Richard Bach
Le Storie Dei Furetti Saper Perdere Rangers Ferrets On The Range © 2003
I furetti, la montagna e il mare C'erano una volta due furetti che vivevano vicino a un sentiero di campagna. Il sentiero seguiva il cammino del sole: la montagna lo vedeva nascere e il mare tramontare. I due furetti erano amici ma, mentre lei si sentiva attratta dal mare, lui lo era dalla montagna. E nessuno dei due seppe resistere a un richiamo così forte. «Che tristezza» disse lui «che le nostre strade ci portino in direzioni opposte.» «E’ terribile» aggiunse lei «doverci separare.» I due custodirono teneramente il proprio amore, ma ascoltarono il loro più alto senso del bene e si incamminarono lungo il sentiero, ognuno per la propria strada. Dopo numerose avventure scoprirono che, dietro la montagna, il sentiero conduceva al mare e, oltre il mare, portava verso la montagna. Dall'altra parte della montagna e del mare, i due innamorati si incontrarono di nuovo e le loro strade si ricongiunsero, tornando a essere una sola. Il nostro più alto senso del bene conosce ogni futuro possibile. Se sapremo ascoltarne i sussurri, scopriremo che il premio finale è la nostra più grande felicità. Antonius Furetto, Favole
Capitolo 1 «Non ho mai visto una cowboy con il cappello blu...» Cheyenne Jasmine era una furetta ancora molto giovane e, a dire il vero, lo era anche lui, che cercava di insegnarle a cavalcare i dolfini. La piccola dal mantello argentato si aggiustò il cappello sulla fronte, Richard Bach
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accennando un sorriso. «Tanto per cominciare, caro il mio Montgomery, non sono una cowboy, e faresti meglio a ficcartelo bene in testa. Invece di pensare al mio cappello, pensa a insegnarmi quello che sai!» Vivevano con i rispettivi genitori in due ranch confinanti, alla fine della strada lungo il fiume, riparati a ovest dalle imponenti montagne di Sweetroot, a nord e a est dalle selvagge praterie del Montana. Prima e dopo la scuola, e quando non dovevano rendersi utili a casa, cavalcavano insieme. Ora Monty era tranquillamente seduto in sella a Boffin, il suo dolfino grigio. Con le zampe incrociate, appoggiate alla sommità della criniera, osservava l'incantevole amica. «Se vuoi che salti, devi spostare il tuo peso all'indietro, Cheye. Per riuscire a saltare Starlet ha bisogno di alleggerire le zampe anteriori e di poter alzare il muso.» «Non vuole proprio saperne di saltare, Monty» disse Cheyenne mogia in sella al proprio dolfino. Lentamente, girò attorno all'imperturbabile Boffin e si fermò accanto a lui. «Mi spingo all'indietro, ma non c'è niente da fare. Invece di saltare si ferma!» «Secondo te qual è il problema, Cheye?» «Non vuole saltare.» «Questa è bella!» disse il suo istruttore. «Ma se con me non si è mai rifiutata! Come te lo spieghi?» «Si vede che le sei simpatico. Come a tutti i dolfini» sbottò avvilita la piccola Cheyenne. «Non vuole saltare perché io non sono te.» «Brava, continua pure a fare la zuccona. Ti sarà d'aiuto...» replicò tranquillo Monty. «Ti farò un'altra domanda: a cosa sta pensando? Ogni volta che non riesci a spiegarti il comportamento di un animale, chiediti: "A cosa sta pensando?".» «E come faccio?» chiese Cheyenne, ansiosa di conoscere la risposta. «Entra nella sua testa! Fai finta di essere Starlet. Prova adesso. Dunque, hai appena terminato la curva e vedi la staccionata; pensi: "Voglio saltare per Cheyenne!". Coraggio, prova.» L'allieva rimase a lungo in silenzio, come in trance, mentre immaginava la scena. «Non posso saltare» disse alla fine. «Benissimo. E perché non puoi saltare?» Cheyenne ci rifletté, la sua mente era un tutt'uno con quella del dolfìno, e all'improvviso capì. «Non sono abbastanza veloce! Cheyenne mi rallenta!» Richard Bach
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L'istruttore sorrise. «Interessante, non trovi? Credi che sia vero? Vuoi riprovare?» Il mantello di Cheyenne era luminosissimo. La piccola abbassò il capo verso il collo del dolfìno e, con il cappello calato sulle orecchie, partì al galoppo affrontando a tutta velocità la curva che portava alla staccionata. Il rimbombo degli zoccoli di Starlet fece tremare la terra, echeggiando per tutto il canyon in una nuvola di polvere. Monty la osservava. «Vai Cheye» disse sottovoce. La furetta dal mantello argentato lasciò andare il proprio peso all'indietro sussurrando: «Vola!». La coda come la scia di una cometa, Starlet si lanciò nel cielo insieme a Cheyenne. Come in una scena al rallentatore, nel silenzio irreale di un momento in cui il tempo parve fermarsi, il dolfino volò sopra la staccionata. Nell'istante in cui atterrò, la terra riprese a tremare e il rimbombo tornò a echeggiare per la vallata. Rispondendo al comando di Cheyenne, Starlet girò bruscamente e, dopo aver compiuto un mezzo giro, si fermò accanto a Boffin sbuffando vigorosamente. «Funziona!» esclamò l'allieva con gli occhi colmi di gioia. Il bell'istruttore annuì. «Non ci posso credere!» esclamò Cheyenne, ansimando per la felicità. Monty rimase ad ascoltare in silenzio. «Sono entrata nella sua mente! Volevo saltare... e voleva saltare anche lei!» «Direi che è andata proprio così.» «Lo rifacciamo?» «Dipende. Pensi che Starlet ne abbia ancora voglia o che sia stanca?» Il dolfino tese le orecchie in avanti e cominciò ad agitare la criniera al vento. Gli occhi neri come la notte di Cheyenne si illuminarono di gioia. «Sì, ne ha voglia!» «Forza allora, fallo...» Ma non fece in tempo a finire la frase che l'amica era già partita al galoppo. Montgomery si esercitava a guardare con le orecchie e il corpo, a occhi chiusi. La sentì arrivare alla curva che portava alla staccionata. Dal rumore degli zoccoli capì che era un po' lenta. Richard Bach
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Cheyenne spronò Starlet ad accelerare sul rettilineo, lasciò andare il proprio corpo all'indietro e spiccò il volo. Silenzio... uno... due... tre... e di nuovo il rumore degli zoccoli sulla terra, con il dolfìno che rallentava per girare. Monty non stava più nella pelliccia. Si chinò in avanti e sussurrò: «Dai, Boffin, facciamogli vedere chi siamo. Alla staccionata più alta!». Monty e Cheyenne erano inseparabili: insieme cavalcavano, esploravano, curiosavano tra la vegetazione della prateria e passavano ore e ore a osservare gli animali e le stelle. A volte, per poter cavalcare all'alba, si alzavano da tavola in fretta e furia, prima di aver finito la colazione, mentre i genitori li rincorrevano dicendo: «Almeno finisci la tua spremuta!». Una volta, Zander, il fratello di Monty, guardandoli aveva commentato: «Quei due sono fatti l'uno per l'altra. Diversi come l'acqua e la roccia, uguali come gli uccellini su un ramo!». Il cugino Furettone Jupe, assistendo alla scena, aveva annuito come per dire: «Ben detto!». Secondo lui lo sapevano tutti, anche se nessuno lo diceva. Monty aveva un dono particolare con gli animali e aveva giurato a se stesso di trasmetterlo solo all'amica del cuore, e ci era quasi riuscito. Tuttavia, mentre a lui bastava aprire il palmo di una zampa perché vi si posasse una farfalla, Cheyenne doveva sforzarsi un po' di più. Non sono buona come Monty, pensava Cheyenne. Non ho la sua pace interiore. Per insegnarle ad avere pazienza, Monty le cospargeva sementi sulla tesa del cappello, e le diceva di rimanere immobile fino a quando non fossero arrivati gli uccellini a fare colazione. Così Cheyenne imparò a essere paziente e provò una grandissima gioia nel sentire il loro impercettibile peso mentre si cibavano fiduciosi sul suo cappello. Cheyenne ci rifletté e un giorno, mentre cavalcavano lungo Sable Canyon, gli disse: «Monty, sento di poter contare su di te come su nessun altro al mondo. Non ci avevo mai pensato, ma ora capisco che è sempre stato così. Sei davvero importante per me». Era vero, Monty annuì. Poi disse: «Io ci sarò sempre per te, Cheye. Per tutta la vita, qualsiasi cosa succeda». Se il grande amore di Monty erano gli spazi aperti, quello di Cheyenne erano gli spazi chiusi del... grande schermo. Ogni fine settimana, dopo Richard Bach
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l'escursione nella prateria, i due amici cavalcavano fino a Little Paw per accomodarsi sulle raffinate poltroncine di velluto rosso nella fila centrale del CineFur. «Questo vi piacerà, ragazzi» disse Furetto Alexopoulos restituendo i biglietti strappati, attraverso lo sportello del botteghino novecentesco, arrivato via mare direttamente dall'isola di Chios. «Furetto Heshsty è un giovane regista, ma vedrete cosa riesce a fare con la luce. Osservate come la luce racconta la storia!» Ben presto Cheyenne chiese ad Alexopoulos se avesse potuto dargli una zampa al cinema vendendo biglietti e pop-corn, cambiando le locandine e gli allestimenti e facendo le pulizie; insomma, qualsiasi cosa pur di scoprire come la magia riuscisse a passare dalla mente alle immagini. «Non ti potrò pagare molto» rispose Alexopoulos «ma vedrai i film gratis.» Durante ogni proiezione, Cheyenne imparava qualcosa e più imparava, più comprendeva il valore di ogni più piccolo, insignificante movimento grazie al quale un attore può dare una svolta alla storia, semplicemente cambiando stato d'animo pur mantenendo un'espressione apparentemente identica. Alexopoulos rispondeva alle sue domande e la interrogava per metterla alla prova. Le fece vedere un'infinità di film e la seguì da vicino, notando col passare del tempo enormi progressi che la rendevano sempre più bella anche agli occhi degli altri. Riteneva che Cheyenne non fosse così attraente solo per il suo aspetto fisico. Non è solo questione di bellezza, diceva a se stesso; Cheyenne ha una sorta di... trasparenza. Ecco, «trasparenza» era la parola giusta. Dentro di sé, la piccola furetta aveva la stessa magia che riusciva a catturare dallo schermo. A volte le lezioni erano durissime, a volte doveva recitare le scene senza parlare, da sola, in piedi e al buio in fondo alla sala. Una mattina, durante una proiezione, sbagliò una battuta per tre volte di fila e, in preda allo sconforto, disse sottovoce a Alexopoulos: «Non la imparerò mai!». «Non è detto» rispose Alexopoulos. «E un lavoro che richiede molti sacrifìci.» Cheyenne guardava ancora i film insieme a Monty, prestando più attenzione al volto dell'amico che allo schermo. Chissà cosa sta provando durante questa scena, si interrogava. Potrò mai capire cosa prova? Richard Bach
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Gli attori trasferiscono la loro anima nella recitazione, pensò, così come Monty trasferisce la sua nei dolfini. Nel cinema, anima e tecnica hanno bisogno l'una dell'altra. Se una delle due viene a mancare, la storia non trasmette emozioni. Più d'una volta, quando i due amici uscivano dal buio della sala per cavalcare fino a casa, il mantello di Cheyenne era bagnato di lacrime. «Che film meraviglioso, Monty» disse una volta Cheyenne, di ritorno verso casa dopo aver visto Viaggio disperato. «Laura l'ha sempre amato, ma gliel'ha detto solo alla fine! Pensa quanto tempo ha passato il povero Stefan senza saperlo.» «Cavolo, ma perché non gliel'ha detto subito?!» rispose Monty togliendosi il cappello e aggiustandosi il ciuffo con la zampa. «Io gliel'avrei detto subito; almeno Stefan avrebbe fatto la propria scelta più consapevolmente.» «Ma cosa dici, sciocchino?!» replicò Cheyenne avvicinandosi ancora di più all'amico, mentre in sella a Starlet e Boffin andavano incontro al tramonto. «Non potevo dirtelo, Stefan. Avrei voluto, ma non potevo. L'amore non è tale se c'è bisogno di chiederlo...» Le parole di Cheyenne suonarono ancora più dolci e profonde di quelle pronunciate dall'attrice. Non sembravano rivolte a uno Stefan lontano, ma a Monty, tanto vicino da poterlo toccare. Col passare del tempo, la passione di Cheyenne per il cinema cresceva. La piccola pensava che un attore, attraverso i suoi personaggi, mettesse in scena ogni volta una vita diversa, consentendo agli spettatori di vivere esperienze che, altrimenti, non avrebbero mai fatto. Mostrando cosa comporti prendere decisioni diverse a seconda delle circostanze, gli attori ci aiutano a diventare più saggi e maturi. Chissà come ci si sente, si domandava, a possedere un dono del genere. Cheyenne rifletté a lungo e, dopo molte chiacchierate con l'amico, un giorno prese la decisione. «Vado a Hollywood» gli disse davanti alla tovaglia a scacchi bianchi e rossi dove stavano per fare un picnic a base di sfiziosi ortaggi, noci e bacche appena raccolti. Una borraccia di acqua di montagna penzolava dal ramo di un pino. Nel prato attorno, le margherite azzurre sfiorate dal vento sembravano annuire in segno di approvazione. L'amico rimase in silenzio. E giusto così, pensò; è la sua strada. Ha lavorato sodo e ha capacità e passione da vendere... poi è così bella. Non Richard Bach
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passerà certo inosservata. «Il signor Alexopoulos mi ha detto che fare l'attore è un mestiere diffìcile» disse Monty. «Non si esce quasi mai all'aria aperta: si comincia presto e si finisce tardi, sempre a ripetere le stesse scene. Non finirai per stancarti, Cheye, di un lavoro tutto sommato così... banale?» «Non c'è niente di male a fare cose banali, fino a quando non ci si sente banali» disse citando una famosa frase. «Monty, voglio fare qualcosa che possa cambiare la vita degli altri. E allora ben vengano l'alzarsi presto il mattino e le scene ripetute fino allo sfinimento.» Poi guardò l'amico, sicura che avrebbe capito. «Devo provarci.» Monty sentì la sua vita scivolare via, allontanandosi nell'erba. Rimase a lungo in silenzio, prima di farle la domanda più importante per un furetto: «E lì che ti porta il tuo più alto senso del bene?». Mentre Cheyenne pensava alla risposta, le ombre si allungarono leggermente. A un certo punto si aggiustò la tesa impolverata del cappello e disse: «Sì». «Grandi cambiamenti in vista» commentò Monty. Cheyenne annuì. I due amici rimasero a guardarsi lungamente negli occhi. La sera prima della partenza di Cheyenne, nella sala cerimonie del villaggio si svolgeva la festa della mietitura. Monty e Cheyenne erano presenti con i genitori, in mezzo a una moltitudine di animali venuti dai paesi vicini. Anche Alexopoulos non era voluto mancare e, per una sera, il CineFur era rimasto chiuso. In quell'occasione, tutti sfoggiavano le sciarpe e i cappelli più belli per danzare al ritmo delle chitarre e dei violini: musica allegra per una serata di festa. Figure sinuose dalle code leggiadre danzavano sottobraccio, girando in tondo, formando quadrati e disponendosi in fila sul pavimento coperto di foglie. Durante le danze, i due amici si videro, illuminati dalle rispettive stelle. Cheyenne portava il solito cappello blu, mentre Monty, per l'occasione, aveva dato una spolverata a quello marrone. Si presero sottobraccio senza staccare gli occhi l'uno dall'altra ma subito dovettero separarsi, rispettando le regole del ballo. Nell'aria, si sentiva già il profumo dell'inverno, imminente come il cambiamento nelle loro vite. Dopo un po', Monty sparì. Cheyenne se ne accorse e sgattaiolò via dalla pista da ballo, infilò la porta aperta e passò dalle luci della sala al buio della notte. Lo vide seduto sul marciapiede, appoggiato a un palo, che Richard Bach
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guardava le stelle. «Dov'è il mio bel cowboy?» «Ciao, Cheye. Volevo starmene un po' in pace.» «È una bellissima festa.» Monty annuì. «Dai» lo stuzzicò «vieni a divertirti.» «Preferisco un po' di tranquillità.» «E cos'hai capito mentre ti godevi la tua tranquillità?» Ci pensò attentamente, poi decise di giocare la sua ultima carta. «Ecco cosa ho capito.» Il cowboy aprì la zampa. Radiosa come la luce del sole, sul palmo apparve una margherita azzurra, colta quel pomeriggio nel prato dove avevano fatto un picnic. «Oh...» «Non sono molto bravo per gli addii.» «Lo so.» Il chiaro di luna illuminava il volto mortificato e i baffetti di Monty. Cheyenne rimase incantata a osservare quell'immagine, avrebbe voluto fissarla dentro di sé per l'eternità. Il tempo scivolava dolcemente addosso a loro come una calda coperta che nessuno dei due voleva sollevare. Erano amici da così tanto tempo, e avevano sempre dato per scontato che non si sarebbero mai separati. Alla fine Monty si alzò e sciolse dal palo le redini di Boffìn. «Allora adesso ti aspetta una bella avventura in California...» «Chi lo sa. Comunque farò del mio meglio.» In quegli attimi, il tempo rallentò, ma non si fermò. Guardando negli occhi Cheyenne, Monty sfiorò con la zampa la tesa del cappello. Era quello il suo silenzioso addio. Lei gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. Poi, sussurrando, gli disse: «Addio, Monty...». Il cowboy saltò in sella con un balzo e la piccola furetta lo guardò sparire nel buio della notte. Il mattino seguente, Cheyenne Jasmine salì sul treno alla stazione di Little Paw, destinazione Hollywood. Biglietto di sola andata.
Capitolo 2 Richard Bach
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Il treno non aveva ancora lasciato Little Paw, si vedeva ancora il tetto dell'auditorium del villaggio, quando Cheyenne capì di aver commesso il più grande errore della sua vita. Con i baffetti schiacciati contro il finestrino, guardava l'unico luogo al mondo che poteva chiamare casa. Facile dire frasi come «Hollywood, sto arrivando!», oppure «Finché non provo non lo saprò mai». Ora l'ignoto non era più una possibilità da cui si poteva sempre tornare indietro, ma l'unica certezza per il futuro. Cheyenne seguiva con lo sguardo le montagne di Sable Canyon che scorrevano lungo il finestrino. Chissà se, come ultima immagine da portare con sé, cercava quella di un cowboy solitario in sella al suo dolfìno che, sulla cima di un monte, osservavano il treno allontanarsi. A fatica, distolse lo sguardo da Little Paw, prima che il treno le oscurasse la visuale. Gli altri passeggeri nello scompartimento videro in lei un'adorabile furetta seduta composta, con le zampette conserte e la schiena diritta. Non si accorsero però che stava strenuamente lottando per la propria vita nel tempestoso mare del cambiamento. Chissà dove dormirò stanotte, si chiese Cheyenne. Dove andrò una volta arrivata a Hollywood? Chi incontrerò e che lavoro farò per sopravvivere? Non so neanche se riuscirò mai a mettere zampa in uno studio o in un set cinematografico! La mia casa è il Montana e i suoi abitanti; mamma, papà, Monty; la mia cameretta; Starlet e Boffìn; i miei amici e i dolfini. E tutto questo... tutto questo si sta allontanando sempre di più! Una lacrima le cadde sulla zampa. Come si può essere così stupidi?, pensò. «Mi mostrerebbe il biglietto, per cortesia?» Cheyenne non colse lo sguardo tenero, da fratello maggiore, del controllore, dal momento che si girò dall'altra parte per asciugarsi le lacrime mentre gli porgeva il biglietto piegato in due: Little Paw-Denver; Denver-Hollywood. Cheyenne sentì il rumore della macchinetta perforatrice e, quando il controllore le restituì il biglietto, vide che nel cartoncino c'era un foro a forma di cuore. A quel punto alzò gli occhi attonita; il controllore si chinò verso di lei e con dolcezza le disse: «Non devi per forza sapere cosa ti aspetta, Cheyenne Jasmine. Il tuo più alto senso del bene ti guida e non ti abbandonerà mai». Cheyenne rimase ammutolita, con gli occhi sgranati. Richard Bach
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Il controllore si toccò il cappello in cenno di saluto e proseguì nell'altra carrozza. «Biglietti, prego.» Come faceva a sapere il suo nome? E come faceva a conoscere il suo futuro? Cheyenne, più confusa che mai, cercava una spiegazione al misterioso evento, ma dovette accontentarsi del ritmico rumore delle rotaie, attutito dalle pareti della carrozza. Nel frattempo il Montana scorreva veloce oltre il finestrino. La giovane teneva il biglietto nella zampa. Attraversando il foro, un raggio di sole le disegnò un cuore di luce sul mantello argentato. L'arrivo a Hollywood fu molto diverso da come lo aveva immaginato. Appena scesa dal treno, mentre era ancora sul marciapiede della stazione, vide uno splendido furetto che reggeva un cartello con la scritta «ATTORE?». Stupita, Cheyenne si fermò a chiedere spiegazioni. Il furetto le rispose: «Significa che se sei un'attrice ed è la prima volta che vieni a Hollywood possiamo aiutarti. Hai bisogno di un appartamento, di un book fotografico, di sapere chi sta facendo un casting e dove ci sono dei provini? Siamo qui per questo». «Ho bisogno di tutto l'aiuto possibile» rispose con un sorriso Cheyenne. La Casa per Giovani Attori era una deliziosa palazzina molto accogliente, con stanze in stile antico, a due passi dal Wilshire Boulevard. Un tempo era appartenuta a Furetto Beastil, una leggenda del film muto, che l'aveva lasciata in eredità alle future generazioni di attori. Le pareti erano rivestite di pannelli scuri tappezzati con immagini di attori, caratteristi, commedianti, ballerini e controfigure. Al primo piano c'era la cucina dove gli ospiti si alternavano ai fornelli, preparando pranzi e cene per tutti. I coinquilini di Cheyenne, memori del loro primo arrivo a Hollywood, le riservarono una calorosa accoglienza, ripetendole continuamente frasi come: «Ma quanto sei carina!»; «È un piacere averti qui!»; «Vedrai che farai strada!». Tra di loro non c'era competizione: erano tutti sicuri di essere nati per recitare un ruolo che nessun altro avrebbe potuto interpretare. Così si prestavano a vicenda cappelli e sciarpe per andare ai provini, a volte si preparavano per gli stessi ruoli, convinti che la parte sarebbe andata solo a chi era destinato ad averla. Richard Bach
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«Cheyenne?» disse, affascinata dal nome, Jerica, una minuta furetta color sabbia, che passò in rassegna la lista delle camere e gliene assegnò una in cima alle scale. «Solo film western?» «Spero proprio di no!» Le scale erano coperte da un tappeto in stile liberty color muschio, mentre le pareti erano sfarzosamente decorate con motivi rossi e dorati che ricordavano il CineFur. «Per carità, adoro il Far West, ma spero di cimentarmi anche in qualche genere più moderno, che so, film drammatici, commedie, noir, film d'azione...» «Cheyenne è proprio un bel nome. Ma fa molto film western. Comunque vedremo. Caso mai ti piacesse un altro nome o ce ne fosse uno che hai sempre sognato di avere, questo è il momento giusto per dirlo.» Prima ancora di aver terminato il book, Cheyenne spedì a Monty una foto con dedica. Al mio cowboy, con affetto, tua Cheyenne. Trascorse molto tempo prima che tornasse a firmarsi con quel nome. Un giorno l'aspirante attrice si presentò al provino per una piccola parte ne La signora che parla, un film ambientato nel secolo scorso. Il ruolo era quello di un'impresaria teatrale che doveva recitare una sola battuta: «Placidia, tocca a te». Jasmine ripeteva la frase in continuazione e le compagne di stanza le davano pareri e consigli. «Placidia, tocca a te.» La furetta decise che il tono non doveva essere freddo e autoritario, ma gentile e incoraggiante, come se da Placidia si aspettasse un dono. Al provino, la responsabile del casting la osservò con attenzione, facendole recitare la battuta una sola volta. Poi, impassibile, le allungò un biglietto: «Mercoledì, ore sei, B». Quando la giovane attrice ringraziò, la responsabile stava già scegliendo due piccoli gemelli tra quattro coppie di adorabili cuccioli. Jasmine si precipitò a casa, spalancando la porta in vetro e noce massiccio della vecchia palazzina. «Ce l'ho fatta! Ho avuto la parte!» I compagni, felici per la notizia, la accerchiarono chiedendole di ripetere la battuta come al provino. Poi le spiegarono che «ore sei» significava alle sei del mattino e «B» era il secondo più grande studio cinematografico della Silver Mask Studios. Mercoledì mattina alle cinque e mezza, Jasmine si presentò, pettinata e spazzolata, allo studio B della Silver Mask con il suo biglietto d'ingresso. Richard Bach
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«In bocca al lupo, signorina Jasmine» le disse il guardiano salutandola mentre entrava negli Studios. Jasmine si infilò nella porta insieme alle truccatrici. «Tu devi essere Jasmine» le disse sorridendo una di loro. La nuova arrivata fece segno di sì, tremando forte come una foglia. «Vieni con noi, tesoro. Ti prepareremo per andare in scena. “Io sono Molly e loro sono Penta e Glorielle.» «E la mia prima volta davanti a una macchina da presa...» «Stai tranquilla» la rincuorò Glorielle. Il pavimento era coperto da grovigli di cavi neri e lo studio era diviso da mezzi sipari. Sui monitor apparivano le immagini di set vuoti, senza pubblico. Alzando lo sguardo, ci si perdeva in una foresta di luci e faretti fissati alle impalcature; la maggior parte su enormi ponteggi e treppiedi. Riuscirò a imparare tutto? Questo luogo diventerà casa mia? Le tre furette fecero accomodare Jasmine in sala trucco: specchi circondati da luci e ripiani stracolmi di matite, ombretti, pennellini e spugnette di ogni colore e forma. Poi cominciarono a osservarla da tutte le angolazioni. «Che ne dici, Penta?» chiese Molly. «Che viso meraviglioso! Direi che un velo di fondotinta e un tocco di baf-liner sono più che sufficienti.» «Ha tutte le carte in regola» commentò Glorielle. «E adorabile. Anzi, anche qualcosa in più...» Penta ammirava incantata Jasmine, come fosse di fronte a una creatura fantastica. Alla fine scosse la testa. «No, soltanto un po' di talco.» Le altre truccatrici osservarono di nuovo la giovane attrice e annuirono in segno di approvazione. Niente fondotinta e baf-liner per l'incantevole furetta acqua e sapone dagli occhi neri; solo un velo di talco per evitare che il riflesso delle luci sul mantello sovraesponesse la pellicola. Per la prima volta nella sua vita, Jasmine sentì la fresca fragranza delle nuvolette di talco sul suo corpo. Un giorno, pensò Penta guardandola nello specchio, Hollywood sarà sua. In un attimo, fu dichiarata «perfetta» e subito congedata. «E adesso cos'è quella faccia, tesoro?» disse Molly. «Le luci della ribalta stanno per accendersi; rilassati e pensa a divertirti!» Il talco sembra funzionare, pensò Jasmine sul set. Tutti gli occhi erano Richard Bach
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puntati su di lei. Intorno solo bisbigli. «Guardate!» «Wow...» C'erano l'aiutoregista, il cameraman, i tecnici del suono, gli addetti alla giraffa e al carrello, e gli elettricisti che, sulle impalcature, correvano avanti e indietro spostando cavi e riflettori. Tutti sapevano che sul set c'era qualcuno di nuovo e che si chiamava Jasmine. Finalmente arrivò il regista, un tipo di poche parole dal mantello color caramello e il muso nero leggermente brizzolato. Attorno al collo, Furetto Heshsty portava il suo segno di riconoscimento: una sciarpa di seta consunta. Salutò con un cenno del capo e, quando lo videro arrivare, tutti ammutolirono. «Buongiorno a tutti. Oggi gireremo solo qualche scena. Ci sono obiezioni?» Heshsty alzò lo sguardo. Passando in rassegna i colleghi, si accorse di Jasmine, che restava in disparte rispetto al resto del gruppo. Ma rimase impassibile, non disse una parola. Mentre tutti lo osservavano guardare la nuova arrivata, il regista si ricordò di salutarla e lo fece con il solito cenno del capo. Educatamente, la giovane ricambiò. Anche a Jasmine era giunto all'orecchio che Heshsty stesse terminando una sceneggiatura segreta di cui si conosceva soltanto il titolo. A Hollywood si diceva che La prima luce sarebbe stata una trilogia, ma girava voce che i film fossero addirittura cinque. Alcuni erano certi che il primo episodio si intitolasse L'origine; secondo altri era invece Pianeta casa. Tutto il resto era mera speculazione. Il punto di vista di un giovane regista sulle origini della propria razza era il progetto più top secret di tutta la storia della Silver Mask. Quella mattina Jasmine ascoltò le indicazioni di Heshsty a venti zampe di distanza. «Come avrete visto, i giornali stanno cominciando a parlare piuttosto bene de La signora che parla. Continuate così. E continuate ad amare quella macchina da presa» disse il regista sorridendo, senza togliere gli occhi dalla bozza finale della sceneggiatura. Poi si girò verso due attori che indossavano sciarpe e cappelli d'epoca. «Millisa e Nolan, stamattina cominciate voi. Mantenete la meravigliosa tensione che avete in questo momento. Oggi giriamo la scena più Richard Bach
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importante di Millisa, e quello che...» In quel momento, Jasmine sentì dall'alto un rumore, come di un colpo di frusta, e un sibilo che fendeva l'aria avvicinandosi sempre di più, con la minacciosa forma di un riflettore che finì per schiantarsi al suolo in un'accecante esplosione di scintille, vetri e pezzi di lamiera a non più di cinque zampe da lei. «Corpo di mille roditori!» gridò Jasmine accovacciandosi con le zampe sulla testa per proteggersi. Il rumore del riflettore si era ormai affievolito e tutti si voltarono sbigottiti verso di lei, attirati dalla sua esclamazione. Nessuno si mosse. «Signorina Jasmine» disse imperterrito Heshsty «questo è il set di uno studio cinematografico. Siamo felici di averla qui con noi e non vediamo l'ora di lavorare insieme a lei. Tuttavia, se non le dispiace, saremmo lieti se potesse evitare di utilizzare questo genere di linguaggio sul luogo di lavoro.» Jasmine si sentì mortificata. Era il suo primo giorno sul set, e aveva imprecato! Avrebbe voluto chiedere scusa, ma i baffetti le tremavano troppo e le parole le si erano fermate in gola. Così riuscì soltanto ad annuire. «Grazie» disse il regista distogliendo lo sguardo da lei, ma dandole ancora un'ultima occhiata prima di tornare dalla protagonista. «Allora, dicevamo che oggi gireremo la scena più importante di Millisa...» Il turno di Jasmine arrivò solo verso mezzogiorno. Nel frattempo, imparò velocemente osservando gli altri. Conosceva i suoi passi e li seguì uno a uno, fermandosi di fronte alla protagonista, quasi ansiosa di pronunciare la battuta. «Placidia, tocca a te.» Silenzio. Subito dopo, Heshsty disse solo quattro parole: «Stop. Okay. Grazie, Jasmine». Nessun suggerimento, nessuna correzione, nessun secondo ciak. Jasmine lasciò lo studio senza neanche dare un'occhiata ai fotogrammi della sua scena, convinta che non avrebbe mai più lavorato a Hollywood. Non riusciva a credere a cosa aveva fatto. Ho imprecato!, pensò. Sul palcoscenico! Fu l'unica a non notare la propria espressività durante le riprese, la luminosa vulnerabilità dei suoi occhi neri in quell'unico istante di recitazione. E fu anche l'unica a non accorgersi che, mentre si allontanava dal set, Heshsty la seguì con lo sguardo fino a quando non fu uscita dalla Richard Bach
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sala. L'intensità di quell'attimo fu tale che, il giorno seguente, i giornali accostarono il nome del regista a quello della giovane attrice. La rivista «Celebrity Ferrets» titolò in prima pagina: FURETTO HESHSTY SALVA LA VITA A UNA GIOVANE ATTRICE INDIFESA. Ancora più dettagliatamente, nella pagina dedicata a Hollywood di «Chissà» c'era scritto: «Elettricità pura negli studi della Silver Mask, quando Heshsty incontra per la prima volta la debuttante Jasmine, appena arrivata dal Texas».
Capitolo 3 Monty sentiva la mancanza di Cheyenne più di quanto volesse ammettere. Tuttavia, i furetti non si lamentano e non cercano di far cambiare idea a chi ha preso una decisione. Cheyenne se n'era andata a ovest, mentre lui era rimasto a Little Paw. Si dedicava ai dolfini e cercava di comprenderne il linguaggio. Un giorno capì che i genitori di Boffin erano stati animali selvaggi, veloci come il vento. Monty, gli disse il dolfino, è arrivato il momento. Ho bisogno di gareggiare! Per verificare di aver capito bene, il giovane cowboy non perse tempo, sciolse Boffin in un prato e lo cronometrò sulle distanze di mille-mila e dieci-mille-mila zampe. I tempi del dolfino lo sbalordirono letteralmente. Per la gioia di Boffin, si iscrissero a tutte le gare dello Stato senza perderne neanche una e, in breve, tra i furetti cowboy del Montana non si parlò d'altro che dell'imbattibile coppia. Un giorno l'animale nitrì, si girò verso il compagno e gli disse, soltanto muovendo i baffi: Te l'avevo detto che potevo correre! Con i premi delle vittorie, Monty acquistò la distesa del vecchio Donnola Gramp, vicino alle rive del Little Paw River. Restaurò la capanna sul pino e vi aggiunse una baracca e una selleria. Senza l'aiuto di nessuno, ricostruì il recinto e spianò una parte di terreno per ricavarne una pista da corsa e un granaio. Una mattina all'alba, Monty era tutto indaffarato a issare con un paranco la trave portante del tetto. «Serve una zampa?» La furetta che aveva pronunciato quelle parole si era avvicinata così Richard Bach
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silenziosamente che, per poco, Monty non lasciò andare la fune dallo spavento. Il pesante tronco oscillò pericolosamente sopra la sua testa. Monty si girò come meglio poteva reggendo la fune e, alla sua destra, vide una piccola furetta dal mantello color noce moscata, con delle screziature più scure sul musetto. «Grazie» rispose a denti stretti, mentre risollevava la pesante trave uno zampimetro alla volta. «Un attimo e sarò subito da lei.» Poi fece un gran respiro e riprese a tirare la fune. «Sembra pesante» disse la visitatrice. «Già.» Per un attimo, Monty pensò di fissare la fune e fermarsi a riposare, ma subito cambiò idea: non avrebbe mai abbandonato l'impalcatura senza aver prima ultimato il lavoro. «Posso aiutare?» Monty sorrise, rimanendo aggrappato alla corda con le zampe tremanti, pensando che, anche se si fosse appesa alla fune con tutta la forza che aveva, la trave non si sarebbe mossa di uno zampimetro. «Sì» grugnì. «Fammi diventare più forte!» «Più forte quanto?» A quel punto, Monty scoppiò a ridere e la trave ricominciò a precipitare. In quel frangente, il massimo che riuscì a fare fu arrestare la caduta incastrando la fune in una bietta. La trave tornò a oscillare minacciosamente sopra di lui. Monty si girò verso l'interlocutrice. «Scusa?!» «Ti ho chiesto quanto più forte vorresti diventare» gli rispose più seria che mai la piccola furetta. «Be', abbastanza forte da riuscire a fare quello che sto cercando di fare.» La sconosciuta annuì convinta. Gli si avvicinò di un altro passo, come per presentarsi, ma disse solo: «Ecco fatto». Monty le diede la zampa. «Piacere, Montgomery. Ma... "fatto" cosa?» «Io sono Kinnie, e adesso che ci siamo presentati, riprova a tirare la fune.» «Magari tra un attimo. E la trave portante, quella più pesante. Con le altre sarà più semplice.» «Prova adesso.» Monty si chiese il motivo di quell'insistenza. Poi ricordò i suoi principi fondamentali: rispetto per i più anziani, per i coetanei, per i più giovani e per se stessi. Richard Bach
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Stranamente non riusciva a collocare la sua spregiudicata, piccola visitatrice in nessuna di quelle categorie. Kinnie sembrava allo stesso tempo saggia e giovane, estranea e intima. A ogni modo, fece come gli aveva chiesto. Appoggiato al paranco, fece un respiro profondo; poi, seguendo con le zampe la fune dall'alto al basso, la liberò dalla bietta. La afferrò saldamente, proprio come prima, ma questa volta non faticò particolarmente a reggere l'enorme peso. «Abbastanza forte da riuscire a fare quello che sto cercando di fare» era stata la sua richiesta, ed era stato accontentato. Chi era quella creatura? Senza compiere sforzi eccezionali, Monty recuperava la fune zampa dopo zampa, facendo salire lentamente la gigantesca trave. Ora la trave dondolava sopra le sedi dei pali di sostegno. Monty lasciò andare lentamente la fune e un'estremità della trave si incastrò perfettamente nella sua sede, mentre l'altra fece perno sul palo fino a quando fu in linea con l'altra sede. A quel punto, il giovane furetto lasciò andare del tutto la fune e la trave si incastrò con un gran botto. Ora a Monty non restava che assicurare la trave con qualche tassello. «Bel granaio» disse Kinnie. «Grazie. Forse è un po' più grande del necessario.» «No, niente affatto. Vedrai che quest'inverno ti farà comodo.» Monty scrutò la strana visitatrice in silenzio. Come faceva a sapere in anticipo cosa sarebbe successo durante l'inverno? Concluse che doveva trattarsi di un furetto filosofo. Animali rari, mistici e bizzarri, almeno stando a quello che si diceva in giro. Eccone uno qui davanti a me, pensò. «Benvenuta allora» le disse. «Grazie dell'invito.» Non ricordo di averla invitata, pensò Monty. Ma sono curioso e forse la curiosità vale come invito. «Posso esprimere tre desideri?» «No, uno solo. Gli altri vengono di conseguenza.» «Voglio sapere.» «È questo il tuo desiderio?» Monty annuì. «Ecco fatto.» Di nuovo quella frase, pensò. Sembra l'incantesimo di uno stregone. «Fatto cosa?» «Ho esaudito il tuo desiderio. Ora sai.» Richard Bach
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«Mah, a dir la verità mi sembra tutto uguale a prima.» «Infatti non è cambiato nulla... ma tu sei diverso.» «Perché?» Kinnie gli spiegò come si fa con i cuccioli: «Ti ho concesso di essere consapevole di quello che già sai». «Dimostramelo.» «Puoi vederlo da solo. Io ti faccio una domanda, e tu mi rispondi.» La piccola furetta indietreggiò leggermente nella foschia del mattino, allontanandosi come se avesse voluto diventare grande come una casa. «Chi sono io, Montgomery?» «Non sono sicuro...» «Sbagliato. Tu sei sicuro. Ne sei assolutamente certo. Ma non hai il coraggio di ammettere ciò che è fuori dal comune» disse sospirando. «Ora ti concedo di essere coraggioso.» Poi, pazientemente, gli ripetè la domanda: «Chi sono io, Montgomery?». «Sei un furetto filosofo.» «Era così difficile? Io sono, per usare le tue parole, un furetto filosofo. E dimmi, come fai a saperlo?» Monty cercò la risposta dentro di sé, poi disse soltanto: «Lo so». Avrebbe capito? Kinnie sorrise per la risposta così audace. E dal coraggio, pensò, che nasce la saggezza. La creatura dal mantello color noce moscata si fregò le zampe, felice di essere stata chiamata da Monty. C'erano ancora così tante cose di cui parlare! «Da dove vengo?» La forza dell'abitudine suggeriva a Monty di rispondere: «Non lo so», mentre la paura lo spingeva a fargli dire: «Come faccio a saperlo?». Tuttavia, come ogni furetto, prima di fare una scelta Monty confrontava sempre le varie opzioni con il suo più alto senso del bene, per cui aveva scelto di vivere nel Montana, frequentare Cheyenne, e persino lasciarla andare incontro al suo destino, proprio come lei aveva fatto con lui. Quella mattina, il suo più alto senso del bene aveva sollevato una trave portante, e un giorno gli avrebbe dato la possibilità di insegnare agli altri cosa significa possedere un dono del genere. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, Monty aveva chiesto una guida e non la risoluzione dei propri problemi. Improvvisamente, l'illuminazione: Come faccio a rispondere se prima non Richard Bach
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chiedo? «Sono un furetto filosofo» ripetè tranquilla Kinnie. «Da dove vengo?» O mio io più elevato, domandò in silenzio Monty, da dove vengono i furetti filosofi? La risposta non tardò ad arrivare, senza bisogno di pensarci su. Ma certo! È così semplice: «Non vieni da un luogo, ma da una inclinazione spirituale: l'inclinazione alla bontà d'animo». «Esatto. E puoi provenire anche tu da quell'inclinazione?» «Sì che posso» rispose. Tutti possono. «Ora facciamo un gioco. Tu sai che sono un furetto filosofo perché...» disse facendogli cenno di completare la frase con le parole giuste. «Perché non lascio...» Vuole che lo dica con le sue parole invece che con le mie, pensò perplesso Monty. «... niente al caso?» Kinnie aggrottò le sopracciglia. «Impronte! Io non lascio impronte!» Si sta spostando, disse tra sé Monty. Vuole che verifichi. Monty appurò che Kinnie aveva detto la verità. Sul pavimento impolverato del futuro granaio, la piccola creatura non aveva lasciato alcuna traccia. «E io non lascio impronte perché...» Monty accettò fiducioso l'invito di Kinnie a essere coraggioso: «... perché vedo la tua immagine dentro di me e la proietto dove voglio. Tu non lasci impronte perché non appartieni al mio mondo reale, ma a quello interiore». Kinnie fece un cenno di assenso così evidente da sembrare un inchino. «Bravo! Non hai detto "al mondo reale" ma "al mio mondo reale"!» Si spostò leggermente e guardò per terra. «Certo, se volessi potrei lasciare anch'io le impronte...» Nella testa di Monty il puzzle si stava ricomponendo velocemente. Sentì le rivelazioni di Kinnie leggere e uniche come fiocchi di neve. In quel momento avrebbe saputo rispondere a qualsiasi domanda su di lei e su se stesso. Ma certo che avrebbe potuto lasciare le impronte, se solo lo avesse voluto! Che strano, pensò. Di fronte ai grandi quesiti, i migliori maestri non rispondono mai «Studia la filosofia» o «Prendi una laurea», ma «Lo sai già». La piccola furetta lesse negli occhi di Monty quello che lui stava Richard Bach
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pensando. «E allora dov'è la scuola per i furetti filosofi?» «All'angolo» rispose Monty, sorridendo all'immagine di un'aula in mezzo alla foresta, con le tendine colorate alle finestre e il comignolo fumante. «La scuola è all'angolo tra il sentiero dove ci si pone una domanda e la strada dove ci si rende conto della risposta.» «Mi è piaciuta la parte del "rendersi conto", Montgomery. Risposta esatta. E io sono la tua insegnante.» «Per niente!» disse Monty ridendo. «Io e te siamo uguali.» «In che senso?» replicò aggrottando di nuovo le sopracciglia e puntando i pugnetti sui fianchi. «Intendi dire che io e te siamo simili, che ci assomigliamo? Non che io e te siamo proprio uguali, vero?» «E invece io e te siamo proprio uguali.» Kinnie rimase a studiarlo in silenzio. Quando partono, pensò, chi li ferma più? «E chi sarebbero gli altri furetti filosofi?» Solo fino a qualche istante prima, Monty non avrebbe saputo cosa rispondere. «Sono tutte quelle creature che si pongono delle domande e trovano da sole le risposte.» «Tutte le creature? Vorrai dire tutti i furetti. Oppure formiche filosofe, uomini filosofi, elefanti filosofi...?» «Ciò che è vero per gli elefanti lo è anche per le formiche» rispose Monty. Tutto d'un tratto, Kinnie gli andò vicinissimo, alzò lo sguardo e gli mise la zampa sulla spalla. «Niente male, mio caro Montgomery. Ci hai messo un po', ma finalmente hai capito. Ora comincia il divertimento!» Sembrava che Kinnie aspettasse quel rumore che giunse alle loro spalle. Sorrise, salutò con la zampina e scomparve. Senza lasciare impronte. Lo scalpitio di zoccoli al trotto e il nitrito felice di un dolfìno annunciarono una visita. «Ooh! Ferma, Fulmine» disse Jupe rallentando appena girato l'angolo del ranch. «Mio cugino ha costruito una trave che reggerà per l'eternità, ma avrà bisogno di aiuto per sollevarla.» Il dolfìno si fermò proprio accanto a Monty, che gli diede da sgranocchiare una zolletta di carota presa dalla cassetta degli attrezzi. Fulmine gradì il regalo. Jupe alzò lo sguardo e quando vide la trave perfettamente fissata gli si drizzarono i baffetti. «Caspita! Buongiorno, cugino.» Monty sollevò leggermente la tesa del cappello. «Jupe.» Richard Bach
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Era appena arrivato, ma non riusciva a togliere gli occhi dalla trave. «Hai fatto tutto da solo? Prima dell'alba?!» «No» rispose Monty. «Mi hanno aiutato.» La conoscenza appena maturata gli suggerì di fare attenzione: a volte è meglio gestire con cautela il proprio sapere. Dentro di me viaggia veloce come la luce, pensò, ma fuori è meglio mostrare di compiere un passo alla volta. Così, arrivata l'estate, Monty inaugurò la sua scuola per furetti cowboy che, sebbene concepita soprattutto per i cuccioli, era aperta anche agli adulti. Quando era da solo si dedicava a porsi interrogativi sul suo io più elevato e, col passare del tempo, si era reso conto che era vero ciò che pensava da tempo: i furetti hanno dei poteri di cui non si rendono conto. Trascorreva il resto della giornata a insegnare a cavalcare e a capire il linguaggio dei dolfini. «Per prima cosa» diceva sempre all'inizio dei corsi, dopo aver radunato gli allievi intorno alla linea di partenza «imparerete come si perde.» E infatti gli allievi si allenavano assiduamente ad accettare le sconfitte con dignità, inventandosi i modi più simpatici e bizzarri di festeggiare le vittorie altrui, pur senza rinunciare al gusto della sfida e a progettare strategie vincenti per le corse successive. Monty insegnava anche a chiedere consigli ai vincitori, e a farlo in modo così sincero da ottenere sempre una risposta spontanea. Soltanto alla fine, insegnava come vincere. Gli insegnamenti più importanti non erano quelli espliciti ma quelli nascosti dove gli allievi capivano che gli animali erano tutti uguali e imparavano a stabilire un contatto mentale con le altre creature, unendo le loro anime verso un unico, comune obiettivo. Nel frattempo, Monty cominciò ad avere un pubblico di curiosi sempre più nutrito e interessato. Così decise di armarsi di microfono e registratore e di raccontare con la sua voce calma e profonda tutto quello che aveva imparato. La serie di nastri intitolata I segreti dei dolfini riscosse un grande successo anche tra i non addetti ai lavori. Ad appassionare gli ascoltatori erano le avventure, il senso dell'umorismo e la saggezza di Monty. Le sue storie conquistavano anche chi non aveva mai visto un dolfino. Lentamente, cominciarono ad arrivare lettere da tutto il mondo. Una in Richard Bach
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particolare arrivò con il timbro postale di Loch Y'ar, in Scozia. «Caro fratello» scriveva Zander «che meravigliosa scoperta! Ascoltare I segreti dei dolfini è stata una rivelazione. Che lavoro originale e affascinante. Complimenti, Monty! Cambierai il modo di vedere i dolfini e gli animali in generale.» Zander poi gli raccontò alcune novità sulla sua attività di zoologo all'estero. «La grande novità è che siamo riusciti a clonare una nuova razza di pecore in miniatura, grandi meno di un quarto rispetto al dolfìno più piccolo. Sono creature dolci e amorevoli e hanno la capacità di unire le loro menti come se fossero una sola. Sono intelligenti, premurose e riflessive. Sono una razza a pelo lungo, con dei colori che fanno invidia all'arcobaleno, da quelli più brillanti alle tinte pastello! Per questo noi le chiamiamo pecore Arcobaleno. E vedessi come crescono velocemente! «Abbiamo applicato i tuoi principi, provando ad ascoltarle. All'inizio eravamo stupiti, ma abbiamo scoperto che oltre a essere animali romantici hanno anche uno spiccato senso degli affari. «Per farla breve, le pecore Arcobaleno sarebbero disposte a darci la lana, in cambio di un'accogliente sistemazione sulle alture del "Selvaggio West", come lo chiamano loro. Wyoming o Montana. Hanno bisogno di spazi aperti, condizioni climatiche ideali e panorami che stimolino la loro naturale inclinazione ad astrarre il pensiero e a fare un po' di movimento, ma solo a patto che siano sempre accompagnate da guide. Da sole non saprebbero cavarsela. «Chiedono vitto e alloggio per duemila di loro, oltre che per alcuni furetti suonatori di cornamusa e tamburi a cui sono affezionate, perché nate e cresciute sotto i cieli delle Highlands. «Il tuo lavoro ci ha pienamente convinti! Sei tu l'unico furetto in grado di dirigere un ranch di altissima qualità, che soddisfi le esigenze e i desideri di questa meravigliosa cultura. Ovviamente il ranch avrà degli appositi spazi riservati alla tua scuola di cowboy e agli studi sui dolfìni, a qualsiasi livello.» Dopo alcune pagine di analisi finanziarie ed economiche, Zander concludeva: «Caro Monty, sono sicuro che rimarrai incantato dal carattere e dalle qualità delle Arcobaleno. Spero che mi risponderai il prima possibile e che verrai a trovarci per discutere di persona la nostra e la loro offerta. Richard Bach
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«Con affetto, «Zander.» Montgomery posò la lettera sulla scrivania del granaio, si grattò la testa pensieroso e si abbandonò sulla sedia, dove chiuse gli occhi. Mio più alto senso del bene, chiese in silenzio, cosa devo fare? Non sono un furetto d'affari ma un semplice cowboy che ama il Montana. Se accetto la proposta di Zander renderò migliore la vita di qualcuno o sarò una delusione? E se non accetto porrò fine alle speranze di chi ha fiducia in me o lo indirizzerò verso una strada migliore? Qual è la scelta che farà il bene di tutti? Senza farsi attendere, il suo più alto senso del bene rispose con quattro parole: «Pensi che sarà divertente?». L'angoscia aveva messo a dura prova Montgomery, ma non riuscì a sopraffarlo del tutto. Il grande ranch fu costruito su un'area di mille megazampe di prateria, foresta, fiumi e montagna, nella natura selvaggia a nord-est di Little Paw, vicino al villaggio di Northstar. L'ingresso era segnalato da un imponente arco in legno di pino sopra la strada, a lettere bianche scolpite su fondo nero: ARCOBALENO VILLAGE CENTRO DI ADDESTRAMENTO COWBOY L'area brulicava di operai e in tutta la vallata echeggiavano i rumori di martelli e di seghe, lo stridore delle pietre che, una sopra l'altra, davano forma ai comignoli, gli scricchiolii e i tonfi dei rami d'albero con cui si costruivano le pareti, il tintinnio degli attrezzi da lavoro, il raschio dei mobili di legno sui pavimenti ad assi. Alla fine, l'Arcobaleno Village non era più un plastico in un ufficio, ma una imponente costruzione ben visibile all'orizzonte. C'erano la zona per gli addetti ai lavori, le aree per l'addestramento dei giovani cowboy, le baracche, i granai, i recinti, le piste da corsa e la mensa. Più lontano, in un luogo appartato, gruppi di casupole in legno per le pecore Arcobaleno, centri di meditazione, vasche da bagno con acqua calda, spazi per i picnic e torrette dove cornamuse e tamburi potevano salutare il tramonto. Ma la vera attrattiva per le piccole pecore, il sogno che le aveva spinte oltreoceano, era la natura incontaminata e selvaggia del Montana. Una volta Monty aveva sperato di condividere l'amore per la sua terra Richard Bach
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con una sola compagna, ma il destino gliel'aveva portata via. Ora l'avrebbe condiviso con migliaia di altre creature.
Capitolo 4 Improvvisamente si levò una vorticosa fiammata blu vicino al tavolo sette, dove erano seduti dodici furetti. I clienti degli altri tavoli si girarono a guardare. Erano tutte celebrità e commentavano tra di loro gli show che accompagnavano ogni portata. Lo chef Gerhardt-Grenoble inclinò la sua «omelette di mezzanotte flambé», facendo uscire dal fuoco una pioggia di minuscole stelle fatta di polvere di zafferano e coriandolo, prima di servirne a tutti una porzione ancora infuocata. Una leccornia irresistibile. «Et voilà» disse. «Bon appétit, mesdames et messieurs.» Con un sorriso mesto, si inchinò all'applauso dei colti ospiti e si allontanò educatamente. Mentre se ne andava, rivolse un saluto a un tavolo occupato dai suoi più cari amici che erano mischiati tra le celebrità. Nessuno si accorse che lo chef sembrava assente, come se dietro il sorriso stesse in realtà dicendo addio. Dire che solo La Mer des Etoiles di Manhattan fosse il fiore all'occhiello di Gerhardt-Grenoble non era esatto. I suoi ristoranti erano tutti fiori all'occhiello nel mondo dell'alta cucina: Parigi, Beverly Hills, Tokyo, Buenos Aires e Nuku Hiva. I furetti dell'alta società, famosi per la perspicacia e il buon gusto, giudicavano lo chef una star proprio come i suoi clienti. «Meraviglioso» disse sottovoce il cameriere al tavolo sette. «Non credete anche voi che non sia un cuoco, ma un mago?» Ogni mattina, prima dell'alba, in qualsiasi parte del mondo si trovasse, Gerhardt-Grenoble si infilava sciarpa e cappello e girava per i migliori mercati delle città. Annusava e tastava la frutta e la verdura più fresche, tra le rauche voci della folla alle prime ore del giorno. E così stava facendo anche quel giorno a Manhattan, insieme al suo vecchio amico e socio, indicando ai venditori le cassette e gli scatoloni con il loro contenuto fresco di giornata da far recapitare al La Mer. Passavano da una bancarella all'altra, con le narici sempre all'erta in quel mare di fragranze. «Hop, hop» facevano alcuni furetti passandosi pesanti cassette di banane Richard Bach
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scaricate da un camion. «Hop, hop!» «La belle cuisine» disse in mezzo al baccano lo chef con garbato accento svizzero «ci ha fatto compiere un lungo viaggio, Armond». «Già. Abbiamo cominciato insieme» rispose l'amico «e continueremo ancora per un bel pezzo». Annusò un pomodoro che aveva il colore del tramonto e lo ripose, poi ne scelse uno da un'altra cassetta, lo annusò e annuì al venditore che lo stava guardando. Questi colse il cenno di assenso e annotò sull'ordine il numero della cassetta. «Te la caverai benissimo» disse lo chef. Armond si girò verso l'amico, sollevando appena il capo. «Cosa stai dicendo, Gren?» Gerhardt-Grenoble estrasse da un taschino della giacca un ritaglio di giornale piegato in due e glielo passò senza dire una parola. Il socio lo aprì e lesse: LA LANA PIÙ SOFFICE DEL WEST, ARCOBALENO VILLAGE DI FURETTO MONTGOMERY: DOVE TROVARE LA MIGLIORE LANA DEL MONDO. Subito sotto c'erano una fotografia di Monty con in braccio un agnello e poche righe di testo interrotte dallo strappo, come se il lettore non fosse interessato al contenuto dell'articolo. Armond alzò lo sguardo dal ritaglio, fissando allibito l'amico. «Hai deciso di andartene?» «Sì. Ti ricordi il nostro accordo?» «Certo: ciascuno di noi è libero di andarsene, per qualsiasi ragione...» «I La Mer di tutto il mondo sono tuoi.» «Ma Gren, sei all'apice del successo! E davvero ciò che vuoi?» Lo chef annuì. Il venditore, notandolo, aggiunse all'ordine due dozzine di zucchine. «Succederà anche a te, Armond. A un certo punto arriva il momento in cui la tecnica non basta più. E di più importante c'è solo... che cosa c'è di più importante della tecnica?» «Il sentimento? Lo stile? Il quid?» «No. La semplicità.» «Ma certo, la semplicità. Però, scusa, è proprio necessario sacrificare tutto quello che hai costruito fino a oggi? Dove hai intenzione di andare, Gren? Da...» Armond si fermò un istante per dare un'occhiata al ritaglio di giornale «... Montgomery?» Richard Bach
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Gren sorrise. «Nel Montana.» «La tua fama ti precederà.» «No. Gerhardt-Grenoble è stato visto per l'ultima volta... be', comincia a pensarci su, Armond, visto che sei stato tu l'ultimo ad averlo visto. Promettimi che non dirai a nessuno dove andrò.» «Quando ritornerai?» «Goditi i La Mer.» Un antico proverbio dei furetti dice: «Una volta scalate certe vette, non si può più scendere ma è necessario aprire le ali e spiccare il volo». I due amici erano tranquilli in mezzo agli bop, bop, al baccano e al trambusto del mercato. A un certo punto lo chef si girò verso il compagno, lo salutò con un cenno del capo e scomparve tra la folla. D'altronde, pensò Armond, i geni sono tutti un po' pazzi.
Capitolo 5 «Uno... due... tre!» Al tre, i piccoli cowboy schierati uno accanto all'altro lanciarono i loro lazo verso una fila di sagome in legno che, per assomigliare il più possibile alle pecore Arcobaleno, erano state ricoperte di paglia a mo' di lana. Tutti gli allievi mancarono i bersagli, chi colpendo la sagoma col cappio, chi lanciando il cappio per terra. Per nulla contrariato, l'istruttore si strinse nelle spalle mentre i piccoli recuperavano le loro corde colorate, pronti ad ascoltarlo. GerhardtGrenoble assistette alla scena, scese dal taxi e respirò a pieni polmoni l'aria estiva del Montana, con i suoi profumi di salvia, pino e fiori selvatici. «Quando dico tre» disse l'esperto istruttore «il lazo deve andare sopra il collo della pecora, non su una roccia o su un cespuglio. Un giorno potrebbe capitare che al posto di una sagoma di legno ci sia una pecora smarrita sull'orlo di un burrone o di una scarpata, e il vostro lazo le salverà la vita. Quindi bisogna esercitarsi, giusto?» Per dare una dimostrazione della giusta esecuzione, il cowboy continuò a indietreggiare. Gli allievi pensarono che da una distanza del genere sarebbe stato impossibile. «Non così lontano, Dakota!» fece appena in tempo a gridare una piccola cowboy, prima di venire zittita dai compagni. «Tenete il cappio ben distante dalla zampa, sopra la testa» disse, facendo Richard Bach
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abilmente roteare il lazo azzurro in cielo «e vedrete che quando lo lancerete andrà più lontano. Proprio... così...!» Lo chef trovò l'ufficio del ranch. Sulla targhetta della porta c'era scritto: «FURETTO MONTGOMERY». Bussò. «Avanti, è aperta.» Entrato, notò che il proprietario, muso ampio e corpo armonioso, sembrava più giovane rispetto alla fotografia del giornale. Era alla scrivania, chinato su un libro contabile. Alla stessa scrivania, spalle alla porta, stava seduta quella che aveva tutta l'aria di essere una furetta d'affari. Gerhardt-Grenoble non credette ai propri occhi. Sulla scrivania c'era la fotografia di Jasmine, con una dedica che faceva fatica a leggere. Monty alzò lo sguardo dal libro contabile. «Buongiorno.» Cosa ci faceva la foto della sua celebre amica nel selvaggio Montana? Lo chef sgranò ancora una volta gli occhi, poi si ricompose. «Buongiorno.» Dall'accento sembrò più uno svizzero che uno dell'Ovest. «Possiamo aiutarla?» «Sono il vostro nuovo chef.» Montgomery sorrise. «Ah, bene, signor...» «Mi chiami pure Cookie. E non c'è affatto bisogno che mi dia del lei.» «E molto gentile da parte tua, Cookie. Ti ringrazio, ma uno chef lo abbiamo già.» «Benissimo. Avrò bisogno di un aiutante.» Monty rise di gusto e si passò una zampa sulla testa per lisciarsi il pelo. «Bisogna vedere se Bud sarà d'accordo...» Cookie annuì. «Spiegami per quale motivo Bud dovrebbe impazzire dalla voglia di fare il tuo aiutante, dal momento che è capocuoco sin dal primo giorno che abbiamo aperto il ranch.» «Certo, posso dimostrartelo!» Monty si lisciò i baffetti. «Puoi dimostrarmelo...» «Sicuro!» Monty sorrise di nuovo. «E come?» Cookie si strinse nelle spalle. «Datemi tre uova.» A quel punto la furetta d'affari si girò, divertita dalla risposta di Cookie. Aveva un incantevole musetto marrone scuro e due vispi occhi neri, attenti a tutto quello che aveva attorno. Richard Bach
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«Lei è Adrienne, il nostro direttore commerciale» disse Monty posando una matita sul registro contabile a mo' di segnalibro. «Credo che le uova non manchino. Chiediamo a Bud se ce ne può lasciare qualcuna.» Adrienne, ancora sorridente, gli porse la zampa.
Capitolo 6 Era l'alba e Monty cavalcava tranquillamente Ladyhawke, verso gli alti pascoli. Davanti a sé, avvolto sul pomo della sella, il lazo di lana nera; dietro, le coperte arrotolate. A est il cielo era screziato da pennellate di luce silenziose nell'aria fredda e pungente. Il giovane cowboy fece un respiro profondo. Respirava la luce, la linfa dei pini, degli abeti e della salvia, e quella della terra e dell'erba mescolate al profumo cristallino del fiume e alla fragranza dei fiori selvatici accarezzati dalla brezza. Che meraviglia, pensò. Non mi stancherò mai di tutto questo. Mai. Respirò ancora. Mentre si avvicinava al pascolo di mezzo, cominciò a sentirne da lontano il profumo dell'erba. Poi fiutò la presenza di Fragola, Cedro, Pesca, Mandarino, Mirtillo, Liquirizia e Albicocca. Fu proprio Albicocca ad andargli incontro, una pecora alta solo poche zampe, dal colore vivace come il frutto da cui prendeva il nome e dal profumo altrettanto invitante. Vediamo cosa vuole, Ladyhawke, pensò Monty. Il dolfino si fermò senza bisogno di ordini o segnali. Il cowboy scese dalla sella e allungò una zampa verso il piccolo esemplare clonato. «Come va, Albicocca? Vi state divertendo, vero?» La pecora avanzò lentamente, rispondendogli brevemente col pensiero in lingua scozzese: «Ci siamo perse, Monty!». Il furetto accarezzò energicamente la pecora dietro le orecchie. «E così vi siete perse ancora, eh?» Albicocca fece segno di sì con il muso.
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laghetto?» Il rumore di piccoli animali trotterellanti, insieme ai rispettivi profumi, annunciarono l'arrivo delle coloratissime Limone, Prugna e Ciliegia. Con un bandana stretto attorno al collo e un cappello marrone, a cavallo di un dolfìno più piccolo di Ladyhawke, arrivò anche il giovane cowboy che faceva da guida alle vivaci pecore. «Buongiorno, signore» disse. «Ciao Budgeron. Come va con le tue Arcobaleno?» «Benissimo, signore. Tutte in piedi a vedere l'alba oggi. Tra un po' scendiamo ai pascoli bassi, poi si torna al ranch.» Monty tornò in sella. «Tutte felici?» «Sembra di sì. Stamattina salteremo un po' la corda, e poi... un bel tuffo nel fiume.» «Attento che non si prendano il raffreddore.» «Signorsì. Abbiamo asciugazampe e salviette in abbondanza nel carro. Se vogliono, possono correre fino al ranch. Tuttavia, conoscendole, preferiranno starsene al calduccio. Non credo che avremo molti corridori.» «Suppongo di no» disse Monty sorridendo per il discorso da adulto dello zelante giovanotto. Furetto Budgeron era un cucciolo di città che aveva provato a lanciarsi nell'avventura della prateria. Era nato con il dono della scrittura e una grande sensibilità nel giocare con le parole. Per perfezionarsi aveva solo bisogno di suggestioni e pratica. «Stai prendendo appunti, Budgeron?» «Appunti, signore?» «II Montana. Il cielo, i fiumi, i discorsi che senti e le suggestioni che ne ricavi. Stai scrivendo tutto!» Il giovane sollevò il cappello sulla fronte e guardò il cowboy. «In effetti... sì, signore.» «Lo sai chi sei, Budgeron?» Questi guardò l'orizzonte pensieroso, poi si girò di nuovo verso Monty. «Ho dei sogni, signore...» «Non ti spaventa il lavoro duro?» Il giovane scosse la testa. Forse Monty gli stava predicendo il futuro? «Allora ci sono delle possibilità che i tuoi sogni si realizzino. Saranno le idee a condurti alla meta. Più delle parole. Sei d'accordo?» «Non saprei, signore.» «Invece lo sai, Budgeron. Forse non ne sei consapevole, ma lo sai.» Richard Bach
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Senza che il giovane sentisse impartire alcun comando, Lady-hawke cominciò ad allontanarsi. Monty non si girò indietro. Il gregge si voltò verso Budgeron come per chiedergli: «E adesso dove siamo? Dove andiamo?». Il giovane cowboy scosse il capo e tastò il lazo di lana rossa arrotolato, dono di Fragola. Conosco il mio futuro? E perché no? Se lo dice Monty! «Da questa parte» disse alle Arcobaleno, perse nella contemplazione del paesaggio. «Mandarino, Albicocca... forza! Seguitemi.» «Fettuccine al sugo! Per cowboy grandi e piccini... fettuccine al sugo!» Dal carro-ristorante giunse il tintinnio del triangolo metallico di Cookie. Era la fine della giornata, e i piccoli cowboy avevano appena radunato le pecore nel recinto, dove le attendeva una notte piuttosto fredda e una ciotola di avena accanto al loro giaciglio. Lì vicino, Jupe aveva terminato di scrivere. Infilò il blocco degli appunti nella bisaccia, accanto a un classico della letteratura dalla copertina consumata: Noi Furetti di Avedoi Merek. In un istante arrivò al carroristorante; scese dalla sella davanti a una pozza d'acqua e lasciò che Fulmine si abbeverasse in pace. «Ancora fettuccine al sugo?» Jupe apprezzava il senso dell'umorismo di Cookie. Qualunque raffinatezza avesse preparato, sia che si trattasse di cucina tipica sia di piatti esotici, il menu del giorno recitava sempre la stessa cosa. «Tutti i giorni non è troppo spesso per le fettuccine al sugo!» rispose lo chef. Poi, con meticolosità svizzera, gli fece una domanda per cercare di rifinire il proprio accento. «Si dice tuti i giorni, con una t sola?» «Con due t, Cookie. Stai facendo progressi» rispose Jupe con uno dei suoi rari sorrisi. Poi gli fece una domanda alla quale lo chef non rispondeva mai allo stesso modo: «Ma almeno si può sapere da dove vieni?». I primi cowboy cominciarono ad arrivare, e lo chef li servì con grande savoir-faire in piatti di alluminio. «Dal Montana dell'Est» rispose al corpulento furetto. Jupe scosse la testa, borbottando: «Sì... forse Zurigo dell'Est». A ogni modo, pensò che Cookie avesse tutto il diritto di tenere per sé i propri segreti. Quella sera, le fettuccine al sugo erano un soufflé a la Nigoise ai funghi più leggero di una piuma, con contorno di verdure fresche alla griglia; il Richard Bach
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tutto, in un letto di riso selvatico. Da bere, acqua fresca di montagna alla spina, spillata direttamente da una botte sul carro-ristorante. In fuga dal freddo, i cowboy cominciarono a radunarsi a decine al carroristorante. Lasciati i dolfini liberi di pascolare, si raccontavano le avventure della giornata intorno alla tovaglia di percalle blu che Cookie aveva preparato vicino al fuoco. Con i piatti tra le zampe e i boccali per terra, interrompevano il tintinnio delle forchette con i loro apprezzamenti sulla cucina. Come ogni giorno, all'ora dei pasti, era un unico coro di «Mmm», «Eccezionale!» e «Complimenti, Cookie!». Quando il tramonto colorava di rosso la fine del giorno, i più giovani si radunavano attorno al fuoco per ascoltare i racconti dei vecchi cowboy, alcuni dei quali erano persino veri. Furetto Dakota vigilava nella notte gelida in sella a Shadow, pronto a intervenire nel caso qualche pecora si fosse allontanata dirigendosi verso i burroni. Avrebbe cenato più tardi. Dopo un'impegnativa giornata all'aria fredda della prateria, le Arcobaleno erano tutte addormentate tranne Violetta, che aveva l'abitudine di rimanere sveglia a lungo durante la notte, immersa nelle sue riflessioni. Cookie se ne stava tranquillo accanto alla credenza del carro. Ripensando al soufflé, mise alla prova l'assistente Bud, chiedendogli se un pizzico di zafferano avrebbe potuto migliorare il piatto. La vita di Bud era cambiata negli ultimi tempi: la cucina una volta era il suo lavoro, ma ora era diventata la sua passione. «Più che lo zafferano... che ne diresti di una punta di cumino, chef?» Cookie sorrise. «Wow, qui c'è della stoffa.» Jupe prese dalla bisaccia il quaderno di poesie che scriveva a matita davanti alla luce del fuoco. Mentre con un orecchio ascoltava i racconti di Barclay, verso dopo verso componeva il suo poema epico; il giorno del matrimonio di Monty (qualora il cowboy si sarebbe sposato), avrebbe declamato alla sposa la storia del cugino scritta di prima zampa. Terminato il racconto L'ultimo leone nella contea delle grandi cascate, il vecchio Barclay notò che i giovani si erano appassionati alla storia. Vedeva i loro respiri concitati prendere forma nel gelo della sera, mentre si voltavano a destra e a sinistra, terrorizzati dalla possibile presenza di qualche grosso gatto nascosto nel buio. In effetti, Barclay ammise che il racconto faceva un po' paura. «Bene! Perché siamo qui, giovanotti?» chiese, per ridar loro un po' di Richard Bach
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coraggio. «Siamo qui per...» «AZIONE!» gridarono i piccoli in coro. «Siamo qui per...» «EMOZIONI!» «Siamo qui per...» «AVVENTURA SUGLI ALTIPIANI!» «E troverete» disse il cowboy per terminare il rituale «quello che state cercando.» Barclay indicò Jupe. «Forza... chiedete» disse. Finalmente l'aspirante cowboy Alla, guardando oltre il fuoco, disse con un filo di voce: «Jupe, ti andrebbe di leggerci quello che hai scritto finora?». Lo scrittore alzò lo sguardo dalle pagine del quaderno. «Tutto?» «Se ti va...» «Preferirei di no.» Uno dopo l'altro, anche gli altri cowboy Percifal, Bubba, Budgeron, Kayla e Strobe gli rifecero la stessa domanda: «Dai, Jupe, ce lo leggi?». Con grande pazienza, Jupe rispose a ognuno di loro: «No, grazie. Non sono cose per cuccioli». A quel punto, mentre Bud era impegnato a macinare semi di cumino, Cookie disse: «Stasera Monty è con le greggi a sud. Puoi leggere la tua storia, Jupe; non ne faranno parola con nessuno. Vero, piccoli?». Il corpulento cowboy alzò lo sguardo dal quaderno per volgerlo sui piccoli allievi; socchiuse gli occhi e disse: «Acqua in bocca? Mi promettete che a nessuno di voi sfuggirà una sola parola della sorpresa che un giorno farò a Monty?». I piccoli si guardarono l'un l'altro. «Promesso» disse a nome di tutti Strobe. «E va bene...» Per leggere meglio, Jupe fece scivolare lo scolorito bandana a fiori in modo che il nodo non gli penzolasse davanti agli occhi. Girò a ritroso le pagine consumate fino alla prima, guardando sospettoso il giovane pubblico. «Sicuri di voler proprio ascoltare...» I cuccioli annuirono convinti. I cowboy sorrisero sotto i baffi: la cosa che Jupe amava di più al mondo era leggere i suoi versi ai piccoli. Cookie gli portò la lanterna della cucina, che illuminava più delle torce; allora il cowboy cominciò a leggere la storia del cugino Monty. Ammise che in alcuni punti la trama era un po' romanzata, ma la maggior parte del poema corrispondeva a ciò che aveva visto con i suoi occhi. Richard Bach
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Bevve un sorso d'acqua fresca e diede un ultimo sguardo ai piccoli cowboy, che annuirono impazienti di ascoltare la storia che aveva scritto. Cominciò a leggere lentamente sotto il cielo stellato, con la sua voce profonda e segnata dal tempo proprio come lui. In lontananza, si sentì il frullio d'ali di un uccello notturno. Monty nacque col mantello sferzato dal vento e negli occhi un che di selvaggio. Chi lo vide, dal primo momento capì che quel cucciolo sarebbe stato assai saggio. Jupe alzò lo sguardo. Gli occhi e i baffetti del pubblico erano tutti per lui. Sua madre una musa, suo padre un cowboy; coi dolfini correva nella prateria, e comprese assai prima di noi, nel profondo del cuore, qual era la Via. Crebbe in sella e del lazo un mago divenne, insegnando agli altri l'arte diletta. Aveva un'allieva di nome Cheyenne: mai vista da Monty più bella furetta. I piccoli rimasero di stucco. Monty era stato innamorato? Jupe si schiarì la voce. Furon amici dal primo momento, boschi e ruscelli a far da cornice. Lui saggio e tra i prati contento; lei col sogno di fare l'attrice. Pensavan che nulla mai avrebbe potuto divider due cuori così affezionati, ma un giorno il destino avrebbe voluto che provassero a vivere separati. Monty restò, come il cuor gli chiedeva; Cheyenne se ne andò a far provini e audizioni. Lui diede se stesso a capir che sapeva, e lei a donar l'arte alle generazioni. Col nome Jasmine si propose alle scene, e noi tutti vedemmo in quegli occhi noi stessi, apprezzandone l'arte e volendole bene imparando da lei come fare progressi. I giovani cowboy si guardarono tra loro. Furetta Jasmine! Grazie a lei più di un cucciolo apprese a volare e i sogni di molti furori realizzati. Jasmine seppe a ciascuno insegnare che infinito è lo spirito col quale siam nati. Richard Bach
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Ma il prezzo per seguire il suo cuore e giungere infine a una fulgida gloria fu restare da sola con grande dolore: Monty mancava nella rosea sua storia. Santo cielo!, pensarono i piccoli. Monty e Jasmine! E che dir di colui che restò nella piana, sentendosi triste in un mondo più scuro? Monty il furetto, con al collo il bandana, insegnò la sua arte ai cowboy del futuro. Insegnò a tener duro nelle asperità; ad avere tenacia e giammai disperare; aiutar chi ha bisogno con fiera lealtà, e capire il confine tra osare e azzardare. Un giorno una busta arrivò e in un baleno per Monty una nuova, esaltante missione. Le soffici pecore Arcobaleno avevano un'unica, grande ambizione: Viver quaggiù nel Montana, del Selvaggio West scoprir la magia, dormir sotto il cielo che copre la piana, sfidar lampi e saette lungo la via. Avventura le greggi scozzesi cercavan, attirate dal fascino della natura. E in cambio la soffice lana donavan per goder d'una vita sì libera e pura. Con Monty l'accordo fu siglato in un clima festoso di gioia pura. Il loro sogno d'un colpo avverato: vivere nella selvaggia natura. E arrivaron davvero, all'inizio d'estate, in un luogo ammantato di tranquillità, dai cowboy le pecore eran guidate, e serene godean d'ogni comodità. Ora le greggi son molto diverse ed erran pensando alla filosofìa. Tra mille perigli rischian d'andar perse, seguendo l'istinto e smarrendo la via. Posson cadere dagli alti strapiombi, annegare nelle acque dei gelidi fiumi, nel deserto vagare simili a zombi, o sparir nelle grotte senza guida né lumi. Le pavide greggi del suolo scozzese volean l'avventura e allo stesso momento dall'abile cowboy volean esser difese, così che ogni azion fosse divertimento. L'esperto Monty dovea garantire la lor sicurezza in forma di gioco; cowboy grandi e piccini potevano ambire a far due cose in una, e ciò non è poco: Sapevan che oltre agli accordi del vello firmavan con Monty l'inebriante magia di vivere seguendo dei cowboy il modello, mostrando Richard Bach
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alle greggi qual era la Via. All'improvviso, nel buio si udì un boato sordo in lontananza. Il nostro cowboy ha un dono speciale: conosce la lingua di ogni animale e sussurra alle greggi dolci parole... Jupe alzò lo sguardo. Ora il boato sembrava più vicino. Cookie e Bud guardarono verso nord, mentre le stoviglie di rame e acciaio nel carroristorante tremavano rumorosamente. Era un terremoto? Tutti si alzarono. I dolfìni nitrivano nervosamente, cercando riparo nell'accampamento. Jupe lasciò cadere il quaderno. «È un branco!» Ora il suolo tremava senza sosta e il rumore era sempre più forte. «Sono le Arcobaleno?» chiese Cookie. «In branco?» Fuggire era impossibile. L'enorme gregge usciva dalla notte come una mareggiata di soffice lana che sembrava demolire la piana in una tempesta di polvere. Ed era diretto proprio lì. Nessuno di coloro che si erano presi cura di loro aveva pensato a quegli animali come a una forza della natura che, ora, arrivava lanciata inesorabilmente verso sud, in direzione del ranch. I cowboy si guardarono l'un l'altro attoniti, nella notte gelida. Sono impazzite? Ma se le amiamo così tanto? Non ci possono annientare! Tutti, dal più esperto al più giovane, rimasero ad attendere fiduciosi l'arrivo del dirompente oceano di pecore che si avvicinava a gran velocità. A meno di dieci zampe dal carro-ristorante, un attimo prima che il branco invadesse l'accampamento calpestando rovinosamente i furetti, le pecore si fermarono. A condurle, Violetta, con il fiatone. Subito dietro di lei, Albicocca, Mirtillo, Limone, Pesca, Arancia e Ribes. Con l'impeto tipico degli animali, le pecore avevano riempito l'aria delle loro fragranze di fiori, frutta e spezie. La nuvola di polvere, che diversamente da loro non si era fermata, cominciò a dipanarsi, lasciando intravedere di nuovo la luna. Jupe si fece avanti. «Si può sapere cosa sta succedendo?» Quando vide che non otteneva risposta, pensò subito a un incidente o a una disgrazia. Se Monty fosse stato lì avrebbe capito immediatamente cosa era successo. Intanto le pecore ansimavano senza togliere lo sguardo dai furetti. All'improvviso, la massa multicolore si voltò e partì di scatto verso nord, ripercorrendo la strada appena fatta. Jupe chiamò Fulmine con un fischio. «Andiamo, ragazzi!» disse salendo Richard Bach
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in sella. «Vogliono che le seguiamo!» In un baccano di fischi e grida, i cowboy salirono in groppa ai propri dolfìni e si precipitarono all'inseguimento del branco. Ora le nuvole di polvere erano due. In una convulsa cavalcata al chiaro di luna, i dolfìni galoppavano a tutta velocità su un terreno dissestato, saltando rocce e crepacci come non avrebbero mai osato fare alla luce del sole e schizzando acqua da tutte le parti mentre correvano lungo il letto dell'Old Creek. La concentrazione era così alta che persino i piccoli cowboy sfrecciavano più sicuri che mai nel buio della notte. In quel momento c'era un problema e il loro compito era risolverlo, non causarne un altro cadendo o smarrendosi. Jupe si infilò a fatica nell'oceano di pecore, zigzagando e facendo attenzione a non calpestarle. Stanno andando verso i burroni!, pensò tra sé allarmato. Il gregge oltrepassò a tutta velocità il prato-dormitorio, e si diresse alla scarpata retrostante. Dov'è la sentinella del burrone? Che fine ha fatto Dakota? Monty era sparito e senza di lui... «Oh! Arcobaleno!» gridò Jupe. «Ferma! Ehi! C'è il burrone! Stooop!» Furono parole al vento: le pecore non accennarono nemmeno a rallentare. Jupe pensò che fosse meglio portarsi in testa al gregge. Vai, Fulmine!, pensò. Andiamo a fermare quelle davanti... Jupe non aveva considerato che se fosse riuscito ad arrivare davanti alle pecore, ma non a fermarle, lui e il suo dolfìno sarebbero stati i primi a precipitare nel burrone. Ora era quasi arrivato in testa, dove vedeva Violetta correre all'impazzata. Troppo tardi. Il burrone era proprio lì davanti, con le fauci spalancate. Aveva bisogno di qualche secondo in più. In quel momento, Violetta e tutte le altre Arcobaleno si fermarono di colpo davanti al precipizio. Fulmine, che arrivava di gran carriera, riuscì miracolosamente a rimanere in equilibrio sul ciglio, mentre i sassi e le pietre sotto gli zoccoli precipitavano nel vuoto. Jupe scese di sella. «Violetta! Che succede, piccola?» La pecora lo guardò, ansimando per il fiatone. Poi si avvicinò ancora un po' al dirupo guardando di sotto, nel buio, e si girò nuovamente verso Jupe. In quel momento arrivarono tutti gli altri furetti, e scesero in fretta dai loro dolfini. Richard Bach
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Violetta fece un altro passo avanti e, con lo sguardo, indicò nuovamente il baratro. Jupe seguì l'indicazione e notò che sul ciglio la terra era liscia e smossa di recente. Ma lì accanto, per terra, un lazo di lana blu scompariva nella scarpata. «Dakota!» Jupe si mise subito in azione, chiamando a gran voce i compagni più vicini. «Barclay! Strobe! Bubba! Il terreno ha ceduto, Dakota e Shadow sono precipitati! Servono delle corde per calarci. Alla, Budgeron, venite con me. Forza!» Un attimo dopo, Jupe scomparve dietro la spaccatura del burrone, calandosi lungo il lazo fissato al dolfino di Barclay, seguito dalla giovane Alla. Scesero illuminati soltanto dalla luna, sotto una pioggia di sassi e zolle di terra, aggrappati ai lazo ben stretti sotto le loro ascelle. Appena toccarono terra, videro Shadow quasi completamente coperto di macerie e sabbia. Dakota giaceva immobile a poche zampe di distanza, riparato dal corpo del dolfino. Alla si precipitò dal cowboy, gli toccò il capo e gli accostò l'orecchio al petto. «E ancora vivo, Jupe! Ha una ferita alla testa, è terribilmente freddo ma il cuore batte ancora.» «Prendi il tuo bandana...» disse Jupe, accorgendosi però che Alla se l'era già sfilato dal collo e, dopo averlo piegato in due, l'aveva disteso con cura sulla ferita. «Come sta Shadow?» chiese la giovane. Jupe e Budgeron erano corsi a liberare dalle rocce il dolfino. Quando Shadow cominciò a sentir diminuire il peso addosso a sé, aprì gli occhi e, respirando a fatica, allungò il muso verso Dakota. «Ce la farà» disse Jupe al dolfino. «Proprio come te. Ora stai tranquillo mentre ti togliamo di dosso tutta questa roba...» Il dolfino respirò affannosamente e obbedì al cowboy, rimanendo sdraiato. Dakota sollevò il capo. «Alla... Jupe. Il burrone...» «Shh» disse Alla. «Dopo. Ora stai tranquillo.» «Sto bene.» «Lo so, lo so. Ma adesso non ti muovere.» Mentre gli levavano di dosso le pietre, il dolfino si girò, raccolse le zampe e si alzò di scatto, scrollando la criniera da cui scese una nuvola di Richard Bach
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sassolini e polvere. «Shadow! Aspetta...» Il dolfino cercò di avvicinarsi al suo cowboy. Vacillò, ma rimase in piedi; fece un gran respiro, sbuffando polvere dalle narici. «Posso mettermi seduto?» chiese Dakota portandosi la zampa alla testa per toccarsi la fasciatura. «No» rispose Alla «ancora un minuto. Ora devi assolutamente restare fermo.» Il cowboy sorrise di fronte alla giovane furetta che gli dava degli ordini e rimase immobile, mezzo congelato, ma felice di essere vivo. In cima al dirupo, Bubba aveva creato una specie di imbracatura da marinaio doppiando un lazo e, per aiutare la squadra di recupero, ne fece passare le estremità sopra la sella del suo dolfino, che puntava le zampe per rimanere in equilibrio. Senza i mezzi adeguati, sapeva che il recupero dei feriti non sarebbe stato agevole, ma il suo sistema artigianale sarebbe comunque servito a facilitare una risalita altrimenti impossibile. Prima dell'alba, il cowboy e il suo dolfino erano al sicuro, in un ambiente confortevole. Ancora infreddoliti, cercavano di riscaldarsi sotto le coperte accanto al fuoco dell'accampamento. Cookie cucinò un brodo bollente di cereali e verdura per Dakota, mentre Bud diede a Shadow una scodella calda di avena e germogli di grano. Attorno all'accampamento erano radunate le pecore, rimaste fino alle prime luci dell'alba a vegliare sul loro guardiano e il suo dolfìno. Dakota e Shadow non avevano ancora finito di tremare dal freddo quando, dal sentiero a sud, arrivò un rumore di zoccoli. Non tardò a farsi sentire una voce rassicurante: «Salve a tutti. Come va?». Monty scese dalla sella e fece segno a Dakota e Shadow di stare tranquilli. Vide che la ferita del cowboy sanguinava ancora attraverso l'impeccabile fasciatura di Alla. Invece di analizzarla minuziosamente, Monty si inginocchiò e rimase immobile, a occhi chiusi, per una trentina di secondi. Esiste solo la perfezione, pensò. Perfetta espressione di una vita perfetta. Non si può cambiare nulla perché non esiste un'altra verità. Poi si girò verso il dolfìno e giunse alla stessa conclusione. Gli altri pensarono che Monty stesse cercando di risolvere il problema a occhi chiusi. Jupe lanciò uno sguardo a Cookie, per vedere se si era accorto di quello Richard Bach
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che stava succedendo. Lo chef gli fece un cenno di intesa alzando le sopracciglia. Davvero interessante, pensò annuendo lentamente: Montgomery è ancora più stupefacente di quanto non si dica in giro. Poi il grande cowboy si alzò. «Presto sarete più in forma di prima» disse. «Ma come vi è venuto in mente di mettervi a saltare i burroni?» Non c'era modo di conoscere la risposta, ma lui la conosceva. Mentre Dakota cercava di rispondere, Violetta si fece largo tra la folla e si fermò accanto a Monty che annuì e cominciò ad accarezzarla con dolcezza. «Mi sa che qui c'è qualcuno che ci potrebbe spiegare qualcosa, vero Violetta? Magari qualcuno che, vagando di notte immerso nelle riflessioni sull'universo, non ha fatto attenzione a dove metteva le zampe...» «Mi dispiace, Monty» disse Dakota. «Mi sono accorto tardi che mi era scappata. Quando l'ho presa al lazo e l'ho tratta in salvo, era già sull'orlo del burrone. Ho pensato che tutto fosse finito ma, mentre mi avvicinavo, improvvisamente ho sentito mancare il terreno sotto i miei piedi, e sono stato travolto da una cascata di rocce. Poi ricordo solo di essermi svegliato tutto impolverato, congelato e acciaccato, con Alla che mi teneva la testa e...» disse sorridendo alla piccola cowboy «... mi comandava a bacchetta.» La pecora Arcobaleno si avvicinò a Dakota, accostando il muso a quello del ferito. «Violetta è mortificata» disse Monty. «Non si dà pace per essere andata in quella direzione.» «Non devi scusarti proprio di niente, Violetta» disse il cowboy dandole un buffetto dietro le orecchie. «Stavamo tutti e due facendo il nostro lavoro, e tutti e due dovremmo fare attenzione a dove mettiamo le zampe!» La soffice creatura guardò Monty. «Violetta apprezza il tuo animo generoso e ti ringrazia moltissimo per averle salvato la vita.» «Di niente» rispose il cowboy. «Se non fosse corsa all'accampamento a guidare i soccorsi, io e Shadow saremmo ancora là, ormai congelati.» Dakota respirò il delicato profumo della pecora e le disse: «Ci siamo salvati la vita a vicenda, Violetta. E sempre un piacere». Più tardi, le pecore si radunarono sul luogo dell'incidente, facendo attenzione a non oltrepassare la zona di sicurezza delimitata dalle corde Richard Bach
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disposte a terra dai cowboy. Mentre riflettevano, con il loro linguaggio silenzioso condividevano l'eccitante nottata appena trascorsa: pericolo e avventura sotto le stelle, proprio quello che si diceva del Selvaggio West. Questa sì che è vita! In quei momenti, i pensieri si rincorrevano in mutevoli immagini. Le piccole creature, felici che l'avventura di Violetta, Dakota e Shadow si fosse conclusa con un lieto fine, ripensavano all'orrore della terra che si apriva, alla corsa disperata alla ricerca di aiuto e al fragore degli zoccoli sulla sabbia e sulle rocce. Non avevano mai fatto una corsa del genere. E quel rumore! Davvero impressionante. Lontano dall'accampamento, Albicocca, in cima a una roccia, stava rivivendo quella meravigliosa, disperata cavalcata. Con il rumore del galoppo ancora nelle orecchie, cominciò a battere gli zoccoli a ritmo. Il suono arrivò fino ai compagni: clop-clop, cloppete cloppete cloppete... clop-clop, clop-pete cloppete cloppete... Le altre pecore provarono la stessa emozione e si portarono sulle rocce per unirsi alla danza di Albicocca, ritmando insieme a lei le prime due battute e lasciandole l'assolo nelle tre successive: CLOP-CLOP, cominciarono alcune Arcobaleno. Cloppete, cloppete, cloppete, fece Albicocca in assolo. CLOP-CLOP, continuò un numero sempre maggiore di pecore. Cloppete, cloppete, cloppete. CLOP-CLOP! Le pecore, completamente rapite nella rievocazione, vedevano mentalmente la stessa scena e la sentivano attraverso il suolo. Poi, come loro solito, cominciarono a fare delle variazioni: Clo-clo-cloppete, cloppete-clop, ritmò Albicocca. CLIPPETE-CLIPPETE-CLOP, CLOP-CLOP, risposero le Arcobaleno. Clo-clo-cloppete, cloppete-clop, clop-clop! CLAPPETE-CLAPPETE-CLOP, CLAPPETE-CLAPPETE-CLOP, CLOP-CLOP.! Cloppete-cloppete-cloppete-cloppete, cloppete-clop! Poi Albicocca e le altre cominciarono a battere insieme, alternandosi battuta dopo battuta: CLOPPETE clappete CLOP-PETE! Clappete-clappete CLOP!! Clappete CLOPPETE-CLOP-PETE! Cloppete CLOP! Cloppete-clappete CLOP! Clappete CLOPPETE-CLOPPETE-CLOP!!! Richard Bach
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Subito dopo l'ultima battuta, le Arcobaleno si bloccarono e rimasero ad ascoltare l'eco della loro danza tra i canyon. Dalle colline sembrò arrivare un applauso. Quando le pecore alzarono lo sguardo, ne ebbero la conferma: lungo tutto il profilo delle cime, una schiera di cowboy grandi e piccini le applaudiva e incitava, scandendo a loro volta il ritmo della danza. I piccoli animali si guardarono l'un l'altro in silenzio, compiaciuti. Che divertimento! Se ci dividessimo per colori, pensarono, e ci disponessimo in quadrati, linee e angoli... Fu così che da una scampata tragedia nacque il Montana ZuavaArcobaleno, Corpo di Marcia e Compagnia di Danza Scozzese. I burroni tormentavano Monty. Non tanto per la loro pericolosità, anche se avventurarsi nei territori selvaggi era estremamente rischioso, ma perché erano lo specchio di un tempo lontano che il cowboy aveva cercato invano di dimenticare. Quella sera Monty salì in sella a Ladyhawke e si allontanò dall'accampamento alla volta di quei luoghi minacciosi, perso nei ricordi.
Capitolo 7 Il conducente aveva fermato la sua diligenza ed era sceso a ritirare la posta per Fort Laramie dalla buca delle lettere. Una busta gli scivolò dalla zampa e volteggiò luccicante nell'aria, andando a posarsi tra gli zoccoli delle simpatiche creature che tiravano la Cometa Rock Springs-Denver. Accecato dal bagliore, Rondo, il capo dei dolfini, nitrì e indietreggiò. In preda al panico, scattò a tutta velocità imitato subito dai compagni. La diligenza rischiò di ribaltarsi e cominciò la sua corsa senza conducente lungo il sentiero in mezzo al deserto, allontanandosi inesorabilmente in balìa di sei dolfini terrorizzati. La Cometa scomparve a tutta velocità in una nuvola di polvere, sballottata a destra e a sinistra, tra il tintinnio delle briglie e il rumore dei grandi cerchi metallici sui sassi. Sbalzata dal divanetto di velluto all'interno, la bellissima furetta Dulcimer rimase senza fiato, ma non si fece prendere dal panico. Unica passeggera, nonché corriere di fiducia del governatore del Wyoming, conosceva il West come le sue tasche. Quei dolfini erano molto più spaventati di lei, e avrebbero trascinato la diligenza probabilmente fino a Richard Bach
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quando non si fosse rovesciata e disintegrata. Dulcimer fece un salto per aprire lo sportello sul tetto. Dopo essere riuscita a scardinarlo, si arrampicò tentando di uscire, in modo da agguantare le redini accanto al sedile del guidatore. La Cometa prese una cunetta e spiccò letteralmente il volo, ripiombando al suolo con un fragoroso schianto che fece schizzare sassi, polvere e pezzi di legno da tutte le parti. Dulcimer, che nel frattempo era riuscita ad aggrapparsi al bracciolo di legno, si ritrovò in un istante a zampe all'aria, sul pavimento della diligenza. La furetta si rialzò immediatamente, con un rivolo di sangue che le scendeva dalla fronte. Ora la Cometa stava correndo in discesa, diretta inesorabilmente verso il burrone di Lara-mie Rim. Dulcimer non riusciva più ad aprire lo sportello. Quando ce la fece, con una zampa afferrò immediatamente il sedile e con l'altra le redini, e le tirò con tutte le sue forze. Tenendosi aggrappata alla barra corrizampa, riuscì a fatica a tirare la leva del freno. Nonostante lo stridore assordante e il fumo che uscì dalle ruote, i dolfini, ansiosi di liberarsi del peso che stavano trascinando, continuarono la loro corsa disperata verso il precipizio. Sprezzante del pericolo, Dulcimer diede un colpo di redini e, con abile mossa, le fissò attorno al pomo della sella, tirando più forte che poteva. «È tutto okay, ragazzi» gridò mentre la diligenza continuava a perdere pezzi e i dolfini facevano di tutto per disfarsene. «Va tutto bene, state tranquilli!» A quelle parole, i dolfini alzarono la testa voltandosi indietro per quel poco che il morso consentiva loro. Avevano rallentato leggermente, ma non bastava ancora: il precipizio era troppo vicino. «Ooooh! Ferma, piccoli. E tutto okay.» I dolfini ridussero ancora la velocità, passando dal galoppo al trotto e, infine, al passo, prima di fermarsi del tutto. Con i muscoli ancora vibranti, si girarono verso il conducente, mano a mano che Dulcimer lasciava andare le redini. L'affascinante furetta scese dalla diligenza e corse subito ad accarezzare il muso del capo dei dolfini, abbracciandolo al collo. A meno di cento zampe, il burrone. «Come sta il mio dolfino preferito? Abbiamo fatto una bella corsetta, vero?» Richard Bach
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Poi gli scompigliò affettuosamente la criniera di seta, come se il tempo si fosse fermato. E in effetti, un attimo dopo, accadde proprio così. «STOP! Sei stata fantastica, Jasmine!» Furetto Gemini abbassò il megafono e si girò verso il cameraman appollaiato dietro la cinepresa, che indossava un cappellino da baseball nero girato al contrario con la scritta argentata Furetta Dulcimer. Il cameraman annuì. «Ho ripreso tutto, Gemini.» Tremando come una foglia, il regista prese di nuovo il megafono. «Sono terrorizzato» disse all'attrice «ma è stato davvero spettacolare. Adrenalina pura». A Gemini non importava che Jasmine fosse cresciuta nel Montana e quindi sapesse cavalcare come un vero cowboy. Quella scena era davvero al limite e, per quanto importante, un film non valeva rischi inutili. «Buona la prima, vero Streak?» «Direi di sì.» Il regista guardò l'orologio, aggiustandoselo a causa del riflesso del sole. «Pausa, signori. Riprenderemo con la scena novantuno.» Accanto alla diligenza, Montgomery si stava sfilando l'imbracatura con la quale, durante la ripresa, era rimasto agganciato alla telecamera che riprendeva dal basso il capo dei dolfini. Il cowboy strizzò l'occhio all'attrice. «Mi hai quasi fatto venire un infarto, Cheyenne! Ancora un secondo e avrei ordinato a Rondo di fermarsi subito» disse, dando un buffetto al dolfino e allungandogli una zolletta di carota. Jasmine sorrise. «Ancora un secondo, e avrei sperato che lo facessi!» rispose, toccandosi il rivolo di sangue finto sulla fronte. «Sono stata una frana?» «Non potresti mai esserlo, Cheye. Credimi, il mondo è molto più ricco da quando sei un'attrice.» Jasmine gli posò una zampa sulla spalla. «Grazie per essere venuto. Senza di te non ce l'avrei mai fatta.» Il cowboy annuì. «Te la sei cavata egregiamente. Non sono dovuto intervenire nemmeno una volta, ma è stato bello lo stesso.» La fama, pensò Monty, non l'ha affatto cambiata. E non solo nei miei confronti. È ancora la furetta della porta accanto, innamorata del cinema. L'addetto alla sceneggiatura si avvicinò un po' imbarazzato e disse con garbo: «Signorina Jasmine, stiamo per girare la scena numero novantuno. Richard Bach
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Mi sa che, quando ha tempo..., dovrebbe fare un salto al trucco». «Quindi intendi adesso, vero Jessie?» Jessie sorrise. «Be', diciamo il prima possibile...» «Sto arrivando!» disse Jasmine indugiando ancora un po'. «Monty...» «Sì...» «Lo so che eravamo d'accordo di vederci stasera per cena...» Monty stava sciogliendo il groviglio di redini per fissarle correttamente al corrizampa. «Non preoccuparti, Cheye. Immagino che tu sia molto stanca. Facciamo pure un'altra volta.» «Oh, no! Volevo chiederti se ti andava che ci vedessimo un po' prima. Finora siamo stati sempre immersi nelle riprese e abbiamo ancora un sacco di cose da raccontarci.» Monty era felice, gli si leggeva in volto. «Dimmi tu quando.» «Stasera, terminate le riprese, vieni nella mia roulotte. Se ti va possiamo cenare lì, così avremo un po' più di tempo per parlare.» «Non devi riposarti?» «Sei tu il mio riposo, Monty» rispose prima di voltarsi e partire di corsa verso il trucco. L'aitante furetto si sentì di nuovo come quel giovane che la notte scappava dalla finestra per cavalcare al chiaro di luna con l'amica del cuore. Monty tornò dalla sua squadra di dolfini-acrobati. «Ottimo lavoro, ragazzi.» Monty distribuì zollette di carota a tutti, poi prese Rondo per la cavezza e, lentamente, cominciò ad avviarsi verso la roulotte. «Siete proprio la miglior squadra di dolfini-acrobati di tutti i tempi, ammesso che ce ne sia stata un'altra... Dei veri professionisti» disse strizzando l'occhio a Rondo. «Per un attimo ho temuto di finire giù per il burrone!» Il dolfino annuì compiaciuto. Poi però diede un colpetto al cowboy, come per attirare la sua attenzione. «Ma ti sembra giusto che il mio personaggio perda la ragione e fugga all'impazzata solo per un foglio di carta? Sul copione c’è scrìtto che deve sembrare un pipistrello; a questo punto non valeva la pena che fosse davvero un grosso pipistrello? In quel caso me la sarei data a gambe davvero!» Monty sorrise. «Non lo scriviamo noi il copione. Noi ci limitiamo a recitarlo.» Richard Bach
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Il dolfino sospirò. «Resti tra noi, ma non sono d'accordo...» «Resti tra noi, ma la penso anch'io come te...» «Monty» chiamò l'aiutoregista al megafono «ti dispiace dare un'occhiata alla diligenza? Se sei d'accordo vorremmo rifare una scena con Lyndelle al posto di Jasmine: un primo piano sui dolfini; non c'è bisogno di arrivare fino al precipizio». «La diligenza è a posto» rispose Monty. La Cometa era stata costruita con dei rinforzi in acciaio, e di scene come quella avrebbe potuto girarne tranquillamente una decina senza aver bisogno di riparazioni. «Tutti pronti per il primo piano? Avete trenta minuti.» I dolfini annuirono in silenzio. «Bene!» disse Monty. «Riportiamola sulla strada.» I dolfini si arrampicarono lungo la salita rocciosa, trainando la diligenza vuota. Dopo pochi istanti, il capo dei dolfini diede un altro colpetto a Monty. «Cosa c'è, Rondo?» II dolfìno scosse la testa. «Se ti capita l'occasione... puoi parlare al regista del pipistrello? Sono sicuro che sarà d'accordo: un pipistrello gigante bianco, mangiatore di dolfini. Altrimenti dovrà fare i conti con gli spettatori! Chi l'ha mai visto un dolfìno che scappa perché a qualcuno cade una lettera?» Monty confortò l'amico. «Io lavoro qui come te. Ma ti prometto che ci proverò.» Poco dopo, il regista ascoltava Monty lisciandosi i baffi neri. «Ottima idea, il tuo dolfino ha ragione. Sì, è la cosa migliore.» Nella versione finale del film, la lettera svolazzava al vento diventando un lugubre pipistrello grande quasi quanto lo stesso Rondo. Quando Furetta Dulcimer fu proiettato per la prima volta solo per un piccolo pubblico selezionato per testarne la reazione, gli spettatori rimasero ipnotizzati da Jasmine e, interpellati sulla scena della diligenza, non ebbero nulla da rimproverare ai dolfìni. Monty la guardava nella luce soffusa della candela, lontano dalla polvere e dalla frenesia del set. La furetta indossava un foulard azzurro quasi trasparente e un medaglione d'argento a forma di cuore. «Volevo dirti che sono davvero felice per te, Cheye» disse alla fine. «Sei bravissima... sono fiero di te.» «Grazie, Monty» rispose Jasmine sorridendo al furetto maturo e sicuro Richard Bach
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di sé che, in gioventù, le aveva insegnato a cavalcare. «Bel copione, vero?» Monty la guardò negli occhi scuri. «Il copione non c'entra. Sai che ieri ho visto piangere la troupe? Ti hanno vista recitare e gli sono scese le lacrime dagli occhi. No, dico, la troupe!» «Faccio quello che ho sempre sognato di fare, anche se a volte è dura. Sai, Monty, tutto ha un prezzo, ma...» Cheyenne si interruppe, lasciando alla loro empatia il compito di terminare la frase. Sapeva che Monty non aveva bisogno di troppe parole per capire come si sentiva e cosa le mancava. Anche a lui mancava la stessa cosa e, capendo che l'amica era troppo triste per essere confortata, disse: «Bel medaglione». Cheyenne si asciugò una lacrima, ringraziandolo in silenzio per aver cambiato discorso. «Vuoi vederlo?» disse sfilandoselo dal collo e posandolo davanti all'amico. «Forse è meglio di no.» «Guarda che non morde! Aprilo.» Monty fece scattare il fermaglio e il cuore d'argento si aprì. Dentro c'era una margherita azzurra di montagna. Il cowboy rimase un attimo in silenzio, poi disse: «Mi ricordo...». Era un altro argomento pericoloso. Così, questa volta, fu lei a cambiare discorso. «E il CineFur?» «E sempre là, a Little Paw. Alexopoulos non usa la tua conoscenza per farsi pubblicità, ma ci tiene a far sapere che Jasmine ha venduto biglietti in quello stesso botteghino, e che si è seduta in quella poltroncina, in quell'altra e in quell'altra ancora... Ti vuole molto bene, Cheye.» «Anch'io gliene voglio. Gli devo molto.» Quasi senza toccare cibo, quella sera parlarono dei giorni in cui giocavano insieme e delle lunghe cavalcate. Jasmine fu felice di scoprire che Sable Canyon era rimasto come una volta: i loro prati segreti, gli amici e così via. «Dai, Monty, raccontami l'evento che per te è più importante da quando... da quando ci conosciamo.» Era l'incontro al laghetto, quando un gruppo di dolfini selvatici e il loro capobranco avevano compreso che Monty era in grado di capire il loro linguaggio. Richard Bach
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«Ah, quel simpatico bestione!» disse Monty scuotendo la testa. «Dopo migliaia di supposizioni, indizio dopo indizio, avevo capito che il loro linguaggio non era fatto di parole, ma... Li avevo seguiti fino al laghetto di Button, in fondo al sentiero che parte dalla baracca di Johnny Polecat; fu allora che vidi il maschio Alpha, il capobranco, dire agli altri: "Il nostro amico furetto pensa di capire quello che diciamo!"'.» Monty bevve un sorso d'acqua di montagna dal bicchiere sulla tavola. «Poi si avvicinò a me come se fossi stato uno di loro, e disse: "Se questo furetto riesce davvero a capire quello che dico, entrerà nel laghetto fino a quando non gli rimarrà fuori soltanto il muso. E solo se lo farà, noi gli mostreremo quello che nessuno ha mai visto: ci disporremo in cerchio intorno al laghetto e gli faremo un inchino. Ma per adesso nessuno si muova; prima deve entrare in acqua".» Al ricordo, gli occhi di Monty si illuminarono. «Ti immagini, Cheye, ventiquattro dolfini selvaggi che si dispongono in cerchio per farti un inchino? Il maschio Alpha aveva detto proprio così!» Il cowboy interruppe il discorso per una spiegazione: «Non comunicano a voce, ma attraverso dei piccoli movimenti. Si inclinano, scuotono la criniera, fanno dei segnali con le orecchie e le palpebre. Ma tutto è nella loro mente.» Jasmine guardava il vecchio amico, commossa più dall'amore di Monty per gli animali, che dal racconto. «Così, per vedere quello spettacolo, cominciai a camminare nelle acque del laghetto. Cavolo...» disse Monty ridendo «era solo primavera e la neve stava cominciando a sciogliersi. Ma non hai idea di quanto fossi eccitato, Cheye! Stavo per dirgli: "Visto che ho capito?". Così continuai ad avanzare nell'acqua gelida, fermandomi quando mi rimasero fuori solo il muso, i baffi e gli occhi. Avrei rischiato di morire assiderato, pur di assistere all'inchino dei dolfini. E sai cos'hanno fatto? Forza, prova a indovinare!» «Si sono disposti intorno al laghetto, uno accanto all'altro» rispose incuriosita Jasmine. Monty scosse il capo, con un sorriso che le intenerì il cuore. «Niente! Non hanno fatto un bel niente! Mi hanno guardato come si guarda un matto che entra in un lago ghiacciato!» «Neanche un piccolo inchino?» «Macché. Sapessi quanto freddo ho preso! Con i dolfìni che mi nitrivano alle spalle per prendermi in giro.» Richard Bach
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«Piuttosto crudele da parte loro, non trovi?» Monty fece un cenno con la zampa, a difesa dei dolfìni. «In fin dei conti non mi hanno costretto. E poi, come si fa a non amare un animale con il senso dell'umorismo?» Poi, ancora assorto in quel felice ricordo, giocherellò con il bicchiere. «Quando, la volta successiva, li incontrai, il capobranco venne a scusarsi per lo scherzetto che per poco non mi aveva fatto venire la broncopolmonite. Ma aveva le orecchie in avanti e gli tremolava il naso, proprio come fanno i dolfìni quando ridono.» Il cowboy continuò ancora per un po' a parlare dei suoi amati animali. Non disse mai a Jasmine di avere incorniciato la fotografia che lei gli aveva spedito dalla Casa per Giovani Attori e di averla sistemata sulla rozza scrivania del suo ufficio. Tanto meno si lasciò sfuggire che parlava a quella fotografia tutti i giorni, per dirle che era ancora innamorato di lei. Anche Jasmine raccontò a Monty le sue avventure, a partire da quando si ritrovò sola in una città sconosciuta, tra audizioni, studi sulla recitazione, gioie ma anche frustrazioni. Gli disse di quando fu scoperta come attrice, nonostante le fosse sfuggita un'imprecazione per la caduta di un riflettore, e di quanto fu fortunata al provino per la parte principale ne La prima luce. «Non si tratta di fortuna, Cheyenne» commentò l'amico. «Ci sono tanti giovani di belle speranze a Hollywood, ma non sono tanti quelli che... insomma, anche se ci sono abbastanza appoggi da cui iniziare, alla fine è dura...» Monty sollevò il bicchiere davanti a sé e fece un brindisi, guardandola negli occhi. «All'attrice che "... nella telecamera è magica!". Sono parole di Gemini; gliel'ho sentito dire ieri. Ha detto che lo sanno tutti: sei una delle più grandi attrici della storia. "Lei non è il suo personaggio, ma l'anima del suo personaggio!"» «Ha detto così?» Monty annuì. «Davvero...» disse afferrando il bicchiere. «Davvero un bel complimento.» Poi cambiò discorso, tornando a parlare del Montana. «Trish e Zander che fine hanno fatto?» Monty sorrise. «Zander è andato a vivere in Scozia.» «In Scozia?!» «Non ti ho ancora raccontato un sacco di cose. Zander ha clonato delle pecore chiamate "Arcobaleno". Ora ce ne sono migliaia, e vogliono tutte visitare il Selvaggio West. Quindi per un po' lavorerò insieme a lui. Trish Richard Bach
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invece ha trovato un compagno e si è sposata. E andata a vivere a West Palm Beach, dove continua a suonare l'arpa. Tiene concerti. Nakayama è diventato un abilissimo contabile e ha una ditta tutta sua.» «Ricordo che Trish amava la musica e i numeri.» «Come Nakayama. Suona il flauto e, insieme, si divertono a risolvere equazioni di secondo grado.» Improvvisamente Monty si batté la zampa sulla fronte. «Sono diventato zio, Cheye! E nata la piccola Chloe. E la cucciola più bella del mondo...» Le parole di Monty sfumarono, mentre il cowboy si perdeva nel dolce ricordo dei giorni passati. Era la prima volta che si rendeva conto di quanto tempo era passato e quante cose erano accadute fino a quel momento. «E cosa mi dici di Monty?» Monty si fermò un istante a riflettere, ma decise di non voler inquietare Cheyenne confessandole i suoi veri sentimenti. «Io sto bene. Probabilmente non vedrò mai il mondo come state facendo tu, Zander, Trish e Nakayama. Ma non sento nemmeno il bisogno di farlo. Sono felice nel Montana. E casa mia, Cheye: i dolfìni, i piccoli aspiranti cowboy, una moltitudine di pecore. Penso proprio di amare gli animali.» Mentre parlava, si domandò se, agli occhi dell'amica, potesse sembrare un fallito. Sa cosa vuole, pensò Jasmine, è un uomo di successo. Poi, arrossendo leggermente, gli chiese: «C'è qualcuno nella tua vita?». Vedendo che il cowboy continuava a osservare il bicchiere, pensò che non avesse sentito la domanda. Poi Monty alzò la testa e, guardandola dritta negli occhi, rispose: «Be'... sì. C'è qualcuno». Jasmine accantonò immediatamente i suoi propositi. «Che bella notizia. Sono davvero felice per te, Monty.» «Grazie. Spero che anche nella tua vita ci sia qualcuno.» Fin da quando la giovane furetta aveva cominciato a muovere i primi passi da star, con una piccola parte ne La signora che parla, la stampa scandalistica si era data parecchio da fare per scoprire chi fosse il suo fidanzato. Il nome di Jasmine era apparso più volte, accostato a quelli del calibro di Heshsty e di un sacco di attori, nella rubrica Non è una bella coppia? di «Celebrity Ferrets». Una volta le era stata attribuita una relazione anche con il miliardario Stilton, soltanto perché i due si erano incrociati nello stesso aeroporto a Los Angeles. Jasmine pensò alla risposta e disse: «Sì, anche nella mia vita c'è qualcuno». Richard Bach
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«Se dovessi avere qualche problema con lui» disse Monty «digli che nel Montana hai come amico un furetto selvaggio che non aspetta altro che prendersi cura di te.» «Non credere a tutto quello che dicono i giornali» rispose Jasmine. «Appena trovano una pista da seguire, sono famosi per ricamarci sopra. Heshsty è un caro amico e insieme lavoriamo molto bene. Un giorno o l'altro mi piacerebbe fartelo conoscere.» Poi fece un sospiro e, con una punta di tristezza, concluse: «Non ti preoccupare, col furetto di cui sono innamorata non c'è nessun problema». Si lasciarono così. Non c'era abbastanza tempo per dirsi tutto, ma non sarebbero bastati né un giorno né una settimana. Finita la cena, con la candela che si era quasi del tutto consumata, Monty si alzò. «Si è fatto tardi. E meglio che vada.» Uscirono insieme dalla roulotte, nella frescura della notte. Al chiaro di luna, la pelliccia d'argento di Jasmine sembrava bianca come la neve. «Anche tu sei felice, Monty? Sei felice di essere un cowboy?» Monty sorrise. «Anche se a volte mi prendono in giro, mi piace parlare con i dolfini e badare alle pecore. Ci sono ancora tante cose da imparare che nessuno conosce... anche se probabilmente importano a pochi. Ma importano a me, e questo mi basta.» «Importano anche a me» disse Jasmine abbracciandolo teneramente e baciandolo sulla guancia proprio come aveva fatto molti anni prima, a Little Paw, quando si erano detti addio per la prima volta. I due amici rimasero immobili in silenzio. Se le dicessi ora quello che provo, pensò Monty, e lei mi rispondesse la stessa cosa, cosa ne sarebbe della sua carriera? Non dirò niente che possa compromettere il suo futuro. «Bene» disse Monty. «Buona notte, Cheyenne. Non sai quanto...» «Sì che lo so» lo interruppe Jasmine, appoggiandogli il capo sulla spalla. Per dei lunghissimi istanti, pensò che se gli avesse confessato i suoi sentimenti e avesse scoperto di essere ricambiata, forse gli avrebbe impedito di continuare a donare al mondo il suo talento. «Mi manchi, Monty. Mi manca casa.» «Anche tu mi manchi, Cheye. Forse un giorno tornerai a casa. Non ora; forse dovrà passare ancora un po' di tempo, ma...» La frase di Monty le ricordò che, in fin dei conti, era sempre una questione di scelte. «A volte dimentico di avere una casa. Ma amo il mio lavoro.» Richard Bach
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Il cowboy non disse nulla. Alla fine, Jasmine lo lasciò andare. «'Notte, Monty. Grazie davvero...» Mentre tornava verso la roulotte, si sforzò di non voltarsi indietro. Sentiva la mancanza di Monty, del suo modo di essere e della loro complicità. Le mancava quella casa ritrovata nello spiraglio di luce di quell'incontro. Se solo le avesse fatto un cenno o avesse detto una parola, Jasmine sarebbe rimasta con lui per tutta la vita. Ma Monty non fece nulla. Lentamente, la porta della roulotte si chiuse. Il giorno seguente si chiuse definitivamente il capitolo di Furetta Dulcimer. Un elicottero privato venne a prendere Jasmine, a cui era stato assegnato il ruolo di protagonista in Lontano da casa. Il film, tratto dal magistrale romanzo di Furetto Taminder, parlava di una bellissima furetta, determinata a raggiungere il suo obiettivo: diventare una star. I giornali scrissero che il regista Heshsty aveva scelto lei perché avrebbe recitato la sua stessa vita, e gli spettatori avrebbero fatto la fila per scoprire la vita privata di Jasmine. Monty non si accorse di nulla. Intento a radunare i dolfìni, diede soltanto un'occhiata all'elicottero mentre atterrava e, pochi minuti dopo, ripartiva inclinandosi in avanti e scomparendo verso est. Solo più tardi, il regista lo informò che l'elicottero era venuto a portare via Jasmine.
Capitolo 8 «Arcobaleno Village e centro di addestramento cowboy. Buongiorno, sono Sophia, posso esserle utile?» Jupe scosse la testa. Ci mancavano solo i telefoni, pensò. Si faceva vedere raramente in ufficio. In quel momento era lì perché gli serviva un block-notes dove poter continuare a scrivere il suo poema. Era piuttosto scettico sul fatto che un ranch avesse bisogno di un ufficio e di un telefono. Anche se riconosceva che i tempi erano cambiati da quando lui e Monty erano due giovani cowboy, pensava che per vivere tra i canyon il telefono fosse inutile. Jupe ascoltò suo malgrado il solito ritornello dell'affabile centralinista: «Siamo spiacenti, ma non è possibile acquistare la lana per telefono. Le pecore si riservano il diritto di autorizzare la vendita del loro prodotto previo incontro con lo stilista. Se desidera fissare un appuntamento, siamo Richard Bach
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a sua completa disposizione. L'unica difficoltà potrebbe essere raggiungerci: l'aeroporto più vicino si trova a Helena, nel Montana, e per il trasferimento fino al ranch ci vogliono un paio d'ore. Grazie per avere chiamato...». Rovistando nell'armadietto della cancelleria, il cowboy trovò dei blocknotes rilegati in tela. Ne prese due e firmò il modulo per il ritiro. Fuori si fermò un'automobile e ne scese una furetta che aveva l'aria di essere un pezzo grosso. Subito entrò nel locale e si fermò al bancone, chiedendo: «È questo l'ufficio?». «Sissignora» rispose Sophia, alzandosi per andarle incontro. «E nel posto giusto.» Il telefono squillò di nuovo. «Jupe, ti dispiace rispondere?» chiese garbatamente la giovane impiegata. Il cowboy, ormai con una zampa fuori dalla porta, rientrò con i suoi due blocchi e si diresse verso il telefono, posizionato tra due vasetti di piantine di città che, fuori dall'ufficio, avrebbero avuto vita dura. «Ranch delle pecore.» Dall'altra parte del ricevitore, una voce con leggero accento francese chiese: «Parlo con l'Arcobaleno Village di Monty?». «Sì.» «Ho chiamato la settimana scorsa e desideravo fissare un appuntamento.» «Venerdì» rispose Jupe. Era il giorno del grande show, e le pecore sarebbero state tutte belle spazzolate. «Quindi ci possiamo incontrare per l'autorizzazione...» «Sì.» «Facciamo... alle tre?» «Sì.» «Comunque mi chiamo...» l'interlocutore si fermò un attimo, capendo la situazione. «Mi sa che non è importante, vero?» «Bravo.» «Allora ci vediamo venerdì alle tre.» Jupe fece un cenno di assenso e riattaccò il ricevitore. Poi lasciò l'ufficio e si diresse verso il granaio.
Capitolo 9 Richard Bach
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Budgeron si era svegliato molto presto ed era uscito nel recinto vuoto. Con il blocco appoggiato alla traversa di mezzo della staccionata, prendeva appunti al chiaro di luna, nelle fredde ore del mattino. «Ho paura» scrisse. «Domani è il gran giorno e guideremo da soli le pecore fino ai pascoli alti sulla Montagna del tuono. Le Arcobaleno non si rendono conto; per loro è una gita...» Poi si fermò un attimo a mordicchiare l'estremità della matita. «Quello che mi spaventa di più sono i burroni. Io e Strobe dobbiamo stare attenti a non farle avvicinare ai precipizi. Cookie mi dice di fare attenzione, perché ci sono dei tratti dove si fatica a seguire il sentiero. Bubba e Alla ci seguiranno; speriamo di non perderci...» All'improvviso, il rumore di un fiammifero acceso alle sue spalle lo spaventò a tal punto che, girandosi di scatto verso il granaio, gli cadde la matita. «Ci siamo svegliati di buon'ora, eh?» Illuminati dal fiammifero, apparvero il muso e i baffetti di Monty, impegnato ad accendere lo stoppino di una lanterna. L'alba era ancora lontana. Il saggio cowboy spense il fiammifero con un colpo secco e, dopo averlo lasciato raffreddare qualche secondo, lo infilò nel nastro del cappello. «Sissignore» rispose Budgeron mentre si chinava a raccogliere la matita. Monty appese la lanterna a un chiodo sulla parete esterna del granaio e si appoggiò contro la traversa superiore della staccionata, guardando il fantasma della montagna confondersi all'orizzonte, sotto la luna d'argento. «Domani è il gran giorno.» «Sì...» «Hai paura dei precipizi?» «Sissignore.» «Bene.» Budgeron rimase senza parole, riflettendo su quella risposta. «I pericoli che ingannano sono quelli che non temi» continuò Monty. «La sorpresa ti mette nei guai.» Poi il cowboy si girò, prese la lanterna e si incamminò verso la sua abitazione nel ranch. «Proprio il contrario di quando si scrive un romanzo, non trovi?» Il giovane lo seguì. «Non saprei, signore.» «Un giorno lo saprai.» I due continuarono a camminare in silenzio per Richard Bach
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un po'. «Capisco subito se tra i miei allievi c'è qualcuno che un giorno cambierà il mondo.» Dopo qualche istante di esitazione, Budgeron trovò il coraggio per fargli una domanda: «E come fa, signore?». «Riconosco quelli che sanno cosa vogliono.» Monty si diresse a passo lento verso la mensa. Maestro e allievo camminavano illuminati dalla sfera di luce dorata della lanterna. «Ad esempio Bubba. Per passare l'estate in un ranch si è portato la cassetta degli attrezzi. Sicuramente diventerà un abile meccanico. Non so di quali macchine si occuperà, ma se bisognerà far funzionare un motore, lui sarà il furetto giusto. Un giorno, da quel giovane cowboy dipenderanno delle vite.» «E allora perché è venuto qui, signore? Un ranch di pecore non ha bisogno di macchine!» «E neanche di scrittori» rispose Monty aprendo la porta dell'edificio, che cominciava a tingersi dei colori dell'alba. «Tu e Bubba siete qui per la stessa ragione.» Budgeron alzò lo sguardo raggiante. «Per dimostrare a noi stessi che ce la possiamo fare.» Il padrone di casa fece strada fino a un'ala privata della mensa, con volte orientate a ovest e un piccolo sentiero piastrellato che culminava in un patio decorato da stucchi bianchi. Nella sala, uno accanto all'altro, c'erano vasi di piante, un tavolo, sedie e un camino con le braci che davano il giusto tepore all'ambiente. Monty offrì una sedia al suo allievo e si accomodò dall'altra parte del tavolo. Poi posò la lanterna sul pavimento. «Non hai mai letto Il mare e le stelle di Furetto Taminder?» gli chiese. Budgie rimase a bocca aperta. «Come fa a sapere che adoro Furetto Taminder? Ma certo, Il mare e le stelle, Fuoco d'inverno e Lontano da casa. Sono i libri a cui devo tutto. A un certo punto smettono di essere dei fogli di carta stampata: le parole escono, si uniscono e danno vita a colori, luoghi, animali... C'è un senso di avventura, come se il mondo reale scomparisse, e tu ti perdi fino alla fine e poi, quando ti svegli, ti rendi conto che è tutto uscito da un libro. Capisce cosa intendo? Così tutte le volte che vuoi rivivere quell'emozione ti basta riaprirlo. Ed è un'esperienza unica al mondo, perché ogni libro è diverso dagli altri!» In una volta sola, Budgeron aveva parlato più che in tutta l'estate. Monty lo ascoltava attentamente. «Ti va se parliamo di scrittura?» Richard Bach
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Il sole cominciava a spuntare dietro le montagne della Forca del diavolo. A un certo punto apparve Cookie, con un carrello-vivande di legno ben assortito e perfettamente levigato. Quella mattina rimase rispettosamente in silenzio, se si eccettua un veloce ammiccamento a Budgeron. Sulla lavagna della mensa, sotto la frase OGGI A COLAZIONE CON MONTY C'È... lo chef aveva scritto col gesso BUDGERON. Cookie aveva appoggiato la padella di rame per le omelette nell'angolo meno rovente della griglia, per preparare due porzioni di oeufs à l'orange, cucinate a fuoco lento in una sottilissima pastella da gustare arrotolata. Budgeron parlava concitatamente e Monty lo ascoltava senza perdere una virgola. Con l'abilità di un illusionista, Cookie preparò del riz espagnol flambéòz. mettere attorno alle omelette e ultimò la decorazione dei piatti con del crescione d'acqua e una punta di salsa del Montana spalmata a mo' di cometa. Una colazione più leggera di una piuma, per dare il buongiorno a un nuovo mattino. «Grazie Cookie» disse Monty. «Grazie davvero» aggiunse Budgeron. Il piccolo cowboy si sentì un po' a disagio nel ruolo di protagonista della giornata, anche perché non poteva ridere e scherzare come al solito con lo chef sulle stranezze culinarie del mattino. Cookie accennò un inchino ai commensali e si congedò senza spegnere le braci, spingendo silenziosamente il suo carrello verso l'uscita. Monty e Budgeron continuarono a parlare fino a quando, circa un'ora dopo, il ranch fu svegliato dal magico tintinnio del triangolo del cuoco. Il saggio cowboy si alzò. «Immagino che ti aspetti una giornata piuttosto intensa.» «Già. Grazie infinite per la chiacchierata e per la colazione!» Mentre si allontanava, il piccolo cowboy si sentì chiamare. «Ah, Budgeron, questo è per te!» Questi si girò e rimase stupito quando vide che Monty gli stava porgendo un libro. «Prendilo. E tuo.» «Grazie, signore!» Esaminò il regalo solo una volta rientrato nella camerata, quando gli altri erano a colazione. Sulla copertina a lettere bianche sul fondo blu c'era scritto: Lontano da casa. Con le zampe tremanti, Budgeron aprì il libro e notò che nella pagina accanto a quella del titolo c'era una dedica scritta a penna in bella Richard Bach
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calligrafìa: «Giovane scrittore, ora che Monty ti ha donato questo libro io ti dono la mia torcia, in modo che tu possa accenderla con la tua fiamma e un giorno possa donarla a tua volta». In fondo alla dedica, c'era una firma impreziosita dagli svolazzi: «Furetto Taminder».
Capitolo 10 Jasmine era seduta alla sedia della sala trucco, mentre lottava per non cedere alla stanchezza. Il martedì precedente aveva terminato le riprese del kolossal Pheretima, girato in Venezuela; il mercoledì era volata nel Sud della Francia per il festival del film di Boxxes; il giovedì, dopo aver concesso una serie di interviste a giornalisti della tv e della carta stampata, aveva partecipato alla cerimonia di premiazione del College of Actors Awards, protrattasi fino al mattino successivo. Per la giornata di oggi aveva in programma un volo per una misteriosa destinazione con un vecchio amico. Si avvicinò alla specchiera, prese tra le zampe una spazzola d'ebano e cominciò a pettinarsi la pelliccia lasciando le estremità più arruffate, secondo quello che ormai tutti riconoscevano come lo stile «alla Jasmine». Infilati nella cornice dello specchio, sporgevano un vecchio biglietto del treno con un forellino a forma di cuore, e la fotografìa di un giovane e aitante furetto con il bandana e il cappello da cowboy. Sul tavolino alle sue spalle, Jasmine aveva appoggiato due trofei, dei cubi di cristallo sostenuti da spirali d'argento. Leggere le iscrizioni nello specchio era praticamente impossibile. Di fronte ai cubi, erano stati appoggiati frettolosamente due «Baffi d'oro», rappresentanti due furetti stilizzati in oro massiccio. Sul primo era stato inciso: MIGLIOR ATTRICE: FURETTA JASMINE; sull'altro, il premio più ambito della serata: LA SCELTA DEI CUCCIOLI: FURETTA JASMINE. Tirò fuori dall'armadio un foulard quasi trasparente, regalatole da Donatien, blu e argento, perfettamente intonato al medaglione. Un leggero tocco di baf-liner, un velo di cipria, ed era pronta con qualche minuto di anticipo. Jasmine non si era accorta che col tempo il suo viso era cambiato. Ora, oltre alla luminosa bellezza, emanava profonda saggezza. Richard Bach
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Accanto allo specchio, una grande finestra tonda incorniciava la spiaggia di Malibu, con l'oceano che si stendeva nitido all'orizzonte. Jasmine era rimasta a lungo lontana dai prati verdi e dalle alture del Montana; ora le mancavano il suono del fiume e quell'aria tersa. Afferrò il medaglione e lo aprì. Di nuovo il passato tornò a farsi vivo attraverso l'immagine di quella margherita colta appena in tempo. Aveva risposto alla chiamata del palcoscenico, e non ne era affatto pentita. Ma a che prezzo! Vivere soli significa vivere senza intimità, e può far male. Mi manca casa, pensò. Da morire. E pensare che mi ritrovo addirittura a chiedermi se una casa ce l'ho ancora! Qualcuno bussò alla porta. «E arrivato monsieur Donatien.» «Grazie, Gwyneth.» Jasmine non stette neanche a controllare l'orologio. Di sicuro erano le tredici in punto. Lo stilista aveva uno spiccato senso degli affari, dono che nasce innanzitutto dalla puntualità. L'attrice si alzò e, seguendo la balconata, giunse in un luminoso salotto con pareti a vetro, mobili e tessuti pregiati, nonché una splendida vista sull'oceano. Al suo arrivo, un furetto dall'aspetto mondano, impeccabilmente vestito, si girò. Aveva appoggiato sul tavolo un pacco regalo color sabbia. «Buongiorno, Jasmine» disse con leggero accento francese. «Complimenti ancora: prima i cubi di cristallo di Boxxes e ieri sera due Baffi d'oro! Tu es ma-gnifique... come sempre, del resto.» «Ciao, Donatien. Grazie.» «Non è un gran momento? Ti vedo un po' giù di corda.» «Lo ero fino a qualche secondo fa» rispose Jasmine sorridendo. «Poi sei arrivato tu a illuminarmi la giornata.» «Sono felice di rallegrarti. Tutto merito del mio animo felice. Cambiamenti in vista, Jasmine?» L'attrice pensò che negli affari non si va da nessuna parte senza una buona dose di sensibilità. «Ti racconterò.» Jasmine notò il pacco sul tavolo, ma non chiese niente. «Avevi promesso di venire con me senza fare domande» disse lo stilista «ma possiamo anche rimandare...» L'attrice sorrise, scrollandosi di dosso la stanchezza. «Niente domande. Quando si parte?» «Adesso» rispose Donatien prendendo il pacco regalo. «Per te.» «Grazie, sei un tesoro.» Jasmine sciolse il nastro e sollevò il coperchio. Richard Bach
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Dentro, sotto un velo di carta trasparente, c'era un cappello da cowboy. Nessun vero cowboy l'avrebbe mai indossato perché era blu come il cielo del Montana. Poi alzò lo sguardo sbigottita. Come facevi a saperlo?!, pensò. Dato che la star sembrava paralizzata, Donatien tolse il cappello dalla scatola e glielo appoggiò sulla testa. «Hmm...» mugugnò insoddisfatto, risistemando il cappello in modo diverso. «Et voilà!» esclamò raggiante. «.C'est parfait!Jasmine, non dire niente.» Lo stilista la fece girare verso lo specchio e gli bastò vedere il suo sguardo per capire cosa provava. «Non dire niente, lo so: ti ha tolto il fiato!» Donatien e Jasmine arrivarono all'aeroporto Van Nuys a bordo di una limousine bianca e salirono la scaletta di un jet privato nero, con la scritta dorata «Donatien» sulla fusoliera. Nessuno seppe a cosa pensava Jasmine mentre sonnecchiava con il cappello da cowboy calato sugli occhi. Tuttavia qualche ipotesi fu fatta il giorno dopo dal giornale «L'occhio di Cupido»; del resto una coppia così glamour non passava certo inosservata. Il pomeriggio stesso atterrarono all'aeroporto di Helena, dove ad attenderli c'era una limousine nera che partì immediatamente verso sud. Mentre proseguivano il loro viaggio, Jasmine scoprì di trovarsi al centro di una trama sempre più fìtta di coincidenze, ordita inconsapevolmente dallo stilista. Donatien le disse che, per la sua nuova collezione di sciarpe, voleva solo ed esclusivamente la lana delle pecore Arcobaleno che, per quanto incredibile fosse, si poteva acquistare in un unico posto. Per questo motivo, aveva preso un appuntamento per convincere le diffidenti pecore che le sue sciarpe sarebbero state degne della loro rara e coloratissima lana. Lo stilista le spiegò che sarebbe stata una giornata fantastica: lui avrebbe firmato l'accordo e Jasmine avrebbe avuto l'opportunità di visitare i luoghi della sua gioventù, di cui parlava così spesso. L'attrice annuì, ringraziando l'amico con un sorriso: «Sei un angelo, Donatien». Lui non poteva sapere, e lei non se la sentì di raccontargli tutto in quel momento. Se una coincidenza così magica l'aveva portata lì, forse il destino aveva in serbo qualche altra sorpresa. Forse la sua strada e quella di Monty si sarebbero ricongiunte! Richard Bach
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Il cuore le batteva forte. C'è un ordine nel mondo, pensò. Un ordine meraviglioso.
Capitolo 11 Di ritorno a casa in sella a Ladyhawke, Monty seguiva il letto del fiume che portava a Northstar, cittadina che ora si chiama Porta Arcobaleno. Lungo il percorso, c'era un cartello raffigurante la campagna selvaggia, dipinto da alcuni cuccioli con i colori delle pecore. Il cowboy procedeva lentamente, godendosi il panorama e ascoltando il ruscello, gli uccelli e il suo cuore. Tutto quello che ho desiderato, pensò, tutto quello che ho sperato si realizzasse mi è stato concesso. Sono un cowboy; ho sempre amato le montagne, l'aria aperta, il Montana e ho la fortuna di vivere qui. Ho amato i dolfini, ho voluto imparare il linguaggio degli animali e ci sono riuscito. Ho persino voluto realizzare i sogni delle pecorelle scozzesi e dei piccoli cowboy! Sorrise. Gli ho regalato azione, emozioni e avventura sugli altipiani! Le pecore si divertono un mondo e i cuccioli torneranno a casa più forti, saggi e altruisti, consapevoli delle loro capacità. Era il mio obiettivo, e l'ho raggiunto. Inoltre, mi sono posto alcune domande su me stesso e ho trovato le risposte. Monty sollevò il cappello e si diede una rapida pettinata con la zampa. Un'anima può imparare un sacco di cose durante la vita, ma... Improvvisamente Ladyhawke sbuffò e si fermò davanti a una piccola furetta apparsa dal nulla in mezzo al ruscello. Aveva il mantello color noce moscata, con delle screziature più scure sul musetto, e sembrava alquanto divertita. «Ciao, Monty. Serve aiuto?» Il cowboy sorrise, indicando col capo le zampe della furetta che frangevano le acque del ruscello. «Valgono come impronte?» «Diciamo di sì... Allora, serve aiuto?» «Mi manca, Kinnie. Mi manca Cheyenne.» «Lei è...» «Lo so, lo so: lei ha il suo destino e io il mio, quando mi fermo a riflettere capisco che è giusto così. D'altronde l'abbiamo voluto noi. In fin dei conti, credo di aver fatto praticamente tutto quello che ritenevo fosse il Richard Bach
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mio compito e di aver seguito la mia vocazione. Forse l'ha fatto anche lei, o forse no. Ma a volte mi domando perché siamo nati a Little Paw, perché siamo cresciuti insieme e ci siamo voluti così bene se, alla fine, il nostro destino ci voleva separati per il resto della vita?» Monty si aggiustò il cappello. «Alla fine mi rispondo che una ragione ci deve essere, ma non sono sicuro di volerla conoscere.» «Non sarà...» «Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato o dobbiamo ancora fare qualcosa? Dimmi, Kinnie, c'è una specie di progetto per noi, o non c'è niente da sapere e dobbiamo continuare a essere tristi? Suppongo che se Cheyenne mi manca così tanto, sono ben lontano dall'essere diventato un furetto filosofo.» «Può darsi.» La piccola creatura si sollevò dall'acqua. Niente più corrente che si frangeva contro le zampe; niente più impronte. «Come potrebbe darsi che tu senta la sua mancanza perché il tuo destino è un altro. Forse questo segno indica che non hai ancora portato a termine il tuo compito.» «Puoi dirmi cosa succederà?» Kinnie scosse il capo. «Mi dispiace. Ti dirò una legge dello spaziotempo: "Quello che succederà è già successo". E ti posso rivelare anche una legge della coscienza: "Il modo in cui percepisci la realtà dipende da te".» «E ora stai per dirmi che bisogna essere pazzi per sentirsi tristi quando si è circondati da ogni forma possibile di amore...» «No, lascio che sia tu a dirlo.» Monty le sorrise. «Sono stato io a chiamarti perché tu mi parlassi in questo modo?» Kinnie continuò a guardare i monti di Northstar all'orizzonte, come se non avesse sentito la domanda. Poi si girò verso il cowboy e fece segno di sì col capo. «Sei un bravo furetto, Monty. Hai imparato tanto e tutti ti vogliono molto bene.» Ladyhawke rimase di stucco nel vedere che, dove fino a un istante prima c'era l'amica speciale del suo cavaliere, improvvisamente c'erano solo dei sassi bagnati dal torrente. Il dolfìno scosse la testa per dire a Monty: «Forse faresti meglio a darle retta!». «Certo che le do retta, Lady» disse tra sé Monty. «A volte mi ci vuole un Richard Bach
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po', ma poi ci arrivo anch'io.» Il cowboy e il suo dolfìno arrivarono nelle vicinanze della cittadina, lungo un sentiero di aghi di pino in mezzo al bosco. Tra gli alberi, ogni tanto si cominciava a intravedere qualche edifìcio. «Monty! Oggi è il tuo gran giorno!» La porta del bar non si era ancora chiusa alle spalle del cowboy, quando Quill propose un brindisi con un bicchiere d'acqua fresca. Gli altri si unirono subito all'invito: «A Monty!». «Non è il mio gran giorno» ribatté Monty «ma il loro. Quelle pecore sono delle ballerine di tip-tap fenomenali! Non riescono a star ferme.» Il Corpo di Marcia e Compagnia di Danza Scozzese del Montana ZuavaArcobaleno si erano preparati duramente negli ultimi mesi. Nessuna pecora passava più il suo tempo a bighellonare; anche quelle che non avrebbero partecipato al grande show assistevano incantate alle prove delle compagne. Monty si sedette al bancone, dando le spalle all'uscita. «Questa volta cosa prendi?» Roxy non sapeva mai cosa gli avrebbe ordinato. A meno che non si sentisse particolarmente solo, il cowboy non prendeva mai la stessa cosa. «Che ne dici di una bella fragola appena colta?» «Con piacere!» C'è poco da sentirsi soli, pensò la proprietaria del locale, con l'atmosfera di festa che c'è per il grande show! «Grazie, Roxy» «Mi sembra di vederti un po' giù di morale» gli disse servendogli la fragola divisa in quattro parti. «Oh, no. Non ne avrei motivo.» In quel momento, una limousine nera sfrecciò davanti al bar. Attraverso i finestrini si intravidero le figure dei passeggeri. «Eccone un'altra!» commentò Roxy sorridendo. Ma quando Monty si era girato per guardare, l'automobile era già nascosta dalla polvere che aveva lasciato dietro di sé. «Siamo diventati famosi, ragazzi» disse Roxy. «Negli ultimi giorni non so quante ne siano passate di macchine come quella. Almeno una ventina. Vanno tutti al tuo ranch!» «Ci vanno per la lana» rispose Monty. «E non posso biasimarli; ditemi, avete mai visto una lana come quella?» «Certo, è cara» commentò Quill «ma devo ammettere che è meravigliosa.» Richard Bach
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«Non vedo come si possa dire diversamente» concluse Monty strizzando l'occhio. Jasmine propose a Donatien di incontrare da solo le Arcobaleno, ma lo stilista non ne volle sapere. «Sono una rarità» le disse. «Quando ti capiterà ancora un'occasione del genere? Ti prego, vieni.» Alla fine l'attrice acconsentì. Purtroppo non andò tutto come Donatien aveva previsto. Le Arcobaleno riuscivano a pensare solo al grande show, ormai era questione di ore, e la presenza dello stilista le metteva a disagio. Temevano che la loro danza lo avrebbe annoiato tanto da essere malgiudicate. Più ci riflettevano, più le piccole creature pensavano di non autorizzare la vendita a Donatien. Almeno non quel giorno. Lo stilista avvertì la loro esitazione e il loro disagio. «Pensate, queste sciarpe sono state disegnate in modo che siano i colori a riscaldare e proteggere.» Le pecore si scambiarono dei rapidi sguardi. «Non oggi.» Jasmine si alzò dalla sedia in fondo alla stanza. Una volta, Monty le aveva detto che quando non capiva un animale doveva sempre chiedersi: «A cosa sta pensando?». E a cosa stavano pensando le Arcobaleno in quel momento? Rispolverando la sua esperienza, Jasmine entrò nella mente delle Arcobaleno, unendosi al loro disagio. «Donatien non e soltanto uno stilista, ma un personaggio mondano. E se il nostro spettacolo non gli piacesse? E se il fatto di non piacergli influisse negativamente sulla qualità del suo lavoro con la nostra lana?» Senza dire niente, l'attrice le portò in un luogo mentale dove da un'ampia terrazza potevano godere di un meraviglioso panorama. Le pecore si scambiarono delle occhiate. Prima di lei, l'unico ad averle portate in un luogo del genere era stato Monty. Nella sua mente, Jasmine pensò a una soluzione: corredare ogni sciarpa con una targhetta che raccontava la storia delle Arcobaleno, con tanto di fotografìe ed elogi al Corpo di Marcia e Compagnia di Danza Scozzese del Montana Zuava-Arcobaleno. Forse in questo modo le pecore potevano far capire che erano qualcosa in più della miglior lana del mondo. Il clima cominciò a cambiare. «Quindi Donatien ci riconoscerebbe anche come artiste?» Richard Bach
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Jasmine annuì. «Se non avesse un'altissima concezione di voi, non sarebbe neanche venuto.» «E la targhetta... sarebbe a colori?» «Certo.» «Grazie. Okay, si fa.» Sempre comunicando col pensiero, le Arcobaleno si organizzarono in fila indiana e trotterellarono per andare ad apporre il timbro AUTORIZZATO e siglare i documenti dell'accordo con le impronte delle loro zampette. Ma avevano ancora una domanda: «Donatien avrebbe assistito volentieri alle prove generali dello spettacolo?». Jasmine rispose che ne sarebbe stato onorato. Rispetto e comprensione portano molto lontano nel mondo degli affari. L'attrice attraversò da sola il prato che separava la sala conferenze dalla mensa vicino all'ufficio. La star Jasmine tutta sola, pensò. Che strana sensazione passare da un luogo dove non puoi stare un attimo per conto tuo a uno dove non c'è nessuno! Ma il bello del Montana era anche questo. Jasmine sentì il profumo delle montagne, delle foreste e dei ruscelli. Era il profumo del suo passato, quello della piccola Cheyenne di Little Paw. Tastò il medaglione al collo, immersa nei ricordi. «Jasmine?» Sentendo una voce familiare, l'attrice si fermò. Davanti alla porta della mensa, con una padella di rame nella zampa e il cappello da chef di traverso, c'era Gerhardt-Grenoble. «Gren? Non ci posso credere!» Jasmine corse ad abbracciare l'amico, facendogli cadere sonoramente per terra la padella. «Ma cosa ti è successo? Sei sparito! Armond non si è lasciato sfuggire una parola; ha detto che te lo aveva promesso!» La stanchezza era svanita di colpo. «E così sei finito nel Montana!» continuò. «Questa è casa mia, e tu sei qui...» Poi indietreggiò leggermente per vederlo dalla testa alle zampe. «Adesso è anche casa mia» rispose lo chef. «Ma non chiamarmi Gren. Qui, per tutti, sono Cookie.» «Cookie!» disse ridendo. «Ma... non eri felice al La Meri» Lo chef diede un'occhiata verso l'ufficio, prese Jasmine per la zampa e la accompagnò in cucina. Era un ambiente semplice, con stufe a legna, tavoli artigianali e pentole, padelle e utensili fatti a zampa. Intorno ai due vecchi Richard Bach
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amici, Bud e i suoi assistenti stavano preparando in tutta tranquillità il carro-ristorante per la grande serata. «Sono stato felice a lungo, finché è stata una sfida. Ma dopo che sei diventato il migliore e lo sei per tanto tempo, che stimoli hai? Ero una star, rilasciavo interviste ed ero sempre in viaggio. Alla fine mi ritrovavo sempre a dormire da solo in qualche stanza d'albergo. Che razza di vita è stare da soli? Diventare il Numero Uno non è il traguardo più importante.» «Non l'avrei mai detto, Gr... ehm, Cookie.» «E invece lo sai, perché anche la tua vita è così.» Lo chef tirò giù da uno scaffale un'enorme ciotola per l'insalata e mise di fronte a Jasmine un piatto di foglie di lattuga. Poi prese dalla dispensa una bottiglia di olio extra-vergine di olive spremute a freddo e una di aceto balsamico, entrambi provenienti dall'Italia. Come faccio a farglielo capire?, pensò. «Lavati le zampe e asciugatele bene» le disse. «Prendi le foglie di lattuga e falle a pezzetti. Piccoli, mi raccomando.» Osservando in silenzio l'amico così sicuro di sé, Jasmine si accorse che emanava un'aura di pace interiore che non aveva mai notato prima. «Santo cielo, Jasmine!» disse ridendo. «Tu lo sai che razza di vita è! Cookie non aveva segreti! Ero uno chef famoso, una celebrità. E anche i miei amici erano delle celebrità. Come Jasmine, la grande star! Nel locale avevo una sua foto autografata, dove sorridevamo insieme. Ma lei non sapeva che Gerhardt era solo come un cane. E perché avrebbe dovuto saperlo?» continuò con un sorriso amaro. «Non si può vivere così.» Jasmine sminuzzò la lattuga. «Ci sei mancato.» «Non si può vivere così» ripetè Cookie. Poi si allungò dietro lo scaffale delle spezie per prendere un mortaio ricavato dalla roccia dei monti di Northstar e vi mise dentro una foglia di salvia. «Quella non è vita, e tu lo sai benissimo Jasmine.» A quel punto si girò verso le montagne a ovest, aprì le zampe verso il cielo ed esclamò: «Questa è vita!». «Ma sei ancora solo, Cookie! Che differenza c'è tra Beverly Hills, Manhattan o il Montana?» Durante l'obiezione di Jasmine, lo chef aveva continuato a scuotere il capo. «Non sei da solo?» gli domandò l'attrice. Cookie pestò la salvia, aggiungendo un altro paio di foglie. «E stato questo luogo a chiamarmi. E il primo giorno ho avuto subito la mia Richard Bach
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ricompensa: ho incontrato Adrienne. Te la presenterò.» «Adrienne? Il direttore amministrativo della MusTelCo? Allora è qui che è venuta quando ha deciso di lasciare New York per cambiare vita?» Cookie annuì. E stato il suo più alto senso del bene a guidarla, pensò Jasmine. «Complimenti, Cookie! Sono felice per te.» «E quando io potrò essere felice per te?» «Nessuno mi conosce davvero. Sono in tanti ad amarmi, ma io non...» Senza aver finito di sminuzzare la lattuga, si girò verso l'amico e ribadì: «Nessuno mi conosce davvero». «Cheyenne ti conosce.» La bella furetta lo guardò negli occhi, sbigottita. Prima di riuscire a chiedergli come faceva a conoscere il nome di quando era giovane, fu presa di nuovo per la zampa dallo chef, che le disse: «Ti faccio vedere una cosa». In cima a una stretta rampa di scale, Cookie aprì una porta di legno. Dietro c'era un corridoio con il pavimento scuro di mattonelle spagnole, le pareti bianche e il soffitto sorretto da travi a vista. «Dove...?» «Monty non c'è. Devi vedere.» «E l'appartamento di Monty? E lui non è in casa? Non è giusto, Cookie. Riportami indietro!» Lo chef si fermò. I furetti rispettano sempre la volontà altrui. «Jasmine, ascolta.» Jasmine si fermò. I furetti ascoltano sempre quando qualcuno chiede di poter parlare. «Sei stata invitata!» «Ma Monty è...» «Sei invitata dal giorno in cui hai lasciato Little Paw!» Jasmine sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. «Cren...» «Io non sono Gerhardt-Grenoble! E tu non sei Jasmine! Almeno non qui!» sbottò lo chef dimenando la coda a destra e a sinistra. «Lascia che ti faccia vedere.» Cookie si avvicinò alla prima porta del corridoio. Ancora qualche istante e... Nella stanza deserta regnava il più completo silenzio. Combattuta tra circospezione e curiosità, l'attrice si fece coraggio ed entrò. Davanti a sé, un luogo del suo passato. Non si trattava di una Richard Bach
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riproduzione, no, era la stessa, adorabile aria di casa di Little Paw. Nella stanza c'erano un caminetto e un accogliente divano con lo schienale in legno, su cui erano state intagliate le figure di due cuccioli in un prato di margherite. Jasmine notò una rastrelliera per cappelli ricavata da un ramo di pino che gli sembrava familiare, pur non riuscendo a collocarlo con precisione nei suoi ricordi. Sulla parete era appesa una foto della giovane Cheyenne in sella al suo dolfino, scattata al guado superiore del torrente Big Paw, con il lago appena nascosto dalla foresta sullo sfondo. Si era dimenticata di quella fotografìa. Jasmine camminava lentamente nella stanza. Da un appendiabiti sul muro scendeva un abito da picnic di percalle rosso. Sulla scrivania, due biglietti del cinema strappati, con la scritta Viaggio disp..., e una foto recente di Boffin e Starlet insieme, nel recinto dei suoi genitori. «La mia piccola Starlet» sussurrò Jasmine. «Ti dispiace se resto un minuto da sola? Pensi che a Monty darebbe fastidio?» chiese a Cookie senza voltarsi a guardarlo. «È stato lui a dirmelo» rispose lo chef uscendo. «Non so se l'ha detto anche ad altri. Qui è casa tua. Rimani pure quanto vuoi.» Jasmine rimase in silenzio e non si girò verso l'amico che, dopo qualche istante, chiuse la porta. Si tolse il cappello e lo appese delicatamente al ramo di quell'albero così familiare. Il mio più vecchio amico, pensò. Quanto tempo è passato da quei giorni. Lui doveva restare; io partire. Jasmine si accovacciò sul divano, davanti al camino. «Finché non provo, non lo saprò mai...» Ci aveva provato, e ci era riuscita, pagando fino alla fine il prezzo del successo. E ora... L'attrice chiuse i begli occhi, approfittando dell'assenza del suo carissimo Monty e di quel luogo così simile a casa, per riposarsi. Monty rientrò poco prima dell'inizio del grande show. Aveva fatto un sopralluogo e diretto i preparativi per l'evento da un'altura sopra la piana rocciosa scelta dalle Arcobaleno per l'esibizione: un palcoscenico chiuso su tre lati dalle montagne, con un'acustica perfetta. In fondo al corridoio, notò che la porta della stanza di Cheyenne era chiusa. Richard Bach
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Il cowboy ebbe un fremito. Chi è venuto? Quella porta è sempre rimasta aperta. Forse Cookie? Monty aprì la porta e vide che non c'era nessuno. O almeno così sembrava. Improvvisamente, il suo cuore si fermò. Dal ramo di pino che aveva portato da Sable Canyon, pendeva un cappello da cowboy blu.
Capitolo 12 C'era tutta la città; chi era arrivato in pick-up, chi in automobile, chi in groppa a un dolfino. Per assistere allo spettacolo delle Arcobaleno, gli spettatori, fieri delle loro amiche scozzesi che avevano scelto di vivere nel Montana, si erano arrampicati lungo il sentiero posteriore. L'ampio semicerchio di fronte alla parete rocciosa era gremito di pubblico. A ovest il sole cominciava a tramontare dietro il canyon, dove dieci furetti scozzesi - cinque cornamuse e cinque tamburi - erano schierati uno accanto all'altro in uniforme da parata: kilt, cappello e sciarpa. I suonatori di cornamusa cominciarono a muovere le dita sulle canne, nonostante avessero suonato centinaia di volte il loro repertorio di marce e danze. Quanta gente lì sotto... Mancavano due minuti. Le pecore erano nascoste in un avvallamento dietro il palcoscenico, in attesa del loro momento. Agitate per il debutto, immaginavano tutte insieme di danzare a ritmo di marcia. Lungo la ripida parete rocciosa alle spalle del palcoscenico, un insolito spettacolo: quattro pick-up con le ruote anteriori bloccate e gli assali posteriori sollevati da un martinetto, a mo' di tribuna privata. La prima cornamusa fece un segno ai compagni, e i suonatori cominciarono a gonfiare i loro strumenti. All'inizio ne uscì una specie di debole ronzio, che improvvisamente si trasformò in un potente canto di aquile. La folla sotto rimase senza fiato e l'emozione aumentò quando, pochi istanti dopo, attaccarono anche i tamburi. Le cornamuse intonarono l'antica marcia Gli agnelli di Scozia sognano di volare. La melodia fece venire la pelle d'oca a tutti gli spettatori. Nel secondo pezzo parteciparono anche le pecore, che batterono gli zoccoli all'unisono, continuando a rimanere nascoste. Poi, dietro il palco, ecco un movimento: il pompon di un berretto scozzese, anzi, cinque, dieci, venti... da tutte le parti! Ora la scena era tutta per le zuave Arcobaleno. Richard Bach
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Il ritmo della musica aumentò gradualmente insieme al battito degli zoccoli delle pecore, schierate sul palco in base ai colori, più sgargianti che mai per l'occasione. Dopo lo show, alcuni dissero che, per la loro performance, le Arcobaleno avevano utilizzato dei sotto-zoccoli d'acciaio; altri invece sostennero che il suono metallico fosse causato dal fondo di pietra. Fu un inizio strepitoso, che lasciò il pubblico senza fiato. Le cornamuse suonavano a ritmi sempre più vertiginosi e gli zoccoli delle Arcobaleno battevano all'unisono con l'effetto di un tuono. Quando cominciarono le variazioni sul tema a ritmo sincopato, la folla andò letteralmente in delirio. Tempo rallentato; normale; allegro; acuti di cornamuse; veloce; doppio; triplo! Era un uragano di zoccoli, un gigantesco motore dalla forma danzante delle zuave e delle loro zampe, quasi invisibili per la velocità con cui seguivano il ritmo della marcia. All'improvviso, in un istante... Silenzio. Eco. Eco... La folla non riuscì a trattenere la tensione ed esplose. Il fragore fu tale da lasciare di stucco anche molte Arcobaleno, sebbene distrutte dalla fatica. E così ebbe inizio una serata indimenticabile. Dopo il Corpo di Marcia, fu il momento del tip-tap, accompagnato inizialmente dalle cornamuse e poi proseguito a cappella, in un uragano di ritmi. Nello stesso momento, quattro Arcobaleno si lanciarono in volo dalle pareti rocciose del palco, incrociandosi a mezz'aria. Poi sei, facendo delle capriole così veloci che i loro colori divennero tutt'uno. Ma il culmine dello spettacolo fu alle ultime luci del tramonto: un centinaio di Arcobaleno, zuave e ballerine, sul palco in un unico, assordante ritmo di zoccoli luccicanti. Monty assistette allo spettacolo in sella a Ladyhawke dalla cima di un dirupo, estasiato come ogni altro spettatore. Finito lo show, nonostante il palco fosse ormai vuoto, il pubblico continuava ad applaudire e chiedeva a gran voce il bis. «Che te ne pare, Cheye? Pensi che i nostri piccoli amici abbiano un futuro?» Gli occhi di Cheyenne erano bagnati di lacrime. Sarà l'emozione per lo spettacolo, pensò l'attrice. «Sono... fantastici, incredibili! Di prima classe, anzi, di primissima classe! A Hollywood non ho mai visto una cosa del Richard Bach
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genere.» «Be', allora perché non torni nel Montana?» Cheyenne lo guardò negli occhi e capì che Monty non scherzava affatto. Nell'oscurità, con gli applausi ancora in sottofondo, improvvisamente una luce: i quattro cowboy abbarbicati sulla montagna avevano acceso i fari dei loro pick-up, illuminando il palco. A quel punto, le cornamuse ricominciarono. Monty fece un cenno all'amica e accarezzò la criniera di Ladyhawke. I loro due dolfìni scesero il pendio e si allontanarono dal palco e dalla folla, dirigendosi a nord del ranch. «La luna sta per sorgere proprio là, baby. Dietro i monti di Northstar. Ed è quasi piena.» Monty indicò il punto esatto. L'alone cominciava già a formarsi dietro le montagne. Cheyenne rise. «Come mi hai chiamata? Baby?» «Be', che c'è? Non ti piace come parlo, baby?» domandò il cowboy strizzandole l'occhio. I due cavalcarono fianco a fianco nella notte. Cheyenne si girò verso il compagno. «Adoro il tuo modo di parlare, Monty. E solo che... ho vissuto per troppo tempo in un posto dove nessuno ti chiama "baby".» Monty non replicò. «Cosa dici, Monty, è la volta buona per acquistare un biglietto di sola andata con destinazione "casa"?» «Vuoi davvero il mio parere?» disse sollevando il cappello per darsi una sistemata a un ciuffo con la zampa. «Fai quello che pensi sia meglio per te. Se deciderai di salire su quel treno, credo che non ti volterai indietro rimpiangendo il passato. Anzi, penso proprio che se tornerai, Cheye, ricomincerai finalmente a guardare avanti.» Cheyenne annuì. Una volta scalate certe vette, pensò, non si può più scendere ma è necessario aprire le ali e spiccare il volo. «Una volta tornata a casa, pensi che mi riabituerò a quel "baby"?» «Garantito.» Cheyenne rise felice, senza aggiungere niente. Insieme cavalcarono al chiaro di luna verso i monti di Northstar.
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