Norberto Bobbio
Stato, governo, società Per una teoria generale della politica
Copyright©
1980, 198r, 1978
e, per la presente edizione in volume, copyright©
1985
Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino
Prima edizione nell' E11ciclopedia
Ei11audi
Indice
p.
vn
Premessa
Stato, governo, società I.
5 IO I8 2.
La società civile I.
23 27 3I 35 37 39
2. 3. 4· 5· 6. 3·
2.
3· 4· 5· 6. 7· 8. 4·
Le varie accezioni L'interpretazione marxiana Il sistema hegeliano La tradizione giusnaturalistica Società civile come società civilizzata Il dibattito attuale
Stato, potere e governo r.
43 55 66 77 84 95 1 04 II7
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La grande dicotomia: pubblico/privato r. Una coppia dicotomica 2. Le dicotomie corrispondenti 3. L 'uso assiologico della grande dicotomia 4 · Il secondo significato della dicotomia
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Per lo studio dello stato Il nome e la cosa Lo Stato e il potere Il fondamento del potere Stato e diritto Le forme di governo Le forme di Stato La fine dello Stato
Democrazia e dittatura r.
La democrazia nella teoria delle forme di governo L'uso descrittivo 3· L'uso prescrittivo 4· L'uso storico 2.
VI
INDICE p. 1 4 1 144 147 149 1 50 1 53 1 55 I 59
5. 6. 7. 8. 9. IO. I I.
La democrazia dei moderni Democrazia rappresentativa e democrazia diretta Democrazia politic a e democrazia sociale Democrazia formale e democrazia sostanziale La dittatura degli antichi La dittatura moderna La dittatura rivoluzionaria
Premessa
Elenco delle opere citate
Raccolgo in questo volumetto, senza sostanziali correzio ni, quattro voci scritte per l'Enciclopedia Einaudi, rispetti vamente nei volumi IV ( 1 978), Democrazia/dittatura, XI (1980), Pubblico/privato, XIII ( 1 9 8 1 ) , Società civile e Stato. Sono temi contigui che si richiamano l'uno con l' altro, talo ra, e me ne scuso con il lettore, non senza qualche inevitabi le ripetizione. Il primo e il secondo sono presentati diretta mente sotto forma di antitesi. Il terzo e il quarto rappresen tano, alla loro volta, i termini di un'altra antitesi, non meno cruciale nella storia del pensiero politico: Società civile / Stato. Una delle idee ispiratrici dell'Enciclopedia, l' analisi di al cuni termini-chiave insieme con il loro contrario, mi era par ticolarmente congeniale. Nel 1 974 scrissi un articolo sulla clas sica distinzione fra diritto privato e diritto pubblico e lo in titolai: La grande dicotomia 1• L'antitesi democrazia/dittatu ra riproduce con termini del linguaggio comune la contrap posizione filosofica, da me piu volte riproposta, attraverso Kelsen e risalendo sino a Kant, fra autonomia ed eterono mia. L'antitesi società civile / Stato era già stata da me illu strata storicamente attraverso l'opera di Hegel \ di Marx, di Gramsci', analiticamente sotto il lemma Società civile del Di zionario politico dell'Utet. La trattazione per antitesi offre il vantaggio, nel suo uso descrittivo, di permettere all'uno dei due termini di gettar luce sull'altro, tanto che spesso l'uno (il termine debole) vie ne definito come la negazione dell'altro (il termine forte) , per esempio il privato come ciò che non è pubblico; nel suo uso assiologico, di mettere in evidenza il giudizio di valore positivo o negativo, che secondo gli autori può cadere sul l'uno o sull'altro dei due termini, come è sempre avvenuto
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PREMESSA
nella vecchia disputa se sia preferibile la democrazia o l' au tocrazia; nel suo uso storico, di delineare addirittura una fi losofia della storia, ad esempio il passaggio da un'epoca di primato del diritto privato a un'epoca di primato del diritto pubblico. Dei quattro scritti il piu ampio di gran lunga è quello su Stato, potere e governo, che riproduce la voce Stato. Esso rias sume e compendia in parte gli altri tre . L'ho concepito come un tentativo, non so quanto riuscito, di abbracciare il vastis simo campo dei problemi dello Stato, considerandoli dai due punti di vista giuridico e politico, spesso disgiunti, ovvero lo Stato come ordinamento giuridico e come potere sovra no. Vi ho espresso alcune idee che non avevo mai esposte prima d'ora con eguale compiutezza, specie per quel che ri guarda il potere, le sue varie forme, e i diversi criteri di le gittimazione. Gli altri saggi, invece, sono rielaborazioni di scritti precedenti o contemporanei: La grande dicotomia: pub blico/privato rinvia in parte a Pubblico-privato. Introduzione a un dibattito ( r 98z)\ in parte a Democrazia e potere invisi bile ( r 980 )'; La società civile rinvia, oltre agli scritti citati poc'anzi, al saggio Sulla nozione di società civile (r968) 6; De mocrazia e dittatura è tratto in gran parte dal corso La teoria delle forme di governo nella storia del pensiero politico ( r976) 7• Si tratta di temi sui quali mi sono esercitato spesso in questi ultimi dieci anni: singolarmente considerati, costituiscono frammenti di una teoria generale della politica, ancora da scri vere. NORBERTO BOBBIO
1 Ora in N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del
diritto, Edizioni di Comunità, Milano 1 9842 , pp. 1 45 -63. 2 In Id., Studi hegeliani. Diritto, società civile, Stato, Einaudi, Torino 1 98 1 , pp. 1 47·5 8. 3 Id., Gramsci e la concezione della società civile, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 1 7•43· 4 In «Fenomenologia e società>>, v, n. r8, giugno 1982, pp. r66-77. 5 Ora in Id., Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984, pp. 75 -r oo. 6 In «De homine>>, VII, n. 24-25 , marzo 1 968, pp. 19-36. 7 Giappichelli, Torino 1 976.
Slalo, governo, società
I.
La grande dicotomia: pubblico/privato
I.
Una coppia dicotomica
Attraverso due commentatissimi passi del Corpus iuris [In stitutiones, I, I, 4; Digesto, I, I, I, 2], che definiscono con identiche parole rispettivamente il diritto pubblico e il dirit to privato - il primo « quod ad statum rei romanae spectat », il secondo « quod ad singulorum utilitatem » -, la coppia di termini pubblico/privato ha fatto il suo ingresso nella storia del pensiero politico e sociale dell'Occidente, quindi, attra verso un uso costante e continuo, senza sostanziali mutamenti, ha finito per diventare una di quelle « grandi dicotomie » di cui una o piu discipline, in questo caso non soltanto le disci pline giuridiche ma anche quelle sociali e in genere storiche, si servono per delimitare, rappresentare, ordinare il proprio campo d'indagine, come, per restare nell'ambito delle scien ze sociali, pace/guerra, democrazia/autocrazia, società/comu nità, stato di natura / stato civile. Si può parlare corretta mente di una grande dicotomia quando ci si trova di fronte a una distinzione di cui si può dimostrare l'idoneità: a) a di videre un universo in due sfere, congiuntamente esaustive, nel senso che tutti gli enti di quell'universo vi rientrano, nes suno escluso, e reciprocamente esclusive, nel senso che un ente compreso nella prima non può essere contemporanea mente compreso nella seconda; b) a stabilire una divisione che è insieme totale, in quanto tutti gli enti cui attualmente e potenzialmente la disciplina si riferisce debbono potervi rientrare, e principale, in quanto tende a far convergere ver so di sé altre dicotomie che diventano rispetto ad essa se condarie. Nel linguaggio giuridico la preminenza della distin zione fra diritto privato e diritto pubblico su tutte le altre distinzioni, la costanza dell'uso nelle diverse epoche stori che, la sua forza inclusiva sono state tali da aver indotto un
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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ
filosofo del diritto di indirizzo neokantiano a considerare i due concetti di diritto privato e di diritto pubblico addirit tura come due categorie a priori del pensiero giuridico [Rad bruch 1 93 2 , pp . 1 2 2-27]. I due termini di una dicotomia possono essere definiti uno indipendentemente dall'altro, oppure uno solo di essi viene definito mentre l'altro viene definito negativamente (la 'pace' come 'non-guerra'). In questo secondo caso si dice che il pri mo è il termine forte, il secondo il termine debole. La defi nizione di diritto pubblico e di diritto privato su riportata è un esempio del primo caso, ma dei due termini il piu forte è il primo, in quanto accade spesso che 'privato' venga defi nito come 'non-pubblico' («privatus qui in magistratu non est », Porcellini) , raramente il contrario. Inoltre si può dire che i due termini di una dicotomia si condizionano a vicen da, nel senso che si richiamano continuamente l'uno con l'al tro: nel linguaggio giuridico, la scrittura pubblica rinvia im mediatamente per contrasto alla scrittura privata e vicever sa; nel linguaggio comune, l'interesse pubblico si determina immediatamente in relazione e in contrasto con l'interesse privato e viceversa. Infine, all'interno dello spazio che i due termini delimitano, dal momento che questo spazio viene to talmente occupato (tertium non datur), essi alla loro volta si delimitano a vicenda, nel senso che la sfera del pubblico ar riva fin dove comincia la sfera del privato e viceversa. Per ognuna delle situazioni cui conviene l'uso della dicotomia, le due rispettive sfere possono essere diverse, ciascuna ora piu grande ora piu piccola, o per l'uno o per l' altro dei due termini. Uno dei luoghi comuni del dibattito secolare sul rap porto tra la sfera del pubblico e quella del privato è che, au mentando la sfera del pubblico, diminuisce quella del priva to, aumentando la sfera del privato, diminuisce quella del pub blico: una constatazione che è generalmente accompagnata e complicata da contrapposti giudizi di valore. Quali che siano l'origine della distinzione e il momento della sua nascita, la dicotomia classica fra diritto privato e diritto pubblico riflette la situazione di un gruppo sociale in cui è ormai avvenuta la differenziazione fra ciò che appar tiene al gruppo in quanto tale, alla collettività, e ciò che ap partiene ai singoli membri, o piu in generale fra la società globale ed eventuali gruppi minori (come la famiglia) , oppu-
LA GRANDE DICOTOMIA: PUBBLICO/PRIVATO
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re ancora fra un potere centrale superiore e i pot:eri periferi ci inferiori che rispetto ad esso godono di una re:lativa auto nomia, quando non ne dipendono totalmente. Di fatto alla originaria differenziazione fra il diritto pubblicOil e il privato si accompagna l' affermazione della supremazia d !el primo sul secondo, com'è attestato da uno dei principi k:mdamentali che reggono ogni ordinamento in cui vale la gra:nde divisio ne, il principio secondo cui « ius publicum privatorum pactis mutati non potest » [Digesto, 3 8 , 2 , 1 4] o « ptiVqtorum con vendo iuri publico non derogat » [ibid. , 45, 50, q] . Nono stante il secolare dibattito, provocato dalla vari�tà di criteri in base ai quali è stata giustificata, o si è credQto di poter giustificare, la divisione delle due sfere, il criteri() fondamen tale resta quello dei diversi soggetti cui si può ri ferire la no zione generale di utilitas: accanto alla singuloru'!"m utilitas del la definizione citata, non si dimentichi la celebr:-e definizio ne ciceroniana di res publica, secondo cui essa ìè una « cosa del popolo » quando per 'popolo' s'intenda non Utna qualsiasi aggregazione di uomini ma una società tenuta in.sieme, oltre che da un vincolo giuridico, dalla «utilitatis comlllnione » [De re publica, I, 4 1 , 48]. 2 . Le dicotomie corrispondenti. La rilevanza concettuale e anche classificatori� nonché as siologica della dicotomia pubblico/privato si rivela nel fatto che essa comprende, o in essa convergono, altr e dicotomie tradizionali e ricorrenti nelle scienze sociali, che la comple tano e possono anche surrogarla. S o c i e t à d i u g u a li e s o c i e t à d i d i s u g uE!l i . Essendo il diritto un ordinamento di rapporti sociali, la grande dicotomia pubblico/privato si duplica primamente nella distinzione di due tipi di rapporti sociali: fra uguali e fra di suguali. Lo Stato, e qualsiasi altra società organizzata, dove vi è una sfera del pubblico, non importa se totale o parziale, è caratterizzato da rapporti di subordinazione f.ta governan ti e governati, ovvero fra detentori del potere di comando e destinatari del dovere di obbedienza, che sono rapporti fra
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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ
disuguali; la società naturale, quale è stata descritta dai gius naturalisti, oppure la società di mercato nella idealizzazione degli economisti classici, in quanto vengono di solito elevate a modello di una sfera privata contrapposta alla sfera pub blica, sono caratterizzate da rapporti fra uguali o di coordi nazione. La distinzione tra società di uguali e società di di suguali è non meno classica della distinzione tra sfera priva ta e sfera pubblica. Cosi Vico: « Omnis societas omnino du plex, inaequalis et aequalis » [nzo, cap. LX] . Fra le prime la famiglia, lo Stato, la società fra Dio e gli uomini; fra le seconde, la società tra fratelli, parenti, amici, cittadini, ospiti, nemici. Dagli esempi si vede che le due dicotomie pubblico/privato e società di uguali / società di disuguali non si sovrappon gono del tutto: la famiglia appartiene convenzionalmente alla sfera privata contrapposta alla sfera pubblica, o meglio vie ne ricondotta alla sfera privata là dove è sovrastata da un'or ganizzazione piu complessa, quale è appunto la città (nel senso aristotelico della parola) o lo Stato (nel senso degli scrittori politici moderni) ; ma rispetto alla differenza delle due socie tà è una società di disuguali, anche se dell'appartenenza con venzionale della famiglia alla sfera privata resta la prova nel fatto che il diritto pubblico europeo che accompagna la for mazione dello Stato costituzionale moderno ha considerato privatistiche le concezioni patriarcalistiche o paternalistiche o dispotiche del potere sovrano, che assimilano lo Stato a una famiglia in grande oppure attribuiscono al sovrano gli stessi poteri che appartengono al patriarca, al padre, o al pa drone, signori a vario titolo e con diversa forza della società familiare. D'altra parte, il rapporto fra nemici, che Vico con sidera nell'ambito dei rapporti di uguali, rettamente del re sto perché la società internazionale è astrattamente conside rata una società di enti formalmente uguali tanto da essere stata assimilata, da Hobbes a Hegel, allo stato di natura, viene fatto rientrare abitualmente nella sfera del diritto pubblico, se pure del diritto pubblico esterno regolante i rapporti fra stati distinto dal diritto pubblico interno regolante i rappor ti fra governanti e governati di uno stesso stato. Con la nascita dell'economia politica da cui segue la dif ferenziazione della sfera dei rapporti economici da quella dei rapporti politici, intesi i rapporti economici come rapporti
LA GRANDE DICOTOMIA: PUBBLICO/PRIVATO
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sostanzialmente di disuguali per effetto della divisione del lavoro ma formalmente uguali nel mercato, la dicotomia pub blico/privato si ripresenta sotto forma di distinzione fra so cietà politica (o di disuguali) e società economica (o di ugua li), o dal punto di vista del soggetto caratteristico di entram be, fra la società del citoyen che attende all'interesse pubbli co e quella del bourgeois che cura i propri interessi privati in concorrenza o in collaborazione con altri individui. Die tro la distinzione tra sfera economica e sfera politica riappa re l'antica distinzione fra la « singulorum utilitas » e lo « sta tus rei publicae », con cui era apparsa per la prima volta la distinzione fra la sfera del privato e quella del pubblico. Cosi pure la distinzione giusnaturalistica fra stato di natura e sta to civile si ricompone, attraverso la nascita dell'economia po litica, nella distinzione fra società economica, e in quanto tale non politica, e società politica; successivamente, fra so cietà civile, intesa hegelianamente, o meglio marxianamen te, come sistema dei bisogni, e stato politico: dove è da no tare che la linea di separazione fra stato di natura, sfera eco nomica, società civile, da un lato, stato civile, sfera politica, stato politico, dall'altro, passa sempre fra società di uguali (almeno formalmente) e società di disuguali. Legge e contrat to . L'altra distinzione concettualmente e storicamente rile vante che confluisce nella grande dicotomia è quella relativa alle fonti (nel senso tecnico-giuridico del termine) rispetti vamente del diritto pubblico e del diritto privato: la legge e il contratto (o piu in generale il cosiddetto « negozio giuri dico ») . In un passo di Cicerone che fa testo, è detto che il diritto pubblico consiste nella lex, nel senatus consultus e nel foedus (il trattato internazionale) ; il diritto privato, nelle ta bulae, nella pactum conventum e nella stipulatio [Partitiones oratoriae, 3 7, r 3 I ] . Come si vede, qui il criterio di distinzio ne fra diritto pubblico e privato è il diverso modo con cui l'uno e l'altro vengono ad esistenza in quanto insieme di re gole vincolanti della condotta: il diritto pubblico è tale in quanto è posto dall' autorità politica, e assume la forma spe cifica, e sempre piu prevalente con l'andar del tempo, della « legge », nel senso moderno della parola, cioè di una norma
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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ
che è vincolante perché posta dal detentore del supremo po tere (il sovrano) e abitualmente rafforzata dalla coazione (il cui esercizio esclusivo appartiene in proprio al sovrano); il diritto privato o, come sarebbe piu esatto dire, il diritto dei privati, è l'insieme delle norme che i singoli stabiliscono per regolare i loro reciproci rapporti, i piu importanti dei quali sono i rapporti patrimoniali, mediante accordi bilaterali, la cui forza vincolante riposa primamente, e natura/iter, cioè in dipendentemente dalla regolamentazione pubblica, sul prin cipio di reciprocità (do ut des) . La sovrapposizione delle due dicotomie, privato/pubbli co, contratto/legge, rivela tutta la sua forza esplicativa nella dottrina moderna del diritto naturale, per la quale il contratto è la forma tipica con cui i singoli individui regolano i loro rapporti nello stato di natura, cioè nello stato in cui non esi ste ancora un potere pubblico, mentre la legge, definita abi tualmente come l'espressione piu alta del potere sovrano (vo luntas superioris) , è la forma con cui vengono regolati i rap porti dei sudditi fra di loro, e fra lo Stato e i sudditi, nella società civile, cioè in quella società che è tenuta insieme da un'autorità superiore ai singoli individui. A sua volta, la con trapposizione fra stato di natura e stato civile come contrap posizione tra sfera dei liberi rapporti contrattuali e sfera dei rapporti regolati dalla legge è recepita e convalidata da Kant, nel quale giunge a conclusione il processo d'identificazione delle due grandi dicotomie della dottrina giuridica, diritto privato / diritto pubblico, da un lato, diritto naturale / dirit to positivo, dall'altro: il diritto privato o dei privati è il di ritto dello stato di natura, i cui istituti fondamentali sono la proprietà e il contratto; il diritto pubblico è il diritto che promana dallo Stato, costituito sulla soppressione dello sta to di natura, e pertanto è il diritto positivo nel senso proprio della parola, il diritto la cui forza vincolante deriva dalla pos sibilità che venga esercitato in sua difesa il potere coattivo appartenente in maniera esclusiva al sovrano. La miglior conferma del fatto che la contrapposizione fra diritto privato e diritto pubblico passa attraverso la distin zione fra contratto e legge si trae dalla critica che gli scritto ri post-giusnaturalisti (in primis Hegel) muovono al contrat tualismo dei giusnaturalisti, cioè alla dottrina che fonda lo Stato sul contratto sociale: per Hegel un istituto di diritto
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privato come il contratto non può essere assunto a fonda mento legittimo dello Stato almeno per due ragioni, stretta mente connesse alla natura stessa del vincolo contrattuale di stinto dal vincolo che deriva dalla legge: in primo luogo, per ché il vincolo che unisce lo Stato ai cittadini è permanente e inderogabile da parte di questi mentre il vincolo contrat tuale è derogabile dalle parti; in secondo luogo, perché lo Stato può pretendere dai suoi cittadini, se pure in circostanze ec cezionali, il sacrificio del maggior bene, la vita, che è un bene contrattualmente indisponibile. Non a caso per tutti i critici del giusnaturalismo il contrattualismo viene respinto in quanto concezione privatistica (e per questo inadeguata) dello Sta to, il quale, per Hegel, trae la sua legittimità, e quindi il di ritto di comandare e di essere ubbidito, o dal mero fatto di rappresentare in una determinata situazione storica lo spiri to del popolo oppure di essersi incarnato nell'uomo del de stino (l' «eroe » o « l'uomo della storia universale »), in entrambi i casi in una forza che trascende quella che può derivare dal l'aggregarsi ed accordarsi di volontà individuali . G i u s t i z i a c o m m u t a t i v a e g i u s t iz i a d i s t r i b u t iv a . L a terza distinzione che confluisce nella dicotomia pub blico/privato, e può illuminarla ed esserne illuminata, è quella che riguarda le due forme classiche della giustizia: distribu tiva e commutativa. La giustizia commutativa è quella che presiede agli scambi: la sua pretesa fondamentale è che le due cose che si scambiano siano, affinché lo scambio possa esse re considerato « giusto », di ugual valore, onde in una com pravendita è giusto il prezzo che corrisponde al valore della cosa comprata, nel contratto di lavoro è giusta la mercede che corrisponde alla qualità o quantità del lavoro compiuto, nel diritto civile è giusta l'indennità che corrisponde all'en tità del danno, nel diritto penale la giusta pena è quella in cui vi è corrispondenza fra il malum actionis e il malum pas sionis. La differenza fra questi quattro casi tipici è che nei primi due ha luogo la compensazione di un bene con un al tro bene, negli ultimi due, di un male con un male. La giu stizia distributiva è quella cui s'ispira l'autorità pubblica nella distribuzione di onori o di oneri: la sua pretesa è che a cia scuno sia dato ciò che gli spetta in base a criteri che possono
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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ
cambiare secondo la diversità delle situazioni oggettive, op pure dei punti di vista: i criteri piu comuni sono « a ciascuno secondo il merito », « a ciascuno secondo il bisogno », « a cia scuno secondo il lavoro ». In altre parole, la giustizia com mutativa è stata definita come quella che ha luogo fra le par ti, la distributiva come quella che ha luogo fra il tutto e le parti. Questa nuova sovrapposizione fra sfera privata e luo go della giustizia commutativa da un lato, e sfera del pubbli co e luogo della giustizia distributiva dall' altro, è avvenuta attraverso la mediazione della distinzione, già menzionata, fra società di uguali e società di disuguali. Un chiaro esem pio di tale mediazione lo offre lo stesso Vico per il quale la giustizia commutativa, che egli chiama equatrix, regola le so cietà di uguali, mentre la giustizia distributiva, chiamata rec trix, regola le società di disuguali, come la famiglia e lo Stato [I]20, cap . LXIII]. Ancora una volta occorre avvertire che tutte queste cor rispondenze debbono essere accolte con cautela perché la coin cidenza dell'una con l'altra non è mai perfetta. Anche in que sta sede i casi-limite sono la famiglia e la società internazio nale: la famiglia in quanto vive nell' ambito dello Stato è un istituto di diritto privato, ma è insieme una società di disu guali e retta dalla giustizia distributiva; la società interna zionale, che è al contrario una società di uguali (formalmen te) ed è retta dalla giustizia commutativa, è di solito attri buita alla sfera del pubblico, per lo meno ratione subiecti, in quanto i soggetti della società internazionale sono gli Stati, gli enti pubblici per eccellenza. 3. L'uso assiologico della grande dicotomia .
Oltre al significato descrittivo, illustrato nei due paragra fi precedenti, i due termini della dicotomia pubblico/priva to hanno anche un significato valutativo. Siccome si tratta di due termini che nell'uso descrittivo comune fungono da termini contraddittori, nel senso che nell'universo da entrambi delimitato un ente non può essere insieme pubblico e priva to, e neppure né pubblico né privato, anche il significato va lutativo dell'uno tende ad essere opposto a quello dell'altro, nel senso che, quando viene attribuito un significato valuta-
LA GRANDE DICOTOMIA: PUBBLICO/PRIVATO
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tivo positivo al primo, il secondo viene ad acquistare un si gnificato valutativo negativo, e viceversa . Ne derivano, da questo punto di vista, due concezioni diverse del rapporto fra pubblico e privato che possono essere definite, del pri mato del privato sul pubblico, la prima, del primato del pub blico sul privato, la seconda. I l p r i m a t o d e l p r iv a t o . Il primato del diritto privato si afferma attraverso la dif fusione e la recezione del diritto romano in Occidente: il di ritto cosiddetto delle Pandette è in gran parte diritto priva to, i cui istituti principali sono la famiglia, la proprietà, il contratto e i testamenti. Nella continuità della sua durata e nell'universalità della sua estensione il diritto privato ro mano acquista il valore di diritto della ragione, cioè di un diritto, la cui validità viene ad essere riconosciuta indipen dentemente dalle circostanze di tempo e di luogo da cui ha tratto origine ed è fondata sulla « natura delle cose » attra verso un processo non diverso da quello per cui, molti secoli piu tardi, la dottrina dei primi economisti, poi chiamati classici (come furono chiamati classici i grandi giuristi dell'età aurea della giurisprudenza romana) , verrà considerata come l'uni ca economia possibile perché scopre, rispecchia, descrive, rap porti naturali (propri del dominio della natura o « fisiocra zia ») . In altre parole, il diritto privato romano, pur essendo stato all'origine un diritto positivo e storico (codificato dal Corpus iuris di Giustiniano) , si trasforma attraverso l'opera secolare dei giuristi, glossatori, commentatori, sistematici, in un diritto naturale, salvo trasformarsi di nuovo in diritto po sitivo con le grandi codificazioni dell'inizio del secolo XIX, specie quella napoleonica ( r 8o4), in un diritto positivo cui peraltro i suoi primi commentatori attribuiscono una validi tà assoluta, c •nsiderandolo come il diritto della ragione. Per secoli dunque il diritto privato è il diritto per eccel lenza. Ancora in Hegel Recht senz' altra aggiunta significa di ritto privato, il «diritto astratto » dei Lineamenti di filosofia del diritto (Gnmdlinien der Philosophie des Rechts, r 8 2 1 ) , men tre il diritto pubblico è indicato, per lo meno nei primi scrit ti, col nome di Verfassung 'costituzione'. Anche Marx, quando parla di diritto e svolge la critica (che oggi si direbbe ideolo-
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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ
gica) del diritto, si riferisce sempre al diritto privato, il cui istituto principale, preso in considerazione, è il contratto fra enti formalmente (anche se non sostanzialmente) uguali . Il diritto che attraverso Marx s'identifica col diritto borghese è essenzialmente il diritto privato, mentre la critica del di ritto pubblico si presenta sotto forma di critica, non tanto di una forma di diritto, ma della concezione tradizionale dello Stato e del potere politico. Il primo e maggior teorico del diritto sovietico, Pasukanis, dirà [ r 9 2 4] che «il nucleo piu solido della nebulosa giuridica . . . sta . . . nel campo dei rappor ti di diritto privato », giacché il presupposto fondamentale della regolamentazione giuridica (qui avrebbe dovuto aggiun gere « privata») è « l'antagonismo degli interessi privati », onde si spiega perché « le linee fondamentali del pensiero giuridi co romano abbiano conservato valore fino ai nostri giorni re stando la ratio scripta di ogni società produttrice di merci » (trad. it. pp. 122-27). Infine, criticando come ideologica, e pertanto non scientifica, la distinzione fra diritto privato e diritto pubblico, Kelsen ha osservato [ r 96o] che i rapporti di diritto privato possono essere definiti « come "rapporti giu ridici" tout court, come rapporti "di diritto" nel senso piu proprio e stretto del termine, per contrapporre loro i rap porti di diritto pubblico come rapporti di "potere" » (trad . it. p. 3 1 2) . I l diritto pubblico come corpo sistematico di norme nac que molto tardi rispetto al diritto privato, soltanto all'epoca della formazione dello Stato moderno, anche se si possono trovare le origini di esso fra i commentatori del secolo xrv, come Bartolo di Sassoferrato. Peraltro mentre le opere di di ritto privato, sulla proprietà e sul possesso, sui contratti e sui testamenti, sono trattazioni esclusivamente giuridiche, le grandi trattazioni sullo Stato continuano per secoli, anche quando sono scritte da giuristi, dai Six livres de la Républi que di Bodin ( r 5 76) alla Dottrina generale dello Stato (Allge meine Staatslehre) di Jellinek ( r 9 r o), a essere opere non esclu sivamente giuridiche. Non già che il diritto romano non avesse fornito qualche principio autorevole per la soluzione di alcu ni problemi capitali del diritto pubblico europeo, a comin ciare dalla lex regia de imperio [Digesto, r , 4, r ] secondo cui ciò che il princeps stabilisce ha forza di legge («habet legis vigorem »), quando il popolo gli abbia attribuito questo po-
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teree, che è originariamente del popolo, donde l'annosa di spuuta se il popolo avesse trasmesso o soltanto concesso il po teree al sovrano; ma con la dissoluzione dello Stato antico e conn la formazione delle monarchie germaniche, i rapporti po liticci avevano subito una trasformazione cosi profonda, ed eral.no nati nella società medievale problemi cosi diversi, come qu�llo dei rapporti fra Stato e Chiesa, fra l'impero e i regni, fra i regni e le città, che il diritto romano poteva offrire ben poc:::hi strumenti d'interpretazione e di analisi. Resta ancora da •osservare che nonostante tutto due categorie fondamen talij del diritto pubblico europeo, di cui si servirono per se col.ii i giuristi per la costruzione di una teoria giuridica dello Sta"to, erano derivate dal diritto privato: il dominium, inteso canne potere patrimoniale del monarca sul territorio dello Sta to, che, come tale, si distingue dall'imperium, che rappresenta il P •otere di comando sui sudditi; e il pactum, con tutte le sue spe cie, societatis, subiectionis, unionis, che funge da princi p io di legittimazione del potere in tutta la tradizione con tratttualistica che va da Hobbes a Kant . lUna degli eventi che meglio di ogni altro rivela la persi stetnza del primato del diritto privato sul diritto pubblico è la r esistenza che il diritto di proprietà oppone all'ingerenza del potere sovrano, e quindi al diritto da parte del sovrano di �spropriazione (per causa di pubblica utilità) dei beni del suddito. Anche un teorico dell'assolutismo come Bodio con sid�ra ingiusto il principe che viola senza un motivo giusto e t:'\gionevole la proprietà dei suoi sudditi, e giudica tale atto un::t violazione della legge naturale cui il principe è sottomesso al ?ari di tutti gli altri uomini [15 76, I, 8]. Hobbes, il quale atttibuisce al sovrano un potere non controllato sulla sfera priv ata dei sudditi, riconosce tuttavia che i sudditi sono li beri di fare tutto ciò che il sovrano non ha proibito, e il pri mo esempio che gli soccorre è « la libertà di comprare, di ven dere e di fare altri contratti l'uno con l'altro » [ r 6s r , cap. XXI]. Con Locke la proprietà diventa un vero e proprio dirit to .tlaturale, perché nasce dallo sforzo personale nello stato di natura prima della costituzione del potere politico, e come tale il suo libero esercizio deve essere garantito dalla legge dello Stato (che è la legge del popolo) . Attraverso Locke la inviolabilità della proprietà, che comprende tutti gli altri di ritti individuali naturali, quali la libertà e la vita, e sta ad
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indicare che esiste una sfera del singolo autonoma rispetto alla sfera su cui si estende il potere pubblico, diventa uno dei cardini della concezione liberale dello Stato, che in que sto contesto può essere ridefinita come la piu consapevole, coerente, e storicamente rilevante, teoria del primato del pri vato sul pubblico . L' autonomia della sfera privata del singo lo rispetto alla sfera di competenza dello Stato viene assunta da Constant a emblema della libertà dei moderni contrappo sta alla libertà degli antichi, nel quadro di una filosofia della storia in cui l'esprit de commerce, che muove le energie indi viduali, è destinato a prendere il sopravvento sull'esprit de conquete, da cui sono posseduti i detentori del potere politi co, e la sfera privata si allarga a spese della sfera pubblica, se non proprio sino all'estinzione dello Stato, sino alla sua riduzione ai minimi termini . Riduzione che Spencer celebra nella contrapposizione fra società militari del passato e so cietà industriali del presente, intesa per l'appunto come con trapposizione fra società in cui la sfera pubblica prevale su quella privata e società in cui si dispiega il processo inverso . I l p r i m a t o d e l p u b b li c o . Il primato del pubblico ha assunto varie forme secondo i vari modi con cui si è manifestata soprattutto nell'ultimo secolo la reazione alla concezione liberale dello Stato ed è avvenuta la sconfitta storica, anche se non definitiva, dello S tato minimo . Esso si fonda sulla contrapposizione dell'in teresse collettivo all'interesse individuale, e sulla necessaria subordinazione, sino all'eventuale soppressione, del secon do al primo, nonché sulla irriducibilità del bene comune alla somma dei beni individuali, e quindi sulla critica di una del le tesi piu correnti dell'utilitarismo elementare. Assume va rie forme secondo il diverso modo con cui viene inteso l' en te collettivo - la nazione, la classe, la comunità del popo lo - in favore del quale l'individuo deve rinunziare alla pro pria autonomia . Non già che tutte le teorie del primato del pubblico siano storicamente e politicamente da mettere sul lo stesso piano, ma comune a tutte è l'idea che le guida, ri solvibile nel seguente principio: il tutto è prima delle parti . Si tratta di un'idea aristotelica e poi a distanza di secoli he geliana (di un Hegel che cita espressamente in questa circo-
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stanza Aristotele) , dell'idea secondo cui la totalità ha dei fini non riducibili alla somma dei fini dei singoli membri che la compongono e il bene della totalità una volta raggiunto si trasforma nel bene delle sue parti, o, con altre parole, il mas simo bene dei soggetti è l'effetto non del perseguimento, at traverso lo sforzo personale e l'antagonismo, del proprio bene da parte di ciascuno, ma del contributo che ciascuno insie me con tutti gli altri dà solidalmente al bene comune secon do le regole che la comunità tutta intera, o il gruppo dirigen te che la rappresenta (per finzione o in realtà) , si è imposte attraverso i suoi organi, siano essi organi autocratici od or gani democratici . Praticamente, il primato del pubblico significa l'aumento dell'intervento statale nella regolazione coattiva dei compor tamenti degli individui e dei gruppi infrastatali, ovvero il cam mino inverso a quell'emancipazione della società civile nei riguardi dello Stato che era stata una delle conseguenze sto riche della nascita, crescita, egemonia, della classe borghese (società civile e società borghese sono nel lessico marxiano e in parte anche hegeliano la stessa cosa) . Venendo a cadere i limiti all'azione dello Stato, i cui fondamenti etici erano stati trovati dalla tradizione giusnaturalistica nella priorità assiologica dell'individuo rispetto al gruppo, e nella conse guente affermazione dei diritti naturali dell'individuo, lo Stato è andato a poco a poco riappropriandosi dello spazio conqui stato dalla società civile borghese sino ad assorbirlo comple tamente nell'esperienza estrema dello Stato totale (totale ap punto nel senso che non lascia alcuno spazio al di fuori di sé) . Di questo riassorbimento della società civile nello Stato la filosofia del diritto di Hegel rappresenta insieme la tardi va presa di coscienza e la inconsapevole rappresentazione an ticipata: una filosofia del diritto che si riverbera in una filo sofia della storia in cui vengono giudicate epoche di deca denza quelle in cui si manifesta la supremazia del diritto pri vato, come l'età imperiale romana che si muove fra i due poli del dispotismo pubblico e della libertà della proprietà priva ta, e l'età feudale in cui i rapporti politici sono rapporti di tipo contrattuale, e non esiste di fatto uno Stato; al contra rio, epoche di progresso quelle in cui il diritto pubblico prende la rivincita sul diritto privato, come l'età moderna che assi ste al sorgere del grande Stato territoriale e burocratico.
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Due processi paralleli . Si è detto (pp. 1 6- q) che la distinzione pubblico/privato si duplica nella distinzione politica/economia, con la conse guenza che il primato del pubblico sul privato viene interpre tato come primato della politica sull'economia, ovvero dell'or dine diretto dall'alto sull'ordine spontaneo, dell' organizzazio ne verticale della società sulla organizzazione orizzontale. Pro va ne sia che il processo, apparso sino ad ora irreversibile, di intervento dei pubblici poteri nella regolazione dell'economia viene anche designato come processo di « pubblicizzazione del privato »: è un processo infatti che le dottrine socialisti che politicamente efficaci hanno favorito, mentre i liberali di ieri e di oggi, nonché le varie correnti del socialismo liber tario, sinora politicamente inefficace, hanno deprecato, e con tinuano a deprecare, come uno dei prodotti perversi di que sta società di massa, in cui l'individuo, come lo schiavo hob besiano, chiede protezione in cambio della libertà, a diffe renza del servo hegeliano destinato a diventare libero per ché lotta non per aver salva la vita ma per il proprio ricono scimento . Di fatto il processo di pubblicizzazione del privato è sol tanto una delle due facce del processo di mutamento delle società industriali piu avanzate . Esso è accompagnato e com plicato da un processo inverso che si può chiamare di « pri vatizzazione del pubblico » . Al contrario di quel che aveva previsto Hegel, secondo il quale lo Stato come totalità etica avrebbe finito per imporsi alla frantumazione della società civile, interpretata come « sistema dell'atomistica», i rapporti di tipo contrattuale, caratteristici del mondo dei rapporti pri vati, non sono stati affatto relegati nella sfera inferiore dei rapporti fra individui o gruppi minori, ma sono riemersi allo stadio superiore dei rapporti politicamente rilevanti, alme no sotto due forme: nei rapporti fra grandi organizzazioni sindacali per la formazione e il rinnovamento dei contratti collettivi, e nei rapporti fra partiti per la formazione della coalizione di governo . La vita di uno Stato moderno, in cui la società civile è costituita da gruppi organizzati sempre piu forti, è attraversata da conflitti di gruppo continuamente rin novantisi, di fronte ai quali lo Stato, come insieme di organi
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di decisione (parlamento e governo) e di esecuzione (l' appa rato burocratico) , svolge la funzione di mediatore e di ga rante piu che di detentore del potere d'impero secondo la raffigurazione classica della sovranità. Gli accordi sindacali o fra partiti sono di solito preceduti da lunghe trattative, ca ratteristiche dei rapporti contrattuali, e finiscono in un ac cordo che assomiglia ben piu a un trattato internazionale, con la inevitabile clausola « rebus sic stantibus », che non a un contratto di diritto privato le cui regcle per l'eventuale scioglimento sono stabilite dalla legge . I contratti collettivi rispetto ai rapporti sindacali, e le coalizioni di governo ri spetto ai rapporti fra partiti, sono momenti decisivi per la vita di quella grande organizzazione, o sistema dei sistemi, che è lo Stato contemporaneo, articolato al suo interno in organizzazioni semisovrane, quali le grandi imprese, le asso ciazioni sindacali, i partiti . Non a caso coloro che vedono nella crescita di questi potentati un attacco alla maestà dello Stato, parlano di nuovo feudalesimo, inteso propriamente come l'età in cui, per dirla con Hegel, il diritto privato pren de il sopravvento sul diritto pubblico e questa prevaricazio ne della sfera inferiore sulla superiore rivelerebbe un processo in corso di degenerazione dello Stato . I due processi, di pubblicizzazione del privato e di priva tizzazione del pubblico, non sono affatto incompatibili, e di fatto si compenetrano l'uno nell' altro. Il primo riflette il pro cesso di subordinazione degl'interessi del privato agl'interessi della collettività rappresentata dallo Stato che invade e in globa progressivamente la società civile; il secondo rappre senta la rivincita degli interessi privati attraverso la forma zione deigrandi gruppi organizzati che si servono dei pub blici apparati per il raggiungimento dei propri scopi. Lo Sta to può essere correttamente raffigurato come il luogo dove si svolgono e si compongono, per nuovamente scomporsi e ricomporsi, questi conflitti, attraverso lo strumento giuridi co di un accordo continuamente rinnovato, rappresentazio ne moderna della tradizionale figura del contratto sociale .
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4 · Il secondo significato della dicotomia. Pubblico o segreto .
r:ron bisogna confondere la dicotomia pubblico/privato sin . qm 11lustrata con la stessa distinzione, ove per 'pubblico' s'in tenda manifesto, aperto al pubblico, compiuto di fronte a sp�ttatori, e per 'privato' , all'opposto, ciò che si dice o si fa m una ristretta cerchia di persone, al limite, in segreto. Anche questa distinzione è concettualmente e storicamente rilevante, ma in un sistema concettuale e in un contesto sto rico diverso da quelli in cui s'inserisce la grande dicotomia. Tanto diverso che la grande dicotomia mantiene intera la sua validità anche quando la sfera del pubblico, intesa come la sfera di competenza del potere politico, non coincide neces sariamente con la sfera del pubblico, intesa come la sfera dove avviene il controllo da parte del pubblico del potere politi co. Concettualmente e storicamente il problema della pub blicità del potere è un problema distinto da quello della sua natura eli potere politico distinto dal potere dei privati: il po tere politico è il potere pubblico nel senso della grande dico tomia anche quando non è pubblico, non agisce in pubblico, si nasconde al pubblico, non è controllato dal pubblico. Con cettualmente, il problema della pubblicità del potere è sem pre servito a mettere in evidenza la differenza fra le due for m� eli governo, la repubblica caratterizzata dal controllo pub blico del potere e nell'età moderna dalla libera formazione di un'opinione pubblica, dal principato, il cui metodo di go verno contempla anche il ricorso agli arcana imperii, cioè al segreto di Stato che in uno Stato di diritto moderno è previ sto soltanto come rimedio eccezionale; storicamente, lo stesso problema contraddistingue un'epoca di profonda trasforma zione dell'immagine dello Stato e dei rapporti reali fra so vrano e sudditi, l'epoca della nascita del « pubblico politico» nel senso illustrato da Habermas, in cui cioè la sfera pubbli ca politica acquista un'influenza istituzionalizzata sul governo attraverso il corpo legislativo, e acquista tale influenza per ché «l'esercizio del dominio politico viene effettivamente sot toposto all'obbligo democratico di pubblicità » [ 1 964, trad. it. p. 53l
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P u b b l i c i t à e p o t e re i n v i s i b i l e . La storia del potere politico inteso come potere aperto al pubblico si può far cominciare da Kant il quale considera come «formula trascendentale del diritto pubblico » il principio se condo cui « tutte le azioni relative al diritto di altri uomini la cui massima non è conciliabile con la pubblicità, sono in: giuste » [ 1 796, trad. it. p . 3 3 0] . Il significato di questo prin cipio si chiarisce quando si osservi che vi sono massime che una volta rese pubbliche susciterebbero tale reazione da ren dere impossibile la loro attuazione. Quale Stato potrebbe di chiararè, apponendo la firma a un trattato internazionale, che non si ritiene vincolato alla norma che i patti debbono esse re osservati? Con un riferimento alla realtà che abbiamo con tinuamente sotto gli occhi, quale funzionario potrebbe di chiarare, assumendo l'ufficio, che egli se ne servirà per trar ne un profitto personale, o per sovvenzionare nascostamen te un partito, o per corrompere un giudice che deve giudica re un suo parente? Il principio della pubblicità delle azioni di chi detiene un potere pubblico (qui 'pubblico' nel senso di 'politico') si con trappone alla teoria degli arcana imperii, dominante nell'età del potere assoluto. Secondo la quale il potere del principe è tanto piu efficace, e quindi conforme allo scopo, quanto piu è nascosto agli sguardi indiscreti del volgo, quanto piu è, al p ari di quello di Dio, invisibile. Due argomenti princi pali sostengono questa dottrina: uno intrinseco alla natura stessa del sommo potere, le cui azioni possono avere tanto piu successo quanto piu sono rapide e imprevedibili: il con trollo pubblico, anche soltanto di un'assemblea di notabili rallenta la decisione e impedisce la sorpresa; l'altro, derivat� dal disprezzo del volgo, considerato come oggetto passivo, come la « bestia selvaggia » che deve essere addomesticata, dominato com'è da forti passioni che gl'impediscono di for marsi un'opinione razionale del bene comune, egoista dalla vista corta, facile preda dei demagoghi che se ne servono per il loro esclusivo profitto. L'indivisibilità e quindi l'incontrol labilità del potere erano assicurate, istituzionalmente, dal luo go non aperto al pubblico in cui venivano prese le decisioni politiche (il gabinetto segreto) e dalla non pubblicità delle
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medesime decisioni, psicologicamente, attraverso la liceità professata e riconosciuta della simulazione e della dissimula zione come principio dell'azione dello S tato in deroga alla legge morale che proibisce di mentire . I due espedienti, quello istituzionale e quello psicologico, sono complementari, nel senso che si rafforzano l'uno con l'altro: il primo autorizza il sovrano a non far sapere in anticipo quali decisioni pren derà e a non farle conoscere dopo che le ha prese; il secondo lo autorizza a nascondere la decisione presa, cioè a dissimu lare, oppure a presentarla in modo diverso, cioè a simulare . Naturalmente, là dove è invisibile il potere, è costretto a ren dersi invisibile anche il contro-potere: di conseguenza alla se gretezza della camera di consiglio fa riscontro la congiura di palazzo tramata di nascosto negli stessi luoghi dove si nascon de il potere sovrano. Accanto agli arcana imperii gli arcana seditionis. Mentre il principato nel senso classico della parola, la mo narchia di diritto divino, le varie forme di dispotismo, esi gono l'invisibilità del potere e in vario modo la giustificano, . la repubbhca democratica res publica non solo nel senso pr?prio d�lla parola, ma anche nel senso di esposta al pub blico - es1ge che il potere sia visibile: il luogo dove si eser cita il potere in ogni forma di repubblica è l'assemblea dei cittadini (democrazia diretta) dove il processo di decisione è in re ipsa pubblico, come accadeva nell'agorà dei Greci; là dove l' assemblea è la riunione dei rappresentanti del popo lo, e quindi la decisione sarebbe pubblica soltanto per costo ro e non per tutto il popolo, le riunioni dell' assemblea deb bono essere aperte al pubblico in modo che qualsiasi cittadi no possa accedervi . C ' è chi ha creduto di poter cogliere un nesso fra principio di rappresentanza e pubblicità del pote re, come C ari Schmitt, secondo il quale « la rappresentanza può aver luogo soltanto nella sfera della pubblicità » e « non c'è alcuna rappresentanza che si svolga in segreto e a quat tr'occhi », onde « un parlamento ha carattere rappresentati vo solo in quanto si crede che la sua attività sia pubblica» [ 1 9 2 8 , p . 208] . Sotto quest'aspetto è essenziale alla demo crazia l'esercizio dei vari diritti di libertà, i quali permetto no il formarsi dell'opinione pubblica, e assicurano in tal modo che le azioni dei governanti vengano sottratte alla segretez za della camera di consiglio, snidate dalle sedi occulte in cui -
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cercano di sfuggire agli occhi del pubblico, vagliate, giudica te e criticate quando sono rese note . Come al processo di pubblicizzazione del privato si affian ca, non mai concluso una volta per sempre, il processo in verso di privatizzazione del pubblico, cosf la vittoria del po tere visibile su quello invisibile non è mai compiuta del tut to: il potere invisibile resiste all'avanzata di quello visibile, inventa modi sempre nuovi per nascondersi e per nasconde re, per vedere senza essere visto. La forma ideale del potere è quella del potere che viene attribuito a Dio, l' onniveggen te invisibile . Gli arcana imperii si sono trasformati nel segre to di Stato che nella legislazione di un moderno Stato di di ritto si concreta nel punire la pubblicazione di atti e docu menti riservati; peraltro con questa sostanziale differenza, che contro l'arcanum, considerato come strumento essenzia le del potere, e quindi necessario, il segreto di Stato è legit timato soltanto nei casi eccezionali previsti dalla legge. Pari menti non è mai venuta meno la pratica del nascondimento attraverso l'influenza che il potere pubblico può esercitare sulla stampa, attraverso la monopolizzazione dei mezzi di co municazione di massa, soprattutto attraverso l'esercizio spre giudicato del potere ideologico, essendo la funzione delle ideo logie quella di coprire con veli o coltri le reali motivazioni che muovono il potere, forma pubblica e lecita della << nobile menzogna » di origine platonica o del « mendacio lecito » dei teorici della ragion di Stato . Per un altro verso, se è vero che in uno Stato democrati co il pubblico vede il potere piu che in uno Stato autocrati co, è altrettanto vero che l'uso degli elaboratori elettronici, che si va estendendo e sempre piu si estenderà, per la me morizzazione delle schede personali di tutti i cittadini, per mette e sempre piu permetterà ai detentori del potere di ve dere il pubblico assai meglio che negli Stati del passato. Ciò che il novello Principe può venire a sapere dei propri sogget ti è incomparabilmente superiore a ciò che poteva sapere dei suoi sudditi anche il monarca piu assoluto del passato. Il che significa che nonostante le profonde trasformazioni nei rap porti fra governanti e governati, indotte dallo sviluppo della democrazia, il processo di pubblicizzazione del potere, an che nel secondo senso della dicotomia pubblico/privato, è tut t'altro che lineare. Resta che questa dicotomia, tanto nel senso
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di collettiv�/indi:riduale (illustrato nei § § I , 2 e 3 ) , quanto nel sens o �l mamfesto/segreto (illustrato in questo paragra _ fo) costltmsce una delle categorie fondamentali e tradizio _ nali, pur nel mutar dei significati, per la rappresentazione concet �ua e, p�r la comprensione storica e per l' enunciazio ne d1_ g1Ud1z1_ d1 valore, nel vasto campo percorso dalle teorie della società e dello Stato .
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Le varie accezioni
Nel linguaggio politico di oggi l'espressione ' società civi le' viene adoperata generalmente come uno dei termini della grande dicotomia società civile / Stato . Il che vuoi dire che non se ne può determinare il significato e delimitare l'esten sione se non ridefinendo contemporaneamente e delimitan do nella sua estensione il termine ' Stato' . Negativamente, per ' società civile' s'intende la sfera dei rapporti sociali non regolati dallo Stato, inteso restrittivamente, e quasi sempre anche polemicamente, come il complesso degli apparati che in un sistema sociale organizzato esercitano il potere coatti vo . Risale ad August Ludwig von Schlozer ( q94), e viene continuamente richiamata nella letteratura tedesca sull'argo mento, la distinzione fra societas civilis sine imperio e societas civi!is cum imperio, dove la seconda espressione sta ad indi care ciò che nella grande dicotomia si designa col termine ' Stato ' , in un contesto in cui, come si vedrà oltre, non è an cora nata la contrapposizione fra società e Stato, e b asta un solo termine per designare l'uno e l' altra, se pure con una distinzione interna di specie. Alla nozione restrittiva dello Stato come organo del potere coattivo, che permette la for mazione e assicura la persistenza della grande dicotomia, con corre l'insieme delle idee che accompagnano la nascita del mondo borghese: l' affermazione di diritti naturali che appar tengono all'individuo e ai gruppi sociali indipendentemente dallo Stato e che come tali limitano e restringono la sfera del potere politico; la scoperta di una sfera di rapporti interin dividuali, come sono i rapporti economici, per la cui regola mentazione non occorre l'esistenza di un potere coattivo per ché si autoregolano; l'idea generale cosi efficacemente espressa da Thomas Paine, autore non a caso di un celebre scritto in-
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neggiante ai diritti dell'uomo, che la società è creata dai no stri bisogni e lo Stato dalla nostra cattiveria [r 7 76, trad. i t� p. 69], perché l'uomo è naturalmente buono e ogni società ha bisogno per conservarsi e prosperare di limitare l'impiego delle leggi civili da imporre con la coazione al fine di con sentire la massima esplicazione delle leggi naturali che non abbisognano di coazione per essere applicate; insomma la di latazione del diritto privato mediante il quale gli individui regolano i loro reciproci rapporti guidati dai loro reali inte ressi, di cui ciascuno è iudex in causa sua, a danno del diritto pubblico o politico dove si esercita l 'imperium, inteso come il comando del superiore che come iudex super partes ha il di ritto di esercitare il potere coattivo . Non sarà mai sottoli neato abbastanza che dell'uso di ' società civile' nel signifi cato di sfera dei rapporti sociali distinta dalla sfera dei rap porti politici si è debitori a scrittori tedeschi (in particolare Hegel e Marx, come si vedrà in seguito), di scrittori che scri vono in una lingua dove biirgerliche Gesellschaft significa in sieme società civile e borghese; e che nel linguaggio giuridi co ormai ampiamente affermatosi alla fine del Settecento il diritto civile distinto dal diritto penale comprende le mate rie tradizionalmente appartenenti al diritto privato (il Code civil è il codice del diritto privato, in tedesco biirgerliches Recht) . Proprio perché l'espressione ' società civile' nel suo signi ficato ottocentesco e odierno è nata dalla contrapposizione ignota alla tradizione fra una sfera politica e una sfera non politica, è piu facile incontrarne una definizione negativa che una positiva, tanto piu che nelle trattazioni di diritto pub blico e di dottrina generale dello Stato (la allgemeine Staats lehre della tradizione accademica tedesca da Georg Jellinek a Felix Ermacora) non manca mai una definizione positiva dello S tato: società civile come insieme di rapporti non re golati dallo S tato, e quindi come tutto ciò che residua, una volta delimitato bene l ' ambito in cui si esercita il potere sta tale . Ma anche in una nozione cosi vaga si possono distin guere diverse accezioni secondoché prevalga l'identificazio ne del non-statale col pre-statale, o con l'an ti-statale, o ad dirittura con il post-statale . Quando si parla di società civile nella prima di queste accezioni si vuoi dire, in corrisponden za consapevole o non consapevole con la dottrina giusnatu-
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ralistica, che prima dello Stato vi sono varie forme di ass� ciazione che gli individui formano tra di loro per la soddi sfazione dei loro piu diversi interessi e su cui lo Stato si so vrappone per regolarle ma senza mai precluderne l'ulteriore sviluppo e senza mai impedirne il continuo rinnovamento: se pure in un senso non strettamente marxiano si può parla re in questo caso della società civile come di una sottostrut tura e dello Stato come di una sovrastruttura . Nella seconda accezione, la società civile acquista una connotazione assia logicamente positiva e sta ad indicare il l� ogo dov� s� man� festano tutte le istanze di mutamento de1 rapporti d1 domi nio, si formano i gruppi che lottano per l'emancipazione del potere politico, acquistano forza i cosiddetti contropoteri. Di questa accezione peraltro si può dare anche una connota zione assiologicamente negativa, qualora ci si metta dal punto di vista dello Stato e si considerino i fermenti di rinnova mento di cui è portatrice la società civile come dei germi di disgregazione. Nella terza accezione ' società civile' ha un si u-nificato insieme cronologico, come nella prima, e assiologi :o, come nella seconda: rappresenta l'ideale di una società senza Stato destinata a sorgere dalla dissoluzione del potere politico . Questa accezione è presente nel pensiero di Gram sci là dove l'ideale caratteristico di tutto il pensiero marxi sta dell'estinzione dello Stato è descritto come il « riassorbi mento della società politica nella società civile » [r 930-3 2a, p . 66z], come la società civile dov(::: si esercita l'egemonia di stinta dal dominio, liberata dalla società politica . Nelle tre diverse accezioni il non-statale assume tre diverse figure: la figura della precondizione dello Stato, ovvero di ciò che non è ancora statale, nella prima, dell' antitesi dello Stato, ovve ro di ciò che si pone come alternativa allo Stato, nella secon da della dissoluzione e fine dello Stato, nella terza. 'Piu difficile dare una definizione positiva di 'società civi le' , perché si tratta di fare un repertorio di tutto quello che ci si è messo dentro alla rinfusa nell'esigenza di circoscrivere l'ambito dello Stato. Basti notare che in molti contesti la con trapposizione società civile l istituzioni politiche è una rifor mulazione della vecchia contrapposizione paese reale l paese legale. Che cosa è il paese reale? Che cosa è la società civile? In una prima approssimazione si può dire che la società civi le è il luogo dove sorgono e si svolgono i conflitti economici,
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sociali, ideologici, religiosi, che le istituzioni statali hanno il compito di risolvere o mediandoli o prevenendoli o repri mendoli. Soggetti di questi conflitti e quindi della società ci vile proprio in quanto contrapposta allo Stato sono le classi sociali, o piu latamente i gruppi, i movimenti, le associazio ni, le organizzazioni che le rappresentano o si dichiarano loro rappresentanti; accanto alle organizzazioni di classe, i grup pi d'interesse, le associazioni di vario genere con fini sociali, e indirettamente politici, i movimenti di emancipazione di gruppi etnici, di difesa dei diritti civili, di liberazione della donna, i movimenti giovanili, ecc. I partiti hanno un piede nella società civile e un piede nelle istituzioni, tanto che è stato proposto di arricchire lo schema concettuale dicotomi co e di intercalare fra i due concetti di società civile e di Sta to quello di società politica [Farneti 1 97 3 , pp. r 6 sgg.], de stinato a comprendere appunto il fenomeno dei partiti che di fatto non appartengono interamente né alla società civile né allo Stato. Infatti uno dei modi piu frequenti di definire i partiti politici è quello di mostrare che essi esplicano la fun zione di selezionare, quindi aggregare e infine trasmettere, le domande che provengono dalla società civile e sono desti nate a diventare oggetto di decisione politica. Nelle piu re centi teorie sistemiche della società globale la società civile occupa lo spazio riservato alla formazione delle domande (in put) che si dirigono verso il sistema politico e alle quali il sistema politico ha il compito di dare le risposte (output) : il contrasto fra società civile e Stato allora si pone come con trasto fra quantità e qualità delle domande e capacità delle istituzioni di dare risposte adeguate e tempestive. Il tema oggi cosi dibattuto della governabilità delle società complesse può essere interpretato anche nei termini della classica dicotomica società civile / Stato: una società diventa tanto piu ingover nabile quanto piu aumentano le domande della società civile e non aumenta corrispondentemente la capacità delle istitu zioni di rispondervi, anzi la capacità dello Stato di rispon dervi ha raggiunto limiti forse non piu superabili (donde il tema, ad esempio, della « crisi fiscale ») . Strettamente con nesso al tema della governabilità è quello della legittimazio ne: l 'ingovernabilità genera crisi di legittimità. Anche que sto tema può essere ritradotto nei termini della stessa dico tomia: le istituzioni rappresentano il potere legittimo nel senso
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weberiano della parola, cioè il potere le cui decisioni vengo no accolte e attuate in quanto considerate come emanate da un'autorità cui si riconosce il diritto di prendere decisioni valide per tutta la collettività; la società civile rappresenta il luogo dove si formano, specie nei periodi di crisi istituzio nale, i poteri di fatto che tendono a ottenere una propria le gittimazione anche a danno dei poteri legittimi, dove, in al tre parole, si svolgono i processi di delegittimazione e di ri legittimazione. Di qua la frequente affermazione che la so luzione di una crisi grave che minaccia la sopravvivenza di un sistema politico deve essere ricercata prima di tutto nella società civile, dove si possono trovare nuove fonti di legitti mazione, e quindi nuove aree di consenso. Infine, nella sfe ra della società civile si fa rientrare abitualmente anche il fe nomeno della pubblica opinione, intesa come la pubblica espressione di consenso e di dissenso nei riguardi delle isti tuzioni, trasmes sa attraverso la stampa, la radio, la televi sione, ecc . Del resto, pubblica opinione e movimenti sociali procedono di pari passo e si condizionano a vicenda. Senza pubblica opinione, il che significa piu concretamente senza canali di trasmissione della pubblica opinione, che diventa �
L 'interpretazione marxiana.
L'uso attuale dell'espressione ' società civile' come termi ne indissolubilmente legato a Stato, o sistema politico, è di derivazione marxiana, e attraverso Marx, hegeliana, anche se, come si vedrà fra poco, l'uso marxiano è riduttivo rispet to a quello hegeliano. Della frequenza con cui viene usata anche nel linguaggio comune l'espressione 'società civile' si è debitori all'influenza della letteratura marxistica nel dibat tito politico italiano contemporaneo. Prova ne sia che in al tri contesti linguistici l'espressione 'società civile' viene so ;. tituita nella stessa dicotomia dal termine 'società': in Ger-
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mania, ad esempio, ha avuto corso in questi anni un ampio e dotto dibattito su Staat und Gesellschaft [cfr. Bockenforde 1 976] , in cui il termine Gesellschaft ' società' comprende l'a rea dei significati del nostro 'società civile' . Il passo canoni co per la nascita del significato di ' società civile' diventato abituale è quello in cui Marx, nella prefazione a Per la critica dell'economia politica [1 859], scrive che studiando Hegel è arrivato alla convinzione che le istituzioni giuridiche e poli tiche abbiano le loro radici nei rapporti materiali dell'esistenza « il cui complesso viene abbracciato da Hegel . . . sotto il ter mine di "società civile" », e ne deriva la conseguenza che «l'a natomia della società civile è da cercare nell'economia poli tica» (trad. it. pp. 956-5 7 ) . Non importa che in questo pas so Marx abbia dato una interpretazione riduttiva e alla fine deformante del concetto hegeliano di ' società civile' , come si vedrà fra poco; importa rilevare che nella misura in cui Marx fa della società civile il luogo dei rapporti economici, ovvero dei rapporti che costituiscono « la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica» [ibid. , p. 957], ' società civile' viene a significare l'insieme dei rapporti inte rindividuali che stanno al di fuori o prima dello Stato, ed esaurisce in certo qual modo la comprensione della sfera pre sta tale distinta e separata da quella dello Stato, quella stessa sfera pre-statale che gli scrittori del diritto naturale e in par te sulla loro scia i primi economisti, a cominciare dai fisio cratici, avevano chiamato stato di natura o società naturale. L'avvenuta sostituzione nel linguaggio marxiano dell' espres sione 'società civile' a 'società naturale' , attraverso Hegel ma ben al di là di H egel, è comprovata dal passo di un'opera giovanile come La sacra famiglia [Marx e Engels r 845] dove si legge: « Lo Stato moderno ha come base naturale [si badi: "naturale"] la società civile, l'uomo della società civile, cioè l'uomo indipendente, unito all'altro uomo solo con il legame dell'interesse privato e della necessità naturale incosciente» (trad. it. p. r z6). Ancora piu sorprendente è che il carattere specifico della società civile cosi definita coincide in tutto e per tutto con il carattere specifico dello stato di natura hob besiano che è, com'è ben noto, la guerra di tutti contro tut ti: « Tutta la società civile è proprio questa guerra [dell'uo mo contro l'uomo], l'uno contro l'altro, di tutti gli indivi dui, isolati l'uno dall'altro ormai solo dalla loro individuali-
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tà ed è il movimento generale, sfrenato, delle potenze ele
m�ntari della vita liberate dalle catene dei privilegi» [ibid. , p. 1 3 0] . Sorprendente perché nella tradizione giusnaturali stica (cfr. § 4) si chiama ' società civile' ciò che oggi viene chiamato ' Stato', l'entità antitetica allo stato di natura. Non si spiegherebbe questa trasposizione del significato tradizionale dell'espressione 'stato di natura' nel significato dell'espressione che tradizionalmente è ad esso contrappo sta 'società civile' , se non si tenesse presente ancora una volta che la società civile di Marx è la biirgerliche Gesellschaft che, specie dopo Hegel e l' interpretazione dei te?ti di �egei d� . . parte della sinistra hegeliana, ha acqUlstato il s1gmhcato d1 'società borghese' nel senso proprio di società di classe, e che la società borghese in Marx ha per soggetto storico la bor •>hesia una classe che ha compiuto la sua emancipazione po litica Ùberandosi dai vincoli dello Stato assoluto e contrap ponendo allo Stato tradizionale i diritti dell'uomo e del cit tadino che sono in realtà i diritti che dovranno d'ora innan zi proteggere i propri interessi di classe. Un passo dello scritto aiovanile Il problema ebraico [I 84 3] chiarisce meglio di ogni discorso il trasferimento dell' immagine dello stato di natura ipotetico nella realtà storica della società borghese: « L'eman cipazione politica fu a un tempo l'emancipazione della so cietà borghese [che in questo contesto non darebbe senso se si traducesse 'civile'] dalla politica, dalla parvenza stessa di un contenuto universale. La società feudale si dissolse nel suo elemento fondamentale, l'uomo; ma l'uomo che ne co stituiva in effetti il fondamento, l'uomo egoistico » (trad. it. p. 3 83 ) . Lo stato di natura dei giusnaturalisti e la società bor ghese di Marx hanno in comune l' «uomo egoistico » come soggetto. E dall'uomo egoistico non può nascere se non una società anarchica oppure, per contrapasso, dispotica. Nonostante la prevalente influenza della nozione marxia na di 'società civile' sull'uso odierno dell'espressione, non si può dire che nella stessa tradizione del pensiero marxisti co l'uso sia stato costante. Quale rilievo abbia la dicotomia società civile / Stato nel pensiero di Gramsci, è stato piu volte riconosciuto. Errerebbe però chi credesse, come si è creduto da molti, che la dicotomia gramsciana riproduca fedelmente quella marxiana. Mentre in Marx il momento della società civile coincide con la base materiale (contrapposta alla so-
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vrastruttura dove entrano le ideologie e le istituzioni), per Gramsci il momento della società civile è sovrastrutturale. Nelle note sugli intellettuali si legge: « Si possono, per ora, fissare due grandi "piani" superstrutturali, quello che si può chiamare della "società civile" , cioè dell'insieme di organi smi volgarmente detti "privati" e quello della "società poli tico o Stato" e che corrispondono alla funzione di "egemo nia" che il gruppo dominante esercita in tutta la società e quello di "dominio diretto" o di comando che si esprime nello Stato e nel governo "giuridico" �> [ ! 9 3 2 , pp. r 5 r 8- r 9] . Per chiarire questa definizione è utile l'esempio storico che Gram sci ha in mente quando parla di egemonia contrapponendola al dominio diretto: l'esempio è la Chiesa cattolica intesa come « l'apparato di egemonia del gruppo dirigente, che non ave va un apparato proprio, cioè non aveva una propria organiz zazione culturale e intellettuale, ma sentiva come tale l'or ganizzazione ecclesiastica universale » [ r930-32b, p. 763]. Non diversamente da Marx anche Gramsci considera le ideologie parte della sovrastruttura, ma diversamente da Marx che chia ma società civile l'insieme dei rapporti economici costituen ti la base materiale, chiama società civile la sfera in cui agi scono gli apparati ideologici il cui compito è di esercitare l'e gemonia e, attraverso l'egemonia, di ottenere il consenso. Non già che Gramsci abbandoni la dicotomia base/sovrastruttu ra, per sostituirla con quella società civile / Stato. Egli ag giunge la seconda alla prima e rende cosf il suo schema con cettuale piu complesso. Per rappresentare la contrapposizio ne tra momento strutturale e momento sovrastrutturale si ser ve abitualmente di queste coppie: momento economico j mo mento etico-politico, necessità/libertà, oggettività/soggetti vità. Per rappresentare la contrapposizione fra società civile e Stato, si serve di altre coppie: consenso/forza, persuasio ne/coercizione, morale/politica, egemonia/dittatura, direzio ne/dominio. Si osservi che il momento economico si contrap pone, nella prima dicotomia, al momento etico-politico. Eb bene, la seconda dicotomia può essere considerata come lo scioglimento della dualità implicita nel secondo momento della prima: la società civile rappresenta il momento dell'eticità, attraverso cui una classe dominante ottiene il consenso, ac quista, con linguaggio di oggi che Gramsci non usa, legitti mità; lo Stato rappresenta il momento politico strettamente
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inteso attraverso cui viene esercitata la forza non meno ne cessar ia del consenso alla conservazione del potere, almeno sino a quando il potere sarà esercitato da una classe ris �retta _ c non dalla classe universale (che lo eserclta attraverso d suo partito, il vero protagonista dell'egemonia). A q� esto punt? si può osservare che i�c� nsa� evo m: nt e �ramso re�u�era 11 _ significato giusnaturalistlco dt soc�eta ovile come socteta on data sul consenso. Con questa dtfferenza: che nel pensiero oiusnaturalistico per cui la legittimità del potere politico di ende dall'esser ; fondato sul contratto sociale, la �ocietà del consenso per eccellenza è lo Stato, mentre nel penster� gram sciano la società del consenso è soltanto quella destmata a sorgere dall'estinzione dello Stato.
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3. Il sistema hegeliano.
Quando Marx scrive che era arrivato alla scoperta della _ società civile sottostante alle istituzioni politiche studtando Hegel e identifica la società civile con la sfera dei rapPorti economici, dà una interpretazione parziale della catego�1_ � he geliana della società civile e la tra smette � tutta la tra tztone _ hege tan della soctet, Cl_ dello hegel-marxismo. La categona � � vile alla cui chiara formulazione e denommazwne Hegel gmn ge soltanto nell'ultima fase del suo pensiero, nei Lineamenti . di filosofia del diritto [ r 8zr], è be� altn_ �� n� 1 1._'1_ �/ c? mplessa _ , e proprio per la sua complesslta dt en pm dt flc�le mterpre _ tazione. Come momento intermediO della etlclta, posto tra la famiglia e lo Stato, permette la costruzi? n� d � no schema triadico che si contrappone ai due modelli dtadto preceden ti, quello aristotelico basato sulla dicoto� a fami�lia/Stato . da czvztas _ cor (societas domestica / societas civilis, dove czvzlzs _ risponde esattamente a 1toÀm:x.6ç da 7t6Àtç) e quello gllls� atu . ralistico basato sulla dicotomia stato di natura / stato c!Vtle. Rispetto alla famiglia essa è già una forma incompiuta di Stato, lo « Stato dell'intelletto »; rispetto allo Stato, non è ancora lo Stato nel suo concetto e nella sua piena realizzazione sto rica. La sezione della società civile è divisa nelle lezioni ber linesi in tre momenti, il sistema dei bisogni, l' ammi� istra zione della giustizia, la polizia (insieme con la corporaziOne! : la sfera dei rapporti economici è ricoperta soltanto dal pn-
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ma, _mentr� il secondo e il terzo momento comprendono parti _ trad1z10nali della dottrina dello Stato. La interpretazione della società civile hegeliana come il luog? la cui anatomia è da cercare nell'economia politica è _ alla comprensione del genuino pensiero di parztale e nspetto Hegel fuorviante. Quale sia stato il genuino pensiero di Be gel, nella costruzione della sezione della società civile è con troverso: si è ritenuto da al �uni che sia stata concepi;a come _ d1_ categona _ restduo dove dopo diversi tentativi u�a. specie _ �l ststem�zl�me della materia tradizionale della filosofia pra tica durati c1rca vent'anni Hegei ha finito di racchiudere tutto quello che non poteva essere fatto rientrare nei due momen ti ben delimitati, e accolti in una sistematica consolidata da s,�coli, della �amiglia e dello Stato. La piu grave difficoltà del l mterpreta�tone sta nel fatto che la maggior parte della se _ zwn � è dedtc�ta n ?n all'analisi dell'economia politica ma a d ue unportantt capitoli della dottrina dello Stato, riguardanti r�_spett:v�mente, per esprimersi con parole di oggi, la funzione _ _ amministrativa (sotto il nome allo e la funzwne gmd1z1ana ra corr�nte di S ta�o di polizia) . Come mai Hegel, che pur fa culmmare la sezwne della eticità nello Stato, cioè in una trattazione di diritto pubblico, la fa precedere da una sezio n� in cui tratta due materie cosi importanti per la delinea Zione dello S tato nel suo complesso come l' amministrazione del�a giustizia e �o Stato amministrativo? La partizione he gehana, pur contm��ndo ad essere difficilmente intelligibile alla luce della tradtztone precedente e anche dei successori può essere compresa, o per lo meno può sembrare meno sin� golare, se si pone mente al fatto che societas civilis che in tedesco diventa biirg�rliche Gesellschaft, aveva signifi�ato per se�oh_ e certamente smo a Hegel (cfr. § 4) lo Stato nella du plice contrapposizione sia alla famiglia nella tradizione ari s to �elica, �ia allo stato di natura nella tradizione giusnatura _ a. C _ o che differenzia la società civile di Hegel da quellistlc � la de1_ suot predecessori non è affatto il suo arretramento verso la società pre-statale, arretramento che avverrà solo con Marx quanto la sua identificazione con una forma statale si m � �mperfetta. Anziché essere, come è stata interpretat� d/poi, tl momento che precede la formazione dello S tato la società civile hegeliana rappresenta il primo momento d�lla forma zione dello S tato, lo S tato giuridico-amministrativo, il cui
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( ompito è d i regolare rappor� i esterni, mer: tre lo S� ato yro� priamente detto rappresenta tl momento ettc? -po�_ t1co, il cu1 , 0mpito è di attuare l' adesione intima del ct� tadmo alla to1 alità di cui fa parte, tanto che Sl_ potrebbe ch� ama�e lo S : ato interno o interiore (lo Stato in interiore homme dt Genttle) . Piu che una successione tra fase pre-statale e fase statale del l' eticità la distinzione hegeliana fra società civile e Stato rap present� la distinzione tra uno Stato inferiore e uno Stato superiore . Mentre lo Stato superiore è caratterizzato dalla costituzione e dai poteri costituzionali, quali il potere mo narchico, il potere legislativo e quell� g? v� r��tivo, lo ? tat? inferiore opera attraverso due poten gmndtCl sub�rdmatl � _ _ che sono il potere giudiziario e il potere ammmtstra � tvo. _D�1 quali, il primo ha il compito pre:r alen�emente negativo d� �1rimere i conflitti d'interesse e dt repnmere le offese al dt�lt to stabilito; il secondo, di provvedere all'utilità c� m�ne, � n tervenendo nella sorveglianza dei costumi, nella dtstnbuzto ne del lavoro, nell'educazione, nel soccorso dei poveri, in tutte le attività che contraddistinguono il Wohlfahrt-Staat, lo Sta to che provvede al benessere est�rno dei s�� i . sudditi. _ . czvzlzs della tradi Che il richiamo al significato dt soczetas zione per una giusta comprensione dell� società civile hege liana non sia arbitrario, può essere ultenormente prov�to dal significato anche polemico che q�esto mome�to dello sviluppo dello spirito oggettivo ha nel ststema hegehan� . Le � atego rie hegeliane hanno sempre, oltre che una funzwne sistema tica anche una dimensione storica: sono nello stesso tempo par ;i fra loro interconnesse di una concezione globale della realtà e figure storiche. Si pensi, per fare un'es� mpio, ali? stato di diritto (Rechtszustand) della Fenomenologza dello spz rito (Phdnomenologie des Geistes, r 8o7) che rappres�� ta, con cettualmente, la condizione in cui vengono esaltati t rappor ti di diritto privato, storicamente, l'impero romano. D�l re sto che la società civile sia nel sistema hegeliano una ftgura sto�ica è dallo stesso Hegel piu volte affermato, là dove è detto �he gli Stati antichi, sia quelli dispotici dell'Oriente immobile sia quelli delle città greche, non contenevano . nel loro seno una società civile e che « la scoperta della socteta, civile appartiene al mondo moderno » [r82 I , trad. it. p. 3?6]; Per H e gel l'errore di coloro che ha� n� scop erto la socteta _ anche pocivile - e in questo rimprovero sta tl stgmflcato
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lemico della collocazione di questa figura non alla fine del proc esso dello Spirito oggettivo ma in una posizione subor dinata allo Stat o nella sua pienezza - sta nell' aver creduto di esaurire in essa l'ess enza dello Stat o. Perc iò la società ci vile non è soltanto una forma inferiore di Stat o nell'insieme del sistema ma rappresenta anche il concetto di Stato cui si so_no arres tati g� scrittori politici e i giuristi del diritto pub blico precedenti, e che si potrebbe chiamare privatistico nel sens o che la sua principale cura è quella di dirim ere i conflit ti d 'interesse che sorgono nei rapporti fra privati attraverso l'amministrazione della giustizia e succ essiv amente quella di curare il benessere dei cittadini difendend oli dai danni che poss ono provenire dal lasciar libero sfogo al particolarismo egoistico dei singoli. Dietro questa concezion e restrittiva della società civile rispetto allo Stato tutto spiegato, si può intra vedere un'allusione sia alla teoria lockiana dello Stat o per cui lo Stato sorge unicamente per impedire la giustizia privata P!opria d ello stato di natura dove non c'è un giudizio impar Ziale al di_ sopra delle part i, e per protegge re la proprietà in tesa come un diritto naturale, sia alla teor ia dello Stato eu demonistico propria dei fautori dell' assolutis mo illuminato che si assume anche il compito di provvede re al benesser� dei sudditi ma non si eleva mai al di sopr a di una concezione individualistica della compagine sociale. Hegel non ignora :'a che lo Stato eudemonistico era stato già criticato da Kan t, 11 qual e peraltro lo avev a respinto in nom e dello Stat o di di ritto, il cui ambito di azione è limitato alla garanzia delle li bertà individuali, su una strada che prosegui va quella di Locke e non anticipava la concezione organica con cui soltanto si sarebbe potu to elevare lo Stato alla sfer a dell' etici tà. La ra gion e infine per cui Heg el ha post o il conc etto di Stato al �i sopra del concetto cui si erano arrestati i suoi predecesso n, deve essere cerc ata nell' esige nza di dare una spiegazione del perché allo Stato si riconosca il diritto di chiedere ai cit tadini il sacrificio dei loro beni (attraverso le imposte) e della stess a vita (quando dichiara la guerra), una spieo-azione che invano si chiede alle dottrine contrattualisti che in �ui lo Stato nasce da un accordo che gli stess i contraen ti possono scio gliere qu�r:d� loro conviene, e alle dottrine eudemonologi _ che 111 cm 1l fme supremo dello Stato è il benessere dei sud diti. In ultima istan za ciò che caratterizza lo Stat o rispetto
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:dia società civile sono i rapporti che solo lo Stato, e non la �;ocietà civile, intrattiene con gli altri Stati, tanto è vero che _ _ In Stato, non la società civile, è il soggetto della s �ona um _ vcrsale con cui si conclude il movimento dello Spmto ogget l i vo. 4·
La tradizione giusnaturalistica.
L'uso hegeliano di società civile per St � to, s: pure per una _ _ _ !orma inferiore di stato, corrisponde al s1gmhcato tradizio llale di societas civilis, dove civilis da civitas è sinonimo di 1t0 Àt--ctx6ç da 1tOÀLç; e traduce esattamente l' espressio?-� xo:vw� (a JtoÀmx-f}. Con essa Aristotele all' inizio d� a Po!ztzca 111d1ea _ _ la 1tOÀLç o città, il cui carattere d1 comumta 1?d1pendent; e _ autosufficiente, ordinata in base a una costituzione (1toÀm.L<X), l'ha fatta considerare nei secoli come l'origine o il preceden te storico dello Stato anche nel senso moderno della parola, se pure con due significati diversi secondo c�e si cont�ap _ ponga in base al modello arist? t�hco, p er cu1 lo St � to e la _ prosecuzione naturale della soc1eta familiare, alla soc1: ta, do mestica o famiglia, oppure in base al modello hobbes1ano (� giusnaturalistica) , per cui l? Stat? è J'anti�esi d :llo � tato �1 _ Ipotetl _ _ natura alla societas naturalts costituita da 111d1v1dU1 camen�e liberi e uguali. La differenza sta in ciò che mentre la societas civilis del modello aristotelico è pur sempre una società naturale nel senso che corrisponde perfettamente alla natura sociale d�ll'uomo (7toÀvnxòv /:c{)ov) , la stessa societas ci vilis del modello hobbesiano in quanto è l' antitesi dello sta to di natura ed è co�tituita median�e accor o degli ir:di:'�d �i che decidono di usCire dallo stato dt natura e una soe1eta Isti tuita o artificiale (l'homo arti/icialis o la machina machinar�m di Hobbes) . Ma nulla prova meglio la vitalità e la longevttà di questa espressione quanto la constata�ion� del su� l�So con corde cosi in contesti in cui il controtermme e la fam1glia come in contesti in cui il controtermine è lo stato di natura. P�r il primo uso si legga un tipico rappresentante del modello �n stotelico, per cui lo Stato è un fatto natu� al� , :o:ne Bodm : « Lo Stato (république o res publica) è la soc1eta c1v1l� che puo, sussistere per se stessa senza associazioni e organism1, I?a non _ secondo s1 legga, lo può senza famiglia » [ 1 576, III, 7]. Per 1l
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per fare un altro esempio autorevole e rapp resentativo del _ aturalistica, modello giUsn Kan t: « L'uo mo deve uscire dallo st� to di na�ura, n l uale ognuno segue i capr � q icci della pro pna fantasia, e umrs1 con tutti gli altri . . . sotto mettendosi a una costrizione esterna pubblicamente legale . . . : vale a dire che ognuno deve, prim a di ogni altra cosa entrare in uno stato c�vile » [r 797, trad. i t. p. 498] . Seno� ché, attraverso la persistenza del modello giusnaturalistica nell' età moder na, da Hobbes a Kant, la contrapposizione della società ci vile alla società naturale ha finito per far prev alere nell' uso dell'espressione 'società civile' il significato di 'società arti ficiale', tanto che un autore tradizionalista com e Haller con siderando lo Stato secondo il modello aristoteli co com� una società naturale a! pari della famiglia, « il grad o piu eminen te d:lla società na u ale o privata » [ r 8 r 6, trad . it. p. 463] , � � _ sosti�ne che « la distr nz10ne, sempre riprodotta nei testi di dottnna at�ualmente accreditati, fra la socie tà civile e ogni . altra socie ta naturale, è senza fondamento », onde « è desid e r � �e �he 1' espres ione di società civile (soci � etas civilis), che si e rnsmuata dal linguaggio dei Romani nel nost presto sban dita interamente dalla scienza giur ro sia ben idic; » [ibid. pp. 4 76-7 7l Un'affermazione di questo gene re non si spie� gherebbe se attraverso l'uso giusnaturalistica di società civi le l'espressione non avesse assunto il significa to esclusivo di Stat? come �ntit� istituita dagli uomini al di sopra dei rap port: naturali �nzi come regolamentazione volo ntaria dei rap ; porti naturah, msomma come società artificial e mentre nel suo significato originario aristotelico la socie �à civile la x�tvwvtcx. noÀ:-rt��' è una società naturale a! pari della f;mi glia. In realta cio che Haller voleva sbandita non era tanto la par�la ma il sign�fi ato che la parola aveva assunto per chi, � _ �ome I g�usnaturah � u, aveva considerato gli Stati, per usare l espress10ne polemica dello stesso Haller , com e « società ar bi�r �riam�nte formate e distinte da tutte le altre per la loro ongme e il loro fine » [ibid. , p. 463] . Sem_t;Jre nel significato di Stat o politico disti nto da ogni forma di Stato non politico l'espressione 'società civile' è stata adoperata comunemente anche per distingue re l'ambito di competenza dello Stato o del potere civile dall' ambito di com pete nza della Chie sa o pote re religioso nella cont rapposizio ne socie tà civile / società religiosa che si aggi unge a quella
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t r;t dizionale società domestica / società civile. Ignota all'an ichità classica, questa distinzione è ricorrente nel pensiero , ristiano. Si consideri uno scrittore cattolico come Antonio 1\osmini. Nella Filosofia del diritto la trattazione della parte , lcdicata al diritto sociale si svolge attraverso l'esame di tre 1 i pi di società necessarie all'organizzazione «perfetta dell'u l l lan genere » [ r 8 4 r -43 , ed. r 967-69 pp. 848 sgg.] Queste tre :;ncietà sono: la società teocratica o religiosa, la società do t ncstica e la società civile. Questa tripartizione deriva mani l estamente dalla congiunzione della dicotomia famiglia/Sta l o , che è il punto di partenza del modello aristot � l�co, con la dicotomia Chiesa/Stato, fondamentale nella trad121one del pensiero cristiano. I due significati di 'società civile' come società politica o Stato, e in quanto tale come società distinta dalla società re l igiosa, sono consacrati dai due articoli dell'Encyclopédie de dicati rispettivamente a « Société civile » [Anonimo q 65 bJ c a « Société » [Anonimo 1 765a] . Nel primo ci viene incon tro questa definizione: « SOCIÉTÉ CIVILE s'entend du corps po litique que !es hommes d'une mème nation, d'un mème �tat, d'une mème ville ou autre lieu, forment ensemble, et de liens politiques qui les attachent les uns aux autres » [1 765b, p . 259]. Il secondo è dedicato quasi esclusivamente al proble ma dei rapporti fra società civile e società religiosa allo sco po di delimitarne rigorosamente il rispettivo ambito. l
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5 . Società civile come società civilizzata. Un'opinione corrente sulle fonti del pensiero di Hegel ri pete da tempo che la nozione di biirgerliche Gesellschaft sa rebbe stata ispirata anche dall'opera di Adam Ferguson An Essay on the History of Civil Society ( 1 767), che era stata tra dotta in tedesco a cura di Christian Garve nel r 768 e che Hegel certamente conosceva. Però altro è sosten:re che Fer guson insieme con Adam Smith sia una fonte di Hegel per quanto riguarda la sezione della società civile eh� tratt a _del _ sistema dei bisogni e pili in generale dell'economia poht1ca, altro lasciar credere, sulla base di questi riscontri fra testi di Ferguson e testi di Hegel, che la biirgerliche Gesellschaft del secondo abbia a che vedere con la civil society del primo.
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Che Hegel abbia tratto da Ferguson spunti per la trattazio ne degli elementi di economia politica che fanno parte della sezione della società civile non vuoi dire che società civile abbia in Ferguson lo stesso significato che in Hegel. Con Fer guson e gli scozzesi 'società civile' ha ancora un altro signifi cato: civilis non è piu aggettivo di civitas ma di civilitas. So cietà civile significa società civilizzata (Smith infatti adope ra l'aggettivo civilized) , che ha un quasi sinonimo in polished. L'opera di Ferguson che descrive il passaggio dalle società primitive alle società evolute è una storia del progresso: l'u manità è passata e continua a passare dallo stato selvaggio dei popoli cacciatori senza proprietà e senza Stato allo stato barbarico dei popoli che si avviano all'agricoltura e introdu cono i primi germi di proprietà, allo stato civile caratterizza to dall'istituzione della proprietà, dallo scambio e dallo Sta to. Non si può escludere del tutto che tanto nella societas ci v�lis dei giusnaturalisti quanto nella bùrgerliche Gesellschaft s1 nasconda anche il significato di società civile nel senso di Fer?�son e degli �cozzesi: basti pensare alla celebre contrap posiziOne hobbes1ana fra stato di natura e stato civile dove fra i caratteri del primo appare la barbaries, del secondo la elegantia [Hobbes r 64 z , X, r], oppure alla ripetuta afferma zione di Hegel che gli Stati antichi, tanto quelli dispotici quan to le repubbliche greche, non avevano una società civile for mazione caratteristica dell'età moderna. Ma rimane pur 'sem pre che la civil society di Ferguson è civil non perché si di stingua dalla società domestica o dalla società naturale ma perché si contrappone alle società primitive. Solo tenendo conto anche di questo significato si può com prendere appieno la société civile di Rousseau. Nel Discours sur l'origine et les fondemens de l'inégalité parmi !es hommes ( 1 754) Rousseau descrive in un primo tempo lo stato di na
tura, cioè la condizione dell'uomo naturale, che non vive an cora in società perché non gli è necessaria, provvedendo la generosa natura a soddisfare i suoi bisogni essenziali ed è felice del suo stato; in un secondo tempo descrive Io ' stato di corruzione in cui l'uomo naturale cade in seguito all'isti tuzione della proprietà privata che stimola, acuisce e perver te gli istinti egoistici, e all'invenzione dell'agricoltura e della metallurgia, oggi si direbbe di tecniche che moltiplicano il suo potere sulla natura e vengono trasformate in strumenti
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d i dominio dell'uomo sull'uomo, da parte dei piu abili e dei piu forti. Questo stato di corruzione Rousseau chiama socié t/ civile, attribuendo chiaramente all'aggettivo civile il signi1 icato di 'civilizzato', se pure imprimendogli una connota l. ione assiologicamente negativa, che contraddistingue la sua posizione nei riguardi della « civiltà » rispetto alla maggior par te degli scrittori del tempo e in generale all'ideologia illumi llistica del progresso. Peraltro, come nella maggior parte de gli scrittori in cui società civile ha il significato principale t li società politica non è escluso anche il significato di sode Là civilizzata, in Rousseau il significato prevalente di società civile come società civilizzata non esclude che questa società s ia anche in embrione una società politica a differenza dello stato di natura, se pure nella forma corrotta del dominio dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri, degli scaltri sui sempli ci, in una forma di società politica da cui l'uomo deve uscire per istituire la repubblica fondata sul contratto sociale, cioè sull'accordo paritetico di ciascuno con tutti gli altri, cosi come secondo l'ipotesi giusnaturalistica che parte da un'inversio ne di giudizio dei due termini l'uomo deve uscire dallo stato di natura. 6. Il dibattito attuale.
L'excursus storico ha mostrato la varietà di significati an che contrastanti fra loro con cui è stata usata l'espressione 'società civile' . Riassumendo, il significato prevalente è sta to quello di società politica o Stato, usato peraltro in diversi contesti secondo che la società civile o politica sia stata di stinta dalla società domestica, dalla società naturale, dalla so cietà religiosa . Accanto a questo l'altro significato tradizio nale è stato quello che appare nella sequenza società selvag ge, barbare, civili, che ha costituito a cominciare dagli scrit tori del Settecento uno schema classico per la delineazione del progresso umano, con la eccezione di Rousseau per cui la società civile, pur avendo il significato di società civilizza ta, rappresenta un momento negativo dello sviluppo storico. Una storia completamente diversa comincia con Hegel per il quale per la prima volta la società civile non comprende piu lo Stato nella sua globalità ma rappresenta soltanto un
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momento nel processo di formazione dello Stato, prosegue con Marx il quale concentrando la sua attenzione sul siste ma dei bisogni costituente solo il primo momento della so cietà civile hegeliana, comprende nella sfera della società ci vile esclusivamente i rapporti materiali o economici e con un'inversione ormai completa del significato tradizionale non solo separa la società civile dallo Stato ma ne fa il momento insieme fondante e antitetico. Gramsci infine, pur mante nendo la distinzione fra società civile e Stato, sposta la pri ma dalla sfera della base materiale alla sfera sovrastrutturale e ne fa il luogo della formazione del potere ideologico distin to da quello politico strettamente inteso, e dei processi di legittimazione della classe dominante . Nel dibattito attuaJe, come si è detto all'inizio, la contrap posizione è rimasta. E talmente entrata nella pratica quoti diana l'idea che la società civile sia l' antefatto (o il contraf fatto) dello Stato che bisogna fare uno sforzo per convincer si che per secoli la stessa espressione è stata usata per desi gnare quell'insieme di istituzioni e di norme che oggi costi tuiscono ciò che si chiama Stato, e che nessuno potrebbe piu chiamare società civile senza correre il rischio di un totale fraintendimento. Naturalmente, tutto questo non è accadu to per un capriccio degli scrittori politici o per caso. Non bi sogna dimenticare che societas civilis traduceva la xotvwv(oc 1toÀmx1) di Aristotele, un'espressione che designava la città come forma di comunità diversa dalla famiglia e ad essa su periore, come l'organizzazione di una convivenza che aveva si i caratteri dell'autosufficienza e dell'indipendenza che sa ranno anche in seguito caratteristici dello Stato in tutte le sue forme storiche, ma non si distingueva o non era mai sta ta consapevolmente distinta dalla società economica sotto stante, essendo l' attività economica un attributo della fami glia (donde il nome di economia al governo della casa) . Che lo Stato fosse definito come una forma di società poteva con siderarsi ancora corretto lungo i secoli della controversia fra lo Stato e la Chiesa per la delimitazione dei rispettivi confi ni, controversia che fu rappresentata da una parte e dall'al tra come un conflitto fra due società, la societas civium e la societas fidelium; né del tutto improprio quando con la dot trina del diritto naturale e col contrattualismo lo Stato fu visto soprattutto nel suo aspetto di associazione volontaria
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1 1 1 difesa di alcuni interessi preminenti come la difesa della ,. 1 1 a, della proprietà, della libertà. Non è da escludere che h identificazione tradizionale dello Stato con una forma di ·
' ll:ietà abbia contribuito a ritardare la percezione della di
.1 i nzione fra il sistema sociale nel suo complesso e le istitu i. toni politiche attraverso cui si esercita il dominio (Herrschaft t 1 d senso weberiano), distinzione che si era venuta ormai sem
piu accentuando nell'età moderna con lo sviluppo dei rap economici oltre il governo della casa, da un lato, e del l 'apparato dei pubblici poteri, dall'altro. Sta di fatto però che ' nn Machiavelli, anche per questo degno di essere conside rato il fondatore della scienza politica moderna, lo Stato non J >tlÒ piu essere in alcun modo assimilato a una forma di so cietà e solo per abitudine di scuola può essere ancora defini I o come societas civilis. Quando Machiavelli parla dello Sta l o intende parlare del massimo potere che si esercita sugli :tbitanti di un determinato territorio e dell'apparato di cui :dcuni uomini o gruppi si servono per acquistarlo e conser varlo. Lo Stato cosi inteso non è lo Stato-società ma lo Stato macchina. Dopo Machiavelli lo Stato può ancora essere de finito come societas civilis ma la definizione si palesa sempre piu incongrua e fuorviante. La contrapposizione fra la socie tà e lo Stato che si fa strada con la nascita della società bor ghese, è la naturale conseguenza di una differenziazione che avviene nelle cose e insieme di una consapevole divisione di compiti, sempre piu necessaria, fra chi si occupa della « ric chezza delle nazioni » e chi si occupa delle istituzioni politi che, fra l'economia politica in un primo tempo e la sociolo gia in un secondo tempo, da un lato, e la scienza dello Stato con tutte le famiglie di discipline affini, la Polizeiwissenschaft, la cameralistica, la statistica nel senso originario del termine, la scienza dell'amministrazione, ecc., dall'altro. In questi ultimi anni si è posta la domanda se la distinzio ne fra società civile e Stato che ha avuto corso per due secoli abbia ancora la sua ragion d'essere. Si è detto che al proces so di emancipazione della società dallo Stato è seguito un pro cesso inverso di riappropriazione della società da parte dello Stato, che lo Stato, trasformatosi da Stato di diritto in Sta to sociale (secondo l'espressione divulgata soprattutto da giu risti e politologi tedeschi) , appunto perché « sociale » mal si distingue dalla società sottostante che esso pervade tutta quan\ ' rc
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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ
ta attraverso la regolazione dei rapporti economici. Si è no tato, dall'altra parte, che a questo processo di statalizzazio ne della società ha corrisposto un processo inverso ma non meno significativo di socializzazione dello Stato attraverso lo sviluppo delle varie forme di partecipazione alle scelte po litiche, la crescita delle organizzazioni di massa che esercita no direttamente o indirettamente un potere politico, onde l'espressione ' S tato sociale' può essere intesa non solo nel senso di S tato che ha permeato la società ma anche nel senso di S tato che la società ha permeato. Queste osservazioni sono giuste, eppure la contrapposizione fra società civile e Stato continua ad essere d'uso corrente, segno che rispecchia una situazione reale. Pur prescindendo dalla considerazione che i due processi dello Stato che si fa società e della società che si fa S tato sono contradditori, perché il compimento del pri mo condurrebbe allo Stato senza società, cioè allo Stato to talitario, il compimento del secondo alla società senza Stato, cioè all'estinzione dello Stato, i due processi sono tutt' altro che compiuti e proprio per la loro compresenza nonostante la loro contraddittorietà non suscettibili di compimento. Que sti due processi sono bene rappresentanti delle due figure del cittadino partecipante e del cittadino protetto che sono in conflitto fra loro talora nella stessa persona: del cittadino che attraverso la partecipazione attiva chiede sempre maggiore protezione allo S tato e attraverso la richiesta di protezione rafforza quello Stato di cui vorrebbe impadronirsi e che in vece diventa suo padrone. Sotto questo aspetto società e Stato fungono come due momenti necessari, separati ma contigui, distinti ma interdipendenti, del sistema sociale nella sua com plessità e nella sua interna articolazione.
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Stato, potere e governo
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Per lo studio dello stato.
Le d i s c i p l i n e s t o r i c h e . Per lo studio dello Stato le due fonti principali son° la ;L oria delle istituzi?ni poli � ic?e e la : toria delle dottrine l i Liche . Che la ston.a delle Istltuzt.?m possa essere t �atta LI storia delle dottnne non vuoi dire che le due stone debba . · stoI l O essere conf use. Per far sub Ito un esempio: a1 tro e I a p rittori 1 i a dei parlamenti in Europa, altro la storia degli sc �r hmentari. Niun d�bbio sulla import� nza eh� p.uò �ve�e 1 ,era politica di Anstoteie per Io studio delle IStltuZIom f: . . 1 iche delle città greche, o il libro VI delle Storie dt PolibiO per lo studio della costituzione della repubblica romana . M a ;1cssuno si accontenterebbe di leggere Hobbes per cono ;ce: eta re l'ordinamento dei primi grandi Stati territoriali dell m o dell moderna, o Rousseau per conoscere l'ordinament e � , Jerne democrazie. D'altronde, se lo studio delle opere di An stotele o delle storie di Polibio è importante per la conosc n a rispettivamente dell'ordinamento delle città greche e e . a repubblica romana, ben altre fonti, letterarie e non, e vi� via crescenti dall'età antica all'età contemporanea, s ono neces· · ta1 ora rnolto com-. sarie per conoscere a fondo 1· meccamsmi plessi attraverso cui vengono istituiti o modificati � r �p ? di potere in un sistema politico. Per ragioni non dtffictA1 comprendere, ma essenzialmen�e per la m�ggi?r � if�t_ �olt � de . . reperimento delle fonti, la stona delle IstltuziOm s1 e sv:t.lu P_ pata piu tardi della storia delle dottrine, sicché spesso g$! or dinamenti di un determinato sistema politico sono star t .co nosciuti o ci si è accontentati di conoscerli attraverso la neo· struzione, talora l a de formaz10ne o 1 a 1·de al'tzzaztone, f attane dagli scrittori . Si sono identificati Hobbes con lo S tato
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assoluto, Locke con la monarchia parlamentare, Montesquieu con lo Stato limitato, Rousseau con la democrazia, Hegel con la monarchia costituzionale, ecc. La prima fonte per uno studio delle istituzioni autonomo rispetto alle dottrine è costituita dagli storici: Machiavelli ri costruisce la storia e I' ordinamento delle istituzioni della re pubblica romana, commentando Livio; Vico, per ricostruire la storia civile delle nazioni dallo stato ferino sino ai grandi S tati del suo tempo, denunzia la boria dei dotti « i quali, ciò ch'essi sanno, vogliono che sia antico quanto che 'I mondo » (1 744, ed . 1 967 p. 72] e per la sua ricerca intende che « si dee far con to come se non vi fussero libri nel mondo » [ibid. , p. 1 1 5] . Allo studio della storia segue Io studio delle leggi, che re golano i rapporti fra governanti e governati, il complesso delle norme che costituiscono il diritto pubblico (una categoria essa stessa dottrinale) : le prime storie delle istituzioni sono state storia del diritto, scritte da giuristi che spesso hanno avuto pratica diretta negli affari di S tato. Oggi la storia delle isti tuzioni non solo si è emancipata dalla storia delle dottrine ma ha allargato lo studio degli ordinamenti civili ben al di là delle forme giuridiche che li hanno modellati, e indirizza le sue ricerche verso l'analisi del concreto funzionamento in un determinato periodo storico di uno specifico istituto at traverso i documenti scritti, le testimonianze degli attori, i giudizi dei contemporanei, progredendo dallo studio di un istituto fondamentale come il parlamento e le sue vicissitu dini nei diversi paesi a quello d'istituti particolari, come il segretario di Stato, l'intendente, il gabinetto segreto, ecc . , attraverso i quali si riesce a descrivere il passaggio dallo Sta to feudale alla monarchia assoluta , o la graduale formazione dell'apparato amministrativo, attraverso cui si ricostruisce il processo di formazione dello Stato moderno e contemporaneo. Fil o s o f i a e s c i e n z a p o l i t i c a . Oltre che nel suo sviluppo storico lo S tato viene studiato in se stesso, nelle sue strutture, funzioni, elementi costituti vi, meccanismi, organi, ecc . , come un sistema complesso di per se stesso considerato e nei suoi rapporti con gli altri si stemi contigui . C onvenzionalmente oggi l'immenso campo
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, l i ricerca è diviso tra due discipline anche didatticamente l i stinte: la filosofia politica e la scienza politica. Come tutte l(· distinzioni convenzionali, anche questa è labile e discuti b i le. Quando Hobbes chiamava philosophia civilis l'insieme , Ielle analisi sull'uomo nei suoi rapporti sociali vi compren ' leva anche una serie di considerazioni che oggi si farebbero rientrare nella scienza politica; al contrario, Hegel diede ai �;uoi Lineamenti di filosofia del diritto ( r 8 2 r ] il sottotitolo di Staatwissenschaft im Grundrisse ' Lineamenti di scienza dello S tato' . Nella filosofia politica sono compresi tre tipi di ri cerca: a) della miglior forma di governo o dell'ottima repub blica; b) del fondamento dello Stato, o del potere politico, con la conseguente giustificazione (o ingiustificazione) del l'obbligo politico ; c) della essenza della c� tegoria del P ol�ti . co o della politicità, con la prevalente disputa sulla d!stm zione fra etica e politica. Queste tre versioni della filosofia politica sono esemplarmente rappresentate all'inizio dell'età moderna da tre opere che hanno lasciato tracce indelebili nella storia della riflessione sulla politica: l' Utopia di Moro ( r 5 r 6], disegno di repubblica ideale, il Leviathan di Hobbes ( r 65 1], che pretende di dare una giustificazion� �az�onale e qu�nd� universale dell'esistenza dello Stato e d1 md1care le rag10111 per cui i suoi comandi debbono essere ubbiditi; il Principe di Machiavelli (1 5 1 3], nel quale, almeno in una delle sue in terpretazioni, l'unica del resto che dà origine a un « ismo » (il machiavellismo), si mostrerebbe in che cosa consista la pro prietà specifica dell'attività politica e come si distingua in quanto tale dalla morale . Per 'scienza politica' oggi s'intende una ricerca nel cam po della vita politica che soddisfi a queste tre condizioni: a) il principio di verificazione o di falsificazione come criterio dell'accettabilità dei suoi risultati; b) l'uso di tecniche della ragione che permettano di dare una spiegazione �ausale in senso forte o anche in senso debole del fenomeno mdagato; c) l'astensione o astinenza da giudizi di valore, la cosiddetta « avalutatività » . Considerando le tre forme di filosofia poli tica dianzi descritte, si osservi come a ciascuna manca alme no una delle caratteristiche della scienza. La filosofia politi ca come ricerca dell'ottima repubblica non ha carattere ava lutativo · come ricerca del fondamento ultimo del potere non intende 'spiegare il fenomeno del potere ma giustificarlo, ope,
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razione �he h� pe! sc�po di qualificare un comportamento . c?me leCito o llleCito, Il che non si può fare senza richiamar si a valori; come ricerca dell'essenza della politica si sottrae a ogr:i v �rificazione o falsificazione empirica, in quanto ciò che s1 ch1am � l?resuntuosamente essenza della politica risul . ta da una def1mz10ne nominale e come tale non è vera né falsa. P u n t o di v i s t a s o c i o l o g i c o e g i u r i d i c o .
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' ' 'rale dello Stato», mentre la dottrina giuridica si occupa delle .. 1 1orme giuridiche che in quella esistenz a reale debbono ma " i l cstarsi » [ 1 900, trad. it. I, p. 73] e aveva fondato la di :t i nzione sulla contrapp osizione , destinat a ad aver fortuna, ber, ini t r;J la sfera dell'essere e la sfera del dover essere. W e è consi cui di a, giuridic ia sociolog di ne · i ando la trattazio di parla si «quando che afferma ri, fondato dei ' k:rato uno l i ritto, ordinamento giuridico, norma giuridica, è necessa rio un particolare rigore nel differenziare il punto di vista �·. i uridico da quello sociologico » [Weber r 9o8-2o, trad. it. I, l ' · 309]: una distinzione che egli riconduce alla differenza fra validità ideale, di cui si occupano i giuristi, e validità empi rica delle norme di cui si occupano i sociologi . Per Weber , J uesta distinzione era una premess a indispensabile per fare i ntendere che egli si sarebbe occupato dello Stato da socio e non da giurista. Tale trattazione diventa un capitolo lono b della teoria dei gruppi sociali, di cui una specie sono i grupp1 politici, i quali alla loro volta diventano S tati (nel senso di « Stato moderno») quando sono dotati di un apparato ammi l listrativo che avanza con successo la pretesa di valersi del monopolio della forza su un determinato territorio. Solo con Kelsen [ 1 9 2 2] che critica il duplice punto di vista di Jellinek (che chiama Zweiseitentheorie) lo Stato viene risolto totalmente nell'ordinamento giuridico e quindi scompare come entità di versa da quella del diritto che ne regola l'attività consistente nella produzione e nell'esecuzione di norme giuridiche. Di tutte le tesi kelseniane la riduzione radicale dello Stato a or dinamento giuridico è quella che ha avuto minor fortuna . Con la trasformazione del puro Stato di diritto in Stato sociale, le teorie meramente giuridiche dello Stato, condan nate come formalistiche, sono state per lo piu abbandonate dagli stessi giuristi, e hanno ripreso vigore gli studi di socio logia politica che hanno per oggetto lo Stato come forma com plessa di organizzazione sociale (di cui il diritto è solo uno degli elementi costitutivi) . ,
Oltre la distinzione dei due campi chiamati convenzional me_nte « filosofia» � « scienza» della politica, il tema dello Stato puo essere aggredito da diversi punti di vista. Con la Dottri na generale dello Stato [ r 9 r o] di Georg Jellinek è entrata per lungo tempo nell'uso delle teorie dello Stato la distinzione f�a ot�rina sociol?gica e dottrina giuridica dello Stato. Questa d1s �mzwne e:a diventat a necessaria in seguito alla tecniciz . zazwne del dmtto pubblico e alla considerazione dello Stato come persona giuridica che ne era derivata. A sua volta la tecnicizzazione el diritto pubblico era la naturale conseguen za della conceziOne dello S tato come Stato di diritto come S ta�o concepito pr ncipalmente come organo di prod zione _ hca, _ _ gmn e r:el suo ms1eme come ordinamento giuridico. Que � sta ncostruz10ne dello Stato come ordinamento giuridico pe raltro non aveva fatto dimenticare che lo Stato era anche attraverso il diritto, una forma di organizzazione sociale � che come tale non poteva essere dissociato dalla società e dai rapporti sociali sottostan ti. Di qui la necessità di una distin zione fra punto di vista giuridico, da lasciare ai giuristi che el resto erano stati per secoli i principali artefici dei tratta ti sullo Stato, e punto di vista sociologico che avrebbe dovu to v�le�si del cor:tributo dei sociologi, degli etnologi, degli st � d�os1 delle v � ne forme di organizzazione sociale: una di stmzwne che pnma dell'avvento della sociologia come scienza _ genera e mgloban te la teoria dello Stato non poteva essere percepita. La distinzione di Jellinek fu riconosciuta come rilevante e accredita ta da Max Weber, il quale, proprio prendendo l s p�nt? a a Dottri_na generale dello Stato, sostenne la neces Slt � d1 d1st�nguere Il punto di vista giuridico da quello socio logico . Jellinek aveva affermat o che la dottrina sociale dello Stato «ha per contenuto la esistenza obiettiva, storica o na-
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F u n z i o n a l i s m o e m a rx i s mo . Fra le teorie sociologiche dello Stato due soprattutto hanno tenuto il campo in questi ultimi anni, spesso in polemica fra loro ma ancora piu spesso ignorandosi, procedendo ciascuna
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per la propria strada come se l'altra non esistesse: la teoria marxistica e quella funzionalistica, dominante nella polìtical science americana, che ha avuto grande influenza anche in Europa ed è stata accolta per anni come la scienza politica per eccellenza. Fra le due teorie vi sono differenze sia rispetto alla concezione della scienza in generale sia rispetto al meto do. Ma la differenza essenziale riguarda la collocazione del lo Stato nel sistema sociale considerato nel suo insieme. La concezione marxiana della società distingue in ogni società storica, per lo meno da un certo momento dello sviluppo eco nomico, due momenti, che non vengono posti, rispetto alla loro forza determinante e alla loro capacità di condizionare lo sviluppo del sistema e il passaggio da un sistema all'altro, sullo stesso piano: la base economica e la sovrastruttura. Le istituzioni politiche, in una parola lo Stato, appartengono al secondo momento. II momento sottostante, comprendente i rapporti economici, caratterizzati in ogni epoca da una de terminata forma di produzione, è il momento determinante, anche se non sempre, secondo alcune interpretazioni, domi nante. Al contrario, la concezione funzionalistica (che discen de da Parsons) concepisce il sistema globale nel suo comples so distinto in quattro sottosistemi (patter-maintenance, goal attainment, adaptation, integration), caratterizzati dalle fun zioni ugualmente essenziali che ciascuno svolge per la con servazione dell'equilibrio sociale, e in quanto tali reciproca mente interdipendenti. Al sottosistema politico spetta la fun zione del goal-attainment, il che equivale a dire che la fun zione politica esercitata dall'insieme delle istituzioni che co stituiscono lo Stato è una d�lle quattro funzioni fondamen tali di ogni sistema sociale. E pur vero che anche nella con cezione marxiana il rapporto fra base economica e sovrastrut tura politica è un rapporto di azione reciproca, ma resta fer ma l'idea (tolta la quale uno dei caratteri essenziali della teo ria marxistica verrebbe meno) che la base economica sia pur sempre determinante in ultima istanza. Nella teoria funzio nalistica non vi sono diversità di piani fra le diverse funzioni di cui ogni sistema sociale non può fare a meno. Se mai il sottosistema cui viene attribuita una funzione preminente non è il sottosistema economico ma quello culturale, perché la massima forza coesiva di ogni gruppo sociale dipenderebbe dall'adesione ai valori e alle norme stabilite, attraverso
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i l processo di socializzazione d� un lat� (interiorizzazione dei v;tlori sociali) e di controllo sociale dali altro (osservan�a delle 1 1orme che regolano la generalità dei comportamenti) . Le due diverse, anzi opposte, concezioni possono ess�re 1 i condotte al diverso problema di fondo che si pongono e 111l cndono risolvere. Mentre la teoria funzionalistica, specie n�l la sua versione parsonsiana, è dominata dal tema hobbesla1 10 dell'ordine, quella marxisti� a è domina� a dal tema della , rottura dell'ordine, dal passaggiO da u� ordme �ll altr�, con L"cpito come passaggio da una forma d_t p ro?� zwne all a�tra, attraverso l'esplosione delle contradd1z10m mtern� al siste ma, in specie della contraddizione. tra f?rze produttive e r�p porti di produzione. Mentre la pnma si preoccupa essenzial mente del problema della conservazione sociale, la seconda . si preoccupa essenzialmente del muta:nento soCl�le Da un : . lato i mutamenti che interessano la teona funzwnah� tica sono . quelli che avvengono all'inter�lO del siste ma � che 1l sis� ema . . aggmsta�ent1 �re� ha la capacità di assorbire mediante piccoli visti dal meccanismo stesso del sistema. Marx e 1 marxisti hanno sempre preconizzato, analizzato e prefigurat? , il gr�nde mutamento, quello che mette in crisi � �etermmato siste ma e ne crea, attraverso un salto qualitativo, un altro. Se condo un luogo comune (ma non per questo erroneo) del pen� siero sociologico, la grande divisione è quella che �PJ? One � . e al sis em1 sistemi che privilegiano il momento della coesw � ? . che privilegiano il momento dell'antagonis� o, 1 si� teml. c� siddetti integrazionistici ai sistemi cosiddetti co? fhttua�Isti ci . Sarebbe difficile trovare nella storia del pens1er� socwlo gico due prototipi di questa grande divisione pi� pun del mar xismo e del funzionalismo. Si può anche aggiUngere che la concezione funzionalistica è sotto certi aspetti analoga a que�a contro cui Marx ebbe a combattere una delle sue battaglie teoriche piu celebri, la concezione dell'econ�m�a classica se . condo cui la società civile, nonostante i confhttl che la agita no ubbidisce a una sorta di ordine prestabilito, e gode del va�taggio di un meccanismo, il me:cato, de stinato a mante � . nere l'equilibrio attraverso un contmuo aggiUstamento deg l1 interessi concorrenti. Negli ultimi anni il punto di vista che ha finit� col [; n�va lere nella rappresentazione dello Stato è quello sisteJ�JICO r1 cavato, se pure senza troppo rigore, e con alcune van;t z l o l l l ,
STATO, GOVERNO, SOCIETÀ dalla teoria dei sistemi (in primis, David Easton e Gabr iel A� m �nd) . Il ra�porto fra l'insieme delle istituzioni politi che e 11 sistem a soc1ale nel suo complesso è rappresentato come un rappo�to domanda-risposta (input-output) . La funzio ne del . le 1st1tuz1ont. politiche è quella di dare risposte alle doma nde che p �ovengono dall'ambiente sociale o, secondo una termi �ologia corrente, di convertire le domande in rispos te. Le n spos�e de�le istituzioni politiche vengono date sotto forma d1. dects1.o111 collettive vincolanti per tutta la socie tà. A loro volta 9ueste risposte retroagiscono sulla trasformazione del l'ambiente � ociale, da cui, in seguito al modo con cui vengo n? date le nspo ste, nascono nuove domande in un proce sso mu �amento continuo, che può essere gruaduale quando vi e cornspond�nza fra domande e risposte, brusco quand o per �n sovrac� anco d�lle doman�e sulle risposte si interrompe l� flusso dt ��troazwn , e le vigenti istituzioni politiche � non nuscen?o p1u a dar� nsposte soddisfacenti subiscono un pro cesso d1 trasformaziOne che può giungere alla fase finale del loro completo cambiamento. La rappresentazione sistem ica dello St� to è perfettamente compatibile con entrambe le teorie generali della società di cui si è parlato poc' anzi. Ferm a re stando la diversa interpretazione della funzione dello Stato nella società, la rappresentazione sistemica dello Stato inten de prop o�re u?? schema concettuale per analizzare come le isti �Zlom pohtiche funzionano, come esercitano la funzione che e loro propn. a, quale ne sia la loro interpretazione.
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S tato e societ à . Ciò che è cambiato, che anzi si è completamente inverti to ne1 corso della riflessione secolare sul problema dello Sta . t? , e, Il r�ppor�o fra S �ato e società. Per secoli 1'organizza z�one poht1c � e sta �a l ogge,tto per eccellenza di ogni rifles slO r:e sulla vita soctale dell uomo, sull'uomo come animale sociale, come 7t_oÀ:·nxòv (4)ov, dove in 1toÀvnx6v era compreso . se�za d�ff�renz1az1one l'odierno duplice significato di 'sociale' . e politico C �n quest ? �on si vu �1 dire che il pensiero an ti c ? non abbia nlevato l esistenza d1 forme associative umane d tverse dell� Stato, ma la famiglia viene presa in considera ; Zione da Anstotele come prima forma embrionale e imper fetta della 7tOÀLç e la sua trattazione viene collocata all'inizio ·.
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, Iella Politica. Quanto alle altre forme di società o xmvwv(ott , che vengono costituite per accordo o per necessità dagli in dividui allo scopo di raggiungere fini particolari, sono trat tate dallo stesso Aristotele nel capitolo dell'Etica Nicomachea dedicato all' amicizia, e proprio in quanto vengono formate per il raggiungimento di fini particolari, la navigazione da parte dei naviganti, la vittoria in guerra da parte degli uomi lli d'arme, il piacere e lo svago da parte di coloro che si riu niscono per banchettare, sono subordinate alla società poli tica che mira non a un'utilità particolare o momentanea ma all'utilità generale e durevole coinvolgente tutta la vita del l'uomo [r r 6oa] . Il rapporto fra società politica che sola è la societas perfecta e le società particolari è un rapporto fra il tutto e le sue parti, in cui il tutto, l'ente inglobante, è la 7tOÀLç, le parti inglobate sono la famiglia e le associazioni . In tutta la trattatistica politica sino a Hegel incluso, questo rapporto fra lo Stato e le società minori o parziali rimane costante. Nel Leviathan di Hobbes [ r 65 r], oltre al capitolo sulla fami glia e sulla società padronale, che è comune a tutti i trattati di politica del tempo, c'è anche un capitolo (il xxn) sulle so cietà parziali chiamate grecamente systems, delle quali viene presentata una ricca esemplificazione con relativa tipologia, che costituirebbe oggi uno dei capitoli principali di un trat tato di sociologia. La teoria politica di Hegel, quale viene esposta nella parte III dei Lineamenti di filosofia del diritto [r 8z r], è una teoria dello Stato come momento culminante dello Spirito oggettivo, culminante nel senso che risolve e supera i due momenti precedenti della famiglia e della socie tà civile; e ove viene collocata, fra l'altro, la trattazione del le corporazioni, tipiche società parziali e con fini particolari nel senso tradizionale . Con l'emancipazione della società civile-borghese, nel senso marxiano, o della società industriale, nel senso saintsimoniano, dallo S tato, il rapporto fra istitu zioni politiche e società viene invertito. A poco a poco la so cietà nelle sue varie articolazioni diventa il tutto di cui lo Stato, considerato restrittivamente come l'apparato coatti vo con cui un settore della società esercita il potere sull'al tro, viene degradato a parte. Se il corso dell'umanità si è svolto sinora dalle società minori come la famiglia allo Stato, ora finalmente, da un lato, con la scoperta delle leggi economi che che permettono all'uomo una convivenza armonica con
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un bisogno minimo di apparato coattivo e quindi di potere politico, dall'altro, con lo sviluppo dell'organizzazione indu striale cui provvedono gli scienziati insieme con gli stessi in dustriali che faranno a meno d'ora innanzi della spada di Ce sare, si svolgerà con un processo inverso dallo Stato oppres sivo alla società liberata. Da questa inversione nasce una delle idee dominanti del secolo XIX, comune tanto al socialismo utopistico quanto al socialismo scientifico, tanto alle varie forme di pensiero libertario quanto al pensiero liberale nelle sue espressioni piu radicali, della inevitabile estinzione dello Stato o almeno della sua riduzione ai minimi termini. Per quel che riguarda le trattazioni sullo Stato, queste diventa no sempre piu trattazioni parziali rispetto alla trattazione ge �erale della società. Pochi anni dopo la morte di Hegel esce Il Cours de philosophie positive di Comte ( r 830-42) che cul mina nella teoria generale della società o sociologia di cui il tema dello Stato costituisce solo una parte. Nella stessa Ger mania di Hegel con Lorenz von S tein scompare la gesamte Staatswissenchaft ' scienza generale dello Stato', e a una Staats wissenschaft, sempre piu ristretta nel suo oggetto e ridotta a una trattazione dello Stato distinto dalla società globale, . SI contrappone una Gesellschaftswissenschaft 'scienza della so cietà' . Oggi la sociologia politica è una parte della sociologia generale, la scienza politica è una delle scienze sociali. Lo Stato come sistema politico è rispetto al sistema sociale un sottosi stema. D al l a p ar t e d e i g o v e r n a n t i o d e i g o v e rn a t i . Accanto alle diverse maniere di considerare il problema dello S tato, esaminate sin qui, rispetto all'oggetto, al meto do, al punto di vista, alla concezione del sistema sociale' oc corre far menzione di una contrapposizione che in genere vie ne trascurata ma che divide in due campi opposti le dottrine politiche forse piu che ogni altra dicotomia: ci si riferisce alla contrapposizione che deriva dalla diversa posizione che gli scrittori assumono rispetto al rapporto politico fondamenta le, governanti-governati, o sovrano-sudditi, o Stato-cittadini, rapporto che generalmente viene considerato come rapporto tra superiore e inferiore, salvo in una concezione democrati ca radicale dove governanti e governati s'identificano alme-
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"" i dealmente in una sola persona e i l governo s i risolve nel I ' : I I Llogoverno. Considerato il rapporto politico come un rap I H >L'lO specifico tra due soggetti, dei quali l'uno ha il diritto , l i comandare l'altro il dovere di ubbidire, il problema dello : ; 1 ato può ess �re trattato prevalentemente dal punto di vista 1,·1 governante oppure dal punto di vista del governat� : ex . /''trte principis o ex parte populi. In realtà per lunga tradlZl� , ,,. che va dal Politico di Platone al Principe di Machiavelh, h !la Ciropedia di Senofonte al Princeps christianus di Erasmo ( L ) I 5), gli scrittori politici hanno trattato il problem� dell� \ rato principalmente dal punto di vista dei governanti: temi ,·ssenziali, l'arte di ben governare, le virtu o abilità o capaci l ;L che si richiedono al buon governante, le varie forme di ! •,overno, la distinzione fra buongoverno e malgoverno, la fe1 Lomenologia della tirannia in tutte le sue piu diverse for n:e, , ! iritti, doveri, prerogative dei governanti, le diverse funzw r li dello Stato e i poteri necessari a svolgerle adeguatamente, le varie branche dell'amministrazione, concetti fondamen1 ali come dominium, imperium, maiestas, auctoritas, potestas c summa potestas che tutti si riferiscono a uno solo dei due soggetti del rapporto, a quello che sta in alto e che diventa i n tal modo il vero soggetto attivo del rapporto, l'altro es sendo trattato come il soggetto passivo, la materia rispetto alla forma (formante) . Non già che sia stata completamente assente l'altra prospettiva, la società politica vista dal basso, dagl'interessi, dai bisogni, dai diritti, dei destinatari del b � neficio (o maleficio, secondo i casi) del governo, ma la persi stenza e la insistenza di certe metafore, il pastore che pre suppone un gregge, il gubernator (nel senso originario di 'ti moniere') che presuppone una ciurma, il padre che presup pone figli minorenni e bisognosi di protezione, il padrone ��e presuppone dei servi, mostrano piu che una l �nga es.emplifi: cazione il senso e la direzione prevalente nel secoli passati del discorso politico. Anche la metafora, adoperata da Pla tone nel Politico, del governante-tessitore - «il fine della tela dell'azione politica è una buona tessitura» [3 r r b] - non esce da questa prospettiva: l' arte del tessere è quella che « in dica a ciascuno quali sono le opere da portare a termine» [ibid. , 308e] . I l capovolgimento, l a scoperta dell'altra faccia della luna, rimasta sino allora nascosta, avviene all'inizio dell'età mo,
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derna con la dottrina dei diritti naturali che appartengono all'individuo singolo. Questi diritti sono precedenti alla for mazione di qualsiasi società politica e quindi di ogni struttu ra di potere che la caratterizza. A differenza della famiglia o della società padronale, la società politica comincia ad es sere intesa in modo prevalente (precedenti ce n'erano stati anche nell'età classica) come un prodotto volontario degli in dividui che decidono con un accordo reciproco di vivere in società e istituire un governo. Johannes Althusius, uno dei maggiori artefici di questo nuovo modo di vedere, definisce la politica in questo modo : « La politica è l'arte per mezzo della quale gli uomini si associano allo scopo di instaurare, coltivare e conservare tra di loro la vita sociale. Per questo motivo è definita simbiotica » [ r 6o3 , ed. 1 9 3 2 I, r ] . Althu sius parte dagli <
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delle città fortificate, e interpretava giustamente come indi pendenza dalle altre città (l' autosufficienza di cui aveva par lato Aristotele). La piu alta espressione praticamente rilevante di questo rovesciamento sono le Dichiarazioni dei diritti ame ricane e francesi, nelle quali è enunciato solennemente il prin cipio che il governo è per l'individuo e non l 'individuo per il governo, un principio che ha influenzato non solo tutte le costituzioni che sono venute dopo ma anche la riflessione sullo Stato ed è diventato, almeno idealmente, irreversibile. Nel la riflessione politica, per lo meno dalla rivoluzione francese in poi, il capovolgimento piu significativo è stato quello che riguarda l'idea del « mutamento », nel senso del libro V della Politica aristotelica, cioè del passaggio da una forma di go verno a un'altra. Considerato, questo passaggio, generalmente come un male (conclusione logica di una dottrina politica che ha per secoli pregiato ed esaltato la stabilità e considerato il peggiore dei mali la guerra civile), viene ad acquistare un valore positivo da parte dei movimenti rivoluzionari che ve dono nel mutamento l'inizio di una nuova era. Ma per l'ap punto la guerra civile rappresentava la crisi dello Stato vista ex parte principis, la rivoluzione, interpretata positivamente, rappresentò la crisi dello Stato vista ex parte populi. 2 . Il nome e la cosa. O rigine del nome . Che la parola ' Stato' si sia imposta attraverso la diffusio ne e per il prestigio del Principe di Machiavelli, è fuori di scussione. L'opera comincia, com'è noto, con queste parole: « Tutti li stati, tutti e' dominii che hanno avuto et hanno im perio sopra li uomini, sono stati e sono o repubbliche o prin cipati» [ 1 5 1 3 , ed. 1 97 7 p . 5]. Questo non vuoi dire che la p arola sia stata introdotta da Machiavelli. Minute e ampie ricerche sull'uso di ' Stato', nel linguaggio del Quattrocento e del Cinquecento, mostrano che il passaggio dal significato corrente del termine status da 'situazione' a ' Stato' nel sen so moderno della parola, era già avvenuto, attraverso l'isola mento del primo termine nell'espressione classica status rei pubblicae. Lo stesso Machiavelli non avrebbe potuto scrive-
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re quella frase prop io all'inizio dell 'ope . ra se la parola in que � stiOne non foss e g1a, stat a d'uso corr ente. Certo, con l'autore del Principe il term ine ' Stat o' venne a poco a poc� ostit e do, se pure attr � ave � ? rso un lungo per cors o, l. term 1m trad1z10nah. con cm. era stat a desi gna ta sino allora la massima organizzazione di un gruppo d'individui su un territorio in virtu di un potere di comando: civitas che traduceva il greco 1toÀtç, e res pub lica con cui gli scrittori ro mani designavano l'insieme delle istit uzioni politiche di Roma appunto della civitas. Il lungo percorso è dimostrato dal fat� to che ancora alla fine del Cinquecen to Jean Bodin intitole rà il suo trattato olitico De la répu blique [ r 5 76], dedicato p a tutte le forme d1 Stato e non solo alle repubbliche in senso stre tto, e nel Seicento Hobbes user à prevalentemente i ter � ini �i�itas nelle opere latine e commonwealth nelle ope re mgles1 m tutte le accezioni in cui oggi si usa 'Sta to ' . Non già che i Romani non conoscessero e usassero il termine re gnum per designare un ordinamento diverso da quello della civitas, un ordinamento retto dal pote re di uno solo, ma no nostante fosse ben chiara la distinzi one tra il governo di uno solo e il governo di un corpo colletti vo, non ebbero mai una paro�a c�e servisse a designare il gen ere, di cui regna e res pub l:ca �n senso stretto fossero le spec ie, sicché res pub lica contmuo ad esse re usa ta come spec ie e come genere: « Cum penes unum est omnium summa reru m, regem illum unum vocamus et regnum eius rei publica e status » [Cicerone De re pub lica, I, 26,4 2]. La stes sa stor ia romana del resto offri va un es empio estremamente significa . tivo e perfettamente r�conosc1. Uto del pass aggio da una form a di reggimento poli tico ad un altro, nella transizione dal regnum alla res pub lica, dalla res pub lica al principatus. Qua ndo Cicerone durante il dominio di Ces are scrive « re m pub licam verbo retinemus re ipsa vero iam pridem amisimus » [ibid. , V, r , 2] mostra di esser� perfettamente consapevole del significato ambiguo del termme res pub lica e di avere bene in mente la distinzione fra la repu?blica come specifica form a di governo, cioè come l� �orma d1 � averno di Roma « repu bblican a », e altre pos si bili form e d1 govern o. L'unica par ola di gen ere conosciuta d�gli antichi per designare le varie forme di governo era ci vztas ma, quando ormai in Europa, al tempo di Machiavelli il termine civitas doveva essere percep ito, specie per chi par�
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l: 1va in volgare, come sempre piu inadeguato a rappresent are . L1 realtà di ordinamenti politici che si estendevano ternto
ri:tlmente ben oltre le mura di una città, ivi comprese le re
l >ubbliche che da una città prendevano il nom� , c �me l � :e
di Venezia, l'esigenza di avere a propna d!spos:zw un termine di genere piu adatto a rappresentare la situa �: ione reale dovette essere piu forte del vincolo di una lunga l " autorevole tradizione . Di qua la fortuna del termine ' Sta l o ' che passò attraverso mutamenti non ancora ben chiariti da un significato generico di situazione a un significat? spe � cifico di condizione di possesso permanente ed esclusivo d1 nn territorio e di comando sui relativi abitanti, come appare dallo stesso brano di Machiavelli, in cui il termine ' Stato', appena introdotto, viene subito assimilato al termine 'domi nio'. Nonostante la novità del brano, in cui 'Stato' viene usato come il termine di genere, e 'repubblica', come termine di specie, per indicare una delle due forme di gover�o, e l'im � portanza che ha avuto per la formazio?e del !esslc� c he s1 . usa tuttora, il significato tradizionale di questi termm1 non viene abbandonato neppure da Machiavelli, e l'uso loro con tinua a essere promiscuo, come risulta da questo brano dei Discorsi sopra la prima deca, in cui Machiavelli introduce il discorso sulle forme di governo, avendo per guida Polibio: « Dico come alcuni che hanno scritto delle repubbliche dico no essere in quelle uno de' tre stati, chiamati da loro Princi pato, Ottimati e Popolare; e come coloro che ordinano una città debbono volgersi ad uno di questi, secondo p are loro piu a proposito » [ r 5 1 3 - I 9 , ed. 1 977 p. 1 30] . l >ubblica l lC
A r g o m e n t i i n f a v o r e d e l l a d i s c o n t i nu i t à . Il problema del nome ' Stato' non sarebbe cosi importan te se l'introduzione del nuovo termine alle soglie dell'età mo derna non fosse stato occasione per sostenere che esso non corrispose soltanto a un'esigenza di chiarezza lessicale ma andò incontro alla necessità di trovare un nome nuovo per una real tà nuova : la realtà dello Stato appunto moderno da conside rarsi come una forma di ordinamento tanto diverso dagli or dinamenti che lo avevano prece�uto da non poter essere piu chiamato con gli antichi nomi. E infatti opinione diffusa, e sostenuta autorevolmente da storici, giuristi e scrittori poli-
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tici, che con Machiavelli non cominci soltanto la fortuna di una parola ma la riflessione su una realtà sconosciuta acrli scrito tori antichi, e di cui la parola nuova è una spia, sicché sarebbe opportuno parlare di ' Stato' unicamente per le formazio ni politiche che nascono dalla crisi della società medievale e non per gli ordinamenti precedenti. In altre parole il ter� mine ' S tato' sarebbe da usarsi con cautela per le organizza zioni politiche esistenti prima di quell'ordinamento che di fatto fu chiamato per la prima volta ' Stato ' : il nome nuovo non sarebbe altro che il segno di una cosa nuova. Il dibattito ha assunto spesso la forma di una risposta a domande di questo , genere: « E esistita una società politica che possa chiamarsi " S tato" prima dei grandi Stati territoriali con cui si fa co minciare la storia dello Stato moderno? » Oppure: « L' agget tivo "moderno" è necessario per contraddistinguere una realtà che è nata col nome " S tato" e per la quale quindi ogni altra specificazione è inutile? » O ancora: « Cosa aggiunge al signi ficato pregnante di " S tato" l' aggettivo "moderno" , che non ci sia già nel sostantivo che infatti gli antichi non conosce vano? » Domande di questo genere si ricollegano a un problema ancor piu vasto e sul quale le risposte sono infinitamente va rie e radicalmente contrastanti: il problema dell'origine del lo Stato. Negli storici delle istituzioni che hanno descritto il formarsi dei gtandi Stati territoriali sulla dissoluzione e tra sformazione della società medievale c'è una tendenza a so stenere la soluzione di continuità fra gli ordinamenti dell'an tichità o dell'età di mezzo e quelli dell'età moderna, e di con seguenza a considerare lo Stato come una formazione stori ca che non solo non è sempre esistita, ma è nata in un'epoca relativamente recente. Gli argomenti a favore di una tesi di questo genere non mancano. Il maggiore argomento è il processo inesorabile di concentrazione del potere di coman do su un determinato territorio anche molto vasto, che av viene attraverso la monopolizzazione di alcuni servizi essen ziali per il mantenimento dell'ordine interno ed esterno, quali la produzione del diritto attraverso la legge, che è emanazio ne, a differenza della consuetudine, della volontà del sovra no, e l' apparato coattivo necessario all' applicazione del di ritto contro i renitenti, nonché attraverso il riordinamento dell'imposizione e dell'esazione fiscale, necessario all'effe t-
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tivo esercizio degli accresciuti poteri. Chi ha descritto con straordinaria lucidità questo fenomeno è stato Max Weber il quale ha visto nel processo di formazione dello Stato mo derno un fenomeno di espropriazione da parte del potere pub blico dei mezzi di servizio come le armi, che va di pari passo con il processo di espropriazione dei mezzi di produzione pos seduti dagli artigiani da parte dei possessori di capitali. Da questa osservazione deriva la concezione webetiana, diven tata ormai communis opinio, dello Stato moderno definito mediante i due elementi costitutivi della presenza di un ap parato amministrativo che ha la funzione di provvedere alla prestazione di servizi pubblici, e del monopolio legittimo della forza. Quali che siano gli argomenti pro o contro la continuità di un'organizzazione politica della società, la question� se sia sempre esistito lo Stato oppure se si possa parlare d1 Stato soltanto a cominciare da una certa epoca è una questione la cui soluzione dipende unicamente dalla definizione di Stato da cui si parte: se da una definizione piu larga o piu stretta . La scelta di una definizione dipende da criteri di opportuni tà e non di verità. Si sa che quanto piu numerose sono le connotazioni di un concetto tanto piu si restringe il campo da esso denotato, cioè la sua estensione . Chi considera come elemento costitutivo del concetto di Stato anche un certo ap parato amministrativo e l'adempimento di cette funzioni che solo lo Stato moderno svolge, dovrà necessariamente soste nere che la 1toÀtç greca non è uno Stato, che la società feuda le non aveva uno Stato, ecc. Il problema reale di cui chi ha interesse a capire il fenomeno dell'ordinamento politico deve preoccuparsi non è dunque se lo Stato esista solo dall'età mo derna in poi, ma se vi siano analogie e differenze fra il cosid detto Stato moderno e gli ordinamenti precedenti, se siano da mettere in evidenza piu le une che le altre, qualunque sia poi il nome che voglia darsi ai diversi ordinamenti. Chi ri tiene che possa parlarsi di Stato solo a proposito degli ordi namenti politici di cui hanno trattato Bodin o Hobbes o Be gel , si comporta in questo modo perché vede piu la disconti nuità che la continuità, piu le differenze che le analogie. Chi parla indifferentemente di Stato sia per lo Stato di Bodin sia per la 7t6Àtç greca, vede piu le analogie che le differenze, piu la continuità che la discontinuità. Posta la questione in
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questi termini, si tratta di andare oltre la questione lessicale per individuare e descrivere i mutamenti che sono avvenuti nel passaggio da una forma di ordinamento all' altra, ciò che è rimasto e ciò che è cambiato, gli elementi di discontinuità, e anche gli elementi di continuità senza lasciarsi abbagliare dall' apparizione di un nome nuovo. A r g o m e n t i a f a v o r e d e l l a c o n t in u i t à . S e in favore della discontinuità valgono gli argomenti so pra addotti, per la continuità valgono altri argomenti non meno forti. Prima di tutto la constatazione che un trattato di politica come quello di Aristotele volto all'analisi della città greca non ha perduto nulla della sua efficacia descrittiva ed esplicativa nei riguardi degli ordinamenti politici che si sono susseguiti da allora sino ad oggi. Si pensi, per fare un' esem pio, alla tipologia delle forme di governo che è giunta sino a noi, e che è stata adoperata, se pure con correzioni e adat tamenti, dai maggiori scrittori politici che hanno fatto og getto delle loro riflessioni lo Stato moderno. O, per fare un altro esempio, alla definizione che Aristotele dà di « costitu zione» (7toÀt-cdcx), come ordinamento delle magistrature, e alle magistrature che costituiscono l'ordinamento di una città alla distribuzione delle cariche e alla distinzione delle funzioni che consentono analisi comparate illuminanti con gli ordina� menti politici moderni. Oppure all'analisi dei mutamenti, cioè delle varie forme di transizione da una forma di governo a un' altra, cui è dedicato il libro V, un'analisi in cui qualsiasi lettore del giorno d'oggi può trovare elementi utili di raffronto con gli analoghi fenomeni cui sono sempre stati soggetti gli S tati nel corso della loro evoluzione storica. Non altrimenti accade per quel che riguarda i rapporti fra le città greche, rapporti caratterizzati da guerre, rappresaglie, tregue, trat tati di pace che si riproducono a un livello quantitativamen te superiore, ma non qualitativamente diverso, nei rapporti fra gli Stati dall'età moderna in poi. Chi legga il De iure belli ac pacis di Grazio [ r 625] non dovrà stupirsi se s'imbatte in una miriade di esempi di ius gentium tratti dal mondo antico quando gli Stati moderni, nel senso che a questa espressione attribuiscono i modernisti, non esistevano ancora. Come la Politica di Aristotele per i rapporti interni, cosi le Storie di
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Tucidide per i rapporti esterni sono ancor oggi una fonte ine sauribile di insegnamenti e di punti di riferimento e di con fronto. Del resto lo stesso Machiavelli lesse e commentò la storia romana, non da storico, ma da studioso di politica per trarne ammaestramenti pratici da applicare agli Stati del suo tempo. Lo studio della storia romana attraverso i grandi sto rici, da Livio a Tacito, è sempre stata una delle fonti princi palì della trattatistica politica che accompagna la formazio ne e la crescita dello Stato moderno. Anche Montesquieu scri ve le sue Considérations sur les causes de la grandeur des Ro mains et de leur décadence [1 734]. Rousseau dedica l'ultima parte del Contrat social [ 1 762] a un esame delle magistrature romane, i comizi, il tribunato, la dittatura, la censura, non certo allo scopo di sfoggiare una facile e inutile erudizione ma essenzialmente per mostrarne la loro perenne vitalità. Non si spiegherebbe questa continua riflessione sulla storia anti ca e le istituzioni degli antichi se a un certo momento dello sviluppo storico ci fosse stata una frattura tale da dare origi ne a un tipo di organizzazione sociale e politica incompara bile con quelle del passato, tanto incomparabile da meritare esso solo il nome di ' Stato ' . L o stesso discorso s i può fare e s i è fatto per i l lungo pe riodo di storia che va dalla caduta dell'impero romano alla nascita dei grandi Stati territoriali, e per il quale si è posta con particolare interesse la questione della continuità, sia al l'inizio, cioè rispetto alla società e alle istituzioni economi che e sociali del basso impero, con due diverse domande: «
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di Stato, che implica l'idea dell'unità di potere su un deter minato territorio, in una società frazionata e policentrica come quella dei primi secoli, nell'età dei regni barbarici in cui le principali funzioni che ora si è soliti attribuire allo Stato e servono a connotarlo sono svolte da poteri periferici, dove non vi è distinzione né in alto né in basso tra potere propria mente politico e potere economico, dove i rapporti di dirit to pubblico sono regolati da istituti tipici di diritto privato come il contratto, che è un rapporto di do ut des, dove pre valgono i rapporti personali su quelli territoriali, secondo la nota distinzione tra il Personen Verbandstaat e l'institutionel ler Fliichenstaat? dove viene meno o si affievolisce l'idea astrat ta di Stato cosi bene designata dal termine latino res publica e lo Stato viene sempre piu identificato nel potere personale di un uomo investito per volere divino del comando su altri uomini? Eppure anche nell'alto medioevo non viene meno l'idea del regnum e dell' imperium , cioè di un potere che è il solo autorizzato ad esercitare in ultima istanza la forza, per ché ha per fine supremo della sua preminenza il mantenimento della pace e l'esercizio della giustizia (rex a recte regendo) : due funzioni che non possono essere esercitate se non da chi pos siede un potere coattivo superiore e legittimo, e proprio per ché tale, come ha osservato Mare Bloch, ha conservato nei secoli un vigore che ha travalicato il sistema della società feu dale, ed è diventato uno dei principi che stanno alla base della trattatistica sullo Stato che arriva sino a oggi. Eppure è pro prio durante i secoli di mezzo che si viene elaborando dai legisti quella concezione giuridica dello Stato che non era estranea alla teoria politica romana (si ricordi il coetus multi tudinis iuris consensu di Cicerone) , ma che soltanto attraver so l'elaborazione dei primi commentatori del Corpus iuris giun ge intatta sin quasi a oggi, il rapporto fra lex e rex, la teoria della sovranità come indipendenza (superiorem non recogno scens) e quindi come potere di dettar leggi senza autorizza zione (la città sibi princeps, che riproduce il senso dell' aù -roxp&·nJç greco), e che attraverso le diverse interpretazioni della lex regia de imperio, pone in discussione il problema del fondamento del potere. Appartiene alla trattatistica medie vale e tutta l' attraversa uno dei temi piu costanti della teo ria politica, la distinzione tra re e tiranno, che è poi il pro blema del buongoverno: è uno dei temi principali del Poly-
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craticus di Giovanni di Salisbury (secolo XII) , e successiva mente dei piu noti trattati di Bartolo da Sassofer� ato (Trae� tatus de regimine civitatis, secolo xrv) e di C �lucc10 Salutati (De tyranno, fine del secolo xrv), col quale s1 arr�_ va a�le so _ d b t1to sul glie dell'età moderna. N asce infine att: a� e� so 1l _ _ � l��dea del fondamento del potere posto in termm1 gmnd1c1 � contratto sociale e del contratto di soggezione, destmata ad ispirare le dottrine contrattualistiche che tanta parte hanno avuto nel dibattito sull'origine e sul fondamento dello Stat� nell'età moderna: dottrine che l'Ottocento rifiutò ma che ogg1 sono diventate di nuovo di grande attualit ? perc�é serv? n? a spiegare la funzione mediatrice dei ��and1 confht tl_ soe1al� , _ orgam propria dello Stato contemporane�, ym che le te�ne che dello Stato in nome delle quah Il contrattualismo fu ab bandonato.
Q uando è n ato lo S tato? Peraltro anche chi ritiene che il concetto di Stato e l a re � lativa teoria debbano essere tanto ampi da abbracciare ord denti, prece esso ad e no moder Stato dallo namenti diversi del e quindi non ha alcuna difficoltà a dissociare _I'_origine na e nome dall'origine della cosa, non può non pors1 1l probl � se lo Stato sia sempre esistito o se sia un fenomeno stonc? che appare a un certo momento dell'evoluz_ion� dell'u?la :n: mta tà. Una tesi ricorrente percorre con straordmana contm come � r tutta la storia del pensiero politico: lo Stato , inteso _ zlO hssolu la dinamento politico di una comunità, n� sce dal_ � la ne della comunità primitiva fondata sul legami d1 p �rente u : dall tl a e dalla formazione di comunità piu ampie deriv r: m nione di piu gruppi familiari per ragioni d� sopravvivenza per re Men . ) difesa � teme (il sostentamento) ed esterne (la d l alcuni storici contemporanei, come si è detto, la nasCita � � pm a quest condo s lo Stato segna l'inizio dell'età moderna, � ra tat � ello � lt nas la � � antica e piu comune interpre�azione, , � � _ _v1 a va, nmltl p ta ll d � di ;� presenta il punto d1 passaggio � � _ _ sta c1vile dove , c1v1le eta ali stinta in selvaggia e barba ra, In . son) Fergu (Ada zzato' � insiem e per 'cittadino' e 'civili pre che natura d1 stato lo stica tutta la tradizione giusnaturali u o cede lo stato civile è raffigurato indifferentemente come r:m stato lo come o ico ipotet ente stato di isolamento puram
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cui sarebbero vissuti i popoli primitivi e vivono tuttora i sel v �ggi; in entrambi i � asi come la condizione in cui gli uomini vivono quando non e ancora sorto lo Stato non a caso chia mato, in antitesi allo stato naturale, societas civilis (civile ap p �nto co�e non natur�le e insieme come non selvaggio) . Per VIco la pnma forma di S tato nel senso proprio della parola è preceduta dallo stato ferino (asociale) e dallo stato delle fa mi�l�e, che è uno stato sociale ma non ancora propriamente polltlco, e nasce quando in seguito alla rivolta dei « famoli » i capi di fa�iglia sono costretti a unirsi e a dar vita alla pri ma forma d1 Stato, la repubblica aristocratica. U�a nota variante di questa tesi è quella dei primi antro pologi, come Charles Morgan, accolta e divulgata da Engels che la trapiantò sulla teoria marxiana dello S tato come stru mento di dominio di classe. Anche per Engels lo Stato nasce dalla dissoluzione della società gentilizia fondata sul vincolo fa�iare, e la nascita dello Stato segna il passaggio dalla bar bane alla civiltà (dove civiltà è usato rousseauianamente con una �onnotazio-?e n�ga �i ':'a) . Rispetto a tutte le interpreta . ZI0111 precedenti sull ongme dello Stato e alla stessa teoria di Morgan, Engels si distingue per l'interpretazione esclusi vamente economica che egli dà di questo evento straordina rio che è la formazione dello Stato . È una interpretazione che richiama alla mente la ricostruzione fantastica di Rous se �u che �a s?�gere la société civile dall' atto di colui che per pnmo recinto Il suo fondo e disse « Questo è mio » cioè dal l'istituzione della proprietà privata. Per Engels n�lla comu nità primitiva, sia essa la gens dei Romani siano le tribu de gli I �ochesi, vige il regime della proprietà collettiva. Con la nascita della proprietà individuale nasce la divisione del la voro, con la divisione del lavoro la società si divide in classi nella classe dei proprietari e nella classe dei nullatenenti co� la divisione della società in classi nasce il potere politi;o, lo Stato, la cui funzione è essenzialmente quella di mantenere il dominio di una classe sull'altra anche ricorrendo alla for za, e quindi d'impedire che la società divisa in classi si tra sformi in uno stato di permanente anarchia. In accordo e in continuità con questa tradizione di pen . . siero il problema del sorgere dello Stato nelle società primi tive è uno d �i g;an?i �emi di dibattito dell'antropologia cul . turale: le societa pnmitlve hanno conosciuto e conoscono or-
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pure debbono considerarsi « società senza S tato » o, com'è stato detto con intenzione polemica, « società contro lo Sta l o » (Clastres)? Anche questo dibattito è in gran parte nomi nalistico in quanto è condizionato dalla molteplicità di sensi del termine ' Stato'. Una via d'uscita apparente è quella adot tata sempre piu frequentemente dagli antropologi che evita no di parlare di Stato, termine troppo compromesso dall'uso che se ne fa per designare lo Stato moderno, e parlano piut tosto di organizzazione politica o di sistema politico (cosi l'o pera fondamentale in questo campo di Evans-Pritchard e For tes [ r 940]) . Apparente, questa soluzione, perché non sfugge all'obbligo di delimitare e definire il concetto di politica che non è meno ambiguo di quello di Stato, anche se offre il van taggio di avere tradizionalmente e convenzionalmente un'e stensione maggiore (la 7toÀtç greca può non rientrare nella de finizione di Stato ma non sarebbe possibile non farla rien trare nella definizione di ordinamento politico). La scelta fra le due seguenti affermazioni: vi sono società primitive senza S tato in quanto non hanno un'organizzazione politica oppu re vi sono società primitive che pur non essendo Stati hanno un'organizzazione politica, dipende da una convenzione ini ziale sul significato di termini come 'politica' e ' Stato'. An cora una volta ciò che importa è l'analisi delle somiglianze e delle differenze fra le diverse forme di organizzazione so ciale, come si passa dall'una all'altra, e quando si giunge a una formazione che presenta tali caratteri differenziali rispetto alla precedente da indurre ad attribuirle un nome diverso o una specificazione diversa dello stesso nome. Per fare un esem pio, quando uno studioso distingue tre tipi di società senza S tato che chiama « società a governo minimo», « a governo diffuso » e « a governo ad espansione », non esclude che que ste società possano essere considerate società politiche, come l'uso del termine government lascia intendere (La Mair) . A questo punto il problema si sposta: vi sono società primitive che non siano neppure organizzazioni politiche nel senso piu lato del termine? Per fare un altro esempio, chi distingue so cietà acefale da quelle che hanno un capo considera società non politiche le prime perché introduce come criterio distin tivo una certa concentrazione di potere e il bisogno di una guida al vertice . Se invece lo Stato viene in un primo tempo
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identificato con 1' organizzazione di un potere accentrato, ma poi s 'introduce un'ulteriore distinzione tra potere coattivo, che si serve della forza per farsi valere, e potere delle parole, del gesto, dei simboli, si può sostenere che sono società poli tiche soltanto le prime. 3 . Lo Stato e il potere. T e o r i e d e l p o t e te . Prima dell'apparizione e dell'uso corrente del termine ' Sta to' il problema della distinzione fra ordinamento politico e Stato non si pone neppure. Ma l'identificazione tra la sfera della politica e la sfera dello Stato continua ben al di là del l'apparizione del termine ' Stato' . Dalla Politica methodice di gesta di Johannes Althusius [r 6o3] alla Politica di Heinrich von Treitschke [ 1 874-96], fino alla Politica in nuce di Croce [ 1 925], la trattazione dei temi dello Stato continua ad appa rire anche sotto il nome di 'politica ' , originariamente deri vato da quella particolare forma di ordinamento politico che è la n6Àtç. In questi ultimi anni del resto gli studiosi dei fe nomeni politici hanno abbandonato il termine 'Stato' per so stituirlo con quello piu comprensivo ' sistema politico' . Tra gli altri vantaggi di questa espressione c'è anche quello di avere un significato assiologicamente piu neutrale del termine ' Sta to' , il quale risente della deificazione da un lato, e della de monizzazione dall'altro, che è stata fatta, rispettivamente dai conservatori e dai rivoluzionari, degli ordinamenti a grande concentrazione di potere che da Machiavelli in poi sono sta ti chiamati sempre piu frequentemente con quel nome. Ciò che ' Stato' e 'politica' hanno in comune (ed è anche la ragione della loro scambiabilità) è il riferimento al feno meno del potere. Dal greco xp&·mç 'forza', 'potenza' e &px� 'autorità' nascono i nomi delle antiche forme di governo ' ari stocrazia' , 'democrazia' , 'oclocrazia', 'monarchia', 'oligarchia', e tutte le parole che via via sono state foggiate per indicare forme di potere, 'fisiocrazia', 'burocrazia' , 'partitocrazia', 'po liarchia' , 'esarchia' , ecc. Non c'è teoria politica che non par ta in qualche modo direttamente o indirettamente da una de finizione di 'potere' e da un'analisi del fenomeno del pote-
STATO, POTERE E GOVERNO re. Per lunga tradizione lo Stato viene definito com � i_l por t atore della summa potestas; e l' analisi dello Stato s1 nsolve quasi totalmente nello studio delle diverse potestà che co n: petono al sovra:10. �a te?ria ello St�to s'!nc�rd�n� s�a teana dei tre poten_ (1l leg1slat1Vo, l esecut1vo, 1l g�ud1z1�n ?) e ?elle loro relazioni. Per venire a un testo canomco del gwrm no stri, Power and Society di Lasswell e Kapla? [ 1 952], il �ro _ cesso politico vi è definito come « la formazwne, la dlstnbu zione l'esercizio del potere ». Se la teoria dello Stato può es sere c�nsiderata come una parte della teoria politica, la teo ria politica può essere a sua volta considerata come una par te della teoria del potere. Nella filosofia politica il problema del potere è stato pre sentato sotto tre aspetti, in base ai quali si possono distin auere tre teorie fondamentali del potere, sostanzialistica, sog ettivistica e relazionale. Nelle teorie sost �nzial� stiche i� po tere viene concepito come una cosa che s1 possiede e s1 usa come un qualsiasi altro bene. Tipica interpretazione sostan zialistica del potere è quella di Hobbes secondo cui « IL PO TERE di un uomo . . . sono i mezzi che ha al presente per otte nere qualche apparente bene futuro » [ r 65 r , trad. it. P : 82]. Che questi mezzi siano doti naturali, come la forza e l'll_lte� ligenza, oppure acquisite, come la ricchezza, non muta Il si gnificato precipuo del potere inteso come qual�he c �sa c�e serve a raggiungere ciò che è l'oggetto del propno des1deno. Analoga è la definizione notissima di Bertra1_1d Russe� [ 1 93 8� secondo cui il potere consiste nella « produzwne degh effetti desiderati » e può assumere in quanto tale tre forme: potere fisico e costrittivo che ha la sua espressione concreta piu vi sibile nel potere �ilitare, psicologico in base a minac�e di _ _ pene o a promesse di ricompense, in cui co �s1ste �rmclpal mente il dominio economico, mentale che s1 eserclta attra verso la persuasione o la dissuasione, ed ha la sua f�rma el� mentare, e presente in tutte le società, nella educazwne. Ti pica interpretazione soggettivistica del potere è quella espo sta da Locke [r 694, II, xxi] . Il quale per 'potere' inten?� non la cosa che serve a raggiungere lo scopo ma la capac1ta del soggetto di ottenere certi effetti, per cui si dice che «il fuoco ha il potere di fondere i metalH » allo stesso modo �h� il sovrano ha il potere di fare le leggi e facendo le legg1 d1 influire sulla condotta dei suoi sudditi. Questo modo d'in-
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�en? �re il poter� è quello adottato dai giuristi per definire l dm�to s�ggettlvo: che un soggetto abbia un diritto sogget . tivo s1gmhca che l'ordinamento giuridico gli ha attribuito il potere di ott�nere certi �f etti. Peraltro l 'interpretazione piu a�c ?l ta nel discorso poht1co contemporaneo è la terza, che s1 n a, al co ?c�tto re azionale di potere e per la quale quindi per potere s1 deve mtendere una relazione tra due soggetti di eu il p�imo � ttiene dal secondo un comportamento che questi a t;u� entt non avrebbe compiuto. La piu nota e an . che la pm smtet�� a delle definizioni relazionali è quella di Robert Dahl: «L mfluenza [concetto piu ampio in cui rien tra quello .di poter�] è una relazione tra attori, nella quale un attore mduce gh altri attori ad agire in un modo in cui altrir;nenti non agirebbe:� » [ r 963 , trad. it. p . 68]. In quanto relazwne fra due soggetti il potere cosi definito è strettamente connesso �l ��ncetto di ibertà, si che i due concetti possono essere dehmt1 uno me Iante la negazione dell'altro in que . . la non-libertà di B » · « La sto modo: «
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L e f o r m e d e l p o t e re e i l p o t er e p o l i t i c o . Una volta rid�t �o il concetto di Stato a quello di politica, . . Il conc�tto d1 poht1ca � quello di potere, il problema da risol vere diventa quello d1 contraddistinguere il potere politico da tutte le altre �rme che può assumere il rapporto di pote . re . La teo :1a p �lltlca ?i �utti i tempi si è esercitata su questo tema con mhmte vanaz1oni. La tipologia classica tramanda ta per secoli è quella che si trova nella Politica di Aristotele dove vengono distinti tre tipi di potere in base al criterio della sfera su c�i si �se�cita: il potere del padre sui figli, del pa dro?-e sugh sch1av1, del governante sui governati. Aristotele �ggmnge c e i tre tipi di potere si possono anche distinguere 1ll base �l d �verso soggetto che dell'esercizio del potere si av v�ntaggia: il potere paterno è esercitato nell'interesse dei fi gh, quello � adrona � o dispoti�o t;-ell'interesse del padrone, . quello poht1co nell mteresse d1 ch1 governa e d1. chi è gover nato (donde le forme corrotte di reggimento politico ave il gov�rnante, dive�tato �iranno, governa solo a proprio van tagg�o) . Questa t1polog1a ha avuto rilievo politico perché è servita a proporre due schemi di riferimento per definire le
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·;TATO, POTERE E GOVERNO l orme corrotte di governo: il governo paternalistico o patriar cale in cui il sovrano si comporta coi sudditi come un padre, , >nde i sudditi sono trattati eternamente come minorenni (la critica piu celebre a questa forma di governo fu fatta da Locke nel secondo dei Two Treatises of Government [ r 69o], in po lemica col Patriarcha di Robert Filmer [ r 68o], e fu ripresa da Kant con la critica dello Stato eudemonologico che si preoc cupa della felicità dei suoi sudditi anziché limitarsi a garan tirne la libertà); il governo dispotico in cui il sovrano tratta i sudditi come schiavi cui non sono riconosciuti diritti di sorta (questa forma di governo fu già chiaramente indicata da Ari stotele che la ritenne adatta ai popoli naturalmente schiavi come sono gli orientali, i barbari, i quali sopportano il peso del potere oppressivo senza lamentarsi e ribellarsi, ed avrà ancora pieno riconoscimento, sempre riferita ai popoli orien tali, in Montesquieu e in Hegel) . La !ripartizione delle for me di potere in paterno, dispotico, civile, è uno dei -r6n:m della teoria politica classica e moderna. Nelle sue opere politiche Hobbes prima di trattare del potere civile tratta del governo familiare e del governo padronale. Locke inizia il secondo Treatise esprimendo il proposito di cercare in che cosa diffe riscano il potere del padre sui figli, del capitano di una gale ra sui galeotti (che è la forma moderna di schiavitu), dal go verno civile. Però la trattazione di Locke si distingue da quella di Aristotele per il diverso criterio di distinzione, che riguarda il diverso fondamento dei tre poteri, oggi si direbbe il diver so principio di legittimità: il potere del padre è un potere il cui fondamento è naturale in quanto nasce dalla generazio ne, quello padronale è l'effetto del diritto di punire chi si è reso colpevole di un grave reato ed è quindi passibile di una pena altrettanto grave com'è la schiavitu; il potere civi le, solo fra tutte le altre forme di potere, è fondato sul con senso espresso o tacito di coloro ai quali è destinato. Si trat ta, come ognuno può vedere, delle tre forme classiche del fondamento di ogni obbligazione: ex natura, ex delicto, ex con tractu . Questa partizione classica, nonostante la sua fortuna, non permette di distinguere il potere politico da altre forme di potere. I due criteri, l' aristotelico, fondato sull'interesse, e il lockiano, fondato sul principio di legittimità, sono criteri non analitici ma assiologici, in quanto servono a contraddi-
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stinguere il potere politico quale dovrebbe essere e non qua le è, le forme buone dalle forme corrotte. Tanto è vero che sia Aristotele sia Locke debbono riconoscere che vi sono go verni in cui il potere viene esercitato nelle altre due forme. Una teoria realisti� a del potere politico come forma di pote _ _ re d1stmta da ogm altra forma di potere si forma attraverso la elab ?razione, dovuta ai giuristi medievali, del concetto di sovramtà o summa potestas. Mentre la società antica non co nosce che una società perfetta, lo Stato che abbraccia tutte le altre società minori, la società medievale ne conosce due lo Stato e la Chiesa. La secolare disputa sulla preminenza del� l'uno o dell' altra esige una delimitazione delle due sfere di competenza e quindi di dominio, e conseguentemente la de terminazione dei caratteri specifici delle due potestates. Di venta communis opinio la distinzione fra la vis directiva che è prerogativa della Chiesa e la vis coactiva, che è prerog� tiva dello Stato. Nella contrapposizione alla potestà spirituale e alle sue pretese i difensori e i detentori della potestà tempo rale tendono ad attribuire allo Stato il diritto e il potere esclu sivo di esercitare su un determinato territorio e nei riguardi degli abitanti del territorio la forza fisica, lasciando alla Chiesa il diritto e il potere di insegnare la vera religione e i precetti della morale, di salvaguardare la dottrina dagli errori, di di rigere le coscienze verso il raggiungimento dei beni spiritua li, primo fra tutti la salvezza dell ' anima. Il potere politico si viene cosi identificando con l'esercizio della forza e viene definito come quel potere che per ottenere gli effet�i voluti (riprendendo la definizione hobbesiana) ha diritto di servir si, se pure in ultima istanza, come extrema ratio, della forza. Qui il criterio di distinzione fra potere politico e potere reli gioso è di nuovo il mezzo adoperato per farlo valere: il pote re spirituale si serve di mezzi principalmente psicologici an che quando si serve della minaccia di pene o della promessa di premi ultraterreni; il potere politico si serve anche della costrizione fisica com' è quella che viene esercitata mediante le armi. �' � s o della forza fisic� � la condizione necessaria per la . deflmz10ne del potere politico, non ancora la condizione suf ficiente. Secondo la dottrina che si viene affermando nella grande controversia fra lo Stato e la Chiesa, ciò che contrad distingue lo Stato rispetto alla Chiesa è l'esercizio della for-
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Ma un'altra controversia non meno decisiva per l a defi
i zione del potere politico è quella che vede contrapposti i
rc:,gna all'impero universale, le civitates ai regna. Qui il pro hlema è un altro. Non è quello del diritto di usare la forza ma quello dell'esclusività di questo diritto su un determina lo territorio. Chi ha il diritto esclusivo di usare la forza su tm determinato territorio è il sovrano. Siccome la forza è il mezzo piu risolutivo per esercitare il dominio dell'uomo sul l'uomo, chi detiene l'uso di questo mezzo ad esclusione di tutti gli altri entro certi confini è colui che entro quei confi ni ha la sovranità intesa come summa potestas, come potere supremo: summa nel senso di superiorem non recognoscens, su prema nel senso che non ha nessun potere al di sopra di sé. Se l'uso della forza è la condizione necessaria del potere po litico, solo l'uso esclusivo di questo potere ne è anche la con dizione sufficiente. Formule anticipatrici del concetto di so vranità, che diventa attraverso gli scrittori politici dell'età moderna il concetto fondamentale per la definizione dello Stato, sono la distinzione fra le civitates superiorem recogno scentes e superiorem 11011 recognosce11tes dei giuristi medievali che difendono l' autonomia giuridica e quindi politica delle città, e il principio rex in regno suo imperator, affermato dai legisti francesi che difendono la sovranità del re di Francia contro le pretese dell'imperatore. Colui che passa come il teorico della sovranità (in realtà piu che il teorico, l' autorevole espositore di un concetto che ha già dietro di sé una lunga e consolidata tradizione) , Jean Bodin, definisce lo Stato come « un governo giusto di piu fa miglie e di ciò che loro è comune con potere sovrano » e il potere sovrano come « il potere assoluto e perpetuo » [ ! 5 76, trad. it. pp. 3 45 sgg.], dove « assoluto » significa che non è sottoposto ad altre leggi che a quelle naturali e divine, e « per petuo » significa che rie��ce ad ottenere ubbidienza ai suoi co mandi con continuità grazie anche all'uso esclusivo del po tere coattivo. Il tema dell'esclusività dell'uso della forza come caratteristica del potere politico è il tema hobbesiano per ec cellenza: il passaggio dallo stato di natura allo Stato è rap presentato dal passaggio da una condizione in cui ognuno usa indiscriminatamente la propria forza contro tutti gli altri alla condizione in cui il diritto di usare la forza spetta soltanto al sovrano. A cominciare da Hobbes il potere politico assu-
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me una connotazione che rimane costante sino ad oggi. Quan do nello scritto giovanile La costituzione della Germania [ 1 799-r 8o2] Hegel lamenta che la Germania non è piu uno Stato, premette che « una moltitudine di uomini può darsi il nome di stato soltanto se è unita per la comune difesa di tutto ciò che è sua proprietà » (trad . it. p. 2 2 ) e ripete piu oltre: « Onde una moltitudine formi uno stato si esige che essa costituisca un comune apparato militare e un potere sta tale » [ibid. , p . 23]. Con un linguaggio tratto dall'economia, Weber definisce lo Stato come il detentore del monopolio della coazione fisica legittima. Per Kelsen lo Stato è un ordi namento coercitivo, in particolare: « Lo stato è un'organiz zazione politica perché è un ordinamento che regola l'uso della forza e perché monopolizza l'uso della forza» [ 1 945, trad. it. p. 1 94] . In uno dei manuali di scienza politica piu diffusi in questi ultimi anni si legge: « Siamo d'accordo con Max Weber che la forza fisica legittima è il filo conduttore dell'a zione del sistema politico » [Almond e Powell 1 966, trad. it . p . 55] . Le tre forme di p o tere . Dal punto di vista dei vari criteri che sono stati adottati per distinguere le varie forme di potere, la definizione del potere politico come il potere che è in grado di ricorrere in ultima istanza alla forza (ed è in grado di farlo perché ne de tiene il monopolio) è una definizione che ha riguardo al mezzo di cui si serve chi detiene il potere per ottenere gli effetti voluti . Il criterio del mezzo è quello piu comunemente usato anche perché permette una tipologia insieme semplice e illu minante, la tipologia cosiddetta dei tre poteri, economico, ideologico, politico, ovvero della ricchezza, del sapere, della forza . Il potere economico è quello che si vale del possesso di certi beni, necessari o percepiti come tali, in una situazio ne di scarsità, per indurre coloro che non li posseggono a te nere una certa condotta, consistente principalmente nell'e secuzione di un lavoro utile. Nel possesso dei mezzi di pro duzione risiede un'enorme fonte di potere da parte di coloro che li possiedono nei riguardi dei non possidenti, proprio nel senso specifico di capacità di determinare il comportamento altrui . In qualsiasi società dove vi siano proprietari e non pro-
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prietari, il potere del proprietario deriva dalla possibilità che la disposizione esclusiva di un bene gli dà di ottenere che il non proprietario (o proprietario soltanto della sua forza lavoro) lavori per lui e alle condizioni da lui poste. Il potere ideologico è quello che si vale del possesso di certe forme di sapere, dottrine, conoscenze, anche soltanto d'informazio ni, oppure di codici di condotta, per esercitare un'influenza sul comportamento altrui e indurre i membri del gruppo a compiere o non compiere un'azione . Da questo tipo di con dizionamento deriva l'importanza sociale di coloro che san no siano i sacerdoti nelle società tradizionali, siano i lette ra;i, gli scienziati, i tecnici, i cosiddetti «intellettuali », nell� società secolarizzate, perché attraverso le conoscenze che ess1 diffondono o i valori che predicano e inculcano si compie il processo di socializzazione di cui ogni gruppo sociale ha bi sogno per poter stare insieme. Ciò che hanno in comune que ste tre forme di potere è che esse contribuiscono congiunta mente a istituire e a mantenere società di disuguali divise in forti e deboli in base al primo, in ricchi e poveri in base al secondo, in sapienti e ignoranti in base al terzo. Generica mente, fra superiori e inferiori. Oltretutto definire il potere politico come il potere il cui mezzo specifico è la forza serve a fare intendere perché sia sempre stato considerato il sommo potere, il potere cioè il cui possesso contraddistingue in ogni società il gruppo do minante. Il potere coattivo infatti è quello di cui ogni grup po sociale ha bisogno per difendersi da attacchi esterni o per impedire la propria disgregazione interna . Nei rapporti fra i membri di uno stesso gruppo sociale, nonostante lo stato di subordinazione che l'espropriazione dei mezzi di produ zione crea negli espropriati, nonostante l'adesione passiva ai valori tramandati da parte dei destinatari dei messaggi emessi dalla classe dominante, solo l'impiego della forza fisica serve a impedire la insubordinazione e a domare ogni forma di di sobbedienza. Nei rapporti fra gruppi sociali, nonostante la pressione che può esercitare la minaccia o l'esecuzione di san _ zioni economiche per indurre il gruppo avverso a desistere da un comportamento ritenuto nocivo o offensivo (nei rap porti fra gruppi i condizionamenti di natura ideologie� con tano meno), lo strumento decisivo per imporre la propna vo lontà è l'uso della forza, cioè la guerra.
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Questa distinzione fra tre tipi principali di poteri sociali, _ forme diverse, è un dato pressoché co se pure espressa m stante nelle teorie sociali contemporanee, nelle quali il siste ma sociale nel suo complesso compare direttamente o indi rettamente articolato in tre sottosistemi: l'organizzazione delle f?rze produttive, l 'organizzazione del consenso, l'organizza Zlon � del potere c? attivo. Anche la teoria marxiana può es sere Interpretata m questo senso: la base reale comprende il sistema economico, mentre la sovrastruttura ' scindendosi in due momenti distinti, comprende il sistema ideologico e quello piu propriamente giuridico-politico (di cui Marx non bisogna dimenticare, coglie soprattutto l'aspetto repre ;sivo, mettendo quindi in particolare evidenza l'apparato della coa zione . Piu chiaramente tricotomico è il sistema gramsciano, dove 1l momento sovrastrutturale è distinto in due momen ti, il momento dell'egemonia o del consenso che viene chia mato 'società civile' e il momento del dominio o della forza (chiamato ' Stato'). Del resto, per secoli gli scrittori politici hanno distinto il potere spirituale che oggi si chiamerebbe id�ologico dal potere temporale, e hanno sempre interpreta to 11 potere temporale come costituito dalla congiunzione del dominium, che è il potere sulle cose, costitutivo del potere econo i�ico, �on 'imperium, che è il potere di comando sugli . uomm1, costitutivo del potere politico in senso stretto. Sia nella dicotomia tradizionale sia in quella marxiana si ritro vano le tre forme di potere, purché s'interpreti correttamente come composto di due momenti, tanto nell'un caso quanto nell'altro, il secondo termine. La differenza essenziale sta nel fatto che nella teoria tradizionale il potere principale è rap present �to dal pote�e ideologico nel senso che il potere . ec?�omico-pohtico viene concepito come dipendente dallo spmtuale, mentre nella teoria marxiana il potere principale � �uello economico in quanto le ideologie e le istituzioni po litiche hanno la funzione di garantire la persistenza di deter minati rapporti di produzione (almeno sino a che la contrad d zione � tessa eh� esplode a un certo momento di sviluppo d1 questi rapporti produca il cambiamento) . All'inizio del l'età moderna è esemplare il De Cive di Hobbes [r 642] divi s ? in tre parti: libertas, potestas, religio, corrispondenti rispet �1va111ent � �lla sfer� dell_a libertà naturale dove si svolgono l rapporti di scambiO ne1 quali il potere politico deve inter-
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Macpherson ha cre l erire il meno possibile (c'è chi come il ra hobbesian� �na d uto di poter vedere nello stato di natu ) , al potere politico, prefigurazione della società di mercato e della guerra, e al che detiene le due spade della giustizia essenzialn::e ?te d'in potere spirituale, cui spetta un compito llenza. � 1l potere segnamento. In Hobbes il potere per ecce una spec1f1�a dele_ga politico, il quale, a ciò legittimato da _ necessita a uscire di individui isolati e terrorizzati, spinti dalla re spirituale sia quello dallo stato di natura controlla sia il pote Hobbes può essere economico . Anche otto questo aspe tto teorico dello Stato considerato il primo e anche il mas simo azione è accom moderno vale a dire dello Stato la cui form ato della politica. pagnata alla persistente idea del prim
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h rso mod? i Il diverso rapporto fr � i tre poter e il �� p�u carat�enstl att1 t disporli in ordine gerarchico sono fra 1. � _ h� della l doso e co ci delle grandi correnti del pensiero polm Il pen ue g istm radd stor ia. Il primato della politica c e co�t _ con r p s1 el, Heg a � � siero politico moderno, da Mach1avelh contraddlst �n che tuale spiri e pote del ato prim al o : pone tant _ fra Stato e Ch1e r le � gue l'età medievale delle grand1 controve � ese non hanno mal Ch1 altre le e ana rom esa Chi la cui a e sa economico la c�i �c? ri unziato, quanto al primato del potere l m1z10 do mo � borg?es.e � pert a coincide con la nasc ita del . t1co tahs cap1 ne uziO prod della riflessione sul modo di tica poli a dell ato prim del dea Strettamente connessa all'i e si e nasc caso a non che o Stat è la dottrina della ragion di er� - U a ?elle sviluppa accanto alla teoria dello Stato mod � e� l , mdi. pohtiCa forme in cui si manifesta il primato della izio moral� , o giud al etto risp tico pendenza del giudizio poli secondo: . c.he es rst � addirittura la superiorità del primo sul _ _ one ,degli md1��dm una ragione dello Stat o di��rsa dalla ragi te l uomo pol�tlco, vuoi dire che lo Stat o, e pm concretamen a essere . obbhg �to è libero di perseguire i propri scopi senz . 1v1_ uo sm to l'md a tener conto dei precetti morali cui è tenu Alla �oncez10ne del golo nei rapporti con gli altri individu i. dottnna ella com primato dello spirituale corrisponde la alle leggi della mo pleta subordinazione dell'azione politica �ale, che sono poi i precetti della religione dominante: su-
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bordinazione che si riflette nella figura del principe cristia no. Alla concezione del primato della politica corrisponde, invece, la dottrina della necessaria immoralità o amoralità del l' azione politica che deve mirare al proprio scopo, la salus rei publicae, senza sentirsi vincolata e impacciata da remare di altra natura: primato che si riflette nella figura del princi pe machiavellico rispetto al quale i mezzi di cui si serve per vincere e conquistare lo Stato, sono sempre, quali che essi siano, « iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati» [ r 5 r 3 , ed . 1 9 77 p. 88] . Nella Filosofia del diritto di Hegel, che conclu de, come quella di Hobbes apre, la teoria dello Stato moder no, il momento ultimo dello Spirito oggettivo, che copre il territorio tradizionale della filosofia pratica, è non la morale ma la eticità, di cui la figura suprema è lo Stato. Affrontan do il tema classico della distinzione tra morale e politica, cioè della ragion di Stato, Hegel esprime con la massima forza l'idea del primato della seconda sulla prima, in un passo che può essere a buona ragione considerato la quintessenza di que sta idea e contiene l' argomento principale per la sua giustifi cazione: « Il bene d'uno Stato ha un diritto del tutto diverso dal bene del singolo », perché lo Stato, che è la « sostanza eti ca », « ha la sua esistenza, cioè il suo diritto, immediatamen te in un'esistenza non astratta ma concreta, . . . e soltanto que st'esistenza concreta, non una delle molte proposizioni ge nerali, ritenute per precetti morali, può essere principio del suo agire e del suo comportamento » [ r 8 2 r , trad. it. p. z 86] . Che cosa vuoi dire questo passo? Vuoi dire che il principio dell' azione dello Stato deve essere ricercato nella sua stessa necessità di esistere, di un'esistenz a che è la condizione stessa dell'esistenza (non solo dell'esistenza ma anche della libertà e del benessere) degli individui. Prova ne sia che il tribunale che giudica le azioni dello Stato non è né quello esterno isti tuito dallo stesso Stato per giudicare le azioni dei sudditi né quello che ciascun individuo erige al proprio interno per ri sponderne di fronte alla propria coscienza o a Dio, ma è il tribunale della storia universale, i cui soggetti non sono gli individui ma appunto gli Stati.
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4 · Il fondamento del potere.
I l p r o b l e m a d e l l a l e g i t t i m it à . Rispetto al potere politico si è posto tradizionalmente non solo il problema della sua definizione e dei caratteri che lo contraddistinguono dalle altre forme di potere ma anche quel lo della sua giustificazione. Il problema della giustificazione del potere nasce dalla domanda: « Ammesso c�e il potere po litico sia il potere che dispone dell'uso esclustvo della forza in un determinato gruppo sociale, basta la forza a farlo ac cettare da coloro su cui si esercita, a indurre i suoi destinata ri ad ubbidirlo? » Una domanda di questo genere può avere ed ha avuto due risposte secondo che venga interpretata come una domanda su ciò che il potere è di fatto o su ciò che deve essere. Come spesso accade nello studio dei problemi politi ci, anche queste due risposte sono state spesso confuse l'una con l'altra o l'una all' altra sovrapposte, s1 che non sempre si riesce a capire se chi si pone il problema del rapporto fra il potere e la forza si ponga un problema di mera effettività (nel senso che un potere fondato soltanto sulla forza non può durare) o anche un problema di legittimità (nel senso che un potere fondato solo sul�a forza pu? �i fatto esse�e eff� �tivo ma non può essere constderato leglttlmo) . Altro mfattl e so stenere che il potere politico non può essere soltanto forte nel senso che non è possibile, altro che non può essere sol tanto forte nel senso che non è lecito . Dal punto di vista dei destinatari del potere lo stesso problema è stato posto come problema dell'obbligo politico. Ma anche � .problema :fe� 'ob bligo politico può essere posto come anahst delle ragwm per cui si ubbidisce ai comandi di chi detiene un certo tipo di potere o come determinazione dei casi in cui si deve obbedi re e di quelli in cui è lecita la disobbedienza o l'obbedienza passiva. La filosofia politica classica, che, come si è detto (pp. 44 -45) considera suo compito porre il problema del fondamento del potere, ha avuto la tendenza a negare che un potere soltanto forte, indipendentemente dal fatto che sia in grado di dura re, possa essere giustificato. Di qua la distinzione non piu analitica ma assiologica fra potere legittimo e potere illegit-
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ha se all' argomento rituale: « Se ci si limita a fonda
esclusivamente sulla forza, come si riesce a di ' ' ' ' ! '. l lnt· il potere politico da quello di una banda di ladroni?» < _ ) , � t ·s l o problema fu posto in modo lapidario da sant'A . . 1 1 1 1o 11d celebre passo su cui si sono esercitati infiniti com " " ' ' ' : t i 1 > r i : << Senza la giustizia che cosa sarebbero in realtà 1 l • '! '. ' ' i se non bande di ladroni? E che cosa sono le bande . 1 1 l ; � d l o n i se non piccoli regni? » Passo seguito dal non meno f , - J , , l. scambio di battute fra Alessandro e il pirata: « Aven , ! . '!'. l i 1·l t i csto il re per quale motivo infestasse il mare, con . I l i • !:,n. l i bertà il pirata rispose: " Per lo stesso motivo per cui 1 1 1 1 1 1 l l· s 1 i l a terra; ma poiché io lo faccio con un piccolo navi . . I i � � �:"Ilo chiamato pirata, mentre tu, perché lo fai con una : ·_ 1 · ' ' ' ' ! 1 · ll ot ta, sei chiamato imperatore" » [De civitate Dei, IV, 1 . 1 ' 'ì l . Due fra i piu famosi libri di teoria politica, la Re; ·:d.f.lir·,, di Platone e il Contrat social di Rousseau ' comincial > · 1 • 1 1 1 1 1 1 Jl dibattito sul rapporto fra giustizia e forza, in cui , , .. , ,,., , ivamente Socrate e Rousseau respingono la tesi del «di ' 1 1 1 " 1 lt·l p ili forte ». Anche Rousseau ricorre all'esempio del l • 1 1 1 '. : 1 1 1 / l' : « Se un brigante mi sorprende in mezzo ad un bo 1 11 1 1 1 solo dovrò dargli la borsa per forza, ma anche quando 1 '" 1 1 - : : :: i 1 wsconderla sarei obbliga t o in coscienza a dargliela? l ', · 1 l H·. i 11fine anche la pistola che egli ha in mano è un pote1 • -- ! 1 ; (> 2 , trad. it. p. r 4 l Quando Bodin deve definire lo · " · ' ' " lo definisce « il governo giusto [in francese droit, in la I l i i l i f, ·.r�ilimus] che si esercita . . . » [ 1 5 7 6 , trad. it. p. 1 59] . Lo , , : . : . 1 1 l lobbes afferma che per la sicurezza dei sudditi, che , 1 l i 1 1 c supremo dello Stato, e quindi della istituzione del 1 ' " ' n<: politico, è necessario che qualcuno, non importa se 1 " 1 : :1 >I J:t fisica o assemblea, «detenga legittimamente nello Sta , , · d ::l lJ n mo potere » [ r 6 4 2 , trad. it. p. r 65l Del resto pro l • 1 1 1 1 ::1 1 1 l a base di questa attribuzione di un carattere etico • 1 '. ' " ' i d ico al potere ha avuto corso per secoli la distinzione 1 , _ , l " ' l crc politico buono e potere politico cattivo, fra re e 1 1 1 : I I I I H > (quando ' tirannia' venga assunta nella accezione non l 1 " " dp,ovcrno, come nell'antichità classica, ma di usurpazione l 1 l " ' ' ' Tt · ) : una distinzione che importa conseguenze rilevanti 1 1 · · l " · 1 1 1 ' al problema dell'obbligo politico, sf che lo stesso Hob I " . . 1 1 -mico dell'obbedienza assoluta, afferma che l'usurpa ' · •l • - . 1 ioi:� il principe illegittimo, deve essere trattato come ' •
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La ricorrente considerazione secondo cui il supremo po tere che è il potere politico, debba avere anche una giustifi cazi�ne etica (o, che è lo stesso, un fondamento giuridico) ha dato luogo alla varia formulazione di principi di legitti mità cioè dei vari modi con cui si è cercato di dare una ra gion� , rispetto a chi detiene il potere, di comandare, e a chi lo subisce, di ubbidire: ciò che Gaetano Mosca chiamò con una espressione fortunata la « formula politica » spiegando che « è accaduto sinora in tutte le società discretamente numero se ed appena arrivate ad un certo grado di coltura, che la classe politica non giustifica esclusivamente il suo potere solo col possesso di fatto, ma cerca di dare ad esso una base morale ed anche legale, facendolo scaturire come conseguenza ne cessaria di dottrine e credenze generalmente riconosciute ed accettate nella società che essa dirige » [r 896, ed. 1 9 2 3 p . r o8]. D i formule politiche Mosca ne riconosceva esclusi vamente due, quella che fa derivare il potere dall' autorità di Dio e quella che lo fa derivare dall' autorità del popolo. Pur considerandole mete finzioni riteneva che corrispondes sero a un bisogno reale, al bisogno di governare e di sentirsi governati « non sulla sola base della forza materiale ed int�l lettuale, ma anche su quella di un principio morale » [ibid. , p . r r ol I vari principi di legittimità. In realtà i principi di legittimità adottati di volta in volta nella storia non sono soltanto i due indicati da Mosca. Sen za alcuna pretesa di completezza se ne possono distinguere almeno sei, che si richiamano a coppie antitetiche a tre gran di principi unificatori, la Volontà, la Natura, la S toria. I due principi di legittimità che si richiamano a una volontà supe riore sono quelli ricordati da Mosca: i governanti ricevono il loro potere dalla volontà di Dio oppure dalla volontà del popolo. La formula classica di questo tipo di legittimazione è quella hobbesiana: « Non la ragione, l'autorità fa la legge ». Ma qual è la fonte ultima dell'autorità? In una concezione discendente del potere (concepita la struttura di potere come una piramide il potere scende dal vertice alla base) l'autorità ultima è la volontà di Dio. In una concezione ascendente (se condo cui il potere sale dalla base al vertice), l' autorità ulti-
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n:a è la volontà del pop o o . Finzione per finzione i due prin A _ vengono in alcune dottrine raffor Clp � er quanto· ,antltetici zati l uno con l altro: vox populi vox Dei. Alle dottrine vo lontaristiche si sono sempre opposte le dottrine naturalisti che che hanno dato origine alle varie forme di diritto natu rale. Anche que � te �i sono presentate in due versioni appa rentemente antitetiche: la natura come forza originaria xpchoç, secondo la pr�valent� concezione classica del potere e l a nat�1:a come ordme razwnale per cui la legge di natura __ �I Identific � con la le�ge della ragione secondo la prevalente mterpretazi �ne �el gmsnaturalismo moderno. Fare appello a!la natura SI�n�_ hca, p er fondare il potere, nella prima ver swne, che 11_ dmtto di comandare degli uni e il dovere di ub bidire degli altri deriva dal fatto ineluttabile che vi sono na turalmente, e quindi indipendentemente dalla volontà uma na, forti e deboli, sapienti e insipienti, ovvero individui e anc?e pop�li int� r atti a comandare e individui e popoli ca pacI solo di ubbidire. Fare appello alla natura come ordine _ razwnale � i�nifi�a . invece fondare il potere sulla capacità del sovran o di ident�hcare e applicare le leggi naturali che sono le legg:_ della rag�one. Per Locke il principale dovere del go verno e quello di rendere possibile mediante l'esercizio del potere coatt vo l' os �ervanza delle leggi naturali per il rispet to d �ll� quah non �l sare be isogno di alcun governo se gli uomm1 f ?sser? tutti essen ragiOnevoli . Poiché gli uomini non sono razwna I, Locke ha bisogno del consenso per fondare lo Sta t� , ma 1l consenso stesso, ovvero l' accordo necessario per uscite dallo stato di nat �ra e per istituire il governo civi le, e, pur sempre un atto raziOnale. Non vi è piu bisogno del consens � soltanto là dove è razionale il principe stesso che governa m conformità delle eggi della natura rivelategli dai competenti:_ a questo punto Il governo della natura la fisio c :azia, si s stituisce compl � tamente al governo de li uomi m. An�he l appello alla Stona ha due dimensioni secondo che la stona da a cui autorità si cerca di trarre la legittimazione del potere sia quella passata o quella futura. Il richiamo alla storia passata i �ti tuisce come principio di legittimazione la _ forza della tradizione e sta quindi alla base delle teorie tra l p�tere secondo le quali sovrano legittimo izion alistiche d� . e co m che esercita Il potere da tempo immemorabile. An che 1l potere di comandare si può acquistare, in base a un
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principio generale d i diritto, i n forza dell'uso protrattosi nel tempo, come si acquista la proprietà o qualsiasi altro diritto. Nelle sue Reflections on the Revolution in France [1 790], Ed mund Burke ha enunciato la teoria della prescrizione storica che giustifica il potere dei re (donde non a caso nascono le pretese legittimistiche dei sovrani spodestati) contro le pre tese eversive dei rivoluzionari. Mentre il riferimento alla storia passata costituisce un tipico criterio per la legittimazione del potere costituito, il riferimento alla storia futura costituisce uno dei criteri per la legittimazione del potere costituendo. Il nuovo ordinamento che il rivoluzionario tende ad impor re scardinando il vecchio può essere giustificato in quanto lo si rappresenti come una nuova tappa del corso storico, una tappa necessaria, inevitabile, e piu avanzata assiologicamen te, rispetto alla precedente. Un ordinamento che non esiste ancora, che è in fieri, non può trovare la sua fonte di legitti mazione se non post factum. Il conservatore ha una conce zione statica della storia: è bene ciò che dura. Il rivoluziona rio una concezione dinamica: è bene ciò che cambia corri sp ndentemente al moto, predeterminato e finalmente com preso, del progresso storico . Entrambi pretendono di essere nella storia (rappresentano due posizioni storicistiche) : ma il primo ritiene di rispettarla accettandola, il secondo antici pandola (e magari sollecitandola) . Il dibattito sui criteri di legittimità non ha soltanto un va lore dottrinale: al problema della legittimità è strettamente connesso quello dell'obbligo politico, in base al principio che l'obbedienza è dovuta soltanto al comando del potere legit timo. Dove finisce l'obbligo di obbedire alle leggi (l'obbe dienza può essere attiva o soltanto passiva) comincia il dirit to di resistenza (che può essere a sua volta soltanto passiva o anche attiva) . Dipende dal criterio di legittimità che viene di volta in volta assunto il giudizio sui limiti dell'obbedien za e sulla liceità della resistenza. Un potere che in base a un criterio viene affermato come legittimo, in base a un altro può essere considerato illegittimo. Dei sei criteri sopra elen cati alcuni sono piu favorevoli al mantenimento dello status quo, ovvero stanno ex parte principis, altri sono piu favore voli al mutamento, ovvero stanno ex parte populi. Da una par te, il principio teocratico, l'appello alla natura come forza ori ginaria, la tradizione; dall' altro, il principio democratico del
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consenso, l' appello alla natura ideale, il progresso storico. Chi guardi ai movimenti di resistenza, nel senso piu largo della Parola, del mondo d'oggi, non tarderà ad accorgersi della per . slstenza di questi criteri: contro un governo dispotico, con tro una potenza coloniale o imperialistica, contro un sistema e ��nomi�o o politico considerato ingiusto ed oppressivo, il dmtto d1 resistenza o di rivoluzione viene giustificato ora a:traverso il r�c ia:no alla volontà popolare conculcata, e quin di alla necessita d1 un nuovo contratto sociale, ora al diritto n �t �ra!e all'autodeterminazione che vale non solo per gli in d!vl Ul m a anch� per i popoli, ora alla necessità di travolge re c10 che e, condannato dalla Storia e di immettersi nell'al veo del divenire storico che procede inesorabilmente verso nuove e piu giuste forme di società.
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L e g i t t i m i t à ed e f f e t t i vi t à . Con 1 ' avvento del positivismo giuridico il problema della legittimità è stato completamente rovesciato. Mentre secon do tutte le teorie precedenti il potere deve essere sostenuto da q� al�h � ?i� stificazi�ne etica per poter durare, e quindi I� e �1t �1m1ta e necessana per la effettività, con le teorie po . SltlvlstiChe s1 va facendo strada la tesi che solo il potere ef fettivo è legittimo: effettivo nel senso del principio di effet ti_vità del diritto internazionale, secondo cui, con le parole d1 Kelsen che ne è stato uno dei piu autorevoli sostenitori << Un' autorità di fatto costituita è il governo legittimo, l'ordi� namento coercitivo posto in essere da tale governo è un or dinamento giuridico, e la comunità costituita da tale ordina mento è uno s �ato nel senso del diritto internazionale, in quan to qu �sto ordmamento è nel suo complesso efficace » [ 1 945, trad. lt . p . r 2 3]. Da questo punto di vista la legittimità è un puro e semplice stato di fatto. Il che non toglie che un ordmamento giuridico legittimo in quanto efficace e come tale riconosciuto dall'ordinamento internazionale possa es sere sottoposto a giudizi assiologici di legittimità, che posso no portare ad una graduale, piu o meno rapida, inosservanza delle norme dell'ordinamento, e quindi a un processo di de l �gitt�mazio?e el siste� a . Resta però che in base al princi . . pio d1 effettlvlta un ordmamento contmua ad essere legitti mo sino a che l'inefficacia è giunta a tal punto da rendere
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probabile o prevedibile l'efficacia di un ordinamento alter nativo. Nell'ambito del positivismo giuridico, cioè di una conce zione in cui si considera diritto soltanto il diritto posto dalle autorità a ciò delegate dallo stesso ordinamento e reso effi cace da altre autorità previste dallo stesso ordinamento, il tema della legittimità ha preso un'altra direzione, non piu quella dei criteri assiologici, ma quella delle ragioni dell' effi cacia da cui deriva la legittimità. In questa direzione si pone la celebre teoria weberiana delle tre forme di potere legitti mo. Weber si è posto il problema non già di elencare i vari modi con cui ogni classe politica ha cercato in ogni tempo di giustificare il proprio potere, bensi di individuare e de scrivere le forme storiche di potere legittimo, una volta de finito il potere legittimo (Herrscha/t), distinto della mera forza (Macht) , come il potere che riesce a condizionare il compor tamento dei membri di un gruppo sociale emettendo coman di che vengono abitualmente obbediti in quanto il loro con tenuto è assunto come massima dell'agire. I tre tipi puri o ideali di potere legittimo sono, secondo Weber, il potere tra dizionale, il potere legale-razionale, il potere carismatico. �e scrivendo questi tre tipi di potere legittimo Weber non m tende affatto presentare delle formule politiche nel senso mo schiano della parola, bensi si propone di comprendere quali sono le diverse ragioni per cui si viene a formare in determi nate società quel rapporto stabile e continuativo di comando obbedienza che contraddistingue il potere politico. I tre tipi di potere rappresentano tre tipi diversi di motivazioni: nel potere tradizionale il motivo dell'obbedienza (o, che è lo stes so la ragione per cui il comando ha successo) è la credenza nella sacertà della persona del sovrano, sacertà che deriva dalla forza di ciò che dura da tempo, di ciò che è sempre stato e, poiché è sempre stato, non c'è ragione di cambiarlo; nel potere razionale, il motivo dell'obbedienza deriva dalla cre denza nella razionalità del comportamento conforme alla leg ge, cioè a norme generali ed astratte che istituiscono un rap porto impersonale fra governante e governato; nel potere ca rismatico dalla credenza nelle doti straordinarie del capo . In altre arole, con la teoria dei tre tipi di potere legittimò Weber ha voluto mostrare quali sono stati sinòra nella sto ria i fondamenti reali, non quelli presunti o dichiarati, del
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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ potere polit�co . Il eh no esclude che vi pos sa essere un rap � � p�:>rto �ra gli um. e gh altn . Tanto la tradizione quanto la ra , z�onahta del pot ere sono per un ver so un motivo di obbe d!enz � quanto un principio di legi ttimazione ed è difficile . stabilire dove finisca l'uno e com inci ro. !� questa prospettiva da cui si guardal'alt non ai criteri assi o logi�l ma �l pro cess o real e di legittim azione (e di delegitti maziOne) m un dato con test o stor ico si colloca il dibattito r� c�nte sulla teoria di Niklas Luh mann secondo cui nelle so cle�a comple �s e che hanno conclus o il processo di pos itiviz zazwne del dm. tto la legittimità è l'ef fetto non del riferimento a valori ma dell' a p ic zione di cert e procedure (Legitimitdt � � durch Verfahren), IStitUite per produrre decisioni vincolanti co�e le elezi?ni P li iche il proce� imento legislativo e il pro� ? � cedimento g�ud1. z1ano. La� dove gh stes si. soggetti. partecipa �o al pro�e�u� nt , se pur entro i limiti delle regole stabi � ? � lite, la l�gittlffilta viene configu rata come una prestazione dello stes so siste ma [ 1 9 7 2 , trad . it. p. 263 ].
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5 · Stato e diritto. G l i e l e m e n t i c o s t i t u t i v i d ello S t a t o . Acca?to al problema del fondamento del potere la dottri na class1�a de!J ? S tato si è sempre occupata anche del pro . blema de1 hm1t1 del potere, problema che generalmente vie n � posto come problema dei rapporti fra diritto e potere (o dmtto e S tato) . . p� q�ando del problema dello Stato si sono impadroniti l �lur� st l lo S tato viene definito attraverso i tre elementi co . s �It �ti_vi del popolo, del territorio e della sovranità (concetto gmnd1co per eccellenza, elaborato da legisti e universalmen te �c �olto dagli scrittori di diritto pubblico) . Per citare una . defm1z10ne corrente e autorevole, lo Stato è «un ordinamento giuridico ai fini generali esercitante il potere sovrano su un dat� territorio, cui sono subordinati in modo necessario i sog gettl ad e � so appartenenti » [Mortati r 969, p. 2 3 ] . Nella ri . d_u zlo� e r�gorosa che Kelsen fa dello Stato ad ordinamento . gi�ndico potere sovrano diventa il potere di creare e ap . . plicare dmtto (ossla norme vincolanti) in un territorio e ver-
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un popolo, potere che riceve la sua validità dalla norma londamentale e dalla capacità di farsi valere ricorrendo an che in ultima istanza alla forza, e quindi dal fatto di essere non soltanto legittimo ma anche efficace (legittimità ed effi çacia si richiamano l'una con l'altra) ; il territorio diventa il l imite di validità spaziale del diritto dello Stato, nel senso che le norme giuridiche emanate dal potere so�rano v�IW:m? soltanto entro determinati confini; il popolo diventa il limi te di validità personale del diritto dello Stato, nel sen� o che le stesse norme giuridiche valgono soltanto, salvo casi ecce zionali per determinati soggetti che in tal modo vengono a costituire i cittadini dello Stato. Definizioni di questo gene re prescindono completamente dal fine o dai fini dello S_t a . to. Per Weber « non è possibile definire un gruppo poht�co - e neppure lo " Stato" - indicando lo scopo del ��o ag1re . . di gruppo. Non c'è nessuno scopo che w·uppl polltlCl n o n . s i siano talvolta proposto, dallo sforzo d1 provvedere Il so stentamento alla protezione dell' arte; e non c'è nessuno che tu t t i abbiano perseguito, dalla garanzia della sicurezza yer sonale alla determinazione del diritto » [ r 9o8-zo, trad. lt. I, pp . 53-S4l Con la terminologia di �else.n, lo S � ato i? quan to ordinamento coattivo è una tecmca d1 orgamzzazwne so ciale: in quanto tale, cioè in quanto tecnica, � insiei?e i n:ezzi . �!Ver per uno scopo, può essere adoperato per gh s � op1 pm si. Una definizione di questo genere trova nscontro m un celebre passo dell'Esprit des loix, in cui Montesquieu, là d?ve vuoi esaltare la nazione che ha per scopo della sua costitu zione la libertà politica (l'Inghilterra) , aggiunge: « Per quan to tutti gli Stati abbiano in generale lo stesso fine, che è qu� llo di conservarsi, ciascuno è portato a desiderarne urw partico . lare » e quindi fa alcuni esempi curiosi : « L'ingr�ndime�t? era il fine di Roma; la guerra, quello degli Spartam; la r�hg1on� , quello delle leggi ebraiche; il commercio, �u�ll_o de1 Marsl aliesi ecc. » [ 1 748, trad. it. I, p. 2 74] . Dehmzwne formale � concezione strumentale dello Stato si sostengono a vicenda. Dal punto di vista di una definizione formale e strumen tale condizione necessaria e sufficiente perché vi sia uno Stato è che su un determinato territorio si sia formato un potere in grado di prendere decisioni ed emanare i comandi corri spondenti, vincolanti per tutti coloro che abitano su q.uel ter ritorio, ed effettivamente eseguiti dalla grande maggwranza so
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dei destinatari nella maggior part e dei casi in cui l'obbedien za è richiesta . Quali che siano le decision i. Questo non vuol dire che il potere statale non abbia limiti. Giustamente Kel s� n, oltr� ai limiti di validità spaziale e pers onale che ridefi mscono 111 termini giuridici i due elementi costitutivi del ter r � torio � �e� r: o�ol p ende in considerazio ? � ne altre due spe c�e �h. hm1t1: 1 hm1t1� dr validità temporale per cui una qual srast norma ha una validità limitata nel temp o che intercorre tra il momento dell 'emanazione, salvo che le si attribuisca effetto retroattivo, e il momento dell' abro crazione e i limiti di validità materiale in quanto vi sono: a) � aterie �on sotto por:-ibili di fatto, ogge tivamente, a una qual � siasi regolamen . tazwne, onde il vecch10 detto che il parlame nto inglese può fare tutto tranne che trasformare l'uomo in donna (un esem pio, a dire il vero, oggi non pili calzante ) o l'affermazione di Spinoza [ I 67o , cap. rv] che anche il so �rano che abbia il diritto di fare tutto ciò che vuole non ha il potere di far s{ che un tavolo man gi l'erb a; b) mat erie che poss ono esse re rese indisponibili dall o stess o ordinamento come acca de in t� tti qu�gli or:H a�enti in cui vien e gara n;ita la protezione r:d1 alcum spaz1 d1 hber tà, rappresentati dai diritti civili en tro i quali il potere statale non può interven ire e una n�rma pur validamente posta che li violasse può esse;e considerata illegittima da un procedimento previsto dalla stes sa Cost itu zion e. I l governo delle leggi . Si� dall' antichità il problema del rappor!o fra diritto e po tere e stato p o� to con ques ta dom anda : « E meg lio il gover ?o delle legg1 o il governo degli. uomini? » Plat one distinguendo il buongoverno dal malgoverno dice : « Per lo Stat o . . . dove la legge è suddita e senza autorità, io vedo pronta la distru zion� . E ?ove inve e è l legge padrona dei magistrati e i � . m�g1s�rat1 sono s�o1 se v1� 10 ve ? o salv ezza e ogni bene che � , donano agh gli der Stat l » [Leggz, 7 I 5d] . Aristotele inizian ?o il discorso sulle diverse costituzioni mon archich� , si pone ti problema se sia « piu conveniente essere governati dall' uo mo migliore o dalle leggi migliori » [I z86a , 9] . A favore del secondo corno enuncia una mas sima dest inat a a fare molta stra da: « La legge non ha passioni che nece ssariamente si ri-
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scontrano in ogni anima umana » [ibid. , zo] . La supremazia della legge rispetto al giudizio caso per �aso dato � al g_over nante (il gubemator platonico, che salva 1 compagm nel peg giori frangenti, « non scrive leggi s� r�tte, ma fornisce come . legge la sua arte » [Politico, 297a] ) nstede nella sua generah tà e nella sua costanza, nel non essere sottoposta al mutare delle passioni: questo contrasto fra le passioni degli uomini e la spassionatezza delle leggi condurrà al 't01toç r:-on meno classico della legge identificata con la voce della ragwne. l!no dei cardini della dottrina politica medievale è la subordma zione del principe alla legge secondo il principio enunciato in forma aforistica da Bracton: « Rex non debet esse sub ho mine ' sed sub Dea et sub lege, quia lex facit regem» [De le gibus et consuetudinibus Angliae, l , 8 ,5]. Nella tradizione giu ridica inglese il principio della subordinazione del re alla leg ge conduce alla dottrina della rule of law, o governo della lecrge fondamento dello Stato di diritto inteso, nella sua ac ce�io�e piu ristretta, come Stato i cui poteri vengono es�rci tati nell' ambito di leggi prestabilite. Per san Tommaso il re gimen politicum si distingue dal regimen regale per � fatto che mentre quest'ultimo è caratterizzato dalla P!enarza potestas . del governante, il primo ha luogo « quando 1lle qm pr��est habet potestatem coarctatam secundum aliquas leges ClVlta tis » [In acta libros Politicorum Aristotelis expositio, l, I 3]. Naturalmente una risposta di questo genere solleva una questione di fondo : giacché le leggi sono generalm�nt � po ste da chi detiene il potere, da dove vengono le legg1 cm do vrebbe ubbidire lo stesso governante? Le risposte date dagli antichi a questa domanda hanno aperto due strade. La pri ma: oltre le leggi poste dai governanti vi sono altre leggi che non dipendono dalla volontà dei governant , e son� o le le� gi naturali derivate dalla stessa natura dell uomo vrvente m società, o pure le leggi la cui forza vincolante deriva dall'es� sere radicate in una tradizione. Sono le une e le altre leggt « non scritte » o « leggi comuni », come quelle cui ubbidisce Antigone violando il comando del tiranno, o quelle cui ub bidisce Socrate che si rifiuta di fuggire dalla prigione per sot trarsi al castigo. La seconda: all'inizio di un buon ordinamento di leggi vi è l'uomo saggio, il grande legislatore, eh� ha dato al suo popolo una costituzione cui i futuri reggiton dov:an no scrupolosamente attenersi. Questa idea del buon leg1sla-
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tore che yre de cronologicament �c; e e anche assiologicamen . t� I :eggtton e ese plarmente rap presentata dalla leggenda � d1 L1�urgo che, ordmato lo Sta to, annunzia al popolo radu nat� m assemble che è costret to ad allontanarsi da Spa rta per Interpellare l �oracolo e raccom anda di non mu tare nulla delle leggi da lui stabilite sino a che non sarà tornato e non torna piu. Ent ram be le strade son o stat e percorse i� tutt a la s t�na del pen sier o politico: i reg gitori che pur sono gli ar . tehCI ?elle legg� pos iti ve sono tenuti a risp etta re leg gi su . . . pen?r! alle leggi pos1t1v e, come le leggi naturali che nell a tradlZlone del pensiero medievale sono anche le leggi di Dio �«}us naturale est quod in lege et Evangelio continetur » cos i il Decretum Gratian i [I, I, in Mig ne, Patrologia l�tina, CL XX XV II, col . 2 9]), oppure le leggi del pae se, la common l�w dei l �gis �i inglesi, che è con siderata una legge della ra gwn� , cm gh stes si sovran sono sott opo sti . Quando l 'idea d�l dm. tto naturale e, ormai este nua ta, Rousseau riprende il mito del grande legi. slatore, dell ' <momo straordinario » la cui funzione è eccezionale perché « non ha niente di comu e con l 'autorità umana » ed anzi deve stabilire le condizioni di un sa�gio e d�rat ro do inio [ 1 762 , trad. it. p . 5 7] . Tut te le � TI_J pnm e cos t1tuz1om. scn tte, tanto le americane come le fran cesi, nascono all'insegna della mis sione storica straordinaria d! chi instaura con un nuovo cor po di leggi il regno della ra . gwne Interpretando le leggi della natura e trasformandole in legge positiva con una cos tituzion e uscita di un solo getto dalla mente dei saggi.
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I l i m i t i i n t e rn i . Qu esta idea ricorrente del govern o delle leggi sup eriore a �averno degh. mi i può ppa ire �? r: in contrasto con il prin Clp�o secondo cm 1l pnnceps e� legz� bus solutus. Tale principio, de:wato da un pas so di Ulpian o [Digesto, I, 3 , 3 r], ispira e gmd? la condot ta dei sovrani nel le monarchie assolute del contmente europe o. Il princ!pio non v�ol dir e, com e per ragioni polemiche da parte deg scn. tton. liberali posteri ori, o per errore, si è cre u �o, �he 1 po �er el principe non abbia limiti: le leggi cui � SI nfe nsc e il pnn CiplO sono le leggi positive, cioè le leggi po ste dalla stes sa volontà del sovran o, il quale non è sottopo-
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sto alle leggi da lui stesso stabilite perché nes �uno può dar leggi a se stesso . Ciò non e � clude af a�to che sia sottopo�to . . in quanto uomo, come tutti gli uomini, �lle leggi nat�r�h e . divine. Cosi Bodin: « Quanto . . . alle leggi naturali e diVme, tutti i principi della terra vi sono sogg� tti, né è n loro pote . re trasgredirle, se non vogliono rendersi colpevoli d1 l�sa mae: stà divina » [ 1 5 76, trad. it. p. 3 6 r ] . Lo stesso e altn f?ut�:m della monarchia assoluta vanno oltre: il potere del pnnc1pe è limitato non solo dalle leggi naturali e divine ma anche dalle leggi fondamentali del regno, come ad es �mpio la legge eh� regola la successione al tron�, che s�:mo leggi tramandate, legg� . consuetudinarie, e come tah positive . Il problema delle leggi fondamentali e della loro forza vincolante è un tema che ap pare in tutti i trattati dei giur sti c � si preoccupano di fissa . re con norme chiare e certe 1 hm1t1 del potere del re: sono le norme di quella costituzione non scritta che regola i rap . . porti fra governanti e gov�rnati. Il re che viola e e�g1 natu . rali e divine diventa un tiranno ex parte exet·cztzz; il re che viola le norme fondamentali è un usurpatore, cioè un tiran no ex defectu tituli. Vi è infine un ter�o lirr:ite che piu di og�i altro serve a distinguere la monarchia regia dalla monarchia dispotica: il potere del re non si estende sino � nvadere la sfera del diritto privato (che è considerato un dmtto natura le) salvo in casi di motivata e giustificata nece � sità . In pole . mica con la dottrina della comunanza dei bem proposta da Platone Bodin afferma che « niente c'è di pubblico ove non c'è nie te di privato » e gli Stati sono stati or?inati d � Dio « allo scopo che allo Stato vada ciò ch'è pubbhco e a ciascuno ciò ch'è di sua privata proprietà » [ibi�. , p. I 78]. . Di diversa natura è la disputa tra fauton della monarch� a assoluta come Bodin e Hobbes, e i fautori della monarchia limitata 'o moderata o temperata o regolata, come gli scritto ri ino-lesi che difendono la monarchia costituzionale richia mandosi al modello ideale del governo misto o gli scrittori francesi che appoggiano le resistenze dei ceti contro. il pro . cesso di concentrazione e di accentramento d1 tutto Il pote re statale nelle mani del re, interpretando anche la monar chia francese come governo misto. Per gli uni e gli altri il potere del re deve essere limitato no� so tanto dall'esistenza . di leggi superiori che nessuno mette m di� cu ssi�ne ma anche . . . dall'esistenza di centri di potere legittimi d1 cui sono porta-
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tori gli ordini o stati - il clero, la nobiltà, le città - coi loro organi collegiali che pretendono di avere diritto di delibera re in determinate materie come l'imposizione fiscale. Si tratta di un limite che deriva dalla stessa composizione e organiz zazione della società e come tale, là dove i ceti sono vittorio si come in Inghilterra, ben piu forte del limite posto, ma non imposto, dalle leggi superiori. Peraltro, anche là dove la re sistenza degli ordini viene spezzata, come in Francia, che rap pres �nta il prototipo degli Stati assoluti, e in genere nei grandi Stati (mentre lo Stato di ceti sopravvive soprattutto nei pic coli Stati tedeschi), e il re governa esclusivamente attraver so i suoi funzionari e commissari, il processo di trasforma zione non avviene compiutamente, e non riesce mai ad oscu rare l'ideale della monarchia controllata dalla presenza dei corpi intermedi, che Montesquieu guardando all'Inghilterra ritiene necessari anche per il proprio paese. Se il rispetto delle leggi superiori serve a distinguere il regno dalla tirannia, la presenza dei corpi intermedi serve a distinguere la monar chia dal dispotismo. Non vi è fautore dell' assolutismo che non sappia tenere ben distinto il potere monarchico da quel lo tirannico, da un lato, e da quello dispotico, dall'altro. Un'ulteriore fase del processo di limitazione giuridica del �otere politico è quella che si afferma nella teoria e nella pra tlca della separazione dei poteri. Mentre la disputa fra ceti e prir:cipe riguarda il processo di accentramento del potere da c:u sono nati i grandi Stati territoriali moderni, la dispu ta circa la divisibilità o indivisibilità del potere riguarda il processo parallelo di concentrazione delle tipiche funzioni che sono di competenza di chi detiene il supremo potere in un determinato territorio, il potere di fare le leggi, di farle ese guire e di giudicare in base ad esse del giusto e dell'ingiusto. Per quanto i due processi corrano parallelamente, vanno te nuti ben distinti perché il primo ha la sua massima attuazio ne nella divisione del potere legislativo fra re e parlamento come avviene primamente nella storia costituzionale ingle� se, il secondo sfocia nella separazione e nella reciproca indi pendenza dei tre poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario, che ha la sua massima affermazione nella costituzione scrit ta degli Stati Uniti d'America. Non è un caso che al di là della celebre esposizione della dottrina della separazione dei poteri fatta da Montesquieu (« Perché non si possa abusare
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del potere, bisogna che, per la di�posizione delle co��' �l p� tere freni il potere » [ 1 748, trad. 1t. I, p. 274]), la pm hmpl da e compiuta esposizione della dottrina si trovi in alcune lettere del Federalist, attribuite a Madison, ove si legge che « il concentrare . . . tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giu diziario nelle medesime mani, siano esse quelle di molti o di pochi o di uno, . . . può bene a ragione .esser definito come la _ vera dittatura » [Hamilton, Jay e Mad1son q87-88, trad. 1t. p. 370]. Contrariamente a un'opinione corrente che gli stes si autori del Federalist si propongono di confutare, separa zione dei poteri vuol dire non che i tre poteri debbano � sse re reciprocamente indipendenti ma eh� debba escludersi. che chi possiede tutti i poteri di un determmato settor� p�ssleda . anche tutti i poteri di un altro in modo da sovvertire il prm cipio su cui si basa una costituzione dem�cratica, e per� ant � sia necessaria una certa indipendenza fra 1 tre poten. affmche a ciascuno sia garantito il controllo costituzionale degli altri. L'ultima lotta per la limitazione del potere politico è quel la che si è combattuta sul terreno dei diritti fondamen tali dell'uomo e del cittadino, a cominciare dai diritti perso nali, già enunciati nella Magna Ch� r�a di E�ic? !Il (r22?�' sino ai vari diritti di libertà, di rehgwne, di opm10ne politl ca, di stampa, di riunione e di associazione, che costituisco no la materia dei Bill of Rights degli Stati americani e delle Dichiarazioni dei diritti dell'uomo e del cittadino emanate durante la rivoluzione francese. Quale che sia il fondamento dei diritti dell'uomo, Dio, la natura, la storia, il consenso delle genti, essi vengono considerati come diritti che l' �omo ha in quanto tale, indipendentemente dall'essere posti dal po tere politico e che pertanto il potere polit�co de':' e non s� lo rispettare ma proteggere. Secondo la termmolog1a kelsema na essi costituiscono limiti alla validità materiale dello Sta to. In quanto tali sono diversi dai limiti precedentemente con siderati, perché non toccano tanto l� quan� ità del p otere m � la sua estensione. Soltanto il loro p1eno nconosCimento da origine a quella forma di Stato limitato p� r eccellenza �he è lo Stato liberale e a tutte le forme successive che, pur neo nascendo altri diritti fondamentali, come i diritti politici e i diritti sociali non sono venute meno al rispetto dei diritti di libertà. Si ;uole chiamare 'costituzionalismo' la teoria e la pratica dei limiti del potere: ebbene il costituzionalismo
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trova la sua piena espressione nelle costituzioni che stabili scono limiti non solo formali ma anche materiali al potere politico, ben rappresentati dalla barriera che i diritti fonda mentali una volta riconosciuti e giuridicamente protetti ele vano contro la pretesa e la presunzione del detentore del po tere sovrano di sottoporre a regolamentazione ogni azione degli individui o dei gruppi. I l i m i t i e s t er n i . Nessuno S tato è solo. Ogni Stato esiste accanto ad altri Stati in una società di Stati. Come le città greche, cosi gli Stati contemporanei. Ogni forma di convivenza, anche quella senza leggi dello stato di natura, comporta dei limiti nella condotta di ciascuno dei conviventi: limiti di fatto, come quelli che ogni individuo ha nei riguardi di tutti gli altri individui nello stato di natura, dove ognuno ha tanto diritto quanto ha di potere (come dice Spinoza [ r 67o, cap. XVI]) , ma nessu no, tranne Dio, è onnipotente; o limiti giuridici, come quelli posti dal diritto che regola da tempo immemorabile i rapporti fra S tati sovrani, o ius gentium, limiti che derivano da tradi zioni diventate vincolanti (le consuetudini internazionali) op pure da accordi reciproci (i trattati internazionali) . La sovra nità ha due facce, l'una rivolta verso l'interno, l'altra verso l' esterno. Corrispondentemente va incontro a due tipi di li miti: quelli che derivano dai rapporti fra governanti e gover nati, e sono i limiti interni, e quelli che derivano dai rappor ti fra gli Stati, e sono i limiti esterni. Tra le due specie di limiti vi è una certa corrispondenza nel senso che quanto piu uno Stato è forte e quindi senza limiti all'interno, tanto piu è forte e quindi con minori limiti all'esterno. Ma al processo di unificazione verso l'interno corrisponde un processo di emancipazione verso l' esterno. Piu uno Stato riesce a vinco lare i suoi sudditi, piu riesce a rendersi indipendente dagli altri Stati. Cosi è accaduto nella formazione dello Stato mo derno: il processo di unificazione dei poteri diffusi e varia mente in conflitto fra loro, che caratterizza la società me dievale, va di pari passo col processo di liberazione del pote re cosi unificato dalle due summae potestates tendenzialmen te universali della Chiesa e dell'Impero. Via via che il potere diventa sempre piu illimitato verso l'interno, il che vuoi dire
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unificante, diventa anche piu illimitato verso l'esterno, il che vuoi dire indipendente. La formula che i giuristi francesi enun ciano a favore delle pretese del re di Francia nel secolo XIII, rex in regno suo imperator, esprime bene il duplice processo: nel momento in cui il re è imperatore nel suo regno, l'impe ratore non è piu re nel regno altrui. Re e imperatore si scam biano le parti: quello che il re guadagna l'imperatore lo per de (un bell'esempio della teoria che considera il potere come un rapporto a somma zero) . La fine dell'imper� �ome pot� n za cioè come vero e proprio Stato universale umf1cante, com cide con la rinascita del diritto internazionale: rinascita, non nascita o origine, come spesso si è detto, perché là dove vi son? stati piu poteri indipendenti o autosufficienti, si è � empre n conosciuta la necessità di un diritto che regolasse 1 loro rap porti. Quando Pufendorf, uno dei restauratori, dopo Albe . rico Gentili e Ugo Grazio, del diritto internazionale, s1 pone il problema dello « status imperii germanici », cioè se l'impe . ro germanico sia ancora uno Stato nel p1eno senso della � a rola lo definisce una «res publica irregularis » intendendo dire che 'non è piu uno Stato nel senso proprio della parola in po
lemica con coloro che lo considerano uno Stato vero e pro prio nella forma peculiare del governo misto, ed è nello stes so tempo qualche cosa di diverso da un� semplice c? n 7dera� , zione di Stati [ r 672, VII, 5, 1 5]. Centocmquant anm pm tardi Hegel inizierà il suo scritto giovanile sulla costituzi? n� della Germania con la mesta constatazione: « La Germama [mten dendo l'impero germanico] non è piu uno Stato » [ 1 799- r Soz, trad. it. p . r z] . Al processo d i graduale �issol�zion� de� ' �mpero cui �or� . risponde la formazione degh Stat1 terntonali e n � ZlO? ali, s � . contrappongono processi inversi di graduale umhcaz10ne d1 piccoli Stati in unioni piu vaste che passano attrav�rs? la con . federazione, in cui ogni Stato conserva la propna mdipen denza nonostante l'unione perpetua con gli altri Stati (come in origine la Svizzera) , per giungere per la prima volta alla formazione nuova e originale dello Stato federale con la co stituzione degli Stati Uniti d'America ( 1 787). Mentre il pro cesso di dissoluzione dell'impero rappresenta un allentamento di potere verso i nuovi Stati, il processo di formazione di uno Stato piu grande dall'unione di Stati p�ccoli ra�presen � ta un rafforzamento di potere del primo sm secondi: questi
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quel che guadagnano in forza all'esterno unendosi ad altri, perdono in indipendenza interna. Lo aveva ben visto Mon tesquieu, alla cui autorità si richiamano gli autori del Federa list, quando aveva scritto l 'elogio della « repubblica federati va» che «capace di resistere alle potenze straniere, può man tenersi nella sua grandezza senza corrompersi all'interno » [ r 748, trad. it. I, p . 2 3 8] . Solo attraverso l'unione federati va la repubblica, considerata da secoli, dopo la fine della re pubblica romana, una forma di governo adatta ai piccoli Stati, può diventare la forma di governo di un grande Stato come gli Stati Uniti d'America: il che aveva capito Mably quando aveva fatto l'elogio della repubblica federale americana nel le Observations sur le gouvemement et les lois des États-Unis d 'Amérique ( r 784) . La forza di suggestione dell'idea federa tiva, cioè del modello di una grande repubblica che si viene formando attraverso l'aggregazione di piccoli Stati, è tale da rendere plausibile l'idea di una repubblica federativa univer sale che abbracciando tutti gli Stati esistenti renda di nuovo attuabile l'ideale universalistico dell'impero, se pure con un processo rovesciato, non piu discendente dall'alto in basso ma ascendente dal basso in alto. La repubblica universale degli Stati confederati, proposta da Kant nella sua Pace perpetua (Zum ewigen Frieden, 1 796), rappresenta una vera e propria alternativa, che può dirsi democratica per la sua ispirazione e per i suoi possibili sviluppi, all'idea medievale dell'impero universale . Sviluppi, se pure parziali, di questa repubblica universale contrapposta all'impero universale sono state la Società delle Nazioni dopo la prima guerra mondiale, e l'Or ganizzazione delle Nazioni Unite, dopo la seconda: anche nella formula prescelta «nazioni unite », gli Stati che concorsero alla formazione della nuova confederazione universale rive larono a quali precedenti si fossero ispirati (le Province uni te, gli Stati uniti) . Dal punto di vista dei loro rapporti esterni la storia degli S tati europei (ed ora non soltanto europei) è un continuo pro cesso di decomposizione e di ricomposizione, e quindi di vin colamenti e svincolamenti di limiti giuridici. La formazione di Stati indipendenti e nazionali dal secolo scorso ad oggi, prima negli Stati Uniti d'America, poi nell'America latina, poi ancora in Europa, e infine nei paesi del Terzo Mondo attraverso il processo di decolonizzazione, avviene ora per
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scomposizione di Stati piu grandi ora per ricomposizione di Stati piccoli. Ma sempre la ricomposizione tende a rafforza re i limiti interni, la scomposizione ad allentare i limiti esterni. La tendenza attuale verso la formazione di Stati o di costel lazioni di Stati sempre piu grandi (le cosiddette superpoten ze) comporta un aumento dei limiti esterni degli Stati che vengono assorbiti nell'area piu grande (gli Stati satelliti) e una diminuzione dei limiti esterni del superstato. Qualora si giungesse alla formazione dello Stato universale, questo avrebbe soltanto limiti interni e non piu esterni. 6 . Le forme di governo . T i p o l o g i e c l a s s i che . Nella teoria generale dello Stato si distinguono, sebbene non sia sempre netta la linea di demarcazione, le forme di governo dai tipi di Stato . Nella tipologia delle forme di go verno si tiene conto piu della struttura di potere e dei rap porti fra i vari organi cui è demandato dalla costituzione l'e sercizio del potere; nella tipologia dei tipi di stato piu dei rapporti di classe, del rapporto fra il sistema di potere e la società sottostante, delle ideologie e dei fini, di caratteristi che storiche e sociologiche. Le tipologie classiche delle forme di governo sono tre: quel la di Aristotele, quella di Machiavelli e quella di Montesquieu. Risale alla Politica di Aristotele, in particolare ai libri III e IV la straordinaria fortuna della classificazione delle costi tu ;ioni in base al numero dei governanti in monarchia o go verno di uno, aristocrazia o governo di pochi e democrazia o governo di molti, con l' annessa duplicazione delle forme corrotte, per cui la monarchia degenera in tirannia, l'aristo crazia in oligarchia, la 1toÀn<.t<X (che è il nome che Aristotele dà alla forma buona del governo dei molti) in democrazia. Machiavelli nel Principe le riduce a due, monarchia e repub blica, comprendendo nel genere delle repubbliche tanto quelle aristocratiche quanto quelle democratiche, in base alla con siderazione che la differenza essenziale passa fra il governo di uno solo, di una persona fisica, e il governo di un'assem blea, di un corpo collettivo, essendo la differenza fra una as-
STATO, GOVERNO, SOCIETÀ semblea di ott im ati e un 'ass emblea popolare meno rilevan te, perché entrambe, a differ enza della monarchia dove la volontà di uno sol o è leg ge, debbono ado tta re alcune reg ole, c ? me il principio di maggiora nza, per giungere alla forma ZIOne della volontà collet iva . Montesquieu ritorna a una tri cotomia ma diversa �a quella aristotelica: monarchia, repub _ .' _ o. blica, dis potism Diversa nel senso che combin a la distin zione analitica di Machiavelli con quella assiologica tradizio nale in quanto definisce il dis potismo come il governo di un solo ma « senza leggi né freni », in altre parole come la for ma degenerata della monarchia. In piu Montesquieu aggiun ge un nuovo criterio di dis tinzio ne, il criterio in base ai « pri n cipi», cioè in base alle divers e molle (ressorts) che induco no i soggetti ad obbedire: l'onore nelle monarchie, la virtu nel le repubbliche, la paura nel dis pot ism o. Qu est o criterio fa pen sare alle diverse forme di potere legittimo secondo We ber . Weber com e Montesqu ieu (m a senza alcuna influe nza diretta) individua i diversi tipi di potere dis tinguendo i di versi pos si ?ili atteggiamenti dei governati di fronte ai gov _ er nan ti: la differenza fra l'uno e l'altro sta nel fatto che Mo n tesquieu si preoccupa del fun zionamento della macchina del lo S t� to Weber della c pac ità dei governanti e dei loro app : a rati d1 ottenere obbedi�enza. La novità della tipologia di Mo n t� squieu rispetto alle due pre cedenti dipende dalla introd u Zione della categoria del dis potismo, res a necessaria dal l'es i gen za di far e piu lar go spazio al mo nd o orientale per il qua le la cat egoria del dispotismo sta ta foggia ta dagli antichi. �el ' Ottocento incontra era una particolare fortuna la tip o l?gia I Montesqm. eu che vie ne adottata da Hegel per la de lineaziOne del corso storico dell'umanità che sarebbe pas sa to da una fas e primitiva di dispotismo corrispondente alla nas cit a dei grandi sta ti orient ali, per pas sare attraverso l'e po ca delle repubbliche, dem ocratiche in Grecia, aristocra ti ca in Roma, per finire con le monarchie cristiano-germanic he che caratterizzano l'et à mo derna. No no sta nte le succes sive correzioni e innovazioni la tipologia tradizionale non per de nulla del suo pre stigio, e vie ne ripresa anche nei trattati di diritto pubblico se non com e punto di arrivo come pun to di p �rtenza obbligat o di ogn i discussione sul tema (per ese m _ della PIO nella Teorza costituzione di Sch mi tt [ r 9 z 8]) . L 'unica innovazione intere ssante è quella introdotta da
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Kelsen, il quale, partendo dalla definizione d �llo Sta�o con:e _ ordinamento giuridico, critica come superficiale 1� t1polog1a aristotelica fondata su un elemento estrinseco q�al� il numero, quindi sostiene che l'unico modo rigo�oso per !stl��uere una _ forma di governo da un' altr� co?-siste nell mdlVIdua�e Il diverso modo con cui una costituziOne regola la produziOne dell'ordinamento giuridico. Questi modi non sono tr� ma due: l'ordinamento giuridico può essere creato (e continua , mente modificato) o dali' alto o dal basso, dali alto quando _ e del i destinatari delle norme non partecipano alla crea�10 � le medesime, dal basso quando vi partecipano. Richiaman dosi alia distinzione kantiana fra norme auton� me ed etero nome, Kelsen chiama la prima forma d1_ produz10�e etero �o ma, la seconda autonoma. A queste ue f?r�e d1 produ�IO ne corrispondono due forme pure o Ideali d1 governo, l au tocrazia e la democrazia. Si è visto precedentem� nte c?me già Machiavelli avesse ridotto a due e for�e cl� ssiche di �o verna. Senonché, la tipologia mach1aveiliana nsulta dali u nificazione di aristocrazia e democrazia nella form� ?eli� re pubblica, mentre quella kelseniar;a risulta dalla um 1cazwne della monarchia e dell'aristocrazia nella forma dell autocra zia. Naturalmente Kelsen ha cura di precisare che autocra zia e democrazia cosi definite essendo forme pure, ��s �un? Stato esistente corrisponde perfettamente all� ?ue def:mz1om. _ Vi possono corrispondere soltanto e�p:essi?m Ideo ogiche ?el . l'una o dell'altra: quando Hegel defmisc� Il dispot�smo onen _ tale come quel regime in cui uno solo e !Ibero (Il despota)
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dà una corretta definizione della forma d1 governo autocra tica nel senso kelseniano; cosi corrisponde r:erfet!ame? te alla forma democratica la repubblica rousseamana In c�I a� tr� verso la formazione della volontà generale si_ attua il pnnci pio del popolo che dà legge a se stesso. Monarchia e repubblica . La distinzione che ha maggiormente resistito al t�mpo, ar rivando se pure sempre piu estenua�a ai giorni nos ��I, è quella machiavelliana monarchia-repubblica. Sempre piu est:nua . ta perché, con la caduta della maggior parte de1 g�verm m� narchici dopo la prima e la sec?nda ?uerra mo�dIale, corn . sponde sempre meno alla realta stanca. Il tradiziOnale rap-
STATO, GOVERNO, SOCIETÀ porto . fra monarchia e repubblica è stato negli ultimi cinquan t' anm completamente rovesciato: il grande Stato territoria le moderno nasce, cresce e si consolida come Stato monar chico; è il regnum contrapposto non alla res publica ma alla civitas. I grandi scrittori politici che con le loro riflessioni con tribuiscono a dar corpo a una vera e propria dottrina dello Stato moderno sono in prevalenza fautori della monarchia da Bodin a Hobbes, da Vico a Montesquieu, da Kant a He: gel. In t re scrittori come Vico, Montesquieu e Hegel, che sul . passaggro da una forma di governo all' altra costruiscono la loro f�osofia della storia e la loro teoria del progresso, la mo narchia rappresenta la forma di governo dei moderni la re pubblica quella degli antichi, oppure, nell'età moderna ' la far ' m � di governo adatta solo ai piccoli Stati. La prima repub bhca che dopo quella di Roma nasce su un vasto territorio la repubblica federale delle tredici colonie americane si d� u? a costitu�ion� che viene concepita a immagine e somi lianza d1 una cost1tuz10ne monarchica, in cui il capo dello Stato non è ereditario ma elettivo. Anche per un'altra ragione, questa volta concettuale e non storica, la distinzione fra monarchia e repubblica perde a poco a poco qualsiasi rilevanza e la per de perché perde il suo significato originario. Originariamen te monarchia è il governo di uno solo, repubblica, nel senso machiav�llia,no della parola, il governo di piu, e piu precisa mente d1 un assemblea. Ora a mano a mano che anche nelle monarchie, a cominciare dalla inglese, il peso del potere si spos ta � al re al p �rlamento, la monarchia, divenuta prima . costltuzwnale e p01 parlamentare, si è trasformata in una for n:a di governo diversa da quella per cui la parola è stata co mata ed usata per secoli: è una forma mista metà monar chia e metà repubblica. Non a caso Hegel vede nella monar chia costituzionale del suo tempo la nuova incarnazione del govern? �sto degli antichi (su cui cfr. p. 1 04) . A questo pun . to la d1stmz10ne fra monarchia e repubblica diventa tanto evanescente che nei trattati di diritto costituzionale che an cora la adoperano si stenta a trovare un convincente criterio di distinzione tra l'una e l'altra. Quando Machiavelli scrive va che tutti gli Stati sono o principati o repubbliche faceva un' affermazione che corrispondeva perfettamente alla real tà del suo tempo e distingueva quello che era realmente di verso: la monarchia di Francia dalla repubblica di Venezia.
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La stessa distinzione ripetuta oggi costringe la realtà in uno schema inadeguato se non addirittura deformante perché di stingue quello che non è facilmente distinguibile: per esem pio, la monarchia inglese dalla repubblica italiana . Una volta che si sono venuti sempre piu diffondendo go verni caratterizzati dalla distinzione (se non proprio separa zione) fra potere di governo propriamente detto e potere le gislativo, l'unico criterio adeguato di distinzione è diventa to quello che mette in evidenza il diverso rapporto fra i due poteri, indipendentemente dal fatto che il titolare di uno dei due poteri sia un re o un presidente di repubblica. Già Kant chiama forma repubblicana quella in cui vige il principio della separazione dei poteri anche se il titolare del potere di go verno è un monarca. In tal modo 'repubblica' acquista un nuovo significato, che non è piu quello di Stato in generale, e non è neppure piu quello del governo assembleare contrap posto al governo di uno solo, ma è quello di una forma di governo che ha una certa struttura interna, compatibile an che con la esistenza di un re . Il diverso rapporto fra i due poteri ha costituito il criterio per la distinzione ormai cor rente tra la forma di governo presidenziale e quella parlamen tare: la prima è quella in cui vige una separazione netta fra potere di governo e potere di fare le leggi, separazione fon data sulla elezione diretta del presidente della repubblica, che è anche il capo del governo, e sulla responsabilità dei com ponenti del governo rispetto al president: della r� pub?li� � e non rispetto al parlamento; la seconda e quella m cu1 pm che separazione vi è un complesso gioco di poteri reciproci fra governo e parlamento fondato sulla distinzione fra capo dello Stato e capo del governo, sulla elezione indiretta del capo dello Stato da parte del parlamento e sulla responsabi lità del governo nei riguardi del parlamento che si esprime attraverso il voto di fiducia o di sfiducia. Fra queste due fc•.me pure vi sono tante forme intermedie: basti pensare alla quinta repubblica francese, instaurata nel 1 9 5 8,: repubblica � resi denziale sui generis, che ha conservato la tlgura del presiden te del consiglio distinta da quella del presidente della repub blica. Ma non è il caso di soffermarsi a descriverle dettaglia tamente, anche perché la distinzione corrente fra governo presidenziale e governo parlamentare, per il fatto di essere puramente formale, costruita sui meccanismi con cui dovrebbe
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funzionare il sistema dei poteri costituzionali piu che sul loro effettivo funzionamento, è stata a poco a poco soppiantata da tipologie piu attente alla rilevazione dei poteri reali an che se informali. La maggior quantità di potere politico reale anche se non sempre formalmente riconosciuto è quello che è stato accu mulato nelle democrazie moderne e negli Stati anche non de mocratici dai partiti politici, per effetto sia del processo di democratizzazione che ha resa necessaria l'aggregazione delle domande provenienti dalla società civile, sia dalla formazio ne delle società di massa in cui solo i partiti, o anche il parti t? .u? ico, riescono a � sprimere una volontà e un indirizzo po . lltlcl. Ogg1 nessuna tlpologia delle forme di governo può fare a meno di tener conto del sistema dei partiti, cioè del modo con cui sono disposte e collocate le forze politiche da cui il governo trae vita. Il sistema dei partiti influisce sulla costi tuzione formale sino ad alterarne la fisionomia. Già da tem po Duverger ha osservato che il sistema dei partiti influisce in particolare sul regime della separazione dei poteri. Un si stema bipartitico perfetto come quello inglese, in cui vi sono due soli partiti a vocazione maggioritaria che si alternano al governo e in cui per consuetudine il leader del partito è de stinato a diventare il capo del governo se il suo partito vince le elezioni, avvicina la forma di governo parlamentare a quella p re � idenziale in quanto il primo ministro viene eletto se pure md1rettamente dai cittadini i quali nel momento stesso in cui scelgono il partito scelgono anche il primo ministro. Un si stema monopartitico, quale che sia la costituzione formale dà origine a una forma di governo in cui il massimo poter� è concentrato nel comitato del partito e del suo segretario a disp � tto ? i tutti gli organi collegiali e popolari previsti dal la cost1tuz10ne, tanto che oggi la distinzione tradizionale fra dispotismo e democrazia passa tra sistema monopartitico e sistema non monopartitico (che può essere a sua volta bi- e multipartitico) . Differenze vi sono anche fra sistemi biparti tici e multipartitici, secondoché il sistema multipartitico sia polarizzato (cioè con due partiti estremi extrasistema alla sinistra e alla destra) o non polarizzato, vale a dire con r'nolti partiti ma tutti intrasistematici. Anche qui le variazioni sono molte e non è possibile (e forse sarebbe anche inutile in que sta sede) tener conto di tutte.
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Per mostrare come sia avvenuta la sovrapposizione fra la distinzione classica delle forme di governo e la distinzione dei sistemi di partito ci si limiterà qui a citare la tipologia proposta da un costituzionalista sensibile alle esigenze di con siderare i problemi del diritto pubblico in modo non rigida mente formalistico: governo parlamentare a bipartitismo ri gido, governo parlamentare a multipartitismo moderato, go verno parlamentare a multipartitismo esasperato, governo pre sidenziale [Elia 1 9 7 0, p. 642], esemplificati rispettivamente dal governo parlamentare inglese, da quello delle cosiddette « piccole democrazie », tolta la Svizzera (come le monarchie scandinave, belga e olandese, la repubblica austriaca), dalla repubblica italiana, dal governo degli Stati Uniti d'America. La Svizzera sta a sé con la sua forma di governo direttoriale, caratterizzata dal consiglio federale che è eletto dal parlamento ma non è responsabile di fronte ad esso, composto da sette membri che durano in carica quattro anni, dei quali ognuno è presidente a turno per un anno.
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Altre tipologie. Prendendo come elemento discriminante non il partito ma la classe politica, intesa, secondo Gaetano Mosca, come l'in sieme delle persone che detengono effettivamente il potere politico, o, secondo l'espressione introdotta e resa popolare da Wright Milis, l'élite al potere, si possono avere nuove ti pologie diverse sia da quelle tradizionali sia da quelle cor renti nel diritto pubblico. Una volta ammesso, come sostie ne Mosca, che il governo in ogni organizzazione politica ap partenga a una minoranza, le forme di governo non possono piu essere distinte in base al vecchio criterio del numero dei governanti: da questo punto di vista tutti i governi sono oli garchici. Ma che tutti i governi siano oligarchici non implica che non si possa distinguere un governo dall' altro. Fermo re stando il principio della necessità di una classe politica, le varie forme di governo si possono distinguere in base alla dif ferenza rispetto sia alla formazione sia all'organizzazione della classe politica. Rispetto alla formazione Mosca distingue classi chiuse e aperte, rispetto alla organizzazione classi autocrati che il cui potere viene dall'alto e classi democratiche il cui potere viene dal basso; dalla combinazione delle due distin-
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zioni risultano quattro forme di governo, aristocratico rispetto alla formazione e democratico rispetto all'organizzazione, ecc. Alla nozione di élite al potere, invece, si riferisce la distin zione introdotta da Schumpeter tra governi democratici in cui vi sono piu élite che si fanno concorrenza fra loro per accedere al governo e governi autocratici in cui esiste il mo nopolio del governo da parte di una sola élite. Prendendo come punto di riferimento non piu la classe politica ma il sistema politico (cfr. pp . 44-45), inteso come l'insieme dei rapporti d'interdipendenza fra i diversi enti che insieme contribuiscono a svolgere la funzione di mediazione dei conflitti, di coesione del gruppo e di difesa dagli altri grup pi, si possono costruire altre tipologie: una delle piu note è quella proposta da Almond e Powell che distinguono i siste mi politici in base ai due criteri della differenziazione dei ruoli e dell' autonomia dei sottosistemi. Collocando le due carat teristiche su una scala che va dal basso in alto si individuano quattro tipi ideali di sistema politico: a) a bassa differenzia zione dei ruoli e bassa autonomia dei sottosistemi come le società primitive; b) a bassa differenziazione dei ru�li ed alta autonomia dei sottosistemi, come la società feudale; c) ad alta autonomia dei sottosistemi e bassa differenziazione dei ruo li, come le grandi monarchie nate dalla dissoluzione della so cietà feudale; d) ad alta differenziazione dei ruoli ed alta au tonomia dei sottosistemi, come gli Stati democratici contem poranei. Il governo m i s t o . Nulla mostra l a vitalità della tipologia tradizionale piu che la continuità della teoria del governo misto, secondo cui la forma migliore di governo è quella che risulta da una combi nazione delle tre o delle due (a seconda della tipologia) for me di governo pure. Platone, nelle Leggi, dopo aver detto che monarchia e democrazia sono le madri di tutte le altre forme di governo aggiunge: « È doveroso e necessario parte cipare di ambedue se dovrà esserci la libertà e la concordia intelligente » [693d]. Aristotele riporta l'opinione secondo cui « la costituzione migliore dev'essere una combinazione di tutte le costituzioni » e perciò viene lodata quella di Sparta perché in essa l' autorità regia vi costituirebbe l'elemento monarchi-
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co, quella dei geronti l'elemento oligarchico, e l'eforato l'e lemento democratico in quanto gli efori provengono dal po polo [Politica, 1 2 65b, 35]. Quando espone la propria teoria delle forme di governo descrive la 7tOÀt'tE.Lat, forma buona del governo popolare, come « una mistione di oligarchia e di de mocrazia » [r 2 93b, 35] . La piu compiuta teoria del governo misto è quella esposta da Polibio nelle Storie, là dove il rac conto delle vicende della seconda guerra punica viene inter rotto da un'esposizione della costituzione romana, interpre tata come l'esempio piu autorevole di governo misto dove i consoli rappresentano il principio monarchico, il senato quel lo oligarchico, i comizi del popolo quello democratico. La ra gione per cui il governo misto è superiore a tutti gli altri sta, secondo Polibio, nel fatto che « ciascun organo può ostacola re gli altri o collaborare con essi » e « nessuna delle parti ec cede la sua competenza e oltrepassa la misura » [VI, r 8] : una ragione che anticipa di secoli la celebre teoria dell'equilibrio dei poteri (balance of powers) che sarà uno degli argomenti principali dei fautori della monarchia costituzionale in pole mica coi difensori della monarchia assoluta. Anche Cicerone nel De re publica [I, 29, 45] sostiene che superiore a tutte è la forma di governo « moderatum et permixtum » di tutte e tre le forme migliori di costituzione. Nell'età moderna la dottrina del governo misto serve a magnificare l'eccellenza della costituzione inglese di contro alla monarchia francese e in genere ogni governo di cui si vuole tessere le lodi: go verno misto è di volta in volta la repubblica di Venezia o la repubblica di Firenze per chi propone or l'una or l'altra come forma ideale di governo o per lo meno come forma da imita re sopra ogni altra. Teorici dell'assolutismo, cioè di uno Stato che non cono sce né riconosce enti intermedi, come Bodin e Hobbes, cri ticano la dottrina del governo misto per la stessa ragione per cui i fautori la sostengono: la distribuzione del potere sovra no in organi diversi e distinti ha per effetto il peggiore degli inconvenienti che possono condurre uno Stato alla rovina, l'instabilità, proprio quella instabilità che Polibio considera va carattere comune delle forme pure destinate a trapassare continuamente l'una nell'altra e che solo la combinazione delle tre forme avrebbe potuto arrestare. Attraverso l'idealizzazione che Montesquieu fa della mo-
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narchia inglese in cui vede attuato il principio della separazio ne dei poteri, se p�re �on una trasposizione del significato ge . numo della dottnna, m quanto altro è la commistione delle tre .forme di governo, altro la separazione dei tre poteri, vie ne Interpretata come forma mista la monarchia costituzionale che diventa il modello universale di S tato dopo la rivoluzio ne francese per almeno un secolo. Significativo il fatto che He gel dopo aver rilevato l' insufficienza delle tre forme antiche per comprendere la monarchia moderna affermi che ormai « sono abbassate a momenti della monarchia costituzionale · il �onarca è u no; col potere governativo, intervengono i p o� c h i e col potere legislativo si presenta la maggi o r a n z a in ge nerale » [ r 8 2 I , trad. it. p. 2 3 7] . Ancora dopo la prima guer ra mondiale, uno dei periodi di maggiore trasformazione co stituzionale che la storia abbia conosciuto, C ari Schmitt so stiene che le costituzioni del moderno Stato di diritto borghese sono costituzioni miste perché in esse sono sempre uniti e me scolati diversi principi ed elementi (democrazia, monarchia aristocrazia) e in quanto tali confermano un' antica tradizio� n� secondo cui l'ordinamento pubblico ideale riposa su un' u mane e mescolanza (Verbindung und Mischung) dei diversi principi politici [ 1 9 2 8 , p. 202]. La teoria del governo misto occupa un posto di rilievo nell'opera di Gaetano Mosca, il qua le, a .co11:clusione della sua Storia delle dottrine politiche [ 1 93 3] , e qumd1 a?che a suggello della sua teoria delle forme d i go verno, scnve che dallo studio obiettivo della storia si ricava che i regimi migliori, e per « regimi migliori » intende quelli c e hanno avuto maggior durata (ancora una volta il pregio dt u� a c?s �ituzione è fatto risiedere nella stabilità) , sono i go ve�m m1st1 ove per «governi misti» intende non solo quelli in �Ul sono contemperati i diversi principi ma anche quelli in cui 1l potere religioso è separato dal potere laico e il potere eco nomico è separato dal potere politico.
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7 · Le forme di Stato . F o r m e s t o r ic h e . Molti essendo gli elementi di cui si tiene conto per distin guere le forme di Stato, specie con riferimento o ai rapporti
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I ra l'organizzazione politica e la società oppure alle diverse
1 i nalità che il potere politico organizzato persegue nelle di verse epoche storiche e nelle diverse società, le tipologie delle !orme di Stato sono tanto varie e mutevoli da rendere mala gevole, e forse inutile, una loro completa esposizione. Per mettere un po' d 'ordine in una materia tanto ricca e contro versa si possono distinguere le diverse forme di Stato in base a due criteri principali, quello storico e quello relativo alla maggiore o minore espansione dello Stato nei riguardi della . società (un criterio che include anche quello fondato sulle di verse ideologie) . In base al criterio storico la tipologia piti corrente e piti accreditata presso gli storici delle istituzioni è quella che pro pone la seguente sequenza: Stato feudale, Stato di ceti, Sta to assoluto, Stato rappresentativo. La configurazione di uno Stato di ceti, interposto fra lo Stato feudale e lo Stato asso luto risale a Otto von Gierke e a Max Weber, e dopo W e ber è stata ripresa da storici delle istituzioni soprattutto te deschi. Negli Elementi di scienza politica di Mosca [1 896] cam peggiavano ancora i due tipi ideali dello Stato feudale, da . un lato, caratterizzato dall'esercizio accumulativo delle di verse funzioni direttive da parte delle stesse persone e dalla frantumazione del potere centrale in piccoli aggregati socia li e dello Stato burocratico, dall'altro caratterizzato da un p �ogressivo accentramento e dalla contemporanea, pure pro gressiva, specializzazione delle funzioni di governo. Per « Stato di ceti» (Standestaat) s 'intende l'organizzazione politica dove si sono venuti formando organi collegiali, gli Stande o stati, che riuniscono individui aventi la stessa posizione sociale, i ceti appunto, e in quanto tali fruenti di diritti e privilegi che fanno valere nei riguardi del detentore del potere sovra no attraverso assemblee deliberanti come i parlamenti. Si deve soprattutto a Otto Hinze la distinzione fra S tati con due as semblee come l ' Inghilterra, la C amera dei Lords, compren dente il clero e la nobiltà, e la C amera dei Comuni, compren dente il ceto borghese, e Stati di ceti con tre corpi distinti, rispettivamente il clero, la nobiltà e la borghesia, come la Fran cia. Ma la formazione di istituzioni rappresentanti interessi di categoria, che fanno da contraltare alla potenza del prin cipe, è comune a tutti gli Stati europei. Il contrasto fra gli stati ed il principe, specie per stabilire chi ha il diritto di im-
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posizione fiscale, costituisce gran parte della storia e dello sviluppo dello Stato moderno nel passaggio dal tipo estensi vo al tipo intensivo di conduzione politica (ancora una di stinzione di Hinze), tra la fine del medioevo e l'inizio dell'e tà moderna . Ma anche là dove lo Stato di ceti non si trasfor ma direttamente in Stato parlamentare come in Inghilterra, o non sopravvive sin dopo la rivoluzione francese ed oltre come negli Stati tedeschi (la monarchia costituzionale di Hegel ne è la idealizzazione), ad eccezione della Prussia, una linea netta di demarcazione fra Stato di ceti e monarchia assoluta non è sempre facile da tracciare . Nessuna monarchia diven ta tanto assoluta, come è stato piu volte osservato, da aver soppresso ogni forma di potere intermedio (lo Stato assoluto non è uno Stato totale) . L'idea di una monarchia moderata ha lunga vita. I fautori di una monarchia reglée, come Clau de de Seyssel, all ' inizio del Cinquecento, sono i rappresen tan �i ?ell'i ea di una monarchia controllata dal potere degli ordm1, cos1 come nella teoria delle forme di governo, propo sta da Montesquieu, la monarchia si distingue dal dispoti smo perché il potere monarchico è controbilanciato dai cor ?i inter:nedi. Anche per Hegel, mentre il despota esercita il propno potere senza intermediari, « il monarca può anche non es�rcitare immediatamente tutto il potere del governo, ma affidare una parte dell'esercizio dei poteri particolari a dei collegi o anche a classi del regno » [ r 8o8- r 2 , tra d. i t. pp . 5 1 -52]. Come forma intermedia fra lo Stato feudale e lo Stato assoluto lo Stato di ceti si distingue dal primo per una gra duale istituzionalizzazione dei contropoteri e anche per la tra sformazione dei rapporti da persona a persona, propri del si stema feudale, in rapporti fra istituzioni, da un lato le as semblee di ceto, dall'altro il re con il suo apparato di funzio nari che là dove finiscono col prendere il sopravvento dànno origine allo Stato burocratico caratteristico della monarchia assoluta; dal secondo, per la presenza di unà contrapposizio ne di poteri in continuo conflitto fra loro che l ' avvento della monarchia assoluta tende a sopprimere. La formazione dello Stato assoluto avviene attraverso un duplice processo parallelo di concentrazione e di accentra mento del potere su un determinato territorio: per concen trazione s'intende quel processo per cui i poteri attraverso cui si esercita la sovranità, il potere di dettar leggi valide per
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dini vengono tutta la collettività (a tal punto che le consuetu finzione giu una per to quan in solo considerate diritto valido non le ha che re dal rate tolle o lte ridica si presumono acco e, il poter� espressamente abrogate) , il potere giurisdiziona� d1_ ogm swne esclu ad terno all'es e di usare la forza all'interno attribuiti altro infine il potere di imporre tribu ti, vengono fatto dal re di di�itto al sovrano dai legisti ed esercitati di per accen e dai funzionari da lui direttamente dipendenti; torazione di tramento, il processo di eliminazione o di esau _ corporazw ordinamenti giuridici inferiori, come le città , le soltanto no� ni, le società particolari, le quali sopravvivo �10 come ordi piu come ordinamenti origin�ri e� autonomi ma ranza del tolle namenti derivati da un' autonzzazwne o dalla el Levia potere centrale. In un capitol� di solito trascurato � alle cato dedi . than di Hobbes [ r 65 r , trad It. pp. 2 1 9 sgg.] solu a soli i � società parziali, si legge che dei sistemi regolari a no se o alcu ad ti gget s r: � loro non cioè � nti, � ti e indipende _ _ alle Cltta dalle rappresentanti, sono gli Statl , tuttl _gh �ltn, _ r subo due a società commerciali, essendo dipendenti, vale esso da to quan dinati, al potere sovrano e legittimi solo in riconosciu ti. . Lo S t a t o r a p p r e s e n t a t iv o Con l'avvento dello Stato rappresentativo, sotto forma di monarchia prima costituzionale e poi parlamentare, in Inghil terra dopo la «grande ribellione », nel resto d'�uropa ?opo la rivoluzione francese e sotto forma di repubblica presiden ziale negli Stati Uniti d'America dopo la rivolta delle tredici colonie contro la madrepatria, ha inizio una quarta fase d� l la trasformazione dello Stato, che dura tuttora. Mentre m Inghilterra lo Stato rappresentativo nasce quasi senza solu: zione di continuità dallo Stato feudale e dallo Stato d1_ ceti attraverso la guerra civile e la «gloriosa rivoluzione » del r 688, nell'Europa continentale nasce sulle rovine dell' assolutismo monarchico. Come lo Stato di ceti, anche lo Stato rappre sentativo si afferma almeno in un primo tempo come il risul tato di un compromesso fra il potere del principe il cui prin cipio di legittimità è la tradizione e il , ? otere dei rappr� sen tanti del popolo (dove per « popolo » s mten?� aln:en� 1r: u� primo tempo la classe borghese), il cui princ1p10 d1 legitt1m1-
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t � è il consenso. La differenza dello Stat o rappresentativo nspetto allo Stato di ceti sta nel fatt o che alla rappresentan za per categorie o corporativa (oggi si direbbe rappresentan za d'interessi) si sostituisce la rappre sentanza degl'individui singoli (in un primo tempo solo i pro prietari) cui si ricono scono i diritti politici . Tra lo Stato di ceti e lo Stato assoluto da una parte, e lo Sta to rappresentati vo dall 'altro ' i cui soo-. o getti sovram. non sono piu né il prin cipe investito da Dio né ii pop olo come soggetto collettivo e indifferenziato, un� mera finzione giuridica che deriva dai giuristi romani e me dievali, c'è la scop erta e l'affermazio ne dei diri tti naturali dell'individuo, di diritti che ogni ind ividuo ha per natura e per legge, e che, proprio perché originar i e non acquisiti, ogni individuo può far valere contro lo Sta to anche ricorrendo al rimedio estremo della disobbedienza civile e della resisten za. Il riconoscimento dei diritti dell 'uomo e del cittadino prima soltanto dottrinale attraverso i gius che pratico e politico attraverso Ie prim naturalisti, poi an� e Dichiarazioni dei diritti, rappresenta la vera e propria rivoluzione copernica na nella storia dell 'evoluzione dei rap porti fra governanti e governati: lo Sta to considerato non piu ex parte principis ma ex parte populi. L'individuo viene prima dello Sta to. L'indi �iduo no� è per lo Stato ma lo Stat o per l'individuo . Le par �I son_o pnma del tutt o e non il tutto prima delle parti (come 10 An stot ele e Hegel) . Il presupposto etico della rappresen t �nz,� degli indi i�ui singola mente con siderati e non per grup ; � . pi d Interesse, e Il nco nosctmento dell 'uguaglianza naturale degli uomini. Ogni uomo conta per se stesso e non in guan to membro di questo o quel gruppo particolare . Che l'uguaglianza naturale degli uom ini sia il pos tulato eti co della democrazia rappresentativa, dagli avversari chiama ta s�regiativamente atomistica, non vuo Statl rappresentativi l'abbiano sin dall i dire che di fatto gli 'inizio riconosciuta . Lo sviluppo dello Sta to rappresentativo coincide con le fasi suc cessive dell 'allargament o dei diritti politic mento del suffragio universale maschil i sino al riconosci ee le peraltro, rendendo nec essaria la cost femminile. Il gua ituzione di partiti or ganizzati, ha modificato profondamente Ia struttura dello Sta t � �apr:resentativo, a tal punto da ind urre una profonda mo dtftcazwne nel sist ema stes so della rappresentanza che non è piu degli individui singoli ma è filtr ata attraverso pot ent i
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associazioni che organizzano le elezioni e . ricevono � r:a dele ga in bianco dagli elett_ori .. Mentre in un s,Istef!l� p�httco rap . presentativo a suffragiO nstretto s?n� gl md1vtdU1 c e eleg gono un individuo ( �pecie. �or: elezwm co��otte con Il colle gio uninominale) , e 1 partiti si formano a�l mterno del. parl� mento nel sistema politico rappresentativo a suffragio um� versai� i partiti si formano al di fuori del parlament� e gh elettori scelgono un partito piu che un � persona .(specie con il sistema proporzionale) . Questa alteraz1?ne del sistema della rappresentanza ha indotto la �r�s form�zwne dello Stato rap� . cU1, come 1 ell � ta o d1 presentativo in Stato di parti t � m � . . : ? ceti, i soggetti politici rilevanti sono no� pi�, mdividU1 sm goli ma gruppi organizzati, se pure. o�gamz�.atl non � a base di interessi di categoria o corporativi ma d mteressi d1 classe 0 presuntivamente generali. Già r:'l a� Weber aveva notato che là dove si fronteggiano gruppi d 10teresse l � pro�edura normale per il raggiungimento di decisioni collett�ve è d com promesso fra le parti e non la regola . dell� r:na�gwranz.a c e è la regola aurea per la f?rmaz.ione decisloill collett.Ive 10 corpi costituiti da soggetti considerati m parte�za uguali . We ber aveva fatto questa osservazione a proposito dello Stato di ceti. Ora ognuno può consta� ar.e gu �nto g.u�s.ta o �serva� zione valga anche per gli attuali s1st�m1 par�Itlcl, r:ei qual� le decisioni collettive sono il frutto di trattative e di accor� I fra i gruppi che rappresentano le forze social� (i sin? ac��l) e le forze politiche (i partiti) piuttosto �he d1 votaziOni m assemblea dove vige la regola della maggwranz� . qu� ste v� tazioni si svolgono di fatto per adempiere al pr:ncipiO costi tuzionale secondo cui nello Stato rappres�ntat�v? n:o?er� o i soggetti politicamente rilevant� sono .i s!ngoh mdtv1d�1 e non i gruppi (e là dove gli orgam ca� a�\ di prendere delibe razioni vincolanti per tutta la collettlVIta san? le assemb ee, . e la la procedura per la formazione ?i. una volant � collettiva regola della maggioranza); ma ftms�ono ��n l. avere �n valo re puramente formale di ratifica di dec1s10m prese m altra sede attraverso la procedura della contrattazione . In base alla teoria dei giochi, una deliberazione presa a maggioranza è l'effetto di un gioco il cui esito è a somm� zero; una deliberazione presa attraverso un accordo �r.a le parti è l'effetto di un o-ioco il cui esito è a somma positiva. Con la prima ciò che a maggioranza vince la minoranza perde,
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con la seconda le �ue parti vincono entrambe qualche cosa (da! momento eh � il compromesso è possibile soltanto quan do l d �e partner ritengono, esaminati tutti i pro e tutti i con t :o, d1 trarne ognuno un qualche vantaggio) . Nelle nostre so cietà pluralistiche costituite da grandi gruppi organizzati in conflitto fra loro la procedura della contrattazione serve a mantenere . in equilibrio il sistema sociale piu che la regola della maggiOranza, la quale, dividendo i contendenti in vin citori e vinti, permette la riequilibrazione del sistema soltanto là do:r e è consentito alla minoranza di diventare a sua volta maggwranza. G l i S t ati s o c i a l i s t i . L' �ltima fase della sequenza storica testé descritta non esaurisce certamente la fenomenologia delle forme di Stato o�gi �sistenti. Anzi, l a n:aggior parte degli Stati che oggi co _ Internazionale vi si sottraggono, se stltms :?no la comurutà pur� pi� de (a�to che de jure. Anche le dittature militari, gli S tati d1spot1c� governati da capi irresponsabili, gli Stati di nuova formaziOne dominati da oligarchie ristrette non con trollate democraticamente rendono omaggio alla democrazia rappresentativa, o giustificando il proprio potere come tem poraneamente necessario per ristabilire l'ordine turbato, per superare �n �er!odo transitorio di anarchia, come un gover r:o provvi �orio In stato d'emergenza, e quindi non come ri fiuto del �Istema � emoc�atico �a come sua sospensione pro _ di un ritorno alla normalità, oppure temp�re In prevlSlone c ?m � Imperfetta applicazione dei principi sanciti da costitu ZlO�I solennemente approvate, ma troppo rapidamente re cepite . da classi d��ge�ti formatesi in Occidente e imposte a paesi sen �a tradi �wru di_ autogoverno e di lotta politica re golata dal ncono��lmento dei diritti civili. Lo Stato rappre _ quale SI e venuto formando in Europa negli ultimi sentativ� tre secoh è ancora oggi il modello ideale delle costituzioni scritte che si sono venute affermando in questi ultimi decenni anche là �ove di �att� sono sospese o male applicate (del re� sto la cattiva apphcazwne di una costituzione non è un vizio particolare degli Stati del Terzo Mondo) . Gli �tati :he �i si s? ttragg�no anche in linea di principio _ _ dallo Stato-guida, l'Ua cominciare sono gh S tati socialisti,
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nione Sovietica. Ma quale sia la forma di S tato che essi rap presentano non è facile dire, essendo troppo ampio il �iva rio fra i principi costituzionali ufficialmente proclamati e la realtà di fatto, tra la costituzione formale e quella materiale. Non esiste una definizione comunemente accettata da giuri sti e politologi della forma di Stato dell'Unione Sovietica dopo il superamento della fase della dittatura del proletariato che era comunque una formula almeno storicamente e dottrinal mente rilevante; è diventata sempre piu inaccettabile la de finizione di repubblica dei consigli (o soviet) che resta sol tanto piu nella intitolazione come ricordo delle origini (or mai remote) . In mancanza di una definizione ufficiale le caratterizza zioni correnti sono per lo piu interpretazioni parziali e pole miche tentativi di individuare l'elemento o gli elementi pre domidanti. Se ne possono indicare alcune: sulla scia dell'a nalisi weberiana del processo di razionalizzazione formale (non sempre accompagnato dal processo di razionalizzazione ma teriale) che caratterizza lo Stato moderno e ha per conseguen za l' accrescimento dell' apparato burocratico spersonalizzan te e la trasformazione dello Stato tradizionale in Stato legale razionale, e della previsione catastrofica dello stesso Weber sull'ineluttabile avvento di uno Stato burocratico in un uni verso completamente collettivizzato, una delle interpretazioni piu comuni dello Stato sovietico, che si è valsa negli anni del predominio incontrastato di Stalin dell'autorevole confer:na di Trockij, è quella che lo considera uno S tato burocr� tlco dominato da un'oligarchia che si rinnova per cooptaziOne. Ma una burocrazia amministra, non governa. L'interpre tazione dello Stato sovietico come Stato burocratico deve es sere integrata dalla constatazione che in un universo di S tati partitici quali si sono venuti affermando con l'istituzione del suffragio universale e della società di massa, la differenza es senziale fra le democrazie rappresentative e gli Stati sociali sti sta nel contrasto fra sistemi multipartitici e sistemi mo nopartitici (di diritto come nell'Unione Sovietica, di fatto come nelle cosiddette democrazie popolari) . Il dominio di un partito unico reintroduce nel sistema politico il principio mo nocratico dei governi monarchici del passato e forse costi tuisce il vero elemento caratteristico degli S tati socialisti d'i spirazione leninista diretta o indiretta, in confronto con i si-
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sterni poliarchici delle democrazie occidentali. Il motore im mobile del sistema è il partito, questo principe collettivo che è detentore del potere politico e di quello ideologico, e quin di_ non conosce alcuna distinzione fra regnum e sacerdotium· un sovrano la cui legittimità deriva dal considerarsi unico in� ter�rete autentico della dottrina (un principio di legittimità cunosame �te proprio delle Chiese e non degli Stati, e in . fatti non nentra m alcuno di quelli di cui si è parlato alle pp. 47-48). L'analisi degli S tati a pa�tito unico onninvadente e onnipo _ _ tente ha dato ongme alla figura dello Stato totale o totalita rio, che al di là �elle :a�ioni p�lemiche da cui è nata l'equipa _ razione fra Stati fasCisti e Stati comunisti, storicamente scor ret�a: of�re la ��ppresentazione piu fedele di un'organizzazione politica m cm e venuta meno una netta linea di demarcazio ne fra Stato e Chiesa, da un lato (ove per « Chiesa » s'intenda la sfera non soltanto della vita religiosa ma anche della vita contemplativa nel senso classico del termine e la vita spirituale nel senso moderno e laico), e fra Stato e società civile, dall'al tro (ove per « società civile » s'intenda marxianamente la sfe ra dei rapporti economici), e che quindi estende il proprio con _ trollo su ogm comportamento umano, non lasciando alcun in terstizio entro cui si possa sviluppare, se non illecitamente l'i niziativa degli individui e dei gruppi. Infine, non va dim:nti ca �a l'interp:etazione dello S tato sovietico come dispotismo onentale Wit�f?gel), fondata su una ricostruzione storica piu che su un analisi strutturale come la precedente. Si ricordi che per « dispotismo » si è sempre inteso, almeno da Aristotele in poi : quell� forma ?i governo in cui il governante impera sui _ �uoi _sud�ltl con:e Il padrone sugli schiavi, o con l'espressione Icastic� di Machiavelli « per uno principe, e tutti li altri servi», come m Turchia [ 1 5 1 3 , ed. 1 97 7 p. 1 9] .
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S tato e non- S tato. Il riferimento alla categoria dello Stato totalitario e la sua definizione permettono di passare a discorrere del secondo criterio di classificazione delle forme di Stato cui si è accen nato alle pp. 1 04-7 . Nello Stato totalitario tutta la società è ris �Ita nell? Sta �o, nell' o �ganizz �zion� del potere politico _ che numsce In se, Il potere Ideologico e Il potere economico.
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Non c'è spazio per il non-Stato. Lo Stato totalitario rappre senta un caso-limite, giacché lo Stato nella sua accezione piu larga, comprendente anche la 1tOÀLç greca, si è sempre trova to a fronteggiare il non-Stato nella duplice dimensione della sfera religiosa (nel senso piu ampio della parola) e della sfera economica. Anche nel modello ideale aristotelico in cui l'uo mo è animale politico, la sfera economica si divide fra il go verno della casa e la crematistica (che riguarda i rapporti di scambio), e non appartiene allo Stato; la vita contemplativa di cui lo stesso Aristotele sostiene la superiorità rispetto alla vita attiva, appartiene al saggio. Lo Stato hobbesiano che pur subordina la Chiesa allo Stato, e attribuendosi il diritto di proibire le teorie sediziose, si arroga il monopolio del potere ideologico, lascia la piu ampia libertà economica ai suoi sud diti. In senso inverso, lo Stato etico di Hegel, che è stato spesso interpretato come uno Stato-tutto, è il momento fi nale dello Spirito oggettivo, oltre il quale vi è lo Spirito as soluto che comprende le piu alte espressioni della vita spiri tuale, l'arte, la religione, la filosofia. La presenza del non Stato in una delle due forme o in tutte e due, ha sempre costit�ito un limite di fatto e di principio, nella realtà ogget tiva e nelle speculazioni degli scrittori politici, all' espansio ne dello Stato. Questo limite varia da Stato a Stato; la rile vazione di queste variazioni costituisce quindi un possibile e anche utile criterio di differenziazione delle forme stori che di Stato. Non si· confonda però il limite che lo Stato ri ceve dalla presenza piu o meno forte del non-Stato coi limiti giuridici del potere politico cui è stato dedicato il paragrafo 5 : questi sono limiti del potere politico, quelli cui sono rivol ti i due paragrafi seguenti sono limiti al potere politico. Con l'avvento del cristianesimo, religione tendenzialmente universale e come tale travalicante i confini dei singoli Stati, il problema dei rapporti fra società religiosa e società politi ca è diventato un problema permanente della storia europea. Mentre nel mondo classico il non-Stato sotto forma, ad esem pio, della repubblica universale degli stoici è un ideale di vita, non un'istituzione, con il diffondersi del cristianesimo il non Stato diventa un'istituzione con la quale lo Stato deve fare continuamente i conti, un vero e proprio potere che afferma sin dall'inizio la propria supremazia sulle potestà terrene col principio « imperator intra ecclesiam, non supra ecclesiam »
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[sant'Ambrogio, Sermo contra Auxentium, 3 6] . Secondo la dot trina che è passata alla storia come dottrina oelasiana (dal papa Gelasio I) : « Duo sunt quibus principalite� mundus hic regitur: auctoritas sacrata pontificum et regalis potestas » [Epi stul�e, XII, 2]: Anche la potestas regalis deriva la propria in vestitura da D10 (« nulla potestas nisi a Deo » [san Paolo Let tera ai Romani, 1 3 , r]), ma il suo fine è di questo m�ndo è la pace in terra, sia interna sia esterna, e come tale è subor� dinato al fine della « auctoritas sacrata pontificum » che è la predicazione e la attuazione di una dottrina di salvezza. �p �tta �1 pr�n�ip� di sradica�e il male e di sterminare gli ere tiCI ma e pnvileg10 della Ch1esa di stabilire che cosa è bene e che cosa è male, chi è eretico e chi no. Ai nostri fini è interessante notare che in una dottrina del primato del non-Stato, lo Stato si risolve nella detenzione e nell'esercizio legittimo del potere coattivo, di un potere me rament: strumentale in quanto presta i propri servizi, indi . spensabili ma per la loro stessa natura di rango inferiore, a una po�enza sovraordinata. Questa notazione è interessante, per che la stessa rappresentazione strumentale dello Stato avviene �u�nd� � non- � tato che avanza le proprie pretese di superio nta n�1 �1guard1 dello Stato è la società civile-borghese. Nel la soc1eta feudale potere economico e potere politico sono in �ssoci�bili l'uno d ' alt�o, e piu oltre nello Stato patrimoniale 1 z '!'perzum non puo sussistere senza una qualche forma di do mznzum (per lo meno il dominium eminens) : una confusione che rimane sino a che un diritto cosi specificamente patrimonia le come quello della successione ereditaria continua a valere �on solo per i �e� ma anche per la trasmissione del potere po . litico e d1 funzwru statali. Con la formazione della classe bor g?ese che lotta contro i vincoli feudali e per la propria eman . c �pazwne, J a società civile come sfera dei rapporti economi . Cl che ubbidiscono a leggi naturali superiori alle leggi positi ve (sec�ndo !� dottrina fisi?cratica) o in quanto regolata da una raz10nahta spontanea (Il mercato o la mano invisibile di Adam Smith), pretende di distaccarsi dall'abbraccio morta le dello Stato, il potere economico viene distinto nettamen t� dal potere politico, e alla fine di questo processo il non-Stato SI affer� a come s �p �riore allo Stato, sia nella dottrina degli . . Sia nella dottrina marxiana sebbene con economisti classici segno assiologico opposto. La principale conse uenza del pri-
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mato del non-Stato sullo Stato è ancora una volta una conce zione meramente strumentale dello Stato, la sua riduzione al l' elemento che lo caratterizza, il potere coattivo, il cui eser cizio al servizio dei detentori del potere economico dovreb be essere quello di garantire l'autonomo sviluppo della società civile, e lo trasforma in un vero e proprio « braccio secolare » della classe economicamente dominante.
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S t a to m a s s im o e m i n i m o . Stato cristiano e Stato borghese sono due casi-limite. Sono due raffigurazioni dello Stato, cui non sempre corrisponde puntualmente la realtà, esprimenti il punto di vista del non Stato. Dal punto di vista dello Stato i rapporti col non- Stato variano secondo la maggiore o minore espansione del primo verso il secondo. Anche sotto questo aspetto si possono di stinguere due tipi ideali: lo Stato che si assume compiti che il non-Stato nella sua pretesa di superiorità rivendica per sé, e lo Stato indifferente o neutrale. Nei riguardi della sfera religiosa questi due atteggiamenti dànno luogo alle due figure dello Stato confessionale e dello Stato laico; nei riguardi della sfera economica, alle due figu re dello Stato interventista, che assume varie forme storiche di cui la piu persistente è quella del Wohlfahrt Staat del Set tecento, rinato nel wel/are state contemporaneo, e dello Sta to astensionista. Come lo Stato confessionale, assumendo una determinata religione come religione di Stato, si preoccupa del comportamento religioso dei propri sudditi e a questo sco po ne controlla gli atti esterni, le opinioni, gli scritti, impe dendo ogni manifestazione di dissenso e perseguitando i dis senzienti, cosi lo Stato che ritiene a sé non estraneo il modo con cui si svolgono nel proprio ambito i rapporti economici assume come propria una determinata dottrina economica (il mercantilismo nel Settecento, il keynesismo negli ultimi cin quant' anni), avoca a sé il diritto eminente di regolare la pro duzione dei beni o la distribuzione della ricchezza, agevola certe attività e ne ostacola altre, imprime un indirizzo al com plesso dell' attività economica del paese. Tanto lo Stato con fessionale quanto lo Stato interventista possono essere fatti rientrare nella figura settecentesca dello Stato eudemonolo gico, cioè dello Stato che si propone come fine la felicità dei
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pr�pr� su?diti, int� sa la felicità nel senso piu ampio come pos _ hta _ di persegmre, oltre il maggior bene terreno, il bene sibi ultraterreno che soltanto la vera religione può assicurare. Lo Stato liberale che si contrappone polemicamente allo Stato eudem�no ogic? è insieme laico rispetto alla sfera religiosa e astens10rusta nspetto alla sfera economica (e non a caso viene spess? c� iama�o con un termine del linguaggio religioso 'agno _ anche come Stato di diritto (in uno dei _ ) . E deftmto stico tanti significati di questa espressione), non avendo fini esterni che gli provengano dal non-Stato, non avendo altro fine che quello di garantire giuridicamente lo sviluppo il piu possibi le auto:10mo delle due sfere confinanti, ovvero la piu larga espress10ne della libertà religiosa e la piu larga.espansione della libertà economica. Il processo di secolarizzazione, o dell'emancipazione del lo Stato dalla cura degli affari religiosi, e il processo di libe ralizzazione, o dell' emancipazione dello Stato dalla cura de gli affari economici, avanzano nell'età moderna di pari pas so. E�tr� mbi sono l'effetto di una crisi della concezione pa ternahsuca del potere e di quel moto (l'illuminismo) da Kant definito come l'uscita dell'uomo dalla minore età. Allo Stato provvidenza si contrappone polemicamente ed enfaticamen te lo Stato-custode (o gendarme) . Questo duplice processo può anche essere descritto come processo, da parte dello Stato di demonopolizzazione del potere ideologico, da un lato e dl ' demonopolizzazione del potere economico, dali' altro. Allo Stato resta, e gli resterà sino a che sarà uno Stato il mono polio della forza attraverso il quale deve essere as ;icurata la libera circol�zione delle idee, e quindi la fine di ogni orto _ e la hbera circolazione dei beni, e quindi la fine di dossia, ogni forma di protezionismo. In realtà poi questo processo �on è stato cosi lineare come avevano creduto gli scrittori _ hberah del secolo scorso. Lo Stato confessionale è riapparso sotto forma di Stato dottrinale, di Stato cioè che ha una sua dottrina (per esempio, il marxismo-leninismo) in base alla quale si ripropone la distinzione fra ortodossi ' ed eretici (o «rinnegati» che è espressione tipica del linguaggio religioso), per non parlare degli Stati islamici, sorti peraltro in paesi dove la secolarizzazione non era mai avvenuta o era stata forzata mene imposta; lo Stato che assume su di sé il compito di di rigere l'economia è riapparso sotto forma di Stato socialista
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al siste ma di e, se pure in forma piu blanda, con riguardo _ o, nel co uttiv prod stributivo soltanto e non anche a quello o di giustizia, prosiddetto Sozialstaat, o Stat o sociale o Stat . mos so dai partiti socialdemocratici. opposte m due vero il dire a o dànn si imo t'ult Per ques rev�lmente � no terpretazioni secondo che si giudichino favo o liberale (hbe Stat allo le trasformazioni avvenute rispetto erno) : quel l'est o vers rista all'interno e se mai protezionista tizia so gius di o Stat o lo che gli interpreti benevoli chiaman Stato dello ure stort iori ciale che ha corretto alcune delle magg 'talistico a beneficio delle classi �eno avvan��gg1ate, e per capi _ to all ideale del so i critici di sinistra che non hanno nnunZla capitale », il cosid del o Stat << cialismo o del comunismo, lo St ato » (Hab e� fatto è si che _ detto capitalista te, il «capitale mu�men�e n cont a nte rece � mas) , o con espressione meno » (Hilferd�ng� , presa, lo Stat o del « capitalismo org�m�z�to_ il sistema capitali un siste ma di potere, in sosta nza, d1 cm a prosperare, come re inua cont e vere stico si serve per sopravvi in una società in condizione della propria «valorizzazio ne » ture di potere cui attraverso la democratizzazione delle strut aio) si è enorme la forza dell' antacronista (il movimento oper attuale del dibat mente accresciut� . A giudicare dallo stato tto non già di dare tito la critica da sinistra ha avuto per effe dello Stat o, chia l'av�io a una piu profonda trasformazione Stato �on mag mato spregiativamente « assistenziale », i� uno e nost algie e spegior contenuto socialista , ma di risveghar ranz e neoliberistiche . .
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8 . La fine dello Stato. . L a c o n c e z i o n e p o s i t i v a dell o S t a t o o come ha È ben nota la tesi di Engels, secondo cui lo Stat d quan à finir e � saranno avuto un'origine cosi avrà una fine, del pro pan Al otto. venute meno le cause che l'hanno prod dello fine della lema prob il e blema dell' origine dello Stato anch di tutto di a prim però gna Stat o è un tema ricorrent e. Biso della lema prob dal o Stat dello stinguere il problema della fine ti anni, con rife crisi dello Stat o di cui si parla tanto in ques e alla conseente cresc ità pless rimento, o al tema della com
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guente ingovernabili à delle soc ietà comple sse , oppure al fe � nomeno del potere diffuso, sempre piu difficile da ricondur re a quell'unità decisionale, che ha caratterizzato lo Stato dalla sua ?asc ta si?o ad oggi. P r c isi � � . dello Stato s'intende, da par te di scntton conservaton, cnsi dello S tato democratico che r�on ri� s �e piu a far fronte alle dom ande provenienti dali so c�et a, �Ivtle da esso stes so provoc ate ; da parte di scrittori so . o ma Cialisti rxisti, crisi dello S tato capitalisti co che non rie �ce piu a dominare la pot enz a dei grandi gruppi d'in teresse 1n co�corren�a fr loro. Crisi dell o Stato vuoi dire da una parte � _ e dall altra cnsi di un determinato tipo di Stato, non fine dello S �ato . Prova ne sia che è ritornato all'ordine del giorno il tema I un nuovo « co tratto sociale », attraverso il quale appunto � SI dovrebbe dar VIta a una nuova forma di Stato, tanto diverso dallo ta�o capitalistico o Stato d'in giustizia, quanto dallo Sta to soc iali sta o S tato d'illibertà. Il tem a della fine dello Stato è strettamente connesso al giudizio di valore positivo o neg ativo che è stat o dato e si continu a a �re su q esta m assi � . ma concentrazione di potere av �nte 1l. dmtto di. Vlta e d1 morte sugli individui che vi si affidano o che lo subiscono passiva mente. Tut ta la storia del pe�siero po i !ico è percorsa dal la contrapposizione fra con cezwne pos lti a e concezione neg ativa dello S tato . Presup � posto necessano anche se non suff iciente dell 'ideale della fine e lo Stato è la conc zione negativ a. Chi dà un giudizio po sltlvo sullo Sta to, chi: crede che lo S tato sia se non il ma ssi n:o ben e, un' isti tuzione favorevole allo svil ppo delle facol ta umane, al progre sso civile, una civil society nel senso set tecentesco del termine, sarà ind otto ad augurarsi non la fine dello Sta to ma se mai la gradua le estensione delle istituzioni statali (in primis, del monopolio della forza se pure control lato da organismi democratici) sino alla formazione dello Stato universale. Di fatto l'utopia del lo Sta to universale ha avuto i suoi fautori non meno di quella della fine dello S tato . La concezio�e ositiva de lo Sta p to ha per capostipite se c�nd � una tra IZlOne con soli dat a l'E.ù �ijv (il bon um vivere) eh An �totele, npreso dalla filosofia scolastica in seguito alla . L raduzwne l tma della Politica (seconda metà del � secolo xm) : , Lç sus sist e la n:oÀ « per rendere pos sibile una vita feli ce » [Poli ltca , I 2 52b , 3 0] . Ma culmina nella concezione razion ale del lo Stato che va da Ho bbe s, attraverso Spinoza, Ro uss eau ,
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sino a Hegel: razionale perché è dominata d �ll'i.dea che al di fuori dello S tato vi sia il mondo delle passwm scatenate o degl'interessi antagonistici e inconciliabili, e che l'uomo possa attuare la propria vita di uomo di ragione so.lo sotto la protezione dello Stato. Naturalmente al!a conceZl�ne po sitiva dello Stato corrisponde una concez10ne negat1va del non-Stato di cui si dànno due versioni principali che si raf forzano l' na con l'altra: la versione dello stato ferino, da Lucrezio a Vico di uno stato che si prolunga nello stato sel vaggio dei popo i primitivi, e la versione de.llo st ato di anar . chia intesa hobbesianamente come guerra d1 tutti contro tut ti e due versioni differiscono in ciò : per la prima il non S ato è una fase superabile, e di fatto in molte nazioni è data come superata, della storia umana, per la seconda è ur:o sta to in cui l'uomo può sempre ricadere, come accade d1 fatto quando scoppia una guerra civile. . . . Alla concezione positiva dello Stato SI ncollegano le di scussioni sull'ottima repubblica, che presuppongono la con vinzione che gli Stati esistenti siano imperfetti ma p�rfetti . bili, e quindi lo Stato come forza organizzata d1 cor:vivenza civile non sia da distruggere ma da condurre alla p1ena re � lizzazione della propria essenza. Forma estrema della del� neazione dell'ottima repubblica sono i disegni di repubbli che ideali, di repubbliche che non sor: o state � non saranr:o . . mai in nessun luogo (o sono collocate 1n luogh1 1mmagman) , e che vengono proposte come ideali-lit_Tiite di un ordinan:er: to perfettamente razionale, dove ogm comportamento e ri gorosamente previsto e rigidamente regolato. Dalla Repub blica di Platone alla Città del Sole di Tommaso C ampanella, le repubbliche ideali sono sempre modelli di sup�rs � at �lizza zione, di una vera e propria ipertrofia delle funzwt;l d� rego lamentazione della vita civile, da cui sarebbe nato il bisogno della vita politica, e quindi sono rappresentazioni is�irate ad una concezione altamente positiva dello Stato (la cm contro figura è l'utopia negativa cot_Tie quella �li
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L o S t a t o c o m e m al e n e c e s s a r i o . Vi sono due concezioni negative dello Stato, una piu de bole e una piu forte: lo Stato come male necessario e lo Sta-
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to come male non necessario. Solo la seconda conduce all'i dea della fine dello Stato. La concezione negativa dello S tato come male necessario si è presentata a sua volta, nella storia del pensiero politico, sotto due forme diverse secondo che lo Stato sia stato giudi cato dai punto di vista dei primato del non-Stato-Chiesa o del non-Stato - società civile. Nella prima forma, caratteristica del primitivo pensiero cristiano, lo Stato è necessario come remedium peccati, per ché la massa è malvagia e deve essere tenuta a freno con la paura (quella paura che per Montesquieu sarà ii principio del dispotismo e per Robespierre, coniugata con la virtu, il prin cipio del governo rivoluzionario) : «
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Ammesso lo Stato come un male, si, ma necessario, nes suna di queste dottrine sfocia nell'ideale della fine dello Sta to. Meglio lo Stato che l'anarchia. Nella visione cristiana del mondo al di là, anzi al di sopra, dello Stato c'è la Chiesa che si serve dello Stato a fin di bene e quindi ne ha bisogno an che se lo considera uno strumento imperfetto. La negatività dello Stato non è senza riscatto nella sua subordinazione alla Chiesa (mentre nella concezione realistica dello Stato non vi è riscatto se non nella potenza che è il fine ultimo del princi pe). Per questo, anche nella sua negatività lo Stato può e deve _ continuare a sopravvivere. « Et licet peccatum humanae on ginis per baptismi gratiam cunctis fidelibus dimissum sit, ta men aequus deus ideo discrevit hominibus vitam, alias ser vos constituens, alias dominos, ut licentia male agendi ser vorum potestate dominantium restringatur » [Isidoro di Si viglia, Sententiae, III, 47, r , in Migne, Patrologia latina, LXXXIII, col. 7 I 7] . Quando la società civile sotto forma d i società del libero mercato avanza la pretesa di restringere i poteri dello Stato al minimo necessario, lo Stato come male necessario assume la figura dello Stato minimo, figura che diventa il denomi natore comune di tutte le maggiori espressioni del pensiero liberale . Per Adam Smith lo Stato deve limitarsi a provve dere alla difesa esterna e all'ordine interno nonché all' esecu zione di lavori pubblici . Nessuno piu incisivamente di Tho mas Paine ha espresso l'esigenza da cui nasce l'idea dello Stato minimo. Proprio all'inizio di Common Sense scrive: «La so cietà è prodotta dai nostri bisogni ed il governo dalla nostra malvagità; la prima promuove la nostra felicità positivamen te unendo insieme i nostri affetti, il secondo negativamente tenendo a freno i nostri vizi. L'una incoraggia le relazioni, l'altro crea le distinzioni. La prima protegge, il secondo pu nisce. La società è sotto qualunque condizione una benedi zione; il governo, anche nella sua forma migliore, non è che un male necessario, nella sua peggiore è insopportabile » [r n6, trad. it . p. 69] . Da Wilhelm von Humboldt a Benjamin Con stant, da John Stuart Mill a Herbert Spencer, la te�ria che lo Stato per essere un buono Stato deve governare il meno possibile domina lungo tutto il tratto in cui la società bor ghese si espande e trionfano, a dire il vero piu in teoria che
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in l?ratica, le ide del libero me rcato interno e internaziona � _ le (11 hbe roscamb1s mo ) . Ma anche in que sto cas o Stato mini mo non vuoi dire società senza S tato o che si avvii a diven tare senza Sta to. La teoria del lo Sta to minimo non coincide con nes sun a delle forme che assume nello ste sso secolo l 'a narchis�o. Un libro che ha avu to in que sti anni grande suc ce� so, s1 da essere paragonato a On Liberty di John Stuart M11l ( r 859 ), An archy, State and Utopia di Robert Nozic k [ r 9 74] , �i è pro ost o come sco po principale di difendere lo �tato m1m_ mo siap contro la negazi one anarchica dello Stato sia contro lo S tato di giustizia, in particolare contro le tesi anc h'e sse molto dibattute di Joh n Rawls [ r 9 7 r], argomen tando lungamente e sottilment e in favore della tesi che « lo sta to minimo è lo Sta to piu est eso che si pos sa giustificare » _ k [Nozic 1 974 , trad. it. p . 2 90] . Una variante della teoria dello Sta to minimo confinante con la teoria della fin e dello Sta to, è la dottrin; analosasso ne del guild-socialism che ha elab orato una vera e prop;ia teoria dello S tato plurali stic o, fondat o sulla distinzione fra decen t� amento funzionale o dei gru ppi e decentramento territo riale e sulla tesi c�e lo S tato debba restringere la propria : f �mz1�ne a quel!a d1 suprem_o coo rdinatore dei gruppi fun z:o? ah, ec�nom1c1. e culturali. Manifesto del pluralismo giu ridico e s �c1ale può essere consid erata La déclaration des droits _ x d Ge soczau o�?es �urvitch [ r 944 ], che ha � lontane origini . proudhomane : l md1v1d uo deve essere preso in conside razione n on c ?me ente str t o ma com e l?roduttore, consumatore, � �� _ ad citt no; a ognI att1v1ta, deve corrisp ondere una qualche as _ � _ nal sociaz ione funzio e e lo S tato in quanto ent e sov rafunzio na1e deve avere compiti di coo rdinazione, non di dominio. Lo S t ato come male non n e c e s s ari o . E se lo Stato fos se un male e per di piu non necess ario? _ La :1sp osta affermativa a questa dom anda ha dato vita alle _ � arie teorie della fine dello Sta to. Occorre pre mettere che In tutte queste teorie lo S tato è inteso sempre come il deten to�e del monopolio della forza e quindi come la potenza che un�ca su u� d termi ato t rrit � ori o, ha i mezzi per cos tringe� re l reprob1 e 1 recalcr;.1trant1� anc _ rre he rico ndo in ultima ista n za alla coazione. Per tan to fin e del lo Sta to vuo i dire nas cita
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di una società che può sopravvivere e prosperare senza biso gno di un apparato di coercizione. <: ome a dire, che oltre _ del lo Stato minimo che si è liberato pnma del monopolio potere ideologico, perme�tend� l'esp�essione ?elle piu diver�e _ credenze religiose ed op1n10m politiche, p01 del monopoli? del potere ec�nomic� , per� e:t �ndo il liber� pos �esso e la h beta trasmissione del bem, v1 e come termine fmale deii, e mancipazione del non-Stato dallo Stato la società senza ? ta to che si è liberata anche della necessità del potere coattivo . L' ldeale della società senza Stato è un ideale universalistico: la repubblica dei saggi, vagheggiata dagli stoici, �he peraltro ritenevano necessario lo Stato per il volgo, o la vita mona�a le, che peraltro non rifugge, quando occorra, da la protezw ne dei potenti di questo mondo, possono essere Interpretate come prefigurazioni di una società senza S tato ma non ne provano, esse sole, l' attuabil�tà. . . La piu popolare delle teone che sostengono l , attuablllta, 0 addirittura l'avvento necessario di una società senza Stato è quella marxiana o per m�gl�o di:e en�elsiar:_a, in base a un _ term1m_ puo e sere es osto ragionamento che ridotto a1 �1�1m1 � p _ ,m _ cosi: lo Stato è nato dalla d1v1S1one della soc1eta classi con� trapposte per effetto della divisione del lavoro, allo scopo d1 consentire il dominio della classe che sta sopra sulla classe che sta sotto; quando in seguito alla conquista del potere d � parte della classe universale (la dittatura del proletanato) verra _ meno la società divisa in classi, verrà meno anche la necessi tà dello Stato. Lo Stato si estinguerà, morirà di morte natu rale, perché non sarà piu neces? ario. Qu�� ta teoria è fo�se la piu ingegnosa fra queile che d1f� ndo �o l 1deale d�lla socie . tà senza Stato ma non è meno d1scut1b1le: perche tanto la premessa maggiore del sillogismo (lo S tat? è uno strument? di dominio di classe) quanto la premessa mmore (la classe um versale è destinata a distruggere la società di classe) non hanno resistito a quel formidabile argomento che sono, come avrebbe detto Hegel, le « dure repliche deila storia ». La teoria marx-engelsiana della fine dello Stato e, certa mente la piu popolare ma non è la sola. Se ne indicheranr: o : senza alcuna pretesa di completezza, almeno altre tre. V1 e anzitutto, antica e sempre rinascente, un' aspirazione a una società senza Stato d'origine religiosa, comune a molte sette ereticali cristiane che, predicando il ritorno alle fonti evan-
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geliche, a una religione della non viol enza e della fratellanza universale, rifiutano l'obbedienza alle leggi dello Stat o, non ne riconoscono le due funzioni essenzia li, la milizia e i tribu nali, ritengono che una comunità che viva in conformità dei precetti evangelici non abbia bisogno delle istituzioni politi che. All' estremo opposto l'ideale dell a fine della società po litica e della classe politica che ne trae un abusivo vantaggio è stat o predicato da una concezione che oggi si direbbe tec nocratica dello Stat o, come quella espo sta da Sain t-Si mon secondo cui nella società industriale ove protagonisti non sono piu i guerrieri e i Iegisti ma diventan o gli scienziati e i pro duttori, non ci sarà piu bisogno della « spada di Ces are» . Que sto ideale tecnocratico peraltro si acco mpagna in Sain t-Simon con una forte ispirazione religiosa (il nouveau christianisme), quasi a suggerire l 'idea che questo salto fuori della storia che è la soci età senza Stat o non sia pen sabile prescindendo da un'idea messianica. Nello stes so tem po il modello tecnocra tico ha esercitato una forte influenza anche su alcuni teorici del marxismo. Si pensi a quello che è stato definito le reve mathématique di Bucharin espr esso cosi chiaramente in alcu ne affermazioni dell 'AB C del comunis mo, secondo cui, a ri voluzione avvenuta, «la direzione cent rale [nel l'ordinamen to sociale comunista] sarà affidata a vari uffici di contabilità e ad uffici di statistica » [Bucharin e Preobrazenskij, 1 9 1 9 , trad . i t . p . 66]. Infi ne, l'ideale della società senza Stat o ha dato origine a una vera e propria corrente di pen siero politico e a vari movimenti corrispondenti che dalla fine del Settecento a oggi non hanno cess ato di alimentare il diba ttito politico e a svol gere azioni conformi agli ideali propugn ati: l'anarchismo. Con ducendo alle estreme conseguenze l'ide ale della liberazione dell'uomo da ogni forma di autorità, relig iosa, politica ed eco nomica, e vedendo nello Stato il massimo strumento dell 'op pressione dell 'uomo sull 'uom o, l'an archismo vagheggia una soci età senza Stat o né legg i, fondata sull a spontanea e vo lontaria cooperazione degli individui asso ciati, rispettivamente liberi nei riguardi gli uni degli altri, ed uguali fra loro. Per quanto vari, sia per i presupposti filos ofici sia per la scelta dei mezzi - persuasione o violenz a? -, sia per le riforme economiche e politiche di cui si fanno promotori, i movimenti anarchici rappresentano l'ideale sempre ritornante di una so-
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cietà senza oppressi né oppre�sori Piu c�e su convinzioni :. religiose o su pretese teorie sctentlhche, sl fondano su una concezione ottimistica dell ' uomo, diametralmente opp? sta a . que11a c he mvoc a lo Stato forte per domare la « best1a selvaggia ».
4· Democrazia e dittatura
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La democrazia nella teoria dell e forme di governo. Da ll'e tà cla ssic a ad oggi il termin e 'de mo cra zia ' è sempre stato adoperato per designare una delle forme di governo, ovvero uno dei diversi modi con cui può essere esercitato il potere poli�i o. Specifican ent : designa quella forma di go _ : � . ver� o m cu1 1l potere pohtlco e esercit ato dal pop olo . Nella sto na del pensiero politico il luo go in cui si colloca la discus sione intorno all' opinione, ai caratteri, ai pregi e difetti del la democrazia è la teoria e la tipologia delle forme di gover n� . Pertanto qualsiasi discorso sulla democrazia non può pre scmdere del determinare i rap porti fra la democrazia e le al tre forme di governo, perché solo cosi si può individuarne il carattere specifico. In altre parole siccome il concetto di democrazia appartiene a un sist em a di con cet ti, che costi tuisce la teoria delle forme di governo, ess o non può ess ere co� preso n lla su natura spe cifi � ca se non in relazione agli � altn concetti del sist em a, di cui delimita l'estensio ne essen done a sua volta delimi tat o. Il considerare il concetto di de mocrazia come parte di un sist ema piu ampio di concetti con sente di dividere la tra ttazion e seguendo i diversi usi cui la teoria delle forme di governo è sta ta di volta in volta o con te�p�ranea� ente, secondo i diversi autori, destinat� . Que sti us I sono 1 re s gue nti : des crittivo (o sistematico) , pre � _ o (o ass� scn_ ttlv iOlogico) , sto ric o. Ne l suo uso descrittivo o si ste ma tico , una teoria delle for me di governo si risolve nella cla ssificazione e quindi nella tipologia delle forme di gover no storicamente esistite, compiu ta in base alla determinazione di ciò che le u is e e di ciò che le differenzia, in un' opera ? : _ zwne che non e diversa da que lla del botanico che classifica pia? t � o dello zool go che cla ssifica animali. Ne l suo uso pre ? _ g1c scnttlvo o ass 10lo o, una teoria delle forme di gov erno com-
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porta una serie di giudizi di valo�e in base ai quali le v �rie costituzioni sono non soltanto alhneate l , una accanto ali al tra ma disposte secondo un or ine di pr� fere�za, sec�ndo ché l' una è giudicata buona e l altra cattlva, l u�a ottlma � l' altra pessima, l'una migliore o meno :: attl.�a dell altr� e cos1 via. Si può infine parlare �i uso : t�nco d1 una teana delle forme di governo quando d1 essa cl s1 serve non solo per ?las sificare le varie costituzioni, non solo per raccoman are l una piuttosto che l' altra, ma anche per descrivere i van momen _ ti successivi dello sviluppo stanco cons1derato come un pas saggio obbligato da una forma all'alt ra. Quando l'uso pre scrittivo e l'uso storico sono conness1,_ c��e acc � de spesso, la descrizione delle diverse fasi storiche s1 nsolve m un� t�o ria del progresso o del regr�sso sec �ndoché la forma m1gho_ _ re sia alla fine o al pnne1p10 del c1clo . . Partendo da questa premessa si dedicherà la pnm � parte dell' articolo all'illustrazione dei diver � i mo �1_ con cm l� d� mocrazia è stata collocata nelle tipolope stancamente � 1u, n levanti ( § 2 ) , tenendo conto in secondo luo�o �elle �hvers� e opposte valutazioni cui è stata sottoposta, 1� dr�rers: te�p1 e nei diversi autori (§ 3 ) , dando infine alcune md1caz�on� su! posto che ad essa è stato assegnato in alcune delle prmc1pa!1 filosofie della storia che hanno segnato le tappe el movi mento storico in base al passaggio da una forma �h governo . a un'altra (§ 4) . Superfluo avvertire che 1 tre us1 n? n so11:o mai completamente separati e che sp� ss? la stessa t1polog1a li contiene tutti e tre insieme intrece1at1: p� r fare un esem pio classico, la celebre teoria delle f?rm� d1 gover ?o conte nuta nell'ottavo libro della Repubblzca d1. Plator:e e . un� de scrizione dei caratteri specifici delle van� costltuz1o�1 che _ nel contempo le allinea in ordine gerarch1co dalla n:1ghore alla peggiore, e una loro disposizione in ordin� gerarchico che nel contempo coincide con una loro collocazwne cronologi-_
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ca, dalla piu antica alla piu rece? te. . . Dopo questa prima parte, m cul la democrazia app�re c�me un elemento del sistema concettuale, la secon� a sara ded:ca� _ ta all'analisi della democrazia nelle sue diVer � e :nt�rp�etaz10111 e attuazioni storiche: in particolare alle d1stmz10111 fra d� mocrazia degli antichi e dei moderni (§ s), �ra d�n:ocraz1a rappresentativa e diretta (§ 6), fra democ� az1a pohuca e so ciale (§ 7), fra democrazia formale e sostanziale (§ 8) . A queste
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varie forme di democrazia faranno risc ontro nella terza par t� le diverse interpretazioni deiia ditt atura: in particolare la dittatura degli antichi (§ 9) cui si con trappongono la ditta tura moderna (§ r o) , in ispecie la ditt atura rivoluzionaria (§ r r). 2 . L 'uso descrittivo. Rispetto al suo significato descrittivo, la democrazia è, se c ?ndo la tradizione dei classici, una delle tre possibili forme dr governo neila tipologia in cui le varie forme di o-averno vengono classificate in base al diverso numero dei go� ernan ti, in particolare è queiia forma di governo in cui il potere è esercit �to da tutto il popolo, o dal maggior numero, o dai molt1,_ e 111 quanto tale si distingue dalla monarchia e dall'a ristocrazia in cui il potere è esercitato, rispettivamente, da uno oppure da pochi . Nel Politico di Platone la celebre tri partizione è introdotta in questo modo: « - Non è per noi la monarchia una delle forme di potere politico? - Si. - E dopo la monarchia si potrebbe collocare, credo, il dominio dei pochi. - Come no? - Terza forma di costituzione non è forse il potere deiia moltitudine e non fu chiamato col nome di "de�ocrazia" ? » [29 rd] . La distinzione delle forme di go verno 111 base al numero �ei governanti è ripresa da Aristo t �le con queste parole: « E necessario che il potere sovrano _ s1a esercitato da uno solo, da pochi o dai piu » [Politica, r 279a] . All � classificazi�:me rispetto al numero Aristotele affianca quel la nspetto al diVerso modo di governare o per il bene comu ne o per il bene proprio di chi governa, onde deriva la di stinzione non meno celebre tra forme buone e forme catti ve. II termine 'democrazia' è riservato da Aristotele alla for ma cattiva, mentre la forma buona è denominata con il ter mine generale che significa costituzione 'politeia' . Nel terzo dei testi fondamentali della tradizione classica, quello tratto _ dal sesto hbro deiie Storie di Polibio, la teoria delle forme d� governo ha inizio con queste parole: « La maggior parte d1 col �ro che hanno trat tato di questi argomenti ci insegna che esistono tre forme d1_ governo chiamate rispettivamente regno, aristocrazia e democrazia » [VI, 3 ] . II termine 'demo crazia' ritorna a designare il governo dei piu neiia sua forma
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buona: alla forma cattiva Polibio assegna il termine 'oclo�ra zia' . Resta fermo che in una tipologia, come quell� classica, che distingue le varie costituzioni prima di tutto 111 base al criterio del numero dei governanti, vi è comunque una for ma di governo, si chiami democr�zia o altrimenti, eh� è ca: _ governo del mo_ltl ratterizzata rispetto alle altre dali essere 1l rispetto ai pochi, o dei piu rispetto ai meno, � della m �gglO ranza rispetto alla minoranza o a un gruppo nstr�tto d1 per sone (o addirittura di uno solo) , e che pertan� o �l con�e� to di democrazia è nella tradizione degli antichi gmnta 111111terrottamente si�o a noi, estremamente semplice � cost ��te. Per citare soltanto alcuni dei classici della filosofia polltlca, questo significato di democrazia connesso �ll� tripartizione delle forme di governo rispetto al num�ro s1 nt�ova nel �e _ fensor Pacis di Marsilio da Pa ova, nel D_zscor �z sulla przma . deca di Machiavelli, nel De la republzque d1 Bo�111, r:elle ope re politiche di Hobbes in Spinoza, in Locke, 111 V1co e con particolare riguardo no� alla titolarità ma all'esercizio del potere sovrano nel Contrat social di Rousseau. . Nonostante la prevalenza della tripartizione, talora la tn partizione è stata sostituita da una b�pa�ti�ione. Questa so stituzione è avvenuta con due operaz10m diVerse: o raggrup pando democrazia e aristocrazia in una specie sola contrap _ una spe posta alla specie monarchia; oppure raggruppando m cie sola monarchia e aristocrazia e contrapponendola alla �pe cie democrazia. La prima ricomposizione è que�la comp�uta da Machiavelli nel Principe, dove si legge propno alle pnme righe che « tutti li stati, tutti e' dominii �he hanno avuto �t hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono o repubbli che o principati » [ r 5 r 3 , ed . 1 977 p . ? ] . L� � econda e quella che ha finito per prevalere nella teona polit1c � contempora nea, dove alla tripartizione classica si viene sostituendo ovu � que la distinzione primaria e fondamenta!� tra democrazra _ e autocrazia. Uno degli autori, che ha maggiormente contn buito a diffondere e a consolidare questa distinzione, è stato Kelsen, il quale nella Genera! Theory of Law a:z4 State � 1 945], dopo aver osservato che la tripartizione tra� IZI? n�e rn � ase _ al numero è superficiale, adotta un altro cnteno d1st111t1vo,
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la maggiore o minore libertà polit�c � e ne concl�de c�e « al _ 111vece _ lora è piu esatto distinguere du� t1p1 d1_ c� strtuzwm, di tre: democrazia ed autocrazia » (trad. 1t. p. 2 89). La dr-_
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stinzione machiavelliana (ripresa da Montesquieu, il quale peraltro ritorna alla tripartizione, aggiungendo alla monar chia e alla repubblica come terza forma il dispotismo) è pur sempre fondata sul criterio del numero, anche se dominata dall'idea che la distinzione essenziale è fra il governo di uno (che è e non può non essere una persona fisica) e il governo di un'assemblea (che è e non può non essere una persona giu ridica, sia essa un' assemblea di ottima ti o di rappresentanti del popolo), e pertanto democrazia e aristocrazia possono van �aggiosamente essere considerate come una specie sola sotto d nome comprensivo di repubblica (che può essere infatti de mocratica o aristocratica) . La distinzione fra democrazia e autocrazia è fondata su un criterio completamente diverso, a sua volta ispirato all'osservazione che il potere o ascende dal basso verso l' alto o discende dall' alto verso il basso. Per giustificarla Kelsen si serve della distinzione fra autonomia �d et �ronomi.a: democratiche sono quelle forme di governo m cm le leggi sono fatte da coloro cui sono rivolte (e sono appunto norme autonome) , autocratiche quelle in cui coloro che fanno le leggi sono diversi da coloro cui sono destinate (e sono appunto norme eteronome) . Mentre la classificazio ne nata con la nascita dello Stato moderno ha assorbito la democrazia nel concetto piu generale di repubblica, la clas sificazione piu diffusa nella teoria politica contemporanea as sorbe sia la monarchia sia l ' aristocrazia nel concetto piu ge nerale di autocrazia, e dà particolare rilievo alla democrazia �on �iderata �ome uno. dei d�e poli cui convergono, se pur In diversa misura e mat compmtamente, tutte le costituzioni esistenti. 3.
L 'uso prescrittivo.
Rispetto al suo significato prescrittivo, la democrazia può _ essere considerata, come del resto tutte le altre forme di go verno, con segno positivo o negativo, cioè come una forma buona, e quindi da lodare e da raccomandare, o come una for ma cattiva, e quindi da biasimare e da sconsigliare. Tutta la storia del pensiero politico è percorsa dalla disputa intorno alla miglior forma di governo: all'interno di questa disputa uno dei temi ricorrenti è l'argomentazione pro o contro la democrazia.
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S i può far cominciare questa disputa dalla discussione ri� ferita da Erodoto [Storie, III, § § 8o-8z], fra tre personaggi persiani, Otane, Megabizo e Dario, sulla miglior forma di governo da instaurare in Persia dopo la morte di C ambise: �iascuno dei tre difende una delle tre forme classiche e con futa le altre due. Il difensore della democrazia, Otane, dopo aver criticato il governo monarchico perché il monarca « può fare quello che vuole, senza render conto ad alcuno », chia ma il governo del popolo con « il nome piu bello d'o�ni altr�: uguaglianza di diritti» , e lo definisce come quello m cui_ « il o-averno è soggetto al rendiconto e tutte le decisioni sono prese in comune ». Tanto al difensore dell'aristocrazia, Megabizo, quanto al difensore della monarchia, Dario, è assegnato in vece il compito di addurre argomenti per dimostrare che il governo del popolo è una forma cattiva. Per il primo « non v'è nulla di piu stolto e di piu insolente d'una folla buona a nulla », sicché non è tollerabile che « per sfuggire alla pre potenza d'un tiranno, debbano cadere nell'insolenza d'un po polo sfrenato ». Per il secondo « quando è il popolo che go verna, è impossibile che non nasca la corruzione nella sfera . pubblica, la quale non genera inimicizie, ma anzi solide ami cizie tra i malvagi ». In questa disputa che sarebbe avvenuta nella seconda metà del vr secolo a. C . ed è riportata in un testo del secolo successivo, alcuni argomenti pro e contro la democrazia sono presentati e fissati una volta per sempre. Nel pensiero greco l'elogio e la condanna si avvicendano. L'e logio piu celebre è quello di Pericle nel discorso agli ateniesi in onore dei primi morti della guerra del Peloponneso: « Ab biamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo piu d'esempio ad altri che imitatori. E poi ché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a po che persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democra zia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi pri vati, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto ri guarda la considerazione pubblica nell'amministrazione d�l lo Stato, ciascuno è preferito t"; seconda del suo emergere 111 un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale piu che per quello che vale. E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall'oscurità del suo rango sociale. Liberamente noi viviamo nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto
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rig�a�d � il sospetto che sorge dai rapporti reciproci nelle abi tudlm �10rnah � re, senza adirarci col vicino se fa qualcosa se condo d suo piacere e senza infliggerei a vicenda molestie che, si, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occh1.. S �nz � danneggi �rci esercitiamo reciprocamente i rap . P?�tl pn�at1 e . n�lla v1ta pubblica la reverenza soprattutto CI 1mped1sce d1 v10lare le leggi, in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni poste a tutela di chi subisce i �giustizia, e in particolare a quelle che, pur essend � r: on scn �te, portano a chi le infrange una vergogna da tut� ! nc�noscmt a » [Tucidide, Guerra, II, 3 7] . In questo passo l tratt1 per cw. la democrazia è considerata forma buo na di governo sono essenzialmente i seguenti: è un governo non a fav�re dei p ochi ma dei piu; la legge è uguale per tutti, . t �nto �er l ncch1 quanto per i poveri e quindi è un governo . d1 legg1, siano esse scritte o non scritte e non di uomini · la libertà è rispettata sia nella vita privata 'sia nella vita pubbli ca, dove vale non l' appartenenza a questo o quel partito ma
il merito . Nell'ottavo libro della Repubblica di Platone ' in
vece, si trova la piu celebre condanna. La democrazia vi è considerata e analiticamente descritta come una forma de g�nerata se non come la forma piu degenerata che è la tiran ma. Le quattro forme degenerate rispetto alla città ideale sono disposte in quest'ordine di successiva degradazione: timocra �ia, oligarchi � , .de�ocrazia, tirannia . Mentre l' oligarchia è �1, la democrazia è il governo non del po Il governo �e1 ncc polo ma del poven contro i ricchi. Il principio della demo crazia è la libertà, ma è una libertà che si converte subito in licenza per la mancanza di freni morali e politici che è ca r �tte�istica dell'uomo democratico, per l'insorgenza del de sldeno smodato di soddisfare i bisogni superflui al di là dei bisogni necessar� , per la mancanza di rispetto delle leggi e la generale condiscendenza al sovvertimento di ogni autori tà, onde il pad�e teme il figlio e « il maestro, per esempio, teme e adula gh scolan. e gli scolari si ridono dei maestri e dei pedagoghi » [563a] . Con Aristotele prende forma defini tiva la distinzione fra le tre costituzioni buone e le tre costi tuzioni cattive in base al criterio del governare per il bene comune o per il bene proprio, destinata a diventare uno dei luoghi � om�ni del pensiero politico successivo . In questa si stemaziOne il governo dei molti compare sia come forma buo-
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na, sotto il nome di politeia, sia come forma cattiva, sotto il nome di democraz ia. Non diversamente da Platone anche Aristotele definisce la democrazia come governo dei poveri, e di conseguenza come governo dei piu per la sola ragione che i poveri sono generàlmente in ogni Stato piu numerosi dei ricchi. Ma come il governo dei soli ricchi, cosi il governo dei soli poveri è pur sempre un governo in favore di una par te sola e quindi, secondo la definizione del buon governo in base al criterio del bene comune, è un governo corrotto. Con Polibio cambiano i nomi ma non l'ordinamento delle forme di governo in tre buone e tre cattive: forma buona del go verno popolare è la democrazia in cui il popolo « assume su di sé la cura dei pubblici interessi» , forma cattiva la degene razione della democrazia, o oclocrazia (governo della plebe), in cui da moltitudine infatti, abituata a consumare beni al trui e a vivere alle spalle del prossimo , quando ha un capo magnanimo e ardito che non può aspirare alle cariche pub bliche per la sua povertà, usa la violenza e concordemente ricorre ad uccisioni, esili, divisioni di terre » [Storie, VI, 9] . La tipologia delle forme di governo nel suo uso prescritti va comporta non soltanto un giudizio assoluto sulla bontà o meno di questa o quella forma, ma anche un giudizio rela tivo sulla maggiore o minore bontà di una forma rispetto alle altre . In questa prospettiva la disputa intorno alla democra zia non riguarda soltanto il tema se la democrazia sia o non sia una forma buona o cattiva, ma si estende al tema se sia migliore o peggiore delle altre, ovvero quale sia la sua collo cazione in un ordinamento assiologico (cioè secondo il valo re) delle costituzioni. In una tipologia che non distingue le forme pure dalle corrotte, le tesi possibili sono tre: se la de mocrazia sia la migliore, sia la peggiore oppure stia in mezzo fra la migliore e la peggiore. Le tesi storicamente piu frequenti e rilevanti sono le prime due, giacché il confronto avviene di solito fra le due forme estreme che sono appunto la mo narchia e la democrazia. In una tipologia che distingue le co stituzioni nella loro forma pura e nella loro forma corrotta, il confronto diventa molto piu complesso : la democrazia in fatti può essere tanto la peggiore (o la migliore) delle forme buone, quanto la migliore (o la peggiore) delle forme cattive, oppure può essere insieme la migliore (o la peggiore) delle forme buone e la migliore (o la peggiore) delle forme catti-
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ve . Nel pensiero greco le tesi più frequenti sono due: quella platonica (nel Platone del Politico), in cui la democrazia è insieme la peggiore delle buone e la migliore delle cattive (mentre al contrario la monarchia è la migliore delle buone e la peggiore delle cattive) , con la conseguenza che la diffe renza fra democrazia buona e democrazia cattiva è minima (mentre è massima la differenza fra monarchia e tirannia) ; quella polibiana, secondo cui la democrazia si trova alla fine della scala tanto delle forme buone quanto delle cattive, il che val quanto dire che è insieme la peggiore delle buone e la peggiore delle cattive. In una tipologia come quella della Repubblica platonica, che conosce soltanto forme degenera te, il problema assiologico consiste nell' assegnare alla demo crazia il posto nel processo di successive degenerazioni: per Platone essa è peggiore della timocrazia e dell'oligarchia, ma migliore della tirannia. Infine, in una tipologia come quella vichiana che conosce soltanto forme buone (buone nel senso che ogni forma corrisponde a una determinata fase di svi luppo dell'umanità; allo Zeitgeist, come dirà Hegel), il pro blema assiologico consiste nell' assegnare alla democrazia il proprio posto nel processo di successivi perfezionamenti: per Vico la democrazia, o per usare il linguaggio vichiano, la re pubblica popolare, è una forma migliore della repubblica ari stocratica, ma è peggiore del principato. (Tanto per Vico come per Platone il governo del popolo non è una forma estrema cioè una forma che si trovi all'inizio o alla fine della serie ' come è invece nella maggior parte delle teorie politiche, m � è una forma intermedia) . Nella disputa intorno alla miglior forma di governo i clas sici del pensiero politico moderno, che accompagnano con le loro riflessioni il sorgere e il consolidarsi dei grandi Stati territoriali prevalentemente monarchici, sono, almeno sino alla rivoluzione francese, ad eccezione di Spinoza, favorevo li alla monarchia e contrari alla democrazia . Cosi Bodin, Bob bes, Locke, Vico, Montesquieu, Kant, Hegel . Mentre alcu ni di questi autori, che considerano le diverse forme di go verno nel loro sviluppo storico come Vico, Montesquieu, He gel, esaltano la monarchia come forma di governo più adatta all'età loro contemporanea, altri, come Hobbes e come Bo din, compiono una comparazione in astratto, nella quale sono raccolti tutti gli argomenti tradizionali contro il governo del
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popolo, tutti i motivi antichi e moderni dell' antidemocrati smo (i quali si tramandano senza sensibili variazioni nella pub blicistica di destra dei giorni nostri). Il decimo capitolo del De cive di Hobbes, intitolato Specierum trium civitatis quoad incommoda singularum comparatio, può essere considerato come paradigmatico: gli argomenti contro la democrazia pos sono essere compresi in due gruppi, quelli che riguardano il soggetto governante (l'assemblea popolare raffrontata col po tere unico del re) e quelli che riguardano il modo di governa re. I difetti delle assemblee popolari sono l'incompetenza, il dominio dell'eloquenza (e quindi della demagogia), la for mazione di partiti che ostacolano la formazione di una vo lontà collettiva e favoriscono il rapido mutamento delle leg gi, la mancanza di segretezza. Gl'inconvenienti del potere quando esso è esercitato dal popolo consistono in una mag giore corruzione, perché in una democrazia i cittadini fame lici e che debbono essere accontentati dai capipopolo sono in maggior numero, e in una minor sicurezza causata dalla protezione che i demagoghi sono costretti ad accordare ai loro fautori, maggior corruzione e minor sicurezza che non sono compensate da una maggiore libertà. Il Tractatus di Spinoza era stato scritto per dimostrare la superiorità del governo de mocratico, ma purtroppo la parte dedicata a questa forma di governo è rimasta incompiuta. Però confrontando Spino za con Hobbes, autori sotto molti aspetti molto vicini rispetto ai principi primi, e quindi legittimamente confrontabili, si riesce a capire la ragione per cui Spinoza, pur partendo dalla stessa visione realistica del potere e dallo stesso modo di con cepire la fondazione dello Stato, abbia sostenuto nel confronto fra le varie forme di governo la tesi diametralmente opposta a quella hobbesiana. Ciò che li divide è la diversa concezio ne del fine ultimo dello Stato, che per Hobbes è la pace e l'ordine, per Spinoza, L. libertà, differenza che a sua volta riposa su una differenza più profonda che permette più di tutte di contrapporre una teoria all' altra: intendo la diffe renza rispetto alla prospettiva principale da cui ogni scritto re di cose politiche si pone per esporre il proprio pensiero, e che permette di contrapporre gli scrittori che si pongono ex parte principis, cioè dalla parte dei governati per giustifi care il loro diritto di comandare e il dovere dei sudditi di obbedire, a coloro che si pongono ex parte populi, ovvero dalla
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parte dei governanti per difendere il loro diritto di non esse re oppressi e il dovere dei governanti di emanare leggi giu ste. Per chi si pone ex parte principis il problema principale dello Stato è quello dell'unità del potere, che può anche an dare a danno della libertà dei singoli; per chi si pone ex parte populi il problema principale è quello della libertà dei singoli che può anche andare a danno dell'unità. La disputa fra il fautore della monarchia e il fautore della democrazia è sem pre una disputa fra due contendenti che si pongono da due punti di vista opposti per analizzare e valutare lo stesso fe nomeno . La soluzione che il fautore della democrazia dà al problema della libertà, che è, lo ripeto, il problema dello Stato considerato dalla parte del governato, è al limite l'identifi cazione del governato col governante, ovvero la eliminazio ne della figura del governante come figura separata da quel la del governato. Questa identificazione è enunciata chiara mente in Spinoza là dove esponendo « i fondamenti del go verno democratico » afferma che « in esso . . . nessuno trasfe risce ad altri il proprio naturale diritto in modo cosi definiti vo da non essere poi piu consultato; ma lo deferisce alla par te maggiore dell'intera società, di cui egli è un membro . E per questo motivo tutti continuano ad essere uguali come era no nel precedente stato di natura» [ r67o, trad. it. pp. 384-85] . Un'affermazione che non può non richiamare alla mente l'i dea centrale che ispira l'opera di colui che è considerato il padre della democrazia moderna: l'idea di un'associazione me diante la quale « ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti libero come prima » [Rous seau 1 76 2 , trad. it. p. 23]. Il tema rousseauiano della libertà come autonomia o del la lib�r!à defin� ta com� «l'obbedienza di ciascuno ali� legge che s1 e prescntta », d1venta dopo le rivoluzioni americane e francese, e dopo la nascita delle prime dottrine socialisti che e anarchiche, uno degli argomenti principali, se non il principale, in favore della democrazia nei riguardi di ogni al tra forma di governo, che, se non è democratica, non può non essere autocratica. Il problema della democrazia si vie n � sempre piu identificando con il tema dell'autogoverno, e il progresso della democrazia con l'estendersi dei campi in cui il metodo dell'autogoverno viene messo alla prova. Lo sviluppo della democrazia dall'inizio del secolo scorso a oggi
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viene fatto coincidere con l a progressiva estensione dei di ritti politici, cioè del diritto di partecipare, se non altro con la elezione di rappresentanti, alla formazione della volontà collettiva. Il progresso della democrazia va di pari passo con l'irrobustirsi della convinzione che dopo l'età dei lumi l'uo mo, per dirla con Kant, è uscito dalla minore età, e come un maggiorenne non piu sotto tutela deve decidere libera mente della propria vita individuale e collettiva. Via via che un numero sempre maggiore di individui conquista il diritto di partecipare alla vita politica, l'autocrazia indietreggia e la democrazia avanza. Accanto all'argomento etico in favore del la democrazia intesa per l'appunto come attuazione sul ter reno specificamente politico del valore supremo della liber tà, la valutazione positiva della democrazia-autonomia nei ri guardi dell'autocrazia-eteronomia, si vale generalmente di altri due argomenti, il primo piu propriamente politico, il secon do genericamente utilitario. L'argomento politico si fonda su una delle massime d'esperienza piu condivise nel pensie ro politico di tutti i tempi, sulla massima che chi detiene il potere tende ad abusarne. Tutta la storia del pensiero politi co può essere considerata come una lunga ininterrotta appas sionata discussione intorno ai vari modi di limitare il potere: fra questi è il metodo democratico . Uno degli argomenti forti in favore della democrazia è che il popolo non può abusare del potere contro se stesso, o, detto altrimenti, là dove il le gislatore e il destinatario della legge sono la stessa persona, il primo non può prevaricare sul secondo. L'argomento uti litaristico è quello che si fonda su un'altra massima d' espe rienza (meno solida a dire il vero), quella secondo cui i mi gliori interpreti dell'interesse collettivo sono coloro che fan no parte della collettività, del cui interesse si tratta, cioè gli stessi interessati: in questo senso, vox populi vox dei. 4 · L 'uso storico.
Per secoli almeno sino a Hegel i maggiori scrittori politici si sono serviti della tipologia delle forme di governo per trac ciare le linee di sviluppo del corso storico dell'umanità inte so come un succedersi di una determinata costituzione a un'al tra secondo un certo ritmo . Si tratta di vedere quale posto
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abbia occupato in alcuni dei grandi sistemi la democrazia. Prima di tutto bisogna distinguere le filosofie della storia in regressive, secondo le quali la tappa successiva è una dege nerazione della precedente, progressive, secondo le quali la tappa successiva è un perfezionamento di quella precedente, cicliche secondo le quali il corso storico dopo aver percorso o in senso regressivo o in senso progressivo tutte le tappe ritorna al principio. Nelle storie regressive (Platone) o ciclico regressive (Polibio) degli antichi, la democrazia occupa ge neralmente l'ultimo posto in una successione che prevede la monarchia come prima forma, l' aristocrazia come seconda, la democrazia come terza. Esemplare, anche per l'influsso che ha esercitato in scrittori moderni (si pensi in particolar modo al Machiavelli del secondo capitolo dei Discorsi) , la pe riodizzazione di Polibio che presenta in rapida sintesi la suc cessione delle sei forme, attraverso l'alternanza della forma buona con la rispettiva forma cattiva: << Spontaneamente e naturalmente sorge prima di ogni altra forma la monarchia, dalla quale deriva, in seguito alle opportune correzioni e tra sformazioni, il regno. Quando questo incorre nei difetti che sono ad esso connaturati e si trasforma in tirannide, viene abolito e subentra al suo posto l'aristocrazia. Quando, secondo un processo naturale, essa degenera in oligarchia e il popolo punisce indignato l'ingiustizia dei capi, sorge la democrazia. Quando questa a sua volta si macchia di illegalità e violenze, col passare del tempo si costituisce l' oclocrazia» [Storie, VI, 4]. Nell'età moderna, l'età delle grandi monarchie, quando la concezione regressiva cede il passo a quella progressiva, il campo di osservazione degli scrittori si è enormemente este so e la successione degli antichi viene capovolta: la monar chia non sta piu al principio del ciclo ma alla fine. Vico si considera un innovatore perché dopo lo stato ferino (che non è ancora sociale) e lo stato delle famiglie (che non è ancora statale) , fa iniziare la storia degli Stati non dalla monarchia, ma dalla repubblica aristocratica, cui succede la repubblica popolare, e infine il principato. Nel De unive1'Si iuris uno prin cipio et uno fine, definisce il governo popolare come quello in cui vigano «la parità dei suffragi, la libera espressione delle sentenze, e l'egual accesso di ognuno a tutti gli onori, senza esclusione dei supremi, in ragione del censo, ossia del patri monio » [ 1 720, trad. it. p. r 66] (il principio che il censo è
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l a base dei diritti politici durerà, com'è noto, sino alla rivo luzione francese ed oltre) . Una caratteristica della tipologia vichiana, peraltro, è che essa viene risolta in dicotomia con un procedimento diverso da quelli già noti e indicati: le due piu note dicotomie sono monarchia e repubblica (con la re ductio ad unum di democrazia e aristocrazia) oppure demo crazia e autocrazia (con la reductio ad unum di monarchia e aristocrazia) . Per Vico la differenza essenziale passa fra la repubblica aristocratica da un lato, che rappresenta l'età de gli eroi, e la repubblica popolare e la monarchia, dall'altro, che rappresentano entrambe, se pur in diversa misura, l'età degli uomini, e pertanto la tricotomia classica si può risolve re nella dicotomia aristocrazia e «governi umani » (cioè de mocrazia e monarchia) nei quali « per l'ugualità di essa intel ligente natura, la qual è la propria natura dell'uomo, tutti si uguagliano con le leggi, perocché tutti sien nati liberi nel le loro città, cosi libere popolari, ove tutti o la maggior parte sono esse forze giuste della città, per le quali forze giuste son essi i signori della libertà popolare; o nelle monarchie, nelle qual'i monarchi uguagliano tutti i soggetti con le lor leggi, e, avendo essi soli in lor mano tutta la forza dell'armi, essi vi sono solamente distinti in civil natura » [ 1 744, § 927]. Nella importante classificazione delle forme di governo, esposta e minuziosamente illustrata da Montesquieu nell'Es prit des lois, la monarchia appare ancora una volta come la forma di governo piu adatta ai grandi Stati territoriali euro pei, mentre il dispotismo è la forma di governo piu adatta ai popoli orientali, la repubblica (che comprende a imitazio ne di Machiavelli tanto la repubblica democratica quanto l'a ristocratica) ai popoli antichi. Secondo la natura, il governo repubblicano vi è definito come quello in cui « il popolo in corpo, o alcune famiglie, vi godano della suprema potestà » [q48, trad. it. p. 83] ; secondo il principio, ovvero secondo la « molla » che lo fa muovere, è quello caratterizzato dalla virtu (mentre il monarchico ha per principio l'onore, il di spotico la paura) . Tanto nel capitolo in cui viene illustrata la natura della democrazia quanto in quello dedicato al prin cipio, gli esempi sono tratti dalla storia greca e romana, e vi si trova questa affermazione: « l politici greci, che viveva no in un governo popolare, riconoscevano nella virtu l'unica forza capace di sostenerlo. I politici d'oggi ci parlano solo
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di manifatture, di commercio, di finanze, di ricchezze, per fino di lusso » [ibid. , pp. 85-86] . Là dove viene svolto il con cetto di virtu e viene definito come « l'amore per la repub blica » [ibid. , p . I I 5] le fonti della definizione sono notoria mente classiche. La natura e il principio del dispotismo sono illustrati con esempi tratti dai popoli orientali; la natura e il principio della monarchia, con esempi tratti dai grandi Stati europei, come Spagna, Francia, Inghilterra . La tripartizione di Montesquieu diventa il criterio fonda mentale per la interpretazione del corso storico dell'umanità nella filosofia della storia di Hegel, che può essere conside rata come l'ultima grande filosofia della storia in cui l'evolu zione della civiltà è vista attraverso il passaggio da una for ma di governo a un'altra (dopo Hegel la maggior parte delle filosofie della storia considerano come indici dell' evoluzio ne le forme sociali, i rapporti di produzione, ecc . ) . In un'o pera giovanile il disegno generale entro cui sarà compresa e distesa l'immensa materia della filosofia della storia dell'età matura è già tracciato nelle sue linee principali: « La conti nuità della cultura mondiale ha condotto il genere umano, dopo il dispotismo orientale, e dopo che degenerò quella re pubblica che aveva dominato il mondo, a questa posizione intermedia fra le due precedenti » che è « il sistema della rap presentanza » proprio « di tutti i moderni S tati europei » [ 1 799- I 8o z , trad. it. p . 83] . Nelle Lezioni sulla filosofia del la storia, il tema è ripreso e svolto nelle sue linee essenziali con queste parole: « La storia universale è il processo attra verso cui avviene l'educazione dell'uomo dalla sfrenatezza della volontà naturale all'universale e alla libertà soggettiva. L'Oriente sapeva e sa soltanto che uno solo è libero, il mon do greco e romano che alcuni sono liberi, il mondo germani co che tutti sono liberi. La prima forma, che quindi noi ve diamo nella storia universale, è il dispotismo, la seconda è la democrazia e l'aristocrazia, e la terza è la monarchia » [I 83o-3 I , ed. I 93 4 p . I 5o] . Per Hegel, dunque, come per i maggiori scrittori politici che riflettono sulla formazione e la crescita dello Stato moderno, la democrazia è una forma di governo che appartiene al passato. Contro il concetto di sovranità po polare, quale è stato elaborato in antitesi alla sovranità che esiste nel monarca, Hegel scrive nei Lineamenti di filosofia del diritto (cioè nell'opera che fa testo per quel che riguarda
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l'essenza del suo pensiero politico) : «
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della persona o delle cose; e hanno vissuto una vita che è stata tanto breve, quanto violenta ne è stata la morte » [Hamil ton, Jay e Madison q 87-88, trad. it. p. 6 r ] . Ma la forma di governo che Madison chiama democrazia, seguendo la le zione dei classici arrivata sino a Rousseau, era la democrazia diretta. Per repubblica invece intende il governo rappresen tativo, proprio quella forma di governo che oggi noi, con vinti che nei grandi Stati non sia possibile altra democrazia che quella rappresentativa, se pure in alcuni casi corretta e integrata da istituti di democrazia diretta, chiamiamo senza bisogno di ulteriori specificazioni democrazia e contrappo niamo a tutte le forme vecchie e nuove di autocrazia. Scrive Madison: « I due grandi elementi di differenziazione tra una democrazia e una repubblica sono i seguenti: in primo luo go, nel caso di quest'ultima, vi è una deleg� dell' azione go vernativa ad un piccolo numero di cittadini eletto dagli al tri; in secondo luogo, essa può estendere la sua influenza su di un maggior numero di cittadini e su una maggiore esten sione territoriale » [ibid. , p. 62]. Da questo passo emerge la ferma opinione che esiste un nesso necessario fra Stato rap presentativo (o repubblica) e dimensione del territorio, e che quindi l'unica forma di governo non autocratica possibile in un grande Stato sia il governo per rappresentanza, che è una forma di governo democratico corretto o temperato o limi tato, e in quanto tale reso compatibile con un territorio mol to vasto e con una popolazione numerosa (in piu nel caso spe cifico degli Stati Uniti anche molto sparsa) . Che il passaggio dalla democrazia diretta alla democrazia indiretta sia ogget tivamente determinato dalle condizioni dell'ambiente, e quin di la repubblica non sia tanto una forma opposta alla demo crazia ma sia quella sola democrazia che è possibile in deter minate condizioni di territorio e di popolazione, è confer mato da questo passo: « Altro punto di differenziazione [fra democrazia e governo rappresentativo] è il seguente: che un regime repubblicano può abbracciare un maggior numero di cittadini ed un piu ampio territorio di quanto non possa un regime democratico ed è proprio questa circostanza che fa si che le possibili manovre delle fazioni siano da temere meno nel primo, che nel secondo caso » [ibid. , p. 63]. Si deve ad Alexis de Tocqueville, che nel r 835 pubblica il primo volume di De la démocratie en Amérique, il ricono-
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scimento, quasi la consacrazione, del nuovo Stato nel nuovo mondo come forma autentica della democrazia dei moderni contrapposta alla democrazia degli antichi. Nell' avvertenza preposta alla edizione del r 84 8 Tocqueville scrive che 1'� merica ha risolto ormai il problema della libertà democratica che l'Europa è giunta a porsi soltanto nel momento presen te: « Da sessant'anni il principio della sovranità del popolo, che abbiamo introdotto ieri nel nostro paese, in America re gna sovrano, messo in pratica nel modo piu diretto, piu illi mitato, piu assoluto » [Tocqueville r 848, trad. it. p. r o� . Per chi scrive queste parole la distinzione fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa non ha piu alcuna rilevanza: « Alle volte è il popolo stesso che fa le leggi, come in Atene; alle volte sono i deputati, eletti a suffragio universale, che lo rappresentano e agiscono in suo nome, sotto la sua sorve glianza quasi diretta » . Ciò che conta è che il potere sia di fatto, direttamente o per interposta persona, nelle mani del popolo, che viga come «la legge delle leggi » il principio della sovranità popolare, onde « la società agisce da sé su se stes sa », e « non esiste potere al di fuori di lei e non c'è nessuno che osi concepire, e soprattutto esprimere, l'idea di cercarlo altrove ». Il capitolo sul principio della sovranità popolare in America si conclude con queste parole: «
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.sono sempre fondati esclusivamente sul numero dei gover nanti) per distinguere una società democratica da una non democratica, come appare da questo brano sorprendente per la sua incisività: « Nelle società aristocratiche, gli uomini non hanno bisogno di unirsi per agire, perché sono già saldamen te tenuti insieme. Ogni cittadino ricco e potente è come alla testa di un' as sociazione permanente e forzosa, che si compone di tutti co loro che dipendono da lui e che egli fa concorrere all'esecu zione dei suoi disegni. Nelle democrazie, invece, tutti i cittadini sono indipen denti e inefficienti, non possono quasi nulla da soli e nessu no può obbligare i suoi simili a dargli la propria cooperazio cadono tutti ne . Se non imparano ad aiutarsi liberamente, . nell'impotenza » [ibid. , p. 598]. 6 . Democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Nel secolo che decorre dall'età della restaurazione alla pri ma guerra mondiale la storia della democrazia coincide con l'affermarsi degli Stati rappresentativi nei principali paesi eu ropei e con il loro sviluppo interno, tanto che la complessa tipologia delle tradizionali forme di governo sarà via via ri dotta e semplificata nella contrapposizione fra i due campi opposti delle democrazie e delle autocrazie. Tenendo presente i due caratteri fondamentali rilevati da Tocqueville nella de mocrazia americana, il principio della sovranità del popolo e il fenomeno dell'associazione, lo Stato rappresentativo, quale si era venuto a poco a poco consolidando in Inghilterra e dal l'Inghilterra diffondendo attraverso il movimento costituzio nale dei primi decenni del secolo XIX nella maggior parte de gli Stati europei, conobbe un processo di democratizzazione lungo due linee: l'allargamento del diritto di voto sino al suf fragio universale maschile e femminile e lo sviluppo dell' as sociazionismo politico, sino alla formazione dei partiti di mas sa e al riconoscimento della loro funzione pubblica . Nulla può mostrare questo duplice processo meglio che il confronto fra lo Statuto del Regno di Sardegna promulgato da C arlo Al berto il 4 marzo r 848, quindi diventato la prima carta costi tuzionale del regno d'Italia ( r 8 6 r ) , e la costituzione repub-
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blicana elaborata e approvata dall'Assemblea costituente eletta il 2 giugno 1 946 dopo la fine della seconda guerra mondiale ed entrata in vigore quasi esattamente un secolo dopo lo Sta tuto albertino il ro gennaio 1 948. Anzitutto attraverso i successivi allargamenti dei diritti politici avvenuti nel r 88 z , nel 1 9 1 2 , nel 1 9 1 9 e nel 1 946 (senza contare l'estensione del voto ai diciottenni avvenuta nel 1 975) l'elettorato italiano passò da poco piu del z per cento degli abitanti al 6o per cento circa. In secondo luogo, col passaggio dalla monarchia alla repubblica anche la suprema carica dello Stato è diventata ele � tiva e quindi, nel senso tecnico della parola, rappresen tativa. Al posto del senato di nomina regia la seconda came ra è anch'essa eletta a suffragio universale. Con l'istituzione delle regioni cui è stato attribuito un potere legislativo è sta to fatto un tentativo, di cui è troppo presto per giudicare gli sviluppi, di ridistribuire il potere politico fra il centro e la periferia. Infine con il riconoscere a tutti i cittadini « il diritto di associarsi liberamente in partiti politici per con correre con metodo democratico a determinare la politica na zionale » (art. 49) si è voluto dare una legittimazione alle or ganizzazioni che attraverso l' aggregazione d'interessi omo genei facilitano la formazione di una volontà collettiva in una società caratterizzata da pluralità di gruppi e da forti tensio ni sociali. Il consolidamento della democrazia rappresentativa non ha peraltro precluso il ritorno, se pure in forme secondarie, alla democrazia diretta. Anzi l'ideale della democrazia diretta come l'unica vera democrazia non è mai venuto meno ' ed ' e stato mantenuto in vita da gruppi politici radicali, che hanno avuto sen:pre la tendenza a considerare la democrazia rap P!e.sentatlva non �c:me un inevitabile adattamento del prin clpw della sovramta popolare alle necessità dei grandi Stati ma come una colpevole o erronea deviazione dall'idea erigi _ del governo del popolo, per il popolo, attraverso il po nana P?lo. Com'è ben noto, Marx credette di cogliere alcuni spunti _ _ duetta nella breve esperienza di direzione po �l democrazla _ huca fatta dalla Comune di Parigi fra il marzo e l'aprile del r 87 r . Lenin riprese con forza il tema in Stato e rivoluzione [ r 9 q] , il saggio che avrebbe dovuto guidare la mente e l'a zione dei costruttori del nuovo Stato che stava sorgendo dalle ceneri dell'autocrazia zarista. Spesso la democrazia diretta
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è stata contrapposta, come la forma propria della futura de mocrazia socialista, alla democrazia rappresentativa, condan nata come una forma imperfetta dimidiata e ingannevole di democrazia e peraltro come l'unica forma di democrazia pos sibile in uno Stato di classe quale lo Stato borghese. Sotto il nome generico di democrazia diretta s'intendono tutte quel le forme di partecipazione al potere, che non si risolvono in una o altra forma di rappresentanza (né nella rappresentan za degl'interessi generali o politica né nella rappresentanza degl'interessi particolari o organica) : a) il governo del popo lo attraverso delegati investiti di mandato imperativo e quindi revocabili; b) il governo di assemblea, cioè il governo non solo senza rappresentanti irrevocabili o fiduciari, ma anche senza delegati; c) il referendum. Di queste tre forme di de mocrazia diretta, la prima è stata accolta nella Costituzione sovietica attualmente in vigore , il cui art. 1 4 2 dice che «ogni deputato ha l'obbligo di render conto davanti agli elettori del proprio lavoro e del lavoro dei Soviet dei deputati dei lavoratori, e può essere revocato in qualunque momento, per decisione della maggioranza degli elettori », e nella maggior parte delle C ostituzioni delle democrazie popolari; la secon da appartiene di solito alla fase emergente dei movimenti col lettivi, alla fase del cosiddetto « stato nascente » precedente alla istituzionalizzazione, di cui sono esempi recenti il movi mento di contestazione degli studenti e i comitati di zona o di quartiere delle grandi città; la terza è stata inserita in alcune Costituzioni post-belliche, come quella italiana (art. 75). Di queste tre forme di democrazia diretta la seconda e la terza non possono da sole sostituire, e di fatto non hanno mai sostituito, le varie forme di democrazia rappresentativa praticabili in uno Stato democratico, come del resto le varie forme di democrazia rappresentativa non hanno mai preteso di sostituire, e non hanno mai sostituito di fatto, forme au toritarie di esercizio del potere, come sono, ad esempio, in tutti gli Stati che pur si chiamano democratici quelle pro prie dell'apparato burocratico; e quindi non possono da sole costituire una vera e propria alternativa allo Stato rappre sentativo: la seconda perché è applicabile soltanto nelle pic cole comunità, la terza perché è applicabile soltanto in cir costanze eccezionali e di particolare rilevanza. Quanto alla prima, con la formazione dei grandi partiti organizzati che
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impongono una disciplina di voto, talora ferrea, ai rappre sentanti eletti nelle loro liste, la differenza fra rappresentan za con mandato e rappresentanza senza mandato diventa sem pre piu evanescente. Il deputato eletto attraverso l' organiz zazione del partito diventa un mandatario, se non degli elet tori, del partito che lo penalizza revocandogli la fiducia qua lora egli si sottragga alla disciplina, la quale quindi diventa un surrogato funzionale del mandato imperativo da parte degli elettori . 7 . Democrazia politica e democrazia sociale. Il processo di allargamento della democrazia nella società contemporanea non avviene soltanto attraverso l'integrazione della democrazia rappresentativa con la democrazia diretta ma anche, e soprattutto, attraverso l'estensione della demo cratizzazione, intesa come istituzione ed esercizio di proce dure che consentono la partecipazione degli interessati alle deliberazioni di un corpo collettivo, a corpi diversi da quelli politici. Sinteticamente si può dire che se di uno sviluppo della democrazia oggi si deve parlare, esso consiste non tan to, come spesso si dice erroneamente, nella sostituzione del la democrazia diretta alla democrazia rappresentativa (sosti tuzione che è di fatto, nelle grandi organizzazioni, impossi bile) , ma nel passaggio dalla democrazia nella sfera politica, cioè nella sfera in cui l'individuo viene preso in considera zione come cittadino, alla democrazia nella sfera sociale, dove l'individuo viene preso in considerazione nella molteplicità dei suoi status, per esempio di padre e di figlio, di coniuge, di impresario e di lavoratore, di insegnante e di studente, e anche di genitore di studente, di medico e di malato, di ufficiale e di soldato, di amministratore e di amministrato, di produttore e di consumatore, di gestore di pubblici servi zi e di utente, ecc . ; in altre parole, nella estensione delle for me di potere ascendente, il quale aveva occupato sinora quasi esclusivamente il campo della grande società politica (e delle piccole spesso politicamente irrilevanti associazioni volonta rie) , al campo della società civile nelle sue varie articolazio ni, dalla scuola alla fabbrica. Di conseguenza, le forme odierne di sviluppo della democrazia non possono essere interpreta-
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te come l'affermazione di un nuovo tipo di democrazia, ma debbono essere piuttosto intese come l'occupazione, da par te di forme anche tradizionali di democrazia, di nuovi spazi, di spazi cioè dominati sinora da organizzazioni di tipo gerar chico o burocratico. Una volta conquistato il diritto alla partecipazione politi ca, il cittadino delle democrazie piu avanzate si è reso conto che la sfera politica è a sua volta inclusa in una sfera molto piu ampia, la sfera della società nel suo complesso, e non vi è decisione politica che non sia condizionata o addirittura determinata da ciò che avviene nella società civile, e pertan to altro è la democratizzazione della direzione politica, il che è avvenuto con l'istituzione dei parlamenti, altro è la demo cratizzazione della società. Di conseguenza può benissimo dar si uno Stato democratico in una società in cui la maggior parte delle sue istituzioni, dalla famiglia alla scuola, dall'impresa ai servizi pubblici, non sono governate democraticamente. Di qua la domanda che caratterizza meglio di ogni altra l' at tuale fase di sviluppo della democrazia nei paesi politicamente piu democratici: « È possibile la sopravvivenza di uno Stato democratico in una società non democratica? » E che può es sere formulata anche in questo modo: « La democrazia poli tica è stata ed è tuttora necessaria affinché un popolo non sia governato dispoticamente. Ma è anche sufficiente? » Sino a ieri o all'altro ieri, quando si voleva dare una prova dello sviluppo della democrazia in un dato paese, si prendeva come indice l'estensione dei diritti politici, dal suffragio ristretto al suffragio universale; ma sotto questo aspetto ogni ulterio re sviluppo non è possibile dopoché il suffragio è stato este so quasi ovunque anche alle donne e in alcuni paesi, come il nostro, il limite per età è stato diminuito a diciotto anni. Oggi chi voglia avere un indice dello sviluppo democratico di un paese, deve considerare non piu il numero delle perso ne che hanno diritto di votare, ma il numero delle sedi di verse da quelle tradizionalmente politiche in cui si esercita il diritto di voto. Detto altrimenti, chi voglia oggi dare un giudizio sullo sviluppo della democrazia in un dato paese deve porsi non già la domanda: « Chi vota? », ma « Dove si vota? »
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8. Democrazia formale e democrazia sostanziale. Il discorso sul significato di democrazia non può dirsi con cluso se non si dà conto del fatto che oltre alla democrazia come forma di governo di cui sinora si è parlato, vale a dire come insieme di istituzioni caratterizzate dal tipo di rispo sta che viene data alle due domande « Chi governa?» e « Come governa? », il linguaggio politico moderno conosce anche il significato di democrazia come regime caratterizzato dai fini o valori alla cui attuazione un determinato gruppo politico tende ed opera. Il principio di questi fini o valori, che viene addotto per contraddistinguere non piu soltanto formalmente ma anche contenutisticamente un regime democratico da un regime non democratico, è l'uguaglianza, beninteso non l'u guaglianza giuridica che è stata introdotta nelle Costituzio ni liberali anche quando non erano ancora formalmente de mocratiche, ma l'uguaglianza sociale ed economica (almeno in parte) . Cosi è stata introdotta la distinzione fra democra zia formale, che riguarda appunto la forma di governo, e de mocrazia sostanziale, che riguarda il contenuto di questa for ma. Questi due significati si ritrovano perfettamente fusi nella teoria rousseauiana della democrazia, giacché l'ideale ugua litario che l'ispira si realizza nella formazione della volontà generale, e pertanto sono entrambi storicamente legittimi. La legittimità storica peraltro non autorizza a credere che abbiano nonostante l'identità del termine un elemento con notativo comune, tanto è vero che può darsi storicamente una democrazia formale che non riesca a mantenere le prin cipali promesse contenute in un programma di democrazia sostanziale e viceversa una democrazia sostanziale che si regga e si svolga attraverso l'esercizio non democratico del potere. Di questa mancanza di un elemento connotativo comune è prova la sterilità del dibattito sulla maggiore o minore de mocraticità dei regimi che s'ispirano gli uni al principio del governo del popolo, gli altri al principio del governo per il popolo. Ognuno dei regimi è democratico secondo il signifi cato di democrazia prescelto dal difensore e non è democra tico nel significato prescelto dall'avversario . L'unico punto se mai su cui l'uno e l'altro potrebbero convenire è che una
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re il ventennio fra le due guerre mondiali: quei regimi che Halévy aveva chiamati « tirannie » sono passati alla storia col nome di « dittature ». Anche 'dittatura' , come del resto tirannia, dispotismo e autocrazia, è un termine che ci viene dall'antichità classica. Ma a differenza di questi ultimi ha avuto originariamente e per secoli una connotazione positiva. Si chiamò dictator in Roma un magistrato straordinario, istituito circa il 5oo a. C . e durato sino alla fine del m secolo a. C . , che veniva nomi nato da uno dei consoli in circostanze eccezionali, come po tevano essere la conduzione di una guerra (« dictator rei pu blicae gerundae causa») o la soffocazione di una sommossa («dictator seditionis sedandae causa ») , e a cui venivano at tribuiti, per l'eccezionalità della situazione, poteri straordi nari, che consistevano soprattutto nel venir meno della di stinzione fra l'imperium domi, che era il comando sovrano esercitato entro le mura della città, in quanto tale sottopo sto a limiti che oggi diremmo costituzionali, come la provo catio ad populum, e l'imperium militiae, che era il comando militare esercitato al di là delle mura, e in quanto tale non sottoposto a limiti costituzionali. L'esorbitanza del potere del dittatore era controbilanciata dalla sua temporaneità: il dittatore veniva nominato soltanto per la durata del compi to straordinario che gli veniva affidato e a ogni modo non oltre sei mesi e non oltre la durata in carica del console che lo aveva nominato. Il dittatore dunque era un magistrato straordinario, si, ma legittimo, perché la sua istituzione era prevista dalla costituzione e il suo potere era giustificato dallo stato di necessità (lo stato di necessità è considerato dai giu risti un fatto normativa, cioè un fatto idoneo a sospendere una situazione giuridica precedente e a porre in essere una situazione giuridica nuova) . In breve i caratteri della ditta tura romana erano: a) stato di necessità rispetto alla legitti mazione; b) pieni poteri rispetto alla estensione del coman do; c) unicità del soggetto investito del comando; d) tempo raneità della carica. In quanto magistratura monocratica, con poteri straordinari ma legittimi e limitata nel tempo, la dit tatura si è sempre distinta dalla tirannia e dal dispotismo che nel linguaggio corrente sono spesso confusi. Il tiranno è mo nocratico, esercita un potere assoluto ma non è legittimo e non è neppure necessariamente temporaneo. Il despota è mo-
democrazia perfetta dovrebbe essere insieme formale e so stanziale. Ma un regime di questo genere appartiene sino ad ora al genere dei futuribili. 9 . La dittatura degli antichi. Via via che la democrazia è stata considerata come la mi glior forma di governo, come la meno cattiva, come la forma di governo piu adatta alle società economicamente civilmen te e politicamente piu evolute, la teoria delle forme di go verno nel suo uso prescrittivo ha semplificato la tipologia tra dizionale e si è polarizzata, come si è già detto, intorno alla dicotomia democrazia-autocrazia. Nell'uso corrente peraltro il termine che è venuto prevalendo per designare il secondo membro della dicotomia non è ' autocrazia' ma 'dittatura' . Oggi è talmente invalso l'uso di chiamare 'dittature' tutti i governi che non sono democrazie, e che generalmente sor gono abbattendo democrazie precedenti, che il termine tec nicamente piu corretto ' autocrazia' è stato relegato nei ma nuali di diritto pubblico, e la grande dicotomia oggi domi nante non è quella che si fonda sulla contrapposizione fra democrazia e autocrazia ma quella che contrappone, se pur con un uso storicamente distorto del secondo termine, alla democrazia la dittatura. La denominazione di dittatura estesa a tutti i regimi che non sono democrazie si è diffusa soprat tutto dopo la prima guerra mondiale, sia attraverso l' acceso dibattito sulla forma di governo instaurata in Russia dai bol scevichi, che trasse alimento dalle varie interpretazioni del concetto marxistico di dittatura del proletariato, sia attra verso l'uso fatto dagli avversari del termine 'dittatura' per designare i regimi fascisti, a cominciare da quello italiano. Questa contrapposizione della dittatura alla democrazia in un universo di discorso in cui democrazia ha assunto un si gnificato prevalentemente eulogico, ha finito per fare di 'dit tatura', contrariamente all'uso storico, un termine con signi ficato prevalentemente negativo, che era proprio nella filo sofia classica di altri termini come ' tirannia', 'dispotisll}o' , e , piu recentemente, di ' autocrazia' . Ancora nel 1936 Elie Halévy poteva definire il proprio tempo «l'ère des tyrannies », ma oggi nessuno userebbe piu questa espressione per definì-
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nocratico, esercita un potere assoluto, è legittimo ma non tem poraneo (anzi è un regime dai tempi lunghi, come dimostra l'esempio classico del dispotismo orientale). Tutte e tre que ste forme hanno in comune la monocraticità e l'assolutezza del potere, ma tirannide e dittatura si differenziano perché la seconda è legittima e la prima no; dispotismo e dittatura si differenziano perché, pur essendo entrambe legittime, il fondamento di legittimità del primo è di natura storico geografica, della seconda è lo stato di necessità. Il carattere in base al quale la dittatura si differenzia sia dalla tirannia sia dal dispotismo è la temporaneità. Proprio questo carattere della temporaneità ha fatto si che dell'istituto della dittatura sia stato dato generalmente dai grandi scrittori politici un giudizio positivo. In un capitolo dei Discorsi, intitolato significativamente L 'autorità dittato ria fece bene e non danno alla Repubblica romana, Machiavel li confuta coloro che hanno sostenuto essere la dittatura causa « col tempo della tirannide di Roma » [rs r 3 - 1 9, ed. 1977 p. 2 1 0] , perché la tirannide (il riferimento è a Cesare) non fu l 'effetto della dittatura ma del prolungamento della dittatu ra oltre i limiti di tempo stabiliti. E vede con acutezza nella temporaneità e nella specificità del comando del dittatore il suo aspetto positivo: « Il Dittatore era fatto a tempo e non in perpetuo, e per ovviare solamente a quella cagione me diante la quale era creato; e la sua autorità si estendeva in potere deliberare per se stesso i rimedi di quello urgente pe ricolo, e fare ogni cosa sanza consulta, e punire ciascuno sanza appellagione; ma non poteva fare cosa che fussi in diminu zione dello stato, come sarebbe stato tòrre autorità al Sena to o al Popolo, disfare gli ordini vecchi della città e farne de' nuovi » [ibid.] . Nel Contrat social Rousseau, dopo aver os servato che le leggi non possono prevedere tutti i casi possi bili e che si dànno casi eccezionali in cui è opportuno sospen derne momentaneamente l'effetto, afferma che « in questi casi rari ed evidenti si provvede alla sicurezza pubblica con un atto particolare che ne affida l 'incarico al piu degno » [ 1 7 6 2 , trad. i t . p . r 64]. Questa delega può avvenire i n due modi, o aumentando l'autorità del governo legittimo, e in questo caso si altera non l'autorità delle leggi ma solo la forma della loro amministrazione, oppure, quando il pericolo è tale che il sistema delle leggi ordinarie possa costituire un ostacolo
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all'azione risolutiva, nominando un capo supremo (il ditta tore appunto) che « faccia tacere tutte le leggi e sospenda mo mentaneamente l'autorità sovrana» [ibid. ]. Anche per Rous seau la dittatura è salutare solo se è rigorosamente limitata nel tempo: «
vere completamente con la propria azione », c q 1 1 i n d i I l • ' " sospende una costituzione vigente facendo k-v:1 :; 1 1 , ! 1 ' ' ' ' l 1 ritto d a essa contemplato, e perciò stesso cosi i l t t!.l< �t l.d• . 1 .. " - ' mira a creare uno stato di cose nel quak s i : � l " ': : : . d , J I , 1 1 1 1 ( " ; ( re una costituzione ritenuta come q u d l: t : 1 1 1 i • l t i l • . l . . 1 1 1 l• l 1 1 p . 1 49) . Anche la dittatura rivoluzi ol t : l r i :t 1 1 x ' 1 1 1 . 1 o 1 . . . 1 , necessità ed esercita poteri ecceziol l:t l t • · l .. - ' 1 . . , . . 1 1 1 1 1 1 ' , , 1 1 1
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poranei (almeno nei propositi iniziali) , e per queste ragioni le si addice il nome di dittatura, ma il compito che le è attri buito o che si attribuisce è molto piu vasto: non è piu quello di porre rimedio a una crisi parziale dello Stato, come può essere una guerra esterna o una sommossa, ma è quello di risolvere una crisi totale, una crisi che mette in questione l'e sistenza stessa di un determinato regime, come può essere una guerra civile (una guerra cioè che può segnare la fine del vecchio ordinamento e la nascita del nuovo) . Mentre il dit tatore commissario è investito del proprio potere dalla costi tuzione, ha cioè un potere costituito, il dittatore sovrano ri ceve il proprio potere da un'autoinvestitura o da un'investi tura simbolicamente, ma solo simbolicamente, popolare, ed assume un potere costituente. Come caso esemplare di que sto secondo tipo di dittatura può essere ricordato quello del la Convenzione nazionale che decide il ro ottobre 1 793 di sospendere la Costituzione dello stesso anno (che non torne rà piu in vigore) e stabilisce che il governo provvisorio sia « rivoluzionario » sino a che non si sarà raggiunta la pace. Ri spetto alla dittatura classica, la dittatura giacobina non è piu una magistratura monocratica, anche se vi spicca la persona lità di Robespierre, ma è la dittatura di un gruppo rivoluzio nario, in concreto del Comitato di salute pubblica. Questa dissociazione, fra il concetto di dittatura e il con cetto di potere monocratico, deve essere sottolineata perché segna il passaggio dall'uso classico del termine, che viene anche dopo la rivoluzione applicato al regime introdotto da Napo leone, interpretato come dittatura militare, all'uso moder no, divulgato attraverso gli scritti di Marx e di Engels. Nei quali il termine, usato in espressioni come 'dittatura della borghesia' e 'dittatura del proletariato' , viene riferito non piu a una persona e neppure a un gruppo di persone, ma ad dirittura a un'intera classe, se pure stemperando il suo signi ficato originario tanto che potrebbe, vantaggiosamente, es sere sostituito dal termine 'dominio' , come del resto avvie ne in un'espressione tipicamente marxiana ed engelsiana come 'classe dominante'. Peraltro il carattere distintivo piu impor tante fra dittatura classica e dittatura moderna sta nell'esten sione del potere, che non è piu soltanto circoscritto alla fun zione esecutiva, ma si estende alla funzione legislativa e ad dirittura a quella costituente, anche se nel caso specifico il go-
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verno rivoluzionario francese tende a presentarsi come un governo che non abolisce ma sospende eccezionalmente e provvisoriamente la costituzione e quindi come dittatura nel senso classico della parola. In realtà la differenza della ditta tura rivoluzionaria (o che è lo stesso controrivoluzionaria) ri spetto a quella commissaria deve essere rilevata non attra verso le dichiarazioni di principi, fra le quali non manca mai il solenne annunzio della propria temporaneità, ma nei fatti, cioè negli effetti che essa produce nell'ordinamento prece dente. r r.
La dittatura rivoluzionaria.
Un passo ulteriore nella storia della fortuna del concetto di dittatura è quello che le fanno compiere gli sfortunati an tesignani di una rivoluzione (che di fatto non ebbe luogo) ugualitaria, Babeuf, Buonarroti e compagni, i protagonisti della cospirazione degli Eguali (9- r o settembre 1 795) . Nel pensiero di costoro, in particolare del Buonarroti, che, so pravvissuto alla condanna dei suoi compagni, diventò negli ultimi anni della sua lunga vita lo storico e il teorico della congiura nel libro Conspiration pour l'égalité dite de Babeuf [ r 8 2 8], era chiarissima l'idea che la rivoluzione dovesse es sere compiuta da un pugno di uomini, insieme animosi e il luminati, e che all'esplosione rivoluzionaria dovesse seguire uno stato transitorio contrassegnato dall'esercizio di poteri eccezionali concentrati nelle mani di poche persone (vero e proprio precedente storico dello stato di transizione di Marx e di Lenin), che infine la nuova società degli Eguali dovesse essere instaurata soltanto dopo che la dittatura rivoluziona ria fosse riuscita ad eliminare, ricorrendo, se necessario, alla violenza, non soltanto contro gli oppressori del popolo ma anche contro il popolo considerato come « incapace di rige nerarsi da se stesso », ogni vestigia del passato. Buonarroti scrive che per superare le difficoltà che si frappongono al suc cesso della rivoluzione occorre sf la forza di tutti ma questa forza non è nulla « se non è diretta da una volontà forte, co stante, illuminata, immutabile » e che « molte riforme sono necessarie prima che la volontà generale possa essere emessa e riconosciuta » [ r 828-29, trad. it. p. 496] . Uno dei compiti
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che il Buonarroti attribuisce al governo rivoluzionario dei « saggi » consiste nel preparare la nuova costituzione che do vrà concludere la fase rivoluzionaria, mostrando in tal modo al di là di ogni dubbio che il carattere saliente della dittatura rivoluzionaria è l'esercizio del potere sovrano per eccellenza che è il potere costituente. Rimane da sottolineare che, non diversamente dall'uso classico del termine, anche nel nuovo contesto 'dittatura' , pur avendo mutato il proprio significa to descrittivo, non ha perduto nulla dell'originaria connota zione positiva rispetto al significato valutativo. A differen za dell'uso odierno in cui 'dittatura' in quanto contrapposta a 'democrazia' ha assunto ormai, come ho già osservato, una connotazione quasi sempre negativa, il primo uso di 'ditta tura' per designare la dittatura rivoluzionaria (e del resto an che la dittatura militare) risente del favore di cui ha goduto il magistrato romano chiamato in situazioni eccezionali a sal vare la repubblica da guerre o ribellioni, e il termine viene usato ancora con una connotazione generalmente positiva. Non bisogna dimenticare del resto che nel Settecento era stato usato con una connotazione positiva, per la prima volta, an che il termine 'dispotismo' nella contrapposizione che il fi siocrate Le Mercier de la Rivière aveva fortemente delinea to fra dispotismo arbitrario « fabbricato dall'opinione che si presta a tutti i disordini, a tutti gli eccessi di cui l'ignoranza lo rende suscettibile » e dispotismo legale « stabilito natural mente e necessariamente sull'evidenza delle leggi di un ordi ne essenziale », e quindi inteso come la miglior forma di go verno che proprio per la monocraticità e l'assolutezza del po tere è in grado di leggere spassionatamente e perfettamente il gran libro della natura e dichiarare e fare applicare le uni che leggi che debbono regolare l'ordine sociale, le leggi na turali. Era bastato un aggettivo « illuminato » a far mutare il valore di un termine come 'dispotismo' , esecrato nei seco li. Quando Buonarroti chiama «illuminata» la volontà del co mitato di ardimentosi che deve guidare la rivoluzione e « sag gi » i componenti del governo dello stato di transizione, c'in vita ad accostare l'idea della dittatura rivoluzionaria a quel la del dispotismo illuminato. L'idea della dittatura rivoluzionaria come governo prov visorio e temporaneo, imposto da circostanze eccezionali, pas sò nella teoria e nella pratica di Blanqui, non nella teoria po-
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litica di Marx, che parlò di dittatura del proletariato nel senso di dominio di classe e non di un comitato e tanto meno di un partito, e quindi non nel senso tradizionale di forma tipi ca di esercizio del potere, non in quel senso che il termine aveva sostanzialmente conservato nel passaggio dalla ditta tura classica a quella moderna. Le uniche annotazioni che Marx fa sullo stato di transizione sono tratte dall'esperienza della Comune di Parigi tra il marzo e il maggio 1 87 1 e sono volte a mostrare che il governo della Comune è una forma di democrazia piu avanzata della democrazia rappresentati va dei piu avanzati stati borghesi. Ciò nonostante Engels nella prefazione agli scritti di Marx sulle guerre civili in Francia addita nella Comune di Parigi una prima grande e terribile prova della dittatura del proletariato. Ma ciò rende se mai piu esemplarmente evidente che altro è il dominio di classe (dittatura in senso non tecnico), altro è la forma di governo in cui questo dominio si esprime (che non era infatti nel caso della Comune, almeno nella interpretazione di Marx, una dit tatura in senso tecnico) . Nell'espressione marxiana 'dittatura del proletariato' il ter mine 'dittatura' non ha un significato valutativo particolar mente rilevante : dal momento che tutti gli Stati sono ditta ture, nel senso di dominio di una classe, il termine indica so stanzialmente uno stato di cose e quindi ha un significato essenzialmente descrittivo. Il passaggio dal significato valu tativo positivo proprio della dittatura sia come magistratura sia come governo rivoluzionario al significato valutativo ne gativo, oggi prevalente, come ho detto all'inizio, è avvenuto per il fatto che per dittatura s'intende ormai sempre piu non genericamente il dominio di una classe ma una forma di go verno, cioè un modo di esercizio del potere. Nell'estensione del concetto si fanno entrare piu o meno tutti i modi non democratici di esercizio del potere: in questo allargamento dei suoi connotati il concetto di dittatura ha perso via via alcuni caratteri essenziali che erano serviti per denotarlo, primi fra tutti quello dello stato di necessità e quello della tempo raneità, proprio quelle denotazioni che avevano giustificato lungo tutto il corso della filosofia politica un giudizio positi vo sulla istituzione (il dittatore romano) e sulla forma di go verno su di essa esemplata (la dittatura rivoluzionaria) .
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