Racconto dei tempi passati Cronaca russa del secolo xii
A cura di Itala Pia Sbriziolo Con un saggio storico-introduttivo di Dmitrij S. Lichacév
Copyright ,©
1971
Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino
Giulio Einaudi editore
Indice
p. ix xi
Premessa di Itala Pia Sbriziolo Saggio storico-introduttivo di Dmitrij S. Lichacév
Racconto dei tempi passati
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Inizio del regno di Svjatoslav, figlio di Igor' L'assassinio di Boris Inizio del principato di Jaroslav a Kiev Inizio del principato di Izjaslav a Kiev Inizio del principato di Vsevolod a Kiev Sermone Gontinuazíone secondo la cronaca di Ipat'ev Inizio del principato di Volodimir, figlio di Vsevolod
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Indice dei nomi e dei luoghi
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sr 93 xx6
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La presente traduzione è preceduta dall'ampio studio di Dmitrij S. Lichacév, edito nel secondo volume della Povest' vremennych let (Mosca-Leningrado 1950), SU cui è stata condotta la nostra versione italiana: era difficile, dunque, aggiungere una qualsiasi ulteriore premessa a questo documento della Rus' kieviana. Un'avvertenza, però, bisognava farla. Si è cercato di rendere la cronaca con fedeltà massima: cosa non facile, per la confluenza in essa di una pluralità stilistica creata dai diversi generi letterari che vi s'inseriscono. Gi si è trovati infatti a dover rendere in italiano, l'una a fianco dell'altra, pagine del « genere » agiografico, di quello cronachistico, di quello proprio dei racconti di guerra: retorico il primo, laconico l'altro, espresso essenzialmente da formule il terzo. E le tre maniere stilistiche s'intrecciavano spesso nel medesimo racconto: perché il cronista vi riferiva ad un tempo la vita di un santo, notizie cronachistiche e fatti di guerra. Siamo riusciti ad esserne sempre interpreti chiari? Si è cercato a volte, di proposito, di rendere piú intellegibile il testo al lettore italiano; a volte invece, involontariamente, ci si sarà discostati da tale intento: tuttavia, forse, per migliore aderenza al quattrocentesco cronista, che ha letto male e trascritto peggio. Dí tutto ciò si chiede dunque ammenda. ITALA PIA SBRIZIOLO
Racconto dei tempi passati ' Saggio storico-introduttivo
Il cronista ebbe a paragonare i libri ai fiumi: «Essi sono simili a fiumi che abbeverano l'universo » (Povest' vremennych let, anno I03 7 ). La similitudine del cronista si addice soprattutto alla stessa cronaca. Il compendio maestoso e logico della cronaca della storia russa, in effetti, può essere paragonato al fluire solenne e possente del grande fiume russo. Al fluire della narrazione cronachistica si congiungono numerosi affluenti: opere di diverso genere, qui fuse in un'unica e sublime mescolanza. E vi si trovano anche cronache anteriori e leggende, racconti orali e storici canti, concepiti in ambienti diversi: quello della druzina e del monastero, quello principesco e, talvolta, anche quello artigiano e contadino. Da tutte queste « fonti di saggezza » nacque anche la Povest' vremennych let, creazione di molti autori, opera che riflette anche l'ideologia dei dirigenti la società feudale, le aspirazioni del popolo, e le sue opinioni e riflessioni sulla storia russa; opera epica e lirica ad un tempo, ripensamento perspicuo e coraggioso dello storico cammino della nostra patria. Le fonti della Povest' vremennych let determinarono in modo peculiare la specie della sua composizione. La narrazione vigorosa, logicamente edificante, permeata di entusiasmo patriottico della Povest' vremennych let, con il suo continuo inoltrarsi dal passato al presente alimentò una profonda comprensione dell'attività politica di quel tempo. Il suo racconto fu talmente autorevole ed avvincente che i cronisti attratti dal suo moto nel tempo, nel corso di molti secoli successivi e fino al xvi secolo, lo proseguirono nelle loro cronache locali, regionali ed in seguito anche in quelle riguardanti tutta la Rus'. La Povest' vremennych let divenne essa stessa « fonte di saggezza » per í cronisti posteriori. Da essa i cronisti iniziarono il proprio racconto, continuandone l'idea; all'epoca del frazionamento feudale e della [Titolo originale Povest ' vremennych let. Nella nostra traduzione i documenti medievali di cui si fa menzione nel saggio del Lichaav verranno citati con il titolo originale].
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zlaja tatarscina', essi videro nel suo contenuto una viva testimonianza dell'unità della terra russa. La Povest' vremennych let è opera cara ad ogni russo. Essa narra l'origine della terra e del popolo russo per bocca dei Russi lontani e, ad un tempo, a noi vicini dell'xi e dell'inizio del xii secolo. Al suo racconto pacato piú d'una volta torniamo, e sempre vi troviamo nuovi significati che prima non avevamo notato. i. Gli alti pregi della Povest' vremennych let nacquero sul fecondo terreno della cultura russa dell'inizio del xii secolo, epoca della sua redazione. Quei pregi erano connessi all'interesse eccezionale per la storia patria in tutti gli strati della società della Rus' kieviana e alle qualità della sua lingua letteraria: la quale si dimostrò adatta ad esprimere 1'acutezza del pensiero astratto e i diversi concetti, straordinariamente complessi dell'xi secolo, della realtà concreta e storica. In effetti la Povest' vremennych let appartiene all'epoca in cui chiaramente si andarono profilando i tratti peculiari del feudalesimo, pur essendo ancora vive anche le remote tradizioni dell'epoca dell'antico stato russo. $ già chiara la ripartizione della società in autorità governativa feudale e basse classi asservite della popolazione delle città e dei villaggi; ma è ancora vivo il ricordo dei rapporti patriarcali e della obscina nei racconti dei banchetti di Vladimir, cui erano ammessi tutti indistintamente. già venuta meno l'unità politica della terra russa, scomparsa nel processo di feudalizzazione; erano già divenute autonome Novgorod, Polock, il territorio galizio-volyniano, il principato di Smolensk e di Vladimir-Suzdal', ma restava ancora valida la coscienza dell'unità della Rus'. Si consolidavano í nuovi principati feudali con carattere di signorie, ma perduravano ancora le tradizioni della sola potenza kieviana, inserite nella vita reale, politica del principato di Vladimir Monomach. La cultura russa si sviluppava ormai nell'ambito regionale, ma senza ancora confinarvisi. S'innalZ
'[È cosí definita nelle byliny (vedi oltre) l'epoca della dominazione tatara]. ^[Presso gli Slavi orientali s'era conservata a lungo l'organizzazione per stirpi. A partire dal secolo ix le stirpi si suddivisero in famiglie; ed in seguito a questa suddivisione si venne formando una particolare struttura per cui singole famiglie, non legate fra loro da vincoli di parentela, ma viventi sullo stesso territorio, si unirono nella cosiddetta comunità fondiaria, denominata appunto obscina. In essa glí anziani avevano funzioni di comando].
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zavano ancora le vaste ed irnportanti costruzioni tipiche dello stato kieviano. Ancora si sentiva l'influsso dell'arte maestosa e vitale negli affreschi della Cattedrale di San Giorgio del monastero novgorodiano di Jur'ev, della Cattedrale del monastero novgorodiano di Sant'Antonio, e della Cattedrale di San Nicola al Mercato di Novgorod; e, piú tardi, del monastero di San Cirillo a Kiev, del monastero Miroskij a Pskov, della chiesa di San Giorgio a Staraja-Ladoga; nelle miniature del Vangelo di Mstislav, ecc. Non era ancora superato il limite netto tra le forme architettoniche di Kiev, di Novgorod, di Cernigov... La cultura russa continuava a presentare ovunque grandiosità e fasto, tipici della fine dei secoli x e xi. Il frazionamento feudale costituí una tappa inevitabile dell'evoluzione storica della Rus'. A partire dalla fine dell'xi secolo, il disgregamento dello stato kieviano fu collegato allo sviluppo delle singole sue parti, all'incremento delle forze produttive locali, alla costituzione di nuovi centri regionali, cittadini, al progresso dell'attività della popolazione. Tale processo - di frazionamento politico dello stato kieviano e di sviluppo dei centri regionali - ebbe un significato importantissimo nella crescente formazione culturale della Rus' del xII secolo. La cultura russa, che all'epoca dello splendore dello stato kieviano era cultura di Kiev per eccellenza, a partire dalla fine dell'xa secolo si sgretola e si raccoglie intorno a numerosi centri: Novgorod, Cernigov, Polock, Smolensk, Vladimir-Volynskij, Galié, Rostov, Suzdal', Vladimir-Zalesskij, ed altri. Tutti questi centri manifestano, a partire dalla fine dell'xi secolo, una decisa tendenza all'autonomia politica, all'individualità culturale. « Ciascuna terra autonoma tende ad un compiuto sistema politico con una propria gerarchia di proprietari terrieri (principi e boiari), che si trovano in complessi rapporti reciproci. Tali maglie isolate, restringendosi a mano a mano nello spazio sempre piú circoscritto dei propri limitati interessi, a confronto con il nuovo, aperto orientamento della vita politica internazionale dello stato kieviano, si ridussero in maniera notevole. Tuttavia la vita interiore di questi isolati mondi politici fluiva intensamente... »`. La vita culturale dell'inizio del xII secolo, allorché venne redatta la Povest' vremennych let, già si avviava per le numerose strade e sentieri dell'evoluzione feudale. E risentiva la benefica influenza della nuova fase dello sviluppo delle forze produttive. Nel suo movimento vigoroso e giovane, è palese il forte influsso della nuova grande forza culturale e sociale dei cittadini: artigiani e mercanti, oltre quel1 B. D. GREKOV, Kievskaia Rus',
Moskva-Leningrad 1949,
p. 502.
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lo dei ceti dirigenti la società feudale. D'altra parte non sono venuti ancora meno i numerosi privilegi del precedente periodo di evoluzione. La coscienza dell'unità della Rus' e la liberalità ideologica russacomune ' , forse, si faceva sentire ancora piú intensamente proprio ora che il concreto terreno sociale-economico e politico di questa unità veniva meno; ora che il potente stato di Vladimir apparteneva già al passato, sebbene perdurasse viva la sensazione della terra russa come un'unica compagine. Nella fusione dell'impetuoso movimento progressista con la conservazione delle migliori tradizioni del passato è la base della potenza creativa di questo periodo. La Povest ' vremennych let riflette nel suo contenuto la vittoria della struttura sociale feudale su quella prefeudale, patriarcale, del periodo dell'obscina. Essa fu redatta nel tempo in cui la cultura feudale era una manifestazione recente, in via di sviluppo. I cronisti, congiungendo i propri sforzi nella stesura della Povest' vremennych let, senza badare al grande dolore per la perdita della passata unità della Rus', e al profondo sdegno per le discordie sorte tra i principi, si mostrano pieni di ottimismo, fieri della Rus', del suo passato e del suo futuro. Ciò risulta molto chiaro ed evidente da un esempio: all'anno 1093, il cronista narra una delle piú spaventose conseguenze del frazionamento feudale: l'invasione dei Cumani. Egli dà un quadro vivo delle sofferenze della popolazione russa, assoggettata ai Cumani: « sofferenti, tristi, spossati, stretti insieme per il freddo, per la fame, per la sete e per la miseria, con i visi dimagrati, il corpo ridotto nero, andavano in contrade ignote, con la lingua arsa, nudi e scalzi, con i piedi feriti dalle spine »; i prigionieri, tra le lacrime, si rivolgon l'un l'altro: « Io ero di questa città », e gli altri: « Io di questo villaggio ». Poi, subito dopo aver reso cosí abilmente l'immagine delle sofferenze dei Russi, il cronista esclama: « Che nessuno osi dire che siamo stati presi in odio da Dio! Che ciò non sia! Giacché quale popolo amò Dio, come amò noi? A chi rese onori Dio, cosí come a noi rese gloria ed onori? A nessuno! »z. L'ottimismo e il patriottismo della Povest' vremennych let erano una manifestazione di forza della nuova forma sociale: nella quale ancora non si riusciva completamente a manifestare le tristi conseguenze politiche del frazionamento della Rus'. [L'aggettivo «russo-comune» si riferisce all'epoca in cui i Russi non erano ancora difEerenziati in Biancorussi, Grandirussi ed Ucraini]. z [Per questo racconto si veda la nostra traduzione, p. rza].
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La storia orale precedette quella scritta della Rus'; e l'accompagnò anche in seguito, alimentandola con linfe vitali. Nel suo fiorire, la cronaca è legata nella maniera piú diretta alla storia orale della Rus ' , di cui è depositario lo stesso popolo. Infatti, i primi cronisti russi, ricostruendo la storia della Rus', seppero raccogliere testimonianze sul passato della loro terra nel volger di diversi secoli. Scrivono delle imprese di guerra e dei trattati, della fondazione di città; dànno vivaci ritratti dei principi e narrano dello smembramento delle tribú. I cronisti erano dunque in possesso di un certo materiale orale concernente la vita storica del popolo nel corso di molte generazioni. Osservando l'insieme di queste testimonianze trasmesseci dai cronisti vediamo che un'esauriente fonte storica era per essi i1 folclore. E questo non a caso. « Dalla remota antichità, scriveva M. Gor'kij, - il folclore, in modo tenace e peculiare, si congiunge alla storia »'. I canti storici, le tradizioni e le leggende costituivano la grande storia orale della terra russa, alla quale continuamente i primi cronisti erano costretti a rivolgersi. È difficile determinare il significato delle opere storiche della tradizione orale. « Le byliny Z costituiscono la storia narrata dallo stesso popolo », scrive l'accademico B. D. Grekov, iniziando, con uno studio delle fonti del folclore, il suo libro Kievskaja Rus". Nella cronaca, come anche nei e nelle prediche si conservano numerose tracce di tradizioni storiche, di leggende, di canti, con cui gli antichi amanuensi cercarono di colmare le lacune del materiale scritto concernente la storia della loro patria. Tali elementi risultarono la vera base per la ricostruzione della storia russa del periodo piú antico: contenendo quella coscienza storica del popolo, che permise lo sviluppo della cronachistica russa. Le leggende storiche, che trovano posto nella Povest' vremennych let, risalgono a tempi remoti. Anche la fondazione delle prime città nella pianura dell'Europa orientale era legata a leggende. E lo era anche la Kiev primitiva, una delle piú antiche città dell'Europa orientale. Il cronista narra la fondazione di Kiev ad opera dei tre fratelli: i principi Kij, Scek e Choriv e della loro sorella Lybed'. Doklad na S-ezde sovetskich pisatelej 17 avgusta 1934 g. Z [Canti epici il cui contenuto storico è sovente alterato dalla fantasia, cosí che fatti e personaggi si trasferiscono dalla realtà nel mito. L'eroe delle byliny è il bogatyr']. GREICOV, Kievs/ aja Rus' cit., p.5. [Cioè le «Vite» dei Santi. Tali componimenti si diffusero tra 1 ' xI e il xii secolo: subito dopo cioè il martirio dei principi Boris e Gleb (vedi la nostra traduzione, p. 75), figli di Vladimir, fatti assassinare da Svjatopolk nel periodo delle lotte fratricide per la successione al trono di Kiev].
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Questa leggenda, già nell'viii secolo d. C., era stata trascritta dallo storico armeno Zenobio da Glak, come leggenda sulla fondazione di Kuar (Kiev) nel paese dei Poluni (Poliani) da parte di Kuar, Mentej e Chrean. In Armenia poterono raccontare questa leggenda le druziny ' slave che nel secolo vii, insieme con i Chazari, combatterono oltre il Caucaso. Qui i miti poterono diffondersi tramite le popolazioni slave che, da tempi antichi, s'erano sistemate nel Caucaso del nord, nella regione di Taman'. Di conseguenza, già nel vII secolo presso le tribú slave orientali si ebbero tradizioni storiche, gelosamente custodite nel corso di quasi cinquecento anni e trascritte dal cronista. Ancora altri indizi attestano che la pianura abitata dalle tribú russe ha conservato le tradizioni storiche piú remote. Molte leggende sono sorte in epoche antichissime. La luce balenante di questi antichissimi ricordi storici, giunti nel volger dei secoli ai primi cronisti russi, testimonia l'esistenza, sin da epoche lontane, di un interesse per la storia patria nel territorio abitato dalle tribú slave orientali. I secoli immediatamente successivi all'attività dei primi cronisti russi, e cioè il Ix e il x, ci hanno fornito materiale, preso dal sostrato storico, incomparabilmente piú storico di quello dei secoli precedenti. Non è difficile distinguere i modelli essenziali delle opere utilizzate dalla cronaca; sono diversi. Tra i principali sono da annoverare le leggende locali, legate a particolari zone, a sepolcri, a villaggi, a città di tutta la vasta pianura russa. I tumuli sepolcrali, fin dall'antichità e presso tutti i popoli, sono legati alla tradizione storica. Le alte colline, innalzate sulle tombe dei condottieri, di per sé testimoniavano l'aspirazione a tramandare, per molte generazioni, la memoria dei defunti, il cui ricordo è conservato anche nelle trixny 2 che si tenevano, per culto, sui loro kurgany ' . E ai kurgany naturalmente erano legate diverse leggende, vive tra la popolazione finché sopravvissero gli stessi monumenti funerari. Il numero di tali collinette sul territorio dell'antica Rus' fu particolarmente elevato; e particolarmente elevato fu a Kiev 4. A molte di esse si connettono miti, non privi di importanza per la valutazione dei fatti [Facevano parte della druzina i cosiddetti boiari, coi quali il principe soleva consigliarsi negli affari di governo]. vremennych let]. z [Vedi p. 9, nota x della nostra traduzione della Povest' [Denominazione, di probabile origine turco-tatara, delle sepolture slave. 11 kurgan è di forma generalmente circolare, e di altezza variabile da uno a due metri, cinto di pietre o da un fossato]. nyi period Kieva po archeologiceslzim dannym, in «Kratkie so4 M. K. KARGER, Dofeodat ' obscenija o dokladach i polevych issledovanijach IIMK», t. I(1939).
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storici riguardanti gli Slavi orientali. Non senza ragione i cronisti fanno continuo riferimento a questi sepolcri come ad antiche e schiette testimonianze della veridicità del proprio racconto storico. Cosí, ad esempio, la conquista di Kiev da parte di Oleg era legata al ricordo popolare della sepoltura di Askol'd e Dir: la morte di Igor' al ricordo della sua tomba « presso la città di Iskorosten' nella terra dei Drevliani » 1; la leggenda del saggio Oleg alla tomba « la sua tomba esiste ancor oggi, ed è chiamata la tomba di Oleg » 2; e alla tomba la morte di Oleg Svjatoslavic « presso la città di Vruc»' (l'odierna Ovruc), ecc. A proposito di queste sepolture, il cronista nota che esse esistono ancora « al giorno d'oggi »; e di molte afferma che « parlano », che sono cioè congiunte alla gloria dei principi che vi sono sepolti. Tuttavia, con l'introduzione del cristianesimo, che mutò i sistemi di sepoltura e soppresse le solennità celebrative con le quali venivano ricordate le vicende del passato, le tombe dei principi cessarono di essere il fulcro, cui era connesso il ricordo dei defunti. Le tombe cristiane di rado attirano l'attenzione del cronista. Ma non soltanto alle tombe era legata la memoria popolare del passato. Le città, i luoghi serbano vive tracce della propria origine. Il ricordo popolare collega luoghi ben precisi di Novgorod e di Ladoga a Rjurik, di Izborsk a Truvor, di Beloozero a Sineus. Si tratta di tradizioni locali, per esser nate in un determinato luogo; e sono testimonianza dell'uomo russo-comune e degli avvenimenti della storia russacomune. In modo peculiare, queste tradizioni locali raccolsero come in un unico corpus tutta la storia russa, riesumandone lo storico passato. Cosí, ad esempio, alla principessa Ol'ga erano connessi, nella tradizione locale, molti luoghi, villaggi, cimiteri, riserve (ove si praticava la caccia agli uccelli) lungo il Dnepr e la Desna. A Pskov, poi è conservata la slitta di Ol'ga. «R vi sono per tutta la terra i luoghi ove essa andava a caccia, e attestati e villaggi e cimiteri»", scrive il cronista mettendo in risalto il carattere russo-comune delle leggende storiche intorno ad Ol'ga. Quanto siano esaurienti e dettagliati questi ricordi storici, lo prova la precisa topografia dell'antica Kiev fornitaci dal cronista, il quale discorre dei tempi che gli sono distanti di un intero secolo: « Giacché l'acqua scorreva intorno alla montagna di Kiev, e a valle non abitava alcun uomo, ma [ tutti ] sulla montagna. La città di Kiev era là, dove [Si veda la nostra traduzione, p. 31, anno 945 (6453)]. Z[Si veda la nostra traduzione, p. 22, anno 912 (6420)]. [Si veda ancora la nostra traduzione, p. 43, anno 977 (6485)]. °[Si rimanda alla nostra traduzione, p. 34, anno 947 (6455)]. 2
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oggi è il palazzo di Gordjata e di Nikifor e il palazzo del principe era nella città dove ora è il palazzo di Vorotislav e di Cudin, e la trappola per gli uccelli era fuori la città, e fuori la città era un altro palazzo, dove oggi sorge il palazzo del governatore, dietro la chiesa della Madre di Dio; sulla montagna, era il terem, questo terem era in pietra»'. È peculiare il fatto che i ricordi storici piú antichi sono quelli piú strettamente connessi al culto pagano, precristiano degli avi, ma anche i piú vicini al tempo in cui già scrivono i cronisti; e quanto piú chiaramente essi si configurano, tanto piú preciso n'emerge l'interesse per la storia patria. La coscienza storica del popolo si fa sempre piú profonda, e sempre piú si circoscrive cronologicamente. In tal modo, su tutto il territorio della Rus' - da Izborsk a Ladoga, a Beloozero e fino alle rive settentrionali del Mar Nero, a Cherson (ove viene mostrata al cronista la chiesa in cui fu battezzato Vladimir), a Tmutorokan - si tramanda il ricordo dell'eroe russo-comune, dei primi principi russi, di coloro che unirono con grande « fatica » la terra russa. E al di là dei confini della Rus', sul lontano Danubio, si ricorda la città (Kievec) fondata da Kij; e in Bulgaria, sempre secondo la testimonianza del cronista, erano ancora visibili, al suo tempo, i resti delle città, distrutte da Svjatoslav. Locali per il preciso luogo di diffusione, ma russo-comuni per contenuto, queste tradizioni testimoniavano l'ampiezza dell'orizzonte storico del popolo. Esse non si riferiscono soltanto alla Rus', ma anche ai popoli ed ai paesi ad essa limitrofi: Ugri, Peceneghi, Greci, Scandinavi, Chazari, Polacchi, Bulgari, e ancora Costantinopoli, Tmutorokan, Cherson costituivano l'ampio sfondo geografico, su cui si andavano sviluppando le leggende legate a zone particolari. In tal modo la stessa terra russa con le sue numerose città e località, i suoi villaggi e tumuli sepolcrali era simile al libro vivo della sua tradizione orale. La Povest' vremennych let, che ci ha conservato molte leggende localí, è testimone anche di altre forme della tradizione orale. Un'attenta analisi della cronachistica kieviana dimostra che molte citazioni vi sono fatte sulla base di racconti di due personaggi: Vysata e suo figlio Jan Vysatic, di cui fa menzione la cronaca all'anno xio6; a tale data, il redattore della Povest' vremennych let parla di Jan, della sua morte, ed osserva: «Anch'io udii da lui molti discorsi e scrissi in questa cronaca, ciò che da lui udii » Z. Infatti, tre generazioni di cronisti furono in rapporti di amicizia con Vysata e con suo figlio Jan, tra il =064 e il i io6. [Si rimanda ancora alla nostra traduzione, p. 31, anno 945 (6453)]• z[Si rinvia alla nostra traduzione, p. 16z, anno rro6 (66r4)].
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Si può ammettere, secondo gli studi dell'accademico A. A. Sachmatov' che la serie dei racconti di Vysata e di Jan, utilizzata dai cronisti, sia stata piú ampia delle informazioni fornite da essi stessi. Evidentemente questi racconti sono legati alla tradizione dell'antica stirpe novgorod-kieviana, le cui vicende possono essere seguite nella cronaca nel corso di sette generazioni: Jan era figlio di Vysata; Vysata, come è detto nella Povest' vremennych let all'anno =064, era figlio del posadnik ^ di Novgorod Ostromir, il cui nome è connesso al piú antico monumento giuntoci della letteratura scritta russa: il ben noto Ostromirovo Evangele degli anni 1056-57; Ostrornir, come ha affermato l'insigne archeologo D. I. Prozorovskij' era figlio del posadnik di Novgorod, Konstantin; Konstantin era figlio del posadnik di Novgorod, Dobrynja, che sarà poi l'eroe delle byliny russe: Dobrynja Nikitic; Dobrynja era figlio di Mstisa Ljut; Ljut era figlio del voevoda Svenel'd citato nelle cronache russe. Le vicende di tutti questi rappresentanti della stirpe di Jan Vysatiè sono narrate nella cronaca sulla base dei racconti orali di Vysata e di Jan. Questi racconti, non esatti cronologicamente, come del resto tutto ciò che si tramanda per ricordo, recano tracce di motivi fiabeschi e non sono esenti da attestazioni poco veridiche; eroicizzano questa stirpe, ne sottolineano la ponderatezza dimostrata nel disgregamento generale delle forze dello stato di Kiev, e la vicinanza alla stirpe dei principi kieviani °. Vysata e Jan erano soliti parlare ai cronisti dei saggi consigli che i loro antenati davano ai principi kieviani. La svogliatezza di Svjatoslav a seguire quelli di Svenel'd (aggirare le cateratte del Dnepr e andare nella Rus ' a cavallo) lo portò alla rovina: i Peceneghi, dopo aver spiato i Russi in questa pericolosa località, piombarono su Svjatoslav, ne distrussero le druziny e lo uccisero. Vladirnir I Svjatoslavic seguf spesso i consigli di Dobrynja durante le sue campagne. Dobrynja si adoperò per ottenere, per Vladimir, la mano della principessa di Polock, Rogneda. Per aver ascoltato i consigli del figlio di Dobrynja, Konstantin, Jaroslav ottenne il trono kieviano. Quando Jaroslav, sconfitto da Svjatopolk e dal re polacco Boleslao, giunse a Novgorod e da lí si preparò a fuggire oltre il mare, il posadnik Konstantin, figlio Razyskanija o drevnejsich russkich letopisnych svodach, Sankt-Peterburg x9o8, pp. 226 sgg. (d'ora in poi Razyskanija). 2 [Il posadnik era una figura peculiare dell ' ordinamento interno del principato di Novgorod. Era il rappresentante dei boiari presso il principe, senza il parere del quale il principe non poteva prendere alcuna decisione]. 3 Novye razyskanij o novgorodskich posadnikach, Sankt-Peterburg 1892, p. 3. " Vedi, piú dettagliatamente, D. LicxnUv, let», in a Istoriceskie zapiski», n. 17, Moskva 1Ustnye letopisi v sostave «Povesti vremennych 945.
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di Dobrynja e nonno di Vysata, segò, insieme con i Novgorodiani, le imbarcazioni di Jaroslav, dopo aver dichiarato: « Vogliamo ancora batterci con Boleslao e con Svjatopolk ». I Novgorodiani, guidati da Konstantin, raccolsero i denari per la druzina, e Jaroslav sconfisse Svjatopolk e Boleslao. Come Vladimir ottenne, grazie a Dobrynja, il principato, parimenti Jaroslav ottenne, grazie al figlio di lui Konstantin, il trono kieviano. Nei racconti di Vy gata e di Jan Vygatic, intorno alle proprie imè inoltre evidente la tendenza rodovaja I. Cosí, ad esempio, nel racconto della Povest' vremennych let relativo all'ultima campagna dei Russi a Costantinopoli, del 1043, vi sono delle interpolazioni. Si può asserire con certezza che esse hanno avuto luogo sulla base dei racconti di Vyg ata o di quelli di Jan Vysatic. In tali interpolazioni è posto in risalto il voevodato di Vysata; del resto, proprio a Vy gata apparteneva il voevodato principale, sebbene, nel racconto originale fosse indicato Ivan Tvorimiric come voevoda. Sia Vy"ata, sia Jan erano soliti raccontare ai cronisti la propria battaglia contro i Volci, la retata al confine di Beloozero (anno 107=). i, Oltre alla tendenza rodovaja, nei racconti di Vygata e di Jan Vy"satic sui loro antenati, s'intravvedono chiare allusioni all'offesa personale. Sia Vysata, sia Jan si accostarono ai cronisti già al tramonto della propria carriera. 11 cronista riferisce che Vsevolod prese ad « amare il ! consiglio dei giovani » druzinniki e a respingere quello dei « primi » (cioè dei druzinniki anziani). Tra i respinti era anche Jan Vysatic. I druzinniki anziani rimproveravano a Vsevolod íl fatto che egli mandava in rovina la propria terra « con le vire e le imposte » e non cercava, con imprese di guerra in paesi lontani, proventi per il sostentamento proprio e della druzina. Tra le attività proprie di tutti i rappresentanti la stirpe di Vy"sata e di Jan sono citate le loro imprese nei paesi lontani, le retate di tributi e di uomini; e ciò doveva suonare indiretto monito ai principi contemporanei: i quali non pensavano alle esazioni dei tributi dai popoli vicini, preferendo mandare in rovina « con le vire e con le imposte » la propria popolazione. Di campagne belliche per l'esazione del tributo si parla a proposito di Svenel'd e di Mstisa Ljut. Dell'esazione del tributo dai Bulgari si riferisce negli articoli cronachistici su Dobrynja. E tra le attività individuali, Vyg ata e Jan menzionano le campagne nei paesi lontani, alle quali essi stessi parteciparono: a Costantinopoli (Vysata) e alla retata di Beloozero (Jan). [Tendenza ad inserire nel racconto fatti famiLiari].
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Le leggende intorno alla famiglia di Jan Visatic e Vy gata non sono note solo entro i confini della loro famiglia; ebbero invece larga eco. Già nel 1128, ventidue anni dopo la morte di Jan, il cronista aveva fatto riferimento alle leggende storiche intorno a Dobrynja per la interpretazione della grave ostilità tra i Rogvolodovici, principi di Polock, e gli Jaroslavici. Dopo aver descritto a quella data alcuni avvenimenti del principato di Polock, il cronista passa al racconto della leggenda intorno a Vladimir I Svjatoslavic e Rogneda, cui aveva preso attivamente parte lo stesso Dobrynja. Il cronista riporta la leggenda non come se fosse tramandata da uno degli appartenenti alla stirpe di Dobrynja, ma come riferita dallo stesso popolo. A questo, appunto, si riferiscono le prime parole del racconto: « Intorno ai Vseslavici ecco cosa dissero coloro che sapevano di prima ». Quindi il cronista racconta come Vladirnir, ancora principe di Novgorod, avesse mandato il suo voevoda Dobrynja da Rogvolod per chiedere la mano della figlia di lui Rogneda: Rogneda non volle divenire sposa di un robicic 1, figlio di Malusa (« ella disse: non voglio servire il figlio di una schiava »). Vladimir andò in collera e Dobrynja se ne addolorò. Dobrynja, allora, «pieno d'ira » andò contro Polock, prese d'assalto la città, e fece prigionieri Rogvolod, la moglie e la figlia. Vladimir uccise Rogvolod e sposò Rogneda, dandole il nome di Gorislava Z. Questo episodio è conservato come epos eroico nelle byliny relative al mediatore di matrimoni Dobrynja. Il racconto, però, non si limita a questo; esso riferisce anche la storia leggendaria della disputa tra Vladimir e Rogneda, nel corso della quale il figlioletto loro, Izjaslav, intervenne in difesa della madre con la spada in pugno. Riportando questa leggenda storica intorno a Vladimir e RognedaGorislava, il cronista osserva: «E da qui la spada impugnano i nipoti di Rogvolod contro il nipote di Jaroslav », giustificando cosí la interpolazione della leggenda popolare avvenuta nel testo della cronaca. Si ha cosí la sicura testimonianza che, già nel xii secolo, le leggende intorno a Dobrynja, distinte dalla tradizione della stirpe dei discendenti di Svenel'd, ebbero una larga eco tra il popolo. Da parte degli studiosi è stato notato, da tempo, un rapporto tra i soggetti coevi delle byliny intorno a Dobrynja e le notizie cronachistiche che lo concernono. Osserviamo alcuni aspetti di questo rapporto cui sinora non è stata rivolta sufficiente attenzione. Dobrynja, sia nelle byliny, sia nella cronaca, si occupa della riscossione dei tri[Rabici8, o robici& «figlio di schíava», z [Gorislava significa Dolore-Gloria].
deriva da robú, «schiavo»].
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Dmitrij S. Lichacév
buti delle popolazioni vicine. Come avviene nelle leggende della città di Tmutorokan, in cui i Russi dapprima avevano pagato il tributo ai Chazari e, successivamente, cominciarono a loro volta a riscuoterlo da costoro, cosí anche nelle byliny, Dobrynja, invece di portare il tributo ad Idolisce, lo riscuote e lo porta a Vladimir. Inoltre le byliny pongono in rilievo la stirpe di Dobrynja e di Vlad.imir nello stesso modo in cui avviene nella cronaca. Nelle byliny Dobrynja è il plenajannik di Vladimir, cioè un suo congiunto, è il soplemennik (cfr. il Tolkovyj slovar' del Dal'). L'etimo di questa parola in paleorusso non lascia alcun dubbio: egli è un congiunto, un consanguineo'. Non soltanto il ricordo di Dobrynja, tratto dalle leggende della stirpe di Vysata e di Jan Vysatic, penetrò nell'antico epos russo; in tempo diverso, vi si ritrova qualche notizia del padre di Dobrynja Mstisa, della sorella di lui Malfred' Mstinisna, del figlio Konstantin, del fratello di Jan Vysatiè Putjata, dello stesso Jan Vysatic, ecc. Del prototipo storico di Nikita Zalesanin nella persona di Mstisa Drevljanin fa menzione già A. A. Sachmatov nei suoi Razyskanija: le byliny attestano la paternità di Dobrynja, deducendola dal primo racconto su di lui. Nel ciclo arcaico kieviano lo si appella Nikitic 2; ma il ciclo kieviano lo dice figlio di Mstisa. Prendendo in considerazione ciò, si ha il diritto di ricercare nelle byliny cenni sullo stesso Mstisa, che ci aspetteremmo, tra l'altro, con lo stesso carattere di Nikita. Ritengo che l'immagine di Nikita Zale g anin (Zaolesanin) rifletta la figura di Mstisa Drevljanin'; è degno di nota il fatto che egli è un bogatyr' non kieviano, perciò quando Il'ja Muromec si spaccia per Nikita, nessuno lo riconosce nel terem principesco, eccetto, logicamente, lo stesso Dobrynja Nikitic: il quale, senza alcun confronto con gli altri bogatyri kieviani, aveva riconosciuto Nikita Zalesanin. D'altronde, in alcune byliny, egli è citato tra gli altri bogatyri kieviani °. Probabilmente è da vedere Malfred' Mstinisna, o Mstislavna, in Marfida Vseslav ' evna; sebbene, a quanto pare, la stessa figura di Marfida ricalchi Zapava Putjaticna 5 . Tra i voevody che sconfissero nel ixo6 i Cumani presso Zarecesk, la Ipat'evskaja letopis' ricorda il fratello di Jan Vygatic, il tysjackij` 1 I. I. SREZNEVSI{IJ, Materialy dlja slovarja drevnerusskogo jazyka, t. 11. 11 significato odierno del vocabolo plemjannik [= nipote], di conseguenza, è reso nell'antica Rus' con il vocabolo synovec. z [Cioè: figlio di Nikita]. Cfr. Pesni, IV, p. 46, a cura di Kireevskij, con note di A. A. Sachmatov. Cfr., ad esempio, nelle Pesni cit., IV, p. 46. Cfr. Razyskanija cit., p. 378. 6 [Nell ' antica Rus ' , il tysjackij era il capo dell ' esercito o il ministro nelle cerimonie nuziali tra contadini].
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di Kiev Putjata, il cui palazzo fu saccheggiato quando i Kieviani insorsero contro Svjatopolk. Vs. Miller riteneva possibile identificare questo personaggio, ben noto al suo tempo, con il leggendario Putjatin Putjatovic' della bylina su Danila Lovcanin 2, e fare risalire a lui la paternità di Zapava Putjaticna e alcuni echi dei racconti popolari su Dobrynja e su Putjata della Istorija del Tatiscev'. La Jakirrcovskaja letopis', come è noto, ci presenta Putjata come compagno di Dobrynja e coetaneo di Vladimir I Svjatoslavic. Non si può vedere in ciò una testimonianza storica dell'esistenza di un altro Putjata, diverso da quello dell'epoca di Vladimir Monomach, giacché la stessa Jakirvcovskaja letopis' utilizza le tradizioni popolari, in cui sono fuse in un sol personaggio Vladimir Svjatoslaviè e Vladimir Monomach. $ peculiare il fatto che Zapava Putjaticna è detta talvolta nipote del principe Vladimir; si dà in tal modo risalto all'appartenenza di entrambi ad una stessa famiglia. A Putjata Vysatic, fratello di Jan, è collegato anche un altro eroe dell'epos russo: Kazarin, identificato, non senza fondamento, da Vs. Miller con il voevoda delle cronache Kazarin, compagno di Putjata Vy gatiè e di Jan Vy gatiè nella spedizione contro i Cumani dell'anno r i o6 4. La loro opera, ad ogni modo, risale ad una stessa epoca, ed il repertorio dei loro racconti, in genere, è molto affine, comprendendo sia Kiev, sia Tmutorokan. E cosí, l'esistenza, nei secoli x e xi, di una tradizione familiare, già manifesta tanto fortemente da influenzare le cronache e l'epos, è un fatto di grande rilievo storico culturale. Ci troviamo dinanzi ad una peculiare cronaca orale di sette generazioni. Una serie d'indizi fa supporre che queste tradizioni familiari non siano state le uniche. I principi erano soliti ricordare continuamente i loro padri ed avi, tenendo in gran conto le tradizioni, il retaggio e i diritti della propria famiglia. Quando, ad esempio, nell'anno 1097 Davyd ed Oleg Svjatoslaviè vennero a sapere dell'accecamento di Vasil'ko di Terebovl', entrambi « si rattristarono molto » e dissero: «Mai era successa una cosa simile nella nostra famiglia ». La poesia della druzina fu un altro aspetto del ricordo storico orale, riflesso nella Povest' vremennych let. L'ambiente della druzina, che circondava i principi russi, piú duOcerki russkoj narodnoú slovesnosti, 1910, t. II, pp. z8 sgg. Si veda nelle Pesni cit. III, p. 29. Cfr. MILLER, Ocerki cit., pp. z8 sgg. importante notare che l'epoca del principato di Vladimir è descritta nella Jakimovskaja letopis' «con molti banchetti e festeggiamenti» (v. N. TATISCEV, Istorija rossijskaja, libro I, parte I, Moskva r768, p. 38), la descrizione è sottoposta, logicamente, alla significativa influenza delle byliny. " MILLER, Ocerki cit., t. 11, cap. K byline o Kazarine, pp. 1-31. VS. MILLER,
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revolmente di ogni altro, serbò la memoria delle imprese belliche del passato. Esso era depositario delle proprie tradizioni. Appunto per questo Svjatoslav non si decise a trasgredire i consigli degli anziani ed a ricevere il battesimo. Svjatoslav dice a sua madre Ol ' ga che gli ordina di farsi battezzare: « La mia druzina riderebbe di questo »'. La Povest' vremennych let ci ha conservato, del periodo della Rus' precedente la letteratura scritta, l'argomento di alcune tradizioni eroiche, proprio nella poesia della druzina. Ne costituivano il tema fondamentale le coraggiose campagne delle druziny russe contro il centro piú importante e piú ricco dell'Europa di allora: Costantinopoli. Le campagne temerarie dei Russi creavano, in maniera sorprendente, condizioni particolarmente favorevoli al fiorire del canto eroico. Gli echi di questa poesia della druzina risonano nei racconti cronachistici delle campagne di Costantinopoli, di Askol'd e Dir, di Oleg, di Igor', di Svjatoslav. Si sentono nel racconto in cui Oleg dà ordine ai suoi guerrieri di costruire delle ruote e di sovrapporvi le imbarcazioni. Con il vento propizio, le navi spiegano le vele e dal campo si avviano alla volta di Costantinopoli. Atterriti i Greci propongono la pace e il pagamento di un tributo. I canti della druzina raccontavano come il saggio Oleg avesse rifiutato di accettare, alle porte di Costantinopoli, cibi e vini offertigli in segno di pace, con i quali i Greci si prefiggevano di avvelenarlo. Tracce di canti della druzina intorno ad Oleg possono scorgersi nel racconto della Povest' vremennych let a proposito dello scudo ch'egli fece attaccare alla porta di Costantinopoli « in segno di vittoria ». Infine, anche la leggenda della morte di Oleg per opera del suo cavallo prediletto è penetrata dal canto nella cronaca e si è diffusa in tutta l'Europa del Nord, nelle tradizioni locali del Ladoga e nelle saghe scandinave. Echi di canti della druzina sono anche i racconti della cronaca sui ben noti banchetti tenuti da Vladimir Svjatoslavic. 11 ricordo di tali banchetti, per i quali venivano preparate oltre trecento porzioni di miele e sui quali vi era « una gran quantità di carne, di bue e selvaggina » si è conservato nelle byliny del tempo. La coscienza della forza propria della druzina e del suo valore è chiaramente espressa nella descrizione cronachistica di uno dei banchetti; descrizione evidentemente fornita dal cronista sulla base di un canto della druzina. La druzina brontola contro il principe perché ad essa spettano cucchiai di legno e non di argento. Amando Vladimir piú di ogni altra cosa al mondo la sua druzina, la leggenda vuole che ordinasse di fare per essa [Vedi la nostra traduzione,
p.
36, anno 955 (6463)].
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cucchiai d'argento. « Con l'argento e con l'oro non troverò la druzina - dice Vladimir - ma con la druzina troverò argento e oro, come trovarono argento e oro con la druzina mio nonno e mio padre »'. Nella Povest' vremennych let è posto in particolare rilievo, sulla base dei canti della druzina, il carattere dell'impavido principe Svjatoslav, il quale trascorse tutta la sua breve vita in campagne in paesi lontani, « Allorché Svjatoslav crebbe e divenne uomo cominciò a radunare molti e valorosi guerrieri, e simile ad un leopardo, agile si moveva, molte guerre combatteva. Nelle spedizioni non portava con sé né carri, né pentole, né recipienti contenenti grassi, ma egli mangiava, tagliata sottilmente e dopo averla cotta sui carboni, carne di cavallo, di bue o di altro animale; non aveva tenda, si adagiava solo su qualche indumento e poggiava la testa su di una sella; cosí facevano anche tutti i suoi guerrieri. E inviava in terra straniera per dire: voglio muovere [ 1'esercito ] contro di voi » Z. Quando i Greci, vinti da lui, per metterlo alla prova, gli inviarono numerosi doni (oro e preziosi tessuti bizantini) Svjatoslav non li degnò di uno sguardo e dette ordine ai suoi uomini di conservare i doni. Quando i Greci gli portarono la spada ed altre armi, Svjatoslav ricevette i doni nelle proprie mani, li accarezzò, li apprezzò e pregò di porgere il suo saluto all'imperatore bizantino che glieli aveva inviati. Gli ambasciatori greci rimasero atterriti dall'audacia di Svjatoslav e, tornati al proprio paese, riferirono: « Deve essere un uomo terribile costui, giacché la ricchezza disdegna e le armi accetta. Paghiamogli il tributo ». L'imperatore mandò suoi ambasciatori da Svjatoslav per dirgli: « Non venire alla città, prendi il tributo che vuoi»'. Un racconto simile, che mette in risalto la temerarietà dei Russi, è dato dal cronista a proposito dei Poliani. Quando i Chazari imposero il tributo ai Poliani, costoro lo pagarono con le armi: una spada per ciascun focolare. I Chazari portarono il tributo al loro principe e i loro capi si allarmarono dell'audacia dei Russi: «Non è un buon tributo, o principe! Noi abbiamo conquistato [il tributo] con le armi a un sol taglio, cioè sciabole, e le armi di costoro sono a doppio taglio, cioè spade. Questa gente un giorno torrà tributo a noi e alle altre terre» °. In tal modo la poesia della druzina, anteriore alla letteratura russa scritta, fu poesia di alto pathos patriottico. Ed appunto ciò ha fatto [Vedi la nostra traduzione, p. 73, anno 996 (6504)]. 2 [Vedi ancora la nostra traduzione, p. 37, anno 964 (6472)]. [Si rinvia alla nostra traduzione, p. 41, anno 971 (6479)]. "[Si rimanda alla nostra traduzione, p. ro].
sg che la poesia dei druzinniki fosse nello stesso tempo anche poesia popolare. La druzina dei principi russi fu, per la sua coscienza patriottica, druzina russa. Si potrebbero riportare ancora altre forme dell'epos storico che serví da base alla stesura della Povest' vremennych let: per esempio i particolari racconti in forma dialogata ' . Non è il caso di cercare di prendere in esame tutte le forme della tradizione orale del popolo. È necessario, però, sottolineare che la cronaca si serví di tale tradizione popolare non soltanto come fonte storica. La Povest' vremennych let vi attinge molte idee e la stessa luce del passato della terra russa. Infatti, già da quanto è stato riportato sopra, risulta chiaro che il ricordo popolare degli avvenimenti e dei personaggi storici non fu freddo e meccanico. I fatti della storia russa non si presentavano nell'epos storico sparpagliati, estranei ad ogni reciproco rapporto. 11 ricordo degli avvenimenti storici nazionali nel popolo russo assunse un carattere eroico e tutto connesso nell'unitaria rappresentazione dei primordi gloriosi di quella storia. Troviamo parole degne di nota sulle cognizioni storiche dell'antica Rus' in Kirill Turovskij (scrittore russo del xii secolo). Kirill distingue due tipi di depositari della storia: i cronisti e i poeti; e, quindi, i redattori della storia scritta e i compositori della storia orale, negli uni e negli altri trova la stessa finalità dell'opera storica: l'esaltazione degli eroi e, soprattutto, delle loro imprese belliche. Kirill propone di glorificare gli «eroi» della chiesa come il popolo celebra i suoi eroi secolari: «Come, dunque, gli storici e i vati, cioè i cronisti e i poeti, pongono il loro orecchio alle antiche guerre e agli antichi combattimenti tra gli zar, e abbelliscono i discorsi uditi e grandemente magnificano gli atti di coraggio in favore dei propri zar, ché non han voltato in combattimento le spalle ai nemici, e coronano di lodi costoro, quanto piú bello sarebbe per noi la lode alla lode aggiungere anche ai valorosi e grandi voevody di Dio » Z. Troviamo nella cronaca numerose testimonianze dell'esistenza, nello stesso popolo, di vive manifestazioni del passato eroico della terra russa. Nel 1097 i Kieviani mandarono messaggeri a Vladimir Monomach, per riferire: « Preghiamo te, o principe, e i tuoi fratelli: non distruggete la terra russa. Se continuerete a guerreggiare tra voi, gioiCfr. al riguardo PP. r32-43•
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ranno i pagani e occuperanno la terra nostra, che i padri vostri e gli avi vostri hanno conquistato con gran fatica e coraggio, difendendo la terra russa, avendo di mira altri paesi, mentre voi volete distruggere la terra russa »'. Gli avvenimenti storici per piú secoli poterono esser ricordati con dettagli tali da testimoniare l'esistenza dei racconti orali, o di canti di analogo contenuto. Cosí, per esempio, prima della battaglia sulla Lipica del 1216 i Novgorodiani dissero a Mstislav Mstislaviè Udaloj : « O principe! Non ci misureremo a cavallo, ma come i nostri padri che si batterono sulla Kulac'ca appiedati » 2. La battaglia sul fiume Kulac 'ca, o Koloksa, avvenne nel io96, circa centovent'anni prima della battaglia sulla Lipica. Prima di intraprendere la battaglia sulla Koloksa, i Novgorodiani scesero da cavallo, e poi, appiedati, mossero contro Oleg Svjatoslavic. A Novgorod, quindi, nel corso di centovent'anni, il ricordo popolare sembra aver conservato un dettaglio rninimo della battaglia della Koloksa. Chissà perché esso, all'inizio del xiY secolo, attrasse anche l'attenzione del redattore della Povest' vremennych let, che scriveva in proposito: « Mstislav con i Novgorodiani attraversò un incendio, e scesero da cavallo i Novgorodiani e si scontrarono sulla Ku1ac'ca»'. È da ritenere che la memoria popolare non abbia serbato a caso questo particolare. Vi si rifletteva 1'audacia dei Novgorodiani e, quindi, il passato eroico di Novgorod. Il carattere peculiare della tradizione popolare, che aveva attestato prima di tutto l'elemento eroico del passato, conferiva alla prima cronaca russa anche una venatura gloriosa ed epica. I primordi della storia russa furono per il cronista carichi di eroismo. L'encomio e la celebrazione si avvertono chiaramente nei profili dei primi principi russi: Oleg, Igor', Ol'ga, Svjatoslav, Vladimir. Mentre, menzionando i principi a lui contemporanei, il cronista non li gratifica di elogi; anzi, non di rado, contrappone loro quelli che li precedettero. Cosf il rapporto eroico nei confronti del passato diviene nella penna del cronista didascalico nei confronti del presente. Tale significato della storia russa, eroico ed istruttivo ad un tempo, è posto in rilievo in alcune espressioni dei Kieviani del I097, nella prefazione al Nacal'nyj svod anteriore alla Povest' vremennych let (cfr. in proposito piú innanzi): « Vi prego, gregge di Cristo: ascoltatemi con amore e con intelligenza! Come furono gli antichi principi
Licxnci v, Russkie letopisi, Moskva-Leningrad 1947 (Dialog v letopisi),
Slovo na sobor svjatych otec. Pamjatniki drevnerusskoj cerkovno-ucitel ' noi literatury, a cura di A. I. Ponomarev, vyp. r, Sankt-Peterburg 1894, p. x67 (d'ora in poi Pamjatniki). Z
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[Vedi la nostra traduzione, p. 152, anno 1097 (66o5)]. Novgorodskaja pervaja letopis ' po Sinodal'nomu spisku, Sankt-Peterburg, anno 1216,
PP. 202-3.
[Si veda la nostra traduzione, p. s48, anno xo96 (6604)].
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e gli uomini loro. E come difesero la terra russa, e come sottomisero altri paesi; questi principi non raccoglievano molte ricchezze né opprimevano con vire e con imposte gli uomini... E la druzina lottava nei paesi stranieri: Fratelli! moviamo per il nostro principe e per la terra russa. Non si lamentavano: Sono poche, o principe, per noi 200 grivne! Non coprivano le loro donne di monili d'oro, ma le loro donne portavano l'argento. Ed essi arricchirono la terra russa... » Cosí dalla storia orale-popolare della terra russa la cronaca assume in prestito non soltanto i fatti, ma anche la relativa interpretazione; prende in prestito l'idea generale della storia russa, ponendola a servizio dei problemi politici contemporanei. Vedremo, in seguito, come la cronaca andò oltre queste manifestazioni orali della storia russa. Non annotava infatti soltanto gli avvenimenti eroici, « gloriosi ». Non fissava soltanto gli avvenimenti del passato, isolandone quanto v'era di notevole, di straordinariamente eroico; essa narrava il cursus degli avvenimenti storici, dell'origine della terra russa, delle tribù, delle città, della lingua, della scrittura, della stirpe principesca, ponendosi contemporaneamente al di sopra dell'epos orale storico popolare del x e dell'xa secolo, ad un nuovo elevato livello di coscienza storica. La cronaca non descriveva soltanto gli avvenimenti del tempo remoto. Il cronista vi introdusse anche avvenimenti ancora recenti, esprimendo nelle sue annotazioni non soltanto il giudizio dello storico, ma anche le impressioni dei contemporanei. Il cronista diveniva sempre piú lo storico del suo presente, trasmettendo nella cronaca l'opinione pubblica del proprio ambiente. Delle sue opinioni politiche ci occuperemo in seguito; ora noteremo che, nei secoli xa e xii, vi fu un rapporto storico non soltanto con gli avvenimenti del passato, ma anche con quelli coevi. E tale rapporto storico non fu patrimonio dei soli cronisti. Si può senz'altro dire che tutta l'opera dei principi e dei guerrieri russi esercitò influenze sociali e storiche sui contemporanei e sui posteri. I principi tenevano in gran conto il fatto che il loro óperato sarebbe stato osservato da contemporanei e da posteri e che le loro azioni sarebbero state tenute in considerazione. Essi cercavano di « imitare » i loro padri e i loro avi, di « ottenere gloria », cercavano per se stessi « onore e gloria ». Per la cronaca ha un significato notevole, al riguardo, la descrizione di ciò che era ritenuto degno di « onore e gloria » in un'azione. « Cercano gloria » e sono degni di essa agli occhi dei contemporanei, soprattutto guerrieri e soldati.
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Viene cantata « gloria » ai principi dopo il rientro da spedizioni vittoriose. Allora il popolo muove loro incontro e canta gloria dinanzi alle porte della città. « Gloria » non « cercano » gli uomini chiesastici, i rappresentanti della chiesa, essa non è cantata per loro, mentre, come i principi possono ambirla anche í semplici soldati'. Ecco perché la cronaca è tutta pregna di echi di gloria militare: la quale vi si riflette, in gran parte, sulla base dell'epos popolare. Probabilmente con tali « glorificazioni » s'inneggiava ai principi al loro rientro da campagne vittoriose (ad Aleksandr Nevskij, a Daniil Galickij, e ad altri), o per l'elezione al trono (a Vseslav Polockij, anno 1o68), ovvero in occasione di banchetti. Al riguardo è importante notare che l'ambito di tal gloria non è da ritenersi circoscritto ai soli confini della terra russa. La gloria del principe non è sua gloria personale, ma è anche gloria di tutta la terra russa, purché l'operato del principe sia diretto a beneficio d'essa. L'intento patriottico con cui vengono considerate le imprese eroiche dei principi testimonia anche l'alta coscienza storica. Della gloria dei principi russi parla il metropolita Ilarion nella sua opera Slovo o zakone i blagodati: « non nel male né nell'ignoranza governarono gli antichi principi, - dice Ilarion a Vladimir, - rna nella Rus' che è nota ed udita da tutti i limiti della terra»'. Della stessa gloria parlano anche i cronisti sotto diversi anni. All'anno 1111 nella Ipat'evskaja letopis' si riferisce del rientro di Vladimir Monomach da una spedizione vittoriosa sul Don: « tornarono i principi russi alle loro case con gloria grande; e a tutti i paesi lontani, cioè ai Greci e agli Ugri, e ai Ljachi, e ai Cechi, e fino a Roma giunse [la gloria] per gloria di Dio, sempre ed ora ed eternamente nei secoli, amen ». La singolare personalità di Monomach è ricordata anche nel necrologio, riportato nella Lavrent'evskaja letopis' all'anno =i25. « Muore Monomach - vi si dice - famoso per le sue vittorie, al suo nome fremevano tutti i paesi... » Della eccezionale fama delle vittorie russe si parla ancora nel Zit'é Z
Cosí, per esempio, durante l'assedio di Sudomir, da parte dei Tatari, il cronista di Volyn', annota l'impresa di un soldato semplice (« non un bojar', né uomo di buona origine, ma un semplice uomo»), e l'impresa è detta «degna di ricordo » (Ipat'evskaja letopis', anno 1261). All'anno 1282 nella stessa Ipat 'evskaja letopis ' è registrata l'impresa del figlio del bojar Rach. E di nuovo si dice: «fecero cosa degna di ricordo» (ibid., anno 1282). Della morte di Rach e di un certo Prusin il cronista dice: «Costoro morirono coraggiosamente, lasciando dopo di loro gloria ed eterno ricordo ». z [Ilarion fu nominato metropolita di Kiev nel 1051. Delle sue opere la piú nota è appunto quella citata dal Lichacèv]. 3 Pamjatniki cit., p. 69.
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Aleksandra Nevskogo': « E da qui si diffuse il nome del santo in tutti i paesi latini e fino al mare e alle montagne dell'Ararat, e al paese del Mar dei Varjaghi, fino alla stessa grande Roma » z. Non si può pensare di avere dinanzi un inequivocabile canone di letteratura storica (nello Slovo di Ilarion, nella Letopis', nel 2it'é Aleksandra Nevskogo). Dell'onore e della gloria russi discorrono i principi e ne parlano alle druziny. Tale concetto non era presente soltanto nella letteratura, ma nella stessa vita; e proprio dalla vita, dalla realtà è penetrato poi nella Letopis' e nello Slovo di Ilarion, nel 2it'é Aleksandra Nevskogo e nello Slovo o pogibeli', e in molte altre opere della letteratura russa. Nell'anno i152, Izjaslav Mstislavic disse alla sua druzina: « Fratelli e druzina! Dio è sempre per la terra russa... fa', o Dio, che conquistiamo la gloria » (Ipat'evskaja letopis'). Nell'anno i170, dissero a Mstislav Izjaslavic i suoi fratelli: «Cosí sia, ciò è in onore a noi e a tutta la terra russa ». Tali parole non sono inventate dal cronista. I cronisti, con una certa esattezza, trasmettevano nei loro scritti parole e$ettivamente pronunziate. Quindi, nella vita stessa si proiettava nitidamente la gloria e la fama che la terra russa godeva tra gli altri paesi del mondo. Appunto per questo, nella coscienza popolare, si scolpirono le campagne dei Russi alla volta della capitale del mondo culturale di allora, Costantinopoli, piú che le campagne contro gli Emi e contro i Chazari. La Povest' vremennych let con la sua introduzione concernente la storia del mondo, con l'eletta aspirazione a collocare il popolo russo tra gli altri popoli del mondo, con la peculiare attenzione data all'elemento eroico, alle imprese belliche, alla gloria delle armi russe, ci trasferisce in una sfera poetica epico-popolare di quella storia nazionale. Nella Povest' vremennych let si riscontra un notevole nesso epico-poetico con la storia nazionale. Ecco perché la Povest' vremennych let non è soltanto opera del pensiero russo, ma anche della poesia storica russa. La poesia e la storia vi si trovano fuse in unità indissolubile. Abbiamo dinanzi un'opera letteraria e un monumento del pensiero storico. Tuttavia, come vedremo ín seguito, il cronista oltrepassa i limiti 1[È di autore ignoto. Probabilmente fu scritta da persona molto vicina al principe, subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1253]• Z V. MANSZxKA, 2itie Alexsandra Nevskogo, Sankt-Peterburg 1913, P. 42• '[$ lo Slovo o pogibeli rouskyja zemli di autore ignoto. Ne venne scoperto il testo nel r89z in un manoscritto conservato nel monastero Pecerskij, presso Pskov. È ancora incerta la datazione del testo, benché sembri che lo si debba far risalire ai secoli xiii-xv].
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epici. E con la gloria militare, registra anche il saggio comando dei principi, l'estensione, per loro opera, dei confini della terra russa; apprezza altamente tutto il governo dei principi (la díffusione del libro, la costruzione delle case) non documentato nei canti. D'altra parte la cronaca s'innalza fino all'esegesi dell'operato del principe. Il cronista attinse la parte migliore dei riferimenti poetico-popolari alla storia russa, ma vi congiunse, come vedremo in seguito, anche i primi richiami critici alle sue fonti, i primi saggi di una cognizione storica, corne di successione coerente, causale, indagatrice: valutando gli avvenimenti con il procedere da una coscienza di classe. Tuttavia la Povest' vremennych let è legata alle fonti orali, e alla magnifica lingua di esse, concisa ed espressiva. L'evoluzione straordinariamente rapida della letteratura dei secoli xi e xii si trova ínnanzitutto connessa con l'alto livello raggiunto dalla lingua russa orale; e a quel livello di lingua comparve ed ampiamente si diffuse la letteratura scritta. La lingua russa risultò idonea ad esprimere tutte le sottigliezze dell'astratto pensiero teologico; a concretare la ra$$tnata arte oratoria dei predicatori ecclesiastici; a trasmettere il complesso contenuto della storia universale e di quella russa; ad interpretare nelle traduzioni le migliori opere della letteratura medievale europea. E ciò avvenne perché aveva preceduto la formazione della lingua scritta, la lingua della ustnaja literatura (« letteratura orale »), il cui contenuto non si limitava esclusivamente al folclore. Alla base della migliore produzione letteraria russa dell'xa e del xiT secolo sono le opere della letteratura orale; le leggende del KievoPecerskij Paterik venivano raccontate per decine di anni, tramandate di generazione in generazione, prima di essere raccolte in un corpus scritto. 11 2it'é Borisa i Gleba fu redatto sulla base dei racconti orali sulla morte dei santi. Appunto tracce di alta cultura orale si avver-" tono chiaramente nello Slovo o polku Igoreve. E cosi anche nella Povest' vremennych let, ancora prima di essere scritti, i racconti sul saggio Oleg, sulle spedizioni russe alla volta di Costantinopoli, le leggende del Mar Nero settentrionale, e quelle sul saggissimo Oleg, erano stati narrati e cantati. Quasi tutte le notizie fornite dalla cronaca, prima di essere accolte dal cronista, erano state da lui ascoltate, afE.date al linguaggio orale prima che a quello scritto. Un particolare significato per l'evoluzione della lingua della cronaca ebbe dunque la lingua parlata, rinvigorita nelle tradizioni della perspicua oratoria russa: i discorsi pronunziati dai principi prima del-
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le battaglie, i discorsi riferiti dagli ambasciatori, quelli pronunziati nelle adunanze del vece, nei giudizi, nei banchetti, nelle riunioni principesche, ecc. fuori dubbio che le forme sociali dell'antica vita russa dell'xi e del xri secolo fornivano possibilità di sviluppo all'oratoria ancor piú che non nei secoli xzv-xvaz, quando essa definitivamente decadde. Infatti, i discorsi magnifici per la laconicità, per la ricchezza di immagini, per il vigore e la libertà espressiva, con cui i principi russi prima delle battaglie incoraggiavano i loro soldati, non sono creazione dei cronisti: essi riflettono l'alta cultura propria dei discorsi di guerra, esistente nella Rus ' , indipendenternente da qualsiasi forma scritta. Ecco, ad esempio, le famose parole che il principe Svjatoslav Igoreviè rivolge ai suoi druzinniki: « Qui ci è destinato morire; moriamo coraggiosamente, fratelli e druzina! », « Non abbiamo altro da fare, volenti o nolenti dobbiamo lottare: non disonoreremo la terra russa, giaceranno piuttosto le nostre ossa, morti non avremo disonore... » 1. Le parole di Svjatoslav sono legate in maniera singolare a tutta la tradizione dell'oratoria bellica russa. « Se vivrò sarò con loro, se morirò sarò con la druzina» Z, dice Vysata alla sua druzina. «Moviamo all'assalto, giacché non è possibile celarci », dice Svjatoslav Jaroslavic prima della battaglia contro i Cumani ' . «E cosí avrei avuto la mia gloria, o avrei piegato il mio capo per la terra russa » A. Con le stesse parole si rivolge alla propria druzina anche l'eroe dello Slovo o polku Igoreve, Igor' Svjatoslaviè di Novgorod Severskij, prima della battaglia contro i Cumani (Ipat'evskaja leto pis', anno 185 ). Queste parole testimoniavano il considerevole livello del linguaggio militare. Vi si avverte anche la benevolenza del principe nei confronti dei druzinniki, nell'appellativo Iratelli, la nobile idea dell'onore militare e della patria, e la saggezza del soldato. Esse stupiscono anche per l'agilità e per la laconicità dell'espressione. Per la particolare brevità, per l'elaborazione delle formule, per la chiarezza e l'espressività si distinguono anche i discorsi pronunziati nelle riunioni del vece. Indubbiamente il vece elaborava le forme del suo dialogo con il popolo, studiava il modo in cui esprimere con concisione ed energia un programma politico mediante formule accessibili e di facile ricordo. L'espressività e il frequente ricorso ai proverbi caratterizzano questi dialoghi al vece. Alla proposta di Mstislav Msti[Vedi la nostra traduzione, p. 40, anno 971 (6479)]. 2 [Vedi la nostra traduzione, p. 88, anno 1043 (655 1 )]• [Si rimanda alla nostra traduzione, p. 98, anno xo68 (6576)]. °[Si rimanda ancora alla nostra traduzione, p. 154, anno 1097 (66o5)].
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slaviè di muovere alla volta di Kiev contro Vsevolod Cermnyj, il vece replica: « Là, principe, guarderai con gli occhi, là giaceranno le nostre teste » (Novgorodskaja pervaja letopis ', Sinodal'nyj spisok, anno =214). Altrettanto deciso è il dire del posadnik Tverdislav al vede di Novgorod: « Se sarò colpevole, morirò, se avrò ragione tu mi giudicherai, o Signore! »(Novgorodskaja pervaja letopis', Sinodal'nyj spisok, anno 1218). La cronaca riferisce molti discorsi pronunziati da ambasciatori; discorsi che per il loro stesso contenuto, erano molto piú vari e complessi di quelli militari e di quelli del vece. In essi sono meno frequenti le formule tradizionali e le espressioni stereotipate. D'altra parte, con ogni naturalezza, essi attingono da altri discorsi del vece, o da quelli militari, o addirittura dal parlare comune. Tuttavia quanto piú complessi sono i problemi che si prospettano alla lingua diplomatica, tanto piú brillantemente essi vengono risolti. Innanzitutto stupisce la straordinaria laconicità dei discorsi degli ambasciatori: « Io ero già uomo e tu eri appena nato », Vjaceslav di Kiev ricorda le parole da lui dette a Izjaslav Mstislaviè tramite gli ambasciatori ( I pat'evskaja letopis', anno 1151). « Avete dato fuoco alla mia Gorodec e al tempio, ed io verrò contro di voi », dice Jurij Dolgorukij, agli ambasciatori di Svjatoslav O1'govic (Ipat'evskaja letopis', anno z 152). Jurij Vsevolodoviè cosí formulava la propria richiesta agli ambasciatori di Novgorod: « Consegnatemi Jakim Ivankovic, Mikifor Tudorovic, Ivanka Timoskinic, Sdila Savinic, Vjacka, Ivanec, Radko; e se non me li consegnerete, come abbeverai i cavalli al T'chver', cosí li abbevererò al Volchov » (Novgorodskaja pervaja letopis', Sinodal' nyj spisok, anno i224). Non meno espressiva e concisa è la risposta di Jaroslav Vsevolodoviè agli ambasciatori di Novgorod: «Non vogliamo la pace, ma uomini; andrete lontano e sarete come pesci all'asciutto » (Novgorodskaja pervaja letopis ', Sinodal'nyj spisok, anno =2r6). Un particolare significato nelle concioni degli ambasciatori aveva sempre l'antitesi: Se vi fa piacere, vivete insieme, altrimenti lascia qui Vasil'ko »'; « Se vieni, noi con te [ saremo ], se non verrai, avremo noi ragione per aver giurato sulla croce » (Ipat'evskaja letopis', anno 1148); « Se tu sei bellicoso - quellí sono bellicosi; se tu sei pacifico quelli sono pacifici» (Lavrent 'evskaja letopis ', anno i i86); ecc. chiaro che, per 1'efficacia dell'eloquenza, si distinguevano anche i discorsi pronunziati ai banchetti e in occasione delle trizny. I banchetti '[Si rimanda ancora alla nostra traduzione, p.
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erano molto frequenti nella vita del principe, dell'uomo di chiesa, del mercante e del contadino. Ibn Fadlà.n e la cronaca russa menzionano le trizny funebri nel racconto delle tre vendette della principessa Ol 'ga contro i Drevliani. I pranzi semipagani in occasioni delle nascite vengono ricordati nelle preghiere che i preti erano obbligati a recitare per la pace dell'anima. Si sono conservate molte testimonianze anche delle bratciny (« fratrie ») locali e delle obsciny' dei villaggi. Infine il cronista adduce numerose testimonianze intorno ai banchetti dei principi tenuti con generosa ospitalità. Essi vengono organizzati anche in occasione dell'elezione di un nuovo principe, dell'erezione di una nuova chiesa o delle mura di un monastero; ovvero in occasione di incontri diplomatici tra principi russi. A questi banchetti venivano pronunziati panegirici, formule augurali, ammaestramenti dai «padri spirituali » dopo il quarto calice! Lo Slovo o bogatom i ubogom riferisce la presenza di discorsi adulatori, vivaci, briosi e allegri nei banchetti. Non ci sono quasi pervenute tracce dell'oratoria dei banchetti, ma della sua esistenza è palese testimone l'iscrizione che è sulla coppa d'argento di Vladimir Davydovic (anni 1139-51): « questa la coppa del principe Volodimir Davydovic, chi da essa berrà avrà salute, e lodando il Signore offrirà al principe ». Il brindisi conclusivo dello Slovo o polku Igoreve rappresenta probabilmente un'eco di questo panegirico ai principi: « Il sole splende nel cielo, il principe Igor ' nella terra russa! Le fanciulle cantano sul Danubio e le loro voci ondeggiano attraverso il mare fino a Kiev. Igor' va per Eoricev, verso la Santa Vergine 1'irogosce. I paesi esultano, le città si rallegrano. Hanno cantato ai vecchi principi e ai giovani canteranno. Gloria a Igor ' Svjatoslavic, al furioso toro Vsevolod, a Vladimir Igorevic. Vita al principe e alla druzina che combattono per i cristiani, contro gli eserciti dei Cumani! Gloria ai principi, onore alla druzina! » Né soltanto nei banchetti s'inneggiava ai principi; ma per la strada al vincitore, al palazzo principesco o al principe neoeletto. Cosí accadde nell'anno =o68, quando i Kieviani, dopo aver liberato Vseslav dalla prigione « gli resero onori nel palazzo del principe » 2. E cosí avvenne nell'anno =242, quando gli abitanti di Pskov andarono incontro ad Aleksandr Nevskij, che tornava dalla battaglia « del ghiaccio », « cantando un canto alla gloria del principe, del grande principe Aleksandr Jaroslaviè » 3. E cosí ancora avvenne nel 1251, in occasione del rientro dalla campagna vittoriosa di Daniil di Galic e di suo fratello Vasil'ko «e un canto glo[Cfr. p. xii, nota z]. z [Vedi la nostra traduzione, p. 98, anno 1o68 (6576)]. Dal 2itie Alexsandra Nevskogo, redazione di Pskov.
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rioso innalzarono a loro, a Dio che li aveva aiutati, e giunsero con gloria alla terra loro, seguendo il cammino del padre loro, il grande Roman » (Ipat'evskaja letopis'). L'oratoria colta emerge anche nei discorsi che vengono pronunziati ai funerali dei principi. Si possono citare molti altri casi in cui la realtà stessa esigeva assolutamente un discorso elevato. Ricordiamo le parole pronunziate in occasione del giuramento sulla croce (per esempio: al convegno di Ljubec' del 1097), i discorsi alle riunioni principesche, alle adunanze del consiglio dei signori di Novgorod, in occasione di giudizi, ecc. L'alta cultura dell'ustnaja literaturnaja rec' (« discorso letterario orale »; letterario giacché il linguaggio enfatico dell'oratoria non è soltanto di mera comunicativa) si riflette nella Povest' vremennych let direttamente o indirettamente; direttamente, quando iI cronista riportando in essa parola effettivamente detta, conservava nella propria tematica espressioni autentiche; indirettamente quando il cronista nella descrizione di fatti della realtà storica ricorreva a formule già elaborate, a termini, ad immagini artistiche, che aveva assimilato piii per averle udite che per averle lette. Grande eco ebbe nella cronaca anche la terminologia specializzata: militare, feudale, giuridica, venatoria (soprattutto nel Pouéenie Vladimira Monomacha). Alla base di molti termini vi è un'evidente dovizia di immagini elaborata dal popolo: « prendere la città con la lancia » equivale a « prendere d'assalto la città» (Povest' vremennych let, anno 971), « montare a cavallo » a«mettersi in marcia » (ibid., anno 968), « tergersi il sudore » a «tornare in patria vittoriosi» (ibid., anno zo29), « spezzare l'esercito » a « rompere le file» (ibid., anno 1093), « è il pane del padre e degli avi » a « governare la terra del padre e degli avi », « mostrare la strada » a « allontanare da sé qualcuno » (ibid., anno 1073). Il cronista utilizza anche i proverbi: « perire come gli Obri » (ibid., introduzione), « se un lupo andrà continuamente all'ovile, porterà via tutto il gregge, finché non lo si uccide » (ibid., anno 94 5 ), « sventura come quella di Rodnja » (ibid., anno 98o), ecc. In tal modo la lingua della cronaca, e particolarmente quella della Povest' vremennych let, deriva soprattutto dalla lingua parlata. Ispirandosi alla realtà, la cronaca ne riproduce anche il linguaggio; usa parole che effettivamente furono pronunziate. L'influenza della lingua parlata si fa sentire innanzitutto nel discorso diretto delle cronache; ed anche in quello indiretto il racconto dipende in maniera notevole dalla lingua viva, parlata del tempo, soprattutto nella terminologia militare, venatoria, feudale, giuridica, ecc.
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Queste furono le fonti orali da cui ha origine la peculiarità della Povest' vremennych let come monumento del pensiero storico, della letteratura e della lingua della Rus'. Ed ora è bene considerare le fonti scritte della Povest' vremennych let, le sue radici nella letteratura scritta dell'xi secolo e dell'inizio del xii. La Povest' vremennych let s'innesta tra due sistemi sociali: quello ormai decaduto dell'obscina e quello nuovo feudale; tra due coscienze storiche: l'epica e la cronachistica; si frappone tra due letterature: quella orale e quella scritta: poiché è in effetti opera scritta, essa riflette una primitiva coscienza storica ed appartiene all'epoca del feudalesimo. Del passato, la Povest' vremennych let conserva soltanto il meglio, rielaborato come nuova creazione in un'opera del tempo nuovo. Sulla base della tradizione orale del suo tempo, la Povest' vremennych let crea la lingua letteraria scritta, la storia scritta della Rus'. 2.
Abbiamo esaminato sopra, le fonti orali della Povest' vremennych let, che sono molteplici, e quelle fondamentali di alto pregio. Nondimeno la Povest' vremennych let è un'opera scritta che possiede tutte le peculiarità proprie dell'opera scritta del medioevo. Le fonti orali hanno fornito essenzialmente il materiale, il contenuto e le idee per la ricostruzione della storia russa, e parzialmente, lo stile e la lingua. Le tradizioni della letteratura scritta introdussero tutti questi elementi nelle cornici consuete dei componimenti letterari medievali. I cronisti lavoravano con i consueti modelli degli scrittori medievali. Nella Povest' vremennych let si avvertono i tentativi di rifacimento tipici degli scrittori medievali e, soprattutto, assolutamente diversi da quelli degli scrittori moderni. 11 libro russo rnedievale per la sua composizione esterna decisamente si differenzia dai libri dell'epoca moderna, dei secoli xviYi-xx. Nella produzione letteraria medievale raramente si trova l'opera di un solo autore, o una sola opera, rilegata come unità singola e designata come opera a se stante. Non si può immaginare che in un palchetto della biblioteca di un bibliofilo medievale si trovassero disposti, l'uno accanto all'altro, e separatamente rilegati, lo Slovo o polku Igoreve, il Molenie Daniila Zatocnika, il Poucenie Vladimira Monomacha, ecc. Il libro russo medievale, inizialmente in pergamena, e, a partire dalla fine del xiv secolo, cartaceo, con coperte in assi di legno rivestite di
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pelle, chiuso da ganci in rame, voluminoso e pesante, costituiva quasi sempre una silloge. Naturalmente í libri di chiesa, da messa, le traduzioni teologiche, non costituivano raccolte. Nelle raccolte, in genere, venivano riunite opere destinate alla lettura individuale. Nel loro insieme queste antologie riflettevano i gusti dei lettori, le loro preferenze ed i loro interessi. Il lettore e il copista (e queste due categorie di bibliofili nell'antica Rus ' erano piú legate reciprocamente di quanto avvenga oggi), cedendo alla loro particolare vocazione, non appena si sentivano piú o meno liberi della tutela della chiesa, trascrivevano, rimaneggiavano e raccoglievano le opere che prediligevano. Il lettore diventava coautore, e coautore era anche il « creatore del libro »: il suo copista. Il medioevo non conosceva il « diritto d'autore », la proprietà di un autore, nel senso moderno della parola. Lo scrittore era soggetto al lettore, e, talvolta, anche al copista del libro. Le esigenze di lettore del copista erano più forti di qualsiasi diritto d'autore. Bastava che lo scrittore non fosse un'autorità ecclesiastica, un « padre della chiesa », perché i suoi diritti non venissero considerati, il suo nome spesso non menzionato, la sua opera rimaneggiata in sede di copia. Il lettore si trasformava in coredattore, e talvolta anche in coautore. Da ciò le frequenti aggiunte, le contaminazioni con interpolazioni e le mutilazioni delle opere; da ciò la molteplicità delle redazioni e delle copie di una stessa opera. Ecco perché le opere storiche dell'antica Rus', nella maggior parte dei casi, non ci sono afEatto giunte in un testo unico e completo: questa e quella cronaca, oppure questo o quel cronografo sono conservati in diverse redazioni, in diverse copie. Per di piú, molte volte 1'« autore », nel significato moderno della parola, manca nelle opere storiche medievali. Sia nella cronaca, sia nei cronografi, e spesso anche nei racconti, nei Zitija, nei Pateriki, abbiamo dinanzi un particolare « autorecollettivo », plurimo, socialmente non ascritto ad una sola classe, appartenente contemporaneamente a piú secoli, e, a volte anche a nazionalità diverse (ove si tratti di rifacimenti russi di opere tradotte). Sarebbe un incomprensibile ammodernamento il considerare i testi delle cronache (tra cui anche la Povest' vremennych let) testi unitari appartenenti ad un unico autore. I tentativi di ricostruire 1'arclietipo della Povest' vremennych let (A. Schlòzer), o di risalire ad un solo autore della cronaca kieviana del xii secolo (Tatiscev, Schlòzer, Miller), e di quella novgorodiana dell'xr secolo (Tatiscev, Miller) sono stati da tempo abbandonati dalla scienza. Infatti anche P. M. Stroev presta attenzione al fatto che le crona-
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che presentano particolari raccolte di opere di epoche e generi diversi: un corpus di materiale anteriore e di testo nuovo ' . Il concetto di corpus fu in seguito definito e precisato, quando fu adattato alla cronaca, negli scritti di M. P. Pogodin di I. I. Sreznevskij di I. D. Beljaev `, di K. N. Bestuzev-Rjubnin e soprattutto nei numerosi lavori di A. A. Sachmatov, che prestò attenzione al fatto che la costituzione del corpus non poteva assolutamente essere considerata occasionale, e che alla base di essa non v'era una selezione meccanica di materiale occasionale, una consapevole volontà del compilatore. E$ettivamente uno studio attento e minuzioso dei tanti testi di cronache russe - simili o non tra esse nelle varie parti o nell'insieme, con varianti di notizie, riassunte o accresciute dall'una o dall'altra dimostra che i complessi prestiti cronachistici portarono tutti alla conclusione che i cronisti avevano composto i loro scritti, come silloge, come corpus di materiale cronachistico preesistente, con l'aggiunta di alcune annotazioni proprie per gli anni successivi. Appunto per la specie di assimilazione nelle cronache del materiale anteriore accade che l'una o l'altra di esse riferiscano due o anche tre volte lo stesso avvenimento: poiché, riducendo ad unica redazione piú cronache precedenti, il cronista può non accorgersi di ripeterne un racconto, di « duplicare » una notizia sulla base di fonti diverse. 11 carattere di corpus delle cronache non è posto in evidenza soltanto dall'attenta e minuziosa collazione delle copie, al fine di determinare il testo su cui si basa l'una o l'altra narrazione, ma, a volte, è apertamente denunziato dal cronista. Nella Novgorodskaja pjataja letopis', all'anno 1405, il cronista passa ad un'altra versione, segnalando il prestito con le parole: «ma questo da un altro fatto antico» 6 . Il redattore della copia Sinodal'nyj della cronaca di Pskov, nelle prime righe, rimanda ad un non meglio precisato « libro »'. All'anno 1421 nella Avraamskaja Letopis' si trovano rinvii agli «antichi cronisti» e. Nella So fajskaja pervaja letopis ' si hanno riferimenti marginali al « cro2,
3,
5,
Quest'opinione è espressa da P. M. Stroev nella prefazione all'edizione del Sofijskij vremennik, Sankt-Peterburg r8zo. Moskva 1846-54• Z Specialmente nel suo Issledovanija, zamecanija i lekcii, Issledovanie o letopisjach Novgorodskich, in «Izvestija Akad. Nauk», t. II (1853)• in «Vremennik Ob"scestva istor. i drevn. 4 Russkie letopisi po Lavrent ' evskomu Spisku, toss.», II (r849); 0 raznych vidach russkich letopisej, ibid., V(r85o). Sankt-Peterburg 1868. 5 O sostave russkich letopisej do Konca xiv v., ora in poi PSRL), t. IV, p. 145, n. a. b Polnoe sobranie russk. letopisej (d' in «Istoriceskie zapiski », t. XVIII (1946), A. NAZONOV, Iz istorii pskovskogo letopisanija, p. 281. 8 PSRL, t. XVI, p. 173.
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nista di Kiev »'. Anche il redattore del corpus relativo al principe di Tver' Boris Aleksandrovic dà notizia delle proprie fonti Il carattere di corpus non è soltanto proprio delle cronache dell'antica Rus', ma anche di altre opere storiche. Costituiscono corpus anche i cronografi (le Ellinskie letopisi di tutti i generi, i Russkie chronogra/y di tutte le redazioni, le Paleja chronografaceskaja, tolkovaja, istoricesleaja ' ), i Pateriki i 2itija. Nel corpus si raggruppano a volte per luoghi, o per carattere locale, anche molti racconti storici russi. Il ciclo dei racconti di Rjazan' intorno all'icona di San Nicola Zarazskíj accoglie, nel suo complesso, un racconto di guerra sulla distruzione di Rjazan' da parte di Batyj, un rifacimento della bylina su Evpatij Kolovrat, una leggenda chiesastica intorno alla traslazione dell'icona di San Nicola da Cherson, una serie di episodi dei secoli xiv e xv, il racconto del miracolo dell'icona di Kolomna, la genealogia dei «cultori» di questa icona, ecc. Separate sillogi locali costituiscono anche i racconti di Murom, quelli di Novgorod, le leggende di Kitez, ecc. Il carattere di corpus delle opere storiche antico-russe, non ne costituisce soltanto una peculiarità esterna; ma è invece strettamente connessa alla particolare coscienza storica dei rispettivi autori. I corpus medievali del materiale storico preesistente si formavano soprattutto grazie alla conservazione del relativo testo originario come documento a se stante entro un'opera nuova. Il lettore medievale apprezzava nelle opere storiche soprattutto il carattere documentario. E l'antico lettore russo cercava nelle opere letterarie ciò che era esistito realmente; non era interessato al realismo dell'espressione, ma alla realtà del fatto; non alla favola, ina agli avvenimenti reali; sebbene nella valutazione e nella comprensione delle vicende storiche, non di rado, riinanesse estraneo allo stesso realismo, confondendo i fatti realmente accaduti con i racconti di miracoli, di portenti, di apparizioni, ecc. In relazione a ciò, l'antico storico dedicava il suo nuovo testo soprattutto agli avvenimenti coevi, di cui poteva essere testimone, o a quelli di cui poteva venire a conoscenza tramite testimoni. Di rado si può indicare, nell'antica letteratura russa, un'opera storica il cui testo originale sia stato scritto dopo un secolo o piú dall'epoca degli avvenimenti riferiti. Càlí autori medievali non scrivevano opere nuove su un passato piú o meno remoto, ma preferivano raccogliere 2.
4,
PSRL, t. V, vyp. r, Leningrad 19 2 5, pp• =47-49• z PSRL, t. XV, 1863, p• 465. [Le cosiddette Paleja chronogra{zceskaja, Paleja tol'kovaja e Paleja istoriceskaja sono raccolte apocrife comprendenti le piú diffuse leggende vecchiotestamentarie]. 4 [Nei Pateriki venivano raccolte leggende sui santi (xi-xtz secolo)].
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e rielaborare antichi scritti, formandone un corpus, conservandone l'originario realismo ispirativo, valutandone il valore documentario e 1'autenticità. Quanta fatica non pose il cronista nella composizione del suo florilegio cronachistico! Il testo suo personale non avrebbe dovuto abbracciare che l'ultima parte del corpus. I lavori cronachistici continuamente venivano completati, accresciuti da nuove annotazioni. La storia, fino a tutto il xvI secolo, non ebbe per i Russi periodi ben definiti, ma sempre andava continuandosi nella contemporaneità. Ciascun cronista si sforzava sempre di portare le annotazioni cronachistiche « fino al principe attuale », fino al proprio tempo. E nelle finali annotazioni dei cronisti è contenuto, di solito, materiale storico particolarmente prezioso: è qui che iI cronista scrive non sulla base di brani assimilati da altre opere, ma con le sue proprie parole. Ecco perché la cronaca, in realtà, non ha mai termine; la sua fine è nel presente sempre fuggente e progressivo. Il presente come continuazione della storia, come viva conclusione che prosegue eternamente: ecco la particolare percezione storica che si manifesta nella forma stessa del corpus, che raccoglie l'antico e prezioso materiale documentario, conducendolo innanzi con nuove annotazioni fino agli avvenimenti coevi al cronista. La cronaca, dunque, è un corpus. E sistemandolo, il cronista, prima di tutto, si preoccupava di accedere ai lavori dei predecessori, quindi ai documenti storici: trattati, lettere, testamenti di principi, racconti storici, vite di santi, ecc. Raccolto tutto il materiale accessibile, a volte numeroso e vario, a volte consistente soltanto in due-tre opere, il cronista lo riordinava in un'unica esposizione annalistica. Cercando di evitare ripetizioni, collocava il documento all'anno cui apparteneva; la vita di un santo all'anno della sua morte; un racconto storico - se abbracciava diversi anni - veniva frazionato a seconda delle singole date ed il cronista ne collocava ciascuna parte al tempo rispettivo; e cosí via. La costruzione dell'esposizione cronachistica in foggia annalistica gli forniva un comodo canovaccio per inserirvi sempre nuove opere. Tale lavoro non era meccanico: avveniva, a volte, al cronista di eliminare antitesi, o di compiere complesse ricerche per sistemare ogni avvenimento alla giusta data. Influenzato dalle proprie idee politiche, egli a volte taceva l'una o l'altra notizia; o tendenziosamente selezionava le notizie, raramente le corredava di un breve commento politico; ma, in ogni caso, non inventava. Terminato il suo lavoro di « redattore di corpus » (in russo: svodcik), il cronista completava il materiale con annotazioni personali su avvenimenti degli anni piú recenti.
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Composta da frammenti diversi per cronologia e per genere, la cronaca sembra, dal punto di vista esterno, eterogenea e complessa. Tuttavia l'eterogeneità e la complessità dei documenti cronachistici giunti fino a noi non si spiega soltanto col fatto che essi si presentano in un corpus. Nella letteratura colta piú volte sono stati rilevati modelli stilistici della letteratura russa scritta medievale (le formule militari dall'accademico A. S. Orlov l, le formule per la descrizione della vita dei santi da V. O. Kljucevskij Z). Tali modelli stilistici si presentano come espressione di un particolare canone per lo scrittore medievale. In ogni genere di fatti lo scrittore medievale, devoto alle preferenze della società feudale, cerca di scrivere nella maniera propria di quel determinato tipo di fatti: se si tratti di santi, soltanto secondo l'esempio dei 2itija (se ne descrive, secondo il modello, l'infanzia, le azioni durante l'eremitaggio, la morte, le parole pronunziate nell'ora estrema, ecc.); se si tratti di azioni militari, se ne seguono le formule (il nemico attacca « in forza grande », le frecce cadono « come pioggia », il sangue scorre «lungo le vallate»); dinanzi al principe morto viene pronunziato un elogio funebre fedele al modello, ecc. Non bisogna pensare che gli schemi bellici vengano adottati soltanto nei racconti militari, e quelli relativi ai 2itijcl, soltanto nel racconto delle vite dei santi, e cosí via. Non si tratta di genere di modello, come ritengono alcuni studiosi di letteratura paleorussa (A. S. Orlov, V. O. Kljucevskij), ma proprio di usi di « etichetta »: ogni genere di fatti non deve essere descritto soltanto in maniera pertinente, ma con espressioni proprie. Ecco perché nei Zitijcc dei santi le azioni belliche non vengono descritte con il linguaggio proprio dei Zitija, ma con quello guerresco, mentre nei racconti bellici le parole pronunziate da un santo sono piuttosto ispirate al modello dei 2itija. Ecco perché, anche nelle cronache, vengono seguiti tutti i modi di esposizione, a seconda di cui si tratti. E l'argomento, dunque, vi si riveste non soltanto di una forma espositiva, ma anche della sua sostanza, in quanto tutti questi modelli stilistici, 1'« etichetta » del mestiere di scrittore, erano connessi anche con l'ideologia medievale del santo, del malfattore, del prototipo del principe, dei moventi per cui i nemici attaccavano la terra russa, delle cause delle calamità della natura (inondazioni, siccità, ecc.), manifestate Ob osobennostjach formy russkich voinskich povestej (koncaja xvit v.), in «Obscestvo istorii i drevnostej rossijskich», 4(=9o2), pp. 1-5o; O nekotorych osobennostjach stilja velikorusskoi istoriceskoj belletristiki xvz-xvii vv., in «Izvestija Otdel. russk. jaz. i slov. Akad. Nauk», t. XIII (x9o8), 4, pp. 344-79; Chronogra/ i «Povest' o kazanskom carstve», in «Sbornik statej v cest' Akad. A. I. Sobolevskogo», t. CI (1928), n. 3. 2 Drevnerusskie zitija svjatych kak istoriceskij istocnik, Moskva 187x, in particolare pagine 358-438.
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nelle espressioni prestabilite. Alla caratteristica di corpus delle cronache si connette anche la congiunzione di diversi modelli stilistici nell'una o nell'altra narrazione; e ciò porta ad un concetto ben differente da quello moderno anche a proposito del testo (il cui carattere unitario non era affatto necessario), e a proposito delle opinioni sugli avvenimenti. Le cronache, quindi, costituiscono un corpus, ma non soltanto di opere anteriori, o di modelli diversi del canone dello scrittore, ma un corpus ideologico. Infatti, da tempo è indiscutibilmente ammesso che « dalla mano del cronista vennero diretti fanatismi politici e interessi a livello mondiale »'. Gli stessi cronisti spesso rendevano manifeste le direttive politiche del proprio principe. Nell'anno 124= il principe di Galic Daniil dette ordine al suo scriba Kirill di «promulgare un editto per la spoliazione dei boiari disonesti », e la relazione di Kirill costituisce la parte essenziale della cronaca del principe Daniil 2. Altrove, all'anno 1289 il principe Mstislav Danilovic dava ordine di inserire nella cronaca una fazione degli abitanti di Berest'e. Nella Troickaja letopis', dell'inizio del xv secolo andata distrutta nell'incendio [di Mosca] del 1812, all'anno 1392, secondo la testimonianza di N. M. Karamzin, si leggono aspre accuse ai Novgorodiani a proposito della loro insubordinazione ai principi moscoviti 3. A tal proposito il cronista rimanda alla Moskovskaja letopis': «E se ne vuoi prova, ricorri al libro Letopisec Velikij Rus'skij e leggi dall'epoca del grande Jaroslav fino a quella dell'attuale principe ». Effettivamente, la Moskovska ja letopis' era piena di attacchi politici contro gli abitanti di Novgorod, di Tver', di Suzdal', di Rjazan', come del resto lo erano le cronache di Rjazan', di Tver', di Niznij Novgorod, contro i moscoviti. Nella cronaca si leggono accuse violente al bojarstvo (nella cronaca di Galic, di Vladimir, di Mosca), dichiarazioni verbose contro i plebei (in quella di Novgorod); si narra la difesa contro i cérnye ljudi da parte dei zit'i ljudi ° e del bojarstvo (in alcune cronache di Pskov), l'attacco del bojarstvo contro il principe (nella cronaca di Novgorod del xai secolo), la salvaguardia dai principi autocrati (nella cronaca di Vladimir del xai secolo, nella cronaca di Tver' della metà del xv seA. A. SACHMATOV, Povest' vremennych let, t. I, Petrograd 1916, p. xVI. 2 L. V. EREPNIN, Letopisec Daniila Galickogo, in «Istoriceskie zapiski», n. 12 (1941), pp. 251 sgg. N. M. SARAMZIN, Istoriia gosudarstva Rossiyskogo, t. V, nota 148. [Cérnye ljudi («uomini neri») sono chiamati nelle byliny i nemici della Rus' combattuti e vinti dai bogatyri; zit'i ljudi («uomini vivi») sono, invece, i Russi che combattono per la salvezza della patria].
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colo, e in quella di Mosca dei secoli xv-xvI), ecc. Dei problemi politici, mondiali, affrontati dai cronisti trattano anche le introduzioni alle loro narrazioni. Il redattore del Letopisec kn jazenija t f erskogo blagovernych velikych knjazej tfer 'skych (corpus del principe di Tver' Boris Aleksandrovic) scrive, nella premessa al suo lavoro, di averlo compiuto per ordine del « magnanimo signore », principe Boris Alelisandrovié, e di dedicarlo alla glorificazione dello «onore del saggissimo Michail, piíssimo principe », cioè Michail Aleksandrovic di Tver'. Tuttavia molti studiosi di cronache e, in primo luogo l'accademico A. A. Sachmatov, ne considerarono la parte ideologica connessa soltanto con le concezioni politiche di questo o quel centro feudale, in cui erano state redatte. Secondo A. A. Sachmatov, la cronaca rifletteva l'orientamento politico di Kiev, Vladimir, Novgorod e, piú tardi, quello di Mosca, Tver', Nifnij, ecc. A volte, nell'ambito di un centro feudale, si differenziavano le opinioni dei principi, dei vescovi, dei metropoliti. Per A. A. Sachmatov non esisteva profonda evoluzione nella coscienza sociale della lotta di classe. L'opinione politica del cronista, secondo A. A. Sachmatov, era prima di tutto locale, regionale; il che, ovviamente, portava ad una simulazione del riflesso della lotta di classe nelle cronache. D'altronde, nella cronaca non si rifletteva soltanto l'ideologia di questi o quei centri feudali, ma anche l'ideologia di classe. Abbiamo già visto che nella Povest' vremennych let sono presenti i racconti degli antichi druzinniki Vysata Ostromiric e Jan Vysatic. Con essi entrarono nella Povest' vremennych let elementi ideologici della druzina: i quali non sono presenti esclusivamente nei racconti di Vysata e di Jan. Cosí, ad esempio, all'anno 10 75 , nel racconto dell'arrivo a Kiev dell'ambasciatore germanico è chiaro il concetto che la druzina è piú cara di qualsiasi ricchezza. «Non vi è nulla in ciò, sono cose morte, - dicono gli ambasciatori a proposito delle ricchezze di Svjatoslav. - meglio possedere guerrieri. Gli uomini procacciano ancora piú di questo » 1. Espressioni simili usa nella cronaca anche Vladimir Svjatoslavic, quando gli giunge il malcontento della sua druzina: « Con l'argento e con l'oro non troverò la druzina; ma con la druzina troverò argento e oro, come trovarono argento e oro con la druzina mio nonno e mio padre » Z. Particolarmente eloquente è la contrapposizione della druzina alla ricchezza nel racconto della Povest' vremen[Vedi la nostra traduzione, p. 113]. 2 [Vedi la nostra traduzione, p. 73, anno 996 (6504)]-
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nych let, all'anno 971, a proposito dei doni di Zimisce a Svjatoslav: Svjatoslav non aveva degnato neanche di uno sguardo l'oro e i tessutí, ma aveva preso le armi rallegrandosi. Altra notevole contrapposizione è anche all'anno 1073, a proposito della fuga di Izjaslav in Polonia «con molte ricchezze », con 1e quali Izjaslav, ingannandosi, pensava: « con queste mi procaccerò guerrieri ». Infine, la medesima contrapposizione dell'oro alla druzina si trova anche nell'introduzione del Nacal'nyj svod, antecedente alla Povest' vremennych let, e nelle parole di Jaroslav il Saggio, nello stesso Nacal'nyj svod, rivolte alla druzina, all'anno io=6: «amata e onorata mia druzina, che ieri uccisi nella mia stoltezza, e che ora non m'è dato comprare con l'oro ». Naturalmente c'è da chiedersi come sia potuta entrare nella cronaca monastica l'opinione della druzina sugli avvenimenti politici del tempo. La risposta a questa domanda è ancora nel carattere proprio della Povest' vremennych let di corpus e di compilazione. La cronaca non è soltanto un corpus costituito da materiale storico preesistente, o da diversi modelli stilistici, dovuti ad un canone di mestiere dello scrittore, ma è a volte, una silloge di diverse ideologie. Appunto per questo, è bene notare che la perspicacia e la tendenza politica del cronista è in contraddizione con la sua aspirazione a conservare nella narrazione opinioni piú o meno simili alla propria, e, a volte, anche opposte all'orientamento assunto all'inizio dell'opera. Le tendenze dell'« antica » druzina, della fine dell'xi secolo, erano contrarie alla nuova politica dei principi; esse sono evidenti nella cronaca del monastero Pecerskij di Kiev, che manifesta opposizione nei confronti di Svjatopolk; ma, in seguito, l'animosità della druzina contro i principi, attraverso il Nacal'nyj svod del monastero Pecerskij di Kiev, giunge a Novgorod, per esservi utilizzata, in un ambiente sociale totalmente diverso, come propaganda antiprincipesca del bojarstvo'. Per il cronista spesso non ha importanza la fonte critica del potere principesco: ha importanza la critica stessa; ecco perché le argomentazioni della druzina contro la nuova politica dei principi vengono ugualmente usate con finalità antiprincipesche, nel monastero e nella repubblica del bojarstvo. Lo stesso si deve dire non soltanto a proposito delle tendenze politiche del cronista, ma anche nei riguardi della sua Weltanschauung in generale. È consuetudine parlare quasi di una provvidenza del cronista, della sua concezione religiosa del mondo. Bisogna dunque not D. LICHAMV, Novgorodskoe letopisanie xii v., 3.
liter. », 1944, n•
in « Izvestija Akad. Nauk, Otdel jaz. i
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tare che egli conserva ogni coerenza nell'interpretazione religiosa degli avvenimenti. Lo svolgersi del suo racconto, le concrete espressioni storiche di esso molto di frequente non si confinano entro l'idea religiosa, ma presentano un carattere puramente pragmatistico. Il cronista accoglie l'ispirazione provvidenziale in forma compiuta, pur non procedendo verso di essa, che non è prodotta da un particolare suo atteggiamento mentale. Egli riceve dal di fuori le piú dettagliate concezioni religiose: le quali possono, per questo, significativamente distaccarsi dalla sua esperienza personale, dalla sua attività pratica di storico. Il pensiero politico russo trovava la propria espressione nello stretto legame con la realtà del tempo. Esso si fondava, sostanzialmente, su fatti della storia contemporanea. Non ammetteva sovrastrutture indipendenti ed astratte del pensiero cristiano, o atteggiamenti del cronista distaccati dal mondo terreno, e protesi verso i problemi astratti della imminente frattura tra il terrestre e il mondo ultraterreno. Ecco perché, fortunatamente per la conoscenza storica dell'antica Rus', il cronista non veniva guidato tanto spesso dalla propria filosofia della storia, non sottometteva ad essa integralmente il proprio racconto, ma soltanto esteriormente; aggiungeva commenti religiosi a taluni avvenimenti della propria compilazione, ch'era in genere franca e abbastanza fedele ai fatti. È importante, appunto, notare che nella scelta degli elementi - per i quali il cronista riteneva indispensabile indulgere a commenti religioso-didattici - si manifestava quello stile medievale dell'arte dello scrittore, di cui abbiamo già parlato. I commenti religioso-didattici del cronista richiamavano sempre determinati fenomeni della vita ch'egli veniva descrivendo: carestia, pestilenza, incendi, devastazioni da parte dei nemici, morti repentine o segni celesti. Cosí, l'elemento religioso, unito alla comprensione storica della realtà non influenzava da solo l'intera esposizione annalistica. E in tale incoerenza del copista è il pregio della cronaca, giacché soltanto grazie ad essa, scaturiscono dalla esposizione, con ogni impeto, esperienza ed osservazione immediata, elementi reali ed attualità politica; cose tutte di cui è tanto ricca, e per cui è tanto preziosa la cronaca russa. Se la cronaca è un corpus costituito da materiale storico preesistente, una silloge di ideologia politica, e se non riflette soltanto la Weltanschauung del cronista, unitaria e perfetta, come mai essa si presenta, pur nel suo genere, come opera integra e compiuta? L'unità della cronaca, come opera storica e letteraria, è non nella eliminazione di tracce di opere, ma nella integrità e nell'armonia di
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tutta la grande struttura annalistica, nel suo insieme, nel pensiero unitario che ne ravviva la composizione. La cronaca è una monumentale opera d'arte: un mosaico, . Considerata dappresso, essa dà l'impressione di una fortuita raccolta di smalti preziosi, ma osservandola nel suo insieme, ci colpisce la rigida ponderatezza di tutta la sua struttura, la coerenza del racconto, l'unitarietà e la maestosità dell'idea, il patriottismo del contenuto. Il cronista ci mostra il quadro della storia russa dall'inizio, per il volgere di alcuni secoli, senza preoccuparsi dell'estensione del racconto. Dà questo quadro in contrapposizione con la sua propria Weltanschauung e con quella dei suoi predecessori. Queste contrapposizioni sono costanti e peculiari a quell'epoca, e vanno collocate nell'ambito del sistema medievale. La cronaca è come una pittura murale dei secoli xi e xii, in cui una persona è piú grande un'altra meno, in cui le costruzioni sono sistemate in secondo piano e ridotte ad altezza d'uomo, in cui l'orizzonte in un punto è piú alto, in un altro piú basso; gli oggetti piú vicini all'osservatore sono ridotti al minimo, quelli piú lontani ingranditi, ma, nell'insieme, tutta la composizione è fatta con oculatezza e precisione: ingrandito il particolare piú importante, ridotto quello secondario, è messo in alto proprio quello che deve stare in alto, in basso quello che siamo abituati a vedere in basso; ogni oggetto è sistemato non a caso, ma proprio al posto ad esso piú adatto. Del carattere contraddittorio, frammentario della cronaca, di questo suo apparirci come un mosaico ci accorgiamo solo se vogliamo ammettere che essa è stata creata, dall'inizio alla fine, da un solo autore. E questo autore mancherebbe di stile unitario, di Weltanschauung, di opinioni politiche, ecc. Poi, appena pensiamo che la cronaca non fu opera di un solo autore, appena pensiamo che il vero autore della cronaca è il tempo, ecco che ci troviamo dinanzi non un sistema di idee, ma la dinamica delle idee, ecco che la cronaca ci appare come una vera e propria opera unitaria; e questa unitarietà è definita non dalla personalità dell'autore, ma dalla realtà, dalla vita, ed in questa unitarietà si riflettono, appunto, tutte le contraddizioni della vita. Il contenuto della cronaca, comprendente secoli, è come racchiuso in un ampio alveo, che sottomette a sé il movimento del testo cronachistico: è l'alveo della realtà russa. Come ogni altra cronaca, la Povest' vremennych let è un corpus. Quindi, nel caso della Povest' vremennych let non ci si trova dinanzi ad un unico testo, prodotto da un solo autore. $ chiaro, ad esempio, che i testi dei trattati tra Russi e Greci, riportati agli anni 907, 912,
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945 e 971 non sono stati composti dal cronista, ma sono documenti che il cronista si è límitato ad includere nella propria cronaca. Con perfetta chiarezza emergono nella Povest' vremennych let anche le fonti d'informazione storica tradotte. I cronisti utilizzarono, come fonti storiche, diverse opere in traduzione, ne fecero delle selezioni e, sulla base di quei documenti, minuziosamente crearono la storia della Rus'. Queste traduzioni ci sono giunte integre: non è pertanto difficile stabilire da dove, o da quale parte di questa o quell'opera sia stato assimilato dal cronista un determinato testo; e come egli l'abbia rielaborato prima di inserirlo nella cronaca. Tra le fonti del cronista, di informazione storica e tradotte, citiamo prima d'ogni altra la cronaca di Giorgio Amartolo (il bezgresnyj, cioè il monaco), del cui continuatore greco non conosciamo il nome. A questa cronaca si riferisce lo stesso cronista: « Dice Giorgio nella cronaca... » Il cronista, all'anno 1114, ricorda anche il cronografo, dal quale riproduce brani in vari luoghi della Povest' vremennych let. Questo cronografo era in vero simile, come tipo, alle cronache russe, elleniche, romane, composto sulla base delle cronache tradotte di Amartolo e di Giovanni Malala. In ogni caso i brani tratti dalla cronaca di Giorgio Amartolo sono riportati nella Povest' vremennych let con ordine fedele all'originale, e insieme con brani della cronaca di Giovanni Malala, contenuti anche nel cronografo ellenico e romano. Il cronista utilizza come fonte storica il Chronographikon suntor`con' del patriarca di Costantinopoli Niceforo, da cui prende in prestito, all'anno 852, la cronologia. Dalla traduzione del De vita di Basilio il Nuovo i.l cronista riporta, all'anno 941, la descrizione dell'azione bellica di Igor' alle porte di Costantinopoli. Si rifà il cronista anche alla autorità del De resurrectione di Metodio vescovo di Patara, all'anno 1o96 (« Metodio testimonia di loro », cioè dei Cumani; « come dice di loro Metodio di Patara... ») Il cronista trae da Metodio di Patara ampi brani. fuor di dubbio che anche il lungo racconto a proposito della scrittura slava, all'anno 898, non sia stato pensato dal cronista, ma da lui tratto da qualche fonte slava-occidentale. Piú difficile è individuare i diversi racconti russi entrati nella Povest' vremennych let: a proposito del battesirno e della morte di Ol'ga, dei primi martiri varjaghi, del battesimo della Rus', del « discorso del filosofo », di Boris e Gleb, e cosí via. Ancora piú difficile è definire le cronache anteriori alla Povest' vremennych let, che vennero utilizzate dal suo redattore e dai suoi '[Opera di Niceforo, patriarca di Costantinopoli, costituita da varie tabelle cronologiche che vanno da Adamo all'829, l'anno della morte di Niceforo].
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predecessori. Quale sarà stato il contenuto delle cronache anteriori alla Povest' vremennych let? Quali delle fonti storiche estranee alla cronaca utilizzò ciascun cronista al momento della composizione di queste cronache? A tutte queste domande non è facile rispondere, ed è possibile soltanto avanzare delle ipotesi, alcune piú convincenti, altre meno; ma rispondere a queste domande è necessario, giacché da questo dipende anche il grado di attendibilità delle testimonianze da esse offerteci. Un attento studio del testo della Povest' vremennych let mette subito in evidenza diverse parti che non possono essere state scritte da un autore del xiI secolo. Un cronista del xii secolo non poteva sapere che la sconfitta di Vsevolod da parte dei Cumani nel io6i avvenne esattamente il 2 febbraio; che Rostislav di Tmutorokan morf i13 febbraio del 1o66; che nell'anno io65 i pescatori pescarono nel Setoml' con la rete un mostriciattolo; che il 3 marzo del =067 avvenne la battaglia sulla Nemiga e molte altre cose. Inoltre, nella Povest' vremennych let si rinvengono evidenti interpolazioni, che spezzano lo svolgimento logico del racconto. Cosí, per esempio, dopo aver narrato della triplice vendetta di Ol 'ga ai danni dei Drevliani per l'uccisione del marito Igor', il cronista conclude: « e vinsero i Drevliani ». Sembrerebbe, dopo queste parole, di dover attendere notizie del tributo che Ol'ga irnpose ai vinti. Ma evidentemente con i Drevliani la partita non era ancora chiusa: i Drevliani si rinserrano nella propria città, quindi il cronista narra della seconda vittoria di Ol' ga, di un'altra (la quarta!) sua vendetta; e soltanto a questo punto seguono le parole: « imposero loro un tributo gravoso ». È chiaro che il racconto della quarta vendetta di Ol 'ga ai danni dei Drevliani è posto artificiosamente nel testo cronachistico. E ancora un altro esempio di interpolazione: all'anno 971, vedendo decimata la propria druzina, Svjatoslav decide di tornarsene al di qua dei confini bizantini per procurarsi un nuovo esercito: « Andrò nella Rus' - dice - prenderò una druzina piú numerosa ». Ed effettivamente realizza questo suo proposito: « andò con le imbarcazioni verso le cateratte ». Ma tra l'esposizione del proposito ed il racconto della sua realizzazione s'inserisce quello della stipulazione, da parte di Svjatoslav, della pace con i Greci e il diffuso testo del trattato di pace. È chiaro che anche qui si tratta di un'interpolazíone. Le interpolazioni nel testo della Povest' vremennych let sono state poste in rilievo da molti studiosi'. Particolare attenzione vi dedicò Cfr., ad esempio,
A. A. POTEBNJA, K istorii zvukov russkogo jazyka,
11, p. x6.
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A. A. Sachmatov. La presenza di questi brani documenta che alla base della Povest' vremennych let è una cronaca ancora piú antica. Evidentemente il redattore della Povest' vremennych let ha utilizzato il lavoro del cronista suo predecessore, dopo averlo ampliato con quelle stesse aggiunte e dopo aver condotto la narrazione degli avvenimenti fino al proprio tempo. La ricostruzione dei corpus cronachistici anteriori alla Povest' vremennych let ha dato origine alle piú attraenti pagine della filologia. Riportiamo soltanto alcune considerazioni che offrono la possibilità di ricostruire i.l lavoro dei predecessori del redattore della Povest' vremennych let. All'inizio delle redazioni facenti capo alla prima cronaca di Novgorod (fatta eccezione della prima di Novgorod, secondo la redazione Sinodal'naja, di cui è andato smarrito l'inizio del manoscritto) si legge il testo, in parte simile, in parte dissimile alla Povest' vremennych let. Studiando questo testo, A. A. Sachmatov giunse alla conclusione che vi si conservassero brani di una cronaca piú antica della Povest' vremennych let. Tra le prove di ciò A. A. Sachmatov menziona anche alcuni luoghi del testo della Povest' vremennych let, in cui si riscontrano interpolazioni. Cosí, all'anno 946, nella prima cronaca di Novgorod manca il racconto della quarta vendetta di Ol'ga e la narrazione si svolge secondo la logica: « e vinsero i Drevliani e imposero su di loro un tributo gravoso »; cioè proprio come, secondo quanto aveva supposto A. A. Sachmatov, si leggeva nel corpus cronachistico, anteriore alla Povest' vremennych let (vedi sopra). E appunto manca nella prima cronaca di Novgorod anche i.l trattato stipulato da Svjatoslav con í Greci, trattato che, come è stato già rilevato, creava una frattura nella frase: «E disse: andrò nella Rus ' e mi procaccerò una druzina piú numerosa; e andò sulle imbarcazioni ». L'idea che tra le fonti della prima cronaca di Novgorod si trovasse il corpus cronachistico piú antico della Povest' vremennych let, trova conferma anche nelle seguenti considerazioni. La prima cronaca di Novgorod non poteva presentarsi come una semplice riduzione della Povest' vremennych let. Di essa non c'è una copia che derivi direttamente dalla cronaca greca di Amartolo, né c'è in essa un trattato coi Greci, o cose del genere: gli antichi cronisti non potevano apportare delle riduzioni in modo cosí sistematico; e poi perché il cronista si sarebbe proposto di omettere nel proprio lavoro tutti i brani tratti dalla cronaca greca di Amartolo, e tutt'e quattro i trattati con i Greci?
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Ed inoltre tra la prima cronaca di Novgorod e la Povest' vremennych let si notano considerevoli divergenze anche nei riguardi del contenuto. Queste divergenze, pertanto, possono essere spiegate soltanto alla luce della supposizione che il testo, cui si rifà la prima cronaca di Novgorod, sia piú antico della Povest' vremennych let. Cosí, ad esempio, nella prima cronaca di Novgorod si racconta che dopo la morte di Rjurik, salí al trono principesco suo figlio Igor', il cui voevoda era Oleg. Nella Povest' vremennych let si dice che Igor', alla morte di Rjurik, era un bambino e che in sua vece governò non il voevoda, ma il principe Oleg. Tale discordanza parrà del tutto chiara ove si parta dall'ipotesi che la Povest' vremennych let sia stata redatta posteriormente alla parte iniziale della prima cronaca di Novgorod. $ evidente che il redattore della Povest' vremennych let, includendovi il trattato de1911 tra Oleg e i Greci, rivolse la sua attenzione al fatto che Oleg appariva lí come un principe autocrate; e in armonia con questo rielaborò il racconto della cronaca anteriore. Se supponiamo, all'inverso, che la Povest' vremennych let sia stata redatta prima della parte iniziale della prima cronaca di Novgorod e che il redattore dell'ultima abbia semplicemente ridotto la Povest' vremennych let, allora ci sembrerà assolutamente incomprensibile, perché dopo aver lasciato da parte í trattati con i Greci, il cronista « abbia trasferito » Oleg dai principi nei voevody. Sulla base di queste e di molte altre considerazioni A. A. Sachmatov giunse alla conclusione che la parte iniziale della prima cronaca di Novgorod è costituita da un corpo cronachistico piú antico della Povest' vremennych let. Il cronista, redattore della Povest' vremennych let, l'ampliò con materiale nuovo, con varie fonti scritte ed orali, con documenti (trattati con i Greci), brani di cronache greche e protrasse la narrazione fino all'epoca a lui coeva. Tuttavia il corpus, precedente alla Povest' vremennych let, si ricostruisce secondo la prima cronaca di Novgorod soltanto in parte: per esempio vi manca l'esposizione degli avvenimenti relativi agli anni 1016-52 e agli anni 1074-93. Queste lacune sono colmate, per via di supposizioni, secondo la stessa Povest' vremennych let. 11 corpus, che è alla base e della Povest' vremennych let e della prima cronaca di Novgorod, è detto da A. A. Sachmatov Nacal'nyj (« primitivo »), supponendo che proprio da esso iniziò la cronachistica russa. Di passo in passo, nei diversi studi A. A. Sachmatov è riuscito a ricostruire interamente il nucleo di esso, a stabilire il tempo della sua redazione (tra il 1093 e il 1095) e a dimostrare in quale ambiente politico sia nato.
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Il corpus iniziale fu redatto sotto il recente turbamento a causa della terribile invasione dei Cumani, dell'anno 1093. E termina con la descrizione di questa invasione, e inizia con la disamina delle cause delle calamità del popolo russo. Nell'introduzione al corpus Nacal'nyj il cronista scriveva che Iddio punisce la terra russa per la « ingordigia » dei principi e dei druzinniki del tempo. A loro, bramosi di ricchezze, il cronista contrappone gli antichi principi e gli antichi druzinniki, che non mandavano in rovina il popolo con esazioni, ma trattenevano per sé i bottini di guerra e operavano per la gloria dei principi e per la terra russa. Denominando questo corpus Nacal'nyj, A. A. Sachmatov non supponeva che questo attributo si sarebbe dimostrato inesatto. Ulteriori studi di A. A. Sachmatov provarono che anche nel nucleo del corpus Nacal'nyj si trovano molte sovrapposizioni ed aggiunte. A. A. Sachmatov riuscí a scoprire alla base del corpus Nacal'nyj due corpus ancora piú antichi. Uno dei principali argomenti sulla cui base è documentata l'esistenza nel corpus Nacal'nyj di piú antiche cronache, scaturisce dall'analisi del racconto, nel corpus Nacal'nyj, del battesimo del principe Vladimir. Il corpus Nacal'nyj, e dopo di esso anche la Povest' vremennych let, narra, all'anno 986, che si recarono da Vladimir i seguaci delle diverse confessioni religiose per convincerlo ad accogliere la loro fede. Ultimo giunse un « filosofo » greco, il quale pronunziò un lungo discorso. Egli particolareggiatamente illustrò la fede cristiana, e concluse mostrando a Vladimir una tavola con la raffigurazione del consiglio divino. Si ha l'impressione che il cronista conduca il lettore verso l'attesa conclusione: Vladimir accetta di farsi battezzare. Però quando il « filosofo » domanda se si farà battezzare, Vladimir risponde in modo inaspettato: « Aspetterò ancora un poco » volendo riflettere su tutte le confessioni di fede. Nell'anno successivo, i1987, Si racconta che uomini scelti da Vladimir si recano in vari paesi e tornano con la convinzione che la fede greca sia la migliore. Ma anche questa volta Vladimir non si fa battezzarè, e pone ai boiari una strana domanda, chiedendo dove debba ricevere il battesimo. A questa domanda i boiari rispondono in modo elusivo: « Dove ti aggrada ». Al successivo anno 988 nella cronaca si trova il racconto del battesimo di Vladimir a Cherson: indipendentemente dalle parole del « filosofo », Vladimir accoglie la fede greca soltanto perché l'imperatore bizantino acconsente a dargli in sposa la sorella ad una sola condizione: Vladimir deve essere battezzato.
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Si ha l'impressione che nella cronaca siano fusi due racconti: in uno si narrava del battesimo di Vladimir a Kiev, dopo aver riflettuto sulle varie confessioni religiose; nell'altro, invece, del battesimo a Cherson, come condizione del matrimonio di Vladimir con la sorella dell'imperatore. E, infatti, tracce di tali interpolazioni sono chiaramente evidenti nella cronaca. Per chiarire il carattere e l'origine di entrambi i racconti, A. A. Sachmatov si accinse allo studio delle varie stesure dei 2itija di Vladimir, delle copie del regolamento chiesastico di Vladimir, e in particolare del cosiddetto 2it'é Vladimira osobogo sostava (nella raccolta di Pliginskij). Quindi A. A. Sachmatov giunse alla conclusione che il racconto del battesimo di Vladimir a Cherson esistesse originariamente come opera a se stante e che una cronaca antichissima, anteriore al corpus Nacal'nyj narrava che Vladimir era stato battezzato a Kiev, proprio in seguito alle parole del «fllosofo» (anno 986); la spedizione a Cherson sarebbe stata compiuta da Vladimir già cristiano, nell'anno 989. Esattamente lo stesso ordine degli avvenimenti si trovava anche in brani di una cronaca molto antica, nella Pasnjat' i pochvala knjazju ruskomu Volodimeru, kako krestisja... Per definire l'epoca della redazione di questa antica cronaca, anteriore al corpus Nacal'nyj, sono d'ausilio molte considerazioni: tra le quali riportiamo questa. All'anno 977 è detto che Oleg Svjatoslavic venne seppellito presso la città di Vruè (oggi Ovruc) e che la sua tomba è « ancor oggi presso Vruc ». Mentre in quella piú antica il cronista racconta che « le ossa » di Oleg Svjatoslavic e di suo fratello Jaropolk Svjatoslaviè furono esumate nel 1044 dalle tombe e seppellite nella chiesa kieviana della Madre di Dio (la Desjatina). Quindi è chiaro: il cronista, dopo aver scritto che Oleg Svjatoslavic era stato seppellito presso Vruc, dove la sua tomba si trova « ancor oggi », proseguí il suo lavoro fino all'anno 1044; diversamente egli avrebbe fornito una notizia inesatta. Rivolgiamo l'attenzione ad un'ampia nota riportata all'anno =037: a questa data è descritta, con ogni particolare, l'attività edificatoria di Jaroslav ed è inserita una diffusa lode di lui; tutte le note successive (anni 1037-44) hanno il carattere di brevi codicilli. È probabile che il primo e piú antico corpus cronachistico terminasse con l'annotazione, all'anno 1037, dell'apoteosi di Jaroslav e della sua attività. Tuttavia tra il primo corpus cronachistico ed il corpus Nacal'nyj (1093-95) Si può ancora intravedere l'esistenza di un terzo nucleo, di cui si individuano facilmente i motivi d'origine, ed anche il redattore.
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A partire dal =o6i nel testo del corpus Nacal'nyj appaiono datazioni precise degli avvenimenti. Il cronista non solo indica l'anno di questo o quel fatto storico, ma, oltre all'anno, indica anche il mese e il giorno. Il che dimostra che gli avvenimenti sono descritti subito dopo il loro avverarsi. Ma piú notevole è tuttavia il fatto che le citazioni con datazione precisa segnano inizialmente gli avvenimenti di Kiev (y o61-63), poi particolareggiatamente trasmettono gli avvenimenti della lontana Tmutorokan (1o64-66); da cui di nuovo si riportano nella Rus' (=067, avvenimenti di Polock), per trasferirsi nel 1o68, definitivamente a Kiev. Considerando che dopo la prima silloge cronachistica, che termina con l'elogio a Jaroslav, la cronografia si consolida fortemente nel monastero Pecerskij di Kiev, bisogna riconoscere che il passaggio di tal specie di appunti cronachistici da Kiev a Tmutorokan, e poi di nuovo a Kiev, deve essere senza alcun dubbio connesso ad avvenimenti unici nel loro genere, accaduti in quel monastero. Dal 2it'é di Feodosij, composto alla fine dell'xi secolo, sappiamo che il monaco del monastero Pecerskij di Kiev, Nikon, soprannominato Velikij (« Grande »), all'inizio del febbraio dell'anno i o61 (anno in cui vengono interrotte le datazioni precise degli avvenimenti kieviani) fuggí a Tmutorokan a causa della collera del principe kieviano Izjaslav. A Tmutorokan Nikon prese attiva parte alla vita politica e soggiornò sulle rive del Mar Nero fino al febbraio =o66: cioè proprio negli anni in cui la cronaca data con precisione gli avvenimenti a Tmutorokan; mentre non fornisce date esatte per quelli verificatisi nella Rus'. In seguito, per incarico degli abitanti di Tmutorokan, Nikon si diresse a Cernigov dal principe Svjatoslav, per invitare il figlio di lui, Gleb, nel principato di Tmutorokan. Nikon, aCernigov, non trovò Svjatoslav e attese che questi tornasse dalla guerra contro Vseslav Polockij; poi, nel io68, si stabilí a Kiev. A Kiev Nikon visse fino al 1073, quando di nuovo fu costretto a lasciarla per far ritorno a Tmutorokan. Ma a Tmutorokan Nikon non continuò piú le note cronachistiche, avendo evidentemente terminato questo suo lavoro nell'anno 1073. Pertanto la storia delle piú antiche cronache russe si presenta ad A. A. Sachmatov in questo modo: negli anni 1037-39 è redatta la prima cronaca russa, Drevnejsij Kievskij svod. Dall'inizio degli anni sessanta dell'xi secolo, l'igumeno Nikon del monastero Pecerskij di Kiev continuò il lavoro della cronaca, e verso il 1073 redasse il secondo corpus cronachistico. Negli anni 1093-95, nello stesso monastero Pecerskij, venne redatto il terzo corpus cronachistico, chiamato
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convenzionalmente Nacal'nyj. Infine, all'inizio del xir secolo, non in un sol tempo, ma a piú riprese, venne redatta la Povest' vremennych let giunta a noi (sulla cui storia torneremo ancora). Bisogna accettare questo schema della storia della piú antica cronaca nel suo complesso, anche se, subito dopo la morte di A. A. Sachmatov furono avanzate delle obiezioni dagli accademici V. M. Istrin e N. K. Nikol'skij. Le obiezioni di V. M. Istrin e di N. K. Nikol'skij derivavano da uno scarso numero di fatti, trascurabili nell'insieme, dell'argomentazione di A. A. Sachmatov. Intanto, fissando lo schema dell'antica cronaca russa, A. A. Sachmatov aveva utilizzato le copie conservatesi delle cronache russe, aveva coordinato le proprie posizioni con tutta la storia della cronachistica russa, cui essa sembrava strettamente connessa. Ma A. A. Sachmatov non si fermò alla spiegazione dei fatti principali della storia della prima cronaca russa. Egli cercò di precisare il testo di ciascuno dei corpus dianzi citati. Nei Razyskanija o drevnejsich russkich letopisnych svodach (anno i9o8) A. A. Sachmatov pubblicò il testo ricostruito del codice piú antico della redazione del 1073, cioè il testo del corpus di Nikon del 1073, separando in esso, con l'ausilio di un carattere tipografico diverso, quelle parti che vi erano state inserite dal Drevnejsij svod degli anni 1037-39. Nel suo lavoro piú tardo, la Povest' vremennych let (t. I, 1916), A. A. Sachmatov pubblicò il testo della Povest' vremennych let, in cui con caratteri tondi venivano distinte le parti che si facevano risalire al corpus Nacal'nyj degli anni 1o 93-95• ^ necessario notare che nel suo tentativo straordinariamente audace di stabilire esattamente tutta la storia della cronachistica russa, di fissare testi smarriti da tempo, A. A. Sachmatov s'imbatté in una serie di problemi, per la cui soluzione non ebbe a disposizione molto materiale. Per questo nell'ultima parte del suo lavoro, A. A. Sachmatov, nei casi in cui doveva necessariamente risolvere delle questioni, anche quelle di impossibile chiarificazione, dette delle conclusioni il cui carattere era ipotetico e non sufficientemente motivato. Accanto a grandissimi meriti, gli studi di A. A. Sachmatov posseggono, quindi, difetti sostanziali. Tali difetti sono in primo luogo di carattere metodologico. La piú banale concezione di A. A. Sachmatov della storia della cronachistica russa era caratterizzata da tratti progressisti. A. A. Sachmatov per primo introdusse nell'antica analisi formale e filologica, il metodo della filologia « borghese ». Egli rivolse l'attenzione al carattere politico delle cronache, al loro nesso con la lotta feudale del tempo. Soltanto su queste premesse A. A. Sachma-
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tov poté costruire la storia della cronachistica. A. A. Sachmatov legò lo studio della cronachistica alla scienza storica, e qui fu il suo grande merito, in questo il successo del suo metodo, che lo condusse a tutta una serie di scoperte (scoperte di codici cronachistici, di fatti concreti di storia). Ma A. A. Sachmatov legò il suo metodo filologico alla scienza storica «borghese », e in ciò fu il suo difetto. A. A. Sachmatov riconobbe soltanto la lotta politica dei centri feudali, ma non considerò la lotta di classe. Nella cronaca, e in particolare nella Povest' vremennych let, egli scoprí, e giustamente, il riflettersi delle ideologie dei diversi centri feudali, ma non vide e non poté vedere il riflettersi nella cronaca della ideologia delle classi. Ecco perché in seguito (vedi 5 4) dissentiremo da A. A. Sachmatov proprio in quanto egli presenta la cronaca come manifestazione della concezione storica del tempo; e apporteremo, quindi, delle modifiche allo schema dell'evoluzione della cronachistica russa. Ci riferiamo soprattutto all'ipotesi di A. A. Sachmatov circa la datazione della compilazione del codice cronachistico russo, detto Drevnejsij, all'epoca di Jaroslav il Saggio. Seguendo A. A. Sachmatov dovremmo pensare che già la prima cronaca russa unisse in sé tutte le peculiarità della cronachistica russa: la maniera di sistemare le nuove note per anni, le peculiarità della lingua, la diffusa citazione di dati folcloristici per la ricostruzione della storia russa, la stessa concezione della storia russa, dei suoi momenti essenziali. E dovremmo pensare anche che la cronaca sia rimasta estranea alla lotta sociale del tempo. È chiaro che una tale origine della cronachistica è poco probabile. In realtà, come vedremo oltre, la cronaca, la sua forma ed il suo contenuto ideologico nacquero gradualmente, mutandosi sotto l'influenza delle idee e le direttive del tempo, riflettendo profondamente la lotta sociale del governo in fase di feudalizzazione.
In verità le aggiunte, i rifacimenti, le interpolazioni, le fusioni del materiale ideologicamente e stilisticamente eterogeneo caratterizzano anche il codice Drevnejsij, nella foggia in cui lo ha ricostruito A. A. Sachmatov. Vi si riconoscono due tendenze narrative: da una parte i racconti chiesastici sui primi russi cristiani, e dall'altra le tradizioni popolari sui primi principi pagani. Queste due tendenze, evidentemente, non potevano appartenere
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ad un solo autore: esse si differenziano ideologicamente e stilisticamente. Dai racconti chiesastici si desume che la storia russa sia iniziata soltanto con la penetrazione del cristianesimo nella Rus', che il cristianesimo indubbiamente è piú elevato del paganesimo, che i pagani sono « ignoranti », ecc. Nelle parti della cronaca, che sono costituite sulla base di tradizioni orali, si fa cenno a posizioni opposte, come è il caso degli « ignoranti » che diventano « saggi » e sensati ». Le leggende popolari ci parlano soprattutto della saggia-arguzia dei principi russi pagani: del saggio Oleg, di Igor', della pagana Ol'ga. Separando l'una dall'altra le due tendenze, si noterà subito che i racconti chiesastici compongono un tutt'uno, rappresentano un racconto compiuto del periodo delle origini del cristianesimo nella Rus', mentre le leggende orali sono soltanto legate ad esso, ma non possono costituire opera indipendente. Da ciò concludiamo anche che la narrazione dell'introduzione del cristianesimo nella Rus' è piú antica delle leggende orali che gli si connettono. Rivolgiamo l'attenzione alla sesta opera simile per tema, la glorificazione del cristianesimo della Rus', e per identità di stile. Ci si riferisce al racconto del battesimo e della morte di Ol'ga, il racconto dei primi martiri russi varjaghi-cristiani, il racconto del battesimo della Rus' (compreso il discorso del «filosofo » e l'elogio a Vladimir), il racconto dei principi Boris e Gleb e l'ampio elogio a Jaroslav il Saggio (anno zo37). Il racconto del battesimo di Ol'ga si distacca appena dalle leggende popolari legate ad esso. Gli elementi popolari traspaiono nei rapporti tra Ol'ga e l'imperatore greco (è noto il racconto cronachistico del modo in cui Ol'ga lo ingannò al momento del battesimo), gli elementi chiesastici nei rapporti della stessa col patriarca. Queste due stesse tendenze si notano anche nel racconto della morte di Ol'ga. Gli altri racconti da noi citati si individuano appena; e, pertanto, la loro indipendenza dal testo cronachistico non richiede particolare attenzione. al contrario importante il fatto che i sei racconti rivelano tutti l'appartenenza ad una sola mano, nonostante siano rese tutte frammentarie dalle numerose interpolazioni posteriori e siano state in parte abbreviate, esse rivelano una strettissima connessione reciproca: connessione strutturale, stilistica, ideologica. Cosí, per esempio, in stretto legame con il racconto del battesimo di Ol'ga è il racconto della sua morte. Questo problema è stato già preso in considerazione da A. A. Sachmatov: il quale aveva ammesso che sia il racconto del battesimo di Ol'ga sia quello della sua morte sono da riportare ad un'unica opera extracronachistica, che si riflette
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pure in un articolo del Prolog', che, alla data dell' = x luglio, narra entrambi gli avvenimenti Affini risultano anche il racconto del battesimo di Ol ' ga e quello del battesimo della Rus'. Cosí, ad esempio, l'elogio ad Ol'ga coincide stilisticamente e sostanzialmente con quello a Vladimir'. Il confronto tra Ol'ga e 1'imperatrice Elena è confortato da quello tra Vladimir e Costantino. In entrambi i racconti è espressa la stessa convinzione: l'opera di Ol'ga e di Vladimir per la Rus' è pari a quella di Elena e di Costantino per Bisanzio. Il racconto di Ol'ga non perde mai di vista il futuro battesimo della Rus'. Ol'ga prega perché la terra russa sia illuminata dal battesimo tutta l'opera di lei, a giudizio dell'autore, costituisce quasi un preannunzio al futuro battesimo della Rus'. D'altro canto, anche il racconto cronachistico sul battesimo della Rus' fa continui rimandi alla principessa Ol'ga, come alla prima cristiana russa, sebbene in realtà ella non sia stata la prima 5. L'esempio di Ol'ga, cristiana, serve a Vladimir da stimolo a farsi battezzare, come l'esempio dello stesso Vladimir serve ai Kieviani. In tal modo sia nel racconto su Ol'ga, sia in quello su Vladimir v'è alla base una idea comune: essi sono identici per nessi reciproci e per stile. In stretto legame con il racconto del battesimo della Rus' è anche il racconto sui primi martiri varjaghi. In entrambi i racconti i russi pagani vengono chiamati col termine, poco usato, di neveglasy (« ignoranti »), entrambi i racconti indugiano allo stesso modo sulle lamentele del demonio vinto dal cristianesimo; una stretta parentela si nota anche nelle discussioni del varjago scandinavo e dei predicatori tedeschi sul dio vero e sugli idoli 2.
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'[Breve esposizione delle vite dei santi (xI-xIi secolo)]. Cfr. Razyskanija cit., pp. x15-16. Nell'elogio a Vladimir «e in pianto seppellirono il corpo suo, di principe giusto»; e, ol.tre: «fu il nuovo Costantino della grande Roma» (Lavrent'evskaja letopis ', anno 1ox5). E nel racconto di Ol ' ga: «seppellirono la buona Ol'ga. Come l'aurora precorre il sole... cosí fu O1'ga a precorrere il cristianesimo della terra russa» (ibid., anno 969). Nell'elogio a Vladimir: «la gente della Rus' ne onora la memoria ricordando il santo battesimo, e loda Dio nelle preghiere» (ibid., anno 1015). Nell'elogio ad O1' ga: «la glorificano i figli russi come iniziatrice... qui tutti gli uomini la glorificano, costatando che ella giace intatta nel corpo da molti anni» (ibid., anno 969). 4 [Vedi la nostra traduzione, p. 37, anno 955 (6463)]. 5 V. PARCHOMENKO, NaCalo cbristianstva Rusi Ix-x vv., Poltava 1 913, pp. 51 sgg.; v. I. r.AMANSK17, Slavjanskoe zitie sv. Kirilla kak religiozno-epiceskoe proizvedenie, Petrograd 1915. 6 Nel racconto sui martiri varjaghi: «costoro non sono dèi, ma pezzi di legno... E Dio è uno solo, i Greci lo servono e lo venerano, egli creò il cielo e la terra, le stelle e la luna, il sole e l' uomo... Questi dèi, invece, cosa hanno fatto? Essi stessi sono stati fatti» (Lavrent'evskala letopis', anno 983). Cfr. ancora il racconto del battesimo della Rus': «ci inchiniamo dinanzi a Dio, che ha creato il cielo e la terra, le stelle, la luna e tutto ciò che ha vita, mentre gli dèi vostri sono pezzi di legno» (ibid., anno 986). Z
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Il lessico è identico nei sei racconti intorno all'introduzione del cristianesimo in Rus', e questo lessico particolare s'incontra soltanto in questi sei racconti. Si veda, ad esempio, il termine novye ljudi (« uomini nuovi ») usato per i russi cristiani. Questo termine è usato nel discorso del « filosofo », nella glorificazione del battesimo della Rus', nella descrizione della costruzione della chiesa della Desjatina, nell'elogio a Vladimir, nel racconto su Boris e Gleb, nell'elogio a Jaroslav il Saggio. E cosí possiamo parlare di un'unica opera: tutti i sei racconti non soltanto sono scritti secondo uno stesso genere stilistico e sono dedicati unicamente alla glorificazione dell'opera dei primi russi cristiani, ma sono per di piú legati tra loro proprio dall'idea del graduale trionfo del cristianesimo nella Rus'. Il racconto su Ol'ga e il racconto sui martiri varjaghi è un modo come un altro per introdurre il racconto-chiave del battesimo della Rus '. Ol'ga, « l'aurora che precorre il sole » e « l'alba la luce », precorre Vladimir. Jaroslav continua l'opera di Vladimir e, non a caso, la lode ad Jaroslav ripete quasi letteralmente la lode a Vladimir'. È singolare il fatto che, sia ideologicamente sia stilisticamente, il racconto (« Skazanie ») sulla lenta diffusione del cristianesimo nella Rus' combaci con quello dello Slovo o zakone i blagodati del metropolita Ilarion. Sia nel racconto, sia nello Slovo di Ilarion sono incluse le stesse idee, straordinariamente attuali soprattutto per l'epoca di Jaroslav il Saggio, epoca appunto della stesura di entrambe le opere. Negli anni del principato di Jaroslav il Saggio un particolare valore assunse il problema dell'organizzazione autonoma della chiesa russa, indipendente da Bisanzio. Jaroslav riuscí ad innalzare la Rus' a livello internazionale, e, basandosi sull'evoluzione della coscienza popolare della prima metà del1'xz secolo, pose solidamente le basi per l'indipendenza russa politica ed ecclesiastica, letteraria e storica e artistica (sia nel campo dell'architettura sia in quello delle arti figurative). Questa lotta per la propria indipendenza impegnò tutti i campi spirituali della cultura dello stato kieviano e questa lotta si riflette anche nelle opere letterarie dell'epoca, nella cronaca, nell'architettura e «Volodimir contento di aver conosciuto Dio... disse: O Cristo Dio... vigila su questi uomini nuovi... e siimi di aiuto, o Signore, contro il nemico avversario» (Lavrent' evskaia letopis ' , anno 988); e cfr. ancora: « Godeva Jaroslav nel costatare la grande quantità di chiese e di uomini cristiani, mentre il nemico diavolo si aflliggeva, vinto dai nuovi uomini cristiani» (ibid., anno 1037).
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nell'arte figurativa del principato di Jaroslav. Essa coincise con l'evoluzione dell'autocoscienza politica del popolo russo. Nell'anno 1037, Jaroslav il Saggio ottenne l'istituzione a Kiev di una speciale metropolia del patriarcato di Costantinopoli. La designazione di un proprio metropolita fu, per il giovane stato di Kiev, un successo personale di Jaroslav, ed elevò il prestigio della Rus' sul piano internazionale. Autorizzando l'istaurazione di una metropolia distaccata a Kiev, i Greci tutti speravano che il nuovo metropolita - scelto dall'imperatore non tra i Russi, ma tra i Greci a lui graditi - diventasse il tanto atteso agente dell'imperatore di Bisanzio e conducesse una politica di completa sottomissione della Rus ' all'imperatore. Dal canto suo Jaroslav considerava la nomina del metropolita kieviano come una vittoria della propria politica e contava di ottenere, in seguito, il pieno riconoscimento dell'indipendenza della chiesa russa da Costantinopoli. Il successo della politica russa, il primo grosso trionfo politico nei confronti dell'impero, e le speranze in un avvenire migliore della Rus' fecero sí che Jaroslav desse mano sempre a nuove costruzioni: « Anno 6 545 . - Fondò Jaroslav una città grande, presso la città sono le Porte d'Oro; fondò anche la chiesa di Santa Sofia, la metropolia, e, piú tardi, la chiesa dell ' Annunciazione della Madre di Dio e le Porte d'Oro, e ancora il monastero di San Giorgio e di Sant'Irene»'. Che Jaroslav considerasse la nomina del metropolita kieviano soltanto come il primo successo della propria politica, è dimostrato dal fatto che subito dopo l'anno i03 7 Jaroslav inoltrò richieste a Costantinopoli, per ottenere maggiori diritti della metropolia russa e una graduale emancipazione di essa dalla tutela del patriarca di Costantinopoli e dell'imperatore di Bisanzio. Per questo Jaroslav mirò alla canonizzazione di molti santi russi. Lo scopo di tali richieste di Jaroslav è comprensibile: la canonizzazione di santi russi avrebbe rafforzato le posizioni dell'indipendenza russa chiesastica. Essa doveva testimoniare che la chiesa russa, nata in un giovanissimo stato, era dotata di cose sacre proprie e non richiedeva l'attenta tutela di Bisanzio. Jaroslav ostinatamente insisteva sulla santificazione della principessa Ol'ga, dei varjaghi cristiani (padre e figlio), uccisi dai pagani a Kiev ai tempi di Vladimir, dei propri fratelli Boris e Gleb. La canonizzazione di Ol'ga e dei martiri varjaghi venne decisamente respinta da Bisanzio, ma l'insistenza di Jaroslav per quella di Boris e di Gleb vinse l'ostinatezza dell'imperatore. Jaroslav riuscí ad ottenere la canoniz[Vedi la nostra traduzione, p. 87, anno 1037 (6545)1
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zazione dei propri fratelli, principi Boris e Gleb, e a coronare, nello stesso tempo, con l'aureola della santità il proprio principato. La venerazione dei primi santi russi fu un trionfo della politica nazionale di Jaroslav e divenne culto nazionale. Boris e Gleb vennero celebrati con straordinaria solennità sei volte all'anno. Il giorno zq. luglio, il piú importante di queste festività, venne considerato tra le feste piú solenni dell'anno. L'adorazione di Boris e di Gleb ben presto oltrepassò i confini russi. E giunse fin nella stessa Bisanzio: nella cattedrale di Santa Sofia a Costantinopoli fu consacrata l'icona di Boris e di Gleb; altrove venne costruita una chiesa in loro onore ' . Venne pubblicato il Prolog armeno su Boris e Gleb, che fu certamente una traduzione dal greco 2. Infine il culto di Boris e di Gleb fu celebrato anche in Cecoslovacchia, e nel monastero Sozavski venne costruita un'intera ala in loro onore. Le idee politiche di Jaroslav furono espresse ancora piú chiaramente nello Slovo o zakone i blagodati del monaco Ilarion della chiesa di corte di Jaroslav, alla periferia di Berestovo; Ilarion fu il primo metropolita kieviano scelto tra i Russi. Il tema dello Slovo o zakone i blagodati è quello dell'uguaglianza dei popoli. Ilarion si sofferma sul fatto che Dio con il Vangelo e con il battesimo « tutti i popoli salvò » e rende gloria al popolo russo tra tutti i popoli del mondo. Il tema è espresso nello Slovo o zakone i blagodati con estrema chiarezza. E la precisione e la chiarezza del concetto si riflette nello stesso titolo dello Slovo: O zakone Moiseom daneem, i o blagodati i istinne lisus Christom' byvsisn, i kako zakon ot-ide, blagodat ' [ze] i istina vsju zeznlju ispolni i vera v vsja jazyki prostresja i do nasego jazyka [ naroda ] rus'skago, i pochvala kaganu nasenau Vladinaeru, ot nego ze kresceni bychom (i molitva k bogu ot vsea zenali nasea) 3. La composizione in tre parti dello Slovo, già evidente nel titolo, permette di sviluppare organicamente il tema fondamentale dell'opera: la glorificazione della terra russa, del suo kagan (« principe ») Vladimir e del principe Jaroslav. Ciascuna parte scaturisce dalla precedente, gradualmente entra nel vivo del tema, passando dal generale al particolare: dal tema generale della creazione del mondo a quello particolare della sua evoluzione; dall'universale al nazionale; fino al destino del popolo russo. Il pathos dello Slovo è nell'ordine, nelle ci'
Putesestvie novgorodskogo archiepiskopa Antonija v Car ' grad v konce xII v., a cura di P. Savvaitov, Sankt-Peterburg 1872, pp. 79 e 159. V. N. DENESEVIé, Arrrijanskij prolog o sv. Borise i Glebe, in u Izvestija Akad. Nauk, Otdel russk. iaz. i slov.», 1909, I. Cfr. Pamjatniki cit., p. 59. Z
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tazioni, in quella specie di gerarchia dei fatti della storia mondiale che è propria dello schematismo medievale. La prima parte dell'opera tocca il problema basilare delle opinioni storiche del medioevo: il problema dei rapporti reciproci dei due testamenti: il Vecchio e il Nuovo, Zakona e Blagodati. Questo rapporto reciproco è considerato da Ilarion nei consueti schemi simbolici della teologia cristiana, tuttavia sulla base di argomentazioni teologiche Ilarion fonda una propria concezione patriottica della storia universale. Egli non tralascia mai il suo scopo fondamentale: sconfinare nella glorificazione della terra russa e del suo prosvetitel' (« civilizzatore ») Vladimir.. Ilarion porta numerose prove del fatto che l'epoca della religione riservata ad un sol popolo è finita, che è giunta l'ora della libera iniziazione al cristianesimo da parte di tutti i popoli senza esclusione alcuna; tutti i popoli sono uguali nel loro rapporto con Dio. Il cristianesimo simile all'acqua del mare, ha bagnato tutta la terra 1 e nessun popolo può vantare privilegi nella religione. La storia universale si presenta ad Ilarion come una lenta diffusione del cristianesimo tra tutti i popoli del mondo, e quindi anche tra i Russi. Esponendo questa sua idea Ilarion ricorre a molteplici paralleli tratti dalla Bibbia e con convinzione afferma che per una nuova fede sono necessari uomini nuovi. « Come disse il Signore: non versare il vino nuovo in vecchie otri...; ma la nuova dottrina in nuove otri, in popoli nuovi » Z. Probabilmente insistendo, con ostinazione, sulla superiorità dei popoli nuovi a confronto dei vecchi, sulla ricompensa che riceveranno gli inferiori a svantaggio dei superiori, sulla distruzione di Gerusalemme per volere divino, Ilarion ha presente con estrema chiarezza í rapporti greco-russi del suo tempo. Lo Slovo venne redatto proprio mentre erano già in corso i preparativi della guerra di Vladimir Jaroslavic contro Costantinopoli', e quando i Greci continuavano ad opporsi alla canonizzazione di Vladimir 4. « Nel destino dei popoli nuovi si è avverato ciò che, in immagini emblematiche, era raffigurato nella storia vecchiotestamentaria, - scriveva a proposito dello Slovo l'accademico I. N. 2danov. - Soltanto bisogna sapere capire queste immagini: e comprende colui che legge »5. ' Cfr. Pamiatniki cit., p. 63. Ibid., p. 67. 3 11 contenuto ottimista e vivace dello Slovo, presagio di vittoria, prova che l'opera è stata redatta prima della spedizione di Vladimir Jaroslavic dell'anno r 043• 4 M. D. PRISELKOV, Ocerki po cerkovno-politiceskoj istorii Kievskoj Rusi x-xiI vv., SanktPeterburg 1 9=3, pp. 66 sgg. 5 I. N. ZDANOV, Socinenija, t. I(1904), P. 19• 2
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Dopo aver parlato dei popoli nuovi nella storia della dottrina cristiana, Ilarion passa alla seconda parte del suo Slovo, limitando il tema alla diffusione del cristianesimo nella terra russa: « la fede divina per tutta la terra si diffuse e fino al nostro popolo russo giunse... Ed ecco che anche noi insieme con tutti i cristiani rendiamo gloria alla Santa Trinità... » 1. La Rus' è simile a tutti i paesi e non richiede alcuna tutela: « a tutti i paesi il Dio benefattore ha fatto grazia e noi non ha disprezzato, e ci ha salvato, e nella ragione i1 giusto ha condotto... »2. Al popolo russo spetta un futuro, spetta una grande missione storica. Il pathos patriottico e polemico dello Slovo cresce a misura che Ilarion descrive il trionfo del cristianesimo tra i Russi. Con le parole della Scrittura, Ilarion invita tutti gli uomini, tutti i popoli a render gloria a Dio. « Che onorino Dio tutti gli uomini e che godino tutti i popoli, e tutti i popoli invochino Iddio ». L'entusiasmo patriottico di Ilarion raggiunge l'acme nella terza parte dello Slovo, cioè quella dedicata alla glorificazione di Vladimir I Svjatoslavic. La prima parte dello Slovo dunque trattava il carattere universale del cristianesimo, la seconda il cristianesimo russo, la terza l'elogio al principe Vladimir. Trait d'union tra la seconda e la terza parte è il tema, proprio della teologia medievale, che ciascun popolo debba avere il suo apostolo civilizzatore. E cosí anche alla Rus' era destinato lodare il suo apostolo, e riconoscerlo suo civilizzatore. La terra russa aveva già avuto prima di Vladimir la gloria e i suoi principi gloriosi. Vladimir era il « nipote del vecchio Igor' », e il «figlio del glorioso Svjatoslav» 3. Entrambi questi principi, « ai loro tempi, avevano governato con audada e austerità, e vennero glorificati in molti paesi, e oggi sono ricordati e glorificati »". Ilarion pone prima di tutti gli altri paesi la terra russa. I principi russi anche prima di Vladimir «non nel male, né nel1'ignoranza della terra governarono, ma nella Rus' che era conosciuta e udita da tutti i limiti della terra» 5 . Vladimir «glorioso tra i gloriosi», « munifico tra i munifici» Ilarion descrive i meriti militari di Vladimir, la forza e il potere dei principi russi e la gloria di tutta la terra russa. L'« autocrazia » di Vladimir e i successi militari di lui sono descritti da Ilarion con lo scopo evidente di mostrare che l'accettazione del cristianesimo da parte del potente Vladimir non fu forzata, ma fu il risultato di una libera scelta da parte di Vladimír. Dopo aver '
Cfr. Pamjatniki cit., p. 67. Ibid. ' Ibid., p. 69. ' Ibid. Ibid. 6 Ibid. 2
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descritto il battesimo volontario e libero di Vladimir, Ilarion passa al battesimo della Rus', ascrivendo la realizzazione di esso all'eccezionale merito di Vladimir che agí senza alcuno aiuto da parte dei Greci'. Ponendo in risalto che il battesimo della Rus' fu un fatto personale del solo Vladimir, del principe, nella cui persona si fondevano « religione e potere », Ilarion apertamente polemizza con i Greci, che ascrivevano a loro merito il battesimo di quel popolo « barbaro ». Ilarion passa quindi alla descrizione dei meriti di Vladimir, con l'evidente intenzione di dimostrare l'opportunità della canonizzazione di Vladimir, cui si opponevano i Greci. E Ilarion fornisce dati che dovrebbero assolutamente portare alla santificazione di Vladimir. Il confronto dell'opera di Vladimir, nella Rus', con quella di Costantino in Grecia, era appunto tendenziosamente diretto contro le obiezioni greche alla canonizzazione di Vladimir: uguale opera esige uguale riconoscimento'. Ilarion sviluppa particolareggiatamente il confronto Vladimir-Costantino (confronto che nuoce e dispiace ai Greci), quindi addita come continuatore dell'opera di Vladimir, il figlio di lui Jaroslav, indugiando sui suoi meriti e sulla sua opera. Il pathos patriottico di questa terza parte, in onore di Vladimir, supera 1'acme del patriottismo della seconda parte. E raggiunge l'acme proprio quando Ilarion, dopo aver descritto l'opera civilizzatrice di Vladimir, la nuova Rus', e la «gloriosa città » di Ki.ev, si rivolge a Vladimir, esortandolo a sorgere dalla tomba e a mirare i frutti del suo operato. Infine, a conclusione dello Slovo, segue una preghiera a Vladimir, penetrata di entusiasmo patriottico; Ilarion si rivolge a Dio: «non rivolgere contro di noi i peccati della tentazione, non darci nelle mani dei nemici e non sia chiamata la città tua [cioè: Kiev] città prigioniera, e il gregge tuo [cioè: i Russi] straniero nella terra non propria... »'. È chiaro che lo scopo primo dello Stovo di Ilarion non è stato la contrapposizione dogmatico-teologica dei Testamenti, il Vecchio e il Nuovo, come hanno creduto molti studiosi 4. Ilarion rese gloria alla Rus' e al suo « civilizzatore » Vladimir. Ilarion sviluppò la sua tesi sull'uguaglianza di tutti i popoli, la sua teoria di storia universale, preve1 Cfr. Pamiatniki cit., p. 71. Ibid., p. 73. ' Ibid., p. 78. 2
Originariamente si riteneva che lo Slovo fosse diretto contro la dottrina giudaica. Quest' opinione fu confutata da I. N. 2danov nel 1872, che, però, non forní una valida interpretazione del contenuto ideologico dello Slovo (Socinenija, t. I, pp. z-8o).
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dendo uno sviluppo graduale e identico del cristianesimo in tutti i popoli. La storia della Rus' e del suo battesimo sono descritti da Ilarion come una conseguenza logica degli avvenimenti mondiali. Quanto piú limita Ilarion il proprio tema, passando gradualmente dal generale al particolare, tanto piú aumenta il suo entusiasmo patriottico. In tal modo, tutto lo Slovo di Ilarion, dall'inizio alla fine, rappresenta l'evoluzione armoniosa ed organica di un'unica idea patriottica. Piú tardi, quando ricopriva la carica di metropolita designato non da Costantinopoli ma dai vescovi russi, Ilarion si oppose decisamente all'egemonia bizantina; concretando le idee politiche di Jaroslav e dimostrando che Kiev era simile a Costantinopoli. Gli studiosi hanno a lungo studiato le concordanze stilistiche e ideologiche dello Slovo di Ilarion e della prima cronaca russa'. $ da notare, tuttavia, che le suddette concordanze si riscontrano nella cronaca soltanto in quella parte che noi abbiamo già sceverato e che chiameremo Skazanie o rasprostranenii christianstva na Rusi (e cioè: Racconto sulla diffusione del cristianesimo nella Rus ' ). Sia lo Slovo di Ilarion, sia lo Skazanie si basano su materiale comune di brani tratti dalla Sacra Scrittura. Si potrebbe pensare che queste coincidenze siano fortuite, se il materiale citato non fosse corredato da identiche interpretazioni e da identiche osservazioni. Sia nello Slovo di Ilarion, sia nello Skazanie allo stesso modo viene descritta la Rus' pagana precristiana. Sia nello Slovo, sia nello Skazanie è messo in rilievo che il diavolo venne scacciato dal paese che non era stato visitato dagli apostoli '. E sia nello Slovo, sia nello Skazanie si dice che sebbene gli apostoli non siano giunti nella Rus', pure la « tromba apostolica » echeggiò come in tutti gli altri paesi del mondo'. Lo Slovo e lo Skazanie sono le uniche fonti russe che testimoniano i sacrifici umani della Rus' pagana °. In entrambe le opere è, allo stesso modo, descritto il battesimo di Vladimir e della Rus'. Vladimir liberamente, di propria volontà (e non per volontà greca) sceglie il cristianesimo bizantino tra le altre religioni. Narrando degli avvenimenti del battesimo, l'autore dello Skazanie mette il punto sul fatto che Vladimir avrebbe potuto accogliere qualsiasi religione: maomettana, ebrea, cristiana cattolica occidentale,
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e invece scelse quella ortodossa orientale di sua propria volontà e non per influenza greca. La stessa idea è alla base dello Slovo di Ilarion. Ilarion sottolinea l'iniziativa personale di Vladimir nell'accettare il cristianesimo. Vladimir giunse a Cristo « soltanto per consiglio divino e per intelligenza » 1. Coincide pienamente e nello Skazanie e nello Slovo la descrizione elogiativa del battesimo della Rus', per la quale vengono usate identiche immagini: paganesimo-notte, cristianesimo-giorno 2. E con espressioni ieratiche nello Slovo e nello Skazanie viene esaltato il battesimo. Ilarion narra che, al posto dei distrutti templi pagani, Vladimir aveva eretto chiese, al posto degli idoli gettati via erano apparse le sante icone, e che i demoni erano fuggiti allorché la croce prese a splendere sulle città e allorché presero ad essere nominati ecclesiastici, vescovi e diaconi; i quali tutti avevano offerto oblazione senza spargimento di sangue'. Nello Skazanie analogamente si racconta che subito dopo il battesimo, Vladimir « ordinò di abbattere le chiese e di erigerle allo stesso posto... dove era la statua di Perun... E cominciò a fondare nella città chiese e a nominare pop e a fare battezzare gli uomini » A. E allo stesso modo in entrambe le opere viene descritto il raduno degli uomini per il battesimo. Anche la fuga dei demoni, menzionata da Ilarion 5, ha un racconto parallelo nello Skazanie, drammatizzato dalle lamentazioni del demone scacciato, che nega a Vladimir le qualità di « apostolo », cosí come gliele avevano negate i Greci; al contrario alla valorizzazione di esse mirarono Ilarion nello Slovo e Jaroslav nella sua politica chiesastica: « Ed eccomi vinto da un ignorante e non dagli apostoli, né dai martiri » °. E il paragone (di carattere polemico nei confronti dei Greci) di Vladimir all'imperatore Costantino il Grande ha un significato centrale sia nello Slovo', sia nello Skazanie 8. Secondo Ilarion è proprio il popolo russo il popolo «nuovo» che dovrà sostituire i popoli vecchi (tra cui sono i Greci). Il popolo « nuovo » accoglie una dottrina nuova, come le nuove otri il vino Cfr. Pamjatniki cit., p. 72. Ibid., p. 71 [nella nostra traduzione, p. 69, anno 988 (6496)]. Ibid. 4[Si veda la nostra traduzione, p. 68, anno 988 (6496)]. Cfr. Pamjatniki cit., p. 71. 6 [Vedi la nostra traduzione, p. 68, anno 988 (6496)]. Cfr. Pamjatniki cit., pp. 73 e 74. e [Vedi la nostra traduzione, p. 76, anno 1015 (6523)]. 2
Cfr. Razyskanija cit., pp. 147 sgg.; V. P. ADRIANOVA-PERETC, Istorija russkoj literatury, t. I, r, Moskva-Leningrad 1941, P. 40. Cfr. Pamyatniki cit., p. 72. E ancora Povest' vremennych let, anni 983 (6491), 988 (6496) [nella nostra traduzione, pp. 48]. Cfr. Pamjatniki cit., p. 72 [nella nostra traduzione, p. 48, anno 983 (6491)] ° Ibid., p. 71 [nella nostra traduzione, p. 48, anno 983 (649r)].
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nuovo: «non si versa nuovo vino in vecchie otri ». Cosí è indicata da Ilarion la missione storica deI popolo russo. Le stesse immagini vengono usate nello Skazanie. Piú d'una volta l'autore dello Skazanie chiama i Russi «uomini nuovi» ' «scelti da Dio ». Allo stesso modo viene descritta la figura di Jaroslav come successore e continuatore dell'opera di Vladimir; Ilarion inserisce abilmente nel ritratto di lui l'elogio alla sua opera edificatoria E come edificatore e come apostolo della fede cristiana viene ritratto Jaroslav nello Skazanie, e bisogna ancora notare che la descrizione dell'opera di Jaroslav segue, nello Skazanie, lo stesso ordine che ha nello Slovo. E con espressioni solenni e pressoché identiche si parla nello Slovo e nello Skazanie delle decorazioni della cattedrale di Santa Sofia ' . Ma soprattutto è interessante l'uguale interpretazione che viene data alla dedica al Blagovescenie della chiesa alle Porte d'Oro di Kiev. Blagovescenie significa «Buona Novella », quella cioè che portò l'arcangelo Gabriele alla Madonna: la chiesa dell'Annunciazione a Kiev fu, quindi, la Buona Novella per Kiev. L'arcangelo disse alla Madonna: «Godi, rallegrati, il Signore sia con te! » e fu come se queste parole l'arcangelo le avesse rivolte alla città: «Godi, fedele città, il All'attività di Jaroslav viene attribuito in enSignore sia con te! trambe le opere un valore altamente storico. E infine con la lode a Jaroslav termina lo Skazanie e, di conseguenza, con la lode a Jaroslav termina anche lo Slovo di Ilarion. Lo Skazanie o rasprostranenii christianstva na Rusi, ormai cosi chiamato tradizionalmente, da cui pare sia nata la cronografia russa, è straordinariamente vicino per contenuto ideologico e per stile, per la struttura e per le citazioni tratte dalla Sacra Scrittura allo Slovo o zakone i blagodati di Ilarion, protetto di Jaroslav. chiaro che si può supporre sia che lo Skazanie dipendesse dallo Slovo, sia, viceversa, che lo Slovo dipendesse dallo Skazanie. Però dopo un piú attento studio si può dire che tra i due documenti non esiste alcuna dipendenza. La tematica teologica è sviluppata piú particolareggiatamente e piú chiaramente nello Slovo e, quindi, si potrebbe supporre una dipendenza dello Skazanie dallo Slovo. La parte storica invece è sviluppata piú dettagliatamente nello Skazanie e, cosi, si potrebbe anche ammettere 2.
» 4.
Nella Povest' vremennych let, anni 996, 998 due volte, e ancora nel 1015 e nel 1037. Cfr. Pamiatniki cit., p. 74. Nello Skazanie: «abbellí questa chiesa con oro ed argento e vasi chiesastici». [Si veda anche la nostra traduzione, p. 87, anno 1037 (6545)]• Nello Slovo: «abbellí... con oro ed argento... e con pietre preziose, e con vasi chiesastici» (cfr. Pamjatniki cit., p. 74). ° Cfr. Pamjatniki cit., pp. 74 e 75. E ancora nei codici di Ipat 'ev e di Chlebnikov all'anno 1037. Z
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la dipendenza contraria. Né è da pensare che sia lo Slovo sia lo Skazanze siano da far risalire ad una terza opera non pervenutaci: contesta una tale ipotesi il diverso genere dei due documenti. Per cui concludiamo (e questa conclusione si impone) che uno solo fu l'autore di entrarnbe le opere: Ilarion o altri; una persona, comunque, molto vicina al circolo dei letterati di Jaroslav, i quali diffondevano le idee politiche di Jaroslav. A. A. Sachmatov riporta la data della stesura del corpus cronachistico Drevnejsij all'epoca dell'erezione della cattedrale di Santa Sofia ed alla fondazione della metropolia di Kiev, cioè tra il 10 3 7 e il 1039. Effettivamente nelle ultime pagine del codice Drevnejsij, sempre secondo la ricostruzione fattane da A. A. Sachmatov, si legge un ampio elogio all'opera di Jaroslav; in questo elogio si ricorda fra l'altro la posa della prima pietra della cattedrale di Santa Sofia, che venne completata appunto nel 1037. Riteniamo che con questo panegirico a Jaroslav dovesse concludersi la prima cronografia russa. Certo non si può pensare che tutti i progetti di Jaroslav, di cui s'è fatta menzione, e tutta la vasta attività edificatoria di lui (fondazioni di città, e delle Porte d'Oro, di Santa Sofia, della chiesa dell'Annunciazione, del Monastero di San Giorgio) venissero realizzati nel 1037. Può darsi, però, che il riferimento all'anno 1037 sia stato fatto in epoca posteriore, in coincidenza con un avvenimento straordinario: la fondazione della cattedrale di Santa Sofia avvenuta appunto nel 1037. In effetti nel documento si parla dell'attività di Jaroslav non relativa soltanto ad un dato anno, ma in generale. Le concordanze tra lo Skazanie o rasprostranenii christianstva e lo Slovo di Ilarion ci sostengono a datare il codice Drevnejsij in un'epoca alquanto piú tarda, e cioè all'inizio degli anni quaranta dell'xi secolo (quando evidentemente era stato già redatto lo Slovo di Ilarion), come vedremo, questa prima opera storica russa si riferiva dapprima soltanto alla storia chiesastica della Rus', inserendo logicamente in essa notizie anche sui rapporti extranazionali dello stato russo. Al tempo di Jaroslav dunque fu redatto lo Skazanie o pervonacal'nom rasprostranenii christianstva na Rusi (è questo il titolo completo attribuitogli). E furono compresi in esso i racconti sulla conversione di Ol'ga, sui primi martiri varjaghi, sul battesimo della Rus', su Boris e Gleb e sull'attività civilizzatrice di Jaroslav. Abbiamo già la prima opera storica russa, ma non ancora la cronaca. Abbiamo già un'opera originale per il suo genere, ma ancora priva di un canovaccio storico, e ancora simile ai 2itija ed alle opere didascaliche. Quest'opera è dedicata all'avvenimento piú importante,
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secondo l'opinione dell'autore, della vita della Rus' del x e dell'inizio dell'xi secolo: la cristianizzazione. Essa inizia con la disamina della preistoria, partendo dai primi russi cristiani, da Ol'ga e dai martiri varjaghi. Si narra in essa soltanto della storia chiesastica della Rus', ignorando la sua storia militare, cosa del resto naturale per i rappresentanti la nuova cultura, per quegli « uomini nuovi », russi cristiani, di cui si parla sia nello Slovo sia nello Skazanie. Abbiamo già visto quale importanza politica ebbe, all'epoca di Jaroslav, il problema chiesastico, e ci è quindi comprensibile perché si dovesse creare un'opera, ovviamente secondo l'opinione russa e non secondo quella bizantina, che esponesse la storia chiesastica della Rus'. L'idea del diritto della Rus' all'indipendenza culturale e chiesastica è presente nello Skazanie, il cui autore esalta la devozione dei Russi, trasmette l'idea dell'accettazione volontaria, e non forzata, del cristianesimo da parte della Rus' e dell'uguaglianza di tutti i popoli. L'opinione dell'autore dello Skazanie è anche l'opinione dei dirigenti la giovane società feudale. Essa era, per il suo tempo, all'avanguardia, in quanto all'avanguardia era anche lo stesso feudalesimo della prima metà dell'xi secolo. Tuttavia sarebbe vano cercare in questa prima opera storica l'opinione del popolo sulla storia russa. Nello Skazanie non sono riflesse tradizioni popolari sul passato russo. Di esso si era già parlato nelle tradizioni di letteratura chiesastica e nello Slovo di Ilarion. L'autore dello Skazanie o rasprostranenii christianstva na Rusi aveva per scopo quello di dare un racconto morale, didattico e, al tempo stesso, di sconfessare l'opinione greca sulla Rus'. Egli non è tanto impegnato alla trasmissione degli avvenimenti, quanto a mettere in risalto la natura « intima » di essi. Si ha quasi l'impressione che egli racconti avvenimenti, ancora freschi nel ricordo dei suoi lettori, e quindi egli è piú che mai occupato ad interessarli. Ecco perché lo Skazanie dà notizie generali e sommarie dell'attività di Ol'ga, dei varjaghi martiri, di Vladimir e di Jaroslav. Lo Skazanie o pervonacal'nom rasprostranenii christianstva fu composto al tempo di Jaroslav. La sua redazione, prima che venisse ampliata con fatti di storia russa (non soltanto chiesastica, ma anche politica) si fa risalire alla prima metà degli anni quaranta dell'xi secolo. Esso era diretto contro l'ideologia governativa bizantina, ed era in stretto nesso con l'evoluzione politica del popolo russo dell'epoca di Jaroslav il Saggio. E da questa prima opera storica russa, notevole per il suo carattere patriottico, si verrà formando in seguito, a poco a poco, la crona-
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chistica russa. Come vedremo oltre, la cronachistica russa nacque dal graduale combinarsi di notizie, dapprima di fonte popolare, con un nucleo chiesastico, che aveva in sé i caratteri tradizionali dei Pateriki, della letteratura chiesastica e che possedeva già gli elementi storici che avrebbero attirato il lettore russo assetato di notizie della storia della sua patria. Lo Skazanie o pervonacal'nom rasprostranenii christianstva fu composto nella metropolia di Kiev presso la cattedrale di Santa Sofia. Con la sua idea circa l'uguaglianza di tutti i popoli tra loro, e, in particolare del popolo russo e del popolo greco, lo Skazanie fu strettamente legato a tutta l'attività politica di Jaroslav il Saggio. Questa prima ampia opera relativa alla storia russa, ancora concepita soprattutto come storia chiesastica, ma non ancora come cronaca, non fu tuttavia continuata in Santa Sofia. L'attività letteraria di questo centro chiesastico della Rus ' aveva subito un arresto, il che si spiega con i gravi mutamenti della situazione politica. La patriarchia costantinopolitana, evidentemente si opponeva risolutamente alla conferma di Ilarion a metropolita di Kiev. Tale obiezione fu però attenuata dal matrimonio del figlio di Jaroslav il Saggio, Vsevolod, con una principessa greca; ma a Kiev venne designato come nuovo metropolita, il greco Efreno. In tal modo Jaroslav non riuscí a concretare la propria missione. La metropolia russa, Santa Sofia, passò nelle mani dei Greci e divenne d'allora, e ancora per molte decine di anni, il perno della politica greca nella Rus'. Secondo gli studi di M. D. 1'riselkov' a partire dall'xi secolo si sviluppò nella Rus' un nuovo centro culturale, opposto al potere metropolita greco, il monastero Kievo-I'ecerskij, dove vennero adunati i primi vescovi e sacerdoti russi e dove la bibliologia e la letteratura trovarono temporaneamente asilo sicuro. Al monastero Kievo-I'ecerskij è legato tutto il primo periodo della cronachistica russa. In realtà tutte le peculiarità esteriori della cronachistica russa (e cioè gli elementi folcloristici, i discorsi d'affari: ambascerie, messaggi militari, editti, ecc.), la disposizione degli avvenimenti, ecc., tutte queste particolarità vennero fissate appunto nel monastero Kievo-I'ecerskij. Qui vennero definiti anche molti tratti ideologici della cronografia russa: il carattere didascalico (soprattutto all'indirizzo dei principi), la sua oculatezza e i suoi principi. La posizione politica assunta dal monastero Kievo-Pecerskij, ci fa I PRISELI{OV,
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comprendere molte cose della tendenza ideologica dei primi codici cronachistici russi. Nell'antica Rus', i monasteri non erano tenuti lontani dalla politica come luoghi di isolamento per la preghiera. Sotto la protezione di una famiglia principesca, o sotto un certo ambiente sociale, e percependo sia dall'una sia dall'altro sostanziosi contributi, i monasteri prendevano parte attiva alla lotta feudale e sociale. Non vi fu, però, un unico indirizzo politico nella chiesa russa dell'xa xaal secolo. I monasteri isolatamente assunsero di volta in volta diverse posizioni politiche, riflettendo la lotta feudale e classista del tempo, ed orientandosi sui diversi gruppi delle classi dirigenti la società. Il monastero Kievo-Pecerskij, nel primo periodo della sua esistenza, non fu un monastero posto sotto la diretta protezione di un principe. I suoi igumeni, solo di rado, entravano in rapporti con i principi di Kiev, sebbene a volte fossero anche riusciti a godere delle loro grazie e a ricevere da loro vistosi contributi. Il monastero Kievo-Peèerskij non era una metropolia; ancora piú che con i principi esso era in contrasto con i metropoliti greci di Kiev. Esso era insomma un grosso centro di opposizione sia al potere del patriarca di Costantinopoli, sia al potere del metropolita greco di Kiev 1. L'opposizione derivò certamente dalle idee politiche ben chiare del metropolita Ilarion. Il monastero doveva ad Ilarion la sua stessa fondazione. Quando Ilarion era pop nel villaggio suburbano di Jaroslav, Berestovo, egli si era scavata sulla riva collinosa del Dnepr nel bosco « grande » una « grotta », ove era solito recarsi per pregare in solitudine. Nel 1051 Jaroslav nominò Ilarion metropolita, e la « grotta » rimase abbandonata. In essa, certo per consiglio di Ilarion, si stabilí Antonij, dopo aver fondato nei pressi del Dnepr, il monastero Kievo-Pecerskij. In seguito, il monastero continuò l'opera di Ilarion, ma in una situazione politica ormai mutata, si era già alla seconda metà dell'xi secolo. Il monastero costantemente operò, nella seconda metà dell'xi secolo come guida spirituale della tendenza russa-comune e antigreca, che s'era manifestata nella Rus ' , all'epoca di Jaroslav il Saggio. Il monastero, piú d'una volta, fece sentire la sua voce negli affari politici ' I monaci del monastero Pece.rslcij di I{iev, spesso, nelle loro opere letterarie, contrapposero il proprio monastero agli altri (metropolie o monasteri posti sotto la protezione di principi). Cosí, ad esempio, l'autore dello Skazanie, menzionando il monastero Pecerskij, scrive: «Molti monasteri da regnanti, e da boiari e dalla ricchezza furono fondati, ma non sono come quelli fondati dalle lacrime, dal digiuno, dalla preghiera, dalla veglia». [Si veda la nostra traduzione, p. 91, anno 1o9x (6559)]. Gli autori dei 2itija dei santi, del monastero Pecerskij, mettono in rilievo la notizia che Antonij non ebbe oro e argento, e che, dappri ma, nessun monastero volle accogliere Feodosij per la povertà delle sue vestimenta.
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della chiesa russa e dello stato russo e a questa sua voce prestarono ascolto sia i principi, sia le classi dirigenti. Il monastero sorse all'epoca in cui nella stessa Bisanzio il livello morale ed ideologico del monachismo era terribilmente basso. Ed è degno di nota perciò che i primi uomini d'azione russi del monastero Kievo-Pecerskij non siano stati guidati dalle regole monastiche di Bisanzio, ma abbiano aspirato ad uno sviluppo indipendente del monachismo e a far loro quel regolamento rigido dimenticato a Bisanzio, che loro avevano appreso a Costantinopoli. Cosí i primi uomini d'azione del monastero Kievo-Peèerskij s'erano assunti un'iniziativa coraggiosa concretando l'idea che i Russi erano capaci di orientarsi nelle cose religiose e di farsi guidare da propri « maestri », seguendo, nel modo piú rigido, i precetti cristiani. Questa iniziativa del monastero trovò larga eco, e la maggioranza dei monasteri russi gradualmente cominciò a riorganizzarsi sull'esempio del Kievo-Pecerskij. Il monastero Kievo-Pecerskij diventò un grosso centro di cultura russa e la scuola dei futuri preti e vescovi della Chiesa russa'; esso mirò all'istituzione di un'organizzazione chiesastica indipendente, libera dalla gretta tutela di Bisanzio. E fu questo un compito di grande importanza nazionale. Ecco perché il monastero, sin dall'inizio, avversò sia la metropolia di Kiev, sia l'opera del patriarca di Costantinopoli. Gli interventi del monastero contro i principi di Kiev ebbero un carattere completamente diverso. I conflitti in cui entrò il monastero Kievo-Pecerskij con Izjaslav, con Svjatoslav, con Svjatopolk e con altri, non furono, in genere, diretti contro l'autorità principesca. Al contrario, questi conflitti venivano condizionati dalla legittima aspirazione del monastero a sostenere il potere principesco, a conservare l'integrità di esso, a placare le discordie e a fissare la successione al trono kieviano. Il monastero Kievo-Pecerskij soleva intervenire in qualsiasi questione di carattere sociale, tanto da fare pensare che la maggioranza dei monad del monastero Kievo-Pecerskij sia appartenuta alla classe dirigente la società cittadina. Ecco perché i1 monastero cosí spesso si sostituiva ai « Kieviani ». Nel io68 si verificarono avvenimenti preoccupanti. I principi Izjaslav, Vsevolod e Svjatoslav vennero sconfitti dai Cumani. Izjaslav e Vsevolod fuggirono a Kiev. I Kieviani, preoccupati, tennero il vece ' All'inizio del xiii secolo il vescovo Simeon allievo del Pecerskij, scrive, con vanto, che dalle mura del monastero Pecerslcij sono usciti cinquanta vescovi.
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e chiesero ad Izjaslav di continuare la guerra contro i Cumani, e di mettere quindi a loro disposizione armi e cavalli. Il rifiuto di Izjaslav provocò una sommossa da parte dei Kieviani. Costoro espulsero Izjaslav da Kiev, e liberarono Vseslav Polockij, che un anno prima era stato incarcerato dagli Jaroslaviéi, dopo esser venuti meno ad un giuramento. È interessante il fatto che Vseslav venne nominato principe proprio nel monastero Pecerskij. La coincidenza della liberazione di Vseslav dalla prigionia con il giorno dell'Esaltazione della Croce venne interpretata nel monastero come un ammonimento divino ad Izjaslav per avere egli trasgredito il giuramento. Quindi, dopo qualche tempo, entrò in Kiev il figlio di Izjaslav, Mstislav, dopo aver fatto severa giustizia dei partecipanti alla insurrezione. Mstislav aveva ucciso settanta uomini, altri ne aveva accecato, altri ancora, secondo quanto narra il cronista del Pecerskij, « senza alcuna colpa uccise, non avendo egli prove » I. Il cronista del Pecerskij simpatizza apertamente con i Kieviani, le cui azioni sono da lui descritte con molti particolari, quasi fosse egli il testimone oculare, o, addirittura, un partecipante ad esse. La punizione di Mstislav ai danni degli avversari del padre suo coinvolse anche il monastero Pecerskij. Lo stesso fondatore di esso, Antonij, fu costretto, nottetempo, a fuggire aCernigov presso il principe Svjatoslav. Ancora piú grave fu il secondo intervento politico del monastero Kievo-Pecerskij, diretto contro i principi spergiuri. Nel =072 l'unione dei tre fratelli, figli di Jaroslav, si disgregò: Svjatoslav di Cernigov e Vsevolod di Perejaslavl' scacciarono da Kiev il fratello maggiore Izjaslav. Questi avvenimenti ebbero terribili conseguenze in tutta la Rus'. Fu abrogato il principio della anzianità nella successione al trono di Kiev, e vicende strettamente private dei principi divennero una calamità per tutto il popolo. Il monastero Kievo-Pecerskij anche questa volta intervenne con una protesta politica. L'igumeno Feodosij rifiutò di partecipare ad un banchetto, con il quale Svjatoslav intendeva solennizzare la propria nomina a principe di Kiev, ed in seguito, nelle sue prediche e nelle sue epistole, accusò ripetutamente Svjatoslav, ai potenti che si recavano da lui chiedeva di trasmettere a Svjatoslav il proprio biasimo per il suo operato. Feodosij affermava che Svjatoslav occupava il trono di Kiev non « legalmente» Z, ma per averlo usurpato al fratello maggiore, il quale avrebbe dovuto occuparlo in luogo del padre. Feodosij
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M. D. PRISKLKOV, Istorija russkogo letopisanija xI-xv vv., Leningrad 1940, p. 32. Kievo-Pecerski7 Paterik, a cura di D. I. Abramovic, Kiev 1931, p. 66.
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proibí di ricordare il nome di Svjatoslav nei servizi monastici, e nel monastero, come era già avvenuto in passato, venne invece ricordato Izjaslav. Dopo una « grande » epistola, in cui Feodosij paragonava Svjatoslav a Caino e a molti altri antichi persecutori, uccisori e fratricidi », Svjatoslav si adirò terribilmente: Pare che gettasse a terra la missiva di Feodosij e che « simile ad un leone » ruggisse « contro il giusto »'. Piú tardi, però, Svjatoslav e Feodosij si riconciliarono. Feodosij cominciò a considerare Svjatoslav principe di Kiev, ma, nei servizi religiosi continuò a menzionarlo sempre al secondo posto, dopo Izjaslav. L'autorità del monastero era a quel tempo già tanto grande che Svjatoslav per solennizzare la pacificazione, fece dono al monastero di una località vicina, ove si cominciò subito a costruire la « grande » chiesa, l'Uspenskij Sobor del Monastero Kievo-Pecerskij. C'è da dire ancora che quando a Kiev venne inviato da Costantinopoli, al posto del metropolita russo Ilarion, un metropolita greco insediatosi nella metropolia kieviana, nella chiesa di Santa Sofia, Santa Sofia cessò di essere il centro della letteratura russa e della cultura russa. Per questo lo Skazanie o pervonacal'nosn rasprostranenii christianstva venne continuato nel nuovo baluardo della politica antigreca, e cioè nel monastero Kievo-Pecerskij, dai monaci del Pecerskij, in tutt'altro ambiente sociale. Qui lo Skazanie si accresce di una parte riguardante i rapporti extranazionali della Rus', in quanto il conflitto con Bisanzio del 1043 aveva spostato il dissidio russo-bizantino dal campo chiesastico a quello politico. Qui lo Skazanie coincide con le leggende storiche popolari; qui si comincia a seguire un ordine cronologico degli avvenimenti. In una parola, l'opera storica russa, iniziata ai tempi di Jaroslav il Saggio, accresciuta da interpolazioni apportate nel monastero Pecerskij, diviene, a poco a poco, quello che siamo soliti chiamare cronaca, con un suo carattere precipuo e cioè: disposizione cronologica del materiale storico. Il contenuto ideologico della cronaca del Pecerskij (le interpolazioni di carattere cronachistico del monastero Kievo-Pecerskij vennero inserite a partire dagli anni sessanta dell'xa secolo) viene chiaramente determinato dalla posizione politica del monastero stesso. La cronaca rappresentava soprattutto l'ideologia e la Weltanschauung dei ceti dirigenti la società cittadina, la società di quei cittadini che avevano preso parte, nel io68, al conflitto con Izjaslav. A. A. Sachmatov e M. D. Priselkov affermano che alla cronaca del monastero Peéerskij; lavorarono Antonij e Feodosij del Pecerskij e Kievo-Pecerskii Paterik cit., p. 67.
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Nikon (la cui biografia spiega molti passi della cronaca del monastero). Nel Zit'é di Nestor, Nikon è chiamato « grande », egli viene rappresentato per il suo instancabile lavoro libresco « seduto, a fare libri »'. M. D. I'riselkov lo identifica con il primo metropolita russo Ilarion, che indossò lo schima ' con il nome di Nikon'. M. D. Priselkov ritiene che, appunto per questo, Nikon godette di una grande stima sin dal suo arrivo al monastero, e che, appunto per questo, il monastero seguiva il suo ampio programma, proprio secondo le direttive di Jaroslav. Destituito dalla carica di metropolita, Ilarion fu costretto a rifugiarsi nel monastero. Aveva egli assunto la carica il giorno dedicato a Nikon e, secondo l'usanza del tempo, era stato chiamato con quel nome. La successiva permanenza di Ilarion-Nikon nel monastero Kievo-I'ecerskij provocò il malcontento del metropolita greco di Kiev. Questo secondo l'opinione di M. D. Priselkov. Ma chiunque sia stato Nikon, egli fu un uomo politico colto ed attivo, un coraggioso continuatore dell'opera iniziata sin dall'epoca di Jaroslav. Nella grotta di Ilarion, Nikon, Antonij e Feodosij vissero circa dieci anni. Tra i.l 1o6o e il io61 fu finalmente possibile ottenere dal metropolita kieviano la concessione di costruire il monastero; Nikon, nella grotta praticò la tonsura a due alti dignitari kieviani (Varlaam e Efrem). Il principe Izjaslav, adirato, dette ordine di condurgli Nikon. Izjaslav, furente, gli disse: « In prigione manderò te e coloro che sono con te, e la vostra grotta distruggerò » 4. In seguito Izjaslav si rappacificò con gli « abitanti della grotta », ma Nikon dovette riparare a Tmutorokan. Nikon fondò, nei pressi di Tmutorokan, un monastero e ben presto diventò la persona piú autorevole del principato di Tmutorokan. Dopo la morte di Rostislav (febbraio z o67), Nikon « fu pregato da quegli uomini » di chiedere il principato di Tmutorokan di Gleb Svjatoslaviè 5 ; Nikon quindi tornò nella Rus', ma non trovò a Kiev Svjatoslav, che era in guerra con Vseslav Polockij. Feodosij pregò Nikon di tornare al monastero I'eèerskij, e Nikon aderí all'invito, subito dopo aver portato a termine il compito affidatogli dai cittadini di Tmutorokan. Nel monastero Nikon i.nsegnò ai fratelli « dai libri », mentre Feodosij insegnava ai fratelli « dalle parole spirituali » Subito dopo il ritorno di Nikon al monastero sopravvennero Kievo-Pecerskij Paterik cit., p. 46. [Veste dei monaci di rito bizantino, che osservavano le regole piú austere]. PRISELIioV, Ocerki cit., pp. 181-84; e In., Nestor letopisec, Petrograd 1923, p. " Kievo-Pecerskii Paterik cit., p. 33. 5 IFiid., p. 45. ' Ibid. Z 3
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gravi vicissitudini: il monastero intervenne nella sommossa dei Kieviani del io68, dopo la cui repressione Antonij fu costretto a fuggire a Cernigov. Nell'anno I073, come Si è già detto, il monastero intervenne di nuovo nelle discordie dei principi alla cui base era la violazione del principio di anzianità dei due Jaroslavici. E questa volta fu Nikon a dover lasciare il monastero. Si recò egli una seconda volta a Tmutorokan e non seguí il consiglio di Feodosij che lo pregava di rimanere ivi. Nikon fu inflessibile e non volle adoperarsi perché giungessero ad un accordo i violatori delle disposizioni di Jaroslav. Soltanto dopo la morte di Feodosij (1074), Nikon tornò nel monastero Kievo-I'ecerskij, ove venne nominato igumeno e ove morí, in età molto avanzata, nel Y o88. Abbiamo già visto che lo Skazanie o pervonacal'nosn rasprostranenii christianstva ignorava l'ordine cronologico del materiale e la precisa datazione degli avvenimenti. Appena inizia, però, il racconto di avvenimenti coevi alla stesura dello Skazanie, si ha una datazione precisa di essi, e questo a partire dagli anni sessanta dell'xi secolo. A partire dall'anno 1o61 (cioè dall'anno dell'organizzazione del monastero I'ecerskij) la cronaca indica le date degli avvenimenti: mese, giorno e a volte anche il giorno della settimana. Questa scrupolosità fa pensare che, già all'inizio degli anni sessanta, nello Skazanie si inseriscano note di avvenimenti contemporanei. Trapela la preoccupazione di una registrazione coeva di fatti storici, lo Skazanie viene continuato e da esso nasce la cronaca, con la sua caratteristica precipua: l'annotazione annuale. All'anno io61 è indicato il giorno della sconfitta di Vsevolod Jaroslaviè da parte dei Cumani che attaccavano per la prima volta la Rus': 2 febbraio. All'anno io66 è indicato il giorno della morte di Rostislav Vladimirovic a Tmutorokan: 3 febbraio. All'anno successivo, 1o67, viene registrato il giorno della battaglia sulla Nemiga: 3 marzo e la cattura di Vseslav Jaroslavicí: l o luglio. All'anno io68 è fissato il giorno della liberazione della prigione di Vseslav: 15 settembre e il giorno della vittoria di Svjatoslav su i Cumani: 1° novembre; all'anno io69 il giorno del ritorno di Izjaslav a Kiev: 2 maggio. A partire dal 1072 le indicazioni cronologiche diventano ancora piú frequenti. Come abbiamo già visto precedentemente, la biografia del cronista Nikon dà modo di comprendere il perché della precisione di queste date: tutti gli avvenimenti, avvenuti a Kiev e datati, sono accaduti proprio mentre Nikon era a Kiev, tutti gli avvenimenti avvenuti a Tmutorokan, annotati con date precise, sono da riportare al periodo del soggiorno di Nikon a Tmutorokan.
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Nikon partí per Tmutorokan ai primi del mese di febbraio dell'anno i o6 i. Della disfatta di Vsevolod del 2 febbraio Nikon era già a conoscenza a Kiev. A partire dal febbraio del 1o6i, fin tutto il febbraio 1o67, Nikon è costretto a registrare a Tmutorokan. significativo che negli articoli della cronaca, tra il 1o62 e il =o66, non vi siano quasi avvenimenti accaduti a Kiev. Al contrario, in quegli anni, sono annotati tre avvenimenti accaduti a Tmutorokan. Il 3 febbraio del ro67 moriva avvelenato Rostislav di Tmutorokan. Nel marzo del 1o67 Nikon era già nella Rus'; ecco perché nella cronaca con precisione vengono annotati i fatti: 3 marzo (battaglia sulla Nemiga) e ro luglio (cattura di Vseslav da parte degli Jaroslavici), e anche con precisione sono annotati gli avvenimenti del 1o68, del 1o69 e degli anni successivi. La scrupolosità delle date è la prova certa di quanta importanza attribuisse Nikon alla cronologia e quindi del motivo per cui egli trascrivesse il racconto degli avvenimenti, disponendoli per anni. Queste annotazioni, distinte per anni, sono già chiare nel racconto cronachistico degli anni sessanta. La causa prima di questa innovazione nella cronachistica è nel fatto che Nikon aveva una preparazione storica piú profonda di quella dell'autore dello Skazanie. L'autore dello Skazanie, chiunque egli sia stato, non comprendeva appieno il processo storico, in lui si sente ancora il compilatore delle vite dei santi, occupato in riflessioni religiose, anche se poi riferiva avvenimenti storici riguardanti tutto il paese. Egli cercava soprattutto di comprendere gli avvenimenti. Al contrario di lui, l'autore della prima cronaca comprendeva a fondo i problemi storici. Egli giungeva quindi a capire l'esigenza di una cronologia precisa e della disposizione cronologica del materiale storico. Per lui esisteva sia il valore di un fatto storico, sia la continuità del processo storico. Probabilmente l'idea di disporre il materiale in ordine cronologico venne suggerita a Nikon dalle tavole pasquali (tabelle su cui erano indicate le date della ricorrenza della Pasqua di ciascun anno). In queste tavole pasquali sono fatte a volte annotazioni cronachistiche (si veda, ad esempio, la tavola pasquale, nel manoscritto b della Biblioteca Sinodale n. 325, ora nel Museo storico statale). Il legame formale, per quanto riguarda il racconto cronologico, tra le cronache e le tavole pasquali venne studiato dall'accademico M. I. Suchomlinov 1, M. I. SUCHOMLINOV, O drevnej russkoj letopisi kak pamjatnike literaturnom, in «Sbornik Akad. Nauk, Otdel russk. jaz. i s1ov.», t. 85, Sankt-Peterburg x9o8, n. I, pp. 32 sgg.
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il quale ammise che proprio dalle tavole pasquali poteva esser derivata una tale peculiarità delle cronache russe, ove s'incontra a volte l'indicazione dell'anno senza il riferimento ad alcun avvenimento. Per esempio: Anno 6519. Morí l'imperatrice Anna, moglie di Volodimir. Anno 6520. Anno 6521. Anno 6522. Mentre Jaroslav era a Novgorod... Cfr. la Tavola pasquale b della Biblioteca Sinodale. Anno 6805. Anno 68o6. Dmitrij nacque. Anno 6807. Anno 68o8. Anno 6809. Anno 681o. Morí il principe Boris.
Quanto abbiamo riferito sopra ci autorizza a pensare che Nikon si accinse alla raccolta del materiale già all'ínizio degli anni sessanta del1'xI secolo. Egli continuò a raccogliere tale materiale anche a Tmutorokan e poi di nuovo a Kiev. È da notare che Nikon portò nella sua cronaca non soltanto gli avvenimenti a lui contemporanei, ma anche quelli passati, sostituendo al materiale scritto fonti orali. Cosí, per esempio, soltanto Nikon poté trascrivere nella sua cronaca tutta una serie di avvenimenti accaduti a Tmutorokan, appunto nel periodo in cui era egli a Tmutorokan. Citiamo, per esempio, il racconto di Nikon sulla lotta per Tmutorokan di Rostislav Vladimirovic contro Gleb Svjatoslavic di Cernigov; o il racconto dell'avvelenamento di Rostislav da parte del kotopan greco; o ancora quello in cui si narra del modo in cui gli abitanti di Cherson uccisero il kotopan « a pietre ». Nikon sfrutta a Tmutorokan tutta una serie di racconti orali: il duello del principe di Tmutorokan Mstislav Vladimirovié con il principe dei Kasoghi Rededija (episodio che viene ricordato anche dallo Slovo o polku Igoreve); o di racconti locali: i Chazari ebbero come tributo dai Poliani le spade e gli anziani chazari videro in ciò un triste presagio: presentivano essi che un giorno gli stessi Russi avrebbero ottenuto un tributo dai Chazari. L'utilizzazione di notizie locali (zona del Mar Nero) portò Nikon, a quanto suppone V. L. Komarovic', anche al rifacimento del racconto dello Skazanie a proposito del battesimo della Rus'. Nikon introdusse nella sua cronaca la cosiddetta leggenda di Cherson, che narra la conI
V. L. KOMAROVIC,
Istorija russkoj literatury, Moskva-Leningrad 1941, t. I, p.
271.
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quista di Cherson ad opera di Vladimir, la scelleratezza di Vladimir pagano e, infine, il battesimo di lui avvenuto proprio a Cherson (« e non a Kiev o a Vasil'ev »): « Coloro che non conoscono la verità dicono che egli fu battezzato a Kiev, altri dicono a Vasil ' ev », scrive Nikon ' , smentendo la versione del suo predecessore autore dello Skazanie o pervonacal'nozn rasprostranenii christianstva. Molti motivi popolari in questo racconto di Nikon ne testimoniano le origini « orali ». La leggenda doveva essere certamente localizzata sulle rive del Mar Nero. In essa vengono dati particolari circa l'impianto della conduttura dell'acqua che arrivava a Cherson da un pozzo fuori città, viene indicato il posto ove si trovava la chiesa di San Basilio, in cui venne battezzato Vladimir «nella città di Cherson... dove tengono mercato i Chersonesi»; è indicato il luogo dov'era il palazzo di Vladimir «oltre la chiesa» di San Basilio e si precisa che esso si trova lí «ancor oggi», ecc. Per introdurre la leggenda di Cherson nel racconto dello Skazanie, Nikon dovette ricorrere a procedimenti artistici, che gli fecero ritardare il battesimo di Vladimir alla campagna di Cherson. Non sono della stessa opinione di A. A. Sachmatov e di M. D. Priselkov' i quali hanno interpretato la leggenda di Cherson come un pamphlet greco all'indirizzo di Vladimir. Effettivamente, dopo aver occupato Cherson Vladimir (ancora pagano) disonorò la figlia del principe di Cherson sotto gli occhi dei genitori, quindi la dette in moglie ad un suo druzinnik, dopo aver ucciso il principe e la principessa. Vladimir non mantenne subito la promessa di farsi battezzare, per questo Dio lo « puní » con la cecità, di cui guarí soltanto dopo il battesimo. Ma i peccati di Vladimir pagano non furono poi considerati dai cristiani colpe per il Vladimir cristiano. Al contrario quanto piú basso fu il livello morale di Vladimir prima del battesimo, tanto piú sublime, agli occhi del cronista, divenne la sua conversione al cristianesimo; quanto piú brusca fu la frattura avvenuta in lui, tanto piú maestoso divenne l'atto stesso del battesimo. Non a caso la letteratura cristiana descrive spesso casi di turbamenti, causati dal cristianesimo (per esempio, nella vita di Costantino il Grande, al quale, proprio a questo proposito, venne paragonato Vladimir). Nikon incontrò a Tmutorokan il novgorodiano Vysata, i cui racconti utilizzò nella cronaca. Pare che tutte le notizie riguardanti la città di Novgorod, nella Povest' vremennych let anteriormente ai zo64 (anno in cui s'incontrarono Vysata e Nikon) siano state inserite 2
'[Si veda la nostra traduzione, p. 64, anno 988 (6496)]. Z Razyskanija cit., p. 396. 3 PRISELKOV, 0Cerkí cit., pp. 274 sgg.
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nella cronaca da Nikon tenendo conto proprio dei racconti di Vys"ata. Questi racconti, inesatti e privi di ordine cronologico, hanno tutto il sapore della letteratura «orale»'. Come sostengono A. A. Sachmatov e M. D. Priselkov, Nikon introdusse nella sua cronaca molte leggende sui primi principi russi. Nel racconto del battesimo di Ol'ga, Nikon introdusse l'episodio della gara di astuzia tra 01 'ga e l'imperatore di Costantinopoli, il racconto della prolungata sosta, sulla nave, di 01 'ga alle porte di Costantinopoli e ancora altri episodi della lotta di Svjatoslav contro i Greci z . Sembra che tutti i racconti sulla battaglia dei Russi contro Costantinopoli siano stati introdotti nella cronaca proprio da Nikon (essi mancavano nel racconto dello Skazanie, dove anzi si narrava della conversione dei Russi ad opera dei Greci) il che è comprensibile anche per il fatto che Nikon era inasprito dai tentativi dei Greci di costituire una propria egemonia nella Rus'. E fu Vysata, accecato' in prigionia dai Greci insieme con altri prigionieri russi, a fornirgli i racconti; Vysata, probabilmente non fu reso cieco, ma ugualmente ebbe un atteggiamento molto negativo nei confronti dei Greci, aveva inoltre partecipato alle ultime campagne contro Costantinopoli e, naturalmente, aveva sentito molti racconti sulle precedenti ed infelici spedizioni dei Russi. Ecco il motivo per cui nella cronaca cosí particolareggiatamente ed espressivamente si racconta delle spedizioni dei principi russi contro Bisanzio, mentre non viene data alcuna notizia delle spedizioni ad oriente o nel sud lungo le rive del Mar Caspio, di cui siamo a conoscenza soltanto grazie ad altre fonti. E finalmente, fu Nikon ad introdurre nella cronaca molte notizie kieviane e notizie che riguardavano la storia del monastero KievoPecerskij. Fondendo le tradizioni kieviane del Kievo-Pecerskij, del Mar Nero settentrionale, di Novgorod con le notizie dello Skazanie o pervonacal'norn rasprostranenii christianstva, Nikon creò la prima storia sistematica del popolo russo. Egli dette alla sua opera la forma cronologica della cronaca che divenne poi, almeno in parte, tradizionale; egli quindi dispose il materiale per anni ed ebbe a modello la letteraQuesta è la mia opinione, nonostante che A. A. gachmatov affermi che nelle notizie della Povest' vremennych let riguardanti la città di Novgorod, si rifletta una silloge cronachistica novgorodiana del roso, utilizzata dal redattore del corpus Nacal 'nyj Kievo-Pecerskij. Sono d'accordo, invece, con M. N. Tichomirov che l 'errore in cui cade A. A. gachmatov è nella datazione del corpus kieviano fissata al 1037 e quella del corpus novgorodiano al 1050 (M. N. TICxoNIIROV, Istocnikovedenie istorii SSSR, Moskva 1940, t. I, p. 95). Piú dettagliatamente per i racconti di Vy s" ata, cfr. LICxnci:,v, Ustnye letopisi v sostave «Povest' vremennych let» cit. Cfr. PRISELKOV, Istorija cit., p. 33. 3 Ibid., p. x8. Z
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tura « orale », cui ricorse molto spesso per colmare lacune delle fonti scritte della storia russa. Nikon fu l'iniziatore del racconto cronachistico ed ebbe un alto ruolo anche nella formazione ideologica della cronachistica. Al contenuto dello Skazanie o pervonacal'nom rasprostranenii christianstva Nikon infuse una vena politica. Espresse l'idea della uguaglianza di tutti i. popoli con chiara e spiccata tendenza antigreca. Incline alla politica per temperamento, Nikon dette rilievo polemico alla composizione storica, la rese apertamente tendenziosa, conferendole slancio sociale ed entusiasmo patriottico. Nikon continuò l'idea dello Skazanie: la Rus' non ha bisogno della tutela greca, essa ha una propria gloriosa storia cristiana, e dette alla Rus ' non soltanto una storia chiesastica, ma anche una storia laica. La Rus' non ha bisogno né della tutela chiesastica, né di quella governativa di Bisanzio. Il popolo russo ha combattuto molte volte vittoriosamente e gloriosamente con la stessa Bisanzio. Proprio con questo scopo Nikon inserí nel suo racconto le spedizioni dei principi russi (Askol'd e Dir, Oleg, Igor' e Svjatoslav) contro Costantinopoli, e ancora il racconto sul tributo dei Chazari, il ritratto di Svjatoslav, il racconto delle sue imprese, ecc. Nella stessa storia del monastero KievoPecerskij, Nikon mise in risalto la stessa caratteristica: il monastero Pecerskij venne fondato senza l'aiuto del metropolita greco di Kiev. Antonij trovò a Bisanzio l'obliato regolamento di Stoudion, sul quale venne regolata la vita dei monaci del monastero Pecerskij. Verso l'anno 1071, Nikon forní un'ampia narrazione sui Volci in base ai racconti di Vysata, che aveva partecipato alla lotta contro di essi'. Qui, come prima, sempre con animo antigreco, Nikon aspirava a dimostrare che i Russi da soli erano in grado di combattere il paganesimo. notevole l'insistenza con cui Nikon sottolinea il ruolo avuto dal popolo nella difesa della terra russa. Nel racconto sulla rivolta kieviana del io68 Nikon riporta le parole dette dai Kieviani al principe Izjaslav che aveva subito una sconfitta da parte dei Cumani: « Dacci, o principe, armi e cavalli e ci batteremo ancora contro di loro » 2. Queste parole coincidono per significato quasi perfettamente con quelle che, secondo í racconti di Vysata, furono dette dai Novgorodiani a Jaroslav, dopo la sconfitta subita da Svjatopolk e da Boleslao e allorché gli uomini gli impedirono di fuggire al di là del mare: «Vogliamo ancora combattere contro Boleslao e contro Svjatopolk» ' ; e con quel-
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le dette dai Novgorodiani a Jaroslav a Rakomo, dopo che gli erano stati comunicati i tragici fatti avvenuti a Kiev: « O principe, anche se i fratelli nostri sono stati uccisi, combatteremo per te» 1. Il monastero Pecerskij espresse, attraverso Nikon, anche il suo biasimo per le lotte intestine tra principi. Si è già fatto cenno al fatto che il monastero Pecerski.j interveniva nella successione al trono kieviano, esigendo l'osservanza del principio dell'anzianità. Nikon pose sulle labbra di Jaroslav morente il messaggio ai figli, in cui egli li supplicava: « Figliuoli miei, amatevi, giacché voi siete fratelli nati da uno stesso padre e da una stessa madre, e non perdete la terra dei vostri padri e dei vostri avi, la terra che essi conquistarono con fatica grande ». Nikon supplicava i principi russi di non entrare l'uno nei confini dell'altro fratello, di non scacciare l'uno l'altro dal trono Z. Nikon vide la violazione del volere « divino » di Jaroslav negli avvenimenti del 1073, quando « il diavolo » levò « discordia » tra i fratelli, e Svjatoslav scacciò Izjaslav da Kiev. Tale avvenimento è inserito da Nikon nel quadro della storia mondiale: esattamente cosí agirono i discendenti di Cam, dopo aver attentato alla terra di Set, e cosí agí anche Isacco, violando «il volere del padre S1.10» 3. I principi che godettero della simpatia di Nikon vengono presentati, invece, come esempi di « amore fraterno ». Cosí, per esempio, a proposito del principe di Tmutorokan, Rostislav, Nikon dice che egli fuggí da Tmutorokan non per timore di Svjatoslav, ma perché « non voleva prendere le armi contro lo zio»'. Altro esempio di «amor fraterno » fu, per Nikon, Mstislav Vladimirovic, per un certo tempo principe di Tmutorokan, perché aveva diviso « fraternamente » con Jaroslav la terra russa. Mstislav, dimenticando che precedentemente aveva combattuto e vinto Jaroslav, gli o$rí il principato di Kiev, perché «tu sei il fratello piú anziano» s. Nikon inserí il racconto della orribile morte del fratricida Svjatopolk nel deserto « tra i Ljachi e i Cechi», morte offerta da Dio come «avvertimento ai principi russi» 6. Probabilmente dai racconti di Vysata, fu inserita da Nikon nella cronaca anche la leggenda di Novgorod-Izborsk-Beloozero, a proposito dell'invito ai tre fratelli varjaghi. Vysata, che aveva vissuto a Novgorod, ed era stato, nel 1o64, a Beloozero e probabilmente anche [Si veda ancora la nostra traduzione, p. 81, anno 1019 (6523)]. z[Si rimanda alla nostra traduzione, p. 92, anno 1054 (6562)]. 3[Si rimanda ancora alla nostra traduzione, p. 104, anno 1073 (6581)]. 4[Si veda la nostra traduzione, p. 94, anno ro65 (6573)]. [Si veda ancora la nostra traduzione, p. 85, anno 1024 (6532)]. 6[Si veda ancora la nostra traduzione, p. 83, anno 1019 (6527)].
Cfr.
PRISELICOV, Istorija cit., p. 33. veda la nostra traduzione, p. 98, anno ro68 (6966)]. '[Si veda la nostra traduzione, p. 8z, anno xo18 (6526)]. Z[Si
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a Izborsk, avrebbe potuto raccontare a Nikon le leggende locali di Izborsk sul capostipite Truvor, le leggende di Novgorod su Rjurik e quelle di Beloozero su Sineus. Nikon, interessato soprattutto all'idea della fratellanza dei principi, fuse queste leggende locali a$ermando che Rjurik, Sineus e Truvor erano fratelli ed erano stati invitati proprio per sedare le discordie locali 1. Accanto alle leggende locali, vi erano le leggende epiche sui tre fratelli fondatori di città ed iniziatori di dinastie, esse erano tutte ugualmente e ampiamente diffuse e, soprattutto, era nota la leggenda della fondazione di Kiev ad opera dei fratelli Kij, Scek e Choriv. Dopo la morte dei fratelli, Rjurik rimase signore assoluto. Il potere di lui passò successivamente al figlio Igor ' . Igor ' è già un personaggio storico. Altrettanto storico è un altro principe: Oleg. Ma per non creare altre linee dinastiche, Nikon nega la dignità dinastica ad Oleg ed afferma che questi era soltanto il voevocla di Igor'. Oleg, che governò dapprima a Novgorod, s'impadroní poi di Kiev. Igor ' accusa i principi kieviani Askol'd e Dir come impostori: « Voi non siete né principi, né di stirpe principesca, ma io sono di stirpe principesca » 2. Con la caduta di Askol'd e Dir nella Rus' si stabilisce il potere assoluto di Igor', in seguito trasmesso alla sua discendenza. In tal modo viene rinsaldata di nuovo l'unità della stirpe principesca. Da quanto detto è chiaro che Nikon, come storico è di gran lunga superiore all'autore dello Skazanie o pervonacal'nom rasprostranenii christianstva na Rusi. Egli ci dà la visione piú ampia della storia russa. L'autore dello Skazanie riflette l'opinione di Jaroslav e dell'ambiente di lui; Nikon, rappresentante del monastero Kievo-Pecerskij, esprime le opinioni delle classi dirigenti la società kieviana. Egli simpatizza con i Kieviani, insorti nell'anno 1o68, introduce nella propria cronaca leggende popolari, soprattutto riferentisi alla druzina, il suo legame con Vysata non è fortuito. Senza dubbio Nikon appartenne alla classe dirigente la società cittadina, e fu strettamente legato alla druzina del principe. Le discordanze tra l'autore dello Skazanie e Nikon fanno cadere A differenza di A. A. gachmatov supponiamo che le notizie novgorodiane della Povest ' vremennych let, tra cui anche la leggenda dell'invito ai Varjaghi, risalga non ad un codice novgorodiano del 1o5o (in cui le note novgorodiane erano fuse con quelle di Kiev), ma ai cosiddetti racconti di Vy"sata, il quale aveva riferito a Nikon le tradizioni del suo paese, i racconti sulle spedizioni dei principi russi contro Costantinopoli, le notizie novgorodiane e la leggenda sull'invito ai tre fratelli varjaghi (Skazanie o prizvanii Varjagov, in «Izvestija Akad. Nauk, Otdel russk. jaz. i slov.», t. IX [r9o4], pp. 284-365). Per Vy"sata vedi oltre. Per maggiori dettagli sulla leggenda sui Varjaghi, cfr. D. I. LICHAaV, Povest' vremennych let, MoskvaLeningrad 1950, t. II, p. 234. 2 [Si veda la nostra traduzione, p. 13, anno 882 (6390)].
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l'ipotesi di M. D. Priselkov che identifica Ilarion con Nikon. Ilarion e Nikon furono i rappresentanti di due diverse correnti politiche, sebbene le loro idee si identifichino per quanto riguardi i rapporti con i Greci e i problemi chiesastici. L'opera di Nikon supera per chiarezza tutta la storia posteriore della cronachistica del Kievo-Pecerskij dell'xi secolo. fuori dubbio, tuttavia, che i precetti di Nikon per quanto riguardi la cronachistica di tendenza russa-comune e antigreca fossero scrupolosamente eseguiti; Nikon seppe far comprendere al monastero l'importanza del lavoro cronachistico. La cronografia passò dalle mani del defunto Nikon al monastero tutto. Vedremo in seguito come la coscienza dell'importanza del lavoro cronachistico si diffonda anche oltre le mura dei monasteri, attirando nella cronachistica continue ingerenze da parte dei principi. L'autorità della cronaca domina ormai tutti gli strati della società kieviana. E sempre con maggiore costanza, i cronisti del Kievo-Pecerskij pensano all'unità della stirpe principesca, e ad un'unica organizzazione politica della terra russa. Essi chiedono ai principi una lotta attiva contro í Cumani, cioè la guerra nelle steppe lontane. Il monastero fu in rapporti particolarmente tesi con il princi.pe Svjatopolk (1093-1113 ), all'inizio del principato di questi. Il Paterik del Kievo-Peèerskij testimonia che Svjatopolk «molto male agli uomini fece », che « molte ne tolse » di ricchezze e che indebolí i Russi: « vi furono molti combattimenti da parte dei Cumani e discordie; vi fu in quel tempo, fame grande e povertà grande per tutti nella terra russa» ' . L'igumeno Ioann apertamente accusò Svjatopolk di essere « insaziabile di ricchezza e di violenza » z. Di queste accuse a Svjatopolk (rovinare gli uomini, non opporre un'energica resistenza nella steppa, a motivo della quale i Cumani erano diventati sempre piú forti « facendo molte violenze ») parla anche il redattore del racconto sui miracoli di Boris e di Gleb, liberati, a quel che si racconta, dopo esser stati ingiustamente imprigionati da Svjatopolk'. Appunto a quei primi anni del principato di Svjatopolk, famosi per gli aspri conflitti con il monastero Kievo-Pecerskij `, viene riporKievo-Pecerskij Paterik cit., p. 149. z Ibid. ' Cfr. Uspenskij sbornik xII v., Mosk. Sinodal'n. Bibl. n. 175/78; ora nel Museo Storico di Stato; Skazanie o Borise i Glebe, a cura di Poljanskij, in «0tenija v Ob s"c. istor. i drevn. ross.», t. I(r87o); A. A. SACHMATOV e P. A. LAVROV, in «Sbornik xIi v.» (v. s.), a. 18 99. Cfr., per esempio, il conflitto per la vendita del sale (vedi nel Kievo-Pelerskij Paterik il racconto su Prochor Lebednik).
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tata la stesura del nuovo corpus cronachistico, detto da A. A. Sachmatov Nacal'nyj, secondo il quale alla base di esso sarebbero le cronache novgorodiane. Il corpus Nacal'nyj aveva un titolo a sé: Vrernennik, de naricaetsja letopisec' ruskych knjaz' i kako izbra bog stranu nasu na poslednee vremja, i gradi pocasa byti po rnestom... ' i o statii Kieva, kako v-imenovasja Kiev Z. Al titolo seguiva una prefazione, il contenuto della quale è molto interessante e ricco di notizie storiche: Kiev venne chiamata in tal modo dal nome di Kij, come Roma prese il nome dal suo re, Antiochia da Antioco, Alessandria da Alessandro. Dio fu demente verso di essa, perché lí dove prima erano stati fatti sacrifici ai demoni, erano state poi innalzate chiese di pietra dalle cupole dorate, e monasteri in cui tanti monaci trascorrevano il tempo nella preghiera. Se noi - dice l'autore nella prefazione - ci avvicinassimo alla santa chiesa, anche noi riceveremmo un grande aiuto e per l'anima e per il corpo. L'autore, nella prefazione, scrive che è suo compito raccontare dell'origine della terra russa e dei principi russi, come e da dove la Rus' sia stata originata. Quindi rivolge la preghiera ai lettori di ascoltare con amore il suo racconto: quali erano stati gli antichi principi russi e quali i loro uomini, come essi avevano difeso la terra russa e come avevano assoggettato gli altri paesi. Contrapponendo gli antichi principi a quelli contemporanei, l'autore scrive: «quei principi non raccolsero per sé un grande avere e non oppressero gli uomini con la vira e con le imposte ». La druzina del principe viveva combattendo gli altri paesi, e non si lamentava con il principe per l'esigua ricompensa. L'autore, nella prefazione, riporta ancora queste parole degli antichi druzinniki colme di dedizione per il loro principe: « Fratelli! moriamo per il nostro principe e per la terra russa», quanto diverse da quelle degli attuali druzinniki che dicono: «Non mi bastano, o principe, 200 grivne»'. Gli antichi non ponevano sulle loro donne monili di oro, come quelli di oggi, ma le loro donne portavano soltanto argento. Gli antichi « facevano fruttare » la terra russa, mentre oggi, a causa della «ingordigia» Dio ha condotto contro di noi i pagani. Il bestiame, i villaggi, la ricchezza, tutto hanno preso i pagani, perché noi conti' Le parole che seguono sono state lette, da poco tempo, nelle cronache di Novgorod «pre z" de Novgorod'skaja vlast' i potom Kiev'skaja»; tenendo conto delle interpolazioni di Novgorod. Il che era tipico per la Novgorod dei secoli xii e Nell'anno 12o6 Vsevolod III aveva detto: «a Novgorod Velikij starejsinstvo imat' knjazen'ju vo vsej Rus'skoj zemli» (Lavrent 'evskaja letopis', anno x2o6). ? Sofijskaja pervaja letopis ' , in Polnoe sobranie russk. let., t. V, r, Leningrad 1925, p. $• Ibid., p. 9.
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nuiamo a compiere cattive azioni. Seguono altre frasi piene di devozione per i principi. Il testo della prefazione del corpus Nacal'nyj delle cronache di Novgorod non ci è giunto completo. Probabilmente doveva essere inclusa nella prefazione una nota di biasimo ai principi per le loro guerre intestine e per la cattiva difesa della terra russa. Queste note erano l'essenza del corpus Nacal'nyj, le cui idee si riflettevano nella parte introduttiva, ma esse furono ben poco utili ai Novgorodiani del xIi secolo, quando, inserite nella cronaca di Novgorod, furono impiegate come propaganda antiprincipesca. La Novgorod del xii secolo aveva sf tratto profitto dall'indebolimento del potere principesco, ma aveva anche molto sofferto a causa delle esazioni, delle confische, delle vire e di altri gravami con cui i principi tassavano la popolazione. Per questo i Novgorodiani conservarono nella prefazione i rimproveri ai principi per la loro « ingordigia », e tolsero tutto ciò che si riferiva alla loro debolezza: la critica alle lotte intestine e alla cattiva difesa della terra russa. Che la prefazione, un tempo, avesse contenuto una tale critica è evidente dalla parte conclusiva del corpus Nacal'nyj. Qui, all'anno 1093, vengono ripetuti pensieri già espressi nella prefazione ' . Nella conclusione è compresa l'appassionata descrizione della rovina della terra russa da parte dei Cumani. Alcuni passi di questa descrizione riportano le stesse commoventi parole della cronaca russa; si legga, per esempio, la descrizione delle sofferenze dei Russi prigionieri dei Cumani Z. Il corpus Nacal 'nyj dunque si pone anche dei problemi politici. Portando ad esempio gli antichi principi russi cerca di correggere gli errori di quelli contemporanei. La storia russa veniva insomma considerata una lettura edificante che educava al patriottismo. Il significato che ebbero per Nikon i racconti di Vys"ata, nella comCfr. alla fine del corpus Nacal 'nyj: «Che nessuno osi dire che siamo stati presi in odio da Dio! Che ciò non sia. Giacché quale popolo Dio amò, come amò noi? A chi rese onori Dio, cosí come a noi rese gloria ed onori? A nessuno! »[vedi anche la nostra traduzione, p. 127, anno 1093 (6602)]; e nella prefazione «Grande dunque è il pensiero divino che all'ultimo si manifestò! Dove gli antichi pagani sacrificavano al demone sulle montagne, ora sono state innalzate chiese di pietra dalle cupole dorate e monasteri, in cui molti monaci trascorrono il tempo nella preghiera, nella veglia, nel digiuno, nelle lacrime; e grazie a loro v'è pace» (So{ciskaja pervaja letopis' cit., p. 9). Z «SofEerenti, tristi, spossati, stretti insieme per il freddo, per la fame, per la sete e per la miseria, con i visi dímagraú, il corpo ridotto nero; andavano in contrade ignote, con la lingua arsa, nudi e scalzi, con i piedi feriti dalle spine; con le lacrime agli occhi, essi si rispondevano l'un l'altro, dicendo: io ero di questa città; e l'altro: io di questo dsllaggio; cosí con le lacrime agli occhi reciprocamente si interrogavano, ricordando l'origine propria e sospirando, rivolgendo gli occhi al cielo all ' Altissimo, che conosce ogni mistero» [si veda anche la nostra traduzione, p. 127, anno 1093 (66ox)].
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posizione del corpus Nacal'nyj lo ebbero anche i racconti del figlio di Vysata, Jan. Il cronista ci parla per la prima volta di Jan Vysatic, all'anno 1071 a proposito della repressione della sommossa dei maghi di Beloozero ad opera appunto di Jan, lí mandato dal principe Svjatoslav. Da Svjatoslav di Cernigov Jan, probabilmente, era giunto (proveniente da Tmutorokan) per svolgere alcune mansioni; stretti rapporti univano Tmutorokan a Cernigov. Jan fu poi a Kiev, proprio nella druzina di Svjatoslav, quando quest'ultirno era già principe kieviano. Qui, a Kiev, Jan, ai tempi di Vsevolod, ricoprí la carica di «voevoda dei mille Kieviani»'. Però, alla fine del governo di Vsevolod, la posizione di Jan era divenuta già precaria, egli infatti si lamentava che il principe era divenuto « amante dei consigli dei giovani » della druzina e s'era allontanato da «i primi » (cioè dai druzinniki anziani), cui apparteneva lo stesso Jan Ai tempi di Svjatopolk, Jan era stato ormai bandito dalla scena politica, s'era quindi unito alla schiera degli scontenti e al biasimo del cronista del Pecerskij. Di cosa erano scontenti i druzinniki anziani e perché Vsevolod e Svjatopolk avevano allontanato Jan Vy"satic? La risposta a questa domanda la dà M. D. Priselkov: «La concordanza di idee per quel che riguardava la druzina dei due principi, rappresentanti due rami ostili della casa principesca, e rappresentanti due generazioni che si erano avvicendate non poteva essere, naturalmente, un capriccio personale, come pensava Jan, ma derivava dal fatto che le condizioni di vita erano bruscamente mutate e che le nuove condizioni esigevano nuovi ministri. Nella Pravda' di Jaroslav si vede chiaramente che i principi della "terra russa" erano passati dalla esazione dei tributi allo sfruttamento feudale, il che, naturalmente, aveva sostanzialmente mutato tutto il sistema di vita sia dei principi, sia dei druzinniki; i druzinniki anziani non sapevano né potevano adattarsi alle nuove condizioni di vita, e rimproveravano í principi perché essi con le vire e con le imposte avevano rovinato la popolazione, e avevano dimenticato che, in passato, il mezzo migliore per mantenere se stessi e la propria druzina era stato la conquista di terre straniere. Jan, come del resto tutti gli anziani, scaricò la propria collera sui "giovani" druzinniki, tanto che, nel racconto sui lasciti della druzina di Svjatopolk (anno i093) divise la druzina (come, attenuando al2.
'[Cfr. la nostra traduzione, p. I18, anno 1o89 (6597)]. Z PRISELKOV, Istorija Cit., p. 19. [Le norme di diritto e gli istituti consuetudinari emessi tra 1 'xz e il xii secolo furono codificati, sotto Jaroslav il Saggio, nella Russkaja pravda].
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quanto l'espressione di Jan, scriveva il cronista) in sensati (cioè i druzinniki anziani) e insensati (cioè i druzinniki giovani)»'. Per tre volte il cronista del Pecerskij ripete l'espressione «uomini sensati » e definisce meglio: « Jan e gli altri ». E sono appunto questi «uomini sensati » che, secondo il cronista, consigliano Svjatopolk a non andare contro i Cumani da solo, ma di andare insieme con l'esercito di Vladimir Monomach. « Gli uomini sensati » dicevano a Svjatopolk: non tentare di andare contro di loro, contro i Cumani, giacché tu hai pochi guerrieri. Ma Svjatopolk rispose: ho i miei settecento uomini che possono misurarsi con loro. Gli insensati presero a dire: va', o principe. E i«sensati» ancora insistettero sull'opportunità di unire le forze militari contro la steppa: se anche tu ne esponessi ottomila, non ti basterebbero: la nostra terra è stata resa povera dalla guerra e dalla corruzione. Piuttosto manda messi al fratello tuo Volodimir Monomach, afE'inché ti venga in aiuto. « Gli uomini sensati », e tra loro Jan, rivolsero ai principi russi questo appello: Perché discutete tra voi? I pagani stanno distruggendo la terra russa. Dopo vi metterete d'accordo, ma per ora, movete contro i pagani, o con la pace, o con la guerra Il malcontento dei rappresentanti la vecchia druzina, per esser stati messi da parte, si trasforma in un'aspra protesta sociale. Gli appelli degli «uomini sensati » per una saggia difesa dai nomadi della steppa avvicinano la parte conclusiva del corpus Nacal'nyj allo Slovo o polku Igoreve. proprio il contenuto russo-comune delle parole degli «uomini sensati » (e tra loro, naturalmente, in primo luogo di Jan), e non soltanto l'offesa che obbligava il redattore del corpus Nacal'nyj a prestare ascolto alle loro parole, scegliendo evidentemente dalle parole di Jan solo quelle che avevano un ampio interesse sociale, e respingendo tutto ciò che era dettato esclusivamente dall'offesa personale. Fu proprio grazie a questa capacità di sceverare il materiale, all'abilità di muovere una critica alle discordie tra i principi e alla loro politica (per lo meno per quanto riguardava la lotta con la steppa), al carattere altamente sociale della protesta, che il monastero Pecerskij acquistò sempre maggiore importanza nella valutazione dei fattí storici. Svjatopolk vide nella stesura del codice Nacal'nyj un debutto politico del monastero, contro di lui e in favore del suo nemico: Vladimir Z:
PRISELKOV, Istorija Cit., p. 19. 2[Si veda la nostra traduzione,
p.
I24,
anno 1093 (66o1)].
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Monomach. E l'igumeno del monastero, Ivan, fu mandato nella città di Turov, ove fu principe Svjatopolk fino alla sua ascesa al trono kieviano. La rottura di Svjatopolk con il monastero durò fino al 1o98. In seguito Svjatopolk, desideroso dell'aiuto morale del monastero, si rappacificò con esso, e in cambio sostenne il monastero in lotta con i metropoliti greci di Kiev. Svjatopolk divenne cosí un attivo sostenitore delle tradizioni russo-comuni del rnonastero. Nel 1098 si ebbe la conciliazione tra il monastero Pecerskij e Svjatopolk. Come avvenne questa conciliazione e quali ne furono le cause è ancora inspiegabile. In ogni caso, Svjatopolk prese interesse alla politica antigreca del monastero. E riuscí ad indebolire l'egemonia ecclesiastica greca. Egli mantenne il culto russo dei principi Boris e Gleb e cercò di ottenere la canonizzazione di Feodosij del monastero Pecerskij '. Svjatopolk fece del monastero Pecerskij il proprio monastero. Egli aveva l'abitudine di recarvisi prima di ogni spedizione, e soleva attribuire le proprie vittorie alla protezione di Feodosij del Pecerskij; riuscí ad ottenere, per il monastero Pecerskij, da parte dell'archimandria la concessione di una certa indipendenza dalla metropolia di Kiev. Infine, cosa particolarmente importante, Svjatopolk favorí la cronografia del Pecerskij e, con l'appoggio principesco, sostenne l'autorità dei cronisti del Pecerskij. Il significato politico della cronaca fu compreso bene da Svjatopolk, ed egli fece di tutto perché la cronaca non avesse piú nulla della silloge antiprincipesca del I093, e perché servisse prima di tutto ai suoi scopi. Intorno al 1113, probabilmente proprio nel monastero Pecerskij, venne redatto il nuovo monumento della cronachistica russa: la Povest' vremennych let. Compositore della nuova opera storica sembra esser stato, con ogni probabilità, il monaco del monastero Kievo-Pecerskij Nestor. L'opera di Nestor non ci è pervenuta nella sua forma originaria, ma in rifacimenti elaborati da successivi redattori. I quali, appartenenti ad un'altra corrente politica e ad un altro monastero, ostile al Pecerski.j, espunsero il nome di Nestor dal titolo della cronaca. Il nome di Nestor si è conservato soltanto in una copia, la cosiddetta copia di Chlebnikov, in cui leggiamo: «Nestera, cernorizca Fedos'eva manastyrja Pecer'skogo» (e cioè: Nestor, monaco del monastero Pecerskij di Feodo'
E. GoLIISINSK17, Istorija russkoj cerkvi, t. I, parte 2', p. 389.
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sij )'. E questa frase non può essere una tarda interpolazione, perché, già nel xlii secolo, il nome di Nestor era legato alla stesura della Povest' vremennych let, come risulta dalla missiva al vescovo di Sinope del 1232. Policarp, tra gli altri monaci del monastero Pecerskij, ricorda Nestor « il quale scrisse la Cronaca » Z. L'attribuzione a Nestor della paternità della Povest' vremennych let incontrò non poche obiezioni. Gli studiosi citarono discordanze tra le notizie sul monastero Kievo-Pecerskij riportate nella Povest' vremennych let e quelle sullo stesso monastero riportate in opere il cui autore fu certamente Nestor, in particolare venne preso in considerazione il 2it'é Feodosija'. Tuttavia queste discordanze non possono affatto testimoniare a sfavore della paternità di Nestor: la Povest' vremennych let, dice A. A. Sachmatov, fu redatta da Nestor venticinque anni dopo la stesura del 2it'é Feodosija e i passi discordanti non appartengono a Nestor, ma si trovano in quella parte dell'opera che fu riportata, integralmente, da Nestor da un codice cronachistico anteriore. A favore della paternità di Nestor è bene dire che già altre due sue opere giovanili, lo Ctenie sui principi Boris e Gleb, e il 2it'é Feodosija, ce lo caratterizzano come scrittore versato nelle grandi opere storiche e nella scrupolosa disamina del materiale storico. Egli nomina le persone da cui attinge notizie sugli avvenimenti, o che possono testimoniare la veridicità delle sue informazioni. Nel 2it'é egli chiama a testimoni non soltanto i monaci del monastero Pecerskij, contemporanei di Feodosij, ma anche altre persone: l'igumeno Pavel di Cernigov, l'igumeno Sofronij del Vydubickij, il boiaro Geguevic Zdeslav ed altri. Parlando delle peculiarità dell'opera storica di Nestor, a proposito del 2it'é Feodosija, M. D. Priselkov scrive: « Quest'opera desta sempre stupore in un lettore attento per quella capacità dell'autore di tessere un tappeto multicolore con episodi della vita di Feodosij : elaborando fatti slegati Nestor ci dà un'opera coerente e viva, in cui sono rispettate cronologia e scrupolosa precisione » `. L'eccezionale interesse storico di Nestor è evidente nel suo Ctenie o Borise i Glebe. Cosí come nella cronaca, anche nel 2it'é Nestor ci dà un quadro storico generale. Nello Ctenie, il pensiero storico di NeTraccia dell'antico titolo della Povest' vremennych let in cui è citato il nome di Nestor è rimasta nella Ipat'evskaja letopis', e nelle copie da essa derivate, ove manca il nome di Nestor, ma si legge che di essa fu autore «un monaco del monastero di Feodosij ». Z Kievo-Pecerskij Paterik cit., pp. I26 e 133• '[Il 2it'i; Feodosija opera agiografica (secoli xi-xii) attribuita al monaco Nestor]. 4 PRISELKOV, Nestor letopisec cit., p. 99.
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stor è teso soprattutto al cornpito politico, a persuadere i principi a por fine alle lotte intestine rovinose per il popolo russo. La storia del genere umano, secondo Nestor, è la storia della lotta del bene e del male. Il diavolo, che da tempo immemorabile detesta il bene, tenta Adamo ed Eva, ed essi vengono espulsi dal paradiso. Per istigazione del diavolo, i discendenti di Adarno ed Eva si abbandonano al paganesimo e prendono ad adorare gli idoli. Dio manda i profeti, ma gli uomini « non prestano loro ascolto » e ad alcuni fanno del male, ed altri uccidono ' . Allora Dio, misericordioso, manda il figlio suo a salvare l'umanità, e gli apostoli diffondono la dottrina di Lui in tutti i paesi del mondo. Ma la terra russa non gode dell'insegnamento apostolico: Dio ritarda la redenzione della terra russa. Solo molto tempo dopo Dio chiama a sé la terra russa. Il principe Vladimir istruisce con la dottrina di Cristo il popolo russo, dopo che egli stesso viene battezzato, di sua volontà. Ti popolo russo ha la sua grande missione: chiamato da Dio per ultimo diventerà il primo. Ma il demone decide di colpire la terra russa al cuore, nella « radice » del cristiano Vladimir. Solleva egli la discordia nella terra di Vladimir, tra i cui figli, simili a « due luminose stelle » splendono Boris e Gleb. Per istigazione del diavolo, il fratello Svjatopolk li uccide. La morte rassegnata di Boris e di Gleb, sempre fedeli e sottomessi al fratello piú anziano (l'omicida Svjatopolk), turba i progetti del diavolo. Boris e Gleb con la loro morte dànno a tutti i principi russi un esempio di amore fraterno e di sottomissione. Dalle loro labbra viene proclamato il principio dell'anzianità: «Non abbandonerò questo posto, non fuggirò da esso, né mai andrò contro mio fratello, perché egli è piú anziano », dice Boris; « mai oserò andare contro i.l fratello piú anziano », ripete ancora Boris Z. In tal modo, al culto di Boris e di Gleb viene attribuito da Nestor un alto valore storico. A questo culto è legato il trionfo della terra russa sulle mene del diavolo, che tenta di seminare discordia tra i principi. Le discordie dei principi, dei principi-fratelli (i principi russi erano tutti discendenti del capostipite Rjurik) costituivano 1'ultima speranza del diavolo di ostacolare il trionfo del bene nel mondo. Ma Boris e Gleb con la morte avevano difeso la terra russa dalle insidie del diavolo, ed avevano offerto un valido esempio a tutti i principi russi e, dopo la morte, avevano sempre protetto la terra russa. L'idea dell'amore fraterno dei principi e della loro « sottomisIn «Pamjatnik drevnerusskoj literatury», 2, cfr. 2itija sv. muc. Borisa i Gleba, a cura di D. I. Abramovic, Petrograd 19x6, p. 2. 2 2itija sv. muc. Borisa i Gleba cit., pp. 9-IO.
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sione » al piú anziano della stirpe è per Nestor l'idea chiave degli avvenimenti storici degli ultimi anni. Le idee politiche dei cronisti del Pecerskij furono introdotte, in tal modo, da Nestor nel suo Ctenie insieme con quelle storico-universali delle opere del tempo di Jaroslav il Saggio. La fusione di uno schema filosofico-storico (secondo il quale alla terra russa era stato rifiutato il primo posto nel cristianesimo) con le correnti politiche del tempo fu una delle caratteristiche della monumentale opera di Nestor: la Povest' vremennych let. La Povest' vremennych let con cui si conclude la cronaca del Pecerskij dell'xi secolo, con il suo precipuo carattere testimonia un ritorno al tono tranquillamente epico ed alle concezioni filosofiche dello Skazanie o pervonacal 'nom rasprostranenii christianstva na Rusi. Ed è facile spiegarne il motivo: prima di Nestor v'erano stati problemi del tutto diversi da quelli dei suoi predecessori, e cioè dei cronisti del Pecerskij della seconda metà dell'xi secolo. La cronaca « di opposizione » diviene cronaca ufficiale, statale, sebbene conservi ancora quella vena politica dei primi corpus del Pecerskij. Da qui il carattere solenne della Povest' vremennych let, da qui il suo riserbo nella valutazione degli avvenimenti di storia russa e la sua particolare attenzione per l'antica storia russa: l'origine dello stato russo, del popolo russo, delle singole tribú, delle denominazioni di esse, ecc. Invece di essere contemporanea agli avvenimenti coevi al cronista, la cronaca fissa soprattutto i problemi generali di storia russa. E Nestor sintetizza il suo compito nello stesso titolo dell'opera: « Ecco il racconto dei tempi passati: da dove ha avuto origine la terra russa, chi a Kiev cominciò dapprima a regnare, e da dove la terra russa è sorta ». Nestor lega la storia russa a quella mondiale, dando ad essa un valore centrale nella storia dei paesi europei. Indicare la terra russa tra gli altri stati del mondo, provare che il popolo russo non era senza tradizioni, che aveva una sua propria storia, di cui aveva il diritto di essere orgoglioso, questo era lo scopo, notevole per quel tempo, che si pose il redattore della Povest'. La Povest' vremennych let doveva ricordare ai principi la gloria e la grandezza della patria, la saggia politica dei loro predecessori, e l'unità secolare della terra russa. Questo compito è realizzato dal cronista con straordinario tatto e gusto artistico. L'ampiezza del progetto concedeva serenità e calma al racconto del cronista, armonia e fermezza ai suoi giudizi, unità artistica e solennità a tutta l'opera. L'inizio della Povest' vremennych let è dedicato agli avvenimenti della storia mondiale, secondo le concezioni medievali. Il cronista in-
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serisce la storia russa in quella mondiale, dando notizie di carattere geografico, etnografico, culturale, storico. Con serenità il cronista parla delle condizioni storiche in cui s'è andato formando lo stato russo. La Povest' vremennych let inizia con un'introduzione storico-etnografica. Nestor fa partire il suo racconto dal « diluvio universale » e dalla ripartizione della terra tra i figli di Noè. Quindi ci elenca i paesi appartenenti a Sem, poi quelli appartenenti a Cam, ed infine, con maggiori particolari, indugia sui paesi « di mezzanotte » e su quelli occidentali appartenenti alla stirpe di Jafet. Nestor ricorda che, dopo essersi divisa la terra a sorte, i fratelli prestarono giuramento: « che nessuno entri nella parte toccata al fratello, e che viva ciascuno nella propria parte ». Quindi Nestor parla della caratterizzazione dei popoli e delle lingue; tramanda la leggenda biblica della torre di Babele, al tempo in cui gli uomini erano ancora divisi in stirpi, ma parlavano lingue diverse e precisa l'origine del popolo slavo nato « dalla stirpe di Jafet ». Inizialmente, secondo Nestor, gli Slavi vivevano lungo il Danubio, là dove ora è l'Ungheria (« la terra ungara ») e la Bulgaria. Quella fu la sede originaria degli Slavi, da questi Slavi si andarono in seguito formando diverse tribú e popoli. Le tribú slave assunsero una propria denominazione a seconda del luogo in cui si insediarono « e si chiamarono con nomi propri, a seconda del territorio che occuparono ». Il cronista menziona gli Slavi occidentali: «i Moravi e i Cechi », e quelli meridionali: « i Croati bianchi, i Serbi e i Chorutani ». Lo smembramento degli Slavi del Danubio fu provocato dall'invasione dei Volci, che A. A. Sachmatov identifica con i Franchi occidentali, popolo soggetto alla monarchia di Carlo Magno'. Una tribú slava, stanziata lungo la Vistola e derivata dai Volci, aveva assunto il nome di Ljachi (Polacchi). I Ljachi, a loro volta, si disgregarono in Poliani, Ljutici, Mazoviani e Pomorani. Alcuni Slavi dal Danubio si trasferirono lungo il Dnepr e si chiamarono Poliani, altri Drevliani, perché « abitavano nei boschi », altri abitavano tra il Pripjat' e la Dvina e furono detti Dregovici, altri ancora abitavano sul fiume Polota e si chiamarono Po1ocani. Infine, una parte «degli Slavi» Si stan7iò presso il lago Il'meri , si chiamò « con il proprio nome » (cioè con il nome di Slavi) e fondò una città, chiamata Novgorod. Quindi Nestor passa a parlare delle tribú del nord e condude « e cosí si diffuse il popolo slavo, e da esso anche la scrittura fu detta slava ». I
A. A. 3ACHMATOV, Povest' vremennych let i eé istocniki, 29.
literatury» [d'ora in poi Trudy ODRL7, t. IV (1940), p.
in «Trudy otdela drevnerusskoj
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Dopo queste notizie dettagliate circa la sistemazione delle tribú il cronista, con semplicità e chiarezza, configura geograficamente la Rus', le sue strade, che la collegavano con gli altri paesi, e, con estrema chiarezza inizia la descrizione dallo spartiacque del fiume Dnepr, della Dvina occidentale e della Volga. « Il Dnepr scaturisce dalla foresta di Okov, e fluisce a mezzogiorno, e la Dvina dalla stessa foresta scaturisce, e volge a mezzanotte e si getta nel Mar Varjago. Dalla stessa foresta fluisce la Volga ad oriente, e scaturisce con le settanta bocche nel Mar dei Chvalisi. Cosí anche dalla Rus' si può andare lungo la Volga dai Bulgari e dai Chvalisi, e ad oriente giungere nella parte di Sem, e lungo la Dvina dai Varjaghi, dai Varjaghi a Roma, da Roma fino alla tribú di Cam. E il Dnepr sbocca con la foce nel Mar Pontico, il quale mare è detto russo...»'. Dopo la descrizione geografica della Rus', Nestor tramanda la leggenda, citata anche dal suo predecessore, dei tre fratelli, fondatori della città di Kiev: Kij, scek e Choriv. Quindi passa al racconto del graduale isolamento politico delle tribú russe: Poliani, Drevliani, Dregovici, Slavi, Polocani, ed enumera le popolazioni vicine ai Russi: i Vesi a Beloozero, i Meri sul lago Rostov e sul Kle"scino, i Muromi sulle foci dell'Oka. Il ricordo delle altre popolazioni porta Nestor a dare un elenco preciso dei popoli . slavi, abitanti la Rus', e di quelli non Slavi, che però, pagavano il tributo ai Russi, o che erano entrati in rapporti politici con la Rus'. Tra questi ultimi Nestor cita iCudi, i Meri, i Vesi, i Muromi, i Ceremisi, i Mordvi, i Permi, i Pecorani, gli Emi, i Litvi, i Zimegoli, i Korsi, i Livi. Tutti questi popoli parlano lingue derivanti da quella « della tribú di Jafet ». L'elencazione dei popoli, che pagavano il tributo alla Rus ' , desta in Nestor il ricordo dei tempi in cui gli Slavi stessi erano sottomessi ad altri popoli. Egli racconta dei popoli che, per un certo tempo, avevano oppresso gli Slavi: i Bulgari che avevano sottomesso le popolazioni del Danubio, gli Ugri bianchi, che si erano impadroniti della terra slava, gli Obri (Avari), i Peceneghi ed, infine, gli Ugri Neri, che erano giunti presso Kiev ai tempi del saggio Oleg. Il senso di questa elencazione è chiaro: i popoli, che avevano assoggettato gli Slavi, erano tutti stati dispersi, mentre gli Slavi erano rimasti ed essi stessi ' Sono del parere che la descrizione geografica della Rus' non sia tratta dal racconto del1'apostolo Andrea, come ritiene A. A. Sachmatov. È vero che la descrizione geografica inizia con la frase: «i Poliani vivevano per proprio conto», che si ripete anche dopo quanto si dice di Andrea, ma le stesse parole s ' incontrano anche oltre, dopo il racconto sugli Obri, che opprimevano i Duleby: «i Poliani vivevano per proprio conto», il che non può certo testimoniare un'interpolazione del testo.
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avevano preso il tributo da altri popoli. Proprio per questo il cronista tramanda il racconto popolare degli Obri, che avevano assoggettato la tribù slava dei Dulebi. Questi Obri erano di grande corporatura e fieri d'ingegno, essi attaccavano ai carri le donne dulebe e si comportavano con loro come fossero bestie, ma Dio li sterminò senza pietà, cosí che ancor oggi esiste un detto nella Rus': perirono come gli Obri. Dopo aver ricordato altre tribù slave, non facenti parte della precedente elencazione (Radimici, Vjatici, Ulici, Tiverci) Nestor passa alla descrizione dei costumi delle tribú slave che abitavano la terra russa. Tale descrizione di costumi è sottoposta ad un'unica idea: ogni popolazione e ogni tribú ha una propria « legge » e un proprio « costume », trasmesso loro dai propri padri. Nel confermare questa sua idea il cronista cita, infine, lo storico bizantino Giorgio Amartolo e da lui riprende alcune notizie sui costumi dei popoli dell'Oriente e dell'Europa. Il cronista contrappone nella sua descrizione la vita «mite e tranquilla » dei Poliani ai costumi dei Drevliani, dei Radimici, dei Vjatici, dei Severiani che, invece, vivevano « simili a bestie ». E qui emerge chiaramente il sentimento patriottico kieviano. Nestor termina la sua rassegna delle usanze delle diverse tribú con una schematica caratterizzazione dei costumi del nemico numero uno della Rus': i Cumani e conclude considerando i migliori gli usi e i costumi dei Russi cristiani. Qui come in altre pagine della Povest' Nestor definisce il russo un popolo civilizzato e colto. Gradualmente e logicamente restringendo il suo tema, Nestor passa poi alle antichissime sorti dei Poliani. Racconta dell'assoggettamento dei Poliani ai Chazari (secondo notizie da lui attinte da un corpus cronachistico precedente). Assoggettamento che portò poi alla profezia « degli anziani chazari », secondo la quale i Poliani, che avevano dato come tributo spade a due tagli, avrebbero preso un giorno il tributo dai Chazari (« il che è successo », conclude il cronista). E anche qui, e con insistenza, si ripete che i Russi, che una volta erano soggetti e pagavano il tributo ad altri popoli, ora essi stessi manovravano il destino dei vicini. Cosí termina la parte introduttiva della Povest' vremennych let, cui segue la parte propriamente storica, che il cronista cerca di sistemare in un rigido schema cronologico di articoli ordinati per anni. Nestor elabora un gravoso lavoro, seguendo il canovaccio cronologico. ^ chiaro che la storia dei primi principi russi, antecedenti a Nestor, non era fissata secondo il sistema cronologico in uso nel medioevo e cioè « dalla creazione del mondo ». Probabilmente i primi cronisti del Pecerskij sapevano soltanto che Igor' aveva regnato ventitré anni,
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Svjatoslav ventotto anni, Jaropolk otto anni, ecc. Soltanto Nestor tentò di calcolare, e con precisione, i dati cronologici dei principi russi, tenendo conto di fonti diverse. Come fonti gli furono utili le indicazioni delle cronache bizantine (che pur prive di date potevano ugualmente esser d'ausilio a Nestor che desiderava esser quanto mai preciso), lo Skazanie su Cirillo e Metodio e i trattati con i Greci, di cui diremo oltre. La data piú antica della Povest' vremennych let, l'anno 852, è presa da Nestor dal suo predecessore, redattore del corpus Nacal'nyj del Peèerskij. Nestor unisce la prima data della storiografia russa ad uno schema cronologico dei principali avvenimenti della storia mondiale e di quella russa. « E cosí da qui cominceremo... », dice Nestor. Effettivamente, il rigido principio cronologico è posto da Nestor alla base di tutta l'esposizione. Abbiamo già visto che l'accettazione dell'ordine cronologico della cronaca deve risalire agli anni sessanta dell'xi secolo, cioè al tempo del cronista Níkon, tuttavia soltanto Nestor comprese l'importanza di questo ordine ed eseguí un lavoro che stupí per la scrupolosa precisione delle date basilari della storia russa. Dopo la tavola cronologica, posta all'anno 852, Nestor seguí l'ordine degli anni, molti dei quali non sono accompagnati da alcuna annotazione, evidentemente a causa dell'impossibilità di trovare per essi materiale storico. Citando questi anni privi di annotazioni nella sua cronaca, Nestor sottolinea ugualmente il suo principio, la forma cronachistica, e forse affidava anche al suo successore il compito di ulteriori ricerche. Gli avvenimenti russi successivi sono trascritti nella cronaca agli anni 859 e 862, e cioè la leggenda della chiamata dei Varjaghi nella Rus'. Abbiamo già visto come Nestor cerchi di chiarire, in ogni modo, l'origine delle denominazioni delle tribú e delle popolazioni. naturale che il problema piú importante di Nestor era dare l'etimologia del nome Rus'. Ma Nestor non dà questo chiarimento là dove spiega le denominazioni delle popolazioni slave, rinviandola al racconto della leggenda sull'invito ai Varjaghi. Nestor costruisce una propria teoria anche a costo di « sforzature ». Nelle pagine del suo predecessore aveva letto: « e si stabilí Igor' regnando a Kiev e v'erano presso di lui i Varjaghi, che erano Slavi, e da questi prese nome la Rus' »1. Nestor spiega cosí la denominazione Rus': Rus' vale anche « Varjaghi ». Rus' è la tribú varjaga cui '
Novgorodskaja pervaja letopis ', Sinodal ' nyj spisok,
anno 854.
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appartenevano i fratelli: Rjurik, Sineus e Truvor. La denominazione Rus' dalla tribú varjaga passa alle tribú slave, che avevano invitato gli uomini della Rus'. Ecco perché, per sfuggire ad eventuali contraddizioni, Nestor pone il nome della Rus' (come del resto aveva fatto anche il suo predecessore) tra le tribú ed i popoli che abitavano 1'Europa del Nord: Varjaghi, Svedesi, Normanni, Goti, Russi, Angli, Galiziani, Volci, ecc. Nel suo racconto, a proposito dell'invito ai Varjaghi, Nestor alle parole della cronaca antecedente « e andarono al di là del mare dai Varjaghi » aggiunge « giacché questi Varjaghi si chiamavano Russi, cosí come altri si chiamavano Svedesi, altri Normanni, Angli, Goti, cosí anche questi ». Nestor colma la lacuna di notizie sulla tribú dei Russi localizzata nel nord della Scandinavia, affermando « e si riunirono i fratelli con la loro gente, e presero seco tutti i Russi ». Tutta la Rus', in tal modo, si trasferí nel sud senza lasciare « eredi », ecco perché ora tra le tribú slave non ve n'è alcuna che risponda a tale nome'. Quindi Nestor sosteneva l'origine normanna della stirpe principesca e della denominazione della Rus'. Come si spiega che il cronista che aveva cercato in ogni modo di avvalorare l'importanza del popolo russo nell'evoluzione storica universale, sia ora propenso a far derivare il nome e la stirpe principesca dai Varjaghi d'oltremare? Abbiamo già detto che la leggenda dell'invito ai Varjaghi si forma procedendo a gradi e con artifizi. I cronisti intendevano reprimere le lotte principesche iniziate al tempo dei figli di Jaroslav il Saggio, e con i metodi propri della mentalità medievale, cercavano con l'ausilio della leggenda di persuadere i principi che tutti loro erano nipoti « di uno stesso avo », che i principi erano stati chiamati dal popolo per stabilire l'ordine e far cessare le lotte intestine. Si può supporre che questa leggenda serví anche ad altri scopi. Da parte del nord normanno lo stato russo non temeva piú alcun pericolo. Ben altri erano invece i rapporti dei Russi con il sud bizantino. Secondo Bisanzio tutti i popoli cristiani dipendevano anche politicamente dall'impero. Bisanzio, sia nell'xi sia nel xII secolo, come nei secoli seguenti, pretese la stretta dipendenza della Rus' al suo impero, convalidata anche dall'assegnazione di cariche onorifiche bizantine ai principi russi Secondo l'opinione greca, lo stato russo doveva la propria origine a Bisanzio. Il potere temporale era sorto nella Rus' soltanto dopo la conversione di essa al cristianesirno ed era legato indissolubilmente alla chiesa. In opposizione a questa teoria greca si trovavano i cronisti del Z.
' Vedi piú particolareggiatamente Razyskanija cit., cap. XIII: Skazanie o pervych russkich knjaz 'jach; e ancora Skazanie o prizvanii Varjagov cit., t. 4. Z PL. soKOLOV, Russkiy archierej iz Vizantii, Kiev 19=3, pp• 37 sgg.
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Pecerskij. Essa rappresentava di per sé un grosso pericolo, in quanto il metropolita greco di Kiev ne era il rappresentante. Seguendo la corrente russa e antigreca i monaci del Pecerskij erano apertamente ostili al rnetropolita kieviano, e alla sua politica. La teoria « normanna » dei monaci kieviani era in definitiva una teoria « antigreca ». Essa sosteneva l'opinione diametralmente opposta dell'origine dello stato russo: derivava esso non dal sud bizantino, ma dal nord scandinavo. Lo stato russo era già formato ancor prima della conversione al cristianesimo e, di conseguenza, era indipendente dalla chiesa e l'indipendenza dalla chiesa significava, prima di tutto, indipendenza dal metropolita greco, cui con tutte le forze tendeva il monastero KievoPecerskij. Perché allora affermando l'indipendenza dello stato russo da Bisanzio, Nestor non sostenne l'indipendenza di esso da qualsiasi altra tutela, e ricorse invece alla teoria dell'origine straniera della stirpe principesca? La risposta a questa domanda può essere soltanto una: nella tradizione storiografica medievale l'origine di una dinastia regnante era da riportare ad uno stato straniero'. Questa tradizione era strettamente legata alla limitata mentalità storica del medioevo: in quest'epoca veniva ricercata esclusivamente all'esterno la spiegazione di ogni nuova manifestazione, essa veniva considerata un apporto esterno, dato da Dio. E ciò fu particolarmente evidente negli avvenimenti storici, soprattutto se si trattava dell'origine di una stirpe illustre (re, principi, nobili, ecc.). Anche la stirpe illustre non poteva derivare dal proprio paese, giacché proprio perché « illustre » inevitabilmente doveva esser derivata da un capostipite « ignoto ». Ecco perché, fino a tutto il xvili secolo, molte stirpi (anche contrastando con la realtà dei fatti) cercarono di costruirsi una origine straniera, e l'una valeva l'altra: tatara o tedesca, polacca o lituana o romana. Cosí in Russia come negli altri paesi. Dunque, in virtú della limitatezza storica determinata dalla propria mentalità, Nestor e i suoi predecessori presentarono il principio del potere temporale della Rus' non come il risultato di un'evoluzione sociale, ma come l'esito di un « invito ». Bisogna ancora notare che i cronisti attribuivano al popolo l'idea della formazione dello stato russo. In tal modo i cronisti consideravano la 1 Nell'Europa occidentale, l'origine dei popoli, i fondatori delle città, i capostipiti di una dinastia si facevano di solito risalire a personaggi che avevano preso parte alla guerra di Troia. Ancora nel xvi secolo si credeva all' origine dei Francesi da Franco figlio di Ettore, e a quella dei re francesi da Troiano. I Tedeschi fanno derivare molte loro dinastie dai Romani, gli Svizzeri dagli Scandinavi, gli Italiani dai Germani. V'è una leggenda assai vicina a quella slava dei Variaghi a proposito dei fratelli-sassoni. Su questo argomento cfr. v. s. IKONNIKOV, Opyt russkoj istoriografii, Kiev 19o8, t. II, z, pp. 65 sgg.
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formazione dello stato russo piú profondamente che non gli pseudodotti «normannisti» contemporanei. Lo stato russo, secondo i cronisti, s'era costituito dopo un accordo affatto peculiare tra popolo e principe, e cioè dopo 1'« invito ». I cronisti distinguono nettamente i Varjaghi « invasori », combattuti dal popolo, dai Varjaghi « invitati » dal popolo. La leggenda sull'« invito » dei tre fratelli è quindi artefatta e dotta ». Ancora piú farraginosa è la spiegazione che dà Nestor del vocabolo «Rus' »; ed è proprio di Nestor e non dei cronisti suoi predecessori. Il che è evidente dal corpus Naca'l'nyj, anteriore alla Povest', ove i Russi non soltanto non vengono identificati con i Varjaghi, ma anzi contrapposti ad essi (vedi per esempio, all'anno =043: « e dati a luiguerrieri molti: Varjaghi, Russi, dissero i Russi a Vladimir... e i Varjaghi dissero... e ascoltò Vladimir i Varjaghi» [Sofijskaja pervaja letopis' ]; la stessa contrapposizione è riportata da Nestor all'anno 1043 nella Povest' vremennych let). Il vocabolo « Rus' », in effetti, va fatto risalire anteriormente all'anno 862. I vocaboli «Rus' », « Ros' », fin dai tempi antichi, esistevano nel territorio della futura Rus' e vennero usati per molte denominazioni geografiche (Ris ', Rosino, Ruska, Rusa, ecc.). Si può dire con certezza che il termine « Rus ' », o« Ros ' » non costituisce assolutamente un « prestito »; esso era già in uso anteriormente all'anno 862 e, in epoca ancora piú anteriore, era adoperato dagli scrittori stranieri per indicare, appunto, i Russi. Dopo il racconto della leggenda dell'« invito» dei tre fratelli varjaghi, Nestor segue soprattutto la cronaca greca di Giorgio Amartolo e dei suoi continuatori, cronaca che costituisce una delle sue fonti storiche basilari. In essa vi sono poche notizie riguardanti i Russi: lo stabilirsi di Oleg a Kiev, il matrimonio di Igor', la campagna di Oleg contro Costantinopoli, la seconda campagna di Oleg e della moglie di Igor'. straordinario il modo in cui Nestor supera ogni difficoltà, raccogliendo queste notizie sulla storia russa del ix e dell'inizio del x secolo. In alcuni casi, egli fu un autentico ricercatore, costretto, sulla base di materiale eccessivamente scarso, a costruire tutto un quadro storico. In un continuatore della cronaca di Amartolo, Nestor trovò la notizia della campagna dei Russi contro Costantinopoli (avvenuta intorno all'anno 866), e inserf in essa i nomi di Askol'd e Dir, evidentemente, dopo aver confrontato il racconto di Amartolo con alcune leggende popolari russe su una campagna di Askol'd e Dir. All'anno 882, Nestor fa risalire il principato di Oleg e, quindi, sempre intorno a quella data, racconta dell'assoggettamento a lui dei
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Drevliani, dei Severiani, dei Radimici. All'anno 887, nella Povest' vremennych let trovano posto notizie tratte dai continuatori di Amartolo, cui seguono alcuni anni mancanti assolutamente di annotazioni di avvenimenti. All'anno 898, Nestor riporta il passaggio degli Ugri da Kiev e la storia leggendaria della creazione dell'alfabeto slavo da parte di Cirillo e Metodio e della loro missione in Moravia. All'anno 902, di nuovo, si trovano notizie tratte dalla cronaca bizantina, attinte dal continuatore di Amartolo. All'anno 903 si dà notizia del matrimonio di Igor'. All'anno 907, Si legge un lungo racconto sulla campagna di Oleg contro Costantinopoli, in cui viene inserito anche il trattato stipulato traOleg e i Greci. Anche la notizia, riportata all'anno 911, relativa alla comparsa di una cometa, è ricavata certo dal successore di Amartolo. Quindi all'anno 911, viene riportato un altro trattato stipulato tra Oleg e i Greci e la nota leggenda della morte del saggio Oleg. Per affermare che i maghi possono, a volte, predire il futuro, e forse anche per giustificarsi da eventuali accuse di dar eccessivo credito ai maghi, Nestor riporta alcuni prodigi ad opera di Apollonio di Tiana. Segue il racconto dell'assunzione al trono di Igor', dei suoi primi scontri contro i Drevliani, e di nuovo altre notizie tratte dalla cronaca bizantina. Gradualmente le notizie russe diventano sempre piú frequenti, e Nestor comincia a tener presente il racconto della cronaca precedente. Egli trova già in essa un forte sostegno alla sua narrazione, per cui non spetta piú a lui far ricerche, in quanto ora può basarsi su dati storici. Fondamentali per Nestor furono i testi dei trattati tra Russi e Greci. Nestor si rende perfettamente conto del valore storico di questi documenti e non soltanto li inserisce nel suo racconto, ma utilizza le loro testimonianze per la verifica dei dati cronologici e per la precisazione della genealogia principesca. Da dove furono presi i testi dei trattati utilizzati da Nestor? Secondo le testimonianze dello storico bizantino Menandro, di solito, tutti i documenti ufficiali venivano preparati a Bisanzio in due esemplari. Un esemplare era redatto a nome dell'imperatore e l'altro a nome del regnante il paese con cui venivano condotte le trattative. E chiaro che il primo era considerato il testo fondamentale, mentre il secondo soltanto una variante del primo 1. Di quest'ultimo esemplare veniva fatta la traduzione nella lingua del popolo con il quale si stipulava il trattato e il « foglio » di questa traduzione veniva conser1 Cfr. il trattato dell'anno 944 (945) «un foglio verrà conservato nel nostro Impero, in esso è la croce e sono trascritti i nostri nomi, e nell'altro foglio sono trascritti i nomi dei vostri ambasciatori e dei vostri mercanti» [vedi anche la nostra traduzione, p. 29, anno 945 (6453)].
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vato presso il principe straniero. Questi esemplari dei trattati dei Russi con i Greci furono, evidentemente, consegnati a Nestor dagli uffici del principe. Ecco perché nel testo di questi trattati « noi », « nostro » sono da riferirsi alla parte russa, e « voi », « vostro » a quella greca. Tuttavia la sostituzione delle forme di prima persona con quelle di seconda persona, e viceversa, non viene eseguita sempre, per cui vi sono casi in cui i pronomi « noi » e « nostro » sono riferiti ai Greci. L'accademico S. P. Obnorskij ha dimostrato, dopo attento studio, la redazione slava dei testi dei trattati, conservati nella cancelleria di Svjatopolk, e ne ha fissato la data in coincidenza con le trattative stesse. Obnorskij cosí conclude: «la traduzione del trattato dell'anno 912 (e cioè dell'anno 9=1, di Oleg. n. di D.L.) è malfatta, molto vicina all'originale, piena di grecismi di ogni genere e di forme sintattiche russe errate»', essa è stata « eseguita da un bulgaro in lingua bulgara, e quindi corretta da un russo » Z. La traduzione dell'altro trattato, quello dell'anno 945 (di Igor') è opera di un altro traduttore, ed è stata fatta « da mano piú esperta, piú chiara, essa non è piena di grecismi e ha forme sintattiche piú o meno esatte»', il suo traduttore doveva essere già un uomo colto « se si tien conto che nella traduzione vi sono molte forme letterarie sia russe, sia bulgare » 4. Oltre il trattato di Oleg dell'anno 911 e il trattato di Igor' dell'anno 945, Nestor riportò nella cronaca altri due trattati: uno di Oleg dell'anno 907 ed uno di Svjatoslav del 972 (971). Tuttavia, come ha dimostrato A. A. Sachmatov, il trattato dell'anno 907 non è che una scelta di articoli del trattato dell'anno 911. A. A. achmatov ritiene che il trattato dell'anno 907 non sia affatto esistito e che il cronista, meccanicamente, abbia riportato alcuni articoli dell'anno 911 all'anno 907, supponendo che la vittoria di Oleg sui Greci del 907 fosse stata anche seguita da un trattato. Il trattato del 972, invece, rappresenta il testo di un giuramento fatto da Svjatoslav ai Greci. Esso è breve, conciso e reca in sé tracce del recente insuccesso della campagna. I trattati degli anni 911, 945 e 972 non si limitavano a fissare le date delle campagne dei Russi contro Costantinopoli, ma essi, stipulati direttamente tra Oleg e i Greci, convinsero Nestor a ritenere S. P. OBNORSKIJ, 102.
(193 6 ),
p.
z Ibid. Ibid. ° Ibid., pp.
102-3.
Jazyk dogovorov russkich s Grekami, in «Jazyk i my"slenie», VI-VII
cz
Oleg non un voevoda, ma un principe. Ecco perché Nestor respinse la versione del corpus Nacal'nyj sul voevodato di Oleg, mentre suppose che Oleg fosse un parente di Igor', regnante durante la minorità di Igor' in sua vece; il che, del resto, coincideva con la leggenda popolare che riconosceva Oleg principe. Nestor piú volte ricorse alle leggende popolari. A questo riguardo egli operò secondo l'esempio dei suoi predecessori, dei cronisti del Peéerskij. Sulla base delle leggende popolari Nestor incluse nella Povest' vrernennych let il racconto dell'incendio di Iskorosten ' da parte di Ol'ga, con l'ausilio degli uccelli a cui era stata legata una miccia, e il racconto dei « pozzi » di kisel' di Belgorod (kisel ' che gli abitanti di Belgorod, secondo il consiglio di uno starec avevano versato in un pozzo per convincere i Peceneghi che li assediavano che essi ricevevano nutrimento dalle viscere della terra). E Nestor fu anche l'autore della leggenda del duello del giovane Kozemjaka con il bogatyr' pecenego sul fiume Trubez, «sul guado, lí dove ora è Perejaslavl ' »'. Seguendo la sua consueta attitudine a spiegare le denominazioni, Nestor approfitta di questa leggenda per dare l'etimologia del nome Perejaslavl '. Nestor la spiega cosf: lí dove poi sarebbe sorta la città di Perejaslavl', il giovane Kozemjaka « perejal slavu » (« prese la gloria ») del bogatyr' pecenego. La leggenda racconta come i Russi, sfidati a duello, inutilmente avevano cercato un uomo disposto ad affrontare un bogatyr' pecenego, allora Vladimir di Kiev « cominciò a crucciarsi », per aver invano invitato al combattimento i suoi guerrieri, infine, si fece avanti un « vecchio » e parlò a Vladimir del suo figliuolo minore rimasto a casa, un kozernjak (« squarciatore-di-cuoio »), il quale sarebbe stato certamente in grado di lottare contro il pecenego. Il giovane, di aspetto poco avvenente, condotto al cospetto del principe, chiese d'esser messo alla prova e strappò dal fianco di un toro furioso tanta pelle « quanta ne afferrava la sua mano », e vinse il bogatyr' pecenego enoluie e terribile. Vladimir, soddisfatto, fondò sul luogo del duello una città e l'appellò Perejaslavl', e rese il modesto Kozemjaka «uomo grande ». Nella leggenda del kozemjak è la prova che il ciclo popolare delle leggende intorno a Vladimir I Svjatoslavic era già iniziato tra 1'xi e il xII secolo. La città di Perejaslavl ' è menzionata già molto tempo prima del principato di Vladimir, nel trattato con i Greci dell'anno 911, il che dimostra che la leggenda della fondazione di questa città non fu [Vedi la nostra traduzione, p.
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anno
992
(6900)].
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coeva al principato di Vladimir. Soltanto, in seguito, all'epoca di Nestor, essa fu legata al nome di Vladimir. Nestor scrisse l'ultima parte della sua cronaca nel r= xo, basandosi soprattutto su notizie da lui stesso raccolte. Purtroppo abbiamo soltanto una vaga idea del lavoro di Nestor, perché proprio quest'ultima parte della Povest' vremennych let venne sottoposta, dopo qualche anno, ad un radicale rimaneggiamento. interessante notare in questa parte della sua cronaca una caratteristica del racconto nestoriano: l'uso della prima persona, peculiare egocentrismo di questa narrazione. Si ritiene che Nestor sia stato l'autore di tre racconti: quello sulla traslazione delle reliquie di Feodosij (anno =091), quello della irruzione dei Cumani nel monastero Pecerskij (1096) e quello sulla felice campagna di Svjatopolk (_1o7). Il racconto di Nestor sull'esumazione delle reliquie di Feodosij è, nel suo genere, interessante. In contrapposizione all'astrazione e allo schematismo, propri della letteratura medievale, Nestor, con molti particolari, descrive come egli stesso, aiutato da un monaco, di notte, in gran segreto, disseppellí la tomba di Feodosij nella grotta, come furono inutili, in un primo tempo, i suoi sforzi, come, stancatosi di scavare, dette la « zappa » all'altro « fratello », e come, di nuovo, prese la « zappa » e cominciò a scavare, mentre il « fratello » stanco s'era addormentato presso la grotta, e come, infine, al monastero batté il tocco - come gli riferí il « fratello » - proprio nel momento in cui egli aveva disseppellito la tomba. Nestor racconta che fu colto da spavento e cominciò ad invocare: « Signore, abbi pietà! » Da uguale vivacità è caratterizzato il racconto di Nestor sull'attacco dei Cumani contro il monastero Pecerskij, avvenuto nell'anno 1096. Nestor testimonia che i Cumani « mossero all'assalto del monastero Pecerskij, mentre noi riposavamo nelle celle dopo il mattutino. E presero a vociare intorno al monastero, e piantarono due stendardi dinanzi alla porta del monastero, mentre alcuni di noi fuggivano nel monastero, e altri fuggivano sul solaio L'ultimo racconto della cronaca, di cui certamente fu autore Nestor (quello della vittoria sui Cumani, datato ==07) mette in rilievo la parte avuta dal monastero Peèerskij nelle felici campagne di Svjatopolk. Svjatopolk, prima di andare in guerra, usava recarsi a pregare sulla tomba di Feodosij. Dopo aver ottenuto la vittoria sui Cumani, si recò egli al monastero, baciò i«fratelli» e « con gioia grande » pro» 1.
nunziò dinanzi a loro un breve discorso, che venne subito trascritto nella cronaca. La Povest' vremennych let testimonia l'ampia erudizione letteraria di Nestor. Nel suo 2it'é Feodosija, Nestor stesso cita il grosso componimento agiografico (92 capitoli) di Antonio il Grande (Iv secolo), quello di Attanasio di Alessandria, e quello di Sava trascritto nel vi secolo da Cirillo di Scitopoli. Ma Nestor conosce anche altre opere della letteratura bizantina. L'erudizione manifestata da Nestor nella stesura della Povest' vremennych let è singolare. Tuttavia egli segue solo in alcuni casi lo stile letterario delle sue fonti. Utilizza le opere bizantine, non come modelli letterari, ma come fonti storiche. Utilizza e segue le loro notizie storiche, ma non le idee. Nestor ampiamente prende a prestito dalla cronaca bizantina di Giorgio Amartolo, di cui, ai suoi tempi, esisteva già una versione russa'. Giorgio Amartolo descrisse la storia universale sino all'812, ed il suo successore la continuò fino all'anno 948. Nestor utilizzò ancora la cronaca scritta dal patriarca di Costantinopoli Niceforo, il cui racconto giunge all'anno della sua morte, e cioè all'829 il De vita di Basilio il Nuovo (soprattutto la parte in cui viene descritta la campagna di Igor' contro Costantinopoli) e qualche altra cronaca in cui erano stati inseriti brani della nota cronaca di Giovanni Malala e della Pasquale, di quella di Giovanni Sincello e di quella di Giorgio Amartolo, di Metodio di Patara e di Epifanio di Cipro. $ interessante notare che Nestor utilizza le notizie delle fonti storiche, ma ne ricostruisce liberamente il testo, abbreviandolo e semplificandolo. Cosí per esempio in luogo dell'espressione che leggiamo nel successore di Amartolo « fu data a Romano dignità di Cesare»', Nestor scrive « fu nominato Romano imperatore dei Greci»'; in luogo dell'espressione «il cattivo avvento di Antioco » 5, Nestor scrive piú semplicemente «1'invasione di Antioco»`. A volte nei rifacimenti nestoriani dei testi si sente la mano del patriota. Il cronista russo non soltanto modifica lo stile, ma, in parte, e Z,
1
t. IV
Cfr.
P. M. STROEV, O vizantijskom istocnike Nestora, in « Trudy Ob"scestva e ancora sACIIMATOV, Povest' vremennych let cit., pp. 41-62.
istor. i drevn. »,
(18z8),
Povest' vremennych let cit., pp. 6z-66. Il cronista Niceforo viene appellato nei manoscritti russi Letopisec vskore. 3 V. M. ISTRIN, Chronika Georgija Amartola, Petrograd 1920, t. I, p. 552. Z
SACHMATOV,
"[Vedi la nostra traduzione, p. 24, anno 920 (6428)]. Chronica cit., p. zoo. 6 [Vedi la nostra traduzione, p. 94, anno xo65 (6573)]. È probabile, tuttavia, che la variante della cronaca di Amartolo non sia dovuta a Nestor, al quale potrebbe essere giunta già nella forma, in cui si trova nel Chronogra} po velikomu izlozeniiu, ricostruito da V. M. Istrin. 5 ISTRIN,
' 11 racconto in prima persona e il comparire come testimone negli avvenimenti sono tipici anche delle opere agiografiche di Nestor.
ciir
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con molta prudenza, rimaneggia la stessa interpretazione degli avvenimenti. Cosí, per esempio, nel De vita di Basilio il Nuovo si parla della battaglia di Igor' contro i Greci: « e essendovi fra loro un combattimento, vinsero i Russi e misero in fuga i Greci » 1; e Nestor cosf riferisce lo stesso avvenimento: « a causa del terribile combattimento che vi fu tra loro, a mala pena vinsero i Greci » Z. In un altro luogo dello stesso racconto del De vita di Basilio il Nuovo leggiamo: « e si vide un terribile prodigio: paurose fiamme di fuoco », Nestor omette il vocabolo « paurose », offensivo per i Russi e lo sostituisce con il verbo « avendo visto », quindi leggiamo: «i Russi, avendo visto le fiamme... »'. A scopo puramente letterario Nestor attinse moltissimo materiale dai libri vecchi e neotestamentari. Nella Povest' vremennych let troviamo brani dai libri del Genesi, dell'Esodo, del Levitico, dei Re, dei Proverbi di Salomone, della Saggezza di Salornone, dell'Ecclesiastico, di Giobbe, del vate Daniele, di Isaia, di Ezechiele, di Michea, e di Amos, dai Salteri, dagli Evangeli, dalle Lettere degli Apostoli, ecc. La profonda preparazione letteraria di Nestor, la sua singolare erudizione, il saper sceverare dai testi quanto gli era essenziale, il saper collazionare le discordanze, ecc. fanno della Povest' vremennych let non una raccolta di fatti di storia russa, non un'opera storico-letteraria, connessa a problemi fondamentali, pur sempre transitori della realtà russa, ma proprio la storia letteraria della Rus'. Il livello patriottico del racconto, l'ampiezza dell'orizzonte politico, il sentimento vivo del popolo e dell'unità della Rus' costituiscono la singolare peculiarità dell'opera di Nestor. La coscienza storica di Nestor è piú profonda di quella dei suoi predecessori. Egli s'interessa alla causa prima, all'origine del popolo, dello stato, della stirpe principesca, della denominazione delle città e delle tribú. Egli, in misura ancora maggiore dei suoi predecessori, è piú che mai uno studioso. Le sue ricerche nell'ambito della cronologia sono sorprendenti. Egli è piú avido di sapere dei suoi predecessori, cerca di accordare fonti contrastanti e costruisce proprie e complesse ipotesi storiche. Abbiamo dinanzi un filosofo e uno storico. Però, quando nella Povest' vremennych let intravediamo l'opinione popolare della storia russa, di questo dobbiamo esser obbligati piú ai predecessori di Nestor, che a lui stesso. Egli, infatti, fu il primo cronista u$yciale, e fu, piú che mai, uno scrittore chiesastico. ' Z
Vedi in «Trudy ODRL», t. IV (194o), p. 71. [Vedi la nostra traduzione, p. 25, anno 941 (6449)]. [Vedi la nostra traduzione, p. 25, anno 941 (6449)].
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Abbiamo quindi caratterizzato la Povest' vremennych let nel suo nucleo fondamentale che risulta uguale in tutte le copie, escludendo quelle parti che, pur presenti nelle copie, non possono essere riportate ad esso. Il lavoro di Nestor, per il nucleo fondamentale della Povest' vremennych let può essere ricostruito con una certa precisione, in quanto esso, facilmente, può esser confrontato con il testo precedente (il corpus Nacal'nyj) della Povest', per questo, pur non entrando in particolari, basta ricorrere alla piú recente versione della prima cronaca novgorodiana, sulla quale il corpus Nacal'nyj si ricostruisce molto agevolmente, tenendo conto di alcune correzioni ed interpolazioni fatte da A. A. Sachmatov. Del resto noi stessi abbiamo basato la nostra ricerca su questa comparazione. Tutte le parti aggiunte, confrontate con la piú recente redazione della prima cronaca novgorodiana, permettono di definire lo scopo principale, strutturale ed ideologico di Nestor. In queste parti aggiunte posson esser spiegati il carattere del suo stile, i metodi usati nella rielaborazione dei testi copiati (per esempio del testo della cronaca di Giorgio Amartolo), la natura dei riferimenti storici (lo sforzo di spiegare l'origine di una determinata manifestazione, o la denominazione delle città e delle tribú), le tendenze (quella patriottica, ad esempio, ben palese nei rifacimenti delle fonti bizantine), ecc. Molto piú complesso è spiegare le tappe successive della Povest' vremennych let. Qui bisogna tener presente che il testo, nelle varie copie, si differenzia sostanzialmente. Il tentativo di dare se non una classificazione formale delle copie della Povest' vremennych let, per lo meno un ordine nella « storia » delle redazioni di essa, è stato fatto da A. A. Sachmatov. A tutt'oggi non è stato proposto altro schema piú accettabile delle redazioni della Povest' vremennych let; appunto per questo ci soffermeremo su di essa piú attentamente, tanto piú che l'ipotesi di A. A. Sachmatov spiega in modo soddisfacente ogni discordanza tra le copie fondamentali. Le copie migliori della Povest' vremennych let possono essere distinte in due gruppi. Al primo si ricollegano le copie: Lavrent'evskaja letopis', Troickaja letopis' (andata perduta), Radzivilovskaja e quella dell'Accademia di Mosca n. 5/ 18 2 ; al secondo l'Ipat'evskaja letopis', e quella di Chlebnikov. Il testo del primo gruppo risale all'anno x x xo e in esso leggiamo la seguente nota dell'igumeno del Vydubickij Silvestr: «Io igumeno Silvestr del San Michele (cioè del monastero di San Michele a Vydobyc) scrissi questo libro, la cronaca, sperando di ottenere la grazia da Dio, ai tempi del principe Volodimir [Mono-
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mach], regnante in Kiev; al tempo in cui ero igumeno in San Michele, ne16624, anno 9 dell'indizione; e chi leggerà questo libro, preghi per me ». La stesura del testo del secondo gruppo viene riportata agli anni 1118-19 e alcuni particolari (di cui ci occuperemo in seguito) ne fanno considerare il testo piú tardo di quello del primo gruppo. Sulla base, innanzi tutto, della nota di Silvestr e anche di altre considerazioni, A. A. Sachmatov riporta il primo gruppo di copie ad una redazione dell'igumeno Silvestr del Vydubickij, redatta nel 1116 (vedi la nota di Silvestr: «... nel 6624, anno nono dell'indizione ») nel monastero di San Michele a Vydobyc (vedi la nota: «in San Michele »). A. A. Sachmatov chiama il secondo gruppo: redazione del 1118, perché il testo base di esso è da riportare all'anno 1118, tenendo conto anche di alcuni particolari (di uno dei quali ci occuperemo in seguito). La redazione del z i 18 è piú tarda di quella del = 1i 6, ma anche quest'ultima redazione non può essere considerata l'archetipo. Abbiamo già visto che la tradizione del Kievo-Pecerskij non attribuiva la stesura della Povest' vremennych let né a Silvestr, né a Nestor, ma allo stile di Nestor ed al suo metodo di lavoro sono connesse tutte le aggiunte al testo fondamentale, e cioè al corpus Nacal'nyj. Poniamo inoltre attenzione al fatto che nell'ultima parte della Povest' vremennych let (dopo il 1095, anno in cui termina il corpus Nacal'nyj) vi sono notizie che assolutamente non poteva sapere persona estranea al monastero Pecerskij: intorno al 1o96 viene comunicata l'irruzione dei Cumani nel monastero Pecerskij, e ancora il cronista racconta in prima persona (vedi prima: « mentre eravamo nelle celle... », « mentre fuggivamo... », ecc.); all'anno i=o6 si parla della morte di Jan, che fu in strettissimi rapporti proprio con il monastero Pecerskij, ove fu seppellito, inoltre il cronista ricorda l'aiuto che da lui ebbe nella stesura della cronaca: « Anch'io udii da lui molti discorsi e scrissi in questa cronaca ciò che da lui udii ». Una serie di notizie che riguardano il monastero Pecerskij sono inserite nella Povest' vremennych let anche agli anni 1107, e 1108 e 1109 e i i i o. Per cui è fuori dubbio che il testo sia stato eseguito nel monastero Pecerskij. A. A. Sachmatov ritiene che a questa sia seguita la redazione di Silvestr, e quindi quella del 1118. Come abbiamo già detto, la prima redazione non ci è giunta nella sua forma originaria, ed anche la seconda e la terza hanno subito modificazioni: troppe volte è stata ricopiata la Povest' vremennych let, e troppi anni sono trascorsi dal tempo della stesura delle sue redazioni al tempo della elaborazione delle copie pervenuteci.
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In che cosa consiste la differenza tra la seconda e la terza redazione, perché la Povest' vremennych let fu rielaborata due volte all'inizio del xii secolo? Citerò soltanto un esempio delle discordanze tra la seconda e la terza redazione della Povest' vremennych let per spiegare come si siano formate queste redazioni. Nella copia di Ipat 'ev (cioè nella terza redazione) all'anno 1114 Si dà notizia della elevazione di un muro di pietra a Ladoga. In questa occasione il posadnik di Ladoga, Pavel, ed altri narrarono al cronista di una pioggia di pietre, caduta vicino a Ladoga, nei paesi settentrionali, al di là delle terre degli Ugri e dei Samoiedi. Il cronista prestò fede a questi racconti e li confermò con riferimenti « dotti » della cronaca: « Se qualcuno non crede a ciò, legga la cronaca » (Ipat'evskaja leto pis', anno 1114). All'anno 1096 il cronista della terza redazione riporta anche un racconto - del novgorodiano Gjurjata Rogoviè - anch'esso sui paesi settentrionali e anch'esso sugli Ugri e sui Samoiedi. Gjurjata parla di un popolo misterioso, chiuso tra le montagne da Alessandro il Macedone. Il cronista di nuovo racconta in prima persona, e di nuovo fa riferimenti « dotti », questa volta citando da Metodio di Patara. Lo stretto legame tra questi due brani cronachistici è evidente. Ed esso diventa serrato se leggiamo all'anno io96 le seguenti parole del cronista: «Ecco, ora voglio raccontare cosa udii quattro anni or sono ». È evidente che il cronista qui si propone di contare « questi quattro anni » dall'inizio della sua fatica cronachistica. Abbiamo detto precedentemente che il cronista redasse il suo componimento nel 1118, giacché proprio al 1118 arriva il racconto della Povest' vremennych let. Sottraendo dal 1118 quattro anni, risaliamo al 1114, quando effettivamente egli fu a Ladoga, ed ebbe modo di parlare dei paesi settentrionali. Ecco, di conseguenza, una chiara testimonianza del fatto che sia il racconto dell'anno xo96 sia il racconto del =114, costituiscono un tutt'uno, e trasmettono la conversazione che il cronista ebbe a Ladoga nell'anno 1114, entrambi furono poi trascritti nel 1118, e quindi sono opera del compilatore della terza redazione della Povest' vremennych let. Chi fu questo compilatore? Tenendo conto della notizia dell'anno 1114, egli andò insieme con il figlio piú anziano di Vladimir Monomach, Mstislav, a Ladoga per l'elevazione del muro di pietra. Quindi, egli fu un cronista molto vicino a Mstislav, o probabilmente, come suppone M. D. Priselkov l, lo stesso Mstislav. La vicinanza del cronista a Mstislav spiega anche un'altra peculiarità della terza redazione: l'abbondanza di notizie che riguardano questo principe. Ed ancora ci PRISELKOV, Istorija Cit., p.
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vengono chiarite anche altre caratteristiche della redazione Ipat'evskaja e delle copie derivanti da essa. Infatti la leggenda dell'invito dei tre fratelli varjaghi viene data nelle cronache russe in due varianti. Nella Lavrent'evskaja, nella Troickaja e nelle copie derivanti della Povest' vremennych let i fratelli varjaghi risiedono: Rjurik a Novgorod (nella Lavrent'evskaja mancano le parole « risiedette a Novgorod »), Sineus a Beloozero, Truvor a Izborsk. Dopo la morte di Sineus e di Truvor tutto il potere passa a Rjurik, che distribuisce le città ai suoi uomini. Nell'Ipat'evskaja e in altre copie (Radzivilovskaja, in quella di Chlebnikov, in quella dell'Accademia) i fratelli giungono presso gli Slavi (cioè dai futuri Novgorodiani) e fondano la città di Ladoga. Il piú anziano, Rjurik, risiede a Ladoga, Sineus a Beloozero, e Truvor a Izborsk. Dopo la morte dei fratelli, Rjurik assunse tutto il potere. Egli va verso l'Il 'men' e costruisce qui, sul Volchov, la città di Novgorod. Poi Rjurik distribuisce le città ai suoi uomini. La prima versione è indubbiamente quella anteriore; essa è la stessa che viene citata nelle cronache di Novgorod, il cui testo è piú antico di quello della Povest' vremennych let. La seconda versione deve indubbiamente risalire ad una leggenda locale di Ladoga. La penetrazione di questa leggenda locale nella terza redazione è comprensibile: essa vi è stata introdotta dal suo compilatore, insieme con altri racconti su Ladoga. La terza redazione della Povest' vremennych let è quindi la cronaca del figlio piú anziano di Monomach, Mstislav, che fu fino al i i 18 principe di Novgorod, ed in seguito si trasferí nel sud. Questa redazione, fatta in onore di Mstislav e di suo padre Monomach, contiene leggende di Novgorod e di Ladoga, ed annota avvenimenti di Novgorod e di Ladoga. E ci è anche chiaro perché proprio il cronista di Mstislav utilizzasse per il suo lavoro la seconda redazione della Povest' vremennych let. Come abbiamo già visto dalle annotazioni di Silvestr, la seconda redazione fu composta nel monastero principesco « monomachese », fu la cronaca del padre di Mstislav, di Vladimir Monomach. Effettivamente, la seconda redazione della Povest' vremennych let, come anche la terza per quanto riguarda il materiale passato ad essa dalla seconda, rifletteva una profonda simpatia nei confronti di Vladimir Monomach, e lo idealizzava. Da che cosa fu provocato il rifacimento della Povest' vremennych let di Nestor ad opera dell'igumeno Silvestr del monastero di Vydobyc. La morte di Svjatopolk portò Vladimir Monomach a Kiev (anno 1113). Su invito dei Kieviani, Monomach giunge a Kiev, e viene organizzato in suo onore una riunione solenne. La nomina di Monomach
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al trono «dorato» di Kiev portò ai lunghi anni di decadenza del monastero Pecerskij. È difficile dire se Monomach sia stato un sostenitore del metropolita di Kiev, sebbene tra coloro che gli andarono incontro a Kiev ci fosse anche il metropolita, assente precedentemente ai funerali di Svjatopolk. Monomach, cosí come Svjatopolk, continuò certamente a mantener vivo il culto russo di Boris e di Gleb, ma al tempo stesso divenne ostile al monastero Pecerskij. Monomach tramite il monastero Pecerskij conosce la cronografia che ormai era diventata una delle manifestazioni piú importanti della vita russa; e trasferisce la sede di essa nel proprio monastero principesco a Vydobyc, fondato dal padre Vsevolod Jaroslavic. Quindi l'opera letteraria del monastero Pecerskij si arresta per molto tempo. Soltanto nella seconda metà del xii secolo si nota un certo risveglio dell'attività del Pecerskij. La rielaborazione della Povest' vremennych let fu affidata da Monomach a Silvestr, igumeno del Vydubickij. Silvestr omette dal titolo della Povest' vremennych let le parole «Nestor monaco del monastero Pecerskij di Feodosij » e trascrive alla fine della cronaca il proprio nome. Il rifacimento del testo della Povest' vremennych let fatto da Silvestr riguarda soprattutto l'ultima parte, quella in cui sono descritti í principati di Svjatopolk e di Vladimir Monomach. Silvestr parla della parte avuta da Vladimir Monomach nella lotta con i nomadi delle steppe. Egli con molta vivacità riporta le parole di Monomach e inserisce altri racconti favorevoli a Monomach. Tra questi ultimi viene riportato anche il ben noto racconto di Vasilij sull'accecamento di Vasil'ko di Terebovl'. In questo racconto è citato l'intervento di Vladimir Monomach in difesa di Vasil'ko. Il racconto è dedicato ad uno dei piú perfidi misfatti delle lotte intestine dell'xr e del xzi secolo. Avvenimenti sanguinosi minacciarono il fallimento di tutta l'opera di Vladimir Monomach, che lottava per la stabilizzazione della pace tra i principi. Nell'anno i097 Monomach convocò un primo consiglio di principi a Ljubec ", in occasione del quale i principi avrebbero dovuto discutere i reciproci rapporti e porre fine alle lotte intestine. Il consiglio decise che ogni principe doveva governare il territorio ereditato (« votcina ») e non doveva attentare all'altrui. I principi si scambiarono giuramento: se qualcuno di loro si fosse ribellato, tutti gli sarebbero andati contro. Ma il consiglio s'era appena sciolto quando David Igorevic (di Vladimir Volynskij) e Svjatopolk Izjaslavic attirarono dolosamente Vasil'ko di Terebovl '
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e lo accecarono. Monomach se ne preoccupò in quanto il dolo fu noto a tutti e da tutti condannato. L'autore del racconto, Vasilij, aveva assunto incarichi diplomatici da Monomach ed operava per conto del monastero Vydubickij, il monastero principesco di Monomach. Gli avvenimenti furono trascritti da Vasilij, che ne fu testimone. Molti particolari rendono il racconto di Vasilij uno dei piú efficaci della Povest' vremennych let. Con ogni minuzia Vasilij racconta: Vasil'ko venne adescato il giorno del suo onomastico; venne lasciato solo in una stanza, poi afferratolo, lo trasferirono su un carro a Belgorod, ove venne spinto in una « istobka » piccola. Guardandosi intorno, Vasil'ko si rese conto che volevano fargli del male e prese ad urlare e a piangere. Entrarono gli stallieri, stesero un tappeto e volevano scaraventare Vasil 'ko su di esso. Vasil'ko disperatamente si difendeva. Gli stallieri chiamarono rinforzi, afferrarono Vasil'ko, lo legarono, e quindi trassero dalla stufa un'asse di legno, gliela posero sul petto e sedettero alle estremità. Ma Vasil'ko ancora resisteva disperatamente, e quelli trassero dalla stufa una seconda asse e lo « strinsero tanto che il petto scricchiolò ». Dopo aver a gil.ato un coltello, il pecoraio di Svjatopolk si avvicinò e colpí con esso l'occhio di Vasil'ko, il primo colpo fallí e gli ferí il viso: « E ancor oggi si nota questa ferita sul volto di Vasil'ko. E poi lo colpí ad un occhio, ed estrasse la pupilla, e poi all'altro occhio, ed estrasse l'altra pupilla»'. Accecato, mezzo morto, Vasil'ko di nuovo venne messo sul carro e trasportato a Vladimir Volynskij. È commovente l'episodio del viaggio di Vasil'ko con la camicia insanguinata, camicia che viene data a lavare alla popad'ja, allorché i sicari si fermano a pranzare a Vozdvizensk. La popad'ja, credendolo morto, lo piange. «Non era capitata una tal disgrazia nella terra russa, né ai tempi dei nostri avi, né ai tempi dei nostri padri », disse Vladimir Monomach terrorizzato alla notizia dell'accecamento di Vasil'ko; e mandò ambasciatori a Davyd e ad Oleg Svjatoslavic per comunicar loro: « Venite a Gorodec, poniamo rimedio a questo male, che è stato comrnesso nella terra russa e tra noi, tra fratelli, un coltelló è stato scagliato tra noi, e il fratello comincerà ad uccidere il fratello, e soccomberà la terra russa, e í nostri nemici, i Cumani, moveranno alla conquista della terra russa » L'equità di Vasil'ko e il misfatto di Svjatopolk, che aveva infranto il giuramento, acquistano maggior valore grazie ad un miracolo: la [Si veda la nostra traduzione, p. 151, anno 1097 (6605)]. Z[Si veda la nostra traduzione, p. 152, anno 1097 (66o5)].
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stessa croce, su cui Svjatopolk aveva prestato i1 giuramento, poi trasgredito, attira su di lui la sconfitta. Prima della battaglia con Svjatopolk, Vasil'ko « alzò la croce, dicendo cosí: hai baciato questa, ed ecco prima hai tolto la vista ai miei occhi, ed ora vuoi prendere anche l'anima mia. Che tra noi sia la croce ». Gli eserciti avanzarono e molti videro, al di sopra degli eserciti di Vasil 'ko, quella stessa croce, su cui era stato prestato il giuramento poi trasgredito. Lo spergiuro Svjatopolk fu vinto. Il racconto dell'accecamento di Vasil'ko di Terebovl' è particolarmente interessante per la comprensione delle opinioni storiche della fine dell'xi secolo. Esso, dedicato soltanto ad un avvenimento storico, dà su questo argomento un racconto coerente, particolareggiato e piú che realistico, spiega le cause dell'avvenimento e ne ricerca i promotori. Testimonia esso, di conseguenza, che l'esposizione ordinata per anni degli avvenimenti storici nella cronaca non era una forma obbligatoria e unitaria delle opere storiche dell'xi secolo, come non costituiva un riflesso delle peculiarità del pensiero storico dell'xi e del xai secolo. E cosí le varianti e i rifacimenti, elaborati da Silvestr nella cronaca di Nestor, riguardarono soltanto i problemi di politica contemporanea: essi non apportarono alcunché di nuovo nella forma della Povest' vremennych let e non sfiorarono l'idea patriottica di essa. Le ipotesi di V. L. Komarovic intorno alla scuola letteraria del Vydubickij caratteristica per la grande democraticità, semplicità e per la tendenza all'uso della lingua popolare, con poca probabilità possono essere ritenute pienamente fondate'; in quanto, per giudizi simili disponiamo di materiale insufficiente. La Povest' vremennych let, nonostante tutte le varianti redatte dai cronisti del Vydubickij, può essere considerata opera del monastero Pecerskij. Nestor fuse nella sua opera peculiarità degli antichi corpus del Pecerskij degli anni 1073 e=093, con la loro tendenza antigreca e russa-comune, e la riservatezza ufficiale della nuova cronografia principesca, che avrà un vasto sviluppo nel xii secolo e nei secoli successivi. 4. Abbiamo cosí ricostruito la storia della Povest' vremennych let. La Povest' vremennych let è dunque un corpus che si andò formando nel I KOMAROVI&
Istorija r2[sskoj ZZterat2óry cit., t. 1, p.
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volgere di piú di un secolo, in piú centri letterari e ad opera di piú cronisti. In questo corpus cronachistico trapelano ideologie delle diverse classi e concezioni politiche di diversi centri feudali. $ importante per noi osservare che nella Povest' vremennych let sono entrate anche opinioni popolari sulla storia russa, e ne son penetrati folclore e voci popolari. Nella Povest' vremennych let è riflessa l'ideologia degli amministrati e quella degli sfruttati, accanto all'ideologia degli amministratori e degli sfruttatori. Le contraddizioni, a volte, sussistono in tutta la loro evidenza: concezioni patriarcali accanto a concezioni moderne feudali, ideologia chiesastica accanto a quella pagana, o secolare, o della druzina. Il monaco cronista a volte contraddice la leggenda pagana, o tenta di smentirla o la introduce in argomentazioni cristiane, comunque la divulga tra i suoi lettori. Il cronista sostenitore di Vladimir Monomach conserva il testo della cronaca precedente suscitando il piú vivo biasimo tra tutta la nuova generazione di principi. Abbiamo dinanzi la storia non vista in una sola fase storica, né elaborata dal rappresentante di un sol centro feudale. Il movimento ad essa vien dato dal suo stesso movimento. La storia russa trasmessa dalla Povest' vremennych let ha una «storia» della propria creazione, per questo essa non è breve. Soltanto attraverso la «storia» della sua creazione si può comprendere il magnifico contenuto di essa. Ecco il motivo per cui abbiamo indugiato su questa storia della creazione della Povest' vremennych let, e con tanti particolari. Ogni tentativo di considerare la Povest' vremennych let come tutto un insieme unico e « immobile », fuori della storia della sua costruzione, fuori della sua « corrente », ci condurrebbe nel mondo della incoerenza e della indeterminatezza, ci porterebbe ad erronee conclusioni su questo monumento quanto mai vivo. « Essi sono simili a fiurni che abbeverano l'universo », sempre ci ritorna alla mente questo paragone del cronista. E stato tutto rivelato da questi cronisti dei secoli xi e xzz? Attraverso quali stadi evolutivi del pensiero storico cogliamo noi la storia della formazione della Povest' vremennych let? I cronisti dell'xr e dell'inizio del xir secolo non si erano ancora allontanati dalla concezione patriarcalmente poetica della storia patria. Essi intendevano ancora gli avvenimenti del passato alla maniera greca. E speci.almente i primi cronisti, quelli della metà dell'xi secolo, utilizzarono volentieri nelle cronache canzoni eroiche e ne seguirono il racconto. Cercarono essi gli eroi e l'eroico, erano inclini ad idealizzare il passato in forme poetiche, e ad esaminare racconti sul passato di per se stessi perfetti. Ma accanto a questo atteggiamento epico nei
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confronti del passato, caratteristico soprattutto per quanto riguarda il folclore, già si intravedono nei cronisti interessi scientifici. Il passato, per i cronisti, è costituito da una ininterrotta serie di avvenimenti. Un legame indissolubile tra i racconti è costituito ancora dalla parentela dei principi-eroi. L'instaurazione del principio dell'anzianità tra i principi, la « teoria ereditaria » del cronista, come anche l'istituire una successione cronologica degli avvenimenti e delle date di questi avvenimenti, a partire « dalla creazione del mondo sono i prirni segni della concezione del processo storico. E, contemporaneamente, si vanno manifestando anche le piú elementari premesse alla critica storica. Il cronista si trova già dinanzi al problema della validità della fonte storica. Di regola, il cronista non rimane indifferente alle contraddizioni del materiale di cui dispone. Di molte cose egli, naturalmente, non si accorgeva, di altre non poteva accorgersi a causa della limitatezza della sua preparazione storica; ma in alcuni casi iniziava delle ricerche personali, che non bisogna ignorare se si vuol determinare il carattere storico del pensiero del cronista. Il cronista fa ricerche sull'identità di Kij, sul luogo in cui fu battezzato Vladimir (intorno al 988), sul materiale di cui erano fatte le statue dei cavalli che si trovavano « dietro la Santa Madre di Dio » al tempo di Vladimir (intorno al 988), ecc. Nella parte introduttiva della Povest' vremennych let, secondo 1'Ipat'evskaja leggiamo a proposito della fondazione di Kiev da parte di Kij :« e allorché si recava da un imperatore, come è fama, di grandi onori godeva dall'imperatore presso il quale andava ». Di conseguenza, il cronista (della Ipat'evskaja letopis' o del suo archetipo) cerca di sapere quale imperatore regnasse a Costantinopoli, allorché vi giunse Kij, ma, dobbiamo riconoscerlo, senza riuscirvi. Il cronista, nel proprio lavoro, valuta i pregi delle proprie fonti. Egli, per esempio, preferiva chiaramente i documenti al testo della cronaca anteriore. Il che appare evidente dalle varianti che vennero redatte dal cronista della Povest' vremennych let al testo del corpus Nacal'nyj sulla base dei documenti di cui egli si era recentemente occupato (ad esempio: i trattati tra i Russi e i Greci). Il cronista preferiva le testimonianze della vita quotidiana del passato ai dati delle fonti scritte. Cosí, ad esempio, il redattore della Povest' vremennych let mutò il racconto del corpus Nacal'nyj a proposito della morte di Oleg « al di là del mare », facendo morire Oleg a Kiev, giacché aveva notato che a Kiev «vi è la sua tomba ancora ai nostri giorni ». Il cronista fa nel proprio testo molti rinvii alle fonti: ai racconti di Jan 8
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Vysatic (11 o6), a quelli di Gjurjata Rogovic (=096), alla cronaca di Giorgio Amartolo (nella parte introduttiva), ecc. Nel contempo il cronista possedeva indubbiamente una propria idea circa il nesso causa-effetto degli avvenimenti; sebbene tale nesso rimanga ancora alla superficie degli avvenimenti ed il cronista non riesca ancora a scorgere le profonde cause socio-economiche dei mutamenti storici. Per lui soltanto i principi, i rappresentanti dei ceti dirigenti la società, « muovono » la storia. Per il cronista quindi l'interesse fondamentale del processo storico è centralizzato nelle azioni dei principi, delle gerarchie chiesastiche, ecc. Tuttavia il cronista non è un registratore meccanico degli avvenimenti: egli è certamente uno studioso, uno studioso tutt'altro che perfetto, ma che già distingue il legame tra gli avvenimenti, e che già tende alla ricerca. E ne abbiamo una prova nello stesso titolo della Povest' vresnennych let: « Ecco il racconto dei tempi passati: da dove ha avuto origine la terra russa, chi a Kiev cominciò dapprima a regnare, e da dove la terra russa è sorta ». Già dal titolo è evidente che il cronista s'era posto uno scopo ben preciso e concreto. La sua narrazione avrebbe seguíto l'ordine del materiale storico, con l'aggiunta di argomentazioni scelte dallo stesso cronista: la spiegazione delle cause prime degli avvenimenti. Prima di tutto il redattore della Povest' vremennych let s'interessa all'origine del popolo, dello stato, della stirpe principesca, della scrittura slava, di Kiev, alle denominazioni geografiche e tribali. S'interessa ai legami reciproci delle tribù e dei popoli, alla classificazione delle lingue, ecc. Bisogna, dunque, rivolgere l'attenzione al particolare interesse dimostrato verso le cause prime degli avvenimenti, all'inizio, all'origine di un determinato fenomeno storico indicato nel piano stesso della Povest' vremennych let. I problemi del « da dove », del « chi per primo », ecc. interessano moltissimo il cronista. La percezione epica della storia patria, piú profonda di quella propria alla società patriarcale dell'obscina - comprovante che il cronista era un uomo progressista per il suo tempo e rappresentante, fra l'altro, il sistema feudale della società - dette una sfumatura particolarmente profonda al patriottismo del cronista. Il patriottismo del cronista si basa sulle manifestazioni del processo storico in modo migliore che non nel suo predecessore: il cantore epico, il cantore-àruzinnik. Egli non si limita a cantare il « suono della gloria » delle imprese belliche russe. Per il cronista, la Rus' è lo stato che possiede valori artistici (parla egli delle costruzioni di Jaroslav a Kiev), letterari (si veda, per esempio, l'elogio ai libri, all'anno 1037), religiosi (i Russi sono « i nuovi uomini cristiani »), giuridici, ecc. Il popolo russo pos-
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siede una storia gloriosa. La rielaborazione di questa storia viene considerata dal cronista come una missione, e cosí egli si accosta al cantore epico, ponendosi però ad un livello piú alto. Il cronista dell'xi secolo e dell'inizio del xii unisce in sé quanto v'era di meglio nell'atteggiamento epico della società patriarcale del1'obscina verso la storia patria con una nuova concezione storica che nasce nella società classista della Rus' feudale. Il cronista non si è ancora liberato dall'atteggiamento di « poeta » nei confronti della storia patria, ma già possiede in embrione un atteggiamento storico. E questa fusione di atteggiamenti fa della Povest' vremennych let un'opera magnifica del pensiero storico russo e, al tempo stesso, della letteratura russa del xYi secolo. La cronaca serba ancora in sé gli elementi dell'epos. Il suo autore è sí un cronista, ma anche un cantore popolare. Ecco perché nessuna delle cronache successive dei secoli xiY-xiv è cosí lontana da noi come la piú antica delle cronache russe: la Povest' vremennych let. La Povest ' vremennych let non costituisce un corpus, ma un insieme di corpus e non è giunta a noi nella sua forma originaria. Le sue copie migliori sono nella Lavrent'evskaja letopis' del 1377, nella Ipat'evskaja del xv secolo e nella Radzivilovskaja del xv secolo. Essa dà inizio alla maggior parte delle cronache dei secoli xii-xvaz e serve quasi da introduzione alle cronache « locali » di vario genere, a quelle dei boiari, dei principi, dei metropoliti, dei vescovi, dei monasteri. I suoi temi (quello della difesa della patria e dell'unità della Rus') si riflettono anche nella cronografia posteriore. Essa accompagna la vita del popolo russo nel corso di piú di cinquecento anni. poco probabile che si trovi un'altra opera che abbia un tal valore storico, per i secoli xa-xviY. La Povest' vremennych let, in modo sorprendente per il suo tempo, si diffuse rapidamente in tutta la terra russa. Essa venne aggiornata da note cronachistiche a Kiev, nei due monasteri di questa ci.ttà: il Pecerski.j e il Vydubickij. E nel Vydubickij, tra il secolo xia e il xiii, s'inserisce nell'ampio corpus kieviano, creato in occasione della costruzione, da parte di Rjurik Rostislavic, delle mura di cinta del monastero Vydubickij. A Novgorod la Povest' vrernennych let apparve all'epoca dí Vsevolod, figlio di Mstislav Vladimirovic, promotore della terza redazione della Povest'. Qui la Povest' vremennych let si inserisce nel corpus novgorodiano, redatto in onore del principe Vsevolod, e continua fino all'anno 1136, fino a quando, dopo che Vsevolod fu messo al
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bando, la cronaca novgorodiana viene sottoposta ad una rielaborazione e la si fa precedere dal corpus antiprincipesco Nacal'nyj proprio per la sua particolare tendenza politica. A Perejaslavl' del sud la Povest' vremennych let giunge in due redazioni diverse; nella seconda redazione, la cosiddetta « silvestriana » giunge con lo stesso Silvestr che era entrato a far parte dell'episcopato di Perejaslavl'. La seconda redazione diventa cosí il nucleo centrale della cronachistica episcopale della Perejaslavl' russa. Ad opera di Mstislav, la terza redazione della Povest' vremennych let giunge a Perejaslavl' del sud. Qui essa dà inizio alla cronografia principesca. Da Perejaslav' del sud, insieme con le cronografie dei vescovi e dei principi, la Povest' vremennych let, in entrambe le sue versioni, giunge nella lontana Rus' nordorientale, a Vladimir Zalesskij, dove con essa si inizia la cronografia dei principi di Vladimir, quindi passa alla cronografia di Perejaslavl ' Zalesskij, di Tver ' e di altre città della Rus ' nordorientale. Insieme con le cronografie di Kiev la Povest' vremennych let s'inserisce nella cronaca di Galic e di Vladimir Volynskij. Molti particolari fanno pensare che la Povest' vremennych let, già nel xii secolo iniziasse la cronografia degli Ol'govici di Cernigov, dei Rostislavici di Smolensk e la cronografia episcopale di Rostov Velikij. In tutti questi centri - a Kiev e a Novgorod, a Perejaslavl' del sud e a Vladimir Zalesskij, a Vladimir Volynskij e a Galic, a Smolensk e a Rostov e a Perejaslavl' Zalesskij - la Povest' vremennych let penetra nelle cronache locali e diventa la guida del pensiero storico dei diversi centri feudali. Benché spesso abbiamo letto la Povest' vremennych let da semplici lettori, estraniandoci dalle concezioni storiche ufficiali, pure non ci è noto cosa comprendessero del suo contenuto i semplici lettori; come capissero, a quel tempo, le sue idee le classi sfruttatrici della società, manchiamo del necessario materiale d'indagine; però non possiamo tacere un fatto, qualcosa venne assimilato dell'idea e del contenuto della Povest' vremennych let: l'autore dello Slovo o polku Igoreve, infatti, utilizzò le notizie storiche della Povest' in modo sorprendente tenendo conto della concezione storica del tempo. Nello Slovo o polku Igoreve troviamo espressioni ed immagini che coincidono quasi perfettamente con quelle della Povest' vremennych let. L'autore dello Slovo parla del « prode » Mstislav Vladimirovic « che trafisse Rededja dinanzi all'esercito dei Kasoghi ». Nella Povest', all'anno 1022, troviamo il racconto di come Mstislav, dinanzi agli
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eserciti dei Russi e dei Kasoghi, vinse a duello il principe dei Kasoghi Rededja, e poi « estrasse il coltello e sgozzò Rededja ». Nello Slovo si dice che « Boris Vjaceslavic fu portato da vanagloria in giudizio »; nella Povest' vremennych let ne troviamo anche la spiegazione: nella battaglia sulla Nezatinaja Niva del 1078 venne ucciso Boris Vjaceslavic dopo che « s'era molto lodato »; Boris, prima della battaglia, s'era molto vantato dicendosi in grado di vincere tutti i suoi nemici « non sapendo che Iddio è contro l'orgoglioso ». Questo pensiero è tipico per il cronista, e l'autore dello Slovo poté apprenderlo soltanto dalla Povest' vremennych let. Nello Slovo troviamo ancora un piccolo episodio di storia russa, tratto dalla cronaca. L'autore dello Slovo ricorda che nel fiume Stugna affogò il giovane principe Rostislav: « Il Dnepr lo serrò dentro un gorgo presso la scura sponda. Piange la madre di Rostislav per Rostislav, giovane principe. Di pietà languono i fiori, e di pena piegò l'albero al suolo ». Ecco come lo stesso fatto viene riportato nella Povest' all'anno 1093: « Si cercò Rostislav e lo trovarono nel fiume, e lo portarono a Kiev, e pianse per lui la madre sua, e tutti gli uomini piansero molto per lui, a causa della sua giovane età ». L'autore dello Slovo rielabora poeticamente, in questo caso, il racconto della Povest'. Nello Slovo o polku Igoreve si trova anche l'immagine di Oleg Svjatoslavic e di Vseslav Polockij. La contrapposizione nello Slovo o polku Igoreve dei « primi » principi russi, che compirono campagne nei paesi lontani contro i nemici dei Russi (« Vladimir l'antico non si sarebbe lasciato inchiodare alle montagne di Kiev ») agli attuali principi, che mandano in rovina il popolo con le lotte intestine, si ritrova anche nella Povest', soprattutto in quella parte del documento dedicata ai racconti di Jan Vy"satic e ambientati alla druzina. Anche l'immagine dell'aratore tranquillo, contrapposta al terribile pericolo della guerra, è ispirata nello Slovo dalla Povest' vremennych let: « allorché il contadino comincerà a lavorare - dice Vladimir Monomach, all'anno 1103 della Povest', prima di iniziare la guerra contro i Cumani - giungerà il cumano, il quale lo ferirà con la freccia, e il cavallo di lui prenderà, andando per il campo prenderà la moglie di luí e i figli, e tutto il suo avere ». Monomach non riusd ad allontanare il pericolo della guerra nella Rus'. Ricordando le terribili lotte intestine di Oleg Svjatoslavic al tempo di Monomach, l'autore dello Slovo o polku Igoreve con rammarico dice: «Di rado si davano la voce per la terra russa i contadini ». Abbiamo cosf una chiara immagine, data in chiave di poesia, nelle parole del contemporaneo e an-
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tipode di Oleg Gorislavic: Vladimir Monomach, annotate e tramandate dalla Povest' vremennych let. Le pagine di poesia tratte dall'autore dello Slovo dalla Povest' vremennych let si riconoscono subito: il duello di Mstislav Vladimiroviè con il principe dei Kasoghi Rededja, la tragica morte di Boris Vjaceslavic, la morte del «giovane» Rostislav e il pianto di sua madre. Senza considerare l'abile impiego di questi episodi nello Slovo e l'elaborazione poetica di essi, la sola scelta di questi fatti, insignificanti ed episodici nella Povest' vremennych let, ma commoventi per il loro contenuto intimamente umano, mostra che nella persona dello autore dello Slovo o polku Igoreve la Povest' vremennych let trovò un lettore attento e sensibile alla sua viva bellezza. E non soltanto l'autore dello Slovo o polku Igoreve utilizzò la Povest' vremennych let; rinvii alla cronaca di Nestor si trovano anche nel Kievo-Pecerskij Paterik, e ancora in molte altre opere del xii e del xiza secolo, e nei documenti letterari del genere della Paleja, del Prolog, dell'Ellinskij letopisec e del Rimskij letopisec. Il valore della Povest' vremennych let crebbe ancora di piú nei duri anni dell'assoggettamento ai Tatari. Le numerose copie della Povest' che aprono la serie delle cronache locali (cittadine, principesche, episcopali, monasteriali) ricordano al popolo russo i tempi della sua indipendenza, la ormai scaduta potenza della patria, la necessaria unificazione per la lotta contro il terribile nemico. Gli appelli della Povest'. alla lotta contro i nomadi della steppa, i Cumani, venivano intesi anche come appelli alla lotta contro i Tatari. Questo era detto in modo particolarmente chiaro nel racconto della cronaca dí Mosca a proposito dell'incursione nemica riportata all'anno 1409. Il cronista di essa rimanda direttamente all'autorità del «cronista primigenio », Silvestr, uno dei redattori della Povest' vremennych let; e, comparando gli avvenimenti del passato con quelli del presente, identifica i Cumani con i Tatari, come nemici per eccellenza del popolo russo. A Mosca la Povest' vremennych let giunse in due copie: una redatta a Tver' e l'altra a Niznij Novgorod. In entrambe le cronache la Povest' vremennych let si accosta molto ad una delle migliori redazioni esistenti, quella Lavrent'evskaja. La Lavrent'evskaja letopis' derivò dal corpus di Tver' redatto nell'anno 1305 e dette poi inizio alla cronaca della città di Niznij Novgorod. In seguito, alla fine del secolo xvl, l'interesse agli avvenimenti della Rus' kieviana, a Mosca crebbe a tal punto che la Povest' vremennych let, che aveva dato il via agli ampi corpus moscoviti, cominciò
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gradualmente ad esser completata da fonti di altro genere: dal KievoPecerskij Paterik, dalle diverse redazioni del Zit'é Borisa i Gleba, da alcune cronache antiche, a noi rimaste ignote (e che sono prova dell'instancabile ricerca da parte dei «letterati» moscoviti) e anche dalle byliny (come ad esempio il corpus cronachistico Nikonovskij). La Povest' vremennych let, sia nel xvi secolo sia nel xvii, continuò ad essere al centro della vita politica di Mosca. I principi moscoviti e gli zar derivarono la propria stirpe da Monomach e pretendevano l'eredità di tutte le sue terre, per cui erano entrati in lotta con la Lituania e con la Polonia per la conquista di Cernigov, Smolensk e Kiev, facendosi forti degli avvenimenti storici dei secoli e cosí la Povest' vremennych let (nelle sue diverse redazioni con le sue ripetizioni e con le sue interpolazioni) continuò ad essere il libro preferito fino a tutto il secolo xvil. Il significato della Povest' vremennych let fu tanto grande nella vita russa che ad essa rivolsero l'attenzione anche gli stranieri che si trovavano in Russia nei secoli xvi e xvii. All'inizio del xvi secolo, Gerberstein s'interessò alla storia russa. Egli iniziò un'esposizione di essa partendo dagli avvenimenti descritti nella Povest' vremennych let. In seguito anche altri viaggiatori stranieri s'interessarono alla cronaca russa. Una raccolta delle cronache russe, all'inizio del xviii secolo, venne iniziata per ordine di Pietro (1713). E sempre per ordine di Pietro una copia della redazione Radzivilovskaja che si trovava nella Biblioteca di Kònigsberg venne riportata in Russia. Nella raccolta Radzivilovskaja venne pubblicata, per la prima volta la Povest' vremennych let nel z767 ' . In seguito la Povest' vremennych let venne piú volte edita insieme con altre cronache, o in volume a sé, tra l'altro nel Polnoe sobranie russkich letopisej, che vide la luce nell'anno =84=, e che a tutt'oggi non è stato ancora completato. Allo studio della Povest' vremennych let sono dedicati centinaia di lavori. Non v'è stato un solo storico russo che, occupandosi della Rus' kieviana, non abbia dedicato ad essa anche soltanto qualche pagina. Non v'è stato alcuno storico della letteratura antica russa che non ne abbia rilevato l'immenso valore come monumento della letteratura russa kieviana. Lasciamo da parte tutti i problemi particolari, sollevati nella letteratura russa colta a proposito della Povest' vremennych let e fer1 Biblioteka rossijskaja istoriceskaia, soderzascaja drevnija letopisi, i vsjakija zapiski, sposobstvujuscija k ob-jasneniju istorii i geografii rossijskoj drevnich i srednich vrenaen, SanktPeterburg 1767, parte I.
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miamoci soltanto ad un problema: quello del carattere nazionale e precipuo della Povest' vremennych let. Tutto quanto è stato detto ci autorizza ad affrontare questo problema ora che conosciamo profondamente la storia di questa opera colossale della nostra antichità. Per lungo tempo fu d'uso spiegare l'origine della cronaca russa e lo stesso suo carattere con l'influenza che su di essa ebbero le cronache bizantine. Questa ipotesi era strettamente legata alla particolare opinione che si aveva della cultura dell'antica Rus ' (in particolare degli albori di essa) che portava a far derivare l'antica cultura russa da Bisanzio, e cioè l'architettura, la pittura, la scultura e la letteratura. Questa opinione, a proposito della cronaca russa venne espressa dallo Schlòzer, alla fine del xvIII secolo ' ; essa, non convalidata da alcuno studio critico, entrò facilmente nella scienza « borghese » in quanto un'analisi della cronaca, come documento letterario, in sostanza non era stata quasi ancora fatta. « Ad alcuni studiosi - scriveva I. I. Sreznevskij - sernbra chiaro che i primi modelli di cronache ad imitazione delle quali cominciarono ad essere redatte le cronache russe, ci pervennero dalla Grecia, e che le piú antiche delle nostre cronache fossero copie di cronache bizantine. Molte circostanze confermano questa ipotesi chiaramente ed incontestabilmente» Z . Le «molte circostanze» per l'antica storiografia erano, in sostanza, i casi in cui nella Povest' vremennych let erano state utilizzate fonti storiche greche: la cronaca di Amartolo e del suo successore, quella del patriarca Niceforo, il De vita di Basilio il Nuovo, ecc., menzionate a volte giustamente, e a volte ingiustamente (come nel caso in cui venivano indicate come fonti della Povest' cronache cui il cronista non aveva affatto attinto). La Povest' vremennych let s'era servita della letteratura greca tradotta esclusivamente come fonte storica. In questa utilizzazione non c'era quindi maggiore « imitazione » delle cronache bizantine che in un altro qualsiasi lavoro storico del tempo. fuori discussione che la Povest' vremennych let con le molte notizie sulla storia mondiale, e su quella russa in particolare, sia legata alla letteratura storica bizantina tradotta, ma non è neppure il caso di parlare di «influenza» di queste fonti storiche bizantine. La forma delle cronache bizantine non è affatto riflessa nella Povest' vre1 A. SCHLÓZER, Nestor, Sankt-Peterburg 1909, t. I, pp. 17, 2 L I. sREZtaEVSxi,T, Ctenija o drevnerusskich letopisjach, Akademii Nauk», Sankt-Peterburg 1862, pp. 9 sgg.
x8 ed altre. supplemento al t. II dei «Zapiski
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mennych let. L'esposizione del materiale storico nella Povest', ordinato per anni, rimane notevolmente differenziata dal racconto cronachistico bizantino che si svolgeva basandosi sulle dinastie degli imperatori. Il cronista semplifica anche la lingua del testo tradotto, avvicinandola piú che mai alla lingua parlata del tempo. E lo stesso contenuto delle cronache bizantine non lasciò alcuna influenza sulla cronaca russa. La Weltanschauung storica russa si formò nella Rus ' . Le idee politiche della cronaca furono le idee della realtà russa. La Povest' vremennych let si avvalse sí della letteratura bizantina tradotta come fonte storica, ma questa utilizzazione fu creativa e attiva. Il cronista, non a caso, attinge notizie sulla storia mondiale dalla letteratura storica del paese piú progredito del medioevo europeo. Questa letteratura fu all'altezza del cronista. Nella creazione della storia russa non vi fu imitazione da Bisanzio né nella forma, né nel contenuto; nella Povest' vremennych let vi è stata l'utilizzazione delle opere storiche bizantine come fonti storiche di storia russa, ma essa fu data dalla consapevolezza che Rus' e Bisanzio si trovavano su di un medesimo piano. La Povest' vremennych let, come abbiamo visto, fu creata nella atmosfera di uno straordinario interesse di tutto il popolo russo verso la propria storia. Essa rispondeva a necessità del popolo e della classe dirigente. Essa, in molti casi, era condizionata dagli avvenimenti storici russi, vivi nella tradizione orale e utilizzava soprattutto le fonti storiche orali e le forme tradizionali della lingua letteraria orale. Recentemente M. D. Priselkov ha tentato, ma senza successo, di dimostrare ancora la dipendenza della cronografia russa dalla storiografia bizantina. M. D. Priselkov ritiene che la stesura del primo corpus cronachistico del 1039 fu dovuta all'iniziativa personale del metropolita greco di Kiev Teopempt, il quale « entrato nella nuova metropolia del patriarcato di Costantinopoli, si prefisse lo scopo di redigere una cronaca sull'origine dello stato di Kiev, sull'istituzione della sua metropolia »'. Altrove M. D. Priselkov si esprime in modo ancora piú esplicito: «L'amministrazione chiesastica bizantina richiedeva, in occasione dell'istaurazione di una nuova cattedra episcopale o metropolita, di compilare una nota di carattere storico sulle cause, il luogo e i protagonisti di questo avvenimento per permetterne la registrazione al Sinodo del patriarca a Costantinopoli. Senza dubbio, il nuovo metropolita "russo", arrivato a Kiev da Bisanzio dovette preoccuparsi PRISELKOV,
Oéerki cit., p. 82.
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della stesura di una siffatta nota, che (in quanto si trattava di una nuova metropolia dell'Impero presso un popolo che aveva una propria forma politica e che aveva stretto alleanza con l'Impero ed era entrato nella sua "egemonia") doveva trasformarsi poi in un breve studio storico sulle sorti di questo giovane stato politico»'. La tesi di M. D. Priselkov sarebbe valida solo nel caso in cui forma e contenuto del piú antico corpus cronachistico russo corrispondessero pienamente con forma e contenuto di analoghe «note storiche » bizantine. Per il momento è chiaro che anche la stessa scelta della lingua, russa e non greca, si trova in contraddizione stridente con l'affermazione di M. D. Priselkov. Replicando a coloro che sostenevano erroneamente l'origine bizantina della forma della cronaca russa, l'accademico N. K. Nikol ' skij giustamente sosteneva che il carattere, il tipo delle cronache russe non può essere riportato alle cronache bizantine: «Nonostante l'opinione invalsa sull'origine della cronografia russa è assolutamente assurdo pensare che cronache bizantine siano servite come modello al "racconto" sui Russi-Poliani. Nonostante la presenza delle interpolazioni di natura cronachistica greca, né per contenuto e per forma, né per gli episodi esposti e per tendenza, la parte introduttiva della nostra cronaca può essere accostata ai documenti cronachistici bizantini, tra i quali, finora, non se n'è riconosciuto alcuno che potrebbe esser servito da modello non soltanto agli articoli introduttivi, ma anche a quelli successivi Trattando delle peculiarità della cronaca russa, N. K. Nikol'skij sostituí la «teoria bizantina » con la teoria della dipendenza della cronaca russa da una supposta cronaca slava-occidentale 3, ma questa opinione, in genere, non ha incontrato approvazioni. La teoria da lui proposta risulta ancora meno convincente di quella della dipendenza bizantina. Dopo aver esaminato nel suo insieme la Povest ' vremennych let, affermiamo che le annotazioni cronachistiche russe non furono affatto redatte in una sola volta; esse derivarono dalle esigenze della vita russa e gradualmente si andarono plasmando quella forma e quelle peculiarità che costituiscono il carattere precipuo della cronaca russa differenziandola sia da quella bizantina, sia da quella europea-occidentale. » Z.
PRISELKOV, Istorija cit., p. 26; della stessa opinione è SACHMATOV, Raxyskaniya cit., PP. 416-17. Z N. K. NIKOL' SKIJ, Povest' vremennych let kak istocnik dlja istorii nacal 'nogo perioda russkoj pis'mennosti i kul 'tury, Leningrad 193 0 , pp• 45 sgg. 3 Ibid., p. 47.
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La Povest' vremennych let acquista il suo carattere sotto l'influenza delle esigenze proprie della stessa vita russa, ed è questa anche la spiegazione del suo carattere popolare, intimamente nazionale. La Povest' vremennych let riflette chiaramente, dunque, la vita della Rus' kieviana, i suoi uomini, la sua lotta politica, classista e feudale, la sua cultura, la sua posizione internazionale. Essa fu creata a poco a poco da diversi autori, seguendo la stessa evoluzione con cui andava trasformandosi la vita stessa. In essa non v'è ombra di finzione: tutto quanto in essa è scritto, è inteso dai cronisti come realtà, sia esso un avvenimento storico realmente accaduto e sia esso oggetto di credenze proprie dei cronisti. Ecco perché la Povest' vremennych let non soltanto racconta la storia russa, ma ci appare essa stessa un fatto di vita russa, di storia russa, di cultura russa. Le numerose fonti della Povest' vremennych let sono costituite dalla vita russa. Queste fonti confluiscono in essa in un'unica opera. In diverse decine di anni viene creata quest'opera che riflette in sé le idee sociali delle diverse classi e dei diversi centri feudali. Il suo unico alveo-guida è il corso della realtà russa. DMITRIJ S. LICHACF,V
Racconto dei tempi passati
Ecco il racconto dei tempi passati: da dove ha avuto origine la terra russa, chi a Kiev cominciò dapprima a regnare, e da dove la terra russa è sorta. Ecco, cominciamo questo racconto. Dopo il diluvio i tre figli di Noè - Sem, Cam, Jafet - si divisero la terra. E toccò l'oriente a Sem: la Perside, la Bactriana, e fino all'India in lunghezza, e in larghezza fino a Rinocorura, cioè da oriente e fino a mezzogiorno, e la Siria, e la Media lungo il fiume Eufrate, la Babilonia, la Corduena, gli Assiri, la Mesopotamia, l'Antica Arabia, l'Elymais, gli Indi, l'Arabia Felice, la Celesiria, Commagena, la Fenicia tutta. A Cam toccò la parte a mezzogiorno: l'Egitto, l'Etiopia confinante con gli Indi, l'altra Etiopia, dalla quale scaturisce il fiume Rosso Etiopico, che fluisce ad oriente, Tebe, la Libia, confinante con Cirene, la Marmarica, Sirte, l'altra Libia, la Numidia, la Massiria, la Mauretania prospiciente Cadice. Ebbe ad oriente: la Cilicia, la Panfilia, la Pisidia, la Mesia, la Licaonia, la Frigia, la Cabalia, la Licia, la Caria, la Lidia, l'altra Mesia, la Troade, l'Eolide, la Bitinia, l'antica Frigia; ed ebbe alcune isole: la Sardegna, Creta, Cipro e il fiume Geona, chiamato Nilo. A Jafet toccarono i paesi a borea e ad occidente: la Media, l'Albania, la Piccola e Grande Armenia 1, la Cappadocia, la Paflagonia, la Galazia, la Colchide, il Bosforo, i Meoti, i Derevi, i Sarmati, i Tauri z, la Scizia, i Traci, la Macedonia, la Dalmazia, i Molossi ' , la La «Piccola Armenia» è la parte piú occidentale dell'Armenia, ad ovest dell 'Eufrate, che formò un regno indipendente dopo il x9o a. C.; Vespasiano la congiunse alla Cappadocia per formare le due province di Armenia l e Armenia lI. La «Grande Arrnenia» (designata nel Vecchio Testamento come «Thagarma» e come «Ararat») si estendeva dal Ponto Eusino e dal Mar Caspio alla Assiria ed alla Media, ed era limitata a nord dalla Colchide. z È una popolazione, in parte nomade, che abitava il Chersoneso Taurico, cioè la Crimea. Gli abitanti della Molossis; in tal modo, nell'età classica, si designava la regione montuosa dell'Epiro di nord-est.
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Racconto dei tempi passatí
Tessalia, la Locride, la Pelenia, detta anche Peloponneso, l'Arcadia, l'Epiro, l'Illiria, gli Slavi, la Lichnitia', i paesi adriatici, il Mar Adriatico. Ebbe anche le isole: la Britannia, la Sicilia, l'Eubea, Rodi, Chio, Lesbo, Citera, Zacinto, Cefalonia, Itaca, Corfú, parte del paese asiatico, chiamato Ionia, e il fiume Tigri, che fluisce tra la Media e Ia Babilonia; fino al Mar Pontico, nelle regioni boreali, il Danubio, il Dnestr e i Monti Caucasici, detti Ungari, e da lí e fino al Dnepr, e gli altri fiumi: Desna, Pripjat', Dvina, Volchov, Volga, che fluisce ad oriente, nella parte di Sem. Nelle regioni di Jafet risiedono il [ popolo ] russo, il cudo, e tutti i popoli [ seguenti ]: Meri, Muromi, Vesi, Mordvi, Cudi del Zavoloc é, Permi, Peéorani, Emi, Ugri, Litvi, Zimegoli, Korsi, Letgoli, Ljubi. I Ljachi, e i Prussi, íCudi sono stanziati sulle rive del Mar Varjago. Lungo questo stesso mare risiedono i Varjaghi da qui verso oriente fino ai confini [con il territorio] di Sem; lungo questo stesso mare risiedono verso occidente fino alla terra degli Angli e fino [a quella] dei Volci. Della stessa stirpe di Jafet sono: i Varjaghi, gli Svedesi, i Normanni, i Goti, i Russi, gli Angli, i Galiziani, i Volci, í Romani, i Germani, i Carolingi, i Veneziani, i Genovesi ed altri [ popoli ], che sono stanziati da occidente al meridione e confinano con la stirpe di Cam. Sem, dunque, e Cam e Jafet si divisero la terra, dopo aver tirato a sorte - « che nessuno entri nella parte toccata al fratello, e che viva ciascuno nella propria parte ». Vi fu un popolo solo. E si moltiplicò l'uomo sulla terra e decisero di erigere una torre [alta] fino al cielo; [questo] al tempo di Nektan e Faleg. E si riunirono nella località campo di Sinear per erigere la torre [ alta ] fino al cielo e [per fondare] la città di Babilonia intorno ad essa; e costruirono la torre per quarant'anni, e non fu ultimata. E discese il Signore Iddio a vedere la città e la torre, e disse il Signore: « Ecco, una stirpe sola ed una lingua sola ». E confuse Iddio i linguaggi, e [li] divise in settanta e due lingue, e [li] disperse per tutta la terra. Dopo la confusione delle lingue Iddio con un vento grande distrusse la torre, e vi è segno di essa tra Assiria e Babilonia, ed essa è in altezza e in larghezza in cubiti 5433 cubiti, e per molti anni ne è rimasto segno. Dopo la distruzione della torre e dopo la suddivisione delle lingue toccarono ai figli di Sem i paesi orientali, e ai figli di Cam i paesi meridionali. A quelli di Jafet toccò l'occidente e i paesi settentrionali. Da queste settanta e due lingue derivò la favella slava; dalla stirpe di Jafet, i Norici, i quali sono slavi. Regione del lago Lichnitis (oggi lago Sevanga); lago dell ' Asia Minore, tra i fiumi Araye e Cyrrus.
Racconto dei tempi passati
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Dopo molti anni si stabilirono gli Slavi lungo il Danubio, ove è ora la terra Ungara e la Bulgaria. E da questi Slavi si sparsero [gruppi] per la terra e si chiamarono con nomi propri, a seconda del territorio che occuparono. Cosí quelli che giunti si stabilirono sul fiume a nome Morava, si chiamarono Moravi, e altri si chiamarono Cechi. Ed anche costoro erano slavi; i Croati bianchi', e i Serbi, e i Chorutani. I Volci assalirono gli Slavi sul [le rive del] Danubio, e stabilitisi tra essi e incalzatili, questi Slavi, giunti, si stabilirono sulla Vistola, e si chiamarono Ljachi, e di questi Ljachi [alcuni] si chiamarono PolianiZ, altri Ljachi Ljutici, altri Mazoviani, altri Pomorani. E cosí quegli Slavi che, giunti, si stabilirono lungo il Dnepr si chiamarono Poliani, e altri Drevliani', perché si erano stabiliti nei boschi; e altri si stabilirono tra il Pripjat' e la Dvina e si chiamarono Dregovici altri si stabilirono sulla Dvina e si chiamarono Polocani, dal fiumicello che si getta nella Dvina a nome Polota, per questo si chiamarono Polocani. Slavi si stabilirono intorno al lago di Il'men', e si chiamarono con il proprio nome, e fondarono una città e la chiamarono Novgorod. E altri si stabilirono lungo la Desna, e il Sejm, e la Sula, e si chiamarono Severiani E cosí si diffuse il popolo slavo, e da esso anche la scrittura fu detta slava. Al tempo in cui i Poliani vivevano per proprio conto su quelle montagne, v'era un cammino dai Varjaghi ai Greci e dai Greci lungo il Dnepr, e sul Dnepr una via di alaggio fino al Lovat', e lungo il Lovat' si giungeva al grande lago di Il'men', da questo lago scaturisce il Volchov e si getta nel grande lago di Nevo e la foce di questo lago si getta nel Mar Varjago. E lungo questo mare [si può] andare fino a Roma, e da Roma giungere sempre per lo stesso mare a Costantinopoli, e da Costantinopoli giungere al mar Pontico, nel quale si getta il fiume Dnepr. Il Dnepr scaturisce dalla foresta di Okov, e fluisce a mezzogiorno, e la Dvina dalla stessa foresta scaturisce, e volge a mezzanotte e si getta nel Mar Varjago. Dalla stessa foresta fluisce la Volga ad oriente, e scaturisce con le settanta bocche nel Mar dei Chvalisi °. Cosí anche dalla Rus' si può andare lungo la Volga dai Bulgari e 4;
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' Da identificare con i Volyniani occidentali (nell'attuale Galizia). ^ Da pole («pianura») furono detti Poliani gli abitanti della zona pianeggiante della Rus ' meridionale compresa tra il Dnepr ed il Bug. Da drevo (« albero », «bosco ») furono chiamati Drevliani gli abitanti della zona boscosa della Rus ' meridionale situata a nord-ovest di Kiev. " Da drégva, dragva («palude») furono chiamati Dregovici gli abitanti della zona paludosa della Rus ' meridionale situata tra il Pripjat', il Dnepr e la Dvina. Da sever (« nord ») furono detti Severiani coloro che abitavano la zona a nord-est di Kiev. 6 Corrispondente al Mar Caspio. 9
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Racconto dei tempi passati
dai Chvalisi, e ad oriente giungere nella parte di Sem, e lungo la Dvina dai Varjaghi, dai Varjaghi a Roma, da Roma fino alla tribú di Cam. E il Dnepr sbocca con la foce nel Mar Pontico, il quale mare è detto Russo, lungo questo [ mare ] predicò, come si tramanda, Sant'Andrea, fratello di Pietro. Andrea dopo aver predicato a Sinope e giunto a Cherson, seppe come da Cherson è vicina la foce del Dnepr, e volle andare a Roma, e s'imbarcò alla foce del Dnepr, e da lí risalí lungo il Dnepr. E per caso giunse e si fermò ai piedi delle montagne sulla riva. E il mattino dopo si levò e disse ai discepoli che erano con lui: « Vedete queste montagne? - Ecco su queste montagne rifulgerà la grazia divina; sorgerà una città grande e molte chiese Dio innalzerà ». E salito su queste montagne, le benedisse, e [sulla cima ] pose una croce, e pregò Iddio e discese da quelle montagne, dove piú tardi fu Kiev, e risalí lungo il Dnepr. E giunse presso gli Slavi, là dove oggi è Novgorod, e vide qui gli uomini che vi abitano, quali sono i loro costumi, e come si lavano e si frustano, e se ne stupí. E andò dai Varjaghi, e giunse a Roma, e raccontò, quanto aveva appreso e quanto aveva visto, e disse loro: «Cose mirabili ho veduto nella terra slava venendo qui. Ho veduto i bagni di legno, e come li riscaldano fino al color rosso, e si spogliano, e sono nudi, e si rovesciano addosso kvas' da concia, e sollevano su di loro una verga giovane, e si fustigano da solí, e si battono tanto che ne escono appena vivi, e si spruzzano d'acqua gelida, e cosí si rianimano. E questo fanno ogni giorno, da nessuno torturati, ma essi stessi si torturano, e considerano questo come loro lavaggio, e non come tormento ». Coloro che udirono ebbero stupore. Andrea, dopo essere stato a Roma, andò a Sinope. I Poliani vivevano per proprio conto e si governavano con gente propria, che fino [ all'arrivo ] di quei fratelli era poliana, e viveva ciascuno con la propria gente e nella propria località, governando ciascuno i propri uomini. E vi furono tre fratelli: il nome di urio era Kij, e dell'altro Scek, e del terzo Choriv, e della sorella loro Lybed'. Viveva Kij sulla montagna, dove ora è il traghetto di Boricev, eScek viveva sulla montagna, che ora si chiama Scekovica, e Choriv su una terza montagna, [che] da lui ha preso il nome di Chorevica. E fondarono una città nel nome del fratello loro piú anziano, e la chiamarono dal nome di lui Kiev. Era vicino alla città un bosco e una pineta grande, e cacciavano le fiere, erano uomini astuti e sensati, si chiamarono Po11 kvas è una bevanda preparata con malto, acqua e cereali; ma qui deve piuttosto trattarsi di un kvas speciale usato per la concia delle pelli.
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liani, da loro [ discendono ] i Poliani che [ vivono ] a Kiev ancor oggi. Altri, invece, non informati, dicevano che Kij fu un battelliere, presso Kiev vi era, infatti, a quei tempi un transito sull'altra riva del Dnepr, per il che si diceva: traghetto di Kij. D'altronde, se Kij fosse stato un battelliere, non sarebbe andato a Costantinopoli; invece Kij governò la propria stirpe, e allorché si recava da un imperatore, come è fama, di grandi onori godeva dall'imperatore presso il quale andava. Nel tornare indietro, giunse al Danubio, e scelse una località, e [vi ] costruí una cittadina piccola, e voleva risiedere insieme con la gente sua, e non glielo permisero gli abitanti dei dintorni; per tale ragione ancor oggi i rivieraschi del Danubio chiamano quella cittadina Kievec. Kij, dunque, giunto nella sua città di Kiev, qui la sua vita finí; e i suoi fratelli Sek e Choriv e la sorella loro Lybed' qui morirono. E dopo [la morte di] questi fratelli i loro discendenti cominciarono a governare sui Poliani, e i Drevliani [ avevano ] il loro [principe], e i Dregovici il loro, e gli Slavi il loro a Novgorod, e un altro [principe era] sulla Polota, cioè presso i Polocani. Da questi [ultimi sono discesi] i Krivici, che risiedono sull'alta Volga, e sull'alta Dvina e sull'alto Dnepr, la città loro è Smolensk; qui, dunque, abitano i Krivici. Anche i Severiani [discendono] da loro. Sul Beloozero abitano i Vesi, e sul lago di Rostov i Meri, e sul lago di Klescino i Meri anche. E lungo íl fiume Oka, là dove esso si getta nella Volga, i Muromi con una propria lingua, i Ceremisi con una propria lingua, i Mordvi con una propria lingua. Poiché soltanto [ parlano ] la lingua slava nella Rus': i Poliani, i Drevliani, i Novgorodiani, i Polocani, i Dregovici, i Severiani, i Buzani, [chiamati cosí ] perché abitavano lungo il Bug, [ rna ] piú tardi [ chiamati ] Volyniani. E questi sono altri popoli che pagano il tributo alla Rus': i Cudi, i Meri, i Vesi, i Muromi, i Ceremisi, i Mordvi, i Permi, i Pecorani, gli Emi, i Litvi, i Zimegoli, i Korsi, i Noromi e i Livi: questi hanno una propria lingua, [discendono] dal ramo di Jafet, e vivono nelle regioni boreali. Mentre il popolo slavo, come abbiamo detto, viveva sul Danubio, giunsero dagli Sciti, cioè dai Chazari, i cosiddetti Bulgari, e si stabilirono lungo il Danubio e gli oppressori degli Slavi furono. In seguito giunsero gli Ugri bianchi ed ereditarono la terra slava. Questi Ugri cominciarono ad apparire ai tempi dell'Imperatore Eraclio, che aveva attaccato Cosroe, imperatore persiano. A quei tempi vivevano anche gli Obri, i quali mossero contro Eraclio 1 imperatore e poco mancò che lo facessero prigioniero. Questi Obri avevano combattuto Si riferisce alla spedizione degli Avari contro Bisanzio de16z6.
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contro gli Slavi, e avevano oppresso i Dulebi, che erano slavi, e violenza avevano usato alle donne dulebe: se uno degli Obri voleva andar [lontano], non dava ordine di attaccare un cavallo né un bue, ma ordinava di attaccare tre o quattro o cinque donne al carro e di trasportare l'obr, e cosí opprimevano i Dulebi. Erano gli Obri di corporatura grande e di mente proterva e Iddio li annientò, e morirono tutti e non restò neanche un obr. E vi è un detto nella Rus' in uso ancor oggi: perire come gli Obri; di loro non sono rimasti né razza, né eredi. Dopo di loro giunsero i Peceneghi; quindi giunsero gli Ugri neri presso Kiev, ma piú tardi al tempo di Oleg. I Poliani vivevano per proprio conto, come abbiamo detto, erano di razza slava, e si chiamavano Poliani; e i Drevliani anch'essi di [razza] slava e si chiamavano Drevliani; i Radimici e i Vjatici [discendono] dai Ljachi. Vi erano due fratelli tra i Ljachi - Radim [l'uno], e l'altro Vjatko - e i discendenti di Radim si stabilirono sul Soz', e si chiamarono Radimici, mentre Vjatko si stabilí con la gente sua lungo l'Oka, da lui [i discendenti] si chiamarono Vjatici. E vivevano in pace i Poliani, e i Drevliani, e i Severiani, e i Radimici, i Vjatici e i Croati. I Dulebi vivevano lungo il Bug, dove ora sono i Volyniani, mentre gli Ulici e i Tiverci vivevano lungo il Dnestr, e avevano il loro confine al Danubio. Essi erano in grande numero; erano stanziati lungo il Dnestr e fino al mare; ed esistono le città loro ancor oggi, esse furono dette dai Greci « Grande Scizia ». Avevano usi propri, e la legge dei loro padri e le tradizioni, e ciascuno [aveva] il proprio costume. I Poliani hanno gli stessi usi tranquilli e pacifici dei loro padri: rispettosi verso le proprie nuore e le sorelle, verso la madre e il genitore proprio, verso la suocera ed i.l cognato grande rispetto avevano; questo rito nuziale avevano: non andava il compare a prendere la fidanzata, ma [la] conducevano di sera, e il giorno dopo portavano quanto le spettava in dote. Invece i Drevliani vivevano in maniera bestiale, vivevano come bestie: si uccidevano l'un l'altro, mangiavano ogni sorta di immondezze e il matrimonio presso di loro non esisteva, ma venivano rapite le fanciulle presso le fonti. I Radimici, e i Vjatici, ed i Severiani avevano usanze comuni: vivevano nella boscaglia, proprio come bestie selvagge, nutrendosi di ogni sorta di immondezze, e facevano discorsi osceni dinanzi ai padri e alle nuore, e il matrimonio non esisteva presso di loro, ma organizzavano feste tra i villaggi, si riunivano a queste feste per danze e per ogni canto demoniaco, e qui rapivano le donne con le quali si erano accordati; aveva ciascuno due o tre donne. E se qual-
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cuno moriva, organizzavano la trizna' e facevano in suo onore un ceppo grande e deposto [il morto] sul ceppo, davano fuoco al morto, e quindi, raccolte le ossa, le mettevano in un vaso piccolo che collocavano su delle pertiche lungo le strade, cosí fanno i Vjatici ancor oggi. Tali costumanze avevano i Krivici ed altri pagani che ignoravano la legge divina, e se la facevano da loro. Dice Giorgio nella Cronaca: « Imperocché ogni popolo abbia o una legge scritta, oppure un'usanza che, coloro che non conoscono la legge, accolgano come tradizione paterna. Tra questi primi sono i Siriaci, che vivono ai confini della terra, per legge hanno i costumi dei propri padri: non fornicare e non commettere adulterio, non rubare, non calunniare, o uccidere, soprattutto non arrecare danno. La stessa legge hanno i Bactriani, chiamati rachmani-insulari, costoro, per insegnamento degli avi e per religione, carne non mangiano, né vino bevono, né fornicazioni commettono, né alcun male fanno, avendo gran timore di Dio; non cosí avviene tra i loro vicini Indi, assassini osceni collerici oltre ogni misura; e anche nelle regioni piú interne del loro paese essi gli uomini mangiano e i viandanti uccidono, e li divorano come cani. Una propria legge hanno i Caldei e i Babilonesi: si accoppiano con la madre, coi figli del fratello commettono fornicazione, e uccidono. Ed ogni turpe azione considerano virtuosa azione, anche se si trovano lontano dai paesi propri. Altra legge hanno i Geleani: le loro donne arano, costruiscono case e i lavori maschili fanno, ma in amore fanno ciò che vogliono, per niente trattenute dai loro uomini, e non hanno pudore, vi sono tra loro anche donne bellicose abili nella caccia alle bestie feroci. Comandano queste donne gli uomini propri e li sopra$anno. In Britannia molti uomini con una sola donna dormono, e molte donne con un solo uomo hanno commercio: e ciò che non è legittimo come legge dei padri compiono senza alcuna invidia e ritegno. Le Amazzoni marito non hanno, ma simili a bestie mutole una volta all'anno, al sopraggiungere della primavera, passano il confine; e si uniscono agli uomini [dei paesi] vicini, come una solennità e come una gran festa questo periodo considerano. Fecondate da essi nel ventre di nuovo fuggono tutte da lí. Al tempo in cui partoriscono, se nasce maschio lo uccidono; se è di sesso femminile [ lo ] allattano e [lo ] allevano con cura ». Cosí ecco ai nostri tempi, ancor oggi, i Cumani la legge conservano dei padri loro: versare sangue, e glorificarsene e nutrirsi di carogne e di ogni immondezza, di topi e di marmotte e accoppiarsi con la Si tratta di un festino funebre che precedeva il rito della sepoltura o della cremazione.
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matrigna loro e con le loro nuore, e seguire altri costumi dei loro padri. Noi cristiani, di ogni terra, che crediamo nella Santa Trinità, e in un unico battesimo, e in un'unica fede, un'unica legge abbiamo, in quanto in Cristo siamo stati battezzati e di Cristo siamo rivestiti. Dopo questi anni, alla morte dei fratelli, costoro [i Poliani], furono oppressi dai Drevliani e da altra gente vicina. E li assalirono i Chazari che vivevano su quelle montagne nei boschi, e dissero i Chazari: «Pagateci il tributo ». I Poliani, dopo essersi consultati, dettero una spada per focolare, e [le spade] portarono i Chazari al proprio principe e ai propri anziani e dissero loro: «Ecco, abbiamo portato un tributo nuovo ». E chiesero costoro: « Da dove? » Essi dissero: «Dal bosco sulle montagne al di sopra del fiume Dnepr ». Ed essi ancora: « Che cosa hanno dato? » E gli altri allora mostrarono le spade. E dissero gli anziani Chazari: «Non è un buon tributo, o principe! Noi abbiamo conquistato [ il tributo] con le armi a un sol taglio, cioè sciabole, e le armi di costoro sono a doppio taglio, cioè spade. Questa gente un giorno torrà tributo a noi e ad altre terre ». Ed avvenne tutto: non per loro volere avevano parlato, ma per suggerimento divino. Cosí anche al tempo di Faraone, imperatore egizio, allorché ebbero condotto Mosè dinanzi al Faraone, e dissero gli anziani al Faraone: costui metterà in soggezione la terra egizia, e cosí fu: perirono gli Egizi per mano di Mosè, e prima avevano lavorato per lui. Del pari anche quelli dominarono e poi furono dominati; cosí fu: dominano, infatti, i Chazari i principi della Rus' fino al giorno d'oggi. Anno 636o, x5a indizione. Con l'ascesa al trono di Michele, si cominciò a parlare di terra russa. Ciò è a noi noto, perché durante il regno di questo imperatore, mossero i Russi contro Costantinopoli, come è scritto nella Cronaca greca. Da qui, dunque, cominciamo e stabiliamo cosí le date. «Da Adamo al diluvio anni 2242; e dal diluvio ad Abramo anni iooo e 82, e da Abramo all'esodo di Mosè anni 430; e dall'esodo di Mosè a David anni 6oo e i; e da David e dall'inizio del regno di Salomone alla cattività di Gerusalemme anni 448; e dalla cattività [ di Gerusalemme ] ad Alessandro anni 318; e da Alessandro alla nascita di Cristo anni 333; e dalla nascita di Cristo a Costantino anni 318; da Costantino a Michele anni 542 ». E dal primo anno [ di regno ] di Michele al primo anno di regno di Oleg', principe russo, anni 29; e dal primo anno [ di regno ] di Oleg, giacché risiedette a Kiev, fino al primo anno [di regno] di Igor' anni 31; e dal primo anno [di regno] 1 Oleg (morto nel 912) è considerato principe russo soltanto dal tempo della sua ascesa al trono di Kiev; anteriormente, e cioè mentre regnava a Novgorod, era considerato soltanto mestnyj knjaz ' (« principe locale»).
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di Igor' al primo anno [di regno] di Svjatoslav anni 33; e dal primo anno [di regno] di Svjatoslav al primo anno [di regno] di Jaropolk anni 28; e Jaropolk regnò anni 8; e Volodimir regnò anni 37; e Jaroslav regnò anni 40. Cosí dalla morte di Svjatoslav alla morte di Jaroslav [passarono] anni 85; e dalla morte di Jaroslav alla morte di Svjatopolk anni 6o. Ma alle cose di prima torniamo e contiamo ciò che si compí in quegli anni, cosí come avevamo cominciato [ a partire] dal primo anno [ di regno] di Michele e in ordine disponiamo le date. Anno 636=. Anno 6362. Anno 6363. Anno 6364. Anno 6365. Anno 6366. Michele imperatore calò con l'esercito lungo la costa e per mare contro i Bulgari. I Bulgari comprendendo di non poter far loro fronte, chiesero di essere battezzati e di sottomettersi ai Greci. L'imperatore battezzò il principe loro e i boiari tutti, e la pace concluse con i Bulgari. Anno 6367. Levarono tributo i Varjaghi d'oltre mare sui Cudi e sugli Slavi, sui Meri e sui Vesi e sui Krivici. Mentre i Chazari lo riscotevano dai Poliani, e dai Severiani, e dai Vjatici riscotevano monete d'argento e pelle di scoiattolo per ogni focolare. Anno 6368. Anno 6369. Anno 6370. Scacciarono i Varjaghi al di là del mare, e non pagarono loro il tributo, e cominciarono da sé a governarsi, e non vi era fra loro giustizia, e si levò stirpe contro stirpe, e vi era fra loro discordia e cominciarono a combattersi essi fra loro stessi. E si dissero: « Cerchiamo un principe, il quale ci governi e giudichi secondo giustizia ». E andarono al di là del mare dai Varjaghi, dai Russi. Giacché questi Varjaghi si chiamavano Russi ', cosí come altri si chiamano Svedesi, altri Normanni, Angli, Goti, cosí anche questi. Dissero ai Russi iCudi, gli Slavi, i Krivici, e i Vesi: « La terra nostra è grande e fertile, ma ordine in essa non v'è. Venite a governarci e a comandarci ». E si riunirono tre fratelli con la loro gente, e presero seco tutti i Russi; e giunsero [ivi]; il piú anziano, Rjurik, si stabilí a Novgorod, e il secondo Sineus a Beloozero, e il terzo Truvor a Izborsk. E da questi Varjaghi prese nome la terra russa, i Novgorodiani, sono questi Novgo' Russi (o Ruotsi, o Rusi) è la denominazione di una tribú normanna.
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rodiani di stirpe varjaga, prima però erano slavi. Dopo due anni Sineus morí e anche il fratello suo Truvor. E assunse il potere Rjurik, e distribuí agli uomini suoi le città: ad uno Polock, ad un altro Rostov, ad un altro Beloozero. In queste città i Varjaghi sono immigrati, in quanto i primi abitatori a Novgorod erano Slavi, a Polock Krivici, a Rostov Meri, a Beloozero Vesi, a Murom Muromi; e su tutti costoro governava Rjurik 1. E aveva egli due uomini, non della stirpe sua, ma boiari, e questi chiesero [di andare] a Costantinopoli, con la gente propria. E si diressero lungo il Dnepr, e passandogli d'appresso videro sulla collina una piccola città. E chiesero e dissero: «Di chi è questa cittadina? » Risposero: « V'erano tre fratelli - Kij, 8cek, Choriv - ediàcarono questa cittadina, e sono morti, e noi discendenti qui dimoriamo e paghiamo i1 tributo ai Chazari ». Askol'd e Dir rimasero in questa città, e molti Varjaghi radunarono, e presero a governare la terra dei Poliani, intanto Rjurik regnava a Novgorod. Anno 6371. Anno 6372. Anno 6373. Anno 6374. Mossero Askol'd e Dir contro i Greci, e giunsero nel quattordicesimo anno [ di regno ] dell'imperatore Michele. Partito l'imperatore contro gli Agari, e giunto che fu al fiume Nero Z, il capo della città gli fece pervenire la notizia che i Russi contro Costantinopoli movevano, e ritornò l'imperatore. Costoro dopo essere entrati in Corno d'Oro, grande strage dei cristiani fecero, e con duecento navi Costantinopoli assediarono. L'imperatore a stento nella città entrò, e con il patriarca, con Fozio, nella esistente chiesa della Santa Madre di Dio a Blacherna tutta la notte preghiera innalzò, tra canti portarono fuori il manto divino della Santa Madre e nel mare l'orlo [di esso] bagnarono. Vi era calma, e il mare era quieto; improvvisamente, una tempesta si alzò con vento, e onde grandi, sollevandosi alternativamente, le navi dei Russi pagani spinsero lontano e contro la riva le scagliarono e le fracassarono a tal punto che pochi di loro a tale calamità sfuggirono e alle loro case tornarono. Anno 6375. Anno 6376. Inizio del regno di Basilio'. Soltanto nella Povest' vremennych let e nella Zadonscina (red. xv secolo), Rjurik viene considerato capostipite della dinastia principesca kieviana. Negli altri documenti russi medievali vengono menzionati come primi principi di Kiev Oleg e Igor ' . 2 Ci si riferisce probabilmente al Mauropotano, che scorre nella parte occidentale della Tracia e si getta nel Mar Nero. Basilio I regnò dall'867 all'886. La data riportata dalla Povest' vremennych let è, dunque, inesatta.
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Anno 637 7 . Fu battezzata tutta la terra bulgara. Anno 6378. Anno 6379. Anno 638o. Anno 638z. Anno 6382. Anno 6383. Anno 6384. Anno 6385. Anno 6386. Anno 6387. Morí Rjurik, dopo aver ceduto il principato suo ad Oleg, della sua stessa stirpe, e dopo aver affidato a lui il figliuol suo Igor', ancora fanciullo. Anno 6388. Anno 6389. Anno 6390. Avanzò Oleg, radunati guerrieri in gran numero: Varjaghi, Cudi, Slavi, Meri, Vesi, Kriviéi, e giunse a Smolensk con i Krivici, e occupò la città, vi stanziò i suoi uomini, e da lí discese, e occupò Ljubec', e vi insediò i suoi uomini. E giunto ai monti di Kiev, seppe Oleg che Askol'd e Dir' vi regnavano, e tenne celati i guerrieri nelle imbarcazioni, e altri indietro lasciò, ed egli stesso andò, recando seco Igor' bambino. E navigò fin sotto le montagne ungare, tenendo celati i propri uomini, e mandò ad Askol'd e Dir dicendo: « Noi siamo mercanti, e andiamo dai Greci per incarico di Oleg e del principino Igor ' . Venite incontro a noi, incontro a gente della vostra stirpe ». Askol'd e Dir andarono, e balzarono fuori tutti gli altri dalle imbarcazioni, e disse Oleg ad Askol'd e Dir: « Voi non siete né principi, né di stirpe principesca, ma sono io di stirpe principesca », e spinsero avanti Igor': « E questi è il figlio di Rjurik ». E uccisero Askol'd e Dir e li portarono sulla montagna, e li seppellirono sulla montagna che oggi è detta ungara, dove è ora il palazzo di Ol-ma, su quella tomba fondò 01-ma la chiesa di San Nicola; e la tomba di Dir è dietro [la chiesa] di Sant'Irene. E si stabilí Oleg principe in Kiev, e disse Oleg: «Sia questa la madre delle città russe ». E aveva presso di sé Varjaghi e Slavi e altri che si chiamavano Russi. Oleg fondò città ed impose tributi agli Slavi, ai Krivici, ai Meri, e dispose che da Novgorod venisse 1 Il contemporaneo governo di due principi non è frequente nella Rus '. Probabilmente Askol'd e Dir regnarono in epoche diverse, e furono invece tramandati come regnanti coevi dalla tradizione popolare. 1 interessante notare che in alcune cronache, posteriori alla Povest' vremennych let, Oleg non uccide Askol' d e Dir, ma Kij, ^cek e Choriv (cfr. al riguardo F. GiL,TARov, Predanija russkoj nacal 'noj letopisi, Moskva r878, pp. 126 sgg.).
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dato ai Varjaghi un tributo di 300 grivne' all'anno, per la tutela della pace, e [Novgorod] fino alla morte di Jaroslav pagò ai Varjaghi. Anno 6391. Oleg fece guerra ai Drevliani, e, assoggettatili, prese da essi il tributo di una martora per focolare. Anno 6392. Mosse Oleg contro i Severiani, e vinse i Severiani e pose su di loro un lieve tributo, e non permise loro di pagare il tributo ai Chazari, dicendo :« Io sono loro nemico, e a voi non spetta ». Anno 6393. [Oleg] mandò ai Radimici per dire: « A chi pagate il tributo? » Essi dissero: « Ai Chazari ». E disse loro Oleg: « Non date ai Chazari, ma date a me ». E dettero ad Oleg uno scellino a testa, cosí come ai Chazari avevano dato. E mentre regnava Oleg sui Poliani, e sui Drevliani, e sui Severiani, e sui Radimici, mosse guerra agli Ulici e ai Tiverci. Anno 6394. Anno 6395. Regnò Leone, figlio di Basilio, chiamato Leone, e il fratello suo Alessandro, essi regnarono anni venti e sei. Anno 6396. Anno 6397. Anno 6398. Anno 6399. Anno 6400. Anno 64o1. Anno 6402. Anno 6403. Anno 6404. Anno 6405. Anno 6406. Passarono gli Ugri presso Kiev per la montagna, che si chiama ora ungara, e giunti al Dnepr vi si accamparono: poiché essi erano nomadi come i Cumani. Ed erano giunti dall'oriente e andavano attraverso le montagne grandi che hanno nome montagne ungare, e presero a guerreggiare contro i Volci e gli Slavi che vivevano là. Abitavano qui prima gli Slavi, e i Volci avevano conquistato la terra slava. Quindi gli Ugri avevano cacciato i Volci ed avevano ereditato quella terra, e vi si erano stabiliti con gli Slavi, dopo averli assoggettati, e da quel tempo questa terra si chiamò terra ungara. E presero a combattere gli Ugri contro i Greci, e assoggettarono la terra trace e la Macedonia, fino a Tessalonica. E portarono guerra ai Moravi e ai Cechi. Era un unico popolo slavo: gli Slavi che abitavano lungo il Danubio, essi pure avevano assoggettato gli Ugri, e i Moravi, e i '
Era una moneta d'argento, usata anche come monile.
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Cechi, e i Ljachi, e i Poliani, che oggi si chiamano Russi. Per essi Moravi, dunque, per prima sono stati composti i libri con una scrittura detta slava, questa scrittura è la medesima presso i Russi e presso i Bulgari del Danubio. Vivendo battezzati gli Slavi e i principi loro, Rostislav, e Svjatopolk, e Kocel mandarono a dire all'imperatore Michele: « La terra nostra è battezzata, ma non abbiamo un maestro che ci istruisca, che ci insegni e che ci spieghi i testi sacri. Noi non comprendiamo né la lingua greca, né la latina, alcuni ci istruiscono in un modo ed altri in un altro. Perciò non comprendiamo i segni dei libri né la forza loro. Mandateci, dunque, maestri che possano spiegarci la lettera dei testi e il significato loro ». Udí ciò l'imperatore Michele, e convocò i filosofi tutti, e riferí loro tutte le parole dei principi slavi. E dissero i filosofi: « Vi è un uomo a Tessalonica a nome Leone. Questi ha figli che comprendono la lingua slava e ha due figli saggi filosofi ». Udito ciò, l'imperatore mandò a Tessalonica da Leone, dicendo: « Mandaci senza indugio i tuoi figli, Metodio e Costantino ». Udito ciò, Leone subito li mandò, e quelli giunsero dall'imperatore, che disse loro: « Ecco, ha mandato a me la terra slava per chiedere un maestro che potesse spiegare loro i libri sacri, questo desiderano ». E li convinse l'imperatore, e li mandò nella terra slava da Rostislav, e Svjatopolk e Kocel. Giunti [i fratelli ] presero a comporre le lettere dell'alfabeto slavo, e trascrissero gli Atti degli Apostoli e 1'Evangelo. E furono soddisfatti gli Slavi, allorché udirono della grandezza divina nella loro propria lingua. Dopo di ciò essi tradussero il Salterio, e l'Octoico, e gli altri libri. E si sollevarono alcuni contro di loro, mormorando e dicendo: « Nessun popolo deve avere un proprio alfabeto, ad eccezione degli Ebrei, e dei Greci, e dei Latini, secondo l'iscrizione di Pilato, che sulla croce del Signore è scritta ». Udito ciò, il Papa di Roma, biasimò coloro che mormoravano contro i libri slavi, dicendo: « Che si compia il verbo della Scrittura: "Tutte le genti lo magnificheranno"'; e ancora: "Tutti i popoli esalteranno la grandezza divina, cosi come ispirerà loro lo Spirito Santo". E se qualcuno biasima la scrittura slava, che sia scomunicato fino a quando non si sia ravveduto; costoro sono lupi, e non pecore, dai loro frutti li riconoscerete e guardatevi da loro. E voi, o figliuoli, ascoltate l'insegnamento di Dio e non respingete l'insegnamento della Chiesa, cosí come vi ha istruito Metodio, maestro vostro ». Costantino tornò indietro, e si recò ad istruire il popolo bulgaro, mentre Metodio rimase in Moravia. Di poi il principe Kocel 1
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nominò Metodio vescovo in Pannonia sul seggio del santo aposto lo Andronico, uno dei settanta, discepolo del santo apostolo Paolo. Metodio fece lavorare due preti abili amanuensi, e tradusse tutti i libri dalla lingua greca in slavo, in sei mesi, cominciando dal mese di marzo al giorno ventesimo sesto del mese di ottobre. Terminato che ebbe, rese dovuta lode e gloria a Dio che aveva concesso tanta grazia al vescovo Metodio, successore di Andronico. Infatti era stato maestro del popolo slavo l'apostolo Andronico. Presso i Moravi giunse e ivi insegnò l'apostolo Paolo; qui, prima che vi giungesse l'apostolo Paolo, era l'Illiria, ma vi erano gli Slavi prima. Ecco perché maestro del popolo slavo è Paolo, da quel popolo siamo [derivati] anche noi Russi, cosí anche di noi Russi è maestro Paolo; egli istruí il popolo slavo e per esso designò vescovo e vicario dopo di sé Andronico. E il popolo slavo e quello russo sono una sola cosa, dai Varjaghi [questo popolo] fu chiamato russo, ma prima era slavo; anche se si chiamavano Poliani, la lingua tuttavia era slava, si chiamavano Poliani poiché vivevano nella pianura', ma la lingua slava è una. Anno 6407. Anno 6408. Anno 6409. Anno 641o. L'imperatore Leone assoldò gli Ugri contro i Bulgari. Gli Ugri, assalitala, tutta la terra bulgara assoggettarono 2. Simeone, allora, venutone a conoscenza, contro gli Ugri si volse, e gli Ugri mossero contro e vinsero i Bulgari, cosí a stento Simeone a Dorostol ' fuggí. Anno 6411. Igor ' , giunto alla maggiore età, riscoteva i tributi dopo Oleg e [il popolo] lo ubbidiva, e gli fu condotta in moglie da Pskov [una donna] a nome Olga. Anno 6412. Anno 6413. Anno 6414. Anno 6415. Mosse Oleg contro í Greci, lasciato Igor' a Kiev, prese con sé un gran numero di Varjaghi, e Slavi, e Cudi, e Sloveni, e Krivici, e Meri, e Drevliani, e Radimici, e Poliani, e Severiani, e Vjaticí, e Croati, e Dulebi, e Tiverci, che sono interpreti `: tutti questi Cfr. p. 5, nota 2. z Qui si fa cenno al tentativo fatto dall'imperatore di Bisanzio, Leone il filosofo, di sottomettere la Bulgaria. In effetti, però, la spedizione degli Ugri contro i Bulgari non avvenne nel 902, ma nell ' 893. Dorostol (o Derestr) è una città situata sulla riva del Danubio (oggi Silistria). Nel testo: i Tiverci, jaze sut' tolkoviny: tolkoviny, dal verbo tolkovati («spiegare», «tradurre»), può essere efficacemente tradotto in italiano con «interpreti»; ed è interessante
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[ popoli ] sono chiamati dai Greci « Grande Scizia ». E con tutti questi mosse Oleg su cavalli e su navi, ed erano in numero di duemila navi. E giunse a Costantinopoli; e i Greci chiusero il Corno, e la città sbarrarono. E sbarcò Oleg sulla riva, e cominciò a combattere, e gran scempio fece presso la città dei Greci, e abbatté molti palazzi, e incendiò chiese. Ed ebbero i loro prigionieri, decapitarono alcuni, altri torturarono, altri abbatterono con frecce, e altri in mare gettarono, e molto altro male fecero i Russi ai Greci, come i nemici fanno. E ordinò Oleg ai guerrieri suoi di fabbricare delle ruote e di porre sulle ruote le navi. E con il favore del vento, alzarono le vele dal campo, e mossero verso la città. E i Greci, allorché videro ciò, si intimorirono e mandarono a dire: « Non far perire la città, ti daremo ciascuno il tributo che vorrai ». E fece fermare Oleg i guerrieri, e gli furono portati cibarie e vino, ma egli non li accettò: poiché erano preparati col veleno. E si intimorirono i Greci, e dissero: « Costui non è Oleg, ma San Demetrio, inviato contro di noi da Dio ». E ordinò Oleg di pagare un tributo alle sue duemila navi, in ragione di 12 grivne a testa e su ogni nave vi erano quaranta uomini. E i Greci acconsentirono ciascuno per quello [che poteva], e cominciarono i Greci a chiedere la pace e che non si combattesse sulla terra gréca. Oleg, allontanatosi di poco dalla città, iniziò a stipulare la pace con gli imperatori greci, con Leone ed Alessandro, e inviò loro in città Karl, Farlaf, Vel'mud, Rulav e Stemid, dicendo: «Dateci il tributo ». E dissero i Greci: « Ciò che vuoi ti daremo ». E ordinò Oleg di dare ai guerrieri delle duemila navi 12 gYivne per ogni scalmo, e di dare poi un tributo per le città russe: per prima a Kiev, quindi a Cernigov, a Perejaslavl ', a Polock, a Rostov, a Ljubec ' e alle altre città; in ciascuna di queste città risiedevano granduchi soggetti ad Oleg. «Allorché vengono i Russi, che prendano ciò che loro aggrada, nella misura che vogliono, e se vengono mercanti prendano un mensile per sei mesi, pane, vino, carne, e pesce e frutta. E che si preparino per loro bagni quanti ne vogliono. E di ritorno in patria, nella Rus', che prendano dall'imperatore vostro, per il viaggio, cibo, e ancore, e funi, e vele, e quanto altro hanno bisogno ». E si impegnarono i Greci, e dissero gli imperatori e i dignitari tutti: « Se vengono i Russi senza merci, non riceveranno alcun mensile: il principe [ russo ] proibisca con un proprio decreto ai Russi che vengono qui di commettere qualsiasi danno nei villaggi e nei paesi nostri. Giunti [qui] í Russi sosteranno notare che effettivamente i Tiverci, vivendo in stretto contatto con le popolazioni greche al sud della Rus' e conoscendone la lingua, bene avrebbero potuto svolgere tale mansione di nesso greco-russo.
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in San Mamas, e invierà il nostro impero [suoi uomini] affinché trascrivano i nomi loro, e [ soltanto ] allora riceveranno il loro compenso, prima [ quelli che vengono ] dalla città di Kiev, e poi [ quelli ] da Cernigov e da Perejaslavl', e dalle altre città. E che entrino in città attraverso un'unica porta con un messo dell'imperatore, senza armi, a cinquanta uomini alla volta, e che mercanteggino, come desiderano, senza pagare alcuna tassa ». Gli imperatori Leone ed Alessandro la pace conclusero con Oleg, accordandosi sul tributo e dandosi scambievole giuramento, baciarono la croce, e Oleg invitarono a prestare giuramento, e gli uomini di lui secondo la legge russa giurarono sulle proprie armi, e su Perun ; loro dio, e su Volos, dio degli armenti e stipularono la pace. E disse Oleg: « Cucite vele di seta per i Russi, e per gli Slavi di tela », cosí fu fatto. E appese lo scudo suo sulla porta in segno di vittoria, e partí da Costantinopoli. E alzarono i Russi vele di seta, e gli Slavi di tela, e il vento le strappò, e dissero gli Slavi: «Prendiamo le nostre rozze [vele], ché non sono fatte per gli Slavi quelle di seta ». E giunse Oleg a Kiev, portando oro, e sete, e frutta, e vino, ed ogni specie di tessuti operati. E appellarono Oleg grande: erano uomini pagani e barbari. Anno 64 i 6. Anno 64 z 7. Anno 6418. Anno 6419. Apparve una stella grande a ponente a forma di lancia. Anno 6420. Mandò i suoi uomini Oleg per concludere la pace e per stabilire patti tra Rus' e Grecia, e mandò a dire: « In conformità del precedente patto stipulato, con i medesimi imperatori Leone ed Alessandro, Noi, di nazionalità russa, Karl, Inegeld, Farlaf, Vel'mud, Rulav, Gudy, Rual'd, Karn, Frelav, Ruar, Aktevu, Truan, Lidul, Fost, Stemid, inviati da Oleg, granduca russo e da tutti i serenissimi e grandi principi che gli sono soggetti, e dai suoi grandi boiari, veniamo a voi, Leone e Alessandro e Costantino, grandi e potenti in nome di Dio, imperatori greci, per rafforzare e attestare l'amicizia esistente da molti anni tra i cristiani e i Russi, secondo il desiderio dei nostri granduchi e in conformità all'ordine di tutti i Russi che si trovano sotto il loro scettro. Nostra serenità, desiderando piú di ogni altra cosa, con l'aiuto divino, rafforzare e riconoscere tale amicizia esistente da tempo tra cristiani e Russi, abbiamo considerato cosa 2,
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È il dio della folgore presso gli Slavi pagani. Volos, presso gli Slavi pagani, era anche la divinità dei poeti.
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giusta, manifestare non solo con semplici parole, ma anche per iscritto e con saldo giuramento, prestando fede sulle nostre armi, e confermare e consacrare tale amicizia secondo la fede e la legge nostra. « Tali sono gli articoli del patto in conformità dei quali noi ci impegnamo secondo la fede divina e l'amicizia: in primo luogo, noi faremo la pace con voi Greci, e ci ameremo l'un l'altro con tutta l'anima e la buona volontà, e non permetteremo, per quanto è nostra volontà, che coloro che sono sottoposti ai nostri serenissimi principi commettano frode o delitto; ma cercheremo, per quanto è in nostro potere, di conservare negli anni futuri e per sempre con voi, Greci, un'amicizia duratura e immutabile, quale è quella che è stata conclusa, scritta e avvalorata dal giuramento. Cosí anche voi, Greci, manterrete tale amicizia, verso i nostri serenissimi principi russi e verso tutti coloro che si trovano sotto lo scettro del nostro serenissimo principe, incrollabile e immutabile, sempre e per sempre. « E per quanto riguarda il verificarsi di eventuali misfatti, cosí ci accorderemo: per quei misfatti che saranno manifesti, che siano considerati commessi; e per quelli per cui non vi sarà certezza, che sia fatta giurare quella parte che cerca di mostrarne l'infondatezza, e quando quella parte ha giurato secondo la propria fede, che la punizione sia tale quale la richiede il delitto. « Se un russo uccide un cristiano o un cristiano un russo, che gli sia data morte sul luogo del delitto. Se l'omicida fugge e se è proprietario, che la parte sua, proprio sua per legge, sia presa dal congiunto piú prossimo dell'ucciso, e la moglie dell'omicida avrà quanto le spetta secondo la legge. Se l'omicida fuggito è povero, allora rimarrà sotto giudizio fin quando non sarà trovato, e allora gli verrà data la morte. « Se qualcuno colpisce con una spada o con qualsiasi altra arma, allora per ogni ferita o colpo darà 5 libbre d'argento secondo la legge russa; se chi ha commesso tale colpa è povero, darà quanto può, e gli torranno perfino i vestiti che ha indosso; e, per la somma rimanente, che giuri, secondo la propria fede, che nessuno gli possa venire in aiuto e solo allora glielo si condoni. « Inoltre, se un russo deruba un cristiano, o viceversa un cristiano un russo, e dal derubato sarà colto il ladro proprio mentre sta compiendo il furto, o se il ladro è in procinto di rubare e viene ucciso, che non si incolpi della sua morte né il cristiano, né il russo; ma anzi costoro riprenderanno il proprio che avevano perduto. Se spontaneamente il ladro si arrende sarà preso ciò che di rubato possiede ed egli verrà legato e dovrà dare il triplo di quanto osò rubare. « Se qualcuno dei cristiani o dei Russi tenta con violenza un furto,
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e apertamente e con forza porta via qualcosa a qualcuno, allora darà il triplo. « Se verrà spinta da fortissimo vento una nave in terra straniera, ove siano dei Russi, e se occorresse rifare il suo carico e rimandarla in terra straniera, che la si conduca attraverso tutti i luoghi pericolosi fin quando non raggiunga un luogo sicuro; se questa nave a causa di un fortunale o per vento contrario non potrà fare ritorno ai suoi luoghi, noi, Russi, aiuteremo i rematori e li condurremo con il carico in salvo. Cosí pure se una calamità colpirà presso la terra greca qualche nave russa le faremo raggiungere la terra russa e che [i proprietari] vendano il carico di quella nave, e tutto quanto v'è da vendere in essa porteremo via noi, Russi. E quando verremo in Grecia o per commercio o per ambasceria dal vostro imperatore, noi lasceremo entrare onestamente le merci vendute delle loro navi. Se a qualcuno delle navi capita di essere ucciso da noi Russi, o di essere derubato [ da qualcuno] di qualcosa, che i colpevoli vengano giudicati secondo la pena su esposta. « Se qualche prigioniero di ambedue i paesi è tenuto con la forza nel proprio paese dai Russi, o dai Greci, perché venduto in quel paese, e se efEettivamente si appurerà che è russo o greco, che venga riscattato e che, riscattato, sia fatto tornare in patria, e che coloro che lo hanno riscattato prendano il prezzo del suo riscatto, e che venga proposto per il riscatto il prezzo del giorno di uno schiavo. Anche se sarà preso in guerra dai Greci che lo si faccia ugualmente tornare al suo paese, e il suo prezzo sarà pagato, come detto sopra, al prezzo d'acquisto. « Se è necessario muovere guerra, e questi [i Russi] vogliono onorare il vostro imperatore, e dopo qualche tempo, vogliono rimanere spontaneamente presso il vostro imperatore, che sia loro concesso di rimanere. « Circa i Russi e i moltissimi prigionieri. Coloro che sono giunti da qualsiasi regione nella Rus' e sono stati venduti come cristiani, e anche i prigionieri cristiani, venuti nella Rus' da qualsiasi altro paese potranno riscattarsi con 20 pezzi d'oro a testa, e potranno poi far ritorno in Grecia. « Se un servo russo sarà derubato, o fuggirà, o sarà venduto con la forza, e i Russi se ne dorranno, che espongano i fatti riguardanti il servo e lo potranno riportare nella Rus'; allo stesso modo se i commercianti perderanno uno schiavo e lo reclameranno, che lo cerchino, e ritrovatolo lo riprendano. Se qualcuno dei contendenti non permette di condurre inchieste, perderà la sua ragione.
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« Disposizioni per i Russi che lavorano in Grecia presso l 'imperatore cristiano. Se qualcuno di essi muore senza aver disposto per i suoi beni e se questi non ha parenti [in Grecia], che il suo avere sia devoluto nella Rus' a favore dei piú giovani congiunti. Se lascia di:sposizioni allora prenderà il suo avere colui che è stato designato erede del suo avere, e lo erediterà. « Disposizioni per i Russi esercitanti commercio. « Disposizioni per coloro che vanno in Grecia e rimangono indebitati... Se un malfattore non fa ritorno nella Rus', che i Russi lo richiedano all'impero cristiano, e cosí sarà catturato, e fatto tornare con la forza nella Rus'. Allo stesso modo si comporteranno i Russi nei riguardi dei Greci, nel caso succeda lo stesso. « Per attestare l'indissolubilità di questa pace già esistente tra voi, cristiani, e i Russi, l'abbiamo fatta da Ivan trascrivere su due fogli, di mano nostra e del vostro imperatore, e prestando [giuramento] dinanzi all'onorata croce e alla santa consustanziale Trinità dell'unico vero Dio vostro, li abbiamo consegnati ai nostri ambasciatori. Abbiamo prestato giuramento al vostro imperatore, posto da Dio, quale creatura divina, secondo la legge e secondo il costume del popolo nostro, e nessuno del nostro paese violerà neppure uno degli articoli stabiliti ctalla pace e dall ' amicizia. E abbiamo dato questo scritto ai vostri imperatori per la ratifica, per cui questo patto diventa la base del consolidamento, e dell'attestazione della pace esistente fra noi. Giorno 2 del mese di settembre; z5a indizione, anno 6420 dalla creazione del mondo ». L'imperatore Leone onorò gli ambasciatori russi con doni, oro, e broccati, e tessuti preziosi, e dette loro un seguito di suoi uomini affinché mostrassero loro le magnificenze della chiesa, e le stanze dorate e le ricchezze custodite in esse, una quantità di oro e sete e pietre preziose, e gli strumenti della passione del Signore e la corona, e i chiodi, e la porpora, e le reliquie dei santi; li istruí sulla propria fede e mostrò loro la vera fede. E quindi li lasciò andare nella loro terra con onore grande. Gli ambasciatori inviati da Oleg, tornarono ad Oleg, e riferirono tutti i discorsi dei due imperatori, come avevano concluso la pace, e del patto che avevano stipulato tra la terra greca e la russa, e del giuramento che non sarebbe stato trasgredito né dai Greci, né dai Russi. E visse Oleg, regnando a Kiev, in pace con tutti i paesi. E venne l'autunno, e si ricordò Oleg del cavallo suo, che aveva deciso di far nutrire, ma di non cavalcare. Giacché aveva domandato agli indovini e ai maghi: « A causa di che morrò? » E a lui aveva detto un mago: io
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« O principe! Il cavallo che ami e su cui cavalchi, a causa di quello morirai! » Oleg, dopo aver riflettuto, disse: « Mai piú monterò su lui e non lo vedrò mai piú ». E dette ordine di nutrirlo e di non condurlo mai da lui, e passò qualche anno senza vederlo, fin quando mosse contro i Greci. Essendo tornato a Kiev ed essendo trascorsi quattro anni, al quinto anno si ricordò del cavallo, a causa del quale gli indovini gli avevano presagito la morte. E chiamò il piú anziano degli scudieri, e disse: « Dov'è il mio cavallo, che avevo ordinato di nutrire e sorvegliare? » Costui disse: « È morto ». Oleg si mise a ridere e rimproverò il mago, dicendo: « Allora non dicono la verità gli indovini, ma sempre menzogne: il cavallo è morto ed io sono vivo ». E dette ordine di sellargli un cavallo: « Vedrò le sue ossa ». E giunse là dove giacevano le scarnite ossa sue e il cranio scarnito, e discese da cavallo, e ridendo disse: «E a causa di questo teschio m'avrebbe ghermito la morte? » E pestò col piede il cranio; e strisciando venne fuori un serpente dal cranio, e [lo] morsicò al piede. E di questo infermò e morí. E [lo ] pianse tutta la gente di gran pianto, e lo trasportarono e lo seppellirono sulla montagna, chiamata Scekovica; la sua tomba esiste ancora oggi, ed è chiamata la tomba di Oleg. E furono trentatré gli anni del suo regno. Non fa meraviglia che dalla magia sia stato originato il sortilegio, cosí come avvenne sotto il regno di Domiziano. Era noto un certo mago, a nome Apollonio di Tiana, che girava e operava da per tutto, e nelle città e nei villaggi, diabolici prodigi. Venuto da Roma a Bisanzio, fu pregato dagli abitanti del luogo di fare quanto segue: cacciare dalla città una quantità di serpenti e di scorpioni, perché non nuocessero agli uomini, domare la furia dei cavalli, dinanzi ad un'assemblea di dignitari. Cosí giunto anche in Antiochia, e pregato da quelli gli Antiocheni - tormentati da scorpioni e da zanzare, fatto uno scorpione di bronzo lo seppellí nella terra, e vi piantò su una piccola colonna di marmo, e ordinò agli uomini di prendere una canna e di andare per la città e di gridare, scotendo la canna: « sia la città senza zanzare ». E in tal modo scomparvero dalla città scorpioni e zanzare. E lo interrogarono ancora sui terremoti che minacciavano la città, tratto un sospiro, scrisse su di una tavoletta quanto segue: « povera te, o infelice città, molte volte sarai scossa, e dal fuoco sarai inghiottita, ti piangerà Oronte sulle rive ». Dí lui il grande Anastasio della città divina aveva detto: «1 prodigi di Apollonio ancora oggi in alcuni luoghi si verificano, alcuni di essi servono per cacciare gli animali quadrupedi, o uccelli che possono nuocere agli uomini, altri per trattenere le onde dei fiumi che straripano, e altri ancora per fugare la rovina e
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il danno esistente nell'uomo. Non solo, dunque, tante e tali cose mentre era in vita, compivano i demoni per suo tramite, ma anche dopo la sua morte, presso la sua tomba, in suo nome, altri facevano sortilegi per lusingare gli uomini meschini, spesso legati a tali cose dal diavolo ». E chi potrà dire di coloro che fanno seducenti prodigi? Un tale molto esperto di magia avrebbe sempre deriso il vate Apollonio come [uomo] non in possesso della vera saggezza filosofica; perché avrebbe dovuto fare, avrebbe detto, ciò che voleva solo con la parola e non servendosi di mezzi materiali. Tutto ciò capita per consenso divino e per opera del demonio, con tali cose si prova la nostra fede ortodossa, se è salda e forte, restando vicini al Signore e non lasciandoci distogliere dal nemico mediante illusori miracoli ed opere sataniche, compiuti dai nemici e dai servi del male. Ma alcuni hanno profetizzato anche in nome del Signore, come Balaam, e Saul e Caifa, ed hanno cacciato i. demoni come Giuda e i figli di Sceva. Perché molte volte la grazia opera anche per mezzo dei non degni, come alcuni testimoniano, giacché Balaam era estraneo ad ambedue, alla vita giusta e alla fede, ma ciò non di meno operò in lui la grazia per provvidenza degli altri. E Faraone era lo stesso, ma anche a lui era palese il futuro. E Nabucodonosor era trasgressore di leggi, ma anche egli predisse il futúro di molte generazioni, è questa una prova che molti ignoranti, prima della venuta di Cristo, facevano prodigi per allettare gli uomini che non comprendevano il bene, cosí Simone il mago, e Menandro e ancora altri, per i quali, in verità, si diceva: « non lasciatevi sedurre dai prodigi... » Anno 6421. Cominciò a regnare Igor ' dopo [la morte di] Oleg. Nello stesso anno cominciò a regnare Costantino, figlio di Leone. E i Drevliani si separarono da Igor', dopo la morte di Oleg. Anno 6422. Mosse Igor' contro i Drevliani, e avendoli vinti impose loro un tributo maggiore di quello di Oleg. In quello stesso anno Simeone di Bulgaria mosse contro Costantinopoli, e, conclusa la pace, tornò nel proprio paese. Anno 6423. Mossero i Peceneghi per la prima volta contro la terra russa e, dopo aver concluso la pace con Igor ' , giunsero al Danubio. Contemporaneamente mosse Simeone, tenendo sottomessa la Tracia, i Greci chiamarono in aiuto i Peceneghi. Allorché i Peceneghi giunsero e furono pronti contro Simeone, i duci greci si trovavano in discordia. Avendo visto i Peceneghi, che essi tra di loro erano in lotta, se ne tornarono alle proprie case, e i Bulgari combatteroino contro i Greci e i Greci furono fatti a pezzi. Simeone conquistò la città di Adriano, che precedentemente si chiamava la città di Oreste, figlio
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di Agamennone, che guarí da una malattia dopo essersi bagnato nei tre fiumi; da allora, per questo fatto, la città ha preso il suo nome. In seguito l'imperatore Adriano la restaurò, e in suo nome si chiamò Adriano, noi l'appelliamo Adrianopoli. Anno 6424. Anno 6425. Anno 6426. Anno 6427. Anno 6428. Fu nominato Romano imperatore dei Greci. Mentre Igor' combatteva contro í Peceneghi. Anno 6429. Anno 6430. Anno 6431. Anno 6432. Anno 6433. Anno 6434. Anno 6435. Anno 6436. Anno 6437. Calò Simeone contro Costantinopoli, e assoggettata la Tracia e la Macedonia, giunse a Costantinopoli con grandi forze, con gran pompa, e concluse la pace con l'imperatore Romano, e tornò al proprio paese. Anno 6438. Anno 6439. Anno 6440. Anno 6441. Anno 6442. Per prima mossero gli Ugri contro Costantinopoli, e assoggettarono tutta la Tracia; Romano concluse la pace con gli Ugri. Anno 6443. Anno 6444. Anno 6445. Anno 6446. Anno 6447. Anno 6448. Anno 6449. Mosse Igor ' contro i Greci. E i Bulgari la notizia inviarono all'imperatore: i Russi movevano contro Costantinopoli, su diecimila navi. Essi giunsero, e sbarcarono e presero a combattere i paesi della Bitinia, e combatterono lungo il Ponto [Eusino] fino ad Eraclea e alla terra della Paflagonia, e tutto il paese di Nicomede assoggettarono, e il Corno tutto incendiarono; e[gli uomini] catturarono, mutilarono alcuni, altri, sistemati a mo' di bersaglio, trafis-
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sero con dardi, li maltrattarono, legarono loro le mani dietro e conficcarono loro chiodi nel mezzo della testa. Molte sante chiese incendiarono, e monasteri, e villaggi bruciarono, e non poca ricchezza da ambedue le regioni tolsero. In seguito giunsero i guerrieri da oriente, il comandante Panthir, con quarantamila [uomini], Foka, il patrizio, con i Macedoni, Teodoro, il comandante alla testa dei Traci, con loro erano anche molti alti dignitari, e accerchiarono la Rus'. Tennero consiglio i Russi, armatisi, mossero contro i Greci e a causa del terribile combattimento che vi fu tra loro, a mala pena vinsero i Greci. I Russi tornarono alla loro druzina' verso sera, di notte salirono sulle navi e fuggirono. Li inseguí Teofane su di una nave provvista di fuoco, e mediante tubi cominciò a scagliare fuoco sulle navi russe. Ed era a vedersi uno spaventoso spettacolo. I Russi, avendo visto le fiamme, si gettarono [ alcuni ] nell'acqua marina, volendo salvarsi, e gli altri fecero ritorno alle loro case. Giunti alla propria terra, raccontò ciascuno a suo modo ciò che gli era accaduto e del fuoco delle navi: «Perfino la folgore - dicevano - quella dei cieli, possiedono i Greci, e la scagliarono [contro di noi], per questo non abbiamo vinto ». Giunto Igor', prese a radunare molti guerrieri, e mandò dai molti Varjaghi d'oltre mare, ad invitarli contro i Greci, volendo muovere di nuovo contro di loro. Anno 645o. Simeone mosse contro i Croati, e fu vinto dai Croati, e morí, lasciando Pietro, suo figlio, principe dei Bulgari. Anno 6451. Di nuovo mossero gli Ugri contro Costantinopoli, e dopo aver concluso la pace con Romano, se ne tornarono al proprio paese. Anno 6452. Igor' radunati molti guerrieri: Varjaghi, Russi, e Poliani, Slavi, e Krivici, e Tiverci, e, assoldati i Peceneghi, prese da essi gli ostaggi, andò contro i Greci, con navi e cavalli, volendo vendicare se stesso. Avendo udito ciò i Chersonesi, informarono Romano, annunziandogli: «Ecco, arrivano innumerevoli navi russe, hanno coperto íl mare le navi ». Cosí anche ai Bulgari inviarono la notizia, annunziando: «Arrivano i Russi, ed hanno assoldato i Peceneghi ». L'imperatore udito ciò, inviò ad Igor' i migliori dignitari, con l'implorazione: «Non venire, prendi piuttosto un tributo, come lo prese Oleg, aggiungerò ancora qualcosa a quel tributo ». E mandò cosí ai Peceneghi seta e molto oro. Igor', giunto al Danubio, convocò la 11 significato piú arcaico di druzina è« gente di casa», « servitú». In seguito il vocabolo acquistò quello piú ampio di H comunità ». Ed in tal senso è usato nella Russkaja pravda e in altri documenti coevi. In epoca ancora piú tarda assunse poi il significato di «unione di boiari e di principi». Nel nostro caso vuole piuttosto riferirsi all'esercito del principe.
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druzina, e si consigliò, e comunicò ad essa il discorso dell'imperatore. E la druzina di Igor' disse: « Se cosí dice l'imperatore, cosa vogliamo di piú? Senza combattere avremo oro, e argento, e seta. Forse che già si sa chi vincerà, se noi o loro? Chi fa lega col mare? Giacché noi non andiamo per terra, ma per la profondità marina: tutti minaccia una uguale morte ». Igor' prestò loro ascolto, ed ordinò ai Peceneghi di combattere contro la terra bulgara; mentre egli, dopo aver preso dai Greci oro e tessuti per sé e per tutti i guerrieri, tornò indietro, e giunse a Kiev, alla sua città. Anno 6453. Inviarono Romano, e Costantino, e Stefano ambasciatori ad Igor' per ristabilire la preesistente pace. Igor ' parlò con essi di pace. Mandò Igor ' í suoi uomini a Romano. Romano convocò i consiglieri e i dignitari. Condussero gli ambasciatori russi, ed ordinarono loro di parlare e di redigere [in un documento] entrambi i discorsi. « In conformità del preesistente patto, stipulato tra gli imperatori Romano e Costantino e Stefano, signori cristiani. Noi, sottoposti alla Rus', ambasciatori e mercanti: Ivor, ambasciatore di Igor', principe russo, e gli altri ambasciatori: Vuefast di Svjatoslav, figlio di Igor'; Iskusevi della principessa Ol'ga; Sludy di Igor', nipote di Igor'; Uleb di Volodislav; Kanicar di Predslava; Sichbern Sfandr della sposa di Uleb; Prasten di Turd; Libiar di Fast; Grim di Sfirka; Prasten Akun del nipote di Igor'; Kary di Tudk; Karsev di Turd; Egri di Evlisk; Voist di Vojk; Istr di Aminod; Prasten di Bern; Javtjag di Gunar; Sibrid di Aldan; Kol Klek; Steggi di Eton; Sfirka...; Alvad di Gudy; Fudri di Tuada; Mutur di Ut; i mercanti Aldan, Adulb, Iggivlad, Oleb, Frutan, Gomol, Kuci, Emig, Turobid, Furosten, Bruny, Roald, Gunastr, Frasten, Igeld, Turbern, Mony, Rual'd, Sven', Stir, Aldan, Tilen, Apub'ksar', Vuzlev, Sinko, Boric, inviati da Igor', granduca russo e da tutti i principi e tutti gli uomini della terra russa. E da quelli fu ordinato di rinnovare l'antica pace violata da molti anni dal diavolo, nemico del bene e amante della discordia, e di rafforzare l'amicizia tra i Greci e i Russi. «E il nostro granduca Igor ' , e i principi e i suoi boiari e tutti i Russi ci hanno inviato a voi, Romano e Costantino e Stefano, sommi imperatori greci per stringere un legame di amicizia con gli imperatori stessi, con tutti i dignitari e con tutti i Greci per sempre, fin quando splenderà il sole ed esisterà il creato. E chiunque da parte dei Russi avrà in animo di distruggere tale amicizia, se sarà cristiano riceverà la punizione da Dio Onnipotente, la condanna alla perdizione eterna; e se non sarà cristiano, non riceverà aiuto né da Dio né da
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Perun, non si potrà difendere con il proprio scudo, e perirà colpito dalla sua propria spada o dalla sua propria freccia e da ogni sua propria arma, e sarà schiavo in eterno. «E che il granduca russo ed i boiari suoi inviino in Grecia ai sommi imperatori greci navi quante ne vogliono, con ambasciatori e mercanti, cosí come da essi era stato disposto. Che gli ambasciatori portino distintivi d'oro, e i mercanti d'argento. Si rende ora noto che il vostro principe invierà un certificato al nostro imperatore; che gli ambasciatori e i mercanti inviati da loro portino un certificato da cui risulti: il numero delle navi inviate, in tal modo sarà a noi chiaro che tali navi sono arrivate con scopi pacifici. Se esse giungeranno senza certificato e si arrenderanno a noi, allora le sorveglieremo e le tratterremo fino a quando non prenderemo contatto con il vostro imperatore. Se l'equipaggio delle navi non si arrenderà, e opporrà resistenza, sarà ucciso, e noi non saremo responsabili della sua morte dinanzi al vostro imperatore. Se fuggirà o farà ritorno nella Rus', informeremo il vostro imperatore, e facciano come vogliono. Se i Russi sbarcheranno senza merci, non avranno lo stipendio mensile. Che il principe dia disposizioni ai suoi ambasciatori, e a tutti i Russi qui giunti, perché essi non commettano disordini nei villaggi, e nei nostri paesi. Appena giunti sosteranno nella chiesa di San Mamas; che il nostro imperatore mandi qualcuno per trascrivere i vostri nomi, e qui gli ambasciatori riceveranno lo stipendio che loro compete, e í mercanti lo stipendio mensile, per prima quelli della città di Kiev, poi di Cernigov, e di Perejaslavl' e delle altre città. Che entrino in città attraverso un'unica porta con un messo dell'imperatore e senza armi, cinquanta uomini alla volta, e che mercanteggino come desiderano e che vadano via di nuovo; e che il messo del nostro imperatore li difenda, se qualcuno, russo o greco, commetterà qualche ingiustizia, e che giudichi. I Russi, entrati in città, non dovranno fare alcun danno e non avranno il diritto di comprare seta del valore di oltre 50 pezzi d'oro; se qualcuno acquisterà seta di tale valore, che la mostri al rappresentante dell'impèratore, e costui dopo averla valutata gliela riconsegnerà. E i Russi che qui giungeranno riceveranno da noi tutto quanto occorrerà loro, viveri per il viaggio, e tutto ciò che serve alle navi, come è stato precedentemente disposto, e che tornino tranquilli al loro paese, e che non abbiano il diritto di restare in San Mamas. « Se uno schiavo russo fuggirà, e verranno a ricercarlo in un paese del nostro impero, se egli sarà in San Mamas lo riprenderanno, se non sarà trovato, dopo che i Russi cristiani avranno prestato giuramento secondo la loro fede e i non cristiani secondo la legge, che questi pren-
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dano da noi il valore di lui, già precedentemente disposto, in ragione di due pezze di seta per ogni servo. « Se qualcuno del nostro impero, o della nostra città, o un nostro servo di altre città fuggirà da voi, e dopo essersi impadronito di qualche cosa, la restituirà cosí come l'aveva rubata, egli pagherà la multa di due pezzi d'oro per ogni cosa rubata. « Se un russo tenterà un furto a danno di qualcuno del nostro impero, chi commetterà ciò sarà severamente punito; e dovrà pagare una multa due volte maggiore del prezzo della cosa rubata; e se un greco farà ciò a danno di un russo, riceverà la stessa punizione che ha ricevuto quegli. « Se un russo ruberà qualcosa ad un greco, o un greco ad un russo, egli dovrà rendere non solo la cosa rubata, ma anche il valore di essa; e se dimostrerà che la cosa rubata è stata già venduta, allora pagherà il doppio del valore di essa e sarà punito secondo la legge greca, e secondo il codice e la legge russi. « Se i Russi condurranno via prigionieri cristiani in nostro potere, se si tratterà di un giovane o di una buona ragazza, che diano per il riscatto =o pezzi di oro e che li prendano; se si tratterà di una persona di mezz'età, che diano 8 pezzi d'oro e che la prendano; se si tratterà di un vecchio, o di un fanciullo, che diano 5 pezzi d'oro. « Se presso i Greci vi saranno Russi ridotti in schiavitú, considerati prigionieri, che siano riscattati dai Russi per xo pezzi d'oro ciascuno; se un greco li comprerà, questi presterà giuramento sulla croce, e che riceva il prezzo che ha dato per loro. «E per quanto riguarda la regione di Cherson. Il principe russo non ha il diritto di combattere in nessuna città di questa regione, e questa regione non gli si sottometterà;. se d'altra parte il principe russo ci chiederà dei guerrieri per combattere, gli daremo quanto gli occorre. « E ancora, se i Russi troveranno una nave greca abbandonata in qualche luogo che non le arrechino alcun danno. Se qualcuno prenderà qualcosa da essa, o farà prigioniero qualche uomo dell'equipaggio o lo ucciderà, sarà giudicato secondo la legge russa e quella greca. « Se i Russi sorprenderanno i Chersonesi alle foci del Dnepr intenti alla pesca, che non facciano loro alcun male. E che i Russi non abbiano il diritto di svernare alle foci del Dnepr, a Beloobereg, né presso Sant'Eterio ' , ma che, con il sopraggiungere dell'autunno se ne vadano nella Rus' alle proprie case. '
Isola del Mar Nero, corrispondente all'odierna Beresan.
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« E ancora, su questo argomento, se giungeranno i Bulgari neri e combatteranno nella regione di Cherson, ordineremo al principe russo di non lasciarli passare: essi arrecherebbero danno anche al suo paese. « Se sarà commesso un delitto da parte di qualcuno dei Greci; sottomessi al nostro impero, non avete alcun diritto di punirlo, ma che per ordine del nostro imperatore riceva egli quella pena che si addice alla sua colpa. « Se un cristiano ucciderà un russo, e un russo un cristiano, che l'uccisore sia trattenuto dai parenti della vittima e che lo uccidano. « Se l'omicida si nasconderà e fuggirà e disporrà di proprietà, che i parenti dell'ucciso prendano il suo avere; se l'omicida non possiede nulla e si nasconderà che lo cerchino fin quando non si trovi, e che, una volta trovato lo si uccida. Se un russo colpisce un greco, o un greco un russo, con una spada, o una lancia, o con qualsiasi altra arma, che paghi per tale atto colposo 5 libbre di argento secondo la legge russa; se è povero, allora sarà venduto tutto quanto di suo sarà possibile vendere, perfino gli stessi abiti che ha indosso, e che gli tolgano anche quelli; solo quando avrà egli giurato secondo la propria fede di non possedere piú nulla, verrà rilasciato. « Se il nostro imperatore vorrà da voi dei soldati per combattere contro i nostri avversari, scriveremo al vostro principe, ed egli ce ne invierà quanti ne vorremo; e sarà nota cosí agli altri paesi quale amicizia vi è tra Greci e Russi. « Abbiamo scritto questo patto su due fogli, e un foglio verrà conservato nel nostro impero, in esso è la croce e sono trascritti i nostri nomi; e sull'altro foglio sono trascritti i nomi dei vostri ambasciatori e dei vostri mercanti. E allorché gli ambasciatori del nostro impero giungeranno, che siano condotti al granduca russo Igor' e alla sua gente; ed essi ricevuto il foglio, giureranno di osservare fedelmente ciò che abbiamo disposto e scritto su questo foglio, sul quale sono segnati i nostri nomi. «Noi, come cristiani, abbiamo giurato nella chiesa di Sant'Elia', nella Cattedrale, dinanzi all'onorata croce e a questo foglio, di osservare tutto quanto vi è scritto, e di non violare nulla di esso; e se qualcuno del nostro paese, o il principe o chiunque altro, cristiano o Una chiesa di Kiev esistente già nel 949; ed è ciò assai significativo: perché tale data attesta dunque l'esistenza del cristianesimo nella Rus ' ancor prima della conversione ufficiale del 988. Nella Bibbia è dato ad Elia il potere di far cadere fuoco dal cielo sui malfattori, ed egli s'innalza nel cielo su di un carro di fuoco. Questo particolare dovette colpire l'immaginazione degli Slavi, da poco convertiti al cristianesimo, e sant'Elia divenne il successore cristiano del pagano dio della folgore Perun.
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non cristiano, lo violerà, questi non riceverà alcun aiuto da Dio, e sarà schiavo per sempre in futuro, e verrà ucciso dalla sua propria arma. « E i Russi non battezzati deporranno i propri scudi e le proprie spade snudate, gli archi loro e le altre armi, per giurare che tutto ciò che è scritto su questo foglio, sarà osservato da Igor' e da tutti i boiari e da tutta la gente della terra russa per sempre in futuro. « Se qualcuno dei principi o degli uomini russi, cristiano o non cristiano, violerà ciò che è scritto su questo foglio, sarà degno di morire ucciso dalla sua stessa arma, e sarà maledetto da Dio o da Perun, perché ha violato il suo proprio giuramento. « E il granduca Igor' rafforzerà meglio la pace, e che questa giusta amicizia si conservi salda e duri fin quando il sole brillerà e il mondo esisterà, oggi e sempre ». Gli ambasciatori inviati da Igor', tornarono ad Igor' con gli ambasciatori greci, e gli resero noti tutti i discorsi dell'imperatore Romano. Igor' chiamò gli ambasciatori greci, chiese loro: «Dite, cosa vi ha detto l'imperatore? » E dissero gli ambasciatori dell'imperatore: « Ecco l'imperatore, lieto per la pace, ci ha inviato; egli desidera avere con i principi russi pace e amicizia. I tuoi ambasciatori hanno fatto prestare giuramento al nostro imperatore, ed egli ci ha mandato per far prestare giuramento a te e ai tuoi uomini ». Igor ' promise che cosí sarebbe stato fatto. Il giorno dopo Igor' chiamò gli ambasciatori, e andò sulla collina, sulla quale era Perun, e deposero le proprie armi, e gli scudi, e l'oro, e prestarono giuramento Igor' e i suoi uomini, i Russi pagani; mentre i Russi cristiani prestarono giuramento nella chiesa di Sant'Elia, che era su un ruscelletto al termine del pergolato di Pasynec; giacché questa era la Cattedrale, dato che molti erano i cristiani varjaghi e chazari. Igor', dunque, rafforzata la pace con i Greci, lasciò andare gli ambasciatori, non senza prima aver donato loro pellicce, e schiavi, e cera, e li lasciò andare; gli ambasciatori, giunsero dall'imperatore, e riferirono tutti i discorsi di Igor' e gli parlarono dell'amicizia di lui per i Greci. Igor' , dunque, cominciò a regnare a Kiev, stando in pace con tutti i paesi. E giunse l'autunno, ed egli cominciò ad avere in animo [una spedizione ] contro i Drevliani, desiderando ricevere un maggiore tributo. Anno 6453. In quell'anno disse la druzina di Igor': « I giovani di Svenal'd ' sono ben provveduti di al.ini e di indumenti, e noi siamo '
1 giovani di Svenal'd costituivano la giovane druzina del principe.
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nudi. Vieni, o principe, con noi per il tributo, e tu farai bottino e noi anche ». E lí ascoltò Igor', andò dai Drevliani per il tributo, e [lo ] aggiunse al precedente tributo, e sottomisero [i Drevliani] i suoi uomini. Prelevato il tributo tornò alla città sua. Mentre tornava indietro, dopo aver meditato, disse alla druzina sua: « Andate con il tributo in patria, e io ritornerò, ne riscuoterò ancora ». Lasciò tornare la sua druzina in patria, ed [ egli stesso] con una piccola druzina tornò indietro, desiderando grandi ricchezze. I Drevliani, avendo avuto sentore che egli veniva di nuovo, tennero consiglio con il loro principe Mal: « Se un lupo andrà continuamente all'ovile, porterà via tutto il gregge, finché non lo si uccide; cosí farà costui, se non lo uccideremo: ci manderà in rovina ». E mandarono da lui, dicendo: « Perché vieni di nuovo? Hai già preso tutto il tributo ». E non lí ascoltò Igor ', e usciti dalla città di Iskorosten' i Drevliani uccisero Igor', e la druzina sua; giacché erano in pochi. E fu seppellito Igor', e la sua tomba si trova presso la città di Iskorosten' nella terra dei Drevliani ancora oggi. Ol'ga si trovava a Kiev con suo figlio, il piccolo Svjatoslav, e il tutore di questi era Asmud, e il voevoda era Svenal'd, padre di Mstisa. Dissero i Drevliani: « Ecco, abbiamo ucciso il principe russo; prenderemo sua moglie Ol'ga, come sposa del nostro principe Mal e con Svjatoslav ci comporteremo come ci piacerà ». E mandarono i Drevliani i loro uomini migliori, in numero di venti con le navi ad Ol'ga, e giunsero nelle barche fin sotto Boricev. Giacché allora l'acqua scorreva intorno alla montagna di Kiev, e a valle non abitava alcun uomo, ma [ tutti ] sulla montagna. La città di Kiev era là, dove oggi è il palazzo di Gordjata e di Niki.for, e il palazzo del principe era in città, dove oggi è il palazzo di Vorotislavl' e di Cudin, e la trappola per gli uccelli l era fuori la città, e fuori la città era un altro palazzo, dove oggi sorge il palazzo del governatore, dietro la chiesa della Madre di Dio; sulla montagna, era il terem 2, questo terem era in pietra. E comunicarono ad Ol'ga che i Drevliani erano giunti, e li fece condurre Ol'ga in sua presenza e disse loró: « I buoni ospiti sono arrivati ». E i Drevliani dissero: « Siamo arrivati, o principessa ». E disse loro Ol'ga: « Parlate, perché siete venuti qui? » Dissero i Drevliani: « Ci ha inviati la terra drevliana, per dirti: tuo marito abbiamo ucciso, perché Grandi reti tese nelle sommità dei boschi e dei burroni per catturare gli uccelli. Esse sul finite del xix secolo venivano ancora usate in Siberia. z Dal greco tiépeµ.vov; nell'antica Rus' aveva questa denominazione un locale sito nella parte superiore di un palazzo ovvero un palazzo turrito. Quasi sempre il terem era riservato alle donne.
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il tuo uomo era simile ad un lupo nel saccheggiare e nel predare, ma i nostri principi sono buoni, essi hanno salvato la terra drevliana, vieni come sposa del nostro principe, [come sposa] di Mal; giacché il nome di lui era Mal, del principe dei Drevliani ». Disse loro Ol'ga: «Mi sono gradite le parole vostre, già mio marito non risusciterà; ma io voglio onorarvi domani dinanzi alla mia gente, ed ora andate sulle vostre imbarcazioni e rimanete su di esse a festeggiare, ed io domani vi manderò a chiamare, voi direte: non verremo a cavallo, non verremo a piedi, ma portateci sulle barche; e vi porteranno sulle barche »; e li lasciò andare alle navi. Ol'ga ordinò di scavare una fossa grande e profonda presso il terem, fuori città. E l'indomani Ol'ga, dal terem, mandò a chiamare gli ospiti, e fece dire loro :« Ol'ga vi chiama per [rendervi] onori sommi ». Ed essi dissero: «Non verremo a cavallo, non sui carri, non verremo a piedi, portateci sulle barche ». Dissero i Kieviani: « Non è dato a noi il volere; il principe nostro è stato ucciso, e la principessa nostra vuole sposare il vostro principe », e li trasportarono sulle barche. Essi sedevano in gran pompa orgogliosi, con grandi medaglie di metallo. E li guidarono al palazzo di Ol'ga, e mentre li trasportavano, fecero precipitare nella fossa loro e le barche. Chinatasi Ol'ga disse loro: «Vi si è fatto buon onore? » Essi allora risposero: «La nostra [morte] è peggiore della morte di Igor' ». E ordinò [ Ol'ga ] di seppellirli vivi, e furono seppelliti. E inviò Ol'ga ai Drevliani per dir loro: « Se davvero mi volete, mandate degli uomini scelti, perché io possa con grande onore venire in sposa al vostro principe, altrimenti non mi lasceranno venire i Kieviani ». Udito ciò i Drevliani, radunarono i migliori uomini che governavano la terra drevliana e la mandarono a rilevare. Quando giunsero i Drevliani, ordinò Ol'ga di preparare loro un bagno, dicendo cosí: « Dopo esservi ripuliti, venite da me ». Riscaldarono il bagno, ed entrarono i Drevliani, cominciarono a lavarsi; e rinchiusero dietro di essi le porte del bagno, e [Ol'ga ] ordinò di dar fuoco alle porte ed arsero tutti. E mandò ai Drevliani, dicendo cosí: « Ecco verrò da voi, preparate molto miele nella città, nella quale avete ucciso il marito mio, perché io possa piangere sulla tomba sua, e fare la trizna a mio marito ». Avendo udito ciò, essi raccolsero una gran quantità di rniele, e lo fecero cuocere. Ol'ga, allora, dopo aver preso con sé una piccola druzina, si avviò senza bagagli, e giunse alla tomba di lui, e pianse il marito suo. E ordinò agli uomini suoi di ricoprire la grande tomba e quando l'ebbero ricoperta, ordinò di preparare la trizna. Allora i Drevliani si sedettero a bere, e ordinò Ol'ga ai suoi giovani di servirli. E dissero í
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Drevliani ad Ol'ga: « Dov 'è la druzina nostra per mezzo della quale abbiamo mandato a rilevarti? » Ella rispose: « Viene dietro di me con la druzina di mio marito ». E quando i Drevlíani furono ubriachi, ordinò ai suoi giovani di bere in loro onore, ed ella stessa dette il via, e ordinò alla druzina sua di uccidere i Drevliani; e ne fece massacrare cinquemila. E Ol 'ga tornò a Kiev, e radunò un esercito per muovere contro i rimanenti di essi. Inizio del regno di Svjatoslav, figlio di Igor '. 946
Anno 6454. Ol'ga con il figlio suo Svjatoslav radunò molti e valorosi guerrieri, e mosse contro la terra drevliana. E si mossero contro i Drevliani. E allorché i due eserciti si scontrarono per la mischia, Svjatoslav gettò la lancia contro i Drevliani, e la lancia volò tra le orecchie del cavallo, e colpí alla gamba il cavaliere, giacché [ Svjatoslav] era ancora un fanciullo. E dissero Svenal'd e Asmud: «il principe ha dato il via; seguiamo, o druzina, l'esempio del principe ». E vinsero i Drevliani. I Drevliani, allora, si dettero alla fuga e si chiusero nella città loro. Ol'ga andò con il figlio suo contro la città di Iskorosten', perché erano stati loro [gli abitanti di questa città ] ad uccidere il marito suo, e stava presso la città con il figlio suo, quando i Drevliani si rinchiusero in città, e lottarono strenuamente da essa, essi sapevano di avere ucciso il principe e cosa [li attendeva] se si fossero arresi. E stette [ lí ] Ol'ga un anno, senza poter conquistare la città, e cosí decise di mandare alla città dicendo: « Cosa volete attendere? Ormai tutte le città vostre si sono arrese a me, e si sono irnpegnate per il tributo, e già lavorano i propri campi e la propria terra, mentre voi non pagando il tributo, vi preparate a morire di inedia ». I Drevliani dissero: « Noi saremmo contenti di pagare un tributo, ma tu vuoi vendicare il marito tuo ». Disse loro Ol'ga: «Ho vendicato già l'offesa del marito mio, quando vennero a Kiev una prima, e una seconda volta, ed una terza volta, quando preparai la trizna in suo onore. E non voglio piú vendicarmi; ma voglio prendere un piccolo tributo, e dopo aver concluso la pace con voi andrò via di nuovo ». Dissero allora i Drevliani: « Cosa vuoi da noi? Volentieri [ti] daremo miele e pelli ». Ella rispose: « Ora non avete né miele, né pelli, perciò vi chiederò poco: mi darete da ogni casa tre colombi e tre passeri a testa. Non voglio porre su di voi un gravoso tributo, come ha fatto il marito mio: per questo vi chiedo tanto poco. Vi chiedo poco perché avete già perduto molto durante l'assedio ». 1 Drevliani contenti, presero dalle
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948 949 950 95= 952 953 954
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case tre colombi e tre passeri a testa, e li mandarono ad Ol'ga per commiato. Ol'ga disse loro: «Ecco, anche voi vi siete assoggettati a me e a mio figlio; ma andate pure in città, ed io domani me ne allontanerò, e tornerò alla città mia ». I Drevliani con gioia entrarono in città, e comunicarono agli uomini [ ciò ], e se ne rallegrarono gli uomini in città. Ol'ga, distribuiti ad alcuni guerrieri i colombi, e ad altri i passeri, ordinò di legare a ciascun colombo e a ciascun passero una miccia, avvolta in una piccola pezzuola, [a sua volta] legata con un filo sottile ad ognuno di essi. E al crepuscolo, Ol'ga ordinò ai suoi guerrieri di lasciare andare i colombi e i passeri. Colombi e passeri volarono ai propri nidi: i colombi alle colombaie, i passeri sotto i tetti; e cosí arsero colombaie, tetti, stalle e fienili, e non vi fu una casa che non arse, né si potette domare il fuoco perché tutte le case erano in fiamme. E fuggiva la gente dalla città, ed Ol'ga ordinò ai suoi guerrieri di catturarla; cosí conquistò la città e la incendiò; ne fece prigionieri gli anziani, e uccise altri uomini, ed altri [ ancora ] dette come schiavi alla sua gente, e lasciò che i rimanenti pagassero il tributo. Ed imposero su di loro un forte tributo; due parti del tributo sarebbero andate a Kiev, e la terza parte ad Ol'ga stessa, a Vysgorod; giacché Vysgorod era la città di Ol'ga. E andò Ol'ga per la terra drevliana , con suo figlio e la druzina, per stabilire l'amministrazione dei tributi e delle imposte; e esistono i luoghi dei suoi soggiorni e delle sue cacce. E arrivò alla sua città di Kiev con il figlio suo Svjatoslav, e vi si fermò un anno. Anno 6455. Andò Ol'ga a Novgorod, e dette disposizione per i cimiteri e í tributi lungo la Msta e lungo la Luga per i canoni e i tributi; e vi sono per tutta la terra i luoghi ove essa andava a caccia, e attestati e villaggi e cimiteri; e la sua slitta si trova a Pskov; ed ancor oggi si conservano le reti da caccia lungo il Dnepr e la Desna; e ancora esiste il villaggio di Ol'ga. E, dopo aver organizzato [ogni cosa], tornò da suo figlio a Kiev, e lí visse con lui in perfetto accordo. Anno 6456. Anno 6457. Anno 645 8 • Anno 6459. Anno 646o. Anno 6461. Anno 6462. Anno 6463. Andò Ol'ga dai Greci, e arrivò a Costantinopoli. Era allora imperatore Costantino, figlio di Leone; e venne a lui Ol'ga; ed avendola vista molto bella d'aspetto e sensata, l'imperatore parlan-
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dole ebbe a meravigliarsi della sua intelligenza, e le disse: « Sei degna di regnare con me in questa città ». Ella allora, avendo compreso, disse all'imperatore: «Io sono pagana, se vuoi battezzarmi, battezzami tu stesso; altrimenti non mi battezzerò »; e l'imperatore la battezzò con il vescovo. Essendosi purificata, godé spiritualmente e materialmente; e la istruí il patriarca sulla fede, e le disse: « Sii benedetta tra le donne russe, perché tu ami la luce, e la tenebra hai rigettato; Ti benediranno i figli russi fino alle future generazioni dei nipoti tuoi ». E le dette i precetti sul regolamento della chiesa, sulla preghiera e sul digiuno, sulla carità e sulla conservazione della purezza del corpo. Ella, dunque, col capo chino, stava lí, ascoltava l'insegnamento, imbevendosene come spugna; e inchinandosi al patriarca, disse: «Con le preghiere tue, o vescovo, sia io difesa dalle insidie diaboliche ». Fu battezzata con il nome di Elena: questo era stato anche [ il nome ] della vegliarda imperatrice, madre di Costantino il Grande. E la benedisse il patriarca e la lasciò andare. E dopo il battesimo la chiamò l'imperatore, e le disse: «Voglio prenderti in moglie ». Ella disse: «Come vuoi che io sia tua moglie, se tu stesso mi hai battezzato e mi hai chiamato figlia? E tra i cristiani non v'è questa legge, e tu stesso lo sai ». E disse l'imperatore: «Mi hai vinto in astuzia, Ol'ga ». E le dette molti doni, oro e argento, sete e vasi di diverse specie e la lasciò andare, chiamandola sua figlia. Ella, volendo far ritorno alla propria casa, and® dal patriarca, chiedendo [ gli ] di benedirla di nuovo, e gli disse: « La gente mia è pagana e anche il figlio mio; che Dio mi preservi da ogni male ». E il patriarca disse: « Creatura fedele! In Cristo tu sei battezzata, e di Cristo ti sei rivestita, Cristo ti salverà: come ha salvato Enoc nei tempi remoti, e poi Noè nell'arca, Abramo da Abimelec, Lot dai Sodomiti, Mosè dal Faraone, David da Saul, i tre fanciulli dalle fiamme, Daniele dalle fiere, cosí anche te salverà dal diavolo e dalle insidie sue »; e la benedisse il patriarca e andò Ol 'ga tranquilla alla sua terra, e giunse a Kiev. Era accaduto come ai tempi di Salomone, [quando] era andata l'imperatrice di Etiopia da Salomone per ascoltare la profonda saggezza di Salomone, e costatò molta saggezza e ne ebbe prove: come lei anche Ol'ga [ ora ] benedetta cercava la vera saggezza divina, ma quella divina e non, come quella, la umana. Trovano, infatti, saggezza coloro che la cercano; «La saggezza predica fuori, nelle piazze alza la sua voce; davanti alle turbe declama, alle soglie delle porte della città pronunzia le sue parole e dice: e fino a quando, fanciulli, amerete la fanciullaggine... »'. Ol 'ga che ormai battezzata e in età maProverbi, I, zo-zz.
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tura amava la saggezza, cioè quanto di migliore c'è a questo mondo, aveva trovato una perla di pregevole valore: Cristo. Giacché Salomone aveva detto: « Soddisfare un desiderio fa piacere all'animo» ' ; e ancora: « Piega il tuo cuore alla prudenza » 2; « Io amo chi mi ama, e coloro che si fan premura di cercarmi, mi troveranno » 3. E il Signore aveva detto: « E chi verrà a me non sarà rigettato »'. Allorché Ol'ga giunse a Kiev, l'imperatore greco inviò a lei per dirle, cosí: « Ti ho fatto molti doni. Tu mi dicesti: quando tornerò nella Rus' molti doni ti invierò: servi, cera e pellicce, e guerrieri in aiuto ». In risposta Ol'ga disse agli ambasciatori: « Se tu, dunque, soggiornerai da me sulla Pocajna 5, cosí come io ho soggiornato al Corno, allora ti farò doni ». E cosí dicendo congedò gli ambasciatori. Visse Ol'ga con il figlio suo Svjatoslav, e la madre lo preparò a ricevere il battesimo, ma egli non pensava a questo e non le dava ascolto; se qualcuno desiderava essere battezzato, non lo ingiuriavano, ma si facevano beffe di lui. « Per coloro che non credono la fede cristiana è una mostruosità ». « Coloro che vagano nelle tenebre, non riflettono e non comprendono », e non conoscono la gloria del Signore. « Sono sordi i loro cuori, a fatica le loro orecchie sentono, e i loro occhi vedono ». Salomone aveva detto: « Le opere degli immondi sono le piú lontane dalla ragione »,«Perché invitai e vi siete rifiutati, stesi la mano e nessuno prestò attenzione; sdegnaste ogni mio consiglio e le mie ammonizioni avete trascurato » 6; « Perché ebbero in odio la disciplina, e non abbracciarono il timor di Dio, e al mio consiglio non hanno dato retta, sprezzarono ogni mia correzione» Cosí anche Ol'ga soleva dir spesso: « Io, o figlio mio, ho conosciuto Dio e godo; se tu lo conoscessi cominceresti anche tu a godere ». Egli non ascoltava ciò, dicendo: « Come potrei accogliere un'altra fede? La mia druzina riderebbe di questo ». Ella allora gli diceva: « Se tu ti battezzassi, allora tutti gli altri farebbero lo stesso ». Egli non ubbidí alla madre e continuò a vivere secondo i costumi pagani, non sapendo che chi non ubbidisce alla madre cade in disgrazia, come è stato detto: « Chi avrà maledetto il padre o la madre, sia messo a morte » 8. Ed egli per questo si adirò contro la madre. Salomone aveva detto: « Chi corregge il ' 2
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Proverbi, XIII, 19. Ibid., II, 2. Ibid., VIII, 17. Giovanni, VI, 37. Piccolo corso d'acqua, affiuente del Dnepr, bagna Kiev. Proverbi, I, 24-25. Ibid., I, 29-30. Esodo, XXI, 17.
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beffardo fa torto a se stesso, e chi amrnonisce l'empio si contamina»'; giacché le accuse degli immondi sono piaghe. « Non riprendere il beffardo affinché non ti odi » Z. Ma Ol'ga che amava il figlio suo Svjatoslav, diceva: « Sia fatta la volontà divina; se Iddio vorrà perdonare la stirpe mia e la terra russa, allora introdurrà nel loro cuore [lo stesso desiderio] di cui Dio a me fece dono, di rivolgersi a Dio ». E, cosí dicendo, pregava per il figlio e per tutti gli uomini notte e giorno, guidando il figlio suo fin che fu grande e fin che fu uomo. Anno 6464. Anno 6465. Anno 6466. Anno 6467. Anno 6468. Anno 6469 . Anno 6470. Anno 6471. Anno 6472. Allorché Svjatoslav crebbe e divenne uomo cominciò a radunare molti e valorosi guerrieri, e simile ad un leopardo, agile si moveva, molte guerre combatteva. Nelle spedizioni non portava con sé né carri, né pentole, né recipienti contenenti grassi, ma egli mangiava, tagliata sottilmente e dopo averla cotta sui carboni, carne di cavallo, di bue o di altro animale; non aveva tenda, si adagiava solo su qualche indumento e poggiava la testa su di una sella; cosí facevano anche tutti i suoi guerrieri. E inviava in terra straniera per dire: « Voglio muovere [1'esercito] contro di voi ». E andò al fiume Oka e sulla Volga, si scontrò con i Vjatici, e disse ai Vjatici: « A chi date il tributo? » Essi dissero: «Ai Chazari, diamo loro uno scellino ad aratro ». Anno 6473. Mosse Svjatoslav contro i Chazari; avendo avuto sentore di ciò, i Chazari gli andarono incontro guidati dal loro principe Kagan, e si scontrarono, e, nella battaglia Svjatoslav sopraffece i Chazari e ne conquistò la città di Belaja Veza'. E gli Osseti vinse, e i Kasoghi. Anno 6474. Svjatoslav vinse i Vjatici, e impose loro un tributo. Anno 6475. Mosse Svjatoslav alla volta del Danubio, contro i Bulgari. E da ambedue le parti si combatté, Svjatoslav sopraffece i Bulgari, e conquistò ottanta città lungo il Danubio, e cominciò a regnare là, a Perejaslavec, prendendo un tributo dai Greci. Anno 6476. Giunsero per la prima volta i Peceneghi sulla terra x 3
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Proverbi, IX, 7. Ibid., IX, 8. Fortezza dei Chazari, situata sul Don (oggi Sarkel).
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russa, ma Svjatoslav era a Perejaslavec, ed Ol'ga si rinchiuse in città con i nipoti suoi, Jaropolk e Oleg e Volodimir ' , nella città di Kiev. E i Peceneghi con forze grandi assediarono la città, erano in numero elevatissimo intorno ad essa, e dalla città non si poteva uscire, né inviare notizie; gli uomini venivano meno per la fame e per la sete. La gente di quella parte del Dnepr si riuní sulle imbarcazioni, e sostò su quella riva, e non un uomo poteva entrare a Kiev, né dalla città avrebbe potuto uscire alcuno. E gli uomini in città si aftliggevano e dicevano: « Non vi è nessuno che possa passare quella riva e dir loro: se domani mattina non entrerete [in città ] ci arrenderemo ai Peceneghi? » E un giovanetto disse: « Attraverserò io ». E gli dissero: « Va' ». Egli uscí dalla città con una briglia in mano, e corse attraverso [le file de] i Peceneghi, dicendo: « Non avete mica visto un cavallo? » Egli sapeva parlare il dialetto pecenego e [ quelli ] lo scambiarono per uno di loro. E allorché si avvicinò al fiume, liberatosi degli abiti, si gettò nel Dnepr, e cominciò a nuotare. I Peceneghi veduto ciò, gli si gettarono dietro, gli scagliarono contro frecce, ma non riuscirono a colpirlo. Dall'altra riva accortisi di ciò gli andarono incontro, con un'imbarcazione, lo fecero salire sull'imbarcazione e lo condussero dinanzi alla druzina. E disse loro: « Se non verrete domattina alla città, tutti si arrenderanno ai Peceneghi ». Il loro voevoda, a nome Pretic, disse: « Verremo domani con le barche, e la principessa e i principini porteremo su questa riva. Se non facessimo ciò Svjatoslav ci ucciderebbe ». Il mattino dopo, sul far dell'alba, presero posto sulle barche e presero a suonar a tutto fiato le trombe, e gli uomini in città cominciarono a gridare. I Peceneghi pensarono che fosse arrivato il principe in persona, e corsero via dalla città in gran confusione. E andò Ol'ga con i nipoti e con il popolo verso le barche. Il principe pecenego visto ciò, tornò da solo indietro e disse a Pretiè, il voevoda: « Chi arriva? » E disse [Pretic] a lui: « Gli uomini di quella parte ». E disse il principe pecenego: « E tu non sei forse il principe? » Egli disse: «Io sono un suo suddito e sono venuto con l'avanguardia, e il principe viene dietro di me con l'esercito: una moltitudine innumerevole ». Cosí disse per incutere loro timore. Disse il principe pecenego a Pretic: « Siimi amico ». E quegli disse: «Cosí farò ». E si dettero l'un l'altro la mano, e il principe pecenego dette a Pretic un cavallo, una sciabola, delle frecce. E quegli dette a lui una corazza, uno scudo, una spada Z. E i Pece-
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neghi si allontanarono dalla città, e non era possibile dissetare i cavalli: i Peceneghi erano sulla Lybed". E mandarono i Kieviani a Svjatoslav, per dire: « Tu, o principe, adocchi una terra straniera, e ti preoccupi di essa, ma trascuri la tua, per poco i Peceneghi non hanno catturato noi, e la madre tua e i figli tuoi. Se non vieni e non ci difendi, ci assaliranno ancora. Non hai forse pena della patria tua, di tua madre, ormai vecchia, e dei figli tuoi? » Svjatoslav avendo udito ciò, subito montò a cavallo con la druzina sua e tornò a Kiev, abbracciò la madre sua e i figli suoi e si dolse per ciò che era loro accaduto a causa dei Peceneghi. E radunò i guerrieri, e respinse i Peceneghi nel campo, e fu conclusa la pace. Anno 6477. Disse Svjatoslav alla madre sua e ai boiari suoi: «Non mi alletta stare a Kiev, voglio vivere a Perejaslavec sul Danubio, lí è il cuore della terra mia,lí confluiscono tutti i beni: dalla Grecia oro, seta, vino e frutta di varia specie; dai Cechi e dagli Ugri argento e cavalli, dalla Rus' pellame e cera, miele e schiavi ». Disse a lui Ol'ga: « Vedi, io non sto bene; dove vuoi andare lontano da me? » Ella era già malata; gli disse: « Quando mi avrai sotterrata, andrai dove vorrai ». Dopo tre giorni morí Ol'ga, e la piansero di gran pianto il figlio suo e i nipoti suoi, e la gente tutta e la portarono e la seppellirono in un luogo aperto. E aveva ordinato Ol'ga di non organizzare per lei la trizna; ella aveva presso di sé un prete: questi seppellí la buona Ol'ga. Come l'aurora precorre il sole e come l'alba la luce, cosí fu Ol'ga a precorrere il cristianesimo della terra [russa]. Giacché come splendeva la luna nella notte, cosf tra gli uomini pagani ella splendeva: come splende una gemma nel fango; vi erano allora uomini infangati dal peccato, non purificati dal santo battesimo. Ella era stata purificata alla santa fonte battesimale, e si era liberata dalle spoglie peccaminose dell'antico uomo Adamo; del nuovo Adamo si era rivestita, cioè di Cristo. Noi le diciamo: « godi, rivelazione russa di Dio, primordio della nostra conciliazione [con lui] ». Ella per prima dalla Rus' entrò nel regno celeste, e la glorificano i figli russi come iniziatrice: giacché [anche] dopo la morte ella pregherà Dio per la Rus '. Le anime dei giusti non muoiono, cosí aveva detto Salomone: « Al moltiplicarsi dei giusti la gente godrà » 2, il ricordo di lui [del giusto ] è immortale, giacché esso da Dio è riconosciuto e dagli uomini. Qui tutti gli uomini [la] glorificano, costatando che ella giace [intat-
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Volodimir è voce onomastica prettamente russa: la quale, in forma dotta, suona Vladimir. La cerimonia di affratellamento consisteva appunto in uno scambio di doni simbolici. La spada, a differenza della sciabola, è una tipica arma russa; su di essa giuravano i principi, o i loro rappresentanti, dopo la sanzione di un trattato o dopo un patto d'alleanza.
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Corso d'acqua che bagna il villaggio omonimo presso Kiev. z Proverbi, XXIX, 2.
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ta] nel corpo da molti anni; giacché il profeta aveva detto: « Glorificherò coloro che mi glorificano ». A[ questo ] proposito David aveva detto: «In memoria eterna sarà il giusto, di triste notizia non avrà paura: pronto è il suo cuore a sperare fermamente nel Signore. Saldo è il suo cuore, non tremerà ». Salomone aveva detto: «1 giusti vivranno in eterno e nelle mani del Signore è la loro ricompensa, e la cura di loro presso l'Altissimo. Perciò riceveranno il regno della magnificenza e il diadema della bellezza dalla mano del Signore. Perché con la destra li proteggerà, e col braccio suo santo lí difenderà ». Egli aveva pur difeso questa buona Ol'ga dal nemico e dal diavolo avverso. Anno 6478. Svjatoslav designò Jaropolk a Kiev, e Oleg presso i Drevliani. In quel tempo giunsero i Novgorodiani, per chiedere per se stessi un principe: « Se non invierete da noi un principe, noi stessi ce lo procureremo ». E disse loro Svjatoslav: « Chi potrebbe venire da voi? » E rifiutarono Jaropolk e Oleg. E disse Dobrynja: «Interpeilate Volodimir ». Volodimir era figlio di Malusa, la dispensiera di Ol'ga; ella era sorella di Dobrynja; il nome del padre era Malk Ljubecanin, e Dobrynja era zio di Volodimir. E dissero i Novgorodiani a Svjatoslav: « Dacci Volodimir ». Ed egli disse loro: « Eccolo a voi ». E i Novgorodiani accolsero tra loro Volodimir, e Volodimir andò con Dobrynja, suo zio, a Novgorod; e Svjatoslav a Perejaslavec. Anno 6479. Giunse Svjatoslav a Perejaslavec, e si rinchiusero i Bulgari nella città. E uscirono i Bulgari per combattere Svjatoslav, e vi fu una mischia grande, e vinsero i Bulgari. E disse Svjatoslav ai guerrieri suoi: « Qui ci è destinato morire; moriamo coraggiosamente, fratelli e druzina! » E sul far della sera vinse Svjatoslav, e prese d'assalto la città, e inviò ai Greci, per dir loro: « Moverò [l'esercito] contro di voi e conquisterò la città vostra, come ho fatto per questa ». E dissero i Greci: « Non possiamo resistere contro di voi, prendete da noi un tributo, anche per la druzina vostra, e diteci quanti siete, perché possiamo darvi un tanto a testa ». Questo dissero i Greci, ingannando i Russi, giacché i Greci sono subdoli ancor oggi. E Svjatoslav disse loro: « Noi siamo ventimila », e ne aggiunse diecimila, giacché i Russi erano soltanto diecimila. E andarono i Greci in centomila contro Svjatoslav, e non dettero il tributo. E andò Svjatoslav contro i Greci, ed essi andarono contro i Russi. Allorché i Russi li videro, furono terrorizzati dall'ingente moltitudine di guerrieri, e disse Svjatoslav: « Non abbiamo altro da fare, volenti o nolenti dobbiamo lottare: non disonoreremo la terra russa, giaceranno piuttosto le nostre ossa, morti non avremo disonore. Se fuggiremo, nostro sarà il disono-
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re. Non fuggiremo, ma terremo duro, io vi precederò: se la mia testa cadrà, allora vi preoccuperete [soltanto] di voi stessi ». E dissero i guerrieri: « Dove [cadrà ] la testa tua, lí anche le nostre giaceranno ». E mossero in massa í Russi, e fu una mischia grande, e vinse Svjatoslav, e fuggirono i Greci. E avanzò Svjatoslav alla volta della città, combattendo e distruggendola: essa è rimasta ancor oggi abbandonata. E chiamò l'imperatore i dignitari suoi al palazzo, e disse loro: « Cosa dobbiamo fare, non possiamo proprio tenergli fronte? » E dissero i dignitari: « Mandiamogli dei doni, mettiamolo alla prova: gli piacerà l'oro, o la seta? » E gli mandarono oro e seta, ed un saggio al quale dissero: « Spia lo sguardo e il volto suo ed i pensieri suoi ». Costui, presi i doni, andò da Svjatoslav. E fecero sapere a Svjatoslav che erano giunti i Greci con doni. E disse: « Conduceteli qui ». Quelli entrarono, si inchinarono a lui, e gli posero dinanzi oro e seta. E disse Svjatoslav, volgendo altrove lo sguardo, ai servi suoi: « Conservateli ». Quindi tornarono dall'imperatore, e convocò l'imperatore i dignitari. Gli inviati dissero: « Andammo da lui e demmo i doni, ed egli non li guardò e ordinò di conservarli ». Ed uno disse: «Mettiamolo ancora alla prova, mandiamogli delle armi ». Lo ascoltarono, e gli mandarono spade e altre armi, e le portarono a lui. Egli, accettando, cominciò a lodare, a riverire e ad ossequiare l'imperatore. Di nuovo gli inviati tornarono dall'imperatore e gli riferirono tutto l'accaduto. E dissero i dignitari: « Deve essere un uomo terribile costui, giacché la ricchezza disdegna e le armi accetta. Paghiamogli il tributo ». E mandò l'imperatore dicendo cosí: «Non venire alla città, prendi il tributo che vuoi »; egli infatti era giunto quasi a Costantinopoli. E gli dettero il tributo; [Svjatoslav] lo prese anche per i morti, dicendo: «Lo prenderà la famiglia ». Accettò ancora molti doni, e fece ritorno a Perejaslavec con gloria grande. Notato l'esiguo numero della sua druzina, disse fra sé: « Se non avessimo avuto una certa astuzia avrebbero ucciso la mia druzina e me stesso »; tanti ne erano stati uccisi nei combattimenti. E disse: « Andrò nella Rus', prenderò una druzina piú numerosa ». E mandò gli ambasci.atori all'imperatore a Dorostol, giacché ivi si trovava l'imperatore, per dirgli: « Voglio avere con te pace salda ed alleanza ». L'imperatore, allorché udí queste parole si rallegrò, e gli mandò doni piú copiosi dei precedenti. Svjatoslav accettò i doni, e prese a deliberare con la druzina sua, dicendo: « Se non concludiamo la pace con l'imperatore, e l'imperatore verrà a sapere che siamo in pochi, moverà [ 1'esercito contro di noi] e ci porrà in assedio nella città. E la terra russa è lontana, e i Peceneghi sono in guerra con noi,
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e chi ci verrà in aiuto? Concludiamo piuttosto la pace con l'imperatore: essi si sono impegnati a pagarci un tributo, e questo ci sarà sufficiente. Se rifiuteranno di pagarcelo, allora, di nuovo, dalla Rus', radunato un buon numero di guerrieri, moveremo alla volta di Costantinopoli ». Questo discorso piacque alla druzina, ed inviarono i migliori uomini all'imperatore, e giunsero a Dorostol, e riferirono all'imperatore. L'imperatore il mattino seguente li fece chiamare, e disse: « Parlino pure gli ambasciatori russi ». Essi riferirono: «Cosí il nostro principe dice: desidero avere un'amicizia salda con l'imperatore greco per tutti gli anni avvenire ». L'imperatore fu contento e ordinò allo scrivano di scrivere tutte le parole di Svjatoslav su di un foglio. Cominciò a dire l'ambasciatore tutte le parole e lo scrivano a scrivere. E disse cosí: « Secondo il patto concluso tra Svjatoslav, granduca russo, e Svenal'd, scritto da Teofilo segretario di Giovanni, detto Zimisce, imperatore greco, a Dorostol, nel mese di luglio, 14' indizione, anno 6479. Io, Svjatoslav, principe russo, come giurai, cosí confermo con questo patto il giuramento mio: voglio che vi sia la pace e una salda amicizia con tutti i grandi imperatori greci, con Basilio e con Costantino, e con gli imperatori ispirati da Dio, e con tutti i vostri uomini anche a nome dei Russi che sono a me sottomessi, dei boiari e di tutti gli altri, sino alla fine dei secoli. Contro di voi non tramerò mai nulla, non radunerò eserciti, né condurrò altro popolo contro di voi, né contro chi si trova sotto il potere greco, né contro il potere di Cherson e neanche contro altre città, né contro la terra bulgara. Se qualcuno tramerà contro di voi, sarò io il suo avversario e combatterò contro di lui. Come giurai dinanzi agli imperatori greci, e con me [giurarono] í boiari e tutti i Russi, noi osserveremo l'antico patto. Se non ne osserveremo qualche articolo, che io e coloro che sono con me e sotto di me, siamo maledetti da quel Dio in cui crediamo, da Perun e da Volos, dio degli armenti; e che diventiamo gialli come l'oro, e che la nostra stessa arma ci trafigga. Non abbiate alcun dubbio sulla veridicità di quanto abbiamo ora promesso e abbiamo scritto su questo foglio, e reso valido coi nostri sigilli ». Conclusa la pace con i Greci, Svjatoslav si diresse con le imbarcazioni verso le cateratte'. E disse a lui il voevoda di suo padre, Svenal'd: « Gira attorno, o principe, a cavallo, giacché vi sono i Peceneghi alle cateratte ». E non gli prestò ascolto e passò con le barche. E mandarono i Perejaslavci ai Peceneghi per dire: « Eccovi Svjatoslav '
Le cateratte del fiume Dnestr.
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che va nella Rus', dopo aver ricevuto molte ricchezze dai Greci e un numero infinito di prigionieri, [ ma ] con una esigua druzina ». Udito ciò i Peceneghi sbarrarono le cateratte. E Svjatoslav giunse alle cateratte, e non poté attraversarle. E rimase a svernare a Beloberez é, e i viveri cominciarono a mancare, e vi era fame grande, fino al punto che pagavano mezza grivna una testa di cavallo; e svernò qui Svjatoslav. Sopraggiunta la primavera, nell'anno 648o, mosse Svjatoslav alla volta delle cateratte. E lo assaltò Kurja, principe dei Peceneghi, e uccisero Svjatoslav, e presero la testa sua, e modellatala, del cranio fecero una coppa, e bevvero da essa. Svenal'd giunse a Kiev da Jaropolk. E gli anni di regno di Svjatoslav furono anni venti e otto. Anno 6481. Cominciò a regnare Jaropolk. Anno 6482. Anno 6483. Un giorno il figlio di Svenal'd, a nome Ljut, uscí da Kiev per andare a caccia nel bosco. E lo vide Oleg, e disse: «Chi è costui? » E gli dissero: « Il figlio di Svenal'd ». E Oleg, che cacciava in quei luoghi, aggreditolo, lo uccise. E per questo vi fu odio tra loro, [per questo fu] Jaropolk contro Oleg, e incessantemente Svenal'd istigava Jaropolk, volendo vendicare suo figlio: « Va' contro il fratello tuo e impadronisciti del suo potere ». Anno 6484. Anno 6485. Mosse Jaropolk contro Oleg, fratello suo, alla volta della terra drevliana. E andò contro di lui Oleg, e si scontrarono. Dopo lo scontro degli eserciti, Jaropolk vinse Oleg. Corse Oleg con i guerrieri suoi nella città chiamata Ovruc, vi era, al di sopra di un fossato, un ponte che menava alle porte della città; stringendosi l'uno all'altro preci.pitarono nel fossato. E spinsero Oleg dal ponte nel fossato. Molti uomini caddero, ed i cavalli comprimevano gli uomini. Entrato Jaropolk nella città di Oleg, si impadroní del suo potere, e mandò a cercare il fratello suo; e lo cercarono ma non lo trovarono. E disse [ loro ] un drevliano: «Ho veduto che ieri sono precipitati dal ponte ». E rnandò Jaropolk a cercare il fratello, e trassero i cadaveri dal fossato dalla mattina e fino a mezzogiorno; e trovarono anche Oleg sotto i cadaveri, lo portarono fuori, e lo deposero su un tappeto. E giunse Jaropolk, pianse su di lui e disse a Svenal'd: « Vedi, sei stato tu a voler questo! » E seppellirono Oleg sul posto, presso la città di Ovruc, e la tomba sua esiste ancor oggi presso Ovruc. Ne ereditò il potere Jaropolk. Jaropolk aveva una moglie greca che era stata monaca; l'aveva condotta il padre di lui Svjatoslav, e per la bellezza del suo volto, l'aveva data in sposa a Jaropolk. Allorché Volodimir ebbe sen-
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tore, a Novgorod, che Jaropolk aveva ucciso Oleg, si spaventò e fuggn al di là del mare. E Jaropolk designò suoi governatori a Novgorod, e da solo regnò nella Rus'. Anno 6486. Anno 6487. Anno 6488. Giunse Volodimir con i Varjaghi a Novgorod, e disse ai governatori di Jaropolk: « Andate dal fratello mio e ditegli: Volodimir muove contro di te, preparati a combatterlo »; e rimase a Novgorod. E mandò a dire a Rogvolod, a Polock: « Voglio prendere in moglie tua figlia ». Questi disse alla figlia sua: « Vuoi sposare Volodimir? » Ella rispose: « Non voglio servire il figlio di una schiava ma voglio Jaropolk ». Rogvolod era giunto d'oltre mare e aveva il potere suo a Polock, e Tury lo aveva a Turov, i cui abitanti si chiamavano Turovci. E giunsero gli uomini di Volodimir, e gli riferirono tutto il discorso di Rogneda, figlia di Rogvolod, principe di Polock. Volodimir radunò molti guerrieri, Varjaghi e Slavi, Cudi e Krivici, e andò contro Rogvolod. Essi intanto facevano i preparativi per condurre Rogneda in sposa a Jaropolk. E andò Volodimir contro Polock, e uccise Rogvolod e i suoi due figli, e prese in moglie la figlia. E andò contro Jaropolk. E giunse Volodimir a Kiev con molti guerrieri, e non poteva Jaropolk combattere, e si rinchiuse in Kiev con gli uomini suoi e con Blud; e stette lí Volodimir e si trincerò a Dorogozic, tra Dorogozic e Kapic dove esiste ancor oggi un fossato. Volodimir mandò a Blud, voevoda di Jaropolk, a dirgli proditoriamente: « Siimi amico! Se ucciderò il fratello mio, ti onorerò come padre, e grande onore riceverai da me: non io, certo, cominciai ad uccidere i fratelli, ma lui. Ed io temendo questo, gli vado contro ». E disse Blud agli ambasciatori di Volodimir: « Sarò tuo amico e tuo alleato ». O riprovevole menzogna umana! Anche David aveva detto: « Colui che ha mangiato il mio pane, mi ricompenserà con la menzogna ». E con dolo quegli ordiva contro il principe suo. E ancora: « Con le loro lingue tramano inganni. Giudicalí [e puniscili] o Dio : falliscano ne' loro disegni! Per le tante empietà loro disperdili, perché ti provocano a sdegno, o Signore» ' . E ancora aveva detto David: «I sanguinari e i fraudolenti non raggiungeranno la metà de' loro giorni » `. Riprovevole è il consiglio di coloro che dànno istruzioni sullo spargimento di san2,
Cfr. p. 40: «Volodimir era figlio di Malu"sa, dispensiera di Ol'ga...» Le località, qui menzionate, sono situate entrambe presso Kiev. Salmi, V, xx. ° Salmi, LIV, 24.
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gue; insensati coloro, che dopo aver ricevuto dal principe o dal signore loro onore o doni, meditano [di colpir] la testa del principe loro per ucciderlo; peggiori sono dei demoni. Cosí anche Blud tradí il principe suo, e dopo aver ricevuto da lui molti onori, egli si macchiò di quel sangue. Stava Blud rinchiuso con Jaropolk, ed ingannandolo, spesso mandava a Volodimir, per invitarlo ad assaltare la città, mentre egli stesso meditava di uccidere Jaropolk; ma a causa dei cittadini non poteva ucciderlo. Blud neanche poteva ucciderlo, e meditò un inganno, ordinando a Jaropolk di non uscire dalla città per la battaglia. Disse Blud a Jaropolk: « I Kieviani hanno mandato a dire a Volodimir: avvicinati alla città, per te tradiremo Jaropolk. Tu corri via dalla città ». E prestò a lui ascolto, Jaropolk, e fuggí dinanzi a lui, e si rinchiuse nella città di Rodnja sulla foce del fiume Ros'; e Volodimir entrò a Kiev, e assediò Jaropolk a Rodnja. E vi fu in essa una carestia terribile, tanto che è rimasto fino ai nostri giorni il detto: sventura come quella di Rodnja. E disse Blud a Jaropolk: « Vedi, quanti guerrieri ha il fratello tuo. Non ci sarà possibile sopraffarli. Concludi la pace con il fratello tuo »; cosí, ingannandolo, gli disse. E disse Jaropolk: «E cosí sia ». E mandò Blud a Volodimir per dire: « Si realizza il desiderio tuo, condurrò a te Jaropolk, preparati, quindi, ad ucciderlo ». Volodimir, udito ciò, entrò nel terem paterno, del quale abbiamo già fatto cenno, e sedette lí con i guerrieri suoi e con la sua druzina. E disse Blud a Jaropolk: « Va' dal fratello tuo e digli: qualunque cosa mi darai accetterò ». Andò Jaropolk, e disse a lui Varjazko: «Non andare, o principe, ti uccideranno; corri dai Peceneghi, e conduci i guerrieri »; e non gli prestò ascolto. E giunse Jaropolk da Volodimir; e varcò la soglia, e lo colpirono due varjaghi con la spada sotto l'ascella. Blud chiuse la porta e non fece entrare nessuno dei suoi dietro di lui. E cosí fu ucciso Jaropolk. Varjazko, avendo visto che era stato ucciso Jaropolk, corse dal palazzo dai Peceneghi e molto combatté contro Volodimir con i Peceneghi; a fatica [Volodimir] cercò di convincerlo a passare dalla sua parte. Volodimir conviveva con la moglie di suo fratello, una greca: ella aspettava un figlio, e dette alla luce Svjatopolk. Da radice peccaminosa ha origine cattivo frutto: in primo luogo la madre [di Svjatopolk] era stata monaca; ed in secondo luogo, Volodimir conviveva con lei, non unito però dal matrimonio, erano adulteri. Anche per questa ragione il padre non amava [Svjatopolk], infatti era come se egli fosse nato da due padri: Jaropolk e Volodimir. Dissero i Varjaghi a Volodimir: «Questa città è nostra; noi la riprenderemo, vogliamo che ci sia pagato il tributo [ dai cittadini ] in
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ragione di 2 grivne a testa ». E disse loro Volodimir: « Attendete, racimoleremo la somma tra un mese ». Ed essi attesero un mese, ma [ Volodimir] non dette loro nulla, e dissero i Varjaghi: « Ci hai ingannato, mostraci allora il cammino per la Grecia ». E disse loro: « Andate ». E scelse tra essi uomini abili, sensati e valorosi, e distribuí loro città; altri [uomini] si diressero alla volta di Costantinopoli, dai Greci. E [Volodimir], li fece precedere da ambasciatori per dire all'imperatore: Arriveranno da te i Varjaghi, non trattenerli in città, recherebbero male, come hanno fatto qui; piuttosto disperdili nei diversi luoghi e non lasciarne costí nemmeno uno. E cominciò a regnare Volodimir a Kiev, da solo, ed eresse simulacri sulla collina che si trovava dietro il terem :[ il simulacro di] Perun in legno, con la testa d'argento e i baffi d'oro, e di Chors', e di Daz'bog e di Stribog', e di Simar'g1 4, e di Mokos'. E facevano ad essi sacrifici, li chiamavano dèi, e conducevano i figli loro e le figlie, e [li ] offrivano ai demoni, e profanavano la terra con le loro offerte di sacrifici. E cosí venivano profanate col sangue la terra russa e questa collina. Ma l'eccelso Dio non volle la morte dei peccatori; su questa collina esiste oggi una chiesa, è quella di San Basilio, di cui parleremo in seguito. Ma torniamo ai fatti di prima. Volodimir designò Dobrynja, suo zio, a Novgorod. E Dobrynja giunto a Novgorod, eresse un simulacro sul fiume Volchov, e ad esso i Novgorodiani portarono le vittime come ad un dio. Volodimir si abbandonava alla concupiscenza, ed ecco quali erano le sue donne: Rogneda, che abitava sulla Lybed', dove ora si trova il villaggetto di Predslavino, da questa aveva avuto quattro figli: Izjaslav, Mstislav, Jaroslav, Vsevolod, e due figlie; da una greca [aveva avuto] Svjatopolk; da una ceca Vyseslav; e da un'altra donna: Svjatoslav e Mstislav; e da una bulgara Boris e Gleb; e aveva ancora trecento concubine a Vysgorod, e trecento a Belgorod, e duecento a Berestovo, nel villaggio che oggi chiamiamo Berestovo. Ed egli era in questo insaziabile, seduceva donne da marito e fanciulle violava. Era un amante delle donne come lo era stato anche Salomone: dicono in1 Dio dell'oro. probabile che il nome del medesimo sia da mettere in relazione con il vocabolo greco. z Dio del benessere e della ricchezza. Non si tratta di una divinità paleoslava, ma soltanto russa, e neppure antica. Alcuni intendono dio dell'inverno; altri dio della primavera. Ma spesso lo si considera il dio dei venti. ° V'è chi ritiene che il termine derivi dal nome di un mitico uccello persiano Simurgl. Non si conoscono i compiti attribuiti a questa divinità. Divinità russa di origine recente: identificabile, a giudizio di qualche studioso, con la divinità dell'amore.
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fatti che Salomone abbia avuto settecento mogli e trecento concubine. Saggio era quegli, e poi morí; questi era ignorante, e solo verso la fine dei suoi giorni, scoprí in se stesso la salvezza. « Grande è il Signore, e grande è la forza sua, e la comprensione sua è senza fine ». Il fascino muliebre è un male, ecco ciò che delle donne, ormai pentito, aveva detto Salomone: « Non dar retta alle fallacie della donna, perché un favo che stilla sono le labbra della meretrice e la sua gola ha un parlare che unge piú dell'olio; ma alla fine è piú amara del fiele... I suoi piedi scendono nella profondità della morte e i suoi passi fan capo all'Inferno, non procedono sul sentiero della vita, son erranti i suoi passi e investigabili»'. Questo a proposito delle donne adultere aveva detto Salomone; delle donne virtuose, invece, aveva detto: « Ha il pregio della rarità e dei piú remoti confini. Il cuor di suo marito in lei s'affida... Gli corrisponderà bene e non male, tutti i giorni di sua vita. Si procacciò la lana e il lino, e lavorò industriandosi con le sue mani. Fatta simile alla nave d'un mercante: fa venire da lontano il suo sostentamento. S'alza che è ancor notte, e appresta il vitto alla sua famiglia e il cibo alle sue ancelle. Avvistò un campo, e lo comprò; col frutto delle sue mani, piantò una vigna. Cinse di forza i suoi fianchi, e ingagliardí il suo braccio. Con gusto vide che i suoi negozi andavano bene; di notte la sua lucerna non si spegnerà. Pose mano a lavori utili, e le sue dita strinsero il fuso. Allargò la mano al bisognoso, e tese le palme al povero. Non teme, per la sua casa, il freddo della neve, perché tutti di sua famiglia hanno vesti doppie. Si è fatta una veste ricamata, è bisso e porpora il suo indumento. Il marito alle porte è riverito, quando siede con gli anziani del paese. Lavorò un manto e lo vendette... Aprí la sua bocca alla saggezza... Fortezza e decoro è la sua veste... Sorsero i suoi figli e la proclamarono sommamente beata, suo marito anche è un elogio per lei... La donna che teme Dio, quella avrà lode. Rendete omaggio al frutto delle sue mani, e le sue azioni la celebrino alle porte» 2. Anno 6489. Andò Volodimir contro i Ljachi e conquistò le città loro: Peremygl', Cerven ed altre città, che ancor oggi sono sottomesse alla Rus'. In questo stesso anno [ Volodimir ] vinse i Vjatici, e impose loro il tributo di un aratro a testa, cosí come aveva fatto anche il padre suo. Anno 6490. Attaccarono guerra i Vjatici, e mosse contro loro Volodimir, e li vinse una seconda volta.
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Proverbi, V, 3-6. Ibid., XXXI, 10-3 1.
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Anno 6491. Andò Volodimir contro gli Jatvjaghi; e vinse gli Jatvjaghi, e conquistò la loro terra. E venne a Kiev, e o$rí vittime all'idolo insieme con i suoi uomini. E dissero gli anziani ed i boiari: « Tiriamo a sorte un giovane e una fanciulla; quello su cui cadrà la sorte sarà sacrificato agli dèi ». Vi era allora un varjago il cui palazzo era dove oggi sorge la chiesa della Santa Madre di Dio costruita da Volodimir. Questo varjago era giunto dalla Grecia, e professava la fede cristiana. Egli aveva un figlio d'aspetto e d'anima belli; proprio su di lui cadde la scelta, per invidia del diavolo. Poiché il diavolo non lo sopportava: per lui, che aveva il potere su tutti, questi era come una spina nel cuore; e il maledetto cercò di farlo morire, e gli aizzò contro il popolo. E cosí dissero gli inviati quando giunsero a lui: « La scelta è caduta sul figlio tuo, gli dèi lo hanno scelto per sé; per questo noi lo offriamo in sacrificio agli dèi ». E disse il varjago: « Costoro non sono dèi, ma pezzi di legno; oggi esistono, e domani marciscono; essi non mangiano, non bevono, non parlano, ma sono fatti col legno dalle mani [ dell'uomo ]. E Dio è uno solo, i Greci lo servono e lo venerano; egli creò il cielo e la terra, le stelle e la luna, il sole e l'uomo, e ha fatto dono a questi della vita terrestre. Questi dèi, invece, cosa hanno fatto? Essi stessi sono stati fatti. Non darò mio figlio ai demoni ». Essi, andati via, riferirono al popolo. Presero le armi, andarono contro di lui e ne saccheggiarono il palazzo. Egli era sulla veranda con il figlio. Gli dissero: « Dacci il figlio tuo, che dobbiamo offrirlo agli dèí ». Ed egli disse: « Se sono dèi, che mandino un dio a prendere mio figlio. E voi per qual ragione sacrificate in loro onore? » E lanciarono grida, e distrussero la veranda sotto di loro e cosí li uccisero. E nessuno sa dove li seppellirono. Giacché allora gli uomini erano ignoranti e pagani. Il diavolo fu soddisfatto di ciò, non sapeva che anche la sua fine era vicina. Cosí egli tentò di far perire tutta la stirpe cristiana, era stato espulso dalla venerata croce anche in altri paesi; qui - pensava il maledetto - troverò la mia dimora, giacché qui gli apostoli non insegnarono, né predicarono i profeti, non sapeva che il profeta aveva detto: « E dirò al Non-popolo-mio: tu sei il popolo mio! degli apostoli aveva detto: « Per tutta la terra si diffonderanno i discorsi loro e le loro parole vivranno fino alla fine del mondo ». Se anche non furono qui di persona gli apostoli, pure i loro insegnamenti, simili a squilli di tromba, ugualmente echeggiarono per tutto il mondo nelle chiese; con il loro insegnamento abbiamo vinto l'avversario nemico, calpestandolo sotto il piede, come lo calpestò la gente di questa » 1;
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terra, dopo aver ricevuto la corona celeste come i santi martiri e i giusti. Anno 6492. Andò Volodimir contro i Radimici. Suo voevoda era Vol'cij Chvost', e Volodimir mandò avanti lui, Vol'cij Chvost; questi si scontrò con i Radimici sul fiume Piscari , e vinse Vol'cij Chvost i Radimici. Per questo anche i Russi deridevano i Radimici, dicendo: i Piani per una coda di lupo fuggono. Erano i Radimici della stirpe dei Ljachi; erano giunti qui, vi si erano stabiliti, e pagavano i.l tributo alla Rus'; ancor oggi sottostanno ad essa. Anno 649 3 . Andò Volodimir contro i Bulgari con imbarcazioni; con lui era Dobrynja, suo zio, condusse a cavallo lungo la riva i Turchi e vinse i Bulgari. Disse Dobrynja a Volodimir: «Ho visto i prigionieri, e tutti avevano gli stivali. Essi non ci pagano il tributo; andiamo, procuriamoci dei fabbricanti di lapti 3. E concluse Volodimir la pace con i Bulgari, e si prestarono scambievole giuramento, e dissero i Bulgari: « La pace tra noi avrà fine, allorché la pietra galleggerà, e il luppolo affonderà ». E tornò Volodimir a Kiev. Anno 6494. Giunsero i Bulgari, che professavano la fede mao= mettana, e dissero: « Tu, o principe, sei saggio e sensato, ma non conosci la legge; suvvia la fede nostra accetta ed inchinati a Maometto ». E disse Volodimir: « Qual è la vostra fede? » Essi dissero: « Crediamo in Dio, e Maometto ci ha istruito dicendo: praticate la circoncisione, e non mangiate carne suina, e non bevete vino; ma potete con le donne fornicare, dice, dopo la morte. Maometto ha assegnato a ciascuno settanta belle donne, egli se ne è scelta una tra queste bellissime, che supera tutte le altre in beltà, costei sarà la sua donna. Qui, egli dice, è permesso abbandonarsi ad ogni lussuria. Colui che è povero in questo mondo, lo sarà anche nell'altro »; e dissero ancora altre menzogne, delle quali perfino scrivere è vergognoso. Volodimir li ascoltò, e giacché egli pure amava le donne ed ogni vizio, ascoltò con diletto. Ma una cosa non gli era gradita: la circoncisione e l'astinenza dalla carne suina e dal bere [e perciò ] rispose: « Noi Russi amiamo bere, non possiamo vivere senza fare ciò ». Poi giunsero gli stranieri da Roma, e dissero: « Siamo qui venuti inviati dal Papa »; e gli dissero: «Cosí ti manda a dire il Papa: la terra tua è come la terra nostra, ma la fede vostra non è come la nostra fede; giacché la fede nostra è luce, noi ci inchiniamo dinanzi a Dio, che ha creato il cielo e la terra, le stelle, la luna e tutto ciò che ha vita, mentre gli dèi vostri sono pezzi 2;
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Vol'cij Chvost in italiano vale Coda-di-lupo. Apparsi nella steppa della Rus' verso la metà dell'si secolo. Calzatura fatta di scorza di tiglio intrecciata.
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di legno ». Volodimir disse: « Qual è il vostro precetto? » Ed essi dissero: « Digiuno secondo la propria forza: giacché non c'è bisogno di bere e di mangiare, poiché tutto è nella gloria divina, come ha detto il maestro nostro Paolo ». Disse Volodimir agli stranieri: « Tornatevene, giacché i nostri avi non accettarono ciò ». Avendo avuto sentore [del colloquio], giunsero gli ebrei Chazari, e dissero: « Abbiamo udito che sono venuti i Bulgari e i cristiani, ognuno vi ha istruito secondo la propria fede. I cristiani credono in colui che noi abbiamo crocifisso, mentre noi crediamo in un solo Dio, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe». E disse Volodimir: « Qual è la vostra fede? » Essi dissero: « La circoncisione, l'astinenza dal mangiare carne suina e di lepre, la santificazione del sabato ». Egli disse: « E dov'è la terra vostra? » Essi risposero: « A Gerusalemme ». E disse: « Proprio là? » Dissero: « Dio si adirò con i padri nostri, e ci ha disperso per il mondo a causa dei peccati nostri, e ha dato la terra nostra ai cristiani ». Ed egli disse: « Come istruite gli altri se voi stessi siete stati respinti da Dio e dispersi? Se Dio avesse amato voi e la fede vostra, allora, voi non sareste stati dispersi per le terre straniere. O volete che ciò avvenga anche a noi? » Dopo, i Greci mandarono a Volodimir un filosofo, per dirgli cosí: « Abbiamo saputo che sono venuti i Bulgari e vi hanno invitato ad accogliere la fede loro; la fede loro profana il cielo e la terra, ed essi sono maledetti piú di ogni altro popolo, essendosi resi simili agli abitanti di Sodoma e Gomorra, contro di essi il Signore scagliò la pietra ardente, e li inondò, e lí affogò; ecco un giorno toccherà ad essi la stessa fine, allorché Dio verrà a giudicare la terra e farà perire tutti coloro che commisero arbitri e oscenità. Poiché essi lavarono gli escrementi loro, e si versarono questa acqua in bocca, e con essa si imbrattarono le barbe in ricordo di Maometto. Anche le loro donne fanno queste oscenità ed altre ancora peggiori: prendono gusto al coito maschile e femminile ». Udito ciò Volodimir sputò a terra, disse: « Che cosa immonda ». Disse il filosofo: « Abbiamo udito che sono venuti a voi da Roma per istruirvi sulla loro fede, la loro fede non è molto dissimile dalla nostra: si purificano con il pane azimo, cioè con l'ostia; Dio non aveva ordinato cosí, ma aveva ordinato di servirsi del pane, e presolo in presenza degli apostoli aveva detto: "Questo è il corpo mio, spezzato per voi...", cosí preso il calice aveva detto: "Questo è il sangue mio del nuovo testamento", coloro che non fanno ciò credono in cose false ». Disse Volodimir: « Sono venuti da me gli Ebrei, mi hanno detto:
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gli stranieri e i Greci credono in colui che noi abbiamo crocifisso ». Il filosofo disse: « vero che noi crediamo in Costui, i profeti annunziarono che Dio sarebbe nato, e che altri l'avrebbero crocifisso e seppellito, ma il terzo giorno sarebbe.risorto e salito al cielo. Essi uccisero questi profeti, ne torturarono altri. Allorché i loro presagi si avverarono, egli scese sulla terra, fu crocifisso, e risorto risalí al cielo; attese per quaranta e sei anni che essi si pentissero, e non si pentirono, e mandò contro di loro i Romani, che distrussero le città loro e li dispersero per la terra, e per la terra essi lavorarono ». Disse Volodimir: « Perché Dio scese sulla terra, e sopportò una tale sofEerenza? » Rispondendo il filosofo disse: « Se vuoi ascoltare, ti dirò proprio dal principio, perché Dio discese sulla terra ». Volodimir disse: « Volentieri ascolterò ». E il filosofo cominci.ò a dire cosí: « All'inizio, dunque, il primo giorno, Dio creò il cielo e la terra. E il secondo giorno creò il firmamento, che è al centro delle acque. Quello stesso giorno si divisero le acque: una parte di esse si levò sul firmamento, ed una parte vi rimase al di sotto. E il terzo giorno creò il mare, e i fiumi, e le sorgenti, e le semenze. Il quarto giorno il sole, e la luna, e le stelle, e adornò Dio il cielo. Avendo visto ciò il primo degli angeli, l'anziano nell'ordine degli angeli, pensò tra sé: scenderò sulla terra, e mi impadronirò della , terra, e sarò simile a Dio, e innalzerò il trono mio sulle nuvole a settentrione. E subito si precipitò dal cielo, e dietro a lui vennero giú quelli che si trovavano sotto iI suo comando: dieci angeli. Il nome del nemico era Satana, e[Dio] mise al suo posto di anziano Michele. Satana, il cui disegno era fallito, privato della primitiva gloria, fu detto nemico di Dio. Poi il quinto giorno Dio creò le balene, e i pesci, i rettili, e gli uccelli pennuti. Il sesto giorno Dio creò le bestie, e gli animali, e i rettili terrestri; creò anche l'uomo. E il settimo giorno, cioè sabato, Dio si riposò dalle sue fatiche. E pose Dio il paradiso ad oriente nell'Eden, vi introdusse l'uomo, che aveva creato, e gli ordinò di mangiare da ogni albero, ma da un albero solo non assaggiare, da quello della conoscenza del bene e del male. E Adamo fu nel paradiso, vide Dio e lo glorificò, come lo glorificavano gli angeli. E Dio rese insensibile Adamo; Adamo si assopí, e prese Dio una costola ad Adamo, creò per lui la donna, e la condusse a lui, nel paradiso, e Adamo disse: ecco l'osso dell'osso mio, il sudore del mio sudore, ella si chiamerà Donna. E dette Adamo un nome agli animali e agli uccelli, alle bestie ed ai rettili, ed anche agli stessi angeli dette egli un nome. E sottomise Dio ad Adamo le bestie e gli animali, ed egli dominava tutti, e gli ubbidivano. Il diavolo, avendo visto che Dio aveva elargito talí onori all'uomo, geloso
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di lui, in sembianza di serpente, andò da Eva, e le disse: perché non assaggiate dall'albero che cresce nel mezzo del paradiso? E disse la donna al serpente: ha detto Dio: "non assaggiateli, perché se li assaggerete di morte morirete". E disse il serpente alla donna: di morte non morirete; perché Dio sa che il giorno in cui da quello mangerete, si apriranno gli occhi vostri, e sarete simili a Dio, avendo ormai la conoscenza del bene e del male. E vide la donna il bell'albero nel paradiso, e colse un frutto, e lo dette al suo uomo, ed entrambi lo mangiarono, e si schiusero i loro occhi, e si accorsero di essere nudi, e si cucirono cinture di foglie di fico. E disse Dio: che sia maledetta la terra per colpa tua, e tutti i giorni di tua vita ti sazierai di tristezza. E disse il Signore Iddio: se stenderete la mano e prenderete dall'albero della vita, eternamente vivrete. E il Signore Iddio allontanò Adamo dal paradiso. E costui prese dimora dirimpetto al paradiso, piangendo e coltivando la terra, e Satana godé che la terra fosse stata maledetta. Questo fu per noi il primo errore, e l'allontanamento dalla vita celeste ne fu l'amara conseguenza. Adamo generò Caino e Abele; Caino fu aratore e Abele pastore. E ofErf Caino a Dio i frutti della terra, ma Dio non accettò i suoi doni. Abele portò il primo nato dei suoi agnelli e Dio accettò i doni di Abele. Satana penetrò [nell'animo di] Caino, e istigò Caino ad uccidere Abele. E disse Caino ad Abele: andiamo nel campo, e Abele gli ubbidí, e, allorché furono usciti, Caino assalí [Abele], e voleva ucciderlo, e non sapeva in qual modo ucciderlo. E Satana gli disse: prendi una pietra e colpiscilo. Egli prese una pietra e lo uccise. E disse Dio a Caino: dov'è il fratello tuo? Ed egli disse: sono forse il guardiano del fratello mio? - E disse Dio: il sangue del fratello tuo mi grida vendetta, ti lamenterai e tremerai fino alla fine della vita tua. Adamo ed Eva piansero, e il diavolo si rallegrò, dicendo: Dio ha elargito doni a costui, ed io l'ho costretto ad allontanarsi da Dio, ed ora l'ho fatto piangere. E piansero Abele per anni trenta, e il corpo suo non imputridí, essi non sapevano come seppellirlo. E per ordine divino giunsero volando due uccelletti, uno morí, l'altro scavò una fossa, e pose in essa il morticina, e lo seppellí. Avendo visto ciò, Adamo ed Eva scavarono una fossa, e vi posero Abele, e piangendo lo seppellirono. All'età di duecento e trenta anni, Adamo generò Set e due figlie; e Caino si uni con una di esse, e Set con l'altra, e da essi nacquero gli uomini e si moltiplicarono sulla terra. E non riconoscevano il loro creatore, e si macchiarono di lussuria, e di ogni cosa immonda, e di omicidi, e di invidia; vissero gli uomini simili ad animali. Di tutto il genere umano solo Noè era giusto. Ed egli generò tre figli: Sem, Cam e Jafet. E disse Dio: lo spirito mio non sarà
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piú tra gli uomini, e ancora: distruggerò ciò che ho creato, dall'uomo all'animale. E disse il Signore Iddio a Noè: costruisci un'arca della lunghezza di braccia 300 e della larghezza di 8o, e della altezza di 30 braccia (gli Egizi chiamano una tesa braccio). In cento anni Noè costruí l'arca e quando annunziò Noè che vi sarebbe stato il diluvio, si fecero beffa di lui. Allorché l'arca fu terminata, il Signore disse a Noè: entra nell'arca con la tua donna e i figli tuoi, e il bestiame tuo e conduci con te una coppia di ogni animale, e di ogni uccello e di ogni sorta di rettile. E Noè fece ciò che Dio gli aveva ordinato. Scatenò Dio il diluvio sulla terra, tutto ciò che era vivo annegò, mentre l'arca galleggiava sulle acque. Allorché l'acqua si ritirò, uscí Noè e i figli suoi e la donna sua. E da essi fu popolata la terra. E vi erano molti uomini, e un solo linguaggio, e si dissero: costruiamo una torre alta fino al cielo. Si misero all'opera e il capo era Nevrod' e disse Dio: ecco gli uomini si sono moltiplicati e i loro progetti sono pieni di vanità. E scese Dio e divise il loro linguaggio in settanta e due lingue. Soltanto il linguaggio di Adamo non fu allontanato dall'Eden; giacché egli soltanto fra tutti non aveva partecipato a quel folle progetto, cosí aveva detto: se Dio avesse detto agli uomíni di costruire una torre alta fino al cielo, allora Dio stesso l'avrebbe creata con una sola parola, come aveva creato il cielo, la terra, il mare, e tutto ciò che v'è di visibile e di invisibile. Ecco perché non mutò il linguaggio di lui; e da lui discesero gli Ebrei. Si divisero in settanta e un popolo, e si dispersero per la terra, e ciascuno prese un proprio carattere. Per istigazione diabolica essi facevano sacrifici in onore dei boschetti, dei ceppi e dei fiumi, e non riconoscevano Dio. Da Adamo a1 diluvio corse un lasso di tempo di anni 2242, e dal diluvio alla dispersione dei popoli anni 529. Piú tardi il diavolo trascinò gli uomini nel piú grande errore; ed essi presero a creare idoli, alcuni in legno, altri in bronzo, ed altri ancora in marmo, ed altri in oro, e in argento; e s'inchinarono ad essi, e portarono i propri figli e le proprie figlie, e li sgozzarono dínanzi a loro, e tutta la terra fu profanata. Il primo a creare gli idoli fu Sarug; egli creò idoli in onore degli uomini defunti, alcuni in onore degli antichi imperatori, altri [in onore] degli uomini valorosi, e dei lupi e delle donne amanti. Sarug generò Tare; Tare generò tre figli: Abramo, e Nachor, e Aronne. Tare costruiva idoli, avendo appreso questa arte dal padre suo. Abramo, dopo aver riflettuto, guardò il cielo, e vide le stelle e il cielo e disse: in verità è Dio colui che ' Nevrod non è un personaggio biblico; ma nella cronaca bizantina di Giorgio Amartolo è menzionato come il fondatore della città di Babilonia. 12
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ha creato il cielo e la terra, e il padre rnio inganna gli uomini. E disse Abramo: metterò alla prova gli dèí del padre mio; e disse: o padre! Perché inganni gli uomini, costruendo idoli di legno? ^ Dio colui che ha creato il cielo e la terra. Abramo afferrò il fuoco e lo appiccò agli idoli che erano nel tempio. Aronne, fratello di Abramo, avendo visto ciò, e avendo fede negli idoli, voleva salvarli, ma arse lo stesso Aronne, e morí prima del padre. Non era mai capitato, sino allora, che un figlio premorisse al padre, bensí il padre al figlio; da allora invece i figli cominciarono a morire prima dei padri. Dio cominciò a voler bene ad Abramo, e perciò gli disse: vieni via dalla casa del padre tuo e va' nella terra che io stesso ti indicherò, e farò originare da te un popolo grande e le stirpi della terra ti benediranno. E fece Abramo ciò che gli aveva ordinato Dio. E Abramo condusse seco il nipote Lot: Lot era suo cognato e nipote, giacché Abramo aveva preso in moglie la figlia di suo fratello Aronne, Sara. E giunse nella terra di Cana e si diresse verso una quercia grande, e disse Dio ad Abramo: darò ai tuoi discendenti questa terra. E Abramo si inchinò a Dio. Abramo contava anni settanta e cinque, allorché si allontanò da Cana. Sara era sterile, e ne soffriva molto. Disse Sara ad Abramo: va' dalla schiava mia. E Sara chiamò Agar e la lasciò al suo uomo, e Abramo andò da Agar. Agar concepí e generò un figlio, e Abramo lo chiamò Ismaele; Abramo contava anni ottanta e sei, allorché nacque Ismaele. Piú tardi Sara generò un figlio, cui impose il nome di Isacco. E ordinò Dio ad Abramo di praticare la circoncisione al fanciullo, ed egli gliela praticò all'ottavo giorno. Dio amò Abramo e la stirpe sua, e li chiamò suoi uomini, e, chiamandoli in tal modo, li distinse dagli altri popoli. Isacco crebbe, e Abramo visse cento e settanta e cinque anni e morí e fu seppellito. All'età di anni sessanta Isacco ebbe due figli: Esaú e Giacobbe. Esaú era bugiardo, e Giacobbe giusto. Giacobbe lavorò anni sette presso lo zio per ottenere la sua piú giovane figlia; ma Labano, suo zio, non gliela dette, e disse: prendi la piú grande. E gli dette Lia, la piú anziana, e per l'altra gli disse: lavora ancora sette anni. Egli per Rachele lavorò ancora sette anni. Ed ebbe cosi in moglie due sorelle, e da esse ebbe otto figli: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issachar, e Zabulon, Giuseppe, e Beniamino; da due schiave [ebbe] Dan, Neftali, Gad e Aser da questi ebbero origine gli Ebrei. Giacobbe andò in Egitto all'età di cento e trenta anni, con la stirpe sua, in numero di sessanta e cinque anime. Visse in Egitto anni diciassette, e morí, e fu schiava la stirpe sua per anni quattrocento. Durante questi anni si rafforzarono gli uomini ebrei e si moltiplicarono, e oppressero gli Egizi con la schiavitú. A quei tempi nacque Mosè tra gli
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Ebrei, e dissero gli indovini egizi all'imperatore: è nato il figlio degli Ebrei che distruggerà l'Egitto. Subito ordinò l'imperatore di gettare i neonati ebrei nel fiume. La madre di Mosè, temendo la perdita di lui, preso il piccolo, lo pose in una cesta, lo portò e lo depose su di un prato. Intanto giungeva la figlia del Faraone Fermufi per bagnarsi, vide il piccolo che piangeva, lo prese e gli fece grazia [della vita] e impose a lui il nome di Mosè, e lo nutrí. Era un bambino bello, e allorché ebbe anni quattro, lo condusse la figlia del Faraone al padre suo. Avendo veduto il Faraone Mosè, abbracciò il fanciullo. Mosè, afferrandolo per il collo, fece cadere la corona dal capo dell'imperatore e la pestò. Avendo visto ciò l'indovino, disse all'imperatore: o imperatore, uccidi questo fanciullo; se non lo uccidi, egli farà perire tutto l'Egitto. E non gli dette ascolto l'imperatore, però ordinò di non uccidere piú i bambini ebrei. Mosè divenuto adulto fu grande nel palazzo del Faraone. Era come un altro imperatore, ed ebbero invidia di lui i dignitari. Mosè, dopo aver ucciso un egizio, che aveva o$eso un ebreo, fuggí dall'Egitto; e giunse nella terra di Madian e, andando per il deserto, apprese dall'angelo Gabriele dell'esistenza di tutto il mondo, e del primo uomo, e di ciò che fu dopo di lui e dopo il diluvio, e della confusione delle lingue, [ seppe ] quanti anni aveva vissuto ciascuno, il movimento delle stelle e il numero [di esse], la misura della terra ed ogni cosa saggia. Poi apparve a lui Dio in un infuocato cespuglio di spine, e disse: ho veduto la miseria degli uomini miei in Egitto, e sono disceso per liberarli dal potere degli Egizi, fa' che si allontanino dalla tua terra. Va' dal Faraone, imperatore egizio, e digli: lascia partire Israele; perché per tre giorni si praticheranno sacrifici a Dio. Se non ti ascolterà l'imperatore egizio li sconfiggerò io con tutti i miracoli miei. Quando giunse Mosè, il Faraone non gli prestò ascolto, e inflisse Dio dieci castighi al Faraone: i) i fiumi [ trasformati ] in sangue; 2) i rospi; 3) i moscerini; 4) le mosche canine; 5) la moria degli animali; 6) gli ascessi; 7) la grandine; 8) le cavallette; 9) le tenebre per tre giorni; io) la peste tra gli uomini. Ebbero dieci castighi perché essi per dieci mesi avevano ucciso i bambini ebrei. Allorché venne la peste in Egitto, il Faraone disse a Mosè e al fratello suo Aronne: andate via al piú presto. Mosè, radunati gli uomini ebrei, andò via dalla terra egizia. E li condusse il Signore attraverso il deserto verso il Mar Rosso, ed appariva al cospetto loro di notte in sembianza di colonna di fuoco, e di giorno di nuvola. Avendo avuto sentore il Faraone che fuggivano gli uomini, li inseguí, e li spinse verso il mare. Accortisi [di ciò] gli uomini ebrei, si sollevarono contro Mosè, dicendo: perché ci hai condotto a morte? Mosè si rivolse a
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Dio, e il Signore disse: perché mi implori? Batti sul mare con il tuo bastone. Fece cosí Mosè, e si divise l'acqua in due, ed entrarono i figli di Israele nel mare. Visto ciò il Faraone, li inseguí, e i figli di Israele passarono all'asciutto. Appena essi furono sulla riva, si chiuse il mare sul Faraone e sopra i suoi uomini. E amò Dio Israele, ed essi dal mare per tre giorni camminarono nel deserto, e giunsero a Moria. Era qui l'acqua amara, e brontolarono gli uomini contro Dio, e mostrò loro il Signore un albero, e lo pose Mosè nell'acqua, e dolce divenne l'acqua. Poi di nuovo brontolarono contro Mosè e contro Aronne, dicendo: era meglio per noi in Egitto, lí mangiavamo carne, cipolle e pane a sazietà. E disse il Signore a Mosè: ho udito il lamento dei figli di Israele e dette loro la manna. Poi dette loro la legge sul Monte Sinai. Salito Mosè sul monte incontro a Dio, essi [gli Ebrei] tagliarono la testa ad un agnello, e la venerarono come fosse Dio, [di agnelli] Mosè ne uccise tremila. E poi di nuovo brontolarono contro Mosè ed Aronne, perché non vi era acqua. E disse il Signore a Mosè: batti con il tuo bastone sulla pietra; [Mosè] disse: e se non venisse fuori acqua? - E si adirò il Signore contro Mosè, che non rispettava il Signore; ed Egli non entrò nella terra promessa per questo, per i continui lamenti, ma condusse [Mosè] sul monte Vam, e gli mostrò la terra promessa. E morí Mosè su questa montagna. E prese il potere Giosuè, figlio di Nun; costui oltrepassò [il deserto] e giunse nella terra promessa, e distrusse la stirpe di Canaan, e stabili al suo posto i figli d'Israele. Quando Giosuè mori, fu al suo posto il giudice Giuda; gli altri giudici furono quattordici, sotto di essi [gli Ebrei] dimenticarono Dio, che li aveva condotti dall'Egitto, e presero a servire i demoni. E si adirò Dio, e li abbandonò al cattivo trattamento delle tribú straniere. Allorché essi cominciarono a pentirsi, li perdonò; ma quando li perdonò, essi di nuovo cominciarono ad onorare i demoni. Dopo di questi fu giudice il sacerdote Elia, e dopo di lui il vate Samuele. E dissero gli uomini a Samuele: dacci un re. E si adirò il Signore contro Israele, e dette loro Saul come re. Ma Saul non volle sottostare alla legge del Signore, e scelse il Signore David, e lo nominò re d'Israele, e David accontentò Dio. A costui, a David, promise Dio che sarebbe nato dalla stirpe sua un Dio. Egli per primo prese a profetizzare l'incarnazione divina, dicendo: prima dell'aurora ti genererò. Cosí egli profetizzò per anni quaranta, e morí. E dopo di lui profetizzò il figlio suo Salomone, che eresse un tempio a Dio, e lo chiamò Santo dei Santi. E fu saggio, ma alla fine cadde in tentazione; regnò per anni quaranta e morí. Dopo Salomone regnò il figlio suo Roboamo. Durante il suo regno si divise l'impero ebreo in due: a Geru-
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salemrne uno, e l'altro a Samaria. A Samaria regnava Geremia, servo di Salomone; egli costruí due agnelli d'oro, e ne pose uno sulla collina di Betel, e l'altro presso [la città di] Dan, dicendo: ecco i tuoi dèi, o Israele. E li venerarono gli uomini, e dimenticarono Dio. Cosí anche a Gerusalemme cominciarono a dimenticare Dio e a venerare Baal, cioè i1 dio della guerra, che è Ares, e obliarono il Dio dei padri loro. E cominciò Dio ad inviar loro dei profeti. I profeti cominciarono a dissuaderli dall'empietà loro e dall'idolatria. Essi presero ad uccidere í profeti, che li allontanavano [dagli idoli]. Si adirò Dio contro Israele e disse: li ricuserò, chiamerò altri uomini, che mi venereranno. Se si pentiranno, non ricorderò le empietà loro. E prese ad inviare profeti, dicendo loro: annunziate il ripudio degli Ebrei e la chiamata di popoli nuovi. « Per primo cominciò a profetizzare Osea, dicendo: " Farò cessare il regno della casa di Israele... Spezzerò l'arco di Israele... Perché non continuerò piú ad usare misericordia alla casa di Israele..."; aveva detto il Signore: "E andranno raminghi tra le nazioni" `. Geremia aveva riferito [le parole del Signore ]:"Quand'anche Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, l'animo mio non si rivolgerebbe piú verso questo popolo" Z. E ancora Geremia aveva detto: "Cosí ha parlato il Signore: giuro sul mio grande nome... che non sarà mai piú pronunziato il nome mio da labbra ebree". Ezechiele aveva detto: "Cosí ha parlato il Signore Adonai... Vi disperderò, e spargerò a tutti i venti tutti gli avanzi vostri...; giacché avete profanato i miei santuari con tutte le vostre abominazioni, vi caccerò... e non avrò piú pietà di voi". Malachia aveva detto: "Cosí ha parlato il Signore: Io non sono contento di voi... Perché da dove sorge il sole fin dove tramonta, il mio nome è grande tra le genti; e in ogni luogo si sacrifica e si o$re al mio nome un'oblazíone pura; perché grande è il mio nome tra le genti"'. "Quindi anch'io vi ho resi spregevoli e abietti a tutta la popolazione" 4. Il sommo Isaia aveva detto: "Cosí ha parlato il Signore: E volgerò la mia mano sopra di te, e fonderò le tue scorie e le colerò, e toglierò via tutto il tuo stagno" 5. E ancora questi aveva detto: "L'incenso l'ho in aborrimento, il novilunio, il sabato" `. Amos aveva detto: "Udite questa parola ch'io alzo sopra di voi quale lamento, o casa di Israele: caduta, né tornerà a sorgere..."'. Malachia aveva detto: ' Osea, I, 4-6. Geremia, XV, x. Malachia, I, xo-xx. ° Ibid., II, 9. ' Isaia, I, 25. Isaia, I, 13. ' Amos, V, 1-2. Z
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"Dice il Signore: Manderò l'indigenza in mezzo a voi, e maledirò le vostre benedizioni... e le maledirò, perché non avete preso a cuore" I E molti profeti annunziarono il loro ripudio. « A questi profeti Dio comandò di annunziare la venuta di altri popoli al loro posto. Cominciò ad annunziare Isaia, cosí dicendo: "Da me uscirà la legge, e il mio comandamento in luce dei popoli sovr'essi riposerà. Il mio giusto è vicino a venire... e le mie braccia giudicheranno i popoli" Z. Geremia aveva detto: "Dice il Signore: Ma questa sarà l'alleanza che avrò stretta con la casa d'Israele... Io metterò la mia legge nel loro interno e la scriverò nel loro cuore, e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo" ' . Isaia aveva detto: "Le cose preannunziate, ecco che vengono: ma io ve ne predico ancora delle nuove; avanti che avvengono io ve le annunzio. Cantate al Signore un cantico nuovo! "". "Un nome eterno darò loro, che non perirà... La mia casa sarà chiamata casa di orazione" 5. Isaia aveva detto: "Il Signore ha preparato il braccio suo santo agli occhi di tutte le genti, e tutti i confini della terra vedranno la salvezza del Dio nostro". David aveva detto: "O uomini, lodate tutti il Signore; e tutti, o uomini, glorificatelo". « Cosí Dio, amando i nuovi uomini, rivelò ad essi che egli stesso sarebbe sceso tra loro, si sarebbe manifestato sotto forma di uomo e avrebbe riscattato i peccati di Adamo. E presero a profetizzare l'incarnazione di Dio; e prima di tutti David, dicendo: "Il Signore ha parlato al mio Signore: Siederai alla mia destra, fin a quando avrò messo i nemici tuoi sotto il piede tuo". E ancora: "I1 Signore mi ha detto: Mio figlio sei tu, oggi io ti ho generato" 6. Isaia aveva detto: "Non un ambasciatore, non un messaggiero, ma Dio stesso verrà a salvarci " . E ancora: "Perché ci è nato un pargolo... e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile... Il suo impero crescerà, e la pace non avrà piú fine" ' . E ancora: "Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio, e lo chiameranno col nome di Emmanuele " e. Michea aveva detto: "E tu, o Betleem Efrata, sei piccola tra le migliaia di Giuda; ma da te uscirà colui che sarà dominatore in Israele, e la sua origine è dal principio dei giorni dell'eternità. Perciò il Signore li darà in balia altrui, sino al tempo in cui ' Malachia, II, 2. z Isaia, LI, 4-5. Geremia, XXXI, 33. ^ Isaia, XLII, 9-1o. Ibid., LVI, 5, 7. 6 Salmi, II, 7. Isaia, IX, 6-7. e Isaia, VII, 14•
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colei che deve partorire partorirà, e i suoi fratelli superstiti torneranno ai figli di Israele" 1. Geremia aveva detto: "Questi è il Dio nostro, e nessun altro gli può stare a paragone. Questi ha trovato tutte le vie della Sapienza e la diede a Giacobbe suo servo... E dopo questo è comparso sulla terra, e tra gli uomini ha conversato" Z. E ancora: "L'uomo esiste: chi saprà che c'è Dio? Giacché come uomo morrà". Zaccaria aveva detto: "E poiché quando parlò, essi non vollero dargli ascolto... io non darò [ loro ] ascolto" 3. E Osea aveva riferito: "Cosí ha parlato il Signore: Il corpo mio [ sarà generato] da loro". « Predissero cosí anche la passione di lui, dicendo come aveva detto Isaia: "Guai alle anime loro! perché i loro mali sono stati ad essi rípagati..." 4. E ancora questi aveva detto: "Cosí ha parlato il Signore: Io non mi opporrò, né obietterò. Il dorso mio ho esposto all'offesa delle genti, e le mie guance alle percosse, e non ho sottratto il mio viso allo sputo oltraggioso". Geremia aveva detto: "Venite, diamo a lui il legno in luogo del pane suo e strappiamo via dalla terra la vita sua". Mosè aveva detto della sua crocifissione: "E la vita tua sarà per te come sospesa". E David aveva detto: "Perché fremon le genti?" Isaia aveva detto: "Come pecorella sarà condotto al macello". Esdra aveva detto: " Che Dio sia benedetto, egli stese le braccia, liberando Gerusalemme". « E della resurrezione aveva detto David: "Risorgi, o Dio, giudica la terra, giacché tu hai ereditato tutti i paesi". E ancora: "Come da un sogno si levò il Signore". E ancora: "Che Dio risorga, e che i nemici suoi siano dispersi". E ancora: "Risorgi, o Signore Dio mio, affinché si levi di nuovo la mano tua". Isaia aveva detto: "La luce brillerà su coloro che sedevano nella terra dell'ombra di morte". E Zaccaria: "Tu anche, mediante il sangue della tua alleanza hai rimandato liberi i tuoi prigionieri dalla fossa dove non c'è acqua". « E molto ancora profetizzarono di lui e tutto si avverò ». Disse allora Volodimir: « In qual tempo si è avverato? E si è dunque avverato? O solo ora si avvera? » E quegli in risposta cosí gli disse: « Già prima si è tutto avverato, quando Dio si è incarnato. Come ho già detto, allorché gli Ebrei uccidevano i profeti, e gli imperatori loro trasgredivano le leggi, essi furono abbandonati alla schiavitú, e in ceppi condotti in Assiria, a causa dei peccati loro, e lavorarono anni settanta. E poi tornarono alla terra loro, e non avevano ' Michea, V, 2. ^ Baruc, III, 36-3 8. Zaccaria, VII, 13. 4 Isaia, III, 9.
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un re, ma í vescovi regnarono su di loro fino al tempo dello straniero Erode, che li governò. «Durante il potere di quest'ultimo, nell'anno 5500, fu mandato Gabriele a Nazaret dalla Vergine Maria, della stirpe di David, e le disse: godi, o benedetta, il Signore sia con te! E dopo queste parole ella concepí il Verbo divino, e generò un figlio, e lo chiamò Gesú. Ed ecco i saggi giungere da levante; chiesero: dov'è il neonato Re dei Giudei? Vedemmo la stella sua a levante, e siamo venuti ad onorarlo. Avendo udito ciò, l'imperatore Erode si turbò, e tutta Gerusalemme con lui; chiamati i dotti e gli anziani, chiese loro: dove è nato Cristo? Ed essi gli risposero: nella ebrea Betleem. Erode, udito ciò, mandò [messi], e disse [loro]: uccidete i bambini di due anni. Essi vi andarono, e uccisero i bambini. Maria, spaventata nascose il bambino. Giuseppe, con Maria, preso il bambino, fuggí in Egitto, e vi rimase fino alla morte di Erode. In Egitto apparve l'angelo a Giuseppe, e disse: lévati, prendi il bambino e la madre sua, va' nella terra di Israele. E, giunti, si stabilirono a Nazaret. [ Gesú ] crebbe e compiti anni trenta, cominciò a fare miracoli e a predicare il regno celeste. E radunò dodici [ uomini ] e li chiamò suoi discepoli; e prese a fare miracoli grandi, e a risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, a far camminare gli zoppi, dar la vista ai ciechi, e a fare molti altri miracoli grandi, poiché di lui i profeti avevano predetto: "veramente delle nostre infermità egli si è caricato, e si è addossato i nostri dolori". E fu battezzato nel [ le acque del ] Giordano da Giovanni, mostrando ai nuovi uomini la rigenerazione. Allorché egli fu battezzato e si aprirono i cieli, lo Spirito discese in sembianze di colomba su di lui, e una voce disse: ecco il dilettissimo figliuol mio, sia a lui la mia benedizione. E mandò i discepoli suoi a profetizzare il regno celeste, la penitenza del resto dei peccati. La profezia si avverò, e si cominciò ad annunziare che il figlio dell'uomo avrebbe dovuto soffrire, che sarebbe stato crocifisso e che il terzo giorno sarebbe risorto. Mentre egli predicava in chiesa, i preti e i dotti, pieni di invidia, cercarono di ucciderlo; e lo presero, e lo condussero al governatore Pilato. Pilato, avendo le prove che, senza colpa, lo avevano condotto, voleva lasciarlo andare. Essi gli dissero: se tu lasci andare costui, non sei amico dell'imperatore. Pilato ordinò allora di crocifiggerlo. Essi, preso Gesú, lo condussero al luogo del supplizio, e lo crocifissero lí. Fu la tenebra su tutta la terra dalla sesta ora alla nona, e alla nona ora esalò lo spirito Gesú. La volta del tempio si divise in due; risorsero molti morti, e fu ordinato loro di entrare in paradiso. Lo tolsero dalla croce, lo posero in una tomba, e con i sigilli gli Ebrei chiusero la tomba, una sentinella vi posero [a
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guardia], dicendo: che non lo rubino i suoi discepoli. Il terzo giorno egli risorse. Risorto da morte, apparve ai suoi discepoli, disse loro: andate tra tutte le genti, e istruite tutti i paesi, e battezzate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Stette con loro quaranta giorni, era apparso loro dopo la resurrezione. Trascorsi quaranta giorni, ordinò loro di andare sul monte degli Olivi. E qui apparve loro, li benedisse, e aggiunse: restate nella città di Gerusalemme, fin quando non manderò la promessa del Padre mio. E dicendo questo, s'innalzò verso il cielo. Essi l'adorarono. E tornarono a Gerusalemme, e stettero sempre nel tempio. Dopo che furono trascorsi cinque decine di giorni, discese lo Spirito Santo sugli Apostoli. Ricevuta la promessa dello Spirito Santo, si sparsero per la terra, istruirono e battezzarono con l'acqua ». Volodimir chiese: « Perché da una donna è stato generato, e sul legno crocifisso, e con l'acqua battezzato? » Quegli gli rispose: «Perché fin dalla origine il genere umano per una donna peccò, il diavolo ingannò tramite Eva Adamo, e costui perse il paradiso; cosí anche Dio si è vendicato del diavolo; per la donna la prima vittoria fu del diavolo, per la donna in origine fu espulso Adamo dal paradiso; nella donna s'incarnò Dio e ordinò ai fedeli di entrare nel paradiso. E cosí sul legno fu crocifisso per questo, perché dall'albero aveva assaggiato Adamo e fu cacciato dal paradiso; Dio sul legno la passione soffrí, perché col legno il diavolo sarà vinto e col legno saranno salvate le vite dei giusti. Ed è stato con l'acqua rigenerato, perché al tempo di Noè, allorché si erano moltiplicati i peccati umani, aveva scatenato Dio un diluvio sulla terra, e aveva fatto affogare gli uomini nell'acqua; per questo Dio aveva detto: feci perire con l'acqua gli uomini a causa dei peccati loro, ora di nuovo con l'acqua purifico i peccati dell'uomo, con l'acqua della salvazione; anche la stirpe ebrea nel mare si era purificata dalla malvagità degli Egizi, perciò l'acqua fu creata prima di ogni altra cosa; è stato detto: lo spirito divino si porta al disopra delle acque; perciò anche oggi ci si battezza con l'acqua e con lo Spirito Santo. La prima trasformazione fu appunto data dall'acqua, allorché Gedeone dimostrò ciò. Una volta venne da lui l'angelo e gli ordinò di andare alla volta di Madian; egli allora, per averne prova, disse a Dio: metterò il vello sull'aia, cioè: che per tutta la terra cada la rugiada, ma che il mio vello rimanga asciutto...; e cosí fu. Ciò dunque dimostra che i paesi stranieri erano prima asciutti, ma [non] il vello ebreo, poi su [ tutti ] i paesi [ cadde ] la rugiada, cioè il santo battesimo, mentre su [quello] ebreo la siccità. E i profeti avevano predetto che con l'acqua la rigenerazione sarebbe avvenuta.
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«Allorché gli apostoli insegnarono per il mondo la fede di Dio, il loro insegnamento anche noi Greci accettammo; tutto il mondo crede nell'insegnamento loro. Ha stabilito Dio il giorno in cui, disceso dal cielo, verrà a giudicare i vivi e i morti, e ricompenserà ciascuno secondo il suo operato: ai giusti il regno dei cieli, e la bellezza ineffabile, e la felicità senza fine, l'immortalità eterna; ai peccatori sofferenze di fuoco, e un verme che mai morirà, e il tormento senza fine. Tali sofferenze saranno per coloro che non credono in Gesú Cristo Dio nostro: soffriranno nel fuoco, coloro che non si battezzeranno ». E dopo aver detto ciò, mostrò a Volodimir una tavola sulla quale era disegnato il tribunale divino, gli mostrò a destra i giusti che vanno verso la felicità nel paradiso e a sinistra i peccatori che vanno verso le sofferenze. Volodimir, sospirando disse: « Bene per coloro [che siedono] a destra, male per quelli a sinistra ». Egli disse: « Se vuoi sedere alla destra con i giusti, battezzati ». Volodimir, posto nel cuore suo [ questo pensiero], disse: « Aspetterò ancora un poco », volendo riflettere su tutte le fedi. Volodimir, dopo aver offerto a quegli molti doni, lo accomiatò con onore grande. Anno 6495. Chiamò Volodimir i boiari suoi e gli anziani della città, e disse loro: « Ecco, sono venuti da me i Bulgari, per dire: accogli la fede nostra. Di poi sono venuti i Tedeschi, e costoro lodarono la fede loro. Dopo di loro giunsero gli Ebrei. Infine giunsero i Greci, biasimarono tutte le fedi, la propria lodarono e molto parlarono, narrando le origini del mondo e del suo esistere. Saggiamente dissero, e meraviglioso era ascoltarli; ad ognuno avrebbe fatto piacere udirli, e l'altro mondo svelarono: e chi, dissero, nella nostra fede entrerà, allora morirà, risorgerà, e non morirà in eterno; se in un'altra fede entrerà allora nell'altro mondo arderà nel fuoco. Qual è il vostro parere? Cosa rispondete? » E dissero i boiari e gli anziani: « Sappi, principe, che nessuno biasima il proprio [rito ], ma [lo ] loda. Se vuoi avere delle prove sicure, tu hai pure degli uomini: inviali a studiare il culto di ciascuno di loro, e la maniera in cui ciascuno serve Dio ». E piacque il discorso al principe e a tutti gli uomini; scelsero uomini buoni e sensati, in numero di dieci, e dissero loro: « Andate per prima dai Bulgari e studiate la fede loro ». Essi andarono, e giunti[vi] videro gli atti osceni e il culto nella moschea; ritornarono nella terra propria. E disse loro Volodimir: « Andate anche dai Tedeschi, osservate allo stesso modo, e da lí andate dai Greci ». Vennero essi dai Tedeschi, e osservarono il rito ecclesiastico loro, giunsero a Costantinopoli e si presentarono all'imperatore. L'imperatore chiese, per quale ragione fossero venuti. Essi gli raccontarono tutto l'accaduto. Avendo
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udito ciò, l'imperatore, rallegratosi, grande onore tributò loro in quel giorno. L'indomani mandò dal patriarca, per dirgli cosí: « Sono giunti i Russi ad informarsi della fede nostra, prepara la chiesa e il clero, e tu stesso indossa le sante vesti, che vedano la gloria del Dio nostro ». Avendo udito ciò, il patriarca ordinò di convocare il clero, secondo il solito celebrarono il rito e gli incensi arsero, i canti e i cori si composero. E [1'imperatore ] andò con loro in chiesa e fece loro prendere posto in un ampio spazio, mostrando la bellezza della chiesa, i canti e il rito dei vescovi, lo schieramento dei diaconi, parlando loro del servizio del Dio suo. Estasiati, e pieni di meraviglia, elogiarono il rito loro. E li chiamarono gli imperatori Basilio e Costantino, dissero loro: « Tornate nella terra vostra », e li congedarono con doni grandi e con onore. Essi dunque giunsero alla terra loro. E convocò il principe i suoi boiari e gli anziani, disse Volodimir: « Ecco, sono giunti gli uomini da noi inviati, ascoltiamo da essi l'accaduto », e disse: « Parlate dinanzi alla druzincc ». Essi dissero cosí: « Siamo andati dai Bulgari, abbiamo visto come adorano [ Dio ] nel tempio, cioè nella moschea, stanno senza cintura; adorando [Dio ] si siedono, e guardano qua e là come ossessi, e non vi è gioia in loro, bensí tristezza e lezzo grande. Non è buona la fede loro. E siamo andati dai Tedeschi, e vedemmo che nei templi molti riti officiavano, ma di bello non vedemmo nulla. E dai Greci andammo, e vedemmo dove officiavano in onore del loro Dio, e non sapevamo se in cielo ci trovavamo oppure in terra: non v'è sulla terra uno spettacolo di tale bellezza, e non riusciamo a descriver[lo]; solo questo sappiamo: che là Dio con l'uomo coesiste, e che il rito loro è migliore [di quello] di tutti i paesi. Ancora non possiamo dimenticare quella bellezza, ogni uomo che gusta il dolce, poi non accetta l'amaro, cosí anche noi non saremo piú [ pagani ] ». Rispondendo i boiari dissero: « Se fosse stata empia la fede greca l'ava tua Ol'ga, che fu la piú saggia di tutti gli uomini non l'avrebbe accettata ». Volodimir in risposta disse: « Dove riceveremo il battesimo? » Essi dissero: « Dove ti aggrada ». E passò un anno... Nell'anno 6496, andò Volodimir con gli eserciti contro Cherson, città greca, e si rinchiusero i Chersonesi nella città. E stette Volodimir dall'altra parte della città, nell'estuario, lontano un tiro di freccia da essa, e combattevano strenuamente. Volodimir cinse la città d'assedio. E gli uomini vi perdevano le forze; e disse Volodimir ai cittadini: « Se non vi arrenderete, rimarrò ancora tre anni ». Essi non gli dettero ascolto. Volodimir ordinò le schiere sue, e comandò di formare un terrapieno dalla parte della città. Mentre essi lavoravano, i Chersonesi, dopo averne distrutto le mura, sottraevano la terra am-
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monticchiata e se la portavano via, ammassandola nel mezzo della città. I soldati ammucchiavano di piú, e Volodimir persisteva. Ed ecco che un chersonese, a nome Anastasio, lanciò una freccia dopo avervi scritto sopra cosí: « Scava e sbarra le sorgenti che sono dietro di te ad oriente, da dove l'acqua giunge attraverso canali ». Volodimir, appreso ciò, rivolto al cielo, disse: « Se ciò avverrà, io stesso mi farò battezzare ». E allora, subito ordinò di scavare in direzione dei canali, e sbarrò l'acqua. Gli uomini vennero meno per sete e si arresero. Entrò Volodimir nella città con la druzina sua, e mandò Volodimir agli imperatori, Basilio e Costantino, per dire cosí: «Ecco la città vostra gloriosa ho preso; ho udito che avete una sorella nubile; se non me la darete in sposa, farò con la città vostra come ho fatto con questa ». E udirono gli imperatori, si rattristarono, e mandarono la risposta, dicendo cosí: « Non è dignitoso per un cristiano sposare un pagano. Se tu prenderai il battesimo allora anche questo otterrai, e il regno celeste riceverai, e della stessa fede saremo. Se ciò non vuoi fare, non potremo darti la sorella nostra in sposa ». Avendo udito ciò Volodirnir disse agli inviati degli imperatori: «Dite agli imperatori cosí: "Mi farò battezzare, giacché ho già sperimentato prima di questi giorni la fede vostra, ed è di mio gradimento la fede vostra e il rito, giacché me lo hanno illustrato gli uomini da noi inviati" ». E avendo udito ciò gli imperatori furono contenti, e implorarono la sorella loro, a nome Anna, e mandarono [messi] da Volodimir, per dire: «Fatti battezzare, ed allora invieremo a te la sorella nostra ». Disse allora Volodimir: « Che vengano con la sorella vostra a battezzarmi ». E ubbidirono glí imperatori, ed inviarono la sorella loro, alcuni dignitari e preti. Ella non voleva andare: « Vado in schiavitú - disse - meglio sarebbe per me morire qui ». E dissero a lei i fratelli: « Forse condurrà Dio, per tuo tramite, la terra russa alla redenzione, e la terra greca libererà da una terribile guerra. Non hai forse visto quanto male hanno fatto i Russi ai Greci? E ora se tu non vai, lo stesso faranno a noi ». E a mala pena la convinsero. Ella seduta nell'imbarcazione, dopo aver salutato i suoi parenti, in pianto, se ne andò per mare. E giunse a Cherson e andarono i Chersonesi incontro ad ossequiarla, e la condussero in città, e la ospitarono al palazzo. Per divina provvidenza in quel tempo Volodimir era ammalato agli occhi, e non vedeva nulla, e soffriva molto, e non sapeva cosa fare. E mandò a lui [inviati] l'imperatrice, per dirgli: « Se vuoi salvarti da questa malattia, fatti subito battezzare, altrimenti non ti libererai da tale sofferenza ». Avendo udito ciò Volodimir disse: « Se ciò sarà vero, allora è veramente grande il Dio cristiano ». E ordinò che lo battezzassero. Il vescovo cherso-
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nese con i preti dell'imperatrice, dopo aver reso pubblico [ tale fatto], battezzò Volodimir. E appena pose la mano su di lui, immediatamente [Volodimir] vide. Avendo costatato Volodimir l'improvvisa guarigione, rese gloria a Dio, e disse: «Ora per la prima volta ho conosciuto il Dio vero ». Avendo visto ciò la druzina sua, molti [di essa] si fecero battezzare. Essi furono battezzati nella chiesa di San Basilio, e questa chiesa si trova nella città di Cherson, al centro di essa, dove tengono mercato i Chersonesi; il palazzo di Volodimir si trova oltre la chiesa ancor oggi, mentre il palazzo della imperatrice è dietro l'altare. Dopo il battesimo [ Volodimir ] condusse 1'imperatrice a nozze. Coloro che non conoscono la verità dicono che egli fu battezzato a Kiev, altri dicono a Vasilev, altri ancora diversamente dicono. A Volodimir, ormai battezzato, insegnarono la fede cristiana, dicendo cosí: « Non lasciarti sedurre da un eretico, ma credi, recitando cosí: "Io credo in un so1 Dio padre, onnipotente, creatore del cielo e della terra"; fino alla fine questa preghiera. E ancora: "Io credo in un unico Dio Padre, non generato, e in un unico Figlio generato, in un unico Spirito Santo che ne procede: tre esseri compiuti, pensanti, divisi per numero e per essenza sostanziale, ma non divina, giacché si separa indivisibilmente, e si congiunge senza fusione. Il Padre, Dio Padre, eternamente rimane nella paternità non generato, senza principio, e causa prima di ogni cosa, piú anziano, perché non generato, del Figlio e dello Spirito Santo; da lui fu generato il Figlio prima di tutti i secoli, viene quindi lo Spirito Santo senza tempo e senza corpo; insieme è il Padre, insieme è il Figlio, è insieme lo Spiríto Santo. Il Figlio che somiglia al Padre, soltanto per essere stato generato si differenzia dal Padre e dallo Spirito Santo. Lo Spirito è santissimo, al Padre e al Figlio somigliante ed eternamente unito [ad essi]. Al Padre è dunque la paternità, al Figlio la generazione, allo Spirito Santo la successione. Né il Padre nel Figlio o nello Spirito Santo si trasforma, né il Figlio nel Padre o nello Spirito, né lo Spirito nel Figlio o nel Padre; sono immutabili le loro proprietà... Non tre deità, [ ma ] un unico Dio, giacché è unica divinità in tre persone. Per volere del Padre e dello Spirito, per salvare la loro creatura, pur non allontanandosi dal seno paterno, scese e nel castissimo giaciglio di una vergine, come seme dívino entrò: e ricevette un corpo animato, dotato di parola e di intelligenza, che prima non esisteva, apparve un dio incarnato, nacque segretamente, e la verginità della madre rese incorruttibile, senza [farle] sopportare né agitazione, né turbamento, né trasformazione, ma rimanendo quale era, e divenendo quale non era, assumendo aspetto di schiavo di fatto e non in apparenza, [apparendo in tutto ] simile a noi,
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tranne che per il peccato... Di sua volontà nacque, di sua volontà sentí fame, di sua volontà sentí sete, di sua volontà so$rí, di sua volontà s'intimorí, di sua volontà morí, di fatto, e non in apparenza; [come] tutte le creature che sopportano sofferenze umane. Crocifisso, la morte provò innocente, risuscitato nel proprio corpo, non vedendosi putrefatto, al cielo salí, e sedette alla destra del Padre, verrà di nuovo con gloria a giudicare i vivi e i morti; come era salito con il suo corpo, cosí discenderà... Pratico un unico battesimo con l'acqua e con lo Spirito, mi addentro nei purissimi misteri, credo fermamente nel corpo e nel sangue..., accolgo le tradizioni chiesastiche, e venero le onorate immagini, venero il legno onorato, e ogni croce, le sante reliquie, e i santi vasi. Credo anche nei sette Concili dei Santi Padri, dei quali il primQ fu a Nicea dei 318 [padri ], che condannarono Ario, e annunziarono la fede pura e giusta. Il secondo Concilio, a Costantinopoli, dei 150 santi padri, che condannarono la Macedonia che negava lo Spirito Santo e annunziarono la Trinità consustanziale. Il terzo Concilio ad Efeso, dei 200 santi padri contro Nestorio: dopo aver condannato costui, annunziarono la santa Madre di Dio. Il quarto Concilio a Calcedonia, dei 63o santi padri contro Eutiche e Dioscoro: li condannarono i santi padri, proclamando vero Dio e vero uomo nostro Signore Gesú Cristo. Il quinto Concilio a Costantinopoli, dei =65 santi padri contro gli insegnamenti di Origene e contro Evagre: li condannarono i santi padri. Il sesto Concilio a Costantinopoli, dei 170 santi padri contro Sergio e Ciro: li condannarono i santi padri. Il settimo concilio a Nicea, dei 350 santi padri, che condannarono coloro che non avevano rispettato le immagini". « Non accettare l'insegnamento dai latini, il loro insegnamento è deformato: entrando in chiesa, non rispettano le immagini, ma stando fermi, s'inchínano, e inchinandosi, segnano una croce a terra e la baciano, alzatisi stanno su di essa in piedi; cosí, inchinato bacia e alzato disprezza. Questo gli apostoli non hanno insegnato; hanno insegnato gli apostoli a baciare la croce consacrata e ad onorare le immagini. Luca evangelista, dopo aver per primo disegnato [un'immagine sacra], [la] mandò a Roma, come dice Basilio: l'immagine somiglia alla forma primordiale. Inoltre essi chiamano madre la terra. E ancora, se essa è loro madre, allora padre loro è il cielo; da tempo immemorabile creò Dio il cielo e la terra. Cosí dicono: Padre nostro che sei nei cieli. Se poi secondo le vostre opinioni la terra è la madre, allora perché sputate sulla madre vostra? E la baciate e poi la insozzate? Prima i Romani non facevano questo, ma avevano regolato tutti i Concili, movendo da Roma e da tutti i seggi. Al primo Con-
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cilio, quello contro Ario a Nicea, da Roma Silvestro mandò vescovi e preti; da Alessandria, Atanasio; da Costantinopoli Metrofane inviò vescovi per conto suo; cosí regolarono la fede. Al secondo Concilio, da Roma, Damaso, e, da Alessandria, Timoteo, da Antiochia Melecio, da Gerusalemme Cirillo, il Teologo Gregorio. Al terzo Concilio il romano Celestino, l'alessandrino Cirillo, Giovenale da Gerusalemme. Al quarto Concilio il romano Leone, Anatolio da Costantinopoli, Giovenale da Gerusalemme. Al quinto Concilio: il romano Virgilio, Eutiche da Costantinopoli, l'alessandrino Apollinare, l'antiocheno Domnio. Al sesto Concilio: da Roma Agatone; Giorgio da Costantinopoli, Teofane da Antiochia, da Alessandria il monaco Pietro. Al settimo Concilio: Adriano da Roma, Tarasio da Costantinopoli, l'alessandrino Poliziano, l'antiocheno Teodoro, Elia da Gerusalemme. E tutti questi con i propri vescovi disciplinarono la fede. Dopo questo Concilio, Pietro il balbuziente venne a Roma con quelli e impadronitisi del seggio, e corrotta la fede, si staccò dal seggio di Gerusalemme, e di Alessandria, e di Costantinopoli, e di Antiochia. Sollevarono l'Italia tutta, formando un proprio diverso insegnamento. Questi preti officiavano essendo sposati con una donna, mentre altri avevano fino a sette mogli e officiavano; e guàrdati dall'insegnamento di costoro. Perdonano i peccati in cambio di doni, e ciò è peggiore di ogni altra cosa. Che Dio ti salvi da ciò ». In seguito Volodimir prese l ' imperatrice, e Anastasio, e i preti chersonesi, con le reliquie di san Clemente e di Teba, suo discepolo, prese anche i vasi chiesastici e le immagini per la benedizione. Eresse egli una chiesa a Cherson su un'altura, che essi avevano innalzato al centro della città, scavando [la terra] ammonticchiata; questa chiesa esiste ancor oggi. Andando, prese due idoli di bronzo, e quattro cavalli di bronzo, che ancor oggi sono collocati dietro [la chiesa del] la Santa Madre di Dio, e sono creduti di marmo dagli ignoranti. Dette Cherson di nuovo ai Greci come dono nuziale all'imperatrice; ed egli stesso tornò a Kiev. Allorché giunse, ordinò di abbattere gli idoli, alcuni fare a pezzi, e altri mettere a fuoco. Ordinò di legare Perun alla coda di un cavallo e di trascinar[lo] dalla collina di Boricev sul ruscello; a dodici uomini dette ordine di percuoterlo con bastoni. Questo non perché il legno sentisse, ma per oltraggio al demone, che aveva ingannato in quelle sembianze gli uomini, perché il castigo ricevesse egli dagli uomini. «Grande sei tu, o Signore, meravigliose sono le opere tue! » Ieri onorato dagli uomini, e oggi insultato. Allorché lo trascinarono lungo il ruscello fino al Dnepr, lo piansero gli uomini infedeli, giacché essi non avevano ricevuto il santo battesimo. E dopo averlo
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trascinato, lo gettarono nel Dnepr. E ordinò Volodimir, e disse: « Se egli si fermerà in qualche luogo, respingetelo dalla riva; fin quando le cateratte oltrepasserà, allora solo lo abbandonerete ». Essi fecero ciò che era stato comandato. Lo abbandonarono e passò attraverso le cateratte, lo sbatté il vento su una spiaggetta, che per questa ragione fu ritenuta la spiaggia di Perun, come ancor oggi la chiamano. Di poi Volodimir mandò per tutta la città a dire: « Chiunque non verrà domani al fiume, ricco, o povero, o mendicante, o artigiano, contro di me sarà ». Avendo udito ciò gli uomini, con gioia andarono, rallegrandosi e dicendo: « Se questa [ fede ] non fosse stata buona, il principe e i boiari non l'avrebbero accettata ». L'indomani giunse Volodimir con i preti dell'imperatrice e con i Chersonesi al Dnepr, e lí si recò la gente innumerabile. Scesero nell'acqua, e stavano alcuni fino al collo, e altri fino al petto; i giovani fino al petto presso la riva, altri i bimbi tenevano, gli adulti andavano avanti e dietro, e i preti che erano lí innalzavano preghiere. Ed era una gioia nei cieli e sulla terra vedere tante anime salvate; ma il diavolo gemendo diceva: « Ahimè, da qui sono stato cacciato! Qui pensavo di avere dimora, giacché qui non vi fu l'insegnamento apostolico, né qui conoscevano Dio, ma godetti io del culto che essi mi offrivano. Ed eccomi vinto da un ignorante, e non dagli apostoli, né dai martiri, non regnerò piú nei paesi loro ». Dopo che furono battezzati, gli uomini andarono ciascuno alla propria casa. Volodimir contento di aver conosciuto Dio, egli stesso e il suo popolo, levando gli occhi al cielo, disse: «O Crísto Dio, creatore del cielo e della terra! Vigila su questi uomini nuovi, e fa', o Signore, che essi ti considerino vero Dio, quale ti considerano í paesi cristiani. Rafforza in loro la fede giusta e infallibile, e siimi di aiuto, o Signore, contro il nemico avversario, avendo io fiducia in te e nel tuo regno, fa' che possa sfuggire alle sue mene ». E detto questo ordinò di abbattere le chiese e di erigerle allo stesso posto dove erano stati gli idolí. Ed eresse la chiesa di San Basilio sulla collina, dove era la statua di Perun e di altri [ idoli ], dove o$rivano sacrifici principe e popolo. E cominciò a fondare nelle città chiese e [ a nominare] popi e a fare battezzare glí uomini di ogni città e villaggio. Mandò a prendere i bambini delle famiglie piú elevate e li fece istruire. Le madri di questi bambini li piangevano, non ancora rese forti dalla fede: come se fossero morti li piangevano. Con il diffondersi dell'istruzione, si avverò sulla terra russa la profezia che diceva: « In quei giorni udranno i sordi le parole della Scrittura, e si scioglierà la lingua dei balbuzienti ». Giacché questi prima non udivano le parole della Scrittura, ma per potere divino e per
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sua grazia, Dio ebbe pietà, giacché aveva detto il profeta: « Avrò pietà di colui che vorrò ». Ebbe pietà di noi. « Di nuovo il battesimo dell'esistenza e la rinnovazione dello spirito », per volere divino, e non per le nostre azioni. Sia benedetto il Signore Gesú Cristo, che amò gli uomini nuovi, la terra russa, e la purificò con il santo battesimo. Per questo anche noi c'inchiniamo dinanzi a Lui, dicendo: «O Signore Gesú Cristo. Cosa possiamo dare a te per tutto ciò che hai dato a noi, a noi peccatori? Non sappiamo quale ricompensa dare in cambio dei tuoi doni. "Grande tu sei e rneravigliose sono le opere tue, la tua grandezza è senza fine. Di generazione in generazione saranno lodate le opere tue". Dirò dunque con David: "Venite, gioiremo nel Signore, acclameremo Dio e il nostro Salvatore. Prenderemo il suo volto nella comunione"; "Ci confesseremo a lui, giacché è buono, e la sua misericordia è eterna", giacché "salvò noi dai nemici nostri", cioè dai vuoti idoli. E ancora diciamo con David: "Cantate al Signore un nuovo canto, cantate al Signore, o tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il nome suo. Benedite di giorno in giorno la salvezza che da lui ci venne. Annunziate ai popoli la gloria sua, a tutti gli uomini i miracoli suoi, giacché il Signore è grande e molto lodato ". "La grandezza sua non ha fine". Quanta è la tua gioia! non uno né due furono salvati. Giacché il Signore aveva detto: "La gioia è nei cieli allorché un peccatore si pente". Cosí non uno, né due, ma una quantità innumerevole, dal santo battesimo purificata, andò verso Dio. Come anche il profeta aveva detto: "E verserò su di voi acqua pura, e sarete purificati da tutte le vostre brutture e vi rimonderò da tutti i vostri idoli". Ancora un altro profeta aveva detto: "Chi come Dio, respinse i peccati e allontanò le ingiustizie? Giacché tu vuoi essere misericordioso. Costui ci trasforma e ha pietà di noi, e affonda i peccati nostri nell'abisso". Giacché l'apostolo Paolo aveva detto: "O fratelli, ignorate che quanti siamo stati battezzati in Gesú Cristo, siamo stati battezzati nella morte di lui? Siamo stati dunque sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché, come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del padre, cosí anche noi camminiamo in novità di vita". E ancora: "Le cose antiche sono passate, ed ecco le nuove... La salvezza nostra ora è piú vicina... la notte è inoltrata, e il giorno si avvicina". Tramite lui siamo entrati con fede nella grazia divina, di cui ci vantiamo e in cui viviamo. Ora dunque liberati dal peccato, resi servi del Signore, avete il vostro frutto nella santità. Perciò dovremo servire il Signore, godendo di lui. Giacché David aveva detto: "Servite il Signore con timore e godete di lui con ansia". Noi eleviamo le nostre voci al Signore Dio nostro, dicendo: "Benedetto 13
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sia il Signore che non ci ha dato in preda ai loro denti!... La rete è stata spezzata e noi siamo stati liberati" dalla seduzione del diavolo. E perí il ricordo suo nello strepito; e il Signore nei secoli rimarrà, lodato dai figli russi, osannato nella Trinità, mentre i demoni saranno maledetti dagli uomini fedeli e dalle donne pie, che hanno ricevuto il battesimo e la penitenza per la remissione dei peccati, dai nuovi uomini cristiani, scelti da Dio ». Volodimir stesso fu purificato, e i figli suoi, e la terra sua. Egli aveva dodici figli: Vyseslav, Izjaslav, Jaroslav, Svjatopolk, Vsevolod, Svjatoslav, Mstislav, Boris, Gleb, Stanislav, Pozvizd, Sudislav. E mandò Vyseslav a Novgorod, e Izjaslav a Polock, e Svjatopolk a Turov, e Jaroslav a Rostov. Alla morte del piú anziano Vyseslav a Novgorod, nominò Jaroslav [ principe ] a Novgorod, e Boris a Rostov, e Gleb a Murom, Svjatoslav presso i Drevliani, Vsevolod a Volodimir, Mstislav a Tmutorokan. E disse Volodimir: «Non è bene avere poche città intorno a Kiev ». E prese a fondare città lungo la Desna, e lungo l'Oster, e lungo il Trubez, e lungo la Sula, e lungo la Stugna. E prese a radunare gli uomini migliori degli Slavi, e dei Krivici, e dei Cudi, e dei Vjatici, e con questi popolò le città; giacché vi era stata la guerra contro i Peceneghi. E aveva combattuto contro essi e li aveva soprafEatti. Anno 6497. Di poi Volodimir visse nella fede cristiana, pensò di costruire una chiesa in onore della Santissima Madre di Dio, e mandò a prendere degli artigiani provetti dalla Grecia. E iniziata la costruzione, e terminata la costruzione, 1'abbellí con immagini, e l'affidò al chersonese Anastasio, e preti chersonesi designò ad officiare in essa, dando ad essa tutto ciò che aveva preso a Cherson: immagini, e vasi, e croci. Anno 6499. Volodimir fondò la città di Belgorod, e riuní in essa [ uomini ] dalle altre città, e molti uomini condusse in essa; giacché egli amava questa città. Anno 6500. Andò Volodimir contro i Croati. Tornato dalla guerra croata, ecco che i Peceneghi giunsero dall'altra parte della Sula; Volodimir andò contro di essi, e incontrò loro sul Trubez al guado, dove ora è Perejaslavl ' . E stava Volodimir su questa sponda, e i Peceneghi sull'altra, e non osavano andare né questi su quella sponda, né quelli su questa sponda. E si avvicinò il principe pecenego al fiume, chiamò Volodimir, e gli disse: « Manda un tuo uomo, ed io uno mio, che si battano. E se il tuo uomo sarà battuto dal mio, allora non combatteremo per tre anni; se il nostro uomo sarà colpito, allora combatteremo per tre anni ». E si separarono. Volodimir tornò al campo,
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e mandò i banditori per il campo: « Non vi è qualche uomo che si vuol battere con un pecenego? » E non si trovò in nessun luogo. L'indomani giunsero i Peceneghi e il loro uomo condussero, ma non vi era nessuno dei nostri. E cominciò a dolersi Volodimir, inviò [messi] a tutti i guerrieri, e giunse al principe un vecchio e gli disse: «® principe! ho un figlio piú giovane a casa, e sono venuto qui con altri quattro, ma egli è a casa. Sin dall'infanzia non vi è alcuno che non sia stato battuto da lui. Una volta lo ripresi, ed egli calpestato il cuoio, essendosi infuriato contro di me, spezzò il cuoio con le mani ». Avendo udito ciò, il principe fu contento, e mandò a rilevarlo, e lo condussero al principe, e il principe gli riferí tutto. Questi rispose: « Principe! Non so se potrò battermi con lui, mettetemi alla prova: non vi è un toro grande e forte? » E trovarono il toro grande e forte, e ordinò di renderlo furioso; posero su di lui un ferro rovente, e lo lasciarono andare. E corse verso di lui il toro, e afferrò egli il toro con la mano per il fianco, e gli strappò la pelle con la carne, quanta ne afferrava la sua mano. E disse a lui Volodimir: «Puoi batterti con lui ». E l'indomani giunsero i Peceneghi, cominciarono a dire: « Non c'è l'uomo? Ecco pronto il nostro ». Volodimir ordinò di prepararsi a lottare per quella notte, ed entrambi si prepararono. Presentarono il loro uomo i Peceneghi, era questi straordinariamente grande e terribile. E presentò l'uomo Volodimir, e i.l pecenego lo vide e si mise a ridere, giacché questi era di media corporatura. E misurarono i limiti da ambedue gli eserciti, e li lasciarono l'uno contro l'altro. E si attaccarono, e presero a stringersi fortemente, e [Kozernjaka ] strozzò il pecenego con la mano a morte. E lo gettò a terra. E lanciarono un urlo, e i Peceneghi si dettero alla fuga, e i Russi li inseguirono per massacrarli e li respinsero. Volodimir contento fondò una città su quel guado e la chiamò Perejaslavl", giacché aveva conquistato la gloria quel giovane. Volodimir rese grande lui e il padre suo. Volodimir tornò a Kiev con vittoria e con gloria grande. Anno 6502. Anno 6503. Anno 6504. Avendo visto Volodimir la chiesa ultimata, entrò in essa e pregò Dio, dicendo: « Signore Dio, getta uno sguardo dal cielo, e guarda. E visita la vigna tua. E completa ciò che ha creato la tua destra, questi uomini nuovi, il cui cuore tu rivolgesti alla ragione, per conoscere te, vero Dio. E getta uno sguardo su questa tua chiesa, che io, tuo indegno servo, ho costruito, nel nome della genitrice tua Da pereti
(«conquistare ») e slava (« gloria »).
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Madre, della semprevergine Madre di Dio. Di chiunque pregherà in questa chiesa, ascolta la preghiera, per intercessione della purissima Madre di Dio ». E dopo aver pregato, cosí disse: «Darò a questa chiesa della Santa Madre di Dio la decima parte del mio avere e delle mie città ». E in questa chiesa fece un giuramento scritto, e cioè: « Sia maledetto colui che violerà ciò ». E dette la decima parte ad Anastasio il chersonese. E organizzò una festa grande per quel giorno per i boiari e gli anziani della città, e ai poveri divise molte ricchezze. In seguito andarono i Peceneghi alla volta di Vasilev, e Volodimir con una piccola druzina mosse contro. E si scontrarono, e non potendo affrontarli, corse e stette sotto il ponte, riuscendo a stento a nascondersi ai nemici. E allora promise Volodimir di fondare a Vasi1ev la chiesa della Santa Trasfigurazione, giacché era il giorno della Trasfigurazione del Signore, allorché avvenne questo scontro. Essendo sfuggito al pericolo Volodimir, fondò la chiesa, e fece una festa grande, preparando trecento porzioni di idromele. E convocò i boiari suoi, e i governatori, e gli anziani di tutte le città, e molti uomini, e distribuí ai poveri 300 grivne. Il principe festeggiò per otto giorni, e tornò a Kiev per [il giorno del] l'Assunzione della Santa Madre di Dio, e qui di nuovo organizzò una festa grande, convocando un'immensa moltitudine di popolo. Vedendo ciò gli uomini che erano cristiani, si rallegrarono con l'anima e con il corpo. E cosí tutti gli anni fecero. E poiché egli amava le parole della Scrittura, udí una volta la lettura dell'Evangelo: «Eeati i misericordiosi, perché essi troveranno misericordia» ' ; e ancora: « Vendi ciò che hai e donalo ai poveri » 2; e ancora: « Non accumulate tesori sulla terra, ove la ruggine e il tarlo li consumano e dove i ladri li dissotterrano e li rubano; accumulate invece tesori nel cielo, ove né la ruggine né il tarlo li consumano e dove i ladri non li dissotterrano e non li rubano» ' ; e le parole di David: «Eeato l'uomo che ama e dona »; ascoltò dunque Salomone che aveva detto: « Chi fa la carità al mendico, presta a Dio ». Prestando ascolto a costoro, ordinò ad ogni povero e mendico di andare al palazzo del principe e di prendere ciascuno ciò di cui avesse bisogno, da bere e da mangiare, e dalle casse dei denari. Organizzò altre cose; disse cosí: «I deboli e i malati non possono giungere al palazzo mio »; ordinò di costruire un carro, e posto su di esso pane, carne, pesce, frutta, miele in alcuni barili, e in altri kvas, [ ordinò ] di andare per la città, domandando: «Dove sono i malati e i poveri che I
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Matteo, V, 7. Ibid., XIX, 21. Ibid., VI, 19.
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non possono camminare? » Distribuirono a costoro secondo il bisogno. Egli fece ancora altro per la sua gente: ogni settimana ordinava al palazzo nella gridnica' di organizzare un banchetto e ordinava ai boiari, e ai gridy Z, e ai centurioni, e ai decurioni, e agli uomini migliori di parteciparvi; in presenza del principe o in assenza del principe. Vi era gran quantità di carne, di bue e selvaggina, ogni cosa era in abbondanza. Una volta, dopo essersi ubriacati, presero a brontolare contro il principe, dicendo: « Guai alle nostre teste: fa mangiare noi con i cucchiai di legno, e non di argento ». Avendo udito ciò Volodimir, ordinò di costruire i cucchiai di argento per fare mangiare la druzina, dicendo cosí: « Con l'argento e con l'oro non troverò la dru.zina; ma con la druzina troverò argento e oro, come trovarono argento e oro con la druzina mio nonno e mio padre ». Giacché Volodimir amava la druzina, e con essa deliberava l'amministrazione delle terre, e le guerre, e i regolamenti delle terre, e viveva in pace con i principi vicini, con Boleslao principe dei Ljachi, e con Stefano principe degli Ugri, e con Olderico [ principe ] dei Cechi. E vi era tra di loro pace ed amicizia. Viveva Volodimir nel timore di Dio. E aumentarono molto i briganti, e dissero i vescovi a Volodimir: « Ecco sono aumentati í briganti; perché non li punisci? » Egli disse loro: « Temo di peccare ». Essi gli dissero: «Tu sei stato posto da Dio per punire i. cattivi, e per premiare i buoni. Devi punire il brigante, ma in seguito a prove ». Volodimir soppresse la vira', cominciò a punire i briganti, e dissero i vescovi e gli anziani: « Vi sono molte guerre: la vira servirà per le armi e per i cavalli ». E disse Volodimir: « Cosí sia ». E visse Volodimir secondo i precetti paterni e aviti. Anno 6505. Volodimir andò a Novgorod in cerca di guerrieri verchovnye ° per muovere contro i Peceneghi, giacché vi era una grande incessante guerra; in quel periodo avendo saputo i Peceneghi che il principe era assente, giunsero e misero campo presso Belgorod. E non permettevano di uscire dalla città, e vi era in essa carestia grande, e Volodimir non poteva venire in aiuto, poiché non aveva guerrieri, ed i Peceneghi erano in numero considerevole. E persisteva l'assedio alla città, e vi era carestia grande. E si riuní il vece 5 in città e dissero gli uomini: « Ecco, moriremo di fame, e non avremo alcun aiuto dal principe. forse meglio per noi morire? Arrendiamoci ai Peceneghi, La gridnica era la sala del palazzo del principe in cui avevano luogo i banchetti. z Persone del seguito del principe. Multa per omicidio, secondo l'antico codice slavo. ` L'attributo di verchovnye veniva dato ai guerrieri delle eittà di Novgorod e di Smolensk. 5 Assemblea generale cui partecipavano i capi delle singole famiglie e gli anziani della città.
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essi a qualcuno faranno grazia della vita, uccideranno altri, ma tanto moriremo di fame ». E cosí il consiglio decise. Vi era un vecchio che non era stato al vece, e chiese: « Per quale ragione ci è stato il vece? » E la gente gli disse che l'indomani gli uomini si sarebbero arresi ai Peceneghi. Udito ciò, mandò dagli anziani della città, e disse loro: « Ho udito che vi arrenderete ai Peceneghi ». Essi allora dissero: « La gente non sopporta la fame ». E disse loro: «Ascoltatemi, non arrendetevi per tre giorni, e fate ciò che io ordinerò ». Essi, contenti, promisero di ubbidire. E disse loro: « Raccogliete dunque un pugno di avena a testa, o di frumento, o di crusca ». Essi andarono contenti a raccogliere. E ordinò alle donne di preparare un liquido, nel quale bollire il hisel", e ordinò di scavare un pozzo, e porvi una tinozza e riempire la tinozza con il liquido. E ordinò di scavare un altro pozzo, e di porvi una tinozza, e ordinò di cercare del miele. Essi andarono, presero un canestro di miele, sottratto alla riserva del principe. E ordinò di diluirlo molto e di versarlo nella tinozza del secondo pozzo. L'indomani ordinò di andare dai Peceneghi. E i cittadini, recatisi dai Peceneghi, dissero: «Prendete per voi dei nostri ostaggi; e voi, in dieci uomini, venite in città, per vedere cosa si fa nella nostra città ». I Peceneghi contenti, pensando che quelli volessero arrendersi, presero per loro gli ostaggi, ed essi stessi radunarono gli uomini migliori della loro stirpe e li mandarono in città per vedere cosa si facesse in città. E vi giunsero, e la gente disse loro: «Perché vi rovinate? Potrete forse vincerci? Anche se rimarrete per dieci anni, cosa potrete fare contro di noi? Giacché noi abbiamo i viveri dalla terra. Se non credete, guardate pure con i vostri occhi ». E li condussero al pozzo dove era il liquido, e attinsero con un secchio e versarono in un vaso. E dopo aver fatto bollire il kisel' ed averlo preso, andarono con loro all'altro pozzo e attinsero del liquido, e presero a mangiarne essi per prima, e poi i Peceneghi. E stupirono, e dissero: « Non presteranno fede i nostri principi se non ne mangeranno essi stessi ». La gente trasse dal pozzo un recipiente contenente kisel' e miele, e lo dette ai Peceneghi. Essi giunti raccontarono ogni cosa. E dopo aver bollito quei cibi, mangiarono i principi peceneghi, e si meravigliarono. E dopo aver preso i propri ostaggi lasciarono andare quelli, uscirono dalla città, andarono alle proprie case. Anno 6506. Anno 6507. Bevanda gelatinosa a base di farina, spesso bollita con succo di bacca, mista a latte.
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Anno 6508. Morí Malfred". Nello stesso anno mori anche Rogneda, madre di Jaroslav. Anno 6509. Morí Izjaslav, padre di Brjacislav, figlio di Volodimir. Anno 65=o. Anno 6511. Morí Vseslav, figlio di Izjaslav, nipote di Volodimir. Anno 6512. Anno 65 13. Anno 6514. Anno 6515. Furono trasportati i santi nella santa [chiesa della] Madre di Dio. Anno 65=6. Anno 6517. Anno 6518. Anno 65 1 9 . Morí l'imperatrice Anna moglie di Volodimir. Anno 6520. Anno 6521. Anno 6522. Mentre Jaroslav era a Novgorod, dava a Kiev come tributo due mila grivne all'anno, e mille ne distribuirono ai gridy di Novgorod. E in tal misura davano tutti i governatori novgorodiani, ma Jaroslav non dette questo a suo padre, a Kiev. E disse Volodimir: « Sgombrate le strade e costruite un ponte », giacché voleva andare contro Jaroslav, suo figlio, ma si ammalò. Anno 6523. Voleva andare Volodimir contro Jaroslav; Jaroslav, allora, mandato [un messo] al di là del mare, fece venire i Varjaghi, temendo il padre suo; ma Dio non dette tale gioia al diavolo. Essendo Volodimir ammalato, si trovava in quel periodo presso di lui Boris. Ai Peceneghi che venivano contro la Rus', [Volodimir] mandò contro Boris, giacché egli stesso era molto malato, e di questa malattia mori nel mese di luglio, il giorno 15. Morí a Berestovo, e lo tennero nascosto, giacché vi era Svjatopolk a Kiev. Di notte demolirono il rialzo in legno tra due stanze, lo avvolsero in un tappeto, e lo calarono con delle corde; lo adagiarono su una slitta, lo portarono nella [ chiesa della ] Santa Madre di Dio, che egli stesso aveva eretto. Gli uomini, avendo visto ciò, in folla innumerevole vennero e lo piansero: i boiari come difensore della loro terra, i poveri come difensore e benefattore. E lo posero in una tomba dí marmo e in pianto seppellirono il corpo suo, di principe giusto. '
Madre di Volodimir.
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Eu il nuovo Costantino della grande Roma, che aveva fatto battezzare se stesso e gli uomini suoi: e questi aveva fatto lo stesso. Se anche prima per oscena passione aveva desiderato, subito dopo se ne era pentito; cosí l'apostolo aveva detto: «Allorché si moltiplicheranno i peccati, la grazia diverrà abbondante ». Grande è dunque il bene che ha fatto alla terra russa dopo che fu battezzata. Noi, pur essendo cristiani, non rendiamo onori degni di quella ricompensa. Se egli non ci avesse fatto battezzare, ora saremmo ancora nell'insidia del diavolo, in cui perirono i nostri progenitori. Se avessimo avuto fervore e avessimo pregato Dio per lui, nel giorno della sua morte, allora Dio, vedendo il fervore nostro verso di lui, l'avrebbe glorificato: dobbiamo pregare per lui Dio, giacché per lui conoscemmo Dio. Che il Signore dia a te secondo il tuo cuore e tutte le preghiere tue esaudisca e ti [conceda] il desiderato regno celeste. Che dia a te il Signore la corona insieme coi giusti, la gioia nel ristoro del paradiso, e la letizia con Abramo e gli altri patriarchi, giacché anche Salomone aveva detto: «Con la morte dell'uomo giusto, non perisce la speranza ». Ecco perché la gente della Rus' ne onora la memoria ricordando il santo battesimo, e loda Dio nelle preghiere e nei canti e nei salmi, cantando al Signore, gli uomini nuovi, purificati dallo Spirito Santo, attendendo fiduciosi Dio grande e il Salvatore nostro Gesú Cristo che darà a ciascuno secondo l'operato l'ineffabile gioia, che sarà ricevuta da tutti i cristiani.
L'assassinio di Boris. Svjatopolk si stabilí a Kiev dopo suo padre, e convocò i Kieviani, e prese a distribuire loro i beni. Essi li accettarono, ma il loro cuore non era per lui [Svjatopolk], giacché i fratelli loro erano con Boris. Tornato Boris con i guerrieri, senza essersi incontrato con i Peceneghi, giunse a lui la notizia: «Tuo padre è morto ». E pianse molto per il padre, poiché era amato da suo padre piú di tutti e giunto si fermò sull'Al'ta. Disse a lui la druzina paterna: « Ecco, tu hai la druzina di tuo padre e i guerrieri. Va', stabilisciti a Kiev sul trono paterno ». Egli disse: «Non spetta a me alzare la mano sul fratello mio piú anziano: giacché mio padre è morto, questi farà per me le veci di mio padre ». E udito ciò i guerrieri si separarono da lui. Boris rimase con i suoi servitori. Svjatopolk allora, compí un arbitrio, concependo un progetto degno di Caino, mandando cioè a Boris per dire cosí: « Voglio stare in
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amicizia con te, e aumenterò ciò che ti ha lasciato il padre »; ma lo ingannava, per cercare in qualche modo di ucciderlo. Svjatopolk dunque, venne nottetempo a Vysgorod, segretamente chiamò Put 'ga e i boiari di Vysgorod, e disse loro: «Mi accogliete con tutto il cuore? » Dissero allora Put'g a e i Vysgorodiani: « Le nostre teste sono pronte a giacere per te ». Egli disse loro: « Senza far parola ad alcuno, andate ad uccidere mio fratello Boris ». Essi gli promisero che subito avrebbero fatto ciò. Di costoro Salomone aveva detto: «E non tarderanno a spargere il sangue... Preparano frodi, ma a danno delle loro anime. Tali sono le vie degli uomini dati alla rapina, spogliano se stessi della propria vita »'. Gli inviati giunsero nottetempo sull'Al'ta, si avvicinarono, ed udirono il buon Boris che cantava il mattutino: giacché egli sapeva che volevano ucciderlo. E levatosi prese a cantare dicendo: «® Signore, come si son moltiplicati i miei persecutori; quanti insorgono contro di me! » E ancora: « Giacché le frecce tue mi colpiranno, io sono pronto al colpo, e il dolore mio è dinanzi a me ». E ancora diceva: « Ascolta, o Signore, la voce della mia supplica e non entrare in giudizio con il tuo servo se non giustifica dinanzi a te ogni vivente, perché il nemico perseguitò l'anima mia ». E, terminati i sei salmi, avendo visto che vi erano i messi per ucciderlo, prese a cantare il Salterio, dicendo cosí: « Mi circondarono í ben pasciuti tori... E la turba dei malvagi mi attorniò; Signore, Dio mio, ho fiducia in te, e salvami e da tutti i miei persecutori liberami ». Poi prese a cantare il Canone; e poi, terminato il mattutino, pregò, volgendo lo sguardo all'icona, implorando l'immagine del Signore, dicendo: « Signore Gesú Cristo! Tu che in queste sembianze sei sceso sulla terra per la salvezza nostra, tu che lasciasti di tua volontà inchiodare le tue mani sulla croce, e tu che hai sopportato la passione per i peccati nostri, fa' che anch'io possa sopportare 1a passione. Non riceverò questa dai nemici, ma dal fratello mio, e non addebitargli questo come peccato, Signore ». E dopo aver pregato, egli si gettò sul suo letto. E si precipitarono come belve feroci intorno alla tenda, e gli scagliarono le lance, e trafissero Boris; e il suo servo caduto su di lui, con lui trafissero. Questi era benvoluto da Boris. Il giovane, a nome Georgij, era figlio di magiari, Boris lo amava molto; aveva posto su di lui un gran collare d'oro, che egli metteva quando lo serviva. Uccisero molti altri servi di Boris. Non potendo togliere questo collare che Georgij portava al collo, tagliarono la sua testa, e cosí tolsero il collare e gettarono via la testa; il suo corpo, poi, non fu trovato tra i cadaveri. Colpito Boris, i male1
Proverbi,
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detti, dopo averlo avvolto in una tenda, lo deposero su di un carro e lo trasportarono; e respirava ancora. Quando il maledetto Svjatopolk seppe che egli respirava ancora, mandò due varjaghi a finirlo. Essendo giunti, e avendo visto che egli era ancora in vita, uno di essi scagliò una lancia e lo trafisse al cuore. E cosí finí il buon Boris, ricevendo da Cristo Dio la corona dei giusti, accostandosi ai profeti e agli apostoli, e rimanendo nella schiera dei martiri, riposando nel grembo di Abramo, provando una indicibile gioia, cantando con gli angeli e godendo con la schiera dei santi. E seppellirono il corpo suo, trasportato segretamente a Vysgorod, nella chiesa di San Basilio. Questi maledetti omicidi andarono da Svjatopolk, come per ricevere elogio, gli assassini. I nomi di questi assassini sono: Put 'sa, e Talec, Elovit, Ljasko, il padre loro è Satana. Questi sono dunque servi del demone, i demoni sono inviati per il male, gli angeli sono inviati per il bene. Gli angeli non fanno male all'uomo, ma pensano sempre al bene di lui, perché aiutano i cristiani e li difendono dal demone avversario; mentre í demoni fanno sempre il male; invidiando l'uomo giacché vedono l'uomo onorato da Dio, e, invidiandolo, sono pronti a fargli il male. L'uomo cattivo, avvezzo a compiere il male, è peggiore del demone; perché i demoni temono Dio, ma l'uomo cattivo non teme Dio, né si vergogna dinanzi agli uomini; perché i demoni temono la croce del Signore, ma l'uomo cattivo non teme la croce. Il maledetto Svjatopolk pensò tra sé: «Ecco ho ucciso Boris; come uccidere Gleb? » E concepí un progetto degno di Caino, mandò proditoriamente a Gleb, facendo dire: « Vieni presto, il padre ti chiama, è molto malato ». Gleb immediatamente montò a cavallo, andò con una piccola druzina, giacché egli era ubbidiente al padre. E giunto sulla Volga, nel campo inciampò il cavallo in un fosso, e riportò egli una leggera distorsione al piede. E giunse a Smolensk; e da Smolensk, all'alba parti, e stava nella nave sullo Smjadino. Giunse intanto ad jaroslav da parte di Peredslava la notizia della morte del padre, e mandò Jaroslav a Gleb, con la notizia: «Non andare, tuo padre è morto, e tuo fratello è stato ucciso da Svjatopolk ». Gleb, avendo udito ciò, scoppiò in lacrime, piangendo per il padre, e ancor piú per il fratello, e tra le lacrime prese a pregare: «I'overo me, o Signore! Meglio sarebbe stato per me morire con il fratello, che vivere in questo mondo. Se io, fratello mio, avessi visto il tuo volto angelico, sarei morto con te: ed ora perché sono rimasto solo? Dove sono le parole che mi dicevi, fratello mio amato? Non udrò piú ora il tuo prudente consiglio. Se hai già ricevuto la ricompensa da Dio, prega per me, affinché io sopporti questo supplizio. Meglio sarebbe stato morire con
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te, anziché vivere in questo mondo falso ». E mentre egli pregava in lacrime, ecco improvvisamente giunsero gli inviati da Svjatopolk per uccidere Gleb. E allora gli inviati s impadronirono della nave di Gleb, e snudarono le armi. I servi di Gleb persero coraggio. Uno degli inviati, il maledetto Gorjaser, ordinò subito di sgozzare Gleb. Il cuoco di Gleb, a nome Torcin, preso un coltello, sgozzò Gleb, come un agnellino innocente. Cosí fu portato in sacrificio a Dio, nel fragrante incenso, vittima eloquente, e ricevendo la corona, entrò nella dimora celeste, e vide l'amato fratello suo, e godette con lui l'ineffabile gloria, raggiunta con il suo amore fraterno. « Come è dolce e come è bello per i fratelli vivere insieme ». I maledetti tornarono indietro, come aveva detto David: « Che tornino i peccatori all'inferno ». Giunsero, e comunicarono a Svjatopolk cosí: «Eseguimmo gli ordini tuoi ». Egli allora, udito ciò, si inorgogli molto, non sapendo ciò che aveva detto David: «I'erché vanti la tua scelleratezza, o forte? Tutto il giorno ingiustizie... trama la lingua tua ». Dopo aver ucciso e gettato sulla riva Gleb tra due tronchi d'albero, lo presero e lo trasportarono e lo deposero accanto al fratello suo Boris nella chiesa di San Basilio. Uniti nei corpi, e ancor piú nelle anime, presso il Re di tutti i re ebbero dimora, nella gioia infinita, nella luce ineffabile, offrirono i doni della salvezza della terra russa, e donarono la guarigione a tutti quegli stranieri che erano giunti con fede: facendo camminare gli storpi, dando la vista ai ciechi, la salute ai malati, la libertà ai prigionieri, il riscatto agli ostaggi, la consolazione agli afflitti, la sicurezza ai perseguitati. Ed essi sono i difensori della terra russa, e fulgide luci, eternamente pregano il Signore per la loro gente. Per ciò anche noi dobbiamo onorare degnamente questi martiri di Cristo, pregandoli con fermezza: « Godete, martiri di Cristo, difensori della terra russa, voi che avete salvato coloro che sono venuti a noi con fede ed amore. Godete, abitatori celesti, voi foste, sotto angeliche sembianze, servitori animati da uno stesso pensiero, aventi le stesse sembianze e lo stesso animo dei santi; per questo donaste la salvezza a tutti i sof$e• renti. Godete, Boris e Gleb, illuminati da saggezza divina, fate fluire, simili a fiumi dalla sorgente, le acque che donano la salvezza vivificatrice, e che si versano sugli uomini fedeli per la guarigione. Godete, voi che avete calpestato l'astuto serpente, e siete apparsi come raggi luminosi, come luci, illuminanti tutta la terra russa, sempre fugando le tenebre, mostrando la vostra irremovibile fede. Godete, voi che avete acquistato un occhio che il sonno non chiude e un'anima be-
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nedetta che tende intimamente all'esaurimento dei santi comandamenti divini. Godete, fratelli, insieme nei luoghi rilucenti d'oro, nei villaggi celesti, nella gloria perenne, alla quale per i vostri meriti siete pervenuti. Godete, voi che avete irradiato tutta la luce divina, avete girato tutto il mondo, avete respinto i demoni, avete guarito le sofferenze, fulgenti luci, difensori ardenti essendo con Dio, sempre rischiarati da raggi divini, coraggiosi martiri, illuminanti le anime degli uomini fedeli. L'amore celeste apportatore di luce vi elevò; attraverso esso anche voi ereditaste tutte le gioie della vita celeste, la gloria, e il ristoro paradisiaco, e la luce della ragione, le belle gioie. Godete, voi che avete rinfrancato tutti i cuori, respingendo le afflizioni e le malattie, sanaste le turpi sofferenze, di sante gocce di sangue insanguinaste la porpora, benedicendo, portandola egregiamente con Cristo sempre regnerete, pregando per i nuovi uomini cristiani e per i propri congiunti. Giacché la terra russa è stata benedetta dal vostro sangue, e dalle reliquie giacenti nella chiesa rischiarata dallo spirito divino: nella quale voi, martiri con í martiri, pregate per la gente vostra. Godete, stelle fulgenti, che vi levate al mattino. O voi martiri amanti di Cristo e nostri difensori! Ponete i pagani sotto il piede dei principi nostri, pregate il Signore Dio affinché il nostro principe viva pacificamente nella concordia e in salute, difendeteci dalle guerre intestine e dagli intrighi del diavolo, rendeteci degni di cantare e celebrare la vostra onorata solennità per sempre e fino alla fine ». Questo maledetto ed empio Svjatopolk uccise poi Svjatoslav, mandando [inviati] alla volta della montagna ungara, essendo quegli fuggito nella terra degli Ugri. E pensò: « Ucciderò tutti i fratelli miei, ed io soltanto avrò il potere russo ». Pensava con il suo orgoglio, non sapendo che Dio dà il potere a chi vuole, l'Altissimo pone regnanti e principi; a chi vuole darà. Se un paese si rivolge a Dio, egli darà ad esso un regnante o un principe giusto, amante della giustizia e della legalità, e un governatore nominerà e un giudice, che regoli la giustizia. Se sulla terra vi saranno principi giusti, allora sulla terra molti peccati verranno perdonati; se i principi saranno ingiusti e falsi, allora Dio manderà altro male sulla terra, giacché essi sono la testa del paese. Giacché cosí Isaia aveva detto: « Dalla pianta dei piedi fino alla sommità della testa, non ha nulla di sano» ' , e cioè dall'imperatore al volgo. Male a quelle città il cui principe è giovane, amante di bere vino al suon delle gusle ' e con giovani consiglieri. Dio dà costoro per i peccati, e i vecchi e i saggi allontana, come ha detto Isaia: « Il Signore Isaia, I, 6. ^ Strumento musicale simile alla cetra. I
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degli eserciti toglierà da Gerusalemme e da Giuda ogni valido e forte sostegno... l'uomo di valore e l'uomo di guerra, e il giudice, e il profeta, e l'indovino e l'anziano, il comandante di cinquanta e l'uomo di riguardo e il consigliere... E loro darò per principe dei fanciulli, li domineranno gli effeminati »'. Il maledetto Svjatopolk cominciò a regnare a Kiev. Convocati g1í uomini, cominciò a dare ad alcuni mantelli, e ad altri denari, e distribuí ricchezze. Jaroslav non era ancora a conoscenza della morte del padre; vi erano presso Jaroslav molti Varjaghi, e usarono violenza ai Novgorodiani e alle loro donne. Insorsero i Novgorodiani, uccisero i Varjaghi nel palazzo di Poromon. E Jaroslav si adirò, e giunse a Rakomo, si stabilí nel palazzo. Mandò [ ambasciatori ] ai Novgorodiani, per dire: « A me non è dato risuscitarli ». E chiamò a sé gli uomini piú in vista, che avevano ucciso i Varjaghi e ingannandoli li uccise. Quella stessa notte giunse a lui da Kiev da parte di sua sorella Peredslava questa notizia: « Il padre tuo è morto, e Svjatopolk si è stabilito a Kiev, dopo aver ucciso Boris, e aver mandato contro Gleb, guardati da lui ». Udito ciò, si rattristò per il padre, e per i fratelli, e per la druzina. L'indomani riunito il resto dei Novgorodiani, Jaroslav disse: « O, amata mia druzina, che ieri uccisi e che ora mi sarebbe stata utile ». Deterse le lacrime e disse durante il vece: « Il padre mio è morto, e Svjatopolk si è stabilito a Kiev, dopo aver ucciso i fratelli miei ». E dissero i Novgorodiani: « O, principe, anche se i fratelli nostri sono stati uccisi, combatteremo per te! » E radunò Jaroslav un migliaio di Varjaghi e altri quarantamila guerrieri, e andò contro Svjatopolk, invocando Dio, disse: « Non io cominciai ad uccidere i fratelli, ma lui; che sia Dio il vendicatore del sangue dei miei fratelli, perché senza alcuna colpa versò egli il sangue dei giusti Boris e Gleb. Forse che farà ciò anche a me? Ma giudicami, o Signore, secondo giustizia, affinché finisca la malvagità del peccatore ». E mosse contro Svjatopolk. Svjatopolk avendo udito che Jaroslav giungeva, radunò innumerevoli guerrieri, Russi e Peceneghi, e andò contro di lui verso Ljubec', egli da una parte del Dnepr e Jaroslav dall'altra. Inizio del principato di Jaroslav a Kiev. rox6
Anno 6524. Andò Jaroslav contro Svjatopolk, e stettero l'uno contro l'altro sulle due rive del Dnepr, e gli uni e gli altri non osarono lsaia, III,
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attaccare, e rimasero tre mesi l'uno di fronte all'altro. E cominciò il voevoda di Svjatopolk ad insultare i Novgorodiani, andando lungo la riva e dicendo: « Perché siete venuti con questi zoppi; siete voi falegnami? E noi vi faremo costruire le nostre case ». Avendo udito ciò i Novgorodiani, cosí dissero a Jaroslav: « Domani moveremo contro di loro; chi non verrà con noi, da noi stessi verrà ucciso ». E cadde il gelo. Svjatopolk stava tra i due laghi, e tutta la notte bevve con la sua druzina. Jaroslav l'indomani, convocata la sua druzina, si mosse prima dell'alba. E, discesi sulla riva, essi spinsero le barche dalla riva, e mossero l'uno contro l'altro, e si ammassarono sul campo. Fu una battaglia terribile, e non fu possibile ai Peceneghi portare soccorso a causa del lago, e spinsero Svjatopolk con la druzina verso il lago e andarono sul ghiaccio, e il ghiaccio si ruppe, e cominciò Jaroslav a vincere, vedendo ciò Svjatopolk fuggí e vinse Jaroslav. Svjatopolk fuggí dai Ljachi, Jaroslav si stabilí a Kiev sul trono del padre e degli avi. Ed allora Jaroslav contava anni ventotto. Anno 6525. Jaroslav venne a Kiev e incendiò le chiese. Anno 6526. Mosse Boleslao con Svjatopolk e i Ljachi contro Jaroslav. Jaroslav allora, radunati Russi e Varjaghi e Slavi, andò contro Boleslao e Svjatopolk, e giunse a Volyn' e stettero su ambedue le rive del fiume Bug. E vi era presso Jaroslav il suo tutore e voevoda, a nome Budy, che prese ad ingiuriare Boleslao, dicendo: «Foreremo il tuo grosso ventre con un palo». Era Boleslao grande e pesante, tanto da potere a stento montare il cavallo, ma era saggio. E disse Boleslao alla druzina sua: « Se questa ingiuria non vi tocca, soltanto io morirò ». Montò a cavallo, si diresse al fiume e dietro di lui i suoi guerrieri. Jaroslav non riuscí a radunare i guerrieri e Boleslao vinse Jaroslav. Jaroslav corse con quattro uomini a Novgorod. Boleslao entrò a Kiev con Svjatopolk. E disse Boleslao: « Conducete la ds^uzina mia in città per assoggettare gli abitanti », e cosí fu fatto. Fuggito Jaroslav a Novgorod, voleva fuggire al di là del mare, e il governatore della città Konstantin, figlio di Dobrynja, ed i Novgorodiani spaccarono le imbarcazioni di Jaroslav, dicendo: « Vogliamo ancora combattere con Boleslao e con Svjatopolk ». Presero a raccogliere un tributo in ragione di 4 denari per ogni uomo, e io grivne per gli anziani, e 18 grivne a testa per í boiari. E giunsero i Varjaghi, e dettero loro il tributo, e radunò Jaroslav molti guerrieri. Boleslao si era stabilito a Kiev, allora il maledetto Svjatopolk disse: « Vi sono dei Ljachi per la città, uccideteli ». E uccisero i Ljachi. Boleslao fuggí da Kiev, prese il suo avere, e condusse con sé i boiari di Jaroslav e le sorelle sue, e pose Anastasio come amministratore del tesoro, aveva egli con astuzia guada-
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gnato la sua fiducia. E una gran quantità di uomini condusse con sé, e s'impadroní della città di Cerven e giunse nella sua terra. Svjatopolk cominciò a regnare a Kiev. E andò Jaroslav contro Svjatopolk, e fuggí Svjatopolk dai Peceneghi. Anno 6527. Giunse Svjatopolk con i Peceneghi con un'ingente forza, e Jaroslav radunò molti guerrieri, e mosse contro di lui sul1'Al'ta. Jaroslav si fermò lí dove era stato ucciso Boris, levando le mani al cielo, disse: « 11 sangue del fratello mio ti grida vendetta, Signore! Vendica il sangue di questo giusto, come vendicasti il sangue di Abele, infliggendo a Caino gemiti e tremori; la stessa pena infliggi a costui ». Dopo aver pregato, disse: « Fratelli miei! Anche se corporalmente siete lontani da qui, aiutatemi con le preghiere contro questo avversario assassino e orgoglioso ». E dopo aver detto ciò mossero l'uno contro l'altro, e coprí la piana dell'Al'ta una moltitudine di guerrieri d' ambo le parti. Era un venerdí allorché, al levar del sole, si scontrarono. Fu un combattimento terribile, come non ve ne erano mai stati nella Rus', e, afferrandosi con la mano, l'un l'altro si colpivano; e tre volte si scontrarono, cosí che il sangue scorreva per il fossato. Sul far della sera vinse Jaroslav, e Svjatopolk fuggí. E mentre egli fuggiva, il demone s'impossessò di lui; e le sue ossa si fiaccarono, non poteva reggersi a cavallo, e lo portarono sulla portantina. Coloro che fuggivano con lui, lo trasportarono fino a Berest 'e. Egli diceva: « Fuggite con me, ci inseguono ». I suoi uomini mandarono a vedere: « Forse qualcuno ci insegue? » E non vi era nessuno che li inseguiva, e fuggirono con lui. Egli giaceva privo di forze, e sollevandosi un po' diceva: « Ci inseguono, ci inseguono, fuggiamo! » E non poteva sostare in nessun luogo, e fuggí nella terra dei Ljachi, inseguito dalla collera divina, arrivò al deserto tra i Ljachi e i Cechi; in quel luogo ebbe termine la sua empia vita. Secondo giustizia, essendo egli ingiusto, cadde su di lui il giudizio [ divino ], dopo la dipartita da questo mondo giunsero le sofferenze, per il maledetto. Evidentemente... la ferita mortale a lui inflitta senza pena, lo abbandonò senza pietà alla morte, e dopo la morte fu eternamente legato alle sofferenze. La sua tomba si trova ancor oggi nel deserto. Viene da essa un cattivo lezzo. Dio offrí questo avvertimento ai principi russi, perché se essi, dopo averlo udito, avessero agito ancora in tal modo, avrebbero ricevuto la punizione; ma ancora piú grave di quella, giacché, sapendo ciò, essi avrebbero commesso un tale turpe omicidio. Sette volte Caino ricevette vendetta per aver ucciso Abele, e Lamec settanta, giacché Caino non sapeva di ricevere la vendetta da Dio, ma Lamec, pur conoscendo il castigo, essendo stato quegli un suo progenitore, commise l 'omicidio.
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Giacché aveva detto Lamec alle sue donne: « un uomo ho ucciso in mio danno e un giovane in mia perdita, per questo, aveva detto, settanta vendette sono su di me, giacché, aveva detto, pur essendone a conoscenza, ho commesso ciò ». Lamec aveva ucciso due fratelli di Enoc, e aveva preso per sé le loro mogli; questo Svjatopolk fu un novello Abimelec, costui era nato da adulterio, aveva ucciso i suoi fratelli, figli di Gedeone; cosí era stato anche per Svjatopolk. Jaroslav si stabilí a Kiev, si deterse il sudore insieme con la sua druzina, avendo guadagnato la vittoria a gran fatica. Anno 6528. Nacque a Jaroslav un figlio, cui fu imposto il nome di Volodimir. Anno 6529. Andò Brjacislav, figlio di Izjaslav, nipote di Volodimir, contro Novgorod, e occupò Novgorod, e presi i Novgorodiani e le ricchezze loro, tornò a Polock di nuovo. E giunto al fiume Sudomir', Jaroslav da Kiev il settimo giorno lo raggiunse qui. E vinse Jaroslav Brjacislav, e i Novgorodiani tornarono a Novgorod, e Brjacislav fuggí a Polock. Anno 6530. Giunse Jaroslav a Berest 'e. Mentre Mstislav che si trovava a Tmutorokan andava contro i Kasoghi. Avendo avuto sentore di ciò, il principe dei Kasoghi Rededja venne contro di lui. E stavano i due eserciti l'uno contro l'altro, e disse Rededja a Mstislav: « A che pro far uccidere le druzine fra di loro? Suvvia, scendiamo in lotta. Se vincerai tu, allora prenderai la ricchezza mia, e la moglie mia, e i figli miei, e la terra mia. Se io vincerò, allora prenderò tutto il tuo [avere] ». E disse Mstislav: «Cosí sia ». E disse Rededja a Mstislav: «Non battiamoci con le armi, ma facciamo la lotta ». E presero a lottare fortemente, e a lungo lottarono, corninciò a perdere le forze Mstislav: era grande e forte Rededja. E disse Mstislav: «® purissima Madre di Dio, vieni in mio aiuto. Se vincerò costui, costruirò una chiesa in nome tuo ». E detto questo lo sbatté a terra. Estrasse il coltello, e sgozzò Rededja. E andò nella terra di lui, prese tutti gli averi di lui, e la moglie, e i figli, e impose un tributo ai Kasoghi. E giunto a Tmutorokan, fondò la chiesa della Santa Madre di Dio, e la costruí; essa esiste ancor oggi a Tmutorokan. Anno 6531. Andò Mstislav contro Jaroslav con i Chazari e i Kasoghi. Anno 6532. Mentre Jaroslav si trovava a Novgorod, andò Mstislav da Tmutorokan alla volta di Kiev, e i Kieviani non lo gradirono. Egli si stabiln sul trono di Cernigov, allora Jaroslav si trovava a Novgorod. Durante quell'anno si sollevarono gli indovini a Suzdal', uccisero i vecchi per istigazione del diavolo e per influenza demoniaca,
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dicendo che essi trattenevano le provviste. Vi fu una rivolta grande e fame per tutto quel paese; tutti gli uomini lungo la Volga andarono dai Bulgari, e trasportarono pane, e cosí ripresero forze. Avendo udito parlare degli indovini, Jaroslav andò a Suzdal'; dopo aver ucciso alcuni indovini, puní altri e cosí disse: « Dio per i peccati manda su ogni terra fame e peste, o siccità, o altro castigo, ma l'uomo [di questo ] non sa nulla ». E, tornato Jaroslav, andò a Novgorod, e mandò al di là del mare per chiedere aiuto ai Varjaghi. E giunse Jakun con i Varjaghi, ed era Jakun bello, e il suo manto era tessuto di oro. E giunse egli da Jaroslav, e mosse Jaroslav con Jakun contro Mstislav. Mstislav, avendo saputo ciò, andò loro incontro alla volta di Listven. Mstislav sin dalla sera aveva schierato la druzina, e aveva disposto í Severiani di fronte ai Varjaghi, ed egli stesso si era posto con la druzina sua alle ali. Ed essendo calata la notte, vi furono tenebre, lampi, e tuoni, e pioggia. E disse Mstislav alla druzina sua: « Moviamo contro di loro ». E mosse Mstislav e Jaroslav contro di lui, e il severiano attaccò di fronte il varjago, e si batterono i Varjaghi uccidendo i Severiani, e infine avanzò Mstislav con la druzina sua e cominciò ad uccidere i Varjaghi. E fu un combattimento violento, come riluceva il lampo, splendeva l'arma; e la tempesta era grande, e la lotta violenta e spaventosa. Jaroslav, vedendo che era stato vinto, fuggí con Jakun, principe varjago, e Jakun correndo lasciò cadere il manto d'oro. Jaroslav quindi andò a Novgorod, e Jakun andò al di là del mare. Mstislav dunque, avendo visto, alla luce del mattino, che giacevano uccisi alcuni dei suoi Severiani e i Varjaghi di Jaroslav, disse: « Chi non è contento di questo? Qui giace un severiano, e qui un varjago, ma la druzina mia è intatta ». E mandò Mstislav un messo a Jaroslav, per dirgli: «Risiedi pure nella tua Kiev: tu sei il fratello piú anziano, e mia sarà questa parte ». E non osò Jaroslav andare a Kiev fin quando non si riconciliarono. E si stabilí Mstislav a Cernigov, e Jaroslav a Novgorod, e vi erano a Kiev gli uomini di Jaroslav. Quello stesso anno nacque a Jaroslav il secondo figlio, cui mise nome Izjaslav. Anno 6534. Jaroslav radunò molti guerrieri, e giunse a Kiev, e concluse la pace con il fratello suo Mstislav a Gorodec. E divisero lungo il Dnepr la terra russa: Jaroslav prese questa parte, e Mstislav quella. E cominciarono a vivere pacificamente e nell'amore fraterno, e cessarono discordia e sommossa, e vi fu quiete grande nel paese. Anno 65 35 . Nacque a Jaroslav il terzo figlio, cui dette nome Svjatoslav. 14
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Anno 6536. Un segno a forma di serpente apparve nel cielo, esso era visibile a tutta la terra. Anno 6537. Vi fu quiete. Anno 6538. Jaroslav occupò Belzy. E nacque a Jaroslav il quarto figlio, cui fu imposto il nome di Vsevolod. Quell'anno mosse Jaroslav contro i Cudi, e li vinse, e fondò la città di Jur'ev I. In quel tempo mori Boleslao il Grande presso i Ljachi, e vi fu una sommossa nella terra dei Ljachi: sollevatosi il popolo uccise i vescovi, e i preti, e i boiari, e vi fu tra loro una rivolta. Anno 6539. Jaroslav e Mstislav radunarono guerrieri molti, mossero contro i Ljachi, e occuparono di nuovo la città di Cerven, e combatterono la terra dei Ljachi, e molti Ljachi catturarono, e se li divisero. Jaroslav stabili i suoi [ prigionieri ] lungo il Ros' e si trovano [ lí ] ancora oggi. Anno 654o. Jaroslav prese a fondare città lungo il Ros'. Anno 6541. Evstafij Mstislavic morí. Anno 6542. Anno 6 543 . Anno 6544. Mstislav andò a caccia, si infermò e morí. E lo seppellirono nella chiesa del San Salvatore, che egli stesso aveva fondato; era stata costruita sotto il suo regno cosí elevata, che a cavallo si stava con il braccio alzato. Era Mstislav corpulento, rosso in viso, con grandi occhi, valoroso in guerra, caritatevole, amava molto la druzina, per essa non risparmiava la ricchezza, né il bere, né il cibo le limitava. Quindi prese tutto il potere suo Jaroslav e fu l'autocrate della terra russa. Andò Jaroslav a Novgorod, e designò il figlio suo Volodimir a Novgorod, e vescovo nominò Zidjata. E in quel tempo nacque a Jaroslav un figlio, cui dette nome Vjaceslav. Mentre Jaroslav era a Novgorod gli giunse la notizia che i Peceneghi stavano entrando in Kiev. Jaroslav radunò molti guerrieri: Varjaghi e Slavi, giunse a Kiev, ed entrò nella città sua. Ed erano i Peceneghi innumerevoli. Jaroslav uscí dalla città, e schierò la druzina, e pose i Varjaghi al centro, e sul lato destro i Kieviani, e sull'ala sinistra i Novgorodiani; e stettero dinanzi alla città. I Peceneghi cominciarono ad avanzare, e si scontrarono là dove ora è la [chiesa di] Santa Sofia, metropolia russa: giacché allora vi era un campo fuori città. E fu un combattimento terribile, e soltanto a sera vinse Jaroslav. E scapparono i Peceneghi disordinatamente, e non sapevano dove fuggire, e alcuni nella fuga 1 Città sul fiume Ema, fondata da Jaroslav il Saggio; fu detta Jur'ev dal nome cristiano (Jurij) del suo fondatore. Piú tardi fu chiamata Derp; la sua denominazione attuale è Tartu.
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annegarono nel Setoml', altri in altri fiumi, e i rimanenti ancor oggi fuggono. Quell'anno Jaroslav rinchiuse in prigione, a Pskov, suo fratello, lo avevano accusato a lui. Anno 6546. Fondò Jaroslav una città grande, presso la città sono le Porte d'Oro; fondò anche la chiesa di Santa Sofia, la metropolia, e piú tardi la chiesa dell'Annunciazione della Madre di Dio alle Porte d'Oro, e ancora il monastero di San Giorgio e di Santa Irene. E sotto il suo regno cominciò la fede cristiana a raccogliere frutti e a propagarsi, e i monaci presero ad aumentare e i monasteri cominciarono a sorgere. E Jaroslav amò gli ordini ecclesiastici, amava molto i religiosi, soprattutto i monaci, e si applicava alla lettura dei libri, leggendoli spesso notte e giorno. E radunò molti scrivani: i quali trascrissero dal greco nella scrittura slava. E scrissero molti libri, li studiarono. Gli uomini devoti godranno dell'insegnamento divino. Giacché se l'uno arerà la terra, l'altro seminerà, gli altri raccoglieranno e avranno cibo in abbondanza; cosí avvenne anche allora. 11 padre di lui Volodimir arò la terra e la rese fertile, cioè rischiarata dal battesimo. Costui seminò con le parole dei libri i cuori dei devoti; e noi mietiamo, dopo aver ricevuto l'insegnamento dei libri. Grande è l'utilità dell'insegnamento dei libri; poiché dai libri ci sono indicati ed insegnati i cammini della penitenza, e nelle parole dei libri troviamo la saggezza e la temperanza. Essi sono simili a fiumi che abbeverano l'universo, fonti di saggezza; sono, quindi, di una profondità incommensurabile; con essi nel dolore ci confortiamo; essi sono i freni della temperanza. Giacché la saggezza è grande, cosí Salomone, lodando aveva detto: « Io Sapienza, risiedo nel consiglio e nei colti pensieri mi ritrovo; il timor di Dio odia il male... Mio è il consiglio e l'equità, mia la prudenza, mia la fortezza. Per me regnano i re e i legislatori decretano il giusto; per me i principi dominano, i magistrati regolano la giustizia. Io amo chi mi ama, e coloro che si fan premura di cercarmi mi troveranno»'. Se, dunque, cercherai la saggezza nei libri scrupolosamente, allora riceverai un grande aiuto per l'anima tua. Perché chi legge spesso i libri, parla con Dio, o con i santi. Leggendo i discorsi dei profeti, e gli insegnamenti degli evangelisti e degli apostoli, e le vite dei santi padri si otterrà per l'anima un grande aiuto. Jaroslav, come abbiamo detto, amava i libri, e dopo averne scritti molti li ordinò nella chiesa di Santa Sofia, che egli stesso aveva costruito. Abbellí [questa chiesa] con oro ed argento e vasi chiesastici, Proverbi,
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in essa venivano elevati a Dio i canti abituali nei periodi stabiliti. Ed altre chiese fondò nelle città e nei villaggi, nominando preti e dando loro dal suo avere lo stipendio, ordinando ad essi di istruire gli uomini, come era stato prescritto da Dio, e di andare spesso in chiesa. E aumentarono i preti, e gli uomini cristiani. Godeva Jaroslav nel costatare la grande quantità di chiese e di uomini cristiani, mentre il nemico [ diavolo ] si affliggeva, vinto dai nuovi uomini cristiani. Anno 6546. Jaroslav andò contro gli Jatvjaghi. Anno 6547. Fu consacrata la chiesa della Santa Madre di Dio, che era stata fondata da Volodimir, padre di Jaroslav, dal metropolita Teopempt. Anno 6548. Jaroslav mosse contro i Litvi. Anno 6549. Andò Jaroslav contro i Mazoviani con le imbarcazioni. Anno 6550. Andò Volodimir, figlio di Jaroslav, contro gli Emi, e li vinse. E morirono i cavalli dei guerrieri di Volodimir, essi strapparono la pelle dei cavalli ancora vivi, giacché vi era la peste tra i cavalli. Anno 6551. Inviò Jaroslav il figlio suo Volodimir contro i Greci, e dette a lui molti guerrieri, e affidò il comando a Vysata, padre di J an. E mosse Volodimir con le navi, e giunsero al Danubio, e andarono verso Costantinopoli. E vi fu una tempesta grande, e distrusse le navi dei Russi; e la nave del principe distrusse il vento, e accolse i] principe sulla nave Ivan Tvorimiric, voevoda di Jaroslav. I rimanenti guerrieri di Volodimir furono gettati sulla riva, in numero di seimila, e avrebbero voluto tornare nella Rus', e non andò con loro nessuno della druzina del principe. E disse Vysata: « Io andrò con loro ». E scese dalla nave [e andò] da loro, e disse: « Se vivrò sarò con loro, se morirò [ sarò ] con la druzina ». E si mossero volendo [raggiungere] la Rus'. Ed ebbero notizia i Greci che il mare aveva disperso i Russi, ed inviò l'imperatore, a nome Monomaco, contro i Russi quattordici imbarcazioni. Volodimir e la druzina allora, avendo visto che venivano verso di loro, tornati indietro, distrussero le imbarcazioni greche, e rientrarono nella Rus', dopo aver preso posto sull'imbarcazione. Fecero prigionieri Vysata e coloro che erano stati gettati sulla riva, e li condussero a Costantinopoli, ed accecarono molti Russi. Tre anni dopo, conclusa la pace, Vy"sata fu lasciato [andare] nella Rus' da Jaroslav. Nel frattempo Jaroslav aveva dato la sorella sua in sposa a Casimiro, e dette Casimiro come regalo di nozze ottocento uomini, [ quelli ] che Boleslao aveva fatto prigionieri, dopo aver vinto Jaroslav.
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Anno 6552. Seppellirono due principi, Jaropolk e®leg, figli di Svjatoslav, e benedissero le ossa loro, e le posero nella chiesa della Santa Madre di Dio. Quello stesso anno morí Brjacislav, figlio di Izjaslav, nipote di Volodimir, padre di Vseslav, e Vseslav, suo figlio, salí al trono di lui, egli era stato partorito dalla madre per magia. Quando la madre lo partorí, egli aveva una piaga sulla testa, dissero allora gli indovini alla madre sua: «Fa' rimarginare quella piaga su di lui, egli la porterà per tutta la sua vita »; la porta Vseslav ancor oggi, perciò è spietato per quanto riguarda lo spargimento di sangue. Anno 6553. Fondò Volodimir [la chiesa di] Santa Sofia a Novgorod. Anno 6554. Anno 6555. Jaroslav mosse contro i Mazoviani, e li vinse, e uccise il loro principe Mojslav, e li sottomise a Casimiro. Anno 6556. Anno 6 557 . Anno 6558. Morí la principessa moglie di Jaroslav. Anno 6559. Jaroslav, dopo aver convocato i vescovi, nominò Ilarion metropolita dei Russi in Santa Sofia. E diremo, a proposito, qualcosa sul monastero chiamato Pecerskij. Il devoto principe Jaroslav amando Berestovo e la chiesa ivi esistente dei Santi Apostoli, convocò molti preti: fra cui v'era uno a nome Ilarion, uomo virtuoso, istruito e grande digiunatore. E questi soleva andare da Berestovo al Dnepr, sulla collina, dove ora è l'antico monastero Pecerskij, e vi recitava la preghiera; era qui un bosco grande. Scavò una piccola grotta, di 2 sa.zeni', e venendo da Berestovo, cantava le ore, e là pregava Iddio, in segreto. In seguito Dio ispirò il cuore del principe, ed egli lo nominò metropolita in Santa Sofia, e quella grotta rimase. Dopo pochi giorni vi fu un uomo, un laico della città di Ljubec', il cui cuore Dio ispirò ad andare peregrinando. Egli allora si diresse al Monte Santo, e vide qui i monasteri esistenti; e dopo aver peregrinato, amando l'ordine monastico, giunse a questo monastero, e pregò l'igumeno di consacrarlo monaco. Dopo averlo ascoltato, [ 1'igumeno ] gli tagliò i capelli, gli dette il nome di Antonij, istruendolo ed insegnandogli la vita monastica, e gli disse: « Va' nella Rus' di nuovo, e sia la benedizione del Monte Santo, da te si avranno molti monaci». Lo benedisse, e lo lasciò andare, dicendogli: «Va' in pace». Antonij, allora, venne a Kiev, e si chiedeva in qual luogo avrebbe potuto vivere; e andò al monastero, e non gli piacMisura lineare usata flno all ' introduzione del sistema metrico decimale, corrispondente a poco piú di 2 metri.
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que: Dio non voleva. E cominciò ad andare per valli e per monti, cercando [il luogo ] dove Dio gli si sarebbe mostrato. E giunse sulla collina, dove Ilarion aveva scavato la grotta, e gli piacque questo posto, e vi si stabilí, e prese a pregare Iddio tra le lacrime: « Signore! Rendimi forte in questo luogo, e sia su questo luogo la benedizione del Monte Santo e del mio igumeno, [di colui] che mi ha consacrato». E prese a vivere là, pregando Iddio, mangiando pane secco, a giorni alterni, e bevendo misuratamente acqua, scavando la grotta, e non si riposava di giorno né di notte, perseverando nel lavoro, nella veglia e nelle preghiere. In seguito seppero ciò gli uomini buoni, e vennero da lui, e gli portarono quello che gli era necessario. Ed ebbe Antonij fama di grande: vennero a lui per chiedergli la benedizione. Poi, morto il principe Jaroslav, assunse il potere il figlio di lui, Izjaslav, e si stabilí a Kiev. Antonij fu celebre nella terra russa; Izjaslav, avendo saputo della sua vita, giunse con la druzina sua, per chiedergli benedizione e preghiere. E, siccome il grande Antonij era da tutti conosciuto e stimato, cominciarono ad andare da lui i fratelli, e prese egli ad accoglierli ed a consacrarli, e si riunirono i fratelli presso di lui in numero di dodici, e scavarono una grotta grande, e la chiesa, e le celle, che si trovano ancora oggi nella grotta sotto l'antico monastero. Riuniti i fratelli, Antonij disse loro: «Ecco, fratelli, Dio vi ha riuniti insieme e siete [qui] per la benedizione del Monte Santo, consacrò me igumeno del Monte Santo, ed io vi consacrai; che sia su di voi prima la benedizione di Dio, e poi quella della Santa Montagna». E cosí disse loro: «Vivete per conto vostro, e vi nominerò un igumeno, ed io andrò da solo su quella montagna, giacché anche prima ero abituato a vivere solo». E nominò loro igumeno Varlaam, ed egli andò solo sulla montagna, e scavò la grotta, che è sotto il nuovo monastero; in essa finí la sua vita, vissuta nella virtú, non uscendo mai dalla grotta per anni quaranta, e lí giacciono ancora oggi le reliquie sue. I fratelli e l'igumeno vissero nella grotta. E aumentarono i fratelli e non potevano piú abitarvi, e pensarono di costruire fuori la grotta un monastero. E l'igumeno ed i fratelli andarono da Antonij, e gli dissero: «Padre! Sono aumentati i fratelli, e non possiamo piú abitare nella grotta; che Dio ci consenta, e la tua preghiera, di costruire fuori di essa una chiesetta ». E consentí loro Antonij. Essi si inchinarono a lui e costruirono una chiesetta piccola sulla grotta in nome dell'Annunciazione della Santa Madre di Dio. E Dio fece aumentare i monaci grazie alle preghiere della Santa Madre di Dio, e tennero consiglio i fratelli e l'igumeno per costruire il monastero. E andarono i fratelli da Antonij, e dissero: « Padre! I fratelli sono au-
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mentati e vorrebbero costruire un monastero ». Antonij, contento, disse: « Che Dio sia benedetto in ogni cosa, e le preghiere della Santa Madre di Dio e degli stessi padri che sono sulla Montagna siano con voi ». E cosí decise, mandò uno dei fratelli al principe Izjaslav, per dire cosí: «Principe mio! Ecco, Dio aumenta il numero dei fratelli, e il luogo è piccolo; donaci quella montagna che è sulla grotta ». Dopo aver ascoltato, Izjaslav, contento, mandò un suo uomo e dette loro quella montagna. L'igumeno e i fratelli costruirono una chiesa grande e il monastero circondarono con palizzate, costruirono molte celle, ultimarono la chiesa, e l'abbellirono con icone. E lo chiamarono monastero Pecerskij, perché prima vivevano i monaci nella grotta `, e perciò lo chiamarono monastero Pecerskij. Il monastero Pecerskij è nato dalla benedizione del Monte Santo. Terminato il monastero, mentre Varlaam ricopriva la carica di igumeno, Izjaslav fondò il monastero di San Demetrio, giacché voleva rendere piú importante questo monastero trasferí Varlaam in San Demetrio; egli contava sulla [propria] ricchezza. Molti monasteri da regnanti, e da boiari, e dalla ricchezza furono fondati, ma non sono come quelli fondati dalle lacrime, dal digiuno, dalla preghiera, dalla veglia. Antonij non aveva oro, né argento, ma fondò [la chiesa] con le lacrime e il digiuno, come ho già detta. Andato Varlaam in San Demetrio, tennero consiglio i fratelli, si recarono dal vegliardo Antonij e dissero: «Dacci un igumeno ». Egli allora domandò: «Chi volete? » Essi risposero: «Quello che vuole Dio e [ che vuoi] tu ». E disse loro: « Colui che è il migliore tra voi è Feodosij: ubbidiente, modesto, umile, sia egli il vostro igumeno ». I fratelli, contenti, si inchinarono al vescovo, e posero Feodosij come igumeno dei fratelli, [che erano] in numero di venti. Feodosij, una volta a capo del monastero, prese ad instaurare l'astinenza, la vigilia, e preghiere commoventi, e [prese] a raccogliere molti monaci, e riuní i fratelli in numero di cento. E cominciò a studiare le leggi monastiche, e si trovava allora [presso di] lui Michele, monaco del monastero Stoudion z, il quale era venuto dalla Grecia con il metropolita Giorgio, presso il quale aveva cominciato a studiare la regola dei monaci di Stoudion. E trovò [ libri ] e copiò, e introdusse la regola del proprio monastero sul modo di cantare canti monastici, e di porgere il saluto, e di leggere le letture, e di stare in chiesa; e tutto l'ordine chiesastico e la maniera di sedersi a mensa, e gli alimenti di ciascun giorno, tutto fu regolato. Feodosíj, avendo ap-
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Da pescéra (agrotta»). Monastero alle porte di Costantinopoli fondato nella prima metà del v secolo.
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preso questa [ regola, la ] introdusse nel proprio monastero. Da questo monastero presero la regola tutti gli altri monasteri: perciò il monastero Pecerskij è considerato il piú antico di tutti. Feodosij visse nel monastero e, seguendo vita virtuosa e regola monastica, accolse tutti coloro che da lui si recavano, e da lui andai anch'ío, povero ed indegno servo, e mi ricevette all'età di diciassette anni. Ho scritto dunque, ho fissato l'anno in cui fu fondato il monastero, e perché si chiama Pecerskij. E ancora parleremo della vita di Feodosij. Anno 656o. Morí Volodimir, il figlio maggiore di Jaroslav, a Novgorod, e fu seppellito in Santa Sofia, che egli stesso aveva fondato. Anno 6561. Vsevolod ebbe un figlio dall'imperatrice greca, e gli mise nome Volodimir. Anno 6562. Morí il principe russo Jaroslav. E, ancora in vita, riuniti i suoi figli, aveva detto loro: «Ecco, io lascio questo mondo, figliuoli miei; amatevi, giacché voi siete fratelli [nati] da uno stesso padre e da una stessa madre. Se voi vi amerete reciprocamente, Dio sarà con voi, e assoggetterà a voi i vostri avversari. E vivrete in pace. Ma se vivrete nell'odio, nei dissensi e nella discordia, allora voi stessi perirete, e perderete la terra dei vostri padri e dei vostri avi, [la terra] che essi conquistarono con grande fatica; ma vivete in pace, ubbidisca il fratello al fratello. Ecco, affido il trono di Kiev al mio figliuolo maggiore e vostro fratello Izjaslav; ubbiditegli come ubbidiste a me, questi farà per voi le mie veci; e a Svjatoslav darò Cernigov, e a Vsevolod Perejaslavl', e ad Igor' Volodimir, e a Vjaceslav Smolensk ». E cosí divise tra loro le città, dopo aver ordinato di non entrare [ l'uno ] nei confini del [ 1'altro ] fratello, di non scacciare l'uno l'altro [dal trono], disse a Izjaslav: « Se qualcuno offenderà il fratello tuo, allora tu aiuta l'offeso ». E cosí ordinò ai figli suoi di vivere in amore. Egli stesso era malato, giunto a Vysgorod, si aggravò molto, mentre Izjaslav era...', e Svjatoslav a Volodimir, Vsevolod si trovava, allora, presso suo padre, giacché era amato da suo padre piú di tutti i fratelli, e quegli lo aveva sempre presso di sé. Jaroslav giunse alla fine della vita, e rese la propria anima a Dio, nel primo sabato del digiuno di San Teodosio. Vsevolod prese il corpo del padre suo, lo pose su una slitta e lo trasportò a Kiev; i preti cantarono i canti di rito. Pianse per lui la gente, e lo trasportarono, e lo posero in una tomba di marmo, nella chiesa di Santa Sofia. E piansero per lui Vsevolod e la gente tutta. Aveva vissuto [ Jaroslav ] anni settantasei esatti. '
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Giunto Izjaslav si stabilí a Kiev, Svjatoslav a Cernigov, Vsevolod a Perejaslavl'; Igor' a Volodimir, Vjaceslav a Smolensk. Quello stesso anno andò Vsevolod contro i Turchi, alla volta di Voin', era d'inverno, e vinse i Turchi. Quello stesso anno giunse Bolus con i Cumani, e concluse Vsevolod la pace con loro, e se ne tornarono i Cumani di nuovo là da dove erano venuti. Anno 6564. Anno 6565. Morí Vjaceslav, figlio di Jaroslav, a Smolensk, e designarono Igor' [ principe ] a Smolensk, trasferendolo da Volodimir. Anno 6566. Vinse Izjaslav i Goljadi. Anno 6567. Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod liberarono il loro zio Sudislav dalla prigione, dove era stato ventiquattro anni; dopo aver portato la croce, divenne monaco. Anno 6568. Morí Igor', figlio di Jaroslav. Quello stesso anno Izjaslav, e Svjatoslav, e Vsevolod, e Vseslav radunarono innumerevoli guerrieri, e mossero a cavallo e su navi, in quantità innumerevole, contro i Turchi. Allorché i Turchi ebbero sentore di ciò, si spaventarono e fuggirono all'impazzata, durante la fuga, perirono perseguitati dalla collera divina, alcuni per il gelo, altri per la fame, altri ancora per malattia e per decisione divina. Cosí Dio salvò i cristiani dai pagani. Anno 6569. Vennero, per la prima volta, i Cumani a combattere contro la terra russa; Vsevolod andò contro di loro, il giorno 2 del mese di febbraio. E, combattendo, vinsero Vsevolod, e, dopo aver combattuto, si allontanarono. Questa fu la prima calamità derivata dai pagani e dai nemici senza Dio. Loro principe era Iskal ' . Anno 6570. Anno 6571. Morí Sudislav, fratello di Jaroslav, e lo seppellirono nella chiesa di San Giorgio. Quello stesso anno, presso Novgorod, si ritirarono le acque del Volchov per cinque giorni. Fu questo un cattivo segno, quattro anni dopo Vseslav bruciò la città. Anno 657.2. Fuggí Rostislav a Tmutorokan, [ Rostislav ], figlio di Volodimir, nipote di Jaroslav, e con lui fuggirono Porej e Vysata, figli di Ostromir, voevoda di Novgorod. E giunto, respinse Gleb da Tmutorokan, ed egli stesso si mise al suo posto.
I punti di sospensione qui e altrove sono nel testo. Nella Cronaca di Ipat'ev il nome del principe dei Cumani è Sokal e non Iskal.
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Anno 6573. Andò Svjatoslav contro Rostislav alla volta di Tmutorokan. Rostislav abbandonò la città; non che lo temesse, ma non voleva prendere le armi contro suo zio. Svjatoslav giunto a Tmutorokan, pose [ sul trono] di nuovo suo figlio Gleb, e se ne tornò daccapo. Rostislav giunto [lí], di nuovo scacciò Gleb e andò Gleb dal padre suo; Rostislav si stabilí a Tmutorokan. Quello stesso anno Vseslav iniziò la guerra. In quel tempo apparve un segno ad occidente: una immensa stella dai raggi insanguinati, apparve sul far della sera, dopo il tramonto del sole, e fu visibile per sette giorni. Questo [ segno ] apparso non fu presagio di bene, dopo, infatti, vi furono molte discordie e l'invasione dei pagani sulla terra russa: quella stella insanguinata significava spargimento di sangue. In quel tempo un fanciulletto fu gettato nel Setoml'; i pescatori tirarono questo fanciulletto nella rete, lo osservarono fino a sera, e di nuovo lo gettarono in acqua. Appariva cosí: sul suo viso erano le parti vergognose, non si può dire altro per pudore. In quel periodo anche il sole era mutato, non era luminoso, ma era come la luna; gli ignoranti dicevano che esso era stato divorato. Ecco, da ciò deduciamo che questi segni non si verificano per il bene. Cosí anticamente, ai tempi di Antioco, successe a Gerusalemme: [ quando ] improvvisamente in tutta la città, per quaranta giorni, apparvero nell'aria cavalieri in armi, con aurei vestimenti; ed ambedue gli eserciti apparsi giostrarono con le armi, il che presagiva l'invasione di Antioco su Gerusalemme. In seguito, ai tempi dell'imperatore Nerone, nella stessa Gerusalemme, apparve una stella a forma di lancia, al di sopra della città: il che presagiva l'invasione armata da parte dei Romani. E lo stesso avvenne anche al tempo dell'imperatore Giustiniano: una stella apparve ad occidente, diffondeva raggi e perciò la appellarono « la splendente », e brillò per venti giorni; dopo si ebbe una fuga di stelle, dalla sera alla mattina, e a tutti sembrava che le stelle cadessero, e che il sole brillasse senza raggi; il che era presagio di rivolta, di malattie mortali tra gli uomini. Di nuovo successe ciò ai tempi dell'imperatore Maurizio: una donna generò un bambino senza occhi e senza braccia, e sul suo ventre crebbe una coda di pesce; e nacque un cane con sei zampe; e nacquero in Africa due bambini, uno con quattro gambe, e l'altro con due teste. In seguito, ai tempi dell'imperatore Costantino l'Iconoclasta, figlio di Leone, vi fu una fuga di stelle per il cielo; precipitarono esse sulla terra, cosicché coloro che videro pensarono alla fine [del mondo]; allora l'aria si abbassò notevolmente sulla terra; in Siria vi fu un gran terremoto,
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la terra si divise in tre pro pike', e, dalla terra, miracolosamente, venne fuori un mulo, che con voce umana parlò e annunziò l'invasione dei pagani, e cosí fu: giacché i Saraceni andarono contro la terra palestinese. I segni [che vengono] dal cielo, o dalle stelle, o dal sole, o dagli uccelli, o da altro, non presagiscono bene; ma questi segni presagiscono il male: rappresentano presagio di guerra, di carestia, o di morte. ro66 Anno 6574. Mentre Rostislav era a Tmutorokan e riceveva il tributo dai Kasoghi e da altre genti, i Greci, temendolo, gli inviarono proditoriamente un kotopan Z. Giunse costui da Rostislav e, guadagnatasi lafiducia di lui, Rostislav gli rese onore. Un giorno, mentre beveva Rostislav con la druzina sua, disse il kotopan: «Principe, voglio bere alla tua salute ». L'altro esclamò: «Bevi ». Egli bevve per metà e l'altra metà dette a bere al principe, dopo aver intinto un dito nella coppa, giacché egli aveva sotto l'unghia un veleno mortale, e ofErí al principe, fissando [ la data del ]1a morte entro il settimo giorno. Dopo aver bevuto, il kotopan, giunto a Cherson, annunziò che quel giorno Rostislav sarebbe morto, e cosí fu. I Chersonesi uccisero a [colpi di] pietre il kotopan. Era stato Rostislav un uomo valoroso, battagliero, di bella corporatura e bello in volto, e caritatevole verso i poveri. E morí il giorno 3 del mese di febbraio, e là lo seppellirono nella chiesa della Santa Madre di Dio. 1067 Anno 65 75 . Riprese a combattere Vseslav, figlio di Brjacislav, principe di Polock, e conquistò Novgorod. I tre figli di Jaroslav - Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod - radunati i guerrieri, andarono contro Vseslav: il gelo era grande. Ed essi giunsero a Minsk, e i Meniani' si chiusero nella città. I fratelli conquistarono Minsk, e uccisero gli uomini, e come bottino presero le donne e i fanciullí, andarono alla volta della Nemiga, e Vseslav mosse contro [di loro]. E si scontrarono i due [ eserciti ] sulla Nemiga, il giorno 3 del mese di marzo; e vi era molta neve, e andarono l'uno contro l'altro. E fu un combattimento terribile, e molti caddero, e vinsero Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod; Vseslav fuggí. Quindi, il giorno io del mese di luglio", Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod, baciata l'onorata croce, mandarono a dire a Vseslav: « Vieni da noi, non ti faremo alcun male ». Avendo egli fiducia nel bacio della croce, passò con un'imbarcazione il Dnepr. Izjaslav Misura di lunghezza equivalente a 700 metri. dal vocabolo medio-greco ó za-cecaúw vale «guida», «stratega». Denominazione degli abitanti della città di Minsk. ' Nella Ipat 'evskaja letopis' la data citata a questo proposito è«mesjaca i junja v to den'» cioè a ro giugno ». ^ Kotopan
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entrò nella tenda, e fecero prigioniero Vseslav a Rsa, nei pressi di Smolensk, infrangendo [il giuramento del]la croce. Izjaslav condusse Vseslav a Kiev, e lo rinchiuse in prigione con i [ suoi] due figli. Anno 6576. Giunsero stranieri nella terra russa, molti Cumani. Izjaslav, e Svjatoslav, e Vsevolod andarono contro di loro sull'Al'ta. E, calata la notte, mossero l'uno contro l'altro. Per i peccati nostri, Dio lasciò [ venire ] contro di noi i pagani, e fuggirono i principi russi, e vinsero i Cumani. Iddio, adirato, aveva condotto glí stranieri sulla terra, e cosí, umiliati da costoro, si ricordarono di Dio; la guerra intestina avviene per istigazione del diavolo. Dio non desidera il male degli uomini, ma il bene; mentre il diavolo gode dell'efferato omicidio e dello spargimento di sangue, suscitando discordie ed invidie, rancori tra fratelli, calunnie. Se una terra cade in peccato, Dio [la] punisce con la morte, o con la carestia, o con l'invasione da parte dei pagani, o con la siccità, o con il bruco, o con altri castighi, finché non ci saremo pentiti, e Dio ci comanderà di vivere in essa, giacché il profeta aveva detto: « Convertitevi a me di tutto cuore nel digiuno, nel pianto e nel duolo ». Se noi agiremo cosí, avremo la remissione di tutti i peccati, invece noi persistiamo nel male, simili al maiale, continuamente ci insudiciamo nel fango dei peccati, e tali rimarremo. Ci aveva detto per bocca del profeta: «Compresi, ecco, che sei crudele, e il tuo collo è di ferro» ' , per questo «Anch'io ho fermato la pioggia... in una parte è piovuto, e nella parte ove non è piovuto vi fu siccità ».«E vi feci soffrire la calura e diversi castighi; e anche cosí voi non vi rivolgeste a me ». « Per questo le vostre vigne, e i fichi vostri, i campi, e i vostri boschi distrussi - dice il Signore - ma i mali vostri non potei estirpare ». « Mandai su di voi diverse malattie e morti terribili, e sul vostro bestiame mandai il mio castigo, e anche allora non vi siete rivolti a me, ma diceste: coraggio 1»«Quando vi sazierete delle vostre turpi azioni? Giacché vi siete allontanati dalla mia strada - dice il Signore - e molti induceste al peccato »; perciò « sarò un testimone pronto contro gli avversari, e contro gli adulteri, e contro coloro che pronunziano il mio nome nella menzogna, e contro coloro che non pagano i mercanti, contro coloro che offendono gli orfani e le vedove, e contro coloro che sviano ingiustamente un giudizio. Come non rabbrividite dinanzi ai peccati vostri? Voi fuggite le leggi mie, anziché osservarle. Rivolgetevi a me, ed io mi rivolgerò a voi - dice il Signore - ed io vi spalancherò le porte celesti e allontanerò da voi la collera mia, fin Joele, II, xz.
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quando non avrete di ogni cosa in abbondanza, e mai piú distruggerò le vigne vostre, né i campi. Ma voi vi scagliaste contro di me con le parole vostre, dicendo: È vano servire Dio. Per questo dunque: con le labbra mi onorano, ma i cuori loro sono lontano da me ». Per questo non otteniamo ciò che chiediamo. Sarà dunque cosí: « allorché mi chiamerete io non vi darò ascolto ».«Mi cercherete nella disgrazia e non mi troverete »; « giacché non voleste andare per la mia strada »; anche per questo si è coperto il cielo, e l'abisso si è spalancato, lasciando cadere la grandine, invece della pioggia, o devastando i frutti con il gelo e facendo soffrire la terra per la calura, per le nostre turpi azioni. Se, dunque, ci pentiremo delle nostre turpi azioni, allora: come figli suoi, ci darà tutto quello che chiederemo, e ci manderà la pioggia prima e dopo. « E si riempiranno le aie vostre di frumento. Si riempiranno le apposite fosse di vino e di ulivo. E vi renderò nel corso degli anni, ciò che vi tolsero la cavalletta, e gli scriccioli, e i bruchi; la forza mia grande, che usai contro di voi », dice il Signore Onnipotente. Dopo aver udito ciò, pensiamo al bene, esigiamo la giustizia, salviamo l'offeso, facciamo penitenza, non compensando il male con il male, né l'ingiuria con l'ingiuria, ma con amore avviciniamoci al Dio nostro Signore, con il digiuno, e con il pianto, e con le lacrime laviamo tutti i peccati nostri, non chiamiamoci a parole cristiani, pur vivendo da pagani. Perché, non viviamo forse da pagani se crediamo alle conseguenze che possono derivare da un incontro? Se qualcuno incontra un monaco, o un eremita, o un maiale torna indietro; allora non è forse questi un pagano? Giacché è proprio secondo la dottrina del diavolo credere a questi pregiudizi; altri credono anche nello starnuto che avviene per la salute della testa. Ma il diavolo ingannò con questi ed altri modi, allontanandoci da Dio con ogni sorta di menzogne, con trombe e giullari, con gusli e Rusalki'. Vediamo, dunque, gran folla ai giuochi e una cosí grande moltitudine di gente partecipare ad essi, cosf che se le dànno l'un l'altro, secondo le azioni già prestabilite dal diavolo, eppure esistono le chiese; quando è l'ora della preghiera, pochi si dirigono in chiesa. Per questo riceviamo da Dio ogni specie di castigo, e l'invasione bellica, per volere divino, riceviamo il castigo a causa dei peccati nostri. Ma torniamo di nuovo al precedente racconto. Fuggito Izjaslav con Vsevolod a Kiev, e Svjatoslav a Cernigov, anche i Kieviani fuggirono a Kiev, e tennero il vece al mercato, e decisero di dire al principe: ' Specie di feste bacchiche, erano le Russalija chiamate cosí per influenza delle Rosaliae (Pascha Rosarum), Russalki erano dette le fanciulle che vi partecipavano.
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« Ecco i Cumani si sono sparsi per la terra; dacci, o principe, armi e cavalli, e ci batteremo ancora con loro ». Izjaslav non dette ascolto. E presero gli uomini a parlare contro il voevoda Kosnjacko'; andarono sulla montagna con il vece, e giunsero al palazzo di Kosnjacko, e non lo trovarono, si fermarono presso il palazzo di Brjacislav ^ e dissero: « Andiamo, liberiamo la druzina nostra dalla prigione ». E si divisero in due gruppi: una metà di essi andò alla prigione, e l'altra metà passò il ponte; questi ultimi giunsero al palazzo del principe. Izjaslav sedeva nella sen" con la druzina sua, essi presero a discutere con il principe. Mentre il principe osservava da una finestrina e la druzina stava presso il principe, disse Tuky, fratello di Cudin ad Izjaslav: « Vedi, o principe, gli uomini si agitano; manda a vigilare Vseslav ». E mentre egli diceva questo, giunse l'altra metà di uomini dalla prigione, dopo che essa era stata aperta. E disse la druzina al principe: « male questo; manda a Vseslav, che lo si chiami con astuzia presso la finestra, e lo si uccida con la spada ». E non ascoltò questo il principe. Gli uomini lanciarono un grido, e andarono alla prigione di Vseslav. Avendo visto ciò Izjaslav fuggí con Vsevolod dal palazzo, gli uomini liberarono Vseslav dalla prigione, il giorno =5 settembre, e gli resero onori nel palazzo del principe. Saccheggiarono il palazzo del principe, un'immensa quantità d'oro e d'argento, monete e pellicce. Izjaslav fuggí presso i Ljachi. In seguito, mentre i Cumani combattevano nella terra russa, Svjatoslav si trovava aCernigov, e i Cumani combattevano presso Cernigov; Svjatoslav, riunita una piccola druzina, andò contro di loro alla volta di Snov'sk 4. E i Cumani, avendo visto l'esercito che sopraggiungeva, gli si schierarono contro. E, avendo visto Svjatoslav la moltitudine di essi, disse alla druzina: « Moviamo all'assalto, giacché non è possibile celarci ». E spronarono i cavalli, e vinse Svjatoslav con tremila uomini, ed i Cumani erano dodicimila; e cosí alcuni furono uccisi, e altri annegarono nello Snov', e il principe loro fecero prigioniero, il giorno 1° novembre. E tornò con vittoria alla città sua Svjatoslav. Vseslav si stabilí a Kiev. Dio cosí manifestò la forza della croce, Il popolo attribuiva a Kosnjaclco la colpa della sconfitta subita nella guerra contro i Cumani (cfr. v. N. rnTiscav, Istorija Rossiskaya s samych drevnejsich vremen, vol. 2, SanktPeterburg 1773, p. rzo). Briacislav Izjaslavic, principe dei Cumani. ' La sen', detta anche pritvor, nella casa primitiva slava era il vestibolo attraverso il quale si accedeva all'abitazione vera e propria. Quando, nei secoli x-xi, si cominciò a costruire al di sopra del livello del suolo, nella sen', ingrandita, si ricevevano gli ospiti e si tenevano banchetti. ° Città del principato di Cernigov, alla confluenza del fiume Snov con la Desna (oggi Sednev).
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giacché Izjaslav, dopo aver baciato la croce', lo aveva fatto prigioniero, per questo Dio aveva condotto i pagani, l 'onorata croce apertamente aveva liberato [ Vseslav ]. Nel giorno della Esaltazione della Croce, Vseslav, sospirando, disse: «O croce onorata! Giacché io credetti in te, liberami da questa fossa! » Dio mostrò la forza della croce, per insegnamento alla terra russa, affinché mai [ piú ] venisse violata l'onorata croce, dopo averla baciata; se qualcuno la viola, riceverà il castigo qui e nei secoli futuri il castigo eterno. Perché grande è la forza della croce: con la croce vengono vinte le forze diaboliche, la croce aiuta i principi nelle battaglie, nelle battaglie i fedeli difesi dalla croce vincono gli avversari, la croce salva, soprattutto, dal pericolo coloro che la invocano con fede. Nulla temono i demoni, soltanto la croce. Se appaiono apparizioni diaboliche, segnandosi il viso con la croce, vengono scacciate. Vseslav risiedette a Kiev sette mesi. Anno 6577. Andò Izjaslav con Boleslao contro Vseslav; Vseslav mosse contro. E giunse Vseslav a Belgorod, e, di notte, di nascosto dei Kieviani fuggí da Belgorod a Polock. L'indomani, essendosi accorti che il principe era fuggito, gli uomini se ne tornarono a Kiev, e tennero il vece, e mandarono [messi] a Svjatoslav e a Vsevolod, per dire: « Abbiamo fatto male a respingere il principe nostro, ecco che egli conduce contro di noi la terra dei Ljachi, ma venite nella città di vostro padre: se non volete, allora, pur contro nostro volere, daremo fuoco alla nostra città, andremo in terra greca ». E disse loro Svjatoslav: « Manderemo al fratello nostro; se verrà contro di voi con i Ljachi per distruggervi, allora noi saremo in guerra con lui, non faremo distruggere la città di nostro padre; se vuole la pace, allora verrà con una piccola druzina ». E si calmarono i Kieviani. Svjatoslav e Vsevolod, mandarono [messi] a Izjaslav per dire: « Vseslav è fuggito, ma tu non condurre i Ljachi a Kiev, giacché qui non hai nemici; se vuoi stare in collera e distruggere la città, allora sappi che a noi preme il trono paterno ». Izjaslav, udito ciò, lasciò andare via i Ljachi e andò con Boleslao, dopo aver preso con sé un esiguo numero di Ljachi, mandò dinanzi a sé suo figlio Mstislav a Kiev. E, giunto, Mstislav fece uccidere i Kieviani che avevano liberato Vseslav, in numero di settanta, e ne fece accecare altri, e, senza aver prove, fece uccidere anche degli innocenti. Quando Izjaslav giunse in città, gli uomini gli andarono incontro umilmente, e accolsero il principe loro i Kieviani; e Izjaslav si assise sul suo trono, nel mese di maggio, il giorno 2. E lasciò andare i Ljachi all'accampamento, e uccisero i Ljachi di nascosto, e 1
Cioè: dopo aver prestato giuramento di amicizia.
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Boleslao tornò tra i Ljachi nella sua terra. Izjaslav trasferí il mercato sulla montagna, scacciò Vseslav da Polock, designò il figlio suo Mstislav a Polock; e morí subito dopo. Dopo aver designato il fratello di luí Svjatopolk, giacché Vseslav era fuggito. Anno 6578. Nacque un figlio a Vsevolod e lo chiamarono con il nome di Rostislav. Quello stesso anno venne fondata la chiesa di San Michele nel monastero di Vsevolod. Anno 6579. Combatterono i Cumani presso Rastovec e Nezatin. Quello stesso anno Vseslav scacciò Svjatopolk da Polock. Quell'anno aropolk vinse Vseslav presso Goloticesk. A quell'epoca venne un maJgo, ispirato dal demone; giunto, dunque, a Kiev, prese a parlare, raccontando agli uomini che di lí a cinque anni il Dnepr sarebbe scorso all'indietro e le città sarebbero sorte in altri posti, la terra greca sarebbe stata al posto della russa e la russa al posto della greca, e gli altri paesi avrebbero cambiato luogo. Gli ignoranti gli prestarono fede, i fedeli ne risero, dicendogli: « 11 demone si prende giuoco di te, per la tua rovina ». Ed ecco cosa gli successe: una notte, senza che nessuno se ne fosse accorto, sparí. Giacché coloro che sono istigati dai demoni conducono al male; poi, dopo aver gettato nell'abisso mortale la loro vittima, dopo averle insegnato cosa dire, ridono di essa. Diremo, dunque, della istigazione e dell'opera demoniaca. Una volta dunque, durante un cattivo raccolto nella regione di Rostov, vennero due maghi da Jaroslavl ' e dissero cosí: «A noi è noto colui che cela le provviste ». E andarono lungo la Volga, da dove giunsero al cimitero, qui essi chiamarono le donne benestanti e dissero: « Questa nasconde il grano, questa il miele, e questa i pesci, e questa le pelli ». E condussero loro le sorelle, le madri, e le mogli. Essi, nell'allucinazione, le trafissero alle spalle, racimolando sia grano, sia pesce; e uccisero molte donne, e i loro beni tennero per sé. E giunsero a Beloozero, ed erano con loro altri trecento uomini. In quel periodo era giunto, mandato da Svjatoslav, Jan, figlio di Vysata, per ritirare il tributo, e i Beloozerci gli riferirono che i due maghi avevano ucciso molte donne lungo la Volga e lungo la Seksna, e che [i maghi] ora erano giunti lí. Jan, dunque, indagato di chi fossero sudditi e avendo saputo che erano [ sudditi] del suo principe, mandò [un messo] a coloro che erano con i maghi: «Consegnate questi maghi, poiché essi sono sudditi miei e del mio principe ». Essi non gli ubbidirono. Jan andò egli stesso senza armi, e i suoi uomini gli dissero: « Non andare senza armi, ti offenderanno ». Egli, allora, ordinò agli uomini di prendere le armi, e con lui erano dodici uomini, e li raggiunse nel bosco.
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Quelli stavano per muovergli contro. Quando Jan giunse, [brandendo] una piccola lancia, si staccarono [dal gruppo] tre uomini, vennero verso Jan, dicendogli: « Vedi, tu vai incontro alla morte, fermati ». Questi ordinò di ucciderli, e andò incontro agli altri. Si lanciarono quelli contro Jan, uno gli agitò contro una lancia. Jan, sviando la lancia, lo colpí al collo; ordinò agli uomini suoi di ucciderli. Essi fuggirono nel bosco, e uccisero qui anche il pop di Jan. Jan, giunto in città, dai Beloozerci, disse loro: « Se non prenderete questi maghi, non mi allontanerò da voi, neanche da qui ad un anno ». I Beloozerci andarono a prenderli e li condussero ad Jan. E disse loro [ Jan] : « Perché avete ucciso tanti uomini? » Ed essi dissero cosí: « Essi celano le provviste, e allorché li avremo uccisi vi sarà l'abbondanza; se lo desideri, dinanzi a te, tireremo fuori, grano, o pesci, o altro ancora ». Jan, allora, disse: «In verità questa è una menzogna; Dio ha creato l'uomo dal fango, lo ha formato di ossa e di vene sanguigne; null'altro vi è in lui e nessuno sa nulla, ma soltanto l'Unico Dio sa ». Ed essi, allora, risposero: «Noi sappiamo come è stato creato 1'uomo ». Jan disse: « Come? » Essi risposero: «Dio fece un bagno e sudò, si asciugò con un cencio, e lo gettò dal cielo sulla terra. E gareggiò Satana con Dio per vedere chi di loro avrebbe creato [ dal cencio ] l'uomo. E creò il diavolo l'uomo, e Dio in esso pose l'anima. Perciò, quando l'uomo muore, il corpo va sotto terra, mentre l'anima [sale] a Dio ». Disse loro Jan: «In verità il demone vi ha ingannato; in quale Dio credete? » Essi allora risposero: «Nell'Antícristo ». Egli disse loro: «Dov'è costui?» Risposero: « Risiede nell'abisso». Disse Jan: « Qual è il Dio che sta nell'abisso? Questi è il demone, mentre Dio è nei cieli, assiso al trono, glorificato dagli angeli, che gli stanno trepidanti dinanzi, senza osare mirarlo. Uno di questi angeli, dunque, è stato scacciato, colui il quale voi chiamate Anticristo, per [il suo] orgoglio è stato espulso dal cielo, ed [ ora ] è nell'abisso, cosí come voi dite, e aspetta fin quando non scenderà Dio, legherà l'Anticristo con i vincoli e lo porrà nella sua fossa, dopo aver preso da lui i suoi servi e quanti in lui credono. A voi [è destinato] ricevere sofferenze qui tramite me, e là, dopo la morte ». Essi dissero: « I nostri dèi dicono che tu nulla puoi fare ». Ed egli soggiunse: « Vi ingannano gli dèi ». Quelli ribatterono: « Ci presenteremo a Svjatoslav, e tu nulla potrai fare ». Jan ordinò di batterli e di strappar loro le barbe. Dopo averli battuti e dopo aver strappate loro le barbe con una pinza, chiese loro Jan: « Cosa dicono gli dèi? » Quelli risposero: « Di presentarci al cospetto di Svjatoslav ». E ordinò Jan di porre un rublo nella bocca [di ciascuno di] loro e di legarli all'orlo [ dell'imbarcazione ] e lí fece andare is
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cosí secondo corrente dinanzi a sé ed egli stesso lí seguí nell'imbarcazione. Mentre stavano sulla foce della Seksna, disse loro Jan: « Cosa vi dicono gli dèi? » Quelli risposero: « Gli dèi ci dicono che non ci è dato vivere per colpa tua ». E disse loro Jan: «®ra vi hanno detto la verità ». Quellí allora soggiunsero: «Ma se ci lascerai [andare] vi sarà molto bene per te; se, al contrario, ci ucciderai, molti dolori e malanni riceverai ». Egli disse loro: « Se vi lascerò andare, riceverò male da Dio; se, al contrario, vi ucciderò, vi sarà per me la ricompensa ». E chiese Jan ai rematori: « A qualcuno di voi è stato ucciso da costoro un parente? » Quelli risposero: « A me la madre, a quegli la sorella, a quegli i figliuoli ». Egli ordinò loro: «Vendicate i vostri ». Allora, presili, li uccisero, e li appesero all'albero: la ricompensa avevano ricevuto da Dio secondo giustizia. Quando Jan fece ritorno alla propria dimora, la notte successiva, un orso salí [sull'imbarcazione], e li sbranò e li divorò. E in tal modo perirono per istigazione demoniaca coloro che sapevano [della fine] degli altri, ma della propria non erano a conoscenza. Se essi avessero saputo, allora non sarebbero andati in quel luogo, ove erano stati presi; ed allorché furono presi, perché dissero: «Non moriremo », quando egli [ Jan] aveva già deciso di ucciderli? Ma tale è l'istigazione demoniaca; i demoni non conoscono i pensieri umani, tuttavia pongono nell'uomo dei propositi, senza conoscerne i segreti. Dio solo conosce i propositi umani, i demoni nulla conoscono; sono essi impotenti e meschini d'aspetto. Cosí racconteremo ancora del loro aspetto e dei loro inganni. A quell'epoca, quello stesso anno capitò che un novgorodiano arrivasse dai Cudi, e si recasse da un indovino, chiedendo a lui dei sortilegi. [L'indovino], come era sua abitudine, prese a convocare i demoni nella casa sua. Il novgorodiano stava seduto sulla soglia della casa, l'indovino giaceva come incatenato e il demone lo percuoteva. L'indovino, levatosi, disse al novgorodiano: «Gli dèi non osano venire, poiché tu hai addosso qualcosa che essi temono ». Egli, ricordando [di avere] addosso una croce, uscí e la pose fuori della casa. [L'indovino] prese di nuovo a chiamare i demoni. Essendo apparsi a lui i demoni, chiesero [a quegli] perché fosse venuto. Quindi [il novgorodiano] chiese: « Perché i demoni temono la croce che noi portiamo addosso? » Egli rispose: « Quello è il segno del Dio celeste, i nostri dèi lo temono ». Il novgorodiano chiese: « Chi sono allora i vostri dèi, dove vivono? » Rispose: « Negli abissi. Essi sono neri di aspetto, alati, caudati; sono volati fin sotto il cielo per ascoltare i vostri dèi. Giacché i vostri dèi sono in cielo. Se muore uno dei vostri uomini, costui è portato in cielo; se muore uno dei nostri, costui è portato dai nostri dèi
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nell'abisso ». Cosí è: i peccatori sono dunque nell'inferno, ove attendono le pene eterne, mentre i giusti nella dimora celeste vivono con gli angeli. Tale è la forza, la bellezza e l'impotenza demoniaca. In tal modo i demoni ingannano gli uomini, ordinando loro di raccontare le apparizioni che si manifestano a coloro che non sono saldi nella fede: in sogno ad alcuni, come allucinazioni ad altri: e cosí fanno sortilegi per istigazione demoniaca. In ispecie tramite le donne si manifestano i sortilegi diabolici; in origine il demone ingannò la donna ed essa l'uomo; cosí, nella generazione presente, molte donne fanno prodigi con sortilegi e con veleni, e con altre mene diaboliche. Ma anche gli uomini privi di fede sono ingannati dai demoni. Anticamente, al tempo degli Apostoli, vi era dunque Simone il mago: il quale, mediante sortilegio, faceva parlare un cane con voce umana, ed egli stesso si trasformava ora in vecchio, ora in giovane, e trasformava questi e quegli in altre sembianze, durante l'allucinazione. « E in quel modo che Janne e Jambre si opposero a Mosè, cosí anche costoro resistono alla verità»', e anche Kunop compf diabolici prodigi: camminò sulle acque e fece ancora altre cose, ingannato dal demone per rovina sua e degli altri. Un mago venne dunque a Novgorod, ai tempi di Gleb, parlò agli uomini, facendosi credere Dio, e molti ingannò, quasi tutta la città, parlando come se fosse a conoscenza di tutto e biasimando la fede cristiana; asseriva dunque cosí: « Attraverserò il Volchov dinanzi a tutti ». E vi fu una sommossa in città, e tutti ebbero fede in lui, e volevano uccidere il vescovo. Il vescovo prese allora la croce e, indossata la pianeta, esclamò: « Chi vuole avere fede nella magia, segua lui; chi invece crede, venga verso la croce ». E si divisero in due gruppi: il principe Gleb e la druzina sua si mossero e si fermarono accanto al vescovo, mentre tutti gli altri seguirono il mago. E vi fu tra essi una grande sommossa. Gleb, nascosta una scure sotto il mantello, raggiunse il mago e gli disse: « Sai tu cosa accadrà domani, e cosa accadrà prima di sera? » Quegli rispose: « Prevedo tutto ». E soggiunse Gleb: « Allora tu, certo sai cosa ti accadrà adesso? » « Compirò un gran miracolo », rispose. Gleb allora tirò fuori la scure, lo uccise e [ quegli ] cadde morto; gli uomini si dispersero. Quegli dunque era morto col corpo, e con l'anima s'era dato al demone. Anno 658o. Furono trasportati i santi martiri Boris e Gleb. Si riunirono i figli di Jaroslav - Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod - il me'
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tropolita di allora Giorgio, il vescovo Pétr di Perejaslavl ' , Michail di Jur'ev, Feodosij, igumeno del [monastero] Pecerskij, Sofronij, igumeno del San Michele, German, igumeno del San Salvatore, Nikolaj igumeno del monastero di Perejaslavl', e gli igumeni tutti, e, organizzata una cerimonia, li festeggiarono solennemente e li posero nella nuova chiesa, che Izjaslav aveva fondato e che esiste ancor oggi. E deposto, per prima, Boris in una bara di legno, Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod lo portarono a spalla, precedevano i monaci, recanti i ceri, e dietro di loro i diaconi con gli incensieri, e poi i preti, e dietro di loro i vescovi e i metropoliti; seguivano quelli con la bara. E dopo averla portata nella nuova chiesa, scoperchiarono la bara, e si riempí la chiesa di soave fragranza; coloro che assistevano lodarono Iddio. E il timore assalí il metropolita, giacché questi non aveva molta fede; e cadde a terra, invocando il perdono. Baciate le reliquie sue, lo posero nella bara di pietra. Poi, deposto Gleb in una bara di pietra, lo posero su di una slitta e lo tirarono con delle corde. Giunti presso la porta, la bara si fermò e non andava piú avanti. E fu ordinato al popolo di implorare: « Signore abbi pietà », e lo trasportarono. E lí lo seppellirono il giorno 2 del mese di maggio. E, cantando le liturgie, i fratelli tutti insieme desinarono, ciascuno con i propri boiari, in gran concordia. Ed allora Cudin governava Vysgorod, e Lazar' la chiesa. Poi ciascuno se ne andò per proprio conto. Anno 6581. Il diavolo seminò discordia tra questi fratelli figli di Jaroslav. Propagatasi [la discordia] tra loro, Svjatoslav si uní a Vsevolod contro Izjaslav. Izjaslav lasciò Kiev, Svjatoslav e Vsevolod entrarono in Kiev, il 22 del mese di marzo, e occuparono il trono di Berestovo, dopo aver infranto l'ordine paterno. Fu Svjatoslav la causa dell'espulsione del fratello, anelando un potere maggiore; egli ingannò dunque Vsevolod, dicendo cosí: « Izjaslav si è unito a Vseslav, tramando contro di noi, se non lo preveniamo, ci scaccerà ». E cosí inasprí Vsevolod contro Izjaslav. Izjaslav si recò dai Ljachi con molte ricchezze, dicendo cosí: « Con queste [ ricchezze ] troverò i guerrieri ». I Ljachi gli presero ogni cosa, mostrandogli poi la strada donde era venuto. E Svjatoslav si stabilí a Kiev, dopo aver espulso suo fratello, e dopo aver trasgredito l'ordine paterno, e soprattutto quello divino. Poiché è un peccato grande trasgredire l'ordine del proprio genitore: per prima lo avevano trasgredito i figli di Cam andando contro la terra di Set, e dopo quattrocento anni essi ricevettero la punizione da Dio. Dalla stirpe di Set discendono gli Ebrei, i quali distrussero la tribú di Canaan, recuperando la propria parte e la propria terra. Poi Esaú trasgredí l'ordine del padre suo e fu ucciso; poiché non è bene
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violare i confini altrui. Quello stesso anno fu fondata la chiesa del [monastero] Pecerskij dall'igumeno Feodosij e dal vescovo Michail; il metropolita Giorgio si trovava allora in Grecia; Svjatoslav risiedeva a Kiev. Anno 6582. Feodosij, igumeno del Pecerskij, morí. Raccontere1074 mo brevemente della sua morte. Feodosij aveva l'abitudine, giunto il periodo del digiuno, nella settimana grassa, la sera, dopo aver secondo la consuetudine baciato tutti i fratelli, di insegnar loro come trascorrere il periodo del digiuno: pregare notte e giorno, tenendosi lontani dai pensieri impuri, dall'istigazione del demone. « Giacché i demoni - affermava - ispirano ai monaci pensieri, desideri cattivi, eccitando la loro immaginazione, deformando, in tal modo, le preghiere loro; se vi vengono tali pensieri, respingeteli con il segno della croce, dicendo cosí: "Signore Gesú Cristo, Dio nostro, abbi pietà di noi, cosí sia". Ed inoltre è necessario astenersi dai cibi abbondanti: dal mangiare molto e dal bere smisuratamente hanno origine i cattivi pensieri, e non appena nasce il pensiero cattivo si compie il peccato. Perciò continuava - respingete l'azione dei demoni e le loro mene, guardatevi dalla pigrizia e dal lungo sonno, siate attenti durante il canto chiesastico, e durante l'insegnamento dei padri e le letture dei libri; soprattutto abbiate sulle labbra il Salterio di David, esso si addice ai monaci, con esso vincerete la depressione causata dal demone e meglio serberete in voi l'amore verso tutti i piú giovani e la sottomissione e l'ubbidienza verso gli anziani, che, a confronto dei giovani, rappresentano l'amore e la dottrina, e dànno loro esempio con la propria temperanza, oculatezza, laboriosità e umiltà; cosí occorre istruire i giovani e consolarli, cosí si deve trascorrere il periodo del digiuno ». E poi aggiungeva: «Dio ci ha dato questi quaranta giorni per la purificazione dell'anima; è questa la decima parte dell'anno offerta a Dio: infatti in ogni anno vi sono 365 giorni, e di questi ogni decimo giorno viene offerto a Dio come decimà parte - è questo il digiuno di quaranta giorni, durante i quali l'animo purificatosi celebra serenamente la Resurrezione del Signore, godendo di Dio. Il tempo del digiuno purifica l'intelletto dell'uomo. Giacché il digiuno fu stabilito sin dalle origini: ad Adamo, per prima, fu proibito di assaggiare i frutti di un albero; Mosè, dopo aver digiunato per quaranta giorni, si rese degno di ricevere la legge sul monte Sinai e vide la gloria divina; dopo il digiuno la madre generò Samuele; digiunando i Niniviti infransero la collera divina; digiunando Daniele fu degno di somme rivelazioni; cosí Elia, digiunando, fu accolto in cielo al convito del paradiso; dopo aver digiunato i tre fanciulli distrussero la forza del fuoco; dopo che lo stesso
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Signore ebbe digiunato per quaranta giorni, mostrò a noi il tempo del digiuno; con il digiuno gli Apostoli sradicarono l'insegnamento del demone; con il digiuno i nostri Padri apparvero al niondo, simili a fiaccole rilucenti anche dopo la morte, mostrando le fatiche grandi e la temperanza, come il grande Antonij ed Eufemij, e Sava e gli altri Padri, che noi imitiamo, o fratelli ». E dopo aver istruito in tal maniera i fratelli, li baciò tutti chiamandoli per nome, e poi si allontanò dal monastero, prendendo pochi pani; ed entrò nella grotta, e chiuse la porta della grotta e la murò col fango; e non parlava con nessuno; se aveva bisogno di qualcosa, allora, da una piccola finestrina parlava il sabato e la domenica, gli altri giorni, invece, rimaneva nel digiuno e nella preghiera, contenendosi severamente. E giunse al monastero il venerdi, alla vigilia di san Lazzaro; questo è il giorno, infatti, in cui ha termine il digiuno di quaranta giorni, che, iniziato il primo lunedí dopo la settimana di san Teodosio, termina appunto il venerdí di Lazzaro; mentre era stato disposto che, durante la settimana santa, si digiunasse per onorare la passione del Signore. Tornò Feodosij e, secondo l'abitudine, baciò i fratelli, e con loro solennizzò la Domenica delle Palme, e giunse il gran giorno della Resurrezione, secondo l'abitudine, serenamente la solennizzò, poi cadde ammalato. Ammalatosi dunque, il quinto giorno di malattia, verso sera, ordinò di essere portato nel cortile; i fratelli depostolo sulla slitta lo trasportarono dirimpetto alla chiesa. Egli dette ordine di convocare tutti i fratelli; i fratelli sonarono le campane, e si riunirono tutti. Egli comunicò loro: « Fratelli miei, e Padri miei, e figli miei! Ecco io dovrò lasciarvi; cosí mi ha detto il Signore durante il periodo del digiuno, mentre ero nella grotta; dovrò andar via da questo mondo. Chi volete come vostro igumeno, ché io lo possa benedire? » Essi, allora, gli dissero: « Tu sei il padre di noi tutti, sceglilo tu stesso e costui sarà per noi padre ed igumeno, e noi gli ubbidiremo, come a te ubbidimmo ». Il padre nostro Feodosij soggiunse: « Andate, decidete senza di me chi volete, all'infuori però di due fratelli: Nikolaj ed Ignat; tra gli altri potrete scegliere colui che volete, dal piú anziano al piú giovane ». Essi gli ubbidirono, si allontanarono un po' verso la chiesa, dopo aver deciso, gli mandarono due fratelli, che cosí riferirono: «Colui che Dio vorrà e la tua onorata preghiera, colui che ti aggrada, quello designa ». Feodosij disse loro: « Se volete dunque che io nomini il vostro igumeno, farò questo non secondo il mio desiderio, ma per ordine divino »; e designò loro [ igumeno ] il prete Jakov. I fratelli non ne furono soddisfatti e cosí affermarono: « Non si è fatto monaco qui ». Infatti Jakov era venuto dall'Al'ta insieme con suo fratello Pavel. E i fratelli chiesero il corifeo Stefan, es-
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sendo stato questi discepolo di Feodosij, dicendo cosí: « Egli è cresciuto sotto la guida tua, e ti ha servito, nomina lui ». Soggiunse allora Feodosij: « Ecco, secondo il volere divino, io ho nominato Jakov, e voi volete agire secondo il vostro volere ». E, seguendo il volere loro, nominò Stefan igumeno. E benedisse Stefan, e gli disse: «O figlio! Ecco, affido a te il monastero, custodiscilo con saggezza, e conserva nel servizio chiesastico ciò che io stabilii. Non mutare le tradizioni monastiche e la regola, ma fa' tutto secondo la legge e l'ordine monastico ». Quindi i fratelli lo presero, lo trasportarono nella cella e lo adagiarono sul letto. E il sesto giorno, mentre egli era molto malato, venne da lui Svjatoslav con il figlio suo Gleb, e dopo che costoro si sedettero accanto a lui, Feodosij disse: « Lascio questo mondo, e pongo il monastero sotto la tua protezione nel caso accadesse in esso una sommossa. E afFido la carica di igumeno a Stefan, non permettere che lo si offenda ». Il principe, baciatolo, promise di aver cura del monastero, e si accomiatò da lui. Giunto il settimo giorno, chiamò Stefan e i fratelli, era stremato; e prese a parlare ad essi in tal modo: « Dopo la mia dipartita da questo mondo, se avrò soddisfatto Dio, e se Dio mi accoglierà, allora, dopo la mia dipartita, il monastero comincerà ad ingrandirsi e ad accogliere altri fratelli: cosi voi saprete che Dio mi ha accolto. Se invece, dopo la mia morte, il monastero comincerà ad impoverirsi di monaci e per indigenza, allora voi saprete che non ho soddisfatto Dio ». Dopo che cosí ebbe parlato, i fratelli piangendo supplicarono: « Padre! Prega Dio per noi, giacché noi sappiamo che Dio non disprezza l'operato tuo ». E i fratelli trascorsero la notte accanto a lui, e allorché giunse l'ottavo giorno, il secondo sabato dopo Pasqua, alle due del giorno, rese l'anima nelle mani divine, il giorno 3 del mese di maggio, nell'undicesimo anno dell'indizione. Piansero per lui i fratelli. Feodosij aveva dato ordine di esser seppellito nella grotta, dove aveva compiute molte opere, cosí aveva detto: « Di notte seppellirete il corpo mio », e cosí fecero. Giunta la sera, i fratelli presero il suo corpo, e lo seppellirono nella grotta, dopo averlo trasportato tra canti e ceri, devotamente lodando nostro Signore Gesú Cristo. Mentre Stefan dirigeva il monastero e il felice gregge, raccolto da Feodosij... questi monaci splendevano simili a fiaccole in tutta la Rus': alcuni erano tenaci digiunatori, altri vegliavano, altri pregavano in ginocchio, altri digiunavano un giorno sí ed un giorno no, o ogni due giorni, altri si nutrivano di pane e di acqua, altri di ortaggi bolliti, altri di ortaggi crudi. Vivendo e reciprocamente amandosi; í giovani si umiliavano dinanzi agli anziani e non osavano parlare dinanzi a loro, ma tutti stavano lí con umiltà e grande ubbidienza. Cosí an-
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che gli anziani mostravano amore verso i giovani istruendoli, confortandoli, come diletti fanciulli. Se qualcuno dei fratelli commetteva qualche peccato, lo confortavano, e, per il grande affetto, dividevano fra tre o quattro di loro la penitenza di un sol fratello: tale era l'amore in questi fratelli e la grande temperanza. Se qualche fratello andava via dal monastero, tutti gli altri fratelli soffrivano molto per questo, mandavano a lui messaggi, richiamavano il fratello al monastero, andavano tutti ad inginocchiarsi dinanzi all'igumeno, e pregavano l'igumeno e [di nuovo] accoglievano con gioia il fratello al monastero. Tali erano gli amici, e í temperanti, e i digiunatori, di essi nominerò qualcuno dei prodigiosi. Cosí, per primo, il prete Dem'jan era tanto digiunatore e temperante che si cibò solo di pane e di acqua fino alla morte. Allorché qualcuno portava un fanciullino malato, affetto di una qualsiasi malattia, [un malato] qualcuno portava al monastero, oppure un uomo ormai in fin di vita, affetto di una qualsiasi malattia giungeva al monastero dal buon Feodosij, questi ordinava a Dem'jan di recitare la sua preghiera per il malato; e quegli subito recitava la preghiera, e praticava l'unzione con l'o1ío, e coloro che erano venuti da lui guarivano. Mentre, ammalato e vicino alla morte, giaceva privo di forze sul letto, gli si avvicinò un angelo sotto le sembianze di Feodosij, e gli fece dono del regno celeste a ricompensa del suo operato. Poi giunsero Feodosij e i fratelli e sedettero accanto a lui; quegli era stremato, dopo aver guardato l'igumeno, pronunziò: « Non dimenticare, o igumeno, ciò che mi hai promesso ». E comprese il grande Feodosij che quegli aveva avuto una visione, e disse: « O fratello Dem'jan, se ho promesso, avverrà ». Egli, quindi chiuse gli occhi e rese l'anima nelle mani divine. L'igumeno e i fratelli seppellirono il suo corpo. Cosí vi era anche un altro fratello, a nome Eremija, che ricordava il battesimo della terra russa. A questi era stato elargito un dono da Dio: prediceva il futuro e, quando scorgeva un fratello soprappensiero, lo riprendeva segretamente, e gli ordinava di guardarsi dal diavolo. Se qualche fratello pensava di andar via dal monastero, egli, essendone a conoscenza, rimproverava il proposito di costui e confortava il fratello. Se a qualcuno diceva qualcosa di buono o di cattivo, la parola del vecchio si avverava. E vi era un altro vecchio, a nome Matvej: era chiaroveggente. Una volta mentre stava in chiesa al suo posto, levò egli gli occhi suoi, volse lo sguardo sui fratelli che stavano cantando disposti su due file nel coro, e vide un demone che girava sotto le sembianze di un ljaco, avvolto in un mantello, alla cui falda portava un fiore chiamato lepok.
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Il diavolo, passando tra i fedeli, si toglieva il fiore dal petto e lo gettava su qualcuno di loro: se il fiore si attaccava ad un fratello che stava cantando, costui rimaneva per un po' con i pensieri offuscati, e con un pretesto usciva dalla chiesa, andava in cella, e si addormentava, e non ritornava in chiesa fino al termine della funzione; se lo gettava su di un altro e il fiore non si attaccava a costui, questi continuava a cantare fino al termine dei canti del mattino, e allora [solo] andava nella sua cella. Il vecchio si accorse di ciò e lo comunicò ai fratelli suoi. Un'altra volta il vecchio vide quanto segue: come al solito, quando il vecchio andava alla funzione del mattino, i fratelli prima dell'aurora si ritiravano nelle proprie celle, e il vecchio, per ultimo, usciva dalla chiesa. Una volta mentre se ne stava andando, si mise a sedere per riposarsi sotto la campana, giacché la sua cella era un po' distante dalla chiesa, ed ecco che vide una gran folla uscire dalla porta, alzò gli occhi suoi e vide un uomo seduto su un maiale, ed altri che gli camminavano accanto. E disse loro il vecchio: « Dove andate? » E il diavolo seduto sul maiale disse: « Da Michal' Tol'bekovic ». Il vecchio si fece il segno della croce, e andò nella cella sua. Allorché fu giorno e dopo che il vecchio ebbe riflettuto, disse al frate-portiere: « Va', domanda se Michal' è in cella ». E gli riferí cosí: « Poco fa, dopo la funzione del mattino, egli ha saltato il muro di cinta ». E raccontò il vecchio la sua visione all'igumeno e ai fratelli. Mentre viveva questo vecchio, morí Feodosij ed era igumeno Stefan, e, dopo Stefan, Nikon, ed era ancora vivo questo vecchio. Una volta egli assistendo alla funzione del mattino, levò gli occhi, volendo vedere l'igumeno Nikon, e vide un asino che stava al posto dell'igumeno, e comprese che l'igumeno non era stato ancora elevato. Queste e ancora altre visioni ebbe il vegliardo, e finí in questo monastero in buona vecchiaia. Vi era un altro monaco, a nome Isakij, questi quando era ancora nel mondo, nella vita mondana, era ricco, ed era un mercante, nativo di Toropec, poi decise di farsi monaco, e divise la ricchezza sua ai bisognosi e ai monasteri, e andò nella grotta del grande Antonij, lo pregò di consacrarlo monaco. E lo ricevette Antonij, e pose su di lui l'abito monacale, dandogli nome Isakij, giacché il suo nome era prima Cern. Isakij condusse una vita rigida: indossò il cilicio, e ordinò di comprare per lui un bue, e ne scorticò la pelle e la indossò come cilicio, e su di lui si seccò la grassa pelle. E si chiuse nella grotta, con una sola uscita, in una piccola celletta, di quattro braccia, e là in lacrime pregava Dio. Il suo cibo era un'ostia e per un intero giorno non beveva che poca acqua. Il grande Antonij gli portava [il cibo] dandoglielo attraverso una finestrina, introducendo la mano cosí riceveva egli il
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cibo. E cosí egli fece per sette anni, senza uscire mai alla luce, e senza coricarsi mai, ma restando seduto dormiva un po'. E secondo l'abitudine, calata la sera, si metteva in ginocchio a cantare i salmi, fino alla mezzanotte; allorché era stanco, sedeva su di una panca. Una volta, mentre era seduto secondo il consueto, dopo aver spenta la luce, improvvisamente una luce prese a splendere, proprio come quella del sole, nella grotta, accecando l'occhio umano. E si avvicinarono a lui due giovani belli, splendevano i visi loro come il sole, e gli dissero: « O Isakij! Noi siamo gli angeli, ed ecco che Cristo viene a te, cadi in ginocchio dinanzi a lui ». Egli non comprese l'opera del demone, né ricordò di segnarsi con la croce, perciò allorché essi entrarono si inginocchiò, come dinanzi a Cristo, dinanzi all'opera del demone. I demoni, allora, lanciarono un grido ed esclamarono: « Sei nostro, o Isakij »; ed entrati nella cella, lo fecero sedere e presero posto intorno a lui, e affollarono la cella e la stradetta della grotta. E disse uno dei demoni, appellandosi Cristo: « Prendete le zarnpogne, le buccine e le gusli, e sonate e Isakij danzerà per noi ». Ed echeggiarono le zampogne e le gusli e le buccine, e cominciarono ad accompagnarlo sonando. E, estenuatolo, lo lasciarono appena vivo, e se ne andarono beffandolo. L'indomani, allorché fu giorno, e allorché si avvicinò l'ora di mangiare il pane, venne Antonij secondo il solito alla finestrina, e disse: « Il Signore ti benedica, padre Isakij! » Ma non vi fu risposta; e disse Antonij :« Che sia morto ». E mandò al monastero a chiamare Feodosij e i fratelli. Dopo aver abbattuto l'entrata che era murata, ed essersi avvicinati, lo presero credendolo morto e, portatolo fuori, lo posero dinanzi alla grotta. E si accorsero che era vivo. E disse l'igumeno Feodosij: «È stata questa un'opera del demone ». E lo posero sul letto e misero accanto a lui Antonij. In quel tempo capitò che Izjaslav, tornato dai Ljachi, fosse adirato contro Antonij a causa di Vseslav. E avendo inviato degli uomini, Svjatoslav di notte prese Antonij per raggiungere [ insieme ] Cernigov. Antonij giunto a Cernigov trovò di suo gradimento la collina di Boldino; dopo aver scavato una grotta, egli vi abitò. E vi è in quel luogo il santo monastero della Madre di Dio, ancor oggi sulla collina di Boldino. Feodosij, avendo saputo che Antonij era andato aCernigov, andò con i fratelli a prendere Isakij e lo portò nella propria cella e lo curò, egli era cosí stremato che non poteva né rigirarsi sull'altra parte, né levarsi, né sedere, ma giaceva su di un fianco, si faceva sotto e spesso sotto di lui si formavano vermi tra urina ed escrementi. Feodosij stesso con le sue mani lo lavava e lo rivestiva; per due anni in tal maniera lo curò. Fu questo un meraviglioso miracolo; giacché per due anni giacque cosí senza
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assaggiare pane né acqua, né ortaggi, né alcun altro cibo, senza articolare la lingua, muto e sordo giacque per due anni. Feodosij pregava Iddio per lui, e preghiere recitava su di lui notte e giorno, finché il terzo anno cominciò a parlare e a sentire e prese a reggersi sulle gambe come un bimbo, e cominciò a camminare. E disdegnava di andare in chiesa, fu necessario forzarlo ad andare in chiesa, e cosí a poco a poco lo abituarono. E quando lo abituarono ad andare alla mensa, prendeva posto lontano dai fratelli, gli ponevano dinanzi il pane e non lo prendeva, se non &ielo mettevano in mano. Feodosij allora decise: « Mettetegli il pane dinanzi, e non poneteglielo in mano, che mangi da solo », e restò un'intera settimana senza mangiare, e a poco a poco guardandosi intorno prese a mangiare il pane, cosí imparò a mangiare, e cosi lo salvò Feodosij dalle mene diaboliche. Isakij di nuovo tornò alla severa continenza. Allorché morí Feodosij ed era Stefan al suo posto, Isakij disse: « Tu mi hai già fatto morire, o demonio, mentre io sedevo in un posto solitario; ma io non mi chiuderò piú nella grotta, e ti vincerò andando nel monastero ». Ed indossò il cilicio e sul cilicio un ruvido cappotto, e prese a fare stravaganze, e prese ad aiutare i cuochi a cucinare per i fratelli. E prima di tutti si recava alla funzione del mattino e stava lí fermo ed immobile. Al sopraggiungere dell'inverno e degli aspri geli, metteva le scarpe con le suole consumate, tanto che gli si gelavano i piedi a contatto del pavimento di pietra, e non moveva i piedi, fin quando non si finiva di cantare il mattutino. E dopo il mattutino andava in cucina, e preparava il fuoco, l'acqua, la legna, e poi arrivavano gli altri fratelli cuochi. Un cuoco, che portava lo stesso nome, Isakij, disse ridendo ad Isakij :« Vi è là un corvo nero, va', prendilo ». Isakij si inchinò a lui fino a terra, andò a prendere il corvo e lo portò dinanzi a tutti i cuochi, e si spaventarono, e raccontarono ciò all'igumeno ed ai fratelli, e i fratelli presero ad onorarlo. Egli, non desiderando onori dagli uomini, cominciò a fare stravaganze, e prese a nuocere ora all'igumeno, ora agli altri fratelli, ora al laico, tanto che gli altri erano costretti a castigarlo. E prese ad andare per il mondo facendo stravaganze. Si stabilí nella grotta dove, prima di morire, aveva abitato Antonij, e riuní presso di sé dei giovani, e li vestí degli abiti monacali, il che gli valse un biasimo da parte dell'igumeno Nikon, e da parte dei genitori di questi giovani. Egli tutto questo sopportava, ricevendo il castigo e sopportando la nudità e il freddo giorno e notte. Una volta dunque di notte egli attizzò la stufa nell'izbuska' presso la grotta, e prese fuoco la stufa giacché era Piccola izba, vedi oltre.
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screpolata e attraverso le screpolature presero ad uscir fuori le fiamme, non avendo nulla per soffocarle, pose i piedi scalzi, stette sulla fiamma finché la stufa finí di ardere e si spense. E molte altre cose raccontavano di lui, di cui io stesso fui testimone. E cosí ebbe la vittoria sui demoni, come se fossero mosche, non avendo alcun timore delle loro intimidazioni e delle loro apparizioni, diceva rivolgendosi a loro: «Una prima volta mi avete fatto perire nella grotta, quando non conoscevo le vostre mene e le menzogne, ma ora ho con me il Signore Gesú Cristo e Dio mio, e la preghiera del padre mio Feodosij, rivestito di Cristo; avrò vittoria su di voi ». Píú volte i demoni gli fecero del male, e dissero: «Sei nostro, e ti sei inchinato al nostro capo e a noi ». Egli diceva allora: « Il vostro capo è l'Anticristo, e voi siete i demoni ». E si segnava il viso con il segno della croce, e cosí [ quelli ] sparivano. Una volta, di nuovo, di notte vennero a lui, lo spaventarono nel sonno, giacché erano in molti, con zappe e con vanghe, e dissero: « Distruggeremo questa grotta, e seppelliremo costui qui ». Altri dissero: « Corri, Isakij, vogliono seppellirti ». Egli rispose loro: « Se voi foste uomini, verreste di giorno, ma voi siete tenebre, e nelle tenebre andate, e le tenebre vi prenderanno ». E si segnò con il segno della croce e [quelli ] scomparvero. Altre volte lo spaventarono sotto le sembianze di orso, altre volte di bestia feroce, o di bue, o di serpente che veniva strisciando verso di lui, o di rospi, o di topi, o di varie specie di rettili. E non riuscirono a fargli nulla e gli dissero: «O Isakij! Ci hai vinto ». Egli allora disse: « La prima volta mi vinceste sotto le sembianze di Gesú Cristo e di angeli, pur non essendone degni; ma ora apparite, come meritate, nelle spoglie di bestie feroci, e di animali, e di serpenti, e di rettili, proprio cosí come siete voi: odiosi e brutti a vedersi ». E subito i demoni sparirono dal suo cospetto, e da allora non fu piú tormentato dai demoni, come egli stesso raccontava: « Ho sostenuto questa lotta per tre anni ». Quindi prese a vivere con fede piú salda e ad osservare la continenza, il digiuno e la veglia. E dopo aver vissuto cosi, ebbe termine la vita sua. E si ammalò nella grotta, e lo portarono malato al monastero, e prima dell'ottavo giorno santamente morí. L'igumeno Joann e i fratelli ne portarono via il corpo, e lo seppellirono. Tali erano i monad del monastero di Feodosij, essi, anche dopo la morte, splendono simili a fiaccole, e pregano Dio per i fratelli che rimangono qui [ sulla terra], e per i laici, e per i benefattori del monastero, ove, [in questo monastero], ancor oggi vivono una vita santa, tutti uniti nel canto e nella preghiera e nell'ubbidienza per la gloria
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di Dio onnipotente, e protetti dalle preghiere di Feodosij; sia gloria a lui nei secoli, cosí sia. 1075 Anno 6583. Fu iniziata la [costruzione della] chiesa del [monastero] Pecerskij, sulle fondamenta gettate dall'igumeno Stefan; Feodosij aveva cominciato dalle fondamenta, e sulle fondamenta continuò [ 1'opera ] Stefan; e [la costruzione] il terzo anno fu terminata, il giorno 11 del mese di luglio. Quello stesso anno giunsero gli ambasciatori dei Germani da Svjatoslav; Svjatoslav, gloriandosi, mostrò loro la ricchezza sua. Essi vedendone una quantità immensa: oro, e argento, e sete, dissero: « Non vi è nulla in ciò, sono cose morte. È meglio possedere guerrieri. Gli uomini procacciano ancora piú di questo ». Si gloriò Ezechia, re giudeo, dinanzi agli ambasciatori dell'imperatore assiro, e tutto [ gli ] tolsero per portare in Babilonia: cosí, anche dopo la morte di costui, tutto il suo avere venne disperso. 1076 Anno 6584. Volodimir, figlio di Vsevolod, e Oleg, figlio di Svjatoslav, andarono in aiuto dei Ljachi, contro i Cechi. Quello stesso anno morí Svjatoslav, figlio di Jaroslav, il giorno 27 del mese di dicembre, per il taglio di un'ulcera, e fu seppellito a Cernigov [nella chiesa di] San Salvatore. E alla sua morte salí al trono Vsevolod, il primo giorno del mese di gennaio. 1077 Anno 6585. Izjaslav andò con i Ljachi, Vsevolod mosse contro di lui. Boris si stabilí a Cernigov il giorno 4 del mese di maggio, e il suo principato durò otto giorni, e fuggí a Trnutorokan presso Roman. Vsevolod andò a Volyn' contro il fratello Izjaslav, ed essi conclusero la pace, e Izjaslav venne a stabilirsi a Kiev il giorno 15 del mese di luglio; mentre Oleg, figlio di Svjatoslav, era presso Vsevolod a Cernigov. 1078 Anno 6586. Fuggí Oleg, figlio di Svjatoslav, a Tmutorokan [allontanandosi] da Vsevolod, il io del mese di aprile. Questo stesso anno a Zavoloc' venne ucciso Gleb, figlio di Svjatoslav. Era stato Gleb caritatevole verso i poveri e ossequioso verso gli stranieri, zelante nei riguardi della chiesa, ardente di fede, e mite e bello di aspetto. Il corpo suo fu seppellito a Cernigov dietro [la chiesa del] San Salvatore, il giorno 23 del mese di luglio. Mentre Svjatopolk, figlio di Izjaslav, lo aveva sostituito a Novgorod, e Jaropolk si era stabilito a Vysgorod e Volodimir a Smolensk, Oleg e Boris condussero i pagani contro la terra russa, e mossero contro Vsevolod insieme con i Cumani. Vsevolod andò contro di loro sulla Sozica' e i Cumani vinsero la Rus', e molti [dei nostri] furono uccisi: fu ucciso Ivan 2iroslavic, e Tuky, '
La Sozica è un affluente della Sula, oggi è chiamata Orzica.
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fratello di Cudin, e Porej e molti altri, i125 del mese di agosto. Oleg e Boris giunsero a Cernigov, ritenendosi vincitori, e arrecarono molto male alla terra russa, versarono sangue cristiano; per questo sangue versato Dio punirà la mano loro, e darà loro il castigo per la perdita delle anime cristiane. Vsevolod andò dal fratello suo Izjaslav a Kiev, si baciarono e si sedettero [a discutere]. Vsevolod raccontò tutto quanto era successo. E disse a lui Izjaslav: «O fratello! Non tormentarti. Hai visto tutto ciò che mi è successo: prima non mi hanno forse espulso e non hanno forse saccheggiato il mio avere? E poi, di che cosa mi resi colpevole la seconda volta? Non fui respinto forse da voi, miei fratelli? Non vagabondai io forse per terre straniere, privato d'ogni cosa, pur non avendo fatto male ad alcuno? Ed ora, o fratello, non tormentiamoci. Se ci toccherà una parte della terra russa, sarà di ambedue; se ne saremo privati, lo saremo ambedue. Deporrò il mio capo per te ». E detto questo, confortò Vsevolod, e ordinò di radunare i guerrieri dal giovane all'anziano. E andò Izjaslav con Jaropolk, suo figlio; e Vsevolod con Volodimir, suo figlio. E giunsero a Cernigov, e iCernigovci si rinchiusero nella città. Oleg e Boris non si trovavano [ in città ]. ICernigovci non aprirono le porte, ed essi avanzarono alla volta della città. Volodimir avanzò verso la porta orientale, dalla parte dello Strizen " , e conquistata la porta occupò la zona esterna della città, e la incendiò, mentre gli uomini fuggivano verso l'interno della città. Izjaslav e Vsevolod seppero che Oleg e Boris stavano giungendo contro di loro; Izjaslav e Vsevolod, prevenendolo, mossero dalla città contro Oleg. Disse allora Oleg a Boris: « Non andiamo contro; non possiamo combattere contro quattro principi, ma mandiamo ambasciatori ai nostri zii con proposte di pace ». E Boris gli disse: « Tieniti pronto, io sarò contro tutti loro »; si vantò molto, non sapendo che Dio è contro l'orgoglioso e aiuta gli umili, affmché il forte non si glori della propria forza. E mossero contro, e giunti sul campo presso il villaggio, sul campo della Nezatina', si scontrarono ambedue [gli eserciti], vi fu una battaglia terribile. Per prima fu ucciso Boris, figlio di Vjaceslav, colui che molto si era gloriato. Izjaslav si trovava appiedato, allorché improvvisamente giunse uno che lo colpí con la lancia alla spalla. Cosí fu ucciso Izjaslav, figlio di Jaroslav. Siccome il combattimento continuava, Oleg fuggí con una piccola druzina, e a mala pena si salvò, fuggendo a Tmutorokan. Il principe Izjaslav fu ucciso il giorno 3 del mese di ottobre. E presero il corpo suo, lo posero su di Nella cronaca di Novgorod la battaglia viene localizzata nei pressi di Cernigov; è probabile che il campo di Nezatina si trovasse nelle vicinanze di questa città.
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un'imbarcazione, e lo portarono presso Gorodec, gli venne incontro tutta la città di Kiev; e posero il corpo suo su di una slitta, e, salmodiando, preti e monaci lo portarono in città. E non era possibile udire il canto tra il gran pianto e i lamenti; per lui piangeva tutta la città di Kiev; Jaropolk lo seguiva piangendo con la druzina sua: « O padre, padre mio! Non sei vissuto senza sofferenze in questo mondo, non hai tu forse ricevuto molte ingiurie da parte degli uomini e dai fratelli tuoi? Ecco che sei morto non per mano del fratello, ma per esporre il capo tuo per il fratello ». E preso il suo corpo lo portarono nella chiesa della Santa Madre di Dio, lo deposero in una tomba di marmo. Era stato Izjaslav un uomo bello d'aspetto e di corporatura alta, di costumi probi, aveva odiato i mentitori, amato la giustizia. In lui non vi era stata astuzia, ma egli era stato un uomo semplice, non aveva ricompensato il male con il male. Quanto male gli avevano fatto i Kieviani: lo avevano scacciato, e gli avevano spogliato la casa, e non aveva ricambiato questo male. Se qualcuno vi dirà: il carnefice ha ucciso, non fu egli ad agire cosí ma il figlio suo. Poi i suoi fratelli lo scacciarono ed egli andò vagando per terre straniere. E poi di nuovo assiso al trono suo, allorché Vsevolod in fuga giunse da lui, non gli aveva detto: « Ed io quanto ho so$erto a causa vostra? », non aveva ricambiato il male con il male, ma aveva consolato dicendo: « Giacché tu, o fratello mio, mostrasti amore verso di me, mi riconducesti al mio trono, e mi riconoscesti come piú anziano di te, io non ricorderò le prime azioni cattive, tu sei mio fratello, ed io il tuo, ed esporrò il mio capo per te », e cosí fu. Non gli aveva detto dunque: « Quanto male avete fatto a me, e ora tocca a te », non aveva detto: « Ciò non mi riguarda »; ma aveva compreso l'afflizione del fratello, mostrando un amore grande, mettendo in atto le parole degli Apostoli, che avevano detto: « Consolate gli afflitti ». In verità se egli ha commesso qualcosa in questo mondo, qualche peccato, gli sarà perdonato, poiché espose il capo per il fratello suo, non per brama di un potere piú grande, né di ricchezza maggiore, ma [soltanto] perché era stato offeso dal fratello. Di questi dunque il Signore aveva detto: « Che si offra l'anima propria per i propri amici ». Salomone aveva detto: «O fratelli, nelle disgrazie ci si aiuta scambievolmente ». Giacché l'amore è al disopra di ogni altra cosa. Cosí Giovanni aveva detto: « Dio è 1'amore, chi vive nell'amore vive in Dio, e Dio vive in lui ». In ciò si completa l'amore, affinché siamo degni anche noi, di questo mondo, di essere con Lui nel giorno del giudizio. Non vi è paura nell'amore, il vero amore esclude la paura, giacché la paura è tormento. « Colui che teme non è perfetto nel cuore ». Se qualcuno dirà: « amo Dio »,
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ma odia suo fratello, costui mente. Se non ama il proprio fratello, che vede, come può amare Dio che non vede? Da ciò avremo questo precetto, « colui che ama Dio ama suo fratello ». Nell'amore ogni cosa si completa. Grazie all'amore anche i peccati vengono annullati. Per amore il Signore scese sulla terra e fu crocifisso per i nostri peccati, prese su di sé i peccati nostri, inchiodato alla croce, ofErí a noi la croce sua per sconfiggere l'odio del demone. Per amore i martiri versarono il sangue loro. Per amore questo principe versò il sangue suo per il fratello suo, mettendo in atto il precetto del Signore. Inizio del principato di Vsevolod a Kiev.
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Vsevolod si assise a Kiev al trono del padre suo e del fratello suo, avendo assunto tutto il potere russo. E designò il figlio suo Volodimir a Cernigov, e Jaropolk a Volodimir, affidando a lui Turov. Anno 6587. Giunse Roman con i Cumani a Voin'. Vsevolod sostò presso Perejaslavl', e concluse la pace con i Cumani. E tornò indietro Roman con i Cumani, e lo uccisero i Cumani, il giorno 2 del mese di agosto. Le ossa di lui, figlio di Svjatoslav, nipote di Jaroslav, giacciono ancora ivi. E i Chazari, fatto prigioniero Oleg, lo mandarono per mare a Costantinopoli. Vsevolod nominò Ratibor governatore di Tmutorokan. Anno 6588. Si sollevarono i Torci di Perejaslavl' contro la Rus', Vsevolod mandò contro di loro íl figlio suo Volodimir. Volodimir giunto, vinse i Torci. Anno 6589. Fuggí Davyd Igorevié con Volodar ' Rostislavic, il giorno 18 del mese di maggio. E giunsero a Tmutorokan, e fecero prigioniero Ratibor, e si stabilirono a Tmutorokan. Anno 659o. Morí Osen, principe dei Cumani. Anno 6591. Giunse Oleg dalla Grecia a Tmutorokan; e fece prigionieri Davyd e Volodar' Rostislavic, e si stabili a Tmutorokan. E uccise i Chazari che erano stati i consiglieri dell'uccisione del fratello suo e che erano contro di lui e liberò Davyd e Volodar'. Anno 6592. Giunse Jaropolk presso Vsevolod il Grande Giorno'. Mentre i due Rostislavici fuggivano da Jaropoik, ritornati, scacciarono Jaropolk, e Vsevolod mandò Volodimir, suo figlio, e respinse í Rostislavici, e nominò Jaropolk principe di Volodimir. Intanto Davyd, fatti prigionieri i Greci ad Oles'e Z, s'impadroniva del loro avere. ' Il giorno della Pasqua di Resurrezione. z Zona di valico sulla foce del Dnepr, dirimpetto allo sbocco sul Mar Nero.
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Vsevolod, mandatolo a rilevare, dopo che glielo ebbero condotto, fece a lui dono di Dorogobuz. Anno 6593. Jaropolk, sarebbe voluto andare contro Vsevolod, avendo prestato ascolto a cattivi consiglieri. Avendo saputo ciò, Vsevolod inviò contro di lui il figliuol suo Volodimir. Jaropolk, lasciata la madre sua e la druzina a Luéesk, fuggí presso i Ljachi. Allorché Volodimir giunse a Lucesk, i Lucani si arresero. Volodímir designò Davyd a Volodimir, al posto di Jaropolk, e la madre di Jaropolk, e la moglie sua e la sua druzina condusse a Kiev e s'ímpossessò del suo avere. Anno 6594. Tornò Jaropolk dalla terra dei Ljachi, e concluse la pace con Volodimir, e andò di nuovo Volodimir a Cernigov. Jaropolk si stabilí a Volodimir. E dopo esservi restato pochi giorni andò a Zvenigorod'. E non era ancora giunto in città, allorché fu ucciso dal maledetto Neradec, istigato dal diavolo e dagli uomini malvagi. Egli stava sul carro, e quegli dal cavallo con la lancia lo uccise, il giorno 22 del mese di novembre. Ed allora si levò Jaropolk, gettò lontano da sé la lancia ed a gran voce esclamò: « Oh, il nemico mi ha ucciso ». Fuggí Neradec lo stramaledetto a Peremysl, presso i Rjurikovici, e i giovani Radko, Vojkina e molti altri, adagiarono Jaropolk dinanzi a loro sul cavallo, e lo portarono a Volodimir, e di lî a Kiev. E gli andò incontro il buon principe Vsevolod con i suoi figli, Volodimir e Rostislav, e tutti i boiari, e il buon metropolita Ioann con i monaci e con i preti. E tutti i Kieviani piansero di gran pianto, con salmi e canti lo accompagnarono al monastero di San Demetrio, e, preso il corpo suo, con onori lo deposero in una tomba di marmo nella chiesa del santo Apostolo Pietro, che egli stesso, precedentemente, aveva cominciato a costruire, il giorno 5 del mese di dicembre. Dopo aver provato molte sofferenze, innocentemente respinto dai propri fratelli, offeso, spogliato dei suoi beni, aveva egli ricevuto infine una morte amara, ma della vita eterna e della pace si era reso degno. Era questi un buon principe tranquillo, mite, modesto; e amava i fratelli, ogni anno dal suo avere sottraeva le decime per la [chiesa della] Santa Madre di Dio, e pregava sempre Iddio, dicendo: «O Signore, Dio mio! Accetta la preghiera mia, e dammi una morte simíle a quella dei miei due fratelli, Boris e Gleb, a mezzo di mano straniera, affinché io possa lavare con il mio proprio sangue, tutti i peccati, e liberami da questo mondo Vi sono alcune città che sono denominate con questo stesso nome: due nella Galizia, una presso Kiev, e un'altra nella regione di Rostov-Suzdal'. Qui deve trattarsi, forse, della Zvenigorod Cervenskij, situata a sud delle foci della Sereta e della Strda. 16
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frivolo e ribelle, dalle reti nemiche ». Il buon Dio non gli negò ciò che egli aveva chiesto, ricevette egli quei beni, che all'occhio umano non è dato vedere, né all'orecchio udire, né al cuore umano intendere; e che Dio ha preparato per coloro che lo amano. Anno 6 595• Anno 6596. Fu consacrata la chiesa di San Michele del monastero di Vsevolod dal metropolita Ioann e dai vescovi Luka, Isajja, Ioann, e Lazar' era allora igumeno di quel monastero. Nello stesso anno Svjatopolk si trasferí da Novgorod a Turov. Nello stesso anno morí Nikon, igumeno del [monastero] Pecerski.j. Nello stesso anno i Bulgari conquistarono Murom. Anno 6597. Fu consacrata la chiesa dedicata alla Santa Madre di Dio del [monastero] Pecerskij, del monastero di Feodosij dal metropolita Ioann, e da Luka vescovo di Belgorod, da Isajja, vescovo di Cernigov, alla presenza del buon principe Vsevolod, che governava la terra russa, e dei figliuoli di lui, Volodimir e Rostislav; Jan era il voevoda dei mille Kieviani, e Ivan l'igumeno. In quell'anno morí il metropolita Ivan. Era stato Ivan un buon conoscitore di, libri e della scienza, caritatevole verso il povero e verso la vedova, affabile con tutti, ricchi e poveri, umile e mite, tranquillo, buon dicitore, era avvezzo a consolare gli afflitti con le parole dei libri sacri, e nella Rus' non vi furono altri simili a lui, cosí come non ve ne saranno in avvenire. In quello stesso anno Janka, figlia di Vsevolod, della quale sí è precedentemente parlato, andò in Grecia. E accompagnò Janka, il metropolita Ioann, eunuco; di lui, dopo che lo ebbe visto, la gente disse: «Ecco, è giunto un fantasma ». Visse costui ancora un anno e poi morí. Non era questi un uomo istruito, ed era semplice di intelligenza e di parola. Nello stesso anno fu consacrata la chiesa di San Michele a Perejaslavl' da Efremo, metropolita di quella chiesa, egli l'aveva costruita imponente, giacché essa era prima la metropolia di Perejaslavl ', e la costruí di grandi dimensioni, adornandola di ogni cosa bella, e di vasi chiesastici. Questo Efremo era un eunuco corpulento. Egli aveva innalzato molte costruzioni; terminata la chiesa di San Michele, costrui una chiesa presso le porte della città in onore del santo martire Teodosio, e poi fuori le porte la chiesa di Sant'Andrea, costruí i bagni in pietra che prima non esistevano nella Rus'. E la città ebbe fondamenta in pietra, a partire dalla [costruzione della] chiesa del santo martire Teodosio, e abbellí egli la città di Perejaslavl' di edifici ecclesiastici e di altre costruzioni. Anno 6599. L'igumeno e i monad tennero consiglio, dissero: «Non è bello che il nostro padre Feodosij riposi fuori il monastero
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e fuori della sua chiesa, poiché egli ha fondato la chiesa e riuniti í monaci ». Tenuto consiglio, ordinarono di preparare un sito, ove sarebbero state deposte le reliquie sue. E tre giorni prima della festa dell' Assunzione della Madre di Dio, ordinò l ' igumeno di scavare il posto ove giacevano le reliquie di lui, del padre nostro Feodosij, per suo ordine, io peccatore, fui il primo testimone, perciò dirò non cose udite ma cose di cui io stesso fui artefice. Venne da me l'igumeno e mi disse: «Andiamo alla grotta di Feodosij ». E andaí dunque con l'igumeno, senza far sapere niente a nessuno, dopo aver deciso dove scavare, e indicato il punto da scavare oltre l'apertura. Mi disse dunque 1'igumeno: «Non devi dire ciò a nessuno dei fratelli, che nessuno sappia niente; ma tu chiamati chi vuoi in aiuto ». Quello stesso giorno preparai le zappe per scavare. E il martedí sera, al crepuscolo, presi con me due fratelli, e senza far sapere ad altri, andai alla grotta, e dopo aver cantato i salmi, presi a scavare. E ormai stanco, feci scavare all'altro fratello, scavammo fino a mezzanotte, ci stancammo, eppure non potevamo smettere di scavare, cominciai a rattristarmi per il timore di scavare nella parte opposta. Presa la zappa cominciai a scavare con impegno, mentre il mio compagno riposava dinanzi alla grotta e mi disse: «Flanno sonato la campana ». Ed io quell'istante scavavo sulle reliquie di Feodosij. Quando l'altro mi disse: «I-Ianno sonato la campana », io dunque dissi: «Ho finito ». Appena ebbi terminato, fui assalito dal terrore, e presi a dire: « Signore abbi pietà! » In quel momento nel monastero vi erano due fratelli che stavano guardando verso la grotta, spiando íl momento in cui 1'igumeno segretamente avrebbe portato con qualcuno le reliquie. Appena venne sonata la campana, si videro tre colonne, simili ad archi splendenti, che vennero a posarsi sulla sommità della chiesa lí dove doveva essere seppellito Feodosij. In quello stesso momento Stefan, che dopo di lui aveva assunto la carica di igumeno, e che allora era vescovo, stando nel suo monastero, vide al di là del campo un grande splendore sulla grotta; pensando che si stesse trasportando Feodosij, poiché l'aveva saputo il giorno prima, e rammaricandosi che lo stessero trasportando senza di lui, montò a cavallo e subito si mosse, prendendo con sé Kliment che dopo di lui venne nominato igumeno. E mentre andavano, videro un grande splendore. E allorché giunsero vicino, videro molte candele al di sopra della grotta e giunsero alla grotta, e non videro piú nulla, e vi entrarono: noi eravamo seduti presso le reliquie di Feodosij. Dopo averle dissotterrate, mandai a dire all'igumeno: « Vieni, ché lo trasportiamo ». L'igumeno venne con due fratelli; ed io scavai molto, e discendemmo e vedemmo le relíquie che ivi giacevano; però le mem-
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bra non erano decomposte, e i capelli erano attaccati alla testa. E, depostolo su di un mantello e presolo a braccia, lo portammo dinanzi alla grotta. Il giorno dopo si riunirono i vescovi: Efremo di Perejaslavl', Stefan di Volodimir, Ioann di Cernigov, Marin di Jur'ev, gli igumeni di tutti i monasteri con i monaci; vennero anche i fedeli e, tra incensi e ceri, vennero prese le reliquie di Feodosij. E presele, le trasportarono nella chiesa sua, nell'arcata del lato destro, il giorno 14 del mese di agosto, all'una antimeridiana, nella quattordicesima indizione, l'anno... E questo giorno venne celebrato solennemente. Ecco dirò poche cose sul modo in cui si avverò una predizione di F'eodosij: mentre Feodosij in vita aveva la carica di igumeno, e guidava il gregge, affidatogli da Dio, cioè i monaci, egli aveva cura non solo di essi, ma anche delle anime dei laici, le salvava, salvando soprattutto quelle dei suoi figliuoli spirituali, consolando e guidando coloro che venivano a lui, mentre altre volte si recava nelle case altrui e impartiva la benedizione. Un giorno si recò egli alla casa di Jan, da Jan e da sua moglie Marija - Feodosij amava loro, perché essi vivevano secondo l'insegnamento del Signore e si amavano reciprocamente - recatosi dunque un giorno da loro, egli parlò della misericordia che bisogna nutrire verso il povero, del regno celeste che accoglie il giusto, e anche delle sofferenze del peccatore e dell'ora della morte. E siccome egli parlò anche della posizione del corpo nella tomba, la moglie di Jan gli disse: « Chissà dove mi sotterreranno! » Feodosij le disse: « In verità dove giacerò io, là anche tu sarai sotterrata ». Ciò avvenne. L'igumeno morí prima, circa diciotto anni dopo si verificò [il fatto]: in quell'anno moxí la moglie di Jan, a nome Marija, il giorno 16 del mese di agosto, e giunsero i monaci; cantati i canti di rito, e presala, la trasportarono nella chiesa della Santa Madre di Dio, dirimpetto alla tomba di Feodosij, a sinistra. Feodosij fu seppellito il 14, ed ella il 16. Cosí si compí la predizione del buon padre nostro Feodosij, del buon pastore che faceva pascolare le pecore loquaci senza distinzione, con bontà e riflessione, sorvegliandole e difendendole, pregando per il gregge a lui affidato e per gli uomini cristiani, per la terra russa. E dopo la tua dipartita da questa vita tu preghi per i fedeli, per i tuoi discepoli, che, vigilando la tua tomba, ricordano l'insegnamento tuo e la ternperanza tua, e lodano Iddio. Io, tuo servo peccatore e discepolo, non so in che modo lodare la tua buona vita e la tua temperanza. Ma ecco dirò in breve qualcosa: « Godi, padre nostro e precettore, dopo aver rinnegato il frastuono mondano, dopo aver amato il silenzio hai servito Dio nella quiete, nella vita religiosa, hai portato in te
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ogni dono divino, dopo esserti elevato con il digiuno, aver odiato gli istinti corporali e le tentazioni, aver rinnegato la bellezza e i desideri di questo mondo, seguendo le orme dei saggissimi padri, gareggiando con loro, elevandoti con il silenzio, e ornandoti di umiltà, godendo delle parole della Scrittura, godi, reso forte dalla speranza dei beni eterni: li hai ricevuti dopo aver mortificato l'istinto corporale, fonte di arbitri e di ribellioni; tu, santo, sfuggisti alle mene del demone e alle sue reti insieme con i giusti; tu, padre, per le tue fatiche ricevesti ricompensa, essendo stato fatto padre in seguito, dopo aver osservato l'insegnamento [dei monaci] e il loro costume, la loro temperanza e seguito i loro precetti ». Il grande Feodosij fu imitato specialmente nei costumi e nel modo di vivere, prendendo esempio dalla sua vita e gareggiando con lui nella temperanza, seguendo il suo modo di vivere, e passando da un'opera ad un'altra opera migliore, e innalzando le rituali preghiere a Dio, recando invece delle fragranze l'incensiere delle preghiere, l'incenso olezzante. Dopo aver vinto la lussuria mondana e il potente principe di questo secolo, dopo aver disprezzato il demone nemico e le sue insidie, apparve egli vincitore, resistendo alle sue frecce ostili, e ai suoi tristi pensamenti, reso forte dall'arma sacra, dall'invincibile fede, e dall'aiuto divino. Prega per me, padre onorato, affinché sia io liberato dalle reti nemiche, e dall'avversario; salvami con le tue preghiere. In quello stesso anno apparve un segno nel sole; come se esso fosse scomparso, ne rimase soltanto una piccola parte, come una luna: ciò avvenne alle ore due antimeridiane del giorno 21 del mese di maggio. Nello stesso anno, mentre Vsevolod andava a caccia al di là di Vysgorod, fu gettata una rete da pesca e si sentí un grido, e cadde un enorme serpente dal cielo', e tutti gli uomini si spaventarono. In quel medesimo istante la terra rumoreggiò, cosí che molti sentirono. In quello stesso anno un mago apparve a Rostov; costui morí presto. Anno 66oo. Un miracolo meraviglioso si manifestò a Polock: di notte si udiva uno scalpiccio: simili ad uomini si lamentavano per le strade i demoni erranti. Se qualcuno usciva di casa per vedere, subito, senza che se ne accorgesse, veniva colpito dai demoni e moriva; e nessuno osava piú uscire di casa. Per tal mofivo essi presero ad apparire anche di giorno a cavallo, e non erano completamente visibili, ma si vedevano [ soltanto ] gli zoccoli dei loro cavalli; e cosf essi colpivano gli abitanti di Polock e della sua provincia. Anche per Si fa, a questo punto, menzione della caduta di una meteorite. Nei monumenti letterari dell' antica Rus', la meteorite viene appunto rappresentata come un serpente infocato.
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questo la gente diceva: « i fantasmi battono quelli di Polock ». Questa apparizione si manifestò per prima a Druck. In quello stesso periodo si ebbe un segno nel cielo : un enorme arco nel mezzo del cielo. Quell'anno vi fu una tale siccità che la terra bruciava, e molti boschi e paludi da se stessi presero fuoco; e vi furono molti segni in vari luoghi; e una guerra grande fu combattuta dai Cumani, e da per tutto; essi conquistarono tre città: Pesocen, Perevoloka, Priluk, e da ambedue le parti' molti villaggi conquistarono. In quello stesso anno combatterono i Cumani contro i Ljachi insieme con Vasil'ko Rostislavic. In quello stesso anno morí Rjurik, figlio di Rostislav. In quello stesso periodo morirono ancora molti uomini, a causa di diverse malattie, cosicché i fabbricanti di bare dicevano: « abbiamo venduto settemila bare dal giorno di san Filippo z alla Quaresima ». Questo successe a causa dei peccati nostri, giacché erano aumentati i peccati nostri e le nostre iniquità. Dio questo mandò contro di noi, ordinando di pentirci, e di astenerci dal peccato, e dall'invidia e dalle altre cattive azioni ostili. Anno 66oi. Primo anno di indizione. Morí il principe Vsevolod, figlio di Jaroslav, nipote di Volodimir, il giorno 13 del mese di aprile, e fu seppellito il giorno 14, era la settimana di Passione - era il giovedí allorché fu deposto nella tomba nella grande chiesa di Santa Sofia. Questo buon principe Vsevolod aveva amato Dio sin dall'infanzia, amando la giustizia, rivestendo i poveri, rendendo onori a vescovi e a preti; amava soprattutto i monad, e dava loro ciò che a loro occorreva. Egli stesso si teneva lontano dagli eccessi del bere, e dalla concupiscenza, per questo era amato dal padre suo; cosí il padre gli diceva: «Figlio mio, te beato, giacché io sento parlare della tua modestia, e godo, perché tu rendi tranquilla la vecchiaia mia. Se Iddio ti permetterà di assumere il potere del mio trono, dopo i tuoi fratelli, secondo giustizia e non con la violenza, allora, quando Iddio ti condurrà via da questa vita, che tu sia seppellito dove già sarò stato seppellito io, presso la tomba mia, giacché io ti amo piú di tutti i tuoi fratelli ». Ecco che si avverò la parola del padre suo, cosí come aveva egli detto. Poiché egli ricevette dopo tutti i fratelli il trono del padre suo, dopo la morte del fratello suo. Mentre egli regnava a Kiev, provò un dispiacere ancora piú grande di quello che provò mentre regnava a Perejaslavl ' . Mentre era a Kiev fu egli rattristato dai suoi nipoti, costoro presero ad affliggerlo desiderando l'uno questo potere, l'altro quello; egli allora per pacificarli divise loro il potere. Ai dispiaceri gli 2
Vale: da ambedue le parti del Dnepr. 11 giorno di san Filippo, secondo il calendario bizantino, cade il
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si aggiunsero le malattie, e dopo sopravvenne la vecchiaia. Ed egli prese ad amare il consiglio dei giovani, organizzando con loro l'assemblea; costoro cominciarono ad incitarlo a disprezzare la sua druzina di prima e gli uomini non poterono piú ottenere la giustizia del principe; i giovani presero a depredare e a tradire gli uomini, mentre il principe, a causa dei suoi malanni, non era a conoscenza di ciò. Essendosi aggravato, mandò a chiamare a Cernigov il figlio suo Volodimir. Allorché Volodimir giunse, avendolo veduto molto grave, pianse. Mentre Volodimir e Rostislav, suo figlio minore, erano seduti accanto a lui, giunse l'ora, egli morí tranquillo e mite e si uní al padre suo, dopo aver regnato anni quindici a Kiev, e a Perejaslavl ' un anno, e a Cernigov un anno. Volodimir insieme con Rostislav, suo fratello, piangendo ne seppellí il corpo. E si riunirono i vescovi e gli igumeni, e i monaci, e i preti, e i boiari, e tutti gli altri, e trasportarono il suo corpo, e tra i canti di rito, lo tumularono in Santa Sofia, come abbiamo già detto. Volodimir prese a riflettere, dicendo: « Se io occupassi il trono del padre mio, dovrei combattere con Svjatopolk, giacché il trono era prima del padre suo ». E dopo aver riflettuto, mandò a chiamare Svjatopolk a Turov, ed egli stesso andò a Cernigov, e Rostislav a Perejaslavl'. Passato il Grande Giorno, trascorsa la settimana di festa, la domenica dopo Pasqua, il giorno 24 del mese di aprile, giunse Svjatopolk a Kiev. E gli andarono incontro i Kieviani in segno di saluto, e lo accolsero con gioia, ed egli si assise sul trono del padre suo e di suo zio. Intanto movevano i Cumani contro la terra russa; avendo udito che Vsevolod era morto, inviarono ambasciatori a Svjatopolk per trattare la pace. Svjatopolk, senza consigliarsi con la grande druzina del padre suo e di suo zio, tenne consiglio con quelli che erano venuti con lui, e prese gli ambasciatori, li rinchiuse in prigione. I Cumani, avendo saputo ciò, attaccarono guerra. E giunsero in molti i Cumani, e circondarono la città di Torcesk. Svjatopolk, volendo ora la pace, fece liberare gli ambasciatori dei Cumani. Ma non vollero i Cumani la pace, e continuarono i Cumani a combattere. Svjatopolk organizzò un esercito, avendo intenzione di muovere contro di loro. E dissero a lui gli uomini sensati: « Non tentare di andare contro di loro, giacché tu hai pochi guerrieri ». Ed egli rispose: «Ho i miei settecento uomini che possono misurarsi con loro ». Gli insensati presero a dire: « Va', principe ». I sensati allora ribatterono: « Se anche tu ne esponessi ottomila, non ti basterebbero: la nostra terra è stata resa povera dalla guerra e dalla corruzione. Piuttosto manda [messi] dal fratello tuo Volodimir, affinché ti venga in aiuto ». Svjatopolk
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dette loro ascolto, mandò da Volodimir perché gli venisse in aiuto. Volodimir allora radunò i guerrieri suoi e mandò poi a Rostislav, suo fratello, a Perejaslavl', ordinandogli di aiutare Svjatopolk. Allorché Volodimir giunse a Kiev si riunirono nel monastero di San Michele, e tra di loro sorsero liti ed alterchi, e dopo essersi messi d'accordo, baciarono la croce, e siccome i Cumani continuavano a saccheggiare la terra, dissero loro gli uomini sensati: «Perché discutete tra voi? I pagani stanno distruggendo la terra russa. Dopo vi metterete d'accordo, ma per ora movete contro i pagani, o con la pace o con la guerra ». Volodimir voleva la pace, Svjatopolk voleva la guerra. E andarono Svjatopolk e Volodimir e Rostislav alla volta di Trepol', e giunsero alla Stugna. Allora Svjatopolk e Volodimir e Rostislav convocarono in assemblea le loro druzine, avendo intenzione di oltrepassare il fiume, e cominciarono a discutere. E cosí Volodimir disse: « Invece di star qui, al fiume, sotto il pericolo, concludiamo la pace con loro ». E si unirono a questo parere gli uomini sensati, Jan e gli altri. I Kieviani non condividevano tale parere, e dissero: «Vogliamo batterci; andiamo sull'altra sponda del fiume ». E prevalse questo parere, e oltrepassarono il fiume Stugna. Erano allora le acque molto alte. Svjatopolk e Volodimir e Rostislav, dopo aver schierato la druzina, avanzarono. E mosse Svjatopolk sulla riva destra, sulla sinistra Volodimir, al centro era Rostislav. E passato Trepol' oltrepassarono iI terrapieno. E da qui i Cumani mossero contro, e li precedevano le frecce; í nostri, che stavano tra i terrapieni, fissarono i loro stendardi e con le frecce uscirono dal terrapieno. E i Cumani, giunti al terrapieno, fissarono gli stendardi loro, e attaccarono per prima Svjatopolk, e ne dispersero l'esercito. Svjatopolk resisteva energicamente, e si dettero alla fuga gli uomini non potendo piú resistere agli attacchi bellici; fuggí infine Svjatopolk. Poi attaccarono Volodimir, e fu un combattimento terribile; si dette alla fuga anche Volodimir con Rostislav e l'esercito suo. E fuggendo, giunsero al fiume Stugna, e si gettarono nel fiume Volodimir e Rostislav; e Rostislav cominciò ad affondare sotto gli occhi di Volodimir. E volendo egli salvare suo fratello per poco non annegò egli stesso. E annegò Rostislav, figlio di Vsevolod. Volodimir oltrepassò il fiume con una piccola druzina molti perirono dell'esercito suo, e i boiari suoi qui perirono - e giunto sull'altra sponda del Dnepr, pianse il fratello suo e la druzina sua, e molto rattristato andò a Cernigov. Svjatopolk fuggí a Trepol', e lí si rinchiuse, e stette lí fino a sera, e di notte raggiunse Kiev. I Cumani, avendo visto ciò, si dettero a saccheggiare il paese, mentre altri se ne tornarono a Torcesk. Tale sconfitta avvenne il giorno dell'Ascensio-
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ne di Nostro Signore Gesú Cristo, il 26 del mese di maggio. Si cercò Rostislav e lo trovarono nel fiume, e lo portarono a Kiev, e pianse per luí la madre sua e tutti gli uomini piansero molto per lui, a causa della sua giovane età. E si riunirono i vescovi e i preti e i monaci, cantati i canti di rito, lo tumularono nella chiesa di Santa Sofia, accanto al padre suo. I Cumani assediarono Torcesk, e i Torci fecero opposizione e tenacemente si batterono dalla città, uccisero molti avversari. I Cumani allora presero a tiranneggiarli, e li privarono dell'acqua, e in città gli uomini cominciarono a venir meno per la sete e per la fame. E i Torci mandarono [ uomini ] a Svjatopolk per dire: « Se tu non invii viveri, ci arrendiamo... » Svjatopolk inviò loro viveri, ma non fu possibile farli giungere in città per la moltitudine dei guerrieri. E i Cumani restarono intorno alla città nove settimane, e si divisero in due gruppi: uno rimase presso la città a combatter battaglia, l'altro a Kiev e si abbandonò al saccheggio tra Kiev e Vysgorod. Svjatopolk avanzò allora sullo 2elan ' , e mossero gli uni contro gli altri, e si scontrarono, e divampò la battaglia. E i nostri fuggirono dinanzi agli stranieri, e caddero feriti dinanzi ai nemici nostri, e molti perirono, e vi furono molti morti ancor di piú che presso Trepol'. Svjatopolk stesso tornò a Kiev per la terza volta, e i Cumani tornarono a Torcesk. Questa sconfitta avvenne il 23 del mese di luglio. L'indomani i124, [il giorno della] festività dei martiri Boris e Gleb, vi fu un gran pianto in città, e non di gioia, bensí a causa dei grandi peccati nostri e delle iniquità, del gran numero dei nostri arbitri. Giacché contro di noi Iddio aveva inviato i pagani, non perché Egli li amasse, ma per punirci, per farci astenere dal commettere cattive azioni. Per questo ci punisce con l ' invasione dei pagani; è questa la sua arma, affinché noi, memori, ci asteniamo dal percorrere la nostra cattiva strada. Per questo Dio, nei giorni di festa, ci ha inviato la pena, cosí come è accaduto quest'anno, la prima sconfitta presso Trepol' nel giorno dell'Ascensione del Signore, la seconda nel giorno della festività di Boris e di Gleb, che è la nuova festa per la terra russa. In proposito il profeta aveva detto: «E le vostre feste muterò in lutto e i vostri canti in lamento »'. Vi fu un pianto grande nella terra nostra, si spopolarono i villaggi nostri e le città nostre, tutti erano fuggiti dinanzi ai nemici nostri. Cosí il profeta aveva detto: « Cadrete dinanzi ai vostri nemici, sarete soggiogati da quelli che vi odiano; vi darete alla fuga senza che nessuno vi insegua... Spezzerò la durezza della vostra superbia... le vostre fatiche saranno gettate invano... e i Amos,
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sguainerò dietro a voi la spada e la vostra terra sarà deserta e le vostre città diroccate... Giacché voi siete malvagi e scaltri, verrò a voi con scaltro furore »'. Cosí aveva detto il Signore Iddio d'Israele. Giacché gli scaltri figli d'Ismaele avevano bruciato i villaggi e i granai, e a molte chiese avevano appiccato fuoco, e che nessuno si meravigli di ciò: dove vi sono molti peccati, là sarà la punizione di ogni azione. Per questo l'universo fu abbandonato, per questo si propagò la collera, per questo la terra fu tormentata; alcuni furono condotti in prigione, altri furono massacrati, altri abbandonati alla vendetta, sopportando una triste morte, altri tremarono, guardando le vittime, altri morirono di fame e di sete. Una disgrazia, un castigo, essi avevano innumeri ferite, molti dolori e terribili sofferenze, legati, calpestati esposti al freddo e feriti. E ciò che è piú sorprendente e piú terribile, è come si sia diffuso il terrore, e l'inquietudine, e la disgrazia tra la stirpe cristiana. $ giusto e doveroso punirci cosí, avremo fede solo se saremo puniti: si confà a noi l'essere abbandonati nelle mani di un popolo straniero e piú empio di tutta la terra. Diremo ad alta voce: « Giusto tu sei o Signore, e giusti sono í giudizi tuoi ». Diremo dopo l'esempio del maledetto: «Per noi, esso è giustizia, perché noi riceviamo la pena dei nostri delitti » Z. Diremo anche noi con Giobbe: « Come piacque al Signore, cosí è avvenuto; sia benedetto il nome del Signore »'. Dall'invasione dei pagani e dalle sofferenze che da essi ci vennero, riconosciamo il Signore che noi abbiamo fatto adirare; fummo resi gloriosi e non glorificammo; fummo onorati e non onorammo; fummo istruiti e non comprendemmo; fummo assunti e non lavorammo; fummo generati e ci vergognammo come se Egli non fosse stato il padre. Peccammo e siamo stati puniti; come abbiamo agito, cosí ora soffriamo: tutte le città sono diventate deserte, i villaggi sono diventati deserti; oltrepassiamo i campi, ove era il pascolo delle mandre dei cavalli, delle pecore e dei buoi, tutto deserto ora vediamo, i campi ricoperti d'erba sono diventati asilo delle bestie feroci. Ma ciò nondimeno, noi speriamo nella misericordia divina; il buon Signore ci ha ben puniti: «Non ci ha trattato secondo le nostre iniquità, e ci ha dato la ricompensa per i nostri peccati », cosí conviene al buon Signore, punire senza tener conto della molteplicità dei peccati. Cosí il Signore si è comportato con noi: creò, sollevò coloro che erano caduti, perdonò la trasgressione di Adamo, offrí un lavacro di purificazione e il sangue suo per noi versò. Allorché non ci ha visto piú Levitico, XXVI, 17-33• z Luca. XXIII, 41. Giobbe, I, zx.
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vivere secondo giustizia, ha condotto contro di noi guerra e sofferenza, perché anche se non desiderata, otterremo in ogni caso la misericordia nei secoli da venire; giacché l'anima qui punita troverà sempre nei secoli da venire ogni misericordia e la liberazione dalle sofferenze, giacché il Signore non si vendica di una cosa due volte. O ineffabile amore verso gli uomini! giacché egli ha veduto che per forza ci dovremo rivolgere a Lui. Oh, è infinito il suo amore verso di noi! Giacché di nostra volontà ci siamo allontanati dai precetti suoi. Ecco che pur non volendo soffriamo, per necessità, e sebbene contro voglia soffriamo per nostra volontà. Infatti, dov'è la nostra contrizione? Ormai da per tutto sono lacrime. Dove era in noi il lamento? Ora il pianto per tutte le strade si diffonde a causa delle vittime che furono uccise dai pagani. I Cumani combatterono a lungo, e ritornarono a Torcesk, e venivano meno in città gli uomini per la fame, e si arrendevano ai guerrieri. I Cumani dunque, presa la città, le appiccarono fuoco, e si divisero gli uomini, e li portarono all'accampamento alle loro famiglie, e ai parenti loro; molti erano cristiani: sofferenti, tristi, spossati, stretti insieme per il freddo, per la fame, per la sete e per la miseria, con i visi dimagrati, il corpo ridotto nero, andavano in contrade ignote, con la lingua arsa, nudi e scalzi, con i piedi feriti dalle spine; con le lacrime agli occhi, essi si rispondevano l'un l'altro, dicendo: « Io ero di questa città », e l'altro « Io di questo villaggio »; cosí con le lacrime agli occhi reciprocamente si interrogavano, ricordando l'origine propria e sospirando, rivolgendo gli occhi al cielo all'Altissimo, che conosce ogni mistero. Che nessuno osi dire che siamo stati presi in odio da Dio! Che ciò non sia. Giacché quale popolo Dio amò, come amò noi? A chi rese onori Dio, cosí come a noi rese gloria ed onori? A nessuno! Appunto per questo il suo furore agí maggiormente contro di noi, che piú di tutti eravamo stati onorati, noi che piú di tutti commettemmo peccati. Poiché piú di tutti eravamo stati istruiti, conoscendo la volontà del Signore, e avendo disprezzato la sua magnificenza siamo stati puniti piú degli altri. Ecco anch'io, peccatore, molto e spesso provocai la collera di Dio e spesso peccai, ogni giorno. In quello stesso anno morí Rostislav, figlio di Mstislav, nipote di Izjaslav, il primo giorno del mese di ottobre; e fu seppellito il 16 novembre nella chiesa della Santa Madre di Dio della Desjatina `. La chiesa della Madre di Dio era detta della Desjatina, perché Vladimir (Volodimir) il Santo aveva fissato per la conservazione di essa la decima (dieci in russo desjat') parte delle sue entrate; vedi a p. 72.
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Anno 6602. Svjatopolk concluse la pace con i Cumani, e prese in moglie la figlia di Tugorkan, principe dei Cumani. In quello stesso anno partí Oleg da Tmutorokan con i Cumani, e giunse a Cernigov, Volodimir si rinchiuse in città. Oleg giunse in città, e dette fuoco ad essa, e dette fuoco al monastero. Volodimir concluse la pace con Oleg, e andò via dalla città per stabilirsi sul trono paterno a Perejaslavl '; mentre Oleg entrava nella città del padre suo. I Cumani allora presero a combattere presso Cernigov, Oleg non lí ostacolò, perché egli stesso aveva dato loro ordine di combattere. Cosí per la terza volta condusse i pagani contro la terra russa, che Iddio gli perdoni i suoi peccati, molti cristiani rimasero uccisi, ed altri vennero imprigionati e dispersi per la terra. Quell'anno le cavallette invasero la terra russa, il giorno 26 del mese di agosto, e divorarono tutta l'erba e molto grano. E una tal cosa non si era mai udita precedentemente nella terra russa, come quella che videro allora gli occhi nostri, a causa dei peccati nostri. Quello stesso anno morí il vescovo di Volodimir, Stefan, il giorno 27 del mese di aprile alle ore sei della notte, egli era stato precedentemente igumeno del monastero Pecerskij. Anno 6603. Andarono i Cumani contro í Greci, contro il figlio di Diogene, combatterono in terra greca; e l'imperatore fece prigioniero il figlio di Diogene, e ordinò di accecarlo. In quello stesso anno giunsero i Cumani, Itlar e Kytan, da Volodimir per la pace. Giunse Itlar nella città di Perejaslavl', mentre Kytan rimase tra i terrapieni con i guerrieri; e dette Volodimir a Kytan il figliuol suo Svjatoslav in ostaggio, mentre Itlar era in città con una numerosa druzina. Intanto da Kiev era giunto presso Volodimir Slavjata, inviato da Svjatopollk per un certo affare; e la druzina di Ratibor prese a discutere con il principe Volodimir dello sterminio degli uomini di Itlar, ma Volodimir, che non avrebbe voluto far questo, rispose: « Come posso fare io questo, dopo aver prestato loro giuramento ». In risposta la druzina disse a Volodimir: « Principe! Facendo ciò non commetterai peccato; piú volte essi, dopo aver prestato a te giuramento, hanno distrutto la terra russa, e senza tregua hanno versato sangue cristiano ». E Volodimir prestò loro ascolto, e quella notte stessa mandò Volodimir Slavjata con una piccola druzina e con gli abitanti di Torcesk tra i terrapieni. E per prima misero in salvo Svjatoslav, poi uccisero Kytan e soppressero la druzina sua. Era quella la sera del sabato, e Itlar quella notte riposava al palazzo di Ratibor con la druzina sua e nulla sapeva di ciò che era stato fatto a Kytan. L'indomani, la domenica, al mattino, preparò Ratibor i suoi uomini in armi, e dette loro ordine di ri-
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scaldare 1'izba'. E Volodimir mandò il servo suo Bjandjuk alla gente di Itlar e disse Bjandjuk alla gente di Itlar: «11 principe Volodimir vi desidera, cosí ha detto: dopo esservi riscaldati nella tiepida izba e aver fatto colazione presso Ratibor, venite da me ». E disse Itlar: « Cosí sia ». E allorché entrarono nell'izba, vi furono rinchiusi. Salirono sull'izba e ruppero la sommità, e cosí Ol'beg Ratiboric, preso l'arco suo e scoccata la freccia, colpí Itlar al cuore, e uccise tutta la druzina di lui. E cosí tristemente terminò la propria vita Itlar, nella settimana della Quaresima, alla prima ora del giorno, il giorno z4 del mese di febbraio. Svjatopolk e Volodimir mandarono [uomini] da Oleg, ordinarono di andare con loro contro i Cumani. Oleg promise che sarebbe andato con loro, e partí, ma non batté la loro medesima strada. Svjatopolk e Volodimir giunsero al campo, e conquistarono il campo, e s'impadronirono del bestiame e dei cavalli, dei cammelli e degli uomini, e lí condussero nella loro terra. E s'indignarono contro Oleg, giacché egli non era andato con loro contro i pagani. E Svjatopolk e Volodimir mandarono [ uomini ] da Oleg per dire cosí: « Ecco tu non sei venuto con noi contro i pagani, che hanno distrutto la terra russa, ma hai presso di te il figlio di Itlar: o uccidi costui, o consegnacelo. Costui è nemico nostro e della terra russa ». Oleg non dette ascolto a ciò, e tra loro si levò l'odio. In quello stesso anno giunsero i Cumani a Jur'ev, e stettero in quei dintorni un intero anno, e per poco non se ne impadronirono. Svjatopolk se li rappacificò. I Cumani passarono allora al di là del Ros', gli abitanti di Jur'ev fuggirono e andarono a Kiev. Svjatopolk ordinò di fondare una città sulla collina di Viticev, che dal suo nome si chiamò Svjatopolc , e ordinò al vescovo Marin di stabilirsi ivi con gli Jurevcí, e i Zasakovci e con quelli di altre città; mentre i Cumani appiccavano fuoco a Jur'ev. Sul finire di quell'anno andò Davyd Svjatoslavic da Novgorod a Smolensk; i Novgorodiani andarono a Rostov in cerca dí Mstislav Volodimirevic. E dopo averlo preso, lo condussero a Novgorod e dissero a Davyd: « Non venire da noi ». E giunto Davyd se ne tornò a Smolensk, e si stabilí a Smolensk, mentre Mstislav si stabilí a Novgorod. Intanto Izjaslav, figlio di Volodimir partiva da Kursk alla volta di Murom. E lo accolsero i Muromi, ed egli fece prigioniero il governatore di Oleg. In quello stesso anno vi fu l'invasione delle cavallette, i128 del mese di agosto, e ricoprirono la terra, ed era terribile a vedersi, esse invasero le contrade settentrionali, divorando erba e grano. Denominazione della casa primitiva slava.
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Anno 6604. Svjatopolk e Volodimir mandarono messi da Oleg, per dire cosí: « Vieni a Kiev, ché terremo consiglio per ciò che riguarda la terra russa in presenza dei vescovi, e degli igumeni, e degli uomini dei padri nostri, e dei cittadini per difendere la terra russa dai pagani ». Oleg ebbe un pensiero cattivo e parole orgogliose, disse cosí: « Non mi aggrada esser giudicato dal vescovo, o dagli igumeni, o dalla plebe ». E avendo prestato ascolto a cattivi consiglieri, non volle recarsi dai suoi fratelli. Svjatopollk e Volodimir gli dissero: «Tu non vieni con noi contro i pagani, né prendi parte ai nostri consigli, vuol dire che trami qualcosa contro di noi e vuoi aiutare i pagani, ma sarà Dio tra noi ». Allora Svjatopolk e Volodimir mossero contro Oleg a Cernigov; Oleg fuggí via da Cernigov, il giorno 3 del mese di maggio: un sabato. Svjatopolk e Volodimir lo inseguirono, Oleg fuggí a Starodub e qui si rinchiuse; Svjatopolk e Volodimir lo tennero prigioniero nella città, e si difendevano dalla città energicamente, e mossero quelli all'assalto contro la città, e vi furono molti feriti da ambo le parti. E vi fu tra loro un combattimento terribile, e stettero intorno alla città trentatre giorni, e perdevano le forze gli uomini nella città. E Oleg volendo trattare la pace, uscí dalla città, e gli concessero la pace, cosí dicendo: «Va' da tuo fratello Davyd, e ambedue verrete a Kiev al trono dei vostri padri e dei vostri avi, giacché Kiev è la piú antica città di tutta la terra; qui bisogna convenire e addivenire ad un accordo». Oleg promise che cosà avrebbe fatto e baciò la croce. Intanto giungeva Bonjak a Kiev con i Cumani, una domenica sera, e combatté presso Kiev, e appiccò fuoco al palazzo del principe a Berestovo. Contemporaneamente combatteva Kurja insieme ai Cumani presso Perejaslavl', e dette fuoco a Ust'e; il giorno 24 del mese di maggio. Oleg partí da Starodub, e giunse a Smolensk, e gli Smoiniani' non lo ricevettero, e andò egli a Rjazan'. Svjatopolk e Volodimir ritornarono nelle loro città. In quello stesso mese giunse a Perejaslavl' Tugorkan, suocero di Svjatopolk, il giorno 30 del mese di maggio e si fermò presso la città, e i Perejaslavci si rinchiusero nella città. Svjatopolk e Volodimir andarono contro di lui, lungo questa riva del Dnepr, e giunsero a Zarub, e qui oltrepassarono [il Dnepr], e i Cumani non se ne accorsero,lJio li protesse e, ordinati, avanzarono alla volta della città; accortisi di ciò gli abitanti si rallegrarono, e andarono loro incontro, mentre i Cumani stavano sull'altra riva del Trubez e si preparavano alla battaglia. Svjatopolk e Volodimir oltrepassarono il Trubez e andarono incontro ai Cumani, Volodimir avrebbe voluto '
Cioè gli abitanti di Smolensk.
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riordinare l'esercito, ma gli uomini non gli ubbidirono, e spronarono i loro cavalli contro gli avversari. Allorché i Cumani li videro fuggirono, mentre i nostri inseguivano i guerrieri uccidendo i nemici. E ci fece dono il Signore in questo giorno di una grande vittoria: i1 giorno 19 del mese di luglio gli stranieri furono vinti, e furono uccisi il loro principe Tugorkan, e il figliuol suo, e gli altri principi; molti nostri nemici qui perirono. L'indomani trovarono il cadavere di Tugorkan, e Svjatopolk ne ebbe cura, come suocero e come nemico; e lo trasportò a Kiev e lo seppellf presso Berestovo, tra la strada che mena a Berestovo e quella che mena al monastero. E il 20 dello stesso mese, venerdí, alla prima ora del giorno giunse per la seconda volta Bonjak, empio, rognoso, brigante, ladro, improvvisamente a Kiev, e mancò poco che i Cumani non entrassero in città, ed essi dettero fuoco ai sobborghi della città, e tornarono all'assalto del monastero, e appiccarono fuoco al monastero di Stefan, al villaggio di German l. E mossero all'assalto del monastero Pecerskij, mentre noi riposavamo nelle celle dopo il mattutino, e presero a vociare intorno al monastero, e piantarono due stendardi dinanzi alla porta del monastero, mentre alcuni di noi fuggivano nel monastero, e altri fuggivano sul solaio. Gli empi figli d'Ismaele sfondarono la porta del monastero, e sfondarono le porte ed entrarono nelle celle, e portarono via quanto vi trovarono; poi appiccarono fuoco alla Santa Regina nostra, Madre di Dio, ed entrarono nella chiesa, e dettero fuoco alla porta costruita a mezzogiorno e all'altra a settentrione; e penetrati nella cappella presso la tomba di Feodosij, presero le icone, dettero fuoco alla porta e bestemmiarono Dio e la nostra religione. Iddio soffriva, giacché ancora non erano terminati i peccati loro e le loro iniquità, e quellí dicevano: « Dove è il loro Dio, che li aiuta e li salva? » E dissero altre cose ingiuriose contro le sante icone, deridendole, non sapendo che Iddio punisce i suoi figli con le invasioni belliche, affinché appaiano simili ad oro provato col fuoco: i cristiani dopo molte sofferenze e miserie entreranno nel regno celeste, rnentre questi pagani e questi arroganti in questo mondo avranno gioia e ricchezza, ma nell'altro mondo avranno sofferenza, preparata dal diavolo nel fuoco eterno. Poi appiccarono fuoco al Krasnyj Dvor che il buon principe Vsevolod aveva eretto sulla collina, detta Vydobyc: tutto questo i maledetti Cumani misero a fuoco. Cosí anche noi, seguendo il profeta David, esclaZ
' Deve trattarsi del Monastero del Salvatore (Spaso-Berestovskij), di cui fu igumeno German Golubinskij. 2 11 palazzo del principe.
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miamo: « Signore Dio mio! rendili simili ad un cerchio, e simili al fuoco al cospetto del vento, al fuoco che brucia le foreste, cosí scacciali via con la collera tua, altera il viso loro per l'offesa ». Giacché essi hanno incendiato e profanato la Santa Casa Tua, e il monastero della Madre Tua, e le reliquie dei Tuoi servi. Uccisero alcuni fratelli nostri con le empie armi dei figli d'Ismaele, inviati come punizione dei cristiani. Essi sono venuti dal deserto di Jatreb, tra oriente e mezzogiorno, da loro hanno avuto origine quattro tribú: i Turcomanni, i Peceneghi, i Turchi, i Cumani. Metodio [da Patara] attesta che otto tribú fuggirono allorché Gedeone le sconfisse, che queste otto tribú fuggirono nel deserto e che quattro [dí esse] furono distrutte. Altri dicono: sono essi i figli di Ammon; ma non è cosí: giacché i figli di Moab sono i Chvalisi, e i figli di Ammon sono i Bulgari, e i Saraceni discendono da Ismaele, da Sara e vennero chiamati Saraceni che vuol dire: discendenti di Sara. Cosf i Chvalisi e i Bulgari discendono dalla figlia di Lot, che fu fecondata dal padre suo, per questo la loro stirpe non è pura. E Ismaele generò dodici figli, dai quali discesero i Turcomanni, e i Peceneghi, e i Turchi e i Cumani, cioè i Polovcy, che sono venuti dal deserto. E piú tardi, queste otto tribú, al limitare del mondo hanno generato uomini impuri murati nella montagna da Alessandro il Macedone. Sermone. Io, essere da nulla, dal mio benedetto ed illustre nonno Jaroslav, appellato alla fonte battesimale Vasilij, con il nome russo Volodimir, e appellato dall'amato padre e dalla madre mia Monomach ................................ e a causa degli uomini cristiani, giacché tanti ne rispettai per mia misericordia e li salvai per le preghiere paterne da tutti i mali! In procinto di sedermi sulla slitta, ho riflettuto nell'anima mia e ho ringraziato Iddio, che, pur peccatore, mi ha conservato fino a questi giorni. Non prendete alla leggera questo ammonimento, o figli miei, o chiunque altro, udisse questo sermone, ma prendetelo a cuore, e abbandonate l'indolenza, e cominciate a lavorare. Innanzi tutto, per amor di Dio e per l'anima vostra, abbiate nel 11 cronista si riferisce alle Meditazioni di Metodio da Patara, di cui erano note nella Rus' due traduzioni eseguite in Bulgaria.
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cuor vostro timor di Dio e fate abbondante elemosina, giacché questo è il principio di ogni bene. Se a qualcuno di voi non dovesse garbare tale sermone, non vi adirate, ma dite: egli, mentre stava per partire per un lontano viaggio ed in procinto di sedersi sulla slitta, pronunciò queste sciocchezze. Gli ambasciatori di mio fratello mi incontrarono sulla Volga, e dissero: «AfFrettati a venire con noi, scacceremo i figli di Rostislav e ci impadroniremo del loro potere, se non vieni con noi, allora noi penseremo a noi e tu a te ». E dissi: « Anche se vi adirerete, non posso venire con voi, non trasgredirei il giuramento sulla croce ». E lasciatili, io nel [ mio ] dolore presi il Salterio, lo aprii ed ecco cosa mi capitò [di leggere]: «Perché sei triste, o anima? Perché ti tormenti? » ed altre cose. E poi scelsi delle parole qua e là, le misi in ordine, e scrissi; se non vi garbano le ultime, accogliete almeno le prime. « Perché sei triste, o anima mia? Perché ti tormenti? Spera in Dio, giacché a lui ci presenteremo. Non gareggiare con gli scaltri, non invidiare coloro che commettono iniquità, giacché gli scaltri saranno sterminati, mentre coloro che temono il Signore, domineranno la terra. E ancora un po', e non vi sarà piú un peccatore: sarà cercato al suo posto, ma non sarà trovato. I buoni erediteranno la terra, gioiranno per la grande pace. Il peccatore spia il giusto, e digrigna i denti suoi contro di lui; il Signore già ride di lui e sente l'avvicinarsi del suo giorno. Le armi trassero i peccatori, tirarono l'arco loro per trafiggere il povero e l'infelice, per trafiggere il cuore dei giusti. L'arma loro entrò nei loro cuori, e i loro archi si spezzarono. Meglio è íl poco del giusto che la ricchezza del peccatore. Giacché il braccio dei peccatori si spezzerà, il Signore sosterrà i giusti. Imperocché questi peccatori periranno; si avrà pietà dei giusti e si donerà loro. Imperocché coloro che benedirono erediteranno la terra, coloro che la maledirono saranno sterminati. I passi dell'uomo vengono guidati dal Signore. Se qualcuno cadrà non rimarrà paralizzato, giacché il Signore lo prenderà per mano. Sono stato giovane, e sono divenuto vecchio, e non ho mai visto un giusto abbandonato, né la sua famiglia andar mendicando il pane. Tutto il giorno il giusto ha misericordia e dà in prestito, e la sua famiglia sarà benedetta. Astienti dal male, opera bene, cerca la pace e scaccia il male, e vivrai nei secoli dei secoli ». Allorché gli uomini si solleveranno, allora verremo inghiottiti vivi, allora si scaglierà contro di noi la Sua ira, allora l'acqua ci affogherà. « Abbi pietà di me, o Dio, perché l'uomo mi ha calpestato, continuamente aggredendomi mi tormenta.lVli calpestarono i nemici miei, 17
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giacché molti dall'alto mi colpirono ». Il giusto godrà non appena vedrà la vendetta; le mani sue laverà nel sangue del peccatore. E dice allora l'uomo: « se esiste la ricompensa per il giusto, allora esiste un Dio giudice della terra ». « Salvami dai miei nemici, o Dio, allontanami da coloro che si sollevarono contro di me. Salvami da coloro che commettono iniquità e dagli uomini sanguinari salvami; poiché imprigionarono essi l'anima mia ». «Giacché il livore è nella mia ira, e la vita nella Sua volontà; la sera si insedia il pianto, e al mattino la gioia ». « Giacché la tua misericordia è migliore della vita mia, e le labbra mie ti lodano ». «Cosí ti benedirò nel corso della vita mia, e in nome tuo laverò le mani mie ». « Mettimi al sicuro dalla cerchia dei falsi e dalla moltitudine di coloro che commettono iniquità ». « Godete di cuore, o voi tutti giusti. Benedirò il Signore ogni istante, sempre sia lode a lui », ecc. Cosí anche Basilio aveva insegnato, riunendo gli uomini puri d'animo, casti, dal corpo scarno, dalla parola modesta e osservanti la parola del Signore: «Mangia e bevi senza gran rumore, taci dinanzi ai vegliardi, ascolta i saggi, umiliati dinanzi agli anziani, ama i tuoi simili e gli inferiori, parla senza inganni, ma cerca di comprendere molto; non alzare la voce, non ingiuriare con parole, non ridere molto, rispetta i vegliardi, non discorrere con le donne immodeste, sfuggile, tieni gli occhi bassi ma l'animo in alto; non esimerti dall'istruire gli avidi di potere, non porre in ciò la comune considerazione. Se qualcuno si renderà utile ad un altro, che attenda la ricompensa da Dio e godrà dei beni eterni ». « O Sovrana Madre di Dio! allontana dal povero mio cuore l'orgoglio e l'ira, affinché io possa estraniarmi dalla futilità di questo mondo »; in questa vita priva dí significato. Impara, o fedele, ad agire da devoto, impara dalle parole del Vangelo, la direzione dello sguardo, a tenere a freno la lingua, a render mite lo spirito, ad assoggettare il corpo, a reprimere l'ira, a custodire la purezza del pensiero, a stimolare te stesso alle buone azioni per amore del Signore; privato di qualcosa non vendicarti, odiato ama, perseguitato tollera, biasimato prega, annienta il peccato. Liberate gli offesi, giudicate l'orfano, rendete giustizia alla vedova. « Venite che ci uniremo », dice il Signore. « Allorché i peccati vostri saranno come di porpora, io li. renderò candidi come la neve ». « Splende la verde primavera e il fiore della penitenza, o fratellí, purifichiamoci da ogni macchia corporale e spirituale. Diciamo ad alta voce a Colui che ci ha donato la vita: "Sia gloria a te che ami gli uomini!" » In verità, figliuoli miei, come è clemente, e ultraclemente Iddio che ama l'uomo. Noi uomini, che siamo peccatori e mortali, se qual-
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cuno ci fa del male, subito vorremmo annientarlo e versare il sangue suo; ma il Signore Nostro, il quale dispone e della vita e della morte, fa passare le nostre trasgressioni al disopra delle nostre teste fino alla fine della nostra vita. Come un padre, ora amando, ora castigando il suo figliuolo e poi di nuovo amandolo, cosí anche il Signore Nostro ci ha mostrato il modo in cui vincere i nemici, come liberarci da loro, e come vincerli attraverso tre buone azioni: penitenza, lacrime, misericordia. E a voi, figliuoli miei, non sia penoso il comandamento divino, giacché con queste tre azioni potrete liberarvi dei vostri peccati e non sarete privati del regno celeste. E per amor di Dio non fatevi prendere dall'indolenza, vi supplico, non obliate queste tre azioni: esse non sono penose; non si tratta né della clausura, né della vita monacale, né del digiuno, che altri uomini giusti si impongono, ma si tratta di ottenere con un piccolo sforzo la misericordia divina. « Che cosa è l'uomo, come te lo immagini? » « Grande sei tu, o Signore, e meravigliose sono le opere tue, nessuno intelletto umano può intendere i tuoi miracoli, e ancora diciamo: grande sei tu, o Signore, e meravigliose sono le opere tue e benedetto e osannato sia il tuo nome in tutta la terra, nei secoli dei secoli ». Chi non loderà, non glorificherà la forza tua, e í tuoi grandi miracoli e le tue buone azioni, fatti in questo mondo: come è stato creato il cielo, il sole, la luna, le stelle, e le tenebre, e la luce, e la terra adagiata sulle acque, o Signore, dalla tua provvidenza! I diversi animali e gli uccelli e i pesci sono adorni della tua provvidenza, o Signore! Abbiamo stupore di questo miracolo che, pur avendo creato 1'uomo dal fango ci siano sembianze diverse nei visi umani; anche se tutti gli uomini si riunissero, non si vedrebbe in tutti gli uomini la stessa sembianza, ma ad ognuno, grazie alla saggezza divina, un proprio volto. E stupiamo degli uccelli del cielo che vengono dal paradiso, per prima nelle nostre mani, e non si fermano in un sol paese, ma forti e deboli vanno per tutta la terra, per volere divino, a popolare boschi e campi. Tutto ciò Dio ha dato per delizia umana e per nutrimento e per letizia. Grande, o Signore, è la tua misericordia per noi, per aver creato questi tesori per l'uomo peccatore. E questi uccelli del cielo istruiti da te, Signore, se lo ordini, cantano, e gli uomini godono; e se non dài loro ordini, è come se non avessero voce. E sii benedetto, o Signore, e sempre lodato! per tutti i miracoli, le azioni buone fatte e compiute, « e che colui che non ti loda, Signore, e che non crede con tutto il cuore nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, sia maledetto! » Leggendo queste benedette parole, o figliuoli miei, lodate Iddio
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che ci ha fatto dono della grazia sua e questo sermone della mia modesta intelligenza. Ascoltatemi: se non lo volete accettare tutto, per lo meno una metà. Iddio raddolcirà il cuore, e le lacrime scorreranno sui peccati, diremo: come sei stato misericordioso con la prostituta, e con il brigante, e con il pubblicano, cosí sii misericordioso con noi peccatori! E agite cosí in chiesa e mentre state a letto. Non peccate neppure per una sola notte, se potete inchinatevi fino a terra; se non ne avete la forza, inchinatevi tre volte. E non dimenticate questo, non siate pigri, giacché con questo commiato notturno e con il canto l'uomo vince il diavolo, e se di giorno pecca in tal modo poi si libera l'uomo del peccato. E allorché montate a cavallo se non conversate con nessuno, se non conoscete altre preghiere, dite instancabilmente dentro di voi: « Signore abbi pietà »; ché questa preghiera è la migliore ed è migliore che pensare, cammin facendo, a futili cose. Soprattutto non dimenticate i poveri, ma nutriteli secondo le vostre possibilità, e donate all'orfano, e proteggete la vedova e non permettete ai forti di far perire l'uomo. Non uccidete né l'innocente, né il colpevole, e non date ordine di ucciderli. Anche se merita la morte, non fate che si perda un'anima cristiana. Quando parlate di bene e di male, non giurate su Dio, né segnatevi con il segno della croce, non ce n'è bisogno. Se baciate la croce insieme con il fratello vostro o con altri, baciate soltanto se, consultato il vostro cuore, potete mantenere [il giuramento]; e, dopo aver baciato, state attenti a non perdere l'anima vostra per una trasgressione. In quanto ai vescovi e ai preti, e agli igumeni... con amore accettate da loro la benedizione, e non tenetevi lontano da loro, e secondo le vostre forze, amateli, e cercate di ottenere da loro la preghiera... di Dio. Soprattutto non siate superbi di cuore e di mente, diciamo cosí: noi siamo mortali, oggi siamo vivi e domani nella tomba; tutto ciò che ci hai dato non è nostro, ma tuo, affidatoci per un esiguo numero di giorni. E non serbate nulla nella terra, per noi è un gran peccato questo. Rispettate gli anziani, come vostro padre, e i giovani come vostri fratelli. In casa vostra non siate pigri, ma badate ad ogni cosa; non contate sugli amministratori, né sui servi, affinché i vostri ospiti non ridano della vostra casa e del vostro banchetto. Se andate in guerra, non siate infingardi, non contate sul voevoda, non abbandonatevi al bere, e al mangiare, né al dormire; equipaggiate bene le vostre guardie, e di notte, dopo aver disposto i guerrieri dappertutto, riposatevi, ma levatevi di buon mattino, e non spogliatevi subito delle armature, non osservatele pigramente, improvvisamente l'uomo perisce. Guardatevi dalla menzogna,
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e dalla ubriachezza e dalla lascivia, in tali vizi periscono 1'anima e il corpo. Se andate per le vostre terre, non permettete ai servi, né ai vostri né a quelli degli altri, di arrecare danni alle abitazioni, ai seminati, perché non vi maledicano. Dovunque andiate, ovunque sostiate, date da bere e da mangiare ai poveri, e soprattutto onorate l'ospite, da qualsiasi luogo egli sia venuto, povero, ricco, messaggiero, se non potete con doni, [almeno] con banchetto e brindisi: giacché questi viaggiatori diffondono buona o cattiva fama dell'uomo di ogni paese. Visitate l'infermo, rendete onore al morto, giacché tutti siamo mortali, e non fate passare un uomo senza averlo salutato, dite ad ognuno una buona parola. Amate vostra moglie, ma non consentitele il potere su di voi. Ed infine sia questa la cosa principale per voi: abbiate soprattutto timore di Dio. Se dimenticate queste [parole], rileggetele spesso, a me non sarà di fastidio, e a voi sarà utile. Se già sapete, non dimenticate quanto v'è di buono, e se non sapete, imparatelo, cosí il padre mio, stando a casa, apprese cinque lingue, per questo ricevette onori da altri paesi. L'ignavia è la madre di ogni cosa: chi sa dimentica, e chi non sa non impara. Quando si compie del bene, non ci si può impigrire su questo bene, e specialmente per ciò che riguarda la chiesa: che il sole non vi sorprenda a letto; cosí faceva il mio buon padre e cosí fanno tutti gli uomini veramente buoni. Al mattino levava lode a Dio, e poi al sorgere del sole, ancora con gioia glorificava Dio e implorava: « Illumina gli occhi miei, o Cristo Dio, che mi hai donato la tua bella luce! » E ancora: «O Signore, aggiungi per me un anno all'anno, affinché possa io pentirmi del resto dei peccati miei, dopo aver regolato la mia vita », cosí loderò Iddio! E poi siedi a consigliarti con la druzina, o a giudicare gli uomini, o rècati a caccia, o viaggia, o riposa: giacché il riposo pomeridiano è prescritto da Dio. Per questo lo fanno anche le bestie, e gli uccelli, e gli uomini. E vi racconterò, o figli miei, la fatica che ho io sopportato, le mie campagne e le cacce nel corso di tredici anni. Per prima andai a Rostov, presso i Vjatici, mi mandò mio padre, e lui stesso andò a Kursk; di nuovo una seconda volta andai a Smolensk con Stavko Gordjatic, che poi andò anche a Berest'e con Izjaslav, e mi mandò a Smolensk, poi da Smolensk andai a Volodimir. Quell'inverno i fratelli [Svjatoslav e Vsevolod] mi mandarono a Berest'e sul luogo dell'incendio, dove i Ljachi avevano appiccato il fuoco, mirai una città in silenzio. Poi andai dal padre mio a Perejaslavl', e dopo il Grande Giorno da Perejaslavl' a Volodimir per trattare a Sutejsk la pace con i Ljachi. Da lí in estate di nuovo a Volodimir.
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Poi Svjatoslav mi mandò presso i Ljachi, andai attraverso Glogau, fino alla foresta ceca, viaggiando per queste terre per quattro mesi. E durante quest'anno mi nacque il primo figlio, il novgorodiano. Poi andai a Turov, e in primavera a Perejaslavl', e ancora a Turov. E Svjatoslav morí, e di nuovo andai io a Smolensk, e da Smolensk, quell'inverno stesso a Novgorod; in primavera mossi in soccorso di Gleb. E in estate andai con mio padre nei pressi di Polock, e l'inverno successivo nei pressi di Polock con Svjatopolk, e Polock fu incendiata; ed egli andò a Novgorod, ed io con i Cumani a Odresk, combattendo poi a Cernigov. E di nuovo, da Smolensk andai da mio padre a Cernigov. E giunse Oleg, inviato da Volodimir, e lo invitai a casa mia e pranzò insieme con mio padre a Cernigov nel Krasnyj Dvor, e donai a mio padre 300 grivne d'oro. E di nuovo tornato da Smolensk, passai tra [le file de]i guerrieri Cumani, battendomi, fino a Perejaslavl', e incontrai mio padre che giungeva con un esercito. E di nuovo, quell'estate andammo a batterci con mio padre e con Izjaslav a Cernigov con Boris, e vincemmo Boris e Oleg. E di nuovo andammo a Perejaslavl', e ci fermammo ad Obrov. E Vseslav dette fuoco a Smolensk, ed io con due cavalli partii con i Cernigovci, e non li incontrammo... a Smolensk. Cosí inseguendo Vseslav, detti fuoco alle terre e combattendo giunsi a Lukoml' e a Logozsk, poi, sempre combattendo, a Druck, ed infine a Cernigov. E quell'inverno ` i Cumani distrussero tutta Starodub, ed io con i Cernigovci mossi contro i Cumani, sul fiume Desna facemmo prigionieri i principi Asaduk e Sauk, e la druzina loro uccidemmo. E al mattino al di là di Novgorod disperdemmo i forti guerrieri di Belkatgin, e prendemmo sciabole e prigionieri. E per due inverni movemmo contro i Vjatici, contro Chodota e contro il figlio suo, e il primo inverno mossi alla volta di Kordna. E di nuovo contro i figli di Rostislav al di là di Mikulin, e non li raggiungemmo. E quella primavera ci riunimmo a Brody con Jaropolk. Quella stessa estate inseguimmo al di là del Chorol i Cumani che avevano conquistato Goro g in. E in autunno andammo con i Cernigovci e con i Cumani e con i Citeevici contro Minsk: conquistammo la città, e non lasciammo in essa né uno schiavo, né un capo di bestiame. Durante quello stesso inverno andammo da Jaropolk, ci riunimmo a Brody, e stringemmo una salda arnicizia. E in primavera mio padre mi designò a Perejaslavl' ín presenza dei L'ínverno dell'anno xo78.
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fratelli, e andammo al di là del Supoj. E andammo verso la città di Priluk, improvvisamente i principi dei Cumani ci circondarono con ottomila guerrieri, avremmo voluto combattere contro di loro, ma avevamo mandato le armi avanti con i carri ed entrammo in città. [I Cumani] presero vivo soltanto qualcuno dei nostri e qualche contadino, mentre i nostri ne presero, ne uccisero [molti], e quelli non osavano prendere a briglia i cavalli e fuggirono quella stessa notte verso la Sula. E l'indomani, il giorno del Signore', andammo a Belaja Veza, e ci aiutò Iddio e la Santa Madre di Dio: uccidemmo novecento Cumani, e due principi facemmo prigionieri, i fratelli di Bagubars, Asin e Sakz, e soltanto due uomini riuscirono a scappare. Ed inseguimmo di poi i Cumani alla volta di Svjatoslavl', e poi a Torcesk, e ancora inseguimmo i Cumani a Jur'ev. E ancora da questa parte presso Krasn vincemmo i Cumani; e poi con Rostislav ' presso Varin, conquistammo i loro accampamenti. E poi andai a Volodimir, di nuovo designai Jaropolk, ma Jaropolk morí. Dopo la morte del padre mio e durante il regno di Svjatopolk, ci battemmo fino a sera con i Cumani sulla Stugna, ci battemmo presso Chalep, e poi trattammo la pace con Tugorkan e con gli altri principi; e catturammo agli uomini di Gleb tutta la loro druzina. E poi Oleg mosse con i Cumani contro di me alla volta di Cernigov, e la mia druzina si batté con loro per otto giorni su di un piccolo terrapieno, impedendo loro di entrare nella fortezza; avendo pena delle anime cristiane, dei villaggi incendiati e dei monasteri, dissi: « Che i pagani non si debbano vantare! » E detti a mio fratello la parte del padre suo ed io stesso me ne andai nel principato del padre mio a Perejaslavl ' . E il giorno di San Boris ' , partimmo da Cernigov, e passammo attraverso le file degli eserciti dei Cumani, non vi erano nella druzina cento persone, bambini e donne compreso. Essi ci. aspettavano al varco, simili a lupi, al varco e sulle montagne, Dio e San Boris non mi consegnarono come preda, giungemmo incolumi a Perejaslavl ' . E sostai a Perejaslavl' tre estati e tre inverni 4, ed insieme con la druzina anche noi soffrimmo molte pene per la guerra e per la fame. E andammo a combattere contro di loro, [contro i Cumani], al di là '
11 giorno del Signore, secondo il calendario bizantino cade nel giorno di san Salvatore
(x5 agosto), e in quello della Natività della Madonna (8 settembre).
^ Rostislav Vsevolodovic, fratello di Vladimir Monomach. ' 11 giorno di san Boris cade il 24 luglio. ° Il periodo indicato non è esatto, in quanto Vladimir Monomach regnò a Perejaslavl ' dal 1095 al 1113 e non soltanto tre anni.
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di Rimov, e Iddio ci venne in soccorso, uccidemmo alcuni, e ne facemmo prigionieri altri. E di nuovo uccidemmo glí uomini di Itlar e conquistammo i loro accampamenti, movendo oltre Goltav. E movemmo alla volta di Starodub contro Oleg, giacché era egli passato dalla parte dei Cumani. E andammo sul Bug, con Svjatopolk contro Bonjak al di là del Ros'. Ed entrammo a Smolensk, ci riconciliammo con Davyd. Poi, una seconda volta venimmo dalla Voronica. Allora anche i Turchi mossero contro di me, e con i Cumani Citeevici movemmo contro di loro sul fiume Sula. E poi di nuovo andammo a Rostov, d'inverno, e per tre inverni andammo a Smolensk e da Smolensk andai a Rostov. E di nuovo con Svjatopolk inseguimmo Bonjak, ma... uccisero e non li raggiungemmo. E poi inseguimmo Bonjak al di là del Ros', e non lo raggiungemmo. E d'inverno andai a Smolensk, e dopo il Grande Giorno ' partii da Smolensk; e morí la madre di Jurij Z. Giunto d'estate a Perejaslavl' convocai i fratelli. E Bonjak venne con tutti i Cumani a Ksnjatin, movemmo contro di lui da Perejaslavl' al di là della Sula, e Dio ci venne in aiuto, e gli eserciti loro vincemmo, e facemmo prigionieri i loro principi migliori, e dopo Natale concludemmo la pace con Aepa, e dopo aver preso sua figlia, andammo a Smolensk. E poi andai a Rostov. Venendo da Rostov, di nuovo rnossi contro i Cumani, contro Urub insieme con Svjatopolk, e Dio ci venne in aiuto. E poi di nuovo contro Bonjak alla volta di Luben, e Dio ci venne in aiuto. E poi movemmo con Svjatopolk alla volta di Voin'; e di nuovo andammo sul Don con Svjatopolk e con Davyd, e Iddio ci venne in aiuto. E andarono Aepa e Bonjak verso il Vyr': avrebbero voluto oltrepassarlo, mossi verso Romen con Oleg e con i figliuoli miei contro di loro, ed essi avendo avuto sentore di ciò, fuggirono. E poi andammo alla volta di Minsk contro Gleb, poiché egli aveva fatto prigionieri alcuni uomini nostri, e Dio ci aiutò: realizzammo il nostro piano. E poi movemmo alla volta di Volodimir contro il figlio di Jaroslav, non sopportando la sua malvagità. 1 La Pasqua di Resurrezione del 1107 (14 aprile).
Gita, moglie di Vladimir Monomach, figlia di Aroldo, re anglosassone, morí nel 1107.
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E quasi un centinaio di volte andai da mio padre da Cernigov a Kiev, partivo di giorno e giungevo prima di sera. E in tutto furono ottanta e tre i viaggi lunghi, e non minori furono i rimanenti. E per venti meno uno volte trattai la pace con i principi dei Cumani, e ai tempi di mio padre e dopo la sua morte, e distribuii molto bestiame e vestiario. Lasciai liberi dai ceppi i migliori principi cumani, cioè: con i due fratelli Sarukan, i tre Bagubars, i quattro fratelli Osen, e altri cento migliori principi. E gli stessi principi che Dio rimise vivi nelle mie mani: Koksus con il figlio, Aldan, i Burcevi, Azguluj, principe di Turov, e altri quindici giovani regnanti, io, dopo averli condotti vivi, uccisi e gettati in questo fiume Sal'nja. E in quel periodo ne uccisi circa duecento tra gli uomini migliori. Ed ecco come mi occupai della caccia: mentre soggiornavo a Cernigov, e [partendo] da Cernigov entro quell'anno per cento volte cacciai e catturai senza sforzo alcuno, per non contare le altre cacce, al di là di Turov, dove con mio padre cacciai ogni animale. Ed ecco quello che feci a Cernigov: con le mie mani legavo cavalli selvaggi nel deserto, dieci e venti cavalli vivi, eccetto quello sul quale andando qua e là, con le mie stesse mani davo caccia ai cavalli selvaggi. Due uri sollevarono sulle corna me e il mio cavallo; una volta un cervo mi colpí con le corna; e di due alci uno mi calpestò con le zampe, l'altro mi colpí con le corna; un cinghiale mi strappò la spada dal fianco; un orso mi azzannò il ginocchio; una belva mi saltò al fianco e abbatté il cavallo e me. E Dio mi conservò incolume. E molte volte caddi da cavallo, due volte mi ruppi la testa, e mi ferii alle braccia e alle gambe; mi ferii nella mia giovinezza, non ebbi cara la vita, non risparmiai la testa mia. Ciò che spettava fare al mio servo lo facevo io stesso, e in guerra e a caccia, di notte e di giorno, col caldo e col freddo, senza concedermi riposo. Senza contare sui governatori, né sugli araldi, io stesso facevo ciò che occorreva, mantenevo l'ordine anche nella mia casa. Ed io stesso tenevo d'occhio i cacciatori e gli stallieri prendendomi cura dei falconi e degli astori. Nello stesso tempo non permettevo al forte di recare offesa al misero contadino e alla povera vedova ed io stesso sorvegliavo l'ordine e il rito ecclesiastico. Non biasimatemi, o figli miei, né voi altri che leggerete: non lodo il mio ardire, ma lodo Iddio e glorifico la clemenza sua, che ha protetto per tanti anni fino all'ora della morte me, peccatore e malvagio, e non ha creato me, cattivo, pigro verso tutti i bisogni umani. Dopo aver letto questo scritto accostatevi ad ogni buona azione, lodando
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Iddio con i suoi santi. O figli, non temete né la morte, né la guerra, né le belve, ma secondo il volere di Dio operate virilmente. Se io non ho sofferto per la guerra, e per le belve, e per l'acqua' cadendo dal cavallo, nessuno di voi subirà danni e perderà la vita, fin quando ciò non sarà voluto da Dio. Se la morte verrà da Dio, allora né il padre, né la madre, né i fratelli potranno scacciarla, ma la cosa migliore è sapersi guardare; la protezione divina è migliore di quella umana. O me misero e infelice! Molto tu, anima, lotti con il cuore e sopraffai il cuore mio, ma poiché siamo corruttibili, penso che ci presenteremo al fatale giudizio, senza esserci pentiti, e senza esserci riconciliati l'uno con l'altro. Chi dunque dice: « Amo Iddio, ma non amo mio fratello » è un bugiardo. E ancora: « Se non perdonerete il fratello peccatore, il Padre vostro celeste non vi perdonerà ». 11 profeta aveva detto: « Non fare a gara con colui che agisce proditoriamente, non invidiare colui che commette iniquità ». « Cosa è migliore e piú bello del vivere insieme tra fratelli » Z. Ma tutto è diabolica istigazione! Vi furono delle guerre ai tempi dei nostri saggi antenati, ai tempi dei nostri buoni e pii padri. Il diavolo dunque non vuole il bene del genere umano, mette discordia tra noi. Ti ho scritto questo, perché mi ha costretto rnio figlio, che è stato da te battezzato, e che si trova presso di te. Egli mi ha inviato un suo uomo e uno scritto, dicendo: « Mettiamoci d'accordo e rappacifichiamoci vennero al mio giudizio, i fratelli. Noi due non saremo per lui dei vendicatori, ma confideremo in Dio, e metteremo questi dinanzi a Dio; non lasceremo rovinare la terra russa ». Ed io osservai l'umiltà del figlio mio, mi pentii e, avendo timore di Dio, dissi: « Egli con la sua giovane età e con la sua saggezza cosf si umilia, si rimette a Dio; mentre io sono il piú gran peccatore fra tutti gli uomini ». Prestando ascolto al figliuol mio, ti scrissi la lettera; se l'avrai accolta di buon grado o con ingiurie mi accorgerò dalla risposta. Con queste parole io ti ho avvertito di ciò che da te attendo con umiltà e con contrizione; desiderando da Dio il perdono dei passati peccati miei. Giacché nostro Signore non è un uomo, ma il Dio di tutto l'universo, egli ogni momento fa ciò che vuole, ed egli stesso sopportò ogni ingiuria, e lo sputo, e lo schiaffo, e si dette egli stesso alla morte. E cosa siamo noi, uomini peccatori e malvagi? oggi vivi e domani Vladimir qui ricorda che, nel 1093, il fratello Rostislav annegò nella Stugna sotto i suoi occhi, ed egli stesso corse tale pericolo. z Da questo momento ha inizio l'epistola di Vladimir Monomach ad Oleg Svjatoslavic.
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morti, oggi nella gloria e nell'onore, ma domani nella tomba e nel ricordo; altri sí divideranno ciò che da noi è stato accumulato. Guarda, o fratello, i nostri padri: non cosa essi hanno preso, né di che cosa sono stati i loro indumenti, ma soltanto cosa hanno fatto per la loro anima. Con queste parole dette prima a me stesso, o fratello, io mi sono preparato. Allorché misero il figlio, il mio e il tuo', dinanzi ai tuoi occhi, vedendo il suo corpo stecchito 2, come un nuovo fiore sbocciato, come un agnello sgozzato; ti capitò di dire, dinanzi a lui, nell'intimo dell'animo tuo: « Povero me! Cosa ho fatto? Approfittando della sua irragionevolezza, per le iniquità di questo futile mondo ho commesso un peccato, ed ho procurato lacrime al padre e alla madre ». E avresti dovuto dire con David: « So, il peccato mio è sempre dinanzi a me ». David, l'unto dal Signore, non per aver versato sangue, ma per aver commesso adulterio si cosparse il capo e pianse amaramente; e Dio gli perdonò i suoi peccati. E dinanzi a Dio avresti dovuto pentirti, e a me avresti dovuto inviare una lettera consolatrice, ed inviare a me la nuora mia, giacché ella non ha commesso né male, né bene, in modo che io, abbracciandola, avrei potuto piangere suo marito e la loro unione, in luogo dei canti; giacché non assistei alla loro prima gioia né alle loro nozze, a causa dei miei peccati! Per amor di Dio mandala dunque a me al piú presto con il primo ambasciatore, affinché dopo aver pianto con lei, possa io aiutarla ed ella poserà come una tortorella su di un secco ramo, gemendo, ed io avrò la consolazione di Dio. Per questa strada giunsero gli antenati e i padri nostri: il giudizio giungerà a lui da Dio, e non da te. Se allora avessi tu agito di tua volontà, e avessi conquistato Murom, e non avessi occupato Rostov, e avessi mandato a me gli ambasciatori, ci saremmo messi d'accordo. Ma comprendi tu stesso, toccava a me inviare a te ambasciatori, o toccava a te inviarli a me? Se tu avessi detto al figlio: « Consigliati con tuo padre », io dieci volte ne avrei inviati. Non è forse bello per un uomo morire in guerra? Sono morti i migliori anche della nostra gente. Che non tenti di sottrarre l'altrui, né di condurre me nell'infamia e nel dolore. Giacché anche i suoi servi avevano imparato a procacciarsi per loro qualsiasi cosa, ma per lui procacciarono il male. E se ti pentirai dinanzi a Dio, e ti comporterai 1 Il figlio maggiore di Vladimir Monomach, Izjaslav, era stato battezzato da Oleg Svjatoslavic. z Iziaslav Vladimirovic fu ucciso durante la battaglia combattuta contro Oleg Svjatoslavic nel xo96.
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con me affettuosamente, inviando un tuo ambasciatore o un vescovo, e scriverai una lettera con equità, allora altrettanto affettuosamente riceverai il potere, e richiamerai a te il nostro cuore, e vivremo meglio di prima: non sarò piú per te un nemico, né un vendicatore. Non volli vedere il sangue tuo presso Starodub': ma che Iddio non mi faccia vedere il sangue versato dalle mani tue, né per ordine tuo, né di altro fratello. Se ho mentito, che mi punisca Iddio e l'onorata croce. In questo consiste il mio peccato, nell'essere andato contro di te alla volta di Cernigov a causa dei pagani, ma di questo mi pentii; confessai ai fratelli, e di nuovo mi confessai, giacché sono uomo. Se ti trovi bene, allora... se ti trovi male, che il tuo figlioccio resti pure presso di te con il suo fratello minore e che si nutrano del pane degli avi, e rimarrai tu al posto che ti spetta; se vuoi ucciderli li hai ambedue presso di te, giacché io non voglio il male, ma il bene dei fratelli e della terra russa. Se poi tu vuoi impadronirti con la forza, ci occuperemo allora di te; ti abbiamo dato la proprietà paterna presso Starodub. E Dio ne è testimone, noi siamo d'accordo con tuo fratello, ma egli non può mettersi d'accordo senza di te. E non commettemmo nulla di male, ma dicemmo: manda tuo fratello, ché ci mettiamo d'accordo. Se qualcuno di voi non vuole il bene né la pace dei cristiani, che l'anima di costui non possa vedere nell'altro mondo la pace che viene da Dio! Parlo cosí non per necessità o per esigenza mandata da Dio, tu stesso potrai comprendere; ma l'anima mi è piú cara di ogni cosa al mondo. Al giudizio estremo io stesso mi tradirò senza accusatori... « O saggissimo protettore e donatore dell'intelletto, maestro dei dissennati e protettore dei deboli! Rendi saldo il mio cuore nella ragione, o Signore! Fammi dono di una parola, Padre, non impedire alle labbra mie di gridarti: "O clemente, abbi pietà di chi è caduto!" "La speranza mia è Dio; il mio rifugio Cristo, la mia difesa lo Spirito Santo. O speranza e rifugio mio, non respingetemi, o santi! Avendo in te Colui che ci aiuta nell'affanno e nella malattia e in tutte le pene, io ti glorifico, esaltandoTi! E riflettete e vedrete, che io sono quel Dio che sperimenta i cuori, e conosce i pensieri, che rivela le opere, che rende cenere i peccati, che giudica l'orfano e il povero e il misero". "Inchinati, anima mia, e pensa alle tue azioni; compiutele, portale diZ
1 Nel 1o96, Svjatopolk e Vladimir assediarono Oleg Svjatoslavic a Starodub, ma dopo trentatré giorni lo liberarono. ^ Sviatopolk e Vladimir mossero nel xo96 alla volta di Cernigov contro Oleg Svjatoslavic a causa del rifiuto di lui a combattere contro i Cumani.
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nanzi ai tuoi occhi e lascia cadere una goccia delle tue lacrime, e apertamente confessa tutte le tue azioni e tutti i pensieri a Cristo, e purificati". O onorato Andrea, o purissimo padre, o pastore di Cristo! Non cessare di pregare per noi che ti onoriamo, affinché noi ci liberiamo da ogni collera, afflizione e contaminazione, peccati e pene, onorando fedelmente la memoria tua. Proteggi, o Vergine, o pura Madre, la tua città, colui che regna fedelmente per te, affinché sia da te reso forte, e abbia fiducia in te, affinché vinca in tutti i combattimenti; respinga í nemici, e Ii sottometta. "O purissima Madre, che hai generato il santissimo Verbo di tutti i santi! Ricevendo l'odierno atto di ubbidienza difendi da ogni pericolo e dalle future sofferenze coloro che ti invocano. Noi, tuoi servi, eleveremo a te preghiere, e umilieremo i nostri cuori: porgi l'orecchio tuo, o pura, e salvaci dalle afflizioni che continuamente ci sommergono, e preserva la città da ogni invasione nemica, o Madre di Dio! Proteggi, o Dio, gli eredi tuoi, non tener conto di tutti i nostri peccati, ora che noi ti preghiamo sulla terra, generata da te, senza seme, avendo permesso, o Cristo, di trasformare la grazia terrena in uomo". Progetti me, o Salvatore generato, che dopo la tua nascita hai conservato pura Colei che ti ha generato, proteggimi anche quando siederai per giudicare le opere mie, come scevro da ogni peccato, come Dio, e come colui che ama l'uomo. O purissima Vergine, che non provasti il matrimonio, amante di Dio, guida dei fedeli! Salva il perduto, allorché invoca tuo Figlio: abbi pietà di me, o Signore, abbi pietà; allorché dovrai giudicare, non condannarmi al fuoco, non accusarmi con ira, ti implora la pura Vergine, che ti ha generato, o Cristo, e la moltitudine degli angeli, e la schiera dei martiri. O Gesú Cristo, nostro Signore, al quale è dovuto onore e gloria dal Padre e dal Figlio e dallo Spirito Santo, sempre e ora eternamente, nei secoli».
Ecco ora voglio raccontare cosa udii quattro anni orsono, il novgorodiano Gurjata Rogovic cosí mi raccontò: « Mandai un uomo mio a Pecora, questi uomini [di Pecora ] pagano il tributo a Novgorod. Giunto presso di loro il mio uomo da lí andò presso gli Ugri. Gli Ugri sono uomini appartenenti ad altra stirpe e confinano con i Samoiedi, nelle regioni settentrionali. Gli Ugri dunque dissero al mio uomo: « Abbiamo assistito ad un meraviglioso miracolo, del quale non avevamo udito [parlare] sino ad ora, ed è già il terzo [anno] da che si è manifestato: vi sono delle montagne che si affacciano sul-
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l'arco del mare, la cui altezza giunge sino al cielo, e dentro queste montagne, vi è un grande schiamazzo, e un parlottare; e segano la montagna coloro che vorrebbero uscirne; e in questa montagna è stata praticata una piccola finestrina, e da qui parlano, e non si capisce la loro lingua, ma indicano il ferro e fanno cenno con la mano chiedendo ferro; e se qualcuno dà loro un coltello o un'ascia, in cambio essi dànno cuoio. Vi è una via che conduce a queste montagne, inaccessibile a causa dei precipizi, della neve, della foresta, per tal motivo non andiamo spesso da loro; è anche lontano verso il nord ». Dissi a Gurjata: «Sono costoro gli uomini murati da Alessandro, imperatore macedone », cosi dice di loro Metodio da Patara: «Alessandro, imperatore macedone, giunse nei paesi orientali e fino al mare, nel paese detto del Sole, e vide qui uomini impuri della tribú di Jafet, dunque vide le loro oscenità; mangiavano ogni immondezza, zanzare e mosche, gatti e serpenti, e non seppellivano i morti, ma mangiavano il feto delle donne, e ogni sorta di animale impuro. Avendo visto ciò Alessandro il Macedone, temendo che essi si moltiplicassero e profanassero la terra, li respinse nei paesi a settentrione tra le alte montagne, e, per volere di Dio, le grandi montagne si strinsero attorno ad essi, non si unirono le montagne soltanto per i 2 braccia, e qui vennero erette porte di bronzo, e vennero unte con il sunklit': né il fuoco può bruciarlo né il ferro espugnarlo. Negli ultimi giorni 2 verranno fuori otto tribù dal deserto di Jatreb, e verranno fuori anche questi popoli immondi, che sono tra le montagne boreali per volere divino ». Ma torniamo agli antefatti, cui già prima abbiamo fatto cenno. Oleg aveva promesso che sarebbe andato da suo fratello Davyd a Smolensk, e che con suo fratello sarebbe venuto a Kiev, per stabilire l'ordine, ma non volle far questo Oleg, venne a Smolensk invece, e radunati i guerrieri, mosse alla volta di Murom, a Murom vi era allora Izjaslav Volodimirovic. Avendo avuto sentore Izjaslav che Oleg andava alla volta di Murom, mandò Izjaslav in cerca di guerrieri a Suzdal' e a Rostov e in cerca dei Beloozerci e radunò molti guerrieri. E mandò Oleg gli ambasciatori suoi a lzjaslav per dire: «Va' nel dominio del padre tuo a Rostov, e cioè nel dominio del padre mio. Giacché io voglio, restando qui, stabilire un accordo con il padre tuo. Giacché egli mi ha scacciato dalla città del padre mio. E tu perché mi neghi il mio pane? » E non prestò ascolto Izjaslav a queste parole, contando sulla moltitudine dei guerrieri. Oleg facendo assegnamento sul prosunklit è una sostanza leggendaria che preservava dal ferro e dal fuoco. 1 giorni immediatamente precedenti il Giudizio Universale.
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prio diritto, giacché era un suo diritto questo, si diresse verso la città con i guerrieri. Izjaslav schierò [i suoi] dinanzi alla città sul campo. Oleg dunque andò verso di lui con l'esercito, e ambedue si attaccarono, e fu un combattimento terribile. E uccisero Izjaslav, figlio di Volodimir, nipote di Vsevolod, il giorno 6 del mese di settembre; gli altri guerrieri fuggirono, alcuni attraverso il bosco, altri alla volta della città. Oleg entrò in città e i cittadini lo accolsero. Preso allora Izjaslav, lo posero nel monastero del San Salvatore, e da qui lo trasportarono a Novgorod, e lo posero [nella chiesa di] Santa Sofia, sul lato sinistro. Oleg, dopo aver conquistata la città, fece prigionieri i Rostovci, e i Beloozerci, e i Suzdal'ci e li mise ai ferri, e mosse all'assalto di Suzdal'. E giunto a Suzdal', i Suzdal'ci si arresero a lui. Oleg dopo aver calmato la città, imprigionò alcuni cittadini e scacciò altri, e si appropriò dell'avere paterno. Andò a Rostov e i Rostovci si arresero a lui. E s'impadroní di tutta la terra di Murom e di Rostov, e designò i governatori nella città, e prese a ricevere i tributi. E Mstislav inviò a lui un ambasciatore da Novgorod, per dire: « Vieni da Suzdal' a Murom, e non fermarti nel dominio altrui. Ed io andrò con la druzina mia ad implorare mio padre, e ti rappacificherò con il padre mio. Se anche hai ucciso mio fratello, non c'è da meravigliarsi, nelle guerre e i re e gli uomini periscono ». Oleg non volle prestargli ascolto, ma pensò anzi di occupare anche Novgorod. E Oleg inviò Jaroslav, suo fratello, come avanguardia, ed egli stesso rimase sul campo presso Rostov. Mstislav allora si consigliò con i Novgorodiani, e mandarono Dobrynja Raguilovic avanti, come avanguardia; Dobrynja fece per prima prigionieri coloro che pagavano il tributo. Avendo visto che erano stati fatti prigionieri coloro che pagavano il tributo Jaroslav, che stava in guardia sulla Medvedica, fuggí quella notte stessa, e giunse da Oleg e gli comunicò che Mstislav stava arrivando e che le sentinelle erano già state fatte prigioniere, e mosse verso Rostov. Mstislav giunse sulla Volga, e gli comunicarono che Oleg era tornato a Rostov, e Mstislav lo inseguí. Oleg giunse a Suzdal', e avendo saputo che Mstislav lo inseguiva, ordinò Oleg di dar fuoco alla città di Suzdal', lasciando soltanto 1'edificio del monastero Pecerskij e la chiesa di San Demetrio, che ivi si trova, e che era stata donata da Efremo insieme con i villaggi. Oleg fuggí a Murom, mentre Mstislav giungeva a Suzdal', e fermatosi qui, mandò ad Oleg, per chiedere la pace, dicendo: « Io sono piú giovane di te, rivolgiti al padre mio, e rendi la dYuzin^c, che hai fatto prigioniera; ed io ti ubbidirò in tutto ». Oleg inviò messi a lui fingendo di chiedere la pace; Mstislav allora, prestando fede all'inganno, lasciò libera la druzincc per i campi. Ed ebbe inizio la
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settimana del digiuno di Feodosij', e giunse il sabato di Feodosij, e mentre Mstislav sedeva a pranzo, gli pervenne la notizia: Oleg è sulla Kljaz'ma, era giunto cosí vicino senza alcun preavviso. Mstislav, avendogli prestato fede, non aveva disposto le sentinelle; ma Iddio sa come salvare i suoi fedeli dall'inganno. Oleg sostò sulla Kljaz'ma, pensando che, temendolo, Mstislav sarebbe fuggito. Si radunò intorno a Mstislav la druzina quel giorno e il giorno dopo, i Novgorodiani, i Rostovci e i Beloozerci. Mstislav rimase dinanzi alla città, dopo aver schierato la druzina, e non mosse né Oleg contro Mstislav, né Mstislav contro Oleg, e rimasero l'uno contro l'altro quattro giorni. E pervenne a Mstislav la notizia: « Il padre ti ha inviato il fratello Vjaceslav con i Cumani ». E giunse Vjaceslav il giovedí dopo la settimana di Feodosij, durante il digiuno. E il venerdí arrivò Oleg; essendosi schierati [ gli uomini di Oleg], mosse Mstislav contro di lui verso la città con i Novgorodiani e i Rostovci. E consegnò Mstislav lo stendardo di Volodimir ad un cumano, a nome Kunuj, e dopo avergli assegnato la fanteria, lo pose sull'ala destra. E condusse Kunyj i fanti spiegando lo stendardo di Volodimir, e vide Oleg lo stendardo di Volodimir, e fu colto da paura, e il terrore cadde su di lui e sul suo esercito. E presero a combattere tra di loro, e mosse Oleg contro Mstislav, e Jaroslav [mosse] contro Vjaceslav. Mstislav con i Novgorodiani attraversò un incendio, e scesero da cavallo i Novgorodiani, e si scontrarono sulla Kulac'ca, e fu un combattimento duro, e cominciò ad aver Mstislav il sopravvento. E vide Oleg che lo stendardo di Volodimir avanzava, cominciò ad indietreggiare, e preso da terrore, fuggi Oleg, e Mstislav vinse, Oleg fuggí a Murom, e fece prigioniero Jaroslav a Murom, ed egli stesso andò a Rjazan ' . Mstislav giunse dunque a Murom, e fece la pace con i Muromi, e riunendo i suoi uomini, i Rostovci e i Suzdal'ci, inseguí Oleg alla volta di Rjazan', Oleg fuggí da Rjazan' e Mstislav, giunto, fece la pace con i Rjazan'ci, e riprese i suoi uomini, che Oleg aveva fatto prigionieri. E inviò ad Oleg per dire: «Non fuggire in alcun luogo, ma manda ai tuoi fratelli con la preghiera di non devastare la terra russa. Ed io invierò ad implorare il padre mio in tuo favore ». Oleg obbedendo cosí fece. Mstislav se ne tornò a Suzdal', da qui andò a Novgorod nella sua città, grazie alle preghiere del santo vescovo Nikita. Ciò successe nell'anno 6604, alla metà della quarta indizione. Anno 6605. Giunsero Svjatopolk e Volodimir, e Davyd Igorevic, e Vasil'ko Rostislavic, e Davyd Svjatoslavic, e il fratello suo Oleg, '
La Quaresima.
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e si riunirono a Ljubec' per la trattazione della pace, e parlarono tra loro, dicendo: « Perché distruggiamo la terra russa, e noi contro noi stessi solleviamo dispute? E i Cumani devastano la nostra terra in ogni modo, e sono contenti che ci sia guerra tra noi. Ora, da questo momento, saremo un sol cuore, e difenderemo la terra russa; che ciascuno abbia la propria parte: Svjatopolk a Kiev al posto di Izjaslav, Volodimir al posto di Vsevolod, Davyd e Oleg e Jaroslav al posto di Svjatoslav, ed a loro Vsevolod assegnò le città: a Davyd Volodimir, ai Rostislavici: Peremy"sl a Volodar', Terebovl' a Vasil'ko». E [giurarono,] baciarono la croce: « Se da questo istante qualcuno sarà contro un altro, allora tutti e l'onorata croce saremo contro costui ». Dissero tutti: « Che sia contro costui l'onorata croce e tutta la terra russa ». E dopo essersi baciati se ne andarono per proprio conto. E giunse Svjatopolk con Davyd a Kiev, e furono contenti gli uomini tutti: soltanto il diavolo era triste a causa di questa concordia. E scese Satana nel cuore di alcuni uomini, e presero a parlare a Davyd Igorevic, cosí dicendo: « Volodimir è d'accordo con Vasil'ko contro Svjatopolk e contro te». Davyd allora, prestando fede alle menzognere parole, disse contro Vasil'ko: «Chi ha ucciso tuo fratello Jaropolk, ora complotta contro me e contro te, e si è messo d'accordo con Volodimir. Preoccupati della tua testa». Svjatopolk se ne preoccupò, disse: « Se ciò è vero, o è una bugia, non so ». E disse Svjatopolk a Davyd: « Se dici il vero, Iddio ti ascolterà; se parli per invidia, Dio proteggerà quelli ». Svjatopolk si addolorava per il fratello suo e per se stesso, e continuò a pensare « e se ciò fosse vero? E se dovessi credere in Davyd? »; Davyd che aveva già ingannato Svjatopolk cominciò ad occuparsi di Vasil'ko, ma di ciò non erano informati né Vasil'ko, né Volodimir. E disse Davyd: « Se non avremo Vasil'ko, allora né tu avrai il principato di Kiev, né io quello di Volodimir ». E Svjatopolk gli prestò fede. E venne Vasil'ko i14 novembre, e oltrepassò [la collina di] Vydobic, e andò ad inchinarsi a San Michele nel monastero, e qui cenò, e mise tende a Rudica; e al calar della sera entrò nella sua tenda. E al mattino, Svjatopolk mandò a dire: «Non andar via prima del mio onomastico ». Vasil'ko ponendo un rifiuto, disse: « Non posso aspettare; vi sarà una guerra nel mio paese ». E Davyd mandò [messi] da lui: « Non andare, o fratello, non ascoltare il fratello maggiore ». E Vasil'ko non volle prestare ascolto. E disse Davyd a Svjatopolk: « Vedi non pensa a te, venendo nel tuo paese. Se entrerà nel tuo principato, tu stesso vedrai, che prenderà le città tue di Turov e Pinsk, e le altre tue città. Ti ricorderai [delle mie parole]. Ma ora fa' che venga, che sia fatto prigioniero, consegnalo a me ». E Svjato18
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polk gli prestò ascolto e mandò a Vasil'ko per dire: « Se tu non vuoi rimanere fino al mio onomastico', vieni pure ora ad abbracciarmi, e staremo tutti con Davyd». Vasil'ko promise che sarebbe andato, non supponendo l'inganno che Davyd stava tramando contro di lui. Vasil'ko, montato a cavallo, partí e un suo servo gli andò incontro, e l'avvertí: « Non andare, o principe, vogliono farti prigioniero ». Ed egli non gli dette ascolto pensando: « Perché vorrebbero farmi prigioniero? Da poco abbiamo baciato la croce, dicendo: se questi sarà contro quegli, allora contro di lui sarà la croce e tutti noi ». E avendo cosí pensato, si fece il segno della croce, e disse: « Sia fatta la volontà di Dio ». E andò con una piccola druzina alla corte del principe, e gli andò incontro Svjatopolk, ed andarono nella istobka e venne Davyd, e[tuttí] sedettero. E prese a parlare Svjatopolk: « Resta per il giorno dell'onomastico ». E disse Vasil'ko: «Non posso restare, o fratello, ho già dato ai miei ordine di avanzare ». Davyd stava lí, come se fosse stato muto. E disse Svjatopolk: «Pa' colazione, o fratello! » E promise Vasil'ko che avrebbe fatto colazione. E disse Svjatopolk: « Sedete qui, ed io andrò ad impartire ordini ». E uscí, Davyd e Vasil'ko rimasero. E cominciò Vasil'ko a parlare a Davyd, e non vi era in Davyd né voce, né udito: ebbe timore [ Vasil'ko ] avendo il dubbio nel cuore. E Davyd dopo esser rimasto un po' seduto, disse: « Dov'è il fratello? » Gli dissero: « Nella sen' ». E alzatosi Davyd, disse: « Andrò io a cercarlo, e tu, o fratello, sta' pure qui ». E, alzatosi, andò fuori. E appena Davyd uscí, fu rinchiuso Vasil'ko, [era] il 5 novembre ; e lo incatenarono con doppie catene, e gli misero le guardie per la notte. L'indomani Svjatopolk convocò i boiari e i Kieviani, e disse loro, ciò che a lui aveva comunicato Davyd: « Ha ucciso tuo fratello, e con Volodimir complotta contro di te, e vuole uccidere te e impadronirsi delle tue città ». E dissero i boiari e gli uomini: « A te, o principe, tocca salvaguardare il tuo capo. Se Davyd ha detto la verità, che Vasil'ko riceva il castigo; se Davyd non ha detto la verità, che riceva egli vendetta da Dio e che dinanzi agli uomini ne risponda ». E vennero a conoscenza di ciò gli igumeni, e pregarono Svjatopolk in favore di Vasil'ko; e disse loro Svjatopolk: « Davyd ». Avendo saputo ciò Davyd cominciò a consigliare di accecarlo: « Se non farai ciò e lo lascerai andare, allora, il regno non sarà né tuo né mio ». Svjatopolk avrebbe voluto lasciarlo andare, ma Davyd non volle, avendo timore di lui. E quella notte lo condussero a Belgorod, una piccola città presZ,
' 11 nome cristiano di Svjatopolk Izjaslavic era Michail; la festa di san Michele Arcangelo, secondo il calendario bizantino, cade 1'8 novembre. 2 Stanza di abitazione dell'antica casa slava.
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so Kiev a lo verste' di distanza, e in catene lo trasportarono su di un carro, lo fecero discendere dal carro e lo condussero in una piccola istobka. E, sedutosi, Vasil'ko vide un turco che affilava un coltello, e comprese che lo si voleva accecare, e con gran pianto e lamenti invocò Dio. Ed ecco giunsero gli inviati di Svjatopolk e di Davyd, Snovid Izecevic, stalliere di Svjatopolk, e Dmitr, stalliere di Davyd, e cominciarono a stendere un tappeto, e distesolo, presero Vasil'ko, e avrebbero voluto avvolgerlo; e lottò con loro strenuamente, e non riuscirono ad avvolgerlo. E allora ne entrarono altri, lo avvolsero e lo legarono, e tolta l'asse della stufa, la posero sul suo petto. E sedettero ai due lati Snovid Izecevic e Dmitr, e non riuscirono a tenerlo fermo. E ne entrarono altri due, e tolsero un'altra asse alla stufa, e sedettero, e lo strinsero tanto, che il petto scricchiolò. Ed entrò un turco a nome Berendi, pecoraio di Svjatopolk, aveva egli in mano un coltello e voleva colpire all'occhio, ma fallí il colpo all'occhio e ferí il viso, ed è visibile ancor oggi questa ferita sul volto di Vasil'ko. E poi lo colpí ad un occhio, ed estrasse la pupilla, e poi all'altro occhio, ed estrasse l'altra pupilla. Ed era quasi morto. E presolo, lo adagiarono sul tappeto, sul carro come morto, lo trasportarono a Volodimir. E mentre lo trasportavano, passato il ponte di Zvizderi , si fermarono al mercato, e gli levarono la camicia insanguinata, e la dettero a lavare alla moglie del pop. La moglie del pop dopo averla lavata, gliela fece indossare, intanto quelli pranzavano, e prese a piangere la moglie del pop, come se quegli fosse morto. Ed egli sentí il pianto e disse: « Dove sono? » Quelli risposero: « A Zvizden' ». E chiese dell'acqua, gliela dettero, e bevve l'acqua, e riprese coscienza, e cominciò a ricordare, e tastò la camicia e disse: « Perché me l'avete tolta? Avrei ricevuto la morte in quella camicia insanguinata e[cosí] sarei apparso dinanzi a Dio ». Pranzato che ebbero, in fretta mossero con lui sui carri, e per una strada non battuta, era allora il mese di gruden cioè novembre. E giunsero con lui a Volodimir il sesto giorno. Giunse con lui Davyd, come se avessero catturato una preda. E lo posero nel palazzo di Vakej, e misero a guardia di lui trenta uomini, e due servi del principe, Ulan e Kolcko. Volodimir avendo saputo che Vasil'ko era stato fatto prigioniero ed accecato, ebbe paura, e piangendo disse: «Non era capitata una tal disgrazia nella terra russa, né ai tempi dei nostri avi, né ai tempi dei nostri padri ». Mandò subito a Davyd e ad Oleg Svjatoslavic, per Z,
Vecchia misura lineare russa, pari a poco piú di un chilometro.
Z Gruden (da grudinú, «duro») è detto il mese di novembre, cioè il mese in cui la terra indurisce per il gelo.
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dire: « Venite a Gorodec, poniamo rimedio a questo male, che è stato commesso nella terra russa e tra noi, tra fratelli, un coltello è stato scagliato tra noi. Se non poniamo rimedio a questo [male], allora un male peggiore divamperà tra noi, e il fratello comincerà ad uccidere il fratello, e soccomberà la terra russa, e i nostri nemici, i Cumani, moveranno alla conquista della terra russa ». Avendo udito ciò Davyd e Oleg, si rattristarono molto e piansero, dicendo: «Mai era successa una cosa simile nella nostra famiglia ». E subito, radunati i guerrieri, mandarono a Volodimir. Mentre Volodimir con i guerrieri era nel bosco, Volodimir e Davyd e Oleg mandarono i loro uomini per dire a Svjatopolk: « Perché hai fatto questo male alla terra russa, ed hai scagliato il coltello tra noi? Perché hai accecato il fratello tuo? Se tu avessi avuto qualche rancore contro di lui avresti dovuto accusare a noi, e solo dopo averne avuto prove, avresti potuto agire contro di lui. Ed ora esponi la colpa di lui a causa della quale tu hai commesso ciò ». E disse Svjatopolk, cosi: « Mi ha detto Davyd Igorevic: Vasil'ko ha ucciso tuo fratello Jaropolk, e vuole uccidere te e impadronirsi del tuo avere; Turov, e Pinsk, e Berest'e, e la Pogorina, ed ha promesso a Volodimir, che Volodimir si stabilirà a Kiev, e Vasil'ko a Volodimir. E sono stato costretto a difendere il capo mio. E non io l'ho accecato, ma Davyd, ed è stato egli a condurlo qui ». E dissero gli uomini di Volodimir, e di Davyd, e di Oleg: «Non hai una discolpa nel fatto che sia stato Davyd ad accecarlo. Non nella città di Davyd egli è stato fatto prigioniero ed accecato, ma nella tua città è stato fatto prigioniero ed accecato ». E, detto questo, si separarono. L'indomani, avendo essi intenzione di oltrepassare il Dnepr e di muovere contro Svjatopolk, Svjatopolk avrebbe voluto fuggire da Kiev, e i Kieviani non gli permisero di fuggire, ma inviarono la moglie di Vsevolod e il metropolita Nikolaj a Volodimir, per dire: « Preghiamo te, o principe, e i tuoi fratelli; non distruggete la terra russa. Se continuerete a guerreggiare tra voi, gioiranno i pagani e occuperanno la terra nostra, che i padri vostri e gli antenati vostri hanno conquistato con grande fatica e coraggio, difendendo la terra russa, avendo di mira altri paesi, mentre voi volete distruggere la terra russa ». La moglie di Vsevolod e il metropolita andarono da Volodimir, e lo supplicarono, e parteciparono l'implorazione dei Kieviani di trattare la pace, e di difendere la terra russa, e di lottare contro i pagani. Avendo udito ciò, Volodimir piangendo disse: « In verità i padri nostri e gli antenati nostri difesero la terra russa, mentre noi vogliamo distruggerla ». E si piegò alla preghiera dei Kieviani, rispettò lei come madre, per rispetto a suo padre, giacché ella aveva amato molto suo padre, e in vita e dopo
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la morte, non disubbidendogli in nulla; e perciò anche ascoltò lei come una madre, e allo stesso modo rispettò il metropolita per il suo grado di prelato, e non disdegnò la preghiera di lui. Volodimir era in effetti buono; amava il metropolita, e i vescovi e gli igumeni, soprattutto amava l'ordine monastico, e amava i monaci, a coloro che da lui andavano donava da mangiare e da bere, come una madre al suo bambino. Se vedeva qualcuno agitato o in qualche atteggiamento riprovevole, non giudicava, ma tutti con amore riprendeva e consolava. Ma torniamo al nostro racconto. La principessa dopo esser stata da Volodimir, giunse a Kiev, e riferí tutto a Svjatopolk e ai Kieviani: vi sarebbe stata la pace. E presero ad inviare uomini scambievolmente e si misero d'accordo su ciò che avrebbero detto a Svjatopolk: « Questa rivolta è a causa di Davyd, allora va' tu, o Svjatopolk, contro Davyd, e fallo prigioniero e scaccialo ». Svjatopolk fu d'accordo su questo, e baciarono la croce tra loro, conclusero la pace. Intanto Vasil'ko era a Volodimir nella località suddetta, e allorché si avvicinò il Gran Digiuno, ed io mi trovavo ivi, una notte il principe Davyd mi mandò a chiamare a Volodimir. E andai da lui, e la druzina sedeva intorno a lui, e fattomi sedere mi disse: «Ecco questa notte Vasil'ko ha parlato ad Ulan e a Kolcko, cosí ha detto: "Ho udito che Volodimir e Svjatopolk moveranno contro Davyd: se Davyd mi avesse ascoltato, avrei inviato io un mio uomo a Volodimir per farlo tornare indietro, giacché io so ciò che a lui fu detto, e non andrà lontano". Ed ecco Vasilij, manderò te, va' da Vasil'ko, tuo omonimo, con questi servi e cosí supplica: Se invierai un tuo uomo, e se Volodimir tornerà indietro, darò allora a te quella città che desideri, o Vsevoloz', oSepol', e Peremil' ». Andai da Vasil'ko e riferii a lui le parole di Davyd. Egli allora disse: « Non ho detto questo, ma ho fiducia in Dio. Invierò a Volodimir, affinché non si versi del sangue per càusa' mia. Ma stupisco di ciò, dammi una sua città, poiché Trebovl' è già mia, è in mio potere ora e da tempo; cosí infatti era stato, quegli si era impadronito subito del potere dell'altro. Mi disse dunque: « Va' da Davyd e digli: manda Kul'mej, invierò costui a Volodimir ». E Davyd non gli prestò ascolto e mandò me di nuovo per dire: « Non è qui Kul'mej ». E Vasil' ko mi disse: «Siedi un po' ». E ordinò al servo suo di uscire, e con me sedette, e cominciò a parlarmi: « Ecco ho udito, che Davyd vorrebbe consegnarmi ai Ljachi; poco si è saziato del sangue mio ed ecco che ancora vorrebbe saziarsi, visto che vuol consegnarmi a quelli. Dunque io ho fatto molto male ai Ljachi, e ancora ne avrei voluto fare, e avrei voluto vendicare la terra
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russa. E se mi consegnerà ai Ljachi, non temerò la morte; ciò ti confido per la verità, Dio ha mandato tutto ciò contro di me a causa del mio orgoglio: allorché mi pervenne la notizia che giungevano da me i Berendei, e i Peceneghi, e i Turchi, dissi nella mia mente: allorché giungeranno i Berendei, e i Peceneghi, e i Turchi, dirò a mio fratello Volodar' e a Davyd: datemi la clruzina vostra piú giovane, e voi stessi brindate e gioite. E pensai: la terra dei Ljachi assalirò inverno ed estate, mi impadronirò della terra dei Ljachi, e vendicherò la terra russa. E poi avrei voluto far prigionieri i Bulgari del Danubio e sottometterli a me. Ancora avrei pregato Svjatopolk e Volodimir di muovere contro i Cumani e cosi avrei avuto la mia gloria, o avrei piegato il mio capo per la terra russa. Altro pensiero nel cuor mio non v'era né contro Svjatopolk, né contro Davyd. E giuro questo dinanzi a Dio e al suo avvento, che giammai ho pensato al male dei fratelli miei per alcuna cosa. Ma a causa dell'orgoglio, allorché vennero a me i Berendei, e godette il cuor mio e si rallegrò la mente, Dio mi abbatté e mi umiliò ». Poi, giunto il Grande Giorno, arrivò Davyd, con l'intenzione di conquistare il potere di Vasil'ko; e Volodar' fratello di Vasil'ko, gli andò incontro alla volta di Boz sk. E non osò Davyd attaccare il fratello di Vasil'ko, Volodar', e si rinchiuse a Boz'sk, e Volodar' lo assediò nella città. E Volodar' cominciò a dire: «Perché hai fatto del male e non te ne penti? Pensa a quanto male hai fatto ». Davyd cominciò ad essere apertamente ostile a Svjatopolk, dicendo: «Forse che io ho fatto questo, forse che ciò è successo nella mia città? lo stesso temetti che avrebbero fatto me prigioniero e che avrebbero agito nello stesso modo nei miei riguardi. Pur non volendo, dovetti aderire al consiglio, essendo nelle loro mani». E disse Volodar': «Dio sia testimone di ciò, ma ora libera il fratello mio ed io farò la pace con te ». E soddisfatto Davyd mandò a rilevare Vasil'ko, e appena giunto lo consegnò a Volodar', e si concluse la pace. E si separarono. E si stabilí Vasil'ko a Trebovl', Davyd invece andò a Volodimir. E giunse la primavera, mosse Volodar' con Vasil'ko contro Davyd, e arrivarono a Vsevoloz', e Davyd si rinchiuse a Volodimir. Si disposero entrambi presso Vsevoloz', e presero d'assalto la città, e la misero a fuoco e fuggirono gli uomini a causa del fuoco. E ordinò Vasil'ko di uccidere tutti, e di vendicarsi sugli innocenti; e venne versato sangue innocente. Poi mossero alla volta di Volodimir, e si rinchiuse Davyd a Volodimir, e assediarono la città. E mandarono ai Volodimerci per dire: « Non siamo venuti contro la vostra città, né contro di voi, ma contro i nostri nemici, contro Turjak e contro Lazar', e contro Vasil', giac-
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ché furono costoro a consigliare Davyd, e Davyd li ubbidí, ed ha commesso questo male. Se volete battervi per loro, noi siamo pronti, altrimenti consegnateci i nostri nemici ». I cittadini, avendo udito ciò, convocarono l'assemblea, e dissero gli uomini a Davyd: « Consegna questi uomini, non ci batteremo per loro, ma per te saremmo pronti a batterci. Altrimenti spalancheremo le porte della città e tu stesso dovrai preoccuparti di te ». Pur non volendo li avrebbe consegnati. E disse Davyd: «Noiz sono qui; li ho mandati a Lucesk ». Giunti quelli a Lucesk, Turjak fuggí a Kiev, mentre Lazar' e Vasil' fecero ritorno a Turijsk. E gli uomini seppero che essi si trovavano a Turijsk, e imprecarono gli uomini contro Davyd, e dissero: « Consegna chi vogliono, altrimenti ci arrenderemo ». Davyd, allora, dopo aver inviato, condusse Vasil' e Lazar', e lí consegnò. E la domenica conclusero la pace. E l'indomani all'alba, impiccarono Vasil' e Lazar' e li crivellarono di frecce gli uomini di Vasil'ko, e andarono via dalla città. Cosí commise egli la seconda vendetta, e non fu bene commetterla, giacché è Iddio il giustiziere, e bisognava sottoporre a Dio la propria vendetta, cosí come aveva detto il profeta: « E mi vendicherò dei nemici, e mi vendicherò di coloro che mi odiano, giacché il sangue dei figli miei si vendica e si vendicherà, e griderà vendetta contro i nemici e contro chi li odia ». Allontanatisi questi dalla città, presero [i loro corpi] e li seppellirono. Svjatopolk, avendo promesso di scacciare Davyd, mosse alla volta di Berest'e, nel paese dei Ljachi. Avendo avuto sentore di ciò, Davyd andò dai Ljachi da Volodislao, in cerca di aiuto. I Ljachi promisero che lo avrebbero aiutato, e presero da lui oro per 5o grivne, dicendogli: « Vieni con noi a Berest'e, poiché Svjatopolk ci ha convocato e lí concluderai la pace con Svjatopolk ». E Davyd, prestato ascolto ad essi, andò a Berest'e con Volodislao. E stava Svjatopolk in città, e i Ljachi sul Bug, e condusse trattative Svjatopolk con i Ljachi e dette loro doni grandi in cambio di Davyd. E disse Volodislao a Davyd: « Non mi ha dato ascolto Svjatopolk, va' via di nuovo ». E andò Davyd a Volodimir, e Svjatopolk, consigliatosi con i Ljachi, e dato ordine di radunare i guerrieri, andò alla volta di Pinsk. E giunse a Dorogobuz, e attese ivi i suoi guerrieri, e mosse contro Davyd verso la città, e Davyd si rinchiuse in città, attendendo l'aiuto dei Ljachi, poiché costoro gli avevano detto: « Se contro di te verranno i principi russi, noi ti verremo in aiuto »; ma lo avevano ingannato, avendo essi ricevuto oro da Davyd e da Svjatopolk. Svjatopolk fece circondare la città, e rimase Svjatopolk presso la città sette settimane; e Davyd cominciò a supplicare: « Lasciatemi uscire dalla città ». Svjatopolk glie-
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lo permise, e baciarono la croce e uscí Davyd dalla città, e andò a Cerven, e Svjatopolk entrò in città il gran sabato, e Davyd fuggí dai Ljachi. Svjatopolk, scacciato Davyd, cominciò a meditare contro Volodar ' e contro Vasil'ko, dicendo cosí: « Questo è il potere del padre mio e del fratello »; e mosse contro di loro. Avendo avuto sentore di ciò, Volodar' e Vasil'ko, [gli] andarono contro, prendendo la croce che egli aveva baciato con loro [dopo aver giurato] su questo :« Sono venuto contro Davyd e desidero avere con voi pace ed amicizia ». E violò Svjatopolk [il giuramento del]1a croce, facendo assegnamento sul numero dei guerrieri. E si scontrarono sul Rozne Pole, schierati ambedue [gli eserciti], Vasil'ko alzò la croce, dicendo cosí: «Hai baciato questa, ed ecco prima hai tolto la vista ai miei occhi, ed ora vuoi prendere anche l'anima mia. Che tra noi sia la croce ». E i guerrieri mossero gli uni contro gli altri, e gli eserciti si scontrarono, e molti uomini fedeli videro una croce al di sopra dei guerrieri di Vasil'ko. Essendoci stato un gran combattimento ed essendo caduti molti uomini di ambedue gli eserciti, e avendo assistito Svjatopolk allo aspro combattimento, fuggí, e fuggendo giunse a Volodimir. Volodar e Vasil'ko, vinsero, rimasero ivi, dicendo: « Ci conviene restare nei nostri confini », e non andarono oltre. Svjatopolk fuggí a Volodimir e con lui i suoi due figli, i due figli di Jaropolk, e Svjatosa, figlio di Davyd Svjatoslavic, e il resto della druzincc. Svjatopolk designò a Volodimir il figliuol suo Mstislav, che egli aveva avuto da una concubina, e mandò Jaroslav presso gli Ugri, incitando gli Ugri contro Volodar', ed egli stesso andò a Kiev. Jaroslav, figlio di Svjatopolk, giunse con gli Ugri, e il re Colomanno e due vescovi, e si fermarono presso Peremysl' lungo il Vagr, e Volodar' si rinchiuse in città. Davyd, allora, partito dalla terra dei Ljachi, lasciò la moglie sua presso Volodar ', ed egli andò a Polock. E si incontrò con Bonjak e tornò indietro Davyd, e mossero gli Ugri. Durante il cammino, sostarono per pernottare, e allorché fu mezzanotte, Bonjak, alzatosi, si allontanò dall'esercito, e prese ad ululare come un lupo, e un lupo gli fece eco, e molti lupi cominciarono ad ululare. Bonjak ritornato, cosí disse a Davyd: «Domani contro gli Ugri la vittoria sarà nostra ». E l'indomani Bonjak schierò i suoi guerrieri ed ebbe Davyd cento guerrieri, e quegli trecento; e li distribuí in tre eserciti, e mosse contro glí Ugri. E lasciò all'offensiva Altunopa con cinquanta uomini, e fece metter Davyd sotto lo stendardo, e divise gli uomini in due gruppi, cinquanta per lato. Gli Ugri si misero sulla difensiva, erano gli Ugri in numero di centomila. Altunopa si scagliò contro la prima difesa, e, lanciando le frecce cor-
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revano [gli uomini] dinanzi agli Ugri, e gli Ugri si lanciarono dietro. Correndo passarono presso Bonjak, e Bonjak li inseguí colpendoli alle spalle, e Altunopa tornò indietro, e non permisero agli Ugri di retrocedere, e cosí colpendo ripetutamente li abbatterono in massa. Bonjak formò tre eserciti, e abbatterono gli Ugri in massa come il falco abbatte le gracchie. E fuggirono gli Ugri, e molti annegarono nel Vagr, e altri nel San. E, fuggendo lungo il San presso la montagna, si spinsero l'un l'altro, e li inseguirono per due giorni, infierendo contro di loro. Là uccisero anche il loro vescovo Kupan e molti boiari; si disse infatti che ne fossero stati uccisi quarantamila. Jaroslav fuggí presso i Ljachi, e giunse a Berest 'e, mentre Davyd, occupata Sutejsk e Cerven, giunse improvvisamente; e fece prigionieri i Volodimerci, e Mstislav si rinchiuse in città con una guarnigione, presso di lui v'erano i Berestiani, i Piniani, e i Vygosevci. E sostò Davyd, dopo aver circondato la città, e continuamente moveva allo assalto. Una volta avanzarono verso la città fin sotto gli accampamenti, dalla città si battevano, e lanciavano frecce, caddero a pioggia le frecce. Mstislav, mentre si preparava a lanciare una freccia, venne colpito improvvisamente da una freccia sotto l'ascella, sulle mura della città, attraverso una fessura di un'asse, e lo portarono via, e quella stessa notte morí. E lo tennero celato per tre giorni, e il quarto giorno comunicarono la notizia al vece. E dissero gli uomini: « Ecco il principe è morto; e se non ci arrenderemo, Svjatopolk farà perire tutti noi ». E mandarono a Svjatopolk, dicendo: « Ecco il figliuol tuo è morto, e noi veniamo meno per la fame. Se tu non vieni, gli uomini si arrenderanno, non potendo piú sopportare la fame ». Svjatopolk inviò Putjata, suo voevoda. Putjata giunse con i suoi guerrieri a Lucesk da Svjatosa, figlio di Davyd, e qui presso Svjatosa erano gli uomini di Davyd, giacché Svjatosa aveva promesso a Davyd: « Se Svjatopolk moverà contro di te, ti informerò ». E Svjatosa non fece cosí, ma fece prigionieri gli uomini di Davyd ed egli stesso mosse contro Davyd. E giunse Svjatosa con Putjata in agosto, il giorno 5; mentre i guerrieri di Davyd circondavano la città, mentre Davyd riposava a mezzogiorno, li assalirono e fecero massacro dei guerrieri di Davyd, e fuggirono Davyd e Mstislav, suo nipote. Svjatosa e Putjata occuparono la città sua, e designarono luogotenente di Svjatopolk Vasil'. E giunse Svjatosa a Lucesk e Putjata a Kiev. Davyd fuggí dai Cumani, e Bonjak si incontrò con lui. E mossero Davyd e Bonjak contro Svjatosa alla volta della città, e fecero la pace. E andò via Svjatosa dalla città, e andò dal padre suo a Cernigov. E Davyd conquistò Lucesk, e da lí giunse a Volodimir; il luogotenente Vasil' fuggí e Davyd occu-
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pò Volodimir e si stabilí ivi. L'anno dopo Svjatopolk, Volodimir, Davyd e Oleg chiamarono presso di loro Davyd Igorevic, ma non assegnarono a lui Volodimir, e gli dettero invece Dorogobu, ove egli morí. E Svjatopolk occupò Volodimir e designò in essa il figlio suo Jaroslav. Anno 66o6. Giunsero Volodimir, e Davyd, e Oleg contro Svjatopolk, si fermarono presso Gorodec, e conclusero la pace, come ho già detto precedentemente. Anno 6607. Mosse Svjatopolk contro Davyd alla volta di Volodimir, e scacciò Davyd dalla terra dei Ljachi. Quello stesso anno gli Ugri vennero dispersi presso Peremy"sl'. Quello stesso anno venne ucciso Mstislav, figlio di Svjatopolk a Volodimir, il giorno 12 del mese di giugno. Anno 66o8. Partí Mstislav, allontanandosi da Davyd, per mare il io del mese di giugno. Quello stesso anno i fratelli Svjatopolk, Volodimir, Davyd e Oleg, fecero pace tra loro a Uvetici, il giorno ao del mese di agosto. 11 3o dello stesso mese, nella stessa località, i fratelli tutti, Svjatopolk, Volodimir, Davyd, Oleg si riunirono, e giunse presso di loro Davyd Igorevic, e disse loro: « Perché mi avete chiamato? Eccomi qui. Chi ho offeso? » E Volodimir gli rispose: « Tu ci hai mandato a dire: o fratelli, verrò da voi a lagnarmi per le offese [ricevute]. Ecco, sei venuto, siedi con i fratelli tuoi allo stesso tappeto: di che ti lamenti? di chi di noi ti lagni? » E nulla rispose Davyd. E tutti i fratelli montarono a cavallo; e Svjatopolk era con la sua druzina, e Davyd e Oleg ciascuno con la propria. E Davyd Igorevic stava in disparte, e non lo chiamarono tra loro, ma decisero da soli per Davyd. E deciso, mandarono i loro uomini a Davyd, Svjatopolk Putjata, Volodimir Orogost' e Ratibor, Davyd e Oleg Torcin. Glí inviati si recarono da Davyd e gli dissero: « Questo ti mandano a dire i fratelli: "Non vogliamo assegnarti il trono di Volodimir, giacché tu scagliasti il coltello fra noi, ciò non era rnai accaduto nella terra russa. Ed ecco noi non ti toccheremo, né ti faremo altro male, ma questo ti diremo: va' nella prigione di Buz'skij Ostrog, e Svjatopolk ti assegnerà Duben eCertoryjsk, e ancora Volodimir ti darà zoo grivne, e Davyd e Oleg 200 grivne"». Ed inviarono i loro ambasciatori a Volodar' e a Vasil'ko: « Prendi con te il fratello tuo Vasil'ko, e per voi sia un unico potere, Peremysl'. Se vi fa piacere, vivete insieme, altrimenti, lascia qui Vasil'ko, che qui lo nutriremo; e consegnateci i servi nostri e i contadini». E non vollero ascoltare ciò Volodar' e Vasil'ko. E Davyd si stabilí a Buz'sk, e piú tardi Svjatopolk donò a Davyd Dorogobuz, ove morí, e dette Volodimir a suo fratello Jaroslav.
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Anno 6609. Morí Vseslav, principe di Polock, il mese di aprile il giorno 14, alla nona ora del giorno, di mercoledí. Quello stesso anno Jaroslav Jaropolkovic attaccò guerra a Berest'e, e mosse contro di lui Svjatopolk, e lo chiusero in città, e lo fecero prigioniero, lo incatenarono e lo portarono a Kiev. E il metropolita e gli igumeni, pregarono in suo favore, e riuscirono a convincere Svjatopolk, e lo condussero presso la tomba di san Boris e di Gleb, e gli tolsero le catene, e lo liberarono. Quello stesso anno si riunirono tutti í fratelli: Svjatopolk, Volodimir, e Davyd, e Oleg, e Jaroslav, loro fratello, presso la Zolot'ca. E mandarono i Cumani ambasciatori da parte di tutti i principi a tutti i fratelli, per chiedere la pace. E dissero loro i principi russi: « Se volete la pace, ci riuniremo a Sakov ». E inviarono [ messi ] ai Cumani, e si riunirono a Sakov, e trattarono la pace con i Cumani, e si scambiarono gli ostaggi, il quindicesimo giorno del mese di settembre, e si separarono. Anno 66io. Fuggí Jaroslav Jaropolkovic da Kiev, il primo del mese di ottobre, alla fine dello stesso mese, Jaroslav Svjatopolkovic, traendo in inganno Jaroslav Jaropolkovic, lo catturò sulla Nura, e lo condusse dal padre suo Svjatopolk e lo incatenò. Nello stesso anno, il 20 del rnese di dicembre, giunse Mstislav, figlio di Volodimir, con i Novgorodiani, giacché Svjatopolk aveva fatto un patto con Volodimir, secondo il quale Novgorod sarebbe stata di Svjatopolk, che in essa avrebbe designato suo figlio, mentre Volodimir avrebbe designato suo figlio a Volodimir. E giunse Mstislav a Kiev, e sedettero nell'izba, e dissero gli uomini a Volodimir: « Ecco Volodimir ha inviato suo figlio, ed ecco i Novgorodiani attendono che venga preso tuo figlio e che sia condotto a Novgorod e che Mstislav vada a Volodimir ». E dissero i Novgorodiani a Svjatopolk: « Eccoci, principe, inviati a te, e cosí ci han detto: non vogliamo Svjatopolk, né suo figlio. Se il figlio tuo ha due teste, allora mandalo; ma Vsevolod ci ha designato questi e noi stessi allevammo il principe, invece tu ti sei allontanato da noi ». E a lungo discusse Svjatopolk con loro, quelli non vollero [ cedere ]; preso Mstislav, andarono a Novgorod. Quello stesso anno vi fu un segno in cielo, il giorno 29 del mese di gennaio, per tre giorni, una aurora di fuoco da levante, da meridione, e da ponente e da settentrione, e vi fu luce cosí per tutta la notte, come se [la notte] fosse stata illuminata dalla luna piena. Quello stesso anno vi fu un segno nella luna, il giorno 5 del mese di febbraio. Il giorno 7 di quello stesso mese vi fu un segno nel sole: il sole fu circondato da tre archi, e vicino apparvero altri archi. E vedendo questi segni, gli uomini fedeli pregarono Iddio tra sospiri e lacrime, affinché Iddio volges-
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se questi segni in presagi di bene: giacché alcuni segni si verificano per il male altri per il bene. L'anno seguente Iddio ispirò un felice pensiero ai principi russi: decisero essi di affrontare i Cumani e di andare nella loro terra, ciò avvenne, come abbiamo detto, piú tardi, l'anno dopo. Quello stesso anno morí Jaroslav Jaropolkovic, il giorno r i del mese di agosto. Quello stesso anno la figlia di Svjatopolk, Sbyslava, fu condotta presso i Ljachi, in moglie a Boleslao, il giorno 16 del mese di novembre. Anno 661 i. Ispirò Iddio il cuore dei principi russi Svjatopolk e Volodimir, e si riunirono per consigliarsi a Dolobsk. E sedette Svjatopolk con la sua ds^uzina, e Volodimir con la sua sotto la stessa tenda. E cominciò a riflettere e a discutere la druzina di Svjatopolk, cosí: « Non conviene attaccare in primavera, perderemo e i contadini e i campi ». E disse Volodimir: « Mi stupisce, druzina, che abbiate pietà dei cavalli, con í quali si lavora, e non pensiate che allorché il contadino comincerà a lavorare, giungerà il cumano, che lo ferirà con la freccia, e il cavallo di lui prenderà, andando per il campo prenderà la moglie di lui e i figli, e tutto il suo avere. Avete pietà del cavallo e non avete pietà di lui stesso! » E la druzina di Svjatopolk nulla poté rispondere. E disse Svjatopolk: « Ecco io sono già pronto ». E si levò Svjatopollk, e disse a lui Volodimir: « Ecco tu, fratello, gran bene fai alla terra russa ». E mandarono ad Oleg e a Davyd, dicendo: « Movete contro i Cumani, e che se ne esca vivi o morti ». E Davyd ubbidí, ma Oleg non accettò questo, e come scusa disse: «Non sto bene ». Volodimir, baciato suo fratello, andò a Perejaslavl', e Svjatopolk lo seguí, e Davyd Svjatoslavic, e Davyd Vseslavic, e Mstislav nipote di Igor', Vjaceslav Jaropolkovic, Jaropolk Volodimireviè. E montarono a cavallo e salirono sulle navi, e giunsero presso le cateratte e si fermarono alla rapida nell'isola di Chortica. E montarono a cavallo, e i fanti, discesi dalle navi, per quattro giorni marciarono per il campo, e giunsero al Suten'. I Cumani, appreso l'arrivo dei Russi, in gran numero si riunirono, e presero a consultarsi. E disse Urusoba: « Chiediamo ai Russi la pace, giacché essi strenuamente si batteranno contro di noi, perché molto male facemmo alla terra russa ». E dissero i piú giovani a Urusoba: «Se tu temi i Russi, noi non [lí] temiamo. Dopo averli uccisi, andremo nella loro terra, e conquisteremo le loro città, e chi potrà salvarli da noi? » I principi russi e i guerrieri tutti pregarono Iddio, e offrirono voti a Dio e alla Madre Sua, chi la kutja', chi elemosina ai poveri, chi offerte ai monasteri. E dopo che ebbero cosí La kutja è una pietanza a base di grano e di miele oppure di riso e uva passa.
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pregato, mossero i Cumani e mandarono avanti a loro come avanguardia Altunopa, che fra loro era noto per il suo coraggio. Cosí anche í principi russi mandarono le avanguardie loro. E le avanguardie russe catturarono Altunopa e coloro che erano con lui, e non ne fu salvo nemmeno uno, e tutti furono uccisi. E mossero gli eserciti, tanti quanti gli alberi di una foresta, e con lo sguardo non si potevano abbracciare: i Russi mossero contro. E Iddio grande infuse terrore grande nei Cumani e lo sgomento cadde su di loro e volteggiò sui guerrieri russi, ed essi stessi tremarono, e i cavalli loro non avevano piú forza nelle zampe. I nostri con impeto, a cavallo e a piedi mossero contro di loro. I Cumani dunque, vedendo muovere i Russi contro di loro, ancor prima che giungessero, fuggirono dinanzi agli eserciti russi. I nostri li inseguirono, massacrandoli. Il giorno 4 aprile Iddio dette la grande salvezza, e sui nemici concesse la grande vittoria. E qui uccisero venti principi dell'esercito: Urusoba, Kcij, Arslanapa, Kitanopa, Kuman, Asup, Kurtok, Cenegrepa, Sur'bar', e altri loro principi, e fecero prigioniero Beldjuz. Poi i fratelli sedettero, dopo aver vinto i loro nemici, e condussero Beldjuz a Svjatopolk, e cominciò Beldjuz ad offrire, in cambio della propria vita, oro e argento, cavalli e bestiame. Svjatopolk lo inviò a Volodimir. E allorché giunse da Volodimir, questi disse: «Ecco [a che] vi ha condotto il giuramento. Molte volte, dopo aver giurato, combatteste contro la terra russa. Perché non dicesti ai figli tuoi e alla tua gente di non violare i giuramenti, ma dicesti invece di versare sangue cristiano? Che ricada il sangue da te versato sul capo tuo ». E ordinò di ucciderlo; e cosí egli fu tagliato a pezzi. E si riunirono poi tutti i fratelli, e Volodimir disse: « Godiamo e rallegriamoci in questo giorno creato da Dio! »; giacché i1 Signore ci ha liberato dei nemici nostri, ed ha umiliato i nemici nostri; e abbatté le teste serpigne e le dette i.n pasto alla gente russa. Giacché allora presero bestiame, e pecore, e cavalli, e cammelli, e le tende con il bottino, e la servitù e presero i Peceneghi e i Turchi con gli accampamenti. E nella Rus ' giunsero con gran bottino e con gloria e vittoria grande. In quell'anno apparvero le cavallette il =° agosto. Quello stesso mese il giorno 18 mosse Svjatopolk, e ricostruí la città di Jur'ev, che i Cumani avevano distrutto con il fuoco. Nello stesso anno si batté Jaroslav con i Mordvi, il giorno 4 del mese di marzo e fu vinto Jaroslav. Anno 6612. La figlia di Volodar' fu condotta in moglie al figlio dell'imperatore, Alessio, a Costantinopoli, il giorno 20 del mese di luglío. Lo stesso anno fu condotta Peredslava, figlia di Svjatopolk, presso gli Ugri, in isposa al figlio del re, il giorno 21 agosto. Nello stesso anno giunse il metropolita Nikifor nella Rus', il giorno 6 del mese
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di dicembre. Nello stesso mese morí Vjaceslav Jaropolkovic, il giorno 13. Nello stesso mese, il 18, il metropolita Nikifor salí al seggio. Ecco diremo: alla fine di quell'anno, mandò Svjatopolk Putjata contro Minsk, e Volodimir suo figlio Jaropolk, e Oleg stesso mosse contro Gleb, dopo aver fatto prigioniero Davyd Vseslavic; e non riuscí nell'impresa, e se ne tornò di nuovo. E nacque a Svjatopolk un figlio e gli misero nome Brjacislav. Quello stesso anno apparve un segno: il sole era in un cerchio, e nel mezzo del cerchio v'era una croce, e nel mezzo della croce un sole, e fuori del cerchio ai due lati altri due soli, e al disopra del sole, al di là del cerchio un arco con le corna rivolte a settentrione; e cosí anche nella luna apparve un segno simile nei giorni 4 e 5 e 6 del mese di febbraio, durante il giorno [nel sole] per tre giorni; e durante la notte, nella luna, per tre notti. 11o5 Anno 6613. 11 metropolita designò Amfilofij vescovo di Volodimir, il giorno 27 del mese di agosto. Nello stesso anno designò egli a Perejaslavl' Lazar', il 12 novembre. Nello stesso anno designò Mina a Polock, il giorno 13 dicembre. Anno 6614. Combatterono i Cumani presso Zarecesk, e contro di ilo6 loro Svjatopolk mandò Jan e Ivanka Zachar 1c, i.l chazaro; ed essi scacciarono i Cumani e fecero prigionieri. In quello stesso anno morí Jan, un buon vecchio, vissuto anni novanta, in veneranda età; vissuto secondo la legge divina non meno bene dei primi uomini giusti. Anch'io udii da lui molti discorsi e scrissi in questa cronaca ciò che da lui udii. Poiché egli era un uomo buono e modesto, e umile, sfuggiva ogni male, la sua tomba si trova nel monastero Pecerskij, nell'atrio, ívi giace il suo corpo deposto il giorno 24 del mese di giugno. In quell'anno prese il velo Evpraksija, figlia di Vsevolod, il giorno 6 del mese di dicembre. Nello stesso anno fuggí Izbygnev presso Svjatopolk. Nello stesso anno fu consacrato monaco Svjatoslav figlio di Davyd, nipote di Svjatoslav, il giorno 17 del mese di febbraio. Nello stesso anno i Zimegoli vinsero i Vseslavici, tutti i fratelli, e uccisero la druzina di novemila uomini. Anno 6615. Indizione, quarto anno del ciclo lunare, e ottavo an1107 no del ciclo solare. In quell'anno morí la moglie di Volodimir il giorno 7 del mese di maggio. Nello stesso mese cornbatté Bonjak, catturò cavalli presso Perejaslavl'. Nello stesso anno giunse Bonjak; e il vecchio Sarukan e molti altri principi, e si fermarono presso Luben. Svjatopolk, e Volodimir, e Oleg, Svjatoslav, Mstislav, Vjaceslav, Jaropolk andarono contro i Cumani alla volta di Luben e alla sesta ora del giorno oltrepassarono la Sula, e vociarono contro di loro. I Cumani spaventati, temendo di non riuscire a piantare gli stendardi, af-
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ferrati i cavalli, fuggirono, altri invece fuggirono a piedi. I nostri raggiuntili presero ad ucciderli e afferratine alcuni li respinsero fin quasi al Chorol. Uccisero Taz, fratello di Bonjak, e presero Sugr, altro suo fratello, e a stento riuscí a fuggire Sarukan. Abbandonarono i loro compagni, che erano stati fatti prigionieri dai principi russi, il giorno 12 del mese di agosto, e se ne tornarono in patria con grande vittoria. Svjatopolk giunse al monastero Pecerskij per il mattutino, il giorno dell'Assunzione della Santa Madre di Dio e i fratelli lo baciarono con gioia grande, dicendo che i nemici erano stati vinti, grazie alle preghiere della Santa Madre di Dio, e del nostro santo padre Feodosij. Giacché Svjatopolk usava fare cosí: allorché andava in guerra, o altrove, inchinandosi dinanzi alla tomba di Feodosij riceveva la benedizione dell'igumeno, e quindi si metteva in camrnino. Nello stesso anno morí la principessa, madre di Svjatopolk, il giorno 4 del mese di gennaio. In quello stesso anno, lo stesso mese andarono Volodimir e Davyd, e Oleg da Aepa, e dall'altro Aepa, e fecero pace, e prese Volodimir per Jurij la figlia di Aepa, nipote di Asin, e Oleg prese per il figlio la figlia di Aepa, nipote di Girgen, il giorno 12 del mese di gennaio. E il 5 febbraio tremò la terra, di notte prima dell'aurora. Anno 6616. Fu fondata la chiesa di San Michele dalla Cupola d'oro dal principe Svjatopolk,l'=a del mese di luglio. E terminarono il refettorio del monastero Pecerskij al tempo dell'igumeno Teoktista, che lo aveva costruito per ordine di Gleb, e a sue spese. In quello stesso anno salí il livello delle acque del Dnepr, e della Desna, e del Pripjat' . In quello stesso anno Iddio ispirò il cuore di Teoktista, igumeno del Pecerskij, e disse egli al principe Svjatopolk di inscrivere Feodosij nel Sinodo. E d'accordo, promise di provvedere, e ordinò al metropolita di inscriverlo nel Sinodo. E ordinò di inscriverlo dopo a tutti i vescovi, e tutti i vescovi con gioia lo inscrissero e lo ricordarono in tutte le riunioni. In quello stesso anno morí Ekaterina, figlia di Vsevolod, 1'1 1 del mese di luglio. In quello stesso anno terminarono la cupola della Santa Madre di Dio presso il Klov, fondata da Stefan, igumeno del Pecerskij. Anno 6617. Morí Evpraksija, figlia di Vsevolod, il giorno ao del mese di luglio, e fu tumulata nel monastero Pecerskij presso la porta a mezzogiorno. E costruirono al di sopra una cappelletta, dove ora giace il suo corpo. Quello stesso anno, il giorno 2 del mese di dicembre, Dmitr Ivorovic, conquistò il campo dei Cumani, presso il Don. Anno 6618. Mossero in primavera contro i Cumani, Svjatopolk e Volodimir, e Davyd. E giunti a Voin', fecero ritorno. In quello stesso anno apparve un segno sul monastero Pecerskij, il giorno 11 del
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mese di febbraio: si vide una colonna di fuoco dalla terra fino al cielo, e lampi che illuminavano tutta la terra, e arse nel cielo all'una di notte; e tutto il mondo la vide. Questa colonna per prima si fermò sul refettorio in pietra, cosí che non era piú visibile la croce, e rimasta ferma un po' lí, avanzò verso la chiesa e si fermò sulla tomba di Feodosij, e poi in alto si levò volgendo ad oriente, e poi scomparve. Non era questa una colonna di fuoco, ma un'apparizione angelica: giacché cosí soleva manifestarsi l'angelo, ora sotto sembianze di colonna di fuoco, ora sotto aspetto di fiamma. Come aveva detto David: «Trasformati gli angeli in spiriti, e i servi suoi in fuochi ardenti » sono inviati per ordine divino, dove vuole íl Signore e Creatore di tutti. Giacché l'angelo giungerà dove sono i luoghi benedetti e le case della preghiera, e qui mostrerà in parte le sue sembianze, che all'uomo non è possibile vedere; giacché all'uomo non è possibile vedere l'essere angelico, perciò anche il gran Mosè non poté vedere la creatura angelica: giacché di giorno li guidava una colonna di nuvole e di notte una colonna di fuoco, ma non una colonna li guidava, bensí un angelo che andava innanzi a loro notte e giorno. Cosí anche questo segno era indice di un qualche avvenimento che avrebbe dovuto verificarsi e che poi si verificò, due anni dopo fu un angelo a condurli contro gli stranieri e contro i nemici, come è stato detto: «L'angelo ti precederà »; e ancora « l'angelo sia con te» I. Io, igumeno Silvestr, di San Michele, scrissi questo libro, una cronaca, sperando di ottenere la misericordia da Dio, al tempo del principe Volodimir, regnante in Kiev, mentre ero igumeno in San Michele nel 6624, nono anno dell'indizione; e preghi per me chi legge questo libro. Continuazione secondo la cronaca di I pat'ev Z.
Cosí il profeta David dice: « Egli ordina ai suoi angeli di vegliare su di te ». Cosí scrive il saggissimo Epifanio 3: «Ad ogni creatura è unito un angelo; un angelo è unito alle nuvole e alla nebbia, e alla neve, e alla grandine, e al gelo; un angelo alla voce e al tuono; un angelo all'inverno, e alla calura, e all'autunno, e alla primavera, e all'estate; ad ogni spirito di sua creatura sulla terra, e nei segreti abissi, Esodo, XXIII, 23. Il testo continua secondo il manoscritto di Ipat ' ev, cosiddetto dall'omonimo monastero presso Kostroma, ove fu redatto verso la fine del secolo xrv. Epifanio vescovo di Cipro, scrittore bizantino del xv secolo d. C. 2
Continuazione secondo la cronaca di Ipat'ev
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e sono essi nascosti sotto terra, e al di sotto delle tenebre invernali, che sono al di sopra degli abissi, che prima erano al di sopra della terra, da qui derivano le tenebre, la sera, e la notte, e la luce, e il giorno ». A tutte le creature sono uniti gli angeli; cosí l'angelo è unito ad ogni terra, per difendere questa terra, sia essa anche pagana. Se la collera divina è contro qualche terra, viene ordinato all'angelo di andare contro quella terra, l'angelo di quella terra non si opporrà al volere divino. Cosí avvenne, e contro di noi, Iddio condusse, a causa dei nostri peccati, gli stranieri pagani, e ci vinsero essi per volere divino: giacché per volere divino erano guidati dall'angelo. E chi dice che non vi sono angeli presso i pagani, ponga orecchio a quanto segue: Alessandro il Macedone si armò contro Dario, e gli mosse contro, e vinse tutti i paesi, da oriente fino ad occidente, e vinse la terra egiziana, e vinse Aran, e giunse nelle isole marine; e si volse contro l'Egitto per vincere gli Ebrei; perché erano in pace con Dario. E mosse egli con tutti i suoi guerrieri, e si fermò a causa dei compagni e riposò. E giunse la notte, e si stese sul suo giaciglio al centro della tenda, aprí gli occhi, vide un uomo, che stava su di lui con in mano una spada snudata e abbagliava la sua spada simile a lampo. E agitò la spada sulla testa dell'imperatore. E si spaventò molto l'imperatore e disse: «Non ucciderrni ». E disse a lui l'angelo: «Mi ha inviato Iddio per umiliare dinnanzi a te i grandi imperatori, e molti uomini ed io ti precedo per esserti d'aiuto. Ed ora sappi che morirai, giacché hai deciso di muovere contro Gerusalemme per arrecare male agli Ebrei di Dio e al suo popolo ». E disse l ' imperatore: « Ti supplico, o Signore, perdona ora i peccati del servo tuo. Se ciò non ti aggrada me ne tornerò a casa mia ». E l'angelo disse: « Non temere, va' per la tua strada a Gerusalemme, e vedrai lí a Gerusalemme un uomo del mio aspetto, e subito cadi a viso a terra, ed inchinati a quest'uomo, e fa' tutto quello che costui ti dirà. Non trasgredire la sua parola. Perché il giorno in cui trasgredirai la sua parola, morirai ». E levatosi l'imperatore andò a Gerusalemme, e ivi giunto chiese agli Ebrei: « Andrò contro Dario? » E gli mostrarono i libri del profeta Daniele, e gli dissero: « Tu sei il montone, ed egli la pecora, e distruggerai e conquisterai il regno suo ». E non fu dunque un angelo che guidò Alessandro, e che gli fece mettere in fuga i pagani e tutti gli idolatri elleni? Cosí anche per questo motivo vivono i pagani, a causa dei peccati nostri. Che si sappia che presso i cristiani non esiste un solo angelo, ma tanti quanti sono i battezzati, soprattutto presso i nostri pii principi; non possono essi opporsi al volere divino, ma pregano diligentemente Iddio per gli uomini cristiani. Cosí fu anche: per le preghiere della Santa Madre di 19
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Dio e dei santi angeli, Dio ebbe pietà, e mandò gli angeli in aiuto dei principi russi contro i pagani. Cosí disse a Mosè: « il mio angelo ti precederà ». Come precedentemente abbiamo detto, apparve un segno il giorno 21 del mese di febbraio all'inizio di questo anno = 8. Anno 6619. Iddio ispirò il cuore di Volodimir e [questi] prese rrrr a parlare al fratello suo Svjatopolk invitandolo [ad andare] contro i pagani per la primavera. Svjatopolk comunicò alla druzincc sua le parole di Volodimir; essi dissero: « Non è tempo ora di uccidere i contadini staccandoli dal loro campo ». E mandò Svjatopolk a Volodimir dicendo: « Ci converrebbe riunirci e discutere questo con la druzina ». Gli inviati giunsero presso Volodimir e comunicarono tutte le parole di Svjatopolk. E giunse Volodimir, e si incontrarono a Dolobsk. E presero posto in un'unica tenda Svjatopolk e la sua druzina, e Volodimir e la sua [ druzina] . E stabilitosi il silenzio disse Volodimir: « Fratello, tu sei piú anziano, di' tu come potremo difendere la terra russa ». E disse Svjatopolk: «O fratello, parla tu ». E disse Volodimir: « Appena parlerò, contro di me, parlerà la tua druzina e la mia, dicendo: vuole distruggere i contadini e i campi dei contadini. Stupísco di questo, fratello, avete pietà dei contadini e dei loro cavalli e non pensate che allorché in primavera il contadino comincerà a lavorare il campo con il suo cavallo, arriverà il cumano e colpirà il contadino con la freccia, e prenderà il cavallo suo, e la sua donna, e i suoi figli, e darà fuoco alla sua aia, perché non pensate a questo? » E disse la druzina tutta: « Davvero, in realtà è cosí ». E disse Svjatopolk: « Eccomi, fratello, sono pronto ad andare con te ». E mandarono [ ambasciatori ] da Davyd Svjatoslavic con l'ordine di andare con loro. E si alzarono Volodimir e Svjatopolk, si baciarono e mossero contro i Cumani, Svjatopolk con il figlio Jaroslav, e Volodimir con i figli, e Davyd con il figlio. E mossero riponendo la speranza loro in Dio, e nella purissima Madre Sua, e nei santi angeli suoi. E mossero nella seconda settimana del digiuno e il venerdí erano sulla Sula. Il sabato mossero e si fermarono sul Chorol, e qui abbandonarono anche le slitte. E la domenica mossero, in questo giorno baciarono la croce e giunsero sul Psel, e da qui poi si fermarono sul fiume Golta. Qui attesero í guerrieri, e da qui andarono alla Vorskla, qui l'indomani, il mercoledí, baciarono la croce, e posero la loro speranza sulla croce, tra copiose lacrime. E da qui oltrepassarono molti fiumi nella sesta settimana del digiuno, e giunsero al Don il martedí. E si prepararono al combattimento, e riordinarono gli eserciti, e mossero verso la città di Sarukan'. E il principe Volodimir ordinò ai suoi preti di cantare
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i troparija e i kondaka' all'onorata croce e il canone della Santa Madre di Dio. Andarono verso la città, di sera, e la domenica, uscirono dalla città, e si inchinarono ai principi russi e portarono [loro ] pesce e vino. E trascorsero qui la notte. E l'indomani, il mercoledí, andarono verso Sugrov, e giuntivi la incendiarono, e il giovedí partirono dal Don, e l'indomani il venerdí, il giorno 24 del mese di marzo, i Cumani si riunirono, ordinarono i Cumani i loro eserciti e mossero contro i soldati. I principi nostri riposero la loro speranza in Dio, e dissero: « A noi è qui destinato morire, resisteremo ». E si baciarono l'un l'altro, levati gli occhi al cielo, invocarono l'Altissimo Dio. E si scontrarono, e vi fu un aspro combattimento, l'Altissimo Dio guardò con collera gli stranieri, e caddero essi dinnanzi ai cristiani. E cosí furono vinti gli stranieri, e caddero molti nemici, nostri avversari, dinanzi ai principi russi e ai guerrieri sul torrente Degeja. E aiutò Dio i principi russi. E in questo giorno innalzarono essi lode a Dio. E l'indomani, il sabato, festeggiarono la resurrezione di Lazzaro, il giorno dell'Annunciazione, e, lodando Dio, trascorsero il sabato e giunsero alla domenica. Giunto il lunedí della settimana di passione, di nuovo gli stranieri riunirono i loro eserciti in gran numero, e avanzarono quasi una gran foresta, a migliaia di migliaia. E si scontrarono con gli eserciti russi. E inviò il Signore Iddio un angelo in aiuto dei principi russi. E mossero gli eserciti dei Cumani e gli eserciti russi, e si scontrarono gli eserciti, e come tuono echeggiava il crepitio delle file scontrantisi. E il combattimento fra loro fu aspro, e ne caddero da arnbedue le parti. E avanzò Volodimir con gli eserciti suoi, e Davyd, e, vedendoli, i Cumani si dettero alla fuga. E caddero i Cumani dinanzi all'esercito di Volodimir, invisibilmente colpiti da un angelo, e molti uomini videro volare numerose teste gettate a terra da una mano invisibile. E li vinsero il lunedí di Passione, il giorno 27 del mese di marzo. Un gran numero di stranieri fu colpito sul fiume Sal'nica. E Dio salvò la sua gente. Svjatopolk e Volodimir e Davyd resero gloria a Dio, che aveva loro concesso tale vittoria sui pagani, e presero molto tributo: bestiarne e cavalli e pecore, e molti prigionieri catturarono. Chiesero ai prigionieri: « Come è accaduto che, pur avendo tanta forza ed essendo in cosí gran numero, non avete potuto oppor resistenza, ma subito vi siete dati alla fuga? » Costoro risposero, dicendo: « Come avremmo potuto batterci con voi, se altri venivano su di voi con armi splendenti e terribili, e costoro vi portavano soccorso? » Erano quelli gli angeli inviati da Dio in aiuto ai cristiani. Quell'angelo ispirò dun1 troparija e i kondaka sono canti religiosi.
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que il cuore di Volodimir Monomach ad incitare i suoi fratelli, i principi russi, contro gli stranieri. Ecco dunque, come dicemmo, si vide un segno sul monastero Pecerskij, era questo una colonna di fuoco sul refettorio, e si spostò sulla chiesa e da lí verso Gorodec; Volodimir si trovava allora a Radosyn'. E ispirò quest'angelo, allora, il cuore di Volodimir, che prese ad incitare, come abbiamo detto. Cosí è bene render lode agli angeli: come Giovanni Bocca d'Oro aveva detto: « giacché essi sempre pregano il Creatore, cantando, perché egli sia misericordioso e buono verso l'uomo ». Giacché gli angeli, dico, sono i nostri difensori, combattenti contro le forze avversarie, con loro è l'arcangelo Michele, che con il diavolo combatté per íl corpo di Mosè, e combatté contro il principe persiano per la libertà dell'uomo. Per ordine divino, furon divise tutte le creature e fu posto un capo ai popoli; permise egli a questo persiano di disprezzare ogni cosa, ordinò egli a Michele di aver cura dei circoncisi, di disporre con ira i loro confini, non con ira peccaminosa, ma con qualche misericordiosa parola non pronunziata; a questi fu ordinato di costringere gli Ebrei a lavorare per i Persiani, di riportarli alla libertà, e diligentemente levò egli a Dio una preghiera, dicendo: « O Signore, Onnipotente, fino a quando non avrai pietà di Gerusalemme e delle città giudee, che hai soggiogato per settanta anni? Vide egli in apparizione anche Daniele, íl suo volto splendeva come lampo, i suoi occhi come ceri, e i suoi muscoli e le tibie sue simili a rame splendevano, e la voce della sua parola era come la voce di molti popoli. Tra costoro è colui che fece parlare l'asino, e felicemente distolse Balaam dall'empio incantesimo. Tra costoro è colui che trasse la spada dinanzi a Giosuè, figlio di Nun, ordinandogli in tal modo di venirgli in aiuto contro gli avversari. Tra costoro è colui che in una notte uccise cento e ottanta mila Assiri e mutò in morte il sonno dei barbari. Tra costoro è colui che condusse il vate Avakum, in un istante, attraverso l'aria al vate Daniele, e lo alimentò tra i leoni. Giacché costoro abbattono i nemici. Cosí anche il bello e divino Raffaele: dopo aver tolto il grasso ad un pesce, guarí una fanciulla invasata dal demone, e fece in modo che un vecchio cieco rivedesse il sole. Non sono degni di grandi onori coloro che difendono la nostra vita? » Ma all'angelo non fu solo ordinato di essere difensore dei popoli, ma fu detto: «Allorché l'Altissimo divise le lingue, allorché disperse i figli di Adamo, egli stabilí i confini dei popoli secondo il numero degli angeli divini; e ad ogni fedele spettò un angelo, cosí quando la fanciulla Rode cominciò a dire agli apostoli che dinanzi alla porta era Pietro, sfuggito ad Erode, cosí dissero non prestandole fede: costei non è una fanciulla, ma il
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suo angelo ». Si testimonia anche con questo, il Signore, dicendo: « Vedete, non trascurate neanche uno di questi piccoli: giacché io vi dirò, che i loro angeli vedono il volto del Padre mio, che è in cielo ». Ancora, ad ogni chiesa Cristo dette un angelo protettore, cosí come aveva comunicato a Giovanni: «E all'angelo della chiesa che è a Smirne, scrivi: ... Io so la tua tribolazione e la tua povertà; ma in realtà sei ricco! »'. ben noto che gli angeli ci amano, giacché per noi essi pregano il Signore. Giacché essi sono i servi dello spirito, cosí come anche l'apostolo dice: «Non sono tutti spiriti al servizio di Dio, inviati a cagione di quelli che devono ricevere l'eredità della salvezza? » Z. Essi sono i difensori e i soccorritori, come hai udito ora di Daniele, allorché incitò l'arcangelo Michele contro i Persiani nell 'ora della furia per la libertà nostra. Poiché questi obbligò gli uomini a lavorare per i Persiani, come è stato detto, costui cercò di liberare i prigionieri. E Michele vinse l'avversario, giacché gli Ebrei giunti all'Eufrate, di nuovo ricevettero la paterna dimora, e costruirono la città e la chiesa. Cosí anche il grande Epifanio disse: « Ad ogni popolo sarà dato un angelo »; e nella Scrittura è detto a Daniele: «Un angelo e un Signore presso gli Elleni, e Michele è il Signore dei Giudei »; ed ancora: « Ed impartí ordini secondo il numero degli angeli ». Ed ecco, ancora, come disse Ippolito ', Daniele dice: « Il terzo anno di regno dell'imperatore Ciro, io, Daniele, piansi per tre settimane; dopo il primo mese mi calmai, pregai Iddio giorni venti e uno, dicendogli di svelare il rnistero; e udito il Padre la parola tua, disse che avrebbe voluto esser con loro: e fu sul gran fiume; bello fu il suo apparire là ove era sua intenzione perdonare anche i peccati. E levati gli occhi miei, vidi un uomo vestito di porpora. A prima vista sarebbe sembrato l'angelo Gabriele che volava, non era cosí, eran le sembianze del Signore stesso, non eran sembianze di un uomo vero e proprio, ma si manifestò egli con sembianze umane, e cosí dice: "Ed ecco che vedo un uomo in vesti di lino, cinto ai fianchi d'una fascia d'oro finissimo, la sua persona pareva di crisolito, la faccia mandava i lampi e aveva gli occhi come faci accese: e le braccia e giú giú fino alle piante, rassomigliavano a metallo incandescente e la sua voce, quando parlava, sembrava, come la voce d'una moltitudine... mi trovai a giacere, una mano mi toccò e mi sollevò sulle ginocchia, e mi disse: non temere Daniele... Sai tu perché sono venuto da te? E ora me ne ritornerò per combattere la mia causa contro il principe dei Persiani... Ma Apocalisse di san Giovanni, II, 8. Epistola agli Ebrei, I, 14. Ippolito di Roma, teologo, vissuto tra la fine del
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io ti annuncerò ciò che è registrato nel libro della Verità e nessuno mi dà aiuto in tutto questo all'infuori di Michele vostro principe. Non temere, Daniele, perché dal primo giorno che, per ottenere intelligenza ti sei messo in cuore di darti alla penitenza nel cospetto del tuo Dio, le tue parole sono state esaudite, io sono qui venuto in seguito alle tue parole... il nostro consiglio era quello di non lasciar andar via gli uomini; perché presto sarebbe stata esaudita la tua preghiera; a ciò mi opposi e feci rimanere qui Michele, principe vostro. Chi è Michele, se non un angelo dato in dono agli uomini?" I. Cosí anche disse Mosè: "Non verrò con voi, perché tra voi vi sono uomini testardi", ma l'angelo mio verrà con voi ». Cosí ecco, mediante il divino aiuto, mediante le preghiere della Santa Madre di Dio e dei santi angeli, ritornarono i principi russi alle proprie case con grande gloria, che giunse presso la loro gente e presso tutti i popoli lontani, cioè presso i Greci e gli Ugri, e i Ljachi e i Cechi, e ancora fino a Roma, per la gloria di Dio sempre e oggi e eternamente nei secoli, cosí sia. Lo stesso anno morí la principessa figlia di Vsevolod, il giorno 7 del mese di ottobre, e fu sepolta nel monastero di Sant'Andrea. Quello stesso anno morí Ioann, vescovo di Cernigov, il giorno 23 del mese di novembre. Anno 662o. 5' indizione. Jaroslav, figlio di Svjatopolk, mosse contro gli Jatviaghi, e li vinse; e, tornato dalla guerra, mandò [ ambasciatori] a Novgorod, e prese in moglie la figlia di Mstislav, nipote di Volodimir, il giorno 12 del mese di maggio, e fu condotta [a lui] il 29 nella chiesa della Madre di Dio di Blacherna presso il Klov. In queldimir in isposa al re degli Ugri. In quello stesso anno morí Davyd Igorevic, il giorno 25 del mese di maggio, e il suo corpo fu seppellito il 29 nella chiesa della Madre di Dio di Blacherna presso il Klov. In quello stesso anno morí Janka, figlia di Vsevolod, sorella di Volodimir, il giorno 3 del mese di novembre, fu sepolta nella chiesa di Sant'Andrea, che era stata costruita dal padre suo, giacché ella si era fatta monaca in quella chiesa, ancora fanciulla. Alla fine di quest'anno designarono Teoktista, vescovo di Cernigov, igumeno del Pecerskij, il giorno i 2 del mese di gennaio, e fu posto sul seggio il 19. E contento fu il principe Davyd, e la principessa, giacché egli era iI loro padre spirituale, e í boiari e gli uomini tutti si rallegrarono, giacché il vescovo che era prima di lui era ammalato e non poteva officiare, e stette ammalato per venticinque anni; cosí il principe e il popolo attendevano al ser'
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vizio episcopale e godevano, lodando Iddio. Stando cosí le cose, ed essendo i fratelli senza igumeno, riunitisi i fratelli tutti, nominarono igumeno il prete Prochor, e lo presentarono al metropolita e al principe Svjatopolk. E il principe ordinò con gioia al metropolita di designarlo. E fu nominato il giovedí della settimana grassa, il giorno 9 del mese di febbraio. E cosí i fratelli entrarono nel digiuno con l'igumeno. Anno 6621. Vi fu un segno nel sole all'una del giorno, e fu visto da tutti gli uomini: rimase visibile una piccola parte del sole, come una mezza luna con le corna in giú, il giorno 19 del mese di rnarzo, nel diciannovesimo ciclo lunare. Questi segni non presagiscono bene; si manifestano i segni mediante il sole, la luna o le stelle, non per tutta la terra, ma si manifesta un segno in un certo paese, cosí un paese lo vede, e un altro paese non lo vede. Cosí, anticamente, si ebbero segni al tempo di Antioco a Gerusalemme, e apparvero degli uomini a cavallo, impugnanti armi, e vi fu una confusione d'armi, ma ciò accadde solo a Gerusalemme, e non si manifestò in altre terre. Cosí vi fu un segno nel sole che annunziò la morte di Svjatopolk. Si avvicinò poi la festa della Pasqua, e la festeggiarono; e dopo la festa il principe si ammalò, e morí il buon principe Michail, chiamato Svjatopolk, il giorno =6 del mese di aprile a Vysgorod, e sulla barca lo trasportarono a Kiev, e rivestirono il corpo suo e lo posero su di una slitta. E piansero per lui i boiari e tutta la sua druzina, cantando per lui i canti di rito, lo tumularono nella chiesa di San Michele, che egli stesso aveva costruito. La principessa, sua moglie, distribuí molta ricchezza ai monasteri e ai preti, e ai poveri, il che stupí molti uomini, giacché nessuno ha la possibilità di elargire una tale elemosina. L'indomani, il settimo dopo il decimo giorno, i Kieviani tennero consiglio, mandarono a Volodimir, per dire: « Vieni, o principe, al trono di tuo padre e di tuo nonno ». Avendo udito ciò, Volodimir pianse molto, ma non andò, dolendosi per il fratello. I Kieviani saccheggiarono il palazzo di Putjata, mossero contro gli Ebrei, li massacrarono. E mandarono di nuovo i Kieviani a Volodimir per dire: « Vieni, principe, a Kiev, se non vieni verrà arrecato molto male non solo al palazzo di Putjata, e a quello dei funzionari, ma uccideremo gli Ebrei, e quellí di nuovo andranno contro tua cognata e contro i boiari, e contro i monasteri, e tu ne dovrai rispondere, principe, se essi cominceranno a saccheggiare i monasteri ». Avendo udito ciò Volodimir andò a Kiev.
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Volodimir Monomach, si stabilí a Kiev di domenica, gli andarono incontro il metropolita Nikifor con i vescovi e tutti i Kieviani, con grande onore. Si assise al trono del padre suo e degli avi suoi; e tutti gli uomini furono contenti, e si calmò la discordia. Avendo saputo i Cumani della morte di Svjatopolk, si riunirono e mossero alla volta del Vyr'. Volodimir allora, riuniti i figli suoi e i nipoti, mosse alla volta del Vyr' e si riuní ad Oleg; i Cumani fuggirono. In quello stesso anno designò suo figlio Svjatoslav a Perejaslavl ' , e Vjaceslav a Smolensk. Nello stesso anno morí l'igumeno del monastero di Lazar', dopo aver santamente vissuto, il quarto dopo il decimo giorno del mese di settembre, dopo aver vissuto sessant'anni nel monastero, e contava egli novantadue anni. In quello stesso anno Volodimir prese come moglie di suo figlio Roman, la figlia di Volodar ', il primo dopo il decimo giorno del mese di settembre. In quello stesso anno Mstislav fondò la chiesa di San Nicola, in pietra, presso il palazzo del principe, vicino al mercato di Novgorod. In quello stesso anno designò suo figlio Jaropolk a Perejaslavl'. In quello stesso anno nominarono Daniil, vescovo di Jur'ev, e Nikita di Belgorod. Anno 6622. Morí Svjatoslav, figlio di Volodimir, il giorno i6 del mese di rnarzo, e fu sepolto a Perejaslavl' presso la chiesa di San Michele, là suo padre gli aveva affidato il trono, conducendo lui da Smolensk. Nello stesso anno Mstislav fortificò ancora piú Novgorod. In quello stesso anno fu cinto con pietre il Ladoga, sul terrapieno, dal posadnik ' Pavel, al tempo del principe Mstislav. Giunto al Ladoga, i Ladozani mi confidarono: qui, allorché compare una nuvola i nostri bambini trovano gemme di vetro, e piccole e grandi, sfaccettate; e altri, oltre il Volchov, colgono quelle che l'acqua getta sulla riva; di queste ne raccolsi piú di cento: sono diverse l'una dall'altra. Essendomi stupito di ciò, mi dissero: « Non c'è di che meravigliarsí; esistono ancora dei vegliardi che andarono al di là della terra degli Ugri, e dei Samoiedi, essi stessi videro: nei paesi di mezzanotte cadde una nuvola, e da quella nuvola cadde uno scoiattolo, appena nato, e crebbe, e se ne andò per la terra, e apparve un'altra nuvola, e caddero da essa piccoli cervi e crebbero e se ne andarono per la terra ». Di ciò mi sono testimoni il posadnik di Ladoga e tutti i Ladozani. Se qualcuno non crede a ciò, legga la cronaca: « Durante il regno di Provo, mentre passavano delle nuvole grandi, cadde del frumento mescolato ad acqua; raccoltolo, lo versarono nelle madie. Cosí, al tempo di Aurelio, caddero chicchi d'ar-
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gento, e in Africa caddero tre pietre enormi ». E fu dopo il diluvio e dopo la divisione delle lingue «prese a regnare per prima Mostrom della stirpe di Cam, dopo di lui Geremia, dopo di lui Efesto », che gli Egizi chiamarono anche Svarog ' ; «mentre regnava in Egitto Efesto, durante il suo regno, caddero tanaglie dal cielo, e cominciaron a forgiare armi, prima essi si combattevano con bastoni e con pietre. Efesto promulgò la legge, secondo la quale una donna avrebbe dovuto sposare un sol uomo, e osservare il digiuno, e ordinò di punire coloro che commettevano adulterio. Per questo lo chiamarono Svarog ». Precedentemente la donna aveva fornicato con chi voleva, e come bestia aveva fornicato. Se aveva un figlio lo donava a chi voleva: « Questi è tuo figlio », e quegli accettandolo, gli faceva festa. Efesto abolí quest'usanza, e dispose che ogni uomo avrebbe dovuto avere una sola donna, e ogni donna avrebbe potuto sposare un sol uorno; se qualcuno avesse violato questa legge, sarebbe stato gettato nella stufa ardente. Per tal motivo lo chiamarono Svarog, e gli Egizi lo venerarono. E dopo costui regnò suo figlio, a nome Sole, che fu chiamato Dazdbog, regnò egli settemilaquattrocento anni e settanta giorni, cioè venti anni e mezzo. Gli Egizi non sapevano contare diversamente; contavan costoro, secondo [ il ciclo della] luna, mentre gli altri [ contano] i giorni dell'anno; piú tardi ebbero essi la nozione del tempo nei dodici anni, dal tempo in cui gli uomini avevano cominciato a pagare il tributo all'imperatore. L'imperatore Sole, figlio di Svarog, cioè Daz bog, era un uomo forte; aveva udito di una certa donna egiziana ricca e nota, e di un certo uomo che avrebbe voluto unirsi a lei, andò in cerca di costei, volendo averla per sé e non volendo trasgredire la legge del padre suo, Svarog. Avendo avuto sentore dell'ora in cui ella avrebbe commesso adulterio, prese con sé alcuni uomini, e capitò da lei di notte, non trovò il marito con lei, ma la trovò con un altro che ella amava. Presala, la seviziò; e la lasciò andare disonorata per la terra, e decapitò l'adultero. E si visse una vita casta in tutta la terra egizia, e presero a lodarlo. Smettiamo di raccontare, e diciamo con David: « Tutto ciò che volle, il Signore fece in cielo e in terra, per il mare, per l'abisso, sollevando le nuvole ai limiti della terra ». Questa è l'ultima terra di cui abbiamo parlato all'inizio. Anno 6623, 8' indizione. Si riunirono i fratelli, i principi russi, Volodimir, detto Monomach, figlio di Vsevolod, e Davyd Svjatoslavic, e Oleg, suo fratello, e decisero di trasportare le reliquie di Boris e di Svarog è la divinità slava identificata con l'Efesto slavo. Si tratta di una divinità appartenente piú al ciclo mitologico baltico che a quello slavo.
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Gleb: giacché avevano costruito una chiesa in pietra, in loro memoria e in loro onore, e per seppellire í loro corpi. Consacrarono la chiesa in pietra il primo giorno di maggio, di sabato, l'indomani, il giorno 2 trasportarono í santi. E fu una grande riunione, il popolo afFluà da tutte le parti, il metropolita Nikifor con tutti i vescovi: con Teoktista di Cernigov, con Lazar' di Perejaslavl', con il prete Nikita di Belgorod e con Daniil di Jur'ev, e con gli igumeni: Prochor del Pecerskij e Silvestr del San Michele, e Sava del San Salvatore, e Gregorij del Sant'Andrea, Pétr del [monastero presso il] Klov, e gli altri igumeni. E consacrarono la chiesa in pietra. E cantata la liturgia, pranzarono presso Oleg e bevvero, e vi fu gran distribuzione di cibi e nutrirono i poveri e i viandanti per tre giorni. E allorché fu mattina, il metropolita e i vescovi, gli igumeni indossarono le sante pianete e, accese le candele e gli olezzanti incensieri, si avvicinarono ai Santi, e presero la bara di Boris, e la deposero sulla portantina, e portarono le funi ai principi e ai boiari, avanti andavano i monaci con le candele, dietro di loro i preti, quindi gli igumeni, quindi i vescovi, avanti la bara, mentre i principi camminavano ai lati della bara tra due stecconate. Ed era impossibile trasportare con facilità a causa del numero delle persone: ruppero le stecconate, ed altri invasero la città e rubarono, come era impressionante vedere tante persone. E ordinò Volodimir di gettare al popolo pezze di seta, lana, pelli di scoiattolo, di gettare agli uomini, fortemente pigiati, monete d'argento, e poterono cosí trasportare facilmente in chiesa e posarono la bara al centro della chiesa, e andarono a prendere Gleb. E allo stesso modo lo trasportarono, e lo deposero presso il fratello. Sorse una disputa tra Volodimir e Davyd, e Oleg, giacché Volodimir avrebbe voluto che venissero tumulati al centro della chiesa e che fosse costruito in alto un terem d'argento, mentre Davyd e®leg avrebbero voluto tumularli sotto la volta «dove il padre mio costruí », indicarono il lato destro, dove essi stessi avevano costruito la volta. E disse il metropolita e i vescovi: « Gettate il dado, e dove piacerà ai martiri, là li tumuleremo », e si misero d'accordo. E pose Volodimir il dado suo, e Davyd e®leg il loro dado sulla sacra tavola; e venne fuori il dado di Davyd e di Oleg. E li tumularono sotto quella volta, sul lato destro, ove ora si trovano. Furono trasportati i santi martiri, il secondo giorno di maggio, dalla chiesa di legno a quella di pietra di Vysgorod. Costoro elogiarono i principi russi e furono i protettori della terra russa, costoro disprezzarono la gloria di questo mondo, ed amarono Cristo, e vollero andare secondo le orme sue, buone pecorelle di Cristo, trascinati al sacrificio non opposero resistenza, né sfuggirono alla morte coatta. Per questo anche re-
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gnarono con Cristo nella gloria eterna ed ebbero dal nostro Salvatore Gesú Cristo il dono di guarire, usandolo senza parsimonia per gli ammalati che con fede andavano al santo tempio di costoro, dei difensori della propria patria. I principi e i boiari e tutto il popolo festeggiarono per tre giorni e lodarono Iddio e i santi martiri. E quindi si separarono per andare ciascuno alla propria casa. Volodimir abbellí la bara con argento e con oro, e abbellí la loro tomba, cosí ornò anche la volta di oro e di argento e gli uomini dinanzi ad essa pregarono per la remissione dei peccati. In questo anno vi fu un segno: scomparve il sole e spuntò una luna, e gli ignoranti dissero che questa aveva mangiato rl sole. Questo stesso anno morí Oleg Svjatoslavic, il giorno primo del mese di agosto, e il giorno 2 fu sepolto nel monastero di San Salvatore, presso la tomba del padre suo Svjatoslav. In questo stesso anno si costruí un ponte sul Dnepr. Anno 6624. Mosse Volodimir contro Gleb: giacché Gleb aveva combattuto i Dregovici e aveva appiccato fuoco a Slucesk, e non se ne era pentito, ma ancor piú era stato avverso a Volodimir, rimproverandolo. Volodimir, allora, sperando in Dio e nella giustizia, mosse alla volta di Minsk con i suoi figli e con Davyd Svjatoslavic e i figli di Oleg. E Vjaceslav occupò Rsa e Kopysa; e Davyd e Jaropolk occuparono Druck, e Volodimir stesso mosse alla volta di Smolensk; e rinchiuse Gleb in città. Volodimir costruí un'izba, nel suo quartiere dirimpetto alla città. Avendo visto ciò, Gleb ebbe paura, e cominciò Gleb a supplicare Volodimir, inviando i suoi ambasciatori. A Volodimir dispiaceva sparger sangue durante i giorni del Gran Digiuno, e glí concesse la pace. Gleb uscito dalla città con i figli e con la druzina si inchinò a Volodimir, e pronunziando parole di pace, Gleb promise che avrebbe obbedito in ogni cosa Volodimir. Volodimir, fatta la pace con Gleb, e istruitolo su ogni cosa, dette a lui Minsk, ed egli stesso se ne tornò a Kiev, Jaropolk fondò la città di 2eldij per i Drucani, che erano stati fatti prigionieri. In quello stesso anno Mstislav Volodimirovic mosse contro i Cudi insieme ai Novgorodiani e agli Pskoviani, e occupò la loro città denominata Medveza Glava 1, e fecero innumerevoli prigionieri, e tornarono in patria con molti prigionieri. In quello stesso anno mosse il principe Leone, genero di Volodimir, contro l'imperatore Alessio, e gli furono assegnate alcune città danubiane; e nella città di Derestr proditoriamente uccisero due saraceni mandati dall'imperatore, il giorno =5 del mese di agosto. Nel1
Medveza Glava (« Testa d'orso»), nome di una fortezza estone.
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lo stesso anno il principe Volodimir mandò Ivan Voitisic, e costui designò governatori lungo il Danubio. In questo stesso anno Volodimir, mandò suo figlio Jaropolk, e Davyd suo figlio Vsevolod sul Don, ed essi conquistarono tre città: Sugrov, Sarukan' e Balin. Allora Jaropolk prese per sé una donna: molto bella, la figlia prigioniera del principe del Caucaso. Quello stesso anno morí anche Peredslava, la monaca, figlia di Svjatoslav. In questo stesso anno andò Vjaceslav sul Don con Foma Ratiboric e giunti a Derestr e non riuscendo ad andare oltre, se ne tornarono. In quello stesso anno si batterono con i Cumani, e con i Turchi, e con i Peceneghi presso il Don, e si batterono due giorni e due notti, e giunsero nella Rus' presso Volodimir i Turchi e i Peceneghi. Nello stesso anno morí Roman Vseslavic. Nello stesso anno morí Mstislav, nipote di Igor'. Nello stesso anno Volodimir dette sua figlia Agaf 'ja in isposa a Vsevolod. Anno 6626. Volodimir condusse da Novgorod Mstislav e assegnò a lui il padre Belgorod, e a Novgorod era il figlio di Mstislav, nipote di Volodimir. In questo stesso anno Volodimir andò contro Jaroslav alla volta di Volodimir, e Davyd e i figli di Oleg, e Volodar', e Vasil'ko e lo rinchiusero nella città di Volodimir, e stettero circa sessanta giorni, e conclusero la pace con Jaroslav. Allorché Jaroslav si assoggettò e chinò la fronte dinanzi a suo zio Volodimir, Volodimir lo sottomise a lui in tutto, ordinandogli di andare da lui: « allorché ti chiamerò ». E cosí tranquillamente si separarono e ciascuno fu per proprio conto. Allora giunsero presso i Bulgari i Cumani, e il principe bulgaro mandò loro bevande avvelenate, e, dopo aver bevuto Aepa e tutti gli altri principi Yeumani morirono. In questo stesso anno morí Lazar ', vescovo di Perejaslavl', il 6 settembre. Nello stesso anno giunsero i Belovezci nella Rus'. Nello stesso anno prese Volodimir in moglie per Andrej la nipote di Tugorkan. In quello stesso anno il 26 settembre la terra tremò. In quello stesso anno Volodimir condusse fuori da Minsk Gleb, e fondò sull'Al'ta una chiesa in onore del martire... Volodimir mandò suo figlio Roman a governare Volodimir. Nello stesso anno morí l'imperatore Alessio, e assunse il regno il figlio suo Giovanni.
Indice dei nomi e dei luoghi
Abele, 52, 83. Abimelec, 35, 84. Abramo, lo, 35, 50, 53, 54, 76, 78. Adamo, xc, ro, 39, 5r-53, 58, 6x, 1o5, 126, 168. Adriano, città, vedi Adrianopoli. Adriano, imperatore, 23, 24. Adriano, papa, 67. Adrianopoli, 24. Adriatici, paesi, 4. Adriatico, mare, 4. Adulb, mercante ambasciatore, 26. Adun', mercante ambasciatore, 26. Aepa, figlio di Asin, chan cumano, 140, 163, 176. Aepa, figlio di Girgen, chan cumano, r63. Africa, 94, 172. Agaf'ja Vladimirovna, figlia di Vladimir il Monomach, 176. Agamennone, 24. Agar, 54• Agari, rz. Agatone, 67. Aldan, chan cumano, r41. Aktevu, ambasciatore, 18. Albania, 3. Aldan, mercante ambasciatore, 26. Aleksandr 7aroslavic Nevskij, xxix, xxxzv. Alessandria, Lxxxlv, clli, 67. Alessandro il Macedone, Lxxxiv, cvii, xo, 132, 146, 165• Alessandro, imperatore, 14, 17, 18. Alessio I Comnene, 16r, 175, 176. Al'ta, fiume, 76, 77, 83, 96, ro6, r76. Altunopa, chan cumano, 156, 157, r61. Alvad, ambasciatore, 26. Amartolo, vedi Giorgio Amartolo. Amazzoni, 9. Amfilofij, vescovo, 162. Aminod, 26. Ammon, figlio di Lot, 132. Amos, 57. Anastasio, chersonese, 64, 67, 70, 72, 8z. Anastasio il Grande, patriarca, 22. Anatolio, patriarca, 67. Andrea, santo, 6, r45• Andrej Vladimirovic, figlio di Vladimir il Monomach, 176. Andronico, santo, 16.
Angli, xcvI, 4, rr. Anna, moglie di Vladimir Svjatoslavic, Lxxvll, 64, 75. Anna Vsevolodna, vedi7anlca Vsevolodna. Antiocheni, 22. Antiochia, LXXXIV, 22, 67. Antioco IV Epifanio, Lxxxiv, cIIi, 94, 171. Antonij, monaco del monastero Pecerskij, Lxx, LXXII-LXXV, LXXX, 89-91, Io6, I09-II. Antonio il Grande, cm. Apollinare, patriarca, 67. Apollonio di Tiana, xcix, 22, 23. Apub'ksar', mercante ambasciatore, 26. Arabia «Antica », 3. Arabia «Felice», 3. Aran, 165. Ararat, xxx. Arcadia, 4. Ares, 57. Ario, eretico, 66, 67. Armenia, xvi. Armenia «Grande», 3. Armenia «Piccola», 3. Aronne, 53-56. Arslanapa, chan cumano, 161. Asaduk, chan cumano, 138. Aser, 54• Asin (Osen) chan cumano, x16, 139, 141, 163• Askol'd, XVII, xxxv, LX.^IX, LXX.II, XCVIII, 12, 13• Asmud, tutore di Svjatoslav, 31, 33. Assiri, 3, 168. Assiria, 4, 59. Asup, chan cumano, 16r. Atanasio, patriarca, cm, 67. Athos, monte, vedi Monte Santo. Aurelio, imperatore, 172. Avakum, 168. Avari, vedi Obri. Azguluj, chan cumano, 141. Baal, 57. Babele, Torre di, xcli. Babilonesi, 9. Babilonia, 3, 4, I13• Bactriana, 3. Bactriani, 9. Bagubars, chan cumano, 139, 141• Balaam, 23, r68.
18o
Indice dei nomi e dei luoghi
Balin, città, 176. Basilio I, il Macedone, 12, 14. Basilio II, il Bulgaroctono, 42, 63, 64. Basilio di Cesarea, 66. Basilio il Nuovo, x.LVII, cm, clv, cxx, 66, 134• Batyj, chan cumano, xxxix. Belaja Ve"za [del Don], città, 37. Belaja Ve"za [dell'Oster], città, 139. Beldjuz, chan cumano,161. Belgorod, CI, cx, 46, 70, 73, 99, 118, 150, 172, 174, 176. Beljaev, I. D., xxxvIll. Belkatgin, chan cumano, 138. Beloberei'e, località alle foci del Dnepr, 43. Beloobereg, 28. Beloozerci, loo, IoI, 146, 147, 148. Beloozero, xvli, xvIII, xx, Lxxxi, LxXXII, LXXXVI, XCIII, CVIII, 7, II, 12, 100. Belovezci, abitanti di Belaja Veza dell'Oster, 176. Belzy, città, 86. Beniamino, 54. Berendei, 154. Berendi, pecoraio di Svjatopolk Izjaslavic, 151• Berest'e, città, XLII, 83, 84, 137, 152 , 155, 157, 158• Berestiani, 157. Berestovo, Lx, Lxx, 46, 75, 89, I04, 130, 131. Bern, mercante ambasciatore, 26. Bestuiev-Rjubnin, K. N., xxxvlli. Betel, 57. Betleem, 58, 6o. Bisanzio (Costantinopoli), xVIII, xx, xXIv, XXX, XXXI, XLII, LVII-LXI, LXIV, LXX, LXXI, LXXIII, LXXIX, LXXX, XCVI-C, CIII, CXIII, CXX, CXXI, 5, 7, Io, 12, 17, x8, 22-25, 34, 41, 42,
46, 62, 66, 67, 88, x16, 161. Bitinia, 3, 24. Bjandjuk, servo di Vladimir Vsevolodovic Monomach, 129. Blacherna,I2, 170. Blud (Budy), voevoda, 44, 45, 82. Boldino, IIO. Boleslao I, re, xix, xx, Lxxx, 73, 82, 86, 88. Boleslao 11, re, 99, 100. Boleslao III, re, 16o. Bolus, principe cumano, 93. Bonjak, chan cumano, 130, 131, 140, 156, 157, 163. Boric, ambasciatore, 26. Boricev, xxxiv, 6, 31, 67. Boris, Aleksandrovic, principe di Tver', XXXIX, XLIII.
Boris Vjaceslavic, figlio di Vjaceslav Jaroslavic, CXVII, CXVIII, 113, 114, 138. Boris Vladimirovic, figlio di Vladimir SvjatoslaviC, XLVII, LVI, LVIII-LX, LXVII, LXXXIII, LXXXVIII-XC, CIX, 46, 70, 75-79, $Ie 83, 103, I04, I17, I25, 159, 173, 1 74 . Bosforo, 3. Boz'sk (Buz'sk), 154, 158• Britannia, 4, 9.
Indice dei nomi e dei luoghi Brjacislav Izjaslavic, figlio di Izjaslav Vladimirovic, 75, 84, 89, 95, 98. Brjacislav Svjatopolkovic, figlio di Svjatopolk Izjaslavic, 162. Brody, città, 138. Bruny, mercante ambasciatore, 26. Budy, vedi Blud. Bug, 7, 8, 82, 140, 155• Bulgari [del Danubio], xvIII, xx, xcnl, 7, II, 15, 16, 23-25, 37, 40, 49, I18, 154, 176. Bulgari [del Volga], 5, 49, 50, 62, 63, 85, 132. Bulgari (Neri), 29. Bulgaria, xvIII, xcll, 5, 23, 26, 42. Burcevi, chan cumani, 141. Buzani, abitanti delle rive del Bug, 7. Buz'sk vedi Boi'sk. Buz'slcij Ostrog, 158. Cabalia, 3. Cadice, 3. Caifa, 23. Caino, LxxIII, 52, 76, 78, 83. Calcedonia, 66. Caldei, 9. Cam, LXxxI, xCII, XCIII, 3, 4, 6, 52, 104, 1 73• Cana, 54. Canaan, 56, I04. Cappadocia, 3. Caria, 3. Carlo Magno, xCli. Carolingi, 4. Casimiro, re, 88, 89. Caspio, mare, Lxxlx. Caucastci, monti, vedi Ungari. Caucaso, XVI. Cechi, xxix, Lxxxi, xCII, 5, 14, 15, 39, 73, 83, I13,170. Cecoslovacchia, Lx. Cefalonia, 4. Celesiria, 3. Celestino, papa, 67. Cenegrepa, chan cumano, 161. C,`eremisi, xcIII, 7. Cern, vedi Isakij. CernigoV, XIII, LIII, LXXII, LXXV, LXXVII, LXXXVI, LXXXIX, CXVI, CXIX, 17, 18, 27, 8486, 92, 97, 98, 110, 113, 114, I16-x8, I20, I23, I24, I28, 13 0 , 138, 139-41 > 144, 157, 170, 174. Cernigovci, 114, 138. Certoryjsk, città, 158. Cerven, città, 47, 83, 86, 156, 157• Chalep, città, 139. Chazari, xvi, xvIII, xxll, xXV, xxx, LXXVII, LXXX, XCIV, 7, 10-12, 14, 30, 37, 50, 84, 116. Cherson, città, xvIII, XXXIX, Li, LII, LXXVII, LXXVIII, 6, 42, 63-65, 67, 70, 95Cherson, regione, 28, 29. Chersonesi, LxxvIIl, 25, 28, 63-65, 68, 95. Chio, 4. Chodota, principe dei Vjatici, 138. Chorevica, montagna, 6. Choriv, fratello di Kij, xv, LXXXII, XCIII, 6, 7, 12.
Chorol, fiume, 138, 163, 166. Chors, divinità pagana, 46. Chortica, isola, 16o. Chorutani, xcli, 5. Chrean, personaggio leggendario, xvi. Chvalisi, xcIII, 6, 132. Chvalisi, Mare dei, xcIII, 5. Cilicia, 3. Cipro, CIiI, 3. Cirene, 3. Cirillo (Costantino), apostolo slavo, xcv, xcxx, 15• Cirillo, patriarca di Alessandria, 67. Cirillo, patriarca di Gerusalemme, 67. Cirillo di Scitopoli, scrittore ecclesiastico bizantino, cIII. Ciro, eretico, 66. Ciro, imperatore, 169. Citeevici, 138, 140. Citera, 4. Clemente, papa, 67. Clemente, santo, 67. Colchide, 3. Colomanno, re, 156. Commagena, 3. Corduena, 3. Corfú, 4. Corno d'Oro, 12, 17, 24, 36. Cosroe, imperatore, 7. Costantino, vedi Cirillo. Costantino il Grande, imperatore, LvII, I,xiII, LXV, LXXVIII, Io, 35, 63, 64, 76. Costantino V l'Iconoclasta, 94. Costantino VII Porfirogenito, 18, 23, 26, 34. Costantino VIII, imperatore, 42, 63, 64. Costantino IX, il Monomaco, 88. Costantinopoli, vedi Bisanzio. Creta, 3. Croati, 8, 16, 25, 70. Croati Bianchi, xcll, 5. Cudi, XCIII, 4, 7, II, 13, 16, 44, 70, 86, I02, 175.
Cudi del Zavoloc'e, 4. t;udin, kieviano, xvIII, 3r, 98, I04, 113. Cumani, XIV, XXII, XXIII, XXXII, XXXIV, XLVII, XLVIII, LI, LXXI, LXXII, LXXV, LXXX, LXXXIII, LXXXV, LXXXVII, XCIV, CII, CVI, CX, CXVII, CXVIII, 9, 14, 93, 96, 98, 100, 113, 116, 122-
I25, I2 7-32, 138-41, 148, 149, 152, 154, 159-63, 167, 172, 176.
Dalmazia, 3. Damaso, papa, 67. Dan, città, 57. Dan, figlio di Giacobbe, 54• Daniele, LIV, 35, 105, 165, 168, 170. Daniil, vescovo di Jur'ev, 172, 174. Daniil Romanovic Galickij, xxlx, xxxlv, xLII. Danila Lovcanin, eroe delle byliny, XXIII. Danubio, xvnl, xxxIV, XCII, xcnl, 4, 5, 7, 8, 14, 15, 23, 25, 37, 39, 88, 154, 1 75• Dario, re, 165. David, lo, 35, 40, 44, 56, 58-6o, 69, 72, 79, I05, 131, 143, 164, 173. 20
x81
Davyd Igorevic, figlio di Igor' Jaroslavic, cix, cx, x16, I17, 140, 148-58, 170. Davyd Svjatoslavic, figlio di Svjatoslav Jaroslavic, xxIII, CX, 129, 130, 146, 148, 152-60, 162, 163, 166, 167, 170, 173-75. Davyd Vseslavic, principe cumano, figlio di Vseslav Brjacislavic, 16o, 16z. Da"z'bog, divinità pagana, 46, 173. Degeja, torrente, 167. Demetrio, santo, 17. Dem'jan, monaco del monastero Pecerskij, Io8. Derestr (Dorostol), città,16, 41, 42, 176. Derevi, 3. Desna, xvll, 4, 5, 34, 70, 138, 163. Diogene,i28. Dioscoro, eretico, 66. Dir, XVII, XXIV, LXXX, LXXXII, XCVIII, 12, 13. Dmitr, stalliere di Davyd Igorevic, 151. Dmitr Ivorovic, voevoda, 163. Dnepr, XvII, xlx, LXx, xcll, XCIII, CxvII, 4-7, I0, I2, 14, 28, 34, 38, 67, 68, Si, 85, 89, 95, I00, I24, 130, 152, 163, 175. Dnestr, 4, 8. Dobrynja, zio di Vladimir Svjatoslavic, xIxxxIII, 22, 40, 46, 49, 8z. Dobrynja Raguilovic, voevoda, 147. Dolobsk, località presso il lago omonimo, 16o, 166. Domiziano, imperatore, 22. Domnio, patriarca, 67. Don, xxlx, 140, 163, 166, 167, 175, 176. Dorogobuz, città, 117, 155, 158. Dorogoiic, località presso Kiev, 44. Dorostol, vedi Derestr. Dregovici, xcll, xcIII, 5, 7, 175. Drevliani, xvII, xxxIV, xLVnI, xLlx, xcllxcrV, XCIX, 5, 7, 8, Io, 14, 16, 23, 30-34, 40, 70. Drucani, 175. Druck, città, 122, 138, 175. Duben, città, 158. Dulebi, xclv, 8, 16. Dvina, xCII, XCIII, 4-7. Ebrei (Giudei), 15> 50, 53, 54-57, 59, 6o, 62, I04, 165, 168, 169, 171. Eden, 51, 53. Efeso, 66. Efesto, 173. Efrem, alto dignitario kieviano, Lxxlv. Efremo, metropolita greco di Kiev e vescovo di Perejaslavl', LXIx, I18, Izo, 147. Egizi, lo, 53-55, 61, 172, 173. Egitto, 3, 54-56, 6o, 165, 172. Egri, ambasciatore, 26. Ekaterina Vsevolodna, figlia di Vsevolod Jaroslavic, 163. Elena, imperatrice, madre di Costantino il Grande, Lvil, 35. Elia, patriarca, 67. Elia, sacerdote, 56, I05. Elleni, vedi Greci. Elovit, uccisore di Boris Vladimirovic, 78. Elymais, 3.
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Indice dei nomi e dei luoghi
Emi, xxx, xcIII, 4, 7, 88. Emig, mercante ambasciatore, 26. Enoc, 35, 84. Eolide, 3. Epifanio di Cipro, cm, r64, 169. Epiro, 4. Eraclea, 24. Eraclio, imperatore, 7. Eremija, monaco del monastero Pecerskíj, 1o8. Erode, 6o, 168. Esaú, 54, 104• Esdra, 59. Etiopia, 3, 35. Etiopia «altra», 3. Eton, ambasciatore, z6. Eubea, 4. Eufemij, 1o6. Eufrate, 3, x69. Europa, Xv, XxIV, XCIV, XcVI. Eutiche, eretico, 66. Eutiche, patriarca, 67. Eva, xc, 52, 61. Evagre, eretico, 66. Evfimija Vladimirovna, figlia di Vladimir il Monomach, 170. Evlisk, 26. Evpatij Kolovrat, xxxnr. Evpraksija Vsevolodna, figlia di Vsevolod Jaroslavic, 162, 163. Evstafij Mstislavic, figlio di Mstislav Vladimirovic, 86. Ezechia, rr3. Ezechiele, 57. Faleg, 4. Faraone, xo, 23, 35, 55, 56. Farlaf, ambasciatore, 17, 18. Fast, z6. Fenicia, 3. Feodosij, igumeno del monastero Pecerslcij, LIII, LXXII-LXXV, LXXXVIII, LXXXIX, CII, CIX,
91, 92, 104-13, r18-2r, 131, 148, 163, 164. Fermufi, figlia del Faraone, 55. Foka, nobile di Bisanzio, 25. Foma Ratiboric, 176. Fost, ambasciatore, 18. Fozio, patriarca, 12. Franchi, xcll. Frasten, ambasciatore, 26. Frelav, ambasciatore, r8. Frigia, 3. Frigia «antica», 3. Frutan, mercante ambasciatore, 26. Fudri, ambasciatore, 26. Furosten, mercante ambasciatore, z6. Gabriele, arcangelo, Lxvl, 55, 6o, 169. Gad, 54. Galazia, 3. Galic, xIII, xxxlv, %LII, cxvl. Galiziani, xcvl, 4. Galizio-volyniano, territorio, xII. Gedeone, 6r, 84, 132• Geleani, 9,
Indice dei nomi e dei luoghi Genovesi, 4. Geona, vedi Nilo. Georgij, servo di Boris Vladimirovic, 77. Gerberstein, S., cxIx. Geremia, 57-59, 173. German, i d°umeno, 104, 131• Germani, 4, 113. Gerusalemme, LxI, lo, 50, 56, 57, 59-61, 67, 8r, 94, 165, 168, 171. Giacobbe, 5o, 54, 59. Giobbe, 126. Giordano, 6o. Giorgio, metropolita, 91, 104, I05. Giorgio, patriarca, 67. Giorgio Amartolo (Amartolo), xLVII, xLlx, XCIV, XCVIII, XCIX, CIII, CV, CXIV, CXX, 9. Giosuè, 56, 168. Giovanni Battista, 6o, 115, r69. Giovanni Bocca d'Oro, 168. Giovanni Malala (Malala), xLVII, cIII. Giovanni Sincello (Sincello), cIII. Giovanni lI Comnene, r76. Giovanni Zimisce, xLIV, 42. Giovenale, patriarca, 67. Girgen, chan cumano, r63. Giuda, figlio di Giacobbe, 54, 58• Giuda, giudice, 56. Giuda Iscariota, 23. Giudei, vedi Ebrei. Giuseppe, figlio di Giacobbe, 54• Giuseppe, sposo di Maria, 6o. Giustiniano, imperatore, 94. Gjurjata (Gurjata) Rogovic, cvll, CXIV, 1 45, 146. Gleb, principe cumano, 139. Gleb Svjatoslavic, figlio di Svjatoslav Jaroslavic, LIII, LXXIV, LXXVII, 94, 103, 107, 113, r38• Gleb Vladimirovic, figlio di Vladimir SvjatoslaviC, XLVII, LVI, LVIII-LX, LXVII, LXXXIII, LXXXVIII-XC, CIX, 46, 70, 78, 79, 81, 103, 104, 117, 125, 159, 1 74, 176. Gleb Vseslavic, figlio di Vseslav Brjacislavic, 140, 162, 163, 175• Glogau, città, 137. Goljadi, 93. Goloticesk, città, roo. Golta, fiume, 166. Goltav, città, 140. Gomol, mercante ambasciatore, 26. Gomorra, 50. Gordjata, kieviano, xvIII, 31. Gorislava, vedi Rogneda. Gorjaser, uccisore di Gleb Vladimirovic, 79. Gor'kij, M., xv. Gorodec, città presso Kiev, XXXIII, CX, 85, x52, 158, 168. Gorodec, cittadina a nord-ovest di Perejaslavl' del sud, xr5. Goro"sin, città, 138. Goti, xcvl, 4, rr. Greci (Elleni), xvIII, xXlv, axv, xxlx, xLVI, XLVIII-L, LIX, LXI, LXIII, LXV, LXIX, LXXIX, LXXXIII, XCV, XCIX-CI, CIII, CIV, CXIII, 5, 8,
11-17, 19-26, 2 8-30, 34, 37, 40-43, 46, 48, 5o, 51, 62-64, 67, 88, 95, 116, 128, 169, 170. Grecia, LXIn, CXX, 18, 20, 21, 27, 39, 46, 48, 70, 91, 105, 1r6, 118. Gregorio, teologo, 67. Grekov, B. D., xv. Grim, ambasciatore, z6. Gudy, ambasciatore, 18, 26. Gunar, 26. Gunastr, ambasciatore, 26. Gurjata, vedi Gjurjata Rogovic. Ibn Fadlàn, xxxlv. Idolis"ce, eroe delle byliny, xxrl. Igeld, ambasciatore, 26. Iggivlad, ambasciatore, 26. Ignat, monaco del monastero Pecerskij, ro6. Igor', nipote di Sgor' [non meglio identificato], 26. Igor' Jaroslavic, figlio di Jaroslav Vladimirovic il Saggio, 92, 93. Igor' (Rjurikovic?), xvll, xXIV, xXVII, XLVII, XLVIII, L, LVI, LXII, LXXX, LXXXII, XCIV, XCV, XCVIII-CI, CIII, CIV, IO, rr, 13, r6, 23-
26, 29-33. Igor' Svjatoslavic, principe di Novgorod-Severski, figlio di Svjatoslav Ol'govic, xxxll, xxxlv. Ilarion, metropolita, XXIX, xXX, LVIII, LX-LXX, LXXIII, LXXIV, LXXXIII, 89, 90. Il'ja Muromec, eroe delle byliny, xxll. Illiria, 4, 16. Il'men', xcll, cvIII, 5. Indi, 3, 9• India, 3. Inegeld, ambasciatore, 18. Ioann (Ivan), igumeno del monastero Pecerskij, LXXXIII, LXXXVIII, YI2, x18. Ioann II, metropolita, 117, 118. Ioann III, metropolita, 118. Ioann, vescovo, 118, Izo, 170. Ionia, 4. Ippolito, scrittore II-III secolo, 169. Isacco, LxXxI, 50, 54. Isaia, 57-59, 8o. Isajja, vescovo, rr8. Isaldj (Cern), monaco del monastero Pecerskij, 109-I2. Isalcij, monaco e cuoco del monastero Pecerskij, rrx. Iskal, principe cumano, 93. Iskorosten', città, XVII, CI, 31, 33. Iskusevi, ambasciatore, 26. Ismaele, 54, 126, 131, 132• Israele, 55-6o, x26. Issachar, 54• Istr, ambasciatore, 26. Istrin, V. M., LIV. Itaca, 4. Italia, 67. Itlar, chan cumano, x28, 129, 140. Ivan, scriba, 21. Ivan, vedi Ioann. Ivan Tvorimiriè, voevoda, xx, 88. Ivan Voitisic, voevoda, r76.
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Ivan 2iroslavic, boiaro, 113. Ivanec, novgorodiano, XXXIII. Ivanka Timo"skinic, novgorodiano, xxxIll. Ivanka Zachar'ic, voevoda, 162. Ivor, ambasciatore, 26. Izborsk, città, xvll, XVIII, LxXXI, LXXXII, CVIII, II.
Izbygnev,r62. Izjaslav Jaroslavic, figlio di Jaroslav Vladimirovic il Saggio, XLIV, LIII, LXXI-LXXV, LxXX, Lxxxl > 85, 90-93, 95-100, 103, I04, rso, 113115, 127, 137, 138, =49• Izjaslav Mstislavic, principe di Kiev, figlio di Mstislav Vladimirovic, xxx, xxxlll. Izjaslav Vladimirovic, figlio di Vladimir il Monomach, 129, 142, 143, 146, 147. Izjaslav Vladimirovic, figlio di Vladimir Svjatoslavic, xxl, 46, 70, 75, 84, 89. Jafet, XCII, xCIII, 3> 4, 7, 52, 146. Jakim Ivankovic, novgorodiano, x
Jaroslav Vsevolodovic, figlio di Vsevolod Jur'evic, xxazll. JaroslaviCi, XXI, LXXII, LXXV, LXXVI. Jaroslavl', città, loo. Jatreb, 132, 146. Jatviaghi, 47, 88, 170. Javtiag, ambasciatore, z6. Jur'ev, città, xIII, 86, 104, 120, 129, 139, 16r, 172,r74. Jurevci, 129 . Jurij Vladimirovic (Dolgorukij, Mano-Lunga), figlio di Vladimir Monomach, xxxlll, r63. Jurij Vsevolodovic, principe di Vladimir, figlio di Vsevolod Jur'evic, xxxlll.
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Indice dei nomi e dei luoghi
Indice dei nomi e dei luoghi
Kagan, principe chazaro, 37. Kanicar, ambasciatore, 26. Kapic, città, 44. Karamzin, N. M., XLII. Karl, ambasciatore, 17, 18. Karn, ambasciatore, x8. Kar"sev, ambasciatore, 26. Kary, ambasciatore, 26. Kasoghi, Lxxvll, cxvl-CxVIII, 37, 84, 95. Kazarin, eroe delle byliny, xxIII. Kcij, chan cumano, x61. Kiev (Kuar), XIII, XV-XIX, XXIII, XXXIII, XXXIV, XXXIX, XLIII, XLIV, LII, LIII, LIX, LXIII, LXIV, LXVI, LXVII, LXIX-LXXVIII, LXXXLXXXII, LXxXIV, LXXXVI, LXXXVIII, XCI, XCIII, XCV, xcV2L-xCIx, Cl, CVI, CVIII, CIX, CXIII-CXVII, CXIX, CXXI, 3, 6-8, lo, 13, 14,
x6-18, 21, 22, 26, 27, 30, 31, 33-36, 38-40, 43-49, 65, 67, 70-72, 75, 76, 81-86, 89, 90, 92, 93, 96-100, I04, I05, 113-17, 122-25, 128-31, 141 , 146, 149> 151-53, 155-57, 159, 164, 171 , 172, 175. Kievec, XvIII, 7. Kieviani, XxIII, XXIV, XXVI, XXVII, xxxlv, LVII, LXXI, LXXII, LXXV, LXXX, LXXXII, LXXXVI, CVIII, 32, 39, 45, 76, 84, 86, 97, 99,
115, 117, 118, 123, xz4 > 150, 152, 153> 171. Kievo-Pecerskij, vedi Pecerslcij. Kij, leggendario fondatore di Kiev, xv, xvIII, LXXXII, LXXXIV, XCIII, CXIII, 6, 7, 12. Kirill, scriba di Daniil Romanovxc, xLII. Kiríll Turovskij, xxvI. Kitanopa, chan cumano, x61. Kitei, XXXIX. Kle"scino, lago, xcIII, 7. Kliment, igumeno del monastero Pecerskij, I19• Kljaz'ma fiume, x48. Kljucevs^tij, V. O., xLI. Klov, ruscello, 163, x70, 174. Kocel, principe moravo, x5. Koksus, chan cumano, 141. Kolclco, servo, x51 > 153. Kol Klek, ambasciatore, 26. Kolok"sa, vedi Ku1a"c'ca. Kolomna, xXxlx. Komarovic, V. L., LxxvII, cxl. Konigsberg, cxix. Konstantin Dobrynic, posadnik, xIX, xx, xxll, 8z. Kopysa, città, 175. Kordna, città, 138. Korsi, xCIII, 4, 7. Kosnjacko, voevoda, 98. Koàemjaka, CI, 71. Krasn, città, 139. Krivici, 7, 9, 11-13, 16> 25, 44> 70. Ksnjatin, città, 140. Kuar, personaggio leggendario armeno, xvl. Kuar, vedi Kiev. Kuci, ambasciatore, 26. Kulacka (Koloksa), xxvll, 148. Kul'mej, bojaro, 153. Kuman, chan cumano, x61. Kunop, mago, 103.
Kunuj, cumano, 148. Kupan, vescovo, 157. Kurja, chan cumano, 130. Kurja, principe pecenego, 43. Kursk, città, 129, 137. Kurtok, chan cumano, x61. Kytan, chan cumano, I28. Labano,54• Ladoga, XIII, XVII, XVIII, XXIV, CVII, CVIII, 172. Ladozani,172. Lamec, 83, 84. Latini, 15. Lazar', igumeno del monastero di S. Michele a Kiev, 104, 118, 173. Lazar', vescovo, 173, 176. Lazar', vladimiriano, 154 155• Lazzaro, santo, Io6, 167. Leone, figlio di Diogene, 128, 175. Leone, padre di Cirillo e Metodio, 15. Leone, papa, 67. Leone III l'Isaurico, 94. Leone VI il Saggio, 14, x6-18 > 21, 23, 34. Lesbo, 4. Letgoli, 4. Levi, 54. Lia, 54. Libia, 3. Libia «altra», 3. Libiar, ambasciatore, 26. Licaonia, 3. Licia, 3. Lichnitia, 4. Lidia, 3. Lidul, ambasciatore, i8. Lipica, fiume, xxvll. Listven, città, 85. Lituania,cxlx. Litvi, xcIII, 4, 7, 88. Livi, xcIII, 7. Ljachi, xxlx, Lxxxl, xcll, 4, 5> 8, 15, 47, 49, 73, 82, 83, 86, 98-IOO, x04, 110, 113, z17> x22> 137, 153-58, 16o, I70. Ljasko, uccisore di Boris Vladimirovic, 78. Ljube"', Xxxv, CIX, 13, 17, 81, 89, 149• Ljubi, 4. Ljut Svenel'dic, 43. Ljutici, xcll, 5. Locride, 4. Logozslc, città, 138. Lot, 35, 54, 132. Lovat', fiume, 5. Luben, città, 140, 162. Luca, 66. Lucani, xx7. Lucesk, città, 117, 155, 157. Luga, fiume, 34. Luka, vescovo di Belgorod, I18. Luka 2idjata, vescovo di Novgorod, 86. Lukoml', città, 138. Lybed', fiume, 39, 46. Lybed', sorella di Kij, xv, 6, 7. Macedoni, 25. Macedonia, 3, 14, 24, 66.
Madian, 55, 61. Mal, principe drevliano, 31, 32. Malachia, 57. Malala, vedi Giovanni Malala. Malfred' Mstini"sna (o Mstislavna), xxll, 75. Malk Ljubecanin,4o. Malu"sa, dispensiera di Ol'ga, xxl, 40. Maometto, 49, 50. Marfida Vseslav'evna, eroina delle byliny, xxll. Marija, moglie di Jan Vysatic, 120. Marin, vescovo, xzo, I29. Marmaxica, 3. Massiria, 3. Matvej, monaco del monastero Pecerskij, Io8. Mauretania, 3. Maurizio, imperatore, 94. Mazoviani, xCII, 5, 88, 89. Media, 3, 4. Medvedica, fiume, 147. Medveza Glava, città, 175. Melecio, patriarca, 67. Menandro, mago, 23. Menandro, storico bizantino, xClx. Meniani, 95. Mentej, personaggio mitico, xvl. Meoti, 3. Meri, XCIII, 4, 7, 11-13, 16. Mesia, 3. Mesia «altra», 3. Mesopotamia, 3. Metodio, apostolo slavo, xcv, xclx, 15, x6. Metodio di Patara, xLVII, CIII, CvII, 132, 146. Metrofane, patriarca, 67. Michail, altro nome di Svjatopolk Izjaslavic. Michail, vescovo, I04, 105. Michail Alelcsandrovic, principe di Tver', XLIII.
Michail Tol'bekovic, monaco del monastero Pecerskij, Io9. Michea, 58. Michele, arcangelo, 51, 168-7o. Michele, monaco del monastero di Stoudion, 91. Michele III, imperatore, 10-12, 15. Milcifor Tudorovic, novgorodiano, XXXIII. Milnllin, città, 138. Miller, G. F., xxxvll. Miller, V. F., xxIII. Mina, vescovo, x6z. Minsk, città, 95, 138, 140, 162, 175, 176. Moab, 132. Mojslav, principe dei Mazoviani, 89. Molcos, divinità pagana, 46. Molossi, 3. Monomaco, imperatore, 88. Monte Santo (Athos), 89-91. Mony, ambasciatore, 26. Moravi, xcll, 5, 14-16. Moravia, xclx, 5, 15. Mordvi, XCIII, 4, 7, x61. Moria, 56. Mosca, XLII, XLIII, CXVIII, CXIX. Mosé, xo, 35, 54-57, 59, I03, 105, 164, 166, x68, x7o.
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Mostrom, 173. Msta, fiume, 34. Mstisa Drevljanin, xxvII. Msti s" a Ljut Svenel'dic, glx, xX, xxll, 31. Mstislav, paternità ignota, nipote di Igor' Jaroslavic, x76. Mstislav Danilovic, xLII. Mstislav Izjaslavic, figlio di Izjaslav Jaroslavic, LXxII, 99, 100, 97. Mstislav Izjaslavic, principe di Kiev, figlio di Izjaslav Mstislavic, xxx. Mstislav Mstislavic Udaloj, figlio di Mstislav Rostislavic, xxVII, XxxII. Mstislav Svjatopolkovic, figlio di Svjatopolk Izjaslavic, 156-58. Mstislav Vladimirovic, principe di Tmutorokan, figlio di Vladimir Svjatoslavic, Lxxvll, LXXXI, CXVI, CXVIII, 46, 70, 84-86. Mstislav Vladimirovic (in altre cronache Stanislav Vladimirovic), figlio di Vladimir Svjatoslavic, 46, 70. Mstislav Vsevolodovic, figlio di Vsevolod Igorevic, 158-6o, 175. Murom, città, XXXIX, 12, 70, I18, 129, 143, x46-48. Muromi, XCIII, 4, 7, 12, 129, 148. Mutur, ambasciatore, 26. Nabucodonosor, 23. Nachor, 53. Nazaret, 6o. Neftali, 54• Nektan, 4. Nemiga, fiume, xLVIII, Lxxv, Lxxvl, 95. Neradec, uccisore di Jaropolk Izjaslavic, 117. Nero, fiume, 12. Nero, mare, xvIII, xxXl, LIII, Lxxvll-LxXIx, XCIII, 24. Vedi anche Pontico, mare. Nerone, 94. Nestor, monaco del monastero Pecerskij, LXXIV, LXXXVIII-CVI, CVIII, CIX, CXI, CXVIII.
Nestorio, eretico, 66. Nevo, lago, 5. Nevrod, 53• Neiatin, città, Ioo. NeZatina Niva, presso Cernigov, cxvIl, 114. Nicea, 66, 67. Niceforo, patriarca, xLVII, cIII, cxx. Nicomede, 24. Nikifor, kieviano, xvll, 3x. Nikifor, metropolita, 162, 172, 174. Nikita, vescovo di Belgorod, 172, 174. Nikita, vescovo di Novgorod, 148. Nilcita Zale"sanin (o Zaole"sanin), xxll. Nikolaj, igumeno del monastero Pecerskij, 104. Nikolaj, metropolita, 152. Nikolaj, monaco del monastero Pecerskij, 1o6. Nikol'slcij, N. K., LIV, cxXII. Nikon, monaco del monastero Pecerslcij, LIII, LIV, LXXIV-LXXXIII, LXXXV, XCV, I09, III, 118. Nilo (Geona), 3. Niniviti, 1o5. Niznij Novgorod, xLII, aLIII, cxvlll.
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Indice dei nomi e dei luoghi
Indice dei nomi e dei luoghi
Noè, xCn, 3, 35, 52, 53, 61• Norici, 4. Normanni, XCVI, 4, II. Noromi, 7. Novgorod, xli, xni, xvn,
xlx, xxi, xxvn, XXXII, XXXIII, XXXV, XXXIX, XLII-XLIV, XLIX, L, LXXVII-LXXIX, LXXXI, LXXXII, LXXXV, XCII, CVIII, CXV, CXVI, 5-7, I1-14, 34, 40, 44, 46, 70, 73, 75, 82, 84-86, 89, 92, 93, 95, 103, 113, 118, 129, 138, 145, 147, 148, 159, 170, 172, 176. XX, XXVII, XLII, LXXX, LXXXI, LXXXV, CVIII, 7, II, 40, 46, 81, 82, 84, 86,
Novgorodiani,
129, 147, 148, 159, 175. Numidia, 3. Nun, 56, x68.
Nura, fiume, 159. Obnorskij, S. P., c. Obri (Avari), xxxv, xcul, xcIV, 7, 8. Obrov, città, 138. Odresk, città, 138. Oka, fiume, xCIII, 7, 8, 37. Okov, foresta, xcIII, 5. 01'beg Ratiboric, 129. Olderico, principe dei Cechi, 73. Oleb, ambasciatore, 26. Oleg, voevoda, xvll, xxiv, xxvll, XXXI, L, LVI, LXXX, LXXXII, XCIII, XCVIII-CI, CXIII, 8, Io, 13, 14, x6-x8, 2I-23, 25.
Oleg Gorislavic, vedi Oleg Svjatoslavic figlio di Svjatoslav Jaroslavic. Oleg Svjatoslavic, figlio di Svjatoslav Igorevic, XVII, LII, 38, 40, 43, 44, 89.
Oleg Svjatoslavic, figlio di Svjatoslav JaroslaVic, XXIII, XXVII, CX, CXVII, CXVIII, 113, 114, 116, 128-30, 138-40, 146`49, 151, 152, 158-6o, 162, 163, 17 2-75• Oles'e, città, xx6.
O1'ga, moglie di Igor' (Rjurikovic?), xvll,
XXIV, XXVII, XXXIV, XLVII-XLIX, LVI-LIX, LXVII, LXVIII, LXXIX, CI, 16, 26, 31-40, 63.
O1'govici, Cxvl, 176. Olivi, monte degli, 61. O1-ma, palazzo di, 13. Oreste, 23. Oreste, città, vedi Adrianopoli. Oriente, xcIV. Origenet eretico, 66. Orlov, A. S., XLI. Orogost', boiaro, 158. Oronte, città, 22. Osea, 57, 59. Osen, vedi Asin. Osseti, 37. Oster, fiume, 70. Ostromir, posadnik, xIx, 93. Ovruc (Vruc), città, XVII, LII, 43. Paflagonia, 3, 24. Panfilia, 3. Pannonia, 16. Panthir, comandante, 25. Paolo, apostolo, x6, 5o, 69. Pasynec, 3o.
Patara, xLVII, CIII, cm, 232, 146. Pavel, igumeno, Lxxxlx. Pavel, monaco del monastero Pecerskij, 1o6. Pavel, posadnik, cvil, 172. Peceneghi, XVIII, XIx, XCIII, xCIV, CI, 8, 23-
Poromon, palazzo di, 81. Pozvizd Vladimirovic, figlio di Vlarl9m;r Svjatoslavic, 70. Prasten, ambasciatore, rappresentante di Bern,
26, 37-39, 41-43, 45, 70-76, 81-83, 86, 13 2 , 154, 16x, 176. Pecerslcij (Kievo-Pecerskij), monastero, xLlv, LIII, LXIX-LXXV, LXXIX-LXXXIII, LXXXVILXXXIX, XCI, XCIV, XCV, XCVII, CI, CII, CVI, CIX, CXI, CXV, 89, 91, 92, I04, x05, 113, I18, 128, 131, 162, 163, x68, 170, 174•
Prasten, ambasciatore, rappresentante di Turd,
Pecora, 145• Pecorani, XCIII, 4, 7. Pelenia (Peloponneso), 4. Peloponneso, vedi Pelenia. Peredslava, vedi Predslava. Perejaslavci, 42, 130. Perejaslavec, cittadina sul Danubio, 37-41. Perejaslavl' del sud, LxxII, CI, cxvl, 17,
x8, 27, 70, 71, 92, 93, I04, xx6, x18, I20, 122I24, 128, 230 , 137-4 0 , 16o, 162, 172, 174, 176.
Perejaslavl' Zalesskij, cxvi. Peremil', città, 153. Peremysl', città, 47, 117, 149, 156, 158• Perevoloka, città, 122. Permi, XCIII, 4, 7. Persiani, 168, 169. Perside, 3. Perun, divinità pagana, Lxv, x8, 27, 30,
26. 26.
Prasten Akun, ambasciatore, 26. Predslava, principessa russa, 26. Predslava (Peredslava) Svjatopolkovna, figlia di Svjatopolk Izjaslavic, 16x. Predslava (Peredslava) Svjatoslavovna, figlia di Svjatoslav Izjaslavic, monaca, 176. Predslava (Peredslava) Vladimirovna, figlia di Vladimir I Svjatoslavic, 78, 8x. Predslavino, villaggio, 46. Pretic, voevoda, 38. Priluk, città, 122, x 39• Pripjat', fiume, xCII, 4, 5, 163. Priselkov, M. D., LXix, Lxaall, Lxxiv, LxxvIIl, LXXIX, LXXXIII, LXXXVI, LXXXIX, CVII, CXXI, CxxII.
Prochor, igumeno del monastero Pecerskij, 171, 1 74 .
Provo, imperatore, 172. Prozorovskij, D. I., xix. Prussi, 4. Psel, fiume, x66. Pskov, XnI, xVII, XxXIV,
46, 67, 68.
Pesocen, città, 122. Petr, vescovo, I04. Pietro, apostolo, 6, x68. Pietro, principe bulgaro, figlio di Simeone, 25. Pietro il Balbuziente, 67. Pietro il Grande, cxix. Pilato, 15, 6o. Piniani, 157. Pinsk, città, 149, 152, 155• Pi s" can', fiume, 49. Piscani, 49. Pisidia, 3. Pocajna, fiume, 36. Pogodin, M. P., xxxvlll. Pogorina, regione, 152. Polacchi, xvIII, XCII. Poliani (Poluni), XvI, xxv, Lxxvil, xcll-xclv, CXXII, 5-8, 10-12, 14-16, 25.
Polilcarp, monaco del monastero Pecerskij, LXXXIX.
Poliziano, 67. Polocani, XCn, xCIII, 5, 7. Polock, città, XII, XIII, XIX,
XXI, LIII, 12, 17, 44, 70, 84, 95, 99, 100, 121, 122, 138, 156,
157, 162.
Polonia, XLIV, CXIX. Polota, fiume, xcll, 5, 7. Poluni, vedi Poliani. Pomorani, xCII, 5. Pontico, mare, xcIII, 4-6, (vedi anche Nero, mare, Ponto Eusino). Ponto Eusino, 24. Porej, voevoda, 93, 113•
Rode, x68. Rodi, 4. Rodnja, città, xxxv, 45. Rogneda Rogvolodovna, principessina cumana, xIX, XxI, 44, 46, 75•
Rogvolod, principe cumano, xxl, 44. Rogvolodici, principi di Polock, xxl. Roma, xxIx, xxX, Lxxxiv, xcnl, 5, 6, 22, 49, 50, 66, 67, 76, 170.
Roman Mstislavic di Galic, xxxv. Roman Svjatoslavic, principe di Tmutorokan, figlio di Svjatoslav Jaroslavic, 113, 116. Roman Vladimirovic, figlio di Vladimit Monomach, 172, 176. Roman Vseslavic, figlio di Vseslav di Polock, x76.
Romani, 4, 51, 66, 94. Romano, imperatore, cm, 24-26, 30. Romen, città, 140. Ros', fiume, 45, 86, 129, 140. Rosino, xcvlll. Rosso, fiume, 3. Rosso, mare, 55• Rostislav, principe moravo, 15. Rostislav Mstislavic, figlio di Mstislav Izjaslaviè, xz7.
Rostislav Vladimirovic, principe di Tmutorokan, figlio di Vladimir Jatoslavic, xLVIII, XXXVIII, XLII, 16, 34,
87. 42,
187
Pskoviani, 175. Putjata Vysatic, voevoda,
xXII, xXIII, 157,
158, 162, 171.
Putjatin Putjatovic, eroe delle byliny, xxIII. Put'"sa, uccisore di Boris Vladimirovic, 77, 78.
Rachele, 54• Radim, capostipite leggendario dei Radimici, Radimici, xcIV, xcix, 8, 14, 16, 49. Radko, xx7. Radkov, novgorodiano, xxxxxl. Radosyn', x68. Rakomo, villaggio, Lxltxl, 8=. Raffaele, 168. Rastovec, città, Ioo. Ratibor, posadnik, I16, 1z8, 129, x58• Rededija, principe dei Kasoghi, Lxxvll, cxviCXVIII, 84.
Rimov, città, 139. Rinocorura, 3. Ris', xcvlll. Rjazan', città, xxxix, xLn, x3o, x48. Rjazan'ci, 148. Rjurik, capostipite leggendario dei principi della Rus ' , xvll, L, LxxxII, xC, xcVl, cvIII, 11-13.
Rjurik Rostislavic, figlio di Rostislav Mstislavic, cxv. Rjurik Rostislavic, figlio di Rostislav Vladimirovic, 122. Rjurikovici, x17. Roal'd, mercante ambasciatore, 26. Roboamo, 56.
LXXIV-LXXVII, LXXXI, 93-95, 122.
Rostislav Vsevolodovic, figlio di Vsevolod Jaroslavic, cxVII, cxvIn, xoo, I17, 118, 122I25, 1 33, 1 39•
Rostislavici, cxvi, x16, 149. Rostov, XIII, XCIII, CXVI, 7, 12,
17, 70, IOO,
121, 129, 137, 1 40 , 143, 146, 147.
Rostovci, 147, 148• Roine Pole, 156. Rsa, villaggio, 96, 175. Rual'd, ambasciatore, 18, 26. Ruar, ambasciatore, x8. Ruben, 54• Rudica, 149. Rulav, ambasciatore, x7,18. Rus ' , xI-XvI, XVIII, XIx, XXIV, xXVI, XXIX, XXXII, XXXVI, XXXVII, XXXIX, XLV, XLVIIXLIX, LIII, LVI-LIX, LXII-LXV, LXVII-LXX, LXXII-LXXVII, LXXIX, LXXX, LXXXII, LXXXIV, xcIII-xcvIlI, CIV, CXIV-CXXI, CXXIII, 5, 7, 8, 16, x7, x8, 20, 2x, 25-28, 36, 39, 41-44, 47, 49, 75, 76, 83, 88, 89, 107, 113, 116, 118, x61, 176.
Rusa, fiume, xcvlll. Ruska, xcvIll. Russi, xII, XIV, xlx, XX, xXn, xxlv, xxv, xxx, XL, XLVI, LIX-LXIII, LXVI, LXVIII, LXXI, LXXVII, LXXIX, LXXX, LXXXIII, LXXXV, XCIII, XCIV, XCVI, XCVIII-CI, CIV, CXIII, CXIV, CXVII, CXXII, 4, I0-13, 15-2x, 2 4-3 0 , 40-42 , 49, 63, 64, 71, 81, 82, 88, 89,16o, x61.
Russia, xcvll, Cxlx.
5achmatov, A. A., xlx, xxll, xxxvllI,
xLIII, XLIX-LVII, LXXIII, LXXVIII, LXXIX, LXXXIV, LXXXIX, XCII, C, CV, CVI.
Sakov, città, 159.
188
Indice dei nomi e dei luoghi
Sakz, chan cumano, 139. Sal'nja, fiume, 141. Sal'nica, fiume, 167. Salomone, xo, 35, 36, 39, 40, 46, 47, 56, 57, 72, 76, 77, 87, 115 . Samaria, 57. Samoiedi, CVII, 145, 172. Samuele, vate, 56, 57, 105. San, fiume, 157. San Mamas, x8, 27. Sant'Eterio, 28. Sara, 54, 132. Saraceni, 95, 132• Sardegna, 3. Sarmati, 3. Sarug, 53• Sarukan, chan cumano, 141, 163. Sarukan', città, 166, 176. Satana, 51, 52, 78, IoI, 149. Sauk, chan cumano, x38. Saul, 23, 35, 56. Sava, igumeno del monastero del Salvatore di Berestovo, 174. Sava di Gerusalemme, xo6. Sava «il Beato », CIII. Sbyslava Svjatopolkovna, figlia di Svjatopolk Izjaslavic, 16o. Scandinavi, xvin. Scandinavia, xcvi. Scek, fratello di Kij, xv, LXXXII, XCIII, 6, 7, 12. Scekovica, 6, 22. Sceva, 23. Sciti, 7. Scizia, 3, 8, 17. SchlSzer, A., Xxxvll, cxx. Sdila Savinic, novgorodiano, xxxiii. Sejm, fiume, 5. Sem, xCII, XCIII, 3, 4, 6, 52. Selcsna, fiume, xoo, 102. Sepol', città, 153. Serbi, XCII, 5. Sergio, eretico, 66. Set, LXXXI, 52, I04. Setoml', fiume, xLvIn, 87, 94. Severiani, xcIv, xClx, 5, 7, 8, II, 14, 16, 85• Sfirka, ambasciatore, 26. Sibrid, ambasciatore, 26. Sichbern Sfandr, ambasciatore, 26. Sicilia, 4. Silvestr, igumeno del monastero Vydubinskij, CV, CVI, CVIII, CIX, CXI, CXVI, CXVIII, 164, 174. Silvestro, papa, 67. Simar'gl, divinità pagana, 46. Simeone, figlio di Giacobbe, 54• Simeone, re bulgaro, x6, 23-25. Simone, mago, 23, I03• Sinai, monte, 56, 1o5. Sincello, vedi Giovanni Sincello. Sinear, campo, 4 Sineus, fratello di Rjurik, xvil, LXXxII, xevl, CVIII, Ir, 12. Sinko, ambasciatore, 26. Sinope, Lxxxlx, 6.
Indice dei nomi e dei luoghi Siria, 3, 94. Siriaci, 9. Sirte, 3. Slavi, XVI, XVII, XCII, XCIII, XCV, CVIII, 4-8, 11-16, 18, 25, 44, 70, 82, 86. Slavjata, boiaro, 128. Sloveni, x6. Slucesk, città, 175. Sludy, ambasciatore, 26. Smirne, x69. Smjadino, fiume, 78. Smolensk, città, XIII, CXVI, CXIX, 7, 13, 78, 92, 93, 96, 1 13, 129, 130, 137, 13 8, 140, 146, 172, 175 . Smolensk, principato, Smolniani, 130. Snov', fiume, 98. Snovid Izecevic, stalliere di Svjatopolk Izjaslavic, x5i. Snov'sk, città, 98. Sodoma, 50. Sodomiti, 35• Sofronij, igumeno, Lxxxlx, I04. Sole, divinità pagana, figlio di Svarog (vedi anche Daz'bog), 173• Soz (o Soiica), fiume, 8, 113. Sozavski, monastero, L%. Sreznevskij, I. I., xxxvm, cxx. Stanislav Vladimirovic, figlio di Vladimir Svjatoslavic, 70. Starodub, città, 130, 138, 140, 144. Stavko Gordjatic, 137. Stefan, igumeno del monastero Pecerskij, poi vescovo, xo6, 107, 109, xxx, 113, 119, 120, 128, 131, 163. Stefano, imperatore, 26. Stefano, re degli Ugri, 73. Steggi, ambasciatore, 26. Stemid, ambasciatore, 17, 18. Stir, ambasciatore, 26. Stoudion, Lxxx, 91. Stribog, divinità pagana, 46. Strizen', fiume, 114. Stroev, P. M., xxxvxl. Stugna, fiume, cxvix, 70, 124, 139• Suchomlinov, M. I., Lxxvl. Sudislav Vladimirovié, figlio di Vladimir Svjatoslavic, 70, 93. Sudomir', fiume, 84. Sugr, chan cumano, x63. Sugrov, città, 167, 176. Sula, fiume, 5, 70, 139, 140, 162, 166. Supoj, fiume, x38. Sur'bar', chan cumano, x61. Sutejsk, città, 137, 157• Suten', fiume, 16o. Suzdal', xIII, XLII, 84, 85, x46-48• Suzdal'ci, 147, 148• Svarog,x73. Svedesi, Xavl, 4, xx. Sven', ambasciatore, 26. Svenal'd (o Svenel'd), voevoda, xxx-xxl, 30, 31, 33, 42, 43. Svjatopolc , città, 129. Svjatopolk, principe moravo, 15.
Svjatopolk Izjaslavic, figlio di Izjaslav JaroslaViC, XLIV, LXXI, LXXX, LXXXI, LXXXIII, LXXXVI-LXXXVIII, XC, CII, CVIII-CXI, II, IOO,
113, 118, 123-25, 128-31, 1 3 8 -4 0 , 1 48-63, 266, 167, 170, 171, 175• Svjatopolk Vladimirovic, figlio di Vladimir Svjatoslavic, xxx, xx, xxIII, Lxxxl, xc, 45, 46, 70, 75-84. Svjato"sa (Svjatoslav) Davydovic, figlio di Davyd Svjatoslavic, 156, 157, 162. Svjatoslavl', città, 139. Svjatoslav Igorevic, principe, xvIII, xIx, xxiv, XXV, XXVII, XXXII, XLVIII, XLIX, LXII, LXXIX, LXXX, XCV, c, xx, 26, 31, 33, 34, 36-43, 89.
Svjatoslav Jaroslavic, figlio di Jaroslav Vladimirovic il Saggio, XXXII, XLIII, XLIV, LIII, LXXI-LXXV, LXXXI, LXXXVI, 85, 92-101, I03105, I07, 110, 113, x16, 137, 138, 149, 176. Svjatoslav Ol'govic, figlio di Oleg Svjatosla vic, xxxlll. Svjatoslav Vladimirovic, figlio di Vladimir Svjatoslavic, 46, 70, 8o. Svjatoslav Vladimirovic, figlio di Vladimir Vsevolodovic il Monomach, 128, 162, 172. Talec, uccisore di Boris Vladimirovic, 78. Taman', città, xvl. Tarasio, patriarca, 67. Tare, 53. Tatari, cxvIll. Tatiscev, V. N., xxIII, xxxVll. Tauri, 3. Taz, chan cumano, 163. T'chver, xxxlll. Teba, santo, 67. Tebe, 3. Tedeschi, 62, 63. Teodoro, comandante, 25. Teodoro, patriarca, 67. Teodosio, santo, 92, xo6, x18. Teofane, patriarca, 25, 67. Teofilo, segretario di Giovanni Zimisce, 42. Teoktista, igumeno del monastero Pecerskij, 163, 1 70, 1 74• Teopempt, metropolita greco, cxXl, 88. Terebovl (o Trebovl'), xxIII, clx, cxl, 149, 153, 154. Tessalia, 4. Tessalonica, 14, 15• Tigri, 4. Tilen, ambasciatore, 26. Timoteo, patriarca, 67. Tiverci, xCxv, 8, 14, 16, 25. Tmutorokan, xvIII, xxll, xxIII, XLVIII, LIII, LXXIV-LXXVIII, LXXXI, LXXXVI, 70, 84, 93-95, 113, 114, 116, 128. Torcesk, città, 123-25, 127, 128, 139. Torci, 116, 125. Torcin, inviato di Davyd e Oleg Svjatoslavic, 158. Torcin, uccisore di Gleb Vladimirovic, 79. Toropec, città, xo9. Traci, 3, 25. Tracia, 14, 23, 24. Trepol', città, 124, 125.
189
Troade,3. Truan, ambasciatore, x8. Trubei, fiume, cx, 70, 130. Truvor, fratello di Rjurik, xvll, LXXXII, xevl, CVIII, II, 12. Tuada, 26. Tudk, 26. Tugorkan, chan cumano, 128, 130, 131, 139, 176. Tuky, boiaro, 98, I13. Turbern, ambasciatore, 26. Turd, 26. Turijsk, città, 155• Turjak, vladimiriano, 154, 155• Turobid, ambasciatore, 26. Turov, città, LXXXVIII, 44, 70, 116, 118, 123, 138, 141, 149, 152. Turovci, 44• Turchi, 49, 93, 132, 140, 154, 161, 176. Turcomanni, 132. Tury, varjago, 44. Tver', città, XXXIX, XLII, XLIII, CXVI, CXVIII. Tverdislav, posadnik, xxxlll. Ugri, xVIn, XIX, XCIX, CvII, 4, 14, 16, 24, 25, 39, 73, 8o, 145, 156-58, 161, 170, 172. Ugri « bianchi », XCIII, 7. Ugri «neri», xCIII, 8. Ulan, servo, 151, 153• Uleb, ambasciatore, 26. Ulici, xciv, 8, 14. Ungara, terra, 5 Ungari, monti (Caucasici), 4. Ungheria, vedi anche Ungara terra, xcll. Urub, chan cumano, 140. Urusoba, chan cumano, x6o, x61. Ust'e, cittadina, 130. Ut, 26. Uvetici, città, 158. Vagr, fiume, 156, 157. Vakej, vladimiriano, x51. Vam, monte, 56. Varin, città, 139. Varjaghi, XxX, XCIII, xcv, xcvl, xCVIII, 4-6, 11-14, 16, 25, 44-46, 75, 81, 82, 85, 86. Varjago, mare, XCIII, 4, 5Varja"zko, voevoda, 45Varlaam, alto dignitario kieviano, Lxxiv. Varlaan, igumeno del monastero Pecerskij, 91. Vasil', posadnik di Vladimir, 154, 155, 157• Vasil'ev (o Vasilev), LxxvIIl, 65, 72. Vasilij, ambasciatore e scrittore della Rus', CIX, CX, 153. Vasil'ko Romanovic, fratello di Daniil di Galic, xxxxv. Vasil'ko (Vasilij) Rostislavic, figlio di Rostislav Vladimirovic, xxIII, XXXIII, ca-CxI, 122, 148-156, 158, 176. Vel'mud, ambasciatore, 17, 18. Veneziani, 4. Vesi, XCIII, 4, 7, 11-13. Virgilio, papa, 67. Vistola, xcii, 5. Viticev, collina, 129.
190
Indice dei nomí e dei luoghi
Vjaceslav Jaropolkovic, figlio di Jaropolk Izjasiavic, 16o, 162. Vjaceslav Jaroslavic, figlio dí Jaroslav Vladimirovic il Saggio, 86, 92, 93, I14• Vjaceslav Vladimirovic, figlio di Vladimir Vsevolodovic Monomach, xxxlll, 148, 162, 172, 176. Vjacka, novgorodiano, xxxlii. Vjatici, xCiv, 8, 9, rI, 16, 37, 47, 70, 137, 13 8. Vjatko, capostipite leggendario dei Vjatici, 8. Viadimir Davydovic, principe dit;ernigov, XXXIV.
Vladimir Igorevic, figlio di Igor' Svjatoslavic,
xxxIV. Vladimir Jarroslavic, figlio di Jaroslav Vladimirovic il Saggio, LxI, xcvlll, 84, 86, 88, 89, 92, 93.
Vladimir-Suzdal', principato, xII. Vladimir I Svjatoslavic, xlv, xvIII-xxv, xxvll, XXIX, XLIII, LI, LII, LVI-LXVI, LXVIII, LXXVII, LXXVIII, XC, Cl, CII, CXIII, CXVII, II, 38,
40, 43-51, 59, 61-65, 67, 68, 7 0 -73, 75, 84, 87-89, 122. Vladimir-Volynskij, città, xIII, cix, cx, cxvi, 70, 92, 93, I16, 117, 120, 128, 137-140, 149, 151, 153-159, 162, 176. Vladimir Vsevolodovic Monomach, figlio di Vsevolod Jaroslavic, xII, xxIII, xxvl, xxlx, XXXVI, LXXXVII, CV, CVII-CX, CXII, CXVIICXIX, 92, I13, 114, 116, I17, I23, 124, 128-
130, 132-146, 148-154, 157-163, i66, 168, 170-176. Vladimir Zalesskij, città sulla Kljaz'ma, xnl, XLII, XLIII, CXVI.
Voin', città, 93, 116, 140, 163. Voist, ambasciatore, z6. Vojk, 26. Vojkina, r17. Volchov, fiume, xxxIIl, cvIII, 4, 5, 46, 93, 103, 172. Volci, XX, LXXx, xclI, XCVI, 4, 5, 14. Vol'cij Chvost, voevoda, 49. Volga, xCIII, 4, 5, 7, 37, 78, 85, 100, 133, 147. Volodar' (Vladimir) Rostislavic, figlio di Rostislav Vladimirovic, rr6, 149, 154, 156, 158, 16r, 172, 176. Volodimerci, 154, 157• Volodimir, vedi Vladimir. Volodislao, re, 155• Volodislav, principe russo, 26. Volos, divinità pagana, x8, 42. Volyn' , città, 82, 113. Volyniani, 7, 8. Voronica, 140. VorotislaV, kieviano, XvIII, 31. Vorskla, fiume, 166. Vozdvi z" ensk, vedi Zvi z" den'. Vruc, vedi Ovruc.
Vseslavici, xxl, 162. Vseslav Brjacislavic, principe di Polock, xXlx, XXXIV, LIII, LXXII, LXXIV, LXXV, CXVII, 89, 93-96, 98-100, I04, 110, 138, 159. Vseslav Izjaslavic, figlio di Izjaslav Vladimi vie, 75.
Vsevolod Cermnyj, principe di Novgorod, XXXIII.
Vsevolod Davydovic, figlio di Davyd Svjatoslavic, 176. Vsevolod Jaroslavic, figlio di Jaroslav Vladimirovic il Saggio, xx, xLVIII, LxIx, Lxxl, LXXV, LXXVI, LXXXVI, CIx, 86, 92, 93, 95I00, I03, I04, 113-118, 121-123, 131, 137, 147, 1 49, 152, 159, 162, 1 6 3, 170, 173. Vsevolod Mstislavic, figlio di Mstislav Vladimirovic, cxv, 176. Vsevolod Svjatoslavic, principe di Kursk e di Trubecesk, xxxIV. Vsevolod Vladimirovic, figlio di Vladimir Svjatoslavic, 46, 70. Vsevoloz', città, 153, 154. Vuefast, ambasciatore, 26. Vuzlev, mercante, ambasciatore, 26. Vydobyc, collina, cv, CVI, cVIII, cix, 131, 1 49Vydubickij, monastero, Lxxxix, cv, cvl, cIxCXI, CXV.
Vygosevci, 157. Vyr' , fitllIle, 140, 172. Vysata Ostromiric, xvIII-xXII, xxxll, XLIII, LXXVIII, LXXIX-LXXXII, LXXXV, LXXXVI, 88, 93, 100. Vyseslav Vladimirovic, figlio di Vladimir Svjatoslavic, 46, 70. Vysgorod, città, 34, 46, 77, 78, 92, I04, 121, 125, 171, 174Vysgorodiani, 77.
Zabulon,54• Zaccaria, 59. Zacinto, 4. Zapava Putjaticna, personaggio delle byliny, xxll, XXIII.
Zarecesk, città, xxll, 162. Zarub, città, 130. Zasakovci, I29. Zavoloc , città, 113.
2danov, I. N., LxI. Zdeslav Geguevic, boiaro, LxxxIx. 2elan', fiume, 125. 2eldij, città, 175. Zenobio da Glak, xvl. 2idjata, vedi Luka 2idjata. Zimegoli, xCIII, 4, 7, 162. Zimisce, vedi Giovanni Zimisce. Zolot'ca, fiume, 159. Zvenigorod, città, 117. Zvizden (Vozdvi"zensk), città, cx, 151.
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I LUIGI SALVATORELLI, Il pensiero italiano dal r7oo al i87o.
I rovesci piú caratteristici degli eserciti nella guerra mondiale r9r4-.r8. 3 IVANOE BONOMI, Mazzini triumviro della Repubblica romana. 4 P. E. SANTANGÈLO, Massimo d'Azeglio politico e moralista. 5 ALFRED DUFF COOPER, Talleyrand. 6 LUIGI SALVATORELLI, Sommario della storia d'Italia dai tempi preistorici ai, nostri giorni. 7 CHRISTOPHER DAWSON, La nascita dell'Europa. 8 LOUIS VILLAT, La Rivoluzione francese e l'I ,mpero napoleonico. 9 GABRIELE PEPE, Il Medio EfJobarbarico d'Italia. Io ANGELA VALENTE, Gioàcchino Murat e l'Italia meridionale. II CARL J. BURCKHARDT, Richelieu. I2 GEORGE MACAULAY TREVELYÀN, Storia dell'Inghilterra nel secolo xix. 13 W. H. CHAMBERLIN, Storia della Rivoluzione russa. 14 GIULIO DEL BONO, Cavour e Napoleone 111 15 LUIGI SALVATORELLI, Profilo delld storia d'Europa. 16 WERNER JAEGER, Demostene. I7 ALFRED LOISY, Le origini del Cristianesimo. 18 GEORGES RADET, Alessandro il Grande. 19 RUDOLPH WAHL, Barbarossa. 20 IVANOE BONOMi, La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto (r87o-i9r8). 2I NELLO ROSSELLI, Saggi sul Risorgimento e altri scritti. 22 ALLAN NEVINS e HENRY S. COMMAGER, Storia degli Stati Uniti. 23 RALPH KORNGOLD, Robespierre e il Quarto Stato. 2 AMBROGIO BOLLATI,
\
Finito di stampare il 24 luglio r97r per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a. presso l'Oíficina Grafica Artigiana U. Panelli in Torino C. L. 3189-8
politico
24 EDUARD FUETER, 1"92o).
Storia universale (18r5-
25 LOUIS DUCHESNE,
I primi tempi dello Stato
pontificio. Antistoria d'Italia. La 'reazione termidoríana. 28 GEORGE MACAULAY TREVELYAN, Storia della società inglese. 29 ADOLFO OMODEO, Il senso della storia. 30 GUSTAVE GLOTZ, La città greca. 31 DOMENICO DEMARCO, Il tramonto dello . Sta-, to pontificio. Il papato di Gregorio XVI. 32 ARTURO CARLO JF.MOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni. 33 V. GORDON CHILDE, Il progresso nel mondo antico. 34 BERNARD GROETHUYSEN, Origini dello spirito borghese in Francia. La chiesa e la borghesia. 35 ALBERT MATHIEZ, Carovita e lotte sociali sotto il Terrore. 36 MARC BLOCH, La società feudale. 37 LUIGI BULFERETTI, Socialismo risorgímentale. 38 ARNOLD J. TOYNBEE, Le civiltà nella storia. 39 EVGHÉNIJ V. TARLE, La vita económica dell'Italia nell'età napoleonica. 40 MARIO TOSCANO, Guerra diplómatica in Estremo Oriente (r9r4-r93r). 41 CHARLES GUIGNEBERT, Gesú. 4.2 MARCEL GRANET, La civiltà cinese antica. 43 ADOI.Fq OMODEO, Difesa del Risorgimento. 44 ALESSANDRO GALANTE GARRONE, Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento (r828-r837)45'PIERO PIERI, Il Rinascimento e la crisi militare italiana. 46 FRANCO VENTURI, Il populismo russo. 47 GUSTAVE GLOTZ, La éiviltà egea. 26 FABIO CUSIN,
27 ALBERT MATI-IIEZ,
Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II. 49 GEORGES LEFEBVRE, La grande paura dél z789. 5o NELLO ROSSELLI, Inghilterra e regno di, Sardegna dal z8z5a1 z847. 51 PAOLO AI:ATRI, Lotte politiche in Sicilia sótto il gover.no della Destra (z866-74). 52 GIAMPIERO CAROCCP, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal z876 al z887. 53 LUIGI SALVATORELLI e GIOVANNI MIRA, Storia d'Italia nel periodo fascista: 54 PRANZ BABINGER, Maometto it Conquxsta' tore. 55 GIUSEPPE BERTI, Russia e stati italiani nel Risorgimento. .56 HENRI.HAUSER C AUGUSTIN RENAUDET', L'età. del Rinascimento e' della Rif orma. 57 LEWIS B. NAMIERy La rivoluzione degli intellettuali e altri saggi sull'Ottocento europeo. $8 GEORGE C. VAILLANT, La civiltà azteca. 59 KAVALAM MADHAVA PANIKKAR, Storia delta dominazione europea in Asia dal Cinquecento ai nostri giorni. 60 GEORGES LEFEBVRE, La Rivoluzione francese. 6x. DENIS MACK SMITH, Cavour e Garibaldi nel x86o. 6Z ROBEBTO' BATTAGLIA, La prima guerra d'Africa. 63 DELIO CANTIMORI, Studi di storia. 64 GAETANO SALVEMINI, Magn a' ti e popolani in Firenze dal z28q al 1295. 65 ;ROLAND H. BAINTON, Martin Lutero. 66 GERHARD RITTER, I cospiratori'del 2o luglio 1944• Carl Goerdeler e l'opposixione antinazista. 67 KARL BRANDI, Carlo V. 68 RENZO DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. 69 NICOLA OTTOKAR, Il Comune di Firenze alla fine del Dugento. 70 RONALD SYME,. La rivoluzione romana. 71 PIERO PIERI, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni. 72 WALTER.MATURI, 3nterpretazioni del Risorgimento. 73 WILLIAM L. sHIRER, Storia del Terzo Reich. 74 FURIO DIAZ, Filosofia e politica net Settecento francese. 75 GEORGE DANGERFIELD, L'Era dei búoni senti' menti. L'America di Monroe (x8z2-z819). 76 FREDERICK WILLIAM DEAKIN, Storia della repubblica di Salò. 48
PERNAND BRAUDEL,
77
HUGH THOMAS,
Storia delta guerrd civile
spagnola. 78
EDWARD H. CUR,
Storia della Russia sovie-
tica. La rivoluzione bolscevica z917-z9-23, xi. La morte di Lenin. L'interregno z9231924• Il socialismo in un solo paese. 1. La politica intérna 1924-1926. 2. La politica estera z924-1926. 79 FEDERICO CHnBOD, Scritti su Machiavelli. 8o CORRADO VIVANTI, Lotta politica e pace re.ligiosa inFrancia fra Cinque e Seicento. 81 ROSERTO BATTAGLIA, Storia della Resistenza italiana (8 settembre 1943 - 25 aprile z945)• 82 MARINO BERENGO, Nobili e mercanti nella Lucca .del Cinquecento. 83 RENZO'DE FELICE, Mussoliniil rivoluzionario (z883-z92o). 84 ALEXANDER GERSCHENKRON, Il problema storico dell'arretratezza economica. 85 FRITZ FISCHEK, Assalto al potere mondiale. La Germania nella guerra i9z4-z9z8. 86 LUCIEN FEBVRE, • Studi su • Rif orma e Rinascimento e altri'scritti.su problemi di metodo e di geografia storica. 87 RAIMONDO LURAGHI,. Storia della guerra civile americana. 88 ERICH EYCK, Storia delta Repubblica di Weimar (z9x8-z933). 89 CARLO GINZBURG, I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento: 90 ROBERTO S: LOPEZ, La nascita dell'Europa (Secoli V-Xlv). 91 STEVEN RIINCIMAN, Storia delle Crociate. 92 RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista. 1. La conquista del pótere 1921-1925• xI. L'organizzazione dello Stato fascista -T.9 25--z'.92993 I prezzi in Europa dal xrrr secolo. a oggi. Saggi di, storia dei prezzi raccolti e presentati da Ruggiero Romano. 94 FEDERICO. CHABOD, Scritti sul Rinascimento. 95 PAOLO SPRIANO, ,Storia del Partito comunista italiano. x. Da Bordiga a Gramsci. zI. Gli anni della clandestinità. Iii. I fronti popolari, Stalin, la guerra. 96 GERHARD RITTER, I militari e la politica nella Germania moderna. Da Federico il Grande alla prima guerra mondialé. 97 GEORG OSTROGORSKY; Storia dell'imper,o bizaritino. I.
98 Il conilitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo rv. Saggi a cura di Arnaldo Momigliano. 99 GIORGIO SPINI, Autobiografia della giovane America. La storiografia americana dai Padri Pellegrini all'Indipendenza. I00 GINO LUZZATTO, L'econonaia italiana dal z86z al z894. 101 JAN ROMEIN, Il secolo dell'Asia. Imperialismo occidentale e rivoluzione asiatica nel secolo xx. 102 ENZO COLLOTTI, Storia delle due Germanie I945-I968. 103 FRANCO VENTURI, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria. 104 J. G. D. CLARK, Europa preistorica. Gli aspetti della vita materiale. 105 JEAN-PIERRE VERNANT, MitO e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica. Io6 WITOLD KULA, Teoria economica del sistema feudale. Proposta di un modello. 107 CARLO GINZBURG, IZ nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell'Europa del 'Soo. Io8 GERALD BRENAN, Storia della Spagna r874z936. Le origini sociali e politiche della guerra civile. 109 RUDOLF VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato. Storia e coscienza politica. 110 OWEN LATTIMORE, La frontiera. Popoli e imperialismi alla frontiera tra Cina e Russia. III PIERRE LÉVBQUE, La civiltà greca. 112 WILLIAM L. SHIRER, La caduta della Francia. Da Sedan all'occupazione nazista. 113 FEDERICO CHABOD, Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell'epoca di Carlo V. 114 FEDERICO CHABOD, Storia di Milano nell'epoca di Carlo V. I15 Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII. A cura di Itala Pia Sbriziolo. Con un saggio introduttivo di Dmitrij S. Lichacév.