MARCO MINUCIO FELICE
OTTAVI O CONTRADDITTO RIO FR A UN PAGANO E
UN C R ISTIANO
Biblioteca Universale Rizzoli
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MARCO MINUCIO FELICE •
OTTAVI O CONTRADDITTORIO FR A UN PAGANO E
UN CRISTIANO
Rizzo/i" Edl'tore
.PROPRIETÀ LETTERARlA RISERVATA
Titolo originale dell'opera: OCTAVIUS
TRADl'ZIOlSE
01 LUIGI RUSCA
Data della prima edizione B. U. R. della presente opera: agosto 1957
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STAMPATO IN ITALI.A
- PRINTED I N
RIZZOLt EDITORE
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MILANO
PIAZZA C, ERBA,
6
ITALY
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NOTA Curiosa sto1·ia. quella dell'operetta di Marco Minucio Felice che qui pubblichiamo, tma delle più note, oggi, fra quante noveri la letteratura cristfana dei primi secoli .
L'Ottavio
(Octavius), contradditto'rlo fra un Pagano
(Cecilia) ed un Cristiano (Ottavio), alla presenza in fun zione arbitrale dell'autore (Marco), fu per molti secoli considerato, per un equivoco sul titolo, come l" • ottavo libro di un'opera ( Adversus nationes , ) (li A.rnobio Afro. •
scrittore latino del lV secolo, originario della Numidia, la terra africana che così larga messe di scrittori diede alla letteratura dei primi secoli dell'Era volgare. Il ma noscritto del lX secolo, che contiene i sette libri dell'ope ra di Arnobio e l'Ottavio di Minucio, si conserva nella Biblioteca Nazionale di Parigi ed è l'unico a noi perve nuto z �· l'ignoranza del copista, èhe attribuì ad Anwbio un'opera tanto d�versa per stile e tono, è largamente do cumentata dagli errori di cui il testo formicola. Fu nel 1560 che il dotto umanista François Beaudoin (Balduinus) riparò all'errore nella sua edizione di Reidel berg,· dimostrando che non si trattava di un ottavo libro di Arnobio, ma di un'opera a. sé stante: il dialogo Ottavio, unica opera di un autore latino-cristiano dei primi secoli: Marco Minuccio Felice 3. 1
Adver$U.<> nationes significa letteralmente
stranieri
»,
cioè l
Pagani,
stranieri al
«
contro i popoli
Crlstianl. Ugual
titolo
reca una delle prime opere di TertuliJano. 2
Un manoscritto dell'Xl-Xli secolo che si conserva a Bruxel les, non è che una copia di quello di Parigi. 3
Prima dell'edizione eli Heidelberg del Beaudoin erano ap
parse tre edizioni dell'opera di Arnoblo (Roma 1543 e Basilea 1545 e 1560), nelle quali l'indipendenza da Arnobio dell'Oct
5
Di pochi scrittori dell'antichità. si l"Mmno così scarsi ragguagli come di lui. Lattanzio, nelle sue Istituzioni Dei difensori della nostra causa divine (V,. 1. 21) dice: che mi sono noti, Minucio Felice occupa fta gli avvocati 1tna posizione non da poco 1• Il suo libro intitolato Otta vio mostra quale eccellente campione della verità egli avrebl>e potuto essere, se si fosse inte1·amente consacra to a questo studio Sa-:t Gerolarno (Degli uomini illu stri, 58) l)revemente accenna a Min1tcio Felice, celebre a.vvoca�o di Roma, che scrisse u.n dialogo nel quale un Cristiano cliscute con un Pagano, e che si intitola Otta vio :.:_ In aUri luoghi, sia Lattanzio che San GeTolamo nominano Minucio: 1na è se·mplice accenno. senza parti colare alcuno sulla stt.a vita. Sì che siamo ridotti a con getturare intonw alla esistenza di 1'lt!inucio in base agli scarsi elen1-enti autobiografici contenuti nell'unica opera· sua; sembra perfino che gli antichi non avessero a dispo sizione dive1·se e più ampie fonti delle nostre. Minucio era avvocato 3: ce lo dice lui stesso accennan do (II, 1) che la gita a Ostia, dU?·ante la quale sorse la discussione fra Ottavio. difensore della fede cri$tia.na. e il Pagano Cecilio, ebbe luogo in occasione delle vacanze giudiziarie connesse con il periodo della vendemmia. Al t?·ove (III. 1) si parla di Cecilio come di un sectator (ac compagnatO?·e) di Minucio: gli avvocati di grido erano soliti farsi accompagnare da discepoli o da freqttentatori assidui del tribunale '· •
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1
L'espt·esslone di Latta n zio è: «non ignoòilis inter causidi co..:». La fredclezza del giudizio è spiegata dal fatto che Lat tanzio era un retore ed aveva pertanto poca simpatia per gli avvocati, almeno quali scrittori. �li Freppel, citato dal Léonard (Octavius de Minttcius Felix pat· F. Léonard, Namur. Wesmael·Charlier, 1883, pag. 19), ti tiene che l'acl"enno di San Gerolamo sj riferisca allo scarso approfondimento delle questioni teologiche nel dialogo mlnu· c·iano. Ma, a nostro avviso, si riferisce piuttosto a l fatto che all'Ottauio non seguì altra opera di Minucio di pari importanza. 3
Si noti come sia Lattanzio èbe San Gerolamo insistano sulla qllalifica di avvocato. Doveva pertanto aver lasciato chlara fa ma di sé più nel foro che negli ambienti letterari . • «
l n ca;,a e fuori ti sta sempl'e accanto». dice Ottavio al· l'inizio del dialogo, sottollneando la Intimità e anche una certa dipendenza dj Cecilio da Mlnucio (cap. Ili).
6
t
•
L'ambiente del dialogo appare curialesco: Ottavio. in tlrno amico di Minucio, era in Af?·ica avvocato di grido ed aveva preso parte a p1·ocessi cont1·o i Cristtani (XXV III, 3-4): i discorsi di Cecilia e di Ottavio hanno
�
l
tutto l'andamento di una arringa di avvocato, e la posi zione di Minucio1 che si asside quale arbitro fra i due, è quella di un compare chiam,ato a 'risolveTe una vertenza
fra colleghi, più che quella di un vero c proprio giudice t.
Minucio si era convertito al Cristianesimo essendo sta to, come egìi stesso dice (I. 4) e come conferma Cecilio
(in V, 1) compagno degli e1-rori suoi. Minucio non do vette poi -ulterio-rmente occuparsi di dijende1·e il Cristia nesimo o di scrivere su tale dottrina, se si presta fede all'osservazione sopra ripo1·tata di San Gerolamo �. Quanto alla patria di Minucio, tutto fa supporre che egli fosse della provincia d' Aj1·ica. vennto a Roma, come tanti altri. per esercita?' la professione eli avvocato. Egli è sempre citato
(Lattanzio e San Gerolamo) unitamente
ad altri scrittori africani dell'epoca (Tertulliano. Cipria no, Arnobio, Lattanzio); si parla1 nel dialogo, di Fron ·
tone, altro sc·rittore d'Africa, come di ·un conterraneo di Cecilio (IX, 6); si accenna con particolare interesse al viaggio compiuto da Ottavio per venire a Roma dall'Afri ca (Il, 33) ed alla famiglia colà lasciata. come a luoghi e persone già familiari. A qu,esti argomenti, ai riferimenti
epigrafici di tt:n.. Minucio Felice (a Tebessa e Cartaqine), di un Ottavio Januario e di un Cecilia Natale (rispetti· va1nente a Bougie e Costantin(L) si aggiungono i riferi· 1
Che Minucio fosse non a\'vocato ma giu1·econsulto (come il
termine causidic·us potrebbe autorizzal'e a ritenere) non ci sem bra possa dedursi dal dialogo. Di avvocati rin.1ast1 tall anche dopo l'abiura del Paganesimo fa menzione TertulUano
logia
(pubblicata
nella
presente
collana:
B.U.R.
nell'Apo
97:;.q76;
ve
dj al cap. XLII); tanto più quando avevano U temperamento conciliante di Minucio. e
Minu<:io
accenna
nell'Ottrwio
«fato» egli si riserva
(XXX VI,
di discutere
piit
2)
che
intorno
ampiamentP. in
al
altra
occasione. È immagine retori<:a, intenzione non realizzata, op pure accenno ad un'opera scritta sull'argomento
fato vel
contra mathematicos (contro
gli astrologi) attribulta a Minuclo, ma già da lui ritenuta non conforme allo stile dell'Ottavio.
7
menti contenuti nel dialogo a costumanze e divinità pro· prie della provincia africana; l'indipendenza con cui si . parla dell'Impero r omano 1; ma soprattutto l'ampia cono scenza che Mintwio dimostra delle prime ope1·e di Tertul liano (Ad nationes e l'Apologia}, il più celebre degli scrittori c1·istiani na.t.i sull'altra sponda del Mediterraneo. Incerta anche l'epoca in cui visse Minucio. Egli è cer to posteriore a Frontone (che visse fra il 100 e il 166 d. C.). le cui accuse contro i Cristiani sono rintuzzate nel dialogo 2 i è anche. come chiariremo più innanzi. poste riore almeno alla prima attività letteraria di Te'rtulliano (l'Ad nationes e l'Apologia sono del 197 d. C.); è rico·r· dato da San Gerolamo (Epist., 49, 13), là dove sembra elencare cronologicamente gli autori cristiani, dopo Ter · iano, il quale ultimo visse nella prima me tulliano e Cipr tà del III secolo (circa 200·258); è ricordato, come si è visto, da Lattanz ·io la cui opera capitale è stata composta
fra il .105 e il :no d. C. 3• Si deve pertanto ritenere che Minucio sia vissuto nella prima metà del III secolo ed a qu,esta ragionevole ipotesi conduce anche l'esame del suo stile\ aTcaicizzante secondo la moda che aveva do minato nel II secolo e che si protrasse nella p1'ima 1)arte del successivo. Tutte le considerazioni sopm riportate dovrebbe1·o esi· merci dal far cenno al problema della priorità di Tertul liano su Minucio, se su questo argomento i dotti di ogni
paese non avessero disputato per quasi un secolo, con l'accanimento (che talvolta accieca) proprio di chi tra scorre anni di studio sopra un dato problema. Di tale polemica a noi pare sia rimasto ben poco di valido 6• •
A differenza del conterraneo Lattanzio, M1nucio per bocca
dl Ottavio mostra, con crudezza di giudizio, di non essere per nulla affetto da complessi nazionalistici nei confronti dell'Im pero romano (cap. XXV). 2
Vedi note IX:, 6 e XXXI, 2.
a Lattanz1o ricorda Minuclo come autore di templ precedenti, quindi Mlnucio deve esser vissuto assai prima che Lattanzlo scrivesse le Divine Istituzioni. � «
Minucio Felice assomiglia a quegli umanistl del XVI sec•olo che scrivevano brevi papali con lo stile di Cicerone � (Bolssler, La fin du pagani.sme, Parigi, 1907, vol. l). o
Su questo argomento, e In genere per una più ampia cono
scenza di MJnuclo. si veda la dottissima Introduzione e
8
l'am-
Tertulliano 1 è autore così pe1·sonale,
istintivo,
impe
tuoso, perfino oscu1·o, quando la fretta lo urge, che il pensare egli abbia preso a modello un proprio conten·a neo tanto diverso da lui, per mentalitd e per stile, appa re un autentico non senso. Le citazioni di. avvenimenti storici o 1nitologici nell'Apologia d·i Tertulliano sono so vente errate, perché nella foga deL disco1·so egl'i poco si preoccupa dell'esattezza formale: Minucio invece com pone la propria opera a mosaico, ricalcanclo Cice·rone, ci tando Vi1·gilio, prendendo da Seneca. dimostrando di co noscere V arrone, Apuleio e altri; le citazioni sono di una esattezza quasi sempre assoluta, anche se la fonte non
� mai palesata. Inutile poi pensare ad una, peraltro ignota. fonte co mune alla quale avrebbero attinto sia Tertulliano che Minucio Felice: appare invece evidente che il secondo, come non si è peritato di riprodurre, senza cita1·ne la piissimo commento aJl'Ott
1 Vedl l'Introduzione e le note alla
citata Apologia del Cristia nesimo di Tertulliano. San Gerolamo, ErJist., LVITT. 10 afferma
che Tertulllano è ricco di pensiero, ma n suo stile è difficile.
9
fonte, frasi intere rfl Cice1·one e con maggior frequenza rla una sola opera (il De natura deorum). si sia pari menti servito dell'Apologia di Tertulliano pe·r gli scopi, r.liremo cosi,
di propaganda,
che
si
p·refiggeva 1• Forse
qtwndo Minucio scriveva ·in Roma, l'Apologia di Te?·tul liano non vi era1 così diffusa come in terrcL d'AfTica (e in tal caso dovremmo clatare l'Ottavio dai primi anni del I rz secolo) : oppU?·e q1tello che a noi appare oggi come un plagio era invece 1m modo indiretto per cliffondere le idee agitate da Te1·tullia?W e si p1tò pensare che, essen<ìO Te1·tulliano, verso il 206, caduto in disgrazia come ere tico. perché rf.ivenu.to segtwce della setta di Montano, Mi nucio non ritenesse di ricordarne il nome, ma amasse non lasciar cadere nell'oblio le argomentazioni che il suo illustre contermneo aveva esposte prima eli accostarsi alla setta di Mo·ntano. Quanto agli altri personaggi clel dialogo, si è discusso into·rno alla loro stoTicità o meno; ma di essi (a parte la accennata possiVilit<Ì rli accostamenti con un docu mento epigmjìco rinvenuto a Bougie riguardante un Oc
tavius Janual'ius e sei a Costantina riferentìsi a un Cae cilius Natalis), noi non sappiamo in realtd che quanto ci dice Minucio. Ottavio Januario. avvocato, sposato, padre di famiglia, con figli ancor giovani. si era convertito al Cristianesi mo assieme a Minucio o un po' prima. Cecilio Natale sembra fosse di Cirt(l, in Africa. come Frontone da lui citato (IX, 6) e come lo era probabilmente Lattanzio. Cecilio appa·re, come clicemrno, quale sectator di Minu
ce
lo imrnagin:iamo. in linguaggio d'oggi, come un più giovane procu.ratore del gid celeùre avvocato�.
cio:
1
Minucio, autore (li una sola opera (mentre Tertulliano fu
fc<'ondissimo scrittore, e non è certo chi ha scritto una Quaran tina d i opere che può « plagiare» l'autore di una sola) a noi appare come un avvocato che, nelle ore di otiwn, si diletta
lO
Il dialogo si apre con una scena campestre. anzi m.a
rina. che sembra invitare all'elegia più che alla. discus sione filosofico-religiosa. La descrizione del lido di Ostia. della c ano
passeggiata
lungo la spiaggia. dei
ragazzi
che gio
a rirnl>alzello sulle onde è viva e fresca e denota
nell'fLutore
1m
sicu1·o tempe1·amento di a1·tista.
Origine
della discussio·tte è un yesto di Ce ci lia (egli 7'Jo1·ta, secon· do l'usanza pagana. una mano alla fwcca scorgendo u.na
stat u.a di Serapide} . cui ?'(W!JÌSC(! sulJilo Ottavio, lmnen
tandosi che Minucio noveri fra i p1·opri segu aci un Pa gano così la
•
superstizioso.
Ha allora inizio. pe·r
apologia del Paga nesimo
•,
reazione.
n ella quale Cecilia si slan
cia con foga, brandendo tutti gli argomenti. clinmta così classici. degli
avve ·rsn ri del Cristianesim o.
Sono gli stessi. o q uasi .' di quel li cont1·o cui tuona Ter tulliano nel suo Ad nationes e � op rattutto nell'Apologia;
a1·yomenti in difesa del Paganesimo tratti dalla mitologia, dalla storia, dalla filosofia; accuse ai Cristiani in g1·an
parte
fonda te su dicerie popolari - di cui si era fatta eco
Marco Corn elio Frontone in una famosa arringa contro
la nuova setta - e in 7Jarte ispirati da concetti politici. Alla veemente req ttisitoria di Cecilio fa se guito - a mo' di parent esi - u n gittdizioso inter-vento di Minucio che,
prima dì dar la parolu a Ottavio. amm.onisce sulla neces sità,
per
emette1·e un
esatto giudizio, di non
lascia·rsi
juorv·iare dai lenocini clell'o1·atoria. Nella su.a replica Ottuvio confuta le nccuse dell'avve1·bio delle dignità municipali ottenute,
edificò statue in onore
dell'Imperatore (Caracalla). un tempio, Indisse del giochi che duraron sette giorni, innal�ò un arco di trionfo, di cui riman gono del frammenti. È da notare che le statue rappresenta. vano delle divinità astratte: la c Sicurezza del secolo». l'c ln du lgenza del nostro padrone
•
'
la
«
Virtù » dello stesso. l1 Bois-
sier vede nella scelta delle divinità a cui dedicava le statue una specie di predisposizlone al Cr·lstlanesimo da pane di Cecillo Natale. A noi però sembra poco probabile che un personaggio così Importante in Afr·ka sia divenuto, a Roma, semplice sec.
tator di Mlnucio: e eh:! · un cosl convinto
�
influente pagano
potesse divenir cristiano ad opera di un conterraneo assat meno Importante quale sarebbe stato, In tale ipotesi, Ottavlo. Deve, dunque, trattarsi di un omonimo o di un parente. ll
sario, dimostrandone
tinfondatezza e
ritorcendole con
tro la religione pagana da quello difesa. Ottavio pone le basi della credenza religiosa cristiana. prima di lanciarsi in una serTata disamina stoTica. filosofica e politica sulla falsità della religione pagana. Segue una difesa del Cri stianesimo dalle insensate o incong1·uenti accttse e nèlle ultime pagine il tono si eleva. da esposizione cTitica si trasforma in commossa, v-ibrante esaltazione del Cristia nesimo.
dell'e·roismo dei martiri,
della
p11.rezza di vita
e della certezza di redenzione di coloro che accettano le sofferen,ze terrene come arra di future ete?·ne consola zioni. Cecilio
-
in verità un poco bntscamente , . si dà per
vinto e si dichiara. senz'altro disposto ad abbracciare la
.F: Minucio che conclude la discussione con parole di soddisfazione; la sua opera di arl)itro è stata in'utile: la pace è ritornata n.ei cuori.
fede cristiana.
La
•
messa in scena
•
di questo dialoyo. o meglio sé
guito di due monologhi, è quanto mai accU?·ata; le ra gioni dei Pagani sono f>Sposte
con
notevole sforzo di im
parzialità.: ma dò che soprattutto colpisce nell'Ottavio specie a chi ?'icorcli l'in·uente arringa di Tertulliano
-
-
è la pacatezza di espressione clel mppresentante il Cri stianesimo. che solo verso la fine
aumenta il tono, la
passionalitcl, it calore clella propria difesa. Altra camtte ristica dell'opera è la c11.ra dello stile, sciolto, elegante, benché · non immune da quella ridondanza che è propria del suo secolo e che si esprime con l'uso di due, tre si nonimi (n. volte più che di sinonimi si tra.tta di espres sioni diverse formulate in modo da rendere un medesimo concetto). con l'impiego di tutte le astuzie dei ·retori dal ritmo del periodare, alle assonanze di verlJi e sostantivi, ai chiasmi; dalla stringatezza di certe espressioni alla ricercatezza di altre. Non per nulla Minucio h a larga mente
assimilato,
oltre
al
pensiero.
lo
stile
di
certi
, Si tengano presenti, anche qui. Je analogie fra la fine del
l'Otta·vio e quella del De -natura deortJ-m (Ili, 40); benché men tre in quest'ulUmo la decisione dello stoico all'ln(}omanl
«
perché ormai
fa
sera
».
Balbo è rinviata
nell'Ottavio
si rinvia,
per lo stesso motivo, la prosecuzione della discussione. ma la decisione è già presa: si tratta solo di chiarire dei particolari.
12
dialoghi ciceroniani. i l De natura deorum soprattutto
1•
Vi � chi ha definito Minucio un semplice plagiario di autori classici, perché molte sono le frasi ispirate o tol te di peso d.ai loro scTitti: ma tale rimprove1·o, facile a
mnoversi anche a sommi scrittori di ogni epoca. trova
giustificazione nella indttbbia abilità clell'autore a servirsi di pietruzze di uso comune per comporre un'opera d'ar te, che potrà essere definita mosaico, m.a non per ciò cesserà di riuscir piacevole alla lettura e grata all'o-rec
chio. Originale del -resto è, nei conf'ronti della lettemtura latina cristiana, l'adozione della fonna dialogica te·ntata per la prima volta da Minucio.
F'u forse la frase di Renan. che nel suo volume su Mar co Aurelio definì l'Ottavio • la perla della letteratura apo.
a rnettere i n sospetto gli studiosi circa l"orto logetica clossia delle concezioni -religiose di Minucio. •.
Anche qui u:n 7>rofl,uvio d'accuse, difese, controaccuse,
che hanno fatto ve·rsa·re fiumi d'inchiostro. Si volle vede
re, asaminan.do con lCL lente ogni f'rase dell'Ottavio, una tendenza di Mfnucio a non affermare la divinitd di Cristo, a sottovalutare od ignorare la dottrina della grazia. a mostrarsi. incerto nell'affermazione del dogma cristiano e troppo debole nella negazione della religione avversata, ad. insistere troppo sulla abolizione di ogni esteriorità di culto. ecc. ecc .
Di tutte queste accuse - e soprattutto di quella che sentiJrerebbe più valida. ciel silenzio osservato da klinu cio nei confronti dei dogmi cristiani - è facile far piazza ptl.lita quando si consirleri attentamente il carattere. lo scopo, l'ambiente clel dialogo minuciano.
Sono tre avvocati che dlscutor1o tra di loro: non si tratta. come nel caso eli Tertulliano (nell'Apologia). di un • gera1·ca .. della Chiesa o prossi?no a divenir tale; 1
Il personaggio eH Ce<.:ilio è modellato su quello di Cotta del citato dialogo di Cicerone (vedi In proposito Bolssier. l. c., 270 e scgg.)
piuttosto che su quello di Frontone, come altri
ritenne. La ragione degli ondegglamentl di opinione da parte di Cecllio deriva forse dal fatto t·he egli riassume 1n Bé non soltanto le idee pat·te
anche
espresse da Cotta, nel citato dialogo, ma in quelle di Velleio, altro personaggio ciel dialogo
ciceroniano. Da scettico. Infatti, egli si trasforma In epicureo e poi In partigiano dell'Indifferenza degli dèi, per poi arrivare alla esaltazione della -.radizione rellglosa romana.
13
Ottavio, che giunge dalla terra d'Africa ove la religione cristiana è pitì sviluppata e più profondamente sentita. � certamente il più convinto dei tre interlocutori. ma è pur sempre un gregario. nutrito. quale uomo di mondo. più di studi classici che lii sacre letture'· Minucio che, una volta tanto, sì decide a scrivere in clifesa del Cristianesimo, non aveva né l'intenzione né la p·reparazione per dar fondo agli argomenti dottrinali, pe1· illust·rare i dogmi della nuova 1·eligione: il suo compito era quello rli riba ttere le più comuni accuse mosu ai Cristiani, soprattutto quelle di ordine intellettuale, mo rale e politico, sì da dimostrare che una persona colta, per bene e cittadino romano ossequioso delle leggi, po teva non vergognarsi e non teme·re di dichiararsi cri stiano�. Si noti infine che. mentre Tertulliano scriveva, oggi diremmo, per il grancle, pubblico. Minucio si rivolge ai Romani dello sua condizione, intl)evuti di letteratum, raf fi.nati, che egli desidera t1·asjerire con il loro bagaglio intellettuale nella nnova 1·eligione, mostrando come si possa essere ammiratori di Cicerone e di Seneca pur se guendo Cristo :s; come la p1·esunta rozzezza e crassa igno ranza dei Cristiani non esista; come. infine. si possa ·riu•
Il problema, estremamente interessante. delle letture paga ne alle quali i Cristiani del primi secoli erano obbligati. per man(•anza di una propria letteratura. se non volevano rima nere Ignoranti, è trattato ampiamente in un opuscolo di Basilio, nel quale quel santo Vescovo di Oriente dà istruzioni al propri nepotl sul modo come debbano trar profitto dalla letteratura ellenka (una buona edizione nella collezione « Les Belles Let tres :o: A ux jcunes yctls .<wr la manière de tirer profit des
ll'ttres helLéniques).
�Nella conclusione (cap. XXXIX) Minuclo Jocia Ottavio pro prio per aver sconfitto Ceclllo impiegando le armi del suoi filosofi e per avere « mostrata una verità non soltanto facile o comprendere ma anche aù accettare». E la stessa viltorla f> celebrata , bonariamente. l'Ome duplice: di Ottavlo sulla religio ne avversa, ma anche di Cecillo sull'errore. �
Ln forma del cUalogo scelta da Mlnucio per Jl suo scritto
doveva di per sé cattlvantll le simpatie dei lettori di Cicerone e Scneca. Ma l'eccessivo ricorso agli autori classici è forse \.ma delle ragioni che lo ha fatto apparire meno ligio alle precisa zioni dogmatiche (v. Boissier , l. c., pag. 283).
14
--
sctr oratori facondi e garbati a·nche sen�a essere dei Pa· gani. Una volta cattivata la sim1Jatia degli avversari, sgombrate le loro menti dai pregiudizi. sard facile alle pe·rsone cdel mestiere l'istruire i neofiti chiarendo loro i dogmi della religione di Cristo. In questo differivano Tertulliano e Minncio. ll primo combatte aspramente il Paganesimo rifiutamtone ogni •
aspetto ed esaltando il Cristianesimo; il secondo - pi'ìì avvocata in cib che teologo, pi1ì uomo di mondo che rli parte . cerca. pazientemente per le vie della persuasione di condurre ·i Pagani verso il C1·istianesimo 1 • Con tntto ciò. pur rifi'l.ttando eli accusare Mimtcio di
eresia, non possiamo n.on constatare che la stw minirniz zazione del dogma cristiano è eccessiva; che ciò sia av venuto per ragioni tattiche. per prudenza, per politica o per minor preparazione specifica non ci è dato sape1·lo. Solo dobbiamo constatare che anche la sua critica della religione pagana è lactmosa, non apporta, almeno, alcun nuovo a.rgom,ento o sintesi o1·igina.le in tma batta glia che si era iniziata da più di un secolo e doveva con tinuare peT altri due fino al raggiungimento del defini tivo trionfo della nuova fede sull'antica"'. Il successo dell'Ottavio, come dimostrano la sca·rsezza dei riferimenti sull'autore, l'esistenza di un solo codice e perfino la confusione fra quel dialogo e ·un'opera di Arnobio. non fu ce1·tamente notevole. Cipriano e Lattan-
1 Una
attenta disamina degll argomenti
di
Tertulliano che
:\>linu<:lo non riprende o di quelli che tratta solo di sfuggita mostra la differenza del mc,do di pensare del secondo rispetto a queJio del pr·imo. Avvocati tutti e due, m a l'uno, Tertulllano. penalista aggressivo e « ugola d'oro». l'altro sottile, 1nslnuante, tecnicamente ben vreparato: un proce(lurlsta. <.'ome si direbbe al giorno d'oggi.
::: Il Boissler (l. c., pag. 281 e segg.) esamina a fondo il pro· blema clelia presunta eretlcltà di Minutio, della lanrnosità della
sua esposizione teologica. della deferenza dimostt·ata verso i filosofi pagani, ecl'. Alle ragioni anche da noi addotte ne .'3\g giunge altre. Se :\1inucio fosse stato pO<'O, come si suoi ·.lire oggi, in odore di �antità. Lauanzio e San Gerolamo non l'avreb· bero tanto elogiato; Ottavlo lascia Intendere, alla fine del dia logo, <·he parecchie questioni debbono essere ancora chiarite c accenna perfino ad u n a successiva opera su dl un determinato argomento; dunque il primo a rendersi conto delle lacune è l'autore stes�o. 15
zio 1nostrano nelle loro ope1·e di conoscere e di valersi del testo di Minucio ,· ma già presso San Gerolamo la co noscenza ne è più vaga. Non si concluda peraltro che il tentativo di Minucio sia rimasto senza frutto. Fran cescani e domenicani batterono vie diverse. gesuiti e giansenisti cozzarono fra loro, ma tutti. in ambienti di· versi, con metodi diversi. riuscirono ad affermare la fede nella reli.gione di Cristo 1• Ci simno valsi oltre che del commento, come si è
L. R.
1
.Parlando di Tertulllano, nel citato volume della B.U R. • ab biamo detto (pag. 1 2 ) , con la dovuta approssimazione, che •2gll era u n Giansenista avanti lettet·a; possiamo avvicinare Minucio ad uno degli antagonisti di quel movimento, che U Pascal com batté per i l loro quietismo, ma che in definitiva mostravano di aver inteso le possibilità e le esigenze dei popoli latinJ. �
.
Octaviu.s de Min1.tcius Feli:r, Édition classlque, Bruges, Des
clée, 1909. Un'ampia blbllografia sui più notevoli scritti intorno a :\iHnucio è contenuta nella citata edizione del Pellegrino. Na turalmente dell'argomento trattano tutte le storie della lettera tura latina: vedasl particolarmente la più recente: De Labriol le, Histoire de la Littérature latine chrétienne, Parigi,
PARTE PRIMA
PROEMIO: LA GITA A OSTIA Mentre, immerso nei pensieri, richiamavo nel l'animo mio il ricordo del caro e fedelissimo amico Ottavio, mi sentii penetrato da sì grande tenerezza ed affetto per lui, che mi -parve di rivivere in persona l tempi trascorsi, non soltanto rievocarli attraverso il ricordo di cose passate e che han fatto il loro corso. (nfatti l'immagine sua, quanto più si è allontanata dalla mia vista, tanto più mi è rimasta impressa nel cuore e nel sentimento più profondo. Non è senza ragione che quell'uomo eccellente e pio con l a sua dipartita abbia lasciato in noi un immenso rimpianto di sé; perché in lui vi f u sempre tale ardore di ami cizia, da far sì che nelle situazioni liete come nelle difficili egli si trovasse sempre d'accordo con me in tutto: voleva o non voleva le stesse cose: si sarebbe detto che un'anima sola fosse stata divisa fra due corpi. Così lui solo era a parte delle mie aspirazioni, lui solo compagno dei miei errori; e quando, dissipata la caligine, uscli dall'abisso delle tenebre per assur gere alla luce della saggezza e della verità, egli non rifiutò di essermi compagno, ma, ciò che è ancor più degno di gloria, primo si slanciò sulla nuova via '. Per questo, mentre il mio pensiero andava a tutto il tempo da noi trascorso in intima amicizia e comu nanza eli vita, l a mia attenzione si fermò particolar mente su quella famosa conversazione, nella quale I
2. Ottavìo.
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Ottavio prese a partito Cecilia, ancora attaccato alle vanità della superstizione, e, con gran forza di ragio namenti, lo convertl alla vera religione. Fu per sbrigar degli affari e nel desiderio di vederrru che egli era venuto a Roma, abbandonando la propria casa, la moglie, i figli e, ciò che li rende più cari, ancor negli anni dell'innocenza, ancor in tenti a balbettare delle mezze parole, con quell'ac cento a cui l'incespicar della lingua dà una grazia particolare. Al suo arrivo, le parole sono impotenti ad esprimere la grande, l'immensa gioia che m i per vase; ciò che accresceva tale gioia è che i l ritorno d i un amico tanto caro era del tutto inatteso. Dunque, dopo uno o due giorni che trascorremmo in assidua compagnia, acquetando i l vivo desiderio di vederci e raccontancloci a vicenda ciò che l'uno ignorava dell'altro a cagione della nostra lontananza, ci venne voglia di recarci ad Ostia, amenissima citta dina, sia perché la cura dei bagni era gradita e adatta al mio organismo per eliminarne gli umori, sia per ché le ferie della vendemmia avevano sospeso le occupazioni del Foro t. Alla stagione estiva stava al lora succedendo l'autunno con la sua temperatura più mite. Mentre, al sorgere del giorno, ci recavamo II
verso il mare, onde passeggiare lungo la spiaggia e far sì che la leggera brezza avvivasse le membra e ci fosse dato gustare il singolare piacere d i sentire la sabbia cedere mollemente sotto i nostri passi, Ce cilia, accortosi di una statua d i Serapide, avvicinando una mano alla bocca, come suol fare il volgo super stizioso, vi impresse un bacio con l e proprie mani:�. Allora Ottavio disse: « Non sta bene, Marco mio, che tu lasci un uomo, i l quale i n casa e fuori ti sta sempre accanto t, i n tale accecamento di vol gare ignoranza, da consentire che egli dia del capo III
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in pieno giorno nelle pietre, sia pur trasformate in statue, profumate ed incoronate; poiché tu sai che il disonore di simile vergogna ridonda non meno su di te che su di lui ,. . Mentre Ottavio parlava in tal guisa, avevamo già attraversata tutta la città [di Ostia] ed eravamo giunti alla spiaggia aperta. l v i l'onda dolcemente si infrangeva sull'estremità della sabbia e sembrava la spianasse per farne un luogo eli passeggio, e il mare; che è sempre in moto anche quando tacciono i venti, invadeva la terra; ma non già con onde bianche e spumeggianti, bensì lievemente increspantlsi ed ac cavallantisi, che ci riemplvan di diletto. I l mare arri vava fino all'orlo stesso della spiaggia a lambire i nostri piedi e ora inviava i flutti a scherzare davanti ai nostri passi, ora ripiegandosi e ritraendosi, riassor biva le onde entro il proprio seno. Così, procedendo lentamente e tranquillamente, costeggiavamo l e lievi sinuosità della spiaggia, ingan nando co11 la conversazione la noia del camm ino. Ar gomento dei nostri discorsi era il racconto del viaggio per mare di Ottavio. M a quando ebbimo percorso chiacchierando un notevole tratto di cammino, ritor nammo sui nostri passi, ripercorrendo la stessa via che avevamo seguito, e come giungemmo a quel luogo dove delle barche tratte in secco e poste su tronchi d'albero riposavano al riparo dall'umidità del terreno, scorgemmo dei ragazzi che si divertivano a gara, con grida di gioia, nel lanciare dei ciottoli sullo specchio del mare. Tale gioco consiste nel raccogliere sulla spiaggia un ciottolo d i forma rotonda e levigato dal moto delle onde; poi, tenendolo in posizione orizzontale fra l e dita, ci si piega quanto è possibile verso il suolo e si fa rotolare il sasso sopra i flutti, in modo che i l proìettile rasenti il mare o galleggi scivolando con un movimento insensibile, oppure saltelli e n19
compaia a galla sulla cresta dei flutti, rimbalzando continuamente. Fra i ragazzi era proclamato vinci tore colui il cui sassolino arrivava più lontano e faceva il maggior numero di rimbalzelli.
IV
Noi due . Ottavio ed io eravamo dunque intenti all 'attrattiva di quel gioco; il solo Cecilie non v i faceva caso e la gara infantile non provocava in ·
lui il sorriso; tacendo, inquieto, tenendosi da parte, mostrava di esser dispiaciuto di non so che cosa. I o gli dissi: « Che significa ciò? Come mai, Cecilia, non scorgo il tuo brio abituale e non ritrovo quella gioio sità del tuo sguardo, che appariva anche nei momenti più gravi? " · Egli così rispose: « L e parole pronunciate o r ora dal nostro Ottavio mi pesano e m i tormentano: per ché, prendendosela con te ed accusandoti di negli genza nei miei confronti, egli ha voluto muovermi rimprovero di ignoranza, tanto più grave perché in diretto. Non voglio fermarmi lì: debbo trattar con Ottavio tutta l a questione ancora impregiudicata. Se gli garba, come povero seguace � appunto della setta degli ignoranti, discuterò con lui, e subito capirà che è facile in una conversazione fra amici biasimare le mia idee; ma non altrettanto se si fa ricorso a degli argomenti filosofici.. Sediamoci ora s u questi argini di pietre disposti a protezione dei bagni e che si protendono in mare, in modo da riposarci del cam mino e discutere con maggior attenzione " . A queste sue parole essendoci, seduti, io occupavo il posto di mezzo dei tre, avendo a ciascun lato uno di essi. E ciò non per ragione di deferenza, di con siderazione sociale o di omaggio, dato che l'amicizia rende sempre gli uomini uguali, se già non lo sono, ma perché essi volevano che come arbitro, posto fra l'uno e l'altro, potessi dare ascolto e separare i due contendenti.
PARTE SECONDA IL D I SCORSO DI CECILIO V
Allora Cecilia cominciò in tal guisa: c Marco mio, benché per te non esistano dubbi sull'argomento della presente discussione, perché dopo avere co scienziosamente seguito dapprima questo poi quel modo di vita, hai ripudiato il primo ed abbracciato il secondo; eppure, in questa circostanza, devi met terti in tale disposizione d'animo da tener la bilancia fra noi due come giudice assolutamente equo e non !asciarti piegare verso l'una o l'altra ·parte, in modo che il tuo giudizio appaia derivare non tanto dalla nostra disputa quanto dai tuoi stessi sentimenti 1 • c Perciò, se tu vuoi farmi il favore di sedere a giudizio come un giudice sconosciuto ed estraneo alle parti, non vi sarà difficoltà alcuna di render palese che tutto nelle cose umane non è che dubbio, incer tezza, indecisione e che ogni cosa è più verosimile che non vera!). E d è tanto più degno di meraviglia che talunì, per la pigrizia di ricercare a fondo la verità, preferiscano abbandonarsi ciecamente ad un'o pinione qualsiasi, piuttosto che perseverare con zelo pertinace nella ricerca della verità. Perciò non si può non indignarsi, non rattristarsi nel vedere cer· tuni e questo tanto più mentre sono ' privi di studio, senza cultura letteraria, inetti anche ai mestieri ma nuali a che proclamano esservi qualcosa di certo nell'universo e nella sua maestà, mentre intorno a ·
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tali problemi per tanti e tanti secoli i filosofi di innu merevoli scuole hanno discusso e continuano a discu. tere. E non senza ragione, perché l a debolezza umana è così poco atta all'investigazione delle cose divine, che né l corpi sospesi nel cielo al di sopra del nostro capo, né quanto è sepolto e sprofondato sottoterra, non ci è dato conoscerlo né è permesso scrutarlo o volerlo raggiungere senza commetter empietà: pos siamo ritenerci abhastanza soddisfatti ed abbastanza dotti se, seguendo quel famoso vecchio precetto di un filosofo, riusciamo a conoscere più intimamente noi stessi "'. c Ma poiché, abbandonandoci a d una fatica insen sata e assurda, vogliamo avventurarci oltre i limiti della nostra debolezza e, pur relegati sulla terra, ab· biamo l'ambizione temeraria di raggiungere il cielo stesso e gli stessi astri, cessiamo almeno di complì· care il nostro errore con delle congetture vane e terrificanti. c Se fin da principio i germi si sono condensati per effetto della natura fecondantesi da se stessa, chi è allora il dio creatore? Se gli elementi dell'universo intero si sono per fortuiti incontri rassodati, ordinati, han preso forma, chi è allora il dio architetto? Se è vero che sia stato il fuoco ad illuminare gli astri, i l cielo sia tenuto sospeso dalla propria stessa materia, la terra sia stata consolidata e il mare si sia formato per l'accumularsi delle acque, per qual ragione è nato in noi il timor religioso, il terrore, la superstizione 5? L'uomo, e con lui ogni essere vivente, che nasce, re spira, cresceJ è una combina.zione spontanea d i atomi, nei quali di nuovo si scompone, si dissolve, si disgre ga: parimenti ogni cosa ritorna verso la propria ori gine e si risolve i n se stessa, senza bisogno di nessun artefice, né arbitro, né creatore. ÈJ così che, mediante l'agglomeramento degli atomi del fuoco, noi vediamo splendere dei soli sempre rinnovantisi; è cosl che i vapori esalati dalla terra formano nebulosità sempre 22
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crescenti; quando le nebbie si condensano e si accu mulano, si elevano delle nuvole sempre più alte nel l'aere e poi quando si abbassano, ne fluiscono piog gie, soffiano i venti, crepita la grandine, oppure, per il cozzar delle nubi, muggono tuoni, balenano lampi, scoppiano fulmini: e, quel che è più, cadono or qui or là, si scagliano sui monti, si precipitano su�li al beri, senza discriminazione raggiungono luoghi ·;acri e profani, colpiscono gente colpevole, ma sovente anche pia . ., E che dire di quelle perturbazioni atmosferiche incestanti e incerte, che senza alcun ordine né distin zione travolgono impetuosamente ogni cosa? E dei naufragi ove il destino dei buoni non è distinto da quello dei malvagi, i meriti sono confusi? E degli incendi ove innocenti e colpevoli trovano ugualmen te la morte? E quando una zona di cielo è infettata da un contagio pestilenziale, non muore forse la gen te senza discriminazione alcuna? E quando più ar dente è la battaglia, non sono i migliori che di preferenza soccombono? Anche in tempo di pace i cattivi non sono soltanto uguagliati ai buoni, ma anche onorati, sì che d i molti di loro non sai se sia da detestare la nequizia o da invid1are la felicità. « Se il mondo fosse retto da una provvidenza di vina e dall'autorità di un dio qualsiasi, mai Falaride o Dionigi avrebbero meritato il regno, mai Rutilio o Camino l'esilio, né Socrate il veleno 11• Vedi quegli alberi carichi di frutti, quelle messi già biondeggianti, quei grappoli già pingui eli succo: son guasti dalla pioggia, sono falciati dalla grandine. Allora è vero che la verità, a noi occultata e dissimulata, appare cosa incerta o, ciò che sembra maggiormente credi bile, il caso domina il mondo, libero da ogni lègge, con il suo procedere capriccioso e incerto. "' Poiché esiste dunque o u n caso certo o una natura impenetrabile, quanto più rispettoso e quanto VI
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preferibile assumere come guida della verità la pra tica dei nostri avi, professare la religione tradizio nale, adorare gli dèi che i nostri genitori c i hanno insegnato a temere - piuttosto che conoscerli troppo da vicino -, a non giudicarli; a prestar fede ai nostri avi che, anche nella primitiva età del mondo, all'epo ca della sua stessa nascita, meritarono di avere quali familiari o quali re degli dèi! Da ciò appunto pro viene che in tutti gli imperi, i n ogni provincia, in ogni città noi vediamo i popoli adorare degli dèi locali, gli Eleusini, Cerere; i Frigi, la Madre degli dèi; gli Epidauri, Esculapio; i Caldei, Belo; i Siriaci, Astarte; i 'T'auri, Diana; i Galli, Mercurio, e i Romani, ogni cosa
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"' Se il potere e la autorità dei Romani si sono estesi a tutto il mondo, se essi hanno allargato il proprio impero al di là dei tropici e dei confini se gnati dallo stesso oceano !1, è che pur nelle guerre osservarono i l rispetto agJi dèi, fortificarono la lor città mediante le cerimonie religiose, la castità delle vergini, sacerdoti di varia dignità e titoli; anche asse diati e ridotti al solo Campidoglio adoraron gli dèi, mentre altri, vedendoli irati, li avrebbero disprezzati; traversaron le schiere dei Galli, meravigliati dall'au. dacia della loro fede, privi d'armi, ma non d i quelle della propria religione; conquistate le mura del ne mico, pur nella fiera baldanza della vittoria, rispet. tarono gli dèi dei vinti; dovunque ricercaron gli dèi stranieri per farli propri; innalzaron are anche agli dèi ignoti e ai Mani 3• Cosi, avendo accettato i culti di tutte le Nazioni, meritarono anche di regnare su di loro. Da allora tale culto continuò costantemente, e il tempo lo rafforzò invece d i indebolirlo: perché la vetustà conferisce ai riti e a i templi un carattere tanto più sacro, quanto maggiore è il numero degli anni della loro esistenza. 24
Ciono_nostante (voglio fare anch'io per il momento una concessione, e il mio errore sarà più scusabile di quello di Ottavi o ) , non è senza ragione che i nostri avi attesero con zelo all'osservazione dei presagi, all'esame delle viscere, all 'istituzione di ce rimonie, alla dedicazione di templì. Studia sui libri la storia: ti accorgerai allora che l'aver istituito i riti di tutte le religioni aveva per iscopo vuoi di propi ziarsi il favore divino, vuoi di stornarne l'ira incom bente o di placarla quando fosse già esplosa terri bile. Ne è testimonio la Madre Idea, che, col suo giun gere, fornì la prova della castità di una matrona e liberò la città dal terrore dei nemici; ne sono testi monio le statue equestri presso il lago dedicate, come essi avevano voluto, ai Dioscuri, ansanti sui loro corsieri schiumanti e fumanti, come quando annun ciarono la vittoria sui Persiani il giorno stesso in cui era stata conseguita; ne sono testìmonio i giochi in onore di Giove offeso , ripresi i n séguito al sogno di un plebeo; ne è testimonio il sacrificio così efficace dei Deci; testimonio anche Curzio che ricolmò l'abis so della profonda voragine, vuoi con la mole del proprio cavallo, vuoi con le offerte gettate su di lui per onorario '. Con frequenza maggiore di quanto avremmo de sìùerato il disprezzo degli oracoli ha dimostrato la presenza degli dèi. Così l'Allia è nome funesto, così quelli di Claudio e Giunio ricordano non un combat timento contro i Cartaginesi, ma un lugubre naufra gio, e Flaminio disprezzò l'oracolo perché il Trasi meno si ingrossasse e si colorasse del sangue dei Romani e Crasso incorse in presagi minacciosi e lì irrise perché potessimo riprendere ai Parti i nostri stendard i �c Tralascio i fatti più antichi che son molti, e nulla dico dei carmi poetici sul giorno natale degli dèi, sui doni e sulle offerte che loro son stati fatti; tra scuro anche le predizioni degli oracoli sui nqstri
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destini, perché, a cagione della loro antichità, non li consideriate delle favole. M a poni mente ai templi e ai santuari degli dèi che proteggono e adornano la città di Roma: essi sono ben più augusti per la presenza degli dèi che li abitano e vi han sede, che non sian ricchi per le decorazioni, gli ornamenti, i donativi. Di là appunto i vaticinatori, pieni del dio e posseduti da lui, decidono i 1 futuro, premuniscono contro i pericoli, procurano rimedi per le 1nalattie, danno speranza agli afflitti, soccorso agli indigenti, consolazione nelle sventure, sollievo nelle pene. Anche nel sonno noi vediamo, udiamo, riconosciamo quegli dèi, che durante il giorno empiamente neghiamo, rifiutiamo, spergiuriamo. Cosi dunque, mentre sia la natura che l'ori gine degli dèi immortali appare incerta, rimane per tutte le genti ben salda la fede nell'esistenza loro, e io non sopporto la grande audacia e l'irreligiosità di una pretesa scienza di cui van tronfi certuni, i quali cercano di distruggere o di scalzare una reli gione cosi antica, così utile, cosi salutare. Si cita un Teodoro di Cirene, o prima di lui u n Diagora di Melo, al quale gli antichi a:ffi bbiaro11.o il soprannome d i . à -8- e o ç [ateo ] : ambedue asseriscono non esistere gli dèi e hanno abolito quel rispetto che governa l'uma nità e la pietà stessa: mai pertanto tale scuola di empietà sotto pretesto filosofico assicurerà rinoman za o autorità ai loro nomi l.
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Gli Ateniesi cacciarono dal proprio territorio Pro tagora di Abdera 2 che pure, nel disputare intorno alla divinità, più che irriverente si mostrava guar dingo e bruciarono i suoi scritti davanti all'Assem blea del popolo; ma che? vediamo degli uomini ( avre te pazienza se nella causa che ho assunto do libero sfogo a i miei senti�enti) degli uomini, dico, appar tenenti ad una setta incorreggibile, illegale, dispera«
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ta , bestemmiare gli dèi e noi non dovremmo elevare i nostri lamenti? . • E$Si con una accozzaglia di gente ignorante, re clutata tra la feccia del popolo e di donne credule, facili a esser sedotte a cagione della debolezza del proprio sesso, mettono assieme una masnada di em pi congiurati. Costoro in riunioni notturne con sacri digiuni, con banchetti inumani, non con riti religiosi, ma con misfatti, stringono f.ra loro dei patti di alleanza; genìa sorniona e tenebrosa, muta in pubblico, chiacchierona negli angoli solitari; disprez zano i templi cosl come l e tombe, maledicono gli dèi, irridono ai sacrifici: questa misera gente (se è lecito chiamarla misera anziché colpevole) commisera i no stri sacerdoti, disprezza gli onori e la porpora; essi, gli straccioni! Quale stupefacente stoltezza e incre dibile audacia! Disprezzan i supplizi presenti, mentre ne temono di incerti e di là da venire; temono di morire dopo morti a e frattanto la morte non li spa venta: perché tale timore è temperato in loro da una fallace speranza di nuova vita. E già, poiché il male alligna più rigoglioso grazie alla corruzione dei costumi, gli abbominevoli sacrari di questa empia congrega si moltiplicano per tutto il mondo ogni giorno più. Si deve sterminarla e votarla all'esecrazione. « È con dei segni e simboli segreti che si ricono scono fra loro e si amano l'un l'altro quasi prima di conoscersi: a volte essi praticano un culto che è sfogc di lussuria e si chiamano indistintamente fra loro fratelli e sorelle, sl che per l'intervento d i quel nome IX
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sacro ciò che sarebbe semplice commercio carnale diviene incesto. Così la loro vana e folle supersti zione si gloria di tali delitti! Se non vi fosse u n fondo di verità, la pubblica opinione , che è perspicace, non L'iporterebbe sul loro conto dei delitti talmente ver27
gognosi e a bbominevoli da non potersi ricordare sen z a chiedere licenza 1, " Sento dire che essi consacrano· e adorano la testa dell'animale più vile, l'asino, spinti da non so quale credenza: religione ben degna e fatta apposta per simili costumi! Altri raccontano che essi adorano i genitali del loro capo e sacerdote, quasi adorassero il sesso del proprio genitore: non so se ciò sia vero, ma certamente la segretez.za delle cerimonie notturne autorizza il sospetto! Si va dicendo che oggetto del loro culto sia un uomo punito per delitti di pena capitale, e così pure un funereo legno di croce, e vengon loro attribuiti degli altari ben degni di gente infame e criminale, perché adorino ciò che si me ritano.:�. « Il racconto che si fa circa l'iniziazione dei nuovi adepti è così terribile quanto noto. Un giovane viene impiastricciato di farina per ingannare chi di nulla sospetta ed è posto dinanzi a colui che deve essere iniziato ai misteri. Tratto in inganno dallo strato di pasta che lo copre, facendogli credere che i suoi colpi sono inoffensivi, i l neofìta uccide il giovane con delle ferite invisibili e nascoste. Oh sacrilegio! essi leccano avidamente il sangue, a gara se ne disputano le membra, con tale vittima cementano il patto, con tale complicità nel delitto si impegnano ad u n mutuo silenzio! Queste cerimonie sono più terribili di qual siasi sacrilegio. Ed i loro banchetti sono pure ben noti: dovun que se ne parla, e ne è anche testimonianza il discor so pronunciato dal nostro compatriota di Cirta •. Nel giorno della festa si riuniscono per il banchetto con tutti i figli, le sorelle, le madri, gente di ogni sesso e di ogni età. Quivi, dopo u n copioso pasto, quando l'eccitazione del banchetto è al colmo e cresce l'ar dore dell'ebrezza di empia lussuria con un boccone gettato oltre il limite concessogli dalla fune eccitano «
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u n cane, legato ad un candelabro, a slanciarsi innanzi impetuosamente. I n tal modo, rovesciato e spento il lume che avrebbe potuto tradirli, perduto nell'oscu rità ogni pudore, a caso si avvinghiano nella stretta di una criminosa libidine; se non tutti incestuosi nel fatto, certamente tutti nell'intenzione ugualmene col pevoli, giacché tutti invocano ciò che può accadere a ciascuno d i compiere.
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« Tralascio, ad arte, molte altre cose: perché già son troppe e perché tutte, o almeno quasi tutte, ristù tano vere dalla segretezza stessa di quel perverso culto. Perché mal fanno così grandi sforzi per occul tare e tener segreto l'oggetto, qual si sia, del proprio culto, mentre 1a virtù ama l a luce del giorno e sol tanto i delitti cercano il segreto? Perché non hanno altari, non templi, non statue conosciute, non par lano mai in pubblico, non si riuniscono mai libera mente, se non perché ciò che essi onorano e tengono nascosto è meritevole di castigo o di vergogna? Ma donde viene, chi è, dove sta questo dio unico, solita rio, isolato, che da nessun popolo libero, da n éssun segno, neppure dalla stessa superstizione dei Romani è conosciuto 1? « Il popolo giudeo, abbandonato e degno di pietà, ha anche lui un dio unico, ma lo onora pubblica mente, con dei templi, degli altari, dei sacrifici e delle cerimonie: eppure quel dio, assieme alla pro pria nazione, è caduto prigioniero della gente romana. M a i Cristiani quali mostruosità, quali enormità immaginano! Quel loro dio, che non possono né mo strare né vedere , si interessa diligentemente deila vita di tutti, delle azioni, perfi110 dei discorsi e dei più segreti pensìeri di ognuno, perché si sposta in ogni luogo ed è ovunque presente; lo vogliono noioso, inquieto, curioso fino all'impudenza perché è pre sente alle azioni di tutti, va aggirandosi in ogni luo29
go; mentre è chiaro che non può, se è impegnato i n tutto l'universo, occuparsi dei singoli individui, né accontentare tutti, se presta ascolto a ciascuno.
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« E che! I Cristiani minacciano dl incendiare
l'intera terra ed anche il cielo con i suoi astri; ne preparano la rovina, come se l'ordine eterno della natura stabilito da leggi divine potesse esser turbato , o come se, spezzato il legame che riunisce tutti gli elementi e smembrata la compagine celeste, quell'edi ficio gigantesco che contiene ed abbraccia tutto l'uni verso, potesse crollare t . E non contenti di questa pazza credenza, v i aggiungono e v i affibbiano arbitra riamente delle fa vole degne di vecchie donne: pro clamano che essi rinasceranno dopo la morte, quando saranno cenere e faville, e per non so quale cieca iìducia finiscono per credere alle proprie menzogne: potresti ritenere che essi sian già risuscitati! « È un duplice male ed una duplice demenza mi nacciare di distruzione il cielo e gli astri, che noi lasciamo come li abbiamo trovati, e promettere a se stessi, morti e putrefatti, la vita eterna, mentre noi moriamo cosl come nasciamo! Di là deriva pro babilmente la loro esecrazione dei roghi e la con danna della cremazione, quasi che tutti i corpi, anche se sottratti alle fiamme, non si disfacessero nella terra col volger degli anni: quasi importasse che le belve dilanino i corpi o i mari li inghiottano o la terra li ricopra o il fuoco li consumi: se i cadaveri sentono qualcosa, qualsiasi genere di sepoltura è un supplizio, e se non sentono nulla. la stessa rapidità con cui vengono distrutti può ritenersi u n rimedio. « l ngannati da questo errore, promettono a se stes si, come a gente buona, una vita felice ed eterna quando sian morti; agli altri, come a gente ingiusta, una eterna punizione. « Molte cose avrei da aggiungere i n proposito se il discorso non dovesse volgere al fine. Che siano 30
essi piuttosto degli ingiusti non voglio più affaticarmi a dimostrarlo; già l'ho fatto. M a se anche concedessi che siano giusti, il vizio e la virtù, secondo il parere dei più ed anche l'opinione vostra, devono essere imputati al destino. Infatti tutto ciò che noi faccia mo, come gli altri lo attribuiscono al destino, voi lo attribuite a dio; ma allora alla vostra setta non ade risce chi vuole, ma solo chi è eletto. Vi figurate dun que un giuclice iniquo che punisce negli uomini il loro destino, non la loro volontà? c Permettete però che vi domandi se con dei corpi e con quali corpi, con gli stessi o con dei nuovi si risorga. Senza corpo? Ma allora, che io sappia, non vi sarà né spirito, né anima, né vita. Con lo stesso corpo? Allora è un nuovo essere che nasce, non quello di prima che vien ricostituito. De] resto, dopo il lungo tempo che è trascorso, dopo i secoli innu merevoli che si succedettero, un solo uomo è forse ritornato dagli Inferi, anche al modo di Protesilao, cioè con un permesso di poche ore, perché dopo tale esempio ci fosse dato credere !!? Tutte queste inven zioni d i una mente malata e q�este inette consola· zioni sono immaginate dai poeti per render dilette voli i loro canti e voi, gente meravigliosamente cre dula, le avete vergognosamente rimaneggiate per at tribuirle al vostro dio. La stessa eRperienza delle cose presenti non vi mostra come l e vostre inutili speranze, alimentate da una promessa vana, siano illusioni? Considerate, o infelici, finché siete ancora in vita, ciò che vi atten de dopo l a morte! c Ecco che una parte di voi, la più grande e la migliore, come voi dite, soffre la povertà, il freddo, la fatica, la fame: il vostro dio sopporta ciò, fa finta eli non accorgersi, non vuole o non può venire in aiuto della propria gente: vuol dire che è un debole o u n ingiusto! XII
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« Tu che sognì l'immortalità dopo la morte, quando tremi di fronte ai pericoli, quando sei bruciato dalla febbre, lacerato dal dolore, non ti accorgi neppure della tua condizione? Non riconosci ancora la tua fragilità? Disgraziato! Sei convinto, tuo malgrado, della tua debolezza, e non la confessi! « Ma tralascio i mali comuni a tutti. Ecco l e mi nacce, i supplizi, le torture, le croci che voi dovete subire e non già adorare, le fiamme stesse che voi preconizzate [all'universo] e di cui avete orrore [per i vostri corpi ] : dove è mai quel dio, che può venire in aiuto di chi resuscita ma non di quelli che vivono? Non è forse vero che i Romani senza i l vostro dio comandano, regnano, godono del mondo intero e do minano pur voi? Voi che invece vivete nell'attesa e nell'ansietà, vi astenete dai più onesti piaceri: non frequentate gli spettacoli, non intervenite alle ceri monie, siete assenti dai banchetti pubblici, aborrite i giochi in onore degli dèi, quelle carni dalle quaìi è stata tratta la parte destinata agli clèi, e le bevande con le quali sono state fatte delle libagioni sugli altari. In tal modo dimostrate di temere quegli dèi di cui negate l'esistenza! cNon adornate il vostro capo di fiori, non assicu rate distinzione al corpo con profumi: riserbate gli unguenti per i funerali, negate le corone perfino ai sepolcri: pallidi, tremanti, degni di pietà, ma di quel la dei nostri dèi. Così, disgraziati, non risorgete e frattanto non vivete! « Perciò, se qualche briciolo di saggezza o di pu dore vi è rimasto, cessate di scrutare le regioni cele sti, i destini e i segreti del mondo: guardate davanti ai vostri piedi \ tanto più essendo voi gente incolta e incivile, rozza e villana, cui non è dato compren dere le realtà umane e vi è negato di discutere delle divine. 32
XIII
Se proprio vi vien la smama di filosofare è Socrate, il principe della saggezza, che deve imitare chi eli voi almeno vi riesca. È nota la risposta di quel grand'uomo, quando lo si interrogava intorno alle cose celesti: "Ciò che è sopra di noi non è per noi". È dunque giusto che l'oracolo abbia reso testi monianza dì una così eccezionale saggezza. Il quale oracolo egli stesso chiaramente interpretò: era stato anteposto a tutti gli uomini, non perché conoscesse ogni cosa, ma perché affermava di non saper nulla: così la confessione dell'ignoranza è prova di somma saggezza • . c Da quella fonte derivò il cauto dubbio di A rce silao e molto dopo di Carneade e di molti Accade mici \ nèi confronti dei più alti problemi: il qual modo di filosofare se è accessibile con prudenza an che agli indotti, è gloria dei dotti. Simonide, interro gato dal tiranno Gerone che cosa egli pensasse degli dèi e della loro natura, domandò dapprima un giorno per riflettere, il giorno dopo ne chiese due, poi, sol lecitato dal tiram1o, ne chiese ancora due. Alla fine, avendo voluto Gerone conoscere le ragioni di tanto ritardo, rispose Simonide "che per lui, quanto più si attardava nella ricerca, tnnto più la verità gli appa riva oséura" '. Per conto mio, dunque, le cose che appaiono incerte debbono essere lasciate quali sono e dove tanti e tanto grandi uomini dubitarono, non si deve leggermente e temerariamente emettere un giudizio nell'uno o nell'altro senso, se non s i vuoi affermare una superstizione da donnicciuole o di struggere qualsiasi par-venza di religione » .
J. OttaOJio.
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PARTE TERZA
INTERMEZZO: OSSERVAZIONI D I MARCO Così parlò Cecilio e dato che la foga del lun go discorso aveva dato libero sfogo al suo bollente sdegno, aggiunse sorridendo: « Forse Ottavio, uomo di plautinu prosapia, primo fra i pestatori di grano, ma ultimo fra i filosofi, oserà replicare a quanto ho eletto » \. « Tralascia • , cllssi, « di cantar vittoria contro di lui: non è degno delle buone regole di un discorso che tu esulti prima che si sia discusso a fondo da ambedue le parti, soprattutto quando la vostra discus sione ha di mira non la gloria, bensì la verità. E benché il tuo discorso mi abbia assai divertito per la sua finezza e varietà, tanto più sono preoccupato dal fatto che, non solo nella presente discussione, ma genericamente nelle dispute, quasi sempre, se condo le forze di coloro che discutono e il potere delJa loro eloquenza, si può mutar la sorte anche del la più evidente verìtà. Ciò accade, è ben noto, per la superficialità degli ascoltatori, i quali, mentre dal Jenocinio delle parole sono irnpediti di badare alla sostanza, senza riflessione approvano tutto quello che si dice e non sanno distinguere il falso dal vero, ignorando che come la verità può rinvenirsi nell'in credibile, anche la menzogna può celarsi nel vero simile. Perciò, quanto più facilmente credono alle XIV
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altrui affermazioni, tanto più frequentemente sono convinti d'errore dai più abili: in tal modo, continua mente ingannati a cagione della propria storditag gine, in luogo di incolpare il giudice, lamentano l'in certezza della causa e preferiscono sospendere ogni giudizio su qualsiasi opinione piuttosto che pronun ciarsi su degli argomenti ingannevoli. « Noi dobbiamo dunque stare attenti a non avvez zarci a prendere in avversione ogni discussione, come molti semplici i quali inferociscono fino al punto di esecrare e odiare gli uomini. Essi, impru dentemente creduli, si sono lasciati circonvenire da gente che stilnavano per bene; ma ben presto, con un errore del tutto simile, ogni cosa diviene sospetta e diffidano come dl malvagi anche di coloro che avrebbero potuto riconoscere quale brava gente. « Dobbiamo perciò stare in guardia, quando da una parte e dall'altra si suoi discutere con tutto l'ilnpegno, e da una parte vi è soltanto una oscura verità, mentre dall'altra si manifesta una sorpren dente sottigliezza, Ja quale sovente, grazie alla fa condia di chi parla, può scambiarsi per prova di rico nosciuta verità; n � allora, dicevamo, ponderiamo con la maggior diligenza ogni cosa, in modo che se lo diamo l ' ingegnosità, ci sia possibile parimenti discer nere ciò che è veramente giusto, approvarlo ed am metterlo » . X V • Tu manchi » , disse Cecilia, « all'ufficio di giu dice imparziale: perché è una stridente ingiu�tizia l'indebolire l'efficacia del mio discorso intervenendo con osservazioni di tanta importanza. mentre Otta vio deve, se gli riesce, confutare i singoli miei argo menti quando essi sono ancor integri ed intatti ». « Ciò che tu mi rimproveri », risposì, " l'ho pre sentato, se non mi sbaglio, nell'interesse comune, perché ci sia dato pronunciare il nostro giudizio dopo un esame ponderato, non sotto l'impressione della 35
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gonfia ampollosità ùel discorso, bensì considerando gli argomenti in se stessi. Ma ormai non dobbiamo distrarre più oltre la nostra attenzione, dato che tu te ne lamenti, ed eccoci a d ascoltare in perfetto silenzio il nostro Januario ' , che è impaziente di ri spondere " .
PARTE QUARTA I L DISCORSO DI OTTAVIO XYJ
Ottavio allora: • Parlerò infatti, come potrò secondo i miei mezzi e tu, Marco, dovrai unire i tuoi sforzi ai miei perché possiamo lavare l'onta delle ingiurie atroci con l'acqua pura d i parole veritiere. Anzitutto non dissimulerò che l'opinione del mio amico Natale ', incerta, vaga e sfuggente ha talmente ondeggiato, che noì non possiamo sapere se essa sia stata turbata dalla malizia o l'errore l'abbia resa malferma. Infatti ora egli ha affermato di credere negli dèi, ora, mutando parere, di dubitarne; sì che la risposta che noi intendiamo dargli trova nell'in certezza della tesi avversaria fondamento ùi maggior certezza. « M a nel mio amico Natale non voglio ammettere l a malafede, non c i credo: l'astuzia sottile è ben lungi dalla sua delicata semplicità. Che dire allora? Colui che non conosce la retta via, quando, come capita, il cammino si dirama in parecchie strade, poiché non sa quale sia la giusta si arresta perplesso, incerto quale di esse debba scegliere, non potendole rite nere tutte buone: parimenti, chi non possiede un criterio infallibile circa la verità, quando affiora una ipotesi poco sicura la sua opinione si smarrisce nel dubbio. Non v'è pertanto nulla di strano che Cecilie senza posa ondeggi, sia agitato, sia sballottato fra opinioni contrarie e contrastanti. M a perché ciò non 37
avvenga più in avvenire, confuterò in modo irrefu tabile, per divergenti che esse siano, le sue afferma zioni, dimostrando a evidenza la verità, che è una sola: sì che d'ora in poi egli non abbia più motivo di dubitare o di errare. • E poiché il mio Cecilia h a dato sfogo al suo mal contento, alla collera, alla indignazione nel vedere degli illetterati, dei poveri, degli ignoranti ciiscutere di cose celesti, sappia che tutti gli uomini, senza di stinzione di età, di sesso, di posizione sociale, sono stati procreati capaci e adatti ad intendere e sentire, e che la saggezza non si ottiene per previlegio di fortuna, ma è un dono di natura. Anche gli stessi filosofi, o coloro che divennero celebri per aver inven tate le arti, prima di acquistare un nome illustre con il proprio genio sono stati ritenuti dei plebei, degli ignoranti, degli scamiciati �. V'è di più: i ricchi, schia vi delle proprie ricchezze, hanno l'abitudine di vol gere lo sguardo verso l'oro più che versò il cielo, mentre sono stati quei nostri fratelli poveri, che han no raggiunta la sapienza e trasmessa agli altrì la propria dottrina. Donde appare che la genialità non è assicurata dalle ricchezze né può essere ottenuta con lo !::ìtudio, ma nasce con la stessa nostra intelli genza. « Non è dunque i l caso di indignarsi o d i dolersi se qualcuno eli costoro indaga intorno alle cose di vine, se ne fa una opinione, l'espone, giacché ciò che conta non è l'autorità di chi discute, ma la verità oggetto deJla discussione stessa. Anzi, dirò di più, tanto più il discorso è disadorno, tanto più riluce il pensiero, perché non appare imbellettato dalla pomposità, dall'eloquenza e dalla piacevolezza, ma si sostiene quale è con il solo appoggio della verità. Non mi rifiuto di ammettere ciò che Ceci Ho si è sforzato principalmente di dimostrare: che l'uomo deve conoscere se stesso e rendersi conto di X\ìll
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chi esso sia, donde venga, perché esista: se sia un aggregato di elementi o una combinazione di atomi, o non sia stato piuttosto creato, formato, animato da Dio. Non possiamo indagare su ciò a fondo se non portiamo la nostra indagine sull'universo, poiché quei problemi sono così uniti, connessi, incatenati che, se non ti renderai conto attentamente della na tura della divinità, non potrai conoscere quella del. l'uomo, come non è possibile ben governare una città, se non si conosce quella città alla quale tutti appar teniamo, cioè il mondo intero. Tanto più che noi differiamo dalle bestie selvagge in quanto queste, essendo piegate in avanti e curvate verso terra, non sono nate che per cercar la propria pastura, mentre noi, la cui fronte è eretta, a cui è dato di guardare il cielo, che siamo dotati di parola e di ragione, per mezzo delle quali possiam conoscere Dio, compren derlo, imitarlo, non è lecito a noi né possibile igno rare la splendore del cielo che da solo penetra i nostri occhi e i nostri sensi. È quasi un sacrilegio, e ben grave, cercare per terra ciò che devi trovare in alto. « Anche coloro che ritengono questa perfetta di sposizione dell'universo non essere opera di un'intel ligenza divina, ma di una agglomerazione di non so qualì elementi riuniti a caso, mi sembra siano pro prio privi di ragione, di senso, di occhi infine. Che cosa, infatti, di più chiaro, di più palese ed evidente quando alzi gli occhi al cielo e esamini ciò che si trova sotto ed attorno a te, dell'esistenza di una divi nità dall'intelligenza superiore, che anima, muove, conserva e governa l'intera natura? c Osserva il cielo stesso, come si stenda immensa mente, come rapidamente ruoti, vuoi quando di notte appaiono gli astri, vuoi quando brilla di giorno per il sole; riconoscerai subito come sia mirabile, divino, l'equilibrio in cui l'ha posto il sommo reggitore. Osserva come i l corso del sole determini l'anno e 39
come l a luna, col suo crescere, decrescere e scampa rire determini il mese. E che dire del regolare avvi cendarsi delle tenebre e della luce, affinché alternan do il lavoro col riposo ci sia data la necessaria requie? M a bisogna lasciare agli astronomi più ampio discor so sugli astri, in quanto guidino l a rotta del navi gante, o determinino il tempo dell'aratura e della mietitura. Ciascuna di queste meraviglie per essere creata, eseguita e regolata necessita di un artefice eccezionale e di una intelligenza perfetta; ancor più, non s i può rendersi conto di essa, percepirla, com prenderla senza una grande finezza di intelligenza. « E che? quàndo si succedono le stagioni e i pro dotti con una costante varietà, la primavera coi suoi fiori, l'estate con le messi, l'autunno con i frutti maturi e J 'inverno con il raccolto tanto necessario delle olive, non testimoniano forse essi dell'esistenza di u n loro autore e padre? Se non fosse opera di un a intelligenza suprema quell'ordine sarebbe facil . mente turbato. Quale atto di provvidenza non fu l'im pedire che un perenne inverno non inaridisse la terra col gelo, o una perenne estate la bruciasse col caldo, e fosse inserita fra quelle stagioni la tempe ratura. moderata della primavera e dell'autunno, in modo che, ritornando l'anno sul proprio cammino, i passaggi da una stagione all'altra avvenissero insen sibilmente e senza danno! « Contempla il mare: è contenuto nel lido, che è la sua legge; osserva tutte le specie di alberi, come essi traggan Ja vita dalle viscere della terra; guarda l'oceano: è soggetto al flusso e riflusso; osserva le sorgenti: provengono da vene inesauribili; poni men te ai fiumi: essi avanzano scorrendo senza posa . « E che dirò dell'arte con cui sono distribuite le montagne scoscese, i colli ondulati, le distese pia neggianti? Che dirò degli svariati m·ezzi dati agli animali per difendersi gli uni dagli altri? Alcuni sono armati di corna, altri hanno per difesa e zanne,
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son muniti di solidi artigli, di puntuti aculei oppure la loro libertà è assicurata dall'agilità dei piedi o dalla risorsa delle ali. " È soprattutto la bellezza della forma umana che ne proclama Dio quale artefice: l 'attitudine eretta, il volto soLl evato, gli occhi posti al sommo come per meglio osservare e tutti gli altri sensi stabiliti nel capo, come in una fortezza. Sarebbe troppo lungo entrare nei partico lari. Non v'è nessun membro del corpo umano, che non abbia ragion d'essere per la propria utilità e bellezza e, ciò che pìù sorprende, la forma è la stessa per tutti, ma ciascuno h a certi tratti diversi: sì che, visti nell'insieme sembriamo uguali e considerati uno ad uno appariamo diversi. « Ed il modo con cui si nasce? il desiderio di pro creare? Non è stato forse disposto da Dio che, quando il parto sta per aver luogo, l e mammelle si gonfino di latte, in modo che il tenero pargolo possa crescere col nutrimento di quella lattea rugiada? E Dio non si preoccupa soltanto dell'insieme, ma anche delle singole parti. La Britannia scarseggia ùi sole, ma è ricompensata dal tepore del mare che la circonda \ il fiume Nilo tempera la siccità dell'Egitto; l'Eufrate compensa la Mesopotamia delle scarse pioggie e il fiume Indo si dice semini e irrighi l'Oriente « Se tu entrassi in una casa e vedessi ogni cosa ben curata, ben disposta, decorata, ritern�sti certa mente che ad essa presieda un padrone e che egli valga assai più di quelle bèlle cose: e allora, in que sta casa che è i l mondo, quando tu scopri nel cielo e nella terra una provvidenza, un ordine, una legge, devi pur credere che debba esistere un padrone e XVIII
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genitore dell'universo e sia più bello degU astri e di ogni altra parte del mondo. «. M a forse, poiché non vi è dubbio possibile circa la Provvidenza, tu ritieni ci si debba chiedere se il 41
regno celeste sia dominato dall'impero di uno solo o dalla volontà di molti; problema che non costerà molta fatica a esser risolto per chi consideri gli impe ri terreni che sono certamente modellati su quelli del cielo. « Quando mai l'associazione al trono ha avuto ini zio lealmente ed è finita senza effusione dì sangue? Non parlo dei Persiani, che dal nitrito dei cavalli traevano l'auspicio per assegnare il supremo coman do, e non mi occupo della coppia tebana, favola ormai dimenticata. M a è notissima la storia dei fra telli gemelli che si disputarono il diritto di regnare su qualche pastore e una capanna. Un genero ed il suocero suo hanno riempito il mondo intero delle lor guerre e la fortuna di così grande impero non ammi· se la presenza di due persone 2• « Ecco altri esempi: un solo re hanno le api, una sola guida il gregge, un solo capo le mandrie. Come puoi tu credere che .in cielo la somma potestà possa essere suddivisa e la sovranità di ciò che è vero e divino ven ir, scissa, mentre è evidente che Dio, padre di ogni cosa, non può avere né principio né fine, poiché egli assicura la vita ad ogni cosa ed a se stesso l'eternità, e prima dell'esistenza del mon do egli era un mondo a sé; lui che crea con la pro pria saggezza, tutto porta a compimento con la propria potenza? « Non si può vederlo: è troppo luminoso per i no stri occhi; non sì può percepirlo: è troppo puro per il nostro tatto; né misurarlo: è al di sopra dei sensi, infinito, immenso, lui solo sa quanto sia grande. La nostra intelligenza è troppo angusta per com prenderlo, e noi non possiamo farci un'idea degna di lui che definendolo al d i sopra di tutte le nostre idee. I o vi dirò interamente 11 mio pensiero: chi ritiene di poter conoscere la grandezza di Dio, la diminuisce: chi non vuole sminuirla, non tenti di conoscerla. 42
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Non cercar d i dare un nome a Dio: il suo nome è Dio. È 'infatti necessario un nome quando sono da distinguersi, in una moltitudine, individui vari, «
designandoli con appellativi propri: ma per Dio, che è il solo della propria specie, il nome di Dio dice tutto. Se io lo chiamerò padre, si potrà ritenere si tratti di un essere carnale; se re, si supporrà che egli è di questa terra; se padrone, si capirà facil mente che è un mortale. Lascia da parte queste aggiunte d i nomi e tu lo vedrai in tutta la sua chiarezza! l
E non è anche vero che su questo punto ho n consenso di tutti'? Ascolta i l popolo: quando alzano le mani verso i l cielo, non dicono altro che "Dio", "Dio è grande", "Dio è vero" e "Se piacerà a Dio". È questo il linguaggio spontaneo del popolo o la pro fessione di fede in un Cristiano? Anche coloro che considerano Giove come capo supremo, errano quan. to al nome, ma sono d'accordo circa l'unicità della potenza divina. «
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So che anche i poeti proclamano esservi un solo padre degli dèi e degli uomini e dicono che il pensiero dei mortali duri quanto il giorno susci tato da quel padre di tutti. E che dire del mantovano Marone? Non afferma egli più apertamente, giusta mente, veracemente che "al1'origine un soffio divi no animò il cielo, la terra e le altre parti dell'uni c
verso, una intelligenza diffusa in loro li agita, e da essa è sorta la razza degli uomini, degli animali" e di ogni altro essere animato? c Lo stesso poeta in altro punto attribuisce il nome di Dio a questa intelligenza e a questo soffio. Eccone infatti le parole: ... Dio va per tutte le cose e terre e spazi del mare e cielo profondo 43
"donde gli uomini, gli animali, la pioggia e il fuo co" 1• E che cos'altro è considerato anche da noi Iddio se non intelligenza, ragione e spirito? Passiamo in rassegna, se ti garba, le dottrine dei filosofi: scoprirai che, sia pur con linguaggio diverso, nella sostanza essi convengono e concordano su tale opinione. Lascio da parte i primitivi e i più aptichi, che dalle loro massime meritano U nome di sapìen ti � . Citiamo Talete di Mileto, primo fra tutti, che per primo dissertò intorno alle cose celesti. È pro prio Talete di Mileto che afferma essere l'acqua il principio di tutt.o, ma Dio lo spirito che con l'acqua · ha formato ogni cosa. Questo concetto dell'acqua e dello spirito è così profondo e sublime, che non sembra sia stato inventato dall'uomo, ma rivelato da Dio: vedi, dunque, che il fondatore della filosofia è del tutto d'accordo con noi a. c Anassimene poi, e dopo di lui Diogene d'Apol· Ionio, dichiarano che l'aria è Dio, infinito e im menso; anche la loro opinione sulla divinità è simile alla nostra. L'ordine delle cose e il moto di Anas sagora sono opera di un Dio dall'intelUgenza infinita, e i l Dio di Pitagora è uno spirito che circola e si spande nell'universo intero, e di qui nasce anche la vita di tutti gli esseri animati.. È noto a tutti che Xenofane ritiene che Dio sia l'infinito dotato di intelligenza; Antistene ammette molti dèi popolari, ma uno solo più importante, che è la natura. Speu sippo riconosce quale Dio una forza animata che regge ogni cosa • . c E ancora? Democrito, benché sia stato i l primo inventore degli atomi, non chiama assai spesso Dio la natura, dalla quale sono emanate le l'immagini" cosi come la nostra intelligenza? Anche quell'Epi curo, che ritiene gli dèi oziosi o inesistenti, pure li c
sovrappone alla natura. Aristoille varia nelle pro· prie idee; afferma tuttavia esservi una sola sovra44
nità; a volte è l'intelligenza, a volte il mondo che egli chiama Dio, a volte pone Dio al di sopra del mondo. Teofrasto pure varia: a volte assegna la su premazia al n1ondo, a volte all'intelligenza divina. Eraclide del Ponto, benché egli pure varii, attribuisce al mondo una intelligenza divina; Zenone, Crisippo e Cleante sono essi pure di opinioni diverse, ma ritornano tutti all'unicità della Provvidenza. Cleante infatti dichiara Dio a volte intelligenza, a volte spi rito, a volte essere, più sovente ragione. Zenone, suo maestro, vuole che i l principio di ogni cosa sia la legge naturale e divina, a volte l'etere a volte la ragione; lo stesso, interpretando Giunone come l'aria, Giove il cielo, Nettuno il mare, Vulcano il fuoco e parimenti mostrando che gli altri dèi del volgo sono degli elementi, attacca e perentoriamente respinge l'errore popolare. Quasi altrettanto dice Crisippo: Dio è potenza divina dotata di ragione: la natura, il mondo e, a volte, l'inevitabile necessità sono ritenute Dio, imitando Zenone nell'interpretazione naturali stica delle poesie di Esiodo; d i Omero, e di Orfeo 5• < Tale è pure la dottrina di Diogene di Babilonia, quando espone e spiega che la nascita dj Giove e l'origine di Minerva e gli altri avvenimenti di tal genere sono delle qualifiche di fenomeni e non delle divinità. Senofonte i l socratico nega che si possa vedere la forma del vero Dio e che non si deve per tanto cercarla; Aristone lo stoico che si possa affer rarla interamente: ambedue riconobbero la maestà d i Dio, quando disperarono di intenderla. Il linguag gio di Platone è più chiaro e per ì l contenuto e per la forma e sarebbe del tutto divino, se non fosse contaminato sovente dalla mescolanza di pregiudizi politici. Infatti Dio, nel Tin1,eo, è chiamato da Platone espressamente padre del mondo, creatore dell'ani ma. autore delle cose celesti e delle terrene; ed è difficile scoprir lo, a cagione ·della sua infinita e incre-15
dibile potenza e, una volta scopertolo, impossibile definirlo alle masse u. Ecco le vostre credenze, che a un di presso sono simili alle nostre: perché anche noi riconosciamo l'esistenza di Dio, lo dichiariamo padre d i ogni cosa e non ne parliamo mai in pubblico, se non siamo interrogati. lt
Ho esposto le opinioni di quasi tutti i filo sofi, di quelli la cui fama è più chiara; essi ammet tono tutti l'esistenza di un solo Dio, anche se desi gnato con molteplici nomi, sl che qualcuno potrebbe pensare che i Cristiani d'oggi sono dei filosofi o che quei filosofi fin d'allora erano cristianL c Orbene, se i l mondo è retto da una Provvidenza ed è governato dalla volontà d i u n solo Dio, l'anti chità ignorante, dilettata o piuttosto sorpresa da quelle favole, non deve chiederci di consentire a no XX
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stra volta ai propri errori, mentre respinge l'opinione dei suoi filosofi, che hanno dalla loro l'autorità della ragione e della vetustà. Infatti i nostri antenati pre starono tanto facilmente fede alle menzogne, da am mettere ciecamente anche altre mostruosità, dei veri prodigi: Scilla, dai molteplici aspetti; la multiforme Chimera; l'Idra rinascente dalle proprie feconde fe rite; i. Centauri, tutt'uno con i propri cavalieri; in somma essi ascoltavano con piacere tutto ciò che alla pubblica voce piace immaginare l. « E che dirò d i quelle favole da vecchie donnicciuo le degli uomini che si trasformano in uccelli e in belve e così pure degli uomini che diventan alberi o fiori �? Se ciò fosse avvenuto un dì avverrebbe anco ra: ciò che non può più avvenire non avvenne mai. Parimenti i nostri antenati si son sbagliati in ciò che concerne gli dèi: malaccorti, creduloni, hanno pre stato fede con rozza faciloneria. Mentre onorano i re con una venerazione religiosa, mentre desiderano 46
vederli anche dopo morti nelle immagini, mentre cer cano d i conservarne la memoria mediante le statue, finiscono per considerare oggetti di culto quelle cose che erano state create per motivi consolatorii. Infine, prima che il mondo si fosse aperto ai commerci e prima che le genti mescolassero i propri riti e co stumi, ogni nazione venerava quale proprio fonda tore o un illustre condottiero o una regina, casta e coraggiosa più eli quel che consenta il sesso, o l'auto re di qualche arte: li veneravano come cittadini di chiara fama e così ad un tempo davano un premio a dei morti e un esempio ai posteri. Leggi gli scritti degli storici o quelli dei filosofi: sarai deJla mia opinione. Evemero passa in �assegna gli uomini che furono considerati dèi in ricompensa del va!Qre o delle loro prestazioni, e ne indica il giorno della nascita, dove son nati, dove sepolti, li classifica per provincia: Giove Dicteo, Apol , lo Delfico, Iside Faria, Cerere Eleusina . Prodico dice che furon assunti alla divinità coloro che, viaggiando XXI
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per i l mondo, si rendettero utiU agli uomini col ri trovamento di nuovi prodotti. Dello stesso parere è anche la filosofia di Perseo, che riunisce sotto lo stes so nome i prodotti scoperti e i loro scopritori, sì che nella commedia si dice "Senza Bacco e Cerere Vene re è di ghiaccio"�. c I l famoso A lessandro Magno i l macedone, in una nota lettera alla propria madre disse che il segreto concernente gli uomini-dèi gli era stato rivelato da un sacerdote che temeva la sua potenza: in tale scritto si ritiene Vulcano come il primo eli tutti e dopo di lui vien la stirpe di Giove �. Considera il sistro di Iside accanto alle rondini e la tomba vuota del tuo Serapide od Osiride le cui membra sono disperse '. Considera inoltre lo X À"TT
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stesso culto e gli stessi misteri di quegli dèi: vi troverai delle fini tragiche, deJle morti e dei funerali, dei lutti e dei pianti in onore di quelle sventurate di vinità. Iside, con i suoi calvi sacerdoti e i l Cinoce falo, piange il proprio figlio perduto, si lamenta, lo cerca, ed i miseri adoratori di Iside si percuotono il petto cercando di eguagliare il dolore della sventura ta madre: poi, t'itrovato il pargolo, Iside gioisce ed allora i sacerdoti esultano, Cinocefalo che l'ha tro vato se ne vanta; né cessano ogni anno d i perdere ciò che essi ritrovano e di ritrovare ciò che perdono! Non è ridicolo piangere ciò che si adora o adorare ciò che si piange? Eppure questi culti. un tempo egi ziani, ora sono diventati anche romani ". « Cerere, circondata da torce accese e da serpenti, ansiosa e agitata, raminga va in traccia di Libera, rapita e violata: questi sono i Misteri eleusini. E quale è il culto di Giove? La sua nutrice fu una ca pra ed egli fu sottratto bambino alla voracità del padre, affinché non lo divorasse, e con i cimbali dei Coribanti, perché il padre non oda i vagiti, si alzano strepiti ". « Ho vergogna di far cenno dei misteri di Dindyma in onore di Cibele, che non riuscendo a sedurre il proprio amante, p8r sua sventura da lei vagheggiato - giacché essa era sformata e vecchia, essendo ma dre dj molti dèi - lo mutilò, evidentemente perché vi fosse fra gli dèi anche un eunuco. Per tale leg genda i Galli, questi semi-uomini, la onorano con la mutilazione del proprio corpo. Non son più queste, delle cerimonie religiose, ma delle torture ' ! E che! L'aspetto stesso e le abitudini non pro vano il ridicolo e l'ignominia dei vostri dèi? Vulcano è un dio zoppo avendo un arto paralizzato; Apollo, pur vecchio è çtncora imberbe; Esculapio reca abbondan te barba, benché figlio di Apollo sempre giovinetto; Nettuno, ha gli occhi verdicci, Minerva azzurri, Giu•
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none bovini, Mercurio ha le ali a i piedi, Pau degli zoccoli, Saturno i piedi incatenati. Giano poi reca due fronti, quasi camminasse anche all'indietro. Diana a volte è cacciatrice dalle vesti succinte; quella di Efeso è invece raffigurata con numerose mammelle e seni e quella 'Tri via terribile per le tre teste e le molte braccia. Che dire del vostro Giove? A volte è rappresentato ·senza barba, a volte barbuto; e quan do lo si chiama Ammone ha delle corna, quando è detto Capitolino reca i fulmini, quando Laziare è co sparso di sangue e quando Feretrio porta la corona. E per non passare oltre in rassegna tutti i Giovi, vi sono tante rappresentazioni mostruose di Giove, quanti nomi gli vengono affibbiati 3• • Erigone si appese ad un laccio, per essere raffi gurata quale Vergine tra gli astri; i Dioscuri muoiono alternatamente per rivivere poi; Esculapio vien fol gorato per assurgerlo fra gli dèi; Ercole, per spo gliarlo della natura umana, è bruciato sul rogo del monte Eta r.. Queste favole e queste superstizioni le abbiamo apprese dai parenti ignoranti e, ciò che è più grave, le perfezioniamo attraverso lo studio e Ja istruzione, soprattutto dei carmi dei poeti, che, a cagione della loro autorità, sommamente hanno no ciuto alla verità. Anche Platone, dopo aver lodato e incoronato il famoso Omero, ben ha agito escluden dolo dalla Repubblica che ideò col noto dialogo. È infatti soprattutto Omero che nella guerra di Troia, anche se lo faccia per beffa, ha tuttavia mescolato i XXIII
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vostri dèi alle vicende ed alle azioni umane, è lui che li ha messi di fronte a coppie: ferì Venere, inca tenò, maltrattò, mise in fuga Marte. Egli racconta che grazie a Briareo Giove fu liberato, evitando di essere incatenato dagli altri dèi; piange con lacrime di sangue i l figlio Sarpedone, perché non riuscì a 4·
Otta;:io.
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strapparlo dalla morte; e sedotto dal cinto di Venere, giacque con la propria moglie Giunone con maggior ardore di quando frequentava le amanti. Altrove Ercole ripulisce le staUe e ApoUo fa pascolare il greg ge per Admeto. Nettuno poi costruisce delle mura per Laomedonte, e l'infelice artigiano non riceve mercede alcuna per il proprio lavoro. Altrove ancora il fulmine di Giove e le armi di Enea vengono for giati sull'incudine, benché il cielo, i fulmini e i lam pi siano esistiti molto prima che Giove nascesse a Creta e benché il bagliore della vera folgore non potesse essere imitato dal Ciclope e da Giove stesso dovesse esser temuto. Che dirò del flagrante adulterio d i Marte e Venere, della passione vergognosa di Gio ve per Ganimede, consacrata in cielo? Tutte queste fandonie sono state inventate per assicurare una par venza di giustificazione ai vizi degli uomini 1• « Con queste e simili invenzioni, con belle e sedu centi menzogne, vengono corrotte le menti dei fan ciulli; con talì favole infisse nei loro animi crescono fino alla età virile e con queste stesse credenze in vecchiano, i miseri, mentre la verità appare evidente, ma a coloro che la cercano. << Saturno, infatti, che fu il capostipite di tale schiatta e di tale turba, ce lo presentano come uomo tutti gli scrittori dell'antichità greca e romana. Lo affermano Cornelio N epote e Cassio nelle loro storie; Tallo e Diodoro non dicono altrimenti. Questo Sa turno, dunque, fuggito da Creta per timore del figlio irritato, era arrivato in Italia e, ricevuta ospitalità da Giano, da Greco raffinato qual era, molte cose in segnò a quella gente inesperta e rozza, come a scd vere le lettere dell'alfabeto, a batter moneta, a fab bricare attrezzi. Perciò il nascondiglio suo, dove rimaneva sicuramente nascosto, volle chiamare Lazio e la città Saturnia dal proprio nome, così come Giano eresse il Gianicolo, lasciando entrambi tale memoria 50
di sé per i posteri. Fu certamente un uomo colui che fuggì, così come lo era chi si teneva nascosto; padre di un uomo e nato da un uomo: se infatti fu detto figlio della Terra e del Cielo, è perché agli· Italici erano ignoti i suoi genitori, così come oggi, se si fa avanti inopinatamente un tale, lo diciamo venuto dal cielo e chiamiamo figli della terra quelli di cui non conosciamo l'origine. Giove, figlio di Saturno, cacciato i l padre, regnò su Creta e vi morì, vi lasciò dei figli: ancor oggi si visita la caverna d i Giove, se ne mo. stra il sepolcro e dallo stesso culto suo si può rico noscerne la natura umana :.�. « Sarebbe inutile passare in rassegna ad uno ad uno e spiegare l'intera genealogia di questa stirpe, poiché se dei progenitori è provata la natura mortale essa è tramandata agli altri per naturale or dine di successione. Ma forse voi immaginate che XXIV
essi divennero dèi dopo la morte: per lo spergiuro di Proculo Romolo divenne dio, e Giuba è dio per vo lontà dei Mauri, e dèi sono fatti gli altri re, non perché si creda nella loro divinità, ma per onorarne la passata potenza 1• Tale qualifica vien attribuita poi loro malgrado: preferiscono rimaner nella con dizione di uomini, temono di esser deificati, anche divenuti vecchi non lo desiderano. « Dunque, gli dèi non possono derivare dai morti, perché un dio non può morire, e neppure dai vivi, perché chiunque nasca deve morire: divino è solo ciò che non conosce né inizio n é fine. Perché mai, infatti, se sono nati degli dèi, non ne nascono ancor oggi? O forse Giove è troppo vecchio, Giunone non può più partorire e Minerva è diventata canuta prima di aver generato? O forse è finita questa prolifera zione perché nessuna fede si presta più a favore di tale specie? « Del resto se agli dèi fosse dato di procreare senza 51
poter morire, avremmo più dèi di tutti gli uom1m assieme, sì che né i l cielo riuscirebbe a contenerli, n é l'aria a racchiuderli, n é la terra a portarli. Donde chiaramente appare che furono uomini coloro di cui ci è narrata La nascita e che sappiamo anche esser morti. ... Chi allora può dubitare che se il volgo prega e rende un pubblico culto alle immagini consacrate eli quegli dèi, è perché l'opinione e lo spirito della gente incolta sono sedotti dalla bellezza artistica e, abbagliati dal luccichio dell'oro, si lasciano affasci nare dal brillare dell'argento e dalla bianchezza del l'avorio? Che se sì pensasse per mezzo d i quali tor ture e di quali attrezzi è formata ogni statua, si arrossirebbe di aver timore eli una materia di cui l'artefice si fa zimbello per foggiarne un dio. U n dio d i legno, infatti, forse avanzo d i u n rogo o d i u n tronco maledetto, è drizzato, tagliato, squadrato, pial lato. I l dio di stagno o di argento, tratto sovente da un immondo vaso, come fece un re egizio, è fuso, battuto coi martelli e ha preso forma sulle incudini. I l dio di sasso è tagliato, scolpito e levigato da un uomo dissoluto, ed è insensibile all'oltraggio che gli provien dalla nascita, come poi al culto resogli dalla vostra venerazione 2 Ma forse voi dite che non è ancora dio quando è pietra, legno o argento. E quando lo diviene allora? Ecco che vien fuso, lavorato, scolpito: non è ancora dio; viene saldato con piombo, è messo insieme, eretto: neppure allora è dio; ecco che viene adornato, consacrato, venerato: allora finalmente diviene dio, •
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quando l'uomo lo vuole tale e tale l'ha consacrato. " Con quanta maggior verità i muti animali giu dicano, guidati dall'istinto, i vostri dèi! I topi, le rondini, gli sparvieri sanno che essi non sentono nulla; li rodono, vi si posan sopra e, se non li scac ciate, nidificherebbero nella bocca stessa dei vostri 52
dèi, mentre i ragni tesson la tela sul loro volto e sospendono i propri fili alla loro testa. Voi l i strofi nate, li ripulite, li grattate e quegli dèi, da voi stessi fabbricati, li difendete, li temete; è che nessuno eli voi pensa che dovrebbe conoscere Dio prima di ado rarlo, che dovrebbe cercare di non obbedire cieca mente ai propri parenti, dovrebbe preferire dì non divenire succube dell'errore altrui piuttosto che fi. darsi di se stesso: è, infine, che voi nulla sapete di coloro che temete. È cosl che neH'oro e nell'argento avete consacrato la cupidigia, avete fissato un tipo in quelle statue inanimate, è così che è nata la super stizione romana! « Se tu passi in rassegna i loro riti, quante cose degne di riso, quante degne di pietà non trovi! Al cuni, in pieno inverno, corron qua e là ignudi; altii procedono calzando dei berretti a punta, recando dei vecchi scudi; altri battono dei tamburi, traspor tando di strada in strada i loro dèi a questuare; al cuni templi sono accessibili una volta sola all'anno, altri è sempre vietato visitarli. V i sono delle ceri monie interdette agli uomini e altre da cui le donne sono escluse; ad alcune gli schiavi non possono inter venire senza che la profanazione venga espiata: al cuni simulacri devono essere incoronati da una donna sposata una sola volta, altri da una sposata più volte ed è con grande scrupolo che si ricerca chi possa noverar i l maggior numero di adulteri •. E che! Colui che fa delle libazioni con i l proprio sangue e sup plica gli dèi ferendosi a sangue, non sarebbe meglio fosse empio piuttosto che in tal guisa religioso? O colui cui sono asportati con un coccio i genitali, che in questo modo placa la divinità, che cosa farà per offenderla? Perché se Dio volesse degli eunuchi, potrebbe procrearli, non crearli ". « Chi non comprenderebbe che sono degli spiriti malati e delle menti insensate e pervertite coloro che 53
cadono in tali deliri e ricevono reciproco aiuto dallo stesso gran numero di insensati? In questo caso la giustificazione deJla comune follia è nella gran quan tità dei pazzi.
XXV
Ma, si dirà, è proprio questa superstizione che ha assicurato ai Romani il loro Impero, l'ha •
accresciuto, l'ha consolidato, perché non tanto al valore quanto alla religione e alla pietà essi dovreb bero la propria potenza. Eh già, l'insigne e nobile giustizia dei Romani ha avuto inizio sin dall'origine del loro nascente predominio! Non furono forse agli inizi associati fra loro dal delitto e non crebbero perché resi potenti dal terrore che ispirava la loro ferocia? È infatti in un luogo di rifugio che si rac colse i l primo nucleo del popolo romano: v i era afflui ta della gente perduta, dei criminali, degli incestuosi, degli assassini, dei traditori e lo stesso Romolo, loro re e capo, per eccellere con un delitto di fronte al proprio popolo commise un fratricidio '. « Questi sono gli auspici sotto cui nacque la reli giosa nazione! Poco dopo delle giovani straniere, già promesse, già fidanzate, ed alcune donne già maritate sono, contro ogni legge, rapite, violate, oltraggiate e con i loro genitori, cioè con i propri suoceri, i Romani entrarono in guerra, versarono il sangue degli affi ni �. Che di più empio, di più spregiudicato, d i più sicuro della baldanza con cui commettevano i de litti? Poi cacciarono i vicini dal loro territorio, deva starono le città più prossime con i loro templi ed altari, ne trassero a forza dei prigionieri; i l divenir grandi con la sventura degli altri e la scelleratezza propria è politica comune a Romolo, agli altri re e poi ai capi della repubblica. Così tutto ciò che i Romani occupano, venerano, possiedono è frutto d i audacia: tutti i templi sono sorti coi denari dei bot tini; vale a dire con la rovina di città, con la spolia54
zione di divinità, con la strage di sacerdoti. È un insulto ed una derisione il farsi servilori degli dèi conquistati, adorarli dopo averli vinti e fatti prigio nieri. Giacché adorare ciò che si è conquistato a mano armata è riconoscere come sacro un 'Sacrilegio, non una divinità. Tante volte furon dunque com· messe empietà dai Romani, quante volte celebraron trionfi, tante l e spoliazioni di dèi, quanti i trofei presi alle altre nazioni. I Romani non sono perciò tanto grandi perché religiosi, ma perché impunemente sa crileghi: non poterono infatti nelle loro guerre con tare sull'aiuto di quegli dèi, contro i quali avevano preso le armi, e cominciarono ad onorare coloro per i quali avevano pregato solo dopo aver trionfato su di essi. Che cosa mai possono valere per i Romani questi dèi che non seppero far nulla in favore dei propri seguaci contro le armi romane �? • Conosciamo le divinità nazionali dei Romani: gli dèi Romolo, Pico, Tiberino, Conso, Pilumno e Vo lumno: Tazio trovò Cloacina e la venerò, Ostilio il Terrore e il Pallore, poi non so chi dedicò un tempio alla Febbre: ecco quale religione h a nutrito l'Urbe: le malattie e l'infermità! Devono senz'altro essere noverate fra le malattie e le divinità dei Romani Acca Larenzia e Flora, svergognate meretricì •! c Sono naturalmente cotesti dèi che hanno fatto grande l ' I mpero Romano ai danni di quelli che dalle altre genti venivano adorati: n é infatti poterono aiutarvi, andando contro i propri seguaci, Marte Tracio o Giove Cretese o Giunone ora d'Argo, ora di Samo ora di Cartagine, o Diana Taurica o la Ma· dre Idea o quei mostri più che dèi d'Egitto 5• c Bisognerebbe forse obiettare che presso i Roma ni maggiore era la castità delle verginj e più profonda la religiosìtà dei sacerdoti; se non che molte furono le vergini che. certo all'insaputa di Vesta, fornica. rono con gli uomini e vennero condannate per ince55
sto, e altre godettero di impunità non perché più caste, ma perché più fortunate nella loro impudici zia. Dove infatti più che fra altari e templi si mercan teggiano dai sacerdoti gli stupri, si trattano i lenocini, si organizzano gli adulteri? Infine la passione si infiamma e si sfoga ne11e celle dei guardiani dei templi, più che negli stessi postribolL « Del resto prima dei Romani, per volere di quegli dèi che dispensano gli imperi. a lungo regnarono gli Assiri, i Medi, i Persiani; anche i Greci e gli Egizi, pur non avendo Pontetici e Arvali, Salii, Vestali e Auguri, né polli racchiusi in gabbia il cui beccare o meno decida dei supremi destini dello Stato 0•
XXVI
« Eccomi cosl arrivato a quei famosi auspi ci e previsioni dei Romani, dei quali con grande fatica hai riunito le testimonianze, e che, negletti, ci sarebbe da pentirsene, osservati, da rallegrarsene. Già Claudio, Flaminio e Giunio avrebber perduto il loro esercito, perché non ritennero di attendere l'au spicio favorevole dei polli. E che? Regolo non h a forse osservato gli auspici, eppure cadde prigioniero? Mancino rispettò la religione, eppure passò sotto i l giogo e fu con�egnato ai nemici. Anche Paolo ebbe dei polli che mangiavano favorevolmente, tuttavia fu sconfitto a Canne con la maggior parte del popolo romano. Caio Cesare disprezzò le previsioni e gli auspici che lo volevan trattenere dal far passare l e sue navi in Africa prima dell'inverno: eppure con la più gran facilità navigò e vinse 1• « M a quali e quante cose continuerò a dire circa gli oracoli? Amfiarao dopo la propria morte si è messo a predir il futuro, Jui che non seppe come sua moglie lo tradisse per una collana. I l cieco Tiresia vedeva le cose future, ma non notava quelle vicine�. Fu Ennio a inventare la risposta dell'Apollo Pizio a Pirro, giac ché Apollo aveva allora già smesso di esprimersi in 5o
versi: e i suoi oracoli si fecero più cauti e oscuri, quando gli uomini cominciarono a essere più istruiti e meno creduloni. Demostene, che sapeva esser le ri
sposte artefatte, si lamentava che la Pizia q;tì.mntCetv [fil ippeggiasse] 3• gli auspici e gli oracoli colpirono c Qualche volta nel segno. Benché possa avvenire che fra molte cose errate i l caso assuma talora le apparenze dell'arte divinatoria, tuttavia cercherò di risalire fino a quella sorgente di errore e di perversità, da cui derivano tutte le oscurità e d i porle nella dovuta luce. sono alcuni spiriti corrotti, erranti, decaduti c Vi dalla loro potenza celeste a cagione dei propri disor dini terreni e delle passioni. Tali spiriti dunque, dopo aver perduto la purezza della propria natura, schiacciati e immersi nei vizi, per conforto della pro pria disgrazia non ristanno, perduti, dal perdere altri; pervertiti, di infonder in altri la perversità e, allontanati da Dio, di allontanarne gli altri diffon dendo false religioni. c I poeti sanno che questi spiriti sono i démoni: lo insegnarono i filosofi, lo riconobbe Socrate, il quale, per la volontà e l'ordine di un démone che gli stava accanto, rinunciava a degli affari o li intrapren deva •. Anche i maghi, non soltanto conoscono i dé moni; ma, se compiono qualcm;a di miracoloso, lo fanno per mezzo dei démoni: per loro ispirazione e influsso inventano ciurmerie, facendo vedere ciò che non c'è o impedendo di vedere ciò che esiste. Di co storo, primo a parole e a fatti, Ostane rende i l dovuto omaggio al vero Dio e sa che degli angeli, cioè dei servitori e dei messaggeri, difendono il trono di Dio e gli stanno accanto per venerarlo, sì che tre mano atterriti ad un solo cenno e a uno sguardo del Signore. Ostane ha affermato che i démoni sono esseri terrestri, erranti, nemici degli uomini. E che! Platone, che ritiene difficile impresa scoprir Dio, 57
non parla forse senza alcuna difficoltà d i angeli e d i démoni? E anche nel suo Convito non cerca di defi nire la natura dei démoni? Egli vuole che siano di una sostanza né mortale né immortale, cioè inter media fra lo spirito e il corpo, formata di un misto di peso terrestre e di celeste leggerezza, da cui deriva anche, egli osserva, il nostro anticipato desiderio di amore che, dice, si forma e scorre nei petti umani, vi eccita i sensi, ne provoca gli affetti e vi infonde L'ardore della passione 0• Questi spiriti impuri dunque, i démoni, come è dimostrato dai maghi, dai filosofi e da Pla tone, stanno nascosti nelle statue e nelle immag]Jli consacrate, e col lo:ro influsso acquistano una auto rità come se si trattasse della presenza di una divinità: a volte ispirano i poeti, a volte prendon dimora nei templi, a volte fanno palpitare le fibre delle vi scere, governano H volo degli uccelli, regolano le sorti, rendono oracoli, avviluppati più di menzogne . che di ve rità. Perché essi si ingannano e ingannano, non conoscendo l a pura verità, e quella che conosco no non confessandola per non rovinarsi. Così ci ab bassano dal cielo verso terra, e ci allontanano dal vero Dio verso gli dèi fatti di materia, turbano la vita, inquietano i sonni, nascostamente penetrano XXVII
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anche nei nostri corpi, come spiriti sottili, creano malattie, atterriscono le menti, torturano le membra, per obbligarci ad adorarli e perché poi, ingrassati dall'odore degli altari e dalla carne delle vittime, ap paiano come risanatori di coloro che avevan lasciati liberi dopo averli ìnvasati. Di qui anche quegli in vasati che voi vedete correre per le strade, sarebbero essi pure degli indovini che operano fuor dai tem pli, ugualmente pazzi, baccanaleggianti, piroettanti: uguale è in loro l'eccitamento del demonio, diversa solo la manifestazione della follia. Dai démoni deri58
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r vano pure quegli avvenimenti che poco fa tu hai esposto, come Giove che richiede dei giochi per mez zo di un sogno, l'apparizione di Castore coi cavalli, la nave condotta dalla cintura di una matrona '« Tutte queste cose, come la maggior parte di voi sa, i démoni stessi confessano essere opera propria ogni volta che noi l i cacciamo dai corpi con la tor tura delle nostre parole e l'ardore delle nostre pre ghiere. Lo stesso Saturno, Serapide e Giove e tutti i démoni che voi onorate, vinti dal dolore, dichiarano ciò che essi sono e non mentono, benché torni a loro danno, specie quando vi sian presenti alcuni di voi. Credete alla loro stessa testimonianza, quando con fessano d i essere dei démoni: se noi li esorcizziamo in nome del Dio vero e unico, tremano lor malgrado d i spavento i miseri nei corpi e li abbandonano di colpo o a poco a poco scompaiono, secondo l'aiuto che arreca la fede del paziente o l'influsso della gra zia in chi guarisce. Così quando son vicini fuggono quei Cristiani che, da lontano, per mezzo vostro, cercano di perseguitare nelle adunanze. Così. insi nuatisi nelle menti di coloro che non ci conoscono, nascostamente seminano l'odio contro i Cristiani, per il timore che hanno di noi: è naturale infatti odiare ciò che si teme, e trattar da nemico, se si può, chi si teme. Così essi si impadroniscono degli animi e chiudono i cuori, sl che gli uomini comincino con l'odiarci prima di conoscerci per tema che, avendoci conosciuti, o ci imitino o non riescano a condannarci. Come è ingiusto giudicare, come voi fate, senza conoscere, senza indagare! Credete an che a quelli di noi che si pentono della loro passa ta esistenza. Anche noi fummo un tempo ciò che voi siete, ancor ciechi e ignoranti; avevamo le vostre stesse opinioni, e cioè che i Cristiani adorassero dei morti, divorassero i bambini, partecipassero a banXXVIII
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chetti incestuosi; e non comprendevamo che tali fa vole erano sempre diffuse dai démoni, senza che mai fossero discusse e provate; non si era mai trovato, da tempo, chi potesse denunciare quei fatti, certo di conseguire non soltanto l'impunità per ciò che aveva commesso, ma anche un compenso per la delazione fatta. Non vi era peraltro maggiore colpa di cui un Cristiano accusato dovesse arrossire e te1nere, di quella del pentirsi di non essere stato da sempre Cristiano. Noi, quando ci incaricavamo, a volte, di difendere e proteggere qualche sacrilego o incestuo so o parricida, ritenevamo che non dovessero essere interrogati, ed a volte la pietà verso d i loro ci ren deva più crudeli, fino a torturarli perché negassero ciò che confessavano, certo con rintendimento di salvarli, ma sovvertendo nei loro confronti la rego lare procedur;i, che intende strappare la verità e non costringere .alla menzogna. E se taluno, più debole, stretto e vinto dal male, negava di essere cri stiano, ci dimostravamo favorevoli a lui, come se, rinnegando con giuramento il nome, si fosse discol pato di tutto ciò che aveva commesso '. « Riconoscete che noi abbiamo avuto gli stessi sen timenti ed agito come voi sentite e vi comportate? I nfatti, se fosse la ragione e non l'istigazione del demonio a guidare, bisognerebbe piuttosto spingere i Cristiani non a negare ma a confessare le incestuose libidini, i riti sacrileghi, i sacrifici dei bimbi. Con queste favole ed altre di tal genere, i démoni �anno rimpinzato le orecchie degli ignari per renderei og getto di orrore e di esecrazione. E non v'è da mera vigliarsi, perché le dicerie del volgo - sempre ali mentate dalle menzogne, che si disseminano, ma di leguano appena la verità si faccia strada - sono anch'esse opera dei démoni; d a costoro infatti ogni falsa notizia è disseminata e propagata. « Da loro deriva quella favola, che tu dici di aver 60
udito, esser per noi una testa d'asino oggetto di culto. Chi tanto sciocco da venerar tal cosa? Chi ancor più sciocco da creder che possa esser vene rata? Nessuno all'infuori di voi che consacrate degli interi asini nelle stalle, sia pure unitamente alla vostra Epona, e gli stessi asini devotamente divo. rate assieme a Iside; come pure teste di asini e di montoni immolate e venerate; onorate degli dèi metà caproni e metà uomini e quali divinità delle teste di cane o di leone. Non adorate, forse, unitamente agli Egizi, i l bue Api e non lo ingrassate? Né condannate la consacrazione fatta da costoro dei serpenti, dei coccodrilli, di tante altre belve e di uccelli, sì che se qualcuno uccide una di queste divinità è passibile di pena di morte. Gli stessi Egizi, con un gran numero di voi, temono non meno di Iside l'agrezza delle cipolle, né paventano Serapide più dei rumori che escono dai deretani dei vostri corpi �. • Anche colui che mette in gi-ro delle favole sulla nostra adorazione dei genitali di sacerdoti, tenta di trasferir su di noi le proprie infamie. Queste cose saranno forse sacre per la impudicizia di coloro presso i quali si mettono in pubblico le cose pudende con tutti i loro attributi, presso i quali ogni impudi cizia è chiamata raffinatezza, che fanno invidia alla licenza delle prostitute, lambiscono i l ventre degli uomini, con libidinosa bocca si volgono ai genitali, uomini dalla lingua impura anche se tace, che si stancano della propria impudicizia prima di vergo gnarsene 3 •
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cezze infatti che voi attribuite a gente casta e pudica, le crederemmo inesistenti, se non n e deste la prova su voi stessi. poi a ciò che voi attribuite alla nostra « Quanto religione: i l culto di un malfattore e crocefisso, siete lontanissimi dal vero, se ritenere che un malfattore abbia potuto meritare di esser ritenuto Dio e potesse esserlo una terrestre creatura. c È da compassionare colui che ripone ogni propria speranza in un essere mortale; giacché ogni aiuto finisce per lui con la 1norte di quell'essere. Gli Egi ziani, d'accordo, scelgono un uomo per adorarlo; lui solo �ercan di propiziarsi, a lui chiedon consiglio in ogni frangente, in suo onore immolano vittime. M a costui, che per gli altri è u n dio, per se stesso - lo voglia o non lo voglia . è certamente un uomo; non può ingannare la propria coscienza, come inganna l'altrui \ Anche i prìncipi e i re sono blanditi come divinità con una vergognosa e falsa adulazione, non onorati come è lecito quali uomini grandi ed eletti; mentre per un uomo eminente sarebbe omaggio più giusto i l nostro rispetto e per un uomo di buon cuore omaggio gradito il nostro affetto. Così si invoca la loro divinità, se ne supplicano le immagini, se ne implora il Genio, cioè il loro demonio, ed è per voi più prudente giuTare sul nome del Genio di Giove che di quello di un re. « Quanto alle croci, noi non le adoriamo, né le de ridiamo. Voi invece, che consacrate degli dèi di legno, forse potreste adorare delle croci di legno quali parti dei vostri dèi. Infatti le vostre insegne, le vostre bandiere e gli stendardi degli accampamenti che. al tro sono se non delle croci dorate e ornate? I vostri vittoriosi trofei non hanno soltanto l'aspetto di una semplice croce, ma imitano anche quello di un uomo crocefisso. Il segno della croce noi lo vedi·amo in mo do del tutto naturale sulla nave, che procede a vele 62
rigonfie, che scivola a remi spiegati e quando si in nalza un giogo è ancora la figura di una croce, e cosl pure quando un uomo levando le br·accia prega Dio con mente pura. Insomma il segno della croce appartiene all'ordine della natura o è la vostra reli gione che lo forma.
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« Vorrei ora chiedere conto a coluJ che ri
ferisce o crede che le nostre iniziazioni abbiano luogo per mezzo dell'uccisione e del s·angue di un bambino. Ritieni tu che un corpo così tenero, così piccino possa ricevere delle ferite tanto mortali? E chi potrà quel tenero sangue di un nuovo nato, quasi ancora non creatura umana, far sgorgare, spargere, Iibare? Nessuno potrà creder ciò se non cbi sia ca pace di farlo. Infatti siete voi che i figli da voi stessi procreati ora esponete alle belve e agli uccelli da preda, ora sopprimete col più terribile genere di mor te, strangolandoli; vi sono di quelle che ingurgitando dei medicamenti soffocano ancora nelle proprie vi scere i l germe destinato a divenir creatura umana e commettono un infanticiclio prima di aver partorito 1• « È certo dall'insegnamento dei vostri dèi che ciò deriva: infatti Saturno se non espose i propri figli, li divorò. Per esser degni di lui in parecchie regioni dell'Africa venivano immolati i figli dai genitori, soffocandone i pianti sotto le carezze e i baci, affin ché non si sacrificasse una vittima querula. Anche presso i Tauri del Ponto e Busiride l'Egizio vi era l'uso sacro di immolare gli ospiti; in onore di Mer curio i Galli uccidevano vittime umane o piuttosto inumane; ed un sacrificio dei Romani era quello di seppellire vivi un Greco e una Greca, un Gallo e una Galla; ancor oggi gli stessi onorano Giove La ziale con degli omicidi e, ciò cfie torna ad onore del figlio di Saturno, lo ingrassano con del sangue di 63
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uomini perversi
e criminali �.
È dallo stesso dio,
credo, che Catilina imparò a suggellare la congiura con un patto di sangue, Bellona a iniziare al pro prio culto facendo b·ere sangue umano e a guarire l'epilessia mediante i l sangue umano; cioè con un male ancora peggiore �. Non diversamente si com portano coloro che si pascono di carni delle belve. del circo, bagnate e arrossate dal sangue o ingrassa te con le membra o la carne d i un uomo. A noi non è lecito né di assistere né d i venir a conoscenza d i u n omicidio, e tale è il nostro orrore del sangue umano, che neppure vorremmo assaggiare i l sangue nei cibi degli animali commestibili 4• Dei conviti incestuosi inventò la grande favola contro di noi ìl conciliabolo dei démoni, per XXXI
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insozzare i l nostro vanto di pudicizia con la taccia di una mostruosa infamia, allontanando da noi gli uomini col terrore di questa abbominevole credenza, prima che essi potessero venire a conoscenza della verità. Cosl stando le cose, anche i l tuo Frontone su tal argomento non affermò · la cosa come teste obiet tivo, ma lanciò una calunnia da quel declamatore che era; queste malefatte hanno avuto origine piuttosto presso le vostre genti 1• È permesso dalle leggi dei Persiani d i unirsi con le proprie madri; legittimi so no i connubi con le sorelle presso gli Egizi e ad Atene; le cronache e le tragedie vostre - che leggete e udite volentieri - esaltano l'incesto; e parimenti ve nerate degli dèi incestuosi, che s i uniscono alla pro pria madre, alla figlia, alla sorella. È naturale che voi siate sovente incrinati di incesto, e che sempre lo pratichiate. Anche senza saperlo, disgraziati, po tete incappare nella illegittimità; abbandonandovi a amori senza discernimento, disseminando figli un po' dappertutto, abbandonando tanto frequentemente 64
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alla pubblica pietà anche quelli nati nella vostra casa, vi capita naturalmente di imbattervi nei vostri, di andar a cadere, per errore, su dei fig.li. Così or dite un dramma a base di incesto, anche senza averne coscienza -. c Ma qoi mostriamo il pudore non soltanto col viso, ma con l'animo; restiamo volentieri fede lì a un solo matrimonio; per i l desiderio di procreare conosciamo una sola donna o nessuna. Celebriamo i nostri convi. ti non soltanto con puclicizìa, ma anche con sobrietà; infatti non ci compiaciamo nei banchetti e non pro lunghiamo il convito col gran bere, bensì sappiamo moderare l'aUegria con la compostezza, mantenendo casta la parola, ancor più casto il corpo; molti dì noi si avvantaggiano di una perenne verginità del corpo senza macchia, ma non se ne gloria,no; H de siderio incestuoso è cos1 lontano da noi, che perfino una casta unione fa arrossire molti di noi 3• « Né senz'altro dobbiamo esser considerati appar tenenti alla più bassa plebe, perché ricusiamo i vostri onori e le vostre porpore; né siamo dei faziosi, ma siamo tutti animati dallo stesso spirito di rettitudine sia riuniti che isolati; non potete accusarci di con fabulare negli angiporti, voi c.he v i vergognate o te mete di ascoltarci in pubblico. c E se il numero nostro aumenta ogni giorno, non è accusa che ci convinca di errore, ma testimonianza a nostro favore; giacché a cagione del vostro modo di vivere gli aderenti s i distinguono e perseverano e vi si aggiungono degli estranei. Noi peraltro ci ri conosciamo facilmente, non come voi credete, per un segno fisico, ma per un altro segno, quello della innocenza e della modestia; noi, ciò che vi disturba, ci amiamo di una muta aJfezione, giacché non sap piamo odiare; noi, ciò che vi dispiace, ci chiamiamo fratelli, come creature di un solo Dio padre, come .
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compagni di una stessa fede, come eredi di una sola speranza. Voi invece non v i riconoscete l'un l'altro, siete pieni di mutuo odio e non vi sentite fratelli che per commettere un fratricidio! C' Ritenete voi anche che noi nascondiamo gli oggetti del nostro culto, perché non abbiamo né templi né altari'? Quale immagine di Dio potrò creare quando, a giudicar rettamente, l'uomo stesso è im magine di Dio? Quale .tempio gli innalzerò, quando tutto i l mondo da lui creato non lo può comprendere? E se io uomo ho bisogno di più largo spazio, racchiu derò in una semplice cappella la potenza di sì grande maestà? Non è meglio dedicargli un santuario nel nostro animo? Nel profondo del nostro cuore con XXXII
sacrarlo '? Offrirò a Dio quali vittime grandi e pic cole, quegli animali che Egli creò perché mi servis sero, respingendo così un suo dono? Mera ingrati tudine, quando a lui è meglio accetta l'offerta di un animo diritto, di un cuore puro e di una coscienza sincera. Perché colui che pratica Ja virtù invoca Dio; chi coltiva la giustizia fa delle libazioni a Dio; chi si astiene dalla frode si propizia Dio; chi strappa un uomo dal pericolo immola la vittima più accetta. Questi sono i nostri sacrifici, questo ì1 nostro culto: perché da noi il più religioso è il più giusto. « Ma, voi dite, quel Dio che adoriamo, non lo mo striamo né lo vediamo. Certamente, crediamo in quel Dio che non possiamo vedere, perché lo possiamo sentire. Nelle sue opere e in ogni movimento del l'universo riconosciamo sempre presente la sua azio ne; quando tuona, Jampeggia, cadon folgori o fa sereno. Non meravigliartene, se non vedi Dio; ogni cosa è investita dal soffio deJ vento, scossa, agitata: eppure non appare ai tuoi occhi né il vento né iJ suo soffiare. Neppure nel sole, che è la cagione prima del vivere, noi possiamo fissar lo sguardo; con i suoi GC:
raggi obbliga gli occhi a distogliersi, la vista si oscu ra se lo si guarda; se troppo a lungo, ogni vista si spegne. Che dunque? L'autore stesso del sole, quella fonte della luce, potrai tu sostenerne la vista, quando i suoi lampi ti fanno volgere altrove gli occhi, i suoi fulmini ti obbligano a nasconderti? Tu vorresti ve der Dio con gli occhi, mentre non riesci a vedere né ad afferrare l a tua stessa anima, da cui deriva la vita e la parola? Dio ignora le azioni degli uo c E voi dite ancora: mini e, risiedendo in cielo, non può né raggiungere tutti né conoscere ciascuno. Sbagli, o uomo, e ti in ganni: da quale luogo è Dio lontano, se ogni cosa, celeste e terrestre, e anche quelle che sono al di fuori di questa provincia dell'universo, sono cono sciute da Dio e piene di lui? Egll è, dovunque, non soltanto vicino a noi, ma trasfuso in noi. Considera di nuovo il sole: è fissato al cielo, ma sparso su tutta la terra: ovunque presente, esso circola e si mescola a ogni cosa, eppur mai la sua chiarezza ne è dimi nuita. A più forte ragione, Dio, che è l'autore e il contemplatore di ogni cosa, a cui nulla può riuscir segreto, è presente nelle tenebre, è presente nei nostri pensieri, · che son quasi una specie di tenebra. Noi non tanto agiamo sotto i suoi ordini quanto, come già dissi, viviamo con Jui. XXXIII c Non dobbiamo vantarci del nostro gran numero: sembriamo molti, ma per Dio siamo ben pochi '. Noi distinguiamo le genti e le nazioni: ma per Dio tutto i l mondo intero non è che una sola casa. Se i re vengono a sapere ciò che accadde in tutto i l proprio regno è attraverso l'attività dei mi nistri: ma Dio non ha bisogno di rapporti: noi vi viamo non solamente sotto i suoi occhi, ma anche nel suo seno. « Eppure voi dite, ai Giudei nulla giovò di aver ,
(j'i
venerato anche loro un solo Dio sugli altari e nel templi con la pompa più splendida. Pecchl di igno ranza se, dimenticando o ignorando i fatti più anti chi, ti ricordi solo dei più recenti. Anch'essi adora rono il nostro Dio, che è infatti il Dio di tutti e finché lo venerarono con cuore puro, innocente e pio, finché obbedirono ai salutari comandamenti da pochi che erano divennero moltitudine, da poveri ricchi, da schiavi re: pochi e inermi sgominarono molti e armati, inseguendoli nella fuga per ordine di Dio e col favore degli elementi naturali �. « Rileggi i loro scritti, per non parlar dei più anti chi, quelli di Flavio Giuseppe o, se preferisci, cerca il libro di Antonio Giuliano sui Giudei: tu saprai che per la loro perversità hanno meritato tale sorte, e nulla accadde che non sia stato loro preannunciato se persistevano nella propria ribellione. Perciò ti renderai conto che essi abbandonarono Dio prima di esser da lui abbandonati, e che non sono fatti prigio nieri col loro Dio, come tu empiamente affermi, ma abbandonati
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fuoco, e mentre egli afferma che i l mondo è stato creato perpetuo e indissolubìle, aggiunge però che per Dio solo suo artefice è volubile e mortale. Non vi è da meravlgllarsi che tale mole sia distrutta, da chi l'ha costruita • . • Tu vedi che i filosofi discettano in torno alle cose che noi affermiamo non perché noi seguiamo le loro orme, m a perché essi hanno desunto dalle divine pre dizioni dei profeti una parvenza di quella verità che hanno poi sfigurata. Anche circa il fatto della resur rezione i più fumosi fra i filosofi, Pitagora per primo e Platone soprattutto, ne hanno parlato ma snatu rando e riducendo la verità: giacché essi vogliono che dissolti i corpi le sole anime rimangano in eterno e sovente trasmigrino jn altri nuovi corpi. Aggiun gono a ciò, per storpiare del tutto la verità, che le anime degli uomini entrano negli animali domestici, negli uccelli, nelle belve. Non certo della serietà di un filosofo, ma delle buffonerie di un mimo è degna tale opinione. Ma per il nostro assunto basta rilevare che anche in ciò i vostri filosofi si accordano in qual che modo con noi :l_ resto, chi è tanto stolto o di vista corta da « Del osar contestare che come l'uomo poté primamente esser creato da Dio, non possa parimenti da lui esser formato di nuovo? Non è nulla dopo la morte, m a non era nulla prima del1a nascita. Così s e è am messo che nasca dal nulla, non si può ritenere che dal nulla rinasca? È certamente più difficile dar ini zio a ciò che non esiste, che rifare ciò che già fu. C1·edi che se qualcosa scompare ai nostri deboli sguardi, perisca anche per Dio? Ogni corpo che si dissecca in polvere o si dissolve in liquido o si con densa in cenere o si dilegua in fumo vien sottratto ai nostri sensi, ma è conservato da Dio che ne custo disce gli elementi. Perciò noi non temiamo, come voi pensate, alcun danno dall'incinerazione, m a pre69
feriamo seguire la antica e migliore usanza dell'inu mazione :•. c Inoltre, vedi come tutta la natura prepari, per nostra consolazione, l a futura resurrezione. I l sole tramonta e rinasce, gli astri scompaiono e ritornano. i fiori appassiscono e si riformano, dopo essersene spogliati gli arbusti rimetton le fronde, le sementl. non ritrovan vigore che dopo essersi corrotte: così è del corpo umano in questo mondo, come degli alberi durante l'inverno: nascondono il proprio vigore sotto un'apparente aridità. Perché hai fretta di vederlo rivivere e rinvenire ancor nel cuore dell'inverno? Dobbiamo attendere anche la primavera del corpo. E non ignoro che l a maggior parte degli uomini, avendo coscienza di ciò che essi meritano, preferi sce non esser nulla dopo morti, piuttosto che creder all'immortalità: preferiscono infatti scompa rire che rivivere per esser puniti. L'errore di costoro si accresce peJ' la libertà concessa loro e per l'infi nita pazienza di Dio, la cui sentenza è tanto più giusta quanto più tarda a venire. •
Pertanto gli uomm1 più dotti con i loro libri. ed i poeti con i loro carmi avvertono gli uomini dell'esistenza di quel fiume ardente e di quel fuoco che, partendo dalla palude Stigia, circonda più volte gli Inferi, e ci insegnano che essi {uron predisposti per gli eterni supplizi, secondo quanto appresero dalle rivelazioni dei demoni e dalle prediziont dei profeti '. Ecco perché, presso di loro, lo stesso so vrano Giove giura con timor religioso per le rive brucianti e per gli oscuri abissi: poiché prevedendo la punizione riservata a lui ed ai propri adoratori, ne prova terrore. Quelle pene non hanno misura né fine. Quivi un fuoco avveduto brucia le membra e le ripara, le divora e le mantiene. Parimenti il fuoco della folgore colpisce i corpi ma non li distrugge, e XXXV
70
c
i fuochi del monte Etna, del Vesuvio e dei vulcani che ardono per ogni dove divampano ma non si estinguono: parimenti quel fuoco vendicatore si ali menta senza distruggere i corpi che investe, si nutre dello strazio dei corpi che non consuma. " Nessuno dubita, fuor degli empi, che giustamente sono torturati come sacrileghi e criminali che non conoscono Dio, perché non è minor do2litto ignorare che offendere l'autore e padrone di ogni cosa. E in verità benché l'ignoranza di Dio basti per procurare la condanna, cosi come il conoscerlo per attenerne i l perdono, tuttavia se noi Cristiani venissimo a voi raffrontati, benché in alcuni di noi la condotta possa essere alquanto rilassata, dovremmo esser giudicati molto migliori di voi. I nfatti voi proibite l'adulterio, ma lo commettete; noi diveniamo uomini solo per le nos tre spose; voi punite i delitti confessati, per noi anche il solo pensarvi è peccato; voi temete i testi moni, noi anche soltanto la nostra coscienza, senza la cui approvazione non possiamo vivere; infine dei vostri partigiani sono ricolme le prigioni, mentre ivi non son dei Cristiani, se non gente incolpata per la religione che professa o altri che l'hanno disertata. XXXVI " N on si cerchi nel destino consolazione o giustificazione della propria condotta: se la nostra sorte dipende dalla fortuna, l a volontà è però libera, e perciò sono le azioni dell'uomo che debbono esser giudicate e non il suo rango. Che cosa è infatti il destino se non ciò ch e Dio ha destinato per ciascuno di noi? Se egli può conoscere in anticipo la materia di cui son fatti i singoli, può anche determinare il destino di ciascuno secondo i meriti e le qualità. Pertanto non è la nascita che merita punizione ma la disposizione del nostro spirito che vien punita. Ma basta col destino; queste poche cose saranno suffi71
cienti per ora; altrove ne discuteremo in modo più ampio e approfondito 1• « D'altra parte che molti ci considerino dei poveri, non è per noi ragione di vergogna, bensì di gloria: infatti l'animo è snervato dal lusso, rinvigorito dalla frugalità. M a come può esser povero chi non ha alcun bisogno, chi non desidera i beni altrui, chi è ricco per Dio? Ben più povero colui che avendo mol to, desidera ancor più. Dirò del resto come la penso: nessuno può esser tanto povero come quando è ve· nuto al mondo. Gli uccelli vivono senza posseder sostanze e ogni giorno trovan pascolo le greggi; ep pure tutti costoro sono nati per noi e ogni cosa, se non la desideriamo la possediamo :.t. « Dunque come il viandante tanto più facilmente procede quanto più è leggero, così in questo nostro cammino della vita tanto più beato è colui che la povertà solJeva dai fastidi; rispetto a colui che so spira sotto il peso delle ricchezze. Se peraltro noi ritenessimo utili le ricchezze, le domanderemmo a Dio: potrebbe concedercene non poche, egli che pos siede tutto. Ma noi preferiamo disprezzare le ricchez ze piuttosto che apprezzarle, desideriamo piuttosto l'innocenza, invochiamo piuttosto la pazienza, prefe riamo esser buoni che ricchi. « Se noi sentiamo e soffriamo le infermità proprie della natw·a umana, non son esse per noi un casti go, m a una delizia. Le afflizioni irrobustiscono il co raggio e le disgrazie sono sovente scuola di virtù; infatti le forze della mente e del corpo si intorpidi scono senza l'esercizio della fatica. Tutti i vostri grandi uomini che ci proponete ad esempio diven nero celebri proprio per le loro tribulazioni. Non è dunque vero che Dio non venga in aiuto anche a noi e che sdegni di farlo, giacché egli è il padrone di ogni cosa e sollecito dei propri adoratori, ma è n'=lle avversità che ci osserva e ci apprezza, nei pericoli 72
'
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l
giudica il carattere di ciascuno e fino all'ultimo re· spiro sperimenta la volontà dell'uomo, ben sicuro che nulla gli può sfuggire. Perciò come )'oro con la fiamma, noi siamo provati con )e difficoltà. " Che spettacolo confortante per Dio, quando un Cristiano combatte con il dolore, resta calmo di fronte alle minaccie, ai supplizi, alle tor· ture, quando disprezza sorridente lo strepito degli strumenti di morte e la crudeltà del carnefice, quan do rivendica la propria libertà di fronte a re e prin cipi, e lascia solo a Dio, cui egli appartiene, il com pito di sfidare, trionfante e vittorioso, colui che pronuncia l a sentenza! È vincitore, infatti, chi ha raggiunto ciò che desiderava. Qual è il soldato che sotto gli occhi del proprio generale non sfidi con maggior audacia il pericolo? Nessuna ricompensa spetta prima di aver offerto una prova. Ma il gene rale non può dare ciò che non ha: non può pro lungare la vita, può soltanto premiare i militi Il soldato di Dio, invece, non è abbandonato nel dolore, e non scompare con la morte. Per questa ragione un Cristiano può apparire infelice, ma non può esserlo realmente. Voi stessi portate alle stelle uomini pro· vati dalla s"'entura; come Muzio Scevola, che aven do mancato il re, sarebbe perito fra i nemici, se non avesse sacrificata la destra. Ma quanti dei nostri hanno sopportato senza grida di dolore che non la sola destra, ma il corpo intero, fosse bruciato, consu mato, benché fosse in loro potere di esser rimessi in libertà! Paragono tali uomini a un Muzio, a un Aquilio, a un Regolo ,? Dei fanciulli e delle donnette nostre, si beffano delle croci e delle torture, delle belve e di tutti gli spaventosi supplizi, con una sopportazione del dolore ispirata da Dio. E non capi te, o miseri, che non vì è ne�suno che voglia subire X X XVII
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un castigo senza ragione o sostenere le torture senza l'aiuto di Dio? forse, vi illude il fatto che coloro i quali • Ma, ignorano Dio abbondano di ricchezza, sono riempiti di onori, godono di ogni potere. Questi sfortunati sono sollevati più in alto, perché da più alto abbiano a cadere. Essi, infatti, come vittime vengono ingras sati per il supplizio, come ostie sono orna.ti di corone per il sacrificio; questi uomini sono innalzati al su premo comando e dominio, solo perché i capricci del potere concesso a un animo perduto fanno libero mercato del suo carattere. Infatti senza la cono scenza di Dio, quale solida felicità vi può essere, dato che dobbiamo morire? Simile a un sogno, l a felicità sfuma prima che s i possa afferrarla. Sei re? Ma tu devi temere quanto sei temuto, e per quanto si affolli intorno a te un gran numero di persone, di fronte al pericolo ti troverai solo. Sei ricco? È peri coloso affidarsi alla fortuna e le grandi provvigioni per il breve viaggio della vita non giovano, ma pesano. Ti glori per i tuoi fasci e la tua porpora? Vana illusione degli uomini e frivola preoccupazione di dignità briUare per la porpora e mostrar un animo basso. Sei nobile per· nascita? Puoi vantarti dei tuoi genitori'? Ma tutti nasciamo nella stessa condizione ed è solo per la virtù che ci possiamo distinguere • Noi dunque, i l cui vanto consiste solo nella virtù e nei costumi, ci asteniamo a ragion veduta dai vostri disonesti piaceri, dalle parate, dai vostri spettacoli, sia perché !'3appiamo che l a origine loro si collega alla vostra religione. sia pet'ché condanniamo tali colpevoli allettamenti. E chi nei giuochi del circo non avrebbe orrore delle follie degli spettatori popo lari in rissa fra di loro? e nei combattimenti dei gla diatori di quelJa autentica scuola di omicidio? Negli spettacoli scenici la follia non è minore e la turpitu dine ha maggior sfogo: infatti un mimo ora racconta .
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degli adulteri ora li rappresenta; un istrione effe minato, mentre rappresenta una scena di amore, inocula questa passione negli spettatori; parimenti infama i vostri dèi, affibbiando loro stupri, svenevo lezze amorose, oclli; e vi strappa lacrime simulando dolori, con gesti e mimica vana. Così l'omicidio lo chiedete a gran voce nella realtà � e quello finto vi strappa le lacrime! « Se noi sdegnamo i resti dei sacrifici e le coppe in cui fu libato, pon è questa una confes sione di timore dei vostri dèi, ma una affermazione di autentica libertà. Giacché, anche se ogni cosa che nasce non possa, come dono inviolabile di Dio, dive nire per alcuna ragione corrotta, ci asteniamo tutta via da quelle affeTte perché non si possa credere che noi ci sottomettiamo ai démon.i, ai quali si liba, o che noi ci vergognamo della nostra religione. « Chi mai può dubitare che noi non amiamo i fiori primaverili, quando ci vede cogliere la rosa della primavera, n giglio e tutti gli altri fiori dai colori e profumi attraenti? Di essi infatti ci serviamo per spargerli graziosi e sciolti o per adornare H collo con ghirlande. Scusateci se non incoroniamo La testa: il buon profumo di un fiore noi lo aspiriamo con le nari, non siamo soliti sentirlo con l'occipite o con i capelli. « Non incoroniamo neppure i morti. Io mi meravi glio piuttosto di ciò, che voi diate 1m morto alle .fiamme, se credete che egli senta o gli assegniate una corona, se ritenete non senta; mentre se è felice non ha necessità alcuna e se è infelice non gode dei vostri fiori. Ma noi celebriamo le esequie dei morti con l a stessa semplicità con la quale viviamo e non appen diamo una corona che sfiorisce, ma ne attendiamo da Dio una immarcescibile di fiorl eterni: tranquilli, umili, fiduciosi della generosità del nostro Dio, siaXXXVIII
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mo animati, per la fede nella presenza di tanta mae stà, dalla speranza in una futura felicità. Così resu scitiamo felici e tali già viviamo nella contempla zione dell'avvenire. • Dopo di ciò, Socrate apparirà un buffone di Atene, che confessa di non saper nulla, che si gloria , della testimonianza ingannevolissima di un demo nio; e cosi Arcesilao, Carneade, Pirrone e tutta la schiera degli Accademici, e anche Simonide che chiede continui rinvii: noi disprezziamo la proso popea dei filosofi, perché li conosciamo quali cor ruttori, adulteri, tiranni e sempre eloquenti nell'at taccare quei vizi che sono i loro 1• Noi preferiamo mostrar la saggezza non nel portamento, ma nel l'animo; non diciamo grandi cose, ma le viviamo; ci gloriamo di aver raggiunto ciò che costoro con sommi sforzi cercarono e non riuscirono a trovare. " Perché dovremmo essere ingrati, perché dovrem mo far torto a noi stessi se è all'epoca nostt.a che la vera cognizione di Dio è arrivata a compimento? Godiamo di tale fortuna e regoliamo la nostra co scienza sulla rettitudine: sia repress·a la superstizio ne, sia espiata l'empietà e la vera religione trionfi! " ·
PARTE QUINTA CONCLUSION E : CONVERSIONE D I CECTLIO XXXIX Qu.ando Ottavio ebbe parlato, noi per alcun tempo, silenziosi per lo stupore, intenti lo guardammo: io poi ero fuori di me per la grande ammirazione, perché quelle cose che è più facile sentire che esprimere, egli aveva saputo dimostrare con argomenti, esempi e autorevoli citazioni, e ave va rintuzzato i detrattori con le stesse armi di cui si valgono i filosofi; aveva infine mostrata una ve rità facile non soltanto a comprendere, ma anche ad accettare. XL Mentre fra di me facevo queste riflessioni, Cecilia proruppe: « Ottavio mio, mi felicito di tutto cuore, ma felicito anche me stesso e non attendo la sentenza. Abbiamo vinto ambedue: sia pure a torto, mi attribuisco la vittoria. Perché se egli mi ha vinto, io ho trionfato sull 'errore. Per ciò almeno che tocca il nocciolo della questione, io riconosco la Provvi denza, mi arrendo quanto a Dio e attesto la integrità morale della religione ormai nostra. Mi restano in fondo all'anima alcune difficoltà, che non fanno serio ostacolo alla verità, ma la cui chiarificazione è neces saria per una completa istruzione; intorno a esse poiché iJ sole declina già all'occaso, discorreremo 77
domani con maggior agio essendo d'accordo sull'in· sieme 1 ,. . « Mi rallegro ,. , dissi, c a nome di tutti noi tanto più vivamente in quanto Ottavio ha sconfitto me pure, sollevandomi dall'odiosità di emettere un giu. dizio. Non posso tuttavia rimeritarlo con le lodi che egli si meriterebbe: la testimonianza di un uomo e di uno solo è infatti poca cosa: ma egli ha ricevuto una grande ricompensa da Dio, sotto la cui ispira zione perorò e guadagnò la causa » .
Dopo di che, ci separammo lieti e felici: Cecilia per· ché aveva creduto, Otta,vio perché godeva della vitto· ria ed io perché quegli aveva creduto e questi vinto.
FINE
'
•
NOTE Accenna alla conversio
polazioni dell'ItaiJa meridiona
ne d i Marco e di Ottavio a l Cristianesimo. Quanto alla mor
le. dove è corrente l'espressio
l, l
te d i Ottavlo, non è dato cono scere dl quanto tempo prece desse l a stesura del dialogo.
II, l
Il
mare
era
a
tempi assai vicino alla città dJ
ne:
«
»
haciammo 'a mano
qua
le forma rispettosa d i saluto. m, 1
Cecilia era sectator di
1'Vl lnucio tiva,
(vedi 1-:ota
pag.
6). -
introdut
Egli è
accu
sato di daz· del <·apo (inpinge
Ostia, che Minucio definisce amenissima: i bagni d i mare
re) neHe statue, cioè dJ cader
erano già in uso presso i Ro mani. - Le vacanze giudiziarie
e spirituale al tempo stesso. .
cadevano due volte aJJ':mno in coincidenza di periodi di atti vità agr.icola: in luglio (feriae messium) e i n autunno (ferine vindemia rum). n, 2 I l culto di Serapide, divinità egiziana che i Greci identificarono con
Helios e
i l'equi
nell'errore: espressione visiva Le statue d i divinità erano so vente unte con sostanze pro fumate e venivano inghlrlan date. Lo ricorda Tlbullo (1, l ,
12:
Vet1ts
serta
l(lpis:
in
trìvio
florida
l a vecchia pietra
dei crocicchi Jnghirlandata di fiori). IV, l
Il
testo
latino
dice
Romani considerarono valente di Giove, si diffuse i n
homo, in questo <:aso in senso
Roma nei primi anni dell'Im
spregiativo, equivalente a
pero. Da Claudio in poi tale culto si sviluppò enormemen
ver'uomo
te, sì da assimJlare quello d i altre divinità (cfr. Beaujeu,
to da
La religion roma1ne à l'apo{Jée de l'Empire, Parigi, « Les Bel. l es Lettres » , 1955, 1, 230 e segg .), 11 bacio d i u n simula cro, trasmesso incJjrettamente con li hacio della propria ma no, era comune nell'antichità ed è tuttora in uso nelle po-
»;
«
po
tale Cedilo si di
chiara per esser stato accusa Ottavio di appartenere
alla setta degli Ignoranti, cioè dei Pagani. V, l
CedJio invoca l ' impar
zialità di :Vlarco, pur sapendo lo ormai cristiano; il che dimo stra l'umanità e l'affabilità del Cristianesimo di :Vlinudo
79
V, 2 Cecilia assume la posi zione scettica degli accademl c1, che è sostenuta da Aurelio Cotta nel dialogo ciceroniano De naturu. deor u m , al quale Minucio si è, per dir poco, ispirato. V, 3
r C r i s t i a n i sono dai Pagani considerati degli Hlet tel·ati, per la pove1·tà del loro patrimonio serilto (di quello, si intende, conosciuto dal mon do pagano): e, secondo questo passo di Minucio, vengono ac cusati ùi non esser atti nep pure all'artigianato, forse per ché essi aiutano con le llmo sine i poveri che non trovano lavoro, invece di forzarli a lavorar·e. V, 4
È la famosa iscrizione
posta sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: « Conosci te stesso ». V, 5
Cecillo ha citato le va rie ipotesi cosmogoniche: l'orti ca (generazione degli esseri da un dio, Fanete, mascbjo e femmina); la democritea (teo. ria atomica); la empedoclea (teoria dei quattro elementi). Da tutte queste teorie sull'ori gine dell'UJ1iverso deriva la interpretazione naturalistica di tutti i fenomeni del nostro mondo e la negazione di una discriminazione dei buoni, trattati dal caso alla stessa stregua del C'attivi. '
V, 6
Esempi storici della inesistenza di una provvidenza divina. Falaride fu uno del più feroci tiranni di Agrigento (VI secolo a . C . > . inventore del
80
toro di bronzo in cui bt·uciava i nemici). - Dionigi di Siracusa ( rv secolo a. C.) non meno efferato tiranno. - PubUo Rll til io Rufo. valoroso generale t·omano del tempo di Mario ( l secolo a. C.), ebbe La car riera st•·oncata per un'accusa di concussione. - Camillo, il notissimo generale romano, subì ugual sorte. - Qum'ltO a So<"nlt.e, è noto che fu obbli gato a uceidersl col veleno. VI, l
Cecilia Sl fa pHladlno della religione tradizionale ro. mana, che ha rispettato tutte le divinità locali e le ha poi assimilate. Delle divinità cita te: Cerere, era in realtà una divinità agreste 1tallca, nel cui culto confluì tl Uello di Deme tra, onorata a Eleusi, in Gre cia. La madre degli dèi (Cibe. le o Rea) era onorata partico larmente dai Frigi. Il culto dJ Esculaplo (forma latinizzata di Ascl.epius), figlio di Apollo, era stato Importato in Roma da Epidauro nel 29B a. C. a séguito di una pestilenza. Belo (Baal) era la suprema divinità di rnoiU popoli semJtlc:l. Astar te è �una divinità semitica ·:::he si è poi confusa con Afrodite ( Venere). - I Tauri abitavano la 1>enisola d i Crimea (CheJ· soneso) e adoravano Oreslo che, poi identificata con Dia na. - l i Teutates del Galli fu dai� RomanJ identificato con Mercurio. VI, 2
L'Oceano per antono masia è l'Atlantico, <"he aveva inizio alle Colonne d'Er('ole (Gibilterra), un tempo consi derate termine del mondo.
Cecilio sostiene la te
giovani in atto d i tergersi la
s i che la loro rei igiosità assi Ctll'Ò i l sucèesso a i Romani.
poi vere e i l sangue: furon ri· te nuti Castore e Polluce e si dedicò loro un tempio. - Du·
VI. 3
Ci.ta come esempio di fede ne gli dèi nelle avversità, ì1 fatto che durante l'assedio clel Cam
rante i ludi circense::; del 26:3
pidoglio
Fabio
al plebeo Tito Lat!nio, invitan dolo a far t•ipt·endere i gioc:hi,
Dorsuone a compiet·e sat·r·iftci
sospesi [)er(·hé uno S{;hiavo et·a
sul
�tato condotto nel circo con l a
(390 • . •
ad
a. C . ) monte
passò
opera fu
dei
inviato
Quirinale
Incolume
Galti
ed
egli
attraverso
il
saettare dei nemici. - Quanto p o i al fatto che i Romani ab biano
assimilato
gli
dèi
dei
popoJi conquistatl, è cosa no ta, anche se poi Ottavio (capi tolo XXV) dimostrerà a quale
prezzo sia a vvenuta tale assi milazione. I Romani giunsero ad
elevare
altari
anche
agli
dèi ignoti e ai :Vfanl. divinità delJ'oltretombn non ben pre cisate, tanto che tìnivonu per confondet·si con le anime dei defunti i n genere.
VII, 1 MateT
Cibele era chiamata dal
l
monte
Ida
a. C. Giove apparve In sogno
cot·da al collo. - Publio Declo :'11ul'e s i stH:rificò nella guena c·ontro i Latini del 340 a. C. e i l fig l i o in quella contro l
Sannili
-
l\larco Cur
zio, per obheclll·e a un m·acolo. si gettò a cavallo i n una vora gine fonnatasi nel Foro e <·be non si rlusdva a colmare: s\1 di lui i Romani gettarono doni e frutti. VII, 2
Alla battaglia presso i l fiume AIIIH i Romani furon seonfìttl clal Calli nel 300 a. C. . Publio Cl
fatto beffa del polli
sa<.:ri l
responso
perùette
una
nella Troade ove era partico
battaglia
larmente venerata. - Dllrante
gò!) . - Durante la primli guer t·a punk;�. e per la stessa ra
la
seconda
libri
guena
Sibilllni
punlca
predisset·o
l
che
gione,
navale (non naufra-
naufragò
la
flotta
di
per sconfiggere Annibale biso
Luc.:io Giunio Pullo. - Caio .f<' la
gnava portHre a Roma da'Ila Frigia la Madre Idea. Un'am
min!o, trasntrì> i l f!tlrere con Lral'io degli a ugur i e perdette
basceria andò colà a prendere
con tro
un emblema
dl tale divinità,
ma, giunta aUe foci tlel 'l'eve
Marea T�idnio Crasso, ehe fu
A n n i ba le
la
battaglia
re, poté risalire i l fiu me solo con l'aiuto clL Claudia Quinta.
triunvit·o <·on
matrona romana ingiustamen
pagna c•ontro i Parti, che. do
te
accusata
Cesare e
Pom
J>eo. nel 54 c·onùusse 1ma cam po successi iniziali, si conduse
impudleizia e liberata da tale sospetto gra.
('On
�ie al servizio reso <�Ila dea. -
sarebbe stata vendi<·ata clalle
Nello stesso giot·no n e l quale
spedizioni c·ontro i Parti del
fu sconfitto Perseo
di :VIa
l'epoca imperiale (sotto �farco
cedonia (168 a. C.) s i videro pr·esso la fonte Giuturna due
AureHc nel 1 6 1-G5 o Settimio Severo nel 226, se Il dialogo
di
n!
un a t·o t ta. Ta le sc·on fitta
81
è posteriore a tale data). Da
questo passo si sono tratti mo tivi pe1· determinare la data zione del dialogo, ma con scat·si risultati. perché guerre contro i Parti ve ne furono moltissime e JVUnucio può be nissimo non far rifeTimento ad una specifica (vedi nota 5 a pag. 8 ) , VIU, l
Teoelosio di Cil·ene. soflsta. vissuto al tempi di So· crate, in fama di ateo. - Dia gora di Melo ( vissuto intorno al 460 a . C.), poeta lirico eon dannato a morte per lJ proprio ateismo. VIU, 2
Protagora, 11no dei più antichi e noti filosofi sofì sti, nato ad Abùera, vissuto aù Atene nel V seC'olo a . C. '?Ù esiliato dall'A ttìca a ségu ito d i un processo sotto accusa. pare, d i ateismo. VIII, 3
Cioè d i non sal vare l'anima, H che equivale a una seconda morte
IX, 3
Marco Cornelio Fron· tone , nato a Cirta (Costanti na), in terra d'Africa come i tre personaggi del dialogo, in signe avvocato del II secolo d. C., maestro di Marco Aure lio e Lucio Vero. Vi è chi t·itiene che il discorso di Ceci lie ricalchi la OWT(!t{Jf} o de clamwt1o contro l Cristiani che si attribuisce a Frontone e che non ci è pervenuta (vedi in proposito Ro1ssìer, La fin dtt pa[lanisme, l, 267). Vedi più avanti la nota l al cap. XXXI. X, l
I l fatto della segretez za delle cerimonie cristiane e l'austerità osservata durante I primi secoli è ciò che più in. sospettiva i Pagani. XI, l
Sono le profezie sulla fine del mondo e la resurrezio r.e dei morti, che esposte da San Paolo all'Areopago di Ate ne provocarono fra gll uditori più dissensi che C'Onsensi (Atti (le gli A posto li, XXIII, 32). XI, 2
IX, l 'l'utte queste accuse (che rieeheggiano nell'A polo· yìu di Tertulllano c devono essere state messe in pubblico cla Frontone; vedi alla succes siva nota 3) hanno origine da una defo rmazione di fatti veri: i l segno della croce, il mutuo amore, l 'appellativo di fratelli, ecc. Le accuse che seguono non hanno invec;c appoggio su akun fatto reale, salvo <::he Cristo era stato condannato. IX, 2
cro('e.
82
Cioè il patibolo della
PTotesilao, marito di Laodamia, prese parte alla spe dizione cii 'l'roia e subito dopo lo sbarco fu il primo dei Greci ad essere \tccjso da Ettt>re. La moglie chiese agli dèi ùi poter c.:onversa1·e con lui e Mercurio le rlt:ondusse 11 marito dagli lnferi per tre ore: poi vi ri tornarono entrambi. essendosi Laodamia uccisa. XII, l
Talete, filosofo di Mi leto, uno dei Sette Savl {vedi nota 2 al cap. XIX), per voler osservare le stelle cadde in un pozzo.
XIII. 1 tiones, tale
l
Tertulliano
4,
IT,
risposta
15)
attribuisce
ad
Epicuro. e forse Mlnucio ha confuso nel la citazione i due filosofi o ha fatto capo aù altra fonte. cui si posson esser riferiti r.attan· zio ed altri che confermano l 'attribuzione a Socrate. L'ora·
colo di Apollo delfico, il1lerro·
gato da uno scolaro d i Soc-ra· te, Cherofonte, emise la citata sentenza. XIII, 2
Arcesilao (IV secolo
a. C.) e Carneade
(ID
secolo a.
C.) furono due filosofi, foncla. tori,
rispettivamente,
deJl'At'·
cademia dl mezzo e di quella nuova. xm, 3
Anche questo aned·
doto relativo a S imonide (poe ta
lirico vissuto fra n
i l 468 a. C.)
558 e
è tratto dal De
natura dcorum d i Cicerone U, 22, 60).
·
Gerone è i l famoso
tiranno dJ Siracusa.
fra i pestatot·i di grano », si· gnitìca « primo di una \·atego ria di vili operai ». L'antitesi fra pistor <mugnaio)
filoso fo appare già I n un passo di Senel·a (EJJi .st., 90, 2 2 ) , -:-os1 c·ome ì1 ricordo d i quel me stlere si riall�c·cia al lavoro compiuto
Cla
Januario,
XV, 1
sopranno
me o cognome
XVI. 1
Lucio Cecilio. XVI, 2
l l tes to l1'1tino dice,
beninteso , seminudl. XVUI, l
'È
la
COI'I'Crlte del
Golfo, cii cui però non
parla
Ci<·et·onc nel De nat11r<1 dco npn e u . 52, 130), ove è invece fatto cenno alla bencfira in fluenza dei tre grandi fiumi •
Nilo, Eufrate e lnùo. Che la Britannia avesse un c lima stessa
(più
Gallia
doke
della
settentriomtle)
era ben noto agli :mUchi (Ce· sare, De òellO> gallico, v, 1 2 , 7; Tacito, A{lricola, X I I . 3; ecc-.).
af·
ma che questo fatto det·ivasse
fermando cosl cbe Ottavio ave·
dal tepore del mar·e non sap
va una posizione preminente nella gerarchia della Chiesa
planlo da <'bi !\1lnuclo l'abbia
( dei
stianorwn
cristiana resse
•
quando
(del mugnai) in Chri·
storum
•
Pla\rto
faceva il gar·zone c.li mugnaio.
temperato XIV, l Questo passo l1a da· to origine a numerose contro· versi e: a leu ni corressero J l pt.
c
In
Cristiani),
d'Africa; ìuris
altri
cor
consultorwn.
affermando il valore di Otta. vio quale avvocato; più sem· plicemente si può Intendere la plau.tina prosapill come •ma
appreso ed è esaua spiegazlo· ne. Ci<-erone
a
10, 26) acc·enna sol. C'ome
le
acque
dei
mari possano ris<'a Ldarsl sotto
espressione omologa a quella
venti. La fonte, del 1·esto, può anc· hc non esse re letteraria c la notizia. a
di
gente che avevo più volte t ra·
da
« -razza di Ceclllo,
schiavi »
più
sopra,
definiti i Cristiani) e
«
(quali
l'azione
dei
furon
versato Il Medlt(!rran co , essere
primo
per·venuta da navigatori.
xvm, 2
�sem)Ji cl i associa
zione d i 1·egnant1.
Dat·io
l)er
suase l Persiani che la miglior fot·ma eli governo era la mo narchia c
re colui 11 <.·ul cavallo avesse per primo nitrlt.o dopo 11 levar del sole: <·on uno stratagem ma riuscl ad im)Jaùronlrsi ùcl potere. - �teorte e Pollnke avevano dedso
ambedue perirono.
-
T fratelli
gemelli sono Romolo e Remo, che put· avencJo per regno un territorio e un centro abitato primit i vi, letic�u·ono e 11 pri mo uccise I I se(·ondo. - T I ge. net'O e il suocero sono Pompeo e Cesare, a venclo il pl'imo spo sato nel 50 a . C. la p!tl giova ne flglla
abbinamenti
dJ
potere.
scorgere un }>Osslbile elemen to
di
datazione
e
del
dialogo.
.\lai'<.:O
Aurelio
Luc:io Vero
furono ti dal
pacificamente associa· 161 a l 169 e questo
esempio avrebbe clovuto t·on trastare la tesi esposta da Ot tavio. Ma (Juestl parla d i fatti avvenulì in epoche mlllche o
•
comunque. lontane. Si pui> solo
concludere
non
<"hc
è stato st·r·itto
dia logo
il
In
epoca
v icin a <:Il perioclo I n t·ui Marco 1\ u rcl lo
e
Vero furono Jmpe·
rator·l; li
ehc t•onc:orda
proposta
di
accettata
con la
datazione da noi
(vedi
nota
o
alla
pag. 8).
lV,
che.
Le tr·e citazioni dal
mantovano Publio Vlrgitlo Ma-
84
VI ,
221
724;
(qui
Georgi-
data
nella
Plnchetti: B.U.R. 736-737); Eneide, l , 742
traduzione
B.
di
( l 'Eneide nella traduzione del Caro). XIX, 2
Sono
Talete, Salone,
i
Sette
Savl:
Biante. Chilo·
ne, Cleobulo, Pittaco, Perlan clro (o Misonc). XIX, 3
R ic·orda
partlcolat·
n'tente Talete eli :vrilcto quale iniziatore
del la
scuola
ionica
o fisica e w1o dei più antichi filosofi. XIX, 4
Diogene
c.l! Apollo·
n ia, nelJ'isola di Creta, vissuto
nel
V secolo
a.
C.,
fu clisce.
polo di Anassimene <11 Mi leto, vissuto nel VI secolo.
•
Anas
sagora cl.i Clazomene nell'Asia :\Ilnore fu, ad A tene , maestro ed amleo eli Pericle, Euripide e Tucidide; eslllato sotto accu sa
c.li
ateismo.
morl
a
Lam
psaco nel 428 a. C. - Pitagora, nato a Samo circa i l 531 a . C. e vissuto a Crotone. v i fondò la celebre scuola filosofica. Xenofane, nato a Colofone. nel 544 fondò a Elea in Lucania o
(non lungl d a l Capo
Velia
Palinuro) una scuola filosofica detta eleatica. - A ntistene, ateniese, fonùò la scuola cinica, nel V secolo a. C. - Speuslppo, nip�te dette
di
Platone,
nella
caùemla. XIX, s
gli
succe
direzione deli'Ac·
JJemorrito di Abde·
1·n in Tracia volgarizzò ad Ate· ne la teoria atomica d i Leu cippo .
XJX. 1
successivamentel
Eneirie,
da:
i l primo anno !!:teorie non vol le cedere il polet·e al ft'atello e ne nacque una guc1·ra in cul
s o n o,
l'one
.
E p i <·uro è li
filosofo del
famoso
IV-III secolo ' im-
mortalato da Lucrezio nel suo
poema. - Aristotile di Slagira, Il più celebre allievo d i Pla tone, creò la scuo!a peripate tica. - 'l'eofrasto, il piLt celebre degli scolari di Arlstotile. Erac!Jde nacque a Eraclea nel Ponto verso il 378. allievo di Platone e poi di Aristoti1e. . Zenone di Clzio (nell'isola di Cipro), Crisippo di Soli (in Ci Ucla) e Cleante di Asso (in Mis1a) furono nel IV sec·olo tre filosofi stole i. ·
XX, 2
Filamela trasformata ln usignolo, ro in V
·
XXI, l
Evei)IC'TO è il titolo
d l un poema, di ispirazione epieurea, opera di E nn io, il primo poeta epico della lati nità ( I I secolo a . C.). La dot trina filosofica ivi seguita è ispirat<1 él quella del filosofo alessandrino E:vemero, scettico e posltiv.ista, Giove è detto d!(:teo a ri(·ordo del monte Diete, nell'Isola ili Creta ove fu allevato. Apollo a Delfi aveva iJ l'Clebre tempio che emetteva oracoli. - Jsiùe è det ta Faria, l'ioè egiziana, da Fa ro. l'isola presso Alessanclria. Cererc (>
XIX, 6
Diogene, nato a Se leucia sul Tigri p1·esso Ba bilo nia, diresse la scuola stoica nel II secolo a. C. - Senofonte, ate niese, discepolo e bìogr:lfo
•
1
re perché spesso confusa con la figlia di Niso, re ùi Me gara, che innamorata di Minos· se e d a questi dispre:�.zata, si gettò in mare e fu trasfo1·ma. ta in uccello? - La Chime1·a è il mostro metà leone e metà drago, vomitante fuoco. - Id1·a, altro mostro dalle molte teste, che. mozzate rinasccvano. - l Centauri, mezzo cavalli e mez· bo uomini. •
·
·
Eleusi. XXI, 2
Prodko di Ceo, filo. sofo contemporaneo di Socra te, inventore del racconto eli Ercole al bivio. - Perseo d i Cizio, discepolo dello stoico Zenone. Mlnucio fa un po' di confusione: il primo parla sol tanto dc11e invenzioni Ulill al l'uomo (dagli astri al pane, a l vino, ecc.) di\'inizzate dagli an tichi. il seC'ondo afTPrma cbe anche glJ inventori furon di· vinizzati. - La battuta di com media è nell'E un·uco (v. 732) di Teremdo, ripresa ctat solito dialogo ciceroniano. In una l e l t e 1· a , in realtà apoc-rifa, d i Leone di Pella, filosofo evemerista, era affermata la priol'ità
85
xxu. l
n testo
di questo periodo è seguono. · Oslrlde ( o Serapide), fralcllo mat·ito di Iside, fu gettalo dal fratello Tifone nel Nllo r·ln· t•hiuso in una cassa; Jsldc ri trovò I l cadavere e lo nascose; ma Tifone lo ritrovò a sua volta, lo fece in pezzi <'he d l· sperse; ancora una volta Isiòe, con l'aiuto di Anubi clalla te sta d! cane (cinocefalo), ritro vò le membra sparse e diede loro sepollut·a. - I l sist ro. spe cie di sonaglio metallico, era usato in Egitto nel cullo cl! rsirle. - La rondine era uno degll animali sacri a tale dca. XXII, 2 Per errore :vrinucio t•ons!ùera Serapide-Osiride qua le figlio invece che marito-fra tello d i Iside. confondendolo con Horo-Harpocrate. - I l cul to d! lside dall'Egitto si dif fuse largamente nel mondo grero e poi romano, subendo notevoli adattamenti e accosta menti ad altre divinità occi· clentali. - Minucio rldicolizza l'annuale ripetersi del ritro vamento d\ Oslride, funzione compiuta dai sacerdoti di Jsi. de, che portavano la testa cal va, c insiste sul carattere tra gico di quel cultL XXU, 3 Cerere era identlfì C'atn c.:on Demetra, e Liber·a (o Proserpina) con Persefone, fi. glia d i Cerere. . Ad Eleusi neli' A tlica, si celebra vano C'lelle solenni festività, chiamate Misteri eleusinl, nelle quali '
8G
veniva t:elebrato Il mito di Proserpina, rapita da Plutone e di\'enuta regina degli InJeri, ma <:he per sei mesi ritornava sulla terra. - La nascita di Gio ve, i l trafugamento nell'isola eli Creta, ad opcr·a della ma dre, Cibele, 11er sottrar·lo aUa voracità del padre. Saturno. sono fatti assai noti, come l'al lattamento da parte della ca. pra Amaltea e lo strepito dei sacerdotl di Clbele, i Coriban tì, per copril·c i vagiti del bambino nascosto. C 1 be l e aveva uno XXII, 4 dei suoi più antichi santuari sul monte Dindyma, nella Fri gia; 1v1 si svolgevano dei mi steri celebranti il pastore Atte, amato dalla dea e a lei Infe dele, che venne punito (o se l'Onda altri si punì) con la ca strazione. su cui :vtinucio ira nizza. - l Galli erano dci sa cerdoti d i Cihele che si ritiene si castr·asscro in onore della dea. XXII, s Minudo lnide alle diverse e spesso goffe rappre. Rentazionl delle singole divini· tà: Vulcano (I'.E:festo dei Gre ti) è zoppo e pet· tal ragione già og.getto di scherno presso Omero (Iliade, l , 597). · Apollo è eternamente imberbe, ma h a in Esculapio un figlio barbuto. Quanto agli occhi degli dèl, �finucio sembra jrridere alla loro varietà e anche al fatto che gli occhi glauchi di Net tuno e gli azzurt·ì d i Minerva eran poco comuni fra l medi terranei; è Omero poi che par la degli occhi bovini ( {Jowmç) ·
di Giunone.
·
Non meno stra-
ne le estremità degli <.lèi: alati l piedi d i Mercurio; a forma di zoccoli quelli di Pan; inca tenati per propria difesa da Giove quelli ùel vorace Satur. no. - Diana appare essa pure In figurazioni diversissime: da quella diremo cosi normale, in cui è presentata quale caccia trice dalla corta gonnella, a quella di Efeso !'On gli attri buti della fertllltà a quella che appariva lungo le strade ni trlvii. - An t'he C lo ve è raf. figurato i n modi diversissimi: quando lo si assimlla ad Am· mone, divinità egiziana, allora è un ariete dalle rlt.orte corna; al Giove laziare, pl'Otettore del popoli latini.· venivano offerti sacrltlei umani; Il Giove Fere· trio aveva sede sul Campido glio e gli venivano offerte le « spoglie oplme » dopo le vit torie. '
XXII, 6 E r J g o n e, figlia di !carlo, si impic,·ò per dolore sulla tomba del padre e Dio nisio la tramutò In una costei. lazlone <·eleste. - Dci due Dio scuri, Castore, cssc..ndo figlio d i padre mortale, morl in com battimento; Pollure, che era pure figlio d i Leda ma anche dJ Giove, era Immortale. Ot tennero di poter abitare a tur no gli Inferi e Il Cielo. - Est:u laplo (I'Asdeplo del Greci), fi. glio di Apollo, fu fulminato da Giove, perché quale medico si <'rn rifiutato di guarire lppo lito; ma poi fu assunto in cielo quale costettazìone. - Ercole. avendo rivestita la cClmicia av. velenata di Nesso, Impazzì e 1Jed tra le fiamme sul monte Eta. l a più alta vetta dell'Eta-
Ila, ma Giove fra gli dèi.
l'assunse
poi
Platone, nel secon XXIII, 1 do c terzo lihro della sua Po li/cio, pone in guordia l1 let tore- eli Omero. c sopratutto l giovani (Tl, 38:1 C.; Hl, 3!l2).
R7
sag!ia; Netttmo c9struì le mu
C.), negli Anmales d i cuj non
ra
di Troia per Laomedonte, padr·e d 1 Priamo. m a quando
conosciamo che frammenti. Ma forse si tratta d i Cassio Lon
doveva ricevere la mercede n e ebbe solo minacce (Iliade, xxr.
gino, cronografo greco. Se poi
450). - Altrove (infalti non è
( 150-235 d. C . ) . che iniziò l a
più citato Omero, ma Virgilio,
sua voluminosisslma Storia di R o m a t·on un'ampia trattazio ne delle favolose or·Jglni, ciò
Eneide,
VIII.
426
e segg.)
è
narrato dì come i Ciclopi fab
si
trattasse
di
Dione
Cassio
bt·ieasserò le folgori dl Giove e l e armi di Enea. - Minucio torna ad Omero che nell'Vlll
confermerebbe la datazione da
lJbro delYO
secolo a. C.) scrisse una cro naca degli avvenimenti, dalla
narra gli amori adulterini d i Vener·e ( A frodite) <·on .Marte (Ares). mentre per Ganimede i\Iinucio non s e g u e Omero (iliade. XX. 231 e segg.), il qua le
accenna
soltanto
u1
fatto
noi accettata dell'opera d i Mi nudo. - 'fallo di MHeto (del I I
guerra dl Troia
poi ,
non pervenutaci. - Diodoro Siculo parla di Saturno nella sua Bi bllol heca Historicn. - Figli del la terra erano chiamati i figli
che i l bellissimo tigUo di Tros.
eli ignoti.
dci Troianl. fu rapito i n c·ielo perc·hé ser·visse da cop piere a G.iove e non già alla
XXIV, 1
re
in
G iu l ìo Pro<;ulo, se
passione di questi per il fan
natore romano, nnnunziò che Romolo g l i era apparso jn so
ciullo. Tale leggenda deve aver
gno, manifestandogll 11 deside
avuto origine piì1 tardi. forse ad opera di Lest'hete, ritenuto
rio di esser·e onorato come una divinità: Quirino. - Giuba ti glio di Jempsalè, è il fa oso
l 'autore della perduta Piccoln lliacle.
m
re d i Numidia che fu alleato di Pompeo.
XXIII, 2
Fuggito
I t a l ia e ricevuta ospitalità da Giano, nntka divinità laziaJe,
Amasi, re d'Egitto, se<·ondo Erodoto (I l , 172) fc:-·
Saturno avrebbe dirozzati i la tini e data origine ad u n a an
ce fare la statua di una divl nltà col bacile d'oro In eu l egU
tichissima città Saturn la posta
stesso
sul colle del Campidoglio; e un tempio ivl sor·gev<J nel quale
vano
si custodiva l'erario. L'origine del nome Latiwn rlsallrebbe,
beffe
secondo
(seguita
per la propria umile nascita.
anche da Virgilio. En
322), al fatto che Saturno vi
- Al lavoJ·i di fusione e pesanti i.n genere erano addetti dei ga
110té rimanere nasC'osto
leotti. o schiavi di bassa risma,
?'f' ) .
DI
Ja
lui
leggenda
Cornelio
( lnt e
Nepot.e
avrà discorso nella sua Chroni cu. <:he andò perduta , e Cassio Emina (!lot·Ito ne! I I I secolo a .
e
gU
invitati
pie<.li
i
e
si
peggio:
lava ma
Amasi fece ciò per prendersi del
propri
sudditi,
che
non l'avevano in grun <�onto,
donde
l 'espressione
itnpurato ltomine, che da akuni è stata
t1·adotta altri
«
«
vile
operaio », da malfattore » e dal Pel-
-
legrino « uomo dissoluto, im pudico » per il raffronto con un passo di Giustino.
di
può
Minucio
secondo
matrlmonio, come
nie rituali pagane: durante i Lupercall (festa i n onore d!
ft•a
bile tale modo di pensare i n
Pane Liceo, sul Palatino, dove
un Cristiano tanto at·C'omodan·
la lupa avrebbe allattato Ro molo e Remo), che si celebra
te quale appare :.\'UmH·io.
rivestiti s o l t a n t o
della pelle d i una delle capre immolate. - Quanto a i sacerdo ti con il berretto a punta, so no i Salii, co1legio d i dodil'i sacerdoti di Marte, che ogni anno nella prima metà di mar zo facevano processioni, arma
lo ritenevano i essi.
È
però poeo
proba
Ft·a le <'erlmonie re
XXIV, 4
ligiose inumane M inù<"lo elen <·a quella dei sacerdoti di Bel lona e di Clbele, <·hc s i feri ,·ano le bntctia e sug-g-evano il sangue
ti e muniti ò i scudi sacri. - T
seguaci ( piuttosto men
Galli • sacerdoti d i C lbel e (vedi nota 4 al cap. XXIl). portava-
ro eYirati.
no a suon dl tamburo in pro. cessione la statua della de
l'elemosina.
-
VI.
aperti una volta
all'anno (Demetra e Persefone in Arcadia, Cibele a Tebe),
o
sempre chiusi al pubblico (Po sìdone a Mantinea). - Alle fe ste notturne della BMw rlea partecipavano
solo
le
donne
( l a moglie del sommo magi strato e le Vestali); alle feste i n onore
gli
solo gll uoml-· sehiavi erano esclusi
dal culto della Mater Matttt(l, l clli riti erano affidati a don ne
•
che
seguaf'i della setta di 1\1ontnno e Tertu lliano
correvano
l
intendere
oppure s·l
1\'l inucio passa in rassegna le più strane cerlmo·
vano 11 15 febbraio, i sacerdoti
'
cristiano)
<'Onsiderl sempre peccaminoso il
XXIV, 3
vista
sposate
una
sola
volta.
-
et'l'anti çhe sacerdoti> Yenisse
Le origini mltlche XXV, l di Roma sono da :\•J inucio ·�·on. sidet·nte con seveJ·ità: i popoH eli <'ui Romolo fu ìl primo l'e eran gente perduta e lo stesso Homolo se- ne rese degno ucci clenùo I l fn\lello. xxv. 2 TI t'atto cchi (li un Cristiano, un vero e pro. prio misfatto, e pertanto una pt'O\'a della irreligiosità del Ro mani, pel'(•hé non sità dove cl i fetta XXV, 3
v'è
religio
In moralità.
7vfinuclo denuncia il
Quanto a l ritenere ach1lteria i successiv.i matrimoni o si in
c�u·.-.ttere predatorio cii tutte le guerre dei Romani, in senso
tende che, solitamente, chi sì
generale
sposava una seconda volta ave
lat·e per Il trattamento usato
va
alle divinità del
divorziato dal
precedente
coniuge ( e Jn tal caso com messo un adulterio dal punto
e
in
senso
paTtko
popoli vinti.
l (;Ui temp!i furono spogliati. devastati, distrutti, per poi ri-
�9
1·ostruirl1 a Roma e annettere al
proprio culto tali d.ivinltà.
XXV, 5
Se gli dèi nazionali
valevan poco. quelll stranieri non poterono certo favorire i
XXV_, 4
Quanto poeo vales
sero le divinità indigene dei Romani lo dice la loro origine
flomani conquistatori d i quel popoli che ciascuno di essi pro teggeva: Marte ebbe· per sog
e
giorno preferito la Tracia; Gio ve visse da bambino a Creta
so delle rozze divinità agresti; Pilumno er·a fratello di Pico:
e vi fu sepolto; Giunone er·a <·elebrata particolarmente ad
specie.: Romolo. si è visto, era un fratricida; Pico e Con
Volumno una divinità <:asarec l'la
cui
si -
neonati.
raccomanda vano Tito
i Tazio, re dei
Sabini che poi
l a grande fogna
Argo, a Samo, a Cartagine (co me
Dca CaeLestis);
Diana era
onorata nella Tauride; la
ter
Ma
del monte Ida, Cibele, era onorata dai Frigi. Quanto poi alle strane divinità egizie, vedi
2
note l e
al cap. XXII.
XXV, 6
ma), mentre all'inizio era un
Molti popoli l'egna reno prima dei Romani. anche
appellativo di Venere (cioè « la
senza conoscere le istituzioni
tura romana (la cloaca 711etXi
ricor·do d i immagini della dea trovate sul
religiose caratteristiche di Ro
luogo ove i Romani e i Sabini
di dodici sacerdoti), SaUl (sa cerdoti di Cibele, più volte
p urificatrice »),
in
purificarono le loro armi dopo
ma: Pontefici, Arvali (collegio
terzo re di .Roma, dedkò u n
t•icordati). Vestal i e Auguri (inclovinl che traevano auspici
tempio al terrore e alla palli
dal
ùezza; tre templl sorgevano I n
polli sacri).
la
battaglia.
Roma
-
Tullo
dedicati alla
Ostlllo,
dea
Feb
bre, il più notevole sul PalaAC'('a tino. - Quanto poi ad Larenzia o Larentina e Flora, sono
il
modo
solito bersaglio dello
XXVI.
l
di comportarsi dei
Per Claudio, Flami
nio e Giunio. vedi n o t a
2
al
c·ap. V l i . - Marco Att111o Re. golo fu fatto prlgionlero dai
SC'berno dei Cristiani. Ln pri ma era la dea romana dei eam
Cartaginesi. - Caio Ostilio Man
pi, moglie, secondo la leggen
1\"umantini e firmata una pace
da, del pastore Faustolo e nu. trice d i Rotnolo e Remo; solo
vergognosa, fu consegnato dal
piLt tardi, a i tempi di Silla, la si 'identificò con una meretrice ùivenula ricca per
l'aiuto d i Errole e <:he lasciò i n eredità le pr·oprie rl(·chezze a l popolo romano. Flora era la ùea dei
cino, sconfitto nel 137 a. C. dai
Senato a i nemici. . Lucio Pao lo Emilio fu sconfitto da Anni bale a Canne.
·
Giul1o Cesare
passò felicemente daUa Sicilia in Africa durante la guerra •
contro Pompeo, nonostante i l diverso parere degli aTuSpici.
fior.i e dei frutti e le sue feste. <·elebrate
il
28 aprile, erano
fra le piLt licenziose.
90
XXVI, 2
Amfiarao, indovjno
eli Argo, non volendo parteci-
pare alla spedizione contro Te be, si nascose; ma l a moglie,
ne (202l e) o almeno un lesto che ne riproducq fedelmente
guadagnata d a Polinice con u n
dei brani (vedi nota 1 a l capi·
monile, svelò 11 nascondlgllo;
tolo XXIJl).
sconfitto, fu
inghiottito dalla XXVII, 1
terra, ma poi onorato come di· vinità capace di emettere ora.
Allude, dapprima,
coU. - Tlresia è l'indovino cie·
alle cerimonie fanatiche in onO· re di Cibele più· sopra accen.
co
nate,
d1 Tebe, immortalato J'Orestiade.
dai
c:he
poi
a
quel
Cecilio
« miracoli
aveva
»
rkordato
\Vedi al cap. V I I ) . E n n io, i l p r i m o
XXVI, 3 grande
poeta
della
latitìltàJ
cantò in versi la risposta c-he l'oracolo dell'Apollo Pizio die· de a Pirro• assicurandogli la vittoria sui Romani: ma, dice Minucio, poiché a quel tempi Apollo non poetava più. la ri sposta è stata inventata da En nio. · Demostene, celebre ora· tore
greco.
difese
la
libertà
ateniese contro Filippo Il ma cedone e pertanto irrlse
agli
oracoli favo1·evoli a quel st1o scaltro nemico.
Ottavio
XXVIII, l
confessa
d i essere stato non solo paga no, ma diffamatm · e del Cri· stlani, di averli mal qiudicati .
violando l e norme proC'essuali e seguendo l a strana procedu ra d i esigere che H reo negas· H
se
delitto
che
egli
dlcbia·
rava d i aver commesso
(cioè
la professione di fede Cristia na,
consider·ata
delittuosa).
Queste mostruosità gittriùiche sono ampiamente confutate da Tertulliano nella sua A polo!]ta ( l i , 10).
XXVI, 4
Tn realtà 1 J clémo
ne di Socrate, come c i è pre sentato da Platone, è qualcosa di diverso dai démoni o demo. ni di Minucio e di Tertulliano: U primo è una specie di co scienza e si avvicina a l l'angelo custode dei Cristiani. mentre 1 secondi sono veri e propri spiriti maligni. XXVI, 5
Ostane
è
un
cele
XXVUI, 2
Refutata l a stoli· da diceria che i Cristiani ado. rassero una testa d'asino (ve d i a l cap. IX), Minueio elenca la Yenerazione ùi animali. qua l i divinità, da pa•·te dei Paga ni: Epona era l a dea protet· trice degli asini, dei cavalli
degli anìma11 da tiro in gene. re, sì che la sua immagine era col locata nelle stalle; a Iside
bre mago, maestro di magìa a Democrito. - Platone non par
venivano
l a in realtà d l Angeli (come mostra di ritenere anche Ter.
stessa
tulllano,
nell' A pologia),
pur
e
offerte
de.lle
torte
e
lslde
raffiguranti u n asino era
rappresentata
da
una vacca, così come i l noto bue dj Menfi, Api, era ado1·ato
potendosi ritenere ambivalenti
dagli
(nel bene e nel male) i démoni
era rappresentato
socratici.
sta di montone; i Satiri e altre divinità boseherecce erano per
Minucio
conoscere i l
mostra
Convivio
di di Plato-
Egizi;
il
dio
Ammono
91
metà uomini e metà caproni; Egizi
gli
divinizzavano
una
gran quantità di animali e ne l'uccisione; così impedivano non consentJvano si mangias sero le cipolle e credevano in altre ridicole supersti:tioni. XXVTll, 3
1\llinucio ritorce le
più infami accuse contro i Cri
Livio che afferma come i Ro mani nel Foro Boario avesse. ro sacrificato delle vittime, sel)pellendole vive, spinti dal responso
degll
oracoli;
così
pure sacrifici umani sarebbe ro staU fatti a Giove Lazlare (vedi nota 5 al cap. XXII). va lendosi di gladiatori o d i cri minali addestrati per l'arena.
stiani, facendo cenno alla scon cezza di certJ ctùti pagani, col legati con l'idea di fecondità
tilìnaTia (22. 1),
e alle pratiche e abitudini la
corsa voce Catilina avesse sug
selve della società romana del
gellato il giuramento dei con giurati con una Jibazione di
suoi tempi. di cui è un rifles. so nel romanzo del suo con terraneo Apuleio.
XXX, 3
XXX, l
Minucio rinfaccia al
Pagani la soppressione dei 1i· gli
illegittimi
o
ritenuti
In
gombranti dai genitori (si ri cordi la leggenda di Or·este) e Il
largo
uso
del
procurato
narra che era
sangue e vino. - Per Bellona vedi nota 12 a l cap. XXJI). L a eplle!'lsia
XXIX, l Quanto a i culU de gli Egizhmi vedi il c·ap. X X I L .
Sallustlo, nella Ca
»,
le
(o
« morbo comizia
perché
se
durante
tale
assemblea se ne fosse verifi cato un caso la riunione avreb be ttovuto essere sospesa) ve niva guarita con bevanda di sangue umano. XXX, 4
La legge m o s a i c a ( G enesi, lX. 3-4) imponeva d j
aborto, invano condannato dal·
astenersi dal
le leggi di Roma.
sangue sangue
»,
«
soffocato e dal perché cibandosj di
animale
sl
assorbiva
religione pagana: Saturno di
l'anima della bestia con le sue qualità brutali. 11 precetto è
vorò
confermato
XXX, 2 l
dovette
Le
propri esser
crudeltà figli
(e
della Gio\·e
nascosto
per
aver salva la vita); a Carta gine gli adoratori della divi· nità fenicia Baal sacrificavano i :figli, evitando se ne udissero i lamenti, considerati d i ma laugurio; nel Tauro era ono rata con sacrifici umani Arte mide; Busirjde, mitico re dJ Egitto,
sacrificava
a Giove tutti i forestieri che gli capi tavano a tiro; pure vittJme umane erano immolate a Teu tate (Mercurio) dai Galli.
-
È
dal
discorso
di
Giacomo d i cul è cenno negli A l.ii
cie!Jli Apostoli
(XV, 20).
Vedi 11ota a pagg. 138-139 del le « Éùitions du Ceri » degli A t i.L,
1953.
XXXI, l
Con riferimento aL
le accuse del conterraneo Fron tone (vedj nota 3 a l cap. IX) Minucio ne specifica il carat� tere d i scarsa obiettività; ac cuse buttate l à da un facon do
parlatore.
accenno
Anche
a F r o n t o ne,
questo come
l
quello a l cap. IX, furono pre
contempot·aneità al possessivo
si
nost.er, che può semplicemente
a
pretesto
per
dare
la
precedenza a Minucio su Ter
significare
tulliano,
e
logo
tempi
il dia Frontone,
neo » ( e di tutti e tre, non dei soli due disputanti). Quanto
che morl nel 1 6 7 d. C. l l Léo
poi al valore del t u w; del se.
nard (op. clt., pag. 8) ritiene
condo brano. non vi è dubbio
i l modo come l'autore òeU'Ottavio parla in due passi
che esso significhi. con una punta di ironia. « quel Fron
di Frontone indichi chiaramen
tone al quale hai fatto ricor.
te
mentre
so » ; ed anche In questo caso
Frontone era vNo o poco dopo l a sua morte ». :VIa che dice, i n
si accenna al valore, anzi allo scarso
realtà. Minucio? Nel pr,imo ac cenno Cecillo afferma: i!l (cioè
nianza, non di Frontone, bensì della sua famosa or·azlone.
le
ai
antidatare di
«
che
egli
accuse
scriveva
contro
i
oratio. Nel secondo Ottavìo re plica: de isto (cioè dei pretesi festini Jussuriosi de.i Cristiani) et tuus Fronto, non r.tt affìrma tor testimonium fccit, sed con vicittm 1tt orator aspersit, Ed 11
Léonard
ammette
che in questa t·eplica di Otta vJo tw.LS può significare « tuo amico »
o
valore
quale
conterra
testimo
Cristiani)
etiam Cirtensis nost1'i testatur
allora?
« nostro
anche << colui di cul
tu hai invocato la testlmonian.
XXXI, 2
I Penuanl ammet·
tevano il connubio con sorelle e figlie e anche con
le
madri,
secondo Ctesla (medico del re Artaserse che scrisse intorno
al
400 a. C. una storia della Persia) citalO da Tertulliano ( A pologia, 9, 16), certo di se· conda mano: l 'incesto era am messo dagli Egiziani; ad Ate ne era consentito il matrimO·
za o del quale condividi l'opi
nio con sorellastre: il mito di Edipo e altri avevano per ar
nione erronea ». Invece. seC'on
gomento u n dramma nato dal
do
l'incesto.
Jui,
l'aggettivo noster del
primo passo << lascia intendere che Frontone era il compatrio ta e nello steseo tempo il con temporaneo dei tre interloeu tori o, almeno, di Cecmo e d i
XXXI,
3
Su I la
con tin enza
volon tarfa dei Cristian l , ved i M atteo. XIX, 1 1 , e il commen a quel brano nell'edizione
to
Ottavio » . Tutto clò c l sembra assa.l poco valido. Nel primo caso Cecilia accenna alla OTa
detto
tio del conterraneo Cecillo, e
ma delle E-pistole at Tessalonì
che il testo di questa potesse essere largamente diffuso an
segg.) di S. Pao lo. e il commento nelle « Éùi
che mezzo secolo dopo la mor te dJ Frontone è più che vero
tions du Cerf tere (pag. 4G).
B.U.R. a c:ura di Padt·e Bene Pr·ete (nn. 1 1 19-1122, pag. 179). Vedi anche la pri resì
(lV, 3
è
>>
di quelle let
simile: era stato costui, infatti, autore
di
grande
rinomanza.
Non v ' è dunque alcun bisogno di assegnare un carattere di
XXXII. l rn
secolo
Che i Cristiani del non
avessero
tem
pli, cnppelle, altari, figura�lo_
93
ni della divinità, è contraddet to, oltretutto, dalla archeolo gia cristiana; ma Minucio raf fronta le modeste esteriorità ciel culto cdstiano dei tempi suoi alle vistosissime ricchezze - m·ch ltettoniche, scultoree, or namentali - dei templi pagani e può t•onsiderare le prime co me q1wntit és négl1uertbles. Sl aggiunga che la tendenza dei Crist1ani d'Africa - Tertulliano a Ila testa - era verso un a estre. ma semplicità e austerità del t'U lto. Del resto già certi filo sofi pagani avevano reagito contro la eccessiva mater-ializ z<�zione della divinità, che ave Ya dato ot·igine, perfino. alle raffigurazioni satiriche degli autori comici. XXXIII, l
li Pellegrino
(l. c.
pag. 240, lt. s.) ritiene che i l « noJ » debba riferirsi ai Ro mani, non al CristianJ; e per tanto questa sarebbe una ri sposta a X. 3-4 e non a IX. l . giacché a tale osservaz.lone d i Cecilia, Ottavio ha già rispo sto con x:x:xr. 7. XXXIIl, 2
Accenna al pas saggi.o del Mar Rosso, clescrit. to in Esodo, 14, e dura11te i l quale avvennero i prodigi cui Minucio accenna. XXXIII, 3
Flavio Giuseppe. sc:1·ittore del I secolo d. C., è l'autore della Guerra {Ji1tdaica, delle A ntichità 0i11daiche e di altri scritti di grande impor tanza per la conoscenza della storia d'Israele e soprattutto la fine della loro potenza tempo rale. Quanto all'Antonio Giu liano, di c:ui Minudo parla co-
94
me di uno storico della fine di Gerusalemme, noi conosciamo un Marco Antonio Giulia no ri cordato da Flavio Giuseppe (Guerra giudaica, VI, 4, 3) co me « procut·atore della Giu dea » all'epoca dell'assedio di Gerusalemme ad opera di Ti to. Egl.i doveva far parte dello stato maggiore dell'esercito ro mano, se Tilo lo consultò prL ma di app.iceare l'incendio al Tempio di Gerusalemme. Ma né Flavio Giuseppe né altri c l tramandò che egli avesse scrit to una storia di quegli avve nimenti. Aula Gelllo, nelle Not ti A ttiche (in parecchie occa sioni: r. 4; IX. l ; xv, l ; XVIn, 5; XIX. 9; XX, 9) parla di un retore Antonio Giuliano che fiorl nel II secolo d . C. e che avrebbe potuto scrivere tale storia. Ma il Ricciotti (Guen·a giuda·ica., vol. 1, pag. 76) giu stamente ritiene che l'autore citato da Mlnuc:io sia i l primo dei due personaggi indicati. Che né Tacito né Flavio Giu seppe l ' abbiano citato, anche se si valsero dei suoi scritti, è tutt'altro che anormale. XXXIV, l
L'oplnJooe degli Stoici è r!ferlta da Cicerone nel consueto De natura deo rwn
(2,
46,
118); quella degli
Epicurei da Lucrezlo nel De rer-ll m natu?YI (sopratutto V, 407 e seg.); quella di Platone è nel Timeo (22, c e cl). XXXJV, 2
Pitagora il famo so filosofo e matematico greco del Vl secolo a. C.; è citato da Minucio probabilmente attra verso Giustino e Tertulllano e
-
lo stesso Cicerone (Tuscula.nae, l , 16, 38). - Quanto alla 1m mortalità dell'anima è affer mata da Platone ln varH dialo ghi (vedi i richiami nel Plato ne, a cura di Enrico TurolJa - Milano, Rlzzoli, 1953, alla pag. 923 del terzo volum�e) e cosl pure la rnetempsicosi. XXXIV, 3
l Cristiani furono
contrari all'lnrinerazione per rispetto alla tradizione biblica, per segtùre l'esempio di Cri sto, per Il simbolo che l'lnu mazione rappresenta rispetto a11a resurrezione e perché i l fuoco è riservato all'eterno castigo. XXXV , l
Accenna a Plato ne, che in Pedone ( 1 1 2 , e; 113) parla dei fiumi infernali e a Virgilio, che in vari passi del l'Eneide (soprattutto VI) pu re ne parla, come della palu de Stigia. XXXVI, l
l!: l'accenno acl al
tra opera dj cui si è detto nel la nota 2 alla pag. 7. 2
Matteo, Luca, XII, 24. XXXVI,
VI,
26;
XXXVll, l
Calo 1\>Tuzio Car do soprannominato Seevola (il mancino), non essendo riusci to ad uccidere Porsenna, re d'Etruria, si punl bntciando la propria destra. - Manlio Aquilio, console con Calo !\1a t'io, fu nell'88 a. C. fatto pri gioniero da Mitrldute e Ul'dso col versargll in bocca oro li quefatto. - l'.>farco Attilio Rego lo. fatto prigioniero dui carta gJnesi e inviato suUa parola a Roma per trattare lo scambio di prigionieri, rientrò a Carta gine per morirvi. XXXVII, 2
Cioè nei ludl gla
diatori. XXXVIU, l
Per Socrate, ve di note V, 6; XIl l , l e XXV1 , 4. - Per Arcesilao, Carneade e Simonide, vedi note Xli I , 2 e 3. A Ph-rone (filosofo greco contemporaneo d l Alessandro Magno e fondato1·e della scuo la scettica) non aveva fatto cenno Cecillo, ma Ottavto ba l 'aria, aggiungendo anche quel nome, di dire: chi più ne ha ne metta. -
XL, l
Circa i dubbi di Ce eilio, vedi notn 2 a!la pag. 15.
- '
-
I N D ICE Nota
. pag.
5
Parte prima 17
Proemio: la gita a Ostia . Parte seconda U discorso di Cecilia
.
21
.
34
.
37
.
77
Parte terza Intermezzo :
osservazioni di Marco .
Parte quarta Il discorso di Ottavio . Parte quinta Conclusione: conversione di Cecilia .
Note
.
.
79
.•
VOLUME SINGOLO L I R E S E S S A NTA