monopoly of the All-seeing, to which even official “seers” gain access at his discretion alone. Or to recast the epistemological doctrine in terms of perspectival structure: even the prophet’s discourse functions as one of the many voices, all but two potentially unreliable, with and trough which the Bible speaks». 61 La Septuaginta esplicita: avna,sta kai. cri,son ton Daui,d( o[ti ou-toj avgaqo,j evstin (tuttavia il testo antiocheno legge avna,sthqi kai. cri/son auvto,n( o[ti ou-toj evstin). 62 Il «corno dell’olio» è nominato all’inizio (v. 1) e alla fine (v. 12), formando così un’inclusione che indica i limiti della pericope (cf. KLEIN, 1 Samuel, 161-162). 63 Sull’unità dell’intero capitolo cf. WALTERS, The Light, 284-291.
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Solo a questo punto (v. 13c), al termine del racconto, il narratore fornisce il nome dell’eletto: Davide. «La comparsa di un nome nel testo di un racconto apre un blanc sémantique (Docherty), un certo spazio vuoto che attende di essere riempito lungo la storia del pieno significato implicato in quel nome. Il riempimento è evidentemente compito del lettore, che deve capire la storia»64. Se Davide è stato scelto da Dio ciò significa che il Signore lo ha scrutato in profondità, trovandolo secondo il suo cuore (cf. 13,14). «Thus David’s interior, his real quality, corresponds to God’s interior»65. Ma la qualità dell’eletto re dovrà essere percepita e compresa dal lettore nel prosieguo della vicenda. Per questa ragione la comparsa del nome, al finire del racconto, ha la capacità di aprire nuovi e futuri scenari. IV. Conclusione L’analisi della pericope secondo il metodo linguistico-testuale ha determinato, anzitutto, l’attitudine linguistica delle proposizioni, evidenziando l’alternanza fra mondo narrato e mondo commentato. Il racconto dell’unzione di Davide inizia (v.1) con una forma di continuazione (rm,aYOw:): non v’è un’interruzione sintattica al principio della pericope, mentre un antefatto al v. 14 segnala un nuovo racconto. Si tratta quindi di un testo in continuità con la linea narrativa principale precedente. In esso le forme di livello principale (wayyiqtol) si alternano con i discorsi diretti. Non v’è nessuna informazione di preparazione (antefatto o ambientazione del racconto), né la catena dei wayyiqtol narrativi è interrotta. A proposito, invece, della messa in rilievo, lo studio ha rilevato che l’intera linea principale della narrazione è in primo piano e l’unico costrutto di livello secondario è al v. 12c: il passaggio dal primo piano allo sfondo è affidato ad una proposizione nominale semplice dipendente dal wayyiqtol precedente (v. 12b). Tali rilievi sono un ottimo strumento euristico per reperire i punti di vista (o focalizzazioni) all’interno della narrazione. La prosa ebraica dimostra di possedere sufficienti risorse per segnalare i cambiamenti di focalizzazione, guidando il lettore nella comprensione delle strategie narrative poste in essere dal testo. Nell’episodio analizzato la continua alternanza di punti di vista raccontati e asseriti fa avanzare il racconto ma fa crescere pure la tensione narrativa conducendola verso il turning point, oltre il quale si pone lo scioglimento. La presenza di un solo punto di vista rappresentato (corrispondente all’unico costrutto sintattico secondario di sfondo) proprio al cuore dell’azione trasfor-
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VIGNOLO, Personaggi, 35-36. FOKKELMAN, Narrative Art, 123.
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matrice (v. 12c) segnala una precisa scelta narrativa e teologica che presiede tutto il racconto. Dal dialogo iniziale sino all’unzione di Davide lo sguardo vigile di Dio domina la scena mentre il profeta, nonostante sia il portavoce dell’Altissimo, mostra di essere e di rimanere su un altro piano, puramente umano. Fra la visione divina e quella umana v’è un’incolmabile differenza e una netta separazione. Il profeta, benché sia detto “veggente”, giunge a scorgere la realtà solo coi propri occhi, senza la possibilità di andare al di là. Solo Dio entra nella profondità dell’animo, guardando dentro il cuore. Ne consegue che la scelta di Davide è un atto divino, profondamente teocentrico, il cui unico protagonista è Dio. La scelta dell’ottavo figlio di Iesse, il pastore dalle fattezze delicate, caratterizzato come «il più piccolo», è l’opposto di Saul, il guerriero dall’alta statura. In altre parole il Signore sceglie un personaggio che non possa vantare alcun titolo per rivendicare la regalità, cosicché sia chiaro che quella regalità proviene solo dall’alto e dalla forza dello spirito di Dio. Matteo Crimella Studio teologico del Pontificio Istituto Missioni Estere, Milano
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Introduction, scope, and aim Biblical Hebrew style is compact: people are characterized by what they say and do, not through the narrator describing their features, qualities, and properties. Actions are as a rule reckoned in view of their actual effect, not attendant states and activities. Narratives proceed rapidly from one scene to another. Still, narrators of these rapid and compact stories skillfully solved the problem of how to describe activities that are parallel to, or out of sequence with, the main course of events.1 The broad concept of circumstance—expressed by elements peripheral to clauses, sentences, and episodes—implies something that is relative to the main points of communication, and consequently has several potentially possible logical relationships, yet is not marked for any. The present discussion deals with attendant elements in the economy of biblical narrative. Omniscient as he is, the biblical narrator has an overview of the whole picture that he piece by piece presents to his audience, passages of direct speech are well-timed and subsidiary descriptions and remarks on the main course of events are well-judged. Biblical narration follows an event line distinguished by chains of independent wayyiqtol clauses, each presenting a single sequential action, thus moving the reference time forward.2 These strings are interspersed with dialogue and—the topic of this discussion—elements that halt the stream of events with predications that bear upon the runCf. ZEVIT, Anterior Construction, 1ff. Cf. HATAV, Aspect and Modality, 6 and 56ff. Generally, in Greek narration conjunct aorist participles are preparatory to the finite verb. Thus, the Septuagint renders Ruth 1,18 (abbr.): %&3 f) .# !" $ 43 %) &D) L. 4+ 4;. F+ f3 .# %"!' /e3 N3 %. /+
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ning narration. In brief catchwords, there is a coincidence between speech time and reference time, which means that attendant circumstances are not very prominent. In narration, such additional information amidst the quick-paced surrounding clauses is perceived as static and constitute an effective means to furnish tangential, but still important information. In order to find clear instances of attendant circumstances, the present discussion is limited to narrative passages and omits dialogues. Standard grammars differ in the discussion of the concept of circumstance and take no uniform position toward it. Traditionally, grammars adhering to the analysis current in Arabic take note of the different functions of nominal and verbal clauses, viz., to predicate a state vs. to present an action,3 and remark on the functional connection between the “accusative of state” and circumstantial clauses. Since various kinds of circumstance are treated in view of their semantic properties, the discussion unavoidably deals with the logical relationship to the governing clause in terms of time, cause, condition, concession, etc. However, little attention is given to various genres, and almost none to the difference between narration and direct speech. In a number of works Alviero NICCACCI has investigated the syntactic structure of narration in relation to discourse/speech: what constitutes main line vis-à-vis off-line in these two forms, and the transition between the central sequence and subsidiary material. The similar functions of various subsidiary elements raises the question of their form, properties, and usage. The aim of this article is accordingly to shed light on structure and purport of descriptive, remarking, and contextualizing elements in Standard Biblical Hebrew prose narrative. The overriding sequential principle in biblical narration entails that a situation can be vividly described solely by sequential clauses, e. g., Judg 3,21-22. When deemed necessary, however, the biblical narrator describes an actant at the moment of the action, the conditions under which an action is performed, as well as current conditions of importance for a proper understanding of an episode. Thus, he contextualizes characters and events by interposing states and activities that are peripheral to the main action and do not propel the event line forward—and this mostly without resorting to subjunctions, but rather with a simple connective waw and sometimes even without it.4
Cf. WRIGHT, Arabic Grammar 2, 251-252. The phenomenon is reminiscent of English absolute clauses in which the predicate is formed with a participle instead of a finite verb, e. g., “This done, we went home”; “It being very cold, we made a fire”; “God willing, I will come”; and with ellipsis of the participle “Sword in hand, he faced his foe”. 3 4
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Phrases that are not marked for description The description of Biblical Hebrew narrative syntax needs a method that goes beyond sentential syntax and puts text structure in focus, a method that goes from form to function, and recognizes the marked stratification between the central sequence of events and peripheral elements. The focus on subsidiary phrases and clauses means that non-optional complements of verbs for beginning, end, and continuation are left out of discussion, such as h6$el “begin”, h5s,f “continue”, and kill! “end”, and occasionally q+m “rise” and s!7a7 “turn”, e. g., /C3 43 4$ 1Y$ $` .# or /C3 43 4$ OPt '` .# “he prepared to leave”.5 Left out are also two-verb constructions, whether iterative, quantitative, or qualitative, e. g., . %. Judg 19,7: 1Z$ ,43 $` .# OZ$ $` .# “and he lodged there again”; 1 Sam 2,3: J&D+ L. /+ JD&+ fB4 “Don’t go on talking”; and Gen 24,18: s;$ (. L&P3 f .# &!) <. f+ .# “quickly she lowered her jar”. The same goes for asyndetic complement clauses, that although vivid, such as in Job 32,22: ! 3*C. %[ "f' 9+ L. $" %P4 “I do not know how to give flattering titles”—are better known in Arabic and Syriac.6 The essential characteristic of circumstantial phrases remains elusive. At times they are adverbial and at times—as will be shown—more or less overtly descriptive of an actant at the time of the action and consequently also attributive. Admittedly, in a good many cases the circumstantial phrase is exclusively ) D) !6!{ %$ V )` .# “he pitched his tent, adverbial, as in Gen 12,8: 1L3 x3 <' "9. !$ +# 1 $`<' 4%B/" with Bethel on the west and Ai on the east”. Similarly, the infinitive construct with le, that is liqtol, occasionally assumes an explanatory sense expressive of $ P 4 “he would not listen to her, as manner, e. g., Gen 39,10: s4$ e+ %3 O(. Z+ 4' !"$ 43 %) 9<. ZB% regards lying with her”; and 1 Sam 20,36: M&O' 9[ !. 4+ "e' F) !. !&$ $"B%J! +# “and he shot the arrow letting it pass over him”.7 As is well known, with verba dicendi the petrified infinitive l6(ˀ)m5r serves a similar function of qualifying the verbal action, as in Ruth 2,15: &P<%4) #"&$ 9$ +0B/%3 H9P. D #e. +" .# “Boaz instructed his young men (by) saying”. In these cases, Arabic uses the participle, q!ˀilan, as does Greek, JV"W$, whereas Akkadian employs the “present” iparras, as in: p!&u ,pu&amma izakkaram ana PN “he opened his mouth speaking to PN”.8 On the fringe of presenting an attendant circumstance is the special (very $ %eP) ` .# infrequent) use the weqatal met with in 2 Sam 13,18: 49. $0 +# cJF!. M/&+ Z$ <+ s/M% !" $ &3 F[ %. /43 ;3 !. “and his servant put her out, and bolted the door after her”. The events are contemporaneous in so far as the locking of the door is not preCf. ESKHULT, Verb sbb, 21-26. See DRIVER, Treatise, 206. The appendix on the circumstantial clause covers p. 195-218. Cf. also GKC, § 120 c and d. 7 Cf. also 1 Sam 12,17. See further GKC, § 114 p, and JOÜON-MURAOKA, § 124 o. Most likely, liqtol originates in an infinite parallel formation to yiqtol, NYBERG, Hebreisk grammatik, § 91 c, Rem. 1. 8 Quoted from KIENAST, Semitische Sprachwissenschaft, § 405.2. 5 6
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sented as the next stage of a series of events. So also Judg 3,23: /M/4+ ;. &PTA+ '` .# 49$ $0 +# ML9[ D. ! $`4' 9. !$ “and he shut the doors of the upper-chamber on him and bolted them”.9 Similarly, an infinitive absolute in lieu of a finite verb occasionally $ D. J9Y+ /+ '` .# “they takes on a circumstantial force, e. g., Judg 7,19: 1";' (. !. cM? $0 +# /M&?M] blew the trumpets while smashing the jars”; cf. also Gen 41,43.10 Phrases and clauses descriptive of both actants and activities Pivotal for the subsequent discussion is the idea that the concept of circumstance is not limited to something that solely appertains to the action denoted by the principal verb, but also refers to the state of a clause constituent at the time of the action. The Classical Greek conjunct participle offers a good comparison. Its logical relationship to the rest of the sentence may be marked by some particle, but mostly is not. Referring to examples from the New Testament, the conjunct participle is equivalent to temporal clause in Matt 27,63: IL0I$ N+( XY$, “he said while yet living”, and a concessive clause in Gal 6,3: IE "Z3 F%-I[ +(U IL$'# +( &,F\$ ]$, 63I$'0'+^ _'S+H$ “for if any one reputes himself to be something, being nothing, he deceives himself”. Also, with an anarthrous noun, there is no formal distinction between the attributive and the predicative function, e. g., Mark 11,13: EF`$ *S-K$ a0b &'-3HQI$ NO%S*'$ 6cJJ' “he saw from afar a fig-tree having (or, which had) leaves”. According to which level descriptions and comments bear upon—be it the level of a clause, a complex sentence, or a whole episode—the following discussion will bring into focus (1) phrases that specify or describe an actant at the time of the action, and (2) clauses that describe a situation by being added to the event line, as well as (3) clauses that express some state of affairs and thus furnish the background to the main course of events.11 Elements expressive of attendant circumstance on the clausal level (a) A substantive in the function of a second predicate is found either with an 3 %3 !9P3 & ! $"!$ RAM" ) “Joseph overt subject, as in Gen 37,2 (abbr.): &9. .0 %J! +# ,%P_D. #"F$ %B/ tended the sheep with his brothers, as a helper”,12 or naked, as in, e. g., Josh 2,1 See RUNDGREN, Intensiv- und Aspektkorrelation, 108ff. See further ISAKSSON, Circumstantial Qualifiers, 57. 11 Drawing on traditional knowledge, subordinate clauses are here divided into nounal, attributive and adverbial. Nounal clauses are classified as dependent statements, questions, or exclamations (for dependent commands, an infinitival or a “should” construction is used, e. g., 1 Sam 9,27). Attributive clauses are are commonly called relative, while clauses corresponding to an adverbial adjunct represent various logical relationships connected to the verbal action, such as time, reason, and condition. 9
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(abbr.): 0"2' +Q&- 7+ 0"X' $/%;0 Y '" -/X+ 5- XE! p +" >2- X+ '_ -# “Joshua sent two men (as) spies”; 1 Kgs 5,2: 0"DBD ' +A B%d+ $" 0&$ %Y -# “the Arameans went forth (by) companies”; see also Judg 9,34. In these cases the added word rather specifies than describes the actant. In Arabic, karra Zaydun ˀasadan “Zeid charged (like) a lion”, has a counterpart in Isa 21,8: ! )"&+ %- %&$ W+ '_ -# “he cried (as) a lion”. This construction must not be confused with an adverbial of restriction, e. g., Gen 41,40: $|F1 7' 26- +A%1 %t) (' !- W&“only as regards the throne will I be greater than you”.13 Among adjectival phrases that describe the state of the subject and at the same time qualify the verbal action, 1 Kgs 20,43 is instructive: “the king of Israel went, U21 )_ -#, to his house sullen and vexed, K5) $@ +# &:- ”—a remark that foreshadows the murder of Naboth. The clause K5) $@ +# &:- U21 )_ -# is constituted by a predicate verb plus, not a mere adjunct, but rather a “co-predicate”. That is to say, the clause can, and should, be analysed as a combination of two underlying ideas, viz., “he went” and “(was) sullen and vexed”.14 Conditions descriptive of subject or object at the time of the action are mostly expressed by indefinite adjectives and participles both presenting themselves as concomitant with the principal action.15 Phrases referring to the state of the subject are commonly found in short (and partly recurrent) phrases, e. g., Gen 25,25: " '/E7D+ %- ,EX%&' !$ %d) )_ -# “the first came forth red”; Num 16,27: 0"G' ^$ '/ B%d+ $" 0!" 1 2) !{ %$ >.- k1 “they came out taking stands at their tent-doors”.16 See also Judg 8,4: 0"9' DI+ & +# 0"9' )"5Y (they passed over) “faint yet pursuing”, and 2 Sam 15,30: %B! +# K>) $" U2I) ! “while he walked barefoot”. The meaning of the adjective itself together with the context indicate whether the state of the subject is qualified, or the manner of the action. Compare Esth 5,9: >- 7) 8$ %B!!- 0E_=- ,7$ !$ %d) )_ -# “Haman ' D+ B%d+ $" 0"d' &$ !$ “the couriwent out that day happy”, as opposed to Esth 3,15: 0"9B> ers went out quickly”. Formal adverbs, such as 0E&5$ and 0W"$ &) may be used adjectively in a predicative function, as appears in Job 24,7: B/"2' $" 0E&5$ “naked they pass the night”, and Ruth 1,21: ! $#! +" " '/G"- X' !4 0W"$ &) +# "f' <+ 2- !$ !%$ 2) 7+ " '/%Y “I went away full, and empty the Lord brought me back”.17 The construction with a coordinated absolute infinitive of the A A’ B pattern may be used, not only as an adverbial adjunct, but also to describe both In Judg 8,20 the particle k, explicitly points out the circumstance: the boy did not draw his sword, &5- $/ B*DE5 1 "(' %&) $" "(' “for he was afraid, [k,] he was still a boy”. 13 See WRIGHT, Arabic Grammar 2, 115, and JOÜON-MURAOKA, § 126 c.d.g, in due order. 14 PREMPER, Zustandssätze, 92-92 and 314-320, proposes the term ”koprädikativ” for a facultative qualification of the kind discussed here. Another German term is “prädicatives Attribut”; see KÖNIG, Lehrgebäude 3, § 332 h. 15 See in general GKC, § 118 n.o.p; JOÜON-MURAOKA, § 126 a. 16 In 2 Kgs 11,3: %=) >- .+ 7' ! $#! +" ."=) sf$ %' "!' +" -# it seems that hidden is a subject complement. From direct speech, Gen 37,35 is often quoted: 2G) %$ " '/=;2 + %1 D&) %) “I shall go down to my son, mourning”. In Aramaic, the particle k,2 / ka2 introduces an adjective or participle expressing circumstance: the Targum reads: % $/2"G' %- D"<' "&' G+ . $#2+ .E>"%) , and the Peshitta reads:ˀe..o0 ˁal ber(y) ka2 ˀa7,l-n!. 17 A qualification of state is mostly added with a prepositional phrase, as in, e. g., Judg 8,32: !GET $ !G"$ 8) =+ X%E";, $ =1 ,E5D+ 'Q .7$ $_ -# “Gideon son of Joash died at a ripe old age”. 12
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the manner of an action and the condition of the subject, e. g., Judg 14,9: W43 )` .# $ WM4!$ sZ" $ %' sf$ %' W43 )` .# 4PC%$ +# WM4!$ “he went on, eating as he went”; 2 Sam 3,16: !PCOJ “her husband went with her weeping”; 1 Sam 6,12 (abbr.): W6!$ JC4+ !$ /M&k$ !. ! $0&+ ]. '" .# M9 $I +# “the cows went straight on, lowing as they went; cf. also Josh 6,9 and 2 Sam 15,30. Contrariwise, a case like 1 Sam 20,37: 9P. e?J$ !() !. Z"%' !$ J!() .` .# “the man hit him, striking and wounding (him)”, focusses on the verbal activity as do cases where an adjective occupies the last slot, e. g., Gen 26,13: 4L) $I +# WM4!$ W43 )` .# “and grew more and more”, as well as the less frequent A B A’ pattern, which—except for two cases—involves the infinitive absolute ha&k6m: &D) L. %[ $# &D) L. +# 1() Z+ !. 1C" 3 4) %[ “I spoke to you persistently”. (b) More frequently, an indefinite adjective or participle is used to describe the state or activity of the object at the moment of the action. With verbs other 3 %3 +# than those of perception, the construction is rare, e. g., Josh 8,23 "9. !$ W43
?+ f$ “the king of Ai they took alive”, and from direct speech Job 12,17: 44MZ $ 1"e' 9M" [ W"4M< ' “he leads counsellors away stripped”; but with verbs of percep' %7 ! $#! +" 4MYB/%3 J9<+ Z+ '` .# tion, it is met with frequently, e. g., Gen 3,8: , $TD. WK) !. /+ <' 1"!6 “they heard the sound of the Lord God walking in the garden”; Num . %3 %&+ .` .# “he saw the angel of the Lord standing on the 22,31: W&3 ;3 D. O_$ '0 ! $#! +" W%. 4+ $ %&3 f) .# “Sais predicative in function, e. g., Gen 21,9 (abbr.): YF) e. <+ & $I!B, rah saw the son of Hagar making sport”. Most Bible translations in cases like . %3 +# !ZP3 $ 9$ ,C) +# “and so he did for all his foreign wives, who burned incense and sacrificed to their gods”. 18 19
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the Canaanites who inhabited Zephath”; and Judg 8,34: the Israelites J&C+ $H %P4 $ 4"_' N. !. “who had rescued them”. ! $#! +"B/%3 “did not remember the Lord”, 1/M% However, if both subject and object are indefinite, there is no contrast between the predicative and the attributive function. Thus, Judg 1,24: Z"%' 1"&' + '"B/%3 %&+ .` .# #" $0"9B/ up and saw Israel encamping”, the verb %&+ .` .# takes an object clause; but in the structurally similar Gen 24,63: 1"%' D$ 1"K' <. +I ! )*!' +# %&+ .` .# #" $0"9) %}$ '` .# “he looked up and [lo!] he saw camels coming”, %&+ .` .# is followed by a dependent exclamation.21 Accordingly, a wehinn6-clause after verbs of seeing presents a momentary state of affairs, e. g., Gen 26,8: !Y$ O+ &' /%) YF) e. <+ YF$ e+ '" ! )*!' +# %&+ .` .# “he saw Isaac fondling Rebekah”; Gen 33,1: %D$ #>$ 9) ! )*!' +# %&+ .` .# “he saw Esau coming”; Josh 5,13: %&+ .` .# M; +I 304+ L
+ '"B" )0O+ J%>+ '` .# “the Israelites looked up, and there were the Egyptians advancing on them”. 23 See NYBERG, Hebreisk grammatik, § 97 t. 24 This observation was first made by BERLIN, Poetics. A passage that illustrates the point is 2 Sam 18,24 and 26. In v. 24 the narrator takes his audience to the scene to view it through the eyes of the sentinel: M;O. 4+ c&$ Z"%B! ' )*!' +# %&+ .` .# #" $0"9B/ ) %3 %}$ '` .# “he looked up and saw [and lo!] a man was running alone”; in v. 26 he catches sight of another man running: c&$ &F) %BZ" . %' !?P3 _!. %&+ .` .# “the sentinel saw another man running”, this time a shift in viewpoint is not needed. See further HATAV, Aspect and Modality, 111f.
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point are: Gen 18,2: #"4$ 9$ 1"O' _$ '0 1"Z' $0%[ !Z6 $ Z+ ! )*!' +# %&+ .` .# “he saw [and lo!] three men standing near him”, and Judg 9,43: &"9' !B, $ <' %eP) " 19$ !$ ! )*!' +# %&+ .` .# “he saw [and lo!] the band coming out of the city”. However, the Peshitta seldom renders wehinn6 by the Syriac h! “look!”, very likely because wehinn6 is taken merely as a syntactic means to stress the state or activity of the object. Thus, the wehinn6clause in Gen 26,8: !Y$ O+ &' /%) YF) e. <+ YF$ e+ '" ! )*!' +# %&+ .` .# “he saw Isaac fondling Rebekah”, is rendered by a circumstantial clause introduced by ka2, which yields: wa-.z!y(hy) l-Is.aq ka2 me9a$e: ˁam Rafq!. In addition, the choice between hinn6 and k,25 is stylistically conditioned. Just as an utterance by a character can be reported with direct or indirect speech, so too can something perceived by a character be reported directly or indirectly; hinn6 presents a vision directly from an internal perspective, while k, introduces a vision indirectly from an external perspective. Put differently: hinn6 conveys the idea of showing and k, that of telling. Compare Ex 3,2: %&+ .` .# Z%) D$ &9P) D ! 30t+ !. ! )*!' +# “he saw [wehinn6] the bush burning with fire”, as opposed to 2 Sam 12,19: 1"Z' F[ 4. /+ <' #"L$ O$ 9[ "(' L '#;$ %&+ .` .# “David saw [k,] his servants were whispering together”.26 Also, hinn6 is not suitable to be used with reference to God, since men can scarcely adopt a divine point of view; cf. Gen 29,31: ! $#! +" %&+ .` .# !%$ 4) !%J0 $ >B" + (' “the Lord saw that Leah was unloved”.27 Moreover, an adjective describing a preposed object is found in, e. g., Gen 7,1: Y";' e. "/"' %' &$ l/P+ % “thee have I seen righteous” (Authorized Version); but nor) 9.
The particle k, is of a deictic origin and at times assertive, as in Gen 18,15: f+ Y+ F$ e$ "(' %P4 “No, you did laugh”. Pointing backwards, k, gives the reason for a previous statement, and pointing forwards, it inter alia introduces the object of verba sentiendi. 26 Cf. also 1 Sam 18,15: LP%<+ 4"(' >+ <. %J!B&Z3 %[ 4J%Z$ %&+ .` .# “Saul saw that he prospered well”. 27 Cf. the calculations in ANDERSEN, Taxonomy, 54. 28 In a similar way, KOGUT, Meaning, 148, thinks that Judg 18,9: LP%<+ !OMV $ ! )*!' +# c&3 %$ !B/ $ %3 J0"%' &$ is a transformation of *r!ˀ,n+ wehinn6 h!ˀ!ræ% '57! meˀ52. However, KUHR, Ausdrucksmittel, 17, proposes the more plausible solution: “Wir haben das Land gesehen, und sieh (wie war es?) – sehr gut.”. Cf. also ISAKSSON, Circumstantial Qualifiers, 61. 25
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Elements expressive of attendant circumstance on the complex sentence level (a) Circumstantial clauses are descriptive of an event but not introduced by a particle that reveals the type the relationship. Occasionally, the core of the descriptive clause is a yiqtol, a form that in affirmative clauses has almost entirely been ousted from this function by the active participle. Still yiqtol is met with in 1 Sam 18,5 (abbr.): “David went out, 4"(' >+ .", prospering”, and 1 Sam 3 %3 ! 30?+ '" LF$ %3 Z%P&!$ 13,17: the raiders went out (%e) )` .#) in three detachments: W&3 ;B4 !&$ ?+ 9$ “the first detachment turned towards Ophrah”. This use of yiqtol is other3 P ` .# wise almost exclusively found in negated clauses, e. g., Judg 12,6: /4P3 DA' &<% ,() &D) L. 4+ ,"C' $" %P4 +# “he said, Sibboleth, taking no pains to pronounce correctly”; . %3 ,O3 %3 D$ 9. 4P) Y ! 3HB4($ “all these could sling a stone at a Judg 20,16: %V' F[ ." %P4 +# !&$ 9[ }. !B4 ' 9[ 1!" 3 )0Z+ J"!+ '` .# “they hair without missing”; Gen 2,25: JZZP$ D/+ '" %P4 +# MfZ+ %' +# 1L$ %$ !$ 1"NJ& were both naked, man and wife, without being ashamed”; and 2 Sam 2,28: 4%) &$ >+ '" "&) F[ %. LM9 J?;+ &+ '"B%P4 +# 19$ !B4 $ ($ JL<+ 9. .` .# “all the host came to a halt; they stopped pursuing Israel”. As a rule, the clause that propels the action establishes the event, while the adjoined clause expounds upon it by giving particulars concerning the situation of which the clause constituents are a part. In very few instances an asyndetic qatal in a quasi-participial function specifies a preceding event: Judg ' L' +T >9. .` .# “he prepared a kid of the 6,19: &J&k$ D. 1>$ Y&. N$ !. +# 4t. D. 1>$ &>$ D$ !. … 1" '\9B" goats: putting the flesh in a basket, and putting the broth in a pot; Gen 21,14: s<$ C+ ZB4 ' 9. 1>$ & $I!B4 $ %3 ,f) '` .# “and gave it to Hagar, placing it on her shoulder”. The qatal seemingly refers to an anterior action in Gen 44,12: ,PVx$ OJ. 4F) !) 4ML $TD. >k) F. +" .# !K$ (' “and he searched, having begun (a3d1&I$%U) with the eldest, he ended with the youngest”.29 In principle, the circumstantial clause does not refer to the principal verb only, it rather describes both the subject and the verbal action. Ch. RABIN, discussing the pes+q hamm!%!7 “static clause”, in 2 Sam 18,14: 1M4Z$ O+ %. O4) D+ 19) Y$ /+ '` .# "F. J*LM9 3 “he thrust them into the heart of Absalom, while he was still alive”, states that ˁ52ænn+ $ay qualifies Absalom, not the verb or the clause as a whole.30 The circumstantial clause is not easily defined. In some passages a circumstantial clause even borders on an attributive clause, since the added information refers to the nounal parts of the main clause, e. g., Gen 24,22: Fx. '` .# M4Y$ Z+ <' 9Y. D3 O!$ $H 1 3H 30 Z"%' !$ “the man took a gold ring weighing half a shekel”; Judg 3,16: “Ehud made a sword with two edges, s($ &+ %$ L
29 30
See DRIVER, Treatise, §§ 162-163, and DAVIDSON, Syntax, § 41, Rem. 3. RABIN, Ta>b"r, 95.
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dreamed that there was a ladder set up on the earth, whose top reached to heaven”.31 (b) Commonly, the adjoined circumstantial clause has a new subject, but still the added particulars are descriptive of an actant’s part of the body or equipment, e. g., Gen 9,4: /" '*&P. F%[ 1!"3 )0?J+ 1!"3 O' %[ / .#&+ 93 /%) JtC. +" .# “they covered the nakedness of their father, their faces (being turned) backwards”. Josh 5,13: he $ Z+ MD&+ F. +#, “and his sword was drawn (= with a drawn sword) saw a man, ML $"D+ !?J4 ' 9. s;$ C. +# “with her jar on in his hand”; and Gen 24,15: there was Rebekah, s<$ C+ ZB4 her shoulder”.32 If the circumstantial clause introduces a completely new actant, the function of the clause is likely to describe the situation as a whole,33 e. g., Ex 14,22: the Israelites went into the sea !
+ 1f3 %. +# "4$ %) 1/% 3 D$ 9J; . <. “why have you come to me seeing that you hate me”. 34 Greek commonly employs a genitive absolute to mark the idea of concomitance of clauses that have different subjects, hence the Septuagint renders OZP) " %J! +# by -'Q,&V$%S 'T+%G.
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the two men) went to Sodom, while Abraham still stood before the Lord”. In Gen 29,9 the complex circumstantial sentence: !%$ D$ 4F) &$ +# 1N$ 9' &D) L. <+ J*LM9 3 “while he was still speaking to them Rachel came”, connects to the directly preceding dialogue, which has carried forward the action so far. It seems that wehinn6 with participle stresses the immediacy of the situation, especially after b5ˀ “to . 9. L
Cf. JOÜON-MURAOKA, § 154 c. See ISAKSSON, Circumstantial Qualifiers, 101-102. See ZEWI, Syntactical Roles, 71-86.
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the other features an action. Still, there is a focus on the principal figures as described in relation to the main course of events, as appears from Judg 3,20, which begins on the event line: it is stated about all Eglon’s attendants that #"4$ 9$ <) J%e+ )` .# “they went away from him”, after this come two clauses that describe the situation: !&$ Y) N+ !. / .`4' 9[ D. OZP) "B%J! +# #"4$ %) %D$ LJ!%) +# “and Ehud came to him, as he was sitting in the cool roof chamber”. The more static of the descriptive clauses is found in prior position in, e. g., 1 Sam 9,10-11: &"9' !$ J49[ .` .# “they went up to the town”, followed by: /M&9$ +0 J%e+ <$ !N$ !) +# &"9' !$ !4) 9[ <. D+ 1"4P' 9 !N$ !) “as they went up the hill to the town, they met some girls”; Judg 18,2-3: 1Z$ J0"4' $` .# “they ) 9' !N$ !) “when they lodged there”, followed by: &9. .*!. 4MYB/%3 J&"(' !' !N$ !) +# !C"$ <' /"DB1 were by the house of Micah, they recognized the voice of the young man”. In Gen 38,24-25 the principal action is carried forward by the preceding dialogue, $ eM! ' “Bring her out to be burned”, which ends up with Judah saying: R&) }$ /' +# !J%" $ %3 !F$ 4+ Z$ %"!' +# /%eJ< ) %#!' “being brought out, she immediately followed by: !"$ <' FB4 sent a message to her father-in-law (saying)”. In contrast, a remark conveyed by two clauses of the (we)-subj-qatal pattern in sequence indicates that the actions follow immediately upon one another; none occurs while the other is still in progress, e. g., Judg 3,23-24: LJ!%) %e) )` .# ! $0M&;+ A+ N' !. “Ehud went out into the vestibule”, followed by J%D$ #"L$ O$ 9[ .# %e$ $" %J! +# “and when he had just gone, the servants came”.38 (c) So far the discussion has mostly revolved around descriptions with a participle in the circumstantial clause—a form that by being progressive, so to speak, includes the time of the action. With a qatal in the adjoined clause, the added information is actually not very descriptive: what are added are statements, remarks, and contrasts,39 e. g., Gen 13,11-12: 1&$ O+ %. #"F' %$ 49. <) Z"%' JL&+ k$ '` .# &($ (' !. "&) 9$ D+ OZ. $" VM4 +# ,9. $0(Bc + &3 %3 D+ OZ. $" “they separated the one from the other: Abram dwelt in the land of Canaan and Lot dwelt in the cities of the plain”; Judg 4,1: the Israelites again did evil, /<) LJ!%) +# “now that Ehud was dead”; and Judg . %3 +# &>$ D$ !B/ . %3 4C% . P f .# “it (sc. the fire) consumed the 6,21: W4. !$ ! $#! +" W%. 4+ <J. /M_N. !B/ flesh and the unleavened cakes; but the angel of the Lord was gone”.40 Commonly, this is the case in chiastic construction where the second clause is 3 %3 RAM" ) &() .` .# thrown into relief against the first, e. g., Gen 42,8: J!&p (' !' %P4 1!) +# #"F$ %B/ “Joseph recognized his brothers, but they did not recognize him”. The qatal, being no sequential narrative form, cannot take the action forward, instead it is put as it were abreast with the wayyiqtol-clause.41
NYBERG, Hebreisk grammatik, § 85 k; cf. NICCACCI, Syntax, 71.190-191; ESKHULT, Studies, 32; and JOÜON-MURAOKA, § 166 c-i. 39 Cf. NICCACCI, Basic Facts, 173f. 40 Most likely, the value of qatal in this passage is resultative, cf. BYBEE, Evolution, 63. 41 Cf. GIBSON-DAVIDSON, § 140. 38
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Elements expressive of circumstance on the textual level (a) On the textual level, circumstance does not occur as an attendant to singular actions. Rather, on this level a circumstance as object of a description spans over a larger unit. The description of David’s escape from Jerusalem in 2 Sam 15,16-32 has a focus on the situation encountered in 15,30: !4) 9[ <. O+ !4P3 9 L '#L$ +# RF) $" W4P) ! %J! +# "J?F$ M4 Z%P& +# !CMOJ 3 !4P3 9 1"/" ' )\!. “and David walked up the slope of the Mount of Olives, walking and weeping with his head covered, and he walked barefoot.” To begin with, !4P3 9 L '#L$ +# says that this is no single and quick sequen3 !4P3 9 describes David’s state and condition, "J?F$ M4 Z%P& +# tells tial event, !CMOJ what he looked like, and RF) $" W4P) ! %J! +#, finally, describes his condition of being barefoot when ascending the hill. Descriptive in character, the scene still exhibits a movement, both in grammar and geography: from David’s crossing Wadi Kidron until he reaches the top of the Mount of Olives. This means that backgrounded clauses are static in relation to the surrounding quick-paced narration, but need not, of course, be static themselves.42 (b) Being sequential and rectilinear in essence, biblical narration develops along an event line with a fixed vantage point assumed by the narrator, viz., the reference time. This point on the time line is in turn linked to sequentiality, i. e., the impelling force that moves the story forwards.43 From this it can easily be gathered that the fact that an event is out of sequence with the reference time—the zero—of the narrative is a circumstance to be reckoned with as contextualizing in function. In a narrative context, the (we)-subj-qatal construction, being static in character, serves such a counter-sequential function.44 The technique of an inverted word order through the (we)-subj-qatal pattern is apparently a token inherited from the oral form. The storyteller signals that the sentence to come is out of sequence with the temporally successive action; the context alone can say whether or not it lies before or is simultaneous with the reference time. In a parenthesis like the one in 2 Sam 17,14: &?) !$ 4+ ! $Je' ! $#!" .# !OMr $ !. 4?P3 /"F' %[ /e. 9B/ [ %3 “for the Lord had ordained to defeat the good counsel of Ahithophel”, the implicit anteriority demands an English past perfect. In the episode contained in 2 Kgs 9,1-29, Jehu, in order to seize power over the kingdom, hurries from Ramoth to Jezreel where King Joram stays. At this $ +" W43 <3 ! $" +HF. %[ .# point, the narrator passes an important remark, v. 16: /M%&+ 4' L&. $" !LJ! 1&M"B/ $ %3 “King Ahaziah of Judah had come down to see Joram”. Only so can he As is pointed out by BUTH, Functional Grammar, 86-87, the concept of grounding is problematic since it based on a mixture of semantic and pragmatic criteria—here NICCACCI stands out as consistently following the syntactic criterion. See also COOK, Semantics, 255, viz., foreground vs. background and the principles of visual perception in the Gestalt-theory put forward by T. REINHART. 43 See HATAV, Aspect and Modality, 177ff. 44 Cf. GIVÓN, Syntax 1, 295f. 42
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go on and relate how the two kings each in his chariot go out to meet Jehu. Viewed separately, L&. $" ! $" +HF. %[ .# is a description of the present condition of the King of Judah, which is put in relief to the main course of events. His obviously previous action of going down to Jezreel is, as it were, attributed to him as a state in the situation at hand. The same is valid for the well-known example . %3 4F) &$ OP0 +If' .# M0%PeB/%3 HPH +I4' W4. !$ ,O$ 4$ +# “Laban was gone to shear Gen 31,19: 1"?' &$ f+ !B/ his sheep, so Rachel stole the teraphim”.45 When accounting for a dramatic situation, such as the battle scene in Judg 4,12ff, the narrator sometimes halts the narrative to focus attention on a particular event. Thus 4,15 tells that upon Barak’s assault the Lord caused panic among Sisera’s chariots, so that: #"4$ +I&. D+ A $0 $` .# !O$ ($ &+ N3 !. 49. <) %&$ A"+ A' L&3 )` .# “Sisera got down from his chariot and fled away on foot”; v. 16 continues: "&) F[ %. RL. &$ Y&$ OJ$ O&3 FB" 3 ?' 4+ %&$ A" + A' ! )0F[
45 46 47
Cf. RUNDGREN, Verbum, 64f. See JOÜON, Ruth, 79f. See NICCACCI, Stele of Mesha, 233.243; ESKHULT, Studies, 46-49.
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tion: /"&' ?+ $T !&P$ <9B4 [ 9. +# 1P LAB4 + 9. &"V' <+ !' ! $#!" .# “the Lord rained on Sodom and Gomorrah brimstone”, continued by: 4%) !$ 1"&' 9$ !B/ 3 %3 WP?![ .` .# “and overthrew these cities”. The essential factor that the (we)-subj-qatal clause predicates a state of affairs makes it suited for contextualizing statements that are out of sequence with the running narration, irrespective of whether this statement serves for a flashback, or the beginning or end of an episode. Mats Eskhult Uppsala University
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Steven E. Fassberg The Shift from qal to piel in the Book of Qoheleth
Much of Prof. NICCACCI’s scholarly career has been devoted to the Biblical Hebrew verbal system. His monograph on the syntax of the verb1 and related articles2 have had a significant impact on the direction of research. During the past decade Prof. NICCACCI has also turned his attention to the structure and language of the book of Qoheleth in two lengthy articles that appeared in Liber Annuus.3 In honor of the jubiliarian, I wish to touch on a phenomenon that combines his interest in both the Biblical Hebrew verbal system and Qoheleth. The following brief remarks will focus on one feature of the verbal system in Qoheleth, namely, instances where the piel (D) stem appears to have replaced the qal (G) stem. In Biblical Hebrew some active verbs in qal also appear in piel. When there is no apparent semantic difference in prose between the qal and piel forms (e. g., &O. Y$ and &D) Y' ‘bury’), scholars have argued that the piel forms are more intensive than their qal counterparts and that the intensity manifests itself in quality (strength or duration of the action) or in quantity (plurality of subjects or objects).4 When one finds the same verb in parallel lines in poetry in both qal and piel, the fluctuation of forms has been viewed as serving rhetorical purposes,5 e. g., ,#0O4! "H&% /% u! &D) Z. +" .# // 1"H&% &OP) Z u! 4#Y The voice of the Lord breaks the cedars // and the Lord broke the cedars of Lebanon (Ps 29,5)
NICCACCI, Syntax of the Verb. For example, NICCACCI, Neglected Point; NICCACCI, Verbal System in Poetry. 3 NICCACCI, La gioia; NICCACCI, Analisi. 4 BEN-9AYYIM, La tradition samaritaine, 117, and most recently BLAU, Phonology and Morphology, 229. See also the extensive discussion by KOUWENBERG, Gemination, concerning the functions of the parallel D stem in Akkadian (including remarks on D in general in Semitic) as well as the investigation into Hebrew by JOOSTEN, Functions. 5 BERLIN, Biblical Parallelism, 36-40, stresses the rhetorical features of assonance and play on words. RATNER, Morphological Variation, considers the variety in repetition to be a way of enhancing the experience of the readers or listeners. 1 2
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In Second Temple period sources and later, however, there are examples of a shift in both active and stative verbs from qal to piel that do not reflect an increase in intensity, e. g., biblical L9. $" > Tannaitic L9) '" ‘designate’, or biblical ! $0k$ > Tannaitic ! $*k' ‘turn (intrans.)’. The movement away from qal has been identified in Qumran Hebrew, the Hebrew of Ben Sira, Samaritan Hebrew, Tannaitic Hebrew, and Amoraic Hebrew.6 According to Zeˀev BEN-9AYYIM, the origin of the shift lies in the neutralization of the morphological difference between qal active verbs with thematic a/o-vowels (e. g., &<. Z$ /&P
a (e. g., *f$ O+ !) %$ > f$ O+ !. %$ ‘you loved/love’),7 which made stative verbs identical to active verbs (e. g., f$ &+ <. Z$ ‘you guarded’); (2) *i/u > a before the gutturals 9GF! (e. g., *FPf?+ '" > Ff. ?+ '" ‘he will open’), which led to the merger of III-guttural active verbs with stative verbs (e. g., O9. &+ '" ‘he will starve’). BEN-9AYYIM has suggested that speakers, in an attempt to maintain a morphological difference between the active and stative voices, abandoned the opaque qal stem in which active and stative verbs might take the same form, and shifted active qal verbs to the more transparently active stem piel (as well as to hifil), and stative verbs to the more transparently stative stem nifal (N).8 Jan JOOSTEN has also dealt with the subject of verbs that occur in both qal and piel. After collecting the biblical verbs that have an active and/or a middle (what BEN-9AYYIM calls stative) voice in qal, and which occur also in piel, JOOSTEN demonstrates that the piel stem may replace the active or the middle use of the qal, e. g., R&) F$ <+ /R&P) F ‘reproach’; %K) <' /%4) <$ ‘fill’, !!$ (' /!!$ ($ ‘grow faint’.9 I believe there are a few examples in Qoheleth that reflect a shift from qal to piel, similar to that attested in Second Temple period sources: (a) &x) F' ‘he investigated’ !O&! 1"4w< ,x) f' &x) F' +# , )\%' +# He listened to (weighed?), investigated, and arranged many proverbs. (Qoh 12,9)
e&YF is attested in the Hebrew Bible twenty-two times in qal, as well as four times in nifal, the reflexive/reciprocal/passive of qal. This is the only occur6 BEN-9AYYIM, La tradition samaritaine, 112-123. For bibliography on the subject since the publication of BEN-9AYYIM’s article, see FASSBERG, Movement. The increase in pual (Dp) verbs in paytanic Hebrew is part of the same phenomenon. 7 This is the so-called Philippi’s law: *i > a in a closed, unaccented syllable. Subsequent analogy extended the phenomenon to other environments. 8 BEN-9AYYIM, Grammar, 106-107; BEN-9AYYIM, !Y"/9 ,#w4, 60-65. 9 JOOSTEN, Functions. He notes (p. 224, n. 80) that the replacement of qal by piel continues into post-Biblical Hebrew.
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rence of e&YF in piel.10 The contiguous piel verbs , )\%' and ,x) f' may have aided in the shift to piel.11 (b) JV9) <' ‘they became few’ JV9) <' "C /#0FV! #4VO# and the women grinding the meal cease work because they became few (Qoh 12,3)
Eight times the stative meaning is expressed by qal in the Hebrew Bible, and thirteen times the factitive ‘make few’ by hifil. This is the only occurrence of the piel. (c) !!$ Y) ‘it became blunt’ 4H&O! !!$ YB1% )
if the axe became blunt (Qoh 10,10)
The three other occurrences of e"!Y as a verb ‘be blunt’ (Jer 31,29.30; Ezek 18,2) occur in qal. The phenomenon of qal > piel is reflected also in the shift of their respective passive stems, i. e., the replacement of the qal internal passive (Gp) or of nifal by pual (Dp).12 An example of this may be seen in (d) J& +TAp ‘they were shut’ Y#wO 1"/4L J& +TAp +#
and the doors to the street were shut (Qoh 12,4)
&IA ‘shut’ is attested as a transitive verb forty-three times in qal and eight times
with passive meaning in nifal. It is found four times in piel as ‘deliver up’ and thirty times in hifil with the same meaning.13 The three occurrences of pual (Dp) “be shut” align semantically with the qal. Note that in the Hebrew Bible
10 Elsewhere in Hebrew the piel is attested in piyyutim from the Byzantine period. See Maagarim, the database of the Historical Dictionary of the Hebrew Language, at http://hebrewtreasures.huji.ac.il. 11 GORDIS, Koheleth, 353, attributes &x) F' to assonance with the two other contiguous piel verbs. The meaning of , )\%' , which occurs in piel only in this passage, is disputed (e,H% ‘hear’— denominative from , 3HP% ‘ear’?; e,H# ‘weigh’—root attested in Biblical Hebrew only in 1 '" .0 +H%P< ‘scales’?). The verb ,x) f' is a clear borrowing from Aramaic. 12 FASSBERG, Movement. 13 In some additional verses the hifil also appears to have the meaning ‘isolate’ (< ‘shut in’). See HALOT, 743b.
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qal, not piel, is regularly used for the closing of doors (Gen 19,6 and Jos 2,5), and, similarly, nifal is employed for the closing of city gates (Isa 45,1 and 60,11; Ezek 46,2; Neh 13,19). The piel verbs cited above occur where one expects qal and also where one expects a qal internal passive or the qal-related nifal. Though some have assigned the language of Qoheleth to a relatively early date, it has generally been viewed as post-exilic.14 These piel verbs in Qoheleth reflect the movement from qal to piel attested in Second Temple period sources, and therefore constitute additional evidence for the late date of the book. Steven E. Fassberg The Hebrew University of Jerusalem
Bibliography BEN-9AYYIM Z., “La tradition samaritaine et sa parenté avec les autres traditions de la langue hébraïque”, Mélanges de Philosophie et de Littérature Juives 3-5 (1958-1962) 89-128 (a revised version of .:7? ,u@ 0"">-,G [>?"w.] G?< #//#w2 ,?2?@> ,#w22# >27! 0" .#2"A7 2w ,#w2! .:72 !.W"@# 0"/#&7#w! 245-223). .90-1 (A?"w.) u!-uA :&T/#W ,uD @>7 052 #//#w2 ,?!wD> .#%"d7G !W".5 ,#w2? ,u@ 0"">-,G BERLIN A., The Dynamics of Biblical Parallelism, Bloomington 1985. BLAU J., Phonology and Morphology of Biblical Hebrew (Linguistic Studies in Ancient West Semitic 2), Winona Lake 2010. FASSBERG S. E., “The Movement from Qal to Piʿʿel in Hebrew and the Disappearance of the Qal Internal Passive”, Hebrew Studies 42 (2001) 243-255 GORDIS R., Koheleth. The Man and His World. A Study of Ecclesiastes, New York 31968. JOOSTEN J., “The Functions of the Semitic D Stem: Biblical Hebrew Materials for a Comparative-Historical Approach”, Orientalia 67 (1998) 202-230. KOUWENBERG N. J. C., Gemination in the Akkadian Verb (Studia Semitica Neerlandica 32), Assen 1997. KRÜGER T., Qoheleth: A Commentary (Hermeneia), Minneapolis 2004. NICCACCI A., “A Neglected Point of Hebrew Syntax: Yiqtol and Position in the Sentence”, LA 37 (1987) 7-19.
14 On the dating of the language of the book, see SEOW, Ecclesiastes, 11-21; NICCACCI, La gioia, 34, n. 18; SCHOORS, Preacher; KRÜGER, Qoheleth, 34-36.
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NICCACCI A., The Syntax of the Verb in Classical Hebrew Prose, translated by W. G. E. WATSON (JSOT.S 86), Sheffield 1990. NICCACCI A., “Qohelet o la gioia come fatica e dono di Dio a chi lo teme”, LA 52 (2002) 29-102. NICCACCI A., “Qohelet: Analisi sintattica, traduzione, composizione”, LA 54 (2004) 53-94. NICCACCI A., “The Biblical Hebrew Verbal System in Poetry”, in S. E. FASSBERG - A. HURVITZ (ed.), Biblical Hebrew in Its Northwest Semitic Setting. Typological and Historical Perspectives, Jerusalem - Winona Lake, 2006, 247-268. RATNER R. J., “Morphological Variation in Biblical Hebrew Rhetoric”, Maarav 8 (1992) 143-159. SCHOORS A., The Preacher Sought to Find Pleasing Words, 2 vols. (Orientalia Lovaniensia Analecta 41.143), Leuven 1992.2004. SEOW C.-L., Ecclesiastes (Anchor Bible 18C), New York 1997.
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Gregor Geiger Erzählte Welt und wayyiqtol
Als ich damit begann, an dieser Festschrift zu arbeiten, ahnte ich nicht, daß ich schon bald den Hebräisch-Kurs von Alviero NICCACCI würde halten müssen, eines der Herzstücke des curriculums am Studium Biblicum Franciscanum. Ich benutze im Unterricht sein Vorlesungsskript1 und fühle mich dabei wie der junge David, der, in Sauls Rüstung gesteckt, darin nicht gehen konnte (1 Sam 17,39). Im folgenden einige Kieselsteinchen, mit denen ich versuche, dem Tempussystem des biblischen Hebräisch beizukommen. Mir kommt es so vor, als habe es bisher noch alle verhöhnt, die sich an ihm versuchten. Es geht in diesem Beitrag2 um das tempus wayyiqtol, und zwar im Rahmen von NICCACCIS textlinguistischem Ansatz, der auf H. WEINRICH3 zurückgreift. Ich gehe dabei von zwei Voraussetzungen aus: zum einen, daß tempora die Opposition von Erzählung und Besprechung ausdrücken können,4 zum anderen, daß diese Funktion im biblischen Hebräisch realisiert ist.5 Die hebräische Verbform wayyiqtol ist im synchronen Ansatz NICCACCIS ziemlich unproblematisch.6 NICCACCI, Sintassi (in der aktualisierten Form von 2010); dieses Vorlesungsskript ist die Fortführung des Manuskripts seiner 1986 als SBF. Analecta 23 erschienenen Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica. Dieses Werk wurde, vor allem seit es 1990 in englischer Übersetzung erschienen ist (JSOT.S 86), oft zitiert, oft diskutiert (und oft mißverstanden). Inzwischen hat NICCACCI es ausgiebig überarbeitet; die Paragraphenzählung ist beibehalten. Es bleibt zu hoffen, daß die neue Version bald veröffentlicht wird. 2 Ich danke Alviero NICCACCI für seine zahlreichen Kommentare zu einer früheren Version dieses Artikels sowie A. NEUBERT für das Korrekturlesen. 3 WEINRICH, Tempus. 4 Ich bin allerdings nicht sicher, ob WEINRICH mit seiner Überzeugung recht hat, diese Opposition sei allgemein, d. h. in allen Sprachen realisiert. Die Anwendung seiner Theorie auf das Lateinische (Tempus, 293-300) überzeugt mich nicht, und auch das moderne Hebräisch scheint diese Opposition nicht zu zeigen. 5 Die Anwendung der WEINRICHschen Textlinguistik auf das biblische Hebräisch ist v. a. im deutschsprachigen Raum teils heftig kritisiert worden (siehe auch den Beitrag von ISAKSSON in dieser Festschrift: Textlinguistics, 1.3). Ich bin mir der Problematik dieses Ansatzes bewußt (welche Erklärung des hebräischen Verbsystems ist nicht problematisch?), trotzdem bin ich nach längerer Beschäftigung mit den Thesen NICCACCIS überzeugt, daß diese Anwendung durchaus dazu beitragen kann, zu klären, was durch das hebräische tempus-System ausgedrückt werden kann. 1
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Erzählte Welt und wayyiqtol
Allerdings zeigt sie einige unsymmetrische Eigenschaften: Zum einen taucht sie in seinem Schema7 an mehreren Stellen auf, zum anderen können unter gewissen Bedingungen andere Formen die gleiche Funktion haben. Diese Unebenheiten betreffen sowohl die Abgrenzung zwischen Erzählung und Rede als auch die zwischen Vordergrund und Hintergrund. Konkret geht es in diesem Zusammenhang um folgende Fragen: • Wie ist die Stellung des discorso narrativo, der „erzählenden Rede“, im Rahmen des textlinguistischen Tempussystems? Welches sind die Kriterien, um die „erzählende Rede“ von der Erzählung einerseits und von der (direkten) Rede andererseits abzugrenzen? (1.1) • Verläßt der biblische Erzähler die Rolle des Erzählers und wird zum Kommentator? Bespricht er das Erzählte? (1.2) • Warum kann wayyiqtol nicht verneint werden? Oder, mit anderen Worten, warum wird wayyiqtol mit %I2( +#)-qatal, also streng genommen mit (w-)x-qatal, verneint? (2.1) • Wie ist die Fortsetzung des Hintergrunds der Erzählung durch wayyiqtol zu werten? (2.2) Diese Unebenheiten (und ähnliche für die anderen tempora) sind m. E. einer der Gründe, warum der Ansatz NICCACCIS so kompliziert erscheint und so oft mißverstanden wird. Für die Form wayyiqtol schlage ich vor, direkt auf WEINRICHS Ansatz zurückzugreifen. Dabei haben die kleinen Unterschiede zwischen den beiden Ansätzen eine wichtige Bedeutung. Ich stelle die erwähnten Themenbereiche an Texten aus der Prosa der hebräischen Bibel dar. Abschließend streife ich die Frage nach einem Zusammenhang zwischen der Sprechhaltung „Erzählen“ und dem Modalsystem; eine Frage, die für die diachrone Erklärung der Form wayyiqtol von Bedeutung ist. 1. WEINRICHS Erzählung – NICCACCIS Narrazione [Die] Tempora der erzählten Welt […] besagen, daß nicht die Umwelt gemeint ist, in der sich Sprecher und Hörer befinden und unmittelbar betroffen sind. Sie 6 Unproblematische Eigenschaften dieser Form sind beispielsweise (GROSS, wayyiq!ol, 6): Sie ist morphologisch eindeutig zu identifizieren (zumindest wenn man vom masoretischen vokalisierten Text ausgeht), und sie steht immer am Satzanfang (zumindest wenn man den gelegentlich vorausgehenden casus pendens nicht als Teil des Satz analysiert, so NICCACCI, Sintassi, §§ 96.104). Problematisch an dieser Form ist dagegen die diachrone Einordnung, und zwar sowohl die innerhebräische Entwicklung als auch der Vergleich mit anderen semitischen Sprachen. Beides ist hier nicht mein Thema; auf letzteres gehe ich im abschließenden Abschnitt 3.3 kurz ein. 7 Eine tabellarische Zusammenstellung der Funktionen der einzelnen hebräischen Verbformen (genauer gesagt Satztypen) in NICCACCIS System findet sich bei NICCACCI, Sintassi, §§ 4.5. In dieser Festschrift ist eine Wiedergabe davon als Appendice 2 von MESSINAS Artikel abgedruckt (S. 253).
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besagen, daß die Redesituation, abgebildet im Kommunikationsmodell, nicht auch zugleich Schauplatz des Geschehens ist und daß Sprecher und Hörer für die Dauer der Erzähler [!] mehr Zuschauer als agierende Personen im theatrum mundi sind – auch wenn sie sich selber zuschauen. Diese Rede läßt die Existenz des Sprechers und Hörers aus dem Spiel.8
Anders ausgedrückt, das Erzählte hat für die reale Welt und damit für die Gegenwart, die Sprechzeit, keine unmittelbare Bedeutung. Diese erzählte Welt steht in Opposition zur „besprochenen Welt“. In ihr ist der Sprecher gespannt und seine Rede geschärft, weil es für ihn um Dinge geht, die ihn unmittelbar betreffen und die daher auch der Hörer im Modus der Betroffenheit aufnehmen soll.9
WEINRICH teilt die tempora des Verbs in zwei Gruppen ein, in erzählende und besprechende, analog zu den beiden Sprechhaltungen. Diese Sprechhaltung […] ist eine Einstellung des Sprechers, der den Hörer anweist, in welcher Rezeptionshaltung er die fragliche Textstelle aufnehmen soll.10
Somit kann er dann Texte in diese beiden Kategorien einteilen, je nach dem, welche der beiden Verbformengruppen überwiegt. Allerdings: Nicht annähernd alle Gesprächssituationen, mit denen wir es zu tun haben, lassen sich in der gleichen Deutlichkeit polarisieren. Man kann jedoch in realtypischer Aufzählung für jede der beiden Gesprächssituationen eine Reihe von Situationstypen bezeichnen, wenn man dabei die Hilfestellung literarischer Gattungen (im […] sehr weiten Sinne des Wortes) zuläßt.11
WEINRICH gibt für die Begriffe „Erzählung“ und „Besprechung“ keine exakten Definitionen. Überspitzt formuliert, sein Ansatz basiert auf einem Zirkelschluß: Erzählende tempora sind erzählende tempora, weil sie hauptsächlich in erzählenden Texten vorkommen, und erzählende Texte sind erzählende Texte, weil in ihnen hauptsächlich erzählende tempora vorkommen. Wie auch immer, ich kann und brauche hier dieses theoretische Problem nicht zu lösen. WEINRICH untermauert seine These hinreichend mit empirischen Argumenten. Auch NICCACCI gibt in seiner Anwendung der Theorie WEINRICHS auf die hebräischen Texte des Alten Testaments keine exakte Definition des Begriffs Erzählung („narrazione“ oder „narrazione storica“): As for definitions, I suppose everybody agrees on what historical narrative and direct speech are.12 WEINRICH, Tempus, 46f. WEINRICH, Tempus, 36; DE REGT, Verb Forms, 82-87, bestimmt dagegen die Funktion des wayyiqtol als „cognitive proximity“, was eigentlich das Gegenteil von WEINRICHS Sprechhaltung der Erzählung ist. Ich bin nicht sicher, ob ich ihn richtig verstehe, aber ich habe den Eindruck, seine Funktion der cognitive proximity ist ähnlich der in Abschnitt 2 (s. u.) genannten des Vordergrunds. 10 WEINRICH, Tempus, 342. 11 WEINRICH, Tempus, 36. 12 NICCACCI, Hebrew, 133, n. 10. 8 9
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Erzählte Welt und wayyiqtol
La narrazione riguarda persone o fatti non presenti o non attuali nella situazione del rapporto scrittore-lettore e usa perciò la terza persona.13
Er grenzt die „Erzählung“ zum einen von der direkten Rede, zum anderen von poetischen Texten ab. NICCACCI setzt direkte Rede weitgehend mit WEINRICHS Besprechung (in der italienischen Fassung: „commento“) gleich: Direi anzi che esso [il commento] consiste essenzialmente nel discorso diretto, dato che il narratore biblico non interviene mai in prima persona a commentare ciò che sta raccontando, come accade invece nella letteratura moderna che Weinrich esamina.14
Für poetische Texte stellt er fest,
that the functions of the verbal forms in poetry are basically the same as in prose, more precisely in direct speech.15
Also ist, vereinfacht gesagt, biblische Erzählung alles außer direkter Rede und poetischen Texten. Aufgrund der Textgattungen, die in der hebräischen Bibel vorkommen, dürfte diese Aussage weitgehend stimmen.16 Es bleibt ein Rest von unsicheren Stellen: In einigen (wenigen) Fällen ist unklar, ob eine Äußerung direkte Rede ist oder nicht, in einigen (häufigeren) Fällen ist unklar, ob ein Text als poetisch oder als Prosa anzusehen ist. Schließlich bleiben zwei Gruppen von Textsegmenten übrig, für welche sich WEINRICHS und NICCACCIS Klassifikation unterscheiden, der discorso narrativo (erzählende Rede – 1.1) und der commento (Kommentar – 1.2). WEINRICH ordnet den beiden Sprechhaltungen die verschiedenen tempora in den von ihm behandelten Sprachen zu. Die erzählenden tempora im Deutschen sind beispielsweise „Präteritum, Plusquamperfekt, Konditional und Konditional II“,17 mit unterschiedlichen Funktionen innerhalb der Erzählung. Nach NICCACCIS Anwendung dieser Textlinguistik ist wayyiqtol eines der hebräischen Erzähl-tempora, und zwar mit der Funktion, den Vordergrund der Erzählung sowohl zu beginnen als auch fortzusetzen.18 Allerdings findet sich wayyiqtol auch in direkter Rede, und zwar im:
NICCACCI, Sintassi, § 7. NICCACCI, Sintassi, § 2, n. 4. 15 NICCACCI, Poetry, 247. 16 Folgende Tatsache untermauert NICCACCIS Klassifizierung: Größere Abschnitte von Prosa-Texten, die eigentlich zu besprechenden Gattungen gehören (wie Weisungen und Gesetzestexte) stehen in direkter Rede, siehe z. B. die Einleitungen dazu in Lev 1,1f oder Deut 1,1-6. 17 WEINRICH, Tempus, 18. 18 NICCACCI, Sintassi, § 39. 13 14
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1.1 Discorso narrativo (erzählende Rede) Die biblischen Erzähler sind in der Regel keine Ich-Erzähler.19 Deshalb stehen die Erzählungen in der Bibel normalerweise in der dritten Person.20 Im Unterschied dazu stehen erzählende Textteile innerhalb direkter Rede oft in der ersten Person. NICCACCI bezeichnet diese als „discorso narrativo“ oder „narrazione orale“.21 Ein Beispiel dafür ist Ri 12,2f: 2a b c d 3a b c d e f
1!" 3S 4) %[ FQ f$ ?+ '" &<% 3 P `X .# Jiftach sprach zu ihnen:22 L% P E <+ ,MN= 9B"8 . 0) OJ + "N: ' 9. +# "50' %[ "/"5 ' '"!$ O"&d ' Z"%@ ' „Ein Mann sehr im Streit bin ich gewesen: ich und mein Volk, und die Söhne Ammons, 1C3S /+ %3 Y9@ . +H%3 $# ich schrie euch herbei, U1L8 $ $`<' "/M% = ' 1f: 3 9+ ZM!B% . P 48 +# aber ihr habt mich nicht aus der Hand jener befreit, !%h3 &+ %3 #8 $ ich sah, 9" . ZM< 'd @l +0"%B" ) (8 ' daß du kein Befreier bist, "k Q ' C. O+ "ZX ' ?+ .0 !<" $ >'- %$ $# und setzte meine Seele in meine Faust, ,MNS 9. "@0) DB4 + %3 !Q &$ D+ 9+ %3 #8 $ vor schritt ich gegen die Söhne Ammons. "LE ' $"D+ !=#! $ +" 1:0) f+ '` .# und ER gab sie in meine Hand – U"D8 ' 1F3 K: $ !' 4+ !=\3 !. 1M :`!. "54. %) 1/" : 3 4' 9[ !<$h 4$ +# warum also seid ihr heutigen Tags wider mich herübergezogen, mich zu bekriegen?“
Diese erzählende Rede folgt dem Schema der Erzählung. Nach dem x-qatal (2b) beginnt die Kette der wayyiqtol. In 2d ist wayyiqtol in der Form %P4 +#-qatal verneint (s. u., 2.1). Der Nominalsatz23 3b (Objektsatz) ist Hintergrund, das waw-x-qatal 3f kann als Hintergrund interpretiert werden, um Kontrast oder Emphase auszudrücken.24 Der einzige formale Unterschied zwischen dieser erAusnahmen finden sich bei den Propheten, v. a. Ezechiel und Daniel. NICCACCI, Lettura, 2. 21 NICCACCI, Sintassi, § 74; der zweite der beiden Begriffe ist aus der italienischen Version von WEINRICH, Tempus, übernommen. 22 Die deutsche Übersetzung der biblischen Texte folgt mit vereinzelten Anpassungen BUBER-ROSENZWEIG. 23 In der Terminologie NICCACCIS „proposizione nominale semplice“ („PNS“) – einfacher Nominalsatz. 24 NICCACCI, Sintassi, §§ 42.48. 19 20
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zählenden Rede und einer eigentlichen Erzählung ist die erste Person. Im folgenden Beispiel (Ri 11,15-22) fehlt auch dieser formale Unterschied: 15a M4S &<% 3 P `@ .# Er sprach zu ihm: b FfE $ ?+ '" &<@ . %$ !P(= „So hat gesprochen Jiftach: c U,MN8 9. ":0) D+ c&3 %B/ = 3 %3 +# O%M< S$ c&3 %B/ @ 3 %3 Q4%) &$ >+ '" FY^X . 4B% $ P 48 Nicht hat Jifsrael das Land Moab noch das Land der Söhne Ammons genommen. 16a 1 '"&E $ e+ N' <' 1/M4 @ $ 9[ D. "(= ' Sondern als sie aus Ägypten heraufzogen, b RJAB1 S ."BL9. &Q D$ L+ N' D. 4%X ) &$ >+ '" W43 `)- .# ging Jifsrael durch die Wüste bis zum Schilfmeer, c U!Z$ L8 ) Y$ %P O$`= .# es kam nach Kadesch. … 22 U,;8 ) &+ .`!BL . 9. +# &D= $ L+ N' !B, . <J ' YPDS .`!BL . 9. +# ,M0 Q &+ %. <8 ) "&PE ' <%7 !$ 4JO@ +TB4($ /%= ) JZS &"@+ `' .# Sie ererbten alle Gemarkungen des Amoriters, vom Arnon bis zum Jabbok und von der Wüste bis zum Jordan. 23a 4%E ) &$ >+ '" MN@ 9. "=0) k+ <' "&PS ' <%7 !B/ @ $ %3 Z" Q &M! ' 4%d) &$ >+ '" "!6 @ ) %7 z !@#! $ +" !f$h 9. +# Nun denn, ER, der Gott Jifsraels, hat den Amoriter vor seinem Volk Jifsrael her enterbt, b UJ*Z8 3 &"$ f' !f= $ %. +# und du, du willst es beerben!“
NICCACCI analysiert diesen Text selbst:25 Die erzählende Rede werde von typischen Formen direkter Rede eingerahmt (15b und 23ab). Die mündliche Erzählung selbst („racconto“) ist gebildet wie eine eigentliche Erzählung („narrazione“). Der einzige Unterschied zwischen mündlicher und eigentlicher Erzählung ist deren Beginn: In direkter Rede beginnt die Zeitachse der Vergangenheit im Vordergrund („resoconto“ – Bericht) mit qatal oder x-qatal, welches durch wayyiqtol fortgesetzt werden kann. Die Erzählung dagegen beginnt mit einem Antefakt (z. B. x-qatal). Das heißt also, x-qatal kann am Beginn mündlicher und eigentlicher Erzählung vorkommen, allerdings ist die Stellung dieser Form in der Textstruktur unterschiedlich. X-qatal als Beginn des mündlichen Berichts drückt den Vordergrund aus, während x-qatal als Antefakt als Hintergrund angesehen werden kann.26 Diese Unterscheidungs ist im Zusammenhang von NICCACCIS tempus-System sinnvoll. Ich glaube aber nicht, daß sie im konkreten Fall des Beginns einer Erzählung von Bedeutung ist. Ein weiteres Beispiel (Ri 11,7): 25 26
NICCACCI, Sintassi, § 75. NICCACCI, Sintassi, §§ 26f.76.
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L9$S 4+ 'I "@0) Y+ 'H4+ FQ f$ ?+ '" &<% 3 P `X .# Jiftach sprach zu den Ältesten von Gilad: "/M% 'S 1/% @ 3 )0>+ 1Q f3 %. %P 4X ![ „Wart ihrs nicht, die mich haßten, "OE ' %$ /"@D) <' " '0JZ= &+ $If+ .# mich aus dem Haus meines Vaters trieben? !f$ 9.S "4Q . %) 1/% X 3 D$ 9J . ;q <J . Weshalb seid ihr zu mir gekommen jetzt, U1C8 3 4$ &e: . &Z= 3 %[ (. dieweil euch bang ist?“
Ob man das x-qatal (7b) als Antefakt (Hintergrund) einer Erzählung oder als Beginn eines Berichts interpretiert, bleibt eine Frage der Terminologie. Das darauf folgende wayyiqtol führt die (mündliche) Erzählung im Vordergrund fort, das x-qatal (7d) kann als Hintergrund oder als Neueinsatz angesehen werden. Hebräischer Bericht geht oft schnell in die mündliche Erzählung über.27 Ich schlage dafür eine Erklärung in Rückgriff auf WEINRICH vor. Er beschreibt mehrere Sprachen, die im Laufe ihrer Entwicklung das erzählende Haupt-tempus verloren haben (modernes Französisch und süddeutsche Mundarten;28 man kann hier beispielsweise norditalienische Umgangssprache oder modernes Hebräisch ergänzen). Die Sprachentwicklung habe darauf reagiert, indem sie das tempus-System umorganisierte oder indem sie (im Fall der deutschen Mundarten) vermehrt Adverbien einsetzt. Im biblischen Hebräischen scheint es mir umgekehrt zu sein. Hier hat das Erzähl-tempus wayyiqtol den Platz der fortlaufenden Hauptlinie (Vordergrund) des Berichts eingenommen.29 Anders ausgedrückt: berichtet die biblische direkte Rede vergangene Ereignisse, fällt sie dabei oft in die Sprechhaltung der Erzählung. Es fällt auf, daß dabei, vergleichbar mit den deutschen Mundarten, immer wieder Adverbien (z. B. !f$ 9. , Ri 11,7d) oder Fragepronomen (z. B. !<$ 4$ , Ri 12,3e) vorkommen, welche zur besprechenden Sphäre gehören.30 Eine weitere Beobachtung spricht für diese Gleichsetzung: Die Konstruktionen für den Hintergrund der Erzählung und den der Vergangenheitsachse der Besprechung sind identisch (x-qatal, Nominalsatz, x-yiqtol und weqatal). Es finden sich auch vereinzelt Beispiele für längeren Bericht, z. B. Deut 5,2-5. WEINRICH, Tempus, 252-287. 29 Ob es sich um eine diachrone Umstrukturierung im Rahmen der Sprachentwicklung handelt, kann ich hier nicht beantworten. Innerhalb biblischer Prosa ist keine solche Entwicklung zu beobachten. 30 Zu Adverbien, die typisch für die direkte Rede sind, s. NICCACCI, Sintassi, §§ 66-73. Fragepronomen sind an den Hörer oder Leser gerichtet und erwarten eine Antwort, eine Reaktion. Die Existenz des Sprechers und Hörers bleibt also nicht, wie in der erzählenden Sprechhaltung, aus dem Spiel. 27 28
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Ri 19,18 ist ein Beispiel dafür, daß das wayyiqtol nicht immer als Fortsetzung eines Vergangenheits-tempus erklärt werden kann:31 18a #"2$ c %) &7% 1 I _L -# Er sprach zu ihm: b 0 a '"&- 9+ %;& 1 !- ".L ) (+ &+ -";D5- !` DB! $ +" 0>L1 2;." 1 =N ) 7' B/>+ /- q %Y 0"&e ' GI+ 5 „Wir ziehen von Betlehem in Jehuda nach dem Rückrand des Gebirges Efrajim, c "<' I /M %$ 0[L $ 7' von dorther bin ich, P $ +" 0>O1 21 ."=;D H ) 5- U2) g %) $# d !DB! ich war nach Betlehem in Jehuda gegangen, e U2I) M ! "L/' %Y !J $#! +" ."V=;. ) %1 +# und nun gehe ich zu SEINEM Haus, f R!.$ +"=N $ !- ".E% O ' KtH ) %- 7+ X"%M' ,"%L ) +# aber niemand will mich in sein Haus einholen.“
Die direkte Rede beginnt mit zwei Nominalsätzen (18bc) und fährt fort mit einem wayyiqtol (18d) und zwei weiteren Nominalsätzen. Der zweite Nominalsatz 18c berichtet einen gegenwärtigen Zustand, das Sein „von dorther“, welcher freilich schon in der Vergangenheit seinen Anfang genommen hat. Daran schließt sich die kurze Erzählung 18d an, um sofort wieder mit zwei Nominalsätzen gegenwärtige Zustände zu beschreiben. Auch in 18c stellt sich, ähnlich wie schon oben in Ri 11,7b, die Frage, ob der Nominalsatz als Antefakt zum erzählenden wayyiqtol aufzufassen ist oder ob er auf der Hauptlinie der Gegenwarts-Zeitachse der Besprechung liegt. Formal ist wieder keine Unterscheidung möglich. Vielleicht sollte man die Frage offen lassen. WEINRICH kennt ähnliche Fälle: Man kann nun die syntaktische Grenze verschieden auffassen. Einerseits ist es möglich zu sagen, der Satz […] gehöre als Grenzmarkierung nicht mehr zur Erzählung. Es ist aber andererseits auch möglich, den grenzmarkierenden Satz noch mit zur Erzählung zu rechnen.32
Man kann die Funktion solcher Sätze als syntaktischen Übergang zwischen der Sprechhaltung der Besprechung und der der Erzählung bezeichnen, welcher selbst keiner der beiden Sprechhaltungen eindeutig zuzuordnen ist. Anders verhält es sich, wenn der Sprecher wieder von der Erzählung zur Besprechung wechselt, z. B. Jos 2,9-12:
Ausführlich zum wayyiqtol als Fortsetzung von Gegenwarts- oder Zukunfts-tempora s. GROSS, wayyiq!ol. 32 WEINRICH, Tempus, 193. 31
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9a b c d e
1"Z'S $0%[ !B4 @ $ %3 &Q <% 3 P fQ .# und sie sprach zu den Männern: "f' 9+ Lg . $" „Ich weiß: c&3 %E $ !B/ $ %3 1=C3 4$ !5#! $ +" ,/2 . $0B"(8 ' ja, euch hat ER das Land gegeben, J0"4) S 9$ 1Q C3 /+ <" . %8 ) !X4$ ?+ $0B"C8 ' +# ja, von euch her stürzt Entsetzen auf uns, U1C" 8 3 )0k+ <' c&3 %= $ !$ "O: ) ZP+ "B4($ JI< P 5 $0 "C: ' +# ja, alle Insassen des Landes wanken vor euch,
10 /%) i J09+ <.d Z$ "(@ ' wir habens ja gehört: das 1 '"&E $ e+ N' <' 1=C3 /% + e) D+ 1C" 3S )0k+ <' RJAB1 Q ." "' 9[ &Z @ 3 %[ .# und wie ihr den beiden Amoriterkönigen tatet, IM9S 4J + ,PF@ "A' 4+ ,;Q ) &+ .`!. &O3 9X ) D+ &Z3- %[ denen jenseit des Jordans, dem Sfichon und dem Og, U1/M% 8 $ 1f= 3 <+ &. F7 !3 &Z: 3 %[ wie ihr sie banntet, 11a 9Q <. Z+ '* .# wir hörtens, b J0OS) O$ 4+ AN@ . '` .# unser Herz schmolz c 1EC"3 )0k+ <' Z"%= ' D+ FJ . &5 LM9: !<$ YB% - $ P 4 +# in niemand mehr hob ein Geist sich vor euch, d U/F. f8 $ <' c&3 %= $ !B4 $ 9. +# 49. N.S <' 1 '"<@ . ]$ D. 1"Q !6 ' %7 %J!X 1C" 3S !) 68 %7 !@#! $ +" "(y ' ja: ER, euer Gott, er ist Gott, im Himmel droben, auf Erden drunten! 12a !#!" S $ D8 . "4Q ' %:0BJ9 $ O+ ]8 $ !' !f$d 9. +# Und nun schwöret mir doch bei IHM“
Die direkte Rede beginnt mit satzeinleitendem qatal. Diese Konstruktion ist typisch für den Bericht in direkter Rede, ist dagegen in der Erzählung selten.33 Diesem Satz folgen mehrere x-qatal (9cde.10; Hintergrund) und nominalisierte (&Z3 %[ -)Sätze, alle in der Zeitachse der Vergangenheit. Erst mit den beiden wayyiqtol in 11ab und dem verneinten 11c geht die direkte Rede in eine Erzählung über. Der Nominalsatz 11d bildet dazu den Hintergrund. In 12a zeigt sowohl 33 Nach NICCACCI, Sintassi, §§ 15.22, komme satzeinleitendes qatal in der Erzählung überhaupt nicht vor (“il qatal nella narrazione non è mai iniziale, nel senso che non occupa mai il prima posto della proposizione”). Es finden sich zwar vereinzelte Fälle (z. B. Jos 3,16; Ri 18,17), aber NICCACCI schlägt für sie eine Erklärung als Teil der apodosis vor (id., Lettura, 82, zu Jos 3,16).
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das Adverb !f$ 9. +#34 als auch die Verbform (Imperativ) an, daß die direkte Rede wieder zur Sprechhaltung der Besprechung zurückgekehrt ist. Manchmal endet die direkte Rede in der Sprechhaltung der Erzählung, so im folgenden Beispiel (Ri 15,6): 6c
d e f g
J&d <% + P ` .# Man sprach: "0'S <+ f' !. ,/@ . F[ ,MZ Q <+ Z' „Schimschon, der Schwiegersohn des Timniters, MfS Z+ %B/ ' %3 FY^@ . 4$ "(y ' denn der hat sein Weib fortgenommen J!9E ) &) <) 4+ s=0$ f+ '`#8 . und gabs seinem Gesellen.“ 1"f'S Z+ 4' ?+ J4@ 9[ .` .# Die Philister zogen herauf.
Sowohl der letzte Satz der direkten Rede (6f) als auch die Weiterführung der Erzählung (6g; Fortführung von 6c) sind wayyiqtol. Das einzige formale Kriterium, das, neben der Semantik, den Wechsel zwischen der mündlichen und der eigentlichen Erzählung anzeigt, ist der Subjekts- und numerus-Wechsel zwischen den beiden wayyiqtol. Im folgenden Beispiel (Ex 2,19f) fällt auch dieses formale Kriterium weg: .g P f .# 19a $ ,&+ <% Sie sprachen: 1"9PE ' &!$ L@`. <' J04" = $ _' !' "&S ' e+ <' Z"%@ ' „Ein ägyptischer Mann hat uns aus der Hand der Hirten gerettet, c J04$ S !Q 4$ L$ !6X ;B1 $ .I +# er schöpfte auch, schöpfte für uns d U,%P _8 !B/ . %3 Y+ Z=+ `. .# und tränkte die Schafe.“ + %3 &<% 3 P `: .# 20a #"/P= $ 0DB4 Er sprach zu seinen Töchtern: b
Nach zwei x-qatal geht die direkte Rede in ein erzählendes wayyiqtol (19d) über. Das folgende wayyiqtol (20a), ebenfalls in der dritten Person maskulin singular, nimmt die eigentliche Erzählung (NICCACCIS „narrazione storica“) wieder auf und setzt das wayyiqtol von 19a fort. Es gibt keinen formalen Unterschied zwischen dem wayyiqtol in 19d und dem in 20a. Nur die Semantik (und die beiden Suffixe der ersten Person Plural, 19bc) lassen den Übergang von der mündlichen zur eigentlichen Erzählung erkennen.
34 Nach NICCACCI, Sintassi, §§ 66.73, ein segno macro-sintattico della comunicazione, welches ausschließlich in direkter Rede vorkomme.
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Mündliche Erzählung, d. h. erzählende Rede, läßt sich also von der eigentlichen Erzählung unterscheiden, da sie im Textzusammenhang in direkte Rede eingebettet ist. Dagegen unterscheiden sich beide Formen der Erzählung in der Verwendung und der Funktion der tempora nicht voneinander. Beide bestehen aus Ketten von wayyiqtol, die durch verschiedene Konstruktionen zum Ausdruck des Hintergrunds unterbrochen werden können. Die direkte Rede kann erzählend enden, sie kann aber auch wieder in besprechende tempora übergehen. Allenfalls am Anfang mündlicher Erzählung finden sich Konstruktionen, die am Anfang eigentlicher Erzählung nicht verwendet werden. Diese Konstruktionen müssen aber nicht unbedingt zur Erzählung gezählt werden. Möglicherweise gehören sie noch zur Besprechung, oder sie sind Übergangsformen zwischen den beiden Sprechhaltungen. 1.2 Commento (Kommentar) Während erzählende Textteile in direkter Rede ziemlich verbreitet sind, ist das umgekehrte Phänomen im biblischen Hebräisch selten. NICCACCI35 stellt fest, der biblische Erzähler greife nie in erster Person ein, um das zu kommentieren, was er erzählt, ma lo fa sempre in forma indiretta in terza persona […]. In questo senso “commento” corrisponde a quello che nel seguito chiamo “livello secondario” della narrazione.
Er zählt den Kommentar des biblischen Erzählers also nicht zur Sprechhaltung der Besprechung, sondern zum Hintergrund der Erzählung.36 Formal ist das möglich. Die Vordergrundkonstruktionen der Besprechung finden sich auch als Hintergrundkonstruktionen der Erzählung, mit Ausnahme der volitiven Formen – sowenig wie der biblische Autor in erster Person das Wort ergreift, sowenig wendet er sich in volitiven Formen an den Leser. Ein Beispiel für einen Kommentar (Jos 14,13-15): 13b U!48 $ F[ .04+ !=*3 ?p +"B,D3 O:4) C$ 4+ ,M&5 O+ FB/ 3 %3 ,f2 ) '` .# Er gab Hebron Kaleb Sohne Jefunnes zu Eigentum. 14 !E\3 !. 1M @`!. L9= . !4$ S F[ .048 + "Q '\ '0x+ !. !X*3 ?p +"B,D3 O4) - C$ 4+ ,M&O+ FB! 3 i /8 $ +"!$ ,@(B4 ) 9. Daher war Hebron Kaleb Sohne Jefunnes dem Knisiten zu eigen bis auf diesen Tag,
NICCACCI, Sintassi, § 2, n. 4 (s. o.). Allerdings finden sich bei NICCACCI auch Aussagen, die diesen Kommentar in die Nähe der direkten Rede rücken: “ ‘Direct speech’ […] also indicates indirect speech, as when an author comments in different ways upon the story he is narrating” (NICCACCI, Hebrew, 119), oder differenzierter: “Comment is a ‘mixed category,’ an intrusion of direct speech into narrative. When commenting on the event he is narrating, the writer uses the same verb forms as in direct speech, although not all of them nor with the same temporal value. It is as if he were speaking to his reader indirectly” (ibid., 133, n. 10). 35 36
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U4%8 ) &$ >+ '" "!6 : ) %7 !=#! $ +" "&g ) F[ %. %K) S <' &Z @ 3 %[ ,9y. ". weil er völlig IHM, dem Gott Jifsraels, nachgefolgt war;
15a 9DS. &+ %. /@". &+ Y' 1"Q '0?$ 4+ ,M&X O+ F3 1Z)- +# und der Name von Hebron war vordem Kirjat Arba.
Sowohl das x-qatal von V. 14 als auch der Nominalsatz (15a) können formal als Hintergrund des wayyiqtol von 13b angesehen werden. Allerdings spricht das deiktische ! 3\!. 1M`!. L9. gegen die Sprechhaltung der Erzählung. Der Erzähler ergreift zwar nicht die Rede in erster Person, aber er verweist auf seine eigene Zeit. Er verläßt die erzählte Zeit und kehrt zurück in „die Umwelt […], in der sich Sprecher und Hörer befinden“,37 d. h. er erzählt nicht mehr, er bespricht. Weniger deutlich ist dies im folgenden Beispiel (Gen 16,13f): 13a !" $ 43 S %) &@OP) ;!. !Q $#! +"B1Z) %&X $ Y+ f' .# Sie aber rief SEINEN Namen, des zu ihr Redenden: b "%E ' &{ 4%@ ) !f= $ %. „Du Gott der Sicht!“ c !&d $ <+ %8 $ "(@ ' Denn sie sprach: d U"%P8 ' & "&: ) F[ %. "/" ' %= ' &$ 165 ![ 1:I. ![ „Sah auch wirklich ich hier dem Michsehenden nach?“ 14a "%PE ' & "F= . 4. &%: ) D+ &%S) D+ 4. %&@ $ Y$ ,(B4 Q ) 9. Darum rief man den Brunnen Brunn des Lebenden Michsehenden. b UL&3 D8 $ ,"OJ : ) ZL= ) YB," $ O) !:*) !' Da ist er, zwischen Kadesch und Bared.
Wie im vorhergehenden Beispiel finden sich ein x-qatal (14a) und ein Nominalsatz (14b), die als Hintergrund in der Erzählung oder als Vordergrund in der Besprechung verstanden werden können. Es fehlt aber hier ein deiktisches Element, das auf die Umwelt des Autors verweist, und damit ein formales Argument für eine Entscheidung. Mit einer gewissen Unsicherheit kann die Semantik als Argument herangezogen werden: Ist der Nominalsatz 14b Hintergrund der Erzählung, so drückt er Gleichzeitigkeit mit dem Vordergrund aus.38 Ist er Vordergrund der Besprechung, drückt er Gegenwart39 (Gleichzeitigkeit mit dem Sprechakt) aus. Im ersten Fall würde das bedeuten, daß der Brunnen zwischen Kadesch und Bared lag, als Hagar die Erscheinung widerfuhr, im zweiten Fall, daß der Brunnen heute (genauer gesagt, als der Autor den Text verfaßte) dort liegt. Inhaltliche Gründe sprechen für die zweite Lösung, auch wenn die erste nicht völlig auszuschließen ist. Auch Sätze in der Erzählung, die mit !0!(#) beginnen, kann man auf diese Weise klassifizieren. NICCACCI tut das mit einem gewissen Zögern: 37 38 39
WEINRICH, Tempus, 46. NICCACCI, Sintassi, § 43. NICCACCI, Sintassi, § 51.
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! )*!' ( +#) comunica un fatto nuovo che acquista un risalto improvviso nello svol-
gimento altrimenti lineare dei fatti. La sua presenza è legata, esplicitamente […] o implicitamente […], al verbo “vedere”. La narrazione si avvicina così all’immediatezza del discorso.40
Die Aussage, die Erzählung nähere sich so der Unmittelbarkeit der Rede, kann man auch so interpretieren, daß der Autor die Rolle des Erzählers verläßt. Er lädt den Leser dazu ein, sich das, was in der Erzählung gesehen wird, selbst vor Augen zu stellen.41 Damit ist er nicht mehr der Erzähler, der „die Existenz des Sprechers und Hörers [und Lesers] aus dem Spiel“42 läßt. Er bespricht das Gesehene. Mit anderen Worten: In narration hinn6—usually in the form of wehinn6—signals a shift in viewpoint, that is, the angle from which something is related. By the use of wehinn6 the audience is, so to speak, invited to share what the character sees.43
Ein Beispiel (Ri 3,24f):
24a %J d$ $" %B!V +# Als er nun hinausgetreten war, b B%=M$ #"DL $ G$ 5Y -# kamen seine Diener c B%g &+ '_ -# und sahn, d .E2P 5p +/ !O_$ 2' 5Y !$ .E.H 2+ 6- !S*) !' +# da, die Türen des Obergemachs waren verriegelt. e B&M 7% + I _L -# Sie sprachen: f „…“ 25a XE=;D M 5- B2">L ' $_ -# Aber sie warteten sich zuschanden: b !P_$ 2' 5Y !N $ .E.L 2+ 6- >- .IO ) 9 B*H/"1 %) !S*) !' +# da, er schloß die Türen des Obergemachs nicht auf. c >-J f)J 9+ F- !;. - %1 B>V W+ '_ -# Sie nahmen einen Schlüssel her d B>f$M 9+ '_ -# und schlossen auf, e R.7N ) !d$ &+ %O - 29IH ) / 0!" 1M )/I DL %Y !J )*!' +# da: hingefallen ihr Herr zur Erde, tot!
Dreimal kommt in diesen beiden Versen das Wort ! )*!' +# vor. In 24d geht ihm ein Verb des Sehens voraus (B%&+ '_ -#), ! )*!' +# beginnt die Beschreibung dessen, was 40 41 42 43
NICCACCI, Sintassi, § 71. Vgl. die Bezeichnung dieser Partikel als „Präsentativ“ (BLAU, Adverbia, 130). WEINRICH, Tempus, 47. ESKHULT, Thoughts, 113.
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die Knechte sahen. In 25e geht dem ! )*!' +# kein Verb des Sehens voraus, aber es folgt ihm die Beschreibung der Szene, die die Knechte sahen, nachdem sie die Tür geöffnet hatten (JFf$ ?+ '` .#). Weniger deutlich ist 25b. Die Erklärung ist nicht naheliegend, die Knechte hätten während des Wartens gesehen oder wahrgenommen, daß der König nicht aufschloß. Der mit ! )*!' +# eingeleitete Nominalsatz könnte also durchaus als Hintergrund-Beschreibung gedeutet werden: Sie warteten, und (gleichzeitig) schloß er nicht auf. Ich halte diese Erklärung deswegen für unbefriedigend, weil dadurch das eigentlich Nebensächliche (das Warten) als Vordergrund erzählt würde, während das für den Verlauf der Erzählung Wichtigere (der König schließt nicht auf) den Hintergrund bildet. Die Einschätzung, was nebensächlich und was wichtiger ist, mag subjektiv sein, und es ist auch nicht auszuschließen, daß der Autor aus rhetorischen Gründen Wichtiges als Hintergrund formuliert. Trotzdem schlage ich vor, diesen ! )*!' +#-Satz und die beiden anderen hier erwähnten nicht als Hintergrund der Erzählung zu interpretieren, sondern als Wechsel zur Sprechhaltung der Besprechung. 2. Vordergrund und Hintergrund der Erzählung [Es] ist […] nicht a priori zu sagen, was in einer Erzählung Vordergrund ist […]. Vordergrund ist, was der Erzähler als Vordergrund aufgefaßt wissen will. Der Ermessensspielraum des Erzählers ist jedoch auch hier durch einige Grundbedingungen des Erzählens eingeschränkt. Vordergrund ist nach den Grundgesetzen des Erzählens gewöhnlich das, um dessentwillen die Geschichte erzählt wird […]; mit einem Wort Goethes: die unerhörte Begebenheit. Von hier aus läßt sich umgekehrt bestimmen, was in einer Erzählung Hintergrund ist. Hintergrund ist im allgemeinsten Sinne das, was nicht unerhörte Begebenheit ist, was für sich alleine niemand zum Zuhören bewegen würde, was dem Zuhörer jedoch beim Zuhören hilft und ihm die Orientierung in der erzählten Welt erleichtert.44
NICCACCI übernimmt WEINRICHS Klassifizierung (Vordergrund: primo piano; Hintergrund: sfondo).45 Auf die hebräische Erzählung angewandt bedeutet das, wayyiqtol ist das Vordergrund-tempus, der Hintergrund kann durch mehrere verschiedene Konstruktionen, die unterschiedliche semantische Funktionen haben, ausgedrückt sein.46 Zwei Konstruktionen stören die Symmetrie: verneinte Vordergrundformen (2.1) sowie wayyiqtol zur Fortsetzung des Hintergrunds (2.2). WEINRICH, Tempus, 94. Einen interessanten Aspekt fügt NICCACCI in einer neueren Veröffentlichung (Integrated, 123) hinzu: “foreground constructions indicate time, while background constructions indicate aspect ”. 46 NICCACCI, Sintassi, §§ 39-50; vorsichtiger formuliert COOK, Semantics, 263: wayyiqtol drücke Vordergrund aus, dagegen seien andere Konstruktionen nicht automatisch Hintergrund. 44 45
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2.1 Verneinte Erzählung Die Form wayyiqtol kann nicht verneint werden. Diese Beobachtung kann auf zwei Arten erklärt werden: Entweder ist die Funktion der Form wayyiqtol nicht mit der Funktion „Verneinung“ vereinbar, oder eine andere Form übernimmt die Funktion des zu verneinenden wayyiqtol. NICCACCI neigt, wie die meisten, zur zweiten Möglichkeit, d. h. soll wayyiqtol verneint werden, werde es durch %P4 +#-qatal ersetzt, welches dieselbe Funktion – Vordergrund der Erzählung – habe. Ho chiamato “proposizione verbale” quella che inizia con un verbo finito e “proposizione nominale” quella che inizia con un elemento differente, escluse la congiunzione waw e le negazioni l5ˀ e ˀal.47
%P4 ist also nach NICCACCI kein Element x, der Satz ist kein Nominalsatz. Ich
habe dafür bei ihm keine explizite Begründung gefunden. Es gibt Gründe, die eine solche Analyse möglich machen: In verschiedenen Sprachen finden sich Verbformen, die, wenn sie verneint werden sollen, durch andere ersetzt werden, z. B. der lateinische oder der italienische Imperativ oder die arabische Verbform faˁala – lam yaf ˁal (Apokopat). Man mag auch noch die äthiopische Verneinung ˀi- anführen, die sich proklitisch mit der Verbform verbindet, die also als eine Einheit mit ihr aufgefaßt werden kann. Außerdem ist es in vielen Sprachen (z. B. Deutsch oder Italienisch) möglich, die Erzählzeit im Vordergrund zu verneinen, so im folgenden Beispiel (Gen 31,34), dem ich die Übersetzung von NICCACCI hinzufüge.48 34d 4!3 % P = !B4 $ (B/ $ %3 ,O5 $ 4$ Z]: ) <. +" .# Laban tastete all das Zelt ab Per questo Labano frugò tutta la tenda e %e8 $ <$ %P 4: +# und fands nicht. e non trovò (niente).
Damit ist freilich nur gesagt, daß die Analyse von %P4( +#)-qatal als Vordergrund möglich ist, das Phänomen ist aber noch nicht erklärt. Ein Argument gegen die Analyse von %P4( +#)-qatal als Verneinung von wayyiqtol, d. h. als Allomorph, sind die (seltenen) Fälle, in denen eine direkte Rede mit %P4-qatal beginnt, was mit wayyiqtol nicht möglich ist,49 z. B. Ri 19,30: 30a !%Pd3 &!B4 $ C$ !@"$!$ +# Es geschah, alljeder, ders sah, b &Q <. %$ +# sprach:
47 48 49
NICCACCI, Linguistica, 192. NICCACCI, Sintassi, § 40. NICCACCI, Sintassi, § 143.
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!.V $ +"!+ '/;%I 2N „Nicht ist geschehn, !PZ1 !- 0E L_!- D5O - 0 '"&M - d+ 7' b&1 %L 1 7) J2%) &$ 8+ '";"N/) =+ .E2V 5Y 0E h_7' 2+ .%I @M ($ !J .$ %Y &+ '/;%I 2N +# nicht ward ersehn wie dieses von dem Tag an, da die Söhne Jifsraels heraufzogen vom Land Ägypten, bis zu diesem Tag.
Ich schlage vor, das %I2 in der Konstruktion %I2( +#)-qatal doch als x zu sehen, den Satz also als Hintergrund.50 Diese Analyse geht davon aus, daß das, was nicht geschehen ist, aus einer Kette aufeinanderfolgender Ereignisse herausfällt. WEINRICHS Aussage, Vordergrund sei, was der Erzähler als Vordergrund aufgefaßt wissen wolle, ist dann nicht nur „durch einige Grundbedingungen des Erzählens eingeschränkt“,51 sondern auch durch die einzelsprachliche Regel, im biblischen Hebräisch gehöre in der Erzählung das Verneinte in den Hintergrund. 2.2 Fortsetzung des Hintergrunds Wayyiqtol taucht auch als Hintergrund auf, sowohl in der Erzählung als auch in der Besprechung (in der Achse der Vergangenheit), und zwar meistens als Fortsetzung von x-qatal, unter definierbaren Umständen.52 Mehrere Beispiele dafür finden sich in Jos 10,1-3: 1a
b c d e f g 2a
o2- c XB& $ +" U21 7L 1 WD1 d;" 1q '/I DN %Y 5- 7 I e X+ <' n"!' +" -# Es geschah, als Adonizedek König von Jerusalem hörte, "`5- !;. $ %1 5- XE! L p +" D<-e 2;" $ (N ' daß Jehoschua Ai erobert, s a 7" $ &' >Y -_ -# es gebannt hatte s($M 2+ 7- 2B + E>" J &"' 2N ' !8V $ 5$ &X1e %Y (– wie er Jericho und dessen König getan hatte, s(P $ 2+ 7- 2B + "5O - 2$ !8H $ 5;, $ () so tat er Ai und dessen König – 2%M) &$ 8+ '";.%1 ,E5 J G+ 'A "GV ) XI+ " B7"2' q X+ !' "<'e +# und daß die Insassen von Gibon sich mit Jifsrael befriedet hatten R0=N $ &+ W' =+ B O"!+ _N ' -# und in ihrem Nahkreis blieben: D% I M 7+ B%L &"+ _N ' -# sie fürchteten sich sehr,
Auch BUTH, Functional, 88, zählt die Verneinung zu den Funktionen, die in der Kategorie „background“ ausgedrückt werden. 51 WEINRICH, Tempus, 94. 52 NICCACCI, Sintassi, § 146; diese Fortsetzungsfunktion findet sich nicht in der Tabelle auf S. 253 dieser Festschrift. 50
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b c d 3
!CE $ 4$ <+ N. !. "&@ ) 9$ /F= . %. (+ ,M9S O+ 'T !Q 4ML $ +T &"9X ' "(@ ' eine große Stadt war Gibon ja, wie eine der Königstädte, "9.S !B, $ <' !Q 4ML $ +I %"!X ' "C'- +# ja größer war es als Ai, U1"&P8 ' D 'T !" $ Z= 3 $0%B4 [ C$ +# und all seine Männer wehrhaft.
… ,M&O+ FBW 3 i 43 <8 3 1!M!B4 @$ %3 o4. d ZJ& $ +" W43 <@ 3 YL3 eB" 3q '0P L%[ F4. - Z+ '` .# Es sandte Adonizedek, König von Jerusalem, zu Hoham, König von Hebron …
Das makrosyntaktische Zeichen "!' +" .# leitet einen Doppelsatz ein, verbindet diesen mit dem Vorhergehenden und bleibt dabei auf der Hauptlinie der Erzählung.53 Problematisch ist in diesem Fall die Abgrenzung zwischen protasis (einleitendem Hintergrund) und apodosis. Nur die Semantik läßt erkennen, daß die apodosis mit dem wayyiqtol von V. 3 beginnt. Die Sätze 1b-2d sind Fortsetzungen und Hintergründe der protasis: x-qatal, 1b, semantisch ein Objektsatz, ist Hintergrund zu 1a; 1c setzt 1b fort; 1de sind zwei weitere Hintergrundsätze (zu 1c?); 1f ist – parallel zu 1b – Hintergrund zu 1a; 1g und 2a setzen 1f fort; 2bcd sind Hintergrund zu 2a. Streng genommen sind also 2bcd Hintergrund des Hintergrundshintergrund. Das ist zwar nicht a priori auszuschließen, wird vielleicht der komplexen Konstruktion dieser beiden Verse sogar gerecht, aber einfacher faßbar wird die Syntax dieses Textes, geht man von der Grundfunktion des wayyiqtol aus: Vordergrund der Erzählung. So wie die hebräische direkte Rede bei der Besprechung vergangener Sachverhalte rasch in die Sprechhaltung der Erzählung übergeht (und zwar in den Vordergrund), so scheint sie auch bei längeren Hintergrundsbeschreibungen häufig rasch in den Vordergrund zu wechseln. Es gibt also keinen funktionalen Unterschied zwischen einem wayyiqtol, das hintergründiges x-qatal fortsetzt und einem wayyiqtol im „eigentlichen“ Vordergrund. Diese Deutung spiegelt die formale Situation wider: Auch formal gibt es zwischen beiden Arten des wayyiqtol keinen Unterschied. Sie können nur aufgrund der Semantik unterschieden werden, allenfalls noch durch eventuellen numerus- oder Subjekts-Wechsel, aber auch der gehört zur Semantik. 3. wayyiqtol als Erzählzeit Ich habe in den Abschnitten 1 und 2 versucht, die Funktion der Verbform wayyiqtol zu definieren: Wayyiqtol drückt den Vordergrund in der Erzählung aus. Das ist eigentlich eine Binsenweisheit. Daß wayyiqtol das Haupt-tempus der 53 Zur Konstruktion solcher mit "!' +" .# eingeleiteter Doppelsätze s. NICCACCI, Sintassi, §§ 28-36.
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Erzählung ist, ist weitgehender consensus unter den Hebraisten. Und trotzdem meine ich, diese Funktionsbestimmung hilft, einige problematische oder unregelmäßig scheinende Funktionen in anderem Licht zu sehen. Wayyiqtol, das nicht Vergangenheit ausdrückt (3.1), und aufeinanderfolgende wayyiqtol, welche nicht-aufeinanderfolgende Ereignisse ausdrücken (3.2), werden so leichter erklärbar. Und vielleicht ermöglicht die Definition als Erzählzeit eine Brükke zu den morphologisch ähnlichen modalen yiqtol-Formen (3.3). 3.1 Erzählzeit vs. Vergangenheit WEINRICH wehrt sich hartnäckig gegen eine Gleichsetzung von Erzählzeit und Vergangenheitszeitbezug, z. B.: Die erzählte Welt ist […] indifferent gegenüber unserer Zeit. Sie kann durch ein Datum in der Vergangenheit festgelegt werden oder durch ein anderes Datum in der Gegenwart oder Zukunft: das ändert nichts am Stil der Erzählung und an der ihr eigenen Sprechsituation. So kann denn mancher Erzähler seine Gleichgültigkeit gegenüber der Zeit geradezu provokatorisch zur Schau stellen.54
Damit bricht er mit einem jahrhundertelang fast allgemeinen consensus. Die meisten Hebraisten folgen ihm darin nicht, auch NICCACCI nicht: La narrazione storica utilizza l’asse del passato come linea principale.55
Beschränkt man sich auf die biblische „Groß-Gattung“ der Erzählung (d. h. alles außer direkter Rede und Poesie, s. o., 1.), braucht man das auch nicht. Biblische Erzählungen spielen in der Vergangenheit. Spricht die Bibel über Gegenwärtiges oder Zukünftiges, tut sie dies in der Regel als Besprechung. Nun kann sich aber das Erzähl-tempus wayyiqtol auch in Gegenwart oder Zukunft finden, und zwar v. a. in der oben (1.1) behandelten erzählenden Rede (und in Poesie). NICCACCI56 unterscheidet due tipi di wayyiqtol identici dal punto di vista grammaticale ma differenti dal punto di vista sintattico-testuale: wayyiqtol narrativo e wayyiqtol continuativo. Il wayyiqtol è narrativo quando inizia la linea principale della comunicazione e la continua mediante una catena di forme coordinate identiche […]. In questo caso […] possiede un valore temporale fisso. Il wayyiqtol è continuativo quando non costituisce l’inizio della linea principale della narrazione ma prosegue una precedente forma di livello secondario nel passato, cioè (waw-) x- qatal.
Erzählendes wayyiqtol drücke also Zeit (Vergangenheit) aus, fortsetzendes wayyiqtol dagegen setze nur davor schon ausgedrückte Zeit (ebenfalls Vergangenheit) fort. Setze wayyiqtol dagegen in erzählender Rede einen Nominalsatz 54 55 56
WEINRICH, Tempus, 46. NICCACCI, Sintassi, § 3. NICCACCI, Sintassi, § 146.
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fort, behalte es immer („sempre“) seine Vergangenheitsfunktion, z. B. 2 Sam 19,2:57 2b !5CP3 D W43 N2 3 !. !*)- !' Da weint der König Ecco, il re sta piangendo c U168 Z$ O+ %B4 . 9. 4D= ) %. /+ '` .# und trauert um Abschalom! e si è messo in lutto a motivo di Assalonne!
NICCACCI nimmt also für 4D) %. /+ '` .# inchoative Bedeutung an. Das ist zwar nicht auszuschließen, es ist aber nicht nötig, wendet man WEINRICHS Definition des Erzähl-tempus an. Die Trauer um Abschalom wird dann schlicht erzählt, ohne einen Zeitbezug. Freilich, die einfache Ablehnung eines Zeitbezugs ist unbefriedigend. Das tut aber WEINRICH auch nicht. Was er ablehnt, ist der Bezug zur realen Zeit, zur Sprechzeit: Die folgenden Diagramme sollen das verdeutlichen. Im klassischen Zeiten-Modell liegen die Zeiten auf einer Linie, der Zeitachse: Vergangenheit
Gegenwart/Sprechzeit
Zukunft
─────────────────┼───────────▷
Die Einordnung von wayyiqtol auf dieser Linie ist schwierig. Wenn WEINRICH dagegen feststellt, die erzählte Welt sei indifferent gegenüber unserer Zeit, so kann das folgendermaßen dargestellt werden: Vergangenheit
Gegenwart/Sprechzeit
Zukunft
────── reale Zeit ───────┼───────────▷ ────── Erzählzeit ───────────────────▷
In diesem Diagramm ist wayyiqtol auf der unteren Linie einzuordnen, und zwar eigentlich auf ihrer ganzen Länge. Daß es im linken Bereich, der analog zur realen Vergangenheit ist, häufiger vorkommt, liegt nicht an den Ausdrucksmöglichkeiten von wayyiqtol, sondern an den Gattungen, in welchen biblisches wayyiqtol vorkommt. Die Bibel enthält keine Science-fiction, und Prophetie wird in der Regel nicht erzählt, sondern (poetisch) besprochen. Sie enthält zwar Erzählungen, die eigentlich zur Gegenwart parallel sind, in der Regel kurz und in direkter Rede eingebettet, aber auch dann drückt die Verbform wayyiqtol nicht den Gegenwartsbezug aus, sondern, wie oben (2.1) festgestellt, nur die Sprechhaltung der Erzählung. Mit anderen Worten, wayyiqtol drückt nicht Vergangenheit aus, korreliert aber häufig mit ihr. Das Problem des realen Zeitbezugs stellt sich allerdings durchaus, wenn man versucht, solche wayyiqtol in Sprachen zu übersetzen, die einen spärlicheren Gebrauch der erzählenden Sprechhaltung haben. So übersetzen im genannten Beispiel 2 Sam 19,2c sowohl NICCACCI als auch BUBER-ROSENZWEIG 57
NICCACCI, Sintassi, §§ 68.143.
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das wayyiqtol 2=) %- .+ '_ -# mit einem besprechenden tempus der Zielsprache, in zwei verschiedenen Zeitstufen, NICCACCI mit italienischem passato prossimo (Vergangenheit), BUBER-ROSENZWEIG mit deutschem Präsens. Allerdings: Es wäre zu schön um wahr zu sein, wenn eine Theorie tatsächlich alle Fälle aus einem Teilbereich der hebräischen Syntax erklären könnte. Es gibt eine Reihe von Gegenbeispielen, z. B. Jos 15,63: 63a 0X" P $ &E' !N 2+ !DB! O $ +";"N/) G+ [B2H <+ $"] #2<#";%I 2N o2- M XB $ &N +" "LG) XE" + ":BG+" J ' !;. - %1 +# b
Den Jebufsiter aber, die Insassen von Jerusalem, die konnten die Söhne Jehudas nicht enterben, R!NZ1 !- 0E H_!- D5O - o2- M XB $ &"L =' !J DB! $ +" "V/) =;. + %1 ":BG+" q' !- GX1 _)e -# der Jebufsiter saß bei den Söhnen Jehudas in Jerusalem, bis auf diesen Tag.
In den vorausgehenden Versen stehen Listen von Städten; zu diesen kann das x-qatal von 63a als Hintergrund analysiert werden, wobei die Verbform (relative) Vergangenheit ausdrückt. Diese wird vom wayyiqtol in 63b fortgeführt (s. 2.2). Soweit ist die Analyse unproblematisch. Problematisch ist dagegen die Verbindung mit dem adverbialen Ausdruck ! 1Z!- 0E_!- D5- . Dieser Ausdruck verweist deiktisch auf die Gegenwart, d. h. auf die Sprech-(Schreib-)Zeit. Und dies steht im Gegensatz zur oben definierten Funktion des wayyiqtol als indifferent gegenüber der realen Zeit. Dieser Fall ist kein Einzelfall. In den Büchern Josua und Richter habe ich ein Dutzend Fälle58 von ! 1Z!- 0E_!- D5- im wayyiqtol-Satz gefunden sowie einige andere, die zwar nicht mit einem deiktischen Element auf die Gegenwart verweisen, bei denen ein solcher Gegenwartsbezug aber semantisch wahrscheinlich ist.59 Dagegen kommen in diesen beiden Büchern nur wenige Stellen vor, in denen ! 1Z!- 0E_!- D5- in Konstruktionen steht, die als besprechend interpretiert werden können.60 Ich habe für diese erzählenden Sätze mit ausdrücklichem Gegenwartsbezug keine Erklärung. Interessant ist in diesem Fall die masoretische Akzentuierung von Ri 6,24 (evtl. auch von Jos 9,27): 24bc R"&N ' +@51 !$ "GH ' %Y .&O $ 9+ 5$ =+ B*DE5 g 1 !Z1M !- 0E L_!- D5y - 0E2P X$ !O#! $ +" E2;% H &$ W+ '_ -# und rief über ihr: ER Friede! Bis auf diesen Tag ist sie noch im Ofra des Abiesriten.
Der atna$ beim Wort 0E2P X$ deutet darauf hin, daß die Masoreten ! 1Z!- 0E_!- D5nicht zum vorausgehenden wayyiqtol-Satz rechneten, sondern zum folgenden Nominalsatz (im Gegensatz z. B. zur Vulgata), obwohl die Semantik diese Zuordnung nicht nahelegt. Daß jemand einen Ort „bis auf diesen Tag“ mit einem Namen benennt, ist zwar auch keine exakte Ausdrucksweise, sie ist aber im biblischen Hebräisch üblich, um auszudrücken, jemand habe einen Ort mit eiJos 4,9; 5,9; 6,25; 7,26; 8,28.29; 9,27; 13,13; 15,63; 16,10; Ri 1,21; 6,24. Ri 2,5; 11,39; 18,29. 60 In den Hintergrundkonstruktionen x-qatal (Jos 14,14; Ri 15,19; 18,12) und x-yiqtol (Ri 10,4). 58 59
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nem Namen benannt, und dieser Ort heiße so „bis auf diesen Tag“ (heute), z. B. Jos 5,9: 9c
R!NZ1 !- 0E H_!- D5O - 2Q$ M 2+ 'Q %B! J !- 0EWV F$ !- 0X L ) %&h $ W+ '_ -# Man rief den Namen jenes Ortes Gilgal, Wälzwall, bis auf diesen Tag.
Dagegen scheint mir das Nebeneinander von ! 1Z!- 0E_!- D5- und DE5 in Ri 6,24 tautologisch, und es gibt dafür keine Parallele im biblischen Hebräisch (meines Wissens auch in keiner anderen hebräischen Quelle). Die Beobachtung, die Masoreten haben hier ! 1Z!- 0E_!- D5- vom wayyiqtol-Satz getrennt, läßt sich m. E. als Hinweis darauf verstehen, auch im masoretischen Sprachempfinden habe der deiktische Ausdruck ! 1Z!- 0E_!- D5- nicht so recht in einen erzählenden wayyiqtol-Satz gepaßt. 3.2 Erzählzeit vs. Aufeinanderfolge Der Zusammenhang von Erzählzeit und zeitlicher Aufeinanderfolge („Sukzession“) ist vergleichbar dem von Erzählzeit und Vergangenheit. Für viele Autoren ist Sukzession die Hauptfunktion von wayyiqtol.61 Die Beobachtung ist natürlich richtig, daß die erzählten Ereignisse in der Regel in der Aufeinanderfolge erzählt werden, in der sie sich ereigneten. Aber es gibt eine Reihe von Gegenbeispielen, die, meist aufgrund der Semantik, nicht als aufeinanderfolgend angesehen werden können. Es finden sich Fälle von Wiederaufnahme,62 von Gleichzeitigkeit,63 von Plusquamperfekt,64 von Zusammenfassung,65 von logischer, nicht chronologischer Sukzession66 u. ä. Will der Erzähler (oder allgemein der Autor) ausdrücken, eine Handlung sei zu einer anderen gleichzeitig, vorzeitig oder sonst nicht sukzessiv, so stehen ihm dazu sprachliche Mittel zur Verfügung, insbesondere die verschiedenen Hintergrundkonstruktionen. Diese Tatsache erlaubt aber nicht den Umkehrschluß, Handlungen seien sukzessiv, wenn kein anderes Verhältnis explizit ausgedrückt ist. NICCACCI bringt das deutlich zum Ausdruck: Il narratore può modificare l’ordine cronologico degli eventi per un suo scopo di comunicazione.
61 Eine Aufzählung einiger solcher Autoren steht bei COOK, Semantics, 247. Etwas differenzierter ist die Feststellung von JOÜON-MURAOKA, § 118 c: “Waw mainly adds the idea of succession” (Hervorhebung durch die Autoren). 62 Siehe dazu den Beitrag von W. GROSS in diesem Band. 63 Beispielsweise Ex 2,10 (V. D. MERWE, Discourse, 25). 64 BUTH, Collision, 144, interpretiert Ri 11,1 so; nach NICCACCI kann in solchen Fällen das wayyiqtol als apodosis eines zweigliedrigen Satzes (schema sintattico a due membri, s. NICCACCI, Sintassi, §§ 95-127) angesehen werden. 65 Beispielsweise Gen 2,1 (V. D. MERWE, Discourse, 25). 66 JOÜON-MURAOKA, § 118 h; s. auch NICCACCI, Lettura, 74 (über Jos 2,16).
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Un equivoco purtroppo non raro consiste nell’interpretare le forme verbali di un testo in base al (preteso) ordine “cronologico” dei fatti “nella realtà”. Al contrario, occorre cercare di comprendere l’ordine degli eventi “nel testo”, quello che l’autore presenta per mezzo delle forme verbali e degli altri costrutti che usa e che rivelano la sua strategia di comunicazione.67
NICCACCI macht diese Aussage zwar allgemein und nicht nur bezogen auf wayyiqtol, aber sie läßt sich auf die wayyiqtol-Kette übertragen. Auch dort ist die „(angenommene) chronologische Ordnung“ der Realität nicht mechanisch wiedergegeben, sondern der Erzähler hat und nutzt die Freiheit, die Ereignisse in einer für ihn logischen Ordnung darzustellen, die oft, aber nicht immer und nicht automatisch, parallel ist zum chronologischen Ablauf der erzählten Ereignisse.68 Oder, mit den Worten WEINRICHS: Denn wer erzählt, setzt damit eine eigene Zeit, eben die erzählte Zeit, die ihre eigenen Gesetze hat und von der besprochenen Zeit qualitativ verschieden ist.69
3.3 Erzählzeit und Modalität Mit den abschließenden Gedanken zum Verhältnis von Erzählzeit und Modalität verlasse ich das konsequent synchrone System NICCACCIS.70 Synchron kennt das biblische Hebräisch mehrere Formen der Präfixkonjugation, die sich diachron wohl auf mindestens zwei protosemitische Formen zurückführen lassen. In einem gewissen Stadium dieser Entwicklung dürfte eine dieser Formen, die (endungslose) Kurzform, zwei verschiedene Funktionen gehabt haben, eine modale und eine als Erzählzeit. Masoretisches Hebräisch unterschied dann (in Prosa konsequenter als in Poesie) diese beiden Funktionen durch eine morphologische Differenzierung: (we)yiqtol (wo erkennbar, meist in Kurzform) wurde zur jussiven Form, wayyiqtol zum Erzähl-tempus. Wie ist dieser vor-masoretische, vor-klassische Zustand zu erklären, wonach eine Form zwei verschiedene Funktionen hat? Es mag Beispiele geben, in welchen tatsächlich ein sprachliches Zeichen mehrere Funktionen hat,71 aber die meisten solcher doppelten Funktionen fallen unter eine der folgenden Kategorien: • Die verschiedenen Funktionen eines sprachlichen Zeichens werden durch weitere sprachliche Zeichen differenziert (z. B. durch das Morphem ~ .# im Fall der Präfixkonjugation als Erzählzeit im masoretischen Hebräisch). NICCACCI, Sintassi, § 2. Ähnlich: BUTH, Functional, 86f; ausführlich diskutiert Cook, Semantics, 257-261, die These, wayyiqtol drücke Sukzession aus (ebenfalls ablehnend). 69 WEINRICH, Tempus, 343. 70 Siehe z. B. NICCACCI, Sintassi, § 130. 71 Siehe z. B. die pointierte Aussage von ISAKSSON, Textlinguistics, n. 2: “Thus one and the same gram yaqtul (VprefS) has two distinct meanings in MORAN’s system, one is narrative perfective and one is modal.” 67 68
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• Im Laufe der Entwicklung können ursprünglich unterschiedliche Formen zusammengefallen sein.72 • Die verschiedenen Funktionen korrelieren mit einer Grundfunktion.73 Ich schlage hier letzteres, die gemeinsame Grundfunktion, als Erklärung vor, und zwar die der Modalität.74 (W e)yiqtol (Kurzform) drückt die deontische/volitive Modalität aus, wayyiqtol ist ein Teil der epistemischen Modalität, in dem Sinn, daß der Bezug zur Realität (zur realen Gegenwart der Sprechzeit) unerheblich ist.75 Könnte dies auch eine Möglichkeit sein, WEINRICHS Zweiteilung der sprachlichen Welt mit der klassischen hebräischen (und allgemeinen) tempus-Lehre zu versöhnen? Die Erzählzeit wayyiqtol als Teil des Modalsystems? Gregor Geiger, ofm Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
Bibliographie BLAU J., „Adverbia als psychologische und grammatische Subjekte/Praedikate im Bibelhebraeisch“, VT 9 (1959) 130-137. BUBER M. - ROSENZWEIG F., Die Schrift (4 Bände), Stuttgart 6/8/101992. BUTH R., „Methodological Collision between Source Criticism and Discourse Analysis“, in R. D. BERGEN (ed.), Biblical Hebrew and Discourse Linguistics, Winona Lake 1994, 138-154. BUTH R., „Functional Grammar, Hebrew and Aramaic: An Intergrated, Textlinguistic Approach to Syntax“, in W. R. BODINE (ed.), Discourse Analysis of Biblical Literature: What It Is and What It Offers, Atlanta 1995, 77-102. COOK J. A., „The Semantics of Verbal Pragmatics: Clarifying the Roles of wayyiqtol and weqatal in Biblical Hebrew Prose“, JSS 49 (2004) 247-273. ESKHULT M., „Thoughts on Phrases and Clauses Expressing Circumstance in Biblical Hebrew Narration“ (in diesem Buch). So argumentiert z. B. NOTARIUS, Victory, Kap. 4. Wie z. B. die im vorhergehenden Abschnitt 3.2 behandelten Funktionen von Sukzession, Wiederaufnahme etc., für die ich als Grundfunktion „Vordergrund der Erzählung“ vorgeschlagen habe. 74 Zu einem ähnlichen Ergebnis kommt HATAV, Past, aus einer ganz anderen Richtung (sie betrachtet wayyiqtol als aus drei Morphemen zusammengesetzt: w + ay + yiqtol; letzteres differenziert sie morphologisch nicht weiter). 75 Mit anderen Worten drückt dies eine Formel aus, mit der Beduinen im Negev Erzählungen einleiten: k!n y! m! k!n („es war, oder es war nicht“; wiedergegeben nach einer Konferenz von R. HENKIN am 23. 2. 2010 im Van-Leer-Institut, Jerusalem). 72 73
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GROSS W., Verbform und Funktion: wayyiq'ol für die Gegenwart? (Arbeiten zu Text und Sprache im Alten Testament 1), St. Ottilien 1976. HATAV G., „Past and Future Interpretation of Wayyiqtol“, JSS 51 (2011) 85-109. ISAKSSON B., „The Textlinguistics of the Suffering Servant: Subordinate Structures in Isaiah 52,13–53,12“ (in diesem Buch). JOÜON P., MURAOKA T., A Grammar of Biblical Hebrew (Subsidia Biblica 27), Roma 22008. V. D. MERWE C. H. J., „Discourse Linguistics and Biblical Hebrew Grammar”, in R. D. BERGEN (ed.), Biblical Hebrew and Discourse Linguistics, Winona Lake 1994, 13-49. NICCACCI A., Lettura sintattica della prosa ebraico-biblica: Principi e applicazioni (SBF. Analecta 31), Jerusalem 1991. NICCACCI A., „Ebraico Biblico e Linguistica“, Henoch 20 (1998) 189-207. NICCACCI A., „On the Hebrew Verbal System“, in R. D. BERGEN (ed.), Biblical Hebrew and Discourse Linguistics, Winona Lake 1994, 117-137. NICCACCI A., „The Biblical Hebrew Verbal System in Poetry“, in S. E. FASSBERG - A. HURVITZ (ed.), Biblical Hebrew in Its Northwest Semitic Setting. Typological and Historical Perspectives, Jerusalem - Winona Lake 2006, 247-268. NICCACCI A., „An Integrated Verb System for Biblical Hebrew Prose and Poetry“, in A. Lemaire (ed.), Congress Volume Ljubljana 2007 (VTS 133); Leiden - Boston 2010, 99-127. NICCACCI A., Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica (Dispensa ad uso interno degli studenti dello Studium Biblicum Franciscanum), Gerusalemme 2010-2011 (überarbeitetes Manuskript des gleichnamigen, 1986 als SBF. Analecta 23 erschienenen Werkes). NOTARIUS T., „Text, Discourse and Tenses in the Victory Song in 2 Sam 22,33-46: In Search of the Underlying Literary Convention“ (in diesem Buch). DE REGT L., „Hebrew Verb Forms in Prose and in Some Poetic and Prophetic Passages: Aspect, Sequentiality, Mood and Cognitive Proximity“, JNWSL 34 (2008) 75-103. WEINRICH H., Tempus: Besprochene und erzählte Welt (Sprache und Literatur 16), Stuttgart - Berlin - Köln 51994.
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Walter Groß wa=yiqtol für Anknüpfung/Wiederaufnahme Stilmittel und redaktionelles Verfahren
Häufig sind exegetische1 Analysen deswegen undurchsichtig und schwer nachvollziehbar, weil die Terminologie nicht unterscheidet zwischen Textbeobachtungen auf der Ebene des sprachlichen Ausdrucks, die grundsätzlich von allen geteilt werden könnten, und den Bewertungen dieser Beobachtungen auf unterschiedlichen Analyseebenen wie Textkritik, Stilkritik, Literarkritik, Redaktionskritik etc., die Gegenstand wissenschaftlicher Kontroversen sind und meist bleiben.2 Eine entsprechende die exegetischen Diskussionen verwirrende Undurchsichtigkeit tritt auf, wenn ein Terminus Bewertungen unterschiedlicher Art, die zu unterschiedlichen inhaltlichen Interpretationen führen, bezeichnet, z. B. die Bewertung „Stilmittel“ und „Kriterium redaktioneller Textauffüllung“. Dies trifft u. a. auf den Terminus „Wiederaufnahme“ zu. Die stärkere Berücksichtigung des sog. „Endtextes“ in der jüngeren Exegese konnte die Erwartung wecken, daß dieses terminologische Problem größere Beachtung finden würde, da der Endtext sehr oft redaktionell zustande gekommen ist, die Redaktoren aber selbstverständlich in der Regel geläufige stilistische Verfahren anwandten, um ihre Tätigkeit möglichst unsichtbar zu machen. Leider fehlt aber den Endtextanalysen sehr oft die philologische Präzision, so daß diese Frage gar nicht in den Blick gerät. Unter diesem Aspekt soll im folgenden die Wiederaufnahme diskutiert werden. Für Bibelübersetzungen werden folgende Abkürzungen gebraucht: Buber: BUBER M. - ROF., Die Schrift verdeutscht, Stuttgart 1997; Elb: Revidierte Elberfelder Bibel, Wuppertal 31986; EÜ: Einheitsübersetzung; Luther 1545: LUTHER M., Biblia Germanica, Wittemberg 1545, Nachdruck Stuttgart 21983; LuthRev: Revision der Übersetzung Martin LUTHERS von 1984; ZürB: Zürcher Bibel, Zürich 1931 (versch. Auflagen) bzw. 2007 (22008). 2 Angeregt durch die Methodenlehre Wolfgang RICHTERS, hatte ich z. B. für die Ebene der Literarkritik folgende terminologische Differenzierung vorgeschlagen: „Die Beobachtung lautet: Im Text begegnen mehrmals dieselben oder sehr ähnliche Sätze bzw. Wortverbindungen: Wiederholungen. Läßt sich eine Wiederholung nicht bzw. kaum vom Aufbau oder Stil des Textes erklären, so erhält sie die Bewertung, sie sei eine Doppelung, d. h. sie zwinge zur literarkritischen Scheidung oder lege eine solche wenigstens nahe“ (GROSS, Bileam, 65; Auszeichnung von mir). 1
SENZWEIG
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wa=yiqtol für Anknüpfung/Wiederaufnahme: Stilmittel und redaktionelles Verfahren
„Wiederaufnahme“ ist ein in der Literarkritik und der Redaktionskritik wohlbekanntes Phänomen: Ein Redaktor unterbricht an einer Stelle den ihm vorgegebenen Text, fügt seine Ergänzung ein und lenkt zum vorgegebenen Zusammenhang zurück, indem er dessen letzten Ausführungen vor seiner Ergänzung wiederholt.3 Nach Vorgang von Harold M. WIENER4, der „resumptive repetition“ als literarkritischen terminus technicus einführte, und von Curt KUHL5, der dafür die gelegentlich bereits von älteren Exegeten gebrauchte Bezeichnung „Wiederaufnahme“ wählte, haben Isac Leo SEELIGMAN und Shemaryahu TALMON6 dieses Phänomen ausführlich beschrieben, es von bloßer stilistisch abgezweckter Wiederholung abgehoben und betont, daß es keineswegs immer ein Indiz literarischer Uneinheitlichkeit, sondern oft literarisches Verfahren eines und desselben Autors ist; SEELIGMAN: Als Wiederaufnahme haben wir eine bestimmte Form bezeichnet, in der der Verfasser eines Berichts nach einer Unterbrechung auf denselben zurücklenkt. Die Unterbrechung kann doppelter Natur sein: eine Abschweifung vom Hauptthema durch den Verfasser selbst (sei es z. B. die Erörterung einer Situation, sei es die Anführung der Worte einer der auftretenden Personen), oder auch die Einlage fremden Stoffes aus einer anderen Quelle. Die Wiederaufnahme besteht darin, daß der Verfasser in mündlicher und schriftlicher Rede den Satz oder Gedanken wiederholt, der der Unterbrechung unmittelbar vorausging.7
Zahlreiche jüngere Untersuchungen haben diese doppelte Verwendung der Wiederaufnahme als Stilmittel und als Instrument redaktioneller Texterweiterung bestätigt.8 Bezüglich der syntaktischen Realisierung ist Wiederaufnahme ein vielgestaltiges Phänomen, daher wurde es auch nicht genauer syntaktisch analysiert. Im folgenden soll speziell die Verbformation wa=yiqtol untersucht werden, soweit sie in wiederaufnehmender Funktion gebraucht wird. Daß sie überhaupt – und sogar recht häufig – so verwendet werden kann, erstaunt zunächst, denn ihr wird in der Regel als Hauptfunktion „Progreß“ zugewiesen, d. h. Fortführung einer zuvor genannten Handlung auf der gleichen Zeitstufe, ausdrückbar durch „und dann“.9 Es gibt allerdings gewisse Ausnahmen, in denen wa=yiqtol regelhaft keinen Progreß bezeichnet – z. B. Teilhandlungen, die zusammen eine Handlung ergeben: speisen, ausgedrückt als „essen und trinken“, oder Anknüpfung eines Pendenssatzes an sein vorausgestelltes Pendens, am häufigsten bei Zeitangaben, oder Eröffnung der Apodosis nach Protasis im Vgl. z. B. RICHTER, Exegese, 70; BECKER, Exegese, 58f. WIENER, Composition, 2. 5 KUHL, Wiederaufnahme. 6 TALMON, Presentation. 7 SEELIGMAN, Erzählung, 135. 8 Vgl. LONG, Repetitions; ANBAR, Reprise; SKA, Exemples, 313: „reprise qui signale la fin d’une digression ou d’une interpolation“; BUTH, Collision. 9 GROSS, Verbform, 164. 3 4
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Konditionalgefüge. Erhard BLUM hat deren Ausnahmecharakter und, da er die masoretische Vokalisierungsdifferenz zwischen wa=yiqtol und we=yiqtol für ein „sekundäres Phänomen“ hält, generell die Progreßfunktion von wa=yiqtol zugunsten einer sich durchhaltenden Funktion „koordinierende Verknüpfung“ geleugnet.10 Ich halte zwar die traditionelle These bei Differenzierung zwischen Hauptfunktion und Nebenfunktionen einer Verbform,11 d. h. die Annahme, Hauptfunktion von wa=yiqtol sei der Progreß12 und andere semantischpragmatische Leistungen dieser Verbformation seien als Nebenfunktionen unter definierbaren Sonderbedingungen deutbar, nach wie vor für wahrscheinlicher, die Verwendung von wa=yiqtol für Wiederaufnahme könnte jedoch zumindest auch, wenn nicht besonders einleuchtend, von Erhard BLUM für seine Auffassung von der Funktion dieser Verbformation in Anschlag gebracht werden. Dieses Problem wird im folgenden nicht weiter verfolgt. Wiederaufnahme ist eine Verwendungsweise von wa=yiqtol, die in der hebräischen Syntax keine Aufmerksamkeit gefunden hat und deshalb von den großen Grammatiken auch nicht verzeichnet wird. Sie wurde hingegen im Rahmen hebräischer Stilistik gelegentlich wahrgenommen und unter dem Aspekt der Pragmatik bzw. Textlinguistik von Alviero NICCACCI beschrieben. Nur so kann die literarkritisch bedeutsame Verwendung von wa=yiqtol für Wiederaufnahme als grammatisch korrekt erwiesen werden. Die „und-dann“Funktion ist in diesen Fällen ebenso ausgeschlossen wie einfache Koordination. Eine umfangreiche Liste mit Wiederaufnahmen durch wa=yiqtol hat Hermann-Josef STIPP zusammengestellt.13 Im folgenden werden drei Arten von Belegen diskutiert: (1) Sehr kurze Wiederaufnahmen im Nahkontext, die dazu dienen, mehrere Aspekte einer komplexen Handlung darzustellen, und die Einheitlichkeit des Textes nicht tangieren. (2) Literarkritisch relevante Wiederaufnahmen und speziell umfangreichere Wiederaufnahme über einen größeren Textabschnitt hinweg. (3) Schließlich wird ein komplizierter Text aus dem Richterbuch vorgestellt, der zeigt, daß der hebräische Erzähler in literarkritisch einheitlichem Zusammenhang deswegen mehrfach auf das Mittel der Wiederaufnahme durch wa=yiqtol zurückgreift, weil er ein Geschehen schildern will, an dem mehr als zwei je unterschiedlich handelnde Akteure bzw. Akteur-Gruppen beteiligt sind. Es zeigt sich, daß die Wiederaufnahme oft einer schlichten Anknüpfung dient, nicht selten aber auch eine resümierende Nuance (vgl. den Terminus „resumptive repetition“) annehmen oder zusätzlich eine inhaltliche Korrektur ermöglichen kann. 10 11 12 13
BLUM, Verbalsystem, 121f. Zur Unterscheidung Haupt- und Nebenfunktion vgl. KOSCHMIEDER, Bestimmung. Vgl. WALTKE-O’CONNOR, § 33.2.1 a: „The form and not the words signifies succession.“ STIPP, Elischa, 206-209. Kritisch dazu BIEBERSTEIN, Josua, 121-123.
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Durch diese zuletzt genannten Aspekte ergibt sich ein Gespräch mit Alviero NICCACCI, speziell mit seinen Untersuchungen von 1990 und 1991,14 wenngleich sich wegen der stark divergierenden Terminologie und der ebenso unterschiedlichen methodischen Zugänge leicht Mißverständnisse einschleichen können. Schon in seiner Sintassi hatte NICCACCI das wa=yiqtol von 1 Sam 30,3 als Wiederaufnahme gedeutet.15 In der englischen Version hat er die längere Anmerkung 33 hinzugefügt,16 in der er auch mit einer Wiederaufnahme („literary reprise“) „in expanded form“ rechnet (Beleg: 1 Sam 4,11 + 5,1). Dem wiederaufnehmenden wa=yiqtol in 1 Sam 30,3 weist er die Funktion „conclusion“ zu. Daher sind auch diejenigen Fälle heranzuziehen, denen er in Lettura „valore conclusivo“ bzw. „conclusivo o riassuntivo“17 zuweist.18 Freilich bemerkt er dazu: Einige Belege von wa=yiqtol „sono conclusive … Ma queste precisazioni non sono date dalla sintassi, bensì dalla semantica (contesto, senso)“.19 Da ich im folgenden formal und syntaktisch genauer beschreibbare Fälle von Wiederaufnahme untersuche – mit der Konsequenz, daß nicht alle im biblischen Hebräisch bezeugten, möglicherweise Wiederaufnahme bezeichnenden Formgruppen behandelt werden –, sind NICCACCIS und meine Beleggruppen weder deckungsgleich noch direkt vergleichbar. Wir nähern uns ähnlichen textpragmatischen Phänomenen unter unterschiedlichen Fragestellungen. 1. wa=yiqtol für Wiederaufnahme im Nahkontext als stilistisches Verfahren ohne literar- oder redaktionskritische Hintergründe Wiederaufnahme stellt in Erzählungen eine Unterbrechung des Handlungsflusses im einlinigen durch wa=yiqtol-Reihen ausgedrückten „und-dann“-Ablauf dar. Sie unterscheidet sich vom Rückgriff, der ebenfalls den Handlungsverlauf unterbricht. Im Rückgriff, der innerhalb einer wa=yiqtol-Reihe durch den Wechsel zu w=x-qatal, meist durch w=Subjekt-qatal und in aller Regel durch ein neues Verb bezeichnet wird, greift der Erzähler vom bereits erreichten Punkt der Handlung, dessen Perspektive er jedoch beibehält, auf einen früheren Zeitpunkt zurück und trägt nach, was damals zuvor geschehen war. Solche Sätze werden daher im Deutschen durch Plusquamperfekt wiedergegeben. Derartiges kann wa=yiqtol nicht bezeichnen. In der Wiederaufnahme dagegen 14 15 16 17 18 19
NICCACCI, Syntax; NICCACCI, Lettura. NICCACCI, Sintassi, 34. NICCACCI, Syntax, 201f. NICCACCI, Lettura, 126, zu Ri 1,19. Jos 3,17; 6,25; Ri 1,19; 2,20; 3,6; 3,26; 4,21; 4,23; 6,6; 6,38; 8,28; 2 Sam 5,12; 12,41. NICCACCI, Lettura, 9.
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verläßt der Erzähler den bereits erreichten Punkt der Handlung, begibt sich auf einen früher erzählten und durch wa=yiqtol formulierten Zeitpunkt zurück und setzt von diesem aus die Erzählung fort. Dieses Zurückversetzen seiner Erzählperspektive signalisiert er, indem er dasselbe Verb in derselben Verbformation wa=yiqtol wiederholt. Viele antike und moderne indoeuropäische Sprachen kennen zwar auch das stilistische Verfahren der Wiederaufnahme, können es jedoch im Gegensatz zum Hebräischen kaum durch Syndese ausdrücken. Daher müssen die Übersetzer, so sie das literarische Phänomen nicht mißverstehen, zu abweichenden sprachlichen Strategien greifen. Solche Wiederaufnahmen sind nicht immer leicht von stilistisch gezielt eingesetzten Wiederholungen zu unterscheiden. Wo die Wiederaufnahme in engem Kontext begegnet, wird sie gewählt, weil das entsprechende Verb Kern einer komplexen Handlung ist und der Verfasser diese in mehrere Aspekte unterteilt, die er durch zwei Sätze mit demselben Verb formuliert. Die semantischen Gründe für dieses Verfahren sind vielfältig: Hinzufügung eines weiteren Satzteils (z. B. Ziel einer Bewegung zusätzlich zu ihrem Ausgangspunkt), präzisere Angaben zu einem bereits genannten Satzteil, feste Verknüpfung mit einer folgenden Handlung, weitere Umstände etc. Durch Wiederaufnahmen in größerem Abstand signalisiert der Autor, daß er nach einer Digression zum ursprünglichen Zusammenhang zurückkehrt. In solchen Fällen bleibt oft ungewiß, ob es sich um eine Digression des ursprünglichen Verfassers handelt oder ob eine spätere Hand sie hinzugefügt hat. 1.1. Gen 18,2 וַ יִּ ָשּׂא ֵעינָ יו וַ יַּ ְרא שׁה ֲאנָ ִשׁים נִ ָצּ ִבים ָע ָליו1 ָ וְ ִהנֵּ ה ְשׁ וַ יַּ ְרא אתם ִמ ֶפּ ַתח ָהא ֶֹהל ָ וַ יָּ ָרץ ִל ְק ָר
Zur Diskussion steht das zweite וירא. Die ersten beiden wa=yiqtol 2a+b sind Progreßformen in erzählender Funktion: Abraham erhebt seine Augen und sieht daraufhin, וירא2b; er sieht einen Vorgang. Dieser wird hier, wie häufig, durch einen Objektsatz in Gestalt von והנה+ Partizipialsatz ausgedrückt 2c. Das zweite וירא2d signalisiert keinen darauf folgenden weiteren Sehakt, es gibt kein neues Objekt, sondern der Hörer wird wieder auf das erste וירא zurückgeführt. Um auszudrücken, daß Abraham, sobald er die drei Männer gesehen hatte, auch schon ihnen entgegengelaufen ist, springt der Autor durch das zweite ויראhinter die Schilderung dessen, was Abraham gesehen hat, zum ersten ויראzurück und erzählt von dort aus durch eine wa=yiqtol-Reihe weiter.
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Selbst hartnäckige Literarkritiker haben hier nicht eingegriffen.20 Übersetzer in indoeuropäische Sprachen greifen zu unterschiedlichen Strategien, um diese Art von Wiederaufnahme zu formulieren. Eine (scheinbar) wörtliche Wiedergabe der syntaktischen Fügung durch koordiniertes (allerdings asyndetisches) Verb ist sehr selten.21 Von LXX angefangen, wird diese Wiederaufnahme des %&"# in engstem Abstand in 2d überwiegend durch spezielle Konstruktionen oder Konjunktionalsatz signalisiert. LXX verwendet Partizip Aorist als participium coniunctum: a$'gJhi'U F\ +%[U j6Q'J&%[U 'T+%G ILFI$, -'5 EF%k +3I[U l$F3IU Im*+n-I(*'$ /0o$W 'T+%G· -'5 EF`$ 03%*hF3'&I$. Hieronymus wählt in der Vulgata einen vorzeitigen Temporalsatz mit cum: quos cum vidisset cucurrit in occursum eorum de ostio tabernaculi. Temporalsätze wählen auch die meisten deutschen Gebrauchsübersetzungen und Übersetzungen in Kommentaren. LuthRev und EÜ: „als er sie sah“: ZürB 1931 und Elb: „sobald er sie sah“.22 H. GUNKEL: „Kaum aber, daß er sie sah“.23 B. JACOB erklärt die stilistische Absicht: „%&"# wiederholt, um das folgende b&"# als sofortige Folge davon unmittelbar anzuschließen.“24 C. WESTERMANN steuert das Stichwort bei: „Das doppelte ‚da sah er‘ ist Wiederaufnahme.“25 1.2. Jes 37,9 &I7%2) XB(;U21 7N 1 !W$ !$ &+ f;2 ' 5- 57- X+ '_ -# Uf$ %' 0>) C$ !' 2+ %d$ $" 57- X+ '_ -# B! $_W' +@>;2 ' %1 0"<' %$ 2+ 7- >2- X+ '_ -#
Hier liegt das gleiche sprachliche Verfahren vor wie in Gen 18,2, nur daß statt von Sehen von Hören die Rede ist. Das Objekt des 57w"# 9a folgt als Botschaft in wörtlicher Rede 9b. Um auszudrücken, daß Sanherib darauf unverzüglich durch Botensendung an Hiskija reagierte, greift der Erzähler 57w"# in 9c auf und führt es durch die Botensendung fort. Hieronymus wählt für das zweite 57w"# einen rückgreifenden Temporalsatz: quod cum audisset misit nuntios ad Ezechiam. Ihm folgen viele Übersetzer, z. B. Luther 1545: „Da er nun solchs höret“ und Elb: „Und als er es hörte, sandte er Boten zu Hiskia.“ Sie werten 20
EHRLICH, Randglossen I, 70, scheidet allerdings das zweite %&"# als Dittographie zu
b&"# aus.
21 Vgl. Buber: „Er hob seine Augen, sah: da, drei Männer, aufrecht vor ihm. Er sah, lief vom Einlaß des Zeltes ihnen entgegen.“ 22 ZürB 2007 hat dagegen die Wiederaufnahme verkannt und durch variierende Wiedergabe des %&"# zwei Sehakte unterschieden: „Er blickte auf und schaute sich um … Und er sah sie.“ 23 GUNKEL, Genesis. 24 JACOB, Genesis, 437. Diese Deutung hat im Blick auf weitere ähnliche Belege wohl mehr für sich als STIPPS These, die Wiederaufnahme bezeichne „einfach die Fortdauer einer Handlung“ (STIPP, Elischa, 208). 25 WESTERMANN, Genesis, 331.
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somit das zweite וישמעals Wiederaufnahme. Manche Kommentatoren ändern allerdings entsprechend der // 2 Kön 19,9 וישמעin וישב. Dafür ist aber jedenfalls aus der Syntax kein Argument zu gewinnen. H. WILDBERGER argumentiert in Unkenntnis des hier diskutierten stilistischen Verfahrens: „Das וישמעstößt sich aber mit demjenigen zu Beginn des Verses.“26 1.3. Jer 34,10 ל־ה ָעם ָ ל־ה ָשּׂ ִרים וְ ָכ ַ וַ יִּ ְשׁ ְמעוּ ָכ ד־בּם עוֹד ָ ת־שׁ ְפ ָחתוֹ ָח ְפ ִשׁים ְל ִב ְל ִתּי ֲע ָב ִ ת־ע ְבדּוֹ וְ ִאישׁ ֶא ַ ר־בּאוּ ַב ְבּ ִרית ְל ַשׁ ַלּח ִאישׁ ֶא ָ ֲא ֶשׁ וַ יִּ ְשׁ ְמעוּ וַ יְ ַשׁ ֵלּחוּ
a aR b c
Der Verfasser will ausdrücken, daß die Jerusalemer auf den Tadel JHWHS durch Jeremia hin die Bundesverpflichtung sogleich ausführten: 10a וישמעו10c וישלחו. Zugleich will er in 10aR den Inhalt der Verpflichtung nach V. 9 noch einmal benennen. Wegen dieser langen Zwischenschaltung wiederholt er vor dem entscheidenden וישלחו, das seinerseits die Wendung mit לשלחaus 10aR aufnimmt und daher hier ohne Objekt bleiben kann, wiederanknüpfend in 10b וישמעו. Dieses gibt Hieronymus daher durch audierunt igitur wieder, und W. RUDOLPH übersetzt frei, aber sachgemäß: „und hatten sie dementsprechend entlassen“.27 1.4. Gen 21,16 Cוַ ֵתּ ֶל וַ ֵתּ ֶשׁב ָלהּ ִמנֶּ גֶ ד ַה ְר ֵחק ִכּ ְמ ַט ֲחוֵ י ֶק ֶשׁת ִכּי ָ ֽא ְמ ָרה ל־א ְר ֶאה ְבּמוֹת ַהיָּ ֶלד ֶ ַא וַ ֵתּ ֶשׁב ִמנֶּ גֶ ד וַ ִתּ ָשּׂא ֶאת־ק ָֹלהּ ְוַ ֵתּ ְבךּ
Im vierten Beispiel wird ein Verb der Form wa=yiqtol zusammen mit einem Lokaladverb aufgenommen: ותשב מנגד. Der aufnehmende und der aufgenommene Satz sind durch eine Gedankenrede voneinander getrennt. Daraus und aus der Tatsache, daß das Verb ישבsowohl die Handlung „sich setzen“ als auch deren Resultat „sitzen“ bezeichnen kann, eröffnet sich für die Übersetzer eine größere Variationsbreite.28 LuthRev („Setzte sich gegenüber von ferne … WILDBERGER, Jesaja, 1416. RUDOLPH, Jeremia. 28 Von Interesse sind nur Autoren, die den hebräischen Wortlaut nicht verändern. SEEBASS, Genesis, nimmt z. B. mit LXX an, daß nicht die Mutter, sondern das Kind schreit. Das ermöglicht ihm, dem zweiten ותשבeine abweichende Sinn-Nuance zu verleihen, so daß keine Auf26 27
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Und sie setzte sich gegenüber und erhob ihre Stimme“) folgt dem hebräischen Text, ohne eine Verständnishilfe dafür zu geben, wie sich diese beiden Akte des Sich-Hinsetzens zueinander verhalten. EÜ differenziert zwischen vergangener Aktion und Perfekt der Vergangenheit: „Setzte sich in der Nähe hin … Sie saß in der Nähe und weinte.“ So schon Hieronymus, der aus dem zweiten ותשבein participium coniunctum macht (et abiit seditque … et sedens contra levavit vocem suam); viele deutsche Übersetzungen zeigen die Wiederaufnahme durch „so“ an: z. B. Elb: „setzte sich gegenüber hin … So setzte sie sich gegenüber hin.“ Buber: „saß für sich, gegenüber … So saß sie gegenüber.“ Entsprechend erklärt KÖNIG gegen HOLZINGER: „Begreifliche Reassumption, nicht ‚irrige Wiederholung‘ (Holz. 1921).“29 1.5. Weitere Belege dieser Art Hier werden auch solche Belege genannt, die mit geringerem Wahrscheinlichkeitsgrad im folgenden unter Nr. 2 aufgeführt werden könnten, weil manches für eine literarkritische Fuge spricht. Gen 24,10 (2x ;)וילך30,38.39 ( ;)ויחמנה – ויחמו42,7.8 (2x ;)ויכרEx 20,18.21 (2x ;)ויעמדו מרחקNum 13,3.17 (2x ;)וישלח אתם משה33,3.5 (2x )ויסעו מרעמסס30; Jos 2,21.22 (2x )וילכו31; 8,21.22 (2x )ויכו32; 22,11.12 (2x ;)וישמעו בני ישׂראל1 Sam 6,19 (2x ;)ויך14,1.6 (2x Redeeinleitungssatz und die ersten beiden Redesätze)33; 1 Kön 21,8.9 (2x ;)ותכתב2 Kön 2,14 (2x ;)ויכה את מים4,32.33 (2x ;)ויבא 5,11.12 (2x ;)וילך7,5.8 (2x המחנה/ ;)ויבאו עד קצה מחנה ארם7,7 (2x ;)וינוסו8,29; 9,15-16 (jeweils zwei Sätze, beginnend mit )וישב34; 25,18-19.2035; Ez 16,2836; 20,5 (2x )ואשׂא ידי ל.
nahme vorliegt: „Und so blieb sie gegenüber, als er seine Stimme erhob, und weinte.“ 29 KÖNIG, Genesis, 543, Anm. 5. In seiner „Stilistik, Rhetorik, Poetik“ rechnet KÖNIG Gen 21,16 unter die „Fälle mit ausdrücklicher Wiederaufnahme des Fadens der Satzverknüpfung“ (KÖNIG, Stilistik, 129). 30 SCHMIDT, Numeri: Wiederaufnahme durch denselben Autor. Der Abschnitt wird literarkritisch kontrovers beurteilt. 31 BIEBERSTEIN, Josua, 122, plädiert auf „literarkritisch anstößige Dopplung“. 32 Wiederaufnahme nach Rückgriff. Dies verkennt FRITZ, Josua, 87, der V. 22 mit der Begründung für sekundär erklärt: „da die Vernichtung der Feinde in 21 abgeschlossen ist“. 33 Diese Wiederaufnahme stand bereits im ursprünglichen Text, bevor er wohl in V. 3 erweitert wurde. 34 Literarkritisch heftig umstritten. 35 Die zweigeteilte Aufzählung ויקח רב־טבחים+ w=x- לקחin 18-19 wird insgesamt aufgenommen in 20 durch ויקח … רב־טבחים. 36 Falls der – textkritisch unsichere – Konstruktionswechsel von זנה אלzu זנהmit enklitischem Personalpronomen nicht unterschiedliche Bedeutungsnuancen anzeigt.
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2. wa=yiqtol für Wiederaufnahme als literarkritisches Indiz, daß eine Textpassage sekundär in einen vorgegebenen literarischen Kontext eingefügt wurde Die syntaktisch-pragmatische Möglichkeit der Wiederaufnahme durch Wiederholung des gleichen Verbs in der gleichen Verbformation wa=yiqtol gibt Autoren, die in einen vorhandenen erzählenden Text eine Passage einsetzen und/oder diesem durch Unterstellung abweichender Vokalisierung eine neue Sinn-Nuance verleihen wollen, ein sprachliches Mittel an die Hand, das so zu tun, daß der Leser des Endtextes die Textfuge überlesen wird. 2.1. Jer 41,10 Jer 41,10 mit וישב// וישבםbelegt, wie Hermann-Josef STIPP gezeigt hat, die Möglichkeit, eine Wiederaufnahme durch Umvokalisieren zugleich umzudeuten:37 Die hebräische Vorlage der LXX las nur 10a וישב, und LXX (48,10) deutete es als שובH „Und Ismael ließ das ganze Volk, das in Massepha übrig geblieben war, abziehen“. Die Autoren des masoretischen Überhangs fügten als Wiederaufnahme 10c hinzu וישבם, und die Punktatoren gaben dem Vorgang eine gewalttätigere Note, indem sie beide Verben von שבהableiteten: „10a: Jischmael führte den ganzen Rest des Volkes, der sich in Mizpa befand, gefangen hinweg. 10c: Jischmael, der Sohn Netanjas, führte sie also gefangen hinweg.“ ל־שׁ ֵא ִרית ָה ָעם ְ ת־כּ ָ וַ יִּ ְשׁ ְבּ יִ ְשׁ ָמ ֵעאל ֶא ֲא ֶשׁר ַבּ ִמּ ְצ ָפּה ל־ה ָעם ַהנִּ ְשׁ ָא ִרים ַבּ ִמּ ְצ ָפּה ָ ת־כּ ָ וְ ֶאCת־בּנוֹת ַה ֶמּ ֶל ְ ֶא ן־א ִח ָיקם ֲ ב־ט ָבּ ִחים ֶאת־גְּ ַד ְליָ הוּ ֶבּ ַ ֲא ֶשׁר ִה ְפ ִקיד נְ ֽבוּזַ ְר ֲא ָדן ַר וַ יִּ ְשׁ ֵבּם יִ ְשׁ ָמ ֵעאל ֶבּן־נְ ַתנְ יָ ה ל־בּנֵ י ַעמּוֹן ְ ַל ֲעבֹר ֶאCוַ יֵּ ֶל
2.2. Weitere Belege dieser Art Ri 1,4.5 (2x ;)ויכו1 Sam 17,49.50 (2x ;)ויך את הפלשתי1 Kön 12,32.33 (2x ויעל על ;)המזב22,35.37 (2x )וימת. Folgende Charakteristika sind den bisher beobachteten Beispielen gemeinsam: Sie entstammen erzählenden Kontexten. Die Wiederaufnahme erzeugt überwiegend kleinräumige Bezüge, die über zwei Verse bzw. sechs Sätze nicht hinausgehen. Einem Verb in der Formation wa=yiqtol folgt im Abstand weniger Sätze dasselbe Verb in derselben Formation mit demselben Subjekt. Die 37
STIPP, Jeremia, 185.
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identische Form ist das sprachliche Signal. Aus dem Zusammenhang geht hervor, daß diese beiden Verbformen nicht zwei aufeinander folgende, auch nicht zwei koordinierte Handlungen, sondern ein und dieselbe Handlung bezeichnen, die nur jeweils unterschiedlich fortgeführt wird. Das ist eine erzähltechnische Funktion von wa=yiqtol, die zu ganz verschiedenen literarischen Zwekken gebraucht werden kann. Ein und derselbe Verfasser, der sich eine längere Schilderung oder eine Abschweifung erlaubt hat, kann so im, literarkritisch geurteilt, einheitlichen, primären Text auf genau den Punkt zurückführen, an dem er den Haupthandlungsstrang verlassen hatte. Auf diese Weise kann der Verfasser selbst oder ein jüngerer Bearbeiter auch unauffällig und elegant zunächst dargestellte Abläufe korrigieren. Schließlich kann ein Bearbeiter diese Funktion von wa=yiqtol bei identischem Verb als literarisches Verfahren einsetzen, um einen längeren sekundären Textteil einzufügen und dessen Einfügung zugleich zu signalisieren. Dann liegt eine Variante des wohlbekannten Phänomens der literarkritisch auswertbaren „Wiederaufnahme“ vor. 2.3. Exkurs: Gen 32,23-24: Wiederaufnahme oder Prolepse? ת־א ַחד ָע ָשׂר יְ ָל ָדיו ַ ת־שׁ ֵתּי ִשׁ ְפח ָֹתיו וְ ֶא ְ ת־שׁ ֵתּי נָ ָשׁיו וְ ֶא ְ וַ יִּ ַקּח ֶא ַ ֽו יַּ ֲעבֹר ֵאת ַמ ֲע ַבר יַ בֹּק וַ יִּ ָקּ ֵחם ת־הנָּ ַחל ַ וַ ַיּ ֲֽע ִב ֵרם ֶא ת־א ֶשׁר־לוֹ ֲ ַ ֽו יַּ ֲע ֵבר ֶא וַ יִּ וָּ ֵתר יַ ֲעקֹב ְל ַבדּוֹ
23b 23c 24a 24b 24c 25a
Dieser Beleg ist bezüglich seines Verständnisses und seiner literakritischen Analyse bis in jüngste Zeit umstritten. Zugleich kann man an ihm den Unterschied zwischen Wiederaufnahme und Prolepse aufzeigen und nachvollziehen, daß die Entscheidung für Wiederaufnahme oder Prolepse unterschiedliche inhaltliche Deutungen hervorruft. Problematisch erscheint die zweimalige Abfolge von לקחund עבר, jeweils wa=yiqtol in 23bc ( עברG, Jakob überschreitet den Jabbok) und 24ab ( עברH, Jakob läßt [nur?] seine Familie den Fluß überqueren). Unberücksichtigt bleiben im folgenden die häufigen literarkritischen Eingriffe, denn sie erklären nicht, wie man das textliche Endprodukt verstehen soll.38 Nach dem Vertrag 38 Vgl. z. B. NOTH, Überlieferungsgeschichte, 31, Anm. 98: Ursprünglich sind nur 32,23ab. 24bff: Jakob nimmt seine Familie und läßt sie die Furt durchqueren, bleibt selbst aber allein zurück. 23c (Jakob geht hinüber) ist ein „unsachgemäßer Zusatz“, der dann 24a als „Wiederaufnahme“ nötig machte. BLUM, Komplexität, 5: 23ab.24ab sind ein Zusatz, „welcher sicherstellen will, daß Jakob zum Zeitpunkt des Überfalls allein war“; nach dem ursprünglichen Wortlaut durchschreitet Jakob einschließlich seines Besitzes in der Nacht den Jabbok. HERMISSON, Jakobs Kampf, 241, Anm. 8: 23c.24b sind ursprünglich: Jakob überschreitet mit seiner Habe den Jabbok. Durch die Sätze 23ab.24a, die die für diese Erzählung „unerhebliche Familie Jakobs“ ein-
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mit Laban und bevor er dem anrückenden Esau entgegenzieht, übernachtet Jakob, wohl in Mahanaim39 (32,14), nachdem er Esau einen Tribut entgegengeschickt hat. In derselben Nacht noch ereignet sich 32,23-25: Wo blieb Jakob allein zurück (32,25) und kämpfte mit dem „Mann“: jenseits des Jabbok, nachdem er ihn samt Familie überschritten hatte, oder noch diesseits des Jabbok, nachdem er nur seine Familie hatte hinübergehen lassen? Wie auch immer der Text zustande gekommen ist – ursprünglich einheitlich oder durch redaktionelle Bearbeitung –, dem Leser des Endtextes bieten sich zwei Lesestrategien: (1) E. KÖNIG vermutet in der Notiz von der Jabboküberschreitung Jakobs 23c eine „zusammenfassende Vorausnahme“.40 Schon H. L. STRACK hatte u. a. zu 23c ausgeführt: „In der biblisch-hebräischen Geschichtsdarstellung werden häufig Ereignisse, Handlungen durch ein an das Vorhererzählte anschließendes Waw consecutivum im allgemeinen als eingetreten, als geschehen bezeichnet und dann, ohne Unterbrechung der Aufeinanderfolge der konsekutiven Imperfekta, die Einzelheiten nachgebracht.“ Es handle sich um eine „kurze Vorausandeutung“.41 Das ergibt folgende Deutung: V. 23 faßt den äußeren Handlungsrahmen der Erzählung 32,23-33 (in 32 auch: )עברzusammen: Jakob nimmt seinen Haushalt und überschreitet mit ihm den Jabbok. Ab V. 24 wird geschildert, wie sich dies genauerhin abgespielt hat. ויקחם24a nimmt ויקח23b auf; beim folgenden Verb aber präzisiert der Wechsel vom Grundstamm 23c ויעברzum H-Stamm 24bc ויעברם, daß Jakob zunächst nur sie den Jabbok überschreiten läßt, seinerseits dies aber noch nicht tut und noch auf der anderen Seite allein zurückbleibt.42 Im jetzigen Erzählablauf fungiert V. 23 somit als Prolepse.43 Bevor der Hörer mit Jakob dessen nächtlichen Kampf mit dem „Mann“ erlebt, erfährt er bereits, daß Jakob schließlich den Jabbok überschreiten wird. (2) Anders ist das Verständnis, wenn man Wiederaufnahme annimmt. Dann beschreibt 32,23-25a eine komplexe Handlung: Jakob überschreitet mit seiner Familie und seiner Habe den Jabbok und bleibt danach am erreichten Ufer allein zurück. Zunächst wird vom Mitnehmen und Überschreiten, dann vom Alführen, wurde die Erzählung im jetzigen Kontext verankert. 39 Die Lage der in Gen 32 genannten ostjordanischen Orte ist so ungewiß, daß im folgenden nicht mit der möglicherweise vorhandenen Ortskenntnis der Adressaten oder entsprechenden Voraussetzungen von seiten des/der Verfasser argumentiert wird. Zu Hypothesen zur Lage von Pnuël vgl. GASS, Ortsnamen, 445-449. 40 KÖNIG, Genesis, 628. 41 STRACK, Genesis, 81. 42 Hieronymus vereinfacht, indem er in V. 24 lediglich formuliert: transductisque omnibus quae ad se pertinebant. 43 Zu Formen und Funktionen von Prolepse vgl. SKA, Sommaires; SKA, Exemples; KOENEN, Prolepsen. Beide Autoren verwenden allerdings einen sehr weiten Begriff der Prolepse, der viele unterschiedliche Phänomene umfaßt.
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leinbleiben gesprochen, beides wird durch die doppelte Wiederaufnahme mittels לקחund עברeng zusammengebunden. Die These der Wiederaufnahme kann nicht hinreichend motivieren, warum עברvom G-Stamm zum H-Stamm wechselt und warum die Notiz vom Alleinbleiben Jakobs 25a durch Neusetzung des Eigennamens Jakob vom Vorhergehenden abgesetzt wird. Diese neue Nennung Jakobs könnte deswegen gewählt sein, weil anschließend Jakobs Familie keine Rolle mehr spielt und Jakob allein handelt. Dennoch hat die Prolepsis-These mehr für sich, obgleich dann auffällt, daß von dem in 23c vorweggenommenen Überschreiten des Jabbok durch Jakob im folgenden überhaupt nicht die Rede ist, denn in 32 bezieht sich עברnicht auf den Jabbok, sondern auch Penuël. Das wiederum könnte in dieser sehr kargen Erzählung stilistische Absicht sein.44 Die formalen Beobachtungen reichen nicht aus für eine eindeutige Entscheidung. 2.4. Umfangreichere Texteinschübe Wenn eine umfangreichere Passage sekundär durch Wiederaufnahme in einem vorgegebenen Text verankert wird und dadurch der Abstand zwischen dem letzten Satz des ursprünglichen Textes und dem wiederaufnehmenden Satz wächst, genügen nicht mehr dasselbe Verb allein und eventuell eine Präposition; dann muß ein ganzer Satz oder ein ganzer Abschnitt wiederholt werden. Num 22,21.35:
וַ יָּ ָקם ִבּ ְל ָעם ַבּבּ ֶֹקר21a ת־אתֹנוֹ ֲ ַ ֽו יַּ ֲחבֹשׁ ֶא21b מוֹאב ָ ם־שׂ ֵרי ָ ִעC וַ יֵּ ֶל21c
Eselin-Episode
ם־שׂ ֵרי ָב ָלק ָ ִבּ ְל ָעם ִעC וַ יֵּ ֶל35d
1 Kön 19,9.13: וְ ִהנֵּ ה ְד ַבר־יְ הוָ ה ֵא ָליו אמר לוֹ ֶ ֹ וַ יּ ה־לּ[ פֹה ֵא ִליָּ הוּ ְ ַמ
JHWH-Theophanie
9c 9d 9e
וְ ִהנֵּ ה ֵא ָליו קוֹל13e אמר ֶ ֹ וַ יּ13f ה־לּ[ פֹה ֵא ִליָּ הוּ ְ ַמ13g
44 Entgegengesetztes עברin der Nacht vor dem Kampf, bei Sonnenaufgang nach dem Kampf: BLUM, Komplexität, 15.
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2.5. Weitere Belege dieser Art: Gen 21,27.32 (2x ;)ויכרתו בריתDtn 9,18.25 (2x )ואתנפל לפני יהוה45. 3. wa=yiqtol für mehrfache Wiederaufnahme in der Schilderung eines komplexen Handlungsablaufes mit mehr als zwei Akteuren: Gideons Überfall auf das Lager der Midianiter Ri 7,16-22 Das AT bezeugt vielfach die Erzählkunst israelitischer Autoren. Konflikte zweier Personen, parallele Handlungen werden plastisch dargestellt. Sobald aber komplexe Ereignisse wie Schlachten, an denen mehr als zwei Personen (-Gruppen) beteiligt sind, geschildert werden sollen, scheint die hebräische Sprache an ihre Grenzen zu stoßen. Da Konjunktionen nur in begrenztem Umfang eingesetzt werden, bleibt die zeitliche und sachliche Zuordnung einzelner Handlungszüge unklar und wird die Darstellung insgesamt undurchsichtig. Dies ist in besonderem Maß der Fall in der Erzählung von Gideons Überfall auf das Midianiterlager Ri 7,16-22. In der Auslegungsgeschichte wurden vielfältige literarkritische Texttrennungen versucht, die auch Textumstellungen umfaßten. Sie führten jedoch nicht zu konsensfähigen Ergebnissen und blieben hochhypothetisch.46 Es scheint, daß sich die hebräischen Erzähler in solchen Fällen in einem literarisch einheitlichen Text mehrfach des literarischen Mittels der Wiederaufnahme bedienten, auch wenn die Funktion der Wiederaufnahmen nur inhaltlich erschlossen werden kann. 16a Er teilte die dreihundert Mann in drei Abteilungen ein 16b und gab ihnen allen Widderhörner in die Hand sowie leere Krüge mit Fackeln in den Krügen. 17a Er sagte zu ihnen: 17b „Von mir sollt ihr abschauen 17c und ebenso handeln! 17d Wenn ich an den Rand des Lagers komme, 17e dann soll geschehen: 17f Wie ich handeln werde, 17e sollt auch ihr handeln! 18a Ich werde das Widderhorn blasen, ich und alle bei mir. 18b Dann sollt auch ihr die Widderhörner blasen rings um das ganze Lager 18c und sagen: 18d ‚Für JHWH und für Gideon!‘ “ 19a Gideon und hundert Mann bei ihm kamen zu Beginn der mittleren Nachtwache an den Rand des Lagers. 19b Soeben hatte man die Wachen aufgestellt. 19c Da bliesen sie die Widderhörner 19d und zerbrachen dabei die Krüge in ihren Händen. 20a Es bliesen also die drei Abteilungen die Widderhörner. 20b Sie zerbrachen die Krüge, 20c ergriffen mit der linken Hand die Fackeln und mit der rechten Hand die Widderhörner, um zu blasen, 20d und riefen: 20e „Schwert für JHWH und Gideon!“ 21a Sie blieben stehen, jeder an seinem Platz, rings um das Lager. 21b Da lief das ganze Lager durcheinander. 21c Sie schrieen 21d und ›flohen‹. 22a Sie bliesen also die dreihundert Widderhörner. 22b JHWH richtete das Schwert eines jeden gegen den anderen und gegen das ganze 45 46
Literarkritisch hochproblematisch. Zu den Details vgl. ausführlich GROSS, Richter.
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Lager. 22c Da floh das Lager bis nach Bet-ha=Schitta, in Richtung Zerera, bis Sefat-Abel-Mehola oberhalb Tabbat.
Gideon erteilt zwar taktische Anweisungen, er verteilt auch an alle Soldaten mehr Geräte, als sie gleichzeitig sinnvoll einsetzen können, aber es sind keine Waffen darunter. Es kommt von seiten Gideons zu keinem Schwertstreich, Gideon und die Seinen bleiben am Rand des feindlichen Lagers stehen und sehen zu, wie die Midianiter sich auf JHWHS Veranlassung hin ohne Feindberührung gegenseitig umbringen. Bei einer derartigen Erzählung darf man keine realistische Kampfszenerie erwarten. Die Abfolge der Handlungen Gideons und der 300 bleibt durch Überfüllung undurchsichtig. „Umständlicher Stil“47 ist das Mindeste, was von diesen Versen zu sagen ist. Er mag in dem Bemühen des Autors begründet sein, eine ältere Erzählung seinen theologischen Absichten und seiner Konzeption eines umfassenderen Handlungsablaufs mit Hilfe von Elementen des JHWH-Krieges dienstbar zu machen. Diese hypothetische ältere Erzählung ist jedoch weder dem Wortlaut noch der Handlungsabfolge nach mit einiger Wahrscheinlichkeit rekonstruierbar. Mehrfach ist im vorliegenden Wortlaut die Identifikation der pronominalen Bezüge und der ungenannten Verbsubjekte schwierig, so daß der Hörer auf eigene Verantwortung Vermutungen anstellen muß. Verwirrendstes Beispiel ist die siebenfache Erwähnung der Widderhörner, wobei die Siebenzahl auf planvolle Gestaltung deuten könnte. Wenn man alle wa=yiqtol-Formen als übliche Erzählprogresse deutet, ergeben sich folgende Verständnisprobleme. Gideon bildet drei Abteilungen zu je hundert Mann. Jeder der 300 erhält ein Widderhorn 16b. Wenn Gideon und seine Begleiter es blasen 18a, sollen auch die „ihr“ blasen 18b. Wer sind diese? Gideon spricht „zu ihnen“ 17a, das sind nach 16a die 3mal 100. Da die „bei Gideon“ 18a entsprechend 19a eine der Abteilungen, also 100 sind, können die „ihr“ von 18b im Gegensatz zu 17a jedoch nur die restlichen 200 sein. Gideon und seine 100 blasen 19c, wie angekündigt. Darauf blasen dann aber nicht die restlichen 200, sondern alle 300 20a, und das auch noch, obgleich sie erst anschließend die Widderhörner in die rechte Hand nehmen, um zu blasen 20c. Schließlich blasen die 300 scheinbar noch einmal (ohne daß dies „noch einmal“ vermerkt wäre) in 22a. Literarkritische Eingriffe helfen nicht. So hat man häufig lieber zu überlieferungsgeschichtlichen Hypothesen gegriffen, die allerdings von mehrstufiger Entstehung48 bis zur räumlichen Verlagerung in die ostjordanische Blutrache-Erzählung49 reichen. Die Annahme mehrfacher Wiederaufnahmen ermöglicht das Verständnis dieser Verse als literarkritisch einheitlicher Schlachtschilderung. 47 48 49
RICHTER, Untersuchungen, 171. Beispielsweise RICHTER, Untersuchungen. SCHERER, Überlieferungen.
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V. 16a wa=yiqtol: Gideon teilt nach oft angewendeter Taktik seine kleine Schar in drei Abteilungen auf (vgl. Abimelech 9,43; Saul 1 Sam 11,11; Philister 1 Sam 13,17f.; Chaldäer Ijob 1,17). Wie 17b zeigt, will er durch die drei Abteilungen das ganze Midianiterlager dergestalt umstellen lassen, daß seine Krieger dennoch Blickkontakt halten können.50 16b wa=yiqtol: Daraufhin versorgt Gideon seine Leute je mit einem Widderhorn und mit je einem leeren Krug samt brennender Fackel darin. Widderhörner sind zwar keine Waffen, haben aber wenigstens Beziehung (nicht nur zur Liturgie, sondern auch) zu Kriegshandlungen (vgl. Ri 3,27; Jos 6,4-20; 2 Sam 2,28), nicht einmal das kann man von Krügen und Fackeln sagen. Die Hände der Krieger sind mit Gegenständen gefüllt, die sie eher vom Kämpfen abhalten. Daß jeder von ihnen auch ein Schwert umgehängt hat, braucht man deswegen nicht zu bestreiten, das ist für Soldaten selbstverständlich; aber gebrauchen können sie es mit vollen Händen nicht. In V. 17+18 gibt Gideon einigermaßen umständlich die taktischen Anweisungen. Der Erzähler vermischt in diesen beiden Versen die Erläuterung der Taktik für alle 300, in der Gideon zwischen sich, dem Befehlshaber, und seinen 300 Kämpfern unterscheidet, mit der Tatsache, daß die 300 anschließend in Gideon samt 100 einerseits und die restlichen 200 andererseits aufgeteilt werden. Daraus erklärt sich die Diskrepanz zwischen den „ihnen“ und den „ihr“ (= 300) in V. 17 und den „ihr“ (= 200) in V. 18. Ort der geplanten Maßnahmen ist nicht das Lager der Midianiter, sondern lediglich dessen Rand. Eigenartigerweise erklärt Gideon nur den Einsatz der Widderhörner, die auch bereits in 7,8a erwähnt worden waren. Die mögliche Funktion der Fackeln in den Krügen 16b bleibt zunächst rätselhaft. Vermutlich wird suggeriert, daß die Fackeln bereits brennen. Sollen die Krüge nur ihren Schein abdecken? Warum, wie manche Ausleger einwenden, die Soldaten nicht erst das Widderhorn blasen und dann einen Schlachtruf anstimmen können sollten 18b-d, ist allerdings nicht einzusehen. Der Schlachtruf 18d formuliert die Kooperation JHWHS und Gideons. Aus „für JHWH und Gideon“ 18d wird in 20e der Schlachtruf „Schwert für JHWH und Gideon“. Diese Variante mag aus der älteren Erzählung stammen, falls diese von einem Schwertkampf Gideons berichtet hatte. Eine derartige Annahme ist jedoch unnötig, denn diese steigernde Variante hat einen guten Sinn. Die Soldaten, mit Widderhörnern und Fackeln beschäftigt, ziehen ja ihr Schwert gar nicht. Der Kampfruf 20e hat einen Sinn, der sich erst in 22b enthüllt: Das Schwert, das für JHWH und Gideon kämpft, ist gar nicht das Schwert der 300, sondern das Schwert der Midianiter, die sich gegenseitig umbringen. Auch dies dient der Tendenz, die schon die in 7,2-8 vorausgehende 50 Die hypothetische ältere Erzählung hatte somit mit einem kleinen, überschaubaren Lager gerechnet, das man mit 300 Mann umzingeln kann, nicht mit 135 000 Feinden, wie der jetzige Kontext voraussetzt (falls derartige Folgerungen angesichts der unrealistischen Darstellung angebracht sind).
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Leckprobe dominierte: JHWH allein entscheidet den Kampf, auch wenn er sich Gideons und seiner 300 bedient. Nach der Befehlsausgabe durch Gideon 17+18 richtet der Erzähler in V. 19 seine Aufmerksamkeit zunächst auf Gideon und seine 100, die in tiefer Nacht das Lager der Midianiter erreichen. 19c-d, wa=yiqtol + infinitivus absolutus, der das Zerbrechen der Krüge als gleichzeitigen Nebenumstand der Haupthandlung des Blasens der Widderhörner ausweist: 19c Da bliesen sie die Widderhörner 19d und zerbrachen dabei die Krüge in ihren Händen. Wer nur 19d läse, könnte auf die Idee kommen, das Zerbrechen der Krüge solle Lärm verursachen. Aus 16b weiß man aber, und 20c bestätigt es sofort, daß dadurch die brennenden Fackeln zum Vorschein kommen. Für den Lärm sind die Widderhörner zuständig, die Fackeln aus den Krügen dagegen für das plötzliche Licht. Das wird zwar nicht explizit gesagt, aber nicht-brennende Fackeln wird wohl niemand dem Erzähler unterstellen. Nach 18ab erwartet man, daß die andern zwei Abteilungen das Beispiel Gideons und seiner 100 sogleich nachahmen. Das wird aber nicht erzählt, sondern schlicht vorausgesetzt. Statt dessen greift 20a mit wiederaufnehmendem wa=yiqtol auf das so erreichte Blasen und Krügezerbrechen aller 300 zurück. 20a ist daher zu übersetzen: 20a Es bliesen also die drei Abteilungen die Widderhörner. Eben diese wiederaufnehmende Wendung kehrt wieder in 22a wa=yiqtol und führt in zwei weiteren Progreß-wa=yiqtol JHWHS Eingreifen ein. Auch hier ist somit zu übersetzen: 22a Sie bliesen also die dreihundert Widderhörner.51 Das signalisiert wohl bezüglich des Vorgehens Gideons folgende Erzählstrategie: Die entscheidende Aktion ist für den Verfasser das Blasen der Widderhörner (deswegen explizit vorbereitet durch 8a und zweimal wiederaufgenommen in 20a+22a). Er treibt die Schilderung voran bis zu dem Punkt, an dem alle 300 samt Gideon blasen. Mit Blasen und Krügezerbrechen nennt er zusammenfassend den Beitrag der Israeliten. Anschließend differenziert er. Er greift das Blasen zweifach auf. Die erste Wiederaufnahme 20a führt das Verhalten der 300 und die Flucht der Midianiter, die zweite dagegen das Eingreifen JHWHS und die wechselseitige Erdolchung der Midianiter ein. Der Erzähler kompliziert allerdings die Darstellung erheblich, indem er beide Wiederauf51 NICCACCI, Lettura, 187f, übersetzt ebenfalls 22a: „Suonarono dunque le 300 trombe“ und beschreibt (Hervorhebung von mir): „Il primo wayyiqtol ripropone una notizia del v. 20. L’autore spiega meglio la confusione che si produsse nel campo nemico. Usa forme di primo piano, come nel versetto precedente, non costrutti di antefatto … Il suono delle trombe viene nominato nel v. 19b, accanto alla rottura delle brocche, in forma generale. La medesima notizia viene ripresa due volte per essere specificata: nel v. 20 … e nel v. 22. … E’ un procedimento letterario che non fornisce le informazioni ‘in modo ordinato’ ma con svolgimento a ondate successive o a circoli che parzialmente coincidono.“ Er beschreibt hier das Phänomen, das oben als „wiederaufnehmend-resümierende und korrigierende Funktion“, allerdings beschränkt auf wa=yiqtol gleicher Verben, bezeichnet wird.
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nahmen benutzt, um Korrekturen des jeweils unmittelbar davor Gesagten einzufügen. Das mag tatsächlich darauf schließen lassen, daß er eine vorgegebene Version des Geschehens ohne JHWH um seine Variante bereichert, die JHWH-Kriegs-Motive einführt. Hier steht jedoch nur zur Debatte, welche sprachliche Strategie er verfolgte und wie der Leser/Hörer seine Schilderung verstehen sollte. Nach 19c blasen Gideon und die 100 (implizit auch die restlichen 200) die Widderhörner und zerbrechen dabei die Krüge. Die zweiphasige Wiederaufnahme präzisiert die zeitliche Abfolge dieser zweiteiligen Handlung. (1) Nach der ersten Wiederaufnahme erfahren wir V. 20: Alle 300 haben zuerst die Krüge zerbrochen, die brennenden Fackeln ergriffen und den Kriegsruf ausgestoßen. Sie blasen noch nicht, sondern warten ohne Bewegung die Wirkung ihrer Fackeln und ihres Kriegsrufes ab 21a wa=yiqtol: Sie blieben stehen, jeder an seinem Platz, rings um das Lager.52 Das führt bereits zu Chaos und Flucht der Midianiter. Hatten Gideon und die 300 bisher nur die Absicht gehabt zu blasen 20c, so blasen sie nun tatsächlich 22a wa=yiqtol; das ist die zweite Wiederaufnahme: Sie bliesen also die dreihundert Widderhörner. Dieses Blasen führt zum entscheidenden Sieg, der so umfassend ausfällt, daß die Notiz von der Flucht der Midianiter eingeschränkt werden muß: JHWH selbst veranlaßt, daß die verwirrten Midianiter sich gegenseitig erdolchen, und nur wenige fliehen können; in 8,10 erfahren wir, daß 120 000 Midianiter zu Tode gekommen sind und nur 15 000 sich durch die Flucht über den Jordan zunächst in vermeintliche Sicherheit bringen konnten. Durch die teilweise Parallelität von 21cd (Sie schrieen und ›flohen‹) zu 22c (Da floh das Lager) sowie durch die Wiederholung von 20a (Es bliesen also die drei Abteilungen die Widderhörner) in 22a (Sie bliesen also die dreihundert Widderhörner) signalisiert der Verfasser zugleich, daß er den Sieg nach dem Prinzip der „doppelten Kausalität“ aus zwei sich ergänzenden Perspektiven, der menschlichen und der göttlichen, betrachtet. Walter Groß Katholisch-Theologische Fakultät, Universität Tübingen
52 Nächste literarische Parallele für dieses Stehen und Abwarten in JHWH-Krieg-Kontext: Ex 14,13.14.
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Bo Isaksson The Textlinguistics of the Suffering Servant: Subordinate Structures in Isaiah 52,13-53,12
My first encounter with Hebrew textlinguistics was Alviero NICCACCI’s ideas in Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica (1986). It was a completely new perspective which raised the thinking of many scholars including myself above the level of the clause to an entity called ‘text’. Since then Hebrew linguistics has never been the same. 1. Theoretical foundations This study on the text of the Suffering Servant in Isaiah is based on a linguistic research project that resulted in the book Circumstantial qualifiers in Semitic: The case of Arabic and Hebrew. The account of verbal ‘grams’ in classical Hebrew builds on the article ‘Althebräisches und semitisches Aspektsystem’ by Josef TROPPER.1 The gram concept with its theoretical framework and new 1 It is the merit of Josef TROPPER to have been the first scholar to argue for a three-part Hebrew aspectual system (VprefS/VprefL/Vsuff) in a full-scale comparative Semitic study (TROPPER, Aspektsystem; later also SANDE, Perspective). There is, in addition to the three basic grams, a morpheme -! which could be added to the 1st person forms of the short prefix conjugation and to the imperative in order to enhance their modal force (thus for 1st person forms resulting in “cohortative” VprefS-A and IMP-A); there is also an “energicus” morpheme -(a)nnV which could give emphasis to both short and long forms of the prefix conjugation as well as the imperative (thus for all persons resulting in VprefS-N, VprefL-N and IMP-N, TROPPER, Kanaanäisches, 136; KORCHIN, Markedness, 328). In TROPPER’s study the Hebrew verbal system is understood in full accordance with the ancient Canaanite dialects of the 14th century and the somewhat later Northwest Semitic epigraphic texts. This system is also the result of SCHÜLE’s investigation (Syntax) of the ancient Hebrew inscriptions and KORCHIN’s (Markedness, 338) study of markedness in the Canaanite and Hebrew verbs. The main tenets of TROPPER’s article (Aspektsystem) are further elaborated in SANDE, Perspective. MORAN (Byblos; Hebrew) and RAINEY (Prefix conjugation; Canaanite) on the basis of the Canaanite in the Amarna tablets advocate a similar verbal system, but their comparative scope is more limited than TROPPER’s. ISAKSSON, Qualifiers, 125ff, arrived at the same conclusions with a different methodological approach, in a study of circumstantial clauses in Arabic and biblical Hebrew. Our conclusion was that there are no ‘conversive waws’ and no ‘converted tenses’ in BH. The aspectual system in the present article dif-
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The Textlinguistics of the Suffering Servant: Subordinate Structures in Is 52,13-53,12
approach to the TAM categories is taken from recent crosslinguistic typological research, chiefly by Joan BYBEE and Östen DAHL (BYBEE, Creation; BYBEE, Evolution; DAHL, Tense-aspect; also ANDRASON, Panchronic yiqtol; and ANDRASON, Akkadian iprus). BYBEE and DAHL observe that “grammatical morphology is the major signal of grammatical and discourse structure, as well as temporal and aspectual relations”. Grammatical morphology is more important than word order (BYBEE, Creation, 51). It is no wonder that grammatical morphology is also a major signal of clause relations; “independent clauses code foreground and pivotal information, dependent clauses code background information”, where background information “is that which elaborates or develops foreground information” (TOMLIN, Foreground, 85.89). This is especially salient in a syntax formed in an oral society. “The relative absence of formal markers of cohesion, which the addressee must reconstruct as part of the decoding process, is one of the conspicuous features distinguishing oral from written discourse” (FLEISCHMAN, Discourse, 864; a fuller treatment is found in FLEISCHMAN, Tense and narrativity). For both BYBEE and DAHL the central concept is the ‘gram’. It is an abbreviation for ‘grammatical morpheme’, and good examples are the progressive in English, passé simple in French and, for the Westsemitic in the Amarna letters described by RAINEY (Canaanite II) the qatal (suffix conjugation), the yaqtulu (long prefix conjugation), and the yaqtul (short prefix conjugation). This is especially significant for the Hebrew scholar, since “Amarna Canaanite is the closest we can get a direct ancestor of biblical Hebrew” (ANDERSEN, Evolution, 18). In the early Canaanite dialects there were three finite verbal grams, the Vsuff, the VprefS and the VprefL.2 fers somewhat from TROPPER’s in that it is adopted from the descriptive account of the World’s TAM systems given in BYBEE, Evolution, while the system in TROPPER’s study is taken from COMRIE, Aspect (1976, but TROPPER quotes the 6th printing 1989). Abbreviations used in the present article: CQ circumstantial qualifier Spron subject pronoun IMP imperative TAM tense, aspect, mood NCl noun clause (verbless) VN verbal noun (infinitive) NP noun phrase Vpref prefix conjugation Onoun object noun VprefL prefix conjugation long form PA active participle VprefS prefix conjugation short form PP passive participle Vsuff suffix conjugation way the Hebrew morpheme way, “and”, with allomorphs (way, wat, wan, w!, wa), which is in complementary distribution with the morpheme w= (allomorphs w=, +, w,, wå, wæ, wa, w!). 2 MORAN, Byblos, and, following him, RAINEY, Canaanite II, advocate a system of six “patterns” for Canaanite, but as TROPPER, Kanaanäisches, 136, points out, it cannot be shown that the “energic” (a Vpref-N) and “volitive” (a Vpref-A) were ever full-blown grams of their own. MORAN’s system looks quite attractive with a tidy balance between indicative and injunctive “patterns”: INDICATIVE preterite yaqtul, -û, imperfect yaqtulu, -ûna, energic yaqtulun(n)a; IN-
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The usual TAM categories are not grams. TAM categories instead describe the semantic content of grams. It seems to be typical for the languages of the world that grams combine elements from several semantic domains. For example, the same gram may express both indicative and modal nuances depending on context, as is the case with the short VprefS gram (MORAN’s and RAINEY’s “preterite” and “jussive”). A gram is always language-specific, while a semantic category like ‘perfective’ is a general linguistic concept. Language-specific items should be distinguished from general linguistic concepts (DAHL, Tense-aspect, 7). The Westsemitic so-called ‘perfect’ is a gram the semantics of which cannot be identified with the perfect aspect, as RAINEY rightly points out. The traditional term ‘perfect’ used for the Vsuff in Westsemitic “is definitely a misnomer”, “there is nothing, inherent or developed, in the basic construction of the suffix conjugation to associate it with ‘completed action’ ” (RAINEY, Canaanite II, 282). The semantic category of ‘perfect’ (or ‘anterior’) is only one of several possible meanings of the Westsemitic suffix conjugation. Grams in an individual language represent aggregations of previous meanings, which means that “[g]rammaticalization processes tend to give rise to situations that do not easily lend themselves to a description in terms of binary oppositions. Thus, grams tend to expand from a point of origin in a wave-like fashion, (metaphorically speaking) chasing each other along a path of development” (DAHL, Tense-aspect, 13). “[I]f each gram follows a path of development according to its original meaning, then it develops independently of other grams” (BYBEE, Creation, 61). This means that a purely structuralistic approach with systems of oppositions is less successful in explaining the multiple meanings of a specific gram. “Indeed, due to the multidimensionality of the grammaticalization process, it may not be possible to establish a systematic semantic difference between two such grams.” (DAHL, Tense-aspect, 14; also BYBEE, Evolution, 1). This is a point where TROPPER’s otherwise innovative and groundbreaking analysis of the Westsemitic verbal system fails (TROPPER, wyqtl; TROPPER, Aspektsystem). In his efforts to explain all uses of the Vsuff gram as “perfective”, the term ‘perfective’ becomes meaningless. It is simply impossible to explain all meanings of the Vsuff gram encountered in the Westsemitic texts as “perfective” or else the term becomes void of meaning and fails to explain anything. Today, explaining the Westsemitic verbal system in JUNCTIVE jussive yaqtul, -û, volitive yaqtula, -û, energic yaqtulan(n)a. When we examine the grams involved we can observe that the “preterite” and the “jussive” in fact represent the same gram. The problem with MORAN’s six “patterns” is the blurring of semantic and morphological definitions. The terminology (“patterns”) suggests that the distinctions are morphological, but the “preterite” and the “jussive” patterns coincide which RAINEY, Canaanite II, 245, also admits. Thus one and the same gram yaqtul (VprefS) has two distinct meanings in MORAN’s system, one is narrative perfective and one is modal.
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terms of a binary opposition represents an out-of-date strategy. We have to recognize grams in development, not primarily aspectual oppositions. The grammaticalization approach is fully utilized in a methodologically important recent article on the Hebrew VprefL gram by the linguist Alexander ANDRASON, “The panchronic yiqtol” (cf. also ANDRASON, Akkadian iprus). He states that “it should always be possible to embrace all synchronically incompatible or heterogeneous values of a construction and explain it as a homogeneous manifestation of a functional trajectory” (ibid., 2). He notes that “the term ‘verbal gram’ approximates the notion of verbal grammatical constructions and is frequently employed to refer to formations that reflect any phase of the prototypical grammaticalization path, from lexical periphrastic inputs (peripheral grams) to central synthetic categories (core grams). During the grammaticalization process, grams ‘travel’ from the periphery to the centre of the verbal system acquiring and combining meanings that correspond to various typologically universal semantic domains like taxis, aspect, tense and mood.” (ibid., 3). This means further that we do not have to concern ourselves with defining ‘tense’ or ‘aspect’ or the more recalcitrant ‘mood’ as overarching categories, nor with deciding whether perfect is a tense or an aspect, or whether future is a tense or a mood. Rather the relevant entity for the study of grammatical meaning is the individual gram, which must be viewed as having inherent semantic substance reflecting the history of its development as much as the place it occupies in a synchronic system (BYBEE, Creation, 97).
1.1 The classical Hebrew grams 1.1.1 Vsuff The Hebrew suffix conjugation gram (Vsuff) reflects a straightforward and crosslinguistically well attested path of grammaticalization from a stative (non-dynamic verbs)/resultative (change-of-state verbs) in Proto-Semitic to an anterior and finally a perfective in Westsemitic (BYBEE, Evolution, 67.105).3 In Postbiblical Hebrew the Vsuff gram became a past tense. The decisive innovation occurred already in early Westsemitic and is reflected in Amarna Canaanite.4 The original Semitic Vsuff gram was a stative In ISAKSSON, Qualifiers, 130, we advocated an original ‘completive’ origin of the Vsuff gram to account for its frequent use to establish facts and verify completed action, which is also a possible grammaticalization path for a gram seen in a crosslinguistic perspective (BYBEE, Evolution, 105), but the use of the Vsuff in Akkadian speaks in favour of a stative/resultative origin of the anterior and perfective meanings in Westsemitic (ANDERSEN, Evolution, 8; SCHÜLE, Syntax, 127-128). 4 TROPPER (Aspektsystem, 182; Suffixkonjugation, 513) maintains that the innovation first developed in Central Semitic, then spread to other Westsemitic languages. When the Vsuff had developed in such a way that it could also express a perfective, it thus rivalled the perfective 3
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and a ‘resultative’ in the sense given to it by BYBEE, Evolution, § 3.6. Both are meanings attested in Akkadian. Thus the prototypical meaning of the Vsuff is “a state that was brought about by some action in the past” (BYBEE, Evolution, 63). For dynamic verbs “bezeichnet der St. den sich aus der Verbalhandlung ergebenden Zustand wieder ohne Rücksicht auf die Zeitstufe” (SODEN, akkadische Grammatik, § 77 e), and a good example of such a resultative is Akk. paris ‘it is decided’. For stative verbs the prototypical meaning is a state, a meaning which is preserved in many BH stativic semanthemes, Vsuff ˀ!habt, ‘I love’, q!'ont, ‘I am not worthy’, k!bed ‘it is heavy’ (JOÜON-MURAOKA, § 112 a). For dynamic verbs the Vsuff gram in the Westsemitic realm developed into an anterior with a slight generalization of the meaning; from a resultative John is gone expressing that a state is brought about by some action in the past (a state persists at reference time), into an anterior (‘perfect’) John has gone meaning that a past action has some undefined relevance in the present. The difference lies in the state persisting at reference time: while the resultative John is gone does not permit John to be back again, the anterior opens for the possibility that John has come back (John has gone and come back several times; BYBEE, Evolution, 63.69). Another generalization of the Vsuff in Westsemitic concerns the expansion to use with verbs of various semantic types. The resultative-to-anterior change occurred primarily with change-of-state verbs, while with a stative verb the sense of the Vsuff was ‘present state exists’. In later stages of development, there was “a convergence among grams from different sources”. In this process “the anterior gram changes the aspect of the stative predicate to inchoative, that is it makes the stative predicate signal a change of state” (BYBEE, Evolution, 74-75). This is the reason why many originally stative verbs with Vsuff have also an inchoative meaning, BH &!ken 1) ‘he resides’, 2) ‘he has settled down’, m!lak 1) ‘he reigns’, 2) ‘he became king’ (SCHÜLE, Syntax, 127). The original stative/resultative meaning of the Vsuff is retained in expressions of eternal truths, as in Arabic k!na ll!hu >af+ran ra$,man ‘God is merciful’ (Sura 4:96, etc., FISCHER, Arabic, § 181 b, n. 2). The statement in Isaiah 52,7, m!lak ˀæl5h!yik ‘Your God reigns as king!’ (BLENKINSOPP, Isaiah, 338) is as eternal as the Arabic example and represents an aspect with a definitive nuance.5 In such instances the Vsuff expresses an established fact. The intensive function of VprefS, and in a parallel development in the separate Westsemitic languages the Vsuff with varying diachronic pace superseded VprefS as a narrative gram. As for Aramaic this development was completed already in Imperial Aramaic; traces of a perfective narrative VprefS are found only in the earliest Aramaic inscriptions (Tel Dan 2.3; KAI 202, A11; cf. TROPPER, wyqtl). In another Central Semitic language, Arabic, in the attested stages, the Vsuff gram has taken over the perfective narrative functions only in affirmative clauses, whereas in the more conservative negative clauses VprefS is still productive (lam yaqtul).
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prophetic utterance is another use of the Hebrew stative/resultative Vsuff, often inadequately called “perfectum propheticum” (criticized by GZELLA, Sprachen, 75), for which the pragmatic context usually triggers a future connotation: Is 9,1 h!-ˁ!m ha-h5l=k,m ba-$o&æk r!ˀ+ ˀ5r g!d5l ‘Das Volk, das durchs Dunkel zieht, sieht ein großes Licht’ (WILDBERGER, Jesaja I, 363),6 and Is 52,7 m! n!ˀw+ ˁal-hæ-h!r,m ragl6 m=ba((6r ‘How welcome on the mountains are the footsteps of the herald’ (BLENKINSOPP, Isaiah, 338).7 Since VprefL can also express the future, this future meaning of the ‘prophetic perfect’ can be regarded as an example of “the tendency for prophetic discourse to use archaic language” (ANDERSEN, Evolution, 55). Verbal grams may have, and often also have, multiple aspectual meanings (cf. SANDE, Perspective, 373).8 If we detect multiple meanings of a specific gram, then this indicates that the “uses are in a diachronic relation” (BYBEE, Evolution, 194).9 A resultative meaning usually represents the first (prototypical) step in such a development.10 Resultative grams like the Westsemitic Vsuff tend to develop into ‘anteriors’ or ‘perfects’ (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 132f; ANDERSEN, Evolution, 9). The anterior meaning of the Vsuff is widely acknowledged in Hebrew grammar and will need no further comment here. The “next development for anteriors along their diachronic path is the change from anterior to past or perfective”. A “perfective presents the situation described by the clause as having temporal boundaries, as being a single, unified, discrete situation”. It is not at all limited to past events. A present event may be viewed as bounded in a performative utterance with the Vsuff, an ex5 For the “ ‘gnomische’ Gebrauch von SK im Hebräischen”, see KOTTSIEPER, Verbalsystem, 70. 6 ‘The people that walks through darkness sees a great light!’ 7 As ANDERSEN, Evolution, 55, points out, this meaning of Vsuff with future time reference is archaic rather than secondary. TROPPER, Aspektsystem, 182f, calls a gnomic shade of this stative aspect, “SK für perfektiv-gnomische Sachverhalte” in accordance with his (uncalled for) efforts to explain all meanings of Vsuff as ‘perfective’. 8 V. D. SANDE refers to ANDERSEN, Evolution, who in his turn refers to BYBEE, Evolution. 9 This achievement of the last decades of empirical linguistic research on the languages of the world is amply described and elaborated by ANDRASON, who calls the method “the panchronic model” (Panchronic yiqtol, 20). Any gram develops according to strictly determined general linguistic rules codified in functional paths: it acquires new values that correspond to subsequent stages. The “meanings that are synchronically provided by a gram reflect such well ordered unidirectional and successive diachronic stages” (ibid., 19). 10 This means that the structuralistic approach must be modified somewhat. Grams may possess meanings of their own, even meanings that overlap the meaning of other grams. At the same time a gram is certainly exposed to the influence from the meanings of the other grams in a verbal system. Classical Hebrew possessed, for example, two grams able to express the perfective aspect, the old perfective VprefS (especially in the syntagm “wayyiqtol ”), and the relatively new perfective Vsuff. This lead to a gradual development towards a system with only one perfective in postbiblical Hebrew, Vsuff, while VprefS retained only one of its previous meanings, the so-called “jussive”.
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ample of which is the prophetic quotative frame k5 ˀ!mar YHWH ‘thus says YHWH’ (DOBBS-ALLSOPP, Performatives, 44). Even future events can be viewed as bounded, for example expressing an ‘immediate future’ (BYBEE, Evolution, 133.83.81; ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 134, example 137). This development must have occurred early in Westsemitic since it is attested already in Ugaritic and in Amarna Canaanite as well as in standard biblical Hebrew. The ‘perfective’ meaning of the Vsuff gram in classical Hebrew is not as frequent as is often suggested, since it meets overwhelming competition by another perfective gram in Hebrew, the Proto-Semitic and even Afroasiatic VprefS (‘short yiqtol’, ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 125f).11 Thus the Vsuff gram in classical Hebrew exhibits three basic meanings: stative/resultative, anterior, perfective. Which meaning to read in a specific passage must be inferred from the immediate pragmatic and linguistic context. 1.1.2 VprefS Hebrew inherited its short prefix conjugation gram (VprefS) from Proto-Semitic. This grammatical morpheme may be used with three basic meanings: as a general present, as a modal expression (‘jussive’), and as a narrative perfective. It is hard to explain the diachronic relations between the three meanings without supposing that the prototypical (original) meaning somewhere back in Afroasiatic times must have been a general present (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 125 f).12 A general present may develop narrative functions and become a perfective, which is a meaning widely attested in Afroasiatic, including Akkadian and Northwest Semitic. A general present may also take modal nuances.13 Biblical Hebrew has retained all the three basic meanings of the VprefS gram. It is one of the merits of Josef TROPPER’s article (Aspektsystem) on the ancient Hebrew verbal system to have made plausible that the short Vpref is more widely used in classical Hebrew as an indicative gram than is usually understood, and “can be used in different temporal frames of reference” (BLOCH, The dominance of the VprefS in the storyline of my corpus text (Judges) made me disregard in my previous study the less conspicuous perfective uses of Vsuff in classical Hebrew (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 134). 12 The VprefS is certainly not a past tense as is often maintained (“preterite”); see for uses as a present tense, GROSS, Verbform. The temporal reference was determined by the context and not the presence or absence of the morpheme way (BLOCH, Perfective, 36, quoting CROSS and FREEDMAN). The less conspicuous and often neglected general present meaning of VprefS in Central Semitic is presumably a case of semantic bleaching of the prototype meaning, or of the prototypical meaning becoming more peripheral. As a result the prototype meaning becomes less salient. DAHL calls such grams “doughnut grams” (DAHL, Tense-aspect, 10). 13 The general present is often overlooked, but attested also in Akkadian with performative functions and gnomic meanings. Exactly the same meanings are found also in biblical Hebrew (TROPPER, Aspektsystem, 158.172-174). 11
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Perfective, 38). This was true also of Ugaritic, Old Canaanite (Amarna) and Old Aramaic (TROPPER, Aspektsystem, 162.172ff.177; for Aramaic also TROP14 PER, wyqtl; MURAOKA, Tel Dan, 20; KOTTSIEPER, Verbalsystem, 61). The normal syndetic form of the narrative VprefS gram is the way-VprefS (‘wayyiqtol’) syntagm. During the Masoretic reading tradition the syndetic mark of narrative VprefS became differentiated from the syndetic mark of other uses of Vpref.15 Way-VprefS became the form of syndetic VprefS in narrative, while in other functions the syndetic VprefS was read with the current form of the conjunction (w=- < wa-), with the consequence that the two morphemes (w= and way) came to be used in complementary distribution and thus should be regarded as allomorphs rather than distinct morphemes.16 In early Hebrew poetry there is a fairly ‘free’ use of asyndetic Ø-VprefS and syndetic way-VprefS (GIANTO, Guessing, 182; BLOCH, Perfective, 34.67), but in narrative prose the asyndetic forms were no more productive. This stylistic tendency to use fronted syndetic VprefS forms in the storyline of narrative prose is attested also in other ancient Northwest Semitic languages. The w-yqtl construction in ancient inscriptions has even been adduced as a “proof” of a “conversive” waw also in Aramaic. In reality it is an indication of an oral narrative style which uses syndetic clauses with a fronted verb form, a tendency which ancient Hebrew shared with the other languages in its Northwest Semitic setting (TROP14 As KOTTSIEPER notes for Old Aramaic: “Besonders auffällig ist, daß die erzählenden PKK-Formen auch ohne einleitendes w gebraucht werden können”. He also observes that “das w fehlt gerade an den Stellen, wo die berichteten Ereignisse in einem besonders engen Folgeverhältnis stehen” (Verbalsystem, 61). As we have observed in ISAKSSON, Qualifiers, 117-118, syndesis with w is essentially a neutral marking of a clause juncture. The absence of this mark (= ‘asyndesis’) usually indicates a closer and more immediate semantic connection to the preceding clause. 15 The “retracted stress in wayyiqt5l forms was a late secondary development” (ANDERSEN, Evolution, 21, referring to REVELL, Stress, 443). 16 The gemination after wa- needs no further explanation, since it represents a widespread phonetic phenomenon in biblical Hebrew, cf. the gemination after ma in may-yihy+ $al5m5t!w ‘What comes of his dreams’ Gen 37,20. The distinction between the way- and w=- readings of the syndesis marker is probably a Masoretic innovation. This hypothesis is supported by the Secunda column in Origen’s Hexapla and by the Samaritan reading tradition (SANDE, Perspective, 221-232.370; TROPPER, wyqtl, 636). This means that the way/w= difference originated in the MH period (thus SCHÜLE, Syntax, 129.106, note 1). In ancient Hebrew there was no distinction between a way-VprefS and a we-VprefS (SCHÜLE, Syntax, 101). The specific way-pronunciation of the syndesis mark came to distinguish the narrative function of VprefS in a time when the linguistic instinct had ceased to grasp the ancient verbal syntax, in particular the distinction between VprefS and VprefL. It goes without saying that such an innovation introduced an element of grammatical analysis in the Masoretic pronunciation, which must have led to mistakes in less conspicuous passages, since in their native linguistic competence they knew of only one yiqtol and since the verb for them expressed tense, not aspect (SANDE, Perspective, 231). TROPPER, Aspektsystem, 164ff, points out many instances where the Masoretic distinction between long and short Vpref is inconsistent. Linguistic investigation remains to be done in order to establish the cases when the Masoretic linguistic instinct failed on this point.
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Aspektsystem, 168; DEGEN, Altaramäische Grammatik, 114, note 21; PIETSCH, Tempus, 165). The way morpheme—so often called ‘consecutive waw’—did not in itself express sequentiality, progression in the narrative was instead a property inferred from the narrative pragmatic and textual context, which is shown to have been the case already in the earliest Westsemitic inscriptions (SCHÜLE, Syntax, 105). Ancient Hebrew was a mainstream language among other adjacent Central Semitic languages.17 In poetry both short and long Vpref may occur in initial as well as noninitial position of a clause as can be seen in Ps 18 in comparison with its parallel in 2 Sam 22.18 In such contexts—and they include prophecy—VprefS is syntactically free (TROPPER, Aspektsystem, 187). In prose there are certainly more instances of perfective Ø-VprefS than has previously been acknowledged,19 but it is nevertheless easy to observe that in narrative a fronted syndetic way-VprefS became the stylistic norm.20 The Masoretic reading tradition developed a secondary distinction between way and w= to help distinguish a narrative way-yiqtol (VprefS) from an imperfective w=-yiqtol (VprefL; ANDERSEN, Evolution, 20). In a prophetic pragmatic context the reference of a wayVprefS may be future, as in Is 9,5 where two introductory prophetic resultative Vsuff with future reference (yullad ‘is born’ and nittan ‘is given’) are elaborated by a short narrative with two VprefS (wat-t=h, and way-yiqr!ˀ, here enclosed within {…}): k, yælæd yullad-l!n+ b6n nittan-l!n+ {wat-t=h, hammi(r! ˁal-&ikm-5 way-yiqr!ˀ &=m-5 pæl8ˀ y5ˁ6%} ‘For to us a child is born, to us a son is given {and the government will be on his shoulders. And he will be called Wonderful Counsellor}’ (NIV). This function of the VprefS to ‘elaborate’ or ‘expand’ a preceding clause by adding a short non-past narrative is quite common in poetry, as in Job 3,23, where the narrative elaborates a nifal participle and functions as an attribute in clausal form, l=-gæbær ˀa&ær dark-5 nist!r! {way-y!sæk ˀæl5ah baˁad-5} ‘(Why is light given) to a man whose way is hid {and God hedges him in}?’21 Such way-VprefS forms are usually narra-
17 For a discussion of Central Semitic, which included also Arabic, see HUEHNERGARD, Central Semitic. 18 The comparison is valuable since it proves that some asyndetic “indicative” Vpref in Ps 18 are in reality short forms, since they in 2 Sam 22 are syndetic with the reading way-VprefS. 19 t=subb8n! in Gen 37,7 w=-hinn6 t=subb8n! ˀalumm5t6-kæm wat-ti&ta$aw8n! la-ˀalumm!t-, ‘and your sheaves gathered around mine and bowed down to it’ is almost certainly such a case. It is not convincing to analyse t=subb8n! as a VprefL, since the two clauses are clearly coordinated (VprefS + way-VprefS). 20 Sentence-initial position was the norm for past perfective VprefS also in Phoenician, which however did not require the grams to be syndetic (KRAHMALKOV, Phoenician-Punic, 292). 21 As an Arabic fa-Vsuff can (“Häufiger noch als u̯a steht fa vor Sätzen, die einen vorhergehenden erläutern”, BROCKELMANN, Grundriss II, § 302 e, cf. WALTISBERG, Satzkomplex, 29).
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tive in some sense, but they do not necessarily express past time, and they do not always code a main storyline. 1.1.3 VprefL The long prefix conjugation is the imperfective gram in biblical Hebrew (ISAKS22 SON, Circumstantial qualifiers, 136ff; TROPPER, Aspektsystem, 178ff). Phonological changes have partly obscured the morphological difference between the short and long Vpref, but at the time when the classical Hebrew texts were created the native linguistic competence could still differentiate between the two (GIANTO, Guessing, 182). It is only to be expected that during the time of the Masoretic textual tradition the linguistic instinct for the distinction was lost in some passages and we therefore now and then encounter a long form when we expected a short and vice versa. For the same reason we sometimes encounter a w=- conjunction in cases when we would expect a ‘narrative’ style way-Vpref. It will be a task of Hebrew scholarship to investigate the use of distinctly short Vpref (‘VprefS!’) and the use of distinctly long forms (‘VprefL!’) and then, taking these cases as points of departure, distinguish between the grams also in cases when the forms coincide morphologically (the cases of ‘VprefS*’ and ‘VprefL*’). This is not something entirely new. Biblical scholars in all times have been able to distinguish between a ‘jussive’ Vpref and an ‘indicative’ Vpref when the two have an identical form, or discern a ‘jussive’ Vpref, even when the ‘jussive’, against the rule, exhibits a distinctly long form (JOÜON-MURAOKA, p. 347, n. 3).
22 As it was also in Ugaritic (TROPPER, Sachverhalte, 157). TROPPER, Aspektsystem, 157ff, shows that there were two categories of the prefix conjugation in practically all ancient Semitic languages. The central Semitic long form was yaqtul-u as can bee seen in Ugaritic and classical Arabic, while Akkadian, Ethiopic and modern South Arabian have the formation iparras. Functionally yaqtul-u and iparras seems to have been identical, both expressing the imperfective aspect (ibid., 159). The “apocopation” of the VprefS in the verb class III.inf. seems to be a later phenomenon, necessitated by the phonetically triggered fall of short final vowels, which threatened to wipe out the distinction between short and long Vpref. The tendency to apocopate VprefS forms of verba III.inf. remained a strong tendency and was never complete, which means that many “long” Vpref of verba III.inf. should be analysed as short (ibid., 167; JOÜON-MURAOKA, § 79 m). The nature and origin of the imperfective VprefL is analysed in a methodologically ground-breaking article by the linguist ANDRASON, who points out that “the semantic potential of a gram at a given point in time is typically an amalgam of the meanings up to that particular moment in time” (Panchronic yiqtol, 23).
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1.2 Subordination in biblical Hebrew Hebrew is poor in specific subordinating conjunctions. Subordination of clauses is most often expressed by other syntactical means than a conjunction (NYBERG, Grammatik, § 30 c).23
Hypotaxis is defined by HALLIDAY as “the binding of elements of unequal status” (Introduction, 198). It was one of the results of ISAKSSON, Qualifiers, that subordination is often marked in Hebrew and Arabic by a shift in the basic clause structure, “CQ-marking: a pattern of ‘tense-switching’ ” (ibid., 121). It is true that subordination is sometimes marked by a subordinating conjunction, but such conjunctions play a role only in a minor part of the massive interplay between main and subordinate clauses in classical Hebrew.24 As in early Romance literature with its roots in an oral tradition, “narrative subordination seems to be handled in large part through manipulation of categories of the verb within a predominantly paratactic main-clause structure” (FLEISCHMAN, Discourse, 869). Subordination being defined as a shift to a clause with unequal status (in comparison with a head clause) is in Hebrew usually signalled by a ‘switch’ of clause type (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 121f). Thus, what determines hypotaxis is a contrast between two clauses, rather than any specific inherent ‘subordinate characteristics’ within the subordinate clause itself. Hypotaxis signifies a relation. Any full-fledged (not ‘desententialized’) subordinate clause can be used as a main clause in another context, provided it lacks a subordinating conjunction.25 There is no specific group or class of subordinate clauses in biblical Hebrew (ibid., 4, 13-14).
“Hebr. är fattig på underordnande konjunktioner i egentlig mening. Satsers underordning uttryckes oftast med andra syntaktiska medel än en konjunktion.” The same observation was recently done by BLOCH, who points out that “clauses logically dependent on a main clause are often connected to that clause asyndetically or with the conjuction w-, rather than with a formally subordinating conjunction” (Perfective, 40, note 26). 24 It seems that in early stages of central Semitic an enhancing subordinate clause could sometimes facultatively be fronted by a subordinating conjunction in order to avoid ambiguity. In some instances the subordinating particle can be regarded as an additional way of signaling the subordination. In such cases hypotaxis became doubly marked: by the structural status-shift (e. g., by a ‘gram-switch’) in relation to the head clause and by the conjunction. Most subordinating particles in addition signify a specific semantic relation to the head clause. It is possible that in later diachronic stages, a) use of a conjunction became increasingly obligatory for the reader to perceive the subordination, b) the conjunction could be the only signal of the subordination (without a shift in the basic syntactic structure in relation to the head clause). 25 It should be emphasized that the kind of hypotaxis in focus here is the subordination MATTHIESSEN and THOMPSON call ‘enhancing hypotaxis’ (Discourse, 283; ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 3-4). In spite of MATTHIESSEN and THOMPSON’s reluctance to the term ‘subordination’ (ibid., 286), we have decided to use this term to include also this extremely common type of hypotaxis. 23
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Decisive for the clausal status in Hebrew is the verbal gram in the clause (VprefS, VprefL, Vsuff, IMP, PA, VN), or the absence of such a gram (NCl). Desententialized clauses with participles and infinitives are often involved in hypotactic clause combining, in which case they usually—but not always— function as subordinate clauses, and then in the dependent case (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 15-18). Desententialized clauses always represent a shift of clause type in relation to a finite clause. The subordinate clause may precede or succeed the head. The most frequent case is a fronted head clause with the ‘satellite’ following. Thus, classical Hebrew exhibits a limited number of basic clausal oppositions signaling subordination: Vsuff/VprefS, Vsuff/VprefL, Vsuff/NCl, VprefS/Vsuff, VprefS/VprefL, VprefS/NCl, VprefL/Vsuff, VprefL/VprefS, VprefL/NCl, VprefS/PA, VprefS/VN, IMP/Vsuff, etc. In spite of the limited number of basic clause types, the number of combinations is considerable, each with its own unique semantic contribution to the textual web.26 Other properties of a clause, like word order and the presence of adverbs, are important for expressing topicalization and making the temporal reference explicit. But they do not affect the status of the clause in HALLIDAY’s sense. A fronted clause constituent, like an initial subject, does not cause a shift of clausal status. Subordination in biblical Hebrew is often coded as a gram-switch from one clause to the other.27 Detecting subordination is not a question of identifying a 26 Examples of wp-Vsuff clauses being subordinate to a way-VprefS clause are discussed in PIETSCH, Tempus, for 2 Ki 23,4-15. Such wp-Vsuff clauses are “koordinierende Perfekta” that “jeweils den Handlungsprogress unterbrechen und eine Begleithandlung oder Umstandsangabe zur Haupthandlung einführen” (177.175). This type of subordinate clause relations are found also in the most ancient Hebrew inscriptions. SCHÜLE, Syntax, distinguishes three main subordinate functions of wa-Vsuff clauses in the inscriptions, 1) Vsuff may express circumstances that occur before the main clause: wˀnk mlkty ˀ$r ˀby wˀˁ( hbmt zˀt ‘[Und ich wurde König nach meinem Vater.] Da errichtete ich diese Kulthöhe’ (KAI 181, 2-3); 2) Vsuff may express the consequence or result of the main clause: wˀrˀ bh wbbth wy(rˀl ˀbd ˀbd ˁlm ‘Da triumphierte ich über ihn und über sein Haus. [Und (so) ging Israel auf immer zugrunde]’ (KAI 181, 7); 3) Vsuff may code a state that is concomitant with the main clause wyq%r ˁbdk wykl wˀsm ‘Da erntete dein Knecht und maß ab, [während/wobei er den Speicher füllte]’ (MHas(7):1, 4-5; RENZ-RÖLLIG I, 324-325; translations by SCHÜLE). SCHÜLE’s conclusion for the Hebrew inscriptions is that it is not possible in such cases to take a ‘basic meaning’ of Vsuff and then try to describe how this meaning is applied to the clause- and text-levels. On the contrary, the meaning of the Vsuff clause must primarily be deduced from the context of the clauses to which it belongs. The meaning of the Vsuff in the syntagm we-Vsuff should not be explained in connection with the prefixed w=. The main difference is instead found between the use of the Vsuff in independent clauses, and its use in subordinate clauses where it serves “zur Angabe von Voraussetzungen, Nebenumständen und Folgen”. Hebrew has only one Vsuff conjugation, not two. There is no “perfect consecutive”. “Mit ihrer stativischen Funktion ist dabei ein Syntagma erhalten geblieben, das noch zum ältesten Bestand des Semitischen gehört und damit ein archaisches Element gegenüber anderen westsemitischen Sprachen wie dem Phönizischen, Aramäischen oder Arabischen darstellt” (SCHÜLE, Syntax, 129-130.132.182).
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specific type of subordinate clause structure. Apart from a possible initial subordinating conjunction and nominalized constructions, there are no specific ‘subordinate’ clause types. A noun clause can be a main clause or a subordinate clause. A Vsuff clause may be subordinate or not, and the same holds for a VprefS clause and a VprefL clause. The heart of the matter is the relation between a head (matrix) clause and a clause with unequal status, marked by a gram-switch or with a switch to a noun clause or a nominalized clause. Since a subordinate clause frequently lacks an initial subordinating conjunction, the specific semantic relation to the head clause often remains unexpressed and must be inferred by the listener (and reader) from the immediate context (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 7.10.14.19.23). When a subordinate clause has an initial subordinating particle, the linking between head and subordinate clause in many cases retains the shift of clause structure,28 which means that a conjunction like k, often functions as an additional (redundant) mark of the hypotaxis, supplied for the sake of clearness. A conjunction may also be added in order to make explicit the semantic subordinate relation to the head (final, concessive, causal, temporal, comparative, etc.). It is a fundamental weakness of the current scholarly discussion on the Hebrew TAM system that the concept of subordination, so important in general linguistic theory, has been practically neglected, as if it played no significant role at all in the unceasing shifts of grams in biblical Hebrew clause syntax.
This observation is made also by TROPPER, wyqtl, 643, who puts forward Ugaritic examples of the type qm y0ˁr / wy&l$mnh ‘he rised in order to prepare (food) and give him to eat’ (KTU 1.3.I:4f) and says, “In diesen Syntagmen wird jeweils eine präteritale SK-Form von zwei PK-Formen gefolgt. Letztere sind – wegen des Wechsels von SK zu PK – sehr wahrscheinlich hypotaktisch an die jeweils vorangehende SK-Form angeschlossen”. Note in this example that the subordination is marked by the shift Vsuff/VprefL, and that the first subordinate clause is asyndetically joined to the head clause. There is no subordinating particle that signals the semantic relation (‘in order to’) which is inferred from the context. The two VprefL clauses are both subordinate to the initial Vsuff clause, but mutually coordinated (the two are paratactically joined). Note also that the two subordinate clauses in another context could have been normal main clauses. The only signal of the subordination is the relation between the clause and the subordinate clauses, marked by the gram-switch Vsuff/VprefL. TROPPER, wyqtl, 643, also gives an example from Akkadian epic of an iparras that is subordinate to a preceding iprus (VprefS + [VprefL]). For pre-classical Arabic NEBES observes that a switch from Vsuff to VprefL marks “Umstandssätze der Gleichzeitigkeit”, and that in this clausal relation “aus der syntaktischen Tempusmarkierung die syntaktische Unterordnung resultiert” (NEBES, Satzschema, 80f, syndesis with wa and fa). 28 There are certainly cases when the conjunction alone marks the subordination (without a shift clause type). 27
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1.3 The question of text types Biblical Hebrew text types like narrative prose, poetry, prophecy, direct speech, etc. are often treated in the scholarly debate as if each type would exhibit its own grammar. It is one of the merits of Tania NOTARIUS’ article “Poetic discourse and the problem of verbal tenses in the oracles of Balaam” (2008) to have questioned this unlinguistic approach. Her bold attempt to analyse a poetic (and prophetic!) text, the Balaam oracles, with the same methods as for narrative prose is commendable. She maintains that “the verbal forms in the poetic text should be analyzed according to the same universal semantic and pragmatic parameters as in any type of text” (ibid., 56). This is also the point of departure of the present author (cf. ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 38). In a crosslinguistic perspective we expect a prophetic text to require the same linguistic competence and exhibit the same grammar as found in narrative prose. The verb system “is grounded upon a uniform grammatical substratum, both for prose and for poetry” (KORCHIN, Markedness, 338). Poets wanted to get through with their message, and used the same language and the same grammar as in prose, though possibly within a higher register. Otherwise they would not have been understood by their contemporaries. “Poetry shows preferences in its selection of grammatical forms from general grammar. It differs from prose texts in its selections, but not in its grammatical system” (TALSTRA, Reading, 125, quoted from NOTARIUS, Poetic discourse, 55). NOTARIUS also questions the common notion of parallelism, the gramswitchings of which often have been “explained” as a “poetic device” (which is not an explanation anyway). She maintains that parallelism “has no decisive influence on the semantic value of the verbal categories” (ibid., 55.59). The gram-switchings so commonly encountered in poetry have another function. They express something. They are not only a poetic device as will be demonstrated in the present article. The advantage of the textlinguistic approach outlined above is that it works in all text types. There is no need to work out a separate grammar for poetry, nor for prophetic texts. 2. Subordinate structures in Isaiah 52,13–53,12 The prophetic utterances about the suffering servant of YHWH leave the modern reader in doubt about the historical and temporal reference of the text. In many other cases of prophetic speech the pragmatic context indicates to the listener that a future reference is to be inferred, regardless of the use of a “prophetic” Vsuff, a “prophetic” VprefS, or a “prophetic” VprefL. But in the case of the 177
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suffering servant we simply do not know whether he is a historic personality among the contemporaries of the prophet or belongs to a prophetic future. Does the prophecy refer to a future ideal personality? Most translations and commentaries tend to emphasize a past historical setting within the lifetime of the prophet.29 They prefer a past reference for most of the prophecies on him, instead of the also possible present or future. This will be the approach also in the present article. A decision for the one and the other possibility will not affect the conclusions in the article. In some instances of Isaiah 52,13-53,12, however, a future reference is plausible, as in 52,13, where what can be described as the “prophetic main line” is coded by distinctly long forms of the prefix conjugation (VprefL!):30 (1)
Pattern: VprefL! + VprefL! + [Vsuff + Vsuff]
LP%<+ sO. $I +# %}$ '0 +# 1J& $" ";' O+ 9. 4"(' >+ ." ! )*!' hinn6 ya(k,l ˁabd-,; y!r+m [w=-ni((!ˀ w=-g!bah m=ˀ5d] (Is 52,13) See, my servant will act wisely, he will rise [so that he receives a high position and is highly exalted]
As most commentators observe, the passage about the servant of YHWH—inserted between two exhortations to Zion (52,7-12; 54,1-17)—“begins and concludes with an asseveration of Yahveh that the servant, once humiliated and abused, will be exalted” (BLENKINSOPP, Isaiah, 349). In v. 13 this future reference is expressed by the two imperfective VprefL forms. A prophetic future reference may also in Hebrew be achieved by an intensive Vsuff as in $!(ap YHWH ˀæt z=r5aˁ qåd&-5 l=-ˁ6n6 kål-hag-g5y,m ‘YHWH lays bare his holy arm in the sight of all the nations!’ (Is 52,10). The time reference in the imperfective aspect of ya(k,l and y!r+m is a more plain future expression. The two remaining verbs in the verse show a sudden gram-switch from VprefL to Vsuff. Why is such a gram-switch at all employed by the prophet? If it be a “poetic device” (it is however encountered also in prose) what does this poetic device express? If we analyse the four verb forms in the verse we find that the first one, ya(k,l, is semantically different from the other three. Ya(k,l talks about the servant acting as a ma(k,l, and the clause containing this verb constitutes the whole first hemistich of the verse. The other three clauses concern various shades of the servant’s exaltation. This one-to-three semantic partition of the verse is further emphasized by the Masoretic reading tradition, which places the ˀatn!$ before the second verb. The first half of the verse thus contains one verb, the By ‘the prophet’ we refer to the one who uttered the words on the suffering servant. Following the practice of TROPPER (but not his symbols) we specifically mark those grams that are morphologically distinct short forms (‘VprefS!’) and long forms (‘VprefL!’). Non-distinct forms which from the context are analysed as short or long will at times be marked by an asterisk: VprefS*, VprefL*. We also follow a common linguistic practice by enclosing subordinate clauses within brackets (cf. LEHMANN, Typology). 29 30
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second half three verbs. This is not what we expect from a “parallelism”. An attempt to explain the shift of grams as a “poetic device” resulting from “parallelism” would not be helpful. It is instead helpful to regard the two Vsuff clauses as in some way related to the y!r+m clause, the first clause in the second hemistich. Except for the gram-switch itself (VprefL/Vsuff) there is no mark in the text as to the nature of this relationship. The exact semantic nuance of the relationship must instead be inferred by the listener or the reader. The two first verbal grams of the verse, the two VprefL! forms, are coordinated, although there is no initial conjunction w= in front of any of them. It would probably be inappropriate to talk of a storyline here in a prophetic context, but in some sense these two VprefL forms represent unmistakably a main line of the prophetic utterance. The meaning is, the servant of YHWH will act as a ma(k,l and rise to high positions. While the two VprefL clauses in (1) are coordinated without any conjunction, the two Vsuff clauses are mutually coordinated and both are preceded by w=-. Thus a syndetic clause may be coordinate or subordinate, as may also an asyndetic clause. The question of syndesis has nothing to do with coordination (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 117-118).31 What matters is a shift of clause status, in this verse represented by a shift of verbal grammatical morpheme. The two Vsuff grams ni((!ˀ and g!bah expands and enhances the y!r+m form, which means that the initial w= in w=-ni((!ˀ introduces a complex structure that is subordinate to and related to y!r+m. By inference, the semantic relation of this complex to the head clause y!r+m is one of consequence, ‘he will rise [so that he receives a high position and is highly exalted]’, or possibly one of comparison, ‘he will rise [in such a way that he receives a high position and is highly exalted]’. Isaiah 52,14 exhibits a comparative clause combining of the type ‘as …, so also …’. This clause linkage is coded by the comparative particles ka-ˀa&ær … k6n. (2) Pattern: COMP Vsuff + COMP NCl + NCl 1L$ %$ " )0D+ <' M&%P[ / +# J!%) &+ <. Z"%' <) /F. Z+
V. 14 begins with a reference to the great exile trauma of the people of YHWH. There can be no other reasonable reference for the suffix in ˁ!l8k! than Israel itself, which were the receivers of the prophecy, the intended listeners. It is the The same observation is made by RENZ and RÖLLIG (I, 209) concerning the ancient Hebrew inscriptions: “Die Konj. w kann durchaus auch Hypotaxe vertreten, so daß relativisch od. kausal zu übersetzen wäre”. 31
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exile as the judgement of God that is in focus. Their collective memory of how they were led into captivity must have been fresh and alive at the time of this prophecy. The verse begins with a comparative clause combining of the type 14 ka-ˀa&ær Vsuff + k6n NCl NCl + 15k6n VprefL VprefL. The verb in the kaa ˀ &ær clause is a Vsuff with perfective meaning and past time reference. &!m=m+ “reflects not so much surprise or amazement in the sense of the unexpected but rather horror at the fact of God’s judgement” on faithless Israel (WATTS, Meaning, 328). Many people were appalled, DRIVER (Servant, 103) even translates ‘were aghast’, when YHWH’s people were taken captive, and this is compared to (k6n) people’s horror when the personality spoken of as ‘my servant’ in 52,13 (the servant of YHWH) was despised and rejected by men. The two mutually coordinated noun clauses describes the state of the servant, and their time reference is taken from the pragmatic context: at some time before the present moment of the prophetic utterance YHWH’s servant was disfigured and marred beyond human likeness, and this is compared in the verse with the humiliated state of Israel in the past when it was forced into exile by its Neo-Babylonian oppressors. (3)
Pattern: VprefL! + VprefL + [Vsuff] + [Vsuff]
J9<+ ZB% $ P 4 &Z3 %[ .# J%&$ 1!3 4$ &k. AB% p P 4 &Z3 %[ "(' 1!" 3 k' 1"C' 4$ <+ Jek+ Y+ '" #"4$ 9$ 1"D' &. 1 '"MT ! 3\ ." ,() J0 $0MD/+ !' k6n yazz8 g5y,m rabb,m ˁ!l!w yiqp=%+ m=l!k,m p,-hæm [k, ˀa&ær l5ˀ suppar l!hæm r!ˀ+] [wa-ˀa&ær l5ˀ &!m=ˁ+ hitb5n!n+] (Is 52,15) so he will sprinkle many nations, and kings will shut their mouths because of him [for what has never been told them they now see] [and what they have not heard they understand]
In v. 15 the comparative construction is enlarged by a renewed k6n-clause, now with two VprefL gram clauses (containing yazz8 and yiqp=%+). While the first k6n-clause referred with noun clauses to an already passed state (the humiliated state of YHWH’s servant), the second k6n-clause refers to an unfulfilled glorious future, marked by two VprefL grams. This future is further qualified in the following two Vsuff clauses with a fronted k,: kings see what they have never been told, understand what they have never heard. In this future time YHWH’s servant will fulfil a priestly office by sprinkling many people, and exert an earthly authority as well, in that kings will shut their mouths because of him, “signifying the subjugation of the arrogant kings to the servant as Yahweh implements his mi&p!'” (WATTS, Meaning, 335). As the prophecy proceeds in the following verses it appears that a “he” with future reference must refer to a body of his followers.32 We are aware of the intensive discussion on the verb yazz8, a verb with a puzzling meaning in this context. BLENKINSOPP, Isaiah, 346, who mistakenly states that the Masoretic text reads “y6zzeh” (it reads yazz8) translates ‘so he will astonish many nations’, supposing that there ex32
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Is 52,15 is similar to 52,13 in that it involves two long Vpref grams (the first, yazz8, is distinctly long), followed in the second hemistich by two Vsuff. In the latter hemistich (fronted by k,) there are two syndetic relative clauses, each with its own Vsuff gram (suppar and &!m=ˁ+). Each relative clause is embedded as an object in another Vsuff clause. As in (1) above, the two VprefL clauses code the prophetic main line, and the time reference is future. In the second hemistich the two Vsuff clauses (with r!ˀ+ and hitb5n!n+ respectively) signal a subordinate structure by the gram-switch VprefL/Vsuff. This subordination is additionally marked by the general subordinating particle k, (NYBERG, Grammatik, § 30 d). The coding does not explicitly express the semantic relation of the subordinate clauses to the head clause, but BLENKINSOPP, Isaiah, 345, infers from the context a causal or explanatory nuance, which is very reasonable: “for what was never told them they now see”, etc. The structure of the subordinate hemistich could be simplified as k, + ObjectREL + Vsuff + Object REL + Vsuff. The particle k,, when used as a conjunction, marks a clause as subordinate. It may take practically all subordinating nuances that a subordinate clause can have in relation to a head clause (‘that’, ‘for’, ‘because’, ‘since’, ‘when’, etc.). This means that k, is a neutral subordination marker (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 29). A clause with a fronted conjunctional k, is distinctly marked as subordinate, but the semantic relationship to the head is not specified, and must be inferred from the context, which all Bible translators do when they render a k,-clause. Frequently the particle k, is just an additional subordinating mark, in that the structure of the succeeding clause exhibits also a shift of status in relation to the head clause, as is shown by the gram-switch in 52,15.33 isted in Hebrew an otherwise unattested verb n!z! II, ‘jump’, hifil ‘cause to jump’ > ‘startle, astonish’, a reflex of the Arabic naz! ‘jump’. BLENKINSOPP translates as a hifil ‘so will he astonish many nations’ and this resolves at least one problem, since many translations take g5y,m rabb,m as subject of the verb (thus also NYBERG, Smärtornas man, 47, and DRIVER, Servant, 92). The natural subject of the clause is the servant of YHWH, which is emphasized by the singular form of the verb (3ms). In view of all the plural forms of the verbs in this and adjacent verses (&!m=m+, yiqp=%+, r!ˀ+, &!m=ˁ+, hitb5n!n+), even when the subject is mentioned after the verb, it is certainly not a natural interpretation to regard the plural g5y,m rabb,m the subject of the verb. As for the meaning of yazz8, also DRIVER, Servant, 92, advocates the Arabic cognate hypothesis (although he prefers to read an intransitive yizz8, translating ‘So now mighty nations shall be startled’); but in the end, it cannot be made plausible that the people that were the receivers of this prophecy would not have associated yazz8 with the most common meaning ‘sprinkle’, an activity associated with the priestly office in the Pentateuch. BLENKINSOPP argues that a yazz8 with this meaning must be constructed with the preposition ˁal (sprinkle ‘over’, or ‘on’), but as Lev 4,6.17 shows, this is not necessary. All-in-all, the solution that suggests itself is that a) the servant is the subject of yazz8 and that b) the verb speaks of ‘sprinkling’, not ‘astonishing’, many nations. It is not our intention, though, to enter into a full discussion of the crux, since it is not decisive for the main tenets of this article. 33 A redundant use of k, as a subordination marker is amply illustrated in Psalm 18 in comparison with its parallel in 2 Sam 22. The version in 2 Sam seems to represent a slightly later dia-
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The subordinate clauses that follow k, express something about the state of the nations and of the worldly kings when this happens: in the now of this future reference point they see something and they understand something. The two Vsuff forms (r!ˀ+ and hitb5n!n+) express stative aspect concomitant with the future event which is coded by the two previous VprefL forms. Traditional Hebrew grammars maintain that it is the Vsuff gram preceded by a “conversive waw” that expresses the future (the so-called “weqatal” conjugation, especially as a “consecutive tense” after a future reference Vpref). But the two Vsuff verbs (r!ˀ+ and hitb5n!n+) lack any trace of a “conversive” waw and express a future reference in these subordinate clauses (which follow two VprefL grams with future reference): the kings see at that future moment, they understand in that future event.34 What triggers the future reference of a Vsuff gram is not a “conversive” waw, but a gram-switch from a future reference verb (in this case VprefL) in a head clause to a Vsuff in a subordinate clause. A subordinate clause often—but not always—takes over the temporal reference of the head.35 Within the confines of the two syndetic relative clauses in (3), we can observe another of the main aspectual meanings of the Vsuff: the anterior (‘what has never been told them’, ‘what they have not heard’). As its Arabic reflex, the Hebrew Vsuff may express a modal nuance (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 131). This is shown in the first verse of chapter 53, which is followed in the next verse by a VprefS clause: (4) Pattern: Vsuff + [NCl + {way-VprefS}] ! $`e' c&3 %3 <) Z&P3 ]C. +# #" $0?$ 4+ Y )0M`(. 49. .` .# U!/$ 4$ +I '0 "
The introductory m, with Vsuff (hæˀæm,n) expresses a question, which most commentators take as an agent-oriented modal expression (BYBEE, Evolution, 187), ‘Who would believe’ (ability). Such nuances of the Vsuff are often inappropriately called ‘optative’ in Hebrew (and Arabic) grammars (JOÜON-MURAOKA, § 112 k; ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 131). It can certainly also be interpreted closer to its prototypical stative meaning as an intensive question: chronic stage, in which the need for an additional k, to mark subordination was felt more acute than in Ps 18. In both versions of the psalm subordinate structures are marked by status shifts of the kind discussed in the present article. 34 As most commentators do, this is naturally translated by a general present; DUHM, Jesaia, 365: ‘sehen sie … nehmen sie wahr’; BLENKINSOPP, Isaiah, 345: ‘they now see … they now understand’. 35 Such a future nuance of a Vsuff is frequent in subordinate clauses after an imperative.
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‘Who believes our message?’, but the English present tense would exclude a past time reference, which sometimes does not accord with the context of Is 49,1-6; 50,4-9 (BLENKINSOPP, Isaiah, 349). Here, in Is 53,1, time reference must be taken from the occasion when the prophet himself (and his prophetic group, the “we” in the text) received the astonishing message about the real identity of YHWH’s servant. The context favours something hard to believe, and the content of this incredible &=m+ˁ! (‘message’ or ‘what has been heard’) is displayed already in the second hemistich: People cannot believe over whom the arm of YHWH was revealed (or had been revealed). As NYBERG, Smärtornas man, 48-49, has pointed out, v. 1b (beginning with +-z=r5aˁ YHWH) is subordinate to the clause in 1a and makes explicit the content of the message (&=m+ˁ!t-6n+). That the content of verbs of perception and intellectual activity is coded by a circumstantial clause is a well-known phenomenon in both Arabic and Hebrew (FISCHER, Arabic, § 434; ISAKSSON, Qualifiers, 94; NYBERG, Grammatik, § 86 bb). The fronted syndetic mark in 1b (+) clarifies to the listener that a new clause begins here and thus that the initial noun phrase z=r5aˁ YHWH cannot be a direct object of a verb in 1a. V. 1b (the second hemistich) consists of a noun clause (NCl) with a fronted subject and a predication in the form of a prepositional phrase. The predicative is an interrogative clause which is formally direct (‘over whom is it revealed?’) but intentionally indirect, so that m, has the function of a relative pronoun (‘over the one that it is revealed’, NYBERG, Smärtornas man, 49). This NCl expresses the content of the incredible message: the holy arm of YHWH, already mentioned in 52,10, is revealed over a suffering and despised and afflicted person. Who could believe this? There is an implicit ‘before’ and ‘after’ in this context: before a specific moment the prophet himself did not understand who this afflicted person was, but afterwards he came to understand his identity in relation to YHWH. Is 53,1b, the NCl, is further elaborated in v. 53,2 (5) with a short narrative, coded by only one VprefS (way-yaˁal). The Masoretic reading of the conjunction (way) further underlines the narrative function of the clause, although in poetry also Ø-VprefS forms may be used in the same function. It is instructive to observe that this short narrative can be considered to fulfil the function of an attribute—certainly an active one—to the preceding NCl clause. The wayyaˁal clause is clearly connected to the preceding clause. The fact that the power of YHWH is (or ‘has been’ or both) revealed over a specific person is elaborated by the story in v. 2. A VprefS narrative may be used to amplify another clause or expression, as in Job 3,21 ha-m$akk,m lam-m!wæt [w=-ˀ6nænn+] {way-ya$p=r+-h+ mim-ma'm5n,m} ‘Who long for death, [but it comes not]; {they dig for it more than for hidden treasures}’, where an active participle clause is elaborated by a clearly narrative VprefS clause. The temporal reference must be taken from the context: in Job 3,21 VprefS expresses a general 183
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(timeless) present, in Is 53,2 the action referred to is presumably something that occurred before the present reference point of the prophet-speaker (BLENKINSOPP, Isaiah, 355). The storyline coded by the way-VprefS in 53,2 is further enhanced by a number of succeeding subordinate clauses, constituting noun clauses and VprefL clauses: (5) Pattern: VprefS + [NCl + NCl + [VprefL*] + NCl + [VprefL*]] J!L) <+ F+ 30 +# !%3 &+
The five clauses making up the remainder of v. 2 after the way-VprefS clause can be divided into two classes: they are either noun clauses or clauses with a (presumably) long form of the prefix conjugation. The first NCl (l5ˀ toˀar l5) is familiar to every Arabist; the l5ˀ is used in the sense called l! li-nafyi l-;insi which expresses a general denial of existence (FISCHER, Arabic, § 318 c): ‘there is (or was) no beauty for him’, that is, ‘he has/had no beauty’. The reference is directly to the subject in the preceding narrative clause (way-yaˁal …). The next NCl (w=-l5ˀ h!d!r) is coordinated with the first NCl (same status), only lacking the presupposed preposition with personal suffix (l5) which the listener is supposed to supply: ‘there was no majesty (for him)’, that is, ‘he had no majesty’. The third NCl (w=-l5ˀ marˀ8) has the same structure as the second one: ‘there was no appearance (for him)’, that is, ‘he had no appearance’. The three noun clauses are paratactically related, each adding a new property to the subject of the storyline: he had no beauty, he had no majesty, he had no appearance. The contrast between the storyline VprefS and the three NCl creates an enhancing relationship, which puts the NCl clauses in a subordinate state. This subordination should be expressed in some way also in a translation. Since the reference of all three NCl clauses is to the subject in the main clause and also concomitant with its action, their enhancing function is easily expressed by English ing-forms (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 19-21): ‘he grew up … [having no beauty, having no majesty … and having no appearance]’. But it remains to account for the function of the two VprefL clauses in 53,2. As can be seen, we cannot by morphology alone identify the two Vpref grams as long. In this respect we are in this verse in a less favourable position than in 52,13 where ya(k,l and y!r+m only by the outer form could be identified as VprefL. In 53,2 morphology is not enough. We must try to achieve 184
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something of the linguistic instinct of the original receivers of the text, and learn from actual usage how the distinctly long forms and the distinctly short forms work (as scholars already do when they identify morphologically nondistinct “jussives”). Among the languages of the world, “[i]mperfective forms are typically used in discourse for setting up background situations” (BYBEE, Evolution, 126; ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 137), and this is confirmed by the frequent usage of the VprefL with this function in poetry.36 Our supposition is that the two Vpref forms in Is 53,2 (nirˀ6-h+ and næ$m=d-6h+) were perceived as long and functioned as clauses enhancing their respective preceding noun clauses. Their semantic relations to the heads are not, however, explicitly coded in the text. A subordinate clause that lacks a subordinating conjunction is unmarked as to the way it enhances the head clause. We cannot from the form alone detect the function of the clause, only that it enhances the head clause in some way. This can only be determined by a closer examination of the clauses involved in the context. w=-nirˀ6-h+ as a main clause means ‘and we see/saw him’ (imperfective aspect). The semantics is related to what can be seen, and this fits nicely to both l5ˀ toˀar l5 and w=-l5ˀ h!d!r. Possibly w=-nirˀ6-h+ is intended to enhance both noun clauses: ‘he had no beauty or majesty [when we looked at him]’. A temporal nuance in relation to the head clause fits very well, although other nuances are possible (for example consequential, ‘that we would look at him’). As for w=-næ$m=d-6h+ ‘and we are/were attracted by him’ a consequential semantic relation to the head clause (w=-l5ˀ marˀ8) is most probable: ‘He had no appearance [to attract us]’. We can observe in this example that the presence (or absence) of the conjunction w=, has nothing to do with a clause being a main line clause or a subordinate clause. The particle w= concerns syndesis, but it does not concern the status of a clause. It just marks the boundary between two clauses.37 If there is 36 One of the less frequent examples in prose is way-y5ˀmær sibbolæt [w=-l5ˀ y!k,n l=-dabber k6n] ‘and he said “sibbolæt” [for he was not prepared to pronounce it correctly]’ (Judg 12,6), with a distinctly long VprefL gram in the subordinate clause. VprefL in subordinate clauses is infrequent in biblical Hebrew prose in contrast to its frequency with this function in Arabic narratives. The reason is probably that ancient Hebrew never lost the old narrative function of VprefS, and could retain more archaic habits of marking subordination in relation to the storyline. Arabic, which in attested stages has already lost the VprefS as storyline marker (in affirmative clauses), introduced the VprefL clause for setting up background situations (nicely contrasting to the new storyline Vsuff), in addition to the still available nominalized clauses (PA and VN in the dependent case and of course the NCl). If an Arabic Vsuff for some reason had to be used for backgrounding in Arabic, it was nearly always marked as such by an additional initial particle qad or with an auxiliary k!na. A contrast fa-Vsuff/wa-Vsuff was simply not enough. The latter contrast represents an innovation and has no direct counterpart in biblical Hebrew. 37 The Hebrew style is carved out in a basically oral culture which used other signals for clause boundary than graphic punctuation marks, ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 36-37.
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a need to mark this boundary in a neutral way, to make clear to the listener that a new clause begins without marking anything else, then the clause is made syndetic by wa. Syndesis and asyndesis is a matter of style. Asyndesis creates a quick, efficient, or compressed style. Asyndesis is a common feature in poetry, but pays the price of being less clear, sometimes demanding of the listener a measure of reflection (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 117). It is natural that syndesis came to dominate in narrative prose, since there was a greater need to mark clause junction for the audience, while in poetry the performer or prophet could rely more on the rhythm of the poem or the prophecy. Let us sum up the discussion of Is 53,2. The verse begins with a narrative VprefS which is further enhanced by five subordinate clauses on two levels. The first subordinate level is made up of 3 x NCl clauses. The second subordinate level consists of two VprefL clauses. Thus subordinate clauses may combine hierarchically (they are ‘nested’), one being the head clause of a new subordinate clause (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 17-18). In all cases, subordination is marked by a shift of ‘status’ pertaining to the most fundamental property of the clause: the presence or absence of a finite verb, or the verbal grammatical morpheme used in the clause. In an oral setting, these were properties of a clause that were immediately detected by even a casual listener. If v. 2 contained three subordinate clauses referring to the subject of wayyaˁal—plus two lower level enhancing clauses—Isaiah 53,3 is a chain of no less than six subordinate clauses all of which refer to the same subject, plus one enhancing clause on a lower level (referring to a level-one subordinate clause). (6) Pattern: [PA] + [NP] + [NP] + [PP] + [PA] + [PA + [Vsuff]] J! p0O+ Z. F[ %P4 +# ! 3HO+ '0 J*N3 <' 1" '0k$ &f) A+ <. CJ + "4P' F 9JL" . '# /MOP%C+ <. Z"%' 1"Z" ' %' 4L. F[ .# ! 3HO+ '0 [nibz8] [wa-$adal ˀ,&,m] [ˀ,& makˀ5b5t] [w-,d+aˁ $5l,] [+-k=-mast6r p!n,m mimm-ænn+] [nibz8 [w=-l5ˀ $a&abn+-h+]] (Is 53,3) [being despised] [being rejected by men] [being a man of sorrows] [being familiar with suffering] [being like one from whom men hide their faces] [being despised [since we esteemed him not]]
Isaiah 53,3 is a chain of participles and participle-like noun phrases forming an addition to the subordinate noun clauses that enhanced the subject in v. 2. The noun phrases (including the participles) constitute a common kind of desententialized (non-finite) subordinate clauses (discussed in ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 14-19; for the term see LEHMANN, Typology). In Arabic such participles in subordinate function would have been put in the dependent case (‘accusative’). We can see from Ugaritic that dependent case marking must have been the rule in early Central Semitic, but in the Hebrew available to us such case markings are lost (SEGERT, Ugaritic, § 62.4). Of the seven clauses in (6) all except the last one (the Vsuff clause) have the same status in HALLIDAY’s sense. 186
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Some of them are syndetic (showing a fronted wa, w, +, or w=) with the clause linkage explicitly marked, but this fact has no bearing on the status of the clause. With the main line of the prophetic utterance being identified in 53,1-2a, the active participle nibz8 refers back to the subject of way-yaˁal in 2a. The equal-status (coordinate) wa-$adal ˀ,&,m and ˀ,& makˀ5b5t are noun phrases in the dependent case referring back to the same subject, ‘(being) rejected by men’ and ‘(being) a man of sorrows’, constituting a “case of a substantive being used as a participle”, which is not so rare as BLENKINSOPP, Isaiah, 347, presumes. The two following clauses (w-,d+aˁ $5l, and +-k=-mast6r p!n,m mimm-ænn+) are both equal-status dependent-case participles: ‘(being) familiar with suffering’, ‘(being) like one from whom men hide their faces’.38 The six subordinate participle-like clauses in Is 53,3 are mutually coordinate but all subordinate to the way-yaˁal clause in 53,2. The series ends with a repeated participle nibz8, which is enhanced with a qualifying clause: w=-l5ˀ $a&abn+-h+. By the switch of status (from PA to Vsuff) it expresses an explanation or interpretation of the state of nibz8, and the prophet surprisingly includes himself among the subjects: ‘rejected, [since we esteemed him not]’. The (causal or explanatory) semantic relationship of the subordinate clause (w=-l5ˀ $a&abn+-h+) to the head clause (nibz8) is not explicitly stated in the text. It must be inferred from the context. The time reference and aspectual meaning of this subordinate Vsuff clause is also inferred from the historical pragmatic context of the prophecy (past time, perfective).39 (7)
Pattern: Vsuff + Vsuff + Vsuff + [PP] + [PP] + [PP]
! 3*9p <J + 1"!6 ' %7 !() $ $0 %J! J0 )"4$ F{ ,C) %$ ˀ!k6n $ål!y-6n+ h+ˀ n!(!ˀ +-makˀ5b6-n+ s=b!l-!m wa-ˀana$n+ $a&abn+-h+ [n!g+aˁ] [mukk6 ˀæl5h,m] [+-m=ˁunn8] (Is 53,4) But he bore our infirmities, and carried our pains, yet we ourselves considered him [(being) stricken (by God)] [smitten by God] [afflicted]
The main line of the prophecy is resumed in Is 53,4 with three Vsuff clauses. Most commentators prefer to assume that the Vsuff grams in v. 4 refer to a historical figure known by the prophet. In such a case the aspect is, by inference from the pragmatic context, perfective, and the purpose of the text, its prophetic dimension, lies in a spiritual reinterpretation of the significance of the life (and probably also death) of this historical person. The coding itself is, how38 mast6r is analysed by H. S. NYBERG as having the original meaning of the ma-noun, that is, a nominalized (substantivized) relative clause: ‘the one for whom one hides’, with an anaphoric pronoun as is also required in Arabic (NYBERG, Smärtornas man, 51; NYBERG, Grammatik, § 75 i). It is also possible to read hifil PA mast,r. 39 We presume, as BLENKINSOPP, Isaiah, 353, does, that the text within its original setting referred to a man that was dead already when the prophetic utterance of Is 52,13-53,12 was formulated. This assumption is decisive for the translation of the verbal grams, which otherwise would permit a general present or even future translation of the main line prophetic passages.
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ever, temporally ambiguous. The Vsuff grams can as well be interpreted as prophetic statives, with a possible future nuance: ‘But he bears our infirmities, and carries our pains’. This temporal ambiguity is one of the enigmatic features of this prophecy on the suffering servant of YHWH. In the three Vsuff clauses in 53,4 objects and subjects are positioned before the verb in fronted position. This signals a topicalization: 1. Onoun + Spron + Vsuff; 2. Onoun + Vsuff-PRON3mp; 3. Spron + Vsuff-PRON3ms. The second clause (+-makˀ5b6-n+ s=b!l-!m) even exhibits a ‘leftdislocation’40 with a resumptive (anaphoric) pronoun (the -!m). The subjects and objects are arranged emphatically to achieve a strange duality: ‘our infirmities—he bore them, our pains—he carried them, we on our side considered him …’. Facing this emphatic word order it is important to observe that the type of clause remains the same. The three Vsuff clauses are coordinated. Word order does not determine subordination. Fronting of an element is a matter of emphasis. The constitutive element of a clause is the verb (or its lack of a verb). There is a semantic opposition between the first two Vsuff clauses (the first hemistich) and the third (wa-ˀana$n+ $a&abn+-h+), which could be perceived as a circumstantial relation (‘yet’, ‘while’). This opposition is not expressed by subordination, but by contrasting the topicalized (explicitly stated and fronted) subjects: h+ˀ against ˀana$n+. The third Vsuff clause (wa-ˀana$n+ $a&abn+-h+) in this prophetic main line of Vsuff clauses in 53,4 is qualified by three subordinate clauses expressing the content of the $!&abn+, as is common practice with verbs of intellectual activity. The content of the activity is coded by passive participles referring back to the object suffix in $a&abn+-h+ (the suffering servant). These passive participles in dependent case position function as desententialized subordinate clauses qualifying the same head clause (wa-ˀana$n+ $a&abn+-h+), telling how a ‘we’ (falsely) considered him: ‘stricken, smitten by God, afflicted’. (8)
Pattern: 4b(Vsuff + 3 x [PP] +) 5[NCl] + [NCl] + [NCl + *[Vsuff]]
&AJ< . J0"/P) 0M9[ <) %($ Lp <+ J09) Z$ k+ <' 44P$ F<+ %J! +# U! 3*9p <J + 1"!6 ' %7 !()
While the last clauses of 53,4 were coded by three passive participles in the dependent case which described how the subject (‘we’) of $a&abn+-h+ looked 40
Which should properly be called ‘rightdislocation’ in a right-to-left written text.
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on the suffering servant, the clauses in 53,5 qualify the same head clause (waˀana$n+ $a&abn+-h+) by stating the real function and mission of the object suffix referent. This is coded by three noun clauses, the status of which is signalled by the first explicit pronoun in fronted position (h+ˀ), ‘in reality he was’ (or is) (BLENKINSOPP, Isaiah, 345: ‘yet he was wounded because of our transgressions’). The first noun clause (w=-h+ˀ m=$5l!l mip-p=&!ˁ-6n+) consists of a subject pronoun (Spron) and predication in the form of a PP and a prepositional phrase. It is a circumstantial clause related to $a&abn+-h+: ‘we considered him stricken (by God) … [while in reality he was pierced for our transgression]’. In the second noun clause (m=dukk!ˀ m6-ˁaw5n5t6-n+) the subject pronoun is understood from the preceding NCl. The predicate is the passive participle m=dukk!ˀ and the head clause is still wa-ˀana$n+ $a&abn+-h+: ‘(while he was) crushed for our iniquities’. The third clause (m+sar &=l5m-6n+ ˁ!l!w) is a noun clause in which the subject is m+sar &=l5m-6n+ (‘the punishment bringing us peace’) and the predication consists of a prepositional phrase (ˁ!l!w), the suffix of which refers back to the head clause. This third clause enhances the same head clause as the preceding two noun clauses: ‘(in that) the punishment bringing as peace was upon him’. We perceive that the three PP clauses in v. 4 and the three NCl clauses in verse 5, although qualifying the same head clause, have divergent semantic functions. The passive participles in the dependent case are directly connected with the suffix of the verb $a&abn+-h+. They code the content of the conviction: ‘(we considered him) stricken—smitten—afflicted’. The three NCl clauses have a more general circumstantial function. They inform the listener of the real state of things which could not be seen by human eyes: ‘in reality it was for our transgressions, for our iniquities, for our peace’. The fourth (and last) clause of 53,5 contains a Vsuff (nirp!ˀ) which has a neutral subject (‘it is/was healed (for us)’). Formally it could also be a nifal participle but a Vsuff seems more probable (thus HALOT in this location).41 If nirp!ˀ is not a substantivized participle (‘that which is healed’ > ‘a healing’, in which case the clause would be a noun clause, ‘a healing belongs to us by his wounds’), which seems unlikely, the most natural interpretation is to take it as a finite verb. We then interpret the clause (+-ba-$ab+r!t-5 nirp!ˀ l!-n+) as consequential in relation to its head (m+sar &=l5m-6n+ ˁ!l!w) with a contrastive pattern NCl + [Vsuff]: ‘so that we found healing by his wounds’, or final, ‘that we would find healing by his wounds’. In subordinate position a Vsuff clause, 41 A native contemporary listener would have perceived the correct interpretation in a moment, of course. We later readers have to exercise caution, trying to get aquainted as best as we can with the clause combining habits of prophetic utterances.
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because of the prototypical stative/resultative meaning of the gram, can easily enhance a noun clause and receive a futural or modal nuance. In Isaiah 53,6 we return to the prophetic main line with three Vsuff clauses. (9) Pattern: Vsuff + Vsuff + Vsuff
J0K$ (p ,M9[ /%) MD 9" . 'T?+ !' ! $#!" .# J0" '0k$ M(&+ L. 4+ Z"%' J0"9' f$ ,%P_(. J0K$ (p kull-!n+ ka%-%5ˀn t!ˁ,n+, ˀ,& l=-dark-5 p!n,n+, wa-YWHW hipg,aˁ b5 ˀ6t ˁaw5n kull-!n+ (Is 53,6) we all, like sheep, went astray, each of us turned to his own way, but YHWH caused the iniquity of us all to fall on him
The historical interpretation of the text on the suffering servant here triggers a perfective interpretation of the Vsuff clauses with past time reference,42 although many prophetic utterances with Vsuff in the main line express an intensive general present (stative aspect) with an implied future nuance (see 1.1.1 Vsuff above), as in Is 9,5 k, yælæd yullad l!n+ b6n nittan l!n+ ‘For to us a child is born, to us a son is given’ (NIV). In fact, a plethora of time references are attested for Vsuff in the prophetic main line of Is 52-53: modal, Is 53,1 m, hæˀæm,n li-&m+ˁ!t-6n+ ‘Who would believe what we have heard?’; past time (and perfective aspect), Is 53,4 ˀ!k6n $ål!y6n+ h+ˀ n!(!ˀ ‘Yet it was he who bore our affliction’; intensive present (stative aspect), Is 52,7 m!lak ˀæl5h!yik ‘Your God reigns as king!’ (all translations from BLENKINSOPP, Isaiah). There is strong emphasis on the fronted subjects of the first and third clauses: ‘We all … YHWH on the other hand …’. This topicalization creates an opposition between the weak “we” and the strong YHWH. (10) Pattern: Vsuff + [NCl + [VprefL]] + [NCl + [VprefL]] + [NCl + [Vsuff]] + [VprefL] #"k' Ff. ?+ '" %P4 +# !<$ 4$ %7 30 !" $ 3H +HPI " )0?+ 4' 4F) &$ CJ + 4OJ" $ FO. r3 4. !}3 (. #"kBF ' f. ?+ '" %P4 +# ! 309[ .0 %J! +# > .T '0 nigga( [w=-h+ˀ naˁan8 [w=-l5ˀ yipta$-p,w]] [ka(-(8 [la'-'æba$ y+b!l]] [+-k=r!$6l [lipn6 g5z=z8-h! næˀæl!m!]] [w=-l5ˀ yipta$ p,w] (Is 53,7) he was oppressed [yet being submissive [in that he opened not his mouth]], [being like a lamb [when it is led to the slaughter]], [like a ewe [being silent before her shearers]] [without opening his mouth]
In Isaiah 53,7 the prophetic main line continues in Is 53,7 with only one word, the Vsuff clause nigga(. The rest of the verse is a series of clauses that in different ways enhance this nigga(. Three of them are mutually coordinate and represent the first level of subordination in relation to nigga(, coded by the contrast Vsuff/NCl: ‘he was oppressed [being …] [being …] [being …]’. Below we discuss these three noun clauses and their satellites. 42 It is certainly also possible, as BLENKINSOPP, Isaiah, does, to translate with an anterior aspect, ‘We had all gone astray like sheep’. The real semantic difference is very slight in this case.
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NCl 1. w=-h+ˀ naˁan8 is a noun clause with a subject pronoun and nifal participle as predicate. The participle is formally a PA but the nifal conjugation makes it semantically equivalent to a passive participle and an adjective. While the head clause nigga( tells about the objective course of events (‘he was oppressed’), w=-h+ˀ naˁan8 describes the inner attitude of the servant when he was oppressed (or abused): ‘being submissive’. This noun clause is itself further enhanced, which is coded by a switch NCl/VprefL*, in which the clause [w=-l5ˀ yipta$ p,w] adds a significant detail of the submissive attitude, an aspect of the naˁan8: ‘not opening his mouth’. The imperfective VprefL gives the clause a nuance of durativity or endurance: while being submissive the servant never opened his mouth. NCl 2. ka(-(8 is a noun clause in which only the predication is coded, while the subject h+ˀ—explicit in the preceding circumstantial clause w=-h+ˀ naˁan8—is dropped as understood, ‘(he is) like a lamb’, the ‘he’ of course referring to the subject of the main line nigga(. This first level subordinate clause (ka(-(8) is qualified by a VprefL clause [la'-'æba$ y+b!l], which could be taken as an asyndetic relative clause: ‘which is led to the slaughter’. The analogical structure of the preceding two clauses, in which the w=-l5ˀ yipta$ p,w cannot, because of the w=, be analysed as a relative clause, speaks in favour of taking also la'-'æba$ y+b!l as a circumstantial: ‘when it is lead to the slaughter’. The imperfective VprefL here expresses the process of being lead (unfinished action). NCl 3. +-k=-r!$6l is a noun clause of the same type as ka(-(8, with an understood subject pronoun, ‘(he is) like a ewe’. In relation to the head clause (nigga() it takes a subordinate meaning, ‘(being) like a ewe’, the subordation being coded by the contrast Vsuff/NCl. The noun clause is further qualified by a Vsuff clause (lipn6 g5z=z8-h! næˀæl!m!), in which the nifal 3fs Vsuff (næˀæl!m!) is close to a stative: ‘she is silent’. The contrast NCl/Vsuff creates a subordination that expresses the attitude of the ewe while being sheared, ‘being silent before her shearers’. The last clause in Is 53,7 is a repetition (w=-l5ˀ yipta$ p,w) and seems unnecessary. It is doubted by BHS and many commentators, probably with justice (DRIVER, Servant, 94). If original, as BLENKINSOPP, Isaiah, 347, maintains on the basis of LXX, Vulgate and the Qumran Isaiah Scroll 1QIsaa, it cannot refer to the r!$6l (feminine), nor possibly to the subject of nigga( (which is already qualified by such a clause), and a reference to (8 would be even more far-fetched. The only solution, if original, is that it is a repetition that summarizes the preceding subordinate clauses as ‘in a nutshell’, being directly related to nigga( with the contrast Vsuff/VprefL.
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In Isaiah 53,8 the prophetic main line is resumed by a Vsuff luqq!$ (with pausal reading). (11) Pattern: Vsuff + [VprefL + [k, + Vsuff]] M<4$ 9 .I 30 "N' 9. 9Z. k3 <' 1" '`F. c&3 %3 <) & .H +I '0 "(' F. FM> ) +" "<' M&M;B/%3 +# Fx$ 4p Vk$ Z+ N' <J ' &eP3 9<) m6-ˁo%ær +-mim-mi&p!' luqq!$ [w=-ˀæt d5r-5 m, y=(5$6a$ [k, nigzar m6-ˀæræ% $ayy,m mip-pæ&aˁ ˁamm-, nægaˁ l!m5]] (Is 53,8) by oppression and judgment he was led away [—who gave a thought to his fate [when he was cut off from the land of the living, from those for which the transgression of my people was a disaster (leprosy)]?]
After the main line, the first clause (w=-ˀæt d5r-5 m, y=(5$6a$) is a rhetorical question, the real meaning of which is that nobody cared when the servant was taken away. The function of w=-ˀæt d5r-5 m, y=(5$6a$ and of the whole verse is to emphasize the loneliness of the servant when he was unjustly taken away, and that he was cut off also from his own people, from those who cared about the transgression of ‘my people’ (Israel): He was unjustly led away [nobody caring about his fate].43 The subordination is marked by a shift from main line Vsuff to the imperfective y=(5$6a$ (VprefL): ‘(no one) giving a thought (to his fate)’. The VprefL clause is further qualified by a k,-clause with Vsuff and perfective aspect. Thus, the subordination is doubly marked, by the particle k,, and by a gram-switch VprefL/Vsuff. The most difficult phrase in the k, clause is the apposition which repeats the min-phrase: ‘(… cut off from the land of the living), from …’. After the second min there is an asyndetic relative clause parallel to ‘the land of the living’: ‘from (those such as) my people’s transgression was a disaster for them’. This archaic type of compressed clause without relative pronoun has been discussed by NYBERG (Deuteronomion, 330ff; Smärtornas man, 55) who refers to the parallel example in Deut 33,2, mi(-(6ˁ,r l!m5 ‘from those to which Seir belongs’. Isaiah 53,9: When the prophetic main line in Is 53,8 (the Vsuff luqq!$) is to be elaborated by a narrative storyline, although very short, this is done by a VprefS (as in Is 53,2), and the perfective meaning is explicitly emphasized by the Masoretes with the reading way (< wa) instead of w= in front of the verbal gram (way-yitten). Unfortunately it is impossible in English to render the distinction between the perfective luqq!$ in the prophetic main line and the elaborating narrative perfective storyline way-yitten. Both grams must be translated with a simple past tense.44 d5r = ‘fate’ is certainly a crux and unattested elsewhere in biblical Hebrew, although NYcompares Ps 24,6. We follow here a common opinion, comparing for this unexpected meaning Akkadian dûru ‘lasting state’, and Arabic dawr ‘role (in life)’ (DRIVER, Problems, 403; DRIVER, Servant, 94; NYBERG, Smärtornas man, 53; BLENKINSOPP, Isaiah). 44 The distinction is discussed by GIVÓN in his Syntax, vol. I, 298f. This alternation between 43
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Pattern: { VprefS + [NCl] + [CONJ + Vsuff + [NCl]] }
#"?' D+ !<$ &+ <' %P4 +# !>$ 9$ A<$ FB% $ P 4 49. #"/P$
The neutral subject of yitten, ‘one, the one that is concerned’, can be singular in Semitic, but must be translated ‘they’ in English. The later Qumran version 1QIsaa has the easier reading wytnw, but emendation is not necessary (NYBERG, Smärtornas man, 56; DRIVER, Servant, 95; RUBINSTEIN, Variant Readings, 92). The following clause (w=-ˀæt ˁ!&,r b=-m5t-!w), as it stands, is a noun clause the subject of which is understood from the preceding clause. This subject is qibr-5 ‘his grave’, while the predication is ‘with a rich in his death’. The clause tells that the grave of the servant was with a rich person ‘in his death’. The meaning of ˀæt is that of the preceding clause, ‘with’ wicked men, here ‘with’ a rich. The expression b=-m5t-!w should be analysed as semantically equal to b=-m5t-5 ‘in his death’ as LXX translates it and BHS proposes. The plural of b=-m5t-!w can be taken as analogical with the plural b=-$ayy-!w ‘in his life’ (NYBERG, Smärtornas man, 57f). The clause w=-ˀæt ˁ!&,r b=-m5t-!w is a noun clause in which the subject is understood. The clause qualifies the preceding proposition, and this is coded by the contrast VprefS/NCl. This clause has been argued to be “unintelligible” (BLENKINSOPP, Isaiah, 348), but the truth is that we know nothing about the historical person referred to in Is 53, except what the text itself states. The text says that the servant was assigned a grave with wicked men, while in his death the grave was with a wealthy man. It certainly sounds strange, but we are not in a position to assign a truth value to this proposition. The next clause (ˁal l5ˀ $!m!s ˁ!(!) begins with the rarely used conjunction ˁal ‘though’, which makes explicit the semantic relation to the head (wayyitten …): ‘they assigned him a grave … though he had done no violence’. Thus the subordinate status of ˁal l5ˀ $!m!s ˁ!(! is marked both by an explicit subordinating conjunction and a contrast VprefS/Vsuff. The listener infers from the context that the Vsuff has the anterior aspect, with a reference point in the past. It is thus to be translated by pluperfect, ‘though he had done no violence’. The last clause [w=-l5ˀ mirm! b=-p,-w] is a noun clause in which the subject is negated (the existence of mirm! is denied) and the predicate is a prepositional phrase (b=-p,-w): ‘there is/was no deceit in his mouth’. With the contwo grams, VprefS and Vsuff, that both could express perfective, is an original Westsemitic feature which is retained in biblical Hebrew but lost in Aramaic (except for the earliest inscriptions of Tel Dan and Zakkur) and Arabic.
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trast Vsuff/NCl this noun clause qualifies or enhances the preceding Vsuff clause (ˁal l5ˀ $!m!s ˁ!(!) by stating ‘having no deceit in his mouth’ or ‘without any deceit being in his mouth’. The clauses in Is 53,9 are nested on three levels: the primary level is coded by the way-yitten clause. The secondary level is coded by w=-ˀæt ˁ!&,r b=-m5t!w and ˁal l5ˀ $!m!s ˁ!(!, both of which relate to the way-yitten clause. The tertiary level is coded by w=-l5ˀ mirm! b=-p,-w which qualifies a clause on the secondary level (ˁal l5ˀ $!m!s ˁ!(!). Lastly, it should be remembered that the primary level VprefS clause—and with it the whole v. 9—elaborates the Vsuff luqq!$ in 53,8. Isaiah 53,10 is “the despair of the exegete” (BLENKINSOPP, Isaiah, 354) and as usual in such instances emendations abound in the exegetical literature. We will examine below if the text is successful in communication and whether it accords with available linguistic data. (13) Pattern: Vsuff + Vsuff + [VprefL! + VprefL! + VprefL! + VprefL*] F4$ e+ '" ML $"D+ ! $#! +" c?3 F) +# 1"<$" ' W"&' %[ ." 9&. 3H !%3 &+ '" MZ?+ .0 1Z$ %$ 1">' fB1 $ %' "4' F7 !3 M%(+ ;. c?) F$ ! $#!" .# wa-YHWH $!pe% dakk=ˀ-5 hæ$æl, [ˀim t!(,m ˀ!&!m nap&-5] [yirˀ8 zæraˁ] [yaˀar,k y!m,m] [w=-$epæ% YHWH b=-y!d-5 yi%l!$] (Is 53,10) YHWH delighted in crushing him, he brought sickness upon him [for when his soul presents a guilt offering] [he will see an offspring] [and prolong his days] [and the YHWH’s purpose will prevail through him]
The prophetic main line continues in Is 53,10 with two coordinate Vsuff clauses.45 The first (wa-YHWH $!pe% dakk=ˀ-5) is rather simple and states that YHWH wanted, or took delight in, crushing the servant. The second Vsuff clause (hæ$æl,) is a hifil, either an archaic form showing a primitive 3rd radical (JOÜON-MURAOKA, § 79 c), or an analogical formation after verb class III.ˀ (BAU46 ER-LEANDER, 1922, 424; JOÜON-MURAOKA, § 79 l; HALOT). In either case the plain meaning is ‘make sick’, ‘bring sickness’. The object of the hæ$æl, Vsuff clause, ‘(upon) him’, must be understood from the first clause (the object suffix in dakk=ˀ-5). The third clause (ˀim t!(,m ˀ!&!m nap&-5), taken as it is coded in the Masoretic text with the particle ˀim, is most naturally interpreted as a protasis in a conditional clause combining. Let us leave out of focus the question of apodosis for the moment and concentrate on this protasis. The clause is regarded as one of the greatest problems in Old Testament exegesis. It is certainly worth This is also the opinion of DRIVER, Problems, 403, who, however, wants to add a pronominal suffix after hæ$æl, reading hæ$æl,-!m5 which he translates ‘and made him to suffer’, the verb then being of the root $lˀ. 46 1QIsaa shows instead #!44F"#, which must be read as a piel way-VprefS of the root A$ll, ‘he pierced him’, with an explicit object suffix. The Qumran variant suggests that a shift from Vsuff to narrative way-VprefS was perceived to be more in accordance with the usual biblical syntax. 45
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the effort of a closer look. The second word is a distinctly long form of the prefix conjugation (VprefL!). Thus we should expect an imperfective aspect here, though in a subordinate clause status. One problem is its subject. Formally, it can be either 2 person masculine (‘you’) or 3 person feminine (‘she’). In the immediate context there is no ‘you’ to refer to, but there is a 3 person feminine entity in the clause: nap&-5 ‘his life/soul’. The least complicated analysis is thus to take nap&-5 as the subject of t!(,m. The clause would then say (within a protasis) that ‘his soul will lay down a guilt offering’, understanding that the guilt offering is the life of the suffering servant. This is a plausible interpretation, having in mind that he is the one that YHWH wanted to crush and made to suffer in the preceding main line clause. His life shall present a guilt offering. This is the most straightforward interpretation of the clause. A clause with an initial ˀim is the most common way in biblical Hebrew to code a real condition, which means that the condition is considered realistic and expected (JOÜON-MURAOKA, § 167 c). Such a condition is expected to be fulfilled, or at least it belongs to the real world of what may happen in the future. A real condition may well be translated beginning with ‘when …’ instead of ‘if …’ (the latter, in English, is more open as to the expected fulfilment of the condition). Taken as a real case protasis the clause may be translated ‘when his soul presents a guilt offering’. If ˀim marks the protasis, we most naturally expect to encounter an apodosis in what follows after the protasis. This is also the case. The rest of 53,10 is a series of mutually coordinate VprefL clauses, all except the last one with distinctly long forms (VprefL!). There is no reason to analyse yi%l!$ otherwise, so all three are of equal status and represent the apodosis, the consequence, what happens when the condition (presenting a guilt offering) is fulfilled. The first apodosis (yirˀ8 zæraˁ) speaks about a ‘he’, who will see posterity. The ‘he’ must have the same referent as the suffix in nap&-5 in the protasis, that is, the referent is the suffering servant: when his life/soul lays down a guilt offering he will see posterity. The second apodosis (yaˀar,k y!m,m) says that he will prolong his day. This is puzzling only when taken to mean that he will live a long physical life, since he is already dead when the prophecy is uttered. However, if it means that his life and mission will continue through his followers and disciples it is not hard to understand (BLENKINSOPP, Isaiah, 355). The two apodosis clauses analysed so far then say that when his soul lays down itself as guilt offering he will see a posterity of disciples and live long through them. The third apodosis (w=-$epæ% YHWH b=-y!d-5 yi%l!$) has a fronted explicit subject (which means it is topicalized): the will or pleasure or purpose of YHWH. It says that the will of YHWH will prevail through the suffering servant. The will of YHWH will prevail through his followers as a consequence of the guilt offering. 195
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All-in-all there are six clauses in Is 53,10, of which two (the Vsuff clauses in the beginning) belong to the prophetic main line, while the remaining four belong to a block of subordinate clauses in a conditional clause linkage. This subordinate block has a purpose of enhancing the main line by explaining the harsh content of the Vsuff clauses. It is therefore in full accordance with the syntax to insert a ‘for’ or ‘because’ before the protasis in the English translation in order to account for the clause-linkage refinement exhibited in the Hebrew text: ‘for when his soul lays down a guilt offering …’. The remaining verses of our text (11-12) follow up the consequences of the decisive protasis in Is 53,10. From a syntactic perspective they can be analysed as coordinate with the three apodosis VprefL clauses in 53,10. (14) Pattern: [VprefL! + VprefL* + VprefL! + [ADJ] + VprefL*] 4PDA+ '" %J! 1/P$ 0M9[ .# 1"D' &. 4$ ";' O+ 9. Y";' e. Y";' e+ ." Mf9+ L. D+ 9D$ >+ '" !%3 &+ '" MZ?+ .0 4<. 9[ <) [m6-ˁamal nap&-5 yirˀ8] [yi(b!ˁ b=-daˁt-5] [ya%d,q [%add,q] ˁabd-, l!-rabb,m] [wa-ˁaw5n5t-!m h+ˀ yisb5l] (Is 53,11) [After the suffering of his soul he will see light] [and be satisfied by knowledge of him] [[Being righteous] my servant will justify many people] [and he alone will bear their iniquities]
Isaiah 53,11 contains four VprefL clauses, all expressing the consequences, or results, or achievements, of the guilt offering of the suffering servant described in v. 10. The first clause (m6-ˁamal nap&-5 yirˀ8) is a puzzle.47 The subject that presents itself immediately is the one told of in the preceding verse, the suffering servant. But in such a case, when interpreting the yaˀar,k y!m,m clause in 53,10 we had to infer an identity between the servant himself and his disciples. The prophet who uttered these verses knew that the servant was dead (this is our assumption), so also in v. 53,11 the identity must be transferred to his disciples. For clarity’s sake we late readers would have preferred that the prophet used plural forms here, but he has presumably preferred to retain the formal unity between the servant and the body of his followers. By them he is still working and justifying many. The verb (yirˀ8) can be used with an absolute meaning without object, ‘be able to see’. When translating this into English it is nearly impossible to render the absolute meaning without doing as both the Qumran versions have done, add the word ‘light’ (1QIsaab ˀ5r; BLYTHIN, Consideration, 28): ‘… he will see light’. Defining the finis boundary of the second clause (yi(b!ˁ b=-daˁt-5) is not easy and the one presented here violates the Masoretic reading tradition (which puts a light distinctive accent (z!q6p q!'5n) on yi(b!ˁ which is also read in 47 For our discussion of clause combining the meaning of the preposition min is not essential. It can be partitive, ‘out of, from’ or temporal, ‘after’. The latter seems to be the preferred meaning by most commentators (cf. BLYTHIN, Consideration, 28).
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pause with lengthened !). A w= would have been of great help as mark of the following clause junction, but the next clause is asyndetic. We have to rely on the inner analysis of the clauses themselves. There are several reasons for a reinterpretation of the clause borders. First, if we hold to the Masoretic accent, as BLENKINSOPP, Isaiah, 346, and some other commentators do, the second clause will be conspicuously short, only one word (yi(b!ˁ), while the other clauses in the verse contain at least three words. Secondly, the succeeding clause already contains an adverbial qualification (%add,q), to which we will return below; it does not seem to need the prepositional phrase b=-daˁt-5. Thirdly, the verb (!baˁ is attested with the preposition b= elsewhere in MT with the meaning ‘have enough of’, in Ps 65,5; 88,4, Lam 3,30 (thus also MÜLLER, Vorschlag, 379). Fourthly, the Masoretic reading tradition, although of great value, did not exist at the time of the prophecy about the suffering servant. From a linguistic point of view we want to get as close as possible to the original wording of the prophet, and at that time there were no accent signs, nor a division into verses. The most natural reading is to interpret b=-daˁt-5 as connected with yi(b!ˁ: ‘be satisfied by knowledge of him’, that is, though the servant is dead, they—his body of followers—will be satisfied by his life example and his teaching.48 The third clause in Is 53,11, ya%d,q [%add,q] ˁabd-, l!-rabb,m, has confounded a horde of commentators, and a majority wants to omit %add,q since it “overburdens the verse” (BLENKINSOPP, Isaiah, 348) and is felt unnecessary since b=-daˁt-5 is already there and qualifies the verb. Without b=-daˁt-5, which belongs to the second clause (see above), the adjective %add,q in the third clause is no longer redundant and functions as an adverbial qualifier in the dependent case (JOÜON-MURAOKA, § 126 a): ‘(being) righteous’. This is a well-known construction in Arabic where a nominal qualifier typically lacks the article and is put in the accusative case (FISCHER, Arabic, § 380). The adjective should be taken as giving the reason why the servant can justify the many: ‘[Since he was righteous] my servant will justify (or vindicate) many people’. The last clause of Is 53,11 (wa-ˁaw5n5t-!m h+ˀ yisb5l) is coordinate with the preceding one and adds to its prediction. ‘He was righteous, and will alone bear the iniquities of the many.’ The subject pronoun h+ˀ is topicalized, but 48 This is also the conclusion by WILLIAMSON, Daˁat, 120; BLYTHIN, Consideration, 28; and MÜLLER, Vorschlag, 379, who advocate a reading of yi(b!ˁ together with b=-daˁt-5 as the most natural interpretation. WILLIAMSON prefers to translate ‘he will be satisfied with his rest’. But it is extremely difficult to believe that this otherwise unattested meaning of daˁat belonged to the linguistic competence of the contemporaries of the prophet, side-by-side with the very common ‘knowledge’, cf. daˁat ˀæl5h,m ‘knowledge of God’, Hos 4,1; 6,6, Pr 2,5. The same argument holds against the meaning ‘humiliation’ proposed by BLYTHIN, Consideration, 30, although CLINES-ELWOLDE, 459, adduces this meaning for Dan 12,4 (but not for Is 53,11). BLYTHIN disregards that what we expect in this context after yi(b!ˁ is something positive, a glorious consequence of the travail of the servant of YHWH.
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even more is the object which is put in primary position: ‘their iniquities, he alone will bear (them)’. Isaiah 53,12 opens with two VprefL clauses coordinate with those in 53,11. The verse therefore belongs to the cluster of clauses that follow the two Vsuff clauses (wa-YHWH $!pe% dakk=ˀ-5 hæ$æl,) in 53,10, the main design of which is a VprefL gram.49 Strictly speaking they continue the apodosis clauses after the protasis ˀim t!(,m ˀ!&!m nap&-5 in 53,10. Is 53,12 thus continues to qualify— and explain the consequences of—the will of YHWH to crush and bring sickness upon his servant. An explicative nuance is given the first clause by the initial adverb l!k6n ‘therefore’. (15) Pattern: [VprefL + VprefL + [CONJ + Vsuff + Vsuff + Vsuff + [VprefL!]] ] 1"9' ZP+ kB/%3 +# MZ?+ .0 / 3#N$ 4. !&$ 97 !3 &Z3 %[ /F. f. 44$ Z$ YK) F. +" 1"<Je ' 9B/ [ %3 +# 1"D' &. O$ M4BYK3 F. %[ ,C) 4$ 9" . 'T?+ ." 1"9' ZP+ k4. +# %>$ $0 1"D' &B% . V+ F) %J! +# ! $0<+ '0 l!k6n ˀa$allæq l5 b!-rabb,m w=-ˀæt ˁa%+m,m y=$alleq &!l!l [ta$at ˀa&ær hæˁær! lam-m!wæt nap&-5] [w=-ˀæt p5&=ˁ,m nimn!] [w=-h+ˀ $6tˀ rabb,m n!(!ˀ [w=lap-p5&=ˁ,m yapg,aˁ]] (Is 53,12) Therefore I will give him a portion among the great, he will divide the booty with the strong [in return for that he poured out his soul unto death] [was numbered with the transgressors] [and himself bore the sin of many [while he made intercession for the transgressors]]
The two VprefL clauses continue from v. 11 describing the exaltation of the servant. The voice of YHWH in the mouth of the prophet with a l!k6n ‘therefore’ and a continued VprefL ˀa$allæq announces the future result or reward of the preceding protasis (‘when his soul lays down a guilt offering’). The servant will in the future be greatly honoured; YHWH himself declares that he will give him a portion among the great. But the third clause (ta$at ˀa&ær hæˁær! lam-m!wæt nap&-5) is not one more in the apodosis series of coordinate VprefL clauses. It is subordinate to the preceding two coordinate VprefL clauses, and this is shown, not only by a gram-switch (VprefL/Vsuff) but also by a complex subordinating conjunction (ta$at ˀa&ær) which makes the semantic relation to the preceding clauses explicit, ‘in return for, because’ (the relation being a type of causality). The conjunction makes clear to us—if context were not enough—that the three coordinate Vsuff clauses to follow the conjunction do not code a resumed prophetic main line, but must be taken as qualifying the preceding VprefL clauses with the nuance ‘in return for’. The three subordinate Vsuff clauses after ta$at ˀa&ær emphasize what is already expressed as a condition in 53,10. The servant has fulfilled the condition To avoid too many confusing brackets we have refrained from enclosing also the whole verse with brackets ([…]) in the transcription and translation. 49
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(to present himself as a guilt offering) and in return for his pouring out his soul unto death (lam-m!wæt) he will be greatly honoured. Since he is dead, this glory must be interpreted as pertaining to his body of disciples. Isaiah 53,12 thus prophesizes about a future reward, a future glory, which will be allotted to YHWH’s servant in the shape of his body of followers, in return for what he has done in his life and death. The shift to Vsuff clauses in this verse also marks a shift from future time to past time. The imperfective VprefL by inference denotes the future, while Vsuff by inference in this context denotes past time with an anterior or perfective aspect.50 The third Vsuff clause (w=-h+ˀ $6tˀ rabb,m n!(!ˀ) has a topicalized subject pronoun (h+ˀ). It is topicalized in two ways: 1) by being explicitly stated (the information about the subject is redundant), 2) by being fronted. Its position indicates a strong emphasis that YHWH’s servant himself alone bore the sin of many. This Vsuff clause is further qualified by a VprefL! clause (w=-lapp5&=ˁ,m yapg,aˁ). From the context we infer that its semantic relation to the Vsuff clause is most probably circumstantial and concomitant with the head clause, ‘while interceding for the transgressors’. No other enhancing relation to the preceding Vsuff clause seems to fit the context. The analysis of the text about the suffering servant presented above shows that the old Hebrew syntax was well fitted to express clause junction and clause relations without help from the written Masoretic accents, mostly also without specific subordinating particles. It possessed a clause combining strategy that was entirely orally concipiated. The Masoretic verse division and the other accents represent an additional and redundant system of punctuation marks. The original text, even when written down, had nothing of that kind, graphical signs were not even needed. The old Hebrew texts were organized to a level comparable to a modern printed novel, only with other means, with road signs and traffic lights that guided the listener from storyline and prophetic main line to attendant circumstances, through relative clauses and final, temporal, consecutive, comparative and causal qualifying clauses. This hierarchy is most often coded without specific subordinating conjunctions. It is an oral economy of the text where clauses are hypotactically or paratactically ordered with textual signals that were immediately perceivable to the attentive contemporary receivers (ISAKSSON, Circumstantial qualifiers, 36). Bo Isaksson Dept. of Linguistics and Philology, Uppsala University Anterior aspect means that something has happened in the past the results of which are valid in the relative present reference point. This would fit the context well. However, since the servant is already dead, perfective aspect perhaps better fits the pragmatic situation. 50
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Jan Joosten A Neglected Rule and Its Exceptions: On Non-Volitive yiqtol in Clause-Initial Position
In Classical Biblical prose, the yiqtol tense form (etymologically the long form of the prefix conjugation, *yaqtulu) occurs almost exclusively in non-first position in the clause. This syntactic rule was discovered gradually. It was first intimated by Otto RÖSSLER and then, from a different angle, by Haim ROSÉN.1 The first one to formulate it clearly, however, was Alviero NICCACCI in his article “A Neglected Point of Hebrew Syntax: Yiqtol and Position in the Sentence” (1987).2 The rule has a powerful impact on the grammatical description of the Hebrew verbal system. To begin with, it clarifies the relation between yiqtol and weqatal. The temporal, aspectual and modal functions of yiqtol and weqatal are very similar, thus raising the question what the difference is between these forms, and why the language uses both. The placement rule of yiqtol provides an answer: yiqtol and weqatal are positional variants. While yiqtol occurs almost exclusively in clause-internal position, weqatal is necessarily clause-initial. The forms express the same temporal-aspectual-modal function and are distinct only in text-grammatical respect, weqatal expressing foreground and yiqtol different nuances of background.3 Another crucial effect of the rule is that of permitting to distinguish yiqtol from the jussive. If yiqtol is limited to clause-internal position, a prefixed verbal form in clause-initial position is in principle to be considered as a jussive. Since yiqtol and the jussive are morphologically indistinguishable, except in the hifil and with some types of irregular verbs, the placement rules are a big help in correctly identifying these two forms: 1"&' O+ 9' !$ J9<+ Z+ '" (1 Sam 13,3) means: RÖSSLER, Präfixkonjugation, 136, first drew attention to the fact that the long form of the prefix conjugation tends to occur in a non-first position while the jussive could occupy either the first or a non-first position. This insight was systematized by Wolfgang RICHTER and his students, see GROSS, Verbform, 20-24. ROSÉN, Assignment, 215, also took his cue from RÖSSLER. 2 The rule was independently rediscovered by REVELL, System, 14. 3 This is, of course, a simplified view. For a more detailed analysis, see NICCACCI, Syntax. 1
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“Let the Hebrews hear!” but J9<+ Z+ '" 19$ !B4 $ C$ +# (Deut 17,13) means: “All the people 4 will hear.” The function of yiqtol is close to that of the jussive, and there is some overlap, but it is generally worthwhile to distinguish them nevertheless. The restriction of yiqtol to clause-internal positions is a key ingredient permitting to make sense of the verbal system as a whole. The distinction of yiqtol and jussive will have been just as important to early readers (and speakers) as it is to modern-day grammarians. Where the morphology did not permit to distinguish the two, syntax came to the aid in decoding the nuances of verbal usage. Yiqtol in first position at the beginning of discourse Verbal usage is not entirely rigid, however. Yiqtol does occur in first position when other possibilities are unavailable, notably in one-word clauses at the very beginning of direct discourse: 1 Kgs 22,22
,CB! ) >) 9[ .# %e) 4CJfB1 $ .I +# !"#$% &<% 3 P ` .# The LORD said, ‘You are to entice him, and you shall succeed; go out and do it.’ 5
Although it occupies the first position in the clause, the form !f3 ?. f+ is not to be regarded as a jussive. Morphologically, the form is long: third-he verbs do have a marked short form. Moreover, the semantics of the clause show that a yiqtol form is meant: the form expresses a predictive-permissive function untypical of the jussive. Last but not least, the jussive is not normally employed in the second person, for which the imperative is used instead.6 It is easy to understand why the placement rules for yiqtol were not observed in this case. At the beginning of the speech, weqatal could hardly be used.7 Moreover, the form !f3 ?. f+ is not only the first word of the discourse, it also makes up the entire clause. There was no way to use an x-yiqtol structure, except by the addition of an extraneous element. Several other examples of this type of clause occur under these conditions.8 Even more rarely, yiqtol occurs at the beginning of a discourse within a longer clause: A few cases of formal yiqtol in first position have a volitive function: Gen 41,34; 2 Sam 15,26; Ruth 1,8. Syntax is here a better indicator than morphology as to the function of the forms. 5 Similarly in the parallel 2 Chr 18,21. 6 Except with the negation 4%. , where the second person jussive must be used. 7 Weqatal does occur at the beginning of discourse (e. g., Josh 22,28; Ezek 30,6), but this rare usage corresponds to a very specific rhetorical function. 8 See Gen 24,58; Ex 3,14; 1 Sam 14,43; 23,11; 2 Kgs 3,7; Hag 2,13. One might add 1 Sam 30,8, but the text may have to be corrected on the basis of the LXX, see DRIVER, Notes, 222. 4
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Gen 41,15
P 4 01#&%(- +,-./ )$*&'( 231 ׁ # &P<%4) l"43 9$ "f' 9+ <. Z$ " '0%[ .# I have heard it said of you that when you hear a dream you can interpret it.
Here, although weqatal would not have been appropriate, x-yiqtol was theoretically possible: the direct object could have been placed before the verbal form. The latter possibility was eschewed, however, and the yiqtol form occupies the first position in the clause. The handful of cases of clause-initial yiqtol occurring at the beginning of discourse are real exceptions. Nevertheless, they can clearly be identified as a group and the factors leading to the exceptional usage are sufficiently understood. Ostensible cases of yiqtol in first position due to ellipsis A few additional exceptions to the placement rules of yiqtol cannot be explained on the lines developed above: Gen 15,15
!OMV $ !O"$ >) D+ 05678(# 1M4Z$ D+ l"/P3 O%B4 [ %3 %MOf$ !f$ %. +# As for yourself, you shall go to your ancestors in peace; you shall be buried in a good old age.
The verb &O) x$ f' is certainly yiqtol, as is shown by its predictive function and the use of the prefixed form—if a volitive were needed, the imperative would have been used. The form occupies the first position in the clause, but it doesn’t occur at the very beginning of a discourse. A different principle appears to be at work. Ex 23,8
1"Y" ' ;' e. "&) O+ ;' 95:$;<(2 1"F' Y+ k' & )J9. +" LFP. ]!. "(' For a bribe blinds the officials, and subverts the cause of those who are in the right.9
Here we find we + prefix conjugation, but again there can be no doubt that the verb is yiqtol: the expression of proverbial truths is not usually expressed by the jussive. The form occupies the first position. One might wonder why weqatal was not used instead. Ex 19,3
4%) &$ >+ '" " )0O+ 4' =<5>$3&2 OPY9[ ." /"O) 4+ &<% . P / !P( Thus you shall say to the house of Jacob, and tell the Israelites.
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See also the parallel in Deut 16,19.
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Although in this case, the form was vocalized as a jussive, the consonantal orthography and the function make it probable that yiqtol was originally intended.10 Again, one wonders why we + yiqtol was used instead of weqatal. What strikes one as one ponders these exceptional clauses,11 is that all three follow another clause with yiqtol in which a nominal, pronominal or adverbial element has been preposed. Moreover, the preposed element governs both clauses: “you will die and be buried,” “a bribe blinds and subverts,” “thus you will say and tell.” This feature makes it possible to explain the exceptions in light of a rule of Hebrew Poetry, observed by Alviero NICCACCI and others.12 The first scholar who discovered this rule was Walter GROSS. In his monograph on wayyiqtol forms purportedly referring to the present, he drew attention to an interesting variation in the refrain of Ps 42-43:13 Ps 42,12 (= 43,5)
"4$ 9$ <(*?!"#–!$*@ "Z' ?+ .0 "F' FMf [ Z+ fB! ' <. Why are you cast down, O my soul, and why are you disquieted within me? Ps 42,6 "4$ 9$ <(*?!"#$2 "Z' ?+ .0 "F' FMf [ Z+ fB! ' <. Why are you cast down, O my soul, and (why) are you disquieted within me?
On the basis of the manifest equivalence of these two sentences, GROSS proposed to change the pointing in Ps 42,6 and to read the wayyiqtol form as we + yiqtol. To this he added the intriguing comment that, if the change should be accepted, the latter syntagm might be analyzed syntactically as an instance of the sequence we-x-yiqtol (i.e., with yiqtol in a non-first position). Indeed, the interrogative pronoun in the first half of the verse governs the second verbal form as well, and is therefore to be regarded, in absentia, as an element separating the conjunction from the verbal form. At first sight, GROSS’ explanation may seem far-fetched. He provided no other examples of the phenomenon postulated. It is possible, however, to give more substance to his seminal idea. Thirty years after GROSS, NICCACCI independently established the rule once again, this time without recourse to textual criticism and with a nice set of convincing examples.14 Indeed, it is an undeniable fact that poetic lines of the type x-yiqtol // x-yiqtol alternate with lines of the type x-yiqtol // ø-yiqtol, where the x does “double duty”:
The vocalization can be explained as an adaptation to Late Biblical Hebrew, see QIMRON, Imperfect. 11 Perhaps Ex 23,12 should also be mentioned. 12 See NICCACCI, Poetry, 258-261. 13 GROSS, Verbform, 148. 14 See above, note 12. BLUM, Verbalsystem, 111, also refers to this mechanism, improving upon GROSS’ treatment. 10
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Ps 13,2
" '*N3 <' l" 30kB/ $ %3 &"f' A+ f. !7A74–=$) Fe. 30 " '0F) ($ Z+ f' ! $#! +" !7A74–=$) How long, O LORD,15 will You ignore me forever? How long will You hide Your face from me? (JPS) Ps 79,5 l/3 %$ +0Y' Z%BM< ) (+ &9. O+ f' Fe. 304$ R .0%7 f3 ! $#! +" !7*–=$) How long, O LORD, will You be angry forever, (—) will Your indignation blaze like a fire? (JPS)16
In the second example, the interrogative expression is not repeated, but the meaning of the line is similar to that of the first example. In other words, although the interrogative is absent in Ps 79,5b, it is “virtually present.” Some scholars prefer to describe this absence in terms of elements doing “double duty,” while others speak of deletion or ellipsis. Whatever the terminology, all authorities agree that the phenomenon is characteristic of biblical poetry.17 What is striking in the present case is that the “absent” element brings about the use of yiqtol.18 In Ps 79,5b, yiqtol stands virtually in second position. The examples in Gen 15,15; Ex 23,8 and Ex 19,3 clearly conform to the same pattern. The yiqtol form in the second clause occupies the first position only apparently: it is “virtually” preceded by the preposed element of the preceding clause. Although they are embedded in prose texts, and are not fully poetic, the examples do reflect elevated style: Gen 15,15 and Ex 19,3 occur in divine discourse, pronounced at crucial moments of salvation history; Ex 23,8 is a proverbial sentence. It is not surprising to find poetic syntax in such verses. Further cases of clause-initial yiqtol are rare in prose, and some of them are philologically uncertain.19 This is particularly true of yiqtol following the conjunction waw. In a forthcoming paper, the present author has argued that most cases of we + yiqtol in the classical corpus (Genesis – 2 Kings) are text-critical-
15 The vocative is not to be regarded as a constituent and may be disregarded in the analysis of word order (MILLER, Vocative). 16 Compare also Ps 94,16 and Ps 106,2. 17 See generally MILLER, Ellipsis, and other studies by MILLER. 18 The preposed element may of course be a noun or pronoun: Ps 52,7; 66,4; 69,36; 85,14; 97,3; 139,10; Pr 1,16. 19 In Deut 19,3 one should consider reading the infinitive absolute, piel or qal, of the verb ,C/ “to measure” instead of the second person yiqtol of ,#C hifil (see the LXX). Compare the use of the infinitive absolute in Deut 15,2; 16,1; 24,9; 27,1.
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ly problematical.20 As a rule, instances of we + prefix conjugation are to be considered as cases of we + jussive. Concluding reflections The history of research on the verbal system of Biblical Hebrew from its inception in the early nineteenth century has been dominated by the idea of a “hidden principle,” the discovery of which would reveal the logic of the seemingly impenetrable usage observed in the texts. Earlier proposals were that the Hebrew tenses express “kind of time” or “aspect.” In our own days, the notions of “text-grammar” and “discourse analysis” have been proposed as similarly comprehensive solutions. Alviero NICCACCI has been one of the leading pioneers in introducing the latter approaches. With more than twenty years of hindsight, however, it is clear that discourse-oriented approach, although helpful and illuminating, cannot solve all problems of the Hebrew verb. The new methods add a new dimension to the analysis of verbal syntax, but they do not dispense with the longstanding need to determine temporal, aspectual and modal nuances. Alongside the hunt for “big ideas,” however, the study of the Hebrew verb is characterized by a long sequence of observations concerning the organisation of the system as a whole. Patient study shows that the Hebrew verbal system is not an arbitrary hodge-podge of forms and syntagms, all of which can be used indifferently to express whatever function was needed in the context. Nor can it be reduced to a simple dichotomy between qatal and yiqtol. On the contrary, it is a highly complex edifice of distinct usages in which morphology, syntax and pragmatics meaningfully interact. Over more than two centuries of intensive investigation, the subtle and intricate organization of this system has slowly emerged. NICCACCI’s observation on “Yiqtol and Position in the Sentence” is one of the key insights on this less spectacular side of the history of research. The present article merely seeks to point out some exceptions to the rule established by NICCACCI. Some of these are real, others only apparent. None of them, however, throw the usefulness of his observation into doubt. Jan Joosten Faculty of Protestant Theology, University of Strasbourg 20 JOOSTEN, Developments. Cases are Jos 3,13 (see LXX); 19,29ktiv (see the qre); 1 Sam 28,19 (see DRIVER, Notes, 218); 1 Kgs 11,39 (the entire verse is omitted in the Septuagint, suggesting that it may have been added to the text by a later hand), and a few instances of first-yod verbs where weqatal and we + yiqtol could easily be confused. Late Biblical Hebrew presents a change in this regard: in the LBH corpus, many cases of we + yiqtol can be found that imply no volitive or subjunctive nuance, see, e. g., Eccl 12,3-7 or Dan 11,17-19.
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Paolo Messina Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale
Durante i miei studi presso lo Studium Biblicum Franciscanum a Gerusalemme ho avuto occasione di seguire le lezioni di ebraico di Alviero NICCACCI. Sono rimasto affascinato dalla novità del suo metodo di analisi per la sintassi dell’ebraico biblico. Ho deciso quindi per il mio lavoro di licenza, di cui questo articolo1 rappresenta una sintesi, di verificare la possibile applicazione della linguistica tesuale2 all’Aramaico Biblico3 (Dan 2,4b-7,28; Esd 4,8-6,18; 7,12-26; Ger 10,11). Ritengo un grande onore poter presentare i risultati del mio studio in questa raccolta pubblicata in occasione del 70° compleanno di P. NICCACCI, e ringrazio Gregor GEIGER, che ha seguito in maniera attenta la mia ricerca, per i suggerimenti pertinenti e accurati. Saranno presentate dapprima le forme verbali e i costrutti sintattici individuati per l’AB e poi sarà analizzato il modo di procedere della narrazione e del discorso diretto. Abbreviazioni: AB Aramaico Biblico PV Proposizione Verbale DD Discorso Diretto Sf Sfondo Nar Narrazione SgM Segno Macrosintatico PNC Proposizione Nominale Complessa (cfr. n. 12) yDI-P Proposizioni con yDI iniziale PNS Proposizione Nominale Semplice (cfr. n. 37) *c forma continuativa di Sf PP Primo Piano In Appendice è riportato lo schema riassuntivo per la Nar e il DD nell’AB, risultato del mio lavoro, e quello per l’ebraico biblico, proposto da NICCACCI, Sintassi, §§ 4.5. Il testo aramaico è preso dalla BHS (nella versione elettronica di Bible Works), mentre la traduzione in italiano è mia. 2 Cfr. NICCACCI, Sintassi, §§ 2-6, per una esauriente introduzione a tale metodologia. 3 Lo studio del sistema verbale dell’aramaico biblico è stato affrontato da vari autori con differenti prospettive. BAUER-LEANDER; ROSÉN, Tenses; SEGERT, Grammatik; e GZELLA, Tempus, hanno un approccio classico alla sintassi del verbo, analizzano infatti le caratteristiche dei tempi verbali e i vari tipi di proposizione, anche se non giungono sempre alle medesime conclusioni. BUTH, Word, focalizza la sua attenzione all’ordine delle parole nelle proposizioni. SHEPHERD (Verbal; Distribution) applica l’analisi distribuzionale all’aramaico biblico per cercare di comprendere l’uso del qetal e dello yiqtul. Infine in un recente lavoro LI, Verbal, analizza il sistema verbale aramaico nel contesto della grammaticalizzazione. 1
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Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale
1. Costrutti Sintattici 1.1 qetal Con qetal è indicata una PV in cui il verbo è in prima posizione nella frase. Tale costrutto compare sia nella Nar che nel DD ma solo nell’asse temporale del passato. In entrambi gli atteggiamenti linguistici tale forma appartiene al primo piano4 e fa avanzare il racconto. In Dan 6,18abc, p. es., i tre waw-qetal esprimono tre azioni differenti e successive5. Dan 6,18 a hd"x] !b,a, tyIt'yhew> Fu portata una pietra b aB'GU ~Pu-l[; tm;fuw> e fu messa sopra l’apertura (letteralmente: la bocca) della fossa c yhiAnb'r>b.r: tq'z>[ib.W Hteq.z>[iB. aK'l.m; Hm;t.x;w> e la sigillò il re con il suo anello e con gli anelli dei suoi dignitari
Nel DD il qetal è usato per riportare fatti accaduti in un tempo precedente a quello in cui avviene il discorso6. Nella lettera7 che gli anziani di Gerusalemme scrivono a Tattenai, essi ricordano alcuni avvenimenti passati che riguardano il Tempio (Esd 5,14a-15b). Tali versetti presentano una successione di qetal di PP. Sia nella Nar che nel DD ci sono anche alcune attestazioni di un qetal nella Linea Secondaria, che sono indicate come qetal continuativi (qetal*c)8.
4 Il PP riporta i fatti salienti della vicenda narrata, mentre nello Sf si trovano descrizioni o avvenimenti che riguardano personaggi secondari, circostanze di tempo e luogo, riflessioni dell’autore. Nel corso dell’esposizione si utilizzerà in maniera equivalente PP o linea principale o “foreground ” e Sf o linea secondaria o “background ”. Riguardo alla loro definizione trovo chiara l’enunciazione di BUTH: «The events which are successive, sequential, complete and past are foreground … while the stative, simultaneous, back-references (= plusquamperfectum), incomplete, irrealis (non-indicative) or negated events are usually background» (Word, 51; cfr. anche Functional, 87-88). Per le proposizioni che contengono una negazione, preferisco mantenermi sulla stessa linea di NICCACCI che, per l’ebraico biblico, considera di PP il wayyiqtol e il aOlw>qatal, come anche il weqatal e il aOlw>-yiqtol (NICCACCI, Sintassi, §§ 4.5.6,2). 5 In Esd 6,14c-18a è presente una serie di qetal di PP e, quando al v. 19 riprende la narrazione in ebraico, il racconto prosegue con una serie di wayyiqtol di PP. Per il rapporto qetal – wawqetal cfr. sotto (1.2). 6 COHEN, Phrase, 402, è dell’opinione che «dans le discours elle [la conjugaison suffixale] se présente pour l’expression du passé qu’on peut rendre selon le case comme un parfait ou un plus-que-parfait». 7 WEINRICH, Tempus, 255, definisce la lettera «un dialogo a metà» e afferma che in essa si incontrano fondamentalmente gli stessi tempi verbali di un dialogo. 8 Anche in ebraico esiste un wayyiqtol continuativo di Sf. Credo che ciò dimostri che nell’AB il qetal, come il wayyiqtol ebraico, sia una forma continuativa (NICCACCI, Sintassi, §§ 27.89).
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1.2 qetal e waw-qetal Per l’ebraico biblico NICCACCI intende il waw delle forme verbali wayyiqtol e weqatal non come inversivo ma come «parte integrante della forma stessa»9. Il medesimo fenomeno non avviene, a mio parere, per l’AB. Entrambe le forme qetal e waw-qetal ricoprono infatti la stessa funzione di PP sia nella Nar che nell’asse temporale del passato all’interno del DD, senza alcuna differenza tra loro. Il waw svolge solo una funzione di coordinazione e la sua assenza o presenza non modifica in alcun modo il valore di tali forme quanto alla messa in rilievo (distinzione tra PP e Sf in un testo). Dan 5,3b-4b, p. es., presenta una sequenza di tre forme qetal di PP nella Nar: Dan 5,3 b Hten"xel.W Htel'g>ve yhiAnb'r>b.r:w> aK'l.m; !AhB. wyTiv.aiw> e bevvero in essi il re, i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine
4a ar"m.x; wyTiv.ai Bevvero vino b an"b.a;w> a['a' al'z>r>p; av'x'n> aP's.k;w> ab'h]D: yhel'ale WxB;v;w> e lodarono gli dei d’oro e d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra
La prima forma verbale di questa sequenza (3b) è un waw-qetal in stretta relazione con il precedente costrutto di PP (3a). L’autore in 4a riprende la stessa notizia appena data e aggiunge che il re e i suoi ospiti lodano i falsi dei. La ripetizione del verbo pone l’accento sull’ubriachezza del re10, ma la mancanza del waw in 4a serve a creare una specie di interruzione da quanto precede e una più forte coordinazione con il waw-qetal successivo. Nella traduzione si può dare inizio in 4a ad un nuovo periodo11. 1.3 x-qetal Questo tipo di PNC12 si ritrova sia nella Nar che nel DD. L’elemento x, che precede la forma verbale, può essere costituito da uno o più sintagmi. Quando, relativamente alla messa in rilievo, l’x-qetal si trova sul background, esso può esprimere diverse sfumature: dare enfasi alla componente x13; riferire una circostanza coincidente all’azione espressa nel PP14; indicare contrapposizione15; esprimere un’azione antecedente o riportare alla mente un avvenimento NICCACCI, Sintassi, § 5. L’ebbrezza del re sembra essere un fatto importante, infatti nei primi quattro versetti di Dan 5 viene ripetuta cinque volte: Dan 5,1b.2ab.3b.4a. 11 Alcuni esempi di un tale fenomeno nel DD sono Dan 4,8ab; 5,26bc.27ab.28ab. 12 NICCACCI, Sintassi, § 6: «Quando a un nome segue una forma verbale finita, si ha una “proposizione nominale complessa”». 13 BUTH, Word, 197; NICCACCI, Sintassi, § 48. Cfr. Dan 4,4b; 6,15b. 14 NICCACCI, Sintassi, §§ 41.86. Cfr. Dan 3,19b.23a. 15 NICCACCI, Sintassi, § 42. Cfr. Dan 4,4c; Esd 5,12d. 9
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passato (qetal retrospettivo16). Non ho trovato nessuna regola che permetta di distinguere tra queste sfumature, ma occorre di volta in volta analizzare il contesto17. Nella Nar l’x-qetal è sempre un costrutto della linea secondaria, si ritrova infatti solo nell’Antefatto (Dan 3,1a.2a; 5,1a.2a) e nello sfondo (Dan 3,19b; 6,1a). Ad esempio, quando i tre giovani, Sadrach, Mesach e Abdenego, vengono portati fuori dalla fornace (Dan 3,26f), l’autore interrompe l’esposizione degli avvenimenti per descrivere le condizioni in cui essi si trovano ed utilizza tre x-qetal di Sf: Dan 3,27 d %r:x't.hi al' !Ahv.arE r[;f.W e la capigliatura della loro testa non era stata bruciata
e Anv. al' !AhyleB'r>s'w> e i loro mantelli non erano mutati f !AhB. td"[] al' rWn x:yrEw> e l’odore del fuoco non era passato su di loro
All’interno del DD l’x-qetal si trova quasi esclusivamente18 nell’asse temporale del passato. Tale costrutto all’inizio della catena temporale è di PP e con esso comincia un racconto orale. In tutti gli altri casi l’x-qetal è sempre Sf. Dan 6,23 a Hkea]l.m; xl;v. yhil'a/ Il mio Dio ha mandato il suo angelo
b at'w"y"r>a; ~Pu rg:s]W e ha chiuso la bocca dei leoni c ynIWlB.x; al'w> e non mi hanno sbranato
NICCACCI, Sintassi, §§ 8.40. Cfr. Dan 2,41d.43a.45a-c. COOK, Word, 7, afferma che per il «qetal there is a marked correlation of Verb-Object (VO) constructions with the narrative or consecutive use, while Object-Verb (OV) constructions are more frequently found with a perfect/pluperfect and remotive (remote past, time indifferent) signification». 17 È quello che NICCACCI, Sintassi, § 50, chiama criterio semantico. 18 Un caso particolare è rappresentato da Dan 7,27, in cui l’x-qetal è posto sullo Sf dell’asse temporale del futuro indicativo. Credo che tale costrutto esprima un’azione futura antecedente ad un’altra e che vada tradotto con il futuro anteriore. ROGLAND, Remarks, 424-426, lo tratta come un caso di perfetto profetico nell’AB. Egli ritiene che «many languages occasionally use past tense form as a rethorical device to refer to future events “as if” they had already taken place»; tuttavia conclude che è possible che l’autore si riferisca anche ad una passata decisione di Dio. GZELLA, Tempus, 232-233, non considera Dan 7,27 come un perfetto profetico, in quanto sarebbe l’unica attestazione di tale uso del perfetto nell’AB. Egli esclude anche l’idea di considerarlo come un futurum exactum, che si trova solo nella protasi di un periodo ipotetico. Infine afferma: «vielmehr könnte es sich um ein „Perfekt“ mit Vergangenheitsbezug handeln, das die Vision zitiert» (cioè questo versetto farebbe riferimento a Dan 7,14). LI, Verbal, 32, parla di un «futur anterior/resultative function». 16
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Daniele, appena uscito dalla fossa dei leoni, racconta al re quello che è accaduto. La prima proposizione è costituita da un x-qetal (a), mentre le due successive informazioni sono date attraverso due waw-qetal (b.c), di cui il secondo è negato. Tutti e tre i costrutti sono di PP. 1.4 yiqtul Nella Nar ci sono solo due attestazioni di una PV con lo yiqtul iniziale. Entrambe si trovano nel libro di Daniele e appartengono all’antefatto (Dan 4,2b; 5,2b)19. Il waw-yiqtul indica un avvenimento contemporaneo a quello espresso dal precedente x-qetal, descrivendo l’azione nel suo svolgimento. Nel DD lo yiqtul è attestato sul PP dell’asse temporale del futuro indicativo e del futuro volitivo. Nel primo caso indica semplicemente un’azione futura. Dan 7,17 b a['r>a;-!mi !WmWqy> !ykil.m; h['B.r>a; 18a
b
quattro re sorgeranno dalla terra
!ynIAyl.[, yveyDIq; at'Wkl.m; !WlB.q;ywI
e riceveranno il regno i santi dell’Altissimo
aY"m;l.[' ~l;[' d[;w> am'l.['-d[; at'Wkl.m; !Wns.x.y:w>
e possederanno il regno per l’eternità e per l’eternità dell’eternità
Daniele sta chiedendo il senso della visione che ha di fronte. Uno dei presenti (Dan 7,16b) gli parla e descrive ciò che avverrà. I due yiqtul (18ab) di PP seguono un x-yiqtul che, quando compare all’inizio della linea temporale del futuro, occupa la linea principale. Si può fare un parallelo tra il (waw-)qetal come forma continuativa dell’asse del passato nel DD e il (waw-)yiqtul come forma continuativa nella linea del futuro indicativo20; entrambe le forme infatti sono di PP ma non iniziano mai un’unità discorsiva. Lo yiqtul assume un senso iussivo ed appartiene, quindi, all’asse temporale del futuro volitivo quando è all’inizio di una catena temporale21, oppure nella forma breve, oppure si trova insieme alla negazione la;22. Per gli altri casi in cui si presenta una forma neutra dello yiqtul l’assegnazione all’asse del futuro volitivo o all’asse del futuro indicativo deve essere valutata a seconda del contesto.
19 In generale, per l’uso di questo tempo nel campo del passato, si veda BLAU, Minutiae, 8. SHEPHERD, Verbal, 112, riferendosi allo yiqtul in Dan 4,2, afferma che esso non fa avanzare la narrazione. GZELLA, Tempus, 290, invece considera Dan 5,2b una proposizione finale introdotta da waw. Per il rapporto yiqtul – waw-yiqtul cfr. sotto (1.5). 20 Cfr. quanto NICCACCI, Sintassi, § 57, afferma per il weqatal. 21 Cfr. NICCACCI, Sintassi, § 64,1, per lo yiqtol in ebraico. 22 MURAOKA, Notes, 162; LI, Verbal, 125. La negazione la; è attestata solo quattro volte nell’aramaico biblico: tre con uno yiqtul di forma breve (Dan 4,16e; 5,10ef); una con uno yiqtul di forma neutra (Dan 2,24d), il cui senso volitivo appare dal contesto.
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Non è del tutto chiaro se il waw-yiqtul che segue un costrutto volitivo (imperativo23, x-imperativo24) assuma un senso finale, sulla scia della successione “forma volitiva – weyiqtol” in ebraico25, oppure semplicemente una sfumatura di conclusione come la sequenza “forma volitiva – weqatal”26. Non avendo argomenti a favore dell’una o dell’altra interpretazione, preferisco non trarre conclusioni che rischiano di essere non corrette27. Lo yiqtul si trova talvolta nello Sf dell’asse temporale del futuro indicativo come yiqtul*c e segue un precedente x-yiqtul di Sf o un yDI-(x-)yiqtul28. 1.5 yiqtul e waw-yiqtul NICCACCI distingue il weqatal come forma continuativa di un x-yiqtol nell’asse del futuro indicativo, in cui il waw iniziale è parte della forma stessa, dal weyiqtol, che invece è una forma volitiva29. Nell’AB tale distinzione non è possibile. Nel DD30 ci sono tre casi di uno yiqtul in prima posizione con valore volitivo, sempre senza la congiunzione waw: Dan 2,20c e 4,11g (forma neutra); Dan 5,10e (forma breve). Tuttavia questa indicazione può essere assunta come una condizione necessaria ma di per sé non sufficiente per l’individuazione di tale forma. Infatti esi-
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litivo.
Cfr. Dan 4,11fg. Cfr. Dan 5,10de. Non ci sono casi in cui è attestato un (waw-)yiqtul dopo un x-yiqtul vo-
NICCACCI, Sintassi, § 64. NICCACCI, Sintassi, § 156. 27 In Dan 2,9f un waw-yiqtul segue un x-imperativo. In questo caso sono possibili due letture: “Perciò ditemi il sogno, affinché io sappia” oppure “Perciò ditemi il sogno cosicché io saprò”. Quanto detto vale anche per l’x-yiqtul. Per maggiore chiarezza riporto la seguente tabella: 25 26
(waw-)yiqtul
(waw-)x-yiqtul
imperativo
Dan 4,11fg
x-imperativo
Dan 2,9ef; 5,10de
Dan 2,4cd.24ef; Esd 4,21ab; 5,15de; 6,7ab
Dan 4,24bc; 5,17de; Esd 4,22ab; 7,19a-20a.25ab
In essa sono raccolti i casi di una sequenza costituita da una forma volitiva del tipo imperativo o x-imperativo, a cui segue un costrutto (waw-)yiqtul oppure (waw-)x-yiqtul. Le attestazioni di questo tipo non sono molte e solo in due casi questa successione coinvolge uno yiqtul con senso volitivo (cfr. forme sottolineate). In corsivo sono riportati i casi di yiqtul in forma lunga; gli altri sono in forma neutra. 28 Dan 2,40e; 4,32c; Esd 4,15bc solo per citare alcuni casi. 29 NICCACCI, Sintassi, § 5. 30 Come detto in precedenza nella Nar ci sono solo due casi di waw-yiqtul di antefatto e non è mai presente uno yiqtul senza waw. Questa assenza potrebbe far pensare ad una differenza tra l’uso dello yiqtul e del waw-yiqtul in tale atteggiamento linguistico, ma non ci sono altre basi per una solida argomentazione.
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ste anche uno yiqtul senza waw appartenente all’asse del futuro indicativo. Un esempio di questo tipo si ha in Dan 2,44c: Dan 2,44 c qDIT; farà in pezzi
d at'w"k.l.m; !yLeai-lK' @yset'w> e finirà tutti quei regni
Il primo di questi due costrutti (c) è uno yiqtul di PP, a cui segue in 44d un waw-yiqtul. La congiunzione waw non modifica né la messa in rilievo, né l’asse temporale, e le due forme yiqtul e waw-yiqtul sono identiche. Concludendo si può affermare che lo yiqtul con senso volitivo si trova sempre senza waw, mentre lo yiqtul nell’asse temporale del futuro indicativo con waw oppure senza. Comunque la congiunzione waw ha solo una funzione stilistica di coordinazione. 1.6 x-yiqtul L’x-yiqtul nella Nar occupa sempre la linea secondaria31. Una funzione di questa PNC è quella di descrivere un’azione nel suo svolgimento32. In Dan 4,16b al costrutto di PP segue un x-yiqtul con il quale l’autore espone la reazione di Daniele alle parole del re. Daniele è al contempo spaventato e turbato. L’x-yiqtul può indicare anche un’azione abituale o ripetuta33. In Dan 4,30cd appare chiaro che il re Nabucodonosor non si nutre di erba e non è bagnato dalla rugiada del cielo solo una volta, ma per tutto il periodo in cui egli si trova in questo stato di esilio in mezzo alle bestie della campagna. Nel DD invece l’x-yiqtul è attestato nell’asse temporale del passato come costrutto di Sf, con le stesse caratteristiche individuate per la Nar. In Dan 5,21de si ritrova lo stesso avvenimento narrato in Dan 4,30, riportato con le stesse forme ma in un differente atteggiamento linguistico. Daniele infatti racconta a Baldassar l’espulsione del padre dal consesso umano. Egli vuole solo richiamare alla memoria dell’attuale re gli avvenimenti passati, per mettere in evidenza da un lato la capacità di Nabucodonosor di ravvedersi e dall’altro l’orgoglio smisurato di Baldassar. Il racconto è posto sullo Sf. In Dan 4,30cd e Antefatto: Dan 4,2d; Sf: Dan 6,3b, per citare solo un esempio. BAUER-LEANDER, § 78 q. 33 In questo senso si può comprendere anche il caso di Dan 6,20: LI, Verbal, 106, considera lo yiqtul presente in questo versetto come una circumstantial clause. Altri autori, tra cui ROGLAND e GZELLA, lo interpretano in maniera differente. Il primo (ROGLAND, Remarks, 429) lo pone in parallelo alla costruzione ebraica za' + yiqtol e dunque lo traduce con un passato remoto, sulla scia di BAUER-LEANDER (§ 78 q, n. 3). Il secondo (GZELLA, Tempus, 146) invece riguardo a ~Wq afferma: «als „Perfekt“ wird in einer solchen Verbindung gegenüber dem nachfolgenden „Perfekt” zum Hilfsverb degradiert»; allora per evitare questo fraintendimento e sottolineare che il verbo ha il senso di “alzarsi” l’autore utilizzerebbe la forma ~Wqy>. 31 32
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Dan 5,21de pur non essendoci una perfetta corrispondenza di termini, il tempo verbale tuttavia è identico nei due casi. Dan 4,3034 b dyrIj. av'n"a]-!miW e (lontano) dagli uomini fu cacciato c lkuayE !yrIAtk. aB'f.[iw> e come i buoi mangiava erba
Dan 5,21 a dyrIj. av'n"a] ynEB.-!miW e (lontano) dai figli dell’uomo fu cacciato d HNEWm[]j;y> !yrIAtk. aB'f.[iw> come ai buoi gli davano in pasto erba
d [B;j;c.yI Hmev.GI aY"m;v. lJ;miW e [B;j;c.yI Hmev.GI aY"m;v. lJ;miW e dalla rugiada del cielo il suo e dalla rugiada del cielo il suo corpo era bagnato corpo era bagnato
Nell’asse temporale del futuro indicativo l’x-yiqtul è di PP quando si trova all’inizio della linea temporale. La forma continuativa di questo costrutto è (waw-)yiqtul. La presenza di un successivo x-yiqtul determina il passaggio della comunicazione dal primo piano allo Sf35. Dan 2,44 a Wkl.m; aY"m;v. Hl'a/ ~yqiy> !WNai aY"k;l.m; yDI !AhymeAyb.W Ai giorni di quei re farà sorgere il Dio dei cieli un regno,
lB;x;t.ti al' !ymil.['l. yDI
che per sempre non sarà distrutto,
b qbiT.v.ti al' !r"x\a' ~[;l. ht'Wkl.m;W e il regno non sarà concesso ad un altro popolo c qDIT; farà in pezzi d at'w"k.l.m; !yLeai-lK' @yset'w> e finirà tutti quei regni e aY"m;l.['l. ~WqT. ayhiw> ma esso rimarrà in eterno
L’x-yiqtul in 44a apre una nuova serie di proposizioni che si trovano nell’asse temporale del futuro indicativo e predice, per la prima volta all’interno della storia, l’avvento di un regno. Lo yiqtul (c) e il waw-yiqtul (d) seguenti costituiscono la linea principale della comunicazione. I due x-yiqtul (b.e) interrompono invece il flusso delle informazioni e forniscono alcune specificazioni. Lo yiqtul in questa classe di PNC può essere di forma breve. In questo caso l’x-yiqtul appartiene all’asse temporale del futuro volitivo ed assume una sfumatura di comando. Dan 4,16 e %l'h]b;y>-la; arEv.piW am'l.x, rC;av;j.l.Be Baltazzar il sogno e la sua interpretazione non ti turbino
SHEPHERD, Verbal, 129, n. 40, parla di anomalous uses in questo caso come anche negli altri in cui si trova uno yiqtul in un contesto dove prevale invece la forma qetal. 35 NICCACCI, Sintassi, § 55. 34
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Dan 4,16e è un x-yiqtul di PP perché è iniziale, ed è volitivo perché lo yiqtul è di forma breve ed è preceduto dalla negazione la;. Se l’x-yiqtul volitivo segue una forma imperativale o uno yiqtul volitivo, è invece di Sf (Dan 5,10f)36. 1.7 Participio e x-participio NICCACCI considera le proposizioni che contengono un participio come proposizioni nominali semplici37, in quanto non presentano una forma finita del verbo. Durante l’analisi dei testi ho notato che nell'AB il participio può occupare la prima posizione della proposizione (“participio”), sia dopo un elemento x (“xparticipio”) con un uso particolare nella Nar e nel DD38. Ho preferito quindi distinguere le proposizioni che contengono un participio, per il quale si può presupporre un uso verbale, e le PNS, tra cui sono classificate le proposizioni senza verbo finito, quelle che contengono un participio con funzione nominale (attributivo o sostantivato) e quelle con la particella yt;yai39. Il comportamento del participio di prima posizione nella Nar sembra essere del tutto simile al (waw-)qetal40. In Dan 3,26f-27b, p. es., si susseguono tre participi di PP: Dan 3,26 f ar"Wn aAG-!mi Agn> dbe[]w: %v;yme %r:d>v; !yqip.n" !yId:aBe Allora vennero fuori di mezzo al fuoco Sadrach, Mesach e Abdenego 27a aK'l.m; yrEb.D"h;w> at'w"x]p;W aY"n:g>si aY"n:P.r>D:v.x;a] !yviN>K;t.miW e si radunarono i satrapi, i governatori, i prefetti e i consiglieri del re
36 NICCACCI per l’ebraico biblico afferma che «normalmente il costrutto (waw-) x-yiqtol è iussivo quando è preceduto da una forma volitiva diretta, ad esempio nella sequenza imperativo (waw-) x-yiqtol […]. È ugualmente iussivo quando è seguito da un weyiqtol, cioè nella sequenza x-yiqtol weyiqtol. […] Il costrutto (waw-) x-yiqtol è invece indicativo quando è preceduto da un weqatal» (Sintassi, § 64). Nell’AB non sempre è possibile distinguere tra x-yiqtul indicativo o volitivo soprattutto quando si trova sullo Sf. In alcuni casi tale distinzione risulta chiara da alcuni indicatori (Esd 4,21b; 6,7b), in altri invece no (Esd 5,15e; 7,20a). Occorre quindi ricorrere di volta in volta al criterio semantico. 37 NICCACCI, Sintassi, § 4,1 (b); NICCACCI, Types, 243. La PNS è una proposizione «in cui non compare alcuna forma finita del verbo» (NICCACCI, Sintassi, § 6). 38 In un primo momento del mio studio non ho preso in considerazione le attestazioni dei participi dei verbi hn"[] e rm;a], che secondo parecchi autori rappresentano solo una formula caratteristica dell’aramaico per introdurre il discorso diretto (cfr. BAUER-LEANDER, § 81 u; SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.4.7 c; COHEN, Phrase, 414-415; GZELLA, Tempus, 134-135; LI, Verbal, 43-45). Secondo me occorreva prima studiare l’uso del participio come costrutto, cercare di comprendere quando esso si trova nel PP o nello Sf, e solo successivamente inquadrare nello schema verbale così rinvenuto anche la formula rm;a'w> hnE[.' 39 I casi in cui il participio si trova unito al verbo aw"h] in costruzione perifrastica saranno discussi più avanti (1.12). 40 BROCKELMANN, Grundriss, § 84 b; GZELLA, Tempus, 122-123.
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%Leai aY"r:b.gUl. !yIz:x'
videro quegli uomini
Il re Nabucodonosor richiama dalla fornace di fuoco Sadrach, Mesach e Abdenego. Dopo un DD la Nar riprende con un costrutto !yId:a/ + participio41 e prosegue con due participi iniziali42 (a.b), che esprimono due azioni susseguenti: i satrapi e gli altri ufficiali si radunano e osservano cosa sia successo ai tre giovani43. La differenza tra il participio in prima posizione e l’x-participio si può comprendere considerando Dan 6,11b-f: Dan 6,11 b Htey>b;l. l[; Andò a casa sua c ~l,v.Wry> dg le finestre nella sua camera alta erano aperte in direzione di Gerusalemme d yhiAkr>Bi-l[; %rEB' aWh am'Ayb. ht'l'T. !ynIm.zIw> e tre volte al giorno lui si inginocchiava sulle sue ginocchia e aLec;m.W e pregò f Hhel'a/ ~d"q\ adEAmW e lodò il suo Dio
Il qetal iniziale in 11b appartiene al PP della Nar. Di seguito si trovano due costrutti x-participio. Questi non fanno procedere il racconto ma forniscono delle informazioni circa la posizione delle finestre della camera di Daniele (c) e l’abitudine dello stesso di pregare tre volte al giorno (d). I due successivi participi (e.f) fanno procedere il racconto e riportano, in modo puntuale, le azioni che Daniele compie in quel momento della vicenda. Questi sono costrutti di PP, mentre gli x-participi appartengono allo Sf44. L’x-participio nella Nar è sempre un costrutto di Sf. A volte come l’x-qetal descrive un’azione unica45 simultanea o successiva a quella espressa nella linea principale, altre volte è più simile ad un x-yiqtul, in quanto indica un’azione abituale o la mostra nel suo svolgimento46. Il participio e l’x-participio sono attestati anche nel DD, sia nell’asse temporale del passato che in quello del presente; in quello del futuro indicativo Il valore di hn"D> lbeq\-lK' o !yId:a/ come segno macrosintattico, che riporta sul piano principale della narrazione i costrutti in cui tali sintagmi sono posti all’inizio, sarà discusso più avanti (1.11). 42 Per l’esattezza si tratta di un waw-participio e di un participio, ma anche per questo tipo di costrutto il waw iniziale non modifica il senso o il valore dello stesso. 43 GZELLA, Tempus, 128. 44 Cfr. Dan 5,6cd in cui due x-participio di Sf seguono un x-yiqtul di Sf. 45 Cfr. Dan 3,4a; 4,4bc; Esd 5,3b. 46 BOMBECK, Verwendung, 5; cfr. Esd 5,2c. 41
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ci sono solo tre casi di x-participio di Sf, ma nessuna attestazione del participio in prima posizione47. In Dan 5,15b il participio iniziale nel passato segue un costrutto di PP del tipo ![;K.-qetal e continua sullo stesso livello principale48: Dan 5,15 b hy"w"x]h;l. at'L.mi-rv;P. !ylih]k'-al'w> e non sono stati capaci di indicare il significato della cosa
Sono attestati casi di participio iniziale nello Sf dell’asse temporale del passato. Essi vanno considerati come costrutti continuativi di una forma che è già nella linea secondaria49. Il participio*c si comporta allo stesso modo dell’x-participio di Sf del passato nel DD. Entrambi i costrutti possono indicare o delle azioni puntuali (Dan 4,11b; 5,23c; 7,20d.21b; Esd 4,19e)50 o un’azione continua o abituale (Esd 4,20c). Nell’asse temporale del presente il participio non si trova mai all’inizio della linea temporale ma solo dopo un costrutto del tipo x-participio o PNS51 di PP e continua sullo stesso livello quanto alla messa in rilievo. L’x-participio è di PP, se all’inizio dell’asse del presente (Dan 3,25c; Esd 5,16c), negli altri casi è sempre sullo Sf ed esprime contemporaneità con l’azione della linea principale oppure assume una funzione descrittiva. Infine un caso di costrutti xparticipio di Sf nell’asse temporale del futuro indicativo si trova in Dan 4,22ad, i quali, collegati agli x-yiqtul (b.c.e) presenti nello stesso versetto, descrivono la futura punizione che toccherà in sorte a Nabucodonosor52. Da quanto esposto si possono trarre alcune conclusioni: • Nella Nar è stato osservato un particolare uso del participio in prima posizione come forma di PP53, come il qetal. Tale impiego distingue questo costrutto dalle normali PNS che non si trovano mai sulla linea principale della Nar54. Si può allora comprendere l’uso della formula rm;a'w> hnE[', non come un’ecce-
Cfr. n. 108 per Dan 6,27b e Esd 6,10a. In Esd 4,16a il participio iniziale si ricollega al precedente waw-qetal in 14b ed è di PP sull’asse temporale del passato. 49 Tali participi*c si trovano: 1) dopo un x-participio (Dan 7,10b.21c); 2) dopo una PNS (Dan 2,31e; 7,7de); all’interno di una proposizione relativa (Dan 7,19a). È da notare che in tutti questi casi il soggetto del participio in prima posizione non è espresso nella proposizione. 50 GZELLA, Tempus, 251, parla di un uso del participio per indicare la «Vorvergangenheit» quando si trova in proposizioni subordinate. 51 Cfr. Dan 4,34a-c ed Esd 5,11bc. 52 BAUER-LEANDER, § 81 g; SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.4.6. GZELLA, Tempus, 220, analizzando questo versetto, considera il participio come espressione di un «futurum imminens», ma conclude che dai pochi esempi presenti nell’AB si può osservare solo una «freie Variation». 53 COOK, Word, 14. 54 GZELLA, Erscheinungsformen, 401.406, afferma che il participio verbalizzato può assumere il ruolo di «Erzählform» ma esso, a differenza del qetal, non apre mai una sezione narrativa ed è una «sekundäre Vergangenheitform». Lo stesso autore considera l’uso del participio come forma narrativa in aramaico in relazione allo sviluppo di un presente storico in questa lingua ad opera proprio del participio. 47 48
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zione oppure un’espressione precostituita dell’AB ma come un uso normale di due participi di PP nella narrazione. • Nel DD participio e x-participio, con alcune differenze, ricoprono tutti e tre gli assi temporali. Nell’asse temporale del passato è attestato un participio di PP, a differenza delle PNS, che in tale asse sono sempre sulla linea secondaria55. • Non viene meno il principio per il quale il participio sia una forma verbale atemporale56, ma la linguistica testuale ha evidenziato i diversi usi nella Nar e nel DD e ha aiutato a comprendere come deve essere inteso nei vari casi57. • Rimane aperta la questione se le proposizioni che contengono un participio siano da considerarsi verbali o nominali. Il problema è connesso al modo di intendere tale forma: se da un lato, infatti, il participio in prima posizione e l’x-participio sembrano assumere un comportamento simile alle PV (qetal, yiqtul) e alle PNC (x-qetal, x-yiqtul), piuttosto che a quello delle PNS, in altri casi, ad esempio quando è unito alla particella yt;yai o ad una forma del verbo aw"h] in costruzione perifrastica esso ha una chiara funzione nominale58. 1.8 PNS Con PNS, come detto, intendo le proposizioni che non contengono un verbo finito o un participio con funzione verbale. Sono inserite invece tra le PNS quelle proposizioni in cui è presente un participio con funzione nominale (attributiva o sostantivata) o la particella yt;yai, sia da sola sia insieme ad un participio59. Nella Nar la PNS appartiene sempre alla linea secondaria ed esprime essenzialmente contemporaneità con l’azione della linea principale, o svolge una funzione descrittiva60. In Dan 3,1bc, p. es., l’autore fornisce con due PNS le misure della statua fatta erigere da Nabucodonosor. Nel DD tale costrutto si trova in tutti e tre gli assi temporali. Nel passato assume un valore simile a quello visto per la Nar61. Nel campo del presente la 55
1.11).
A meno che non sia preceduta dalla particella presentativa Wla] (cfr. paragrafo sui SgM
56 MURAOKA, Notes, 157, afferma che «the indication of time as such is not the proper function of the participle, but this arise from the general context». 57 Non si può accettare una soluzione troppo semplificata come quella di COHEN, Phrase, 411: «le participe est narratif en contexte narratif, c’est un présent en contexte de discours direct». 58 Per una trattazione più analitica ed esauriente della questione del participio come forma nominale o verbale rimando a GEIGER, Partizip, §§ 477-480. 59 SEGERT, Grammatik, § 6.5.5; GZELLA, Tempus, 219. Io ho scelto di dare più importanza ad eventuali tense marker (LI, Verbal, 89), sia in questo caso come anche nelle costruzioni perifrastiche. 60 NICCACCI, Sintassi, §§ 33.43; GZELLA, Tempus, 195. 61 Cfr. Dan 2,32a-d; 4,9abc; 5,21c; 7,6cd.7ch; Esd 4,20b.
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PNS può appartenere sia al foreground che al background 62. Infine nell’asse del futuro è sempre sullo Sf, ed esprime contemporaneità in questo asse temporale63. 1.9 Imperativo e x-imperativo L’imperativo è un modo verbale con il quale viene espresso un comando o un desiderio64 e si trova solo all’interno del DD65, occupando l’asse del futuro volitivo66. Si distingue tra “imperativo”, se il verbo si trova in prima posizione, e “x-imperativo”, nel caso in cui sia preceduto da uno o più sintagmi. Nell’AB l’imperativo può trovarsi all’inizio della catena temporale come costrutto di PP, ma può anche essere una forma di continuazione, rimanendo inalterata la messa in rilievo67 (Dan 4,11c-f; Dan 7,5ef68), coordinato sia con waw (Dan 3,26de) che senza (Esd 5,15bcd). L’x-imperativo, quando si trova all’inizio dell’asse temporale del futuro volitivo, è sempre di PP69; quando, invece, segue un’altra forma volitiva appar62 Per questo motivo nel caso di una successione nel testo di due PNS non è semplice distinguere se la messa in rilievo cambi oppure no (Dan 4,16hi), a meno che non ci siano chiari segnali testuali come la presenza di una congiunzione subordinante (Dan 3,17a) o della particella relativa yDI (Dan 2,10d). 63 Dan 4,12bd.20fh.23b.29b; Esd 6,3de.4b. A questi casi se ne devono aggiungere due la cui assegnazione al campo del futuro non è così chiara. Dan 7,27b riporta un’affermazione che può essere intesa legata sia all’asse del futuro che a quello del presente. Tale PNS può essere compresa anche come un commento da parte della voce narrante, la quale inserisce, all’interno di questo quadro rivolto al futuro, l’affermazione che il regno di Dio “è un regno eterno”. Considerato, però, il contesto immediato, la lettura al futuro a mio parere è da preferire. In Esd 4,16d è presente la particella yt;yai il cui uso è attestato per lo più nell’asse temporale del presente. Per tale motivo alcuni studiosi non esitano a tradurre il testo in questione proprio con questo tempo verbale. Tuttavia il fatto che tale PNS sia preceduta da costrutti appartenenti all’asse temporale del futuro indicativo, insieme al significato proprio della frase, indicano che Esd 4,16d sta nell’asse del futuro. SEGERT, Grammatik, § 5.5.5.2, cita questo caso e propone la traduzione «es gibt»; BDB (ad vocem yt;yai) riporta questo versetto di Esd solo per notare che la particella yt;yai è posta prima del soggetto; HALOT (ad vocem yt;yai) riporta «there is»; VOGT (ad vocem yt;yai [2]b) invece traduce al futuro: «si Jerusalem munitur, in Transpotamia pars (i. e. dominatus et reditus) … tibi non erit». 64 BAUER-LEANDER, § 84; SEGERT, Grammatik, § 6.6.6.4. 65 «L’imperativo è una forma verbale che presenta affinità strutturali con le forme verbali commentative» (WEINRICH, Tempus, 265). 66 NICCACCI, Sintassi, § 4,1 (d). 67 Per l’ebraico biblico NICCACCI, Sintassi, § 65, ritiene possibile una sequenza di imperativi non coordinati da waw. Inoltre egli considera l’ûqetol una forma volitiva di continuazione, in cui il waw ha solo una funzione coordinante e il cui valore sintattico è uguale a quello dell’imperativo iniziale (ibid., § 61). Ciò vale anche per l’AB. 68 SEGERT, Grammatik, § 6.6.6.4.4, afferma che l’azione espressa dal secondo verbo è logisch subordiniert alla prima, e traduce il versetto: «steh auf, iß», che secondo lui equivale: «steh auf, um zu essen». Io invece ritengo che le due azioni si possano considerare successive l’una all’altra. 69 Dan 2,4b; 5,10d; 6,7c.22b. Per il senso da dare a queste formule cfr. BAUER-LEANDER,
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tiene allo Sf (Dan 4,12a.20e). All’interno del DD l’x-imperativo segna il passaggio da altri assi temporali a quello del futuro volitivo ed in questi casi si pone sul PP70. 1.10 Proposizioni con yDI iniziale La particella yDI è usata con diverse funzioni in AB. In modo generale, la funzione di tale particella71 è di nominalizzare l’elemento seguente, sia quando esso è solo un sostantivo72, sia quando è costituito da una intera proposizione verbale o nominale, che in tal caso si pone sullo Sf73. In questo secondo caso la particella yDI può essere legata ad un qualche elemento della proposizione precedente74 (Dan 3,7b) o assumere il valore di una congiunzione subordinante75, da sola o unita ad una preposizione76 (Dan 2,34a): Dan 3,7 b ab'h]D: ~l,c,l. !ydIg>s' adorarono la statua d’oro
aK'l.m; rC;nk;Wbn> ~yqEh] yDI
che il re Nabucodonosor aveva eretto § 84, e la risposta di MURAOKA, Notes, 161, alla loro interpretazione. In Esd 4,22a secondo SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.6.4, è attestato l’uso dell’imperativo di aw"h] in costruzione perifrastica, con il valore di un semplice imperativo. SEGERT cita altri casi di imperativo perifrastico al di fuori dell’AB. In realtà il problema è connesso alla forma !yrIyhiz> e al modo in cui essa è analizzata. SEGERT, appunto, la considera un participio peil della radice rhz [BDB ad vocem rh;z>], ma sia VOGT che HALOT la trattano come un semplice aggettivo [VOGT ad vocem ryhiz>; HALOT ad vocem ryhiz>]. GREENFIELD, Imperative, 207, ha studiato l’imperativo perifrastico in vari documenti in lingua aramaica ed arriva alla conclusione che «this form is not known from Biblical Aramaic». 70 Una tale funzione non si riscontra mai con l’imperativo iniziale. Questa, se non è all’inizio del discorso diretto, segue sempre un x-imperativo (Dan 2,4c; 3,26e; Esd 5,15c; 6,7a) e in un caso viene dopo un x-yiqtul volitivo di PP (Dan 2,24e). 71 Per l’ebraico rv,a] cfr. NICCACCI, Sintassi, § 6. 72 In questo caso yDI esprime il genitivo in concorrenza con lo stato costrutto (MURAOKA, Notes, 152-153). Per le varie funzioni di yDI inquadrate nello sviluppo storico delle lingue semitiche, con un’attenzione particolare all’ebraico rv,a], cfr. ROSÉN, Vorgeschichte, 318-321. 73 Un’eccezione a questa regola l’ho fatta nei casi in cui yDI introduce un discorso diretto. Tutto il DD seguente si può intendere come un complemento oggetto del verbum dicendi da cui dipende (BAUER-LEANDER, §§ 109 d.110 c; SEGERT, Grammatik, §§ 7.4.6.6; 7.5.6.1). Questo particolare uso si può paragonare al greco o[ti o all’ebraico yKi (HALOT ad vocem yDI [3b]; cfr. Dan 2,25c; 4,31f; 5,7d; 6,6b.14c). Interessante a tal proposito è ciò che afferma MILLER, Representation, 116, per il yKi e la posizione di PAT-EL, Syntax, 69-70, per yDI. 74 Si può pensare che la proposizione relativa abbia una funzione attributiva rispetto all’elemento a cui la particella yDI si riferisce. Ho lasciato queste proposizioni all’interno dello stesso riquadro. 75 COHEN, Phrase, 404; per l’ebraico cfr. NICCACCI, Sintassi, §§ 99.146.150.155. Ho evidenziato la dipendenza dalla proposizione precedente con il simbolo “÷”, posto alla fine di questa e all’inizio della yDI-P. 76 BAUER-LEANDER, § 110; SEGERT, Grammatik, § 7.5.6. Si può pensare che le yDI-P siano complementi (di tempo, di causa, di fine, ecc.) retti dal verbo della proposizione principale (LI, Verbal, 121).
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Dan 2,34 a ÷ t'y>w:h] hzEx' PP Stavi guardando b !b,a, tr,zt.hi yDI d[; ÷ Sf finche si staccò una pietra
Si possono distinguere: 1) yDI-P in cui la forma verbale segue immediatamente la particella yDI: yDI-qetal (Dan 3,18d; 6,25b); yDI-yiqtul (Dan 3,6a; 5,29d); yDI-participio (Dan 5,5c); 2) yDI-P in cui tra la particella yDI e la forma verbale si interpone un elemento x: yDI-x-qetal (Dan 2,23c; 5,22b); yDI-x-yiqtul (Dan 4,3b); yDI-xparticipio (Dan 2,11a; Esd 4,19d); 3) proposizioni in cui alla particella yDI segue una proposizione senza verbo: yDI-PNS77 (Dan 4,5a; 5,23e). Tutte queste proposizioni hanno un duplice carattere. Da un lato sono strettamente legate ad un’altra proposizione sovraordinata, dall’altro presentano un proprio comportamento che deriva dal tipo particolare di costrutto che la particella yDI introduce: yDI-(x-)qetal; yDI-(x-)yiqtul; yDI-(x-)participio, yDI-PNS. Inoltre l’ analisi comparata di tali costrutti ha mostrato che la presenza o l’assenza dell’elemento x, tra la particella relativa e la forma verbale, non cambia il senso delle singole forme, per questo, nel precedente elenco è posto tra parentesi. 1.11 Segni macrosintattici NICCACCI suggerisce che compito dei segni macrosintattici è quello di collegare le diverse parti di un testo in modo da non interrompere l’unità narrativa78. WEINRICH afferma che tale funzione nella lingua è svolta dagli avverbi79. Nell’AB ho individuato tre categorie di SgM: !yId:a/80, presente per lo più nella Nar; ![;K., attestato solo nel DD; Wla]/Wra], esclusivo del DD. La presenza di un SgM lungo il racconto indica che quanto alla messa in rilievo la proposizione seguente si trova sul PP, anche se è costituita da un costrutto che normalmente si trova sullo Sf. !yId:a/ e ![;K. possono anche introdurre nella linea principale – senza interromperla – una proposizione duplice costituita da una protasi81, che indica una circostanza temporale, causale o condizionale, e da un’apodosi. I SgM più ricorrenti nella Nar sono !yId:a/ e !yId:aBe, a cui molti autori riconoscono un ruolo particolare82. Questa classe di SgM si unisce prevalentemente al 77 Per PNS qui intendo lo stesso tipo di proposizioni analizzate in precedenza in 1.8. Non sono inseriti in questa categoria i casi in cui yDI esprime la funzione di genitivo, ma si considerano yDI-PNS quelle proposizioni in cui l’antecedente funge da soggetto, il quale non viene ripreso nella proposizione relativa, ad esempio %d"ybi-yDI in Esd 7,25a (cfr. BAUER-LEANDER, § 98 f.v). 78 NICCACCI, Sintassi, § 12. Per l’ebraico egli individua tre tipi di SgM: yhiy>w:, hNEh(i w>), hT'[(; w>). 79 WEINRICH, Tempus, 244; li chiama «Segnali macrosintattici di articolazione» (ibid., 254s). 80 In questa categoria ho raggruppato anche altri avverbi e sintagmi: !yId:aBe, hn"D> lbeq\-lK', an"m.zI-HBe, ht'[]v;-HB;, hn"D> rt;aB', !yrEx\a' d[;w>. 81 Cfr. NICCACCI, Sintassi, §§ 19.31.96, per i termini “protasi” e “apodosi”. 82 BUTH, ˀĕḏáyin/tote, 35.37. Lo stesso autore, nel medesimo articolo, tenta una distinzione
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qetal o a x-qetal, ma è attestato un loro uso con il participio e l’x-participio e, solo in un caso, rispettivamente con una PNS, con lo yiqtul e l’x-yiqtul 83. Nella Nar questo segna l’inizio del PP, dopo i costrutti di antefatto84. Nel DD !yId:a/ si trova legato all’asse temporale del passato all’interno di un racconto orale85 (Dan 5,24a). In Dan 3,7a un SgM mantiene sul PP una proposizione duplice costituita da un yDI-participio (righe 2 e 3), la protasi, e da un participio iniziale (4), l’apodosi. Il primo membro fornisce le indicazioni temporali, il secondo riporta l’azione principale ed è seguito da un altro participio (Dan 3,7b), che si trova sul PP della Nar. La presenza del segno macrosintattico permette al racconto di procedere senza interruzioni e nello stesso tempo di inserire delle circostanze secondarie86. Dan 3,7a 1) an"m.zI-HBe hn"D> lbeq\-lK' SgM
2)
Protasi
3)
4)
Allora, in quel tempo
at'yqiArv.m; an"r>q; lq" aY"m;m.[;-lK' !y[im.v' ydIK.
quando sentirono tutti i popoli il suono del corno, del flauto, ar"m'z> ynEz> lkow> !yrIjen>s;P. ak'B.f; [sArt.q;] (srtyq) della cetra, della sambuca, del salterio, e di ogni genere di strumenti musicali
aY"n:V'liw> aY"m;au aY"m;m.[;-lK' !ylip.n"
Apodosi si prostrarono tutti i popoli, le nazioni e le lingue
tra il significato da attribuire ai due avverbi. In un precedente lavoro (Word, 127.132.134) BUTH aveva affermato che !yId:a/, !yId:aBe, come anche hn"D> lbeq\-lK', sono «clausal relators [that] were not counted as occupying the first constituent position of the clauses». an"m.zI-HBe, ht'[]v;-HB; e hn"D> rt;aB' degradano, a suo dire, la proposizione allo Sf, se ricoprono la prima posizione di una proposizione. POLAK asserisce che l’uso di !yId:a/ crea una «highly schematic sequence, quite suitable for oral narrative» (POLAK, Daniel, 256, in particolare la n. 24). SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.1.7, afferma che queste particelle servono per specificare l’appartenenza ad un determinato asse temporale delle diverse forme verbali. LI, Verbal, 106, considera !yId:aBe, non un «temporal marker», ma «a discourse marker introducing clause clusters». ROSÉN rappresenta, in questo quadro, una voce discordante. Egli afferma che questi avverbi hanno una funzione di «hypotactic syndesis» (ROSÉN, Tenses, § 3,41). 83 hn"D> lbeq\-lK' una volta con x-yiqtul e an"m.zI-HBe una volta con yiqtul. Un caso particolare è rappresentato da Esd 5,5d dove c’è la forma !yId:a/w< insieme ad uno yiqtul di Sf nella Nar. In questo caso, come in Esd 5,16c dove si trova lo stesso avverbio unito alla preposizione !mi, !yId:a/ non assume la funzione di SgM bensì quella di avverbio con valore temporale. 84 Dan3,3a; 4,4a; 5,3a; 7,1c; Esd 4,9a. 85 NICCACCI, Sintassi, § 25. 86 Per questo SgM vale ciò che NICCACCI, Sintassi, § 36, afferma per il yhiy>w: ebraico, esso infatti assume «la funzione di rafforzare la “testualità” (cioè la coerenza e la consistenza) del testo». Cfr. anche Dan 6,15a; Esd 4,23a; 6,13a.
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In Dan 4,33a si può osservare l’esistenza in AB di un waw di apodosi87: Dan 4,33a1) an"m.zI-HBe SgM
2)
Protasi
3)
In quel momento
yl;[] bWty> y[iD>n>m;
mentre il mio senno mi tornava
yl;[] bWty> ywIzIw> yrId>h; ytiWkl.m; rq;yliw>
Apodosi e per la gloria del mio regno il mio onore e il mio splendore
4) 5)
mi tornavano
!A[b;y> yn:b'r>b.r:w> yr:b.D"h; yliw>
e mi cercavano i miei consiglieri e i miei nobili
tn:q.t.h' ytiWkl.m;-l[;w>
sul mio regno fui riposto (letteralmente: la cosa fu posta in ordine)
Al SgM (1) seguono tre x-yiqtul (2;3;4) che descrivono azioni contemporanee a quella della proposizione di apodosi (5), un x-qetal preceduto appunto da un waw, che nella traduzione può essere tralasciato riporta l’informazione principale che l’autore vuol fornire. ![;K.88 può essere paragonato all’ebraico hT'[;. Il suo valore è cioè temporaleargomentativo89, nel senso che con esso viene indicata la conseguenza di un’azione o si specifica la conclusione a cui si giunge in seguito a ciò che viene detto precedentemente. Anche questo avverbio riporta sul PP un costrutto che, dato il contesto, potrebbe essere assunto come di Sf. ![;K. si trova con forme del passato (Dan 5,15a), del presente (Dan 4,34a) e del futuro (Dan 3,15a; Esd 4,13). In Esd 4,14a ![;K. regge sul PP un’intera proposizione duplice90:
87 NICCACCI, Sintassi, §§ 96.122. GRELOT, Waw, 39, ha individuato un waw di apodosi nell’aramaico d’Egitto, ma non in quello di Daniele, per il quale egli ritiene che «l’apodose qui suit les propositions conditionnelles est généralement introduite sans aucun avertissement». Occorre sottolineare tuttavia che l’uso dei termini protasi e apodosi è ristretto da questo studioso solo ai casi di periodi ipotetici introdotti dalla congiunzione subordinante !he. WESSELIUS, Literary, 275-283, ammette l’esistenza di un waw di apodosi in aramaico biblico, anche se lo pone in relazione con yDI lbeq\-lK'. 88 In Esd 5,16c tale avverbio temporale è preceduto dalla preposizione d[; e non sembra ricoprire alcuna funzione macrosintattica. Essa è l’unica attestazione in cui non compare all’inizio di una proposizione [cfr. HALOT ad vocem ![;K.]. 89 NICCACCI, Sintassi, § 73; GZELLA, Tempus, 212; VOGT, Lexicon, ad vocem ![;K.. 90 Il versetto in questione permette anche un’altra interpretazione che non toglie alcun valore alla funzione macrosintattica dell’avverbio temporale ![;K.. Infatti è possibile considerare come protasi solo il yDI-x-qetal (riga 2) e come apodosi la waw-PNS (riga 3), la quale però, essendo un costrutto di PP, si dovrebbe porre sull’asse temporale del presente. Seguendo questa ipotesi la congiunzione coordinante w> sarebbe un waw di apodosi e il successivo x-qetal inizierebbe l’asse temporale del passato. La traduzione, che ne deriva, è la seguente: “Ora, poiché noi abbiamo mangiato il sale del palazzo, l’ignominia del re non è appropriato a noi vedere; abbiamo mandato su questo (una lettera)”.
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Esd 4,14a 1)
SgM
2)
Protasi
3)
Protasi
4)
![;K.
Adesso
an"x.l;m. al'k.yhe xl;m.-yDI lbeq\-lK'
poiché noi abbiamo mangiato il sale del palazzo
azEx/m,l. an"l; %yrIa]) al' aK'l.m; tw:r>[;w>
e l’ignominia del re a noi non era appropriato vedere
an"x.l;v. hn"D>-l[;
Apodosi su questo abbiamo mandato (una lettera)
Wla] ed Wra] sono due SgM che rendono presente e vivo all’ascoltatore un fatto o un elemento su cui l’autore vuole richiamare particolarmente l’attenzione. Tali segni si possono porre in relazione con la particella presentativa hNEh91 i , che svolge un ruolo simile nella sintassi ebraica92. A differenza di hNEhi, però, Wla] ed Wra] sono presenti solo nel DD93, e nel caso dell’AB tutte le attestazioni sono legate all’asse del passato e ricorrono in racconti di sogni o di visioni. Wla] ed Wra] mantengono sul PP il costrutto seguente, che, senza la presenza di tali particelle, sarebbe di Sf. 1.12 Costruzione perifrastica Nella costruzione perifrastica ho dato preminenza al tense marker94 ed ho classificato le proposizioni in cui il participio è unito al qetal o allo yiqtul di aw"h]95 come (x-)qetal o (x-)yiqtul 96. In ogni attestazione ho messo in evidenza se il participio segue (aw"h] + participio) o precede (participio + aw"h]) la forma del verbo essere. Ho puntato il mio interesse sulle eventuali differenze nella costruzione perifrastica a seconda dell’ordine participio/aw"h97 ] , indipendentemente dal tempo di quest’ultimo98. Ho messo, quindi, a confronto l’uso dell’una e dell’al91 Secondo COHEN, Phrase, 425, Wla]/Wra] non sono interiezioni, quanto piuttosto degli elementi che introducono un predicato, sia nominale che verbale. 92 NICCACCI, Sintassi, §§ 70-72. COHEN, Phrase, 426, pensa che «cette construction avec Wla]/ Wra] pour introduire une phrase explicitant le contenu d’un rêve ou d’une vision est très exactement parallèle à celle qu’on trouve en hébreu dans les textes prophétiques». 93 Wla]/Wra] si trovano con l’x-qetal (Dan 7,8b), l’x-participio (Dan 7,2e) o con una PNS (Dan 7,8d). 94 LI, Verbal, 89. MURAOKA, Notes, 158, parla di «time marker» e considera il participio «neutral». 95 Cfr. n.69 per il caso di costruzione perifrastica participio + imperativo di aw"h]. 96 Solo in tre casi il verbo essere si trova all’inizio della proposizione: Dan 2,20c.43c; Esd 4,24b. 97 Per BAUER-LEANDER, § 81 p, la terza persona del verbo aw"h] si trova prima del participio, mentre nelle altre persone lo segue. GREENFIELD, Imperative, 206, considera delle eccezioni i casi in cui il participio precede il verbo essere. Secondo lui alcuni di questi casi si possono spiegare come scelta stilistica dell’autore, in quanto la forma che ci si dovrebbe attendere normalmente è aw"h] + participio. 98 Ritengo valido ciò che affermano gli studi consultati cioè che la costruzione perifrastica con il qetal del verbo aw"h] indica la durata di un evento nel passato o un’azione abituale (MURAO-
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tra costruzione perifrastica in contesti simili e ho verificato inoltre l’influenza di un elemento x anteposto alla costruzione perifrastica, indipendentemente dall’ordine dei costituenti della costruzione perifrastica99. La costruzione perifrastica aw"h] + participio è attestata nella Nar sia con qetal che con yiqtul ed è presente sia nel PP (Dan 6,4a)100 sia nello Sf (Dan 6,11g)101. La costruzione participio + aw"h] nella Nar si trova solo una volta come xqetal di Sf (Dan 4,26a)102. Dal raffronto si evince che non vi sono differenze tra aw"h] + participio e participio + aw"h] in tale atteggiamento linguistico. Inoltre nella Nar la presenza di un eventuale elemento x prima della costruzione perifrastica è determinante quanto alla messa in rilievo. Infatti i costrutti del tipo x-aw"h] + participio oppure x-participio + aw"h] sono relegati al background. Solo la presenza di un SgM permette che tali costrutti si trovino sul PP (Dan 6,4a; 6,5a). Quando invece il verbo aw"h] si trova in prima posizione (Esd 4,24b), la proposizione occupa la linea principale. Nell’asse temporale del passato del DD è presente sempre il qetal di aw"h]. Mentre i costrutti che contengono la perifrastica aw"h]-participio si trovano sempre sullo Sf e sono tutti del tipo x-aw"h] + participio (Dan 5,19a-e), quelli contenenti la successione participio + aw"h103 ] sono presenti solo sul PP, sia con sia senza un elemento x davanti al participio. La formula participio del verbo hz"x] + qetal del verbo aw"h] ricorre nel contesto o di sogni (Dan 2,31a.34a; 4,7a.10a) o di visioni (Dan 7,2d.4c.6a.7a.9a.11ab.13a.21a) e sembra dare un ritmo al racKA,
Notes, 158; GZELLA, Tempus, 249-250; LI, Verbal, 80-81); la combinazione del participio con lo yiqtul del verbo essere esprime invece un futuro continuo (LI, Verbal, 82) o durativo (GZELLA, Tempus, 265). 99 Occorre infatti sottolineare che quasi mai un sintagma si interpone tra il participio e aw"h], indipendentemente dall’ordine della loro successione. Solo in due casi su 44, Dan 6,3a (yDI-yiqtul nella Nar) e Dan 2,20c (yiqtul di PP nell’asse del futuro volitivo nel DD), aw"h] e participio non sono posti l’uno accanto all’altro. Per Esd 6,10a cfr. n.108. 100 A riprova di quanto sia complesso assegnare un determinato aspetto modale alla costruzione perifrastica basti considerare che gli autori non sempre giungono alla stessa conclusione per un medesimo esempio. Nel caso del versetto citato sopra GZELLA, Tempus, 246, suggerisce che, nel contesto in cui si trova, esso assume il senso di «andauernde oder wiederholte Sachverhalte» e traduce: «Darauf pflegte sich dieser Daniel vor den hohen Beamten und den Provinzstatthaltern auszuzeichnen». LI, Verbal, 81, cita lo stesso caso per fare un esempio di passato «progressive» oppure di aspetto incoativo della perifrastica e traduce: «then this Daniel was distinguishing himself [or began to distinguish himself] over the supervisors and satraps». Dan 6,5a è citato da STEVENSON, Grammar, § 22,4, come un caso di iteratività: «they sought repeatedly to find an excuse»; MURAOKA, Notes, 159, indica lo stesso versetto come un’istanza di «incoative»: «began to seek», mentre LI, Verbal, 81, come un esempio di «inceptive»: «began trying [or, kept trying] to find». 101 Sull’aspetto iterativo che la costruzione perifrastica esprimerebbe in questo contesto convengono sia GZELLA, Tempus, 246, che LI, Verbal, 81. 102 LI, Verbal, 87 riconosce in questo caso alla costruzione perifrastica un aspetto progressivo. 103 In questo tipo di costruzione perifrastica non è mai presente un sintagma tra il participio e aw"h], indipendentemente dall’ordine participio/verbo essere.
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conto, riportando la messa in rilievo sulla linea principale (Dan 7,8a). Tale formula indica che l’autore sta per descrivere un’altra scena, utilizzando poi dei costrutti di Sf104 per tratteggiarla nei suoi particolari. Nell’asse temporale del futuro105 è presente sia il costrutto aw"h] + participio sia participio + aw"h]. Un confronto tra Dan 2,20c e Esd 4,12a106 mette in evidenza che non ci sono differenze di senso o di uso di queste due forme: Dan 2,20c
%r:b'm. ah'l'a/-yDI Hmev. awEh/l,
Sia il nome di Dio benedetto
Esd 4,12a
aK'l.m;l. awEh/l, [:ydIy>
Noto sia al re
Entrambe le occorrenze presentano la stessa persona del verbo aw"h], sono di PP nell’asse del futuro ed assumono una funzione performativa. In Dan 2,43bc107 è possibile osservare tutti e due i tipi di costrutti insieme: Dan 2,43 b av'n"a] [r:z>Bi !wOh/l, !ybir>['t.mi (le parti) saranno mischiate con seme umano
c hn"D>-~[i hn"D> !yqib.D" !wOh/l,-al'w> e non saranno legate tra di loro
La prima parte (b) è un x-yiqtul di PP nell’asse temporale del futuro indicativo; questa è seguita da un waw-yiqtul negato che continua la linea principale. In questo come in tutti i casi esaminati non si notano differenze rispetto ai costrutti x-yiqtul o waw-yiqtul in cui è assente la costruzione perifrastica, né diversità dovute alla sequenza verbo/participio. Nella linea secondaria del futuro non ci sono esempi di costruzione perifrastica del tipo participio + aw"h] ma si trova solo la sequenza aw"h] + participio (Dan 2,42c), talvolta legata alla particella relativa yDI. Dan 6,27 b laYEnId"-yDI Hhel'a/ ~d"q\-!mi !ylix]d"w> [!y[iy>z"] (!y[az) !wOh/l, ytiWkl.m; !j'l.v'-lk'B. yDI che in tutto il dominio del mio regno si tremerà e si avrà timore davanti al Dio di Daniele
104 In questo senso dissento da GZELLA, Tempus, 248, che invece considera queste costruzioni appartenenti all’Hintergrund. 105 COXON, Syntax, 109, afferma che l’uso del participio con lo yiqtul del verbo essere esprime un’azione che è continua o ripetuta. 106 Altre attestazioni di questa formula sono Dan 3,18b e Esd 5,8a. 107 LI, Verbal, 87 analizza separatamente le costruzioni perifrastiche in cui il participio è passivo e arriva alla conclusione che «the occurrences of aw"h] with the passive participle consist of the verb “to be” with an adjectival predicate».
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In Dan 6,27b il verbo aw"h] è posto prima di due participi108 ed è legato ad entrambi. L’x-yiqtul specifica il contenuto del decreto del re, analogamente a quei casi in cui è utilizzato un costrutto simile senza costruzione perifrastica. Anche nel DD la presenza di un elemento x prima della costruzione perifrastica pone tali costrutti sullo Sf, indipendentemente dal tempo del verbo aw"h] (Dan 2,42c). Nei due casi in cui lo yiqtul è in prima posizione (Dan 2,20c; 2,43c) o nei casi in cui non vi è nessun elemento prima della costruzione perifrastica, il costrutto invece occupa sempre il PP109. Da quanto detto posso trarre le seguenti conclusioni: 1) Sia nella Nar che nel DD non si osservano differenze tra le costruzioni aw"h] + participio e participio + aw"h110 ] . 2) Nella costruzione perifrastica è il verbo aw"h] che determina il tempo del costrutto e nel DD l’asse temporale in cui esso deve porsi. 3) Il tipo di costrutto all’interno del quale si trova una costruzione perifrastica è determinato dalla posizione del verbo aw"h] e non del participio; tutti i casi sono classificabili in una delle seguenti categorie: (waw-)qetal; (waw-)x-qetal; (waw-)yiqtul; (waw-)x-yiqtul. 4) La presenza di uno o più sintagmi prima della costruzione perifrastica, a prescindere dall’ordine degli elementi (participio, aw"h]), è rilevante per la determinazione della messa in rilievo di tale costrutto, sia nella Nar che nel DD.
108 Cfr. Dan 5,19a ed Esd 6,10a. Il secondo participio si può anche considerare come una proposizione a sé stante. Nel caso di Dan 5,19a sarebbe un participio*c nell’asse del passato, simile ad altri casi attestati in tale piano linguistico. In Dan 6,27b e Esd 6,10a i due waw-participi dovrebbero essere posti nello Sf dell’asse temporale del futuro indicativo. Essi costituirebbero però le uniche attestazioni di un participio iniziale in questo asse temporale. Preferisco dunque seguire l’opinione di LI, Verbal, 79, n. 1, il quale afferma che il secondo participio è «a continuation of the complex verb phrase hwh + participle» e non costituisce un «indipendent participle». 109 Ci sono alcuni esempi di participio + aw"h] che sembrano, però, contraddire quanto detto, in quanto tale costruzione occupa la linea principale nonostante un elemento x compaia prima del participio. In realtà, considerando più da vicino i singoli casi, si nota che tale elemento x o è un casus pendens (Dan 2,31a) oppure è parte di un x-qetal (Dan 4,7a) o di un x-yiqtul (Dan 2,41b), i quali si trovano all’inizio dei rispettivi assi temporali del passato e del futuro. In Dan 7,6a.7a.11b.13b il costrutto x-participio + aw"h] è tenuto sul PP grazie alla presenza di un SgM. 110 ROWLEY, Aramaic, 98, giunge ad una conclusione simile. Egli afferma infatti che «in Biblical Aramaic the participle may stand either before or after the auxiliary». LI, Verbal, 96, ritiene che nella costruzione perifrastica l’ordine dei costituenti muti perché «has not yet become fixed».
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2. Narrazione 2.1 Antefatto La narrazione111 inizia sempre con dei costrutti di livello secondario che con NICCACCI chiamo antefatto112. Essi forniscono una specie di introduzione al successivo racconto, presentano il personaggio narrante o riassumono brevemente l’oggetto principale della vicenda. L’antefatto in AB si apre sempre con un xqetal 113. Gli antefatti presenti nel testi presi in considerazione nel mio studio sono114: • Dan 3,1a-2a: costituito da un x-qetal (1a), seguito da due PNS (1bc) e da un qetal continuativo (1d), chiuso infine da un secondo x-qetal (2a); • Dan 4,1a-3b: i due x-qetal (1a;2a) che aprono questo capitolo sono seguiti da un waw-yiqtul (2b), da una PNS (2c) e da un x-yiqtul (2d); l’antefatto procede con un x-participio (3a) e si chiude con un yDI-x-yiqtul (3b); • Dan 5,1a-2b: inizia con un x-qetal (1a) seguito da un x-participio (1b); quindi si conclude con un secondo x-qetal (2a) e un waw-yiqtul (2b); • Dan 7,1ab: il breve antefatto in questo caso serve per indicare il tempo del sogno (x-qetal, 1a) e per fornire una breve specificazione (PNS, 1b); • Esd 4,8a: l’x-qetal riprende il versetto ebraico precedente e inquadra il racconto successivo. I capitoli 5 e 6 di Daniele, così come Esd 4,28-6,18 possono considerarsi come un unico lungo episodio. Le diverse parti, infatti, sono connesse insieme alla fine di un capitolo e all’inizio dell’altro o da forme di sfondo o da forme di PP115. La fine dell’antefatto e l’inizio del PP della Nar è segnato dalla presenza dell’avverbio !yId:aBe, legato a differenti costrutti116. Cfr. Appendice 1. Nello schema non ho riportato le yDI-P sia per non renderlo eccessivamente complesso, sia perché quanto alla messa in rilievo esse si comportano sostanzialmente come le corrispondenti proposizioni che presentano un elemento x davanti al verbo o, nel caso delle yDI-PNS, come le PNS senza particella relativa. 112 NICCACCI, Sintassi, § 6. 113 NICCACCI, Sintassi, § 15, distingue un (waw-)x-qatal iniziale come costrutto di antefatto per distinguerlo da un (waw-)x-qatal non iniziale che si trova sullo Sf. Anche per l’AB i costrutti di antefatto e di Sf sono identici. La loro distinzione può essere fatta in base alla loro posizione prima o dopo il SgM che apre la narrazione (ibid., §§ 19.27.36). 114 Un antefatto è presente anche in Dan 2, ma esso non è stato analizzato perché non fa parte del corpo aramaico del testo masoretico. Seguendo le regole della sintassi ebraica proposta da NICCACCI, esso è costituito da un x-qatal (2,1a), seguito da un wayyiqtol continuativo (2,1b) ed ancora da un secondo x-qatal (2,1c). Con il rm,aYOw: che apre il v. 2 inizia la linea principale della narrazione. 115 Il capitolo 5 di Esdra si chiude con la conlusione della lettera di Tattenai e Setar Boznai e il successivo capitolo 6 si apre con forme di PP nella Nar (Esd 6,1a-2a). 116 Participio in Dan 3,3a; 4,4a; qetal in Dan 5,3a; x-qetal in Dan 7,1c; PNS in Esd 4,9a. In questa ultima occorrenza si trova !yId:a/. 111
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2.2 Sfondo Le proposizioni che nella narrazione occupano lo Sf sono del tipo x-qetal (azione unica), x-yiqtul (azione abituale, ripetuta o descritta nella sua durata), x-participio117; essi sono tutti costrutti in cui la forma verbale non si trova in prima posizione nella proposizione. Anche la PNS nella Nar non occupa mai il PP. Dan 2,48a-49c si apre con un !yId:a/-x-qetal di PP. Esso fornisce l’informazione principale, che di per sé è sufficiente a conoscere ciò che è accaduto dopo l’interpretazione del sogno del re da parte di Daniele. I successivi costrutti di sfondo specificano questo avvenimento e ne offrono alcuni dettagli. I primi tre (48bcd) sono rispettivamente un x-qetal, un qetal*c e una PNS. Essi non indicano azioni posteriori a quella dell’elevazione di Daniele a un rango superiore da parte del re, ma ci informano su ciò che la decisione reale ha comportato: Daniele ricevette dei doni, fu posto a capo della provincia di Babilonia e dei saggi di quella regione. Il waw-x-qetal in 49a pone un elemento di contrapposizione: alla generosità manifestata dal re Daniele, “da parte sua”, espone un’ulteriore richiesta e il waw-qetal*c (49b) dà la notizia dell’immediata promozione anche dei tre amici di Daniele118. La PNS finale (49c) indica un fatto contemporaneo al precedente costrutto. Questi costrutti finali forniscono il setting per il successivo episodio119. Il lettore viene a sapere che le vicende dei quattro protagonisti in qualche modo si separano: i tre amici, Sadrach, Mesach e Abdenego120 subiranno la denuncia da parte dei Caldei per non avere adorato la statua fatta erigere nella valle di Dura (Dan 3), in un luogo lontano dalla reggia; il personaggio di Daniele ricompare invece nel capitolo 4, in un racconto ambientato nel palazzo del re (Dan 4,1a).
117 Secondo BLAU, Minutiae, 8-9, le forme verbali yiqtul e participio possono indicare simultaneità all’azione espressa dal «preceding perfect or temporal adverb»; l’alternanza di questi costrutti mostrerebbe la fusione di due diversi sistemi utilizzati in questa lingua per indicare, appunto, un’azione contemporanea, di cui «the earlier one with the imperfect and the later one with the participle». ESKHULT, Studies, 113, riguardo al Late Biblical Hebrew, parla di un uso del participio in concorrenza con lo yiqtol. Occorre sottolineare però che nell’AB l’x-participio può anche descrivere un’azione unica nel passato (Dan 3,4a; 4,4bc; Esd 5,3b). Dunque mentre l’uso dello yiqtul nella narrazione sembra fissato, lo stesso non avviene per il participio, che appare una forma verbale ancora in evoluzione in questo tipo di costrutto di Sf (ROSENTHAL, Grammar, § 178; GZELLA, Tempus, 143-144). 118 Questo secondo waw-qetal potrebbe essere interpretato anche come un costrutto di PP. Le due informazioni poste sulla linea principale sarebbero, in questo modo, da un lato la promozione di Daniele, dall’altro il nuovo incarico che i tre amici hanno ricevuto dal re. L’interpretazione che ho esposto sopra mi sembra, però, più coerente con il contesto immediato. 119 COLLINS, Daniel, 173. 120 MEADOWCROFT, Aramaic, 124.
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2.3 Primo piano Il PP della narrazione è occupato da due forme: (waw-)qetal, (waw-)participio. Il qetal può essere coordinato ad una precedente forma di PP sia attraverso waw sia per asindeto121, senza alcuna modifica della messa in rilievo. In questo secondo caso è possibile pensare ad una piccola interruzione nella sequenza di tali costrutti122. Un caso particolare si ha quando si presenta un segno macrosintattico che nella Nar è solo della classe !yId:a/. Esso mantiene sul PP il costrutto seguente, anche se non del tipo elencato prima, oppure una intera proposizione duplice. Una sequenza relativamente lunga di forme di PP nella Nar si trova in Dan 3,7a-9b. hn"D> lbeq\-lK' apre la catena e mantiene sul PP una proposizione duplice costituita da un yDI-participio, a cui si può assegnare un valore temporale, e dal participio !ylip.n", l’apodosi, che descrive il fatto principale. Un participio coordinato per asindeto (7b) indica la successiva azione. Nuovamente un SgM123 mantiene sulla linea principale un x-qetal (8a), il quale è seguito poi da un waw-qetal (8b). Infine il qetal del verbo hn"[] (9a) e il participio !yrIm.a'w> (9b) introducono un DD. Una più ampia sezione narrativa si trova in Dan 6,17-21. Essa presenta in prevalenza una serie di qetal, mentre il participio si trova solo nelle formule introduttive del DD (17de; 21bc). La sequenza si apre con un !yId:a/-x-qetal (17a); i waw-qetal seguenti (17bc) si riferiscono ad azioni successive all’ordine del re. Dopo il breve DD la Nar continua con tre waw-qetal (18a-c) di PP, a cui segue un yDI-yiqtul (18d) di Sf: Dan 6,18 a hd"x] !b,a, tyIt'yhew> PP Fu portata una pietra
b aB'GU ~Pu-l[; tm;fuw> PP e fu messa sopra la bocca della fossa c yhiAnb'r>b.r: tq'z>[ib.W Hteq.z>[iB. aK'l.m; Hm;t.x;w> PP e il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi dignitari d laYEnId"B. Wbc. anEv.ti-al' yDI Sf perché non cambiasse niente riguardo a Daniele
La descrizione delle singole azioni in successione costituisce un rallentamento della dinamica narrativa del racconto e crea un effetto di attesa nel lettore. La Nar ritorna sul PP con la forma !yId:a/-qetal di 19a124. Questa procede con un sucTale fenomeno si riscontra anche nel caso del participio (cfr. Dan 3,27b; 5,7a). Questo comportamento differisce dall’ebraico biblico, in cui la forma continuativa di un wayyiqtol di PP è solo un altro wayyiqtol, e nella narrazione non è possibile incontrare un qatal nella prima posizione della proposizione (NICCACCI, Sintassi, §§ 9.15). 123 Solo in Dan 3,7a.8a, si combinano insieme due SgM: hn"D> lbeq\-lK' e an"m.zI-HBe. 124 Paragonando questo costrutto con il precedente waw-qetal in 18a non si notano differenze tra i due: entrambi riportano il racconto sul foreground dopo una interruzione della catena narrativa. È difficile dire se l’autore, utilizzando in questo caso un costrutto diverso abbia voluto 121 122
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cessivo waw-qetal (19b), ancora sulla linea principale, e con due x-qetal (19cd) sullo Sf, i quali descrivono i dettagli della notte insonne del re. Dan 6,20 a aK'l.m; !yId:aBe SgM
Protasi
Allora il re
ah'g>n"B. ~Wqy> ar"P'r>P;v.Bi
all’alba si alzava sul far della luce
lz:a] at'w"y"r>a;-ydI aB'gUl. hl'h'B.t.hib.W
Apodosi e in fretta andò alla fossa dei leoni 21a Sf
q[iz> byci[] lq"B. laYEnId"l. aB'gUl. Hber>q.mik.W
e, quando arrivò alla fossa, con voce angosciata gridò a Daniele
L’avverbio !yId:aBe in 20a segnala che la Nar è di nuovo sul PP. Esso regge una proposizione duplice, in cui la protasi è costituita da un x-yiqtul125, e l’apodosi da un x-qetal. Un’ulteriore interruzione del racconto è data dall’x-qetal in 21a, che sposta la scena dal palazzo del re alla fossa dei leoni. Infine i due participi rm;a'w> hnE[' (21bc) introducono un nuovo DD126. 3. Discorso diretto Per il DD occorre distinguere oltre alla messa in rilievo anche i diversi assi temporali: passato, presente, futuro indicativo, futuro volitivo127.
segnare l’inizio di un nuovo passo nell’episodio, sottolineando il cambiamento di scena dalla fossa dei leoni al palazzo del re, oppure se la sua scelta sia stata determinata da una semplice variazione stilistica. Altri simili esempi si trovano in Dan 6,13a; Esd 4,24a; 5,2a. Il mio interesse, comunque, è di dimostrare che entrambi i costrutti contenenti (waw)-qetal e !yId:a/-(x)-qetal hanno il medesimo comportamento quanto alla messa in rilievo. 125 Cfr. n. 33. Nella traduzione ho preferito mantenere il senso originale del verbo, traducendolo con un imperfetto. Inquadrato nel più ampio contesto di questa sequenza, penso che un senso che si può attribuire a questa forma verbale sia quello di descrivere l’azione nel suo svolgimento, in modo da rallentare il tempo del racconto e creare una maggiore attesa nel lettore (BAR-EFRAT, Narrative, 146). MEADOWCROFT, Aramaic, 91, riguardo ai versetti in esame, afferma: «the suspense over what is happening is achieved by keeping each scene distinct. The suspense is not relieved until the reader with Darius discovers the events of the night. This method of “shaping space” is a characteristic of biblical narrative». 126 Riassumendo l’analisi fatta, in questa parte narrativa ci sono in totale 13 forme di PP (tre !yId:a/-qetal; sei waw-qetal; quattro (waw-)participi) e quattro forme di Sf (tre waw-x-qetal; un yDI-yiqtul, a cui si deve aggiungere l’x-yiqtul che costituisce la protasi della proposizione duplice del v. 20a). 127 Cfr. Appendice 1. Anche in questo caso non ho riportato la posizione né delle yDI-P, né dei SgM per non rendere più complesso lo schema.
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3.1 Passato L’asse temporale del passato si apre sempre con x-qetal. Sia tale forma che il semplice qetal possono essere preceduti da un SgM128. La catena sintattica procede sull’asse principale con forme del tipo qetal o participio (Dan 5,15ab; Esd 5,11de.16ab) Quando si presenta una delle forme che si trovano sullo Sf si ha un’interruzione della sequenza narrativa. In Dan 2,35a l’!yId:a/.-qetal iniziale indica che il costrutto è di PP. Questo è seguito da due waw-qetal (35bc) che rimangono sulla linea principale della comunicazione, mentre l’x-qetal di Sf (35d) pone maggiore enfasi sulla forza del vento, che ha spazzato via i pezzi della statua. Un altro x-qetal (35e) crea un contrasto con quanto detto prima: nonostante la forza del vento la pietra non viene rimossa, ma diviene una montagna. Il waw-qetal*c (35f) chiude la scena, in relazione con la proposizione precedente, dà un’informazione che ne è la diretta conseguenza. 3.2 Presente Nell’asse temporale del presente all’inizio si trova un x-participio o una PNS. Esso prosegue poi sul PP con una successiva PNS o con un participio iniziale129. In tale asse temporale la comunicazione si sposta dalla linea principale a quella secondaria o con costrutti del tipo x-participio (Dan 3,12d; 4,32ab), o con una PNS di Sf (Dan 6,27de)130. Dan 4,34 a xB;v;m. rC;nk;Wbn> hn"a] ![;K. PP Adesso, io Nabucodonosor, lodo
b ~meArm.W PP ed esalto c aY"m;v. %l,m,l. rD:h;m.W PP e glorifico il re del cielo
In Dan 4,34a-c, p. es., i tre costrutti si trovano sul PP131. Il primo (a) è un x-participio, introdotto dal SgM ![;K., seguito da due waw-participi (b.c). In Dan 2,23ab, l’asse del presente inizia con un x-participio (a) e continua con un waw-participio (b). Un esempio, invece, di due PNS di PP nel presente è dato da Dan 4,16hi. In Dan 3,25cde si trova ancora una successione di costrutti appartenenti tutti all’asse del presente. Nabucodonosor si accorge che qualcosa di strano sta avvenendo nella fornace ardente e proclama apertamente la sua incredulità. Il Nel DD può essere del tipo !yId:a/ o ![;K. oppure Wla]/Wra]. Non sono stati rilevati costrutti con qetal o yiqtul in questo asse temporale. 130 Sono attestati participi*c in questo asse temporale. Essi si trovano solo in continuazione di un precedente x-participio o di una PNS di Sf. 131 Anche SHEPHERD, Verbal, 114, pensa che questo versetto sia da analizzare come discorso diretto e non come narrazione. 128 129
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primo (c) di questi costrutti è un x-participio. Esso inizia la linea temporale del presente, segue poi PNS (d), anch’essa di PP. La presenza di un successivo xparticipio (e) fa variare la messa in rilievo. Sull’elemento x, HwErE, è posta l’enfasi della proposizione132. 3.3 Futuro Indicativo L’asse del futuro indicativo inizia con x-yiqtul e prosegue nella linea principale attraverso una successione di (waw-)yiqtul. Quando lungo la catena si incontra un altro x-yiqtul, la messa in rilievo cambia e dal foreground si passa al background. Dan 7,23b-27d presenta una lunga sequenza di proposizioni appartenenti tutte all’asse temporale del futuro indicativo. Un personaggio misterioso (7,16a), presente nella visione di Daniele, spiega a costui il senso di ciò che sta osservando: Dan 7,23b 1) at'y>["ybir> at'w>yxe Casus pendens Riguardo alla quarta bestia
2)
a['r>a;b. awEh/T, [ha'['ybir]> (ay[ybr) Wkl.m;
3)
at'w"k.l.m;-lK'-!mi anEv.ti yDI
PP
c
PP
d
PP
e
PP
un quarto regno sarà sulla terra che sarà diverso da tutti i regni
a['r>a;-lK' lkuatew>
e divorerà tutta la terra
HN:viWdt.W
e la calpesterà
HN:qiD>t;w>
e la stritolerà
L’interpretazione del sogno si apre con un casus pendens (23b1) che annuncia l’argomento seguente. L’x-yiqtul (23b2) apre l’asse del futuro indicativo; ad esso è unito un yDI-yiqtul (23b3), che dà una specificazione riguardante il futuro regno. Seguono altri tre waw-yiqtul (23cde) che comunicano le azioni che il regno compirà.
132 Solo in un caso si osserva una sequenza del tipo PNS di PP/PNS di Sf: Dan 3,16c.17a. La seconda PNS, però, è la protasi di un periodo ipotetico, l’apodosi del quale è costituita dal successivo x-yiqtul. Quindi i due costrutti, seppur vicini, sono in realtà semanticamente separati tra di loro. Le PNS di Sf in questo asse si trovano per lo più dopo la congiunzione subordinante !he (Dan 3,15a.17a; Esd 5,17a) o all’interno di una yDI-P, in particolar modo dopo una yDI-PNS (Dan 5,23e; 6,27de).
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Dan 7,24a 1)
rf;[] aY"n:r>q;w>
Casus pendens E riguardo ai dieci corni
2)
!Wmquy> !ykil.m; hr"f.[; ht'Wkl.m; HN:mi
b
!AhyrEx]a; ~Wqy> !r"x\a'w>
PP Sf
c
Sf
d
Sf
25a Sf
b
Sf
c
PP
d
PP
da quel regno sorgeranno dieci regni ma un altro sorgerà dopo di essi
ayEm'd>q;-!mi anEv.yI aWhw>
ed esso sarà diverso dai precedenti
lPiv.h;y> !ykil.m; ht'l't.W
e tre re abbatterà lLim;y> [ha'L'[i] (ayl[) dc;l. !yLimiW e proferirà parole contro l’Altissimo
aLeb;y> !ynIAyl.[, yveyDIq;l.W
e i santi dell’Altissimo logorerà
td"w> !ynIm.zI hy"n"v.h;l. rB;s.yIw>
esso avrà intenzione di mutare i tempi e il giudizio
!D"[i gl;p.W !ynID"[iw> !D"[i-d[; HdEyBi !Wbh]y:t.yIw>
ed essi saranno dati nella sua mano per un tempo, tempi e metà di un tempo
I v. 24-25 permettono di osservare l’alternanza dei costrutti di PP e di Sf. Il casus pendens e l’x-yitul (24a) indicano l’inizio di una nuova catena con un cambio di argomento. Non si parla più del quarto regno ma dei successivi dieci che sorgeranno da quello. Il racconto, poi, passa sullo Sf per la presenza di un secondo x-yiqtul (24b) che crea un contrasto con quanto detto in precedenza. Esso annuncia l’avvento di un successivo regno diverso dai dieci. Attraverso una serie di x-yiqtul di Sf ne vengono descritte le caratteristiche (24c) e il comportamento nei confronti di altri tre re non meglio specificati, dell’Altissimo e dei suoi santi (24d.25ab). Quando, però, l’autore elenca le azioni di questo regno in relazione ai dieci regni, che costituiscono il tema dei v. 24-25, egli usa dei costrutti di PP del tipo waw-yiqtul (25cd), posti in relazione diretta con xyiqtul iniziale di PP (24a). I v. 26-27133 presentano, invece, dei costrutti di Sf diversi tra loro: tre x-yiqtul (26ab.27c), un waw-yiqtul continuativo di Sf134 (27d), una PNS (27b) e un x-qetal (27a)135. Essi annunciano la fine di questo ultimo regno, in contrasto 133 Per i problemi relativi alla traduzione di questi versetti cfr. MEADOWCROFT, Aramaic, 217-221. 134 Il waw-yiqtul*c si trova solo in continuazione di un precedente x-yiqtul di Sf sull’asse del futuro indicativo. 135 Cfr. n. 18. SHEPHERD, Verbal, 122, spiega la presenza in questo contesto di tale tempo verbale tipico, a suo dire, solo della narrazione, come una costruzione che ricorda la successione wayyiqtol/x-qatal nell’ebraico biblico, in cui i verbi all’imperfetto inverso e al perfetto appartengono alla stessa radice. Egli richiama il caso di Gen 1,5 dove si contrappongono le forme ar"q.YIw: e ar"q". Nel testo in esame lo stesso fenomeno si verificherebbe tra Dan 7,25d e Dan 7,27a. «Here
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con la potenza che esso sembrava avere nel precedente passaggio, e la venuta del regno del popolo dei santi dell’Altissimo. 3.4 Futuro Volitivo L’asse del futuro volitivo può iniziare con un imperativo (Dan 4,11c), con un x-imperativo (Esd 5,15b), con un x-yiqtul (Dan 2,24d) o con uno yiqtul (Dan 2,20c). Esso prosegue solitamente con un imperativo in prima posizione nella proposizione, con o senza waw. Nel successivo schema propongo queste costruzioni in sinossi: (waw-)imperativo
← ← ← ← Costrutti iniziali
Dan 4,11cd yhiApn>[; WcCiq;w> e spezzate i suoi rami Esd 5,15bc lz
an"l'yai WDGO
Tagliate l’albero afe aY"n:am' [lae] (hla)136 Prendi questi utensili,
dbeAhT.-la; lb,b' ymeyKix;l.
I saggi di Babilonia non uccidere,
Talvolta dopo un x-imperativo può trovarsi anche uno yiqtul di PP nel futuro volitivo. In Dan 5,10def ci sono tre costrutti volitivi. Il primo, un x-imperativo (d), apre la linea del futuro volitivo. Il secondo, uno yiqtul di forma breve negato (e), continua la medesima linea senza determinare alcuna variazione quanto alla messa in rilievo. Il terzo (f), infine, è un x-yiqtul di forma breve, anch’esso negato dalla particella la;. Esso, in questo caso, si trova dopo altri costrutti volitivi, ciò determina il passaggio dalla linea principale a quella secondaria. Sull’elemento x che precede il verbo infatti è posta una certa enfasi, oppure, come nel caso di alcune forme x-imperativo di Sf (Dan 4,12a.20a) serve a sottolineare il contrasto con quanto detto in precedenza. Inoltre l’x-impethe wyqtl is followed by an “x+qtl” clause in which the verbal root is the same. The action of the qtl is layered upon the action expressed in the wyqtl; thus, the qtl does not stand alone». SHEPHERD quindi traduce: «And the kingdom was given to a people». Da un lato l’affermazione di questo autore conferma la collocazione dell’x-qetal nella linea secondaria; anche l’x-qatal, a cui egli si rapporta, è infatti un costrutto di Sf (NICCACCI, Sintassi, § 5). D’altra parte la spiegazione di SHEPHERD non mi sembra esauriente, anche perché giunge alla conclusione che occorre tradurre questo verbo con il passato, il che non rende pienamente il senso della frase, che a mio parere invece è il seguente: al popolo dei santi sarà dato un regno eterno e tutti gli altri si sottometteranno ad esso, ma ciò avverrà solo dopo che sarà posto il giudizio contro l’ultimo regno, che è sorto dopo la caduta dei precedenti dieci. L’azione è cioè legata ad un futuro, che deve ancora venire, e non ad un passato già realizzato. 136 Secondo BAUER-LEANDER, § 21 c.d, lae compare in aramaico biblico solo come aggettivo. Essi traducono Esd 5,15: «diese Gefäße» (cfr. anche ROSENTHAL, Grammar, § 34). VOGT traduce: «haec vasa» (ad voces lae ed hla). SEGERT, Grammatik, § 6.2.3.1.4, ammette che l’aggettivo dimostrativo può trovarsi raramente prima del nome.
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rativo è il solo costrutto che inizia la linea del futuro volitivo quando si verifica un cambiamento relativo all’asse temporale all’interno del DD137. Conclusioni Attraverso l’analisi delle varie forme verbali e la distinzione tra Nar e DD, tra PP e Sf è stato possibile delineare un quadro che mostra i diversi costrutti dell’aramaico biblico. Presento sinteticamente i risultati a cui sono giunto. a) Il qetal, similmente al wayyitol ebraico138, è il tempo della Nar. In tale atteggiamento linguistico infatti indica il PP139. Come la corrispondente forma ebraica, il qetal non è una forma iniziale in senso assoluto, infatti al principio della narrazione si trova sempre un costrutto retto da un SgM. Nel DD il qetal è presente solo nell’asse temporale del passato, in quello che NICCACCI definisce “discorso narrativo”140, con funzioni simili a quelle della Nar. b) L’x-qetal nella Nar è un costrutto di Sf. Nel DD esso occupa la linea principale solo all’inizio dell’asse temporale del passato141, in quanto, come detto, il qetal è una forma continuativa. Negli altri casi l’x-qetal è un costrutto di Sf. c) Lo yiqtul nella Nar si trova solo in due attestazioni come forma di antefatto sempre con la congiunzione waw. Nel DD invece occupa il PP nell’asse del futuro indicativo (con e senza waw) o del futuro volitivo (senza waw). In questo secondo caso può essere una forma iniziale. Quando invece è parte dell’asse del futuro indicativo il (waw-)yiqtul segue un precedente x-yiqtul, con un comportamento simile al weqatal ebraico142 in un analogo contesto. d) L’x-yiqtul è un costrutto di Sf nella Nar e nell’asse temporale del passato all’interno del DD. In questi casi esprime l’iterazione o lo svolgimento di un’azione. Nell’asse del futuro indicativo l’x-yiqtul è di PP, se compare all’inizio di tale linea temporale, altrimenti è di Sf, indicando in tal caso enfasi sull’elemento x che precede il verbo o contrapposizione. A volte alcuni criteri 137 In Esd 4,21-22 sembra esserci, però, un esempio che smentisce quanto detto. In 21a si trova l’unica attestazione di un SgM posto immediatamente prima di un imperativo. È proprio tale segnale a indicare che il nuovo costrutto di PP interrompe la precedente sequenza di Sf (Esd 4,19d-20c). La comunicazione passa dal livello secondario del passato alla linea principale nell’asse del futuro volitivo. Il successivo x-yiqtul (21b) si può considerare come una forma di PP nell’asse del futuro indicativo, mentre il secondo x-yiqtul (21c) è sulla linea secondaria (cfr. SHEPHERD, Verbal, 131, n. 79) e fornisce una specificazione temporale della precedente proposizione. Con l’x-imperativo in 22a la comunicazione ritorna nuovamente sul PP, spostando nuovamente l’asse temporale dal futuro indicativo al futuro volitivo. 138 NICCACCI, Sintassi, § 140. 139 Contrariamente a quanto afferma COOK, Word, 10: «the VO order in temporal sequence clauses is not an infrangible rule, but simply a noteworthy tendency». 140 NICCACCI, Sintassi, § 143. 141 NICCACCI, Sintassi, § 149. 142 NICCACCI, Sintassi, § 156.
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morfologici (forma breve; presenza della negazione la;), a volte solamente il criterio semantico permettono di individuare l’x-yiqtul con funzione volitiva. e) Il participio in prima posizione nella Nar è di PP in concorrenza con il qetal. Nel DD, invece, esso può occupare il PP dell’asse temporale del passato e del presente e si trova come forma continuativa di Sf nei medesimi assi temporali, indicando contemporaneità. f) L’x-participio si trova nello Sf della Nar e dell’asse temporale del passato, del presente e del futuro all’interno del DD. Può descrivere un’azione unica o indicarne il suo svolgimento. Nel DD tale costrutto si trova sulla linea principale solo nel presente, in tal caso riporta un fatto contemporaneo al momento in cui avviene la comunicazione. g) La PNS nella Nar esprime contemporaneità o fornisce la descrizione di un fatto. Essa si pone sempre nello Sf. All’interno del DD la PNS è sulla linea principale solo nell’asse del presente, mentre è utilizzata come costrutto di Sf in tutti e tre gli assi temporali. h) Le forme volitive imperativo e x-imperativo sono proprie del DD. Solo l’x-imperativo segna la transizione temporale da altri assi temporali a quello del futuro volitivo. i) yDI può introdurre una PV, una PNC, o una PNS. Quanto alla messa in rilievo tutte queste proposizioni sono sulla linea secondaria sia nella Nar che nel DD. j) Ho dimostrato che nella costruzione perifrastica non è importante per la messa in rilievo tanto la successione participio-aw"h] o aw"h]-participio, quanto la presenza di un elemento x posto prima di entrambi gli elementi participio/verbo. k) Ho segnalato la presenza e il comportamento dei SgM sia nella Nar che nel DD mostrandone l’attitudine a mantenere sul PP anche costrutti che normalmente si trovano sullo Sf o intere proposizioni duplici. Il lavoro svolto rappresenta un primo passo verso ulteriori tentativi di utilizzare la linguistica testuale nello studio della lingua aramaica. Credo comunque che il mio studio abbia mostrato la validità di tale approccio nello studio delle lingue semitiche, come affermato da NICCACCI per l’ebraico143. Paolo Messina, ofmcap Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme – Ragusa
143
NICCACCI, Sintassi, § 80.
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Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale
Appendice 1: Schema dei costrutti sintattici per l’AB
Narrazione
ANTEFATTO
PRIMO PIANO
Forma iniziale
Forme iniziali
Forme continuative
Forme continuative
x-qetal
x-qetal → qetal*c x-yiqtul waw-yiqtul x-participio PNS ASSE TEMPORALE PASSATO
SgM/(x-)qetal/(x-)participio
qetal participio
Discorso Diretto
PRIMO PIANO Forme iniziali
x-qetal
Forme continuative
qetal participio
PRESENTE
Forme iniziali
x-participio PNS
Forme continuative
FUTURO
INDICATIVO
SFONDO
participio PNS
Forme iniziali
x-yiqtul
Forme continuative
yiqtul
FUTURO VOLITIVO Forme iniziali (x-)imperativo (x-)yiqtul (forma breve) Forme continuative
yiqtul (forma breve) imperativo
x-qetal → qetal*c x-yiqtul x-participio PNS
SFONDO
x-qetal → qetal*c x-yiqtul x-participio → participio*c PNS → participio*c x-participio → participio*c PNS → participio*c x-yiqtul → yiqtul*c x-qetal x-participio PNS
x-imperativo x-yiqtul (forma breve)
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Appendice 2: Schema proposto da NICCACCI per l’ebraico biblico144
Narrazione
ANTEFATTO
PRIMO PIANO
x-qatal PNS x-yiqtol weqatal
SFONDO
wayyiqtol / aOlw> + qatal
(waw-)x-qatal / (waw-)x-aOl + qatal PNS
(waw-)x-yiqtol/ (waw-)x-aOl + yiqtol
weqatal / aOlw> + yiqtol
ASSE TEMPORALE PASSATO
Discorso Diretto
PRIMO PIANO Forme iniziali
(x-)qatal
Forme continuative
wayyiqtol
PRESENTE
Forme iniziali
PNS
Forme continuative
SFONDO
x-qatal PNS x-yiqtol weqatal
PNS
PNS
FUTURO
INDICATIVO
Forme iniziali
PNS x-yiqtol
Forme continuative
x-yiqtol
weqatal / aOlw> + yiqtol
FUTURO VOLITIVO Forme iniziali imperativo (x-)yiqtol (coortativo, iussivo) Forme continuative
weyiqtol / la;w> + yiqtol
144
x-imperativo x-yiqtol
NICCACCI, Sintassi, §§ 4.5.
222
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Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale
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Tania Notarius Text, Discourse and Tenses in the Victory Song in 2 Sam 22,33-46: In Search of the Underlying Literary Convention
1. Introduction1 The victory song in 2 Sam 22,33-46 is, as a rule, investigated as part of the Song of David (2 Sam 22), although many scholars claimed for it a special literary status as an originally independent song, belatedly incorporated into the whole composition.2 CROSS and FREEDMAN in their seminal study of the Song maintained that the author of the whole composition “drew on a number of older sources.”3 MCCARTER admits that “a number of key terms in these verses [33-46] have gone unrecognized or unexplained” and suggests a “more extravagant” view that the passage describes Yahweh’s creating of the psalmists.4 CHISHOLM agrees with many other scholars about the bipartite structure of 2 Sam 22, but argues for the final literary unity of the composition.5 The passage hardly ever received the separate attention of scholars. However, it entails a number of very specific textual and linguistic problems that distinguish it from the rest of the composition. Moreover, the passage resists unambiguous discourse analysis and, as will be shown below, exposes diverse verbal forms hardly expected in a poetic passage of this kind: the past-tense interpretative framework competes with the present/future-tense interpretative
Many aspects of this paper were discussed with Prof. E. GREENSTEIN; I thank him for his comments. It is a special honor to contribute this article to the Festschrift of Prof. Alviero NICCACCI, whose works marked the watershed in the study of verbal tenses in BH. 2 Cf. MICHEL, Tempora, 49; MCCARTER, II Samuel, 474. 3 See CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 85, but they add that “it remains a question as to whether the psalm is an amalgamation of two or more independent odes, or a single poem sharply divided into separate parts.” 4 See MCCARTER, II Samuel, 469-470; he also maintains an independent provenance of the song (v. 33-46) in the early monarchic period (p. 475). 5 See CHISHOLM, Study, 19-24; CHISHOLM, Study, 54, calls v. 31-46 a “report of victory”. 1
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framework, and the semantic distribution between the forms is not a self-evident issue. In what follows, the textual and linguistic diversity of the passage will be investigated (part 2). Special attention will be laid on the problem of discourse and tenses in the passage (part 3). The paper will compare the different interpretative frameworks and suggest a comprehensive analysis of the discourse mode and the verbal tenses embodied in the text. It will be claimed that the discourse mode of the passage is a retrospective report, the passage represents a relatively archaic type of the system of verbal tenses, but altogether the text demonstrates some dialectal or specific conventional literary features. The conclusion suggests historical and typological generalizations about the reconstructed system of verbal tenses (part 4). 2. 2 Sam 22,33-46: Some textual and linguistic problems The complex textual situation of 2 Sam 22,33-46 is disclosed not just due to a divergent tradition in Ps 18, but also through the parallel passage in 4QSama.6 Naturally, the textual divergences arise around rare or unexpected linguistic phenomena. LXX has some important data as well, especially concerning verbal forms and their interpretation. The present review concentrates on textual and linguistic difficulties that have implications for the discourse structure and the verbal tenses analysis in the passage. V. 33-34 demonstrate some deviations between the ketiv and qere traditions regarding the third and first person pronominal suffixes: "(' &+ ;. <#C&L>, "4. +I&. <#"4I&>; Ps 18 agrees with the qere. Besides, "/M< . D$ can be read #(")/#
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(in reference to god) persons is hardly a simple interchange of two similar letters and suggests alternative interpretations, relevant to discourse analysis. If the first person is read in all the three cases, verses 33-34 represent the beginning of the report on the king’s military preparations,9 further developed in the following verses. With the third person, the passage contains the introductory material concentrated on three main topics: (a) god’s revelation (4 '"F$ " '\J9<$ 4%) !$ #C&L 1"<' f$ &f) .` .#); (b) god’s description (/M4 $`%. ($ #"4I& ! 3JZ. <+ );10 (c) his establishing the hero and bringing him near (" '0L) <' 9[ ." #"/#
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inter-dialectal idiom, the precise meaning of which is still somewhat obscure. Several similar features of the Ugaritic and BH idioms are to be noticed: (1) the idiom describes a god’s behavior; (2) the verb describes motion, namely a god’s motion in the universe.19 I give preference to the root Atwr, &?#. correspondingly; the technical translation of 2 Sam 22,33b will be ‘he, the upright one, went through in his direction.”20 In v. 35 .>- '/ +# shifts into the feminine !.$ >Y '/ +# in Ps 18; the text is broken in 4QSama, but .>/# is reconstructed. This verbal idiom (.>/ piel “press down the bow”, i. e., set it or bend it) is attested also in Ugaritic.21 In any case, both readings have a weqatal construction; its grammatical function is to be cleared up.22 The second accusative on the piel verb D?72 is introduced by the 2 of accusative (!7$ >$ 2+ F' 2- , v. 35).23 l.I+ /5Y -# of v. 36 is v.&@5# in 4QSama. Ps 18 has l.+ -# +/5- +# and enlarges this verse by another clause " '/D) 5$ :+ .' l +/"7"' '#; LXX suggests a longer version as well.24 A rare grammatical form of the preposition with nun " '/f) >+ f- is found in v. 37.25 Ps 18 omits nun and 4QSama omits the whole prepositional phrase. The colon "C$ :p &+ W- BD5Y 7$ %I2 +# seems to be supralinearly added in 4QSama.26 The clauseinitial full yiqtol form G">' &+ f- looks like G[">]&. in 4QSama, partly broken, but the full spelling is reconstructed.27 In v. 38 the lengthened form !9$ 6+ &+ %1 is not transmitted in Ps 18: … KE6&+ %1 0 )A"}' %- . 0D") 7' X+ %- $# is lacking in Ps 18. The use of the waw-less lengthened ˀäqtol form in the presumably narrative/story-telling function is quite rare.28 Two verb forms 0d) >$ 7+ %1 $# 0C) <- %Y $# in v. 39 are rendered by one verb 0d]>7% in 4QSama without the waw consecutive. Yiqtol forms with or without waw seem to be in free distribution in different versions.29 See HALOT, 736.1709. D. PARDEE (in HALLO, Context, 348, note 50) lists this idiom among “formulae, attested in variants forms, for divine travel and arrival at ˀIlu’s abode”. 20 Cf. Deut 32,4 for similar vocabulary. 21 On the parallel phrase ‘to bend or stretch the bow’ in the Ugaritic context see CROSS, Canaanite Myth, 23, especially note 57 and p. 176, note 127. 22 See the discussion in paragraph 3.4.3 below. 23 See KEIL-DELITZSCH, Biblical Commentary, 480. 24 See the discussion in CHISHOLM, Study, 90-91. 25 See GKC, § 103. The prepositions can have nun in Ugaritic and Phoenician; see DAHOOD, Psalms, 116, who pointed to the nun-suffixed prepositions in Ugaritic and Phoenician and claimed that the forms with nun are archaic and original. 26 See the wider discussion in MCCARTER, II Samuel, 460. 27 Thus according to DJD XVII, 181. 28 According to GKC, § 108 e, this might be a conditional sentence “if I determined to pursue, then ….” WALTKE-O’CONNOR, 576, interpret the form as a pseudo-cohortative without waw for past narrative; cf. the discussion in paragraph 3.4.2 below. 29 Cf. CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 83: “An examination of the material shows that the use of the conjunction follows no determinable set of rules. Rather, it seems to be distributed at random, haphazardly inserted in one text, omitted in the other.” 18 19
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In v. 40 " '0&) +Hf. .#, with a syncope of intervocalic aleph, corresponds to "0&H%/[#] in 4QSama.30 9". &' C+ f. is rendered by 9&C/# in 4QSama—a hifil verb with defective spelling and with waw. The defective spelling does not necessarily indicate the short form of the prefix conjugation.31 This case, together with O"F' &+ f. in v. 37, is an example of a full form of the prefix conjugation in clause-initial position, apparently for the past tense use.32 The epistemic modal ,J<JY +" is paraphrased 1JY J4C+ p" %P4 +# in Ps 18. In v. 41 a rare grammatical form !f$ f. with an apparent aphaeresis of the initial nun is broken in 4QSama and is spelled regularly with nun in Ps 18. According to CROSS and FREEDMAN, the initial yod is dropped due to haplography, and !//" is to be read, namely as ,G/" root.33 1/") <' e+ %. $# is in 4QSama 1]/"e<%, another example of a waw-less clause-initial yiqtol. "%. +0>. <+ is in piel and not in qal, cf. 2 Sam 22,18. J9Z+ '" ‘look’ in v. 42 corresponds to J9 +JZ. +" ‘cry for help’ in Ps 18, also attested in LXX and usually preferred by scholars.34 One can suggest here a haplography #9(#)w" or a parallel #G9w root ‘cry for help’. In v. 43 c&3 %$ is substituted in 4QSama by F&% "0? [49], while 1x) L' %[ is missing. V. 43-44 display an unexpected and confusing tradition of the waw vocalization: while 1Y) F$ Z+ %3 +# in v. 43 is vocalized by conjunctive waw, " '0V) K+ ?. f+ .# in v. 44 is vocalized by a consecutive (conversive) waw. Ps 18 does not contain this complexity, since " '0V) K+ ?. f+ is missing waw. 4QSama has waw. The waw vocalization, which generally indicates the tenses interpretation, might be connected to the problems surrounding "N' 9. "O") &' <) in v. 44. Ps 18 has 19$ "O") &' <) , preferred by MC CARTER and translated as “the conflicts of the army”.35 For 4QSama 1"<9 "O"&< is reconstructed, largely supported by LXX.36 The version of 2 Sam 22,44 is explained as ‘actualization’ toward the events of David’s life;37 this could explain the waw-consecutive vocalization of " '0V) K+ ?. f+ .#. Basically, the Masoretic tradition of the waw vocalization, in both 2 Sam 22 and Ps 18, demonstrates a not so clear distribution of the clause-initial yiqtol forms with a simple or consecutive waw, apparently for the past tense, unless the shift between two different temporal locations is to be postulated.38 According to CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 104, note 90: “a popular, spoken” form; see also KEIL-DELITZSCH, Biblical Commentary, 481. 31 On many deviations of full and defective spellings between three main Hebrew versions see YOUNG, Two Versions. 32 On full imperfect forms in v. 37 and v. 40 see CHISHOLM, Study, 234, note 2, and CHISHOLM, Study, 205, note 2: “unreduced preterite forms”. Cf. also paragraph 3.4.2 below. 33 See CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 104, note 91. The root ,G/" is attested in Phoenician and in Ugaritic; notice that in Aramaic the root ,G/0 is not used in perfect, but only in imperfect. 34 Cf. ANDERSON, 2 Samuel, 261, and MCCARTER, II Samuel, 461. 35 See MCCARTER, II Samuel, 461. 36 See the discussion in MCCARTER, II Samuel, 461. 37 Cf. SCHMUTTERMAYR, Studien, 169-170. 38 Cf. CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 84; see in paragraphs 3.2.4 and 3.4.2 below. 30
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The end of the passage, v. 44-46, reveals a very complex transmission picture and not all its details are relevant here.39 Another example of the simple conjunctive waw is found in J& +TF+ ." +#, v. 46, parallel to JI&+ F+ ." +# in Ps 18, but appear. Z+ 4' in v. 45, reconstructed ing in the negative form #&IF" %4 in 4QSama.40 , 3HP% 9M< also in 4QSama 9#]<w4, turns into a verbal noun 9<. Z) 4+ in Ps 18; the infinitive construct is used tautologically instead of the infinitive absolute; the technical translation will be “they totally obeyed me”.41 Summing up, one may claim that the passage 2 Sam 22,33-46 contains several specific uncommon language phenomena: (1) Participial phrases are used as circumstantial phrases in a presumably story-telling context. (2) The 4 of accusative is used. (3) The preposition with pronouns is suffixed by nun. (4) The clause-initial waw-less full yiqtol forms are used as a main story-telling tense. (5) The clause-initial waw-less lengthened ˀäqtol form is used as a main storytelling tense. (6) % is sporadically syncopated in an intervocalic position. (7) The root ,G/" ‘give’ is apparently attested or, alternatively, the initial nun is syncopated in the qatal form. (8) The clause-initial yiqtol forms with a simple or consecutive waw lie in a vague distribution, apparently for the past tense. (9) The infinitive construct is used tautologically instead of the infinitive absolute. All these features distinguish the passage not just from the standard language of classical prose, but also from most examples of poetic narrative or report that one finds in the corpus of archaic poetry.42 Some of them point to a specific situation of the verbal tenses in the passage.
See the review in MCCARTER, II Samuel, 461-462. See MCCARTER, II Samuel, 462.472 for a wider discussion; cf. ANDERSON, 2 Samuel, 261, and SCHMUTTERMAYR, Studien, 180. Generally the interpretation, based on IG&F in Ps 18 ‘tremble’ (cf. BDB, 353, and HALOT, 350), is adopted; thus also here. J& +TF+ ." +# in 2 Sam 22 is not necessarily another root, but can be due to metathesis. 41 For infinitive absolute qal used as a tautological (paronomastic) infinitive with the finite verbal forms in derived stems, especially in nifal, see WALTKE-O’CONNOR, 582 d; the internal object , 3HP% has an intensifying function as well; cf. WALTKE-O’CONNOR, 166-167. 42 The elements of poetic narrative and report one finds in Deut 32, Judg 5, Ex 15, 2 Sam 22,4-20, Hab 3 etc. The full comparison to other poetic pieces is out of the scope of the present article, but see in the conclusion, part 4. 39 40
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3. The discourse mode and tenses in 2 Sam 22,33-46: diverse interpretations 3.1 The delimitation of the passage and its general literary structure The passage of 2 Sam 22,33-46 is clearly distinguished from the surrounding context by several discourse markers. On the one hand, the preceding v. 32 represents a rhetorical question/exclamation ("L) 9[ 4+ D. <' &Je "<J' u! "L) 9[ 4+ D. <' 4%) "<' "(' J0"!6 ) %7 ), namely, an insertion of the conversational framework that aims at renewing the audience’s attention. On the other hand, v. 47 overtly turns into ' WJ&OJ $ u! "F. ). In this sense, hortative discourse that aims at praise-giving ("&Je v. 33-46 sound like an answer to the preceding question and an introduction to the following praise-giving. The general literary structure of the poem allows for distinguishing three main parts:43 The introduction (v. 33-35) gives a presentation about a god’s appearance and the beginning of the military training; the main formal markers of this introductory part are nominal sentences and participial phrases, namely, static entities (" '\J9<$ 4%) !$ , ! 3JZ. <+ , LN) 4. <+ ).44 The second part (v. 36-41) contains the main report about the series of divine interventions and the psalmist’s victories. The third part (v. 42-46) concentrates on the miserable situation of the nations and the psalmist’s final supremacy over them. The division between the second and the third parts is mainly thematic and is not overtly indicated by discourse markers, special verbal forms, or similar means. Nevertheless, the Masoretic tradition distinguishes between these two parts by means of the waw vocalization on the yiqtol forms: most waw-consecutive yiqtols are in the second part, while waw-conjunctive yiqtols are in the third part:
Cf. to KEIL-DELITZSCH, Biblical Commentary, 479-480, who translate v. 33-37 in simple present and emphasize that v. 34 and 35 “are simply a particularizing description of the power and might with which the Lord had endowed David”. CHISHOLM, Study, 234, distinguishes between pre-battle preparation (v. 33/34-37), victory (v. 38-43), and post-battle exaltation (v. 44-46). 44 Cf. CHISHOLM, Study, 56-57: “The use of participial expressions resembles hymnic style …. However, Crüsemann points out some important differences between the hymns proper and the expressions found here. The former speak in general terms of Yahweh’s creative and providential acts. Psalm18/IISam 22:33-35 focus on God’s special acts for an individual, as the first person references indicate …. Also, the divine name 4%) used in verse 33, does not appear in the context of the hymnic sections.” See CRÜSEMANN, Studien, 123-124. 43
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Expl. 1: 2 Sam 22,33-46: literary structure45 I. Introduction: 47
II. Interventions/Victories Report:
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III. The Enemies’ Miserable Situation:
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The verbal forms are marked as follows: circumstantial participial phrases are in cursive, qatal forms are put in bold, and yiqtol forms are written with larger letters, while wayyiqtol forms are in bold and with larger letters. The translation of the passage follows NRSV, unless another interpretation is suggested: 33. Lo God, the strong fortress, the upright one, he went through in his direction. 34. Making his feet like the feet of deer, he set me secure on the heights. 35. Training my hands for war, he pressed down a bow of bronze in my arms. 36. You gave me the shield of your salvation, and your response you increased for me. 37. You made me stride freely, and my feet did not slip. 38. I pursued my enemies and destroyed them, and they could not turn back until they were consumed. 39. I consumed them; I struck them down, so that they could not rise; they fell under my feet. 40. You girded me with strength for the battle; you made my assailants sink under me. 41. You made my enemies turn their backs in flight, and I destroyed my foes. 42. They cried for help, but there was no one to save them; to the LORD, but he did not answer them. 43. I beat them fine like the dust of the earth, I crushed them and stamped them down like the mire of the streets. 44. You delivered me from strife with the peoples; you kept me as the head of the nations; people whom I had not known served me. 45. The foreigners came cringing to me; they obeyed me completely. 46. Foreigners lost heart, and trembled in their strongholds. 46 Or *#".#7G; see above paragraph 2. 47 On the forms of pronominal suffixed and ketiv and qere here cf. above. 45
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3.2 Discourse structure The discourse structure of the text is analyzed according to five main criteria:48 (1) the communicative situation represented in the text, (2) the illocutionary intentions within the speech, (3) the type of the aspectual entities that shape the text, (4) the temporal locations in the text, and (5) the principles of text-progression. All these criteria, when mapped together, help define a concrete discourse mode,49 which in its turn lays a foundation for an adequate semantic interpretation of verbal forms in the text. 3.2.1 Communicative situation The participants in the communicative situation are explicitly marked at different stages of the composition. The speaker denotes his standpoint through firstperson elements, such as " '\J9<$ , v. 33,50 " '0L) <' 9[ .", v. 34 etc. Subsequently, secondperson elements emerge in v. 36: " '0D) &+ f. l/P+ 09[ .# l93 Z+ '" , )I<$ "4' ,f3 f' .# etc. Some scholars interpret 4%) !$ in v. 33 as a vocative.51 In view of the textually remote position of other second-person elements and lack of pragmatic elements that are usually associated with vocatives, such as praise, petition, or thanksgiving, this interpretation seems unnecessary; ! in 4%) !$ is a demonstrative particle.52 The com48 The approach, rooted in KAMP-REYLE, From Discourse to Logic, is based on SMITH, Modes; SMITH, Domain; SMITH, Aspectual Entities; SMITH, Tense; and SMITH, Time, adopted in NOTARIUS, 1"0
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pretation seems unnecessary; ! in 2%) !$ is a demonstrative particle.52 The communicative situation in the passage, namely the broad use of personal forms, does not exactly fit narrative53 and suggests the discourse mode of report.54 3.2.2 Illocutionary intentions within the speech The main difficulty connected to the discourse analysis of this passage is that the text does not contain exact indications of the speaker’s pragmatic intentions: there are no performative verbs or other speech formulas; indirect indications of speech activity intentions are also very meager. I assume that the aspectual and temporal arrangement of the passage lends a constative storytelling overtone to the passage.55 Not everyone would agree that the exclusive illocutionary intention of the speech is an account of divine help in the speaker’s military and political endeavors. One may claim that the introductory part implies praise-giving, due to the alleged vocative (2%) !$ , v. 33, but cf. above), divine titles (0"7' f$ ,2 '">$ " 'ZB57$ v. 33), and participial phases (! 1BX- 7+ , v. 34, and DF) 2- 7+ , v. 35).56 Within some interpretations, the final part reminds us of a plea, perhaps due to weyiqtol forms as 0W) >$ X+ %1 +#, v. 43, and B& +Q>+ -" +#, v. 46.57 However, the text does not disclose any explicit or implicit indications of such changes of illocutionary force. 3.2.3 Aspectual entities and the viewpoint aspect Most aspectual entities that shape this passage are dynamic bounded events (&f) -_ -#, v. 33; " '/D) 7' 5Y -", v. 34; ,f1 f' -#, v. 36; etc.). The dynamic bounded events tend to be interpreted as perfective non-present, or rather past.58 One cannot exclude progressive on-going activity as an aspectual interpretation for at least some of Cf. to the translation in ANDERSON, 2 Samuel, 259. Narrative is usually characterized by the spatial-temporal dislocation from the speaker and listener (see TOOLAN, Narrative, 5), or the detachment from Speech Time (see SMITH, Domain, 605). 54 Report, on the contrary to the narrative, is characterized by wider involvement of the communication participants and the constant reference to Speech Time; cf. SMITH, Domain, 606. 55 On the illocutionary force of the narrative see TOOLAN, Narrative, 4-6. For details on the aspectual and temporal arrangement of the passage see paragraphs 3.2.3 and 3.2.4 below. 56 Cf. KEIL-DELITZSCH, Biblical Commentary, 479-480. 57 For the critics of the morphosyntactic value of the waw and its vocalization in interpreting biblical poetry see CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 84: “It can no longer be doubted, however, that the imperfect form of the verb was the common, generally used verb form in old Israelite poetry, as in old Canaanite poetry, and that its time aspect was determined by the context, not the presence or absence of the conjunction.” 58 On the basis of the Bounded Event Constraint, the default temporal interpretation will be past tense, see SMITH, Time in Navajo, 45-46. For this interpretation see MCCARTER, II Samuel, 454-455.470-472. CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 84, theoretically support this approach to tenses, but do not always apply it to their translation (see CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 92-93). 52 53
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especially due to the demonstrative particle !$ in the opening (4%) !$ , v. 33). This aspectual interpretation will mean that Event Time embraces Reference Time, but the temporal interpretation can differ: if Reference Time overlaps with Speech Time, the tense is present progressive; if Reference Time is located in the past (anterior to Speech Time), the tense will be past progressive; if Speech Time is metaphorically relocated into past narrative, the tense is historical present.59 Theoretically, dynamic verbs can be used in habitual or even generic sayings.60 However, such an interpretation seems unlikely for most verbal sayings in the passage, especially in the second part: habitual sayings suggest generalizations about the situation pattern and generic sayings suggest the agent’s characterization.61 Both possibilities contradict the eventive non-generic character of the military activity described in the passage. Some utterances, especially in the third part, can imply an iterative, or rather a distributive meaning, especially due to the plurality of the agent or patient (J9Z+ '", v. 42; " '0Lp O+ 9. .", v. 44; JZF[ (. /+ '", v. 45; etc.). These sentences can even be interpreted as present habitual, taken as the pattern-characterization of the miserable situation of the enemies.62 However, the text lacks clear formal indications of such a shift from dynamic eventualities to general statives. 3.2.4 Temporal arrangement The temporal interpretation of the passage is a highly hazardous issue, since the text does not provide sufficient information about the exact temporal locations. The egocentric elements (" '0L) <' 9[ ." etc.) can require the deictic temporal pattern, laying Speech Time as a default solution of temporal interpretation,63 but the correlation of Speech Time with the events remains obscure. Moreover, 59 Historical present is defined here as metaphorical relocation of Speech Time into narrative past; on historical present in narrative and report see SAKITA, Reporting. 60 The habitual/generic interpretation of the whole passage one can find in KEIL-DELITZSCH, Biblical Commentary, 480-481: “David refers not only to the victories he has already won, but in general to the defeat of all his foes in the past, the present, and the future.” The introductory part, v. 33-35, may fit this interpretative framework mostly. 61 See KRIFKA, Genericity; cf. SMITH, Aspectual Entities, 225-228. 62 CHISHOLM, Study, 115, translates v. 44c-46 as present habitual; cf. CHISHOLM, Study, 235: “the verbal forms here are imperfects with a habitual nuance.” 63 On three patterns of temporal interpretation in discourse—deictic, anaphoric, and sequential—see SMITH, Aspectual Entities, 235: the deictic time establishes reference to Speech Time; the anaphoric time refers to another, than Speech Time, contextually established Reference Time; and the sequential time builds an autonomous temporal succession of events/situations, usually in chronological order; cf. also SMITH, Tense, 424: “Situations may be related to each other; to a prior time; or to Speech Time”. Cf. PARTEE, Analogies, on deixis and anaphora in temporal interpretation and KAMP-ROHRER, Tense in Texts, on sequential temporal pattern. For the speaker as a key figure in providing deictic temporal pattern see SMITH, Parameter, 99: “The speaker’s centrality enables the identification of time and place.”
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this military song does not contain any temporal phrase or a temporal clause in the opening that would create an anaphoric reference to the upcoming events. The only temporal pattern that is explicit in this passage is the sequential pattern: the dynamic events in the foreground seem to create a temporal sequence in the sense that the Event Time of the preceding eventuality in the sequence provides a Reference Time for the following eventuality and so on (&f) .` .# → " '0L) <' 9[ ." → LN) 4. <+ → ,f3 f' .# → O"F' &+ f. → !?$ ;+ &+ %3 → 1L") <' Z+ %. $# etc.). This type of temporal pattern is a characteristic feature of the narrative mode.64 The combination of the dynamic bounded events and the sequential temporal pattern suggests the narrative past as the most economic temporal interpretation of the passage, as most scholars have claimed.65 Basically, this temporal interpretation is adopted in the present paper. One should not, however, forget that the sequential temporal pattern in the foreground does not exclude backgrounding of some circumstantial (,J<JY +" %P4 +#, v. 39), negated ("K$ Ap &+ Y. JL9[ <$ %P4 +#, v. 37), or iterative (J9Z+ '", v. 42) events.66 Nevertheless, in the situation of inexplicit Speech Time and Reference Time, the passage resists the unambiguous formal and semantic interpretation of verbal forms even within the presumably sequential temporal pattern. The Masoretic vocalization of waw seems to point to two different temporal locations in the text: Event Time of the second parts is probably anterior to the Speech Time, namely, located in the past (v. 33-41), while the third part relocates Event Time as posterior to Speech Time, namely, into the future (v. 42-46).67 In this respect, one should notice that except for the (suspect) Masoretic vocalization such a shift in the temporal locations is by no means marked in the discourse: the thematic shift in between the two main parts, manifested above,68 is not a sufficient indication. Moreover, one should ask what See SMITH, Tense, 425-426. For the interpretation of the passage in past narrative see CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 84; CHISHOLM, Study, 231-235, suggests a general review on tenses and emphasizes, p. 233: “It is possible to translate with the present tense and take the entire section as a confident statement of Yahweh’s continual aid. However, the author prefers to understand verses 33 (or 34)-44b as a description of past victories, with verses 44c-46 referring to present conditions resulting from these past acts.” On parallels with ancient Near Eastern royal victory reports cf. CHISHOLM, Study, 41-44. MCCARTER, II Samuel, 454-455.469-472, interprets the whole song as a narrative on the Lord’s creating the psalmist and providing his victories. ANDERSON, 2 Samuel, 259, is aware of the introduction, shaped by the generic entities (v. 33-35), but renders the rest of the composition as a narrative or rather retrospective report (notice that he widely uses the English present perfect in the translation). 66 Cf. to details of the semantic analysis in paragraph 3.4.2 below. 67 For such temporal interpretation cf. Targum of Jonathan: the Targum clearly divides into three parts as for the tenses uses: the introduction is rendered in participles (as present habitual); the second part is wholly rendered in the past; the third part combines participle in v. 42 and the past in v. 43, but then turns into the future; in LXX the use of the future tense is even wider and includes v. 38-40.42-46. 68 See paragraph 3.1 above. 64 65
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such a shift in the temporal location can imply for the discourse. In the situation of the Human Speaker → Divine Addressee communication, as it was defined above,69 this temporal relocation could mean a prophetic prospective report about the coming victories, or the speaker’s plea. Both possibilities seem implausible to me. The language of prophecy presupposes an opposite communicative situation (Divine → Human);70 moreover the passage lacks typical prophetic formulas. The language of a petition would demand volitive modal forms, indispensable in such a discourse situation, but they are lacking in the passage.71 For these reasons, the attempt of some scholars to interpret part of the passage or even the whole passage as a future-oriented plea seems out of place.72 Another alternative to the narrative past interpretation of the whole passage is connected to some aspectual and modal overtones of the sayings pointed out above:73 (1) The dynamic eventualities in the foreground and their temporal sequence will not exclude the present progressive interpretation, if one suggests that the opening 4%) !$ creates an explicit deictic reference and the rest of the eventualities are to be interpreted as on-going at the moment of speech (“This/ Here is the god, (my) military strength; the perfect one, he is moving through in his direction, etc.”). The discourse mode of the passage then will be not narrative, nor report, but rather description, since it will aim at rendering an ongoing state of affairs.74 The pragmatic effect of that long present progressive description is, however, uncertain: a description developed into such an extended sequential chain might infer that the whole account is taken as completed and bounded, therefore, as a narrative. In such a discourse situation the temporal interpretation of the present progressive forms will be the historical present. (2) Some sayings, especially in the third part, which concentrates on the miserable condition of the enemies and the absolute character of the psalmist’s authority, can suggest iterative or even habitual interpretation (9". ZP' < ,"%) +# J9Z+ '", v. 42; 1Y) F$ Z+ %3 +#, v. 43; " '0Lp O+ 9. .", v. 44).75 The temporal interpretation of these sayings will be the present habitual tense: the event is multiplied, modified by the generic operator, and its Reference Time (Habit Scope) embraces Speech Time.76 See paragraph 3.2.1 above. On the basic communicative situation in the prophetic poetic speech see NOTARIUS, /C&9< 1"0
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Finally, one cannot absolutely reject the possibility that different temporal locations, aspectual viewpoints, and modal connotations are dynamically combined within this composition by virtue of syntactic flexibility, typical of the poetic language, even if the text demonstrates no clear discourse markers of such semantic shifts.77 The passage could start within the present progressive and then shift into the past narrative sequential, being sporadically interrupted by habitual sayings. The possibility of such dynamic changes will be more deeply examined within the morphosyntactic analysis of concrete verbal categories in the passage. 3.2.5 Text progression Text progression is the discourse characteristic which controls the text’s movement through its foregrounded elements.78 In spite of a certain cyclical nature of the text progression, noticed by scholars,79 the passage’s foreground is shaped by the dynamic bounded events that denote different stages of war preparations, battles and victories (&f) .` .# → " '0L) <' 9[ ." → LN) 4. <+ → ,f3 f' .# → O"F' &+ f. → !?$ ;+ &+ %3 → 1L") <' Z+ %. $# etc.) and, therefore, it progresses temporally through the temporal locations of events. 3.2.6 Discourse mode in 2 Sam 22,33-46: conclusion The discourse features mapped above, in spite of their partly insufficient and vague character, give indications of the discourse mode of the passage. The sequential temporal pattern and temporal text-progression indicate that the passage is narrative.80 However, the use of the first and second person forms are not typical of narrative, since it forms a deictic temporal pattern. The egocentric elements and the deictic pattern associate the passage with the retrospective report.81 The report discourse mode, because of its typical correlation with tives, especially generalizing sentences (= habitual sayings) see KRIFKA, Genericity, or BONEHDORON, Habituality. On the difficulty of distinguishing between iterative, habitual, and generic sayings and the overlap between these semantic categories see DAHL, Aspect. 77 On the syntactic flexibility see NOTARIUS, F"w4 ,#w4 ,"O, 136-137; NICCACCI, Biblical Hebrew, 248. The alternative semantic interpretations of some verbal statements, as progressive past or present or iterative-habitual past or present, are rendered by the default simple past in English translation above. 78 The principles of text-progression were fully formulated in SMITH, Modes, and SMITH, Domain: she distinguishes between temporal (through the locations in time), spatial (through the locations in space), and metaphorical (through the metaphorical locations in the informational space of the text) text-progressions. 79 See CHISHOLM, Study, 55: “the report is both cyclical and progressive”. 80 Narrative is a discourse mode that introduces dynamic eventualities within the sequential temporal pattern and is characterized by a temporal text-progression; see SMITH, Aspectual Entities, 233.
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Speech Time, can better elucidate apparent dynamic shifts of the prevailing aspectual entities (from events to general statives), aspectual viewpoints (from progressive to perfective), or temporal locations (from past to present habitual). As has been shown above, the text does not contain enough discourse markers of these shifts, but the report allows such shifts in a quite operative way.82 From now on, the passage will be notified as retrospective report, but those of its features that relate it to narrative should not be ignored. 3.4 Tenses in 2 Sam 22,33-46 The discourse conditions mapped out above lay a foundation for the appropriate formal morphosyntactic and semantic analysis of verbal forms in this passage. The main challenge that the student of verbal tenses in biblical poetry confronts is the question of the morphological status of the prefix conjugation. The ancient North-West Semitic context indicates that there were two indicative prefix conjugations suitable to shape a poetic retrospective report: perfective *yaqtul and imperfective *yaqtulu.83 The problem of the prefix conjugation in the passage cannot be treated by itself, but has to be correlated with the semantic analysis of other verbal forms and the system of tenses in general, and be put in the appropriate historical linguistic context.
81 Report introduces dynamic eventualities and general statives within the deictic temporal pattern and is characterized by a temporal text-progression. See SMITH, Aspectual Entities, 234. Retrospective report basically locates events in the past, in contrast to prospective report, typical of some types of prophetic speech, which locates events in the future. 82 The combination of narrative style and the use of the second person remind of the communicative situation in Ex 15; cf. CHISHOLM, Study, 60-62, who suggests a wide comparison of both songs; on the problem of rendering verbal tenses in Ex 15 see PROPP, Exodus, 506-507. 83 On the problem of perfective *yaqtul and imperfective *yaqtulu in Old Canaanite of ElAmarna see MORAN, Amarna Studies, 49, and RAINEY, Ancient Hebrew; RAINEY, Further Remarks; RAINEY, Prefix Conjugation; and RAINEY, Canaanite, 222-226. On Ugaritic see SIVAN, Grammar, 99-100; TROPPER, Ugaritische Grammatik, 695-701; GREENSTEIN, Prefixed Preterite; GREENSTEIN, New Grammar; and GREENSTEIN, Forms and Functions; PIQUER OTERO, Estudios, does not confront the problem of the morphological status of yqtl conjugation in his text-linguistic (adopted from NICCACCI, Syntax) approach of the verbal tenses in Ugaritic poetic narrative, but expresses a hope that his findings can contribute to the discussion, see PIQUER OTERO, Estudios, 719-721. On Old Aramaic, with some continuation in Official Aramaic, see EMERTON, New Evidence; MURAOKA, Tel Dan; MURAOKA, Again; MURAOKA, Aramäisches; ROGLAND, Remarks. On the problem of historical *yaqtul in Moabite, Epigraphic Hebrew, and some Transjordan ‘bridge’ dialects, as Deir-Alla see GARR, Dialect Geography, 185-186. The problem of the forms with the energic ending -na is not treated here, since the passage does not contain any relevant data, but see ZEWI, Syntactical Study. On nun paragogicum ,J<JY +" %P4 +# in v. 39 cf. paragraph 3.4.2 below.
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3.4.1 Participial phrases One of the specific features of the verbal morphosyntax in the passage is the use of participles as circumstantial phrases that denote a dynamic event: Expl. 2: 2 Sam 22,33-35
=5L$-&* :" '0L) <' 9[ ." 84"/M< . D$ 49. +# /M4 $`%. ($ <"4. +I&. > #"4I& !"@$'1&* :<"(' &+ ;. > #C&L 1"<' f$ &f) .` .# 4 '"F$ " '\J9<$ 4%) !$ :"/P$ 9P& +H !ZJF $ +0 /Z3 Y3 /F. '0 +# !<$ F$ 4+ N' 4. "L. $"
V. 33-35 represent an introduction to the retrospective report; the main verbal forms (&f) .` .#, v. 33; " '0L) <' 9[ .", v. 34; /F. '0 +#, v. 35) denote different stages of the battle preparation.85 Moreover, the participles because of their dynamic and eventive character (especially LN) 4. <+ in v. 35) and in spite of their subordinate syntactic position, are semantically included in the chain of the preparation stages. For this reason, the borderline between predicative and attributive functions of the participle is not so striking, and this might have led to textual changes of " '\J9<$ , v. 33, in Ps 18 (" '0&) +\%. <+ !. ) and in 4QSama ("0&H%<), discussed above: notice that 4QSama suggests a predicative participle. A dynamic active participle as a circumstantial phrase is virtually absent from other pieces of poetic report or narrative in the corpus of archaic biblical poetry,86 but, interestingly, it is attested in Ugaritic narrative poetry: e. g., KTU 1.2:I:31 qmm ˀa[mr] ˀamr “standing, they spoke a speech”;87 and lately in retrospective reports in classical prophetic poetry.88 3.4.2 The forms of the prefix conjugation and the structure of the retrospective report The forms of the prefix conjugation (yiqtol) in the passage reveal some specific morphosyntactic features: (1) full yiqtol forms are attested in clause-initial position as the main form of the report sequence (O"F' &+ f. , v. 37; 9". &' C+ f. , v. 40); (2) the Masoretic vocalization contains both waw consecutive and simple waw vocalization with yiqtol forms on the main line of the report (&f) .` .#, v. 33; ,f3 f' .#, v. 34; etc. vs. 1Y) F$ Z+ %3 +#, v. 43); (3) yiqtol can be clause-initial or non-initial in the clause (,f3 f' .# vs. " '0D) &+ f. , v. 36); the word order is syntactically and pragmatically significant; On *#"/#
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(4) the clause-initial waw-less lengthened ˀäqtol form is used on the main line of the report (!?$ ;+ &+ %3 , v. 38). In what follows, all the verses with yiqtol forms are assembled; yiqtol forms are put in bold, the clause-initial ones are enlarged: Expl. 3:
(33) <"(' &+ ;. > #C&L 1"<' f$ 05#$B$2 4 '"F$ " '\J9<$ 4%) !$ (34) <(AD(*.)$< 89"/M< . D$ 49. +# /M4 $`%. ($ <"4. +I&. > #"4I& ! 3JZ. <+ (36) <(A5MN$# l/P+ 09[ .# l93 Z+ '" , )I<$ "4' C"#(#$2 (37) "K$ Ap &+ Y. JL9[ <$ %P4 +# " '0f) F+ f. "L' 9[ e. 6<(/N$# (38) 1/MK $ (. L9. 6@'174 %P4 +# +D<(*&'1$472 "O+"P. % !7%&ON"4 (39) "4$ +I&. /F. f. @-&G(B$2 C@*@P&< %P4 +# +5F7/&*"472 +5:$E.472 (40) " '0f) F+ f. "<. Y$ $). <+ R&P3 9 "K' !f$ f. "O+"P. % +# (42) 1 $09$ %P4 +# u! 4%3 9". ZP' < ,"%) +# @)&'1(< (43) +5)TN"4 +58S.4 /MeJF V"V' (+ c&3 %$ &?. 9[ (. +R7/&'1"4&2
.a .b .c .d .e .f .g .h .i .j (44) <(AU&6$)$< "f' 9+ L. $" %P4 19. 1 '"MT Z%P&4+ <(AH&*&'1(# "N' 9. "O") &' <) <(A5J&:$%$2 .k (45) "4' @)&*7W1(< , 3HP% 9M< . Z+ 4' "4' @'1./$V&3(< &C$ )0 " )0D+ .l (46) 1/M& $ +TA+ N' <' @0&>&/$<&2 @-1M(< &C$ )0 " )0D+ .m
The initial (w)yiqtol is the main form in the report progress; it starts the narrative units (e. g., &f) .` .#, v. 33; ,f3 f' .#, v. 36; O"F' &+ f. , v. 37; J9Z+ '", v. 42) or denotes their continuation (e. g., 1L") <' Z+ %. $#, v. 38; 9". &' C+ f. , v. 40; 1/") <' e+ %. $#, v. 41; J& +TF+ ." +#, v. 46). The non-initial x-yiqtol is circumstantial (" '0L) <' 9[ .", v. 34; " '0Lp O+ 9. .", v. 44), stays in pragmatically marked constructions with parallel nominal phrases in juxtaposition involving chiasm (19) Y$ &+ %3 1x) L' %[ , v. 43; JZF[ (. /+ '", v. 45; J4PD '", v. 46) and contrastive topic (" '0D) &+ f. , v. 36; J9<+ ]$ '", v. 45), or introduces the modality of (im)possibility after the negative %P4 +# (OJZ%$ %P4 +#, v. 38; ,J<JY +" %P4 +#, v. 39);90 in such sentences no temporal text-progression is provided. In my view, all the cases (or at least most of them) of both (w)yiqtol and xyiqtol verbal constellations represent the occurrences of imperfective *yaqtulu.91 This will mean that the clause-initial (w)yiqtol constellations should be interpreted as cases of the historical present—the metaphorical use of the present tense/imperfective aspect forms for a more vivid and personally engaged story-telling, based on the metaphorical relocation of Speech Time into the narrative past. In this respect, the lengthened form !?$ ;+ &+ %3 , v. 38 (expl. 3e, above) is of special interest: no other archaic poetic text contains a lengthened ˀäqtol form as a Or *#"/#
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story-telling/past narrative tense,92 neither would a classical prosaic narrative demonstrate the waw-less lengthened ˀäqtol form in such a function. Although the parallel in Ps 18 has a regular form, the lengthened variant is to be preferred by the principle of lectio difficilior.93 The volitive reading of the passage, suggested by some scholars, is rejected in the present analysis.94 If the form is not the first person cohorative with -!h paragogicum, nor the first person preterit, lengthened by -!h paragogicum on the analogy of the volitive system, one has to find another explanation for the final vowel in this form. With some hesitation I suggest an assumption, that the tradition of writing in 2 Sam 22,38, which attests the clause-initial ˀäqtol form with a final vowel, actually gives evidence of the remnant of the original imperfective *yaqtulu conjugation, and the original vowel was not -a, but -u. The clause-initial ˀäqtol form with a final vowel was reinterpreted in the process of transmission as ˀäqtol with -!h paragogicum, since this morphological interpretation found support in both the volitive (ˀäqtela and narrative (wa-ˀäqtela) systems, as they function in classical BH. In discussing the yiqtol conjugation and its role in the report, one should not forget that at least some of these forms can be interpreted as the present habitual, as was claimed in the discourse analysis above (e. g., J9Z+ '", v. 42, see expl. 3i). For some of them the present progressive interpretation could be suggested (e. g., O"F' &+ f. , v. 37, see expl. 3d). The possibility of such a dynamic reinterpretation is, in my view, another argument for *yaqtulu as the morphological identity of most, and perhaps all, the yiqtol forms in the passage.95 3.4.3 Perfect qatal and its role in the retrospective report No comprehensive interpretation of tenses in the report, nor well formulated morphological identity of yiqtol forms is possible without correlation with another verbal form in the passage – perfect qatal. Most qatal forms are noninitial in the clause; there is one case of the clause-initial weqatal use: Expl. 4:
(35) "/P$ 9P& +H !ZJF $ +0 /Z3 Y3 3$/(A&2 !<$ F$ 4+ N' 4. "L. $" LN) 4. <+ (37) "K$ Ap &+ Y. @=.)7* %P4 +# " '0f) F+ f. "L' 9[ e. O"F' &+ f. (41) 1/") <' e+ %. $# "%. +0>. <+ R&P3 9 "K' !7#$# "O+"P. % +# (42) +7A7) %P4 +# u! 4%3 9". ZP' < ,"%) +# J9Z+ '" (44) " '0Lp O+ 9. ." <(#&)K7< %P4 19. 1 '"MT Z%P&4+ " '0&) <+ Z+ f' "N' 9. "O") &' <) " '0V) K+ ?. f+ .#
.a .b .c .d .e
92 According to most comparative data, the lengthened forms of ˀäqtol in the narrative function, which arose on analogy to the volitive system (see BERGSTRÄSSER, Hebräische Grammatik, 45) will not be an archaic phenomenon; cf. TALSHIR, /#F/?/!. 93 See the discussion in paragraph 2 above. 94 Cf. paragraph 3.2.2 above. 95 See the full discussion in the conclusion.
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The perfect qatal in this retrospective report partly overlaps with yiqtol functions, but also reveals some specific uses. To start with, the non-initial qatal sporadically stays in a pragmatically marked construction based on chiasm and topicalization (!f$ f. , v. 41, expl. 4c), exactly like the non-initial yiqtol (cf. l/P+ 09[ .# " '0D) &+ f. , v. 36, expl. 3c, above). The clause-initial weqatal construction (/F. '0 +#, v. 35, expl. 4a) suggests a somewhat specific problem: in my view there is no formal and semantic reason to interpret it as the conditional or purposive tense, similar to the classical BH weqataltí. The first three verses of the passage shape the introductory part of the report and have a parallel syntactic structure, with a different verbal tense in the apodosis: v. 33: nominal clause – wayyiqtol v. 34: participle phrase – x-yiqtol v. 35: participle phrase – weqatal
The finite verbal forms in the apodosis stand for different syntactic structures: the initial wayyiqtol begins the story-telling line; the non-initial yiqtol introduces a circumstance, and the initial weqatal moves the retrospective report further, therefore is used as a sequential form that denotes the progress in the war-preparation, comparable to 1L") <' Z+ %. $#, v. 38, expl. 3e, above. These two sporadic and non-consistent uses—the sequential weqatal and the backgrounded xqatal—partly overlap with some of the basic yiqtol uses. However, in a clear contrast to the welo yiqtol construction, which introduces the epistemic modal of impossibility (see examples 3e and 3f above), the welo qatal construction functions as an indicative negative counterpart of the initial yiqtol on the mainline of the report: JL9[ <$ %P4 +# … O"F' &+ f. , v. 37, expl. 4b; 1 $09$ %P4 +# …, J9Z+ '" v. 42, expl. 4d. Finally, qatal is attested in an asyndetic relative clause with the verb of cognitive state ("f' 9+ L. $" %P4 19. , v. 44). 4. The system of tenses in the retrospective report of 2 Sam 22,33-46: conclusion and typological discussion The retrospective report in 2 Sam 22,33-46 does not suggest discourse conditions, which would allow identifying volitive forms in the passage. In my view, the passage is basically shaped by the indicative forms; some of them do not reject a modal epistemic or generic interpretation. The active participle is attested in circumstantial phrases; it introduces dynamic events and plays an important role in the introductory part of the report. The report is mainly shaped by yiqtol forms; they are in an absolute majority in the text. The clause-initial (w)yiqtol constructions start narrative units and mark the text’s temporal progression. x-yiqtol constructions introduce a cir265
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cumstantial clause and are used in pragmatically marked constructions, involving chiasm and a contrastive topic. Welo yiqtol has a modal epistemic use. Another tense that plays a visible role in the report is the perfect qatal: the non-initial qatal sporadically introduces chiasm and topicalization; the clause initial weqatal has apparently a past sequential meaning. Interestingly, welo qatal is a negative counterpart of the main story-telling yiqtol form. All these syntactic, semantic, and discursive data allow us to pose anew the question of the morphological status of the clause-initial yiqtol forms that serve as the main tense that moves the retrospective report forward. In my view, the most plausible solution will be to see most of the yiqtol forms as the remnants of the imperfective aspect *yaqtulu. One cannot absolutely reject the possibility that at least some of these clause-initial past-tensed yiqtol forms are remnants of the perfective aspect *yaqtul, especially, in view of the solid tradition in biblical scholarship of interpreting the clause-initial yiqtol forms with waw consecutive as the remnant of *yaqtul, fixed in the function of the past narrative sequential tense. However, the *yaqtulu identity for most of these forms seems much more plausible out of the following reasons: (1) The text contains ‘regular full imperfect’ forms of yiqtol in the clause-initial position in narrative sequence, attested both in the tradition of writing and vocalization. (2) The perfect qatal is used quite widely in the report in spite of a relatively small amount of cases. It is not just attested as the negative counterpart of the foregrounded clause-initial (w)yiqtol, but also partly competes with yiqtol in its main functions: in the chiastic construction involving topicalization and as past sequential. The logic of the typological development of the verbal system entails that the rise of the new perfective qatal can be followed by a somewhat reduced role of the old perfective preterit *yaqtul. (3) The clause-initial lengthened ˀäqtela form without waw might be an additional evidence for yiqtol with a final vowel, namely *yaqtulu. (4) Many of the yiqtol forms in the report do not contradict the progressive or habitual interpretations. Such an acceptability of other ‘imperfective’ uses, typical of *yaqtulu, without any explicit markers in the discourse, is better understandable when most forms in the passage are *yaqtulu. The use of *yaqtulu as a main tense of story-telling in the retrospective report is the co-called historical present: it is based on the use of the forms of the imperfective aspect within the narrative or retrospective report, while Speech Time is metaphorically relocated into the time of the events. But, perhaps, this use contains something more than another example of historical present. The passage gives evidence to the literary convention, in which the same forms of the imperfective aspect could be equally used for the present progressive, historical present of story telling, and present habitual. This discourse situation creates a strong cognitive effect when the same event could be perceived as 266
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creates a strong cognitive effect when the same event could be perceived as on-going at the moment of speech, already happened in the historical past or typical pattern-characteristics of the divine activity for the human.96 The text is composed in a dialect/literary conventional norm typologically different from the rest of the composition in 2 Sam 22 and from most other story-telling pieces in the ‘archaic’ corpus.97 The closest parallel to the literary convention attested in this passage is the Ugaritic narrative, as it is described in the up-to-date scholarship.98 The complete comparison to the Ugaritic narrative is out of the scope of the present paper, but one can point to the following common features of both pieces of corpora: (1) the forms with the morphological marking of the imperfective aspect (full imperfect forms in 2 Sam 22,33-46 and the final -u spelling in Ugaritic)99 are used in the clause-initial position as main forms in the narrative foreground; (2) the perfect qatal forms are used in different backgrounded functions, but sporadically also as the main-line sequential tense;100 (3) the clause position of the yiqtol forms is pragmatically marked—the clause initial forms are on the main-line of the story-telling, while the non-initial forms shape the background; (4) the participial phrases are used as circumstantial or temporal phrases and contribute to the background, especially in introductory parts; (5) one cannot absolutely reject the possibility that the remnants of the perfective *yaqtul were sporadically used on the main-line of the temporal sequence.
Cf. to GREENSTEIN’s view on the literary convention at work in the Ugaritic narrative; GREENSTEIN, New Grammar, 412-413: “Ugaritic verse narration is in this sense a dramatic mode of presentation. Accordingly, the primary verb of narration is yaqtulu, representing a kind of historical present.” 97 The system of tenses in 2 Sam 33-46 is definitely not similar to what one finds in poetic reports in Judg 5 and Ex 15: in both these songs qatal is the main tense of story-telling. The narratives in Deut 32,8-20 and 2 Sam 22,4-20 provide strong evidence that the main narrative form is preterit *yaqtul and the functions of qatal forms are quite different from what one finds in 2 Sam 22,33-46. In none of these texts is there evidence of participles as circumstantial phrases, in clear contrast to the passage that was in the centre of the present research. A wider comparison between these texts is out of the scope of this paper. 98 The functions of the main verbal constructions and the distribution between the yiqtol and qatal categories, strongly corresponds to the results of the text-linguistic analysis of tenses in Ugaritic narrative, suggested in PIQUER OTERO, Estudios, and reviewed in SMITH-PITARD, Baal Cycle, 22-28, although both PIQUER OTERO and SMITH and PITARD do not discuss the position of the participial phrase. The present results generally stay in terms with GREENSTEIN’s theory on *yaqtulu identity of yqtl narrative forms in Ugaritic, favored in BORDREUIL-PARDEE, Manuel. The data in the present analysis fit the claim in SMITH-PITARD, Baal Cycle, 28, that (w)qtl can be sporadically used as the past sequential tense. 99 On the final vowel marking in III.ˀ verbs see TROPPER, Ugaritische Grammatik, 619-621. 100 Cf. the remark in SMITH-PITARD, Baal Cycle, 28 and the bibliographic references there. 96
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chaic type of the system of tenses, but shares the literary conventional features with the Ugaritic epic narrative, in contrast to most other story-telling passages in the biblical ‘archaic’ poetic corpus. Tania Notarius Hebrew University of Jerusalem
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Massimo Pazzini The Peshi!ta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea
The importance of the manuscripts for the preparation of the critical edition of a text is well known. This principle is even more valid when dealing with ancient texts. If we find ourselves working with biblical languages the problem is further complicated, since the sacred texts have been transmitted for hundreds of years only in manuscript form and have assumed “theological” features. With regard to the Hebrew Old Testament, there is the problem of a protoMT1 (claimed by exegetes) which would have evolved until blending into the present MT.2 In this sense the ancient versions of the Bible, prior to the MT, might turn out to be precious witnesses of this evolution. One must therefore take into consideration the “internal” evolution of the MT, then the Greek Septuagint version, the Syriac, and finally the Latin version of Jerome. To these aspects one must add the influence of the Aramaic targum tradition which, sometimes, may have influenced the other versions, in particular the Syriac one.3 There is a certain consensus regarding the possible reconstruction of a diverse Hebrew Vorlage when more traditions at the same time (the LXX, Targum, Peshi!ta and the Vulgate), perhaps supported by testimonies coming from Qumran, agree against the MT; but it is about cases which are not too frequent and always debatable.
1 We are intentionally not entering the delicate problem of the Proto-Masoretic text (or of Proto-Masoretic texts) and its reconstruction. Ample space has been dedicated in specialized works to this subject. One sees, for instance, TOV, Textual Criticism, 22-79. 2 It is nevertheless practically impossible to identify and reconstruct this archetype: “It is difficult to know whether there ever existed a single archetype of the Masoretic Text, and, even if such a text had existed, it cannot be identified or reconstructed”. Cf. TOV, Textual Criticism, 25. 3 One may reasonably suppose that the use of a very similar language favored the crossing of traditions from one version to the other.
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The Peshiṭta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea
The Hebrew text of the Bible and the Peshi!ta The Syriac translation called Peshi!ta (or Peshi!to) has sometimes been studied in order to demonstrate its faithful rendering of the MT, at other times again to point out the faithfulness to the text of the LXX. It is impossible to give a comprehensive judgment of the entire OT; today studies are limited to dealing with separate Biblical books (or parts of them) and single questions. In a recent study on the textual problematics of the Book of Psalms in Syriac,4 I. CARBAJOSA reaches the conclusion that, in certain cases, one may notice a direct influence of the LXX on the Peshi!ta, nevertheless: 1) This influence does not lead back to the moment of the translation to Syriac, but rather to the process of the textual transmission (there are manuscripts which clearly reflect this fact). 2) The instances of direct influences are few; therefore the position according to which the Peshi!ta would be conditioned by the influence of the LXX is negated. The conclusions concerning the relationship between Targum and Peshi!ta of the book of Psalms are similar:5 also the hypothesis of a direct influence between Targum and Peshi!ta must be reconsidered, in so far as facts for maintaining it are lacking. The few common interpretations are attributed to the use of a very similar language rather than to a literary dependence. There are several exhaustive studies regarding the Syriac version of the OT: M. D. KOSTER6 studied in detail the book of Exodus in the Syriac version, while D. J. LANE7 has dealt with the study of Leviticus. KOSTER, in his study of Exodus, arrives at the conclusion that the manuscripts of the various periods show three diverse stages of the Peshi!ta, in particular that the oldest manuscripts “did not result from a conscious revision according to MT, but represent a genuinely older stage of the Peshi!ta”.8 He concludes: We need no longer regard the history of the Peshi!ta, at least for Exodus, as one of continually changing versions of in essence the same (later) text with a prelude of some important older mss … but as a continuous development of which at present three consecutive stages can clearly be distinguished.9
CARBAJOSA, Características (2006). The conclusions of the comparison between the Peshi!ta Psalms and the Targum are given on pages 314-315. 6 KOSTER, Exodus (1977). 7 LANE, Leviticus (1994). 8 KOSTER, Exodus, 528. 9 KOSTER, Exodus, 528. 4 5
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LANE is prudent about the value of the Peshi!ta for textual criticism: The importance of the Peshi!ta lies less with textual criticism and more with church history and the use of text as scripture: popular religion, liturgy and homiletics influenced both translators and scribes in such a way as to shape the version’s character and also its transmission.10
As for the doctrinal differences between the Mss LANE states:
… it is simply that the manuscripts show differences which come as much by reason of the differences of geography and culture between their places of writing, usually monastic as by deliberate theological intent.11
The Syriac version of the Twelve minor prophets has been studied by A. GELSTON12 who also prepared the Syriac text of the Twelve for the Leiden edition.13 In the chapter dedicated to the study of the “distinctive readings of the oldest manuscripts” GELSTON reaches similar conclusions to those of KOSTER and LANE: It is reasonable to conclude that in general terms the oldest Mss preserve a text closer to the original Peshi!ta than the standard text, and that the text of the oldest Mss is closer to the Hebrew than the standard text.14
When it is established that we have diverse stages of the Syriac text and diverse stages of the Hebrew text we understand that the sole sort of work that could offer valid results is that which is carried out on determined manuscripts (comparison of Mss); this due to the fact that, concretely, no Hebrew Bible or Syriac Bible exists, but manuscripts of the one or of the other which represent a determined level of the tradition of transmission of the text. The Peshi!ta of the Twelve and the texts of the Dead Sea: Significant variants Let us see, with several significant examples, what contribution the Peshi!ta can supply in view of the reconstruction of the original Hebrew text (Vorlage). For this purpose we shall confront the Peshi!ta with the MT and with texts of the Twelve coming from the region of the Dead Sea. We shall also show the connections with the readings present in the main ancient versions (LXX— Targum—Vulgate). The texts taken into consideration are treated in separate paragraphs according to the place of origin:15 Wadi Murabbaˁât, Qumran and Na>al 9ever. 10 11 12 13 14 15
LANE, Leviticus, xii. LANE, Leviticus, xiii. GELSTON, Twelve Prophets (1987). GELSTON, Dodekapropheton (1980). GELSTON, Twelve Prophets, 87. The arrangement of the material follows the suggestion of GELSTON, Twelve Prophets,
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The Peshiṭta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea
Included in this section is also the Damascus Document (CD). We shall examine only the readings designated by GELSTON as “significant readings” otherwise “distinctive readings”. a. Murabbaˁât 88 The sole Hebrew manuscript of the Twelve containing ample sections of text (it contains sections of ten prophets) is that of Murabbaˁât 88.16 Following the study of GELSTON we shall examine the Syriac text of the Peshi!ta so as to find traces indicating a Hebrew text different from the masoretic text. There are only five passages in which the Syriac text agrees with the readings of Mur88 different from the MT. These are the texts: Am 7,15 Ob 17 Mi 7,5 Zeph 3,9 Zeph 3,15
MT la, µh,yver:/m17 la' µyMi['Ala, Ëbey“ao
Mur88 l[ µhyçyrwm18 law µym[h l[ ˚ybya
Peshi!ta
Òe ˆoná otryd Nylyá alo am›me Òe Ëcybbd‹eb
In three cases (Am 7,15, Mi 7,5, and Zeph 3,9) there are minor variants regarding the exchange of prepositions (la/l[) and the addition of the conjunction waw (law). In the case of Zeph 3,15 the variant reading suggests the plural form ËyIb;y“ao “thine enemies” (obtained by means of the mere addition of a yod), instead of the singular. This variant is common with the LXX (e˙cqrw!n sou), the Peshi!ta, the Targum (˚bbdAyle[b') and to the Vulgate (inimicos tuos). A more interesting case is Ob 17 where the masculine substantive vr:/m “possession” is understood in Mur88 as a verbal form (a participle with a suffix) which the Peshi!ta paraphrases with a clause: “those who possessed them”. This variant is also certified at the same time in the LXX (tou\ß kataklhronomh/santaß aujtou/ß), in the Peshi!ta, in the Targum (ˆ/hl] ˆynIsjm' /wh}d") and in the Vulgate (eos qui se possederant). 111-118. 16 Published in DJD II, 181-205, with the tables appearing on pp. LVI-LXXIII. 17 The form is a plural of vr:/m “possession” with 3rd person masculine plural suffix: “their possessions”. The BHS in a note suggests reading µhyvrIwm as in Mur88. The BDB already basing itself on ancient versions, proposed, even before the discovery of Qumran, the same reading of Mur88 with the meaning “their dispossessors” (440). 18 The form certified in Mur88 is a hifil participle from the root yr& “take possession, inherit” which in Syriac is rendered with a finite form of the corresponding yrt “those who possessed them”. The English translation of the Peshi!ta is quoted from LAMSA, Holy Bible.
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We may, therefore, hypothesize that, in the case of Zeph 3,15 (ËyIb;y“ao) and Ob 17 (çyrwm), we are dealing with a likely diverse Vorlage as regards the MT (Ëbey“ao and vr:/m). There are, nonetheless, some “distinctive readings” of Mur88 which have no equivalent in the Syriac text of the Peshi!ta. These also deserve our consideration in so far as they show us the freedom of interpretation of the ancient scribes: Hab 3,10 Am 7,16 Am 9,5 Jon 3,8 Mi 7,12 Hag 2,1
Mur88 twb[ µym wmrz πyft dw[ bçwy … lbaw l[ µwyb la
MT rb;[; µyIm' µr
Peshi!ta
trbe aymd átpyrz Ølt albab Nybtyo l amoy dyb
In all these instances the Peshi!ta diverges from Mur88: in the first one (Hab 3,10) the Peshi!ta follows the MT of Hab 3,10, while Mur88 reads the first words of Ps 77,18; likewise in Am 9,5 (with the verb in the plural), Jon 3,8 (using the preposition l), Mi 7,12 (lacking the preposition b) and Hag 2,1 (using the same particle byd) the Peshi!ta lines up with the MT. The case of Amos 7,16 is more interesting where the Syriac could have used the same Hebrew root (n'p) in the same sense as “to drop, flow in drops”,19 but the translator used the root ˀlp “teach, train”; in this case the Peshi!ta also distances itself from the MT. The LXX, even if maintaining an independent line of interpretation (Hab 3,10 “as thou dost divide the moving waters”; Am 7,16 “to stir up”), is certainly closer to the MT (and to the Peshi!ta) than to Mur88 in Am 9,5 (plural form), Jon 3,8 (pro/ß), Mi 7,12 (hJ hJme÷ra), and above all in Hag 2,1 (Ady"B]/e˙n ceiri« …). The Targum is independent from everything in rendering Hab 3,10 “the rain-clouds passed on”20 and in Mi 7,12 “at that time”, whereas it is similar to the Peshi!ta (and to the MT) in Am 7,16 (πylt/Ølt) and Hag 2,1 (dyb/dyb). In Am 9,5 we find the plural, as in the MT and the Peshi!ta, but with a different verb: “all who dwell in it will be desolated” (the root ydx).
The image could refer to the prophet’s mouth which “emits froth” while prophesying. Cf. HALOT, 694 “to prophesy ecstatically”. 20 The English translation of the Targum comes from CATHCART-GORDON, Targum. 19
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The Vulgate faithfully follows the MT in Hab 3,10 (gurges aquarum transiit), in Am 7,16 (stillabis = πyFit'), in Am 9,5 (lugebunt omnes habitantes), and in Hag 2,1 (in manu Aggei). The use of the prepositions in Mi 7,12 (in die illa) and Jon 3,8 (ad Dominum) is due to Latin grammar. Three examples from the masoretic tradition Let us briefly mention a few instances of ketiv and qere, even if this material rather belongs to variants within the masoretic tradition.21 At times, as in Ob 11 for wr[ç “his gate” and Hab 3,14 for wzrp “his warrior (or “leader”)”, Mur88 agrees with the ketiv of the MT (qere in the plural wyr[ç and wyzrp), whereas it is identified with the qere of the MT (feminine singular imperative yviL;P't]hi “mourn” (uncertain meaning) in Mi 1,10; ketiv ytçlpth). In the first case the Peshi!ta adjusts itself with the plural of the qere (ËhoeRt and Ëhonfïlu), in the second it differs both from the ketiv and the qere (masculine plural imperative olplptá “roll yourselves in the dust”). The LXX in Ob 11 has the plural ei˙ß pu/laß and also in Hab 3,14 kefala»ß dunastw!n, while in Mi 1,10 it has a plural imperative (katapa¿sasqe) “sprinkle dust in the place of your laughter”. The Targum in Ob 11 has the plural of a different word: “entered his cities”; in Hab 3,14 again we have a plural “the captains of Pharaoh’s armies”, while in Mi 1,10 we have a masculine plural imperative “cover your heads with dust”. The Vulgate in Ob 11 also has the plural “portas eius” and in Hab 3,14 “capiti bellatorum eius”, also like the plural imperative in Mi 1,10 “pulvere vos conspergite”. The result of this example is that the Peshi!ta is substantially independent from Mur88 and, at the same time, freely interprets the MT. Its readings are very similar (at least in these cases) to those of the LXX, of the Targum and of the Vulgate. b. The Pesharim of the Minor Prophets In this type of literature one usually distinguishes between the Biblical text in itself and its commentary (the Biblical text quoted in the commentary). The main texts which have reached us are the pesher of Habakkuk and the pesher of Nahum.
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Cf. GELSTON, Twelve Prophets, 118-125.
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In 1QpHab XI:9 (Hab 2,16) we have in front of us a different text from the MT, but common to the ancient versions: Hab 2,16
Pesher l[rhw
MT lrE[;hew22 “
Peshi!ta
Ørftáo
The readings of the MT lrE[;hew“ “drink thou also and remain uncircumcised” becomes l[rhw “drink thou also and stagger” in 1QpHab XI:9 (in the text), by a simple transposition between two consonants. The Peshi!ta with Ørftáo “drink yourself also and stagger” follows the reading of the pesher, also like the LXX (diasaleu/qhti kai« sei÷sqhti)23 and the Vulgate (et consopire), while the Targum is closer to the MT (drink you too and uncover yourself).24 The agreement of the different versions with the text of Qumran leads us to retain that this is a likely case in which the Vorlage of the versions is different from the MT. In 1QpHab II:1 (Hab 1,5) we find, on the contrary, a case of agreement between the Peshi!ta, the LXX and the pesher, whereas the other versions follow the MT: Hab 1,5
Pesher µydgwb
MT µyI/Gb'
Peshi!ta axRm
The variant µydgwb “traitors” in 1QpHab II:1 (in the commentary and in a rather fragmentary context) as regards the MT µyI/Gb' (look among the peoples and observe) finds a correspondence in the Peshi!ta axRm “rebels”, and in the LXX (oi˚ katafronhtai/ = µydIg“bo). The Targum (ay:m'm['b]) and the Vulgate (aspicite in gentibus) follow, instead, the MT.25 In this case, seeing that the variant is found in the commentary of the pesher and that the versions agree only partially, it is more difficult to assume by hypothesis that there could be a Vorlage different from the MT.
22 Nifal imperative masculine singular from lr[ “to be uncircumcised”. The BHS, based on ancient versions and on this text of Qumran, proposes in the apparatus the reading l[er:hew“. The same reading is proposed by BDB with the sense of “reel” (790). 23 The text is somewhat different compared to the MT: “shake, O heart, and quake, the cup of the right hand of the Lord …”. 24 The reading lf'r['tai of the Targum may be understood in this manner: “Tg. Probably reflects MT while seeking to render it more delicately”. Cf. CATHCART-GORDON, Targum, 153. 25 The BHS in this case recommends reading according to the MT (µyI/Gb').
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There are, however, two significant readings of the pesher which have nothing analogous in the Peshi!ta which, instead, presupposes the MT: Hab 1,14 Hab 1,17
Pesher lçml26 wbrj29
MT lvemoAaOl27 /mr“j,30
Peshi!ta
anrbdm hl tyl 31 htdyjm
28
As for the pesher of the prophet Nahum (4QpNah) the situation is not much different: in six cases the Peshi!ta has a reading common with the pesher text, whereas eight variants of the pesher do not find one that corresponds in the Peshi!ta. It is necessary to emphasize that, in all the cases, one is not dealing with significant variants. c. The Damascus Document It contains six quotations of the Minor Prophets, which differ from the MT:32 five of these are not found in the Peshi!ta version of the Minor Prophets, while the gloss ˆk “thus” (like a wandering heifer so did Israel stray)33 of Hos 4,16 in the CD 1,13-14 recurs in the Peshi!ta (anch) and in the Targum (ˆyk), but does not appear in the LXX and the Vulgate. This variant can be explained, perhaps, as a stylistic improvement in an Aramaic setting, and should not come from a different Vorlage.
“You made man like fish of the sea, like a reptile, to rule over it (lvom]li)”. The English translation of the texts of Qumran is taken from GARCÍA MARTÍNEZ-TIGCHELAAR, Dead Sea Scrolls. The Hebrew text of the pesher of Hab 1,14 and the English translation are found on p. 14-15. 27 “You have made men like fish in the sea, like sea creatures that have no ruler (lvemoAaOl)”. 28 “… that have no ruler (anrbdm) over them”. 29 “For this he continually unsheathes his sword” (/Br“j'). Cf. GARCÍA MARTÍNEZ-TIGCHELAAR, Dead Sea Scrolls, 14-15. 30 “Is he to keep on emptying his net …” (/mr“j,). 31 LAMSA: “Therefore they [pl.] cast their net continually”; but must be translated in the singular “his net”. 32 Cf. GELSTON, Twelve Prophets, 116. 33 Quoted from DAVIES, Damascus Covenant, 234-235. 26
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d. Na>al 9ever The study of manuscript 89evXIIgr,34 containing Greek fragments of the Minor Prophets, carried out during the 60’s by D. BARTHÉLEMY shows that this manuscript is the copy of a revision of the LXX produced with the aim of having the Greek text conform almost identically to the MT.35 A comprehensive study of the Na>al 9ever manuscript shows only two cases, in common with the Peshi!ta, in which one may assume by hypothesis the existence of a Hebrew Vorlage differing from the MT. This is the case with Hab 2,17 and Zeph 3,7:36 Hab 2,17 Zeph 3,7
MT ˆt'yjiy“37 Hn:/[m]40
89evXIIgr
ptohsei se38 phgh authß41
Peshi!ta Çxldt 42 Hynye
Vorlage ˚tyjy39 h(y)ny[m43
In the case of Hab 2,17 we find a common tendency of the ancient versions (LXX, Peshi!ta and 89evXIIgr) to employ the second personal pronoun perhaps to highlight the symmetry of the parallelism: “will cover thee … will make thee shake”. The Targum changes the verb, but keeps the second person masculine singular suffix (˚n:yrIbtti = “will destroy thee”). On the other hand, the Vulgate keeps the third person plural suffix like the MT (deterrebit eos). In the case of Zeph 3,7 it is clear that the text of Na>al 9ever, the LXX and the Peshi!ta read the Vorlage hny[m (with yod instead of waw). The Hebrew form hny[m may be understood as Hn:y:[]m' “her spring” (89evXIIgr), or else as h;n
TOV, Greek Minor Prophets. This is the conclusion reached by BARTHÉLEMY, Les devanciers d’Aquila. 36 Cf. GELSTON, Twelve Prophets, 116. 37 Hifil Imperfect masc. 3rd person singular from the root ttj “dismay, terrify”, with 3rd person plural suffix “will terrify them”. The variant concerns the final suffix. 38 “Will overwhelm thee with fear” applied to the second person, also as in the LXX. The Peshi!ta text also has the second person masculine singular suffix (Çxldt). 39 The vocalization proposed by the BHS is ÚT,jiy“ (the same form based on ancient versions is proposed by the BDB, 369). 40 Substantive ˆ/[m; with 3rd person feminine singular suffix “her dwelling”. 41 Meaning “spring”; instead of this the LXX has the reading e˙x ojfqalmw!n aujthvß “from her eyes”. 42 “Her eyes”; the same meaning is found in the free translation of LAMSA: “and she will not fail to see of all I have decreed concerning her”. In a more literal way: “and from her eyes all that I have commanded her shall not perish”. 43 The text of the Vorlage differs from the MT with a yod instead of the waw. 34 35
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Conclusions The texts found in the Dead Sea region, belonging to the extra-Masoretic tradition, presuppose a Hebrew Vorlage very similar to the MT, in particular with regard to the consonantal text. The Peshi!ta also presupposes the same situation. There are no differences in common with regard to entire verses (or significant parts of verses), but only words (or individual letters of the alphabet). The readings common to the Peshi!ta and to Mur88 (and differing from the readings of the MT) may be retained as similar interpretations of non-vocalized texts, rather than variants due to a different Hebrew Vorlage. On the other hand, interpretations of Mur88, distinct in a significant manner from the MT, have nothing corresponding in the Peshi!ta which, on the contrary, is closer to the MT. Nevertheless in a couple of occasions (Ob 17 çyrwm and Zeph 3,15 ËyIb;y“ao) one may speculate as to the existence of a different Vorlage. As for the pesharim texts one may think of free translations more than of the existence of a Hebrew text differing from the MT. The Peshi!ta at times coincides with the variants of the pesher, but more often follows the MT (as opposed to the readings of the pesher). At least one variant nonetheless, well attested also in the ancient versions, could make one think of a different Vorlage (l[er:hew“ of Hab 2,16). The Vorlage µydgwb (Hab 1,5), instead, is less likely. The sole case of a common reading between the Peshi!ta and the Damascus Document might be explained, perhaps, as deriving from a different Vorlage (ˆk), or as stylistic amelioration in the sphere of the Aramaic language (Targum and Peshi!ta). The comparison with the Greek manuscript of the Twelve coming from Na>al 9ever has revealed two variants in common which may make one think of a Hebrew Vorlage (˚tyjy and hny[m) different from the MT (ˆt'yjiy“ in Hab 2,17 and Hn:/[m] in Zeph 3,7). These variants are also well testified in the ancient versions.44 Taken in their totality, the significant variants which might suggest a different Hebrew Vorlage are few. GELSTON lists five of them: the addition of ˆk in Hos 4,16 and the varying readings µydgwb (Hab 1,5), l[rhw (Hab 2,16), ˚tyjy (Hab 2,17) and hny[m (Zeph 3,7). To these one might add çyrwm (Ob 17) and ËyIb;y“ao (Zeph 3,15), these also well witnessed to in the ancient versions. The conclusion is “that the Hebrew Vorlage of the Peshi!ta was very nearly identical with MT, although it seems probable that the translation was made at a date when some variant readings were still in circulation”.45 44 Nevertheless, as GELSTON, Twelve Prophets, 118, stresses: “there are no exclusive agreements between 89evXIIgr and the Peshi!ta, and there is thus no reason to suppose any direct link between them”. 45 GELSTON, Twelve Prophets, 118. In the section entitled “Variants within the Masoretic tradition” (118-125) GELSTON studies the Hebrew variants contained in the manuscripts of the
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The value of the Peshi!ta for textual criticism of the OT therefore turns out to be brought into proportion. To this aim we share GELSTON’s judgment: … it is clear that the Peshi!ta has little distinctive contribution to offer to the reconstruction of a putative original Hebrew text, at least of the Dodekapropheton, and that when it does appear to presuppose a Vorlage distinct from MT it is by no means a straightforward matter to reconstruct it with confidence.46
Massimo Pazzini, ofm Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
Bibliography BARTHÉLEMY D., Les devanciers d’Aquila: Première publication intégrale du texte des fragments du Dodécaprophéton trouvés dans le désert de Juda, précédée d’une étude sur les traductions et recensions grecques de la Bible réalisées au premier siècle de notre ère sous l’influence du rabbinat palestinien (VTS 10), Leiden 1963. BENOIT P. - MILIK J. T. - DE VAUX R., Les grottes de Murabbaˁât: Avec des contributions de G. M. Crowfoot, E. Crowfoot, A. Grohmann; 1: Texte; 2: Planches (DJD II), Oxford 1961. CARBAJOSA I., Las características de la versión siríaca de los Salmos (Sal 90-150 de la Peshitta), (Analecta Biblica 162), Roma 2006. CATHCART K. J. - GORDON R. P., The Targum of the Minor Prophets: Translated, with a Critical Introduction, Apparatus, and Notes (The Aramaic Bible 14), Edinburgh - Wilmington 1989. DAVIES P. R., The Damascus Covenant: An Interpretation of the “Damascus Document” (JSOT.S 25), Sheffield 1983. GARCÍA MARTÍNEZ F. - TIGCHELAAR E. J. C. (ed.), The Dead Sea Scrolls: Study edition. Vol. 1: 1Q1-4Q273; Vol 2: 4Q274-11Q31, Leiden - Boston - Köln, 1997/1998. GELSTON A., The Peshi'ta of the Twelve Prophets, Oxford - New York 1987. GELSTON A. (ed.), “Dodekapropheton”, in The Old Testament in Syriac according to the Peshi'ta Version, Part III, fascicle 4, Leiden 1980. KOSTER M. D., The Peshi'ta of Exodus: The Development of its Text in the Course of Fifteen Centuries (Studia Semitica Neerlandica 19), Assen - Amsterdam 1977. various periods. These variant readings are also situated “essentially within the Masoretic tradition of the consonantal text” and do not indicate a Hebrew Vorlage different from the MT. 46 GELSTON, Twelve Prophets, 130.
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The Peshiṭta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea
LAMSA G., The Holy Bible from Ancient Eastern Manuscripts, Philadelphia 1957. LANE D. J., The Peshi'ta of Leviticus (Monographs of the Peshi!ta Institute Leiden 6), Leiden - New York - Köln 1994. TOV E., Textual Criticism of the Hebrew Bible, Minneapolis - Assen Maastricht 21992. TOV E., The Greek Minor Prophets Scroll from Na$al <ever (8<evXIIgr). The Seiyâl Collection I (DJD VIII), Oxford 1995.
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Rosario Pierri Perifrasi verbali con "#$%&'( ed )*+,-' nei LXX
Nel presente articolo si intende investigare se nei LXX vi siano costruzioni composte dai verbi "#(")$%&'( e t*+,&( (al perfetto o al piuccheperfetto) con il participio definibili come perifrasi verbali1. I. Elementi introduttivi DIETRICH include i due verbi in un elenco di combinazioni perifrastiche nel paragrafo Die Kategorie der Winkelschau im Griechischen di un suo noto contributo sulla perifrasi, dove si legge che la perifrasi )*+,-' + presente participio esprime la Winkelschau e quella composta da "#(")$%&'( + presente participio oltre alla Winkelschau esprime “resultierende Situierung”2. Negli esempi rela1 Con perifrasi verbale in questo contributo si considera una costruzione perifrastica costituita da verbo finito e participio che si affianca a forme sintetiche con cui condivide in particolare l’epressione dell’aspetto. L’articolo si divide in due parti. Nella prima parte saranno sintetizzate e commentate le posizioni di diversi autori su questo tema. Per l’approfondimento del fenomeno più in generale è dato rilievo anche alla perifrasi costituita da IE + participio (soprattutto AERTS, PORTER, AMENTA). Un paragrafo è riservato al rapporto delle perifrasi presenti nel TM e nei LXX (GOOD). La prima parte si conclude con una sintesi. Nella seconda parte si trovano in ordine di combinazione secondo il tempo (verbo finito – participio) le occorrenze selezionate e proposte come perifrasi. Per i testi biblici si segue l’editio maior di Göttingen dei LXX per tutti i libri finora pubblicati nella collana e l’edizione di RAHLFS per i restanti libri; per il Nuovo Testamento l’edizione consultata è quella di B. et K. ALAND et al., Novum Testamentum Graece, Stuttgart 271993. Le traduzioni di confronto saranno principalmente quelle di BRENTON, la NETS (A New English Translation of the Septuagint, ed. A. PIETERSMA - B. G. WRIGHT, New York 2007) e la Vulgata (edizione Biblia Sacra iuxta Vulgatam editionem, Stuttgart 1969). Circa quest’ultima versione e all’influenza che ha esercitato e subito nell’affermazione della perifrasi, ci limitiamo a segnalare che l’influsso alloglotto esercitato sulle traduzioni dei Vangeli dalla lingua greca va bilanciato con la presenza nel latino precristiano di “perifrasi di tipo aggettivale”. La lingua dei Vangeli, in concreto, ha contribuito a potenziare “di un significato aspettuale” le costruzioni perifrastiche già usate. Cf. AMENTA, Perifrasi aspettuali, 96. 2 L’autore in nota spiega: “ ‘Situierung’ nenne ich die Kategorie, durch die eine Verbalhandlung in Beziehung zu einer (meist impliziten) anderen Handlung gesetzt wird, bei der ‘resultierenden Situierung’ als Resultat einer impliziten Handlung(sreihe): ‘Es kam dazu, dass …’.
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Perifrasi verbali con givnomai ed e{sthka nei LXX
tivi alla prima perifrasi non registra attestazioni dei LXX3, circa la seconda annota: Die Periphrase mit "#"$%&'( + Part. Präs. bedeutet zusätzlich zur Partzialisierung eine Betonung eines bisher im Kontext unbeachteten Handlungstranges y, dessen “Ergebnis” auf dem stets im Vordergrund stehenden, d.h. expliziten Handlungsstrang x, projiziert wird […]. Die Periphrase erscheint nur in biblischen oder ihnen nahestehenden Texten. Sie hat jedoch eine romanische Entsprechung in den Konstruktionen mit VENIRE AD + Inf.4
In BLASS-DEBRUNNER-REHKOPF non si registra la perifrasi con )*+,-' ma appare quella con "#$I*Q'(5, che “nei diversi tempi esprime con il participio presente o perfetto l’inizio di una situazione”6. PORTER scarta la teoria secondo cui ci sia perifrasi con )*+,-' e con altri verbi7. Autori come CONYBEARE-STOCK si limitano ad osservare che l’uso della perifrastica nei LXX is suggested by the great use made of the participle in Hebrew, while at the same time there was a strong tendency towards the employment of such forms within the Greek language itself. They are to be found in the best writers, both in prose and poetry, from Homer downwards.
Gli esempi registrati comprendono prevalentemente il verbo IE e il participio, ma sono segnalati anche casi di perifrastica con "#$%&'( e casi di sostituzione del participio con l’aggettivo verbale8. Anche THACKERAY, sulle perifrasi, riduce DIETRICH, Verbalaspekt im Griechischen, 199). 3 DIETRICH, Verbalaspekt im Griechischen, 209-210. Per l’ambito biblico DIETRICH cita come prove (“Belege”) del Nuovo Testamento Mc 11,25; Lc 23,10; At 1,11; 26,6.22. 4 DIETRICH, Verbalaspekt im Griechischen, 210, n. 46. Delle occorrenze bibliche cita dai LXX Gen 31,40; dal NT Mt 3,1; Mc 1,4. 5 Va ricordato che alcuni autori adottano come forme di riferimento il presente indicativo, altri il presente infinito. 6 BLASS-DEBRUNNER-REHKOPF, § 354. 7 “Other grammarians cite other instances of what they call periphrastic constructions in the NT, but these are best subsumed under normal use of the Participle, even though English translation may indicate a meaning close to that of a proper periphrasis (cf. e.g. Dietrich, “Verbalaspekt,” who treats +S"O1$W + Participle … )*+,-' + Present Participle …; and Blass/Debrunner, § 414, who suggest certain supplementary costruction with Participle: e.g. u013OW, l3O%&'(, etc.)” (PORTER, Verbal Aspect, 491-492). Per il NT si possono citare DANA-MANTEY, 231, che sintetizzano alcuni punti sulla perifrasi con il participio in questi termini: – è ampiamente impiegata in greco; – occorre in tutte le voci e tempi, raramente all’aoristo; – in greco alcune forme temporali sono espresse unicamente con la perifrasi: perfetto medio-passivo congiuntivo e ottativo; – nella forma finita della perifrasi oltre ad IE sono usati "#$%&'(, u013OW e possibilmente NOW con il perfetto; – tra le forme perifrastiche presenti nel NT quella all’imperfetto è la più frequente. 8 CONYBEARE-STOCK, Grammar, § 72. Gli esempi di perifrasi con "#"$I*Q'( citati dagli autori sono Es 17,12, /"V$%$+% … /*+,3("&V$'(; Nm 10,36 (nel testo degli autori si legge 10,34 che è la numerazione del TM), /"V$I+% *-(1X%S*'; Sal 72,14, /"I$H&,$ &I&'*+("W&V$%U; 125,3, /"I$vQ,&I$ IT63'($H&I$%(; Sir 13,9, u0%OW3Y$ "#$%S; 18,33, &w "#$%S … *S&g%J%-%0Y$; Is 30,12, 0I0%(Q`U /"V$%S. Nella trattazione riprenderemo alcune di queste attestazioni. Le costruzioni elencate sono tutte perifrasi tranne Sir 18,33, &w "#$%S 0+WObU *S&g%J%-%0Y$ /- F'$I(*&%G “Non diventare povero banchettando a prestito”, dove 0+WOHU è
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Rosario Pierri
le osservazioni filologiche ai due punti essenziali: l’influsso ebraico e l’uso della costruzione fin dalla prima grecità classica9. La riflessione di EVANS sulla perifrasi con BCDEFGH Della perifrasi con "#$%&'( + participio nel Pentateuco si occupa EVANS, il quale osserva che il significato semantico di IE e "#$%&'( si sovrappone quando il secondo verbo da divenire passa a significare essere; un chiaro esempio di tale fenomeno si ha in Gen 18,1810, ma, avverte l’autore, non sempre (si discute sempre di "#$%&'() c’è la perifrasi (verbale) ed è tutt’altro che scontato stabilire se e quando "#$%&'( sia sinonimo di IE. La posizione di PORTER, al riguardo, è criticata da EVANS. Per PORTER IE e "#$%&'( sono sinonimi ma distinti quanto all’aspetto e "#$%&'( conserva il proprio valore aspettuale nella perifrasi. Per EVANS ciò equivale ad ammettere che il verbo non si comporta da ausiliare: se si pone la semantica lessicale come il tratto di maggiore importanza per potenziali usi ausiliari, la persistenza di fattori aspettuali si oppone a che ci sia perifrasi. La descrizione di "#$%&'( da parte di PORTER appare insufficiente a EVANS, inoltre PORTER insisterebbe troppo sul significato di divenire (significato che per EVANS si oppone alla perifrasi). Il verbo "#$%&'( per formare perifrasi deve significare essere, solo in questo modo con il participio può formare un equivalente a una forma temporale sintetica12. L’affermazione è ribadita da predicativo e *S&g%J%-%0Y$ participio congiunto modale o anche causale: “… siccome banchetti a prestito”. 9 THACKERAY, Grammar, 24: “The periphrastic conjugation is widely extended, but only the strong vernacular of Tobit employs such a future as N*%&'( F(FH$'(.”; 195: “The periphrastic conjugation widens its range, partly but not entirely owing to the influence of the Hebrew original, the auxiliary verb being now employed with the present participle to represent the imperf., future, and more rarely the present tense: periphrastic in the perfect goes back to the earlier language”. 10 xg3''& F\ "($H&I$%U N*+'( (EVANS, Verbal Syntax, 225). 11 EVANS, Verbal Syntax, 225, tra gli altri autori rimanda a FANNING, Verbal Aspect, 310, n. 255, rilevando che, secondo quest’ultimo, nelle perifrasi "#$%&'( conserva il suo significato (lessicale). Ecco quanto scrive FANNING nel luogo citato: “A few instances of periphrasis with "#$%&'( do occur in the NT, and they have the sense of ‘coming to be in a process or state’. These uses (not all indicative) are: Mark 9: 3; 2Cor. 6: 14; Col. 1: 18; Heb. 5: 12; Rev. 3: 2, 16: 10 (Mark 9: 7 is not periphrastic)”. 12 EVANS, Verbal Syntax, 226. EVANS considera inadeguata la descrizione lessicale di "#$%&'( da parte di PORTER. Il testo di PORTER è il seguente: “Several grammarians cite instances of "#$%&'( + Participle as forming periphrastic constructions (…; contra Winer, 440 who categorically denies this construction as periphrastic), apparently viewing "#$%&'( as synonymus as with IE on the basis of lexical similarity … "#$%&'( appears to be the aspectually marked lexical equivalent of the lexically vague IE, and thus its vague meaning is suitable to any number of context, while still contributing an aspectual semantic component”. PORTER riprende i casi di perifrasi citati in TURNER, Syntax, 98 – le stesse occorrenze registrate da FANNING, vedi nota precedente – ma non accetta Ap 1,18 (PORTER, Verbal Aspect, 491). Va precisato che WINER nel luogo citato limita l’affermazione al NT.
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Perifrasi verbali con givnomai ed e{sthka nei LXX
EVANS in un contributo successivo, dove osserva in primo luogo che la perifrasi, formata da un verbo ausiliare più participio o infinito, è un equivalente vicino alle forme verbali sintetiche attestata nel greco antico13. Sono tre i casi nel Pentateuco in cui sembra che ci siano le condizioni per la perifrasi secondo EVANS: Gen 31,40 /"($H&,$ +KU R&V3'U *S"-'(H&I$%U +y -'c&'+( -'5 0'"I+y +KU $S-+HU di giorno ero (preferibile a “diventavo”) arso dal fuoco e dal gelo la notte EVANS propone:14
I was being burnt up by heat during the day and by frost during the night BRENTON: I was parched with heat by day, and chilled with frost by night NETS: by day I would become inflamed by heat and by frost by night
La traduzione più letterale è l’ultima, come pure la meno vicina all’interpretazione perifrastica. Nella sua resa EVANS esprime l’azione imperfettiva passiva (imperfetto + presente participio passivo) della costruzione. Es 17,12 -'5 /"V$%$+% 'm OI[3IU zWS*K /*+,3("&V$'( )WU FS*&Y$ RJ#%S le mani di Mosè furono sostenute fino al tramonto del sole15 EVANS: And Moses’ hands were supported until sunset
Anche BRENTON e NETS hanno “were supported”, traduzione che riflette la perifrasi. Come intendere la combinazione aoristo + perfetto participio passivo, come piuccheperfetto? La resa “were supported” è esatta, ma, come si vede, BRENTON neutralizza qualsiasi differenza – si allude alla combinazione dei tempi – tra la precedente perifrasi (“I was parched”) e la seconda, mentre NETS, in questo passo dell’Esodo, abbandona inspiegabilmente il verbo “become” adottato in Gen 31,40.
13 EVANS, Periphrastic, 112. Qui l’autore osserva che nel periodo della koinè IE più participio è la perifrasi verbale più frequente. Nella nota 20 l’autore rimanda a AERTS, Periphrastica, senza dubbio l’opera di riferimento sull’argomento; nella nota successiva EVANS dice che le perifrasi con "#(")$%&'( e u013OW molto probabilmente (“arguably”) sono variazioni di IE più participio, almeno nel periodo della koinè. 14 Cf. EVANS, Verbal Syntax, 226; la Vulgata ha: “die noctuque aestu urebar et gelu”. La perifrasi è riconosciuta come tale da DIETRICH, Verbalaspekt im Griechischen, 210, vedi sopra, n. 3. Le osservazioni di EVANS relative al confronto con il testo ebraico dei passi citati non vengono trattate. Per chi scrive non hanno un ruolo determinante per stabilire se c’è o no perifrasi verbale. L’edizione critica del Pentateuco adottata da EVANS è quella di Göttingen curata da WEVERS; per gli altri libri segue principalmente RAHLFS e per il confronto l’edizione di Cambridge a cura di BROOKE-MCLEAN (EVANS, Verbal Syntax, 7). In questo contributo si segue l’edizione di Göttingen per tutti i libri finora pubblicati e l’edizione di Cambridge per quelli mancanti nell’edizione di Göttingen. 15 Buona la resa: “e rimasero le mani di Mosè ferme …” in MORTARI, Bibbia dei LXX, 309.
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Nm 10,36 -'5 R $I6VJ, /"V$I+% *-(1X%S*' /0{ 'T+%[U R&V3'U16 E la nube gli faceva ombra di giorno EVANS: And the cloud was overshadowing them by day BRENTON: And the cloud overshadowed them by day NETS: And the cloud came, overshadowing them by day
La traduzione di EVANS pone in evidenza l’imperfettività del presente participio, mentre BRENTON ha come punto di riferimento l’aoristo del verbo finito; NETS esclude la perifrasi, analizzando il participio come congiunto. Né il lessico LUST-EYNIKEL-HAUSPIE né quello di MURAOKA registrano in maniera esplicita l’impiego di "#$%&'( nella perifrasi. La voce del verbo "#$%&'( nel LUST-EYNIKEL-HAUSPIE è davvero limitata e non accenna neppure alla costruzione "#$%&'( + participio17. MURAOKA riporta le tre occorrenze alla voce "#$%&'( ma separate: Gen 31,40 e Nm 10,36 rientrano sotto il significato “to set out doing sth (ptc., mostly pres.), marking the onset of a new action or situation”18, mentre la costruzione di Es 17,12 è considerata un caso “with an aorist form of ". combined with a pf. mid./pass. ptc. it is a substitute for a mid./ pass. pf.”19. Nella lettera seguente (c) la combinazione tra il perfetto di "#$%&'( e un perfetto medio-passivo participio è equiparata a un medio-passivo perfetto20. Si può dire che MURAOKA parli di perifrastica in modo implicito. Diversamente accade per IE al cui uso perifrastico è riservato un intero paragrafo21. Nelle precedenti attestazioni, secondo EVANS, il participio dà il principale contributo aspettuale alla perifrasi: in Gen 31,40 e Nm 10,36 si ha l’equivalente di un imperfetto, in Es 17,12 di piuccheperfetto. Il primo significato di "#$%&'( (diventare), continua EVANS, sembra invece operativo in Gen 26,13; Es 19,19; Dt 19,11 (“debatable”); 22,23; Lv 13,49; 22,13, dove il participio è aggettivato, per cui non si ha perifrasi, vale a dire non sono esempi equivalenti a una forma sintetica22. In senso stretto si ha perifrasi, se c’è equivalenza con una forma temporale sintetica. La combinazione più produttiva è quella con IE + participio23.
16 CONYBEARE-STOCK, Grammar, § 72, elencano Es 17,12 e Nm 10,36 tra le attestazioni di perifrasi. Vedi sopra, n. 8. 17 Cf. LUST-EYNIKEL-HAUSPIE, sub voce "#$%&'(, 120. 18 MURAOKA, Lexicon, sub voce "#$%&'(, 131, n. 5. 19 MURAOKA, Lexicon, sub voce "#$%&'(, 131, n. 5b. 20 MURAOKA, Lexicon, sub voce "#$%&'(, 131, n. 5c. Tra gli altri autori qui si cita anche EVANS, Verbal Syntax, 224-227. Sotto la medesima voce al n. 3 il participio nella costruzione di "#$%&'( + participio in Sir 2,5; Is 30,12; Ger 18,21 è analizzato come aggettivato. 21 MURAOKA, Lexicon, sub voce IE, 194, dove si annota che il verbo IE è usato in perifrasi in diversi tempi e modi. Gli autori di riferimento sono BLASS-DEBRUNNER-REHKOPF, §§ 352-354; AERTS, Periphrastica, soprattutto 52-96; EVANS, Verbal Syntax, 230-248. 22 EVANS, Verbal Syntax, 227. 23 EVANS, Verbal Syntax, 230.
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Tirando le somme, dunque, si intuisce che tra gli autori, e finora ne sono stati citati solo alcuni, non vi è totale identità di vedute nel definire quando si ha una perifrasi verbale. L’ultima affermazione di EVANS rappresenta un punto fermo per ulteriori approfondimenti. Criteri di individuazione della perifrasi Di seguito viene presentata in sintesi l’indagine di alcuni autori che si sono occupati della perifrasi, producendo ampi contributi, che risultano utili per delineare anche una breve storia, per forza di cose parziale, della ricerca. In queste pagine la discussione è limitata alla perifrasi IE + participio, la costruzione su cui gli autori esprimono maggiori convergenze d’interpretazione. AERTS Nella sistemazione di AERTS i criteri per individuare la presenza di una perifrasi sono principalmente negativi: non si ha perifrasi o è poco probabile che vi sia, quando IL$'( significa esistere, se è in relazione con una determinazione (“adjunct”) di luogo o di tempo, con dativo di possesso o di interesse, se la sua posizione è enfatica. Anche dove una copula occorre senza significato intrinseco (“intrinsic meaning”) in combinazione con il participio, non si ha perifrasi nel greco antico. Determinare quando si ha una copula con un participio aggettivato puro è in genere difficoltoso e dipende dalla sensibilità linguistica e dal contesto24.
Presente participio Con il presente participio, riassumendo la discussione, non si ha perifrasi: 1) se IL$'( è indipendente rispetto al participio25; 2) se il participio è del tutto (“completely”) aggettivato. Se c’è perifrasi, essa ha carattere prevalentemente di situazione stabile (“situation-fixing”) o descrittiva (“describing”) e intransitiva, e spesso non si distingue dai casi del gruppo 226. Il numero dei casi dove IL$'( è 24 AERTS, Periphrastica, 12-13. Lo studioso per convenienza divide la storia della lingua greca in tre periodi: – greco antico, dagli inizi fino al 300 a.C.; – koinè, dal 300 a.C. al 1000 d.C.; – greco moderno dal 1000 ai nostri giorni (ibid., 3). Qui vanno fatte due osservazioni. Date le premesse, l’individuazione di una perifrasi non è un’operazione semplice; cosa voglia intendere l’autore con “valore intrinseco” non è chiaro, ma ha maggiore rilievo ai fini della riflessione il concetto di copula: in caso di perifrasi IE ha la funzione di copula? 25 AERTS intende dire che IL$'( deve svolgere il ruolo di ausiliare. L’indipendenza, come si è visto, emerge quando il verbo: 1) significa esistere, 2) se ha relazione con un dativo di possesso o di comodo, 3) se è in posizione enfatica. 26 AERTS, Periphrastica, 17. Nella sintesi di AERTS, in sé corretta, emerge la difficoltà di interpretare alcuni participi come verbali. In linea di principio, dunque, se un participio non è
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indipendente o associato (“associative indipendent”) riducono le occorrenze delle vere perifrasi. Le perifrasi progressive sono rare. Man mano che la perifrasi si afferma la copula perde enfasi e diminuiscono le occorrenze dove si trova dopo il participio27. Aoristo participio In linea di principo la costruzione IL$'( + aoristo participio differisce nell’aspetto dal presente e dal perfetto: esprime azione e non stasi o situazione stabile28. Ad uno sguardo generale le costruzioni con aoristo participio e IL$'( ("#"$I*Q'() in molti casi non sono perifrastiche. L’uso si può spesso ricondurre a circostanze particolari. L’equivalenza con il piuccheperfetto latino postulata da BJÖRCK e altri autori non può essere assunta senza verifica. La perifrasi con aoristo ha carattere aspettuale e non ricopre altre funzioni o sostituisce altre forme aspettuali29. Perfetto participio AERTS sintetizza questa materia nei seguenti punti: 1) Le perifrasi con perfetto participio sono le più antiche. 2) Dapprima occorrono al perfetto e piuccheperfetto indicativo soprattutto alla terza persona singolare e sono precedenti alle perifrasi al congiuntivo e ottativo. 3) Le forme monolettiche del congiuntivo e ottattivo del perfetto scompaiono nel quarto secolo a favore della perifrasi. Si ha la sostituzione delle forme monolettiche della terza persona plurale del perfetto e piuccheperfetto con la perifrasi. Più tardi la ripresa delle forme monolettiche è da attribuire a imitazione. 4) Le perifrasi hanno carattere di situazione stabile e il participio si comporta come un aggettivo. Dapprima il perfetto participio attivo è usato in modo intransitivo; il participio resultativo si afferma “completamente aggettivato”, ha buone probabilità di formare perifrasi. Ci si può chiedere in che misura un participio equivale a un aggettivo (indica una qualità del soggetto?) e a quale tipo di aggettivi in particolare. 27 AERTS, Periphrastica, 26. Qui AERTS introduce il concetto di perifrasi progressiva che, nonostante la rarità, e ciò ha un suo rilievo, è già in uso in epoca molto antica ed esprime appunto l’aspetto progressivo. Ancora una volta l’attenzione cade sulla funzione della copula, ma è evidente che, per avere la perifrasi verbale, IL$'( non deve avere la funzione di copula bensì di ausiliare. Sarà forse una questione terminologica ma è preferibile non sovrapporre la funzione di copula con quella di ausiliare. 28 AERTS, Periphrastica, 27. 29 AERTS, Periphrastica, 35. Sull’uso della costruzione con il senso di piuccheperfetto latino in precedenza AERTS, Periphrastica, 27, n. 1, rimanda a BJÖRCK, |$ F(F1*-W$, 74; BLASS-DEBRUNNER, § 355; WOLF, Studien I, 66; II, 55. In BLASS-DEBRUNNER-FUNK, § 355, si dice che la costruzione non è sconosciuta al greco classico e che più tardi servirà per esprimere il piuccheperfetto e, con riferimento a BJÖRCK, |$ F(F1*-W$, 77s, si ricorda che la perifrasi è “influenced in part by Lat.”, non si fa quindi riferimento alle riserve di AERTS, la cui posizione non appare neppure.
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con lo sviluppo del perfetto resultativo nel quarto secolo. 5) La sostituzione del congiuntivo e ottativo monolettici e delle terminazioni in -'+'( e -'+% del perfetto e piuccheperfetto medio-passivi con perifrasi è parallela alla sostituzione del perfetto futuro monolettico con quello perifrastico. 6) La perifrasi del perfetto fa da modello a quella con il presente, quella con l’aoristo non è ben definita. 7) L’uso della perifrasi ha un risvolto stilistico. La perifrasi nella koinè In primo luogo va ricordato che tutti i tipi di perifrasi precedenti occorrono anche nella koinè. Con il participio presente oltre all’uso intransitivo e di situazione stabile si afferma l’uso progressivo. Questa perifrasi descrive l’azione in corso o una situazione come appare in un dato momento30. La perifrasi nel greco biblico Secondo AERTS la maggior parte dei grammatici fa dipendere la perifrasi del tipo }$ F(F1*-W$ da un sostrato aramaico. L’equivoco è dovuto alla mancata distinzione tra l’uso intransitivo, che stabilisce una situazione (“intransitivefixing”), e quello progressivo individuato da BJÖRCK, e, come conseguenza, o all’importanza attribuita alla continuità d’uso tra il greco antico e quello del NT o alla teoria che fa dipendere eccessivamente la perifrasi con l’imperfetto dall’influsso semitico. AERTS ritiene che non si è tenuto nel debito conto dell’uso della perifrasi nella lingua dei LXX, che tanta parte ha avuto nella formazione stilistica di Luca. Lo studioso ribadisce che nel siriaco c’era la tendenza all’uso della copula con il participio, così pure nei LXX, dove la costruzione di IL$'( + participio appare regolarmente, anche se non in tutti i libri31. L’esistenza della perifrasi progressiva composta da IL$'( + presente participio, che BJÖRCK nota nel NT e in leggende (“legends”) successive, era già attestata nei LXX. Il confine tra la perifrasi progressiva e quella di situazione stabile non è sempre netto32.
AERTS, Periphrastica, 52. AERTS propone esempi tratti da Erodoto, dal Vangelo di Luca e dagli Atti degli apostoli. 31 AERTS, Periphrastica, 60-62. Non è chiaro il nesso tra l’uso intransitivo e quello progressivo della perifrasi da una parte, tra la continuità d’uso con il greco antico e l’influsso semitico dall’altra con il fatto che taluni grammatici sostengano la teoria della dipendenza della perifrasi dall’aramaico. Valutando la consistenza degli elementi in campo, la sottolineatura dell’influsso dei LXX ha certamente maggiori elementi di concretezza rispetto a una matrice siriaca della perifrasi. 32 Esempi di perifrasi progressiva segnalati da AERTS, Periphrastica, 64, tra tutti quelli raccolti sono 2 Cr 30,10; Dan 8,5; 2 Sam 15,32; 1 Re 21,12. 30
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La combinazione dell’imperfetto di IL$'( + participio è la più frequente nel greco antico. Nel NT, dove i criteri d’uso non differiscono, se ne incontrano un buon numero. È difficile, sostiene AERTS, individuare una linea di sviluppo dal greco antico alla koinè. Nei LXX talvolta la costruzione è progressiva in netto contrasto con l’uso del greco antico33. L’estensione di quest’uso è dovuto ai LXX e indirettamente alla corrispondente costruzione ebraica: si verifica un influsso semitico indiretto. I testi dei LXX e del NT sono un’attendibile testimonianza dell’uso della lingua contemporanea. Sono pochi i passagi di non greco e di espressioni non greche, anche dove la traduzione in ebraico o aramaico fa luce su di un determinato uso. Certamente non ci sono le condizioni per un confronto con la lingua di Erodoto o di Platone. Il greco (biblico) fa uso in questo caso di espressioni che non sono essenzialmente greche: la perifrasi progressiva è una di queste espressioni possibili in greco ma non del tutto greche34. Nei LXX la costruzione IL$'( + aoristo participio non occorre. Secondo AERTS questa perifrasi, con il valore di piuccheperfetto, acquista importanza nel primo secolo35. Nel complesso il carattere del perfetto perifrastico rimane quello del greco antico, cioè intransitivo e di situazione stabile. Gli si affianca un perfetto resultativo perifrastico e pochi piuccheperfetti definibili Vorvergangenheitstempus. La frequenza della perifrasi con il participio perfetto attivo è piuttosto bassa, con il passivo le perifrasi sono più numerose36. Altre tendenze da considerare sono le seguenti: 1) La perifrasi è limitata soprattutto all’indicativo. 2) C’è una certa tendenza all’aggettivazione del perfetto passivo. 3) Negli scrittori popolari diminuisce la frequenza in favore della perifrasi con l’aoristo37. PORTER La riflessione di PORTER sulla perifrasi, benché l’autore non lo dica esplicitamente, ha il carattere di una sorta di rifondazione della teorizzazione dell’argomento. La presa di posizione è netta, PORTER ritiene, in concreto, che vi sia perifrasi verbale solo con IE, e coerentemente concentra le altre costruzioni costituite da verbo finito + participio o infinito in un’appendice di uno dei suoi principali contributi38. 33 Per l’autore è indiscutibile che la perifrasi con il presente participio sia una semplice variante stilistica di quella con il perfetto participio, perciò tendenzialmente non progressiva. 34 AERTS, Periphrastica, 74-75. 35 AERTS, Periphrastica, 76-77. 36 AERTS, Periphrastica, 91. 37 AERTS, Periphrastica, 96. 38 PORTER, Verbal Aspect, 487-492. In queste pagine sono trattate in ordine le perifrasi con i
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Il punto di partenza della posizione dell’autore è che il verbo IE è marcato da genericità aspettuale (“aspectual vagueness”), un tratto che lo rende compatibile con qualsiasi contesto aspettuale39. Nel riassumere il pensiero dei principali studiosi della perifrasi che lo hanno preceduto, PORTER rileva nei loro contributi l’assenza della formulazione di criteri per riconoscere una perifrasi40. verbi Fc$'&'(, QVJW, FI[, &VJJW, NOW, "#$%&'(. 39 “There are a number of constructions in Greek that grammarians call periphrastic, but IE is by far the most common auxiliary; surely its use in periphrastic has to do with its aspectual vagueness and its lexical meaning” (PORTER, Verbal Aspect, 449). Alla definizione della genericità aspettuale di alcuni verbi l’autore dedica diverse pagine (442-447). Il medesimo concetto di genericità aspettuale è ribadito successivamente: “A periphrastic construction in Greek consists of the aspectually vague verb IE and a Participle in agreement, linked in certain fairly specific configurations” (487). Se da un lato PORTER riconosce a IE, e in linea di principio la sua idea è condivisibile, uno statuto a sé nella formazione della perifrasi, da indurre a pensare che solo con IE si può avere perifrasi verbale, quando se ne danno le condizioni, dall’altro non applica fino in fondo questo principio quando considera IE uno dei verbi ausiliari, dai quali si distingue esclusivamente per la sua maggiore frequenza. EVANS, Periphrastic, 222, ritiene inadeguato il principio di aspettualità generica “it lacks diachronic scope and yields an artificially narrow definition of periphrasis”. 40 Gli autori menzionati sono: ALEXANDER, Periphrases; REGARD, La phrase nominale; BJÖRCK, |$ F(F1*-W$; ROSÉN, Tempora des Griechischen; GONDA, Remark; AERTS, Periphrastica; KAHN, The verb ‘Be’ (PORTER, Verbal Aspect, 447-449). L’autore nella nota 5 (449) accenna alla riflessione sul tema di KARLEEN, Syntax, 113-136, e dice che non ne ha analizzato i contenuti per tre ragioni: 1) la discussione di KARLEEN si concentra in primo luogo sulla generazione sincronica della perifrasi; 2) l’autore fa proprie alcune definizioni di perifrasi in particolare quelle di AERTS e GONDA; 3) la sua visione dell’aspetto è più vicina all’Aktionsart che all’aspetto in sé. Inoltre KARLEEN non dice in cosa consiste una perifrasi e mediante la grammatica transformazionale cerca di spiegare il modello da cui deriva (“where the examples agreed upon by others came from”). – Le osservazioni critiche di PORTER sono fondate. Per KARLEEN dal punto di vista sincronico il participio perifrastico è la reintroduzione del participio aggettivale nel predicato. Il participio perifrastico comporta il passaggio del participio attributivo a predicato per creare un nuovo operatore della forma essere + participio (il concetto è ribadito oltre: “una costruzione perifrastica è il risultato di una trasformazione di un participio attributivo”; 125). Il participio nel predicato deve essere considerato una trasformazione del verbo finito: l’uomo mangia > l’uomo è mangiante, ma “la sintassi storica non accetta la derivazione del participio perifrastico da una forma finita”. Il participio perifrastico equivalente a un verbo (durativo o no) si deve a una rianalisi del participio reintrodotto con IE (115-117). La definizione del confine tra perifrasi aggettivale e perifrastica riguarda la semantica e non la sintassi e l’interpretazione dipende dai verbi o participi presenti nel contesto. KARLEEN, per distinguere le due perifrasi, ricorre alla prova applicata in inglese per individuare il participio aggettivale nel predicato: si aggiunge ‘very’ (J#'$ in greco), che funziona in Tt 3,3 e Lc 2,51 ma non in Lc 5,17 (120). Interessante quanto afferma della proposizione nominale, dove sembra (“it appears”) che, quando il participio fa parte di una catena di aggettivi, IE può essere ridotto a zero (“zeroed”), altrimenti il participio sarebbe perifrastico (134). Stando agli esempi, a quanto pare, con “zeroed” KARLEEN intende definire la funzione di copula di IE. Quanto esposto è sufficiente per dare lo spunto ad alcune considerazioni. Ferme le critiche di PORTER, KARLEEN tenta in qualche maniera di dare una spiegazione all’origine della perifrasi anche originale, se si vuole (con il passaggio del participio da attributivo a predicato), benché gli argomenti addotti non appaiano così stringenti, anzi talvolta discutibili. Che la rianalisi, poi, riguardi il solo participio e non l’intera costruzione perifrastica fa sorgere più di qualche dubbio. Che il verbo IE, perché si abbia perifrasi con il participio, non debba essere copula è una teoria che si può sottoscrivere, ma KARLEEN (e non è il solo) non dice
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Natura e funzione di IJFC A conferma del suo assunto PORTER muove dalla critica che RUJIGH fa a KAHN41. Qui interessa essenzialmente ricordare che, sulla base delle sue ricerche, RUJIGH42 sostiene che, quanto all’adattabilità all’uso copulativo “IE è il verbo meno marcato semanticamente della lingua”. Sulla scia di questa affermazione PORTER individua nel significato semantico lessicale generico del verbo, che gravita intorno al significato centrale di ‘essere presente’ (“being present”), la condizione per l’uso di ausiliare nelle costruzioni perifrastiche43. Definizione della perifrasi in greco44 Mancano nella letteratura specializzata criteri comuni per definire la natura e la funzione della perifrasi. Nonostante il tentativo di sistemazione da parte di AERTS, PORTER sostiene che rimangono ampi margini di soggettività nella determinazione dell’esistenza contestuale di una perifrasi45. Molti grammatici non ne danno una definizione. Stando all’autore, le condizioni richieste perché si abbia una perifrasi sono due: 1) la presenza di verbo ausiliare con aspettualità generica, 2) la concordanza del participio con il suo referente. Il primo fattore è necessario per evitare incompatibilità aspettuale con il participio, in caso contrario si ha una costruzione verbale catenative46. Il verbo IE + participio costituisce l’unità minima grammaticale della perifrasi, dove l’ausiliare stabilisce atteggiamento, persona e relazione al discorso, il participio determina l’aspetto verbale47. Oltre alla concordanza, perché vi sia perifrasi, i due memin caso di perifrasi quale sia la funzione di IE, probabilmente proprio perché concentra la sua attenzione prevalentemente sul participio. Quanto alla derivazione della perifrasi, è molto più probabile la sua dipendenza dall’uso predicativo del participio. Cf. TUSA MASSARO, Sintassi, 199, che parla, va precisato, di “formazioni perifrastiche del Perfetto e dei tempi da esso derivati”. 41 PORTER si rifà alla teoria espressa da RUJIGH, Review of KAHN. Cf. PORTER, Verbal Aspect, 449-452. In queste pagine sono riassunte le posizioni dei due autori. 42 RUJIGH, Review of KAHN, 67. 43 Per RUJIGH, Review of KAHN, 55, il valore locale di IE (“être présent, être là”) è fondamentale, anche se rimane centrale la costruzione copulativa. Cf. PORTER, Verbal Aspect, 450. 44 Il titolo di questo paragrafo riprende quello del volume di PORTER, Verbal Aspect, 492. 45 Così FANNING, Verbal Aspect, 311. 46 Si assume in prestito l’aggettivo inglese “catenative”. 47 EVANS, Periphrastic, 223, riconosce che senza la nozione di genericità (aspettuale) di PORTER sarebbe difficile definire l’apporto aspettuale dell’ausiliare alla forma perifrastica, e sostiene che PORTER ha ragione nell’affermare che nella perifrasi è il participio a determinare l’aspetto. EVANS ritiene che sia la semantica lessicale e non quella aspettuale a determinare il possibile uso di un verbo come ausiliare in una perifrasi. Alcuni verbi si adattano per il loro significato lessicale ad essere grammaticalizzati in questo ruolo. Quando un verbo lessicalmente adatto diventa grammaticalizzato in funzione ausiliare, si ha come risultato un certo grado di aspettualità generica. Come per PORTER anche CAMPBELL, Verbal aspect, è il participio a determinare l’aspetto della perifrasi. Una perifrasi con presente participio sarà imperfettiva come riflesso del tema del presente che è imperfettivo (33-34). Quanto alla spazialità, CAMPBELL afferma che le perifrasi seguono gli stessi principi delle forme sintetiche: il presente indicativo dell’ausiliare veicola pros-
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bri devono essere adiacenti; se vi sono elementi aggiunti, devono essere connessi al participio (cioè alla parte che veicola il significato lessicale della costruzione), nel caso, invece, determinino l’ausiliare, ne sanciscono l’autonomia rispetto al participio. Si rimane nell’incertezza, quando tra i due membri si frappone un sintagma locativo o temporale48. Una perifrasi sostituisce una forma semplice, quando quest’ultima non è più usata. In caso di coesistenza di entrambe le forme si pone un problema di sinonimia, data per assodata da alcuni autori ma non da PORTER, per il quale la sinonimia è cognitiva ma non assoluta. Le due forme possono occorrere in uno stesso contesto, ma la perifrasi conserva un suo significato semantico49. simità spaziale, l’imperfetto lontananza spaziale. Nella perifrasi con presente indicativo e il participio perfetto entrambi i costituenti veicolano prossimità spaziale. Il risultato è una maggiore prossimità, così come avviene nella forma sintetica, l’aspetto è imperfettivo (36). – La neutralità aspettuale di IE teorizzata da PORTER, tuttavia, non avrebbe il consenso di MCGAUGHY, Descriptive Analysis, § 5.3, dove si legge: “Like other verbs, IL$'( participates the verbal system in signaling tense, mood and aspect, though only to a limited degree … its morphology distinguishes tense as time and mood, and it contributes to tense as aspect in periphrastic constructions”. L’autore pone in evidenza i limiti dell’esposizione della voce riservata al verbo IE in BAUER, Lexicon. La critica principale è la confusione tra il livello semantico e quello sintattico. BAUER, restringendo la discussione alla perifrasi, pone questa costruzione nella seconda (II) sezione IE “as a copula, uniting subject and predicate” come sub-categoria (II. 4). Per MCGAUGHY, invece, la perifrasi è una sottocategoria “which defines the strictly grammatical function of IE as a tense indicator (i.e., it is lexically empty; § 10.3)”. Più avanti, nell’introdurre il paragrafo sulla perifrasi, lo studioso ricorda, volendo alludere a possibili convergenze d’uso, che in inglese ci sono due gruppi di ausiliari, i “primary auxiliaries”, che indicano tempo e aspetto (have, be, do), e i “modal auxiliaries”, che indicano tempo e modo (can, could, dare, may etc.). Allargando lo sguardo ad altri fattori, aggiunge che in greco le funzioni di tempo, modo e aspetto sono segnalate per mezzo di un sistema di prefissi, infissi e suffissi più che dagli ausiliari. Dopo aver elencato le diverse combinazioni perifrastiche con IE + participio, MCGAUGHY propone tre esempi di perifrasi. In Lc 5,16 'T+bU F\ }$ u0%OW3Y$ /$ +'[U /3v&%(U la perifrasi }$ u0%OW3Y$ corrisponde, secondo lo studioso, a un imperfetto in una proposizione formata da soggetto e verbo intransitivo; Mt 7,29 }$ "Z3 F(F1*-W$ 'T+%cU rientra nella struttura soggetto – verbo transitivo – oggetto. Tale costruzione perifrastica va distinta da quella composta da soggetto – verbo equativo (copula) – predicato (“Subject—Equative Verb—Subjective Complement”) (§ 49). L’esempio di riferimento è Gv 1,49b *k IL ~ SmbU +%G QI%G (§ 13.1). MCGAUGHY ha ragione a insistere sulla distinzione tra i casi di perifrasi e di predicato, ma non tutte le attestazioni di costruzioni sono chiare come quelle da lui portate ad esempio. Sono senza dubbio pertinenti e disambiguanti, tuttavia, le sue affermazioni relative al ruolo di IE nel definire l’aspetto (se ne deduce che per MCGAUGHY la perifrasi va intesa come unità) e alla distinzione tra ‘copula’ e ‘ausiliare’. 48 Il fatto è che PORTER, Verbal Aspect, 453, fa degli elementi frapposti tra i membri della perifrasi una discriminante troppo decisiva: arriva a comprendere anche il soggetto tra di loro! Lo stesso principio (con esempi di soggetto frapposto) è ribadito in PORTER, Idioms, 45-46. Per EVANS lo sforzo di PORTER di individuare elementi formali per distinguere una perifrasi: indeterminatezza aspettuale, l’abbandono della distinzione tra participi pienamente aggettivati e quelli come costituenti di perifrasi, l’ordine delle parole, non sono argomenti convincenti. Nell’individuazione della perifrasi, soprattutto di quelle sostitutive, è inevitabile la soggettività. Cf. EVANS, Periphrastic, 233. I limiti della posizione di PORTER emergono con tutta evidenza in casi come Gen 39,23 %T- }$ ~ a3O(FI*&%6cJ'd +%G FI*&W+,3#%S "($*-W$ F({ 'T+b$ %TQV$, citato dallo stesso EVANS (232) che ritiene, a ragione, }$ … "($*-W$ perifrasi.
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Una volta stabilito che un participio è aggettivato, che sia o no in parallelo con altri aggettivi, per alcuni grammatici non c’è perifrasi. PORTER, al contrario, spinge a superare questa visione. Che un participio possa svolgere la funzione di aggettivo, argomenta, è un dato di fatto, ma nella perifrasi un participio conserva e afferma l’aspetto verbale50. Una posizione certamente condivisibile. EVANS Nelle conclusioni (255-257) EVANS riconosce che, nella determinazione dell’occorrenza di una perifrasi, concorrono inevitabilmente fattori soggettivi. Lo sforzo di PORTER di stabilire criteri formali in questo campo è invalidato da criteri arbitrari personali e dalla poca attenzione alle sfumature della lingua greca. EVANS definisce la perifrasi una combinazione di un ausiliare più participio o infinito come quasi (“as near”) equivalente (perifrasi sostitutiva) o supplenza (perifrasi suppletiva) di una forma sintetica. Negli ausiliari vanno considerati i tratti lessicali semantici e non quelli aspettuali al fine di stabilire la grammaticalizzazione della loro funzione. Nel Pentateuco gli ausiliari sono IE, "#$%&'( combinati con presente e perfetto participio e &VJJW seguito da presente e aoristo infinito. La teoria di AERTS, secondo cui i LXX hanno influito sull’uso della perifrasi nel greco del NT, è fondata ma non nei termini formulati dallo studioso, inoltre 49 PORTER non spiega quale sia il significato proprio della perifrasi o la sua funzione. A tale proposito, soprattutto per la funzione che la perifrasi può svolgere in un racconto, andrebbero rivalutate le osservazioni di GONDA, Remark, 99-102. Secondo questo autore, per fare un esempio, il passaggio dalla forma finita narrativa a quella perifrastica è riferibile alla necessità di sottolineare lo stato delle cose. Il contrasto tra le due forme, inoltre, emerge quando sono presenti entrambe in un medesimo contesto (101). 50 PORTER, Verbal Aspect, 454. L’autore poco prima fa un’osservazione pertinente ma debole sul piano dell’interpretazione. Commentando alcuni esempi in inglese addotti da AERTS per chiarire quando un participio è aggettivato o no, PORTER dice che tali espressioni dimostrano che la traduzione in inglese (dal greco) non è un criterio valido per stabilire se in un dato contesto si ha o meno l’aggettivazione del participio. Un parlante può dire “uomo vedente” (“seeing man”) o “uomo cieco” (“blind man”) ma può non avere la capacità di capire se ‘vedente’ è aggettivato. Lo stesso è valido per il greco. Qui PORTER rimanda a BJÖRCK, |$ F(F1*-W$, 25. La debolezza a cui si è accennato sta nel fatto che non è la competenza del parlante che qui conta ma l’uso, e se ci sono criteri per mettere a fuoco l’uso aggettivale o verbale del participio. Poniamo che un parlante riuscisse a determinare l’uso aggettivale di ‘vedente’ in una costruzione perifrastica, quali ripercussioni avrebbe nell’uso della perifrasi aggettivale? Semplicemente nessuna, il parlante se ne serve perché la percepisce come corretta grammaticalmente. Va ancora osservato che PORTER definisce la perifrasi un’unità grammaticale ma finisce per attribuire la determinazione dell’aspetto al solo participio. Per EVANS, Verbal Syntax, 231, PORTER non si affranca dalla soggettività nell’analisi ed inoltre è difficile che in un participio aggettivato o sostantivato operi ancora l’aspetto, l’uso sempre sostantivato di l3OW$ nel Pentateuco ne è un esempio. Siccome participi di questo tipo non occorrono al presente e al perfetto l’opposizione perfettività/imperfettività non è operativa. La questione richiede di essere approfondita nella grecità antica. In assenza di criteri oggettivi si può stabilire l’aggettivazione di un participio in base al contesto.
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né la perifrasi progressiva né quella con il futuro prendono avvio dai LXX. Per formulare conclusioni sulle perifrasi greche e l’influsso ebraico occorrono dati più esaustivi. Non è stato stabilito perché non si ha sempre perifrasi rispetto a una costruzione ebraica che potrebbe motivarla o rispetto a !"! + participio51. Gli studi, infine, non hanno prodotto dati sufficienti che permettano di studiare la frequenza della perifrasi nel Pentateuco rispetto a quella del greco extra biblico. Queste considerazioni di EVANS sono in parte condivisibili. L’autore, però, non discute le varianti (che possono offrire interessanti elementi sulla ricezione della perifrasi) e il tratto di quasi equivalenza delle perifrasi con le forme sintetiche: non dice in cosa si distinguono sostanzialmente le due forme. Attribuisce, infine, un’importanza decisiva al rapporto con l’ebraico. Con ciò non si vuol dire che un confronto con la lingua tradotta non possa essere illuminante, ma non è questa comparazione a produrre elementi discriminanti per stabilire se una costruzione sia perifrastica o no in greco, al più fornisce notizie sulla tecnica di traduzione e sull’interpretazione del traduttore. Stabilire che una perifrasi rispecchi un modello di traduzione è un fatto, un’altra è l’analisi in greco. AMENTA L’autrice52 riconosce che: 51 Per DIETRICH, Verbalaspekt im Griechischen, 201, la costruzione semitica non ha la stessa funzione di quella greca; in ebraico il participio ha per lo più valore aggettivale, in greco verbale. Un calco sintattico, osserva AMENTA, Perifrasi aspettuali, 65, non necessariamente comporta implicazioni semantiche. 52 La monografia dell’autrice è stata recentemente recensita da BENTEIN, Review, 127-141. Nel suo puntuale contributo l’autore 1) ricorda: – le diverse proposte di classificazione della perifrasi verbale come temporale, aspettuale, modale o come participiale, gerundiale, infinitivale; – che la ricerca si è concentrata soprattutto sulle lingue europee e sull’evoluzione della perifrasi dal latino nelle lingue romanze; – gli studi di COSERIU (Aspecto Verbal; Problem des griechischen Einflusses) e DIETRICH (Verbalaspekt in den romanischen Sprachen) sulle perifrasi aspettuali con verbi come esistere, venire, andare, prendere; entrambi gli studiosi giungono alla conclusione che le lingue romanze hanno ereditato dal greco tale costruzione attraverso la mediazione del primo latino cristiano; 2) presenta gli studi principali su questioni specifiche riguardanti la perifrasi (classificazione, ricerca, evoluzione, origine, influsso aramaico o ebraico, definizione del concetto di perifrasi verbale ed altre questioni); 3) dopo aver esposto per sommi capi il contenuto dei sette capitoli del volume, muove alcuni appunti all’autrice. AMENTA non chiarisce a quali perifrasi aspettuali appartengono quelle che integrano i sistemi verbali … nell’espressione di significati aspettuali e cosa le differenzia da altre perifrasi verbali; – non risponde a PORTER per il quale IE è l’unico vero ausiliare e ritiene che non c’è distinzione tra funzione nominale e verbale del participio come base della delimitazione; – non studia in dettaglio influssi esterni e interni sulle perifrasi verbali greche e ignora EVANS (Verbal Syntax); – ipotizza che il participio nelle perifrasi verbali con verbi di stato si sia sviluppato da una funzione nominale a una verbale; – non registra esempi della produzione successiva al NT per quanto concerne la grammaticalizzazione di IE e non contestualizza gli esempi. Per BENTEIN, inoltre, la defini-
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La varietà e la complessità di realizzazioni comprese sotto l’etichetta di «forme verbali perifrastiche» ne hanno determinato difficoltà di identificazione e di caratterizzazione,
e aggiunge:
Nella sua definizione più ampia, una perifrasi è un sintagma verbale complesso costituito da un verbo di modo finito che apporta al costrutto informazioni grammaticali relative al tempo, al modo, alla persona e da un verbo di modo non finito (gerundio, participio, infinito) legati direttamente o tramite una particella o una congiunzione53.
L’opposizione tra le teorie poligenetica e monogenetica sull’origine della perifrasi ha interessato anche gli studi sul greco e sul latino54. La definizione della perifrasi dipende dalla grammaticalizzazione del verbo finito come ausiliare, fenomeno che comporta nel verbo desemantizzazione, decategorizzazione e riduzione e perdita del peso fonologico55. zione proposta da EVANS manca di precisione. In futuro la ricerca dovrà studiare in maniera sistematica la perifrasi nel greco post-classico e nel greco medievale, definirne la tipologia su criteri semantici e morfosintattici. Si prevede un approccio scalare nella definizione delle perifrasi verbali, perché, si pensa, esprimano diversi gradi di grammaticalizzazione. Sull’ultima affermazione c’è da fare un rilievo sostanziale. L’approccio scalare, infatti, manifesta tutta la debolezza della teoria che estende la categoria di ausiliare in termini omogenei a più verbi, sulla base della comune costruzione sintattica, e pone in secondo piano, se non ignora il fatto oggettivo, che non tutti i verbi ‘ausiliari’, o definiti tali, possono desemantizzarsi come IE (ciò è innegabile) o ne posseggono la “aspectual vagueness”. Del resto lo stesso BENTEIN cita PUSCH-WESCH, Verbalperiphrasen, 4, per i quali questo approccio porterebbe a un uso inflazionistico del concetto di perifrastica con la conseguente svalutazione della terminologia descrittiva. Lo studio delle perifrasi verbali per il greco post-classico, prosegue BENTEIN, deve seguire criteri semantici e un approccio diacronico che evidenzi il rapporto tra forme semplici e perifrastiche; va approfondita la distribuzione delle categorie di tempo, aspetto e modo tra il verbo finito e il non-finito; la communis opinio che la perifrasi verbale possa ridursi all’imperfettività è una semplificazione; le perifrasi verbali vanno inquadrate all’interno dell’evoluzione dell’intero sistema verbale (con rimando a BROWNING, Medieval and modern Greek, 36ss); non va trascurata la fonologia nell’analisi del fenomeno (con rimando a HORROCKS, A History, 76, dove l’autore, però, non fa accenno alla fonologia!). Aggiungiamo che a conclusione del paragrafo The impact of bilinguism HORROCKS (78) sostiene che vari fenomeni di carattere lessicale e sintattico, inclusa la perifrasi, nonostante gli innegabili contatti tra greco e latino, sono da attribuire a un processo interno alle due lingue, allorché si passa dallo stadio di dialetto locale a lingua internazionale, con il noto slittamento verso l’adozione di forme analitiche, espressione di un registro più popolare. Queste note di BENTEIN offrono un quadro condivisibile dello stato della ricerca e dei suoi possibili sviluppi. L’autore non ha tutti i torti nel suggerire la produzione di studi più settoriali, i contributi per lo più trattano la perifrasi sotto vari punti di vista, producendo risultati di carattere generale. 53 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 11. 54 La prima teoria considera le perifrasi aspettuali come espressione di uno sviluppo interno alla lingua, la seconda le comprende nei fenomeni che a partire dal latino tardo si sono sviluppati nelle lingue romanze. Cf. AMENTA, Perifrasi verbali, 12-13. 55 Una parola sottoposta a desemantizzazione perde il suo contenuto lessicale e assume funzione grammaticale; il verbo finito della perifrasi sottoposto alla decategorizzazione passa da verbo pieno a semi-ausiliare/modificatore. Cf. AMENTA, Perifrasi verbali, 20.22.25. DIK, Copula
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AMENTA individua nel passaggio dalla funzione nominale-aggettivale a quella verbale del participio, “in presenza del verbo ausiliare/modificatore IL$'(/esse”, la ragione della formazione delle perifrasi aspettuali. Il fenomeno può essere causato “dall’analogia formale delle due strutture”56. AMENTA introduce una distinzione che ai fini della discussione si può rivelare di primaria importanza: un participio aggettivale non equivale a un aggettivo come tale, il primo “denota una condizione permanente nel soggetto”, il secondo indica per lo più “una qualità presente nel sostantivo”. Oltre ad essere aggettivale un participio può assumere il ruolo di sostantivo e, fattore da non trascurare, non perde la sua natura verbale, come prova la presenza di avverbi che lo determinano. La studiosa individua nella coordinazione con sostantivi o aggettivi un segno dell’uso aggettivale del participio57. Mentre prima ha parlato di ausiliarizzazione del verbo finito nella perifrasi verbale, in seguito afferma che “la copula apporta al costrutto tutte le informazioni di tipo verbale (tempo, aspetto, modo) e il participio le informazioni lessicali”58. La perifrasi assume valore aspettuale se il participio ha funzione verAuxiliarization, 55-56, sostiene che l’ausiliarizzazione della copula non concerne la desemantizzazione. 56 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 29-30. Che le due strutture siano analoghe nella sintassi è evidente e che si possa parlare di slittamento da una funzione a un’altra è condivisibile, ma quale sia la ragione a monte dello slittamento non viene spiegato, così come non si pone neppure la domanda del perché in una costruzione perifrastica aggettivale è percepita una potenzialità espressiva verbale. 57 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 30-32. La distinzione a cui si accenna è accettabile ma fine a se stessa nell’economia della discussione. Se si confrontano “egli è buono” ed “egli è benedicente/benedetto”, emerge subito una differenza radicale: il primo enunciato è attivo (intransitivo), il secondo è attivo (transitivo) e il terzo passivo, nel quale “benedetto” rimanda implicitamente a qualcuno che ha dato la benedizione, ossia ad un’azione. Con un verbo intransitivo la differenza non viene meno. Dire che in un’eventuale coordinazione del tipo “Egli è libero e camminante” il participio sia aggettivato è un esercizio d’immaginazione. Si possono trovare possibili usi affini: “Egli è sempre libero” vs. “Egli è sempre camminante”, ma “camminante” non smette d’essere verbo, per cui è naturale dire “Egli è camminante lungo la strada” ma non “Egli è libero lungo la strada”. Ritornando all’esempio precedente, nel caso dovessero apparire in coordinazione “egli è buono e benedetto”, il riferimento all’azione in “benedetto” scomparirebbe? Non sembra una soluzione così scontata. Un esempio piuttosto vistoso a sfavore di una tale posizione si ha in Gen 1,2 R F\ "K }$ aH3'+%U -'5 a-'+'*-Ic'*+%U, -'5 *-H+%U /01$W +KU agc**%S, -'5 0$IG&' QI%G /0I6V3I+% /01$W +%G ÄF'+%U. Aquila ha R F\ "K }$ -V$W&' -'5 %TQV$, -'5 *-H+%U /0 5 03H*W0%$ agc**%S, -'5 0$IG&' QI%G /0 (6I3H&I$%$ /0 5 03H*W0%$ uF1+W$, dove è chiaro che }$ unisce come copula "K a -V$W&' e %TQV$, mentre è predicato verbale rispetto a *-H+%U e ausiliare di /0 (6I3H&I$%$ (medio) con cui forma un’evidente perifrasi. Teodozione e Simmaco hanno la stessa costruzione con lo stesso participio. In altri termini, in questo testo, come può accadere altrove, si può pensare a un’ellissi di }$ sia come predicato verbale che come ausiliare. 58 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 33. L’affermazione è quanto meno ambigua, perché senza dubbio IL$'( è copula nel costrutto aggettivale. Che continui a esserlo nella perifrasi sul piano semantico non sembra possibile: nell’ausiliarizzazione IL$'( non è elemento di collegamento tra soggetto e predicativo ma, come AMENTA afferma dopo (45), un costituente della perifrasi in cui i membri hanno perso la propria autonomia sintattica e semantica. DE LA VILLA POLO, Auxiliari-
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bale59. In questa condizione la costruzione può essere coordinata con altri verbi finiti. Nelle perifrasi che hanno come modificatori verbi di movimento il participio ha “mantenuto una funzione essenzialmente predicativa circostanziale”, perché completa in qualche maniera il significato del verbo finito con il quale è in relazione60. Nell’articolazione del complesso e strutturato sistema verbale greco le perifrasi hanno tutto sommato, continua AMENTA, una funzione marginale e secondaria61. Sull’origine e l’affermarsi della costruzione, soprattutto nei testi del NT, concorrono l’influsso indiretto del costrutto semitico (attraverso i LXX) e la diffusione che la forma aveva acquisito nella lingua corrente62. dad verbal, 197-198, individua i seguenti criteri di identificazione per l’ausiliarizzazione: mutamento nell’argomentazione del verbo; restrizioni nella collocazione della negazione e di altri elementi dipendenti. Il primo criterio è valido nella costruzione con il participio, gli altri due con l’infinito. Successivamente (205) classifica come “indizi” di ausiliarizzazione i seguenti fattori: l’evoluzione posteriore di un verbo come ausiliare può indicare che in epoca precedente avesse tratti di ausiliarizzazione; il contenuto semantico modale, aspettuale, temporale, ecc. L’autore tratta di verbi di movimento e altri verbi mai espressamente di IE, a cui dedica un solo accenno, rimandando ad altri studiosi. Ad ogni modo l’evoluzione diacronica, precisa, non è una prova dell’ausiliarizzazione sincronica ma un indizio, perché un verbo può a un certo punto essere usato come ausiliare senza che vi fossero segni precedenti (205). 59 Sarebbe più esatto dire che è la costruzione bimembre a diventare verbo. 60 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 35. Ci sembra opportuno rilevare che la definizione di predicativo circostanziale riferita da AMENTA è da altri, compreso chi scrive, applicata al participio predicativo (che completa il significato del verbo), mentre i participi segnalati da AMENTA nel paragrafo “Participio circostanziale in greco” andrebbero analizzati come congiunti (appunto circostanziali) e non come predicativi. Riprendiamo (in parte) Mc 1,39, un esempio registrato dall’autrice (37): -'5 }JQI$ -,3c**W$ IEU +ZU *S$'"W"ZU 'T+Y$. Il testo viene tradotto “andò predicando per le loro sinagoghe”. Nel passo citato, sul piano semantico, “il participio predicativo modifica il verbo finito nell’espressione della modalità o delle circostanze in cui si verifica un evento”. Tale modificazione opera soprattutto “nei casi in cui vi sia una relazione quasi sinonimica” tra i due verbi, come in “pregò dicendo”. Nella pagina successiva (38) AMENTA osserva: “in effetti (l’esempio) avrebbe un altro significato, se le determinazioni locative fossero poste tra il verbo … e il participio”. Va rilevato quanto segue. In primo luogo il participio non è predicativo e la traduzione proposta, anche se è efficace, non rispecchia il rapporto sintattico tra il verbo finito e il participio che è congiunto. Non si vede a quale livello il participio modifichi il verbo finito. Nel caso di Mc 1,39 il participio ha valore finale: “andò a predicare”. Nell’espressione “pregò dicendo” (in greco) è preferibile e più esatto definire il participio, sulla scia dell’analisi corrente, come congiunto modale grafico o descrittivo per il suo evidente pleonasmo. Nella nota 2 di pagina 45 l’autrice accenna ai verbi di conoscenza e percezione che “possono reggere una costruzione participiale con funzione di complemento”. Quanto espresso è corretto, ma è proprio con questi verbi che si ha il participio complementare o predicativo secondo la più comune analisi. Se AMENTA intende proporre come perifrastici usi di participi come quelli qui riferiti, si ha un’estensione d’uso della perifrasi più che soggettiva, a piacimento. 61 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 45. 62 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 65-66. La studiosa rimanda a MANDILARAS, Non-Literary Papyri, 50, dove si sostiene che l’esistenza di un processo endogeno alla lingua greca è evidenziato dalla presenza di peculiarità linguistiche del NT in testi greci non soggetti a influssi semitici. –
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Per quanto concerne la semantica è il participio a svolgere la funzione verbale e poter reggere argomenti propri, mentre IL$'( “è una marca grammaticale indicante tempo, modo e persona”. La costruzione tende ad assumere l’aspetto progressivo e a sottolineare l’“estensione temporale” rispetto a una forma imperfettiva monolettica63. La perifrasi, rispetto alle forme sintetiche dell’imperfettività, mette a fuoco un punto dell’azione in corso. Un esempio chiarificatore è il seguente: Quando entrarono nella sinagoga insegnava (linea continua) / stava insegnando (punto dell’azione)64. Un’indice del grado di grammaticalizzazione è l’acquisizione da parte del verbo finito di una certa rigidità sintattica nella posizione, che tende ad opporsi all’interposizione di elementi tra i costituenti della perifrasi65. La desemantizzazione gli impedisce di essere negato e di reggere argomenti indipendentemente dal participio, la decategorizzazione “di essere coniugato in tutti i tempi e modi”66. Guardando sempre a passi del NT, AMENTA ipotizza che l’uso della perifrasi si possa far risalire a ragioni “d’ordine stilistico e di marcatezza” più che lessicale, al fine di marcare l’aspetto durativo67. Si può anche essere d’accordo con la teoria dell’autore fatta propria da AMENTA, ma questa origine non spiega il perché della nascita della perifrasi, ossia a quali finalità espressive risponda. Inoltre, considerata l’operatività di due fattori, l’uno endogeno l’altro allofono, occorre precisare se vi è convergenza di significato e di funzione tra la perifrasi endogena e quella allofona, e se la perifrasi nel NT, per fare un esempio, dipenda sul piano del significato più dall’una che dall’altra o, contestualmente, possa esprimere ora un uso in linea con lo sviluppo endogeno ora con l’influsso allofono. 63 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 69. Sulla base di quanto su esposto l’origine della perifrasi potrebbe rispondere all’esigenza di esprimere l’imperfettività con più enfasi. Un’ipotesi del genere postulerebbe un indebolimento aspettuale della forma monolettica corrispondente, data la compresenza delle due forme. Contro una tale proposta depone il fatto che la perifrasi, per quanto diffusasi, non raggiunge mai la stessa frequenza della forma monolettica. 64 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 71. L’esempio è ambiguo. Se il soggetto di “entrarono” comprende anche il soggetto del verbo della principale, allora il verbo di quest’ultima è “insegnava”, meglio ancora “si mise a insegnare” (l’ingressività non è solo dell’aoristo). Se non ne fa parte, occorre scrivere “stava insegnando”. L’incertezza si riflette nella traduzione proposta dall’autrice per Lc 19,47, -'5 }$ F(F1*-W$ +b -'Q{R&V3'$ /$ +y mI3y, “e stava insegnando ogni giorno nel tempio”: “stava insegnando” (punto dell’azione) si oppone palesemente a “ogni giorno” (di senso distributivo e, dunque, periodico), casomai, il senso è “si fermava a insegnare”, “se ne stava a insegnare ogni giorno”. Lo stesso esempio di AMENTA, ma in termini più generici (“enseñaba” vs “estaba enseñando”) e in sintonia, nel commento, con la critica qui esposta si trova in COSERIU, Aspecto Verbal, 110. Sempre COSERIU (108-109) sembra che leghi la nascita della perifrasi con il presente e l’aoristo participio alla mancanza nel greco di forme per esprimere una visione verbale parziale (= punto dell’azione). 65 Per l’autrice l’interposizione del soggetto è indice di coreferenza (AMENTA, Perifrasi aspettuali, 78). Abbiamo visto come per PORTER il soggetto interposto è al contrario segno di indipendenza tra i due verbi (cf. sopra, n. 48). 66 Nonostante la decategorizzazione di IL$'( nel NT, il verbo è usato all’imperativo (AMENTA, Perifrasi aspettuali, 83). 67 Quanto affermato dall’autrice può avere fondamento, tuttavia andrebbe verificato in un
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Un punto chiave è che le perifrasi e le forme sintetiche convivono68. Le prime non sopperiscono a limiti del sistema verbale esistente ma tendono a esplicitare significati particolari69. Gli studiosi postulano che nelle lingue indoeuropee le perifrasi da una prima fase, nella quale esprimevano opposizione aspettuale, siano passate a marcare, in taluni contesti, la temporalità. Le forme analitiche, secondo AMENTA, non dipendono dalla ristrutturazione del sistema verbale dove, concretamente, le opposizioni strutturali rimangono operative, ma sono forme che integrano il sistema verbale70. Elementi sul rapporto della perifrasi verbale tra LXX e TM: GOOD Alla luce di quanto ha affermato EVANS sulla mancanza di studi più sistematici sull’influsso dell’ebraico sulle perifrasi greche, può offrire dati interessanti il recente volume di GOOD sul rapporto tra il sistema verbale ebraico e la sua resa in LXX Cronache. Si riassume essenzialmente quanto l’autore scrive sul costrutto perifrastico ebraico e greco senza entrare nel merito della tecnica di traduzione. In linea generale, dov’è possibile, per ogni forma ebraica il traduttore adopera un equivalente costante. Avendo come punto di riferimento la sua comprensione dell’ebraico parlato ai tempi della traduzione, il traduttore ha reso le forme qatal con l’aoristo, il qotel con il presente, la forma yiqtol con il futuro, le forme perifrastiche con le forme perifrastiche71. Nell’ebraico biblico tardivo il participio occorre nei tre assi temporali, passato, presente e futuro. In un contesto di passato il participio perifrastico con !"! può indicare azione contemporanea a un’altra forma verbale. In un contesto futuro spesso veicola la nozione di azione imminente o in progressione e può trovarsi in forma perifrastica accompagnato da una forma yiqtol di !"!72. Quanto al participio perifrastico in greco in rapporto all’indicativo, GOOD ricorda che in greco oltre alle forme sintetiche ci sono anche quelle analitiche o tempi perifrastici. Questi consistono in una forma del verbo IE, che grammaticalizquadro più ampio, applicando, nel caso, la linguistica testuale. 68 L’autrice si rifà a HASPELMATH, Periphrasis, 659. Per lo studioso le perifrasi verbali e le forme sintetiche hanno una distribuzione complementare. Cf. AMENTA, Perifrasi aspettuali, 132. 69 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 132. Il concetto è tratto da BYBEE-PERKINS-PAGLIUCA, Evolution, 133. Anche HASPELMATH, Periphrasis, 659, sottolinea che il processo di grammaticalizzazione delle perifrasi non opera per colmare una lacuna. Quanto a BYBEE-PERKINS-PAGLIUCA, Evolution, 133, HASPELMATH, Periphrasis, 660, osserva che, come altri autori, non pongono in relazione la perifrasi con eventuali paradigmi flessivi. L’autore accetta la teoria dei diversi gradi di grammaticalizzazione (con rimando a LEHMANN, Grammaticalization) ma, nello stesso tempo, ammette l’impossibilità di definirne con esattezza i vari livelli (661). 70 AMENTA, Perifrasi aspettuali, 133-134. 71 GOOD, Translation, 3. 72 GOOD, Translation, 56.
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za modo, tempo, persona e numero, e un participio, che grammaticalizza aspetto e voce. GOOD, quindi, considera la perifrasi nella sua unità. I tempi perifrastici sono una maniera di indicare azione o stato soprattutto sotto l’aspetto imperfettivo o stativo. Quando la perifrasi è con il participio presente, indica l’aspetto imperfettivo o durativo, quando si ha il perfetto, si esprime l’aspetto perfettivo-imperfettivo o stativo. Queste costruzioni occorrono al passato, presente e futuro ed equivalgono alle forme regolari dell’indicativo73. Participi nominali con !"! sono tradotti in greco perifrasticamente: “Perhaps this reflects the increase in periphrastic constructions in Hebrew contemporary with the translator”. La nozione durativa del participio è talvolta rinforzata per mezzo di !"! e in greco è resa con IE + participio74. Se da una parte una buona percentuale di participi sono tradotti come nomi, perché spesso sono sostantivati, dall’altra, a causa dell’incremento della costruzione perifrastica sia nell’ebraico contemporaneo al traduttore sia nel greco ellenistico, ci si potrebbe attendere la resa di alcuni participi nominali in forme verbali analitiche75. I verbi stativi sono spesso tradotti con aggettivi e !"! con IE. Questi fenomeni sono influenzati dall’ebraico contemporaneo. Nell’ebraico rabbinico, poi, gli aggettivi subentrano ai verbi stativi, e !"!, che, nel suo significato di ‘essere’ allarga di molto l’uso, diventa marca temporale per aggettivi e participi76. GOOD nella discussione non parla di perifrasi verbale, sembra che la sottintenda. Ad ogni modo non si pone il problema se aggettivo e participio abbiano le stesse funzioni o se queste coincidano solo in determinati contesti né rimanda ad altri contributi77. GOOD, Translation, 65. GOOD, Translation, 159. 75 GOOD, Translation, 166. L’idea di un fenomeno parallelo di una graduale e sempre maggiore diffusione della perifrasi in ebraico e greco è ribadita anche successivamente: l’influsso dell’ebraico contemporaneo sul traduttore è agevolato dall’incremento della costruzione nel greco ellenistico (168). L’aumento della frequenza delle forme perifrastiche (soprattutto nei tempi passati durativi), osserva GOOD, è un fenomeno che ha le sue radici nell’ebraico parlato dell’epoca del traduttore (GOOD, Translation, 200). Per l’espressione del passato durativo in ebraico l’autore (p. 84, n. 23) rimanda a PÉREZ FERNÁNDEZ, Grammar, 98: Quest’ultimo annota che il verbo ! $"!$ , nel periodo rabbinico, perde gradualmente il significato di ‘divenire’, con la conseguente scomparsa della forma "!' +" .#, a ciò corrisponde un incremento del significato di ‘essere’ del medesimo verbo nell’ebraico rabbinico. Nello stesso tempo i verbi stativi tendono ad essere sostituiti (da formazioni perifrastiche) con aggettivi: 4L. $T nel suo significato di ‘egli era grande’ è sostituito nell’ebraico rabbinico da ! $"!$ + aggettivo 4ML $T. Qui si può osservare che nel fenomeno or ora esposto non si ha la sostituzione della forma semplice con !"! + participio ma con l’aggettivo e che l’alternativa si ha solo con i verbi stativi e non è un uso esteso potenzialmente a tutti i verbi come in greco. 76 GOOD, Translation, 201. 77 Al riguardo si possono citare alcune tra le principali grammatiche di ebraico. GKC, 73 74
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Una sintesi e spunti di riflessione Un breve status quaestionis della riflessione sulla perifrasi ci è offerto da MARKOPOULOS. Nonostante gli innumerevoli studi sull’argomento, osserva l’autore, la definizione di perifrasi rimane intuitiva. Negli studi che vanno da AERTS (1965) a HASPELMATH (2000) affiora costantemente la nozione di paradigma, e la descrizione della perifrasi si ha in relazione alle forme sintetiche. Si parla di perifrasi suppletiva, in genere, sia quando in una lingua esiste il paradigma composto da forme sintetiche, sia quando mancano forme sintetiche sinonime, per cui la definizione di perifrasi si stabilisce in rapporto ad un’altra lingua. Casi simili HASPELMATH (Periphrasis, 660) li definisce perifrasi categoriali. Non c’è unanimità su quali elementi si possa stabilire che ci sia perifrasi. Alcune proprietà appaiono punti fermi: la non composizionalità delle parti; la loro unità sintattica (come la rigidità del loro ordine); la povertà morfologica delle forme. Tali condizioni, tuttavia, non occorrono sempre congiuntamente. Tra le ventidue proprietà individuate dagli studiosi per definire un verbo come ausiliare tre appaiono le più condivise e convincenti: ausiliare e verbo devono avere il medesimo soggetto; il loro ordine è fisso; nessuno o pochi elementi devo§ 116r si limita a segnalare che al participio è aggiunto il perfetto !"! per dare enfasi ad un’azione continua nel passato, così come si usa l’imperfetto !"!" per sottolineare un’azione continua nel futuro (rispettivamente il iussivo "!" o l’imperfetto consecutivo). Più articolata l’esposizione in JOÜON-MURAOKA, § 121 e-g. Nel punto g si registra che nei libri tardivi la perifrasi talvolta risulta superflua, ma, ad un’attenta osservazione, la costruzione è vicina (al significato) dell’imperfetto incoativo greco o al presente grafico storico. Nella medesima opera in § 154 m si osserva, riguardo alla perifrasi, che il participo esprime l’aspetto durativo e !"! la sfera temporale. Va rilevato che il contenuto del sottoparagrafo g appare piuttosto empirico e poco documentato sul piano storico (non si riflette sul fenomeno) e dell’analisi testuale (quale ruolo svolge la perifrasi nella succesione delle azioni?). In WALTKE-O’CONNOR, § 37.7.1 b, si ricorda che dall’unione di una forma finita del verbo !"! il participio acquista una componente aspettuale e/o modale, dando luogo a forme progressive passate, future e iussive (nella nota 51 di pagina 628 si osserva che, quando il participio precede !"! o è aggettivo o sostantivo); – c nell’ebraico biblico tardivo !"! + participio sta per una forma perfettiva, questa forma perifrastica si fa risalire all’influsso dell’aramaico (qui si rimanda all’edizione originale in francese di JOÜON, § 121 g). Gli stessi autori osservano, dopo la citazione di JOÜON, che: “Lacking firm formal criteria to distinguish the full range of roles noted here, we must sometimes hesitate over identifying precise nuances”. Qui si rileva che in JOÜON-MURAOKA, § 121 g, il riferimento all’aramaico è scomparso (come pure nell’edizione del 1991, ristampa 1993) e non sembra che, per ciò che riguarda la perifrasi, se ne parli altrove. C’è inoltre da chiedersi se l’incertezza ammessa da WALTKE-O’CONNOR sulla definizone della sfumatura contestuale della perifrasi non dipenda da una carente riflessione sulla sintassi della costruzione. L’influsso aramaico sulla perifrasi ebraica è inserito in un quadro meno generico da MURAOKA, Participle, 200-201: “… we have pointed out above that the structure in question is firmly rooted in pre-exilic books, whereas the corresponding structure in Aramaic becomes a real factor only in the Official Aramaic of the Persian period … The most one could say is that in the Second Temple period this native Hebrew syntagm was reinforced through constant contacts with Aramaic … Such a restructuring of the Hebrew tense system may have intesified with the onset of the influence of Official Aramaic”. L’autore, tuttavia, non formula un’ipotesi sull’origine endogena della costruzione. Sui criteri per individuare un aramaismo nell’ebraico cf. HURVITZ, Hebrew and Aramaic, 24-37, dove non si accenna alla perifrasi.
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no interporsi. Malgrado ciò non è stata formulata una definizione soddisfacente. Gli ausiliari possono essere descritti solo sulla base di proprietà attinenti (relevant). Non essendoci chiari parametri per stabilire il livello di grammaticalizzazione delle costruzioni con ausiliari, si può stabilire solo se sono più o meno grammaticalizzate78. Si può aggiungere quanto segue. La perifrasi è una costruzione che ha un’origine endogena alla lingua greca e nel greco dei LXX subisce l’influsso della lingua di partenza, almeno per i testi tradotti. Perché si abbia perifrasi verbale il verbo finito deve subire principalmente un processo di ausialiarizzazione. Per quanto concerne il participio, occorre che la forma svolga il ruolo di verbo e non di aggettivo. Su taluni argomenti la discussione rimane ancora aperta. In primo luogo è da chiarire, prendendo spunto da PORTER, nonostante le riserve di EVANS, se il processo di ausiliarizzazione sia uniforme per tutti i verbi adoperati in questa funzione. Prendendo come riferimento il verbo "#$%&'(, il più vicino a IE, abbiamo visto che sono diversi autori a riconoscere che "#$%&'( conserva nella perifrasi il suo valore aspettuale (o lessicale?): PORTER, FANNING (nota 11). Lo stesso EVANS ammette una differenza di fondo tra i due verbi. Affermando che talvolta il significato di "#$%&'( si sovrappone a quello di IE e che "#$%&'( nella costruzione perifrastica conserva il proprio valore aspettuale e che le perifrasi con "#$%&'( e u013OW, almeno nel periodo della koinè, appaiono alternative alle perifrasi con IE, non fa altro che riconoscere tacitamente uno statuto particolare ad IE nella costruzione della perifrasi. Qui vale riaffermare che nel presentare e commentare la posizione di alcuni autori si è a più riprese suggerito di evitare di definire come copula il verbo essere e di preferire il più esatto ausiliare, quando il verbo è parte integrante della perifrasi79. Che il participio debba comportarsi come verbo e poter reggere argomenti propri, perché si abbia perifrasi, trova il consenso generale, ma una coordinazione contestuale tra aggettivo e participio prova che il participio è aggettivo? Non è così certo, un passo come Sir 41,27, -'5 N*2 'E*OS$+,3bU aJ,Q($YU -'5 Iu3#*-W$ O13($ N$'$+( 0'$+bU a$Q30%S, “e sarai veramente discreto e troverai grazia presso ogni uomo” dovrebbe indurre a una certa cautela. Qui è evidente che IE svolge la doppia funzione di copula con 'E*OS$+,3HU e di ausiliare con Iu3#*-W$. Inoltre, se il participio è sostantivato e conserva la reggenza del verbo, vuol dire che il participio rimane essenzialmente verbo e che può MARKOPOULOS, Future, 11-13. L’autore non discute segnatamente della perifrasi, ma la lettura del recente libro di MORO, Breve storia, lascia pochi dubbi sulle particolarità del verbo. Sono sufficienti anche le sole pagine 95-97 del volume per prendere atto delle implicazioni e delle riflessioni, un po’ troppo trascurate, condotte nel corso dei secoli su IE (e non sugli altri verbi). 78 79
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avere un uso aggettivale, non l’inverso80. Pertanto la domanda da porsi non è tanto quando il participio nella perifrasi è verbo, ma quando è aggettivo81. Non è infine casuale l’insistenza sulla perifrasi con IE, che di fatto è quella originaria82. Non si intende dire che gli altri verbi finiti non formino perifrasi con il participio, ma che questi esprimono (e si sono costruiti in perifrasi proprio per questo) in maniera più esplicita una modalità che caratterizza l’azione del participio. Quanto affermato, per chi scrive, vale anche per "#$%&'( ed )*+,-'83.
80 Prendiamo ad esempio Gen 39,23 -'5 /"V$I+% xgIJ 0%(&w$ 03%g1+W$, Å'($ F\ }$ /3"'XH&I$%U +w$ "K$. Il valore lessicale del radicale di 0%(&v$ è transitivo ma, mentre il sostantivo vuole il genitivo, il verbo corradicale 0%(&'#$W regge l’accusativo. Per il sostantivo cf. Gen 4,2; 13,7; per il participio cf. Es 2,16; 3,1. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Così avviene con /3"1+,U e /3"1X%&'(. Anche il sostantivato ~ /3"'XH&I$%U si comporta da verbo (Pr 12,11; 28,19). EVANS, Verbal Syntax, 235, ha dunque ragione nel sostenere la costruzione perifrastica di }$ /3"'XH&I$%U in Gen 39,23 ma non adduce argomenti sintattici. Per l’uso di /3"1+,U cf. 1 Mac 3,6; Sap 17,16 e a conferma Mt 10,10; 20,2; Lc 10,7; 13,27; 1 Tm 5,18. Ciò vale anche per il sostantivato ~ l3OW$, che regge, come il verbo l3OW, il genitivo. Ciò vuol dire, com’è noto, che la natura di un participio sostantivato rimane verbale. Supporre che tale condizione permanga anche per un participio aggettivato è nell’ordine delle cose. Qualcosa del genere sostiene RIJKSBARON, Syntax and Semantics, 128, quando afferma, considerando la coordinazione tra l’aggettivo e il participio in questo passaggio dell’Edipo re %Ç+I "Z3 KLGMNO %Ç+’ %É$ PLEQIRMGO IE&5 +y "I $G$ JÑ"Ö, “Unlike adjectives, however, the participle has aspectual meaning, and this may be relevant here. Thus, 03%FIÜ*'U … may exhibit the ingressive nuance of the aorist of verbs of emotion”. Per gli aspetti verbali e nominali del participio ebraico e le loro interazioni v. GEIGER, Partizip, §§ 647-649. 81 Cf. sopra, n. 57. 82 Un quadro dello sviluppo della perifrasi con il perfetto con i verbi essere e avere nelle lingue europee è delineato in DRINKA, Periphrastic Perfects, 105-128. 83 Benché riguardi le lingue romanze, a supporto di quanto si sostiene, valga questo passaggio di GIACALONE RAMAT, Boundaries of Grammaticalization, 118-119: “Besides the two auxiliaries ‘be’ and ‘have’, which appear completely grammaticalized, though with different distribution in Romance languages and dialects […], there is another group of less grammaticalized forms which allow us to single out a continuum of grammaticalization and to highlight the scalar nature of the auxiliary category”.
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IIa. Occorrenze di perifrasi con "#$%&'( nei LXX84 Presente indicativo – presente participio attivo
2 Esd 4,20 -'5 g'*(JI[U E*OS3%5 "#$%$+'( /0 5 áI3%S*'Jw& -'5 /0 (-3'+%G$+IU MJ,U +KU _*0V3'U +%G 0%+'&%G85 E ci furono re potenti in Gerusalemme e governarono su tutta la regione a occidente del fiume BRENTON: And there were powerful kings in Jerusalem, and they ruled over all the country beyond the river NETS: and kings became strong in Ierousalem and ruled over the whole west of the river TM: !&$ !Y -/ &G- 5Y 2I<=+ ,"T" ' C' X- +# 021 XB& + +";25- E#!Y ,"9" ' x' f- ,"<' 2+ 7B Vulgata: nam et reges fortissimi fuerunt in Hierusalem qui et dominati sunt omni regioni quae trans Fluvium est
Il verbo "#$%$+'(, che qui non ha il significato di ‘diventare’, può certamente svolgere la funzione di verbo copulativo rispetto a E*OS3%# e di ausiliare di /0 (-3'+%G$+IU, perché è possibile ipotizzare la sua ellissi con il participio, anche se un’alternativa potrebbe essere l’ellissi di IE*#$. Presente imperativo – presente participio attivo
Ez 2,8 &w "#$%S 0'3'0 (-3'#$W$ -'Q`U ~ %L-%U ~ 0'3'0 (-3'#$W$86 Non esasperare come questa casa che esaspera BRENTON: be not thou provoking, as the provoking house NETS: Do not become one who embitters just like the embittering house TM: "&' F1 !- ."G) (+ "&' 7;" 1 !' f;2 + %Vulgata: et noli esse exasperans sicut domus exasperatrix est
Il primo participio, come il secondo che però è attributivo, non è sostantivato, e la resa di NETS non è corretta ed è incoerente (per fare un esempio) rispetto a Gen 17,1 -'5 "#$%S l&I&0+%U tradotto correttamente da NETS: “and become blameless”. Ora, se l’aggettivo, a ragione, non è sostantivato, non si vede perché debba esserlo il participio in Ez 2,8; la traduzione risente dell’ebraico, visto che 0'3'0 (-3'#$W$ rende il sostantivo ebraico "&' 7+ . I due participi sottintendono l’oggetto &I come in Ez 2,3; 20,21; Ger 39(TM32),29; 51(TM 44), 3; 51(TM 44),8. Non mancano altri oggetti retti dal verbo come in Dt 31,27; Alle occorrenze di perifrasi verbale con "#$%&'( elencate di seguito vanno accluse anche quelle registrate da EVANS: Gen 31,10; Es 17,12; Nm 10,36. L’elenco qui proposto non ha alcuna pretesa di esaustività. 85 In Là 236-314-762 si ha /"V$%$+% per "#$%$+'(. Questa variante è un indizio che nella perifrasi verbale l’ausiliare concorre a esprimere l’aspetto? Si può anche pensare più semplicemente che al presente storico sia stato preferito l’aoristo. 86 I codici A 147 fanno seguire al primo participio -'5 *c “anche tu”. 84
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3 Re 13,21.26. Si può notare, a conferma della perifrasi, che nelle due occorrenze di Ezechiele citate il verbo regge il pronome quando traduce forme finite di verbi ebraici rispettivamente in Ez 2,3 (/d'0%*+VJJW /" *I 03bU +b$ %L-%$ +%G â*3',J) +%kU 0'3'0 (-3'#$%$+1U &I – pronome aggiunto dal traduttore –, %t+($IU 0'3I0 #-3'$1$ &I87 e Ez 20,21 -'5 0'3I0 #-3'$1$ &I -'5 +Z +V-$' 'T+Y$88. Nella maggioranza delle attestazioni in Ezechiele il participio presente 0'3'0 (-3'#$W$ rende il sostantivo ebraico "&' 7+ (2,5.6.7.8; 3,9.26.27; 12,2.3. 9.25.27; 17,12; 24,3: qui con oggetto in ebraico e greco; 44,6). Altrove il sostantivo ebraico è reso con aF(-#', a$v-%%U, a$+(J%"#', a0I(QvU, /3IQ(*&HU89. La scelta del traduttore di servirsi del participio si può spiegare con l’intenzione di esprimere l’azione della ribellione, ossia un atteggiamento o comportamento costante che un aggettivo non potrebbe rendere nella sua dimensione aspettuale90. Sir 13,9 ä3%*-'JI*'&V$%S *I FS$1*+%S u0%OW3Y$ "#$%S91 Quando un potente ti chiama, allontànati / stattene lontano
Qui la perifrasi è apodosi del precedente genitivo assoluto, interpretabile sia come temporale sia come ipotetico. BRENTON: If thou be invited of a mighty man, withdraw thyself
NETS: When a powerful person invites you, be reserved
La Vulgata risolve il genitivo assoluto con un participio (passivo) congiunto al soggetto dell’imperativo: advocatus a potentiore discede ex hoc
Il TM corrispondente è "G;BD ' &+ 7$ &X1 %Y 0"D' &EF + !- (0 '"EQ;2%1 2%) &$ 8+ '" " )/=;2 + %1 l.E% + " '/%Y >- 2EX ) ). Il TM corrispondente è 0" '/=$ !- "G;B& ' 7+ -_ -#. 89 Cf. MURAOKA, Hebrew/Aramaic Index, 88. 90 In Ger 5,23 +y F\ J'y +%c+Ö /"I$vQ, -'3F#' a$v-%%U -'5 a0I(QvU i due aggettivi attributivi rendono due participi attributivi. Il TM corrispondente è !&E7B 1 &&E: ) G2) ! $"!$ ! 1Z!- 05$ 2$ +#. Qui la resa privilegia la qualità del soggetto e non l’azione. 91 In O si ha "#$%S u0%OW3Y$ per u0%OW3Y$ "#$%S: la trasposizione ristabilisce la posizione degli elementi della perifrasi più consueta; 603 ha u0%OW3Y$ 6IG"I “allontanandoti datti alla fuga / allontanati e fuggi ”. 87 88
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Presente imperativo – perfetto participio passivo
Gdt 15,10 ITJ%",&V$, "#$%S 0'3Z +y 0'$+%-31+%3( -S3#Ö Sii benedetta presso l’onnipotente/dall’onnipotente Signore
Nei LXX il verbo "#$%&'( non appare mai connesso all’aggettivo verbale ITJ%",+HU92. BRENTON: blessed be thou of the Almighty Lord
NETS Be blessed before the omnipotent Lord93
Imperfetto indicativo – presente participio attivo
2 Mac 8,27 (~0J%J%"v*'$+IU F\ 'T+%kU -'5 +Z *-GJ' /-Fc*'$+IU +Y$ 0%JIW$) 0I35 +b *1gg'+%$ /"#$%$+% 0I3(**YU ITJ%"%G$+IU -'5 /d%&%J%"%c&I$%( +y -S3#Ö +y F('**'$+(94 (ma, quando ebbero raccolto le armi dei nemici e portato via le spoglie,) riguardo al/durante il sabato benedicevano incessantemente e rendevano grazie al Signore che li aveva salvati BRENTON: … they occupied themselves about the sabbath, yielding exceeding praise and thanks to the Lord, who had preserved them NETS: … they kept the sabbath, giving great praise and acknowledgement to the Lord, who had preserved them Vulgata: … sabbatum agebant benedicentes Dominum qui liberavit eos
Il senso del testo non è: “… e passarono il sabato benedicendo incessantemente e ringraziando …”95. Osservare o celebrare il sabato o la festa si esprime con verbi quali l"W, 6SJ1**W, ã"(1XW96. L’imperfetto /"#$%$+% non va disgiunto dai participi (ITJ%"%G$+IU -'5 /d%&%J%"%c&I$%(), che non sono congiunti modali, ma componenti della perifrasi.
Sulla perifrasi con l’aggettivo verbale cf. TUSA MASSARO, Sintassi, 206: “gli aggettivi verbali uscenti in -+HU, insieme ai Participi perfetti in -&V$%U – tardivamente subentrati nella lingua greca in concorrenza con quelli in -+HU –, in unione con IE ed NOW, costituiscono forme perifrastiche atte ad esprimere i tempi del Perfetto e i suoi derivati”. 93 Per i rapporti del testo dei LXX con la Vetus Latina e la versione di Girolamo cf. MOORE, Judith, 94-95. 94 Il codice 93 ha /"V$%$+% per /"#$%$+%. Una variante dovuta a fattori aspettuali? Il codice 771 omette -'# prima di /d%&%J%"%c&I$%(. Questa omissione depone a favore della perifrasi, in questo caso limitata a /"#$%$+% 0I3(**YU ITJ%"%G$+IU; /d%&%J%"%c&I$%( passa a participio congiunto modale, per cui si ha “durante il sabato benedicevano incessantemente rendendo grazie”. 95 La Bibbia della CEI (Editio princeps 2008), 686. 96 Per l"W cf. 2 Mac 15,3; 1 Esd 5,50; 7,14; per 6SJ1**W (più legato al comando di osservare il sabato) cf. Es 31,13.14.16; Lv 19,3.30; 26,2; Is 56,6; per ã"(1XW cf. Dt 5,12.15; Ez 20,20; 44,24. 92
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Sal 98,8 ~ QIHU, *k IT#J'+%U /"#$%S 'T+%[U -'5 /-F(-Y$ /0 5 01$+' +Z /0 (+,FIc&'+' 'T+Y$97 O Dio, tu eri benigno con loro e/ma facevi giustizia di tutte le loro pratiche MORTARI: o Dio, tu eri loro propizio pur castigando tutte le loro pratiche98 BRENTON: O God, thou becamest propitious to them, though thou didst take vengeance on all their devices NETS: O God, it was you who was being very merciful to them and an avenger of all their practices TM (Sal 99,8): 0.E2" $ 2' 5;2 Y 5- 0WI) / +# 0!1 2$ ." $ '"!$ %8I) / 2%) Vulgata: Domine propitius fuisti eis et ultor super commutationibus eorum
In MORTARI il participio è interpretato come congiunto concessivo, ma la coordinazione (-'#) sotto il profilo grammaticale si oppone a questa lettura. Nelle ultime due traduzioni il participio è reso come sostantivato. Quella del passo in esame è l’unica occorrenza di participio di /-F(-VW che nei LXX è costruita con /0 #, mentre sono diverse le attestazioni di forme finite del medesimo verbo con questa preposizione99. Questi dati si oppongono all’interpretazione del participio come sostantivato. Il participio non è neppure predicativo complementare, non indica un modo di essere o agire del soggetto né completa l’idea generica di /"#$%S ma forma con esso una perifrasi che è sostituibile con /dIF#-I(U (l’imperfetto non è attestato nei LXX). In alternativa a /"#$%S si può anche pensare all’ellissi di }$. Aoristo indicativo – presente participio attivo
Mi 2,1 å"V$%$+% J%"(XH&I$%( -H0%SU -'5 /3"'XH&I$%( -'-Z /$ +'[U -%#+'(U 'T+Y$100 Tramavano tribolazioni ed escogitavano mali nei loro letti CARBONE-RIZZI: Andarono pianificando travagli e operando cose cattive sui loro giacigli101 BRENTON: They meditated troubles, and wrought wickedness on their beds NETS: They came devising troubles and working out evil deeds on their beds TM: 0.EG $ (+ X+ 7;2 ' 5- 5&$ "2) 5IY 9B , 1#%;" $ G) XI+ > "E! Vulgata: vae qui cogitatis inutile et operamini malum in cubilibus vestris
Hanno /"V$%S per /"#$%S S 2032 Lb´ Rc. MORTARI, Salterio, 241. 99 Ne registriamo alcune: Os 2,15; 4,9; Am 3,2.14. 100 In W si premette %m a /3"'XH&I$%(. 101 CARBONE-RIZZI, Il libro di Michea, 94. 97 98
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Aoristo indicativo (passivo) – presente participio medio Sal 125,3 /"I$vQ,&I$ IT63'($H&I$%(102 (Noi) gioimmo
MORTARI sembra interpretare il participio come perfetto: siamo stati colmati di gioia103 BRENTON: we became joyful NETS: and we became people gladdened TM (Sal 126,3): 1"F' <) >+ J0" '"!$ Vulgata: facti sumus laetantes
Il participio indica azione e non qualità acquisita. Aoristo indicativo – perfetto participio attivo
Is 30,12 -'5 PJ0 #*'+I /0 5 iIcFI( -'5 M+( /"H""S*'U -'5 0I0%(Q`U /"V$%S /0 5 +y JH"Ö +%c+Ö104 (perché …) e confidaste nella menzogna e perché mormorasti e hai confidato su questa parola BRENTON: … and because thou hast murmured, and been confident in this respect NETS: (Because) … and hoped in a lie and because you murmured and trusted in this word TM: #"4$ 9$ J09[ ]$ f' .# HM4 $0 +# YZP3 9D+ JFV+ O+ f' .# Vulgata: pro eo quod reprobastis verbum hoc et sperastis in calumniam et tumultum et innixi estis super eo
Aoristo indicativo (passivo) – perfetto participio passivo
Ez 36,34 -'5 R "K R P6'$(*&V$, /3"'*Qv*I+'(, a$Q{ ç$ M+( P6'$(*&V$, /"I$vQ, e la terra desolata sarà lavorata, mentre era/appariva desolata BRENTON: and the desolate land shall be cultivated, whereas it was desolate NETS: and the annihilated one shall be tilled instead of becoming annihilated TM: !<$ <$ Z+ !/$ +"!$ &Z3 %[ /F. f. LO) 9$ f) !N$ Z. +*!. c&3 %$ !$ +# Vulgata: et terra deserta fuerit exculta quae quondam erat desolata
La costruzione P6'$(*&V$, /"I$vQ, inverte il testo ebraico !<$ <$ Z+ !/$ +"!$ , anticipando il verbo rispetto a quella (più corrente) attestata in 2 Mac 3,34 e Gb 24,20 (!<$ <$ Z+ è un sostantivo). Il parallelo con il participio attributivo precedente non prova l’uso aggettivale. Cf. sotto Lam 1,16. 102 In Dt 16,15 si ha -'5 N*2 IT63'($H&I$%U vs F. <) >$ W%. /"$ '"!$ +#, la cui resa nella Vulgata è: “erisque in laetitia”. 103 MORTARI, Salterio, 291. 104 In L´’é-86c-233 Tht. (= TM) si ha M+( /"H""S*I$ -'5 0I0%(QH+IU /"V$I*QI.
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Aoristo indicativo (medio o passivo) – perfetto participo passivo
Sal 29,8 (a0V*+3Ii'U F\ +b 03H*W0H$ *%S,) -'5 /"I$vQ,$ +I+'3'"&V$%U ma distogliesti il tuo volto e mi sono turbato MORTARI: (ma hai distolto il tuo volto) e sono rimasto sconvolto105 BRENTON: (but thou didst turn away thy face), and I was troubled NETS: (but you turned away your face,) and I became troubled TM (Sal 30,8): 4!$ O+ '0 "/" ' '"!$ (l" 30?$ f$ &+ f. A+ !' HP9) Vulgata: (abscondisti faciem tuam) et factus sum conturbatus
Il verbo +'31**W, quando non è in forma attiva, è considerato passivo106, per cui la perifrasi precedente si può rendere “e ne (dell’azione compiuta da Dio) fui turbato”, ma la natura del verbo permette di ipotizzare l’uso riflessivo (intensivo) diretto: “… e mi sono turbato”107. Ad una prima analisi l’interpretazione del participio come aggettivato sembra possibile, tuttavia in /"I$vQ,$ +I+'3'"&V$%U il participo non sta per un aggettivo: lo stato di turbamento è conseguenza dell’azione precedente, la perifrasi esprime una condizione vissuta dal soggetto, non una sua qualità acquisita come in “fui/divenni buono”. Un caso analogo si ha in 3 Re 20,4, -'5 /"V$I+% +b 0$IG&' xO''g +I+'3'"&V$%$, “e lo spirito di Achab si turbò”, ma anche “fu turbato”. Sal 72,14 -'5 /"I$H&,$ &I&'*+("W&V$%U MJ,$ +w$ R&V3'$ E fui flagellato tutto il giorno MORTARI: e sono stato flagellato tutto il giorno108 BRENTON: For I was plagued all the day NETS: And I became scourged all day long TM (Sal 73,14): 1M`!B4 . ($ 9JI . $0 "!' %7 $# Vulgata: et fui flagellatus tota die
La resa di NETS non ha senso. La durata dell’azione subita è espressa dall’accusativo di tempo. Is 42,22 -'5 /"V$I+% ~ J'bU 0I03%$%&IS&V$%U -'5 F(,30'*&V$%U e il popolo fu spogliato e depredato BRENTON: and the people were spoiled and plundered NETS: and the people were plundered and spoiled TM: "JAZ$ +# HJHDB1 $ 9. %J! +# Vulgata: ipse autem populus direptus et vastatus
MORTARI, Salterio, 132. La traduzione proposta intende esprimere l’effetto dell’azione veicolato dal perfetto. 106 Cf. MONTANARI, Vocabolario, 2086. 107 NIDA-LOUW, Lexicon I, 25.244, registra il verbo +'31**W nel campo semantico delle ‘attitudini ed emozioni’, che, come verbum affectuus, esprime il coinvolgimento del soggetto nell’azione. La carica mediale, dunque, è già del verbo in sé e può riflettersi contestualmente nella diatesi media in quanto processo spontaneo medio: “The spontaneous process middle involves … an internal, physical change of state”, cf. ALLAN, Middle Voice, 68. 108 MORTARI, Salterio, 198. 105
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Come si può notare NETS ha abbandonato la costante “became”, qui forse più improponibile che altrove. Lam 1,11 EFV, -c3(I, -'5 /0 #gJIi%$, M+( /"I$vQ,$ P+(&W&V$,109 Vedi, Signore, e guarda, perché sono diventata disonorata BRENTON: behold, Lord and look; for she is become dishonoured110 NETS: Look, O Lord, and see that I have become one dishonored TM: !4$ 4MH ) "/" ' '"!$ "(' !V" $ D' !. +# ! $#! +" !%) &+ Vulgata: vide Domine considera quoniam facta sum vilis
La sostantivizzazione del participio da parte di NETS non appare sostenibile ed è probabile che dipenda più dall’ebraico che dal greco. Si può sostenere che nella perifrasi /"I$vQ,$ P+(&W&V$, il participio possa essere sostituito dall’aggettivo l+(&%U, perché anche l’aggettivo rimanderebbe ad un agente, permettendo così di esprimere la passività, sicché il participio sarebbe aggettivato. Il participio, tuttavia, esprime il processo proprio del verbo e non solo la qualità in sé. Participio e aggettivo condividono il significato veicolato dalla radice ma non il modo di esprimerla. Lam 1,16 /"V$%$+% %m Sm%# &%S P6'$(*&V$%(, M+( /-3'+'(Q, ~ /OQ3HU111 i miei figli furono annientati, perché il nemico prevalse BRENTON: my sons have been destroyed … NETS: my sons became put away … TM: O)"M% &O. $I "(' 1"<' <MZ ) " .0O$ J"!$ Vulgata: facti sunt filii mei perditi …
In LIDDELL-SCOTT, sub voce a6'$vU, si afferma che a6'$K "Ü"$I*Q'( sta per a6'$ÜXI*Q'(, disappear, e che a6'$wU }$ significa disappeared. Queste due traduzioni corrispondono alla resa del passivo di a6'$ÜXW nello stesso lessico. L’equivalenza tra la forma monolettica (a6'$ÜXI*Q'() e quella perifrastica (a6'$K "Ü"$I*Q'() con aggettivo depone a favore di quella con il participio, anche se, sotto la voce a6'$ÜXW – nello stesso lessico, come in altri – la costru-
Hanno la lezione /"I$vQ,$ S* A O 407 86 538 e varie versioni nonché Tht. (/"I$H&,$p); gli altri testimoni hanno /"I$vQ,. La variante evidentemente non influisce sulla perifrasi. 110 Il testo greco a fronte di BRENTON ha èFI per EFV e /"I$vQ, per /"I$vQ,$. 111 Senza che vi siano conseguenze per la perifrasi, omettono %m 410-920. 109
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zione con il participio non è registrata112. In 2 Mac 3,34 i giovani apparsi (/61$,*'$) di nuovo a Eliodoro (v. 33): +'G+' F\ IE0H$+IU a6'$I[U /"V$%$+% dette queste cose divennero invisibili/scomparvero BRENTON … they appeared no more NETS: … they vanished Vulgata … non conparuerunt
Se il traduttore in Lam 1,16 avesse scritto a6'$I[U in luogo di P6'$(*&V$%(, non avrebbe trasmesso il medesimo messaggio. Il participio, rispetto all’aggettivo, esprime in maniera esplicita l’azione subita ‘dai figli’ da parte del nemico, l’aggettivo vi alluderebbe. 1 Mac 9,13 -'5 /"V$I+% ~ 0HJI&%U *S$,&&V$%U113 a0b 03WêQI$ )WU _*0V3'U e divampò la battaglia dal mattino fino a sera BRENTON: and the battle continued from morning till night NETS: and the battle was joined from the morning until evening Vulgata: et commissum est proelium a mane usque ad vesperam
Stando a EVANS la perifrasi /"V$%$+% … /*+,3("&V$'( )WU FS*&Y$ RJ#%S in Es 17,12 equivale a un piuccheperfetto, per cui /"V$I+% … *S$,&&V$%U equivarrebbe a *S$K0+%. In 1 Mac 9,47, dove però mancano le determinazioni temporali presenti in 9,13 e in Es 17,12, si legge -'5 *S$KiI$ ~ 0HJI&%U. Aoristo congiuntivo – presente participio attivo
Lv 13,49 -'5 (/Z$) "V$,+'( R ã6w OJW3#X%S*' ë 0S33#X%S*'114 e (se) la piaga diventa verde o rossa
Si opta per questa traduzione per evitare l’improbabile resa “e se la piaga verdeggi o rosseggi”. L’articolo di ripresa115 scarta il rapporto attributivo del sog112 LIDDELL-SCOTT, 286. Nel seguente passaggio di Lam 1,4, 0í*'( 'm 0cJ'( 'T+KU P6'$(*&V$'(, %m mI3I[U 'T+KU a$'*+I$1X%S*($, 'm 0'3QV$%( 'T+KU a"H&I$'(, -'5 'T+w 0 (-3'($%&V$, /$ _'S+4, “tutte le sue (di Sion) porte sono distrutte, i suoi sacerdoti fanno il lamento, le sue vergini sono condotte via ed essa è piena d’amarezza”, all’unico verbo finito a$'*+I$1X%S*($ corrisponde il participio ebraico 1"F' $0%7 30, agli altri participi greci, altrettanti participi ebraici. La distinzione di P6'$(*&V$'( rispetto a a"H&I$'( e a 0 (-3'($%&V$, è d’ordine aspettuale, ma tutti compongono perifrasi con un ausilare sottinteso. I participi P6'$(*&V$'( e a"H&I$'(, a differenza di 0 (-3'($%&V$,, che è medio, sono chiaramente passivi e rinviano evidentemente ad agenti esterni. 113 La perifrasi sta per *S$K0+'(. 114 Il TM è 1;$ <+ L. %[ M% Y&. Y+ &. +" 9 .I 3*!. ! $"!$ +#, dove ai due participi greci si oppongono due aggettivi ebraici. Il codice 392 ha 6'#$,+'( per "V$,+'(; questa variante rende i due participi predicativi. Il codice 426 ha O3W+bU JIS-v (“se diventa bianca la piaga della pelle”) per OJW3#X%S*'. Nei LXX 1;$ <+ L. %[ è tradotto con 0S33#XW mentre 1P L%$ con 0S33HU; l’aggettivo greco 0S33HU non è attestato in LXXLv (cf. HATCH-REDPATH II, 1246). L’aggettivo 1P L%$ e il verbo corradicale non sono attestati in TMLv.
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getto con i participi, che non sono congiunti, al più possono essere predicativi116. La Vulgata ricorre a due aggettivi: “si alba aut rufa macula fuerit”; BRENTON traduce: “and the plague be greenish or reddish”, NETS: “and the attack becomes greenish or reddish117”. A favore dell’interpretazione perifrastica depone Mt 16,3, -'5 03Wê· *v&I3%$ OI(&$, 0S331XI( "Z3 *+S"$1XW$ ~ %T3'$HU, “e la mattina (dite): Oggi c’è tempesta, il cielo è rosso mentre si fa scuro”. In luogo dei due participi il traduttore avrebbe potuto usare i due aggettivi OJW3HU (Is 15,6) e 0S33HU (Nm 19,2), ma non lo fa perché intende sottolineare il processo verbale118. Dt 19,11 /Z$ F\ "V$,+'( l$Q3W0%U &(*Y$ +b$ 0J,*#%$ -'5 /$IF3Ic*2 'T+b$ -'5 /0'$'*+4 /0{ 'T+Ñ$ Ma se un uomo odia il vicino e gli tende un’insidia e si leva contro di lui BRENTON: But if there should be in thee a man hating his neighbour, and he should lay wait for him, and rise up against him NETS: But if there be a person hating his neighbor and he lies in wait for him and attacks him TM: #"4$ 9$ 1Y$ +# M4 O&. %$ +# J!9) &) 4+ % )0P > Z"%' ! 3"!+ '"B"C' +#
In entrambe le traduzioni il participio è reso come attributivo coerentemente con l’interpretazione di "V$,+'( in funzione di predicato verbale, in BRENTON necessaria a causa dell’opzione della lezione /$ *%#119. Questa resa ha un certo fondamento ma non è convincente120. La stessa Vorlage pone il rapporto tra In Lv 13,42 si pone il caso dell’apparizione di una piaga nella calvizie /Z$ F\ "V$,+'( /$ +y 6'J'-3&'+( 'T+%G … ã6w JIS-w ë 0S33#X%S*', e nel versetto 47 su una veste -'5 m&'+#Ö /Z$ "V$,+'( /$ 'T+y ã6w JV03'U. Nel versetto 42 l’aggettivo e il participio sono attributi del sostantivo senza articolo. Simile il caso di 13,19 -'5 (/Z$) "V$,+'( /$ +y +H0Ö +%G )J-%SU %TJw JIS-w ë +,J'S"wU JIS-'#$%S*' ë 0S33#X%S*' … “e (se) compare nel posto della ferita una piaga bianca o lucente, che va verso il bianco o il rosso (tra il bianco e il rosso)”. 116 Cf. BASILE, Sintassi, 541. Qui l’autore parla di funzione predicativa del participio nelle “forme suppletive del perfetto e del piuccheperfetto” composte dal participio aoristo o perfetto seguito da IL$'(, "#"$I*Q'( o NOI($. Predicativi sono i due participi OJW3ÜX%S*'( e 0S33ÜX%S*'( in Philo Alexandrinus, Quod deterius, § 16, F(Z +%G+% /$ +y $Ñ&Ö +KU Jh03'U, M+'$ /$ %E-Ü7 -%(JoFIU OJW3ÜX%S*'( ë 0S33ÜX%S*'( 6'$Y*(, F(IÜ3,+'( +%kU JÜQ%SU, /$ %ìU "I"Ñ$'*($, “Per questo nella legge riguardante la lebbra (si ordina che), quando in una casa si manifestano cavità verdeggianti o rosseggianti, (qualcuno deve) togliere le pietre sulle quali sono apparse”. Il participio predicativo rappresenta una proposizione dipendente. Cf. SMYTH, Grammar, § 2106. 117 WEVERS, Notes Leviticus, 192, traduce: “here «the inflected spot» should become greenish or reddish”. 118 In questi passi, come altrove, vale quanto afferma MURAOKA, Lexicon, sub voce "#$%&'(, 131 nel N. B.: “Many of the senses of "#$%&'( may be perceived as an aoristic or ingressive variant of IE”, osservazione senz’altro condivisibile. La non coincidenza sostanziale tra aggettivo e participio è espressa in SMYTH, Grammar, § 1857: “The periphrasis of the present participle with /*+#, etc. is employed to adjectivize the participle or to describe or characterize the subject like an adjective, i.e. the subject has a quality which it may display in action”. Quest’ultima affermazione va considerata con attenzione. 119 La lezione appare in B 121 68à-83-630c. 115
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! 1"!+ '" e X"%' in termini di predicato: “e se sarà un uomo odiante”, che è cosa diversa da: “se ci sarà un uomo odiante/che odia”. La successiva coordinata G&- %$ +# E2 depone a favore dell’interpretazione predicativa della precedente costruzione ebraica, che viene ripresa nei LXX dalla perifrasi /Z$ F\ "V$,+'( … &(*Y$ equivalente a /1$ +(U &(*4.
Aoristo congiuntivo – presente participio passivo
Ez 18,3 /Z$ "V$,+'( N+( JI"%&V$, R 0'3'g%Jw 'Ä+, /$ +y â*3',J Se sarà più detta questa parabola in Israele!
vale a dire, non sarà più detta, come traduce BRENTON:
surely this parable shall no more be spoken in Israel NETS: if this comparison ever comes to be spoken again in Israel TM: 2%) &$ 8+ '"=+ ! 1Z!- 2X$ F$ !- 2I X7+ DE5 0<1 2$ ! 1"!+ '";0%' Vulgata: si erit vobis ultra parabola haec in proverbium in Israhel
L’avverbio N+( determina il participio e ciò favorisce l’interpretazione perifrastica. Aoristo congiuntivo – perfetto participio passivo
Dt 22,23 åZ$ F\ "V$,+'( 0'[U 0'3QV$%U &I&$,*+IS&V$, a$F3#121 E se una fanciulla vergine è promessa a un uomo BRENTON: And if there be a young damsel espoused to a man NETS: But if there is a girl a virgin engaged to a man TM: X"%' 2+ !8$ &I$ %7+ !2B. $ G+ [!&$ 5Y -/] &5/ ! 1"!+ '" "('
In entrambi i luoghi il participio è analizzato come attributivo. In Dt 20,7 si ha -'5 +#U ~ l$Q3W0%U, M*+(U &I&$v*+IS+'( "S$'[-' -'5 %T- NJ'gI$ 'T+v$; “Chi è l’uomo che si è fidanzato con una donna e non l’ha presa?”. Qui il perfetto &I&$v*+IS+'( è medio122. Nel ‘Dialogo con Trifone’ Giustino scrive K'5 îW*w6 Fh, ~ +w$ z'3Ü'$ &I&$,*+IS&h$%U (medio), g%SJ,QI5U 03Ñ+I3%$ /-g'JI[$ +w$ &$,*+w$ 'T+y z'3(o&123, … “E Giuseppe, che era fidanzato con Maria, volendo in un primo momento ripudiare Maria, la sua promessa sposa …”. Questo passo dimostra che in linea di principio l’aggettivo verbale &$,*+v Si può sostenere il rapporto attributivo tra X"%' e % )/I 8. SPICQ, Note, 190, osserva che nei LXX &$,*+IcW “significa di solito fidanzare” ma che in Tob 6,12 “si tratta di matrimonio” (anche HATCH-REDPATH registra il verbo in 6,12, mentre RAHLFS e l’edizione di Cambridge/Sinaitico in 6,13). Nella nota 6 traduce Dt 22,23 “se una fanciulla vergine è fidanzata a un uomo”. 122 Si accetta la traduzione di SPICQ, Note, 190. 123 Iustinus, Dialogus, 204. 120 121
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potrebbe sostituire il participio &I&$,*+IS&V$, in Dt 22,23. L’aggettivo non è attestato nei LXX tuttavia la traduzione dall’ebraico sarebbe anche potuta essere … 0'[U 0'3QV$%U &$,*+w …, ma tale possibilità non rende automaticamente aggettivo il participio e, come nei due casi precedenti, scartata la possibilità che nel contesto del passo in esame "V$,+'( significhi ‘esserci’, l’interpretazione perifrastica di "V$,+'( … &I&$,*+IS&V$, è certamente possibile124. Aoristo imperativo – perfetto participio passivo Sal 68,26 "I$,Qv+W R N0'SJ(U 'T+Y$ P3,&W&V$, Sia desertificata/resa deserta la loro abitazione TM (Sal 69,26): !N$ Z. +0 1/$ &"$ VB" ' !' f+
Un’ipotetica concorrenza dell’aggettivo N3,&%U con il participio ha i suoi limiti, perché "I$,Qv+W R N0'SJ(U 'T+Y$ N3,&%U potrebbe significare: “La loro abitazione diventi / sia un deserto”125. Il participio, inoltre, è passivo e rimanda evidentemente all’agente che, dal contesto (cf. i versetti 24-25), è Dio. BRENTON ha: “Let their habitation be made desolate (aggettivo)”, NETS: “Let their steading become desolated (participio passivo)”. Ger 18,21 -'5 %m l$F3IU 'T+Y$ "I$V*QW*'$ a$23,&V$%( Q'$1+Ö -'5 %m $I'$#*-%( 'T+Y$ 0I0+W-H+IU &'O'#37 /$ 0%JV&Ö126 e i loro uomini siano eliminati con la/dalla morte e i loro giovani cadano di spada in guerra BRENTON and let their men be cut off by death, and their young men fall by the sword in war NETS and let their men become destroyed by death and their youths become felled by dagger in battle
124 Benché non sia una prova dirimente, si può osservare che sulla base di Dt 20,7 e di Giustino il passo di Dt 22,23 equivale a åZ$ F\ "V$,+'( a$w3 &I&$,*+IS&h$%U 0'[F' 0'3QV$%$, dove è evidente che il participio è verbo e non sembra possibile l’alternativa … a$w3 &$,*+bU 0'[F' 0'3QV$%$. 125 Un esempio è rappresentato da Is 64,9 0HJ(U +%G ã"#%S *%S /"I$vQ, N3,&%U tradotto da BRENTON e NETS rispettivamente: “The city of thy holiness has become desolate (aggettivo)” e “Your holy city has become a wilderness (sostantivo)”. 126 Hanno N*+W*'$ per "I$V*QW*'$ 763 C´ 86mg 410; in A si legge _*+Y+IU. Premettono /$ a Q'$1+Ö A C´-90-239 86mg. La prima variante facilita la costruzione perifrastica. Si può supporre che in "I$V*QW*'$ si percepisse una sfumatura di modalità che nei testimoni citati si è preferito eliminare, ad ogni modo questa variante conferma la perifrasi. Lo stesso esito si ha con _*+Y+IU. In questo caso si ha "I$V*QW*'$ 'm "S$'[-IU 'T+Y$ l+I-$%( …, -'5 %m l$F3IU 'T+Y$ _*+Y+IU a$23,&V$%( /$ Q'$1+Ö “Siano le loro donne senza figli …, e i loro uomini, perché si ergono/incombono, siano eliminati con la/dalla morte”. Il participio congiuto _*+Y+IU sembra alludere a una presenza funesta per il profeta. Gli “uomini” devono essere gli stessi che tramano ai suoi danni (*S$IJ1J,*'$ ïv&'+' -'+Z +KU iSOKU &%S) di cui si parla nel versetto precedente (v. 20). In alternativa si può legare l’imperativo a _*+Y+IU, per cui si ha “… rimangano eliminati …”, una lettura meno probabile.
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TM: !<$ F$ 4+ N' D. O&3 FB" 3 ()
L’imperativo "I$V*QW*'$ è ausiliare di a$23,&V$%( e 0I0+W-H+IU, con questo ultimo è ipotizzabile, ma non necessariamente, l’ellissi di N*+W*'$. Perfetto indicativo – perfetto participio passivo
Gios 9,12 $G$ F\ /d,31$Q,*'$ -'5 "I"H$'*($ gIg3W&V$%( ma ora (i pani) si sono seccati e sono diventati corrosi / si sono corrosi BRENTON and now they are dried and become mouldy NETS: but now they are dried and have become bug-infested TM: 1"L' xp '0 ! $"!$ +# ZO$") ! )*!' !f$ 9. +#
Nei LXX l’aggettivo verbale g3W+HU è adoperato come neutro sostantivato127; l’aggettivo g3*(&%U ha il senso passivo di “commestibile” con valore positivo, mentre il participio esprime valore negativo. In 9,5 si legge ~ l3+%U 'T+Y$ +%G /0 (*(+(*&%G d,3bU -'5 IT3W+(Y$ -'5 gIg3W&V$%U “il pane delle loro provviste (era) secco, ammuffito e corroso”. Ai due participi IT3W+(Y$ -'5 gIg3W&V$%U si oppone nel TM il solo sostantivo 1"L' xp '0: nei LXX si ha una sorta di descrizione particolareggiata del processo di deterioramento del pane. La forma IT3W+(Y$ è participio di IT3W+(1W “andare in sfacelo, ammuffire”128, verbo intransitivo, che nel contesto non è aggettivato, come non lo è gIg3W&V$%U. Nel Pastore di Erma nell’ottava similitudine l’angelo, dopo avere distribuito i rami del salice, li riprende e ä'3o +($W$ /Jo&g'$I +ZU ïogF%SU d,3ZU -'5 gIg3W&h$'U ñU u0b *,+ÑU, “Da alcuni riceveva i rami secchi e corrosi come da un tarlo”, diversamente ó+I3%( F\ /0IFÜF%S$ d,3oU, aJJ' %T}*'$ gIg3W&h$'( u0b *,+ÑU, “xltri glieli consegnavano secchi ma non erano corrosi da un tarlo”129. Nel primo passo gIg3W&h$'U è predicativo, nel secondo }*'$ e gIg3W&h$'( formano un’evidente perifrasi. In Gios 9,12 si potrebbe discutere se "I"H$'*($ gIg3W&V$%( sia vero passivo o se non piuttosto un medio riflessivo diretto, tuttavia la lettura perifrastica è sostenibile130.
Cf. MURAOKA, Lexicon, 124; LUST-EYNIKEL-HAUSPIE, 113. Cf. MONTANARI, Vocabolario, 892. 129 Herma, Le Pasteur, 67,6.7. 130 Nei passi di Erma citati nel primo d,3oU e gIg3W&h$'U sono predicativi, nel secondo lo è solo d,3oU. 127 128
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Perifrasi verbali con givnomai ed e{sthka nei LXX
IIb. Occorrenze di perifrasi con )*+,-' nei LXX131 Piuccheperfetto – presente participio attivo
4 Mac 16,15 -'5 "Z3 M+I *S$IJv&6Q,U &I+Z +Y$ 0'#FW$, Im*+v-I(U +b$ åJIoX'3%$ ~3Y*' g'*'$(XH&I$%$ e, infatti, quando fosti arrestata con i tuoi figli, stavi ferma a guardare che Eleazaro veniva torturato SCARPAT traduce: … te ne stavi attonita a guardare Eleazaro sotto le torture132
Nel commento l’autore definisce Im*+v-I(U “una reminiscenza omerica”, e dopo il rimando a Mt 20,6, +# çFI _*+v-'+I MJ,$ +w$ R&V3'$ a3"%#, annota che il perfetto )*+,-' nel greco tardivo tende ad assumere il significato di “prendo (assumo) un tale atteggiamento”133. In 1 Re 19,20 e 4 Mac 16,15 il piuccheperfetto sottolinea la persistenza dell’azione espressa dal participio. Un esempio di tale uso si trova negli Acta Pauli et Theclae. In 9,6-7 la madre di Tecla dice della figlia a+I$#XI( "Z3 +%[U JI"%&V$%(U u0’ 'T+%G -'5 _1JW+'( R 0'3QV$%U “è intenta alle sue (di Paolo) parole ed è presa la fanciulla”134. L’autore indugia sul comportamento di Tecla -'5 +%ò+W$ %Ä+WU "($%&h$W$ ôh-J' %Ta0I*+3o6,, aJJö }$ a+I$ÜX%S*' +y JÑ"Ö ä'òJ%S, “e, mentre accadevano queste cose, Tecla non si voltò, ma era intenta alle parole di Paolo” (10,9-10)135. Tecla appare irremovibile R F\ Im*+n-I( ä'òJÖ a+I$ÜX%S*' (20,9) “ma lei se ne stava a fissare Paolo/continuava a fissare Paolo”136. Questi tre testi, accomunati dallo stesso verbo a+I$ÜXW, evidenziano un vero e proprio climax intensivo. Il piuccheperfetto Im*+n-I( non svolge un ruolo sintattico diverso da }$ rispetto al participio a+I$ÜX%S*', benché se ne distingua per il fatto di esprimere una particolare modalità dello svolgimento dell’azione.
Sulla base dei dati raccolti non appaiono perifrasi con il perfetto )*+,-'. SCARPAT, Maccabei, 381. 133 SCARPAT, Maccabei, 388. 134 LIPSIUS-BONNET, Acta, 242. Non ci sono varianti relative ad a+I$#XI(. 135 LIPSIUS-BONNET, Acta, 243. Delle varianti di questo testo riportiamo quelle dei testimoni greci: aJJ{ }$ MJ, 03bU +b$ JH"%$ 0'cJ%S 03%*VO%S*' E; aJJ{ }$ 03bU +b$ JH"%$ 0'cJ%S (+b$ +%G 0'cJ%S JH"%$) a0%gJV0%S*' F G; aJJZ +%G JH"%S 0'cJ%S õ-%S*I$ C. Le prime due marcano l’attenzione di Tecla verso le parole di Paolo. Nel NT il verbo a+I$ÜXW compare solo nella letteratura lucana e due volte in quella paolina (2Cor 3,7.13). In perifrasi con IE appare in Lc 4,20 e At 1,10, dove la costruzione sembra sottolineare proprio il persistere dell’attenzione. 136 LIPSIUS-BONNET, Acta, 249. 131 132
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Rosario Pierri
Piuccheperfetto – perfetto participio attivo
1 Re 19,20 (-'5 a0V*+I(JI$ ú'%kJ a""VJ%SU …, -'5 ILF'$ +w$ /--J,*#'$ +Y$ 03%6,+Y$,) -'5 ú'&%SwJ Im*+v-I( -'QI*+,-`U /0{ 'T+Y$ (e Saul inviò messaggeri …, e videro l’assemblea dei profeti,) e Samuele stava a capo di loro BRENTON: … and Samuel stood as appointed over them NETS: … and Samouel stood as appointed over them TM: 1!" 3 4) 9[ O_$ '0 L
Quest’ultima versione fa dipendere L
AERTS, Periphrastica, 96.
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Perifrasi verbali con givnomai ed e{sthka nei LXX
tattici. Naturalmente è il contesto in cui la potenziale perifrasi occorre a stabilirne la presenza. La grammaticalizzazione del verbo finito come ausiliare e fattori concomitanti come la sua desemantizzazione e decategorizzazione vanno valutati sulla base di una possibile scala di realizzazione non solo in chiave diacronica. Se si sostiene che "#$%&'( spesso sembra conservare il significato di “diventare” si fa un’affermazione corretta, benché, con tutta evidenza, occorre ammettere che una tale lettura può poggiare più sulla traduzione (non sempre riuscita) che su una reale prova fondata nel testo. Si intende dire che, pure nel caso "#$%&'( conservi del tutto il suo significato originario, stabilito che il participio non abbia altri usi sintattici, forma con esso perifrasi verbale. La differenza sostanziale con IE non è il fatto che "#$%&'( non subisce riduzione e perdita del peso fonologico, ma la permanenza più o meno latente nel secondo verbo del suo significato, che in una perifrasi può sottolineare talora anche un grado di valore ingressivo o progressivo. La potenziale interscambiabilità di una perifrasi con una forma sintetica non può essere l’unico principio per stabilire se c’è o no perifrasi verbale. Rosario Pierri, ofm Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme
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1. Syntax in poetry. A change of mind It is an honour to have the occasion to contribute to this volume for Alviero NICCACCI. I remember well the pleasant surprise I experienced when he sent me the first edition, in Italian, of his grammar on Hebrew verbal syntax in prose. We appeared already to have been in dialogue for some time on this topic, since NICCACCI reacted in his work to two review articles I had published on the ‘Grammatik’ of Wolfgang SCHNEIDER, who experimented in his work with the interaction of verbal grammar and discourse.1 After this first contact on the syntax of narrative texts, the dialogue was extended to the domain of verbal syntax in poetry. In my view, it is now my turn to react to two articles that Alviero NICCACCI has written on that topic.2 It is very interesting to see how he has proceeded in studying the use of verbs in poetry. His two contributions on syntax and poetry are principally different in their approach to the position of the syntax of the verbs. The difference can be easily summarized in terms of “poetry does not demonstrate any verbal system” (1997) versus “it is possible and rewarding to search for a verbal system in poetry” (2006). In 1997 NICCACCI concentrated on stylistic features of poetic texts: rhetorical ordering, parallel clauses and semantics, especially word pairs. The role of syntax was seen as being mainly to help the reader identify parallel clause constructions. A verbal system cannot be detected, NICCACCI then stated. In 2006 NICCACCI reactivated his earlier line of thinking about texts and grammar so as to apply it to poetry. As in narrative texts, there is also in poetry a systematic use of verbal forms, he now states. It can be analysed in a similar way: by a procedure of arguing from form to function. Paradigmatic forms identify grammatical functions; compound patterns identify higher level syntactic functions. Verbal forms NICCACCI, The Syntax of the Verb; SCHNEIDER, Grammatik; TALSTRA, Text Grammar I + II. NICCACCI, Analysing Biblical Hebrew Poetry; NICCACCI, The Biblical Hebrew Verbal System in Poetry. 1 2
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mark the main line and the secondary line of communication, phenomena of consecution (i. e., protasis – apodosis constructions) and modality. In his 2006 article NICCACCI focuses especially on patterns of alternating usage of qatal and yiqtol. These appear as a peculiarity of poetic texts (249.253-261). His contribution is to try to go beyond an analysis of individual verbal forms and to search for a consistent explanation for the grammatical functions of these patterns of verbal forms. He does so by plotting them on a temporal axis, in order to see whether these patterns exhibit consistent functions in a context of reference to past, presence or future (248.266). Before I comment on this proposal I want to give a short outline of the domain of research where the contribution of NICCACCI’s work is located. I very much admire the independent mind of a scholar who, after continued research, can simply write “I have changed my mind”, as NICCACCI did in his 2006 article (247). That is important, since this change of mind implies that as readers of the Hebrew Bible we no longer have to deal with, in terms of linguistics, a strict division between the two worlds of narrative and poetic texts. The distinction between the two articles by NICCACCI mentioned here is not only that they provide a different answer to the question of whether there is a verbal system in poetry; rather, they discuss the basic question of whether we need a special starting point for the linguistic analysis of poetry. Is the signification of poetic structure done primarily by parallelism or lexical repetition, whereas the signification of narrative discourse is primarily done by patterns of grammatical elements? Or can linguistic and rhetorical interests be brought into cooperation in our reading of poetic texts? To Hebrew scholars such cooperation of analytical methods is clearly as desirable as it is hard to achieve. Some scholars have decided to concentrate in their work on poetry on literary and rhetorical analysis only, without addressing questions of linguistic system on the level of clausal analysis and discourse structure.3 Other scholars have experimented with analytical work, assuming some overlap of literary and linguistic categories. In that case a number of options exist: a. One may start with the description of poetic texts in terms of their basic unit, the poetic line or colon, and then try to make an inventory of the syntactic features of cola, such as the number of predications, the number of constituents and the number of syllables. This approach implies that the study of syntax is to be located within the framework of poetic lines and can be used to measure regularity in poetic units (O’CONNOR4 and CLOETE5). 3 4 5
WENDLAND, The Discourse Analysis; WATSON, Classical Hebrew Poetry. O’CONNOR, Hebrew Verse Structure. CLOETE, Versification and Syntax.
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b. Another option is to divide the world of prose and poetry into two separate domains of text building, by applying categories fully different from the ones being used to analyse prose (FOKKELMAN6). As a result, instead of clause, sentence and paragraph, we have colon, strophe and stanza. This approach implies that the study of syntax may serve to establish some features of textual cohesion, but it cannot be used to measure poetic units such as cola. That is basically the criticism of CLOETE’s matrix of the syntactic features of poetic lines, as expressed by FOKKELMAN.7 FOKKELMAN measures poetic lines and strophes differently: i. e., by counting the number of syllables used. He finds a high level of regularity that in his view cannot be explained in terms of language system or syntax but has to be regarded as an expression of poetic skills. Here one may ask, in my view, if the public performance of ancient poetry did not require it to be very selective in using syntactic units. But that still would not exclude syntactical analysis of poetry. c. Still another option is to give priority to syntactic observations and after that to try to establish how these relate to the construction of poetic lines and text segmentation. Here one enters the dialogue on distributional (formal) and functional grammar. Some scholars base their syntactical analysis of poetic texts on a universal linguistic model of clause types and the functions of their elements. The assumption is the existence of a ‘basic functional pattern’: i. e., the same syntactic functions appear in the same structural positions in the model. Every language uses at least one basic functional pattern for the constructions of clauses. The function of clauses in actual texts can be interpreted by the way they implement the model.8 The distributional approach, such as the one used in NICCACCI (2006), works the other way around and attempts to derive a model from the variation of syntactic forms and their distribution as observed in the actual texts. What signs do we find that help the reader to navigate through the textual structure? What is the function of the various patterns found? Both types of syntactic analysis, the functional and the formal, share the same assumption: language, whether it is in prose or in poetry, is a system of communication. Even a poetic text is not meant in the first place to be ‘a thing of beauty’9; rather, it is an intense form of linguistic communication. Poetry is very creative in using assonance, chiasm, parallelism, repetition, and it is at the FOKKELMAN, Major Poems of the Hebrew Bible. FOKKELMAN, Major Poems of the Hebrew Bible, 21-24, discusses CLOETE’s matrix of minimum and maximum numbers of various features (units, stresses, predications, constituents). Are these fixed restraints in the production of poetic lines? Are syntactic constraints descriptive? Are they prescriptive? 8 ROSENBAUM, Word-Order, 17-20. 9 See O’CONNOR, Hebrew Verse Structure, 638, his remarks on truth and beauty, LOWTH versus KEATS. 6 7
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same time also very selective in its usage of linguistic patterns. Clause length, constituent order and rhythm all contribute to the effective performance of a poetic text. That fact, for both functional and distributional linguists, does not, however, necessarily imply that poetic texts can only be analyzed in terms of poetic skills rather than in terms of their creative employment of linguistic system. In my view, NICCACCI’s work in 2006 represents an important step in continuing the research into how syntax and rhetorical skills cooperate in classical Hebrew poetry. Some scholars base their syntactical analysis of poetic texts on a universal linguistic model of clause types and the functions of their elements. The assumption is the existence of a ‘basic functional pattern’: i. e., the same syntactic functions appear in the same structural positions in the model. Every language uses at least one basic functional pattern for the constructions of clauses. The function of clauses in actual texts can be interpreted by the way they implement the model.10 The distributional approach, such as the one used in NICCACCI (2006), works the other way around and attempts to derive a model from the variation of syntactic forms and their distribution as observed in the actual texts. What signs do we find that help the reader to navigate through the textual structure? What is the function of the various patterns found? 2. Exegetical and rhetorical analysis of poetry. What about syntax? To illustrate syntax in exegetical and rhetorical analysis of poetry, I will use a segment from the text of Jeremiah 511 (see Appendix). In the reading by some authors, for instance FISCHER12 and CARROLL13 in their commentaries to Jeremiah, a distinction between poetry and prose as text types does not appear to be crucial to the process of textual interpretation. This is not because these authors would observe no linguistic differences between text types; it is rather because they prefer to concentrate directly on themes and literary genres when discussing the interpretation and the redaction history of the book. They also do not analyse segments of text in terms of a linguistic analysis of discourse. Other scholars concentrate on poetic form (i. e., on rhetorical and colometrical features) as the dominant factor in the interpretation of a text like Jeremiah 5. This does imply, however, that text segments in prose (verses and phrases, such as “saying of the Lord”14) or text segments not considered to fit the larger ROSENBAUM, Word-Order, 17-20. Part of a project for syntactic analysis of poetic and prophetic texts, funded by NWO, 2004-2009 to experiment with the syntax of poetry and expand WIVU data base. It resulted in a full syntactic analysis of Isaiah, Jeremiah and Psalms. 12 FISCHER, Jeremiah, 1-25. 13 CARROLL, Jeremiah. 10 11
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poetic structure are treated as secondary elements of the text (e. g., v. 9 in LUNDBLOM15). As a result, the question posed by NICCACCI of how to integrate linguistic system and poetic skills in the interpretation of poetry is quite often simply not addressed in exegetical praxis. Independent of whether a scholar considers colometrical analysis as either superfluous or indispensable, the use of clause types and verbal forms is commonly considered ‘free’, and they are translated accordingly. I will briefly discuss the way in which the authors mentioned analyse Jeremiah 5,1-9. 2.1. FISCHER (56) argues that in Jeremiah we find prose and poetry to be only slightly different. Artistic prose and poetry make use of similar stylistic devices. According to FISCHER the text types of prose and poetry in the book of Jeremiah are mixed, with both applying stylistic phenomena, such as parallelism and lexical repetition. Hence there is no reason to present or analyse poetic sections differently from prose sections. Thus text divisions in 5,1-9 can be made according to themes and dialogue partners (237): v. 1-2 God demands justice; v. 3-6 The prophet explains the destruction; v. 7-9 God asks questions of the people of Jerusalem concerning what is next. For a translation the complete text has been segmented into what FISCHER calls meaningful lines (Sinnzeilen). Since no linguistic analysis is applied, the interpretation and translation of the lines is occasionally somewhat easy going with syntax, illustrating the idea that verbal forms cannot be interpreted in a syntactically consistent way. The following are some examples (232): V. 6
Two cases of qatal, translated in present tense: “viele sind ihre Verbrechen, zahlreich sind ihre Anwendungen.” V. 5b-6a qatal in perfect tense. V. 7 wayyiqtol “obwohl” … past tense; this translation is exegetical, not syntactical (242) yiqtol in past tense: “rotteten” V. 8 qatal “sind sie geworden” yiqtol present tense “wiehern sie”
CARROLL16 speaks of ‘poems’ in Jeremiah 5, but he does not discuss the qualities or the linguistic features of these texts as poetry. In his reading of the chapter, it appears to be composed of various poems, loosely connected into one prophetic composition. In chapter 5 “a number of discrete units are used to present a justification of the destruction of the nation” by the enemy. The ways 14 15 16
CLOETE, Versification and Syntax, 100.149 LUNDBLOM, Jeremiah 1-20. CARROLL, Jeremiah, quotes from 174.177.178.
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of Yahweh in the experience of the destruction of Jerusalem require “a theodicy”. In the text segment discussed here, CARROLL distinguishes two poems: 5,1-6 and 5,7-9. The first one argues that not even one righteous person was found in Jerusalem to prevent its destruction; the second section continues the themes of 5,1-6 since it wants to “attack the community for its idolatrous practices.” Different from FISCHER, who bases his argument for text division also on the literary identification of the speakers, CARROLL does not divide the text on the basis of changes in speaker and addressee. Only the subject matter decides: the sections are ‘search for a righteous man’ and ‘accusation of the people’. As a result, CARROLL’s grammatical interpretation of clause types and verbal forms follows his interpretation of the subject matter. V. 5b V. 6
V. 8
qatal past perfect tense: “they had broken the yoke” qatal future: “a lion shall slay them” yiqtol future: “a wolf shall destroy them” Participle: “a leopard is watching” yiqtol future: “shall be torn” qatal: “are many, are great”.
The works of FISCHER and CARROLL, by their emphasis on literary analysis, appear to express the traditional view on syntax in poetry: there is no system in the use of verbal forms. There is clear variation in translation of the same verbal forms. 2.2. For the other two authors mentioned above, poetic form is the dominant textual feature. One option then is to search for syntactic effects or syntactic constraints present in poetic texts. This is practised in the work of CLOETE.17 Another option is to regard the poetic text as a literary domain by itself, governed mainly by lexical repetition and well balanced rhetorical structure. This is practised in the work of LUNDBLOM.18 In this section I will discuss elements of their work and address the question of whether any interaction is possible between syntax and the poetic structures observed. To facilitate the comparison of my text syntactic analysis and their poetic ordering I present them both in the outline of the text of Jeremiah 5,1-9 in the Appendix. The type of linguistic analysis that is basic to this outline will be explained in §3 below. A problem for the comparison is that CLOETE only discusses the segmentation of the text into cola. Higher level divisions of the text into larger segments of texts is something he does not study. However, if one just compares clauses and cola, one may conclude that in many ca17 18
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ses a syntactic clause matches with a poetic line (colon). In the remaining cases it appears that one can reconstruct a colon, as defined by CLOETE, by combining clauses of particular types (marked by the sign ‘=’ in the Appendix). That fact suggests that linguistic system and poetic structure should not be kept too separate. The following are some examples of the differences between syntactic clauses and poetic lines (cola): a b
c d e
two parallel imperative clauses in colon 1b two predications: a finite verb and a complement clause with infinitive construct in colon 3e two predications with a change of subject: pronominal object suffix >> subject in colon 3b and 7d a combination of b. and c. in colon 3c two predications: embedding of a quotation (colon 2a) or of an attributive clause in colon 6d
The division of cola in 1ef and in 9bc is grammatically inconsistent. In line with other cases of type b, mentioned above, in these cases one would need one colon, rather than two. Why are longer poetic lines not accepted here? Here the matching of the colometry by CLOETE and the syntactic clause analysis fails. CLOETE has done an interesting experiment to try to establish what syntactic constraints are active in the construction of poetic lines. The problem thus becomes clear. The counting of only predications and constituents within poetic lines, as practised by CLOETE, is not sufficient for a syntactic description of a colon. Other syntactic restraints (a-d) are active as well: particular clause types, only in a particular order, appear to be used as one colon. In those cases one is confronted with the phenomenon of linguistic hierarchy. Some constituents belong to the main clause, others are only part of an embedded clause or a clause that in itself is a constituent of the main clause. This reveals the main question: can one really do syntax within the boundaries of poetic lines? Would a cooperation of syntactic analysis and colometric analysis not be served much better if one reverses the order? To proceed from linguistic clauses to poetic lines appears to be much more effective than the other way around. Unfortunately CLOETE does not address text syntax, not even the problem of the verbal forms. So one wonders how his experiment would go at higher levels of textual organisation. The rhetorical analysis by LUNDBLOM proceeds from poetic lines to the larger unit of the stanza and from there to the pattern made by the order of the stanzas. That makes it possible to compare his work with the textual hierarchy based on syntax.
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LUNDBLOM’s division of the text into cola equals the one proposed by CLOETE, except for v. 3. The fronted noun phrases (v"0"9 + !#!") are disconnected from the following resumptive clause, which is regarded as a separate colon. LUNDBLOM adds further divisions of the text into five higher units, called stanzas (see the Appendix). The technique to create them is basically one of literary reading: “stanzas can be delimited both by key words and speaker change” (372). The next step, the arrangement of the stanzas in a chiastic ordering around the centre in v. 4-5d (= stanza 3), is for LUNDBLOM an important key to the interpretation of the text. To him textual meaning depends on ordering and balance, as is clear when LUNDBLOM repeatedly praises the text with expressions like “balancing terms”, “excellent use of repetition” (372), “fine balance” (373), “It also contains an argument” (372), and “the center was typically the climax and pivot point” (373). This triggers the question of what relationship can be seen between the syntax of this text as a discourse with syntactic hierarchy and the presentation of a it as a system of stanzas. Is the reader of the poetry mainly confronted with ‘beauty and balance’? Interestingly, LUNDBLOM deals with the verbs much more consistently than the other exegetes mentioned. A good example is stanza 4, v. 5e-6, where he translates: 5ef But they together, they have broken the yoke (qatal) 6ab has struck them (qatal), will destroy them (yiqtol) 6cd a leopard is prowling around (participle); everyone … will be torn apart (yiqtol) 6ef for … are many; are numerous (qatal—qatal: the argument for a translation in present tense may be the stativic nature of the verbs involved)
One wonders: if the basic communication is by balance and repetition, what do the verbal forms contribute? The commentary is silent on this point.
After doing colometrical or rhetorical analysis of a poetic text, do we really know more about it in terms of discourse and communication? What about clause types and verbal forms? Is there no text linguistic system? In syntactic analysis of poetic texts there is, of course, no need to avoid or dismiss observations on the level of rhetorical features. But the problem is the order of the observations made and the conclusions drawn. A colometrical approach to poetry actually skips the independent syntactic approach to poetic texts as discourse. Balance seems to replace discourse as the main category of communication. As demonstrated above, this can even be used as an argument to skip certain parts as secondary to the text, on account of their doing damage to the balance. The challenge to scholarly work is whether we, in line with NICCACCI’s change of mind, can make observations in poetic texts starting the other way around. Can one, when beginning with syntactic observations, find ways to reintegrate syntactic and rhetorical analysis of poetry? The syntactic analysis of 333
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a text in clauses and in a syntax based clausal hierarchy may help test the approach defended by NICCACCI in his 2006 article on verbal system in poetry. 3. Jeremiah 5: poetic discourse and syntactic hierarchy In the Appendix I propose a syntactic hierarchy of Jeremiah 5,1-9. It is a proposal made in continuation of NICCACCI’s line of research, through analysing a poetic text according to its syntax: clauses and verbal forms, as well as the order of clause constituents, the division into paragraphs and the marking of participants. This requires accepting also in the structure of a poetic text the presence of textual hierarchy. This does not exclude the phenomenon of parallelism (i. e., just sets of two clauses), rather it analyses parallelism as part of it. Text syntactic analysis first segments and presents the text according to its clauses (a clause being defined as just one predication with its satellites). Secondly, it analyses the text according to the hierarchy of its clauses.19 The basic idea of the text syntactic analysis presented here is the assumption that the text presents sufficient linguistic signs to establish in it a main domain of communication and a number of hierarchically structured sub domains. The arguments to do so are based on the observation of linguistic markers that guide the process of reading: 1. clause type (defined by the presence of conjunction, verbal form and constituent order), 2. set of participants (indicated by nouns, pronouns or verbs) in a textual domain or sub domain, and 3. lexical repetition of elements found in clauses or in textual domains. It implies that verbal forms are not used in isolation for textual analysis but rather, in combination with clause types and presence of participants, they are read as markers of textual organisation and as markers that guide the process of communication within the various textual domains established. Certainly, exegetes reading the text of Jeremiah 5 are used to observing such markers and drawing conclusions from them concerning the presence or the changes of sender and addressee in the text. The proposal made in this paper, however, in line with the thinking of Alviero NICCACCI, is to pursue the textual analysis in terms of linguistic features much further, before entering the domain of rhetorical, historical or theological interpretation. Only then will one be able to address the question raised by NICCACCI concerning what linguistic system governs the use of verbal forms in Hebrew poetry and prophecy. Trying to contribute to the text grammar of complex poetic texts is not an easy task; nevertheless, the linguistic features of the text present sufficient clues to use them, as shown in the arguments listed above. For the sample text of Je19 The textual analysis is the result of a computer assisted procedure. See TALSTRA, Text segmentation; TALSTRA, A Hierarchy of Clauses.
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remiah 5,1-9, this line of argumentation runs as follows (line numbers mentioned refer to the Appendix): 3.1. Main domain of the discourse Line 1 (v. 1) and line 57 (first line of v. 10) are indicative of the main domain of communication in the text. They both begin with a fronted plural imperative without a conjunction (as for instance with the imperatives of lines 2-4), and they both present the same participants ‘you’ (the unidentified plural group charged with a command to enter the city) and the feminine singular (i. e., Jerusalem), also referred to by the pronominal suffix in v. 1 and 10). Between line 1 and line 57 the reader will not again encounter a similar clause construction with the same participants. In terms of text syntax, therefore, the entire section of v. 1-9 is located between these two imperatives of v. 1 and v. 10 (lines 1 and 57). The text segment of v. 1-9 can be subdivided into further embedded domains of communication, based on the clause types used and the participants being referred to. The second domain of communication is located in the text segments of lines 1-9.10-13 and 44-56. 3.2. Second domain of discourse Lines 1-9 (v. 1) The first section, lines 1-9, is dominated by imperative clauses followed by a 1%' -yiqtol construction. It has three participants: after the ‘you’ (plural) and ‘her’ (the city), one also encounters an ‘I’. ‘I’ might be able to pardon ‘her’. The last clause of v. 1 (line 9), a weyiqtol, continues the 1%' -yiqtol clause of line 5, so that lines 1-9 constitute one long sentence: “search the city, whether you can find a righteous one, that I may pardon her”. Line 10-13 (v. 2). The verbs used here are only yiqtols. Since one finds no indication of a new direct speech section (no marker of a new sender or addressee is present), the reader may assume that the direct speech continues. The use of lexical antonyms (i. e., ‘truth’ versus ‘lie’) corroborates this. This means that this section is also spoken by ‘I’ to ‘you’ (plural), the ones that are communicating in lines 1-9, while it also introduces a new participant: ‘they’. The ‘they’, thus far unknown, is mentioned again in lines 17ff and is likely to be identified in line 45 (sons of Jerusalem). The 1%' -yiqtol construction here is different from the one used in v. 1, since it is continued by ,C4 + yiqtol: “in case they say ‘…’, therefore (by those very words) they swear by a lie.” Lines 44-56 (v. 7.8.9) A subset of the participants active in lines 1-9 (‘I’ and the feminine singular) is present again in v. 7, in line 44 (a yiqtol clause). The difference is that the feminine singular now has become the addressee: “How could I for this forgive you (fem. sing.)?” In line 45 this section also introduces a new constituent: 335
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“your (fem.) sons” and the evil things they are doing. The use of the yiqtols, the lexical repetition of the verb F4A, and the overlap of constituents provide the arguments to connect the section of lines 44-51 (v. 7-8) directly back to the section beginning with line 1 (v. 1). V. 9, lines 52-56, connects back to the question in first person yiqtol of line 44. The addressee is not introduced again and, since this section is also being used elsewhere (Jeremiah 5,29 and 9,9), it can best be regarded as a redactional addition. This, however, does not alter the process of syntactic analysis. V. 9 is part of the same domain of discourse. It can be read as a preliminary conclusion, addressing again the unidentified two plurals of the main line communication in v. 1 and 10. The use of the verbs in this section demonstrates some of the interesting features NICCACCI discussed in his 2006 article: the main line of the communication is in yiqtol (lines 44.52 and 56), and the background information, providing the arguments for the main statements, uses qatal (lines 45.50). Qatals can be elaborated by wayyiqtols, as in lines 46-48; however, qatal sections can also be terminated by yiqtols, as in lines 49 and 51. In my view (to be elaborated in the paragraph below), this arrangement of verbal forms elaborates the line of argumentation. The clause with a fronted subject—“it is your sons that have left me”—is continued by a short story (“Sprosserzählung”, in the grammar of SCHNEIDER) in lines 46-48. But the argument is not just a story; it ends with an actual situation—in yiqtol: “they even troop into the houses of harlots” (the lexical interpretation of the verb is uncertain). Similarly, in lines 50-51 (v. 8ab) the qatal is followed by yiqtol: “well equipped stallions they have become, each of them neighs (yiqtol) to its neighbours wife”. 3.3. Third domain of discourse Lines 14-43 (v. 3-6) Once the syntactic connections of lines 1-13 and 44-56, indicative of the second domain of communication, have been established, the section of lines 14-43 (v. 3-6) is, as a consequence, regarded as further embedded: a third domain, located within the higher level discourse about ‘you’ (plural), ‘I’ and ‘the city’ (‘her’ and ‘you’; fem. sg.). There is a complete change of participants in this domain, as well as a change of the clause types used: qatal is now dominant. Based on the clause types used and on the sets of participants, the domain of lines 14-43 can be subdivided into two sections: Lines 14-24 (v. 3) These lines are addressed to YHWH, the vocative in line 14, and followed by the fronted element (“your eyes”) and a nominal clause: “YHWH, your eyes, aren’t they in search for truth (cf. v. 1, line 8)?” Additional statements, found in lines 17-23, are made in qatal, giving information in past perspective or as background concerning what God has done. “You have shattered them, but they …”. 336
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Lines 25-43 (v. 4-6) Here an ‘I’ is speaking about ‘they’ and ‘YHWH’. Since the introduction of the ‘I’ speaking is done by a w-x-qatal clause ( +# + subject + qatal), this clause (line 25) is analysed as a second part of the dialogue with YHWH that started in line 14. “I myself have said …”. In lines 26-33, this ‘I’ is addressing himself. So lines 26-33 have to be set apart as an embedded, fourth domain of discourse. Line 25, “Then I myself have said”, is syntactically continued by line 34, which is also a qatal clause with a fronted subject: “Certainly, they, they together have broken …”. From line 34 on, qatals dominate. However, here again one can observe that qatal sections, which provide background information, are concluded by yiqtol clauses (lines 37 and 41): “For that reason a lion from the forest has slain them, a wolf from the desert destroys them. A leopard is watching, … everyone who goes out is torn into pieces.” Here again one finds that the argument built up by qatal (what has happened) is continued by yiqtol (what is happening as a consequence even now at the moment of communication). 3.4. Fourth domain of discourse Line 26-33 (v. 4b-5d) The direct speech section where the prophet addresses himself begins with a statement of fact by a nominal clause—“certainly these are the poor”—followed by qatal. This is background information serving as the first argument for the main statement in this section, the yiqtol (cohortative) continued by weyiqtol: “Let me go …”. The "C-qatal following provides the assumption that provides the second argument: “no doubt it is they who know the ways of YHWH”. 4. Testing. Text grammar and poetry Once a text syntactic hierarchy of a text has been established, one has the materials on one’s desk to perform two tests on textual structure20: first, the usage of the verbal forms in poetic discourse and second, the comparison of a text syntactic approach and a rhetorical approach of text segmentation. These two tests interrelate since one can only analyse the use of the verbs in each (sub)domain of the discourse separately. In this way, one can search for patterns of clause type connections and experiment to find a consistent means of grammatical interpretation. As such, this testing is also a way to find out how far one can get with a consistent ‘form to function’ approach.
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4.1. Verbal forms. The relative short text discussed may be sufficient to conclude that the thesis defended by NICCACCI is a promising start for continued research: the use of verbs in poetry is not free but is instead part of a linguistic system. The matrix of verbal functions in prose, as described by NICCACCI (248), is applicable to poetic texts as well. Discussion is needed on additional verbal patterns that occur in poetry. From textual hierarchies, as presented here, one should first list the patterns of clause connections found, such as imperative— 0-imperative; imperative—w-imperative; imperative—yiqtol; yiqtol—w-yiqtol; qatal—yiqtol, and see how these patterns are further connected within a particular domain of communication. In the text segment of Jeremiah 5,1-9 one can observe that the usage of these patterns fits the matrix of verbal forms in direct speech sections of narrative texts, as presented by NICCACCI. Yiqtol and imperative present the main line of communication, weyiqtol a next step: promise, possibility, a goal chosen. Background information (i. e., a secondary line of communication with respect to yiqtol clauses or verbless clauses, such as in lines 14-16.26) is presented by qatal (lines 17-24). Such qatals can be continued by wayyiqtols, as in lines 46-48 (v. 6). Thus in background sections we find that pattern creating a ‘short story’ as part of the argument built up in a text segment. Similar to direct speech sections in prose texts, narrative sections are used as embedded within the main line of communication (cf. 1 Sam 12,6ff). As demonstrated above, one also finds qatal—yiqtol, as in lines 37.41 (v. 6) and lines 49.51 (v. 7). Does this pattern used in poetry still fit into the system as defined for prose: yiqtol is main line (foreground) and qatal is secondary line (background)? NICCACCI sees two functions for the qatal—yiqtol pattern21: 1. these verbs can function according to their own temporal axis (i. e., qatal referring to past and yiqtol to future) and 2. both verbal forms can act on the temporal axis of the past, in which case qatal presents a single fact and yiqtol functions as habitual. I am not convinced that one should use the features of time reference and aspect in a context of syntactic analysis where verbs are analysed primarily as markers of linguistic communication. SCHNEIDER, in his grammar, dismissed these features as primary markers of verbal function. He rather saw time reference or aspectual features as an effect of particular lexical items added in a clause (e. g., adverbs). In my view, the hierarchical syntactic structure of a poetic text has to be taken here into consideration as an important factor in the analysis. Instead of the ‘temporal axis’, it is the hierarchical position that the yiqtol clause takes within the text that helps to clarify its function. To focus on 21 NICCACCI, The Biblical Hebrew Verbal System in Poetry, 249-250.253-255; summary on 266.
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one example: NICCACCI discusses (258) the order of qatal—yiqtol in Psalm 78,20. Both verbs function in this text in the context of reference to the past: qatal gives “a single piece of historical information” (257) and yiqtol “continuous action”. NICCACCI translates: “Behold, he smote (qatal) the rock and water gushed out (wayyiqtol), indeed, streams were overflowing (yiqtol).” In my view these lines are not, as such, a reference to the past. They are part of an argument in an embedded direct speech section where Israel questions the power of God. Their main question is whether God can arrange (yiqtol) a table in the desert (19b). V. 20 gives the argumentation, starting with background verbal forms: “Clearly, He has smashed a rock, and water gushed out.” Yiqtol ends this background section: “and streams flow over.” This concluding yiqtol marks the shift back into the main communication, with Israel saying: “We admit these streams as a fact.” Then the next line connects back to the mainline question of 19b: “Can (yiqtol) he also give bread?” The same analysis (the hierarchy of primary and secondary lines of communication) is also valid for the cases in Jeremiah 5 discussed above. In general terms one may state that in sections of secondary line communication the qatal presents the prior information the addressee needs to have in order to process the information the reader is to get from the main line of textual communication. When yiqtols are used to close the range of qatal clauses, they conclude the argument and indicate in what way all the background information given produces a valid argument for the main line communication. Thus, line 49 closes the qatal section started in line 45, and line 51 closes a second short qatal section started with line 50. Lines 37 and 41 in a similar way close the qatal section started in line 34. 4.2. Text segmentation: balance or hierarchy? At first sight, the linguistic segmentation of the text into paragraphs and the literary rhetorical segmentation by LUNDBLOM into stanzas match reasonably well. Disagreement begins when one considers the different views on textual structure as a whole. Especially LUNDBLOM’s proposal of an additional ordering of the stanzas themselves into a chiastic structure does not match with a text syntactic hierarchy. A minor detail is the position of the first line of v. 4 (line 25). From a text syntactic point of view this line is continued in v. 5 (line 34), the direct speech section of the prophet addressing himself being embedded deeper into the discourse structure, since it is located between these two qatal clauses. But this detail also demonstrates the differences. In LUNDBLOM’s analysis stanzas are unified sections of poetic expression that only as a whole can become part of a larger literary structure. Thus, stanza 3 (lines 25-33) is considered a unity. Moreover, since it is posited in the centre of stanzas 1-5, this middle stanza presenting Jeremiah’s speech about the poor and the powerful is considered the centre and peak of the composition. Stanzas 1-2 and 4-5 are re339
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garded as a chiastic frame around it. However, this chiastic ordering has some linguistic implications. First, the proposed chiastic frame seems to require that in stanza 4 Jeremiah speaks to YHWH, since he does the same in stanza 2. The text of stanza 4, however, has no linguistic indication of YHWH as the addressee, and one may question why the prophet would inform YHWH about the consequences of Jerusalem’s sinful behaviour. Secondly, stanza 5 matches stanza 1 with the repetition of the verb F4A. However, this is not mere repetition, since in the course of the various dialogues the discourse appears to proceed. After the option expressed in stanza 1—“so that I may forgive”—the discourse has come to a negative conclusion in stanza 5: “how could I forgive?”. Finally, stanza 9 is regarded as a redactional addition. That may be correct, but why for that reason exclude this segment from the rhetorical analysis? Only because it would ruin the proposed chiastic composition? But what is then the communicative power of the final text as we have it? This seems a confusion of rhetorical and redactional analysis. The chiastic ordering of stanzas, as proposed by LUNDBLOM, does not match with the text syntactic hierarchy as presented in the Appendix. The main point of disagreement concerns the analysis of a poetic text as a balanced unity and the analysis of a poetic text as a proceeding discourse. A discourse is, in terms of text grammar, not a text expressing itself primarily by features of balance and beauty. A discourse represents a communicative process, using arguments, questions and statements, with its peak or its conclusions being more at the end of all dialogues rather then in the middle. The question is why a chiastic pattern, with stanza 3 in the middle position, would be a more effective presentation of the text’s communication than an hierarchical ordering that follows the discourse as a communicative process. Read that way, stanza 3, with Jeremiah’s speech about the poor and the powerful, represents a next and disappointing observation: nowhere can the righteous person desired be traced. If one wants to see a ‘peak’, it should be in the question about F4A in v. 7: is there any argument left for Me to forgive? The search of v. 1 has been in vain. 4.3. Conclusions. In conclusion, here are a few statements summarizing the thesis of this contribution. 1. Verbal forms in poetic texts are not used freely; they function within a linguistic system. Their functions in poetry are not really different than those of verbal forms in prose. The verbal system in poetry has most in common with the use of verbs in direct speech sections in prose. 340
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2. Research into the verbal system of poetry can not be done by a concentration on more or less isolated pairs of clauses only. It is only effective when done in interaction with text syntax and textual hierarchy. The function of verbal forms interacts with the position of the verbal clauses in the syntactic hierarchy. 3. The study of verbal syntax in poetry requires a textual analysis where syntax takes priority over colometrical and rhetorical analysis. Poetic lines, the cola, can be defined by the syntactic clauses identified and not the other way round. Poetry selects particular clause types to define a colon. 4. The fact that poetry is very selective in the clause types it uses and is also very effective in the clause types it combines to create poetic lines (cola) makes it a promising field for further text syntactic research. Can one further integrate text grammar, analysis of clause types, the marking of participants and the hierarchy of communicative domains with the study of poetic features used for effective public performance, such as assonance, lexical repetition, limited clause length? Eep Talstra Vrije Universiteit—Faculty of Theology (‘Werkgroep Informatica’), Amsterdam
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Appendix 1
Q Q Q
L3 L4 L5
L28
L27
L26
L25
L24
L23
L22
L21
L20
L19
L18
L17
L16
L15
L14
L13
L12
L11
L10
L9
L8
L7
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David Volgger Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14) – oder: Die Tora Israels auf dem Weg von Ägypten nach Kanaan
1. Einleitung Das letzte Kapitel des Buches Genesis erzählt in den Versen 1-14 von der Bestattung Jakobs, der zwar in Ägypten gestorben, aber in Kanaan, in der Höhle von Machpela, beigesetzt worden ist. Am Ende der Josefsgeschichte, die von Gen 37 bis 50 reicht und großteils in Ägypten spielt, rückt somit das gelobte Land von neuem in den Mittelpunkt des Erzählinteresses. Will man diesen literarischen Befund erklären, muss man meines Erachtens folgende Tatsache beachten: Die Josefsgeschichte ist nicht bloß Teil einer spannenden Ursprungserzählung des Volkes Israel mit zahlreichen Überraschungen, sie gehört auch zur „Tora Moses“, wie sie im Pentateuch vorliegt. Das hebräische Wort „Tora“ bezeichnet dabei einen ganz bestimmten „Lebensstil“, der erklärt, warum man sich als Israelit oder Israelitin so verhält und nicht anders. Die Tora legt also fest, was dem „way of life“ des Volkes Israel entspricht und was dem widerspricht. Interpretiert man Gen 50,1-14 in diesem Horizont, so gilt es folgende Fragen zu beantworten: Was bedeutet die Bestattung Jakobs in Kanaan für ganz Israel? Welche göttlichen Weisungen lassen sich aus der Erzählung über die Bestattung Jakobs ableiten? Inwiefern ist dieser Abschnitt ein organischer Bestandteil der gesamten Tora in den fünf Büchern Moses?1 Zunächst sollen aber die Ausführungen in Gen 50,1-14 mit all ihren Details eingehend untersuchen werden, um abschließend ihre Gesamtaussage im Horizont der Tora Israels textgerecht zu ermitteln.
Mit diesem Beitrag wünsche ich meinem Kollegen und Jubilar Prof. Dr. Alviero NICCACCI „Frieden und Heil“. A. NICCACCI hat sich intensiv und detailliert mit dem ägyptischen Einfluss auf das Alte Testament auseinandergesetzt, wie beispielsweise seine Studie „Sullo sfondo Egiziano di Esodo 1-15“, 7-43, zeigt. 1
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Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14)
2. Die Textstruktur von Gen 50,1-14 Nach dem Tod Jakobs gingen seine zwölf Söhne daran, den letzten Willen ihres Vaters in die Tat umzusetzen. Die Ausführungen zur Bestattung Jakobs in Gen 50,1-14 lassen sich in zwei Abschnitte gliedern: Der erste Abschnitt 50,1-11 erzählt ausführlich, wie der Leichnam Schritt für Schritt für das Begräbnis vorbereitet (V. 1-6) und aus Ägypten bis an die Grenze Kanaans transportiert wurde (V. 7-11). Damit ging die Bitte Jakobs an seinen Sohn Josef in Erfüllung (Gen 47,30f): „Begrab mich nicht in Ägypten! … bring mich fort aus Ägypten…!“ Der zweite Abschnitt 50,12f erzählt vom Trauerzug der zwölf Söhne Jakobs von der Grenze Kanaans bis zur Höhle von Machpela. Damit ging die Bitte Jakobs an alle zwölf Söhne in Erfüllung, seinen Leichnam ja in der Höhle von Machpela zu bestatten (Gen 49,29-33). Die gesamte Erzählung schließt mit der Rückkehr des Trauerzugs nach Ägypten (Gen 50,14). In Übereinstimmung mit dieser Textstruktur steht zunächst Josef in 50,1-11 als zentrale Handlungsfigur im Vordergrund. Die zwölf Söhne, die natürlich alle am Trauerzug bis zur Grenze Kanaans teilgenommen haben (Gen 50,8), treten aber erst ab Vers 50,12 gemeinsam in Erscheinung. 3. Die Freigabe von Jakobs Leichnam durch den Pharao (Gen 50,1-6) Mögen auch alle Söhne um Jakob geweint haben, Vers 1 spricht nur von Josef und seiner Reaktion auf das Ableben seines Vaters: „Er warf sich auf das Angesicht seines Vaters, weinte um ihn und küsste ihn.“ Bei einem Todesfall zu weinen, gehörte zum allgemeinen Trauerritual. Es sei daran erinnert, dass bereits Abraham um seine Frau Sara weinte (Gen 23,2). Einen Verstorbenen zu küssen kommt hier zum ersten und einzigen Mal im Buch Genesis vor und galt wohl als Zeichen des Abschieds.2 Im Anschluss daran folgen mehrere Handlungen, die dazu angetan waren, den Abtransport des Leichnams eher zu verzögern als zu beschleunigen. Jakob hat nicht darum gebeten, seinen Leichnam einbalsamieren zu lassen. Dennoch befahl Josef den ägyptischen Ärzten, auf diese Weise den Körper seines verstorbenen Vaters zu behandeln (Gen 50,2). Das hebräische Wort für „Einbalsamieren“ (jGnx) kommt im TaNaK nur in diesem Kapitel vor (Gen 50,2f.26). Jakob und später Josef waren die einzigen Israeliten, deren Leichen auf diese Weise für die Bestattung vorbereitet wurden.3 Offensichtlich bedurfte es dazu Zu Gen 50,1 vgl. JACOB, Das erste Buch der Tora, 931f. Nur dem Leichnam Asas, des Königs von Juda, wurde nach 2 Chr 16,14 eine spezielle Behandlung zu Teil, bevor er in der Davidsstadt begraben wurde; vgl. GALPAZ-FELLER, And the Physicians Embalmed Him, 211. 2 3
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David Volgger
ägyptischer Spezialisten,4 die nach ihrer Tradition den Körper des Verstorbenen einerseits in mehrere Teile zerlegten und andererseits zu einer neuen Integrität wieder zusammenfügten. Bei dieser Bestattungspraxis mag der Tod als Zerrissenheit und das (neue) Leben als Verbindung der einzelnen Körperteile aufleuchten. Jan ASSMANN hat dieses ägyptische Todesbild, das auch im Mythos von Isis und Osiris verankert ist, bestens nachgezeichnet.5 Für unseren Zusammenhang ist von Bedeutung, dass Jakobs Einbalsamierung in Gen 50 frei von mythischen, magischen oder theologischen Implikationen bleibt und lediglich als Teilaspekt der ägyptischen Begräbnispraxis gekennzeichnet wird.6 Vielleicht sollten die Ärzte den Leichnam „nur“ für eine lange Reise vorbereiten? Auch in diesem Fall wäre die Einbalsamierung, die Josef angeordnet hat, ein erster Schritt, um Jakobs letzten Willen zu erfüllen.7 Die ganze Prozedur dauerte jedenfalls 40 Tage (V. 3). Die Ägypter, so setzt der Text in Vers 3 fort, beweinten den Toten 70 Tage. Diese Trauerperiode dürfte wohl die 40 Tage der Einbalsamierung einschließen.8 Von Interesse ist dabei, dass die Ägypter die Initiative ergriffen und den Toten beweint haben. Ob auch die Söhne Israels an diesem ägyptischen Trauerbrauch teilgenommen haben,9 verrät der Text nicht eindeutig. In diesem Fall wären sie im Subjekt „die Ägypter“ (in V. 3) enthalten. Josef machte jedenfalls keinerlei Anstalten, dieses ägyptische Totenritual zu unterbinden oder abzubrechen. Er ließ die Tage des Weinens vorübergehen ebenso wie die Tage der Einbalsamierung (Gen 50,3f).10 Erst im Anschluss daran ergriff Josef selbst die Initiative (V. 4-6) und bekundete dem Pharao den letzten Willen seines Vaters. Dabei ging er besonders behutsam vor, als würde er etwas ganz Außergewöhnliches von seinem ägyptischen Landesherrn fordern.11 Er nahm nämlich nicht direkt mit dem Pharao Kontakt auf, sondern wandte sich zunächst an die Beamten am Hof, die dann seine Bitte an die richtige Adresse weiterleiten sollten. Zu diesem Zweck versicherte sich Josef der Gunst der Beamten, „wenn ich in euren Augen Gunst GALPAZ-FELLER, And the Physicians Embalmed Him, 214-216, weist darauf hin, dass Gen 50,2 nicht von speziellen Einbalsamierungspriestern spricht, sondern von Ärzten, die normalerweise für Krankheiten zuständig waren. 5 Vgl. dazu ASSMANN, Tod und Jenseits im Alten Ägypten, 29-53. 6 Mit der Formulierung ~yjinUx]h; ymey> Wal.m.yI !Ke yKi in Vers 3 dürfte wohl ein ägyptischer Brauch angesprochen sein; vgl. dazu auch Est 2,12 und BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 23f. 7 Der Name „Israel“ für „Jakob“ in Gen 50,2 kommt nur einmal in Gen 50,1-14 vor und dürfte auf den Auftrag Jakobs an Josef in Gen 47,29-31 zurückweisen; vgl. BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 24. 8 Vgl. GALPAZ-FELLER, And the Physicians Embalmed Him, 213. 9 So GALPAZ-FELLER, And the Physicians Embalmed Him, 212. 10 Zur Trauer um Jakob vgl. BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 24f. 11 Zur Anfrage Josefs an den pharaonischen Hof vgl. BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 25f. 4
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Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14)
gefunden habe“ (V. 4) und unterstrich dabei seine Position als Bittsteller gleich zwei Mal durch das hebräische an', „bitte, doch“ (V. 4). Diese beiden sprachlichen Merkmale erinnern an die Worte Jakobs, mit denen er Josef in Gen 47,29 gebeten hat, seinen letzten Willen zu erfüllen. Jakob Josef
Gen 47,29 Gen 50,4
Wenn ich doch Gunst in deinen Augen gefunden habe … Wenn ich doch Gunst in euren Augen gefunden habe …
Jakob
Gen 47,29f Leg doch deine Hand unter meine Hüfte, dass du mir Liebe und Treue erweist: Begrab mich nicht in Ägypten! (30) Und wenn ich mich zu meinen Vätern gelegt habe, bring mich fort aus Ägypten und begrab mich in ihrer Grabstätte. Gen 50,5 Mein Vater hat mich beschworen: Siehe, ich sterbe! In meinem Grab, das ich für mich im Land Kanaan gegraben habe, dorthin begrabe mich.
Im Anschluss daran erwartet der Leser von Gen 50, dass Josef den letzten Willen seines Vaters in Vers 5 genau wiederholt. Überraschenderweise änderte er aber einiges am Wortlaut der direkten Rede Jakobs aus Gen 47,29f:12
Josef
Die Unterschiede, die den Schwurgestus betreffen, sind noch geringfügig. Während Josef in 50,5 vorgab, sich durch Schwur seinem Vater verpflichtet zu haben, forderte Jakob in 47,29 eine konkrete Geste. Josef sollte seine Hand unter dessen Hüfte legen und sich dazu verpflichten, seinen letzten Willen zu erfüllen. Gen 47,31 bestätigt schließlich, dass Josef der Aufforderung seines Vaters, ihm zu schwören, nachgekommen sei: „Und er sprach: Schwöre mir! Und er schwor ihm (Al [b;V'YIw: yli h['b.V(hi rm,aYOw:).“ Der Inhalt des Schwurs, den Josef in Gen 50,5 wiedergibt, weicht allerdings beträchtlich vom Auftrag Jakobs in Gen 47,29f ab, in dem er von allem Anfang an Ägypten als letzte Ruhestätte kategorisch ausgeschlossen hat: (47,29) „Begrab mich nicht in Ägypten!“ Josef unterdrückte diese abweisende Formulierung und setzte an den Beginn des Schwurs den Hinweis auf das persönliche Ableben seines Vaters: (50,5) „Siehe, ich sterbe!“ Mag diese Ankündigung der Sache nach mit 47,29f übereinstimmen, der betreffende Vers 47,30 formuliert dennoch anders: „und wenn ich mich zu meinen Vätern gelegt habe.“ Anscheinend wollte Josef vor dem Pharao und seinen Beamten jeglichen Hinweis auf Jakobs Vorfahren vermeiden. Jakob sollte nach 50,5 auch nicht in das Grab seiner Väter gelegt werden, sondern in das Grab, das er im Land Kanaan für sich selbst gegraben habe (hGrk). Der Hinweis auf ein derartiges Grab fehlt aber nicht nur in den letzten Willensbekundungen Jakobs, sondern auch im gesamten Buch Genesis (25,1912
Vgl. BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 26.
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David Volgger
49,33). Nicht einmal Abraham hat für Sara eine Grabstätte in die Erde gegraben oder in den Felsen gehauen. Gen 23 hält dagegen fest, dass Abraham seine verstorbene Frau lediglich in eine Höhle bei Machpela legte, nachdem er diesen Ort mit dem dazugehörige Feld als Grabbesitz erworben hatte. Gen 23 geht auch nicht weiter darauf ein, ob oder wie Abraham die Höhle als Grabanlage für seine Frau ausgebaut habe. Er plante auch keine neue Begräbnisstätte für sich selbst, sondern wurde wie Sara in der Höhle von Machpela beigesetzt (Gen 25,7-11). Wenn Jakob seinen Söhnen in Gen 49,31f auftrug, seinen Leichnam in der Höhle von Machpela beizusetzen, war er sich dessen bewusst, dass dort schon mehrere Menschen, Männer und Frauen, Seite an Seite lagen. Von daher überrascht, dass Josef gegenüber dem Pharao einen ganz anderen Eindruck erweckte. Nach seinen Worten habe Jakob, als er noch in Kanaan war, für seine Bestattung bereits Vorsorge getroffen und sein eigenes Grab angelegt. Diese Vorstellung wäre mit der Begräbnistradition von Machpela, wie sie das Buch Genesis kennt, nur dann vereinbar, wenn man das Grab Jakobs auf einen kleinen Locus in der Familiengrabstätte beschränken würde. Die Vorbereitungen Jakobs wären dann aber recht bescheiden ausgefallen und würden im Gegensatz zu den Anstrengungen so mancher Pharaonen stehen, die den Großteil ihres Lebens mit dem Bau von Felsengräbern oder Pyramiden zugebracht haben. Josef wollte mit dem Hinweis auf Jakobs persönliche Grabstätte in Kanaan offenbar an die Begräbnissitten einflussreicher ägyptischer Menschen anschließen und damit dem Pharao erklären, warum Jakob nicht in Ägypten, sondern in Kanaan bestattet werden musste. Wie es nämlich in Ägypten Brauch war, die Pharaonen oder andere Notablen in ihren selbst geplanten und errichteten Gräbern beizusetzen, so sollte es auch mit Jakob in Kanaan geschehen. Gen 50,1-5 zeichnet somit einen Josef, der darum bemüht war, für seinen verstorbenen Vater eine Bestattung nach ägyptischen Modell vorzubereiten. Deshalb wurde der Leichnam Jakobs nach ägyptischem Brauch einbalsamiert und die in Ägypten übliche Frist für die Einbalsamierung und das Beweinen des Verstorbenen genau eingehalten.13 Zudem sollte der Leichnam nach dem Vorbild einflussreicher ägyptischer Persönlichkeiten in die Grabstätte gelegt werden, die diese bereits zu Lebzeiten für sich selbst errichtet haben. Was die Begräbniskultur betrifft, schien es keine kulturellen Unterschiede zwischen der Familie Jakobs und den vornehmsten ägyptischen Familien zu geben, als ob die Tora der Bestattungskultur – zumindest nach Gen 50,1-5 – in Ägypten und Kanaan bzw. Israel ein und dieselbe wäre.14 So auch GALPAZ-FELLER, And the Physicians Embalmed Him, 213. Dass Josef bestrebt war, sich der ägyptischen Kultur und Denkweise anzugleichen, hat sich nach BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 13-19, bereits in Josefs Auftritt vor dem ägyptischen Thron in Gen 41,14-46 und seiner Bitte für seine Familie vor dem Pharao in Gen 46,31-47,10 gezeigt. 13 14
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Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14)
Der aufmerksame Leser von Gen 47-50 wird allerdings in 47,29f bemerken, dass Jakob und seine Söhne, sobald sie unter sich waren, sehr wohl anders dachten und dementsprechend auch planten und handelten. Das gesamte Verhalten Josefs in Gen 50,1-5, das ägyptische Begräbniskultur widerspiegelt, diente also letztlich nur dazu, Jakobs letzten Willen behutsam in die Tat umzusetzen, nämlich seinen Leichnam wider Erwarten nicht in Ägypten beizusetzen, sondern von dort fortzubringen. Auf diese Weise kam Josef dem Auftrag seines Vaters aus Gen 47,27-31 nach. Wenn der Pharao nach Vers 6 seinem Diener Josef die Erlaubnis erteilte, den Leichnam Jakobs zu bestatten, sprach er lediglich den Weg zum Grab und die Beisetzung des Verstorbenen an: ^ybia'-ta, rboq.W hle[] „Geh hinauf und begrabe deinen Vater!“ Es fehlen alle weiteren Details zur Lage und Beschaffenheit des Grabes. Die Formulierung entspricht dabei dem kleinsten gemeinsamen Nenner zwischen den letzten Worten Jakobs an seine Söhne und den Worten Josefs an die pharaonischen Hofbeamten, denen er im Rahmen ägyptischer Bestattungspraxis seine Pläne für die Grablegung seines Vaters dargelegt hat. Wenn der Pharao nicht ausdrücklich darauf bestand, dass Josef nach der Bestattung wieder zurückkehrt, war dennoch nichts anderes zu erwarten, weil dieser sich vor dem Pharao bereits in Vers 5 dazu verpflichtet hatte: „dann komme ich wieder zurück“.15 Aus der Sicht des Pharao blieb Josef also ein Ägypter, der den durchaus berechtigten letzten Wunsch seines Vaters erfüllen wollte. Am Ende kehrte dieser auch wieder nach Ägypten zurück (V. 14), während der Leichnam Israels im Land Kanaan, in der Höhle von Machpela, zurückblieb. 4. Der Trauerzug bis an die Grenze Kanaans (Gen 50,7-11) Die Verse Gen 50,7-11 schildern den Trauerzug bis zur Grenze Kanaans. Gleich zu Beginn in Vers 7 heißt es: „Und Josef zog hinauf, um seinen Vater zu begraben.“ Dies entspricht dem Auftrag Pharaos in Vers 6: „Zieh hinauf, begrab deinen Vater, wie du geschworen hast.“ Josef ist es also gelungen, den Pharao davon zu überzeugen, dass sein Vater nur außerhalb von Ägypten bestattet werden konnte. Der Trauerzug setzte sich aus zahlreichen unterschiedlichen Gruppierungen zusammen (V. 7f): „Alle Diener des Pharao, die Ältesten seines Hauses und alle Ältesten des Landes Ägypten (8) und das ganze Haus Josef, seine Brüder und das Haus seines Vaters.“ An der Spitze der Aufzählung stehen die ägyptischen Notabeln, die das Land des Pharao wohl umfassend repräsentierten. Gleich zweimal wird betont, dass alle Diener des Pharao und alle Ältesten des 15
Vgl. BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 26f.
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David Volgger
Landes Ägypten zugegen waren. Auch Wagen und dazugehörige Reiter, natürlich allesamt ägyptische Heeresnotabeln, gehörten zum Trauerzug (V. 9).16 Die gesamte Szenerie konnte den Eindruck erwecken, als ob der Pharao selbst zu Grabe getragen würde. Das „Haus Josef, seine Brüder und das Haus seines Vaters“ (V. 8) bildeten im ganzen Trauergeleit nur eine kleine Untergruppe, wenn man bedenkt, dass Josef lediglich zwei Söhne und elf Brüder hatte und das Haus seines Vaters Jakob insgesamt etwa 70 Personen zählte (Gen 46,26f).17 Die Kleinkinder und die Herden Jakobs blieben ohnehin in Goschen zurück (Gen 50,8), was die Rückkehr der Israeliten nach Ägypten noch sicherer machte. Der Abschnitt 50,7-9 lässt also keinen Zweifel daran, dass es sich bei dem Leichenzug um ein ägyptisches Unternehmen handelte. Nur in der Mitte der Prozession waren Menschen wie Josef und seine Brüder, die wussten, dass der Weg über die Grenzen Ägyptens und seine Bräuche hinausführen werde. In Vers 10 heißt es dann, dass der Trauerzug in Goren-Atad, jenseits des Jordan, Halt machte. „Jenseits des Jordan“ kann je nach Beobachtungsstandpunkt links oder rechts vom Fluss meinen.18 Der Trauerzug gelangte jedenfalls am Jordan an eine natürliche Grenze. Im weiteren Textverlauf wird deutlich, dass es sich dabei auch um eine kulturelle Grenze handelt. Der gesamte Leichenzug hielt in Goren-Atad eine sehr große und würdige Totenklage, an der alle teilnahmen, inklusive das Haus Israel mit Josef. Die Erzählung fährt mit einem Verb im Singular fort, wobei nur Josef als Subjekt der Handlung in Frage kommt: „und er hielt für seinen Vater eine Trauer von sieben Tagen (~ymiy" t[;b.vi lb,ae wybia'l. f[;Y:w:).“ Der Leser dürfte sich fragen, ob es sich dabei um einen ägyptischen oder israelitischen bzw. kanaanäischen Trauerbrauch handelte. Von sieben Tagen war allerdings in Ägypten nicht die Rede: Die Einbalsamierung Jakobs dauerte nämlich 40 (V. 3) und seine Beweinung insgesamt 70 Tage (V. 3). Es ist also in Gen 50,10 nicht klar, ob Josef einer ägyptischen oder israelitischen bzw. kanaanäischen Begräbnispraxis folgte, während der gesamte Trauerzug eine überaus große und würdige Totenklage abhielt.19 Auf einem der Wagen dürfte wohl die Mumie Jakobs transportiert worden sein. BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 28f, interpretiert das Verb l[yw zu Beginn von Vers 50,9 als H-Stamm mit Josef als Subjekt und führt dazu aus: (S. 29) “If we understand the verb as a hiphil, with Josef as the actor, then in a sense Joseph has come full circle. Initially, he had planned to execute the journey and funeral without pomp and circumstance. Upon seeing the immense display of the Egyptian aristocracy, Joseph now adds his own touch to make the occasion an Egyptian one and initiates the participation of the military. This corps is not merely ‘alongside’ him (as in wyˁlw ˀtw), but ‘with’ him (as in wyˁl ˁmw).” 17 Vgl. Ex 1,1-5. 18 Zur Route des Trauerzugs und zur geographischen Größe „jenseits des Jordan“ vgl. DEMSKY, The Route of Jacob’s Funeral Cortege, 54-63. 19 Eine Trauerperiode von sieben Tagen gab es nach BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 30, nur in Israel, Ugarit und Mesopotamien, nicht aber in Ägypten; vgl. dazu auch 16
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Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14)
Von besonderem Interesse ist ein Erzähldetail am Ende des zweiten Abschnitts. Vers 11 spricht von ortsansässigen Kanaanitern, die die Trauerfeier bei Goren-Atad sozusagen von außen beobachteten, ohne daran teilzunehmen. Sie kamen dabei zum Schluss: „Das ist eine würdige Trauerfeier von Ägyptern.“ In ihren Augen handelte es sich also ganz offensichtlich um ein fremdes, ägyptisches Ereignis, weshalb sie den Ort auch „Trauer der Ägypter“ (AbelMizrajim) nannten. Die Ortsbezeichnung markierte zugleich eine kulturelle Grenze, die ägyptische und kanaanäische Trauerbräuche klar voneinander unterschied.20 An dieser Stelle, an der Grenze zu Kanaan ging Josefs spezieller Auftrag zu Ende. Es war ihm nämlich tatsächlich gelungen, den Leichnam seines Vaters aus Ägypten fortzuschaffen. Insgesamt gibt auch der Abschnitt Gen 50,6-11 ägyptisches Kulturkolorit zu erkennen: Der gesamte Leichenzug war ägyptisch dominiert; die große Trauerfeier am Jordan zeigte in den Augen der Kanaaniter eine ägyptische Note; nur Josefs siebentägige Trauer konnte nicht eindeutig als ägyptisches Trauerritual identifiziert werden. Der folgende Abschnitt lässt allerdings mit einer auffälligen Veränderung aufhorchen: Der ägyptische Trauerzug wandelt sich plötzlich in Gen 50,12f zu einer rein israelitischen Angelegenheit. 5. Der Trauerzug der zwölf Söhne Jakobs von der Grenze Kanaans bis zur Höhle von Machpela (Gen 50,12f) Die Verse 50,12f heben die gemeinsame Verantwortung der zwölf Söhne Jakobs für die Bestattung ihres Vaters hervor.21 Zunächst unterstreicht Vers 12, dass sie genau das taten, was ihnen Jakob aufgetragen hatte.22 Wenn dann Vers 13 die Taten konkret aufzählt, tauchen nicht nur Phrasen und Worte aus der Rede Jakobs an seine zwölf Söhne in Gen 49,29-32, sondern auch aus seiner Rede an Josef in Gen 47,30 (vgl. das Verb aGfn „tragen“) auf. Gen 50,13 führt also beide Reden Jakobs zusammen und bestätigt, dass nicht nur Josef, sondern alle zwölf Söhne gemeinsam den letzten Willen ihres Vaters erfüllt haben. JACOB, Das erste Buch der Tora, 936. 20 Zur möglichen „Verortung“ von Goren-Atad und Abel-Mizrajim vgl. BARTELMUS, Topographie und Theologie, 35-57, und SCHWEIZER, Fragen zu Literarkritik von Gen 50, 64-68. 21 Gen 50,12f unterscheidet nicht mehr zwischen Josef und seinen Brüdern; vgl. JACOB, Das erste Buch der Tora, 937. 22 BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 20-22, weist auf die Ausführungsnotiz in Gen 50,12(f) hin, die gegenüber Jakobs Auftrag in Gen 49,29-33 relativ spät folgt. Es ist daher fraglich, ob alles, was in Gen 50,1-11 erzählt wird, auch tatsächlich als Erfüllung des ursprünglichen Auftrags gewertet werden kann. Vergleiche dazu die anschließende Interpretation zu Gen 50,12f.
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Im Anschluss daran nennt Vers 13 den Bestimmungsort für den Leichnam, nämlich „das Land Kanaan“ (Gen 49,30), und präzisiert: „die Höhle des Feldes von Machpela“. Eine kurze Schlussnotiz erklärt noch, warum Jakob gerade in dieses Grab gelegt werden musste. Es handelte sich dabei nämlich um „das Feld, das Abraham als Grabbesitz vom Hetiter Efron gegenüber von Mamre gekauft hatte“. Alle diese Angaben zum Bestattungsort stimmen mit der Rede Jakobs an seine Söhne in Gen 49,29f überein: Gen 49,29f in der Höhle, die auf dem Feld des Hetiters Efron ist, (30) in der Höhle, die auf dem Feld Machpela ist, die gegenüber von Mamre im Land Kanaan ist, die Abraham mit dem Feld vom Hetiter Efron als Grabbesitz gekauft hat. Gen 50,13 … in der Höhle des Feldes Machpela, die Abraham mit dem Feld als Grabbesitz vom Hetiter Efron gegenüber von Mamre gekauft hat.
Der Abschlussvers Gen 50,14 bestätigt, dass Josef nach dem Begräbnis wieder nach Ägypten zurückgekehrt ist, wie er es dem Pharao nach 50,5 versprochen hatte.23 Dasselbe taten auch seine Brüder und alle Menschen, die mit dem Trauerzug zum Begräbnis Jakobs aufgebrochen waren. Am Ende waren Josef und seine Brüder wieder in Ägypten und unter Ägyptern.24 Gen 50,1-14 lässt letztlich offen, ob der Pharao und die Ägypter als Figuren der Textwelt von Gen 47,27-50,14 jemals bemerkt haben, dass Josef und seine Brüder im Gehorsam gegenüber dem letzten Willen ihres Vaters Israel die Grenze Ägyptens bzw. den Rhythmus ägyptischer Lebenswirklichkeit überschritten haben und in ein neues Land vorgedrungen sind. Die Familie Jakobs und die Höhle von Machpela in Kanaan haben dieses Geheimnis jedenfalls bis auf weiteres gehütet. 6. Der Grabbesitz Abrahams in Machpela (Gen 23) Gen 23,3-20 erzählt davon, wie Abraham für seine verstorbene Frau Sara eine Grabstätte in Kirjat-Arba bzw. Hebron erworben und ihren Leichnam dort beigesetzt hat. Gleich zu Beginn wandte er sich an die Einwohner der Stadt mit seinem Vorhaben, ein Grab für Sara zu kaufen. Ans Ziel gelangte er aber erst nach zwei Verhandlungsrunden, zunächst mit den hetitischen Notablen im Stadttor (V. 6-9) und sodann mit dem Hetiter Efron, dem das Feld mit der Höhle von Machpela gehörte (V. 10-15). Die Verse 16-18 gehen noch auf die Realisierung (V. 16) und die Folgen (V. 17f) des Rechtsgeschäfts von Abraham Vgl. BERMAN, Identity Politics and the Burial of Jacob, 31. In Gen 50,14 tritt wieder Josef als Anführer seiner Brüder in den Mittelpunkt; vgl. auch NAUMANN, Der Vater in der biblischen Josefserzählung, 61. 23 24
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und Efron ein, bevor eine Bestattungsnotiz (V. 19) und eine knappe Zusammenfassung (V. 20) das Kapitel abschließen. In der gesamten Erzählung hat Abraham ausschließlich mit den ortsansässigen Hetitern zu tun: Die „Söhne Hets“ (txe-ynEB., V. 3.5) waren seine Gesprächspartner und galten als „Bürger des Landes“ (#r
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dem Haus Abraham verbunden: Als Grundbesitz weist es auf Abraham und alle künftigen Nachkommen, die das Feld besitzen werden. Als Grabbesitz weist es hingegen auf Sara und alle weiteren Verstorbenen aus dem Haus Abraham, die dort im Laufe der Jahre noch bestattet werden. Die Charakteristik und die Qualität des Feldes mit der Höhle von Machpela haben sich in Gen 23 also tiefgreifend geändert. Die weitere Erzählung in Gen macht deutlich, dass Abraham das Feld nicht als Acker benutzt hat. Er hat dort auch keine Gedenkbauten errichtet oder regelmäßige Trauerfeiern abgehalten. Insofern ist er ein „Fremder und Beisasse“ im Land Kanaan und in der Umgebung von Kirjat-Arba geblieben. Dennoch gingen Abraham und sein Haus anlässlich der Bestattung Saras eine ganz besonders enge Beziehung zum Feld und zur Höhle von Machpela ein, so dass dieser Ort ab diesem Zeitpunkt in unüberbrückbarer Diskontinuität zur dort ansässigen Bevölkerung stand. Abraham hat es nämlich strikt abgelehnt, Sara in einem Grab der Hetiter beizusetzen und legte sie stattdessen in die bis dahin noch unbenützte Höhle von Machpela, die er zusammen mit dem umliegenden Feld vom Hetiter Efron gekauft hatte. Der Grabbesitz Machpela wurde somit zu einem Sinnbild für den Beginn einer neuen Bürgerschaft, die sich von den Hetitern in Kirjat-Arba oder insgesamt von den Bewohnern Kanaans eindeutig unterschied. 7. Gen 50,1-14 und die Tora Israels Nach Gen 50,1-6 scheinen sich israelitische und ägyptische Trauerbräuche, israelitische Tora und ägyptische Lebensweisheit nicht zu unterscheiden. Das bedeutet aber noch nicht, dass die Trauerrituale, von denen diese Verse handeln, jemals als konkrete israelitische Toraweisungen interpretiert wurden, als ob alle (angesehenen) verstorbenen Israeliten 40 Tage einbalsamiert und 70 Tage betrauert werden müssten. Der gesamte Abschnitt enthält auch kein einziges Gebot aus dem Munde YHWHs. Zu Beginn haben wir die Frage gestellt: „Welche göttlichen Weisungen lassen sich aus der Erzählung über die Bestattung Jakobs ableiten?“ Nach den Ausführungen zu Gen 50,1-14 dürfte klar geworden sein, dass aus diesem Abschnitt – im Allgemeinen – keine konkreten Weisungen für die israelitische Bestattungspraxis folgen. Die göttliche Tora ist aber auf eine andere Weise das zentrale Thema unserer Erzählung. Die Darlegung dieses Sachverhalts soll zugleich auf die eingangs gestellte Frage antworten: „Inwiefern ist der Abschnitt Gen 50,1-14 ein organischer Bestandteil der gesamten Tora in den fünf Büchern Moses?“ Diesbezüglich gilt es mit Blick auf Saras und Jakobs Begräbnisstätte zunächst folgende Frage zu stellen: Sollte die Tora und ihre Erkenntnis mit dem Tod Israels (bzw. Jakobs) in das kulturelle Wissen der anderen Nationen eingeglie353
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dert oder diesem gar untergeordnet werden? Auf die Erzählung in Gen 23 angewandt: Sollte der Leichnam Saras in das Grab eines angesehenen Hetiters in Kiryat-Arba gelegt und somit Teil einer hetitischen Nekropole werden? Oder auf unsere Erzählung in Gen 50,1-14 angewandt: Sollte Jakobs Leichnam in Ägypten begraben und somit Teil einer ägyptischen Nekropole werden? Die Antwort kann nur „Nein!“ lauten: Schon Abraham hat es entschieden abgelehnt, seine verstorbene Frau Sara in ein hetitisches Grab zu legen und erwarb stattdessen einen eigenen Grabbesitz, über den nur er und seine Nachkommen verfügen durften. Auch Jakob hat es auf das Schärfste abgelehnt, in Ägypten begraben zu werden, und befahl deshalb Josef und allen seinen Söhnen, seinen Leichnam nicht in Ägypten, sondern in Kanaan, im Grab der Vorfahren beizusetzen. Übertragen auf die Tora-Erkenntnis könnte man die Bestattung Jakobs bei seinen Vorfahren folgendermaßen interpretieren: Tora-Erkenntnis gesellt sich zu Tora-Erkenntnis. Sie muss sich keiner anderen Weisheit weder in Ägypten noch in Kanaan bei- oder unterordnen. Sie bleibt souverän und unabhängig gegenüber allen Erkenntnissen und Lebensgewohnheiten bei den anderen Nationen. Zugleich geht aber aus der Erzählung Gen 50,1-14 hervor, dass das unvoreingenommene Auge bei der Bestattung Jakobs keinen Unterschied zwischen ägyptischen Gepflogenheiten und israelitischen Trauerbräuchen ausmachen konnte: Jakobs Leichnam wurde nach ägyptischer Sitte 40 Tage einbalsamiert und 70 Tage lang von den Ägyptern beweint. Den außergewöhnlichen Ort für das Grab Jakobs außerhalb von Ägypten begründete Josef in Übereinstimmung mit der ägyptischen Vorstellung, dass Jakob sein Grab bereits zu Lebzeiten dort errichtet hätte. Die Totenfeier für Jakob an der Grenze zu Kanaan war in den Augen der kanaanäischen Einwohner ein rein ägyptisches Ereignis. Die Vorbereitungen für die Bestattung, die Trauerfeierlichkeiten und die Prozession an die Grenze Kanaans waren also allesamt Ausdruck ägyptischer Begräbniskultur. Eine spezielle Erkenntnis von Tora in Israel kam dabei jedenfalls nicht ausdrücklich zum Vorschein. Das unvoreingenommene Auge konnte zudem auch den Grabbesitz von Machpela nicht von anderen Feldern in Kanaan oder in der Umgebung von Kirjat-Arba unterscheiden. Es gab auf diesem Feld weder Kultbauten noch regelmäßige Trauerfeiern. Abraham und seine Nachkommen siedelten sich dort weder an noch gingen sie dazu über, ihren Grundbesitz zu verändern. Übertragen auf die Tora-Erkenntnis könnte das bedeuten: Auch wenn die Tora Israels auf der Erdoberfläche nicht als Kontrastprogramm zu anderen Weisheiten ins Auge fällt, spricht das keineswegs gegen ihre Lebendigkeit. Die Tora wird nicht vergehen, sie bleibt auch dann noch eine Realität, wenn sie zuweilen unsichtbar oder unzugänglich ist. Wenn die bisherigen Überlegungen zutreffen, stellen sich zum Schluss noch folgende Fragen: Warum ist es unter diesen Bedingungen überhaupt noch 354
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sinnvoll, von Jakob, Israel usw. gesondert und in Absetzung von Ägypten oder Kanaan zu sprechen? Warum sollte man die israelitische Tora-Erkenntnis von der ägyptischen oder kanaanäischen Weisheit unterscheiden, anstatt von einer gemeinsamen Weisheit zu sprechen, die sich auf vielfältige Weise artikuliert, der Sache nach aber ein und dieselbe ist? Für die Beantwortung dieser Fragen ist die Erzählung Gen 50,1-14 von zentraler Bedeutung. Josef und seine Brüder wussten nämlich, dass sie von einer ganz speziellen Erkenntnis geleitet wurden, auch wenn sie die ägyptischen Trauerbräuche für ihren verstorbenen Vater Jakob akzeptierten oder dabei sogar mitmachten. Als sie aber alleine den Leichnam ihres Vaters nach Machpela brachten (V. 12f), zeigte sich, dass all ihr Handeln von einer hintergründigen Motivation bestimmt war: Sie gehorchten nämlich vom Anfang an dem letzten Willen ihres Vaters und legten am Ende seinen Leichnam in das Grab seiner Vorfahren. Auf dem letzten Abschnitt des Trauerzugs zum Grab Jakobs in Kanaan wurde also eine neue Gemeinschaft sichtbar, die sich in den letzten Motiven und Beweggründen ihres Handelns von der ägyptischen Begräbniskultur deutlich absetzte. Die Tora Israels kann sich also durchaus in der Grammatik und Kultur anderer Weisheiten und Lebensstile artikulieren. An einem bestimmten Punkt wird aber deutlich, dass sie einen anderen Ursprung hat und ein anderes Ziel verfolgt. Anders ausgedrückt, die Tora-Erkenntnis mag zwar zuweilen „ohne Ort“, d. h. u-topisch erscheinen, sie enthält aber in sich eine ganz konkrete „Topographie“, die vorgibt, wohin es gehen soll – d. h. so zu handeln und nicht anders. David Volgger, ofm Pontificia Universitas “Antonianum”, Rom
Bibliographie ASSMANN J., Tod und Jenseits im Alten Ägypten, München 2003. BARTELMUS R., „Topographie und Theologie: Exegetische und didaktische Anmerkungen zum letzten Kapitel der Genesis (Gen 50,1-14)“, Biblische Notizen 29 (1985) 35-57. BERMAN J., „Identity Politics and the Burial of Jacob (Genesis 50:1-14)“, The Catholic Biblical Quarterly 68 (2006) 11-31.
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DEMSKY A., „The Route of Jacob’s Funeral Cortege and the Problem of ˁEber Hayyarden (Genesis 50,10-11)“, in M. BRETTLER - M. FISHBANE (ed.), Min$ah le-Na$um. Biblical and Other Studies Presented to Nahum M. Sarna in Honour of his 70th Birthday (JSOT.S 154), Sheffield 1993, 54-63. GALPAZ-FELLER P., „‘And the Physicians Embalmed Him’ (Gen 50,2)“, ZAW 118 (2006) 209-217. JACOB B., Das erste Buch der Tora: Genesis übersetzt und erklärt, Berlin 1934. NAUMANN T., „Der Vater in der biblischen Josefserzählung: Möglichkeiten der Charaktermodellierung in biblischen Erzählungen“, Theologische Zeitschrift 61 (2005) 44-64. NICCACCI A., „Sullo sfondo Egiziano di Esodo 1-15“, LA 36 (1986) 7-43. SCHWEIZER H., „Fragen zur Literarkritik von Gen 50: Diskussionsbeitrag zu R. BARTELMUS BN 29 (1985) 35-53 [sic!]“, Biblische Notizen 36 (1987) 64-68.
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Wilfred G. E. Watson Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico
Introduzione Questo breve contributo al volume in onore del Professor Alviero NICCACCI rende omaggio a chi si è sempre mostrato ben disposto ad aiutarmi, da lontano, in questioni che riguardano la poesia e la linguistica ebraiche1. Non è una novità che i testi dell’antico Vicino Oriente hanno equivalenti nei testi biblici. Difatti il destinatario di questo volume ha scritto molto in merito2. Per questa ragione, e in suo onore, ho qui raccolto alcuni brani dell’Antico Testamento che hanno dei paralleli nei testi antichi dal Vicino Oriente. Non sono testi difficili e il confronto dimostra chiaramente come la tradizione ebraica non fosse isolata nel mondo della Mezzaluna Fertile. 1. Noè e il vino Il nome ‘Noè’ (>I- /) si trova nei seguenti passi biblici: Gen 5,29-32; 6,8-9,29; 10,1.32; Is 54,9; Ez 14,14.20 e 1 Cr 1,4. Occorre anche nell’apocrifo Sir 44,17 e nei testi di Qumran: 4QCommGenA 1,1.4.13.21; 2,1.4.5.7; 4QCommGenD 3,2; CD 3,1; 4QPrFêtesb 3,2; 5QRègle 1,73. Finora, il nome dell’eroe del diluvio è rimasto un mistero. Di solito viene spiegato, rispetto al racconto del Diluvio, col significato di “riposo”4. In Gen 8,3-4 si legge: 1 Ringrazio il professor Fabrizio A. PENNACCHIETTI che ha avuto la gentilezza di correggere il mio italiano e anche per le citazioni di testi antichi in italiano. 2 NICCACCI, Cantico dei Cantici; NICCACCI, La lode del creatore; NICCACCI, Diluvio; NICCACCI, Isaiah xviii-xx. A questi si può aggiungere WATSON, Reflexes of Akkadian Incantations in Hosea. 3 CLINES, Dictionary of Classical Hebrew V, 652. 4 “No firm etymology for the name Noah … has been established, but it is generally derived from the root nw$, to rest, settle down, repose, etc; thus ‘Noah’ may mean ‘rest’ ” – BAILEY, Noah and the Ark, 1123b. Vd. anche HALOT, 684b-685a.
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Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico
Le acque diminuirono dopo centocinquanta giorni e nel settimo mese, nel diciassette del mese, l’arca si posò sulle montagne dell’Ararat5.
Così, il nome ebraico >I- / viene derivato dallo stesso verbo >/ (qui > -/f$ -#). Troviamo una spiegazione molto simile in Gen 5,29: E (Lamech) lo chiamò Noè, dicendo: «Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto».
Ma forse non sono altro che etimologie popolari6. Invece, si può citare un altro passo, cioè Gen 9,20-21: Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò …
Il verbo egiziano nw$ significa “bere; ubriacarsi; ubriacare”7 e perciò, alla luce di questo brano del libro della Genesi, non è da escludere che il nome ebraico “Noè” si spieghi come derivante da un verbo preso in prestito dalla lingua egiziana o da una lingua affine a quella8. Non sarebbe un caso isolato perché appunto la parola ebraica per l’arca, cioè !G$ f) è ben conosciuta come un prestito dalla lingua egiziana – probabilmente dalla parola egiziana tb.t, “cassa”9. 2. Il transito del Mar Rosso È risaputo che Mosè, alzando la mano, fece dividere le acque del Mar Rosso per lasciare passare gli israeliti dopodiché fece ritornare le acque al loro solito posto. Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra … (Es 14,21-23) Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto … (Es 14,27; vd. Es 14,15-17; 15,8)
Nel testo egiziano intitolato “Racconto della Corte del re Cheops”10 troviamo un episodio simile. Nel racconto, il faraone stava su una barca remata da venti Traduzione: NICCACCI, Diluvio, 17. Una spiegazione completamente diversa sarebbe “longevo” da >#/ “essere disteso, riposare”; vd. CLINES, Dictionary of Classical Hebrew V, 899. 7 Eg. nw$, “trinken; sich betrinken; trunken machen” (ERMAN-GRAPOW, Wörterbuch 2, 224.3-7); cf. anche Eg. nw$, “Trunkenheit” (ERMAN-GRAPOW, Wörterbuch 2, 224.8-9), “drunkenness” (WILSON, Ptolemaic Lexikon, 498). 8 Sul significato della ubriachezza di Noè si veda STEINMETZ, Vineyard, Farm, and Garden. 9 Vd. HALOT, 1677b-1678; e per la parola egiziana tb.t vd. ERMAN-GRAPOW, Wörterbuch 5, 261.6 (“Kasten”). 10 Papiro Westcar, c. 1600 a. C. Per una traduzione vd. SIMPSON, Literature of Ancient Egypt, 15-30 (“King Cheops and the Magicians”), oppure PARKINSON, Tale of Sinuhe, 102-127 (“The Tale of King Cheops’ Court”). 5 6
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donne e andava su e giù per un lago. Però, la donna che fungeva da capovoga lasciò cadere nell’acqua un suo pendente di turchese a forma di pesce. Così, smise di remare finchè non fosse ritrovato quel ciondolo perduto, poiché ne rifiutava un sostituto. Per risolvere il problema il faraone fece venire il sacerdote-lettore Djadjaemankh, il quale pronunciò parole magiche: Allora egli mise una parte dell’acqua del lago al di sopra dell’altra parte e trovò il pendente a forma di pesce sopra un coccio. Lo riprese e lo diede alla sua padrona. L’acqua era profonda dodici cubiti al centro e finiva a ventiquattro cubiti, una volta piegata. Poi pronunciò le sue parole magiche e fece tornare le acque del lago al loro solito posto11.
Anche qui si vede che l’autore biblico ha adoperato un tema egiziano nel suo racconto che tratta appunto del faraone e del suo esercito e che si svolge proprio in Egitto. 3. Un rituale con buoi Nell’occasione di una pestilenza che aveva colpito Israele durante il regno del re Davide, costui fu consigliato dal profeta Gad di costruire un altare sull’aia di Araunà, il Gebuseo. Il re andò sull’aia e Araunà gli venne incontro: Poi Araunà disse: «Perché il re mio signore viene dal suo servo?» Davide rispose: «Per acquistare da te quest’aia e innalzarvi un altare al Signore, perché il flagello cessi di colpire il popolo.» Araunà disse a Davide: «Il re mio signore prenda e offra quanto gli piacerà! Ecco i buoi per l’olocausto; le trebbie e gli arnesi dei buoi serviranno da legna». (2 Sam 24,21-22)
Così Davide comprò l’aia, mise su un altare e fece gli appositi sacrifici. In questo modo la pestilenza cessò. In un altro passo, questa volta dal primo libro dei Re, si narra di come Eliseo lasciò i suoi genitori per seguire il profeta Elia, concludendo l’atto con un rito simile a quello sopra descritto. Partito di lì, Elia incontrò Eliseo figlio di Safàt. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé … Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché la mangiasse. (1 Re 19,19-21)
In tutti e due i casi, il rito che includeva il bruciare un aratro ed il sacrificio di buoi fa pensare a un simile rituale ittita. Come parte di un rituale funerario, il decimo giorno si bruciava un aratro e le ceneri venivano trasportate sul luogo dove erano già state bruciate le teste di cavalli e di buoi12: 11
Traduzione sulla base di PARKINSON, Tale of Sinuhe, 111.
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Disfacciano un aratro e lo brucino nello stesso luogo. Le ceneri le prenda una vecchia e le butti dove le teste dei cavalli e le teste dei buoi sono state incenerite. Taglino i buoi a pezzi e i cuochi li prendano13.
Secondo HOFFNER14 questo è un tentativo di trasformare sia il bestiame che l’aratro in una forma che possa seguire il defunto nell’oltretomba. Nel caso di Eliseo, invece, il rito probabilmente sta a significare che il profeta non avrà più niente a che fare con la sua vita di prima. Nell’azione di Davide, invece, sembra che il sacrificio sia stato fatto per placare un dio che aveva inflitto la pestilenza15. In questo caso il nome ‘Araunà’ sembra essere anatolico, forse urrita16, il che va d’accordo con il parallelo altresì anatolico, cioè ittita. 4. Bel e il Drago La narrativa di cui ora parliamo è il racconto in lingua greca intitolato “Bel e il Drago” che costituisce un’aggiunta tardiva al Libro di Daniele, scritto in aramaico17. Il secondo episodio dell’aggiunta, “La distruzione del serpente”, incomincia così: Vi era un gran drago e i Babilonesi lo veneravano. (Dn 14,23)
Daniele propose di uccidere il drago senza nemmeno una spada o un bastone: Daniele prese allora pece, grasso e peli e li fece cuocere insieme, poi ne preparò focacce e le gettò in bocca al drago che le inghiottì e scoppiò. (Dn 14,27)
Un avvenimento molto simile fa parte del racconto ittita “Il mito di Illuyanka”18. Nel mito, l’episodio in questione ha inizio con la lotta, nella città di Ki?kilu??a, tra un serpente (in ittita, illuyanka) e il dio della tempesta, lotta che si conclude con la sconfitta del rettile. In seguito il dio della tempesta invitò tutti gli dèi a partecipare a una festa preparata dalla dea Inara: Lei preparò ogni cosa in gran quantità – coppe di vino, recipienti di marnuwan (una bevanda) e coppe di wal.i (un’altra bevanda): nei recipienti ne aveva versato in abbondanza.
GURNEY, Some Aspects of Hittite Religion, 61 (“On the tenth day a plough is burned and the ashes are brought to the place where ‘the heads of the horses and cattle were burned’ ”). 13 HOFFNER, Alimenta Hethaeorum, 44-45. 14 HOFFNER, Alimenta Hethaeorum, 45 (“Here is an attempt to convert livestock and plow into a form in which they can follow the deceased into the after-life”). 15 Nella tradizione ittita esistono diverse preghiere contro la peste (si vedano le cinque preghiere di Mursili al riguardo tradotte da SINGER, Hittite Prayers, 56-69) che furono pronunciate durante rituali non conservati. 16 Al riguardo si vede WYATT, Araunah the Jebusite, 39-40 (“The Hurrian rather than the Hittite form of the word appears to be the more likely source of the biblical form”). 17 Bel e il Drago v. 23-42 (Il testo segue l’edizione di RAHLFS). 18 Per una edizione del mito vd. BECKMAN, Myth of Iluyanka. 12
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Poi la dea Inara si recò alla città di Ziggaratta, dove incontrò un uomo di nome Aupa?iya e invitò anche lui alla festa. Questi accettò l’invito, a patto però di potersi accoppiare con lei, richiesta a cui lei acconsentì. Dopodiché la dea l’accompagnò alla festa dove egli si nascose. In seguito la dea Inara indossò tutti i suoi abbigliamenti e invitò il serpente alla festa. Allora il serpente comparve assieme alla [sua prole] e mangiarono (e bevvero) – essi scolarono ogni coppa e si saziarono. Non riuscirono però a tornare nella (loro) tana, (cosicché) Aupa?iya giunse e legò il serpente con una corda. (Poi) il dio della tempesta arrivò e ammazzò il serpente.
Le somiglianze tra i due racconti sono chiare, ma evidentemente divergono in alcuni punti. Nel mito anatolico il serpente e la sua prole mangiano in tale quantità da non riuscire più a tornare nella loro tana. Così il serpente viene legato (da un essere umano) per essere ucciso (da un dio)19. Invece nel racconto del Libro di Daniele, il serpente, per conto suo20, mangia tanto che finisce per scoppiare. Quello che i due racconti hanno in comune è la capacità di un essere umano di superare in furbizia un serpente, ovviamente un motivo folclorico21. Per quanto riguarda il primo episodio di “Bel e il Drago” (Dn 14,1-22), vi si racconta che Daniele venne portato dal re persiano Ciro di fronte ad un grande idolo di bronzo, oggetto di particolare venerazione da parte dei Babilonesi: I Babilonesi avevano un idolo chiamato ‘Bel’, al quale offrivano ogni giorno dodici sacchi di fior di farina, quaranta pecore e sei barili di vino. (Dn 14,3)
In questo brano, Daniele dimostra che a mangiare e a bere le offerte non è l’idolo, bensì i sacerdoti e le loro famiglie. Per documentare la cosa, la sera prima egli aveva sparso della cenere sul pavimento del tempio, sicché il mattino seguente si videro le impronte di piedi umani. In questo brano, che parla di Bel, l’idolo babilonese, c’è un’eco dell’enorme quantità di cibo e di bevande che nel racconto ittita faceva parte dei preparativi per la festa. 5. Giuditta e Oloferne Nel Libro di Giuditta troviamo un brano dove Oloferne, comandante in capo di Nabucodònosor, re dell’Assiria, invita Giuditta a un banchetto. Egli si deliziò talmente della sua presenza e della sua bellezza che “bevve abbondantemente tanto vino quanto non ne aveva mai bevuto solo in un giorno da quando era al “Although the Storm-god needs a mortal’s help to trap and disarm the serpent, the execution must be carried out by the Storm-god himself”: HOFFNER, Hittite Myths, 134. 20 Il riferimento alle famiglie nell’episodio del Libro di Daniele sembra echeggiare questo aspetto del mito ittita. 21 Altri esempi in WATKINS, How to Kill a Dragon. 19
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mondo” (Gdt 12,20), si ubriacò e si addormentò nella sua tenda. Lasciata sola con lui, Giuditta mise in atto il suo piano: Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma … E con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò la testa di Oloferne alla sua ancella, la quale la mise nella bisaccia dei viveri e uscirono tutt’e due … (Gdt 13, 6-10) Giuditta disse loro: «Ascoltatemi bene, fratelli: prendete questa testa e appendetela sugli spalti delle vostre mura.» (Gdt 14,1) Quando spuntò il mattino, appesero la testa di Oloferne alle mura. (Gdt 14,11)
Questo atto è riassunto in un versetto in poesia nello stesso libro: I suoi sandali rapirono i suoi occhi, la sua bellezza avvinse il suo cuore, e la scimitarra gli troncò il collo. (Gdt 16,9)
Nell’episodio dell’Epopea di Gilgame? chiamato nella tradizione sumerica “Gilgame? e Huwawa” si narra come Enkidu decapitò il mostro Huwawa, guardiano della foresta dei cedri, tagliandogli la testa al collo e mettendola in un sacco di cuoio. Appena Huwawa gli disse questo, Enkidu, pieno di ira e di collera, gli troncò il collo. Misero (la testa) in un sacco di cuoio, entrarono davanti ad Enlil. Dopo aver baciato la terra davanti ad Enlil, gettarono giù il sacco di cuoio ed estrassero la testa. La misero giù davanti ad Enlil22.
Invece, nella tradizione babilonese, è Gilgame? a uccidere Huwawa: [Escuchó Gilgame? las palabras] de su amigo, se sacó [la espada del] flanco. Gilgame? le alcanzó de lleno en la nuca23.
Poi, in quella tradizione, è sempre Gilgame? che porta la testa di Huwawa24, ma il risultato rimane lo stesso. In più, il motivo di appendere la testa tagliata come un trofeo (Gdt 14,1.11) si trova spesso nei rilievi assiri25. Nuovamente nel racconto biblico, che sembra svolgersi in Babilonia, troviamo dei motivi ti“Als (Huwawa) das zu ihm gesagt hatte, trennte ihm Enkidu voller Wut und Zorn den Hals durch. Sie steckten (den Kopf) in einen Ledersdack, sie traten zu Enlil ein. Nachdem sie vor Enlil den Boden geküßt hatten, warfen sie den Ledersack hin und holten das Haupt hervor. Sie legten es vor Enlil hin” – EDZARD, Gilgame?, 190 (linee 178-184). 23 Tavola V 261-264, traduzione: SANMARTÍN, Epopeya de Gilgame?, 176. 24 Tavola V 302-303; cf. SANMARTÍN, Epopeya de Gilgame?, 180. 25 Per es., nel rilievo che mostra Assurbanipal e la sua regina in un banchetto nel giardino reale mentre la testa del re elamita pende da un albero; vd. REED, Blurring the Edges, 129-130, fig. 12 e 13. 22
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pici della civiltà babilonese ed assira, in questo caso la decapitazione di un tiranno e il fatto di appendere la sua testa alla vista di tutti. 6. Il libro di Giona In un famoso brano del libro di Giona leggiamo come un verme abbia assalito la pianta che gli dava l’ombra, così che essa si seccò. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino (,M"Y"$ Y' ) al di sopra di Giona per far ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino (,M"Y"$ Y' ). Ma il giorno dopo, allo spuntar del sole, Dio mandò un verme (/9. 4Mf . ) a rodere il ricino (,M"Y"$ Y' ) e questo si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere». (Gn 4,6-8)26
Il nome ebraico di questa pianta è ,M"Y"$ Y' , e il nome del verme è /9. 4Mf . . Sembra che la parola ebraica ,M"Y"$ Y' corrisponda alla parola accadica kukkan,tu che significa “ricino” (cioè la pianta di ricino)27. In più, una delle parole accadiche riferite ad un insetto, probabilmente un verme, è q+q!nu, scritta anche g+g!nu e guqq!nu28. È possibile, dunque, che il testo ebraico presenti una versione di un gioco di parole sulla base della lingua accadica? Ossia che la pianta chiamata in accadico kukkan,tu (= eb. ,M"Y"$ Y' ) sia stata distrutta da un insetto chiamato nella stessa lingua quq!nu?29 Non è per caso che Oloferne viene da Ninive, e così termini assiri nel suo riguardo non sarebbero fuori luogo30. Come conclusione si può dire che questo contributo dimostra come uno sguardo alle parole, ai testi ed alle usanze delle civiltà antiche vicine a quella ebraica possa approfondire ancora una volta la nostra conoscenza della tradizione biblica. Wilfred G. E. Watson Northumberland (GB) Traduzione: NICCACCI, Syntactic Analysis of Jonah, 16-17. ,M"Y"$ Y' è “most probably the castor-oil plant” (HALOT, 1099) e corrisponde all’eg. k3k3, “ricino”. Per questa parola vd. SANDY, Egyptian Terms for Castor. Invece, AHRENS, Was ist q"q#j&n, propone il significato di “zucca vuota” (gourd), che corrisponde al greco -c-$%U con lo stesso significato. Anche ROBINSON, Jonah’s Qiqayon Plant, accetta il significato di “gourd”. STOL, Cucurbitaceae, 84, sotto il titolo “Jonah’s «tree»”, commenta: “Later tradition has always identified the plant as cucurbitaceous; specifically the gourd, in Syriac qarˀ!”. 28 Vd. CAD Q, 312; SODEN, Akkadisches Handwörterbuch II, 928; e BLACK, A Concise Dictionary, 291. 29 Questa parola è un prestito entrato nell’aramaico giudaico nella forma di quqy!nâ. 30 Per simili casi di impiego di parole straniere in un contesto appropriato (per es., parole egiziane in un oracolo contro l’Egitto) vd. RENDSBURG, Linguistic Variation. 26 27
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Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico
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Wojciech Wùgrzyniak La problematica temporale dei verbi nei Salmi 14 e 53
Il problema dei tempi1 in ebraico è notoriamente il problema principale, a volte trascurato, e nonostante i diversi tentativi “si è ancora lontani da una soluzione accettata”2. La situazione è ancora più spinosa nel campo dei testi poetici3. Basta guardare come vengono tradotti i verbi finiti nei diversi testi poetici per notare che gli esegeti si sentono molto liberi se non perplessi davanti al mysterium verborum Hebræorum. Lo scopo di questo articolo è spiegare il valore temporale dei verbi presenti nei Salmi 14 e 53 seguendo principalmente la teoria linguistico-testuale proposta da A. NICCACCI4. Anche se l’autore ha sviluppato il sistema basandosi inizialmente sui testi narrativi, negli ultimi anni ha fornito alcuni principi per analizzare anche i testi poetici5. 1. Il testo I Salmi 14 e 53 sono pertinenti non solo perché il testo di ambedue è quasi uguale e le maggiori differenze toccano soltanto alcuni versetti (14,5-6; 53,6). 1 L’articolo presente è una leggera modificazione di un paragrafo della mia tesi dottorale intitolata Lo stolto ateo: Studio dei Salmi 14 e 53, scritta sotto la guida di prof. A. NICCACCI e difesa allo Studium Biblicum Franciscanum a Gerusalemme il 30. 01. 2010. 2 NICCACCI, Sintassi, § 1; JOÜON-MURAOKA, § 111 a. Per un esempio di come gli esperti possano presentare diversi pareri cf. le due constatazioni: “qatal and yiqtol mark distinctions of aspect, not of tense” (GIBSON-DAVIDSON, § 55) e “Hebrew temporal forms express at the same time tenses and modalities of action. As in many languages, they mainly express tenses” (JOÜONMURAOKA, § 111 c). 3 Cf. l’opinione di NICCACCI: “It was and still is fairly a common opinion among scholars, although not always openly declared, that the verbal forms in poetry, more than in prose, can be taken to mean everything the interpreter thinks appropriate according to his understanding and the context” (Poetry, 247). 4 NICCACCI, Sintassi. 5 NICCACCI, Proverbi 22,17-23,11; Sintassi, § 168-174; Jonah; Proverbi 23,12-25; Proverbi 23,26-24,22; Malachi; Poetry; NICCACCI-CORTESE, Poveri.
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La problematica temporale dei verbi nei Salmi 14 e 53
È interessante che in questi Salmi in pratica non c’è neppure un verbo finito che sia tradotto nello stesso asse temporale da tutti i commentatori moderni6. La traduzione proposta sotto è una traduzione piuttosto letterale. La traduzione dei verbi cerca di seguire la teoria di NICCACCI. Dato che i titoli dei Salmi non contengono i verbi finiti e non influiscono sul valore temporale dei verbi nel salmo, vengono omessi nella traduzione. Salmo 14
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1"!6 E ' %7 ,"%@ ) MD4' D + 4@O$ $0 &<X . %-$ 1 UOMVB! 8 >) P98 ,"%@ ) !4"$ d 4' 9[ JO"9: ' /+ !8 ' J/"Fd' Z+ !8 ' 1L: $ %B" Ç$ )0DB4 + 98 . R"Y^Å ' Z+ !' Ä1 '"<. ]$ <' !#!8 d $ +" 2 U1"!6 8 ' %B/ 7 %3 Z&) P ;q 4"(E ' >+ <. Z@ ") ![ /M%&+ 4 ' JF4: $ %7 03 Ç #;Å $ F+ ." &Ä A$ 4P(: !. 3 ULF8 $ %B1 3 .T ,"%d q) OMVB! E >) P98 ,"%X ) , 3#%: $ "4) Ç 9[ kP Å B4($ ÄJ9L+ $" %P 4: ![ 4 1FE3 43 J4C+ %@ $ "N' 9 . "@4) CP+ % UJ%&8 $ Y$ %P 4@ !#! d $ "+q LF. ?E $ JLF[ k@ $ z 1ZX $ 5 UY";8 ' e. &ML@ D+ 1"!6 'd %B" q7 (8 ' JZ"OE ' /$ ":0' 9B/ $ e. 9[ 6 UJ!A8 ) F+ <. !@#! $ +" "(= ' 4%: ) &Ç $ >+ '" /9JZ Å . +" Ä,M`_' <' ,f@ ) '" "<: ' 7 MNE 9. /JO@ Z+ ! $#!"+ OJZ@ D+ U4%) &8 $ >+ '" F<: . >+ '" OPYd 9[ ".q 4:I) $"
Lo stolto ha detto nel suo cuore: “Non c’è Dio”. Si sono corrotti, hanno fatto cose abominevoli, non c’è chi faccia il bene. Il Signore dai cieli ha guardato sui figli dell’uomo per vedere se c’è un saggio, uno che cerca Dio. Ognuno si è allontanato, insieme si sono guastati, non c’è chi faccia il bene, non c’è neppure uno. Forse non hanno saputo tutti gli operatori d’iniquità? Mangiatori del mio popolo hanno mangiato il pane, il Signore non hanno invocato. Là hanno tremato di tremore, perché Dio è nella generazione del giusto.
Ad esempio: &<. %$ “sagen” (Einheitsübersetzung), “sprach” (HITZIG), “hat gesprochen” (HIRSCH), “a dit” (La Bible de Jérusalem), “se disent” (Traduction Œcuménique de la Bible); JF4$ %7 30 “are perverse” (New American Bible), “were corrupt” (WELLHAUSEN), “have become corrupt” (New International Version); & .\k' “ha disperso” (Conferenza Episcopale Italiana), “disperse” (CASTELLINO), “disperde” (RAVASI); !/P$ ZO' !7 “tu les confondras” (MANNATI), “tu les as confondus” (VESCO), “tu les couvres de honte” (Sefarim). 6
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Confondevate il consiglio del povero, perché il Signore è il suo rifugio. Chi darà da Sion la salvezza d’Israele? Quando il Signore volgerà la sorte del suo popolo, esulterà Giacobbe, si rallegrerà Israele.
Salmo 53
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Lo stolto ha detto nel suo cuore: “Non c’è Dio”. Si sono corrotti, rendevano abominevole l’iniquità, non c’è chi faccia il bene. Dio dai cieli ha guardato sui figli dell’uomo per vedere se c’è un saggio, uno che cerca Dio. Ognuno si è sviato, insieme si sono guastati, non c’è chi faccia il bene, non c’è neppure uno. Forse non hanno saputo gli operatori d’iniquità? Mangiatori del mio popolo hanno mangiato il pane, Dio non hanno invocato. Là hanno tremato di tremore – non c’era tremore – perché Dio ha disperso le ossa del tuo assediante. [li] hai confusi, perché Dio li ha respinti. Chi darà da Sion le salvezze d’Israele? Quando Dio volgerà la sorte del suo popolo, esulterà Giacobbe, si rallegrerà Israele!
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La problematica temporale dei verbi nei Salmi 14 e 53
2. Commento sul valore temporale dei verbi Seguendo la teoria proposta da NICCACCI, si applicherà soprattutto il principio secondo cui la funzione delle forme verbali in poesia è in linea di principio la stessa che in prosa, più precisamente nel discorso diretto7. Rimane inoltre in vigore la regola fondamentale che richiede di assegnare alle diverse forme verbali la loro solita funzione8. 14,1 (53,1-2) Il testo dei Salmi 14 e 53 comincia con un qatal in prima posizione (&7- %$ ) che colloca l’azione nell’asse del passato (“ha detto”)9. Anche se la maggioranza dei commentatori e delle traduzioni lo rende con il presente, è meglio mantenere la funzione normale del qatal10. Per collocare l’azione nel presente l’autore avrebbe potuto usare il participio &7I) % oppure un’altra proposizione non verbale11. I due qatal che seguono in Sal 14,1 (BG"5' .+ !' B.">' X+ !' ) descrivono due azioni parallele nel passato, nella stessa linea principale di &7- %$ 12. Poi viene impiegata la proposizione nominale GET;!8I) 5 ,"%) che esprime una linea secondaria della comunicazione e indica una circostanza concomitante. Alcuni ritengono che BG"5' .+ !' B.">' X+ !' sono due azioni da porre in un altro asse temporale rispetto al precedente &7- %$ 13. Tuttavia non si vedono ragioni per una tale operazione. NICCACCI, Poetry, 247. Cf. la sua opinione sulla differenza tra poesia e discorso diretto: “The main difference is that direct speech, as prose in general, consists of pieces of information conveyed in a sequence, while poetry communicates segments of information in parallelism. The result is linear vs. segmental communication. As a consequence, poetry is able to switch from one temporal axis to another even more freely than direct speech. This results in a greater variety of, and more abrupt transition from, one verbal form to another” (ibid. 248). 8 NICCACCI, Malachi, 59. 9 Così la LXX (IL0I$). Nei Salmi &7- %$ occorre 13 volte e sempre viene tradotto nella LXX con l’aoristo IL0I$. Con il passato traducono BAETHGEN, BARNES, BRIGGS, CRAIGIE, EWALD, KIRKPATRICK, PODECHARD, VESCO. Per il qatal del passato che inizia la narrazione in poesia cf. GIBSONDAVIDSON, § 58 d. 10 NICCACCI, Poetry, 248. Il motivo per rendere &7- %$ con il presente è chiarito ad es. da DELITZSCH, Psalmen, 154 (“Ausdruck einer allgem., von vielen einzelnen Fällen abgezogenen Erfahrungsthatsache”) o CASTELLINO, Salmi, 788 (“lo stolto non si è espresso una volta ma ugualmente e ripetutamente”). GUNKEL, Psalmen, 233, invece suppone uno specifico stile profetico (“Scheltreden”) in cui il qatal va interpretato nell’asse del presente. 11 Cf. soprattutto &7I) % !f$ %- !f$ 5- +# (1 Re 18,11.14); inoltre: W"6' d- 5X$ &$ 2+ &7I) % (Pr 24,24); &7I) % 2EW %&$ W+ (Is 40,6); G%$ 2+ &7I) % "E! (Is 45,10); b&1 %$ " '/D) &E" ' "7' E=2' =+ &7I) % (Abd 3). 12 Così la LXX (F(V6QI(3'$ -'5 /gFIJcOQ,*'$, Sal 14; F(I6Q13,*'$ -'5 /gFIJcOQ,*'$, Sal 53), BRIGGS, VESCO. 13 Come un passaggio dal passato (&7- %$ ) al presente (BG"5' .+ !' B.">' X+ !' ) è inteso ad es. da CRAIGIE e PODECHARD vedi n. 9; invece dal presente al passato da CASTELLINO e SABOURIN. BARNES e KIRKPATRICK rendono B.">' X+ !' con il presente, invece BG"5' .+ !' con il passato. 7
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La situazione cambia nel Salmo 53, dove il qatal J/"F' Z+ !' è seguito da un weqatal JO"9' /+ !' +#14. Secondo NICCACCI il weqatal può designare il passaggio all’asse del futuro15, oppure esprimere una linea secondaria della comunicazione nell’asse del passato16. Se accettiamo la prima interpretazione, il testo trasmette l’idea di ‘totalità temporale’ delle azioni dei malvagi (nel passato, nel futuro e nel presente espresso dalla proposizione nominale che segue). Invece il prevalere della linea della comunicazione nel passato può esprimere diversi aspetti quali abitudine o descrizione17. Da parte mia preferisco collocare anche l’azione 4 3#9$ JO"9' /+ !' +# nel passato. 14,2-3 (53,3-4) Il passaggio dai verbi in qatal della prima posizione nel v. 1 (53,2) a x-qatal nel v. 2 (R"Y' Z+ !' 1 '"<. ]$ <' 1"!6 ' %7 ; 53,3 – R"Y' Z+ !' 1 '"<. ]$ <' ! $#! +") può avere due significati: o indicare l’inizio di una nuova unità poetica nella linea principale oppure designare il passaggio al livello secondario della comunicazione18. Mi pare che sia l’x-qatal del v. 2 (53,3) sia quello del v. 3 (53,4) devono essere interpretati come qatal di linea principale. Anche non volendo distinguere tra prima o seconda linea della comunicazione, è difficile giustificare il cambio di asse temporale nei v. 2-3 (53,3-4), come fanno vari autori19. In realtà tutte le azioni si svolgono nell’asse del passato20.
14 Questa differenza non è stata accolta nel testo della LXX, dove sia nel Salmo 14 che nel Salmo 53 compare la congiunzione -'#. 15 NICCACCI, Malachi, 71. 16 NICCACCI, Poetry, 248. Secondo il tradizionale punto di vista il weqatal esprime la semplice successione (“e poi”); cf. JOÜON-MURAOKA, § 115 c. Cf. anche l’opinione di WILLIAMS, Syntax, § 182: “ ‘Simple’ waw with the perfect may occur in biblical Hebrew when two or more verbs are in a closely related series”. 17 NICCACCI, Malachi, 59. 18 Cf. lo schema in NICCACCI, Poetry, 248. 19 Cf. CASTELLINO, OESTERLEY, PODECHARD, RAVASI che rendono R"Y' Z+ !' con il presente, invece i verbi del versetto seguente con il passato. La maggioranza degli esegeti interpreta tutti i verbi in 14,2-3 (53,3-4) come se indicassero il presente; cf. l’opinione espressa nella grammatica di GIBSON-DAVIDSON (§ 57 c): “In the present time frame characteristic of prose discourse and poetry QATAL is used […] largely in poetry, to describe a number of actions which are tantamount to states in that they occur in non-specific, i. e. typical or recurrent situations” e porta come uno degli esempi Sal 14,2-3. 20 Così anche la LXX (F(V-SiI$, /dV-J($'$, PO3IQ,*'$), BARNES, BRIGGS, CRAIGIE, KIRKPATRICK, VESCO.
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14,4 (53,5) È il versetto che probabilmente ha creato il maggior numero di traduzioni differenti dei verbi finiti21. Il problema non è legato tanto alla sequenza dei verbi (qatal, x-qatal e x-qatal), ma piuttosto al carattere stativo del verbo J9L+ $"22. Nonostante le difficoltà si possono fare almeno due osservazioni riguardanti la domanda J9L+ $" %P4![ : 1) Nel MT oltre ai Salmi 14 e 53, ci sono 16 casi in cui la domanda %P4![ è attestata con il verbo 9L": dieci volte è seguita da qatal23, quattro volte da yiqtol24 e due volte da un infinito costrutto25. Inoltre ci sono 17 casi in cui il verbo 9L" è preceduto dalla particella interrogativa ![ senza la negazione. In otto casi la particella è seguita da qatal26, una volta da x-qatal27, quattro volte da yiqtol28, una volta da x-yiqtol29, tre volte dall’infinito costrutto30. Non compare mai l’interrogazione con il participio di 9L"31. 2) La LXX traduce la costruzione ![ /%P4![ + qatal di 9L" con tempi diversi: perfetto (6x), presente (6x), aoristo (5x) e piuccheperfetto (1x). La traduzione con il futuro si trova solo nei Salmi 14 e 53, fatto che può essere spiegato con la lettura del verbo come yiqtol e non qatal (J9L+ )" invece di J9L+ $", come in alcuni Mss ebraici)32. Tempi diversi vengono impiegati anche nella traduzione della costruzione ![ /%P4![ + yiqtol di 9L": futuro (5x), presente (1x) e perfetto (2x). 21 Ecco la lista degli assi temporali (sicuramente non completa) scelti dagli esegeti per tradurre i tre verbi: J9L+ $" – J4C+ %$ – J%&$ Y$ in Sal 14,4 (53,5): 1) presente – presente – presente (la maggioranza, ad es. BARNES, BRIGGS, CASTELLINO, DELITZSCH, DUHM, GOLDINGAY [Sal 53], JACQUET, KIRKPATRICK, KRAUS, LIMBURG, OESTERLEY, RAVASI, SEYBOLD, TATE, ZENGER); 2) presente – presente – passato (SABOURIN); 3) presente – passato – passato (CRAIGIE, LIFSCHITZ, PETERS, SAVOCA, VESCO); 4) futuro – presente – presente (ALONSO SCHÖKEL-CARNITI); 5) futuro – presente – passato (KING); 6) futuro – passato – presente (MESCHONNIC); 7) futuro – passato – passato (LXX, che probabilmente legge nel primo caso yiqtol e non qatal in accordo con alcuni Mss ebraici); 8) passato – presente – presente (LELIÈVRE-MAILLOT, SCHMIDT); 9) passato – passato – passato (CALÈS, GIRARD, GOLDINGAY [Sal 14], HERKENNE, HIRSCH, KISSANE, KITTEL). 22 GKC, § 106 g; JOÜON-MURAOKA, § 111 h.112 a; WILLIAMS, Syntax, § 163. 23 Gen 44,15; Gdc 15,11; 1 Sam 20,30; 2 Sam 2,26; 11,20; 19,23; Is 40,28; Ez 17,12; Zc 4,5.13. 24 2 Sam 3,38; 2 Cr 32,13; Is 40,21; 43,19. 25 2 Cr 13,5; Mi 3,1. 26 Gen 29,5; Gdc 18,14; 1 Re 22,3; 2 Re 2,3.5; Gb 38,33; 39,1; Dn 10,20. 27 Gb 20,4. 28 2 Sam 19,36; Gb 37,15.16; Sal 88,13. 29 Es 10,7. 30 Gen 43,7; Ger 13,12; 40,14. 31 Anche se il MT attesta 95 occorrenze di ogni genere del participio di 9L". 32 Così quattro manoscritti della raccolta di DE ROSSI (380.554.683.696) e due della raccolta di GINSBURG (7.26), DE ROSSI, Lectiones IV, 8; GINSBURG, Writings, 1138.
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Le osservazioni precedenti suggeriscono con probabilità relativamente alta che si deve escludere l’asse del futuro per la proposizione , 3#%$ "4) 9P[ kB4($ J9L+ $" %P4![ . La scelta tra l’asse del passato o quella del presente rimane aperta a motivo del verbo stativo 9L". Dato che l’asse dominante nel salmo è quello del passato e che l’interrogazione è seguita da due x-qatal (1F3 43 J4C+ %$ "N' 9. "4) CP+ % e J%&$ Y$ %P4 ! $#! +" nel Salmo 14, o J%&$ Y$ %P4 1"!6 ' %7 nel Salmo 53), preferisco l’interpretazione secondo cui la proposizione interrogativa è collocata nell’asse del passato33. La proposizione interrogativa J9L+ $" %P4![ si riferisce al tempo in cui sono state commesse le azioni descritte sia prima della domanda (14,1.3; 53,2.4) che dopo (14,4bc.5-6; 53,5bc-6). 14,5-6 (53,6) La situazione dei verbi in questo passo comune è più chiara nel Salmo 53. . F[ k$ 1Z$ ) segue un qatal negato (! $"!B% $ P4 Dopo l’x-qatal che apre il versetto (LF. ?BJL ' %B" 7 (' ), un qatal (!/P$ ZO' !7 ) e ancora un x-qaLF. ?$ ), poi un x-qatal (W $0PF /M<e+ 9. & .\k' 1"!6 ' %B" 7 (' ). Tutte le azioni si svolgono dunque nell’asse del passato34. tal (1A$ %$ <+ 1"!6 Le due proposizioni subordinate con "(' + x-qatal fungono da commento delle proposizioni che precedono e marcano il secondo livello della comunicazione. Il Salmo 14 non presenta difficoltà nel v. 5. L’azione si svolge nel passato35 e la proposizione nominale subordinata (Y";' e. &MLD+ 1"!6 ' %B" 7 (' ) funge da commento della proposizione principale. La situazione si complica nel v. 6, dove il salmi$ e. 9[ ). Le possibilità fondamentali sono due: insta passa all’x-yiqtol (JZ"O' /$ " '09B/ terpretare l’x-yiqtol come iniziale collocando l’azione nel futuro (indicativo o $ e. 9[ come un x-yiqtol legato con il versetto volitivo), oppure trattare JZ"O' /$ " '09B/ precedente, e quindi come passaggio ad un secondo piano della comunicazione (ma sempre nell’asse del passato) per indicare un’abitudine36. Ambedue le interpretazioni sono plausibili e attraenti. Preferisco la seconda per due ragioni: una sintattica, l’altra testuale. Il parallelismo sintattico tra i v. 5 e 6 può suggerire che le azioni si svolgono nello stesso asse temporale. Inoltre nel luogo parallelo del Salmo 53 abbiamo un qatal (!/P$ ZO' !7 , v. 6) che indica azione svolta nel passato. Anche le versioni antiche traducono JZ"O' /$ in Sal 14,6 come l’azioCf. BEER, Gemeindepsalmen, 14; BUDDE, Psalm 14 und 53, 163. In modo diverso hanno inteso la LXX (6%g,Qv*%$+'() e la Vg (trepidabunt), collocando l’azione dello spaventarsi nel futuro: “saranno spaventati”. Nel caso del Salmo 14, la stessa azione si svolge nell’asse del passato: /FI(J#'*'$ (LXX) e trepidaverunt (Vg). 35 Cf. la nota di GOLDINGAY, Psalms I, 211, n. d, che riguardo al v. 5 scrive: “There is no hint of change in meaning from the qatals in vv. 1-4”. 36 NICCACCI, Poetry, 248. Sull’ambiguità del passaggio dal qatal all’x-yiqtol cf. NICCACCI, Malachi, 72. Per l’uso delle forme yiqtol e qatal in stichi paralleli cf. anche DAHOOD, Psalms III, 420-422. È interessante che la LXX metta l’azione nel passato (aoristo -'+2*Oc$'+I), quando non si vedono le ragioni per assumere che il traduttore greco leggesse una forma verbale diversa. 33 34
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ne svolta nel passato (LXX: -'+2*Oc$'+I; Vg: confudistis). Interpretando BX"G' .$ come azione svolta nel passato si deve tuttavia registrare la tendenza contraria nelle traduzioni moderne37. 14,7 (53,7) Nell’ultimo versetto tutte le forme verbali sono legate all’asse del futuro38. Il - +" ,E_^' 7' ,f) '" "7' ) in cui l’x-yiqtol versetto comincia con l’interrogazione (2%) &$ 8+ '" .5BX ,f) '" "7' può essere interpretato come futuro indicativo o volitivo39. Poi segue il costrutto (EF5- .BGX+ ! $#! +" GBX=+ ) che fa da protasi dello schema sintattico a due membri.40 L’apodosi è composta da due yiqtol di prima posizione, probabilmente con valore di yiqtol indicativi41. Il primo (2 )A $") è volitivo morfologicamente, ma nell’apodosi anche lo yiqtol di prima posizione può essere indicativo.42 Interpretando due yiqtol come indicativi si comprende il testo come una predizione, mentre l’interpretazione volitiva indicherebbe un desiderio, una preghiera. 3. Conclusioni Sintetizzando l’uso dei verbi finiti nei Salmi 14 e 53, si possono fare le seguenti osservazioni: 1) Dal punto di vista degli assi temporali, ambedue i Salmi possono essere divisi in due parti: 14,1-6.7; 53,1-6.7. 37 Cf. alcune traduzioni: “volete confondere” (Conferenza Episcopale Italiana); “you would confude” (New Revised Standard Version); “wollt ihr vereiteln” (Einheitsübersetzung); “vous bafouez” (Traduction Œcuménique de la Bible). 38 Il commentario di LELIÈVRE-MAILLOT è l’unico di mia conoscenza a collocare tutti i verbi del v. 7 nel presente: “Qui accorde… quand Dieu ramène… est dans l’allégresse… se réjouit” (Psaumes, 35). 39 Per il senso volitivo opta la maggioranza degli esegeti traducendo: “Oh, venisse! / Oh, venga!”. Tuttavia anche quando si sceglie la traduzione letterale “chi darà?”, l’interrogazione connota il senso del futuro volitivo. Inoltre si mantiene la corrispondenza tra la domanda ("7' ) e la riposta (! $#! +"). Così la LXX (+#U Fû*I(), Vg (quis dabit), e autori moderni, ad es. GIRARD, HIRSCH, LIFSCHITZ, MANNATI, SABOURIN, VESCO, HOSSFELD-ZENGER (2000). 40 Per lo schema sintattico a due membri (protasi-apodosi), cf. NICCACCI, Sintassi, § 95-127. 41 Così la LXX nel Salmo 52 (a"'JJ(1*I+'( â'-Wg -'5 IT63'$Qv*I+'( â*3',J) e anche ALONSO SCHÖKEL-CARNITI, CRAIGIE, HIRSCH, JACQUET, KIRKPATRICK, KRAUS, TATE, VESCO, HOSSFELD-ZENGER (2000). DUHM, Psalmen, 41, spiega che 2 )A $" è una forma poetica di 2" 'A $". Secondo i BRIGGS, se 2 )A $" è una forma tardiva, ha perso il suo significato iussivo. Inoltre osservano che quando la proposizione precedente è interpretata come temporale, è meglio intendere i due ultimi verbi del salmo come futuro indicativo; cf. BRIGGS-BRIGGS, Psalms, 109.112. Come yiqtol volitivi sono stati intesi dalla LXX nel Salmo 13 (a"'JJ(1*QW â'-Wg -'5 IT63'$Qv+W â*3',J) e anche da ANDERSON, DAHOOD, DELITZSCH, GOLDINGAY, GUNKEL, KÖNIG, PODECHARD, SCHMIDT, SABOURIN. 42 NICCACCI, Sintassi, §§ 113.118. Cf. anche WALTKE-O’CONNOR, § 34.2.1c.
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2) In 14,1-6 e 53,1-6 le azioni si svolgono nell’asse del passato. Le forme verbali che lo indicano sono il qatal e l’x-qatal o anche l’x-yiqtol. Lo scambio tra qatal e x-qatal può designare il passaggio ad una linea secondaria della comunicazione oppure essere semplicemente una questione di stile43. 3) In 14,7 e 53,7 vengono usate le forme verbali x-yiqtol e yiqtol che collocano le azioni nel futuro. 4) La prospettiva del salmista è quella tra passato e futuro. Il suo occhio ha visto le azioni compiute nel passato (14,1-6; 53,1-6) che hanno causato la situazione presente, e perciò si rivolge a quelle a venire (14,7; 53,7). L’analisi del valore temporale dei verbi nei Salmi 14 e 53 mostra che il sistema proposto da NICCACCI può essere applicato ai testi poetici in modo plausibile e fruttuoso. Nel caso del Salmo 14 l’analisi ha portato alla traduzione quasi identica con le versioni antiche, un fatto sconosciuto alla stragrande maggioranza delle traduzioni moderne. Wojciech Wùgrzyniak Uniwersytet Papieski Jana Paw8a II w Krakowie
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Semantics1 is that branch of linguistics that deals with meaning below the level of the sentence: clauses, phrases and their constituents. Most research into the semantics of Biblical Hebrew focuses on the meanings of words and lexemes considered not only in the literary context of the Bible itself, but also of the socio-cultural world of ancient Israel, to the degree that it is knowable. The results of such research then become available for lexicographers, philologists and biblical exegetes in their respective undertakings. This article in honor of Alviero NICCACCI, a scholar who has contributed much to our understanding of how living speech is presented in Hebrew scriptures, focuses on a semantic oddity, syntagms. Syntagm refers to a sequence of individual words or lexemes that constitute a single semantic unit with its own meaning, a meaning not obvious from its underlying constituents. Its meaning, not accessible when only the component elements are considered, can usually be determined with some confidence after observing how the syntagm is used in multiple contexts and by evaluating it alongside other words or syntagms from the same semantic field. For example, the meaning of the common English expression “How do you do?” is far from clear. Formally, it appears to be a query into how X does something even though no vocable refers to what is being done or accomplished. Consequently, it would be proper to ask the following question in response: “How do I do what?” Theoretically, the unmentioned “what” would be clear from the context of the utterance. So, addressed to a baker who had produced a delicious cake, it could be understood as being a curtailed formulation of “How do you do that?” “That” would be understood as referring to the complex of activities involved in baking the cake. Addressed to a plumber, it might elicit a response about washers, fittings, and pipes. Such an understanding of the query, howI thank Rachel ZEVIT and Gary EDWARDS for technical assistance in preparing this article. Except when indicated otherwise, all translations in this article are by the author. 1
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ever, is incorrect. The expression is not used to inquire about how anybody does anything. When employed in a social situation, the query elicits verbal responses such as “Fine, thank you” or even a silent smile, shrug, or grimace indicating respectively, “fine,” “I’m not so sure,” or “not so well.” From the responses, the meaning of the syntagm can be inferred and rendered as “How are you?” The rendering itself is understood by native speakers and those who have mastered English idiom not as an existential inquiry but as a conventional abbreviation of “How are you faring/managing/getting along?” This is explicated historically by the sense of “thrive” associated with “do” in 19th century England when this syntagm functioned as a conventional greeting among the upper classes. It contrasted with the lower class “hullo/hello” that became internationalized after Thomas A. EDISON promoted it as a conventional telephone greeting. In contemporary American speech “How do you do?” may contrast with the informal and ungrammatical “How you doing?” and the informal western Americanism, “Howdy!”—a contraction of “How do you (do)?” that has lost all traces of polite interrogation and concern for wellbeing. Ten native speakers of English and American whom I interviewed informally around a dinner table were unable to explain why “How do you do?” is used as a greeting or what it actually means. All, however, could translate it into other locutions that made sense to them and that functioned as its semantic equivalent. Syntagms are a feature of idiomatic speech in living languages and can be identified in Biblical Hebrew also. They are products of what was once a living language, a relatively small corpus of which is preserved in the Hebrew Bible. Because of this limitation, the historical development of a particular syntagm can be traced only sometimes—as in the Americanism howdy—but sometimes its origin can only be hypothesized. In no case, however, can its meaning be predicted since syntagms are not generated paradigmatically. Study 1 The bound form l(+ &+ 93 D+ in Lev 5,15.18.25 translates literally as “in your evaluation.”2 In verse 15, “he will bring for YHWH a ram without blemish from the flock animals l(+ &+ 93 D+ , in your evaluation, silver sheqels in the sanctuary weight for a guilt-offering.” In verses 18 and 25, however, it occurs in a similar ex2 This first study is based, almost in its entirety, on a famous crux that was first explained by E. A. SPEISER in 1960, but cited here from SPEISER, 1967. I summarize SPEISER’s work because his article remains unknown to most Hebrew linguists and most Biblicists aside from the galant handful that study Leviticus. I consider it a model for the proper inquiry into and analysis of syntagms.
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pression: “he will bring an unblemished ram from the flock l(+ &+ 93 D+ , in your evaluation, for a guilt offering.” These verses raise the following question: What does “in your evaluation” mean? In verse 15, it might call for a priest to determine that the ram is worth at least one sheqel weight of silver according to a standardized sanctuary weight. In verses 18 and 25, it appears to call for the priest to evaluate whether or not the ram is unblemished. The apparent switch in what is to be evaluated between these laws is unlikely since all three are intended to govern similar circumstances. The problem is exacerbated by verses from Lev 27 where l(+ &+ 93 recurs some 21 times, twice in bound constructions with a following noun (verses 2 and 12). Verses 1-3 of the chapter illustrate the problem clearly, defying any literary translation: “… when anyone explicitly vows ! $#!"4. /P Z?$ +0 l(+ &+ 93 D+ and will be l(+ &+ 93 of the male from twenty years to sixty years, and will be l(+ &+ 93 fifty sheqels of silver in the sanctuary weight.” In verse 23, the phrase is nominalized and rendered definite by the article: “… and the priest will calculate for him the amount of l(+ &+ 93 !$ until the year of Jubilee.” Rendering this as “the ‘your evaluation’ ” creates nonsense. The priest is determining the value of something. It is his, not your, evaluation that is the concern of the rule. The pronominal suffix appears to be incorrect yet it is the only suffix used in the multiple attestations of the syntagm. In 1960, E. A. SPEISER, considering the syntax of l(+ &+ 93 !$ , realized that l(+ &+ 93 was treated as a single noun whose meaning had been lost to both ancient and modern interpreters. On the basis of Akkadian parallels and of all the biblical contexts where it appears—the syntagm is used in contexts involving monetary payment in Lev 5 (and Num 18,16) and often in Lev 27 in the commutation of vows—SPEISER proposed that it means “convertible into a payment of silver.” The original bound form, noun + 2ms possessive suffix, had become frozen and its original meaning lost as it evolved into a technical term: “the value in silver of X.” 3 When this meaning of the syntagm is read in the passages translated above, their meaning is clear. Although the texts appear superficially to be concerned with animals or humans, they actually refer to the value of animals or humans converted into silver of a standardized weight (and, possibly, purity). His explanation is broadly accepted by exegetes examining the relevant passages.4 A stage in the development of this syntagm may be discerned in an expression used in 2 Ki 12,5: M(&+ 93 /MZ?+ .0 RA3 (3 , “the silver of humans, its value” in which the pronominal suffix is not frozen. The noun vC&94 is attested epigraphically on a large, unprovenanced ostracon reported to have been found in the western Hebron hills.5 It occurs at the 3 4
SPEISER, Leviticus, 124-128. MILGROM, Leviticus, 326-327; HARTLEY, Leviticus, 73; LEVINE, Leviticus, 30-31.
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end of a list of payments in silver whose combined weight of sheqels and gerahs is greater than 5 sheqels, but immediately before what appears to be a sum: 2 silver (sheqels) 12 gerahs. This use is consistent with those in the biblical text. The value of the silver payments after conversion to a conventional standard is evaluated (and most likely entered into an account scroll) as the much smaller number. Study 2 The prudishness of Israelites is indicated by the absence of clinical words for genitalia and by the use of few words for sexual intercourse in Biblical Hebrew. Hebrew 25G is used to refer to a male on female sexual penetration (Gen 20,31; Deut 21,13; 22,22; 24,1; Isa 62,5) while 2Aw refers to the same act but connotes coercive force (Deut 28,30 [by a man other than her affianced]; Isa 13,6 [by rampaging enemies who killed their men and murdered their babies]; Jer 3,2 [by anonymous men for whom she waited]; Zech 14,2 [by soldiers who capture Jerusalem]). In any event, the traditions preserved by Masoretes directed that a form of the verb G<w be read aloud at every occurrence of the ketiv, 2Aw indicating that that verb was considered obscene. It had become the Hebrew equivalent of the F-word.6 Israelite authors preferred euphemisms and circumlocutions most of which are transparent. As a consequence, all readers of the Bible are familiar with %#G + 2% “come to” (Gen 16,2; 38,8; Deut 22,13), or 05/.% + G<w, “lie with” (Gen 19,32; Exod 22,15; Lev 20,18), !w%/w"% + .%+ 5D" or .#% + objective suffix, “to have sexual relations with” (Gen 4,1.17 [followed by verbs indicating conception and birthing]; 19,5 [involves forced sodomy]; 24,16; 38,26; Num 3,17.18. 35; Judg 11,39; 19,22 [involves forced sodomy]; 19,25 [involves rape]; 21,12; 1 Sam 1,19; 1 Ki 4,1).7 Samuel David LUZZATTO (1800-1865) suggested that 2% + %#G developed the meaning “to have intercourse with” from the sense of coming (in) to a place where a woman was, whether or not intercourse was involved. Of the three expressions adduced above, this is the most common and retains a genteel, euphemistic quality.8 Likewise, 05/.% + G<w is transparent in that it alludes to a ESHEL, Late, 158-161. Citing others, Esther ESHEL proposes that SPEISER’s derivation of the odd form be replaced by explaining its morophology as reflecting a doubled third radical characteristic of adjectival patterns (p. 159 and see A9ITUV, Echoes, 193). The word, however, does not function as an adjective in the inscription or in the relevant biblical passages. 6 The phonetically similar sounding noun 2 -AX) , “consort” occurring in Ps 45,10 and Neh 2,6; (and its Aramaic cognate in Dan 5,2.3.23) seems not to have offended sensibilities. BRENNER, Intercourse, 21-30, provides a thoughtful analysis of the explicit terms used by Israelite authors for sexual intercourse. 7 SCHORCH, Euphemismen, 96-97.130-131.202-206. 5
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horizontal position that is a usual prerequisite for human sexual intercourse. Both these expression evolved by synecdoche: the first or second part of the process—entering the place, assuming a horizontal posture—came to refer to the final part, the sexual act itself.9 $ 5' G the one who lies with any domestic animal,” does not involve a horizontal posture. A clinical depiction of the posture involved is provided by the verb 5G&, used in the hifil to describe breeding domestic animals by having males mount females (Lev 19,19) and in the Qal to describe assuming a crouching or crawling (mating) posture when engaging in bestiality (Lev 18,23; 20,15). Consequently 05 + G<w in Deut 27,21 illustrates that this syntagm refers to something other than what might be inferred from its etymology.10 The expression .G<w + ,./—*&ek5bet is attested only in the form f+ G+ <$ X+ + suffix—“give/place intercourse” or, what is more likely, “give/place (his/your) penis” used only of males (Lev 18,20.23 and 20,15 [the latter two involving domestic animals]; Num 5,20), is a related syntagm.11 This is obvious from the verses addressing bestiality since reclining horizontally cannot be involved. Intermediate stages between the evolution of the euphemism into a syntagm are the expressions 5&- $@;.G- <+ X' , “lying or layer of seed” (Lev 15,18) and &<$ $@ G(- X+ 7' , “lying down of a male” (Num 31,17) referring to sexual intercourse (Lev 15,18).12 It is of exegetical interest to note here that Lev 18,20 outlaws insemination by proxy as a general practice: “And to the wife of your kinsman, do not give your penis for seed to become impure by her.” If the circumstances envisioned by this law involve a childless wife whose husband has been unable to impregnate her, it prohibits what is required in the almost similar circumstances involving levirate marriages (Deut 25,5-6) described in the story of Judah and Tamar (Gen 38). The expression 5D" + direct object referring to sexual intercourse is a syntagm, but unlike others discussed above, no satisfactory account for its deve8 ROTHSTEIN, And Jacob Came, 95. ROTHSTEIN lists a number of other expressions not considered here: G + %#G, “come in (Josh 23,12), or 25 + %#G “come on” (Gen 19,31); 25 + !25 “ascend on” (Gen 31,10-12 [used of goats]), and 2% + v2!, go/walk to (Amos 2,7 [the object of the preposition is a prostitute]); see p. 91-95. 9 SCHORCH, Euphemismen, 96. 10 ORLINSKY, Root, 22, notes that Deuteronomy uses 05 + G<w exclusively while Leviticus and Numbers, the Priestly source uses .% + G<w in all cases but Lev 15,33. J and E use both. 11 ORLINSKY, Root, 40; MILGROM, Leviticus, 927; SCHORCH, Euphemismen, 207. 12 SCHORCH, Euphemismen, 156.206-207. ORLINSKY, Root, 37-39, follows some medieval and 20th century lexicographers and grammarians in connecting G<w in some sexual contexts with an Arabic s-k-b meaning “pour out,” hence “outpouring of seed.” This meaning is also appropriate for Job 38,37, where it has to do with precipitation. See also KADDARI, ,#2"7, 1086b.
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lopment based on semantically transitional texts is available.13 Verbs of cognition in Old Assyrian and Old Babylonian—idû, commonly “know, understand, perceive through the mind” and lam!du, “learn”—are used rarely to refer to sexual intercourse.14 This shows only that a semantic development that can posited for Hebrew 9L" + direct object (in an appropriate context) is not unprecedented: learning/knowing > knowing/learning from sexual experience > sexual intercourse. Unfortunately, evidence for the posited mid-stage is lacking both in Hebrew and Akkadian. The mid-stage is usually posited on the basis of the semantic logic of European languages (themselves influenced by translations of the Bible) ignoring the fact that the Hebrew verb is transitive. Consequently, any posited development can only be considered a weak hypothesis even though the meaning of the well attested Hebrew syntagm is undisputed. The most widely known use of this syntagm is in Gen 4,1 usually rendered in English as “And the man knew Eve his wife.” The context however does not indicate why the author preferred it over one of the two common euphemisms: %#O + 4% or 19//% + OCw. Judging from its the distribution in narrative, legal, and oratorical contexts, it is likely that 4% + %#O is used only in cases of a couple’s first licit sexual act after an agreement has been reached about the signification of the act (even if the woman is a concubine or prostitute: Hagar (Gen 16,2-4); Leah (Gen 29,21); Rachel (Gen 29,23); Bilhah (Gen 30,3-4); Rachel to Jacob (Gen 30,16 [speaking figuratively]); Tamar (Gen 38,8-9); Judah when bartering with a prostitute, actually his disguised daughter-in-law, Tamar (Gen 38,16); part of the marriage process (Deut 22,13); Saul’s concubine (2 Sam 3,7); Ohalah, the prostitute (Ezek 23,44).15 The contextual distribution of the 49 examples of 19//% + OCw in Biblical texts does not fall into any discernible categories such as illicit versus licit, or 13 The standard suggestions are listed conveniently (and dismissed) by WENHAM, Genesis, 100-101. KADDARI, ,#4"<, 365b.401b, proposes that the development is seen by a parallelism in Ps 91,14, "<' Z+ 9L. $"B"(' J!O) +T>. %[ J!V) K+ ?. %[ .# YZ. F$ "O' "(' , “Because he desired me, I will rescue him//I will raise him up because he knew my name.” KADDARI implies a sexual meaning in the verb-preposition combination O + YwF, something along the lines of “long for, desire” (cf. Gen 34,8; Deut 21,11) in this context that he then transfers to 9L". An erotic, sexual sense of YwF, however, is inappropriate in the context of the psalm and KADDARI made his point by citing the relevant parallel words out of context. The sense “being devoted to, concerned for, feeling closely connected with” (Deut 7,7; 10,15) is more appropriate for YwF in the psalm. If this interpretation is accepted, there is no reason to associate the parallel verb 9L", whose object is the divine name, with sexual desire. 14 CAD ad idû and lam!du. See also TAWIL, Akkadian Lexical Companion, 138; ROTHSTEIN, And Jacob Came, 95, note 14. 15 This is expanded from the data provided in ROTHSTEIN, And Jacob Came, 91.93. ROTHSTEIN discusses the earlier suggestions of LUZZATTO and A. EHRLICH. Essentially a study of how and why Jubilees retells patriarchal stories involving sexual relations, ROTHSTEIN explains some of the changes in Jubilees as due to its author’s concern with the legal nuances of 4% + %#O.
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coerced versus willing relations. Consequently, the syntagms can only be characterized blandly to wit: they reference socially conventional and unconventional sexual behavior of all types (Gen 34,7; 39,10.12; 2 Sam 11,11; 12,11), even in legal contexts (Lev 15,24; Num 5,1.19; Deut 22,23.25.28). Only 9L" + direct object appears unconnected to social or legal significations. It refers to the act itself.16 Consequently, it alone was appropriate in describing the first sexual act that took place in a time before society, laws, rules, and conventions. In the primeval history, Gen 1-11, it recurs after Gen 4,1 with Cain (Gen 4,16), and again with Adam before the birth of Seth (Gem 4,25). Study 3 Whereas 4#YO + 9<w refers to listening and obeying or acquiescing or following oral instructions approximately 107 times in the Hebrew Bible, 4#Y4 + 9<w, occurring only 16 times, is sometimes used differently.17 In three passages employing the second expression, the context does not mention any speech whatsoever and nothing in the context suggests that speech occurred. There was nothing to hear. Nevertheless, all three employ the word 4#Y , “voice/sound.” One example is in Exod 4,8-9: (8) And it be, if they do not believe you 4PY4+ J9<+ Z+ '" %P4 +#, (literally, and will not hear/listen for the sound/voice of) the first sign, they will believe the sound/voice of the last sign. (9) And it will be that if they do not believe in both these signs and l4P3 Y4+ ,J9<+ Z+ '" %P4 +#, and will not hear/listen for your sound/voice, you will take from the waters of the Nile ….
The “signs” to which these verses refer were acts, described in Exod 4,2-7, performed in silence. The first involved Moses turning his staff into a snake and then back into a staff; the second, making his hand leprous and then returning it to its prior healthy state. There was nothing to be heard. The meaning of the expression in verse 8 is something like “pay attention (to what can bee seen) and learn something.” In verse 9, 4#Y4 + 9<w is not a syntagm. + , and A second example is Jer 18,19: “Listen to me, YHWH, "O"$ &' +" 4MY4+ 9<. ZJ hear for the sound/voice of my opponents.” Jeremiah does not cite anything that his opponents may have said; rather, he goes on to describe what they did: “they dug a pit for me” (Jer 18,20). His instruction to YHWH is to pay attention to what he, Jeremiah, will say and to learn from that what his opponents did to him, not what they said to him. The final example of this syntagm is from Gen 3,17 containing the divine rebuke to Adam on account of his behavior: “because lf3 Z+ %' 4MY4+ f$ 9+ <. Z$ , you ROTHSTEIN, And Jacob Came, 93. Typical examples of 4#YO+ 9<w are Deut 8,20; 13,19; 16,15; and of 4#Y4 + 9<w are Gen 16,2; Exod 15,26; 18,24; 1 Sam 2,25; 15,1; 1 Ki 20,25; 2 Ki 10,6. 16 17
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heard/listened to the sound/voice of your wife, and ate from the tree about which I commanded you …”. Nowhere in the preceding narrative does the woman address any comment whatsoever to Adam. The story describes what happened: “… she took from its fruit and she ate and she gave also to her husband with her and he ate” (Gen 3,6). No oral communication of any sort is described between them. In this context, the divine rebuke can only mean “because you learned from your wife.” In this syntagm, the verb 9<w, usually referring to hearing, is associated with the semantic field of cognition and understanding (see also Gen 11,7; Deut 28,49; 2 Sam 14,17; 1 Ki 3,11). The word 4#Y atypically has nothing to do with sound but with deeds and actions. Study 4 Having introduced this article with an analysis of a common English question that turned out not to be a question at all, I conclude it with a similar example from Biblical Hebrew. When confronted by an unprecedented and unexpected situation caused by others, speakers in Biblical narratives sometimes ask 1/"w9/#0"w9//"w9 /%H !<. This translates into English as “What is this that we/you (male, female, singular or plural) have done?” The problem with the question is that in all contexts where it is posed, the speaker knows full well what was done. For example, in Gen 12,18, even though Pharaoh asks Abraham "K' /"$ >' 9$ /%P\B!<. , “What is this that that you have done to me?” he knows exactly what Abraham did. Pharaoh goes on to recite to Abraham what he said and how he passed off Sarah as his sister. A similar question is asked by Abimelech of Gerar in the parallel story about Isaac and Rebekah (Gen 26,10). In Gen 42,28, when the brothers discover what they had paid out in Egypt ' %7 !>$ 9$ /%P\B!<. , “What is this that God in their sacks of grain, they ask J04$ 1"!6 has done to us?” They knew exactly that what had been done to them—they were staring at their silver in their sacks and understood that they were in trouble. In Exod 14,5, Pharaoh asks J0">' 9$ /%P\B!<. , “What is this that we have done?” He knew the answer to the question because he was the one who had just allowed the Israelites to depart Egypt. Moreover, he follows up his question with the following words: “that we have sent Israel away from serving us.” These examples suffice to indicate that in cases of /%H !< questions, questioners do not actually solicit information (Gen 3,13; Exod 14,11; Judg 2,2; 15,11; Jon 1,10). These questions contrast with !H !< and /"w9 !< questions intended by the speaker to elicit information. For example, in Gen 20,9, Abimelech’s question 385
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to Abraham, J0K$ /"$ >' 9B! $ <3 , “What did you do to us?” is answered in verses 11-13 where Abraham explains and rationalizes his behavior. Similarly, in 1 Sam 14,43 and 20,1 questions are asked and responses given, though in the second example the response successfully avoids the question. In Gen 27,20, Isaac cannot imagine how Esau’s hunt was so successful in so short a time, so he asks %Pe<+ 4' f$ &+ !. <' ! 3\B!<. , “What is this, you were quick to find my son?” Jacob in the guise of Esau answers, “Indeed, YHWH your god caused to happen (that is, come) before me.” In 1 Sam 10,11, onlookers seeing Saul’s ecstatic behavior with a group of ' O3 4+ ! $"!$ ! 3\B!<. , “What is this that happened to the prophets ask each other, w"YB, son of Kish? Is Saul also among the prophets?” In context, their question is whether or not Saul’s behavior indicates that he has joined a group of ecstatics. None of the onlookers know. Although nobody actually responds to the question, the narrative does so in verse 13, “and he ceased from acting ecstatically.” The implicit negative answer to the question is supplied retroactively by the narrator. One example is significantly different. In 2 Sam 3,24, Joab challenges Da$ )*!' !/" $ >' 9$ !<3 vid for allowing Abner to leave safely: MfF+ K. Z' ! 3\B!N$ 4$ l"43 %) & )0O+ %. %OB! vM4!$ W43 )` .#, “What did you do? Here, Abner came to you. Why is this that you sent him away and he went?” Joab demanded that his cousin David explain why he did not restrain Abner. David remained silent. As the narrative later clarifies, David’s silence constituted an answer that Joab interpreted correctly as a license to do what was necessary but in a way that would not implicate David in Abner’s death (2 Sam 3,26-34).18 Addressing only the /%H !< and !H !< questions, the sole difference between the two is that the demonstrative pronoun referring to the situation is feminine in the first question and masculine in the second. Nothing intrinsic to the circumstances precipitating the questions explains the selection of the pronoun selected. No other noun in the sentence determines the grammatical gender of
An example of a true question that receives no response is found in Gen 4,10. YHWH asks Cain, !<$ L$ %[ !B, $ <' "4. %) 1"Y' 9P[ e l"F' %$ "<) ;+ 4MY /" $ >' 9$ !<3 , “What did you do? The sound of your brother’s blood(s) cry out to me from the ground.” YHWH is not portrayed as omniscient in the Genesis narratives (see Gen 3,9.11), so the question is real. What YHWH knows for sure is that Abel’s blood in the ground crys out to him, but he does not know why. God asks his question but does not wait for a response. Cain’s reply to the first question about Abel—“I do not know, am I my brother’s guardian”—suggested to YHWH that since Abel was not around, Cain must somehow be responsible. Everything that follows in the chapter is about the pollution of the ground. It is the reason for Cain’s banishment from the region, not the killing of Abel. The story, however, leaves open the possibility that the question here was rhetorical, but of little interest to YHWH. Philology must bow to exegesis. 18
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the demonstrative used.19 Perusal of the questions indicates that they mean differently in their contexts and fill different rhetorical functions. At a rhetorical level, ."w5 .%@ !7 types of questions function as comments about a set of unfavorable circumstances or about a situation gone awry and they usually fault the person to whom the question is addressed. Responses are not given to such questions because they are not, in fact, questions. Consequently, although they may denote anger and frustration, they constitute a syntagm denoting culpability: “I blame you for this”.20 Conclusions: These four case studies describe the meanings of a number of syntagms and related vocables as they are used in Biblical Hebrew and suggest appropriate English translations. The translations provided for most of these are not the “meanings” of these items as free-standing lexemes. They are all contextually bound to particular sets of circumstances within which they are recurrent utterances or parts of utterances. • 2% + %#G “to engage in licit sex after an agreement has been reached about the signification of the act” • v<&5G “the value in silver of X” • .% + 5D" or .#% + 5D" and appropriate object or pronominal suffix “to participate actively in coitus with a member of the opposite sex.” • ."w5 .%@ !7 “I blame you for this.” • .G<w “penis” • 2#W2 57w “to pay attention in order to become cognizant of something.”
In Gen 44,15, the brothers—after Joseph’s goblet was found in Benjamin’s sack—return to the city and enter before Joseph. “Joseph said to them, 0."1 8' 5Y &X1 %Y ! 1Z!- !81 5Y F- !;! - 7$ , “What is this deed that you have done?” In this case, the demonstrative !@ is explicable as necessitated by the reference to the “taking of the goblet” as a !w57, “deed,” a grammatically masculine noun. Joseph intended that the brothers respond to his question, however unsatisfactorily. See also 2 Sam 12,21. These are excluded from my discussion because the pronoun may be explained as due to the accompanying word. One could argue that in each of these two examples the accompanying word was inserted because these were !@ !7, not .%@ !7 types of questions. I choose not to advance such an argument. 20 BARTOR, Pattern, 460-464, suggests that some rhetorical questions, such as those discussed here, are part of a literary pattern that she terms the “juridicial dialogue.” 19
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For this information to be useful in non-English settings, scholars should not translate the English renderings. They should consider the analyses of each datum and work out an appropriate dynamic equivalent for whatever target language interests them. Ziony Zevit American Jewish University, Los Angeles
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Tamar Zewi On "(' !%$ &$ and ! )*!' +# !%$ &$ in Biblical Hebrew
1. The role of the particles ! )*!' and ! )*!' +# in Biblical Hebrew has been amply discussed in dictionaries, grammars, monographs, and individual articles, wholly or partly dedicated to this issue. Various studies generally point out the presentative, demonstrative, and deictic nature of ! )*!' and ! )*!' +#, and they occasionally define these particles or some of their uses as calling attention and even as being emphatic. Also noted in scholarly literature is the frequent occurrence of ! )*!' after verbs of speech and ! )*!' +# after verbs of sight or in similar contexts, the latter sometimes being interpreted as expressing surprise.1 A decrease in the use of ! )*!' and ! )*!' +# in Late Biblical Hebrew has been noticed,2 yet when these particles are used they play roles similar to those attested in Classical Biblical Hebrew. Examples of these basic conditions for the appearance of ! )*!' and ! )*!' +# are as follows: The particle ! )*!' following verbs of speech:
LM9 1M4F[ "f' <+ 4. F$ ! )*!' &<% 3 P ` .# “And (he) said, ‘Behold, I have dreamed another
dream’ ” (Gen 37,9).3
#" $0 +H%$ "f) Z+ ! $0"K3 e' f+ M9
LORD said to Samuel, ‘Behold, I am about to do a thing in Israel, at which the
two ears of every one that hears it will tingle’ ” (1 Sam 3,11).
Both examples follow finite forms of the verb &<. %$ and introduce the content of the speech. 1
DARI,
E. g., references in dictionaries of Biblical Hebrew: BDB, 243b-244b; HALOT, 252; KAD-
,#4"<, 222f; references in grammars of Biblical Hebrew: GKC, §§ 105 b.147 b, JOÜON-MU-
RAOKA,
§§ 105 d.164 a; other references: MCCARTHY, Uses; MURAOKA, Emphatic, 137-140; KATFunktion; KOGUT, Meaning; ZEWI, Particles; V. D. MERWE, Cognitive. 2 ESKHULT, Traces, 365. 3 English translations of Biblical verses are cited from the RSV with occasional minor changes.
SUMURA,
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On yKi ha;r: and hNEhiw“ ha;r: in Biblical Hebrew
The particle ! )*!' +# following verbs of sight:
1"%' D$ 1"K' <. +I ! )*!' +# %&+ .` .# #" $0"9) %PÉ$ '` .# O&3 9$ /M0?+ 4' !LP3 É$ D. FJP . w4$ YF$ e+ '" %e) )` .# “And Isaac went out to meditate in the field in the evening; and he lifted up his eyes and looked, and behold, there were camels coming” (Gen 24,63).
%4) <$ &!$ !$ ! )*!' +# %&+ .` .# &9. .*!. " )0"9B/ ) %3 u! FY. ?+ '` .# !%3 &+ '" +# #" $0"9B/ ) %3 % $0BFY. k+ u! &<% . P ` .# 9Z" $ 4' %7 4K) k. /+ '` .# 9Z" $ 4' %7 /PO"O' A+ Z%) OC3 &3 +# 1"AJA ' “Then Elisha prayed, and said, ‘O LORD, I pray thee,
open his eyes that he may see.’ So the LORD opened the eyes of the young man, and he saw; and behold, the mountain was full of horses and chariots of fire round about Elisha” (2 Kgs 6,17).
Both examples follow verbs of sight: the sight formula %&+ .` .# #" $0"9) %PÉ$ '` .# in the first ) %3 … FY. ?+ '` .# in the second example, and the compound sentence %&+ .` .# … " )0"9B/ example. The particle ! )*!' +# in contexts involving sight, visions, etc.:
!K3 %) !$ 1"&' $H +T!. ,"D) &O. 9$ &Z3 %[ Z%) L"k' 4. +# ,Z$ 9$ &J*/. ! )*!' +# ! $"!$ !V$ 4$ 9[ .# !%$ D$ Z<3 ]3 !. "!' +" .# “When the
sun had gone down and it was dark, behold, a smoking fire pot and a flaming torch passed between these pieces” (Gen 15,17). #"4$ C) %PwP) 0 +# ,/$ $0M" ,"%) ! )*!' +# JLY+ ?+ '` .# J0N$ 9' <) W4. !$ "<' J%&J+ % $0BJLY+ k' Mf%' &Z3 %[ 19$ 4$ 4J%Z$ &<% 3 P ` .# “Then Saul said to the people who were with him, ‘Number and see who has gone from us.’ And when they had numbered, behold, Jonathan and his armor-bearer were not there” (1 Sam 14,17).
The first example involves a divine vision, whose content is introduced by the particle ! )*!' +#, while a verb of sight is absent. In the second example the verb LY. k$ ‘count’ occurs twice but the verb !%$ &$ follows it only once, it being implied in the context in the second occurrence. In this case ! )*!' +# introduces the deduction arising from the count. 2. In this paper I do not intend to discuss anew the fundamental meanings and functions of ! )*!' and ! )*!' +#, but to tackle another issue, which concerns only the latter particle. While ! )*!' +# is widely recognized as a particle that follows verbs of sight or similar contexts,4 it is not the only one to follow such verbs. A common Classical Biblical Hebrew particle to follow verbs of sight is "(' . One of its several roles is subordinating conjunction, introducing content clauses in the role of object complement clauses after verbs of the verba sentiendi group, namely verbs of sense perception like feel, believe, know, etc.5 Since both ! )*!' +# MCCARTHY, Uses, is also dedicated to this particle alone. However, the many roles of ! )*!' +# described in that article may all be construed as related to its basic usage as a deictic particle and its occurrence with verbs of sight or in similar contexts. 5 A content clause is a subordinate clause which serves as a replacement for a noun and provides its content. On the term ‘content clause’ and on content clauses in the role of object com4
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and "(' occur after verbs of sight, it remains to be seen what is the fundamental distinction between the function and use of these two particles in combination with these verbs. The particle "(' in this role is very rarely substituted by &Z3 %[ , and is regularly replaced in certain Late Biblical Hebrew texts by the particle Z3 . As stated above, ! )*!' +# has been recognized as calling attention and adding a nuance of surprise to an episode. It has also been recognized as introducing circumstantial clauses6 and as being used after “verbs of observation or enquiry, in contexts where a close observation or enquiry (and cognitive proximity) is implied or stated”.7 Here I would like to follow, reexamine, and support a simple explanation for the differentiation between the use of ! )*!' +# and "(' following verbs of sight, formulated by FOLLINGSTAD in his words: Semantically, "C and !0!# complements tend to mark different types of perceptions. "C marks what appear to be private and cognitive thoughts, whereas !0!# complements typically indicate newly apparent visual physical perception.8
This explanation is not intended to replace but to complement the observations presented to date regarding the meaning and function of ! )*!' +#. In almost one hundred occurrences in the Bible, ! )*!' +# follows the verb !%$ &$ , mostly in qal stem. In a few more than one hundred occurrences in the Bible, "(' follows the verb !%$ &$ , again mostly in qal stem. These similarly large numbers of examples provide a special opportunity to compare them for any significant distinctions. Examining the range of meanings of the verb !%$ &$ in dictionaries of Biblical Hebrew yields two basic chief definitions: (1) a physical act of observation, and (2) a non-physical act of observation.9 Under the latter definition !%$ &$ reveals itself as belonging to the group of verbs of sense perception, and can be interpreted as ‘realize’, ‘know’, ‘perceive’, ‘become aware’, ‘think’, etc. It has been noted in the literature that in expressing this latter meaning the verb !%$ &$ may be complemented by an object content clause conveying the content of the non-physical perception.10 It has also been occasionally remarked that ! )*!' +# is related to physical observation.11 Furthermore, as stated above, it has been noted that "(' is related to cognitive thoughts while ! )*!' +# to visual physical perception.12 However, all these indications have not evolved into a general exclusive theory concerning the fundamental consistent plement clauses in Biblical Hebrew, see ZEWI, ,C#/, 627f.649-651, and ZEWI, Content. 6 E. g., recently, ESKHULT, Traces, 365. 7 V. D. MERWE, Cognitive, 139. 8 FOLLINGSTAD, Deictic, 154; note further discussion on p. 167. 9 See, e. g., BDB, 906f; HALOT, 1157-1159. All nuances of meaning of this verb are subcategories of these two basic meanings. This is especially clear in KADDARI, ,#4"<, 973-975, in which all nuances in meaning of !%$ &$ are assembled under these two categories. 10 See, e. g., BDB, 907a, JOÜON-MURAOKA, § 157 d. 11 See, e. g., BDB, 907b. 12 FOLLINGSTAD, Deictic, 154.167, and see above.
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distinction between "(' + !%$ &$ and ! )*!' +# + !%$ &$ . Examining all examples of these two combinations in Biblical Hebrew, the distinction between the physical and non-physical observation stands out as the most valid between the two particles following !%$ &$ , and it accords with the majority of occurrences. This assertion is further discussed and demonstrated below. Although this basic explanation works for most but not all of the examples, and there are several exceptions, it should still be viewed as the fundamental explanation for the differentiation between the two particles "(' and ! )*!' +# after !%$ &$ . The lack of one hundred percent suitability of any one explanation for all relevant linguistic evidence should not surprise us, since languages often show tendencies in linguistic usage more than clear-cut unequivocal usage rules. Examples for the use of "(' + !%$ &$ and ! )*!' +# + !%$ &$ according to the two basic meanings of the verb !%$ &$ , the perceptual and physical, are presented and discussed below, followed by the examination of the small number of exceptions. 3. 3.1 Examples of "(' + !%$ &$ conveying perceptual meaning Most examples of !%$ &$ followed by "(' convey non-physical meaning. In all of them !%$ &$ should generally be interpreted in terms of perception. Translations reflecting the perceptual meaning occasionally occur in the RSV, although in most cases these tend to be fossilized, using the most common sight verb ‘to see’. The following example presents the combination of OMV + !%$ &$ : OMVB"(' &M%!B/ $ %3 1"!6 ' %7 %&+ .` .# “And God saw that the light was good.” (Gen 1,4).
Similar examples with OMV + !%$ &$ are Gen 1,10.12.18.21.25;13 3,6; 6,2; 40,16; 49,15; Ps 34,9; Eccl 3,22; similar other expressions are !<$ 9) $0 ‘was pleasant’
13 Saadya Gaon’s Medieval Arabic Bible translation for ‘to see’ in these verses of Gen 1 is of special interest for our case, since it uses the verb ˁalima ‘to know’ instead of ‘to see’. Saadya Gaon probably introduced this translation into the text to avoid personification of God, but at the same time it genuinely reflects the perceptual meaning of !%$ &$ in these verses. Saadya Gaon could consider and render such a translation because it is part of the semantic scope of !%$ &$ .
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(Gen 49,15) or " )0"9) D+ OMV ‘it pleased (someone)’ (Num 24,1) following !%$ &$ .14 Counterpart negative examples displaying 9&. + !%$ &$ or the like are, e. g.: 1M`!B4 . ($ 9&. Y&. MD4' /POZ+ F+ <. &e3 )"B4C$ +# c&3 %$ D$ 1L$ %$ !$ /9. &$ !D$ &. "(' ! $#! +" %&+ .` .# “The LORD saw that the wickedness of man was great in the earth, and that every imagination of the thoughts of his heart was only evil continually” (Gen 6,5); #"O' %$ YF$ e+ '" " )0"9) D+ ,9. $0(+ /M0D+ /M9&$ "(' #>$ 9) %&+ .` .# “So when Esau saw that the Canaanite women did not please Isaac his father …” (Gen 28,8);15
and similarly Exod 10,10; 1 Sam 12,17. In the following example the verb !%$ &$ is involved in a process of a questionable decision: ! 3\!. &O$ ;$ !B/ . %3 /" $ >' 9$ "(' /" $ %' &$ !<$ 1!$ &$ O+ %B4 . %3 W43 <" 3 O' %[ &<% 3 P ` .# “And Abimelech said to Abra-
ham, ‘What were you thinking of, that you did this thing?’ ” (Gen 20,10).
Even the RSV, which as noted commonly uses ‘to see’ for !%$ &$ , in this case clearly chooses ‘to think’. The JPS goes even further: “ ‘What, then,’ Abimelech demanded of Abraham, ‘was your purpose in doing this thing?’ ” !%$ &$ in its perceptual use can mostly be interpreted as ‘to realize,’ devoid of any real act of viewing, e. g.: OPY9[ ."B/%3 YF$ e+ '" W&. OB" ) (' #>$ 9) %&+ .` .# “Now Esau saw that Isaac had blessed Jacob” (Gen
28,6);
%J! !C% $ 4$ <+ !>P) 9B"(' &9. .*!B/ . %3 !P<6Z+ %&+ .` .# “And when Solomon saw that the young man
was industrious” (1 Kgs 11,28).
Other such examples are Gen 16,4.5; 29,31; 30,1.9; 31,5; 32,26; 38,14; 39,3; 42,1; 44,31; 50,15; Exod 8,11; 9,34; 32,1; 32,25; Judg 6,22; 9,55; 12,3; 16,18; 18,26; 20,36; 20,41; 1 Sam 5,7; 9,16; 10,14; 12,12; 13,11; 23,15; 26,3; 28,21; 31,5; 31,7; 2 Sam 10,6.9.14.15.19; 17,23; 1 Kgs 3,28; 12,16; 16,18; 21,29; 2 Kgs 3,26; 6,32; 11,1; Isa 59,16; Jer 3,8; 17,6.8; Ezek 12,3; 19,5; 23,13; Ps 10,14; 119,159; Job 2,13; Eccl 2,24; 4,4; Lam 1,20; Esth 3,5; 7,7; 1 Chr 10,5.7; 19,6.10.15.16.19; 21,28; 28,10; 2 Chr 12,7; 15,9; 22,10; 32,2.
14 Only two examples display the combination of OMV + !%$ &$ with ! )*!' +#, not "(' . One is the concluding remark of the sixth day of creation: &YP3 OB"!' +" .# O&3 9B" 3 !' +" .# LP%<+ OMVB! )*!' +# !>$ 9$ &Z3 %B4 [ (B/ $ %3 1"!6 ' %7 %&+ .` .# "]' ]' !. 1M" “And God saw everything that he had made, and behold, it was very good. And there was evening and there was morning, a sixth day” (Gen 1,31). This verse is an exception among the other occurrences of OMV + !%$ &$ in Gen 1 in its mentioning the object of God’s seeing: !>$ 9$ &Z3 %B4 [ (B/ $ %3 “everything that he had made.” This attests to the physical act of looking at a material object, and it describes a physical viewing of the whole creation. The second example is LP%<+ !OMV $ ! )*!' +# c&3 %$ !B/ $ %3 J0"%' &$ "(' 1!" 3 4) 9[ !43 9[ .0 +# !<JY $ J&<% + P ` .# “They said, ‘arise, and let us go up against them; for we have seen the land, and behold, it is very fertile’ ” (Judg 18,9). This verse again mentions a material object: c&3 %$ !B/ $ %3 , “the land,” which is being viewed by the speakers. 15 The interpretation of !%$ &$ as expressing non-physical perception is occasionally reflected elsewhere in the JPS as well. Thus ‘realize’ instead of ‘see’ is used in the JPS for Gen 28,8: “Esau realized that the Canaanite women displeased his father Isaac,” and similarly for 1 Sam 12,17.
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The perceptual meaning of !%$ &$ is sometimes also revealed in the contiguous use of the verbs !%$ &$ and 9L. $", e. g.: !D$ &. 1C3 /+ 9. &B" $ (' J%&J+ J9LJ+ “And you shall know and see that your wickedness is
great” (1 Sam 12,17);
L '#;B1 $ 9' ! $#! +" "(' 9L. )` .# 4J%Z$ %&+ .` .# “But when Saul saw and knew that the LORD was with
David …” (1 Sam 18,28);
9Z. ?3 $# !9$ &$ "L' $"D+ ,"%) "(' !%) &J+ 9;. “You may know and see that there is no wrong or
treason in my hands” (1 Sam 24,12);
" .0O$ 4J + "Z. $04+ "4. %) F4. ZB" $ (' Zx) O. <+ ! 3H !9$ &$ "(' J%&J+ % $0BJ9;+ &<% 3 P ` .# c&3 %$ !$ " )0Y+ 'HB4C$ 4+ 4%) &$ >+ '"BW43 <3 %&$ Y+ '` .# J*N3 <' "f' 9+ .0<$ %P4 +# "O' !$ +H4' +# "k' A+ C. 4J + “Then the king of Israel called all the elders of the
land, and said, ‘Mark, now, and see how this man is seeking trouble; for he sent to me for my wives and my children, and for my silver and my gold, and I did not refuse him’ ” (1 Kgs 20,7).
Similar examples are 2 Kgs 5,7; Jer 2,19. Common in all the examples in this section is that !%$ &$ means some type of non-physical perception and it is followed by a content clause introduced by "(' . Two more examples, one with &Z3 %[ and another with Z3 following !%$ &$ , reveal non-physical perception as well: #" $0k$ <' & $I $` .# LP%<+ 4"(' >+ <. %J!B&Z3 %[ 4J%Z$ %&+ .` .# “And when Saul saw that he had great suc-
cess, he stood in awe of him” (1 Sam 18,15);
/J4C+ t' !B, . <' !<$ C+ F$ 4. ,M&/+ '" Z )`Z3 " '0%$ "/" ' %' &$ +# “Then I saw that wisdom excels folly” (Eccl
2,13).
In both examples nothing refers to any type of physical entity that could be viewed, and the sight verb !%$ &$ indicates an abstract perception. 3.2 Examples of "(' + !%$ &$ conveying physical meaning Clear-cut examples of "(' + !%$ &$ which convey physical meaning are scarce, only three having been identified: !Y3 Z+ <. sK$ Cp "(' ,;) &+ .`!. &(. (B4 ' (B/ $ %3 %&+ .` .# #" $0"9B/ ) %3 VM4B%}$ '` .# “And Lot lifted up his eyes, and saw that the Jordan valley was well watered everywhere” (Gen 13,10); 4MFD. J! )0<+ V+ '` .# "&' e+ N' !B/ . %3 W .` .# Z"%' ,"%) "(' %&+ .` .# !PC $# !P( ,?3 '` .# “He looked this way and that, and seeing no one he killed the Egyptian and hid him in the sand” (Exod 2,12); 1C3 N$ 9' "f' &+ D. ;' 1 '"<. ]$ !B, . <' "(' 1/" 3 %' &+ 1f3 %. 4%) &$ >+ '" " )0DB4 + %3 &<% . P / !P( !ZP3
The first of these contains the physical sight organs, the eyes: #" $0"9B/ ) %3 VM4B%}$ '` .# %&+ .` .# “And Lot lifted up his eyes, and saw.” Yet mention of the eyes does not always reflect pure physical meaning. In the following example, in which the eyes are accompanied by the verb of sight !%$ &$ and "(' , physical watching and non-physical perception are intertwined:
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1C" 3 4) %[ &D) L. <+ !. "?B" ' (' ,"<$" ' +0O' "F' %$ " )0"9) +# /M%P & 1C" 3 )0"9) ! )*!' +# “And now your eyes see, and the
eyes of my brother Benjamin see, that it is my mouth that speaks to you” (Gen 45,12).
Here Joseph expects his brothers to ‘see’ his mouth speaking and to ‘realize’ that it is speaking at the same time. Eight more examples are found that appear to involve both physical and non-physical observation at the same time. These are: LP%<+ %#!' !?$"B" $ (' !]$ %' !B/ $ %3 1"&' e+ N' !. J%&+ '` .# !<$ +"&$ e+ <' 1&$ O+ %. %MO(+ "!' +" .# “When Abram entered Egypt the Egyptians saw that the woman was very beautiful” (Gen 12,14); sL$ $"D+ ML +ID' O .H9B" $ (' s/M% $ &+ (' "!' +" .# “And when she saw that he had left his garment in her hand” (Gen 39,13); 1 '"&. ?+ %3 Z%P&B49. M0"<' +"BL ." #"O' %$ /"Z' $"B"(' RAM" ) %&+ .` .# “When Joseph saw that his father laid his right hand upon the head of Ephraim” (Gen 48,17); ! 30t+ !. WMf<' 1"!6 ' %7 #"4$ %) %&$ Y+ '` .# /M%&+ 4' &A$ "(' ! $#! +" %&+ .` .# “When the LORD saw that he turned aside to see, God called to him out of the bush” (Exod 3,4);
J%&+ '` .# MZ%P&B/%3 sDB/ $ &$ C+ '` .# J!/) /P+ < +" .# s&$ 9+ f. <' s?$ 4+ Z+ '` .# MD&+ FB/ . %3 Fx. '` .# "f' Z+ 4' k+ !B4 . %3 LP<9[ .` .# L '#;$ c&$ $` .# JA p0 $` .# 1&MD $ 'T /
his sword and drew it out of its sheath, and killed him, and cut off his head with it. When the Philistines saw that their champion was dead, they fled” (1 Sam 17,51); L43 $`!. /<) "(' L '#;$ ,O$`3 .# 1"Z' F[ 4. /+ <' #"L$ O$ 9[ "(' L '#;$ %&+ .` .# “But when David saw that his servants were whispering together, David perceived that the child was dead” (2 Sam 12,19); L 3ID3 #"4$ 9$ W4) Z+ .` .# !L3 }$ !. !K$ A' <+ !B, . <' %>$ <$ 9B/ [ %3 Ot) .` .# 19$ !B4 $ ($ L<. 9B" $ (' Z"%' !$ %&+ .` .# “And when the man saw that all the people stopped, he carried Amasa out of the highway into the field, and threw a garment over him” (2 Sam 20,12); ,M&%$ D$ RA3 (3 !. O&B" . (' 1/M% $ &+ (' "!' +" .#“And whenever they saw that there was much money in the chest” (2 Kgs 12,11, and similarly its parallel in 2 Chr 24,11).
All these involve physical viewing of an object followed by a realization of a situation. Considering the abundant examples presented above of "(' + !%$ &$ conveying non-physical perception, the very few examples given in this section, most of which also involve some sort of realization, should be taken as exceptional and as deviating from the fundamental prevalent use of this combination for nonphysical perception. 3.3 Examples of ! )*!' +# + !%$ &$ conveying physical meaning The combination ! )*!' +# + !%$ &$ to express physical observation, in reality or in a dream or revelation, is very common—in fact it is its foremost role. Numerous cases of other verbs and expressions conveying physical viewing, like RY) Z+ .` .#, #" $0"9B/ ) %3 %}$ '` .#, " )0"9B/ ) %3 FY. ?+ '` .#, are also evident.16 Examples are as follows: As explained above, though the expression " )0"9B/ ) %3 %}$ '` .# consists of the actual sight organs, the eyes, it does not necessarily convey a physical act of viewing. 16
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the ark, and looked, and behold, the face of the ground was dry” (Gen 8,13); ,Z$ O+ (' !. &PV"Y' (+ c&3 %$ !$ &PV"Y' !4$ 9$ ! )*!' +# %&+ .` .# &($ (' !. c&3 %3 " )0kB4 + (B4 $ 9. +# !&P$ <9[ .# 1P LA+ " )0kB4 + 9. RY) Z+ .` .# “And he looked down toward Sodom and Gomorrah and toward all the land of the valley, and beheld, and lo, the smoke of the land went up like the smoke of a furnace” (Gen 19,28); #" $0&+ Y. D+ WO. t+ D. HF. %7 30 &F. %. 4 '"%B! . )*!' +# %&+ .` .# #" $0"9B/ ) %3 1!$ &$ O+ %. %}$ '` .# “And Abraham lifted up his eyes and looked, and behold, behind him was a ram, caught in a thicket by his horns” (Gen 22,13); ! )*!' +# J%&+ '` .# 1!" 3 )0"9B/ ) %3 ! $#! +" FY. ?+ '` .# J%&+ '" +# !K3 %B" ) )0"9B/ ) %3 FY. k+ ! $#! +" 9Z" $ 4' %7 &<% 3 P ` .# ,M&
of these men, that they may see.’ So the LORD opened their eyes, and they saw; and lo, they were in the midst of Samaria” (2 Kgs 6,20); 4O$ %p !$ " )0?+ 4' L
Other examples are Gen 18,2; 24,63; 26,8; 29,2; 31,10; 33,1; 37,25; 40,6; 41,22; 42,27; Exod 2,6; 3,2; 39,43; Lev 13,5.6.8.13.17.20.21.25.26.30.31.32. 34.36.39.43.53.55.56; 14,3.37.39.44.48; Josh 5,13; 7,21; 8,20; Judg 3,24; 9,34; 14,8; 21,21; 1 Sam 10,11; 14,16.17; 2 Sam 13,34; 18,24; 2 Kgs 6,20.30; 11,14; Jer 4,23.24.25.26; Ezek 1,4.15; 2,9; 8,2.7.10; 10,1.9; 37,8; 44,4; Zech 2,15; 4,2; 5,1.9; 6,1; Dan 8,15; 10,5; 12,5; 2 Chr 23,13. 3.4 Examples of ! )*!' +# + !%$ &$ conveying perceptual meaning The combination ! )*!' +# + !%$ &$ to express perception is very scarce, with only eight examples identified: c&3 %$ !B4 $ 9. M(&+ ;B/ . %3 &>$ DB4 $ ($ /"F' Z+ !B" ' (' !/$ F$ Z+ '0 ! )*!' +# c&3 %$ !B/ $ %3 1"!6 ' %7 %&+ .` .# “And God saw the
earth, and behold, it was corrupt; for all flesh had corrupted their way upon the earth” (Gen 6,12); 1MZ4+ Z' 4M+ (' MN9' J* 30"%) ! )*!' +# ,O$ 4$ " )0kB/ + %3 OPY9[ ." %&+ .` .# “And Jacob saw that Laban did not regard him with favor as before” (Gen 31,2);17 %J! R&P3 9B!Z) YB1 + 9. ! )*!' +# ! 3\!. 19$ !B/ $ %3 "/" ' %' &$ !ZP3 ' 9[ 1C" 3 !6 ) %7 ! $#!"4. 1/% 3 V$ F[ ! )*!' +# %&3 %) $# “And I looked, and behold, you had sinned against the LORD your God; you had made yourselves a molten calf” (Deut 9,16); "e' F) !. "4BL ' .T!B% p P 4 ! )*!' +# " .0"9) ! $0"%3 &+ f' .# "/% ' DB& $ Z3 %[ L9. 1"&' O$ ;+ 4. "f' +0<. %7 !B% 3 P 4 +# “But I did not believe the reports until I came and my own eyes had seen it; and, behold, the half was not told me” (1 Kgs 10,7, and similarly 2 Chr 9,6);18
17 This example is repeated in Jacob’s personal communication with Rachel and Leah in Gen 31,5, but it presents "(' instead of ! )*!' +#: 1P Z4+ Z' 4P+ (' "4. %) J* 30"%B" ) (' ,C" 3 O' %[ " )0kB/ + %3 "CP' 0%$ !%P3 & ,!3 4$ &<% 3 P ` .# “and said to them, ‘I see that your father does not regard me with favor as he did before’ ” (Gen 31,5). 18 Again, this example does not convey physical observation, although it includes a mention of the organs of sight, the eyes.
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FJ& . /J9&J+ 4O3 !3 4P(!. ! )*!' +# Z<3 ]$ !. /F. f. J>9[ .*Z3 1">' 9[ N. !B4 . (B/ $ %3 "/" ' %' &$ “I have seen every-
thing that is done under the sun; and behold, all is vanity and a striving after wind” (Eccl 1,14). 4O3 !$ %J!B1 .I ! )*!' +# OMVO+ !%) &J+ !F$ <+ >' O+ !C$ t+ .0%[ % $*B!C$ 4+ "D' 4' D+ " '0%[ "f' &+ <. %$ “I said to myself, ‘Come now, I will make a test of pleasure; enjoy yourself.’ But behold, this also was vanity” (Eccl 2,1);
1F) .0<+ 1!3 4$ ,"%) +# 1"Y' Zp 9[ !$ /9. <+ ;' ! )*!' +# Z<3 ]$ !. /F. f. 1">' 9[ .0 &Z3 %[ 1"Y' Zp 9[ !B4 $ (B/ $ %3 !%3 &+ %3 $# " '0%[ "f' O+ Z. +#
“Again I saw all the oppressions that are practiced under the sun. And behold, the tears of the oppressed, and they had no one to comfort them!” (Eccl 4,1).
These examples are exceptions to the fundamental prevalent use of ! )*!' +# + !%$ &$ for the physical act of viewing, as demonstrated in the previous section. 3.5 Proximity of "(' + !%$ &$ and ! )*!' +# + !%$ &$ In two cases "(' + !%$ &$ and ! )*!' +# + !%$ &$ appear in adjacent utterances. The first is: "Z% ' P &B49. "&P' F "K) A. !Z6 $ Z+ ! )*!' +# "<M4 ' F[ D. " '0%BR [ %. RAM"B4 ) %3 &<% 3 P ` .# &/$ k$ OMV "(' 1"?P' %!B& $ >. %&+ .` .#
“When the chief baker saw that the interpretation was favorable, he said to Joseph, ‘I also had a dream: there were three cake baskets on my head’ ” (Gen 40,16).
As expected, here the combination "(' + !%$ &$ conveys a perception, and the ' F[ D. , from which !%$ &$ is absent but the context is a dream, inphrase ! )*!' +# "<M4 troduces the material object of the act of viewing, which happens in a dream. The second example is found in two approximate verses: #" $0k$ &M9 ,&. Y$ ! )*!' +# !ZP3 + '" " )0DB4 + C$ +# ,P &![ %. %&+ .` .# “And when Aaron and all the people of Israel saw Moses, behold, the skin of his face shone” (Exod 34,30); !ZP3 < " )0k+ &M9 ,&. Y$ "(' !ZP3 < " )0kB/ + %3 4%) &$ >+ '"B" )0O+ J%&$ +# “The people of Israel saw the face of Moses, that the skin of Moses’ face shone” (Exod 34,35).
The first of these verses should be understood as conveying physical observation, the second as conveying a non-physical perceptual realization of the physical observation just occurred. These two examples precisely reflect the difference between "(' + !%$ &$ and ! )*!' +# + !%$ &$ or only ! )*!' +# in similar contexts. 4. In conclusion, the great majority of examples of "(' + !%$ &$ reflect non-physical observation, that is, perception or realization of a fact or a situation, while the great majority of examples of ! )*!' +# + !%$ &$ reflect a physical act of viewing of a material object, whether in reality or in dreams or revelation. These two meanings indeed constitute the fundamental distinction between "(' + !%$ &$ and ! )*!' +# + !%$ &$ . Tamar Zewi University of Haifa
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On yKi ha;r: and hNEhiw“ ha;r: in Biblical Hebrew
Bibliography ESKHULT M., “Traces of Linguistic Development in Biblical Hebrew”, Hebrew Studies 46 (2005) 353-370. FOLLINGSTAD C. M., Deictic Viewpoint in Biblical Hebrew Text: A Syntagmatic and Paradigmatic Analysis of the Particle "C, Dallas 2001. JOÜON P. - MURAOKA T., A Grammar of Biblical Hebrew (Subsidia Biblica 27), Roma 22006. KATSUMURA D., “Zur Funktion von hinn6h and wehinn6h in der biblischen Erzählung”, Annual of the Japanese Biblical Institute 13 (1987) 3-21. .#GAw/ ,I-/<& ,#G"/ L9 RG4%< %&Y
Biblical Translations JPS = Tanakh. A New Translation of the Holy Scriptures According to the Traditional Hebrew Texts, Philadelphia 1985. RSV = MAY H. G. - METZGER B. M. (ed.), The New Oxford Annotated Bible with the Apocrypha: Revised Standard Version, Oxford 1977.
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BARANOWSKI K. J., The Article in the Book of Qoheleth
L’uso dell’articolo nel libro di Qoelet è spesso considerato come caotico e costituisce per molti un argomento a favore di un originale non-ebraico del libro oppure della sua tardiva data di composizione. Però le supposte incongruenze nell’uso dell’articolo in Qoelet devono essere esaminate di nuovo alla luce dell’uso dell’articolo in altre lingue nord-semitiche nonché dello studio dell’articolo nella linguistica moderna. Infatti un’attenta lettura dei singoli versetti e delle pericopi nei loro propri contesti mostra che l’articolo in Qoelet è usato piuttosto in maniera logica e consistente per esprimere il pensiero dell’autore nella prospettiva da lui voluta. Perciò l’analisi grammaticale concernente l’articolo nella Bibbia Ebraica deve investigare le ragioni contestuali della presenza o dell’assenza dell’articolo. BARTELMUS R., !"! (!#!): Sein oder werden? Sein und werden! Ein hebräisches (aramäisches) Allerweltswort und das Phänomen des lebenslangen Lernens
Motivato dall’incarico di scrivere l’articolo HYH per il “Theologisches Wörterbuch zu den Qumrantexten” (ThWQ) l’autore offre in questo contributo una visione rivista e aggiornata delle sue tesi concernenti il significato e la funzione del verbo ebraico HYH, pubblicate nel 1982 in ATS 17. Riguardo all’uso della radice in qal (che è stato il punto centrale nel suo precedente contributo) c’è poca necessità di rivedere la precedente opinione. Tuttavia nei rotoli del Mar Morto il participio qal di HYH è molto più frequente che nell’Antico Testamento, ed è usato non solo per denotare il futurum instans (cf. Es 9,3); è usato in maniera analoga al termine greco ]$. Tutte le altre funzioni sono identiche. È invece degno di nota l’aumento delle occorrenze di HYH nifal, in particolare del participio. Seguendo la ricerca riguardante le “coniugazioni” nell’ebraico biblico condotta da E. JENNI, il quale ha mostrato che il nifal sta per “das Geschehen eines Vorgangs oder einer Handlung am Subjekt selber ohne Rücksicht auf die Art oder den Grad der Mitwirkung dieses Subjekts an diesem Geschehen”, l’autore sostiene che la Gente di Qumran si serviva della 399
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differenza fra il nifal e il qal di HYH per esprimere l’opposizione fra “diventare” e “essere” – un modello di pensiero che giocò un ruolo importante nell’ambiente ellenistico di Qumran, ma non nell’AT. CHIESA B., Divagazioni tiberiensi
In onore di Alviero NICCACCI, caro amico e grande studioso, il cui contributo alla conoscenza dell’Ebraico biblico può solo essere maggiormente apprezzato, sono qui presentate alcune spigolature sulla tradizione di lettura tiberiense dell’Ebraico biblico e l’attività masoretica locale, tratte da diverse fonti medievali, sia giudaiche sia musulmane. CRIMELLA M., Il Signore vede il cuore! Fra analisi sintattica e narratologia. Il caso di 1 Sam 16,1-13
Il saggio presenta anzitutto per sommi capi il metodo sintattico di NICCACCI applicato alla prosa ebraica; passa poi ad introdurre le distinzioni di RABATEL nello studio del punto di vista (punto di vista raccontato, rappresentato e asserito). L’ipotesi di lavoro è unire le due prospettive, utilizzando l’analisi sintattica come base per reperire i punti di vista. L’applicazione all’episodio dell’unzione di Davide (1 Sam 16,1-13) mostra che il narratore, nell’alternanza continua dei punti di vista asseriti (dialoghi) di Dio e di Samuele e per mezzo di una serie di successive complicazioni, ha fatto crescere la tensione narrativa, provocando una grande attesa nel lettore. Il profeta, a dispetto del proprio ruolo, vede solo secondo le apparenze mentre il Signore vede il cuore. Al culmine della narrazione, allorché il più piccolo dei figli di Iesse entra in scena e sembra ormai realizzarsi lo scioglimento, un inatteso décrochage sintattico ribadisce il punto di vista rappresentato da Samuele (v. 12c), profeta che sino alla fine vede solo secondo le apparenze. Così l’elezione di Davide appare essere unicamente opera divina. ESKHULT M., Thoughts on Phrases and Clauses Expressing Circumstance in Biblical Hebrew Narration
La discussione concerne la nozione di circostanza nella narrazione. Secondo il livello al quale si riferiscono le descrizioni e le osservazioni – una proposizione, un periodo, o un episodio – la discussione mette a fuoco elementi che sono descrittivi di un agente al tempo dell’azione, o descrivono una situazione come un tutto, oppure contestualizzano persone ed eventi. A livello della proposizio400
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ne, la circostanza – come viene descritta qui – si riferisce a ciò che il soggetto o l’oggetto è, non in generale ma in riferimento alla realizzazione dell’azione. A livello del periodo, la circostanza si riferisce alla descrizione di situazioni costituite da due o più proposizioni statiche connesse alla linea principale degli eventi. A livello testuale, la circostanza si riferisce a proposizioni contestualizzanti, con un soggetto preposto seguito da qatal. Il denominatore comune per i tre livelli è che a un agente viene attribuita una condizione che si riferisce al contesto e quindi viene appresa come una circostanza associata, prescindendo dal fatto che sia un’attitudine attribuita o una qualità, un’attività continua, o anche un’azione compiuta. FASSBERG S. E., The Shift from qal to piel in the Book of Qoheleth
Anche se alcuni hanno assegnato alla lingua di Qoelet una datazione relativamente antica, questa viene solitamente vista come post-esilica. Credo che ci siano esempi, in Qoelet, che riflettono un passaggio dal qal al piel, in maniera simile a ciò che è attestato nelle fonti del periodo del Secondo Tempio. Questi verbi costituiscono un’ulteriore evidenza in favore della datazione tardiva del libro: (a) &x) F' ‘egli indagò’ (Qoh 12,9); (b) JV9) <' ‘rimasero in poche’ (Qoh 12,3); (c) !!$ Y) ‘diventò non affilato’ (Qoh 10,10); (d) J& +TAp ‘furono chiuse’ (Qoh 12,4). GEIGER G., Erzählte Welt und wayyiqtol
L’articolo descrive la funzione del “tempo” wayyiqtol nella cornice della linguistica testuale di H. WEINRICH come “primo piano (forground) della narrazione”. Vengono fornite definizioni di questi due termini che sono leggermente diversi da quelle usate da NICCACCI. “Narrazione” indica indifferenza nei confronti del tempo reale, ciò che è spesso, ma non necessariamente, in correlazione con il passato. Il “primo piano” descrive gli avvenimenti fondamentali di un testo in ordine logico, ma non necessariamente cronologico. Così la maggioranza delle funzioni che sembrano sbilanciate possono essere inquadrate in un sistema uniforme. Di solito il discorso narrativo segue la struttura della narrazione storica. Commentando eventi narrati, il narratore usa i tempi del discorso. Nella narrazione ebraica biblica azioni negate stanno di solito nello sfondo. Per la continuazione dello sfondo nell’asse temporale del passato – sia nella narrazione, sia nel discorso – la narrazione biblica passa spesso velocemente al primo piano.
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GROSS W., wa=yiqtol für Anknüpfung/Wiederaufnahme: Stilmittel und redaktionelles Verfahren
Una ripetizione di ripresa viene per lo più discussa nell’ambito della critica letteraria. Tuttavia, una ripetizione di ripresa non è usata solo per editare testi, ma è un comune strumento stilistico usato da un autore nella composizione di un testo. In questo contributo vengono discusse le sfumature stilistiche e letterarie della ripresa nell’Antico Testamento, quando viene espressa da wa=yiqtol. Una ripetizione di ripresa deve essere distinta dall’analessi (flashback) come pure dalla prolessi. ISAKSSON B., The Textlinguistics of the Suffering Servant: Subordinate Structures in Isaiah 52,13–53,12
Basandosi sulle ultime ricerche concernenti al sistema verbale del semitico centrale e sul concetto di subordinazione circostanziale, l’autore analizza la profezia del Servo sofferente di YHWH ponendo l’attenzione sulle relazioni delle proposizioni subordinate nel testo. Nella sintassi testuale dell’ebraico biblico alternanze di ‘tempo’ sono frequenti. L’articolo mostra che alternanze fra differenti tipi di proposizioni segnalano relazioni proposizionali gerarchiche che guidano l’ascoltatore dalla linea del racconto e dalla linea principale profetica a circostanze concomitanti, tramite proposizioni qualificanti finali, temporali, consecutive, comparative e causali. Questa gerarchia è per lo più codificata senza specifiche congiunzioni subordinanti. Si tratta di un’economia orale del testo dove le proposizioni sono ordinate in modo ipotattico o paratattico con segnali testuali che erano immediatamente percepibili agli attenti ascoltatori contemporanei. JOOSTEN J., A Neglected Rule and Its Exceptions: On Non-Volitive yiqtol in Clause-Initial Position
Una regola sintattica dell’ebraico biblico, descritta per primo in dettaglio da Alviero NICCACCI, stabilisce che l’uso di yiqtol è ristretto a posizioni non-iniziali nella proposizione. Apparenti forme yiqtol in prima posizione, oppure che seguano immediatamente la congiunzione we, sono in realtà forme iussive. La regola è cruciale per una corretta analisi della sintassi verbale ebraica. Tuttavia comporta un certo numero di eccezioni. Questo articolo esplora la sintassi delle eccezioni mostrando che esse, in realtà, non disturbano la delicata architettura del sistema verbale ebraico.
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MESSINA P., Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale
L’uso della linguistica testuale, secondo l’accezione di H. WEINRICH, è stata applicata con successo all’ebraico biblico da Alviero NICCACCI. Il presente articolo, sintesi di un più ampio lavoro, rappresenta il tentativo di utilizzare una tale metodologia anche all’aramaico biblico. La posizione del verbo nella proposizione è stata assunta come principio dirimente, in base al quale vengono identificati le forme verbali e i costrutti sintattici, nei quali è possibile suddividere le proposizioni e individuare la loro posizione rispetto alla Linea Principale e alla Linea Secondaria del racconto, sia nella Narrazione che nel Discorso Diretto. Nel corso della trattazione dei vari argomenti sono state inoltre messe in evidenza analogie e differenze con il sistema verbale ebraico. NOTARIUS T., Text, Discourse and Tenses in the Victory Song in 2 Sam 22,33-46: In Search of the Underlying Literary Convention
Il canto di vittoria in 2 Sam 22,33-46 implica un certo numero di problemi testuali e linguistici molto specifici che lo distinguono dall’intera composizione del canto di Davide e anche dalla maggior parte della ‘poesia arcaica’. In particolare il passo si oppone a una inequivocabile categorizzazione del discorso e presenta diverse forme verbali inaspettate in un passo poetico di questo tipo. Come risultato di una dettagliata analisi del discorso, della morfosintassi e della semantica, si afferma che il genere del discorso del passo è un resoconto retrospettivo, caratterizzato dall’impiego di un tipo relativamente arcaico del sistema dei tempi verbali. Nel suo complesso il testo mostra alcuni tratti dialettali o specifiche convenzioni letterarie, che lo uniscono chiaramente al linguaggio della poesia epica ugaritica. PAZZINI M., The Peshi!ta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea
Questo articolo tratta alcune varianti significative fra il testo della Peshi!ta e i testi rinvenuti nella regione del Mar Morto (Qumran, Na>al 9ever e Wadi Murabba‘ât). I testi presi in considerazione sono: Murabba‘ât 88, i Pesharim dei Profeti minori, il Documento di Damasco e un manoscritto proveniente da Na>al 9ever (89evXIIgr). La conclusione di quest’analisi è “che la Vorlage ebraica della Peshi!ta era pressochè identica al TM, anche se sembra probabile che la traduzione sia stata fatta in una data nella quale alcune lezioni varianti 403
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erano ancora in circolazione”. Il valore della Peshi!ta, per quanto concerne la critica testuale dell’AT, deve dunque essere ridimensionato. PIERRI R., Perifrasi verbali con "#$%&'( ed )*+,-' nei LXX
Questo contributo studia le perifrasi verbali formate dai verbi "#$%&'( ed )*+,-' con il participio presenti nei testi dei LXX. La chiave di lettura della ricerca condotta dall’autore è che il participio conserva la sua natura verbale in tutti i suoi usi e che la sua aggettivazione è meno frequente e integrale di quanto si sostiene. La teoria secondo cui si ha perifrasi verbale aspettuale solo in caso di una possibile concorrenza con forme monolettiche ha un suo fondamento, ma non è normativa in senso assoluto. A tale proposito si può attingere alla teoria della gradualità della grammaticalizzazione intesa non solo dal punto di vista diacronico: si hanno perifrasi con un maggiore o minore grado di grammaticalizzazione, e quindi di ‘fusione’ tra i due costituenti. Le perifrasi composte da "#$%&'( ed )*+,-' con il participio sono costruzioni parallele a quelle composte con IE ed NOW ma con una loro peculiarità modale più o meno presente nei vari contesti. Ciò vale soprattutto per "#$%&'(, mentre )*+,-' conserva in modo più accentuato il proprio significato. L’articolo si compone di due parti: nella prima sono sintetizzate e commentate le posizioni di diversi autori sul tema della perifrasi verbale, nella seconda si trovano in ordine di combinazione secondo il tempo (verbo finito – participio) le occorrenze selezionate e interpretate come perifrasi. TALSTRA E., Sinners and Syntax: Poetry and Discourse in Jeremiah 5
Questo articolo discute la questione basilare se sia necessario o no un punto di partenza particolare per l’analisi linguistica della poesia. Il significato della struttura poetica è costituito in primo luogo dal parallelismo o dalla ripetizione lessicale? Il significato del discorso narrativo è dato in primo luogo da modelli di elementi grammaticali? Oppure possono gli interessi linguistici e retorici cooperare nella nostra lettura dei testi poetici? Un’analisi che tiene conto di questi fattori è rappresentata dall’approccio distribuzionale, del genere di quello proposto da NICCACCI nel 2006, dove lo studioso tenta di individuare un modello sulla base della variazione delle forme sintattiche e della loro distribuzione così come appaiono nei testi in nostro possesso. Quali segni grammaticali troviamo che aiutano il lettore a orientarsi nella struttura testuale? Qual’è la funzione dei vari modelli trovati? 404
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Nell’appendice propongo una gerarchia sintattica di Geremia 5,1-9. Si tratta di una proposta fatta in continuità con la linea di ricerca di NICCACCI, tramite l’analisi di un testo poetico secondo la sua sintassi: le proposizioni e le forme verbali, come pure l’ordine dei costituenti della proposizione, la divisione in paragrafi e la valutazione dei partecipanti. La conclusione è che la ricerca nel sistema verbale della poesia non può essere condotta concentrandosi esclusivamente su coppie di proposizioni più o meno isolate. Risulta produttiva solo quando è elaborata in interazione con la sintassi del testo e la gerarchia testuale. Lo studio della sintassi del verbo in poesia richiede un’analisi testuale nella quale la sintassi ha la priorità sull’analisi colometrica e retorica. Le linee poetiche, i cola, possono essere definiti dalle proposizioni sintattiche identificate e non vice versa. La funzione delle forme verbali interagisce con la posizione che le proposizioni verbali assumono nella gerarchia sintattica. VOLGGER D., Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14) – oder: Die Tora Israels auf dem Weg von Ägypten nach Kanaan
Questa ricerca sulla sepoltura di Giacobbe in Gen 50,1-14 tenta di rispondere alle seguenti domande: Cosa significa la sepoltura di Giacobbe in Canaan per tutto Israele? Quale istruzione divina risulta da questa sezione del libro della Genesi? In che senso questa narrazione rappresenta un elemento organico di tutta la Torah nei cinque libri di Mosè? Dopo un’analisi dettagliata del testo di Gen 50,1-14 ed un confronto con la narrazione sulla sepoltura di Sara in Gen 23 segue un capitolo conclusivo in cui l’autore riassume i risultati della ricerca e risponde alle domande iniziali. WATSON W. G. E., Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico
In questo contributo si confrontano sei brani della Bibbia con parole, testi e immagini dell’antico Vicino Oriente. Gli esempi sono scelti dai libri della Genesi (il nome di Noè), Esodo (il transito del Mar Rosso), 2 Samuele (un rituale di sacrificio), Daniele (l’episodio ‘Bel e il drago’), Giuditta (la decapitazione di Oloferne) e Giona (il verme e la pianta).
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W.GRZYNIAK W., La problematica temporale dei verbi nei salmi 14 e 53
L’articolo mira a spiegare il valore temporale dei verbi presenti nei Sal 14 e 53, seguendo principalmente la teoria linguistica-testuale proposta da A. NICCACCI. Quest’ultimo ha sviluppato la sua teoria basandosi sui testi narrativi. Negli ultimi anni, tuttavia, ha fornito alcuni principi per analizzare anche i testi poetici. Nella prima parte di questo contributo viene presentato il testo ebraico con una nuova traduzione. Nel seguito si presenta un’analisi delle forme verbali usati nei due salmi. A partire della teoria di NICCACCI, si applicherà soprattutto il principio secondo cui la funzione delle forme verbali in poesia è in linea di principio la stessa che in prosa, più precisamente nel discorso diretto. Nella conclusione si propongono osservazioni generali sul valore temporale dei verbi usati nei Sal 14 e 53. Si nota che entrambi possono essere divisi in due parti (14,1-6.7; 53,1-6.7) e che la prospettiva del salmista è quella tra passato e futuro. L’analisi mostra che il sistema proposto da A. NICCACCI – plausibile e produttivo in caso dei Sal 14 e 53 – è un metordo che può offrire elementi all’interpretazione di altri testi poetici. ZEVIT Z., Syntagms in Biblical Hebrew: Four Short Studies
Questo studio analizza dei sintagmi dell’ebraico biblico i cui significati, incomprensibili sulla base di etimologie trasparenti, possono essere stabiliti solo attraverso un’analisi dei contesti pragmatici nei quali sono inseriti. Vengono presentati esempi tratti dai campi semantici del commercio, del comportamento sessuale, della conoscenza e della richiesta. ZEWI T., On "(' !%$ &$ and ! )*!' +# !%$ &$ in Biblical Hebrew
L’articolo segue, riesamina e sostiene con una semplice spiegazione il differente uso fra l’uso di ! )*!' +# e "(' succesivi al verbo !%$ &$ . È stato notato occasionalmente che ! )*!' +# è connesso a un’osservazione fisica, ed è stato proposto che mentre "(' è connesso a pensieri cognitivi ! )*!' +# è relazionato ad una percezione fisico-visiva. Esaminando tutti gli esempi di "(' + !%$ &$ e ! )*!' +# + !%$ &$ in ebraico biblico, la distinzione fra l’osservazione fisica e non-fisica spicca come la più valida fra le due particelle che seguono !%$ &$ , e si accorda con la maggioranza delle occorrenze. Questa spiegazione non intende sostituire bensì integrare le osservazioni presentate fino ad oggi riguardo al significato e alla funzione di ! )*!' +#.
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BARANOWSKI K. J., The Article in the Book of Qoheleth
The use of the article in the book of Qoheleth is commonly considered chaotic and taken as an argument in favor of a non-Hebrew original of the book or its late date of composition. However, the claim of inconsistencies in the use of the article in the book of Qoheleth should be reexamined in light of the use of the article in cognate North-West Semitic languages and of linguistic study of the article. Indeed, a careful and close reading of single verses and sections of the text in their respective contexts reveals that the article is used in a meaningful and logical manner in order to convey the author’s thought in his own, particular perspective. Therefore, any grammatical analysis of the article in the Hebrew Bible should be concerned with possible contextual reasons of its use and non-use. BARTELMUS R., !"! (!#!): Sein oder werden? Sein und werden! Ein hebräisches (aramäisches) Allerweltswort und das Phänomen des lebenslangen Lernens
Motivated by the mandate to write the article HYH for the “Theologisches Wörterbuch zu den Qumrantexten” (ThWQ), the author gives in this paper a revised resp. enhanced view of his theses concerning meaning and function of the hebrew verb HYH, published 1982 in ATS 17. Pertaining to the usage of the root in qal (which has been the central point in his previous paper) there is however only little need to revise the former opinion: Anyway, the Dead Sea Scrolls use the participle qal of HYH much more than the Old Testament, and they use it not only to denote the futurum instans (cf. Ex 9,3)—they use it analogous the greek ]$. All other functions are identical. Noticeable in contrast is the increase of the occurrence of HYH nifal, and here especially of the participle. Following the research of E. JENNI concerning the “stems” in BH, who showed that nifal stands for “das Geschehen eines Vorgangs oder einer Handlung am Subjekt selber ohne Rücksicht auf die Art oder den Grad der Mitwirkung dieses Subjekts an diesem Geschehen”, the author argues, that the Qumran People used the difference between the nifal and the qal of HYH to ex407
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press the opposition between “to become” and “to be”—a thought pattern which played an important role in the Hellenistic environment of Qumran, but not yet in the OT. CHIESA B., Divagazioni tiberiensi
Some gleanings on the Tiberian reading tradition of Biblical Hebrew and the local Masoretic activity are here collected from various Medieval sources, both Jewish and Muslim, in the hope of honouring Alviero NICCACCI, a good friend and a great scholar, whose contribution to our knowledge of Biblical Hebrew could hardly be underestimated. CRIMELLA M., Il Signore vede il cuore! Fra analisi sintattica e narratologia. Il caso di 1 Sam 16,1-13
This essay presents first briefly NICCACCI’s syntactical method applied to Hebrew prose; then it introduces RABATEL’s distinctions of point of view (narrated, represented and asserted point of view). The working hypothesis is to combine the two perspectives, using the syntactical analysis as a basis to find the points of view. The episode of David’s anointing (1 Sam 16,1-13) shows that the narrator, by the interplay of asserted points of view (dialogues) of God and Samuel and a series of successive complications, has increased the narrative tension, causing a great expectation in the reader. The prophet, in spite of his role, sees the outward form but the Lord looks at the heart. At the climax of the narrative, when Jesse’s youngest child comes on stage and it seems to be realized the dénouement, an unexpected syntactical décrochage reiterates the represented point of view of Samuel (v. 12c), the prophet who until the end sees the outward form alone. So David’s election appears to be only divine work. ESKHULT M., Thoughts on Phrases and Clauses Expressing Circumstance in Biblical Hebrew Narration
This discussion concerns the notion of circumstance in narration. According to the level upon which descriptions and remarks bear—a clause, a sentence, or an episode—the discussion brings into focus elements that are descriptive of an actant at the time of action, or describe a situation as a whole, or contextualize persons and events. On the clausal level, circumstance—as described here—relates to what the subject or object is, not in general but at the perfor408
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mance of the action. On the sentence level, circumstance relates to the description of situations built up by two or more static clauses connected to the main line of events. On the textual level, circumstance relates to contextualizing clauses, with a preposed subject followed by qatal. The common denominator for the three levels is that an actant is ascribed a condition that bears on the context and is hence apprehended as an attendant circumstance, irrespective of whether it is an ascribed capacity or quality, an ongoing activity, or even a completed action. FASSBERG S. E., The Shift from qal to piel in the Book of Qoheleth
Though some have assigned the language of Qoheleth to a relatively early date, it has generally been viewed as post-exilic. I believe that there are examples in Qoheleth that reflect a shift from qal to piel, similar to that attested in Second Temple period sources. These verbs constitute additional evidence for the late date of the book: (a) &x) F' ‘he investigated’ (Qoh 12,9); (b) JV9) <' ‘they became few’ (Qoh 12,3); (c) !!$ Y) ‘it became blunt’ (Qoh 10,10); (d) J& +TAp ‘they were shut’ (Qoh 12,4). GEIGER G., Erzählte Welt und wayyiqtol
The paper describes the function of the wayyiqtol tense in the framework of WEINRICH’s text linguistics as “foreground of the narration”. Definitions for both terms are provided which are slightly different from those NICCACCI uses. “Narration“ means indifference towards the real time, which correlates often, but not necessarily, with the past tense. “Forground” means the basic events of the text in a logical, but not necessarily in a chronological order. So most of the seemingly unbalanced functions of the wayyiqtol tense can be sorted into a uniform system. Basically, the oral narration (discorso narrativo) follows the same rules “real” narration (narrazione storica) does, whereas commenting on narrated events, the narrator uses the discourse tenses. As a rule in Biblical Hebrew narration, negated actions are backgrounded. Within the continuation of the background in past time frame—both in narration and discours—, biblical narration shifts often quickly into the forground.
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GROSS W., wa=yiqtol für Anknüpfung/Wiederaufnahme: Stilmittel und redaktionelles Verfahren
Resumptive repetition is mainly discussed as a literary critical criterion. However, resumptive repetition is not only used to edit texts but it is a common stylistic device employed by an author in the composition of a text. In this contribution the stylistic and literary nuances of the resumption in the Old Testament are discussed, in so far as it is expressed by wa=yiqtol. Resumptive repetition is to be distinguished from the analepsis (flashback) as well as from the prolepsis. ISAKSSON B., The Textlinguistics of the Suffering Servant: Subordinate Structures in Isaiah 52,13–53,12
On the basis of the latest research on the Central Semitic verbal system and on the concept of circumstantial subordination, the prophecy on YHWH’s Suffering Servant is analysed with a focus on the subordinate clausal relations in the text. Biblical Hebrew text syntax is full of ‘tense’-switches. The article shows that switches between different types of clauses signal hierarchical clausal relations that guide the listener from storyline and prophetic main line to attendant circumstances, through final, temporal, consecutive, comparative and causal qualifying clauses. This hierarchy is most often coded without specific subordinating conjunctions. It is an oral economy of the text where clauses are hypotactically or paratactically ordered with textual signals that were immediately perceivable to the attentive contemporary receivers. JOOSTEN J., A Neglected Rule and Its Exceptions: On Non-Volitive yiqtol in Clause-Initial Position
A syntactic rule of Biblical Hebrew, first described in detail by Alviero NICCACCI, stipulates that yiqtol is restricted to non-first positions in the clause. Ostensible yiqtol forms in first position, or immediately following the conjunction we, are in reality jussives. The rule is crucial for a correct analysis of Hebrew verbal syntax. Nevertheless, it suffers a number of exceptions. The present article explores the syntax of the exceptions showing that they do not really disturb the delicate architecture of the Hebrew verbal system.
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MESSINA P., Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale
Text linguistics according to the interpretation of H. WEINRICH has been applied to Biblical Hebrew by Alviero NICCACCI. The present article, summary of a broader work, aims at applying this methodology to Biblical Aramaic as well. The position of the verb in the sentence has been adopted as a leading principle. On this base, verbal forms and syntactical constructions are identified and classified according to their function in relation to the foreground and background of the text, both in narration and in direct speech. Throughout the exposition of the various topics, similarities and differences with the Hebrew verbal system have been highlighted. NOTARIUS T., Text, Discourse and Tenses in the Victory Song in 2 Sam 22,33-46: In Search of the Underlying Literary Convention
The Victory Song in 2 Sam 22,33-46 entails a number of very specific textual and linguistic problems that distinguish it from the whole composition of the Song of David and also from most parts of the ‘archaic poetry’. In particular, the passage resists unambiguous discourse categorization and exposes diverse verbal forms hardly expected in a poetic passage of this kind. As a result of a detailed discursive, morphosyntactic, and semantic analysis, it is claimed that the discourse mode of the passage is a retrospective report, the passage represents a relatively archaic type of the system of verbal tenses, but altogether demonstrates some dialectal or specific conventional literary features, that visibly unite it with the language type of the Ugaritic epic poetry. PAZZINI M., The Peshi!ta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea
This article deals with some significant variants between the text of the Peshi!ta and the texts found in the region of the Dead Sea (Qumran, Na>al 9ever and Wadi Murabba‘ât). The texts taken into consideration are: Murabba‘ât 88, the Pesharim of the Minor Prophets, the Damascus Document, and a manuscript from Na>al 9ever (89evXIIgr). The conclusion is “that the Hebrew Vorlage of the Peshi!ta was almost identical with that of the MT, although it seems probable that the translation was made at a date when some variant readings were still in circulation”. The value of the Peshi!ta for textual criticism of the OT therefore must be reconsidered. 411
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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
PIERRI R., Perifrasi verbali con "#$%&'( ed )*+,-' nei LXX
This article presents a study of the periphrasis formed from the verbs "#$%&'( and )*+,-' with the participle found in the LXX. The reading key of the author’s research is that the participle conserves its verbal nature in all of its uses and that its adjectival use is less frequent and integral than what is usually maintained. The theory that aspectual periphrasis may be found only in the case of a possible interchange with synthetic forms is well-founded but it is not, however, the norm in the absolute sense. It is also possible to draw from the theory of the gradualness of grammaticalization, viewed not only from the diachronic point of view, i. e. there are periphrasises that have a greater or lesser degree of grammaticalization and therefore of ‘fusion’ of the two parts. The periphrasis made up of "#$%&'( and )*+,-' with the participle, are parallel constructions to those made up of IE and NOW but with their own modal uniqueness more or less present in the various contexts. This is especially valid for "#$%&'(, while )*+,-' conserves it’s meaning in a more emphasised way. The article is composed of two parts: the first part contains a synthesis and a discussion on the various positions of the different authors regarding the periphrasis, the second part outlines the selected and interpreted occurrences as periphrasis in combination order according to tense (finite verb – participle). TALSTRA E., Sinners and Syntax: Poetry and Discourse in Jeremiah 5
This paper discusses the basic question of whether we need a special starting point for the linguistic analysis of poetry. Is the signification of poetic structure done primarily by parallelism or lexical repetition, whereas the signification of narrative discourse is primarily done by patterns of grammatical elements? Or can linguistic and rhetorical interests be brought into cooperation in our reading of poetic texts? One way to do this is by a distributional approach, such as the one proposed by NICCACCI in 2006, where he attempts to derive a model from the variation of syntactic forms and their distribution as observed in the actual texts. What grammatical signs do we find that help the reader to navigate through the textual structure? What is the function of the various patterns found? In the Appendix I propose a syntactic hierarchy of Jeremiah 5,1-9. It is a proposal made in continuation of NICCACCI’s line of research, through analysing a poetic text according to its syntax: clauses and verbal forms, as well as the order of clause constituents, the division into paragraphs and the marking of participants. 412
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Abstracts
It is concluded that research into the verbal system of poetry can not be done by a concentration on more or less isolated pairs of clauses only. It is only effective when done in interaction with text syntax and textual hierarchy. The study of verbal syntax in poetry requires a textual analysis where syntax takes priority over colometrical and rhetorical analysis. Poetic lines, the cola, can be defined by the syntactic clauses identified and not the other way round. The function of verbal forms interacts with the position verbal clauses take in the syntactic hierarchy. VOLGGER D., Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14) – oder: Die Tora Israels auf dem Weg von Ägypten nach Kanaan
This examination of Jacob’s burial in Gen 50,1-14 tries to answer the following questions: What is the meaning of Jacob’s burial in Canaan for the whole people of Israel? Which divine instruction can be derived from this section of the book of Genesis? To what extent is this story an organic component of the entire Torah in the five books of Moses? After a close text analysis of Gen 50,1-14 and an outlook on the story of Sarah’s burial in Gen 23 follows a concluding chapter in which the author summarizes the results of the examination and answers the questions put at the beginning. WATSON W. G. E., Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico
Here six passages from the Bible are compared with words, texts and images from the ancient Near East. They are from the books of Genesis (Noah’s name), Exodus (the crossing of the Red Sea), 2 Samuel (a sacrificial ritual), Daniel (the ‘Bel and the Dragon’ episode), Judith (the decapitation of Holofernes) and Jonah (the worm and the plant). W.GRZYNIAK W., La problematica temporale dei verbi nei salmi 14 e 53
The purpose of this article is to analyze the Hebrew verbs in the Psalms 14 and 53, relying on the text linguistic theory of A. NICCACCI. NICCACCI, known especially for his theory of the Biblical Hebrew verb system in prose, began in recent years to apply his theory on poetry as well. First, the Hebrew Text of the two psalms with a new translation in Italian is presented. Next, the verbal forms in Ps 14 and 53 are analyzed, applying the main principle of NICCACCI’s 413
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theory, i. e., that the verbal system in Biblical Hebrew poetry functions basically the same way it does in prose, viz., in direct speech. In the conclusion, I propose some general observations regarding the use of the verbal forms in Ps 14 and 53. Both psalms can be divided into two parts (14,1-6.7; 53,1-6.7), and the perspective of the psalmist is between the past and the future. The paper shows that the application of the theory of NICCACCI onto Ps 14 and 53 is plausible and fruitful. It helps to understand the difficult logic of the nearly identical psalms and possibly can also help with the interpretation of other poetic texts. ZEVIT Z., Syntagms in Biblical Hebrew: Four Short Studies
This study analyzes syntagms in Biblical Hebrew whose meanings, indiscernible on the basis of transparent etymologies, can be established only through an analysis of the pragmatic contexts within which they are embedded. Examples are presented from the semantic fields of commerce, sexual behavior, cognition, and querying. ZEWI T., On "(' !%$ &$ and ! )*!' +# !%$ &$ in Biblical Hebrew
The article follows, reexamines, and conveys support in a simple explanation for the differentiation between the use of ! )*!' +# and "(' following the verb !%$ &$ . It has been occasionally remarked that ! )*!' +# is related to physical observation, and it was suggested that while "(' is related to cognitive thoughts ! )*!' +# is related to visual physical perception. Examining all examples of "(' + !%$ &$ and ! )*!' +# + !%$ &$ in Biblical Hebrew, the distinction between the physical and non-physical observation stands out as the most valid between the two particles following !%$ &$ , and it accords with the majority of occurrences. This explanation is not intended to replace but to complement the observations presented to date regarding the meaning and function of ! )*!' +#.
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Indice dei passi citati
Bibbia ebraica La numerazione segue la Bibbia ebraica, anche se è citata la LXX. Genesi 1 1,2 1,5 1,10 1,12 1,14-19 1,18 1,21 1,25 1,29 1,30 1,31 2,1 2,25 3,6 3,8 3,9 3,11 3,13 3,17 4,1 4,2 4,19 4,16 4,17 4,25 5,29-32 6,2 6,5
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69 310 59, 248 408 408 68 408 47, 408 408 47 47 409 149 115 400, 408 112 401 401 400 399s 396, 398s 317 401 399 396 399 371s 408 409
Genesi 6,8-9,29 6,12 7,1 7,4 8,3 8,3s 8,5 8,6 8,13 8,21 9,4 9,18 9,20s 10,1 10,10 10,32 11,7 12,8 12,14 12,18 13,7 13,10 13,11s 14,12 14,15 15,15 15,17 16,2 16,2-4
371 412 114 67 59 371s 59 62 412 47 116 63 372 371 63 371 400 109 411 400 317 410 118 116 58 215, 217 406 396, 399 398
Genesi 16,4 16,5 16,13 16,13s 17,1 18,1 18,2 18,15 18,18 18,22 19,5 19,6 19,23-25 19,28 19,31 19,32 20,9 20,10 20,11-13 20,31 21,9 21,14 21,16 21,27 21,32 22,13 23 23,2 24,10
107, 409 409 112 140 318 116 114, 157s, 412 114 297 116s 396 126 120s 412 397 396 400s 409 401 396 112 115 159s 165 165 412 361, 365-367 358 160
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Genesi 24,15 24,16 24,18 24,22 24,30 24,56 24,58 24,63 25,6 25,19 25,25 26,8 26,10 26,13 26,27 27,20 28,6 28,8 28,12 29,2 29,5 29,9 29,21 29,23 29,31 30,1 30,3s 30,9 30,16 30,38s 31,2 31,5 31,10 31,10-12 31,19 31,34 31,40 32,14 32,23s 32,23-33 32,26
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116 116, 396 109 115 117 116 214 113, 406, 412 76 360 100, 111 113s, 412 400 112, 299 116 401 409 409 115s 412 113, 386 117 398 398 114, 309 409 398 409 398 160 412 409, 412 318, 413 398 120 143 296, 298s 163 162-164 163 409
Genesi 32,30 33,1 34,7 34,8 36,11ss 37,2 37,7 37,9 37,20 37,25 37,35 38 38,8 38,8s 38,14 38,16 38,24s 38,26 39,3 39,10 39,12 39,13 39,23 40,6 40,16 41,10 41,14-16 41,15 41,22 41,34 41,43 41,48 42,1 42,7s 42,8 42,23 42,27 42,28 43,7 44,12 44,15
116 113, 412 399 398 63 110 181 405 180 412 111 397 396 398 409 398 118 396 409 109, 399 399 411 47, 306, 317 412 408, 413 111 361 215 412 214 110 47 409 160 118 114 412 400 386 115 386, 402
Genesi 44,31 409 45,12 411 46,26s 363 46,31-47,10 361 47,27 365 47,27-31 362 47,29-31 359s 47,30 364 47,30s 358 48,1 113 48,17 411 49,11 272 49,15 408s 49,21 80 49,29s 365 49,29-33 358, 364 49,31s 361 49,33 361 50,1-14 357-370 50,15 409 50,26 358 Esodo 1-15 1,1-15 2,2 2,6 2,10 2,11 2,12 2,16 2,19s 3,1 3,2 3,4 3,10 3,11 3,14 3,18 4,2-7 4,8s
18 363 100, 114 412 149 113 410 317 138 317 114, 412 411 92 92 18, 214 92 399 399
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Indici dei passi e degli autori citati
Esodo 5,20 8,11 9,3 9,34 10,7 10,10 14,5 14,10 14,11 14,13s 14,15-17 14,21-23 14,22 14,25 14,27 15 15,8 15,16 15,26 17,12 18,24 19-24 19,3 19,19 20,18 20,21 20,22 21,28 22,15 23,8 23,20 31,13s 31,16 32,1 32,9 32,25 34,30 34,35 39,43
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112 409 60, 67 409 386 409 400 113 400 169 372 372 116 67 372 23, 262, 271, 277 372 272 399 296, 298s, 318, 325 399 20 215, 217 299 160 160 410 47 396 215, 217 67 320 320 409 412 409 413 413 412
Levitico 1,1s 4,6 4,17 4,35 5,15 5,18 5,25 11,15 13,5 13,6 13,8 13,13 13,17 13,19 13,20s 13,25s 13,30-32 13,34 13,36 13,37 13,39 13,42 13,43 13,47 13,49 13,53 13,55 13,56 14,3 14,37 14,39 14,44 14,48 15,18 15,24 15,33 18,32 18,20 19,3 19,19 19,30
132 190 190 47 394s 394s 394s 47 97, 412 412 412 412 412 299, 326 412 412 412 412 412 97 412 326 412 326 325 412 97, 412 412 412 412 412 412 412 397 399 397 397 397 320 397 320
Levitico 20,15 20,18 22,13 26,2 26,5 26,12 27,21
397 396 299 320 47 65 395
Numeri 3,17s 3,35 3,42 5,1 5,19 5,20 10,34 11,7 11,10 16,27 18,16 19,2 21,9 22,21 22,22 22,31 22,35 22,38 24,1 24,2 31,7 33,3 33,5
396 396 47 399 399 397 296, 298s, 318 97 160 111 395 326 47 164 116 112 164 117 409 113 397 160 160
Deuteronomio 1,1-6 132 2,34 47 5,2-5 135 5,12 320 5,15 320 7,7 398 8,20 399
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Deuteronomio 9,13 412 9,16 412 9,18 165 9,25 165 10,15 398 13,19 399 15,2 217 16,1 217 16,15 322, 399 16,19 215 17,13 214 18,22 64 19,3 217 19,11 299, 326s 20,7 327s 21,11 398 21,13 396 22,13 396, 398 22,22 396 22,23 299, 327s 22,25 399 22,28 399 24,1 396 24,9 217 25,5s 397 27,1 217 27,21 397 28,30 396 28,49 400 31,27 318 32 262, 277 32,4 260 33,2 201 Giosuè 2,1 2,5 2,9-12 2,16 2,21s 3,16
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110s 126 136-138 149 160 137
Giosuè 4,9 5,9 5,13 6,4-20 6,9 6,25 7,21 7,26 8,20 8,21s 8,23 8,28 8,29 9,5 9,12 9,27 10,1-3 10,39 13,13 14,13-15 14,14 15,63 16,10 19,29 22,11s 22,28 23,12
148 148s 113, 116, 412 167 112 148, 156 412 148 412 160 112 148 148 329 329 148 144s 47 148 139s 148 148 148 218 160 214 397
Giudici 1,4s 1,17 1,19 1,21 1,24 2,2 2,5 2,20 3,6 3,16 3,20 3,21s
161 112s 156 148 113 400 148 156 156 115 118 108
Giudici 3,23 3,24 3,25 3,26 3,27 4,1 4,12ss 4,16 4,21 4,32 5 6,6 6,19 6,11 6,13 6,21 6,22 6,24 6,38 7,2-8 7,19 7,13 7,16-22 8,4 8,20 8,32 8,34 8,28 9,34 9,43 9,55 10,4 11,1 11,7 11,15-22 11,39 12,2s 12,3 12,6 13,9 14,6
110, 118 118, 141s, 412 117, 141s 156 167 118 120 80 116, 156 156 80, 262, 277 156 115 116 117 118 409 148s 156 167s 110 117 165-169 111 111 111 113 156 111, 113s, 412 167 409 148 149 134-136 134 148, 396 133 135, 409 115, 194 116 102
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Indici dei passi e degli autori citati
Giudici 14,8 14,9 14,19 15,6 15,11 15,14 15,19 16,18 18,2 18,9 18,12 18,14 18,17 18,26 18,28s 18,29 19,7 19,18 19,22 19,25 19,30 20,16 20,36 20,41 21,12 21,21
412 112 102 138 386, 400 102 148 409 118 114, 409 148 386 137 409 116 148 109 136 396 396 143s 115 409 409 396 412
1 Samuele 1,14 90 1,19 396 2,3 109 2,25 399 3,11 405 4,11 156 5,1 156 5,7 409 6,12 112 6,19 160 9,2 96, 99 9,10s 118 9,16 409
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1 Samuele 9,27 110 10,6 102 10,10 102 10,11 402, 412 10,13 402 10,14 409 10,23 96, 99 10,24 96 11,11 167 11,6 102 12,12 409 12,17 109, 409s 13,3 213s 13,10 94 13,11 409 13,13s 9 13,14 97, 103 13,17 115 13,17s 167 14,1 160 14,3 160 14,6 160 14,16 412 14,17 406, 412 14,43 214, 401 15 89 15,1 399 15,12s 94 15,15-23 94 15,23 95 15,26 90 15,35 90 16,1-13 85-106 16,14 102s 17,39 129 17,42 100 17,49s 161 17,51 411 17,56 100 18,5 115 18,15 114, 410
1 Samuele 18,28 412 19,20 330s 20,1 401 20,22 100 20,30 386 20,36 109 20,37 112 22,33-46 257-281 23,11 214 23,15 409 24,12 410 26,3 409 28,13 113 28,19 218 28,21 409 30,3 156 30,8 214 31,5 409 31,7 409 2 Samuele 1,23 100 2,26 386 2,28 115, 167 3,7 398 3,16 112 3,24 402 3,26-34 402 3,38 386 5,12 156 6,1 47 7,14 65 10,6 409 10,9 409 10,14s 409 10,19 409 11,2 113 11,11 399 11,20 386 12,11 399 12,19 114, 411
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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
2 Samuele 12,21 402 12,41 156 13,8 109 13,34 412 14,7 400 15,16-32 119 15,26 214 15,30 111s 15,32 302 17,14 119 17,23 409 18,14 115 18,24 113, 412 18,26 113 19,2 147s 19,23 386 19,36 386 20,12 411 22 181, 190s 24,21s 373 1 Re 1,22 3,11 3,28 4,1 5,2 10,7 11,8 11,28 11,39 12,16 12,32s 13,21 13,26 16,18 17,1 17,10 18,11 18,14 18,21
An_78.indb 436
117 400 409 396 111 412 112 409 218 409 161 319 319 409 70 117 384 384 90
1 Re 19,9 19,13 19,19-21 20,4 20,7 20,25 20,43 21,8s 21,12 21,29 22,3 22,22 22,35 22,37
164 164 373 323 410 399 111 160 302 409 386 214 161 161
2 Re 1,9 2,3 2,5 2,14 3,7 3,26 4,32s 5,11s 5,7 6,17 6,20 6,30 6,32 7,5 7,7 7,8 8,29 9,1-29 9,15s 10,6 11,1 11,3 11,14 12,5 12,11
117 386 386 160 214 409 160 160 40 406 412 412 409 160 160 160 160 119s 160 399 409 111 412 395 411
2 Re 19,9 159 25,9 47 25,18-20 160 Isaia 9,1 178 9,5 181, 199 10,2 47 11,5 63 13,6 396 15,6 326 18-20 21 19,18 67 30,12 296, 299, 322 37,9 158s 40,6 384 40,21 386 40,28 386 41,7 47 42,16 115 42,22 323 43,19 386 45,1 126 45,10 384 50,4 47 52,13-53,12 22, 173-212 52,7 178 52,7-12 187 54,1-17 187 56,6 320 59,16 409 60,11 126 62,5 396 64,4 47 64,9 328 Geremia 2,19 3,8 4,14 4,21
410 409 90 90
21/06/11 15:41
437
Indici dei passi e degli autori citati
Geremia 4,23-26 5 5,23 7,3 7,23 9,9 10,11 13,12 17,6 17,8 18,19s 18,20 18,21 25,23 31,29 31,30 32,29 34,9s 40,14 41,10 44,2 44,8 47,5
412 337-355 319 55 65 347 221 386 409 409 399 328 299, 328s 47 125 125 318 159 386 161 318 318 47
Ezechiele 1,4 412 1,15 412 2,3 318s 2,5-8 319 2,8 318 2,9 412 3,9 319 3,26s 319 8,2 412 8,7 412 8,8 412 10,1 412 10,9 412 12,2 319 12,3 319, 409 12,9 319
An_78.indb 437
Ezechiele 12,25 319 12,27 319 14,14 371 14,20 371 16,28 160 17,12 319, 386 18,2 125 18,3 327 19,5 409 20,5 160 20,20 320 20,21 318s 23,13 409 23,44 398 24,3 319 27,5 47 30,6 214 36,34 322 37,8 409 37,23 65 44,4 412 44,6 319 44,24 320 46,2 126 Osea 2,15 4,1 4,9 4,16 6,6
321 206 321 290, 292 206
Amos 2,7 3,2 3,14 7,15 7,16 9,5
397 322 322 286 287s 287s
Abdia 3 11 16 17 21
384 288 64 286s, 292 64
Giona 1,10 3,8 4,6-8
400 287s 377
Michea 1,3s 1,10 2,1 3,1 7,5 7,12
258 288 321 386 286 287s
Abacuc 1,5 1,14 1,17 2,16 2,17 3 3,10 3,14 3,19
289, 292 290 290 289, 292 291s 262 287s 288 258
Sofonia 3,7 3,9 3,15
291s 286 286s, 292
Aggeo 2,1 2,13
287s 214
21/06/11 15:41
438
Zaccaria 1,12 2,15 4,2 4,5 4,13 5,1 5,9 6,1 14,2 Salmi 9-10 10,14 13,2 14 18 24,6 29,5 30,8 34,9 42,6 42,12 43,5 45,10 52,7 53 65,5 66,4 69,24s 69,26 69,36 72,3 73,14 79,5 85,14 88,4 88,13 94,16 97,3 99,8
An_78.indb 438
Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
90 412 412 386 386 412 412 412 396 21 409 217 381-392 181, 190s, 257278 201 124 323 408 216 216 216 396 217 381-392 206 217 328 328 217 17 296, 323 217 217 206 386 217 217 321
Salmi 106,2 119,159 126,3 139,10
217 409 296, 322 217
Giobbe 1,17 2,13 3,21 3,23 12,17 20,4 24,7 24,20 28 30,1 32,22 37,15s 37,19-24 38,33 38,37 39,1 41,26
167 409 192s 181 112 386 111 322 17, 20, 22 64 109 386 17 386 397 386 47
Proverbi 1,16 217 2,5 206 12,11 317 12,21 40 13,19 60 22,17-23,11 17, 21 23,26-24,22 21 24,24 384 28,19 317 Rut 1,8 1,18 1,21 2,15
214 107 111 109
Cantico dei Cantici 1,16 100 Qoelet 1,3 1,4 1,5 1,6 1,7 1,9 1,13 1,14 1,17 2,1 2,3 2,4-9 2,11 2,13 2,16 2,17 2,18-20 2,21 2,22 2,24 2,26 3,1 3,1-8 3,15 3,16 3,19 3,21 3,22 4,1 4,3 4,4 4,6 4,7 4,13 4,15 4,16 4,17 5,1
41 41 41 42 41 41 41 41s, 413 42 412 41 45s 41s 410 44 41s 41 38s, 43 38s, 41, 60 409 42 41 43 47s 41 42 41 409 41, 413 41 42, 47, 409 42 41 37 41 42 39 41
21/06/11 15:41
439
Indici dei passi e degli autori citati
Qoelet 5,8 5,9 5,12 5,15 5,17 6,1 6,2 6,5 6,7 6,8 6,9 6,11 6,12 7,7 7,8 7,11 7,14 7,20 8,8 8,9 8,11 8,12 8,14 8,15 8,16 8,17 9,1 9,3 9,6 9,9 9,13 9,4 10,5 10,6 10,7 10,10 10,11 10,16 10,17 10,19 10,20
An_78.indb 439
41 36 39, 41 39,42 41 39,41 39 42 44s 35 42 37 41 47s 42 41 39s, 47 41 42 41, 47 39s 39 37, 41 41 41 41 37, 47 39, 41 41 41 41 45 39, 41 35 41 125 37 41 41, 44 44 41
Qoelet 11,2 11,3 11,4 11,5 11,7 11,10 12,1 12,2 12,3 12,3-7 12,4 12,7 12,9 12,14
39, 41 41 41s 42 41 39 40 41 44, 125 46s, 218 125 41s 124s 47
Lamentazioni 1,4 325 1,11 324 1,16 322, 324s 1,20 409 3,30 206 Ester 2,3 2,12 3,5 3,15 5,9 7,7 8,11 9,29
47 359 409 111 111 409 47 47
Daniele 1,17 2 2,1 2,4 2,9 2,10 2,11
10 58, 71 242 221, 226, 233 226 233 235
Daniele 2,20 226, 238, 240s, 249 2,23 235 2,24 225s, 234, 249 2,25 234 2,31 231, 239, 241 2,32 232 2,34 234s, 239 2,35 246 2,40 226s 2,41 224, 241 2,42 240s 2,43 224, 238, 240s 2,44 227s 2,45 224 2,48s 243 3,1 232 3,1s 224, 242 3,3 236, 242 3,4 230, 243 3,6 235 3,7 234-236 3,7-9 244 3,12 246 3,15 237, 247 3,16 247 3,17 233, 247 3,18 235, 240 3,19 223s 3,23 223 3,25 231, 246 3,26 224, 229, 234 3,27 224, 229s, 244 4,1 243 4,1-3 242 4,2 225, 227 4,3 235 4,4 223, 230, 236, 242s 4,5 235 4,7 239, 241
21/06/11 15:41
440
Daniele 4,8 4,9 4,10 4,11 4,12 4,16 4,20 4,22 4,23 4,24 4,26 4,29 4,30 4,31 4,32 4,33 4,34 5,1s 5,1-4 5,2 5,3 5,3s 5,5 5,6 5,7 5,10 5,15 5,17 5,19 5,21 5,22 5,23 5,24 5,26-28 5,29 6,1 6,3 6,4 6,5
An_78.indb 440
Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
223 232 239 226, 231, 249 233s, 249 225, 227, 233 233s, 249 231 233 226 239 233 227s 234 226, 246 237 231, 237, 246 224, 242 223 225, 396 242, 396 223 235 230 234, 244 225s, 229, 233, 249 237, 246 226 239, 241 227s, 232 235 231, 235, 247, 396 236 223 235 224 227 239 236
Daniele 6,7 6,11 6,13 6,14-19 6,15 6,17-21 6,18 6,20 6,22 6,23 6,25 6,27 7,1 7,2 7,4 7,6 7,7 7,8 7,9 7,10 7,11 7,13 7,14 7,16 7,17s 7,19 7,20 7,21 7,23-27 7,27 7,28 8,3 8,5 8,15 10,5 10,20 11,17-19 12,1 12,4 12,5
229, 233 230, 239 245 222 223, 236 244s 222 227 233 224s 235 231, 240s, 246s 236, 242 238s 239 232, 239, 241 231s, 239, 241 238, 240 239 231 239, 241 239, 241 224 225, 247 225 231 231 231, 239 247-249 224, 244 221 412 302 412 214 386 218 60, 66 206 412
Esdra 4,8 4,9 4,12 4,13 4,14 4,15 4,16 4,19 4,20 4,21 4,21s 4,22 4,23 4,24 5,2 5,3 5,5 5,8 5,11 5,12 5,14s 5,15 5,16 5,17 6,1s 6,3s 6,7 6,10 6,13 6,18 7,12-26 7,19s 7,20 7,25
221, 242 236, 242 240 237 237s 226 231, 233 231, 235, 250 231s, 250, 318 226 250 226, 234 236 238s, 245 230, 245 230, 243 236 240 231, 246 223 222 226, 229, 231, 234, 249 231, 236s, 246 247 242 233 226, 234 231, 241 236 221, 242 221 226 229 226, 235
Neemia 2,6 6,6 13,19
396 60 126
21/06/11 15:41
441
Indici dei passi e degli autori citati
1 Cronache 1,4 371 10,5 409 10,7 409 19,6 409 19,10 409 19,15s 409 19,19 409 21,28 409 28,10 409
2 Cronache 9,6 412 12,7 409 13,5 386 15,9 409 16,14 358 18,21 214 22,9 117 22,10 409 23,13 412
2 Cronache 24,11 411 30,10 302 32,2 409 32,13 386
Scritti deuterocanonici ed apocrifi
An_78.indb 441
1 Esdra (LXX) 5,20 320 7,14 320
1 Maccabei 9,47 325 9,13 325
Giuditta 5,10 12,20 13,6-10 14,1 14,11 16,9
320 375s 376 376 376 376
2 Maccabei 3,34 322, 325 8,27 320 15,3 320
Tobia 6,12/13
327
4 Maccabei 16,15 330 Sapienza 1-19 23 17,16 317
Siracide 2,5 6,19 13,9 18,33 41,27 44,9 44,17
299 17 296, 319 296s 316 64 371
Daniele (Bel e il drago) 14,1-22 375 14,23 374 14,27 374
21/06/11 15:41
442
Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
Nuovo Testamento Matteo 3,1 7,29 10,10 11,18s 16,3 20,2 20,6 27,63 Marco 1 1,4 1,39 3,6 9,3 9,7 11,13 11,25
296 306 317 19 326 317 330 110 20 296 311 317 297 297 110 296
Luca 4,20 5,16 7,34s 10,7 13,27 19,47 23,10
330 306 19 317 317 312 196
Giovanni 1,19-51 1,49 4,6-38 15s 20,1-29
17 306 17 17 17
Atti degli Apostoli 1,10 330 1,11 296 26,6 296 26,22 296
1 Corinzi 13,9 55 2 Corinzi 3,7 330 3,13 330 6,14 297 Galati 6,3
110
Colossesi 1,18 297 1 Timoteo 5,18 317 Ebrei 5,12
297
Apocalisse 1,18 297 3,2 297 16,10 297
Manoscritti del Mar Morto 1QpHab II:9 1QpHab XI:9 1QapGen XII:10 1QapGen XX:27 1QapGen XXI:7 1QapGen XXII:1 1QapGen XXII:2 1QapGen XXII:8 1QapGen XXII:9
An_78.indb 442
289 289 63 63 58 58 58 58 58
1QapGen XXIII:9 58 1QapGen XXIII:10 58 1Q26 68, 72 1Q26 1:1 69 1Q26 1:4 72 1Q27 72 1Q27 1i:3s 71 1QS III:13ss 69 1QS III:16 65
1QS IV:18 1QS VI:4 1QS VIII:4 1QS IX:3 1QS IX:20 1QS X:5 1QS X:10 1QS XI:3s 1QS XI:5
64 62 65 65 69 69 65 72 69
21/06/11 15:41
443
Indici dei passi e degli autori citati
An_78.indb 443
1QS XI:7 1QS XI:11 1QSb V:25s 1QM I:12 1QM VI:6 1QM XVII:5 1QM XVIII:10 1QHa V:18 1QHa XI:33 1QHa XI:37 1QHa XVII:24 1QHa XIX:14 1QHa XX 1QHa XX:9 1QHa XXI:21
69 69 63 66 64s 70 66 70 67 65 65 70 68s 68 70
4QSama IV:4 4Q166 II:12 4Q174 1-2i:11 4Q175 :6 4Q180 1:1s 4Q206 4i:18 4Q213a 1:18 4Q252 14:2 4Q252 I.II 4Q252 I:12 4Q254a 3:2 4Q256 XIX:3 4Q265 7:7 4Q258 II:9 4Q258 VI:6 4Q258 VII:4 4Q258 IX:10 4Q266 3iii:25 4Q268 2i:8 4Q300 3:4 4Q381 1:1 4Q381 33+35:3
93 65 65 62 70 58 64 62 371 62 371 69 65 62 65 65 65 62 70 71 65 65
4Q381 76-77:15 4Q382 104:3 4Q385 6:9 4Q394 3-7i:18 4Q394 3-7ii:1 4Q395 :10 4Q396 1-2iii:7 4Q402 4:4 4Q402 4:12 4Q403 1i:22 4Q405 13:6 4Q415-418 4Q415 6:4 4Q416 2i:5 4Q416 2iii:9 4Q416 2iii:14 4Q416 2iii:17s 4Q416 2iii:14 4Q416 2iii:21 4Q417 1i:6 4Q417 1i:18 4Q417 2i:11 4Q418 10a:1 4Q418 43-45i:2 4Q418 43-45i:4 4Q418 69ii:7 4Q418 77:2 4Q418 77:4 4Q418 123ii:4 4Q418 126ii:5 4Q418 172:1 4Q418 184:2 4Q418 190:2 4Q418a 19:3 4Q423 4Q427 2ii 4Q463 1:2 4Q491 11ii:17
65 65 64 63 63 63 65 65 69 70 70 68, 72 72 72 72 72 72 71s 71 72 72 72 72s 72 72 70 71 72 73 66 71 73 73 65 68, 72 68 65 64s
4Q502 1:6 4Q511 10:10s 4Q529-537 4Q530 2ii:6 4Q530 2ii:9 4Q530 7ii:7
65 69 58 58 58 64
5Q13 1:7
371
11Q10 XV:5 11QT XXIX:7 11QT XXXI:7 11QT XXXIV:7 11QT XLVII 11QT XLVIII:16 11QT LVII:8 11QT LIX:13 11QT LXI.LXII 11QT LXI:3
64 65 57 57 63 65 63 65 62 64
CD I:13s CD II:2ss CD II:9ss CD II:20 CD III:1 CD VI:16 CD VIII:3 CD XIII:8
290 70 70 64 371 63 62 70
Mur24 B:15 58 Mur24 C:13 58 Mur24 E:11 58 Mur88 286-288, 292 8!evXIIgr
291s
Mas1k I:2
69
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Indice degli autori citati
ABULHAM MAS 75S ADINOLFI 80, 82 AERTS 295, 298-305, 307, 315, 331S A!ITUV 33, 49, 396, 403 AHRENS 377S AJDUKIEWICZ 36, 49 ALAND 295 ALEXANDER 304, 332 ALLONY 76, 82 ALONSO SCHÖKEL + CARNITI 386, 388S ALTER 90, 104 ALTMANN 75, 82 AMENTA 295, 308-313, 332 ANBAR 154, 170 ANDERSEN F. I. 114, 121 ANDERSEN T. D. 174, 176, 178, 180S, 209 ANDERSON 258, 261S, 266, 268, 278, 388S ANDRASON 174, 176, 178, 182, 209 ASSMANN 359, 369 AVIGAD + SASS 32S, 49 AVISHUR + HELTZER 33, 49 BAETHGEN 384, 389 BAILEY 371, 378 BAL 87, 104 BALDI 80, 82 BANETZ + BEN-SHAMMAI BAR-EFRAT 245, 254 BARNES 384-386, 389 BARONI 90, 104 BARR 32, 35, 49
An_78.indb 444
75
BARTELMUS 53-57, 60, 62S, 66S, 69, 73S, 364, 369 BARTHÉLEMY 80, 82, 95, 104, 291, 293 BARTOR 402S BASILE 326, 332 BAUER 306, 332 BAUER + LEANDER 203, 209, 221, 227, 229, 231, 233-235, 238, 249, 254 BAUMANN 90 BAUMGARTEN 62 BECKER 154, 170 BECKMAN 374, 378 BEER 387, 389 BEIT-ARIÉ 80, 82 BEN-!AYYIM 123S, 126 BENTEIN 308S, 333 BERGSTRÄSSER 274, 278 BERLIN 113, 121, 123, 126 BERMAN 359-365, 369 BIEBERSTEIN 155, 160, 170 BJÖRK 301S, 304, 307, 333 BLACK 377S BLAU 123, 126, 141, 151, 225, 243, 254 BLENKINSOPP 177S, 187-193, 196, 198204, 206, 209 BLASS + DEBRUNNER 296, 299, 301, 332S BLOCH 179S, 183, 209 BLUM 155, 162, 164, 170, 216, 219 BLYTHIN 205S, 209 BOMAN 54, 74 BOMBECK 230, 254
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Indici dei passi e degli autori citati
BONEH + DORON 270, 278 BORDREUIL + PARDEE 277S BRENNER 396, 403 BRENTON 298S, 318-329, 331, 333 BRIGGS 384-386, 388S BROCKELMANN 181, 209, 229, 254 BROOKE + MCLEAN 298 BROWNING 309, 333 BRUCK 259, 272, 278 BUBER + ROSENZWEIG 97, 104, 133, 147S, 151, 153, 158, 160 BUDDE 387, 389 BUTH 119, 121, 144, 149-151, 154, 170, 221-223, 235S, 254 BYBEE 118, 121, 174-179, 191, 194, 209 BYBEE + PERKINS + PAGLIUCA 313, 333 CALÈS 386, 389 CAMPBELL 305S, 333 CAQUOT 259, 278 CARBAJOSA 284, 293 CARBONE + RIZZI 321, 333 CARROLL 340-342, 352 CASTELLINO 382, 384-386, 389 CATHCART + GORDON 287, 289, 293 CHESTERMAN 36, 49 CHIESA 76, 78, 80, 82 CHISHOLM 257-261, 163, 265, 267S, 270S, 273, 278 CLINES 371S, 378 CLINES + ELWOLDE 206, 209 CLOETE 338-344, 352, 354S COHEN D. 222, 229, 232, 234, 238, 254 COHEN M. 75, 82, 92, 97, 104 COLLINS 243, 254 COMPAGNANO DI SEGNI 80, 82 COMRIE 174, 209 CONYBEARE + STOCK 296, 299, 333 COOK E. M. 224, 231, 250, 254 COOK J. A. 119, 221, 142, 149-151 COQUET + DE ROBERT 94, 99, 104 COSERIU 308, 312, 333
An_78.indb 445
445
COSTACURTA 92, 100, 104 COXON 240, 254 CRAIGIE 384-386, 388S CROATTO 44, 49 CROSS 260, 278 CROSS + FREEDMAN 179, 209, 257, 260S, 266, 268S, 278 CRÜSEMANN 263, 278 DAHL 174S, 179, 209, 270, 278 DAHOOD 31, 33, 49, 260, 278, 387S, 390 DANA + MANTEY 296, 333 DAVIDSON 115S, 121 DAVIES G. I. 32, 47, 49 DAVIES P. R. 290, 293 DEGEN 181, 209 DELITZSCH 384, 386, 388, 390 DELSMAN 31, 49 DEMIRDACHE + URIBE-ETXEBARRIA 265, 278 DEMSKY 363, 370 DHORME 97, 100, 104 DIETRICH 295S, 298, 308, 333 DÍEZ MACHO 75, 82 DIK 309S, 333 DOBBS-ALLSOPP 33, 49, 179, 209 DOTAN 78S, 82 DRINKA 317, 334 DRIVER 109, 115S, 121, 189S, 200-204, 209, 214, 218S DRORY 80, 82 DUHM 191, 210, 386, 388, 390 EDZARD 376, 378 EHRLICH 158, 170, 398 EMERTON 271, 278 ERMAN-GRAPOW 372, 278 ESHEL 396, 403 ESKHULT 109, 118, 120S, 141, 151, 243, 254, 405, 407, 414 ESLINGER 100S, 105
21/06/11 15:41
446
EVANS 297-299, 304-309, 316-318, 325, 334 EWALD 384, 390 FANNING 297, 305, 316, 334 FASSBERG 124-126 FIRMAGE 33, 49 FISCHER G. 340, 342, 352 FISCHER W. 177, 192S, 206, 210 FLEISCHMANN 174, 183, 210 FOKKELMAN 90, 92, 96S, 99S, 103, 105, 339, 352 FOLLINGSTAD 407, 414 FRITZ 160, 170 FÜCK 76, 83
Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
GREENFIELD 234, 238, 253 GREENSTEIN 257, 271, 277, 279 GRELOT 237, 254 GRILLET + LESTIENNE 100, 105 GROSS 130, 136, 149, 152-154, 165, 170, 179, 210, 213, 216, 219 GUNKEL 158, 170, 384, 388, 390 GURNEY 374, 378 GZELLA 33, 50, 178, 210, 221, 224S, 227, 229-232, 237, 239S, 243, 254S
HABEL 89, 92, 105 HALKIN 75S HALLIDAY 183S, 195, 210 HALLO 259S, 279 HARRINGTON 68, 71S, 74 HARTLEY 395, 403 GALPAZ-FELLER 358S, 361, 370 GARCÍA MARTÍNEZ + TIGCHELAAR 290, 293 HASPELMATH 313, 315, 334 GARR 271, 273, 279 HATAV 107, 113, 119, 121, 151S, 265, 279 GASS 163, 170 HATCH + REDPATH 325, 334 GEIGER 232, 254, 317, 334 HENKIN 151 GELSTON 285S, 288, 290-293 HERKENNE 386, 390 GENETTE 87, 101, 105 HERMISSON 162, 170 GESENIUS + KAUTZSCH (+ COWLEY) 67, HITZIG 382, 390 92S, 109, 111, 114, 116, 260, 314S, 386, HOFFNER 374S, 378 405 HOLZINGER 160 GIACALONE RAMAT 317, 334 DE HOND 78, 83 GIANTO 180, 182, 210 HOOROCKS 309, 334 GIBSON + DAVIDSON 118, 121, 381, 384S, HOSSFELD + ZENGER 388, 390 390 HUART 75, 83 GIL 79, 83 HUEHNERGARD 181, 210 GINSBERG 259, 279 HURVITZ 315, 334 GINSBURG 386, 390 HUTZBERG 94, 105 GIRARD 386, 388, 390 GIVÓN 119, 121, 201, 210 ISAKSSON 31, 43, 50, 110, 114, 117, 121, 150, 152, 173, 176, 178-180, 182-186, DE GOEJE 76 188, 190-195, 208, 210 GOGEL 32S, 50 GOLDENBERG 44, 50 JACOB 158, 170, 358, 363S, 370 GOLDINGAY 386-388, 390 GONDA 304, 307, 334 JACQUET 386, 388, 390 GOOD 295, 313S, 334 JENNI 59, 64S, 67, 72-74, 97, 105 GORDIS 48, 50, 125S JONGELING 97, 105
An_78.indb 446
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447
Indici dei passi e degli autori citati
JOOSTEN 95, 105, 123S, 126, 218S JOÜON 97, 105, 120S, 315, 334 JOÜON + MURAOKA 32, 47, 50, 109, 111, 116-118, 121, 149, 152, 177, 182, 191, 203S, 206, 210, 315, 334, 381, 385S, 390, 405, 407, 414 KADDARI 397S, 403, 405, 407, 414 KAHN 304S, 334 KAMP + REYLE 265, 279 KANT 75 KARLEEN 304S, 335 KATSUMURA 405, 414 KEIL + DELITZSCH 260S, 263, 266S, 269, 279 KESSLER 90, 96, 105 KHAN + ÁNGELES GALLEGO + OLSZOWYSCHLANGER 79, 83 KHOURY 78 KIENAST 109, 121 KING 386, 390 KIRKPATRICK 384-386, 388, 390 KISSANE 386, 390 KITTEL 386, 390 KLEIN 94, 99S, 102, 105 KOENEN 163, 170 KOGAN + TISHCHENKO 258, 279 KOGUT 113S, 122, 405, 414 KÖNIG 111, 122, 160, 170, 388, 391 KORCHIN 173, 186, 210 KOSCHMIEDER 155, 171 KOSESKA-TOSZEWA + GARGOV 34, 50 KOSTER 284S, 293 KOTTSIEPER 178, 180, 210 KOUWENBERG 123, 126 KRAHMALKOV 181, 210 KRAUS 386, 388, 391 KRAUSE 67, 74 KRIFKA 267, 270, 279 KROPP 76, 83 KRÜGER 126 KUHL 154, 171
An_78.indb 447
KUHR
114, 122
LAMSA 286, 290S, 294 LANE 284S, 294 LEHMANN 187, 195, 210, 313, 335 LELIÈVRE + MAILLOT 386, 388, 391 LEMAIRE 32, 50 LEVI DELLA VIDA 78, 83 LEVINE 395, 403 LI 221, 224, 227, 229, 232, 234, 236, 238-242, 255 LIDDLE + SCOTT 324S, 335 LIFSCHITZ 386, 388, 391 LIMBURG 386, 391 LIPSIUS + BORMET 330, 335 LOHSE 62, 64, 74 LONG 154, 171 LONGACRE 265, 279 LUNDBLOM 341-344, 350-352, 354S LUST + EYNIKEL + HAUSPIE 299, 329, 335 LUTHER 153 LUZZATTO 396, 398 LYONS 34-36, 42, 44, 47, 50 MAIER 62-65, 67-69, 74 MALTER 78, 83 MANNATI 382, 388, 391 MARCUZZO 77 MARGOLIOUTH 76, 79, 83 MARGUERAT 87, 105 MARGUERAT + BOURQUIN 89, 91, 97, 105 DE MARIVAUX 75 MARKOPOULOS 315S, 335 MARMARDJI 75-77, 83 MATTHIESSEN + THOMPSON 183, 211 MCCARTER 95, 105, 257-262, 266, 268, 279 MCCARTHY 405S, 414 MCGAUGHY 306, 335 MEADOWCROFT 243, 245, 248, 255 V. D. MERWE 149, 152, 405, 407, 414 MESCHONNIC 386, 391
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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
MEYER 112, 116, 122 MICHEL 257, 265, 279 MILGROM 395, 397, 403 MILIK 71 MILLER 32, 50, 217, 234, 255 MONTANARI 323, 329, 335 MOORE 320, 335 MORAN 150, 173-175, 211, 271, 279 MORO 316, 335 MORTARI 298, 322S, 335 MOULTON 107, 122 MÜLLER A. R. 32, 50 MÜLLER H. P. 206, 211 MURAOKA 180, 211, 225, 234, 238S, 255, 271, 279S, 299, 315, 326, 329, 335, 405, 414 NAUMANN 365, 370 NEBES 185, 211 NICCACCI passim NICCACCI + CORTESE 381 NIDA + LOUW 323, 335 NOTARIUS 151S, 186, 211, 259, 265, 269S, 272, 280 NOTH 162, 171 NYBERG 109, 113, 116, 118, 122, 183, 190, 192, 196, 201S, 211 O’CONNOR 338S, 353 OESTERLEY 385S, 391 DEL OLMO LETE + SANMARTÍN ORLINSKY 397, 403 PARDEE 259S PARKER 259, 280 PARKINSON 372S, 278 PARRY 258, 280 PARTEE 267, 280 PAT-EL 234, 255 PELLAT 77, 83 PÉREZ FERNÁNDEZ 314, 335 PETERS 386, 391
An_78.indb 448
259, 280
V.
PEURSEN 37, 50, 56S, 74 PIATTELLI 75 PIETERSMA + WRIGHT 295, 335 PIETSCH 181, 184, 211 PIQUER OTERO 271, 277, 280 PODECHARD 384S, 388, 391 POLAK 236, 255 POLZIN 90, 105 PORTER 295-297, 303-307, 312, 316, 335S PREMPER 111, 122 PROPP 271, 289 PUSCH + WESCH 309, 335 QIMRON
216, 219
RABATEL 87S, 100S, 105S RABIN 115, 122 RAHLFS 295, 298, 374 RAINEY 173-175, 211, 271, 280S RATNER 123, 127 RAVASI 382, 385S, 391 REED 376, 378 REGARD 304, 336 DE REGT 131, 152 REICHENBACH 265, 281 REINHART 119 RENDSBURG 377S RENZ + RÖLLIG 184, 188, 211 REVELL 180, 211, 213, 219 RICHTER 153S, 166, 171, 213 RIJKSBARON 317, 336 ROBINSON 377S ROGLAND 224, 227, 255, 271, 281 ROSÉN 213, 219, 221, 234, 236, 255, 304, 336 ROSENBAUM 339S, 353 ROSENBLATT 78, 83 ROSENTHAL 243, 249, 255 DE ROSSI 386, 391 RÖSSLER 213, 219 ROTH 76, 83 ROTHSTEIN 397-399, 403
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Indici dei passi e degli autori citati
ROWLEY 241, 255 RUBINSTEIN 202, 211 RUDOLPH 159, 171 RUJIGH 305, 336 RUNDGREN 110, 120, 122 SABOURIN 384, 386, 388, 391 SAKITA 267, 281 V. D. SANDE 173, 178, 180, 211 SANDY 377, 379 SANMARTÍN 376, 379 SARFATTI 32, 50 SAVOCA 386, 391 SCARPAT 330, 336 SCHERER 166, 171 SCHMIDT H. 386, 388, 391 SCHMIDT L. 160, 171 SCHMUTTERMAYR 259, 261S, 265, 281 SCHNEIDER 67, 74, 337, 349, 353 SCHOORS 31, 39, 41-43, 50, 126 SCHORCH 35, 50, 396S, 403 SCHRAMM 75 SCHÜLE 32, 50, 176S, 180S, 184, 211 SCHWEIZER 364, 370 SCHWIENHORST-SCHÖNBERGER 31, 51 SEEBASS 159, 171 SEELIGMAN 154, 171 SEGERT 33, 51, 195, 211, 221, 229, 231234, 236, 249, 256 SEOW 126S SEYBOLD 386, 391 SHEPHERD 221, 225, 228 SIMPSON 372, 379 SINGER 374, 379 SIVAN 33, 51, 259, 271, 281 SKA 87, 106, 154, 163, 171 SKLARE 79, 83 SMITH C. 265-271, 281 SMITH H. P. 92, 106 SMITH M. P. + PITARD 259, 277, 281 SMYTH 326, 336 V. SODEN 177, 211, 377, 379
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SPEISER 394-396, 403 SPERBER 80, 83 SPICQ 327, 336 STEINMETZ 372, 379 STERNBERG 91, 96, 102, 106 STEVENSON 239, 256 STIPP 155, 158, 161, 171S STRACK 163, 172 LE STRANGE 77, 83 STOL 377, 379 TALMON 154, 172 TALSHIR 274, 281 TALSTRA 186, 211, 337, 345, 348, 353 TATE 386, 388, 392 TAWIL 398, 403 THACKEREY 297, 336 TOMLIN 174, 211 TOOLAN 266, 281 TOTTOLI 78, 83 TOV 283, 291, 294 TROPPER 173-182, 185, 187, 211, 259, 271S, 277, 281 TURNER 297, 336 TUSA MASSARO 305, 320, 336 URBACH
80
VAJDA 78S, 83 VESCO 382, 384-386, 388, 392 VIGNOLO 103, 106 DE LA VILLA POLO 310S, 336 VIRONDA 90, 93S, 99S, 106 VOGT 233S, 237, 249, 256 WALTERS 102, 106 WALTISBERG 181, 211 WALTKE + O’CONNOR 155, 172, 260, 262, 272, 281, 315, 336, 388, 392 WATKINS 375, 379 WATSON 338, 353, 371 WATTS 189, 211
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WEINRICH 85S, 106, 129-133, 135S, 140142, 144, 146, 150, 152, 222, 233, 235, 256 WELLHAUSEN 382, 392 WENDLAND 338, 353 WENHAM 398, 403 WÉNIN 89, 106 WESSELIUS 237, 256 WESTERMANN 158, 172 WEVERS 298, 326, 336 WIENER 154, 172 WILDBERGER 159, 172, 178, 211 WILLIAMS 385S, 392 WILLIAMSON 206, 211 WILLI-PLEIN 71, 74 WILSON 372, 379
Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ
WINER 297, 336 WOLF 301, 336 WRIGHT 108, 111S, 116, 122 WÜSTENFELD 77 WYATT 374, 379 XRAKOVSKIJ
269, 281
YOUNG 258, 261, 281 YUN 33, 51 ZADOK 33, 51 ZENGER 386 ZEVIT 107, 122 ZEWI 117, 122, 271, 281, 405, 407, 414 ZIMMERMANN 31, 51
BDB 233S, 262, 286, 289, 291, 405, 407 CAD 377, 398 DJD 62, 67, 71S, 258, 260, 278, 286, 293S HALOT 90, 125, 198, 203, 233S, 237, 260, 262, 287, 371S, 377, 405, 407 KAI 33, 177, 184 KTU 185, 259, 272
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Collana Analecta Studium Biblicum Franciscanum - Jerusalem
77 L. Cignelli - R. Pierri, Sintassi di greco biblico (Lxx e NT). Quaderno II.A. Le diatesi, Milano 2010, 140 pp. 76 E. Cortese, Il tempo della fine. Messianismo ed escatologia nel messaggio profetico, Milano 2010, 252 pp. 75 R. Mazur, La retorica della lettera agli Efesini, Milano 2010, 580 pp. 74 M Pazzini, Il Targum di Rut, Milano 2009, 136 pp. 73 F. Manns, Jérusalem, Antioche, Rome. Jalons pour une theologie de l’Eglise de la circoncision, Milano 2009, 442 pp. 72 M. Pazzini, Il libro dei Dodici profeti. Versione siriaca - vocalizzazione completa, Milano 2009, 138 pp. 71 N. Casalini, Parole alla Chiesa. La tradizione paolina nelle lettere pastorali, Milano 2009, 470 pp. 70 N. Ibrahim, Gesù Cristo Signore dell’universo. La dimensione cristologica della lettera ai Colossesi, Milano 2007, 240 pp. 69 L. D. Chrupcała, The Kingdom of God. A Bibliography of 20th Century Research, Jerusalem 2007, xliv+873 pp.; fully indexed. 68 R. Pierri (a cura di), Grammatica Intellectio Scripturae. Saggi filologici di Greco biblico in onore di Lino Cignelli OFM, Jerusalem 2006, 17x24, 386 pp. 67 N. Casalini, Lettura di Marco. Narrativa, esegetica, teologica, Jerusalem 2005, 381 pp. 66 N. Casalini, Introduzione a Marco, Jerusalem 2005, 303 pp. 65 A. Niccacci - M. Pazzini - R. Tadiello, Il Libro di Giona. Analisi del testo ebraico e del racconto, Jerusalem 2004, 134 pp. 64 M. Pazzini, Lessico Concordanziale del Nuovo Testamento Siriaco. Jerusalem 2004, XIX-469 pp. 63 A. M. Buscemi, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, Jerusalem 2004, XXVI-691 pp.
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62 F. Manns, L’Évangile de Jean et la Sagesse, Jerusalem 2002, 316 pp. 61 L. Cignelli - R. Pierri, Sintassi di Greco Biblico. Quaderno I,A: Le concordanze, Jerusalem 2003, 108 pp. 60 M. Pazzini, Il Libro di Rut. Analisi del testo siriaco, Jerusalem 2002, 108 pp. 59 R. Pierri, Parole del Profeta Amos. Il libro di Amos secondo i LXX, Jerusalem 2002, 161 pp. 58 N. Casalini, Le Lettere Cattoliche e Apocalisse di Giovanni. Introduzione storica, letteraria e teologica, Jerusalem 2002, 368 pp. 57 N. Casalini, Teologia dei Vangeli, Jerusalem 2002, 402 pp. 56 F. Manns, Le Midrash. Approche et commentaire de l’écriture, Jerusalem 2001, 200 pp. 55 I. Molinaro, Ha parlato nel Figlio. Progettualità di Dio e risposta del Cristo nella lettera agli Ebrei, Jerusalem 2001, 360 pp. 54 N. Casalini, Le lettere di Paolo. Esposizione del loro sistema di teologia, Jerusalem 2001, 304 pp. 53 N. Casalini, Iniziazione al Nuovo Testamento, Jerusalem 2001, 396 pp. 52 A. Niccacci (Ed.), Jerusalem. House of Prayer for All Peoples in the Three Monotheistic Religions, Jerusalem 2001, 193 pp. 51 A. Niccacci - M. Pazzini, Il Rotolo di Rut. Analisi del testo ebraico, Jerusalem 2001, 106 pp. Prima ristampa ETS, Milano 2008. 50 G. C. Bottini, Giacomo e la sua lettera. Una introduzione, Jerusalem 2000, 311 pp. 49 J. C. Naluparayil, The Identity of Jesus in Mark. An Essay on Narrative Christology, Jerusalem 2000, xviii-636 pp. 48 A. M. Buscemi, Gli inni di Paolo. Una sinfonia a Cristo Signore, Jerusalem 2000, 200 pp. 47 E. Cortese, Deuteronomistic Work. English translation by S. Musholt, Jerusalem 1999, 178 pp. 46 M. Pazzini, Grammatica Siriaca, Jerusalem 1999, 188 pp. 45 L. D. Chrupcala, Il Regno opera della Trinità nel Vangelo di Luca. Jerusalem 1998, 276 pp.
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44 M. Adinolfi - P. Kaswalder, Entrarono a Cafarnao. Lettura interdisciplinare di Marco. Studi in onore di V. Ravanelli, Jerusalem 1997, 20022, 306 pp. 43 A. M. Buscemi, San Paolo: vita, opera e messaggio, Jerusalem 1996, 335 pp. Prima ristampa ETS, Milano 2008. 42 F. Manns, L’Israël de Dieu. Essais sur le christianisme primitif, Jerusalem 1996, 340 pp. 41 F. Manns (Ed.), The Sacrifice of Isaac in the Three Monotheistic Religions. Proceedings of a Symposium on the Interpretation of the Scriptures held in Jerusalem. March 16-17 1995, Jerusalem 1995, 203 pp.; ills. 40 A. Niccacci (Ed.), Divine Promises to the Fathers in the Three Monotheistic Religions. Proceedings of a Symposium held in Jerusalem, March 24-25th, 1993, Jerusalem 1995, 220 pp. 39 M. C. Paczkowski, Esegesi, teologia e mistica. Il prologo di Giovanni nelle opere di S. Basilio Magno, Jerusalem 1996, 264 pp. 38 P. Garuti, Alle origini dell’omiletica cristiana. La lettera agli Ebrei. Note di analisi retorica, Jerusalem 1995, 20022, 439 pp. 37 G. Bissoli, Il Tempio nella letteratura giudaica e neotestamentaria. Studio sulla corrispondenza fra tempio celeste e tempio terrestre, Jerusalem 1994, 20022, XIV-239 pp. 36 F. Manns, Le Judaïsme ancien, milieu et mémoire du Nouveau Testament, Jerusalem 2001, 267 pp. 35 G. C. Bottini, Introduzione all’opera di Luca. Aspetti teologici, Jerusalem 1992, 255 pp. 34 N. Casalini, Agli Ebrei. Discorso di esortazione, Jerusalem 1992, 459 pp. 33 F. Manns, L’Évangile de Jean à la lumière du Judaïsme, Jerusalem 1991, 20002, 548 pp. 32 N. Casalini, I misteri della fede. Teologia del Nuovo Testamento, Jerusalem 1991, 722 pp. 31 A. Niccacci, Lettura sintattica della prosa ebraico-biblica. Principi e applicazioni, Jerusalem 1991, XI-264 pp. 30 N. Casalini, Il Vangelo di Matteo come racconto teologico. Analisi delle sequenze narrative, Jerusalem 1990, 114 pp.
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29 P. A. Kaswalder, La disputa diplomatica di Iefte (Gdc 11,12-28). La ricerca archeologica in Giordania e il problema della conquista, Jerusalem 1990, 364 pp. 28 N. Casalini, Libro dell’origine di Gesù Cristo. Analisi letteraria e teologica di Matteo 1-2, Jerusalem 1990, 173 pp. 27 A. Niccacci, Un profeta tra oppressori e oppressi. Analisi esegetica del capitolo 2 di Michea nel piano generale del libro, Jerusalem 1989, 211 pp. 26 N. Casalini, Dal simbolo alla realtà: l’espiazione dall’Antica alla Nuova Alleanza secondo Ebr 9,1-14. Una proposta esegetica, Jerusalem 1989, 276 pp. 25 E. Testa, La legge del progresso organico e l’evoluzione. Il problema del monogenismo e il peccato originale, Jerusalem 1987, 458 pp., 74 pls. 24 A. Lancellotti, Grammatica dell’ebraico biblico. A cura di Alviero Niccacci, Jerusalem 1996, VIII-200 pp. 23 A. Niccacci, Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica, Jerusalem 1986, 127 pp. 22a F. Manns, Jewish Prayer in the Time of Jesus, Jerusalem 1994, 20022, XI291 pp. 22 F. Manns, La prière d’Israël à l’heure de Jésus, Jerusalem 1986, 304 pp. 21 F. Manns, Pour lire la Mishna, Jerusalem 1984, 246 pp. 20 V. Cottini, La Vita Futura nel Libro dei Proverbi, Jerusalem 1984, 404 pp. 19 F. Manns, Le symbole eau-Esprit dans le Judaïsme ancien, Jerusalem 1983, 340 pp. 18 A. Vítores, Identidad entre el cuerpo muerto y resucitado en Orígenes según el “De resurrectione” de Metodio de Olimpo, Jerusalem 1981, 259 pp. 17 A. M. Buscemi, L’uso delle preposizioni nella lettera ai Galati, Jerusalem 1987, 119 pp. 16 G. C. Bottini, La preghiera di Elia in Giacomo 5,17-18. Studio della tradizione biblica e giudaica, Jerusalem 1981, 200 pp. 2 pls. 15 L. Cignelli, Studi Basiliani sul rapporto “Padre Figlio”, Jerusalem 1982, 128 pp. 14 B. Talatinian, Il Monofisismo nella Chiesa armena. Storia e Dottrina, Jerusalem 1980, 122 pp.
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13 F. Manns, Bibliographie du Judéo-Christianisme, Jerusalem 1979, 263 pp. Non disp. 12 F. Manns, Essais sur le Judéo-Christianisme, Jerusalem 1977, 226 pp. Non disp. 11 F. Manns, “La Vérité vous fera libres”. Etude exégétique de Jean 8,31-59, Jerusalem 1976, 221 pp. 10 M. F. Olsthoorn, The Jewish Background and the Synoptic Setting of Mt 6,25-33 and Lk 12,22-31, Jerusalem 1975, 88 pp. 9 L. Cignelli - I. Mancini - M. Brlek, Bonaventuriana. Saggi in occasione del VII centenario della morte di S. Bonaventura, Jerusalem 1974, 159 pp. 8 G. Giamberardini, Il culto mariano in Egitto. Vol. III. Secolo XI-XX, Jerusalem 1978, 487 pp.; 24 pls. 7 G. Giamberardini, Il culto mariano in Egitto, Vol. II. Secolo VII-X. Jerusalem 1974, 432 pp.; ills. 6 G. Giamberardini, Il culto mariano in Egitto, Vol. I. Secolo I-VI. Jerusalem 1975, 330 pp.; 24 pls. 5 M. Miguéns, El Pecado que entró en el mundo. Reflexiones sobre Rom. 5,1214, Jerusalem 1972, 138 pp. 3 E. Testa, Il Peccato di Adamo nella Patristica (Gen. III), Jerusalem 1970, 217 pp. 2
M. Miguéns, El Paráclito (Jn 14-16), Jerusalem 1963, 277 pp.
1 A. Lancellotti, Grammatica della lingua accadica, Jerusalem 1962, 19952, XVI-194 pp.; 43 pp. testi accadici.
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