ALAN DEAN FOSTER STELLA ORFANA (Orphan Star, 1977) A Joe e Sherry Hirschhom e alle loro tre principesse, Renée, Bonnie e...
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ALAN DEAN FOSTER STELLA ORFANA (Orphan Star, 1977) A Joe e Sherry Hirschhom e alle loro tre principesse, Renée, Bonnie e Janice, che abbellirebbero qualunque favola, con amore, da Alan... CAPITOLO PRIMO — Guarda dove metti i piedi, qwot! Il mercante lanciò un'occhiata furiosa al giovanotto magro dalla pelle olivastra e ostentatamente si rassettò l'indumento appena appena spiegazzato. — Le chiedo perdono, nobile signore — replicò cortesemente il giovanotto. — Non ho fatto in tempo a vederla, in mezzo a questa calca. — Ciò era allo stesso tempo verità e menzogna. Flinx non aveva visto quell'arrogante affarista, ma aveva percepito la bellicosità di quell'uomo qualche istante prima che costui cambiasse repentinamente direzione provocando l'urto. I suoi misteriosi talenti mentali, benché si fossero notevolmente sviluppati parecchi mesi prima, in occasione del suo incontro col Krang (quella spaventosa arma semisenziente degli ormai scomparsi padroni della galassia, i Tar-Aiym), erano ancora quantomai vaghi e imprevedibili. L'essersi trovati a fungere da catalizzatore organico di quel colossale congegno aveva finito quasi con l'uccidere sia lui che Pip. Ma erano ambedue sopravvissuti, e dopo quella sconvolgente esperienza lui aveva scoperto di essere cambiato, sia pure in qualche modo finora incomprensibile. In seguito aveva scoperto di essere in grado, a un certo istante, di percepire addirittura i pensieri del re, nel cuore del palazzo di Drallar, mentre l'istante successivo perfino le menti di coloro che si trovavano vicinissimi a lui gli restavano ermeticamente chiuse, peggio del borsellino di un taccagno. Ciò manteneva Flinx in una continua incertezza, e lui malediceva quel dono per la sua capricciosità che gli negava equilibrio e pace. Era come un bambino che, disperatamente aggrappato alla criniera di un'antilope-diavolo infuriata, lotta con tutte le forze per non farsi sbalzar via e al
tempo stesso per dominare la sgroppante cavalcatura. Si fece di lato per aggirare quella massa di carne sfarzosamente impaludata, ma il grasso mercante si mosse bloccandogli il passo. — I ragazzini devono imparare a rispettare i grandi — insisté, con un risolino compiaciuto: non era per nulla disposto, contrariamente a Flinx, a lasciar perdere l'incidente. Flinx percepì frustrazione nella mente dell'uomo, e ne cercò le cause scavando più in profondità. Colse nebulosi accenni a un grosso affare che gli era andato in fumo proprio quella mattina. Ciò ne spiegava l'intima rabbia e il desiderio di rifarsi su qualcuno. Mentre Flinx rifletteva su tutto questo, l'uomo si esibì in una scena-madre, arrotolandosi le maniche e rivelando così un paio di braccia massicce. La sua frustrazione sembrò trarre sollievo dalle occhiate curiose che subito la folla aveva cominciato a rivolgergli; il continuo fluire della gente rallentò intorno a lui: commercianti, venditori ambulanti, mendicanti, artigiani, formarono ben presto un cerchio compatto, immobile al centro dell'incredibile e multicolore vortice in perenne movimento che era il mercato di Drallar. — Le ho chiesto scusa — ripeté Flinx, con voce tesa. Un pugno grosso come un maglio cominciò ad alzarsi. — Chiesto scusa? Ma guarda! Credo proprio che dovrò insegnarti... — Il mercante si arrestò di botto, il pugno minaccioso s'irrigidì a mezz'aria. L'uomo si sbiancò in volto e strabuzzò gli occhi, fissando la spalla di Flinx più lontana rispetto a lui. Come d'incanto una testa era emersa dalle pieghe cascanti del mantello del giovane. E quella testa contemplava a sua volta il mercante con uno sguardo fisso e immobile che irradiava morte: una morte gelida, aliena, dallo sconvolgente sentore del metano ghiacciato. Il cranio era minuscolo, scaglioso, da rettile, per nulla impressionante; ma dietro la testa uscì fuori dalle pieghe del mantello un lungo corpo cilindrico, e due ali membranose finemente pieghettate si aprirono e batterono pigramente l'aria. — Mi dispiace... — si trovò a balbettare il mercante. — È stato tutto un errore... La colpa è tutta mia, davvero. — Fece un debole sorriso e lanciò due rapide occhiate a sinistra e a destra. La folla radunata all'intorno lo ricambiò con sguardi del tutto privi d'espressione. Fu interessante notare che in pochi attimi il massiccio mercante parve restringersi, rimpicciolire, finché la folla intorno a lui lo inghiottì pulitamente in un istante, all'identico modo in cui un garoupa avrebbe inghiottito un pesce usato come esca. Fatto ciò, quelle figure nuovamente impersonali
e distratte ripresero il loro incessante fluire, un fiume umano in eterno movimento. Flinx si rilassò e alzò una mano per grattare il serpente volante sotto il muso coriaceo. — Calma, Pip — gli bisbigliò, inviandogli pensieri affettuosi e rilassanti. — Non è successo niente: calmati, adesso. Rassicurato, il minidrago lanciò un acuto sibilo e tornò a scivolare sotto le pieghe del mantello, e le ali si ripiegarono appiattendosi contro il suo corpo. Il mercante aveva identificato prontamente il rettile, e poiché era un uomo che aveva viaggiato molto sapeva che non c'erano antidoti conosciuti contro il veleno del serpente alaspino. — Forse ha imparato qualcosa, qualunque fosse la lezione che aveva in mente di darci — osservò Flinx. — Cosa diresti se andassimo da Piccolo Symm per una birra e un po' di pretzel per te? Ti piacerebbe, summm? Il serpente fece a sua volta «Summm», manifestando così il proprio gradimento. Non molto distante, tra la densa folla, un signore sgradevole e obeso ringraziò un soddisfattissimo orefice mentre s'infilava in tasca un gingillo acquistato con distratta condiscendenza. Quella transazione gli era servita soltanto a far passare il tempo e a dissimulare la sua ardente e micidiale attenzione, che non era certo rivolta a gemme o monili. Due uomini lo affiancarono: uno era basso di statura, untuoso, coll'espressione della tipica spia. L'altro ostentava un torace simile a una caldaia galvanizzata, e soltanto metà faccia. Il suo unico occhio ammiccò con insistenza mentre lui fissava la figura di Flinx che si allontanava. Intanto il suo compagno si rivolgeva con solerte servilismo al grasso signore che si era infilato in tasca il minuscolo pianoforte d'oro e perle appena acquistato. — Challis, hai visto l'espressione sulla faccia di quel tipo? — gli chiese. — Quel serpente significa morte. Non ce ne avevano detto nulla. Quel grosso idiota non soltanto ha salvato la sua vita ma anche la mia e quella di Nanger. Monocolo annuì. — Dovrai trovarti qualcun altro, per questa porcheriola — proseguì il tracagnotto, in tono inflessibile. Il grassone non si scompose, e si grattò uno dei molti menti. — Sono mai stato poco generoso, con voi? Poiché siete entrambi in permanenza al mio servizio, strettamente parlando non dovrei darvi un bel niente per quest'incarico. — Scrollò le spalle. — Ma se è questione di altro denaro... Il viscido spione basso di statura scosse la testa. — Puoi comperare i
miei servigi, Challis, ma non la mia vita. Sai cosa succede se il veleno di quel serpente ti colpisce negli occhi? Nessun contravveleno conosciuto ti terrà vivo più di sessanta secondi. — Diede un calcio al terreno sotto i suoi piedi, ancora bagnato dalle piogge del mattino, facendo volar via un po' di ciottoli. — No, questo non è per me, e neppure per Nanger. — Proprio così — assentì solennemente l'uomo dalla mezza faccia. Annusò l'aria e annuì in direzione del giovanotto, ora molto lontano. — Ma ad ogni modo, cos'è questa tua ossessione per quel ragazzo? Non è robusto, non è ricco, e neppure è particolarmente grazioso. — È la sua testa che m'interessa, non il suo corpo — sospirò Challis, — anche se questa è una faccenda legata al mio piacere. — Sbuffando come un cuscino sfondato che lancia intorno a sé vortici di piume, li guidò attraverso la folla affaccendata e chiassosa. Umani, thranx e mercanti che rappresentavano un'altra decina di razze scivolavano veloci intorno a loro, nonostante la ressa soffocante, quasi fossero unti d'olio dalla testa ai piedi, tutti diretti a commissioni e affari importantissimi. — Si tratta del mio gioiello di Janus. Mi annoia. L'uomo più basso assunse un'espressione disgustata. — Come può essere annoiato uno che è ricco al punto di possedere un gioiello di Janus? — Oh, ma io sono annoiato, Nolly caro, lo sono. Nanger esibì un sorrisetto fatuo e compiaciuto. — Qual è il problema, Challis? Ti viene meno l'immaginazione? — Scoppiò a ridere: un breve e squillante latrato. Challis gli rispose con un ampio sorriso: — No di certo, Nanger, ma sembra che io non abbia il tipo di mente adatta a evocare dal gioiello le squisitezze di cui è capace. Per riuscirci ho bisogno di aiuto. Perciò in questi ultimi mesi ho dedicato tutti i miei sforzi alla ricerca di un socio adatto, di una mente del tipo giusto che mi aiuti ad attivare il gioiello. E questa informazione mi è costata un sacco di denaro — concluse, rivolgendo un cenno di saluto a un impettito osiriano che conosceva. L'aviario fece schioccare il becco verso di lui, e il collo gli si arrotolò con un guizzo grazioso ricordando uno struzzo; quindi riprese ad avanzare impettito, emergendo come un periscopio tra la folla. Nanger si fermò un attimo per acquistare una focaccia di thisk; poi proseguirono, mentre Challis riprendeva le sue spiegazioni. — Perciò, adesso capisci perché ho bisogno di quel ragazzo. L'irritazione di Nolly era cresciuta. — Perché non assoldarlo, allora? Perché non gli chiedi se è disposto a partecipare di sua volontà?
Challis lo fissò, dubbioso. — No, non credo che funzionerebbe, Nolly caro. Tu conosci, no?, i miei gusti e le mie fantasie... o almeno ne conosci alcuni. — La sua voce all'improvviso era piatta, priva d'espressione. — Saresti disposto a partecipare volontariamente? Nolly distolse gli occhi, improvvisamente spaventato. Benché la sua vita fosse costellata di ogni tipo di nefandezze, rabbrividì. — No — riuscì a bisbigliare a stento, — no, non credo proprio che sarei disposto... — Ciao, ragazzo! — tuonò Piccolo Symm: il gigante era costituzionalmente incapace di parlare senza urlare. — Come va la vita? E cosa mi racconti di Malaika? Flinx si sedette a uno degli sgabelli davanti al banco ricurvo del bar, ordinando una birra al peperoncino per sé e un vassoio di pretzel per Pip. Il serpente volante scivolò giù graziosamente dalle spalle di Flinx e s'infilò sull'ampio vassoio di legno colmo dei caratteristici biscotti trapezoidali. Il rapido movimento di Pip fu osservato da due tizi dal losco aspetto, lì accanto, i quali, con gli occhi sbarrati, si affrettarono a lasciar liberi i loro sedili rifugiandosi in gran fretta in uno degli scomparti più lontani. — È un bel po' che non ho contatti con Malaika, Symm. Ho sentito che è in affari fuori sistema. Era grazie al ricco mercante suo amico che Flinx aveva potuto smettere di esibirsi nel suo spettacolo da baraccone: per l'aiuto decisivo fornito nell'esplorazione del pianeta dei Tar-Aiym, dov'era stato trovato il Krang, Malaika gli aveva offerto una sostanziosa somma di denaro. La maggior parte dei soldi erano serviti a sistemare la madre adottiva di Flinx, mamma Mastino, in un negozio ben fornito al centro di un quartiere elegante di Drallar. La vecchia, pur dandosi della sciocca, aveva salvato Flinx (quand'era ancora bambino) dal palco dei mercanti di schiavi. Per anni e anni aveva brontolato per questo suo capriccio, ma era l'unico genitore che luì avesse mai conosciuto. Gli brontolava ancora fra i denti, ma con affetto. — A dir la verità — proseguì Flinx sorseggiando la birra al peperoncino, — Malaika avrebbe voluto che andassi con lui. Ma pur rispettando quel vecchio ingordo, sono convinto che avrebbe finito col mettersi in testa di cacciarmi dentro un vestito inamidato, di farmi pettinare i capelli con tanto di scriminatura e d'insegnarmi il bel parlare. — Tremò visibilmente a queste orribili prospettive. — Non avrei mai potuto sopportarlo. Preferirei piuttosto riprendere il mio mestiere di giocoliere e d'indovino nella più puzzolente delle piazze. E tu, padre di tutte le bestemmie? Ho sentito che
hai avuto qualche altro fastidio con le guardie municipali. Il proprietario del bar appoggiò il suo corpaccio alto due metri e mezzo e pesante quasi due quintali sul banco di legnoplastica spugnosa, che protestò scricchiolando energicamente. — Sembra che il commissario del mercato abbia preso come un affronto personale il fatto che io ho sbattuto quel branco di pellegrini che aveva spedito qui per chiudermi il locale. Forse non avrei dovuto fracassare il loro veicolo... Adesso stanno agendo in maniera più subdola. Ne ho avuto fra i piedi uno proprio l'altro giorno: osava asserire di avermi visto servire allucinogeni a una banda di adolescenti. — È ovvio che meriteresti di essere appeso per le dita dei piedi — ribatté Flinx, con finta indignazione. Anche lui era ben al disotto dell'età minima per la maggior parte delle bevande che Symm gli serviva. — Comunque — proseguì il gigante, — questo imbecille mi scappa fuori all'improvviso da uno degli scomparti là in fondo, mi sventola davanti agli occhi la sua tessera d'ispettore municipale e cerca di dirmi che sono in arresto. Aveva intenzione di portarmi via con sé, e io avrei fatto meglio a seguirlo senza protestare. — Scosse la testa con aria afflitta, mentre Flinx trangugiava parecchi sorsi di birra. — E tu cos'hai fatto? — chiese infine Flinx, leccandosi la schiuma agli angoli della bocca. — Oh, io non voglio altri guai, non voglio certo che mi si accusi un'altra volta di aggressione. Ho pensato che un'adeguata esibizione fisica, condotta con calma e compostezza, avrebbe fatto cambiare idea a quell'energumeno. E così è stato: il tizio se n'è andato via quieto quieto. — Piccolo Symm indicò con un gesto il boccale di Flinx ormai vuoto. — Un altro? — Certo. Ma dimmi, cos'hai fatto? — Ho mangiato la sua tessera di riconoscimento. Ecco la tua birra. — E un secondo boccale slittò accanto al primo. Flinx capiva perfettamente quell'aria compiaciuta di Piccolo Symm. Il gigante doveva difendere la propria reputazione. Il suo era uno dei pochi locali, a Drallar, dove una persona poteva andare di notte con la garanzia di non essere aggredita o comunque infastidita da ogni genere di delinquenti o di balordi. Ciò perché Piccolo Symm si comportava con l'identica imparzialità nei confronti di ogni tipo di disturbatore. — Torno subito — disse Flinx rivolto al suo amico. Scivolò giù dallo sgabello e si diresse verso quel locale sul retro le cui funzioni erano cambiate ben poco nelle ultime centinaia d'anni. Appena entrò fu investito da una zaffata mista di odori e sensazioni penetranti: birra stantia, alcolici ri-
vomitati, ansietà, tensione, stillante umidità, acqua stagnante e putrida, il tutto in certo qual modo come sospeso in un'attesa piena di paura. Flinx fu quasi sopraffatto da questa mescolanza di miasmi fisici e mentali. Si voltò istintivamente a sinistra, dove la concentrazione di tutti quei sentori era più forte, e notò una lieve contrazione sul volto di un uomo che lo stava fissando. Percepì l'intima agitazione di quell'individuo, appena mascherata dalla calma esteriore. L'uomo stringeva in mano una siringa osmotica, col dito girato intorno allo strumento come sul grilletto di un'arma. Flinx fece per gridare aiuto, ma l'urlo gli fu soffocato in gola da qualcosa di scuro e pesante che gli calò sulla testa. E l'istintivo appello mentale fu cancellato dalla gelida efficacia della siringa... Quando Flinx si svegliò, si trovò a fissare un confuso caleidoscopio di luci che brillavano davanti e sotto di lui, attraverso una parete e un pavimento di plastica trasparente. Con una serie di contorcimenti riuscì a mettersi seduto: operazione, questa, ostacolata dal fatto che i suoi polsi erano bloccati da un paio di manette cromate. Ne partiva una lunga catena metallica, che serpeggiava sul lucido pavimento rispecchiandovisi come un lungo verme prima di sparire fra i mobili lussuosi. Flinx studiò con più attenzione lo spolverio di luci all'esterno: erano il luminoso palpito della città di Drallar, dominata sulla sinistra dalle fulgenti guglie del palazzo del re. Quel panorama gli consentì di orientarsi. Associando la posizione del palazzo del re col complesso disegno delle luci e l'ovvia constatazione che quella stanza si trovava parecchi piani sopra il livello del suolo, intuì di trovarsi prigioniero in uno dei quattro grandi complessi edilizi nel cuore della città, le isole strettamente sorvegliate e interdette che ospitavano i membri dell'alta società, nativi sia di Drallar che di altri mondi, favolosamente arricchitisi coi commerci. I suoi catturatori, dunque, erano qualcosa di più che semplici ladri da strada. Flinx fu incapace di percepire qualcosa nelle vicinanze. L'unica sensazione insolita che in quel momento riuscì a cogliere fu il leggero pulsare dei muscoli del suo avambraccio destro, là dove gli era stata praticata l'iniezione. Provava anche un'intensa rabbia: ma soprattutto verso se stesso, per non aver saputo cogliere le irradiazioni minacciose che certamente i suoi aggressori dovevano aver emanato prima che lui entrasse nella toilette. Improvvisamente si accorse della mancanza di un'altra sensazione: il confortevole peso di Pip sulle spalle.
— Ciao — disse, esitando, una sottile voce argentina. Girandosi di scatto, Flinx si trovò faccia a faccia con un angelo. Si rilassò, mise giù i piedi dal divano sul quale era disteso, e la fissò sbalordito. Non poteva avere più di nove o dieci anni: indossava un paio di ampi calzoni frangiati azzurroverdi che si prolungavano in alto in una specie di blusa trasparente dalle lunghe maniche orlate di merletti. I lunghi capelli biondi le ricadevano arricciolati fin quasi alle ginocchia. Un paio di occhi azzurri da bambina lo fissavano da un volto dagli alti zigomi, degno di un raffinato cherubino. — Mi chiamo Mahnahmi — l'informò la ragazzina, con la sua sottile voce trillante. — E tu? — Tutti mi chiamano Flinx. — Flinx. — Si succhiò pensosamente la nocca del pollice. — È un nome strano ma simpatico. — Sorrise, esibendo due file perfette di denti simili a perle. — Vuoi vedere cosa mi ha portato il mio papà? — Papà? — le fece eco Flinx, guardandosi attorno. Nuovamente si sentì come soverchiato dall'ampia e ricurva parete trasparente e dallo scintillante panorama che si stendeva sotto di lui. Fuori era notte... ma era quella stessa notte? Per quanto tempo era rimasto privo di sensi? Non c'era modo di dirlo... per ora. L'arredamento della stanza era in tardo stile siberade: cuscini straripanti, poltrone e divani sostenuti da montanti di duralega sottili come matite, e ogni altro oggetto appeso al soffitto con fili di duralega così sottili che tutto dava l'impressione di galleggiare nell'aria. Sotto. l'ampio soffitto a cupola, un'abbondante spruzzata di cristalli luminescenti di spodumene e kunzite. Qua e là finestre circolari erano aperte, fornendo una visione del cielo notturno brulicante di stelle. Regolatori climatici impedivano che i rari spruzzi della pioggia serale cadessero dentro la stanza. Sì, pensò Flinx, il suo catturatore era una persona molto ricca. La voce della ragazzina, petulante perché lei non si trovava più al centro della sua attenzione, si fece nuovamente udire: — Vuoi vederlo o no? Flinx, il quale avrebbe desiderato che l'insistente pulsazione all'avambraccio gli desse sollievo, rispose con un sospiro: — Ma certo. Istintivamente le sorrise quando lei si cacciò la mano in tasca e gli si fece più vicina. La mano ricomparve, stretta a pugno, e lentamente si aprì esibendo orgogliosamente sotto il suo naso un pianoforte in miniatura, fatto di filigrana d'oro e perle autentiche. — Suona davvero, sai? — disse la bambina, tutta eccitata. Toccò i mi-
nuscoli tasti, e Flinx poté udire una serie di note quasi impercettibili. — È per la mia bambola. — È molto carino — la complimentò Flinx, rievocando il tempo non molto lontano in cui un tale giocattolo gli sarebbe costato più crediti di quanti avrebbe mai sperato di guadagnare in tutta la vita. Lanciò un'occhiata ansiosa oltre la bambina. — Dov'è il tuo papà, adesso? — Sono qui. Flinx si voltò verso la fonte di quelle semplici parole, che pure erano suonate così minacciose ai suoi orecchi. — So già che ti chiami Flinx — proseguì l'uomo, alzando la mano in un gesto imperioso che gli troncò le domande che gli urgevano in bocca. I numerosi anelli alle dita scintillarono, aggiungendo nuove minacce. — Conosco già parecchio, di te. Due uomini emersero dall'ombra del suo corpo incredibilmente obeso. Uno dei due aveva il cranio orribilmente infossato su un lato, semidistrutto da qualche tremenda vampa di calore e rabberciato alla bell'e meglio da qualche segaossa spaziale. Il suo compagno, più basso di statura, esibiva ora una calma che gli era completamente mancata quando aveva praticato quell'iniezione fulminante a Flinx nella toilette di Symm. L'uomo grasso riprese a parlare: — Mi chiamo Conda Challis. Forse hai già sentito parlare di me. Flinx annuì lentamente. — Conosco la tua organizzazione. — Bene — commentò Challis. — Fa sempre piacere essere riconosciuti. Si risparmiano un mucchio di spiegazioni... — Il pulsare del braccio di Flinx si stava attenuando a livelli di sopportabilità, quando il grassone calò la propria massa di carne su una poltrona lasciando tra sé e Flinx un tavolino rotondo di metallo e plastica. L'uomo dalla mezza faccia e il suo tozzo compare si misero comodi a loro volta lì accanto: ma non troppo comodi, notò Flinx. — Mahnahmi, vedo che hai intrattenuto il nostro ospite — disse Challis alla ragazzina. — Ora fa' la brava bambina e va' a giocare da qualche altra parte. — No, voglio restare a guardare. — Guardare? — Flinx sbarrò gli occhi, allarmato. — Guardare cosa? — Sta per usare il gioiello, so che lo farà! — esclamò la bambina, per tutta spiegazione. Si voltò verso Challis. — Per favore, lasciami guardare, papà! Non dirò una sola parola, lo prometto! — Mi dispiace, piccola. Non questa volta.
— Non questa volta, non questa volta — ripeté lei. — Non mi lasci mai guardare. Mai, mai, mai! — Con la stessa rapidità di uno scroscio di pioggia che lascia il posto al sole sfolgorante, il suo volto si aprì in un radioso sorriso. — Oh, va bene, ma perlomeno lascia che lo saluti. Quando Challis annuì, con un gesto d'impazienza, lei balzò letteralmente tra le braccia di Flinx, gli si avvinghiò forte forte procurandogli nuove trafitture nel punto dell'iniezione, gli depose sulla guancia un bacio umido e schioccante, e gli bisbigliò all'orecchio destro con la sua trillante e immatura voce da soprano: — Meglio fare quello che ti dirà, altrimenti ti strapperà le budella. In qualche modo lui riuscì a mantenersi impassibile, mentre lei si staccava con un sorriso innocente e disarmante. — Ciao. Forse papà ci lascerà giocare più tardi. — Si voltò e corse via, sparendo oltre una porta seminascosta sul lato opposto della stanza. — Una... ragazzina molto interessante — commentò Flinx, deglutendo. — Non è graziosa? — fece Challis, con degnazione. — Sua madre era eccezionalmente bella. — Ti sei sposato, allora? Non mi sembri il tipo. Per un attimo il grasso mercante parve sbigottito. — Io accoppiato per l'intera vita? Mio caro ragazzo! Sua madre è stata acquistata proprio qui, a Drallar, parecchi anni orsono. Il suo pedigree vantava eccezionali talenti, che però si sono rivelati assai inferiori alle promesse: adatti a qualche trucco da salotto, ma niente più. «Tuttavia era in grado di adempiere egregiamente ad altre funzioni, perciò infine il denaro non è risultato del tutto sprecato. L'unico inconveniente è stato la nascita di quella ragazzina, dovuta al fatto che non mi sono presentato in tempo per una debioiezione standard. Non avevo pensato alle possibili conseguenze di un simile ritardo». Scrollò le spalle. «Ma mi sbagliavo. Comunque, poiché la madre mi aveva soddisfatto, le ho permesso di avere la piccola... Io, tuttavia, ho la tendenza a essere duro con tutto ciò che è di mia proprietà. La madre non è vissuta a lungo, dopo il parto. Ho l'impressione, a volte, che la bambina abbia ereditato qualcuno degli scarsi talenti di sua madre, ma ogni tentativo di rivelarli è fallito». — Tuttavia, nonostante ciò, la tieni lo stesso — osservò incuriosito Flinx. Per un attimo Challis parve confuso, ma subito recuperò la padronanza. — Non è poi così sconcertante. Considerando il modo in cui è morta sua madre (cosa questa che la bambina ignora), io provo una specie di vaga re-
sponsabilità nei suoi confronti. Non ho un particolare amore per i bambini, ma devo ammettere che lei mi ubbidisce con una prontezza che molti adulti potrebbero trovare assai conveniente imitare. — Accompagnò queste parole con un ampio sorriso che diede a Flinx l'impressione di un bianco cranio pieno di ghiaccio tritato. — È abbastanza grande da capire che se non ubbidisce la venderò. — Challis si sporse in avanti, e lo sforzo di piegare il petto sul ventre prominente lo fece ansimare. — Ma tu non sei stato portato qui per discutere i particolari della mia vita privata. — E allora a che scopo? Ho sentito il vago accenno a un gioiello. Di preziosi me ne intendo un po', ma non sono certo un esperto. — Un gioiello, sì. — Ma Challis omise qualunque ulteriore spiegazione a parole. Invece manipolò alcuni interruttori invisibili, sul lato del tavolo rivolto verso di lui. Le luci della stanza si attenuarono e i due sinistri assistenti di Challis scomparvero nella penombra, anche se Flinx riuscì ancora a percepirne la presenza: muscoli tesi e pronti a scattare, lì vicino, piazzati fra lui e l'unica porta chiaramente distinguibile. Ma un sommesso ronzio distolse rapidamente la sua attenzione. Il piano del tavolo scivolò di lato e Flinx riconobbe che in realtà il tavolo era un massiccio forziere. Dalla cavità al centro s'innalzò un grosso oggetto, che si rivelò una luccicante scultura avvolta da una ragnatela di fili sottili. Un globo trasparente spiccava al centro della scultura: dentro il suo guscio di robustissima vetrolega c'era qualcosa che somigliava a un limpido cristallo naturale, grosso all'incirca quanto una testa umana. Sembrava che ardesse di una luce interiore. A una prima occhiata pareva quarzo, ma un'ispezione più accurata rivelò che si trattava di un silicato dalla struttura più unica che rara. Il centro del cristallo era cavo, dal profilo irregolare, e pieno di un fluido vischioso dentro il quale particelle verdi e brune compivano traiettorie con una lentezza da sogno. Le particelle formavano in realtà una specie di sottile pulviscolo che, pur giungendo quasi in alcuni punti a sfiorare le pareti interne del cristallo, tendeva perlopiù a concentrarsi al centro della cavità. Di tanto in tanto una particella si animava, sfrecciando all'intorno come spinta da una forza invisibile. Flinx sprofondò, come ipnotizzato, in quelle mutevoli profondità... Sulla Terra viveva un ricco di nome Endrickson, che negli ultimi tempi aveva assunto uno sguardo assorto, come incantato. La sua famiglia l'adorava, e così pure i suoi amici, e lui era riuscito a strappare una riluttan-
te ammirazione perfino ai suoi diretti rivali. Endrickson, benché negli ultimi tempi fosse tutt'altro che sveglio di mente, era uno di quei rari geni che non possiedono nessuna capacità creativa propria ma che esibiscono l'inestimabile potere di controllare e dirigere i talenti degli individui più dotati di loro. La sera del venticinquesimo giorno della quinta luna, alle cinque e trenta, Endrickson avanzava ancor più lentamente del solito lungo i corridoi dell'Impianto, massicciamente sorvegliati. L'Impianto non aveva un nome specifico — precauzione sulla quale avevano particolarmente insistito i nervosissimi addetti alla Sicurezza — ed era stato costruito nelle viscere rocciose del versante occidentale delle Ande. Mentre passava accanto agli uomini e alle donne, e agli insettoidi thranx che lavoravano nell'Impianto, Endrickson rivolgeva a tutti un cenno di saluto, che veniva sempre ricambiato da rispettose risposte. Tutti andavano in direzione opposta alla sua, poiché per loro la giornata lavorativa era finita. Erano diretti — quei molti, moltissimi esseri dotati di talento — alle loro case a Santiago, a Lima, a Nuova Delhi e a Nuova York, come pure alle colonie thranx sulla Terra, nel bacino dell'Amazzonia. Una guardia che non era ancora smontata dal servizio scattò rìgidamente sull'attenti quando Endrickson svoltò entro l'ultimo corridoio schermato. Ma appena vide che non si trattava del suo superiore diretto, un individuo che ostentava su di sé una perenne irritazione come un paio di mutande infilate fuori dai calzoni, la guardia armata fino ai denti si rilassò. Sapeva che Endrickson era amico di tutti. — Ehi, Davis... — fece lentamente il capo. La guardia lo salutò; poi lo scrutò con attenzione, turbato dal suo aspetto. — Buonasera, signor Endrickson. È certo di star bene? — Sì, grazie, Davis — rispose Endrickson. — Mi è venuta in mente una cosa all'ultimo momento. Non ci metterò molto. — Teneva gli occhi fissi su qualcosa di stranamente scintillante che reggeva in una mano piegata a coppa. — Vuoi vedere la mia tessera d'identificazione? La guardia sorrise, infilò nella macchina la striscia di plastica opportunamente trattata, e fece entrare Endrickson nell'altro locale, che ospitava il laboratorio: un'ampia caverna ulteriormente ampliata per le necessità di una tecnologia di precisione. Quello era il cuore dell'Impianto. Muovendosi con gesti sicuri, Endrickson discese la rampa fino al pavimento ermeticamente rivestito della grande caverna e passò davanti a e-
normi macchinari, a lunghi banchi da lavoro e a grandi strutture di metallo e di altri materiali. Il laboratorio era vuoto, e tale sarebbe rimasto finché il primo turno del mattino fosse entrato in servizio, cinque ore dopo. Giunto a un terzo della caverna, Endrickson si fermò davanti a un'imponente porta di metallo grigiastro, unica interruzione nella compatta parete dello stesso materiale che isolava un'ampia sezione della caverna. Gli occhi sempre fissi su ciò che reggeva in una ma.no, Endrickson estrasse di tasca con l'altra un anello su cui erano infilati un certo numero di piccoli cilindri metallici. Ne scelse uno, e premendo il pollice contro la rientranza a una sua estremità inserì l'altra in un piccolo foro della porta e spinse in avanti. Una complessa serie di radiazioni si sprigionò e fu analizzata dal meccanismo di apertura. La porta, giudicato regolare il codice espresso dal cilindro, nonché l'equilibrio mentale di chi l'impugnava, espresse la sua soddisfazione inabissandosi, con un lieve fruscio, nel pavimento. Endrickson valicò la soglia: la porta registrò il suo passaggio e nuovamente risali, chiudendo ermeticamente il varco dietro di lui. Un complicato congegno, in avanzata fase di montaggio, campeggiò davanti a Endrickson, riempiendo buona parte dello spazio disponibile. Era circondato da un gran numero di apparecchiature: complicati utensili ora in riposo, schermi e dispositivi a snodo per operazioni a distanza, quadri di comando, e un'interminabile serie di casse piene dei più svariati componenti. Endrickson non degnò di uno sguardo quel familiare intrico d'immagini e si diresse senza esitare verso un pannello nero. Scrutò pensierosamente le spie e gli interruttori che vi si trovavano, poi l'attivò servendosi di un altro dei cilindri del suo anello. Le spie si accesero subito, e gli indici fornirono dati e cifre. L'imponente massa del motore interstellare KK ancora incompiuto incombeva sopra di lui. Il completamento definitivo sarebbe avvenuto — come poteva soltanto avvenire — fuori, nello spazio cosmico, poiché altrimenti il campo posigravitazionale del motore, una volta attivato, interagendo col campo di gravità del pianeta avrebbe prodotto una serie di terremoti e di sconvolgimenti tettonici di proporzioni catastrofiche. Ma tutto ciò, in quel momento, non preoccupava affatto Endrickson. La sua mente era affascinata da un'idea: il montaggio dell'unità propulsiva era abbastanza avanzato da renderla funzionante? E in tal caso perché non azionarla, osservandone il funzionamento da vicino? Non sarebbe stato inte-
ressante... splendido, anzi? Lanciò un'occhiata alla cosa meravigliosa che reggeva in mano; poi, servendosi di un terzo cilindro, apri una scatola ermeticamente chiusa su un lato del pannello nero, mettendo così allo scoperto numerosi interruttori dipinti di un vivido color rosso. Udì un ululato innalzarsi acuto da qualche parte, ma ignorò l'allarme mentre premeva i pulsanti nel giusto ordine. Un brivido di piacere l'attraversò, facendogli pregustare ciò che stava per verificarsi. Una volta attivati gli interruttori, le istruzioni cominciarono a fluire attraverso il monolite di vetro-plastica-metallo. Lontano, sull'altro lato della porta sbarrata, Endrickson poteva udire gente che accorreva urlando. Nel frattempo gli automatismi compivano la sequenza di operazioni che avrebbe innescato la fiamma termonucleare; Endrickson vide attraverso i vari schermi i congegni scattare uno dopo l'altro, e annuì soddisfatto. Infine gli ultimi relè s'inserirono, chiudendo il circuito del computer incorporato nel motore. Per la frazione di un secondo il campo Kurita-Kita si formò fra quelle massicce pareti... e ugualmente, nel cervello di Endrickson balenò fugace il pensiero che ciò non si sarebbe mai dovuto fare là dentro bensì nelle remote profondità dello spazio. Ma subito, in quel supremo istante, la sua intera attenzione tornò a rivolgersi a quell'affascinante meraviglia e alle strane parole chiuse nell'oggetto che lui reggeva sul palmo della mano... Se l'unità propulsiva fosse stata completa, il disastro avrebbe assunto proporzioni colossali. Ma non era completa: per cui il campo collassò subito, incapace di sostenersi e di espandersi fino al massimo diametro operativo. Così, anche se le finestre andarono in frantumi e qualche vecchio edificio crollò e a seicento chilometri da lì la guglia della chiesa di Santa Teresa d'Avila nel centro di Valparaiso si fendette, nelle immediate vicinanze soltanto poche cose subirono alterazioni significative. Endrickson, l'Impianto e la vicina comunità tecnologica di Santa Rosa de Cristobal (popolazione: 3200) svanirono. La montagna alta quattromila metri alla cui base era sorta la città e nelle cui viscere era stato scavato l'Impianto fu sostituita da un cratere profondo quattrocento metri, rivestito di vetro fuso. Ma poiché la logica insisteva nell'affermare che quell'evento non poteva essere stato altro che un incidente, così appunto decisero gli esperti chiamati a dare una spiegazione: esperti che non avevano avuto accesso alla stessa bellezza che aveva così totalmente affascinato l'ormai volatilizzato Endrickson...
Flinx ammiccò, risvegliandosi dalla paralizzante bellezza del gioiello di Janus. La gemma continuava a pulsare, irradiando la sua sottile e suggestiva luminescenza gialla. — Ne avevi mai visti prima d'ora? — chiese Challis. — No. Ma ne avevo sentito parlare. Ne so abbastanza da poterli riconoscere. Challis doveva aver toccato un altro interruttore nascosto, poiché un lieve bagliore comparve dietro il bordo del tavolo. Il mercante aprì un cassetto incorporato e ne tirò fuori un oggetto che somigliava all'immagine stilizzata di un uccello in volo, con le ali rivolte verso il basso. Era progettato per adattarsi a una testa umana. Il liscio profilo era interrotto qua e là da alcune protuberanze e qualche filo. — Sai cos'è? — chiese il mercante. Flinx confessò che non lo sapeva. — È la cuffia dell'operatore — gli spiegò Challis, sistemandosela sopra i capelli stopposi. — Questa cuffia e i circuiti inseriti nel tavolo registrano i pensieri della mente umana e li trasmettono al gioiello. Il gioiello ha una certa proprietà... Challis pronunciò la parola «proprietà» con quella stessa reverenza spirituale che la maggior parte degli uomini esibiscono quando descrivono i propri dèi o le proprie amanti. Il mercante smise di armeggiare con gli invisibili comandi e con la cuffia. Incrociò le mani sul ventre proiettato all'infuori e fissò il cristallo. — Ora mi sto concentrando su qualcosa — annunciò a bassa voce, rivolgendosi al suo ascoltatore. — Ci vuole un po' di allenamento, anche se c'è qualcuno che può farne a meno. Mentre Flinx guardava affascinato, le particelle al centro del gioiello cominciarono a riordinarsi. Il loro movimento non era più casuale, e fu chiaro che erano i pensieri di Challis a dirigere i loro spostamenti. Lì davanti a lui c'era qualcosa di leggendario o quasi: qualcosa che era oggetto di mille racconti fantastici, ma che ben pochi, se non i molto ricchi e privilegiati, avevano realmente visto coi propri occhi. — Più grande è il cristallo — continuò Challis, il quale si stava chiaramente sforzando di ottenere un certo risultato, ancora imprecisabile, — e più sono i colori presenti nel colloide, più preziosa è la pietra. La norma è un cristallo di un solo colore. Questa pietra ne contiene due, ed è una delle più grandi e delle meglio formate che esistano... ma anche le più piccole sono rare.
«Ci sono gemme con tracce d'impurità che producono tre o quattro colori, e corre voce dell'esistenza di una gemma che ne contiene cinque. Non mi crederesti se ti dicessi chi la possiede e cosa è giunto a fare per procurarsela». Flinx constatò che le particelle colorate all'interno del cristallo stavano assumendo uno schema ben definito, sotto la direzione del pensiero di Challis. — Nessuno — proseguì il mercante, — è stato mai capace di sintetizzare il particolare fluido in cui le particelle colorate vanno alla deriva, in sospensione. Quando uno di questi cristalli è rotto, è impossibile ripararlo. Ed è anche impossibile trasferire tutto o in parte il colloide a un altro involucro. Se la complessa combinazione cristallo-colloide viene scomposta, il potenziale piezoelettrico caratteristico di quella particolare gemma viene irremissibilmente distrutto. Per fortuna il cristallo è duro come il carborundum, anche se è ben lontano dalla robustezza di sostanze artificiali come la duralega. Benché i contorni continuassero a vibrare e ad alterarsi, senza mai immobilizzarsi del tutto, all'interno del cristallo presero forma le figure riconoscibili di diverse persone. Una era una donna esageratamente giunonica; poi c'era un maschio umanoide, mentre la terza figura appariva chiaramente aliena. Intorno a queste figure prese forma il profilo di una stanza che si riempì di numerosi oggetti, i quali però non mantenevano mai la loro forma per più di qualche secondo. Sebbene la loro consistenza mutasse di continuo, l'impressione che comunicavano restava sempre la stessa. Flinx ne vide abbastanza da sentirsi rivoltare lo stomaco prima che ogni cosa all'interno del cristallo tornasse a dissolversi in uno scintillio polverulento. Alzando gli occhi dal cristallo vide che il mercante si era tolto la cuffia e si stava asciugando la fronte con un fazzoletto profumato. Illuminato dalla tenue luce che s'irradiava dal fianco nascosto del tavolo, il suo volto divenne quello crudele di un demonio. — Cominciare è facile — mormorò Challis, esausto, — ma poi è maledettamente difficile proseguire. Quando la tua attenzione si concentra su una figura, le altre cominciano a disfarsi. E quando il gioco comporta tutto un insieme di azioni, se sei coinvolto in una è praticamente impossibile seguirle tutte. — Ma cosa c'entra tutto questo con me? — l'interruppe Flinx. Benché la domanda fosse diretta a Challis, la sua attenzione era rivolta a quelle due figure mezzo percepite che sorvegliavano l'uscita. Né Nolly né Nanger si erano mossi, ma ciò non significava che avessero allentato la sorveglianza.
E c'erano ben poche probabilità che quella porta da loro sorvegliata non fosse chiusa a chiave. Flinx vide anche parecchie aperture sulla parete di vetrolega che andava dal pavimento al soffitto dominando la città, ma sapeva che all'esterno c'era una caduta a picco di almeno cinquanta metri fino alla strada privata che passava di sotto. — Vedi — cominciò a spiegare Challis, — se da un lato non mi vergogno di aver ereditato con la Challis un'impresa di famiglia di enorme successo, dall'altro non mi considero un dilettante in affari. Ho migliorato l'azienda con l'aggiunta di gente dai molti e diversi talenti. — Fece un gesto in direzione della porta. — Nolly caro e Nanger sono due esempi tipici. Spero che tu, caro ragazzo, sarai un altro. — Non sono ancora sicuro di capire — replicò Flinx lentamente, cercando di guadagnare tempo. — Ora vengo al punto. — Challis congiunse le mani quasi in atto di preghiera. — Per agire sulle particelle sospese all'interno dei gioielli di Janus, per modellarne le disposizioni, è necessario un tipo speciale di mente. Le mie scenografie mentali sono molto complesse: troppo, per me; e allora, per goderle in pieno, ho bisogno di un'altra mente che agisca al posto della mia. La tua mente! Io ti darò tutte le istruzioni su ciò che desidero, e tu modellerai i miei disegni all'interno del gioiello. Flinx ripensò a ciò che aveva visto pochi attimi prima in quel mutevole abbozzo, a ciò che Challis aveva costruito come un dio in quel piccolo mondo racchiuso dal gioiello. Lui era molto più maturo dei suoi diciassette anni, e nella sua pur breve vita aveva visto fin troppe cose. E anche se alcune avrebbero rivoltato lo stomaco perfino del più incallito mercenario, la maggior parte non erano state niente più che innocue perversioni. Ma sotto tutta la superficiale cordialità di Challis e l'apparentemente pacata richiesta di collaborazione, gorgogliava una profonda palude piena dei più fetidi e ributtanti prodotti di fogna, e Flinx non aveva la minima intenzione di fungere da guida al mercante per attraversarla. L'essere sopravvissuto per l'intera infanzia al mercato di Drallar, comunque, aveva fatto di Flinx un realista. Perciò non vibrò tutto di sdegno alla proposta del mercante, e neppure rovesciò su di lui le parole che gli tumultuavano nella mente: «Mi ripugni e mi nausei, Conda Challis, e io mi rifiuto di essere coinvolto a qualunque titolo con te e con le tue ributtanti fantasie». Invece disse: — Non capisco come tu abbia potuto ritenermi in grado di darti un simile aiuto. — Oh, non puoi certo negare la tua storia — replicò Challis, con un ci-
nico sorriso. — Al tuo riguardo ho un fascicolo non voluminoso ma interessante. Soprattutto vi figurano i tuoi peculiari talenti e il modo in cui te ne sei servito per aiutare un mio concorrente, Maxim Malaika. Ma già prima di questo, e anche dopo, parecchia gente ha avuto modo di constatare le tue eccezionali capacità mentali esibite in spettacoli da baraccone per spillare quattro crediti dalle tasche dei passanti. Io posso offrirti molto di più per l'uso dei tuoi talenti. Questo non puoi certo negarlo. — Oh, certo, posso fare qualche trucco e imbrogliare i turisti — concesse Flinx mentre studiava il sottile braccialetto luccicante che gli serrava i polsi, cercando di scoprire il dispositivo di sblocco. — Ma quelli che tu chiami «talenti» sono erratici, indisciplinati e per la maggior parte del tempo fuori dal mio controllo. Non posso mai prevedere quando vengano e quando scompaiano. Challis annuì in un modo che non piacque affatto a Flinx. — Certo, capisco. Tutti i talenti (artistici, atletici, di qualunque tipo) richiedono addestramento e disciplina per essere sviluppati in pieno. Io voglio aiutarti ad acquisire il completo controllo dei tuoi. Per esempio... — Tirò fuori un oggetto che sembrava un antico orologio da tasca ma che in realtà non lo era, e premette un minuscolo pulsante. Istantaneamente tutta l'aria fu risucchiata dai polmoni di Flinx, il quale s'incurvò in avanti: le sue mani si strinsero a pugno, mentre il suo corpo fu scosso da brividi, e gli parve che qualcuno gli stesse segando le ossa dei polsi. Il dolore passò all'improvviso, e lui poté accasciarsi all'indietro rantolando e tremando. Quando scoprì di poter aprire di nuovo gli occhi, vide che Challis lo stava fissando con viva attesa e curiosità. Il suo sguardo era quello di un chimico che scruta le reazioni di un animale da laboratorio al quale sia stata appena iniettata una sostanza probabilmente letale. — Questo... non era necessario — bisbigliò Flinx. — Forse no — convenne impassibile Challis, — ma sempre utile. Ho visto i tuoi occhi vagare qua e là mentre parlavi... Davvero non puoi uscire da qui, sai? Anche se tu riuscissi in un modo o nell'altro a raggiungere il pozzo centrale che si trova oltre Nolly e Nanger, ci sono altri in attesa. — Fece una pausa, poi chiese all'improvviso: — Ciò che desidero ti riesce così ripugnante? Sarai ricompensato. Ti offro un'esistenza sicura nella mia organizzazione. In cambio potrai spassartela come vorrai. Sarai convocato soltanto per aiutarmi a far funzionare il gioiello. — Ciò che mi turba è l'aspetto etico di tutta questa faccenda, non il salario — insisté Flinx.
— Oh, l'etica. — Challis non dissimulò l'espressione divertita. — Certo, puoi pensarci sopra. Ma l'alternativa è assai meno affascinante. — Batté con intenzione due dita sopra lo pseudo-orologio. Mentre fingeva di discutere in silenzio con la coscienza, Flinx pensava intensamente. I polsi gli facevano ancora male, e la pulsazione dell'iniezione gli era risalita fino alla spalla. Avrebbe potuto sopportare quell'atroce sofferenza altre volte, ma non certo se gli fosse stata inflitta in continuazione. E qualunque altro trattamento più intenso l'avrebbe certamente messo fuori combattimento per un bel pezzo. Constatò, allarmato, di avere una notevole difficoltà a mettere a fuoco gli occhi. Eppure... non poteva acconciarsi a fare quello che Challis esigeva da lui. Quelle immagini! Lo stomaco gli si rivoltò mentre ricordava. Partecipare a simili oscenità... No! Stava pensando affannosamente a ciò che avrebbe dovuto dire, qualunque cosa pur d'impedire che quel dolore lo travolgesse di nuovo... quando qualcosa di asciutto e di liscio gli premette contro la guancia. Fu seguito dalla piumosa carezza di qualcosa d'invisibile ma famigliare dietro il collo. Evidentemente Challis non aveva visto nulla, in quella fitta penombra, poiché quando tornò a parlare la sua voce non aveva cambiato tono. Le sue dita continuarono a giocherellare pigramente sulla superficie dell'ovoide. — Su, caro ragazzo, c'è davvero bisogno di tirarla ancora in lungo per molto? Sono sicuro che ne ricavi ancora meno piacere di me. — Un dito smise di ticchettare e fece per premere un pulsante. — EHI! L'urlo era giunto dalle vicinanze della porta, e fu seguito da una serie d'imprecazioni soffocate e da movimenti appena visibili nel buio. Le due guardie del corpo di Challis danzavano follemente all'intorno, agitando le braccia e cercando di colpire qualcosa d'invisibile. La voce di Challis suonò rabbiosa e cattiva per la prima volta. — Cosa vi succede, idioti? Nanger rispose nervosamente: — C'è qualcosa, qui con noi. — Vi ha dato di volta quel vostro striminzito cervello. Siamo a otto piani dalla superficie stradale, e perfettamente schermati da qualunque intrusione meccanica. Niente potrebbe mai... Nanger interruppe le parole rassicuranti del mercante con un urlo spaventoso. Flinx se l'era mezzo aspettato, ma anche così l'improvvisa esplosione gli fece correre un brivido lungo la spina dorsale. Ciò che stava accadendo a Nolly (o a Challis, che all'improvviso si era arrampicato sullo
schienale della poltrona e si stava frugando all'interno della cintura) poteva soltanto essere immaginato. Flinx udì uno schianto, seguito dall'urto violento di un corpo pesante e privo di controllo. Era Nanger. Il mezza-faccia aveva le mani strette sull'occhio superstite e barcollava come impazzito in tutte le direzioni. — Il gioiello... sorvegliate il gioiello! — ululò Challis, in preda al panico. Muovendosi a quattro zampe con sorprendente rapidità, raggiunse di nuovo il tavolo e schiacciò un interruttore. Subito la luce si spense. Alla debole radiosità che giungeva dall'esterno attraverso la parete-finestra, Flinx riuscì a distinguere il mercante che staccava la parte superiore dell'apparato, il globo che conteneva il cristallo, stringendolo poi tra le braccia lardose. All'improvviso altre luci lampeggiarono nella stanza, verdi vampate intermittenti sparate da una pistola-ago. Nolly aveva estratto la pistola e si stava difendendo disperatamente da un avversario che continuava a lanciarsi in picchiata su di lui. Poi un ronzio si levò dall'interno del tavolo. Challis si affrettò a voltarsi, afferrò un ricevitore e ascoltò. Anche Flinx tese l'orecchio, ma non riuscì a udire nulla. Ciò che veniva detto attraverso il ricevitore provocò alcune inferocite risposte da parte del mercante, il cui fare cortese e mielato si era cancellato in un attimo. Challis latrò qualcosa d'incomprensibile; poi lasciò andare il ricevitore, che rientrò nel tavolo con un colpo secco. Lo sguardo che rivolse a Flinx, pur nella penombra, rivelò chiaramente un misto di collera e di curiosità. — Ti dico addio, mio caro ragazzo. Spero che avremo l'opportunità d'incontrarci di nuovo. Ti avevo giudicato niente più che un mendicante dotato di talenti troppo grandi per la tua testa. Potresti aspirare a essere qualcosa di più. Mi dispiace che tu abbia rifiutato di collaborare. La tua ascendenza materna accennava alla possibilità che l'avresti fatto. — Challis sogghignò. — Io non ripeto mai un errore. Sei avvertito. — Sempre a quattro zampe raggiunse la porta interna. Quando questa si aprì, Flinx intravide una piccola figura dorata in piedi oltre la soglia. — Stai origliando di nuovo, mocciosa? — grugnì Challis, rialzandosi. Diede uno schiaffo alla bambina e l'agguantò per un braccio. Lei distolse lo sguardo e scoppiò a piangere, mentre la porta tornava a chiudersi. Mentre Flinx riportava l'attenzione all'altra porta, la sua mente veniva già afferrata in un vortice a causa dell'ultimo commento fatto distrattamente dal mercante. Ma prima di poter analizzare le implicazioni contenute in quell'osservazione, Flinx fu investito da un'uragano di folle energia menta-
le che quasi lo fece crollare a terra dal divano. Era potente oltre ogni immaginazione, tremenda e irresistibile più di ogni altra cosa che lui avesse mai udito rovesciarsi fuori da una mente umana. C'erano immagini urlanti di Conda Challis che lentamente andavano in pezzi come bambole disarticolate, frammiste a caso con altre immagini fra cui non poche di lui stesso, Flinx. Sussultò sotto quel gemito ciclonico. Alcune di quelle immagini fugaci erano assai peggiori di qualunque altra cosa che Challis avesse tentato di creare all'interno del gioiello. La mente del mercante poteva anche essere totalmente depravata, ma il cervello dietro quella tempesta mentale non si fermava certo a niente di così insignificante. Un'ultima volta, un attimo prima che la porta interna si chiudesse del tutto, Flinx colse gli occhi neri incastonati in quel volto d'angelo. In quel piccolo corpo ancora non formato, lo sapeva, abitava una bambina tormentata. Ma neppure questa rivelazione accese in lui la stessa incontrollata eccitazione che l'aveva afferrato alla casuale affermazione di Challis. «La tua ascendenza materna», aveva detto il mercante. Flinx conosceva dell'intero universo ben più di quanto sapesse dei suoi veri genitori. Se Challis conosceva anche soltanto una vaga voce sulla sua ascendenza, avrebbe visto soddisfatto al più presto il desiderio di un altro incontro. CAPITOLO SECONDO La porta che dava sul pozzo centrale della torre si aprì mentre la superstite guardia del corpo cercava di fuggire. Invece di un ascensore vuoto si trovò ad affrontare una figura di proporzioni ciclopiche, che la sollevò urlante dal pavimento e le strappò di mano la pistola ad ago, Il nuovo arrivato rese prontamente innocua l'arma schiacciandola entro un pugno che aveva la forza di una pressa meccanica. Il dito di Nolly, ancora ripiegato intorno all'arma, fu strappato via dalla mano e finì impastato col metallo, mentre Nolly, cacciato un urlo, sprofondò nell'incoscienza. Piccolo Symm si chinò, scaraventando sul pavimento il corpo esanime. Nel medesimo istante una lunga forma sottile si adagiò mollemente sulle spalle di Flinx, salutandolo con un umido schiocco dietro l'orecchio. Flinx, portato indietro il braccio in un gesto fin troppo consueto, grattò il minidrago sotto la mandibola e sentì la lunga forma muscolosa che si rilassava. — Grazie, Pip.
Si alzò infine dalla sedia, girò intorno al tavolo-forziere e manovrò i comandi sull'altro lato. Non gli occorse molto per illuminare vivamente la stanza. Là dove Nanger aveva vacillato, crollando poi al suolo, la costosa mobilia giaceva contorta e fracassata. Il corpo di Nanger, che già cominciava a irrigidirsi per il veleno, giaceva accartocciato su una sedia rovesciata. Il corpo del suo compagno, altrettanto immobile, era disteso di fianco accanto alla porta. Dalla mano maciullata colava il sangue. — Mi stavo appunto chiedendo — disse Flinx a Symm, — quando saresti arrivato. — È stato difficile — si scusò il barista. La sua voce uscì rimbombando dal pozzo senza fondo del suo petto. — La tua bestiolina era impaziente. Continuava a guizzar via e a ricomparire quando restavo indietro. Come faceva a sapere dov'eri? Flinx girò il capo e lanciò un'occhiata affettuosa alla testa di Pip, adesso sonnolenta. — Ha annusato la mia paura. Vita-d'Acqua sa che io la trasmettevo fin troppo forte. — Porse a Piccolo Symm i polsi ammanettati: — Puoi far qualcosa con queste? Devo dare la caccia a Challis. Piccolo Symm diede un'occhiata alle manette, con un'espressione di lieve sorpresa disegnata sul volto. — Non avevo mai creduto che la vendetta facesse parte del tuo temperamento. Strinse fra il pollice e l'indice della mano destra una delle fasce metalliche che imprigionavano Flinx, scrutandola con attenzione. Strinse le dita per un attimo: si udì un pop e il metallo ricadde, stracciato come carta. Una seconda operazione altrettanto rapida liberò anche l'altro polso di Flinx. Scrutandosi il polso destro mentre se lo sfregava con la sinistra, Flinx non riuscì a trovare nessun segno — non la più piccola traccia — dell'intenso dolore che gli era stato inflitto. Quindi pensò al modo in cui avrebbe potuto ribattere all'amico. Come avrebbe potuto chiarire a quell'omaccione benevolo l'importanza che aveva per lui quell'osservazione casuale? — Credo che Challis sappia qualcosa dei miei genitori. Non posso certo lasciar perdere un simile fatto. L'insolita amarezza nella risposta di Symm lo sorprese. — Ma cosa sono, per te? Cos'hanno fatto, per te? Hanno lasciato che tu fossi trattato come un oggetto, qualcosa che si poteva vendere e comperare. Se non fosse intervenuta mamma Mastino, ora saresti uno schiavo di qualcuno... qualcuno, magari, dello stampo di Challis. Ai tuoi veri genitori non devi nulla, e men che meno la soddisfazione di fargli sapere che sei sopravvissuto! — Io non conosco le circostanze del mio abbandono — ribatté Flinx. —
Devo scoprirle. Devo. Il gigantesco proprietario del bar, anche lui orfano, scrollò ostentatamente le spalle. — Flinx, sei un idealista fuori dal mondo. — E tu lo sei anche più di me — replicò il ragazzo. — Ed è per questo che mi aiuterai. Symm borbottò qualcosa d'inintelligibile, che avrebbe potuto essere un'imprecazione o anche no. — Da dove è fuggito? Flinx gli indicò la porta interna. Symm si avvicinò e si limitò ad appoggiarsi col corpo al pannello metallico. I cardini si schiantarono con ammirevole prontezza. Oltre la porta trovarono un breve corridoio che conduceva a un piccolo ascensore privato. La cabina li portò rapidamente alla base di quella torre fastosa. — Ma dimmi, come hai fatto a entrare? — chiese Flinx rivolto all'amico. Symm fece una smorfia. — Ho detto alle guardie che avevo un appuntamento con relativo lasciapassare: è il procedimento consueto in una torre come questa. — Ma nessuno ti ha chiesto di vederlo? Symm lo fissò. — Tu lo faresti? Soltanto una delle guardie ha osato tanto, e credo che si rimetterà in sesto solo se la cureranno a lungo e come si deve. Attento, adesso! — esclamò appena l'ascensore giunse a fermarsi. Rannicchiatosi su un lato della cabina, balzò fuori appena lo sportello si aprì a sufficienza per consentirgli di passare. Ma non c'era nessuna imboscata ad attenderli. Si trovarono in un garage di veicoli di superficie che mostrava ampi segni di essere stato evacuato di recente. — Ora — disse Flinx al gigante, senza scomporsi, — tu tieni aperti i tuoi enormi orecchi, e vedi di scoprire dov'è scappato Challis. Io lavorerò alle mie fonti... Quando uscirono dalla porta spalancata del garage, nessuno intimò loro di fermarsi, anche se dispositivi nascosti li stavano osservando. Ma chi si trovava all'altra estremità di quei dispositivi fu lieto di constatare che se ne andavano. — Sei sicuro che non siano ancora qui? — chiese Symm. — Qualcuno potrebbe aver preso l'auto per creare una falsa pista. Flinx rispose con quella sua irritante sicurezza, che Symm non pretendeva di capire ma aveva finito con l'accettare: — No, qui intorno non ci sono più. I due si separarono appena superata l'ultima recinzione che circondava il quartiere privilegiato. Non ci furono formalità, niente strette di mano: fra
loro due non era richiesto niente del genere. — Se vieni a sapere qualcosa, mettiti in contatto con me al negozio di mamma Mastino — disse Flinx al gigante. — Qualunque cosa accada, ti farò conoscere i miei piani. Mentre riattraversava i cerchi concentrici del mercato, Flinx si strinse bene addosso il mantello. Stavano cadendo le ultime gocce della pioggia del mattino, in lontananza, un sole sempre fiducioso accennava a voler sbucare dalle basse nuvole grevi d'acqua. Intorno a Flinx l'attività turbinava frenetica. In quell'autentico fulcro dei commerci dell'intero Commonwealth gli affari si facevano giorno e notte senza interruzione. Flinx conosceva di vista un gran numero degli abitanti di quel mondo dentro il mondo. Alcuni erano ricchi e grandi, altri poveri ma altrettanto grandi. Certi erano non-umani, e vi erano rappresentate tutte le gradazioni di non-umanità, anche se tutti rivendicavano una specie d'inespressa fratellanza universale. Passando accanto al banco del venditore di dolciumi, Kiki, Flinx mantenne lo sguardo risolutamente rivolto davanti a sé. Era troppo presto, e il suo stomaco era troppo vuoto per i dolciumi. Inoltre i suoi visceri si contraevano ancora per i postumi del gioiello apparentemente innocuo esibitogli da Challis. Perciò, giunto davanti al banco del presidente Nils, si limitò ad acquistare una pagnottella di pane integrale spalmata di burro di noci. Nils era un venditore di alimentari sulla quarantina, dai modi autoritari. Tutti lo chiamavano «presidente»: infatti governava il suo angolo di mercato con modi dittatoriali, non sospettando che i suoi colleghi merciai e ambulanti assecondavano quella sua lieve mania solo perché la trovavano divertente. Tuttavia le sue merci cotte al forno non riservavano mai brutte sorprese ai clienti. Flinx addentò avidamente la pagnottella triangolare, godendosi il crocchiare delle noci frammiste al burro scuro. Un'occhiata al cielo gli diede un nuovo briciolo di speranza che il sole si decidesse davvero a spuntare: comunque sarebbe stato un evento raro a Drallar, mondo nuvoloso come nessun altro. Terminato rapidamente lo spuntino, Flinx si addentrò in un settore del mercato in cui negozi eleganti ostentavano ricche vetrine: tutto, lì, era ben diverso dalle baracche e dai magazzini improvvisati fra i quali era cresciuto. Quando aveva proposto di trasferire il vetusto chiosco dalle rumorose profondità del mercato, mamma Mastino aveva reagito protestando viva-
cemente. — Non saprei come comportarmi — aveva obbiettato. — Cosa ne so, io, sul modo in cui si deve trattare con i clienti ricchi ed eccentrici? — Credimi, mamma — (lui la chiamava così anche se entrambi sapevano che non era la sua vera madre, e del resto lei si comportava come una madre affettuosa verso una buona metà dei senza tetto di Drallar) — sono tali e quali i tuoi vecchi e affezionati clienti... soltanto che questi idioti verranno da te con rotoli di banconote molto più pingui. E poi, cos'altro potrei fare di tutti quei soldi che Malaika ha voluto darmi per forza? Ma alla fine era stato costretto a comperare il negozio di nascosto e a offrirglielo, mettendola davanti al fatto compiuto. Lei gli aveva inveito contro per ore, dopo che lui le aveva fatto la rivelazione; alla fine si era lasciata convincere a venirlo a vedere con i propri occhi. Anche se aveva continuato a proferire i più spaventosi improperi a ogni nuovo oggetto che lui le esibiva (l'alta classe delle merci esposte, il lussuoso alloggio al piano di sopra, la sfavillante cucina automatizzata) la sua resistenza era crollata in un batter d'occhio. Ma c'erano due cose che lei si rifiutava ancora cocciutamente di fare. Una era decidersi finalmente a gettar via il suo abbigliamento confezionato in casa: una congerie stupefacente di perline, campanellini e toppe dei più svariati tessuti e colori. L'altra era servirsi del piccolo e comodo ascensore che metteva in diretta comunicazione il negozio al pianterreno con l'alloggio al primo piano. — Il giorno in cui non sarò più capace di farmi una rampa di scale — protestava, — potrai farmi imbalsamare e mettermi in vetrina come una curiosità in vendita. — E per mostrare quant'era decisa, fin dal primo giorno aveva cominciato a salire e a scendere i gradini a quattro per volta. Nessuno sapeva quanti anni avesse mamma Mastino, e lei si guardava bene dal rivelarlo. E neppure era disposta a sottoporsi all'estesa chirurgia estetica che adesso Flinx avrebbe potuto offrirle, o a usare qualcuno dei congegni che avrebbero potuto ringiovanire artificialmente il suo aspetto generale. — Ho passato troppo tempo ad allenarmi per questo ruolo di vecchia befana, e non ho intenzione di rinuciarci proprio adesso — gli aveva dichiarato una volta per tutte. — Inoltre, più disgraziata e decrepita sembrerò, più cortesi e compassionevoli si mostreranno quegli schiocchi... ma sì, i clienti. E, fatto per nulla sorprendente, il negozio prosperava. Soprattutto perché molti dei migliori artigiani di Drallar avevano le stesse umili origini di mamma Mastino, e riservavano a lei le creazioni più belle.
Mentre Flinx svoltava l'angolo, vide che lei lo stava aspettando all'ingresso posteriore. — Di nuovo fuori per tutta la notte! Immagino che tu sia stato in qualche posto salubre come il Palazzo Rosa o Peccatoville. Vuoi proprio farti tagliare la gola prima ancora di aver compiuto diciott'anni? — Prese subito a rampognarlo, agitandogli sotto il naso un dito ammonitore. — Sarà un po' difficile, mamma. — La superò, e lei (senza lasciarsi per niente rabbonire) lo seguì nel magazzino sul retro del negozio. — Quel tuo grondone volante non ti salverà tutte le volte, sai? Non certo in una città come questa, dove tutti sono pronti a stringerti la mano mentre nel medesimo istante ti pugnalano alla schiena. Continua pure a passeggiare così nel cuore della notte, ragazzo mio, e una mattina ti porteranno qui pallido e svuotato di ogni goccia di sangue. Ma ti avverto — proseguì lei, alzando la voce, — il tuo sarà un funerale molto alla buona, poiché io non intendo rompermi la schiena lavorando per pagare un corteo lussuoso a uno sciocco! Si udì un acuto ronzio, che però non interruppe la sua concione: — Perciò ti dico per l'ultima volta, ragazzo mio... — Mamma, non hai sentito la porta? — Flinx sorrise. — È arrivato il primo cliente della mattina. Mamma Mastino scrutò attraverso la cortina di perline: — Uff! — sbuffò. Ma subito cambiò tono: — Dovresti vedere la tanzanite all'anello della donna... — Esitò, combattuta dalla necessità di soddisfare allo stesso tempo l'affetto per il figlio e l'avidità. — Ma cosa vuoi che siano un paio di clienti, quando... — Nuova esitazione. — Dodici carati almeno, quella tanzanite. E i loro vestiti indicano che forse sono terrestri... — Sollevò infine le braccia, in preda alla confusione e al disgusto. — Tu sei la mia punizione vivente, il castigo per tutti i peccati della mia giovinezza. Sparisci dalla mia vista, ragazzo! Va' di sopra, datti una lavata, spruzzati di disinfettante da capo a piedi... puzzi tremendamente di fogna. Asciugati bene, e sta' attento! Non sei ancora troppo vecchio o troppo grosso perché io non possa farti diventare paonazzo il sederino a furia di sculaccioni. — Scivolò attraverso la fitta tendina di perline, ed ebbe luogo una trasformazione quasi miracolosa: — Ah, signore... signora — tubò, con voce mielata e lusinghiera, la sua tipica voce da vecchia nonna con cui sapeva incantare tutti: — Voi onorate con la vostra presenza il mio modesto negozio. Mi sarei subito precipitata da voi, ma stavo accudendo al mio sventurato nipote che è gravemente malato e ha bisogno di molte cure costose. Il dottore teme che perda la vista a
meno che l'operazione venga eseguita il più presto possibile, e... Il suo fluido discorso da consumata imbonitrice s'interruppe quando la porta dell'ascensore si chiuse alle spalle di Flinx. Al contrario di mamma Mastino, lui non rifuggiva dal servirsi delle comodità moderne: certo non vi avrebbe rinunciato adesso, stanco com'era dopo le fin troppo intense esperienze della notte precedente. Quando infine mise piede nell'alloggio al piano superiore, si chiese come fosse possibile che una voce emessa da una gola raggrinzita dalla vecchiaia potesse assumere toni così diversi, dalla minaccia più truce all'invito più suadente e insincero. Più tardi, durante il pasto serale (che lui stesso aveva preparato, visto che mamma Mastino era stata occupata coi clienti per tutta la giornata), cominciò a spiegarle ciò che gli era successo. Una volta tanto lei non gli tenne concioni né lo sgridò, ma si limitò ad ascoltarlo con sufficiente condiscendenza finché lui ebbe finito. — Così, ora gli darai la caccia — fu il suo commento finale. — Devo farlo, mamma. — E perché? Lui distolse lo sguardo. — Preferirei non dirlo. — E va bene. — Mamma Mastino spazzò via dal piatto con un pezzo di pane l'ultima traccia di sugo. — Ho sentito parlare molto, di quel Challis: i più svariati commenti sui suoi gusti, e nessuno buono. Sui suoi affari si sa molto meno, anche se corre voce con insistenza che la ditta Challis abbia conosciuto un impulso decisivo quando lui ne è diventato il capo. — Concluse la concione con un fragoroso grugnito e si pulì la bocca con un lembo della sua gonna a più strati. — Sei proprio sicuro di doverlo fare, ragazzo? Finora sei stato fuori pianeta una volta sola, sai? — Credo di potermela cavare, mamma. — Ma sì, ne sono convinta — replicò lei, ma senza riuscire a dissimulare una sfumatura di scherno nella sua voce. — Anche se, stando a tutte le probabilità logiche, tu avresti dovuto morire non meno di una decina di volte prima del tuo quindicesimo compleanno; e non credo che quel diavoletto che ti sogghigna lì sulle spalle possa garantirti la salvezza in ogni occasione. Allungò un'occhiata velenosa alla riproduzione di un albero in oro e smeraldi. Pip era comodamente arrotolato intorno a uno dei rami, e neppure alzò la testa: il rapporto fra lui e mamma Mastino era sempre stato quello di una tregua in armi.
— Prima che tu scappi via, lasciami fare una telefonata — terminò lei. Mentre era intento a staccare laboriosamente frammenti di gelatina nera dagli interstizi fra i molari, Flinx tese l'orecchio al borbottio di mamma Mastino seduta accanto a un piccolo comunicatore all'estremità opposta della stanza. Quel radiotelefono le dava una mobilità che in tanti anni non aveva mai conosciuto: era una delle poche innovazioni tecnologiche, lì nel negozio, di cui lei avesse accettato subito di servirsi. In pochi giorni il radiotelefono l'aveva trasformata nel terrore di qualunque funzionario cittadino in qualche modo responsabile del corretto funzionamento di quella bolgia che era il mercato. Mamma Mastino fu ben presto di ritorno al tavolo. — Il tuo amico Challis è partito stamattina a bordo dell'astronave di crociera Auriga in compagnia di sua figlia e di una folla di servi. — Sogghignò. — Da quanto mi hanno riferito, se n'è andato davvero in fretta. Tu e quel grosso tonto di Symm dovete averlo spaventato davvero a morte; ma d'altra parte quel gigante, da solo, è sufficiente a far crepare uno specchio, se gli si avvicina. Fissò Flinx con sguardo interrogativo. Lui non le ricambiò lo sguardo e cominciò invece a giocherellare con l'orlo della tovaglia. — Qual è la destinazione dell'Auriga? — Hivehom — fu la risposta. — La Challis ha un bel po' d'investimenti sul tavoliere Mediterranea. Immagino che lui si precipiterà là appena l'astronave sarà atterrata. — Sarà meglio che mi prepari. — Flinx si alzò e fece per avviarsi verso la propria stanza. Una mano raggrinzita ma robusta lo agguantò a un polso, e un volto simile a una valle scoscesa scrutò minuziosamente il suo. — Non farlo, ragazzo — lo pregò lei in un sussurro. Lui scosse la testa. — Non ho scelta, mamma. Non saprei dirti cos'è, ma mi chiama... Un richiamo irresistibile. Devo andare. La stretta al suo polso si allentò. — Non so che razza di affari tu abbia con quell'uomo infame, ma non posso credere che sia una faccenda così seria. — Flinx non replicò, e quando il silenzio si prolungò oltre ogni limite lei finì col lasciarlo libero. — Se pensi di dover andare, allora va'. — Distolse lo sguardo. — Non so come funzioni la tua testa, ragazzo. Non l'ho mai capito, sai? Ma so che quando ti ficchi qualcosa dentro il cervello, poi solo tu sei capace di spremerlo fuori. Vai, allora, e abbiti la mia benedizione. Anche se — concluse, sibilando fra i denti, — non vuoi dirmi il motivo.
Flinx si chinò e baciò la crocchia grigia arrotolata dietro la testa della vecchia. — Sii benedetta anche tu, mamma — le disse, mentre lei si contorceva ostentando una viva ripugnanza per quel gesto affettuoso. Non occorse molto a Flinx per impacchettare i pochi averi che voleva portare con sé. All'improvviso gli parve che per lui contassero così poco... Quando si avviò per uscire, vide la vecchia ancora seduta al tavolo, immobile: una figura all'improvviso minuscola e fragile. Come avrebbe potuto farle capire che lui doveva rischiare la vita — quella vita che lei aveva salvato e protetto — in una ricerca quasi certamente inutile di due persone che non avevano fatto niente per lui se non metterlo al mondo...? Quando arrivò all'astroporto di Drallar, quello stesso giorno, si accorse di essere stanco soltanto fisicamente. La sua mente era acuta e sveglia più che mai. Del resto, col passare degli anni aveva scoperto di aver sempre meno bisogno di sonno. C'erano giorni in cui riusciva a farcela senza fatica dopo aver dormito sì e no mezz'ora. Quando non era sotto sforzo, qualunque momento era buono per riposare la mente. E i momenti liberi non gli mancavano di certo. Per lui, viaggiare non presentava più difficoltà, perché c'era ancora una cospicua somma registrata sulla sua carta di credito. Malaika era stato generoso. Ma c'erano altre fonti di angustia, non strettamente finanziarie. Così, un'occhiata alla gente che aspettava di salire in prima classe nella navetta bastò a provocargli un vivo disagio, perciò si affrettò ad acquistare un biglietto di classe turistica. Certo, pensò, in questo modo il suo viaggio sarebbe stato più istruttivo: era il suo primo viaggio su un'astronave di linea, e la seconda volta che lasciava Falena. Mentre seguiva lentamente la fila di gente che saliva a bordo della navetta, sotto lo sguardo di benevola degnazione dello steward, all'improvviso si rese conto, sbigottito, che stava realizzando il più affascinante sogno della sua infanzia — viaggiare fuori pianeta su una delle grandi navi di crociera equipaggiate col motore KK — senza provare la più piccola emozione. Questo lo preoccupò, mentre si stava allacciando la cintura. Mamma Mastino avrebbe potuto spiegarglielo, se si fosse trovata lì. Ciò si chiamava diventare adulti. Il viaggio in navetta fu sopportabile, ma non certo comodo e piacevole quanto il balzo compiuto col lussuoso traghetto dello yacht di Malaika, il Buco Radioso. La navetta in cui ora Flinx si trovava era concepita per tra-
sportare più passeggeri e carico possibile dalla superficie del pianeta all'orbita, e con la minor spesa possibile; giunti in orbita, passeggeri e carico venivano trasbordati dentro il grande scafo globulare della nave interstellare, e spesso con uguale mancanza di delicatezza. Una volta scaricato all'interno della grande nave, Flinx si vide assegnata una minuscola e compatta cabina; due minuti gli bastarono per ispezionarla e per disfare il suo scarso bagaglio. Durante quella settimana di viaggio intendeva trascorrere la maggior parte del tempo nelle sale di ritrovo della nave, discorrendo col maggior numero possibile di compagni di viaggio e imparando una grande quantità di cose nuove. Il passaggio dalla velocità subfotonica alla propulsione KK che consentiva di valicare l'antica barriera einsteiniana non fu una sorpresa per lui, poiché l'aveva già sperimentato parecchie volte a bordo dello scafo di Malaika. Di quella nave transpaziale gli piacque soprattutto una sala-osservatorio situata sul lato anteriore: da lì poteva guardare in avanti e contemplare le immense aste che si proiettavano come ampie autostrade, avvicinandosi fra loro per effetto della prospettiva fino a unirsi al lato posteriore del colossale disco ricurvo del proiettore del campo KK. Il grande disco cancellava le stelle davanti a loro. Sul lato frontale del disco, come lui sapeva, l'unità propulsiva proiettava il pozzo di gravità di un piccolo sole, che risucchiava potentemente in avanti la nave e il propulsore stesso e quindi anche il campo KK e il relativo pozzo di gravità... e così via. Flinx non si stancava di meravigliarsi per la linearità del funzionamento di un congegno così possente, e si convinse che tutte le grandi invenzioni sono essenzialmente semplici. Il terzo giorno stava passando piacevolmente il tempo nella sala dei giochi quando un thranx splendidamente dipinto di marrone, giallo e verde, i colori dei commercianti, si sedette sul divano di fronte al suo. Era un maschio piuttosto piccolo, alto meno di un metro al secondo torace. Entrambe le serie di gusci per le ali gli luccicavano ancora sulla schiena, indicando che non si era ancora accoppiato. I brillanti occhi sfaccettati fissarono Flinx attraverso le lenti multiple simili a gemme. Il gradevole odore naturale della sua razza aleggiò attraverso il tavolo da gioco. La creatura guardò giù, verso il tavoliere luccicante, poi la sua testa a forma di cuore tornò ad alzarsi incuriosita verso il giovane umano che lo stava manovrando. — Giochi a caccia all'hibush? La maggior parte degli umani la trova
troppo complicata. Voi di solito preferite giochi bidimensionali. — La simbolingua del thranx era precisa e piatta come un libro di testo: la varietà che un qualsiasi thranx affarista avrebbe parlato. — Ne ho ascoltato qualche descrizione e ho assistito ad alcune partite — replicò modestamente Flinx, — ma non posso certo dire di sapere come si giochi. Le mandibole dell'insetto ticchettarono comprensive (il suo rigido volto di chitina non permetteva niente di così elastico come un sorriso). Il thranx fece anche un rapido cenno col capo; poi, visto che ormai il ghiaccio era rotto, si sistemò più comodamente sul divano, le veregambe ripiegate sotto le mani-piede dell'addome, le quali si strinsero a sostenere il primo e il secondo torace. Le veremani si protesero con delicatezza e precisione sopra il tavoliere, regolando il piano del gioco. — Mi chiamo Bisondenbit — dichiarò. — E io Flinx. — Flinx... e nient'altro? — Il thranx scrollò leggermente le sue spalle da insetto. — Bene, Flinx: se vuoi imparare, io conosco le regole del gioco; ma non sono un gran giocatore, perciò sono l'ideale come primo avversario per te. — Di nuovo il ticchettio delle mandibole, accompagnato questa volta da un fischio: la risata dei thranx. Flinx rispose con un sorriso: — Mi piacerebbe molto, imparare. — Bene, bene... Questa vorrebbe essere una sequenza d'apertura mefiana, vero? Ti ho osservato mentre eseguivi gli spostamenti, lisciandomi le antenne finché i miei nervi non hanno più resistito. — Il thranx scosse vistosamente la testa. — Il tuo errore più grave — riprese subito, in tono dottorale, — è che ti ostini a dimenticare che i pezzi possono muoversi sia sopra la superficie che verso il basso, oltre che lungo le gallerie esistenti. E inoltre devi tenere le antenne costantemente puntate sul tavoliere, cercando d'intuire in anticipo le mosse dell'avversario. — Indicò poi una figura d'argento all'interno del tavolo da gioco trasparente. — Ora, ascoltami bene. Questo è un combattente Doan e può muoversi soltanto lateralmente e verticalmente, ma non può mai salire fino in superficie. Quest'altro pezzo scomponibile qui... Flinx imparò a conoscere abbastanza bene Bisondenbit durante il resto del viaggio. Il thranx amava avvolgere i suoi affari veri e propri in una specie di velo fumoso di circonlocuzioni, ma Flinx ne trasse l'impressione che commerciasse in antichità. Forse, pensò, Bisondenbit avrebbe potuto procurare qualche pregevole oggetto per il negozio di mamma Mastino.
Il giovane thranx esibiva in pieno la caratteristica che più aveva contribuito a rendere amici degli uomini quelli della sua razza: la capacità di ascoltare con la massima attenzione, indipendentemente da quanto fosse noiosa la storia che veniva raccontata. Comunque sembrò che trovasse affascinante l'intera storia della vita di Flinx — per quanto censurata in parecchi punti — dal giorno della nascita fino a quel viaggio. — Senti — disse a Flinx mentre stavano mangiando insieme in una delle ampie sale da pranzo della nave, — tu non sei mai stato prima d'ora su Hivehom ma sei deciso a trovare quell'umano come si chiama... Challis? Posso almeno aiutarti a orientarti. Senza dubbio lo troverai da qualche parte sul tavoliere Mediterranea. È lì che si trova la maggior parte degli insediamenti umani. — Rabbrividì. — Anche se non riuscirò mai a capire perché qualcuno voglia metter su casa in una tundra gelata come quella. Flinx ebbe un sorriso. La temperatura media del Mediterranea, un altopiano piatto a parecchie migliaia di metri sopra le brumose paludi di Hivehom, si aggirava confortevolmente sui ventidue gradi. I thranx prediligevano invece le temperature dai trentacinque ai quaranta, con un'umidità il più possibile vicina al cento per cento. La parola «colonizzazione» non veniva mai menzionata in relazione a questi insediamenti, su nessuno dei due mondi. Su Hivehom c'erano parecchie regioni abitate dagli umani, delle quali il tavoliere Mediterranea — con una popolazione sui tre milioni — era di gran lunga la più grande. I thranx erano favorevoli allo sfruttamento di quelle regioni inospitali, che loro avevano sempre evitato. E per contro c'erano quattro milioni di thranx che vivevano nel solo bacino del Rio delle Amazzoni, sulla Terra, il che in un certo senso pareggiava i conti. Bisondenbit spiegò a Flinx che la maggior parte delle aziende di proprietà dei terrestri stabilivano la sede sull'orlo meridionale del Mediterranea, nelle vicinanze del grosso porto per navette di Chitteranx. Senza dubbio anche quel Challis doveva avere lì la sua rappresentanza. — La città umana che sorge in quel punto viene chiamata, in lingua thranx, Azerick — fischiò sommessamente Bisondenbit. — È alto thranx, e significa «desolazione gelata»: un'espressione che in questo caso ha un doppio significato che non approfondirò, limitandomi a dire che è un bene, da parte di voi umani, possedere un senso dell'umorismo non del tutto dissimile dal nostro. Quando saremo atterrati sarò lieto di accompagnarti là io stesso, anche se non mi fermerò a lungo. Non sono equipaggiato per i viaggi nelle terre artiche. E inoltre la vita ad Azerick è parecchio costosa.
— Esitò, poi aggiunse, nel tono più cortese: — Tu mi sembri molto giovane, per un umano che viaggia da solo. Hai fondi sufficienti? — Posso cavarmela — ammise cautamente Flinx. La sua innata malfidenza era più che mai presente, anche se doveva ammettere che durante quegli ultimi giorni Bisondenbit si era dimostrato un vero amico, aiutandolo in tutti i modi. Salirono insieme a bordo della navetta. Flinx si sedette accanto a un oblò di vetrolega, dal quale avrebbe avuto un'ottima vista d'assieme del pianeta principale dei thranx, una delle due capitali del Commonwealth. Il pianeta ruotava lento sotto di lui quando la navetta si separò dalla nave-madre e cominciò la discesa. Due grandi lune risplendevano sopra il lontano orizzonte, una in parte nascosta dalla curva del pianeta. Là dove il manto nuvoloso s'interrompeva, Flinx poté distinguere l'azzurro dei piccoli oceani di Hivehom e il verde intenso delle sue giungle. All'improvviso percepì la forza di gravità che lo schiacciava sul sedile, mentre la navetta cadeva, coda in avanti, attraverso le nuvole. CAPITOLO TERZO Chitteranx era imponente: anche se era piccolo come porto per un mondo popoloso e sviluppato quanto Hivehom, sminuiva pur sempre il porto delle navette di Drallar. — La città si trova per la maggior parte nel sottosuolo, naturalmente. Tutte le città thranx sono costruite così, anche se non trascuriamo di sfruttare nel migliore dei modi la superficie. — La testa a cuore si scrollò, perplessa. — Perché voi umani abbiate sempre scelto di costruire all'insú invece che all'ingiú è una cosa che non capirò mai. Il terminale delle navette, più o meno uguale a ogni altro terminale, non attirò granché l'attenzione di Flinx, il quale aveva occhi soltanto per lo spettacolo visibile oltre le pareti trasparenti del corridoio di accesso. La giungla lussureggiante s'innalzava compatta, avvolgendo completamente il condotto. Fuori pioveva, o meglio evaporava. Il calore all'interno del terminale era oppressivo, anche se la temperatura era un compromesso fra il delizioso clima esterno — come l'aveva definito Bisondenbit — e il gelo artico del vicino Mediterranea. Su Falena, Flinx era praticamente cresciuto con la pioggia; ma quell'umidità densa e soffocante era per lui nuova e estremamente sgradevole. Gli umani potevano tollerare il clima di una serra, ma mai troppo a lungo sen-
za una protezione e mai confortevolmente. Bisondenbit, invece, continuava a lamentarsi per la temperatura gelida all'interno del terminale. Quando Flinx gli fece le proprie rimostranze, lui ribatté: — Questo è il più importante porto umano di accesso a Hivehom. Se fossimo atterrati vicino all'equatore, a Daret o a Ab-Neub, non so davvero come te la saresti cavata. — Si guardò intorno mentre sbucavano dal condotto in mezzo a un gruppo di edifici commerciali. — Prima che ti accompagni al Mediterranea, dopo essermi arrabattato a infilarmi una di quelle scomode tute termiche, lascia che mi goda un po' di questo clima meraviglioso. Cosa diresti di bere un goccio? — Vorrei cominciare subito a cercare Challis... — I traghetti per il Mediterranea partono ogni dieci cronit — insisté Bisondenbit. — Vieni... E non mi hai ancora detto cos'hai in quella scatola. — Indicò il grande contenitore quadrato che Flinx reggeva con la sinistra. — Deve trattarsi di qualcosa di esotico e prezioso, vista la cura con cui lo maneggi. — Suppongo che sia esotico, sì — ammise lui, — ma non di particolare valore. Trovarono subito un piccolo locale dove rifocillarsi, appena addentratisi fra gli edifici. C'erano pochi umani, frammisti a una folla di thranx. Flinx contemplò incantato i divani di riposo dei thranx, il gioco delle luci, i distributori delle bevande di maggior consumo sospesi sopra ogni scomparto. Bisondenbit scelse un tavolo isolato sul fondo e si dilungò in alcune raccomandazioni, utili anche se non necessarie. Flinx non ebbe nessuna difficoltà a decifrare il menù, che era stampato in quattro lingue: alto thranx, basso thranx, simbolingua e terranglo. Bisondenbit fece le ordinazioni, dopo che Flinx ebbe scelto uno fra le parecchie migliaia di alcolici che i thranx erano maestri nell'inventare. — Quand'è che vuoi tornare al terminale per ritirare il resto del tuo bagaglio? — chiese tra una frase e l'altra l'insetto, dopo che le bevande ordinate furono giunte. Osservò, con approvazione, che Flinx scartava il bicchiere per servirsi di uno dei boccali dal complicato beccuccio usati dai thranx. — È tutto qui — disse Flinx, accennando alla piccola borsa che portava a tracolla e alla grande scatola bucherellata. Bisondenbit non nascose la sorpresa. — È tutto quello che ti sei portato per questo viaggio senza sapere quan-
to tempo ti occorrerà per trovare quell'umano... Challis? — Ho sempre viaggiato leggero — fu la sbrigativa risposta di Flinx. La bevanda aveva un sapore caratteristico, dolce, vagamente simile a quello dell'uva secca. Gli andò giù calda e liscia. Decise comunque che quel viaggio cominciava ad avere il sopravvento su di lui. Si sentiva molto più stanco di quanto avrebbe dovuto essere, a quell'ora del mattino: evidentemente non era l'esperto viaggiatore interstellare che si era immaginato. — Inoltre non dovrebbe essere difficile trovare Challis — proseguì. — Certamente alloggerà alla sede della sua ditta. — E trangugiò un'altra sorsata di quel fluido denso simile al miele. Ma mentre il liquore sciropposo gli scendeva in gola, lui si accigliò. Nonostante la propria età si considerava un buon giudice per ciò che riguardava gli intossicanti, ma quel nuovo prodotto si stava rivelando ben più potente di come lo descriveva il menù. Scoprì che la vista gli si stava offuscando. Bisondenbit lo scrutò con sollecitudine. — Stai bene? Se non hai mai bevuto sookcha prima d'ora, potrebbe risultare un po' troppo... sì, un po' troppo agguerrito, per te. — Energico — lo corresse Flinx, farfugliando un poco. — Sì, proprio così, energico. Ma non preoccuparti: la sensazione passerà quasi subito. Ma Flinx si sentì crescere l'intontimento. — Credo che... se soltanto potessi uscire... Un po' d'aria fresca... — Fece per alzarsi, ma scoprì che i muscoli delle gambe rifiutavano di ubbidirgli, mentre i piedi sembravano camminare sulle pale di un mulino. Ritentò, ma inutilmente. Rinunciò a sforzarsi quando scoprì che anche il resto dei suoi muscoli sembrava in preda a una completa anarchia. — È strano — bofonchiò. — Sembra che non riesca a muovermi. — Oh, non devi preoccuparti — lo rassicurò Bisondenbit. Si sporse attraverso il tavolo e lo fissò con un'intensità che riuscì nuova a Flinx. — Vedrò che si prendano cura di te come si deve. L'ultimo pensiero di Flinx, mentre un velo nero calava intorno a lui, fu che il suo nuovo amico aveva fatto fin troppo... Si risvegliò in una cacofonia di schianti e imprecazioni in diverse lingue. Ammiccando — gli pareva di avere le palpebre foderate di platino — lottò senza successo per muovere le braccia e le gambe. Fallito ogni tentativo, si limitò a starsene lì con gli occhi parzialmente aperti. Una debole luce, proveniente da una fonte invisibile, illuminava la piccola stanza in cui si era
svegliato. A un arredamento spartano di legno rozzamente squadrato facevano da sfondo pareti di gunite grigiastra. Quando infine tutti i suoi sensi si furono schiariti, scoprì che robuste fasce metalliche gli assicuravano i polsi e le caviglie a una rozza piattaforma di legno che non era né un letto né un tavolo. Giacque disteso in silenzio. Il suo stomaco sembrava intento a complicate acrobazie, e lui pensò che sarebbe stato meglio non occuparsi della confusione esterna finché quella dentro di lui fosse cessata. Inoltre, ciò che riusciva a percepire e udire bastava ad ammonirlo che non sarebbe stato saggio richiamare l'attenzione sul fatto che si era svegliato. Il distruttivo fracasso proveniva dalla metodica dissezione dei suoi effetti personali. Ruotando lentamente gli occhi verso destra vide infatti i resti a brandelli della sua borsa e dei suoi indumenti. Quei resti lacerati venivano ispezionati da tre uomini e un thranx. Riconoscendo in quest'ultimo il suo ex insegnante di gioco e presunto amico Bisondenbit, Flinx maledisse la propria ingenuità. A Drallar non si sarebbe mai mostrato così loquace e fiducioso con un completo sconosciuto. Ma aveva passato tre giorni isolato, in totale solitudine, a bordo della nave, quando il thranx l'aveva avvicinato e si era offerto d'insegnargli a giocare. La gratitudine aveva spinto da parte l'istintiva cautela. — Nessun'arma, nessun veleno, nessuna pistola a raggi o ad ago... niente che somigli sia pur vagamente a una minaccia — si lamentò uno degli uomini, esprimendosi correttamente in simbolingua. — Cosa ancora peggiore, niente soldi — intervenne uno dei suoi compagni. — Niente... salvo una schifosa carta di credito. — Sollevò il minicomputer ultrapiatto che registrava e trasferiva i crediti in maniera infalsificabile e lo gettò disgustato su un vicino tavolo. La carta di credito atterrò fra gli altri pochi averi di Flinx. Lui osservò che restava soltanto una cosa che non avevano aperto e frugato. — Non è colpa mia — replicò Bisondenbit, fissando furioso i tre umani con i suoi occhi simili a prismi frantumati. — Non ho promesso nessun beneficio supplementare. Se insisterete a dire che non mi sono guadagnato il mio compenso, mi rivolgerò direttamente a Challis. Uno dei tre parve rassegnato. Prese da una tasca un paio di manciate di rettangolini di metallo e li porse a Bisondenbit. Il thranx li contò attentamente. L'uomo che l'aveva pagato diede un'occhiata alle fasce che imprigionavano Flinx, il quale chiuse gli occhi appena in tempo. — Sono parecchi soldi — commentò l'uomo. — Non so perché Challis abbia tanta paura:
questo è soltanto un ragazzo. Ma lui è convinto che valga il compenso che hai chiesto. Comunque, non capisco proprio. — Indicò il più grosso dei suoi compagni. — Charlie potrebbe spaccarlo in due con una mano sola. — Si voltò e toccò la grossa scatola ancora chiusa. — E qui dentro cosa c'è? — Non lo so — ammise il thranx. — L'ha tenuta in cabina per tutto il tempo. Il terzo uomo intervenne, in tono vagamente spregiativo: — Potete smettere di preoccuparvene. Ho sondato quel contenitore con i miei strumenti, mentre voialtri perdevate il vostro tempo con un innocuo ricambio di vestiti. Là dentro non c'è niente di metallico, nessun meccanismo e nessun esplosivo. Le letture degli strumenti indicano che è pieno di materia organica, o comunque di derivati organici. Probabilmente altri vestiti. — Sospirò. — Tanto vale controllare. Siamo pagati per un lavoro completo. — Prese un paio di cesoie metalliche da una valigetta ben fornita di utensili, e tagliò come burro la piatta serratura a combinazione. Fatto questo, aprì senza difficoltà il coperchio della scatola. Guardò dentro e grugnì: — Indumenti, come pensavo. Un altro paio di vestiti, e... — Fece per togliere il primo vestito... poi cacciò un urlo terribile, incespicando all'indietro, e si artigliò il lato sinistro della faccia che all'improvviso si era messa a ribollire come fango caldo. Una forma sottile eruppe dalla scatola aperta. Bisondenbit cinguettò qualcosa in alto thranx e sparì fuori dall'unica porta. L'uomo chiamato Charlie cadde all'indietro, di traverso sul corpo immobile di Flinx, sparando all'impazzata col suo lanciaraggi contro il soffitto, mentre, in un spaventoso silenzio, si affondava le dita negli occhi. Il capo del piccolo gruppo si stava precipitando a sua volta verso la porta dietro a Bisondenbit quando qualcosa lo colpì sul collo. Ululando ricadde nella stanza e prese a rotolarsi sul pavimento. Era passato meno di un minuto. Qualcosa di lungo e liscio scivolò sul petto di Flinx. — Basta così, Pip — disse lui, rivolto alla sua bestiolina. Ma il minidrago non era dell'umore di lasciarsi convincere. Dopo aver ispezionato Flinx, si alzò nuovamente in volo e cominciò a sfrecciare contro l'uomo disteso sul pavimento e a colpirlo. L'uomo prese a rotolarsi urlando, mentre degli squarci comparivano sugli indumenti e sulla pelle, dovunque il veleno colpiva. Ben presto l'uomo smise di rotolarsi. Il primo uomo colpito era già morto, mentre il secondo giaceva gemendo contro una parete dietro Flinx. Brandelli di pelle gli penzolavano da una
guancia e dal collo, e del bianco balenava là dove il veleno di Pip aveva messo a nudo l'osso. Il minidrago tornò ad adagiarsi delicatamente sullo stomaco di Flinx, poi scivolò verso la sua testa quasi accarezzandolo. La lunga lingua guizzò fuori più e più volte a sfiorargli le labbra e il mento. — La mano destra, Pip — lo istruì Flinx. — La mia mano destra. — Nella fitta penombra il rettile lo guardò interrogativamente. Flinx fece schioccare le dita in un modo speciale, e finalmente il minidrago in parte strisciò e in parte svolazzò fino alla mano in questione, appoggiando la testa sul palmo aperto. Le dita cominciarono a chiudersi lentamente, la testa di Pip si agitò raschiando appena la pelle di Flinx, poi s'immobilizzò, senza opporre resistenza, quando la stretta si chiuse. Muovendosi a tentoni, Flinx ebbe qualche difficoltà ad allineare esattamente il muso di Pip, ma infine riuscì a puntarlo esattamente là dove la fascia metallica s'incastrava nel legno. Allora le dita presero a massaggiare alcuni muscoli dietro la mascella del minidrago. Qualche goccia di veleno colò giù dal tubulo rastremato che solcava il palato osseo di Pip. Si udì un energico sfrigolio. Flinx attese fino a quando il rumore cessò, poi diede un violento strattone col braccio. Un secondo strattone, e il metallo profondamente corroso cedette. Ora Flinx, sollevando Pip con rinnovata prudenza, lo trasferì sull'altro lato del corpo, e lì ripeté il procedimento. Una volta liberati i polsi, Flinx passò alla caviglia sinistra: Pip eseguiva accuratamente tutto ciò che gli veniva ordinato. Liberata la gamba sinistra, Flinx colse un movimento alla propria destra. E anche Pip lo colse: s'innalzò in aria fulmineo. L'unico sopravvissuto dei tre uomini strillò quando il minidrago gli si fece vicino. — Va' via, va' via!... Non lasciare che si avvicini! — farfugliò, in preda al più abbietto terrore. — Pip! — ordinò Flinx. Un attimo di silenzio, durante il quale il minidrago continuò a svolazzare nervosamente davanti all'uomo rannicchiato, gli occhi gelidi, le ali che sbattevano così veloci da formare una macchia confusa, minacciando la sua vittima sanguinante, la cui clavicola occhieggiava livida attraverso il tessuto disfatto. Infine Flinx strappò via l'ultima fascia. Si tirò lentamente in piedi e si avvicinò al tavolo. I vestiti che indossava erano sporchi e lacerati al punto di risultare irrecuperabili. Cominciò allora a infilarsi i pochi indumenti rimasti intatti, quelli tra le cui pieghe Pip era rimasto comodamente arrotola-
to. — Mi dispiace per i tuoi amici, ma in verità neanche troppo — mormorò all'uomo sconvolto sul pavimento. Tirò l'ultima chiusura lampo, poi si girò verso di lui. — Raccontami l'intera storia e non tralasciare nessun particolare. Più domande sarò costretto a fare, più Pip diventerà impaziente. Un torrente di parole sgorgò dalle labbra dell'uomo: — Quel tuo amico thranx è un criminale di terz'ordine! — Commercio d'antiquariato — mormorò Flinx. — Molto divertente. Continua. — Gli era parso strano che un ragazzo come te, che viaggiava da solo, volesse a tutti i costi trovare Conda Challis. D'intuito, si è messo in contatto con gli uffici di Challis di qui e ha riferito del tuo imminente arrivo. Qualcuno, in alto loco, è rimasto turbato e gli ha detto di consegnarti a noi perché ti controllassimo. — Sì, tutto questo ha senso — convenne Flinx. — E cosa mi sarebbe accaduto dopo essere stato... sì, controllato? L'uomo si rannicchiò in un angolo il più possibile lontano dal minidrago e bisbigliò: — Usa la testa: cosa puoi immaginarti? — Challis ha sostenuto di essere una persona che odia le mezze misure — osservò Flinx. — Io avrei potuto essere anche un passeggero innocente... ma non avrebbe fatto differenza. — Infilate di nuovo nella borsa le sue poche cose rimaste indenni, si avviò verso la porta dalla quale Bisondenbit si era dileguato pochi istanti prima. — E io? — farfugliò l'uomo a terra. — Hai intenzione di uccidermi? Flinx si voltò sorpreso, e i suoi occhi si strinsero quando contemplò quel relitto umano che appena pochi minuti prima stava rovistando fra le sue cose con tanta arroganza. — No, perché? Dimmi invece dove posso trovare Conda Challis. Poi, ti consiglio di raggiungere al più presto un ospedale. — Si trova all'ultimo piano della torre amministrativa, all'estremità opposta del complesso. — Quale complesso? — chiese Flinx, sorpreso. — Oh, già! Tu non sai ancora dove ti trovi, vero? — Flinx scosse la testa. — Qui siamo al quarto sottolivello dell'impianto della Challis Hivehom Mining Components. La famiglia Challis controlla una grossa fetta nell'industria dei macchinari per miniere. «Esci qua fuori nel corridoio, gira a sinistra, e va' avanti finché avrai raggiunto una fila di ascensori. Vanno tutti in superficie. Lassù, chiunque potrà indicarti la torre amministrativa: complessivamente l'impianto ha una
forma a esagono, e la torre amministrativa è all'angolo di nordest». — Grazie — commentò Flinx. — Mi sei stato di molto aiuto. — Non di aiuto, piccolo avvelenatore bastardo — borbottò l'uomo crudelmente ferito, appena Flinx se ne fu andato. — Solo... cos'altro avrei potuto fare? — Si mise a strisciare verso la porta aperta. Nel corridoio, una volta assicuratosi che nessuno gli aveva preparato un'imboscata, Flinx aveva fatto nuovamente schioccare le dita: — Pip, adesso puoi riposarti. Il minidrago fischiettò piacevolmente e svolazzò fin dentro la scatola aperta, rintanandosi fra i brandelli di tessuto. Flinx riuscì a chiuderla con un gancio raffazzonato in qualche modo. Il più presto possibile avrebbe fatto sostituire la serratura rotta: in caso contrario, qualche innocente avrebbe corso il rischio di fare la stessa fine dei suoi ex catturatori. Nessuno gl'intimò di fermarsi mentre proseguiva verso gli ascensori. Le varie porte erano affiancate da file di numeri: 4-B, 3-B, e così via fino allo zero, poi la numerazione riprendeva da zero a quattro. Quattro piani sotto e quattro piani sopra la superficie, dedusse Flinx. Lo zero doveva contrassegnare la superficie, e fu questo il pulsante che Flinx premette quando infine arrivò una cabina. L'ascensore lo trasportò fino a un immenso atrio dalle pareti completamente di vetro e dal soffitto altissimo. Un flusso costante di thranx e di umani entrava e usciva dagli ascensori. — Scusi — trillò un terzetto di thranx, scostandolo delicatamente per entrare nell'ascensore che lui aveva appena lasciato libero. Benché lui avesse l'inquietante impressione che tutti lo guardassero, in realtà nessuno gli prestava la minima attenzione. Non c'era ragione perché dovessero farlo, concluse infine rilassandosi. Soltanto un uomo e uno sparuto gruppo di servitori, forse, gli stavano dando la caccia. Un'immensa scrivania con la vistosa scritta Informazioni era piazzata subito dentro l'ingresso della grande sala. Vi sedeva un thranx, quasi sperduto. Flinx si avvicinò con passo tranquillo, cercando di dare un'impressione di efficiente sicurezza. — Scusi — chiese in alto thranx, — può dirmi come si arriva alla torre amministrativa da qui? L'insetto, un anziano dall'aspetto piuttosto ufficiale, si voltò verso di lui. Flinx notò che era dipinto di nero e di giallo ma che non ostentava sulla chitina nessuno degli intarsi smaltati di cui i thranx erano così orgogliosi. Il tipo di funzionario rigido e austero.
— Quadrante nordest — rispose seccamente il thranx, sottintendendo che colui che aveva fatto la domanda avrebbe dovuto saperlo. — Esca dall'ingresso principale, quello — continuò, puntando una veramano, mentre con una manopiede sosteneva il torace superiore proteso sopra la scrivania. — Poi giri a sinistra fino al portale H. La torre è alta dodici piani, l'autoporto è sulla terrazza. — L'alveare la benedica — lo ringraziò Flinx, ossequioso. L'anziano lo fissò, con improvvisa attenzione. — Ehi, cosa signi... Ma Flinx era già stato inghiottito dalla folla indaffarata. Il funzionario lo cercò con lo sguardo per qualche istante, poi rinunciò e tornò al suo lavoro. Flinx avanzò rapidamente attraverso il complesso degli impianti; un operaio gli indicò cortesemente la strada l'unica volta che si smarrì. Quando finalmente scorse l'inequivocabile profilo della torre amministrativa, Flinx rallentò, rendendosi conto all'improvviso che da quell'istante in poi non aveva la minima idea di ciò che avrebbe dovuto fare. La reazione di Challis alla sua inaspettata scomparsa sarebbe stata tutt'altro che amabile. E questa volta il grasso mercante, e probabilmente anche i suoi sottoposti, sarebbero stati pronti ad affrontare Pip. Malgrado tutte le sue capacità letali, il minidrago era ben lungi dall'essere invulnerabile. In qualche modo lui doveva intrufolarsi dentro la torre e scoprire il punto esatto dove si trovava Challis. Perfino da quella distanza riusciva a percepire le intense emanazioni di una presenza più piccola e tenebrosa. Non aveva però nessuna garanzia che Mahnahmi e Challis si trovassero insieme. La ragazzina aveva forse percepito anche lei la sua presenza? Fu un pensiero che lo rese subito attento e teso. Infine decise di gettarsi dietro le spalle ogni esitazione e di agire con decisione. Varcò con passo spavaldo l'ingresso principale. Un thranx dall'aria efficiente, con tre galloni intarsiati sul torace superiore, fu pronto a intercettarlo: con estrema cortesia, naturalmente. — Lo sciame sia con i suoi affari — disse l'insetto, con voce mielata. — Vuole dichiarare il suo nome e il motivo della sua visita, per favore? Flinx stava per rispondere quando una porta laterale si spalancò all'improvviso e una squadra di thranx massicciamente armati ne sgorgò fuori. Il caposquadra lo indicò e urlò: — È lui! Fermalo! Reagendo prontamente, il sottufficiale che aveva chiesto a Flinx le sue generalità l'afferrò per un braccio con una veramano. Flinx sollevò una gamba e gli sferrò un calcio, sebbene con riluttanza. La chitina, una vera e
propria corazza, era praticamente invulnerabile salvo alle giunture, e fu appunto una di queste che il piede di Flinx colpì. La giuntura si spezzò con un crac!, e il sottufficiale lanciò un angosciato cinguettio mentre Flinx si precipitava verso la fila di ascensori che si aprivano sulla parete di fronte. Balzò dentro una cabina, appiattendosi di lato, e schiacciò il pulsante più alto. Indicava l'undicesimo piano. Per raggiungere il dodicesimo, notò Flinx, occorreva azionare un comando con una chiave speciale. Parecchi raggi ad alta energia perforarono la porta dell'ascensore mentre si metteva in marcia. Fortunatamente non colpirono nessun meccanismo vitale e la corsa non fu rallentata, anche se i tre fori dagli orli fusi, comparsi al centro della porta, fecero rabbrividire Flinx. Un rabbioso picchiare dentro la scatola ai suoi piedi richiamò la sua attenzione. Appena ebbe sganciato il rudimentale dispositivo di chiusura, un Pip inferocito ne balzò fuori come un razzo. Dopo una rapida ispezione all'interno della cabina il minidrago si accomodò nervosamente sulla spalla destra di Flinx, arrotolandosi strettamente e vibrando di eccitazione con i muscoli tesi. Non c'era più motivo di tenere nascosto il rettile, pensò Flinx, poiché ora sapevano fin troppo bene chi era lui. Ma chi o cosa l'aveva tradito, adesso? Mahnahmi! Doveva essere stata lei! Gli parve quasi di udire la risata di scherno della ragazzina. La capacità di Mahnahmi di recar danno restava pur sempre un fattore ignoto: ma era senz'altro possibile, pensò Flinx, che lei disponesse di poteri mentali perfino superiori ai suoi, e per giunta non sottoposti alla minima disciplina interiore. Certo, nessuno gli avrebbe creduto se lui avesse avuto la possibilità di raccontarlo. Mahnahmi aveva imparato a recitare in modo perfetto la sua parte di bambina innocente, dagli occhi sgranati per lo stupore. Il problema, tuttavia, consisteva nello stabilire se la malizia di Mahnahmi era basata sul calcolo o su un puro e indisciplinato desiderio di distruzione. Flinx sentiva che lei poteva passare dall'odio all'amore — entrambi ugualmente intensi — da un istante all'altro. Se soltanto si fosse resa conto che lui non intendeva farle del male... Ma subito pensò che con tutta probabilità se ne rendeva conto. Lui era soltanto una possibile fonte di divertimento per quella ragazzina, niente più. Qualche semplice manipolazione gli consentì di bloccare il meccanismo della porta, per cui gli fu possibile aprirla senza che l'ascensore si arrestasse. Quando la cabina fu al decimo piano, balzò fuori, voltandosi poi a
guardarla mentre proseguiva verso il piano di sopra. Quindi si diede a una rapida esplorazione del luogo in cui si trovava. Sembrava una combinazione di studio e alloggio, e probabilmente apparteneva a uno dei più elevati segretari di Challis. O a uno dei sovrintendenti degli impianti. Se non c'erano scale, sarebbe rimasto intrappolato lì. Non riteneva che le guardie del corpo di Challis sarebbero state così sciocche da consentirgli una seconda fuga con l'ascensore. Il luogo in cui si trovava, comunque, era deserto. Mentre lui si soffermava a riflettere sulla situazione, una violenta esplosione risuonò al piano di sopra. Si girò di scatto e vide frammenti di metallo e di plastica cadere fumanti nel pozzo dell'ascensore. Si rese conto, all'improvviso, che c'era un solo modo di sfuggire al malanimo di Mahnahmi. Lottò per svuotare la mente, cancellò ogni pensiero, ogni più piccolo accenno a ciò che aveva intenzione di fare, ai suoi movimenti nell'immediato futuro Lentamente la scura nube che aveva aleggiato intorno a lui si diradò. Lui non riuscì più a percepire la presenza di Mahnahmi, e adesso lei avrebbe dovuto essere altrettanto cieca nei suoi confronti. E c'era anche una forte probabilità che Mahnahmi, come chiunque altro, pensasse, almeno nei prossimi minuti, che lui era rimasto ucciso nell'esplosione della cabina dell'ascensore. Una rapida perlustrazione gli rivelò che quell'alloggio aveva un solo ingresso: la porta dell'ascensore, adesso inutile. Nessun altro ascensore si apriva lì dentro. Ciò lasciava soltanto una strada aperta per i piani superiori e l'autoporto sul tetto. Il suo sguardo cercò la finestra ricurva che si affacciava sul panorama dell'intero complesso e sul tavoliere Mediterranea più oltre. Flinx raggiunse la finestra e scoprì che si apriva facilmente. La parete esterna della torre era ricoperta da una fitta decorazione in rilievo in stile thranxiano. Lui guardò in alto, valutando ogni aspetto della situazione. Adesso, almeno, non lo stavano più aspettando. La sua mente registrò per un breve attimo la splendida vista del Mediterranea, punteggiato di fabbriche e di agglomerati residenziali umani. In lontananza s'intravedevano le terre basse, coperte di bruma ed estese fino all'orizzonte. Gli appigli offerti dalle asperità metalliche ornamentali, là fuori, non erano sicuri come lui li avrebbe voluti, ma se la sarebbe cavata lo stesso. Gli sarebbe bastato scalare un piano. Riattraversò l'ufficio-alloggio ed entrò nel bagno, dove trovò una finestra più piccola. L'aprì, uscì fuori e comin-
ciò la scalata. A meno che la pianta dell'appartamento al piano di sopra fosse radicalmente diversa, avrebbe dovuto trovare un altro bagno — magari più ampio ma sperabilmente libero — in corrispondenza di quello dal quale era appena uscito. Sarebbe stato il posto migliore per infilarsi dentro con la massima discrezione. Muovendo mani e piedi in accurata successione fece dei lenti ma costanti progressi verso l'alto, senza mai guardare dietro di sé e men che meno in basso. A Drallar aveva scalato altezze maggiori, su superfici umide e ancor meno sicure... e quand'era molto più giovane. Comunque continuò a muoversi con la massima cautela. La mancanza di vento era una benedizione. Infine incontrò una pronunciata sporgenza sopra la quale c'era una finestra. Si aggrappò, tirandosi su con forza, e si trovò in tal modo a guardare attraverso una lastra trasparente: scoprì, con soddisfazione, che era socchiusa di qualche centimetro. Poi notò due figure in piedi in fondo alla stanza. Una era grassa e madida di sudore, ma non certo a causa di qualche brusco esercizio fisico. L'altra era piccola, bionda e con due grandi occhi spalancati. Improvvisamente lo videro. — Non lasciare che mi prenda, papà! — gridò lei, con finto terrore. Flinx aprì la mente e percepì la viva eccitazione che faceva vibrare quella di lei. Ne fu nauseato. — Non so perché insisti a tormentarmi — balbettò Challis, confuso e frenetico. Una pistola a raggi gli era comparsa in mano, puntata verso la spalla di Flinx. — Non ti ho fatto un gran male... Ma ora porrò fine alla tua persecuzione. Addio. — Il suo dito cominciò a stringersi sul grilletto. Pip comparve fulmineo sulla spalla di Flinx. Challis vide il serpente alato, spostò la mira e sparò. Ma il ricordo di ciò che il minidrago era capace di fare gli provocò un tremito così forte che le scariche mancarono abbondantemente il bersaglio. Pip e Flinx rimasero del tutto illesi mentre invece l'incorniciatura della finestra, di legno autentico, prese fuoco sopra di loro. Le fiamme si estesero velocemente, e in pochi attimi l'intera stanza si riempì di un fumo denso e acre. La fitta nuvolaglia costrinse il mercante a precipitarsi fuori dalla stanza, ma impedì ugualmente a Flinx di entrarvi. Allora lui cominciò a scendere lungo la parete esterna, quanto più rapidamente osava, mentre Pip gli svolazzava rabbioso intorno alla testa cercando qualcosa da uccidere. Flinx rifletté che ben difficilmente sarebbe riuscito a scendere fino al livello del suolo prima che Challis ne informasse le guardie. Continuò a scendere a-
guzzando gli occhi: un piano, un altro, un terzo. Quattro piani più in basso scoprì una finestra con un vetro rotto e riparato alla bell'e meglio per mezzo di un adesivo trasparente. Due rapidi calci violenti bastarono a far schizzare via un'abbondante fetta di vetro, e lui balzò dentro... per trovarsi davanti a una donna stupefatta. Lei urlò. — Per favore — si affrettò a dirle Flinx, gesticolando nel tentativo di calmarla mentre si avvicinava a lei. — Non gridi... non ho nessuna intenzione di farle del male. La donna urlò di nuovo. Flinx gesticolò, ancor più frenetico, per azzittirla. — Stia buona... Finirà col farmi scoprire... Le urla continuarono. Flinx si fermò, la mente in subbuglio, non sapendo cosa fare. Inevitabilmente quella femmina urlante si sarebbe fatta sentire. Pip risolse prontamente il problema. Fece un balzo a mezz'aria verso la donna. Lei vide la lunga e sinuosa forma del rettile che fulmineamente si avvicinava, la bocca spalancata, le ampie ali membranose che sbattevano nell'aria... E allora svenne. Ciò servì a far smettere le urla, ma Flinx era ancora intrappolato in quella torre dove ora certamente l'allarme squillava dal primo all'ultimo piano, togliendogli praticamente ogni possibilità di allontanarsi indisturbato. Si guardò rapidamente intorno, cercando dove nascondersi, un armadio, una cassa... o quantomeno un'arma con cui potersi difendere. Infine la sua attenzione ritornò alla donna, che si era afflosciata scompostamente in avanti. Si curvò ad afferrarla e sistemarla in una posizione meno scomoda, ma mentre la sollevava da terra vide la porta socchiusa dell'adiacente bagno. Il suo sguardo tornò alla donna: ora che la vedeva meglio, si rese conto che era alquanto giovane. Un minuto più tardi un folto drappello di guardie armate fino ai denti irruppe nella stanza. Non trovando nessuno, le guardie si sparpagliarono all'intorno ispezionando ogni possibile nascondiglio. Una entrò nel bagno, notò due gambe di donna che sporgevano in basso da dietro un paravento, e si ritrasse rapidamente bofonchiando le sue scuse. Insieme alle altre, la guardia uscì per proseguire l'ispezione nell'appartamento vicino. Tre uffici più in là le venne in mente che la donna non aveva risposto alle sue scuse: né con un «Prego», né con una gelida accettazione formale, e
meno ancora con una serie d'improperi. Niente. Ciò le parve strano, e allora riferì il fatto al suo superiore. Insieme, si precipitarono nuovamente nelle stanze in questione e da lì nel bagno. Le gambe erano ancora nella stessa posizione. Cautamente, l'ufficiale bussò al paravento e si schiarì la gola. Non ricevendo risposta, diede ordine agli uomini che lo scortavano di tirarsi indietro coprendo ogni possibile via di fuga, e tirò via di scatto il paravento. La donna stava recuperando i sensi giusto in quell'istante: si trovò seduta, tutta nuda, sul water, a fissare le bocche delle armi da fuoco puntate con estrema decisione su di lei da alcune guardie. Svenne di nuovo. Quando finalmente la donna, brutalmente scossa, riuscì a riprendersi, Flinx era ben lontano dalla torre. Nessuno aveva fatto caso alla ragazza snella e dai capelli corti che stava lasciando l'alta torre. Flinx aveva fatto un uso eccellente dei cosmetici trovati nella scrivania della giovane donna: a Drallar era assai utile essere esperti anche in cose che altri trovavano assurde o perfino sconvenienti. Uno solo, fra gli impiegati, aveva notato qualcosa di strano. Ma preferì non confidare ai colleghi che la grossa cintura di cuoio stretta intorno alla vita della ragazza aveva compiuto un paio di bruschi movimenti che neppure il suo vistoso ancheggiare avrebbe giustificato. Finalmente lontano sia dalla torre che dalle fabbriche di Challis, Flinx si sfilò gli abiti muliebri e lasciò che Pip smettesse di far finta di essere una cintura di cuoio. Sdegnando i normali mezzi di trasporto, adesso troppo rischiosi, si avviò a piedi fino all'orlo della scarpata. La ripida discesa fra le rocce, profonda alcuni chilometri, era tale da mozzare il fiato; ma lui non poteva starsene lì ad aspettare, passeggiando per il Mediterranea, che qualcuno degli scherani di Challis gl'intimasse l'alt con l'arma spianata. Né, d'altra parte, voleva trovarsi costretto ad affrontare le imbarazzanti domande di qualche autorità. Perciò inspirò profondamente, scelse un punto in cui la parete rocciosa appariva meno a strapiombo, e cominciò a calarsi verso il paese delle nebbie. In certi tratti il basalto scendeva sì a picco ma era molto antico e friabile, perciò Flinx trovò un gran numero di appigli. Comunque, dubitò ugualmente che Challis l'avrebbe ritenuto capace di affrontare una simile scarpata affidandosi soltanto alle mani e ai piedi. Non mancarono, qua e là, punti assai difficili da superare, ma ciuffi di rampicanti robusti e flessibili gli permisero di oltrepassarli senza danni. Le
braccia, per lo sforzo continuo, cominciarono a dolergli, e a un certo punto un piede gli s'informicolò lasciandolo appeso precariamente con le mani e un piede aggrappati a sporgenze quasi impercettibili. Un chilometro più in basso il dirupo accennò ad addolcirsi e la discesa si fece molto più agevole su pendii meno vertiginosi. Flinx aumentò la velocità. Alla fine, pieno di lividi e graffi, del tutto esausto, raggiunse la giungla sul fondo. Si fermò un paio di minuti per orientarsi, poi si avviò con passo deciso in quella che doveva essere — così si augurò — la direzione del porto. Aveva scelto con cura il tracciato della discesa, in modo da non essere costretto ad aprirsi troppo a lungo una strada nel folto della vegetazione. Ma era ben lungi dall'immaginare che nonostante le apparenze stava lottando al disopra di una delle regioni più densamente popolate del pianeta. Un'intera metropoli thranx si stendeva nelle viscere del suolo, scavata nella terra e nella roccia sotto quella soffocante distesa di piante e di nebbia. In altre parole, Flinx camminava nel cuore di una nuvola verde e grigia sospesa sopra una città. Svuotato di ogni energia, al punto di augurarsi che Challis l'avesse centrato quando gli aveva freneticamente sparato addosso lassù sulla torre, si spinse attraverso un'altra fitta e coriacea macchia di arbusti... e finì col ruzzolar fuori, all'improvviso, sulla superficie di una superstrada. Altri due giorni, e fu di nuovo a Porto Chitteranx. Tutti quelli che incrociò si affrettarono a evitarlo. Lui era ben conscio dello spettacolo che doveva offrire, dopo la faticosa discesa giù per la scarpata e il successivo attraversamento della giungla. Per sua fortuna, qualche thranx fra quelli incontrati aveva avuto pietà di un essere umano così malridotto e gli aveva fornito cibo e acqua sufficienti a continuare. La vista della periferia del porto bastò a rallegrarlo. Pip si alzò in volo alle grida di gioia di Flinx, poi riprese il suo posto sulla spalla del ragazzo. Flinx alzò gli occhi a guardarlo: il minidrago appariva perfettamente a suo agio a quel calore tropicale così simile a quello del suo mondo natio, Alaspin. — Tu sì che puoi permetterti di essere contento, brutta bestia — gli disse Flinx con invidia. Quando lui era sceso per lo strapiombo lottando centimetro dopo centimetro, Pip aveva svolazzato continuamente intorno a lui, senza il minimo impaccio, continuando a pungolarlo con la sua impazienza perché accelerasse la discesa, quando anche un mezzo passo falso poteva significare la morte certa.
L'impiegato allo sportello dell'agenzia bancaria al terminale del porto era umano, ma ciò non gl'impedí di conservare tutta la compostezza alla vista di quel giovane incredibilmente sporco e con l'abito a brandelli che si stava avvicinando. Da uomo saggio, aveva appreso ben presto nella sua vita un principio fondamentale: uno strano aspetto poteva sempre indicare ricchezza o stravaganza, e i due fatti non si escludevano a vicenda. Perciò trattò quello straccione all'identico modo in cui avrebbe trattato un cliente elegante e fastoso. — In cosa posso servirla, signore? — chiese nel suo tono più soave, anche se, senza parere, distolse il naso da quell'apparizione. Flinx gli spiegò le proprie necessità e fornì tutte le informazioni su se stesso, che furono inserite in un computer. Pochi istanti più tardi il computer dichiarò che sì, la persona davanti allo sportello dell'agenzia bancaria — di nome Flinx, nome registrato «Philip Lynx», impronte retiniche così e cosà, schema di pulsazioni tot e tot — era davvero un correntista della King's Bank di Falena, città di Drallar, e che l'ammontare complessivo del suo credito ritirabile in data odierna era... L'impiegato si ricompose e riuscì a guardare in faccia Flinx. — Signore... come le è accaduto di perdere la sua carta di credito computerizzata? — Ho avuto un incidente — gli spiegò Flinx, senza scoprirsi troppo, — e non mi sono accorto quando mi è schizzata via di tasca. — Sì. — L'impiegato continuò eroicamente a sorridere. — Ma non deve assolutamente preoccuparsi. Come lei sa, nessun altro può usare la sua carta di credito. Dirameremo un avviso a tutte le banche e le agenzie del Commonwealth con le caratteristiche della sua carta smarrita, e nel giro di un'ora lei ne riceverà un'altra nuova di zecca, a questo sportello. — Posso aspettare. Tuttavia... — Flinx indicò i propri vestiti con un eloquente gesto delle mani. — Vorrei ripulirmi un po' e comperare qualche abito nuovo. — Naturalmente — assentì l'impiegato, e infilò la mano in un cassetto. — Basta che lei firmi questo scontrino e mi permetta di registrarvi sopra la sua impronta retinica, e potrò anticiparle qualunque somma le serva. Flinx chiese una somma ridicolmente modesta, ascoltò le indicazioni che gli diede l'impiegato su dove avrebbe potuto farsi un bagno e acquistare di che rivestirsi da cima a fondo, e si allontanò dopo avergli stretto la mano pieno di gratitudine. Acquistò due tute, e alla fine indossò la più elegante: sentì di dovere a se stesso un po' di lusso, dopo quello che aveva passato.
Il bagno lo tenne occupato per la maggior parte dell'ora; quando infine tornò all'agenzia bancaria, somigliava nuovamente a un essere umano invece che a un selvaggio delle giungle di Hivehom. La sua nuova carta di credito, come promesso, era pronta. — Posso fare qualcos'altro, per lei? — Grazie, ha fatto fin troppo. Io... — Flinx s'interruppe e girò di scatto la testa a sinistra. — Mi scusi, ma vedo un vecchio amico. Diede all'impiegato una pingue mancia e schizzò via, lasciandolo a bocca aperta. La zona centrale del terminale, ricoperta da un'ampia cupola, era gremita di viaggiatori che andavano e venivano producendo un intenso brusio. Ma il piccolo thranx alle spalle del quale Flinx si avvicinò a rapidi passi silenziosi era occupato in un'attività di tipo del tutto diverso. — Credo che farai meglio a restituire a quella signora la sua borsetta addominale — disse Flinx all'insetto dalle dita fin troppo abili. Quando udì quelle parole, una matrona thranx dalla chitina profusamente intarsiata e ingioiellata e qua e là placcata d'argento si voltò a fissarlo, perplessa e incuriosita. Il thranx colto di sorpresa da Flinx sussultò visibilmente e si girò di scatto per affrontare il suo accusatore. — Signore, se lei pensa che io abbia... — La sua voce divenne un pietoso gorgoglio. Flinx gli fece un soave sorriso, e Pip si agitò nervoso sulle sue spalle. — Ciao, Bisondenbit. L'idea di un paio di occhi compositi che schizzavano fuori dalle orbite era ovviamente un'assurdità biologica, ma quella fu l'impressione che ebbe Flinx. Le antenne di Bisondenbit tremavano con tanta violenza che Flinx quasi si convinse che si sarebbero staccate. Il thranx fissava con angosciato terrore Pip, che si era snodato in tutta la sua lunghezza. — La borsetta addominale — ripeté Flinx, a voce più bassa, — e calmati, prima che ti si spacchi in due la scatola cranica. — S-s-sí — balbettò Bisondenbit. Cosa interessante, prima di allora Flinx non aveva mai visto un thranx afflitto da balbuzie. Volgendosi verso la vecchia femmina, Bisondenbit infilò una mano dentro la fin troppo ampia tasca del secondo torace e ne tirò fuori una borsetta esagonale di filigrana d'oro. — Ha appena lasciato cadere questa, regina madre — borbottò con riluttanza, usando il titolo onorifico ufficiale. — I ganci si sono tutti aperti: vede?
La veneranda matrona stava controllando il proprio secondo torace con una manopiede, mentre allungava una veramano verso la borsetta. — Non capisco, ero certa che fosse saldamente... — S'interruppe ed eseguì un complicato movimento col cranio e le antenne che indicava profondi ringraziamenti; poi aggiunse: — Il suo intervento è molto apprezzato, padre della guerra. Flinx trasalì al complimento, certo vergognosamente immeritato. L'atteggiamento di Bisondenbit durò finché la matrona fu scomparsa tra la folla; poi il giovane thranx si rialzò con un guizzo e fissò nervosamente Flinx. — Io non volevo che ti uccidessero... Nessuno doveva restare ucciso — si affrettò a dire, riprendendo il patetico balbettio. — Non me l'avevano detto, che erano decisi a ucciderti. Io avrei dovuto soltanto portarti... — Smettila — gli ingiunse Flinx. — E non farfugliare di morti e non morti. Troppa gente ci ha già rimesso la pelle, in questa faccenda. — Oh, su questo sono d'accordo — fu pronto ad ammettere il thranx, mentre lentamente riprendeva a respirare. — Comunque, io non ho ammazzato nessuno e non... — Improvvisamente il suo atteggiamento cambiò, passando dalla paura a una viva curiosità. — Come sei riuscito a scappare dalla torre e a scendere giù dal Mediterranea? Mi era stato riferito che ti stavano dando una caccia spietata. — Mi sono reso invisibile e sono volato giù — rispose Flinx con un sogghigno. Bisondenbit lo fissò perplesso; poi scoppiò a ridere, s'interruppe di colpo e tornò a fissarlo. — Sei un tipo davvero strano, anche per un umano. Non so se devo crederti o no. — Improvvisamente si guardò intorno, contemplando il terminale in piena attività, e il suo nervosismo riaffiorò. — Challis, e altri intorno a lui, vogliono sapere dove ti sei cacciato. Si parla di una grossa ricompensa, che verrebbe pagata seduta stante. L'unico indizio che hanno della tua fuga, tuttavia, è rappresentato da una donna che è confinata in un ospedale. È ancora in preda a un attacco isterico. — Oh, mi dispiace — mormorò Flinx, in tutta sincerità. — Non è bene che mi vedano insieme a te: tu sei diventato merce che scotta. — Fa sempre piacere, sapere che si è desiderati — replicò Flinx in tono spensierato, ignorando deliberatamente le paure di Bisondenbit. — A proposito: non sapevo che i thranx annoverassero fra i propri talenti anche quello del borsaiolo. — La nostra abilità digitale è sempre stata notevole. E a loro volta anche
molti esseri umani hanno preso da noi altre abilità ugualmente... ehm, utili. — Posso ben immaginarlo — sbuffò Flinx. — Si dà il caso che io viva in una città piena di simili abilità. Ma adesso non ho tempo di disquisire sulla moralità di certi scambi culturali. Dimmi invece dove posso trovare Conda Challis. Bisondenbit fissò stralunato il giovanotto come se all'improvviso si fosse fatto spuntare un paio di mani in più. — Ma è quasi riuscito a ucciderti, e ti sta cercando per riprovarci. Non posso credere che tu voglia continuare a misurarti con un nemico così potente. Io mi considero un buon giudice degli umani. Tu non mi sembri mosso da desiderio di vendetta. — Infatti non è per questo — replicò Flinx, nervoso, ricordando che Piccolo Symm aveva supposto che lui inseguisse Challis spinto appunto da quel desiderio. La gente insisteva ad attribuirgli moventi che lui non aveva. — Ma se non è vendetta, allora perché lo insegui? Non che mi renda triste vedere un po' sulle spine un tizio con la reputazione di Challis, anche se questo intralcia non poco le mie relazioni d'affari. — Dimmi soltanto dove si trova. — Se mi dirai perché lo cerchi. Flinx diede di gomito a Pip: il serpente volante si mosse, sbadigliando ed esibendo così la sommità dell'esofago col sacco velenifero. — Non credo che sia necessario — disse Flinx, in tono significativo. Bisondenbit, terrorizzato, alzò di scatto le veremani e le manipiede in un istintivo gesto di difesa. — Lascia perdere — sospirò Flinx, stanco di minacciare. — Se te lo dirò, potrebbe anche filtrare in modo convincente fino all'orecchio di Challis. Sono convinto che lui è in possesso d'informazioni sui miei veri genitori e su quello che è accaduto loro dopo che... mi hanno abbandonato. — Genitori? — fece Bisondenbit, perplesso. — Mi era stato detto che tu l'avevi minacciato di morte. — Non è vero. Challis è terrorizzato nei miei confronti a causa di un incidente accaduto durante un nostro precedente incontro. Ha tentato di obbligarmi a fare una cosa che io non volevo. — E per questo hai ucciso tutte quelle persone? — Io non ho ucciso nessuno — protestò Flinx, a disagio. — L'ha fatto Pip, e soltanto per difendermi. — Be', i morti sono morti — concluse Bisondenbit, con filosofia. Fissò Flinx, incredulo. — Non avrei mai immaginato che un essere qualsiasi,
perfino un essere umano, potesse essere ossessionato a tal punto da simili desideri aberranti. Forse t'importa più della tua vita sapere chi erano i tuoi genitori? — Noi non abbiamo la tradizione della madre dell'alveare alla quale far risalire la nostra origine — gli spiegò Flinx. — Sì, m'importa davvero così tanto. L'insetto scrollò la sua testa a cuore. — Ti auguro allora una felice e armoniosa caccia in questa tua folle ricerca. In un altro tempo e in un altro luogo, forse sarei stato tuo compagno di clan. — Sporgendosi in avanti, protese le antenne. Dopo un attimo di esitazione, Flinx si sporse a sua volta e le sfiorò con la testa. Quindi si raddrizzò e diede un'occhiata ammonitrice allo smilzo thranx. — Cerca — disse, — di tenere le tue veremani nel tuo torace e non in quello degli altri. — Non vedo perché le mie attività dovrebbero interessarti fintanto che non ti coinvolgono — protestò il thranx. Ora che, chiaramente, Flinx non manifestava nessuna intenzione di trucidarlo, il sollievo lo rendeva quasi arrogante. — Mi denuncerai alle autorità? — Soltanto per deliberato rifiuto di fornirmi informazioni vitali — rispose Flinx, sempre più impaziente. — Non mi hai ancora detto dove si trova Challis. — Perché non gli mandi un nastro con la tua richiesta? — gli consigliò il thranx. — Tu non penseresti subito che è una trappola? Le mascelle di Bisondenbit ticchettarono. — Capisco. Sei uno strano essere, uomo-ragazzo. — Neppure tu sei un incubante. Dov'è? La chitina delle spalle del thranx si mosse producendo un caratteristico raschiamento, come un cartone passato su una stuoia. Bisondenbit parlò con una percettibile sfumatura d'orgoglio. — Io non sono uno dei vermi al soldo di Challis, te lo garantisco. Tu l'hai fatto scappare da Falena, e adesso l'hai fatto scappare anche da Hivehom. La sede principale della Challis si trova nella capitale della Terra, e sono convinto che Challis si è rifugiato là. Senza dubbio ti sta aspettando, se nel frattempo non è morto di paura. Possa tu trovarlo prima che quelli che t'inseguono trovino te. — Fece per andarsene, poi si fermò più che mai incuriosito. — Addio, Bisondenbit — lo salutò Flinx, asciutto. Il thranx fece per ag-
giungere qualcosa, ma vide il minidrago che cominciava a muoversi e ci ripensò. Si allontanò lanciando di tanto in tanto delle occhiate dietro di sé e borbottando insoddisfatto. Da parte sua, Flinx non provava il minimo senso di colpa per aver lasciato andar libero un borsaiolo. Non spettava certo a qualcuno che aveva sulla coscienza la sua parte di losche attività, pensò, giudicare quelle di un altro. Per quale motivo Challis non avrebbe voluto credere che lo scopo che spingeva lui a cercarlo non era un'inutile e primitiva vendetta? Decise che Challis riusciva a capire soltanto le menti perfide e crudeli come la sua. In un modo o nell'altro doveva escogitare qualcosa per aggirare l'ostacolo. Il viaggio da Hivehom all'altro pianeta-capitale del Commonwealth, la Terra, era assai lungo, anche alla propulsione massima. Ma Flinx si considerò infine ripagato dal panorama che si godeva dal traghetto che lo trasportava giù dalla grande nave transpaziale. Quella era la verde leggenda, Terra magnificat, il luogo da cui era proliferata l'umanità, seconda capitale del Commonwealth e sede della Chiesa Unita. Il mondo in cui un rozzo primate si era improvvisamente sollevato sulle zampe posteriori per essere più vicino al cielo, mai immaginando che un giorno l'avrebbe varcato. Eppure, salvo per l'azzurro degli oceani, in sé quel globo non era niente di notevole, per la maggior parte una distesa di nubi bianche e di brune macchie di terra. Lui, del resto, non avrebbe saputo dire cosa si era aspettato. Guglie dorate che trapassavano le nubi, forse, o montagne scintillanti di cromo che si stagliavano contro i mari: tutto ciò era allo stesso tempo assurdo e sublime. Ma certamente la Terra possedeva ambedue queste qualità, anche se non le esibiva nel modo clamoroso che lui aveva sognato. Certo, pensò mentre la navetta sprofondava attraverso l'alta atmosfera, l'onnipresente e sfavillante color smeraldo di Hivehom colpiva assai di più, e anche le gialle «ali» di Falena — cioè i resti dei suoi anelli — erano molto più spettacolari. Ma in qualche punto là sotto, il suo bis-bisnonno o bis-bis-bisnonno era nato e vissuto e morto... CAPITOLO QUARTO Scendendo lungo un invisibile corridoio diretto da ovest a est, la navetta passò sopra il grande centro direzionale di Perth prima d'iniziare la lunga
planata finale sopra le interminabili distese coltivate dell'Australia centrale. Flinx intravide fugacemente singole città, grandi impianti per la produzione di cibo e scintillanti stazioni per l'energia solare, concentrati soprattutto intorno alla metropoli industriale di Alice Springs. Batté la mano sulla lussuosa valigia ai suoi piedi, ascoltò il confortante sibilo che ne uscì, e si allacciò la cintura per l'atterraggio. Il traghetto stava scendendo verso il più grande porto per navette di tutta la Terra. Il porto formava la base del gambo di un'immensa T brulicante di edifici, la cui sommità si allargava a nord e a sud fronteggiando le calde acque del Pacifico. Brisbane era la capitale della Terra da centinaia di anni, e il suo porto marittimo — in posizione ideale fra le distese continentali e l'aperto Pacifico — era il più attivo del pianeta. Era anche nella posizione più conveniente per i grandi insediamenti thranx dell'Australia settentrionale e della Nuova Guinea, e per la sede centrale della Chiesa Unita a Denpasar. Ci fu un lieve urto, e furono a terra. Nessuno al terminale mostrò d'aver notato Flinx, né più tardi mentre si avviava lungo le strade dell'immensa città. Si sentiva tremendamente solo, ancor più che a Hivehom. La capitale lo stupì. Lì non c'erano torri svettanti. Brisbane non brulicava di attività commerciali come la città di Lala, nel nordovest dell'America, oppure Londra o Jakutsk, o perfino il mercato di Drallar. Le strade erano assai tranquille, e in alcuni punti spiccava ancora un'architettura originale, pittoresca, che risaliva perfino a un periodo precedente all'Amalgamazione. Gli uffici governativi apparivano sì adeguatamente immensi, ma erano stati costruiti bassi, aderenti al suolo, e fornivano un'ampia prospettiva panoramica poiché si estendevano in una sapiente combinazione di metallo e pietra affondata nel verde. Localizzare la sede della Challis fu abbastanza semplice. Un'accurata ricerca gli permise d'identificare senza difficoltà il luogo in cui sorgeva la residenza di famiglia. Ma riuscire a entrare in quella specie di santuario isolato e protetto era tutt'altra faccenda. Le osservazioni di Bisondenbit gli tornarono alla mente: come avrebbe potuto raggiungere Challis e spiegargli il proprio scopo prima che il mercante lo facesse uccidere? Doveva trovare il modo di prolungare il tempo che Challis gli avrebbe concesso prima di distruggerlo. Doveva... Verificò la carta di credito. Non
era ricco, ma certamente si trovava molto al disopra delle condizioni di mendicante. Comportandosi con oculatezza avrebbe avuto qualche settimana di tempo per trovare la ditta più adatta per portare a compimento il suo piano. Trovò la ditta che cercava alla periferia della zona industriale a sud della città. Una segretaria lo scortò da un vicedirettore, il quale, presa visione degli abbozzi che Flinx aveva preparato, a sua volta lo condusse dal direttore. Questo era una vecchia signora la quale, essendo laureata in ingegneria, non ebbe difficoltà ad afferrare gli aspetti tecnici della richiesta. La sua preoccupazione riguardava altri aspetti. — Perché gliene servono tanti? — chiese, stringendo le labbra e scostandosi istintivamente dalla fronte una ciocca di capelli grigi. — Conosco bene la gente con cui dovrò trattare. Credo proprio che mi servano tutti. Lei fece dei calcoli sul minuscolo computer da tavolo, poi contemplò nuovamente i suoi abbozzi. — Possiamo senz'altro procurarle ciò che lei vuole, ma il tempo necessario e il grado di precisione desiderato richiederanno molto denaro. Flinx diede il nome di una banca locale e un numero. Una breve conversazione al videotelefono fece sì che il volto dell'anziana signora si allargasse in un sorriso. — Sono lieta che questo aspetto sia sistemato. Le questioni di denaro mi fanno sempre sentire un po' sporca, sa? Uhm... posso chiederle per cosa intende usarli? — No — rispose in tono amabile Flinx, mentre Pip si spostava pigramente sulla sua spalla. — È per questo, che sono venuto da voi: una piccola ditta con una grande reputazione. — Lei sarà disponibile per la programmazione? — chiese ancora la vecchia signora, esitando. — Trasferimento diretto, se sarà necessario. Ciò parve sistemare definitivamente le cose nel cervello del direttore. Lei si alzò e gli porse la mano. — Penso proprio che potremo accontentarla, signor... — Usi pure il numero della banca che le ho dato — replicò lui, sorridendo e stringendole la mano. — Come vuole — acconsentì lei, chiaramente delusa. Il contrasto fra il sontuoso azzurro dell'oceano e le colline sabbiose della
Costa d'Oro era sensazionale. Un alto crinale poco distante era sparso di lussuose residenze private, ampiamente spaziate fra loro e disposte in modo da godere il più possibile dello splendido panorama della baia... nonché da fornire spazi aperti, fra vicini, che non presentavano difficoltà a una sorveglianza continua e discreta. Una fra queste residenze spiccava appunto per la sua riservatezza spinta all'estremo. Era situata addentro alle rocce come un topazio incastonato nell'oro; del tutto priva di angoli acuti, sembrava far parte integrante della scogliera chiazzata qua e là d'erba. Soltanto le finestre di vetrolega bizzarramente sagomate indicavano che là dietro c'era un'abitazione. Più in basso, riccioluti frangenti percuotevano la sponda con geometrica regolarità, cugini più piccoli delle grandi ondate che si rovesciavano contro la costa più a sud. Lì, in un antico villaggio ribattezzato Surferparadise, una congerie di umani di molte razze misti ad alieni di altri mondi praticavano il surf, lasciandosi trasportare dalle acque ribollenti per centinaia di metri fino alla battigia. Flinx se ne stava lì osservando, senza partecipare. Seduto su una bassa duna, nervi e muscoli distesi, studiava i più recenti adepti di quello sport arcaico. Non lontano da lui sostava il veicolo di superficie che aveva noleggiato. In quel momento Flinx stava osservando un gruppo misto di giovani, ognuno dei quali era allo stesso tempo più vecchio e più giovane di lui. Erano studenti di una delle molte grandi università che mantenevano alcune delle loro facoltà nella capitale. Quel gruppo disdegnava di esibirsi con le tavole in favore del più breve e violento surf corporale. Tra loro c'erano alcuni giovani thranx, e ciò era ovvio. L'azzurro cupo dei maschi e l'intenso acquamarina delle femmine erano quasi invisibili sull'acqua, e spiccavano chiaramente soltanto quando la sommità di un cavallone si frantumava in una cresta di schiuma candida. Il surf corporale non era certo uno sport nativo dei thranx, ma come molti altri sport umani era stato da loro gioiosamente adottato. Vi portavano la loro caratteristica bellezza: anche se un thranx non avrebbe mai potuto uguagliare l'agilità da foca di un essere umano, quando si trattava di cavalcare nudi le onde erano assai superiori. Flinx contemplò i loro corpi dal duro guscio danzare sulla parte anteriore delle onde, il torace superiore proiettato in avanti così da consentire all'aria di raggiungere le spicole respiratorie. Di tanto in tanto un umano montava sulla schiena di un amico thranx per una doppia cavalcata. Ciò non rappresentava il minimo fastidio per le cavalcature insettoidi, il cui corpo era più
duro e quasi altrettanto galleggiante delle tavole ellittiche. Flinx sospirò. La sua adolescenza era stata piena di attività assai meno innocenti. Le circostanze l'avevano fatto maturare troppo in fretta. Abbassò gli occhi sulla sabbia e spinse in fuori un piede per impedire l'avanzata di un granchio eremita. Con un dito lo fece rotolare sul fianco. Il piccolo crostaceo sferzò furiosamente l'aria con le zampette pelose e scagliò granelli di collera indignata contro il suo enorme assalitore. Recuperato l'equilibrio, continuò ad avanzare lungo la sua incerta traiettoria, a una velocità appena maggiore del normale. Flinx sospirò: se anche gli esseri umani avessero badato ai fatti loro con altrettanta tenace determinazione... Esplorando con gli occhi su e giù lungo la costa, al centro della quale la casa di pietra gialla cercava di nascondersi il più possibile tra i dirupi, rifletté che Challis doveva far ritorno presto dai suoi uffici nella capitale. Un gabbiano stridette sopra di lui, annunciandogli che era giunto il momento... Conda Challis non aveva dimenticato il suo giovane inseguitore quando scese, scortato dalla sua guardia personale, dal veicolo di superficie. Mahnahmi corse fuori dalla casa per dargli il benvenuto, ed entrambi videro la figura in tuta che stava risalendo il viottolo con aria solenne. In qualche modo, aveva valicato le difese esterne. Mahnahmi restò col fiato sospeso, e Challis riuscì perfino a diventare ancor più pallido. — Francis... La guardia del corpo di Challis non aspettò altri ordini. Aveva notato la reazione di entrambi, il suo datore di lavoro e la figlia, e fulmineamente dedusse che la persona che si stava avvicinando era una che non si doveva stare ad ascoltare ma uccidere. Estratta la pistola, sparò prima ancora che Challis avesse fatto in tempo a completare l'ordine. Naturalmente la persona che stava risalendo il viottolo avrebbe potuto essere anche del tutto innocua. Ma già in passato Challis gli aveva perdonato simili sviste, che anzi avevano rinforzato la fiducia di quel grand'uomo in lui... La fiducia di Challis diede i suoi frutti, poiché la figura del giovane dai capelli rossi che gesticolava all'impazzata si disintegrò in una spaventosa esplosione innescata dal lanciaraggi illegalmente sovraccarico. — E questa è fatta, finalmente — mormorò il mercante con torva soddisfazione. — Ma non mi sarei mai aspettato che riuscisse ad arrivarmi così vicino. Grazie, Francis. La guardia rinfoderò la pistola, assentì brevemente col capo, poi iniziò
un giro completo intorno alla casa, per un'accurata ispezione alla ricerca di altre possibili insidie. Mahnahmi si era avvinghiata disperatamente alla vita di Challis. Normalmente il mercante sdegnava ogni affettuosità; ma poiché il fulmineo episodio l'aveva scosso al punto di fargli provare sentimenti quasi normali, non scacciò via la bambina. — Oh, sono così contenta che tu l'abbia ucciso — disse Mahnahmi, tirando su rumorosamente col naso. Challis abbassò gli occhi su di lei e la fissò stranamente. — Sei contenta che io... Ma perché? Perché avrebbe dovuto spaventare te? — Be'... — La sua voce angelica esitò. — Spaventava te, e così spaventava anche me. — Uhm — grugnì Challis. A volte i commenti di quella bambina suonavano sorprendentemente maturi. D'altra parte, rammentò a se stesso sorridendo, dal giorno della nascita era vissuta in compagnia di adulti. Altri tre o quattro anni, se non prima, e sarebbe stata pronta per un altro tipo di educazione. Mahnahmi rabbrividì e si nascose la faccia tra le mani, cosicché Challis non potesse accorgersi che lei rabbrividiva di ripugnanza e non di paura. Francis, completato il giro, ricomparve e non fece caso a lei. Mahnahmi aveva letto i pensieri di Challis riguardo al suo futuro (non era la prima volta che glieli leggeva nella mente), e come al solito erano viscidi e appiccicosi come la scia di una lumaca. — Benvenuto a casa, signore. La cena sarà pronta fra poco — disse il maggiordomo, accogliendoli. — C'è un tale che l'aspetta, signore. Non ha armi con sé: ho controllato personalmente. Insiste a dire che lei lo conosce. La sta aspettando in soggiorno. Challis sbuffò irritato, e si svincolò bruscamente da Mahnahmi. Era insolito che qualcuno venisse fin lì per affari. Gli uffici di Challis al centro della città erano perfettamente accessibili alla clientela legittima, e comunque lui preferiva che nessuno venisse fin lì a violare l'intimità della sua residenza personale. Tuttavia poteva pur sempre trattarsi di Cartesan con urgenti informazioni sull'acquisto di quel forte quantitativo di minerale grezzo su Santos V, oppure... Si avviò verso il soggiorno, dietro a Mahnahmi che lo stava precedendo di corsa. Una figura con la schiena rivolta verso di lui contemplava l'oceano sot-
tostante attraverso l'ampia finestra ricurva. Challis si accigliò, e cominciò a dire: — Non credo... La figura si voltò. Challis, che si era appena ripreso dallo spavento subito mezzo minuto prima, fu colto completamente di sorpresa. I circuiti semiorganici che controllavano il suo occhio artificiale, il sinistro, si contrassero e lo fecero ruotare vorticosamente nell'orbita, confondendo ancor di più i suoi pensieri. — Senti — prese a dire affannosamente la figura dai capelli rossi. — Devi ascoltarmi. Non voglio farti del male. Voglio soltanto che tu... — Francis! — strillò il terrorizzato mercante alla vista del fantasma. — Dammi solo un minuto, un minuto per spiegare — insisté Flinx. — Finirai soltanto col rovinare la tua mobilia, se... — Accennò ad alzarsi. Challis fece un balzo indietro, fuori dal soggiorno, e premette frenetico un pulsante nascosto. Interruttori simili a quello erano dissimulati accanto a ogni porta, dentro la casa. Era il suo estremo dispositivo di sicurezza, e funzionò con perfetta efficienza. Una fitta rete di raggi azzurri sprizzò da lenti nascoste nelle pareti, tracciando nel soggiorno una specie di mosaico di pura energia. Due raggi trapassarono la figura dai capelli rossi. Challis aveva dovuto aspettare che si alzasse in piedi, altrimenti i raggi gli sarebbero passati sopra la testa senza colpirlo. Il mercante si esibì in una breve risata nervosa mentre la figura crollava, scivolando goffamente contro il divano e rotolando poi sul pavimento. Dietro Challis, Mahnahmi fissava la scena con gli occhi spalancati. Challis lottò per dominare il respiro affannoso, poi con cautela si avvicinò alla figura immobile. Le tirò un calcio, prima con cautela e poi con tutte le forze. Il corpo esanime non cedette sotto il suo stivale come avrebbe dovuto. Sporgendosi in avanti, Challis scrutò i due fori che i raggi avevano prodotto sul petto del visitatore. Non c'era sangue, e all'interno di entrambi i fori intravide qualcosa di carbonizzato che non era carne né ossa. L'odore che ne emanava era famigliare... ma sbagliato. — Circuiti elettrici e gelatina elastica! — borbottò. — Non c'è da meravigliarsi che ce ne fossero due. Robot. — Robot! — squittí una voce argentina dietro di lui. — Non c'è da meravigliarsi che... — Lei tacque di colpo, e Challis, accigliandosi, si girò a mezzo verso di lei. — Cosa stavi dicendo, Mahnahmi?
Lei si mise un dito in bocca e cominciò a succhiarlo con aria innocente mentre fissava la figura contorta sul pavimento. — ... che non uscisse sangue — concluse, in tono disinvolto. — Sì, ma... — riprese Challis, il volto preoccupato, — ... dov'è Francis? — Sta dormendo — l'informò una nuova voce. Le mani del mercante ricaddero impotenti lungo i fianchi, e Mahnahmi si ritrasse istintivamente quando Flinx fece il suo ingresso nella stanza, col suo sorriso sornione. A differenza dei primi due, quel terzo esemplare aveva un rettile che si agitava, arrotolato sulla sua spalla destra. — Mi dispiace — proseguì. — Temo di aver dovuto metterlo fuori combattimento... e anche quel tuo troppo zelante maggiordomo. Hai un personale troppo nervoso, Challis. — La sua mano si alzò e toccò la parete accanto al pulsante nascosto che comandava i lanciarazzi multipli. — Davvero un bell'espediente! Challis valutò freneticamente la possibilità di gettarsi lungo disteso sul pavimento; poi distolse lo sguardo dal pulsante, fissò di nuovo Flinx e si leccò le labbra. — Vuoi smetterla con la tua fissazione? — lo pregò il giovane. — Se volevo ucciderti avrei già attivato questo comando, non ti pare? — E picchiò col dito sulla parete accanto al pulsante. Challis si lasciò cadere lungo disteso, con un'esclamazione angosciata. Mahnahmi si precipitò piegata in due verso di lui, urlando con collera infantile: — Uccidilo, papà, uccidilo! — Va' via! — ringhiò all'improvviso Challis, sbattendola da parte con un ceffone. E lentamente si risollevò, prima in ginocchio e poi in piedi, e fissò la figura silenziosa nel corridoio. — Hai ragione, avresti potuto uccidermi facilmente e non l'hai fatto. Perché? Flinx si appoggiò allo stipite della porta. — È un bel po' di tempo, che cerco di dirtelo. Quell'incidente su Falena è passato, finito, chiuso. Non ti ho inseguito fin qui per ucciderti. La tua morte non sarebbe valsa la pena che io facessi un viaggio fino a Hivehom e meno ancora fin qui sulla Terra. — Non riesco a crederlo... ma forse sei davvero sincero — confessò il mercante, mentre cercava faticosamente di rimettere ordine nei pensieri. — Sei davvero tu, questa volta? — Sì. — Il giovane annuì e indicò la propria spalla sulla quale Pip allargava le mascelle in impressionanti sbadigli. — Non sono mai senza Pip. Oltre a essere la mia miglior assicurazione, è anche il mio migliore amico. Come hai fatto a non notare che le mie due riproduzioni meccaniche sono
comparse senza Pip sulla spalla? — Uccidilo! — urlò di nuovo Mahnahmi. Challis si voltò verso di lei. — Chiudi il becco, altrimenti ti darò a Francis perché si diverta con te appena avrà ripreso i sensi. Perché questa improvvisa collera, Mahnahmi? Lui ha ragione: a quest'ora avrebbe potuto uccidermi un paio di volte, se davvero l'avesse voluto. Comincio a convincermi che dica la verità. Perché sei così... — Perché lui... — cominciò a dire precipitosamente Mahnahmi; poi si azzitti e riprese, guardando per terra: — Perché mi fa paura. — E allora vai dove non può farti paura. Va' nella tua stanza. Su, presto, esci da qui. La ragazzina dai capelli dorati si voltò e si diresse, altezzosa e fremente di rabbia, verso una porta all'estremità opposta della stanza, biascicando fra i denti qualcosa che certamente Challis non avrebbe apprezzato se fosse stato in grado di udirla. Ma Challis si era voltato di nuovo a fissare incuriosito Flinx. — Ma se non mi vuoi morto, allora perché, in nome di Aucreden, mi hai dato la caccia attraverso metà Commonwealth? — Improvvisamente divenne un ospite estremamente gentile. — Su, entra, accomodati, bevi qualcosa. Vuoi fermarti a cenare con noi, stasera? Flinx scosse la testa, sogghignando in un modo che a Challis non piacque affatto. — Non voglio la tua amicizia, Challis, ma soltanto alcune informazioni. — Se si tratta dei gioielli di Janus o di qualunque altra cosa collegata a loro, non posso dirti nulla. — Non c'entra niente con questo, né col tuo tentativo di costringermi a partecipare alle tue depravazioni private. Quando stavi per... lasciare la tua casa, a Drallar, hai detto qualcosa sulle caratteristiche della mia discendenza materna. Challis parve perplesso. — Se dici che l'ho detto, l'avrò detto senz'altro. E allora? — Io non so assolutamente nulla dei miei veri genitori. Tutto ciò che il mio venditore ha potuto fornire alla mia madre adottiva è stato il mio nome. Nient'altro. — Flinx si sporse avidamente in avanti. — Credo che tu ne sappia di più. — Be', io... non ci ho mai pensato. — Hai detto che avevi un fascicolo su di me, che avevi accumulato informazioni sul mio passato.
— È vero. Per essere sicuro che tu possedessi realmente il tipo di talento che stavo cercando, era necessario indagare sulla tua storia personale il più completamente possibile. — Dove ti sei procurato le informazioni? — Non vedo ragione di tenertelo nascosto... salvo il fatto che non lo so. — La mano di Flinx si mosse di scatto verso l'interruttore fatale. — Ma è vero, è vero! — urlò Challis, di nuovo in preda al panico. — Credi forse che io possa tenere a mente ogni più piccola fonte d'informazione che la mia gente scopre? — Si drizzò, con esagerato orgoglio. — Si dà il caso che io sia a capo di una... — Sì, sì — ammise impaziente Flinx. — Non deliziarmi con l'elenco dei tuoi titoli. Puoi identificare la fonte dell'informazione? Vediamo se il tuo sistema di raccolta dati è efficiente come sostieni. — Se ti accontenterò — chiese bruscamente il mercante, — sarà l'ultima volta che ti vedrò? — Questa è l'unica cosa che voglio da te. Infine il mercante si decise. — Aspetta un attimo. — Si voltò e si diresse verso l'estremità opposta della stanza. Fece scorrere all'insù il coperchio di quello che sembrava un antico scrittoio di legno. L'interno risultò gremito di blocchi magnetici e circuiti logici collegati a un'elaborata tastiera. Le dita di Challis si mossero rapide sui tasti. Si produsse tutta una serie di lampeggiamenti e ticchettii, quindi dalle nascoste profondità dello scrittoio uscì un piccolo nastro stampato che lui inserì in un lettore. — Ecco qui. Vieni a vedere tu stesso. — Grazie, ma preferisco restare qui. Leggimelo tu. Challis scosse la testa davanti a quell'irragionevole mancanza di fiducia, poi rivolse l'attenzione al testo ingrandito. — Bambino di sesso maschile — lesse meccanicamente, — età registrata sette mesi all'orfanotrofio patrocinato dalla chiesa di Allahabad, provincia India, Terra. Quest'informazione è seguita dall'elenco dei dati d'identificazione (impronte digitali, corneali, retiniche, conformazione del cranio e così via) più alcune caratteristiche puramente esteriori quali colore dei capelli e degli occhi, numero delle pieghe cutanee alle articolazioni delle dita, e così via. «Tutti questi dati sono messi a confronto con quelli relativi a un orfano di cinque anni venduto sotto il nome di Philip Lynx in tale e tale data al libero mercato di Drallar, Falena. A quanto pare i miei informatori hanno avuto l'impressione che ci fossero sufficienti coincidenze per affermare che si trattava dello stesso bambino».
— Ma il nome... il nome del bambino all'orfanotrofio di Allahabad, lo dice? — Flinx doveva sapere se Lynx era il suo vero nome di famiglia oppure se era soltanto un nomignolo che gli era stato dato perché era figlio di una «lynx», cioè di una di quelle donne sofisticate e indipendenti che sceglievano e abbandonavano gli amanti per propria scelta, libere di andare e venire come desideravano. Challis non fu in grado di dirglielo. — Qui non c'è. Se vuoi ulteriori informazioni, probabilmente dovrai cercarle nella documentazione originale della Chiesa... ammesso che ti venga concesso di accedervi. Potresti cominciare da Allahabad, naturalmente, ma senza dare prima un'occhiata alla documentazione originaria sarebbe difficile dire da dove cominciare. Inoltre, Denpasar è molto più vicina. — Allora andrò lì. — Non riuscirai mai ad avere accesso a quei documenti. Ragazzo mio, credi che sia concesso a chiunque lo voglia di accedere agli archivi originali della Chiesa? — Dimmi soltanto dove si trova Denpasar. Challis sogghignò. — Su un'isola chiamata Bali, a circa cinquemila chilometri da qui in direzione nordovest, nell'arcipelago indonesiano. — Grazie, Challis, non mi vedrai mai più. — Flinx si girò e scomparve lungo il corridoio. Subito Challis si voltò verso un complesso di piccoli schermi situati sopra la tastiera. Uno mostrava il suo visitatore che si stava dirigendo all'ingresso principale. Challis schiacciò un pulsante. La figura dai capelli rossi allungò una mano per far scattare il meccanismo di apertura... e sia lui che la porta si dissolsero in una vampa accecante. Il contraccolpo giunse fino a Challis, obbligandolo ad aggrapparsi per non cadere. — Non rendo certo facile l'ingresso agli ospiti indesiderati — commentò, lanciando uno sguardo truce alla tastiera. — Ma una volta dentro, faccio in modo che non escano più. Ciò che adesso era, Challis non lo era diventato affidandosi al caso. Forse l'assurda storia del ragazzo era vera, ma poteva anche trattarsi di un espediente per attirarlo in qualche inimmaginabile trappola diabolica. Che il ragazzo fosse astuto era stato dimostrato ampiamente. In ogni caso non costava nulla accertarsene. Soltanto la sua vita. Chiuso lo scrittoio, Challis uscì con calma dalla sala. Fu sorpreso d'incontrare Mahnahmi nel corridoio. Dietro di lei il telaio metallico della porta principale, contorto e annerito, fumigava ancora: adesso sovrastava un
cratere irregolare che si estendeva per un buon tratto nel corridoio, prolungandosi all'esterno della casa attraverso la pavimentazione di ferrocemento della stradina di accesso. La ragazzina reggeva in mano qualcosa. Un pezzo di braccio. Fluidi variamente colorati ne sgocciolavano fuori, e minuscoli cavi penzolavano da ambedue le estremità squarciate. Challis fu afferrato da un miscuglio di paura e di ammirazione mentre fissava il frammento dell'arto che Mahnahmi stava ispezionando con tanta accuratezza. Per la prima volta cominciò a chiedersi che razza di creatura si fosse scelto come nemico. Che si trattasse di qualcosa di più di un diciassettenne insolitamente astuto l'aveva sospettato fin da quell'incredibile fuga da Hivehom. Ora ne era certo. Quel braccio, ovviamente, era meccanico. Il Flinx della cui autenticità Challis era convinto era solo un automa più convincente, come Mahnahmi avrebbe potuto dirgli subito. Ma ora Flinx se n'era andato, pensò con rabbia la bambina, e aveva guastato il suo gioco. Quei pezzi rimasti erano così interessanti... Continuò a scrutare il pezzo di braccio, e lo confrontò con un frammento di serpente volante metallico lì vicino. Non era giusto! Poiché Challis aveva detto a quell'automa ciò che l'automa voleva sapere, lei non avrebbe più rivisto il vero Flinx. E con Flinx lei si era tanto divertita! Ora avrebbe dovuto trovare la mente di qualcun altro con cui giocare... Flinx seguì con lo sguardo il granchio eremita, il quale, conclusa l'esplorazione, si lasciò trasportar via dal risucchio di un'onda morente. Quando il granchio scomparve, Flinx spense il registratore affibbiato alla cintola. Quel nastro non aveva registrato più nulla, dopo che il terzo simulacro era stato distrutto dal mercante. Flinx si alzò in piedi, spazzolando via la sabbia che gli era rimasta aderente al vestito. Rifletté tristemente sull'infondata paranoia di Conda Challis. Finalmente lui aveva appreso tutto ciò che era possibile da quel grasso mercante, e l'informazione era lì al sicuro in quel piccolo e prezioso registratore che funzionava su distanze sorprendenti. I robot erano stati un azzardo costoso, ma avevano funzionato. Flinx tornò alla vettura presa a nolo. Sul sedile accanto a lui c'era una speciale tastiera con cinque spie luminose. Tre erano spente, mentre due brillavano ancora di una costante luce verde. Challis avrebbe appreso con vivo interesse che, se avesse distrutto il terzo visitatore prima di rispondere alle sue domande, erano in attesa altri due Flinx eseguiti alla perfezione.
Per qualche istante Flinx pregustò l'idea di aspettare la notte e di mandarli tutti e due nella camera da letto del mercante. Ma... no. Si sarebbe reso passibile di una denuncia per molestie continuate — o peggio — ai danni di un'altra persona. Invece inviò ai due simulacri rimasti il segnale di ritorno alla base. Le due luci verdi cominciarono ad ammiccare con regolarità, indicando che si stavano muovendo. Erano sulla via del ritorno alla fabbrica dove Flinx li aveva ordinati. Là le loro complesse interiora sarebbero state recuperate, e lui sarebbe tornato in possesso di una porzione non trascurabile del conto in banca che aveva così brutalmente svuotato. Mise in moto la piccola e potente vettura e la regolò perché lo portasse automaticamente al porto delle navette atmosferiche. Quel terminale per voli esclusivamente planetari si trovava molto lontano a sud della capitale, nelle vicinanze della zona industriale nord di Sydney. Challis aveva esplicitamente affermato che sarebbe stato assai difficile per un estraneo avere accesso agli archivi della sede centrale della Chiesa Unita. Be', lui l'avrebbe controllato ben presto. Là, seppellita in quegli archivi, c'era un'oscura genealogia che lui voleva a tutti i costi rintracciare. CAPITOLO QUINTO I voli suborbitali da e per ogni città importante della Terra si svolgevano con cronometrica regolarità, riempiendo perennemente il cielo di quel gigantesco porto. L'impiegato nel quale Flinx s'imbatté aveva un aspetto lustro ed efficiente, ma la sua mente era ottenebrata da un quarto di secolo passato a dar sempre le stesse risposte alle domande più sciocche. Perdipiu lui sapeva di non potersi aspettare nessuna promozione, e inoltre sospettava che la sua figlia più piccola desse simultaneamente appuntamenti a due uomini anziani e a una giovane signora. Quando Flinx gli si presentò, l'impiegato stava appunto riflettendo che ai suoi tempi le ragazze si comportavano in modo assai diverso. — Ho appena cercato di acquistare un biglietto per una città chiamata Denpasar — gli spiegò Flinx, — ma la biglietteria automatica ha lampeggiato Nessuna destinazione del genere. Perché? — Lei da dove viene, giovane signore? — chiese cortesemente l'impiegato. Flinx lo fissò a bocca aperta. Ben poche volte in vita sua qualcuno l'aveva chiamato «signore». Stava per rispondere «Vengo dalla città di Drallar,
sul pianeta Falena», ma all'improvviso ricordò una delle sagge massime di mamma Mastino: «Rispondi sempre nel modo più conciso possibile alle domande che ti fanno, ragazzo mio», gli aveva detto. «Ciò farà sì che la gente ti consideri intelligente e non noioso, e nello stesso tempo tu le darai il minor numero possibile d'informazioni su di te». Rispose semplicemente: — Da fuori pianeta. — Da molto fuori, oserei dire — replicò l'impiegato. — Non sa, giovane signore, che Bali è un'isola chiusa? Soltanto tre categorie di persone sono autorizzate a viaggiare fin là. — Le enumerò sulle dita mentre parlava. — I balinesi e i loro parenti, i religiosi, e i funzionari governativi con autorizzazione speciale. Scrutò attentamente Flinx. — Lei potrebbe anche passare per un balinese, se non fosse per quella chioma color carota: perciò, chiaramente, non è un nativo. Lei non sostiene di essere un religioso, e... — (represse un sorriso) — ... e io non credo proprio che lei sia un rappresentante governativo. Comunque, perché vuole recarsi a Bali? Flinx scrollò ostentatamente le spalle. — Ho sentito dire che è la sede centrale della Chiesa Unita. Ho pensato che poteva essere un luogo interessante da visitare mentre facevo il giro turistico della Terra. Tutto qui. Ah, una domanda-standard, dunque. Qualunque sospetto avesse cominciato a nascere nella mente dell'impiegato, morì subito. — È comprensibile. Se comunque le basta poter contemplare il panorama di Bali, può recarsi in un punto da cui può contemplarlo con tutto comodo, vale a dire... — (fece una pausa per controllare i dati che una grossa bobina magnetica trasmetteva a uno schermo davanti a lui) — ... l'estrema punta orientale dell'isola di Giava. Ci sono stato anch'io. Potrà guardare Bali da Banjuwangi, e lì vicino c'è Surabaja, una vecchia città molto pittoresca. Può perfino godersi il volo giornaliero sopra il riallevamento dei dinosauri, a Komodo. Ma quanto a Bali — (scosse la testa con rincrescimento) — è forse più facile atterrare sulla Casa Imperiale che entrare a Denpasar. In verità lei potrebbe anche entrare a Denpasar, se riuscisse in qualche modo a infilarsi in una navetta diretta a quella città. Ma non potrebbe più uscire dall'isola senza essere prima sottoposto a un interrogatorio che mi dicono molto ma molto duro. — Capisco — fece Flinx, sorridendogli con gratitudine. — Ignoravo tutto questo. Lei mi è stato di grande aiuto. — Dovere mio, signore. Si goda il resto del suo soggiorno sulla Terra. Flinx si allontanò immerso in profondi pensieri. Così, c'era pur sempre
una vaga possibilità di raggiungere l'isola. Ma lui era davvero disposto, poi, a subire quel duro interrogatorio per poterne uscire? No, non era disposto. Ciò lo lasciava con tutto il problema di riuscire a farsi ammettere in un luogo dove a nessuno era consentito entrare. No, ricordò a se stesso, bisbigliando alla valigetta e al suo coriaceo contenuto: questo non era completamente vero. Tre categorie di persone potevano accedere all'isola. Neppure prese in considerazione di falsificare qualche lasciapassare governativo: lui era chiaramente troppo giovane per spacciarsi per un funzionario di qualunque tipo. Forse avrebbe potuto dichiarare di essere un novizio della Chiesa. Ma forse la terza possibilità era migliore... Cos'aveva detto, quell'anziano impiegato? Salvo per i suoi capelli rossi, lui non avrebbe potuto farsi passare per un balinese? Passando davanti a un pannello di metallo lucidato a specchio, alto tre metri, Flinx vide la propria immagine riflessa. Un po' di tintura per capelli, un corso accelerato di lingua locale, una barchetta... no, non poteva essere così facile! Ma c'era pur sempre la possibilità che la semplicità stessa del suo piano gli consentisse di farla in barba a coloro che stavano proteggendo l'isola da infiltrazioni molto più agguerrite e sofisticate. E lui aveva constatato spesso che una certa dose di faccia tosta poteva rivelarsi l'arma più efficace per turlupinare anche la più cipigliosa burocrazia di tutto quel braccio della galassia. Si voltò e fece ritorno alla riottosa biglietteria automatica. Batté la nuova richiesta sulla tastiera, infilando nell'apposita fessura la sua carta di credito computerizzata. Il risultato fu un biglietto di andata sulla navetta per Surabaja... L'antica città mercantile aveva conservato molto dello spirito del passato. Flinx si sentì subito a casa propria, imparando qualcosa che sospettava da tempo: un mercato affollato è assai simile a qualunque altro mercato affollato, in qualunque punto della galassia si trovi. Tutti parlavano terranglo e simbolingua, oltre al venerando dialetto locale conosciuto come «bahasa indonesiano». Flinx si procurò facilmente della tintura nera; e appena il colore dei suoi capelli cambiò, lui diventò identico a ogni altro indigeno. Poche settimane trascorse tra la folla gli consentirono, grazie alle sue naturali doti di linguista, d'impadronirsi quanto bastava del linguaggio locale. Procurarsi una barchetta fu abbastanza semplice. Se il tentativo di spacciarsi per balinese purosangue fosse fallito, avrebbe sempre potuto ripiegare sulla versione che lui era uno sfortunato pescatore il cui pilota automati-
co si era guastato, cosicché non aveva potuto opporsi alle raffiche del vento che l'avevano spinto fuori rotta. Inoltre fece un'ultima considerazione: per qualunque spia extraterrestre il momento difficile sarebbe stato quello di superare senza destar sospetti la dogana all'astroporto, e lui l'aveva già fatto senza difficoltà. Così, dopo qualche giorno di tranquilla crociera sull'automatico, si trovò in vista dei torreggianti picchi dei monti Agung e Batur, i due vulcani che dominavano l'isola. Scelta una notte senza luna, si avvicinò al punto più settentrionale della magnifica spiaggia deserta chiamata Kuta, sul lato occidentale di Bali. Nessuna pattuglia comparve a intimargli l'alt quando tirò la barca sulla sabbia. Nessun lanciaraggi automatico balzò fuori da pozzi nascosti per fulminarlo dove si trovava. Fino a quel momento, il successo era stato completo. Ciò non diminuì, però, la sua inquietudine. Una cosa era trovarsi, saldo sui piedi, su una spiaggia deserta; un'altra, e ben diversa, era penetrare nei più riposti recessi della Chiesa Unita. Si avviò verso l'interno dell'isola, sempre reggendo il suo unico bagaglio (la valigetta perforata che conteneva pochi indumenti e Pip); e non gli occorse molto per imbattersi in una strada lunga e non lastricata nel folto della giungla che faceva da sfondo alla spiaggia. Camminava già da molte ore quando infine convinse un veicolo agricolo di superficie a raccoglierlo. Il contadino che guidava la macchina gli diede un passaggio fino a Bena, e lì Flinx non ebbe difficoltà ad affittare un bekak automatico per raggiungere la città di Denpasar vera e propria. Tutto andò bene, come non aveva quasi osato sperare. Il contadino aveva supposto che lui fosse un forestiero venuto a far visita a parenti in città, e Flinx non aveva visto nessuna ragione di mettersi a contestare una scusa che gli era stata offerta bella e confezionata. Né il giovane agricoltore aveva mostrato il minimo desiderio di passare dal terranglo al bahasa, cosicché la lingua frettolosamente appresa da Flinx non fu messa alla prova. La padrona della locanda alla quale Flinx si rivolse gli fece un'ottima accoglienza, anche se insisté nel voler vedere l'animale nella valigia. Alla fine Flinx glielo mostrò, augurandosi che la donna non fosse una comare ciarliera. Se la voce fosse giunta, di bocca in bocca, fino ai rappresentanti della Chiesa, qualcuno avrebbe potuto incuriosirsi per la presenza, su Bali, di un animale extraterrestre e così mortalmente pericoloso come un minidrago.
Ma Flinx rifiutò deliberatamente di preoccuparsi. Dopotutto, non si trovava forse sistemato comodamente in una camera, nel cuore proprio di quella città per raggiungere la quale gli era stato detto che avrebbe incontrato difficoltà insormontabili? L'indomani si sarebbe occupato del modo migliore di penetrare nel sistema organizzativo della Chiesa. Per prima cosa doveva scoprire dove venivano conservati, sull'isola, i documenti genealogici, e poi quali procedure bisognava seguire per potervi accedere. Forse avrebbe dovuto operare una o due abili falsificazioni, o addirittura rubare un'uniforme della Chiesa ed entrare a testa alta e sfacciatamente nel complesso. Flinx il prete... Si addormentò sogghignando per quel pensiero e per la reazione che avrebbe avuto mamma Mastino se avesse potuto vederlo così acconciato... La mattina dopo diede inizio al personale assalto ai più segreti santuari della più potente organizzazione di tutto il Commonwealth. Il primo passo fu quello di trovare una vettura pubblica con un conducente il più possibile ciarliero. Flinx scelse il più vecchio che gli riuscì di trovare, basandosi sull'ipotesi che i tassisti che facevano quel mestiere da più tempo erano sì inclini a chiacchierare fin troppo ma sotto ogni altro aspetto si facevano i fatti loro. Il conducente scelto era un patriarca dalla bianca criniera, con un folto paio di baffi cascanti. Era sottile ma tenace come fil di ferro, come la maggior parte degli indigeni. Le donne erano tutte belle, una parata di bambole tutte uguali che sembravano invecchiare di colpo passando dai quattordici agli ottant'anni senza fasi intermedie. Alcune avevano già iniziato a lanciare a Flinx occhiate non del tutto casuali, ma in quegli ultimi anni lui aveva cominciato ad abituarcisi man mano che cresceva. Adesso, tuttavia, non aveva tempo per quelle faccende. — Cos'hai in mente per il tuo giro, signore? — Sono venuto fin qui a trovare i miei cugini a Singaradja. Ma prima di essere travolto da zii e zie, vorrei visitare l'isola senza essere assordato da discorsi di famiglia. I vecchi templi... e quelli nuovi. Il vecchio non batté ciglio: si limitò ad annuire e avviò il motore. Il giro fu completo almeno quanto il vecchio fu loquace. Fece ammirare a Flinx la grandiosa spiaggia di Kuta dove i giganteschi cavalloni della Sunda Bali si frangevano, senza sapere che Flinx aveva valicato quelle stesse onde la notte prima. Lo condusse alla grande stazione di ricerche oceanografiche a Sanur, e all'estesissimo parco naturale dell'università del-
la Chiesa alla periferia di Denpasar. Gli mostrò gli impianti nei quali la Chiesa conduceva le più disparate ricerche, tutti costruiti nel vecchio stile balinese carico di sculture (ora realizzate in ferrocemento) che decoravano fittamente muri e soffitti. Gli fece attraversare le antiche risaie lungo i pendii di alte montagne terrazzate: le più belle risaie della Terra, insisté a dire il vecchio, anche se ora i contadini coi loro ampi copricapi guidavano piccoli trattori agricoli e non cavalcavano più i bufali d'acqua. Passò mezza giornata prima che Flinx osasse commentare: — Non è proprio come me l'aspettavo, il quartier generale della Chiesa Unita. — Be', cosa ti aspettavi? — chiese il vecchio. — Una riproduzione su scala maggiore dell'enclave del Commonwealth a Brisbane? Cupole dai riflessi neri e bronzei e guglie alte migliaia di metri rivestite di mosaico? Flinx si lasciò andare sul sedile consunto accanto al conducente e parve confuso. — Non sono mai stato alla capitale, naturalmente, ma ho visto le fotografie. Immagino proprio di essermi aspettato qualcosa di simile... sì. Il vecchio gli rivolse un caldo sorriso. — Non sono un esperto nella mentalità della Chiesa, figliolo, ma alla mia anima contadina sembrano persone semplici, gentili. L'università è il più grande edificio della Chiesa sull'isola; e l'osservatorio di astrofisica, con i suoi quattro piani, il più alto. — Per un po' tacque, mentre costeggiavano un fiume dentro una stretta gola. — Secondo te — riprese, — perché la Chiesa Unita, secoli fa, ha scelto quest'isola per il suo quartier generale? — Non lo so — rispose in tutta sincerità Flinx. — Non me lo sono mai chiesto. Per essere vicini alla capitale, suppongo. Il vecchio autista scosse la testa. — La Chiesa era qui molto tempo prima che Brisbane fosse proclamata capitale della Terra. Per essere un tizio che se ne va in giro con uno spirito garuda per compagno, tu mi sembri parecchio ignorante, figliolo. — Uno spirito garuda? — Flinx vide il conducente che girava la testa e fissava quella del rettile semiaddormentato che aveva fatto capolino dalla spalla. Pensò freneticamente a una risposta, poi si rilassò. — Ma il garuda è un uccello, non un serpente. — Nel tuo animaletto vedo lo spirito — gli spiegò il conducente, — non la forma. — È qualcosa di buono, dunque — replicò Flinx, ricordando che il mostruoso uccello garuda era una creatura buona nonostante l'aspetto feroce. — Ma qual è allora la ragione della presenza della Chiesa in quest'isola, se
non per trovarsi vicina alla capitale? — Credo che ciò sia dovuto al fatto che i valori della Chiesa e del popolo balinese sono assai simili. Entrambi mettono l'accento sulla gentilezza e sulla creatività. Tutta la nostra arroganza e animosità si è esaurita nelle antiche mitologie. Flinx guardò il vecchio con nuovo rispetto e nuova curiosità. In quel momento ebbe quasi il sospetto che in realtà non fosse un semplice tassista ma qualcosa di ben più... ma si affrettò a scacciare quel pensiero, frutto della sua mente inquieta. — Il nostro gesto più aggressivo è una scrollata di spalle — riprese il vecchio, contemplando con amore il paesaggio circostante. — Questo è l'effetto di vivere in uno dei più bei posti della galassia. Aveva cominciato a cadere una pioggia sottile. Il vecchio chiuse il tettuccio della vettura e inserì l'aria condizionata. Flinx, che fino a quel momento era stato costretto a recitare la parte del quasi-indigeno, benché andasse orgoglioso della sua capacità di adattamento ai più strani ambienti esalò un sospiro mentale di sollievo alla rinfrescante carezza. L'umidità del più bel posto della galassia era davvero soffocante. Non c'era da stupirsi che i membri thranx della Chiesa Unita avessero consentito che la sede centrale fosse edificata lì, molti secoli prima. Fecero una sosta a Ubud, e Flinx fece finta d'interessarsi alle famose sculture di legno, nei negozi che il vecchio gli aveva raccomandato. Questa non era un'usanza esclusivamente balinese. Mamma Mastino aveva anche lei i suoi accordi con le guide turistiche a Drallar. Il giro riprese, e la necessità di mostrarsi interessato divenne sempre più un peso per Flinx, il quale giunse a sbadigliare mentre attraversavano la caverna degli elefanti e ammiccò davanti alle sacre sorgenti e ai templi costruiti su altri templi. Davvero un'appropriata scelta per la sede centrale della Chiesa, pensò quando le nuvole sì aprirono e un doppio arcobaleno comparve dietro il fumante cono del monte Agung, alto migliaia di metri. Le vesti color acquamarina della gente della Chiesa che incontravano si fondevano con naturalezza nel caleidoscopio di tinte smaglianti della giungla ancora abbondante e rigogliosa, allo stesso modo degli alberi da frutta che sorgevano immobili come sentinelle lungo le strade o sui bordi dei campi e delle risaie a terrazzi. — È tutto molto bello — disse infine Flinx al vecchio conducente, — ma ora mi piacerebbe molto vedere il quartier generale della Chiesa.
— Il quartier generale della Chiesa? — Il vecchio parve incerto, e si tirò un baffo. — Ma tutta l'isola è il quartier generale della Chiesa Unita. — Sì, lo so — replicò Flinx, cercando di non apparire impaziente, — ma io intendo il quartier generale del quartier generale. — Be'... — Il vecchio alzò gli occhi e smise di tirarsi il baffo. — La cosa più vicina a questo sarebbe il centro amministrativo, ma perché qualcuno voglia vederlo non lo so proprio. — All'improvviso sorrise, esibendo una fila di denti bianchi tra le labbra raggrinzite. — Ti aspetti ancora torri di metallo sfolgorante e archi di ametista, eh, figliolo? — Flinx parve imbarazzato. — Lascia però che ti dica che, anche se il centro amministrativo non merita che qualcuno ci perda tempo, si trova in un ambiente che lo stesso Budda gl'invidierebbe. Infine il conducente si decise. — Bene: allora ti porterò lì, se proprio ti sei messo in testa di andarci. Proseguirono verso nord, uscendo da Ubud e risalendo un pendio terrazzato sempre più ripido lungo una vecchia carrozzabile che non mostrava nessun segno dell'intenso traffico che Flinx si era aspettato intorno al quartier generale di un quartier generale. Forse il vecchio aveva ragione. Forse la sede centrale che lui cercava non esisteva. Forse stava sprecando il proprio tempo. Si sporse dal finestrino. Vide che il fondo stradale conservava le sue caratteristiche di una via ben poco frequentata, coperto com'era da una compatta distesa d'erba alta parecchi centimetri, senza segni di un continuo passaggio di veicoli. Infine la vettura si fermò con un sospiro. L'anziano autista invitò con un gesto Flinx a scendere, e lui lo fece. Il conducente lo scortò fino all'orlo di un precipizio. Flinx si sporse cautamente a guardare. In fondo a una valle, centinaia di metri più sotto, si stendeva un lago ampio e poco profondo. Campi irrigati e case di contadini sparpagliate qua e là spiccavano tra il verde. Sulla riva opposta del lago, sugli ultimi pendii del fumante monte Agung, c'era un gruppo di modeste strutture squadrate, alte due piani e rivestite di smalto color acquamarina. Erano di aspetto strettamente funzionale, se non addirittura brutto. Non vi svettava nessuna torre, nessun arco. A un'estremità del complesso s'innalzavano alcune antenne metalliche dalle quali spuntavano fiori artificiali di fitta rete, dal profilo astratto, e lì vicino si apriva una radura ampia quanto bastava a ospitare una piccola navetta atmosferica.
Era tutto lì? Flinx fissò l'intera scena, incredulo. — È sicuro che sia questo? — Sì, quello laggiù è il centro amministrativo. Io non ci sono stato, ma dicono che viene usato soprattutto per archiviare documenti. — Ma la cancelleria della Chiesa?... — cominciò a protestare Flinx. — Ah, tu intendi dire il luogo dove s'incontrano i consiglieri? È l'edificio basso a forma di conchiglia che ti ho fatto vedere a Denpasar, accanto all'osservatorio solare. Non ricordi? — Flinx si frugò nella mente e scoprì che infatti lo ricordava. Un edificio dall'aspetto appena più solenne di quel modesto gruppo laggiù vicino al lago. — Il Consiglio della Chiesa Unita si riunisce in quell'edificio una volta all'anno, ed è lì che vengono prese tutte le decisioni. Posso riportarti là, se vuoi. Flinx scosse la testa, incapace di nascondere il disappunto. Ma... Se quelli in riva al lago erano depositi per i vecchi documenti, forse proprio là dentro si trovava ciò che lui era venuto a cercare. E se non era così? Be', prima di tutto avrebbe dovuto risolvere il problema di lasciare l'isola senza incorrere in quelle sgradevoli domande... e poi avrebbe cercato altrove, magari ad Allahabad, nella provincia India. — Lei mi ha detto di non esserci stato — fece, rivolto al vecchio. — La Chiesa proibisce i visitatori? Il conducente parve divertito. — No, che sappia io. È che non c'è nessuna ragione di andarci. Ma se proprio lo desideri... Flinx si voltò e si avviò verso l'auto. — Andiamo, allora. Può lasciarmi là. — Ne sei proprio sicuro, figliolo? — chiese il vecchio, in tono preoccupato, fissando il sole basso sull'orizzonte nel cielo gravido di umidità. — Presto farà buio. Potresti incontrare difficoltà a trovare una macchina che ti riporti indietro. — Ma io credevo... — cominciò Flinx. Il vecchio scosse la testa e riprese con pazienza: — Tu non vuoi ancora ascoltarmi. Non ti ho forse detto che quello là è poco più di un magazzino? Non c'è traffico, là nella valle. È un luogo dove tutto si svolge lentamente, lontano da qualunque città. Sinceramente, se io fossi un prete preferirei essere destinato a Benoa o Denpasar piuttosto che là al centro amministrativo. È un luogo tremendamente solitario. Comunque — concluse con una scrollata di spalle, — sono soldi tuoi. Perlomeno sarà una notte calda. Risalirono in auto, e il vecchio prese a guidarla lungo uno stretto sentie-
ro che serpeggiava sul fianco della valle, quasi invisibile. — Se non riuscirai a trovare una macchina che ti riporti indietro — disse a Flinx, — potrai sempre dormire disteso fra l'erba. Però fa' attenzione ai centopiedi, che pungono in modo poco piacevole. Sono sicuro che domattina qualche contadino ti darà un passaggio fino in città... se ti sveglerai abbastanza presto. — Grazie — disse Flinx, lo sguardo fisso alla valle sottostante. Il lago scintillante raccolto alla base del vulcano era un panorama davvero splendido, anche se la prosaica architettura del centro amministrativo continuava a ricevere tutta la sua attenzione. Man mano che si avvicinavano il gruppo di edifici apparve sempre meno solenne, e il suo smalto acquamarina s'impoverì sempre più al confronto dei lussureggianti verdi e marroni della vegetazione che cingeva la montagna. Quando raggiunsero il fondo della valle, Flinx si accorse che quelle costruzioni erano prive di finestre. Ovvio, pensò, visto che erano edifici riservati a oggetti inanimati e non a gente viva. La vettura si arrestò davanti a quello che doveva essere per forza l'ingresso principale, dato che non ce n'erano altri. Flinx non vide statue celebrative della fratellanza degli humanx, e nessuna fontana col gioco di cento zampilli s'innalzava davanti alla semplice porta di vetro. Poche e anonime vetture di superficie sostavano nel piccolo parcheggio aperto, su un lato. Flinx aprì la portiera e discese. Pip si agitò sulla sua spalla e lui lo tranquillizzò, mentre porgeva la carta di credito al vecchio conducente. Questo la infilò in una larga fessura del cruscotto e attese finché il lettore computerizzato smise di ronzare. Effettuato il trasferimento dei fondi, porse nuovamente a Flinx la carta di credito. — Buona fortuna a te, figliolo. Spero che la tua visita valga tutto l'incomodo che ti è costato venir qui. — E lo salutò con un cenno della mano mentre il tassi ripartiva per affrontare la strada della montagna. «Incomodo» è un'espressione inadeguata, vecchio, pensò Flinx mentre ricambiava l'augurio gridando il tradizionale saluto: — Selamat seang! Sostò per qualche istante davanti al centro amministrativo, ascoltando il lieve sgocciolio dell'acqua fra i terrazzi. Il sommesso put-put di una macchina agricola guidata dalla mano di un contadino giunse fino a lui attraverso i campi. Secondo quanto aveva letto su una vecchia guida, in quell'epoca dell'anno si stava effettuando il quinto raccolto di riso, mentre si cominciava a seminare il sesto. Ma Flinx ormai era sazio fino alla nausea di quell'isola, dei suoi templi, della sua agricoltura. Avrebbe cercato di sbrigare il più rapidamente possi-
bile la sua ricerca fra quelle poco invitanti strutture, e se non avesse trovato niente avrebbe poi tentato agli archivi di Allahabad, e infine, con o senza le informazioni desiderate, avrebbe fatto ritorno su Falena. Si rimproverò per non aver prestato più attenzione all'indiretto suggerimento dell'impiegato al porto delle navette atmosferiche a sud di Brisbane, di venirsene a Bali in volo fingendo di essere un funzionario governativo in missione. Invece aveva sprecato il suo tempo a imparare la lingua locale e a pilotare la piccola barca. Certo, si disse, lui si era aspettato una fortezza corazzata dalle pareti spesse un paio di metri irte di lanciaraggi e proiettori SCCAM. E invece si era trovato a correre su e giù attraverso un'isola di coltivatori di riso e studenti. Neanche la cancelleria era in seduta. Salì i pochi gradini e spinse la porta a vetri, constatando con disgusto che si apriva manualmente e senza che nessuno intimasse il chivalà. Un breve corridoio sboccava su una stanza circolare dall'alto soffitto a cupola. Il suo sguardo fu attirato verso l'alto... e lui restò lì a guardare, affascinato. L'intera cupola era occupata da una proiezione tridimensionale dell'intera galassia abitata. Ogni pianeta del Commonwealth era chiaramente contrassegnato da un codice a colori e da minuscole parole in simbolingua. Flinx identificò per primi la Terra e Hivehom, per i loro colori più brillanti; poi trovò Evoria, Amropolous, Bell'Alveare — i mondi dei thranx — e i pianeti umani di Repler, Falena, Catchalot e Centaurus III e V. Deboli scintille indicavano gli avamposti dell'esplorazione humanx, mondi di frontiera come Burley con i suoi enormi giacimenti metalliferi, Rhyinpine dalle innumerevoli caverne abitate da trogloditi, e il gelido e lontanissimo globo di Tran-ky-ky. I suoi occhi si abbassarono quindi sul pavimento, dove scoprì un mosaico complesso anche se concettualmente semplice e significativo: era formato da quattro grandi cerchi, due dei quali rappresentavano gli emisferi della Terra e gli altri due quelli di Hivehom. Nel centro del disegno c'era un cerchio più piccolo, tangente a tutti e quattro gli emisferi e diviso in quattro settori a formare due clessidre stilizzate: una azzurra, il simbolo della Terra, e una verde, a rappresentare Hivehom. Le due clessidre s'intersecavano in una piccola area centrale dove i due colori si fondevano dando l'acquamarina, il colore della Chiesa Unita. La parete della stanza s'interrompeva in tre punti, rivelando altrettanti corridoi: uno che svaniva in lontananza proprio davanti a lui, gli altri due che si aprivano a sinistra e a destra. Negli spazi intermedi la parete era illu-
strata con le figure dei grandi personaggi della Chiesa Unita — sia thranx che umani — rappresentati in atteggiamento umile e rispettoso. C'era, più solenne, una scena che rappresentava la firma dell'Amalgamazione, l'atto che formalmente aveva unito thranx e uomini. Il quarto Supremo, David Malkezinski, toccava con la fronte le antenne del tri-eint Arlenduva, mentre la veramano dell'insetto stringeva la mano destra dell'umano. Sul lato destro di quel bassorilievo erano incise alcune delle massime fondamentali della Chiesa Unita: «L'uomo è un mammifero, il thranx è un insetto, ma entrambi sono fratelli»; «Non imporrai la tua civiltà»; «Fa' che la tua forza fisica sia sempre dominata dalla luce della tua intelligenza»; «Se Dio avesse voluto che l'uomo e il thranx si dedicassero esclusivamente a lui, non avrebbe fatto i loro mondi così complicati»; «La presunzione è l'ineluttabile presupposto della distruzione»... L'elenco continuava ancora a lungo. Sulla parete di fronte c'era un'altra sfilza di considerazioni filosofiche più recenti, che Flinx lesse con vivo interesse. Aveva appena letto le concise frasi che condannavano l'edonismo in quanto violazione del primo Editto, e stava iniziando l'esplicito ammonimento di non fidarsi di niente e nessuno che si presentasse in nome di una giustizia assoluta, quando una voce lo interruppe: — Posso aiutarla, signore? — Cosa...? Flinx si girò di scatto, colto di sorpresa, e vide una giovane donna in una veste acquamarina che lo fissava, stupita quanto lui. Era seduta accanto all'ingresso del corridoio di sinistra, dietro uno scrittoio sul quale erano sparse alcune carte. Non si era minimamente accorto di lei, prima. — Ho detto: posso aiutarla? — Lei gli si avvicinò e lo fissò negli occhi. Già questo era insolito. La maggior parte delle sue nuove conoscenze abbassavano quasi subito lo sguardo, puntandolo sulla forma scagliosa arrotolata sulla sua spalla. Quell'esile ragazza, però, continuò a ignorare il serpente volante. Ciò indicava o una forte miopia o una notevole sicurezza di sé, pensò Flinx. L'indifferenza di lei nei confronti di Pip era la prima cosa che lo colpiva veramente, su quell'isola. — Mi scusi — mentì con disinvoltura. — Stavo giusto per venire da lei. L'ho fatta aspettare troppo? — Oh, no: ho soltanto pensato che lei si stesse stancando. Ormai è più di un'ora che sta studiando quelle mappe e quelle iscrizioni.
Flinx si girò verso la porta a vetri, e vide che lei gli stava dicendo la verità. Fuori era calata una notte tropicale nera come la coscienza di un giocatore d'azzardo. Flinx si sentì inquieto e turbato. Gli sembrava di essersi soffermato a osservare le immagini e le scritte sulle pareti e sulla cupola soltanto per pochi minuti. Il suo sguardo tornò nuovamente alla mappa tridimensionale sopra di lui, alle figurazioni sulle pareti e alle massime incise. Quei colori, quelle parole, quei rilievi realizzati con tanta cura celavano forse qualche schema mnemonico in grado d'imprigionare un osservatore costringendolo ad assorbirli suo malgrado? Le sue congetture furono nuovamente interrotte dalla calda voce della ragazza: — Per favore, venga alla scrivania. Potrò esserle meglio d'aiuto. Sempre stordito, Flinx la seguì senza protestare. Fogli di carta e numerosi piccoli schermi si trovavano sulla superficie dello scrittoio. Vide anche file d'interruttori. — Ero immersa nello studio — si scusò lei, — altrimenti sarei intervenuta prima. Inoltre lei sembrava così affascinato... Comunque, siccome il mio turno finisce tra breve ho pensato che fosse giunto il momento d'intervenire per accertarmi se aveva bisogno di qualcosa. Senz'altro il mio sostituto avrebbe ripreso a ignorarla. Se quella era una bugia, pensò Flinx, gli era stata propinata con raffinata disinvoltura. — Cosa sta studiando? — Atteggiamento mentale ed equazioni filosofiche in rapporto alle fluttuazioni demografiche ai livelli più elevati. — Che cosa, scusi? — Mi sto preparando a entrare nel corpo diplomatico — chiarì lei (o almeno credette di averlo fatto). — Ma ora, mi dica: cosa posso fare, per lei? Flinx si trovò a fissare un'altra volta ancora la porta a vetri che si apriva con una semplice spinta, la mappa tridimensionale sulla sua testa, le immagini e le parole che ricoprivano le pareti tutt'intorno, e confrontò tutto questo con la semplice (o addirittura squallida) apparenza esteriore dell'edificio. Tutto ciò in cui si era imbattuto sull'isola, dall'apparente modestia di quel centro amministrativo al linguaggio del tassista, era una mescolanza di semplicità e di sofisticazione. Una mistura pericolosamente incerta. Per un attimo fu nuovamente tentato di girarsi di scatto e uscire da quella porta incustodita dimenticando l'intera faccenda, compreso il suo viaggio attra-
verso mezzo Commonwealth e l'intenzione di aggiungervi altre tappe. Aveva passato gran parte della sua ancor giovane vita nello sforzo di evitare l'attenzione degli altri; ora, qualunque cosa dicesse a quella ragazza, c'erano buone probabilità di finire tra le grinfie di un gruppo di severissimi inquisitori. Ma, invece di girarsi e scomparire nella notte, disse: — Sono stato allevato da una madre adottiva, che non ha nessuna idea su chi fossero i miei veri genitori. E oggi non so ancora chi sono e da dove vengo. Queste possono essere cose di nessuna importanza per chiunque altro, ma per me... sono tutto. — Anche per me sarebbe tutto — replicò la ragazza, seria. — Ma cosa le ha fatto pensare che noi possiamo aiutarla a scoprirlo? — Una persona che conosco ha accennato vagamente al fatto di aver trovato alcune informazioni sulla mia ascendenza (alcuni indizi che mi farebbero corrispondere fisicamente a un bambino nato qui sulla Terra) nella città di Allahabad. Il mio nome attuale è quello che compariva sui... documenti del mercante di schiavi, ma io non so se è il mio vero nome di famiglia o soltanto un nomignolo che mi è stato appioppato da un bello spirito qualche anno dopo la mia nascita. Questo nome è Philip Lynx. — Lo pronunciò scandendo le sillabe, ma non lo sentiva suo. Per lui, era quasi il nome di un estraneo. Da troppo tempo lui era semplicemente Flinx. — Mi era stato detto che questo era l'archivio di tutti i documenti della Chiesa Unita, ma... — (con un gesto circolare del braccio indicò la saletta in cui si trovavano con i suoi tre corridoi diretti all'interno) — questi edifici mi sembrano di dimensioni così ridotte da poter contenere soltanto una porzione trascurabile di quei documenti. — Noi siamo molto efficienti, con lo spazio — replicò lei, come se questa fosse una spiegazione sufficiente. — I documenti di Allahabad sono conservati qui, come pure i documenti di qualunque essere registrato dalla Chiesa. — I suoi occhi si mossero, ma non per fissare Pip. Flinx si girò di scatto, pensando che lei guardasse qualcuno comparso alle sue spalle; ma non vide nulla, e allora si voltò di nuovo verso la ragazza e vide che gli stava sorridendo. — I suoi capelli — gli spiegò con calma. — La tintura comincia a venir via. Flinx portò istintivamente le mani alla chioma e sentì il bagnato. Quando le abbassò, erano macchiate di nero. — Lei è rimasto alla pioggia troppo a lungo, e chiunque le abbia vendu-
to quella tintura l'ha imbrogliata. Ma perché tingerli, poi? Il rosso è più che attraente. — Un amico mi aveva consigliato altrimenti. — Non avrebbe potuto dire se lei ci credeva, ma la ragazza preferì non insistere. Toccò invece un interruttore sullo scrittoio. — Allahabad, ha detto? — Flinx annuì. Lei si chinò su un microfono sopra lo scrittoio. — Controlla se ci sono documenti su Philip Lynx — disse, — nato a Allahabad. — Sollevò gli occhi a fissarlo. — Come si scrive? Flinx allargò le braccia: — L-y-n-x, P-h-i-1-i-p: così stava scritto sul foglio dello schiavista, ma potrebbe anche essere stato scritto in modo sbagliato. — Per una svista... o volontariamente, se chi l'ha trascritto era stato corrotto — aggiunse lei, e si chinò nuovamente verso il microfono. — Controlla anche le possibili varianti grafiche. E inoltre tutte le richieste avanzate per visionare quei documenti relative agli ultimi... cinque anni. — Poi spense l'apparecchio. — Perché quest'ultima richiesta? — chiese Flinx. La ragazza si era aggrondata. — Quel suo conoscente non avrebbe dovuto avere accesso ai suoi documenti: riguardano soltanto lei e la Chiesa. Eppure sembra che qualcuno sia riuscito a consultarli abusivamente... Più avanti, se lei è davvero questo Philip Lynx, dovrà affrontare un interrogatorio nient'affatto piacevole. — E se non lo sono? — Dovrà rispondere ugualmente a un bel po' di domande, solo che non avrà modo di consultare nessun documento. — Lei sospirò. — Comunque, per quella fuga d'informazioni qualcuno perderà la propria veste. I gradi più bassi della gerarchla sono sempre vulnerabili alla corruzione, specialmente quando la richiesta si riferisce a informazioni in apparenza innocue. — Non c'è bisogno di preoccuparsi per me — replicò Flinx. — L'unica cosa di cui sono certo in questa galassia è che io sono io. — Sorrise. — Chiunque io sia. Lei non ricambiò il sorriso. — Questo è ciò che scopriremo. Quando infine tutta una serie di controlli ebbe dimostrato la sua identità, la ragazza ridivenne cordiale con Flinx. — È tardi — osservò, quando infine tutte queste procedure furono concluse. — Perché non aspetta e comincia a visionare quei documenti domattina? C'è un dormitorio a disposizione per i visitatori; e può cenare alla mensa, insieme al personale del Centro, se ha i soldi per pagarsela. Oppure può chiedere l'elemosina, anche
se la Chiesa Unita non vede di buon occhio queste forme di carità individuale. — Posso pagare — dichiarò Flinx. — Meglio così, allora. — La ragazza gli indicò il corridoio più lontano. — Segua la striscia gialla sul pavimento. La condurrà all'ufficio visitatori. Là si occuperanno di lei. Flinx si avviò verso il corridoio, poi si voltò. — E la ricerca dei dati? Dove... — Si ripresenti a questa scrivania domattina. Io sarò di servizio dalle dieci alle diciotto, per tutta la settimana. Dopodiché dovrà faticare per riuscire a rintracciarmi al mio nuovo incarico. Dovrò trasferirmi a un'attività manuale... ma per il resto di questa settimana potrò sempre esserle di aiuto. Mi chiamo Mona Tantivy. — Lei tacque un attimo, continuando a fissare Flinx che si allontanava, poi lo chiamò mentre stava per scomparire nel corridoio. — E se il nome di Philip Lynx non corrispondesse al bambino nato ad Allahabad? — Allora — le rispose Flinx, gridando per farsi sentire, — potrà chiamarmi come vuole... CAPITOLO SESTO Il cubicolo che gli assegnarono era assai piccolo e arredato in stile spartano. Passò un'ora a levarsi da dosso la polvere di parecchi giorni, e una piacevole sorpresa lo aspettava alla sua uscita dal bagno: qualcuno aveva mandato a pulire i suoi vestiti, che erano stati disposti in bell'ordine sul lettuccio. Fortuna, pensò, che aveva portato con sé Pip nel bagno. Sentirsi così pulito lo faceva quasi star male. Uscì dal cubicolo, e la prima persona che incontrò gli indicò la mensa più vicina. Ben presto si trovò mescolato a una folla di mantelli e tute color acquamarina. La mensa lo stupì: verdeggiante di piante e zampillante di fontane, il suo lusso formava un vivo contrasto con la squallida semplicità della facciata esterna del centro amministrativo. Era divisa in tre settori da pannelli semipermeabili. Il settore più vicino alla porta era regolato su un clima temperato, e ospitava esclusivamente umani; il settore più lontano fumigava immerso nel calore e nell'umidità preferiti dai thranx. L'area di mezzo, di gran lunga la più estesa, era regolata su un clima intermedio, un po' troppo caldo e umido per gli umani e un po' troppo asciutto e freddo per i thranx ma senz'altro sopportabile per entrambi. Tutti e tre i settori erano affollati.
Flinx fu contento di notare, tra la folla, parecchi umani e thranx che indossavano abiti di colore diverso da quello della Chiesa: ciò lo fece sentire molto meno appariscente. L'odore composito del cibo era dovunque: alcuni aromi erano strani, insoliti, ma nel complesso tutto ciò era beri lontano dall'incredibile varietà di odori che avvolgeva perennemente il mercato di Drallar. Ma anche così, a Flinx venne l'acquolina in bocca. Non aveva mangiato più niente da quando aveva fatto colazione, quella mattina sul presto. Fece le ordinazioni al cuoco automatico, e poco dopo gli fu servita una bistecca di origine imprecisabile ma assai saporita, con un assortimento di verdure. Quando però s'informò al distributore della fine fatta dal resto della sua ordinazione, un piccolo schermo si accese: Nessun intossicante, per quanto moderato, è permesso all'interno del Centro. Flinx inghiottì il suo disappunto — un ben misero surrogato della birra che aveva ordinato — e si accontentò della shaka ghiacciata. Pip era nuovamente arrotolato sulla sua spalla. Il serpente volante aveva suscitato qualche commento, ma nessun timore. La gente lì nella mensa — in una gamma che andava dai ragazzj di età inferiore alla sua fino a vecchi che avevano superato di parecchio i cent'anni — era stranamente indifferente di fronte alla possibilità che il minidrago si mettesse all'improvviso a spargere la sua morte corrosiva. Flinx prese posto a un tavolo, senza attaccar discorso con nessuno. I suoi peculiari talenti dormicchiavano ma il suo udito era ben addestrato, poiché per sopravvivere a Drallar bisognava servirsi di tutti i propri sensi sviluppati al massimo. Poté perciò soddisfare la sua curiosità ascoltando le conversazioni che si svolgevano intorno a lui. Una coppia di thranx anziani stava discutendo alla sua sinistra della possibilità di compiere manipolazioni genetiche sulle uova non schiuse. Stavano confrontando il metodo «scorm» con la tecnica oppordiana, o qualcosa di simile, e poi passarono a disquisire sull'induzione di mutazioni nella pupa non ancora formata. Cercando qualcosa di meno incomprensibile, Flinx ascoltò poi una vecchia signora con due galloni color crema sulla manica che teneva lezione ad alcuni novizi, due umani e due thranx. Sopra i galloni ostentava il simbolo dell'atomo d'idrogeno. — Così, vedete, da un'analisi delle ricerche condotte su Plutone, Gorisa e Tipendemos durante gli ultimi otto anni risulta evidente che qualunque ulteriore modifica delle armi SCCAM deve prendere in considerazione i
limiti tensoriali dello stesso rivestimento di osmiridio... Un boccone di pane e un altro brandello di conversazione, questa volta da un uomo di mezza età seduto dietro di lui, con una fluente barba bianca: — I livelli produttivi su Kansastan e Inter-Kansastan nel settore di Bryan indicano che con una corretta semina preatmosferica il raccolto di frumento potrà essere aumentato del venti per cento durante i prossimi tre anni, e... Flinx si accigliò, mentre rifletteva su quel variato e incessante brusio. A turbarlo non era tanto la completa assenza di argomenti religiosi ma il fatto che, anche se lui non era in grado di esprimere un giudizio competente, perfino al suo orecchio non addestrato sembrava che un gran numero di questioni assai delicate venissero discusse in completa libertà, in presenza di gente non appartenente alla Chiesa. Non seppe decidere se ciò rivelava un'eccessiva fiducia o addirittura una grave inefficienza da parte della Chiesa. Benché quello della sicurezza non fosse un suo problema, questa constatazione lo turbò ugualmente mentre finiva di mangiare. La mattina dopo, quando si ripresentò alla scrivania, nell'atrio dell'edificio, era ancora turbato. Mona Tantivy era in servizio, e gli sorrise mentre lui si avvicinava. C'era molto movimento: religiosi e altra gente continuavano a uscire e a entrare dalla porta a vetri, e passavano da un corridoio all'altro. — È pronto? — gli chiese lei. — Voglio finirla con questa faccenda il più presto possibile — rispose Flinx in un tono di voce più aspro di quanto avrebbe voluto. Un tremito l'afferrò, ma riuscì a dominarsi. La giovane lo fissò con aria di rimprovero, stringendo le labbra. — Non si comporti come se stesse per essere processato in tribunale. — In un certo senso, è proprio così che mi sento — dichiarò Flinx, cupo. Ed era vero. Lui era cresciuto con un'immagine incompleta di se stesso. Se non riusciva a completarla in quel luogo, con tutta probabilità sarebbe stato costretto a vivere con quel peso per sempre. La ragazza annuì lentamente e schiacciò un pulsante. Qualche minuto più tardi un umano sulla quarantina con una corporatura da lottatore uscì dal vicino corridoio. Il suo sorriso era identico a quello di Mona Tantivy, e lui irradiava lo stesso desiderio di aiutare e collaborare. Flinx si chiese se il suo atteggiamento era naturale o se faceva parte anche quello dell'istruzione religiosa: «profonda modifica della personalità mediante un'adeguata serie di movimenti dei muscoli facciali» o qualcosa di simile.
Quasi con rabbia, scacciò dalla mente l'istintivo sarcasmo. L'unica cosa che importava, adesso, erano i motivi per cui era venuto fin lì. — Mi chiamo Namoto — disse il massiccio orientale, presentandosi con un sorriso e una stretta di mano. — Sono lieto d'incontrarla, signor Lynx. Flinx sollevò una mano. — Non mi chiami così fino a quando l'avremo dimostrato oltre ogni dubbio. Prima... soltanto Flinx, per favore. Il sorriso non si cancellò. — D'accordo, chiunque lei sia. Venga con me e vediamo se riusciremo a scoprire chi è lei. Dopo quelli che gli sembrarono non meno di venti minuti di cammino lungo corridoi uno uguale all'altro, Flinx si trovò del tutto disorientato. — È difficile credere che la documentazione della Chiesa per ogni essere umano del Commonwealth... — ... e per ogni thranx — completò Namoto per lui, — sia tutta immagazzinata in questo piccolo edificio, ma è vero. L'immagazzinamento delle informazioni è una scienza vecchia di mille anni, Flinx. L'arte della miniaturizzazione dei documenti è stata sviluppata al massimo grado. La maggior parte dei documenti in questo edificio sarebbero invisibili a un normale microscopio. I nostri analizzatori e stampatori funzionano con poteri risolutivi molto superiori. — Si fermò davanti a una porta che non sembrava diversa dalle altre cento davanti alle quali erano passati. — Eccoci giunti. La parola incisa sulla porta diceva semplicemente Genealogie. Dietro quella porta c'era la storia di miliardi di creature humanx, anche se non di tutte. C'erano individui che non desideravano riguardo a loro altro documento che l'epitaffio, e alcuni ci riuscivano. Flinx, al contrario, era stanco dell'incompletezza della documentazione sulla sua vita. — Potrebbe risultare che c'è un gran numero di Philip Lynx sparsi qua e là per il Commonwealth — l'avverti Namoto mentre apriva la porta, — anche se a causa di certe caratteristiche sociologiche è un nome assai meno comune di tanti altri. — So cosa significa — ribatté Flinx, brusco. Pip si mosse inquieto a quell'improvvisa vampata di rabbia interiore. La stanza oltre la porta era enorme. Per la maggior parte era occupata da file di strutture metalliche, tutte uguali fra loro e separate da corsie in apparenza interminabili. Le strutture metalliche andavano dal pavimento al soffitto. Qua e là c'erano gruppi di cabine. Flinx fu condotto a una fila di dieci: due erano occupate da altri ricercatori, le restanti erano vuote. Na-
moto si sedette davanti al grande schermo sulla parete di fondo di una cabina, e invitò con un cenno Flinx a sedersi accanto a lui. Poi premette i pollici in due cavità sul fianco dello schermo. Una luce ammiccò, in basso, e lo schermo si accese. Namoto si sporse in avanti e disse: — Mi chiamo Sbigeta Namoto. — Quindi si tirò indietro. Ci fu un attimo di silenzio, poi la macchina ronzò e una luce verde ammiccò al centro dello schermo. — Lei è stato identificato, padre Namoto — intonò la macchina. — Sono in attesa delle richieste. — Riferisci i risultati della ricerca di ieri sera su un umano di nome Lynx Philip. Trattieni le ortografie alternative fino a nuove istruzioni. — Namoto si voltò e bisbigliò a Flinx: — Per cominciare, supporremo che il nome sul documento del mercante di schiavi fosse esatto. — Possibile luogo di origine — proseguì, rivolto alla macchina, — Allahabad, provincia India, Terra. — Lanciò un'occhiata al suo ansioso compagno. — Quanti anni ha? Oppure non lo sa con precisione? — Mamma Mastino mi ha detto che dovrei averne diciassette, anche se non può esserne sicura. Ci sono giorni in cui mi sembra di averne settecento. — E a volte a me sembra di averne sette — ribatté amabilmente il massiccio sacerdote, riportando l'attenzione alla macchina. — Preso nota dell'età approssimativa — dichiarò questa. — Ora compaiono i risultati della ricerca. Un breve elenco apparve sullo schermo. Namoto lo studiò. — Avevo ragione — commentò. — Qui ci sono i dati di tre Philip Lynx soltanto, nati e registrati ad Allahabad nell'ultimo mezzo secolo. E uno soltanto ha un'età paragonabile alla sua. — Tornò a rivolgersi alla macchina. — Desidero ulteriori informazioni. Ci fu un breve ronzio, poi sullo schermo comparve una scritta intensamente luminosa: COLLEGAMENTO COL TERMINALE DI ALLAHABAD. E un attimo dopo: COLLEGAMENTO COMPLETATO. INFORMAZIONI IN CODICE. Namoto scrutò la lista di numeri che seguirono. — Non pare che ci siano molte informazioni. Spero che sia valsa la pena per lei... — S'interruppe, improvvisamente preoccupato. — Sta bene, Flinx? Sta tremando tutto. — Sto benissimo... Qua dentro la temperatura è molto più bassa che fuori, tutto qui. Faccia presto. Namoto annuì, e ordinò alla macchina: — Decodifica le informazioni da
Allahabad. Le mani di Flinx si strinsero convulsamente sulle cosce, via via che le parole comparivano sullo schermo: LYNX PHILIP. NOME AUTENTICO. NATO 533 D.A., 2993 VECCHIO CALENDARIO, NEI SOBBORGHI DI SARNATH, GRANDE ALLAHABAD, PROVINCIA INDIA. Ci fu una pausa durante la quale nient'altro comparve sullo schermo. Flinx si girò verso Namoto, quasi urlando: — È tutto qui? — Calma, Flinx... Non vede? Sta arrivando dell'altro. — Nuove parole comparvero. NOTE AGGIUNTIVE: I DOCUMENTI DELL'ASSISTENTE MEDICO E DEL MEDITECNICO DEL MONITORAGGIO INDICANO LA PRESENZA DI UN'AURA INSOLITAMENTE ALTA AL MOMENTO DELLA NASCITA NEL CAMPO DELLE ONDE R, COME DA LETTURE DEGLI STRUMENTI DELLA STANZA DELLA MATERNITÀ. NESSUNA INSOLITA O CONTRASTANTE REAZIONE DA PARTE DELLA MADRE. IL TRACCIATO DELL'ONDA R INDICA LA POSSIBILE PRESENZA DI TALENTI ANORMALI CLASSE UNO. PARTO NORMALE. NESSUNA REAZIONE DA ONDA R IMPUTABILE A TRAUMA. CONTROLLO POSTOPERATORIO NORMALE. NEONATO SOTTO OGNI ALTRO ASPETTO NORMALE E IN SALUTE. ETÀ DELLA MADRE 22. NOME: ANASAGE. NONNI SCONOSCIUTI... Namoto non guardò Flinx quando il messaggio concluse: PADRE SCONOSCIUTO, NON PRESENTE ALLA NASCITA. Flinx lottò per distendere muscoli e nervi. Ora che questa prova si era conclusa, si chiese a cosa fosse dovuta tutta la sua tensione. Le informazioni che ne aveva ricavato gli dicevano poco; e quanto all'ultima... be', gli avevano dato del bastardo un mucchio di altre volte, e in modi ben peggiori di quello. Ma ancora non era riuscito a sapere se Lynx era il suo vero cognome di famiglia oppure un appellativo che gli avevano affibbiato in mancanza di meglio al momento della nascita. Senza questa informazione — o altre equivalenti — tutto il suo daffare non gli sarebbe servito a nulla. — Ci sono informazioni sulle condizioni... — mormorò, con uno sforzo, — ... sulle condizioni della... (ora la parola gli venne facile) — ... della madre dopo il parto?
Namoto ripeté la domanda alla macchina. La risposta fu breve ed eloquente: MADRE DECEDUTA. FUORI PIANETA, 537 D.A. ULTERIORI PARTICOLARI... — Chieda in che... — cominciò Flinx, ma Namoto lo azzitti. — Un momento, Philip. Pip si agitò nervosamente quando il suo padrone ebbe una reazione irritata: — Non mi chiami così. Io sono Flinx, soltanto Flinx. — Mi conceda un minuto, in ogni caso. — Namoto si servì di una piccola tastiera per fornire manualmente nuove istruzioni alla macchina. Si udì un basso gemito uscire dalle sue ermetiche profondità. Una minuscola bobina di nastro alto un millimetro, così sottile da essere quasi invisibile, fu espulsa da una piccola fessura. Nel medesimo istante lo schermo s'illuminò una volta ancora: STAMPA DELLE INFORMAZIONI FORNITE COMPLETATA. ULTERIORI PARTICOLARI RITIRATI DIECI MESI STANDARD DUE SETTIMANE QUATTRO GIORNI PRIMA DI QUESTA DATA. Namoto socchiuse gli occhi. — Qualcuno ha manomesso la sua scheda, non c'è dubbio... — Tornò a rivolgersi alla macchina: — Identifica chi ha eseguito il ritiro. RISPOSTA IMPOSSIBILE. AUTORIZZAZIONE A RISPONDERE A QUESTA DOMANDA CANCELLATA DOPO IL RITIRO DEGLI ULTERIORI PARTICOLARI. — Perfetto — fu tutto ciò che disse Namoto. — Quel suo conoscente voleva essere sicuro che nessun altro avesse accesso alle informazioni rubate, quali che fossero. Un'immagine tinta di rosso crebbe nella mente di Flinx: Challis! Il mercante l'aveva ingannato perfino nell'attimo in cui era convinto di morire. Aveva confessato al simulacro dove aveva ottenuto le informazioni su Flinx, ma senza aggiungere che l'informazione-chiave non c'era più. Ciò che aveva lasciato negli archivi della Chiesa era appena sufficiente a soddisfare una superficiale ispezione, per impedire che la cancellazione operata scatenasse l'allarme. E Flinx era più che convinto che Challis non fosse certo rimasto a Brisbane ad aspettare il suo ritorno. Perciò adesso lui doveva ricominciare a dargli la caccia, e questa volta senza la più pallida idea di dove potesse essersi cacciato il grasso mercante. Una voce pacata accanto a lui si fece udire. Namoto gli stava porgendo la minuscola bobina. — Qui c'è una copia
di quel poco che il ladro ha lasciato nell'archivio. — Flinx allungò la mano a prenderla, con movimenti esitanti, stordito. — Mi spiace per le informazioni scomparse, qualunque cosa potessero rivelarle. Sono convinto, ormai, che se vorrà conoscerne il contenuto dovrà trovare di nuovo quel suo conoscente e rivolgergli qualche domanda esplicita. E quando l'avrà fatto, le sarò grato se si metterà in contatto con la più vicina autorità ecclesiastica. — Il religioso aveva smesso di sorridere. — Il furto di documenti della Chiesa è un crimine molto grave. «Questo nastro, come anche quello rubato, è un duplicato ingrandito molte volte di quello originale dell'archivio. Qualunque analizzatore microscopico le permetterà di riascoltarlo». Namoto si alzò in piedi. «Se vuole riascoltarlo subito, usi pure l'analizzatore che troverà nella terza cabina della fila a partire da questa. Io sarò alla scrivania del sorvegliante, se avrà bisogno di me per qualunque cosa». Flinx annuì lentamente quando Namoto si voltò e si allontanò. Challis! Ladro, assassino, distruttore della vita altrui! La prossima volta avrebbe lasciato che Pip lo uccidesse. Il Commonwealth sarebbe stato senz'altro più pulito e più salubre se quel grasso e lurido mercante non fosse più... Qualcosa gli graffiò a sangue la spalla e quasi lo strappò via dalla sedia. Pip era balzato con la violenza di un'esplosione dalla spalla di Flinx che gli faceva da posatoio. Flinx, cacciandosi la bobina in tasca, balzò a sua volta in piedi e si lanciò lungo la corsia all'inseguimento della sua letale bestiolina. — Pip... aspetta... Non c'è niente... che... Il minidrago aveva già raggiunto la porta. Sia Namoto che il sorvegliante, precipitosamente allontanatisi dalla scrivania, continuavano lentamente ad arretrare tenendo d'occhio il serpente. Il minidrago cozzò contro la plexite translucida della porta, mentre Flinx si precipitava lungo la corsia. Flinx stava chiamando il rettile sia ad alta voce che mentalmente, pregando che il serpente si calmasse prima che qualcuno — per quanto gentile e comprensivo fosse — gli scaricasse addosso un'arma ammazzandolo. Il minidrago arretrò, sbattendo le ali e contorcendosi nell'aria, e sputò contro la porta. Ci fu un assordante sfrigolio, e nella plexite comparve un grosso buco dai bordi irregolari. Flinx cercò disperatamente di agguantare Pip per la coda, ma questa gli sfuggì tra le dita: il rettile infuriato aveva già spremuto il corpo attraverso l'apertura. — Aprite la porta! — gridò Flinx. — Devo seguirlo!
Il sorvegliante restò come paralizzato, fino a quando Namoto gli disse: — Apri la porta, Yena. Yena si riscosse come d'incanto dalla sua immobilità. — Sì, signore... Devo suonare l'allarme? Namoto guardò Flinx, il quale era sul punto di scagliarsi addosso alla porta, pronto a strapparla via dalle guide... o quantomeno a provarci. — Pip non farà mai del male a nessuno, a meno che senta che io sono in pericolo. — Ma allora cosa gli è successo? — chiese Namoto, mentre la porta si apriva. Flinx si tuffò fuori dalla stanza, seguito dal sacerdote. — Non lo so... Eccolo laggiù! Pip... La coda arricciata stava giusto svanendo oltre una curva del corridoio. Flinx si gettò all'inseguimento. Nel labirinto dei corridoi, di tanto in tanto perse di vista l'infuriato animaletto domestico. Ma gli umani dal volto pallido come la cenere e i thranx dalle antenne che vibravano incontrollabilmente gli indicavano il cammino seguito dal minidrago con la stessa chiarezza di una scia di lacca scarlatta. Nonostante il corpo massiccio, padre Namoto continuò a seguire dappresso Flinx. Ebbero l'impressione di aver superato chilometri di corridoi e migliaia di angoli prima di riuscire a raggiungere, ansanti, il minidrago. Pip stava sbattendo le ali coriacee contro un'altra porta, molto più grande di tutte le altre che Flinx aveva visto fino a quel momento. Solo che lì non c'era un unico sorvegliante. Due uomini che indossavano uniformi acquamarina erano rannicchiati su un lato dietro una barriera formata da un intreccio di tubi. Ognuno dei due stava puntando un piccolo lanciaraggi sullo svolazzante minidrago. All'estremità opposta del corridoio era accalcato un piccolo gruppo di religiosi e novizi che fissavano tremebondi la scena. — Non sparate! — gridò Flinx, freneticamente. — Non farà male a nessuno! — Rallentò la corsa e si avvicinò al serpente volante. Ma Pip si mostrò ostinatamente sordo ai suoi richiami, mantenendosi con infernale abilità fuori portata dalle mani del suo padrone mentre continuava a sbattere col corpo contro la grande porta. — Qualunque cosa l'abbia fatto infuriare, si trova dall'altra parte — gridò Flinx ai due uomini armati. — Fatelo passare. — Quella è un'area riservata, ragazzo — replicò una delle due guardie, dividendo l'attenzione fra il serpente volante e il nuovo arrivato. — Fateci passare — ordinò padre Namoto con quel po' di fiato che gli
era rimasto in gola, facendosi avanti cosicché tutti lo vedessero chiaramente. La voce della guardia si fece rispettosa. — Scusi, padre, non sapevamo che fosse lei a dirigere questa faccenda. — No, infatti. È il serpente, a dirigerla. Ma aprite ugualmente la porta. Avete la mia autorizzazione. Flinx ebbe pochi istanti per chiedersi quanto fosse importante in realtà padre Namoto, che con tanta sollecitudine l'aveva assistito: poi quella grande e pesantissima porta a doppio battente cominciò a schiudersi. Pip riuscì a infilarsi nell'apertura quand'era larga appena pochi centimetri, e nuovamente scomparve lasciando Flinx ad aspettare fremente che lo spiraglio si fosse aperto abbastanza da permettere anche a lui di passare. Poi, quando fu dall'altra parte, si trovò in un corridoio non diverso dai molti che aveva già attraversato. Salvo per... Salvo per la fila di sei ascensori davanti a lui. Due padri-eletti stavano aspettando davanti all'ascensore all'estremità di sinistra. Uno era un umano molto vecchio, alto e stranamente deforme. Accanto a lui, una giovane femmina thranx. Pip era sospeso a mezz'aria quando Flinx e Namoto riuscirono infine a sgusciare nel corridoio. Poi all'improvviso si tuffò verso la coppia, ignorando l'altra gente della Chiesa lì intorno, che cominciava ad accorgersi soltanto allora della presenza del rettile velenoso in mezzo a loro. — Lo richiami, Flinx — gli intimò Namoto. La sua voce aveva perso ogni sfumatura di amabilità. Il sacerdote aveva estratto un lanciaraggi e stava prendendo la mira. Flinx percepì all'improvviso ciò che aveva scatenato l'ira di Pip. Mentre il minidrago si tuffava, il vecchio si curvò di scatto schivando il rettile con sorprendente agilità e scaraventando la sua giovane compagna contro la parete degli ascensori. Istintivamente lei ruotò il corpo, così da ridurre la violenza dell'urto ed evitare il rischio di brutte fratture, ma ugualmente andò a sbattere duramente contro il metallo. Le sue lucide gambe azzurroverdi non la sorressero, si afflosciò contro una delle porte. L'improvvisa esibizione di tanta agilità da parte del vecchio sacerdote fece sì che Namoto e gli altri tardassero a intervenire. Estratto a sua volta un lanciaraggi dalle pieghe della veste, il vecchio sacerdote — che non aveva ancora pronunciato una sola parola e neppure lanciato un grido per chiedere aiuto — lo agitò convulsamente in direzione di Pip. Il minidrago sputò, e soltanto una disumana rapidità di riflessi consentì al suo bersaglio
di evitare d'un soffio il mortale veleno. Questo si spiaccicò contro la parete dietro di lui, bruciando e corrodendo la vernice e il metallo. — Pip, basta così! — Qualcosa nella voce del suo padrone sembrò placare la furia del minidrago. Il rettile alato svolazzò ancora intorno, incerto, poi tornò fulmineo da Flinx. Ma il serpente volante era ancora inquieto: sdegnò di arrotolarsi come d'abitudine intorno alla spalla del suo padrone, ma preferì restarsene all'erta, pronto a scattare, sospeso a mezz'aria accanto al suo orecchio destro. Per lunghi e silenziosi secondi la piccola folla lì nel corridoio ristette come paralizzata, incerta sul da farsi. Poi Namoto ruppe l'incanto. — In che settore lavora, signore? — chiese al bersaglio dell'assalto di Pip. — Non mi sembra di riconoscerla... S'interruppe quando il lanciaraggi, un attimo prima agitato verso il serpente, fu puntato all'improvviso contro di lui. Il vecchio sacerdote squadrò minacciosamente col suo sguardo glaciale la piccola folla. Nessuno lo sfidò: tutti preferirono aspettare lo svolgersi degli eventi. — State indietro — disse infine il vecchio. Flinx non riconobbe la voce. Le parole, più che articolate, erano sibilate. Quando il vecchio cominciò ad arretrare verso la massiccia porta che Flinx e Namoto avevano appena valicato, Flinx si mosse lentamente verso la giovane thranx per aiutarla: stava giusto riprendendo conoscenza quando lui le arrivò vicino. — Ha... ha minacciato di uccidermi — mormorò con voce malferma, barcollando ancora sulle veregambe e sulle manipiede. Flinx sentì il torace superiore di lei che pulsava affannato. Poi la giovane thranx, recuperato all'improvviso il pieno controllo di se stessa, alzò uno sguardo accusatore verso colui che l'aveva aggredita. — Ha detto che se non l'avessi condotto giù al livello di comando mi avrebbe uccisa! — Lei non può uscire da questo edificio, signore — esclamò Namoto, rivolto al vecchio così esplicitamente accusato. — Devo chiederle di deporre quel lanciaraggi e di venire con me. — Il lanciaraggi fu nuovamente puntato verso di lui, e Namoto si arrestò a metà di un passo. — Fate come dico io, se volete aver salva la vita! — esclamò/sibilò il vecchio. Continuando a puntare il lanciaraggi, infilò l'altra mano fra le pieghe della veste (eccezionalmente ampia, come osservò Flinx). Un attimo dopo ne tirò fuori un piccolo cubo marrone irto di cavi e di protuberanze. — Questo è un contenitore di cento grammi di kelite: quanto basta per
uccidere chiunque in questo corridoio. — Tali parole furono sufficienti a far arretrare precipitosamente alcuni dei novizi più giovani. Namoto non si mosse. — Nessun esplosivo, per quanto potente, potrà farla uscire da questi edifici — replicò, con voce calma ma decisa. — Inoltre, anche se quel cubo sembra un contenitore di kelite giudico assai improbabile che contenga effettivamente ciò che lei dice, poiché nessuna quantità di esplosivo può essere portata qui dentro senza essere subito individuata. Inoltre non credo che lei sia un membro autorizzato di questa Chiesa, per cui il lanciaraggi che stringe in mano non può essere attivato. Fece un passo avanti. — Stia lontano, altrimenti scoprirà a sue spese se è attivato o no! — urlò il vecchio, con voce stridula. Gli occhi di tutti i presenti nel corridoio fissavano con affascinato terrore i due protagonisti di quel concitato confronto. Flinx ebbe l'impressione di qualcosa che si muoveva vicino al soffitto, e girò di scatto la testa a destra: Pip non era più lì. Non avrebbe saputo dire se il vecchio fosse stato semplicemente colto da un sospetto o se effettivamente avesse scorto anche lui quel movimento in alto. Qualunque cosa fosse stata, il vecchio si abbassò e sparò prima che Flinx potesse gridare un avvertimento a Pip. Namoto aveva avuto insieme ragione e torto. Quella piccola arma aveva l'aspetto di un lanciaraggi, ma era qualcosa di diverso. Sparò un minuscolo proiettile che sfiorò il corpo del minidrago lanciato in picchiata e colpì la parete opposta, rimbalzando sul pavimento. Qualunque cosa fosse, quell'arma non funzionava a esplosivo, ma Flinx la giudicò ugualmente assai pericolosa. Questa volta Pip era troppo vicino perché il vecchio potesse schivarlo. La robusta muscolatura delle mascelle e del collo del minidrago si contrasse facendo schizzare il veleno lungo il condotto che attraversava il palato. Il veleno mancò gli occhi del vecchio, ma questo, nonostante la sua innaturale agilità, non poté evitare del tutto l'attacco. Il liquido corrosivo gli lambì il collo e la testa. La pelle si dissolse sfrigolando e l'uomo produsse un incongruo sibilo acutissimo, come un'antica macchina a vapore alla quale fosse saltata la valvola di sicurezza. Non era un suono che potesse essere prodotto da una gola umana. Namoto e Flinx si precipitarono addosso al vecchio mentre quello cadeva. Ma proprio mentre crollava sul pavimento, annaspò con le mani sul cubo di kelite.
A quel movimento Namoto si gettò lungo disteso al suolo, lanciando un grido di avvertimento a tutti gli altri. Si udì un'esplosione soffocata: ma era assai più debole di quella che avrebbero prodotto cento grammi di kelite, e non proveniva dal cubo marrone. Un paio di grida di spavento si levarono dalla piccola folla, ma ogni minaccia era cessata. Quando Flinx si rialzò in piedi, tornò a riflettere sull'imprecisione delle affermazioni di Namoto. Non soltanto il lanciaraggi si era rivelato davvero un'arma, anche se non un lanciaraggi, ma adesso sembrava che l'intruso fosse riuscito a contrabbandare dentro quel complesso di edifici una sia pur minima quantità di esplosivo. Se era davvero kelite, doveva trattarsi di una quantità microscopica, insufficiente a compiere la strage minacciata ma bastante a maciullare completamente l'intera porzione mediana del corpo del vecchio. I suoi visceri erano sparpagliati per un buon tratto sull'estremità del corridoio vicina alla grande porta. Flinx stava ancora ansimando quando Pip discese ad appollaiarsi sulla sua spalla; fece qualche passo in avanti e si affiancò a Namoto, scrutando i resti di quello che fino a pochi istanti prima era un essere vivente. Mentre gli ultimi brandelli di vita stavano lasciando quel corpo, ogni barriera della sua mente crollò e i suoi pensieri s'irradiarono chiari e intensi. Un improvviso turbine d'immagini, parole e ideogrammi investì Flinx, e il fatto che una di quelle figure gli fosse fin troppo nota lo sconvolse al punto di farlo incespicare. Flinx percepì infatti l'immagine spettrale di un uomo grasso che ardentemente desiderava rivedere, un uomo che aveva perso ogni speranza di ritrovare: Conda Challis. Quell'immagine era frammista alla visione di un mondo... un mondo che, come Flinx seppe, si chiamava Ulru-Ujurr. Molte altre immagini si stavano disputando la sua attenzione, ma l'inaspettata comparsa di Challis nella mente del morente le sopraffece. Pip aveva avvertito la collera del suo padrone nei confronti di quel grasso mercante, pochi minuti prima, nella cabina dell'archivio. E quasi nello stesso istante quello scellerato sicario aveva formato nella propria mente l'immagine del medesimo mercante, sempre in una condizione ostile a Flinx. Perciò Pip aveva reagito con una violenza direttamente proporzionale all'emozione di Flinx. Se il finto sacerdote non avesse estratto l'arma, il minidrago sarebbe giunto ad aggredirlo direttamente? Questo, Flinx non l'avrebbe mai saputo. Namoto stava studiando il cadavere. L'esplosione era rimasta racchiusa in uno spazio limitato, ma i suoi effetti erano stati devastanti. Era rimasto
ben poco, del corpo, fra la testa e le spalle da un lato e le gambe dall'altro. Ciò che stava in mezzo era una poltiglia maciullata. Namoto si curvò, protese una mano e afferrò ciò che sembrava un brandello di pelle strappato via dalla carne sottostante. Tirò... e il brandello gli restò in mano, rivelando una seconda pelle al disotto. Una pelle luccicante, zigrinata, squamosa: inumana quanto lo era stato quell'ultimo grido. Inumana quanto il turbine di pensieri che Flinx aveva trapassato. Un mormorio di stupore cominciò a levarsi dalla folla, e crebbe d'intensità quando Namoto, inginocchiatosi, afferrò e strappò via la complessa struttura che mascherava il volto del morto. Quando l'intera testa fu esposta, Namoto si rialzò, e il suo sguardo andò ai brandelli di pelle umana contraffatta che stringeva in mano. — Un nye — commentò realisticamente. Lasciò cadere i brandelli di pelle e si ripulì le mani su un lembo della veste. — Un AAnn adulto — mormorò qualcuno tra la folla. — Ma perché? Cosa sperava di fare, con così poco esplosivo? Qualcuno richiamò l'attenzione da dietro la folla, protendendo la mano che stringeva un minuscolo oggetto. — Un dardo da siringa, di cristallo — spiegò la giovane thranx. — Così ha potuto superare la barriera dei rivelatori: niente lanciaraggi, niente armi con proiettili esplosivi. — Ma certamente — commentò qualcun altro, avvicinandosi a Namoto, — non avrà fatto tutta questa strada, con una preparazione così complicata, soltanto per uccidere qualcuno con una siringa a dardi camuffata da lanciaraggi! — Neppure io lo credo — replicò Namoto, guardando il cadavere. — Quell'esplosione... Niente più di una carica suicida, nel caso che qualcuno l'avesse scoperto. Ma forse aveva con sé qualcosa per compiere ben altre distruzioni. — Ma cosa? E quali altre distruzioni? — insisté l'interlocutore. — Non lo so, ma esamineremo a fondo questo cadavere prima di eliminarlo. — Namoto tornò a inginocchiarsi e saggiò cautamente la carne maciullata. — Comunque era ben armato: le sue interiora sono piene di cristallo polverizzato. Deve aver portato con sé parecchie decine di quei dardi da siringa. A quell'osservazione Flinx trasalì e aprì la bocca per dire qualcosa, poi si trattenne e trasformò il commento in uno sbadiglio. Non poteva dimostrare niente, e in ogni caso la sua era una supposizione folle. Inoltre, se per qualche miracolo avesse avuto ragione anche per metà sarebbe stato sotto-
posto quantomeno a un anno d'interrogatori da parte degli inquirenti della Chiesa Unita. E in tal caso, con tutta probabilità non sarebbe più riuscito a ritrovare poi Conda Challis. O, peggio ancora, era possibile che quando lui fosse riuscito a trovarlo, quell'odioso mercante avesse distrutto la documentazione che aveva rubato, quell'ultimo pezzo mancante del mosaico della sua vita. Perciò non poteva azzardarsi a esprimere quella sua assurda idea sull'eventuale natura di quei frammenti. Irruppe nel corridoio un'intera squadra di guardie in uniforme. Alcune cominciarono a disperdere la piccola folla che si ostinava a rimanere lì intorno commentando l'accaduto, mentre le rimanenti iniziarono a ispezionare attentamente il corpo lacerato. Un piccolo umano, dalla pelle assai scura, diede una rapida occhiata a quei resti organici; poi a rapidi passi si avvicinò a Namoto e si fermò davanti a lui, piantandogli gli occhi in faccia. — Dunque, Namoto! — Signore. — Il sacerdote rispose con una voce talmente carica di rispetto che Flinx, distolto dai suoi pensieri, alzò lo sguardo a fissare il nuovo arrivato. — Era ben travestito. — Un AAnn — osservò quel piccolo individuo guizzante. — Devono sentirsi tremendamente astuti, per osare d'intrufolare qualcuno dei loro qui dentro. Mi chiedo quale fosse il suo scopo. Flinx aveva un'idea, ma faceva parte di ciò che aveva deciso di non rivelare. Che quegli efficienti e brillanti ecclesiastici ci arrivassero da soli. Dopo aver recuperato da Challis quel frammento perduto della sua vita, gliel'avrebbe detto. Non prima. Mentre il nuovo arrivato stava parlando con Namoto, Flinx riportò l'attenzione sullo stuolo di specialisti al lavoro sul cadavere. Non era la prima volta che s'imbatteva in quei rettili, gli AAnn, anche se era la prima volta che ne incontrava uno in carne e ossa. Un'incerta tregua esisteva fra il Commonwealth humanx e il vasto impero stellare degli AAnn. Una tregua che non impediva affatto ai rettili di cercare ogni opportunità d'inserirsi nei punti deboli dell'alleanza umanathranx. — Chi ha scoperto il suo travestimento? — Io, signore — lo informò Flinx, — o meglio questa mia bestiola, Pip. — Accarezzò la liscia testa triangolare, e gli occhi del minidrago si chiusero per il piacere.
— Ma come faceva il rettile a sapere della sua presenza? — chiese con intenzione Namoto. Si voltò verso il proprio superiore e precisò, a suo beneficio: — In quel momento, signore, ci trovavamo in Genealogia, sul lato opposto del complesso. La risposta di Flinx si mantenne in equilibrio fra sincerità e omissione. Ciò che lasciò fuori, tuttavia, era molto più importante di ciò che disse. — Il minidrago può avvertire il pericolo, signore — spiegò, in modo disinvolto. — Pip è un telepate empatico, e siamo stati insieme abbastanza a lungo da sviluppare fra noi uno stretto rapporto. Evidentemente Pip deve aver percepito che l'AAnn costituiva una minaccia per me, per quanto remota, e ha reagito di conseguenza. — Evidente — mormorò l'ometto, senza sbilanciarsi. Poi si voltò verso la giovane thranx: — E lei, com'è rimasta coinvolta in questa storia? La giovane smise di lisciarsi le antenne e scattò quasi in posizione di attenti. — Ero di servizio alla stazione degli ascensori, signore. Ho creduto che fosse un umano. Mi si è avvicinato e mi ha detto che doveva scendere al livello di comando. Scendere. La mente di Flinx cominciò a rendersi conto più chiaramente che una parte abbondante di quel complesso non era visibile dall'esterno. — Mi sono chiesta come mai non usasse semplicemente il suo lasciapassare per azionare l'automatico. Nessuno privo di lasciapassare dovrebbe giungere fin qui. Lui ne aveva uno, e me l'ha mostrato. E ha insistito a dire che non funzionava e che con tutta probabilità il sensore dell'automatico doveva essere guasto. — La giovane thranx chinò gli occhi. — Mi rendo conto che a questo punto avrei già dovuto subodorare qualcosa, ma... non l'ho fatto. Namoto la confortò. — Come poteva saperlo? Lei stessa ha detto che era arrivato fin qui. La sua contraffazione, tuttavia, non si è rivelata abbastanza perfetta da ingannare il dispositivo di sicurezza degli ascensori. — Comunque — riprese lei, — ho controllato il sensore dell'automatico col mio lasciapassare, e ha funzionato perfettamente. Poi ho provato il suo, e non ha neppure fatto accendere la luce del Riconoscimento. Allora lui mi ha chiesto di chiamargli una cabina per poter discendere, e io gli ho risposto che prima era meglio far controllare il suo lasciapassare per accertarne la disfunzione. Lui ha replicato che non aveva tempo, allora io ho rifiutato seccamente. A questo punto ha estratto l'arma e mi ha intimato di chiamargli subito una cabina, altrimenti mi avrebbe uccisa. Flinx notò che si reggeva ancora a stento, benché usasse veregambe e
manipiede. — Poi, quando ormai stavo per chiamare l'ascensore, hanno fatto irruzione questi due signori. — La giovane indicò Flinx e Namoto. — Non poteva suonare l'allarme? — le chiese, asciutto, l'anziano. Lei eseguì con le veremani un elaborato gesto thranx d'impotenza. — Quando mi ha puntato addosso l'arma ero lontana dal pulsante nascosto dietro la scrivania, signore. E non sono riuscita a trovare una scusa plausibile per avvicinarmi... ed ero spaventata, signore. Mi dispiace. È stato così inaspettato... — Un brivido l'attraversò. — Non avevo nessuna ragione di sospettare che fosse un AAnn. — Tutti l'hanno scambiato per un umano — le disse Flinx, per confortarla. La testa a forma di cuore si voltò a guardarlo con gratitudine. Anche se il volto era incapace di un sorriso, lei fece ticchettare le mandibole verso di lui per ringraziarlo. — Tutte le esperienze che non si concludono con la morte sono preziose — pontificò l'uomo di bassa statura. Ciò, per quanto lo riguardava, sembrò metter fine al coinvolgimento della giovane thranx nella faccenda. La sua attenzione si rivolse nuovamente alla squadra che lavorava sul cadavere. — Ripulite tutto e presentatemi un rapporto appena le analisi preliminari saranno state completate — ordinò seccamente. Flinx notò una volta ancora quanto fossero rapidi e scattanti i suoi movimenti, come se si muovesse e pensasse più velocemente della media. Uno di quei movimenti fu una penetrante occhiata a Flinx. — È interessante quel tuo animaletto, figliolo. Un telepate empatico, hai detto? — Viene da un pianeta chiamato Alaspin, signore — l'informò premurosamente Flinx. L'uomo annuì. — Li conosco, ma non mi sarei mai aspettato di vederne uno. E meno ancora uno addomesticato. Hai detto che percepisce i pericoli che ti minacciano? Flinx ebbe un lieve sorriso. — È un'efficace guardia del corpo. — Sarei pronto a giurarlo. — L'uomo porse una mano a Flinx, spropositatamente grande per il suo corpo. — Io sono il secondo consigliere Joshua Jiwe. Ora Flinx comprese la deferenza con cui tutti trattavano quell'uomo. Gli strinse lentamente la mano. — Non mi sarei mai aspettato d'incontrare qualcuno così in alto nella gerarchia della Chiesa, signore. — Anche se non aggiunse che un tempo Bran Tse-Mallory e Truzenzuzex, i quali l'avevano accompagnato nella ricerca del Krang sul mondo dei Tar-Aiym, ave-
vano rivestito un rango ancora più alto. — Sono l'incaricato della sicurezza di questo Centro. — La testa bruna si girò ancora di scatto, stavolta verso Namoto. — Cosa sa, lei, di questo giovanotto? — È venuto da molto lontano alla ricerca dei suoi genitori carnali. Ho fatto del mio meglio per aiutarlo a trovarne qualche traccia. — Capisco. — Nuovo scatto, e Jiwe fissò Flinx. — Senza dubbio, ora sarai ansioso di andartene. — Qui ho fatto tutto quello che potevo — ammise Flinx. Quel Jiwe poteva essere l'uomo capace di fargli le domande imbarazzanti che lui aveva sempre temuto. Il secondo consigliere gli ricordava un canish, un piccolo carnivoro frenetico che infestava le gelide foreste di Falena. Era un uccisore fulmineo, dagli occhi acuti e dai movimenti difficili da identificare quanto un'imprecazione soffocata in mezzo a una foEa. Una minaccia perfino per creature molto più grandi e massicce di lui. Proprio come quel Jiwe, sospettò Flinx. Quell'uomo s'interessava troppo a Pip e al rapporto che il minidrago aveva con lui. Ma a Flinx risultava difficile concentrarsi su Jiwe, poiché la sua mente era in subbuglio dall'istante in cui Conda Challis era comparso nei pensieri dell'AAnn morente. Cosa c'entrava un mercante umano con quelle lucertole? — Flinx, si sente bene? — Namoto lo stava guardando preoccupato. — Mi sembra stordito. — Stavo riflettendo, infatti. La mia mente ha vagato verso casa... dove anche il mio corpo sta anelando a ritornare. — Verso casa... dove? — indagò Jiwe, vivamente interessato. Accidenti a quell'uomo! — Un mondo commerciale che si chiama Falena... e la città di Drallar. Il consigliere rifletté sull'informazione. — Lo conosco, quel pianeta. È un mondo con una lunga storia di colonizzazioni. La sua popolazione è distribuita in centri sparsi a grandi distanze, e ha sviluppato una mentalità assai indipendente. Mi sembra che la forma di governo sia una monarchia benevola. Flinx annuì. — Una monarchia indifferente, sarebbe forse meglio dire — azzardò Namoto. Il consigliere sorrise. — Per quanto riguarda gli indigeni è la stessa cosa. — Ha anche il sorriso del canish, aggiunse fra sé Flinx.
— E dici che a volte riesci a percepire i pensieri di quel tuo serpente volante, e lui i tuoi? — Sensazioni, non pensieri — lo corresse prontamente Flinx. Il consigliere parve soppesare la cosa, prima di chiedere: — Non avresti un minuto o due da concedermi? Non ritarderemo la tua partenza troppo a lungo. Se vuoi accompagnarmi giù... — Signore... — fece per intervenire Namoto, ma il consigliere lo fermò con un gesto della mano. — Non ha importanza. Questo giovanotto è perspicace, e ha sentito abbastanza per sapere che il centro amministrativo si estende per un certo numero di livelli sotto la superficie e quindi è assai più grande di quanto sembra all'esterno. E credo inoltre che sia maturo quanto basta per sapere quando deve tenere la bocca chiusa... ermeticamente chiusa. — Lanciò un'occhiata penetrante a Flinx. — Non è così, figliolo? Flinx annuì, vigorosamente, e il consigliere gli rivolse un altro dei suoi sorrisi quasi carnivori. — Bene: mi piace, uno spirito libero... e acuto. Dunque, ti dirò: noi abbiamo un piccolo problema che siamo incapaci di risolvere. Probabilmente tu sei in grado di considerarlo da un punto di vista diverso da chiunque altro. Tutto quello che ti chiedo è di fare uno sforzo per noi. Dopo, indipendentemente dai risultati, ti caricheremo su una navetta atmosferica, libero di andare dovunque tu voglia, sulla Terra. Cosa ne dici? Dato che se avesse rifiutato avrebbe reso il consigliere almeno due volte più sospettoso di quanto già fosse sulle sue peculiari capacità, Flinx esibì un allegro sorriso e replicò, con la splendida imitazione di un innocente entusiasmo: — Sarò felice di fare tutto ciò che posso, naturalmente! — Pensavo che l'avresti detto... o, a essere onesti, lo speravo. Padre Namoto, tanto vale che lei venga con noi: potrebbe essere assai istruttivo. Qualcun altro potrà sostituirla temporaneamente nel suo specifico incarico. — Il consigliere indicò il corpo dell'AAnn. — La Sicurezza lavorerà ancora per un bel pezzo, su questo pasticcio. Poi si voltò verso la giovane thranx. — Padre-eletto Sylzenzuzex, le era stato chiesto di chiamare un ascensore. Lo faccia pure, adesso. — Sì, signore. — La giovane thranx sembrava completamente ristabilita dal trauma del quasi-rapimento. Alla richiesta del consigliere si esibì nel rituale saluto combinato della veramano e dell'antenna sinistre, poi si avvicinò alla fila degli ascensori e inserì in una fessura una scheda a tre punte
dalla forma irregolare. In seguito a una complicata manovra di torsioni e spinte, dalla fessura s'irradiò un'intensa luce verde. Una spia luminosa cominciò ad ammiccare sopra una delle porte, e si udirono tre bip. Scivolando silenziosamente di lato, la porta rivelò una cabina d'ascensore di dimensioni sorprendenti. Flinx entrò dopo la giovane thranx. C'era qualcosa, a proposito di lei, che suscitava in lui un elusivo ricordo. Il pensiero svanì subito quando la sua attenzione fu attirata dalla fila di numeri appena all'interno della porta. In ordine discendente lesse sul pannello: 2-1-0-1-2-3... e così via fino a dodici. Dodici piani sotto il livello del suolo e soltanto tre sopra. Mentalmente sorrise, ricordando. Adesso era certo che il conducente della vettura che l'aveva condotto fin lì era qualcosa di più di un vecchio ciarliero. Ma non gli aveva mentito: aveva semplicemente descritto il Centro come appariva, senza preoccuparsi di parlare di quello che non si poteva vedere. La giovane thranx inserì la scheda in una fessura sotto il pannello dei numeri. Flinx vide che non c'erano pulsanti, interruttori o comandi d'altro tipo. Anche se qualcuno fosse riuscito a penetrare con la forza nella cabina di un ascensore, senza quella particolare scheda triangolare non sarebbe riuscito a metterla in moto. La giovane thranx alzò la testa verso Jiwe. — Signore? — Livello sette — le disse il consigliere. — Settore quarantatré. — È l'ospedale, non è vero, signore? Non vado molto spesso da quelle parti. — Sì, è l'ospedale. Tenendo inserita la scheda nella fessura, la giovane thranx eseguì una nuova complicata serie di torsioni. Il numero 7 si accese sul pannello, mentre una serie di minuscole cifre compariva sulla superficie della scheda. Tenendola rigidamente ferma, lei fece scivolare un dito sul numero 43. Appena le cifre luminose furono coperte, la porta della cabina si chiuse. Flinx sentì la cabina scendere, accelerando, e cambiare più volte direzione, con tanta rapidità che non riuscì a seguirla. Parecchi minuti più tardi la cabina si arrestò. In ogni caso, valutò Flinx, non si trovavano più sotto la struttura visibile del centro amministrativo. Quando la porta tornò ad aprirsi, Flinx uscì in mezzo a una folla di umani e di thranx che lo stupì: non avrebbe mai supposto che tanta gente si trovasse lì nel sottosuolo. Lì il bianco era il colore predominante degli indumenti, anche se ogni uniforme, camice o tuta che fosse recava ben visibile la cifra 7 impressa in un punto o nell'altro, sempre in color acquamari-
na. Jiwe e Namoto fecero strada mentre Flinx restava sempre indietro, tenendosi al passo con la giovane thranx. L'iniziale supposizione che aveva fatto su di lei si era trasformata in una curiosità quasi insopportabile. Fu lei, tuttavia, a parlare per prima. Gli appoggiò delicatamente una veramano sulla spalla libera. — Non ho ancora avuto la possibilità di ringraziare te e il tuo amico alato per avermi salvato la vita. Mi vergogno di aver aspettato tanto. Ti prego di accettare adesso i miei ringraziamenti. Flinx s'inebriò della sua naturale fragranza. — Tutti i tuoi ringraziamenti devono andare a Pip, non a me — mormorò, imbarazzato. — Senti, come ti ha chiamata il consigliere? — Padre-eletto. Il rango è approssimativamente... — No, non intendevo dire quello — si affrettò a interromperla Flinx'. — Il tuo nome. — Oh, vuoi dire... Sylzenzuzex? — Che si dovrebbe scomporre in Syl, dell'alveare Zen, famiglia Zu, del clan Zex? — Proprio così — ammise lei, per nulla sorpresa. Qualunque umano poteva scomporre un nome thranx. — E qual è il tuo? — Flinx. Sì, nient'altro. Ma ho un'altra ragione per accertarmi del tuo, una ragione che va oltre lo scambio di identificazioni. — Superarono una curva del corridoio dalle pareti color pastello. — Vedi — proseguì Flinx, — credo di aver conosciuto tuo zio... CAPITOLO SETTIMO I thranx hanno il corpo rigido, ma sono estremamente saldi sui piedi. Tuttavia l'improvvisa dichiarazione di Flinx fece barcollare la sua compagna insettoide. Gli occhi dalle lenti multiple lo fissarono con stupore. — Il mio... cosa? Flinx esitò, mentre superavano un angolo. Si chiese fin dove si estendesse quel mondo sotterraneo. Forse per l'intera lunghezza e larghezza dell'isola? — Probabilmente la mia pronuncia non era quella giusta — replicò impacciato. — Ma tu non sei imparentata con un vecchio filosofo che si chiamava Truzenzuzex? — Ripeti il nome — lo pregò lei. Flinx lo ripeté. — Sei sicuro dell'accento sulla sillaba di famiglia? — Un cenno positivo del capo. — Non so-
no del tutto certa che «zio» sia il giusto analogo in terranglo, ma... sì, siamo parenti prossimi. Non vedo Tru da parecchi anni, da quando è cominciata la mia adolescenza. — Lo conosci bene? — No davvero. Era una specie di divinità della nostra infanzia, capisci? Un adulto che gli altri adulti idolatravano. Ma tu, come mai lo conosci? — Abbiamo fatto un viaggio insieme non molto tempo fa — le spiegò Flinx. — Era un Eint, sai — proseguì lei, soprappensiero. — Molto famoso e controverso per le sue idee. Troppo controverso, pensavano molti nel clan. Poi, quando ho sentito che aveva lasciato la Chiesa... S'interruppe. Poi riprese: — Non ne discutiamo mai, nel clan. Praticamente non ho più sue notizie da anni, cioè da quando è scomparso per una sua ricerca privata con un umano, il suo compagno di nave-ago dai tempi della sua giovinezza. — Bran Tse-Mallory — esclamò Flinx, dando libera stura ai ricordi. La giovane thranx quasi barcollò un'altra volta. — Non ho mai conosciuto un umano così pieno del nettare dell'inaspettato. Tu sei uno strano essere, uomo-Flinx. Quando la faccenda della sua stranezza affiorava, era il momento giusto per cambiare argomento. Flinx indicò con un gesto sopra di sé. — Così, quel piccolo gruppo di edifici in superficie non è altro che una mimetizzazione del vero centro della Chiesa. — Io... — Lei guardò davanti a sé, e Flinx si rese conto che il consigliere non aveva perso una sola sillaba della loro conversazione, a giudicare dalla prontezza con cui s'intromise. — Glielo dica pure, padre-eletto. Se non glielo dirà, lui l'indovinerà lo stesso in ogni caso. Cosa ne dici, figliolo: non sei un chiaroveggente? — Se lo fossi non avrei bisogno di chiederlo, non è vero? — replicò nervosamente Flinx, cercando di nascondere la crescente inquietudine ai pungenti commenti del consigliere. Doveva uscire da lì a tutti i costi. Se si trovava ancora al Centro quando la notizia della sua straordinaria fuga da Hivehom fosse giunta fino al livello di Jiwe, allora con tutta probabilità non l'avrebbero più lasciato andare. Sarebbe diventato ciò che aveva sempre cercato di evitare: una curiosità, che doveva essere studiata come una farfalla infilzata su uno spillo e tenuta sotto vetro. Ma non poteva girarsi di scatto e fuggir via di corsa. Era costretto ad a-
spettare che quella faccenda si concludesse. Poiché adesso le era stato dato il permesso, Sylzenzuzex cominciò a spiegare entusiasticamente: — Gli edifici sopra la superficie sono completamente utilizzati, ma la maggior parte dell'installazione si prolunga per lunghi tratti nel sottosuolo, per quasi tutta l'estensione di Bali. Ma ci sono soltanto due vie per entrare e uscire. Una è quella che tu conosci, attraverso gli archivi, che adesso ci siamo lasciati molto indietro, in superficie; l'altra è attraverso il porto sottomarino delle navette, davanti alla vicina isola di Lombok. — I suoi occhi scintillarono. — È un luogo meraviglioso. Qui dentro ci sono tante cose da studiare, tante cose da imparare! La reazione di Flinx non mostrò un identico entusiasmo illimitato. Lui sospettava che Sylzenzuzex provenisse da una famiglia alquanto — per così dire — vezzeggiata. Da parte sua, ogni spensierata fiducia nelle persone e nelle istituzioni, anche le più venerabili, si era spenta in qualche punto fra gli otto e i nove anni d'età. Vide, comunque, che le luci fluorescenti sul soffitto riempivano di arcobaleni sempre mutevoli gli enormi occhi di lei. — La gola vulcanica del monte Agung è completamente imbrigliata. Fornisce tutta l'energia che il complesso della Chiesa richiede. L'intera isola è autonoma, del tutto autosufficiente. E... La giovane thranx s'interruppe quando Namoto e Jiwe si arrestarono davanti a una porta fiancheggiata da due guardie della Chiesa che indossavano la divisa color acquamarina. Flinx percepì la loro tensione dietro l'atteggiamento apparentemente rilassato, com'era pure ingannevole il modo quasi distratto in cui reggevano i propri lanciaraggi. Ci fu un rispettoso ma efficiente scambio d'identificazioni, e il piccolo gruppo fu ammesso in un corridoio più stretto. Dopo due ulteriori controlli da parte di guardie umane e thranx armate, finalmente fu loro consentito di accedere in una modesta cameretta. Al centro di questa c'era uno stretto lettuccio, come un ragno nella propria tela: era circondato da un complesso di macchinari scintillanti, una strumentazione medica altamente sofisticata. Mentre si avvicinavano al lettuccio, Flinx vide che vi era disteso sopra un uomo, immobile, gli occhi aperti sul vuoto. Un sistema d'illuminazione indiretta garantiva che i suoi occhi spenti non subissero danni, e un minuscolo dispositivo inumidiva regolarmente le sue cornee dall'aspetto vitreo. Sveglio ma inconsapevole, ignaro di tutto ciò che lo circondava, l'uomo galleggiava nudo — salvo per l'intreccio di cavi e tubi — su uno strato di
gelatina medicamentosa. Flinx cercò di seguire il labirinto dei circuiti nel complesso degli apparecchi scintillanti, ma non vi riuscì. Quell'uomo immobile, pensò, assomigliava soprattutto al terminale ultraraffinato di un ultraperfezionato computer. Jiwe fissò l'uomo immobile. — Questo è Mordecai Povalo — di chiaro. Si voltò verso Flinx. — Non ne hai mai sentito parlare? Flinx scosse la testa: quel nome gli giungeva nuovo. Il consigliere si sporse sopra il lettuccio. — Sono ormai molte settimane che è sospeso fra la vita e la morte. Certi giorni mostra un lieve miglioramento, e invece in altri occorrono gli sforzi di una decina di medici per tenerlo in vita. Se gli rimanga o no una pur minima volontà di vivere, nessuno sa dirlo. «Gli specialisti insistono nell'affermare che la sua mente è ancora attiva, che funziona tuttora. Il suo organismo tollera le macchine che lo fanno funzionare. Anche se i suoi occhi sono aperti, non siamo in grado di dire se registrano le immagini. Soltanto perché i suoi centri visivi continuano a funzionare, non è detto che effettivamente veda». Flinx trovò insieme affascinante e spaventosa quella figura impietrita. — Ma uscirà mai, dal coma? — Secondo i medici non si tratta esattamente di coma. Non hanno ancora un termine per definirlo. Qualunque cosa sia... no. Si aspettano che rimanga così fino a quando la mente l'abbandonerà, o fino a quando il suo corpo rigetterà definitivamente l'equipaggiamento che lo fa sopravvivere. — Ma allora — chiese Flinx, — perché tenerlo in vita? Su Evoria viveva un thranx Di-Eint di nome Tintonurac il quale godeva di una vasta fama per la sua intelligenza acuta e vivace, anche se nel momento da noi preso in considerazione la sua espressione era quella di un idiota felice. Naturalmente il suo volto da insetto non era in grado di esibire un'espressione confrontabile con quelle umane, ma nei numerosi anni trascorsi dall'Amalgamazione gli umani avevano imparato a leggere le espressioni dei thranx con la stessa facilità con cui i loro associati quasi-simbiotici avevano imparato a interpretare quelle degli uomini. Nessun umano o thranx notò la sua espressione in quel momento, un'espressione davvero insolita sul volto del più acclamato membro del suo alveare.
Capo del suo clan, Tintonurac costituiva un patrimonio inestimabile per zii e zie al completo, per la madre dell'alveare nonché per i suoi veri genitori. La sua particolare abilità quasi magica stava nella capacità di tradurre in realtà i concetti e gli schemi mentali degli altri, poiché lui era un Maestro Fabbricatore, ossia un tecnico di precisione. Non soltanto le sue creazioni meccaniche miglioravano i progetti iniziali degli stessi ideatori, ma, oltre a essere supremamente funzionali, erano anche molto attraenti alla vista. Fra i suoi ammiratori infuriava inesausto il dibattito se l'idolo dell'alveare dovesse essere considerato più giustamente un ingegnere o piuttosto uno scultore. Fra i suoi molti prodotti figuravano un congegno che eliminava totalmente una grave infermità umana, un sistema a energia multiplex per le centrali idroelettriche (così numerose nei mondi dei thranx), e un nuovo dispositivo di puntamento per le armi SCCAM, così tremendamente efficiente (nonostante una certa tendenza a sfuggire di mano a chi l'usava) da costituire l'autentico punto di forza delle flotte associate umane-thranx adibite al mantenimento della pace. Ce n'erano molti altri, alcuni così strani ed esoterici che lui solo, grazie alla sua straordinaria abilità, era riuscito a renderli concreti e funzionanti. Ma nessuna di queste sue mirabolanti creazioni era la causa della sua espressione attonita e beata, in quell'ottavo mese della stagione del Supremo Polline su Evoria. Tutto il suo piacere emanava da un oggetto luccicante che lui teneva nascosto in un cassetto del banco da lavoro. Ora lo stava fissando, immergendosi voluttuosamente nella gloria del suo silenzioso messaggio mentre i suoi assistenti si affaccendavano ignari intorno a lui. Tutti e sei erano scienziati e tecnici di gran merito: quattro erano thranx e due umani. Era una testimonianza dell'ammirazione resa a Tintonurac il fatto che si fossero offerti di fargli da assistenti quando invece tutti e sei avrebbero potuto ottenere con estrema facilità laboratori e personale in proprio. Le mandibole del Di-Eint si mossero per ridere alla maniera dei thranx mentre lui si deliziava a un nuovo pensiero. Che buffa, pensò, quell'idea che gli era venuta. Cosa sarebbe accaduto se lui avesse mescolato ai due metalli liquidi nella bottiglia della sua veramano sinistra quel catalizzatore ben chiuso in quell'altra bottiglia, sul lato opposto della stanza? Muovendosi come se fosse mezzo addormentato, raggiunse l'armadietto, l'aprì e prese la bottiglia col catalizzatore. Tornato alla sua poltroncina, eseguì ciò che aveva progettato, mentre il piacere che provava raggiungeva vertici sempre più sublimi.
Dridenvopa stava lavorando con l'umano Cassidy, ma non era assorto al punto di non accorgersi di ciò che stava facendo il Di-Eint. Improvvisamente s'immobilizzò e fissò Tintonurac che stava versando in una vaschetta di vetro il contenuto di una bottiglia, sciropposo e dai riflessi metallici. I suoi occhi compositi simili a gioielli sfaccettati luccicarono incerti quando il contenuto della vaschetta stracolma si riversò sul banco da lavoro e da lì sul pavimento. Il Di-Eint era scrupolosamente pulito in tutte le sue manipolazioni, sia fisiche che mentali, e questo comportamento non era da luì. Né lo era quell'espressione di attonita delizia che irradiava. Dridenvopa accennò a farsi avanti, poi si arrestò: certamente il Di-Eint sapeva il fatto suo. Questo rassicurante pensiero lo fece ritornare al suo lavoro, fino a quando lui e Cassidy notarono contemporaneamente l'etichetta vivacemente colorata di una seconda bottiglia che il Di-Eint stava trasferendo da una manopiede a una veramano. — Ma non è...? — cominciò a dire, perplesso, l'umano Cassidy in simbolingua, il gergo galattico buono a ogni uso, mentre il Di-Eint stava svitando il tappo della seconda bottiglia. Invece di terminare la frase, Cassidy produsse uno strano gnaulio umano e cercò d'un balzo di attraversare metri di banchi e di attrezzature frapposte, prima che accadesse l'inevitabile. Ma fu incapace di giungere in tempo a impedire che una piccola porzione del liquido di per sé innocuo della seconda bottiglia si riversasse sulla di per sé innocua miscela di metalli. Da quell'impasto di sostanze di per sé innocue nacque all'improvviso una sfera di luce accecante, così calda e ruggente da far sembrare il fosforo bianco, al suo confronto, ghiaccio artico. Malgrado il ruggente esplodere della vampa, Tintonurac si concentrò sulla sua appagante bellezza interiore... L'efficientissima squadra antincendio della comunità thranx giunse sul posto con la consueta fulmineità. Tutto ciò che si trovò davanti fu un'area totalmente combusta fra due edifici. L'incredibile calore aveva volatilizzato perfino le pareti metalliche del laboratorio. I suoi occupanti erano periti senza lasciar traccia. Gli inquirenti decisero che qualcuno doveva aver compiuto un errore, per quanto insolito e inaspettato. Anche lo scienziato più brillante poteva esser vittima di una svista fatale: perfino il più acuto e capace dei thranx poteva compiere uno sbaglio dalle conseguenze mortali, soprattutto se ipnotizzato da un oggetto meraviglioso e affascinante... che però fu impossibile ritrovare essendo stato distrutto nella tremenda fornace in cui si era
trasformato il laboratorio: distruzione che faceva parte del piano. Jiwe rifletté, prima di rispondere alla domanda di Flinx. — Perché è un importante indizio di qualcosa che recentemente ha cominciato ad accadere, con dolorosa frequenza, nel Commonwealth. La maggior parte della gente rifiuta di vedervi un preciso disegno, di collegare fra loro i diversi incidenti. Una piccola minoranza, nella quale mi annovero anch'io, non è così sicura che questi incidenti non siano in qualche modo collegati. «In questi ultimi anni, troppi individui dotati di talenti insostituibili hanno mostrato una desolante tendenza a farsi saltare in aria, spesso insieme ad apparecchiature scientifiche d'inestimabile valore. Considerati uno per uno, può sembrare che questi tragici fatti riguardino soltanto chi ne è stato vittima. Ma considerati nel loro complesso, indicano che oggi nessuno studioso o tecnico di talento può ritenersi al sicuro da un improvviso olocausto». Il silenzio, nella stanza, era reso ancor più intenso dall'acuto ronzio dell'equipaggiamento per la sopravvivenza, l'arcano sibilo di uno zombi meccanico. — Fra le numerose vittime registrate finora, il qui presente Povalo è stato l'unico che non è riuscito a liquidarsi completamente. Anche se, visto com'è ridotto, tanto varrebbe che fosse morto. Certamente non può più essere utile a se stesso. — Lei ha detto che alcuni di voi sono convinti che questi suicidi siano tutti collegati fra loro — arrischiò Flinx. — Avete scoperto qualcosa al riguardo? — Niente di concreto — ammise Jiwe, — ed è questa la ragione per cui siamo così pochi a pensarla in questo modo. Ma tutti loro avevano una cosa in comune. Nessuno aveva una ragione per uccidersi. Si dà il caso che io sia convinto che proprio questo sia enormemente significativo. Ma il Consiglio non è d'accordo. Flinx non si mostrò granché interessato. Con uno sforzo mise a tacere ogni sua personale curiosità, e tornò a concentrarsi sul modo di uscire di lì. — Cosa volete, da me? — chiese. Jiwe si accostò alla sedia più vicina e vi si lasciò cadere. — Povalo era un brillante ingegnere, ricco, intelligente, completamente padrone di sé, intento a un'importante ricerca. Adesso — (indicò il lettuccio) — è ridotto a un vegetale. Voglio sapere perché all'improvviso un simile uomo, e molti altri simili uomini e thranx, sembrano irresistibilmente attirati dal suicidio.
O meglio autoassassinio: non voglio chiamarlo suicidio perché sono profondamente convinto che si tratta di qualcosa di completamente diverso. — E io cosa dovrei fare? — chiese Flinx, sul chi vive. — Tu hai individuato l'infiltrazione di quell'AAnn quando nessun altro aveva sospettato la sua presenza. — È stato un puro caso — replicò Flinx. Grattò le mascelle di Pip. — Cose simili accadono soltanto quando Pip si eccita perché ha percepito una possibile minaccia per me. — Indicò Povalo. — Il vostro soggetto non è certo una minaccia. — Non mi aspetto niente — si affrettò a calmarlo Jiwe. — Ti chiedo soltanto di provare. Quando anche tu avrai fallito, proverò con i lettori dei tarocchi e con le foglie di tè. Flinx esalò un lungo sospiro. — Se lei insiste... — Chiedo — gli ricordò gentilmente il consigliere, — non insisto. Giochi semantici, pensò Flinx; ma si girò ugualmente verso il letto e si concentrò sull'afflosciato occupante. Lottò per proiettare la mente oltre quegli occhi ciechi, timoroso — più che di fallire — di ciò che avrebbe potuto scoprire. Istintivamente Pip si strinse ancor più alla sua spalla, percependo lo sforzo del suo padrone. Flinx sperò, senza troppa fiducia, che Jiwe non avesse notato la reazione del minidrago. La sua stessa inquietudine — non aveva tenuto conto di questo — sarebbe bastata ad allarmare Pip, mentre lui si concentrava su Povalo. Era presente una minaccia, anche se solo nella sua mente. Nessuna nebbia per quanto sottile offuscava la sua visione. Non c'era nessuna musica cadenzata nei suoi orecchi a distrarlo. Il letto, il suo bozzolo di cavi e circuiti elettrici, l'attrezzatura scintillante, e il translucido materassino di gelatina... ai suoi occhi ogni cosa era chiara e limpida come sempre. Eppure... c'era qualcosa nella sua mente, qualcosa che lui non vedeva con gli occhi, qualcosa che non era lì un momento prima. Faceva parte della creatura sul letto. Un giovane nel suo pieno fiorire — un'immagine idealizzata di Mordecai Povalo — stava corteggiando una donna di una bellezza soprannaturale in un mondo di nuvole fioccose, rosee, stillanti amore. A fianco a fianco si tuffavano estatici nelle verdi profondità di un basso oceano. Di tanto in tanto le due figure cambiavano lievemente di corporatura e di colore, ma i protagonisti e gli sfondi incantati restavano sempre gli stessi. All'improvviso la donna scomparve: volò, nuotò, corse via, a seconda
del tipo di suolo che incontrava. Sconvolto e senza speranza, l'uomo si diresse a un quadro di comandi occhieggiante di luci e premette un pulsante... e tutto ricominciò. Nello splendore della sua giovinezza, Povalo-plus corteggiò una donna dalla bellezza mutevole ma sempre smagliante, turbinando, roteando in giri d'amore intorno a lei, mentre galleggiavano fra le nuvole rosate... Flinx ammiccò e distolse lo sguardo dal letto. Jiwe lo stava fissando intensamente. — Mi spiace — mormorò Flinx in un soffio. — Non sono riuscito a individuare nulla. Il consigliere lo fissò ancora per un attimo, poi si afflosciò sulla sedia. Pareva invecchiato di dieci anni. — Ho ottenuto ciò che mi aspettavo. Grazie per aver tentato, Flinx. — Posso andare, adesso? — Eh? Oh, sì, naturalmente. Padre-eletto — disse Jiwe, rivolto a Sylzenzuzex, — farà meglio ad accompagnare il nostro giovane amico e a mostrargli la via per uscire. — Poi guardò di nuovo Flinx. — Autorizzerò un lasciapassare in bianco, così potrai viaggiare dovunque sulla Terra. Potrai prenderlo quando esci. — Se non ha nulla in contrario — replicò Flinx, — vorrei recarmi un'altra volta agli archivi. Sono convinto di poter trovare altre informazioni collegate con i miei genitori. E vorrei riascoltare i dati della bobina già in mio possesso. Jiwe fissò Namoto, interdetto, e quest'ultimo si affrettò a rammentargli: — I genitori del ragazzo, ricorda? — Ah, sì, naturalmente. Qualunque aiuto ci sia possibile darti, te l'offriremo. Padre-eletto, lei potrà assistere il nostro amico Flinx nella ricerca di qualunque informazione di cui abbia bisogno. Un'ultima cosa, figliolo — concluse Jiwe, e sul suo volto si disegnò un fugace sorriso. — Se finché ti troverai qua dentro ti capiterà d'imbatterti in qualche altro visitatore che puzzi di vecchia valigia di coccodrillo invece che di umano o di thranx, per favore, diccelo, prima che la tua bestiolina lì sulla spalla lo ammazzi. — Lo farò senz'altro, signore — replicò Flinx, ricambiando il sorriso. Il suo sollievo, quando uscirono da quella stanza, fu considerevole. — Dove vuoi andare? — gli chiese Sylzenzuzex, mentre rientravano nel corridoio principale dell'ospedale. — Di nuovo in Genealogia? — No: credo di aver ottenuto là dentro tutto il possibile. Vorrei provare la vostra sezione Galattografica. Credo di aver localizzato il pianeta dove i miei genitori sono morti. — Era una bugia, naturalmente.
— Nessun problema — gli assicurò Sylzenzuzex, facendo ticchettare cortesemente le mandibole. Mentre proseguivano lungo il corridoio, Flinx rifletté su ciò che aveva visto nella mente di Povalo. La visione idealizzata di se stesso, della donna amata, di nuvole rosate, di mari verdi, di colline ondulate... tutte dolci e semplici immagini di un paradiso senza complicazioni. Salvo per quel quadro di comandi... Ogni cosa sfolgorava di luminosi colori. Lui non aveva visto la realtà, naturalmente, ma soltanto una ricostruzione di qualcosa che quell'uomo sprofondato nel coma aveva ritenuto realtà. Quei colori puri, quei contorni mutevoli dei corpi, lui li aveva visti già un'altra volta. Poco prima di quel quasi riuscito suicidio, Mordecai Povalo aveva posseduto un gioiello di Janus e ci aveva giocato. Il gioiello di Povalo portò naturalmente Flinx a pensare a Conda Challis e ai suoi graziosi giochi col cristallo. Conda Challis si era trovato nella mente dell'AAnn che era riuscito a infiltrarsi fin là dentro, insieme allo sconosciuto mondo di Ulru-Ujurr. Una bizzarra serie di coincidenze che indubbiamente non conducevano da nessuna parte. Oh, si disse, lasciamo perdere l'AAnn e la dorata perdizione di Mordecai Povalo. Ora nella sua mente c'era soltanto posto per Challis e l'informazione-chiave che il mercante era riuscito a trafugare dagli archivi della Chiesa. Era per questo che voleva consultare la sezione Galattografica. I suoi genitori... assai facilmente potevano esser morti lì sulla Terra. Per averne la certezza avrebbe dovuto trovare Challis, e il mercante poteva benissimo essere fuggito su un mondo strano e misterioso come quell'Ulru-Ujurr... sempre che un simile pianeta esistesse davvero e non fosse invece un rigurgito mentale dell'AAnn, da lui equivocato. Gli parve di aver camminato per un tempo lunghissimo, prima di ritrovarsi di nuovo davanti all'ascensore. Ancora una volta Sylzenzuzex fece uso della curiosa scheda triangolare che fungeva da chiave, e ancora una volta la cabina partì seguendo un percorso in apparenza del tutto irregolare. Il livello in cui alla fine uscirono era deserto: una bella differenza dall'animazione della sezione-ospedale. La giovane thranx condusse Flinx lungo una fila di porte, con nomi complicati incisi sopra, finché trovarono quella che cercavano. Galattografia sembrava l'esatto duplicato di Genealogia, salvo il fatto
che era più piccola e disponeva di un numero più grande di cabine. Inoltre, lì la sorvegliante era assai giovane. — Sono alla ricerca di un mondo lontano, quasi del tutto ignoto. Mi serve aiuto. L'addetta si drizzò orgogliosamente. — L'acquisizione d'informazioni elimina l'ignoranza. Questo è il mattone fondamentale del superbo edificio della Chiesa, sul quale devono avere base tutti gli altri studi. Senza accesso al sapere, infatti, com'è possibile imparare ad apprendere? — Per favore — l'interruppe Flinx. — Non più di due massime eterne per ogni frase. — Dietro di lui si udì il sommesso ticchettio delle mascelle di Sylzenzuzex, che a stento riusciva a nascondere l'ilarità. Il sorriso professionale dell'addetta scomparve. — Il catalogo delle bobine — replicò in tono gelido, — si trova tre corsie più avanti. Flinx e Sylzenzuzex avanzarono nella direzione indicata. — Il mondo che m'interessa si chiama Ulru-Ujurr. — Ujurr — gli fece eco l'addetta in simbolingua. Quello strano nome aveva un suono più naturale nella sua bocca, ovviamente più adatta a pronunciare le consonanti. Flinx la scrutò con più attenzione, ma lei non diede minimamente a vedere di aver udito prima quel nome. Lui non riuscì a decidere subito se ciò era un bene o un male. — È questa l'ortografia corretta in simbolingua? — chiese l'addetta dopo che Flinx ebbe pronunciato il nome lettera per lettera. — Potrebbero esserci delle varianti che il nastro non registra. Supponiamo, prima di tutto, che sia scritto nello stesso modo in cui si pronuncia... — Sembrava che avesse difficoltà ad accettare il fatto che anche un solo nastro della Chiesa potesse fornire dati incerti o peggio ancora imprecisi. Ma rifletté che a volte anche i nomi di mondi assai più conosciuti avevano grafie variabili. Percorsero la stretta corsia fiancheggiata dalle alte pareti metalliche. Flinx cercò inutilmente d'immaginarsi i miliardi di dati immagazzinati là dentro, su ogni mondo conosciuto dentro e fuori il Commonwealth. Ed era assai probabile che una porzione di quegli archivi fosse sepolta in qualche punto segreto dell'immenso labirinto che era il centro amministrativo, un settore vietato alle normali consultazioni. Se il pianeta di cui lui era in caccia aveva qualche caratteristica peculiare, che la Chiesa non intendeva divulgare, con tutta probabilità quei dati non erano contenuti nelle bobine che si trovavano lì. Fu quasi sorpreso quando constatò che erano già arrivati davanti alla sezione del catalogo che stavano cercando. Sylzenzuzex premette un pulsan-
te lì vicino, e da un altoparlante dissimulato nella parete giunse la conferma verbale che Ulru-Ujurr si trovava lì schedato. — Potrebbe trattarsi di un Ulru-Ujurr diverso — lo ammonì Sylzenzuzex cominciando a scorrere la lunga fila verticale di etichette ricoperte di minuscoli caratteri. — Qui però non viene citato il fatto che esistano diversi pianeti con questo nome o altri analoghi. — Avanti, allora — esclamò lui, impaziente. La giovane thranx inserì una scheda-chiave nella corrispondente fessura. Era un piccolo dispositivo dello stesso tipo (ma assai più semplice) di quello che serviva ad azionare gli ascensori multilivello. Pochi attimi più tardi la loro ricerca fu compensata dall'emissione di una minuscola bobina di nastro sottile come un filo. Sylzenzuzex la fissò socchiudendo gli occhi, anche se questa fu soltanto un'impressione mentale che Flinx ricavò dal suo atteggiamento più che da un atto concreto, dal momento che i thranx non possedevano palpebre. — È difficile giudicare da una prima occhiata, ma sembra che su questo nastro ci sia molto poco — disse lei alla fine. — A volte, tuttavia, si può trovare una bobina che ha l'aria di contenere non più di duecento parole mentre in realtà ne ha due milioni. Perché non rendono più efficiente questo sistema? Flinx si meravigliò che qualcuno potesse definire non efficiente quel sistema. Ma, considerò fra sé, perfino i membri ai livelli più bassi della gerarchia della Chiesa venivano continuamente stimolati a trovare nuovi modi di migliorare l'organizzazione. Ginnastica spirituale, la chiamavano. Soltanto poche cabine erano occupate. Ne trovarono una vuota in fondo a una fila, isolata da orecchi indiscreti. Flinx prese posto sul sedile riservato agli umani, mentre Sylzenzuzex si ripiegò sulla stretta mensola concepita per i thranx e inserì la bobina nell'apposito ricettacolo. Poi attivò lo schermo, che subito s'illuminò. Come c'era da aspettarsi, cominciarono ad apparire per primi i dati generali: Ulru-Ujurr era all'incirca del venti per cento più grande rispetto alla Terra o a Hivehom, anche se, essendo composto da minerali più leggeri, la sua forza di gravità era di pochissimo superiore. La sua atmosfera era respirabile, e non conteneva gas rari o strani. C'era acqua in abbondanza, in buona parte allo stato solido nelle due estese calotte polari ghiacciate. Il ghiaccio si prolungava in più punti ben dentro le latitudini più basse, indicando una vera e propria epoca glaciale in corso e un clima rigido. Era un mondo ricco di montagne.
— Anche se non è completamente ghiacciato — commentò Flinx, — è un mondo assai più freddo della maggior parte dei pianeti adatti alla colonizzazione da parte degli humanx. — Esaminò con rinnovata attenzione l'elenco delle notizie, accigliandosi. — A parte il clima freddo, sotto ogni altro aspetto le caratteristiche di questo pianeta sono favorevoli; ma non vedo nessuna indicazione d'insediamenti humanx, sia pure una semplice stazione per osservazioni scientifiche. Ogni mondo abitabile ne ha come minimo una. Falena ha una popolazione discretamente numerosa, e ci sono insediamenti umani tutt'altro che trascurabili su pianeti assai meno ospitali. Non capisco. La sua compagna era scossa da brividi soltanto a immaginare le gelide temperature di quel mondo. — Lo chiami «freddo» e «abitabile»! — esclamò. — Forse per voi umani, Flinx. Per un thranx è un inferno di ghiaccio. — Ammetto che è ben lungi dal nostro concetto di pianeta ideale. — Flinx continuò nella lettura delle informazioni. — A quanto sembra c'è vita sia vegetale che animale, ma nessuna descrizione, nessun particolare. Capisco che le descrizioni orali sono un ben misero surrogato delle immagini, ma non capisco perché le abbiano eliminate del tutto — commentò, perplesso. — Non ci sono giacimenti importanti di metalli pesanti o radioattivi — aggiunse Sylzenzuzex. In breve, benché gli humanx potessero vivere su Ulru-Ujurr, il pianeta non aveva proprio niente che potesse attirarveli. Il pianeta si trovava ai margini del Commonwealth, appena entro i limiti dei suoi confini spaziali, ed era assai distante dal più vicino mondo colonizzato. Non era certo un mondo che favorisse gli insediamenti. Ma, accidenti, doveva pur esserci qualche tipo di avamposto! Lo schermo mostrò che il nastro era finito. Esibì però un'aggiunta appena leggibile: COLORO CHE SONO DESIDEROSI DI OTTENERE ULTERIORI NOTIZIE CONSULTINO L'APPENDICE 4325 SEZIONE BMQ... — Presumo che tu sia stanco di leggere statistiche planetarie quanto lo sono io — dichiarò Sylzenzuzex, premendo il tasto per il riawolgimento del nastro. — Per quanto riguarda i tuoi genitori, questo mondo sembra indubbiamente un vicolo cieco. Cosa desideri vedere, adesso? Cercando di mantenere calmo e discorsivo il tono della voce, Flinx replicò: — Andiamo avanti e finiamo prima di tutto con questo.
— Ma ciò significa cercare nei sub-indici — protestò lei. — Certamente tu non... — Cerchiamo questa appendice — l'interruppe Flinx. Lei produsse il suono thranx che indicava rassegnazione accoppiata a un vago sbalordimento, ma non stette a discutere oltre. Dopo quasi un'ora di ricerche riuscirono infine a scovare l'appendice 4325 sezione BMQ. Chiesero dunque alla macchina di fornire il nastro richiesto, ma dovettero ripetere più volte la manovra poiché la macchina si mostrò stranamente riluttante a fornirlo. Qualcuno, pensò Flinx, si era dato molto da fare per nascondere quelle notizie, senza nel contempo darlo a vedere. Il nuovo nastro confermò infine i suoi sospetti. Appena infilata la bobina e attivato lo schermo, comparvero delle fiammeggianti lettere scarlatte che dicevano: ULRU-UJURR... MONDO ABITABILE... QUESTO PIANETA E IL SUO SISTEMA SONO SOTTO EDITTO... Erano indicate sia la data della prima e unica ricognizione sul pianeta sia quella in cui era stato posto sotto Editto Ecclesiastico dal Gran Consiglio. Quella era la fine, per quanto riguardava Sylzenzuzex. — Hai toccato il muro dell'alveare. Non riesco a capire cosa ti abbia convinto che i tuoi genitori potessero trovarsi su quel mondo. Devi aver commesso un errore, Flinx. Quel mondo è sotto editto. Ciò significa che niente e nessuno ha il permesso di viaggiare a distanza di navetta dalla sua superficie. Ci sarà in orbita almeno un guardiano automatico della pace, per intercettare e intimare l'alt a chiunque cerchi di raggiungerlo. Se qualcuno volesse ignorare l'editto... — (lei indugiò significativamente) — be', non si può correre più veloci di un guardiano della pace, né manovrare per sfuggirgli. — I suoi occhi luccicarono. — Perché mi guardi così? — Perché io ci andrò. A Ulru-Ujurr — esclamò Flinx, reagendo col tono più deciso alla sua espressione incredula. — Ritiro il mio primo giudizio — replicò lei. — Tu non sei strano, Flinx: tu sei pazzo. Forse la tua mente si sta scardinando a causa degli eventi drammatici che ha vissuto oggi. — I cardini della mia mente sono ben saldi e il mio cervello funziona egregiamente, grazie. Ma tu vuoi sentire qualcosa di veramente assurdo? Lei lo fissò, guardinga. — Non ne sono sicura. — Penso che tutti quei suicidi di persone importanti di cui Jiwe si preoccupa c'entrino con i gioielli di Janus. — I gioielli di Janus... Ne ho sentito parlare, ma in che modo...?
Flinx proseguì in fretta: — Quella polvere cristallina che impregnava il corpo maciullato dell'AAnn poteva essere ciò che restava di un gioiello di Janus disintegrato. — Io credevo che fossero dardi-siringa sbriciolati dall'esplosione. — Ma poteva essere anche un gioiello distrutto — insisté Flinx. — E allora? — E allora... non so. Ma ho la sensazione che tutto sia collegato: i gioielli, i suicidi, questo pianeta proibito... e gli AAnn. Sylzenzuzex lo fissò, cupa. — Ma se davvero ne sei così convinto... per l'alveare, perché non l'hai detto al consigliere Jiwe? — Perché... perché... — Le parole gli si spensero in bocca, mentre la sua mente si arrestava davanti a quella barriera ammonitrice sempre presente. — Non posso, tutto qui. Inoltre, chi crederebbe a una teoria così folle, se viene da un... — (le sorrise di colpo) — ... da un giovane col cervello scardinato come il mio? — Giovane sì, ma non bambino — ribatté lei, ignorando volutamente il suo commento sul cervello scardinato. — E allora, perché non hai continuato a tenerlo per te? Perché l'hai detto a me? — Volevo... l'opinione di un'altra persona, o quantomeno verificare se la mia teoria, detta a voce alta, sembra altrettanto folle di quanto lo sembra stando chiusa nella mia testa. Le mandibole di Sylzenzuzex ticchettarono nervosamente. — D'accordo, sembra del tutto folle. E adesso dimentichiamoci di tutto questo e passiamo a esaminare gli altri mondi che la tua ricerca ha tirato fuori. — La mia ricerca non ha tirato fuori nessun altro mondo. E non ha tirato fuori neppure Ulrr-Ujurr. Lei parve esasperata. — Ma allora, dove hai trovato questo nome? — Nel... — Flinx si frenò appena in tempo. Stava quasi per rivelarle che l'aveva letto nella mente dell'AAnn morente. — Non posso dirti neppure questo. — Ma come posso aiutarti, se rifiuti di... — Venendo con me. Lei lo fissò sbalordita. — Ho bisogno di qualcuno che sia in grado di annullare l'ordine impresso in quel guardiano automatico della pace. Tu sei un padre-eletto della Sicurezza, altrimenti non avresti avuto un incarico così delicato come quello di addetto alla stazione di superficie degli ascensori. Tu puoi valicare quella barriera. — La fissò ansioso.
— Sarà meglio che tu vada a parlare col consigliere Jiwe — replicò lei, scandendo le parole. — Anche presumendo che io sia in grado di fare una cosa simile, non penserei mai neppure per un attimo di sfidare un editto della Chiesa. — Ascolta — le disse Flinx, rapidamente, — un membro di alto rango della Chiesa non penserebbe mai a una cosa simile, e comunque verrebbe sempre seguito nei suoi movimenti, se non altro per ragioni di protezione. E neppure un vascello militare del Commonwealth lo farebbe. Ma tu non sei così in alto nella gerarchia da causare allarme se all'improvviso deviassi dal comportamento che ci si aspetta da te. E inoltre scommetto che hai dentro di te un po' di tuo zio, e lui è l'individuo dall'intelligenza più acuta che io abbia mai incontrato. Sylzenzuzex si stava guardando intorno con l'espressione di chi si sveglia all'improvviso con un cannibale affamato in una stanza chiusa a chiave. — Non ho intenzione di ascoltare niente del genere — mormorò freneticamente. — No. È blasfemo e... idiota. — Senza togliergli gli occhi di dosso, fece per scivolar giù dalla panca. — Come mai mi sono lasciata invischiare da te? — Per favore, non gridare — l'ammoni Flinx con la massima cortesia. — Quanto alla tua domanda, pensaci un momento: ti ho salvato la vita... CAPITOLO OTTAVO Sylzenzuzex ristette con i quattro arti ripiegati sotto di lei, pronta a un rapido scatto verso la scrivania della sorvegliante. Le parole di Flinx le roteavano nella testa. — Sì — ammise alla fine, — tu mi hai salvato la vita. Per un momento me n'ero dimenticata. — E allora, per l'alveare, per la madre regina e per il miracolo della metamorfosi — intonò Flinx solennemente, — ora io esigo il debito dovuto. Lei si sforzò di guardarlo divertita, ma lui si rese conto che era scossa. — È uno strano giuramento. È forse concepito per prendere in giro i bambini? Flinx tornò a ripeterlo, con enfasi ancora maggiore e questa volta in alto thranx. Non riuscì a evitare tutti i tranelli di quella difficile lingua, e incespicò negli schiocchi e nelle consonanti più aspre. — Dunque lo sai — mormorò Sylzenzuzex, afflosciandosi visibilmente
e lanciando poi un'occhiata alla sorvegliante tranquillamente seduta alla lontana scrivania. Flinx sapeva che le sarebbe bastato cacciare un urlo perché gli si precipitassero addosso una moltitudine di guardie armate e molte domande rabbiose. Lui aveva puntato il tutto per tutto sulla speranza che lei non l'avrebbe fatto, che l'antica e potente istituzione del debito-vita e della solenne richiesta della sua soddisfazione l'avrebbe trattenuta. E così fu, infatti. Lei lo guardò implorante. — Sono appena diventata adulta, Flinx. Ho ancora tutte le elitre, e ho perso la chitina di adolescente soltanto un anno fa. Non sono mai stata sposata. Non voglio morire per una tua inspiegabile ossessione. Amo i miei studi, la Chiesa, e quello che potrà essere il mio futuro. Non svergognarmi davanti alla mia famiglia e al mio clan. Non farmi fare... questo. «Mi piacerebbe aiutarti, mi piacerebbe davvero. Certamente tu hai avuto dalla vita la tua parte d'infelicità e d'indifferenza, molta più di quanta ne meritavi. Ma, ti prego, cerca di capire...». — Non ho tempo per capire — l'interruppe bruscamente Flinx, prima che le parole di lei indebolissero la sua decisione. Lui doveva andare su Ulru-Ujurr anche se ci fosse stata una probabilità su un milione che Challis fosse fuggito là. — Se avessi perso il mio tempo a capire, sarei già morto cinque o sei volte. Mi appello a quel giuramento perché tu paghi il debito che hai verso di me. — Allora acconsento — replicò lei, in tono accorato. — Devo farlo. Mi hai sacrificata ai tuoi sogni. — E aggiunse un'interiezione che indicava impotenza mista a disprezzo. Per un breve attimo lui fu sul punto di dirle di scomparire, di lasciare la stanza, di fuggir via. Ma l'attimo passò. Lui aveva troppo bisogno di lei. Se fosse andato direttamente da qualcuno come Jiwe e gli avesse dichiarato che doveva andare su Ulru-Ujurr, il consigliere avrebbe sorriso scrollando le spalle. Se gli avesse esposto la sua teoria sui gioielli di Janus, Jiwe avrebbe chiesto particolari, fonti di sospetto. E ciò, per Flinx, avrebbe significato rivelare i suoi talenti, cosa questa che lui, semplicemente, non poteva fare. La Chiesa Unita, nonostante tutta la sua buona volontà e l'ottimo lavoro fatto, era pur sempre un enorme apparato burocratico. Avrebbe posto i propri interessi al disopra dei suoi. — Ma certamente — avrebbero detto, — ti aiuteremo a ritrovare i tuoi genitori, ma per prima cosa... E quella «prima cosa» avrebbe potuto durare per sempre, lui ne era convinto: o, se non sempre, almeno fino a quando un annoiato Challis avrebbe
finito col distruggere l'ultimo labile legame che lo univa alla sua ascendenza. E anche se lui avesse rivelato in pieno i propri talenti, l'avrebbero davvero aiutato? Lui non era affatto certo che l'adattabilità della Chiesa si estendesse fino alla violazione di un proprio editto. Sarebbe andato su Ulru-Ujurr a qualunque costo, anche se non poteva rivelare a nessuno il vero motivo. Neppure a Sylzenzuzex, che aspettava in silenzio fissando il pavimento con un'espressione da morta-viva. Ma certamente, lui pensò, l'avrebbero pienamente assolta quando avessero saputo le costrizioni cui l'aveva sottoposta per obbligarla a seguirlo. Certamente... Dopo che Sylzenzuzex ebbe chiesto e naturalmente ottenuto un lungo periodo di ferie arretrate, volarono fino a Brisbane in una navetta atmosferica. Sylzenzuzex, alla macchina che l'aveva interrogata, aveva spiegato che era giunto per lei il momento di far visita ai suoi genitori su Hivehom. Flinx, nel frattempo, non aveva mostrato il minimo cedimento nella sua decisione di portarla con sé. Era troppo importante. Per cui, durante il volo, lei fu rigidamente cortese in risposta alle sue domande. Per reciproco accordo, non s'impegnarono in frivole conversazioni tanto per far passare il tempo. Furono costretti a trattenersi a Brisbane più di una settimana, mentre Flinx concludeva le complicate trattative richieste per noleggiare una piccola nave munita di autopilota e propulsori KK. Vascelli privati in grado di compiere voli interstellari non erano facilmente disponibili. Malaika era stato molto generoso, ma il nolo della nave per tre giorni prosciugò completamente il credito di Flinx. Ciò non lo preoccupò: dato che era già colpevole di rapimento, il fatto che al suo mancato ritorno dopo tre giorni il noleggiatore della nave avrebbe sganciato gli esattori al suo inseguimento assumeva un'importanza del tutto trascuràbile. Si sarebbe preoccupato in un'altra occasione di come pagare il debito astronomico che stava per contrarre. Se ritornava, ricordò fra sé. La Chiesa non aveva certo imposto un editto su Ulru-Ujurr solo per un perverso capriccio. Doveva esserci una buona ragione... e c'era sempre Challis. Sylzenzuzex ne sapeva ancora meno di lui, di astrogazione. Se il noleggiatore aveva mentito sull'efficienza del pilota automatico, non sarebbero mai arrivati su Ulru-Ujurr né in nessun altro posto. Sylzenzuzex gli spiegò che il campo di studio da lei scelto era l'archeologia. Il servizio prestato alla Sicurezza era uno degli obblighi della sua condizione di studente. Le primitive società insettoidi di Hivehom l'aveva-
no sempre affascinata. Aveva sognato di studiarle per tutto il resto della vita, una volta laureata e ritornata a casa come pieno-padre: ma adesso tutto ciò non sarebbe mai più accaduto, ricordò amaramente a se stessa. Lui non badò a queste sue dolenti recriminazioni. Doveva farlo, altrimenti la sua determinazione si sarebbe dissolta in un attimo. Ancora una volta si chiese la ragione per cui un pianeta abitabile e in apparenza innocuo come Ulru-Ujurr aveva costretto la Chiesa a metterlo sotto editto. Le scarse informazioni trovate in Galattografia, quei freddi elenchi di cifre e di dati che in così breve tempo l'avevano condotto a rendersi colpevole di rapimento e frode, evitavano accuratamente di fornire ogni più piccolo indizio. Ma almeno una prima preoccupazione si dimostrò quasi subito infondata, quando il piccolo e potente vascello eseguì il balzo superfotonico che li portò fuori dall'immediata portata di eventuali inseguitori. Stando alle indicazioni degli strumenti, la nave procedeva alla massima velocità di crociera in base alle coordinate che Flinx le aveva fornito. Il fatto di trovarsi a tasche vuote, o meglio in pieno disastro finanziario, non preoccupava minimamente Flinx. Anzi, quando ci pensava provava perfino un certo sollievo. Aveva passato senza soldi tutta la vita. L'improvviso ritorno a quella condizione era come cambiare un costoso ma scomodo vestito con un paio di vecchi, logori, comodissimi calzoni da lavoro. Il tempo che passarono viaggiando non andò sprecato. Flinx lo trascorse consultando per lunghi periodi il computer del vascello, migliorando grandemente le sue rudimentali conoscenze di astrogazione, e imparando il funzionamento della maggior parte dei sistemi della nave, pur tenendosi a rispettosa distanza dall'interruttore che escludeva il pilota automatico per passare ai comandi manuali. Non provava vergogna per la propria ignoranza. Tutte le navi a propulsione KK viaggiavano guidate praticamente per l'intera rotta dal computer. Le distanze e le velocità stellari erano troppo colossali perché semplici menti organiche potessero manipolarle. L'equipaggio humanx sempre presente nelle più grandi navi transpaziali KK era lì soprattutto per accudire alle necessità dei passeggeri e del carico; sarebbe intervenuto nella guida della nave soltanto nell'estremamente improbabile caso che la mente computerizzata della nave si fosse guastata. Fu una fortuna, per lui, che il funzionamento della piccola nave lo interessasse tanto, poiché Sylzenzuzex si dimostrò tutto fuorché una compagnia piacevole. Preferiva restarsene sempre chiusa nella propria cabina,
uscendone soltanto per prelevare i pasti dalla cucina automatica. Gradualmente, però, anche la sua pazienza — nonostante l'abitudine di vivere nel sottosuolo — cominciò a logorarsi, e allora la giovane thranx prese a trascorrere intervalli di tempo sempre più lunghi sul ponte falsamente lussuoso della nave. Tuttavia, quando si degnava di parlare, la sua conversazione consisteva in commenti monosillabici del tutto sconfortanti. Un simile atteggiamento fatalistico non avrebbe potuto essere in contrasto più stridente col carattere di Flinx. — Non ti capisco, Sylzenzuzex — le disse. — Tu sei come una persona che partecipi alla sua veglia funebre. Te l'ho detto, confermerò ufficialmente che ti ho rapita contro la tua volontà. E allora tutti dovranno ammettere che sei libera da ogni colpa... qualunque cosa possa accadere! — Tu non capisci — mormorò lei con voce sibilante. — Non potrei mai mentire così. Non ai miei superiori nella Chiesa, o alla mia famiglia, o alla madre dell'alveare. Certamente non ai miei genitori. Sono venuta con te di mia spontanea volontà. — La sua testa dal grazioso profilo, che scintillava di un intenso azzurro in mezzo alle luci del ponte, si abbassò sconsolata. — Ma quello che dici non ha senso — protestò Flinx con veemenza. — Tu non avevi scelta! Io mi sono appellato a te perché pagassi un debito in base alle vostre più rigide leggi ereditarie. Com'è possibile che qualcuno ti biasimi per questo? Quanto alla destinazione proibita di questo viaggio, è stata interamente una mia scelta. Tu non soltanto non hai avuto nessuna voce in merito alla mia decisione, ma anzi hai sollevato tutte le possibili argomentazioni contrarie. — Mentre Flinx parlava, il pasto che aveva prelevato alla cucina automatica si stava raffreddando accanto a lui. E gli occhi color giaietto di Pip fissavano perplessi il loro padrone sempre più innervosito. Sylzenzuzex lo fissò. — Ci sono ancora molte cose, su di noi, che voi umani non avete capito. — E voltò la testa, come se quelle dovessero essere le sue ultime parole sull'argomento. Sempre la frase lapidaria, pensò Flinx, furioso. Sempre quella prontezza a rifugiarsi negli assoluti, per tappare la bocca a chi invece avrebbe voluto ragionare, spiegare, capire. Perché tutta quella paura, da parte di esseri che si presumevano intelligenti, di aprire gli occhi, di toccare con mano la verità? Guardò fuori dall'oblò di prua, frustrato oltre ogni misura. L'universo funzionava sulla logica, non sull'emotività. E come mai (questo, lui non era mai riuscito a capirlo) la gente era sempre pronta a rovinarsi l'esistenza a causa delle proprie emozioni?
— Fa' pure a modo tuo — borbottò. — E ora passiamo a preoccupazioni più immediate. Parlami di questa sonda automatica, di questo guardiano automatico che dovrebbe impedirci di atterrare su Ulru-Ujurr. Ci fu un suono sibilante, mentre un abbondante sbuffo d'aria veniva espulso a forza dalle spicole respiratorie: un sospiro thranx. — Più probabilmente molte sonde. Ce ne dovrebbero essere da una a quattro in orbita sincrona intorno al pianeta. Non ne sono troppo sicura, perché i mondi sotto editto sono così pochi che molto di rado l'argomento diventa oggetto di discussione. E così, di conseguenza, manchiamo di qualunque informazione su quei mondi. Che un pianeta finisca sotto editto, in pratica è piú una possibilità su cui disquisire in teoria che un fatto. «Immagino — concluse, avvicinandosi al quadro dei comandi e fissando distrattamente indici e quadranti, — che ci saranno fatti dei segnali, o che saremo intercettati in qualche altro modo e ci sarà ordinato di andarcene». — E se ignoreremo tali avvertimenti? Sylzenzuzex scrollò le spalle alla maniera dei thranx. — Allora, probabilmente, ci faranno saltare le elitre. Il tono di Flinx suonò sarcastico. — Pensavo che la Chiesa fosse un intermediario pieno di gentilezza e comprensione fra le specie. — Esatto — ribatté lei. — Ed è motivo di conforto per tutti sapere che i decreti della Chiesa vengono fatti rispettare. — La sua voce si fece più acuta. — Credi forse che la Chiesa metta un intero mondo sotto editto a causa del capriccio di qualche consigliere? — Non lo so — rispose lui, imperturbabile. — Probabilmente, tra poco ci sarà data la possibilità di scoprirlo... La fortezza volante sbucò dal nulla senza preavviso. Un attimo prima erano soli nello spazio sconfinato, in rotta di avvicinamento al quarto pianeta di una stella anonima, e un attimo dopo una macchina fornita di sei aguzze protuberanze in corrispondenza dei suoi assi principali aveva uguagliato la loro velocità e percorreva a poca distanza una rotta parallela. Era molte volte più grande del loro piccolo vascello. — Stazione automatica 24 per la conservazione della pace — dichiarò attraverso gli altoparlanti una voce meccanica dal tono non sgradevole. Lo steroschermo non rivelò immagini dell'interno della sonda. — Al vascello non identificato classe 16-R. In nome della Chiesa e del Commonwealth, questo messaggio è per notificarvi che il mondo al quale vi state avvicinando è sotto editto. Siete invitati a invertire la vostra attuale rotta e a
reinnestare la vostra propulsione doppia-K. A nessun vascello è consentito scendere sulla superficie del quarto pianeta, né di restare nelle vicinanze di questo sole. «Avete trenta minuti standard dalla fine di questo messaggio per riprogrammare il vostro computer-pilota. Non tentate di avvicinarvi a portata di rilevamento visivo dal quarto mondo. In mancanza di un pronto adeguamento ai summenzionati divieti, verranno subito presi provvedimenti». — Un modo gentile di dirci che ci farà scoppiare in tanti pezzettini — commentò asciuttamente Sylzenzuzex. — Ora possiamo tornare indietro? Flinx non rispose, intento com'era a studiare l'enorme massa di metallo che li stava fiancheggiando. Era già stato dimostrato che era veloce, enormemente più veloce del loro piccolo scafo. E, senza dubbio, parecchie armi delle più svariate capacità distruttive erano puntate contro di loro, mentre lui si stava ancora chiedendo quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Non era possibile raggiungere la superficie del pianeta con un balzo disperato, così come lui non sarebbe riuscito a correre più veloce di un'antilopediavolo sulle pianure che costeggiavano la palude di Gelerian, sul suo mondo. — È appunto per questo, che ti ho portata con me — disse alla giovane thranx in attesa. — Non certo per il piacere della tua compagnia. — Si spostò di lato, rivelando una strumentazione già attivata. — Ecco. Dagli il tuo nome, la tua sigla d'identificazione come membro della Chiesa, il codice della Sicurezza... qualunque cosa sia necessaria per ottenere il permesso di atterrare. Lei non si mosse: sembrava che le sue gambe avessero messo radici sul pavimento metallico. — Non mi presterà ascolto — obbiettò. — Prova. — Io... non lo farò. — Sei sotto giuramento: l'hai giurato in nome del tuo alveare — le ricordò lui a denti stretti, odiandosi ancora di più a ogni parola che diceva. La testa a forma di cuore si chinò di nuovo e di nuovo si fece udire quella voce vacua e sconfitta: — D'accordo. — Lei si avvicinò al quadro dei comandi con passo strascicato. — Te lo dico per l'ultima volta — aggiunse. — Obbligandomi a far questo, è come se tu stesso mi bandissi dalla Chiesa. — Si dà il caso che io abbia nella tua organizzazione più fiducia di quanta ne abbia tu stessa. Inoltre, se dopo un'esauriente spiegazione delle circostanze in cui sei stata costretta ad agire ti butteranno veramente fuori,
allora non credo proprio che l'organizzazione sia degna di te. — Come sei sicuro di quanto dici! — replicò lei, concludendo con un suono così aspro che Flinx fece istintivamente un passo indietro. — Avanti — le intimò. Sylzenzuzex controllò il dispositivo di trasmissione, poi snocciolò a supervelocità una lunga serie di parole e numeri. Flinx riuscì a stento a identificarli, ma non riuscì a scoprire un significato apparente in quel prolungato farfugliamento. Gli venne in mente che la giovane thranx avrebbe potuto benissimo dare alla fortezza volante l'ordine di distruggerli. Ma non accadde niente di simile, e quello sgradevole pensiero passò. Dopotutto, nei thranx l'istinto di conservazione era forte almeno quanto negli umani. Invece quel messaggio crittografico diede l'effetto sperato. — Emergenza per annullamento temporaneo dell'editto ricevuta e compresa — fece la voce metallica. — Elaborazione. Passarono due minuti che sembrarono due anni, poi finalmente giunse la conclusione: — Altre stazioni avvisate. Potete procedere. Non c'era tempo da sprecare in ringraziamenti. Flinx si precipitò al computer e diede verbalmente istruzioni perché la nave s'inserisse in una bassa orbita intorno al pianeta, così da sorvolare il continente più grande. Poi i sensori automatici avrebbero iniziato la ricerca di un qualunque indizio della presenza di attrezzature di comunicazione situate in superficie: qualunque cosa che indicasse la presenza di un insediamento humanx. Qualunque luogo dove Challis potesse trovarsi. — E se non ci fosse niente di simile? — chiese Sylzenzuzex, impallidendo mentre il vascello si allontanava dalla fortezza orbitale. — Là sotto c'è un intero pianeta, più grande di Hivehom e più grande della Terra. — Ci sarà certamente qualcosa — le assicurò Flinx. Il tono fiducioso della sua voce non tradiva l'incertezza della sua mente. Ed effettivamente c'era. Solo che non furono loro a localizzarlo: fu il qualcosa a localizzare loro. — Quale nave... quale nave...? — crepitarono gli altoparlanti appena i due s'inserirono nella bassa orbita di parcheggio. La domanda era formulata in perfetta simbolingua, anche se Flinx non avrebbe saputo dire se la bocca che la pronunciava era umana o thranx. Flinx si avvicinò al trasmettitore. — Chi chiama? — chiese, un po' scioccamente. — Quale nave? — ripeté imperiosamente la voce.
La cosa avrebbe potuto andare avanti per ore. Lui rispose con le prime parole che gli parvero plausibili: — Questo è il vascello privato di ricerca Chamooth, giunto qui dalla Terra per affari attinenti alla Chiesa. Non era una menzogna totale. Il fatto che lui avesse rapito Sylzenzuzex costituiva senz'altro un affare di pertinenza della Chiesa, e lui era giunto fin lì sulla base d'informazioni trovate negli archivi della Chiesa stessa. Seguì una lunga pausa, mentre le invisibili creature all'altra estremità del collegamento digerivano il fatto. Infine giunse la risposta: — Eccovi le coordinate del porto delle navette. Flinx si affrettò a registrare l'informazione. Il suo espediente era servito a fargli ottenere almeno questo. E quando fossero atterrati... be', avrebbe deciso sul posto il modo in cui procedere. I numeri si tradussero in un punto sopra un pianoro alquanto stretto fra le montagne del continente meridionale. La pista di atterraggio costeggiava un grande lago, a 1400 metri di quota. Sudando, imprecando fra i denti per la sua goffaggine, Flinx riuscì a dirigere la scialuppa del vascello verso il punto indicato per l'atterraggio con un minimo di correzioni all'autopilota. Infine lasciò che l'automatico provvedesse — sia pure fra improvvisi scarti e sobbalzi — a portarli giù a diretto contatto col suolo. Sylzenzuzex stava parlando ininterrottamente, soprattutto fra sé. — Non capisco proprio — continuava a ripetere. — Non dovrebbe esserci niente, qui. Non su un mondo sotto editto. Neppure un avamposto della Chiesa. Questo non ha senso, non ha... — Perché non dovrebbe aver senso? — le chiese Flinx, lottando per tenersi seduto mentre il piccolo scafo affrontava le turbolenze dell'alta atmosfera. — Perché la Chiesa non dovrebbe svolgere qualche sua attività su un mondo dal quale vuol tenere lontani tutti gli altri? — Ma soltanto una gravissima minaccia al bene delle razze humanx può essere motivo di editto — protestò lei, più che mai incredula. — Io non ho mai sentito parlare di eccezioni a questa regola. — Naturalmente no — ammise Flinx, con la sicurezza di chi aveva sperimentato tutta la perversità di cui potevano essere capaci sia gli uomini che i thranx. — Nessuna informazione è disponibile sui mondi colpiti da editto. Molto comodo per chi stia svolgendo attività segrete. Ora il piccolo scafo stava scendendo, inclinato in avanti, fra alti pendii montagnosi ricoperti da fitte foreste. La densa atmosfera del pianeta faceva sì che la vegetazione potesse crescere a quote assai maggiori che sulla Ter-
ra o su Hivehom. Laghi alpini occhieggiavano dovunque. Tra le cime più alte, numerose lingue di ghiaccio si stavano lentamente aprendo la strada verso il basso: perfino lì, quasi all'equatore del pianeta. — Inizia la fase di atterraggio — li informò il computer dell'autopilota. Flinx aguzzò gli occhi e vide che il pianoro di cui aveva parlato l'emittente a terra era assai meno esteso di quanto lui avrebbe desiderato. Più che una piatta distesa di rocce era un ampio deposito di detriti lasciati da qualche precedente glaciazione, sul quale il ghiaccio aveva ripreso qua e là ad avanzare. Un lago, lungo e stretto come un fiordo, luccicava come una gigantesca scheggia di zaffiro. Mentre la scialuppa si raddrizzava, sfrecciarono sopra una cascata che precipitava nel canyon sottostante in un unico getto alto almeno mille metri e simile a candido acciaio. Ulru-Ujurr, decise Flinx, era un mondo splendido. Purché la scialuppa li avesse portati al suolo tutti d'un pezzo. Il suo sedile antiaccelerazione tremò quando i getti di frenaggio entrarono in funzione. Ora Flinx riuscì a distinguere, davanti a sé, la pista di atterraggio che correva parallela alle profonde acque del lago. All'estremità opposta un gruppo di edifici spiccava sopra il deposito glaciale e i bassi arbusti. Con vivo sollievo di Flinx, quell'installazione disponeva quantomeno di agganci automatici, che evidentemente qualcuno stava manovrando in qualche centro di controllo. All'improvviso scattarono su dalla pista e s'innestarono nelle corrispondenti cavità situate nel ventre della scialuppa. La manovra fu accompagnata da un violento contraccolpo, poi l'ultima scivolata di qualche centinaio di metri fu compiuta nel modo più regolare e uniforme. Sylzenzuzex guardò fuori dall'oblò di sinistra, mentre già si sfilava da dosso le cinghie. — Questo è pazzesco — esclamò, fissando il complesso degli edifici che adesso, visti da vicino, apparivano imponenti. — Non può esserci una base, qui. Non dovrebbe esserci niente: niente. — C'è appunto un niente che ci sta venendo incontro — commentò Flinx indicandole due grossi veicoli di superficie che stavano attraversando la piatta distesa nella loro direzione. — E adesso non dimenticare — proseguì in tono deciso, mentre calmava Pip che si stava innervosendo e infilava il breve corridoio fino al portello di accesso, — che tu sei qui perché ti ho costretta io a venire. — Non mi hai costretta fisicamente — ribatté lei. — Te l'ho già detto e
ripetuto: io non posso mentire. — Oh, che testa dura! — esclamò lui, esasperato, levando gli occhi al cielo. — E allora... sii evasiva, cerca di... — S'interruppe, con uno sbuffo d'impazienza. — Insomma, fa' quello che vuoi. Non ho nessuna possibilità di convertirti alla ragione, così come non ne hai tu di convincermi a entrare nella tua Chiesa. Schiacciò il pulsante che azionava la cabina stagna automatica. Questa cominciò subito ad aprirsi. Se l'atmosfera esterna fosse stata irrespirabile, nonostante le informazioni contrarie dell'archivio galattografico, lo sportello esterno sarebbe rimasto bloccato finché quello interno si fosse richiuso ermeticamente. Quando il portello esterno si aprì, una rampa a fisarmonica si allungò all'infuori e i sensori all'estremità inferiore la bloccarono appena toccò il terreno solido. Pip prese ad agitarsi violentemente, ma Flinx gli appoggiò sopra saldamente una mano, conscio però che quel nervosismo significava che il minidrago percepiva qualche nuova minaccia: il che, probabilmente, era giustificato se quella davanti a loro era un'installazione della Chiesa. Oppure no? In ogni caso non era certo possibile che loro affrontassero un'intera squadra, presumibilmente armata. Gli occorsero parecchi minuti per convincere la bestiola a rilassarsi, indipendentemente da ciò che sarebbe successo poi. Respirò profondamente e cominciò a discendere la rampa. Sylzenzuzex lo seguì imbronciata, immersa in pensieri altrettanto imbronciati. Malgrado l'altitudine, l'aria era densa e ricca di ossigeno, il che compensava ancor più del necessario la forza di gravità leggermente più intensa del normale. Dirupi coronati di neve s'innalzavano su tre lati intorno alla valle. Salvo per la pianura detritica sulla quale adesso si trovavano, i pendii tutt'intorno erano rivestiti da fitte distese di grandi alberi. Il verde era ancora il colore predominante, ma qua e là c'erano abbondanti chiazze gialle. I rami si ergevano verso il cielo, ma senza dubbio il peso delle nevi invernali li avrebbe piegati completamente verso il basso. La temperatura, comunque, era ideale: circa venti gradi. Per quanto riguardava Flinx, almeno, non c'erano problemi. Ma Sylzenzuzex stava già soffrendo per il freddo, e l'aria asciutta non giovava certo alle articolazioni del suo esoscheletro. — Non preoccuparti — le disse Flinx, come incoraggiamento, mentre i veicoli erano ormai vicini. — Ci saranno certamente degli alloggi per il personale thranx. Presto potrai scaldarti.
E spiegare la tua triste storia in privato alle autorità locali, se lo vorrai, aggiunse tra sé. I suoi pensieri s'interruppero quando il primo veicolo si arrestò davanti a loro. Strinse Pip, afferrandogli saldamente l'attaccatura delle ali per impedirgli di prendere improvvisamente il volo. Nonostante i lunghi minuti passati a calmarlo, il minidrago lottava ancora per liberarsi. Infine si calmò, ma sempre poco convinto, e la sua stretta intorno alla spalla di Flinx quasi lo fece spasimare. Il veicolo cominciò a eruttare individui armati: non indossavano le divise acquamarina della Chiesa e neppure quelle cremisi del Commonwealth. I lanciaraggi da loro impugnati sembravano pronti a sparare. Sette uomini e due donne si disposero in semicerchio, con un'efficienza che a Flinx non piacque affatto. Quando arrivò il secondo veicolo, che a sua volta cominciò a rovesciar fuori gli occupanti, un paio di membri del primo gruppo si staccarono dai compagni, corsero su per la rampa e scomparvero dentro la scialuppa. — Sentite, gente... — cominciò Flinx, in tono disinvolto. Uno degli uomini armati agitò minacciosamente il lanciaraggi. — Non so chi sei, ma adesso chiudi il becco. Flinx aderì prontamente all'ingiunzione, mentre Sylzenzuzex, ora impietrita più dallo stupore che dal freddo, s'immobilizzava dietro di lui, fissando sbalordita i loro catturatori. Passarono parecchi minuti prima che i due uomini entrati nella scialuppa ne tornassero fuori, gridando ai loro compagni: — Non c'è nessun altro a bordo, e nessuna arma. — Bene. Riprendete le vostre posizioni. Flinx guardò la tozza donna di mezza età che aveva parlato. Era proprio davanti a lui. Aveva la faccia di chi ha visto troppe cose e troppo presto e la cui giovinezza è stata una serie ininterrotta di speranze distrutte e di sogni irrealizzati. Una vistosa cicatrice le correva dall'angolo di un occhio lungo una linea frastagliata fino all'orecchio e poi giù lungo il collo fino a scomparire dentro l'alto colletto. Il livido biancore della cicatrice faceva un effetto sconvolgente contro il colore scuro della pelle. Lei esibiva quella cicatrice come un prezioso monile. Flinx notò il suo semplice abbigliamento da lavoro: calzoni, stivali, camiciotto dal collo alto, tutti chiaramente logori per il lungo uso. La donna estrasse un comunicatore portatile e disse: — Secondo Javits non c'è nessun altro a bordo e nessuna arma. — Un borbottio troppo som-
messo e lontano perché Flinx riuscisse ad afferrarlo uscì dall'altoparlante di quella piccola unità compatta. — No, gli strumenti non mostrano neppure la presenza di un trasmettitore automatico a bordo. La nave in orbita non ha... — un'altra pausa, poi: — Pare che siano soltanto loro due. Spense il comunicatore, tornò a infilarlo nella cintura milleusi e fissò Flinx e Sylzenzuzex. — Qualcuno sa che siete venuti qui? — Non ti aspetterai che ti semplifichi le cose fino a questo punto, vero? — le rispose Flinx, per distogliere la sua attenzione da Sylzenzuzex oltre che per evitare una risposta diretta alla domanda. — Fai lo spiritoso, eh? — La donna avanzò decisamente di un passo, e nel contempo sollevò il lanciaraggi fin sopra la spalla sinistra. Ma in quell'istante Pip si mosse, e lei si rese conto all'improvviso che il minidrago non era una decorazione. — Io non lo farei — disse Flinx fra i denti. Lei fissò il serpente. — Velenoso? — Mortale. Lei non ricambiò il sorriso. — Possiamo ucciderlo e uccidere anche voi due, sai? — Sicuro — ammise Flinx, nuovamente amabile. — Ma provati a puntare contro di me quel lanciaraggi: Pip e io ti salteremo alla gola. Se lui non ti ucciderà lo farò io, non importa a che velocità potrà muoversi questo cerchio di belle facce allegre. Nel caso assai improbabile che moriamo tutti e due prima di ucciderti, il tuo superiore sarà maledettamente seccato per non aver più la possibilità d'interrogarmi. In entrambi i casi, saresti tu a perdere. Fortunatamente quella donna non era il tipo che agiva senza pensare. Fece un passo indietro, sempre tenendo il lanciaraggi puntato su di lui. — Molto spiritoso, ragazzo — commentò a denti stretti. — Forse madama ti lascerà a me quando avrà finito d'interrogarti. Fa' pure il furbo quanto vuoi, adesso. Ti si prospetta comunque un futuro assai breve. — Fece un rapido gesto con l'arma ai suoi compagni. — Tutti e due dentro il primo veicolo. Avanzarono tra due fitte ali di lanciaraggi puntati. Flinx divenne teso, pronto a tutto, ma quando entrarono nel grande scompartimento interno vide con suo grande disappunto altri due individui armati che chiaramente l'aspettavano. Nessuna speranza di potersi impadronire dei comandi, dunque. S'infilò dentro, rassegnato. Sylzenzuzex lo segui, e fu costretta a sistemarsi scomodamente sul nudo
pavimento poiché il veicolo era fornito soltanto di sedili per gli umani, sui quali non poteva distendere il suo corpo da insetto. Parecchie guardie armate li seguirono. Con notevole sollievo, Flinx vide che la donna tozza dalla cicatrice non era con loro. Il basso ronzio del motore divenne un gemito quando il massiccio veicolo si alzò a un metro di altezza dal suolo e si diresse verso gli edifici, seguito dalla seconda macchina. Quando furono più vicini, Flinx poté vedere che il complesso era stato costruito ai margini della foresta. Riuscì a distinguere in lontananza parecchie strutture supplementari, in alto fra gli alberi, abbarbicate al fianco della montagna. I due veicoli si arrestarono davanti a un edificio di cinque piani. Vennero scortati all'interno. — Qui gli edifici hanno i tetti fortemente obliqui — osservò Flinx, rivolto a Sylzenzuzex, mentre percorrevano il breve tratto scoperto dal veicolo all'ingresso. — Già i rami degli alberi mostrano che le nevicate devono essere terribili. E pensare che questo è l'equivalente locale dei tropici. — Tropici — sbuffò lei, facendo schioccare rabbiosamente le mandibole. — Sono quasi del tutto congelata. — Poi, a voce più bassa: — Probabilmente non fa nessuna differenza, poiché saremo presto uccisi... Ti sei reso conto o no che siamo incappati in un'enorme installazione illegale? — Lo sospettavo — disse lui, sarcastico. Dopo essere entrati in un ascensore che li portò all'ultimo piano, uscirono in un corridoio dove un certo numero di uomini e donne dall'aria preoccupata andavano e venivano intenti a diversi compiti. Ma non erano assorti al punto di non mostrare una viva sorpresa alla comparsa di Flinx e Sylzenzuzex. Il loro gruppo fece una svolta a sinistra, continuò fino in fondo a un corridoio laterale, poi si fermò. La donna si rivolse al microfono della porta e ottenne il permesso di entrare. Scomparve all'interno lasciando le altre due guardie pesantemente armate ad aspettare e a pensare; qualche minuto dopo la porta tornò a riaprirsi, scivolando sulle guide. — Fateli entrare. Qualcuno diede a Flinx una robusta spinta che lo mandò barcollante oltre la porta; anche la giovane thranx fu sottoposta allo stesso rude trattamento. Si trovarono in una stanza lussuosa. Finestre dai vetri rosati rivelavano un roseo panorama del lago e della montagna, della pista di atterraggio e — Flinx provò una stretta di nostalgia — della loro scialuppa parcheggiata
laggiù. Adesso sembrava molto lontana. Una cascatella d'acqua gorgogliava a un'estremità della stanza, circondata da morbidi tappeti: più pellicce che tappeti, in realtà. Un denso profumo impregnava l'aria, provocandogli quasi un senso di nausea. La porta tornò a chiudersi in silenzio alle loro spalle. Nella stanza c'era un'altra persona. Era seduta su una poltrona davanti ai rosei pannelli trasparenti, rivestita di una leggera tunica. I suoi lunghi capelli biondi erano acconciati in un triplice giro, e formavano tre trecce: due arrotolate una per parte sopra gli orecchi, mentre la terza le ricadeva dietro la testa. Stava giusto sorseggiando qualcosa di fumante da un boccale taganou. La donna sfregiata le si rivolse con deferenza: — Eccoli, madama Rudenuaman. — Grazie, Linda — La donna bionda si girò verso di loro. Flinx percepì la sorpresa di Sylzenzuzex. — È appena più vecchia di te o di me — bisbigliò la giovane thranx. Flinx non pronunciò parola. Si limitò impassibile ad aspettare, fissando a sua volta quegli occhi color... oliva? No, oliva non era la descrizione giusta. «Verde cancrenoso» sarebbe stato molto più appropriato. Dietro quegli occhi c'era una gelida volontà omicida, che lui percepiva molto più del profumo aleggiante nell'aria. — Prima che vi faccia uccidere — cominciò la giovane donna, con una voce piacevolmente morbida, — esigo che rispondiate a qualche domanda. E vi prego di ricordarvi che non avete assolutamente alcuna speranza. L'unica cosa sulla quale potrete influire in qualche maniera è il modo della vostra morte: potrà essere rapida ed efficiente se vi mostrerete pronti e disponibili a rispondere alle mie domande, o al contrario assai lenta ed estremamente spiacevole qualora vi mostriate riluttanti. Anche se non vi annoierete di certo, questo ve lo posso garantire... CAPITOLO NONO Flinx continuò a studiare la donna bionda mentre lei inghiottiva un altro sorso della sua bevanda fumante. Era quasi bella, lui non poté fare a meno di notarlo, anche se dal suo volto era assente la più piccola traccia di dolcezza. Protesa di lato una mano, lei afferrò un bastone artisticamente intagliato. Vi si appoggiò, riuscendo così ad alzarsi in piedi, e si avvicinò lentamente
a loro, zoppicando, chiaramente desiderosa di osservarli più da vicino. La gamba sinistra sembrava affetta da qualche malformazione congenita che la rendeva incapace di sostenerla. — Sono Teleen auz Rudenuaman. Voi siete...? — Io mi chiamo Flinx — rispose lui prontamente, non vedendo nessun vantaggio nell'irritare quella donna storpia e minacciosa. — Sylzenzuzex — aggiunse la giovane thranx. La donna bionda annuì, si girò, tornò indietro, si sedette e ordinò che anche loro due si sedessero. Flinx prese una sedia e notò con la coda dell'occhio che la donna dalla cicatrice stava seguendo con estrema attenzione dalla sua posizione accanto alla porta ogni movimento di lui e di Pip. Sylzenzuzex si ripiegò su una pelliccia lì vicino. — Nuova domanda — riprese madama Rudenuaman. — Come avete fatto a superare il guardiano della pace della Chiesa? — Noi... — cominciò a spiegare Flinx, ma si arrestò quando sentì una stretta leggera ma decisa al braccio. Guardò oltre la veramano e vide Sylzenzuzex che lo fissava implorante. — Mi dispiace, Syl — le disse, — ma ho una profonda avversione per la tortura. Non ci restano molte possibilità di scelta, e quantomeno vorrei... — La veramano lo lasciò. Lui non mancò di notare l'occhiata di totale disprezzo che la thranx gli rivolse. — Pratico, oltre che impertinente — commentò, approvando, madama Rudenuaman. — Ti sto ascoltando dall'istante in cui sei atterrato. — Un sorriso guizzò per un attimo e poi svanì, lei ripeté pazientemente: — La fortezza. Come avete fatto a superarla? Flinx indicò Sylzenzuzex. — La mia amica — spiegò, senza badare alla ticchettante risata mandibolare che accompagnò queste parole, — è un padre-eletto che abitualmente svolge la sua attività come membro della Sicurezza della Chiesa Unita. Ha convinto il guardiano a lasciarci passare. Madama Rudenuaman parve pensierosa. — Siete dunque riusciti a passare grazie a un espediente verbale? — Flinx annuì. — Dobbiamo far subito qualcosa perché un fatto simile non abbia a ripetersi mai più — dichiarò madama Rudenuaman. — Intende dire... alterare il funzionamento di una fortezza volante? — esclamò Sylzenzuzex. — Ma come può sperare di... — S'interruppe, e riprese, sbalordita: — Già, è vero... come siete riusciti a superarle? Cosa fate, qui, con questa installazione illegale? Questo è un mondo sotto editto. Nessuno, salvo la Chiesa e i gradi più alti della gerarchia del Commonwe-
alth, è in possesso dei codici indispensabili per superare un guardiano della pace. Certo nessuna società privata può possedere questi... La donna bionda sorrise. — Questa società privata può. — Ma quale società sarebbe? — chiese Flinx. Lei gli rivolse un sorriso per nulla divertito. — Per essere un condannato a morte fai troppe domande. Tuttavia, non mi viene offerta troppo spesso la possibilità di vantarmi di ciò che ho fatto. Si tratta della società Nuaman. Ne hai mai sentito parlare? — Sì — rispose Flinx, riflettendo sul fatto che quella ricerca dei suoi genitori lo stava costringendo ai più putridi contatti col mondo degli affari. — Fondatori sono stati... — ... alcuni parenti di mia zia — terminò lei. — Poi mia zia Rashalleila (possa ogni immaginabile sozzura impestare la sua anima) l'ha ampliata. — Sorrise di nuovo. — Ma adesso sono io a comandare. Mi è parso infatti che s'imponesse un cambiamento al vertice. «Sfortunatamente, la prima volta che ho tentato di sostituire mia zia la mia scelta è caduta su un uomo tutto muscoli e niente cervello. No, non è esatto: tutto muscoli ma niente fedeltà. Mi è costato — (si accigliò al ricordo) — un brutto periodo. Ma sono riuscita a fuggire dall'inferno medico in cui mia zia mi aveva relegata. Il mio secondo tentativo era congegnato assai meglio, e ha avuto successo. «E adesso, vedi, questa è la società Rudenuaman. Vale a dire me». — Nessuna società privata ha i mezzi per trarre in inganno un guardiano della pace — insisté Sylzenzuzex. — Anche se appartieni alla Sicurezza, mio piccolo scheletro ambulante, sembri caparbia nelle tue sciocche ostinazioni. Ammetto che siamo riusciti a valicare (con un certo aiuto, lo riconosco) la barriera dei guardiani della pace. Ma loro rimangono in funzione per allontanare o distruggere qualunque visitatore che noi non autorizziamo a scendere. «Ora capisci perché la vostra improvvisa apparizione mi aveva causato una viva ansietà. Ma non è durata a lungo: è cessata quando vi siete mostrati così pronti a collaborare con noi per le manovre di atterraggio. Naturalmente non avevate nessuna ragione di aspettarvi qui qualcosa di diverso da un branco di religiosi stupefatti». — Non hai il diritto... — cominciò Sylzenzuzex. — Oh, per favore — borbottò disgustata Rudenuaman. — Linda... La donna dalla cicatrice lasciò il suo posto accanto alla porta. Flinx strinse saldamente Pip: quello non era né il momento né il luogo per lo
scontro finale. Non ancora. La sfregiata tirò un calcio improvviso a Sylzenzuzex, e Flinx udì il crac! della chitina. La giovane thranx lanciò uno strillo acuto e sibilante mentre una manopiede ricadeva giù, non più sorretta dalla giuntura principale. Il sangue verde-rossastro cominciò a sgocciolare mentre lei si accasciava su un fianco, stringendosi con le veremani e l'altra manopiede l'arto ferito. Linda si voltò e riprese la sua posizione accanto alla porta come se nulla fosse accaduto. — Sai che ha un sistema circolatorio aperto — mormorò cautamente Flinx. — Morirà dissanguata. — Morirebbe — lo corresse Rudenuaman, — se Linda le avesse spezzato la manopiede invece di romperle semplicemente la giuntura. La giuntura ferita di un thranx si coagula. La sua manopiede guarirà, il che è ben più di quanto abbia fatto la mia gamba dopo che i medici di mia zia avevano finito di eseguirci sopra i loro esperimenti. — Si batté col bastone ornato la gamba sinistra, che risuonò cava. — Anche altre parti del mio corpo hanno dovuto essere sostituite, ma la cosa più importante — (si indicò la testa) — me l'hanno lasciata intatta. Questo è stato l'ultimo errore di mia zia. «Ho un'ultima domanda da rivolgerti. — Si sporse in avanti, mostrando per la prima volta, da quando l'interrogatorio era incominciato, un genuino interesse. — Che razza di idea avete avuto, di venire qui su un mondo sotto editto? E perdipiú voi due soli, disarmati?». — Può sembrarti strano — dichiarò Flinx, — ma... io sto cercando risposta a una domanda. Vedendo che Flinx parlava con estrema serietà, lei sprofondò di nuovo nella poltrona, fissandolo. — Sei uno strano individuo. Strano quasi quanto sei stupido. Quale domanda? Lui fu improvvisamente sopraffatto da una moltitudine di possibilità in conflitto fra loro. Un fatto era chiaro: che lei potesse o no dirgli ciò che lui desiderava sapere, lui e Sylzenzuzex sarebbero morti. Man mano che il silenzio si prolungava, perfino Sylzenzuzex divenne curiosa al punto di dimenticare per qualche istante il dolore alla manopiede. — Non posso dirtelo — rispose lui alla fine. Rudenuaman lo guardò di traverso. — Questa sì che è strana. Mi hai detto tutto il resto: perché esitare proprio su questo punto? — Potrei dirtelo, ma tu non mi crederesti mai. — A volte posso mostrarmi molto credula — ribatté lei. — Mettimi alla prova, e se troverò interessante la cosa, forse nonostante tutto non ti ucci-
derò. — Questo pensiero parve divertirla. — Sì, dimmelo, e vi lascerò vivere entrambi. Qui abbiamo sempre bisogno di lavoratori non specializzati. E perlopiù i tipi che mi circondano sono tutt'altro che intelligenti. Potrei tenerti come una piacevole novità, per quando vengo qui in visita. — E va bene — replicò Flinx, decidendo di accettare quell'offerta in quanto era la migliore che avrebbe potuto sperare. — Sono venuto fin qui con la speranza di scoprire la verità sulla mia nascita. L'espressione divertita di Rudenuaman svanì. — Hai ragione: non ti credo. Se davvero non riesci a escogitare nulla di meglio... Fu interrotta da un lieve bussare, e alzò gli occhi irritata verso la porta. — Linda... Ci fu un attimo di attesa mentre la donna dalla cicatrice apriva la porta e si affacciava per mormorare alcune irritate parole a qualcuno di fuori. Ma nel medesimo istante, qualcosa di dimenticato cominciò all'improvviso a urlare nella mente di Flinx. E a quell'urlo mentale fece eco un altro urlo, di fuori, che tutti poterono udire. — Challis — gridò a sua volta Rudenuaman, incollerita, — non puoi far tacere quella mocciosa? Perché poi tu continui a trascinartela dietro è qualcosa che io... — S'interruppe, facendo passare il suo sguardo sbalordito dal mercante (il quale, immobile sulla soglia, fissava Flinx strabuzzando gli occhi) al ragazzo dai capelli rossi e poi di nuovo al mercante. — Ma... ma... Tu! — riuscì finalmente a esclamare Conda Challis, esplodendo come chi riesce a cacciar fuori dalla gola un osso che lo stava soffocando. — Lo conosci? — chiese Rudenuaman, rivolta a Challis. Una terribile collera stava crescendo dentro di lei mentre le diveniva chiaro in che modo Flinx era riuscito a trovare quel mondo. Lei aveva ragione soltanto in parte, ma era una parte che la persuadeva pienamente. — Vi conoscete! Spiegati, Challis! Il grasso mercante aveva perso completamente il controllo di sé. — Lui sa dei gioielli — farfugliò. — Volevo che mi aiutasse a giocare con un gioiello, e... Senza volerlo aveva rivelato qualcosa di cui fino a quel momento Flinx aveva solo un vago sospetto. — Così, i gioielli di Janus vengono da qui. È molto interessante, e spiega parecchie cose. — Si voltò a guardare Sylzenzuzex. — Syl, ecco l'ovvia spiegazione del perché qualcuno è disposto ad affrontare spese incredibili, rischiando l'enorme penalità che comporta l'i-
gnorare un editto della Chiesa. Una vocetta argentina esplose: — Colossale idiota di un grassone! Challis, ormai del tutto fuori di sé, abbassò lo sguardo, allibito nel vedere la sempre sottomessa Mahnahmi che gli stava facendo delle boccacce orribili. Flinx osservò la scena, interessato. Il mercante aveva fatto finalmente qualcosa di abbastanza pericoloso perché lei fosse spinta a infrangere quella maschera d'innocenza che aveva sempre così accuratamente conservato. Rudenuaman contemplava la scena con uguale curiosità, anche se tutta la sua rabbia, concentrata su Challis, non accennava a sbollire. Purtuttavia c'era una sfumatura di pietà nel suo sguardo. — Stai diventando un'autentica passività, Challis. Non so perché costui sia venuto fin qui, ma non credo che c'entri con i gioielli. Né ha importanza il fatto che tu abbia appena rivelato il segreto meglio custodito di tutto il Commonwealth, poiché nessuno di questi due — (indicò Flinx e Sylzenzuzex) — lascerà mai più questo pianeta. — Ma mi ha dato la caccia! Mi ha inseguito fin qui! — protestò freneticamente Challis. — Deve avere per forza un nesso con i gioielli! Rudenuaman si rivolse a Flinx. — Hai inseguito Challis? Ma perché? Il mercante continuò a farfugliare, confermando senza saperlo ciò che poco prima Flinx aveva dichiarato: — ... o qualche idiota follia sui suoi genitori! — Non aggiunse, con viva costernazione di Flinx, se lui possedeva o no qualche altra informazione su quella particolare ossessione. — Forse potrei anche crederti, allora — disse Rudenuaman, rivolgendosi prudentemente a Flinx. — Anche se è soltanto una mascheratura, è ben congegnata. Flinx decise che era meglio distoglierla da questo argomento che lo riguardava troppo da vicino. — Dove vengono estratti, i gioielli? — chiese. — Da lassù, dal fianco della montagna? — Sei davvero divertente — rispose lei, senza impegnarsi. — Sì, forse ti terrò vivo per un po'. Sarà un buon cambiamento, aver vicino qualcuno in grado di stimolare la mia mente. — Tornò a rivolgersi in tono aspro al grasso mercante. — Quanto a te, Conda, hai consentito una volta di troppo che le tue perversioni private interferissero con gli affari. Speravo... — Scrollò le spalle. — Quanto minore è il numero d'individui che sanno dei gioielli e del loro luogo d'origine, meglio è. Ma considerando ciò che è in gioco, credo che dovrò rischiare e trovarmi un altro distributore esterno. — Teleen, no — bofonchiò Challis, scuotendo violentemente la testa. In
pochi attimi, quel mercante immensamente ricco e potente si era ridotto a un uomo obeso, vecchio e spaventato. — E dovremo far qualcosa anche a proposito di quella mocciosa impertinente e piagnucolosa — aggiunse Rudenuaman, lanciando un'occhiata velenosa a Mahnahmi che la stava fissando in silenzio. — Linda, portali da Riles. Può fare tutto quello che vuole con Challis, sempre che sia ragionevolmente veloce. Dopotutto — aggiunse in tono magnanimo, — è stato nostro socio, per un po'. Quanto a quella piccola frignona, la conservi per i nostri divertimenti del dopocena. Dovremmo riuscire a farla durare qualche giorno. — No! Flinx si sentì letteralmente sollevare da uno strillo mentale di rabbia. Una forza tremenda attraversò la stanza, una potenza lacerante che strappò i mobili, i tappeti e le persone dal suolo e dalle pareti, scagliandoli in ogni direzione. Molti dei pannelli rosa di poliplexlega andarono in frantumi. Flinx lottò per riprendere il controllo del proprio corpo e riuscì ad avvinghiarsi a un divano che, robustamente inchiodato al pavimento, aveva resistito a quella furia scatenata. Pip svolazzò inquieto intorno alla sua testa, sibilando rabbiosamente ma incapace di far qualcosa di più che mantenersi stabile in aria in mezzo a quella tempesta. Con i capelli al vento, Flinx si riparò la faccia con un braccio e si scrutò intorno, socchiudendo appena gli occhi. Sylzenzuzex era rotolata via, fermandosi contro una parete. Linda giaceva al suolo priva di sensi: si era trovata più vicina di chiunque altro all'origine dell'improvvisa bufera. Teleen auz Rudenuaman giaceva sepolta in più strati di pelliccia misti a pezzi di arredamento. La considerevole mole di Conda Challis si stringeva al tappeto inchiodato davanti alla soglia per salvarsi la vita, mentre il vento tempestoso continuava ad avvolgerlo sforzandosi di strapparlo via da lì. — Grasso imbecille! — gli stava urlando l'origine di quel tifone tascabile, pestando infantilmente i piedi sul pavimento. — Culo di porco, idiota gelatinoso... hai guastato tutto! Non potevi tener chiusa quella tua lercia bocca? Per anni ti ho impedito d'inciampare sulla tua stessa lingua, per anni ho preso le giuste decisioni per te, mentre tu, grasso imbecille, pensavi che fossero opera tua! Adesso hai buttato via tutto! — E continuò a urlare, mentre lacrime infantili le scorrevano lungo le guance. — Bambina mia — rantolò Challis, fronteggiando il vento furioso a testa china, — facci uscire da questa situazione, e...
— Bambina mia! — ripeté Mahnahmi, facendogli il verso. — Non conosco ancora le parole per descrivere quello che mi hai fatto o quello che hai pensato di farmi. Non posso più salvarti, papà Challis. — Girò gli occhi tutt'intorno, furiosa. — Potete precipitare nei vostri rispettivi inferni! Non ho paura di nessuno di voi. Ma ho bisogno di crescere dentro me stessa. Io non so ancora cosa sono! Rivolse a Challis una folgorante occhiata di disprezzo. — Hai distrutto ogni mia possibilità di diventare ricca e potente. Che il diavolo ti porti! Si girò di scatto e scomparve, precipitandosi lungo il corridoio. Un grido mentale sempre più fievole trapassò Flinx: Un giorno sarò forte perfino per ritornare a fare i conti con te... Il vento diminuì lentamente la sua furia, a bruschi scatti. Flinx riuscì di nuovo a muoversi senza rischio nell'aria turbinosa, e cominciò a contarsi i lividi. Vide che Sylzenzuzex era riuscita in qualche modo a proteggere la manopiede ferita: il suo duro esoscheletro l'aveva difesa da ulteriori danni, cosicché, pur essendo stata la prima in quella stanza a subire una lesione, adesso era la meno malridotta. Salvo per Pip, naturalmente, il quale, illeso ma ancora turbato, tornò ad adagiarsi sulla spalla di Flinx. Soltanto la furia rabbiosa del vento gli aveva impedito di uccidere Mahnahmi. — Lei... lei sa pilotare una scialuppa spaziale — borbottò fra sé Conda Challis, ancora intontito. — Zitto, Conda. Chiunque può dirigere un vascello predisposto ad accettare ordini verbali. Tuttavia, da sola, alla sua età... — Mi ha usato. Lei ha usato me — continuò Challis, dimentico di tutto ciò che lo circondava. I suoi occhi erano vitrei. — Durante tutti questi anni ho pensato che fosse una bambina tanto carina e deliziosa... e mi stava usando! — Scoppiò in una risata nervosa. — Vuoi chiudere il becco? — dovette infine urlare Rudenuaman. Ma il mercante la ignorò e continuò a rotolarsi sul pavimento, in preda a convulse risate isteriche al pensiero dello splendido scherzo che gli era stato giocato. Stava ancora ridendo, ma sempre più rauco e rantolante, quando arrivarono due guardie a trascinarlo fuori dalla stanza. Flinx lo invidiò: in quelle condizioni non avrebbe neppure sentito la lama del lanciaraggi quando l'avrebbero giustiziato. Scuotete con sufficiente violenza il mondo di un uomo e sarà l'uomo ad andare in pezzi, non il suo mondo. Prima l'improvvisa comparsa di Flinx e poi la rivelazione di Mahnahmi... No, neppure tutti i cavalli e gli uomini del re avrebbero mai potuto rimettere insieme Conda Challis.
Rudenuaman lo seguì con lo sguardo finché la porta fu chiusa: allora crollò, esausta, sopra un divano sconquassato, uno dei pochi che non erano andati completamente in frantumi sotto la violenza infernale e incontrollata di Mahnahmi. Rifletté per qualche attimo, poi disse: — Bisogna farlo. Chiama Riles. — Sì, madama — esclamò Linda. Momentaneamente dimenticati, Flinx e Sylzenzuzex ripresero fiato e cercarono di provvedere alle rispettive ferite come meglio potevano. Qualche minuto dopo un uomo alto e muscoloso entrò nella stanza. — Sono stato sommariamente informato — disse, seccamente. — Come ha potuto accadere, Rudenuaman? Pip s'inalberò, vibrando tutto, e Flinx fu costretto a trattenerlo con tutte le sue forze. Ma anche i suoi sensi vibravano. Qualcosa che lui aveva percepito nel preciso istante in cui avevano lasciato la scialuppa si era intensificato improvvisamente alla comparsa del nuovo venuto. — Non si poteva evitare — rispose Rudenuaman, con un tono di voce sorprendentemente docile. — La bambina, a quanto pare, è una psionica dai poteri di una intensità sconosciuta. Ha ingannato perfino suo padre. — Non dev'essere stato difficile, da quanto mi è stato riferito sul comportamento di Challis. Ci sarà più utile morto. — L'alta figura si voltò verso Flinx e Sylzenzuzex. — Questi due prigionieri sono gli individui che hanno superato le difese? — Sì. — Fa' in modo che non fuggano anche loro, se puoi — ordinò seccamente l'alta figura. — Anche se in fondo la loro sorte non avrà più importanza qualora la bambina riuscisse a fuggire da questo posto e a rivelarne i segreti. Tutto questo intricato raggiro comincia a stancarmi... — Sollevò una mano, si afferrò il mento e si staccò via l'intero volto. Sylzenzuzex esplose in un ticchettante gorgoglio mentre l'irritato nonuomo si girava di scatto per lasciare la stanza. Anche Flinx era scosso. Adesso sapeva cos'aveva inquietato lui e il minidrago dall'istante in cui erano atterrati su quel mondo. Non era soltanto il fatto che quell'uomo avesse rivelato di essere in realtà un AAnn: si trattava pur sempre di una possibilità che Flinx aveva fiutato dal momento in cui aveva ripescato l'immagine di Conda Challis e di Ulru-Ujurr dalla mente del rettile infiltratosi sulla Terra. Era il fatto che lui conosceva quell'AAnn. Ma il barone Rudi WW non aveva mai posto l'occhio su Flinx, il quale
non era mai finito a portata di schermo quando il barone aveva inseguito lui e gli altri che si trovavano a bordo della nave di Maxim Malaika, tanti mesi prima. Flinx, da parte sua, aveva visto fin troppo quel volto gelido e assolutamente incrollabile, e aveva udito troppe minacce pronunciate da quella voce melliflua. Riidi, giunto alla porta, tornò a girarsi, e per un attimo Flinx temette che dopotutto l'aristocratico AAnn l'avesse riconosciuto. Ma l'AAnn indugiò soltanto per scambiare qualche altra frase con Rudenuaman. — Farai meglio a sperare che la bambina non scappi, Teleen. Benché non irradiasse più la primitiva impressione di totale onnipotenza, la donna-mercante era ben lungi dal lasciarsi intimorire. — Non minacciarmi, barone. Ho anch'io le mie risorse. Una mia improvvisa scomparsa potrebbe renderti le cose assai difficili. — Mia cara Rudenuaman — obbiettò lui, — non ti stavo minacciando. Non oserei mai... Sei stata troppo preziosa, per noi, come tua zia prima di te. Non accetterei che nessun altro umano, in tutto il Commonwealth, prendesse il tuo posto in questa nostra relazione d'affari. Ma se la bambina dovesse riuscire nel suo tentativo di fuga, allora, per la sabbia che protegge la vita, tutta questa operazione dovrebbe essere chiusa. Se una successiva spedizione della Chiesa dovesse scoprire questa base, e che è stata in parte finanziata e fatta funzionare da membri della razza dell'Impero, ciò potrebbe essere pretesto per una guerra. Anche se non teme una guerra, l'Impero preferirebbe non impegnarsi proprio adesso in un aperto scoppio di ostilità. Sarebbe costretto a distruggere la miniera e a cancellare qualunque traccia di questa installazione. — Ma poi ci vorrebbero anni, per ripristinarla — obbiettò Rudenuaman. — Molti anni, come minimo — riconobbe il barone, — anche con la valutazione più ottimistica. E se la Chiesa decidesse di far pattugliare lo spazio circostante da fortezze dotate di equipaggio invece che da sonde automatiche facilmente ingannabili, noi non potremmo mai più ritornare qui. — Avevo ragione — dichiarò Sylzenzuzex, in tono soddisfatto. — Nessuna società privata ha risorse sufficienti per manomettere e aggirare un guardiano della pace della Chiesa Unita. Soltanto un altro governo spaziale come l'Impero poteva riuscirci. Il barone le rivolse un saluto AAnn, il quale suggeriva che lei aveva conseguito una vittoria di Pirro. — È proprio così, giovane signora. Tanto più che per l'Impero non ha la minima importanza (come invece l'ha per una società privata) che la vostra Chiesa abbia posto questo mondo sotto
editto. C'importa molto più il fatto che si trova all'interno del territorio del Commonwealth. Ma per noi, se fossimo scoperti, il pericolo starebbe nelle conseguenze diplomatiche, non in qualche immaginario demone che la vostra gerarchia ha immaginato che si trovi quaggiù. — Non avete trovato nulla, su questo pianeta, che giustifichi la sua quarantena? — chiese Flinx. La curiosità aveva avuto la meglio sulla prudenza. — Nulla, mio giovane amico — rispose l'alto dignitario AAnn. — È un pianeta umido e freddo, ma sotto ogni altro aspetto è ospitale. Flinx aguzzò lo sguardo interiore, cercando, ma senza successo, di penetrare nella calcolatrice mente del barone. In quel momento i suoi mutevoli e capricciosi talenti rifiutavano di collaborare. — State rischiando una guerra interstellare pur di guadagnare qualche credito in più? — Cosa c'è di male, nei soldi? L'Impero ci prospera, e a quanto so neppure il vostro Commonwealth li disdegna. E poi, chissà — aggiunse sorridendo il barone, — potrebbe anche darsi che la mia mano in questa faccenda sia nascosta al mio stesso governo. Quello che l'arkazy non vede nella sabbia, non morde, vya-nar? «Ma adesso dovete scusarmi, perché abbiamo una bambina in fuga che si merita una bella sculacciata». E si dileguò oltre la porta. C'erano decine di domande che Flinx avrebbe potuto rivolgere all'aristocratico AAnn. Tuttavia, benché il barone non avesse dato segno di riconoscerlo quando aveva risposto alle sue domande, restava pur sempre il rischio che in una conversazione più lunga e approfondita Flinx si lasciasse sfuggire qualche affermazione imprudente. Se l'AAnn avesse anche soltanto sospettato che Flinx si era trovato nel ristretto gruppo che mesi prima era riuscito a ingannare sia lui che l'Impero a proposito del Krang, avrebbe agguantato il giovanotto e l'avrebbe vivisezionato con infinita lentezza. Molto meglio non correre quel rischio. Perciò aspettarono, mentre Teleen recuperava l'equilibrio dopo la fuga di Mahnahmi così ricca di possibili conseguenze e il trauma provocatole dalle rampogne del barone incollerito. Flinx guardò fuori, attraverso una finestra frantumata: vide in lontananza un montacarichi dissimulato nel terreno che sollevava fino in superficie dagli hangar sotterranei due grosse navette militari. Un veicolo isolato, che senza dubbio conteneva Riidi WW, si fermò accanto a una delle navette: ne uscirono parecchie figure che si precipitavano di corsa verso gli scafi in attesa. Il veicolo si allontanò, e quando fu giunto a una distanza di sicurezza le
due navette s'innalzarono tuonando verso il cielo, dove probabilmente avrebbero avuto un rendez-vous con una nave militare degli AAnn in attesa. Mahnahmi si era presa un buon vantaggio, ma Flinx sapeva che il vascello da lui noleggiato non avrebbe mai potuto competere con uno scafo militare. Tuttavia la mente della ragazzina era come un reattore incontrollato: non c'era modo di prevedere cosa sarebbe stata capace di fare sotto sufficiente tensione. Flinx rifletté che il barone avrebbe fatto meglio a stare in guardia. Tenendosi rivolto verso la finestra, parlò a bassa voce con Sylzenzuzex. Entrambi cercarono di trovare delle spiegazioni valide per la presenza dell'AAnn in quel luogo. Neppure lei credeva all'affermazione del barone secondo la quale lui si trovava su quel pianeta per questioni di puro profitto finanziario. Gli AAnn erano nemici giurati del Commonwealth fin dal suo inizio. Non avevano mai smesso i loro tentativi, subdoli e guardinghi ma implacabili, di nuocere al Commonwealth, d'infliggergli colpi che finissero col portarlo alla distruzione, per concretare infine quello che ritenevano il loro destino: governare l'intero cosmo e le sue razze «inferiori». Perciò doveva esserci una ragione più profonda per la loro presenza lì, una ragione che coinvolgeva quegli straordinari gioielli di Janus, anche se nessuno di loro due era riuscito a elaborare un'ipotesi accettabile. Su Tharce IV vive una donna di nome Amasar, di celebrata saggezza. Ora, però, noi la vediamo immersa in una specie di ebbra estasi, mentre fissa il meraviglioso oggetto che stringe in mano. Venerata dai suoi elettori, rispettata dagli avversari, per due decenni è stata rappresentante permanente per l'emisfero nord di Tharce IV al Consiglio del Commonwealth. La sua mente non si è mai riposata, poiché si è sempre dedicata alla ricerca di soluzioni ai problemi o di risposte alle domande, e ha sempre lavorato tante ore da riempire d'imbarazzo colleghi e assistenti due volte più giovani di lei. Attualmente ricopre il ruolo di secondo consigliere esperto in teoria diplomatica nell'ambito dello stesso Consiglio. Questo suo incarico la mette in posizione tale da influenzare fortemente la politica estera del Commonwealth. Lei dovrebbe studiare i punti principali all'ordine del giorno dell'imminente seduta, ma la sua mente è occupata invece dalla magnificenza che sfolgora nell'oggetto che regge in mano. Inoltre, per la maggioranza delle questioni che il Consiglio dovrà votare, lei ha già deciso. Come persona assai rispettata, i suoi consigli avranno un peso decisivo. Si su quella que-
stione, no su questa, quella proposta va riesaminata attentamente, non bisogna assolutamente cedere in quella disputa, riaffermare i propri diritti su quel punto... Un lungo elenco. Con la mente concentrata altrove, Amasar spegne il visore, che da qualche minuto è rimasto acceso ma vuoto. Lasciatasi andare contro lo schienale della poltrona, si reimmerge estatica nel modulato scintillio dell'oggetto che stringe in mano. Domani salirà nell'astronave per recarsi alla riunione annuale del Consiglio. Il luogo varia alternativamente fra le capitali della Terra e di Hivehom. Quest'anno tocca alla capitale del mondo dei thranx. Promette di essere una sessione impegnativa e stimolante, una sessione che per lei riveste molto interesse. Molte questioni d'importanza vitale saranno messe in votazione, comprese urgenti misure riguardanti quegli scaltri assassini, gli AAnn. Nel Consiglio c'è ancora qualcuno che crede nell'uso della moderazione, con quei rettili, per garantire la pace. Lei non ci crede. No, non ci crede! Ma perché preoccuparsi di questo, proprio adesso? Muovendosi come in un sogno, apre il cassetto centrale per un ultimo controllo. C'è tutto: le credenziali diplomatiche, la conferma dei posti riservati, i nastri con la documentazione, e ogni altra informazione utile. Sì, sarà una sessione interessante, quest'anno. È ancora raggiante di piacere quando infila una mano nel cassetto in basso a destra, estrae la piccola ed efficace ago-pistola, fa esplodere in tante briciole quell'oggetto lucente e meraviglioso, e subito dopo si brucia le cervella! Il suicidio viene registrato dal giudice istruttore e aggiunto dai funzionari del Commonwealth all'ormai lungo elenco di eventi inesplicabili che sembrano affliggere, con frequenza crescente, anche gli esseri umani più stabili. Troppo pochi soldi, troppo pochi affetti... O troppo di un certo tipo di letale bellezza. — Una bambina eccezionale — commentò infine Teleen auz Rudenuaman, interrompendo il loro fitto parlare. — Questa sembra proprio la giornata dei ragazzini fuori dall'ordinario. — I due prigionieri non replicarono, e allora lei strinse le spalle e guardò fuori dalle finestre infrante. — Sapevo che doveva esserci un motivo per detestare con tanta forza quella mocciosa. Devo ammettere, tuttavia, che era riuscita a ingannarmi completamente. Mi chiedo quanto a lungo abbia maneggiato Challis per i propri fini.
— Stando a quanto ha detto, fin dal giorno in cui è nata, o quasi. — Flinx pensò che fosse bene continuare a deviare l'attenzione di quella donna su qualcosa che non fosse lui. — Ci ucciderai, adesso? — chiese, con disarmante franchezza. — Oppure hai deciso finalmente di credermi? — Il fatto che io decida di ucciderti oppure no non c'entra niente con la tua storia — rispose Rudenuaman, — anche se sembra che Challis l'abbia confermata. Ho tutto il tempo che voglio, per sbarazzarmi di te. Ma per adesso... sei ancora una stimolante novità. — Lo fissò compiaciuta. — Sei un groviglio d'interessanti contraddizioni, difficile da classificare. Non sono sicura che la cosa mi piaccia. Ho la tendenza a sentirmi frustrata da ciò che non capisco. È pericoloso, perché potrei finire con l'ucciderti per un capriccio: e questo servirebbe soltanto a farmi sentire ancor più frustrata, dal momento che moriresti con tutte le risposte. «No, credo proprio che aspetterò il ritorno del barone, prima di fare qualcosa di definitivo con voi due. — Sorrise, mostrando i denti candidi. — Gli AAnn sono molto abili a sciogliere anche le più intricate contraddizioni». Sylzenzuzex si sollevò sulle veregambe e saggiò l'arto ferito. Sarebbe stata costretta a zoppicare su tre supporti fino a quando la manopiede si fosse rimarginata. Lanciò un'occhiata furiosa a Rudenuaman: gli occhi sfaccettati erano assai adatti a lanciare occhiate furiose. — Allearsi ai nemici giurati del genere humanx! — esclamò. Rudenuaman non batté ciglio. — Tanta indignazione per pochi soldi. — Fissò con aria di compatimento la giovane thranx. — Gli AAnn mi hanno concesso i diritti esclusivi per la distribuzione dei gioielli all'interno del Commonwealth. In cambio io gli permetto di prelevare una piccola parte della nostra produzione. Io fornisco la maggior parte delle attrezzature per l'estrazione del minerale, e loro neutralizzano i guardiani della pace. «Ho reso la società Nuaman, ora Rudenuaman, più forte di quanto sia mai stata sotto mia zia. Abbiamo scoperto soltanto quell'unica sacca di gioielli, che sembra una mutazione mineralogica isolata. Nel giro di cinque-dieci anni avremo estratto l'ultimo gioiello dalle viscere della montagna. Poi ce ne andremo da qui volontariamente, senza che la Chiesa se ne sia mai accorta e senza che al Commonwealth ne sia venuto il minimo danno. Per quell'epoca la società Rudenuaman si troverà in una posizione finanziaria invincibile. Mia zia (possa marcire nel limbo) avrebbe approvato. Credo che... — Io credo che tu ti stia accecando volontariamente — intervenne Flinx.
— Per ciò che riguarda l'Impero, in questa faccenda c'è molto più di una meschina somma di denaro. Rudenuaman lo fissò incuriosita. — Cosa ti dà il diritto di fare una simile affermazione? — Prima di venir qui sono stato al centro amministrativo della Chiesa Unita, sulla Terra. E mentre ero lì, un AAnn con un travestimento chirurgico simile a quello del barone, ma molto più elaborato, ha tentato d'introdursi furtivamente nella sezione di comando. Si è ucciso con una carica di kelite, e una polvere cristallina è stata trovata sparsa dappertutto nelle sue interiora maciullate. Poteva benissimo essere stata prodotta dallo sbriciolamento di un gioiello di Janus. — Ma i dardi di cristallo che aveva con sé... — obbiettò Sylzenzuzex. — ... avrebbero potuto essere confezionati con qualche gioiello di Janus difettoso — le fece osservare lui. — Non ci hai pensato? Non avrebbe costituito una magnifica copertura? — Si voltò a fissarla. — Non credo affatto che quell'intruso si sia suicidato per impedire che l'interrogassero. Non si può far parlare un AAnn. Credo invece che l'esplosione sia servita a distruggere ciò che portava con sé: un gioiello di Janus. — Ma perché l'aveva con sé? — insisté lei. — Per corrompere qualcuno? — Non lo credo... ma non ne sono sicuro. Non ancora. — Come se m'importasse ciò che accade alla Chiesa — fece in tono spregiativo Rudenuaman. Sylzenzuzex replicò, piena di dignità:— La Chiesa è l'estremo baluardo che si frappone tra la civiltà e la barbarie. — Credi che ai rappresentanti del Commonwealth piacerebbe sentirti dire questo, mia cara? Anche loro hanno l'aria di considerarsi i supremi difensori della civiltà degli humanx. — Il Commonwealth si regge soltanto perché è sostenuto dagli incorruttibili principii della Chiesa Unita. — Ecco qualcosa che vorrei davvero incontrare — replicò sarcastica la donna bionda, sistemandosi meglio sul divano. — Un incorruttibile. — Anch'io — dovette ammettere Flinx. Sylzenzuzex si girò di scatto verso di lui. — Da che parte stai, tu? — La sottile peluria dietro il secondo torace si drizzò, in segno di viva irritazione. — Non lo so — replicò lui, in tutta sincerità. — Non ho ancora studiato attentamente tutti i lati della faccenda.
— Vi piacerebbe visitare la miniera? — chiese Teleen, all'improvviso. — Molto — ammise Flinx. Sylzenzuzex ostentò indifferenza, ma lui poté percepire la sua intima eccitazione. — Molto bene — decise la donna bionda, chiaramente d'impulso. — Linda! — Veicolo di superficie, madama... e guardie? — Soltanto il conducente e un altro uomo. La tozza guardia del corpo la fissò incerta. — Madama, lei crede che...? Rudenuaman scartò l'obbiezione. Desiderava soprattutto distrarsi per scacciar via i tormentosi avvenimenti del pomeriggio. Una giusta porzione di vanterie sarebbe stata la terapia adatta. — Ti preoccupi troppo, Linda. Dove possono andare? La loro scialuppa è stata rubata, il barone si è preso il nostro vascello, e questo pianeta, in qualunque direzione si voglia fuggire, è una distesa gelida e inospitale. — Proprio così — ammise Flinx. — Inoltre la mia compagna ha un arto ferito. — Davvero te ne importa? — ribatté Sylzenzuzex in tono di scherno. Flinx si rivolse a lei rabbioso. — Sì: nonostante tutto quello che è successo (e per buona parte me ne dispiace), m'importa ancora molto di ciò che ti può accadere, che tu voglia crederlo o no! Sylzenzuzex fissò in silenzio le sue spalle quando lui le voltò la schiena cacciandosi le mani nelle tasche della tuta. Le rigide procedure della Sicurezza, la cronofisica archeologica... tutto ciò appariva estremamente semplice e chiaro se messo a confronto con quel giovane e impenetrabile umano. Probabilmente non si sarebbe sentita granché confortata se avesse saputo che la sua opinione su Flinx era condivisa, sia pure in vario grado, dalle altre due donne presenti in quella stanza. Senza dubbio, Flinx sarebbe stato assai più facile da capire se prima di tutto fosse stato capace di capire se stesso... CAPITOLO DECIMO Il Veicolo ronzò in un gemito sempre uguale — testimoniando la sua perfetta messa a punto — quando prese a risalire un erto sentiero circondato da una bassa vegetazione simile all'erica. Flinx si lasciò andare contro lo schienale e guardò attraverso il tetto trasparente. Subito oltre il complesso di edifici della miniera la montagna diventava praticamente verticale, elevandosi di altri 2500 metri sopra di loro.
In quei momenti, né l'incredibile panorama né le loro attuali prospettive cupe né i gemiti che di tanto in tanto Sylzenzuzex sibilava ricevevano la sua attenzione. Invece la sua mente continuava a concentrarsi su quel nastro trafugato che quasi certamente conteneva la registrazione della prima parte della sua vita. E nella sua mente il nastro era collegato in modo indissolubile a Conda Challis, che ora non avrebbe più potuto fuggire davanti a lui. Flinx aveva già avuto modo di conoscere il sontuoso appartamentoufficio di Teleen auz Rudenuaman. Senza dubbio Challis possedeva un appartamento simile, anche se meno ampio, in qualche punto del complesso di edifici che si erano lasciati alle spalle: forse nel medesimo edificio. Molto presto le stanze di Challis sarebbero state sgombrate, i suoi effetti personali eliminati, e le stanze adibite a nuovi usi. Ma in quel momento dovevano essere chiuse e intatte, con tutto ciò che contenevano: compreso quel nastro registrato, così insopportabilmente vicino. Se si poteva convincere quell'imprevedibile donna bionda a tenerli vivi ancora un po', forse lui avrebbe avuto ancora la possibilità di scoprire cosa conteneva quella bobina rubata. Anche se, considerato il sadismo di Rudenuaman, qualora lei avesse saputo quanto disperatamente lui la desiderava, avrebbe potuto senz'altro srotolarla lentamente davanti ai suoi occhi in una vaschetta d'acido. L'ordine che aveva dato, di uccidere Challis, era una misura della sua megalomania, ossia della sua smisurata fiducia in se stessa. Sarebbe stato un lavoro assai arduo, quello di coprire poi in qualche modo la sua scomparsa. Non che si dovessero temere obbiezioni dai dipendenti della sua azienda, di qualunque ordine e grado. Gli agenti di Rudenuaman non avrebbero fatto fatica a trovare gente bramosa di prendere in mano (senza fare domande) le redini del potere che era stato di Challis. Inoltre, le attività private di Challis erano di natura tale da scoraggiare qualunque indagine approfondita. Un uomo dedito a passatempi così ripugnanti poteva incontrare una fine inaspettata in un gran numero di modi diversi. Flinx si chiese se in quel momento la mente del mercante fosse ancora abbastanza lucida da rammaricarsi per la deludente semplicità del suo trapasso. Senza dubbio Challis aveva previsto per la sua morte qualcosa di grandiosamente depravato. Il veicolo si arrestò al limite più basso del gruppo di costruzioni, accanto a una parete verticale di lucido metallo. Gli edifici erano stati costruiti su un'area pianeggiante che era stata ottenuta scavando il fianco della monta-
gna. Più in alto una serie di profili metallici sprofondava dentro la parete rocciosa come giganteschi aghi di siringa che stessero risucchiando il sangue a una balena. Dall'interno di quei condotti giungeva, trasportato dalla limpida aria di montagna, il costante ca-ranc, ca-ranc delle instancabili macchine. Una guardia, che poteva essere umana oppure no, salutò con disinvolta deferenza quando entrarono dentro il complesso. — Questo gruppo più esterno di edifici — aveva cominciato a spiegare Rudenuaman, — ospita i nostri impianti per la frantumazione della roccia e le lavorazioni successive. — E continuò a parlare, sempre agitando le braccia, mentre s'inoltravano sempre più nel complesso. — Questa installazione ci è costata un numero incredibile di crediti: una minuscola goccia, in confronto al profitto che alla fine avremo realizzato. — Non capisco ancora perché gli AAnn abbiano così disperatamente bisogno di te — disse Flinx, cercando di assimilare il più possibile di ciò che stava vedendo, — soprattutto se si considera che sono stati loro a escogitare il modo di eludere la sorveglianza dei guardiani della pace. — Credevo di averlo già chiarito — replicò lei. — Prima di tutto, per le gemme il Commonwealth è un mercato infinitamente più ampio dell'Impero. E loro non hanno modo d'immettere sul mercato la loro parte se non attraverso un agente umano: nel caso specifico, la sottoscritta. Ma c'è un fatto ancor più importante: come ha spiegato il barone, questo mondo si trova all'interno della frontiera del Commonwealth. Anche se è relativamente isolato, fra qui e il più vicino pianeta popolato dell'Impero ci sono vari pianeti abitati e attivi, più numerose stazioni d'osservazione automatiche. Perciò gli AAnn hanno bisogno di salvacondotti per aggirarsi in questa zona di spazio, e le navi della Rudenuaman glieli forniscono. Flinx pensò all'improvviso al barone lanciato all'inseguimento di Mahnahmi. — Ma allora, in questa regione non ci sono vascelli militari dell'Impero? — chiese. Rudenuaman parve sorpresa per la sua ingenuità. — Credi forse che il barone sia così pazzo? Basterebbe che una sola nave dell'Impero fosse scoperta in questo settore dello spazio, e subito la zona pullulerebbe di navi da guerra del Commonwealth. Il barone — ribadì, compiaciuta, — è assai più astuto di quanto gli humanx diano credito agli AAnn. Così astuto, pensò Flinx, agitato da sentimenti contrastanti, che con tutta probabilità si era rovinato con le sue stesse mani. Se stava inseguendo Mahnahmi con una nave mercantile invece che con un caccia o un incrociato-
re spaziale, alla fine quella diabolica ragazzina avrebbe anche potuto sfuggirgli. Non che lui fosse del tutto convinto di desiderare che quel precoce talento diabolico sfuggisse al barone; ma perlomeno una caccia lunga e vivace avrebbe potuto prolungare per un bel po' di tempo l'assenza del barone da Ulru-Ujurr. Loro, comunque, dovevano risolvere la loro pericolosa situazione prima che il barone ritornasse. Per quanto Rudenuaman lo giudicasse una stuzzicante novità, Flinx non credeva che l'aristocratico AAnn avrebbe tollerato a lungo la sua presenza e quella di Sylzenzuzex, vivi, giusto nel cuore di simili attività segrete. Per cui, al primo scontro aperto lui e la giovane thranx potevano star sicuri che la titolare della società Rudenuaman li avrebbe sacrificati per placare il socio. E anche senza uno scontro aperto, sarebbe bastato un ordine del barone e Rudenuaman li avrebbe fatti uccidere subito senza pensarci due volte, per quanto piacevole fosse stato il passatempo che lui rappresentava ai suoi occhi. — Taleen — cominciò a dire, quasi distrattamente, — non hai mai... Rudenuaman si girò verso di lui, furiosa. — Non chiamarmi mai più così, se no morirai molto più presto di quanto credi. Devi chiamarmi sempre madama, o madama Rudenuaman. Altrimenti, la prossima volta mi divertirai col chiasso che farai davanti a me mentre qualcuno ti scorticherà la schiena. — Scusami... madama — replicò lui, in atteggiamento il più possibile remissivo. — Insisti ancora a dire che l'interesse degli AAnn per i gioielli di Janus è soltanto finanziario? — Mentre pronunciava queste parole, era conscio che Sylzenzuzex lo stava osservando. — Perché continui a sollevare questa questione? Sì, certo che lo credo. — Dimmi: hai mai visto un AAnn (lo stesso barone, ad esempio) infilarsi in testa una cuffia trasmittente per creare giochi di particelle all'interno di uno di questi cristalli? — No. — Lei non parve affatto turbata da una simile idea. — Questo è un avamposto minerario: non ci sono edonisti o sfaccendati, qui. — Tu hai una di quelle cuffie? — Sì. — E Challis? Presumo che anche lui ne avesse una, qui. Sembra che i giochi colloidali fossero una delle sue maggiori ossessioni. — Sì, e non l'unica — replicò lei, torcendo la bocca per il disgusto. — E il barone? Davvero non piace anche a lui godersi queste gemme? — Il barone Riidi WW — dichiarò Rudenuaman, — ha una mentalità
rigidamente militaresca e affaristica. L'ho visto, in qualche rara occasione, rilassarsi con qualche passatempo tipicamente aann, ma mai con un gioiello di Janus. — E gli altri AAnn di un certo rango che si trovano qui? — No. Sono totalmente assorti nei loro compiti. Ma perché sei tanto curioso di sapere se ho mai visto uno di quei rettili giocare con quelle gemme? — Perché — rispose Flinx in tono riflessivo, — non credo che siano in grado di usarli. Non so cosa ne faccia, il barone, dei gioielli che gli vengono consegnati: ma sono certo che non vengono rivenduti all'interno dell'Impero per il divertimento dei ricchi AAnn. È probabile invece che siano usati per corrompere personaggi influenti del Commonwealth; non ne sono ancora del tutto certo, ma... «Il fatto è che la mente degli AAnn è diversa da quella degli uomini o dei thranx. Non necessariamente inferiore, perché anzi è superiore sotto certi aspetti: ma diversa. Ho letto qualcosa in proposito, e credo che il loro cervello non produca i giusti impulsi per far funzionare i gioielli di Janus. Forse possono giungere a far agitare la sospensione colloidale delle particelle, ma senza mai strutturarla in forme riconoscibili». — Forse — commentò Rudenuaman alla fine di quella breve disquisizione. — Ma cosa fa di te un esperto in queste faccende? — Ho occhi e orecchi molto acuti — rispose Flinx. Meglio che lei continuasse a considerarlo un individuo dotato di un'incredibile intuizione, piuttosto che un tizio troppo capace di ragionare a fil di logica. — D'accordo, supponiamo dunque che non possano far funzionare i gioielli alla nostra maniera. — Lei scrollò le spalle, con indifferenza. — Un gioiello di Janus rimane pur sempre una gemma di straordinaria bellezza. — Infatti — concesse Flinx. — Ma lo è al punto di rischiare questa pericolosa invasione del territorio del Commonwealth? Mi venga un colpo se credo che gli AAnn amino a tal punto la bellezza. No, in qualche modo quei gioielli vengono usati contro il Commonwealth, contro il genere humanx. Rudenuaman non rispose, preferendo ignorare ciò che non poteva confutare. Erano penetrati ben dentro l'edificio, salendo ai livelli più alti. Si avvicinò un AAnn di rispettabile statura: il suo camuffamento chirurgico era perfetto, salvo che adesso Flinx sapeva che sotto vi si celava un rettile. — È Meevo FFGW — li informò Rudenuaman, confermando la conget-
tura di Flinx. — È l'AAnn secondo in comando, qui, e assistente personale del barone. È anche un bravissimo ingegnere, e l'intera operazione mineraria si svolge sotto la sua direzione. — Fissò Flinx, truce e sicura di sé. — Ho riflettuto un po' sulle tue affermazioni, e sai cos'ho deciso? Che non me ne importa un fico di quello che gli AAnn fanno al Commonwealth con la loro parte di gioielli, almeno finché ciò non interferisce con i miei affari. — Pensavo proprio che avresti detto questo. — La voce di Sylzenzuzex era carica di un disprezzo che soltanto il tono secco e reciso dei thranx potevano esprimere. Flinx pensò che era da sciocchi inimicarsi così la propria ombrosa ospite, ma Rudenuaman parve del tutto insensibile all'offesa. Anzi, parve compiaciuta di veder turbato a tal punto uno dei suoi prigionieri. — Non fa piacere veder confermate le proprie opinioni? — fu la sua risposta. Quindi si rivolse al nuovo venuto. — Salve, Meevo. Flinx approfittò dell'occasione per studiare nei particolari la mascheratura del rettile. Era estremamente accurata, ed era ben difficile che un investigatore ignaro (anche se una nave di Rudenuaman fosse stata fermata dagli ispettori del Commonwealth) riuscisse a intuire ciò che nascondeva. Tuttavia, se si sapeva guardare attentamente, gli occhi erano una spia sicura. Infatti Meevo — come il barone, come tutti gli AAnn — aveva una doppia palpebra. Un semplice ammiccamento avrebbe rivelato che la mente dietro simili occhi non era umana. — Sono questi i due che sono riusciti a superare la fortezza volante? — chiese il luogotenente AAnn facendo passare lo sguardo da Sylzenzuzex a Flinx. — Sì, sono questi — confermò Rudenuaman. Meevo li considerò con uno sguardo fra l'incuriosito e l'amabile. — Allora, perché sono ancora vivi? Gli occhi di Sylzenzuzex fremettero di nuovo a questa totale indifferenza inhumanx della sua voce. — Mi divertono. Per ora. E quando il barone sarà di ritorno, potrebbe avere qualche sua personale domanda da porre loro. Lui sa condurre un interrogatorio in modo molto più efficace. Io m'impazientisco subito, e allora... L'ingegnere interruppe Rudenuaman con una sommessa risata da rettile. — Ho sentito della bambina. Un'autentica sfortuna, una cosa irritante... Ma non c'è ragione di preoccuparsi. Il barone la fermerà comunque prima che riesca a mettersi in contatto con la gente di fuori. L'efficienza del barone è grande anche in altri campi, oltre che negli interrogatori. — Sogghignò,
mostrando falsi denti umani abilmente impiantati in una prominente mandibola umana. Ma più indietro, sul fondo di quelle fauci aperte, Flinx riuscì a cogliere per un attimo il luccicare dei suoi veri denti, assai più aguzzi. — Tu li trovi divertenti: curioso — concluse l'ingegnere, con un gesto che Flinx fu incapace d'interpretare. Il suo atteggiamento suggeriva che quel tipo di divertimento era per lui un'assurda stravaganza, un po' come se lui si fosse trovato in grembo dei piccoli AAnn vivi. La curiosità, comunque, era una caratteristica che gli AAnn condividevano con i loro nemici. Meevo si accodò dunque a loro, mentre Rudenuaman riprendeva a scortarli attraverso il complesso minerario. — Avete già visto le fasi di frantumazione e separazione. Qui si eseguono invece l'eliminazione delle impurità superficiali e la lucidatura. — Indicò delle aperture che davano su una serie di camere, dalle quali uscivano dei ronzii musicali. — Qui sono tutti AAnn salvo te e la tua guardia del corpo? — chiese in tono sardonico Sylzenzuzex. — Oh, no. Qui siamo all'incirca metà e metà. Nella nostra amata società c'è un numero sorprendente di humanx dotati di molto talento, per i quali i problemi della vita quotidiana sono risultati eccessivi. Autorità assai poco sensibili li hanno spinti a cercare un lavoro solo parzialmente onorevole. Un'esistenza troppo difficile ha fatto loro superare qualsiasi scrupolo che potevano avere riguardo a cose vaghe e impalpabili come la lealtà interspecie. — Sbaglio... o nessuno di loro lascia questo mondo da vivo? Rudenuaman parve genuinamente sorpresa. — Ridicolo! Sarebbe assai nocivo per la nostra attività. Con ciò non intendo dire che noi giungiamo a ispirargli una fedeltà assoluta nei nostri confronti. Per la maggior parte di coloro che vivono qui, questa parola non ha più il minimo significato: altrimenti non sarebbero qui. Chiunque di loro sarebbe più che lieto di vendere al miglior offerente, nel preciso istante in cui uscisse da qui, tutto ciò che sa di questa installazione segreta. «Noi usiamo, col loro consenso, una cancellazione mentale selettiva che ripulisce il loro cervello da tutti i ricordi del loro soggiorno qui. Ciò li lascia con un vago disagio, con la sensazione di aver attraversato un lungo periodo d'incoscienza, niente più. Ma il loro conto in banca, salito di colpo, toglie ogni velleità di frugare nel passato, e in tal modo noi abbiamo la garanzia che non potranno mai rivelare la nostra presenza in questo luogo». — Cancellazione mentale — mormorò Sylzenzuzex, sbalordita. — Ma a
chiunque è proibito usarla, salvo ai medici dei più alti gradi della Chiesa e del Commonwealth, e anche a loro soltanto in circostanze di assoluta emergenza! Rudenuaman sorrise. — Devi ricordarti di aggiungerlo al tuo rapporto. Entrarono in un vasto locale: lì la temperatura era assai più bassa, quasi rigida. — Stiamo per entrare nel pozzo principale — annunciò Rudenuaman, e indicò lunghi scaffali, lì vicino, sui quali erano disposti pesanti indumenti. Sylzenzuzex ebbe modo di accertarsi che un certo numero erano concepiti per i thranx. — Eri forse convinta che i tuoi cari consimili fossero immuni dall'allettamento del denaro? — la. beffeggiò Rudenuaman. — Nessuna specie sfugge alla cupidigia, ragazza mia. — Non chiamarmi ragazza mia — ribatté Sylzenzuzex, con voce soffocata dalla rabbia. La risposta di Rudenuaman non fu quella che Flinx si aspettava: fu la prima vera risata che avessero udito da lei. Continuando a ridere, si appoggiò al bastone istoriato. Due operai si voltarono incuriositi a guardarli, mentre passavano. — Ti chiamerò morta, se preferisci — dichiarò infine Rudenuaman. Indicò gli indumenti sugli scaffali. — Ora mettetevi addosso uno di quelli: fa piuttoso freddo, all'interno della montagna. Indossati gli indumenti protettivi, seguirono Rudenuaman e l'ingegnere AAnn lungo un'ampia galleria che proseguiva verso il basso. Ben presto il metallo si alternò alla roccia spoglia. Archi di duralega a una sola campata, regolarmente spaziati, s'innalzavano a sostenere il tetto e le pareti. La tuta termica di Flinx era parzialmente aperta, così permettendo che una piccola testa da rettile ne spuntasse fuori a scrutare i gelidi dintorni con occhi che non ammiccavano. Una doppia fila di tubi fluorescenti irradiava l'intera galleria di un'intensa luminosità uniforme. — Questo settore è già stato sfruttato — spiegò Rudenuaman. — I gioielli si trovano in una vena che corre orizzontalmente dentro la montagna. Rallentarono il passo. — Ci sono parecchi condotti laterali che corrono lungo vene secondarie. Alcuni sono a un livello leggermente più alto, altri più in basso della nostra attuale posizione. Mi dicono che i gioielli si sono formati in tasche apertesi qua e là nella roccia, un tempo riempite di gas. Un'insolita combinazione della pressione col calore avrebbe prodotto i gioielli di Janus.
«Anche la matrice rocciosa nella quale si trovano i gioielli è di tipo diverso da quello del resto della montagna, come la kimberlite diamantifera della Terra o le lave crateriche di Evoria, da cui sono estratte le gemmearcobaleno bronine. Questo è quanto mi hanno detto i miei specialisti, comunque». Meevo non sembrò infastidito da questo ossessionante riferimento a lui e ai suoi colleghi, e fece un breve gesto di conferma. — È proprio così. Esempi simili di formazioni isolate di gemme si trovano anche dentro i confini dell'Impero, benché non siano neppure paragonabili con ciò che abbiamo qui. Qualcosa solleticò il cervello di Flinx, e lui si sporse a guardare verso il basso. — Qualcuno sta venendo verso di noi — annunciò. Rudenuaman si voltò anche lei a guardare, e commentò distrattamente: — Solo qualche indigeno. Sono esseri primitivi, ma dotati di un'intelligenza sufficiente a svolgere i lavori più pesanti e grossolani. Non sanno fabbricarsi utensili, non hanno prodotto nessuna civiltà, e il loro linguaggio è composto da qualche grugnito e da poche parole imitate dagli umani. Non indossano neppure un minimo di indumenti. L'unico vago indizio per attribuir loro una rudimentale intelligenza sono le grossolane modifiche che apportano alle caverne che abitano: qualche rozzo scavo per ampliarle, o qualche grosso macigno rotolato davanti all'imboccatura per ridurre l'ampiezza dell'ingresso, e così via... Fanno per noi, come ho detto, i lavori più pesanti, e trattano con le dovute precauzioni i gioielli che disseppelliscono. «Abbiamo semplificato l'equipaggiamento per le perforazioni in modo che potessero usarlo. Sono ricoperti di una folta pelliccia: così il freddo dentro la montagna non sembra preoccuparli, il che è una fortuna per noi. Anche indossando le tute termiche sarebbe assai difficile per gli umani, e impossibile per gli AAnn, lavorare all'estrazione delle gemme, considerando quanto profondamente ormai i pozzi penetrano dentro la montagna. Ma anche se il freddo dà loro fastidio, sembrano più che disposti a sopportarlo in cambio della ricompensa che diamo loro per ogni gioiello trovato». — Con cosa li ricompensate? — chiese Flinx, incuriosito. Le voluminose figure che aveva intravisto in lontananza continuavano ad arrancare verso di loro. I capelli gli si drizzarono sulla nuca, e Pip si agitò violentemente dentro la sua calda tuta. — Bacche — esclamò disgustato Meevo. — Bacche e frutta, noci e tuberi. Mangiaradici! — concluse, col tipico disprezzo di tutti i carnivori. — Sono vegetariani, allora?
— Non interamente — lo corresse Rudenuaman. — Sembra che siano perfettamente in grado di digerire la carne, e hanno i denti e gli artigli necessari per cacciare, ma preferiscono assai di più i frutti e i tuberi che i nostri raccoglitori automatici trovano qui intorno per loro. — Zappaterra — fu il nuovo commento dell'ingegnere AAnn. Rivolse un'occhiata a Rudenuaman. — Ora devo proprio lasciarvi. Ho del lavoro da fare. — Si voltò, e con passo pesante ricominciò a salire il pozzo. I quattro nativi erano ormai giunti abbastanza vicini perché Flinx li distinguesse chiaramente. Ognuno di loro era più alto di un uomo e tre o quattro volte più largo. Quanta di tale mole fosse in realtà costituita dalla bruna pelliccia incredibilmente folta, qua e là costellata da macchie bianche e nere, non avrebbe saputo dirlo. Il loro aspetto e l'atteggiamento in generale li rendevano simili a orsi, anche se avevano il muso piatto invece che appuntito. Il muso aveva al centro un naso nero quasi invisibile, ridicolo su creature così enormi. Tozzi e spessi artigli coronavano le sette dita all'estremità di ogni arto; quelle creature sembravano capaci di spostarsi a quattro zampe o di restare erette con uguale facilità. Non avevano coda. Gli orecchi erano corti, arrotondati, inseriti in cima alla testa. Ma la caratteristica che spiccava più di ogni altra erano gli occhi da tarsio, grandi come piatti, che ardevano di una luminosità color ambra alla luce dei tubi fluorescenti. Gigantesche pupille, simili a tuorli di ossidiana, galleggiavano al loro centro. — Direi esseri notturni, a guardarli, con un'attività diurna ridotta al minimo — fu l'affascinato commento di Sylzenzuzex. Gli indigeni scorsero i nuovi arrivati e si drizzarono tutti sulle zampe posteriori per vedere meglio. Quando si furono rizzati, sembrarono riempire tutta la galleria. Flinx notò una leggera incurvatura ai lati delle bocche, che dava loro un sorriso da delfino, falsamente umoristico sul volto massiccio. Stava per porre una nuova domanda a Rudenuaman quando qualcosa prese ad agitarsi violentemente dentro la sua tuta. Il suo convulso tentativo di ghermire Pip prima che s'involasse giunse troppo tardi: il minidrago stava già sfrecciando lungo la galleria, verso i nativi. — Pip! Aspetta, non c'è... Intendeva dirgli che non c'era nessuna ragione di attaccare quei pelosi giganti. Niente di terribile o minaccioso aveva sfiorato la sua sensibile mente. Ma se il minidrago avesse fatto infuriare il gruppo d'indigeni, c'era da dubitare che qualcuno di loro sarebbe riuscito a uscirsene vivo da quella galleria.
Ignorando l'appello del suo padrone, Pip raggiunse la più vicina di quelle creature. Ritto sulle zampe posteriori, l'enorme essere era alto quasi tre metri e doveva pesare almeno mezza tonnellata. I suoi grandi occhi ardenti guardarono quella minuscola apparizione mortalmente velenosa. Pip si tuffò verso la testa dell'essere... ma all'ultimo istante le sue ali increspate sbatterono violentemente l'aria e il minidrago frenò, per atterrare e arrotolarsi con estrema leggerezza sulla spalla della creatura. Il mostro guardò impassibile il minidrago, poi rivolse lo sguardo ottuso verso Flinx, che a sua volta, sbalordito, fissò il gigante a bocca aperta. Per la seconda volta nella sua vita, Flinx svenne... Il sogno era del tutto insolito, e profondo. Galleggiava su uno sterminato lago nero, sotto un cielo notturno oppressivamente vicino. Era così buio che non riusciva a veder nulla, neppure il proprio corpo... che poteva anche non trovarsi lì. Sullo sfondo del cielo color ebano aleggiavano quattro luci. Minuscoli punti dorati, danzanti, che non ammiccavano e si spostavano secondo un disegno imprevedibile eppure calcolato, come lucciole. Danzavano su e giù, sfrecciando via e subito ritornando davanti ai suoi occhi... occhi che lui non aveva, anche se li vedeva chiaramente. A volte danzavano gli uni intorno agli altri, e per un attimo tutti e quattro guizzarono formando un intricato intreccio assai significativo, anche se subito dimenticato. — Ora è tornato — osservò la prima lucciola. — Sì, è tornato — le fecero eco all'unisono altre due lucciole. Flinx constatò con interesse che la quarta lucciola non era la luce costante che lui aveva pensato sulle prime. Contrariamente alle altre, ammiccava in modo irregolare come una lampadina attraversata da una corrente pulsante. Quando si attenuava scompariva del tutto, e quando era accesa avvampava assai più luminosa delle altre. — Ti abbiamo spaventato? — gli chiese la lucciola ammiccante. Una voce disincarnata, stranamente simile alla sua, disse: — Ho visto Pip... — Ci dispiace di aver urlato contro di te — si scusò la prima lucciola. — Scusaci per aver urlato — le fecero eco le altre due. — Non volevamo farti del male. Non volevamo spaventarti. — Ho visto Pip che si adagiava sulla spalla di uno dei nativi — disse Flinx. — Prima di oggi non gliel'avevo mai visto fare con un estraneo.
Non l'ha mai fatto neppure con mamma Mastino né con Truzenzuzex: con nessuno, insomma. — Pip? — chiese la terza voce. — Oh — spiegò la seconda lucciola, — intende dire quella piccola mente coriacea. — Coriacea sì, ma gustosa — assentì la prima lucciola. — Come un chunut. — Temevi che la piccola mente coriacea volesse farci del male? — chiese la prima voce. — Sì, ma invece ha reagito alla vostra presenza con una tolleranza che non avevo mai visto prima d'ora. Perciò voi dovete trasmettere anche a livello empatico, e i vostri pensieri... sono amichevoli. — Se dici che è così — dichiarò la terza lucciola, — allora dev'essere così. — Ma soltanto quando dobbiamo — intervenne in tono severo la quarta voce, avvampando più luminosa che mai prima di svanire del tutto. — Perché la quarta di voi va e viene come attraverso una nebbia? — mormorò la voce sognante di Flinx. — La quarta? Oh — spiegò la prima voce, — quella è Forsecosí. È il suo nome. Per questa fine-settimana, ad ogni modo. Quanto a me, mi chiamano Ciuffo. — Flinx ebbe l'impressione che le altre due luci diventassero leggermente più luminose. — Queste sono Nenia e Azzurrosplendente. — La quarta luce avvampò accecante per un attimo. — Sono compagne... coniugi, consorti, come diresti tu — spiegò, e si dileguò. — Se n'è andata di nuovo — constatò Flinx, con disincarnato distacco. — Quella è Forsecosí, non ricordi? — gli disse la voce di Ciuffo. — A volte non è qui. Noialtre siamo sempre qui. E noi non cambiamo il nome, ma Forsecosí va e viene e cambia il suo nome a ogni fine-settimana o pressapoco. — Dove va Forsecosí, quando se ne va? Azzurrosplendente rispose, con tutta franchezza: — Non lo sappiamo. — Da dove viene quando torna indietro, allora? — Non lo sa nessuno — fece Nenia. — Perché cambia nome da una settimana all'altra? — Chiedilo a lei — suggerirono insieme Nenia e Azzurrosplendente. Forsecosí tornò indietro, e la sua luce brillava più viva di quella degli al-
tri. — Perché cambi il nome da settimana a settimana, e dove vai quando vai via, e da dove vieni quando torni indietro? — le chiese la voce di Flinx. — Oh, non c'è dubbio in proposito — fu la risposta di Forsecosí, con una sognante cantilena; e sparì di nuovo in un attimo. Ciuffo parlò con un sognante bisbiglio confidenziale. — Noi pensiamo che Forsecosí sia un po' matta. Ma è lo stesso un bravo tipo. Flinx notò, distrattamente, che stava cominciando ad affondare sotto la superficie del lago nero. Sopra di lui le quattro luci rotearono e si abbassarono di colpo incuriosite. — Tu sei il primo che ci abbia parlato — mormorò la voce di Ciuffo. — Vieni a parlarci ancora — cantilenò Nenia, con un brivido di piacere. — È divertente, avere qualcuno con cui parlare. Quel piccolino dalla mente coriacea ascolta ma non può parlare. Questa sì, invece, che è una novità divertente! La voce di Flinx gorgogliò attraverso il liquido oleoso dentro il quale sprofondava sempre più: — Dove devo venire, per parlarvi? — Alla fine della lunga acqua — rispose Nenia. — Alla fine della lunga acqua — confermò Azzurrosplendente. — Sì, sull'estremo confine della lunga acqua — aggiunse Ciuffo, che era assai più precisa degli altri. — Non c'è dubbio in proposito — concluse Forsecosí, che balenò vivida per una frazione di secondo e poi scomparve. In proposito, in proposito... Le parole risuonarono più volte come un'eco lontana nelle lievi increspature prodotte dal corpo di Flinx che lentamente affondava, affondava, affondava, fino a quando toccò il fondo del lago. Le sue gambe lo toccarono per prime, poi i suoi fianchi, la schiena e infine la testa. C'era qualcosa di strano in quel posto, pensò. Il cielo era più nero dell'acqua, e l'acqua era diventata sempre più chiara invece che più scura man mano che lui sprofondava. Sul fondo la luminosità era così intensa che gli faceva male agli occhi. Li aprì. Un volto luccicante, un azzurro-verde quasi metallico dominato da due gemme sfaccettate, lo stava fissando, preoccupato. Lui inspirò profondamente e percepì il profumo dell'olio di cocco e di orchidea. Qualcosa gli stuzzicò l'orecchio sinistro.
Cercandone la causa, scoprì il piccolo muso da rettile di Pip adagiato sul suo petto. La lunga lingua appuntita guizzò fuori e gli lambì parecchie volte le guance. Infine, evidentemente soddisfatto delle condizioni del suo padrone, il minidrago si rilassò e scivolò giù dal cuscino per andare ad arrotolarsi comodamente lì accanto. Cuscino? Respirando profondamente, Flinx sorrise a Sylzenzuzex. Lei si scostò, e lui vide che si trovavano in una piccola stanza bene ammobiliata. La luce del sole si riversava dentro le alte finestre. — Come ti senti? — gli chiese lei, con i ticchettii e i sibili della simbolingua. Lui si limitò ad annuire, e allora la vide accasciarsi con un sospiro di gratitudine su una piattaforma del tipo usato dai thranx per sedersi o dormire, sull'altro lato della stanza. — Sia ringraziato l'Alveare. Avevo pensato che tu fossi morto. Flinx si sostenne la testa con una mano e la fissò. — Non credevo che per te la cosa avesse molta importanza. — Oh, sta' zitto! — replicò lei con inaspettata veemenza. Lui colse nella sua voce un bel po' di confusione e frustrazione, più altri sentimenti in lotta fra loro. — Ci sono state parecchie volte che ti avrei tagliato allegramente la gola se non avessi giurato solennemente di proteggerla. E altre, in pari numero, che desideravo quasi che tu non portassi quel tuo scheletro dentro di te! «Come ad esempio quando mi hai salvato la vita sulla Terra, e quando hai tenuto così bravamente testa a quella giovane femmina barbara. — Flinx vide le sue antenne agitarsi nervosamente, e la graziosa curva dei suoi ovopositori ondeggiare incerta. — Tu sei la creatura che più mi ha fatta impazzire fra quante ne ho incontrate nella mia vita, Flinx-uomo!». Lui si mise cautamente a sedere e scoprì che tutto funzionava perfettamente, sia dentro di lui che fuori. — Cos'è accaduto? — chiese, confuso. — No, aspetta... Ricordo di essere svenuto, ma non il perché. Forse qualcosa mi ha colpito? — Nessuno ti ha neppure sfiorato. Sei crollato a terra quando la tua bestiolina si è scagliata contro uno dei lavoratori indigeni. Fortunatamente sembra che si sia trattato soltanto di un finto attacco. E i nativi non conoscevano abbastanza Pip da spaventarsi. — L'espressione di lei si fece perplessa. — Ma perché questo avrebbe dovuto farti svenire? — Non lo so — rispose lui, tenendosi nel vago. — Probabilmente mi sono immaginato in modo troppo vivido i nativi che ci facevano a pezzi
dopo che Pip aveva ucciso uno di loro. E quando ho visto che Pip non ammazzava nessuno, l'emozione è stata ancora più forte perché lui non si era mai comportato in quel modo nei confronti di sconosciuti. — Si costrinse ad apparire indifferente. — Perciò è ovvio che la pelliccia naturale gli piace più della tuta termica, e che si è rannicchiato sulla spalla di un indigeno. Probabilmente è per questo... — Ma cosa dimostra, tutto ciò? — chiese Sylzenzuzex. — Che io svengo troppo facilmente. — Flinx ruotò le gambe e fece per scendere dal letto, lanciandole un'occhiata d'intesa. — Ora, perlomeno, sappiamo perché questo mondo è sotto editto. — Ssst! — Lei quasi cadde giù dalla piattaforma sulla quale si era distesa. — Perché... No, aspetta — lo ammonì. Passarono parecchi minuti durante i quali lei eseguì una completa ispezione della stanza, controllando anche i luoghi che Flinx non avrebbe mai pensato d'ispezionare. — È pulita — annunciò infine con soddisfazione. — Non crederanno, suppongo, che abbiamo da dire qualcosa che valga la pena di ascoltare. — Ne sei certa? — chiese Flinx, provando un po' di vergogna. — Non ci avevo mai pensato. Sylzenzuzex parve offesa. — Non te l'ho detto, che sono stata addestrata per la sezione Sicurezza? No, qui dentro non c'è niente che possa ascoltarti, salvo me. — D'accordo. La ragione per cui questo mondo è stato posto sotto editto dalla Chiesa l'abbiamo incontrata nella galleria, oggi. Sono i nativi: quei grugnanti manovali dagli occhi di folletto. Ecco la ragione. Lei continuò a fissarlo per un buon minuto, considerò la possibilità di scoppiare a ridere, ma ci ripensò quando vide che lui parlava seriamente. — Impossibile — finì col mormorare. — Sei stato vittima di qualche allucinazione. Certamente i nativi non sono niente più di ciò che sembrano: grossi, affabili e ottusi. Non si sono ancora evoluti abbastanza perché la Chiesa isoli questo mondo. — Al contrario — insisté lui. — Sono molto più di quanto sembrano. Lei replicò, irritandosi: — Se questo è vero, allora perché accettano di eseguire pesanti lavori manuali, per lunghe ore, a una temperatura prossima al congelamento, in cambio di qualche bacca e qualche noce? Flinx replicò a sua volta, sconsolato: — Ancora non lo so. — Sollevò gli occhi. — Ma so questo: sono telepati naturali. — Un'allucinazione — ribatté lei. — Hai avuto un'allucinazione. — No. — La voce di Flinx suonò ferma, sicura. — Ho qualche piccolo
talento anch'io. Conosco benissimo la differenza fra un'allucinazione e una comunicazione da mente a mente. — Sia pure come dici tu — dichiarò Sylzenzuzex, sospirando. — Supponiamo, per ora, che non sia stata un'allucinazione. Questa non è ancora una buona ragione perché la Chiesa metta sotto editto un mondo. Finora un'intera razza di telepati è niente più di un'ipotesi, ma le sue straordinarie qualità non sarebbero una ragione sufficiente per escluderli da un'associazione col Commonwealth. — Non si tratta soltanto di questo — cercò di spiegarle Flinx, sempre più eccitato. — Sono... be', sono molto più intelligenti di quanto sembrano. — Ne dubito — sbuffò Sylzenzuzex, — ma neppure una razza di telepati intelligenti sarebbe considerata un'insostenibile minaccia. — Molto più intelligenti. — Non lo crederò se non quando vedrò delle prove inconfutabili — obbiettò lei, tenacemente. — Se dovessero rappresentare, in un qualunque modo, una seria minaccia per il Commonwealth... — Ma perché altrimenti la Chiesa avrebbe messo sotto editto questo mondo? — Flinx, non hanno utensili, nessun indumento, niente linguaggio parlato, niente civiltà. Vanno in giro raccogliendo frutta e radici, vivono nelle caverne. Se sono potenzialmente intelligenti, come tu sostieni, allora perché insistono a vivere nella povertà? — Questa — ammise Flinx, — è un'ottima domanda. — Hai una risposta altrettanto ottima? — No, ma sono più che mai convinto che è proprio questa la ragione per la quale la Chiesa ha agito così. Per una razza, qual è l'effetto di essere posta sotto editto? — Nessun contatto con governi, organizzazioni, razze provenienti da altri pianeti — elencò lei. — Numerose e gravi sanzioni per qualunque infrazione dell'editto. Così la razza è libera di evolversi in completa libertà. — O libera di stagnare — mormorò Flinx. — Il Commonwealth e la Chiesa hanno aiutato moltissimi popoli primitivi... Perché non dovrebbero fare lo stesso con gli ujurriani? — Adesso pretendi di giudicare i più delicati aspetti della politica della Chiesa? — mormorò lei, tornando a ritrarsi da lui. — Non io! — esclamò Flinx quasi in un urlo, sbattendo rumorosamente le mani sul letto. Quindi riprese a parlare, gesticolando freneticamente. — È il Consiglio della Chiesa, ad arrogarsi il diritto di manipolare i destini
delle razze. E se non lo fa la Chiesa, allora ci pensa il governo del Commonwealth. E se non è il Commonwealth, allora sono le corporazioni e le strapotenti società delle grandi famiglie. Poi c'è l'Impero degli AAnn, che per chissà quale suo diritto pretende di porsi al disopra di tutto e tutti. — Mentre parlava, aveva preso a camminare rabbiosamente avanti e indietro a fianco del letto. — Mio Dio — proseguì, — quanto sono stufo di queste organizzazioni che credono di avere il diritto esclusivo di decidere come devono svilupparsi gli altri! — Cosa vorresti, al posto di questo? — ribatté lei. — L'anarchia? Flinx tornò a sedersi pesantemente sul letto, prendendosi la testa fra le mani. Era stanco, stanco, e troppo giovane. — Come faccio a saperlo? Io so soltanto che comincio a sentirmi maledettamente nauseato verso ciò che vuole farsi passare per intelligenza in quest'angolo della creazione. — Non posso credere che tu sia così ingenuo — replicò lei, moderando l'asprezza della sua voce. — Cos'altro ti aspetti, da semplici mammiferi e insetti? L'Amalgamazione ha rappresentato soltanto l'inizio di una nuova fase durante la quale sia la tua razza che la mia hanno cominciato a emergere da una lunga epoca buia. Il Commonwealth e la Chiesa Unita sono vecchi soltanto di alcuni dei tuoi secoli. Cosa esigi da loro, così presto: il nirvana? L'utopia? — Scosse la testa, nel gesto che i thranx avevano imparato dagli uomini. — Né tu né io possiamo porci al disopra della Chiesa, che è servita a farci uscire da quei tempi oscuri. — La Chiesa, la Chiesa, la tua onnipotente Chiesa! — esclamò lui, urlando. — Perché la difendi così? Credi forse che sia composta di santi? — Io non ho mai sostenuto che. la Chiesa sia perfetta — rispose lei, cominciando a sua volta ad accalorarsi. — Gli stessi consiglieri sarebbero gli ultimi a sostenere una cosa simile. Questa è una delle sue virtù. Certo, che la Chiesa non è perfetta: e non sosterrebbe mai di esserlo. — È quello che mi ha detto una volta Tse-Mallory — mormorò lui, riflettendo. — Cosa... Chi? — Un tale che conosco, che ha lasciato la Chiesa per ragioni sue. — Tse-Mallory. Di nuovo questo nome — fece la giovane thranx, anche lei riflettendo. — Era il compagno di nave-ago di mio zio, quel Bran TseMallory di cui mi hai parlato una volta? — Sì.
— Agli incontri del clan hanno parlato di lui, come pure di Truzenzuzex. — Ma subito lei si riportò al presente: non serviva a nulla rievocare nostalgicamente cose che probabilmente non avrebbe mai più rivissuto. — Adesso che hai dimostrato che l'universo non è perfetto e che essere intelligenti non significa essere anche onniscienti, cosa proponi di fare? — Una chiacchierata con i nostri futuri amici, gli ujurriani. — E loro cosa faranno? — ribatté lei, in tono di scherno. — Lanceranno sassi contro la navetta del barone, quando tornerà? Oppure contro le guardie armate di lanciaraggi che certamente pullulano in questo posto? — Forse — concesse Flinx. — Ma anche se non potessero far niente contro i nostri nemici, penso che avremo una probabilità assai migliore di sopravvivere fra loro che dentro questi edifici, aspettando che Rudenuaman si stanchi di averci attorno. Quando lei si sarà stancata di noi, puoi star sicura che ci eliminerà con lo stesso fare distratto con cui getterebbe via un vecchio vestito. — Lasciò vagare la mente, e non vide più nessuna ragione di nascondersi a Sylzenzuzex. — C'è soltanto una guardia, fuori da questa porta. — Come fai a saperlo... oh, me l'hai detto — mormorò lei, rispondendo da sé alla propria domanda. — Fino a che punto arrivano, i tuoi talenti? — Non ne ho la più pallida idea — dichiarò lui, onestamente. — A volte non riesco a percepire la presenza di un ragno in una stanza. Altre volte... — Sentì che era meglio conservare ancora qualche segreto per sé. — Comunque puoi prendermi in parola, se ti dico che là fuori c'è soltanto una guardia. Presumo che la nostra remissività abbia convinto Rudenuaman che non c'è bisogno di sorvegliarci troppo attentamente. Come ha detto lei stessa, non c'è nessun posto dove possiamo scappare. — In verità, mi trovo costretta a essere d'accordo con lei — mormorò Sylzenzuzex, alzando la testa a fissare le gelide montagne. — Infatti devo ammettere che, se fuggissimo, lei potrebbe anche lasciarci andare. Fra le montagne non costituiremmo un pericolo per lei più di quanto lo rappresentiamo qui. — Mi auguro sinceramente che anche lei la pensi in questo modo — ammise Flinx. — Ma il barone non sarebbe d'accordo con lei. Dobbiamo fuggire subito. — Saltò giù dal letto, si avvicinò alla porta e bussò delicatamente. La porta si aprì e la guardia li scrutò con attenzione... mantenendosi a parecchi passi di distanza, osservò Flinx. Era un uomo alto e magro, con l'espressione sciupata e i capelli prematuramente sbiancati. Da quanto Flinx riuscì a giudicare, non era un AAnn
travestito. — Hai interrotto la mia lettura — disse a Flinx in tono acido, indicando il minuscolo nastrovisore che reggeva in mano. Ciò ricordò a Flinx un altro nastro che lui avrebbe voluto leggere. Ma nonostante l'ansietà che sentiva crescere in sé, per vedere quel nastro doveva aspettare ancora per molto, sempre che fosse riuscito infine nella sua impresa. — Cosa vuoi? — Era chiaro che quell'uomo era ben informato dell'apparente remissività che loro due avevano mostrato fino a quel momento. All'improvviso Flinx gridò nella sua mente, creando l'impressione di una minaccia. Pip, schizzato fuori da sotto il cuscino del letto, aveva attraversato la porta prima che l'uomo riuscisse a deporre il visore. Un lanciaraggi fu alzato di scatto, ma non fece in tempo a sparare perché l'uomo si portò le mani al volto per proteggerlo. Flinx colse il momento: balzò attraverso l'apertura e piantò un piede nel plesso solare dell'altro, che soltanto serrando le palpebre impedì agli occhi di schizzargli fuori. La guardia andò a sbattere contro la parete opposta con un sonoro bam! e scivolò a terra, dove rimase seduta come un pupazzo di stracci, in bilico contro la gamba di una sedia. Flinx richiamò il minidrago, che si appollaiò ancora fremente sulla spalla lanciando occhiate furiose all'uomo privo di sensi. Sylzenzuzex comparve accanto a Flinx. — Perché non ha sparato subito? Non... — S'interruppe, e Flinx percepì il lavorio della sua mente. — Appunto. Qui nessuno ha ancora riconosciuto Pip per un animale pericoloso. L'unica persona alla quale l'ho detto è Linda, quella donna con la cicatrice, la guardia del corpo di Rudenuaman. Con tutta la confusione che c'è stata, Linda dev'essersi dimenticata d'informare gli altri. Noi eravamo intrappolati qui senza speranza di fuggire, non ricordi? Gli unici a saperlo oltre a noi erano Challis e Mahnahmi. Lui è morto e lei è scappata. Flinx indicò la stanza dietro di sé. — Per questo ho chiamato Pip in aiuto, ma ho voluto colpire io stesso la sentinella. Tutti ignorano ancora quali sono le vere capacità di Pip. Presto o tardi, però, Linda si ricorderà di dirlo alla sua padrona. Per allora, noi dovremo essere liberi. Sarà proprio meglio che lo siamo: Rudenuaman non ci darà una seconda possibilità. — Cosa faremo, adesso? — Nessuno ci conosce, qui, se non un piccolo gruppo di guardie, Rudenuaman e qualcuno alla miniera. Questa è un'installazione piuttosto grande. Agisci come se tu sapessi perfettamente ciò che stai facendo, e forse
riusciremo a uscire da qui senza che nessuno ci fermi. — Tu sei pazzo — mormorò lei con voce nervosa mentre entravano nell'ascensore. — Questa potrà essere anche una grande base, ma è una comunità chiusa. Tutti devono conoscersi fra loro. — Tu fai parte di una burocrazia e ancora non capisci — osservò tristemente Flinx. — Tutti, in una complicata operazione come questa, tendono ad attenersi al massimo alla propria specializzazione. Non è certo una piccola società omogenea, quella che abbiamo qui. A meno d'incontrare una delle guardie che ci sono venute incontro all'atterraggio, dovremmo essere in grado di muoverci liberamente. — Fino a quando la guardia davanti alla nostra stanza riprenderà conoscenza — gli ricordò lei. — Poi cominceranno a darci la caccia. — Ma non oltre i confini della base, ci scommetto. Rudenuaman sarà più irritata che furiosa. Supporrà senz'altro che il durissimo ambiente qui intorno si prenderà cura di noi. E sarà senz'altro così, se gli ujurriani non ci aiuteranno. La cabina dell'ascensore partì verso il basso. — Cosa ti fa pensare che lo faranno? — Ho avuto l'impressione che fossero ansiosi di parlarmi. Se ci fossero dieci thranx naufragati che parlano soltanto basso thranx, e all'improvviso comparisse un undicesimo thranx, non gli vorresti parlare? — Forse, per un po' — ammise lei. — Naturalmente, una volta che avessi sentito tutto quello che ha da dire potrei anche volerlo mangiare. — Non penso che gli ujurriani lo faranno. — L'ascensore raggiunse il livello del suolo. — Cosa ti fa essere così certo? Bacche o non bacche, sono onnivori, non ricordi? Immagina che non siano niente più che idioti telepatici. — Se mi sbaglio su di loro, allora quantomeno morremo molto più pulitamente che per mano di Rudenuaman. Sto scommettendo su due cose: un sogno e il fatto che prima d'ora non avevo mai visto Pip volare verso un essere che non intendeva attaccare. — Flinx abbassò la mano e grattò la testa di Pip attraverso il tessuto della tuta. «Avevi ragione, Syl — aggiunse, — quando hai detto che era volato verso un maggior calore: ma il calore non era nella pelliccia degli ujurriani». La porta della cabina scivolò di lato sulle guide, e loro uscirono spavaldamente nel corridoio deserto. Usciti all'esterno, s'incamminarono fra gli edifici, in direzione del lago. Molte persone passarono loro accanto. Flinx non ne riconobbe nessuna, e
fortunatamente nessuno riconobbe i prigionieri. Quando si avvicinarono ai confini della base, Flinx rallentò, i sensi sul chi vive per percepire qualunque cosa che indicasse una barriera difensiva automatica. A sua volta Sylzenzuzex esplorò la zona alla ricerca di armi nascoste. Ma non trovarono nulla, neppure una semplice staccionata. Evidentemente in quella vallata non c'erano grossi carnivori, e loro conoscevano già l'opinione che Rudenuaman aveva degli indigeni. Quando infine si trovarono sotto la protezione degli alberi, accelerarono il passo muovendosi alla maggior velocità consentita dalla manopiede ferita di Sylzenzuzex. Malgrado la giornata anormalmente lunga, il sole era già assai basso sull'orizzonte prima che loro rallentassero. Quando infine il sole fosse scomparso dietro i torreggianti picchi nevosi, il suo calore si sarebbe dissipato rapidamente nell'aria montana. Sylzenzuzex sarebbe stata la prima a soffrirne, e in modo più grave, ma Flinx pensò che anche lui sarebbe rimasto pericolosamente esposto al gelo in quella tuta sottile. Si augurò che i loro pelosi amici potessero fare qualcosa in merito. Se non trovavano nessuno ad aspettarli all'estremità del lago (la «lunga acqua» dei suoi sogni), lui si sarebbe trovato nel più grave degli imbarazzi. All'estremità inferiore il lago si restringeva fino a sboccare in uno stretto torrente che si precipitava lungo un pendio non troppo accentuato con l'umore vivace di tutti i torrenti di montagna, danzando e ricadendo in una fluida coreografia sopra rocce e tronchi spezzati. Malgrado la densità della foresta, lo strato di vegetazione simile a erica sul terreno era ugualmente folto e lussureggiante. Flinx colse qualcuna di quelle piante dalle strane foglie ad ago e dai fiori multipli. Minuscole creature pelose correvano, scavavano e si contorcevano in mezzo a quella bassa giungla. Sylzenzuzex annusò sdegnosamente l'aria e le sue spicole sibilarono, mentre una piccola creatura con dieci zampette pelose e zoccoli in miniatura sfrecciava davanti a loro infilandosi dentro un buco sulla sponda opposta del torrente. — Un mondo davvero primitivo — commentò. — Niente insetti. — Stava già tremando per il freddo. — Non mi sorprende. Questo mondo è troppo freddo per loro e per me. Flinx cominciò a cercare fra gli alberi, sfregandosi nello stesso tempo le mani. Di tanto in tanto infilava una mano dentro la tuta per accarezzare Pip. Anche il minidrago proveniva da un mondo tipo serra. Si era via via irrigidito nell'immobilità, nello sforzo di conservare il più possibile l'ener-
gia e il calore del corpo. — Neppure io mi sento esattamente a casa mia, qui, sai? — le rispose Flinx. Scrutando preoccupato sopra di sé vide che una fetta di sole era già stata inghiottita da un crinale montuoso il cui profilo sembrava quello di un dinosauro azzoppato. — Stanotte potremo gelare a morte, qui fuori, oppure tornare indietro e affrontare quella femmina infuriata, con tutti i rischi connessi — dichiarò Sylzenzuzex. — Ci troviamo di fronte proprio a una bella alternativa, grazie a te. — Non capisco — balbettò lui, perplesso. — Ero così sicuro. Le voci erano così chiare... — Tutto è chiaro, in un sogno — filosofeggiò tristemente lei. — È il mondo reale a non avere mai senso, attendere sempre ad avere dei profili confusi. Non sono ancora sicura che tu non abbia un profilo sfumato. — Oh! Oh! — tuonò una voce simile a un martello che colpisce il fondo di una grossa pentola metallica. Era una vera voce, non un bisbiglio telepatico. — Uno scherzo. Mi piacciono, gli scherzi! Il cuore di Flinx tornò al battito normale quando lui e Sylzenzuzex si girarono di scatto e videro una figura enorme che usciva ancheggiando allo scoperto fra due alberi. Sembrava, a una prima occhiata, in tutto uguale agli altri nativi. Ma ora Flinx sapeva dove cercare e riconoscere le diversità. Il gigantesco essere ammiccò verso di lui con qualche sprazzo di vivida luce, un forte e concentrato bagliore mentale: come una lucciola, si disse Flinx. — Salve, Ciuffo. Hai un eccellente senso dell'umorismo, ma per favore non sbucare più fuori all'improvviso in questo modo. — Senso dell'umorismo? — gli fece eco il gigante. — Ciò significa che mi piace fare scherzi? — Torreggiava su di loro, ritto sulle gambe posteriori. — Sì, cosa c'è di meglio che fare scherzi? Salvo forse scavare caverne, mangiare, dormire e fare l'amore. Flinx notò che quella bocca distesa in un ampio sorriso si muoveva. — Stai parlando — osservò nel medesimo istante Sylzenzuzex. Si rivolse a Flinx: — Mi sembrava che tu mi avessi detto che erano telepatici. — Possiamo anche parlare con la mente. — Queste parole, fiorite nella testa di Sylzenzuzex, la fecero sussultare. — Allora è questa, la telepatia — mormorò lei a quella nuova esperienza. — In un certo senso è snervante. — E allora perché ti sei messo a parlare con la bocca? — chiese Flinx.
— È meno efficiente ma più divertente — disse Ciuffo col suo vocione. — Molto più divertente — gli fecero eco altre due voci, all'unisono. Nenia e Azzurrosplendente comparvero, avvicinandosi al torrente col loro passo cadenzato. Chinatisi su tutte e quattro le gambe, cominciarono a lappare l'acqua. — Perché non parlate così alla gente della base? — La base? Quelle grandi caverne di metallo? Flinx annuì, e ne ricevette una scrollata di spalle mentale. — Nessuno ci chiede di parlare molto. Noi vediamo dentro, le loro menti che gli piace che parliamo così. — E Ciuffo cominciò a esibirsi in una serie di sbuffi e grugniti. — Questo li fa felici. Noi vogliamo che tutti siano felici. Perciò parliamo così. — Non sono proprio sicuro di capire — confessò Flinx, sedendosi su una roccia e rabbrividendo. Una forma mostruosa si materializzò all'altezza della sua spalla, facendo fare a Sylzenzuzex un salto di mezzo metro. — Non c'è il minimo dubbio in proposito — tuonò Forsecosí. Con una zampa stringeva due oggetti spiegazzati e con l'altra un grande sacco di plastica. Flinx sentì un caldo pensiero che gli scorreva addosso come un secchio d'acqua bollente, poi Forsecosí scomparve. — Ma cos'era... quello? — domandò Sylzenzuzex, ancora a bocca spalancata. — Forsecosí — le rispose in tono distratto Flinx, occupato a esaminare ciò che quello stravagante ujurriano aveva portato. — Tute termiche: una per te e una per me. Dopo essersi infilati gli indumenti autoriscaldanti, occuparono qualche delizioso minuto a scongelarsi prima di cominciare a ispezionare il contenuto del grosso sacco. — Cibo — elencò Sylzenzuzex, — due lanciaraggi... Flinx affondò la mano nelle profondità del sacco, tremando senza ritegno. — E questa... perfino questa. — Quando tirò fuori la mano, stringeva fra le dita una minuscola bobina leggermente ammaccata. — Ma come... come faceva a saperlo? — chiese a Ciuffo. Il sorriso di Ciuffo davanti al suo sbalordimento era caldo e affettuoso, e andava molto più in profondità di quello disegnato suEa sua bocca. — Forsecosí fa i suoi giochi. Ogni cosa è un gioco, per Forsecosí. Lui è molto in gamba con i giochi. Meglio di chiunque altro della famiglia. Sotto molti aspetti, è soltanto un cucciolo troppo cresciuto.
— Cucciolo — assentì Nenia. — Ma una grande luce. — Una luce molto grande — convenne Azzurrosplendente, alzando la testa dal torrente e asciugandosi il muso con grandi linguate. — È divertente avere qualcuno con cui parlare, — commentò Ciuffo. Poi Flinx ebbe l'impressione di un offeso accigliarsi. — Altri sono venuti ma senza atterrare. Forsecosí li ha visti e dice che hanno fatto strane cose con certi oggetti, strumenti come quelli delle caverne metalliche. Si sono eccitati molto e poi se ne sono andati. — La missione esplorativa della Chiesa — commentò Flinx, senza che ce ne fosse bisogno. — Non abbiamo capito perché se ne siano andati via — proseguì Ciuffo, tutto turbato. — Avevamo tanto desiderato che scendessero e parlassero. Eravamo tristi, e avremmo voluto aiutarli perché pensavamo che si fossero spaventati per qualcosa. — Ed ecco di nuovo quella scrollata di spalle mentale. — Anche se, forse, ci eravamo sbagliati. — Non credo che vi siate sbagliati, Ciuffo. Qualcosa li aveva spaventati, non c'è dubbio. Sylzenzuzex non gli prestava attenzione. Stava fissando Ciuffo, a mandibole spalancate. Flinx si rivolse a lei e le chiese: — Ora capisci perché questo pianeta è stato posto sotto editto? — Sotto editto — ripeté Ciuffo, assaporando il suono delle parole. — Un ammonimento generale che incorpora delle razionalizzazioni filosofiche le quali hanno origine... — Impari in fretta, Ciuffo — balbettò Flinx, deglutendo. — Oh, sicuro — assentì il gigante con bambinesco entusiasmo. — È divertente. Facciamo un gioco. Tu pensi una nuova parola o un nuovo concetto e noi cercheremo d'impararli, va bene? — Non era certo un gioco, per la missione esplorativa che ha raccolto i primi dati su questo mondo — esclamò all'improvviso Sylzenzuzex. Si voltò a fissare Flinx. — Capisco cos'hai tentato di dirmi. — Guardò di nuovo il gigante. — Non è atterrata perché... perché aveva paura di voialtri. — Paura? Perché qualcuno dovrebbe aver paura di noi? — Ciuffo si batté il petto ampio un paio di metri con una zampa che avrebbe potuto decapitare un uomo. — Noi viviamo, mangiamo, dormiamo, facciamo l'amore, scaviamo caverne e giochiamo... e facciamo scherzi, naturalmente. Nient'altro. Cosa c'è da aver paura? — Il tuo potenziale, Ciuffo — cercò di spiegargli Flinx, lentamente. —
E il tuo, Nenia, e il tuo, Azzurrosplendente, e anche il tuo, Forsecosí, dovunque ti trovi in questo momento. — Da qualche altra parte — interloquì Nenia, cercando di aiutarlo. — Hanno percepito il vostro potenziale e sono corsi via a precipizio invece di scender giù ad aiutarvi. Poi vi hanno messi sotto editto, cosicché nessun altro potesse farlo. Speravano che nessuno sentisse mai più parlare di voi... Di voi che siete dotati di un potenziale incalcolabile, Ciuffo. Rinnegando la vostra esistenza, la Chiesa ha pensato di... — No! — urlò Sylzenzuzex, angosciata. — Non posso crederlo. La Chiesa non avrebbe... — Perché no? — sbuffò Flinx. — Tutti possono aver paura del ragazzo grande e grosso che abita in fondo alla strada. — Ma è sbagliato, aver paura — osservò afflitto Ciuffo. — È triste. — Sì, hai ragione, è sbagliato ed è triste — convenne Flinx. Ma poiché all'improvviso il suo stomaco pretese tutta la sua attenzione, tirò fuori dal sacco di plastica un grosso cubo di carne impastata con formaggio e si sistemò su una roccia sporgente. Staccato su un lato l'involucro, addentò un enorme boccone. Poi cominciò a frugare dentro il sacco, alla ricerca di qualcosa di adatto a Pip. Sylzenzuzex si unì a lui, ma la sua ricerca del cibo fu distratta: la sua mente era agitata da un maëlstrom di pensieri confusi, distruttivi, in violento conflitto fra loro. La conoscenza di ciò che indubbiamente la Chiesa aveva perpetrato stava frantumando convinzioni radicate in lei fin dalla sua condizione di pupa. Tutte le volte che un altro dei suoi ideali crollava di schianto, lei provava le più dolorose trafitture. Flinx aveva raggiunto una decisione. — Volevate parlare, non è vero? Giocare con le parole e con i concetti. — Su, su, giochiamo! — lo incitò Nenia con una voce nasale carica d'entusiasmo, avvicinandosi a passi pesanti. — Sì, parliamo — convenne Azzurrosplendente. Flinx rifletté su ciò che si accingeva a fare, e scoprì con riconoscenza che tutto ciò lo faceva sentire più soddisfatto di qualunque altra decisione presa nel corso della sua vita. — Ci potete scommettere, che parleremo... CAPITOLO UNDICESIMO — Ma non qui — intervenne Ciuffo.
— No, no, non qui — gli fece eco Azzurrosptendente. — Andiamo nella caverna. — Insieme a Nenia, voltò le spalle a Flinx e si avviò con passo deciso fra gli alberi. Ciuffo si accodò, ancheggiando e invitando ad ampi gesti Flinx e Sylzenzuzex a seguirli. — La caverna? — chiese Flinx, ansante, mentre insieme a Sylzenzuzex arrancava per non farsi distanziare. — Dividete tutti la stessa caverna? Ciuffo parve stupito. — Tutti dividono la stessa caverna. — Allora fate parte della stessa famiglia? — ansimò Sylzenzuzex. — Tutti la stessa famiglia. — L'enorme creatura impellicciata si mostrò chiaramente perplessa per quelle domande. A Flinx venne in mente che Ciuffo poteva intendere qualcosa di diverso da un rapporto diretto fra consanguinei. Se una parola dai molteplici significati poteva creare confusione in un umano, figurarsi per un alieno che conosceva a stento la lingua. — Noi siamo tutti della stessa famiglia, Ciuffo? — chiese, scandendo le parole. Le foltissime ciglia di Ciuffo si ripiegarono pensose. — Non è ancora sicuro — replicò infine il loro semplice salvatore. — Ve lo faremo sapere. Dopo un'altra ora di rapida e faticosissima arrampicata sopra rocce e fossati, Flinx scoprì che cominciava a mancargli il fiato. Ma era assai peggio per la sua compagna, che alla fine si accasciò esausta, invocando una sosta, in mezzo a una macchia di vegetazione fiorita. — Mi dispiace — disse, con un filo di voce. — Non ce la faccio a tenere il passo, sono troppo stanca e ho freddo. — Resta lì — le intimò Flinx. — Ciuffo, aspettaci! — Davanti a loro i tre ujurriani si fermarono, voltandosi a guardare. Flinx s'inginocchiò ed esaminò delicatamente la manopiede rotta. Benché Sylzenzuzex non vi esercitasse nessuna pressione, la giuntura non dava indizio di volersi rimarginare. — Dovremmo legare con una stecca quella frattura, per mantenerla assolutamente immobile — mormorò Flinx. La giovane thranx annuì. — Potrai farlo alla caverna — gli consigliò Ciuffo, che era tornato indietro. — Mi dispiace, Ciuffo — gli spiegò Flinx, — ma lei non può più proseguire se prima non sistemiamo questa frattura. — Rifletté per qualche istante e suggerì: — Voi tre proseguite, lasciando una pista chiaramente visibile di rami spezzati: noi vi raggiungeremo poi. — Follia — commentò l'indigeno. Si avvicinò ancora di più, e la sua gi-
gantesca mole eclissò il magro giovanotto. Flinx notò che Pip non si era mosso. Se la sua fida bestiola non esprimeva preoccupazione, allora voleva dire che non aveva percepito nessuna minaccia dietro quegli occhi intensamente luminosi, sempre più vicini. Ciuffo studiò la tremante Sylzenzuzex, e chiese incuriosito: — Cosa vorresti fare, amico Flinx? — Se ti sembra davvero una follia che noi seguiamo a distanza la vostra pista — disse Flinx, rivolgendosi agli ujurriani con estrema cautela, pronto ad azzittirsi al più piccolo indizio di collera offesa, — potresti lasciare che vi cavalchiamo. Azzurrosplendente si grattò sotto il mento con una zampa posteriore. — Cos'è «cavalcare»? — chiese, incuriosito. — Significa trasportar loro invece delle gemme! — sbuffò una voce profonda, con una sfumatura di disprezzo per la lentezza di comprendonio mostrata da Azzurrosplendente. Flinx si girò di scatto, appena in tempo per vedere il gigantesco profilo fosforescente di Forsecosí svanire in qualche altra dimensione. — Adesso capisco — gorgogliò soddisfatto Ciuffo. — Ma... come facciamo? — Sta' fermo lì — gli intimò Flinx, chiedendosi, mentre si avvicinava a quella morbida e compatta parete lanosa, se dopotutto la sua era stata una buona idea. La grossa testa ursina si girò a guardarlo. — Ora stenditi giù, sullo stomaco. Ciuffo si lasciò prontamente cadere al suolo con un morbido bum! Flinx sollevò un piede e l'appoggiò con cautela contro il suo fianco sinistro, poi alzò le braccia e afferrò due manciate di ruvidi peli. Tirò con forza. Non udì proteste: allora tirò di nuovo, questa volta con forza sufficiente a sollevarsi sull'ampia schiena. — Benissimo. E ora puoi rimetterti di nuovo su quattro zampe — disse alla sua giocosa cavalcatura. Ciuffo si sollevò con la delicatezza di un congegno perfettamente lubrificato. La sua mente sorrideva. — Capisco. Questa è un'idea molto migliore. — Una nuova cosa divertente — ammise Nenia. Lei e Azzurrosplendente si avvicinarono adagio a Sylzenzuzex e passarono due minuti buoni a discutere su chi doveva avere il privilegio di fare per primo quella nuova esperienza. L'ebbe vinta Nenia. Si portò vicinissima alla giovane thranx, che continuava a fissarla sbigottita, e si distese accanto a lei.
Sylzenzuzex studiò con apprensione quel tronco muscoloso, e lanciò un'occhiata a Flinx. Questo annuì energicamente in segno d'incoraggiamento: la giovane thranx si arrampicò con estrema cautela su Nenia, infilò le mani nella pelliccia e vi si aggrappò con forza. Ora sia Flinx che la sua compagna d'avventure si resero conto di quanta pazienza gli ujurriani avessero usato prima, procedendo con estrema lentezza per consentire ai loro due miserandi amici di tenersi al passo. Ciuffo e Nenia non sembravano neppure notare il peso che gravava sulle loro schiene e partirono a un frenetico galoppo attraverso la foresta, al punto che a Flinx e a Sylzenzuzex sembrò quasi di volare. Ebbero soltanto un'altra disavventura quando Ciuffo si rizzò senza preavviso sulle gambe posteriori, precipitandosi in avanti a un passo che nessun orso terrestre avrebbe potuto anche lontanamente uguagliare. Flinx, a prezzo di un tremendo sforzo, riuscì a non farsi sbalzar via. Sylzenzuzex, fornita di sette arti con cui tenersi aggrappata, riuscì a mantenersi in posizione assai più facilmente quando Nenia si alzò anche lei sulle due gambe posteriori per uguagliare la fulminea velocità di Ciuffo. Impossibile dire per quanto tempo o per quale distanza avessero corso quando, superata la prima e una seconda valle, discesero ancora più in basso in una terza. Dall'inizio della corsa vera e propria fino alla fine, nessuna delle mastodontiche cavalcature aveva rallentato il passo, anche se adesso sbuffavano lievemente. La terza valle era solcata dal torrente che avevano costeggiato durante la loro lunga galoppata. Lì il corso d'acqua si allargava a formare un altro lago, anche se di dimensioni più ridotte in confronto al lungo specchio d'acqua che fiancheggiava l'installazione mineraria, ora chissà quanto lontana alle loro spalle. Lì, fra i quasi-sempreverdi cresceva una diversa varietà di alberi, con ampie foglie giallo-brune. Flinx scorse qua e là delle bacche, non troppo numerose; altri alberi esibivano grappoli di noci dal guscio ovale, alcune grosse come noci di cocco. — Voi... mangiate quei frutti? — chiese Flinx, indicandoli. — Sì — rispose Ciuffo. — E mangiate anche carne? — Soltanto quando è tempo di neve — gli spiegò la sua cavalcatura, senza scomporsi, — quando la baiga e le maginac non fioriscono. La carne non è divertimento, è tanto lavoro. Scappa via. Ora si stavano dirigendo verso il ripido fianco di una collina. La luce della luna l'avvolgeva di una morbida luminosità: Flinx vide che era roccia
nuda, granito grigio punteggiato qua e là da nere macchie tondeggianti. Il terreno era privo di depositi ghiaiosi. Ujurriani delle più diverse dimensioni correvano e saltavano tra la sponda e gli ingressi delle caverne. Fra loro, i primi cuccioli che Flinx e Sylzenzuzex avessero visto facevano le capriole. — Se non si mangia carne per variare — continuò a spiegare Ciuffo, — si comincia a sentirsi male. — Perché non vi piace mangiare carne? — chiese Sylzenzuzex. Flinx pregò dentro di sé che lei non imponesse ai loro impressionabili ospiti qualche astratta disquisizione filosofica. Ciuffo riprese a spiegare, come se stesse parlando a due bambini: — Perfino la vita del najac o del brutto coivet a sei zampe è un frammento di sole. Quando noi li soffochiamo, il calore li lascia. — A noi non piace rendere oscure le cose luminose — aggiunse Azzurrosplendente. — Preferiremmo molto di più rendere luminose le cose oscure. Ma — concluse, in tono dolente, — non sappiamo come si fa. Rallentarono la fulminea corsa finché questa si trasformò in un tranquillo camminare, e infine si arrestarono davanti alla prima delle caverne. Flinx osservò che il terreno di fronte all'ingresso era rivestito da macigni ben squadrati, e che le fessure fra l'uno e l'altro erano accuratamente chiuse con sassi e schegge di roccia in mancanza di ferrocemento. Fece segno a Ciuffo di stendersi per terra e scivolò giù lungo l'ampia schiena impellicciata. Si lanciò un'occhiata alle spalle e vide l'abbacinante riflesso della luna sulle acque del lago, come un'argentea striscia di metallo liquido lievemente increspata da onde e da piccoli vortici. Poi guardò davanti a sé dentro la caverna, ma non distinse altro che una profonda oscurità. — Hai detto che tutti dividono la stessa caverna, Ciuffo, ma io vedo altre aperture sul fianco della montagna. — È sempre la stessa caverna — gli spiegò Ciuffo. — Vuoi dire che sono tutte collegate insieme, dentro la montagna? — Sì, s'incontrano tutte. — Un caldo sorriso mentale l'avvolse. — Fa tutto parte del gioco. — Il gioco? — gli fece eco Sylzenzuzex, gelata benché la tuta termica fosse regolata al massimo. Ciuffo non rispose, e allora lei chiese ad alta voce: — Credete che possiamo accendere un fuoco? — Ma certo — disse Nenia, allegramente. — Cos'è «accendere un fuoco»? È come scavare una caverna?
Con pazienza, Flinx spiegò quanto era necessario, pensando con sollievo che avrebbe dovuto farlo una volta sola. — Andremo noi, a raccogliere legna morta — proposero Nenia e Azzurrosplendente quando lui ebbe terminato la spiegazione. — Cos'è questo gioco che fate con le vostre caverne, Ciuffo? — chiese Flinx quando gli altri due se ne furono andati. Ciuffo ignorò la domanda, e invece li sollecitò a entrare nella caverna, dove li salutò in silenzio un altro enorme nativo. — Questa è Lisciamorbida, la mia compagna — spiegò subito, in risposta alla domanda che Flinx aveva formato nella sua mente. — Hai chiesto del gioco, amico-Flinx?... I genitori dei nostri genitori dei nostri genitori molte molte volte morti si erano preoccupati del freddo che un giorno (pensavano) sarebbe rimasto per sempre, e hanno avuto timore che troppe luci tra le famiglie sarebbero scomparse. — Questa, infatti, io non la chiamerei ondata di calore — commentò Sylzenzuzex. — Il freddo viene quando il sole è soffocato dalle montagne — continuò Ciuffo. — I nostri molte volte genitori si erano accorti che ogni anno faceva più freddo. Ogni anno il sole diventava più piccolo dell'anno precedente. Flinx annuì. — Il vostro pianeta ha un'orbita ellittica, Ciuffo, ma non è un'orbita regolare. Secondo le statistiche che ho visto, da un secolo all'altro ruota sempre più lontano dal vostro sole, anche se non so immaginare come se ne siano accorti i tuoi antenati. — Quanti nuovi concetti — mormorò Ciuffo, accigliandosi. — Ad ogni modo, i nostri genitori molte volte morti avevano deciso come rimediare. Avrebbero dovuto spostarsi più vicino al sole in un certo modo. — Cioè avrebbero modificato l'orbita di Ulru-Ujurr rendendola più stabile — disse Flinx, con voce roca. — Ma come facevano a sapere il modo? — Devi chiederlo agli antenati — rispose Ciuffo, stringendosi le spalle. — Molto difficile da fare. — Oh, senz'altro — convenne subito Sylzenzuzex. — C'era anche un altro modo, tuttavia — aggiunse Ciuffo. — Gli scavatori, lassù... — La gente della miniera? — Sì. Rendono calde le loro caverne. Gli abbiamo chiesto come possiamo fare, noi, per avere lo stesso caldo. — E cos'hanno suggerito? — chiese Flinx.
Ciuffo parve confuso. — Ci hanno detto di scavare una grossa buca al suolo, di entrarvi, e di coprirci completamente con la terra. Noi abbiamo provato e abbiamo scoperto che sì, fa caldo. Ma non ci si può muovere, e si finisce con l'annoiarsi. Inoltre, niente luce. Non abbiamo capito perché ci abbiano detto di farlo in quel modo. Loro non lo fanno, per sé. Perché dirci di fare questo, amico-Flinx? — Oh, è un tipico esempio dell'umorismo come l'intendono gli AAnn — rispose Flinx, furioso dentro di sé. — AAnn? — chiese Ciuffo. Nenia e Azzurrosplendente comparvero in lontananza, tutti e due sepolti sotto enormi bracciate di rami secchi. — Alcune delle persone alla miniera — spiegò Flinx. — Quelle con... la mente fredda. — Ah, la mente fredda — fece eco Ciuffo, dimostrando di aver capito. — Noi non abbiamo capito come potessero, loro così freddi, dirci il modo di diventare caldi. Ma abbiamo provato lo stesso. Flinx non riuscì più a guardare in faccia quegli amabili nativi. — E... quanti degli sperimentatori sono morti? — Sperimentatori? — Sì, quelli che hanno provato a seppellirsi. — Oh, amico-Flinx, tu ti preoccupi in maniera sbagliata. Nessuno è morto — lo rassicurò Ciuffo, percependo l'agitazione e l'angoscia nella mente dell'umano. — Vedi, noi abbiamo seppellito Forsecosì... — Ecco la legna — disse Nenia, giunta accanto a loro. — Può bastare? — chiese Azzurrosplendente. — Credo che questa basti senz'altro per una settimana — esclamò Flinx. Sylzenzuzex cominciò subito a raccogliere i pezzi più piccoli formando agilmente una piramide: le sue veremani modellarono rapidamente una vera e propria scultura astratta. Flinx si lasciò andare con la schiena contro la parete della caverna, per stare più comodo, e subito sentì il gelo della pietra attraverso la tuta termica. — Come pensavano, i vostri genitori molte volte morti, di poter regolare... di avvicinarsi al sole? — Facendo il gioco — ripeté Ciuffo. — Il gioco, e scavare le caverne, sono una cosa sola. — Scavare le caverne dovrebbe portare il vostro mondo più vicino al sole? — mormorò Flinx, per nulla sicuro di aver udito bene. Ma Ciuffo annuì recisamente. — Fa parte di un gioco a schema. — Schema? Che tipo di schema?
— Difficile da spiegare — fece, incerto, Ciuffo. Flinx esitò; poi, a un improvviso pensiero, chiese: — Ciuffo, da quanto tempo la tua gente sta facendo il gioco di scavare questi... questi schemi di caverne? — Quanto tempo? — Quanti dei vostri giorni? — Giorni? — Ciuffo decise che era giunto il momento di consultarsi con gli altri. Chiamò Azzurrosplendente, e insieme a lui arrivò Nenia. Lisciamorbida si unì al gruppo, e per un attimo anche Forsecosì comparve, per aggiungere il suo commento. Infine Ciuffo tornò a rivolgersi a Flinx, ed enunciò fiduciosamente un numero. Un numero enorme, davvero eccessivo. — Siete davvero sicuri del vostro modo di fare i calcoli? — chiese lentamente Flinx, dopo aver riflettuto. Ciuffo fece un gesto affermativo. — Il numero è giusto. Il sistema di contare l'abbiamo imparato alla miniera. Sylzenzuzex fissò perplessa Flinx, mentre questo tornava ad appoggiarsi con la schiena alla parete della caverna e fissava la volta scura e gelida sopra di loro. La giovane thranx indugiò prima di accendere il fuoco. — Quanto? — fece. Ci fu una lunga pausa, dopodiché parve che lui fosse tornato indietro da qualche luogo remoto. — Secondo quanto dice Ciuffo, stanno facendo questo gioco di scavare gallerie tutte collegate insieme da un po' meno di quattordicimila anni terrestri. Questa intera porzione del continente dev'essere un autentico favo di gallerie. E non c'è neppure il modo di sapere quanto scendano in profondità. — Cos'è «favo»? — chiese Nenia. — Cos'è «continente»? — chiese Azzurrosplendente. — Fino a dove arriva «profondità»? — volle sapere Ciuffo. Flinx rispose con un'altra domanda: — E quanto tempo sarà ancora necessario, prima che questo schema sia completato? L'ujurriano tacque per qualche istante, mentre la sua mente lavorava a pieno ritmo. — Non troppo tempo. Ancora dodicimila dei tuoi anni. — Qualche centinaio in più o in meno — mormorò cupamente Flinx, deglutendo. Ma Ciuffo lo guardò con aria di rimprovero. — No: dodicimila anni esatti. — Due grandi occhi pieni di candore fissarono quelli di Flinx. — E cos'accadrà quando lo schema sarà stato completato, quando il gio-
co sarà finito? — Due cose — ricominciò a spiegare Ciuffo, con aria compiaciuta. — Ci sposteremo in qualche modo più vicini al caldo, e cominceremo a cercare un nuovo gioco. — Capisco — mormorò lui, rimuginando fra sé. — E Rudenuaman pensava che costoro fossero primitivi perché passavano tutto il loro tempo a scavare gallerie. Sylzenzuzex se ne stava ancora lì immobile, senza accendere il fuoco. Il suo volto era una maschera d'incertezza. — Ma com'è possibile che scavando qualche caverna cambi l'orbita del pianeta? — Qualche caverna? Non lo so, Syl — disse lui, sempre bisbigliando. — Dubito che qualcuno lo sappia. Forse lo schema, una volta completato, produce nella crosta planetaria una dislocazione di masse che al momento giusto, attraverso un evento catastrofico, provoca nel continuum spaziotemporale una tensione che... Se ne sapessi di più sulla matematica delle catastrofi, e se potessimo usare il più grosso dei computer della Chiesa, potrei verificare. «O forse niente di tutto questo, e le gallerie servono semplicemente a captare calore dal nucleo del pianeta... O invece si tratta di una combinazione dei due effetti... Ci servirebbe un'intera squadra di brillanti matematici e fisici, per ottenere una risposta». Sylzenzuzex fissò Ciuffo e gli chiese, in tono tra il vago e il diffidente: — Puoi spiegarci cosa dovrebbe accadere, e in che modo? Il grosso e pelosissimo individuo le rivolse un'occhiata afflitta (impresa facile, per quegli occhi dall'anima molteplice). — È triste ammetterlo, ma non abbiamo i termini per farlo. Nella caverna ci fu silenzio fino a quando la catasta di legna crepitò accendendosi. Numerose piccole fiamme comparvero nel medesimo istante, e nel giro di pochi attimi il fuoco divampò gloriosamente. Sylzenzuzex reagì con un lungo e basso sibilo di gratitudine, e si sistemò il più possibile vicino alla fiamma. — È caldo! — mormorò Nenia, stupita. Azzurrosplendente avvicinò una zampa al falò e subito la ritrasse. — Molto caldo — confermò. — Possiamo insegnarvi... oh, diavolo, ve l'abbiamo già insegnato... ad accendere tutti i fuochi che volete, fuochi come questo. Non dico che dobbiate abbandonare il vostro gioco; ma se la cosa v'interessa, Sylzenzuzex e io possiamo farvi vedere il modo di assicurarvi il vostro calore durante l'a-
felio, molto prima dei vostri dodicimila anni. — È più facile... così — ammise Ciuffo, indicando il fuoco. — Ed è divertente — aggiunse Nenia. — Senti, Ciuffo — esclamò Flinx, — perché tu e la tua gente lavorate così a lungo e così sodo per le menti fredde e l'altra gente della miniera? — Per le bacche e le noci che ci portano da luoghi lontani — disse Lisciamorbida, da una nicchia scavata nella parete della caverna. — Sì, da luoghi lontani — confermò Azzurrosplendente. — Ma perché non andate voi, in quei luoghi, a prendervele da soli? — Troppo lontano — spiegò Ciuffo. — E troppo difficile, dice Forsecosí. Flinx staccò la schiena dalla parete, piegandosi in avanti, e parlò con voce forte e decisa: — Non capisci, Ciuffo? Sto cercando di dimostrarvi che quella gente della miniera vi sta sfruttando. Vi fa lavorare il più duramente possibile, con immensi guadagni per sé, e in cambio vi ripaga con noci e bacche, quel poco che basta per spingervi a continuare questo lavoro. — Cos'è «guadagni»? — chiese Nenia. — Cos'è «ripagano»? — chiese Azzurrosplendente. Flinx fece per rispondere, poi si rese conto che non ne aveva il tempo. Non avrebbe certo potuto perdere ore, per non dire giornate, a spiegare a fondo l'economia moderna, il rapporto fra il lavoro e il valore aggiunto, e un centinaio di altri concetti che sarebbe stato necessario sviscerare nei particolari prima di poter chiarire a quelle creature il significato di quei due semplici termini. Tornando nuovamente ad appoggiarsi alla parete, guardò oltre l'imboccatura della caverna, aldilà del guizzare del fuoco. Uno spolverio di stelle dall'insolita disposizione si era levato sopra l'orlo delle montagne, incurvandosi nella volta celeste fino a sfiorare i bordi del lago. Per ore rimase immerso in profondi pensieri, mentre i suoi ospiti si riposavano in un cortese silenzio aspettando che lui parlasse di nuovo. Percepivano la sua intima preoccupazione e lo sforzo per affrontare fin troppi problemi insieme, e si tennero rispettosamente fuori dai suoi pensieri. Flinx si mosse soltanto una volta, per aiutare Sylzenzuzex a migliorare la steccatura della giuntura rotta, adoperando un pezzo di legno più robusto. Poi tornò al suo posto e ai suoi pensieri. Dopo un po' quelle stelle furono sostituite da altre, e a loro volta anche queste sprofondarono sotto l'orizzonte. Lui se ne stava ancora lì, seduto a pensare, quando udì un suono come
quello prodotto da una porta di magazzino montata su vecchi cardini cigolanti. Ciuffo sbadigliò una seconda volta e rotolò su se stesso spalancando verso di lui gli occhi grandi come piatti. Dopo un po' il sole cominciò a entrare a fiotti nella caverna, e Flinx non aveva ancora detto buongiorno. Tutti lo stavano guardando incuriositi. Perfino Sylzenzuzex manteneva un rispettoso silenzio, percependo che qualcosa d'importante si stava formando sotto quei capelli arruffati. Fu Ciuffo a interrompere quell'interminabile quiete. — La scorsa notte, amico-Flinx, la tua mente irradiava un rumore costante, come di molta acqua che cade. Oggi è come il suolo dov'è caduta quell'acqua, che poi si è ghiacciata: una distesa bianca e pulita. Sylzenzuzex era seduta sulle anche. Con le veremani e la manopiede sana si stava ripulendo l'addome, gli ovopositori, i grandi occhi compositi e le antenne. — Ciuffo — disse Flinx con calma, come se fossero passati soltanto pochi istanti dall'ultima volta che aveva parlato, come se la lunga notte fosse stata soltanto una pausa momentanea, — a te e alla tua gente piacerebbe cominciare un nuovo gioco? — Cominciare un nuovo gioco — ripeté Ciuffo, solennemente. — È una grande cosa, amico-Flinx. — Lo è — replicò Flinx. — Si chiama civiltà. Sylzenzuzex smise di colpo di lisciarsi le antenne e rizzò di scatto la testa verso Flinx; e subito obbiettò, anche se questa volta la sua voce non esprimeva un'incrollabile certezza nelle proprie idee: — Flinx, non puoi. Ora sai perché la Chiesa ha posto sotto editto questo mondo. Indipendentemente da ciò che noi sentiamo per Ciuffo e Nenia e gli altri, non possiamo contravvenire a una decisione del Consiglio. — Chi l'ha detto? — ribatté Flinx. — Inoltre non sappiamo se l'editto è stato dichiarato dal Consiglio. Alcuni burocrati piazzati nei punti giusti potrebbero aver preso la loro piccola e meschina decisione, attribuendosi il diritto divino di relegare per sempre gli ujurriani nell'ignoranza. Mi dispiace, Syl, ma pur essendo pronto ad ammettere che la Chiesa ha indubbiamente al suo attivo alcune ottime cose, si tratta pur sempre di un'organizzazione composta di esseri humanx. E come tutti gli esseri humanx, la loro fedeltà va prima verso se stessi e soltanto dopo verso tutti gli altri. La Chiesa, se anche fosse dimostrato che sotto ogni aspetto ciò sarebbe per il bene del Commonwealth, sarebbe disposta a sciogliersi? Ne dubito. — Mentre tu, Philip Lynx, ti preoccupi prima di tutto per chiunque altro,
e soltanto dopo per te stesso — ribatté lei. Flinx si accigliò, e prese a camminare avanti e indietro sul pavimento della caverna che si andava riscaldando. — Onestamente non lo so, Syl. Non so neppure chi sono io, e ancora meno cosa sono. — Il tono della sua voce si rafforzò. — Ma so che in questa gente vedo un'innocenza e una gentilezza che non ho mai incontrato su nessun mondo humanx. — Si arrestò, lo sguardo fisso sugli abbaglianti riflessi che il sole del mattino suscitava sul lago. — Sarò anche un ragazzo sciocco — riprese, — un idealista dal cervello ristretto, chiamalo come ti pare: ma credo di sapere ciò che voglio essere, adesso. Se mi accetteranno, cioè. Per la prima volta nella mia vita so quello che voglio essere. — E cosa vuoi essere? — gli chiese lei. — Un insegnante. — Flinx si rivolse ai suoi pazienti amici ujurriani: — Voglio insegnare a te, Ciuffo, e a te Nenia, e a te, Azzurrosplendente, e a Lisciamorbida, e anche a Forsecosí, dovunque sia. — Sono qui — grugnì una voce da fuori. Forsecosí giaceva sulla bassa vegetazione simile a erica davanti all'ingresso della caverna, rotolandosi e stiracchiandosi con gran piacere. — Voglio insegnare a tutti questo nuovo gioco. — Una cosa grossa — ripeté lentamente Ciuffo. — Non sta soltanto a noi, deciderlo. — Anche gli altri devono essere informati — convenne Azzurrosplendente. Ci volle un po' di tempo prima che tutti fossero informati. Esattamente ci vollero undici giorni, quattro ore, una decina di minuti e qualche secondo. Poi si dovette aspettare altri undici giorni, quattro ore e alcuni minuti perché qualcuno rispondesse. Ma ogni individuo impiegò pochissimo tempo a rispondere. Il ventitreesimo giorno dopo che la domanda era stata posta, Forsecosí comparve fuori dalla caverna. Flinx e Sylzenzuzex erano seduti accanto alla sponda del lago insieme a Ciuffo, a Nenia e ad Azzurrosplendente. Non si accorsero del nuovo arrivato. In quel momento Flinx stringeva in mano l'estremità di un tralcio sottile e robusto, con schegge d'osso incurvate all'altra estremità. Mentre gli altri del gruppo guardavano, lui stava insegnando a Ciuffo a pescare. Ciuffo, con un'aria deliziata, stava giusto tirando su la quarta preda della giornata, un qualcosa di argenteo arrotolato su se stesso che sembrava un incrocio fra un pesce palla e una trota.
I nuotatori, spiegarono gli ujurriani, avevano luci più piccole dei najac e delle altre prede terrestri. Perciò pescare era meno malvagio che cacciare. — Anche questo fa parte del nuovo gioco? — chiese Nenia, che già al primo tentativo era riuscita a fabbricarsi con un tralcio e delle schegge d'osso una lenza in tutto identica a quella di Flinx. — Sì — ammise Flinx. — È bello — osservò Azzurrosplendente. — Spero che tutti siano d'accordo con voi. Sylzenzuzex assaporò un'altra manciata di bacche. Il contenuto zuccherino era soddisfacente, e la freschezza del prodotto appena colto dava un sapore vivificante alla sua dieta, Offeso nel vedere che nessuno gli prestava attenzione, Forsecosí scomparve dall'imboccatura della caverna e ricomparve accanto a lei. La giovane thranx, sbigottita, quasi cadde giù dal liscio macigno sul quale stava rannicchiata. — Tutti hanno risposto — le annunciò Forsecosí. — Quasi tutti hanno detto di sì. Giocheremo al nuovo gioco, adesso. — Quattordicimila anni di scavi buttati via — commentò Sylzenzuzex, rimettendosi in piedi e sfregandosi l'addome. — Flinx, spero che tu sappia davvero ciò che stai facendo. — Non preoccuparti — sbuffò Forsecosí nella sua direzione. — Per adesso giocheremo al nuovo gioco soltanto qui. Negli altri posti, sul dietro del mondo, continueremo col vecchio gioco. Se il nuovo gioco non sarà divertente... — (indugiò un attimo) — torneremo tutti al vecchio gioco. — Folgorò Flinx con un'occhiata. — Per sempre — concluse. Flinx si mosse a disagio quando l'enigmatico ujurriano svanì. Poche settimane prima si sentiva sicuro di se stesso, infiammato da uno zelo messianico che non aveva mai provato prima... Ma adesso i primi dubbi corrosivi cominciavano a tormentargli la coscienza. Cercò di non far caso alle occhiate che i suoi giganteschi e pelosi compagni gli rivolgevano: quelle creature simili a grandi orsi erano bene equipaggiate per fissare la gente in modo inquietante. — Bene — fu tutto quello che Ciuffo ebbe da commentare. — E adesso, Flinx, come comincia il nuovo gioco? Flinx indicò le lenze che tutti loro si erano egregiamente confezionati. — Già il fuoco è stato un inizio. E anche queste lenze sono un inizio. Ora voglio che tutti quelli di voi che lavorano per la gente della miniera vengano qui e imparino anche loro con noi: ma voglio che vengano durante la
notte, così le menti fredde non s'insospettiranno. Se ciò dovesse accadere... — (ebbe un attimo di esitazione) — sarebbe un male per il nostro gioco. — Ma quando dormiremo? — volle sapere Nenia. — Non parlerò troppo a lungo — rispose Flinx in tono fiducioso. — Ma è necessario che vengano. — E proseguì, ma adesso con molta minore fiducia: — Forse riusciremo a eseguire tutta la prima parte del gioco senza che nessuno sia privato del suo calore e della sua luce. Nessuno dei nostri... e dei loro. — Bene — concluse Ciuffo, — lo diremo agli altri alla miniera. Syl si avvicinò a Flinx mentre i giganti pelosi si disperdevano. — Insegneremo loro i principi fondamentali di una civiltà e insieme aiuteremo noi stessi — disse lui. — Così, quando non ci sarà più gente alla miniera, loro potranno procurarsi da sé tutte le noci e le bacche che vorranno... CAPITOLO DODICESIMO — Spero — disse, con una punta di esitazione, Teleen auz Rudenuaman, — che il barone concluda presto la sua caccia. Molti materiali essenziali cominciano a scarseggiare nei depositi, e alcuni mancano del tutto. E soprattutto siamo a corto di materia prima per i nostri sintetizzatori di cibo. — Non c'è nessun motivo di preoccuparsi per il barone — le assicurò Meevo FFGW da sotto l'imperturbabile maschera umana. Sì, non c'era davvero nessuna ragione di preoccuparsi, ripeté Rudenuaman tra sé; e si voltò a guardar fuori dalle finestre, i cui spessi pannelli rosa erano stati sostituiti da poco. Nella montagna sovrastante, i minatori continuavano a lavorare con la consueta efficienza. Il barone aveva già compiuto in passato numerosi viaggi attraverso il territorio del Commonwealth. Tuttavia lei continuava a provare una punta di preoccupazione ogni volta che una delle sue navi trasportava uno di quei rettili travestiti. Sapeva che avrebbe dovuto faticare parecchio, imbrogliando le carte con una serie di spiegazioni confuse e ribadendo comunque la sua completa buona fede, per uscirne fuori senza danno se una pattuglia del Commonwealth avesse intercettato una delle sue navi e scoperto un AAnn a bordo. Comunque non dubitava che in qualche modo lei ne sarebbe sempre uscita fuori, pur perdendo dei collaboratori preziosi. Se poi fosse capitato al barone, lei avrebbe perso un insostituibile socio. Non tutti i membri dell'aristocrazia degli AAnn, infatti, capivano le motivazioni umane o avevano un senso degli affari paragonabile a quello di Riidi WW.
Dal citofono s'innalzò all'improvviso un ronzio. Meevo si alzò e andò a rispondere alla chiamata. A sua volta Rudenuaman distolse lo sguardo da quel panorama di foreste e di montagne, e vide sbigottita la maschera umanoide di Meevo deformarsi grottescamente più volte, rivelando che il volto da rettile nascosto lì sotto era stato colto da una serie d'invincibili contorsioni. — Cosa... cos'è successo? — La voce dell'AAnn, già sonora, assunse tonalità quasi assordanti. Teleen si sporse verso di lui. — Cosa sta accadendo, Meevo? L'ingegnere AAnn depose lentamente il ricevitore. — Era Chargis, dalla miniera. L'umano e la thranx fuggiti sono ritornati vivi. Chargis riferisce che con loro ci sono molti indigeni e che gli indigeni al lavoro nella miniera si sono uniti a loro. È scoppiata una rivolta: una rivolta armata! — No, no... — Le sembrò di sprofondare all'improvviso, mentre le parole di Meevo penetravano in lei. — Gli indigeni in armi... È impossibile. — La sua voce crebbe fino a un urlo quando riprese il controllo di se stessa. — Impossibile! Non conoscono la differenza fra un martello pneumatico e un lanciaraggi! E perché dovrebbero ribellarsi? Cosa vogliono, più noci e più bacche? Ma è pura follia! — Il suo volto si contrasse all'improvviso, pericolosamente. — No, aspetta. Hai detto che l'umano e la thranx sono tornati con loro? — Così insiste a dire Chargis. — Ma anche questo è impossibile. Dovrebbero essere morti già da settimane a causa del freddo. Devono essere riusciti a comunicare in qualche modo con gli indigeni. — Direi che questa è un'espressione del tutto inadeguata — dichiarò l'ingegnere. — Mi è stato detto che gli indigeni non possedevano nessuna lingua, nessun mezzo per comunicare concetti astratti fra loro... e ancor meno con gli estranei. — Abbiamo trascurato qualcosa, Meevo. — Come nye, dico che è senz'altro così — convenne l'ingegnere. — Ma alla fine tutto ciò non avrà importanza. Una cosa è insegnare a un selvaggio a sparare con un'arma, e un'altra spiegargli le tattiche di guerra. — Ma dove hanno preso le armi? — chiese Teleen, tornando a fissare il fianco della montagna. Quelle lontane strutture non mostravano nessun segno del conflitto che si era scatenato all'interno. — Chargis ha detto che hanno sopraffatto la guardia e hanno fatto irruzione nell'armeria della miniera — spiegò Meevo. — C'era soltanto una
guardia, perché qui non c'era nessuno che potesse aver intenzione di rubare armi. Chargis ha detto che gli indigeni erano assai turbolenti e indisciplinati quando hanno fatto irruzione, e che l'umano e la thranx facevano fatica a controllarli. — Sorrise con cattiveria. — Potrebbero aver scatenato qualcosa che non riescono a controllare. Chargis ha detto... — Esitò. — Continua — lo sollecitò Teleen, decisa a sentire tutto. — Cos'altro ha detto, Chargis? — Ha detto che gli indigeni davano l'impressione di considerare tutto questo alla stregua di... sì, di un gioco. — Un gioco — ripeté lei, lentamente. — Continuino pure a pensarla così, anche mentre muoiono. Mettiti in contatto con tutto il personale della base — ordinò. — Digli di abbandonare tutte le installazioni e di ritirarsi negli edifici del settore amministrativo. Abbiamo lanciaraggi e cannoni laser grandi abbastanza da abbattere una navetta militare in volo. Resteremo qui controllando le comunicazioni, la produzione del cibo e la centrale d'energia, fino al ritorno del barone. «Quando ne avremo inceneriti un po' — continuò distrattamente, quasi stesse parlando di sradicare le erbacce — il gioco potrebbe perdere molto interesse per quegli indigeni. Se così non fosse, ci penseranno le navette a farlo finire in fretta. — Si voltò a guardare Meevo. — Inoltre, di' a Chargis di formare due gruppi di tiratori scelti. Possono usare i due grossi veicoli da superficie per tenere i nostri amichevoli operai imbottigliati là dentro. Facciano attenzione quando sparano, però. Non voglio che venga danneggiato qualcosa all'interno delle installazioni della miniera, a meno che sia assolutamente necessario. Quelle attrezzature sono assai costose. A parte ciò, possono esercitarsi al tiro al bersaglio su qualunque indigeno che compare loro davanti». E infine concluse, con un borbottio: — Ma assolutamente non devono uccidere il giovane umano o la thranx. Quelli li voglio entrambi intatti e in buona salute. — Scosse la testa disgustata, mentre l'ingegnere si allontanava per trasmettere i suoi ordini. — Maledetto guaio. Dovremo importare e addestrare tutta una nuova squadra di lavoratori manuali... All'inizio tutto era andato liscio e secondo i piani, pensò Flinx, furioso. Poi lui aveva dovuto assistere impotente mentre mesi di piani e d'istruzioni accurate venivano buttati al vento, sommersi dall'incontrollabile piacere che gli ujurriani avevano provato nell'irrompere nell'armeria per impadronirsi di tutti quei giocattoli che disintegravano le cose. Neppure Ciuffo era
riuscito a calmarli. — Si stanno divertendo, Flinx — gli spiegò Sylzenzuzex, cercando di placarlo. — Puoi forse biasimarli? Questo gioco è molto più eccitante di qualunque altro che abbiano giocato prima. — Mi chiedo se la penseranno ancora così quando alcune delle loro luci verranno spente — borbottò Flinx, rabbioso. — Penseranno ancora che il mio gioco è divertente quando avranno visto alcuni dei loro amici giacere al suolo con le interiora bruciate dai lanciaraggi di Rudenuaman? — Si allontanò, incapace di continuare ancora a parlare, soffocato dalla rabbia verso se stesso e gli ujurriani. — Volevo prendere possesso della miniera in silenzio, di sorpresa, senza uccidere nessuno — bofonchiò ancora. — Con tutto il baccano che hanno fatto irrompendo nell'armeria, sono certo che la gente qui intorno ha sentito e si è precipitata a dare l'allarme. Se è furba, e indubbiamente lo è, adesso Rudenuaman avrà schierato le sue forze nei punti-chiave, sul chi vive notte e giorno, e starà aspettando che siamo noi ad andare da lei, per farci a pezzi. Percepì la presenza di Ciuffo, lì vicino, e si voltò a fissare quei grandi occhi. — Temo che adesso i tuoi debbano uccidere. La gigantesca creatura pelosa lo fissò a sua volta, imperturbabile. — Sì, amico-Flinx. È un gioco serio quello che adesso stiamo giocando, questa civiltà. — Sì — mormorò Flinx. — Lo è sempre stato. Io speravo di poter evitare i vecchi errori, ma... La sua voce si spense e lui si sedette sul pavimento, fissando immusonito tra le ginocchia la superficie metallica. Un piccolo muso coriaceo si sfregò contro il suo volto: Pip. Ciò che non si aspettava fu la delicata pressione sotto la nuca, là dove si sarebbe trovato il suo secondo torace se lui fosse stato un thranx. Girò la testa e alzò lo sguardo, e vide degli occhi sfaccettati che fissavano i suoi. — Adesso devi per forza fare il meglio che puoi — mormorò sommessamente Sylzenzuzex. La veramano continuò ad accarezzargli delicatamente la schiena. — Tu hai dato inizio a questa cosa. E se non darai tutto te stesso per portarla a compimento, ci penserà quella diabolica femmina là sotto. Queste parole lo fecero sentire un po' meglio... ma soltanto un po'. Un fragoroso crac!, come il lacerarsi di lastre metalliche, risuonò nell'a-
ria. Flinx balzò in piedi precipitandosi di corsa verso l'origine del fracasso, che quasi subito si ripeté. Un pannello trasparente si stendeva lungo tutta la fiancata del corridoio, e loro furono in grado di guardar fuori lungo il pendio che scendeva oltre il grande edificio. Per un'ampiezza di una ventina di metri il terreno era privo di vegetazione, che era stata sradicata tutt'intorno al complesso per motivi di sicurezza. Dove la vegetazione riprendeva a crescere distinsero i due grossi veicoli da superficie, gli stessi che erano venuti loro incontro quando erano arrivati sul pianeta, un gran numero di settimane prima. Tutti e due i veicoli ostentavano un cannone-laser sulla parte frontale. Tre chiazze nerastre dal profilo ovoidale si erano disegnate sul tratto di terreno scoperto: i segni di altrettante vampate distruttive che avevano carbonizzato qualche arbusto superstite e vetrificato le rocce silicee. Da qualche punto imprecisato, all'imboccatura di uno dei pozzi della miniera, balenò la scia azzurrastra di una pistola lanciaraggi, che colpì la parte anteriore di uno dei due veicoli. Ma lo schermo della macchina assorbì e disperse senza difficoltà la ridotta scarica di energia. Inaspettatamente i due veicoli fecero dietrofront e tornarono rapidamente verso l'installazione principale. Il loro ronzio penetrò, sia pure soffocato, nel corridoio dal quale Flinx e gli altri guardavano in silenzio, mentre le due macchine, sospese su uno spesso cuscino d'aria ad alcune decine di centimetri dal suolo, curvarono e si arrestarono appena fuori portata dai lanciaraggi: Un attimo più tardi, la ben nota mole di Azzurrosplendente sbucò fuori di corsa da una curva del corridoio e si precipitò, agitandosi tutta, verso il giovane umano e i suoi compagni. Si arrestò davanti a loro e annunciò, tra ansimi e sussulti simili a quelli di una macchina a vapore: — Hanno ucciso A, Bi e Ci. — E sgranò ancora di più gli enormi occhi. — Ma com'è accaduto? — chiese Flinx, costringendosi alla calma. — Ho detto a tutti che non avrebbero sparato dentro le installazioni. Non rischieranno mai di danneggiare le loro attrezzature, perché non credono ancora che noi rappresentiamo per loro una seria minaccia. Fu Ciuffo a fornire la spiegazione, poiché gli erano bastati pochi attimi di rapida e silenziosa conversazione con Azzurrosplendente: — A, Bi e Ci sono usciti fuori dalle caverne di acciaio. — Ma perché? — chiese Flinx, quasi mettendosi a piangere. — Pensavano di aver creato una nuova idea — gli spiegò lentamente Ciuffo. Flinx lo fissò senza capire, e il gigante peloso continuò: — Durante
questi molti giorni trascorsi tu ci avevi detto e ripetuto che questo gioco che chiami civiltà avrebbe dovuto essere giocato secondo il senso comune, la logica, la ragione. Azzurrosplendente mi dice che A, Bi e Ci avevano deciso tra loro che, se era così, le menti fredde (e anche gli altri) avrebbero capito che la logica e la ragione imponevano loro di collaborare con noi, perché noi gli abbiamo portato via la miniera. «Sono usciti tutti e tre senz'armi per parlare di logica e ragione alla gente dentro quelle macchine. Ma quelli — (e qui la voce di Ciuffo espresse tutta la sua corrucciata meraviglia per ciò che era accaduto) — non hanno neppure ascoltato A, Bi e Ci. Li hanno uccisi senza neppure ascoltarli. Com'è possibile? — La grossa testa si curvò perplessa verso Flinx. — Le menti fredde e gli altri come te, laggiù, non sono forse anche loro civilizzati? Eppure hanno fatto questo senza neppure parlare. Sono queste, la logica e la ragione di cui ci hai detto tante volte?». Flinx e Sylzenzuzex non avevano ancora visto arrabbiata una di quelle grandi e gioviali creature simili a orsi; ma Ciuffo sembrava sul punto di esserlo, anche se la sua non era vera rabbia. Era sbigottimento, frustrazione. Flinx cercò di spiegargli: — C'è anche gente che non gioca lealmente, Ciuffo. Gente che bara. — Cos'è «barare»? — chiese Ciuffo. Flinx si sforzò di chiarirgli il concetto di «giocare barando». — Capisco — dichiarò Ciuffo, con sussiego, quando Flinx ebbe finito. — Questo è un concetto incredibile. Non avrei mai creduto che fosse possibile. Bisogna dirlo agli altri. Spiega molto del gioco. Si voltò, con Azzurrosplendente, e si allontanò rapido, lasciando Flinx e Sylzenzuzex soli nel corridoio. — Quanto tempo credi che ci vorrà — chiese la giovane thranx, guardando fuori dall'ampia finestra verso gli edifici circostanti, — prima che s'impazientiscano a starsene là fermi e decidano di attaccarci in forze? — Probabilmente fino all'arrivo delle navette. Se non avremo risolto la cosa prima di allora... No, dobbiamo averla risolta prima del ritorno del barone. Noi qui disponiamo soltanto di lanciaraggi a mano, mentre loro dispongono di almeno due cannoni-laser Gimbal terra-aria, montati accanto alla pista di atterraggio, oltre a quelli più piccoli in dotazione ai veicoli di superficie. E forse ne hanno anche altri di cui non sappiamo. Noi non possiamo combattere quel tipo di armamento. Spero che Ciuffo e Azzurrosplendente riescano a far entrare questa verità dentro i crani pelosi delle lo-
ro famiglie. — Flinx aguzzò gli occhi, scrutando l'impassibile panorama all'esterno. — Sono sicuro che i due cannoni più grossi sono puntati contro di noi già in questo preciso momento. Se tentassimo una ritirata in massa ci incenerirebbero tutti, allo stesso modo di A, Bi e Ci. Dovremo... Un urlo si levò, agghiacciante, nelle lontananze di qualche corridoio interno, salendo fino ai più acuti vertici del terrore e spegnendosi all'improvviso. Era innegabilmente umano. Il secondo urlo non era umano: proveniva da un AAnn. Poi giunsero altre urla frammischiate, di entrambi i tipi. Pip prese a svolazzare nervosamente intorno alla testa di Flinx, il quale all'improvviso si trovò avvolto da un gelido sudore. — Cosa sta succedendo, adesso? — mormorò fra sé mentre insieme a Sylzenzuzex si dirigeva a rapidi passi verso il punto da cui continuavano a provenire, a intervalli irregolari, altre urla angosciate subito spente. Ne udirono non meno di una ventina prima d'imbattersi in Azzurrosplendente e Nenia. — Cos'è accaduto? — chiese freneticamente Flinx. — Cos'erano, quelle urla? — Luci... — cominciò Nenia. — ... che si spengono — completò Azzurrosplendente. Flinx li fissò, tremando. C'era del sangue sulla bocca di Nenia, atteggiata nel cordiale sorriso di tutti i giorni. Il muso di entrambi ne era abbondantemente macchiato. C'erano stati, qua e là, dei piccoli gruppi di operai e di guardie che non erano riusciti a scappare quando la miniera era stata invasa. — Avete ucciso i prigionieri — riuscì a stento a balbettare Flinx. — Oh, sì — ammise Nenia, con una raccapricciante allegria. — Per un po' non siamo stati sicuri su quello che dovevamo fare; ma Ciuffo ci ha spiegato tutto, a noi e alla famiglia. Le menti fredde e l'altra gente là sotto — (fece un gesto in direzione della base principale) — barano. Ora crediamo di sapere cosa vuol dire barare. Significa non giocare secondo le regole: giusto? — Sì, ma queste non sono le mie regole — disse Flinx, stordito, con voce appena udibile. — Non sono le mie... — Ma vanno bene per noi — ribatté Azzurrosplendente. — Noi comprendiamo queste regole, non le tue. Le tue non sono buone regole, amicoFlinx. Le menti fredde hanno creato nuove regole, che vanno benissimo anche per noi. Noi giochiamo bene nel modo delle menti fredde. Gli ujurriani si allontanarono dondolando lungo il corridoio.
Flinx cadde sulle ginocchia, afflosciandosi contro una parete. — Un gioco, tutto è un gioco per loro, sempre. — Alzò vivacemente gli occhi a fissare Sylzenzuzex. — Porca miseria — disse, rabbrividendo, — non volevo che le cose andassero in questo modo. — Sei a cavallo del grizel — commentò Sylzenzuzex, senza animosità. — L'hai risvegliato, e ora devi cavalcarlo. — Tu non capisci — mormorò lui, sconsolato. — Volevo che a Ciuffo, a Nenia, ad Azzurrosplendente, venissero risparmiati tutti i nostri errori. Volevo che diventassero creature davvero grandi, com'era nella loro possibilità, e non... — terminò scoraggiato, — ... una versione più scaltra di noi e niente più. Sylzenzuzex gli si fece più vicina. — Tu tieni ancora il grizel per la coda. Non sei stato ancora del tutto disarcionato. Non sei stato tu a insegnar loro a uccidere: ricorda, cacciavano già la carne. — Soltanto le poche volte che la necessità li spingeva — replicò Flinx. Il suo nervosismo si placò alquanto. — Ma sì, questo potrebbe essere uno di quei rari momenti in cui sono costretti a farlo. Sì, la stagione invernale della caccia, per sopravvivere. Le regole sono state stravolte, ma esistono ancora. Devono soltanto essere definite meglio. — Giusto, Flinx. Devi insegnar loro quando è bene uccidere e quando non è bene. Lui la fissò, perplesso e vagamente a disagio; ma se c'era qualcosa di sottinteso nelle sue parole, non riuscì a percepirlo. — È la sola cosa che ero ben deciso a non fare, mai, sia pure per interposta persona. — Ma questo significa che in qualche modo il problema ti si è posto nella mente. Cosa ti ha fatto pensare che un giorno avresti potuto trovarti in questa situazione? — Qualcosa... che è accaduto non molto tempo fa — rispose lui, enigmatico. — Ora, comunque, ciò mi viene imposto in ogni caso. Eccomi obbligato dagli eventi ad assumere questa posizione che avevo giurato di non accettare mai. — Non so di cosa stai vaneggiando — dichiarò Sylzenzuzex, — ma o cavalchi il grizel o lui ti calpesterà. E lanciò un'occhiata significativa verso l'angolo dietro il quale Nenia e Azzurrosplendente erano scomparsi. — In realtà mi sto chiedendo chi cavalcherà cosa. La risposta giunse alcuni giorni più tardi. Come lui aveva previsto, non c'era stato nessun attacco da sotto, anche se i due veicoli armati di cannoni-
laser ostentavano la loro costante presenza di fronte alle installazioni minerarie, pronti a disintegrare chiunque avesse osato mostrare anche soltanto il naso. Ciuffo venne a svegliare Flinx e Sylzenzuzex nel piccolo ufficio che avevano scelto per dormire. — Abbiamo organizzato la retrotrappola — annunciò loro allegramente. — Adesso cattureremo quei due veicoli di superficie. — Retrotrappola... Aspetta: cosa...? — Flinx lottò per svegliarsi del tutto, sfregandosi energicamente gli occhi ancora pieni di sonno. Gli parve vagamente di ricordare che Ciuffo o Lisciamorbida, o qualcun altro, gli avesse parlato di una retrotrappola, tempo prima, ma non riusciva a far combaciare i vari frammenti. — Non potete fermare uno di quei veicoli con una... — cominciò a protestare; ma già Ciuffo, impaziente, lo sollecitava a seguirlo. — Adesso affrettati, amico-Flinx — insisté, porgendo orecchio a qualcosa fuori portata dall'udito normale. — È già cominciato. Li scortò fino all'ufficio del direttore dello stabilimento, sovrastato da un'ampia cupola che consentiva una perfetta visione del panorama a sud. — Ecco — disse. Flinx vide tre massicce figure ricoperte di pelliccia che correvano completamente allo scoperto sul terreno brullo, risalendo il pendio verso il punto dove si apriva, lontano e molto più in alto, il pozzo principale della miniera. Ancora molto indietro, Flinx distinse le sagome dei due veicoli di superficie che li stavano inseguendo. — Cosa stanno facendo, là fuori? — urlò, schiacciandosi contro la spessa parete trasparente di polyplexlega. Poi si girò di scatto a fissare Ciuffo, con sguardo desolato e impotente. — Ti avevo detto che nessuno doveva uscire dagli edifici. Ciuffo non si mostrò minimamente turbato. — Fa parte del nuovo gioco. Guarda. Incapace di far altro, Flinx riportò l'attenzione sull'imminente massacro. Correndo a tremenda velocità, i tre giganti impellicciati sfiorarono l'edificio proprio sotto il punto in cui si trovava Flinx. Per quanto rapidi fossero, non potevano correre più veloci dei veicoli. Prima una e poi una seconda raffica schizzarono dalle bocche dei cannoni-laser. Una colpì il terreno appena alle spalle di quello dei tre giganti che era rimasto più indietro, facendolo schizzare in avanti con rinnovata energia. L'altra colpì il terreno fra i due che correvano più avanti, trasformandolo in un ribollire di rocce
fuse. Flinx vide che i tre corridori non sarebbero mai riusciti a raggiungere un qualunque riparo. All'improvviso i due veicoli sembrarono raddoppiare di velocità. Quando avessero sparato di nuovo, sarebbero stati così vicini ai fuggitivi che non avrebbero potuto mancare il colpo. Flinx ebbe la vivida immagine mentale di altri tre sconfortanti mucchietti di cenere: quanto sarebbe rimasto entro pochi istanti di quei tre giocosi giganti pieni di vita... Ah, perché aveva voluto interferire nella loro innocente esistenza, trasformandoli nei più ingenui fra i combattenti? Ma in quel preciso istante il suolo parve disintegrarsi e svanire sotto i due veicoli inseguitori. Ci furono uno schianto violento e il lacerante gemito di protesta dei motori in folle quando i due veicoli, incapaci di adeguarsi all'inaspettato sprofondamento del terreno, s'infilarono in un'enorme buca comparsa all'improvviso, scavalcandola con un balzo e andando a schiantarsi contro il fondo, sul lato opposto, dove restarono conficcati. Flinx e Sylzenzuzex fissarono a bocca aperta l'enorme squarcio che si era inaspettatamente aperto nel terreno. — Retrotrappola — citò Ciuffo, in tono soddisfatto. — Mi sono ricordato di quanto ci hai detto sul funzionamento di quelle macchine, amicoFlinx. Umani e AAnn malconci — le mascherature chirurgiche di questi ultimi adesso tutte di traverso — stavano lottando per riprendere il controllo di sé, dentro le carcasse delle due macchine. Una torma di colossi pelosi stava sgorgando dagli edifici della miniera verso la grande buca. Flinx riuscì a distinguere i tre sottili argini di terra battuta, alti e robusti, che attraversavano la cavità: avevano formato i sentieri sicuri e abilmente dissimulati che i tre corridori-civetta avevano percorso superando indenni la trappola. Argini comunque troppo stretti per fornire un adeguato sostegno ai massicci veicoli di superficie, quella superficie ingannevolmente compatta che era stata spazzata via dai getti d'aria dei veicoli appena vi erano capitati sopra. Centinaia di sottili spuntoni di legno sporgevano ora verso l'interno dai bordi della buca: fino a qualche istante prima avevano sostenuto la fitta copertura di ramoscelli, foglie e terriccio che aveva formato il tetto della grande cavità dando l'impressione di terreno compatto. Nuove urla echeggiarono e l'azzurrastro balenare dei lanciaraggi illuminò vividamente la buca quando i giganti pelosi vi si rovesciarono dentro.
Flinx vide un colosso adolescente del peso di almeno trecento chili agguantare un AAnn che si divincolava disperatamente e strappargli via la testa come il tappo di una bottiglia. Nauseato, distolse lo sguardo da quella carneficina. — Perché l'amico-Flinx è turbato? — volle sapere Ciuffo. — Adesso giochiamo secondo le loro regole. È leale, non è vero? — Cavalca il grizel — l'ammonì Sylzenzuzex in alto thranx. Standogli bene in. groppa e non aggrappato alla coda, risuonò un'eco dentro di lui. Si costrinse a tornare indietro e a guardare la fine della breve lotta. Appena fu chiaro alla gente di Rudenuaman, più in basso, ciò che era accaduto, un raggio rosso, dello spessore di un corpo umano, schizzò verso l'alto da una piccola torre situata all'estremità più lontana della base. Il raggio rosso ruotò attraverso la foresta, recidendo gli alberi come una falce gigantesca e lasciando dietro di sé una scia di ceppi fumanti, finché colpì il fianco della montagna a sinistra della grande buca. Una vampa di luce intensissima fu seguita da una sorda esplosione. — Fa' rientrare tutti, subito! — urlò Flinx a Ciuffo. Ma non fu necessario lanciare ordini. Conclusa la loro opera, i colossi pelosi stavano già uscendo dalla buca e correvano giocosamente su quattro zampe, schivando agilmente gli ostacoli, dentro la miniera. La sommità della torre ruotò ancora, e a Flinx parve, con un brivido, che ora fosse puntata direttamente contro di lui. Ma gli parve anche di scorgere un confuso movimento di persone, e sembrò che infine prevalessero le teste più calme. Il complesso minerario con tutte le sue costose attrezzature era ancora un bersaglio proibito per qualunque arma distruttiva. Rudenuaman non aveva ancora sufficienti motivi per crivellare il fianco della montagna e trasformare l'intero complesso estrattivo e di lavorazione in una copia cento volte più grande del cratere che ancora ribolliva fumante dove il massiccio laser della torretta aveva colpito con tutta la sua potenza. Per quanto Rudenuaman potesse crucciarsi per la perdita dei due veicoli di superficie e dei rispettivi equipaggi, non era ancora sconvolta a tal punto. Così, nessun nuovo raggio vendicatore sciabolò l'aria e distrusse quell'edificio. I rozzi e semplici indigeni avrebbero potuto assaporare la loro inutile vittoria. Non c'era dubbio, pensò ironicamente Flinx, che in quel momento Rudenuaman stava certamente attribuendo a lui quella brillante azione, ben lungi dall'immaginare che quelle enormi e ottuse bestie da soma avevano
concepito e portato a termine quel piano tutte da sole. — Mi chiedo — disse a Sylzenzuzex, mentre consumavano un pasto a base di noci, bacche e cibo confezionato trovato in un deposito, — se valga la pena di continuare, qui. In realtà io non ho mai avuto il controllo della situazione. Forse... forse sarebbe meglio tornare di corsa alle caverne. Posso ancora... possiamo ancora... insegnare, e ci rimane ancora molto da vivere. — Tu l'hai, il controllo — replicò Sylzenzuzex battendo con una veramano sul tavolo, in un bizzarro ticchettio. — Gli ujurriani non ti hanno affatto messo da parte. Ma fa' pure. Di' a tutti — (e fece un ampio gesto con la veramano) — che devono ritornare alle caverne e riprendere il gioco di prima. Diglielo. Ma non per questo scorderanno quello che hanno imparato. Non lo dimenticheranno mai. — O'Morion soltanto sa quanto hanno imparato da questa miniera — borbottò Flinx, masticando rabbiosamente. — Torneranno a scavare quel loro schema di caverne, ma conserveranno questa conoscenza — proseguì Sylzenzuzex. — Le regole del gioco stabilite dai macellai di Rudenuaman rimarranno sempre nelle loro teste. Se dovessero mostrare una certa iniziativa dopo che noi saremo partiti... — Fece l'equivalente thranx di una scrollata di spalle. — Non darti colpa per quello che è successo. Gli ujurriani non sono angeli. — Una sibilante risata thranx l'azzitti per qualche istante. — Non puoi fargli allo stesso tempo da dio e da diavolo. Non sei stato tu a insegnar loro a uccidere. Adesso puoi soltanto stare attento a non insegnargli a goderne. «Lamentarti e avvilirti per i tuoi errori non servirà né a te né a loro. Ti sei cacciato le veregambe nell'orifizio masticatorio. Puoi tirarle fuori oppure soffocarti, ma non puoi ignorarle». E mandò giù un'intera manciata di grosse bacche rosso-arancio. — Non ci piace, uccidere — tuonò una voce. Entrambi sobbalzarono. Gli ujurriani si muovevano con una silenziosità sorprendente in creature così massicce. Ciuffo era comparso sulle quattro zampe, riempiendo completamente il vano della porta. — Perché non vi piace? — domandò Sylzenzuzex. — Perché non dovremmo preoccuparcene? — Non è divertimento — spiegò concisamente Ciuffo, respingendo l'idea come qualcosa di troppo assurdo perché valesse anche soltanto la pena di discuterne. — Uccidiamo la carne quando è necessario. A meno che — (e quegli occhi grandi come fari risplendettero in direzioàe del ragazzo dai
capelli rossi) — Flinx dica altrimenti. Flinx scosse lentamente la testa. — No, mai. — Pensavo appunto che avresti detto così. È tempo di finire questa parte del gioco. — Ciuffo fece un gesto con una zampa. — Venite anche voi? — Non so cos'abbiate progettato, questa volta... ma veniamo anche noi. — Divertimento! — tuonò il gigante ujurriano, pregustando qualcosa che avrebbe divertito tutti eccettuata forse la parte avversaria. — Voglio che nessuno degli edifici qui sia danneggiato, se è possibile evitarlo — disse Flinx al colosso peloso, mentre questo li guidava lungo corridoi e rampe di scale. — Sono pieni di sapere: regole di giochi. Manuali di meccanica, e certamente una completa biblioteca geologica. Se dovessimo restare insabbiati su questo pianeta per tutto il resto della nostra vita, Ciuffo, avrò bisogno di ogni briciola di quel sapere per insegnarti le cose nel modo migliore. — D'accordo — grugnì Ciuffo. — Fa parte del gioco, non danneggiare l'interno degli edifici. Lo diremo alla famiglia. Non preoccuparti. — Non preoccuparti — gli fece eco ironicamente Flinx, pensando alla gente armata fino ai denti che si preparava ad affrontarli alla base della montagna. Pensando anche ai cannoni-laser, capaci perfino di colpire bersagli nello spazio circostante il pianeta, montati sui loro snodi nella piccola torre. Ciuffo li condusse sempre più in basso, attraverso numerosi piani del complesso, fino ai magazzini che occupavano un'intera distesa di sotterranei. Superarono un gran numero di corridoi e di stanze affollati dai giocosi ujurriani che sonnecchiavano in paziente attesa. Giunsero infine a destinazione: Nenia li stava aspettando, insieme ad Azzurrosplendente e a Lisciamorbida e a qualcosa di guizzante, appena intravisto, che avrebbe potuto essere Forsecosí oppure un'illusione creata dalla debole illuminazione sopra le loro teste. Invece di trovarsi costretti ad arrestarsi davanti a una solida barriera di ferrocemento, videro spalancarsi davanti a loro tre enormi gallerie che si perdevano in una totale oscurità. La luce della stanza in cui si trovavano penetrava a stento in quei tre immensi condotti lievemente inclinati verso il basso, ma a Flinx parve d'individuare più oltre delle ramificazioni che si dipartivano dalle gallerie principali. — Sorpreso, no? — chiese Ciuffo, in tono speranzoso. — Sì — fu tutto quello che lo sconcertato Flinx riuscì a rispondere. — Ogni galleria arriva sotto molte caverne metalliche, in luoghi tran-
quilli dove non ci sono menti fredde — aggiunse Ciuffo. — Siete in grado di dire quali sono i punti non sorvegliati? — mormorò con stupore Sylzenzuzex. — Possiamo percepirlo — spiegò Nenia. — È facile. — È una buona idea, amico-Flinx, non è vero? — disse Ciuffo, tutto preoccupato. — È una parte del gioco oppure proviamo qualcos'altro? — No, è proprio una parte del gioco — finì con l'ammettere Flinx. Si voltò a guardare l'interminabile distesa di quegli animali impellicciati dai grandi occhi, dietro di lui. — Ora ascoltatemi attentamente. Un intenso fremito attraversò tutti quei corpi ammassati. — Quelli che faranno irruzione nella centrale energetica dovranno spegnere tutto. Spingete ogni più piccolo interruttore o manovella fino allo... — Sappiamo cosa vuol dire spegnere — l'interruppe fiducioso Azzurrosplendente. — Probabilmente dovrei lasciarvi fare da soli: ve la siete cavata benissimo senza il mio aiuto — borbottò Flinx. — Comunque, questo è importante: facendo così oscurerete tutto salvo la torre che contiene i due grossi cannoni. Quelli disporranno senz'altro di una fonte indipendente d'energia, così come l'hangar delle navette sotto la pista di atterraggio. Quelli di voi che entreranno nella torre dei cannoni dovranno... — Mi dispiace, amico-Flinx — l'interruppe Ciuffo, tutto afflitto. — Non possiamo. — Perché no? — Il pavimento della torre non è così — gli spiegò il colosso peloso, gli occhi che luccicavano riflettendo le luci del soffitto. Indicò il ferrocemento sfondato tutt'intorno a loro. — È di metallo massiccio. Non possiamo attraversarlo scavando. Il morale di Flinx precipitò. — Allora dovremo sospendere questo attacco finché saremo riusciti a escogitare qualcosa per eliminare quella torre. Con quei cannoni possono distruggerci tutti, anche se per farlo dovranno fondere l'intera installazione. Se Rudenuaman dovesse rifugiarsi nella torre, potete star sicuri che non esiterà a dare l'ordine. Ridotta a quel punto, non avrà più niente da perdere. — Non intendevo preoccuparti, amico-Flinx — volle confortarlo Ciuffo. — Niente di cui preoccuparti — aggiunse Nenia. — Abbiamo qualcos'altro, per prenderci cura della torre — gli spiegò Ciuffo. — Ma voi... — Flinx s'interruppe, poi proseguì più lentamente: — No,
se dite di averlo, allora dovete averlo. — E quei tre che si sono fatti uccidere? — mormorò Sylzenzuzex. — Anche loro credevano di avere qualcosa. Questa volta sono in gioco molte più vite. Flinx scosse la testa. — A, Bi e Ci giocavano secondo regole diverse, Syl. È tempo che affidiamo la nostra vita a costoro. Hanno rischiato la loro fin troppe volte, basandosi su quello che noi gli dicevamo. Ma adesso... Si rivolse a Ciuffo. — C'è una cosa che devo fare a tutti i costi, anche se poi questo tentativo dovesse fallire e noi finissimo tutti ammazzati. Voglio uscir fuori dal pavimento della grande casa di abitazione, Ciuffo. Là dentro c'è una cosa che ho bisogno di usare. — Dentro qui — gli disse Ciuffo, indicando la galleria più a sinistra. — Sei pronto? Flinx annuì. Il gigantesco ujurriano si voltò e urlò le istruzioni mentali, che concluse con un comando imperioso. In risposta ci fu un rombo sommesso e minaccioso, un rumore da far rizzare i capelli, quando decine, centinaia di enormi forme si mossero in lunghe file che giungevano fino ai più remoti recessi della miniera. Poi s'incamminarono giù per le gallerie. Flinx e Sylzenzuzex si tennero vicini a Ciuffo, ognuno con una mano stretta alla sua pelliccia. La vista notturna di Sylzenzuzex era molto migliore di quella di Flinx, ma la galleria era troppo buia anche per i suoi sensi acuti. Se le attività sotterranee degli ujurriani erano state scoperte, rifletté Flinx, forse nessuno di loro sarebbe mai più riemerso alla luce del sole. Sarebbe stato facile intrappolarli e ucciderli là sotto col minimo sforzo. — Una domanda — disse Sylzenzuzex. La mente di Flinx era altrove, quando rispose: — Quale? — Come hanno fatto a scavare queste gallerie? Qui il sottosuolo è tutta roccia, e le gallerie sembrano molto estese. — Scavano gallerie da quattordicimila anni, Syl. — Flinx scoprì che si stava muovendo con fiducia sempre maggiore poiché niente compariva sopra di loro per seminare la morte. — Immagino che siano diventati molto bravi... Teleen auz Rudenuaman ansimava disperatamente, quasi soffocando, mentre attraversava zoppicando il pavimento. Il frastuono di accaniti combattimenti risuonava fuori e sotto di lei. Un'enorme forma bruna comparve in fondo alla scala che lei aveva ap-
pena salito. Voltandosi, lei sparò col lanciaraggi. La forma scomparve, ma lei non fu in grado di dire se l'aveva colpita oppure no. Si stava riposando nel suo alloggio quando l'attacco era stato sferrato, non dalla miniera ma addirittura da sotto i suoi piedi. Centinaia di mostri infuriati erano sgorgati tutti insieme dalle fondamenta di ogni edificio, tranne la torre dei cannoni. Lei aveva avuto appena il tempo di dare l'ordine che quelle potenti armi ruotassero, facendo piovere i distruttivi raggi laser su tutti gli edifici fuorché quello dove lei si trovava... e la torre e i cannoni erano stati distrutti. Uno strano raggio, non più spesso del suo pollice ma follemente ricco di energia, aveva scavalcato lo spazio fra la lontana miniera e la base della torre. Dove aveva colpito, ora c'era soltanto una profonda cicatrice che solcava il suolo. La disintegrazione era stata così rapida che lei non aveva visto né udito nessuna esplosione. Un istante prima la torre era lì, tre piani possentemente corazzati che ospitavano i grossi cannoni, e un istante dopo lei aveva udito un intenso sibilo, come quando dell'acqua viene versata sulle braci ardenti. Si era girata di scatto, e la torre era scomparsa. Ora non aveva più nessun posto dove fuggire, non le era rimasto nulla per poter iniziare delle trattative. La sua gente veniva dovunque soverchiata — umani, thranx, AAnn, tutti allo stesso modo — da quell'incontenibile valanga bruna. Lei aveva cercato di raggiungere l'hangar sotterraneo delle navette con la speranza di potervi restare nascosta fino al ritorno del barone, ma i piani inferiori dell'edificio in cui ora si trovava erano invasi anche loro dalle orde dei colossi dai grandi occhi da lemure, come pure il terreno tutt'intorno. Non aveva senso! C'erano stati tuttalpiú una cinquantina di quegli esseri dai torpidi movimenti che stazionavano nelle immediate vicinanze della miniera, e alcune accurate esplorazioni ne avevano rivelato un centinaio che vivevano più lontano, in caverne. E adesso invece erano migliaia, di tutte le dimensioni, e travolgevano le installazioni e anche i suoi pensieri. Gli schianti dei mobili e delle finestre di vetrolega che andavano in frantumi echeggiavano dovunque sotto di lei. Non c'era modo di uscire. Lei poteva soltanto ritirarsi sempre più in alto. Zoppicando raggiunse un'altra rampa di scale e cominciò a salirla, diretta alle sue stanze, all'ultimo piano. Le sorti della battaglia erano state irremissibilmente segnate dall'istante in cui la torre e i cannoni erano stati eliminati. Meevo l'aveva confermato, annunciandole che la centrale energeti-
ca era stata catturata. Erano state le ultime parole che lei aveva udito dall'ingegnere-capo. Subito dopo, ogni erogazione d'energia era cessata: perciò si erano bloccati la centrale delle comunicazioni e gli ascensori. Era tremendamente faticoso, per lei, salire tutte quelle scale con la gamba malata. Le sue vesti erano lacerate, il trucco sapiente che le mascherava le cicatrici del volto si era in buona parte disfatto. Ma lei avrebbe affrontato la morte nel suo alloggio, senza lasciarsi prendere dal panico fino alla fine, affrontando il nemico a faccia aperta, mostrando di che tempra era fatta Rudenuaman. Giunta in cima alla rampa, rallentò il passo fin quasi a fermarsi. Le sue stanze erano all'altra estremità del corridoio, ma una luce brillava oltre la porta più vicina alla scala. Muovendosi cautamente, si appoggiò alla porta dalla serratura scardinata, allargò lo spiraglio e guardò dentro. La luce era quella che poteva irradiare la spia luminosa di un apparecchio in funzione. C'erano molti apparecchi muniti di batterie d'emergenza, alla base: ma cosa poteva fare qualcuno, lì e adesso, mentre avrebbe dovuto trovarsi ai piani inferiori con un lanciaraggi spianato? Impugnando strettamente il proprio lanciaraggi, lei entrò in punta di piedi nella stanza. Da tempo in quella stanza non abitava più nessuno. La luce proveniva dall'angolo più lontano: era generata da un visore portatile. Una sottile figura vi era curva sopra, dimentica di ogni altra cosa. Lei attese, e dopo un po' la figura si risollevò con un sospiro, protendendo una mano per spegnere il visore. Collera e sconforto si alternarono nei pensieri di lei, per essere sostituiti alla fine da una gelida e tranquilla rassegnazione. — Avrei dovuto indovinarlo — mormorò. La figura trasalì per la sorpresa e si girò di scatto. — Perché non sei morto, come decentemente dovresti essere? Flinx esitò; poi rispose, senza la più piccola ombra di sospiro: — Non ero destinato a essere parte del gioco. — Mi stai prendendo in giro, perfino adesso. Avrei dovuto ucciderti nello stesso momento in cui ho fatto scannare Challis. Ma no — concluse lei in tono amaro, — invece dovevo tenerti d'attorno per divertirmi. — Sei sicura che sia soltanto questa la ragione? — chiese lui, con tanta dolcezza che per un attimo lei non seppe cosa dire. — Stai continuando con i tuoi giochi di parole? — esclamò infine. Sollevò il lanciaraggi. — Mi dispiace soltanto di non avere il tempo di ucci-
derti lentamente. Non mi hai lasciato questo piacere. — Scrollò stancamente le spalle. — È il prezzo che si paga per gli errori, come direbbe mia zia. I vermi divorino il suo spirito! Sono curiosa, tuttavia: come sei riuscito ad addomesticare e addestrare quelle creature? Flinx le rivolse uno sguardo pieno di pietà. — Non capisci ancora nulla, vero? — Capisco soltanto — rispose lei, stringendo il dito sul grilletto del lanciaraggi, — che sto facendo questo molti mesi troppo tardi. — Aspetta! — urlò lui, con voce implorante. — Se mi darai un min... Il dito fremette convulso. Nell'identico istante qualcuno irrorò di fuoco liquido gli occhi di Teleen. Lei urlò; il raggio sparato dall'arma passò qualche centimetro a destra di Flinx e distrusse il visore lì vicino. — Non sfregarti! — Gridando, Flinx aggirò di corsa la sedia sulla quale si era trovato fino a un istante prima. Ma era troppo tardi. Al primo contatto, lei aveva lasciato cadere il lanciaraggi e aveva cominciato a sfregarsi istintivamente gli occhi, a causa del tremendo dolore. Era piombata a terra e si stava rotolando su se stessa. Quando lui, superata d'un balzo la distanza che li divideva, la raggiunse, era priva di sensi e rigida. Trenta secondi più tardi era morta. — Questo perché non ti sei mai presa la briga di ascoltare gli altri — mormorò Flinx, inginocchiandosi intorpidito accanto al tragico corpo piegato in due. Facendo guizzare nervosamente la lingua dentro e fuori, Pip si appollaiò delicatamente sulla sua spalla. Fremeva ancora di collera. — Hai vissuto la tua vita troppo in fretta. E anche la mia, in verità, è sempre stata troppo... Qualcosa si mosse sulla soglia. Sollevando lo sguardo, Flinx vide Sylzenzuzex tutta affannata, che faceva riposare la manopiede ferita sostenuta dalle stecche. Una veramano stringeva con fermezza un lanciaraggi dall'impugnatura thranx. — Vedo che l'hai trovata — constatò Sylzenzuzex. Il respiro le usciva in lunghi sibili dalle spicole del torace superiore. — Lisciamorbida mi dice che le ultime sacche di resistenza sono state spazzate via quasi del tutto. — I suoi occhi composti lo fissarono, interrogativi, quando lui chinò di nuovo lo sguardo sul corpo che gli giaceva ai piedi. — Non sono stato io, a trovarla: lei ha trovato me. Ma prima che riuscissi a farmi ascoltare, Pip è intervenuto. Suppongo che sia stato ineluttabile: certo lei mi avrebbe ucciso. — Inaspettatamente Flinx tornò ad alzare gli occhi e sorrise.
— Dovresti vederti, Syl. Sembri regredita ai giorni selvaggi di Hivehom. Un autentico guerriero che abbia appena concluso con successo un'incursione contro le nidiate del favo vicino. Una meravigliosa pubblicità per la compassionevole comprensione della Chiesa. Lei non reagì a quelle espressioni sarcastiche. C'era qualcosa, nella sua voce... — Non è da te, Flinx. — Continuò a scrutarlo mentre lui tornava a girarsi per contemplare il cadavere, cercando di richiamare alla memoria tutto ciò che sapeva sulle emozioni umane. Le sembrava che l'interesse che lui stava dimostrando per quella donna, la quale per vile denaro aveva lavorato volontariamente a fianco a fianco con i nemici giurati del genere humanx, fosse eccessivo. Sylzenzuzex non era all'altezza di suo zio quando si trattava di deduzioni intuitive, ma non era neppure stupida. Dichiarò infine: — Tu sai molto più di quanto hai detto, su questa femmina umana. — Devo averla conosciuta prima di adesso — dichiarò Flinx, con uno strano tono di voce, — anche se non la ricordo affatto. E non è sorprendente, visto l'intervallo di tempo citato dal nastro. — Indicò con un gesto quasi distratto le altre stanze dell'appartamento. — Questo era l'alloggio di Challis. — La sua mano tornò ad abbassarsi per indicare il corpo esanime ai suoi piedi, e per un attimo i suoi occhi s'incupirono e parvero profondi quanto quelli di Nenia. — E questa era mia sorella. Soltanto il pomeriggio seguente, quando gli ujurriani ebbero finito di seppellire convenientemente i numerosi cadaveri, Sylzenzuzex insisté per ascoltare ciò che Flinx aveva scoperto nel nastro registrato. — Ero un orfano, Syl, allevato su Falena da una donna umana chiamata mamma Mastino. Ora l'informazione che ho trovato qui dice che sono nato da una «lynx» professionista il cui nome di famiglia era Rud, ad Allahabad sulla Terra. Inoltre i dati affermano che io ero il secondogenito, anche senza offrire troppi particolari. Tutto questo si trovava sul nastro che Challis ha rubato, il nastro che non avevo ascoltato fino a ieri sera. «Anche mia madre aveva una sorella maggiore. Il marito di mia madre, che secondo il nastro non era mio padre, aveva dato a quella sorella maggiore un posto nella propria ditta commerciale. Poi è morto, in circostanze tuttora inspiegabili, e allora la sorella di mia madre ha preso le redini della ditta ed è riuscita a farne un considerevole impero finanziario. «Sembra che mia madre e sua sorella non fossero le migliori amiche. Alcuni dei particolari di quella che in definitiva è stata la prigionia di mia
madre sono...». Flinx dovette fermarsi un attimo a tirare il fiato. — È facile spiegarsi come una mente putrida come quella di Challis si sentisse attirata da cose di questo genere. Mia madre non è sopravvissuta molto al marito. Sono seguiti un certo numero d'incidenti inspiegabili. Nessuno poteva esserne certo, ma qualcuno ha avanzato l'ipotesi che potessero attribuirsi in qualche modo al nipote maschio. Perciò io... sono stato liquidato. Una vendita piccola e trascurabile, in un complesso commerciale così vasto — concluse rabbiosamente. «La sorella maggiore di mia madre, Rashalleila, si è divertita a tenersi d'attorno la nipote, ancora una ragazzina. Lei aveva assunto come nome di famiglia quello della grande azienda da lei diretta, Nuaman. La nipote, mia sorella, si chiamava Teleen. È divenuta l'immagine vivente di sua zia. Le ha portato via l'azienda e ha fuso insieme i nomi di famiglia di sua madre e di sua zia, traducendo il tutto in simbolingua. Teleen di Rud e Nuaman... Teleen auz Rudenuaman. «Quanto a me... sono stato dimenticato da tutti, e anche se gli investigatori di Challis mi avevano individuato grazie agli "strani poteri" della mia mente, Challis non si è mai preoccupato di collegarli con gli inspiegabili incidenti provocati dal fratello di Teleen scomparso tanti anni prima». Continuarono a camminare in silenzio, costeggiando la lunga crepatura nel terreno dove si era innalzata la torre dei cannoni. Ciuffo, Nenia, Azzurrosplendente e Lisciamorbida li seguivano. Giunsero accanto a una piccola costruzione vicino alla pista di atterraggio. Uno degli ujurriani aveva scoperto che da lì si scendeva in un ampio hangar per navette. L'hangar era fornito di un'attrezzatura completa in grado di compiere qualunque riparazione alle navette e perfino di costruirne una completa, com'era logicamente indispensabile su un mondo isolato come quello. C'erano anche un grande laboratorio e una biblioteca completa su tutti gli aspetti riguardanti il funzionamento e la manutenzione delle navi KK del Commonwealth. Quella, pensò Flinx, sarebbe stata senz'altro la sede della prima università ujurriana che lui intendeva fondare. — Ieri sera non ho avuto il tempo di chiedertelo, Ciuffo — cominciò quando infine si lasciarono alle spalle la lunga cicatrice combusta. — Come ci siete riusciti? — È stato divertente — rispose vivacemente il grosso essere simile a un orso. — È stata soprattutto un'idea di Nenia, e anche di una giovane chiamata Maschera. Mentre gli altri scavavano gallerie, loro due hanno letto molti libri della miniera. E poi hanno eseguito alcuni cambiamenti allo
scavatore di caverne delle menti fredde. — Il martello idraulico — mormorò Sylzenzuzex. — Devono aver modificato il martello idraulico. — Cambia qui, aggiungi là — spiegò Nenia. — È stato divertente. — Mi chiedo se modificato sia la parola adatta per la trasformazione di un utensile innocuo in un tipo di arma completamente nuovo — osservò Flinx. Sollevò lo sguardo verso il cielo. — Forse lasceremo che Nenia e Maschera e i loro amici giochino con la biblioteca e il laboratorio là sotto. Ma prima ci sono delle altre modifiche che bisogna eseguire in fretta... Il grosso mercantile uscì dalla propulsione KK subito all'interno dell'orbita del secondo satellite di Ulru-Ujurr, dopo una serie di balzi compiuti con i suoi possenti motori. Si stabilizzò su un'orbita più bassa, restando in verticale sull'unica installazione di quel vasto mondo bruno-azzurro. — Eccellenza, non c'è risposta — riferì l'AAnn travestito addetto al comunicatore. — Prova di nuovo — gli ordinò una voce profonda. L'operatore lo fece, ma alla fine sollevò lo sguardo con aria d'impotenza. — Non c'è risposta su nessuna delle frequenze in codice. Ma c'è qualcos'altro... qualcosa di molto strano. — Spiegati — gl'intimò il barone, la mente confusa. — Ci sono indicazioni di trasmissioni subatmosferiche di ogni genere, ma nessuna su una frequenza di quelle che possiamo intercettare. E nessuna è diretta a noi, malgrado le mie ripetute chiamate. Un uomo di nome Josephson, un dirigente di grado assai alto della società Rudenuaman, si avvicinò al barone. — Cos'accade, là sotto? Questo non è certo da madama Rudenuaman. — Non è da molte cose — osservò il barone, cautamente. Rivolse l'attenzione a un altro gruppo di operatori. — Com'è la nuvolosità sopra la base? — Cielo limpido e poco vento, signore — si affrettò a riferire il meteorologo atmosferico. — Un tipico giorno d'autunno ujurriano. Il barone sibilò sommesso: — Signor Josephson, venga con me per favore. — Dove stiamo andando? — volle sapere il dirigente, confuso, mentre già seguiva il barone lungo il corridoio che conduceva all'estremità del ponte di comando. — Ecco. — Il barone attivò un interruttore, e la porta si aprì scorrendo
sulle guide. — Ho bisogno della massima definizione — disse al tecnico di servizio. — Immediatamente, eccellenza — replicò il rettile travestito, affrettandosi a eseguire i necessari aggiustamenti allo schermo che inquadrava la superficie del pianeta. Sedutosi accanto al tecnico, il barone formò personalmente sulla tastiera le coordinate richieste. Poi restò immobile per parecchi minuti, gli occhi fissi al visore. Dopo qualche tempo si scostò, facendo cenno a Josephson di prendere il suo posto. L'umano lo fece, regolando leggermente la messa a fuoco per i suoi occhi. Ebbe un violento sussulto fisico e verbale. — Cosa vede? — chiese il barone. — La base è scomparsa, e al suo posto c'è qualcosa di completamente diverso. — Allora non sono pazzo — commentò il barone. — Cosa vede? — Be', la pista di atterraggio c'è ancora, ma qualcosa di simile a una piccola città si stende dalla sponda del lago fin sulla montagna. Conoscendo la zona, direi che parecchie di quelle strutture, anche se ancora incomplete, sono alte un centinaio di metri. — La voce di Josephson si spense per lo sbalordimento. — E questo cosa le suggerisce? — chiese il barone. Josephson sollevò lo sguardo dallo schermo, scuotendo lentamente la testa. — Suggerisce — sibilò a bocca stretta il barone, — che quelle strutture potrebbero estendersi nelle profondità della montagna. Chi le abbia costruite, e quanto profondamente, non potremo mai saperlo, a meno che scendiamo a vederlo noi stessi. — Non lo consiglierei — tuonò una voce. Josephson cacciò un urlo e cadde giù dal sedile, appiattendosi sulla tastiera. Il tecnico e il barone si girarono di scatto, portando simultaneamente la mano all'arma appesa al fianco. Un'apparizione si ergeva solida al centro della stanza. Era alta almeno tre metri, e si teneva ritta sulle gambe posteriori. Il suo peso faceva quasi sprofondare il pavimento. Giganteschi occhi gialli li fissarono sinistramente. — Non lo consiglierei — ripeté l'apparizione. — Andate a farvi friggere. Il lanciaraggi del barone scattò in avanti... ma all'improvviso non ci fu più nulla cui sparare. — Un'allucinazione — balbettò Josephson, scosso, quando la voce gli ri-
tornò. Il barone non disse nulla e raggiunse il punto dove fino a un attimo prima si trovava quella creatura. Si piegò in un modo che non sarebbe stato possibile a nessun essere umano, cercando qualcosa sul pavimento. — Un'allucinazione molto irsuta — commentò, raccogliendo numerosi peli ruvidi. La sua mente vorticava furiosa. — Lei sa che non sono mai stato fuori dall'edificio principale — disse Josephson. — Cos'era? — Un ujurriano primitivo — gli spiegò il barone, soprappensiero, sfregandosi i finti capelli con le dita coperte dalla falsa pelle. — Di cosa... parlava? Il disgusto suonò fin troppo evidente nella voce del barone. — Ci sono momenti in cui mi chiedo come abbiate fatto, voi umani, a realizzare anche la metà di ciò che... — Oh, senta — replicò Josephson, rabbioso, — non c'è proprio bisogno di diventare offensivo. — No — ammise il barone. Dopotutto si trovava ancora all'interno del territorio del Commonwealth. — Non c'è bisogno di essere offensivi. Mi scuso, signor Josephson. — Si voltarono e uscirono dalla stanza lasciando da solo il tecnico, con gli occhi ancora sgranati per lo stupore. — Dove andremo, adesso? — Faremo ciò che ha detto quella creatura. — Un momento. — Josephson folgorò con un'occhiata l'aristocratico AAnn, che non batté ciglio. — Se madama si trova nei guai, là sotto... — Ssssssssttt... Usi il cervello, sangue-caldo — sbuffò il barone. — Laggiù, dove c'era una piccola base, adesso c'è una città che sta crescendo in fretta. Dove s'irradiava un unico segnale d'intercettazione, ora c'è una moltitudine d'incomprensibili comunicazioni locali. Da uno sparuto gruppo di cavernicoli ci arriva un teleportato che ci consiglia seccamente di non atterrare. Che ci consiglia seccamente (con una delle vostre espressioni gergali, potrei aggiungere) di menare le tolle da qualche altra parte. «Mi sembra ragionevole, considerate tutte queste indubbie prove, che ci adeguiamo in fretta. Io sono un realista, signor Josephson: non agisco lasciandomi trasportare dalle emozioni. È per questo che sarò sempre io quello che dà gli ordini e lei quello che li riceve». Accelerò il passo, superando Josephson e lasciandolo lì nel corridoio, a bocca aperta. Appena il barone l'ordinò, il mercantile si allontanò alla massima velocità dallo spazio circostante a Ujurr. Riposandosi nella sua sontuosa cabina,
il barone rifletté su quanto doveva essere successo durante la sua assenza. Qualcosa di considerevole importanza, certo, con imprevedibili implicazioni per il futuro. Di una cosa, comunque, era sicuro: madama Rudenuaman e l'impresa alla quale avevano collaborato non esistevano più. Ma il perché di questo poteva avere parecchie spiegazioni diverse. Che i nativi fossero qualcosa di più di selvaggi ignoranti, adesso sembrava accertato: ma quanto di più, non poteva dirlo. Un unico genio fra loro poteva essere stato semplicemente addestrato a ripetere quello che dopotutto era un messaggio estremamente breve. E un nuovo congegno particolare poteva aver proiettato il messaggio a bordo del mercantile. La città in piena fioritura là sotto poteva essere opera della Chiesa o del Commonwealth, di un concorrente in affari o di qualche intruso alieno. Quella sezione del braccio galattico era ancora per la maggior parte inesplorata: chiunque avrebbe potuto insediarsi in un mondo isolato, poco o nulla visitato, come Ulru-Ujurr. Quell'impresa, pensò ancora il barone, gli aveva dato comunque un buon profitto, e lui era ancora in possesso di un certo numero di piccole gemme che avrebbe potuto smerciare gradualmente col passare degli anni. La sua posizione alla corte dell'imperatore si era notevolmente e saldamente elevata, anche se adesso il piano messo a punto dagli psicotecnici imperiali, d'impiantare rappresentazioni a impulso suicida dentro i gioielli di Janus per poi venderli a importanti personalità umane e thranx, doveva essere abbandonato. Davvero un peccato, poiché quel piano aveva avuto molto successo. Tuttavia avrebbe potuto andare anche peggio. Qualunque cosa avesse spazzato via l'installazione mineraria e madama Rudenuaman, avrebbe potuto liquidare anche lui se non fosse partito all'inseguimento di quella bambina umana. Davvero un peccato che quell'infernale bambina avesse incrociato per puro caso quella nave di pattuglia umana, costringendolo ad abbandonare ogni speranza di eliminarla. Quanto sapeva, quella maledetta creaturina, di ciò che si stava facendo lì? Comunque, ora non aveva più importanza: raccontasse pure i fatti di Ulru-Ujurr a chiunque fosse abbastanza credulo da ascoltarla. Adesso quel mondo non lo riguardava più. In futuro, dopo l'inevitabile trionfo dell'Impero, lui avrebbe potuto tornare con una flotta imperiale invece di doversene girare così ignobilmente travestito in compagnia di mammiferi e d'insetti. E avrebbe ristabilito il
controllo (no, la sovranità) su quel mondo enigmatico, tenendo per sé tutta la gloria e tutti i profitti che ne sarebbero derivati. Per sé e per la casata dei WW. Se sarà così..., rifletté; poi, più deciso: ma certo, che sarà così! Non udì la voce che echeggiò in risposta dalle profondità di chissà dove. Una voce che ribatté: ... non sarà così! Il giorno spuntò caldo e luminoso. Sylzenzuzex scoprì di potersi aggirare rivestita d'indumenti assai più leggeri. Aveva sviluppato un forte legame di simpatia con quella timida adolescente, Maschera, la quale si era rivelata una splendida guida alla storia e ai rapporti inaspettatamente complessi fra gli ujurriani. Così Sylzenzuzex, nel suo studio, stava letteralmente facendo indigestione degli argomenti a lei più cari. Forse un giorno ciò che stava imparando le avrebbe consentito di scrivere una monografia o addirittura un intero trattato, un'opera importante che avrebbe spinto la Chiesa a riaccoglierla tra le sue file. Anche se il fatto di aver scoperto che la Chiesa era la diretta responsabile della quarantena imposta agli ujurriani continuava a riempirla di dubbi sulla validità dei criteri e dei dogmi in cui lei aveva creduto per tanto tempo, rendendola assai incerta sulla propria effettiva volontà di insistere per esservi nuovamente accolta. Uscì dal suo alloggio con l'intenzione di recarsi da Flinx per raccontargli le rivelazioni del giorno prima. Ma sembrava che lui non fosse da nessuna parte, lì intorno, e neppure si trovava al centro d'insegnamento superiore che aveva organizzato nei sotterranei accanto alla pista d'atterraggio, e in nessuna delle officine che adesso circondavano la vecchia miniera. Infine uno dei grossi individui pelosi l'indirizzò verso l'estremità opposta della valle, lungo la strada che lei e Flinx avevano percorso un giorno per sottrarsi alle grinfie di Rudenuaman. Lì, dopo l'impegnativa scalata di un costone roccioso, lo trovò infine seduto a gambe incrociate su una sporgenza, intento a un muto colloquio con un insetto locale non più grande del suo dito. Una piccola e vistosa creatura smaltata di verde e ocra, con le ali picchiettate di giallo. Pip caprioleggiava tra i cespugli vicini, importunando un sinuoso mammifero grande la metà di lui. Da quel punto si poteva contemplare la vallata in tutta la sua lunghezza, col lago azzurro stretto fra i picchi coronati di neve, e la nuova città in con-
tinuo progresso lungo la sponda meridionale. Quando finalmente Flinx si voltò verso di lei, la sua espressione era così addolorata che lei ne rimase sconvolta. — Che succede? Perché mi guardi in quel modo? — gli chiese. — In che modo ti guardo? Sylzenzuzex scrollò la testa a forma di cuore. Poi, visto che lui non parlava, fece un gesto verso la valle e il lago. — Non so per quale motivo tu debba essere deluso. Sembra che i tuoi protetti abbiano accettato con immenso entusiasmo il tuo gioco della civiltà. Si tratta forse della nave abbordata da Forsecosí? Qualunque cosa lui abbia detto a quella gente, dev'essere stata assai efficace. Non sono più tornati, e nessun'altra nave è comparsa in tutti i mesi passati da quel giorno. Flinx, per tutta risposta, le indicò la sponda settentrionale del lago, dove un'immensa struttura metallica stava prendendo forma. Era lunga quanto il lago stesso. — C'entra forse l'astronave? — No: c'entra il motivo che le sta alla base. Syl, ho conseguito soltanto metà di ciò che mi ero proposto di fare. So che mia madre è morta, ma non so ancora chi era mio padre né cosa gli è successo. — Alzò gli occhi a fissare Sylzenzuzex: occhi duri, decisi. — E voglio saperlo, Syl. Forse è morto anche lui da molto tempo, oppure è vivo ed è un animale umano addirittura peggiore di mia sorella. Ma io voglio saperlo. E lo saprò! — concluse, con improvvisa veemenza. — E tutto questo cosa c'entra con la nave? Lui si dischiuse in un pallido sorriso. — Perché pensi che gli ujurriani mi stiano costruendo una nave? — Non lo so. Per divertimento, per esplorare... perché? — È il loro regalo per me. La piccola sorpresa di Nenia. Sa che voglio trovare mio padre, perciò fanno del loro meglio per aiutarmi a cercarlo. Li ho avvertiti che non potevano costruire una nave a propulsione KK qui sulla superficie del pianeta, che era indispensabile uscire dal campo gravitazionale del pianeta. Sai cos'ha risposto Nenia? «Sistemiamo tutto noi: troppo fastidio farlo nell'altra maniera». «Nenia ha scovato un'ujurriana (la più magra che ho mai visto) la quale pensa soltanto in termini matematici. È così strana (Nenia mi ha detto che il suo nome significa "Integratrice") che riesce quasi a capire Forsecosí. Nenia le ha presentato il problema. E due settimane fa Integratrice ha risol-
to il modo di far atterrare senza danni un'astronave a propulsione KK in un pozzo gravitazionale. Gli scienziati del Commonwealth stanno cercando da più di duecento anni di risolvere questo problema. — Flinx sospirò, poi riprese: — Tutto per aiutarmi a ritrovare mio padre, Syl... Cos'accadrà se gli ujurriani non troveranno di loro gusto il resto del cosmo, la nostra civiltà? Cos'accadrà se decidessero di mettercisi a "giocare"? Cos'abbiamo scatenato?». Lei si sedette sulle veregambe e sulle manipiede e rifletté. Passarono lunghi minuti. Il piccolo insetto incrostato di gemme volò via. — Se non altro — disse infine lei, guardando l'astronave che veniva costruita, — è un modo per ritornare a casa. Tu ti preoccupi troppo. Non credo che la nostra civiltà interesserà molto a queste creature. Sei tu che le interessi. Non ricordi cos'ha detto Forsecosì? Se questo nuovo gioco li annoierà, ritorneranno a quello vecchio. Flinx sembrò riflettere su questi concetti, e lentamente si rischiarò. All'improvviso si alzò in piedi, spazzolandosi via la polvere dalle gambe. — Suppongo che tu abbia ragione, Syl. Davvero, non c'è motivo che io mi preoccupi più di tanto. Una volta che avranno completato la nave, sarà il momento di ritornare a casa. Sento un gran bisogno delle parole aspre e dei rimproveri di mamma Mastino, e di dimenticare per un po' questi miei problemi. — Alzò gli occhi e la fissò con uno strano sguardo. — Mi aiuterai? Sylzenzuzex girò la testa e fissò con i suoi grandi occhi sfaccettati Pip: giusto in quel momento il minidrago ripiegò le ali e si tuffò nella tana, all'inseguimento del mammifero in fuga. Da sotto giunsero rumori di zuffa. — Promette di essere interessante... Da un punto di vista puramente scientifico, beninteso — mormorò lei. — Beninteso — le fece eco Flinx, mantenendo impassibile il volto. Una sottile testa di rettile spuntò fuori dalla tana e una lingua appuntita guizzò rapida nella loro direzione. Pip li fissò, soddisfatto con la sua espressione sogghignante. FINE