ANNA FREUD
OPERE
PAOLO BORINGHIERI
Tr•duzione di Ade Cinato
Prima tdizione 1978
C
1978 Editore 8orin1hieri oodefll per azioni, Torino, corso Vittorio Emanuele 86 CL 6o-8&o9-s 0•971""n• Freud
INDICE
Presentazione di Lottie M. Newma·n Fantasie di percosse e sogni a occhi aperti (19n)
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Quattro conferenze sull'analisi infantìle (1926) 1, Fase di preparazione dell'analisi infantile 2. I metodi dell'~nalisi infantile 3· La funzione della traslnzione nell'~n~lisi infantile 4· Relazione tra analisi infantile ed educazione
47
33 ~S
6o
Quattro conferenze di psicoanalisi per insegnanti c genitori (1930) 1. L'amnesia infantile e il complesso edipico z. La vita pulsionale infantile l· Il periodo di latenza 4· I rapporti tra psicoanalisi e pedagogia
'uz
L'influsso della malattia fisica sulla vita psichiea del bambino (1930)
133
L'Io e i meccanismi di difesa (1936) Prefazione all'edizione del 1966
149 151
PARTE PRIMA
85 87 99
TEORIA DEl MECCANISMI DI DIFESA
1. L'lo come sede dell'osservazione 2. Applicazione della tecnica psicoanalitica allo studio delle istanze psichiehe 3· L'attivi!~ difensiva dell'Io come oggetto dell'analisi 4· I meccanismi di difesa s. Orientamento dei processi di difesa secondo l'angoscia e il pericolo
152 157 169 179 187
ESEMPI DI EVITAMENTO DEL DISPIACERE REALE E DEL PERICOLO REALE: STADI PRELIMINARI DI DIFESA
6. Il diniego nella fantasia 7· Il diniego nella parola e nell'azione 8. Restrizione de11'lo PA!I.TE TERZA
195 :o;
DUE ESEMPI DI TIPI 01 DIFESo\
9- L'identi6cazione con l'aggres~orc Una forma di altruismo
,,,
10.
PARTE QUARTA
11.
DIFESA PER
L'Io e l'Es ndb
A~COSCIA
DELLA P0TE:
pubcrt~
u. Angoscia pulsionale nella pubcrti
Problemi dell'analisi didattica (1938) Bambini senza famiglia: tesi pro e contro gli asili residenziali (in collaborazione con Dorothy Burlingham) (1943) Prefazione alla prima edizione Prefazione alla seconda edizione 1. Confronti fra lo sviluppo nella prima infanzia di bam· bini allevati in istituti e bambini allev:~ti in famiglia :. Primi rapporti fra bambini in asili residenziali J. Introduzione di un rapporto materno nella vita dell'asilo 4· Alcuni aspetti del soddisfacimento e della frustrnzione pulsionali in famiglia e nell'asilo residenziale ;. Funzione del padre nell'asilo residenziale 6. La crescita della penonalitil dd bambino nelle condi· zioni dell'asilo residenziale 7· Conclusioni Bibliografia
239 249 :67
:81 :83 :85 :89 301 po 329 3;; 366 37) 377
Cronologia degli scritti di Anna Frtud
381
Piano delle "Opere di Anna Freud
395
8
Presentazione di Lottie M. Newman
Questa edi:.:ionc in tre volumi delle opere di Anna Freud comprende i suoi saggi c libri più importanti, iniriando d~l primo saggio scritto nc/1922 e terminando con i suoi contributi più recenti scritti nel 1975· SisteJ!lati in ordine cronologico, essi sono la testimonianza delle molte attività svolte dall'autrice nel corso della sua feconda vita professionale, c documentano lo sviluppo del suo pensiero. Nata a Vienna il 3 dicembre 189;, Anna Freud, la minore dei sei tigli di Sigmund Freud, è la sola che abbia seguito le orme paterne. Compiuti gli studi magistrali e completato il suo addestramento psicoanalitico, divenne membro della Società psicoanalitic.a di Vienna nel 19n, presentando un saggio dal titolo Fantasie di percosse e sogni a otthi aperti (primo scritto incluso nel presente volume). Fin dall'inizio della sua carriera il suo interesse fu volto, come bene testimonia il volume 1, a promuovere la psicoanalisi -il progresso de/Ja sua teoria e tecnica e l'addestramento degli analisti come pure ad applicare le scoperte della psicoanalisi ad altri campi, nella speranza di prevenire nei bambini in crescita inutili sofferenze c future malattie mentali. Così, nel 1926, tenne una serie di conferenze sulla tecnica dell'analisi infantile, c/1c, con modiliche solo di poco conto, è un testo basilare ancora oggi. Nel 1937, insieme con Dorot/1y Bur/ingham, Anna Freud organizzò il primo asilo diurno condotto su principi psicoanalitici. Qui furono accolti b~mbini di uno-due anni cl1c provenivano da famiglie po1•cre abitanti nei quartieri più miscrobili di Vienna. Nel 1938 Anna Freud lasciò Vienna per Londra, dove risiede tuttora. Durante la seconda guerra mondiale essa fondò c diresse insieme con Doroti1J' Burlingham le Hampstead War Nurscries, centro residenziale per bambini senza tetto e sfollati. La cura quotidiana di
oltre duecento bambini nel corso di tutto il periodo bellico poneva una serie di problemi pratici e amministrativi, quali l'approvvigionamento del cibo, la casa, l'assistenza medica e lo speciale addestramento del personale; tutti compiti intrapresi da Anna Freud e dai suoi collaboratori. Questo però le oHrì ancl1e l'opportunitll unica di fare nuove osservazioni, che annotava nelle notti in cui Londra era sorvolata dai bombardieri tedeschi ed essa in ogni caso non poteva dormire molto. 1 Fu in queste condizioni che, insieme con Dorothy Burlingham, essa comprese l'estrema importanza della funzione svolta dalla madre nella vita psichica del bambino in sviluppo. Osservò che i bambini possono sopportare le esperienze più spaventose lino a quando sono con le loro madri, e queste 110n mostrano paura. Sepa~ti da11e madri però i bambini, pur ricevendo le migliori cure fisiche c il più benevolo trattamento da parte di persone sostitutive, mostrano profonde carenze di sviluppo. Dopo la seconda guerra mondiale Anna Freud fondò Io Hampstead Child-Therapy Course e la Hampstead Child-Thcrapy Clinic, di cui è rimasta direttrice. L'organizzazione della Clinic riflette i suoi interessi umanitari e scientifici. Iniziò come programma di addestramento per terapcuti inf;:mtili; nel 1952 furono aggiunti i servizi clinici centrali cliC forniscono prestazioni diagnostiche e terapia analitica a bambini e adolescenti. Vi è inoltre una clinica di orientamento infantile in grado di oHrire cure pediatriche a una sessantina di bambini e una guida pratica e psicologica alle madri nei primi due anni di vita dei bambini. Questi passano poi a una scuola materna per bambini normali, ma la sezione dell'istruzione comprende anche bambini derelitti e handicappati c un gruppo speciale per i ciechi. In un ambiente così strutturato sia i tirocinanti che il personale sono in contatto con una grande varietll di bambini in stadi diversi del loro sviluppo, poiché Anna Freud ritiene che "nessun analista può considerare completo il suo addestramento finché la sua esperienza clinica e la sua capacitA tecnica sono limitate a una sola età o a un solo stadio-dello sviluppO~ (L'analisi infantile come sottospecialità della psicoanalisi, 1970). Tutti i membri del personale, oltre a occuparsi dei servizi e dell'addestramento, sono sollecitati ad annotare le loro scoperte, a mettere in comune le conoscenze acquisite in tentativi ~istematici come i Concept Groups o lo Psychoana!ytic 1Que$1~ onootnioni sono r:~coolte in cinquantasei lùpporti met~sili mlJ~ HompJtcd Nurscries {>94>-~s). Le conclu•ioni xkntificho !>alle
azioni quolidione sono ""nlenutcinDombinistnufomiglio(l94!),inquc:otovolumepp.16>-J76
Index (''una memoria analitica collettiva"), e a partecipare ai progetti di ricerca estensiva portati avanti nella clinica. Oltre alle attiviU svolte al1a Hampstcad Clinic, Anna Freud ha tenuto conferenze in tutta l'Europa e negli Stati Uniti di fronte a pubblici sia professionali sia non specializzati. Per vari e prolungati periodi di tempo essa fu Visiting Professar alla Yale Law School e al Child Study Center. Ha ricevuto lauree ad honorem da molte univer· siU: la Clark University, l'Università di Chicago, il JeRerson Medicai College di Filadelfia, la Yale University, l'Università di SheRield, la Columbia Univcrsity c l'Università di Vienna. Essa fu anche insignita dal1a Casa Bianca del primo Dolly Madison Award e, in Inghilterra, dcll'onoriliccnza di "Commander" dell'Impero Britannico. L'intera carriera scicntilica di Anna Freud è caratterizzata dal fatto che essa non solo creò servizi necessari per i bambini, per l'addestramento del personale addetto alle cure dei bambini e di analisti infantili, ma colse anche ogni opportunità per compiere nuove osser· vazioni, riflettere su di esse, sollevare problemi nuovi c proporre nuove concettualizzazioni. Saldamente radicata nelle fradirioni dell'analisi classica, essa ha sempre cercato e accettato i dati ricavati dall'osservazione diretta dei bambini in una grande varietà di situazioni. Applicò ciò che apprendeva nel gabinetto analitico all'educa· zione c all'istruzione dei bambini, alla cura dei bambini lisicamente ammalati, handicappali, orfani, e a quelli oggetto di contestazioni legali. Allo stesso modo, essa riportò poi ciò che apprendeva da questi ambiti nuovamente alla situazione psicoanalitica. Come dice lei stessa, ebbe }"'opportunità di mantenere uno stretto collegamento fra teoria e pratica, di verilicare costantemente le idee teoriche con l'applicazione pratica, e di ampliare l'operare pratico e le misure praticlle con la crescita delle conoscenze teoriche" (Cure residenziali e cure del bambino in affidamento, 1966}. Conseguentemente a questo atteggiamento fondamentale, la sua opera ha avuto un'ampia influenza .sia all'inferno che all'esterno della psicoanalisi. L'inciden7.2 della sua opera fu senza dubbio accresciuta dal suo stile di scrittura, dalla chiarezza e lucidiU, dal felice modo di esprimersi e dalla facilità con cui essa sa formulare pensieri complessi in linguaggio semplice e intelligibile a tutti. Essa ha la capacità di scavare fino a raggiungere il punto centrale di un problema. Il risul· fato di questo suo afferrare l'essenziale è che essa invariabilmente getta nuova luce anche su problemi conosciuti, e molte delle que-stioni collaterali trovano quasi automaticamente la giusta colloca·
zione. Oltre a ciò Anna Freud, rla quella grande educatrice che è, scrive guid~ndo i lettori da ciò che possono osservare e conoscere personalmente ad addentrarsi in ciò che è loro ignoto. Di conseguenza li lascia con un senso di convinzione. L'opera di Anna Freud ha influenzato sia la teoria e la tecnica psicoanalitica sia andte la ricerca psicoanalitica. Non c'è dubbio che il suo piccolo libro sull'Io e i meccanismi di difesa (1936) sia quello che lta m·uto l'incidenza più vasta e profonda fra tutti i suoi scritti. P: un testo la cui lettura è d'obbligo, almeno negli Stati Uniti, in una vasta serie di programmi di studio e di laurea in faeoiU. di meJiein~ c di giurisprudenza c in corsi sullo sviluppo infantile, in corsi di psio:.:ologia e di scienze sociali. f: uno di quei rari libri nella storia della scienza che per più di quarant'anni è rimasto d'importanza fondamentale per la comprensione essenziale dell'are~ specifica di cui si occup.1. C011 questo libro Anna Freud introdusse una nuova visione evolutiva di una delle operazioni mentali basilari dell'uomo che sono in parte os.servabili nel suo comportllmento, aprendo così la strada a nuo1•e scoperte e a nuovi accostamenti. J. Nello studiare le tendenze generali dell'Io, in periodi diversi dello sviluppo, si rivelano cltiari meccanismi di difesa e le esagerazioni di essi. Mentre alcuni possono produrre deformazioni morbose del carattere, inibizioni, o sintomi ncvrotici, altri sono mezzi essenzialmente normali per reagire ai conflitti tipici di una fase. Essa dimostrò che un certo comportamento Jtormale e adeguato in uno stadio particolare dello sviluppo non può più essere considerato tale qualclte anno dopo. Inversamente, qualche aspetto del comportamento più patologico dell'adulto non solo trae origine ma ha anche un normale riscontro nella vita infantile. Il suo libro rappresentò quindi un ponte dalla patologia allo studio della normalità, un contributo sostanziale verso la fondazione della psicoawlisi come teoria generale della psicologia. 2. Con.ridcr.lndo il comportamento osservabile sullo sfondo dei processi C\'Oiutivi normali, Anna Freud presentò una nuova classificazione dei meccanismi di difesa e nuove comprensioni delle !oro varietà e combinazioni. 3· Postulando che ~il campo proprio delle no!>tre osservazioni [ne!!a situ~zione psicoanalitica] è sempre I'Ion, Anua Freud aprl la strada a modi inno1•ativi d'accostamento alla tecnica psicoanalitica. Dal perseguimcnto dei •complessin e delle vicissitudini delle pulsioni parziali, essa spostò il centro dell'attenzione sui modi dell'Io per far
fronte a tali pulsioni nei suoi tentativi di trovare soluzioni a problemi interni e di adattarsi alle richieste del mondo esterno. Questo libro, più d'ogni altro dopo gli scritti di Sìgmund Freud, ha plasmato la tecnica della psicoanalisi quale viene praticata oggigiorno. Questi progreui nella tecnica dell'analisi degli adulti furono pre· ceduti dalla tecnica particolare dell'analisi infantile che Anna Freud introdusse nel 1916 e che lei c i suoi seguaci hanno continuato a praticare c perfezionare. Più di altri analisti, essa si è sempre preoc· cupata di definire il campo specifico in cui è applicabile la terapia analitica. Di!>llpprovando "un indebito ampliamento della sfera d'azione della psicoanalisi" essa insiste ancora che la terapia analitica è più utilmente applicata nel campo c/1c le ~u specifico in origine, e cioè quello del trattamento delle nevrosi nei bambini e negli adulti. Nelle sue ripetute discussioni drca le indicazioni e controindicazioni per l'analisi infantile (vedi Indicazioni per l'analisi infantile, 1945, e Indicazioni e controindicazioni per l'analisi infantile, 19i)8), essa ha messo in dubbio molti dei criteri generalmente accettati, proponendo invece una considerazione essenziale: i bambini hanno bisogno di un trattamento analitico quando il loro sviluppo è giunto a un arresto in una o più aree; c hanno bisogno di un trattamento analitico quando la mancanza di sviluppo progressivo è dovuta a un conflitto "interiorizzatoH, che per dclinizione è inaccessibile alle manipolazioni esterne. La determinazione del tipo di soRerenza c/Je il singolo bambino su· bisce richiede considerazioni diagnostiche alle quali Anna Freud dedicò larga parte del suo secondo libro fondameutale: Normalità c patologia nell'età infantile (r9lJ5). Essa scoprì che l'usuale classificazione delle malattie derivata dalla psicopatologia degli adulti non è :~pplicabile al b:~mbino; né una semplice elencazione dci sintomi dà indizi diagnostici utili poiché lo stesso sintomo - un disturbo del sonno, ad esempio - ha signilicati molto diversi nei diversi livelli di sviluppo, mentre lo stesso disturbo di base può essere espresso da sintomi diversi. Essa ha perciò introdotto un nuovo metodo di valutazione dello sviluppo, e ciot il profilo diagnostico~. Basato su tutti gli aspetti della teoria psicoanalitica e prestando attenzione a tutte le parti costituenti della personalità del bambino, il profilo è molto più che un semplice aiuto diagnostico. l!: uno "strumento pratico che impone ponderazione, completezza c comparabilità: comparabilità non solo nella valutazione dei fattori all'interno di un singolo caso e fra casi individuali, ma comparabilità di valutazione attendibile fra N
analisti diversi e nel tempo. È uno strumento con molti usi poten· ziali: vi sono inclusi la valutazione del cambiamento nel tempo, la compilazione di casi simili, il confronto tra condizioni differenti e il suo utilizzo ausiliario nell'addestramento" (Lustman, 1\)67). Le complesse valutazioni che il profilo permette portarono a una nuova dassific.azione dei fenomeni dell'infanzia: dai processi evolutivi normali e le difficoltA evolutive tipiche fino alle varie manifestazioni della patologia dell'infanzia. Queste a loro volta consentirono una nuova visione del rapporto tni l'infanzia e i disturbi deil'adulto, e posero altresì in rmevo le "variazioni della normalitA". Queste innovaziorù metodologichc riflettono il costante affidarsi di Anna Freud alla ricerca empirica. Essa difese sempre l'uso degli "esperimenti forniti dalla natura e dal destino". Cosl mise in evidenza la funzione della madre nello sviluppo del bambino piccolo concettualizzando le osservazioni fatte nelle Hampstead War Nurseries, dove i bambini erano separati dai loro genitori. Insieme con Dorothy Burlingham studiò la funzione della vista nello sviluppo normale conducendo ricerche sui bambini ciechi (vedi Progetti di ricerca della Hampstead Child-Thempy Clinic, 1957.&1, circa il progetto di ricerca da lei suggerito). JJ suo contributo teorico principale, derivante in parte dalla ricerca empirica, ~ il concetto di lince evolutive, concetto organizz.ativo centrale che cerca d'integrare i vari elementi costitutivi della personalità in passato studiati separatamenfe. Mentre essa stessa ha elaborato alcune linee evolutive prototipiche, la grande incidenza di questo concetto non si è fatta ancora sentire pienamente. Ne afferrò l'importanza S. L. Lustman (r\)67) il quale, sottolineando il primato scientifico di Anna Freud, affermò la sua convinzione che il concetto di linee evolutive diede la direzione alla costruzione teorica e alla ricerca successive. E comunque anche questo concetto ha applicazioni pratiche dirette. Può fornire risposte significative a problemi come quello relativo. a quando un b3mbino è pronto per la scuola, e in· dicare le aree specifiche nelle quali i maestri possono euere d'aiuto. Gli sforzi di Anna Freud pet applicare il pensiero psicoanalitico ai problemi pratici dell'allevamento dei b
particolare. Cosl, nelle sue conferenze e nei suoi scritti per studenti di medicina, insegnanti, pediatri, operatori di servizi per l'infanzia, infermiere e bambinaie, giudici e awocati, la sua scelta di ciò che la psicoanalisi può contribuire è stuordinariamente semplice. Ad esempio, nel/"elaborazione di linee guida nel caso di bambini oggetto di contestazioni legali circa il loro collocamento, essa pose l'accento sul "bisogno del bambino di una continuità di rapporti e sul "senso del tempo del bambinoN, entrambi radicalmente diversi da quelli dell'adulto. La sua collaborazione con Joseph Goldstein, docente di legge e psicoanalista, e con Albcrt f. Solnit, docente di pediatria e psichiatria e analista egli stesso, si tradusse in un libretto dal titolo Al di là dei migliori interessi del bambino (l97J), che ha avuto un enorme inBusso nel giro di un breve periodo di tempo. I concetti introdotli in questo libro, ad esempio quello di "genitore psicologico" o di "alternativa meno dannosa", sono divenuti, solo pochi anni dopo la pubblica1.ione del libro stesso, parte del linguaggio legale usato nei tribunali e dai legislatori dei paesi più disparati, molti dei quali stanno procedendo a cambiare le leggi che governano gli istituti dell'adozione e dell'affidamento dei bambini. Meno successo hanno avuto invece gli sforzi compiuti da Anna Freud nel corso di tutta la sua vita con pediatri e infermieri. Ripdutamenle essa ha sottolineato la disponibilità dei medici ad accettare l'idea che i fattori emotivi inBuenzano i processi fisici c la loro riluttanza a tenere conto che la sofferenza e il disagio fisici, gli interventi medici e chirurgici incidono profondamente sullo sviluppo emotivo dei bambini,l Tutti i suoi insegnamenti rivolti a professioni affini sono stati guidati da un assunto basilare: l'unità della personalità del bambino che cresce. lUpetutamcnte essa l1a sottolineato che medici e infermieri vedono soltanto il bambino malato, gli insegnanti hanno a che fare soltanto con il bambino che sta bene, i maestri di scuola materna hanno contatto solo con il bambino piccolo, mentre gli insegnanti delle scuole superiori sanno ben poco dei bambini più piccoli. Ripctutamente essa ha parlato con rammarico delle divisioni esistenti rispetto alle varie età, fra l'educazione e l'istruzione, fra teoria e pratica: in breve, rispetto alla specializzazione nell'addestramento di chi opera nel campo dell'infanzia. Per rimediare a questa situaN
• V odi A. Freud, L'inBusso dtlla mabllia lisi<:! lUib vi/a .,.;ohico dtl bombino (uno) e
~':,':~~e ~:;;t di pcdi•tri (•9~9). Vedi onehe A. Freud e The.i Bergmon,., Bombini
zione essa ha proposto l'istituzione di una nuova professione di esperti dell'infanzia, che abbiano una buona conoscenza di tutti gli aspetti dello sviluppo infantile e delle cure di cui il bambino ila bisogno. Per limiti dì spazio, alcuni di questi scritti legati a professioni affini non sì sono potuti comprendere in questa edizione. Tuttavia ~ stato incluso almeno un esempio rappresentativo di ognuna di tali
In questa introduzione ho tentato di offrire al lettore: r) un breve profilo della vita professionale di Anna Freud; 2) indica:;~ioni relative a dove possono essere reperiti contributi suoi in collabomzione con altri, non inclusi in questa edizione, una rassegna dei suoi contributi principali alla psicoanalisi. Clriunque legga gli scritti compresi in questi tre volumi apprezzenl le ragioni della grande influenza che Anna Freud Ira avuto su molte generazioni di analisti. Poiché essa combina nella sua persona una miscela unica dì sapere preciso, d'inflessibile volontà: di ricerca con l'obiettivo di apprendere tutto ciò che la vita ha da offrire, un'energia inlinita, una mente indipendente, una disponibilitA totale a guardare ai fatti e un inflessibile impegno a tradur/i in sforzi pratici per aiutare tutti j bambiui. Queste qualità, eire traspaiono c/riaro~ mentc da tutti i suoi scritti, hanno fatto di lei una figura preminente la cui influenza scientifica~ sentita, al di là dell'ambito psieoanalitico, in tutto il mondo occidentale.
~YVJ::RTENZA
EDITORI~I.E
Le çit3t;,oi deali strilli di Anna Freud awensono secondo il titolo eia datoziont della Pt<"«"nttediUone(vodielenon3 p.)8•). L'indioeanalititoionornlc~alfondnddtertovolume.
FANTASIE DI PERCOSSE E SOGNI A OCCHI APERTI
Fantasie di percosse e sogni a occhi aperti 1922
Sono già p.!lrecchi anni che approfitto della vostra ospitalità ma finora non mi sono fatta notare presso di voi per nessun tipo di collaborazione. Ora, io so da fonte attendibile, che la Società generalmente non consente che i suoi ospiti restino spettatori inattivi. Ma io penso che avrei mantenuto anche oggi questo comportamento se le vostre regole severe non prescrivessero anche, a ognuno che voglia associarsi, di essersi prima segnalato per qualcosa. Dunque la mia istanza di ammissione alla Società psicoanalitica di Vicnna è insieme il motivo e il pretesto della mia conferenza di oggi. La comunicazione che presenterò vuole essere una breve illustrazione del saggio di Freud "Un bambino viene picchiato" (1919). Essa è nata nel corso di una serie di colloqui con Lou Andrcas-Salomé che devo ringraziare moltissimo per il suo interesse e la sua partecipazione. Nel saggio "Un bambino viene picchiato"l'autore si occupa di una rappresentazione fantastica che, come egli afferma, "è ammessa con sorprendente frequenza da persone che sono ricorse al trattamento analitico a causa di un'isteria o di una nevrosi ossessiva ". Egli ritiene molto probabile che tale fantasia "compaia ancora più spesso in altre persone che non sono state costrette a prendere questa decisione per una malattia manifesta" (p. 41). Questa cosiddetta fantasia di percosse è regolarmente investita di un alto grado di piacere e termina in un atto di piacevole soddisfacimento autocratico. Penso di poter presupporre che sia qui noto a tutti il contenuto di questo lavoro: la descrizione della fantasia, la ricostruzione delle fasi da cui ha tratto origine, e la sua derivazione dal complesso edipico. Del resto mi richiamerò ripetutamente e in parte abbastanza dettagliatamente a questo saggio nel corso del mio intervento.
18
FANT .. SIIDIPEac;oSSE
In un punto del suo scritto Freud dice che gli sono noti casi di donne nelle quali "si era sviluppata, sulla fantasia di percosse masochistica, una complicata sovrastruttura di sogni a occhi aperti, molto significativa per la vita delle pazienti stesse, e alla quale spettava il compito di rendere possibile la sensazione di aver soddisfatto l'eccitamento pur rinunciando all'atto onanistico" (pp. sug.). Ora, da un materiale di svariati sogni a occhi aperti, sono riuscita a sceglierne uno che mi sembra particolarmente adatto a illustrare questa breve osservazione. t un sogno a occhi aperti di una ragazza di circa quindici anni, la cui vita f:mtastica, nonostante la sua intensità, non era mai entrata in conAitto con la realtà; l'origine, l'evoluzione e la conclusione di questo sogno a occhi aperti poterono essere accertate con precisione, e se ne poté dimostrare la derivazione e la generale dipendenza da una fantasia di percosse, esistente da lungo tempo, in un'analisi piuttosto approfondita.
Cerchiamo di seguire nel suo sviluppo l'attività fantastica della nostra sognatrice a occhi aperti. Verso i cinque o i sei anni- non fu possibile stabilire esattamente quando, ma comunque prima dell'età scolare - essa costruisce una fantasia di percosse che conispondc al tipo di quella descritta da Freud. Il contenuto resta ini:t.ialmente alquanto monotono: un bambino viene picchiato da un adulto. Qualche tempo dopo si trasforma in: molti bambini sono picchiati da molti adulti. Ma sia l'identità dei bambini picchiati sia quella degli adulti che picchiamo resta sconosciuta, come resta sconosciuto, in quasi tutti i casi, il misfatto per cui è stato inflitto 'il castigo. Le \'arie situazioni vengono viste presumibilmente in modo molto vivo, ma nell'analisi posteriore sono riferite sempre solo con poche parole e senza chiare=. Ogni singola scemt fantasticata, spesso molto breve, viene accompagnata da grande eccitamento e si conclude con un atto onanistico. Il senso di colpa che immediatamente si collega con la fantasia anche nel caso di questa bambina, è spiegato nel lavoro di Freud, nel modo seguente: egli dice che questa forma di fantasia di percosse non è quella originaria, ma solo il sostituto cosciente di una fase precedente inconscia, nella quale le persone divenute ora irricono· scibili e indifferenti, erano ancora ben conosciute e impOitanti: il bambino piccl1iato è il bambino che fantastica, l'adulto che picchia è il padre. Ma neanche questa fase, dice Fr~ud, è quella originaria,
bensì solo la trasformazione avvenuta per regressionc e rimozione, eli una prima fase precedente che ci riconduce ai momenti più vivaci del complesso edipico. Anche in questa prima fase chi picchiava era il padre, il picchiato era il bambino ma non quello che fantastica, bensl altri bambini, i fratelli e le sorelle, dunque dei concorrenti per l'amore del padre. Ciò che questa fase voleva esprimere, era una richiesta d'amore per sé, mentre la severit~ e il castigo erano lasciati agli altri. Con la rimozione dell'atteggiamento edipico e il risvegliarsi del senso di colpa, la punizione è in seguito rivolta sulla propria persona. Ma contemporaneamente la situazione di percosse poteva ancora sempre essere utilizzata, con una regressione dall'organizzazione genitale a quella pregenitale, sadico-anale, come una situazione d'amore. Da qui dunque l'inizio di una seconda fase che a causa del suo contenuto troppo significativo doveva rimanere inconscia, c la sua sostituzione nella coscienza con una terza fase che meglio soddisfa le pretese della rimozione, che diventa ora portatrice dell'eccitamento e del senso di colpa. Poiché il senso segreto di questa singolare fantasia sarebbe ancora sempre espresso nelle parole: "mio padre ama soltanto me~. Nel caso di questa bambina il senso di colpa derivato dalla rimozione dell'inclinazione verso il padre, inizialmente non si lega tanto alla fantasia stessa, benché anche questa sia sentita fin dall'inizio come qualcosa di molto brutto, bensì all'attività autocratica che regolarmente ne è la conclusione. Per un certo numero di anni la ragazzina compie perciò tentativi sempre nuovi ma sempre fallimentari, di separare l'una dall'altra, di mantenere la fantasia come fonte di piacere e di rinunciare al soddisbcimento sessuale sentito come inconciliabile con le esigenze dell'lo. In questo periodo la faritasia stessa subisce tutte le possibili trasfonnazioni ed elaborazioni. Nel tentativo di godersi quanto più :1 lungo possibile il piacere permesso e di rimandare indefinitamente la conclusione proibita, essa aggiunge ogni sorl:J di accessori, in sé senza importanza, e li descrive minutamente. Contemporaneamente la fantasia della bambina in\'enta organizzazioni e istituzioni complete e complicate, scuole e rifonnatori, nelle quali si svolgono queste scene di percosse e stabilisce regole e leggi a cui restano collegate le condizioni del conseguimento di piacere. Le persone che picchiano sono ora insegnanti ed educatori, molto raramente e solo in un tempo successivo compaiono anche i padri dei ragazzi, pcrlopiù come semplici spettatori. Ma anelle in questa esposizione ricca di particolari, le persone che agiscono
sono schematicl1e, prive di ogni più precisa definizione come nome, tratti del viso, storia personale. Non voglio affermare naturalmente che un tale rinvio della scena a colorazione piacevole, il prolungare e protrarre l'intera fantasia siano sempre espressione del senso di colpa, la riuscita del tentativo di separare la fantasia dall'attiviU. autocratica. La stessa tecnica viene impiegata anche con fantasie nelle quali il senso di colpa non l1a alcuna importanza e nelle quali serve semplicemente ad aumentare la tensione e insieme l'atteso piacere finale. Seguiamo ora il destino di questa fantasia di percosse in una tappa ulteriore. Col passare degli anni, nella bambina si rafforzano tutte le tendenze a servizio dell'lo nelle quali sono incorporate le esigenze morali dell'ambiente. Di conseguenza, la fantasia in cui si concentra tutta la vita sessuale della bambina, ha sempre più difficoltà ad affermarsi. Il tentativo di separare la fantasia di percosse dal soddisfacimcnto autoerotico viene abbandonato poicM invariabilmente fallisce, e la proibizione si estende sempre più, ora anche al contenuto della fantasia. Ogni sua irruzione, che ora può avvenire solo dopo una prolungata lotta con potenti forze opposte, è seguita da violenti autorimproveri e rimorsi di coscienza e per un certo tempo da una lieve depressione. Il soddisfacimento derivato dalla fantasia è perciò sempre più comprt:Sso in un singolo momento di piacere che sembra incorporato nel dispiacere che compare prima c dopo. La fantasia di percosse assolve dunque sempre peggio e in modo sempre più incompleto il suo compito di fonte di piacere c nel corso del tempo si presenta sempre meno frequentemente.
Nello stesso periodo - può essere stato all'incirca fra gli otto e i dieci anni, di nuovo l'età non si poté stabilire esattamente- questa bambina inizia una nuova specie di attività fantastica che essa stessa definisce, contrariamente alla brutta fantasia di percosse, come le sue H storie belle~. Queste H storie belle n dipingono- come appare alla prima osservazione - scene gradevoli e solo serene e danno esempi di un comportamento cordiale, affettuoso e benevolo. Tutti i personaggi che compaiono in queste storie hanno un nome, precisi tratti del viso, un aspetto esteriore particolareggiato e una storia personale, che spesso risale lino al suo passato fantastico. Le condizioni familiari, le amicizie e le parentele dei singoli personaggi fra di loro sono determinate esattamente e tutti i particolari delle circostanze
esterne sono riprodotti quanto più fedelmente possibile alla vita reale. La cornice esterna delle storie cambia facilmente quando nella vita della sognatrice intervengono delle variazioni, altrettanto vengono accolte tutte le possibili stimolazioni provenienti dalle sue letture. Il compimento delle singole scene, ognuna conclusa in sé, è accompagnato regolarmente da un intenso sentimento di felicit~ non turbato da sentimenti di colpa; non è più in gioco l'atto autocratico. Questo tipo cli attività fantastica può quindi occupare, senza turbamenti, nella vita. infantile, uno spazio sempre più ampio. Abbiamo qui la complicata formazione di sogni a occhi aperti, molto significativa per la vita delle persone in questione, di cui parla Freud nel suo saggio. Fino a che punto siamo autorizzati a vcderla come una sovrastruttura sul terreno della fantasia di percosse masochistica, sarà reso evidente dall'ulteriore prosecuzione di questa ricerca. La nostra sognatrice a occhi aperti nulla sapeva di una dipendenza o di una qualunque connessione delle "storie belle~ con la fantasia di percosse, e a quell'epoca l'avrebbe sicuramente negata senza esitazione. La fantasia di percosse era per Ici l'incorporazione di tutto ciò che è brutto, indecente c proibito, mentre le storie belle erano espressione di bellezza e di gioia. Non poteva esserci, nel suo modo di sentire, un collegamento di entrambe, era cioè impensabile che ad esempio una figura tratta dalle ~storie belle" potesse comparire nelle scene di percosse. Ogni contatto fra le due era evitato tanto accuratamente che ogni irruzione della fantasia di percosse era punita con la temporanea rinuncia alle "storie belle". Tanto erano state scarse nell'analisi tutte le informazioni circa la fantasia di percosse - erano allusioni perlopiù brevi c scarne e accompagnate da evidenti segni di vergogna e di resistenza, in base alle quali doveva essere faticosamente riscostruito il quadro giusto altrettanto prontamente emergevano, superate le prime difficoltà, resoconti vividi e chiari delle v:J[ie singole scene fantastiche delle "storie belle". Si aveva l'impressione che la sognatrice a occhi aperti non si stancasse mai di raccontare, come se dal racconto traesse un piacere simile o addirittura più intenso che nel fantasticare stesso. In tali circostanze non fu difficile mettere insieme un quadro composito di tutte le varie figure e situazioni. Si rivelò che questa ragazza aveva elaborato non una sola ma tutta una serie di storie che, per la costanza dei personaggi che vi agiscono e per la struttura generale, meritano di essere definiti "sogni a occhi aperti a puntate~ (continucd stories). Fra le storie, la principale e la più importante era una che
conteneva il numero m.:Jggiore di person~ggi, che si mantenne per il numero maggiore di anni, subl svariate alterazioni e -similmente al ciclo di leggende nella mitologia - formò a sua volta delle ramificazioni, che presero la forma di storie quasi indipendenti con numerose situazioni particobri. Accanto a questa grande storia, ve ne erano poi altre minori, più o meno significative, che si alternavano con essa, ma tutte costruite sullo stesso modello. Per addentrarci ora più a fondo nella struttura di questo sogno a occhi aperti, prendo a esempio la più breve delle "storie belle" che, per la sua perspicuità e completezza, è la più adatta ai fini di questa mia comunicazione. Alla nostra ragazza, ora di quattordici o quindici anni, dopo che ha già sviluppato vari sogni a occhi aperti a puntate, capita per caso fra le mani un libro per ragazzi, pressappoco sul genere del "buon compagno", 1 nel quale, fra le altre, si trova anche una storia, di poche pagine, ambientata in epoca medievale. Essa la legge con vivo interesse una o due volte, poi restituisce il libro al suo proprietario e non lo vede più. Ma la sua fantasia si impadronisce immediatamente dci diversi personaggi che vi compaiono e di tutte le circostanze esterne descritte nel racconto; facendole proprie, essa abbellisce ulteriormente l'azione e le riserva un posto non indifferente nella serie delle sue storie belle, come a un prodotto spontaneo della sua fantasia. Nonostante i tentativi compiuti nell'analisi, non si riuscì a stabilire, neanche approssimativamente, il contenuto del racconto che aveva letto. L'attività fantastica della sognatrice a occhi aperti l'aveva talmente frammentato, assorbito e coperto di cose nuove, che era impossibile separare ciò che era stato letto da ciò che era stato pro· dotto autonomamente. Perciò a· noi, come all'analisi in quel momento, non resta altro cl1e lasciar cadere questa distinzione, sem:'altro insignificante dal punto di vista pratico, e occuparci dell'intero con· tenuto delle scene fantasticate senza tener conto della sua derivazione. 11 m~teriale iis:rto nella storia cavalleresca era il seguente: un conte medievale conduce una lunga battaglia con alcuni nobili cl1e si sono .:Jllcati contro di lui. Nel corso di un serrato combattimento un giovane gentiluomo di quindici anni (dunque un ragazzo in età corri· spandente a quella della nostra sognatrice) viene catturato dai servi del conte e portato al castello. Qui ~gli trascorre un lungo periodo 1 !Der cute Kome1•<1 ~il titolo di una ballatOI, di tio:otcde•coLudwigiJhland.]
o:o~te~uto
pat•ioltico, del poelll 1oman·
di prigionia e viene infine liberato. La sognatrice non prosegue semplicemente quest'azione in una serie di puntate successive, come in un romanzo da rotocalco, bensì la utilizza soltanto come una specie di cornice esteriore. In questa essa inserisce una serie di scene, minori 0 maggiori, compiute in sé e indipendenti l'una dall'altra, ognuna costruita come un vero grande romanzo, con un'introduzione, lo sviluppo di una trama e una crescente tensione fino a raggiungere il culmine. In questo essa non è legata ad alcuna elaborazione della materia con un ordinamento logico, a seconda dell'umore può ritornare n un periodo precedente o successivo del racconto e ogni volta inserire anche una scena nuova fra due già compiute e contemporanee, finché infine la cornice del racconto viene quasi sfondata per l'abbondanza delle situazioni collocate dentro di essa. · In questo sogno a occhi aperti, che è il più semplice di tutti, sono solo due i personaggi veramente attivi, tutti gli altri si possono trascurare come secondari e accessori. Uno dei due personaggi principali è il ragazza fatto prigioniero, al quale la fantasticheria conferisce tutte le possibili buone e attraenti qualità, l'altro personaggio è il conte del castello, descritto come un tipo sinistro e violento. Con l'aggiunta di ogni sorta di particolari relativi al passato e alla storia familiare dei due viene ulteriormente rafforzato il contrasto fra di loro, viene cioè creato un sottofondo di ostilità apparentemente irreconciliabile da parte di un potente, di un forte verso un debole, a lui assoggettato. Una grande scena introduttiva descri\'C il primo incontro fra i due, in cui il conte si rivela .deciso a indurre il prigioniero a un tradimento con la minaccia della tortura; si consolida cosi nel ragazzo la convinzione della propria situazione d'inennità e si desta in lui il terrore del conte. Su questi due elementi si costruisrono poi tutte le altre situazioni. Ad esempio: il conte effettivamente arriva quasi fino alla tortura del prigioniero, ma all'ultimo momento desiste; lo lascia quasi morire con un lungo imprigionamento, ma poi, prima che sia troppo tardi, lo fa curare e guarire; lo angustia nuovamente dopo la sua guarigione ma poi, conquistato dalla sua fermezza, lo rispannia un'altra volta; e apparendo sempre sul punto di fargli del male, gli concede un favore dopo l'altro. Da un periodo successivo del racconto: il conte incontra il prigioniero fuori dei confini imposti alla sua libertà di movimento, ma disdegna di punirlo come previsto, con un nuovo imprigionamento; un'altra volta lo sorprende a trasgredire una delle proibizioni impostegli, ma. lui stesso gli risparmia poi l'umiliazione pubblica che
gli sarebbe dovuta essere inflitta; gli impone ogni sorta di privazioni e il prigioniero prova poi tanto più gusto per le cose di nuovo concesse. Tutto questo si svolge in scene esposte molto vividamcnte e drammaticamente commosse. In ognuna la sognatrice a occhi aperti partecipa all'angoscia e alla fermezza del ragazzo minacciato provandone estremo eccitamento. Nel momento in cui nel torturatore l'ira e lll rabbia si trasformano in pieU. e benevolenza, cioè al punto culminante di ogni scena, questo eccitamento si risolve in un autentico sentimento di felicità. Il passare, nella fantasticheria, dalle scene citate della storia cavalleresca alla costruzione di situazioni sempre nuove, a esse simili, richiedeva abitualmente qualche giorno o al massimo una o due settimane. La rigorosa elaboraziorte e lo sviluppo delle singole parti del sogno a occhi aperti sembrano riuscire meglio all'inizio di ogni simile periodo della fantasia. In quel momento esisteva in pieno la possibilità già accennata, di considerare inesistenti tutte le situazioni precedenti e successive t~d ogni situazione singola. Di conseguenu, la minacciosità della situazione del prigioniero e la possibilità di un brutto esito della stenti trovava piena convinzione nella sognatrice a occhi aperti c più largo spazio veniva riservato alla descrizione dell'angoscia, cioè alla prepar3Zione del punto culminante. Se però la fantasticheria si protraeva più a lungo nel tempo, sembrava trascinarsi eli scena in scena, contro l'intenzione della sognatrice, un frammento di ricordo dell'esito felice, la paura c la preoccupazione erano descritte senza vera convinzione e anziché limitarsi a un singolo breve elemento piacevole, l'umore conciliante e affettuoso del momento culminante si estendeva sempre più, coprendo infine tutto lo spazio altrimenti usato per l'introduzione e lo svolgimento della storia. In questo modo però la storia diventava inutilizzabile e doveva essere rimpiaZZ:Jta -almeno per la durata di qualche settimana - da un'altra, che a sua volta subiva dopo qualche tempo lo stesso destino. Solo i periodi di vita del sogno 3 occhi aperti maggiore c principale duravano indefinitamente più a lungo delle storie minori, secondarie. La causa va certamente ricercata nella grande ricchcua di figure c nelle molteplici ramificazioni. Non è ncancl1c inverosimile che questa più ampia conformazione sia stata effettuata proprio solo per assicurare al sogno stesso una vita più lunga in ogni periodo del suo comparire. Se v:Jiutiamo in modo coerente le singole parti staccate del sogno a
occhi aperti riguardante il ragazzo e il cavaliere, siamo stupiti dalla monotonia che in esse si esprime. La sognatrice a occhi aperti - una ragazza peraltro non priva d'intelligenza e critica ed esigente nelle sue letture - non l'aveva mai notata né nel fantastie11re, né nel raccontare durante l'analisi. Ma le diverse scene della storia cavalleresca, spogliate dei particolari secondari, che al primo sguardo essa fa apparire come individualmente diversi, commossi e vivaci, presentano in ogni caso la stessa struttura: un individuo forte e uno debole in contrapposizione l'uno con l'altro; un comportamento perlopiù forzato del debole che lo pone in balia dell'altro, il cui comportamento minaccioso legittima i peggiori timori; un lento intensificarsi dell'angoscia, spesso descritto con mezzi raffinati, fin quasi ai limiti della sopportazione; poi, come culmine piacevole, la soluzione, il perdono, la conciliazione c un momento di completa armonia fra i due avversari. Questa è peraltro anche la struttura, con piccole ''ariazioni, di ogni singola scena in tutte le altre cosiddette "storie belleH della nostra sognatrice. In questa struttura si trova però anche l'importante analogia, non intuita dalla sognatrice, fra le "storie belle" e la fantasia di percosse. Ancl1e nella fantasia di percosse i protagonisti sono i forti e i deboli, c nella sua versione più chiara, si contrappongono adulti e bambini. Anche qui si tratta regolarmente di una trasgressione, benché sia lasciata indistinta quanto i personaggi. Parimenti c'è anche qui un periodo di angoscia e di tensione. Il contrasto decisiVo sta nella diversità di soluzione, che nell'una fantasia è data dal castigo, nell'altra dal perdono o dalla riconciliazione. Quando nell'analisi l'attenzione della ragazza fu richiamata su questa sorprendente concordanza, essa non poté più sottrarsi all'ipotesi che vi fosse un nesso fra i due prodotti della fantasia esternamente così diversi. E dopo avere accettato la possibilità di una loro parentela, le si presentò immediatamente un'ulteriore serie di possibili relazioni. Ma nonostante il riconoscimento della struttura simile, appare, a un'osservazione superficiale, cl1e il contenuto della fantasia di percosse non abbia niente a che fare con le "storie belle". Tuttavia, non si può neanche sostenere completamente l'estraneità dei loro contenuti. L'osservazione più accurata mostra che le storie belle mostrano, nei punti più diversi, tracce più o meno chiare di un;1 tenbt:J irruzione del vecchio tema delle percosse. L'esempio migliore l'abbiamo gi:i avuto nel sogno a occhi aperti del cavaliere: la tortura, che come minaccia inattuata fa da sfondo a tante scene e
conferisce ad esse una precisa colorazione di paura e di tensione, non è altro che 1~ reminiscenza di un'antica scena di percosse, la cui esecuzione è preclusa nelle storie belle. Altre forme d'intromissione del tema delle percosse nel sogno a occhi aperti si riscontrano non nella fnntasia cavalleresca, ma in altri sogni a occhi aperti della ragazza. Riprendo qui un esempio tratto dalla grande storia principale, per quanto si è rivelata nell'analisi. In più di una scena la parte del passh·o, del debole (il ragazzo nel sogno a occhi aperti del cavaliere) '·iene assegnata a due personaggi. L'uno dci due - dopo la stessa preistoria - subisce la punizione, l'altro ottiene perdono. La scena della punizione non ha in sé una colorazione né piacevole né spiacevole, non è che lo sfondo sul quale risalta la scena amorosa, aumentnndonc per contrasto la tonalità piacevole. Un'~ltra possibiliU è che il sogno a ocrhi aperti facria rivh·cre nei pensieri, al soggetto passivo, una scena di punizione del pilssato, mentre egli viene trattato con amore; anche qui, il contrasto aumenta la colorazione piacevole. Oppure, come terza possibilità: il soggetto attivo e forte, mentre è sopraffatto dallo stato d'animo conciliante del punto di massima tensione, si ricorda di un atto di punizione o di percosse del passato, che, dopo un'eguale trasgressione, egli si trovò a subire. Il tema delle percosse può però imporsi non solo come nei quattro casi testé descritti accanto al tema proprio del sogno a occhi aperti, ma può anche essere elaborato come vero tema principale di una scena di sogno a occhi aperti. Ma la condizione è che non vi sia un tratto indispensabile per la fantasia di percosse, e cioè l'umiliazione dell'essere picchiati. Cosi nella storia principale della nostra ragazza, già spesso accennata, vi sono alcune scene p~rticolarmente efficaci il cui punto di massima tensione è costituito dalle descrizioni di percosse o di una punizione, ma le une descritte come non intenzionali e l'altra come autopunizione. Ognuno di questi esempi apportati dalla steSsa sogn~trice a occl1i aperti di irruzioni del tema delle percosse nelle "storie belle~ poté essere utiliuato dall'analisi come nuova documentàzione della parentela fra i due già sostenuta in precedenza. La prova più convincente della loro affinità fu data da una confessione nel proseguimento dell'analisi. Emerse infatti che, di quando in quando, ma molto raramente, si era verificato un rovesciamento diretto delle "storie belle" nella fantasia di percosse. In tempi brutti, in tempi cioè di maggiori richieste dall'esterno o di minore capacità interna di prestazione, non
sempre le storie belle erano riuscite ad assolvere al loro compito. Era cosl acc.:~duto più volte che alla conclusione e al momento eu). minante di una delle scene belle fantasticate, l'antica situazione di percosse con il soddisfacimento sessuale ad essa collegato si sostituisse alla situazione .:~morosa gradevole e serena e procurasse piena scarica all'eccitamento accumulato. M.:~ simili incidenti erano sempre dimenticati al più presto possibile, esclusi dalla memoria e considerati, con grande coerenza, come non avvenuti. Occupandoci delle connessioni tra la fantasia di percosse e le storie belle ci si rivebno tra l'altro tre importanti relazioni fra di loro: primo, una vistosa analogia nella struttura dei singoli frammenti; secondo, una serie di concordanze di contenuto c, terzo, le possibilità di un rovesciamento diretto. Importante differenza di principio resta che la storia bella, proprio nel punto in cui nella fantasia di percosse si trova la descrizione di un atto di castigo, introduce un'inattesa scena di tenerezza. Ritorniamo ora al saggio di Freud con la preistoria da lui ricostruita della fantasia di percosse. Come si è già accennato, Freud dice che la forma a noi nota di fantasia di percosse non è quella originaria ma solo il sostituto di una scena amorosa incestuosa, defonnata dalla rimozione e rappresentata come scena di percosse per la degr.:~dazionc alla fase sadico-.:Jnale. Questo punto di vista ci impone una spiegazione della differenza tra fantasia di percosse e sogno a occhi aperti: ciò che appare un progresso dalla fantasia di percosse alla storia bella non è altro che il ritorno :i una fase precedente. Con l'apparente allontanamento dalla scena di percosse viene recuperato il suo senso autentico, e cioè la situazione d'amore in essa nascosta. Ma questa affermazione manca ancora della sua parte più impor· tante. Noi sappiamo che il culmine della fantasia di percosse è inseparabilmente associato con l'impulso al soddisfacimento sessuale e al conseguente emergere di sentimenti di colpa. Il culmine della storia bella invece è libero da entrambi. Al primo sguardo ciò appare incomprensibile, poiché noi sappiamo che entrambi, il soddisfacimento sessuale come il sentimento di colpa, sono derivati proprio dalla fantasia amorosa rimossa, che è mascherata nella fantasia di percosse, ma viene rappresentata nella storia bella. Il problema trova soluzione se consideriamo che anche la storia bella non riprende la fantasia amorosa decaduta senza cambiarla. In questa fantasia di desiderio incestuosa, derivante dalla prima infanzia,
tutte le pulsioni sessuali erano concentrate su un primo oggetto d'amore, il padre. La rimozione dell'atteggiamento edipico aveva poi costretto il b~mbino a rinunciare alla maggior parte di queste mete sessuali infantili. Le primitive tendenze "sensuali~ erano state relegate nell'inconscio. Che e~c riemergano nella fantasia di percosse significa soltanto un parziale faliimCnto di questo tentativo. Ma se la fantasia di perco~e rappresenta così un ritorno del rimosso, e precisamente della fantasia di desiderio incestuosa, d'altra parte le storie belle ne sono la sublimazione. Nella fantasia di percosse trovano il loro soddisfacimento le pulsioni sessuali dirette, nelle storie belle quelle che Freud definisce pulsioni "inibite nella meta". Così come nello sviluppo del rapporto del bambino con i suoi genitori, la corrente d'amore originariamente indivisa si separa in una tendenz;, sensuale rimossa (qui la fantasia di percosse) c in una tendenza tenera sublimata (la storia bella). Abbiamo dunque per le due rappresentazioni fantastiche il seguente schema: compito della fantasia di percosse è la descrizione mascherata di una situazione amorosa sensuale sempre costante, espressa nel linguaggio dell'organizzazione sadico-anale come atto del picchiare. Compito delle storie belle è invece la rappresentazione dei vari impulsi benevoli, teneri c amorevoli; ma anche il suo tema, come quello della fantasia di percosse, è monotono: esso consiste nella creazione di un'amicizia fra un debole e un forte, fra un ragazzo e un adulto o, come l'esprimono molti sogni a occhi aperti, fra un inferiore c un superiore. La circostanza che già nello sviluppo, a voi noto, della fantasia di percosse la differenza sessuale fosse abbandonata e la ragazza si rappresentasse regolarmente trasformata in un ragazzo, facilita ovviamente molto una simile sublimazione dell'amore sensuale in amicizia tenera.
Era intendimento di questa comunicazione esaminare, in base a un singolo caso "di coesistenti fantasie di percosse e di sogni a occhi aperti, il rapporto reciproco fra le une e gli altri, per stabilire la presenza e la natura delle loro connessioni. Questo compito mi sembra cl1e sia stato assolto per quanto possibile qui, con ciò che ho detto finora. Nelle osservazioni che seguono, colgo ancora un'occasione che ci offre lo stesso esempio, per seguire ulteriormente il destino di un simile sogno a occhi aperti a puntate, c cioè nuovamente la storia cavalleresca che già conosciamo.
Vorrei prendere in considerazione una versione scritta della storia cavalleresca che la nostra sognatrice stese in un momento preciso parecchi anni dopo la prima comparsa di questo sogno a occhi aperti. Questa trascrizione è un breve, appassionante racconto il cui contenuto abbraccia il periodo della prigionia del giovane nobile. All'inizio vi è la tortura del prigioniero, c nel finale il suo rifiuto di tentare una fuga. Si intuisce dietro questo volontario rimanere al castello una sua simpatia per il conte. Tutti gli avvenimenti sono descritti al passato, sotto forma di un colloquio del conte con il padre del prigioniero. Così, il racconto scritto, pur conservando il tema del sogno a occhi aperti, ne cambia l'elaborazione. Nel sogno a occhi aperti, lo stabilirsi dell'amicizia fra il forte e il debole veniva ridescritto completamente in ogni più piccola scena, mentre nella storia scritta lo sviluppo dell'amicizia si estende sull'intero periodo dell'azione. In questa trasformazione le singole scene del sogno a occhi aperti vanno perdute; parte del materiale relativo alle situazioni che esse contenevano ritorna nella versione scritta, ma i singoli punti culminanti non sono sostituiti da un grande culmine alla fine del racconto scritto. La meta - la conciliazione degli avversari originari - nel racconto viene solo presagita, non più veramente descritta. Di conseguenza l'interesse che nello stadio del sogno a occhi aperti restava concentrato su precisi punti culminanti, si suddivide qui più uniformemente su tutte le situazioni e su tutti i personaggi. Questo cambiamento di struttura conisponde a un cambiamento nel meccanismo di conseguimento del piacere. Nel sogno a occhi aperti ogni riedizione o ripetizione di una singola scena· esprimeva una nuova possibilità di soddisfacimento pulsionale piacevole. Nel racconto scritto invece il conseguimento diretto di piacere è abbandonato. La trascrizione stessa avveniva bensì ancora in uno stato di felice eccitamento, simile allo stato del fantasticare, ma il racconto, una volta scritto, non suscita un siffatto eccitamento. La sua lettura non è utilizzabile per un conseguimento di piacere come nel sogno a occhi aperti. Sotto questo riguardo il suo effetto sull'autrice non è diverso da quello della lettura di un qualsiasi racconto di contenuto simile scritto da un'altra persona. Ci viene fatto di pensare che le due importanti differenze fra sogno a occhi aperti e storia scritta - l'abbandono delle scene singole e la rinuncia al conseguimento di piacere in relazione a precisi punti culminanti - siano in stretta connessione. Il racconto scritto d~·c
essere nato per altri motivi ed essere servito a scopi diversi da quelli del sogno a occhi aperti. Altrimenti la storia cav3llcresca nel trasformarsi da fantasia in racconto scritto sarebbe semplicemente diventata qualcosa di inutilizzabile. Interrogata circa le ragioni che l'avevttno indotta a scrivere la storia, la ragazza poté indicarne una sola di cui fosse consapevole. Pensava di aver scritto la storia per difendersi dall'esserne eccessivamente assorbita in un periodo in cui la fantasticheria del cavaliere era particolarmente invadente. Sua intenzione era stata di creare ai suoi personaggi, divenuti troppo vivi, una sorta di esistenza autonoma affinché non dominassero più la sua attivit:\ fantastica. EHettivamente, il sogno a occhi aperti del ca\!
contenuto - punti culminanti del sogno a occhi aperti - che erano particolarmente adatti al conseguimento di piacere; parimenti vengono a mancare nella versione scritta (come dimostra l'inclusione della scena della tortura) le limitazioni che avevano proibito al5ogno a occl1i aperti lo sviluppo di situazioni provenienti dalla fantasia di percosse. La versione scritta tratta infatti tutte le parti del contenuto del sogno a occhi aperti. allo stesso modo, come materiale oggettivo, e nel selezionarle si lascia guidare dalla considerazione della rapprcsentabilità. Poiché quanto meglio riesce la descrizione della materia, tanto maggiore è l'effetto sugli altri e di conseguenza il piacere indiretto che ne deriva. L'autrice rinuncia dunque, a favore dell'effetto sugli altri, al piacere personale c compie cosi una svolta dall'autismo al sociale. Possiamo dire: essa si prepara in tal modo la strada che dalln vita fantastica riconduce alla realtà.
Quattro conferenze sull'analisi infantile 19:t6
1.
Fase di preparazione dell'analisi infantile
Signore e signori, è quasi impossibile parlare della teçnica dell'ana· lisi infantile se non ci si è prima chiariti in quali casi sia generalmente indicato intraprendere. l'analisi di un bambino e in quali sia meglio rinunciare a un tale proposito. 1 Di questo problema si è occupata ampiamente nei suoi lavori Melanie Klein a Berlino (1923, 1926). Essa sostiene che l'analisi può eliminare tutti i disturbi dello sviluppo psichico o intellettuale del bambino o quanto meno influire su di essi in senso positivo; essa giunge anzi ad affermare che un'ana· lisi sarebbe della massima utiliU. anche per lo sviluppo del bambino nonnale e che col tempo dovrebbe diventare il completamento indispensabile di un'educazione modernamente intesa. In una discussione su questo problema, tenutasi l'anno scorso alla Società psicoanalitica di Vienna, è risultato invece che la maggior parte degli analisti viennesi è di opinione diversa e sostiene che l'analisi del bambino è opportuna soltanto nei casi di nevrosi infantile vera e propria. Io temo che non potrò portare un grande contributo alla soluzione del problema nel corso di queste conferenze; il massimo che posso fare è riferire in quali casi ho ritenuto opportuno intra· prendere un'analisi, quando la decisione si è dimostrata giusta e quando invece l'analisi intrapresa si è arenata per difficoltà di carat· tere interno o esterno. t ovvio che, quando si debbono prendere nuove decisioni, ci si senta incoraggiati da un successo recente e scoraggiati dagli insuccessi. In generale, mi pare che nel lavoro con i bambini si abbia talvolta l'impressione che in certi casi l'analisi sia un sistema troppo difficile, costoso c complicato da impiegare, e 'Vedi il rit$ilme delle indicWoni e controindica•ioni in A. Freud (fudic;z:ioni per ra .... lili infantile, 1945; /llorm2/il~ e palologia nell'eU infantile, 1965, cap. 6; fndicall"oni~ controindiazloniperra,..]i$iinf•ntile, •o6S).
,, che la si usi anche troppo, mentre, in altri casi, ancora più frequenti, sembra che con l'analisi pura e semplice si ottenga troppo poco. La conclusione potrebbe quindi essere che l'analisi, quando si tratta di
bambini, necessiti di certe modifiche e di certi adattamenti o quanto meno debba essere impieg.1ta con particolari precauzioni.
Quando non sussista la possibilità tecnica di attenersi a tali precauzioni è forse consigliabile non intraprendere l'analisi. Nel corso di queste conferenze mostrerò, con esempi specifici, su quali elementi si fondano le mie precedenti affermazioni. Accantonando per ora di proposito il tentativo di risolvere i problemi acceonati, tratterò del procedimento tecnico dell'analisi infantile nei casi in cui, per un qualsiasi motivo che non è qui necessario approfondire, mi è parso opportuno intraprcnderla. Spesse volte sono stata sollecitata a descrivere lo svolgimento del. l'analisi di un bambino e di illustrare, in base al singolo caso, la tecnica specific:J dell'analisi infantile. Finora ho sempre evitato di aderire a questa richiesta nel timore che tutto ciò che avrei detto potesse apparire terribilmente ovvio c banale. La tccnic:J peculiare dell'analisi infantile, nella misura in cui è possibile definirla tale, si basa su un fatto semplicissimo: l'adulto è, almeno fino a un certo punto, un essere maturo e indipendente mentre il bambino è immaturo e dipendente. t ovvio che con un soggetto tanto diverso anche il metodo non può rimanere lo stesso. Molti dei suoi clementi, che nel c:JSO dell'adulto sono signific:~tivi e importanti, perdono il loro valore nella nuova situazione; le funzioni dei vari strumenti ausiliari mutano; ciò che per l'adulto è un procedimento necessario e non dannoso, può diventare, per il bambino, una misura rischiosa. Ma noi sappiamo che queste modifiche sono richieste in certe situazioni anche in casi di adulti, e non c'è bisogno di una particolare giustificazione teorica. Tuttavia, poiché negli ultimi due anni e mezzo ho avuto occasione di trattare dieci casi di bambini con analisi prolungate, tenterò ora di esporre in successione le osservazioni che ho avuto modo di fare, cosl come probabilmente si sarebbero imposte a chiunque si fosse trovato in circostanze altrettanto favorevoli. Atteniamoci dunque alla successione reale degli eventi nel corso dell'analisi e cominciamo dall'atteggiamento del bambino all'inizio del lavoro analitico. Consideriamo prima la situazione analoga nel paziente adulto. Una persona si sente disturbata nc1 lavoro o nel godimento della vita da
qualche difficoltà al proprio interno; per un motivo qualsiasi comincia a nutrire fiducia nel potere terapeutico dell'analisi o in un determinato analista e prende la decisione di cercare un rimedio per questa via. Naturalmente so bene che le cose non stanno sempre così. Non sempre sono esclusivamente difficoltà interne che inducono a farsi analizzare, spesso sono solo i conflitti con il mondo esterno che da esse derivano. Né la decisione è presa sempre in modo veramente autonomo: le pressioni dci parenti o comunque di persone vicine al paziente svolgono spesso una parte più importante di quanto sarebbe auspicabile per il successivo lavoro analitico. Neppure la fiducia nell'analisi e nell'analista è sempre determinante. Tuttavia, da un punto di vista terapeutico, consideriamo ideale e auspicata la situazione in cui il paziente si allea di propria volontà con l'analista contro una parte della sua vita psichica. Questo stato di cose naturalmente non si riscontra mai quando si tratta di bambini. La decisione di sottoporsi all'analisi non parte mai dal piccolo paziente, ma sempre dai genitori o comunque da chi gli sta intorno. Al bambino non viene richiesto il consenso e, anche supposto che egli fosse interpellato, non sarebbe in grado di esprimere un giudizio e di dare una risposta. Per lui l'analista è un estraneo c l'analisi una cosa del tutto ignota. Ma il peggio è che perfino chi soffre, in molti casi, non è il bambino, il quale spesso non awerte alcun disturbo; chi soffre per i suoi sintomi o accessi di "cattivCiia" è solo chi vive con lui. Ci troviamo quindi di fronte a una situazione nuova, in cui mancano tutti gli clementi che appaiono indispensabili nell'analisi di un adulto: la comprensione della malattia, la decisione volontaria e il desiderio di guarire. Non tutti gli analisti considCiano questo stato di cose un ostacolo serio. Melanic K1ein, ad esempio, negli scritti sopra citati, descrive come essa si sia adeguata a tali circostanze e quale tecnica abbia elaborato di conseguenza. Io sono invece dell'avviso che valga la pena ricercare se non si possa ottenere anche nel caso del bambino la situazione che si dimostra favorevole nell'analisi dell'adulto, se cioè non si possano produrre in lui in qualche modo quella disposizione e quella prontezza, che gli mancano, a sottoporsi all'analisi. In questa prima conferenza vorrei dimostrare, esponendo sei casi diversi di bambini in età tra i sci e gli undici anni, come mi sia riuscito di rendere i miei piccoli pazienti ~analizzabili" nel senso accennato per l'adulto, cioè far loro riconoscere la malattia, acquisire fiducia nell'analisi e nell'analista, c trasformare in decisione inte-
.. riore di sottoporsi all'analisi quella che era deliberazione di estranei. Perché tutto ciò si verifichi occorre introdurre nell'analisi infantile una fase di preparnzione che non è necessaria nell'analisi ddl'adulto. Vorrei mettere in evidenza che ciò che si fa in questo periodo non ha ancora niente a che vedere col vero e proprio lavoro analitico: non si tratta ancora, cioè, né di rendere coscienti processi incOnKi né di analizzare le traslazioni e le resistenze. Si tratta semplicemente di trasformare, con tutti i mezzi che sono ledti a un adulto nei riguardi di un bambino, una situazione non conforme a quella desiderabile in una situazione più idonea allo scopo. Questa fase di preparazione - più propriamente si potrebbe dire di "addestramento~ all'analisi- sad di varia durata a seconda del grado in cui la situazione del singolo bambino si differenzia da quella che noi riteniamo ideale nel caso degli adulti. Questo pe· riodo durerà tanto più a lungo quanto più lo stato iniziale del bambino sar~ distante da quello desiderato. Non ci si immagini tuttavia tale compito come sempre necessariamente troppo difficile; il passo che si deve fare talvolta non è tanto grosso. Rammento il caso di una bambina di sei anni che mi fu affidata in osservazione l'anno scorso per tre settimane. Dovevo stabilire se il carattere difficile, taciturno e ritroso della bambina fosse conseguenza di difetti co~tituzionali e di un insoddisfa· cente sviluppo intellettuale o se non si trattasse di una bambina particolarmente inibita, trasognata e chiusa in sé stessa. Un'approfondita osservazione rivelò in lei la presenza di una grave e ben delineata nevrosi ossessiva, insolita per quell'et~, insieme con una grande intelligenza e una capacit~ logica. acutissima. In questo caso la fase di preparazione risultò molto agevole. La bambina conosceva gi~ due altri miei pazienti, e la prima volta venne alla seduta con la sua amica, di poco maggiore di lei. Non parlai con lei di niente in particolare: lasciai solo che si familiarizzasse con l'ambiente per lei estraneo. La volta seguente, dato che era venuta sola, tentai il primo approccio. Lei sapeva benissimo, le dissi, perché il suo amico e la sua amica venivano da me: l'uno perché non riusciva mai a dire la veriU e voleva perdere questo difetto, l'altra perché piangeva con troppa faciliU e si arrabbiava con sé stessa per questo. Forse anche lei era stata mandata da me per qualche motivo simile? A questa domanda la bimba rispose con molta franchezza: "Io ho un diavolo dentro di me. Non si può tirarlo fuori?"
Sulle prime rimasi sconcertata a questa inattesa risposta. La cosa era possibile, le dissi, ma si trattava di un'impresa difficile, e se io l'avessi tentata con lei, essa avrebbe dovuto fare una quantiU di cose che non le sarebbero state affatto gradevoli. (Intendevo ovviamente che avrebbe dovuto "dirmi tutton.) Ci pensò su per un momento molto seriamente e poi rispose: "Se tu mi dici che questo è l'unico modo per farlo, e per farlo in fretta, allora va bene." Si era cosl impegnata per libera decisione a sottostare alla regola fond.:zmentale dcll'.:znalisi. Di più non pretendiamo, all'inizio, neanche dagli adulti. Ma la bimba dimostrò anche di capire benissimo che sarebbe stato necessario un periodo di tempo abbastanza lungo. Trascorse le tre settimane di prova, i genitori erano indecisi se \asciarla in analisi da mc o farla curare in altro modo. La bambina per parte sua era però molto agitata, non voleva rinunciare alla speranza di guarigione che le avevo data e chiese, insistendo ripetutamente, che, anche se poi doveva ]asciarmi, la liberassi del suo di.:zvolo nei tre o quattro giorni che rimanevano. Le assicur.:zi che non era possibile, che per ottenere una cosa simile avremmo dovuto lavorare insieme per un lungo periodo. Non potevo ragionare con lei in termini di numeri perché essa, per quanto già in et.:\ scolare, a causa. delle sue molte inibizioni non aveva ancora alcuna nozione di aritmetica. Sedutasi allora sul pavimento mi indicò il disegno del tappeto dicendo: "Occorrono tanti giorni quanti sono i punti rossi? Oppure ancora tanti in più quanti sono i punti verdi? n Io le mostrai la grande quantiU di ore necessarie indicando i molti piccoli medaglioni disegnati sul tappeto. Essa comprese perfettamente e quando si trattò di prendere una decisione fece pesare la sua volant.:\ e convinse i genitori della necessit.:\ di una lung.:z collaborazione con me. Si potrebbe dire che in questo caso sia stata la gravit.:\ della nevrosi a facilitare il lavoro dell'analista, ma io penso che sarebbe un errore. Citerò, a titolo d'esempio, un altro caso in cui la fase di preparazione ebbe uno svolgimento simile, sebbene non si potesse parlare di una nevrosi vera e propria. Pressappoco due anni e mezzo or sono ebbi in analisi una ragazzina di quasi undici anni la cui educazione aveva procurato gravissimi prOblemi. Apparteneva a una famiglia agiata della media borghesia viennese, ma le condizioni familiari non erano favorevoli; il padre, uomo debole, si disinteressava di lei, la madre era morta anni prima e i
rapporti della bambina con la seconda moglie del padre e con il piccolo fratellastro erano alquanto disturbati. Per la quantità di piccoli furti che la bambina commetteva in casa, per la serie infinita di grosse bugie e di piccoli e grandi sotterfugi e falsità, la matrigna si convinse, su consiglio del medico di famiglia, a ricorrere all'analisi. Anche in questo caso il patto analitico fu facilissimo. "l tuoi genitori non riescono a concludere nulla con te~ fu il motivo su cui fondammo il nostro accordo. "Con il loro solo aiuto non riuscirai mai a liberarti delle continue scenate e dei conflitti. Forse potresti farcela con un'estranea.~ Essa mi accettò senz'altro come alleata contro i genitori, cosl come già la piccola affetta da nevrosi ossessiva, sopra descritta, mi aveva accettata come alleata contro il suo diavolo. La cognizione della nevrosi nella prima paziente era qui chiaramente sostituita dalla consapevolezza dei conflitti con i genitori, ma il fattore determinante comune a entmmbi i casi era l'intensità dei disturbi, originati nel primo da motivi interni, nell'altro da cause esterne. Il mio modo di procedere nel secondo caso fu essenzialmente quello raccomandato da Aichhorn (1925) per il trattamento dei giovani delinquenti. Egli afferma che l'educatore a cui sono affidati questi ragazzi deve anzitutto schierarsi dalla parte del ragazzo dclin· quentc e presumere che il suo atteggiamento verso l'ambiente sia giustificato. Soltanto così egli riuscirà a lavorare con il suo allievo anziché contro di lui. Vorrei tuttavia far notare che Aicl1horn per questo genere di lavoro si trova in una posizione di vantaggio rispetto agli analisti. Il suo intervento è autorizzato dal Comune e dallo Stato e la sua autorità ha un sostegno ufficiale. L'analista invece, come il bambino sa, è incaricato e pagato dai genitori, il che significa che viene a trovarsi in una posizione falsa. ogniqualvolta si ponga contro coloro che gli hanno assegnato l'incarico, ancllc se in fondo è nel loro interesse. In effetti, durante i necessari colloqui con i genitori di questa bam· bina, mi senth·o sempre a disagio; e infine, dopo qualche settimana, nonostante la migliore disposizione della bambina verso l'analisi, il trattamento fu interrotto all'improvviso dai genitori. Ad ogni modo, in entrambi i casi le condizioni necessarie per ini· ziarc l'analisi vera e propria, e cioè il senso della sofferenza, la fiducia nell'analisi c la decisione di intraprenderla, erano state raggiunte senza grande sforzo. Passiamo ora all'estremo opposto: a un caso in cui nessuno di questi fattori era presente.
Si trattava di un ragazzo di dicci anni affetto da un oscuro miscuglio di varie angosce, stati nervosi, insinccrità e abitudini infantili perverse. Negli ultimi anni aveva commesso diversi piccoli furti e uno più grave degli altri. Il conflitto con l'ambiente familiare non era né aperto né conscio, e in superficie non si rivelava alcun discernimento di questa sua spiacevole condizione, e tanto meno un qualche desiderio di modificarla. Il suo atteggiamento verso di me era di assoluta diffidenza e di totale rifiuto; tutti i suoi sforzi erano diretti a impedire che si scoprissero i suoi segreti sessuali. Nessuno dei due metodi sopra descritti era applicabile in questo caso. Non potevo allearmi con il suo lo cosciente contro una parte scissa della sua personalità perché egli non era affatto consapevole di tale scissione, né potevo offrirmi come alleata contro un ambiente a cui lo legavano, per quanto ne era cosciente, sentimenti molto forti. La via da imboccare era evidentemente un'altra, più difficile e meno diretta. Dovevo conquistare la fiducia del ragazzo per vie traverse, c impormi a una persona convinta di potercela fare benissimo senza di me. I miei tentativi furono vari. Dapprima - e per un lungo periodo non feci altro che adattarmi ai suoi stati d'animo e assecondare i suoi umori in tutti i loro mutamenti. Se egli veniva alla seduta contento c sereno mi mostravo allegra anch'io; se al contrario e-ra serio o depresso mi comportavo anch'io allo stesso modo. Se preferiva trascorrere tutta l'ora sotto il tavolo invece di camminare o di stare sdraiato o seduto, sollevavo il tappeto che copriva il tavolo e gli parlavo chinandomi verso di lui che stava sotto. Se arrivava con uno spago in tasca e incominciava a fare nodi e giochetti che riteneva ammirevoli, gli facevo vedere cl1e ero in grado di fare nodi ancora più complicati e giochetti ancora più belli. Se faceva delle smorfie gli mostravo che sapevo farle meglio di lui e se mi sfidava a prove di forza gli dimostravo di essere incomparabilmente più forte. Ma lo seguivo anche nei suoi discorsi qualunque fosse l'argomento, dalle storie di pirati e conoscenze geografiche, alla collezione di francobolli e alle storie d'amore. In queste conversazioni non vi era alcun tema che fosse per me troppo da adulti o troppo delicato da discutere, e neppure la sua diffidenza poteva fargli sospettare che dietro le mie parole fosse celato un intento educativo. Agivo all'incirca come fa un Jilm o un romanzo di evasione, che non ha altro scopo se non avvincere lo spettatore o il lettore e che a questo fine si adatta agli interessi e alle esigenZe del pubblico. Il mio primo intento non
era in effetti altro che quello di rcndermi interessante agli occhi del mgazzo. Allo stesso tempo il venire a conoscenza, in questo primo periodo, di molti suoi interessi e inclinazioni più superficiali fu un vantaggio collaterale non calcolato e molto gradito. Dopo un certo tempo introdussi un secondo fattore. Gli dimostrai di potergli essere utile in tanti piccoli modi: scrivevo a macchina le sue lettere, ero disposta ad aiutarlo nel mettere per iscritto i suoi sogni a occhi aperti e le storie che inventava e di cui era molto liero e facevo persino per lui, durante le sedute, ogni sorta di piccoli oggetti. Nel caso di una bambina per la quale ci volle un analogo periodo di preparazione, facevo con molto impegno, durante le sedute, lavori all'uncinetto e ai ferri, e a poco a poco vestii tutte le sue bambole e i suoi orsacchiotti. In breve, rivelai una seconda qualità a lui gradita: ero non solo interessante ma anche utile. Il vantaggio collaterale di questo secondo periodo fu che, gradualmente, scrivendogli le lettere e le storie, riuscii a farmi un'idea della sua cerchia di conoscenze e a penetrare nella sua attività fantastica. Avvenne a questo punto una cosa incomparabilmente più importante: gli feci notare che l'essere in analisi gli dava grandi vantaggi pratici, che per esempio le azioni passibili di punizione avevano un esito completamente diverso, e assai più favorevole, se era l'analista che veniva a conoscerle per primo e se solo per tramite suo ne venivano poi informati coloro che si occupavano di lui. Egli si abituò cosl a fare assegnamento sull'analisi come difesa contro i castighi e a sollecitare il mio aiuto per rimediare alle sue bricconate, facendomi restituire al suo posto i denari rubati e incaricandomi di fare ai genitori tutte le confessioni sgradevoli che non era possibile evitare. Prima di decidere se li.darsi veramente, mise alla prova la mia abilità in proposito innumerevoli volte. Poi non vi furono più dubbi: per lui ero diventata non solo una compagnia interessante e utile ma anche una persona molto potente senza il cui llppoggio non poteva più vivere in pace. Cosl, in queste mie tre qualità mi ero resa indispensabile, e noi diremmo che egli era entrato in un rapporto di completa dipendenza e di traslazione. Ma io avevo solo aspettato questo momento per esigere da lui, molto energicamente, non a parole e neanche tutto d'un colpo, grandi contropartite: chiesi cioè l'abbandono, tanto necessario per l'analisi, di tutti i segreti serbati lino ad allora, la qual cosa richiese settimane e mesi, e che segnò l'inizio dell'analisi vera e propria.
i/J'ASB DI
PUPAU~!OH~
4)
In questo caso non mi ero affatto preoccupata di stabilire una comprensione della malattia; questa si instaurò spontaneamente nel corso del lavoro successivo; lo scopo qui era quello di creare un legame abbastanza saldo da poter sorreggere l'analisi in seguito. Non vorrei però che la mia circostanziata esposizione avesse fatto nascere l'idea che l'unico risultato da attenersi sia questa traslazione positiva. Tenterò di cancellare una tale impressione con l'ausilio di altri esempi che rappresentano casi intermedi tra i due estremi che ho citato. Mi fu richiesto di prendere in o.nalisi un altro ragazzo di dieci anni che aveva manifestato, negli ultimi tempi, un sintomo oltremodo sgradevole e allarmante per il suo ambiente: aveva accessi di catti''eria e di furia violenta che si verificavano senza un'evidente ragione esterna, ed erano tanto più sorprendenti in un bambino altrimenti inibito e timido. In questo caso guadagnarmi la sua fiducia fu facile perché mi conosceva già per altra via. Anche la decisione di ricorrere all'analisi coincise perfettamente con i suoi desideri, poiché la sorellina minore era già una mia paziente cd egli era geloso degli evidenti vantaggi che essa traeva in famiglia per il fatto di essere in trattamento analitico. Ciò nonostante non riuscivo a trovare un appiglio valido per l'analisi; ma la spiegazione non fu da cercare lontano. Egli aveva una certa consapevolezza delle sue paure e anche un certo desiderio di liberarsi sia di esse sia delle sue inibizioni, ma quanto al sintomo principale, e cioè ai violenti accessi di furore, succedeva piuttosto il contrario. Era evidente che ne andava fiero, li considerava qualcosa che lo distingueva dagli altri, anche se non proprio in senso positivo, e godeva della preoccupazione che causavano ai genitori. In un certo senso sentiva questo sintomo in sintonia con sé stesso, c con ogni probabilità, in quel momento, si sarebbe ribcllato a tentativi di eliminarlo mediante l'analisi. Anche in questo caso ricorsi a un espediente alquanto subdolo e non molto onesto. Decisi di metterlo in conflitto con quel lato della sua personalità; lo indussi a descrivermi i suoi accessi ogni voltr che si verificavano e mi finsi preoccupata e impensierita. Mi infonnai di quo.nto rimanesse padrone dei suoi atti quando era in quello stato e paragonai le sue furie a quelle di un pazzo, per il quale il mio aiuto non sarebbe più servito. Le mie parole lo lasciarono perplesso e lo intimorirono, poiché esser trattato da pazzo non rientrava certo nelle sue ambizioni. Tentò quindi di sua iniziativa di dominare gli
accessi, incominciò a resistere ad essi invece di assecondarli come faceva prima, con il risultato di accorgersi della sua effettiva impotenza a frenarli; ne derivò un accrescimento dei suoi sentimenti di sofferenza e di dispiacere, finché, dopo alcuni vani tentativi, il sintomo si trasformò, come io avevo voluto, da un bene prezioso in un molesto COlpO estraneo per eliminare il quale egli esigeva anche troppo prontamente il mio aiuto. Sorprenderà che in questo caso io abbia causato di proposito l'in· sorgenza di uno stato che nella piccola 'affetta da nevrosi ossessiva era presente sin dall'inizio: vale a dire una scissione al proprio interno. Ma lo feci anche in un alt1o caso, quello di una bambina di sette anni, nevrotica e difficile, con la quale, dopo una lunga fase di preparazione molto simile a quelle descritte, mi decisi a usare lo stesso espediente. Improvvisamente separai da lei la sua cattiveria, la personificai dandole un nome, gliela posi di fronte c infine riuscii nell'intento: la bambina cominciò a lagnarsi con mc di questo nuovo personaggio che avevamo creato e si rese perfettamente conto delle soffe1enze che le causava. Instaurata cosl la comprensione interiore della malattia la bambina fu pronta per l'analisi. Ma non dobbiamo dimenticare un'altra barriera all'analisi: quella costituita dai conAitti di lcalt~. Mi accadde di riscontrarli nel corso della prolungata analisi di una bambina di otto anni straordinaria· mente dotata e simpatica, appunto quella bimba ipersensibile, sopra menzionata, che aveva crisi di pianto eccessivamente frequenti. Essa aveva le migliori intenzioni di correggersi e la capacit~ e possibilità di profittare dell'analisi. Ma il lavoro con lei si arenava sempre allo stesso punto, tanto che io stavo ormai per accontentanni del poco che avevo ottenuto e cioè della scomparsa dei disturbi più gravi. A questo punto venne in chinro in modo incquivocabilc che la OOrriera contro cui si arrestavano tutti i nostri sforzi, quando si voleva giungere veramente nel profondo, era il vincolo di affetto con la sua balia, persona non ben disposta verso l'analisi. La bambina credeva a quello che risultava"dall'analisi e a ciò che io le dicevo, ma solo fino al punto in cui la sua lealtà \'erso la OOmbinaia glielo permetteva. Se si tentava di andar oltre si cozzava contro una resistenza ostinata e in· l'incibile. In realtà essa riviveva un antico conflitto determinato dalla scelta affettiva tra i genitori, dopo la loro separazione, che aveva a~·uto una funzione molto importante per il suo sviluppo nella prima infanzia. Ma questa scoperta non fu di gr~nde aiuto, poiché l'attuale legame con la bambinaia era reale e fondato su solide basi.
Ai fini dell'analisi, iniziai allora una lotta tenace e incessante allo scopo di sconfiggere l'influsso della balia sulla bambina, lotta condotta da entrambe le parti con ogni mezzo. Per parte mia tentai di risvegliare nella bambina il suo senso critico, di scuotere la sua cieca dipendenza, sfruttando a mio favore tutti i piccoli conflitti che non mancano mai nella vita quotidiana con i bambini. Capii di aver vinto il giorno in cui la bambina, facendomi il racconto di una di queste piccole battaglie casalinghe, che l'aveva irritata, soggiunse: uPensi che abbia ragione lei?~ Solo da quel momento in poi l'analisi poté penetrare nel profondo e ottenne i risultati migliori di tutti i casi che ho qui menzionato. In questo caso era stato facile decidere se la lotta per accattivaiSi la bambina fosse lecita o meno: l'influsso della bambinaia sarebbe stato dannoso non solo ai fini dell'analisi ma anche per lo sviluppo della bambina in generale. Una situazione di questo tipo diventa però insostenibile quando come antagonista non si ha di fronte un estraneo, ma i genitori del bambino, o quando si deve affrontare il dilemma se valga la pena, per continuare il lavoro analitico, sottrarre il bambino all'influenza, per certi aspetti benefica e positiva, di una determinata persona. Ritorneremo esaurientemente sull'ar· gomento quando tratteremo il problema dell'attuazione pratica dell'analisi infantile e dei rapporti con l'ambiente del bambino. Per concludere citerò ancora due episodi idonei a dimostrare fino a che punto il bambino sia in grado di afferrare il senso del lavoro analitico e del compito terapeutico. L'esempio più probante è dato proprio dal caso più \"Oite menzionato della piccola affetta da nevrosi ossessiva. Riferendomi un giorno di una lotta con il suo diavolo, risoltasi insolitamente in modo favorevole per lei, la piccola voleva che la lodassi e riconoscessi i suoi meriti. "Anna Freud - mi disse - non è vero che sono molto più forte del mio diavolo? Non posso forse vincerlo benissimo da sola? Non mi pare di avere proprio bisogno di te." Gliene diedi piena conferma. Essa era ormai davvero molto più forte, anche senza il mio aiuto. Ma dopo un momento di perplessità aggiunse: uE invece sl che ho bisogno di te. Mi devi aiutare a non essere così infelice quando devo essere più forte di lui." Io credo che nemmeno da un nevrotico adulto ci si possa attendere una comprensione migliore del cambiamento che egli spera dalla cura analitica. Ed ecco il secondo episodio. Quel ragazzino decenne con sintomi di clamorosa cattiveria che bo già descritto in precedenza, un giorno,
.. in un periodo successivo della sua analisi, si mise a discorrere m!IIa
sala d'aspetto con un paziente adulto di mio padre. Costui gli rac· contava del suo cane che aveva ammazzato un pollo per il quale lui, suo padrone, aveva dovuto pagare. "Quel cane bisognerebbe portarlo
da Freud- disse il mio piccolo paziente.- Ha bisogno dell'analisi. n
L'uomo non rispose, ma in seguito espresse grande disapprovazione. Che strana idea aveva mai il ragazzo dell'analisi? A1 cane non mancava niente. Voleva uccidere il pollo e l'aveva ucciso. Io però sapevo benissimo che cosa aveva inteso dire il ragazzo. "Povero cane- deve
aver pensato - vorrebbe tanto essere un buon cane, e invece c'è qualcosa in lui che lo spinge a uccidere i polli. Si vede qui come veramente nel piccolo nevrotico delinquente la comprensione interiore della cattiveria prenda il posto, senza diffiN
coltà, della comprensione della malattia, e diventi per lui motivo pienamente valido per procedere all'analisi.
z. I metodi dell'analisi infantile
Signore e signori, temo che quanto ho esposto ultimamente abbia lasciato una strana impressione in chi fra di voi esercita la profes· sione di analista. L'insieme dei- miei modi di procedere, cosl come Ii ho descritti, contrasta in troppi punti con le regole della tecnica psicoanalitica quali sono state formulate in passato. Riguardiamo ancora una volta come ho agito. AJ!a piccola paziente ossessiva ho promesso senz'altro la guarigione, ritenendo che non si possa chiedere a un bambino di avviarsi con un estraneo per una strada sconosciuta verso una meta incerta; ho soddisfatto cosi il suo palese desiderio di essere obbligata con l'autorità e di abbandonarsi con un senso di sicurezza. Mi sono quindi offerta senza riserve come alleata e accomunata alla bambina nel criticare i genitori. In un altro caso mi sono impegnata in una segreta lotta contro l'ambiente familiare e ho cercato di accaparrarmi con ogni mezzo l'amore della bambinD. In un altro caso ancora sono giunta al punto di esagerare la gravità di un sintomo per impaurire il piccolo paziente e conseguire così il mio scopo. E infine mi sono insinuata nella fiducia di altri bambini e mi sono imposta a persone che erano convintissime di potersela cavare benissimo senza di me. Dov'è in tutto questo la riservatezza prescritta all'analista; la prudenza con cui al paziente si lascia incerta la prospettiva della guarigione o anche solo di un miglioramento? Che ne è della totale discrezione in tutte le questioni personali, della franchezza assoluta nell'esprimere giudizi sulla malattia, della piena liberU. che si deve concedere al paziente di interrompere quando vuole la collaborazione con l'analista? Quest'ultima condizione, a dire il vero, noi la osserviamo anche con i pazienti in et:l. infantile, ma è più o meno una finzione. La situazione è in qualche modo simile a quella della scuola, dove si vuoi br credere ai fanciulli che essi imparano per sé stessi e per la vita e non per gli insegnanti e per la scuola. Se si volesse prendere
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troppo sul serio la libertà che ne deriva, probnbilmente l'indomani si trO\'erebbcro le classi vuote. Vorrei ora difendermi dal sospetto che può essere nato, che io abbia proceduto in tal modo per ignoranza o per deliberata incuria delle regole stabilite. Credo di non aver fatto altro che sviluppare più a fondo, per adattarmi a una nuova situazione, gli elementi di un modo di procedere che tutti voi adottate verso i vostri pnzienti senza metterlo in speciale risalto. Forse nella mia prima conferenza ho anche esagerato le differenze tra la situazione iniziale del bambino e quella dell'adulto. Sappiamo bene che nei primi giorni del trattamento, la decisione e la fiducia del paziente appniono alquanto incerte. C'è il pericolo di perderlo prima ancora di iniziare l'analisi; soltanto quando lo teniamo saldamente con il rapporto di traslazione sentiamo di aver conquistato un terreno solido per il nostro intervento. Ma in questi primi giorni noi operiamo sul paziente, quasi impercettibilmente c senza un particolare sforzo da parte nostra, con una serie di accorgimenti che non differiscono poi tanto da quelli laboriosi e apparentemente speciali da me adottati nel lungo lavoro preparatorio con i bambini. Prendiamo come esempio un paziente depresso, un melanconico, benché la terapia e la tecnica analitiche non siano espressamente indicate per questi casi; ma se si decide d'intraprendere il trattamento, certamente si inizia con un periodo di preparazione, durante il quale l'analista deve suscitare nel paziente interesse e decisione per il lavoro analitico, cercando di capirne e incoraggiarne le esigenze personali. Consideriamo ancora un altro caso. e noto che le regole della tecnica analitica mettono in guardia dal servirei hoppo presto dell'interpretazione dci sogni e dall'offrire al paziente una conoscenza dei suoi processi interni che egli non è ancora preparato a capire c quindi respingerebbe. Ma con un nevrotico osscssivo intelligente e colto, saremo forse lieti di potergli presentare subito, all'inizio dell'analisi, un'interpretazione di un sogno particolarmente riuscita e di bell'effetto. Sarà un modo per destare il suo interesse e appagare le sue elevate esigenze intellettuali, e in fondo non facciamo niente di diverso da ciò che fa l'analista infantile quando dimostra a un ragazzino di saper eseguire con uno spago giochetti molto più belli dei suoi. Ancora: un'analogia vi è Iispetto a come, con un ragazzo ribelle e delinquente, noi ci schieriamo dalla sua parte e ci mostriamo disposti
ad aiutarlo conho l'ambiente che lo circonda. Cosi, al nevrotico adulto noi dimostriamo di essere lì per aiutarlo e appoggiarlo, e prendiamo sempre le sue parti nei conHitti con la famiglia. Anche in questo caso, dunque, ci rendiamo interessanti e utili: Svolge inoltre una sua parte la questione del potere e dell'autorità esterna. L'osservazione insegna che all'analista esperto e famoso riesce molto più facile che al giovane principiante trattenere il suo paziente, nello stadio iniziale dell';malisi, e impedire che usfuggaH; che la "traslazione negativaH è di gran lunga minore anche nelle prime sedute e minori sono le manifestazioni di ostilità e di sfiducia. Noi imputiamo questa differenza. all'inesperienza. del giovane analista, alla mancanza. di tatto nel suo comportamento verso il paziente, alle sue interpretazioni troppo caute o troppo avventate. Ma io penso che qui si dovrebbe prendere in considerazione proprio il fattore costituito dall'autorità esterna. Il paziente si domanda, e non a torto, chi sia mai in realtà l'uomo che a un tratto pretende di avere su di lui tanta autorità, e se la sua posizione nel mondo e l'atteggiamento delle altre persone - normali - verso di lui giustifichino tali pretese. Qui non si tratta necessariamente del riaffiorare di antichi impulsi di ostilità, ma probabilmente dell'espressione di un sano buon senso critico, che si risveglia prima che il paziente si lasci andare nella situazione di traslazionc analitica. Ma l'an~lista importante per nome e reputazione gode, in questa valutazione delle cose, degli stessi van· taggi dell'analista infantile, il quale è comunque più grande e più maturo del suo piccolo paziente e diventa persona di indiscusso potere se il bambino sente che la sua autorità è considerata, persino dai suoi genitori, al di sopra della propria. Questi sarebbero allora gli elementi di un simile periodo prepara· torio del trattamento anche nell'analisi degli adulti. Ma credo di essermi espressa in modo inesatto. Sarebbe più giusto dire che nella tecnica analitica dell'adulto troviamo ancora le "vestigia" di tutti gli accorgimenti che si dimostrano necessari con il bambino. La misura in cui ce ne serviamo è determinata dal grado in cui il paziente adulto che ci sta di fronte è ancora un essere immaturo e dipendente e in questo senso è simile al bambino. Tanto basti per quel che concerne la fase preparatoria del trattamento, cioè la creazione della situazione analitica. Supponiamo ora che, con tutti i mezzi sopra descritti, il bambino abbia veramente acquisito liducia nell'analista, si renda conto della malattia e aspiri ora, per sua decisione, a cambiare il proprio stato.
Siamo così pervenuti al nostro secondo tcm~: una disamina dei mezzi di cui disponiamo per il lavoro analitico vero e proprio con il bambino. Nella tecnica dell'analisi dell'adulto abbiamo quattro mezzi ausiliari. Utilizziamo innanzitutto gli elementi che ci può fornire la memoria cosciente del paziente per costruire una storia della ma· lattia quanto più possibile completa; ci serviamo "dell'interpretazione dci sogni; valutiamo e interpretiamo le idee fornite dalle associazioni libere dell'analizzato, e infine, interpretando le sue reazioni di traslazione, ci procuriamo un accesso a tutte quelle esperienze del suo passato che non possono essere alhimenti tradotte nella coscienza. Mi si consenta, in ciò elle segue, di procedere a un esame sistematico di questi mezzi relativamente alb loro applicabilità e utilità nell'analisi infantile. La prima differenza ci si pone già nella composizione della storia della malattia in base ai ricordi coscienti del paziente. Nel caso dell'adulto, ci asteniamo, di norma, dal raccogliere informazioni dalla famiglia e facciamo affidamento esclusivamente sulle notizie che egli stesso ci può fornire. Questa limitazione, che ci imponiamo deliberatamente, è basata sul btto che le informazioni date dai familiari sono perlopiù inattendibili c lacunose e hanno la colorazione del loro atteggiamento personale verso il malato. 11 bambino, però, non ci sa dire granché sulla storia della sua malattia. Finché non gli si viene in aiuto con l'analisi, egli non è in grado di risalire con la memoria molto addietro nel tempo. Egli è cosi assorbito dal presente d1e per lui il passato quasi svanisce. Inoltre non sa dire quando ha cominciato a essere fuori della norma e diverso dagli altri bambini. Non è ancora incline a paragonarsi con gli altri e non ha molta esperienza di compiti autoimposti con cui le sue esperienze possano misurarsi. Quindi l'analista infantile ricava in effetti la storia della malattia del piccolo paziente da ciò che gli dicono i genitori e non può fare altro che tenere conto delle eventuali imprecisioni e deformazioni dovute a motivi di ordine personale. Nell'interpretazione dei sogni, invece, abbiamo un campo in cui possiamo applicare senza cambiamenti all'analisi infantile ciò che abbiamo imparato nell'analisi dell'adulto. Durante l'analisi il bambino sogna né più né meno dell'adulto e la trasparenza o l'oscuriU dei contenuti onirici sono regolate, nell'uno come nell'altro, dall'intensità della resistenza. I sogni dci bambini sono certamente più facili da interpretare, anche se nell'analisi non sempre sono così sem-
plici come gli esempi dati nell'Interpretazione dei sogni (Freud, 1!Jw). Vi troviamo tutte quelle deformazioni dell'appagamento di desideri che corrispondono alla complicata organizzazione neVIotica del piccolo paziente. Ma niente è più facile da far capire al bambino che l'interpretazione dei sogni. Al primo racconto di un sogno io spiego che il sogno non può nascere dal nulla, che esso ricava ogni suo elemento da qualche parte; e mi metto con il bambino alla ricerca delle s'ue origini. Egli si diverte a rintracciare i singoli elementi del sogno come in un gioco di incastri e ritrova con molta soddisfazione le varie immagini o le parole del sogno nella situazione della sua vita reale. Forse questo avviene perché il bambino è più vicino ai sogni dell'adulto, o forse non si stupisce di trovare un significato nel sogno perché non ha mai sentito sostenere l'opinione che i sogni non hanno significato. In ogni caso, egli è orgoglioso di un'interpretazione riuscita. Del resto io ho spesse volte notato che anche bambini non intelligenti, assolutamente inadatti all'analisi sotto tutti gli altri aspetti, nell'interpretazione dei sogni riescono invece discretamente. Ilo condotto due analisi di questo tipo per lungo tempo avvalendomi quasi esclusivamente dei sogni. Persino in assenza di associazioni è spesso possibile dare ugualmente un'interpretazione ai sogni dei bambini. t:: molto più facile, infatti, conoscere la situazione reale del bambino e passare in rassegna gli avvenimenti della sua giornata: il numero dei personaggi del suo ambiente è molto più ristretto. Spesso ci si può azzardare a inserire le idee mancanti nell'interpretazione basandosi sulla propria conoscenza della situazione. I due esempi di sogni infantili che riferirò, e che non offrono assolutamente nulla di nuovo, hanno soltanto lo scopo di illustrarvi ancora una volta le circostanze che ho descritte. Al quinto mese di analisi di una bambina di nove anni, riuscii finalmente a portare il discorso sulla masturbazione, che essa, con sé stessa, riconosceva solo con un grave senso di colpa. Nel masturbarsi essa provava una forte sensazione di calore, e la repulsione per l'atto di toccarsi i genitali si estendeva anche a queste sensazioni. Incominciò ad avere paura del .fuoco e a riliutarsi di portare vestiti pesanti. Non poteva vedere la fiamma dello scaldabagno a gas, vicino alla camera da Ietto, senza temere un'esplosione. Una sera, in assenza della madre, la bambinaia voleva accendere lo scaldabagno e, non sapendo come, chiamò in aiuto il fratello maggiore. Neanche lui lo
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CONUa~<.~U SULL'AN•LISI INFio.'
sapeva. La bambina, che era presente, sentiva che lei avrebbe dovuto sapcrlo fare. Nella notte seguente essa sognò la stessa situazione, soltanto che nel sogno aiutava veramente la bambinaia, ma faceva uno sbaglio e lo scaldabagno esplodeva. La bambinaia per punizione la metteva nel fuoco, ove sarebbe bruciata. In preda a una grande angoscia, si destò, svegliò subito la mamma, le raccontò il sogno e aggiunse (con le sue cognizioni analitiche) che si trattava sicuramente di un sogno di punizione. La bambina non fece altre associazioni di idee, però in questo caso mi fu facilissimo intcgrarle. Il lavorio intorno allo scaldabagno stava evidentemente a significare la manipolazione del proprio corpo, cosa che essa riteneva facesse anche il fratello. Lo "sbaglio" era espressione della sua riprovazione, e l'esplosione rappresentava probabilmente la sua forma di orgasmo. La bambinaia, che la ammoniva contro la masturbazione, impartiva di conseguenza anche la punizione. Due mesi dopo la bimba fece un secondo sogno riguardante il fuoco. Sul termosifone c'erano due mattoni di colore diverso. lo sapevo che la c:~sa stava per bruciare e avevo paura. Poi arriva qualcuno e porta via i mattoni. Quando si svegliò tcueva la mano sui genitali. Questa volta essa fornì l'associazione per uno degli elementi del sogno, i mattoni: le avevano detto che se ci si mette un mattone in testa non si cresce più. Di qui l'interpretazione si completava senza difficoltà. Il non crescere era una delle punizioni della masturbazione che essa temeva maggiormente e il significato del fuoco, come simbolo della sua eccitazione sessuale, lo conoscevamo dal sogno precedente. Quindi essa si mastmbava nel sonno, era messa in guardia dal ricordo di tutte le proibizioni e si angosciava. Lo sconosciuto che portava via i mattoni ero probabilmente io, con le mie rassicurazioni consolanti. Non tutti i sogni che si presentano nel corso dell'analisi di bambini si possono interpretare con altrettanta facilità. In via di massima però ha ragione la mia piccola nevrotica ossessiva Ja quale è solita annunciarmi un sogno della notte precedente con queste parole: uSta· notte ho fatto un sogno buffo. Ma tu e io insieme riusciremo presto a scoprire che cosa vuoi dire tutto questo." Accanto all'interpretazione dei sogni ha una grande importanza, nell'analisi infantile, anche quella dei sogni a occhi aperti. Molti dei bambini su cui ho raccolto le mie esperienze erano dei grandi sogna-
tori a occl1i aperti, e il racconto delle loro fantasie mi è stato di grande aiuto nell'analisi. ~ di solito molto facile indurre i bambini di cui si è conquistata la fiducia in altri campi, a raccontare le loro fantasie. Essi allora le raccontano con disinvoltura, perché evidcn· temente se ne vergognano meno dell'adulto, che le condanna come "infantili". Mentre l'adulto, proprio per queste ragioni di vergogna e di condanna riferisce solo più tardi e con esitazione i suoi sogni a occhi aperti, nel caso del bambino la loro comparsa nei delicati stadi iniziali dell'an.::~lisi, è spesso di grande aiuto. Gli esempi seguenti illustreranno tre tipi di tali fantasie. Il tipo più semplice è il sogno a occhi aperti come reazione a un'esperienza vissuta durante il giorno. Ad esempio, la piccola sognatrice della quale ho accennato prima i sogni relativi al fuoco, in un periodo in cui la competizione con fratelli e sorelle era della massima importanza per l'analisi, reagl a una supposta ingiustizia con il seguente sogno a occhi aperti. Vorrei non essere mai venuta al mondo, vorrei morire. A volte immagino di morire e poi di nucere di nuovo sotto forma di animale o di bambola. Ma se venissi di nuovo al mondo sotto forma di bambola, so bene a chi vorrei appartenere: a una bambina da cui era prima la mia bambinaia, una bambina tanto gentile e buona. Sl, vorrei proprio essere la bambola di que· sta lxlmbina e non m'importerebbe niente di essere trattata come si fa con una bambola. Sarei un delizioso bambolotto, potrebbero lavarmi, vestirmi, farmi qualunque cosa. La bambina mi preferirebbe a tutte le altre bambole, e se anche a Natale gliene regalassero un'altra, io sarei sempre la prediletta. Non vorrebbe mai bene a un'altra bambola come al suo bambolotto. ~ superfluo aggiungere che due dei fratelli sui quali soprattutto si appuntava la sua gelosia erano più piccoli di lei. Nessuna spiegazione esplicita, nessuna associazione avrebbe potuto rivelare la sua situa· zione meglio di questa piccola fantasia. La piccola nevrotica ossessiva di sei anni abitava, all'inizio dell'analisi, presso una famiglia di amici. Una volta ebbe uno dei suoi soliti accessi di furiosa cattiveria, severamente criticati dagli altri bambini. La sua piccola amica si rifiutò persino di dormire in ca· mera con lei, cosa che la mortificò molto. Ma in seduta analitica mi raccontò che la bambinaia le aveva regalato un coniglietto perché era stata tanto buona, e mi assicurò che gli altri bambini erano con· tentissimi di dormire con lei. Quindi mi riferì un sogno a occhi aperti elle aveva fatto durante un momento di riposo, senza rendersi conto di farlo.
C'era una volta un coniglietto. In famiglia tutti erano cattivi con lui. Lo volevano dare al macellaio per farlo uccidere. Ma lui lo scoprl. Il coniglietto aveva un'automobile vecchia vecchia, ma che camminava ancora. Durante la notte la prese, ci entrò dentro e fuggl. Arrivò a una bellissima casetta dove abitava una bambina [equi fece il proprio nome). Questa bambina lo sentì piangere, allora scese e lo fece entrare in casa, c lo tenne sempre con sé. Qui viene in luce, con estrema chilorcnioto •cdi A. Freud, F•n!•lie di pereo!le e sogni 1 o«hi •per!i(1911).
alla fine, anziché il prigioniero che doveva essere torturato, rimaneva imprigionato il torturatore. La sua memoria er~ piena di tutta una collezione di fantasie di questo genere in infinite variazioni. Anche senza sapere niente altro del ragazzo, possiamo indovinare che alla base di tutte queste fantasie sta la difesa e la vendetta per una minaccia di evirazione; nella fantasticheria, cioè, l'evirazione è applicata alla persona che in origine l'ha minacciata. Con un simile inizio dell'analisi ci si può creare tutta una serie di aspettative sul suo ulteriore decorso. Un altro ausilio tecnico che, accanto all'utilizzo dei sogni e delle fantasticherie, ha spesso una parte di primo piano in parecchie mie analisi di bambini è il disegno: in tre dei casi riferiti esso sostituì addirittura, per un certo periodo, quasi tutti gli altri modi di comunicare. La bambina che sognava il fuoco, per esempio, quando era presa dal suo complesso di evirazione, disegnava incessantemente un orrendo mostro dalla forma umana, con un mento spropositato, un lungo naso, una gran capigliatura e dei dentacci spaventosi. Il nome di questo mostro ricorrente era Beisser [che morde] e la sua funzione era chiaramente quella di strappar via a morsi il proprio membro, che portava raffigurato sul corpo in molti modi. Un'altra serie di fogli, che essa riempiva durante le sedute per illustrare i suoi racconti, o anche stando in silenzio, rappresentava ogni sorta di creature: bambini, uccelli, serpenti, bambole, tutti con braccia, gambe o becchi e code lunghissime. Su un altro foglio, nello stesso periodo, raffigurò a un tratto tutte le cose che avrebbe voluto essere: un ragazzo {per avere il membro virile), una bambola {per essere la prediletta), un cane (per lei simbolo della virilit~) e un marinaio, preso da una delle sue fant;~sie in cui, trasformata in ragazzo, accompagnava il padre in un viaggio intorno al mondo. Al di sopra di tutte queste figure si colloca ancora un disegno, tratto da una fiaba, per mel;) udita raccontare e per metà inventata da Ici: una strega strappa i capelli a un gigante; quindi di nuovo un'immagine che si riferisce all'evirazione, di cui allora la bambina incolpava la madre. In singolare contrasto con questa raffigurazione vi era una serie di disegni, di un periodo molto più tardo, in cui una regina offre a una piccola principessa, in piedi davanti a lei, un fiore meraviglioso dallo stelo lunghissimo (chiaramente di nuovo un simbolo del pene). Diversi erano i disegni della piccola nevrotica ossessiva. Essa ac-
,, compagnava talvolta con illustrazioni i racconti delle sue fantasie anali, che riempirono la prima parte della sua analisi. Disegnò per esempio un paese di Cuccagna tutto in chiave anale, in cui le persone anziché fra le montagne di crema e di torte di cui parla la favola, dovevano abbuffarsi tra cumuli di mostruosi mucchi di escrementi messi in fila. Acc:~nto a questi disegni ne conservo però altri, fatti con pazienza e lindore straordinari e con molto garbo, di fiori c giardini dai colori delicatissimi, che lei eseguiva proprio mentre mi andava raccontando quelle sue fantasticherie anali tanto ~sporche. Temo però di aver tracciato finora un quadro troppo ideale delle condizioni in cui si svolge l'analisi infantile. La famiglia è pronta a fornire tutte le informazioni necessarie; il bambino si rivela uno zelante interprete dei sogni e sforna a getto continuo fantasticherie e una gran quantità di interessantissimi disegni da cui trarre tutte le conclusioni che si vogliono sui suoi impulsi inconsci. Se così fosse non si capirebbe perché fino ad oggi si è considerata l'analisi infantile un campo particolarmente difficile della tecnica analitica e perché tanti analisti dichiarino di non venire a capo di niente nel trattamento dei bambini. Non è difficile dare la risposta. Il bambino neutralizza t1:1tti i predetti vantaggi perché si rifiuta di fare associa;~;ioni. Egli mette quindi l'analista in imbarazzo poiché lo strumento essenziale su cui si fonda la tecnica analitica non può essere applicato a nessun effetto. Evidentemente è contrario alla natura infantile assumere la comoda posizione sdraiata prescritta all'adulto, eliminare con consapevole volontà tutte le critiche alle idee che affiorano, comunicare tutto senza nessuna esclusione, e in tal modo esplorare la superficie della propria coscienza. E vero che quando si è riusciti, nei modi che ho descritto, a creare con un bambino dei solidi legami di affetto e a rendersi indispensabili, gli si può far fare qualunque cosa. Quindi qualche volta, esortandolo, si riuscirà a fargli fare delle associazioni, benché solo per breve tempo e per Compiacere l'analista. Questo sporadico inserimento di associazioni potrà scnz'altro essere di grande aiuto e chiarire a volte una situazione diflicilc. Ma avril sempre il carattere di un aiuto isolato e non potrà mai essere una base sicura su cui fondare l'intero la\·oro analitico. Talvolta, a una ragazzina che in analisi si era mostrata molto docile e arrendevole ai miei desideri e cl1e per le sue grandi doti di disegnatrice aveva una straordina1ia capacità di visualizzare le cose,
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chiedevo di "vedere delle scene Lei si sedeva con gli occhi chiusi, accoccolata in una singolare posizione, e seguiva attenta le immagini elle le passavano per la mente. In questo modo essa una volta mi offrì veramente la soluzione di una situazione di resistenza che durava ormai da lungo tempo. Il 6
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tema di quel periodo era la lotta contro la masturbazione e il distacco dalla bambinaia, presso la quale la bambina si era rifugiata con raddoppiata tenerezza, per difendersi dai miei tentativi di libeurla. La pregai di vedere delle scene c la prima che emerse portò questa risposta: ula bambinaia se ne vola via sul mareN. Ciò significava, con l'ulteriore integrazione della visione di me circondata da molti diavoli danzanti, che io avrei costretto la bambinaia ad andarsene; lei allora non avrebbe più avuto alcuna difesa contro la tentatnione di masturbarsi e io l'avrei fatta diventare "cattiva~. Talvolta, e più frequentemente di que~te associazioni volute e provocate, ce ne vengono in aiuto altre, non intenzionali e non richieste. E qui prendo ancora ad esempio la piccola nevrotica ossessiva. Al culmine dell'analisi si trattava di rendere chiaro il suo odio per la madre, cosa da cui la bambina si era protetta in passato con la creazione di quel suo "diavoloN che impersonava tutti i suoi impulsi ostili. Sebbene fino a quel momento avesse collaborato di buon grado, a questo punto incominciò a recalcitrare. Contemporaneamente, però, ricadde, in famiglia, in ogni sorta di cattiverie e dispetti, del che mi avvalsi per dimostrarle ogni giorno che ci si comporta cosl male solo con qualcuno che si odia. Alla fine, sotto il peso delle prove schiaccianti che continuavo a portarle, essa si arrese, ma ora voleva anche sapere da me il motivo di questo suo sentimento di odio verso la madre che presumeva di amare moltissimo. A questo punto rifiutai di dare ulteriori informazioni, poiché io stessa non ne sapevo di più. Allora, dopo un momento di silenzio, essa disse: ~Sai, credo che la colpa sia di un sogno che ho fatto una volta [qualche settimana prima) e che non abbiamo mai capito." La pregai di ripetermelo ed essa lo fece. C'erano tutte le mie bambole e c'era anche il mio coniglietto. Poi io me ne sono andata e il coniglietto ha cominciato a piangere disperatamente e mi ha fatto molta pena. [Poi aggiunse:] E io credo che adesso faccio come il mio coniglietto e perciò piango sempre come lui. Naturalmente succedeva in realtà proprio il contrario: era il coniglio che imitava lei, non viceversa. Nel sogno essa rappresentava la
,. madre e sì comportava con il coniglietto come la mamma si era comportata con lei. Con questa idea onirica essa aveva finalmente scoperto il rimprovew che la sua coscienza aveva sempre rifiutato di fare alla madre: che se ne era sempre andata via proprio quando la bambina aveva più bisogno di lei. Qualche giorno dopo ripcté lo stesso processo. Quando, dopo un momentaneo senso di liberazione, il suo umore divenne nuovamente molto triste, cercai di spingerla a ritornare sullo stesso tema. Essa non trovava niente da dire ma, a un tratto, scuotendosi dai suoi profondi pensieri disse: "A G. è così bello! Mi piacerebbe tanto tornarci. o Continuando a interrogarla scoprii che in quel luogo di villeggiatura la bambina doveva aver trascorso uno dci periodi più infelici della sua vita. Il fratello maggiore era stato rimandato in città dai genitori perché aveva la pertosse, e lei era rimasta isolata là con la bambinaia e due fratellini più piccoli. "La tata si arrabbiava sempre se io toglievo i giocattoli ai miei fratellini~, aggiunse poi spontaneamente. Alla supposta preferenza dei genitori verso il fratello maggiore ecco che si aggiungeva quella effettiva della bambinaia per i fratellini. Essa si senliva abbandonata da tutti c reagiva nel modo che le era proprio. Aveva quindi ritrovato di nuovo attraverso il ricordo - questa volta della bellezza di quel luogo - uno dei rimproveri più profondi che rivolgeva. alla madre. Non avrei dato rilievo a questi tre casi di associazioni sorprendenti, se esempi simili si presentassero più spesso nell'analisi dei bambini. Voi sapete che nell'analisi degli adulti sono cose di tutti i giorni. L'assenza di disponibilità all'associazione che riscontriamo nel bambino ha indotto tutti coloro che si sono finora interessati al problema dell'analisi infantile a mettersi alla ricerca di un qualche metodo sostitutivo. La dottoressa Herrnine Ilug-Hellmuth ha tentato di surrogate le conoscenze che si acquisiscono con le associazioni libere del paziente adulto mettendosi a giocare col bambino, studiandolo nel suo ambiente abituale e cercando di conoscere da vicino tutto quanto riguaida la sua vita. Melanie Klein, come descrive nelle sue pubblicazioni, sostituisce alla tecnica delle associazioni, impiegate con gli adulti, la tecnica del gioco con i bambini. Essa parte dal presupposto che per il bambino è più naturale agire che parlare, e perciò gli mette a disposizione una grande quantità di minuscoli giocattoli, quasi un mondo in miniatura, dandogli la possibilità di agire in questo mondo di gioco. Considera quindi tutte le azioni che il bambino compie alla stregua delle idee che vengono in mente
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all'adulto e che sono espresse con le associazioni, e le interpreta proprio come si è soliti fare col paziente adulto. Sembra cosi, a pTima vista, che sia stata colmata in modo ineccepibile una grave lacuna nella tecnica dell'analisi infantile. Mi riservo tuttavia di esa· minare, nella prossima conferenza, le basi teoriche della tecnica del gioco in relazione con l'ultimo punto del nostro tema attuale, e cioè con la funzione della traslazione nell'analisi dei bambini.
3· La funzione della traslazione nell'analisi infantile
Signore e signori, mi permetto di riassumere succintamente il contenuto del nostro ultimo incontro. Rivolta l'attenzione ai metodi dell'analisi infantile, abbiamo appreso in primo luogo cl1e la storia della malattia va ricostruita in base ai dati forniti dalla famiglia, invece che affidata esclusivamente alle informazioni dei pazienti; abbiamo visto poi che il bambino può essere un ottimo interprete di sogni, e abbiamo rilevato l'importanza che hanno, come strumenti tecnici, i sogni a occhi aperti e i disegni spontanei. Per contro, ho dovuto far notare che il bambino non è incline ad abbandonarsi alle associazioni libere e che questo suo rifiuto ci costringe a cercare dci sostituti di questo metodo di capitale importanza nell'analisi dell'adulto. Ho infine terminato con la descrizione di uno di tali metodi sostitutivi, rimandandone ad oggi la valutazione teorica. La tecnica del gioco, elaborata da Mclanie Klein, è senza dubbio di grandissimo valore per l'osservazione del bambino. Invece di seguire faticosamente e con pc;!rdita di tempo il bambino nel suo ambiente familiare, trasportiamo di colpo tutto il suo mondo nello studio dell'analista, c lasciamo che il piccolo paziente vi si muova liberamente sotto gli occhi dell'analista, dapprima senza intervenire. Abbiamo cosll'opportunità di conoscere la variet/1 delle sue reazioni, l'intensit/1 dei suoi impulsi aggressivi o delle sue simpatie e, in generale, il suo atteggiamento nei riguardi delle cose e delle persone rappresentate dai suoi giocattoli. Inoltre ne deriva il vantaggio, rispetto all'osservazione delle situazioni della vita reale, che l'ambiente di gioco è manipolabilc e assoggettabile alla volonU del bambino, il quale vi può compiere tutte quelle azioni che nel mondo della vita reale, la Cui grandezza e forza sono preponderanti a confronto di quelle sue, rimangono limitate a una mera esistenza fantastica. Tutti questi pregi rendono indispensabile, si può dire, l'impiego del metodo del gioco della Klein per imparare a conoscere bambini piccoli, ai quali non è ancora congeniale l'espressione verbale. Melanie Klein, però, fa ancora un importante passo avanti nell'uso di questa tecnica. Essa rivendica ad ognuna delle idee di gioco del bambino la stessa posizione che hanno le associazioni libere del pa-
ziente adulto, e traduce puntualmente le azioni che i bambini compiono in quel modo nei pensieri conispondenti; tenta cioè di rintracciare nelle azioni che il bambino fa giocando il significato simbolico elle vi si nasconde. Se il bambino rovescia un lampione o una figura del gioco, essa interpreta tale azione ad esempio come un impulso aggressivo diretto contro il padre; uno scontro di due auto· mobiline, provocato dal bambino, come prova che ha osservato i geni· tori nell'atto sessuale. L'intervento dell'analista consiste soprattutto nell'accompagnare le azioni del bambino con traduzioni e interpre· tazioni che - analogamente all'interpretazione delle associazioni libere dell'adulto - esercitano un'influenza direttiva sul corso ulte· riore dei processi interni del paziente. Ma vediamo se è lecito assimilare le azioni che il bambino compie nel gioco con le associazioni dell'adulto. Le idee che vengono in mente all'adulto sono "libere" nel senso che il paziente ha interrotto ogni controllo e influenza cosciente sui suoi pensieri, ma allo stesso tempo ha un'idea precisa della meta: egli sta facendo delle associa· zioni perché è in analisi. Ma questa rappresentazione di una meta manca nel bambino. All'inizio di queste conferenze ho esposto in qual modo io cerchi di dare anche ai pazienti in età infantile un'idea della meta analitica. Ma i bambini per cui la Klein ha elaborato la tecnica del gioco, soprattutto bambini nel primo periodo della maturiti sessuale, sono troppo giovani per essere influenzati in questo senso. La Klein ritiene che un altro vantaggio importante del suo metodo stia nel potersi risparmiare, in quanto non necessario, il periodo di preparazione dei bambini all'analisi. A questo punto ci sarebbe un'obiezione da opporre all'equipara· zione avanzata dalla Klein. Se le idee del bambino nel gioco non sono dominate dalla stessa rappresentazione di una meta che domina le associazioni dell'adulto, non è giustificato considerarle alla stessa stregua. Invece di avere un significato simbolico, potrebbero essere suscettibili, anzi, della spiegazione più innocente. Il bambino che butta giù il lampione giocattolo potrebbe avere visto qualche cosa di simile andando a passeggio il giorno prima; Io scontro delle due automobiline potrebbe essere la riproduzione di un incidente a cui egli ha assistito per strada; se il bambino corre incontro alla signora in visita c le apre la botsetta, non è detto che questo atto esprima simbolicamente la sua curiosità di sapere se il ventre della madre na· sconde un altro fratellino, come pensa la Klein; può invece sempli· ccmentc riallacciatsi al fatto che il giorno prima è venuto qualcuno e
gli ha portato un regalino in una borsa dello stesso tipo. Perfino <Juando si tratta dì un adulto non ci riteniamo autorizzati a dare un senso simbolico a tutti i suoi atti o a tutte le sue idee, ma soltanto a quelli che nascono soÙo l'influsso della situazione analitica da lui accettata. Tuttavia l'obiezione da noi rivolta all'impiego analitico della tecnica della Klein ha pur essa il suo lato debole. f. vero, si diril, che il gioco del bambino può dar luogo anche a interpretazioni del tutto innocenti, come quelle cui ho accennato. Perché, però, delle scene ;~ cui ha assistito, egli riproduce proprio quelle del lampione o delle automobili? Non è forse proprio il significato simbolico che in esse si cela a far sl che nella seduta 2nalitica egli le prescelga fra altre c le ripiOduca nel gioco? Ed è anche vero - si potrebbe aggiungerecl1e nella situazione analitica il bambino non è guidato nei suoi atti, come lo è l'adulto, dalla rappresentazione della meta. Ma forse non ne ha bisogno. L'adulto deve fare uno sforzo cosciente di volontà per astenersi dal guidare i suoi pensieri e lasciare che siano totalmente diretti dagli impulsi inconsci operanti in lui. Ma il bambino probabilmente non ha nessun bisogno dì modificare volontariamente la sua situazione, poiché forse in ogni momento e in ogni gioco egli è sotto il dominio totale dell'inconscio. Come si vede il problema se sia giustificata o meno l'equazione fra le idee di gioco del bambino e le associazioni ideative del paziente adulto non è facile da risolvere con argomentazioni teoriche. Evidentemente la questione va l'iesaminata alla luce dell'esperienza pratica. Proviamo ora nd accostare criticamente un altro punto. Sappiamo che oltre a osservare le azioni che il bambino esegue con i giocattoli messi a sua disposizione, Melanie Klein utilizza per l'interpretazione anche tutto ciò che il bambino fa con gli oggetti che si trovano nel suo studio o rispetto alla persona stessa dell'analista. In questo essa segue di nuovo rigorosamente l'esempio dell'analisi dell'adulto. Certo noi ci sentiamo autorizzati a indagare analiticamente tutto l'insieme del comportamento che il paziente tiene nei nostri riguardi, compresi tutti i piccoli atti volontari e involontari che gli vediamo compiere, poiché contiamo sullo stato di traslazione in cui egli si trova e che può conferire un valore simbolico anche alle azioni più insignificanti. A questo punto, però, dobbi::Jmo chiederci se il bambino si trovi effettivamente in una situazione di traslazione uguale a quella del-
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TUSUZIO~E
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l'adulto, in che modo c in quali forme si manifestino i suoi impulsi di traslazione, e in che modo si prestino all'interpretazione. Siamo così giunti al quarto e più importante punto del nostro argomento, e cioè alla funzione della traslazione come aiuto tecnico nell'analisi dei bambini. La soluzione del problema ci fornirà, contemporaneamente, nuovo materiale per invalidare o confermare le opinioni della Klein. Ricorderete, dalla mia prima conferenza, quanta pena io mi dia in generale per stabilire nel bambino un forte attaccamento a me c per portarlo a un effettivo rapporto di dipendenza da me. Non avrei perseguito questo intento con tanta energia e con tanto svariati accorgimenti, se ritenessi possibile condurre l'analisi di un bambino anche senza questa traslazione. Un tenero att::Jccamento, cioè la trastazione positiva, per usare termini analitici, è la condizione preliminare di tutto il lavoro analitico successivo. Il bambino, rispetto all'adulto, va anche oltre, poiché egli crede solo alle persone alle quali vuole bene, e fa uno sforzo solo se questo fa piacere a qualcuno. L'analisi infantile necessita di questo legame incomparabilmente di più che l'analisi dell'adulto. Nel caso del bambino poi, oltre al fine analitico, si persegue anche un certo intento educativo, di cui ci occuperemo più diffusamente in seguito. Ma il successo dell'educazione si accompagna o coincide - non solo nell'analisi dei bambini - con il legame affettivo dell'allievo a colui che lo educa. E nell'analisi dei bambini non possiamo neanche dire che ai nostri fini basti semplicemente stabilire una traslazione qualunque, sia essa positiva o negativa. Sappiamo che con un adulto, possiamo benissimo andare avanti anche per un lungo periodo con una traslazione negativa, che utilizziamo ai nostri scopi interpretandola coerentemente e risalendo alle sue origini. Ma quando si tratta di un bambino gli impulsi negativi diretti contro l'analista, per quanto sotto molti aspetti possano essere rivelatori, sono sempre un inconveniente, e noi li riduci:~mo e indeboliamo quanto più presto possibile. Il lavoro veramente proficuo incomincia sempre e soltanto quaitdo si è stabilito un legame positivo. Trattando della fase di preparazione all'analisi ho già descritto come si stabilisca questo legame. Le sue manifestazioni in fantasie o in atti di minore o maggior rilievo non si differenziano quasi dagli analoghi processi che hanno luogo nei pazienti adulti.- Avvertiamo manifestazioni negative nei momenti in cui vogliamo aiutare un frammento di materiale rimosso :1 liberarsi dall'inconscio, attirando
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così su di noi la resistenza dell'Io. In quei momenti appariamo al bambino come tentatori pericolosi c temuti, e attiriamo su di noi tutte le manifestazioni di odio e di ripulsa che egli altre volte oppone ai suoi moti pulsionali proibiti. Esporrò ora particolareggiatamente una fantasia di traslazione positiva riscontrata nella piccola nevrotica ossessiva di sei anni, a cui ho già accennato spesso. Evidentemente ero stata io stessa a offrirgliene l'occasione esterna, poiché ero andata a trovarla a casa sua cd ero rimasta presente al suo bagno serale. Il giorno dopo, incominciò la seduta con le parole: "Tu sei venuta a trovanni nel mio bagno e la prossima \'oita io verrò e ti farò visita nel tuo.~ Poco dopo mi raccontò la fantasticheria che le era venuta in mente a letto, prima di addormentarsi, dopo che io me ne ero andata. Aggiungo fra parentesi i suoi commenti esplicativi.
La gente ricça non ti poteva soffrire. E tuo padre, che era ricchissimo, non ti poteva soffrire nemmeno lui. (Questo vuoi dire che io sono arrabbiata con tuo padre, non crcdi7) E tu non volevi bene a nessuno e non davi lezioni a nessuno. E i miei genitori mi odiavano, e mi odiavano anche Hans, W alter e Annie, e tutta la gente del mondo ci odiava, persino la gente che non ci conosceva, persino i morti. Così tu volevi bene solo a me e io solo a te, e noi stavamo sempre insieme. Tutti gli altri erano molto ricchi, ma noi eravamo poverissime. Non avevamo niente, nemmeno i vestiti, perché ci avevano portato via tutto. Nella stanza era rimasto solo il divano, e su quello noi dormivamo insieme. Però eravamo molto felici insieme. E poi abbiamo pensato che dovevamo avere un bambino. Così abbiamo mescolato insieme popòe pipl per fare un bambino. Ma poi abbiamo pensato che non era bello fare un bambino così. E allora abbiamo cominciato a mescolare petali di fiori e altre cose e questo mi ha dato un bambino. Poiché il bambino era dentro di me. t rimasto dentro di mc abbastanza a lungo (la mamma mi ha detto che i bambini stanno molto tempo dentro le loro madri); e poi è venuto il dottore e lo ha tirato fuori. Ma io non stavo male (di solito le mamme stanno male, mi ha detto la mamma). Il bambino era molto dolce e carino ecosl abbiamo pensato che avremmo voluto essere anche noi tanto carine, e ci siamo trasformate, ed eralf;lmo piccole piccole. Io ero grande così e tu eri grande cosl. (Credo che sia perché abbiamo scoperto che io vorrei essere piccola come W alter e Annie.) E dal momento che non avevamo proprio nulla, abbiamo incominciato a costruirci una casa, tutta fatta di petali di rosa, e i letti di petali di rosa, e i cuscini e i materaui tutti fatti di petali di rosa euciti insieme. E dove rimanevano dei buchini ci infilavamo qualehe cosa di bianco. Al posto delle tappezzerie avevamo dei vetri, sottilissimi; e le pareti erano incise con tanti disegni diversi. Anche le sedie er.mo di vetro, ma noi cra\lllmo coslleggere che non crovamo troppo pesanti per queste sedie. (Credo che la mamma non compaia per niente perché ieri ero arrobbiata con Ici.)
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Seguiva poi una descrizione particolareggiata dci mobili e di tutti gli altri oggetti della casa. Evidentemente la fantasticheria si era prolungata in questa direzione finché la bambina non si era addormentata. Essa attdbuiva un'importanza particolare al fatto che la nostra povertà iniziale alla fine era controbilanciata e noi avevamo cose molto più belle della gente ricca menzionata al principio. Altre volte però, la stessa piccob paziente mi raccontava di essere messa in guardia contro di me da una voce interiore. Questa le diceva: "Non credere ad Anna Freud. Essa mente. Non ti aiuterà e ti farà soltanto diventare più cattiva. E vuole anche cambiarti la faccia, così che tu diventi più brutta. Tutto quello che ti dice non è vero. Di' che sei stanca, stattene a letto e non andare da lei oggi." Ma poi faceva sempre tacere la voce c le diceva che tutto questo doveva aspettare a dirlo nella prossima seduta. Un'altra piccola paziente, nel periodo in cui discutevamo della sua masturbazione, mi vedeva sotto gli aspetti più avvilenti, come mendicante, o come una povera vecchietta, e una volta mi ave\'a visto così come sono, ma ritta in mezzo alla stanza circondata da una gran quantità di diavoli che mi danzavano intorno selvaggiamente. Dunque noi diventiamo, come nel caso dell'adulto, il bersaglio verso cui sono diretti tutti gli impulsi amichevoli od ostili del pa· ziente, a seconda delle circostanze. Dagli esempi riferiti si direbbe che il bambino ha una buona traslazione. Invece proprio sotto questo riguardo ci troviamo di fronte a una sorpresa deludente: è vero che il bambino intrattiene con l'analista rapporti vivacissimi, nei quali rivela anche una quantità di reazioni acquisite nel suo rapporto con i genitori; ci dà indicazioni importantissime sulla formazione del suo carattere nel mutamento, nell'intensità e nell'espressione dei suoi sentimenti; ma egli non sviluppa una nevrosi di traslazione. Tutti coloro fra voi che sono analisti sanno che cosa intendo dire con questo. Nel corso del trattamento analitico il nevrotico adulto trasforma gradualmente i sintomi a causa dei quali è ricorso a questa cura. Egli abbandona gli oggetti su cui fino a quel momento si erano fissate le sue fantasie c centra la sua nc\·rosi sulla persona dell'analista. Come noi diciamo: egli sostituisce i sintomi fino ad allora esistenti con sintomi di traslazionc, traspone la nevrosi, di qualunque tipo essa sia, in una nevrosi di traslazionc, e riversa tutte le sue reazioni anormali sul nuovo oggetto di traslazione, l'analista. Su questo nuovo terreno, sul quale l'analista si sente a proprio agio, sul quale ha potuto rintracciare, insieme con il paziente, le origini
e lo sviluppo dei singoli sintomi, su questo campo di operazioni ormai ripulito, dunque, ha luogo la battaglia finale, la graduale comprensione della malattia e la scoperta dci contenuti inconsci. Due sono i motivi teorici che possiamo addurre per spiegare perché un tale decorso non può svolgersi completamente nei bambini piccoli. Uno è da ricercarsi nella struttura del bambino stesso, l'altro nel comportamento dell'analista infantile. Il bambino non è pronto, come l'adulto, a produrre una riedizione dei suoi rapporti affettivi, poiché - potremmo dire - la vecchia edizione non è ancora esaurita. I suoi oggetti originari, cioè i genitori, sono ancora presenti nella realtà come oggetti d'amore, e non solo nella fantasia come per il nevrotico adulto; tra loro e il bambino sussistono tutte le relazioni delb vita quotidiana, e tutti i soddisfacimenti e le delusioni dipendono ancora realmente da loro. L'analista si inserisce in questa situaZione come una nuova persona, e probabilmente condividerà con i genitori l'amore o l'odio del bambino. Ma non vi è alcuna necessità per il bambino di mettere l'analista completamente al posto dei genitori, poiché, a confronto degli oggetti originari, egli non offre tutti quei vantaggi che l'adulto trova quando può sostituire i suoi oggetti fantastici con una persona reale. Torniamo ora nuovamente al metodo della Klein. Essa pensa che se un bambino nella prima seduta mostra ostilità verso di lei, la respinge o addirittura incomincia a picchiarla, si potrebbe vedere in questo contegno una prova dell'atteggiamento ambivalente del bambino verso la madre. La componente ostile di tale ambivalenza verrebbe appunto spostata sull'nnalista. A mio avviso le cose stanno diversamente. Quanto più tenero è l'nttaccamento del bambino alla madre, tanto meno amichevoli satanno i suoi impulsi vetso gli estranei. Questo si ossetva molto chi:uamentc nel lattante, che respinge impaurito chiunque non sia la mamma o la persona che ha cura di lui. Quindi è vero addirittura il contrario. ~ proprio con i bambini che meno sono abituati a un trattamento amorevole in casa e non sono soliti mànifestare o ricevere grande tenerezza, che spesso si stabilisce più rapidamente un rapporto positivo. Essi trovano finalmente nell'analista ciò che da sempre hanno atteso invano dagli oggetti originari. D'altra parte però l'analista infantile è poco adatto a essere oggetto di una traslazione ben interpretabilc. Noi tutti sappiamo come ci comportiamo a questo fine nell'analisi dell'adulto. Rimaniamo impersonali, in ombra, una pagina bianC
,, \·ere tutte le sue fantasie di traslazione, pressappoco come al cinema
si proietta un'immagine su uno schermo bianco. Evitiamo di fare proibizioni o di concedere soddisfazioni. Se nonostante ciò appa· riamo al paziente proibitivi o permissivi, è facile spiegargli che la sua impressione dipende dal materiale cl1e gli stesso ricava dal suo
passato. L'analista infantile invece deve essere tutt'altro che un'ombra. Abbiamo già detto che per il bambino egli è una persona interessante, dotata di ogni sorta di qualità attraenti e di grande effetto. I compiti educativi, che si mescolano con l'analisi, comportano che il bambino sappia benissimo che cosa l'analista ritiene desiderabile o no e che cosa approva o disapprova. Una personalità cosl ben definita, e per molti aspetti nuova, è però purtroppo un pessimo oggetto di tra· slazione,- e cioè di scarsa utilità quando si tratta d'interpretare la traslazione. La difficolU. che si trova è la stessa che si avrebbe, per continuare il paragone precedente, se sullo schermo su cui si vuoi proiettare un film vi fosse già un'immagine. Più questa è marcata e a tinte vivaci, tanto più sbiaditi appariranno i contorni di ciò che vi si sovrappone. Per questi motivi, dunque, il bambino non forma una nevrosi di traslazione. Nonostante tutti i moti di tenercz.z.a o di ostilità verso l'analista egli continua a riversare le sue reazioni anonnali dove le riversava prima, cioè nell'ambiente familiare. Appunto da questo fatto deriva l'esigenza tecnica più gravosa dell'analisi infantile: an· ziché limitarsi alla dilucidazionc analitica delle idee improvvise o degli atti che avvengono sotto i suoi occhi, l'analista deve dirigere la sua attenzione là dove le reazioni nevrotiche si verificano, cioè nella famiglia del bambino. A questo punto ci troviamo di fronte a un'enorme quantità di difficoltà tecnico-pratiche dell'analisi infantile che qui esporrò solo a grandi linee senza entrare nei particolari. Se accettiamo questo punto di vista - che il bambino è ancora dipendente dai suoi oggetti reali - ci troviamo allora a dover stabilire una specie di permanente servizio informazioni sul bambino, dobbiamo conoscere le persone del suo ambiente e, in qualche mi· sura, accertare le loro reazioni nei suoi riguardi. Possiamo immaginare come caso ideale quello in cui il lavoro è condiviso con chi effettivamente si occupa di educare il bambino; in questo caso, come si è detto, dobbiamo condividere anche l'amore e l'ostilità del bambino. Quando le condizioni esterne o le personalità dei genitori non
consentono una tale collaborazione, il risultato è che subiamo una perdita di materiale per l'analisi. Ricordo di aver dovuto condurre a volte delle analisi, proprio per questo motivo, quasi esclusivamente in base ai sogni e alle fantasticherie. Dalla traslazione non risultava nulla che potessi interpretare, e gran parte del materiale nevrotico con cui i sintomi si manifestavano giorno per giorno, a me non era disponibile. Tuttavia, anche in questo stadio dell'analisi, esattamente come in quello iniziale, esistono vie c mezzi per ottenere che la condizione del bambino diventi simile a quella dell'adulto, tanto più adatta alla conduzione dell'analisi; per costringere insomma il bambino alla nevrosi di traslazione. Ciò può diventare necessario quando ci si trovi di fronte a una malattia nevrotica grave in un bambino il cui ambiente è ostile o all'analisi o al bnmbino stesso. In un tale caso occorrerà allontanare il bambino dalla famiglia e affidarlo a un isti· tulo adatto. Poiché istituti siflatti oggi ancora non esistono, siamo pienamente liberi di immaginarceli: per esempio un istituto diretto dallo stesso analista infantile, oppure, in termini meno fantasiosi, una scuola impostata sui princìpi dell'analisi c predisposta per il lavoro in collaborazione con l'analista. In entrambi i casi osserve· remmo anzitutto un periodo libero da sintomi, durante il quale il bambino prende familiarità col nuovo ambiente, a lui favorevole e transitoriamente in.diflerente. Quanto più egli si sentirà bene, in questo periodo, tanto più lo troveremo inadatto e maldisposto all'analisi. Probabilmente sarà preferibile ]asciarlo completamente tranquillo. Egli sarà di nuovo idoneo all'analisi soltanto quando si sarà familiarizzato col nuovo ambiente, cioè quando, sotto l'in· Rucnza della vita quotidiana, avrà crealo con esso un legame per cui, svanite ormai le immagini degli oggetti originari, lascerà riemergere i suoi sintomi e farà convergere su nuove persone le sue reazioni anormali; quando, dunque, si sarà formata una nevrosi di traslazione. In un istituto del primo tipo, diretto da un analista infantile- modello che oggi" non siamo ancora in grado di giudicare se sia auspi· cabile - avremmo allora una vera nevrosi di traslazione, simile a quella degli adulti, centrata sull'analista come oggetto. Nell'altro caso avremmo semplicemente costituito artificialmente un più adatto ambiente familiare, avremmo creato una casa sostitutiva che ci per· mette, per cosi dire, di guardare dentro dall'alto, per quanto ci appaia necessario per il lavoro analitico, con genitori sostitutivi dei quali po~siamo controllare e regolare le reazioni verso il bambino.
L'allontanamento del bambino dalla ca~a dei genitori ~embrercbbc quindi tecnicamente la soluzione più pratica. Quando però verremo a p:nlare della fine dell'analisi, \'edremo quante obiezioni possono esservi opposte. Infatti, cosi facendo; pregiudichiamo lo sviluppo naturale del bambino in un momento fondamentale; costringiamo il bambino a staccarsi prematuramente dagli oggetti parentali in un momento in cui egli è ancora incapace di qualsiasi autonomia nella sua vita emotiva e, a causa delle circostanze esterne, non dispone di alcuna libert.l! di scelta di nuovi oggetti d'amore. Anche se occupiamo lunghi spazi di tempo per l'analisi del bambino, nella maggior parte dci casi rimane tuttavia un intervallo di tempo, tra la fine dell'analisi e lo sviluppo completo della pubertà, durante il quale il bambino ha bisogno in ogni senso di educazione, di guida e di protezione. Ma chi ci assicura che, dopo essere riusciti a risolvere la traslazione, egli sarà in grado di trovare da solo la via che lo conduce agli oggetti giusti? Egli torna a casa quando vi è divenuto un estraneo, e la sua guida in seguito può essere affidata a quelle stesse persone da cui lo abbiamo liberato a fatica e magari di forza. Per ragioni interne egli non t capace di essere autonomo. Lo mettiamo quindi di nuovo in una situazione difficile, in cui oltrctutto ritrova gran parte delle condizioni che hanno originato i suoi conflitti. Ora può prendere ancora una volta la via della nevrosi, oppure, se questa oramai gli è impedita dalla buona riuscita della cura analitica, la via opposta, quella dell'aperta ribellione. E se, dal punto di vista terapeutico ciò può sembrare un vantaggio, non lo è cedo dal punto di vista dell'adattamento sociale, che in fin dei conti è un'esigenza fondamentale per il bambino.
4· Relazione tra analisi infantile ed educazione
Signore e signori, prima di procedere all'esame del terzo e forse più importante aspetto dell'analisi infantile, vorrei ripercorrere an· cora una volta il nostro cammino. La prima parte trattava, come ricorderete, della fase preparatoria dell'analisi infantile, e si può dire che il suo contenuto, dal punto di vista della teoria analitica vera e propria, era completamente irri· levante. Mi sono soffermata a descrivere tanto minutamente atti· vit~ e occupazioni, come il lnoro a maglia o all'uncinetto, i giochi e vari altri modi di adèscamento, non perché io li ritenga importanti per l'analisi ma, al contrario, per mostrare che soggetto difficile sia il bambino, come sia refrattario anche ai metodi più sperimentati della terapia scientifica e come richieda in modo assoluto che le sue peculiarit~ infantili siano affrontate appropriatamente. Qualunque cosa si voglia intraprendere con un bambino, che si tratti di insegnargli la geografia o l'aritmetica, o che lo si voglia educare o analizzare, sarà necessario innanzitutto stabilire con lui una relazione emotiva ben definita. Più è difficile il lavoro che ci attende, taoto più solido deve essere tale legame. La preparazione al trattamento, ossia la costituzione di que5to legame, segue delle regole sue proprie, deter· mioate dalla natura del bambino, e che non dipeodono ancora dalla teoria e dalla tecnica analitiche. La seconda parte della mia e5posizione è stata quella più prettamente analitica, in cui ho cercato di prendere iil esame le vie da seguire per accostarsi all'inconscio del bambino. E: un c:~pitolo un po' deludente, come ho fatto notare, in quanto dimostra che sono inutilizzabili, per il trattamento del bambino, proprio i migliori e più specifici metodi dell'analisi dell'adulto, che dobbiamo venir meno a molte esigenZe scientifiche c prenderei il materiale dove possiamo trovarlo, non diversamente da come si fa nella vita normale, quando vogliamo conoscere una persona nell'intimità. Credo, poi, che que5ta delusione riguardi ancl1e un altro punto. Spesse volte, da quando mi occupo di analisi dci bambini, mi è stato domandato da colleghi analisti se ho avuto opportunità di approfondire, in modo molto diverso da come è possibile con l'analisi dell'adulto, la conoscenza dei processi dello sviluppo che si com-
4/ULAZIONC e
piono nei primi due anni di vita, e verso i quali le nostre ricerche analitiche sono dirette con sempre maggiore premura. Il bambino, essi pensano, è ancora cosi vicino a quell'importante periodo, le ti· mozioni sono ancora tanto meno profondamente incise, il materiale sovrapposto a questi strati è ancora tanto più facile da penetrare che l'analisi infantile dovrebbe offrire inopinate possibilità d'indagine. Finora ho sempre dovuto rispondere negativamente a queste do· mande. Il materiale che il bambino ci fornisce è effettivamente molto chiaro c inequivocabilc, come risulta anche dagli esempi riferiti; cuo ci di tutti i chiatimenti possibili sul contenuto della nevrosi infantile, di cui mi riservo di parlare in altro luogo; mi procura molte graditissime conferme di fatti che 6nora avevamo potuto solo asse· rire per deduzione dall'analisi dell'adulto. Tuttavia, sulla base delle esperienze da noi fatte con la tecnica che ho descritta, esso non ci conduce al di là del confine ovc ha inizio la capacità di parlare del bambino, al di U del tempo, quindi, in cui i suoi processi di pensiero cominciano a essere simili ai nostri. Teoricamente tale limitazione non mi pare difficile da spiegare. Ciò che analizzando l'adulto veniamo a sapere di questa upreistoria", è in generale messo in luce per mezzo delle associazioni libere e attraverso l'interpretazione delle reazioni di traslazione, quindi proprio con l'aiuto dei due strumenti che nell'an.:~lisi infantile ci vengono a mancare. Inoltre, la nostra situazione potrebbe paragonarsi, sotto questo rispetto, a quella di un etnologo il quale cercasse invano una scorciatoia per conoscere la preistoria studiando un popolo primitivo anziché un popolo civilizzato. Studiando i primitivi mancheri dell'aiuto di tutta quella formazione di miti e leggende che, nel caso di un popolo civilizzato, gli permette di trarre conclusioni sulla sua preistoria. Allo stesso modo nel bambino piccolo non si hanno ancora quelle formazioni reattive e quei ricordi di copertura che si costituiscono soltanto durante il periodo di latenza, e da cui un'analisi successiva può ricavare il materiale che vi è condensato. Quindi, anziché presentare dei vantaggi rispetto all'analisi dell'adulto, l'analisi infantile le resta inferiore anche sotto l'aspetto dell'acquisizione di materiale inconscio. Passiamo ora alla terza e ultima parte di questa esposizione: l'uti· lizzo del materiale analitico che abbiamo portato alla luce dopo tanta faticosa preparazione, e tentando tutte le vie, dirette e indirette, che abbiamo descritte.
Innanzitutto consideriamo ancora una volta nei dettagli la corri· spondente situazione del p<~ziente adulto. La sua nevrosi è, come sappiamo, un affare esclusivamente interno, in cui sono coinvolti tre elementi: l'inconscio pulsionale, l'lo, e il Super-io che rappresenta le esigenze etiche ed estetiche della società. Compito dell'analisi è fare insorgere il conflitto fra queste forze contrastanti, a un livello più alto, rendendo conscio l'inconscio. I moti pulsionali erano sinora sottratti all'influsso del Supcr-io a causa della rimozione. L'analisi li libera e li rende accessibili all'influsso del Super-io, che d'ora in poi ne determinerà le sorti. AI posto della rimozione si pone la critica cosciente, la riprovazione di alcuni moti pulsionali, mentre altri potranno essere in parte sublimati, stornati dalle loro mete sessuali, c in parte potranno essere appagati. Tale esito favorevole è dovuto al fatto della maturazione dell'Io. Tra il momento in cui sono state compiute le rimozioni originarie e quello in cui l'analisi porta a termine il suo lavoro di liberazione, l'Io e il Super-io hanno compiuto il loro completo sviluppo etico e intellettuale e sono quindi in grado di prendere decisioni diverse da quelle a cui erano esposti in origine. La vita pulsionale deve accettare molte limitazioni e il Super-io rinunciare a molte delle sue esagerate pretese. Tra i due si realizza alla fine una sintesi sul comune terreno di un funzionamento cosciente. E ora conhontiamo questa situazione con quella dei pazienti in età infantile. Anche la nevrosi del bambino è un fatto interno, e anch'essa è determinata dalle medesime tre forze: vita pulsionale, Io c Supcr-io. Noi siamo però anche preparati a trovare che in due momenti il mondo esterno penetra - come elemento scomodo per l'analisi, ma importante dal punto di vista organico - ben addentro nella situazione interna del bambino. Nel trattare la situazione iniziale dell'analisi infantile, abbiamo dovuto riconoscere che un fattore importante come la comprensione della malattia non può essere attribuito al bambino, bcnsl a coloro che lo ci1condano; e nel descrivere la situazione di traslazione si è dimostrato che l'analista è costretto a condividere gli impulsi disponibili di odio o di amore del bambino con gli oggetti originari. Non ci sorprendiamo affatto, quindi, che il mondo cstemo influisca sul meccanismo della ilevrosi infantile e sull'analisi molto di più che nel caso dell'adulto. Abbiamo detto che il Super-io dell'adulto è divenuto il rappresentante delle esigenze morali della società in cui l'individuo vive. Noi sappiamo che il Supcr-io deve la sua origine all'identificazione con i
primi e più importanti oggetti d'amore del bambino, i genitori, ai quali la società ha affidato il compito di impartire al bambino i precetti etici per essa validi c di fargli rispettare tutte le limitazioni da e~ prescritte alle pulsioni. Ciò che quindi originariamente era una pretesa personale emanante dai genitori diventa, nel corso dello sviluppo dall'amore oggcttuale per i genitori all'identificazione con loro, un ideale dell'Io, indipendente dal mondo esterno e dai suoi prototipi. Nel bambino, invece, una tale indipendenza non c'è ancora. ti distacco dai primi oggetti d'amore è ancora lontano e le identificazioni, persistendo inalterati gli oggetti d'amore, avvengono so1o con molta lentezza c in modo incompleto. t vero che esiste un Super-io c che molti dei rapporti tra questo e l'Io appaiono già simili, in questo primo periodo, a quelli della vita successiva e dell'età matura. Ma la continua correlazione tra Super-io e oggetti a cui esso deve la sua costituzione non è da sottovalutare, e potremmo paragonarla alla relazione fra due vasi comunicanti. Se nel mondo esterno aumenta il livello dci rapporti buoni con gli oggetti parentali, aumenta anche l'autorità del Super-io e l'energia con cui questo fa valere le sue esigenze. Se i rapporti si deteriorano, anche il Supcr-io diventa più debole. Prendiamo come primo esempio il bambino molto piccolo. Se la mamma o la bambinaia riescono ad abituare un bambino verso il primo anno di vita a padroneggiare le funzioni escretorie, abbiamo l'impressione che il bambino non soddisfi queste pretese di pulizia soltanto per gli adulti, cioè soltanto per compiacere chi ha cura di lui, o per paura, ma proprio perché ormai ha messo in relazione sé stesso con la pulizia, cosicché è contento se si mantiene pulito, ed è mortificato se gli succede una ~disgrazia". Però osserviamo ripetutamentc che una successiva separazione dalia persona che gli ha insegnato a mantenersi pulito, per esempio un temporaneo allontanamento dalla mamma o il cambiamento della bambinaia, rimette. in forse la recente conquista. Il bambino si sporca di nuovo come prima, e imparerà a dominarsi di nuovo come prima solo al ritorno della mamma o quando avr~ stabilito un rapporto affettivo con la nuova h
Ma ancora all'inizio del periodo di latenza la situazione non è di· versn. Dall'analisi di pazienti adulti troviamo ripetutamentc conferma di qunuto ogni turbamento del rapporto con i genitori possa essere pericoloso per lo sviluppo morale e la formazione del carattere del bambino. Se in questo periodo viene privato dei genitori, o perché ne è separ:~to per qualche motivo o perché vengono a essere svalutati ai suoi occhi come oggetti, per esempio a causa di qualche malattia mentale o per aver commesso qualche azione delittuosa, c'è il peri· colo che il suo Super-io, parzialmente costruito, si perda o sja :~n ch'esso degradato, cosicché egli non potrà più opporre alcuna efficace forza interna ai moti pulsionali che premono per essere soddisf:Jtti. L'origine dell'asocialità e di molte anomalie del carattere si potrebbe forse spiegare in questo senso. Per meglio caratterizzare questa situazione, anche al tennine del periodo di latenza, aggiungerò un esempio dato da Aichhorn (1925) riguardante un bambino in età prepuberale. Una volta, all'inizio del trattamento, Aichhorn domandò al ragazzo se talvolta fosse consapevole di avere pensieri che avrebbe preferito non avere. Egli rispose: ~sl, quando uno ha voglia di rubare qualcosa. H Richiesto di descrivere un caso del genere, egli aggiunse: ~Quando per esempio rimango solo in casa, c vedo lì della frutta, e i miei genitori sono usciti c non me ne hanno data. Cosl mi viene da pensare che vorrei prenderne un po'. Allora cerco di pensare ad altro perché non voglio rubare." Alla domanda se egli fosse sempre più forte di quei pensieri, rispose di sì, che non aveva mai rubato nulla. "E che cosa fai quando il desiderio è molto forte?" "Non prendo nulla - disse trionfante - perché ho paura di mio padre." Come vedete, il suo Super-io aveva raggiunto una notevole indipendenza, che si manifestava nel suo desiderio di non essere ladro. Qu:~ndo però la tentazione diventava troppo forte era costretto a invocare l'aiuto della persona a cui doveva l'esistenza di quel desiderio, cioè il padre, con tutti gli ammonimenti e le minacce che ne ''enivano. Uri altro bambino, nella stessa situazione, forse avrebbe pensato all'amore per la mnmma. Da quanto ho affennato sulla debolezza e dipendenza delle pretese dell'ideale dell'Io del bambino deriva un'altro osservazione, che a ben guardare, si ripete infinite volte: il bambino possiede una doppia morale, una per il mondo degli adulti e una per sé e per i suoi coetanei. Noi tutti sappiamo, per esempio, che il bambino a una certa età incominci:J a provare vergogna, cioè evita di mostrarsi nudo
agli estranei e più tardi persino ai familiari, e si rifiuta di compiere dinanzi a loro le sue funzioni escretorie. Ma sappiamo anche che il medesimo bambino si spoglia sen:z.a nessuna vergogna davanti ad altri bambini e che anzi spesso i bambini insistono per andare insieme al gabinetto. Allo stesso modo possiamo costatare con sorpresa che il bambino ha disgusto di certe cose solo in presenza degli adulti, come se ciò avvenisse unicamente per le loro pressioni, mentre quando è solo 6 in compagnia di altri bambini questa reazione è totalmente assente. Ricordo un ragazzino di dieci anni che durante una passeggiata, indicando a un tratto un escremento di mucca, esclamò tutto interessato: "Guarda, che cosa buffai" Un attimo dopo si rese conto dell'errore e arrossì violentemente. In seguito si scusò con me: non si era accorto subito di che cos'era, altrimenti non ne avrebbe mai fatto parola. Ma io so che lo stesso ragazzo quando è con i suoi amici si diverte a parlare delle funzioni escretorie senza arrossire minimamente. Lui stesso, in analisi, mi disse una volta che quando è solo può benissimo toccare i suoi escrementi senza provare la minima sensazione di disgusto. In presenza però di un adulto gli riesce molto difficile anche solo parlarne. Quindi, anche dopo che si sono instaurate, la ripugnanza e la vergogna - due importantissime formazioni reattive destinate a trattenere le tendenze esibizionistiche e anali del bambino dal prorompere verso l'appagamento - dipendono, per il loro rafforzamento la loro efficacia, dal rapporto con l'oggetto adulto. Con queste osservazioni sulla dipendenza del Super-io infantile c la doppia morale del bambino in rapporto alla vergogna e alla ripugnanza siamo giunti alla differenza più importante tra l'analisi infantile e l'analisi dell'adulto. L'analisi infantile non è affatto una faccenda privata che si svolge esclusivamente tra due persone, l'analista e il suo paziente. In quanto il Super-io infantile non è ancora diventato il rappresentante impersonale delle richieste derivate dal mondo esterno e dipende ancora organicamente da esso, tanto più importante sarà la funzione che gli oggetti di tale mondo eserciteranno nell'analisi e specialmente nella sua fase finale, cioè nell'impiego dei moti pulsionali liberati dalla rimozione. Riprendiamo ancora una volta il confronto con il nevrotico adulto. Come dicevamo, nell'analisi ci troviamo a fronteggiare la sua vita pulsionale, il suo Io e il suo Super-io; quando il rapporto è ben impostato non dobbiamo affatto preoccuparci della sorte degli impulsi
e
,, affiorati dall'inconscio. Essi cadono sotto l'influsso del Super-io, che si assume b responsabilità del loro ulteriore impiego. Mo a chi affidiamo tale decisione nell'analisi infantile? A voler essere conseguenti, dovremmo dire a chi è preposto all'educazione del bombino, nella maggior parte dci casi, cioè, ai genitori, coi quali il suo Supcr-io è ancora cosi strettamente legato. Non dobbiamo dimenticare però quali difficoltà sono connesse a questa soluzione. Sono state proprio le pretese esagerate dei genitori o degli educatori a provocare una rimozione eccessiva e quindi a far cadere il bambino nella nevrosi. Nel caso del bambino, tra il formarsi della nevrosi e la liberazione per opera dell'analisi, non c'è il grande intervallo che invece c'è nel caso dell'adulto, il quale, tra questi due momenti, completa interamente lo sviluppo del suo lo, cosicché colui che prese le prime decisioni e colui che ne inizia ora la revi· sione quasi non si possono dire la stessa persona. Invece i genitori che ci hanno affidato il bambino malato e che ora devono aiutarlo a guarire, sono in effetti ancora le stesse persone, che conservano inalterato il loro modo di vedere. Nel migliore dei casi, dalla malattia del bambino essi hanno imparato tutt'al più a mitigare le loro pretese. Mi sembra quindi pericoloso incaricarli di decidere del destino della vita pulsionale appena resa libera. Troppo grande è la probabilità che il bambino sia costretto di nuovo a prendere la via della rimo· zione c della nevrosi. Di fronte a questa situazione sarebbe più eco· nemico risparmiarsi del tutto il lungo c faticoso lavoro di liberazione mediante l'analisi. Quale sarebbe allora l'altm soluzione? Sarebbe forse ammissibile dichiarare il bambino prematuramente maggiorenne a motivo della sua nevrosi e dell'analisi di questa e presumerlo capace di prendere una decisione importante come quella circa il modo di trattare gli impulsi che souo ora a sua disposizione? Non so proprio in base a quali istanze etiche, o con l'aiuto di quali criteri o considerazioni pratiche, egli potrebbe trovare la sua via fra tante difficoltà. Il mio parere è che, se lo si lascia solo e lo si priva di qualunque appoggio esterno, egli non può ehe imboccare la via più facile e più breve, quella cioè del soddisfacimento direttO. Noi sappiamo però dalla teoria e dalla pratica analitica che bisogna evitare, proprio nell'intento di preservarlo dalla nevrosi, che il bambino trO\"Ì reali soddisfacimenti, quale che sia la fase della sua sessualit.à necessariamente perversa. Altrimenti la fissazione sul piacere sperimentato una volta diventa un ostacolo per un ulteriore normale sviluppo, e lo stimolo
a provarlo nuovamente è un incentivo pericoloso a regredire dalle ultime fasi di sviluppo raggiunte. Mi sembra quindi che in questa difficile situazione non rimanga che una via d'uscita. ~ l'analista stcs~o che deve rivendicare per sé la libertà di guidare il bambino in questo momento così importante per poter garantire in tal modo, sia pure entro certi limiti, il successo dell'analisi. Sotto la sua influenza il bambino deve imparare come comportarsi nei riguardi della propria vita pulsionale, e sad l'analista a decidere alla fine, secondo il suo modo di vedere, quale parte degli impulsi sessuali infantili deve essere repressa o respinta come inutiliuabile nel mondo civile, quale parte possa fruire di un appagamento indiretto e quale parte debba essere avviata sulla strada della sublimazione, operazione quest'ultima per la quale dovremo avere a disposizione tutte le risorse che la pedagogia infantile ci può offrire. Possiamo dire, in breve, che l'analista deve riuscire a sostituirsi all'ideale dell'Io del bambino per tutta la durata dell'analisi, e non deve intraprendere il suo lavoro analitico di liberazione se non prima di essere sicuro che il bambino è disposto a farsi guidare da lui. In questo stadio diventa per lui di capitale importanza avere la posizione autorevole di cui si è detto al principio, trattando della fase di preparazione dell'analisi infantile. Soltanto quando il bambino sente che l'autorit:\ dell'analista si pone al di sopra anche di quella elci genitori, è disposto a dare a questo nuovo oggetto d'amore, che si affianca ai genitori stessi, il posto più alto nella sua vita emotiva, cioè quello dell'ideale dell'Io. Se i genitori dcl bambino hanno imparato qualche cosa dalla sua malattia e sono propensi ad aderire alle richieste dell'analista, sad possibile una vera ripartizione dei compiti analitici ed educativi tra la famiglia e l'analista o addirittura una vera e propria collaborazione. L'educazione del bambino non subisce allora alcuna interruzione al termine dell'analisi, ma ritorna direttamente e completamente dalle mani dell'analista a quelle dei genitori, diventati ormai più comprensivi. Se invece i genitori operano con la loro influenza contro l'analista, si verifica allora, dato che il bambino è legato emotivamente a entrambi, una situazione analoga a quella che si ha nei matrimoni sfortunati, in cui il bambino è oggetto di contesa. Non possiamo meravigliarci se ne risultano 3nche tutte le conseguenze dannose per la formazione del carattere che quell'altra situazione ci ha reso
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familiari. Cosl come fa col padre e la madre, il bambino contrappone l'analista alla famiglia c approfitta del conflitto tra loro per sfuggire a tutte le richieste nell'un caso come nell'altro. La situazione diventa pericolosa anche quando il bambino, trovandosi in una fase di resistenza, riesce a conquistarsi i genitori contro l'analista tanto che essi provocano l'interruzione dell'analisi. Il bambino sfugge di mano in un momento sfavorevolissimo, in condizione di resistenza e di traslazionc negativa, e si può essere sicuri che si avvarrà di tutte le liberazioni ottenute con l'analisi nel modo peggiore. Oggi non intraprenderei l'analisi di un bambino se la personalit~ o la prepamzione analitica dci genitori non mi dessero una certa garanzia contro un'eventualità del genere. Illustrerò con un ultimo esempio quanto sia indispensabile per l'analista avere il controllo della relazione tra l'Io del bambino e le sue pulsioni. Mi riferirò nuovamente alla piccola nevrotica ossessiva di sei anni, già più volte citata. Dopo che con l'analisi ero riuscita a portarla al punto di far p:nlare il suo udiavolo~. essa cominciò a raccontarmi un gran numero di fantasie anali, in principio con una certa esitazione, poi, quando si accorse di non suscitare in me alcuna manifestazione di disgusto, con sempre maggiore disinvoltura e con maggiori particolari. La seduta analitica a poco a poco fu dedicata tutta alle confidenze anali c per lei divenne una specie di deposito di tutti questi sogni a occhi aperti che altrimenti la opprimevano. Infatti, mentre ne parlava con me, si sentiva liberata dal peso che la opprimeva abitualmente. Chiama,•a il tempo che passava con me la sua "ora di riposo". "La mia seduta con te, Anna Freud, - mi disse una volta, - è la mia ora di riposo. Non ho bisogno di trattenere il mio diavolo." "Ma no, - soggiunse subito dopo - ho anche un altro periodo di ripòso: quando do1mo." Evidentemente durante l'analisi e il sonno si sentiva liberata da ciò che nell'adulto sarebbe equivalente al continuo dispendio di energia per il mantenimento delle rimozioni. Il senso di liber:Jzione si rivelava soprattutto in un mutamento del suo modo di fare, che diventava più attento e vivace. Dopo qualche tempo essa fece ancora un passo avanti. Incominciò a lasciar trapelare ::mche a casa qualcosa delle fantasie e idee anali che aveva sempre tenuto gelosamente nascoste: per esempio, quando ''eniva portato in tavola un piatto faceva a mezza voce dei paragcini oppure una battuta "sporca" rivolgendosi agli altri b:Jmbini. La
donn~ a cui era affidata in quel periodo venne allora da me per sapere come doveva comportarsi. A quell'epoca mi mancavano ancora molte delle comprensioni che ho acquisite più tardi con l'analisi infantile, c presi la cosa alla leggera; le consigliai di non assecondare la bambina né di sgridarla, ma di fare semplicemente finta di non accorgersi di nulla. L'effetto fu assolutamente imprevedibile. Mancando la critica dall'esterno, la bambina perse ogni misura e cominciò a riversare anche in casa tutte quelle cose che fino ad allora aveva rivelato solo a me in scdul::l, e a crogiolarsi, come faceva con me, nelle sue rappresentazioni, nei suoi paragoni ed espressioni anali. Le persone che convivevano con lei trovarono ben presto la cosa intollerabile. Soprattutto per il comportamento della bambina a tavola, :mdava loro via l'appetito e, uno dopo l'altro, grandi e piccoli, lascia\-ano la stanza in segno di muta protesta. La mia piccola paziente si era comportata come una perversa e come una malata mentale adulta, ponendosi così al di fuori della società. Se si evitava di punirla allontanandola dagli altri, il risultato era però che gli altri si allontanavano da lei. Ma in questo periodo essa aveva anche perduto ogni inibizione nei riguardi degli altri. In pochi giorni si era trasformata in una bambina allegra, sfacciata, cattiva, niente affatto scontenta di sé. A questo punto la donna che aveya cura di lei venne nuovamente da mc a lamentarsi. Si era creato uno stato di cose insopportabile, diceva, e in casa non si poteva più vivere. Che cosa doveva fare? Poteva dire alla bambina che parlare di quelle cose non era immorale di per sé, pregandola però di non farlo più in casa, per an;tor suo? Io non fui d'accordo. Dovetti riconoscere di aver commesso un vero e proprio errore attribuendo al Super-io della bambina un potere inibitorio autonomo che in realtà non possedeva. Non appena le persone che per lei rappresentavano l'autorità nel mondo esterno avevano desistito dalle loro pretese, il suo ideale dell'Io, che in passato era stato tanto severo e forte da provocare l'insorgere di tutta una serie di sintomi ossessivi, era divenuto anch'esso improvvisamente compiacente. Fidando in quella severità nevroticQ.(lssessiva, ero di"entata imprudente, senza fare peraltro alcun progresso nell'analisi. Di una bambina inibita e ncvrotica avevo fatto una bambina cattiv<~ e, si potrebbe dire, "perversa". Ma, contemporaneamente, avevo anche seriamente compromesso la situazione del mio la\'Oro. Infatti per la bambina, liberata, l"' ora di riposo" durava onnai tutto il giorno, la considerazione della collaborazione con me era diminuita note\'olmente, non mi veniva più fornito materiale utile
perché, invece di essere accumulato per l'ora della seduta, veniva disperso durante la giornata, c la comprensione interiore della malattia, tanto necessaria per l'analisi, era andata momentaneamente perduta. La norma, quindi, per cui il lavoro analitico va condotto soltanto in uno stato di insoddisfazione, è valida per l'analisi infantile in misura molto maggiore che per l'analisi dell'adulto. Per fortuna la situ..zione si presentava cosl difficile più dal punto di vista teorico cl1e pratico; infatti fu facile risolverla. Chiesi alla famiglia di non prendere nessun provvedimento e di avere· ancora un po' di pazienza. Avrei rimesso in sesto la bambina, anche se non potevo dire che il risultato si sarebbe visto presto. Nella seduta successiva assunsi un atteggiamento imperativo. Spiegai alla bambina che con il suo comportamento aveva rotto i nostri patti. Io avevo creduto che lei mi volesse raccontare tutte quelle cose sporche per libemrsene. Ma ora vedevo che non era così. Le raccontava a tutti, anche in casa, per divertirsi. lo non avevo niente in contrario, ma :~llora non capivo percl1é avesse ancora bisogno di me. Tanto valeva smettere le sedute e !asciarla ai suoi divertimenti. Se essa invece rimaneva dell'idea di venire da me, doveva raccontare quelle cose a me sola e a nessun altro; quanto più si tratteneva dal parlarnc in casa, tanto più avrebbe potuto parlannene durante la seduta; quante più cose riuscivo a sapere da Ici, tanto più sarebbero state quelle da cui pote\"O libcrarla. Adesso doveva decidersi. A queste parole la bambina divenne pallidissima, rimase per un momento pensierOS3, poi mi guardò c, seria e compunta come al primo appuntamento analitico, disse: "Se tu dici che le cose stanno così, non parlerò più in quel modo." Con questo si reinstaurò la sua scrupolosità nevrotico-ossessiva. In casa, da quel giorno, non una parola usd più dalle sue labbra su argomenti di quel genere. EsS3 si era di nuovo trasformata, ma era anche diventat:J di nuovo da cattiva e perversa una bambina inibita e apatica. Nel corso del ·trattamento dovetti ricorrere ancora parecchie volte a simili trasformazioni della piccola paziente. Tutte le volte che, analiticamente sollevata dalla sua ne\'rosi insolitamente grave si rifugiava all'estremo opposto, cioè nella "cattiveria" e nella perversione, non mi rimaneva altra soluzione che provocare di nuovo la nevrosi e reintegrare nei suoi diritti il "diavolo" già scomparso, naturalmente ogni volta in misura ridotta e con maggiore cautela e dolcezza di quanto non fossero state usate a suo tempo nella sua
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educazione, finché non riuscii infine a ottenere che la bambina tenesse una via di mezzo tra i due estremi. Non mi sarei dilungata tanto a descrivere così minutamente questo esempio se non fossero in esso compendiate tutte le caratteristiche dell'analisi infantile che ho illustrate in quest'ultimo capitolo: b debolezza del Supcr-io (dell'ideale dell'Io) del bambino, la dipendenza delle sue esigenze, e conseguentemente della sua nevrosi, dal mondo esterno, la sua incapacit:l di controllare le pulsioni liberate e la necessità che ne deriva, per l'analista, di avere sul bambino un po· tere educativo.' L'analista assomma dunque nella sua persona due compiti parimenti ardui c in un certo senso diametralmente opposti: deve analizzare cd educare, deve cio~, a un tempo, permettere e proibire, liberare e imbrigliare. Se ciò non gli riesce, l'analista di~·en terà per il bambino un lasciapassare per ogni sorta di condotta proibita dalla società. Se invece gli riesce, egli annulla in parte gli effetti di un'educazione sbagliata c di uno sviluppo anomalo, dando così al bambino, o a chi ne decide il destino, una possibilità ulteriore di migliorare le cose. Sappiamo che al termine dell'analisi di un adulto noi non obblighiamo il paziente a essere sano. Sta a lui decidere cosa fare della nuova possibilità che gli si presenta: riprendere la strada della nevrosi o, se lo sviluppo dell'Io glielo consente, prendere la via opposta dell'ampio soddisfacimento delle pulsioni, oppure, scegliendo una '·ia di mezzo fra le due, realizzare una vera sintesi tra le forze in conBitto al suo interno. Parimenti, non possiamo costringere i genitori dei nostri piccoli pazienti a procedere in modo più aweduto con i bambini allorché vengono riaffidati alle loro cure. L'analisi infantile non è un'assicurazione contro gli infortuni che possono accadere in futuro al bambino. Essa opera soprattutto sul passato, ma in tal modo sgombra il terreno c lo rende più idoneo per lo sviluppo futuro. Dalle situazioni descritte penso che si possano trarre importanti consigli circa i casi in cui l'analisi infantile è indicata. Tale indicazione non è data soltanto dalla presenza di una determinata malattia dd bambino. L'analisi infantile è oggigiorno appropriata esscnziolmente nell'ambiente analitico cd è forse conveniente !imitarla a
figli di analisti, o di persone che si sono sottoposte all'analisi, o di genitori che hanno una certa fiducia e unn certa considerazione per l'analisi. Solo cosll'educazione analitica durante il trattamento potrà tradursi, senza fratture, nell'educazione all'interno della famiglia. Se l'analisi non può concrescere organicamente con la vita del bambino, ma si inserisce negli altri suoi rapporti come un corpo estraneo e li turba, probabilmente saranno provocati al bambino più conflitti di quanti non gliene si risolvano col trattamento. Temo di avere dato con questa affermazione una delusione in più a chi si stava già disponendo a dimostrare una certa fiducia all'analisi infantile. Tuttavia, dopo aver tanto parlato delle condizioni che rendono inopportunn l'analisi infantile, non vorrei concludere senza aver detto anche delle sue grandi possibilità che, nonostante tutte le difficoltà, sembrano essere talvolta superiori anche a quelle dell'analisi dell'adulto. Io ne vedo soprattutto tre. Il carattere del bambino è ben altrimenti modi6cabile di quello dell'adulto. Il bambino, che sotto l'influsso della sua nevrosi si è incamminato per la via di un anormale sviluppo del carattere, non avrà che da fare pochi passi indietro per ritrovare la strada normale e confacente alla sua natura. Al contrario dell'adulto egli non ha ancora fondato tutta la sua vita su questo sviluppo anormale, né, in base ad esso, ha scelto la sua professione, stretto le sue amicizie, alJacciato le sue relazioni amorose che, a loro volta, sfociando in identificazioni, influiscono sullo sviluppo dell'Io. Nell'uanalisi del carattere~ di un adulto, noi dobbiamo fare a pezzi tutta la sua vita, fare l'impossibile, ciel: annullare certe azioni e non solo rendere consci certi effetti, ma addirittura abolirli se ''ogliamo conseguire un reale successo. Sotto questo aspetto l'analisi infantile è dunque enormemente avvant:~ggiata rispetto all'analisi dell'adulto. La seconda possibilità riguarda l'influenza del Super-io. Uno degli scopi a cui mira l'analisi è appunto mitigarne la severità. L'analisi dell'adulto a questo punto s'imbatte nelle m:~ggiori difficoltà, perché deve combattere contro i più antichi e importanti oggetti d'amore nell'individuo, i genitori, che sono ~tati introiettati per identificazione, e il cui ricordo, nella maggior parte dei casi, è per di più protetto dalla pietà filiale, e quindi più difficilmente aggredibile. Ma nel cas? del bambino abbiamo a che fare con persone viventi, che esistono realmente nel mondo esterno, non tras6gurabili nel ricordo. Se perciò al lavoro interno affianchiamo quello esterno, e cerchiamo
., di modificare con l'influenza analitica non solo le identificazioni già
esistenti, ma, con pressioni e sforzi in termini umani, anche gli oggetti reali, l'effetto è spesso impressionante e sorprendente. La stessa cos~ vale anche per il terzo punto. Lavorando con un adulto dobbiamo ]imitarci ad aiutarlo ad adattarsi al suo ambiente. f: )ungi da noi, e comunque al di fuori delle nostre intenzioni e del nostro potere, trasformare il suo ambiente in base alle sue esigenze. Con il bambino invece possiamo farlo senza grandi difficoltà. Le necessità dei bambini sono più semplici e più facili da accertare e da soddisfare, e unendo i nostri sforzi a quelli dei genitori riusciremo facilmente a procurare al bambino tutto o gran parte di ciò che gli occorre ad ogni stadio del trattamento e del suo progressivo trasformarsi. Noi facilitiamo il lavoro di adattamento del bambino all'am· biente tentando di adattare l'ambiente a lui. Anche questo è un duplice lavoro: dall'interno e dall'esterno. Credo che sia da ascrivere proprio a questi tre fattori se, nonostante tutte le difficoltà, nell'analisi infantile riusciamo a ottenere trasformazioni, miglioramenti e guarigioni che ncll'a'nalisi dell'adulto non ci sogniamo neanche. Mi aspetto che, per quanto qui è stato esposto, vi siano, tra di voi, analisti pronti a dire che ciò che faccio con i bambini non ha più molto a che fare- date le molte differenze- con l'analisi vera. Vi sembrerà un metodo ~selvaggio~ che dall'analisi prende a prestito tutto, senza però conformarsi affatto alle sue rigorose Prescrizioni. Ma pregherei di riRettere su quanto sto per dire. Se un nevrotico adulto viene nel nostro studio per chiederci di iniziare un tratta· mento e, a un'osservazione particolareggiata, si rivela impulsivo, intellettualmente immaturo c in gran parte dipendente dal suo am· biente, proprio come uno dei miei piccoli pazienti, probabilmente ci diremmo che l'analisi di Freud è un ottimo metodo, ma non per individui simili. Tratteremmo il malato con un metodo misto, applicando l'analisi pura per quel tanto che la sua personalità può tollerare e, per il resto, visto che il suo carattere prettamente infantile non consente di meglio, l'analisi dei bambini. A mio parere non si nuoce al metodo analitico se si cerca di applicarlo, con delle modifiche, a soggetti diversi da quelli specifici ai quali è destinato, cioè ai nevrotici adulti. E nemmeno si può considerare riprovevole impiegarlo per scopi diversi. Bisogna solo sempre sapere che cosa si fa.
Quattro conferenze di psico:malisi per insegnanti e genitori 1930
1.
L'amnesia infantile e il complesso edipico
Signore e signori, noi tutti sappiamo che quanti lavorano nel campo della pedagogia pratica mantengono tuttora nei confronti della psicoanalisi un atteggiamento estraneo e diffidente. Se voi, educatori nei centri di doposcuola • della città di Vienna, avete deciso ciò nonostante di frequentare il mio breve corso, vuoi dire che avete derivato da qualche parte l'impressione che una più approfondita conoscenza di questa nuova scienza vi sarebbe di aiuto nel vostro difficile lavoro. Al termine delle quattro serate che abbiamo oro davanti a noi, deciderete voi stessi se questa vostra congettura era troppo ardita, ovvero se io sono stata in grado di soddisfare almeno in parte le vostre aspettative. In una particolare direzione non ho certamente niente di nuovo da albini Fallirei nel mio scopo se tentassi di dirvi qualcosa circa il comportamento dei bambini negli asili e nelle scuole, poiché sotto questo riguardo siete nella posizione più vantaggiosa. Attraverso le vostre mani pa$5:1 nel corso del lavoro quotidiano una quantiU. di materiale che vi cOnsente di conoscere con la massima esattezza tutta la scala dei fenomeni che vi stanno di fronte: dai bambini fisicamente o psichicamente minorati, ostinati, timidi, bugiardi, maltrattati, ai bambini brutali, aggressivi e delinquenti. t meglio ch'io non tenti neppure di darne un elenco completo, poiché alla .fine voi potreste comunque f:nmi notare quante lacune vi ho .lasciate. 1 [lìaduci:amo il tedesco Kinde•ho•l ton ~centro di dopwcuobu. Stnltlora e lunlioni 1<1no 0011 d0$Critte: "Cli Hotle 10no fatti sul modello delle scuole materne, ma 10no prevnti in p>ttitolarc per lonrinlli dai sei ai qu.aUordici anni. Mentre le oeuole materne 1<1lo ~mbini .6.oo ai sei anni, cio
Ma quest.J stess~ posizione di vantaggio che vi consente una cosi completa conoscenza di questi fenomeni, ha anche i suoi svantaggi. In qualità di educatori nei centri di doposcuola- o come insegnanti nella scuob o negli asili infantili - voi avete continuamente bisogno di agire. La vit.l e il movimento nelle vostre classi o gruppi esigono un continuo intervento: dovete ammonire, proteggere, mantenere l'ordine, intrattenere, istruire, insegnare. Le autorità a voi preposte rimarrebbero insoddisfatte qualora decideste improvvisamente di ritirarvi sulle posizioni dell'osservatore passivo. Nella vostra profes· sione avviene così che, pur imparando a conoscere un'enorme quan· tità di espressioni della natura infantile, non riuscite a ordinare i fenomeni che avete sotto gli occhi e a ricondurre alle loro cause le manifestazioni dci bambini, alle quali tuttavia dovete reagire. Probabilmente, per una siffatta classificazione e spiegazione del materiale vi manca qualcosa di più dell'opportunità di un'osservazione indisturbata. Un ordinamento del genere richiede conoscenze specialistiche. Supponiamo che uno di voi si chieda come mai alcuni bambini appartenenti al suo gruppo siano affetti da oftalmie o da rachitismi. Egli sa che questi bambini provengono da case misere c malsane, ma solo b scienza medica può spiegargli per quali vie particolari l'umidità delle pareti domestiche provochi la malattia del bambino. Un altro rivolge il proprio interesse ai pericoli cui sono esposti, per la discendenza, i bambini nati da padri alcolizzati; per sapernc qualcosa costui dovrà fare riferimento alla teoria dell'ereditarietà. Chi invece vuole afferrare i rapporti esistenti tra disoccupazione, mancanza di casa e incuria nei confronti dci bambini, cercherà di mantenersi nel campo della sociologia. A colui il quale, nella sua qualità di educatore, vuole apprendere soprattutto qualcosa circa i retroscena psicl1ici delle manifestazioni infantili che ho più sopra elencato, o che vuole coglierne le differenze o scguirne il lento sviluppo nel singolo bambino, rimane infine la possibilità di attingere alla nuova scienza della psicoanalisi. Sostenere in till modo il comportamento pratico mediante un :nnpliamento delle proprie conoscenze mi sembra particolarmente importante per l'educatore, c questo per due motivi. Il centro di doposcuola, destinato ad accogliere nei ritagli della giornata non impegnati dalla scuola i bambini che per motivi esterni o interni correrebbero dci pericoli nella casa dci genitori, rappresenta il più recente degli ordinamenti educativi pubblici della città di Vienna. Esso è stato ideato come mezzo di prevenzione contro la crescente
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incuria nei confronti dei bambini, e deve la sua creazione al convincimento che è più facile influire sui primi sintomi di abbandono e di :~socialità nel libero ambiente del centro che :~ffianca la scuola o la casa paterna, che non isolare alcuni anni dopo nei riformatori gli adolescenti sbandati o delinquenti, il più delle volte senza alcuna speranza di poterli rieducare. Attualmente non esiste alcun metodo coercitivo che renda obbligatoria la frequenza del centro. Le autorità possono costringere i genitori a mandare i figli a scuola, mentre per il momento viene lasciato a loro decidere se affidare un bambino, :~l quale essi stessi non possono offrire che le peggiori condizioni, all'educazione dci centri di doposcuola. Da questo deriva che tali centri de\·ono continuamente giustificare la loro esistenza con ciascuna coppia di genitori e con ciascun bambino attraverso un lavoro particolarmente proficuo; cosl come prima dell'introduzione della vaccinazione obbligatoria bisognava convincere ogni volta "da capo i genitori della necessità di questa misura preventiva. L'educatore dei doposcuola sente però la difficoltà della propria posizione anche sotto altri aspetti. Egli ha a che fare quasi esclusivamente con bambini che hanno alle spalle una serie di esperienze più o meno incisive, e che sono passati per le mani di una quantità di persone cui era affidata di volta in volta la loro educazione. Egli si accorge allora che questi bambini, almeno inizialmente, non reagiscono tanto alla sua persona reale e :~l suo comportamento effettivo, ma portano con sé una quantiU di modi di comportamento prestabiliti, e gli oppongono la diffidenza, la tracotanza o le difese :~cquisitc nella loro esperienZ:J con altri adulti. Inoltre la vita del bambino nel centro di doposcuola non è che una integrazione della sua vita scolastica. Il centro lavora in genere con metodi più liberi, più umani e più moderni della maggior parte delle scuole. Cosi, il comportamento che la scuola ricllicde dai bambini c inculca loro, nel centro risulta spesso di ostacolo per il raggiungimento degli obiettivi che esso si propone. La posizione dell'educatore dei doposcuola non è dunque invidiabilc. Egli ha quasi sempre davanti a sé un compito difficile che occorre affrontare con azioni e interventi autonomi. Ciò nonostante egli è sempre e solo un cocducatore o un educatore di rincalzo. Faremmo però torto alla scuola se giudicassimo più propizia la posizione dell'insegnante. Anche gli imegnanti si lamentano del fatto che ben di rado ricevono il bambino di prima mano, e di quanto è difficile, ad esempio, abituare i bambini delle prime classi elementari a un atteggiamento serio e confacente nei confronti degli
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insegnanti e dell'insegnamento, quando siano passati in precedenza attraverso l'atmosfera giocosa di un giardino d'infanzia: essi portano con sé nella scuola il compOTtamento che vi hanno appreso e che non si adatta più alle esigenze della scuola. Ma se ci rivolgiamo alle maestre dei giardini d'infanzia, cl1e, stando a quanto abbiamo detto finora, dovrebbero trovarsi nell'invidiabile condizione di poter la\'Orare su un terreno ancora intatto, con nostra meraviglia le udremo lamentarsi che anche i loro bambini dai tre ai sei anni sono già o individui completi H, che ciascuno di loro presenta una serie di caratteristiche specifiche e reagisce a modo suo al comportamento della maestra; che è possibile costatare in ciascuno di loro determinate aspettative e paure, avversioni e predilezioni, una forma personale di gelosia e di tenerezza, di bisogno d'amore o di difesa. Anche in questo caso è dunque escluso che l'educatrice possa imporre una propria impronta a un essere non ancora formato: ess:1 si muove in meuo a complesse personalità in miniatura, infiuire sulle quali è tutt'altro che facile. Gli educatori ufficiali (nel doposcuola, nella scuola, nel giardino d'infanzia) si vengono dunque tutti a trovare nella medesima difficile situazione. L'individuo raggiunge evidentemente la sua completezza prima di quanto generalmente si ritiene. Per ricondurre alla loro origine queste caratteristiche infantili che tanto danno da fare agli educatori, bisogna dunque estendere le indagini a un periodo precedente all'entrata del bambino nelle istituzioni educative pubbliche, e risalire a quelli che sono stati i primi educatori nella sua vita, cioè al periodo di vita precedente ai cinque anni di età e ai genitori. Il nostro compito potrebbe sembrarvi in tal modo facilitato. Inl'Cee di osservare il comportamento quotidiano di bambini più grandicelli nelle scuole o nei doposcuola, dobbiamo cercare di ottenere da loro informazioni sulle impressioni e sui ricordi dei loro primissimi anni di vita. Questa può sembrare a prima vista un'impresa non difficile. Voi tutti, nella consuetudine con gli allievi a voi affidati, avete operato nel senso di stabilire tra voi e i bambini rapporti franchi e di fiducia reciproca. Questo può ora tornarvi utile: il bambino sarà pronto a raccontarvi tutto se solo cominciate a interrogado in modo comprensibile. Consiglio a tutti voi un tentativo del genere, ma posso anche predire in anticipo che non darà grandi risultati: i bambini non danno informazioni sul loro passato. Essi raccontano prontamente
gli avvenimenti degli ultimi giorni o settimane, le vacanze trascorse in un ambiente estraneo, un onomastico o compleanno ormai passati, forse anche il Natale dell'anno precedente; dopo, però, i loro ricordi si arrestano, ovvero viene loro a mancare la possibilità di comunicarli. Voi direte che facciamo troppo affidamento nella capacità del bambino di ricordare il suo passato. Dovremmo tenere presente che il bambino non distingue affatto ciò che è importante da ciò che è secondario nella sua vita trascorsa; pertanto sarebbe di gran lunga più promettente e più ragionevole compiere una simile indagine sulle proprie esperienze nella primissima infanzia non tanto con un bambino, quanto con un adulto personalmente interessato a questo tipo di ricerca. Vi consiglio di seguire anche questo secondo suggerimento, pur sapendo che siete destinati a scoprire, con vostra grande sorpresa, che anche l'amico più volonteroso al quale vi rivolgerete avrà pochissimo da comunicarvi. I suoi racconti saranno con ogni probabiliU abbastanza completi e comprensibili fino al quinto o sesto anno di vita: vi descrivcd la sua formazione scolastica, fors'anche gli appartamenti nei quali ha vissuto a tre, quattro, cinque anni, il numero e il nome di fratelli e sorelle, questo o quell'avvenimento, ad es,cmpio un tra~loco o una disgrazia. Poi la sua memoria si arresta, prima che abbiate trovato ciò cl1e andate cercando, cioè gli indizi di come si è svolto in quei primi anni lo sviluppo della sua particolare natura e delle sue caratteristiche specifiche. Ma voi sapete anche qual è la causa di questa nuova delusione. Gli eventi che andiamo ricercando e che son chiamati a svolgere un ruolo cosl importante nella formazione del carattere di ogni singolo individuo si riferiscono palesemente agli aspetti più intimi della sua vita, a esperienze che vengono custodite come un bene personale, delle quali si risponde solo a sé stessi, e che si tengono pudicamente nascoste anche agli amici più intimi. Avremmo dovuto tener presente tale circostanza fin da principio e rivolgerei per informazioni all'unica persona che, stando cosl le cose, può essere disposta a fornirle: cioè ciascuno a sé stesso. Di noi stessi dobbiamo comunque poter presumere la capacità di memoria di un adulto normale, l'interesse per la ricerca e la volont:l. di superamento di tutte le barriere che si frappongono alla comunicazione ad altri perché ci si vergogna. Ma se ci adoperiamo impegnando ogni interesse, tutta la nostra attenzione e la massima franchezza, jJ risultato rimane insolitamente povero. Non riusciremo comunque a far luce sui primi anni della
nostra vita e a ricostruire una serie non lacunosa di ricordi relativi a quell'epoca. Riusciremo sempre a mettere in fila gli avvenimenti fino a un determin.ato momento, che varia nei singoli individui e che coincide per alcuni con il quinto, per altri con il quarto, per altri ancora con il terzo anno di vita. Oltre a questo limite esiste in ciascuno di noi una gmnde lacuna, un buio nel quale è dato riconoscere solo fmmmenti isolati e sconnessi dal contenuto generale che, considemti più attentamente, non sembrano avere alcun senso e so· prattutto nessuna importanza. Un giovane, ad esempio, non ricorda dei primi quattro anni della propria infanzia che una breve scena su una nave dove il comandante, vestito di una bella uniforme, gli tende le braccia per issarlo su un parapetto. In quella stessa epoca questo giovane ha sperimentato (com'è facile accertare interrogando altre persone) i conAitti più tempestosi e i più duri colpi del destino. Una ragazza, la cui prima infanzia è stata movimentata e ricca di avvenimenti incisivi, non ha ritenuto altro che un unico chiaro ricordo: è portata a passeggio nella carrozzina, e volta la testa all'indietro verso la balia che la spinge. Ammetterete che ci troviamo davanti a fatti palesemente in con· trasto. Da un, lato sappiamo dall'osservazione dei bambini c dalla deSCiizione che i nostri familiari ci fanno dei nostri primi anni di v1ta, che a questa età il bambino si comporta in maniera vivace c intelligente, mostra inclinazio11i e avversioni, e sotto molti impmtanti aspetti si comporta come un essere razionale. D'altro canto questo stesso periodo viene cancellato dalla memoria o lascia dietro di sé solo tracce molto imperfette. Secondo la precedente testimonianza di educatori, insegnanti e maestre giardinicre, trascorso questo primo periodo gli individui si inseriscono nella vita come piccole individualità pienamente formate. La memoria si comporta tuttavia come se non valesse la pena di conservare tracce di un'epoca in cui ciascuno di noi è invece particolarmente atto a ricevere e assimilare impressioni, e nella quale si è svolto questo complesso sviluppo verso una Personalità i11dividuale. La psicologia ufficiale si è finora lasci~ta ingannare da questa ap· parenza. Dato che essa considcr~ materiale di sua competenza solo quel tanto della vita psichica dell'uomo di cui l'uomo stesso ha cognizione, si è vista costretta ad attribuire scarsa importanza ai primi anni dell'infanzia per il fatto che di essi si sa poco. Fu la psicoanalisi che per prima affrontò questa contraddizione. Essa era riuscita a dimostrare che alla base dci piccoli atti mancati
degli individui nella vita quotidiana, come le dimenticanze, gli smarrimenti di cose, le sviste, i lapsus di lettura ccc., c'è sempre una pre· eisa intenzione di chi li commette. In precedenza questi inconvenienti venivano spiegati, senza troppo riRetterci, come conseguenze di distrazione, stanchezza o del caso. La ricerca psicoanalitica su questi atti mancati ha accertato che di regola non si dimentica ciò che per qualche motivo valido a noi generalmente sconosciuto non si vuole dimenticare. Anche riguardo alle lacune relative ai ricordi dell'infanzia la psicoanalisi non si è più ritenuta soddisfatta delle spiegazioni correnti c ha postulato che un fenomeno cosl appariscente non può verificarsi senza un valido motivo. Proprio l'oscurità che copre il primo periodo della vita e le difficoltà che si frappongono a tutti gli sforzi tesi a un suo chiarimento diretto, fecero presumere agli psicoanalisti che tutto ciò nascondcue qualcosa di importante. Analogamente uno scassinatore alle prese con una serratura di sicurezza di una cassa di ferro particolarmente ingegnosa e della quale stenta a venire a capo, concluderebbe che i suoi sforzi saranno ricompensati: non ci si darebbe tanta pena a mettere sotto chiave qualcosa che non avesse valore. Non è mio proposito descrivere qui per quali vie la psicoanalisi l1a raggiunto il suo scopo, che era quello di reintegrare i riCordi infantili. La descrizione dello stesso metodo psicoanalitico richiederebbe molto più tempo della conferenza di questa sera. Lasciamo per un altro corso uno studio esauriente c una verifica di questo metodo di lavoro. Per il momento ci interessa soprattutto il contenuto dei primi anni dell'infanzia cosi come la psicoanalisi è riuscita a ricomporlo. Vi dirò solo che per fare questo la psicoanalisi h:~ seguito la via che passa attraverso l'interpretazione dei già citati atti mancati quotidiani e dci sogni delle persone normali, nonché attraverso l'interpretazione e la soluzione dei sintomi dei malati mentali. La ricostruzione degli anni dell'infanzia operata dalla psicoanalisi risale al primissimo periodo di vita del lattante, nel quale il bambino è in balìa delle sue caratteristiche congenite ed ereditarie, cioè fino a quella condizione nella quale avevamo sperato a torto di trovarlo al suo ingresso nelle istituzioni educati\·e. Su questo periodo vi è ben poco di importante da dire. Il piccolo essere che abbiamo da· vanti a noi è sotto tutti i rapporti straordinariamente simile a un animale appena nato, solo che si trova in una situazione peggiore di questo. Gli animali dipendono dalle cure materne solo per un bre\·e periodo, in genere per qualche settimana. Successivamente si svi-
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luppano come creature autosufficienti in grado di crescere senza l'as· si~tenza dei genitori. Nella specie umana le cose stanno divers:J· mente. Per almeno un anno il neonato è cosi completamente dipendente d:~lla madre, che perirebbe nel momento stesso in cui questa lo privasse della sua assistenza. Superato questo primo anno dell'al· lattamento, il bambino non ha affatto raggiunto l'autosufficienza, poiché non sa ancora come procacci:Jrsi il cibo, come sostenersi, come difendersi o evitare i pericoli. Noi sappiamo che gli ci vogliono quasi quindici anni per poter fare a meno completamente della pro· lezione degli adulti e diventare egli stesso un individuo adulto. Questa differenza tra gli uomini e gli animali, questa prolungata c totale dipendenza del piccolo dell'uomo, determinano il suo dc· stino successivo. Se per tutto il primo anno di vita nulla si pone fra lui e l'annientamento se non le affettuose cure della madre, non possiamo meravigliarci se la conservazione di queste cure finisce per svolgere un ruolo del tutto particolare. Il bambino si sente pro· tetto fintantoché sa che la madre è vicina, e quando essa si allontana esprime il suo bisogno di aiuto con l'angoscia. Il bambino ha bisogno della madre per soddisfare le sue esigenze alimentari, per cui la madre diventa per lui una necessità vitale. Ben presto il rapporto tra il lattante e la madre supera i limiti spiegabili con la spinta alla conservazione dell'esistenza. Osserviamo che il bambino cerca la madre e la desider:~ anche quando è sazio e quando non è minacciato da particolari pericoli. Diciamo che esso ama sua madre. In cambio delle affettuose e amorevoli cure della madre, si viene a creare nel bambino un legame con Ici che, pur seguendo ancora l'indirizzo im· pressogli dalla pulsione di autoconservazione, è tuttavia già indipen· dente da questa e la trascende. Sulla base di questo affettuoso rapporto con la madre il bambino avrebbe tutte le possibilità di un p:~ci6co sviluppo sia fisico cl1e psichico; sarebbe del tutto soddisfatto se la madre si limitasse a nu· trirlo, curarlo e amarlo. A questo piloto, invece, nel rapporto tra il bambino e la madre interviene per la prima volta, turbandolo, il mondo esterno. Il bam· bino, che si è ormai lasciato alle spalle il periodo dell'allattamento e il primo anno di vita, apprende improvvisamente che la madre non appartiene solo a lui. La famiglia, della quale egli non è che un piccolo componente e ricmmeno molto importante, ha anche altri membri, il padre, i fratelli c le sorelle, delia cui presenza il bambino si rende ora conto per la prima volta, ma che appaiono essere al-
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trcttanto importanti quanto egli stesso ritiene di essere. Tutti costoro affermano parimenti di a\•ere diritto al possesso della madre. È dunque comprensibile che il bambino consideri fratelli e sorelle come nemici. È geloso di loro e desidera che si levino di torno onde ristabilire la condizione originaria, l'unica per lui soddisfacente. Potete facilmente convincervi di questa gelosia dei b;imbini piccoli osservandone il comportamento ad esempio in occasione della nascita di un fratellino o di una sorellina. Una bambina di due anni, alla quale il padre mostra orgoglioso il fratellino appena nato aspettandosi gioia e sorpresa, domanda: uQuando muore di nuovo?" Una madre mi ha raccontato che quando allatta il figlioletto al seno, il fratello di tre anni si avvicina sempre annata di un bastone o di un altro oggetto appuntito, ed essa ha un bel da fare per impedirgli di far male al piccolo. Osservazioni di questo tipo possono moltiplicarsi all'infinito. Non di rado si sente parlare di gravi ferite inflitte da bambini di due o tre anni a fratelli e sorelle più piccoli, quando li si lascia imprudentemente soli insieme a questi ultimi. Non c'è ragione di non prendere sul serio la gelosia dei bambini. Essa nasce dagli stessi motivi della gelosia degli adulti e infligge al bambino una soffercn:t:l pari a quella che conosciamo nella vita adulta quando il rapporto con un essere amato viene turbato ad opera di un tivalc indesiderato. L'unica differenza è che nell'azione il bambino è più limitato dell'adulto e quindi la liquidazione dei suoi sentimenti di gelosia è destin<~ta a rimanere allo stato di desiderio; il bambino desidera che i fratelli e le sorelle fastidiosi se ne vadano via, vorrebbe saperli morti. Per il bambino, che non ha ancora imparato ad afferrare il significato della morte, non esiste ancora differenza tra l'andare via e l'essere morti. Nel bambino questo desi~erio di morte nei confronti dei fratelli è del tutto naturale, ed è tanto più forte quanto maggiore è l'importanza che il bambino ha attribuito al possesso della madre. Il bambino è dapprima pienamente coerente nei suoi sentimenti ostili. Il conflitto di sentimenti sorge in lui solo quando si accorge che, incomprensibilmente, la madre non solo ama i fratelli e le sorelle che gli sono causa di disturbo, ma pretende che egli rinunci ai suoi desideri ostili, che condivida pacificamente con i fratelli il possesso della madre, addirittura che li ami a sua volta. Da questo hanno origine tutte le difficoltà nei rapporti affettivi tra fratelli. Probabilmente saprete già dall'osservazione dei bambini più grandi quanto spesso l"' amore fraterno" non sia. che un~ rappresentazione dì
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desiderio degli adulti, e quanto i rapporti reali siano arretrati rispetto a questa rappresentazione. L'esattezza di questa descrizione della situnzione è chiaramente dimostrata dal fatto che la gelosia tra fratelli è tanto minore quanto meno stretti sono i rapporti con la madre. Nelle
famiglie proletarie, dove le madri lavorano e possono quindi dedicare ai figli molto meno cure, è anche molto minore la sottrazione di affetto in occasione della nascita di un fratellino. Per questa ragione,
troviamo in queste famiglie molto più amore c simpatia tra fratelli che non nelle famiglie del ceto medio, dove ciascun figlio rappresenta per gli altri fratelli un rivale relativamente a un possesso molto reale, c dove, di conseguenza, odio e gelosia dominano apertamente o nascostamente il rapporto tra fratelli. Ma questo contrasto che carattcrizn i sentimenti verso i propri fratelli non è cl1c un preludio relativamente innocuo di un altro conHitto di sentimenti molto più violento. Fratelli e sorelle non sono i soli concorrenti che contendono al bambino il possesso della madre. Più importante di loro è il padre. Solo che il padre svolge nella vita del bambino un duplice ruolo. Il bambino odia il padre come rivale quando si atteggia a legittimo possessore della madre, quando la porta via con sé, si allontana con lei, la tratta come una sua proprietà, pretende di dormire da solo con lei. Sotto tutti gli altri aspetti, invece, lo ama e lo ammira, conta sul suo aiuto, crede ncll;:~ sua forza c nella sua onnipotenza e non conosce desiderio più grande che diventare in futuro uguale a lui. Viene cosi a crearsi per il r~g~zzo una prim~ in~udita e insolubile difficoltà: quella di amare e ammirare una persona e contemporaneamente odiarla e desiderarne la morte. Nel rapporto con i fratelli si tratta solo di arginare i desideri ostili per compiacere la madre. Qui invece ,.i sono per la prima volta due sentimenti contrapposti. Lascio a voi raffigurarvi le ulteriori difficoltà nelle quali incorre il bambino in seguito;:~ questo conHitto: la paura della forza dci suoi desideri ostili, della vendetta del padre e della perdita del suo amore, il turbamento dell'innocuo e pacifico rapporto con la madre, la cattiva coscienza ·e le angosce di morte. Avrò da dire qualcosa di più su questo in altra sede. Signore c signori, probabilmente trovate molto interessante seguire lo sviluppo di questi sentimenti del bambino, ma non vedete quale relazione questo possa avere con il vostro lavoro: i bambini con i quali 3\'ete a che fare sono già molto più grandi e sono usciti da un pezzo da quesb totale dipendenza dalla madre, da questa iniziale gelosia e dalle tempeste dci primi anni che abbiamo testé descritto.
1/AMN~SI~ INfANTIL& B COMPUSSO ""rPJCO
Ma vi sbagliate. Quelli che vi si presentano nel doposcuola o nella scuola sono proprio i fenomeni direttamente conseguenti a questo primo periodo della vita. I bambini che descrivete come intrattabili, asociali, insoddisfatti, hanno sostituito i compagni di scuola ai fratelli e vivono nella scuola quei conflitti che non hanno potuto risolvere nella casa paterna. Gli adolescenti, pronti a reagire selvaggiamente alla minima pressione autoritaria che cercate di esercitare su di loro, o cosl timidi da non osare guardarvi in faccia o alzare la voce in classe, sono ancora quegli stessi bambini che hanno ora trasferito su di voi i desideri di morte nei confronti del padre o la dura repressione di questi desideri con la conseguente angoscia e sottomissione. Questo vi spiega anche un fenomeno che vi ha inizialmente stupiti. A sei anni i bambini portano effettivamente con sé delle reazioni già complete che si limitano a ripetere con voi. Ciò che vedete svolgersi davanti ai vostri occhi non è che una riedizione e una ripetizione, da voi scarsamente influenzata, di antichi conflitti. C'è una seconda obiezione che mi aspetto da parte vostra. Probabilmente pensate che la famiglia quale ve l'ho descritta non esiste affatto, almeno per quanto riguarda la maggior parte dei bambini con i quali voi lavorate. Non vi capita certo molto spesso di trovare una madre che dedica ai propri figli un affetto e una cura cosl amorevoli e allo stesso tempo cosl equamente distribuite, o un padre cl1e vive in così buona armonia con la moglie e contemporaneamente è idoneo a di,•cntare l'oggetto dell'amore c dell'ammirazione del figlio. n quadro è abitualmente del tutto diverso. Ma nel descrivere questa famiglia modello seguivo un proposito ben preciso: quello di farvi chiaramente presente in quale difficile situazione viene a trovarsi il bambino, anche nelle circostanze esterne più favorevoli, a causa dci suoi sentimenti contrastanti. Ogni peggioramento dei rapporti esterni, cioè ogni turbamento nel quadro della famiglia modello, acuisce anche il conflitto interno del bambino. Supponiamo che il bambino non venga affatto allevato dalla propria madre, ma in questo primo importantissimo anno di vita migri da una famiglia all'altra o venga accudito da bambinaie più o meno indifferenti e sempre diverse di un istituto. Non dobbiamo forse supporre che la mancanza del primo vero legame affettivo influirà notevolmente sulla sua vita successiva? Oppure poniamo che il padre che il ragazzo prende a modello c al quale cerca di assomigliare sia un alcolizzato o uno psicopatico o un criminale: lo sforzo di diventare come il padre, che normalmente rappresenta uno dei principali
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sussidi dell'educazione, in questo caso provoca direttamente la rovina del bambino. Quando i genitori vivono separati e ciascuna delle due parti cerca di attirare a sé il bambino indicandogli l'altra come colpevole, l'intero sviluppo emotivo del bambino viene a soffrirne, poicM la sua fiducia rimane scossa da un senso critico troppo precocemente destato. Vi cito la frase di un bambino di otto anni, che compiva vani sforzi per riunire i genitori separati: "Se mio padre non ama mia madre, neanche la mamma ama papà; allora possono anche non volermi bene, e anch'io non gli voglio bene; e allora la famiglia non serve." Le conclusioni che un bambino trae da una situazione simile sono generalmente pericolose. Egli si comporta come l'impiegato di un'impresa bancarottiera che, persa ogni fiducia nei superiori, non ricava più alcun piacere dal proprio lavoro. In simili casi anche il bambino sospende il suo lavoro, cioè il suo normale sviluppo, e reagisce a rapporti abnormi in maniera abnorme. Signore e signori, per oggi abbiamo finito. Vi ho imposto di asco!· tare l'esposizione degli avvenimenti che si svolgono nei primissimi anni dell'infanzia di ogni individuo così come è stato possibile ricostruirli _con l'ausilio del metodo psicoanalitico. Non so fino a che punto i particolari vi appaiano credibili o. inverosimili. Purtuttavia queste scoperte della psicoan:~lisi hanno contribuito ad attirare rattenzione generale sul significato delle primissime esperienze infantili. L'episodio che riferisco a conclusione della nostra conversazione, illustra le possibili conseguenze pratiche di queste considerazioni teoriche. Poco tempo fa un tribunale tedesco ebbe a giudicare una causa di separazione. Nel corso del processo venne sollevata la questione dell'affidamento del bambino di due arlni. La difesa del marito sostenne che la moglie, per una serie di caratteristiche, non era idonea a educare il bambino. Al contrario, la difesa della moglie insi· stette sul fatto che, avendo il bambino solo due anni, non si poteva parlare di compiti educativi, ma solo di cure materiali. Per decidere su questo punto conteso fu chiesto ai periti da quale preciso mD· mento dovesse computarsi l'educazione del bambino. Gli esperti chiamati in causa appartenevano solo in parte all'indirizzo psicoana· litico, in pDrte a quello della scienza ufficiale. Ma i pareri furono concordi: l'educazione del b:Jmbino comincia dal primo giorno di vi t:~. Abbiamo tutte le ragioni di presumere che prima delle scoperte della psicoanalisi t:~li pareri sarebbero stati diversi.
2.
La vita ptilsionale infantile
Signore e signori, non so come avete accolto quanto vi ho esposto nella mia lezione precedente, ma suppongo che ne abbiate ricavato una duplice impressione. Da un lato penserete probabilmente che mi sono dilungata con eccessiva enfasi su una quantità di fatti noti da tempo; che ho erroneamente sostenuto che ci troviamo ancora in un'epoca in cui gli insegnanti trattano i loro allievi come singole indi\•idualità scisse dalle rispettive famiglie; che ho dimenticato che oggigiorno anche il più giovane di voi, di fronte alle difficoltà che il bambino presenta pensa in primo luogo al suo ambiente domestico, alla possibilità di un inftusso negativo da parte dci genitori, alla sua posizione nella successione dei figli, cioè alle conseguenze derivanti dal suo ruolo di figlio maggiore, intermedio o minore. Voi tutti cercate costantemente di spicgarvi il comportamento del bambino nella scuola in rapporto al modo in cui viene trattato in casa. La prassi di ricondurre il carattere del bambino alle esperienze da lui vissute in seno alla famiglia ''i era dunque già nota assai prima della mia conferenza. D'altro lato, troverete che vi ho esposto questi fatti elementari in modo esagerato. Penserete che ho visto e inserito ovunque, nei sentimenti e nelle a:doni del bambino, le corrispondenti manifestazioni dell'adulto, e che ho descritto il comportamento infantile in termini che si usano di solito esclusivamente in rapporto alla condotta dell'adulto. In tal modo nella mia descrizione avrei tramutato i quotidiani attriti del bambino con fratelli e sorelle in pericolosi desideri di morte, e l'innocuo, tenero rapporto del bambino con sua madre nell'amore di un uomo che desidera sessualmente una donna. Il fatto che il ragazzo, che nella convivenza con il padre deve continuamente prendere atto della maggiore potenza di quest'ultimo, si assoggetti malvolen~icri ai divieti paterni e alle limitazioni imposte alla sua liberH., vi sembra del tutto naturale, mentre nella mia esposizione d~ adito a un conBitto tra figlio e padre che ricorda pressappoco quello descritto da Schiller nel Don Carlos. Gi~ in precedenza avevate udito con stupore che la psicoanalisi arriva al punto di assimilare la situazione emotiva del bambino a quella del re Edipo della leggenda greca, che uccide il padre e si impossessa della madre. Con
la mia esposizione io avrei dunque dimostrato che i pregiudizi che ~n·ete finora opposto nei confronti della psicoanalisi non sono del tutto pri\'i di fondamento, e li avrei convertiti in voi in un giudizio basato sulla vostra propria esperienza. Per il momento non intendo difendere con argomentazioni questo punto di vista che assume la psicoanalisi. Vi prego solo di lasci:ne in sospeso ancora per un poco il ,·ostro giudizio. Torniamo ancora una volta al verdetto del tribunale tedesco che, come vi ho accennato, concorda con l'opinione psicoanalitica. Come dobbiamo immaginare un'cduc:rzione che ha inizio dal primo giorno di vita? Che cosa c'è da educare in questo piccolo essere ancora tanto simile a un animale, sui precedenti psichici del quale si sapeva finora tanto poco? Qual è il punto di aggancio per un'azione pedagogica? Dopo la descrizione da me tracciata della vita interiore del bambino e dci suoi rapporti con le persone elle popolano il suo mondo, si potrebbe pensare che la risposta sia semplice: compito dell'educazione sarebbe di arginare i desideri ostili del bambino nei confronti di fratelli e sorelle e del padre, e gli appetiti nei confronti della madre, impedendo loro di attuarsi. Considerata più da vicino, questa definizione delle prime fasi dell'educazione ci sembra però insoddisfacente e un po' ridicola. Il bambino piccolo si trova inerme e impotente in mezzo al suo ambiente di adulti. Noi sappiamo che solo la benevolenza di questo ambiente lo preserva dall'annientamento. Ogni confronto tra le sue forze e quelle del mondo che lo circonda risulta neecs'sariamcnte a suo svantaggio. Egli non ha dunque la minima speranza di far valere i suoi pericolosi desideri. Nei tribunali minorili o nelle cliniche infantili vediamo esempi di ragazzi che sono effettivamente riusciti ad assumere nei confronti della madre il ruolo del padre nei limiti in cui lo permetteva il loro sviluppo fisico, o di bambine utilizzate dal padre sul piano fisico come una moglie. In questi casi però non è mai la forza o l'energia del bambino che gli consente di far valere in modo cosi -inconsueto i propri impulsi, bcnsi il comportamento abnorme dell'adulto, il quale si seP:e del desiderio infantile, che viene incontro alle sue intenzioni, per soddisfare i propri appetiti. In pratica risulta molto più importante proteggere il bambino dalla collera del padre che non il padre dall'aggressivit~ del bambino. Il quesito circa una definizione dell'educazione nei primi anni di vita rimane dunque ancora insoluto e privo di un preciso contenuto. Forse avremmo un nuovo spunto per una risposta se - tornando al
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POLSIC!n"ILB
verdetto dd tribunale - confrontiamo i due concetti di allevamento e di educazione. Definire l'allevamento non è difficile: allevare un bambino significa soddisfarne le necessità. La persona che lo alleva tacita la su.::J fame, lo tiene pulito (cosa che probabilmente risponde più a un'esigenza degli adulti che a una vera necessit~ del bambino), si preoccupa che stia tranquillo c al caldo, lo protegge da danni e pericoli. Procura al bambino tutto ciò di cui esso ha bisogno senza pretendere nulla in cambio da lui. L'educazione, invece, esige sempre qualcosa dal bambino. Andrei molto al di là delle mie intenzioni se volessi elencarvi gli innumerevoli scopi attribuiti all'educazione nel passato e nel presente. Gli educatori, cioè quell'ambiente di adulti del quale il bambino fa parte, vogliono sempre fare di lui ciò che loro aggrada, cioè qualcosa di continuamente diverso a seçonda del tempo, della posizione, della classe, del partito cui appartengono ecc. Ma in tutti questi scopi, benché diversi, è possibile rilevare un elemento comune. Il proposito più generale dell'educazione è sempre quello di fare del bambino un adulto che non si differenzi troppo dal circostante mondo degli adulti. Ecco il punto di aggancio dell'educazione: essa interviene là dove il bambino si differenzia dall'adulto, quindi sugli aspetti infantili della sua natura. La nostra risposta al quesito circa l'inizio dell'educazione dovrebbe pertanto suonare come segue: l'educazione lotta contro l'indole del bambino, ovvero- come sono soliti dire gli adulti- contro i uvizi infantili~. Sarebbe un errore da parte mia se \'Olessi qui risparmiarmi l'elencazione di questi "vizi infantili~ in base alla supposizione che ogni insegnante ed educatore li conosce per osservazione diretta. Ciò che il bambino porta con sé in tal senso nelle pubbliche istituzioni incaricate della sua educazione, non è più che un pallido riflesso della situazione originaria. Una reale descrizione di queste caratteristiche spetta solo alle persone cl1e si occupano con continuità del bambino, da quando è lattante fino ai cinque anni circa. Interrogate in proposito, queste persone ci diranno che il bambino è insopportabilmente sconsiderato ed egoista, pensa solo a imporre la sua volontà e a soddisfare i propri desideri, gli è indifferente se questo è causa di sofferenza per gli altri o meno; è sporco e repellente, non si perita di afferrare anche le cose più ripugnanti c persino di portarsele alla bocca; è impudico per quanto riguarda il proprio corpo e curioso di ciò che gli altri vogliono tenergli nascosto; è vorace e goloso; è
crudele nei confronti di tutti gli esseri viventi più deboli di lui, e ha la smania di distruggere gli oggetti inanimati; ha una quantità di vizi fisici: si succhia le dita, se le ficca nel naso, si mangia le unghie, gioca con i genitali. E pratica tutte queste cose con passione, si precipita dovunque lo spinge un desiderio, cercando impetuosamente di realizzarlo; la minima dilazione gli riesce intollerabile. Nei commenti dei genitori, due sono le lagnanze che balzano sempre in primo piano: il senso di una situazione disperata, poiché non appena hanno tolto al bambino una cattiva abitudine, ne subentra immediatamente un'altra; e l'inquietante interrogativo da che cosa tutto questo dipenda: non certo dall'esempio dei genitori; e del resto essi si sono anche sempre preoccupati di tenere il proprio Jiglio lontano dai bambini depravati. Voi direte che questa enumerazione delle caratteristiche infantili è più un atto di accusa che una descrizione oggettiva. Ma gli adulti non si sono mai comportati in maniera obiettiva nei confronti delle caratteristiche dei bambini. Da secoli l'cà~cazione adotta nei confronti dell'osservazione dei bambini l'atteggiamento severo del maestro che si appresta a interpretare ciò che accade tra i suoi allievi con rabbia e indignazione preconcette. Costui non riuscirà mai a chiarire le circostanze e a cogliere le vere connessioni tra gli avvenimenti, se prima non imp:na a rimandare prudc:ntemente il giudizio al termine dell'indagine. I ~vizi" dei bambini, come li enumerano i genitori, non sono che un cumulo caotico e disordinato di caratteristiche: non c'è altro da fare che lagnarsene. Ma nemmeno la scienza si è posta finora nei confronti del bambino con maggiore oggettività. Il suo metodo di indagine era quello di smentire tutti quei tratti che non sembravano rientrare nel quadro che, partendo da altre premesse, essa si era fatta della natura del bambino. Solo la psicoanalisi si è liberata dei pregiudizi, presupposti e preconcetti che accompagnavano da sempre la valutazione della natura infantile. È avvenuto cosl che un complesso di difetti rimasto finora incomprensibile si ordinasse inaspettatamente in un insieme organico. Invece: di singolariU. arbitrarie, la psicoanalisi ha trovato una successione necessaria di stadi di sviluppo simile a quella che da tempo si era imparata a distinguere nèlla crescita del corpo umano. Essa ha trovato cosi anche la risposta alle due principali lagnanze dei genitori. Né la rapida sostituzione di una cattiva abitudine con un'altra successiva, né il suo insorgere senza inRussi dall'esterno, costituiscono più degli enigmi se questi difetti non rappresentano più delle casuali
anomalie riprovcvoli del bambino, bensl i normali, naturali anelli di una fatale catena organica di sviluppi. Il primo indizio di questo ordine nelle manifestazioni fu l'osservazione che le parti del corpo alle quali si applic:mo i vizi infantili non sono scelte arbitrariamente ma rispettano una successione altrimenti predcterminata. Ricorderete che nella lezione precedente abbiamo fatto derivare il vincolo amoroso del bambino con la madre dalla prima nutrizione e dalle cure che essa gli presta: La prima "cattiva abitudine~ del bambino inizia per la medesima causa e nello stesso posto. Nelle prime settimane di vita l'alimentazione svolge nella vita del bambino il ruolo principale; in questo periodo la bocca e la zona circostante costituiscono per lui la parte più importante del corpo. Il succhiare il seno materno c il fluire del latte in bocca sono piacevoli per il bambino, c il desiderio di prolungare e ripetere questa gradevole sensazione permane in lui anche quand'è sazio. Ben presto il bambino impara a procurarsela di nuovo, indipendentemente dall'assunzione del cibo e dalla persona che lo allatta, mediante la suzionc del proprio dito. Noi diciamo che il bambino "ciuccia". Durante questa attivit:l il viso del bambino mostra la stessa espressione di soddisfazione di quando succhia il latte dal seno materno, per cui sul movente di questa attivit~ di succhiamento del dito non sono mai sorti dubbi. f: evidente: il bambino ciuccia il pollice perché ne ricava piacere. Il conseguimento di piacere nel succhiare al seno, che prima era solo un vantaggio collaterale nell'assunzione del cibo, si è reso ora indipendente da questa e si è trasformato in un'attività favorita del bambino e riprovata dagli adulti, cioè in un "vizio" del bambino. In questo periodo l'attiviU gratificante della bocca non si limita all'assunzione del cibo e al succhiamento del pollice. Il bambino si comporta come se volesse conoscere attraverso la bocca tutto il mondo che è alla sua portata. Morde, lecca, assaggia tutti gli oggetti che riesce a raggiungere, caratteristica che, stante la diflicolt~ di tenere puliti questi oggetti e i conseguenti pericoli per la salute del bambino, gli adulti non considerano certo auspicabile. Questa funzione privilegiata della bocca come fonte di sensazioni piacevoli perdura all'incirca per tutto il primo anno. Se riandate al nostro elenco di "lamentele" nei confronti del bambino, troverete in esso altre cattive abitudini che hanno qui il loro punto di partenza, ma persistono fino in anni più tardi: mi riferisco all'ingordigia e alla golosiU.
Anche la successiva zona del corpo che diviene predominante sostituendosi alla bocca nel suo significato, è rodetcrminata da esperienze esterne. Finora il mondo degli adulti si è comportato con il bambino in modo molto tollerante, limitandosi in pratica ad averne cura c richiedendo da parte del bambino come unica eccezione una certa abitudine all'ordine e alla regolarità nell'assunzione del cibo e nel sonno. Nella vita del bambino subentra ora un fattore importantissimo: l'educazione alla pulizia. La madre o la bambinaia cercano di fargli perdere l'abitudine di bagnarsi e sporcarsi. Non è facile portare il bambino a un rapido controllo di queste funzioni; si può dire che l'intero secondo anno di vita trascorre sotto il segno di questi sforzi, spesso molto energici, da parte di chi educa il bambino. Voi penserete che in realtà non è giusto rinfacciare al bambino come un difetto il lungo lasso di tempo necessario per abituarlo alla pulizia. I suoi muscoli sfinterici non si sono ancora sviluppati al punto da consentirgli di trattenere l'orina e di regolare le sue evacuazioni. Questo è sicuramente vero nei primi tempi dell'educazione alla pulizia. Più tardi si ha un'altra impressione. A una considera· zione più attenta si giunge a sospettare non tanto che il bambino è incapace di tenersi pulito, quanto che egli intende difendere il proprio diritto a defecare quando piace a lui c soprattutto non vuole che gli si tolga il diritto di possesso su questo prodollo del suo corpo. Il bambino mostra un palese interesse per i propri escrementi: cerca di toccarli, di giocarci e, se non gli viene tempestivamente impedito, di cacciarseli in bocca. Anche in questo caso possiamo indovi· narc senza difficoltà dall'espressione del suo viso e dall'entusiasmo con cui si applica, il movente di questa sua attività: essa procura al bambino un evidente piacere, è gradevole. Questo piacere non ha però più nulla a che fare con la debolezza o il rafforzamento dei muscoli sfinterici della vescica o dell'ano. Cosl come il lattante nell'assumere il cibo prova contempor.:meamcnte piacere nella zona che circonda la bocca, nel caso dell'attività escretoria il vantaggio collaterale compare sotto forma di un piacere che il bambino prova in riferimento all'ano. La zona intorno all'ano diventa per lui in questo periodo la parte più importante del corpo. Come prima nel ciucciarsi il dito cercava di procurarsi da sé, indipendentemente dall'alimentazione, il piacere legato alla bocca, cosl cerca ora di fare lo stesso rispetto all'ano mediante la ritenzionc degli escrementi e giocando con questa zon3 del corpo. Quando l'eduC3· zione glielo impedisce dmticamente, egli fa in modo di conservare
iJ ricordo dell'antico, apprezzato godimento giocando (cosa consentita, questa) con la sabbia, l'acqua, il fango, o piÌl tardi uimpiastricciando" con i colori. Nel lamentarsi del bambino gli adulti sostengono cl1e in questo periodo esso è sporco e repellente. Nello stesso tempo sono sempre inclini a perdonarlo: è ancora piccolo c sciocco; il suo senso estetico non è ancora sviluppato al punto da fargli afferrare esattamente la differenza tra pulito e sporco; il suo olfatto non è ancora abbastanza esercitato da cogliere la differenza tra odore e fetore. Con questo intendo dire che gli osservatori del bambino incorrono qui in un errore determinato da un pregiudizio. Chiunque osservi attentamente un bambino piccolo intorno ai due anni di età, noterà che esso sa distinguere perfettamente i vari odori. La differenza rispetto agli adulti sta solo nella valutazione. Il profumo di un fiore, che delizia gli adulti, lascia indifferente il bambino se prima non lo si abitua per un certo tempo a dire "ah!" ogniqualvolta odora un fiore. Quello che per noi è un cattivo odore, è invece buono per il bambino. Se si vuole, si può annoverare tra i suoi vizi il fatto che gli piaccia un cattivo odore. Una ripetizione di queste situazioni si riscontra anche in relazione ad altre caratteristiche infantili. Da secoli si parla della crudeltà del bambino senza averne trovato altra spicgozione se non la sua mancanza di discernimento. Quando un bambino strappa le zampe o le ali agli scarafaggi o alle mosche, uccide o tormenta gli uccelli, a sfoga la sua furia distruttiva sui giocattoli o sugli oggetti d'uso, si tendeva finora a scusare questi atteggiamenti con la sua incapacità di empatia con gli altri esseri viventi, o con la sua ignoranu. del valore in denaro delle cose. Anche qui le nostre osservazioni ci insegnano qualcosa di diverso. Secondo il nostro punto di vista, il bambino tormenta gli animali non perché non capisce di infliggere loro una sofferenza, ma proprio perché vuole in8iggere sofferenza, c i piccoli, inermi coleotteri rappresentano in tal senso l'oggetto più adatto c innocuo. Il bambino distrugge gli oggetti perché il loro valore pratico non conta rispetto al piacere che il bambino prova nel distruggerli. Anche in questo caso, come quando ciuccia il dito o manipola cose sporcl1e, indoviniamo il movente della sua attività dall'espressione del suo viso e dal fervore con cui persegue la sua opera. Quando l'educazione alla pulizia ha raggiunto a pieno il suo scopo portando il bambino, nonostante le sue resistenze, al controllo dei processi escretori, anche la zona anale perde significato quantOo
al procacciarsi piacere, e al suo posto subentra un'altra zona ancora più importante. Il bambino comincia a giocare con i suoi organi genitali. In questo periodo la sua sete di sapere è tesa a scoprire le differenze tra il suo corpo c quello dci fratelli, delle sorelle, dei com· pagni di gioco. Egli gode nel mostrare ad altri bambini le proprie parti genitali e pretende in cambio di vedere le loro. Il piacere di fare domande, fastidioro per gli adulti, ha come contenuto di fondo proprio questi problemi, la differenza tra i sessi e, oscuramente in relazione con questa, la provenienza dei bambini. Ma l'acme che lo sviluppo infantile raggiunge sotto molti aspetti proprio in quest'c· poca, cioè tra il quarto e il quinto anno, appare agli occhi degli adulti che educano il bambino anche come il culmine delle abitudini esecrabili. Noi sappiamo che per tutto il periodo dello sviluppo che abbiamo fin qui descritto, il bambino si comporta come se non esistesse nulla di più importante dello sfruttamento delle fonti di piacere e dell'af. fermazione dei suoi desideri pulsionali, mentre l'educazione si com· porta come se il suo compito principale fosse quello di inibire queste tendenze del bambino. Da questa situazione deriva l'incessante, inc· stinguibile conflitto tra educatori e bambino. L'educazione tende a sostituire al piacere dello sporco la ripugnanza per esso, all'impudi· -cizia il pudore, alla crudeltà la compassione, alla furia distruttiva la -cura degli oggetti. La curiosità e le manipolazioni relative al proprio <:O!pO devono essere abbandonate in seguito a un preciso divieto, la sconsideratezza deve mutarsi in riguardo, l'egoismo in altruismo. Passo passo l'educazione esige esattamente l'inverso di ciò che vuole il bambino, ad ogni momento essa vede la meta auspicata nel con· trario dei moti pulsiOnali prcesistenti nel bambino. Come abbiamo visto, per il bambino il conseguimento del piacere è lo scopo principale dell'esistenza; l'adulto vuole invece insegnargli a considerare più importanti le esigenze del mondo esterno che que· stc domande pulsionali interne. Il bambino è impaziente, non sop· porta alcuna ·dilazione e opera solo per il presente; l'adulto gli insegna a rinviare le soddisfazioni dei suoi impulsi e a pensare al futuro. Avrete notato che nella mia descrizione non faccio alcuna diffc· rcnza sostanzinle tra il piacere ricavato dal ciucciare il dito e quello ricavato dal giocare con i genitali, cioè dall'onanismo. In effetti nella concezione psicoanalitica una simile differenza non esiste; tutte le attiviU piacevoli che abbiamo descritte mirano alla soddisfazione dei
moti pulsionali infantili. La psicoanalisi li comprende tutti nel concetto di sessualità, a prescindere dal fatto che interessino gli organi genitali veri e propri, la bocca o l'ano. La funzione svolta dalla zona genitale nel corso del quarto o quinto anno di vita equivale esattamente a quella della bocca durante il primo anno e dell'ano durante il secondo. La zona genitale ci appare tanto importante solo in retrospettiva, quando cioè la consideriamo dal punto di vis_ta della vita sessuale adulta, nella quale questa zona è divenuta l'organo esecutivo della vita sessuale. Ma anche allora le zone erogene della prima infanzia conservano in parte il loro significato. Il piacere che esse procurano serve a preparare e introdurre l'atto sessuale vero e proprio. Il fatto che le zone del corpo dalle quali il bambino ricava i suoi primi piaceri svolgano un ruolo sia pure subordinato nella vita sessuale adulta potrà non sembrarvi una base sufficiente per definire sessuali queste zone e le attività inf;:mtili tese alla ricerca di un piacere, alla pari della sfera e delle attività genitali. Ma la psicoanalisi giustifica questa definizione anche per un'altra circostanza. Esistono casi abnormi nei quali l'uno o l'altro dei suddetti soddisfacimenti pulsionali infantili tende a non lasciarsi scavalcare dalla zona genitale e a imporsi nella vita adulta come dominante. Esso contende alla zona genitale la propria funzione e condiziona il raggiungimento del piacere sessuale. Tali individui vengono definiti pervertiti. Con questo termine si vuole indicare che in una parte importantissima della loro vita, cioè nella loro sessualità, essi sono rimasti fenni al livello del bambino piccolo o vi sono forse regrediti in qualche momento. La comprensione di queste anomalie nella vita sessuale dell'adulto ci permette di cominciare a capire perché per tutto il corso dello sviluppo infantile l'educazione si preoccupa con tanto zelo di impedire al bambino la soddisfazione dei suoi moti pulsionali. Le fasi di sviluppo che il bambino deve percorrere non sono altro che sta· zioni nel viaggio verso una meta esattamente delimitata. Quando una di queste soste si rivela troppo seducente, esiste il pericolo che il bambino vi si fenni permanentemente rifiutando di proseguire il viaggio, cioè di procedere nello sviluppo. Molto tempo prima che questi concetti trovassero un qualsiasi fondamento scientifico, gli educatori di tutti i tempi si sono comportati come se fossero al corrente di questo pericolo e considerassero loro compito fare attraversare al bambino le varie fasi del suo sviluppo senza mai !asciargli
conseguire una vera soddisfazione o acquietamento prima di raggiungere l'ultimo stadio del suo sviluppo. I mezzi di cui l'educazione si è sempre servita per impedire al bambino il paventato conseguimento del piacere sono di due specie. Acl esempio si ammonisce il bambino: "se continui a ciucc:iarti il pollice te lo taglieremo! N, minaccia, questa, che tutte le persone addette all'assistenza dei bambini e tutti i libri illustrati usano ripetere ad ogni occasione e in tutte le variazioni. Si tende cioi: a impaurire il bambino con la minaccia di una reale violenza, della lesione di una parte del corpo indispensabile e preziosa, e si cerca con questo di indurlo a rinunciare a un piacere. Oppure gli si dice: "se lo fai non ti voglio più bene! N, mettcndolo di fronte alla eventualiU. di perdere l'amore dei genitori. Entrambe le minacce devono la loro efficacia :~lb particolare situazione del bambino, quale abbiamo imparato a conoscerla nella precedente lezione; e cioè la sua totale inermità e impotenza in un mondo di adulti molto più forti di lui, e il suo legame amoroso esclusivo alle persone dei genitori. I due mezzi sono di solito parimenti efficaci. Sotto la pressione di pericoli così spaventosi il bambino impara effettivamente a rinunciare ai suoi originari propositi. Inizialmente si limita a simulare un cambiamento del proprio atteggiamento, sia per paura degli adulti che per amore nei loro confronti, c comincia a indicare come cattivo ciò che gli sembra bello, e bello c buono ciò per cui prova avversione. Quindi, a mano a mano che si assimila agli adulti, accetta :Jnche la loro valutazione nella realtà. Comincia a dimenticare di avere provato un tempo sentimenti diversi e rinnega completamente ciò che da principio aveva desiderato, e si preclude il ritorno agli antichi godimenti capovolgendo i sentimenti legati a quei piaceri nel loro contrario. Quanto più perfettamente gli riesce questo cambiamento, tanto più soddisfatti sono gli adulti della loro opera educativa. La rinuncia al piacere derivante dalla gratificazione dei moti pulsionali infantili, che viene imposta al bambino, ha due conseguenze significative ptr il suo sviluppo psichico. Il bambino volge ora inesorabilmente contro il mondo esterno le pretese che ha dovuto subire, cioè diventa per il resto della vit:J intollerante nei confronti di quanti non hanno fatto altrett:~nto e continuano a ricavare piacere cl:~ una di quelle fonti. Lo sdegno morale che egli mostra in tali circostanze ci dà la misura dello sforzo che ha dovuto compiere egli stesso per dominare la sua vita pulsionale infantile. Mentre però distoglie i ricordi dalle esperienze di piacere tanto
apprezzate un tempo, egli scaccia ancl1e dalla propria memoria l'intero periodo di vita corrispondente, con tutti i sentimenti e le esperienze ad esso attinenti: egli dimentica il suo passato, che nel ricordo postumo gli appare ora indegno e ripugnante. Ma cosl facendo egli dà luogo a quei vuoti di memoria, a quella impenetrabilità e inaccessibilità delle prime, importanti esperienze dell'infanzia che tanto ci hanno sorpreso la volta scorsa, quando ci siamo imbattuti in essi per la prima volta.
3· Il periodo di Jatenza
Signore e signori, per ben due sere vi ho tcnu_ti lontani dal campo dci vostri effettivi interessi, impegnando la vostra attenzione con la situazione emotiva e lo svilUppo pulsionale del bambino, cioè con un tema che potrà sembrarvi di qualche significato pratico solo per le madri, le puericultrici o al massimo per le maestre giardiniere. Non vorrei che dalla mia scelta del materiale concludeste che apprezzo scarsamente i problemi che dovete affrontare nel vostro lavoro con bambini più grandi. Era mia intenzione, in occasione di questo corso, introdurvi a un certo numero di concetti fondamentali della psicoanalisi, e per svilupparli in maniera viva avevo bisogno di un materiale del tutto particolare che solo i primi anni di vita del bambino possono offrire. Prima di concludere l'ampia digressione che vi ho fatto fare, rivediamo ciò che avete appreso sulle teorie psicoanalitiche da quanto detto finora. Fin dall'inizio della mia esposizione vi siete imbattuti nell'affermazione che gli individui conoscono solo un frammento della loro vita i11terna e ignorano completamente un gran numero di sentimenti e pensieri che esistono dentro di loro; ciò significa che tutti q~esti processi si svolgono inconsciamente, cioè senza che l'individuo ne sia consapevole. Siete forse stati tentati di obiettare che bisogna contentarsi: nella enorme quantità di stimoli che premono dall'interno e dall'esterno, e che l'individuo assorbe ed elabora, non è possibile ritenere tutto nella coscienza; dovrebbe essere sufficiente sapere di sé le cose più importanti. Ma l'esempio delle grandi lacune di memoria nelle quali sono sprofondati gli anni d'infanzia di ciascuno doveva scuotervi da questa convinzione. Esso vi ha dimostrato che l'importanza di un'esperienZll non basta a garantire la sua sopravvivenza hella nostra memoria, tant'è vero che proprio le impressioni più significative sfuggono regolarmente al ricordo. A questo si è aggiunta la nozione che questo settore sommerso del nostro mondo interno ha b inquietante prerogativa di non perdere affatto la sua efficacia anche quand'è svanito dalla memoria; esso esercita un preciso influsso sulla vita del b:lmbino, plasma i suoi rapporti con le persone che lo circondano, trova espressione nel suo comportamento quotidiano. Questa duplice caratteristica delle esperienze
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infantili che contrasta con tutte le aspettative da voi fin qui nutrite, il loro sprofondare nel buio pur mantenendo tutta la loro influenza, vi ha dato un'idea del concetto di inconscio in psicoanalisi. Avete appreso inoltre in che modo si realizza questo oblio di impressioni importanti. Il bambino sarebbe forse incline a conservare un buon ricordo dei suoi primi impulsi di desiderio e dei suoi primi soddisfacimenti pulsionali, che tiene in gran conto. Nel distaccarsene, ripudiarli con dispendio di energie, e infine non volerne sapere più nulla, egli obbedisce a una pressione esterna. Noi diciamo che li rimuove. Avete anche imparato che l'educazione non si accontenta di ottenere dal bambino questa rimozione. Essa teme palesemente che in circostanze adatte le ~uliarità che si è data tanta pena di eliminare, possano riaffiorare dal fondo, per cui, non contenta di disabituare il bambino da ciò che essa giudica cattivo, l'educazione si preoccupa di preclude-re un eventuale ritorno del rimosso. Ila coslluogo quel rovesciamento dei sentimenti c delle caratteristiche originarie nel loro contrario che vi ho descritto in precedenza. Supponiamo che un bambino di due anni provi l'impulso di mettersi in boCca le proprie feci. Sotto la pressione dell'educazione egli impara non solo a staccarsi da qualcosa che riconosce ora come sporco, e a rinunciare al suo primitivo desiderio, ma anche a provarne disgusto. Ciò significa che nel manipolare gli escrementi egli sente ora una nausea, un desiderio di sputare che sono un'aperta risposta al proposito originario di introdurre qualcosa in bocca. La sensazione di disgusto gli impedisce d'ora in poi di servirsi della bocca per una simile attivit./1. La psicoanalisi chiama formazione reattiva questa caratteristica acquisita secondariamente e nata dal conflitto e dalla reazione a un moto pulsionale infantile. Quando negli anni successivi costatiamo nel bambino una compassione particolarmente accentuata, un marcato pudore o un'immediata reazione di disgusto, dobbiamo concludere che nella prima infanzia questo bambinO era particolarmente crudele, impudico e sporco. Una forte formazione reattiva gli è necessaria per evitare una ricaduta nelle precedenti abitudini. II rovesciamento nel contrario attraverso una formazione reattiva non è che uno dei modi nei quali il bambino può sbarazzarsi di una determinata caratteristica. Un altro modo è la rielaborazione di un'attività indesiderata in una più desiderabile. Vi ho gii presentato un esempio in proposito. Il b~mbino che ama trastullarsi con i propri escrementi !"On deve necessariamente rinunciare del tutto a
questo passatempo per evitare la condanna dci suoi educatori. Egli può trovarsi un piacere sostitutivo giocando, ad esempio, invece che con l'urina e con le feci, con la sabbia c con l'acqua; a seconda delle circostanze, farà delle costruzioni con la sabbia, dissoderà le aiuole del giardino o scaverà canali; oppure, se è una bambina, imparerà a lavare i panni della bambola. Come abbiamo già accennato, il piacere di impiastricciare viene sostituito dal dipingere con colori c matite. In ognuna di queste attività socialmente consentite e spesso utili, il bambino ritrova un po' del piacere originario. A questo affinamento di un moto pulsionale, a questo suo dirottamento ,·erso una meta maggiormente apprezzata dagli educatori, la psicoanalisi ha dato il nome di sublimazione. Dalle due conversazioni tenute finora potete ricavare però qualcosa di più di una definizione di alcuni concetti fondamentali della psicoanalisi. Avete appreso tra l'altro che esistono precisi rapporti di rappresentazioni o cerchie o complessi ideativi, che svolgono una funzione preminente nella vita emotiva del bambino. Essi dominano iletenninati anni della vita, subiscono quindi una rimozione e non sono più reperibili nella coscienza dell'adulto. Una sequenza ideativa del genere è quella costituita dal rapporto del bambino con le figure dei genitmi. La psicoanalisi, come ho già detto, ha scoperto dietro questo mpporto gli stessi moventi e desideri che stanno alla base dell'agire di re Edipo, c gli ha dato pertanto il nome di complesso edipico. Un'altra cerchia ideativa è quella derivante dall'effetto delle minacce con le quali l'educazione piega il bambino alla sua volontà. Dato che il contenuto - sia pure solo accennato - di queste minacce è quello di recidere al bambino una parte importante del corpo, la mano, la lingua, il membro, questo complesso di idee viene definito dalla psicoanalisi complesso di evirazione. Nel corso della mia prima conversazione siete inoltre venuti a conoscenza. del fatto che il modo in cui il bambino vive questi primissimi complessi, soprattutto il rapporto con i genitori, pre6gura tutte le sue sUccessive esperienze. Permane in lui l'impulso a ripetere sempre in modo coatto, negli anni successivi, la forma nella quale, in questo primo periodo della vita, ha sperimentato per la prima volta amore e odio, ribellione e soggezione, infedeltà e devozione. Per la vita successiva dd bambino non è indifferente che egli sia costretto dal di dentro a scegliersi i rapporti amorosi, gli amici, l'ambiente di lavoro in modo tale da consentirgli una ricdizione possibilmente inalterata delle sue esperienze infantili ormai tramontate.
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Noi diciamo, come nell'esempio del rapporto tra lo scolaro e i suoi insegnanti, che il bambino trasferisce il suo atteggiamento emotivo dal passato su una persona che appartiene al presente. È ovvio che per rendere possibile questa traslazione emotiva il bambino è spesso costretto a fraintendere, equivocare, forzare questo presente. Nella mia descrizione dello sviluppo pulsionale infantile avete trovato infine una conferma della ricorrente affermazione che la psicoonalisi ha allargato il concetto di sessualità al di là dci limiti finora riconosciuti, definendo sessuali una serie di attività infantili che linor:1 erano state considerate completamente innocue ed estranee alla sfera sessuale. Contrariamente a tutte le nozioni a voi finora note, la psicoanalisi sostiene che la pulsione sessuale degli individui non si sveglia improvvisamente tra i tredici e i quindici anni, ma è già attiva all'inizio di ogni sviluppo e cambia completamente forma passando da uno stadio all'altro, finché raggiunge la vita sessuale adulta che è il risultato finale di questa lunga linea di sviluppo. L'energia con la quale la pulsione sessuale opera in queste varie fasi è di natura sempre uguale e cambia solo quantitativamente. La psi· coanalisi ha dato a questa energia il nome di libido. La teoria dello sviluppo pulsionalc infantile costituisce la parte più importante della nuova scienza psicoanalitica e contemporaneamente quella che le ha procurato fin da principio il maggior numero di nemici, c che ha spinto finora molti di voi a tenersi timorosamente lontani dalle dottrine psicoonalitiche. Signore e signori, ritengo che possiate essere contenti di questa panoramica delle conoscenze teoriche di psicoanalisi da voi fin qui acquisite. Avete imparato a conoscere un certo numero di concetti fondamentali con le relative definizioni usate in psicoanalisi: i con· cetti di inconscio, di rimozione, di formazione reattiva, di sublima· zionc; il processo di traslazione; il complesso edipico e il complesso di evirazione; il concetto di libido e la teoria dello sviluppo sessuale infantile. Rielaborate, queste idee potranno venirci ampiamente in aiuto nella nostra indagine del successivo periodo di vita del bambino. Riprendiamo la descrizione del bambino là dove l'abbiamo lasciata nella nostra ultima discussione, tra il quinto e il sesto anno di vita, cioè nel momento in cui il bambino viene affidato alle pubbliche istituzioni educative, acquistando con questo pieno diritto al vostro interesse. Verifichiamo ora alla luce di quanto abbiamo fin qui appreso le lamentele che abbiamo inizialmente posto sulle lobbra delle maestre
giardiniere e degli insegnanti, e ciol: cl1e i lxlmbini che giungono nelle loro mani sono già individui completi. In base alle nostre conoscenze delle condizioni interne del bambino, possiamo confermare in pieno l'csattezz:J di questa loro impressione. Quando entra per la prima volta in un Kindergarten o in una scuola, il bambino ha già dietro di sé una quantità di esperienze emotive determinanti. Egli ha imposto una limitazione al suo originario egoismo attraverso l'amore per una determinata persona, il desiderio tempestoso di possedere la persona amai:.:J, la difesa dei propri diritti mediante desideri di morte ed esplosioni di gelosia. Nel rapporto con il padre ha imparato a conoscere sentimenti quali il rispetto e l'ammirazione; sentimcÌiti tormentosi come la concorrenza di un rivale più forte, un senso di impotenza e l'impressione deprimente di un tradimento d'amore. A quesi:.:J epoca il bambino ha già attraversato un complicato sviluppo pulsionale e ha imparato quanto sia difficile dover contrastare un lato della propria persona. Sotto la pressione dell'educazione ha sopportato gravi paure e ha attuato su di sé enormi cambiamenti. Oppresso da questo passato, egli è ormai tutto tranne un foglio bianco. Il cambiamento avvenuto in lui è daV\•ero sorprendente: da quell'essere animalesco, dipendente, quasi insopportabile che era, è diventato un individuo più o meno ragionevole. Quando entra in classe, lo scolaro è preparato a essere uno tra tanti c sa di non poter contare su una posizione privilegiata. Egli ha imparato qualcosa sull'inserimento sociale. Invece di andare come prima alla continua ricerca di gratificazioni, è disposto a fare ciò d1e si richiede da lui e a concentrare i suoi divertimenti nei momenti all'uopo destinati e lasciati liberi. Il suo interesse di vedere e di scovare gli intimi segreti dell'ambiente che lo circonda, si è trasformato in avidità di sapere e piacere di imparare. Al posto delle scoperte e delle spiega· zioni cui aspirava prima, è ora desideroso di conoscere le lettere dell'alfabeto e i numeri. A quelli tra Voi che fanno gli educatori nei centri di doposcuola sembrerà. probabilmente che io descriva il buon comportamento del bambino in tinte troppo luccicanti, così come nell'ultima conversazione avevo descritto in tinte troppo fosche i suoi difetti. Non si incontrano mai, mi direte, cosl bravi bambini. Non dovete dimenticare, però, che i centri, per come sono oggi, accolgono solo casi nei quali l'educazione pre<:edente, per qualche motivo interno o esterno, non è completamente riuscita a raggiungere i suoi scopi. Gli insegnanti della scuola
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normale, al contrario, riconoscer.:mno nella mia descrizione molti dci loro piccoli alunni e non mi accuseranno di esagerazione. Questo sarebbe un11 dimostrazione davvero m11gni6ca delle possibilità d'azione e dell'efficace influenza dell'opera educativa. I genitori, ai quali bisogn11 riconoscere in genere il merito della primissima educ11zione, hanno tutte le ragioni di compiacersi quando riescono a fare del lattante urlante, fastidioso e sporco, un composto scolaro che sta seduto al proprio banco. Pochi sono i campi al mondo, nei quali è possibile realizz:ue c:~mbiamenti di questa portata. Ma ammireremmo ancora più illimit::Jtamcnte l'opera compiuta dai genitori in questo campo, se nel giudicarne i risultati non fossimo costretti a fare due considerazioni. La prima deriva dall'osservazione. Chiunque ha occasione di frequentare o giocare con bambini di trè-quattro anni, rimane sorpreso dalla riccl1ezza della loro fantasia, dall'ampiezza del loro orizzonte, dalla chiarezza della loro intelligenza, dalla logica inesor::Jbile delle loro domande e delle loro conclusioni. Questi stessi bambini nell'età scolare sembrano all'adulto con il quale stanno maggiormente a contatto molto più ingenui, insignificanti e poco interessanti. Ci si domanda stupiti dove sono andati a finire il giudizio c l'originalità del bambino. La psicoanalisi ci riv.ela che queste doti del bambino non hanno resistito alle richieste postegli dagli adulti; dopo i primi cinque anni di vita queste doti sono andate pressoché perdute. Evidentemente non si educa· impunemente il bambino alla saggezza: le rimozioni che si rendono necessarie, le formazioni reattive e le sublimnzioni che occorre costruire vengono pagate a un determinato prezzo. In cambio vengono sacrificate l'originalità del bambino insieme ::J una buona dose delle sue energie e delle sue doti. Quando i bambini più grandi ci sembrano limitati e privi di iniziativa in confronto a quelli più piccoli, la nostra impressione è perfettamente giusta. Le limitazioni imposte al suo modo di pensare e gli ostacoli frapposti allo svolgimento delle sue attività originali si esprimono in seguito come limitatezza di pensiero e inibizione delle sue C::Jpacità d'azione. Se sotto questo aspetto non occorre che i genitori Vlldano tanto fieri dei loro risultati, anche in un altro senso il loro merito non è poi cosl indiscusso. Niente ci garantisce infatti che la saggezza del bambino cresciuto sia il prodotto dell'educazione e non semplicemente il risultato terminale clello sviluppo. Non abbiamo ancora clementi per decidere che cosa accadrebbe se si lasciassero sviluppare
in pace i bambini: non sappiamo se crescerebbero come piccoli selvaggi oppure se percorrerebbero da soli una serie di graduali mutamenti anche in assenza di un aiuto esterno. L'educazione influisce molto energicamente sul bambino in varie direzioni. Rimane aperto il quesito che cosa avverrebbe se l'ambiente degli adulti si astenesse da ogni intervento nei suoi confTOnti. Da parte psicoanalitica è stato intrapreso un importante esperimento, purtroppo non condotto a termine, per dare una risposta a questa domanda. Nel 1911 l'an::~lista russa Vera Schmidt ha fondato a Mosca un asilo per 30 bambini da uno a cinque anni. Il nome di Kinderhcim-Laboratorium da lei dato a questo istituto lo indicava come una specie di centro di ricerca scientifica. Il proposito della Schmidt era quello di affidare questo gruppo ridotto di bambini a educatrici scientificamente preparate, il cui compito era quello di osservare passivamente le V::Jrie manifestazioni emotive c pulsionali dei bambini e di intervenire nei cambiamenti che avevano luogo con aiuti e stimolazioni, ma ostacolandoli il meno possibile. In tal modo si sarebbe dovuto stabilire se le \'arie fasi che si succedono nel corso dei primi anni di vita del bambino compaiono e scompaiono spontaneamente ancl1e senu un intervento educativo diretto, e se il bambino, trascorsi determinati periodi, rinuncia anche senu esservi costretto alle sue attivi!~ piacevoli c alle fonti di pi::~cere, per passare ad altre nuove. Difficoltà esterne determinarono la chiusura del Kindcrheim-Laboratorium di Vera Schmidt prima che fosse possibile condurre a ter, mine il nuovo esperimento educativo su più di un solo bambino. La domanda di quanto merito vada attribuito alla prima educazione nei cambiamenti che si verificano nel hambino è dunque destinata a rimanere senu risposta fino a quando non sarà possibile intraprendere un nuovo esperimento in circostanze più favorevoli. Sia però che si debb:mo attribuire queste manifestazioni all'educazione impartita dai genitori, sia che si debhano considerare semplicemente una- caratteristica di quella et~, l'osservazione ci insegna comunque che tra i cinque e i sei anni la straordinaria forza dei moti pulsionali infantili cala lentamente. L'apice delle tempeste emotive e dei desideri pulsionali imponenti è gi~ stato superato intorno al quarto~uinto anno di vita; il bambino perviene gradualmente a una sorta di quiete. t. come se egli avesse preso una forte rincorsn per diventare grande tutto d'un tratto, cosi come l'animale C\•olve senu interruzioni dalla nascita fino alla maturitil. sessuale
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concludendo con questo le sue possibilità di cambiamento. Il bambino si comporta diversamente; a cinque o sei anni interrompe im· provvisamente il suo sviluppo pulsionale senza averlo portato a una conclusione definitiva. Egli perde l'interesse nel soddisfacimento delle sue pulsioni, che tanto ci aveva sorpreso nel bambino picrolo. Solo adesso egli comincia ad assomigliare davvero all'immagine del ubravo" bambino finora auspicata dagli adulti. Ma i moti pulsionali che finora avevano indotto il bambino ad ogni sorta di attività di soddisfacimento non sono scomparsi, solo si la· sciano notare meno all'esterno, sono latenti, dormono nel bambino per risvegliarsi con rinnO\'ato vigore dopo un certo numero di anni. La pubert~. che per tanto tempo è stata considerata il periodo d'insorgenza della pulsione sessuale, non è dunque altro che la ripresa di uno sviluppo iniziato alla nascita, arrestatosi alla fine del primo periodo dell'infanzia e che si avvia ora a termine. Se seguiamo la crescita del bambino dalla prima infanzia, attraverso questo periodo più tranquillo - il cosiddetto periodo di latenza, come lo chiama la psicoanalisi- fino alla pubertà, troviamo che egli rivive in una nuova edizione le antiche difficolt~ che nel frattempo si erano placate. Il rapporto emotivo che da piccolo aveva generato in lui i maggiori conflitti, sia che si tratti della rivalità con il padre o della rimozione particolarmente laboriosa di un soddisfacimcnto proibito, ad esempio l'amore per lo sporco, alla pubertà divampa di nuovo con singolare violenza. n primo periodo di vita del bambino presenta fin nei minimi particolari ampie analogie con l'epoca della pubert~. Nel tranquillo periodo di latenza, invece, il bambino somiglia già sotto molti aspetti a un adulto posato, misurato. Anche in questo l'educazione ha agito da tempo immemorabile come se fosse guidata da una valida comprensione psicologica della situazione interna del bambino. Essa si serve del periodo di latcnZll, nel quale il bambino. non è più esclusivamente assorbito dai suoi conflitti interni ed è lasciato in pace dalle sue pulsioni, per iniziare l'educazione del suo intelletto. Da sempre i maestri di scuola si sono comportati come se sapessero che in questo periodo il bambino è tanto più capace di imparare quanto più è libero daile pulsioni, c proprio per questo hanno condannato nel modo più severo e perseguito nel modo più intransigente ogni manifestazione pulsionale o attivit~ di soddisfacimento del bambino nell'ambito della scuola. A questo punto i compiti della scuola divergono da quelli dei centri di doposcuola. Scopo della scuola è innanzitutto quello di istruire, cioè
svilupp11re l'intelligenza, comunicare nuove idee, nuove conoscenze e possibiliU mentali. L'educazione nel doposcuola, invece, ha il compito di recuperare ciò che nella prima età del bambino è rim~sto incompiuto relativamente all'educazione pulsionale. Cii educatori dei doposcuola sanno di avere a disposizione per la loro opera un tempo limitato e sanno anche che la pulsione sessuale che torna a divampare alla puberU, sommergendo il bambino e assorbendone tutte le energie, pone llnche un termine alla sua educabilità. Il successo o l'insuccesso della sua educazione successivll dipende in molti casi dal fatto che, ancora all'ultimo momento, sia possibile indurre dall'esterno una ·ragionevole armonia tra l'Io del bambino, la pressione delle sue pulsioni c le richieste della società. Vorrete infine sapere quale rapporto esiste tra le possibilità educative nella prima infanzia e quelle del periodo di latenza. La situazione del bambino piccolo nei confronti dei genitori è diversa da quella del bambino più grande nei confronti dei suoi insegnanti ed educatori? L'educatore eredita semplicemente il ruolo dci genitori, deve fare la parte del padre o della madre, e alla pari di questi ricorrere alle minacce di evirazione, alla paura della privazione d'amore, alle dimostrazioni di tenerezza? Se pensiamo alle difficoltà che il bambino attraversa al culmine del complesso edipico, giustamente ci spaventa l'idea di dover partecip11re ad analoghi conRitti, moltiplicati nel rapporto tra scolaresca e insegnante. Non è pensabilc che un'educatrice possa svolgere con successo in un asilo il ruolo di madre nei confronti di un folto numero di bambini soddisfacendo le richieste di ciascuno di loro, senza suscitare da ogni parte selvagge esplosioni di gelosia. Altrettanto difficile deve essere per l'educatore, nella sua veste di padre di tanti bambini, rimanere perpetuo oggetto di timore, bersaglio delle tendenze sediziose degli alunni e contemporaneamente amico personale di ciascuno dì loro. Dimentichiamo però che anche la condizione emotiva del bambino è frattanto mutata; i rapporti con i genitori sussistono ma non più nella fonna precedente. A questa età la forza degli impulsi infantili comincia ad affievolirsi e diminuisce allo stesso tempo la passione per il padre e per la madre che ha dominato Ji.nora la condotta del bambino. Anche in questo caso non possiamo dire se il cambiamento corrisponde semplicemente alla nuova fase di sviluppo nella quale il bambino entra a questa età, oppure se è solo una conseguenza delle ripetute delusioni e frustrazioni inevitabilmente inRitte dlli genitod,
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ai quali il violento desiderio di amore del bambino gradualmente soggiace. Comunque il rapporto tra bambino c genitori si placa, diviene meno appassionato e perde il suo carattere esclusivo. Il bambino comincia a poco a poco a vedere i genitori in una luce più fredda, e a riportare la sopravv:~lut:~zionc del padre, che considerava finora onnipotente, alle sue dimensioni reali. L'amore per la madre, che al culmine del primo periodo era quasi un amore adulto, cupido e insaziabile, fa posto a una tenerezza meno esigente e non più così acritica. Contemporaneamente il bambino cerca di conquistare un po' di libertà dai genitori e si cerca nuovi oggetti di amore e di ammirazione oltre a loro. Ha inizio un piocesso di emancipazione che prosegue per tutto il periodo di latenza. ~ un segno di 'raggiunto SI'ÌIuppo quando con la pubertà ha termine la dipendenza dalle persone am~te durante l'infanzia. La pulsione sessuale, che attraverso il superamento di tutte le fasi intermedie ha raggiunto a quest'epoca la forma genitale adulta, si associa all'amore per un oggetto estraneo che non appartiene più alla famiglia. Questo distacco del bambino dai suoi primi, importanti oggetti d'amore riesce però solo a una precisa condizione. E come se i genitori gli dicessero: puoi allontanarti, ma a patto di portarci con te. L'influsso educativo dei genitori non si esaurisce cioè con l'allontanamento da loro c nemmeno con il Iaffreddamento dci sentimenti nei loro confronti, m:J da diretto diventa indiretto. Noi s:~ppiamo che il bambino piccolo esegue gli ordini del padre e della madre solo quando si trova a stretto contatto con loro c ha da temerne la censura diretta o il personale inten·ento. Lasciato solo, egli segue senza esitazione i propri desideri. Ma già dopo i due o tre anni la sua condotta cambia. Anche quando la persona addetta alla sua cduc:Jzione è uscita dalla stanza, egli sa perfettamente che cosa è permesso e che cosa proibito, e regola di conseguenza il suo agire. Noi diciamo che il bambino ila s1·iluppato, a prescindere dalle forze cile agiscono dall'esterno, una forza interna, una I'OCC interiore che decide il suo comportamento. Circa l"origine di questa voce interiore o coscienza, come la si definisce abitualmente, non sussiste alcun dubbio fra gli psicoanalisti: essa è la continuazione della \'OCe dei genitori che agisce ora solo dall'interno invece che, come· prima, dall'esterno. Il bambino ha per cosl dire assimilato un po' del p~dre o della madre, o meglio gli ordini e i divieti che da loro gli provenivano continuamente, e li ha
tramutati in una componente del suo essere. A mano a mano che il bambino cresce, questa parte introiettata dei genitori assume sempre più la funzione di promozione e proibizione nel mondo esterno, proseguendo internamente l'educazione del bambino, ormai indipendente dai genitori reali. Il bambino conferisce a questa parte della sua natura di derivazione esterna un posto d'onore nel suo lo, la considera come una sorta di ideale, ed è pronto a sottoporsi ad essa, non di rado in maniera molto più schiavistica di quanto si fosse sottGmesso a suo tempo ai genitori reali. Il povero Io dd b3mbino deve preoccuparsi d'ora in poi per tutta la vita di app:rgare le richieste di questo ideale, del Supcr-io, come lo chiama la psicoanalisi. Quando non gli obbedisce, il bambino sente l'insoddisfazione del Super-io come "insoddisfazione interna"; qu3ndo si comporta secondo il volere del Super-io, l'approvazione si tramuta in usoddisfazione interna". L'antico rapporto tra lxlmbino e genit01i continua dunque all'interno del bambino. Ancl1e la severità o l'indulgenza con la quale i genitori hanno trattato illxlmbino si rispecchiano nell'atteggiamento del Super-io nei confronti dell'Io. A. questo punto, riferendoci a quanto detto finora, possiamo affermare che il prezzo che il lxlmbino deve p:rgare per emanciparsi dai genitori è la loro incorporazionc. Il successo di questa incorporazione ci dà nel contempo la misura della stabilità dei risultati dell'educazione. Ora non ci è difficile rispondere alla domanda circa la differenza tra le possibilità educative nella prima infanzia e nel periodo di latenza. I primi educatori e il bambino piccolo si fronteggiano come due fazioni nemiche. I genitori vogliono qualcosa che il bambino non vuole, il bambino vuole qualcosa che i genitori non vogliono. Il bambino persegue i suoi scopi con tutta la sua passione; nei suoi confronti non rimangono ai genitori che le minacce o l'impiego della forza. Le due posizioni sono diametralmente opposte. Il fatto che la vittoria· stia quasi sempre dalla parte dci genitori deve ascriversi solo alla loro maggiore forza fisica. Del tutto diversi sono i rapporti nel periodo di latenza. Il bambino, che si trova ora di fronte all'educatore, non è più un essere indiviso; come abbiamo appreso, egli è internamente scisso. Anche quando il suo lo persegue casualmente gli antichi fini, il suo Super-io, cioè la continuazione dei genitori, sta dalla parte dell'cdu.:atore. A questo punto tocca all'acume degli adulti decidere la por-
tata delle possibilità educative. L'educatore agisce in modo sbagliato se nel periodo di laten:za tratta il bambino come se fosse in tutto e per tutto suo nemico; così facendo rinuncia a un grande vantaggio. Egli deve solo tenere presente la scissione che si è venuta a creare nel bambino e adattarsi ad essa. Se l'educatore riesce ad attirare dalla sua parte il Super-io e a coalizzarsi con esso, agiranno in due contro uno. Influenzare il bambino in un qualunque senso desiderato non gli costed. più alcuno sforzo. Anche alla domanda circa i rapporti tra l'insegnante e la classe o il gruppo di allievi è ora più facile rispondere. Da quanto precede abbiamo visto che l'insegnante eredita qualcosa di più dei semplici rapporti edipici del bambino. Finché ha in mano la guida del gruppo, l'insegnante assume nei confronti di ciascun allievo il ruolo di Super-io, acquistando in tal modo un certo diritto alla sua sottomissione. Se egli si limitasse a essere il padre dci suoi allievi, la sua persona convoglierebbe i conflitti tuttora insoluti della prima infanzia e il gruppo sarebbe dilaniato da meschine gelosie. Se invece riesce a diventare il Super-io comune, l'ideale di tutti, allora la sottomissione da forzata diventa volontaria, e i bambini del gruppo si coalizzano sotto di lui in una massa compatta.
4· I rapporti tra psicoanalisi e pedagogia
Signore c signori, non dobbiamo pretendere reciprocamente troppo. Da parte vostra non dovete aspettarvi che in quattro brevi conferenze io riesca a prescntan•i più dci principali fatti fondamentali di una scienza il cui studio ricl1iedercbbe altrettanti anni; da parte mia non devo attendermi che teniate a mente tutti i particolari _che vi ho esposto. Dal mio compendio molto conciso e probabilmente spesso sconcertante' potrete forse ritenere solo tre punti di vista caratteristici della psicoanalisi come direttive generali per il vostro lavoro. Il primo di questi punti di vista si riferisce alla divisione cronologica. Come avete appreso, la psicoanalisi distingue nella vita del bambino tre diversi periodi: la prima infanzia, che va pressappoco fino al termine del quinto anno di vita; il periodo di latenza, fino all'inizio della prcpubcrtà, all'incirca dopo gli undici, dodici o tredici anni, e la pubertà, che sfocia nell'eU adulta. Per ciascuno di questi periodi è normale e caratteristico un diverso atteggiamento emotivo del bambino nei confronti delle persone che lo circondano, e un diverso stadio del suo sviluppo pulsionale. Pertanto il giudizio su una particolnre caratteristica o su un certo modo di reagire del bambino non può mai prescindere dal periodo al quale tali fenomeni appartengono. Una manifestazione di crudeltà impulsiva o di impudicizia, ad esempio, che nella prima infanzia e alla pubertà fanno parte del normale sviluppo, nel periodo di lateO"ta sarà motivo di preoccupazione per l'osservatore, e nell'età adulta potrebbe essere giudicata una perversione. Un forte legame con le figure parentali, che nella prima infanzia e nel periodo di latenza è naturale e auspicato, è segno di un'inibizione dello sviluppo se persiste alla fine della pubertà; l'impulso alla riDellione e a una liberazione interna, che alla pubertà facilita l'ingresso nella vita adulta normale, nella prima infanzia o nel periodo di latenza può risultare di impedimento a un positivo sviluppo dell'Io. Il secondo punto di vista si riferisce alla strutturazione interna della personalità del bambino. Probabilmente finora vi siete figurati il b3mbino con il quale dovete lavorare come un essere unitario; conseguentemente non riuscivate a spiegarvi il suo comportamento
contraddittorio, il div:nio tra i suoi desideri e le sue possibiliU., la sproporzione tra i propositi e le azioni. La psicoanalisi vi mostra il bambino come un essere diviso in tre parti: vita pulsionale, lo, e Super-io che è il derivato del rapporto con i genitori. Le contrad· dizioni nel comportamento del bambino si spiegano immediata· mente quando si impara a riconoscere dietro alle sue reazioni quale di queste tre parti del suo essere si è arrogata il diritto di agire in quella data circostanza. Il terzo punto di vista, infine, si riferisce ai rapporti reciproci di queste diverse parti della personalità infantile, che non vanno immaginati come stati quicscenti, ma come forze dinamiche in lotta tra loro. L'esito di questa lotta unilaterale, ad ~mpio dell'Io del bambino contro un desiderio pulsionalc indesiderato, dipende dalla forza relativa dei singoli impulsi, cioè dalla quantiti}. di libido che il desiderio pulsionale ha a disposizione rispetto all'energia dell'op· posta tendenza alla rimozione stimolata dal Super-io. Temo però che anche questi tre concetti, benché semplificati e applicabili nella pratica, non vi offrano appieno quello che vi aspettavate dalla psicoanalisi in aiuto al vostro lavoro. Più che un ampliamento delle vostre conoscenze teoriche, cercate forse delle direttive pratiche da seguire. Volete sicuramente sapere quali sono i meui educativi più consigliabili; quali dovete evitare se non si vuole mettere a repentaglio l'intero sviluppo del bambino; soprattutto volete sapere se in generale bisogna ottenere e quindi esigere più o meno di quanto si era soliti fare finora. Per rispondere all'ultima domanda occorre dire cl1e la psicoanalisi ogniqualvolta è venuta a contatto con la pedagogia ha sempre espresso un desiderio di limitazione dell'educazione. La psicoanalisi ci ha messo chiaramente davanti agli occhi un preciso pericolo dell'educazione. Avete appreso con quali mezzi il bambino viene costretto a soddisfare le richieste del mondo degli adulti. Sapete che il bambino sUpera i suoi primi grandi legami emotivi identificandosi con le ligure amate e temute; si sottrae al loro influsso esterno ma contemporaneamente erige nel suo intimo, emulando quelle persone, un'istanza che continua all'interno a mantenerne l'influsso. Questa incorporazione dall'esterno all'interno costituisce il passo pericoloso. Grazie a essa i divieti e le pretese delle persone responsabili dell'educazione del bambino, diventano rigidi e immutabili, trasformandosi da qualcosa di vivo in un residuo storico incapace di adeguarsi ai progressivi cambiamenti esterni. I genitori erano ancora influenzabili
dai motivi razionali e accessibili alle esigenze di una situazione nuova. Essi sarebbero stati naturalmente disposti a permettere all'uomo di trent'anni ciò che avevano severamente proibito ~1 bambino di tre. Ma que\1~ parte dell'Io, che si è strutturata dal precipitato delle loro richieste, è inesorabile. E veniamo or:J ~d alcuni esempi illustrativi. Conosco un ragazzo che nei primi anni della sua infanzia era straordinariamente goloso. La sua passione per i dolci era troppo forte per poter essere appagata con mezzi leciti; perciò il bambino ricorreva ad ogni sorta di piani e di raggiri per procurarsi delle ghiottonerie; spendeva in questo tutti i suoi soldi e non badava a scrupoli quando si trattava di procacciarsene altri. Intervenne l'educazione: si proibirono al ragazzo le ghiottonerie, e l'attaccamento alla madre, che aveva preso tale iniziativa, conferl alla proibizione particolare efficacia. La golosità del ragaz.zo scomp~rve con soddisfazione degli adulti. Ma ancora oggi, che il giovane è adolescente, dispone di abbondanti mezzi e sarebbe libero di comprarsi i dolci di tutte le pasticcerie di Vienna, non è ancora in grado di portare alla bocc~ un pezzo di cioccolata senza arrossire violentemente. A vederlo in tali circostanze, si ha immediatamente la sens~zione che il giovane stia facendo una cosa proibita, stia mangiando qualcosa che ha comprato con denaro rubato. Vedete come la restrizione non cede automaticamente con il mutare della situ~zione di fatto. Il secondo esempio è ga menO innocuo. Un ragazzetto ama la propria madre con particol:~re tenerezza, non desidera altro che occupare presso di lei il posto di confidente e protettore che in rcalt~ spetta al padre, e di essere da lei amato più di chiunque altro. Il piccolo fa in più occasioni la sconvolgente scoperta che il padre è il legittimo occupante del posto cui egli stesso anela, ha il potere di allontanarlo in qualsiasi momento dalla madre e fargli rilevare la sua condizione di bambino inerme e impotente. La proibizione di aspirare alla posizione del padre è rafforzata in lui dalla paura di questo person'aggio, cui attribuisce una enorme potenza. Più tardi, da ::.dolescente, questo giovane mostra una penosa timidezza e insicurezza che si tramuta in un'insopportabile inibizione ogniqualvolta egli viene a trovarsi in casa o nei pressi della casa della ragazza che ama. Il contenuto della sua paura è l'idea che possa sopraggiungere qualcuno che gli spieghi che il posto dove siede o sta in piedi compete a un altro e pertanto non ha diritto a trattenervisi. A scanso di un:J situazione per lui indicibilmente penosa, egli dedica gran parte
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delle sue energie a preparare inoffensivi pretesti el1e rendano plausibile agli occhi di quest'altro la sua presenza in quel luogo. Un altro esempio ancora: una bambina molto piccola gode smisuratamente della nudità del proprio corpo, si mostra svestita a fratelli e sorelle, si diverte a correre completamente nuda per le stanze prima di andare a letto. Interviene l'educazione, anche qui con successo. La piccola si impegna diligentemente a soffoc:Jie queste sue tendenze. Il risultato è un grande pudore che l'accomp3gned negli anni successivi. Più tardi, al momento di scegliersi una professione, le viene proposta un'attività che la costringerebbe a dividere la camera con delle colleghe. Essa dichiara senza perplessità che tale professione non fa per lei. Dietro la motivazione razionale affiora infine il timore di doversi svestire in presenza delle compagne. L'interrogativo circa l'idoneità o la preferenza non ha in questo caso alcun peso rispetto alla forza del divieto ereditato dall'infanzia. Lo psicoanalista, la cui attività terapcutica consiste proprio nel risolvere queste inibizioni e questi disturbi dello sviluppo, impara veramente a conoscere l'educazione dal suo lato peggiore. In questi casi egli è costretto a pensare che è come sparare ai passc1i con dei cannoni! Non sarebbe stato meglio rinunciare al decoro e alle convenienze, consentendo al primo bambino di essere goloso, all'altro di fantasticarsi nel ruolo del padre, alla bambina di godere della p1opria nudità, a un quarto di giocare magari con i suoi genitali? Questi soddisfacimenti infantili avrebbero avuto davvero un significato paragonabile ai danni provocati in questo caso dalla buona educazione, alla scissione che si produce in questo modo nella personalità infantile o a questo mettere una contro l'altra le varie parti dell'individuo riducendo la sua capacità di amare e facendo forse di lui un individuo capace solo di consumare e di produrre? L'analista, cui tutto questo capita sotto gli occhi, si prefigge di non fare altrettanto, almeno per qu3nto riguarda la sua persona, e di lasciar crescere i figli liberi piuttosto cl1e educati in questo modo, e rischiare nel risultato finale una certa sfrenatezza piuttosto che imporre loro preventivamente una tale atrofizzazione della personalità. Ma certo sarete spaventati dall'unilateralità del mio modo di considerare le cose. E ormai tempo di mutare il punto di vista. L'educazione ci appare in un'altra luce se la consideriamo sotto il profilo dì un diverso risultato finale, ad esempio sotto l'aspetto della delinquenza minorile, come ha fatto August Aichhorn nel suo libro sulla Gioventù traviata (1925). Il bambino abbandonato o traviato, so-
stiene Aichhom, resiste ad ogni inserimento nella società umana cl1e lo circonda. Egli non riesce a inibire i suoi soddisfacimenti pulsionali; non può sottrane alle sue pulsioni sessuali energie sufficienti da poter impiegare per altre mete più apprezzate dalla società. Perciò egli ri_6uta di lasciarsi imporre quelle limitazioni che sono invece determinanti per la maggior parte dei suoi contemporanei e si sottrae parimenti alla sua parte di lavoro nella comunità. Chi abbia a che fare con lui sul piano pedagogico o psicoanalitico non può sottrarsi a una immediata impressione: il rammarico che nella sua infanzia non ci sia stata un'autorità in grado di imporgli dall'esterno delle inibizioni alla sua vita pulsionale che potessero successivamente trasformarsi in inibizioni interne. Prendiamo ad esempio una bambina cl1e ha richiamato l'attenzione del Tribunale minorile di Vienna. La bambina di otto anni aveva un comportamento impossibile sia in famiglia el1e a scuola. Tutti gli istituti di educazione o di cura la restituivano immancabilmente ai genitori nel giro di tre giorni al massimo: essa si rifiutava di impar
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animaletto spaurito che ha interrotto non solo il suo sviluppo morale, ma anche quello psichico. Nel suo libro Gioventù traviata. Aichhorn cita un altro grave caso di trascuranza, di un ragazzo che a partire dall'età di sei anni aveva trovato per anni presso la madre ogni sorta di soddisfacimento sessuale e finalmente, alla completa maturità sessuale, aveva vissuto con Ici in una vera intimità sessuale, cio~ aveva conseguito nella realtà ciò che generalmente impegna i suoi coetanei solo nella fantasia. Nemmeno questo ragazzo, però, era divenuto quell'individuo completo, coerente e vigoroso che ci saremmo aspettati dopo le esperienze negative precedentemente descritte in materia di educazione. Nel suo sviluppo si era verificato una specie di corto circuito: il precoce e concreto adempimento dei suoi desideri gli aveva risparmiato l'intero ciclo del ~diventare grande"; il desiderio di uguagliare il padre per raggiungere le stesse· possibilità di soddisfacimento era di\·cntato superfluo. Il ragazzo aveva evitato la scissione della personalità rinunciando però, in quanto superfluo, ad ogni ulteriore s\·iluppo. Voi penserete che il problema non è cosl difficile come io ve l'ho presentato. l disturbi dello sviluppo e la delinquenza sono i risultati finali estremi: uno sta a dimostrare l'influsso dannoso di una inibizione eccessiva, l'altro quello di una eccessiva permissività. Compito di una pedagogia psicoanalitica basata su clementi analitici è quello di trovare una via di mezzo tra gli estremi, cioè indicare per ogni età del bambino la giusta proporzione tra concessioni di soddisfacimenti e restrizioni pulsiona\i. Una discussione esauriente di queste nuove direttive pedagogicoanalitiche avrebbe potuto chiarirvi meglio il reale contenuto della mia comunicazione. Per il momento, però, questa pedagogia analitica non esiste ancora. Abbiamo solo singole persone che operano nel campo dell'educazione, si interessano a questo compito e che, essendosi personalmente sottoposte a un'analisi, cercano ora di utilizzare nell'educazione dei bambini ciò che hanno imparato nel corso dell'analisi relativamente alla loro propria vita pulsionale. Ci vorrà del tempo per completare la costruzione teorica di questa nuova scienza e tradurla in una ricetta pratica da poter poi consigliare per un'app\ic;nionc generalizzata. Ciò nonostante sarebbe errato concludere che la psicoanalisi non Ila fornito finora alla pedagogia se non delle direttive future, per cui ancora non merita che i pedagogisti impegnati nel lavoro pratico si
occupino di psicoanalisi e che sia forse preferibile dissuaderli ancora e invitarli invece a chiedersi nuovamente fra dieci o vent'anni che cosa sia stato compiuto nel frattempo nel campo dell'applicazione della psicoanalisi alla pedagogia. Voglio dire che già oggi la psicoanalisi contribuisce alla pedagogia in tre modi. Essa si presta alla critica delle forme educative esistenti. In quanto psicolOgia analitica, in quanto scienza delle pulsioni e dell'inconscio, in quanto teoria della libido, essa allarga nell'educatore la conoscenza dell'individuo, come avete potuto persuadervi nei corso delle prime tre conferenze, e approfondisce la comprensione dci complessi rapporti esistenti tra il bambino e gli adulti preposti alla sua educazione. Come metodo terapeutico, infine, come analisi infantile, la psicoanalisi si preoccupa di riparare i danni in Ritti al bambino nel corso del processo educativo. Daremo qui di seguito un esempio che illustra il secondo punto, cioè il chiarimento della situazione pedagogica attraverso i rctroscena inconsci del comportamento cosciente. Una eccellente pedagogista aveva iniziato la sua carriera di educatrice a diciotto anni, quando in seguito a disgrazie familiari dovette lasciare la casa paterna c accettare un posto di governante di tre ragazzi. Quello intermedio rappresentava un caso difficile: era rimasto indietro negli studi, si dimostrava timido, chiuso e poco sveglio, svolgeva in seno alla famiglia un ruolo subordinato, e veniva costantemente trascurato dai genitori rispetto ai due fratelli più dotati e più carini di lui. L'educatrice si gettò con tutta la sua ambizione e il suo interemmcnto su questo bambino conseguendo in un tempo relativamente breve i migliori risultati. Il ragazzo si affezionò a lei, si attaccò a lei più teneramente che a qualsiasi altra persona, divenne aperto e cordiale, si interessò in modo crescente agli studi; l'educatrice riuscl con i suoi sforzi a insegnargli in un anno il programma di due, colmando in tal modo il ritardo scolastico del ragazzo. A questo punto anche i genitori divennero fieri di questo figlio rimasto finora in sott'ordine -nel loro affetto: aumen.tarono le premure nei suoi confronti, migliorò il comportamento del bambino verso di loro c quindi anche verso i fratelli, finché finalmente il piccolo venne accolto nella cerchia familiare come un membro di pieno diritto. Questo, però, dette adito a una nuova difficoltà. L'educatrice, alla quale andava tutto il merito di tale risultato, cominciò a incontrare a sua volta delle difficoltà con il ragazzo, gli sottrasse il suo affetto, non riuscl più a venirne a capo, finché lasciò la casa, nella quale
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era molto apprezzata, proprio a causa del bambino che inizialmente aveva esercitato su di lei la maggiore attrazione. Un trattamento analitico al quale questa donna si sottopose circa quindici anni dopo a fini pedagogici, le fece conoscere meglio le circostanze. Essa stessa aveva fantasticato più o meno a ragione di occupare nella casa dei propri genitori la posizione di figlia non amata, nella quale aveva trovato agli inizi del proprio lavoro il ragazzo difficile. Essendosi sentita a sua volta trascurata, essa si era riconosciuta in lui, si era identificata con lui. L'amore e la cura che essa aveva adoperato con lui, volevano dunque significare che allo stesso modo avrebbero dovuto trattare lei per ottenere qualcosa. Il successo interruppe il filo di questa identificazione: l'allievo era diventato un essere indipendente che non aveva più nulla in comune con la yita di lei. Gli impulsi ostili nei confronti del ragazzo scaturivano unicamente dall'invidia: essa non riusciva a dargli atto di un risultato che Ici stessa non aveva mai raggiunto. Voi direte che fu un bene che all'epoca dei fatti questa educatrice non fosse stata ancora analizzata, poiché questa circostanza ci avrebbe privati di un bel risultato educativo. Io sostengo invece che si tratta di risultati acquisiti a troppo caro prezzo, che si pagano con i cattivi risultati ottenuti in tutti quei bambini che non hanno la fortuna di portare con sé i sintomi di una sofferenza che, rammentando all'educatore la propria infanzia, gli consenta di immedesimarsi nel caso. Voglio dire che abbiamo il diritto di pretendere che l'insegnante o l'educatore abbia imparato a conoscere e a dominare i propri conflitti prima di iniziare la sua opera pedagogica. Altrimenti gli allievi gli servono unicamente come un materiale più o meno adatto per scaricare su di loro le sue difficoltà personali, inconsce o non risolte. Ma anche il comportamento esteriore del bambino è solo di rado sufficiente per una sua valutazione. Riporto qui di seguito le note di un ragazzo, da lui dettate come primo capitolo di quello che sarebbe dovuto diventare un grosso libro, rimasto, come spesso accade con i bambini, allo stato di frammento. In che cosa sbagliano gli adulti Adulti ascoltate, in caso vogliate saperlo: non montateYi la testa, i bambini non possono fare tutto quello che possono fare i grandi, ma sono in grado di fare gran parte di quello che potete fare voi. I bambini non obbedimnno mai se per esempio ordinate loro: adesso spogliati, su, presto! In questo caso essi non si spoglieranno mai, non ci sperate. Ma quando glielo
dite con garbo, allora lo f~nno subito. Voi credete di poter f~re tutto ciò che volete, ma non ve lo mettete in. testa. E non dite sempre: devi fare questo e quest'altro! Nessuno deve dovere, quindi neppure i bambini. Voi credete che bisogna lavarsi. No. Allora dite: ~Bisogna lavarsi perché altrimenti tutti diranno, puah, quant'è sporco quello Iii e perciò bisogna·lavarsi. No, ma è per questo che ci si lava. Quando spiegate ai bambini che cosa devono fare è sufficiente, e non occorre dire loro continu~mente come devono farlo, poiché essi fanno quello che ritengono giusto, proprio come voi. E non dite sempre: non vi dovete comprare questo o quest'altro, perché quando i bambini spendono il loro denaro possono comprarsi quello che vogliono. Non dite sempre ai bambini: questo non lo sapete fare, perché i bambini sanno fare alcune cose meglio di voi e voi non volete crederlo e dopo vi meravigliate. Non chiacchierate tanto e lasciate parlare qualche volta anche i bambinil H
Supponete che queste dichiarazioni vengano trovate in una scuola e riferite al direttore. Questi did tra sé che si tratta di un giovane pericoloso che va tenuto d'occhio. Informandosi meglio apprenderà sul suo conto cose ancora· più sospette: il giovane fa discorsi oltraggiosi contro Dio, parla dci preti con espressioni irripetibili, e invita energicamente i compagni a non subire alcunché da chicchessia; vuole persino recarsi negli zoo per liberare gli animali ingiustamente imprigionati nelle gabbie. Un educatore conservatore della vecchia scuola direbbe: bisogna spezzare con tutti i mezzi l'opposizione di questo ragazzo prima che sia troppo tardi cd egli diventi un pericoloso nemico dell'ordine sociale. Un pedagogista moderno, riporrebbe proprio in questo ragazzo le maggiori spe-ranze e si aspetterebbe di scoprire in lui un futuro leader e liberatore delle masse. Devo informarvi che entrambi gli educatori hanno torto, e che qualsiasi azione educativa che essi possono intraprendere in base alla loro cognizione delle circostanze, risulterebbe dannosa e falsa. Questo bambino di otto anni è un piccolo innocuo codardo che ha paura di un cane che abbaia, che di sera non osa percorrere un corridoio al buio, che non è capace di far male a una mosca. Le sue diclJiarazioni sediziose·derillllno dal fatto che la passionalità dci suoi legami emotivi e l'intensa manipolazione del proprio membro, nei primi anni di vita, sono venute a cadere in seguito all'azione educatillll e a un intervento medico che ha avuto un effetto traumatico. Per assicurarsi contro nuove tentazioni, il bambino coltiva un'enorme paura di un castigo relativo alla parte colpevole del suo corpo: quella che in psicoanalisi chi~miamo angoscia di evirazione. Questa stessa paura lo porta a negare ogni autorità: se qualcuno detiene il potere
in questo mondo, egli si dice, ha anche il potere di punirmi. Quindi bisogna eliminare dal mondo ogni possibile potere, sia ce.leste che terreno. Quanto maggiore diventa la sua angoscia di fronte all'affiorare di una tentazione, tanto più egli cerca di superarla mediante innocui attacchi all'autorit.t Questo tipo di difesa ad alta voce non è del resto l'unico. Pur atteggiandosi a negatore di Dio, la sera questo ragazzo si inginocchia e prega di nascosto, costrettovi dalla paura, poiché pensa: Dio non esiste; però potrebbe esistere e in tal caso è meglio comportarsi bene nei suoi riguardi. Sono convinta che un ragazzo siffatto non divented mai una minaccia per l'ordine sociale né un liberatore delle masse. Egli non ha bisogno né di ammirazione né di severiU né di restrizioni, ma solo di ridurre ininterrottamente b sua paura fino a quando, liberatosi finalmente dal suo atteggiamento nevrotico, divented capace di go· dere e di lavorare. Il trattamento psicoanalitico, che può ottenere un risultato del genere, rappresenta il terzo contributo che la psicoanalisi offre alla pedagogia. Ma la descrizione di questo metodo, cioè dell'analisi infantile, esula dai limiti del presente corso.
L'influsso della malattia fisica sulla vita psichica del bambino 1930 1
1.
Introduzione
Vorremmo sapere quale influsso hanno sullo sviluppo psichico del bambino le numerose e inevitabili malattie fisiche dell'eU infantile, ma ci troviamo ostacolati nella valutazione del loro ruolo dalla limitatezza e unilateralit:i del materiale d'osservazione di cui disponiamo. Nella nostra epoca la specializ:zazione nel lavoro professionale con i bambini è molto ampia. Puericultura, educazione, istruzione, psicopedagogia, analisi infantile e pediatria sono campi professionali separati l'uno dall'altro. Chi lavora in un campo ha scarsa o nessuna occasione di farsi un'idea, anche solo da osservatore, di uno degli altri campi. Le maestre di scuole materne, gli insegnanti e gli analisti infantili non Seguono più i bambini loro affidati quando questi si ammalano; 2 pediatri e infermiere perdono contatto con i loro giovani pazienti non appena questi sono guariti. In definitiva solo le madri vedono i bambini in tutte le circostanze, da sani, da malati e da convalescenti, in condizioni fisiche e psichiche normali e anormali. Ma le madri di bambini malati non sono osservatori obiettivi. In periodi di gillve malattia il loro sguardo è offuscato dall'ansia per la vita e la salute del figlio; e anche in periodi di malattie lievi la loro attenzione si concentra inevitabilmente sulla necessità· della cura e dell'assistenza fisica. - Negli ultimi anni alcuni autori d'indirizzo analitico hanno intrapreso il tentativo di studiare l'effetto delle degenze in ospedale su bambini piccoli. Dobbiamo till gli altri a René Spitz (1945), James 1 Nella JMtsentc badu•ione ~stato. uhlizzata la quinta cdi•ione tcd= riuduta del1971, ~he riprende anche in olcune Mie aggiunte ncll'edi~ione in81CSC delsqs• 1 Un'cncomiobile eco:e:.ione a questa J>IOSSÌ ~ stata.in!Jodotb. dal do Ilor Milton J.E. Senn, del dipartimento di pediatria e PSichiotrio della Yalc Uni•usity School of Medicine di New Ha•en nel Connecticut.
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Robcrtson (1951), John Bowlby, Robertson e Roscnbluth (1952),l istruttive ricerche e film documentari in proposito, che però s'interessano non tanto dell'effetto della malattia stessa, quanto soprattutto della separazione del bambino piccolo dalla madre, resa necessaria dalla malattia. In tali ricerche la reazione del bambino alla
malatti:J, agli intCr\'Cnti fisici e al dolore fisico sta in secondo piano_ Il nostro materiale è un po' più ricco per quanto riguarda gli effetti psichici posteriori di malattie fisiche. I genitori che nel corso di un consulto medico descrivono i disturbi ncvrotici dei loro figli, spesso fanno risalire l'inizio delle diffico!U al momento in cui insorge una malattia fisica, dopo la quale il bambino sembrò essere "diverso". In alcu11i casi compaiono inoltre, per la prima volta durante la convalescenza dopo una malattia, gravi oscillazioni di umore, cambiamenti nei rapporti con i genitori e con fratelli e sorelle, perdita della fiducia in sé, esplosioni di collera. Riemergono in tali circostanze l'enuresi, l'imbrattarsi con le feci, disturbi dell'alimentazione c del sonno, angosce relative alla scuola e molti sintomi manifcstatisi in precedenza e da lungo tempo superati. Bambini le cui prestazioni intellettuali erano state precedentemente eccellenti, dopo una malattia spesso si mostrano annoiati e ap:~lici a scuola; albi appaiono invece, dopo le stesse esperienze, notevolmente maturati e progrediti. Come descrivono gli autori sopra citati, tali cambiamenti possono verificarsi in seguito a una degenza in ospedale c separazione dai genitori; ma avvengono anche ove l'ospedale non abbi3 parte alcuna e i bambini trascorrano il periodo di malattia nella propria casa, assistiti e curati dalla madre. Rispetto alla parte svolta dalla malattia fisica sulla vita psichica del bambino la degenza in ospedale non è che uno dci tanti fattori tra quelli che influiscono in maniera traumatica, disturbando e danneggiando lo sviluppo.
:z. Gli effetti dell'assistenza, delle misure mediche e degli interventi chirurgici · Prima di poter valutare esattamente il potenziale effetto traumatico delle malattie stesse, dobbiamo acquisire comprensione di tutta una serie di fattori che, pur essendo soltanto effetti collaterali della situazione di malattia, per il bambino sono però indissolubilmente 'Vedi anche Il. Frtud, R«ensione dd l'ilm "Il T"·o-Yar.Old ~s fo Hospitol~ di T•mes Robtrtson(19SJ).
legati ad essa. Per il bambino non c'è differenza tra le sofferenze "causate dalla malattia in sé e le sofferenze che gli sono in8itte dal mondo esterno per curare la malattia. Incapace di capire, indifeso e ;passivo, egli deve subire cntram~i i tipi di esperienza: Non ~i rad~ sono le sofferenze del secondo t1p0 quelle che hanno d maggLore SLgnificato affettivo nel determinare conseguenze posteriori o il danno i psichico del bambino nel periodo di malattia. 1 1
i Cambiamenti dell'atmosfera affettiva durante la malattia
La maggior parte dei genitori si comporta nei riguardi del bambino malato diversamente che con il bambino sano. Genitori con tendenze austere hanno paura di viziare il bambino in periodi di malattia; il loro metodo è di abbandonare il bambino quantO più possibile a sé stesso, di non "fare storie~ e di affidare la guarigione alla sua natura sana e ai processi spontanei di rccupero. La maggioranza dei genitori C3de nell'estremo opposto. Molti bambini non si sentono mai tanto circondati d'amore quanto in periodi di malattia; i bambini di famiglie numerose, a causa di una malattia infettiva e del conseguente isolamento da fratelli e sorelle, raggiungono la meta altrimenti irraggiungibile dei loro desideri: il possesso esclusivo, indiviso c incontestato della madre che li cura. Alcune madri, preoccupate per la salute del bambino in un periodo di malattia, mettono da parte tutte le esigenze dell'eduC3zione per assumere un atteggiamento permissivo a loro altrimenti estraneo. Altre, per la stessa apprensione, dimentiC3no le più elementari regole di un modo psicologicamente giusto di trattare il bambino che è loro altrimenti abituale: gli shock provocati da un'alimentazione forzata e da clisteri, le separazioni improvvise (per Iicovero in ospedale), bugie e inganni non contano per loro purché solo garantiscano la guarigione del bambino. Il bambino da parte sua reagisce traumaticamente a questi cambiamenti per lui incomprensibili nel comportamento della madre, non riesce più a orientarsi nello sconvolgimento dei valori affettivi e morali precedentemente validi, oppure non può più rinunciare, dopo la guarigione, al conseguimento di piacere che gli è stato consentito durante la malattia. Effetto dell'assistenza Noi comprendiamo meglio la reazione dci bambini alla situazione dell'essere assistiti per malattia confrontandola con le fre-
.,. quenti e meglio descritte reazioni degli adulti nella stessa situazione.' Un adulto affettivamente sano, ma fisicamente molto ammalato e nella condizione di dover essere curato non può fare a meno di sentirsi minacciato nella sua dignit~ umana. Si pretende da lui che rinunci ad ogni diritto di disporre del proprio corpo e che accetti passivamente ciò che altri ritengono opportuno. Lo si veste e sveste, lo si nutre e lava, lo si aiuta nell'orinare e defecare, lo si gira da una parte e dall'altra, lo si denuda in presenza delle infermiere e del medico, senza riguardo al sesso, al pudore e alle convenzioni. Le pratiche igieniche a cui è sottoposto non tengono in alcun conto le sue abitudini personali, le sue avversioni, i suoi desideri. In modo caratteristico molti adulti parlano di simili esperienze come di un uritorno allo stato d'impotenza dei bambini~. Da questo confronto dell'assistenza all'ammalato con le cure del bambino non dobbiamo tuttavia trarre la conclusione che sia più facile per il bambino malato che per l'adulto malat.o .far fronte alla situazione dell'assistito; è piuttosto vero il contrario~ H _graduale controllo delle proprie funzioni corporee, cioè l'autonomia nel mangiare, orinare, defecare, lavarsi, vestirsi ecc. è per il bambino una tappa molto importante sulla via dello sviluppo dell'Io; la crescente padronanza del proprio corpo è allo stesso tempo la misura della sua crescente indipendenza dal corpo materno e dalla supremazia materna. Ogni passo indietro su questa via causato dalle procedure di assistenza per una malattia (o a causa dell'indebolimento del corpo) costituisce perciò una perdita parimenti grande rispetto alla funzione dell'Io, vale a dire una regressione a livelli precedenti, più passivi, dello sviluppo infantile. Bambini che si difendono con particolare intensiU. dalla loro passività, si oppongono a una tale regressione indotta dall'esterno con la massima violenza, e sono pazienti difficili, intrattabili; altri ricadono senza opporre resistenze nella condizione infantile d'impotenza, che er<1 per loro quella naturale ancora poco tempo prima. Le_ t:IP?_cità dell'Io_ appena acquisite_ e non ancora saldamente a_ncoiafé sono le p[iffie che in tali circOstanze vanno perdlltC.-MOite madri dicono che i loro bambini dopo la malattia hanno
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dre si allontani da loro ecc. 'Si veda • tale proposito The Middle of the Toumoy di Li<:> nel Tri!ling (19•7) do•·e si lrovoun'cf6caee:dettritiouediunintdlcttuoleadultocheto<noadaverelorespaas:obil•ti delloproprios:olutedOpOcssere•totooni•titoecuratodu111nteuuera.vemolottU.
Limitazioni della liberU. di movimento, dieta ecc. AJJ.cora più difficile che la rinuncia ai progress_i dell'Io_ sopra descritti è per la maggi~_a~!e_~_e_i}>_am~ini Ia.rinuncia_o la 1~~-i~zi'?ne àìla-m;ertfd.C InOvimento. Ove il tipo o la graviti\ della malattia stessa""!lòn.lO-feii:dà"·i~;;;;;ibile, i bambini difendono il loro difitto al movimento fino all'estremo. Ogni madre sa quanto sia difficile far stare a letto i bambini a casa, quando abbiano malattie lievi. Bambini piccoli che banno appena imparato a camminare, stanno in piedi nei loro lettini aggrappati alle sponde (anche in caso di malattie infantili gravi come ad esempio il morbillo) finché non siano tanto esausti da doversi coricare.' Alcuni pediatri progressisti, conoscendo questo stato di cose, rinunciano addirittura in tali circostanze J- prescrivere che il bambino venga tenuto a letto. 6 Che cosa significhi per il bambino la liberU di movimento si può studiare nel modo migliore in quei casi in cui i bambini devono essere immobilizzati dopo un intervento chirurgico o per un trattamento ortopedico. Le conseguenze di tale limitazione del movimento sono state descritte e commentate da un certo numero di a"ùtòi-i- d;iri"dirizzo psicoanalitico. Ad esempio David Levy (1928, 1944) indica l'influsso della limitazione del movimento degli arti su movimenti stereotipi e ticcosi che compaiono in altre parti del ~o_rpo; Mahler, Luke, Daltroff (I94S) descrivono le differenze tra la limitazione del movimento indotta meccanicamente e quella indotta psichicamente. Greenacre (1944) esamina il significato di tale limitazione per la diminuzione della scarica dell'aggressività e dèlla scarica di tei:Jsione in generale con la conseguente SOVTaerotizznionc_ di tut~o il corpo. Thcsi Bergmann (1945), in base alle osservazioni ·di- ~D. lavoro triennale in un reparto ortopedico, descrive i meccanismi di difesa che consentono al bambino di sopportare le limitazioni impostegli. Essa illustra come alcuni bambini diventino tanto più docili quanto più rigide sono le misure limitanti, 'Sivedano,perc<mtJo,\eoss"""zioniallcpp.I44'U· •La dotloTcssa Ebic Wri8ht, in paSS>.to m~dioo •ll'o$pcdale ~iai:Jioo di Ncwcutle on TynC,IU1cilbum. .. rt.aimpressionenel•949,tUiporteçipantiallascuolaeosti.. perinfermierede\C=selHolpital,dkondocheneirepa•tiinfantilinondovcvaeuercirigiditànel oosltingoreibambiniRletto;eJD$0fincSI:Joss,I>O
ne descrive però anche le esplosioni d'ira e di collera che sopravvengono quando le limitazioni sono nuovamente ridotte (non eliminate) o quando il bambino subisce frustrazioni ulteriori, inattese, non collegate con le prescrizioni mediche. La stessa autrice sottolinea una duplice relazione tra gli arti immobilizzati e altre parti del corpo o funzioni: in alcuni casi l'immobilizzazione di un arto si estende come inibizione nevrotica ad altre parti, sane, del corpo; in altri casi il bambino compensa la perdita della libertà di movimento dell'arto malato con un ipersviluppo di capacità e funzioni in altri campi (ad esempio del linguaggio). Sara Dubo (19)0) d~rive processi analoghi in bambini affetti da tubercolosi polmonarc. Molte osservazioni, non messe per iscritto, di genitori e insegnanti, confermano le esperienze or ora citate. t noto a tutti che si rafforzano le tendenze aggressive durante e dopo l'immobilizzazione (ad esempio per un'ingessatura).(L•aggressività trattenuta si manifesta abitualmente in irrequietezza, aumentata irritabilità, nell'uso di pa· role ingiuriose ecc? In confrontO con questo blocco massiccio di tutto un sistema di scarica, le limitazioni relative all'alimentazione imposte ai bambini durante la malattia sono d'importanza minore. Nella malattia acuta il normale calo dell'appetito aiuta il bambino ad accettare la dieta ri· chiesta dalla malattia. Soltanto i bambini con forti fissazioni orali, per i quali il cibo o le privazioni alimentari hanno un elevato significato libidico, reagiscono alla dieta con fantasie di cattivo tratta· mento e sottrazione d'amore. Nelle malattie croniche (come diabete, disturbi renali, coliti, allergie) cile richiedono una dieta cronica esiste il pericolo che i bambini in questione reagiscano con senti· menti di essere diversi, respinti, trascurati oppure - per non sentirsi passivamente defraudati - sviluppino tendenze ascetiche, di autonegazione. In complesso, al bambino malato è meno dannoso il rifiuto di un cibo desideratO che l'imposizione di un cibo a lui sgradito da parte di una madre ansiosa. Le madri che costringono il 6glio malato a mangiare, trasformano spesso una malattia peraltro lieve, passeggera, in punto di partenza di gravi, duraturi disturbi dell'alimentazione. 'Nel corso dd mio ia•·oro psicoan•litico ho conosciuto una aiov•ne p;~o.ientc che d• l>ombina era stata immobili•uta per lunghi periodi ai fini di un• cun ortopedica. E... pog.>vale •miche, •ttiniC1ldoai suoi ri•panni, per ogni nuova impr=zione che csu:lc ripOrtavanod•SCIIob.L'usodiporobo;ceeral'unicosfogopcrl"agares.ivitl•ccumu\at•.
Fanno rivivere in tal modo conflitti che hanno la loro origine nel periodo dell'allattamento, dello svezzamento ecc. A molti bambini l'ingestione di medicine crea grosse difficoltà, che essi sono soliti razionalizzare adducendo il cattivo gusto o il cattivo odore della medicina stessa. Un'indagine analitica scopre immancabilmente dietro tali motivi manifesti la presenza di fantasie inconsce nelle quali il bambino si crede assalito, avvelenato o fecondato dalla madre. L'assunzione di purganti, che inducono la defecazione senza intervento del bambino, costituisce forse l'anello di congiunzione tra la realtà e queste paure inconsce. Relativamente alla limitazione del movimento e alle privazioni alimentari non è irrilevante ricordare che entrambi i tipi di misure sono state in uso da sempre come mezzi educativi. l genitori, ancora ai nostri giorni, per punizione confinano i figli nella loro stanza o li mandano a letto o li privano dei loro cibi preferiti. In taluni ambienti è in uso persino la somministrazione forzata di purganti. Operazioni clJirurgiche Dalla scoperta del complesso di evirazione, gli psicoana\isti hanno sempre avuto nuove occasioni di costatare quale influsso sia esercitato da un intervento chirmgico per uno sviluppo normale o anormale. Noi sappiamo oggi che qualunque operazione eseguita sul corpo del bambino può servire da punto centrale per l'attivazione, riattivazionc e razionalizzazionc di fantasie di violentamento e di evirazione. Sia che si tratti di piccola o grande chirurgia, il bambino interpreta l'azione del chirurgo nel senso della sua costellazione pulsionale presente o regressivamente degradata. Il significato dell'operazione per il bambino dipende perciò non dal tipo o dalla gravità dell'ope· razione stessa ma dal tipo e dal livello delle fantasie che da essa vengono risvegliate. Bambini che proiettano sulla madre la loro propria aggressività _infantile vivono l'operazione come un atto di vendetta perpetrato dalla madre (Melanie Klein); bambini nella fase edipica sperimentano l'operazione come simbolo di ciò che secondo la loro rappresentazione si svolge nelratto sessuale tra i genitori, ovc il bambino stesso, nella fantasia, fu la parte del partner passivo. l bambini che si trovano sotto la pressione del complesso di evirazione percepiscono l'operazione come una mutilazione, come puni· zione per le tendenze aggressive, i desideri esibizionistici, la gelosia edipica e l'attività onanistica. Se l'operazione ~ effettuata sul pene
stesso (circoncisioni dopo il primo anno di vita), insorge immancabilmente nel bambino angoscia di evirazione, in qualunque stadio dello sviluppo libidico egli si trovi. D'altra parte, nello stadio fallico, dello sviluppo, ogni parte del corpo sottoposta a operazione può assumere, mediante spostamento, il ruolo del genitale, L'esperienza dell'operazione conferisce alle fantasie rimosse un aspetto di realU, moltiplicando così le angosce che vi sono connesse. Il bambino si trova ora sotto la pressione di due pericoli: un pericolo reale, derivante dal chirurgo, e un pericolo interno, derivante dall'intensi6carsi delle paure fantastiche. Alcuni bambini superano questa situazione con l'aiuto dei loro meccanismi dell'Io;-altri, sotto la pressione delle paure, intensificano i loro metodi dì difesa 6no alla formazione di sintomi nevrotici; altri ancora, con un lo più debole, reagiscono con stati di panico al trauma vissuto. In un simposio sulle reazioni emotive di bambini a tonsillectomie e adenotomie (vedi Symposium, 1949), psicoanalisti, pSichiatri, pediatri e psicologi hanno discusso misure preventive per ridurre l'effetto traumatico dell'operazione sul bambino. Essi distinguono tre fattori principali di pericolo: l'anestesia, il ricovero in ospedale, l'intervento chirurgico. Tra le misure proposte, le più importanti sono le seguenti: scelta del momento giusto per l'operazione; accurata preparazione psichica; 8 aiuto psichiatrico durante l'esperienza; possibilit;i di espressione e scarica degli affetti. Abbiamo spesso occasione nel corso di analisi di adulti di studiare gli effetti posteriori di operazioni subite nell'infanzia. Nel paziente maschio non è in generale l'angoscia di evirazione ma sono il desiderio di e~irazione, le tendenze passivo-femminili che vengono stimolati dall'operazione. Il bambino esperimenta allora l'intervento chirurgico come seduzione alla passività, a cui egli cede con conseguenze disastrose per la sua virilità o contro il quale deve difendersi con l'aiuto di una difesa patologicamentc esagerata. Entrambe le reazioni conducono ad alte·razioni anormali e permanenti del carattere.9 'l ifnito•i ehi~doao ~pe$$0 quanto ttm-po prima dell'opetazione devono infomu•e il bombino di ciò che lo aspetta, Non ~ !.elle d:nc una ri1po1lll. O.e 11 periodo di attesa sia lroppolungo,prendoooilsoptawmtofanlasiedell'Es;ovelialroppobreve,l'lononha abl:i"di[oy«!R.oberlsom(sQS6).)
0Vedi lo •tudio di S. D. Lipton (•96•) della tonsillectomia e>'Cguilll in c~ infantile come un'espc:rienu c-omplcw che pub .epatc pr«IUinmodononfacllcdap:revcdere.
3· Gli effetti del dolore fisico e dell'angoscia II significato psichico del dolore fisico
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l bambini reagiscono agli avvenimenti riguardanti il loro corpo in pJ.odo molto vario, diverso da individuo a individuo e per gli adulti .'spesso difficilmente comprensibile. Ciò che un bambino esperimenta lcome dolore violento, insopportabile, da un altro viene appena avJvertito. L'indagine analitica di queste vistose differenze mostra che il divario non consiste tanto nell'esperienza del dolore quanto nel ·grado in cui al dolore fisico si sovrappone il significato psichico. Qualunque cosa avvenga negli organi interni o qualunque cosa ac'cada al corpo dall'esterno, il bambino piccolo è comunque incline ·ad attribuire il fatto penoso a istanze esterne (o alla loro imago 'intcriorizzata). II bambino sente dunque i suoi dolori fisici come la :conseguenza di un'aggressione e perciò si sente !!:l dolore trattato male, minacciato, punito, perseguitato, in pericolo.)! bambino CO• 1raggioso, che non accusa il. male fisico, in. r~ltii nort soffre meno ~i un altro; solo è meno dommato da fantas1e mconsce collegate con 1l dolore. Anc.~e dolori fisici molto intensi vengono sopportati bene daL.bambino filìChriiOii ·siano-investiti ·da· angOsce~ pr~~ièiifi' da fonti. inconsce. Ovc l'angoscia aumenti il do.J~uesto divC:mt.iP_er il bambino un avvenimento essenziale, del qu_ale si ricor~erà a l~ngo e contro la cui ripetizione egli cirChCrà-di -p-rOtèggéisi cOii-fniSUre difensive fobiche. · ·-·-·A seconda del significato psichico della singola esperienza dolorosa il bambino reagisce oltre che con angoscia anche con rabbia, senti· menti d:ira e di vendetta, c talvolta anche con sottomissione masochistica, sentimenti di colpa e stati depressivi. 1
Dolore e angoscia nella prima infanzia Ancora più difficile che. nella tarda infanzia è valutare corretta· mente, nell'osservazione dei baTnbini molto piccoli, la mescolanza di elementi psicologici e fisiologici nell'esperienza del dolore fisico. In questo stadio dello sviluppo il bambino probabilmente sente ogni tensione spiacevole come dolorosa, senza molta differenza tra il più diffuso disagio e il dolore chiaramente circoscritto proveniente da una determinata parte del corpo o da un determinato organo. Nei primi mesi di vita la soglia di stimoli è più bassa che in seguito; non ci vuole molto perché una "sensazione di dispiacere diventi un trauma.
L'osservatore deve inoltre evitare di giudicare la portata dello shock dalla reazione del bambino.: l b:i.iibini al di sotto di un anno reagiscono a stimoli dolorosi talvoli:i-ìmiDédiatamcnte, talvolta dopo intervalli di varia durata; talvolta il_dolore fisico non piovoca asso-
lu~;:~!~r~1~~~:;l~i;~~n:~;:~~--~·iverse
non sono d'accordo su quale sia l'eU a partire dalla quale l'esperienza fisica dolorosa viene accompagnata da rappresentazioni p"sichiche. In bambini più grandicelli (dai due ai tre anni) si può osservare che vaccinazioni,. iniezioni è cure a raggi ultravioletti provocano reazioni psichiche quasi. identiche, sebbene le prime due causino dolore. (e angoscia) e le altre sOlo angoscia c non dolore fisico. Legami passivi con il pediatra Il significato psichico dell'esperienza dolorosa rende comprensibile il motivo per cui molti bambini non solo temono ma anche amano il medico (e altre persone che debbano loro infliggere dolore fisico). L'esperienza del dolore richiama impulsi passivo-masochistici d1e hanno una grossa parte nella vita amoroS:l infantile. Il legame del bambino con il medico o l'infermiera spesso si rafforza particolarmente il giorno dopo una procedura medica dolorosa. Reazione al dolore fisico come fattore diagnostico Nella fase edipica del bambino maschio la reazione al dolore - o
la non reazione - è un indice utile per la diagnosi differenziale tra autentica virilità fallica e comportamento aggressivo eccessivamente virile sviluppato come difesa da tendenze passivo-femminili. Il bambino autenticamente virile non dà peso ai dolori fisici, mentre quello solo reattivamente virile perde il suo equilibrio psichico anche per una minima lesione fisica.
4- Gli effetti' della malattia Alterazioni libidiche Le reazioni manifeste del bambino all'assistenza medico-sanitaria e alla dieta, al dolore e all'angoscia non devono distogliere il nostro interesse da altri processi signiti.eativi e gravidi di conseguenze che si svolgono contemporaneamente silenziosi e sotto la superficie. Si tratta di cambiamenti nell'investimento libidico, determinati dal-
l'aumentata richiesta libidica del corpo malato. Alcune madri sanno cogliere con occhio acuto i segni esteriori di questi processi interni c sono in grado d'indovinare da essi l'avvicinarsi di una malattia, talvolta molto prima che si manifestino i primi sintomi fisici di rilievo. • I bambini reagiscono in due modi diversi all'aumentata richiesta Jibidica del loro corpo. Alcuni, che da sani hanno un buon contatto con il mondo circostante, i giocattoli, gli avvenimenti quotidiani, si distaccano da tutto all'inizio di una malattia, c si rannicchiano fiacchi e annoiati, in un angolo. IO Al culmine della malattia se ne stanno immobili nel letto, il viso rivolto verso il muro, e respingono giocattoli, cibo c gli approcci affettuosi di altre persone. D:mno l'impressione di essere malati gravi anche quando non hanno altro che mal di gola, mal di pancia, una leggera febbre o una comune malattia infettiva dell'infanzia, e in ogni caso spaventano non poco le madri con questo vistoso cambiamento del loro modo di essere. In realtà questo cambiamento non è condizionato fisicamente, bcnsl psichicamente, e si sbaglia se dalla sua gravità si giudica la gravità della malattia. Il bambino ritira la libido dal mondo circostante e ne investe il suo corpo divenuto bisognoso per la malattia. Il processo suscita una cattiva e inquietante impressione, ma in realtà è benefico, cioè favorevole alla guarigione. I bambini di un secondo tipo libidic:o si comportano, per cause ancora inspiegate, in modo opposto. Incap:1ci di assegnare al proprio corpo malato l'investimento supplementare che esso richiede, si aspettano questo supplemento di amore e di attenzione dalla madre che li cura e diventano così esigenti, lamentosi e dipendenti dalla presenza della pcrson:1 cl1e li assiste in un modo che non corrisponde più alla loro età. Si comportano come lattanti, cioè come nel periodo di vita in cui l'investimento del corpo infantile con la libido materna è il fattore principale, el1e protegge il bambino dal danno, dalla distruzione e autodistruzione (Hoffer, 1950). L'osser\•atore superficiale nota soltanto che i bambini malati del primo tipo sono "privi di pretese", quelli del secondo tipo "pieni di prestcse". In entrambi i casi il graduale recupero della salute va di pari passo con la graduale normalizzazione della distribuzione della libido, certo non senza difficoltà e ricadute, nel corso delle quali il bambino non riacquista :mcora completamente la sua natura "Nondimcnticbiamochelasvo,liatcuohoonc]Lccaur;c:6sichc.
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preçedente. In taluni casi l'anormale distribuzione della libido permane anche per un tempo prolungato e produce i cambiamenti di personaliU sopra descritti, che si manifestano dopo molte malattie e sono altrimenti inspiegati. Il corpo del bambino come propriet~ della madre. L'ipocondria Nonostante tutte le aspettative contrarie delle madri, i bambini, anche quando hanno superato da tempo lo stadio della prima infan· zia, non sono in grado di provvedere al proprio corpo, di adempiere senza sorveglianza alle prescrizioni dell'igiene c di curarsi della propria salute. Ogniqualvolta una madre si vanta orgogliosamente che
suo figlio senza che glielo si chieda si lava le mani prima di mangiare, possiamo dimostrare che il bambino in questione è un carattere os· scssivo, e il suo senso della pulizia, apparentemente ragionevole, è una difesa nevrotico-ossessiva magie<~ contro pericoli fantastici. I bambini che si proteggono dalle correnti d'aria e dal freddo, lo fanno perché hanno angosce di morte; quando sono molto prudenti fi. guardo a ciò che mangiano, la ragione è che hanno idee di avvelenamento; quando sono misurati o austeri nel mangiare, si difendono da fantasie di gravidanza. I bambini che rientrano nella media nor· male non osservano nessuna di tali precauzioni. Mangiano con le mani sporche, si rimpinzano, piacciono loro le mele verdi e in genere la frutta acerba, sfidano il freddo e l'umidiU. se non interviene la madre a impedirglielo con le buone .o con le cattive, con minacce o punizioni. Se succede qualche danno al loro corpo, nel migliore dei casi si lasciano curare dalla madre, quando invece non si oppongano anche qui con tutte le loro forze alle cure. Si comportano come se il buon mantenimento del proprio corpo non fosse affar loro, ma esclusivamente della madre, e persistono in tale atteggiamento, che chiaramente è un elemento importante del r;~pporto madre-figlio, fino all'età adulta. Ancora nella pubertà, prima che il giovane individuo acquisti la piena indipendenza dai genitori, la trascuranza di tutte le regole dell'igiene è spesso un punto centrale delle più accanite divergenze d'opinione che si presentano tra gli adolescenti e le loro madri. Nel caso di bambini orfani di madre, abbandonati o ricoverati in istituti, la situazione è del tutto diversa. Lungi dal godere della Ji. bertà dalle ansiose cure materne (come ci aspetteremmo considerando la costante ribellione dei bambini che hanno una madre), i bambini senza madre si curano in maniera del tutto sorprendente del pro-
prio corpo. In un istituto per bambini piccoli che io conosco, era spesso difficile persuadere un bambino a togliersi il golfino o il cappotto anche se faceva caldo. uPotrei prendere un raffeddore" era l'obiezione. Altri ancora richiedevano e portavano coscienziosamente le soprascarpe "per non bagnarsi i piedi". Alcuni bambini chiedevano ansiosamente se dormivano abbastanza a lungo, altri se venivano nutriti nella maniera giusta. Era come se tutti i timori per la salute del bambino, che sarebbero stati propri di una madre, fossero stati assunti dai bambini stessi dopo la separazione o dopo la perdita dell'assistenza materna, e ne determinassero il comportamento. Nell'identificazione con la madre temporaneamente assente, o perduta per sempre, il bambino prende il suo posto nei confmnti del proprio corpo e incomincia a curarsene come ha fatto la madre in passato.11 Un tale comportamento dei bambini verso il proprio corpo ricorda in modo appariscente il comportamento dell'ipocondriaco adulto, alla cui comprensione possiamo forse accedere da questo punto di partenza. Il bambino privato dell'assistenza materna assume nei confronti di sé stesso la parte della madre che lo cura, e gioca a "madre e figlio" con il proprio corpo. L'ipocondriaco adulto, che ritira la sua libido dal mondo oggcttuale per concentrarla sul proprio corpo, agisce in maniera simile. Il suo corpo sovrainvestito di libido rappresenta lui stesso da bambino, di cui il suo Io adulto assume la tutela neJla parte della madre. Quanto più forte è l'identificazione con la madre amorevole e con le sue cure per il lattante, tanto più aumenta la sensibilità. per tutti i processi che si svolgono all'interno del corpo. La fase ipocondriaca che precede tante malattie psicotiche corrisponderebbe quindi a una regressione, cioè a un ristabilimento simbolico della primitiva unità. corporea tra madre e figlio. 5· Riepilogo A seguito delle ricerche mie e di altri sul fenomeno dell'angoscia di separazione infantile (conseguente all'ospedaliuazione ecc.), ho preso in esame, nel presente lavoro, altri fattori che svolgono una parte nella reazione psichica del bambino alla malattia fisica. Le conseguenze delle_ misure mediche e assistenziali, su cui può in"2 illu•tt~tivo l.'c.w:mpio di un bambino di sci onni orfano di m~drc. In un prolung:,to atta«:a noUumo d1 vomito lo •i scntt dire Ira .t t~: "lo, coro m1o.~ Alla domanda cbc volesse dire risp<>'lc: ~che mi voalio bene. Uno deve voleni b
C0'4 ci~
... Ruire l'ambiente, vengono distinte dai fenomeni che- come l'effetto del dolore e gli spostamcnti libidici -sono condizionati dal processo patologico stesso. Il comportamento di bambini trascurati, che curano il proprio corpo assumendo il ruolo della madre, viene para-
gonato a quello dcll'ipocondriaco adulto che dopo il ritiro della libido dal mondo oggettualc gioca a "madre c figlio" col proprio
corpo. Tornando ai problemi dell'angoscia di separazione e dell'ospcdalizzazione, sottolineo ancora una volta quanto sia grave e pericoloso separare un bambino piccolo dalla persona che legittimamente considera proprio il suo corpo quando questo corpo è malato, cioè è
minacciato da pericoli esterni c interni.11 "[Aicunipuntiquitraltoti•ono•t•tiripTesi•ueccS>i•·•mtntoinoltri!CfittidiA.Froud, odcsc:mpioin:Rilpollc~domondcdipediotri(I<JS9).)
L'IO E l MECCANISMI 01 DIFESA
L'Io e i meccanismi di difesa 1936
Prefazione all'edizione del 1(}66 Come indicato nel titolo, questo libro si occupa esclusivamente di un problema particolare, e cioè dei modi e dei mezzi con i quali l'Io respinge il dispiacere e l'angoscia, ed esercita un controllo sul com· portamento impulsivo, sugli affetti e sui moti pulsionali. Indagare su un'attiviU dell'Io in questa diligente maniera, c trattarla alla pari con i processi che si svolgono nell'Es inconscio era un'impresa relativamente nuova all'epoca a cui risale la pubblicazione originaria di questo scritto. Molto è cambinto a questo riguardo nei trent'anni che sono trascorsi da allora, 6no a che, attualmente, l'Io come struttura psichica è divenuto oggetto legittinio dello studio psicoant~litico. Se nel 1936 era sufficiente enumerare e illustrare i meccanismi dell'Io, studiarne la cronologia e valutare la parte svolta dall'organizzazione delle difese nell'insieme per il mantenimento clelb salute o della malattia, non si può più fare questo oggi senza porre le acquisizioni difensive dell'Io in relazione con i suoi altri aspetti, cioè con le sue deficienze primarie, i suoi appt~rati e le sue funzioni, le sue autonomie ccc. Ho ritenuto cl1e incorporare tali questioni nei Meccanismi di difesa non fosse cosa fattibile senza una revisione di ampia portata e senza distruggere inevitabilmente l'unità e l'utilità circoscritta immediata del libro. Per questa ragione ho deciso di lasciare intatto il testo originario, rinviando per il pensiero più recente a un altro volume nel quale sono studiati gli aspetti della Normalid e patologia nell'et~ infantile (1965), con speciale riguardo alle implicazioni evolutive e diagnostiche. Londra, febbr•io 1966
Capitolo
1
L'Io come sede dell'osservazione
Definizione della psicoanalisi In certi periodi dello sviluppo della scienza psico~nalitica, lo stu· dio teorico dell'Io dell'individuo era decisamente impopolare. Per una ragione o per l'altra, in molti analisti era sorta l'idea che l'operatore scientifico e terapeutico nel campo dell'analisi fosse tanto migliore quanto più profondi erano gli strati psichici ai quali volgeva il proprio interesse. Ogni ascesa dell'interesse dagli strati psìchici più profondi a quelli più superficiali, cioè ogni passaggio dell'indagine dall'Es all'Io, era considerato come un inizio di diversione dalla psicoanalisi in generale. n termine psicoanalisi doveva essere riserv<~tò esclusivamente alle nuove scoperte concernenti la vita psichica inconscia, cioè alle nozioni acquisite circa i moti pulsionali, gli affetti e le fantasie rimossi. Problemi quali l'adattamen.to del bambino o dell'adulto al mondo esterno, concetti di valore quali salute e malattia, virtù o vizio, non devono riguardare la psicoanalisi. Oggetto della psicoanalisi sarebbero esclusivamente le fantasie infantili continuate nella vita adulta, le esperienze di piacere immaginarie e le punizioni temute in conseguenza di esse. Una simile definizione della psicoanalisi quale non infrequentemente si trovava nella letteratura analitica, potrebbe forse appellarsi all'uso linguistico corrente che da sempre impiega psicoanalisi e psicologia del profondo come sinonimi. La definizione avrebbe forse anche una gimtificazione nel passato, poiché dei primi anni della psicoanalisi si può dire che la teoria, costruitasi sulla base dei suoi ritrovamenti, era preminentemente una psicologia dell'inconscio o, come diremmo noi oggi, dell'Es. Ma la definizione perde immediatamente ogni parvenza di esattezza se la applichiamo alla terapia psicoonalitica. Oggetto della terapia analitica furono, fin dal· l'inizio, l'Io e i suoi disturbi, lo studio dell'Es e del suo modo di
t/IO ç()M! SEU~ UELt'OSSEUAZIONE
operare fu sempre solo un mezzo per raggiungere il fine. E il fine fu invariabilmente lo stesso: eliminare questi disturbi e ristabilire l'integrità dell'Io. Un cambiamento di direzione negli scritti di Freud, incominciato da Psicologia delle masse c analisi dell'Io (19z1) e Al di là del principio di piacere (1910), ha poi liberato lo studio dell'Io dal sospetto di non ortodossia analitica, c portato decisamente al centro dell'atl'attenzione l'interesse per le istanze dell'Io. Da allora il termine "psicologia del profondo" certamente non abbraccia più l'intero programma di lavoro dell'indagine analitica. Oggi la definizione abituale è la seguente: compito dell'analisi è acquisire una conoscenza quanto più completa possibile di tutte e tre le istanze delle quali noi pensiamo che si componga la personalità psichica, e la conoscenza dei rapporti esistenti fra di loro e con il mondo esterno. Per quanto si riferisce all'lo, ciò significa esplorarne i contenuti, i confini e le funzioni, e rintracciare la storia della sua dipendenza dal mondo esterno, dall'Es e dal Super-io. In riferimento all'Es vuoi dire: descrivere le pulsioni, cioè i contenuti dell'Es, e seguire le trasformazioni che essi subiscono. L'Es, l'Io e il Supcr-io ncll'autopcrcezione Noi tutti sappiamo che molto diversa è l'accessibilità delle tre istanze psichiche all'osservazione. Per la conoscenza dell'Es - un tempo chiamato sistema Inc (inconscio) - dobbiamo far assegnamento sui derivati che si fanno strada nei sistemi Prcc (preconscio) c C (conscio). Se nell'Es prevale uno stato di calma e di soddisfazione, in cui nessun moto pulsionale ha motivo d'invadere l'Io allo scopo della conquista del piacere e di provocare in esso sentimenti eli tensione e di dispiacere, allora noi non abbiamo alcuna possibilità di apprendere qualcosa circa i suoi contenuti. L'Es, dunque, almeno in teoria, non è accessibile all'osservazione in tutte le condizioni. La situazione è ovviamente diversa nel caso del Super-io. I suoi contenuti sono in gran parte consci e quindi raggiungibili diretta· mente con la percezione endopsichica. Ciò nonostante la nostra idea del Super-io tende a farsi confusa quando Io e Super-io siano in armonia tra di loro. Noi diciamo allora che i due coincidono, cioè in momenti simili il Super-io non può essere percepito come un'istanza separata né dal soggetto stesso né da un osservatore esterno. I suoi contorni diventano chiari solo quando il Super-io si
pone con ostilità o perlomcno criticamente di fronte all'Io, il che significa, anche qui, quando nell'Io si rendono osscrvabili degli stati conseguenti a tale critica, ad esempio dci sentimenti di colpa. L'Io come osservatore Si arriva così alla conclusione che il campo appropriato della nostra osservazione è sempre l'Io, che rappresenta, per così dire, il mezzo attraverso il quale noi cerchiamo di avere un quadro delle altre due istanze. Quando le relazioni Ira le due potenze confinanti- l'Io e l'Es sono pacifiche, il primo adempie a meraviglia la sua funzione di osservatore nei riguardi del secondo. I singoli moti pulsionali si fanno strada a forza e di continuo dall'Es all'Io, e da qui si procurano accesso all'apparato motorìo, per mezzo del quale possono ottenere il loro soddidacimento. Nei casi favorevoli l'Io non ha niente da obiettare all'intruso, gli mette a disposizione le proprie energie e si limita a percepire: avverte la pressione dell'impulso, l'aumento della tensione e i sentimenti di dispiacere da cui è accompagnato, c infine il sollievo dalla tensione nell'esperienza di piacere soddisfacente. L'osservazione dell'intero processo ci fornisce un quadro chiaro e non deformato dd moto pulsionale in questione, dell'importo di libido di cui è investito e della meta che persegue. L'Io che acconsente al moto pulsionale non entra in alcun modo in questo quadro. Malauguratamente, però, il passaggio dci moti pulsionali da un'istanza all'altra può comportare ogni sorta di conflitti e insieme anche di disturbo dcll"osservazione dell'Es. Per raggiungere il soddisfacimento, i moti dell'Es devono attraversare il territorio dell'Io, dove si trovano in un'atmosfera a loro estranea. Nell'Es domina il cosiddetto "processo primarion; le rappresentazioni non sono legate tra di loro da alcuna sintesi, gli affetti sono soggetti a spostamento, gli opposti nOn si escludono a vicenda o addirittura coincidono, e !C condensazioni sono un fatto ovvio; il conseguimento di piacere è il principio sovrano che governa i processi psichici. Nell'lo invece, nelle relazioni reciproche delle rappresentazioni, si trovano le condizioni severe al cui insieme diamo il nome di "processo secondario"; inoltre i moti pulsion:~li non possono più senz':Jitro procedere alla conquist:J del piacere; si pretende che essi rispettino le esigenze della realtà e ancor più che si conformino alle leggi etiche e morali
con cui il Super-io cerca di determinare il comportamento dell'Io. I moti pulsionali corrono quindi il rischio di riuscire sgraditi alle istanze a loro estranee per natura, sono esposti alla critica e al rifiuto e devono sottomettersi ad ogni sorta di modificazioni. Le relazioni pacifiche tra potenze confinanti sono giunte al termine. I moti pulsionali, con la tenaciU. e l'energia loro proprie, continuano a perseguire le loro mete ed effettuano incursioni ostili nell'Io, nella speranza di coglierlo di sorpresa e sopraffarlo. D'altro canto, l'Io divenuto diffidente si porta al contrattacco invadendo il territorio dell'Es: suo scopo è di mettere fuori combattimento in modo defi. nitivo le pulsioni, con appropriate misure difensive tese a proteggere i propri confini. Il quadro di questi processi, che ci viene trasmesso dall'Io per mezzo della sua facoltà di osservazione, è molto più confuso ma allo stesso tempo più prezioso. Esso ci mostra in uno stesso momento due istanze psichiche in azione. Quello che ci è dato vedere non è più un impulso dell'Es indeformato, bensl un impulso dell'Es modificato da una misura difensiva da parte dell'Io. Il compito del· l'osservatore analitico è quello di scomporre nuovamente il quadro, che corrisponde a un compromesso tra le differenti istanze, nelle parti che lo compongono, c cioè Es, Io ed eventualmente Super-io. Incursioni da parte dell'Es e dell'Io come materiale di osservazione In tutto questo ci colpisce il fatto che, dal punto di vista dell'osservazione, le incursioni dall'una parte e dall'altra hanno un valore molto diverso. Tutte le misure difensive dell'Io nei confronti dell'Es sono portate a compimento silenziosamente e invisibilmente. Noi possiamo ricostruirle sempre solo a posteriori, mai seguirle vera· mente. Questo vale, ad esempio, per la rimozione riuscita. L'Io non ne sa nulla; la si percepisce solo a posteriori, quando si rendono evidenti fenomeni di mancanza. Intendo dire con questo che, quando noi cerchiamo di fonnularc un giudizio obiettivo su un dato individuo, ci accorgiamo che mancano alcuni moti dell'Es di cui ci aspetteremmo la comparsa nell'Io al .fine del soddisfacimento. Se essi non emergono affatto, possiamo soltanto presumere che l'accesso all'Io è loro negato permanentemente, cioè che sono caduti vittime di una rimozione. Questo comunque non ci dice nulla di più preciso circa il processo della rimozione in sé.
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E N!CCANISNIOI D>FFS~
Lo stesso vale per la formazione reattiva riuscita, che è una delle misure più importanti adottate dall'Io come protezione permanente nei confronti dell'Es. Tali formazioni fanno la loro comparsa nell'Io, quasi senza preannuncio, nel corso dello sviluppo infantile. Non sempre possiamo dire che l'attenzione dell'Io si fosse giii in precedenza concentrata su quel particolare moto pulsionalc antitetico che la formazione reattiva sostituisce. L'Io di regola non sa alcunché del rifiuto dell'impulso o di tutto il conflitto da cui è risultato l'instaurarsi della nuova caratteristica. L'osservatore analitico potrebbe facilmente considerarla uno sviluppo spontaneo dell'Io se certi precisi tratti, di forte colorazione ossessiva, non richiamassero l'attenzione sul suo carattere rcattivo c sul vetthio conflitto che dietro si nasconde. Tuttavia, ancora una volta, l'osservazione di questa forma difensiva non rivela alcunché circa il processo attraverso il quale si è andata evolvendo. Dobbiamo notare che abbiamo ricavato tutte le informazioni importanti dallo studio delle incursioni giunte dal lato opposto, e cioè dall'Es verso l'lo. Tanto è oscura b rimozione riuscita quanto è trasparente il processo rimovcntc nel movimento a ritroso, cioè nel ritomo del rimosso, come ci è dato osservare nelle nevrosi. Qui possiamo seguire, passo per passo, il conflitto tra moto pulsionale e difesa. Analogamente è più facile studiare il processo della formazione reattiva nei momento in cui vi è una disgregazione di formazioni reattive. In tal caso l'incursione che parte dall'Es consiste in un rafforzamento dell'in\'cstimento libidico del moto pulsionalc primitivo che la formazione rcattiva nascondeva. In questo modo l'impulso si fa strada fino alla coscienza c, per un tratto di tempo, la pnlsione e la formazione reattiva sono visibili l'una accanto all'altra nell'ambito dell'Io. Un'altra funzione dell'Io, la sua tendenza alla sintesi, è responsabile del fatto che tale stato di cose, particobrmente favorevole all'osservazione analitica, perduri ogni volta solo per brevi attimi. Poi insorge un nuovo conflitto tra derivato dell'Es e attivitii .dell'Io, conflitto che deciderà quale delle due parti interessate dovrà prevalere o a quale compromesso arriveranno cn· trambc. Se attraverso il rafforzamento del suo investimento energetico risulta vittoriosa la difesa opposta dall'lo, l'assalto dell'Es ha termine, e cosl si ristabilisce anche lo stato psichico di quiete più infe<:ondo per le nostre osservazioni.
Capitolo
2
Applicazione della tecnica psicoanalitica allo studio delle istanze psichiche
Nel primo capitolo ho descritto le possibilit~ di osservazione dei processi psichici che la psicoanalisi ha trovato presenti. In ciò che segue vorrei tentare di dare un resoconto dd modo in cui la nostra tecnica analitica, evolvendosi, si è adattata a queste condizioni.
La tecnica ipnotica del periodo preanalitico Nella tecnica ipnotica del periodo preanalitico la funzione dell'Io era ancora del tutto negativa. L'intento era quello di afferrare i contenuti dell'inconscio, e l'Io era considerato solo un fattore di disturbo. Che per mezzo dell'ipnosi fosse possibile escludere o comunque soggiogare l'Io dd paziente era risaputo. L'elemento nuovo nella tecnica che è descritta negli Studi sull'isteria (Freud, 1891-95) era che si potesse utilizzare questa esclusione dell'Io per permettere al medico l'accesso all'inconscio del paziente - all'Es, nei tennini attuali - che fino a quel momento era sbarrato dall'Io. La scoperta dell'inconscio era dunque la meta agognata, l'Io era il disturbo, l'ipnosi il mezzo per la temporanea eliminazione dell'elemento disturbante. Il medico procura l'ingresso nell'lo al frammento di materiale inconscio catturato nel corso dell'ipnosi, e questa forzata presa di coscienza porta a una soluzione del sintomo. Ma l'Io non prende parte alcuna al processo terapeutico; sopporta l'intruso solo finché perdura l'influsso del medico che ha indotto l'ipnosi, poi si ribella, inizia una nuova battaglia difensiva contro il frammento dell'Es che gli è stato imposto e distrugge così il successo tcrapcutico raggiunto con tanta fatica. In tal modo il più grande trionfo della tecnica ipnotica - l'eliminazione completa dell'Io durante l'indagine - diventa pregiudizievolc per il successo definitivo e porta a una delusione nei confronti della tecnica stessa.
,,, La libera associazione
Anche nella libera associazione - che in seguito si sostituisce all'ipnosi come mezzo ausiliario nell'.indagine - la funzione dell'Io è all'inizio ancora negativa. Si rinuncia bensl all'impiego della forza
per eJiminare l'Io, ma si cerca di includo a escludersi da sé: la critica nei confronti delle associazioni deve essere sospesa, il bisogno di un nesso logico, altrimenti considerato legittimo, deve essere ignorato. Si esige, in un certo senso, che l'Io rimanga silenzioso e si invita l'Es a parlare, promettendogli che i suoi derivati non andranno incontro alle abituali difficoltà al loro apparire nella coscienza. Ai derivati dell'Es non viene comunque promesso che, al loro apparire nell'Io, essi raggiungeranno una meta pulsionale, quale che sia, 'Il lasciapas· sare è valido soltanto per b loro trasposizione in rappresentazioni verbali, non per il dominio dell'apparato motorio, che sarebbe il vero scopo dc\ loro emergere. L'apparato motorio è in effetti paralizzato a priori dalle severe regole della tecnica analitica. Da questo doppio gioco con il moto pulsionale, dalla richiesta di estrinsecarsi, contem· poraneamente rifiutandogli il soddisfacimento, consegue tra l'altro una delle numerose difficoltà inerenti all'uso della tecnica psico· analitica. Ancora oggi molti analisti principianti pensano che sia essenziale riuscire a indurre i loro pazienti a esprimere sempre tutte le loro idee improvvise senza intralci e senza inibizioni, vale a dire a seguire costantemente la regola fondamentale della psicoanalisi. Ma questo stato ideale a cui si aspira non costituirebbe affatto utl progresso, poiché dopotutto non farebbe che riprodurre la situazione, ormai superata, dell'ipnosi, con la concentrazione unilaterale del medico sull'Es. Fortunatamente per la psicoanalisi, una simile dociliU da parte del paziente è praticamente impossibile. La regola fondamentale dell'analisi può essere seguita sempre solo per un tratto. L'Io tace per un .certo tempo e i derivati dell'Es approfittano di questa pausa per infiltrarsi nella coscienza: l'analista si affretta allora a cogliere le loro manifestazioni. Poi l'lo si scuote nuovamente, re· spinge la tolleranza inattiva a cui è stato forzato e, con l'una o l'altra delle sue misure difensive abituali, interviene a turbare il corso delle associazioni. Il pazien~e trasgredisce allora alla regola fonda· mentale dell'analisi e mostra~ come noi usiamo dire, delle "resistenze". Ciò significa che l'avvenuta incursione dall'Es nell'lo viene
riscattata da una controazione in direzione opposta. Ora anche l'attenzione dell'osservatore si sposta dalle associazioni alle resistenze, cioè dai contenuti dell'Es all'attività dell'Io. L'analista ha l'opportunità di vedere in azione, di fronte a sé, una di quelle misure difensive, difficilmente distinguibili, dell'Io contro l'Es, che ho descritto sopra, e deve farne oggetto del suo lavoro di scomposizione. Egli si rende conto allora che la situazione analitica, per questo cambiamento d'oggetto, si è improvvisamente modificata. Nell'analisi dell'Es gli viene in aiuto la spinta spontanea dei derivati dell'Es; il lavoro dell'analisi e le tendenze del materiale che deve essere analizzato premono nella stes:;a direzione. Nell'analisi dell'attività difensiva dell'Io non c'è naturalmente da aspettarsi una simile concordanza di direzione. Gli elementi inconsci dell'Io non hanno alcuna propensione e alcun \'antaggio a diventare coscienti. Perciò ogni frammento di una simile analisi dell'Io è molto meno soddisfacente dell'analisi dell'Es. L'analisi deve procedere per vie indirette; essa non può seguire direttamente l'attività dell'Io, può solo ricostruirla attraverso l'influsso che esercita sulle associazioni del paziente. La natura di questo influsso- se cioè nelle associazioni si rilevano omissioni, rovesciamenti, spostamenti di significato ecc. - dovrebbe tradire il tipo di attività difensiva di cui l'Io si è servito nel suo intervento. :E: quindi compito dell'analista riconoscere arÌzitutto il meccanismo di difesa. Fatto questo, egli ha compiuto una parte dell'analisi dell'Io. Suo compito successivo è quello di rendere reversibile l'operato della difesa, e cioè di indovinare. e reintegrare ciò che è stato omesso mediante rimozione, rettificare gli spostamcnti e ricollegare ciò che è stato isolato. Una volta ristabiliti i legami interrotti, anche l'attenzione dell'analista è di nuovo ritornata dall'analisi dell'lo a quella dell'Es. Non è dunque la stretta osservanza della regola fondamentale del~ l'analisi di per sé che ci interessa, benslla lotta per l'osservanza di tale regola. Ed è prO'prio questo oscillare dell'osservazione dall'Es all'Io, questo doppio orientamento dell'interesse sulle due facce dell'essere umano che abbiamo dinanzi a caratterizune ciò che chiamiamo psicoanalisi, e che la differenzia dalla unilateralità della tecnica ipnotica. Gli altri mezzi ausiliari della tecnica psicoanalitica si subordinano allora facilmente, come misure integrative, all'uno o all'altro orientamento dell'osservazione.
L'interpretazione dei sogni
La situazione dell'interpretazione dei sogni riproduce ancora una volta quella dell'osservazione analitica durante la libera associazione. Lo stato psichico del sognatore differisce di poco dallo stato psichico del paziente durante la seduta analitica. La riduzione delle prestazioni dell'Io che il paziente deve attuare volontariamente in osserv:mza alla regola psicoanalitica fondamentale, si verifica automaticamente nel sognatore con lo stato di sonno. Nella seduta analitica il paziente è fatto distendere sul divano in posizione di riposo, cosi che non ha la possibilità di procurare soddisfacimento ai suoi desideri pulsionali mediante azioni; simile è lo stato di quiete della motiliU. nello stato di sonno. E gli effetti dell'attività di censura, la traduzione del sogno latente in contenuto onirico manifesto con le connesse necessarie deformazioni, condensazioni, spostamenti, rovesciamenti, omissioni, corrispondono alle deformazioni delle associazioni sotto la pressione di una resistenza. L'interpretazione dei sogni serve dunque all'investigazione dell'Es in quanto riesce a portare in luce i pensieri latenti del sogno (il contenuto dell'Es); e ser-.-c a\l'im•estigazione delle istanze dell'lo e delle loro attiviU difensive in quanto ricostruisce le misure adottate dal censore in base ai loro effetti sui pensieri onirici. L'interpretazione dci simboli Un grande contributo all'indagine dell'Es ci viene dato da un sottoprodotto dell'interpretazione dei sogni: la conoscenza dei simboli onirici. l simboli sono relazioni costanti e universalmente valide tra particolari contenuti dell'Es e specifiche rappresentazioni coscienti di parole o cose. La conoscenza di queste relazioni ci permette di ricavare, da manifestazioni consce, sicure conclusioni sul materiale inconscio, senza dover prima faticosamente rendere reversibile una misura difensiva dell'Io. La tecnica della traduzione dei simboli i: dunque una scorciatoia alla comprensione o, più esattamente, ci permette un salto dagli strati più alti della coscienza a quelli più profondi dell'inconscio, omettendo gli strati intermedi di precedenti attività dell'Io che, a suo tempo, possono aver forzato il trasferimento di uno speciale contenuto dell'Es in questa speciale forma dell'lo. Per la comprensione dell'Es, la conoscenza del linguaggio dei simboli ha lo stesso l'alore cl1e hanno in matematica le formule
per la soluzione di problemi tipici. Possiamo servirccne con van· taggio; non importa se non si conosce la via per la quale sono state ricavate originariamente. Con il loro aiuto si risolvono però i pro· blemi senza con questo aumentare la propria comprensione della matematica. Allo stesso modo, con la traduzione dci simboli possiamo svelare dei contenuti dell'Es senza realmente acquisire una comprensione psicologica più profonda dell'individuo che abbiamo di fronte. Gli atti mancati Un altro modo di gettare occasionalmente uno sguardo nell'inconscio ci viene offerto anche da quelle irruzioni dell'Es che noi chia· miamo atti mancati. Queste irruzioni dell'Es non sono legate, come sappiamo, alla situazione analitica. Possono ''erificarsi ogniqualvolta la vigilanza dell'Io sia, per una circostanza qualunque, diminuita o sviata, e un moto inconscio, per una circostanza qualunque, abbia un improvviso rafforzamento. Tali atti mancati, particolarmente" i lapsus verbali c le dimenticanze, possono ovviamente capitare anche all'interno del trattamento analitico e in tal caso illuminano fulmineamente un frammento d'inconscio che forse l'interpretazione analitica ha cercato per lungo tempo di raggiungere. Agli inizi della tecnica psicoanalìtica si approfittava volentieri di simili regali del caso per dare provi!, in forma quasi irrefutabile, dell'esistenza dell'inconscio a quei pazienti che erano in genere difficilmente dispo· nibili alla pcnetrazionc analitica. Ci si ralle"grava altresl di poter dimostrare con esempi facilmente comprensibili, i vari meccanismi quali lo spostamento, la condensazione, l'omissione. Ma in generale questi eventi casuali diventano insignificanti per la tecnica analitica di fronte al significato che assumono quelle irruzioni dell'Es che sono poste dcliberatamc·ntc al servizio dell'analisi.
La traslazione La stessa distinzione teorica tra una parte dell'osservazione dell'Es c una parte dell'osservazione dell'lo può essere applicata anche a quello che è forse lo strumento più importante del lavoro analitico: l'interpretazione della traslazione. Chiamiamo traslazione tutti quegli impulsi del paziente verso l'analista che non insorgono ex nO\"O nella situazione analitica attuale, ma derivano da più antiche c re-
mote relDzioni oggcttuali e non sono che ravvivati nella situazione analitica sotto l'inRusso della coazione a ripetere. Il fatto che questi impulsi siano ripetizioni e non prodotti nuovi, li rende massimamente idonei a darci informazioni circa le esperienze emotive passate del paziente. Vedremo ora che, a seconda della loro complcssiU, possiamo distinguere diversi tipi di manifestazioni traslative. a) Traslazione di impulsi Jibidici. Il primo tipo è di natura molto semplice. Il paziente prova, in maniera disturbante, nei confronti dell'analista, sentimenti violenti quali amore, odio, gelosia, angoscia, che non sembrano giustificati da alcun avvenimento del presente. Il paziente stesso respinge questi sentimenti e prova vergogna, umiliazione ecc. per il loro manifestarsi contro la sua volonU. Spesso è solo sotto la pressione della regola analitica fondamentale che si riesce a forzarne l'accesso all'espressione cosciente. L'indagine analitica denota questi sentimenti come irruzioni dell'Es. Essi provengono da antiche costellazioni emotive come il complesso edipico e il complesso di evirazione e diventano comprensibili e giustificati se li preleviamo dalla situazione analitica e li inseriamo in una delle situazioni emotive infantili. Questa trasposizione regressiva ci aiuta a colmare una lacuna mncstica nel passato del paziente c ci fornisce un nuovo brano di conoscenza circa la sua vita pulsionalc ed emotiva infantile. Di solito, in un tale tentativo d'interpretazione, abbiamo nel nostro paziente un collaboratore ben disposto. Egli stesso avverte l'impulso emotivo traslato come un corpo estraneo interferente. La trasposizione dell'impubo nel passato lo libera da un moto a lui estraneo nel presente e gli consente così di proseguire il lavoro analitico. L'interpretazione di questo primo tipo di traslazione serve esclusivamente alla parte dell'osservazione dell'Es. b) Traslazionc della difesa. Diversamente stanno le cose nel secondo tipo di traslazione. La coazione a ripetere, a cui il paziente soggiocc nella situazione analitica, si estende non solo ad antichi impulsi dell'Es, ma, nello stesso modo, anche ad antiche misure di difesa contro h pulsione. Il paziente, dunque, non solo compie una traslazionc di impulsi infantili dell'Es indcformati, che poi solo secondariamente sono sottoposti a una censura dell'Io adulto quando passano all'espressione cosciente; ma egli compie anche una traslazionc di im"pulsi dell'Es in tutte quelle forme di deformazione che già sono state impresse nella vita infantile; in casi estremi, ciò che perviene alla traslazione non è assolutamente più il moto pulsionale stesso, bensl solo la particolare difesa di un determinato atteggia-
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mento libidico posith·o o negativo, come ad esempio la reazione di fuga dal pericolo di un legame amoroso positivo in caso di omosessualità femminile latente o come il contegno sottomesso, femminile-masochistico rilevato da Wilhelm Reich (1933), del paziente maschio un tempo aggressivo verso il padre. A mio avviso, facciamo un grosso torto al paziente se consideriamo queste reazioni difensive traslate come Mmanovre diversive", come una "frode~ o come una qualunque altra forma di deliberata presa in giro dell'analista. E neanche riusciremo a indurre il paziente, con una coerente imposizione della regola analitica fondamentale, ossia con la costrizione alla sincerità, a rivelare l'impulso dell'Es che si nasconde dietro la forma difensiva estrinsecata nella traslazione. Il paziente è già sincero quando esprime la pulsione o l'affetto nell'unica forma di cui ancora dispone, e cioè nella forma difensiva deformata. In questo caso, ritengo, il compito dell'analista non è quello di indovinare, subito e ad ogni costo, il moto pulsionalc primitivo respinto, saltando tutti gli stadi intermedi della trasformazione pulsionale e di introdUrlo nella sfera cosciente del paziente. La via più giusta è quella di distogliere l'attenzione analitica dalla pulsione per volgerla anzitutto al meccanismo specifico della difesa contro la pulsione, di rivolgerla, cioè, dall'Es all'Io. Se riusciamo a percorrere a ritroso la via della trasformazione puhionale, il vantaggio analitico è duplice. L'espressione della traslazione, interpretata, si divide in due parti, che hanno origine entrambe nel passato: una parte libidica o aggressiva che appartiene all'Es, e un meccanismo di difesa che dobbiamo ascrivere all'lo, nel caso più istruttivo all'lo dello stesso periodo infantile in cui è sorto per la prima volta l'impulso dell'Es. Oltre a colmare la laCuna mnestica circa la vita pUlsionale del paziente, come gii riusciamo a fare nell'interpretazione del primo e semplice tipo di traslazione, otteniamo qui informazioni che riempiono e integrano la storia dello sviluppo dell'Io del paziente o, se vogliamo esprimerci in termini diversi, la storia delle sue trasformazioni pulsionali. Questi più fruttuosi tentativi d'interpretazione del secondo tipo di traslazione comportano però il maggior numero di difficoltà tecniche che possono insorgere tra analista e paziente. Il paziente non avverte le reazioni dì traslazione del secondo tipo come corpi estranei. Questo non ci sorprende molto se pensiamo quale forte partecipazione abbia l'Io - anche se l'Io dì anni precedenti - nella loro pro. duzionc. ~ difficile convincere il paziente del carattere ripetitivo di queste manifestazioni. La forma, nella quale affiorano alla sua co-
,,, scienza, è in sintonia con l'Io. Le deformazioni necessarie pe'r \:i
censura sono
gi~
state compiute nel
p:~ssato,
l'Io adulto non vede
alcun motivo di opporsi :Jl loro emergere nella libera associazione. Le discrepanze tra causa ed effetto, che appaiono evidenti all'osservatore e fanno sembrare oggettivamente ingiustificata la traslazione, sono facilmente minimizzate dal paziente con delle razionalizzazioni. Quando le reazioni di traslazione assumono questa forma, non pos-
siamo contare, come nel caso di quelle descritte per prime, sulla collaborazione volonterosa del paziente. In quanto il lavoro intcrprctativo si indirizza verso le porzioni sconosciute dell'Io, verso le antiche attività dell'lo, l'intero Io del paziente è un avverS<~rio del lavoro analitico. Questa è palesemente la situazione che noi siamo soliti designare con il nome non molto appropriato di "analisi del carattere". Dal punto di vista teorico, noi dividiamo quindi le informazioni che ricaviamo da queste interpretazioni delle tr:~slazioni, in due gruppi: uno di contenuti dell'Es resi coscienti, e uno di attività dell'Io rese coscienti. La suddivisione non appare diversa da quella dci risultati dell'interpretazione durante la libera associazione: il flusso indisturbato delle idee improvvise ci illumina su contenuti dell'Es; l'intervento di una resistenza ci illumina su meccanismi eli difesa. Una differenza sta solo nel f~tto d1e le interpretazioni delle traslazioni si riferiscono più esclusivamente al passato c possono ri· schiarare, in una sola volta, interi periodi del p:~ssato individuale del paziente. I contenuti dell'Es che la libera associazione mette in luce, non sono invece legati a epoche detenninatc, e le attività difensive dell'Io, che si manifestano nella seduta analitica come resistenza all'associare, possono appartenere :~nche alla vita attuale del paziente. c) La messa in atto nella traslarione. Un contributo importante, di natura diversa, alla nostra conoscenza del paziente ci viene dato ancora da una terza forma di traslazione. Nell'interpretazione dci sogni, nella libera :~ssociazione, nell'interpretazione delle resistenze e nelle forme di traslazione finora descritte, noi consideriamo il pa· ziente solo sempre :~ll'interno ddla situazione analitica, cioè in uno stato endopsichico innaturale. La forza relatÌ\•a delle istanze è spo· stata, a favore dell'Es, nell'un caso con lo stato di sonno, nell'altro con l'osservanza del!:~ regola analitica fondamentale. Noi impariamo a conoscere le istanze dell'Io solo sempre indebolite e ridotte: una volta abbiamo il censore del sogno, un'altra volta la resistenza alb libera associazione, c spesso ci è molto arduo rafligurarci tali ishmze
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nella loro dimensione e potenza naturale. Conosciamo tutti il rim· provero che viene spesso rivolto agli analisti: essi sono, è vero, buoni conoscitori dell'inconscio dci pazienti, ma cattivi giudici del loro lo. Tale rimprovero trae probabilmente una certa giustificazione da questa mancanza di opportunità di osservare in azione l'intero Io del paziente. Ora, vi è un'intensilicazione della traslazione in cui il paziente si sottrae per un certo tempo alle regole severe della cura analitica e incomincia a trasporre in azioni della vita quotidiana sia l'aspetto pulsionale sia l'aspetto difensivo dci suoi sentimenti traslati. Questa cosiddetta "messa in atto~ (Agieren) nella traslazione, che a rigore si verifica pure al di fuori dell'analisi, diventa istruttiva per l'analisi in quanto ci fa vedere forzatamente la struttura interna del paziente nelle sue proporzioni naturali. Ogniquah·olta riesca l'interpretazione della messa in atto, noi possiamo scomporre le azioni di traslazione nelle loro componenti elle conispondono alla reale partecipazione quantitativa delle singole istanze in quel momento. L'ammontare di energia fornito da ogni istanza si rende visibile, a differenza Wlle nostre osservazioni durante la libera associazione, nella sua dimensione naturale assoluta e relativa. Nonostante la preziosa comprensione che ci fornisce, il profitto tcrapcutico che ricaviamo dall'interpretazione dell'agire è di solito esiguo. La possibilità di rendere cosciente l'inconscio e l'influenza terapcutica esercitata sulle relazioni tra Es, Io e Super-io poggiano chiaramente sullo stato della situazione analitica, prodotto artificialmente, ancora sempre simile a quello dell'ipnosi, nel quale l'attività delle istanze dell'Io è ridotta. Finché l'Io resta in piena funzione e ove, in quanto allcato dell'Es, ne esegua semplicemente gli ordini, sono poche le possibilità di spostamenti endopsichici e di influenze dall'esterno. Perciò per l'analista questa terza forma di traslazione, l'agire o messa in atto, è ancora più difficile da maneggiare che la traslazione delle forme di difesa. È comprensibile che egli cerchi di limitatla quanto più possibile con interpretazioni analitiche e divieti non analitici. Rapporto tra analisi dell'Io e analisi dell'Es Ho descritto tanto minuziosamcnte questa suddivisione delle manifestazioni della traslazione in una traslazione delle tendenze libicliche, una traslazione di atteggiamenti difensivi e un agire nella ha-
slazione, al fine eli dimostrare che le difficoltii tecniche dell'analisi sono relativamente minori quando si tratta di portare alla coscienza i derivati dell'Es, e cl1e sono massime quando l'analisi deve affrontare le porzioni inconsce dell'Io. Per meglio dire: ciò non dipende dalla tecnica analitica in quanto tale; essa è altrettanto adatta a portare alla coscienza la parte inconscia dell'lo quanto dell'Es o del Super-io; solo che a noi analisti le difficoltà dell'analisi dell'Io sono ancora più estranee di quelle dell'analisi dell'Es. Da quando nelle nostre rappresentazioni teoriche il concetto di Io non coincide più con quello di sistema percezione-coscienza, da quando dunque sappiamo che anche intere porzioni delle istanze dell'Io sono inconsce e attendono di essere portate alla coscienza con l'aiuto della tecnica analitica, il lavoro analitico sull'Io ha ottenuto da parte nostra una molto maggiore attenzione. Qualsiasi elemento proveniente dall'Io si inserisca nell'analisi costituisce un materiale altrettanto utile quanto un qualsiasi derivato dell'Es. Non abbiamo alcun diritto di considerarlo solo come un disturbo all'analisi dell'Es. Naturalmente, però, tutto ciò che proviene da questo lato dell'Io è, in ogni senso del termine, una resistenza, cioè una forza diretta contro l'emergere dell'inconscio e quindi contro il lavoro dell'analista. Ci auguriamo di imparare a sentirei perlomeno altrettanto sicuri nell'analisi di questo lato dell'lo, sebbene debba essere condotta contro la volontà dell'Io stesso, quanto nell'analisi dell'Es dei nostri p:~zicnti. UnilateraliU e difficoltà tecnicl1e
Da quanto abbiamo già descritto, sappiamo che se ci occupiamo della libera associazione, dei pensieri onirici latenti, della traduzione dei simboli e dei contenuti della traslazione, sia essa fantasticata o agita, contribuiamo in modo unilaterale all'investigazione dell'Es. In modo altrettanto unilaterale contribuisce all'indagine delle attività sconosciute dell'Io e del Super-io lo studio delle resistenze, del lavoro della èensura onirica e delle forme di difesa traslate di moti pulsionali e fantasie. Se è vero che solo una combinazione imparziale delle due direzioni della ricerCl ci d~ un quadro completo della situazione interna dell'analizzato, allora deve anche euere vero che se diamo preferenza a uno qualsiasi degli strumenti analitici a sCòlpito di tutti gli altri, il risultato non potril essere altro che un quadro travisato, deformato o quantomeno incompleto della personalità psichica.
Una tecnica che, ad esempio, si servisse in modo troppo esclusivo della traduzione dei simboli, correrebbe il rischio di mettere in luce, in modo altrettanto esclusivo, dei contenuti dell'Es. Chiunque adottasse questa tecnica sarebbe facilmente incline a trascurare, o comunque ad attribuire poca importanza, a quegli elementi sconosciuti delle istanze dell'Io che possono essere resi coscienti solo con altri sti-umenti analitici. Si potrebbe sostenere la legittimità di una tecnica di questo genere dicendo che essa non ha bisogno di allungare la strada pass:Jndo per l'lo, ma può arrivare per via diretta alla vita pulsionale rimossa. Ma i risultati restano comunque incompleti. Solo l'analisi delle attivit~ difensh·e inconsce dell'lo ci consente di ricostruire anche le trasformazioni subìte dalle pulsioni. Senza la conoscenza di esse possiamo apprendere molto sui contenuti dei desideri pulsionali e delle fantasie rimossi, ma poco o niente sui loro destini o sui modi in Cui sono adoperati nella struttura della personalità. Una tecnica che operasse esageratamente nell'altra direzione, che ponesse cioè in primo piano esclusivamente l'analisi delle resistenze, avrebbe altresì delle lacune nei suoi risultati, ma dal lato opposto. Avremmo in tal modo un quadro completo della struttura dell'Io dell'analizzato, ma dovremmo rinunciare alla profondit~ e completezza dell'analisi del suo Es. Analogo risultato otterrebbe una tecnica che utilizzasse in misura estrema la traslazione. Non v'è dubbio che i pazienti nello stato di intensificata traslazionc, favorito da un tale tentativo tecnico, producono un abbondante materiale proveniente dagli strati più profondi dell'Es. Ma, così facendo, oltrepassano i limiti della situazione analitica. Il loro Io non è più al di fuori, moderato, indebolito, obiettivo, in qualità di osservatore sospeso dalla sua attività. Esso viene .:~flerrato, sopraffatto, e coinvolto nell'azione. Anche se, dominato dalla coazione a ripetere, si comporta in tutto come un Io infantile, questo non cambia il fatto che esso "agisce" anziché analizzare. Ma ciò significa che una simile tecnica, dopo le grosse speranze iniziali di approfondire la. conoscenza del nostro paziente, può alla fine comportare tutte quelle delusioni terapeutiche che, in base alle nostre rappresentazioni teoriche, dobbiamo aspettarci dalla messa in atto nella traslazione. Anche la tecnica dell'analisi infantile da me descritta (Quattro conferenze sull'analisi infantile, 1916) è un buon esempio dei pericoli di un'impostazione unilaterale. Quando si deve rinunciare alla libera
associazione, si usa scarsamente l'interpretazione dei simboli e si COmincia a interpretare la traslazione solo a uno stadio avanzato del trattamento, ci si trovano cl1iuse tre importanti vie d'accesso alla scoperta dci contenuti dell'Es e delle attività dell'Io. Si pone allora la damanda, alla quale cercherò di rispondere nel prossimo capitolo, su come si possa riparare a queste carenze, e nonostante tutto andare oltre gli strati superficiali della vita psichica.
Capitolo 3 L'attività difensiva dell'Io come oggetto de!J'analisi
Il rapporto dell'Io col procedimento analitico Le tediose e circostanziate discussioni teoriche esposte nel capitolo precedente possono essere riasmnte, a fini pratici, in poche semplici fmi. ~ compito dell'analista rendere conscio ciò che è inconscio, a qualunque istanza psichica esso appartenga. L'analista volge la sua attenzione, uniformemente e obiettivamente, a tutte e tre le istanze nella misura in cui contengono porzioni inconsce; egli compie il suo lavoro di chiarificazione - potremmo dire con espressione diversa partendo da un punto di vista che è equidistante dall'Es, dall'Io e dal Super-io. La chiara obiettività di questo rapporto viene però turbata pur· troppo da varie circostanze. L'imparzialità dell'analista non è con· traccambiata; le varie istanze reagiscono in modo diverso ai suoi sforzi. Noi sappiamo degli impulsi dell'Es clJC essi stessi non sono affatto inclini a rimanere inconsci. Hanno una loro spinta, una ten· denza costantemente presente a farsi strada nella coscienza e a rag· giungere così il soddisfacimento, o almeno a spingere i loro derivati ''erso la superficie della coscienza. Il lavoro dell'analista -come ab· biamo detto - segue questa spinta nello stesso senso e ne rafforza l'efficacia. In tal modo l'analista appare agli elementi rimossi dell'Es come soccorritore c liberatore. Rispetto all'Io e al Super·io le cose stanno diversamente. In quanto le istanze dell'Io si sono sforzate di soggiogare gli impulsi dell'Es con i metodi loro propri, l'analista appare come un pertur· batore della pace. Il suo lavoro di scomposizione elimina nuovamente rimozioni conseguite faticosamente, e distrugge formazioni di com· promesso che, pur essendo patologiche nel loro effetto, erano però, nella forma, in perfetta sintonia con l'lo. Il lavoro dell'analista per rendere cosciente l'inconscio e il lavoro delle istanze dell'Io per
dominare la vita pulsionale sono in contrapposizione. Finché la comprensione della mabttia da parte dell'individuo non decida diversamente, l'intento dell'analista è un minaccioso pericolo per le istanze dell'Io. Seguendo le argoment<:Jzioni del capitolo precedente, possiamo descrivere tre modalità di rapporto dell'Io con lo sforzo analitico. L'Io è alleato dell'analisi in quanto esercita l'autosscrvazione sopra descritta, in quanto sotto questo riguardo mette le sue capacità a disposizione dell'analisi e comunica un'immagine delle .:.ltre istanze tratta clai derivati che penetrano nel suo territorio. L'Io è invece antagonista dell'analisi nella misura in cui, in questa autosservazionc, si mostra inattendibile e parziale, registra e trasmette scrupolosamente certi dati, ne falsifica e ne respinge altri impedendo che si rendano visibili, in contrasto con l'indagine analitica che esige di esaminare tutto ciò che emerge senza discriminazione alcuna. L'Io, infine, è esso stesso oggetto di analisi in quanto questa attività difensiva, che esercita costantemente, si esplica inconsciamente, e solo con fatica può es~erc portl:Jta alla coscienza, non molto diversamente da quanto accada per l'attività inconscia di uno qualunque dei moti pulsionali proibiti. Difesa contro le pulsioni e resistenza Ai fini di questo studio ho cercato di tracciare, nel capitolo precedente, una distinzione teorica tra analisi dell'Es e analisi dell'Io, che nel nostro lavoro pratico sono inseparabilmente legate l'una all'altra. Un simile tentativo non fa che confermare ancora una volta l'esperienza che tutto il materiale che serve a far avanzare l'analisi dell'Io, emerge, nel procedimento analitico, sotto forma di resistenza all'analisi dell'Es. I fatti sono cosl evidenti che non c'è bisogno di spiegazioni. L'Io diventa attivo nell'analisi ogniqualvolta voglia impedire, con un'azion.e contraria, un'incursione dell'Es. Poiché è compito del metodo analitico procurare accesso alla coscienza alle associazioni che rappresentano la pulsione rimossa, e quindi incoraggiare queste intrusioni, l'azione difensiva dell'lo contro la rappresentanza pulsionale diventa automaticamente una resistenza attiva contro il lavoro analitico. Poiché, inoltre, l'analista usa la sua influenza personale perché sia rispettata la regola analitica fondamentale, che consente l'affiorare di tali rappresentazioni nella libera associazione, la difesa dell'Io contro le pulsioni si dirige anche contro la persona dell'analista.
,/ATTIVITAPIUN"IVADUÙO
L'ostilità verso l'analista e una rafforzata difesa contro l'emergere degli impulsi dell'Es coincidono automaticamente. Nei momenti dell'analisi nei quali la difesa tace e le rappresentanze pulsionali possono affiorare senza ostacoli come libere associazioni, anche il rapporto dell'Io con l'analista è, sotto questo aspetto, indisturbato. t ovvio che questa particolare specie di resistenza non esaurisce tutte le possibili resistenze all'analisi. Oltre a queste cosiddette resistenze dell'lo vi sono, com'è noto, le resistenze di traslazione, diversamente costituite, e le forze contrarie, difficili da superare in analisi, cl1e risalgono alla coazione a ripetere. Quindi, non ogni resistenza è il risultato di un'azione difensiva dell'lo. Ma ogni azione difensiva dell'Io nei confronti dell'Es, quando si verifichi nell'analisi, può solo essere percepita come resistenza al lavoro analitico. L'analisi di questa resistenza dell'Io ci offre una buona occasione per osservare e rendere cosciente l'attività difensiva inconscia dell'lo in tutta la sua intcmità. Difesa contro gli affetti I contrasti tra Io e pulsione non sono le uniche occasioni che ci consentono di osseJVare più da vicino l'attivit~ dell'Io. L'Io non è solo in lotta con i derivati pulsionali che vorrebbero trovare l'ingresso alla coscienza e giungere al soddisfacimento sul suo terreno. Esso sviluppa la stessa attiva ed energica controffensiva anche contro gli affetti che sono legati a questi moti pulsionali. Respinte le richieste pulsionali, suo compito sUccessivo resta sempre quello di trovare un accomodamento con questi affetti. Amore, desiderio ardente, gelosia, umiliazione, dolore c lutto che accompagnano i desideri sessuali; odio, collera e rabbia che accompagnano i desideri aggressivi, devono subire, se la richiesta pulsionale a cui sono connessi è respinta, tentativi di dominio di ogni specie da parte dell'lo, devono cioè subire delle trasformazioni. Ogniqualvolta si verifichino trasformazioni affettive sia nell'ambito dell'analisi che al di fuori, l'Io è stato attivo. Ogni volta si presenta quindi anche l'opportunità di studiare l'attività dell'Io. Noi sappiamo che il destino dell'importo d'affetto non è semplicemente identico a quello dell'idea che rappresenta la richiesta pulsionale. Ma le possibilità di difesa che sono a disposizione di un unico e medesimo lo sono chiaramente limitate, L'lo individuale sceglie, in determinate fasi della vita e a
seconda della sua specifica struttura, ora l'una ora l'altra delle tecniche difensive, come ad esempio la rimozione, lo spostamento, l'inversione nell'opposto ecc., che può utilizzare sia nella lotta contro la pulsione sia anche nella difesa contro lo scatenamento degli affetti. Se sappiamo come un determinato paziente si difende contro l'affiorare dei suoi moti pulsionali, cioè quali specie di resistenze dell'Io è solito impiegare, abbiamo anche un'idea dell'atteggiamento che questo stesso individuo potrà assumere nei confronti dei suoi propri affetti non graditi. Se in un altro paziente sono evidenti certe particolari forme di trasformazione degli affetti, quali la completa repressione dci sentimenti, il diniego ccc., non saremo sorpresi se egli adotta gli stessi metodi nella difesa contro i suoi moti pulsionali e le sue libere associazioni. ~ lo stesso Io che impiega più o meno coerentemente tutti i mezzi di cui dispone in tutte le sue battaglie. Fenomeni difensivi permanenti Un altro campo in cui possiamo studiare l'atti\'ità difensiva dell'Io è quello dei fenomeni a cui \Vilhclm Reich fa riferimento nella sua "coerente analisi della resistenza" (I9B)- Atteggiamenti del corpo quali la fissità e la rigidiH, particolarità della persona quali un sorriso stereotipato, un contegno ironico, arrogante e sprezzante, sono residui di processi difensivi molto attivi in passato che si sono staccati dalle loro situazioni originarie, dal conflitto con la pulsione o con l'affetto e sono divenuti tratti permanenti del carattere, formando la ~corazza caratteriale", come la chiama Reich. Quando in analisi riusciamo a ricondurli alla loro origine storica, essi perdono la loro rigidità e ci permettono l'accesso all'attività difensiva viva c attuale dell'Io, accesso che era sbarrato dalla loro fissazione. Poiché queste forme di difesa sono divenute permanenti, non è più possibile mettere in relazione la loro apparizione e la loro scomparSa con l'apparizione e la scomparsa delle esigenze pul· sionali e degli affetti dall'interno e le situazioni di tentazione e le occ:~sioni affettive dall'esterno. Perciò l:J loro analisi è particolarmente laboriosa. Sicuramente è giustificato metterli in primo piano nel nostro lavoro solo qu:~ndo non vi sia più alcun conflitto in corso tra Io, pulsione e affetto. Inoltre non è certo giustificato applicare il tenninc di uanalisi della resistenza", che deve abbracdare il lavoro su tutte le resistenze, al l:~voro su queste forme particolari.
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ATTJVITJ. UlP~NSIVA I>ELL'!O
Formazione
~intomatica
Le stesse tecniche difensive che si possono cogliere e rendere coscienti, in flusso attivo, ncll'an~lisi delle resistenze dell'Io, della difesa pulsion~le e delle trasformazioni affettive, e, in forma irrigidita, nell'analisi di corazze caratteriali permanenti, si trovano fissate ancora \1na volta su ampi~ scala, nello studiare la formazione dci sintomi nevrotici. La parte svolta dall'lo nella formazione di compromesso, che noi chiamiamo sintomo, consiste appunto nell'uso fisso di uno specifico metodo difensivo di fronte a una specifica pretesa pulsionale, che viene ripetuto sempre nello stesso modo col ripresentarsi stereotipo della pretesa pulsionale. Noi sappiamo 1 che determinate nevrosi hanno relazioni costanti con determinate tecniche difensi1·c, per esempio l'isteria con la rimozione, la nevrosi ossessiva con il processo dell'aisolamcnto~ e il procedimento del arendere non avvenuto". Queste relazioni costanti tra nevrosi e meccanismo di difesa possono estendersi al campo della difesa contro gli affetti e della forma di resistenza dell'Io. Il modo in cui un paziente si comporta in analisi rispetto alle sue libere associazioni, il modo col quale egli, lasciato a sé stesso, domina le pretese pulsionali e respinge gli affetti indesiderati, permette di dedurre a priori la natura della sua formazione sintomatica. D'altra parte lo studio della sua formazione sintomatica permette di trarre conclusioni sulla struttura delle sue resistenze, della sua difesa dagli affetti e dalle pulsioni. Per l'isteria e la nevrosi osscssiva, questo parallelo, in particolare tra formazione sintomatica c forma di resistenza, ci è più familiare. Il paziente isterico, nella lotta con la pulsione, adopera come form:~zione sintomatica soprattutto la rimozione: egli esclude dalla coscienza le rappresentazioni che vogliono rappresentare la pretesa sessuale. A questo corrisponde la forma della sua resistenza alla libera associazione. Le associazioni che richiamano la difesa dell'Io vengono semplicemente scartate. Il paziente sente soltanto un vuoto nella coscienza. Egli tace; ciò significa che nella sua serie associ:~tiva si è prodotta la stessa interruzione che si era verificata nel decorso delle pulsioni al momento della formazione di sintomi. D'altra parte noi sappiamo che, nelhi formazione sintomatica, l'Io nevrotico-ossessivo usa la tecnica di-
fcnsiva dell'isolamento. Esso dunque lacera solo i nessi significativi e in tal modo ritiene i moti pulsionali nella coscienza. Di conseguenza, anche la resistenza del paziente nevrotico ossessivo è diversa. Quest'ultimo non tace; parla anche se si trova in uno stato di resistenza; ma nel parlare, lacera ogni nesso tra le sue associazioni, isola rappresentazione e affetto, così che le sue associazioni ci appaiono, su piccola scala, altrettanto insensate quanto, su scala maggiore, i suo( sintomi nevrotico.ossessivi. Difesa contro le pulsioni e contro gli affetti nella tecnica analitica Una giovane paziente richiede un trattamento analitico a causa di gravi stati di angoscia che disturbano sia la sua vita sia i suoi studi. Benché sia venuta da me per l'insistenza della madre, non dimostra alcuna reticenza a raccontarmi le circostanze della sua vita passata e attuale. Il suo atteggiamento verso di me è amichevole e franco. Mi colpisce solo il fatto che nei suoi rocconti evita accuratamente ogni allusione al suo sintomo. Gli attae<:hi di angoscia che si verificano tra una seduta analitica e l'altra non vengono menzionati. Se insisto deliberatamente nel voler inserire il sintomo nell'analisi o nel dare interpretazioni dell'angoscia, basate su altre chiare comunicazioni nelle sue associazioni, l'atteggiamento amiel1evolc: della paziente si trasforma. Mi sommerge ogni volta con osservazioni sprezzanti e derisorie. Il tentativo di porre in collegamento questo atteggiamento della paziente con il suo rapporto con la madre fallisce completa· mente. La relazione cosciente e inconscia della ragazza con la madre presenta un quadro del tutto diverso. Il sarcasmo e il disprezzo che riemergono continuamente disorientano l'analista e rendono la pa· ziente inaccessibile a un ulteriore soccorso analitico. Dall'analisi più .:~pprofondita risulta poi che questo sarcasmo e questo disprezzO non sono legati a una reazione traslativ.:~ in senso vero e proprio e non sono connessi alla situazione analitica. La paziente assume questo .:~tteggiamento verso sé stessa ogniqualvolta nella ·sua vita affettiva \"Ogliano affiorare sentimenti di tenerezza, di desiderio ardente e di .:~ngoscia. Quanto più fortemente si impone l'affetto, tanto più violenta e sprezzante essa diventa nelle sue ironiche osservazioni su sé stessa. L'analista attira su di sé queste reazioni difensive solo in via secondaria, poiché essa rappresenta le pretese di elaborazione cosciente dei sentimenti di angoscia. L'interpretazione dei contenuti· angosciosi, anche quando può essere ricavata esattamente da altre
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comunicazioni, rimane inefficace fino a quando ogni avvicinamento all'affetto non fa che aumentare la difesa. In analisi è possibile rendere cosciente il contenuto dell'angoscia solo quando il tipo di difesa contro l'affetto mediante denigrazione ironica, che fino a qud mo· mento è stato automaticamente operante nella vita della paziente, viene portato alla coscienza e in tal modo reso inattivo. Storicamente que· sta difesa dagli affetti con la ridicolizzazione e lo scherno si spieg:1: in base all'identificazione della paziente con il padre morto, il quale ogni volta che la figlioletta aveva delle esplosioni emotive, voleva educarla all'autocontrollo facendo osservazioni ironiche. In questo caso, dunque, il metodo di difesa dall'affetto fissa il ricordo del padre tanto amato. Dal punto di vista tecnico, la via verso la comprensione in questo caso conduce dall'analisi della difesa contro gli affetti alla spiegazione della resistenza nella traslazione,. e solo a partire da qui all'analisi vera e propria dell'angoscia con la sua preistoria. Lo stesso parallelo fra difesa dalle pulsioni e difesa dagli affetti, formazione sintomatica e resistenza diviene un punto di vista tecnico prezioso specialmeilte nell'analisi infantile. La lacuna più considerevole nella tecnica dell'analisi infantile è la mancanza della libera associazione. 1!: così difficile farne a meno non solo perché otteniamo le più importanti informazioni sull'Es dai rappresentanti ideativi della pulsione che emergono nella libera associazione. Dopotutto, questa mancanza di informazioni sugli impulsi dell'Es può essere rimpiauata con altri mezzi: i sogni e i sogni a occhi aperti del bam· bino, la sua attività fantastica nel gioco, i suoi disegni ecc. rivelano gli impulsi dell'Es in modq più scoperto e accessibile di quanto avviene nell'adulto, e nell'analisi possono quasi rimpiazzare l'apparizione dei derivati dell'Es nella libera associazione. Ma non essendo applicata la regola fondamentale dell'analisi, scompare anche il conflitto per l'osservanza della stessa, conflitto dal quale ricaviamo, nell'analisi dell'adulto, la conoscenza delle resistenze dell'Io, ovvero dell'attività difensiva dell'Io contro i derivati pulsionali. Vi è perciò il rischio che l'analisi infantile si arricchisca di informazioni sull'Es ma sia povera di notizie sull'lo infantile. L'analisi del gioco nell'età piccolo-infantile, proposta dalla scuola inglese [Klein, 19p.], supplisce a questa mancanza della libera associazione nel modo più diretto: le azioni compiute dal bambino quando gioca sono considerate equivalenti alle associazioni dell'adulto e utilizzate nello stesso modo per !'interpretazione. Il libero flusso
delle associazioni corrisponde allo svolgersi indisturbato delle azioni nei giochi; interruzioni e inibizioni nel corso del gioco vengono equiparate ai disturbi della libera associazione. L'analisi del disturbo nel gioco dovrebbe allora rappresentare la partecipazione di una difesa dell'Io che nella libera associazione è rappresentata dalla resistenza dell'Io. Se però si rinuncia per ragioni teoriche, come ad esempio per la preoccupazione di condurre l'interpretazione dei simboli in modo troppo estremo, a questa completa equazione tra associazione e gioco, si devonp allora cercare nell'analisi dci bambini nuO\'Ì stru· menti tecnici sostitutivi che possano servire ai fini dell'analisi dell'Io. A me sembra che l'analisi delle trasformazioni affettive del bambino possa occupare il posto vacante. La vita affettiva del bambino è meno complessa e più facile da intra\·edere di quella dell'adulto. Noi possiamo osservare quali siano i motivi di scatenamento degli affetti nella vita del bambino sia all'interno della situaziòne analitica sia al di fuori di essa. Un bambino si vede trascurato rispetto a un altro: prova allora gelosia e si sente umiliato. Uno dei suoi più grandi desideri viene esaudito: egli ne prova subito gioia. Si aspetta una punizione: ne prova angoscia. Un piacere atteso e promesso viene improvvisamente differito o rifiutato: il bambino prova una delusione ecc. Noi ci aspettiamo che il bambino reagisca normal· mente a queste particolari occasioni con questi specifici affetti. L'osservazione, contrariamente alla nostra aspettativa, ci presenta un quadro molto più svariato. Il bambino mostra ad esempio indiffeJenza quando ci saremmo aspettati una manifestazione di disap· punto; un'ccccssiva gaiezza anziché umiliazione; un'eccessiva tenerezza anziché gelosia. In tutti questi casi è accaduto qualcosa che ha intralciato il processo normale: un intervento da parte dell'Io ha causato la trasformazione dell'affetto. L'analizzare e il rendere cosciente la forma di questa difesa contro l'affetto - che si tratti di inversione nell'opposto, di spostamcnti, di rimozioni totali - ci insegna qualcosa sulle tecniche speciali adottate dall'Io di un certo bambino e, non di\•ersamente dall'analisi della resistenza, ci permette di trarre deduzioni circa il suo comportamento verso la pulsione c nella formazione sintomatic:J.. ~ perciò p<~rticolarmente im· portante per la situazione dell'analisi infantile che, nell'osservazione dci processi affettivi, noi siamo ampiamente indipendenti dalla coopc· razione volontaria e dalla sincerità o insincerità della comunicazione
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del bambino. L'affetto si tradisce anche quando il bambino non vorrebbe rivelarlo. Un bambino, ad esempio, ogni volta che ha motivo di provare angoscia di evirazione, ha degli accessi di bellicosità: deve mettersi un'uniforme, equipaggiarsi con sciabola, fucile e altre anni giocattolo ecc. Dopo averlo osseiVato in varie occasioni di questo genere, concludiamo che egli compie un rovesciamento della sua angoscia nell'opposto, cioè nel piacere dell'aggressione, Da quel momento in poi ci è facile dedurre che dietro le sue esplosioni di aggressività si nasconde un'angoscia di evirazione. Inoltre non è sorprendente ap· prendere che egli è un nevrotico ossessivo, ovvero che anche nella vita pulsionale ha l'inclinazione a royesciare nell'opposto gli impulsi indesiderati. Un altro esempio è quello eli una bambina la quale ~pparentcmente non reagisce aff~tto a situ~zioni che la deludono. Tutto ciò che si può osserv~re è un tremore all'~ngolo dell~ bocc~. In questo modo essa tradisce la c:~paciU del suo Io di eliminare processi psichici indesiderati c di sostituirli con processi fisici. Non sarebbe sorprendente apprendere che, nel conAitto con la sua vita pulsionale, es:oa può reagire istericamente. Una bambina, in periodo di latcnza, è riuscita a rimuovere la sua invidia del pene nei confronti del fratellino più piccolo -sentimento che domina tutta la sua vita - in modo tale che anche in analisi è particolarmente difficile seguirne le tracce. L'osservazione analitica mostra soltanto che in ogni occasione in cui possa provare invidi~ o gelosia nei confronti del fratello, essa inizia un singolare gioco di fantasia nel quale r:tppresenta un m~go che con i suoi movimenti è in grado di trasformare il mondo intero o comunque d'inAuire su di esso. Anch'essa trasforma dunque l'invidia nel suo contrario, in una sovraccentazione delle proprie capaciU magiche, che le risparmia la penosa comprensione della propria presunta inferiorità fisica. Il suo Io, applicando il meccanismo di difesa del rovesciamento nell'opposto, usa un tipo di formazione reattiva contro l'affetto che tradisce, allo stesso tempo, "il suo atteggiamento nevrotico-ossessivo verso la pulsione. Da quel momento in poi è facile, nell'analisi, dedmre, ad ogni ricomparsa della magia, la presenza dell'invidia del pene. Ciò che :~pprendiamo in questo modo non è altro che un tipo di tecnica di traduzione del linguaggio difensivo dell'Io, che conisponde, quasi completamente, alla risoluzione delle resistenze del-
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IOB .. EeC.IIIIISMIDIDIFISA
l'Io nella libera associ:lzione. Il nostro intento è lo stesso che nell'analisi della resistenza. Quanto meglio riusciamo a rendere coscienti la resistenza c la difesa contro gli affetti c a mctterlc cosl fuori azione, tanto più facilmente riusciamo ad avanzare verso la comprensione dell'Es.
Capitolo 4 l meccanismi di difesa
I meccanismi di difesa nella- teoria psicoana/itica 11 termine "difesa~ di cui ho fatto largo uso nei tre capitoli precedenti è il più antico rappresentante della concezione dinamica nella teoria della psicoanalisi. Lo s'incontra per la prima volta nelifl94, nello studio di Freud sulle Neuropsicosi da difesa, ed è impiegato in questo, come in altri lavori successivi (Freud, Ifl96a,b), per descrivere l'opposizione dell'Io contro rappresentazioni e affetti penosi o insopportabili. Più tardi questo termine viene abbandonato e in seguito sostituito da quello di "rimozione~. Ma il rapporto tra i due termini resta impreciso. Solo in un'aggiunta a Inibizione, sintomo e angoscia (1915, p. 309) Freud riprende il vecchio concetto di difesa ed esprime il parere che sia di sicuro vantaggio impiegarlo nuovamente "a patto che si stabilisca che esso dev'essere la designazione generale per tutte le tecniche di cui l'Io si avvale nei suoi conflitti che possono eventualmente sfociare nella nevrosi; mentre 'rimozione' rimane il nome di uno speciale fra questi metodi di difesa, che abbiamo conosciuto in un primo tempo meglio degli altri in conseguenza della direzione presa dalle nostre ricerche". Viene cosl esplicitamente refutata la posizione speciale della rimozione, e nella teoria psicoanalitica viene dato spazio ad altri processi psichici "aventi un'uguale tendenza - cioè la protezione dell'Io dalle pretese pulsionali -".La rimozione viene ridotta nel suo significato a "un caso particolare" di difesa. Il nuovo concetto della funzione della rimozione diventa un incentivo a ricercare gli altri casi particolari di difesa e a classificarli in quanto conosciuti e descritti nel lavoro analitico. La stessa aggiunta a Inibizione, sintomo e angoscia contiene anche la congettura a cui bo già accennato nell'ultimo capitolo, che "un approfondimento dei nostri studi possa dimostrare un'intima connes-
sione tra particolari forme della difesa e determinate affezioni, come, per esempio, tra la rimozione e l'isteria" (p. 310). Come tecniche difensive usate nella nevrosi ossessiva, vengono citate contemporaneamente la rcgressione e l'alterazione reattiva dell'Io (formazione reattiva), !"'isolamento~ e il urendere non avvenuto". Dopo questi primi accenni non è difficile completare l'enumerazione delle tecniche di difesa descritte in altre opere di Freud. Ad esempio, nel saggio su Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia c omosessualità (1921a) compaiono l'introiezione o identificazione e la proiezione come metodi dell'Io che sono importanti per la difesa in questo tipo di affezioni, sotto il nome di umeccanismi nevrotiei". Nella sua teoria delle pulsioni vengono descritti il "volgersi sulla persona stessa del soggetto" e ul'inversione nel contrario" sotto il nome di "destini delle pulsioni" (Freud, 1915). Dal punto di vista dell'Io, anche questi due processi devono definirsi come nietodi di difesa; ogni destino pulsionale di questo genere risale infatti a un'attività dell'Io. Senza intervento dell'lo o delle forze del mondo esterno che si fanno rappresentare dall'Io, ogni pulsione non avrebbe che un unico destino: quello del soddisfacimento. A questi nove metodi di difesa ben noti nella pratica e descritti esaurientemente nella teoria psicoanalitica (rimozione, regressione, formazione reattiva, isolamento, rendere non avvenuto, proiezione, introiezione, volgersi contro la propria persona, inversione nel contrario) se ne aggiunge un decimo che pertiene più allo studio della normalità che a quello della nevrosi, e cioè la sublimazione o spostamento della meta pulsionale. Secondo le nostre conoscenze attuali l'Io ha dunque a sua disposizione questi dieci metodi diversi nelle sue lotte con la rappresentanza pulsionale e l'affetto. È compito dell'analisi pratica osservare come queste tecniche si affermino efficacemente nei processi di resistenza dell'Io e di formazione sintomatica in ogni singolo caso. Confronto delle prestazioni dei vari meccanismi nei singoli casi Scelgo come esempio il caso di una giovane assistente sociale che lavora in un istituto per bambini, Essa è la figlia di mezzo in una successione di numerosi fratelli e ~orelle. Per tutta la sua infanzia soffre di una tormentosa invidia del pene verso i fratelli maggiori e minori e di una gelosia che è ripetutamente alimentata da ogni nuova gravidanza della madre. Invidia e gelosia si combinano infine in un'intensa osti·
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lità verso la madre. Ma poiché il legame d'amore con la madre non in~iale di disinibita turbolenza e cattiveria, inizia in lei un'intensa lotta difensiva contJo gli impulsi negativi. Essa ha paura di perdere l'amore della madre, di cui non può fare a meno, manifestando i propri sentimenti di odio. Ha paura delle punizioni della madre, e critica aspramente sé stessa per le proprie bmme proibite di vendetta. In questa situazione di angoscia e in questo conflitto di coscienza momle che con l'inizio del periodo di laten:za diviene sempre più acuto, il suo Io compie vari tentativi di padroneggiamcnto degli impulsi. Per risolvere il conflitto di ambivalenza:, essa sposta verso l'esterno un.11 parte della sua ambivalenza. La madre resta l'oggetto amato, ma da allora in poi, vi è sempre nella vita della bambina una seconda persona di sesso femminile intensamente odiata. Questo allevia la situazione; l'odio verso l'oggetto più estraneo non viene perseguitato in modo altrettanto spietato dal sentimento di colpa quanto l'odio verso la madre. Ma pure questo odio spostato comporta ancora una grossa sofferenza:, e in seguito questo primo spostamento si rivela chiaramente un mezzo insufficiente per dominare la situazione. L'Io della bambina pone orn in atto un secondo meccanismo: l'odio, che fino a quel momento si riferiva esclusivamente al mondo esterno, è volto contro la propria persona. La bambina si tortura con autoaccuse e sentimenti d'inferiorità per tutto il periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, fino all'età adulta, fa tutto il possibile per avere svantaggi e danni, ponendo sempre le proprie esigenze di vita in secondo piano rispetto a quelle degli altri. All'apparenza esterna, da quando questa tecnica difensiva è entrata in vigore, essa è divenuta una masochista. Ma anche questo metodo si dimostra inadeguato a fronteggiare la situazione. La paziente incomincia allora a usare la proiezione. L'odio che ha provato per gli oggetti femminili amati o per i loro sostituti, si trasforma nella convinzione che essa stessa è da questi oggetti odiata, disprezzata o perseguitata. In tal modo il suo Io si sente scaricato dal senso di colpa. Da bambina cattiva, che si è resa colpevole di cattivi sentimenti verso il mondo circostante, essa diviene una bambina tormentata, trnscurata, perseguitata. Ma la sua personalità mantiene, da quando utilizza questo meccanismo, un tratto paranoide che le rende estremamente difficile la vita sia nel periodo giovanile che nell'età adulta. La paziente ricorre all'analisi solo in età adulta. Non è considernta
è meno fo1te dell'odio verso di lei, dopo un periodo
malata da coloro che la conoscono, ma le sue sofferenze sono acute. Per quanto il suo Io abbia cercato di difendersi, non è riuscito a dominare veramente l'augoscia e il senso di colpa. Ad ogni occasione che possa suscitare in lei invidia, gelosia e odio, essa riattiva invariabilmente tutti i suoi meccanismi di difesa. Ma i conHitti emotivi non giungono mai a una risOluzione che possa placare il suo lo; inoltre il risultato finale di tutte le sue lotte è molto scarso. È riuscita a mantenere la finzione di amare la madre, ma si sente piena di odio e per questo si disprezza e diffida di sé stessa. Non è riuscita a conservarsi il sentimento dell'essere amata, che è distrutto dal meccanismo della proiezione. E non riesce a sfuggire alle punizioni temute nell'infanzia; infligge a sé stessa, mediante il rivolgimento contro la propria persona, tutto il male che un tempo si era aspettata dalla madre. I tre meccanismi che essa ha messo in moto non possono impedire che il suo Io si trovi costantemente in uno stato di tesa inquietudine, di vigilanza, di aumentate richieste e d'intenso tormento. Confrontiamo questi processi con le corrispondenti relazioni in un'isteria o in uua nevrosi ossessiva. Supponiamo che il problema sia lo stesso: dominare l'odio per la madre che scaturisce dall'invidia del pene. L'isteria liquida il problema con la rimozione. L'odio verso la madre viene cancellato dalla coscienza, e a tutti i suoi possibili derivati viene energicamente impedito l'ingresso nell'Io. Gli impulsi aggressivi collegati con l'odio e gli impulsi sessuali collegati con l'invidia del pene, possono essere trasformati in sintomi fisici se è presente la capacità di conversione e una compiacenza somatica. In altri casi l'Io si protegge da una riattivazione del conHitto originario con evitamenti fobici. Impone restrizioni alla propria attiviU, prevenendo cosi d'imbattersi in situazioni che possano favorire un ritorno del rimosso. Anche nella nevrosi ossessiva l'odio per la madre e l'invidia del pene subiscono dapprima una rimozione. Successivamente l'Io si assicura contfo il ritorno del rimosso con formazioni reattive. La bambina aggressiva verso la madre sviluppa ·un'eccessiva tenerezza nei suoi confronti e si preoccupa della sua salute; invidia e gelosia vengono trasformate in altruismo e sollecitudine verso gli altri. Con l'istituzione di pratiche ossessive e di misure pretauzionali, essa protegge gli oggetti amati dall'esplodere delle proprie aggressivit~, mentre una morale di esagerata severiU controlla le manifestazioni sessuali.
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DI DIPESA.
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Una bambina che domina i suoi conflitti infantili nel modo isterico o ncvrotico-osscssivo illustrato, presenta un quadro patologico più grave della paziente descritta per prima. Mediante la rimozione, che si è verificata, essa ha perduto il dominio su una parte della sua vita emotiva. Il rapporto originario con la madre e i fratelli, l'importante relazione con la propria femminilità sono stati sottratti all'ulteriore elaborazione cosciente e fissati irrevocabilmente e osscssivamente nel mutamento reattivo dell'Io. Una grossa parte della sua attività si consuma nel mantenimento dei controinvestimenti che sono destinati ad assicurare le rimozioni nella vita successiva. Questa perdita di energia si renderà visibile attraverso l'inibizione e la degradazione di altre attività vitali. Ma l'Io della bambina cl1e per la liquidazione dei suoi conflitti ha avuto a disposizione la rimozione, con le sue conseguenze p:~tologiche, ha raggiunto la pace. Esso soffre secondariamente per le conseguenze della nevrosi in cui è incorso con la rimozione. Ma almeno nei limiti dell'isteria di conversione e della nevrosi ossessiva, l'Io ha legato l'angoscia, sistemato i sentimenti di colpa e soddisfatto le rappresentazioni di punizione. La differenza sta nel fatto che nell'un caso - quello della rimozione - l'Io viene sollevato del compito di padroneggiare i conflitti mediante la formazione di sintomi, mentre con l'uso delle altre tecniche difensive tale compito resta nell'ambito d'azione dell'Io. Più frequente che la separazione qui descritta tra rimozione e impiego di altri metodi difensivi è la combinazione di entrambi in uno stesso individuo. Prendo come esempio la storia di una paziente che parimenti soffrl nella prima infanzia di un'intensa invidia del pene, nel suo caso diretta contro il padre. Le fantasie sessuali di questa fase raggiungono il culmine nel desiderio di strappare il pene al padre con un morso. A questo punto l'Io pone la sua difesa. La rappresentazione indecente viene rimossa. Al suo posto subentra il contrario, c cioè una generale avversione al mordere che presto si evolve in un disturbo dell'alimentazione della bambina, accompagnato da sensi isterici di disgusto. Cosl una parte del processo - la fantasia orale è dominata. Il contenuto aggressivo, cioè il desiderio di derubare il padre, o una persona sostitutiva del padre, resta ancora per un po' nella coscienza, fino a che, con il progressivo sviluppo del Super-io, la difesa morale dell'Io ripudia questo impulso. La voglia di derubare viene allora trasformata, con l'aiuto di un meccanismo di spostamento di cui parlerò più dettagliatamente in seguito, in una forma particolare di temperanza e modestia. Il quadro che risulta dalla
... successione dei due diversi metodi difensivi è quello di un substrato
di nevrosi isterica con sovrapposta una speciale alterazione dell'Io, che in sé non ha più alcun carattere patologico. L'impressione che si ricava da questi pochi esempi diviene più pro-
fond<J se si osservano allo stesso modo gli effetti dei vari meccanismi in altri casi. Teoricamente la rimozione può essere classificata sotto il concetto generale di difesa, accanto agli altri casi particolari di difesa. Tuttavia, per ciò che riguarda la sua efficacia, essa occupa, rispetto agli altri metodi, una posizione particolare. Riguardo alla quantità la sua prestazione è superiore alle altre tecniche, cioè
può controllare moti pulsionali verso i quali gli altri tentativi di difesa restano impotenti. Essa agisce una sola volta, bencilé il controinvestimento, effettuato per renderla sicura, sia un'istituzione permanente che richiede un permanente dispendio di energia. Gli altri meccanismi devono invece essere posti in azione ogni \'Olta ad ogni nuova spinta pubionille. Ma la rimozione non è solo il meccanismo più efficace; è anche il meccanismo più pericoloso. La scissione dell'Io, el1e si produce con la sottrazione dalla coscienza di intere zone della vita affettiva e pulsionale, può distruggere una volta per tutte l'integrità della personalità. La rimozione diventa quindi la base della formazione di compromesso e della nevrosi. Le conseguenze delle altre tecniche difensive non sono meno serie ma, anche quando assumono una forma acuta, si mantengono più entro i confini del normale. Si manifestano nelle innumerevoli trasformazioni, distorsioni e deformazioni dell'Io, che possono in parte accompagnare e in parte sostituire la nevrosi. Tentativo di una cronologia Ma pur riconoscendo alla rimozione un posto speciale, pennane l'impressione, per gli altri meccanismi, che sotto uno stesso concetto si includano fenomeni molteplici ed eterogenei. Tecniche quali !'"isolamento" e il "rendere non avvenuton si affiancano ad autentici processi pulsionali quali la regressione, l'inversione nel contrario, il rivolgimento contro la propria persona. Alcuni possono dominare grandi quantità, altri piccole quantità di pulsione o di affetto. Secondo quali punti di vista l'Io scelga tra i vari meccanismi resta un problema aperto. Fors~ la rimozione combatte soprattutto i desideri sessuali e altri metodi possono essere meglio usati contro altre forze pulsionali, in particolare contro gli impulsi aggressivi. Forse gli altri
... metodi difensivi non hanno che da elaborare ciò che resta dalla rimozione o ciò che, dopo il fallimento della rimozione, ritorna delle rappresentazioni proibite. 2 Forse ogni prima comparsa di uno specifico metodo difensivo è collegata anche a un preciso compito del dominio pulsionale, dunque a una fase specifica dello sviluppo infantile.3 Nella stessa aggiunta a Inibizione, sintomo e angoscia (1915, p. JIO) cl1c ho già ripetutamente citato, è contenuta anche una prima risposta a queste domande: uPuò facilmente darsi che l'apparato psichico, prima della differenziazione netta tra l'Io e l'Es, prima della formazione di un Super-io, adoperi metodi di difesa diversi da quelli che usa dopo aver raggiunto questi stadi di organizzazione." In termini più dettagliati ciò significa: la rimozione consiste nell'escludere o espellere una rappresentazione o un :~fletto dall'Io cosciente. Non ha senso parlare di rimozioni là dove Io ed Es ancora si mescolano. Similmente si potrebbe dire che la proiezione e l'introiezione sono metodi che si basano sulla differenziazione dell'Io dal mondo esterno. L'espulsione dall'Io e l'assegnazione al mondo esterno possono essere un sollievo per l'Io solo quando esso abbia imparato a non confondersi più con il mondo esterno. L'introiezione dal mondo esterno nell'Io assume d'altra p:irte il signific~to di un arricchimento dell'lo solo quando sia chiarita la separazione tra ciò che appartiene all'uno e ciò che appartiene all'altro. Ma la situazione non è affatto cosl semplice. I..... genesi, nel caso della proiezione e dell'introiezione, è molto più oscura. 4 La sublimazionc, cioè lo spostamento della meta pulsionale in direzione di più elevati valori sociali, presuppone il riconoscimento o perlomeno la conoscenza di tali valori, e dunque la presenza del Supcr-io. La rimozione e la sublimazione sarebbero quindi dei meccanismi di difesa che possono essere usati solo relativamente tardi; l'inquadramento della proiezione e dell'introiezione dipende dallo stato, di volta in volta, della concezione teorica. Processi quali la regressione, l'inversione nel contrario, il rivolgimento contro la propria persona, che avvengono esclusivamente riguardo alla pulsione, potrebbero essere indipendenti dallo stadio raggiunto dalla struttura psichica, ed essere tanto antichi quanto la pulsione stessa, o comunque tanto antichi quanto la lotta tra 1 Mi ottengo qui 1 un'indiazione di Jenne Lampi-de Croot durante un dibattito alla Societipsicoan•litiadiVienna. 'S«ondo un suuorimento di Helene Deutso:h. 'VediFreud(>OU·Il,J>P·111f.),eonehel'opinionelollenubdallastuo1ain~~:lese,acui
mirifcri=porooltre.
moti pulsionali e un qualunque ostacolo al soddisfac:imento pubionnlc. Non sarebbe sorprendente scoprire che questi meccanismi sono i primi a essere usati. Ma un tale tentativo di classificazione cronologica è contraddetto dall'esperienza che le prime manifestazioni di malattia nevrotica, che osserviamo nei bambini piccoli, sono i sintomi isterici, circa i quali non vi è dubbio che siano collegati con la rimozione; e d'altro lato, che i fenomeni di vero e proprio masoc:hismo, che si basano sul ,.oJgersi della pulsionc contro 1::. propria persona, quasi non si ri· scontrano nella prima infanzia. Nella teoria analitica inglese, l'introiezione e la proiezione, che secondo noi si collocano nel periodo successivo alla differenziazione dell'Io dal mondo esterno, sono generalmente considerate le prime responsabili della struttura dell'Io e della differenziazione dell'Io dal mondo esterno. Ci scontriamo qui contro il fatto che la cronologia è una delle regioni meno chiare nell'ambito della teoria analitica. Ne è un buon esempio la dibattuta questione circa il momento in cui si forma realmente il Supcr-io di un individuo. Una classificazione temporale dei meccanismi di difesa dovrebbe dunque condividere tutti i dubbi e tutte "le incertezze che ancora oggi attengono alle determinazioni temporali nell'analisi. Perciò è forse meglio non proseguire oltre in questo tentativo di classificazione dei meccanismi di difesa, e invece studiare meglio le pnrticobriH della situazione che mette in moto le difese stesse.
Capitolo S Orientamento dei processi di difesa secondo l'angoscia e il pericolo
I pericoli pulsionali contro i quali l'Io si difende sono sempre gli stessi, ma le ragioni che gli fanno sentire come pericolosa una parti· colare irruzione della pulsione possono essere di varia natura. Difesa contro le pulsioni per angoscia del Super-io nella nevrosi dell'adulto
La situazione difensiva che conosciamo da più lungo tempo e in modo più approfondito nell'analisi è quella che sta alla base della nevrosi degli adulti. Abbiamo qui un desiderio pulsionale che vorrebbe diventare cosciente e, con l'aiuto dell'Io, trovare soddisfacimento. L'Io non sarebbe contrario ad accettarlo, ma il Super·io rolleva obiezione. L'Io si sottomette all'istanza superiore e obbedientemente entra in lotta contro il moto pulsionale con tutte le conseguenze che questo comporta. Il punto caratteristico in questo processo è che l'Io stesso non considera affatto pericolosa la pulsione che com· batte. Il motivo cl1e lo spinge alla difesa non è originariamente un motivo proprio. La pulsione diventa pericolosa in quanto il suo soddisfacimento è vietato dal Super-io, e un suo imporsi provoca un sicuro con8itto tra Io c Super-io. L'Io del nevrotico adulto teme dunque la pulsione perché teme il Super-io. La sua difesa dalla pulsione si verifica sotto la pressione dell'angoscia del Super-io. Finché ci occupiamo soltanto della difesa contro la pulsione del nevrotico adulto, abbiamo un'alta opinione del Super-io. Esso appare come l'artefice di tutte le nevrosi. Il Super-io è il guastafeste che impedisce qualsiasi amichevole intesa tra Io e pulsione. Esso pone delle esigenze ideali che proibiscono la sessualiU. e dichiarano l'aggressività antisociale. Esige una rinuncia sessuale e una restrizione dell'aggres-
sività in misura tale da non essere più compatibile con la salute psichica. Toglie all'Io ogni indipendenza, lo riduce a esecutore dei suoi desideri e lo rende in tal modo ostile alla pulsionc e incapace di godimento. Lo studio della Situazione difensiva nella nevrosi dell'adulto ci spinge a tenere in considerazione del tutto particolare, nella terapia, il lavoro di scomposizione rispetto al Supcr-io. Una degradazione, un'attenuazione o - come alcuni dicono estremizzando - un'abolizione del Supcr-io è destinata a sgravare l'Io e ad alleggerire <~Imeno 'per un aspetto il conflitto nevrotico. La stessa concezione del Super-io come radice di ogni male nevrotico ispira altresì grandi speranze per una prevenzione delle nevrosi. Se la nevrosi è prodotta dalla severità del Super-io, l'educazione non deve far altro che evitare tutto ciò che contribuisce alla formazione di un Super-io di rigorosità estrema. Gli strumenti educativi, che in seguito vengono interiorizzati dal Supcr-io, dovrebbero essere mantenuti su un piano di moderazione; l'esempio dci genitori di cui il Super-io si appropria, mediante identificazione, deve contenere l'immagine delle loro debolezze umane reali e della loro benevolenza pu\sionale, anziché rispecchiare una pretesa morale eccessivamente severa che non è possibile mettere in pratica; e l'aggressività del bambino deve avere la possibilità di estrinsecarsi nel mondo esterno, affinché non sia accumulata e rivolta verso l'interno ove poi correda il Super-io dci suoi tratti crudeli. Se l'educazione realizza tutto questo, gli individui che ne beneficiano, dovrebbero essere liberi dall'angoscia, non nevrotici, capaci di godimento e non lacerati da conflitti interni. Ma queste speranze di estirpare le nevrosi dalla vita umana 5. non si realizzano nella pratica pedagogica, e dal punto di vista teorico sono di nuovo radicalmente distrutte con il passo successivo nell'indagine analitica. Difesa contro le pulsioni per angoscia reale nella nevrosi infantile
Lo studio della difesa nella nevrosi infantile (Freud, 1915, p. z58) ci insegna che il Super-io non è affatto un fattore indispensabile alla formazione della nevrosi. Se il nevrotico adulto si difende dai suoi desideri sessuali e aggressivi per non entrare in conflitto con il suo Super-io, il bambino piccolo fa lo stesso con i suoi moti pulsionali 'L'tsponmtc piil intr:~nsigentc do questo punto di vhto c:ondividonola5uaopinione,
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Wilhe\m Ileich, mo molti o\tri
... per non venire in contrasto con i divieti dci genitori. Analogamente, l'Io del bambino piccolo non combatte contro la pulsione in modo indipendente, né il motivo che egli segue nel difendersi si trova in
lui stesso. La pulsione diviene per lui pericolosa in quanto il suo soddisfacimento è proibito dalle persone che lo allevano; se la pulsione prorompe, la conseguenza è costituita da restrizioni, punizioni
e minacce. L'angoscia di evirazione produce nel bambino piccolo lo stesso risultato che produce nel nevrotico adulto l'angoscia morale;
l'Io del bambino teme la pulsione perché teme il mondo esterno. La sua difesa contro le pulsioni è dunque dovuta alla pressione dell'angoscia del mondo ·esterno o angoscia reale. L'osservazione che l'lo infantile, spinto dall'angoscia reale, produce le stesse fobie, nevrosi ossessive, isterie e tratti caratteriali nevrotici che abbiamo impDrato a conoscere néll'adulto come conseguenza dell'angoscia del Super-io, riduce naturalmente la nostra alta opinione della potenza del Super-io. Ci rendiamo conto che abbiamo ascritto al Supcr-io ciò che in realt~ sarebbe stato da ascrivere all'angoscia dell'Io. Si rivela privo d'importanza, per la formazione della nevrosi, di chi l'Io ha paura. Il punto decisivo è che l'angoscia dell'Io - talora verso il mondo esterno, tal altm verso il Super·io- pone in moto il processo di difesa. Il sintomo cl1e poi appare nella coscienza come risultato ultimo del processo difensivo, non permette più di riconoscere quale tipo di angoscia dell'Io abbia determinato il suo insorgere. Lo studio di questa seconda situazione difensiva - difesa contro le pulsioni per angoscia reale- ci porta a un'alta stima della potenza del mondo esterno sul bambino e ci permette ancora, da questo punto di vista, di nutrire speranze circa una prevenzione delle nevrosi. Il bambino piccolo del giorno d'oggi avrebbe, in base a questa concezione, molto più angoscia rc:~le di quanto sarebbe necessaria. Le pu· nizioni che egli teme per il suo soddisfacimento pulsionale, in gran parte non esistono più nella nostra civiltà. Né si pratica più l'evirazione come espiazione per i godimenti sessuali proibiti, né la mutilazione come punizione per atti aggressivi. Ma i nostri metodi educ:J~ivi continuano tuttavi:J ad avere una lontana somiglianza con queste barbariche punizioni dei tempi passati, quel tanto che b:1sta per rendere nuovamente attivi timori e vaghe apprensioni che si sono conservati ereditariamente. Gli ottimisti sono dell'avviso che clovrebbe essere possibile eliminare ancora questi remoti accenni di minacce di evirazione e di misure violente, che, se non nei metodi
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educativi applicati, si rispccchiano nel tono e nella voce degli adulti. La speranza sarebbe allora che fosse definitivamente interrotto il nesso tra la moderna educazione c quelle vecchie paure di punizione. Dovremmo riuscire in tal modo a diminuire l'angoscia reale del bambino, il rapporto tra il suo Io e la pulsione dovrebbe infine mutare in modo decisivo, e si dovrebbe così poter sottrarre definitivamente molto terreno alla nevrosi infantile. Difesa contro le pulsioni per angoscia della potei1Zll pulsionale Ancora un'altra esperienza della psicoanalisi disturba le prospettive in questa direzione. L'Io dell'essere umano non è per sua natura un terreno idoneo a un indisturbato soddisfacimento pulsionale. Ciò significa che l'lo è amichevole verso la pulsione solo fino a che, nello strutturarsi, si è poco differenziato dall'Es. Una volta passato, nel suo proprio sviluppo, dal processo primario al processo secondario, dal principio di piacere al principio di realti, esso è divenuto- come ho 50pra descrittouna regione estranea alla pulsione. Questa diffidenza dell'Io verso le richieste pulsionali è sempre presente, ma, in condizioni normali, si rivela solo scarsamente. Essa è coperta dalla lotta molto più tumultuosa che conducono il Super-io e il mondo esterno, sul terreno dell'lo, contro gli impulsi dell'Es. Ma questa quieta ostilità verso la pulsione si intensifica fino a divenire angoscia, se l'Io si sente abbandonato da queste potenze superiori protettive o se le richieste dci moti pulsionali aumentano oltre misura. ~ciò che l'Io propriamente teme dai pericoli esterni o dal pericolo rappresentato dalla libido nell'Es non è determinabile; sappiamo che teme di essere sopraffatto o annientato, ma la cosa non è intelligibile sotto il profilo analitico." 6 Robcrt Wiilder (1930) descrive il pericolo che l'Io sia distrutto o sommerso nella propria organizzazione. Questa angoscia dell'Io di fronte alla forza delle pulsioni ha lo stesso effetto dell'angoscia del Super-io o dell'angoscia reale che abbiamo finora considerato. Essa pone in moto "mecCDnismi di difesa contro la pulsione che conducono poi a tutte le conseguenze, a noi ben note, per la formazione di una ne· vrosi e la formazione del carattere. Questa difesa in base all'angoscia della potenza pulsionale può meglio essere studiata nella vita del bambino 1:'1 dove la pedagogia e la terapia analitiche si sono sforzate di 'Freud (19n, p. s>9). Vedi onthe ~ieud (>o>;, p. 144)
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allontanare le occasioni dì angoscia reale e di angoscia morale che altrimenti nascondono tale difesa. Nella vita successiva possiamo osservarla in piena attività ogniqualvolta un'improvvisa intensificazìone pulsionalc dall'interno minacci di sconvolgere l'equilibrio fra le istanze psìchiche, come accade normalmente e fisiologicamente ad esempio nella pubertà e nel climaterio, e per ragioni patologiche all'inizio di un'ondata psicotica. Altri motivi di difesa contro Je pulsioni A questi tre motivi di difesa contro le pulsioni {difesa per angoscia del Super-io, per angoscia reale, per angoscia della potenza pulsionale) si aggiungono, in momenti successivi della vita, i motivi che scaturiscono dal bisogno di sintesi dell'Io. L'Io adulto richiede che vi sia anche una certa armonia tra gli impulsi in esso presenti. Di qui derivano tutti i conflitti tra tendenze opposte come omosessualità ed eterosessualità, passività e attività ecc., che Alexander (1933) ha descritto in modo dettagliato. Quale dei due impulsi opposti venga respinto o ammesso, o quale compromesso sia raggiunto fra di essi sarà deciso di nuovo nel singolo caso a seconda della quantità degli investimenti. Le prime due delle motivazioni che abbiamo finora preso in esame (difesa per angoscia del Supcr-io e per angoscia reale) possono inoltre ancora ricondurci a una fonte comune. Se il soddisfacimento pulsionale in questi casi potesse imporsi nonostante l'opposizione del Super-io o del mondo esterno, insorgerebbe primariamente piacere, ma secondariamente dispiacere, sia per i susseguenti sentimenti di colpa inviati dall'inconscio, sia per le punizioni inflitte dal mondo esterno. La difesa nei confronti del soddisfacimento pulsionale per entrambi questi motivi corrisponde dunque al principio di realtà. Suo intento è soprattutto quello di evitare questo dispiacere secondario. Motivi di difesa contro gli aRctti
Le ragioni che possiamo riscontrare per la difesa contro le pulsioni valgono senza variazione anche per i processi che si svolgono nella difesa contro gli affetti. Ogniqua!Volta l'Io per una delle motivazioni indicate si difende dai moti pulsionali, deve anche respingere gli affetti da cui il processo pulsionale è accompagnato. Non ha impor-
tanza quali siano gli affetti implicati; l'affetto può essere piacevole, penoso o minaccioso per l'Io. Non fa differenza; all'Io non è comunque mai concesso di spcrimcntarlo indeformato. Se l'affetto ap· particne a un processo pulsionale proibito, il suo destino è segnato 6n dall'inizio; questa appartenenza basta di per sé a porre l'Io in uha posizione di difesa contro di esso. Le ragioni della difesa dall'affetto si trovano semplicemente nelle lotte tra Io e pulsione. Ma vi è anche un'altra relazione più primitiva tra Io e affetto di cui non si trova riscontro nella relazione tra Io e pulsione. Il soddisfacimento cli una pulsione è sempre prima· riamcnte qualcosa di piacevole. Ma un affetto può essere, a seconda della sua natura, primariamente piacevole o penoso. U dove l'Io non abbia nulla da obiettare contro il processo pulsionale, non vi sia dunque da questo lato alcuna ragione di difesa dall'affetto, l'Io decide la sua posizione verso l'affetto puramente in base al principio di piacere: accoglie l'affetto piacevole e si difende da quello penoso. Addirittura: là dove in connessione con la rimozione pulsionalc l'angoscia e il senso di colpa provochino forZlltamente la difesa dall'affetto, possono ancora notarsi dei residui di questa selezione secondo il principio di piacere. L'Io è tanto più prontamente disposto a respingere gli affetti che sono legati a impulsi sessuali proibiti, se per giunta si tratta di affetti penosi, quali ad esempio il dolore, un desiderio ardente, il lutto. Per contro, gli affetti positivi possono essere tenuti un po' più a lungo dall'lo semplicemente per il loro carattere piacevole pur contro la pressione di un divieto, o talvolta forzare l'Io a tollerarli, dopo un'irruzione improvvisa, per breve tempo. Questa semplice difesa contro gli affetti primariamente penosi COI· risponde poi alla difesa dagli stimoli primariamente penosi che affluiscono all'Io dal mondo esterno. Vedremo in seguito che le tecniche di cui il bambino dispone per queste forme primitive di difesa, che seguono semplicemente il principio di piacere, sono anch'esse piii primitive. Verifica nella pratica analitica Tutto ciò che nell'esposizione teorica dobbiamo faticosamente raccogliere e correlare, nell'analisi pratica fortunatamente può essere messo in luce e dimostrato senza ulteriori difficolU.. Ogniqualvolta con l'analisi facciamo retrocedere un processo difensivo, ci scon-
triamo con i singoli fattori che a\•evano preso parte al suo determinarsi. Nell'analisi noi riconosciamo la quantità di energia che è stata impiegata nel produrre le rimozioni, in base all'intensità della resistenza che ci viene opposta quando cerchiamo nuovamente di sciogliere questa rimozione. Parimenti riconosciamo la motivazione che ha provocato la difesa da un moto pulsionale, in base allo stato d'umore del paziente che si produce quando nell'analisi creiamo nuovamente un accesso alla coscienza a ciò che era stato oggetto di difesa. Quando facciamo retrocedere una difesa nevrotica, insorta sotto la pressione del Supcr-io, l'analizzato esperimenta dei sentimenti di colpa, cioè angoscia del Super-io. Quando facciamo retrocedere una difesa che era stata forzata dal mondo esterno, insorge un'angoscia reale. Se nell'analisi di un bambino lo induciamo a rivivere affetti penosi respinti, egli risente lo stesso dispiacere intenso che aveva indotto il suo Io a usare le misure difensive. ln6ne, se interveniamo in un processo difensivo, suscitato dall'angoscia per la potenza pulsionale, si verifica di nuovo esattamente ciò che l'Io voleva prevenire: i derivati dell'Es, fino a quel momento trattenuti, penetrano, quasi senza ostacoli, nel territorio dell'Io. Punti di vista per la
ter:~pia
psicoanalitica
Questa esposizione dei processi difensivi ci mostra contemporaneamente, in modo molto chiaro, i diversi punti d'attacco possibili per la terapia analitica. Il processo analitico fa retrocedere la difesa, costringe i moti pulsionali e gli affetti respinti a entrare nuovamente nella coscienza e lascia poi che siano l'Io e il Super-io a trovare con essi un'intesa su base migliore. La condizione preliminare più favorevole per una buona soluzione dei conflitti si trova là dove la difesa contro le pulsioni sia avvenuta in precedenza per angoscia di fronte al Super-io. Qui il conflitto è un conflitto veramente cndopsichico, che può anche essere liquidato tra le varie istanze, in particolare se il Super-io è divenuto nel frattempo più accessibile alle richieste della ragione attraverso l'analisi delle identificazioni, sulle quali è costruito, e attraverso l'analisi dell'aggressività che esso ha assunto. L'angoscia dell'Io di fronte al Super-io è cosi diminuita. Perciò non è più necessario mettere in atto metodi difensivi con conseguenze patologiche. Ma anche là dove nella nevrosi infantile la difesa era il risultato di un'angoscia reale, la tempia analitica ha ottime prospettive di sue-
cesso. Nel modo più semplice e meno analitico sì svolge il tentativo dell'analista d'influenzare la realU., dopo aver fatto retrocedere il processo difensivo nel bambino, ovvero d'influenzare gli educatori del bambino, in modo tale che vi sia molto meno angoscia reale; l'lo del bambino diventa allora meno severo verso la pulsione e meno gli è necessaria la difesa contro le pulsioni. In altri casi si pone in luce, nell'analisi, che le angosce che hanno causato la difesa, appartengono a una realtà gi:l. passata; l'Io riconosce che non ha più bisogno di avere paura di questa realtà. In altri casi ancora, quella che appare come angoscia reale si dimostra essere una visione esagerata, cruda e distorta della realtà riferita a situazioni primordiali e· non più attuali. Queste "angosce reali" vengono smascherate dall'analisi come angosce fantastiche per le quali non vale la péna mettere in azione una difesa contro le pulsionì. Il far retrocedere la difesa contro l'affetto, operata ai fini di evitare il dispiacere, richiede, per mantenersi efficace, qualcosa in più oltre all'analisi. Il bambino deve imparare a sopportare quantità sempre maggiori di dispiacere senza far ricorso immediatamente all'uso dei suoi meccanismi di difesa. Dobbiamo tuttavia ammettere che, teoricamente, questo compito specifico attiene più all'educazione che all'analisi del bambino. I soli stati patologici che non reagiscono favorevolmente agli sforzi analitici sono quelli basati sulla difesa per angoscia della potenza delle pulsioni. In questi casi il rendere reversibile la difesa mette l'Io in pericolo senza potergli anche offrire aiuto subito dopo. Nell'analisi, l'analista tranquillizza il paziente, il quale teme la presa di coscienza dei suoi impulsi dell'Es, assicurandogli sempre che l'impulso cosciente è meno pericoloso e più controllabile che la stessa tendenza allo stato inconscio. La situazione della difesa per angoscia della potenza pulsionale è l'unica nella quale l'analista non può mantenere le sue promesse. Questa serissima lotta dell'Io per non essere travolto dall'Es, come ad esempio in una crisi psicotica, è esscnzilllmcnte questi~ne di rapp01ti qu11ntitativi. L'11iuto che l'Io ricl1iede in questa lotta è solo di essere rafforzato. Se l'analisi può dargli tale rafforzamento rendendo coscienti dci contenuti inconsci dell'Es, ottiene anche qui un effetto terapeutico. Mn se l'analisi rendendo coscienti le attività inconsce dell'Io svela e rende inoperanti i processi difensivi, ha l'effetto di indebolire l'Io c di favorire il processo patologico.
ESJ::MPI DI EVlTAMENTO DEL DISPIACERE REALE E DEL PERICOLO ltEALE: STADI PRELIMINARI DI DIFESA
Capitolo 6 Il diniego nella fantasia
I metodi difensivi che abbiamo 6nora scoperto attraverso il la\·oro psicoanalitico, servono tutti esclusivamente alla lotta dell'Io con la sua vita pulsionale. Essi vengono messi in moto dalle tre grandi angosce a cui l'Io è esposto: l'angoscia di fronte alle pulsioni, l'angoscia reale e l'angoscia morale. Inoltre, la semplice lotta tra moti pulsionali fra di loro contrastanti è sufficiente a suscitare la difesa. La via percorsa dall'indagine analitica dei processi difensivi va dai conRitti fra l'Es e le istanze dell'Io (isteria, nevrosi ossessiva ecc.) al conRitto fra Io c Super-io (melanconia) e da qui all'osservazione dei conftitti tra Io e mondo esterno (vedi la zoofobia infantile in Freud, 1915)- In tutte queste situazioni di conRitto l'Io si rifiuta di accettare una parte del proprio Es. L'istanza difensiva e quella contro cui la difesa è messa in moto sono dunque sempre costanti; i fattori \'ariabili sono le forze sotto la pressione delle quali l'Io compie le azioni difensive. In fin dei conti ogni singola azione difensiva serve di volta in volta a proteggere l'Io e a risparmiargli dispiacere. Ma l'Io non si difende solo dal dispiacere che proviene dall'in· terno; nello stesso periodo precoce in cui impara· a conoscere gli stimoli pulsionali interni più pericolosi, esso impara anche a conoscere il dispiacere che deriva dal mondo esterno. L'Io è in stretto contatto col mondo esterno, ne prende a prestito gli oggetti d'amore, ne trae le impressioni che la sua percezione registra e la sua intelligenza elabora. Quanto più il mondo esterno è importante per l'Io come fonte di piacere e campo d'interesse, tanto maggiori sono le possibilità di ricevere da esso dispiacere. L'Io del bambino piccolo vi\·e ancora secondo il principio di piacere, e occorre molto tempo prima che sia addestrato a sopportare il dispiacere. In questo periodo
... l'individuo è ancora troppo debole per affrontare il mondo esterno attivamente, per difendersene con le sue forze fisiche e per modilicarlo secondo il proprio volere; generalmente il bambino è fisicamente troppo inerme per darsi alla fuga di fronte ad esso, e allo stesso tempo è ancora troppo poco capace di comprensione per cogliere razionalmente l'inevitabile e sottomettervisì. In questo periodo di immaturità e di dipendenza, l'Io, oltre ai tentativi di dominare gli stimoli pulsionali, compie anche sforzi di ogni genere per difendersi dal dispiacere reale e dai pericoli reali che lo minacciano. n formarsi della teoria psicoanalitica sulla base dello studio delle nevrosi fa capire il fatto che l'osservazione analitica si sia sempre concentrata soprattutto sulla lotta interna fra pulsionc e Io i cui stati conseguenti sono i sintomi nevrotici. Il lavoro dell'Io infantile per evitare il dispiacere difendendosi direttamente dalle impressioni del mondo esterno appartiene alla psicologia normale. Le conseguenze sono forse di grande importanza per la formazione dell'Io c del carattere, ma non sono patogene. Quando negli scritti analitici clinici troviamo descritta questa prestazione dell'Io, essa perciò non appare mai come l'oggetto essenziale della ricerca, ma sempre solo come un prodotto second:JIÌO dell'osservazione. Prendiamo ancora una volta la zoofobia del "piccolo Hans" come esempio clinico di una tale simultaneità di processi difensivi verso l'interno c verso l'esterno. Apprendiamo che alla base della nevrosi del bambino si trovano i normali impulsi del suo complesso edipico.? Egli ama la madre c per gelosia assume un atteggiamento aggressivo verso il padre, elle secondariamente entra di nuovo in conflitto con il suo amore tenero verso il padre. L'aggressività verso il padre ris\'eglia la sua paura dell'evirazione, l:~ quale - sentita come angoscia reale - pone in moto l'intero apparato della difesa pulsionale. I metodi di cui la sua nevrosi si serve sono lo spostamento -dal padre all'animale oggetto della fobia - e la trasformazione della minaccia rivolta al padre nel suo contrario, e cioè nell'angoscia di essere minacciato da· lui. Una regressione alla fase orale, l'idea di essere morso da un cavallo, si aggiunge poi a deformare completamente il quadro. I meccanismi impiegati adempiono perfettamente il loro scopo di difesa dalle pulsioni: l'llmore libidico proibito per la madre e la pericolosa aggressiviU, verso il padre sono totalmente scomparsi dalla coscienza. La paura di evirazione nei confronti del padre è le1VodinoladoscrizioncinFrud(>QH,C<1P-4).
gata nel sintomo della paura dei cavalli; ma l'attacco d'angoscia può essere evitato con l'aiuto del meccanismo fobico mediante l'imposizione di un'inibizione ncvrotica, cioè mediante la rinuncia a uscire di casa. ~ allora compito dell'analisi del piccolo Hans rendere reversibile il lavoro di questi meccanismi di difesa. I moti pulsionali vengono liberati dalle deformazioni, l'angoscia viene ricondotta dal cavallo al padre c discussa sull'oggetto reale, alleviata e riconosciuta irreale. TI tenero attaccamento alla madre può nuovamente rivivere ed esprimersi un po' di più nella coscienza, e, con l'abolizione dell'angoscia di evirazione, perde la sua pericolosità. Con l'abolizione della paura di evirazione diventa superRua anche la regressionc da essa indotta, c lo sviluppo verso la fase fallica viene ancora una volta ricuperato. La nevrosi del bambino è cosl guarita. Questo per quanto concerne i destini dei processi difensivi che si dirigono contro la vita pulsionale. Ma anche dopo il ristabilimento della sua vita pulsionalc normale attraverso le interpretazioni analitiche, il piccolo !Ians continua ad avere i suoi disturbi per qualche tempo. Il mondo reale che lo circonda gli pone continuamente di fronte due fattori con i quali ancora non può conciliarsi. La sua dimensione corporea, soprattutto quella del suo organo sessuale, è per natura ridotta in confronto a quella del padre, cosa che ancora caratterizza quest'ultimo come rivale invincibile. Rimane dunque invidioso e geloso con un fondamento reale. Inoltre entrambi gli affetti si riferiscono anche alla madre e alla sorella, che egli invidia nel vederle divertirsi insieme in occasione delle cure fisiche della piccola, mentre lui ha soltanto la parte del terzo che sta a guardare. Non può essere nostra aspettativa che il bambino di cinque anni si adatti, per una comprensione cosciente e ragionevole, a queste frustrazioni reali, che si lasci magari consolare con promesse che si adempiranno in un futuro molto lontano, e che comunque accetti questo dispiacere similmente a come, in base a una comprensione cosciente, fu disposto infine ad accettare i fatti inerenti alla sua vita pulsionale infantile. La dettagliata descrizione del "piccolo Hans" nell'Analisi della fobia di un bambino di cinque anni [Freud, 1QOB] ci dà in realtà altre informazioni sul destino di queste due frustrazioni reali. Alla fine della sua analisi, Hans racconta due sogni a occhi aperti: la fantasia dei molti altri bambini che lui pulisce e assiste al gabinetto, e subito dopo la fantasia dello stagnaio che con le tenaglie gli porta
...
via prima il upopò~ e poi il "fapipl" per dargli "un fapipl più grande e un popò più grande". Il padre e analista vi riconosce facilmente l'appagamento dei due desideri reali insoddisfatti del bambino. llans- almeno nella sua rappresentazione- ha ora un genitale come il padre, e dei bambini con i quali può fare le stesse cose che la mamma fa con la sorellina. Il piccolo Hans, che gi~ prima di queste fantasie si era liberato del sintomo dell'agorafobia, riacquista infine con questa nuova prestazione anche il suo buon umore. <;on il loro aiuto, egli si riconcilia con la realtA, cosi come, similmente, era riuscito nella sua nevrosi a riconciliarsi con i suoi moti pulsionali. Costatiamo che la comprensione cosciente dell'inevitabile non ha qui nessuna importanza. Hans rinnega la realtà con l'aiuto della sua fantasia, la trasforma a proprio uso secondo i suoi desideri, e solo in questo modo gli è possibile accettarla. Lo studio dei processi difensivi nell'analisi del piccolo Hans sembra rivelare che il destino della sua nevrosi è determinato dal momento in cui egli inizia lo spostamento della sua aggressiviU. e angoscia dal padre sui cavalli. Ma questa impressione è ingannevole. Simili sostituzioni dell'oggetto umano con un animale non sono di per sé un processo nevrotico, si presentano spesso anche nel normale sviluppo infantile e possono inoltre avere i risultati più disparati. Ad esempio, un bambino di sette anni che ho avuto in osservazione coltivava la seguente fantasia: egli possiede un leone addomesticato che è il terrore di tutti e vuole bene a lui soltanto, accorre quando lui lo chiama e lo accompagna come un cagnolino dovunque egli vada. Egli si prende cura del Icone, provvede al suo nutrimento c al suo benessere in generale, e alla sera gli prepara un giaciglio nella sua stessa stanza. Come accade di solito quando i sogni a occhi aperti sono protratti, questa fantasia fondamentale si svlluppa in numerosi episodi piacevoli. In uno di questi sogni a occhi aperti, ad esempio, il bambino si reca a una festa in maschera, e dice a tutti che il leo'ne che porta con sé non è che un amico in maschera. Ma questa sua dichiarazione è falsa poiché ul'amico mascherato" è realmente il suo Icone. Se la gode a immaginare quanta paura avrebbero gli altri se scoprissero il suo segreto. Contemporaneamente sente che la loro paura sarebbe infondata poiché il leone è innocuo finché lui lo tiene in suo potere. Nell'analisi del bambino vengo a sapere facilmente che questo leone è un sostituto del p~dre che egli, non diversamente dal piccolo
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!lans, odi:~ c teme come rivale reale nei confronti della madre. Si verificano allo stesso modo, nei due bambini, la trasformazione dell'aggressività in angoscia e lo spostamento dal padre a un animale. Poi però le strade si separano per quanto riguarda la loro elaborazione. Hans costruisce la sua neVJosi in base alla paura dei cavalli, cioè si impone una rinuncia pulsionale, interiorizza l'intero conflitto e si ritrae con la fobia dalle situazioni di tentazione. Il mio paziente si rende le cose più comode. Egli rinnega semplicemente - come Hans nella fantasia dello stagna!o - un fatto penoso dei\a realtà e nella fantasia del leone lo rovescia nel suo contrario piacevole. Egli chiama suo amico l'animale oggetto di paura, c la sua forza, anziché essere fonte di terrore, è ora :~l suo servizio. E solo più la paura dell'altra gente, dipinta in quegli episodi, tradisce ancora il fatto che in passato il leone sia stato oggetto di paura.a Introduco a questo punto un'altra fantasia di animali di un bambino di dieci anni. In un certo periodo della vita di questo bambino gli animali hanno una parte di estrema importanza, il sogno a occhi aperti in cui essi compaiono occupa gran parte della sua giornata, su alcuni degli episodi immaginati egli possiede addirittura degli appunti scritti. In questa fantasia egli è il padrone di un circo enorme e contemporaneamente un domatore di belve. Sotto la sua guida, le bestie più feroci, che allo stato libero sono mortalmente nemiche, sono addestrate a vivere insieme pacificamente. Egli le addomestica, cioè insegna loro a risparmiarsi reciprocamente la vita c poi anche a risparmiare gli esseri umani. Per domarle non usa una frusta, ma si aggira fra gli animali completamente disannato. Il punto centrale di tutti questi episodi in cui ligurano degli animali è la storia seguente: un giorno, durante uno spettacolo del circo nel quale sono riuniti tutti gli animali, improvvisamente, dal pubblico, un ladro spara su di lui con una pistola. Immediatamente gli animali si uniscono per proteggerlo e vanno a prelevare il ladro badando di non ferire nessun altro in mez:zo alla foi\a. La fantasia continua poi occupandosi del modo in cui gli animali - sempre per amore del loro padrone - puniscono il ladro, lo tengono prigioniero, lo seppelliscono, e con i loro corpi erigono trionfalmente sopra di lui una torre di enorme altezza. Poi lo portano con sé 'BcrtaBo>mtein(•9;6)horife~itolefanWiediunh>mbinodisetteanni,neltequoli
onimalibuoni•itn•forrr,.... no, inmodoanatogo,inanimalic.lttivi.Ogniserailb.:lmbino di>pancva i suoi animali gÌOCOlttolo intosno al propsio letto e<~me divinit~ lulelari, ma imm•••n•.,.. che nella notte t;>i facnscso COlUIO e<~mune e<~n un mostso che voleva •ii".. disio,
nella loro tana, dove deve rimanere per tre anni. Nel momento in cui alla 6nc viene lasciato libero, viene ancora colpito da un lungo corteo di elefanti con le loro proboscidi, e in6ne avvisato e ammonito con il dito alzato (l) di "non farlo mai più Egli lo promette. "Non lo fad più finché io sono con i miei animali." Dopo la descrizione di tutto ciò che gli animali hanno inflitto al ladro, una singolare osservazione conclusiva assicura ancora che gli animali, durante la prigionia, lo hanno nutrito molto bene, cosi che egli non ha perduto le su'e forze. L'elaborazione dell'atteggiamentO ambivalente verso il padre con ricorso alla fantasia di un animale che si fa solo presagire nel leone del bambino di sette anni, compie molti passi avanti in questa fantasia del circo.Ancl1e qui il padre reale temuto viene trasformato, mediante il rovesciamento nella fantasia, negli animali protettori. Ma, allo stesso tempo, l'oggetto paterno pericoloso viene ancora conservato nella ligura del ladro. Nella storia del leone non era chiaro contro chi fosse propriamente usata la protezione del sostituto paterno. In generale non fa che aumentare il prestigio del bambino agli ocel1i dell'altra gente. Ma nella fantasia del circo è chiarissimo che la potenza del padre, cl1e si incorpora negli animali, serve da protezione contro il padre stesso. Di nuovo, l'accento posto sulla precedente ferocia degli animali indica che in passato sono stati oggetto d'angoscia. La loro forza e abiliU., le loro proboscidi e il dito alzato in segno di ammonimento in realtà appartengono chiaramente al padre. La fantasia toglie al padre invidiato questi preziosi attributi e li attribuisce al bambino, che ora con il loro aiuto vince il padre. La fantasia dunque scambia le parti. Il padre viene ammonito a "non fare mai più" qualcosa, e deve chiedere perdono. i5:. da notare che la promessa di sicurezza che egli fa inline, costretto dagli animali, resta legata al possesso degli animali stessi. Nell'osservazione conclusiva circa la nutrizione del ladro trionfa in6ne anche l'altro lato dell'ambivalenza verso il padre. Evidentemente il sognatore a occhi aperti dCve rassicurarsi che, nonostante tutti gli atti aggressivi, non c'è nulla da temere per la vita del padre. I temi che compaiono nei sogni a occl1i aperti di questi due bambini non sono affatto soltanto individuali: li ritroviamo universalmente nelle favole e nella letteratura per bambini.9 Ricordo, a questo N.
'Po!l!iorno qui richiamare onche il moli~o. riCllff~ntc nei miti, de&li «an•mali che aiutanou, motivo che finoro ne\b letteratura J>$iCO.nalitic;a è !loto occ.,ionalmenlc trottato da altri punti di ~i•t•. Vedi ad esempio Rank (1909).
proposito, la storia popolare e favola per bambini, del cacciatore e degli animali: un cacciatore viene ingiustamente licenziato da un re cattivo per una banale trasgressione, ed espulso dalla sua casa nella foresta. Prima di andarsene, il cacciatore si avventura ancora una volta nella foresta, triste e addolorato. Nella foresta incontra, l'uno dopo l'altro, un Icone, una tigre, una pantera, degli orsi ecc. Ogni volta punta il fucile sul grosso animale per ucciderlo; e ogni volta l'animale, con sua meraviglia, comincia a parlare e a invocare che gli sia risparmiata la vita: Cacciatore, cacciatore, Se la vita salva avrò, Due cuccioli dar ti vo'. Il cacciatore accetta ogni volta questo commercio e prosegue il cammino con. i cuccioli che gli sono stati regalati. Quando alla fine egli ha riunito in questo modo un'enorme schiera di cuccioli d'animali selvaggi, si rende conto della forza della sua schiera, e con essa marcia verso la capitale fino al castello del re. Terrorizzato dalla minaccia che il cacciatore possa scatenare contro di lui la ferocia delle belve, il re pone riparo al torto commesso, e in più, per la paura, gli cede metà del suo regno e gli offre in sposa la propria figlia. Non ci è difficile riconoscere nel cacciatore della favola la figura di un figlio in lotta con il padre. La lotta tra i due prende qui la strada più lunga. Il cacciatore rinuncia a _vendicarsi sul grosso animale feroce, che è il primo sostituto del padre. In cambip gli vengono ceduti i piccoli cuccioli, che incarnano la forza di quell'animale. Con queste nuove forze che ora gli appartengono, egli vince il padre e in più si conquista da lui il possesso di una moglie. Anche qui, dunque, la fantasia rovescia le circostanze reali nel contrario. Un figlio forte si pone di fronte al padre che, vedendo la sua potenza, si sente debole, si arrende e adempie tutti i suoi desideri. I metodi usati nella favola sono esattamente quelli della fantasia del circo del mio paziente. Oltre alle storie di animali, la fantasia del leone sopra descritta trova anche un altro riscontro nella letteratura per bambini. In molti libri per bambini, forse nel modo più chiaro nella storia del Piccolo Lord Fauntleroy (di Frances Hodgson Burnett) e nel Piccolo colonnello (di Annic Fellows Johnston), troviamo la figura di un bambino o di una bambina che, contrariamente ad ogni aspettativa, riesce a
"domare" un vecchio cattivo, potente e riçco, temuto da tutto il mondo. Il bambino o la bambina sono gli unici che lo toccano nei suoi sentimenti, riescono a guadagnarsi il suo amore, sebbene egli normalmente odi tutti gli esseri umani. Alla fine, il vecchio fino ad allora indomabile e indomato, si lascia guidare e dominare dal bambino e infine è addirittura indotto a fare ogni sorta di buone azioni a favore degli altri. Anche in questi racconti il piacere si realizza nuovamente attraverso il rovesciamento completo della realtà. 11 bambino appare non solo come possessore e dominatore della potente figura paterna (il leone) ergendosi così al di sopra di tutti gli uomini che gli stanno intorno, ma è anche l'educatore che gradualmente compie la trasformazione del male in bene. Ricordiamo; anche il leone, descritto per primo, viene addestrato a risparmiare gli uomini, e gli animali del direttore del circo devono imparare anzitutto a dominare la loro aggrcssivit~ fra di loro e contro gli uomini. Anche l'angoscia nei confronti del padre in queste storie per bambini ha di nuovo lo stesso destino che nelle fantasie degli animali. Essa si tradisce nella paura degli altri che il bambino rassicura; ma la sua presenza in quel momento aumenta ancora il piacere conseguito. Il metodo per evitare il dispiacere reale e l'angoscia reale che abbiamo imparato a conoscere nelle due fantasie del "piccolo Hans" e nelle fantasie degli animali dei miei pazienti, è un metodo molto semplice. L'Io del bambino si rifiuta di prendere conoscenza di una p
realtà in~opportabile con la produzione di una formazione delirante gradita. Il confronto tra la formazione fantastica infantile c il delirio psicotico dà una prima indicazione del perché l'Io umano non può valersi più estesamente del meccanismo, allo stesso tempo cosl semplice e cosl supremamente eflic11ce, del rinnegare le fonti reali di angoscia c di dispiacere. La capacità dell'Io di negare la realtà è in totllle contrasto con un'altra prestazione che esso stima molto, e cioè con la sua capacità di riconoscere la realtà e di sottoporla a esame critico. Nella prima infanzia tale contrasto non ha ancora un effetto disturbante. Nel piccolo Hans, nel possessore del leone e nel direttore del circo, la funzione dell'esame di realtà è perfettamente intatta. Naturalmente essi non credono veramente all'esistenza dei loro animali o alla loro superioriU rispetto ai loro padri. Con il proprio intelletto sanno distinguere benissimo tra fantasia e realtà. Ma nella loro vita emotiva lo stato di cose reale e penoso è degradato e la fantasia che vi si contrappone è sovrainvestita, cosi che il piacere tratto dalla rappresentllzione può trionfare sul dispiacere reale. e difficile dire quando l'Io perda questa possibilità di superare quantiU anche più grosse di dispiacere reale con l'aiuto delle sue fantasie. Noi sappiamo che anche nella vita adulta il sogno a occhi aperti può avere una sua parte, talora come ampliamento di una realtà troppo limitata, talora come rovesciamento di questa realtà. Ma in anni adulti non è m!'lto più che un sottoprodotto del valore di un gioco, con uno scarso investimento libidico, può al massimo padroneggiare quantiU molto esigue di disagio o illudere l'individuo alleviandogli un dispiacere minore. Il suo significato originario come mezzo di difesa contro le angosce reali, apparentemente si perde già con la 6ne del primo periodo infantile. Noi supponiamo da un lato che l'esame di realtà si rafforzi, cosl che anche nella vita emotiva non ha più bisogno di essere escluso; sappiamo che il bisogno di sintesi, dominante nell'Io, vieta, nella vita più tarda, la coesistenza di elementi contrastanti; forse il legame dell'Io più maturo con la realtà è anche un legame più forte, cosi che un'alta stima della fantasia, come negli anni infantili, non è di per s.é possibile. comunque certo che il soddisfacimento fantastico nella vita adulta perde la sua innocuità, che fantasia e realtà, non appena si tratti di più serie dimensioni d'investimento, non possono più coesistere pacificamente, ma entrano in una relazione di aut aut e che, per
e
l'adulto, l'irruzione verso il conseguimento di piacere con formazioni deliranti è la via che porta alla psicosi. Un Io cl1e faccia il tentativo di risparmiarsi angoscia, rinuncia pulsionale e nevrosi mediante negazioni, spinge questo meccanismo all'estremo. Se ciò avviene nel periodo di latenza, si svilupptrà una distorsione caratteriale, come nel caso dei due bambini da me descritti; se si verifica in età adulta, le sue relazioni con la realtà ne vengono sconvolte in modo preoccupante. IO ~ attualmente impossibile dire che cosa accade nell'Io dell'adulto quando sceglie il soddisfacimento delirante e rinuncia alla funzione dell'esame di realtà. Esso si separa dal mondo esterno, cessa di registrare qualunque stimolo gli provenga dall'esterno. In relazione alla vita pulsionale, insensibilità analoghe per gli stimoli che si presentano possono essere acquisite solo faccpdo ricorso al meccanismo della rimozione. "Ricordo ai lettori ohe la rdnionc del m«<:ani•mo dol dinicso con la mabltia )>li· ohi~ e la formnione del e.rauere ~ Itala oueno di discu.,ione, in qu01Ji ultimi anni, do parte di molli aulori. Helene Dcutlch (>9H) si a«upa dd signi6e.to di querlo procosso difensivo per b genesi dell'ipomania cronie.; Bertrom D. L<:win h93~) d~~SCrive rome questo stosro mecc:3ni1mo ven1• impiepto doU'Io-pia
Capitolo 7
Il diniego neJJa parola e nell'azione
L'Io infantile ha comunque la libertà, per alcuni anni, dì scacciare, negandolo, ciò che nella realtà non gli riesce gradito, restando intatto l'esame di realtà. Di questa possibilità esso si serve in misura cospicua, non si limita alla pura sfera rappresentativa e fantastica, non solo pensa, ma agisce. UtilizZòl le cose più svariate del mondo esterno per drammatizzare anche i suoi rovesciamenti delle situazioni reali. Il diniego della realtà è naturalmente anche un diniego delle svariate motivazioni che possiamo riscontrare dietro il gioco infantile in generale e dietro il gioco dell"' impersonificazione di un ruolo" da parte del bambino in particolare. Mi viene in mente a questo proposito un libretto di uno scrittore inglese il quale descrive in versi, in modo particolarmente affascinante, questo coesistere di fantasia e realtà nella vita del suo eroe bambino. (Mi riferisco al libro di A. A. Wilne, When W e W ere Very Young.) Nella camera di questo bambino di tre anni ci sono quattro sedie. Quando si siede sulla prima di queste sedie, egli è un avventuriero che risale il Rio delle Amazzoni viaggiando di notte. Sulla seconda è un leone ruggente, che terrorizza la bambinaia; sulla terza è un capitano, che guida la sua nave attraverso i mati. Ma sulla quarta, che è un alto seggiolone per bambini, egli cerca d'im· maginmi di essere solo sé stesso, e cioè un pictolo bambino. Ciò che il poeta vuoi dire non è difficile da indovinare: gli elementi per la costruzione di un mondo fantastico piacevole si offrono al bambino naturalmente. Ma suo compito e impegno sono il riconoscimento e l'elaborazione della realtà dei fatti. E: curioso che gli adulti siano cosi pronti ad avere rapporti con i bambini proprio sulla base di questo meccanismo. Molto del divertimento che l'adulto dà in genere al bambino deriva, con la sua colla-
borazione, da questi rinnegamenti della realtà. Nella vita quotidiana si assicura anche al bambino più piccolo che è già "tanto grande", e si afferma, contro l'evidenza dei fatti, che egli è forte "come il papà", abile "come la mamma", coraggioso "come un soldato", o "tenace" come il "fratello più grande". È comprensibile che per consolare il bambino ci si debba servire di questi rovesciamenti della realtà. Non appena il bambino si è ferito, l'adulto lo assicura che "non fa già più male"; i cibi che il bambino non gradisce "non l1anno un sapore cattivo"; se qualcuno è andato via procurando al bambino un grosso dispiacere, "torna subito". A1cuni bambini accolgono realmente queste formule consolatorie e le applicano in manier~ stereotipa, per descrivere ciò che è doloroso. Ad esempio, una bimbetta di due anni prende atto della scomparsa della madre d~lla sua stanza con un mormorio meccanico: "la mamma viene subito". Un altro bambino (inglese), ogni volta che deve prendere una medicina dal gusto cattivo, è solito dire, con voce lamentevole, "mi piace, mi piace", frammento che gli è rimasto di una frase usata dall'infermiera per incoraggiarlo a pensare che le gocce della sua medicina sono buone. Anche molti dei regali d1e gli adulti, magari più estranei ai bambini, portano loro, alimentano lo stesso tipo di illusioni. Una borscttina, un piccolo parasole o un ombrellino sono destinati a sostenere b finzione di una bambina dell'essere "una signora". Un bastone da passeggio, un'uniforme e un'attrezzatura di armi giocattolo d'ogni sorta servono, nel caso del mascl1ietto, a rappresentare la viriliH. Ma in fin dei conti anche le bambole, oltre a tutti gli altri scopi, creano la finzione della maternità; i trenini e le ferrovie, le automobiline e i blocchi da costruzioni procurano anche, oltre ad altri adempimenti di desiderio e alle possibilità di sublimazione cl1e hanno da offrire, la gradevole fantasia di poter domiriare il mondo. A questo punto per la stessa via dello studio dei processi difensivi e di evitamento veri e propri, passiamo allo studio delle condizioni del gioco infantile, argomento, questo, ga trattato ampiamente dalle varie correnti della psicologia accademica. Anche il conflitto ancora irrisolto tra i diversi metodi educativi dei bambini piccoli (metodo Froebel contrapposto al metodo Montcssori) può trovare, a partire da qui, un'ulteriore giustificazione teorica. La questione controversa è, infatti, fino a che punto sia compito dell'educazione indirizzare il bambino piccolo esclusivamente alla elaborazione della rc:~lt~. e lino a che punto sia consentito
7/DI~!ECO NELLA PAROLA E ~EtL'AZ!DI'IE
all'educazione favorirlo a distogliersi da questa realtà e a costruirsi un mondo fantastico. La partecipazione volontaria dell'adulto al rinncgamcnto infantile di una realtà penosa resta però legata in ogni caso a certe rigide condizioni. Ci si aspetta che il bambino mantenga la rappresentazione del suo mondo fantastico entro precisi confini. Il bambino che fino a poco prima era stato un cavallo o un elefante e che correva a quattro gambe nitrendo o barrendo, deve essere pronto, subito dopo, a sedersi calmo c quieto a tavola come si conviene. Il domatore di leoni deve potersi assoggettare nuOvamente in qualche modo alla propria bambinaia, e l'esploratore o il pirata adattarsi a essere mandato a letto proprio quando, nel mondo degli adulti, cominciano a verificarsi le cose più interessanti. L'atteggiamento indulgente dell'adulto verso il meccanismo di diniego del bambino cessa nel momento in cui il passaggio dalla fantasia alla realtà non si compie più in modo piano, istantaneo e senza attriti, nel momento in cui il bambino vuole derivare delle conseguenze dalla fantasia per il suo comportamento reale, o, detto in termini ancora più aspri; nel momento in cui l'atti\'iU. fantastica del bambino cessa di essere gioco e diventa automatismo o coazione. Una bambina che l1o avuto in cura, ad esempio, non riusciva a capacitarsi del fatto della differenza tra i sessi. Essa aveva un fratello maggiore e un fratellino minore. Il confronto con essi diventa per lei una fonte di costante e tormentoso dispiacere, che la costringe in qualche modo a difendersene o a Melaborarlo~. Allo stesso tempo, nello sviluppo della sua vita pulsionale, l'esibizionismo svolge una funzione particolare. Per conseguenza, l'invidia del pene e il desiderio del pene assumono la forma del desiderio di avere anche lei, come i suoi fratelli, qualcosa da mostrare. In base alla conoscenza di altri sviluppi infantili, noi sappiamo che essa avrebbe a disposizione varie strade per l'appagamento di questo desiderio. Ad esempio potrebbe spostare il bisogno di esibire i suoi genitali all'esibizione del suo corpo che è grazioso. Potrebbe assumere un grande interesse per i bei vestiti e diventare "vanitosau. Potrebbe sviluppare eccellenti prestazioni sportive e acrobatiche e cosl sostituire le "prestazioni" del pene dei fratelli. In realtà essa sceglie una via ancora più breve: nega la mancanza del pene e si risparmia cosl anche il bisogno di trovarvi un ~-ostituto; e da quel momento in poi mostra una forma quasi coattiva a esibire ciò che non ha. Fisicamente, la cosa si presenta nel fatto che essa a volte si solleva la gonna per farsi guardare. Il significato
vuoi essere questo: "Guarda che bella cosa ho io!" Nella vita quotidiana cm invita gli altri, ad ogni possibile occasione, ad ammirare qualcosa che non esistc.11 "Vieni a vedere quante uova hanno fatto le galline!" "Non senti! Questa è l'automobile dello zio!" In realH né le galline hanno fatto le uova, né aniva l'automobile attesa. Nei primi tempi, con questi scherzi suscita negli adulti plauso e divertimento. Nei fratelli e nelle sorelle, ai quali in questo modo infligge continuamente delle urtanti delusioni, suscita fiumi di lacrime. Si potrebbe dire che il suo comportamento in questa fase sta ancora al confine tra gioco e coazione. Ancora più evidente diviene lo stesso processo nel caso del bambino di sette anni domatore di leoni descritto nel capitolo precedente. Come la sua analisi mostra, egli con le sue fantasie vuole non solo compensare i residui di dispiacere e di disagio, ma cerca di padroneggiare in questo modo l'insieme della sua potente paura di evirazione. I suni dinieghi prendono il sopravvento, egli non riesce più a seguire il suo bisogno di trasformazione di tutti gli oggetti generatori di paura in amici protettivi o a lui assoggettati. Egli prosegue ancora più energicamente i suoi tentativi c degrada sempre più tutto ciò che lo spaventa. Tutto ciò che suscita angoscia viene ora ridicolizzato. Ma poiché il mondo intero gli fa paura, è il mondo intero che viene distorto nel ridicolo. Alla costante pressione della paura di el'irazione egli risponde facendo altrettanto costantemente lo spiritoso. Questo "far dello spirito", che dapprima è come un gioco, tradisce il proprio carattere ossessivo o coatto per il fatto che solo più nello scherzare egli è libero dall'angoscia, e sconta ogni tentativo di avvicinarsi seriamente al mondo esterno con attacchi d'angoscia. La figura del piccolo che "fa il grande" e che con cappello e bastone dd padre gioca a "fare il papa" è un'apparizione considerata normale; comunque è una figura che conosciamo c ci è molto familiare. Mi è stato riferito un comportamento analogo nella preistoria di un mio piccolo paziente, il quale ogni volta che osserva un uomo più grande Cpiù forte prova un intensissimo sconforto. Si mette il cappello del padre e va in giro tencndosdo in testa. Finché nessuno lo disturba, è felice e contento. Fa la stessa cosa per tutta la durata di una vacanza estiva portandosi sulle spalle uno zaino pieno. La differenza tra lui c il bambino che gioca a fare il grande è solo che "Vedi in proposito la <:Onr=zione di Rad6 (.unblue piccole,thecglide.crive eomeriprod.uzioncallucinotOiìadcl mcrnbromasthilechc nsel,.nnovisto.
il suo gioco è serio, poiché ogni costrizione a togliersi il cappello qu3ndo è in camera, durante i pasti, al momento di andare a letto, suscita in lui inquietudine e scoramento. Ciò che era cominciato con il cappello del padre, si sposta poi su un berrettino con visiera, che sembra d~ uadulto", ricelfUto in regalo. Porta con sé il berretto ovunque, e lo tiene convulsamente stretto fra le mani se non gli è permesso di portarlo in testa. Ma per la verità, sperimenta ripetutamcnte che le mani possono servire anche ad altri scopi. In una di queste occasioni in cui ansiosamente cerca un posto per posare il suo cappello, scopre la possibilità che gli offre l'allacciatura anteriore dei suoi calzoncini di pelle. Con subitanea decisione infila il berretto nell'apertura, si ritrova le mani libere e costata con sollievo che può tenere il berretto sempre con sé. Chiaramente il berretto è arrivato proprio là dove doveva essere collocato, per il suo significato simbolico, fin dall'inizio: nell'immediata prossimità del suo genitale. In ciò cl1e precede ho definito di volta in volta le azioni descritte dei bambini, in mancanza di altra denominazione, come azioni ossessive o coatte. Dall'esterno presentavano la massima somiglianza con i sintomi ossessivi. Ma, viste più da vicino, non sono azioni osscssive in senso proprio. La loro struttura non corrisponde in alcun modo a ciò che noi abbiamo riconosciuto essere generalmente caratteristico della struttura dei sintomi nevrotici. All'inizio del processo che ne introduce l'insorgere, si trova in effetti una frustrazione o una delusione reale, come nella formazione sintomatica nevrotica. Tuttavia, da quel momento in poi, il conAitto che ne nasce non è interiorizzato, ma rimane attaccato al mondo esterno. Il metodo difensivo a cui ricorre l'Io, non si dirige contro la vita pulsionale, bensì direttamente contro il mondo esterno frustrante. Come nel conflitto nevrotico la percezione dello stimolo pulsionale proibito viene respinta mediante rimozione, così l'Io inf3nti\e si rifiuta con l'aiuto del diniego, di prendere conoscenza dell'impressione penosa che proviene dal mondo esterno. Nella nevrosi ossessiva, la rimozione viene assicurata da una formazione reattiva che contiene il contrario del moto pu\sionale rimosso (compassione anzicl1é crudeltà, pudore anziché esibizionismo). Parimenti, negli stati infantili descritti, il diniego viene integrato e mantenuto mediante b creazione del fatto contrario con l'aiuto della fantasia, della parola o dell'azione. La formazione reattiva del nevrotico ossessivo richiede, per conservarsi, un dispendio costante che noi definiamo controinvcstimcnto. Anche
il m~ntenimento e la rappresentazione delle fantasie piacevoli richiedono dall'Io del bambino un dispendio costante. Quando i fratelli maschi impongono alla vista della bambina la loro virilit~. essa vi risponde con l'assicurazione altrettanto costante: Anch'io ho qualcosa da far vedere.~ Il bambino, indossando il suo berretto, contrappone altrettanto incessantemente il cappello, il berrettino o lo zaino agli uomini che lo circondano e che suscitano la sua invidia, come prove tangibili della propria virilit~. Ad ogni interruzione di tali azioni dall'esternO avviene la stessa cosa che avveniva nel caso di un impedimento prodotto da autentiche ossessioni. L'equilibrio fra la tendenza respinta e la forza difensiva, faticosamente mantenuto, viene disturbato, lo stimolo del mondo esterno rinnegato o lo stimolo pulsionale rimosso tenta di aprirsi la strada verso la coscienza e produce nell'Io angoscia e sentimenti di dispiacere. Il metodo del rinncgamento con la parola e con l'azione soggiace, nell'uso temporale, alle stesse restrizioni che ho descritte, nel capitolo precedente, riguardo al diniego nella fantasia.u Esso può essere impiegato solo fintantoché può esistere a lato dell'esame di realtà senza arrecarvi tu~bamento. Fra le condizioni dell'organizzazione dell'Io adulto, unificato attraverso la sintesi, esso scompare c riemerge solo l~ dove la relazione con la realt~ sia gravemente disturbata e l'esame di realt~ deformato. Nella formazione delirante dello psicotico, per esempio, un pezzo di legno serve, non diversamente da un simile oggetto protettivo nell'infanzia, alla rappresentazione di un oggetto desiderato o perduto.u L'unica eccezione nella nevrosi è forse il "talismano" del nevrotico OSSC$SÌVO. Ma non mi azzarderei a dire se il pOSSC$SO a cui un tale paziente si aggrappa convulsamente significhi protezione dalle potenze interne proibite contro le potenze esterne pericolose, o se egli forse non abbia unificato _in sé entrambe le funzioni difensive. n metodo del diniego mediante la parola e l'azione è però soggetto a una restrizione ulteriore rispetto al diniego nella fantasia. Il bambino nel fanfasticare è sovrano. Finché non comunica a nessUno le sue fantasie, l'ambiente circostante non ha l'opportunità d'intralciarlo. Invece la rappresentazione delle fantasie con la parola e con l'azione richiede spazio nel mondo esterno. La compiacenza del g
11 Un ponte tro il Mdini~iO nolb parola c nell'uianew c il "dinitso nella botasia" ~ costituito doll'•impenonare una po1tc", aspetto del giooo dei bambini ~he non es:~mi neròquiindettoalio. "Vedi in propo•ito il C<Jntet\o di ocotomi=tione di Lafo8).
mondo esterno verso queste raffigurazioni del bambino è dunque la condizione esterna perché il meccanismo sia applicabile, cosi come la condizione interna è che esso sia tollerabile all'esame di realtà. Ad esempio, nel caso del bambino col berretto, il successo dei suoi tentativi difensivi dipende interamente dal fatto che gli si permetta di coprirsi la testa a casa, a scuola e nel giardino d'infanzia. D'altra parte, il giudizio circa la normalità o anormalità di tali meccanismi protettivi viene determinato, nel mondo esterno, non dalla struttura interna della forma difensil'a, ma solo dal grado della sua vistosità. Finché l'ossessione del bambino consiste nell'andare in giro con il suo cappello, egli ha un "sintomo". Viene considerato strano, in ogni momento corre il pericolo che gli venga sottratta la cosa che lo protegge dall'angoscia. In un altro periodo della sua vita, egli attenua le sue esigenze protettive. Abbandona zaino e copricapo e si accontenta di portarsi sempre in tasca una penna stilografica. Da quel momento in poi viene considerato normale. Egli ha adattato il suo meccanismo con soddisfazione di coloro che lo circondano, o perlomeno l'ha nascosto ai loro sguardi e alle loro esigenze. Ciò comunque non cambia nulla nella sua situazione interna d'angoscia. Per rinnegare la propria angoscia di evirazione, egli è rimasto legato al portare con sé la penna stilografica in modo altrettanto ossessivo, e paga l'eventuale perdita o qualsiasi separazione da questo oggetto con gli antichi attacchi d'angoscia e di dispiacere. La compiacenza del mondo esterno verso. tali misure protetti\·e è occasionalmente decisiva del fatto che lo sviluppo d'angoscia venga arrestato a questo punto c legato nel "sintomo" primitivo, o che invece il tentativo di difesa fallisca, lo sviluppo d'angoscia prosegua direttamente \'crso un conflitto interno, verso un rivolgimento dei tentativi. di difesa contro la vita pulsionale conducendo così a una \'era elaborazione nevrotica. Sarebbe tuttavia pericoloso fondare ad esempio il tentativo di una prevenzione delle nevrosi infantili su una tale indulgenza verso le negazioni. Ove il meccanismo sia usato oltre misura, l'Io si acquista esagerazioni, eccentriciU. e peculiarità che - quando sia definitivamente trascorso il tempo delle negazioni primitive - possono essere reversibili solo con estrema difficoltà.
Capitolo 8 Restrizione dell'Io
Il parallelo tra i metodi dell'evitare il dispiacere sia verso l'interno che verso l'esterno, iniziato con il confronto tra diniego e rimozione, formazione fantastica e formazione reattiva, può essere tracciato anche per un altro e più semplice meccanismo difensivo. Il metodo del diniego, sul quale è basata la fantasia del contrario dei fatti reali, viene usato in situazioni nelle quali è impossibile sfuggire a un'impressione esterna penosa. Una prestazione psichica cosi complessa non è affatto necessaria ove l'Io del bambino un po' più grandicello possa sfuggire allo stimolo per la sua maggiore libertà fisica di movimento e le sue maggiori possibilità psichiche di azione. Anziché percepire l'impressione penosa c a posteriori cancellarla sottraendolc l'investimento, l'Io ha la facoltà di far sl che non avvenga affatto l'incontro con la situazione esterna pericolosa. L'Io può dunque fuggire, "evitando" così, nel senso più vero della parola, l'insorgere del dispiacere. Questo meccanismo dell'evitare è un mecçanismo tanto primitivo e naturale e inoltre tanto inseparabile dalla normale formazione dell'lo, che non è facile scioglierlo, ai fini della discussione teorica, dalle sue usuali connessioni c os5ervarlo isolatamente. Lo stesso ragazzino, di cui ho parlato nel capitolo precedente come "bambino col berretto", mi offre anche l'opportunità di osservare, dur:mte l'analisi, sviluppi analoghi del suo evitamento del dispiacere. Vn giorno trova, nel mio studio, un piccolo blocco con magici fogli che egli apprezza molto c che gli piace molto. Si pone subito con entusiasmo a tinteggiarne le pagine con una matita colorata ed è contento che io faccia lo stesso. Ma, improvvisamente, getta un'occhiata a quello che sto facendo io, si arresta di colpo ed è evidentemente turbato. Un attimo dopo, mette da parte la sua matita, spinge verso di mc tutte le cose che fino a quel momento ha custodito
gelosamente, si alza e dice: MVai avanti solo tu, io preferisco guar· dare." € chiaro che nel guardare il mio foglio disegnato gli è parso più bello, più riuscito o più rifinito del suo, e il confronto ha su di lui l'effetto di uno shock. Ma, con rapida decisione, egli pone fine alla competizione, con le sue penose conseguenze, rinunciando all'at· tività che appena un momento prima era stata per lui piacevole. Egli si assume la parte dello spettatore, del quale non esiste una presta· zionc che possa essere confrontata con un'altra, e con tale rcstri· zione previene il ripetersi dell'impressione spiacevole. Questo episodio non rimane isolato. Un gioco con me, nel quale egli non vinca, una decalcomania che mostri più difetti della mia, qualsiasi cosa che non riesca a fare uguale a mc, basta a provocare in lui lo stesso cambiamento d'umore. Egli diventa infelice, inattivo e, quasi automaticamente, ritira il suo interesse da ciò di cui si sta occupando di volta in volta. In compenso, indugia ossessivamcnte c all'infinito in altre occupazioni nelle quali si sente superiore. t!: più che ovvio che :~l suo primo anno di scuola si comporti, in classe, non diversamente da come si comporta quando sta con me. Si rifiuta costantemente di associarsi agli altri bambini in un gioco o in un lavoro scolastico nel quale non si senta completamente sicuro di sé. Si aggira tra i bambini e "fa lo spettatore Il suo metodo per padroneggiare il dispiacere attraverso il rovesciamento nel contrario piaee\'Ole è cambiato. Egli restringe le sue funzioni dell'Io, si ritrae, con grande danno per il suo sviluppo, da tutte le situazioni esterne che potrebbero metterlo di fronte al dispiacere più temuto. Solo nei rapporti con bambini molto più piccoli di lui riesce a comportarsi senza restrizioni e a essere interessato. Nei giardini d'infanzia e nelle scuole condotti modernamente, in cui l'insegnamento collettivo passa in secondo piano per privilegiare un :~pprendimcnto individuale liberamente scelto, i bambini del tipo del mio "bambino col berretto non sono affatto casi rari. Gli educatori che vi lavorano riferiscono che fra i normali gruppi dei bambini più svegli, più interessati e più diligenti da un lato e dall'altro i gruppi di quelli intellettualmente più ottusi, meno interessati c pigri, si nota uno strato intermedio di bambini il cui stato non si può classificare a prima vista in nessuna delle categorie invalse di disturbi dell'apprendimento. Questi bambini, pur avendo una spiccata intelligenza e uno sviluppo buono, e nonostante siano considerati dagli altri scolari come ottimi compagni di scuola, non possono essere inseriti nel normale svolgimento delle attività di gioco o di H.
H
lavoro scolastico. Essi si comportano come se fossero intimoriti, benché i metodi scolastici evitino scrupolosamente la critica e il biasimo. Ma basta gi.\ il semplice confronto dei loro Iisultati con quelli degli altri bambini perché il loro lavoro perda, ai loro occhi, ogni valore. Da una cattiva riuscita di un compito o di un gioco con materiali costruttivi essi traggono una durevole avversione a ripetere il tentati,•o: Restano perciò inattivi e non vogliono impegnarsi in nessun posto e in nessuna occupazione, e si accontentano di stare a guardare gli altri che lavorano. Con il loro modo di bighellonare sortiscono secondariamente anche l'effetto di apparire asociali, poiché, annoiandosi, entrano in conRitto con coloro che sono assorbiti nel lavoro o nel gioco. Viene naturale considerare questi bambini, a causa del contrasto tra la loro buona dotazione e le loro cattive prestazioni, come bambini nevroticamente inibiti, e supporre che dietro il loro disturbo vi siano gli stessi processi e contenuti che noi conosciamo in base all'analisi delle inibizioni autentiche. Il quadro presenta in entrambi i casi lo stesso rapporto con il passato. In entrambi i casi il sintomo non si collega all'oggetto vero e proprio, ma solo a un sostituto attuale di un elemento centrale del passato. Ad esempio, nell'inibizione a contare o a pensare dello scolaro, nell'inibizione a parlare dell'adulto, nell'inibizione a suonare del musicista, l'attività realmente evitata non è quella del manipolare mentalmente le idee o i numeri, il pronunciare le parole, il manovrare l':nchetto del violino o il toccare i tasti del pianoforte. Tali prestazioni dell'Io," in sé innocue, sono entrate in rapporto con antiche azioni sessuali respinte, ne hanno assunto la rappresentanza e attirano ora su di sé la difesa in quanto attività "sessualizzate~. Analogamente, il dispiacere che i bambini di cui ho parlato traggono dai confronti, ha soltanto un carattere sostitutivo. Il risultato migliore che il mondo esterno pone a paragone con il loro, significa, almeno nel caso dei miei piccoli pazienti, la vista del genitale più grosso che suscita invidia; la gara alla quale devono partecipare significa.la concorrenZ:l, senza speranze, con il rivale della fase edipica o la spiacevole dimostrazione della differenza tra i sessi. Su un altro punto, invece, i due tipi di disturbo si differenzi::mo. La capacità operativa degli "spettatori" descritti può essere ripristinata con un cambiamento delle condizioni di attività. Le inibizioni autentiche sono costanti c non sono influenzate dalle variazioni nel mondo circostante. Ad esempio, una bambina, classificabile in un tale gruppo di "spettatoriH, è costretta, per circostanze esterne, a restare lon-
tana dalla sua classe, nella quale "fa la spettatrice~, per qualche tempo. Riceve lezioni private e padroneggia, giocando, la materia a cUi non riusciva ad :~ccostarsi quando stava con gli altri bambini. Lo stesso capovolgimento si presenta anche in un'altra bambina di sette anni. Le vengono impartite lezioni private perché possa ricuperare rispetto al suo scarso rendimento scolastico. In queste lezioni private si comporta in modo normale e disinibito, senza che però questo buon rendimento si traduca in un uguale rendimento nel corso del contemporaneo insegnamento a scuola. Entrambe le bambine sono dunque in grado di apprendere, purché le loro prestazioni non debbano confrontarsi con quelle delle loro compagne; similmente, il piccolo paziente, di cui parlavo prima, riesce a impegnarsi quando siano più piccoli i suoi compagni di gioco e non quando siano più grandi di lui. Dall'esterno, questi OOmbini :~pparentemente si comportano come se fosse l'azione stessa soggetta a proibizioni sia dall'interno che dall'esterno. In realt.i essa si proibisce da sé quando provoca un'impressione spiacevole. La situazione di questi bambini è dunque la stessa situazione interna della bambina, quale ci si è rivelata dallo studio della femminilit.i, in un momento decisivo dello sviluppo. 1' Indipendentemente dalla punizione e dall'angoscia morale, la bambina rinuncia, a un certo punto, alla sua masturbazione clitoridea e restringe cosl le tendenze maschili. Dal confronto con il maschietto, meglio equipaggiato per la masturbazione, essa si sente umili:~ta nel suo amor proprio e non vuole che la ripetizione degli atti masturhatori le ricordi costantemente questa discriminazione. Sarebbe tuttavia falso credere che solo il dispiacere dell'essere infe. riori nel confronto, e quindi la delusione e lo scoraggiamento siano evitati per mezzo di tali restlizioni. Nell'analisi di un paziente di dieci anni ho avuto l'opportunit.i di osservare l'entrata in azione, come sintomo passeggero, dello stesso processo per evitare un':~n goscia reale diretta, sebbene per una ragione opposta. In una certa fase dell'analisi il ragazzino si rivela un brillante giocatore di calcio. l ragatti più grandi della scuola apprezzano la sua abiliti e con sua grande gioia lo ammettono a partecipare ai loro giochi alla pari, benché sia molto più piccolo di loro. Poco tempo dopo, mi riferisce un sogno: sta giocando al pallone; un ragazzo grande e grosso dà al pallone un calcio cosi forte che lui riesce appena a scansarsi con un salto per non essere colpito. A questo punto si sveglia angosciato. "VediF<eud(>9l>)IO%. n.
L'interpretazione del sogno rivela che il suo orgoglio di potersi unire ai più grandi si è ben presto tramutato in angoscia. Egli teme che i ragazzi più grandi possano invidiarlo perché gioca bene e diventare aggressivi verso di lui. La situazione inizialmente piacevole che si è creata con la sua bravura, si è cosl tramutata in una situazione angosciosa. Lo stesso tema si ripete poco dopo in una fantasia prima di addormentarsi: vede i bambini che \'Ogliono portargli via i piedi con una pallonata. Il grosso pallone vola verso di lui cd egli sobbalza nel letto sollevando i piedi di scatto per salvarli. Come è gi~ risultato nel corso dell'analisi, i piedi- per la via indiretta di sensazioni olfattivc e idee di rigidit~, di paralisi ecc. - avevano un significato particolare come rappresentanti del suo genitale. Con il sogno e la fantasia lo sviluppo della sua nuova passione è turbato. Le sue prestazioni rcgrediscono, il prestigio che aveva goduto scompare ben presto. Il significato di questa ritirata è: uNon avete bisogno di colpire i miei piedi, tanto non sono più un buon giocatore. Ma in lui il processo non termina ancora con questa restrizione del suo lo in una direzione. Improvvisamente, con la ritirata dallo sport, i:gli rafforza tutto un altro aspetto delle sue prestazioni, c cioè l'inclinazione, che ha sempre avuto, per la letteratura e per lo scrivere. Mi legge delle poesie, ne compone di proprie, mi porta delle novelle che ha scritto quando aveva solo sette anni, e fa grandi progetti per una sua futura carriera di scrittore. Il calciatore si è cosl trasformnto in un letterato. Durante una seduta analitica di questo periodo, mi dà una raffigurazione grafica del suo atteggiamento verso le varie professioni c attività maschili. Alb letteratura viene assegnato un grosso c spesso punto nel centro del suo disegno, le varie scienze vengono sistemate attorno in cerchio, le professioni pratiche seguono in punti più lontani. In uno degli angoli superiori del foglio, vicino al bordo, un puntino piccolissimo ind1ca infine lo sport, fino a poco tempo prima ancora cosl importante. che sta a esprimere il suo estremo disprezzo per simili divertimenti. t istruttivo osservare come, in pocl1i giorni, la sua valutazione CO· scientc, alla maniera di una razionalizzazione, sia succeduta alla sua angoscia. Nel campo della poesia, egli riesce a comporre in questi giorni cose veramente sorprendenti. Il posto vuoto che si è venuto a creare nella sua funzione dell'Io per la mancanza della prestazione sportivo, viene in certo senso nuovamente compensato con un'effettiva sovrapproduzione in un'altra direzione. Dall'analisi risultn N
chiaro, naturalmente, che la paura di una vendetta da parte dei bambini più grandi deriva la sua intensità dalla ripetizione della rivalità con il padre. Una bambina di dieci anni si reca al suo primo ballo, piena di grandi aspettative. Essa si piace con il vestito e le scarpe nuove di cui si è molto preoccupata, e si innamora a prima vista del bambino più bello e più elegante fra quelli presenti. La casualità che il bambino, del tutto estraneo, abbia il suo stesso cognome, le offre un appiglio per una fantasia circa un legame segreto fra di loro. Essa si comporta in modo molto gentile verso di lui, ma non ne è molto apprezzata. Dopo aver ballato con lei, egli la prende addirittura in giro per la sua goffaggine. La delusione ha su di Ici un effetto di umiliante sl1ock. Da questo momento in poi evita simili feste, perde interesse per i vestiti e non mette più alcun impegno per imparare a ballare. Per qualche tempo si diverte ancora a guardare gli altri h::Jmbini ballare, con aria seria e senza partecipare, rifiutando gli eventuali inviti a blillare anche Ici. A poco a poco riversa su tutto questo lato della sua vita un superbo disprezzo. Ma contemporaneamente, così come il ragazzino calciatore, compensa nuovamente questa restrizione dell'Io. Ritirandosi dagli interessi femminili, cs:;a intensifica le sue prestazioni intellettuali c di apprendimento e infine, per una più lunga via indiretta, si acquista ugualmente la stima di molti rag:1zzi della sua età. In seguito l'analisi rivela che il rifiuto da parte del ragazzino col suo stesso cognome è stato inteso da lei come ripetizione di un avvenimento traumatico dei suoi primissimi anni infantili. L'elemento nella situazione da cui il suo lo fugge è qui, 1movamente, non l'angoscia o un senso di colpa, ma il dispiacere molto intenso per un corteggiamento fallico. A questo punto torniamo ancora una volta all:1 differenza tra inibizione c restrizione dell'Io. L'individuo che soffre di un'inibizione nevrotica si difende contro l'affermarsi di un'azione pulsionale proibita, cioè contro la liberazione di dispiacere per un pericolo interno. Anche quando la sua angoscia e la sua difesa apparentemente sono rivolte, come nella fobia, verso il mondo esterno, in quest'ultimo egli teme i propri processi interni. Evita le strade per non incentrarvi le proprie antiche tentazioni. Cerca di scansare l'animale che gli fa paura non per proteggersi dall'animale stesso, ma dai propri impulsi aggressivi, che un incontro risveglierebbe, c contro le loro conseguenze. Il metodo della restrizione dell'Io, d'altra parte, respinge impressioni esterne spiacevoli attuali, che a\llebbero per
conseguenza il riattivarsi di impressioni esterne spiacevoli del passato. Come nel p~ragone tra rimozione e diniego, la differenza tra inibizione e restrizione dell:Io sta nel fatto che il processo difensivo nell'un caso è diretto contro il proprio interno, ncll'~ltro· caso contro gli stimoli del mondo esterno. Le ulteriori differenze fra questi due qu~dri di situazione non sono poi altro che conseguenze di tale distinzione fondamentale. Dietro l'azione nevroticamente inibita, sta un desiderio pulsionale. L'ostinazione con la quale ogni singolo impulso dell'Es si sforza di raggiungere la meta del suo soddisfacimcnto, trasforma il semplice processo dell'inibizione in un sintomo nevrotico fissato, nel quale il desiderio dell'Es e la difesa sono in lotta costante. L'individuo esaurisce la sua energia in questa lotta c resta legato, per causa dell'Es, con minime modificazioni, al desiderio di calcolare, di parlare in pubblico, di suonare il violino ecc., mentre allo stesso tempo l'Io impedisce o quanto meno peggiora, con ugu~le persistenza, l'esecu· zione del desiderio. Nella restrizione dell'lo per angoscia reale o dispiacere reale un vincolo simile all'attiviU. disturbata non esiste. In primo piano si trova qui non l'azione stessa, ma il dispiacere o il piacere da essa prodotto. Nella ricerca del piacere e nell'evitare il dispiacere, l'Io fa uso liberamente di tutte le capacit~ di cui dispone. Esso abbandona le azioni che causano uno scatcnamento di dispiacere o d'angoscia, e non trattiene neanche il desiderio di compierle. Ritira il suo interesse da interi campi e, dopo cattive esperienze, impegna la sua attività in direzioni quanto più possibile opposte. ~ cos\ che il giocatore di pallone diventa uno scrittore, e la ballerina delusa la scolara migliore. Naturalmente, in questi casi l'Io non crea nuove capacità, ma può solo servirsi di capacità che già possiede. La restrizione dell'Io come metodo per evitare il dispiacere, similmente alle varie forme di diniego, non rientra nella psicologia delle nevrosi, ma ap.Partiene al normale processo di sviluppo dell'Io. In un lo giovane e plastico, il ritiro da un lato si compensa talvolta con prestazioni eccellenti in un altro campo. Ma se l'Io è rigido o ha già acquisito un'intolleranza al dispiacere ed è legato ossessivamente al metodo della fuga, questo è punito con cattive conseguenze per la formazione dell'Io. Ritirandosi da troppe posizioni l'Io diventa unilaterale, perde troppi interessi e impoverisce le sue prestazioni. La sottovalutazione teorica della determinazione dell'lo infantile a evitare il dispiacere è corresponsabile del fallimento di svariati
esperimenti pedagogici di questi ultimi anni. La moderna pedagogia vuole assicurare all'Io in crescita del bambino maggiore libertà d'azione, soprattutto una libera scelta delle attività e degli interessi. Nelle intenzioni, l'Io dovrebbe avere uno sviluppo migliore e ogni sublimazione trovare collocamento. Ma il bambino nel periodo di latenza può attribuire più importanza al comp'ito dell'evitare l'angoscia e il dispiacere che al soddisfacimento pulsionale diretto o indiretto. In molti casi, se non è guidato da richieste esterne, egli sceglie le sue occupazioni non serondo le sue doti particolari o le possibilità di sublimazione, ma solo per premunirsi rapidamente dall'angoscia e dal dispiacere. Con sorpresa degli educatori, il risultato di una tale libertà di scelta non è un'espansione della personalità, ma un impoverimento dell'Io. Ricorrendo ai mezzi difensivi contro il dispiacere reale e il pericolo reale, tre dei quali ho qui esposto a titolo esemplificativo, l'Io infantile esercita una profilassi della nevrosi che è tutta a suo rischio e pericolo. Esso trattiene lo sviluppo d'angoscia e si inRigge deformazioni al fine di prevenire la sofferenza. Ma le misure difensive che costruisce, come ad esempio la· fuga dalla prestazione fisica per un'altra sul piano intellettuale, l'impegno di una donna a rendersi pari all'uomo, la restrizione dell'attivit./1 ai rapporti con individui più deboli, sono misure difensive esposte, nella vita successiva, :~d ogni sorta di assalti dall'esterno. Cambiamenti nella forma di ,•ita, forzatamente causati da fatti gravi come la perdita di un oggetto d'amore, una malattia, la miseria o la guerra, pongono nuovamente l'Io di fronte alle situazioni d'angoscia originarie. Un simile venir meno della protezione dall'angoscia può allom diventare - non diversamente dalla frustrazione di un abituale soddisfacimento pulsionale -l'occasione attuale dell'insorgere di una nevrosi. Nella condizione di dipendenza in cui vive il bambino, una tale occasione di formazione di una nevrosi può essere eventualmente prodotta o allontanata a seconda del vo_lere dell'adulto. Il bambino che in una scuola libera non impara, ma sta a guardare o disegna, diventa "inibito" in condizioni di regime scolastico più severo. L'ine· sorabilità con la quale il mondo esterno tiene ferma una certa richiesta, dà come -risultato un attaccamento all'attività che provoca dispiacere; ma l'ineluttabilità del dispiacere richiede mezzi nuovi, idonei a padroncggiarlo. D'altro lato, anche l'inibizione completa o un sintomo possono ancora essere influenzati dalla protezion~
esterna. La madre che vedendo illi.glio disturbato si sente angosciata e mortili.cata nel suo orgoglio, cerca di proteggerlo c di prevenire un ~uo scontro con situazioni spiacevoli nel mondo esterno. Ma questo significa che, rispetto al sintomo del figlio, essa si comporta non diversamente dal pa~iente fobico verso i suoi attacchi d'angoscia; essa consente la fuga e la prevenzione del dolore con un'artificiosa rfstri· zione della libertà d'azione del bambino. Questo lavoro comune di madre e bambino per l'assicurazione contro l'angoscia e il dispiacere è pTObabilmente responsabile della così frequente mancanza di sin· tomi nelle nevrosi infantili. In tali casi, prima di poter dare un giudizio obiettivo sulla dimensione dei suoi sintomi, si deve sottrarre al bambino la sua protezione.
PARTE .TERZA DUE ESEMPI DI TIPI DI DIFESA
Capitolo 9 L'identificazione con l'aggressore
Le abitudini difensive dell'Io sono relativamente facili da scoprire finché i singoli metodi vengono usati isolatamente e trovano impiego solo nella lotta con un pericolo specifico. Quando incontriamo il diniego, si tratta di un pericolo esterno; quando è in corso la rimozione, l'Io combatte con gli stimoli pulsionali. La grande somiglianza esterna fra inibizione e restrizione dell'Io rende già meno certa una loro assegnazione a un conHitto esterno o interno. Ma le cose si fanno ancora più confuse quando i processi difensivi si combinano o quando lo stesso mez.zo è impiegato talvolta verso l'interno e talvolta verso l'esterno. Tutto questo vale ampiamente ad esempio per l'identificazione. Dato il suo impiego per la costruzione del Super-io essa serve a padroneggiare la vita pulsionale. In altri momenti però- come cercherò di dimostrare qui di seguito - essa costituisce, in associazione con altri metodi, uno dei mezzi più importanti nella relazione con gli oggetti del mondo esterno generatori d'angoscia. August Aichhorn riferisce il caso di uno scolaro che gli viene portato, in quanto consulente educativo, perché il bambino è solito fare smorfie. Il maestro lamenta che il bambino non reagisce in modo normale ai rimproveri o agli ammonimenti. In simili occasioni egli fa delle smorfie che fanno scoppiare a ridere tutta la classe. Il maestro non riesce a spiegarsi questo comportamento se non come una cosciente presa in giro da parte del bambino oppure come conseguenza di contrazioni simili a un tic. Le indicazioni del maestro sono facilmente confermate poiché il bambino comincia a ripetere le sue smorfie anche nel corso dell'ora di consultazione. Allo stesso tempo però, l'incontro a tre permette una spiegazione della situazione. Da un'attenta osservazione dei due, Aichhorn nota che le smorfie del bambino non sono altro che una riproduzione stravolta
dell'espressione arrabbiata del maestro; il bambino che si bova a dover sostenere il rimprovero del maestro, domina la sua angoscia con un'involontaria imitazione dell'espressione adirata. Assume egli stesso l'ira del maestro e ne copia i movimenti espressivi quando parla, benché l'imitazione non sia riconosciuta. Il fare smorfie setvc dunque in questo caso all'assimilazione o identificazione con l'oggetto temuto del mondo esterno. La bambina, della quale ho parlato in precedenza (p. 177), che cerca di superare le umiliazioni dell'invidia del pene con magie e incanti, utilizza con intenzione e consapevolezza ciò che questo bambino realizza involontariamente. La bambina non osava attraversare l'atrio di casa al buio perché le faceva venire paura dei fantasmi. Ma una volta improwisamente impara come fare, ed è ora in grado di percorrere la stanza che le fa paura con ogni sorta di gesti peculiari. Poco tempo dopo essa comunica trionfante al fratellino il segreto per non avere più paura: "Non devi aver paura nel corridoio - gli dice - devi solo far finta che rei tu il fantasma che potrebbe venirti incontro.~ I suoi gesti magici si spiegano come i movimenti che eS-~a immagina da parte dei fantasmi. Ciò che negli esempi descritti ci si presenta come pcculiaritil dci due bambini è in realtil uno dci modi comportamentali più naturali e più diffusi clcll'Io primitivo, che conosciamo da lungo tempo in base allo studio delle esorcizzazioni degli spiriti e dei cerimoniali religiosi di epoche primitive. Inoltre, in molti giochi di bambini questa metamorfosi della propria persona in un oggetto temuto serve alla trasformazione dell'angoscia in una sicurezza di colorazione piacevole. È chiaro che anche a partire da questo punto si apre una via alla comprensione del gioco infantile dell'"impersonificazione". La rappresentazione fisica dell'avversario corrisponde però soltanto all'elaborazione di un singolo brano di un'esperienza composita d'angoscia, i cui altri elementi, come è dimostrato da altre ossetvazioni, devono ancora essere padroneggiati. Il piccolo paziente di sei anni, che ho giil più volte citato, deve sottoporsi a una cura dentistica. Per le prime volte va tutto bene; non sente alcun male e, trionfante, si burla di tutti quelli che hanno paura del dentista. Ma un giorno arriva da me di pessimo umore. Questa volta il dentista gli ha fatto male. Egli è contrariato e scortese, e si sfoga sulle cose che si trovano nella mia stanza. Sua prima vittima è una gomma per cancellare. Vuole che io gliela regali. Poiché rifiuto la cosa, egli prende un coltello e vuole tagliarla a metil.
Q/IDUTIFIC:.OZ!OYB CO~ L'AGCUSSOU
Poi la sua bramosia si volge a un grosso gomitolo di spago: anche quello vorrebbe in regalo, e mi descrive minutamente come potrebbe se!Virgli bene da guinzaglio per i suoi animali. Poiché mi rifiuto di dargli l'intciro gomitolo, afferra il coltello e ne taglia per sé un lungo pezzo. Poi però non lo usa; dopo un po' si mette a tagliarlo di nuovo in tanti piccoli pezzi. Infine getta via anche lo spago, volge il suo interesse ad alcune matite a cui continua infaticabilmente a fare la punta, rompendola ogni volta e rifacendola. Sarebbe sbagliato dire che "gioca al dentista". Nel suo comportamento non è affatto coinvolta l'immagine del medico. La sua identificazione non riguarda la persona dell'avversario, ma solo la sua aggressione. Un'altra volta lo stesso bambino arriva da me dopo un piccolo incidente. Durante un gioco sportivo nella sua scuola, è andato a sbattere violentemente contro il pugno proteso dell'istruttore. Gli sanguina il labbro, si vede che ha pianto e cerca- di nascondere il tutto tenendosi una mano davanti. Io cerco di consolarlo e di tranquillizzarlo. Quando se ne va, è ancora in uno stato di affiizione, ma il giorno dopo torna impettito e in pieno assetto di guerra. Porta in testa un berretto militare, una sciabola al fianco e una pistola in mano. Vedendomi sorpresa per questa trasformazione, mi dice semplicemente: "Volevo solo giocare con te vestito cosi." Ma poi non gioca affatto; si mette invece a sedere e scrive una lettera a sua madre: ~cara mamma, per piacere, per piacere, per piacere regalami il temperino che mi hai promesso c non aspettare fino a Pasqua!" Di nuovo, non possiamo dire che il bambino, per dominare l'avvenimento generatore d'angoscia, rappresenti la persona del maestro col quale si è scontrato il giorno prima. E, in questo caso, ciò che egli recita non è neanche l'aggressione. Le armi e gli oggetti del suo equipaggiamento, in quanto attributi virili, significano chiaramente la forza del maestro e, similmente agli attributi del padre nelle fan· tasie degli animali, servono all'identificazione con la sua virilità e insieme alla difesa contro i danni e gli incidenti narcisistici. Gli esempi fin qui citati contengono elementi che conosciamo bene. n bambino introietta qualcosa della persona dell'oggetto d'angoscia ed elabora in tal modo un'esperienza angosciosa appena vissuta. Il mezzo dell'identificazione o dell'introiezione si associa con un secondo importante metodo. Con la personifi.cazione dell'aggressore, l'assunzione dei suoi attributi o della sua aggressione, il bambino si trasforma da persona minacciata in persona che minaccia. In Al di là del principio di piacere (1920, p. 2.03) Freud descrive
dettagliatamente il significato di questa svolta dalla passività all'attività per l'elaborazione di esperienze spiacevoli o traumatiche: "Se il dottore ha guardato in gola al bambino o se gli ha fatto una piccola operazione, possiamo essere certissimi che questa spaventosa esperienza sarà il tema del prossimo gioco; ma in questo caso non va trascurato che il bambino ottiene il piacere da un'altra fonte. Pas~ando dalla passiviU. dell'esperire all'attività del giocare, egli fa subire l'esperienza sgradevole che gli era capitata a un compagno di giochi, e in tal modo attua la sua vendetta sulla persona di questo sostituto Jdel medico]." Ciò che vale per il gioco può essere tTllsposto nel comportamento del bambino. Nei casi del bambino che fa le smorfie e della bambina che fa gesti magici, non è chiaro, per la verità, quale sia il destino della minaccia che essi hanno assunto su di sé. Ma l'altro bambino, nel suo umore stizzoso, rivolge la sua aggressione, assunta dal dentista e dal maestro, verso l'intero mondo esterno. Il verificarsi dello stesso processo di trasformazione fa un effetto più strano quando l'angoscia sia riferita non a un avvenimento passato, ma a un avvenimento futuro. l Io citato altrove il caso di un bambino il quale ha l'abitudine di suonare molto energicamente il campanello della casa in cui vive. Quando gli si apre la porta, copre d'insulti la cameriera per la sua lentezza e disattenzione. Ma uello spazio di tempo che intercorre tra il premere il campanello e la sua esplosione di collera sta l'angoscia dci rimproveri cl1e gli si potrebbero fare a causa di questa sua mancanza di riguardo nel suouare cosl forte il campanello. Egli dunque sommerge con le proprie lamentele la cameriera prima che essa abbia il tempo di accusare lui per la sua condotta. La veemenza delle sue invettive "profilattiche" corrisponde all'iutensiU della sua angoscia. Ed egli non us.::J l'aggressività che si è assunta contro un sostituto qualunque, ma la rivolge proprio contro la persona del mondo esterno da cui si è aspettato un'aggressione. In questo caso, dunque, lo scambio di parti tra aggressore e aggredito viene attuato fino in fondo. Un esempio chiaro di questo tipo ci è riferito da Jenny Wa\der in relazione al trattamento di un bambino di cinque anni. 15 Nel momento in cui l'an::~lisi si avvicina al materiale connesso all'onanismo c alle relative fantasie, il bambino, abitualmente timido c inibito, cade in uno stato di selvaggia aggressività. L'abituale atteggia. "Coso J)faontato ol•impOlio sull'analisi infantile tonutosi o Vionna ntliQ07 (vedi W:l!dcrHall,IQH).
mento passivo scompare c non resta alcuna traccia dei suoi tratti femminili. Durante la seduta analitica attacca l'analista fingendosi un leone ruggente. Si porta in giro una b::icchetta e gioca a fare "Krampus",16 cioè la fa roteare attorno a sé per le scale, in casa sua e durante la sedut:l. analitica, come per colpire la gente. La nonna c la madre si lamentano che egli tenta di colpirle in viso. L'inquietudine della madre rtlggiunge il culmine quando il bambino comincia a far roteare dci coltelli da cucina. Attraverso il lavoro analitico si riveb poi che l'attività aggressiva del bambino non corrisponde a una disinibizione dei suoi moti pulsionali. Egli è ancora ben lont:l.no da una liberazione delle sue tendenze maschili. Egli ha solo paura. La presa di coscienza c la necessaria confessione di sue antiche e recenti attività sessuali risveglia in lui delle aspettative di punizione. Secondo le sue esperienze gli adulti si arrabbiano quando scoprono in un bambino simili pratiche. Lo sgridano, gli danno degli schiaffi o lo picchiano con una bacchetta; forse gli tagliano anche qualcosa con un coltello. La parte attiva assunta nel ruggire come un leone, tlgitare una bacchett:l. o un coltello, serve dunque a rappresentare e ad anticipare i suoi timori. Egli ha introiett:l.to l'aggressione degli adulti di fronte ai quali si sente colpevole, e ora la volge attivamente contro le stesse persone del mondo che lo circonda. Perciò, le sue aggressiviU. aumentano ogniqua\volta si avvicini alla comunicazione del materiale pericoloso. Dopo l'irruzione finale, la discussione e l'inter· pretazione dei suoi pensieri c sentimenti proibiti, egli abbandona, presso l'analista, la bacchetta di Krampus, che aveva costantemente portato con sé fino ad allora, divenuta, improvvisamente, superflua. La sua coazione a picchiare scompare contemporaneamente alla sua angosciosa aspettativa di essere picchiato. In questa "identificazione con l'aggressore" noi riconosciamo uno stadio intermedio, affatto raro, nel normale sviluppo del Super-io dell'individuo. Quando i due bambini descritti per ultimi si identificano con le minacce di punizione degli adulti, essi compiono un passo decisivo verso lo ~iluppo dell'istanza del Super·io; essi interiorizzano una critica proveniente dall'esterno del loro modo di agire. Con progressive interiorizzazioni di questo genere, con l'introiezione delle caratteristiche degli educatori, con l'assunzione dci loro attributi e delle loro opinioni, essi forniscono ininterrottamente al Super-io il matcrÌllle per la propria formazione. Ma, ciò nonostante, i bambini "!Un diavo\ouo cJ,c accompaGno un Nikolau1
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punisce i bambini coUivi.)
non sono a questo punto seriamente impegnati nell'erigere questa istanza. La critica interiorizzata non viene ancora trasformata immediatamente in autocritica. Come abbiamo visto dagli esempi precedenti, essa si distoglie dalla biasimata azione del bambino e si riversa sul mondo esterno. All'identificazione con l'aggressore segue, con l'aiuto di un nuovo processo difensivo, un attacco attivo :~l mondo esterno. Un altro esempio più complesso consente forse di dilucidare meglio anche questo passo successivo del processo di difesa. Un bambino, al culmine del suo complesso edipico, si serve del metodo descritto per dominare l'attaccamento alla madre. Il suo rapporto buono con la madre è turbato da esplosioni di risentimento nei suoi confronti. Le rivolge rimproveri di ogni genere, tra i quali incomprensibilmente ricorre sempre un rimprovero stereotip;1to: egli si lamenta costantemente della sua curiosità. Il primo passo nella sua elaborazione dei sentimenti proibiti è chiaro. Nella fantasia del bambino, la madre si rende conto del suo corteggiamento e lo respinge indignata. L'indignazione della madre viene rappresentata in modo attivo nei risentimenti del bambino verso di lei. Ma a differenza del paziente descritto da Jenny Walder, l'accusa che egli muove contro la madre non è in termini generici. Il suo rimprovero specifico è la curiosità di lei. L'analisi rivela poi che questa curiosità non appartiene alla ,·ita pulsionale della madre, bensl alla propria. Nel suo rapporto con 13 madre, fra tutte le pulsioni parziali gli [iesce massimamente difficile padroneggiare il suo piacere di guardare, a lei rivolto. Lo scambio di ruoli è qui completo. Egli assume su di sé l'indignazione della madre e in cambio le attribuisce la propria curiosità. Una giovane paziente, in certe fasi di resistenza, carica di rimproveri vivacissimi la sua analista accusandola di fare la misteriosa. Si lamenta della sua eccessiva riservatezza, la importuna con domande di carattere personale ed è inconsolabile ogni volta che non riceve risposta. Poi i rimproveri scompaiono nuovamente, per riaffiorare dopo qualcl1e "tempo nello stesso modo stereotipato e come automatico. Anche qui possiamo scorgere il processo psichico diviso in due fasi. La p:~ziente stessa tiene segreto coscientemente, di tanto in tanto, del materiale intimo, a causa di una certa inibizione alla comunicazione. Ess:a sa che in questo modo trasgredisce alla regola fondamentale dell'analisi, e si attende il rimprovero dell'analista. Introietta il rimprovero fantastico e lo ritorce attivamente contro la person~ dell'analista. Le sue f:~si di aggressh·iU coincidono esatta-
mente, nel tempo, con le sue fasi di reticenza. La maniera specifica della sua trasgressione appare indeformata nella forma specifica della sua critica. La mancanza costituita dall'essere misteriosa, che fa parte del comportamento della paziente, viene percepita come mancanza dell'analista. Un'altra giovane paziente cade periodicamente in uno stato di intensissima aggressività. Essa rivolge il suo risentimento in modo abbastanza omogeneo contro di me, contro i genitori e contro persone meno familiari. Nelle sue lamentele ritornano ripetitivamentc soprattutto due elementi. In queste fasi insorge in lei il sentimento che le si nasconda qualcosa, che tutti tranne Ici siano al c<mente di qualche segreto. e tormentata dall'esigenza di venire a conoscenza di questo segreto. Contemporaneamente prova una profonda delusione per i difetti di tutte le persone che le sono vicine. Come nel caso della paziente a cui ho accennato prima, i tempi della reticenza propria coincidono con quelli delle lamentele per la misteriosità dell'analista, così le fasi aggressive di questa paziente corrispondono automaticamente ai momenti nei quali le sue fantasie onanistichc rimosse, sconosciute a Ici stessa, vogliono affiorare alla coscienza. La condanna degli oggetti d'amore corrisponde alla condanna che si aspetta da parte del suo prossimo per il suo onanismo infantile. Essa si identifica pienamente con questo giudizio e lo rivolta contro il mondo esterno. In compenso, il segreto che tutti le tengono nascosto, è il segreto del suo proprio onanismo, che essa 11asconde agli altri come a sé stessa. Nuovamente, l'aggressivit~ corrisponde dunqu.e all'aggressività degli altri, il segreto nel mondo esterno è un riflesso della propria rimozione. La disamina degli ultimi tre esempi ci permette di capire attraverso che cosa si determina questo stadio intermedio nello sviluppo della funzione del Super-io. La minaccia di punizione e la mancanza commessa non si sono ancora incontrate, all'interno dell'individuo, neanche dopo l'introiezionc della critica. Nello stesso momento in cui la critica viene trasposta verso l'interno, la mancanza si sposta nel mondo esterno. Ma questo significa: l'identificazione con l'aggressore è integrata da un altro mezzo difensivo, e cioè dalla proiezione della colpa. Un Io che con l'aiuto di questo mecc:mismo di difesa percorre questa particolare via evolutiva, introictta le autorità che lo criticano in quanto Super·io ed è in grado di proiettare verso l'esterno i suoi impulsi proibiti. Un tale Io diventa intollerante verso il mondo
esterno prima che severo verso sé stesso. Impara che cosa debba essere condannato, ma si protegge con l'aiuto di questo meccanismo di difesa dal dispiacere dell'autocritica. L'infuriarsi contro i colpevoli nel mondo esterno gli serve come precursore e sostituto del sentimento di colpa. Questa furi~ si intensifica automaticamente quando stia per intensificarsi l'autopcrcezione della propria colpa. Questa fase intermedia nello sviluppo del Super-io corrisponde a una specie di stadio preliminare della morale. La vera morale incominci:~ quando la critica interiorizzata, sotto forma di esigenza del Super-io, coincide, sul terreno dell'lo, con la percezione della propria mancanza. Da quel momento in poi la severità del Super-io si rivolge contro l'interno anziché contro l'esterno, attenuandosi in tal modo l'intolleranza verso l'esterno. Ma l'Io, da questo stadio evolutivo in poi, deve sopportare il dispiacere maggiore prodotto in lui dall'autocritica c dal sentimento di colpa. t possibile che alcuni individui si arrestino a questo stadio intermedio di sviluppo del Super-io c non portino del tutto a compimento l'interiorizzazione del processo. Essi rimangono allora particolarmente aggressivi verso il mondo esterno nonostante l'autopercezione della propria colpa. In casi simili il Super-io si comporta verso il mondo esterno in modo altrettanto implacabile quanto il Supcr-io del paziente melanconico verso il proprio Io. t possibile che inibizioni simili nello sviluppo del Super-io corrispondano anche a una rudimentale premessa alla formazione di stati melanconici. Cosi come ul'identificazione con l'aggressore" corrisponde da un lato a uno stadio preliminare della formazione del Super-io, sembra d'altro lato costituire una fase intermedia nello sviluppo di stati paranoidi. L'utilizzo dell'identificazione stabilisce la comunanza con l'un gruppo, l'utilizzo della proiezione la comunanza con l'altro gruppo di fenomeni. D'altro canto, identificazione e proiezione sono forme normali dell'attività dell'Io, che a seconda del materiale a cui vengono applicate, conducono ai risultati finali più svariati, La speciale Combinazione d'introiezione e proiezione, che qui definiamo come ~identificazione con l'aggressore", appartiene alla vita normale solo fintantoché l'Io se ne serve nella lotta con le persone costituenti autorità, e cioè nell'affrontare i suoi oggetti d'angoscia. Lo stesso processo difensivo perde la sua innocuità e assume carattere patologico quando viene trasposto nella vita amorosa. Anche il marito che sposta sulla moglie i propri impulsi all'infedeltà e le fa quindi appassionate rimostranze circa la sua infedeltà, introietta, in
realtà, i rimproveri di Ici c proietta un elemento del proprio EsP Ma il suo intento non è di protcggersi contro un intervento aggressivo dall'esterno, bensì contro lo scuotimento di un attae<:amento Jibidico positivo alla sua partner per disturbi provenienti dall'interno. Conseguentemente, anche l'esito è diverso. Anziché l'atteggiamento aggressivo contro i precedenti aggressori nel mondo esterno, un tale paziente acquisisce una fissazione ossessiva alla partner amorosa sotto forma di gelosia proiettata. Quando lo stesso meccanismo proiettivo sia impiegato per la difesa contro impulsi amorosi omosessuali, esso entra ancora in ulteriori combinazioni con altri meccanismi. La conversione nel contrario, in questo caso la conversione dell'amore in odio, completa poi la prestazione d'introiezione e proiezione e riesce a costruire formazioni deliranti paranoidi. In qUesti due ultimi casi - difesa da impulsi amorosi eterosessuali o da impulsi amorosi omosessuali - neanche l'Io si comporta più arbitrariamente nelle sue proiezioni. Nella scelta di un alloggiamento dei propri impulsi inconsci, l'Io si lascia determinare dal materiale pcrcettivo "che rivela la presenza di impulsi dello stesso genere anche nel partner".ll Oltre che per queste differenziazioni teoriche fra i modi d'impiego delle singole_ forme di difesa, l'analisi dell"' identificazione con l'aggressore" può venircì in aiuto anche per distinguere gli attacchi d'angoscia dalle esplosioni aggressive nella traslazione analitica. Quando con il lavoro analitico facciamo affiorare nella coscienza del paziente autentici impulsi inconsci aggressivi, l'affetto arginato cercherà sollievo mediante abreazione nella traslazione. Ma se l'emergente aggressività del paziente corrisponde a una simile identificazione con una presunta critica da parte nostra, essa resta totalmente integra nonostante l'uestrinsecazione" e r~abreazione". Essa si intensifica finché dura la proibizione degli impulsi inconsci, e scompare, come nel caso del ragazzino prima che confessasse l'onanismo, solo con la soluzione delle angosce di punizione e del Super-io.
"Vedil'reud(191U)p.J68. "Freud, ibid.
Capitolo
10
Una forma di altruismo
01'e si tratti di eliminare dal contesto dell'Io la rappresentanz.t ideativa di moti pulsiona\i pericolosi, l'effetto del meccanismo della proiezione è molto simile alla prestazione della rimozione. Altri processi difensivi come lo spostamento, la trasformazione nel contrario, il volgersi contro la propria persona influenzano il processo pulsionale stesso; la rimozione e la proiezione ne impediscono solo la percezione. Nella rimozione la rappresentazione riprovevole è rinviata nell'Es, la proiezione invece la trasferisce nel mondo esterno. La proiezione assomiglia alla rimozione anche per il fatto che essa non è legata a una speciale situazione d'angoscia ma è provocata ugualmente da angoscia reale, angoscia del Super-io e angoscia pulsionale. Gli autori della scuola inglese di psicoanalisi affermano cl1e gii nei primi mesi di vita, prima di ogni rimozione vengono compiute proiezioni degli impulsi aggressivi e queste hanno un'importanza decisiva per l'immagine d1e il bambino si forma del mondo intorno a lui e per lo sviluppo della sua personalità. In ogni caso per l'Io del bambino piccolo l'uso di proiezioni è naturale per tutto il primo periodo infantile. Gli servono per respingere da sé le proprie azioni e i propri desideri quando diventano pericolosi, e per addossarne la responsabilità a qualcuno o a qualcosa del mondo esterno·. Un "b:Jmbino estraneo~, un animale, persino oggetti inanimati gli sono ugualmente utili per un alloggiamento dei propri difetti. In questo modo l'lo infantile si sbarazza normalmente degli impulsi e dei desideri proibiti e li cede gencros:Jmente all'ambiente circostante. Se questi desideri sono sovrastati da minacce di punizione dall'esterno, l'lo propone per la punizione le persone sostitutive, sulle quali ha compiuto la proiezione; se alla proiezione lo hanno indotto dei sentimenti di colpa, esso cambia l'autocritica in accusa
rivolta all'esterno. In entrambi i casi esso prende le distanze dal nuovo colpevole ed è estremamente intollerante nel suo giudizio. Ma il meccanismo di proiezione non causa soltanto turbamenti delle relazioni umane mediante la produzione di gelosia proiettata e la trasposizione delle aggressività al di fuori. Serve anche a stabilire importanti legami positivi e quindi a consolidare i rapporti umani. Questa forma normale e meno vistosa di proiezioni potrebbe definirsi "resa altruistica"• 9 dei propri moti pulsionali ad altre persone. Darò, qui di seguito, un esempio di questo stato di cose. Una giovane istitutrice riferisce, nel corso dell'analisi, che i suoi anni infantili furono pervasi da due rappresentazioni: voleva possedere bei vestiti e avere tanti bambini. Le sue fantasie erano quasi interamente occupate in modo ossessivo da come essa si raffigurava l'adempimento di questi due desideri. Ma aveva molte altre esigenze oltre a questi due desideri principali: desiderava avere e fare tutto ciò che possedevano e facevano le sue compagne di gioco molto più grandi, anzi fare tutto meglio ed essere ammirata per questo. Il suo eterno "anch'io!" era una grande seccatura per le più grandi di lei. La maggior parte dei suoi desideri aveva un carattere d'urgenza e d'insaziabili!ll. In età adulta, ciò che in lei colpisce soprattutto è la modestia e la mancanza di pretese. All'epoca in cui viene in analisi essa è ancora nubile, senza figli, e il suo abbigliamento è piuttosto frusto e poco appariscente. Non dà segni d'invidia, mostra una scarsa ambizione e non si mette in competizione con altri se non vi è costretta da circostanze esterne. La prima impressione è che essa, come s'pesso accade, abbia avuto uno sviluppo totalmente contrastante con il periodo infantile, che i suoi desideri abbiano sublto rimozioni e siano stati sostituiti da formazioni reattive (ad esempio la smania di piacere dalla modestia, J'ambizione dalla mancanza di pretese). Come causa della rimozione ci si aspetterebbe di scoprire un divieto sessuale che si sia esteso d:J desideri esibizionistici e dal desiderio di avere figli a tutto il resto della vita pulsionale. Ma nel suo comportamento attuale non tutto è conforme :1 questa impressione. Una descrizione più particolareggiata della sua vita 1ivela un'affermazione dci suoi antichi desideri che sarebbe difficilmente possibile se \"i fossero state rimozioni. Il suo rifiuto della sessualità non le impedisce "Scoondo b dcoominuionc di Edward Bib:ring.
di seguire con sollecito interesse la vita amorosa delle sue amiche. c colleghe ili lavoro. Presta il suo aiuto nel combinare matrimoni, c molti le confidano le loro avventure amorose. La mancanza d'interesse per il proprio abbigliamento non le impedisce di curarsi attivamente dell'abbigliamento delle altre. Alla mancanza di figli propri, corrisponde parallelamente una dedizione ai figli ·degli altri, che si esprime anche nella sua scelta professionale. Si potrebbe dire che essa ha un accentuato interesse a che le sue amiche abbiano bei vestiti, siano ammirate c abbiano figli. In modo analogo, nonostante la sua modestia personale, essa è ambiziosa per gli uomini che ama, dei quali segue parimenti con accentuato interesse la carriera professionale. L'impressione che si riceve è che la sua vita si sia svuotata di desideri e interessi; fino all'epoca dell'analisi è stata una vita nella quale non è successo quasi nulla. Anziché impiegare la propria attività per il mggiungimento ili fini propri, spende tutte le sue energie nel prendere parte al destino del suo prossimo. Vive nella vita degli altri anziché fare esperienze proprie. L'analisi dei suoi rapporti infantili con la madre e il padre fornisce informazioni decisive sulla trasformazione che è avvenuta in lei. Una precoce rinuncia pulsionale, che ha dotato il suo Super-io di una particolare severità, le rende impossibile l'affermazione dei propri impulsi di desiderio. Il desiderio del pene, con le sue ramificazioni sotto forma di ambiziose fantasie virili e desideri femminili di avere un bambino, c il desiderio di piacere al padre, nuda o con dei bei vestiti, incorrono nella. proibizione. Ma non vengono rimossi. Per ognuno di questi impulsi si trovano nel mondo esterno persone sostitutive nelle quali essi possono alloggiare. La vanità delle amiche diventa l'appiglio per la proiezione della vanità propria, i desideri libidici e le fantasie ambiziose trovano nello stesso modo collocazione nel mondo esterno. Essa dunque proietta i proPri moti pulsionali proibiti su altre persone, non diversamente dai pazienti ili cui ho citato i casi nell'ultimo capitolo. La differenza sta soltanto nell'ulteriore elaborazione. Essa si identifica con i nuovi depositari dci suoi impulsi anziché distanziarsene. Si dimostra piena di comprensione per i loro desideri c si sente addirittura straordinariamente vicina ad essi. Il Supcr-io, elle condanna un certo moto pulsionalc nel contesto del proprio Io, lo tollera sorprcndentcmente in altre persone. Il suo godimento pulsionale consiste in tal modo nella compartecipazione al soddisfacimento pulsionale di altri, che le è
possibile mediante proiezione e idcntificazione. 20 La riservatezza a cui la costringe la proibizione delle pulsioni nella propria vita, scompare quando si tratta di portare ad :~ffermazione i propri desideri proiettati su qualcun altro. La "resa~ dei propri moti pulsion:~li a favore di altre persone ha perciò un significato egoistico; ma la sollecitudine per il soddisfacimento pulsionale di questi altri dà luogo a un comportamento che non può che definirsi altruistico. Questo collegamento fra il desiderio proprio e quello altrui, che si esprime in tutta la sua condotta di vita, può essere seguito con particolare chiarezz:~ nell'analisi di piccoli fatti isolati. Ad esempio, a tredici anni essa si innamora segretamente di un amico della sorella maggiore che in tempi passati era stata oggetto particolare della sua gelosia. Essa si chiede se anch'egli ocC:Jsiona\mente non la preferisca alla sorella, e spera costantemente di avere delle dimostrazioni d'amore da parte sua. In una di queste occasioni essa viene trascurata, com'è già accaduto spesso. Il giovanotto arriva una sera inatteso per invitare la sorella a uscire. Nell'analisi essa ricorda con molta chiarezza come la sua delusione inizialmente paralizzante, si trasformi in un improvviso :~ffaccendarsi; comincia a cercare le cose con le quali la sorella pos5a farsi "bella~ per uscire e l'aiuta premurosamente a prepararsi. Nel fare tutto questo si sente felicissima e si dimentica completamente che non è lei ma la sorella che esce per andare a divertirsi. Essa ha proiettato sulla rivale il proprio desiderio d'amore e il desiderio di piacere, e ne gode l'appagamento nell'identificazione con l'oggetto della sua invidia. Essa esperimenta lo stesso processo quando si tratta di frustrazione e non di un appagamento. Le piace molto dar da mangiare ai bambini che le sono affidati. Una volta accade che una madre si rifiuta di privarsi di un dolce per darlo al suo bambino. Benché personalmente essa in genere dimostri la massima indifferenza per i piaceri della tavola, questo rifiuto della madre le procma una furiosa indignazione. Essa esperisce come propria la frustrazione del desiderio del bambino, cosl come nell'altro caso aveva vissuto come propria la soddisfazione della sorella. Ciò che essa ha "ceduto" agli altri è evidentemente il diritto a un indisturbato appagamento dei desideri. Quest'ultimo tratto si può riconoscere ancora più chiaramente nelle esperienze di un'altra p:~ziente dello stesso tipo. Una giovane donna, che ha un rapporto particolarmente buono con il suocero, '"Si v~a a q~esto proposito il çoncdto di (1Q)6)elcsueossc,..,.azionisull'aTgomento.
~idcnti6earione partecip;~ntc~
di Paul Fcdern
reogisce in modo singolare allo morte della suocera. Essa ha il compito di prowedcre, con altre donne della famiglia, alla spartizione dei vestiti della defunta. A differenza di tutte le altre si rifiuta di prendere anche un solo indumento per proprio uso. Invece decide di tenere da parte un cappotto per regalarlo a una cugina povera. Ma non appena la sorella della defunta vuole staccare e tenere per sé il collo di pelliccia applicato al cappotto, essa, che fino a quel momento è stata indifferente c disinteressata, si infuria in modo indicibile. Rivolge tutta la sua aggressività, solitamente inibita, contro lo _zia e alla fine impone che la sua protetta riceva ciò che lei le ha destinato. L'analisi di questo fatto mostra che i suoi sentimenti di colpa verso la suocera le impediscono di prendersi qualcosa che è stato suo. Un vestito significa per lei l'appagamento simbolico del desiderio di prendere il posto della defunta presso il suocero. Rinuncia perciò a qualunque cosa per sé stessa e cede alla cugina il desiderio di succedere alla "madren. Allora, però, sente in piena forza l'esigenza e la delusione ed è in grado di impegnarsi perché il suo desiderio venga adempiuto, cosa che non le riesce mai nella prOpria vita. Il Supcr-io che si mostra inesorabile verso i suoi moti pulsionali, acconsente al desiderio pulsionale quando sia allontanato dal proprio Io. Il comportamento aggressivo, di solito inibito, ~ improwisamente in sintonia con l'Io nell'affermazione del desiderio di qualcun altro. Ai due esempi sopra esposti l'osservazione quotidiana ci permette di aggiungerne quanti ne vogliamo, una volta che ci siamo abituati a prestare attenzione a questo processo difensivo costituito dalla combinazione di proiezione e identificazione. Ecco alcuni casi: una rJgazza che è turbata da scrupoli di coscienza nel decidere circa il proprio matrimonio, sollecita invece molto energicamente il matrimonio della sorella. Una paziente, la quale soffre di inibizioni ossessive nello spendere denaro per sé stessa, può diventare improvvisamente genero~ se solo acquista dei regali. Un'altra paziente alb quale l'angoscia impedisce di realizzare i suoi progetti di viaggi, manifesta un imprevedibile entusiasmo nel consigliare alle sue amiche di viaggiare. In tutti questi casi, l'identificazione con la sorella, con l'amica, con la persona a cui è fatto un regalo, si rivela con un improvviso e caldo sentimento di solidarietà che perdura finché il desiderio proprio non è realinato dalla persona sostitutiva. Il linguaggio popolare ironiua da sempre sulle "vecchie zitelle che combinano matrimoni" e su chi si intriga nel gioco altrui trovando
10/VM.O. FOONA I>J ALUVISMO'
sempre da ridire perché "la posta in gioco non è abbastanza :~lta ~. La cessione del moto pulsionale :1 un'altra persona e il sorvegliare che il desiderio sia appagato per la persona sostitutiva assomigliano effettivamente all'interesse e al godimento di chi è spettatore di un gioco nel quale non può osare personalmente alcuna puntata. Ma la prestazione di questo processo difensivo è duplice. Non solo esso assicura la b:uona disposizione dell'individuo verso il soddisfacimento pulsionale del suo prossimo pcrmettendogli cosl un godi· mento pulsionale indiretto nonostante il divieto del Super-io; ma, contemporaneamente, libera l'attività inibita e l'aggressività che dovevano servire a salvaguardare i desideri originari. La paziente che non è in grado di fare alcunché per procurare a sé stessa dei godimenti orali, può indignarsi nei confronti della madre che impone una rinuncia orale al figlio, bambino estraneo per la paziente. Nel caso della nuora a cui è proibito acquisire per sé i diritti della pa· drona di casa defunta, il diritto simbolico di un'altra persona può essere difeso con estrema aggressività. Un'impiegata che non OSC· rebbe mai chiedere per sé un aumento di stipendio, assedia improvvisamente la direttrice per far valere i diritti di una collega. L'analisi di situazioni simili svela l'origine di questo meccanismo di difesa nel conBitto infantile con un'autorità parentale per qualche founa di soddisfacimento pulsionale. L'aggressività verso la madre, proibita fino a che si tratti del desiderio pu\sionale proprio, si afferma invece quando i desideri siano apparentemente desideri altrui. Il rappre· sentante più conosciuto di questo tipo è il pubblico benefattore che con la massima aggressività ed energia richiede denaro a un gruppo di persone per farne donazione a un altro gruppo; l'esempio estremo è forse quello dell'attentatore il quale, in nome degli oppressi, diventa assassino di un oppressore. L'oggetto contro il quale è diretta l'aggressività liberata resta sempre il rappresent~nte di quell'autorità che nel periodo infantile ha imposto la rinuncia pulsionale. L'oggetto a cui viene "ceduto" il moto pulsionale proprio, può essere scelto in base a svariati punti di vista. È possibile che la percezione, nel mondo esterno, del moto pulsionale proibito, sia sufficiente all'Io come punto d'appoggio per la proiezione. Nel caso dell'eredità della suocera, il fatto che la persona sostitutiva non rientri nell'ambito dei parenti stretti, contrassegna come innocuo il desiderio che, per la paziente stessa, è rappresentanza del desiderio d'incesto. Nella maggior parte dei casi la persona sostitutiva è un antico oggetto d'invidia. L'istitutrice altruistica del primo esempio
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IO l< MECC4NIS ..U DI DIFESA
trasferisce le sue fantasie ambiziose sugli amici e i desideri libidici sulle amiche. Gli amici, a cui è più affezionata, sono i successori del padre e di un fratello maggiore verso i quali si era sviluppata la sua invidia del pene; le amiche sono le rappresentanti di una sorella sulla quale era stata spostata l'invidia del pene, in un periodo infantile più tardo, sotto forma di invidia della sua bellezza. Nell'affermazione dci propri progetti ambiziosi, essa si sente ostacolata dal fatto di essere una ragazza; ma, in quanto tale, non si sente abbastanza carina per piacere realmente agli uomini. Nella delusione per sé stessa trasferisce perciò i suoi desideri su oggetti più appropriati. Nel mondo professionale, gli uomini devono conseguire, in vece sua, ciò che Ici stessa non potrà mai conseguire, e lo stesso devono fare per lei le ragazze più carine nella vita amorosa. La "resa altruistica" diventa qui un metodo col quale può essere superata l'umiliazione narcisistica. Una tale cessione del desiderio pulsionale a favore di un oggetto più idoneo al suo appagamento spesso determina il rapporto di una ragazza con l'uomo in generale, per cui essa sceglie un uomo che sia rappresentante della propria persona, a tutto detrimento di una vera relazione oggettuale. In ragione di questo attaccamento ~altruistico" a lui, essa pretende che egli realizzi nella vita i progetti che personalmente si sente impedita a realizzare per il fatto di essere donna; ad esempio che egli studi al posto suo, scelga una certa professione, diventi celebre o ricco e cosl via. In tali casi egoismo e altruismo si fondono nelle più svariate mescolanze. Ci è nota un.a tale resa altruistico-egoistica dci propri progetti di vita al figlio nel rapporto tra genitori e figli. Ad esempio i genitori vogliono realizzare per forz:~ con l'aiuto del figlio, come oggetto più idoneo, i desideri ambiziosi che non sono riusciti essi stessi a realizzare nella propria vita. Forse anche il rapporto così puramente altruistico della madre con il figlio è codetcrminato ampiamente da una simile cessione dci suoi desideri all'oggetto "più idoneo" in quanto maschio. In effetti, il successo di un uomo nella vita risarcisce ampiamente le donne della sua famiglia per la rinuncia alle proprie ambizioni personali. L'esempio più bello e più p;:~rticolarcggiato di una simile resa altruistica Dll'oggctto più qualificato si trova nel dramma Cyrano de Bergcrac di Edmond Rostand. L'eroe di quest'opera è un personaggio storico, un nobiluomo francese del diciassettesimo secolo, scrittore, ufficiale della guardia, famoso per il suo ingegno e il suo valore, ma poco adatto a corteggiare le donne per il suo naso particolar-
mente brutto. Egli si innamora della bella cugina Rossana, ma consapevole della sua bruttezza, rinuncia subito a qualunque prospettiva di essere ricambiato nel suo amore. Anziché tenere lontani i rivali con la sua temuta arte di spadaccino, egli cede le proprie aspirazioni amorose a un uomo più prestante. Fatta questa rinuncia, egli pone la sua forza, il suo coraggio e il suo spirito al servizio di quest'uomo più fortunato e compie ogni sforzo per aiutarlo a realizzare i suoi desideri. Il culmine del dramma è una scena notturna sotto il balcone della donna amata dai due uomini. Citano sussurra al rivale le parole che sono destinate a fargli avere successo, poi nell'oscurità prende il posto dell'altro e parla per lui, dimenticando, nel fervore del corteggiamento, che non è lui stesso il corteggiatore, e solo all'ultimo momento ritorna alla sua rassegnazione quando il bel Cristiano viene esaudito e sale sul balcone per abbracciare l'innamorata. Cirano diventa sempre più amico del rivale e in battaglia si preoccupa più di proteggCre la vita di lui che la propria. Quando il suo soggetto sostitutivo gli viene sottratto dalla morte, egli cessa anche il corteggiamento di Rossana, come qualcosa di proibito. Che l'autore nell'ualtruismo" di Cirano voglia descrivere qualcosa di più che una singolare avventura amorosa è dimostrato da un parallelo che egli fa tra la vit:~ amorosa di Cirano e le sue vicende di scrittore. Così come Cristiano si conquista l'amore di Rossana con le ~sie e le lettere di Cirano, poeti quali Corneille, Molière e Swift si servono di intere scene prese da opere sconosciute di Cirano, raffor:tando cosi la propria fama. Il Citano del dramma accetta questo destino. Egli è altrettanto pronto a prestare le sue parole a Cristiano, più bello di lui, quanto al geniale Molière. Il difetto fisico che egli disprez:ta nella propria persona, gli fa apparire gli altri, preferiti a lui, come oggetti più idonei alla realizzazione delle proprie fantasie di desiderio. Una breve osservazione circa il fenomeno dell'angoscia di morte ci consente infine di considerare la nozione di uresa altruistica" anche da un altro punto di vista. U dove la proiezione di moti pulsionali su altri sia di ampia dimensione, l'individuo in questione non fa l'esperienza dell'angoscia di morte. Un tale lo non avverte una reale preoccupazione per la propria vita neanche nel momento del pericolo. Conosce però un'accentuata preoccupazione e angoscia per la vita dei suoi oggetti d'amore. L'osservazione ci dimostra che questi oggetti, la cui sicurezza è d'importanza tanto vitale, sono le stesse persone sostitutive sulle quali furono spostati i moti pulsionali. Ad
,,, esempio la giovane istitutrice di cui ho parlato prima, trema Con angoscia esagerata per la vita delle sue amiche durante le loro gravidanze o i parti. Cirano, come abbiamo visto, pone la salvezza di Cristiano in battaglia molto al di sopra della propria. Sarebbe un errore supporre che sia la rivaliU. rimossa a riafliorare anche in questo caso in desideri di morte respinti. In base all'analisi di tale angoscia e di tale libcrU. dall'angoscia sembra piuttosto che la propria vita sia
considerata degna di essere vissuta e conservata solo in quanto vi sia contenuta la possibilità di un soddisfacimento pulsionale. Quando il moto pulsionale è ceduto a oggetti estranei, anziché la propria vita diventa preziosa la vita dell'altro. L'annientamento dell'oggetto sostitutivo avrebbe lo stesso significato - come per Cirano la morte di Cristiano - dell'annientamento di tutte le speranze di un possibile appagamento. La giovane istitutrice si accorge per la prima volta, dopo la sua analisi, in occasione di una malattia, che il pensiero di morire significa per lei qualcosa di spiacevole. Con sUa sorpre$ll, essa si augura ardentemente di poter vivere ancora tanto a lungo da poter arredare la nuova casa e da superare un esame che migliorerà la sua posizione professionale. La caSa e l'esame significano, sia pure in forma rubli· mata, gli appagamenti di desideri pulsionali che l'analisi l'ha resa capace di riportare nella propria vita. 2 '
"Il: ehioro la somi&)ionUL di situazione t1a la ~tt5a alrroistica~ e le condizioni a noi note d'insoracnu dell'omosessualit~ maschile. Anche l'omosessuale trasferisce la sua esi· 1enu di essere amato dalla modrc, su un fratello pi~ gioy;ane che ~ stato in prt«denta oggetto d'invidia. 2vcroehepoi50ddi•fa egli stesso qucst'csi1enta am>mendo unattbile, veoo la stessa mota pub ~~"""'"· ad esempio, attSO
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l'ARTE QUARTA DU'ESA PER ANCOSCIA DELLA POTENZA PULSIONALE (ILLUSTRATA SULL'ESEMPIO DELLA PUBERTÀ)
Capitolo u
L'Io e l'Es nella pubertà
Fra tutti i periodi della vita umana nei quali i processi pulsionali sono inequivocabilmente d'importanza centrale, la pubertà ha da sempre attirato la massima attem:ione. I fenomeni psichici che accompagnano l'avvento della maturità sessuale, interessano la psicologia da lungo tempo. Nella letteratura non analitica troviamo costantemente descrizioni notevoli delle alterazioni di carattere che avvengono in questi anni, delle turbe nell'equilibrio psichico, c soprattutto degli incomprensibili e inconciliabili contrasti nella vita psichica del singolo. L'adolescente è allo stesso tempo egoista al maSsimo, considera sé stesso come il centro del mondo su cui è appuntato tutto il suo interesse, ed è tuttavia capace di sacrificio c pronto alla dedizione come mai più sarà nella vita successiva. Egli stabilisce le più appassionate relazioni amorose, ma le interrompe con la stessa immediatezza con cui le ha iniziate. Passa da un'entusiastica partecipazione alla vita della comunità a un'invincibile propensione alla solitudine; da una cicca sottomissione a un capo di propria scelta a una caparbia ribellione contro qualsiasi autorità. t egoista e materialista e contemporaneamente pervaso da un elevato idealismo. E ascetico, con improvvisi abbandoni ai soddisfacimenti pulsionali più primitivi. Si comporta a volte in modo rozzo e irriguardoso verso il suo prossimo ma è personalmente estremamente sensibile ad ogni umiliazione. Il suo umore oscilla tra il più sconsiderato ottimismo e il più profondo dolore universale, il suo atteggiamento verso il ]a\'Oro tra un entusiasmo infaticabile e una cupa indolenza e mancanza d'interesse. Nella psicologia act:~demica troviamo due tentativi di spiegazione di questi fenomeni che divergono ampiamente l'uno dall'altro. Secondo l'una teoria, questa tempesta nella vita psichica è la conse-
gucnz.a diretta, e probabilmente fondata nel chimismo sessuale, dell'attività appena iniziata delle ghiandole sessuali, quindi solo un fenomeno psichico concomitante di processi fisiologici. L'altra teoria respinge un simile collegamento tra il fisico e lo psichico. l fenomeni di sconvolgimento psichico descritti sarebbero appunto il segno dell'inizio della matuiità psichica, così come i contemporanei cambiamenti fisici sono il segno della maturiH fisica sessuale. Il fatto che .llppaiano simultaneamente processi psichici e fisici non dimostrerebbe ancora che gli uni siano anche la causa degli altri. Questa teoria rivendica dunque una piena indipendenza per i fatti dello sviluppo psichico dai processi ghiandolari e pulsionali. Su un solo punto i due indirizzi psicologici concordano, e cioè sul fatto che sia ai fenomeni fisici sia a quelli psichici della pubert:\ spetta la massima importanza per lo sviluppo dell'individuo, che si trova qui l'inizio e la radice della vita sessuale, della capacità amorosa e del carattere. La psicoanalisi, invece, è stata finora stranamente poco attratta dai problemi psicologici dell'età puberale, benché abbia altrimenti preso spunto, assai spesso, nei suoi tentativi di spiegazione, dalle contraddizioni esistenti nella sfera psichica. Se eccettuiamo alcune poche opere fondamentali,n la psicoanalisi ha piuttosto trascurato e rinviato lo studio della pubertà, dedicando più attenzione allo studio di altri periodi evolutivi. Ciò deriva evidentemente dal fatto che la psicoanalisi non condivide la valutazione della pubertà, sopra ac-cennata, come inizio della vita sessuale umana. Secondo la teoria psicoanalitica, l'inizio della vita sessuale umana è in due tempi. Il primo tempo è il primo anno di vita. Nel periodo sessuale della prima infanzia, e non nella pubertà, sono compiuti i passi decisivi nello sviluppo, sono attraversate le fasi importanti dell'organizzazione sessuale pregenitale, sono sviluppate e attivate le varie pulsioni parziali, e decretate la normalit:\ o anormalità, la capacità o incapaciU amorosa dell'individuo. Lo studio di questo primo periodo deve dunque apportare anche dilucidazioni sull'origine e lo sviluppo della sfera sessuale" che la psicologia accademica si aspetta dallo studio della pubertà. La pubertà non è che una delle fasi evolutive della vita umana. Essa è la ripetizione, temporalmente più prossima, del periodo sessuale infantile; un'altra più lontana nel tempo si trova nella vita più tarda, nel climaterio. Ognuno di questi periodi sessuali è un rinnovamento e una riattivazione del precedente, e "VodiFreud(•oo;);jonC$(19n);Bcrnfcld{lQ>J).
ognuno, naturalmente, apporta un'aggiunta propria alla vita sessuale umana. La pubertà, con l'inizio della maturità fisica sessuale, spinge in primo piano la genitalità e dà alle tendenze genitali la supremazia sulle pulsioni parziali pregenitali. Il climaterio, conseguentemente alla recessione fisica delle funzioni sessu~li, porta a un ultimo divampare degli impulsi genitali e restituisce agli impulsi pregenitali i loro antichi diritti. L~ letteratura psicoan~litica si è finora occupata soprattutto delle somiglianze fra questi tre periodi di tempeste sessuali nella vita umana. Tali somiglianze sono più evidenti nei rapporti di forza quantitativi fra l'Io e la pulsione. In ognuno di questi periodi- prima infanzia, pubertà e climaterio - un Es relativamente forte si contrappone a un Io relativamente debole. Sono dunque periodi di potenza dell'Es e di debolezza dell'Io. Oltre a queste vi sono poi anche grandi somiglianze qualitatÌ\'e per quanto riguarda l'uno dei fattori in questo rapporto di forze tra Io cd Es. L'Es dell'individuo rimane ampiamente uguale nel corso di tutta la vita. E: vero cl1e i moti pulsionali sono capaci di trasformazione quando vengono a scontrarsi con l'Io e con le richieste del mondo esterno. Ma nell'ambito dell'Es stesso poco o nulla cambia, a parte il progresso delle mete pulsionali dallo stadio pregenitale a quello genitale. I desideri sessuali, che con il rafforzarsi della libido sono costantemente pronti a riaffiorare dalla rimozione e gli ·investimenti oggettuali e le fantasie ad essi connesse rimangono pressoché inalterati nell'infanzia, nella pubertà, nell'età adulta e nel climaterio. Le somiglianze fra i tre periodi d'intensificazione della libido nella vita umana si spiegano dunque qualitativamentc per la relativa immutabilità dell'Es. Le differenze fra questi periodi, delle quali la letteratura psicoanalitica si è finora occupata di meno, sono quindi da ricondurre al secondo partner nel rapporto tra Es e Io: alla grande capacità di trasformazione dell'Io umano. Tanto l'Es è immutabile, tanto l'Io è trasformabile. Prendiamo come esempio l'Io della prima infanzia e l'Io della pubertà: diversa è la dimensione, diversi sono i contenuti, le conoscenze c le capacità, diverse le dipendenze e le angosce. Esso utilizza perciò nella sua battaglia contro la pulsione, anche altri mezzi difensivi. Possiamo aspettarci che un'indagine più approfondita di queste differenze tra prima infanzia e pubertà ci apporti altrettante dilucidazioni sulla fonnazione dell'Io quante ce ne ha già apportate lo studio dei p~ralleli fra questi periodi per la vita pulsionale.
Come nello studio dei processi pulsionali, anche nello studio dell'lo lo sviluppo successivo può comprendersi solo in base al precedente. Dobbiamo prima comprendere b situazione dell'Io della prima infanzia per poter spiegare i disturbi dell'Io della pubertà. La lotta tra Io ed Es nel bambino piccolo ha condizioni proprie. Le rivendicazioni di soddisfacimento, che derivano dai desideri della fase orale, anale e fallica, gli affetti e le fantasie che si collegano al complesso edipico e al complesso di evirazione, sono straordinariamente vivaci; l'Io che vi si contrappone è in formazione, e dunque è ancora debole e immaturo. Ciò nonostante il bambino piccolo non è né un essere pulsionale privo di restrizioni, né, in circostanze normali, giunge ad avvertire la pressione delle angosce pulsionali che sono dentro di lui. Il debole lo del bambino ha un potente alleato contro la sua vita pulsionale nel mondo esterno, cioè nelle influ'enze educative a cui è soggetto. Esso non viene mai a trovarsi nella situazione di misurare le proprie misere fofle contro i molto più forti moti pulsionali ai quali, da solo, dovrebbe sicuramente soccombere. Gli si lascia a malapena il tempo di prendere conoscenza dei propri desideri c di avvertire la propria forza o debolezza di fronte alla pulsione. La sua condotta verso l'Es gli è semplicemente prescritta dal mondo esterno con promesse e minacce, cioè con premi d'amore e punizioni. Il bambino piccolo, sotto l'influenza del mondo esterno, acquista, nel giro di pochi anni, una notevole capacità di controllare la sua vita pulsionale; resta tuttavia indeterminato che cosa di queSta acquisizione sia da ascrivere al suo Io e quanto alla pressione diretta del mondo esterno. Fintantoché l'Io del bambino in questa situazione conflittuale si pone dalla parte degli influssi del mondo esterno, si dice che il bambino è ~buono n. Si dice che è "cattivo" se il suo Io ~i mette dalla parte dell'Es e si oppone alla restrizione del soddisfacimento pulsionale imposta dall'educazione. La scienza che si è data il compito di seguire in modo particolareggiato questa oscillazione dell'Io infantile tra Es e mondo esterno è la pedagogia. Essa cerca di trovare i mezzi con i quali si possa rendere sempre più stretta l'alleanza tra educazione e Io e si possa condurre in modo sempre più efficace la comune lotta per il dominio delle pulsioni. Ma la situazione del bambinq piccolo contiene già anche un conflitto endopsichico che è al di fuori della portata dell'educazione. Il mondo esterno si procura molto presto un rappresentante nel mondo interno del b~mbino: l'angoscia reale. La sua comparsa non è ancora
11 /!a 2 ~S ~ELLA PVBHd•. una prO\'a della formazione di un'istanza superiore nell'Io stesso, cioè di una coscienza morale o del Super-io, ma ne è il primo precursore. Essa significa l'anticipazione delle offese che il mondo esterno potrebbe inRiggere al bambino per punizione, e cioè una sorta di "dispi3cere preliminare" che governa il comportamento dell'Io indipendentemente dall'aVI!erarsi o meno delle pUnizioni attese. Da un lato l'angoscia reale è tanto maggiore quanto più pericoloso e minaccioso è il comportamento del mondo che circonda il bambino. D'altro lato, noi sappiamo che l'angoscia reale si rafforza con la riconversione di processi pulsionali, si combina ampiamente con angosce fantasticate c ignora i mutamenti della realtà esterna, cosl che si allenta sempre più il suo collegamento con la 1ealtà. Fra la quantità delle richieste pulsìonali e la forza di questa angoscia reale si svolge in ogni caso il conflitto interno del bambino, e i sintomi delle nei!Tosi infantili sono tentativi di risolverlo. Lo studio e la descrizione di queste lotte interne sono un territorio conteso fra gli scienziati: alcuni affermano che appartenga ancora alla pedagogia, mentre è nostra convinzione che appartenga già alla teoria delle nevrosi. La situazione dell'Io del bambino piccolo ha inoltre in sé qualcos'altro di caratteristico che non si ripeterà mai più nel seguito della vita. In ogni situazione difensiva posteriore entrambi i partner del conflitto sono presenti: la pulsione si scontra con un lo più o meno rigido col quale deve venire a un accomodamento. Quella parte dell'Io a cui spetterà per tutto il resto della vita il compito di assoggettare le pulsioni, si forma in questo primo periodo infantile .sotto la pressione delle ricllieste pulsionali provenienti dall'Es e la pressione contemporanea dell'angoscia reale generata dall'esterno. Si potrebbe dire che l'Io è "fatto su misura" 21 per tenere l'equilibrio tra queste due forze: la spinta pulsionale e la pressione del mondo esterno. Noi consideriamo chiuso il primo periodo infantile quando questp lato della formazione dell'Io ha raggiunto un certo stadio. L'Io ha perfezionato le sue abitudini di combattimento nei confronti dell'Es. Ha stabilito una certa proporzione fra godimento pulsionale c rinuricia pulsionalc, a cui può attenersi nel liquidare singoli conflitti. Si è abituato a certe norme nel differimento del soddisfacimento, e preferisce i metodi di difesa che stanno sotto il segno dell'angoscia reale.
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Si potrebbe dire che tra l'Io e l'Es si sono instaurate delle "buone maniere alle quali d'ora in poi si atterranno entrambi. Questa situazione si modifica poi nel corso di pochi anni. [J periodo di latenza, con l'abbassamento, fisiologicamente condizionato, della potenza pulsionale, offre all'Io una tregua nella sua lotta difensiva. Esso guadagna tempo per occuparsi di altri compiti, allarga il suo patrimonio di contenuti, conoscenze c capacità. Diventa cosi più forte anche verso il mondo esterno, lo fronteggia in modo meno impotente e succubc, c questo mondo esterno non gli appare più cosl onnipotente come prima. Il suo atteggiamento verso gli oggetti esterni si trasforma gradualmente con il supcramcnto della situazione edipica. Cessa la dipendenza esclusiva dai genitori c allo stesso tempo si afferma sempre più l'idcntilicazione prendendo il posto dell'amore oggcttuale. Ciò che i genitori e gli educatori hanno anzitutto contrapposto al bambino - i loro desideri, le loro richieste e i loro ideali - vengono introiettati in misura crescente. Ora il mondo esterno si fa sentire nella vita interna del bambino non più solo con la comparsa di angosce reali: il bambino ha istituito nel suo Io, come rappresentante delle richieste del mondo circostante, un'istanza permanente che noi chiamiamo il Supcr-io. Contemporaneamente a questo sviluppo si compie anche un cambiamento nell'angoscia infantile. L'angoscia di fwntc al mondo esterno diventa meno importante e ad essa si sostituisce sempre più l'angoscia del nuovo rappresentante dell'antica potenza: l'angoscia del Super-io, della coscienza morale, il sentimento di colpa. Ma ciò vuoi dire che l'Io del periodo di laten:za ha un nuovo alleato nella sua lotta per il dominio dei processi pulsionali. L'angoscia morale diviene il motore della difesa pulsionale nel periodo di latcnza come lo è stata l'angoscia reale nel periodo della prima infanzia. Di nuovo, è difficile determin:~re quale partecipazione al dominio pulsionale realizzato in quest'epoca spetti all'Io stesso e che cosa sia da ascrivere alla forza e all'inRuenza del Super-io. Ma anche q:uesta paura del periodo di latcnza non dura a lungo. La lotta fra i due antagonisti, l'Io e l'Es, ancora non ha condotto alla conclusione temporanea sopra descritta che già vengono radicalmente mutati i fondamenti dell'accordo con il rafforzamento di uno dci due avversari. Il processo fisiologico della maturazione sessuale fisica è accompagnato da un rawivamento dei processi pulsionali, cl1e prosegue nella sfera psichica come incursione della libido. In tal modo è però sconvolto il r:~pporto di forze stabilito tra lo ed Es, Q
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distrutto l'equilibrio psichico, faticosamente raggiunto, e i conflitti interni fra le due istanze sono destinati ad accendersi nuovamente. Peraltro ciò che avviene dalla parte dell'Es è all'inizio ancora molto poco. Il periodo fra latenza e puberU, la cosiddetta prepubcrtà, è solo preparatorio della maturità sessuale fisica. Qualitativamente nella vita pulsionale ancora nulla è cambiato, solo la quantità dei moti pulsionali è aumentata. Questo aumento non si limita alla vita sessuale. Vi è più libido a disposizione, e investe indistintamente qualunque impulso dell'Es sia presente. Gli impulsi aggressivi si fanno più intensi lino al punto di una sfrenata turbolenza, la fame diventa voracità, la cattiveria del periodo eli latenza si trasforma nel comportamento criminale dell'adolescenza. Interessi orali e anali, sommersi da lungo tempo, affiorano nuovamente in superficie. All'abitudine alla pulizia, faticosamente acquisita nel periodo di latenza, subentrano il piacere di sporcarsi e il disordine, al posto del pudore e della compassione compaiono desideri esibizionistici, brutalità e crudeltà verso gli animali. Le formazioni reattive che ci sono sem· brate una componente già stabile dell'Io minacciano dunque di andare nuovamente in pezzi. Contemporaneamente,. giungono nella coscienza antiche c tramontate tendenze. I desideri edipici si appagano in forma di fantasie c sogni a occhi aperti poco deformati, le rappresentazioni di evirazione nei maschi, l'invidia del pene nelle ragazze sono di nuovo al centro dell'interesse. In tutto questo assalto vi sono pocl1i elementi estranei. Esso non fa che portare in superficie ancora una volta il contenuto che già conosciamo della primissima scssualit.ll del bambino piccolo. Ma questa scssualità infantile risorta non trova più le vecchie condizioni. Se l'Io del periodo della primissima infanzia era rudimentale e incerto, quindi arrendevole alla pressione e all'influenza dell'Es, l'Io del periodo prepuberalc è rigido e consolidato. Sa onnai che cosa vuole. Se l'Io infantile poteva rivoltarsi improvvisamente e battersi dalla parte dell'Es contro il mondo esterno per ottenere il soddisfacimento delle pulsioni, all'Io dell'adolescente può riuscire la stessa cosa solo a prezzo di conflitti interni con il Super-io. La sua relazione fissa con l'Es da un lato e con il Super-io dall'altro, ovvero ciò che noi chiamiamo il carattere di un individuo, rende l'Io inflessibile. Esso può conoscere solo un desiderio: mantenere il carattere sviluppato nel periodo di latenza, ristabilire il vecchio rapporto di forze, contrapporre alle aumentate richieste pulsionali sforzi difensivi aumentati in ugu~l misur~. In questa lotta per conservare
inalterata la sua esistenza l'Io è mosso in ugual modo da angoscia reale e da angoscia morale e si serve indiscriminatamente di tutti i metodi difensivi che ha applicato di volta in volta nella vita infantile e nel periodo di latenza. Esso rimuove, sposta, rinnega, rovescia nel contrario, ,•olge le pulsioni contro la propria persona, produce fobie, sintomi isterici, lega l'angoscia con idee e azioni ossessive. Se esaminiamo a fondo questa lotta per la supremazia tra Io cd Es, ci diviene chiaro che quasi tutti i fenomeni inquietanti della prepubertà corrispondono a singole fasi del decorso di tale lotta. L'aumel'!tata attività della fantasia, le ricadute in un soddisfacimento sessuale pregenitale, cioè perverso, l'aggressiviU e la criminalità significano successi parziali dell'Es. La comparsa di angosce, i tratti as'cetici, l'intensificarsi di sintomi nevrotici e le manifestazioni di inibizioni sono le conseguenze dell'aumentata difesa contro le pulsioni, cioè del successo parziale dell'Io. Con la maturità sessuale fisica, l'inizio della pubertà vera e propria, al cambiamento quantitativo se ne aggiunge anche uno qualitativo. Se l'aumento dell'investimento pulsionale era finora di natura generale, indifferenziata, ora le cose cambiano- almeno nella pubertà del maschio - nel senso che vengono privilegiati gli impulsi genitali. Nella sfera psichica accade cl1e l'investimento libidico è ritirato dagli impulsi pregenitali e concentrato su sentimenti, mete e rappresentazioni oggettuali genitali. La genitalità viene quindi ad assumere una maggiore importanza psichica, mentre le tendenze pregenitali arretrano in secondo piano. E cosl che dall'esterno la situazione appare migliorata. Il mondo esterno degli educatori, che nel periodo prepuberale si è preoccupato del carattere pregenitale della vita pulsionale e si è trovato sconcertato di fronte ad esso, nota, con sollievo, che tutto questo tumulto di villania, aggressività e perversioni svanisce dall'oggi al domani, come un incubo. La mascolinità genitale, che ne prende il posto, incontra un giudizio molto più favorevole e riguardoso presso il mondo circostante anche là dove non si tenga entro i limiti di ciò che è socialmente permesso. Questa guarigione fisiologica spontanea della prcgenitalità, risultante dallo sviluppo della pubertà, non è, in gran parte che un'illusione. Agisce come compensazione benefica solo là dove ben determinate Jissazioni pregenitali abbiano in precedenza dominato il quadro. n ragazzo passivo-femminile, ad esempio, diventa improvvisamente, con il pnssnggio dell'investimento libidico sui genitali, maschile-a.ttivo. Ciò non significa però che le angosce ài evirazione e i conAitti il cui
risu!tato finale era il suo atteggiamento femminile siano risolti o tolti di mezzo. Essi sono soltanto ricoperti con il transitorio aumento dell'investimento genitale. Dopo l'abbassamento della potenza pulsionale della pubertà al livello normale della vita adulta, essi probabilmente compaiono di nuovo intatti e di nuovo disturbano la sua virilità. Lo stesso vale per le fissazioni orali e anali che durante la spinta della pubertà perdono temporaneamente d'importanza. Tuttavia la loro importanza persiste, e l'antica forza d'attrazione patogcna di queste formazioni pregenitali si manifesterà nuovamente immutata nella vita successiva. L'effetto compensatorio della pubertà fallisce naturalmente anche là do\·e già nell'infanzia e nel periodo prcpuberale non siano stati in primo piano gli interessi orali e anali bensl quelli fallici, cioè ad esempio nei bambini con tendenze all'esibizionismo fallico. In casi simili, la spinta genitale della pubertà non solo non attenua il disturbo, ma agisce anzi nello stesso senso di ciò el1e disturba. Non vi è dunque una guarigione spontanea della perversione infantile ma al contrario un peggioramento, estremamente inquietante, dello stato esistente. Le tendenze falliche si intensificano in misura tale da costituire un quadro di mascolinità genitale non più controllabile cd esagerata in modo anormale. Questa stima delle mete pulsionali in termini di normalità o anormaliU. appartiene tuttavia all'ambito di \'alutazione del mondo degli adulti e ha poco o nulla a che fare con l'Io dell'adolescente stesso. La lotta difensiva interna procede senza tenerne molto conto. L'Io dell'adolescente è determinato in primo luogo da punti di vista quantitativi e non qualitativi. Il problema è costituito non dal soddisfacimento o dalla frustrazione dell'urio o dell'altro desiderio pul· sionale, bensl dalla struttura psichica dell'infanzia e del periodo di latenz.a nel suo insieme e in generale. I possibili esiti estremi della lotta sono di due specie. O l'Es, divenuto forte, riesce a sopraffare l'Io, nel qual caso non resta alcuna traccia del carattere dell'individuo fino a quel momento, e l'ingresso nell'età adulta si compie sotto il segno di un soddisfacimento pulsionale tempestoso e privo di inibizioni; oppure vincitore è l'Io, nel qual caso il carattere del periodo di latenza si dichiara definitivamente. Gli impulsi dell'Es dell'adolescente sono confinati negli stretti limiti che erano previsti per la vita pulsionale infantile. Il supplemento libidico inutilizzabile tichiede, per essere tenuto a &eno, un costante dispendio di controinvestimenti, di meccanismi difensivi e di formazioni sintomatiche. Oltre all'atrofia della vita pulsionale che ne risulta, l'irrigidimento
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IO~ MECCA>II DI DJHSA
dì un simile lo vittorioso diventa un danno permanente per l'indi· viduo. Le istanze dell'Io che hanno resistito agli attacchi della pu· bert~ senza cedimenti, rimangono di solito inflessibili anche per il resto della vita posteriore, inattaccabili e inaccessibili alle revisioni che una mutevole realt~ richiederebbe. Per l'esito della battaglia nell'una o nell'altra direzione, per una soluzione felice nel senso di un nuovo accordo fra le istanze e per le molte mutevoli fasi intermedie del suo decorso, si preferirebbe ren· dcre responsabile anche un fattore quantitativo, e precisamente le oscillazioni della forza assoluta delle pulsioni. Ma l'osservazione ana· litica degli sviluppi individuali della pubertà contraddice questa semplice spiegazione. Naturalmente non è che un accrescersi della potenza pulsionale per ragioni fisiologicll(: debba rendere l'individuo più soggetto alle pulsioni e che d'altro lato un decrescere della potenza pulsionale faccia comp::~rire in primo piano quei fenomeni nei quali sono più partecipi l'Io e il Super·io. Come sappiamo dal sin· tomo nevrotico c dagli stati premcstruali, il rafforzamento delle richieste pulsionali spinge ogni volta l'Io a fare anel1e maggiori sforzi difensivi. Una diminuzione dci bisogni pulsionali invece diminuisce il pericolo pulsionale e quindi simultaneamente !"angoscia reale, l'angoscia morale e l'angoscia pulsionale dell'Io. Il rapporto dunque, finché non vi sia sopraffazione da parte dell'Es, è un rapporto rove· sciato. Un rafforzamento delle richieste pulsionali aumenta la resi· stcnza dell'Io contro la pulsione e i sintomi, le inibizioni ecc. che su tale resistenza si basano; una diminuzione dei bisogni pulsionali rende l'lo più flessibile c più disposto a permettere soddisfacimenti. Ciò significa però che la potenza pulsionale assoluta della pubertà - concetto che non è misurabile e comprensibile separatamente non predice ancora nulla circa il decorso della pubertà. I f:Jttori che lo determinano sono relativi: da un lato la potenza degli impulsi dell'Es, data dal processo fisiologico della pubertà; dall'altro la tol· leranza o l'intolleranza delle ist:mze dell'Io verso la pulsione quale risulta dal caiattere formatosi nel periodo di !Dtenza; e - come fat· tore qualitativo decisivo in questa lott:J fra grandezze quantitative la natura e la capacità di prest:Jzione dci meccanismi di difesa, che sono a disposizione dell'Io a seconda clelia sua costituzione, ad esempio a seconda della sua disposizione isterica o nevrotico.ossessiva e a seconda del suo sviluppo individuale.
Capitolo u Angoscia pulsionale nella puberU
Le fasi d'incremento della libido nella vita umana sono sempre state per noi della massima importanza per lo studio analitico dell'Es. I desideri, le fantasie e i processi pulsionali che in altre epoche passano inossetvati o sono inconsci, ascendono alla coscienza per l'aumentato investimento che ricevono, e superano - ove sia necessario - gli ostacoli che la rimozione oppone loro, e nel corso dell'irruzione si rendono accessibili all'osservazione. Ma anche l'esplorazione analitica dell'Io ha tutte le ragioni di dedicare il proprio interesse a questi periodi d'incremento libidico. Con l'intensificazione delle richieste pulsionali aumentano anche, indirettamente - come abbiamo visto - gli sforzi dell'individuo per assoggettare le pulsioni. Tendenze generali dell'Io che in tempi di vita pulsionale tranquilla sono meno evidenti, ne ricevono nuova chiarezza, e i palesi meccanismi dell'Io del periodo di latenza o dell'età adulta possono essere esagerati fino a trasformarsi in una distorsione patologica del carattere. Nella pubertà sono tra l'altro specialmente due gli atteggiamenti dell'Io verso la vita pulsionale che nel loro intensificarsi assumono una nuova vitalità per l'osservatore e ci permettono di avvicinarci alla comprensione di alcune peculiarità tipiche della pubertà: e cioè l'ascetismo e l'intellettualità dell'adolescente. L'ascetismo nella pubertà L'ostilità dell'adolescente verso le pulsioni, dovunque possiamo osservarla nel mezzo di eccessi pulsionali e iuuzioni pulsionali e altri atteggiamenti ad essa contraddittori, va molto oltre ciò che noi siamo abituati a vedere in fatto di rimozione pulsionale in condizioni
di vita normale o di malatti~ nevrotica più o meno grave. Nel modo di presentarsi e di estendersi essa assomiglia meno ai fenomeni propri di una pronunciata malattia ncvrotica che all'atteggiamento verso la pulsione riscontrabile nell'asceta per fanatismo religioso. Nella nevrosi scopriamo che il rifiuto delle pulsioni mediante rimozione è sempre collegato con la natura e la qualità della pulsione stessa. Ad esempio, l'isterico rimuove gli impulsi genitali che sono connessi con i desideri oggcttuali del complesso edipico, ma verso altri desideri pulsionali - ad esempio gli impulsi anali o aggressivi - si comporta piuttosto in modo indifferente o tollerante. La rimozione del nevrotico ossessivo si volge contro i desideri sadico-anali, che mediante l'avvenuta regrcssione sono divenuti portatori della sua sessualità; ma tollera ·ad esempio dci soddisfacimenti orali e non ha una particolare diffidenza verso eventuali appetiti esibizionistici, che non si collegano direttamente con il centro della sua nevrosi. Nella melanconia sono nuovamente le tendenze orali in special modo che incorrono nel rifiuto; nel caso dell'individuo fobico sono gli impulsi connessi con il complesso di evirazione che provocano la rimozione. Ma in tutti questi casi non si tratta di un rifiuto pulsionale indifferenziato; nell'analisi possiamo sempre scoprire una relazione determinata fra la qualità della pulsione rimossa e la motivazione individuale della sua espulsione dalla· co;cienza. Il rifiuto pulsionale che possiamo seguire nell'analisi dell'adolescente ci offre un quadro diverso. !i: vero che prende le mosse dai centri della vita pulsionale soggetti a particolare proibizione, ad e;empio dalle fantasie incestuose della prepubcrtà o dall'intensificarsi delle azioni fisiche onanistiche cl1e servono alla scarica di tali desideri. Ma, a partire di qui, si diffonde poi su tutta la vita in modo più o meno indifferenziato. Come ho già fatto rilevare in precedenza, nell'adolescente non è tanto il soddisfacimento o la frustrazione di desideri pulsionali specifici che conta, ma il godimento pulsionale, ·oppure la rinuncia pulsionale di per sé. Gli adolescenti che passano attraverso una simile fase ascetica sembraD.o temere la quantità della pulsione, non la sua qualità. Essi diffidano del godimento in genere, così che sembra più sicuro contrapporre semplicemente alle esigenze più urgenti divieti più rigorosi. Ad ogni "io voglio" della pulsione l'Io oppone un "non devin, non molto diversamente da come sono soliti fare i genitori severi nell'eduCllzione del bambino piccolo. Questa diffidenza dell'adolescente verso le pulsioni ha un carattere pericolosamente progressivo; a partire
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ANCOSCl~ PULSlON~U N~LtA PUUUl
dai desideri pulsionali veri e propri può estendersi fino ai bisogni fisici più comuni. Conosciamo bene, in base alle nostre abituali osservazioni, gli adolescenti d1c si negano bisogni che sfiorano la scssualità, evitano la compagnia dei coetanei, eludono qualunque divertimento e come dei veri puritani, non vogliono saperne di andare a teatro, ai concerti o a ballare. La rinuncia a un abbigliamento elegante e attraente rientra ancora bene in tale contesto di divieto della scssualit:t Ma cominciamo a preoccuparci quando il rifiuto si estende a cose innocue c necessarie, quando un adolescente ad esempio si nega la più normale protezione contro il freddo, si mortifica sotto ogni aspetto, si espone a inutili rischi a scapito della sua salute; quando non solo evita particolari godimenti orali, ma limita "per principio H anche l'alimentazione quotidiana fino a una quantità minima e scarsissima, quando da uno che ama dormire a lungo diventa uno che si alza forzatamente prestissimo, quando è riluttante a ridere c sorridere o quando, in casi estremi,- si trattiene il più possibile dal defecare c dall'orinare con la motivazione che non si deve cedere subito ad ogni bisogno. Un rifiuto pulsionale di questo tipo si differenzia anche su un altro punto dall'ordinaria rimozione. Nelle condizioni della nevrosi noi siamo abituati a costatare che l~ dove un soddisfacimento pulsionalc è disturbato dalla rimozione, interviene sempre al suo posto un soddisfacimento sostitutivo. L'isteria si serve a questo scopo della conversione; cioè della scarica dell'eccitamento sessuale in altre parti o in altri processi corporei sessualizzati. La nevrosi ossessiva si procura un piacere sostitutivo regressivo, la fobia almeno un tornaconto secondario della malattia. Inoltre, al posto dei soddisfacimcnti proibiti appaiono godimenti spOstati, formazioni reattive; dei sintomi nevrotici veri e propri, come gli attacchi, i tic, le azioni ossessive, il rimuginare ecc., noi sappiamo che sono fonnazioni di compromesso, nelle quali i comandi dell'Io e del Super-io non si impongono più energicamente che le richieste pulsionali dell'Es. Il rifiuto pulsionale dell'adolescente, d'altro lato, non lascia alcuno spazio a un simile soddisfacimento sostitutivo, e sembra seguire un altro meccanismo. In luogo di formazioni di compromesso, che corrispondono ai sintomi nevrotici, e al posto degli abituali spostamenti, regressioni, il volgersi contro la propria persona, troviamo quasi regolarmente un cambiamento repentino dall'ascesi a un eccesso pulsionale, nel quale, senza alcun riguardo per le ICStrizioni imposte dall'esterno, è pennesso tutto ciò che prima era vietato. Per
quanto questi eccessi pulsionali siano di per sé sgraditi al mondo circostante dell'adolescente, a causa del loro carattere antisociale, essi tuttavia corrispondono, dal punto di vista analltico, a momentanee guarigioni spontanee dello stato ascetico. Se non si verificano tali guarigioni spontanee, se l'lo, in qualche modo inspiegato, ha la forza di condurre fino in fondo coerentemente il rifiuto delle pulsioni, si verifica una paralisi delle attività vitali e cioè una specie di stato catatonico che non possiamo più attribuire al normale decorso della pubertà, ma dobbiamo già classificare come un tipo di alterazione psicotica. Si pone la domanda se sia veramente giustificato differenziare questo rifiuto delle pulsioni nella pubertà da quello consueto attuato con la rimozione. Le basi per una tale distinzione concettuale s:arebbero date dal fatto che, nel caso dell'adolescente, all'inizio del processo l'angoscia per la quantità delle pulsioni prevale sull'angoscia per la qualità delle ricl1ieste pulsionali, e alla fine di esso i soddisfacimenti sostitutivi e le formazioni di compromesso recedono a fa\•ore di una repentina coesistenza o successione, o, per meglio dire, di un'alternanza tra rinuncia pulsionale ed eccesso pulsionale. D'altro canto, sappiamo che anche nella più comune rimozione nevrotica l'investimento quantitativo della pulsione da respingere svolge una parte molto importante e che nelle condizioni della nevrosi ossessiva è usuale il succedersi di proibizioni e concessioni. Resta tuttavia l'impressione che nell'ascetismo dell'adolescente si attui un processo più primitivo c meno complesso che nella rimozione vera c propria; forse qui abbiamo a che fare con un caso speciale o piuttosto con uno stadio preliminare delle azioni di rimozione. Lo studio analitico delle nevrosi ci ha condotti già da tempo alla supposizione che negli uomini sia presente fin dal principio un'inclinazione al rifiuto di determinate pulsioni, specialmente delle pulsioni sessuali, senza un'esperienza e senza una speciale selezione, come eredità _filogenetica, cioè come precipitato delle rimozioni pulsionali che già molte generazioni hanno compiuto e che nella vita individuale vengono solo proseguite, non introdotte per la prima volta. Per descrivere questo duplice atteggiamento dell'uomo verso la vita sessuale - avversione costituzionale e contemporaneo desiderio - Bleuler (1910) ha introdotto il concetto di ambivalenza. Questa ostilità primaria dell'Io verso le pulsioni, la sua angoscia per la potenza pulsionale, come l'abbiamo definita, non è però, in periodi calmi della vita, molto più che un concetto teorico. Noi
supponiamo che la si trovi come base ovunque l'individuo sviluppi ~ngosce pulsionali. Ma per l'osservatore essa è oscurata dai fenomeni molto più cospicui e palesi che derivano dall'angoscia reale e dall'angoscia morale e che possono ricondursi ad avvenimenti scom·olgenti della vita individuale. Forse è il rafforzamento quantitativo delle pu\sioni, caratteristico dell'ondata puberale come anche di altre ondate pulsionali nel corso della vita individuale, che accentua questa ostilità primaria dell'lo verso le pulsioni fino al punto di farla diventare uno specifico e attivo meccanismo di difesa. Ciò che vediamo nell'ascetismo della pubertà, non sarebbe allora propriamente una serie di azioni di rimozione, qualitativamente condizionate, bensì appunto l'ostilità indistinta, innata, primaria e primitiva, fra Io e pulsione. L'intel!ettuiJiizzazione nella puberd Se è giusta la concezione che nelle condizioni di un'incursione libidica atteggiamenti generali dell'Io possono assumere il significato di veri e propri metodi di difesa, allora questo punto di vista si può forse applicare anche ad altre alterazioni dell'Io che si verificano nella pubertà. Noi sappiamo che la regione principale in cui avvengono le trasformazioni nella pubertà è la vita pulsionalc ed emotiva, inoltre che l'Io si altera secondariamente ogniqualvolta sia direttamente impegnato a dominare la vita pulsionale ed emotiva. Ma naturalmente l'ambito delle modificazioni che intervengono nella pubertà non si esaurisce qui. Nelle condizioni della spinta pubcrale l'adolescente viene a essere più in balia delle pulsioni; ciò è comprensibile e non richiede aleuna ulteriore spiegazione. Egli diventa più morale e più ascetico; la spiegazione di questo è data dalla lotta tra l'Io e l'Es che si svolge in lui. Ma diventa anche più intelligente, accresce tutti i suoi bisogni intellettuali; a tutta prima non riconosciamo che· cosa debba avere a che fare questo progresso nello sviluppo intcllettu::Jie con il progresso nello sviluppo pulsionale e il rafforzamento dello sviluppo dell'Io per gli aumentati bisogni di difesa. In generale siamo più preparati a scoprire che le tempeste pulsionali o emotive e l'intellettualità sono tra loro in relazione inversa. Persino nella condizione del normale innamoramento tende a diminuire la capacità di prestazione intellettuale dell'individuo, e la sua capacità di raziocinio dà meno affidamento. Quanto più gli preme
realizzare i suoi desideri pulsionali, tanto meno è propemo in genere n esaminarli razionalmente e a valutarne il fondamento nella ragione. Nel caso dell'adolescente, la situazione appare alla prima osservazione, del tutto diversa. Vi è un tipo di ragazzi nei quali il salto in avanti nello sviluppo intellettuale è non meno evidente e sorprendente che l'avanzata e\·olutiva in altri campi. Noi sappiamo quanto spesso nei bambini in periodo di latenza l'interesse sia orientato unibteralmente su cose reali c concrete. Le scoperte e le avventure, i numeri e le proporzioni, le descrizioni di animali e oggetti strani dominano, in alcuni, il piacere di leggere; altri si interessano solo di motori, dalle forme più semplici alle più complicate. Entrambi i tipi hanno di solito in comune la condizione che l'oggetto di cui si interessano deve essere concreto, cioè non un prodotto della fantasia, come le fiabe c i racconti favolosi che piacciono nella prima infanzia, ma qualcosa che abbia un'esistenza fisica reale. Questi interessi concreti del periodo di latenza possono poi trasformarsi in modo sempre più vistoso, con l'inizio del periodo prepuberale, in interessi per le astrazioni. In particolare gli adolescenti che Bernfcld (19z3) ha descritto nella sua caratterizzazione della upubertà prolungata", hanno un desiderio insaziabile di riflettere su temi astratti, di rimuginare su di essi e di discuterne. Molte delle amicizie giovanili sono fondate e aliment:~te sulla base di questa esigenza di meditare c di discutere insieme. I temi che interessano questi giovani e i pro· blemi che essi cercano di risolvere sono molto vasti. Di solito la discussione riguarda l'amore libero; il matrimonio e la fondazione di una famiglia, un'esistenza indipendente, la scelta della professione, il vagabondare o la sistemazione stabile, problemi ideologici come la religione o il libero pensiero, le varie teorie politiche, la rivoluzione o la sottomissione, l'amicizia stessa in tutte le sue forme. Se in analisi ci capita l'opportunità di avere un resoconto fedele di conversazioni fra adolescenti o di esaminare loro diari e appunti, restiamo sorpresi non solo dall'ampiezza e illimitatezza del pensiero gioVanile, ma siamo anche pieni di rispetto per la misura di empatia e di comprensione, per l'apparente superiorità e talvolta la saggezza con cui trattano problemi molto difficili. Il nostro atteggiamento cambia poi se la nostra osservazione passa dall'esame dei processi intellettuali in sé al loro inserimento nella vita dell'adolescente. Scopriamo allora con sorpresa che tutta questa efficienza intellettuale ha poco o nulla a che fare con il comporta· mento dcll'adolcsc:ente stesso. Ll sua empatia rispetto ai processi
mentali altrui non gli impedisce di dimostrare la più sfacciata man~ canza di riguardo per le persone che gli sono più vicine. II suo alto concetto dell'amore e dei doveri di un innamorato non ha alcuna influenza sulle continue infedeltà e sulla rudezza sentimentale di cui si rende colpevole nei suoi instabili innamoramenti. L'inserimento nella vita sociale non \'iene minimamente facilitato dal fatto che la comprensione e l'interesse per la struttura della società spesso siano di gran lunga superiori in questo periodo che in anni posteriori. La varietà d'interessi non impedisce all'adolescente di concentrare in rcalt~ la sua vita su un unico punto: ciò che lo occupa maggiormente è la sua propria personalità. Abbiamo modo di costatare, specialmente quando nel trattamento analitico indaghiamo su questi interessi intellettuali, che non si tratta afFatto di intellettualità nel senso comune del termine. Le cose stanno diversamente: l'adolescente non riflette ad esempio sulle v:~rie situazioni amorose o sulla scelta di una professione per trovare nelle sue riflessioni una direttiva per il modo di agire, come farebbe l'adulto, o come il bambino nel periodo di latenza studierebbe un motore per poterlo poi smontare e timontare. L'intellettualità dell'a~ dolescente sembra non servire ad altro scopo che ai suoi sogni a occhi aperti. Anche le fantasie ambiziose del periodo prepuberale non sono destinate a essere tradotte nella realtà. L'adolescente che fantastica di essere un conquistatore, non per questo si sente poi obbligato a mostrarsi coraggioso o stoico nella vita reale. Similmente l'adolescente evidentemente prova già soddisfazione per il solo fatto di pensare, rimuginare o· discutere. Il suo modo di agire è determinato da altre condizioni e non è necessariamente influen~ zato dai risultati del pensare, del rimuginare o del discutere. Nello studio analitico dei processi intellettuali dell'adolescente la nostra attenzione è però attratta ancl1c su qualcos'altro. I temi che stanno in primo piano nei suoi interessi sono, a un esame più approfondito, gli stessi attorno ai quali si sono accesi i conflitti fra le sue istanze interne. Si tratta quindi, ancora una volta, della collocazione degli elementi pulsionali ·nel contesto della vita umana, del godi~ mento o della rinuncia sess·uale, di libert~ o limitazione della libertà, di ribellione o sottomissione all'autorità. Come abbiamo visto, la proibizione assoluta delle pulsioni, l'ascetismo, non dà in generale all'adolescente ciò che egli se ne aspettava. Poiché il pericolo resta ormai onnipresente, egli deve andare in ttrC:J di molti mezzi per superarlo. L'elaborazione mentale del conAitto pulsionale - la sua
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IO E MECC..NISMI 01 I>IF<SA
intellettualizzazione - sembra essere un mezzo simile. Qui la fuga dalle pulsioni, che riscontriamo nell'ascetismo, viene sostituita dal volgersi verso di esse. Ma questo avviene solo nel pensiero; è un processo intellettuale. Nei discorsi e nelle prestazioni intellettuali astratti l':~dolesccnte non compie tentativi di soluzione dei problemi che gli sono posti dalla realtà. Il suo lavoro mentale corrisponde più a una tesa vigilanza sui processi pulsionali al suo interno c alla traduzione di ciò che percepisce in pensieri astratti. La visione del mondo che costruisce nei pensieri, ad esempio l'esigenza di un rivoluzionamento del mondo esterno, couisponde dunque alla percezione di ciò che vi è di nuovo c di rivoluzionante rispetto alla sua vita nelle richieste pulsionali del proprio Es. Gli ideali di nmicizia e di fedclt:i eterna non fanno che riflettere le preoccupazioni del suo proprio Io, che avverte come siano divenute scarsamente sostcnibili tutte le sue nuove e tempestose relazioni oggettuali.14 La brama di una guida e di una protezione nella lotta, spesso priva di prospettive, contro la potenza delle pulsioni, può trasformarsi in acute dimostrazioni della non indipendenza dell'individuo in decisioni politiche. Ciò che si esplica nella sfera intellettuale sarebbe dunque una descrizione dei processi pulsionali. Ma il motivo di questo più intenso concentrarsi dell'attenzione sulle pulsioni sarebbe il tentativo di afferrarle e di dominarle a un altro livello. Ricordiamo che nella metapsicologia psicoanalitica l'associazione di affetti e processi pulsionali con rappresentazioni verbali viene descritta come il primo e più importante passo che l'individuo de\·e compiere nel suo sviluppo per arrivare al dominio delle pulsioni. Del pensiero si dice che è "essenzialmente un'azione di prova, accompagnata da spostamenti di quantità piuttosto piccole d'investimento energetico" (Freud, 1911, p. 456). Questa intellettualizzazione della vita pulsionale, il tentativo di impadronirsi dci processi pulsionali collegandoli con rappresentazioni che si possano trattare nella coscienza, costituisce una delle acquisizioni più generali, primarie e più necessarìe dell'Io umano. Noi la consideriamo come compo· nente indispensabile dell'lo e non come un'attività che esso eserciti. Ancora una volta abbiamo l'impressione che i fenomeni compresi in ciò che precede nella nozione di "intellettualizzazione nella pubertà" non siano altro che l'e~gerazione di questo generale atteg' >< Ikvo a Mngit Oubovitz (di Budopc:st) l'indicuionc ~hc la tend~nu dell'adole<ecnte arlmugin01esulseoJD dclb vit:a e della molte riBetteil lavoro di distruzioneattuoto •l proprioiote
U f•~~OSCJA PULSIONAU NELLA PUa&~Tl
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giamento dell'lo nelle particolari condizioni di una spinta libidica. Quella che in altri periodi è una prestazione ovvia, silenziosa e collaterale dell'lo, si impone all'attenzione semplicemente per l'aumento quantitativo. Secondo questa opinione, l'intensificarsi dell'intellettualità dell'adolescente - e forse anche la così accentuata comprensione intellettuale dei processi interni all'inizio di ogni accesso psicotico - non sarebbe altro che lo sforzo normalmente compiuto dall'Io di padroneggiare le pulsioni con l'aiuto del lavorio del pensiero. Forse il perseguimento di questo corso di pensieri ci consente a questo punto anche un piccolo vantaggio collaterale. Se l'aumento dell'investimento pulsionale incrementa ogni volta automaticamente anche lo sforzo dell'Io di elaborare intellettualmente i processi pulsionali, questo ci spiega allora il fatto che il pericolo pulsionale rende l'essere um:mo intelligente; in periodi di tranquil\iU per quanto riguarda la vita pulsionalc, c quindi non pericolosi, l'individuo può permettersi di essere ottuso. L'angoscia pulsionale ha qui un effetto non diverso da quello dell'angoscia reale che ci è familiare. Il pericolo reale c le privazioni reali spronano gli individui a compiere prestazioni intellettuali c tentativi di soluzione, mentre la sicurezza reale e l'abbondanza tendono a farli adagiare in una comoda ottusità. Il volgersi dell'attenzione intellettuale ai processi pulsionali corrisponde appunto a quella vigilanza che l'Io dell'uomo ha riconosciuto essere necessaria per fronteggiare i pericoli reali che lo circondano. Finora noi abbiamo sempre tentato di spiegare in modo diverso il declino dell'intelligenza del bambino all'inizio del periodo di latenza. Le brillanti prestazioni intellettuali del bambino piccolo sono strettamente legate alb sua esplorazione sessuale, Con la proibizione del sessuale nella prima infanzia, la proibizione di pensare e l'inibizione del pensiero si estendono anche ad altri settori della vita. Non eravamo sorpresi nel costatare che, con il rinnovato divampare della sessualità nel periodo prepuberale, ovvero con la sua irruzione dalla rimozione sessuale della prima infanzia, anche le capacità intellettuali ritornano in tutta l'antica forza. A questa nostra spiegazione abituale possiamo ora affiancarne un'altra. Forse non è solo che il bambino nel periodo di latenza non possa pensare in modo astratto: forse non ha la necessità di pensare astrattamente. La prima infanzia e la pubcrU sono epoche piene di pericoli pulsion::ili e l"'intelligenza~ di questi periodi serve
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lO l< J.laççANJS~U DJ I>JHSA
almeno in parte alloro superamento. La latenza e l'etii adulta sono invece epoche di relativa forza dell'Io. Lo sforzo dell'lo di intellettualizzare può ridursi a un livello minimo senza arrecare danno all'individuo. Non si deve tuttavia dimenticare che_ queste prestazioni mentali, in particolare quelle della pubertà, sono sl brillanti e cospicue ma ampiamente infruttuose. Persino le prestazioni intellettuali della prima infanzia, da noi tanto apprezzate e ammirate, hanno, sotto un certo riguardo, lo stesso carattere. Ci basti pensare che ancl1e l'esplorazione sessuale infantile, nella quale noi vediamo in psicoanalisi la più acuta espressione dell'attiviU intellettuale infantile, quasi mai porta alla luce i fatti veri della vita sessuale adulta. Il risulMo di tale esplorazione sessuale è di regola costituito dalle teorie sessuali infantili; non è dunque una comprensione della realtà ma un rispccchiamento dci processi pulsionali nella vita interna del bambino che osserva. Il lavoro intellettuale che l'Io svolge nel periodo di latcnza e nell'ctii adulta è molto più solido, più attendibile e soprattutto molto più strettamente collegato con l'azione. Amore oggettuale c identi6carione nella pubertà Se vogliamo inserire l'ascetismo e l'intellcttuali-u:Jzione degli adolescenti nello schema cl1e io ho caratterizzato più sopra in termini di orientamento dei processi difensivi secondo l'angoscia e il pericolo, è chiaro che entrambi appartengono al terzo tipo ivi descritto. Il pericolo che minaccia l'Io è quello di essere sommerso dalle pulsioni; l'angoscia da cui è dominato è angoscia della quantità delle pulsioni. Nello sviluppo individuale dobbiamo situare l'insorgere di questa angoscia in periodi molto precoci. Cronologicamente si colloca nel periodo del graduale distacco di un Io dall'Es indifferenziato. Gli atteggiamenti difensivi che si costituiscono sotto la pressione dell'angoscia della potenza pulsionale sono designati a mantenere questa separaiione tra lo ed Es e ad assicurare la stabilità dell'organizzazione dell'Io appena fondata. L'ascetismo ha dunque il compito di tenere a freno l'Es usando semplicemente delle proibizioni; l'intcllcttualizzazione ha lo scopo di rendere i processi pulsionali accessibili e padroneggiabili attraverso uno stretto colleg.amento con i contenuti rappresentativi. Ma un ricadere dell'individuo, per la spinta libidica, a questo stadio primitivo di angoscia della potenza pulsionale non può comun·
que rimanere senza conseguenze anche per gli altri processi pulsio· nali e dell'Io. Tra le molte peculiarità che presentano i fenomeni della pubertà, scelgo due delle più importanti e cercherò, qui di seguito, di analizzarne il nesso con questa regressione dell'Io. I fenomeni più cospicui·nclla vita dell'adolescente si svolgono in fondo nell'ambito delle sue relazioni oggettuali. Qui è più che mai visibile la lotta fra due opposte tendenze. Come abbiamo visto, la rimozione derivante dalla generale avversione pulsionale prende di solito come suo primo punto d'attacco le fantasie incestuose del periodo prepuberale. La diffidenza dell'Io e la sua attitudine ascetica si dirigono soprattutto contro il legame amoroso con tutti gli oggetti dell'infanzia. In questo modo, l'adolescente da un lato si isola, c da quel momento in poi riesce a vivere tra i suoi familiari come se fossero degli estranei. D'altro lat~, l'avversione pulsionale si estende dalle relazioni oggettuali stesse anche alla relazione con l'istanza del Super-io. In quanto in quest'opera il Super-io è ancora investito di libido derivata dalla relazione con i genitori, esso stesso \"iene trattato come un oggetto incestuoso sospetto e subisce anch'esso le conseguenze dell'ascetismo. L'Io si estranea anche dal Super-io. L'individuo in età adolescenziale esperisce questa parziale rimozione del Super-io, il parziale estraniamento dai suoi contenuti, come uno dci suoi disturbi più gravi. Lo scuotimento della relazione tra Io e Super-io ha innanzitutto l'effetto di aumentare nuovamente il pericolo pulsionale. L'individuo diventa più asociale. Prima di questo disturbo, le angosce morali e i sentimenti di colpa, derivanti dalla relazione dell'Io con il Super-io, sono l'aiuto più efficace dell'Io nella lotta contro le pulsiorii. Negli stadi iniziali della pubertà si può osservare anche un chiaro tentativo di temporaneo sovrainvestimento di tutti i contenuti del Super-io. Il cosiddetto uidealismo" degli adolescenti si spiega probabilmente in base a questo processo. Abbiamo om la seguente situazione: l'ascetismo che in sé è già una conseguenza dell'aumentato pericolo pulsionale, rende nuovamente inoperanti, per lo seuotimento della relazione con il Super-io, le misure difensive pertinenti all'angoscia del Super-io, e cosi rigetta l'Io ancora pi~ energicamente allo stadio della pura angoscia pulsionale e delle primitive misure protettive proprie di questo stadio. L'isolamento e il distacco non sono però che una delle tendenze che entrano in gioco nelle relazioni oggettuali degli adolescenti. Al posto dei legami rimossi con gli oggetti dell'infanzia subentrano numerosi nuovi legami talvolta con dei coetanei, nel qual caso assu-
mano la forma di un'amicizia appa~sionata o di un vero innamoramento, e tal altra con persone più anziane, dotate di autorid., che chiaramente costituiscono il sostituto degli oggetti parentali abbandonati. Questi rapporti amorosi sono, finché durano, impetuosi ed esclusivi, ma la loro durata è breve. Gli oggetti d'amore una volta scelti vengono nuovamente abbandonati senza alcun riguardo per i sentimenti del partner, e scambiati con altri. Gli oggetti abbandonati sono rapidamente e totalmente dimenticati; solo la forma della relazione con essi si mantiene fin nei minimi particolari e generalmente si riproduce con il nuovo oggetto in fedelissima ripetizione quasi ossessiva. Queste relazioni oggettuali della pubertà sono caratterizzate, oltre che dall'infedeltà, da una seconda peculiarità. La loro meta non è propriamente la presa di possesso dell'oggetto nel consueto significato fisico del termine. La meta sembra piuttosto essere l'assimilazione quanto più completa possibile alla persona amata del momento. Noi tutti sappiamo, in base alla nostra osservazione quotidiana, quanto l'adolescente sia capace di trasformazione. La calligrafia, il modo di parlare, di pettinarsi, di vestirsi, e ogni sorta di abitudini sono di gran lunga più suscettibili di adattamento che in qualunque altro pe1iodo della vita. Spesso si vede alla prima occhiata chi sia l'amico più anziano c più ammirato di un adolescente. Ma la capacità di trasformazione va ancora oltre: visione del mondo, religione e idee politiche possono modificarsi sul modello dell'altro; la convinzione della giustezza delle vedute prontamente adottate non perde in forza e passione nonostante il frequente cambiamento. Sotto questo riguardo l'adolescente assomiglia al tipo "come se" che Helene Dcutsch (1934) ha descritto come stadio intermedio fra malattia nevrotica e malattia psicotica in un suo lavoro clinico sulla psicologia dell'adulto. In ogni nuova relazione con un oggetto, egli vive "come se" vivesse realmente la propria vita, "come se" esprimesse sentimenti, idee e opinioni proprie. In una ragaiza, che ho avuto modo di osservare in analisi, il meccanismo che sta alla base di questi processi di trasformazione era riconoscibile in modo particolarmente chiaro. Più volte, nel giro di un anno, essa passò da un'amicizia all'altra, nel modo sopra descritto: da amicizie femminili ad amicizie maschili, c da amicizie maschili ad altre donne più adulte. Ogni volta che cambiava, essa non solo diveniva indifferente verso l'oggetto abbandonato, ma provava nei suoi confronti un'avversione passionale e quasi sprezzante del tutto parti-
colare, e sentiva ogni incontro fortuito o inevitabile con quella persona come quasi insopportabile. Dopo un lungo lavoro analitico, comprendemmo infine che questi non erano affatto sentimenti suoi propri verso i suoi amici di un tempo. Come dopo ognuno di tali cambiamenti essa era costretta ad assumere in molte cose interne ed esterne le forme e le vedute del nuovo oggetto d'amore, cosi essa non sentiva più i propri sentimenti, ma quelli dell'amico scelto per ultimo. La sua avversione verso le persone amate in precedenza non era veramente sua propria. Per empatia condivideva i sentimenti del nuO\'O amico. In questo modo essa esprimeva la gelosia che fantastiC3\'a provata da lui verso chiunque essa avesse amato prima, o il disprezzo di lui, non il proprio, verso eventuali rivali. La situazione interna in questa fase e in altre simili della pubertà può essere descritta in termini molto semplici: questi legami amorosi appassionati e incostanti della pubertà non sono relazioni oggettuali nel senso in cui usiamo il termine parlando di adulti. Sono identificazioni della specie più primitiva, quali possiamo incontrare, ad esempio, nello studio dello sviluppo primario del bambino piccolo prima dell'inizio di qualunque amore oggettuale. D'altronde, la mancanza di fedeltà del periodo puberale non sarebbe un cambiamento interno rispetto all'amore o alle convinzioni dell'individuo, ma una perdita di personalità conseguente al cambiamento dell'identificazio ne. Un'altra osservazione analitica di una quindicenne ci permette forse di fare un passo avanti nella comprensione dell'importanza di tali inclinazioni all'identificazione. La paziente è una ragazza particolarmente graziosa e attraente che ha già una posizione nel suo ambiente sociale, ma che, ciò nonostante, è tormentata da una furiosa gelosia per una sorella ancora molto piccola. Nel periodo della pubertà essa abbandona tutti gli interessi precedenti ed è presa da un solo desiderio: farsi ammirare e amare dagli amici, sia dai coetanei sia dai più vecchi di lei. Si innamora intensamente, a distanza., di un ragazzo di qualche anno maggiore di lei, che incontra occasionaimente a feste o a serate di ballo. In questo periodo mi scrive una lettera nella quale esprime i suoi dubbi e le sue preoccupazioni "Tu devi consigliarmi - vi si legge - come devo comportarmi quando lo incontro. Devo mostrarmi seria o allegra? Lui mi preferirà se mi dimostro intelligente oppure se mi dimostro stupida? È meglio se parlo tutto il tempo di lui o se parlo anche di me? ... " Ri-
spondo a voce a queste domande al nostro incontro successivo. Esprimo l'opinione che forse non 1arebbe necessario che facesse dei progetti anticipati su come comportarsi. Non potrebbe essere, al momento, quella che si sente di essere secondo il suo stato d'animo? Essa assicura che non 1arebbe cosi, e con un lungo discorso motiva la ncccssiU di essere cosl come piace agli altri e come gli altri vo-gliono che uno sia. Solo allora si può essere sicuri di conquistarsi l'amore. E non può assolutamente vivere se non è amata da questo ragazzo. Poco dopo, la stessa paziente mi descrive una fantasia che raffigura qualcosa di simile alla 6ne del mondo. Che cosa accadrebbe se tutti gli uomini dovessero essere distrutti? Essa riconsidera tutta la serie di suoi amici e parenti, finché infine, nella fantasia, si ritrova sola sulla terra. Dalla voce, dall'enfasi e dalla descrizione di tutti i particolari è chiaro che si tratta di rappresentazioni di desiderio. Essa prova piacere nel racconto, nessuna angoscia. In quel momento, le ricordo il suo appassionato desiderio di essere amata. Il giorno prima bastava la semplice idea di non piacere a uno dei suoi amici e di perderne l'amore per farla precipitare nella disperazione. Ma chi l'amerebbe se rimanesse l'unica al mondo? Essa respinge tranquillamente il ricordo delle sue preoccupazioni del giorno prima. uln questo caso amerei me stes1a", dice, come se fosse finalmente libera da ogni angoscia, con un profondo sospiro di sollievo. Questa piccola osservazione analitica condotta su un caso singolo mi sembra contenere una caratteristica indicativa di certe relazioni oggcttuali della pubertà. Con lo scuotimento delle vecchie relazioni oggettuali, con le conseguenze dell'avversione pulsionale e dell'ascetismo, il mondo esterno dell'adolescente viene delibidinizzato. Egli si trova nel pericolo di ritirare la sua libido oggettuale dal mondo circostante e di concentrarla sulla propria persona, di regredire, anche nella vita libiçfica, conseguentemente alle regressioni nel suo lo, dall'amore Oggettuale al narcisismo. A questo pericolo si sottrae con sforzi spasmodici per trovare comunque un collegamento con gli oggetti del mondo esterno, seppure solo appoggiandosi al narcisismo, e cioè mediante identificazioni. Secondo tale concezione, le tempestose relazioni oggettuali dell'adolescente - di nuovo similmente agli stati iniziali degli accessi psicotici - avrebbero il carattere di tentativi di reintegrazione. Nel corso delle precedenti descrizioni ho tanto spesso paragonato
,,, le caratteristiche peculiari della pubertà con fenomeni patologici gravi, che forse è necessario, nonostante l'incompletezza di queste esposizioni, spendere ancora qualche parola circa la normalità o anormalitill dei processi che avvengono in tale periodo. La base per un confronto fra la pubertà e gli stati iniziali di accessi psicotici è, come abbiamo visto, la concezione dell'effetto di modificazioni quantitative dell'investimento. L'aumentato investimento libidico dell'Es accresce da un lato, in entrambi i casi, il pericolo pulsionale, e d'altro lato gli sfoai difensivi di ogni genere. Che i11 b:lse a tali processi quantitativi ogni periodo d'intensificazione della libido nella vita umana possa divcnt:ue il punto di partenza di· malattie nevrotiche e psicotiche, ci è sempre stato presente nell'analisi. Secondariamente, il decorso della puberH e gli accessi psicotici sembrano assomigliarsi anche per l'emergere di atteggiamenti difensivi primitivi dovuti all'angoscia dell'Io per la potenza delle pulsioni, e cioè a un'angoscia che è più antica di ogni angoscia reale o morale. L'impressione che riceviamo della normaliU. o anormalit:l. del dccorso individuale della pubertà, dipenderà probabilmente dal fatto che l'uno o l'altro di questi tratti o molti di essi dominino contemporaneamente il quadro. L'adolescente asceta, il cui intelletto però funziona liberamente e che conserva numerose relazioni oggettuali buone, ci appare normale. Lo stesso vale per il tipo che intellettualizza, per l'adolescente che idealizza, e anche per quelli che sono trascinati da un'entusiastica amicizia all'altra. Ma se l';:~scetismo riguardo alle pulsioni si è ;:~mpiamente imposto, se l'intellettualizzazione soffoca contemporaneamente le altre prestazioni intellettuali e le relazioni con il mondo circostante vengono stabilite esclusivamente in base alle mutevoli identificazioni, al pedagogo o all'analista osservatore non sarà più facile decidere che cosa appartenga ancora a uno stadio di transizione dello sviluppo normale e che cosa appartenga già a uno si:.::Jto patologico. Osservazioni conclusive L'attribuzione di singoli meccanismi di difesa a determinate situazioni d'angoscia che ho cercato di esporre nei capitoli precedenti sulla base di alcuni esempi, si potrà probabilmente precisare molto meglio con il progredire della conoscenza dell'attività inconscia del-
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IO. )oi[Q;ANISMI
~~DIFESA
l'Io. Anche la connessione storica fra esperienze tipiche nello sviluppo individuale e l'insorgenza di determinate forme difensive è in gran parte ancora oscura. Gli esempi addotti consentono forse di supporre che il meccanismo del diniego venga chiamato in aiuto in modo tipico nell'elaborazione di rappresentazioni di evirazione e nell'esperienza di perdite oggettuali. La resa altruistica dei moti pulsionali sembra essere adatta in determinate condizioni specialmente al superamento di umiliazioni narcisistiche. Meglio riesce già in base alle nostre attuali cognizioni tracciare il parallelo fra le attività difensive dell'Io verso l'esterno e verso l'interno. La rimozione sen·e alla eliminazione dei derivati pulsionali così come il diniego serve alla eliminazione degli stimoli provenienti dal mondo esterno. La formazione rcattiva assicura contro un ritorno del rimosso dall'interno, la fantasia del contrario assicura il diniego contro lo scuotimcnto operato dal mondo esterno. L'inibizione dci moti pulsionali corrisponde alla restrizione dell'Io allo scopo di evitare il dispiacere esterno. L'intcllettualizzazione dei processi pulsionali come prevenzione del pericolo verso l'interno equivale alla vigilanza permanente dell'Io contro i pericoli del mondo esterno. Tutti quegli altri processi difensivi che, come la trasformazione nel contrario o il volgersi contro la propria persona, consistono nell'alterazione dci processi pulsionali stessi, corrispondono verso l'esterno ai tentativi dell'Io, sui quali ora non sto più a dilungarmi, per modificare le condizioni del mondo esterno con un intervento attivo. L'enunciazione di questi processi paralleli ci porta a domandarci da dove l'Io tragga la forma dei meccanismi di difesa, se la lotta con il mondo esterno venga condotta secondo il modello della difesa contro le pulsioni o se al contrario le forme della difesa contro le pulsioni si configurino secondo i modelli delle lotte contro il mondo esterno. Ma la decisione, in questa alternativa, difficilmente può essere univoca. L'lo infantile esperisce l'assalto degli stimoli pulsionali e del mondo esterno nello stesso tempo; se vuole conservare la propria esistenza, deve dunque -esercitare la difesa contemporaneamente in entrambe le direzioni. La cosa più probabile è cl1e esso, nella lotta che deve sostenere con gli stimoli più diversi, si adatti ampiamente alle peculiarit./1 sia del mondo interno che del mondo esterno. Fino a che punto l'Io, nella sua difesa dalle pulsioni, segua leggi proprie, e fino a che punto sia invece influenzato dal carattere della pulsione, può forse essere più facilmente dilucidato attraverso un confronto con un processo che si svolge in ambito affine, e cioi: con
,,, le condizioni della deformazione onirica. Il trasferimento dei pensieri onirici latenti nel contenuto manifesto del sogno avviene su incarico del censore, che nel sonno rappresenta l'Io. Ciò nonostante, il lavoro onirico stesso non è una prestazione dell'lo. La capacità di condensazione, di spostamento e di utilizzo dci vari ed eterogenei mezzi di rappresentazione del sogno è particolarità dell'Es, di cui è semplicemente fatto uso ai fini della deformazione. Allo stesso modo, anche i metodi difensivi non sono vere e proprie prestazioni dell'Io. In quanto inRuenzano il processo pulsionalc stesso, si servono anche delle particolari proprietà della pulsionc. L'intento dell'Io di dirottare la pulsione da una meta puramente sessuale a una meta considerata socialmente più elevata, può affermarsi ad esempio con l'aiuto della facile dislocabi/iU dei processi pulsionali nel meccanismo della sublimazione. L'assicurazione della rimozione con la formazione reattiva si serve dell'inclinazione delle pulsioni a trasformarsi nel contrario. Ci è lecito suppone che la stabilità di un processo difensivo sia connessa con questo doppio ancoramento nell'Io da un lato c nel carattere essenziale del processo pulsionale dall'altro. Ma nonostante questa restrizione dell'autonomia dell'Io nella creazione delle forme cl1e gli sono a disposizione per la sua attività difensiva, permane, anche dopo una disamina dei meccanismi di difesa, una forte impressione della grandezza della prestazione dell'Io. L'esistenza di sintomi nenotici è già di per sé un segno che l'Io è stato sopraffatto. Ogni ritorno del rimosso, che introduce una formazione di compromesso, significa un colpo mancato della progettata prestazione difensiva, una sconfitta, dunque, dell'Io. L'Io è \'ittorioso quando le sue prestazioni difensi\'e hanno successo, cioè quando riesce a limitare con il loro aiuto lo sviluppo di angoscia e dì dispiacere, ad assicurare all'individuo anche in circostanze difficili un godimento pulsìonale, mediante le necessarie trasformazioni pulsionali, e a instaurare insieme, per quanto è possibile, un'armonia fra Es, Supcr-io e forze del mondo esterno.
Problemi dell'analisi didattica 1938
Sommario Sia l'analisi tcrapeutica sia l'analisi didattica devono acutizzare la vista rispetto all'inconscio attraverso il lavoro sulle proprie rimozioni (del paziente o del candidoto in addestramento). Andando oltre le richieste poste al paziente, \'anolisi didattica pone all'analizzato il compito di fare di sé stesso oggetto di studio e - da una certa fase dell'addestramento in poi - non solo obbandonarsi all'esperire l'in· conscio ma anche indidzZOlre l'attenzione sulla tecnica psicoanalitica. I diversi motivi coscienti, nel paziente c nel c:mdidoto in anolisi di· dattica (il motivo della sofferenza e il motivo dell'apprendimento ri· spettivamente), determinano uno spostamento d'accento nella elabor.~zione delle resistenze dell'Es e dell'Io, che è decisiva per la durata della cura. Un'altra differenza fra le due forme di analisi sta nelle cir· costanze nelle quali si verifica la traslazione. Poiché l'analista didat· tico e il candidato in addestramento hanno relazioni fra di loro nella vita pratica, l'analista didattico è, sempre, più che una figura solo umbrati\e, uno specchio per la proiezione di conHitti infantili. Da questo derivano diflicolti per l'interpretazione dei fenomeni di tra· slazione. Max Eitingon fu per più di trent'anni un lavoratore instancabile nel campo dell'istruzione analitica. In qualità di analista didattico, analista supervisore e direttore di corso fu in contatto diretto con molti candidati in addestramento analitico di molti corsi. Come fondatore c direttore dell'Istituto psicoanalitico di Berlino si impegnò a trasporre nella realtà le sue idee sulla forma e l'articolazione che doveva avere un corso d'insegnamento analitico. Come direttore dell'Istituto dell'associazione palestinesc ebbe occasione di utilizzare ancora una volta, in altra sede, ciò che aveva sperimentato a Berlino. Dal 1915 fino alla sua morte, Max Eitingon fu presidente della Commissione internazionale per l'istruzione psicoanalitica e in quanto tale rappresentante del sistema d'istruzione nell'associazione psico-
nonnn Deu·~~•L1Sl DlD•rTICA
analitica internazionale. Problemi circa la competenza all'eserc~io dell'analisi didattica, le funzioni e la composizione delle commissioni d'insegnamento nelle societ~ affiliate e di fondazione di nuovi istituti furono discussi c decisi sotto la sua presidenza. Il tema più import~nte degli incontri, da lui convocati, della Commissione per l'istruzione nei congressi dell'Associazione internazionale erano proposte di cambiamento, allargamento e progressiva sistemazione del corso di studi analitici. Lo sviluppo del sistema d'istruzione analitica dagli inizi modesti di un patto privato fra due individui fino al corso formale di due o tre anni in istituti pubblicamente riconosciuti, non è quanto meno da attribuire a un'intenzione consapevole della'voro di Max Eitingon. Le riHessioni che seguono circa le differenze fra analisi didattica e :ma1isi terapcutica rientrano nell'ambito d'interessi di Mllx Eitingon. Esse derivano in parte da una relazione tenuta a Parigi nel 1938, in ocCasione di un incontro della Commissione per l'istruzione analitica da lui presieduta. Differenze fra analisi didattica e analisi terapeutica Sono ormai vent'anni che si considera l'analis.i personale del futuro analista come un requisito preliminare indispensa~ile per il suo addestramento teorico e pr~tico. Dal grado di riuscita di questa analisi dipende in generale l'ulteriore destino, personale e scientifico, del giovane analista. La fama di un istituto psicoanalitico si basa perciò, giustamente, non tanto sulla ricchezza scientifica dei suoi corsi o sull'attrazione esercitata dai docenti, quanto piuttosto sulla qualità ed esperienza degli analisti didattici di cui l'istituto stesso dispone. Il problema circa le differenze fra analisi terapeutica e analisi didattica, viene generalmente respinto, rispondendo che l'analisi didattica non vuole essere altro che un'analisi condotta con la tecnica classica su un soggetto sano anziché su uno malato. Di conseguenza, essa non dovi:ebbe essere più difficile da condurre e non dovrebbe avere effetti meno durevoli che l'analisi terapeutica di un nevrotico. Le differenze tecniche tra l'una e l'altra sono perciò state raramente oggetto di discussione fino ad oggi. Compiti e intenti dell'analisi didattica L'esperienza ci ha insegnato che non ~ possibile acquisire la con· \"inzionc dell'esistenza e del modo di agire dell'inconscio dalla Jet·
tura di scritti psicoanalitici. Solo la coerente applicazione del metodo analitico su materiale psichico ci dà impressioni di questo tif,o. Poiché la situazione fra analista e paziente esclude la presenza di una terza persona e quindi la possibilità di una dimostrazione per mezzo di materiale clinico, ai fini dell'addestramento, il candidato in analisi è lui stesso oggetto del proprio studio. Il candidato in analisi didattica si convince della validità scientifica delle asserzioni analitiche sulla propria persona. Ma l'analisi didattica insieme con la realtà dei contenuti psichici che costituiscono il materiale dell'analisi, dimostra anche l'efficacia del metodo psicoanalitico con il quale i contenuti psichici inconsci sono portati alla coscienza. Nella propria analisi, il candidato esperimenta, applicate su di sé, le misure tecniche che egli applicherà attivamente ai suoi pazienti nella fase successiva dell'addestramento. 1!: prevcdibile che all'inizio della sua analisi, il candidato tiseiVi scarsa attenzione ai procedimenti tecnici. Il compiere un'analisi personale, esperire cioè il ritorno di ricordi rimossi, il rivivere atteggiamenti infantili, e lo scuotimento dei me<::canismi difensivi, male si concilia con un'osservazione oggettiva e punti di vista metodici. Ma questo abbandono totalmente soggettivo del candidato all'csperien~ della sua analisi non ne domina l'intera durata. Con l'inizio dell'istruzione teorica e il passo successivo al lavoro pratico con dei pazienti, sotto supeJVisione, inevitabilmente l'esperienza soggettiva e lo sforzo di rendersi conto del processo, del metodo e della te<::nica dell'analisi si svolgono secondariamente. Il modo in eui l'analista didattico applica il metodo analitico diventa perciò l'esempio e il modello di tecnica per il candidato. Ancora più importante dei due compiti dell'analisi didattica testé descritti è la sua terza funzione. L'esperienza psicoanalitica dimosti:a che nella comprensione dei suoi pazienti, i limiti di ogni analista sono segnati dalla misura in cui egli ha imparato a comprendere il proprio inconscio. I punti ciechi per le proprie fissazioni inconsce creano un'equivalente cecit:l. nell'afferrare disturbi simili negli altri. Rimozioni non eliminate al proprio interno disturbano l'obiettivit:l. dell'analista e ne limitano le prestazioni. La paura del ritorno di materiale rimosso nell'analista si trasfonna in avversione a trattare lo stesso tipo di materiale nel paziente, atteggiamento che generalmente viene razionali:zzato con motivazioni teoriche. Sotto questo rispetto, più che sotto tutti gli altri menzionati, la profondità. e la
compiutCZZll dell'analisi personale sono decisive per la qualità del futuro lavoro del candidato. La funzione dell'analisi didattica è dunque triplice: sperimentare l'inconscio, dare dimostrazione della tecnica, e rendere più acuta la vista per l'inconscio attraverso il la,•oro compiuto sulle proprie rimozioni. L'ultima di tali funzioni è quella che più assomiglia al lavoro terapcutico compiuto con il paziente nevrotico. Nelle altre due funzioni, i lini dell'analisi didattica vanno al di là della funzione tcrapeutica nei confronti del paziente nevrotico. Durata dell'analisi didattica. Resistenze
Le ottimistiche aspettative che l'analisi delle persone relativamente sane si sarebbe svolta diversamente da quella dei ncvrotici gravi, non si sono realizzate. L'analisi delle resistenze, da cui è determinata la durata di un trattamento, presenta poche differenze nei due casi. Prima della sistematizzazione dell'addestramento analitico, i tentativi compiuti per condurre analisi didattiche in modo colloquiale o in incootri ioformali, si rivelarono insoddisfacenti poiché portavaoo ad aggirare le resistenze anziché risolverle analiticamente. Altri esperimenti di alternare l'analisi didattica con l'istruziooe teorica non si cooeludevano che con un'esperienza intellettuale, seoz.a che fossero toccati gli affetti. Parimenti, non basta che l'analisi didattica metta in moto il processo analitico e lasci la fase di elaborazione del materiale emerso all'autoanalisi del candidato; l'individuo relativamente sano non è meno in balia delle proprie resistenze del paziente nevrotico. Differenze nelle motivazioni coscienti alla collaborazione nell'analisi
La decisione di compiere l'analisi e la collaborazione che si presta nel corso di essa si fondano su motivazioni assai diverse nell'analisi terapeutica e in quella didattica, Il paziente nevrotico vuole essere liberato dalle-sue sofferenze, il candidato relativamente sano si sottopone all'analisi per ragioni di scelta professionale. Ma per l'effettivo andamento del processo analitico, questa differenza di motivaziooi coscienti conta ben poco. Quanto più procede l'analisi, tanto più i motivi consci perdono d'importanza rispetto a quelli inconsci che spingono l'analizzato a portare avanti l'analisi oppure tendono a impedirne la continuazione. La sofferenza del nevrotico può essere, affettivamente, una motivazione più forte; tuttavia, in fasi difficili
dell'analisi, più affidamento si può fare sulla motivazione di apprendere del candidato in addestramento. Avviene di rado che un candidato interrompa l'analisi sotto la pressione delle resistenze, mentre ciò accade abbastanza frequentemente nel caso del nevrotico che "agisce" i suoi sentimenti. Differenze nella scoperta di materiale inconscio La scoperta del materiale inconscio è spesso più difficile nel caso dell'analizzato relativamente sano che del paziente nevrotico. Il primo ha raggiunto un equilibrio fra le sue istanze psichiche che poggia su rimozioni riuscite, forme difensive stabili c soluzioni di conflitti in sintonia con l'Io. Molte di queste prestazioni devono essere rese reversibili per riportare alla coscienza il materiale psichico in esse elaborato. Come ha fatto rilevare spedalmente Ferenczi, il lavoro analitico rappresenta perciò per il candidato in analisi didattica un disturbo della salute psichica faticosamente acquisita, al quale il suo Io si oppone con energiche resistenze. Nel c:JSO del paziente nevrotico la situazione di fronte alla quale si trova l'analisi è diversa. Il nevrotico si sente minacciato, nel suo lo, dal ritorno del materiale rimosso dopo il fallimento di rimozioni e il crollo di meccanismi difensivi (specialmente delle formazioni reattive). Il suo equilibrio endopsichico si mantiene precariamente solo attraverso formazioni di compromesso (i sintomi), di cui il suo Io soffre. In queste circostanze, allo sforzo dell'analista di innalzare alla coscienza il materiale rimosso, viene in aiuto una costante spinta spontanea esercitata dagli impulsi inconsci insoddisfatti. L'Io indebolito e scisso dalla nevrosi, e nonostante la sua angoscia del ricmcrgcre del rimosso, può opporre all'analisi una resistenza meno energica dell'Io dell'individuo sano.
Differenze nelle resistenze dell'Es Quanto più grave è la malattia ncvrotica, tanto più fortemente i moti pulsionali sono legati alle loro vie anormali di deflusso c alle mete pulsionali degradate dalla regressione. La natura conservatrice delle pulsioni, la loro inclinazione innata a mantenere le direzioni di scarica una volta imboccate, sono percepibili in analisi, come resistenze dell'Es, ancora molto tempo dopo che è stato messo in luce il materiale inconscio. Queste resistenze dell'Es vengono gradualmente superate solo nella lunga fase dell'elaborazione. L'elaborazione dura tanto più a lungo quanto più la vita pulsionale si è
allontanata dalla norma, di conseguenza più a lungo nel nevrotico grave che nell'individuo relativamente sano. Spostamento d'accento nC/l'analisi delle resistenze. Nel confrontare l'analisi didattica con l'analisi terapcutica, noi non riscontriamo che uno spostamento di accento per quanto riguarda le resistenze dell'Io e le resistenze dell'Es. Nell'analisi didattica dell'individuo relativamente sano, il rendere cosciente l'inconscio, difficilmenté accessibile per la forza delle resistenze dell'Io, è la parte più ardua del lavoro; nell'analisi del nevrotico grave, dato il suo attenersi tenacemente al processo pulsionale anormale, il lavoro analitico si concentra principalmente sulla fase dell'elaborazione. Differenze nell'analisi della traslazione Ulteriori deviazioni dell'analisi didattica dal processo analitico usuale si trovano nel campo della traslazione. Instaurazione e interpretazione tcrapeutica
del!:~
traslazione nell'analisi
Le relazioni emotive del nevrotico sono fissate agli oggetti d'amore della sua vita inf:~ntile e alle fantasie della fase preedipica ed edipica. I suoi legami apparentemente intensi a persone del mondo esterno reale non sono, di fatto, che riflessi del passato, i suoi .tempestosi impulsi emotivi, positivi o n_egativi, sono solo ripetizioni coatte di atteggiamenti infantili. Quanto più forte è la coaziorae, condizionata da complessi_ operanti nel passato, tanto più l'oggetto amoroso attuale viene ad avere forzatamente una funzione preordinata, segnata dalle fantasie infantili rimosse. Con l'ingresso del nevrotico in analisi; l'importanza dei suoi oggetti attuali si riduce; le sue fantasie, gli impulsi di desiderio infantili, i sentimenti d'amore e di odio si accentrano intorno alla persona dell'analista producendo il quadro clinico della cosiddetta nevrosi di traslazione. L'esperienza·psicoanalitica insegna che una completa utilizzazione delle reazioni traslative del paziente nevrotico avviene solo se si adempiono detenninate condizioni. Nelle relazioni oggettuali preanalitiche del nevrotico, gli elementi fantastici, persistenti dal passato, e gli elementi reali, dipendenti dal presente, sono tanto indissolubilmente mescolati tra di loro che_a nulla servono per l'esplorazione del passato. Per questa ragione la tecnica analitica prescrive all'analista di rimanere nell'ombra come persona_ rc:.le. Egli non deve
aver avuto relazioni amichevoli o professionali con il paziente prima dell'analisi e, durante l'analisi, deve mantenere le distanze dal paziente per quanto riguarda la sua vita privata. Quanto meno elementi offre egli stesso per il quadro che il paziente si costruisce di lui, tanto più chiaramente si riflettono, in questo quadro, le imagines degli oggetti. dimenticati del passato. Nel rapporto di traslazione il paziente pretende che l'analista intervenga nella sua vita con consigli e aiuti effettivi, come hanno fatto i genitori in passato. Egli ama od odia l'analista. ripetendo sentimenti passati, sviluppa gelosia in base a rivalità dimenticate, si sottomette all'analista o si ribella contro di lui come a suo tempo contro il padre, si identifica con lui e mette la sua figura al posto del proprio ideale dell'Io. Per poter ricostruire da tutto questo un quadro quanto più completo possibile della preistoria infantile rimossa, l'analista ha il compito di non stimolare alcuno di questi impulsi con azioni proprie, di non reagire ad essi, di non utilizzarli per scopi reali e di lasciare semplicemente che si scarichino sulla propria persona. Quanto meglio egli riesce a evitare che la realtà si inserisca nella nevrosi di traslazione del paziente, tanto più profondi saranno gli strati dell'inconscio nei quali potd: penetrare con l'interpretazione. lnstaurazione e interpretazione della traslazione nell'analisi didattica Non abbiamo in generale abbastanza chiarezza su quali siano i punti nei quali l'instaurazione e il trattamento della traslazione nell'analisi didattica differiscano dal processo descritto e su quali conseguenze ne derivino per il successo degli sforzi analitici. La nevrosi di traslazione del candidato in analisi didattica. Quanto più sano è il candidato in analisi didattica rispetto al nevrotico, tanto più lentamente si sviluppano le sue reazioni di traslazione; quanto più normali sono le sue relazioni emotive, tanto più tenacemente esse si riproducono anche rispetto agli oggetti reali del presente. Solo quando l'analisi è abbastanza progredita da allentare le rimozioni, da scuotere i meccanismi difensivi. e da far rivivere il mondo fantastico infantile, si stabilisce la situazione analoga alla nevrosi di traslazione del paziente nevrotico. Nel caso del candidato in analisi didattica, dunque, la disposizione alla traslazione si pro-: duce solo mediante la stessa analisi, mentre il paziente nevrotico vi è predisposto 6n dall'inizio del trattamento.
,, Uso della traslazionc nell'analisi didattica. Ma neanche dopo l'instaurazionc della traslazione, il candidato in analisi didattica si trova in un~ situazione analoga a quella dell'analisi terapeutica. Il suo analista, Iungi dall'essere una figura che resta in ombra, svolge una parte reale decisiva nella sua vita. L'analista didattico come figura re:.le. Nella maggior parte dei casi l'analista didattico non è uno sconosciuto per i suoi allievi in analisi.
Chi abbia acquisito il diritto ad esercitare l'analisi didattica, ha generalmente un nome, nella sua professione, che non è estraneo a coloro che gli si rivolgono per un'analisi didattica, ma che anzi
è proprio il motivo che li ha indotti a rivolgersi in particolare a lui come analista. Può darsi che l'analista in questione abbia pubblicato dei saggi che l'analizzato ha letto, o che può permettersi di leggere durante la propria analisi. L'analizzat~ sa, quindi, qual è il rango profcssionaie del suo analista, ha un suo giudizio circa le sue capacità scientifiche, conosce le sue opinioni circa l'insegnamento e le sue relazioni, positive o negative, con altri autori nell'ambito della stessa disciplina. Se si tratta di un analista di fama universale, non è difficile per l'analizzato venire a conoscere anche le sue condizioni di vita, le relazioni familiari, le qualità del suo carattere ecc. Questi clementi, che fanno parte della realtà dell'analista didattico, si mescolano, nell'analisi, con i tratti trusposti dal passato dell'analizzato, e ne rendono più difficile l'interpretazione. L'analista didattico come istanza giudicante. In molti istituti di addestramento legati all'Associazione psicoanalitica internazionale il Comitato all'istruzione decide solo in merito alla temporanea ammissione di candidati all'addestramento analitico. La decisione finale circa l'accettazione di un candidato è affidata all'analista didattico, il quale comunica e motiva il suo giudizio al Comitato all'istruzione dopo un'analisi di parecchi mesi. Allo stesso modo l'analista didattico decide circa l'ammissione del suo analizzato alle fasi successive del corso di addestramento teorico e pratico. Nell'attestato definitivo dei candidati, dopo aver terminato il corso di addestramento, il pronunciamento dell'analista didattico conta molto oltre a quello degli altri docenti. Il fatto che l'analista didattico sia soddisfatto del suo analizzato può dunque avere conseguenze pratiche positive, mentre la sua disapprovazione e insoddisfazione possono avere conseguenze negative reali. Ciò significa cl1e l'analista didattico esercita realmente quella funzione giudicante e decish·a che l'analizzato è incline ad
nGBLUIIDBLL'AIIALISIDIDU"Tl(A
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attribuirgli, nella fantasia, per traslazione del suo rapporto con i genitori.1 Traslazione delle relazioni familfuri infantili. Gelosia. Con il risvegliarsi di atteggiamenti infantili diviene importante, in ogni analisi, la traslazione della gelosia verso fratelli o sorelle. Nell'analisi terapeutica, le minime occasioni (ad esempio incontri con un paziente sconosciuto per le scale o nella sala d'attesa dell'analista) bastano a far divampare nuovamente antichi sentimenti di discriminazione, di odio rispetto a rivali privilegiati, desideri di morte ecc. Nella situazione dell'analisi didattica, questi rivali, sui quali è traslato l'odio fraterno, sono persone familiari all'analizzato e che agiscono nella sua stessa realtà. I candidati in analisi didattica presso lo stesso analista si comportano nella traslazione come fratelli e sorelle che vogliono misurarsi a vicenda, si disprezzano o competono gli uni con gli altri, si invidi:Jno reciprocamente per l'apparente predilezione del padre o della madre, si alleano, a seconda delle circostanze, contro il padre o la madre ecc. In queste circostanze, il mettere in atto questa forma di traslazione diventa più importante, per l'analizzato, che l'interpretazione del materiale infantile che vi si rivela. Traslazione della curiosifia infantile. Osservazione dei genitori. La traslazione della curiosità sessuale infantile dalle persone dei genitori sull'analista rende l'analizzato insaziabile nella sua ricerca di sempre nuove particolariU, personali. Nella situazione tecnica corretta dell'analisi terapeutica questo sforzo conduce al proliferare della fantasia c offre materiale prezioso, in particolare relativamente alle teorie sessuali infantili. La conoscenza, da parte dd candidato in analisi didattica, delle circostanze di vita del suo analista ha un effetto inibitorio sulla sua attività fantastica, o perlomeno ne ostacola l'utilizzabiliU per l'interpretazione analitica. 'O.U'epGa della pL ln ~lcuni i•tituti, la commissione evita accuratamente diricltiedercl'opinioncdell'onalisbdidatticosuisuoic:aodidatico>gniquol\IOltaeni•iano preSI in esame, l'an:olist:r dodattico si allontana dolb riunione. In ~ltti istituti, l'opinione doll'analida didattico~ rich~sta solo ~in via infonnalc~, ci~ non uf!icialrnentc. Noi primo <:ISO, la commissione ~ pri ... ta della '"" piò importante fonte d'infonnatione; tutta•~. nessun candidato crede nella rcalt.lt di questa pra.,i. Nel secondo caso, b commiosione metteinpratiacibcheilcandidatocrcdecomunque. Ci6 che tale "quoliU 1iudic:ante" doll'an•lista diiGne aaitiea e osse!a•POglia"'idituttcledifeseei controlli.., non pub "'"'re certo che i deriv~ti dell'Es non diventino noti al di l~ dci confinidclla•ituazioncanolitìa.
"'
Una forma speciale di osservazione dei genitori {osservazione del coito, curiosità per il rapporto fra padre e madre) si trasferisce nell'analisi didattica come interesse curiosO per le relazioni degli analisti fra di loro. Se nella vita infantile è stato predominante un disaccordo fra i genitori e il bambino si è schierato ora per l'uno ora per l'altro genitore, l'analizzato sviluppa un interesse passionale per tutti i dissensi che si presentino fra gli analisti didattici ponendosi pro o contro il proprio analista. Se però gli avvenimenti esterni favoriscono questa traslazione di un atteggiamento infantile nel presente, if carattere ripetitivo e insieme l'interpretazione del suo comportamento non sono convincenti per l'analizzato. L'analista didattico come figura autoritaria. Sottomissione e ribellione. Nell'analisi terapeutica si alternano fasi in cui l'arrendevolezza del p<~ziente giunge fino alla completa soggezione, e fasi di critica e di ribellione. Nella traslazione pos.itiva, il paziente accetta le interpretazioni, è convinto dell'efficacia dell'analisi, riconosce pienamente e con gratitudine gli sforzi dell'analista e cosi via. Nella traslazione negativa, egli disprezza l'analisi, riprende bramOsamente i giudizi sfavorevoli di altri circa la terapia analitica, si sente sfruttato dal suo analista, esperimenta la seduta analitica come una costrizione ecc. Poiché l'analista mantiene un comportamento sempre uguale, questa oscillazione fra sentimenti positivi e negativi nei suoi confronti denota il ritorno degli impulsi infantili d'amore e di odio che nel loro insieme offrono una riproduziOne completa della relazione del bambino verso i genitori. -Nell'analisi didattica, e spedalmente nella fase dell'addestramento teorico e pratico, le stesse reazioni affettive si presentano mascherate sotto forma di convinzioni teoriche oscillanti. L'analizzato, il quale conosce le oPinioni del suo analista rispetto alla didattica, le condivide e difende con argomentazioni apparentemente obiettive nelle sue fasi positive di traslazione, per attaccarle poi, con argomentazioni apparentemente obiettive, nelle fasi negative. In questo modo, l'amore infantilè e l'odio infantile si trasformano in opinioni teoriche più o meno ben razionalizzate, che non sempre possono essere riconvertibili, in maniera facile e convincente per l'analizzato, nelle relazioni infantili che in esse si esprimono. L'analista didattico come oggetto d'identificazione. Ogni Paziente che si trovi in trattamento analitico, si costruisce, a un certo punto dell'analisi, la fantasia di diventare egli stesso aD.alista, In questa forma, il paziente ripete antichi atteggiamenti d'identificazione con
i genitori, ché o hanno preceduto la rebtione oggettuale con queste importantissime persone dell'infanzia o l'hanno so~tituita. In questa fase, il paziente è pronto ad abbandonare gli interessi professionali o i progetti per il futuro che aveva prima dell'analisi e a scambiarli con gli interessi professionali del suo analista. Nel processo analitico tecnicamente corretto, questo proposito presente, apparentemente adattato alla realtà, si smaschera come fantasia di desiderio infantile derivante dal contesto della relazione con il padre. È un successo dell'analisi" se il par.iente si libera nuovamente di questa identificatione attraverso l'interpretazione, la distingue come irreale e condizionata affettivamente ed è in grado di dedicarsi nuO\'amente ai propri interessi vitali. L'esito dell'analisi nell'identificazione con l'analista, che nell'analisi terapeutica rappresenta una delle più importanti difficoltà di traslazione, da risolversi con l'interpretazione, nell'analisi didattica si compie realmente. La fantasia infantile e la scelta professionale effettiva coincidono e gli elementi fantastici si mescolano con quelli reali. Alla fine di un'analisi tcrapeutica riuscita, il paziente riconquista la sua autonomia, risolve la sua nevrosi di traslatione c separa il proprio destino da quello dell'analista. Il candidato in addestramento lega il suo destino, alla fine della propria analisi didattica, a quello dell'analisi; diventa collega e spesso collaboratore del suo analista. In che misura quest'ultimo passo avvenga per soluzione della traslazione, e in che misura sopravviva ancora in esso una traslazionc non risolta non è sempre facile distinguere. Riepilogo Nel comportamento dell'analista tcrapeutico sarebbe considerato errore tecnico se prendesse in trattamento pazienti che fanno parte del suo ambiente sociale più stretto, se avesse con essi interessi comuni, se discutesse con loro, o in loro presenza, le proprie opinioni; se si lasciasse indurre a giudicare criticamente il loro comportamento, a parlarne con altri e a trarre conseguenze reali dal proprio giudizio; se intervenisse attivamente nella vita del suo paziente, gli ~i offrisse come modello e gli permettesse, alla fine dell'analisi, un'identificazione con la propria per~ona e la propria attività professionale. Nell'ambito della situazione didattica, l'analista incorre effettivamente in ognuno di questi errori tecnici. Rimane aperto il problema di quale sia la misura in cui la situazione di traslatione del candidato
in analisi didattica sia resa più difficile e complicata da questo pro· cedimento alternativo, in senso tecnico, e sia resa più oscura per l'interpretazione. Nel movimento analitico riemerge in continuazione la lamentela che l'analisi del futuro analista adempie meno bene il suo scopo tera· peutico che l'analisi di un paziente nevrotico. Molti analisti soffrono di atteggiamenti infantili inisolti dai quali sono disturbati nelle loro relazioni affettive con il mondo circostante, oppure soffrono di legami traslativi non risolti con il loro analista didattico, che influen· zano il loro atteggiamento scientifico. Essi restano dipendenti dal proprio analista didattico o rompono con lui, rifiutando violente· mente la relazione positiva inisolta, con clamorose affermazioni negative, spesso razionalizzate teoricamente. Varrebbe la pena di dimostrare, nei casi individuali, in quali punti la manipolazione della traslazione, indotta dalla situazione didattica e tecnicamente de· viante, abbia danneggiato o quanto meno messo in dubbio l'analisi della traslazione e insieme il successo analitico stesso.
(in
rollobor:~zione
ron D<>rnlhy Burlingham)
Bambini senza famiglia: tesi prO e contro gli asili residenZiali . 1943
Prcfazione alla prima edizione
Le osservazioni riportate in questa pubblicazione sono state rac· colte ricl corso di un lavoro educativo pratico nelle tre case della Hampstead Nurself: - lJ, Wedderburn Road, London, N.W. J. (asilo diurno); - 5, Netherha/l Cardens, London, N.W. 3· (5o bambini residenti dalla -nascita ai 5 anni); · - "New Barn", Lindsell presso Dunmow, Esscx (40 bambini residenti dai ;z ai lO anni). La Hampstead Nursery è una colonia del Foster Parents' Pian !or War Children, e in quanto tale deve tutta la sua esistenza alla generosiU americana. Come le altre colonie del Foster ·parents' Pian, ha fOrnito una casa a bambini la cui vita familiare è stata spezzata permanentemente o temporaneamente a causa delle con· dizioni di guerra. Come le altre colonie, benché sia residenziale, non è retta alla maniera di un istituto: cerca invece di ristabilire per i bambini quello che banno perduto, la sicurezza di una casa stabile c/1e permetta loro uno sviluppo individuale. La sola caratteristica degli uistituti" che non è stato possibile evitare è l'assenza della famiglia stessa. Le condizioni di guerra - padri sotto le armi, madri al lavoro in fabbrica a tempo pieno, sfollamento dei bambini dalle citt;l. come misura preventiva, distruzione di· molte case sotto i bombardamenti - hanno reso impossibile la vita di famiglia in grandi settori della popolazione. Di conseguenza, molti bambini piccoli, benché avessero ancora i genitori, restarono senza casa, e fu necessario col· Jocarli in asili nido permanenti dove dovettero attravemre l'espe· rienza penosa di una vita "senza famiglia", come quella che in tempo di pace è riservata agli orfani. L'eRetto non solamente dello
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UM01NJ SENZA FANJCLIA
shock di essere separati dalla famiglia, ma anche della mancanza di quel continuo contatto emotivo fra genitori e figli, con conseguente assenza della specifica inRuenza formativa inerente ai legami familiari, divenne quindi chiaramente evidente in un numero di casi molto maggiore del solito, e ci sembrò dunque degno di essere descritto c studiato. Non è possibile prevedere oggi quanti dei bambini che si trovano attualmente negli asili residenziali resteranno effettivamente senza casa e senza famiglia alla fine della guerra. Una rilevazione preliminare sulla situazione dei nostri bambini ci dice che, se non soprav· vengono altre complicazioni, il 59 per cento potrebbe ritornare a casa propria appena il padre sarl congedato o la madre avrl terminato di lavorare per la guerra. Il 41 per cento rcsterl senza casa per varie ragioni: perché figli illegittimi con madri lavoratrici non qualificate o domestiche, che non sono in grado di avere una casa propria; perché appartenenti a famiglie indigenti, moralmente o finanziariamente non in grado di occuparsi di loro; perché hanno perduto contatto durante la guerra con madri risultate irreperibili; perché la madre è stata ricoverata in sanatorio o in clinica psichiatrica; perché la madre è deceduta durante la guerra e il ritorno in famiglia di questi bambini dipenderebbe da nuove nozze del padre; perché l1anno perduto ambedue i genitori nei bombardamenti. Probabilmente questa percentuale di bambini senza casa sarl molto più alta nella Hampstead Nursery, ove le indagini sono state compiute, che non negli asili residenziali ufficiali. t anche possibile d1c nel dopoguerra ci si proporrl di assistere i senza casa senza l'aiuto di istituti residenziali, cioè mediante adozioni legali, programmi ufficiali di collocamento familiare ecc. Comunque sia, i bambini senza casa sarnnno indubbiamente molti e rappresenteranno un problema. Il nostro tentativo di valutare i vantaggi e gli svantaggi della vita negli istituti residenziali in varie fasi c sotto diversi aspetti dello sviluppo infantile può fornire materiale che contribuisca a risolvere questo problima.
Prefazione alla seconda edizione Da quando questo libro fu scritto nel 1943, è stata pubblicata una lunga serie di studi sui bambini piccoli che han passato l'infanzia senza cure familiari. Alcune di queste pubblicazioni contengono materiale ancor più preoccupante nella sua intensa tragicità delle osservazioni raccolte da noi; oppure materiale che ha influito assai più largamente sull'opinione pubblica; o materiale che quanto a precisione scientifica ha notevolmente superato la nostra opera. Tuttavia Bambini senza famiglia può rivendicare il merito di essere comparso per primo e quindi di aver dato principio alla serie. In seguito alla data e alle circ0$tanze della sua pubblicazione, Bambini senza famiglia è stato talvolta delinito un ulibro di guerra", cioè una pubblicazione che deve l'interessamento incontrato dal suo argomento a un momento speciale della storia, e va soggetta a cadere in dimenticanza quando i relativi avvenimenti sono trascorsi. In qualità di autrici, giudichiamo sbagliata tale qualilica. È vero che l'occasione di eseguire il nostro studio ci fu offerta dal Forter Parents' Pian for War Children di New York, 1 come opera assistenziale di guerra, e che le condizioni da noi osservate accompagnavano la guerra dd 1939-45· Ma la guerra in sé vi rappresentò soltanto la parte di agente precipitante e aggravante: i bambini restano orfani o sono strappati alle famiglie per svariate ragioni, come la morte, le malattie, le disgrazie, i divorzi, i dissesti finanziari ecc., in seguito a circostanze che avvengono in ogni tempo e in tutti gli strati sociali. La guerra altro non fa che fomentare e moltiplicare il dissolvimento delle unità familiari, e di conseguenza mette in maggiore risalto i dannosi e/letti di tali disastri sui singoli bambini. Nel campo della medicina lisica, tutte le guerre ci hanno dato preziosi insegnamenti, applicabili in tempo di pace, per quanto riguarda la chirurgia, l'antisepsi e l'alimentazione. Le esperienze descritte da noi altro non fanno che estendere i progressi di queste conoscente dal campo lisico a quello mentale, ponendo in rilievo il fatto che la privaz-ione delle cure dei genitori può essere tanto dannosa per lo sviluppo della personalità del bambino quanto la carenza di proteine, grassi o vitamine è dimostrafamcnte disastrosa per la crescita del suo organismo. 1 [Al Fostor P••ents' Plon veni•-.no inviate mtn<~mente rebUoni sull'attivi~ delle ll•mpsteod Nurseries: vedi R.opporti memili sulle ll•mr>~ttad Nurser~ (rq~1·45).)
Quanto allo sviluppo infantile in istituto rispetto a quello in famiglia, la massima parte delle conclusioni da noi raggiunte sonci risultate valide nel tempo, anche di fronte alla quantit~ di materiale successivo; raccolto durante gli ultimi decenni. Noi sosteniamo ancora che fra le tappe raggiunte nello sviluppo della personalità infantile nei primi due anni di vita, il controJio muscolare e la motilit~ indipen~ente sono i progressi dovuti in modo predominante alla maturazione, e quindi relativamente indipendenti dalle circostanze esterne, mentre il linguaggio, la capaciU di a/iment;Jtsi, il controllo degli sfinteri dipendono maggiormente dal grado d'intimi!~ nella relazione madre·bambino, e dall'interazione costante tra forze di maturazione e stimoli esterni. Quanto alle relazioni sociali fra bambini piccoli e piccolissimi molto si è imparato nell'intervallo di tempo trascorso da allora a oggi, specialmente grazie all'importante possibi/it;l. di osservare lo sviluppo di piccole vittime dci campi di concentramento dopo la Joro liberazione. Questi bambini, che erano cresciuti dimentichi dell'esisten7.a di genitori e senza legami· permanenti con altre figure adulte, dimostrarono, come in una cultura di laboratorio, quel che i nostri. bambini separati dalle famiglie durante la guerra avevano mostrato a noi per approssimaz.ionc: le deviazioni nella !ormatione della personalitil che sorgono quando i legami familiari sono sostituiti da queJJi con un gruppo di coetanei, e la maggiore o minor misura in cui questi ultimi si possono utilizzare per soddisfare il bisogno infantile d'intimi!.!} emotiva con altri esseri umani. Quanto all'infiuenz.a dei genitori e specialmente della madre suJlo sviluppo della personali!.!} infantile, questo argomento ba preso somma importanza nella letteratura degli ultimi vent'anni relativa allo sviluppo, e alle nostre osservazioni si sono aggiunti nuovi dati, sotto molti aspetti. Noi avevamo studiato l'effetto di questo fattore vitale tramite le deformazioni della personali ti! dovute alla sua assenza, vale a dire che avevamo trattato Io spostamento dei nostri bambini durante la· gueiTa. quasi fosse un esperimento preordinato, fornito dal destino per essere da noi osservato. Che questo metodo di esaminare uno specifico agente ambientale o innato attraverso la sua eliminazione dalla situazione sia un metodo fecondo, è confermato da molti studi successivi di b3mbini vittime di privazioni o handicappati, nei quali fu adottata la medesima procedura. Però, al di l~ del particolare, se consideriamo le tesi pro e contro l'allev3mcnto residenziale nell'insieme, il nostro verdetto oggi è
,,, ancora più negativo di quello formulato vent'anni fa. I nostri progressi nella conoscenza dello sviluppo infantile, siano essi ottenuti nel campo dell'istruzione, della cura dei bambini o dell'arullisi infantile, indicano tutti tre bisogni dei bambini che crescono, çui spetta la precedenza su tutti gli altri: il bisogno dell'intimo scambio affettivo con una ligura materna; il bisogno di ampia e costante stimo/azione esterna delle potenzialità innate; il bisogno di un'ininterrotta continuiU delle cure. L'esperienza dimostra che anche gli sforzi più risoluti degli organizzatori di asili residenziali per i bambini, inevitabilmente falliscono nel soddisfare pienamente anche uno solo
di questi bisogni, e meno che mai nel soddisfar/i tutti e tre.
1. Confronti fra Jo sviluppo nella prima infanzia di bambini allevati in istituti e bambini allevati in famiglia
Gli educatori c gli pSicologi dell'infanzia riconoscono che i bambini i qu::Jii hanno passato tutta la vita in istituti presentano un tipo loro proprio c sono diversi, sotto vari aspetti, dai bambini che si sviluppano nelle condizioni di vita di una famiglia. La conoscenza della natura di gueste differenze è stata acquisita in parte mediante l'osservazione personale, nei casi in cui tali bambini, più tardi, sono diventati antisociali o delinquenti (vedi AichlJorn, 1925), e in parte mediante l'osservazione in gruppo di moltissimi bambini evacuati nella primissima infanzia in asili residenziali, durante questa guerra. L'osservazione superficiale di bambini di questo tipo dà un quadro contraddittorio. Quanto alloro aspetto esterno, essi somigliano ai bambini di famiglie della classe media: sono fisicamente ben sviluppati, adeguatamente alimentati, vestiti decentemente; hanno acquisito abitudini di pulizia e buone maniere a tavola, e sanno adattarsi a norme e regolamenti. Quanto allo sviluppo del carattere spesso si dimostrano - con disperazione di tutti e malgrado molti sforzi - superiori di poco ai bambini indigenti e trascurati. Questo viene in chiaro specialmente dopo c!Jc hanno lasciato gli istituti. In seguito a questi insuccessi nello sviluppo, in questi ultimi anni gli educatori capaci di riAettere sono diventati sempre più ostili all'idea degli asili residenziali in quanto tali, e hanno elaborato sistemi di collocamento dei bambini orfani o indigenti presso famiglie disposte a prenderli in affidamento. Ma poiché iniziative di questo tipo non riusciranno probabilmente a eliminare del tutto il bisogno di asili residenziali per i bambini molto piccoli, resta interessante la questione: fino a che punto gli insuccessi qui descritti sono inerenti alla natura di quegli istituti in quanto diversi dalla vita familiare,
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c in quale misura sarebbe possibile eliminarli, se gli istituti fossero disposti a cambiare sistemi e capaci di farlo? Abbiamo imparato cose interessanti dall'accurato confronto fra i nostri bambini negli istituti residenziali e bambini della stessa ttà che vivono in famiglia. Vantaggi e svantaggi variano in misura sorprendente, secondo i periodi di sviluppo. Dalla nascita ai cinque mesi Dalla nascita ai cinque mesi circa, i neonati non allattati al seno, in nessuna delle due condizioni, si sviluppano meglio nei nostri asili che nella famiglia proletaria media. Il loro aumento di peso è più regolare, i disturbi intestinali meno frequenti; la pelle, il colorito, l'aspetto generale sono più soddisfacenti. Nei periodi di malattia, l':menza dell'ansia e della tensione, inevitabili nelle madri giovani, va certamente a vantaggio del bambino. Le madri che hanno alle\"ato in casa i primi figli, c ora tengono il terzo o il quarto da noi, di solito ci lodano molto, confrontando i progressi del bambino "istituzionaleN con quelli dci figli precedenti allevati in famiglia. :t facile trovarne le ragioni: alimenti preparati con maggiore cura, variando le formule alimentari quando occorre; molta vita all'aria aperta quando il tempo lo permette; lavaggio più frequente dei panni; trattamento esperto e regolare, e allontanamento dallo scompiglio di una famiglia numerosa in un alloggio troppo piccolo. l bambini allattati al seno stanno naturalmente meglio di quelli allattati al biberon, dovunque si trovino. I migliori risultati si riscontrano nei bambini allattati al seno dalle loro madri nei nostri asili. Essi rivelano il doppio vantaggio delle cure materne assetiate all'accmata igiene dell'asilo. Dai cinque ai dodici mesi Nella seconda metà del primo anno il quadro cambia nettamente a nostro svantaggio. Ogni volta che abbiamo occasione di confrontare i nostri bambini dai cinque ai dodici mesi con bambini allevati infamiglie di tipo medio, siamo colpiti dalla maggiore vivacità e dalle migliori reazioni sociali di questi ultimi. Questi di solito sono più sviluppati nel tendere le mani per afferrare Oggetti e nel gioco attivo; sono più attivi nell'osservare i movimenti delle persone nella stanza e più reattivi alle loro entrate e uscite, perché chiunque entri o esca
1 / I.UU!I
è conosciuto da loro ed è in qualche relazione con loro. Un bambino di questa età è naturalmente incapace di riconoscere e distinguere le varie persone che si avvicendano in un reparto bambini o in un nido molto popolato. Per la stessa ragione la reazione emotiva del bambino ai cambiamenti di espressioni, facce, voci degli adulti, può svilupparsi più lentamente. La capacit~ di imitare, che si sviluppa dall'ottavo mese in poi, è stimolata in minor misura dove i contatti con gli adulti sono meno frequenti o meno stretti, o sono suddivis{ fra parecchi adulti, come è inevitabile in un asilo. Anche ove i nostri bambini residenziali siano più robusti e sani, queste differenze nello sviluppo intellettuale ed emotivo bastano a far apparire il bambino allevato in famiglia più uprogredito", e quindi più soddisfacente. In questo stadio il bambino residenziale presenta un relativo ritardo perché i suoi bisogni emotivi sono relativamente insoddisfatti, e tali bisogni, a quest'eti, sono altrettanto importanti quanto i vari bisogni 6sici. La relazione del neonato con la madre era basata sulla soddisfazione dei bisogni 6sici; l'interazione emotiva fra bambini e adulti avveniva esclusivamente durante l'alimentazione, il bagno, il cambio d'indumenti, e quindi era non meno frequente nell'asilo che in famiglia. Invece, dai cinque ai dodici mesi l'interazione emotiva e la stimolazione intellettuale elle ne risulta, sono distribuite più o meno su tutte le ore della giornata in cui il bambino è sveglio. Si trova perciò· svantaggiato il bambino dell'asilo, che riceve un'attenzione personale soltanto quando lo allattano, gli fanno il bagno o lo cambiano. La quantità di ulteriori attenzioni personali (ora dei giochi, uscita in carrozzina, ginnastica ecc.) che un bambino può ricevere, dipendono dal personale dell'asilo e dalle altre cure prestate come routine; tali attenzioni devono naturalmente essere prestate da un sostituto materno a cui il bambino si affeziona, e non hanno valore se le prestano visitatori, estranei, uoperatori volontari" occasionali. Tutto sommato si può dire che nella seconda metà del primo anno del bambino residenziale, la perdita di soddisfazioni emotive supera i vantaggi delle cure 6siche. _ Da uno a duè anni di età Controllo muscolare Con l'inizio del secondo anno la bilancia pende di nuovo in nostro f:~vore. Il grande avvenimento nella vita del bambino è la sua nuova
capacità di muoversi liberamente e dirigere i propri movimenti, capa· cità che progredisce rapidamente, dall'andare carponi al camminare, correre, arrampicarsi, saltare, e prosegue con la manipolazione e lo spo· stamento di oggetti, come spingerli, tirarli, trascinarli, port::Jrli e cosl via. Anche quando le madri riconoscono pienamente l'intenso piacere che il bambino riceve dall'esercizio di queste funzioni nuove, tuttavia, date le circostanze esterne, non possono in genere ]asciargli completa libertà di movimenti, favorendo cosl il suo sviluppo in questo senso. Nella casa normale manca lo spazio sufficiente ai movimenti del bambino e non c'è sicurezza quando si muove nello spazio dispo· nibile. In massima parte le madri sono più che consapevoli dei pericoli costituiti da fuochi, acqua bollente, cadute dall'alto o delle ferite che il bambino può procurarsi battendo contro un mobile o facendosi crollare addosso degli oggetti. Di conseguenza in casa loro i bambini che cominciano appena a camminare sono lasciati nei Jet· tini o assicurati con cinghie alla carrozzina, o nella migliore ipotesi confinati nello spazio ristretto del "box" all'età in cui, nei nostri asili, stanno in continuo movimento, perconcndo la stanza in lungo e in largo. In questo periodo molti bambini per un certo tempo trascurano tutti i giocattoli e mostrano scarso interesse per i compagni; si comportano come se fossero inebriati dall'idea dello spazio e anche della velocità; procedono carponi, camminano, marciano e corrono, passando da un modo di locomozione all'altro col massimo piacere. Questi bambini si servono di giocattoli quando possono farli rientrare nel gioco continuo del muoversi. Le sedie e il vasino non scr· ,·ono per sedercisi sopra ma sono spinti in giro per la stanza; i giocattoli di gomma e gli animali su rotelle, sono "portati a spasso", i bambini corrono dietro alla palla, alcuni, dopo aver imparato a stare facilmente in equilibrio, provano un piacere particolare a trascinarsi dietro un giocattolo in ogni mano mentre si spostano essi stessi. QualchC volta, per un'ora di seguito l'intera popolazione dei bambini che muovono i primi passi è in movimento; girano in circolo e si incrociano ripetutamente come su una pista di pattinaggio. Naturalmente i bambini non maneggiano soltanto i giocattoli; tutto quel che è sparso nella stanza {il bidone per il carbone, il recipiente per la biancheria, una catinella, una scopa e così via) attira il loro interesse e viene manipolato cd esplorato. Se viene loro permesso, i bambini esercitano pienamente le funzioni, recentemente svilup-
p~te, di aprire, disfare, tirar fuori c specialmente di svitare. E: facilmente immaginabile che azioni di questo genere, quando parecchi b~mbini si trovano insieme, somigliano a quelle di una squadra di demolitori, e non si possono tollerare senza danni e spese in una casa privata. Non è solo il bambino che la madre vuole salvare dagli oggetti; essa deve altresì salvare gli oggetti dal bambino. La libcrat di adoperare mani e gambe come abbiamo descritto presenta altri vantaggi oltre all'intenso piacere e soddisfazione che il bambino prova in tali esercizi. In queste condizioni il bambino diventa sempre più abile nel maneggiare rapidamente gli oggetti, sicché verso i diciotto mesi egli può gii aiutare a mettere a posto tavolini e sedie per il proprio pasto, mangia da sé, collabora a spogliarsi c vestirsi, e in generale partecipa a tutto quello che avviene, mentre i bambini della stessa età allevati in famiglia spesso vengono ancora imboccati stando sulle ginocchia della madre c maneggiati come oggetti passivi. Queste differenze nell'attività e nel controllo anticipato dei movimenti mediante l'esercizio e le occasioni di muo\'Crsi danno l'impressione di uno sviluppo estremamente precoce nei bambini dell'asilo.
Sviluppo del linguaggio Sarebbe però grave errore sopra1111alutarc i vantaggi ottenuti in questo campo senza mettcrli in relazione con ritardi e svantaggi che si presentano contemporaneamente in altre sfere della vita infantile. Il raggiungimento del controllo muscolare è soltanto uno dci compiti riservati al secondo anno di vita. Altrettanto importante è lo sviluppo del linguaggio. Osservazioni condotte nell'ambito della psicologia tradizionale hanno stabilito il fatto cl1c all'età di un anno il vocabolario medio di un bambino è di due parole, mentre a due anni può essere di un numero qualsiasi di parole, da quaranta a più di milleduecento, con grande varietà di frasi. Ogniqualvolt~ confrontiamo i bambini dei nostri asili al di sopra di un anno di cti con i bambini allevati in famiglia, riconosciamo la loro inferiorità nell'uso della parola. La disparità di s11iluppo non comincia nello stadio iniziale del linguaggio. Molte osservazioni nel nostro reparto infanti dimostrano che i nostri bambini al di sotto di un anno "parlano", cioè balbettano e "cianciano", largamente e certo non meno degli altri bambini. Naturalmente alcuni vi riescono meglio di altri. La persona più loquace del reparto bambini piccoli era una bimbetta che all'età di nove-dicci mesi era diventata bra11issima a emct-
terc svariati suoni. In quel momento dimostrava scarso interessamento per i comuni giocattoli dei bambini, ma parlava da sola quasi tutto il giorno. Era facile distinguere in lei fra i vari suoni e toni che sembravano eccitarla di per sé: rrda, grra, daraa, dada, ida e altri,- cantilene o melodie, che servivano a chiamare date persone. Il suo piacere nel parlare c il crescente eccitamento nel farlo erano particolarmente evidenti. Ma quantunque i nostri bambini, in massima parte, conoscano le due parole previste all'età di un anno, da allora in poi lo sviluppo del linguaggio diventa sempre più lento; bene avviati nel primo stadio, non proseguono nello stesso modo. Sottoposti a reattivo, all'età di due anni, ad esempio, anche quelli tra i nostri bambini che corrispondono bene alla nonna e che per gli altri aspetti sono più avanti, dimostrano nel linguaggio un ritardo di circa sei mesi. Il ritardo nel secondo anno può dipendere da due motivi. Il primo è cl1e il bambino in famiglia è il solo membro non parlante di una comunità che comunica per mezzo della parola. All'asilo, do\'C il gruppo dei più piccoli è di solito separato dai più grandicelli, il bambino vive in una comunità di compagni di gioco che non parlano ancora, ove la parola non gli sarebbe di immediata utilità. Se il linguaggio si impara in gran parte per imitazione, allora le occasioni di impararlo sono certamente limitate. La seconda ragione è probabilmente ancora più importante: benché l'imitazione di fratelli e sorelle maggiori abbia una parte importante, specialmente nell'accrescere il vocabolario, il linguaggio vero si sviluppa inizialmente sulla base dello stretto contatto fra il bambino e i genitori. 11 bombino ha una comprensione empatica di qualsiasi emozione provi _la madre; osse!Va il viso di lei e ne riproduce per imitazione le espressioni. La stessa interazionc emotiva, con l'imitazione che ne risulta, è un forte incentivo all'espressione attraverso la parola. Quando, in assenza della madre, questa interazione reciproca si restringe, vi è una netta riduzione dell'incentivo a parlare. Alcuni bambini sviluppano un linguaggio o una sequenza di suoni speciale, che usano esclusivamente nei contatti con la madre. Questo risultò evidente, per esempio, in una nostra bambina di nove mesi; sua madre lavorava nell'asilo, e naturalmente compariva a tutte le ore del giorno nella stanza dci piccoli. La bimba cominciò a emettere un suono speciale per salutarla, simile al verso chiocciante delle anatre. Nel corso di un mese questo suono era diventato completa-
mente diverso da tutti gli altri suoni che la bambina emetteva, sicché tutti caph•ano a distanza quando la madre era entrata nella stanza. A undici mesi la stessa bambina attraversò un periodo di malcontento: tollerava particolarmente male che i suoi desideri fos· sero dilazionati o negati. Voleva sempre che la madre la tirasse fuori subito dal suo lettino. A questo punto smise di emettere quel piacevole suono chiocciantc alla vista della madre, e adottò un brontolio che continuava ogni volta finché la madre non appagava il suo desiderio. La sostituzione del brontolio al suono esprimente contentezza indicava un cambiamento nel rapporto con la madre: dalla soddisfazione e accettazione era passata a uno stato d'impazienti pretese. Ricerche in altri asili residenziali hanno confermato l'impressione che abbiamo avuta nel nostro. Quando i bambini visitano la loro famiglia, per esempio a Natale o durante le vacanze della madre, qualche _volta, in una settimana o due, fanno progressi di linguaggio che avrebbero richiesto tre mesi nell'asilo. Parimenti vi sono molti esempi di bambini allevati in famiglia che, durante un'assenza della madre, perdono la capacità di parlare recentemente acquisita. Tali regressioni forniscono una nuova prova dell'interazione fra il contatto con la madre e l'apprendimento del linguaggio.' Questa differenza di progressi nei due stadi illustra i1 fatto che due fattori diversi operano nello sviluppo del linguaggio: uno è il semplice piacere di produne suoni, piacere che in parte è accentrato nella bocca e in parte è provocato dalla quantit~ e dal volume delle produzioni di toni e suoni, dal ritmo ecc., piacere paragonabilc ad altre precoci soddisfazioni di tipo autosoddisfacente, cosiddette "autoerotiche ... L'altro fattore è l'impeto a esprimersi e a comunicare con le persone care del mondo esterno; il piacere derivato dalla sua soddisfazione potrebbe chiamarsi eterosoddisfacente, o piacere basato sulla relazione con gli oggetti. Gli esempi che abbiamo citato mostrano in modo istruttivo i due fattori in atto l'uno accanto all'altro. Questa differenziazione spiega perché lo sviluppo del linguaggio progredisce normalmente nel primo anno ed è ritardato nel secondo anno di vita in un asilo residenziale. Il primo fattore, cioè l'im· pulso a ottenere un piacere orale autoerotico, è presente in tutta la sua forza. Come tutte le soddisfazioni autoerotiche di questa età 1
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(succhiare, movimenti ritmici, masturbazione), esso diventa tanto più attivo quanto più il bambino è abbandonato a s6 stesso. Lo sviluppo del linguaggio progredisce su questa base, ma solo fino ai limiti della parlata della primissima infanzia. Il secondo fattore, cioè la comunicazione e l'imitazione sulla base della relazione con la madre, è meno attivo quando b madre non è presente; di qui la difficoltà e il ritardo nel momento in cui questo secondo fattore dovrebbe superare il primo in importanza. Un anno o due più tardi queste differenze sono di nuovo cancellate e allom il bambino è membro a pieno diritto di un gruppo, e il linguaggio è diventato indipendente dalla relazione madre-bambino. Le differenze nello sviluppo del linguaggio qui descritte non v:~l gono per i bambini che entrano in un asilo residenziale soltanto dopo aver imparato a parlare, vale a dire che non è una differenza nell'uso ma nello sviluppo della funzione del linguaggio. Educazione alla pulizia Il terzo compito importante da adempiere, almeno in parte, nel secondo anno del bambino, è l'apprendimento delle abitudini alla pulizia. Anche qui il bambino residenziale si trova svantaggiato. Nella routine di un asilo la pulizia, l'ordine, la puntualità, l'igiene sono più facili da mantenere che in una famiglia normale, gravata dalle sue OC· cupazioni. Ma dovunque non si pratichino metodi coercitivi, i risultati dell'addestramento alla pulizia sono lenti a venire in condizioni residenziali. In questa sfera l'imitazione, il fatto che il bambino viva entro un gruppo di altri bambini della stessa età, tutti ugualmente sudici, è un fattore che può essere sc.::ntato. L'abitudine alla pulizia non si impara per imitazione. Quel che si pone in evidenza è il fatto che tale abitu· dine, se non è ottenuta nella prima infanzia come pura azione riflessa, risulta da una restrizione che il h:Jmbino impone, sotto l'inRuenza. di sua madre, a importanti impulsi interni. Se il bambino è affezionato a una sola persona e accudito da lei esclusivamente, come avviene in una famiglia, qUesta restrizione si svilupped come conseguenza della sua dipendenza emotiva. Quando il bambino passa di mano in mano o è affidato alle cure di bambinaie diverse (come avviene regolarmente negli asili) o non ha simpatia per le bambinaie che si occupano di lui, il processo diventa più lungo e difficile. Al tempo delle evacuazioni di massa abbiamo avuto una chiara dimostrazione di come i bambini piccoli pulitissimi in casa loro perdono il controllo sfinterico quando sono separati dalla madre. ~un fatto noto
in tutti gli asili residenziali che quando un bambino presenta spc· ciali difficoltà a imparare la pulizia, può alla fine abituarvisi soltanto se è affidato completamente per un certo tempo a una persona sola. Ed è altrettanto noto che molti bambini negli asili conservano le buone abitudini soltanto quando sono a contatto con certe bambinaie, e rifiutano di funzionare se sono assistiti da altre. Queste differenze nei contatti personali sono assai più importanti, per i risultati finali, di qualsiasi altro fattore: osservanza di orari regolaTi, dieta regolare e così via. L'educazione alla pulizia si può naturalmente ottenere con una pressione fatta di paura e punizioni anche quando manca un contatto personale di tipo positivo. Ma nessun educatore coscienzioso e comprensivo consiglierà mai questi sistemi. L'abilità c l'indipendenza muscolare del bambino, acquisite nell'asilo come abbiamo sopra descritto, non l1:mno parte alcuna nello sviluppo dell'abitudine alla pulizia. Alimentazione Riguardo all'alimentazione, si ha di nuovo una posizione completamente diversa. C'è netta differenza fra le reazioni del bambino agli alimenti in condizioni familiari e in condizioni residenziali, e su questo punto il bambino di asilo è avvantaggiato, o almeno può esserlo se il contesto istituzionale è favorevole. Vale a dire che in quasi tutti gli asili residenziali i bambini "buoni mangiatori", cioè si interessano a quel che mangiano e lo consumano con piacere se è buono; le difficoltà quanto al mangiare sono, in complesso, minori negli asili che nelle famiglie. Quando avvengono reazioni anormali, queste assumono più le forme dell'ingordigia e dell'eccesso quantitativo che dell'inibizione, della mancanza di appetito o del rifiuto del cibo. La spiegazione corrente di questo fatto ben noto è che i bambini, in casa propria, sono spesso "viziati" a questo riguardo: molte madri, almeno nelle famiglie della classe media, sono iperansiose in fatto di alimentazione, e in qualche caso costringono il bambino a mangiare e anche a mangiar troppo. Allora questi bambini rifiutano quel che si offre loro, manifestano idiosincrasie c cosl via. Si ritiene che questa spiegazione sia giusta in quanto tali difficoltà alimentari non sorgono nelle famiglie dove le madri sono disattente, negligenti e poco si preoccupano dell'alimentazione dei figli. Parrebbe che meno la madre si d:\. pensiero, meglio mangiano i bambini. Quest::J teoria, benché superficiale e incompleta, è giusta su un
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punto importante: che le difficoltà alime~hui sono strettamente legate alla relazione del bambino con la madre. Questa interazione fra la reazione verso la madre e la reazione verso il cibo, osservata fin dai primi stadi dell'allattamento del neonato al seno o al biberon, può essere descritta come segue: l'interessamento al cibo comincia prima dell'interessamento alle persone. Nelle prime settimane di vita il neonato sperimenta come spiacevole quasi tutto ciò che gli viene dal mondo esterno. E ancora avvezzo alla mancanza di stimoli della vita intrauterina: luce, TUmore, cambiamenti di temperatura, sono tutte cose ugualmente spiacevoli e perfino paurose. La prima esperienza piacevole è l'ingestione del latte, cioè dell'alimento che soddisfa il bisogno della fame; con la costante ripetizione di tali piacevoli esperienze il bambino impara lentamente a riconoscere che il mondo esterno è almeno in parte gradevole. Egli si affeziona al cibo (latte), e partendo da questo punto passa ad affezionarsi alla persona che lo nutre. Come abbiamo giii descritto, l'amore per il cibo diventa la base dell'amore per la madre. L'attaccamento emotivo del bambino alla madre, al padre c ad altre persone del suo ambiente immediato supera più tardi lo stadio in cui il vantaggio materiale (soddisfacimento della fame) o il conseguimento di piacere sono generalmente gli unici fattori importanti. Nel corso dell'infanzia l'amore materiale di questo tipo si trasforma in amore vero, che prende in considerazione le qualiti e l'individualità della persona amata ed è capace di dare, e perfino di fare sacrifici, in cambio di quel che riceve. Ma l'esperienza del primo anno di vita, quando amore del cibo c amore per la madre erano identici, lascia per tutta la vita un'impronta sulle reazioni al cibo. Il bambino, da parte sua, manifesta l'inclinazione a trattare il cibo dato dalla madre come tratta la madre, e questo significa che tutti i disturbi della relazione madre-figlio diventano facilmente disturbi dell'alimentazione. Osservando i casi dei bambini "cattivi mangiatori~ si vede chiaramente come un atteggiamento "esigente verso la madre possa diventare ingordigia, e l'ostinazione contro la madre si trasformi in bocca stretta e rifiuto del cibo, mentre la collera contro la madre porta a giocare col cibo o a sprecarlo. Naturalmente queste non sono le sole ragioni conosciute delle difficolti di alimentazione nell'infanzia, ma sono le più primitive e le più comuni. Ogni volta che la madre con il suo comportamento perpetua le circostanze dell'alimentazione nel primo anno di vita (cioè quando
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insiste nel dare attivamente da mangiare, nel forzare il bambino a mangiare per amor suo; quando va in collera, è delusa od offesa se il cibo non viene consumato, quasi fosse un affronto personale a lei), essa rafforza gli atteggiamenti piccolo-infantili del bambino verso il mangiare e gli rende impossibile superadi col passare del tempo. Allora le inclinazioni della madre e del bambino operano nella stessa direzione e il bambino continua, come nella prima infanzia, a trattare il cibo come tratta la madre, e la madre come tratta il cibo. Quando la madre adatta il proprio comportamento alle capaeiU. crescenti del figlio, recede nell'ombra come datrice di cibo e si limita a propinarlo in maniera più distaccata e meno emotiva, il bambino entra nella fase successiva di reazione al cibo: mangia o rifiuta di mangiare a seconda che abbia o non abbia appetito, non a seconda che ami o respinga la madre, voglia farle piacere o voglia farla arrabbiare. Ancl1e se il significato basilare del cibo rimane immutato per l'inconscio dell'individuo e può manifestarsi in momenti di tensione emotiva o di malattia mentale, per quanto riguarda la vita cosciente c normale del bambino, egli nel mangiare sarà in grado di seguire quel che la fame gli detta. e sar:i meno coinvolto nelle complicazioni affettive dell'infanzia, cioè diventer:i un "buon mangiatorc". Ora possiamo capire perché le madri scrupolose e ansiose suscitano dif!icolU di alimentazione, mentre le madri negligenti hanno figli che mangiano bene. In condizioni istituzionali l'assenza della madre, che per tanti versi è un grave svantaggio, una volta tanto si dimostra sotto questo aspetto vantaggiosa. Certo vi sono bambini negli istituti che mangiano troppo per ragioni emotive: essi cercano di sostituire il soddisfacimento di un bisogno pulsionale - la fame - al soddisfacimento di un altro bisogno: l'amore. Ma, tutto sommato, in un istituto l'alimentazione è il fatto di mangiare in sé, senza che si intrometta l'idea della figura materna fra il bambino e il cibo. Questo è graditocome tale, e il mangiare è uno dei piaceri riconosciuti della vita di istituto. Questo piacere naturalmente può essere guastato o diminuito se lo si circonda di troppa disciplina, come per esempio con le lunghe attese; che a quest'et:i rappresentano una tensione eccessiva; lo star fermi, cosa mai cosi difficile come nei primi uno-due anni di vita; l'insistenza sulle buone maniere a tavola, per esempio sull'uso del
cucchiaio prima che venga naturale l'uso dì un qualunque strumento; l'imistcnza sul mangiare qualunque cosa e tutta la porzione. D'altra parte il piacere di mangiare può aumentare di molto se si pernictte al bambino qualche libertà dì movimento, qualche libertà di scelta circa il tipo e la quantità di cibo, e se le buone maniere non sono considerate importanti in sé, ma si lasciano sviluppare come conseguenza naturale di una crescente destrezza. Per motivi essenzialmente pr:~tici, dare al bambino questa libertà è più facile in un asilo che in una famiglia. Poiché in un asilo il bambino non mangia mai solo, l'ora dci pasti, con il piacere che procum, può svolgere una parte importante nello sviluppo del bambino verso il godimento della vita sociale e l'adattamento ad essa. Ricapitolazione Il bambino che vive in un istituto, si trova avvantaggiato, nei primi due anni di vita, in tutte quelle sfere della vita che sono indipendenti dal lato emotivo della sua natura; si tro1•a invece svantaggiato ove il suo legame emotivo con la madre o con la famiglia sia la fonte principale di sviluppo. l confronti fm bambini che si trovano in tali contrastanti condizioni servono a mostrare che certe acquisizioni, come il linguaggio e l'abitudine alla pulizia, sono in stretta relazione con le emozioni del bambino, anche se la cosa non è cvidente a prima \'ista.
2.
Primi rapporti fra bambini in asili residenziali
Abbiamo scelto quattro aspetti diversi della vita infantile per illustrare le differenze di sviluppo fra bambini alle\•ati in famiglia e bambini allevati in istituti: controllo muscolare, sviluppo del linguaggio, educazione alla pulizia e alimentazione. In ciascun caso le differenze erano quantitative; il controllo muscolare e le buone maniere nel mangiare si sviluppano più rapidamente e facilmente negli istituti; il linguaggio e le abitudini alla pulizia sono ritardati quando manca l'influenza materna. Comunque, tutti i bambini finiranno per camminare e parlare, impareranno la pulizia e sapranno mangiare con maggiore o minore indipendenza. Lo sviluppo è facilitato od ost::~co lato dall'ambiente esterno; i disturbi acquisiti nella prima età possono lasciar tracce su tutta la vita po:steriore, ma essenzialmente le lince di sviluppo resteranno le stesse. Questo non avviene quando si tratta della vita emotiva dei bambini. Qui il cambiamento di condizione, cioè la mancanza dell'ambiente familiare produce gravi cambiamenti qualitativi. I bisogni emotivi basilari di un bambino in istituto sono, naturalmente, gli stessi che ha il bambino in famiglia, ma tali bisogni subiscono una sorte molto diversa. Sappiamo elle un importante bisogno pulsionale, quello di un legame con la madre in tenera età, resta più o meno insoddisfatto; di conseguenza può neutralizzarsi, cioè il bambino dopo un certo tempo può abbandonare la ricerca di un sostituto della madre e quindi non sviluppa tutte le forme di amore più altamente organizzate, che dovrebbero modellarsi su questo primo tipo. Oppure la mancanza di soddisfazione può avere l'effetto opposto: il bambino insoddisfatto e deluso può sovraccentuare il desiderio di trovare una madre e persistere nella continua ricerca di nuove figure materne da cui ottenere affetto. Questi sono i bambini che cambiano continuamente attaccamento, che sono sempre pronti a legarsi all'ultima persona venuta, e contemporaneamente sono esigenti, pieni di richieste, in apparenza affettuosi, ma sempre delusi in qualsiasi nuovo legame formino. D'altra parte viene precocemente stimolato e sviluppato un altro contatto emotil'O di forma diversa: quello con gli altri bambini. In condizioni familiari normali, il contatto con altri bambini si sviluppa
soltanto dopo che si è saldamente stabilita la relazione madre-figlio. Fratelli e sorelle sono presi in considerazione per altri motivi: per esempio come compagni di gioco o fonte di aiuto. Ma, a parte queste relazioni, l'affetto e l'odio verso di loro non sorgono di solito direttamente, bensl attraverso la comune relazione con i genitori. In quanto rivali per l'affetto dei genitori, fratelli e sorelle suscitano gelosia e odio; in quanto stanno sotto la protezione dei genitori e perciò "appartengono n loro, sono tollerati e perfino amati. In condizioni istituzionali la situazione è completamente diversa. Mentre gli mancano le occasioni per sviluppare un attaccamento a una figura materna stabile, il bambino ha moltissime occasioni per entrare in contatto con compagni di gioco suoi coetanei. Mentre nella sua vita gli adulti vanno e vengono in una maniera che inevitabilmente lo confonde, i compagni di gioco sono figure più o meno costanti e importanti nel suo mondo. In questo modo le cose sono completamente rovesciate. Questi bambini istituzionali non hanno un primo incontro con un mondo di contemporanei, rassicurati dal sentimento di essere saldamente legati a una "persona madren alla quale possono tornare. Vivono in un ~gruppo di et~", cioè in un mondo pericoloso, popolato da individui asociali e privi di restrizioni come loro stessi. In una famiglia sarebbero, a diciotto mesi, i "piccoli" che fratelli e sorelle maggiori sono pronti a prendere in considerazione e proteggere. In una folla di altri piccoli, debbono imparare troppo presto a difendere sé stessi e le loro cose, a sostenere i propri diritti c perfino a tenere conto dei diritti altrui, vale a dire che debbono socializzarsi in un'e~ in cui è normale essere asociali. Sotto la pressione di queste circostanze, essi sviluppano una serie sorprendente di reazioni: amore, odio, gelosia, rivalit~. concorrenza, protettivit~, compassione, generosità, solidarietà e perfino comprensione. Nelle pagine che seguono illustriamo questo punto con avvenimenti di vita quotidiana dei bambini del nostro asilo residenziale in et~ fra uno, dUe e tre anni. Gli esempi vanno da casi In cui i compagni di gioco sono tratt::Jti come fossero bambole od oggetti senza vita, fino ai casi in cui le relazioni fra i bambini poco differiscono da quelle tra gli adulti.
Altri bambini trattati come giocattoli od oggetti inanimati: indifferenza per i loro sentimenti Non c'è bisogno di dare molte illustrazioni del fatto che normalmente i bambini piccoli hanno scarso concetto dei sentimenti di altri bambini e notano la loro presenza solo quando possono servirsi di loro ai fini del gioco. L'altro bambino serve allo stesso scopo di una bambola o di un orsacchiotto di pezza, con l'unico svantaggio che il giocattolo vivo non è cosi accomodante come quello senza vita. Tale comportamento non è limitato ai primissimi stadi dello sviluppo, anzi avviene assai spesso intorno al secondo anno, specialmente nei periodi in cui il bambino, ~ei suoi giochi immaginativi imita una persona adulta materna. 1. Rose (venti mesi) osservava con interesse come a vari bambini venisse fatto soffiare il naso. Improvvisamente raccolse una vecchia busta usata e, correndo da un bambino all'altro, cominciò a scrvirscne per asciugare loro il naso.
Quest'azione era imitativa ed esprimeva la sua fantasia di essere la bambinaia, ma non concerneva nessun sentimento verso quei bambini. 2.. A Pau! (due anni) piaceva moltissimo pettinare gli altri bambini, senza preoccuparsi che a questi la cosa riuscisse sgradita; correva da un bambino all'altro, strapazzando i loro capelli col pettine. Un solo bambino, Larry (venti mesi), lo lasciava fare, sicché quando Pau!, pettinando un altro bambino l'aveva ridotto in lacrime, tornava da Larry e lo pettinava, prima di passare a un'altra vittima recalcitrante. Talvolta questo gioco durava parecchi minuti.
In questo caso, come nell'esempio 1, tutto il piacere sta nell'azione del pettinare; il sentimento verso gli altri bambini non vi ha parte alcuna. 3· Freda {venti mesi) buttò a terra quattro bambini, l'uno dopo l'llltro, e tentò di sedersi sopra di loro e dondolarsi. Tutti e quattro successivamente si misero a gridare e li si dovette salvare da lei. Freda, vistasi sconfitta, raccolse cinque giocattoli morbidi ed elastici, ne fece un mucchio e ci si dondolò sopra.
In questo caso è difficile decidere se i giocattoli fossero sostituti dei bambini o i bambini, nel primo tentativo, sostituti dei giocattoli. ~ più probabile che entmmbi, sia i bambini che i giocattoli, fossero sostituti di qualche altro comp~gno immaginario nella fantasia di Freda. Lo stesso tipo di comportamento si può osservare per quanto ri· guarda l'alimentazione. I bambini cominciano molto presto a darsi da mangiare l'un l'altro, e il piacere evidentemente deriva dal fatto di essere parte attiva in un'operazione alla quale altre volte si sottomettono. Questo non de1•e essere frainteso come un desiderio di soddisfare l'appetito dell'altro bambino, gesto che sarebbe puramente .:~ltruistico.
4· Rose (ventun mesi), dopo aver finito la sua porzione, chiedeva con insistenza "ancora, ~ncora!". La bambinaia che stava dando da mangiare .:1 Bert (sedici mesi), seduto accanto a lei, si allontanò per riempire un:~ seconda volta il piatto di Rose. Rose immediatamente prese il cucchiaio e continuò a dar da mangiare a Christopher. 5· Stella (diciotto mesi) sede\'a accanto ad Agnes (quindici mesi). Prese il cucchiaio di Agnes e tentò di imboccarla. Riempì il cucchiaio c se lo mise in boçca, poi ficcò il cucchiaio vuoto nella bocca di Agnes. Ripeté questo parecchie volte, fino a vuotare nel proprio piatto tutto quello che rest.:J\'a nel piatto di Agnes. In questo caso è chiaro che l'azione fatta apparentemente a favore dell'altra bambina è in realtà puramente egoistica. n piacere di dar da m~ngiare (ripetizione attiva di esperienze passÌ\•e, gioco dell'immaginazione) è .:~ggiunto al piacere del mangiare.
Altri bambini trnttati unicamente come disturbo: atti aggressivi contro di essi_ Vi sono tre serie di circost.:~nzc che danno occasione a re::Jzioni aggressive di un bambino piccolo verso un altro; una è l'indifferenza e il non rendersi conto che il bambino più grandicello è un essere umano altrettanto sensibile, circostanza che abbiamo già descritto. Le altre due comprendono i casi in cui l'altro bambino è sentito come ostacolo che intralcia l'appagamento di un desiderio, cioè quando il compagno di giochi reclama l'affetto o l'attenzione di una
persona adulta, che il primo vuole esclusivamente per sé - gelosia (esempi 6 e 7)- o quando il comp~gno recl~m~ un giocattolo che il primo non ha nessuna intenzione di cedere - invidia (esempi 8, 9 c IO). 6. Fred~ (diciotto mesi) e Violet (tredici mesi) giocavano tutte e due per terra. Violct chiese alla bambinaia di prendeda sulle ginocchia e fu presa. Allora anche Fred~ volle sedere sulle ginocchia della bambinaia e picchiò Violet finché non fu presa anche lei. In prin· cipio fu gentile con Violet, ma ben presto le si rivoltò contro c cominciò a picchiarla folte. 7· Agnes (diciannove mesi) sedeva sulle ginocchia della bambinaia; Edith (sedici mesi) tentò di farla scendere spingendola, ma non vi riuscl. Edith picchiò Agnes; Agnes tirò i capelli a Edith; Edith ad Agnes. La bambinaia passò Agnes dall'altra parte per protcggerla da Edith, che era la più forte. Edith, improvvisamente contrariata, guardò la bambinaia con ira, la colpi, le tirò i capelli e poi improvvisamente la accarezzò c le diede un bacio. 8. Agncs (dicianno\·e mesi) teneva in braccio un orsacchiotto di pezza; Pau! (due anni) si precipitò su di lei, glielo strappò e fuggì via; Agnes si mise a urlare e gli corse dietro; dapprima lui correva più velocemente, poi essa lo raggiunse, lo prese per un braccio e insieme corsero per tutta la casa urlando. Agnes cadde tenendo ancora Pau\ per un braccio, e cadde anche lui. Per tcrm, Ici lo prese e lo tirò per i capelli. Lui le morse un braccio, Ici gli diede un pizzicotto sulla guancia. Lui la colpl, e cosl facendo lasciò cadere l'orsetto; Agnes rapidamente lo raccolse, si rialzò e scappò via andandosi a nascondere dietro il grembiale della bambinaia. 9· Rose (ventidue mesi) aveva un cavallino di legno da spingere, che però non sembrava interessarla molto. Sam (venti mesi) lo amava molto c lo trascinava attraverso la stanza. Dopo un poco Rose corse da lui silenziosamente e gli portò via il cavallino. Sam la guardò stupefatto e cominciò a piangere. Rose gli passò accanto col cavallino, lui si fece coraggio, le andò dietro e la afferrò per il vestito. Rose cadde, ma tenendo sempre il giocattolo. Ora Sam lo teneva da una parte e Rose dall'altra, c tutti e due gridavano. Sam finì per catturare il cavallino e lo portò via, continuando a piangere. Rose gli corse dietro e con un rapido movimento si riprese il cavallino. Sam si gettò a terra disperato e Rose, che stava spingendo il cavallino, per caso inciampò su di lui e cadde. Questo riaccese la lotta;
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ambedue tiravano forte il cavallino, tutti e due piangevano e rifiutavano altri giocattoli. Alla fine la bambinaia fece sparire il giocattolo e immediatamente tornò la pace. · 10. Terry (ventisei mesi) amava il grosso cane a rotelle che c'era nell'asilo e tutti gli altri bambini avevano in qualcl1e modo accettato l'idea che gli spettasse J;i precedenza nel giocarci. Quando egli rimase a casa sua per due giomi e mezzo, Agncs (diciannove mesi) ne approfittò per giocare con quel cane. Quando Terry tomò volle riprenderscne la proprietà, ma Agnes non si sentiva incline a cederglielo. Tcrry cominciò a tirare e scuotere il cane; Agnes gridava ma teneva duro. Terry lasciò andare il cane e Agnes cadde con lui; gli restò attaccata con una mano e con l'altra afferrò la gamba di Terry, e Terry la graffiò. Agnes si alzò, sempre tenendo il cane, e tirò i capelli a Terry. Questi la colpi e lei continuò a tirargli i capelli, tenendo sempre il cane con l'altra mano. Quando Terry la buttò a terra con il cane per la seconda volta, la bambinaia accorse in suo aiuto e Agnes, desiderando soltanto di essere confortata, smise di interessarsi al cane. Ogniqualvolta sorgono fra i bambini invidia e gelosia, ne risultano esplosioni aggressive di forza notevole. I sistemi di aggressione variano a seconda del grado di sviluppo raggiunto dai bambini: mordere, tirare i capelli, dare colpi martellanti sulla testa, picchiare, dare spintoni, sono manifestazioni preminenti fra i quindici mesi e i due anni. Scagliare oggetti e sputare sono atti compiuti solo da bambini di un certo tipo, e più spesso dopo i tre anni che prima (esempi Ile n). 11. Bcrt (tredici mesi) mordeva il fratello gemello Bill e gli tirava continuamente i capelli; picchiava Babctte (undici mesi). A quattordici mesi Bert colpi Bill sulla testa con un mattone; morse Sophie (quattordici mesi). Bill (quattordici mesi) morse Bert. n. Freda (Ventun mesi) voleva avere la precedenza su Edith (ventidue mesi) sullo scivolo; tentò di farla scendere a spintoni. Edith affeuò un ricciolo di Frcda e lo tenne stretto; Freda afferrò e tenne stretta la treccia di Edith, tut~' e due gridavano.
Circa il riconoscimento delle conseguenze di atti aggressivi, possiamo distinguere a quell'età tre fasi principali. Nella prima il bambino non si rende conto del male che può fare all'altro bambino
2/ UP~OUI 1U BANBINI N~GU ASILI
con i suoi atti ostili. I propri sentimenti (gelosia, invidia) lo spingono all'azione aggressiva, ma la sua comprensione non oltrepassa il sollievo che lo sfogo di questi sentimenti gli procura (esempi 13 e 14). Nella seconda fase il bambino si rende conto che il rivale è offeso o ferito, ma non gliene importa niente; è piuttosto contento uel vedere i risultati ottenuti, cioè nel veder piangere l'altro bambino (esempio 15). La terza fase include il sentimento di dispiacere verso l'altro bambino e il pentimento per la propria azione, sia per l'identificazione con i sentimenti dell'altro (''sente dolore come men), sia per il legame comune con una figura materna (''lui le appartiene, e lei non vorrebbe che io gli faccia male~). Questi ultimi sentimenti non sono abbastanza forti da impedire al bambino esplosioni aggreuive, ma hanno forza sufficiente a produrre atti di riparazione, dopo che con l'esplosione ha dato sfogo ai suoi sentimenti (esempio 16). 13. Bert (dodici mesi) picchiò e graffiò il fratello gemello Bill; la faccia di Bert restò serena, Bill piangeva amaramente. 1-4- Larry {sedici mesi) spesso portava via giocattoli agli altri bam· bini. Quando l'altro piangeva, Larry era molto sorpreso e non capiva che cosa avesse fatto. 15. Jessie (venti mesi) piccl1iò la sorella gemella Bessie, e ne andava superba. 16. Dick (due anni e tre mesi) attraversava una fase di particolare aggressività verso gli altri bambini. L'espressione della sua faccia non lascia\•a dubitare che godesse di qualunque male riuscisse a infliggere ad altri. Questa reazione cambiò lentamente quando si affezionò a una certa bambinaia. Ancora una volta egli aveva aggredito Ida (vcntidue mesi) e gli trovarono in mano una cioca. di capelli di lei. La bambinaia lo rimproverò per questa sua condotta; egli si penti, ritornò vicino a Ida, alzò il pugno chiuso sopra la testa di lei, aprì la mano c con cura collocò la ciocca di capelli H dove l'aveva strappata. Reazioni di questo tipo si osservano sia nella vita di famiglia sia in quella degli istituti. Ma, come abbiamo detto, i bambini che vivono in "gruppi di età" hanno motivi di gelosia più frequenti (e tanto più quando tentiamo di dare loro dei sostituti materni), e si trovano quasi continuamente in uno stato d'invidia, dovuto alla necessità di usare i giocattoli collettivamente; perciò l'osservatore su-
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perficiale lì trova più aggressivi. Sarebbe più esatto dire che hanno maggiori occasioni di essere aggressivi. Se a questo si aggiunge che le loro vittime, della stessa età, sono allo stesso tempo più indifese e, per la stessa ragione, più aggressive di quanto sarebbero i loro fratelli e sorelle maggiori, saremo meglio in grado di capire perché gli stati d'animo aggressivi sono tanto spiccati in un gruppo di bambini d'asilo residenziale. È particolarmente interessante osservare come le ostilit~ raramente restano limitate ai due bambini che le hanno iniziate, c quanto rapidamente si diffondono estendendosi ad altri, che in principio non avevano preso parte alla lite (esempi 17 e 18). 17. Paul (ventidue mesi) portò via l'orsacchiotto di Sophic (diciannove mesi), la quale scoppiò in lacrime. Edith (ventun mesi) corse verso Sophie per picchiarla, c questa la tirò per il vestito; Edith si mise a piangere e tirò per i capelli Sophic. Agnes (diciotto mesi) entrò nella mischia e tirò per i capelli Sophie e Edith; allora Edith cominciò a dare spintoni a Sophie, finché questa non si mise a strillare. Poi sopraggiunse Larry {diciannove mesi), il quale assalì Agnes e la fece cadere a terra. Intanto Edith si era ripresa e colpl Lany; lui le tirò i capelli, facendola gridare. Mentre avveniva tutto questo, Sam {ventitré mesi) si avvicinò a Edith,le accarezzò i capelli facendo vocette affettuose. 18. Sophie {diciassette mesi) giocava tranquillamente con una tazzina della bambola; Sam {ventun mesi) gliela prese di mano; Sophie gridò ma dopo un poco cominciò a giocare con un altro balocco. Edith (diciannove mesi) voleva la stessa tazzina e cercò di toglierla a Sam; sì accapigliarono fino alla vittoria di Edith, che scappò ,-ia con la tazzina. Sam si allungò per terra strillando, poi si alzò, prese una scatola da gioco vuota e con essa cercò di picchiare in testa Edith. Questa si allungò sul pavimento scalciando e gridando, ma non mollò la tazzina. lvy (diciannove mesi) intervenne, si sedette sopra Edith, le tirò i capelli, le strappò la tazzina e fuggl via. Edith poco dopo si riprese e cerCò di riconquistare la tazzina togliendola a Ivy. Mentre si accapigliavano sul pavimento, Agnes (sedici mesi) si accostò a loro andando carponi e prese la tazzina. Edith cercò di riaverla indietro, ma Agnes tenne duro. Ivy stava lì in piedi rassegnata, con le braccia abbandonate, piangendo. Edith piangeva, Sam e Sophie piangevano perché Sam aveva buttato a terra Sophie. Soltanto Agnes stava in piedi, reggendosi a un lettino con una mano e con l'altra agitando vittoriosamente la tazzina.
Altri bambini trattati come una minaccia. Metodi difensivi adottati contro di essi È un fatto noto, ma forse non abbastanza messo in rilievo, che la capacità di difendersi si sviluppa più tardi della capacità di attaccare. Gli stessi bambini che possono essere molto aggressivi, spinti da gelosia o invidia, che mordono, picchiano e danno spintoni, come abbiamo sopra descritto, improvvisamente se ne stanno inerti, piangono, corrono a cercare protezione quando sono attaccati da altri. Spesso sembrano sorpresi c stupefatti dagli atti aggressivi di un altro bambino, pur avendo commesso gli stessi atti qualche minuto prima. Mezzi difensivi consapevoli (con atti o parole) si sviluppano lentamente e di rado si consolidano pienamente prima del terzo anno. Alcuni dci nostri maschi più grandi (quattr~inque anni), benché molto aggressivi, pure non sanno far di più che attaccare gli altri, e scoppiano in lacrime appena vengono attaccati a loro volta. D'altra parte, alcuni degli esempi che seguono dimostrano che talvolta bambini molto piccoli reagiscono con successo agli aggressori e dimostrandosi risoluti li obbligano ad abbandonare le intenzioni ostili (esempi dal19 al :z4).
19. Ivy (diciotto mesi) aveva preso l'abitudine di mettersi a sedere sulla testa di Edith (diciotto mesi) ogni volta che la trovava distesa sul pavimento. Edith si metteva sempre a piangere, ma non cercava mai di difendersi o di fuggire. :zo. Sam (ventun mesi) giocava tranquillamente; all'improvviso Larry (diciannove mesi) gli prese la palla. Sam si guardò le mani \"uote sconsolatamente e cominciò a piangere. :z1. Pau! (due anni) era molto bravo nel gioco delle costruzioni. Fabbricava torri alte come lui con blocchetti piccolissimi. Mentre costruiva, aveva sempre paura che un altro bambino gli buttasse giù la torre. Questo turbava la sua concentrazione; continuava a guardare nervosamente in tutte le direzioni se si avvicinava un nemico. Quando qualche bambino osava venirgli vicino, Pau\ si precipitava su di lui e lo rovesciava a terra con un movimento rapido ed energico. Quando, malgrado le precauzioni, la torre crollava, Pau\ si stendeva per terra disperato e piangeva per parecchio tempo. Poi, succhiandosi due dita, ricominciava a costruire, ancora singhiozzando. Questo modo di procedere si ripeteva innumerevoli volte.
22, Sophie (diciannove mesi) risaliva lentamente i gradini dello scivolo. Larry (venti mesi), che lo seguiva e voleva oltrepassarla, le diede uno spintone. Ma Sophie si \'Oltò, gli disse "No, no" e gli tirò i capelli. 23. Sam (ventidue mesi) faceva una costruzione con due seggioline; gliene occorreva una terza ma Agnes (diciannove mesi) ci sta,•a seduta sopra. Sam si avvicinò a lei guardandola con occhi supplichevoli per un mezzo minuto. Agnes lo fissava ma non si muoveva. Gli occhi di Sam si fecero tristi, poi egli si ritirò lentamente, succhiandosi il pollice. 14. Sophie (diciannove mesi) aveva in mano un biscotto, molto desiderato da Larry (diciannove mesi). Appena questi le si avvicinò, Ici cominciò a gridare, evidentemente indovinando le sue cattive intenzioni. Quando Sophie gridò, Larry ritirò la mano e cominciò a darsi da fare con un orsacchiotto che stava fra loro due, giocandoci c indicando i suoi occhi, ma sempre guardando fisso il biscotto. Cercò ripctutamente un'occasione di afferrarlo, ma Sophie non gli diede alcuna possibilità. Alla fine egli se ne andò ''Ìa deluso.
Altri bambini consolati, confortati, tranquillizzati I bambini, benché siano pronti a farsi del male l'un l'altro, sono però ugualmente pronti a compatire un altro bambino a compensarlo per quel che è accaduto, spedalmente quando l'aggressione è opera non loro ma di un terzo. In questi atti di "pietà", essi sono evidentemente mossi da un'identificazione con le emozioni dimostrate dalle vittime. Gli esempi '-7 e l8 sembrano provare che vi è poca differenza fra il consolarsi e il consolare un altro bambino. L'identificazione con la vittima in molti casi è dimostrata anche dal fatto di adottare un atteggiamento ostile verso l'aggressore; il bambino che consola o conforta un altro bambino spesso associa un atto amichevole ver~o la vittima a un atto aggressivo verso l'aggressore.
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25. Violet (due anni e quattro mesi) stava seduta in un angolo c piangeva. Agnes (diciannove mesi) improvvisamente si precipitò sulla vicina scatola di giocattoli, ne prese due e li diede rapidamente a Violet, poi corse di nuovo via. Questa fu la piima occasione di un suo "essere d'aiuto". z6. Sam (ventidue mesi) aveva 3ppena smesso eli piangere ma appaiiva ancora afflitto, quando nclJa stanza entrò Rose (ventidue mesi).
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Essa fu evidentemente colpita dalla sua espressione, lo osservò per un momento con occhio critico, poi corse da lui c cominciò a coccolarlo. 27. Rose (ventun mesi) osservava Edith (ventidue mesi) mentre questa coccolava Sam (ventidue mesi) che piangeva. Andò da lui e lo accarezzò anche lei, poi andò da Edith e Freda (ventidue mesi) e accarezzò anche loro; infine si accarezzò i capelli e le guance e, con un sorriso raggiante, fece vocettc affettuose rivolte a sé stessa. 28. I bambini più piccoli aspettavano la merenda pomeridiana. Bill (ventitré mesi) e Pau! (due anni) sedevano alla stessa tavola. Pau! giocava con una scatoletta che Bill voleva prendergli. Quando tentò di afferrarla, si pizzicò dentro il dito c cominciò a piangere. Pau! vide che Bill si era fatto male e immediatamente alzò il dito suo e lo mise in bocca a Bill per consolarlo. 29. Edith {ventun mesi), alla quale Pau! (ventitré mesi) aveva fatto male, piangeva terribilmente. Quando Sam (venti mesi) vide il suo dolore, venne a consolarla. Larry (diciannove mesi) osservò la scena e andò ad aiutare Sam a consolare Edith. 30. Jeffrey (due anni e cinque mesi) cadde dal cane a rotelle e si mise a piangere amaramente. Bridget (due anni e otto mesi) corse verso il cane, lo picchiò e Io sballottò .lino a rovesciarlo. Poi lo rimise in piedi, gli diede un altro colpo e allora parve soddisfatta. ·p. Sam (ventun mesi) giocava tranquillamente (vedi esempio :zo) quando all'improvviso Larry (diciannove mesi) gli portò via la palla. Sam si guardò le mani vuote con aria sconsolata e cominciò a piangere. Edith (ventun mesi) aveva osservato la scena; si precipitò su Larry, lo morse, gli tolse la palla, la riportò a Sam e gli accarezzò i capelli finché l'ebbe consolato. 31. Dick (due anni e mezzo), che attraversava un periodo di aggressività particolare, voleva un piccolo autobus con cui lrwin (due anni e tre mesi) stava giocando. Gli si buttò addosso e lo buttò a terra. Irwin cadde malamente e si ferì il labbro sul giocattolo. La bambinaia lo confortò e mostrò. a Dick quel che aveva fatto. Dick, evidentemente spaventato, guardava Irwin con occhi sp<~lancati. Poi, percorrendo la stanza con lo sguardo, vide Kitty (due anni e mezzo) con una bambola, corse da lei, la gettò a terra, le tolse la bambola e la portò a Irwin dicendo: "Povero Irwin, povero Irwin, prendi la bambola. n La bambinaia gli fece notare che ora piangC\'3 anche Kitty e cercò di fargli capire che era gentile da parte sua cercare di consolare Irwin con la bambola, ma che avrebbe potuto trovare un gio-
cattolo per lui senza far dispiacere a Kitty. Dick però non sembrava capire e ripeté più volte: "Kitty bambina cattiva~, perché lei non voleva cedere la bambola. Egli si preoccupava esclusivamente del labbro sanguinante di Irwin. Aiuto reciproco fra bambini piccoli Quello stesso atteggiamento che porta agli atti di conforto sopra descritti spinge i b:Jmbini ad aiutarsi l'un l'altro in tutti i compiti della vita quotidiana. In base agli stessi bisogni e desideri, un bam· bino capisce perfettamente le difficoltà c le brame degli altri bam· bini e ci si identifica. 33· Jock (quattordici mesi) piangeva perché aveva perduto il suo biscotto c non riusciva a trovarlo; Sam (ventun mesi) lo raggiunse, trovò il biscotto per terra e glielo diede. 34· Rose (diciannove mesi) beveva il cioccolato seduta a tavola; Edith (diciassette mesi) si arrampicò c tentò di toglierlc la tazza di bocca. Rose la guardò con sorpresa, poi voltò la tazza e la tenne in modo che Edith potesse bere la cioccolata. 35· Jcssic (due anni) spingeva la carrozzina della bambola in giardino; quando arrivò all'angolo del sentiero non riuscì a svoltare, mtò forte contro l'orlo del sentiero e si mise a piangere. Bessie, sua sorella gemella, venne in soccorso e fece fare la svolta alla carrozzina. Poco dopo Bessie spingendo b carrozzina rim:~sc bloccata allo stesso angolo e si mise a piangere. Questa volta venne Jessic e voltò la carrozzina. Ciascuna sembrava capace di fare per l'altra quel che non sapeva fare per sé. 36. Edith (ventun mesi) si era tolta una scarpa e una calza e si sforzava di rimetterscle. Pau! (ventitré mesi) la osservava da lontano, poi corse da lei, si sedette sul pavimento c le prese di mano la calza. Tentò con pazienza sorprendente di infilarla sul piede di Editll, a bocca aperta, c·on la lingua fuori e il fiato grosso. Edith lo guardava in faccia, e imitò immediatamente la sua espressione; per due o tre minuti ambedue i bambini furono assorti nella loro occupazione, con il viso atteggiato alla massima tensione. 37· La bambinaia Je1ln una mattina andò a prendere Bridge! (due anni) al dormitorio del rifugio 1lntiaereo c siccome lo spogliatoio, al piano di sopra, era già affollato di bambini, prese con sé soltanto lei. Passando accanto agli altri letti, Bridgct senti che Jeffrey (due
anni) piangeva. Si fermò e disse: uJean, Jeffrey piange." La bambinaia spiegò che Jeffrey avrebbe dovuto aspettare un poco, e continuò a dirigersi con Bridget \"erso il piano di sopra. Improvvisamente, a metà della scala, la bambina si voltò c disse: "Io vado da Jeffrey", e tornò indietro. La bambinaia aspettava che tornasse, ma poi la segul per vedere che cosa era successo. Intanto Bridget aveva aperto la sponda mobile del letto di Jeffrey per farlo uscire, e aveva spinto la scaletta fino al letto di Bill per farlo scendere; stava per passare la scaletta davanti al letto di Dan. Lo teneva per mano e gli diceva: "Non cadere." Influenza educativa diretta dei bambini l'uno sull'altro Restrizione dell'aggressività, dell'avidità, delle cattive abitudini Tutti sanno che i bambini si educano l'un l'altro e che nelle famiglie l'influenza di fratelli e sorelle maggiori si fa molto sentire in aggiunta all'influenza educativa dei genitori. Molti bambini che non vogliono obbedire ai genitori sono prontissimi a obbedire agli ordini e alle proibizioni di bambini più grandi. L'imitazione degli esempi di questi sembra più facile, e i loro rimproveri o perfino le punizioni, per quanto efficaci, sembrano ferire di meno. Questo contributo educativo dato da fratelli e sorelle maggiori è uno dci motivi per cui tutto il processo dell'allevamento è più facile nelle famiglie numerose. Ma questo tipo di "educazione con la mediazione dci figli più grandi è molto diverso dall'influenza che esercitano l'uno sull'altro bambini dello stesso gruppo di età. Mentre fratelli e sorelle maggiori fungono da sostituti dei genitori - figure parentali su scala ridotta - i coetanei in un gruppo di età hanno lo stesso status. Un bambino può influire sull'altro se in quel momento ~ il più forte, ''aie a dire se in quel momento egli rappresenta una minaccia per l'altro bambino; quest'ultimo gli obbedirà allora per paura. Oppure un bambino può influenzare l'altro perché in quel momento è più progredito in qualche prestazione: nel camminare, nel tenersi pulito ccc. La posizione si rovescia quando un'altra prestazione, in cui il secondo bambino supera il primo, acquista maggiore importanza. Ciò significa che i bambini s'influenzano l'un altro sulla base di una forza o di una prestazione superiore. Il timore e l'ammirazione reciproci sono fattori decisivi sotto questo punto di vista; le osservazioni
dimostrano che in seguito a queste relazioni fra bambini si hanno alcuni risultati che a prima vista non differiscono· molto da quelli prodotti da una vera educazione: l'aggressività è controllata, l'appagamento di desideri è rimandato e sotto la pressione di queste circostanze si acquisiscono alcune ~buone abitudini". 38. Freda (ventun mesi) tirò i capelli a Sam (vcntun mesi) che si mise a piangere ma non si difese. Jeffrey (due anni e quattro mesi) attraversò rapidamente la camera, colpl Freda due volte, poi si mise a consolare Sam. Quando questi smise di piangere, Jeflrey si rivolse a Freda guardandola con indignazione; essa immediatamente si ritirò in un angolo. Allora Jeflrey se ne andò, visibilmente soddisfatto di sé. In questo caso è chiaro perché Jeflrey può esercitare una simile influenza: ha sette mesi più di Freda ed è molto più forte di lei. Poiché non esiterebbe un istante a far uso della sua forza superiore, rappresenta per Freda un pericolo reale; essa controlla la sua aggressività per paura. 39- Sam (ventun mesi) era intento a fare costruzioni con i blocchetti in un angolo della stanza. Freda (ventun mesi) gli si avvicinò cautamente, con l'evidente intenzione di demolire il suo edificio. Sa m alzò gli occhi e disse: "No, no.~ Freda cambiò idea: esitò per un momento, poi raccolse un blocchetto e lo diede a Sam; poi lentamente si mise a raccogliere tutti i blocchetti sparsi per la stanza e li portò uno dopo l'altro a Sam. Qui il risultato ottenuto ba cause diverse. Freda c Sam hanno la stessa et~, le loro forze sono eguali; Sam è un bambino particolarmente mite, del quale nessuno ha paura. Questa volta Freda non rinuncia alla Sua azione aggressiva per paura: la risolutezza inaspettata di Sam le fa una tale impressione da modificare in senso contrario la sua intenzione distruttiva. Ora invece di fargli male lo aiuta. 40. Dessie (diciannoVe mesi) aveva in mano un pettine; Jessie, sua gemella, un gocattolo con cui giocava. Bessie desiderava il giocattolo ma frenò l'impulso a prenderlo. Improvvisamente offrl il pettine a Jessie, che lo prese tranquilbmente e cedette il giocattolo desìde-
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rata. Lo scambio avvenne senza che né l'una né l'altra dicesse una parola. Tutti i bambini dei nostri gruppi imparano molto presto che portare via un giocattolo a un altro bambino provoca guai, cioè un'esplosione di risentimento o afflizione nella vittima. Il metodo più spesso adottato è quello del baratto: offrire qualche cosa con una mano e prendere con l'altra. Come nei casi precedenti, il gesto è altruistico solo in apparenza; significa restrizione dell'avidità o dell'aggressività, raggiunta sotto la pressione di amare esperienze. Episodi di questo genere si possono osservare continuamente nei nostri asili. Eccone qualche esempio. 41. Maggie (due anni) piangeva perché la sorella Dinah (tre anni) le aveva portato via un giocattolo. Bridget (due anni), che aveva assistito alla scena, cercò di ristabilire l'ordine. Sottrasse il giocattolo a Dinah e lo restitul a Maggie. Quando Dinah si buttò a terra piangendo, Bridget corse a cercare qualcosa di sostitutivo, trovò un vecchio rotolo di carta igienica e lo portò a Dinah. Questa lo rifiutò, allora Bridget lo diede a Maggie e allo stesso tempo le tolse il giocattolo, che portò a Dinah. Con grande turbamento di Bridget, adesso piangevano sia Maggie che Dinah. Era troppo: prima le picchiò tutte e due, poi cercò di consolarle, poi vedendo che tutto era inutile rinunciò all'impresa. 42. Caro) (tre anni e mezzo) cercò di strappare una bambola a Jessic (due anni). Jessie le diede un morso tale che Caro! dovette !asciarle la bambola. Dessie, gemella di Jessie, venne in suo soccorso e cOlpì Caro! alle spalle. Jessie improvvisamente smise di mordere e gridò: "No, no Bessie, non picchiare!" In questo caso non è chiaro perché, secondo il codice che Jessie cerca d'insegnare a Dessie, sia permesso mordere ma sia vietato picchiare. 43· Bridget (due anni e quattro mesi) e Dick (tre anni) facevano colazione insieme. Parlavano fra loro lietamente, finché Dìck cominciò a spandere !a sua pappa d'avena sulla tavola. Bridget arricciò il naso disgustata: "Basta Dicky, sporcaccione!" Dick: "No, non smetto." Bridgct seccatissima: "Dicky, cattivo, non mi piace!" Dick urlando: "No!" Bridgct, in collera e con una smorfia di disgusto:
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"Dicky, non voglio più $tare seduta vicino a te. Mi siedo con Marion" {la bambinaia). Prese il proprio piatto e la tazza e trascinò la $Ua sedia accanto alla bambinaia, continuando a brontolare e borbottare contro Dick. In questo caso Bi:idget, benché più piccola, assume un atteggiamento di superiorità educativa in base alle sue migliori maniere. Ha appena acquisito abitudini regolari alla pulizia, ma contemporaneamente è diventata molto intollerante verso tutti i bambini che non corrispondono del tutto ai suoi criteri di pulizia, sia al gabinetto che a tavola. La posizione fra i due bambini è rovesciata, due mesi dopo, come risulta nell'esempio seguente.
44· Bridget per la prima volta si uni alla mensa dei bambini più grandi e non sapeva servirsi bene della forchetta. Il suo amico Dick dapprima la osservò e poi le disse: "Non cosl, Bridget, guarda me." Bridget lo osservò e lo imitò con cura durante tutto il pasto. I due esempi che seguono mostrano come i riguardi per un altro bambino, basati sull'identificazione con i suoi desideri, portino a veri atti di sacrificio e generosità. In questi casi l'aggressività è completamente controllata. 45· Sam (ventun mesi) si metteva un foglio di carta davanti alla faccia e giocava a far cucù. Sophie {venti mesi) voleva il foglio e strillava. Sam strappò il foglio in due e gliene diede la meto\. Poi si misero entrambi a far cucù, a turno, ridendo allegramente. 46. Jeffrey (due anni e quattro mesi) tornò da una passeggiata con un libro nuovo ricevuto in regalo. Ne era felice e lo mostrava a tutti. Appena Teddy (due anni e un mese) vide il bel libro, se lo prese. Jelfrey gridò, gli corse dietro e recuperò il libro. Teddy immediatamente si mise a piangere sconsolatamente, finché Jeffrey gli restitul il libro; Tedd}t smise di piangere, ma Jelfrey non osava riprendersi ciò cl1e gli apparteneva, sicché si sedettero a guardare il libro insieme. Teddy se lo tenne per tutto il pomeriggio. Amicizia fra bambini piccoli In condizioni normali si crede che siano molto rare, fra bambini piccoli, le amicizie di lunga durata. Attaccamenti durevoli sorgono
\'erso adulti o bambini più grandi; i compagni di gioco della stcs~a età servono soltanto per giocare, e le amicizie si sciolgono quando la ragione momentanea \·iene meno, cioè quando il gioco è finito. Nelle condizioni degli asili residenziali le cose vanno diversamente. Vi osserviamo molti casi di amicizia fra bambini piccoli, che durano per giorni, settimane e perfino mesi. Certo i compagni di gioco non sono scelti indiscriminatamentc; nel giocare insieme il compagno spesso sembra non meno importante del gioco stesso. Un'associazione di questo genere si nota particolarmente in varie coppie di gemelli dci nostri asili. t interessante osservare che tale associazione naturale, che si manifesta fra gemelli, si svolge in modo analogo e soltanto quantitativamente minore, fra molti bambini residenziali (vedi Burlingham, 1951). 47· Rcggie {dai diciotto ai venti mesi) c Jcffrey (dai quindici ai diciassette mesi) erano diventati grandi amici; giocavano sempre insieme e non si interessavano quasi mai di altri bambini. Questa amicizia durava da circa due mesi quando Reggic tornò a casa. Jeffrey sentl molto la sua mancanza; il giorno dopo quasi non giocò c si succhiò il pollice più del solito. 48. Sophie (diciannove mesi) e Larry (diciannove mesi) avevano fondato una società per fare le costruzioni; quando uno dei due cominciava a fabbricare, l'altro subito vi prendeva paTte, e a turno aggiungevano i pezzi; ciascuno posava con gran cura un blocchetto sulla torre e poi aspettava che l'altro posasse il suo. Adoperavano una decina o una dozzina di blocchetti ed erano contentissimi di stare insieme. 49· Sophie (diciannove mesi) amava molto starsene seduta dentro un certo armadio. Quando voleva compagnia e quando aveva vicino un bambino che le piaceva, gridava: "Ancora, ancorai~ c indicava lo spazio vuoto accanto a lei. Di solito invitava Edith (vcntun mesi) o Agnes {diciotto mesi). Appena l'invitata le si sedeva accanto, Sophie cominciava a pestare i piedi c l'altra faceva altrettanto. Se un bambino indesiderato cercava di sedersi nell'aTmadio, subito Sophic lo spingeva fuori con un sonoro "No, no!~ 50. Bcssie (ventidue mesi) eTa divenuta molto remissiva nei confronti di Tom (due anni). Per settimane lo aiutò in tutte le sue oecupazioni e partecipò a tutti i suoi giocl1i. Quando lui costrUiva, gli portava i blocchetti, e se giocava al treno gli collocava le sedie. Lui le era Ticonoscente di questi scrvigi, e qualche volta li ricambiava.
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Per esempio, quando una volta Bwie cercò di arrampicarsi su una sedia e si trovò in una posizione piuttosto difficile, Tom comparve improvvisamente e le tenne fenna la sedia. 51. Parecchi dei bambini più piccoli giocavano sul pavimento. Sophie (quindici mesi) fu urtata da un altro bambino e cominciò a piangere disperatamente; impossibile consolarla, piangeva e piangeva. Teny (venti mesi) le venne accanto e la guardò in faccia. Essa non vi fece caso e continuò a piangere. Terry era molto diso· ricntato e cominciò a scuotere la testa, e lo fece con tanta violenza che cadde seduto sul pavimento con un gran tonfo. Si mise a ridere e Sophie cessò di piangere per un istante, poi ricominciò. Jcny si rialzò, scosse di nuovo la testa e ricadde con un altro tonfo, ridendo rumorosamente. Sophie sorrise e dimenticò di piangere. Terry ripeté la scena almeno una quindicina di volte; era sfinito e gli girava la testa, ed entrambi tremavano dalle risa. Gli altri bambini erano incuriositi, ma non appena si avvicinarono ai due, Terry si arrestò, e anzi ne allontanò uno a spintoni. Poi ricominciò qu.:mdo lui e Sophie rimasero di nuovo soli. Esempi di giochi amorosi, tenerezza, affettuosità Gli esempi elle seguono mostrano un comportamento fra bambini piccoli non molto diverso dalle espressioni di amore e affetto fra adulti. s:z. Una bambinaia, entrando nella camera durante il sonnellino pomeridiano dei bambini, trovò Pau! (due anni) e Sophie (diciannove mesi) in piedi a un'estremità del loro lettino che si baciavano. Divertita, essa rise. Pau! si voltò e le sorrise per un momento, poi riprese la testa di Sophie fra le mani e continuò a darle dei bacetti. Sophie sorrideva, visibilmente compiaciuta. 53· La scena d'amore fra Pau! e Sophie ebbe una continuazione. Il giocattolo preferito da lei era un orsacchiotto bmno. Pau! aveva capito che poteva renderla infelice togliendole l'orso e consolarla restituendoglielo. Cinque giorni dopo l'episodio dei baci, egli si servl di questa sua consapevolezza per attirare in modo speciale l'attenzione_ di lei: le portò via l'orsacchiotto e Sophie scoppiò in lacrime. Lui andò di corsa all'altro capo della stanza, poi tornò da Sophie; le restitull'orso ed era molto soddisfatto. Quel pomeriggio ripcté' questo almeno dicci volte.
54· Ivy (venti mesi) e Agnes (quindici mesi) furono portate fuori in carrozzina. Giocavano insieme e si baciarono· e abbracciarono per quasi tutto il tempo. Ivy era quella che sempre ricominciava, e Agnes accondiscendeva ricambiando. Ambedue le bambine ridevano gioiosamente. 55· Sophie (venti mesi) stava in un angolo della stanza e guardava Larry (diciannove mesi). Larry se ne accorse e andò da lei dicendo: "Ahi, ahi! n Sophic lo circondò con le braccia e restarono in quella posizione per un bel po' di tempo. 56. Tom (venti mesi) e Stella (diciassette mesi) giocavano insieme sul pavimento. Improvvisamente Tom rovesciò Stella all'indietro, in modo che rimanesse supina, con le mani sotto la testa. Lui le si arrampicò addosso e cominciò a dondolarsi. Entrambi sembravano perfettamente felici. Poi Tom si alzò e si allontanò, e Stella dopo a\·erlo guardato ancora una volta, si rimise in piedi anche lei. Quando, nel pomeriggio, Tom entrò nella stanza dei bambini, Stella immediatamente si mise di nuovo distesa sul pavimento, riprendendo la posizione della mattina. Guardò Tom come in attesa, ma poi si rialzò visto che lui non la notava. 57· Henry (due anni e sette mesi) c Ralph (tre anni e quattro mesi) erano stati amici per molto tempo. Una mattina R.:Jlph, mentre guardava un libro di favole, indicò la B maiuscola del frontespizio e disse, tutto eccitato; ucuarda, guarda, siamo Jlenry e io!~ Per tutta quella mattina continuò a sfogliare i libri che c'erano nella stanza e ogni volta che vedeva una B ripeteva sempre: "Siamo Henry e iol" · La forma della lettera B gli suggeriva l'immagine di due amici che si :~bbracciano.2 'Dopo il no•tro Rapporto 16, sul qu\e sì bua il cont~nuto di que>to p:uag.-afo. abbi•mo 1icewto due lotte re molto simili di due dei più ve~hi amic:i della Ham.,.tead Nunocy. Que· stidueamicielettoridtinostriRapportiesprime"<:OnoprtO«upazionepUilfatto,hcino•tri bambini app.>rivano, nelle nostre descrizioni, attivi, oures>ivi e senza freMO. E ciò non corrispondna alle impm:~ioni che avnanoavuto visi~Jndo 1.:1 Nursery, dove elpitidaun'atmosferadip.:~ceeserenitlfraibambiniedo\loquictaioluenzaeduativa
tsercitab>Ù.IIiodulti.LiprcoocupavailtimorecheilettoriiquaHnonovcsseroavuto ocasionediO!sentaredirettamrntc,potenerohrsiun'ideo~sbagli:abdcllostotodeibambini
di. un loto, e potessero pensare a una nu.nan .. di ~:uida oppropriab dall'altro. Una di que1te lettere ouuoisce che, per nitare ~Jii fraintendimenti, dovremmo dc&nire pi~ chi:aromente le nostre opinioni cira il ruolo di un comportamento osoc:i:ale nei bambini piccoli, cira la tua oricine, il trattamento c la trasformazione 6nale nel e<>ntrario, o la fUblimazione,ciotilrie<>ndurloincanoliohesianosocialmenteutili. lnriJportl.po!'liomosolodircquesto:ledclCfizionidcllereazionianreosi•edeibambini c delle loro baruffe Spe$!10 seno pi~ lun8he e prendono pi~ tempo dell'episodio '""le. Le emozionodoibamb1ni pice<>li,sianocose potitiveonoptive,sonorapidecviolcnte.Nel·
3- Introduzione di un rapporto materno nella vita dell'asilo
B un errore concludere che le svariate emozioni sviluppate dal bambino piccolo in un asilo residenziale verso i compagni di giochi del proprio gruppo di età possano in qualche modo compensarlo delle emozioni che normalmente rivolgerebbe ai genitori. Queste ultime restano insoddisfatte e non si sviluppano, ma molte osservazioni dimostrano che sono latenti nel bambino, pronte a entrare in azione non appena le circostanze esterne offrano la minima occasione di affezionarsi. Questo fatto è tanto più rilevabile quanto meno il bambino conosce un attaccamento emotivo alla propria madre o ha avuto occasione di formarselo. Jo'ormazionc di famiglie ar!iliciali Abbiamo fatto più \'olte l'esperimento di dividere alcuni grossi "gruppi di età H di bambini in piccole unità di tre, quattro o cinque, affidati a una giovane bambinaia o maestra che fungesse da madre prestando loro cure "materne~. In tutti questi casi le reazioni di gruppo dci bambini diventarono in bre\'e le stesse reazioni emotive dci bambini allevati in seno a una famiglia naturale. Essi formavano un attaccamento forte e possessi\'o per la bambinaia, e diventavano allo stesso tempo più esigenti di prima, ma anche meglio disposti di prima a fare sacrifici per lei. Alcune tappe dello sviluppo, che erano state difficili o impossibili nell'ambito del gruppo, come per esempio l'educazione alla pulizia, furono più facili da raggiungere in queste nuove condizioni. Gli altri bambini della stessa ufamiglia~ Yenivano quindi trattati con quella mcscolanz:~ di gelosia e tolleranz:~ che è una delle caratteristiche del rapporto fratello-sorella; ma questa tolleranZa non si estendeva al di fuori della famiglia. I bambini sviluppavano rapidamente una comprensione per le altre famil"~mbito d~lb •·ito q_uolidiona JOno ~vane.centi e spnso pere~ le iBtloriamo; per (;)pirle invcced..·onoeuerereseoucrvobili. Perritorn~rc allcnostrescriedirc;~zioni "sPfe 1i conwlano l"~n l'altro, o 1l alu1.1no e wno aiJeu~osi sempre. Noi volC'o'amo wlo dimo1troro rhc l due attosgiomcnti estremi verso i propri <:ocl.1nei, il lottare ogçessivo oome ]'~more offcltu050, sono, in certe condizioni del lutto normoll o1rehe in QUello primo el~.
glie e rispettavano i diritti l'uno dell'altro al possesso di una data person~ adulta. I b~mbini più piccoli esprimono tutte queste reazioni con la loro condotta, i più grandi molto chiaramente con l'aiuto del linguaggio. Parlano delle "proprie" bambin~ie come se fossero possessi preziosi, le confrontano con le altre o si vantano di loro come gli altri bambini fanno con le proprie madri e così via. Le famiglie artificiali sono generalmente organizzate in modo che due bambinaie si diano il cambio nei giorni di libertà, e i bambini trattano questa madre sostitutiva con minore possessività, ma sempre come qualcosa che loro appartiene. 1. Derrick (tre anni e nove mesi), sulla via del ritorno a casa dopo una passeggiata, disse: "Quando la mia Sara è via, è mia Martha, e quando la mia Martha è via, è mia Sara." Arrivato a casa non trovò Sara e subito disse: "La mia Sara è andata tutta vi~; adesso è mia Martha." Derrick è un bambino molto difficile, che quasi non si lascia toccare da altri che dalla "sua Sara" e, al secondo posto, dalla "sua Ma1tha". a. Bridget (due anni e mezzo) apparteneva alla famiglia della bambinaia Jean alla quale era molto affezionata. Quando Jean tornò all'asilo dopo qualche giorno di malattia, la bambina ripeteva continuamente "la mia Jean, la mia Jean". Lillian (due anni e mezzo) una volta disse anche lei "la mi:1 Jean", ma Bridgct si oppose dicendo: "Jean è mia, Ruth è di Lillian e lise è tutta di Keith." 3· Fra Bridget (due anni e otto mesi) e Jeflrey {due anni e mezzo) avvennero le seguenti conversazioni. Quando Bridget tornò dopo l'isolamento per il morbillo, che l'aveva separata da Jean, era più gelosa che mai e non permetteva a Jeflrey neanche di pronunciare il nome di Jean senza dire: "Jean è mia." La prima mattina Jeflrcy non si inquietò e si limitò a guardarla senza rispondere. Nel pomeriggio ne fu turbato, guardò Jean e si mise a piangere. Jcan spiegò a Bridget che era vero che lei era la sua Jean e che Jcflrey aveva la sua Sara, ma che in quel momento Sara era ammalata, quindi Jean doveva occuparsi di Jeflrey finché Sara non fosse guarita. Bridgct sembrò aver capito; si mise a giocare e non parlò più della cosa fino all'ora della merenda, quando improvvisamente si rivolse a Jeflrey e gli disse: "Jean è mia. Sara è tua, non è vero Jeffrcy? Non è così?" A questo Jeffrey rispose: ":E: vero, Sara è mia." Il giorno dopo, a colazione, quando i bambini si trovarono nuovamente seduti accanto, Bridget riprese l'argomento in modo molto provocatorio: uJean è
mia." Jeffrey la colpì col cucchiaio e disse con voce furibonda: "La tua Jean!" Bridget fu così contenta del proprio successo che non si lamentò nemmeno di essere stata colpita col cucchiaio. L'accettazione del raggruppamento per famiglie produce anche un certo grado di reticenza e risentimento da parte dei bambini, che si evidenzia specialmente quando la madre di una famiglia cerca di aiutare i bambini di un'altra o di prendersene cura. Ma le reazioni di questo tipo sono limitate a quelle prestazioni intime come per esempio spogliare, mettere sul vasino, fare il bagno. 4· Quando una sera la bambinaia Usa domandò a Christine (quattro anni) se gradiva che le facesse il bagno, la bambina rispose: ~No, perché tu non sai fare il bagno alle bambine. Tu sai fare il bagno solo a Bob e Martin." 5· Quando una sera la bambinaiil Ursula volle fare il bagno a Kitty, questa rifiutò dicendo: "A te piace fare il bagno a Jessie e Bessie." Lo ripeté varie volte e persistette nel suo rifiuto. Come già detto, queste sistemazioni a famiglia sono limitate alle cure materne e non comprendono le occupazioni dei bambini durante la giornata. Ma ci sono bambini che insistono anche sull'essere rimproverati o corretti soltanto dalle persone "loro". 6. Bridget (due anni e otto mesi), quando un'altra bambinaia le disse che aveva fatto qualche cosa di male e che "questo non sta bene", si limitò a rivolgerle uno sguardo furioso, batté il piede per terra e gridò "la mia Jean!" {Era il giorno di liberU. di Jean.) 7· Tony {quattro anni) stava in piedi sul davanzale della finestra; una bambinaia gli disse di scendere. Egli andò su tutte le furie e rispose: "Non mi parlare in questo modo! Mary non fa cosl! Devi dire: per favore, scendi dal davanzale della finestra." Certi bambi.ni mostrano ed esPrimono grande comprensione degli altri sotto questo riguardo. 8. Quando Denid:. {tre anni) si anabbiò con la bambinaia Usa c la minacciò dicendo "ti butto nell'acqua" Qa più diffusa minaccia usata dai bambini), Shirley {quattro anni e nove mesi) gli disse: "No, Denick, non puoi fare questo perché Bob (che appartiene alla famiglia di Usa) non avrebbe più nessuna USll, c lui ha bisogno di lei."
) / UPPOnO MATOO!
9· Shirley (quattro anni e dieci mesi) disse un~ notte a letto: o Ho una simpaticissima mammina; mi piace moltissimo. La signora B. è una simpatica mamma, a anche la signora G. Tutti i bambini hanno delle mamme simpatiche, ma Hannah (una giovane bambinaia) deve venire a trovare la sua Kitty domenica, e le deve portare il dolce. Kitty non ha una mamma simpatica; per questo ha la sua Hannah." Natura specifica e conseguenze del rapporto materno Ripetute espcrieiJze dimostraiJo l'importaiJza di introdurre questo rapporto ·materno sostitutivo nella vita di Ull asilo residenziale. Il bambillo che forma tale rapporto COli una persoiJa adulta non solo diventa accessibile alle iiJflueiJze educative in modo molto positivo, ma mostra aiJche cspressioiJi più vivide e svariate della fisionomia, S\'iluppa qualiH iiJdividuali, cd estriiJseca l'illtera sua persOIJalità in modo sorpreiJdeiJte. D'altra parte si deve ammettere che accomodamenti familiari di questo genere iiJtroducono nella vita dell'asilo moltissimi elcmeiJti disturbaiJti e complicanti. I bambini che si emllo dimostrati adattabili e accomodanti nelle condizioiJi del gruppo, diveiJtano a Ull tratto insopportabilmente esigeiJti e irragioIJevoli. La loro gelosia, e specialmente il loro spirito possessivo verso la persoiJa adulta amata possono diventare illimitati. Tali manifestazioni facilmente diventano coatte quaiJdo il rapporto materno IJOn è un'cspcrieiJza nuova, ma si è verificata ill passato una separazione dalla madre vera o da una precedente vice-madre. Il bambino è tanto piì1 portato ad aggrapparsi quanto più è intimamente convinto che la separazione si ripeterà. I bambini diventano disturbati IJclle loro attività di gioco mentre osservano ansiosamente se la "loro" bambiiJaia si allontana dalltt stanza per una commissione o per la sua ora di riposo, e se ha relazioni strette con bambini estranei alla sua famiglia. Tony {tre aiJni e mezzo), per esempio, non permetteva alla bambinaia Mary di servirsi delle mani che appartenevano a lui per accudire ad altri bambini. Jim (dai due ai tre aniJi) scoppiava in lacrime ogni volta che la "sua" bambinaia usciva dalla stan~. Shirley (quattro anni) diveiJtau intensameiJte depressa. e disturbata quando la "sua" Mary, per qualche motivo, era assente. E vero che tutti questi bambilli avevaiJO subìto ill vita loro una serie di separazioni traumatiche . .t molto illtercssante osservare la differciJza di comportameiJto dimostrata dai bambiiJi in queste intime relazioni con le loro predi-
lette vice-madri da una parte, e con la maestra del gruppo nell'asilo dall'altra. Da questo punto di vista ci viene spesso in mente la differenza di comportamento che mostrano i bambini che vivono in famiglia quando si trovano nell'asilo diurno. Qualche volta sono perfettamente buoni e socievoli nell'asilo e assai difficili in casa. Questo non è dovuto al fatto che la madre non sa trattare il bambino e la maestra sì, come sembrano credere molte maestre d'asilo. ~ dovuto alla differenza fra le risposte emotive del bambino all'una e all'altra, differenza che vediamo riflessa nelle diverse reazioni alla "madre di famiglia N e alla mafstra di gruppo nell'asilo residenziale. 3 La relazione con la madre o con la sua sostituta risveglia nel bambino emozioni che a loro volta determinano in lui appassionate richieste che vogliono essere soddisfatte. Questa prima e precoce risposta amorosa verso la madre aniccllisce la vita del bambino, gettando le basi di tutte le future relazioni amorose e, come ogni amore, porta con sé varie complicazioni, conAitti, delusioni c frustrazioni. Di solito il bambino è del tutto incapace di esprimere, e di rendersi conto coscientemente, della natura e dell'estensione delle sue esi· genze rispetto alla madre o a un sostituto materno. Egli sposta questo desiderio inconscio su ogni specie di soddisfazioni sostitutive, nessuna delle quali - anche se fosse appagabile - potr~ mai soddisfare il suo bisogno. 10. Jim fu separato, a diciassette mesi, da una madre molto simpatica e affettuosa e si sviluppò bene nel nostro asilo. Durante la sua permanenza presso di noi si affezionò molto a due giovani bambinaie, alle quali venne successivamente affidato. Benché per alÌri aspetti fosse un bambino ben adattato, attivo e socievole, la sua condotta diventava impossibile quando erano in gioco questi attaccamenti afiettiJOsi. Era portato ad aggrapparsi, era iperposscssivo, non voleva essere lasciato solo ne:mche per un minuto, e chiedeva continuamente qualche cosa, senza riuscire a precisare in nessun modo che cosa voleva. Non era infrequente vedere Jim disteso per terra singhiozzante e disperato. Queste reazioni finivano quando la sua bambinaia prediletta era assente anche per poco; allora diventava
'Un elemento saliente in questa diiJtrenu ~ dovuto ~1 fatto che la 111.1dre o b. urnadrc di forniglian, manipOla il eorpo del b:lrnb1no, mentre la m•e~tra in un u~o diurno, o la rn•est:ndiunifuppo,nonlofa.Leattivit!delnutriro,vestiroosvostircunbornbino,dol far81iilb:lgno,c:urnl$idoisuoibisopifisici,rnetttrloalettoecc.e;·ocanotutteuntipo divor:~odir~l:ione.
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U990UO M~TUNO N~LU VITA DELL'ASILO
tranquillo e impersonale. L'amore da una parte, c dall'altra un intenso sentimento di frustrazione, sembravano in lui inestricabilmcnte legati. 11. Martin, che venne al nostro asilo a sedici mesi, formò un attaccamento simile per la sua amata Jlsa dal momento in cui entrò nel gruppo di lei, a due anni circa. Era un bambino particolarmente sano e robusto, attivo, allegro e vivacissimo. Nel suo rapporto con Jlsa invece, diventava passivo e si aggrappava a lei, per la minima ragione. Questa condotta si intensificò quando ebbe circa tre anni. Ogni volta che ritornava a Netherhall Gardens dall'asilo diurno che tenevamo a Wcdderburn Road, egli pensava, a quanto pare, di poter pass:ue il resto della giornata sempre in compagnia di Jlsa, e quando questo non era possibile, era preso da collera violenta e si buttava sul pavimento, piangendo a lungo. Un giorno fu più tiranno del solito, evidentemente in cerca di guai. Quando lisa gli dìs.o;e di mct· tersi le scarpe, volle gli stivaletti; quando ricevette la torta, volle della cioccolata; quando lisa gli volle fare il bagno nella vasca grande, che di solito gli piaceva molto, chiese quella piccola. Quando finalmente andò a letto era sfinito, e mandò via lisa senza darle la buonanotte, e poi pianse perché lei non gli aveva detto "buona notten. Dopo simili scenate, Martin diventava malamente balbuziente per parecchie ore, qualche volta per un'intera giornata. La mattina dopo ricominciò nello stesso modo. A colazione disse cl1e non gli piaceva "quello zucchero" sulla pappa, e quando lisa domandò che specie di zucchero voleva, batté i piedi e disse balbettando "zu.zucchero nero". Vedendola ridere, improvvisamente scoppiò anche lui in una gran risata e disse giudiziosamente "non c'è zuccl1ero nero", e si comportò perfettamente bene per tutto il resto della giornata. u. Nei nostri Rapporti mensili abbiamo descritto reazioni analoglle cl1e sviluppò Tony (tre anni e meuo, allora) al principio della sua rclozione consister Mary. La sera quando lei si offriva dì restare con lui, la mandava via, e appena se n'era andata, la richiamava disperato. L'accusava di avergli fatto male in qualche modo, o di aver trascurato le sue piccole ferite o indisposizioni. Si svegliava nel mezzo della notte e si lamentava con la bambinaia di turno che sister Mary non gli aveva dato la buonanotte, benché lei l'avesse fatto, sì fosse presa cura di lui e avesse soddisfatto i suoi desideri quanto meglio poteva. A quattro anni e mezzo, in un difficile periodo che attraversò in seguito alle seconde nozze del padre, smetteva improv-
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DANII~L SENU FA.UCLLh
visamente di giocare, andava a cercarla e diceva insistentemente: "Ti voglio dire una cosa, ti voglio dire una cosa.~ Quando gli si doman· dava cl1e cosa voleva dire, non lo sapeva. Qualche volta diceva "ti ,·oglio dare un bacio~, ma era chiaro che questa non era la sua vera intenzione e che lui stesso non conosceva la vera natura della sua richiesta (vedi in particolare Rapporti n e 36). Un comportamento di questo genere è naturalmente sgradito nell'asilo; disturba gli altri bambini ed è spesso criticato sevetllmcnte dagli altri membri del personale, i quali non possono fare a meno di credere che una certa bambinaia ha 0 viziato~ quel dato bambi11o, e che il bambi11o starebbe meglio, cioè sarebbe più tranquillo, senza le fastidiose complicazioni di questo rapporto cosi stretto. Questo è vero soltanto nel senso in cui noi tutti staremmo meglio, cioè saremmo più giudiziosi, se non avessimo emozioni. In realtà non è l'assenza di attaccamenti emotivi irrazionali che aiuta il bambino a crescere normalmente, ma il processo doloroso e spesso disturbante d'imparare n controllare tali emozioni. Come già detto, anche la relazione sicura c ininterrotta del bambillo piccolo con i genitori è piena di conflitti, delusioni e desideri inappagati. 11 bambino vorrebbe possedere padre e madre esclusivamente e in ogni senso della parola, e non può. Le restrizioni delle sue richieste sono prese dal bambino come una ripulsa, e il necessario rifiuto dell'intimità fisica produce infelicità, senso di colpa e inibizione. Paragonandosi col genitore del suo sesso, il bambino sperimenta il senso della propria piccolezza e incapaciU.. Il primo ambiente familiare è la struttura entro la quale i moti pulsionali e le emozioni del bambino cercano a tentoni i loro primi oggetti. Egli non può mai possedere completamente questi oggetti, ma in questa prima manifestazione dei suoi sentimenti impara ad "amare", a far fronte ai suoi moti pulsionali, ponendo così le fonda· menta per la fonnazione del carattere, processo che comporta molti disagi. ti: questa prima relazione con i genitori che il bambino ripete, in-misura talvolta ridotta, talvolta intensificata, con i sostituti parentali, se gli si offrono, in un istituto residenziale. Ulteriori conseguenze del rapporto materno sostitutivo nell'asilo L'introduzione del rapporto materno nella vita dell'asilo, per quanto a noi sembri necessaria, non solo è accompagnata da tutti gli
elementi emotivi disturbanti che abbiamo detto, ma porta con sé anche il pericolo di una nuova separazione. Le bambinaie qualche \'olta se ne vanno, o nel corso del loro addestramento passano da un reparto aii'altro, e le separazioni di questo genere, quando si è formato un attaccamento intimo, sono spesso non meno dolorose per il bambino della separazione iniziale dalla madre. Qui egli manifesta di nuovo tutte le emozioni contristanti del dolore, del desiderio e del rancore che abbiamo descritte come conseguenze della separazione dalla madre. Gli esempi sono innumerevoli. Quello che segue è particolarmente recente e spiccato.
13- Reggie, che era venuto nel nostro asilo a cinque mesi, tornò dalla madre quando aveva venti mesi; rientrò all'asilo due mesi dopo e da allora è sempre rimasto con noi. Presso di noi egli strinse due relazioni appassionate con due bambinaie che si occuparono di lui in periodi diversi. II secondo legame fu troncato improvvisamente quando Reggie aveva due anni c otto mesi poiché la "suan bambinaia si sposò. Dopo la sua partenza egli si mostrò completamente smarrito e disperato e quando lei \'enne a trovarlo, quindici giorni dopo, si rifiutò di guardarla: voltò la testa dall'altra parte quando essa gli rivolse la parola, ma rimase a fissare la porta che aveva chiuso dietro di lei, quando essa usci dalla stanza. Quella sera, a letto, si tirò su a sedere a disse: "Mary-Ann tutta mia! Ma non le voglio bene. n II fatto che nuove sep.::~razioni di questo genere siano inevitabili viene spesso usato come argomentazione contro gli accomodamenti eli tipo familiare negli asili. Ma una simile argomentazioi-.e ci sembra sbagliata. Dovendo scegliere fra due mali, e cioè fra lo spezzamento e l'interruzione di un legame e un'esistenza di aridità emotiva, quest'ultima soluzione ci sembra la più dannosa poiché, come dimostreremo più oltre, offre minori prospettive di uno sviluppo normale del carattere. Attaccamento spontaneo a persone adulte Abbiamo già mostrato quanto rapidamente diventi manifesta la relazione latente figlio-genitori, per esempio quando se ne presenta l'occasione mediante la formazione di gruppi familiari artificiali. Questi impulsi interni del bambino non sempre aspettano disposi-
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zioni pianificate con cura: sorgono in risposta ad azioni degli adulti. Chiunque semplicemente si prenda cura di un bambino in modo materno per un certo periodo di tempo, può facilmente diventare la vice-madre scelta da questo bambino. Ma i bambini si scelgono le vice-madri anche quando nessuna precedente azione da parte della persona adulta ha provocato questo processo; sembra a prima vista che essi scelgano a caso. Uno studio più approfondito di ogni singolo caso dimostra che questi attaccamenti apparentemente spontanei dei bambini sorgono in realtà in risposta a un sentimento presente nella persona adulta, sentimento di cui quest'ultima spesso non era consapevole all'inizio, o le cui rogioni si sono chia1itc solo dopo una certa indagine. Una giovane bambinaia, ad esempio, si sentiva attratta verso uno dei ragazzini più vivaci dell'asilo, c interrogandosi sulle ragioni di questo, scoprì che egli assomigliava al fratello da lei prediletto nell'infanzia. Un'altra bambinaia era attratta da un bambino che aveva perduto i genitori tragicamente e che le ricordava la propria tragica separazione dalla sua famiglia. Un'altra ancora si affezionò particolarmente a una bambina la cui costellazione familiare le ricordava la propria posizione nella famiglia, con tutte le sue conseguenze e cosl via. In tutti questi casi i bambini rispondevano a questo atteggiamento appena cosciente con attacc:Jmenti violenti da p:~rte loro. Era come se le emozioni cl1c si nascondevano in loro non aspettassero altro che una scintilla di risposta da parte di qualche persona adulta per infiammarsi. t: essenziale per chiunque lavori e viva in stretto contatto con dei bambini rendersi conto dell'esistenza di queste tendenze emotive in sé stesso e, con la consapevolezza, acquisirne il controllo. Benché l'adulto nell'asilo serva da oggetto e da sfogo a emozioni già pri:senti nei bambini, questi non dovrebbero per nessun motivo servire da sfogo alle emozioni incontrollate e quindi incfrenabili degli adulti, positive o negative che siano.
4· Alcuni aspetti del soddisfacimento e della frustrazione pulsionali in famiglia e nell'asilo residenziale
Nei capitoli precedenti abbiamo cercato di stabilire un fatto di capitale importanza: che i bambini piccoli in un asilo residenziale, quantunque presentino reazioni legate alla vita comunitaria c godano della compagnia di coetanei, cercano tuttavia altri oggetti sui quali dirigere tutti quegli interessi emotivi che normalmente dirigerebbero sui genitori. Abbiamo descritto come le persone adulte dell'asilo siano trasformate in sostituti dei genitori. Ora dobbiamo discutere fino a che punto queste relazioni emotive soddisfino i desideri naturali del bambino e fino a che punto siano destinate all'insuccesso sotto questo riguardo. lntimitil fisica tra bambino e madre ~ ben noto che i lattanti trattano parti del corpo materno come se fossero proprie. li bebé, ad esempio, prova per la prima volta la sensazione piacevole del succhiare poppando al seno materno. Quando desidera lo stesso piacere fra una poppata c l'altra, cioè quando il seno non è a sua disposizione, egli sostituisce un suo dito o più dita al capezzolo. Noi supponiamo che al principio il bambino non distingua fra quello che appartiene al corpo suo e quello che è della madre, e che probabilmente la scoperta che la sua mano è sempre presente mentre il seno della madre periodicamente scompare, rappresenti la prima distinzion~ fra il proprio corpo e il mondo esterno. Il lattante gioca con la madre come gioca con sé stesso. Le tira i capelli, le mette le dita negli occhi, nel naso, nella bocca e nelle orecchie, o gioca con le dita di lei; nello stesso modo gioca sulla propria faccia c con le proprie mani. Evidentemente riceve piacere sia dal suo corpo sia da quello della madre. Qualche volta in tale ricerca del piacere sono utilizzati ambedue a turno. Esempi di questa unità del corpo fra bambino e persona in fun7.ÌOne materna si osservano anche nelle condizioni di un asilo. 1.
Lily aveva l'abitudine, fin dall'età di dieci settimane, di giocare
a lungo con le proprie mani. Dopo i quattro mesi l'abitudine divenne meno frequente e fu sostituita dal giocare col sonaglictto o con l'orlo del vestitino. Ma l'interesse per le mani si riattivò a otto mesi, quando Lily cominciò a giocare con la mano della bambinaia. Una volta che la bambinaia teneva la mano posata ferma sul lettino della bambina, Lily improwisamente la toccò, la tenne, la mosse un poco, in successione, e così facendo rideva e sgambettava, e si eccitò tanto che presto la bambinaia dovettC ritrarre la mano. Mai prima la bambina aveva reagito acl alcun'altra situazione della sua vita con tanta gioia e tanto eccitamento. 2. Fin da piccolissima Rose si era sempre succl1iata il pollice prima di addormentarsi. A ventun mesi cominciò i seguenti giochi con la sua bambinaia prediletta, prima di dormire: per parecchi giorni fu solita metterle la mano in bocca e poi addormentarsi. In una fase successiva tentava di mettersi in bocca la mano della bambinaia: spalanc:~va la bocca per potervi introdurre quanto più possibile di quella mano grande. Un'altra sera si stava succhiando il pollice nel solito modo; improwisamente scosse la testa, prese un angolo della coperta (lo stesso che abitualmente teneva stretto mentre si suc~hiava il pollice), cercò di ficcarlo nella bocca della bambinaia, sorrise soddisfatta e si addormentò. 3· Dick, fra i due e i tre anni, trovò un modo insolito per ottenere soddisfacimento fisico al momento di dormire o quando voleva essere consolato dopo un'esplosione di collera. Afferrava l'indice di una persona a cui voleva bene, lo teneva stretto e cercava di spingenelo con forza nell'angolo interno dell'occhio. Facendo questo, si tendev:J ~on tutto il.corpo e la sua faccia prendeva un'espressione di grande piacere. Le dita che cercava di affenare erano quelle di quattro bambinaie con le quali aveva rapporti particolarmente buoni. Talvolta si serviva del proprio dito, ma se possibile cercava di afferrare quello di una delle bambinaie. 4· Jelfrey, fra i due anni e i due anni e tre mesi, sviluppò vari modi di giocare con-la sua bambinaia prediletta. Quando essa lo \'estiva, le esplorava la faccia, le toccava gli occhi, in particolare, ed era contentissimo. Quando essa abbassava la testa per allacciargli le scarpe, Jeffrey le metteva i due indici nelle orecchie, ridendo gioiosamente. Benché a quest'età avesse smesso di suechiarsi tanto insistentemente il pollice, vi ricorreva ancora quando lo vestivano prima della cola-zione del mattino. Molto spesso allora alzava il pollice e cercav.1 di metterlo in bocc:J alla b~mbinaia. Quando lei dimostrava di non
4/SDDDISFACI .. EHID E FII.VSTU'ZID~B PUI.SIOHAU
gradirla, prendeva il pollice di lei e glielo metteva in bocca. A quel tempo aveva imp<~i-ato la prima strofa della canzoncina infantile "Baa baa Black Sheep". Gli piaceva molto cantarla, ma invece di battere le mani come gli altri bambini, dava colpetti alla faccia di lei sul ritmo della canzoncina. Ogni volta che il medico si serviva della spatola per guardargli in gola, egli apriva la bocca di buon grado, ma allo stesso tempo cercava di fare in modo che la bambinaia si mettesse in bocca l'altro capo delb spatola. Questa sostituzione del corpo della madre a quello del bambino piccolo è ancora più frequente quando si tratta del piacere di mangiare. Spesso le madri descrivono con orgoglio quanto i loro figlioletti siano "generosi N, cioè quanto siano contenti di dare alla madre \m pczzctto di quello che stanno mangiando o di metterle in bocca una cucchiaiata di pappa quando si sentono sazi. E generalmente restano sorprese nel vedere che tanta precoce generosit~ scompare verso la fine del secondo anno e lascia il posto a un periodo di estremo egoismo in cui il bambino vuoi tenere per sé solo tutte le cose buone. A noi sembra che, osservata da vicino, la precoce generosità non meriti questo nome; ha pochissimo a che fare con l'altruismo e la capacità di rinuncia che si manifesteranno nello stesso bambino due o tre anni più tardi, per effetto dello sviluppo del ca· ratterc. Il piccolo, nei primi due anni, non rinuncia a quello che gli piace per darlo alla madre; è più esatto dire che non distingue sé stesso dalla madre. Il piacere dato alla madre è per lui come dato a sé stesso, cioè l'atto in apparenza altruistico è in realtà ancora egoistico. Quando il passo successivo dello sviluppo è compiuto, e la madre diventa definitivamente una parte del mondo esterno, que· sta prima apparenza di "generosità" scompare naturalmente. Innumerevoli esempi simili ai seguenti si possono osservare anche in condizioni istituzionali. 5· Violet (quattordici mesi e mezzo) mangiava un biscotto. Pa· recchie ~olte lo ficcò in bocca alla sua bambinaia prediletta come se fosse la bocca propria. 6. Jeffrey, fin da piccolissimo, trovava un piacere particolare nel mangiare. Verso i due anni- due anni e mezzo, quando si affezionò in modo speciale alla sua nuova "madre di famiglia", esprimeva la sua unità con lei non solo volendo che essa gli succhiasse il dito, ma anche
condividendo con lei i suoi piaceri nel mangiare. Per esempio, un giorno m~ngi~va una fetta di mela; ne teneva un'estremità in bocca e cerc~va di 6ccare l'altra estremità nella bocca di lei. Improvvisamente le spinse tutta la fetta in bocca, la guardò ridendo e le disse: "tutta finita" ed era visibilmente compiaciuto, cosa inaudita per Jeffrcy, il quale non tollerava mai di sepnrarsi dal suo cibo. Ma, nonostante la sua evidente ingordigia, da allora in poi cercò sempre di dare del suo cibo a questa bambinaia quando lei sedeva alla sua tavola. Può sembrare un po' troppo gr:mde per una reazione di questo genere, ma questo ritardo è probabilmente dovuto al fatto che non ha mai vissuto con la madre 'e cl1e l'attaccamento alla nuova "madre di famiglia" è la prima relazione stretta e costante della sua vita. Questi esempi non si propongono di mostrare quali stretti rapporti i bambini possano formare con sostituti materni in un asilo, o quali possibilità di trovare soddisfazione si presentino loro in tali circostanze. Al contrario consideriamo questi casi singoli una prova della forza enorme di certe tendenze naturali nei bambini, le quali, nelle condizioni abituali degli istituti, restano al di sotto della superficie e si tradiscono all'osservatore soltanto quando siano soddisfatte certe condizioni, come ad esempio In forrnnzione di famiglie artificiali o l'isolamento con un'unica infermiera in caso di malattia. Quali che siano gli sforzi fatti da un asilo residenziale per fornire "cure familiari" al bambino, le carenze nel dare soddisfazione a questi desideri primitivi resteranno enormi. Tendiamo a dimenticarcene con i bambini che sono affidati completamente alle nostre cure, cioè quelli senza madre e senza famiglia; diventa cosa ovvia nel caso di tutti quelli che sono visitati dalle madri e che pcriodicnmente ritornano in famiglia. Tutte le nostre madri, eccettuate quelle completamente indifferenti e noncuranti, coccolano il bambino, di solito molto più di quanto lui desideri in quel momento; lo manipolano ben oltre la necessità delle cure fisiche. La massima parte dei nostri bambini dividono il letto con la madre (alcuni con tutta la famiglia) quando ritornano a casa in visita, cosi come accadeva prima cl1e venissero da noi. Quando rientrano all'asilo, per esempio dopo le vacanze natalizie di due o tre giorni e notti, dormire soli è per loro una grande sofferenza e privazione. Certo alcune madri trattano il corpo del bambino in modo possessivo; non lo lasciano mai stare; ora baciano il bambino, ora gli danno uno schiaffo, e interfe-
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riscono di continuo nei suoi movimenti e nel suo manipolarsi il corpo. Il bambino non dovrebbe mettersi il dito in bocca, nel naso, ncll'orccçhio, strofinarsi gli occhi, grattarsi, masturbarsi e cosi via. Ma tutta la stimolazione fisica che la madre da una parte ostacola, è data al bambino, d'altra parte, dalle incessanti manipolazioni della madre stessa. Possiamo supporre, in base a molte prove, che il sentimento del bambino di uniciU con il corpo della madre trovi un parai· lelo nel sentimento della madre che il corpo del bambino le appartiene. Cerchiamo di chiarire il nostro punto di vista: in questo momento non discutiamo se questa relazione madre-bambino sia dannosa o benefica per il bambino, o che conseguenze avranno più tardi queste prime esperienze. Mostriamo semplicemente che queste tendenze esistono, che trovano pienissima espressione e soddisfazione nelle condizioni familiari, e che sono necessariamente oppresse e lasciate largamente insoddisfatte in un istituto. Alle bambinaie, per quanto devote c affezionate, si insegna a tenersi entro i limiti dell'obiettività. Se vogliono riuscire come educatrici, non possono lavorare semplicemente in base a sentimenti materni, ma devono piuttosto sviluppare un interessamento più generale per l'intero processo dello sviluppo dei bambini affidati :~lle loro cure. Abitudini autocratiche in un istituto residenziale Nel Rapporto n facemmo risalire la preponderanza di abitudini autocratiche nell'asilo agli effetti dell'improvvisa separazione dalla madre. Quel che vale per i bambini dopo lo shock della separa· zione, vale certamente per quelli che furono allevati in istituto fin dalla primissima infanzia. I primi desideri del bambino, che abbiamo sopra descritto, trovano soddisfacimcnto in parte sul suo corpo e in parte su quello della madre. Quando, come inevitabilmente avviene in un istituto, il soddisfacimento derivato dalla relazione materna sostitutiva è minore di quello che il bambino sperimenterebbe normalmente, i soddisfacimenti autocratici acquistano maggiore importanza e occupano gli spazi vuoti della vita pulsionale infantile. Fra i bambini più piccoli prevalgono il succhiarsi il pollice, il dondolarsi, l'urtare con la testa; la masturbazione - prescindendo da una sua precoce comparsa nella primissima infanzia - assume importanza in uno stadio un po' più tardo.
Succhiamento del pollice Non osiamo dire che il succhiare il pollice sia più comune fra i bambini d'istituto che fra quelli allevati in famiglia. Il succhiare per piacere si osserva largamente in qualsiasi condizione, benché forse l'osservatore ne sia colpito maggiormente quando molti bambini piccoli lo fanno contemporaneamente, nella stessa stanza. Se prendiamo in rassegna i nostri piccoli in un qualunque momento quando si succhiano il pollice, vediamo cl1e non ve ne sono due che lo facciano nello stesso modo e cl1e vi è una quantità di varianti secondo: a) la data in cui comincia il succhiamento; b) il dito o le dita usate; c) la posizione stereotipa o l'attività di gioco delle altre dita durante il succhiamento; d) la posizione o l'attività di tutto il corpo durante il succhiamento; e) la frequcn'Z:I e l'intensità del succhiamento per ogni singolo bambino; i) il danno fatto alla pelle delle parti succhiate ccc. Ma se vi è poca differenu fra bambini che vivono in f.amiglia c bambini in istituto nel periodo del succhiamento, vi è una notevole differcnu circa la data in cui questo periodo finisce. I bambini d'istituto tendono a prolungare il succhiamento come metodo di autoconsolazione per parecchi anni dell'infanzia, mentre i bambini in famiglia superano questa abitudine autocratica prima della fine del secondo anno. Dondolamento Alcuni dei nostri piccoli cominciano a dondolarsi automaticamente ogniqualvolta sono lasciati soli in uno spazio ristretto (culla, carrozzina, box o recinto da gioco), o quando sono isolati per malattia infettiva. I giocattoli vengono buttati via o trascurati in questi momenti, c il movimento ritmico del corpo resta l'unica occupazione.
1· Freda da lattante non si interessava normalmente ai giocattoli. Dai sei ai dieci mesi il suo unico piacere fu un movimento ritmico di tutto il corpo. A nove mesi questi movimenti erano accompagnati da ogni sorta di rumori. A dicci mesi cessarono i movimenti del corpo, rimasero soltanto i movimenti ritmici delle labbra. Non si ebbe sviluppo graduale del mettersi a sedere, andare carponi, stare in piedi finché persistettero i movimenti ritmici. Ma a undici mesi, dopo la loro completa scomparsa, essa imparO a tirarsi su a sedere,
inginocchiaui, stare in piedi c camminare intorno al lettino, c tutto questo nel giro di una settimana. 8. Ivy a dieci mesi si dondolava con tale continuità nel suo lettino nella camera dei piccoli, che venne trasferita al reparto dei bambini ai primi passi, molto tempo prima del solito, sperando che la maggiore libertà di mo\·imenti e le occupazioni più svariate avrebbero diminuito il suo bisogno di soddisfacimento autoerotico. Per un certo tempo le cose andarono bene, ma a un anno di distanza il dondolamento automatico, associato alla masturbazione, riprese in pieno, in un periodo di lunga malattia e conseguente limitazione dei movimenti. 9- Tom fra i sei e gli otto mesi si dondola\'a così ininterrottamente nella sal:~ dei piccoli, che fu trnsferito al gruppo d'età successivo a soli nove mesi. Il dondolamento cessò subito; diventò estremamente capace ed energico nei movimenti e nel controllo dei muscoli. Il dondolamento riprese per un certo tempo un anno più tardi, in un periodo di malattia e conseguente limitazione dei movimenti. Verso i due anni egli pcrdctte i contatti con sua madre, che improvvisamente smise divenirlo a trovare. Tom diventò estremamente insoddisfatto e sviluppò tre reazioni piuttosto disturbanti: violenta suzionc del pollice, eccessi nel mangiare e attaccamenti temporanei appassionati a estranei e volontari che venivano occasionalmente a prestare la loro opera nel nostro asilo. Battere la testa Secondo le nostre osservazioni i bambini cominciano a battere la testa, come segno di frustrazione c collera impotente, verso l'età di un anno. In un certo periodo, in cui avevamo un bambino particolarmente ostinato nel battere la testa tra i bambini ai primi passi, l'abitudine si diffuse, per imitazione, in un gruppo di dieci bambini. Il battere la testa è accompagnato di solito dal pianto. In certi casi si ·sarebbe portati a credere che il bambino piange per il male che si fa battendo e picchiando con la testa. Ma un'osservazione più attenta dimostra che avviene piuttosto il contrario: il bambino comincia a piangere per sfogare la collera o la frustrazione, poi fa seguire a questa espressione quella più violenta del battere la testa. 10. Ogni volta che Sidney (tredici mesi) era contrariato in qualche modo, si buttava a terra sulla pancia, batteva la testa violentemente c ripetutamente sul pavimento e piangeva.
,, 11. Berta quattordici mesi picchiava la testa contro la sbarra superiore del letto ogni volta che era di cattivo umore. A quindici mesi, in un periodo di malattia c convalescenza, lo faceva continuamente, con ferocia, sicché la bambinaia a cui era affidato era costantemente preoccupata che potesse farsi male più gravemente. n. Bert (tredici mesi) batté la testa accidentalmente contro la gamba di un tavolino mentre andava carponi per la stanza. Si fermò sorpreso, guardò la gamba del tavolo, provò a batterci la testa un'altra
volta, dapprima molto piano, poi sempre più forte, con grande concentrazione. A sedici mesi ricominciò a battere la testa al secondo giorno di una malattia (polmonite), ma smise di nuovo una settimana dopo. 13. Rabctte (dodici-sedici mesi). A dodici mesi: nei primi giorni in cui veniva messa a terra perché andasse carponi, spesso si abbandonava con la testa in avanti, battendola sul pavimento. In quel momento si pensò che fosse un segno di stanchezza. Parecchi giorni più tardi batté la testa ripetutamentc, finché le si arrossò la fronte. La fecero smettere, ma era molto difficile distrarla. Essa provò anche a battere la testa nell'acqua del bagno, sembrò sorpresa che non fosse come il pavimento, e non lo fece più. Qualche giorno dopo, batteva la testa sul pavimento cosl incessantemente cl1e si dovette tenerla lontana dal pavimento. A quattordici mesi batté violentemente la testa quando si tro,·ò isolata nell'infermeria vuota. A quindici mesi: messa a letto per un sonnellino contro la sua volontà, si gettò contro le sbarre del lettino, picchiando ripetutamente con tutto il corpo oltre che con la testa. Quando gli altri bambini le portavano via i giocattoli o la aggredivano, sempre batteva la testa per disperazione. Qualche volta litigava con un altro bambino per prendersi un giocattolo e poi si arresta,•a improvvisamente e cominciava a battere la testa. Quando dimostrava il suo affetto a Bcrt {diciassette mesi) essa ripctutamente e lievemente batteva la testa contro quella di lui. A sedici mesi: si buttò sul pavimento e batté la testa più volte quando non le permisero di prendere il giocattolo di un altro bambino. In giardino si buttò sull'erba, quando fu contrariata, piegò la testa verso terra, ma non toccò l'erba. Due settimane dopo, una volta cominciò a battere la testa sull'erba, ma si fermò dopo il primo colpo
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e, a testa bassa, si spostò, camminando carponi, verso un punto dove non cresceva l'erba e qui batté la testa a terra due volte. 14. Jack (sedici mesi) non prese l'abitudine di battere la testa mal· grado l'esempio di parecchi bambini del suo gruppo. Ma una volta, scoprendo la propria immagine riflessa in una porta di vetro, prima guardò dietro la porta come per cercare il suo doppio, poi, soni· dendo, batté la testa contro la sua immagine. Fece questo per otto volte, con visibile piacere. 15. Rose a ventun mesi qualche volta s'inginocchiava rapidamente c batteva la testa violentemente sul pavimento, senza ragione apparente. A vcntitré mesi, quando le dissero di non fare qualche cosa, si voltò, picchiò la testa rapidamente tre volte su un tavolinetto, poi tornò tranquilla. Quando le proibirono di tirare i capelli a un'altra bambina, si buttò sul pavimento e batté la testa violentemente quattro o cinque volte. Quando le chiedevano di restituire il giocattolo di un altro bambino, obbediva malvolentieri ma senza piangere; poi si voltava come se cercasse qua!clJe cosa, afferrava una seggiolina con entrambe le mani e ci sbatteva la testa contro violentemente per tre volte. Fatto questo, tranquillamente risospingeva la sedia al suo posto e restituiva il giocattolo con viro allegro. Masturbazione Non abbiamo finora osservato nessun aumento della masturbazione fra i bambini piccoli nel nostro asilo. Per quanto riguarda la seconda fase della masturbazione, dai due anni e mezzo ai cinque anni, le nostre osservazioni sono ancora molto incomplete. Ma a parte certi casi di bambini difficili, con masturbazione eccessiva e coatta, questa forma autocratica di espressione del bambino sembra tenersi entro limiti più normali che le abitudini più infantili del dondolarsi e del battere la testa. I motivi della differenza possono essere svariati e richiedono un'ulteriore dilucidazione. Riepilogo Succhiare il pollice, dondolarsi, masturbarsi rivelano la loro fun· zione di soddisfacimenti autoerotici in maniera innegabile; battere la testa è invece una cosa diversa da molti punti di vista. Nelle prime attività il corpo del bambino forma l'oggetto della sua ricerca di sensazioni piacevoli. Invece nel battere la testa il bambino sfoga
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sul proprio corpo le sue tendenze aggressive e distruttive. Si fa male veramente, ma invece di dolersene ne gode o non ci fa caso. Il battere la testa ha un certo numero di caratteristiche comuni con i piaceri autocratici: e l'uno e gli altri assorbono tutta l'attenzione del bambino finché durano, sono ripetitivi e hanno la tendenza ad aumentare e a intensificarsi mentre operano, e possono talvolta arrivare al culmine. t raro che le abitudini infantili del dondolarsi e del battere la testa raggiungano gradi simili in condizioni di vita familiare. Le si osserva generalmente in pochissimi casi individuali, talvolta in bambini anormali, e talvolta in bambini trascurati ai quali è negato ogni altro sfogo. Ma i nostri bambini, che si dondolavano e battevano la testa erano normali e ben sviluppati sotto ogni altro punto di vista, c certamente avevano una quantità ragionevole di sfoghi. Questo aumento di manifestazioni autocratiche e oautoaggressive" dipende C\·identemcnte dal fatto stesso della vita istituzionale. Desiderio dei bambini piccoli di essere stimati e ammirati: esibizionisrrio infantile Negli asili infantili si annovera come importante risultato educativo il fatto che i bambini imparino a giocare con i loro balocchi o a maneggiare il materiale pedagogico perché è interessante, senza richiedere attenzione continua, apprezzamenti o lodi da una persona adulta. Molti giocattoli educativi moderni sono costruiti in modo che il successo o l'insuccesso sono esclusi del tutto (per esempio in alcuni materiali che servono a imparare a distinguere fra i suoni, i colori, i pesi, le consistenze ecc.), oppure sono rivelati inequivocabilmentc dal materiale stesso (per esempio gli incastri, le ricomposizioni di figure, le forme geometriche). Il bambino in questo modo '·iene incoraggiato a mettere alla prova i propri sforzi e a trovare soddisfazione in un risultato obiettivo. Questi strunienti pedagogici sono destinati a superare una potente tendenza naturale del bambino piccolo, saldamente radicata nella sua vita pulsionale cd emotiva. Il bambino, nello stadio primitivo del suo sviluppo, ama soprattutto "mettersi in mostra n, e nella vita intima con i genitori dà libero corso a questo desiderio, spesso con grande disturbo di altri interessi ugualmente importanti. Le madri lamentano sempre cl1e i bambini non "giocano per conto loro", che chiedono attenzione pur avendo i giocattoli, che interrompono il
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gioco esclamando: ugoarda cosa sto facendo!", "guarda che cosa ho fatto!" e simili, e quando parecchi bambini si trovano in concorrenza l'uno con l'altro, il loro "guardami!" diventa una specie di grido di battaglia. Talvolta sembra che questa insistente richiesta di ammirazione superi di molto l'interesse del bambino per quello che sta facendo. Questa tendenza a mettersi in mostra o, per chiamarla in altri modi, a Vantarsi, a esibirsi, si manifesta sul terreno delle occupa· zioni del bambino e dei suoi successi, ma non ha origine in questa parte della sua vita né si limita .:~d essa. La sera, all'ora di spogliarsi e di fare il bagno, molti bambini piccoli si entusiasmano appena sono nudi; ballano di qua e di là, fanno ogni sorta di bravure con grande piacere e completo abbandono. Questo è tanto più evidente quanto più essi sono tenuti a freno sotto questo riguardo durante il giorno. Ma i bambini non godono soltanto nel mostrarsi nudi; altrettanto godono nello sfoggiare i vestiti, le scarpe nuove, il nastro nei capelli; vantano di essere grandi, intelligenti, buoni; in altri momenti la cattiveria, la malattia, le lesioni al corpo possono diventare oggetto di ostentazione. In breve, nella vita dei bambini non c'è niente che non possa essere qualche volta utilizzato per richiedere ammirazione o almeno attenzione. Ogni ragazzino, in qualche momento della sua vita, esibisce orgogliosumente i suoi genitali davanti alla madre. Poiché la cosa è presto riconosciuta come vietata, dapprima cessa, poi riappare mascherata da richiesta di aiuto, di soccorso per qualche dolore o ferita e cosi via. Questo esibizionim10 primitivo del bambino trova riscontro in una tendenza ugualmente primitiva della madre, saldamente radicata nel cosiddetto "istinto materno", che comprende la tendenza a soprav· valutare il figlio. Alla madre normale i lineamenti e il corpo del figlio sembrano belli o almeno piacenti, anche se un osservatore obiettivo potrebbe considerarli brutti. l progressi dello sviluppo fisico del bambino e i suoi successi nel controllo muscolare, benché siano gradi ordinari dello sviluppo normale, sono conquiste sorprendenti agli occhi dei genitori. Un ordinario progresso intellettuale viene magni· ficato e preso come segno di futuro ingegno; piccoli talenti ricevono lodi sproporzionate. Questa sopravvalutazione del bambino d1e caratterizza la relazione madre-figlio, è una reazione narcisistica da parte della madre. Il bambino ha cominciato a vivere come parte del corpo di lei, e nei sentimenti deJia madre, egli rimane tale nei primi anni di vita. Perciò
è valutato c trattato non obiettivamente, come parte del mondo esterno, ma con la tolleranza e la sopravvalutazione soggettiva che noi tutti diamo alle nostre rc:~zioni. Le madri reagiscono e giudicano altrettanto soggcttiv3mente quando il bambino non arriva a essere all'altezza delle loro aspettative: con una profonda lesione narcisistica, come se avessero scoperto un difetto o sublto uno sfregio sul proprio corpo. St::Jndo cosi le cose, il bambino, in condizioni hmiliari Ordinarie, trova nella madre un'alleata, più o meno ben disposta, alla propria esibizione di qualità fisiche e mentali, e ricava grande soddisfazione da questo lato importante del suo attaccamento alla madre. Ma tale felice associazione fra madre c figlio non è dcstinat:J a dur3re. A mano a mano che il figlio cresce, l'atteggiamento della madre cambia, spesso all'improvviso; gli approcci esibizionistici del bambino sono respinti e sovente rimproveri e critiche continui si sostituiscono all'ammirazione precedente, che viene allora dimostrata ai figli più piccoli. Di conseguenza anche il bambino si volge contro il proprio desiderio di mettersi in mostra, lo rimuove o lo trasforma nel suo contrario. Eccessiva timidezza, diffidenza, goffaggine e inibizioni di ogni specie possono prendere il posto della libertà, dell'abbandono di un tempo. Comunque, questa primitiva fase di sviluppo esibiziOnistico lascia un segno, in un modo o nell'altro, per tutta la vita successiva. ~ facile costatare che la normale vita d'istituto offre poco spazio allo spiegamento e al soddisfacimento di queste tendenze. I bambini, come abbiamo descritto sopra, conducono una vita comunitaria, non vengono prescelti per essere associati a una particolare persona adulta. Ciò non significa che questi bambini non cerchino di mettersi in mostra, vantarsi cd esibirsi, come tutti gli altri. Ma per mancanza di una risposta, per insoddisfazione e frustrazione, il loro esibizionismo infantile prende un'altra strada. Anziché farsi portatore dell'attaccamento a una persona, si manifesta indiscriminatamcnte davanti ·a qualsiasi estraneo; può rivolgersi ai compagni di gioco oppure, quando il bambino non riesce a ottenere attenzione con i suoi risultati positivi, può proporsi di ottenere lo stesso fine con un comportamento asociale, con la malattia e con esplosioni di collera. Ogniqualvolta un bambino forma una delle relazioni materne sostitutive che abbiamo descritte, le sue tendenze esibizionistiche si volgono nettamente alla persona amata, rinvenuta recentemente. Il
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mettersi in mostra può allora acquisire una forza esorbitante e servirsi di ogni possibile occasione per esprimersi. Esibizione indiscriminata 16. I visitatori di tutti gli asili residenziali del tempo di guerra, compreso il nostro, notano che singoli bambini spesso corrono loro incontro e benché non li conoscano affatto, fanno mostra delle loro scarpe, dei vestiti o di altri capi di abbigliamento. Questo comportamento è mostrato solo dai bambini emotivamente carenti e privi di legami affettivi. 17. Paul (due anni) quando arrivò da noi era un bambino senza fa. miglia e del tutto privo di legami. In principio ricercava l'attenzione di tutti dicendo soltanto "ciao", e con un sorriso vacuo con il quale salutava sia gli amici sia gli estranei. A tre anni mostrava ancora a tutti i vari oggettini (bottoni, bastoncini, straccetti) che raccoglieva ovunque andasse. Questi oggetti non lo interessavano sul serio, ma servivano soltanto ad attirare su di sé l'attenzione da parte degli altri. 18. Bob, un altro bambino senza famiglia, che non era mai vissuto con la madre, attraversò un periodo d'intenso esibizionismo e masturbazione all'età di tre anni. Mostrava i genitali a tutti indiscri· minatamente. Esibizione di indumenti 19. Rose (diciassette mesi e mezzo) prese il cappotto di uno dei bambini piccoli e se lo avvolse al collo come una sciarpa. Quando la bambinaia vedendola disse "che carino!" essa cominciò a girare per la stanza con un contegno molto compiaciuto. Da allora in poi si avvolgeva al collo tutti gli indumenti e i panni di cui riusciva a impossessarsi (persino i pannolini bagnati, se erano a portata di mano). Volgeva sempre uno sguardo interrogativo alle bambinaie, aspettandosi la loro ammirazione. Quando ebbe diciotto mesi e mezzo, ricevette un vestito nuovo di seta, per una festa speciale. Non appena l'ebbe indossato, sollevò la gonna e andò in giro cosi. Quando le misero un grembiule sopra il vestito, si mise ad alzare alternativamente ora il grembiule ora il vestito. Dopo questa occasione conservò l'abitudine di alzare il vestito. Molto spesso dopo aver sollevato la gonna si guardava l'ombelico. Non fu mai del tutto chiaro se volesse far ammirare alle bambinaie il vestito o l'ombelico.
lO. Fteda (due anni) quando entrava nella stanza da gioco la mattina, correva dalla bambinaia che si trova,·a presente dicendo "vestitino bello bello", alzandosi la gonna e sforzandosi di attirare l'attenzione, benché il vestito fosse lo stesso che aveva già messo in mostra molte altre volte. zt. Edith (due anni) ogni volta che aveva un nastro nuovo nei capelli, passeggiava, tutta compresa di sé, toccandolo. Lo mostrava alla sua bambinaia prediletta, additandoglielo tutte le volte che la incontrava. Zl. lvy (due anni) ogni volta che portava un certo vestito bianco e rosso (che le stava bene c che evidentemente era stato ammirato dagli adulti), alzava continuamente la gonna e diceva o bello, bello". Si comportava in modo analogo con molti altri suoi vestiti, o giocattoli o Dori, ma mai cosl spiccatamente come con quel parti~lare vestito. l}- Teddy (due anni e tre mesi) aveva una passione speciale per i cappelli. Quando riusciva a mettersi il suo berretto azzurro, si pavoneggiava per un pezzo, provandoselo in varie posizioni e sempre avvicinandosi alla sua bambinaia prediletta per farsi ammirare da lei.
Esibizionismo nel rapporto materno sostitutivo 24· Bessie (due anni e tre mesi) si comportava in modo analogo con la sua bambinaia prediletta. Talvolta, mentre giocava con lei e con un gruppo di altri bambini, apparentemente contenta, improvvisamente smetteva di giocare, sollevava la gonna e diceva alla bambinaia: "Guarda, mi viene il pancinol" Almeno una volta al giorno andava dalla bambinaia, si stringeva affettuosamente a lei e dice1:a con voce eccitata: "Guarda, la mia scarpa, la scarpa", indicando i piedi o alzandone uno perché lei lo vedesse bene. Questo succedeva specialmente quando la bambinaia era occupata nel parlare o giocare con altri bambini. Del tutto ingenuamente, Bessie cercava di mostrare parti def suo corpo per attirare su di sé l'attenzione. 25. Bridget, tra i due e i tre anni, si metteva in mostra in tutti i modi immaginabili, con scarpe, v~titi, una cintura nuova, con tutto quello che poteva fare e con tutti i regali, \'Cri o immaginari che, diceva, le aveva comprato la madre. Verso i due anni e undici mesi sfoggiava specialmente le sue "bue". Ogni volta che incontrava la sorvegliante del suo reparto, correva da lei, le mostrava un punto della gamba o del braccio e diceva "guarda la mia bua". Di solito
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non c'era niente da vedere; qualche volta c'erano i segni di precedenti graffietti. z6. Beryl (fra i tre e i cinque anni) manifestò uno speciale attaccamento a una delle organizzatrici dell'asilo "mettendosi in mostra" con lei. La seguiva dappertutto nelle sue visite settimanali alla Country House, si attaccava alla sua mano e dava vari altri segni di affetto. Ma non domandava mai cose materiali; non chiedeva mai né dolci né regali, cercava solo considerazione e ammirazione per le cose che le appartenevano. Di solito cominciava con una frase stereotipa: ~vieni a vedere il mio vestito della domenica", e accompagnava l'organizzatrice al suo armadio o cassetto, tirava fuori febbrilmente la sua roba e la metteva in mostra. Le cose che mostrava erano sempre le stesse, ma questo non diminuil·a affatto il suo desiderio di mostrarle o il suo eccitamento nel farlo. In altri momenti non parlava dei suoi vestiti c mostrava invece qualche piccola "bua", di solito sulla punta di un dito. 27. Bob (quattro anni e mezzo) quando si affezionò appassionatamente alla sua "madre di famiglia" profittava di tutte le occasioni per mostrade che era un "bambino grande" o un "uomo grande". Quando, ad esempio, andava con lei al piano di sotto, spesso si fermava prima degli ultimi tre o quattro scalini e diceva: "Adesso sta a vedere come so saltare." Avvertito che i gradini erano troppo alti per lui, diceva: "Tu non sai quello che so fare", insisteva per ~ltare e regolarmente si faceva male. Questo non gli impediva di ripetere la scena all'occasione successiva. Ostentazione di fronte ai compagni di gioco 18. Bob (quattro anni) giocava da solo con una parte del materiale montessoriano. Shirley (quattro anni e mezzo), all'altro capo della stanza, guardava i giocattoli messi in mostra sulla mensola. Vedendo una scatola di perline assortite per colore, disse: ~ Alf le ha messe in ordine un giorno, perché è un bambino grande, no?" Bob la udì, corse da lei c le disse ettitato: "Che cosa ha fatto Alf quando era un bambino grande?" Shidey indicò la scatola di perline, Bob la prese, e disse: "Anch'io sono un bambino grande", ma non cominciò a giocare con le perline; cambiò idea dopo un minuto, le rimise sulla mensola e riprese il lavoro precedente. Era evidente che le perline non lo interessavano; soltanto il desiderio di farsi ammirare da Shirley l'aveva spinto a lasciare la sua occupazione.
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29. Fra i tre anni e i tre anni e mezzo Martin visse profondamente la fantasia di essere un "uomo grande". Cercava di fare impressione sia sulla madre del gruppo famiglia, sia sulla sua vera madre, che veniva a trovarlo tutti i giorni. Egli insisteva per portare stivaletti alti e qualche volta rifiutava di levarseli quando andava a letto. Si pavoneggiava davanti a tutti con un cappellone da cow-boy col quale si presentava perfino a tavola per la prima colazione. Mostrava la sua forza spingendo e trasportando oggetti di gran lunga troppo pesanti per lui. Oltre a questo, faceva sfoggio di una voce forte e profonda, in netto contrasto col suo aspetto infantile. A quelli che non si lasciavano impressionare da queste ostentazioni, continuava a ripetere per tutto il giorno: u Io sono un uomo grande. Gli riusciva impossibile rinunciare a essere grande anche quando era del tutto inadeguato. Una volta fu sorpresa una sua conversazione con Bob (quattro anni e mezzo). Bob diceva: "Da piccolo stavo in una carrozzina", e Martin, diviso fra il desiderio di imitare Bob e quello di restare "grande", rispose: "Quando ero piccolo ero un grande soldato e stavo in una carrozzina." H
Transizione dall'esibizionismo infantile alla timidità 30. Anne a sei anni e mezzo rivelava chiaramente come il primitivo esibi:donismo clei bambini piccoli diventi involuto e complicato in uno stadio successivo. Anne era p:uticolarmente aggraziata nei movimenti e per questo era stata ammessa a frequentare un corso di ballo. Le piaceva mostrare alle bambinaie i passi nuovi imparati nella lezione settimanale, ma non appena le persone che aveva radunato erano pronte a guardarla, si nascondeva la faccia, faceva aspettare tutti, e diceva che non poteva proprio ballare. Se le dicevano che non importava e tornavano a occuparsi d'altro, immediatamente cominciava a ballare, ma qualche volta si fermava dopo i primi passi, con la stessa scusa. Questa oscillazione fra evidente timidezza e ancora più evidente esibizionismo C notissima .anche fra gli adulti; nel caso di Anne serviva allo scopo di attirare su di lei un'attenzione anche maggiore. Curiosità infantile È altrettanto interessante seguire un'altra tendenza pulsion:iredei bambini, strettamente affine: la curiosità. Uno dei benefici, che l'educazione moderna ha derivato dalla psicologia infantile analitica, è il nuovo atteggiamento verso la cutiosit~
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infantile. Mentre un tempo genitori e maestri disapprovavano i tentativi dei bambini di sapere, scoprire, indagare, esplorare, oggi queste sono considerate attività utili e legittime in ogni infanzia normale. Nelle condizioni dci metodi didattici tradizionali i bambini erano obbligati ad acquisire conoscenze che non li interessavano, e perciò non collaboravano se non quando erano sottoposti a pressione. I metodi moderni d'insegnamento per gli asili nido c le scuole materne, d'altra parte, attribuiscono grande importanza al lasciarsi guidare dalla curiosità innata del bambino. Questi asili moderni forniscono giocattoli che tengono conto del fatto della curiosità infantile. Giocando con essi i bambini scoprono di quale materia sono fatti, come si combinano insieme, che cosa c'è dentro, come si possono smontare e rimontare ccc. La scuola elementare moderna (vedi J. C. Hill, 1937) riesce a trovare metodi che trasformano tutte le conoscenze necessarie, comprese materie complicate come storia e geografia, botanica, zoologia, chimica ccc., da argomenti formali in alimento alla curiosità insaziabile del bambino piccolo. Asili e scuole elementari di questo tipo possono quindi essere sicure della collaborazione totale e spontanea dei bambini. Qui non si pretende che il bambino adatti i propri desideri a quelli del mondo adulto; questi nuovi successi dell'insegnamento sono dovuti al fatto che per una volta il mondo adulto ha adattato i propri metodi alla natura del bambino. La situazione è meno felice quando si tratta di forme più crude, ciel! meno sublimatc, di curiosità del bambino. Come abbiamo giill detto a proposito dell'esibizionismo infantile, queste tendenze pulsionali non sono ristrette al regno del gioco e dell'occupazione, né hanno origine in questo. Esse si estendono indiscriminatamente verso l'intero mondo circostante e si esprimono con insistenza non minore su tutti i materiali e gli oggetti che non sono minimamente adatti all'uso dci bambini. Il bambino che riceve una bambola russa, una palla, un cubo contenenti lo stesso oggetto in dimensioni sempre dccrescenti, si interessa ad aprirli più volte fincM arriva all'esemplare più piccolo della serie nascosto nel punto più interno dell'oggetto. Ma lo stesso impulso che porta il bambino ad accettare con piacere questo giocattolo può spingerlo ad aprire e fare a pezzi tutto quello che gli viene sottomano: una borsetta da donna lasciata incustodita, il contenuto di un cestino da cucito o una preziosa bambola di porcellana; i bambini più grandi si mettono a smontare le sveglie, le radio o le macchine da cucire, che hanno innumerevoli pezzi inte-
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ress:mti. Queste attiviU. sono sgradite e proibite in quanto distruttive. Nello stesso tempo lo spirito avventuroso cd esplorativo è severamente limitato dagli adulti in quanto è un pericolo potenziale per l'incolumità del bambino. La curiosità infantile è ancora più fastidiosa c sgradita al suo primo livello quando, come curiosità sessuale, mira direttamente al corpo e ai momenti intimi dei genitori. Il bambino piccolo dà ampie prove di voler conoscere tutto: come sono papà e mamma nudi, o quando sono in hllgno, o al gabinetto; che cosa fanno insieme a letto; che cosa vuoi dire essere sposati; da dove vengono i bambini; come sono fatti; quali sono le differenze fra maschi e femmine. I genitori di mentalità moderna e colti, che cercano di soddisfare le curiosità sessuali dei bambini con frammentarie spiegazioni, sono sorpresi e afflitti dalla implacabilità con cui il bambino insiste passando da una domanda all'altra, finché le risposte richieste vanno molto al di là di quelle che essi avevano intenzione di dare. Quando le risposte sono semplicemente rifiutate, il bambino non si risparmierà fatica per fare le proprie scoperte. Ove il porre domande su tali questioni intime sia severamente proibito, la curiosità naturale del bambino si smusserà o si spunterà addirittura (comprese le sue applicazioni gradite agli adulti), oppure la curiosità si sposterà fortemente su argomenti innocui, producendo il noto fiume coatto e inCUS'ante di domande àpparentemente senza significato, che da sempre è la disperazione dei genitori. Quando i genitori, senza severe restrizioni, semplicemente non danno risposte soddisfacenti, le circostanze stesse dell'ambiente fomiliare offriranno soddisfazioni illimitate alla curiosità infantile. Il bambino osserva attentamente le reazioni del padre e della madre l'uno verso l'altro; le espressioni del volto, i pezzetti isolati di conversazione, i rumori, uditi durante la notte, saranno gli elementi con i quali il bambino costruirà le sue fantasie sulle intimità dei genitori. Si possono aiutare od ostacolare i bambini nel soddisfacimcnto dei loro desideri di "sapere", ma nelle condizioni di vita familiare non è possibile impedire loro un qualche soddisfacimento di questi desideri. 1!: riconosciuto che i bambini più "informati" sono quelli dei ceti sociali più poveri, nei quali alloggi ristretti, letti o camere da letto comuni, rendono impossibile che le intimità dei genitori restino celate. Ove i bambini vadano liberamente in giro per le strade, la misura delle loro scoperte ed esplorazioni si allarga enormemente. A
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livello sociale superiore, la vita dei bambini è a minor contatto con quella dei genitori; essi non si trovano a vagabondare per le strade, la loro curio5it~ trova forte opposizione nelle convenzioni e nelle decenze d'obbligo. Nelle famiglie ricche l'osservazione dei domestici e della loro vita intima spesso sostituisce l'osservazione dei genitori nel fornire informazioni. La curiosità infantile nelle condizioni istituzionali
Questa digressione circa le varie forme d'espressione della curiosit~ infantile in famiglia è necesSaria per comprendere la posizione in cui il bambino si trova in un asilo residenziale. Qual è, in queste condizioni, la sorte della curiosità sublimata, diretta verso i giocattoli e l'apprendimento? Qual è il destino del piacere del bambino per l'avventura e la scoperta? Quali sono le possibilità di soddisfare la curiosità sessuale? Curiosità diretta verso i giocattoli e apprendimento. Per il bambino •nedio che vive in famiglia il fatto di poter frequentare o meno una scuola materna determinerà se la sua ucuriosiU" può essere incanalata in direzione utile, poiché la madre incolta delle classi più povere non potrà probabilmente procurargli i giocattoli adatti, e sarà incapace di dirigere le sue attivit~. Gli asili residenziali, d'altra parte, se sono capaci di comprendere questo bisogno, hanno ottime possibilità di offrire ai loro bambini una vita simile a quella di una scuola materna, con gli stessi giocattoli e attività. Alcuni fra i più riflessivi specialisti di educazione infantile hanno trovato che un normale istituto residenziale di guerra, quantunque spesso incontri difficoltà nel fornire ai bambini una vera "casa", può sempre avere una buona scuola materna, soddisfacendo cosl almeno un desiderio importante del bambino. l!: vero che, sotto questo aspetto, l'istituto residenziale non offre più di quanto non offra ogni asilo d'infanzia diurno, ma dovrebbe almeno proporsi di non offrire di meno. Il piacere del bambino per l'avventura e la ~coperta. I sopraintendenti degli asili di guerra per bambini sfollati hanno spesso descritto come bambini piccoli, che non erano mai usciti da Londra prima dell'evacuazione, godevano scoprendo un mondo di camPagna completamente nuovo, con tutti gli insoliti piaceri costituiti dalla vita degli animali e delle piante. Queste circostanze eccezionali non debbono portarci a ignorare che i bambini d'istituto anche se ricevono qualche sbocco alloro spirito d'avventura, che può essere loro mancato quando erano in famiglia, sono in complesso segregati, rinchiusi
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ed esclusi dalla maggior parte delle realtà della vita. Essi vivono in un mondo artificiale, e cioè in una comuniU dove i bambini formano la maggioranza c dove tutte le attività della giornata sono accentrate intorno a loro. In queste condizioni ricevono inevitabilmente un'immagine deformata della vita. Non possono prendere conoscenza dei v:JTi lavori e mestieri, salvo quelli che sono connessi in qualche modo con i bambini; acquisiscono una scarsa idea del denaro perché non sono mandati a fare commissioni e non accompagnano nessuno a fare lu spesa; non sanno bene da dove venga il necessario per la vita, poiché le varie cose sono date quando occorrono. I bambini non assistono mai agli acquisti e non sentono le discussioni che li progettano. In molti asili vi sono poche occasioni di resture soli o senza sorveglianza o di andare liberamente in giro anche entro i confini della casa. Tutto questo contribuisce a stabilire ignoranza del mondo e agisce direttamente contro lo spirito di avventura. CuriosiU diretta verso la sessualiU e le questioni familiari. Nella vita d'istituto non vi è alcun altro impulso del bambino per il quale le condizioni siano più lontane da quelle normali. Il bambino ha varie occasioni per venire a conoscenza delle differenze tra maschi e femmine, e cioè di osservare i corpi nudi dci compagni di giochi. Gli asili residenziali sono, quasi senza eccezione, misti, e rari sono i tentativi di separare i due sessi per quanto riguarda il dormire, lo spogliarsi e il fare il bagno. La routine dell'addestramento alla pulizia è, in molti asili, organizzata in modo che almeno i più piccoli sono portati al gabinetto a ore fisse e in gruppo. In queste condizioni, il pudore circa le funzioni corporee si sviluppa più tardi del solito. Tutto ciò che può riguardare il corpo di un bambino (circoncisione, piccole malformazioni, deformità più gravi) è di pubblico dominio. Ciò non vuoi dire che i bambini necessariamente si formino idee giuste circa l'anatomia o la differenza fra i sessi. L'osservazione obiettiva si trova spesso in conflitto con gli effetti della fantasia c dell'immaginazione. I bambini piccoli mantengono teorie proprie sull'uso delle varie parti del corpo, sulla differenza fra i sessi e la sua origine. Quando quello che pensano non concorda con quello che vedono, la loro fantasia è di solito più forte della realtà. Secondo le nostre osservazioni, i bambini notano 1:1 differenza fra maschi e femmine dai diciotto mesi ai due anni. In due casi, bambine manifestarono chiaramente disagio a quell'eU notando i genitali maschili. I bambini spesso reagiscono in modo negativo a queste
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prime osservazioni; anziché fare commenti sulla differenza fra i genitali che hanno notato, insistono sul fatto che altre parti del loro corpo sono uguali. Molti dei nostri bambini fra i diciotto mesi e i due anni mostrano ·un interesse speciale per l'ombelico e i seni l'uno dell'altro. 31. Babettc (quindici mesi e mezzo) e Christopher (diciassette mesi) stavano sul vasino l'una accanto all'altro. Parecchie volte lei gli sollevò la maglietta c gli toccò la pancia. Chris ogni volta la respingeva seccato, e tirava giù la maglia, finché lei smise. Una settimana più tardi Babette e Rex (tredici mesi) erano tutti e due nudi sulla tavola dove li cambiavano all'ora del bagno. Lei notò i seni di lui, li indicò ripetutamente e disse qualcosa nella sua parlata infantile, rivolgendo continuamente alla bambinaia uno sguardo interrogativo, sempre "parlando". Il giorno dopo lei e Rex fecero di nuovo il bagno alla stcsS11 ora. Essa scoprì il proprio ombelico e di nuovo guardò per un certo tempo la bambinaia e il proprio ombelico alternativamente, "parlando" con grande intensità. Per un istante guardò Rex esaminan· dolo, ma lui era già avvolto nell'asciugamano ed essa non lo toccò. Un istante più t:udi si era distratta. p. Rose scoprl il suo ombelico a diciotto mesi. Si alzava la gonna più volte durante il giorno e indicava l'ombelico o lo toccava. Non lo faceva mai quando era nel suo lettino o nel box, ma soltanto quando anda'va in giro per la stanza. 33· Rose (diciannove mesi) osservava Donald (due mesi) nel bagno. Lo guardava con espressione molto seria, poi si alzò il vestito e si guardò l'ombelico. Un momento dopo si mise la mano fra le gambe, cosa che non aveva mai fatto prima. 34· Annette (vcntidue mesi) stava una sera accanto al lettino di Sam (diciotto mesi) mentre lo spogliavano. Tenne gli occhi fissi su di lui per tutto il tempo in cui lo spogliavano, gli facevano il bagno e lo asciugavano, e se ne andò via solo quando Sam ebbe di nuovo addosso i suoi pannolini. Da quel giorno interrompeva sempre il gioco non appena si rendeva conto che era l'ora del bagno di lui. Stava poi a guardare le varie operazioni e varie volte tentava di taccarlo. Era in quel periodo l'unico maschio nella stanza di Annette. 35· Jessie a due anni circa cominciò a dimostrare grande interesse per il proprio corpo, specialmente la pancia: se l'accarezzava, qualche volta si metteva in mostra tirandosi su il vestitino nell'ora dei giochi e
dicendo allegramente: "Guarda il mio pancino!" Segui un periodo in cui paragonava il suo corpo con quello della sorella, della madre e della bambinaia. Le conversazioni mentre la vestivano o le facevano il bagno erano spesso queste: "Io ho il pancino. Mamma pancino? Bcssie pancino? Usa pancino?~ "Mamma naso, Jessie naso?" "Bessie orecchie, lisa orecchie, Jcssic orecchie?" Poi segui un periodo in cui cercava di alzare le gonne della madre e di altre adulte per vedere le mutandine. 36. Jim (due anni e mezzo) esaminava il suo corpo mentre lo spogliavano e si guardava l'ombelico: "Guarda, grosso buco qui, buco molto grosso." E quando si guardava il petto: "Ho una bolla qui, e un'altra qui.~ Ne era entusiasta, poi girava per la stanza domandando :~gli altri bambini: "Tu buco? Tu bolla?" e alla bambinaia: "Tu bolla? Tu buco?" Nel fare questo rideva molto ed era molto eccitato. 37· Dick (tre anni e otto mesi) guardandosi il petto disse improvvisamente alla bambinaia: "Ho due bottoni qui, tu apri?" Poi guardò i "bottoni" di tutti gli altri bambini nello spogliatoio, cercò di toccarli e tirarli; quindi tornò dalla bambinaia c le disse con tono giudizioso: "Bottoni non aprono, a che cosa servono?~ 38. Bob (quattro ·anni e tre mesi) entrò nella sua vasca da bagno mentre la bambinaia era fuori e si copri i genitali con il panno per lavarsi. Quando essa rientrò, Bob gridò: "Adesso non puoi vedere il mio tuti, è sparito." Quando essa gli chiese perché, rispose: "Se non puoi veder! o, forse credi che io sono Jane." 39· Bobby (sette anni) osservò la sola neonata della Country House con grande interesse per un certo tempo, poi si voltò e domandò: "E chi le l1a tolto tutti i denti?" Le sue gengive senza denti gli ave· vano chiaramente fatto un'impressione molto sfavorevole. Questa non è che una fra le molte osservazioni fatte dai nostri bambini più grandi, che dimostra come credessero che il corpo di una bambina è stato in qualche modo danneggiato. Una simile "possibiliU. continua di osservare gli altri bambini sta in netto contrasto col f:~tto che i bambini d'istituto sono esclusi da tutta la parte intima della vita adulta. Dipende dal caso, cioè dall'ubicazionc degli alloggi del personale, quanto sarà completa la loro ignoranza su questo punto. Nei nostri due. asili residenziali, ad esempio, le condizioni sono diverse: nella Country House i bambini vanno spesso nelle vicine stanze del personale e spesso mangiano con le loro bambinaie in cucina. A Netherhall Cardens le camere da letto
del personale sono distanti da quelle dei bambini, e i piccoli non vedono mai gli adulti quando dormono e quasi mai durante i pasti regolari. Per i bambini più grandicelli che cominciano a camminare si presero disposizioni speciali perché membri del personale prendessero i pasti con loro, altrimenti si sarebbero certamente fatti l'idea che gli adulti non mangiano mai. Quelle che seguono sono alcune osservazioni compiute nella stanza dci bambini in età compresa fra i quattordici e i ventiquattro mesi.
40. Ogni tanto la bambinaia si cambiava il c;~mice in questa stanza. Appena cominciava a sbottonarsi, i bambini più grandi si avvicinav;~no c additavano il camice. Quando diventava visibile il vestito di lei, tutto il gruppo dei bambini le si r;~ccoglieva intorno; la guardavano stupiti, qualcuno gridava, altri stavano in silenzio completo. Appena il camice pulito era abbottonato sopra il vestito, se ne andavano di nuovo. 41. I bambini scoprirono improvvisamente che la bambinaia aveva forcelle nei capelli che si potev;~no togliere. Un giorno ne tolsero tante che i capelli le si sciolsero. Mentre essa se li rimetteva a posto, uno dei bambini gridò: "Guarda, guarda!~ Gli altri la guardarono con gli occhi spalancati, in silenzio. Non appena essa ebbe finito di ripcttinarsi cercarono di sfilare di nuovo le forcelle. 4z. Mentre era in giardino con i bambini, una bambinaia si sfilò una scarpa poiché qualcosa le dava fastidio. Sam {vcntidue mesi) osservò l;~ sua calza con sguardo di grande mera\·iglia. Essa si rimise la scarpa ed egli si allontanò dicendo: "l'!: tutto via.~ La mancanza di occasioni di guardare e osservare queste cose è soltanto un elemento di una situazione interamente anormale. Non solo questi bambini piccoli non si familiarizzano con tutti i procedimenti del vestirsi e spogliarsi degli adulti, non li vedono quando vanno a letto c si alzano, ma non vedono quasi mai neppure gli oggetti di proprietà degli adulti e, salvo casi accidentali, non hanno nessuna occasione di studiarli; quasi mai (se non per caso) ascoltano le loro conversazioni private. Poiché i genitori anche se qualche volta vengono insieme, si trattengono poche ore del giorno soltanto, i bambini non conoscono nessun particolare della vita coniugale. Non hanno modo di penetrare il segreto dell'origine dei neonati, dato che questi spesso arrivano all'asilo senza che i bambini più grandi abbiano mai visto le loro madri. Non vi è certo la possibilità di racco-
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glicre notizie circa la parte S\'Olta dal padre, né per le sue relazioni con la madre né per il suo ruolo di protettore c sostegno della famiglia. Al posto di un'atmosfera familiare emotivamente carica, spesso molto burrascosa, che stimola la curiosità del bambino, l'istituto me· dio offre ai suoi abitanti una routine fissa. ~ interessante vedere come i bambini piccoli, mancando ogni altro alimento alla loro curiosità, cercano di penetrare e indagare i particolari di tale routine. I concetti "in M:rvizio~, "fuori servizio", "ore libere", i particolari della visita medica \"engono a essere investiti del significato emotivo di una partenza o ritorno a casa dei genitori o di altri awenimenti familiari. Le riunioni del personale o i corsi di conferenze su argomenti che restano misteriosi per i bambini, sono da loro considerati con sospetto geloso, come altri bambini comiderano qualunque cosa facciano i genitori a porte chiuse. Le domande circa le relazioni scambievoli fra membri del personale assumono l'importanza che l1anno le indagini sulle relazioni fra padre e madre. Siamo abituati a vedere che i bambini si costruiscono un quadro del loro mondo sul modello dci rapporti intimi nella vita familiare che sono stati tanto ansiosi di scoprire; è con qualche seria preoccupazione che li vediamo fare lo stesso con la routine fissa e artificiale della vita d'istituto. 43· Come in tutti gli asili, gli accessori da toeletta dei nostri bambini sono contraddistinti da figure invece che da nomi. I soggetti di queste figure assumono per loro una grande impattanza. Quando Nick (tre anni e tre mesi) vide la luna per la prima volta disse: "Guardate, è la luna del piccolo David!" Per lui il simbolo sullo spazzolino da denti c sul pettine di David non era un'immagine della cosa reale; era la luna in cielo cl1e gli sembrava l'immagine di una cosa tanto importante nell'asilo. 44· Susan, a quattro anni, vide per la prima volta la luna una mattina dalla finestra dell':~silo e domandò: "t:. stata lassù tutta la notte?" La bambinaia rispose di sl, e lei, con grande comprensione: "Ho capito, servizio di notte," 4-S· Susan, in particolare, concentrava la massima attenzione su tutti i dett:Jgli dei turni di lavoro; si poteva essere sicuri che in qualsiasi momento della giornata sapeva in che posto era occupata qualsiasi persona della grande orga"izzazione: chi era sceso in cucina con un vassoio, o salito al piano di sopra per qualche altro motivo;
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~ FRUSTUZlO~E PUl.SlO~AU
quale bambinaia aveva avuto le sue ore di libertà c quale non le aveva ancora avute; chi aveva la giornata di vacanza e cosi via. Non solo questo la interessava, ma seguiva tutto con occhio estremamente critico, per scoprire ogni eventuale difetto nelle disposizioni che emno per lei della m:1ssima importanza. 46. Bctty {quattro anni) era una bambina sensibilissima, che entrò nell'asilo in uno stato di grande turbamento emotivo. Il padre era morto; lei era stata separata dalla madre ed era vagamente informata che la madre si sarebbe probabilmente risposata. Contava i giorni che intercorrevano fra le sue visite settimanali a casa, e cadeva in uno stato di avvilimento quando tutti i suoi calcoli erano vanificati da un'improvvisa malattia della madre. La sua incapacità a risolvere gli enigmi della separazione, di una nuova unione, della morte e di un nuovo matrimonio si manifestava in una preoccupazione ossessiva riguardante i periodi dell'essere "in servizio" o "fuori servizio". Do· mandava a tutte le bambinaie e anche ai visitatori: "Come ti chiami? Dove abiti? Dove dormi? Sci fu01i servizio la domenica? Sei fuori servizio il sabato? Io sono libera la domenica!" 47· Susan, ammalata e ricoverata in infermeria, ebbe la visita della sopraintcndentc del suo reparto e le chiese da bere. Ma prima che quella avesse il tempo di fare alcunché, aggiunse in tono aggressivo c con uno sguardo trionfante: "In questa camera lei non può prendere decisioni, bisogna domandare tutto alla capoinfcrmiera." 48. Una conversazione sorpresa fra Bertie (cinque anni e tre mesi) e Ray {cinque anni). Dice Dertie: uSai, Alice è il capo di tutta la casal" E Ray: "Sl, ma John è il capo della caldaia e della serra." 49· Un gruppo di bambini era stato trasferito da Netherhall Gardens in alloggi di emergenza in un pensionato del personale durante l'epidemia di morbillo. Quando si parlò del ritorno all'asilo principale Annc disse: "Non voglio tornare a Netherhall. Voglio stare nella casa dove abita la mia Ruth" (la sua umadre di famiglia"). Quando le dissero che in fin dei conti avrebbe visto Ruth più spesso nell'asilo dove essa la,·orava tutta la giornata, Anne rispose: Non è dove lavora che importa, è dove dorme." 50. Katrina (otto anni) vide la dottoressa con un grosso libro sotto il braccio prima della lezione di anatomia alle allieve. Volle aprire il libro, scoprì la figura di una sezione del corpo umano e parve guardarla con interesse e comprensione. Ma prima che la dottoressa entrasse nella sala del personale, le domandò: "~ chi vai a tagliare N
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oggi?" Nelle sue fantasticherie su quello che succedeva nella sala cl1iusa del personale, la lezione teorica era diventata un'orribile operazione, con una delle allieve come vittima della dottoressa. Riepilogo I primi desideri pulsionali del bambino devono essere presi sul serio non percllé appagarli o respingcrli sia causa di gioia o infelicità momentanee, ma perché sono le forze motrici che sollecitano lo sviluppo del bambino dal primith·o interesse per sé solo e dall'indulgere ai propri impulsi, a un attaccamento e quindi all'adattamento al mondo degli adulti. Riassumiamo ancora una volta. - Il bambino piccolo che condivide i suoi piaceri 1isici con la madre impara così ad amare un oggetto del mondo esterno, non soltanto sé stesso. - La mancanza di tali soddisfacimenti, con il conseguente aumento delle attività autoerotiche, diminuisce l'interesse del bambino per il suo ambiente. Con un eccessivo succhiarsi il pollice, il dondolamento, la masturbazione il bambino si crea un proprio mondo confortevole, nel quale può ritirarsi e rendersi inaccessibile alle influenze esterne. - Le capacità del bambino, le attitudini, i talenti si sviluppano, almeno in parte, al servizio del desiderio di essere ammirato. L'apprezzamento che il bambino riceve può portare, come abbiamo visto, a nuovi sforzi nella stessa direzione. I rimproveri e l'indifferenza possono avere l'effetto contrario. - La curiosità infantile, se viene soddisfatta almeno in parte, spinge il bambino a imitare il mondo degli adulti, e pone cosl grandi energie a disposizione del desiderio di imparare e di evolversi. Il rifiuto di ogni conoscenza o della possibilità di acquisirla può estendersi agli interessi intellettuali del bambino e provocare inibizioni di ogni specie. Lo sviluppo Sano c normale della personalità umana ·dipende dalle circostanze dei primi attaccamenti del bambino c dal destino delle sue forze pulsionali {sessualità, aggressività e loro derivati) che trovano espressione in queste primarie e importantissime relazioni.
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Funzione del padre nell'asilo residenziale
Chiunque conosca bene le condizioni di vit~ in un ~silo residen· ziale d.à per scontato che nel mondo reale di questi bambini non vi è posto per il padre. Naturalmente i padri sono presenti in qualit.à di visitatori, occasionalmente alla domenica, o quando sono in licenza militare. Ma mentre le madri durante le loro visite si comportano con abbastanza naturalezza, prendono contatto con i figli in svariati modi, ne esaminano il corpo, tagliano loro i capelli o glieli arricciano, mettono in ordine i vestiti, fanno loro il bagno e talvolta li mettono a letto e, secondo il loro carattere, li colmano di dolci o passano il poco tempo della visita in critiche e rimProveri, i padri di solito sono inerti, timidi e goffi. Si sentono a disagio in questo mondo di donne e bambini, provano imbarazzo di fronte alle accoglienze dei campa· gni di gioco dei figli e molti di loro sono visibilmente contenti quando il tempo della visita è trascorso. Non vi è nulla nel loro atteggiamento che possa ricordare al bambino, neanche lontana· mente, la posizione che spetterebbe loro in condizioni familiari nor· mali: non sono né fornitori di beni materiali, né l'ultima autorità a cui ci si appella per tutte le questioni che riguardano il bambino. Benché recentemente alcuni asili residenziali abbiano tentato di riservare almeno alcuni "diritti materni" alle madri in visita, non ci risulta che esistano asili residenziali che offrano possibilit.à simili ai padri. In questo libro cosl come nei Rapporti rneruili, abbiamo ripetuta· mente esposto quali gravi conseguenze abbia la sep~razione dalla madre per lo sviluppo del b::Jmbino. Ma anche se la madre manca nella vita quotidiana del bambino d'asilo, le sue funzioni sono as~unte da altre persone "materne". Il bambino che non è curato, ma· nipolato, alimentato, lavato, coccolato e fatto giocare dalla propria madre, riceve queste cure da altre persone che imp~ra ad accettare come sostituti materni. Ma non c'è nessuno che, per quanto ne sa il bambino, assuma le funzioni che il padre non può svolgere perché assente, ammalato o morto. I mezzi materiali per allevarlo provengono da poteri impersonali e invisibili: l'organizzazione, ii comitato, gli amministratori, un consiglio direttivo, e le loro decisioni determinano la sua sorte. Queste autorit.à sono al di l.à della comprensione
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BAMBINI SINZA fAMIGLIA
del bambino e non hanno parte alcuna nella sua vita reale. Quindi non c'è nessun sostituto paterno che colmi il ,·uoto lasciato dal pa· dre vero. Fa meraviglia elle questo fatto evidente non abbia attratto più attenzione o creato maggiore preoccupazione riguardo alla normalità dell'allevamento del bambino. Quando si tratta di ragazzi più grandi, specialmente maschi, si sente dire spesso che è molto difficile per le madri dirigerli e tenerli a freno senza l'aiuto di un padre; con gli adolescenti di entrambi i sessi, i tribunali dei minorenni nel riassumere un caso di delinquenza citano spesso l'assenza del padre come fattore determinante nello sviluppo antisociale del figlio. ~ fatto di dominio pubblico che una delle cause della delinquenza di adolescenti e prcadolcscenti, in tempo di guerra c nel dopoguerra, è l'incompletezza_ del gruppo familiare a causa dell'asrenza del padre militare. Ma nel caso dei lattanti, il bisogno della madre e l'importanza della madre per il benessere e lo sviluppo fisico e morale del bambino occupa un posto molto maggiore. I bambini sfollati, ad esempio, piangevano anzitutto chiamando la madre. Passi regressivi nello sviluppo (come bagnare il letto), crisi emotive, perdita di funzioni e capacità (come la parola) sono sempre stati attribuiti alla separazione dalla madre, non dal padre. Le madri che visitano i bambini senza il padre sono sempre benvenute; padri che vengono in visita con inaspettata frequenza {forse a causa di una malattia della madre) vengono spesso respinti e non riescono a confortare il figlio. Quando un bambino in un istituto residenziale si trova improvvisamente di fronte a un pericolo (trattamento medico doloroso, inoculazione, vaccinazione), egli invoca sempre la madre assente; in tali circostanze non abbiamo mai sentito un bambino chiedere la presenza del padre {qualche volta lo chiamano durante i bombardamenti aerei). Questo e simili fatti tendono a dare l'impressione che la presenza del padre sia di secondaria importanza nella vita del bambino piccolo. Anche se qUesto fosse vero quanto al\'appnrenza superficiale {J'osscrvnzione particolareggiata di un bambino piccolo può rivelare un quadro molto diverso), non è certo vero in un senso più profondo. Il rapporto emotivo del bambino col padre comincia più tardi di quello con b madre, ma certamente dal secondo anno in poi è parte integrante della sua vita emotiva ed elemento necessario nelle forze complesse che operano per la fonnnzione del carattere e della per· sonalità.
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Come abbiamo descritto, il rapporto del bambino piccolo con la madre inizia cd è collegato con la soddisfazione dei suoi primi bisogni: nutrimento, calore e benessere. Da questo punto di partenza primitivo si sviluppa l'amore per la madre. Il bambino normalmente rimane esigente nei confronti della madre quantunque i suoi desideri passino dalla ricerca di soddisfazioni materiali alla ricerca di amore, affetto, ammirazione, conoscenze, possesso esclusivo e tutte le varie soddisfazioni ricercate durante le fasi successive dello sviluppo pulsionale infantile. L'amore del bambino per la madre rimane indisturbato finché essa è capace di dargli soddisfazione. Quando la madre, o per le circostanze o perché si preoccupa della socializzazione del bambino, è obbligata a rifiutargli soddisfazioni, il bambino va in collera con lei, e data la violenza frenetica dei sentimenti infantili, tale collera si volge rapidamente in rabbia, odio e desideri di morte. Naturalmente il bambino, dopo i primi due anni, dovrebbe essere capace di tollerare una certa misura di restrizioni, senza esplosioni violente; nel suo sviluppo successivo dovrà imparare a rinunciare di buon grado ai piaceri per amore della madre. Questo scambio fra amore per la madre e restrizione pulsionale diventa allora la base della formazione della coscienza morale e del carattere. La relazione del bambino con il padre segue un corso alquanto di\•erso. Mentre l'accettazione di soddisfazioni è l'elemento principale del primo legame con la madre, le emozioni primiti\'e rivolte al padre sono collegate a sentimenti di ammirazione per la sua forza e le sue capacità superiori. Il padre a sua volta diventa datore di vantaggi materiali ed è generalmente riconosciuto come il potere che sta dietro la madre, intorno alla quale si accentra la vita familiare normale. Resta però una figura meno abituale, staccato dall'immediatezza delle violente reazioni infantili in quanto è ora presente ora assente, una figura· che con la sua ugrandezzan suscita nel bambino il desiderio di imitarlo, diventare simile a lui o, nell'immaginazione infantile, di possedere le sue miracolose qualità e di esercitarle almeno nella fantasia. Questa relazione, altrimenti soddisfacente, ha due punti ove non possono mancare disturbi. È funzione del padre, più che della madre, personificare per il bambino che cresce le esigenze restrittive inerenti alle norme di ogni società civile. Per diventare membro sociale della comunità umana, il bambino deve frenare e trasformare i suoi desideri sessuali e aggressivi. Quel che la madre fa sotto questo riguardo, giorno per giorno e minuto per minuto, criticando, lodando
,, e guidando, il padre normalmente lo rafforza con la sua sola pre· senza. Benché egli stesso sia, agli occhi del figlio, l'incarnazione di
ogni potere sessuale e aggressivo, la sua influenza allo stesso tempo opera fortemente nel senso della rimozione e della trasformazione dei desideri pulsionali. Come nel caso dei dinieghi materni, quest'atteggiamento suscita la segreta collera e il rancore del bambino contro il padre. Il secondo. elemento di disturbo è almeno altrettanto intenso. Il padre della famiglia normale, oggetto dell'amore del figlio, è allo stesso tempo il rivale, almeno per il figlio maschio, nella lotta per l'attenzione e il possesso esclusivi della madre. Benché padre e figlio
possano essere ottimi amici in certi momenti, in altri sono certamente nemici e concorrenti, ove sì tratti della madre. Il bambino piccolo sente dolorosamente l'inferioriU della propria forza e la sua impOtenza in una lotta impari. Questa costellazione causa ostiliU. e segreta ribellione verso il padre, ma contemporaneamente rafforza il desiderio del h
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mente inappagato colmano le fant:Jsie della bambina, dirigono i suoi giochi immaginativi e determinano più tardi la sua sicurezza di sé o il suo non confidare di essere amata. Lungi dall'essere d'importanza secondaria, il padre, quando è presente, è quindi una delle principali influenze determinanti nella vita del bambino. Vale la pena d'indagare che cosa avvenga nei casi in cui il padre è assente e nessuna figura sostitutiva esercita un'influenza simile alla sua. Rapporto con il padre morto Ai nostri bambini dell'asilo residenziale sembrava relativamente facile, lasciando la famiglia, accettare la separazione dai padri, e anche il loro espatrio per andare a combattere oltremare. In netto contrasto con tale relativa indifferenza era la loro completa incapa· cità di accettare la morte del padre quando avveniva. Tutti i nostri bambini orfani parlano del padre morto come se fosse vivo oppure, quando hanno afferrato il fatto della morte, cercano di ncgarlo in forma di fantasie circa una rinascit:l, un ritorno dal cielo e cosl via. In certi casi questo avviene per influenza diretta della madre, che nasconde la verità al figlio per non rlargli dolore; in altri casi, fan· tasie di identica natura sono un prodotto spontaneo del bambino. 1. Susan (quattro anni e mezzo), che 11a perduto il padre in un'incursione aerea, diceva: "Papà è morto, è andato lontano lontano in Scozia. Tornerà, tornerà fra molto tempo, quando io sarò grande. H "Mio padre adesso è nell'esercito. Mamma dice che non è più morto. L'esercito è molto lontano." "Adesso papà è in marina, non può tornare, c'è troppa acqua." "Papà torna domenica prossima. Sl, sl, viene domenica. Vedrai, mi porterà il pezzo di cioccolata più grande che hai mai visto." l. Bertie (cinque anni e mezzo), il cui padre è rimasto ucciso in un'incursione aerea, diceva: "Perché tutti i papà morti non possono ritornare ed essere bambini piccoli e tornare di nuovo dalle loro mamme?" "Dio può far rivivere mio pap~. no? Perché Dio non può mettere di nuovo insieme le persone che sono state uccise e mandarle giù dal cielo? Io so perché: lui non ha messo insieme la roba, tutte le cose che ci vogliono. Dopo la guerra Dio avrA di nuovo tutto quello
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che ci vuole. Dobbit~mo aspettare fino a dopo la guerra, allora Dio potrà mettere di nuovo insieme le persone."• 3· Peter (quattro anni), padre ucciso in un'incursione aerea: "Papà mio è stato ucciso, sl, lo dice mia sorella. Non può venire. lo voglio che torni. Papà mio è grande, può fare tutto. "Ho visto papà per la strada, ha una bella uniforme. Sl, si, era lui. Mamma dice cllC tornerà. "Papà mi porta al giardino zoologico oggi. Me l'ha detto ieri sera; viene tutte le sere, si siede sul mio letto e parla con me.~ H
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Le visite dei padri morti sono comunque menzionate più spesso che le consuete visite di padri vivi, e l'insistenza circa la loro venuta è ancora maggiore. Le mutevoli ft~ntasie sulle loro attività, sui regali che porteranno, sono una difesa inevitabile contro l'intimo senti· mento di perdita e privazione. Rapporto con il padre assente Julia è l'esempio di una bambina che non ha mai perduto o modificato la nostalgia per il padre vivo, durante tutto il tempo della separazione da lui. Per due anni (dai tre anni e mezzo ai cinque e mezzo) ebbe continua nostalgia di lui; parlava del padre con la massima ammirazione e in termini di affettuosità quasi anormali. Lo chiamava "bellissimo ragazzo" e descriveva la sua intelligenza, la sua alta statura ecc., in termini entusiastici nelle conversazioni che aveva prima di addormentarsi. Qut~ndo visitò la famiglia due anni dopo, i suoi sentimenti si manifestarono con tale violenza che superò le obiezioni dei genitori e li persuase a riprenderla in casa, malgrado le difficili circostanze. Suo padre era un piccolo commerciante, an· ziano, acido, piuttosto severo e intransigente con i suoi numerosi e riottosi figli. Nel caso di questa bambina l'elemento puramente po· sitivo di affetto e ammirazione nella relazione con il padre era particolarmente spiCcato. Abbiamo posto in rilievo, in rapporti precedenti, quanto questa differenza fra l'aspetto reale di un padre c l'immagine paterna nella fantasia infantile fosse presente nel caso di Tony, nel quale tale differenza dominava l'intero quadro. Come abbiamo descritto nei Rapporti l l e 36, l'intimità reale di Tony con il padre terminò •Per ulteriori porticolori dello SYiloPJ>O di Bettie $0tlo qoesto ri1oordo. vedi il porto ~1.
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,,, quando aveva diciotto mesi, allo scoppio della guerra e con l'arruolamento del padre nell'esercito. Da allora in poi il rapporto col padre si limitò alle licenze trimestrali e in seguito a ritorni a casa ancora più infrequenti. Nel periodo in cui Tony fu con noi, le visite si limitarono a uno o due giorni, due o tre volte all'anno. Inoltre questo padre faceva ben poco per mantenere i contatti con la famiglia durante la propria assenza, cioè non più che una cartolina o un regalo occasionali. Tuttavia, durante le sue visite, il padre era affettuoso c cordiale col bambino, specialmente dopo la morte della madre, e mostrava interesse ai suoi piaceri. Ma quantunque volesse bene al bambino, capiva poco dei suoi complessi sentimenti; durante una licenza gli presentò una giovane donna come sua futura matrigna, ma alla licenza successiva comparve sposato da poco con un'altra, e salutò il bambino dicendo: uDà un bacetto alla tua nuova mamma." Da questa misera e per molti versi deludente realtà, Tony formò la fantasia di un padre con cui aveva una relazione appassionata di amore e ammirazione. Quando avev::~ circa quattro anni, il padre er::~ raramente assente dai suoi pensieri. Tutti i suoi interessi si acccntmvano su di lui ed egli lo nominava continuamente in tutte le com•ersazioni. Quando raccoglieva more, fiori, foglie, voleva metterli da parte e conservarli per il padre. Quando un bambino cadeva e si metteva a piangere, gli diceva {richiamando un episodio col padre): ~Mio papà non l1a pianto quando è caduto dal camion militare, no?" Quando vedeva correre un bambino diceva automaticamente: uMio papà corre molto più veloce." Quando gli dava noia farsi lavare i capelli, domandava: "Piange papà quando gli lavano la testa?" Nel bagno diceva: "Mio papà sa fare i tuffi nell'acqua." Mangiava la verdura, benché non gli piacesse, per "diventare forte come papà". Per lui l'alluce era "il dito di papà"; tutti i camion militari che incontrava erano per lui i camion del reggimento di suo padre. Tutti gli atti di onnipotenza che gli altri bambini attribuivano a Dio, Tony li attribuiva al padre. Abbiamo anche descritto che questo rapporto affettivo sovraintenso con il padre era a quell'epoca mescolato a reazioni ostili, a lamentele perché il padre gli faceva del male, c all'insistenza di Tony che non gli voleva più bene. Benché ci siano ben note le relazioni ambivalenti di tutti i bambini con i loro genitori, abbiamo motivo di presumere che nel caso di Tony questo fosse accresciuto dalla morte della madre. In quanto il padre era rimasto l'unico genitore dopo questo tragico evento, egli era sopravvalutato; in quanto era anche
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un oggetto di gelosia come possessore della madre, era incolpato della morte di Ici, che il suo presunto potere non aveva impedito e che, nella fantasia del bambino, potev<J essere stata provocata dalla sua aggressività maschile. Storia di un padre fantasticato Un altro padre, la coi immagine era sempre viva nella mente del figlio, era il padre di Bob (dai due anni e otto mesi ai quattro anni e dieci mesi). 5 Secondo Bob i piedi di suo padre erano più grandi di quelli di chiunque altro; poteva correre ~più veloce dei treni che sbuffuno" e "volare come un uccello". Aveva "un'automobile grande grande con tante ruote", aveva "capelli d'oro e bellissimi occhi rosa" (detto quando un altro bambino lodna gli occhi azzurri di sua madre); aveva "trecce molto più lunghe" di quelle di Betty, che aveva le trecce più lunghe di tutto l'asilo. Benché all'apparenza l'ammirazione di Bob per suo padre fosse identica a quella di Tony, c'era una notevole differenza tra le circost<~nze dei due bambini per quanto riguardava i padri. Mentre quello di Tony, benché idealizzato, era persona viva e reale, il padre di Bob non esisteva, era un puro prodotto della sua immaginazione. Bob era figlio illegittimo e non aveva mai conosciuto suo padre. La madre lo aveva dato in affidamento poco dopo la nascita e fino all'ammissione nel nostro asilo era vissuto con varie famiglie, vedendo la madre di rado; da allora in poi lo venne a trovare regolarmente e lui le si affezionò molto; eontempor<Jneamente si scelse una madre sostitutiva nell'asilo e si attaccò appassionatamente a lei. Parlò per l<J prima volta di "papà" a due anni e otto mesi, quando cominciò a invocarlo nei momenti di disperazione. Si credette che alludesse all'anziano padre affidatario della sua ultima residenza. Questi genitoJi affidatari vennero a trovado due volte, ed entrambe le volte il bambino sedette sulle ginocchia dell'uomo e pianse quando andò via. Quèsto "padre" non fu più nominato dopo i primi due mesi; tutto l'interessamento di Bob si rivolse a sua madre, che a quell'epoca lavorava nelle vicinanze dell'asilo e veniva a trovarlo tutti i giorni. Il successivo accenno a un padre fu f<Jtto a tre anni e due mesi, quando Bob annunciò "Mia mamma e mio papà vengono dome'Ltosservazioni,uBol>sono,tatefatteet3tcOltedaUadottoTtssallseHdlmann.
,,, nica", e disse che era stato a passeggio con tutti e due. Si credette che fosse un'allusione a un probabile amico della madre, e si abbandonò l'idea soltanto quando la sua fantasia si sviluppò oltre.
Diceva a tutti che suo papà gli aveva fatto visita all'asilo, cosa sicuumente non vera, e che gli aveva portato un'automobilina (che in realtà apparteneva a un altro bambino). Bob cominciò a risentirsi molto quando si accorgeva di non essere creduto. Affermava ripetut~mente che il suo papà era vero, e qualche volta si fermava nel mezzo di un gioco e gridava; "Sl, io ho un papà!~, benché nessuno in quel momento l'avesse messo in dubbio. Per tre mesi almeno non disse nient'altro circa il padre, solo riaf- fermava continuamente che esisteva. A tre anni e cinque mesi la sua immagine paterna prese una foima nuova e precisa. Bob a quCsto punto attraversò una fase di cattiveria distruttiva; sopportava difficilmente i rifiuti, aveva difficoltà a tenere a freno l'ingordigia, a superare l'eccessiva ed esibizionistica masturbazione. Per amore della madre sostitutiva cercò di vincere tutte queste difficoltà, ma ripetutamente se ne dimostrò incapace ed ebbe molti scoppi di collen~ e disperazione. In questo periodo b. sua immagine paterna coincideva con i desideri proibiti di Bob. Ogni volta che si comportava male diceva: "Mio papà mi ha detto di fare cosl", o u A mio papii piace." Uno degli incidenti fu che Bob istigò gli altri bambini a gettare i loro più bei giocattoli di pezza nel gabinetto del giardino. Dopo ne restò molto turbato c confessò: usano stato io. Ma è mio papà che mi ha detto di farlo." Quando aveva tre anni e mezzo ci fu un episodio che inaspettatamente e con sua soddisfazione confermava la sua fantasia. La madre venne a trovarlo all'asilo con un uomo e lo presentò a Bob come zio. Bob sfruttò largamente tale OCClsione; insisteva a chiamare papi! quel tale, lo teneva per mano, sedeva sulle sue ginocchia e, in genen~le, sì comportava con l'estraneo come se avesse ritrovato un vecchio amico dopo lunga assenza. L'uomo dovette sedersi sul lettino di Bob quella sera, finché il bambino si addormentò. Non tornò più, ma Bob continuò a servirsi di lui come una prova importante per rafforzare la sua affermazione dell'esistenza di un padre. usi, io ho un papà per davvero. Ti ricç~rdi, aveva l'impermeabile ed è venuto a Wedderburn Road e si è seduto sul mio letto." A tre anni e dieci mesi Bob inventò una figura nuova, modellata su un ragazzo di nove anni che la madre conosceva e a cui si riferiva chiamandolo "Bob by grande". "Bobby grande" divenne ben presto il uBob
... ideale" che sape\·a fare tutto e possedeva tutto quello che lui desiderava per sé, ad esempio un'automobile e una bicicletta. In questo periodo Bob cercava di fronteggiare i propri timori e la propria passività. Cominciò a vantarsi, voleva tirare e spingere oggetti troppo pesanti per lui c sempre cerc::Jva di saltare più scalini di quanto fosse capace di fare bene. Im·ece "Hobby grandeb poteva saltare molto alto, "fino al cielo". In questo periodo Bob faceva veri sforzi per "essere buonoN, e quindi Bobby grande era "sempre buono, e quando l'altro giorno è stato cattivo, poi è caduto e si è rotto una gamba tutta a pezzettini". In netto contrasto con il ruolo del padre fantasticato precedentemente, Hobby grande non parteggiav:J per i desideri proibiti di Bob. Il bambino diceva piangendo: "Bobby grande non è contento quando io sono cattivo." A quattro anni la sua fantasia del padre rivelava ancora una volta le immagini violentemente aggressive che aveva dentro di sé. Parlando della sua "famiglia" spiegava: "lo ho un papà nuovo. Lo zio ha ammazzato mio papà e il mio papà nuovo è venuto e ha ammazzato mio zio. Suo padre - dichiarava in questo periodo - era morto. Egli era "caduto giù da un aeroplano. Lui era una bomba e cadde giù e andò tutto in pezzi~. Questo ;JCcadeva in un momento in cui Bob aveva cominciato a dire parolacce e invece di mostrarsi affettuoso con la madre sostitutiva, le parl;Jva in modo aggressivo. Poco tempo dopo la fantasia del padre c quella di Bobby grande finirono col fondersi. Lo sviluppo della coscienza morale di Bob, sotto l'influenza della madre sostitutiva, si riflesse nel fatto che da allora in poi il padre non fece mai qualcosa che potesse definirsi cattivo. Diventò fortissimo, grande, bello e nel mese successivo (quattro anni e mezzo) assunse la funzione di ;JCCOmodare tutto quello che nel mondo sembrava a Bob mal fatto. Quando Bob vide una casa distrutta dalle bombe disse: "Mio papà ha tante bombe che non rompono le case. Osserv;Jndo la pulizia della gabbia del canarino dallo sterco disse: "Mio papà non è contento che i suoi uccelli facciano semp-re la cacca; gli mette del calcio nell'acqua." Quando morì il canarino dell'asilo disse: "Mio papà ha tanti uccellini grassi cl1e non muoiono mai. H L'immagine fantastica del padre di Bob seguiva e rifletteva in questo modo il corso dello sviluppo del bambino: dall'incurante distruttività all'orrore della distruzione ("bombe che non fanno male"); dal buttare i giocattoli nel gabinetto alla disapprovazione anche degli uccelli che "fanno la cacca", e dalle fantasie omicide al desiderio di 6
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,,, un mondo dove non muore nessuno. All'eU di tre anni, il "padre" era per Bob semplicemente l'immagine di una persona da amare e ammirare, della quale vantarsi con gli altri. A tre anni e mezzo si servì di questa immagine per nppresentare i propri desideri pulsionali; a quattro anni il padre, molto simile a quello di Tony, divenne l'incarnazione di qualunque co~ grande, bella, forte e buona. A quattro anni c mezzo questo padre della sua fantasi::J assunse infine la funzione della coscienza morale che nel frattempo si era sviluppata nel bambino.
6. La crescita della personalità del bambino nelle condizioni dell'asilo residenziale
L'imitazione nell'asilo residenziale Imitazione degli adulti Nel bambino piccolo l'attaccamento emotivo a un adulto inevitabilmente porta a sviluppare delle somiglianze con.quella persona. I bambini che vivono con i genitori li copiano quasi automaticamente in innumerevoli modi: ne riproducono l'espressione del viso e i gesti, adoperano naturalmente le stesse parole, dimostrano gli stessi gusti c sono decisamente influenzati dalle piccole manie e anormalid. che siano presenti nei genitori; essi ne copiano altrcslle capacità e occupazioni ogniqualvolta sia possibile. Finché i genitori sono gli unici personaggi emotivamente significativi nel mondo del bambino, l'imitazione è ristretta alla cerchia familiare. Quando il bambino crescendo, impara ad amare, temere, ammirare persone al di fuori della famiglia, l'impulso a imitare si estende a queste altre figure. Il comportamento quotidiano e il gioco immaginativo dei bambini testimoniano ampiamente l'esistenza di tali tendenze. 1. Mentre quasi tutti i nostri bambini si divertono molto durante i pasti, Anne (d:~i cinque ai sei anni); la cui madre lavorava presso di noi e che abitualmente consumava i pasti con lei, manifestò tutta una serie di manie relative al cibo, imitandola. Se la madre non mangiava la verdura, la bambina la lasciava intatta nel piatto; se la madre non gradiva le patate, Anne, che altre volte le mangiava molto volentieri, invece le rifiutava e cosl via.
Il bambino stnza genitori che si è formato affetti nell'asilo, fa lo stesso con le persone e i tipi di comportamento delle persone alle quali si è legato sentimentalmente. Per esempio Rose, a diciotto mesi, amava dire "Dio mio, Dio miol~ aggrottando la fronte e scuotendo la testa, due caratteristiche della bambinaia che aveva avuto il compito esclusivo di occuparsi di questa bambina delicata fin dall'età di due mesi e mezzo. Molti bambini di tutte le età copiano le abitudini della "madre"
del loro gruppo famiglia nel trattare gli altri bambini o le bambole; usano le stesse espressioni di lode o di critica, imitano le sue occupazioni abituali, come lavare, pulire il tavolo, mettere via gli indumenti; usano gli stessi mezzi per consolare un bambino più piccolo o per mettere pace in un litigio. Queste imitazioni hanno qualche volta risultati sorprendenti che sembrano incongrui nell'alto grado di efficienza professionale. Ad esempio un bambino aggressivo e indisciplinato di tre anni e mezzo, che vuole occupare una certa sedia, non la strappa all'occupante, ma prende uno sgabello e glielo offre silenziosamente in cambio, imitando un sistema che ha visto applicare innumerevoli volte. I maschietti fanno da infermieri ad altri o consolano bambini che piangono, non perché hanno inclinazioni femminili c preferiscono queste occupazioni a esclusione di altre più maschili, ma perché l'infermiera o la bambinaia di notte è la loro umadre di famiglia" prcscclta . .1. Claude (quattro anni c mezzo) una sera si rifiutò di andare a letto e chiese
Simile imitazione include ovviamente comportamenti che non sono usati nel cont::Jtto diretto con i bambini, ma che i bambini, seguendo la curiosiU sulla vita degli adulti, riprendono con piacere e interesse speciale. Di fatto sono parte del gioco d'immaginazione del bambino di essere "grande~ lui stesso. 3· In una stanza da letto stavano giocando parecchi bambini. Harold (tre anni e nove mesi) aveva piazzato due sedie accanto al termosifone ed era seduto su una, poggiando i piedi sull'altra. Quando qualcuno entrò nella stanza, spiegò: "Io sono fuori servizio, sono nella stanza del personale e leggo.~ 4· Susan (quattro anni e mezzo) aveva lasciato il suo orsacchiotto
'"
e tutti i suoi vestiti sparsi sul pavimento. Quando le si chiese di mettere in ordine, rispose: "Mi spiacc. Sono fuori servizio." I bambini imitano naturalmente ciò che comiderano i modi di divertirsi degli adulti. A tale riguardo le riunioni, per loro misteriose, hanno la parte maggiore. Copiando le riunioni del personale, le riunioni di reparto, delle allieve ccc., i bambini più grandicelli hanno iniziato delle riunioni fra di loro dalle quali i più piccoli sono rigidamente esclusi. 5· Una sera Anne (cinque anni e nove mesi) non riusciva ad addormentarsi; chiamò la bambinaia di notte al suo lettino. Quando la bambinaia, salita la scaletta, le chiese che cosa voleva, Annc si sistemò comodamente sul cuscino e disse, molto seriamente: "E adesso facciamo una piccola riunione."
Queste forme d'imitazione possono far sorridere nel sentirle raccontare, ma certamente non sono considerate buffe dai bambini. Imitazione di modelli di comportamento contrastanti l bambini che da una parte sono affezionati alla madre vera che viene a trovarli, e dall'altra alla "madre di famiglia" dell'asilo, spesso trovano notevoli difficoltà nel combinare non soltanto i loro affetti, ma anche le imitazioni che ne derivano. 1 sistemi della madre nell'occuparsi di loro sono in qualche caso diametralmente opposti a quelli applicati nell'asilo, e quando questo avvieuc, i bambini talvolta sviluppano ambedue i tipi di comportamento, usandoli alternativamente. 6. Susan (quattro anni) oscillava fra il suo attaccamento alla propria madre molto severa e alla "madre di famiglia", nell'asilo, cordinle c comprensiva. Di conseguenza era oscillante nel suo modo di trattare la bambola; dopo le visite della madre la trattava molto severamente, la sgridava e la puniva per mancanze immaginarie. Dopo due o tre giorni che non vedeva la madre, Susan tornava ai sistemi dell'asilo, parlando gentilmente alla bambola, incoraggiandola e consolandola Jinché il ciclo ricominciava dopo un'altra visita della madre. Parimenti nel suo linguaggio, nelle espressioni adoperate, alternava quello che udiv:~ nell'asilo con i toni scontrosi c quasi minacciosi della madre.
6/ C:US<;LTA
D2LU PUSO~UJTA NELL'ASILO
...
Altri modelli d'imitazione nell'asilo Dopo le "madri di famiglia" la dottoressa è la persona più imitata nell'asilo. Anche questo porta a un tipo di comportamento che sembra completamente fuori luogo a questa tenera eU. Per un estraneo l'atteggiamento dei bambini a questo riguardo potrebbe indicare un'insolita precocità o inclinazioni ipocondriache anormali, mentre la spiegazione sta semplicemente nel rapporto emotivo con la dottoressa, che è una mescolanza dell'affetto sentito per lei come persona, di ammirazione per i suoi strumenti medici, di fede nel suo potere su tutte le questioni di salute e malattia e di paura del dolore che essa deve infliggere quando si rendono necessarie misure preventive come iniezioni, vaccinazioni o piccole operazioni chirurgiche. L'imitazione della dottoressa può esprimersi nel "giocare al dottoren o nel comportamento dei bambini, ad esempio nello sfoggio di conoscenze mediche nella vita quotidiana. 7· Bridget (due anni e tre mesi) vide per la strada un cane che mangiava qualche cosa per terra e gli gridò: "Cagnolino, non mangiare quella roba! Ti viene la diaec.a! n 8. Martin (tre anni) era in visita da una zia, che dava una medicina al suo bambino. Quando un'ora dopo diedero al bambino una fetta di torta, Martin eccitato gridò: "No la torta al bambino, ha la diarrea, ha preso la medicina. n 9· Janet (quattro anni) conosce, come tutti gli altri bambini, lo stetoscopio della dottoressa, e vedendola andare al piano di sopra con quello strumento domandò: "C'è qualcuno che tossisce di sopra7H 10. Anne (sei anni) disse eccitata: "Devi misurare la febbre a Paul. Lui non strilla mai, ma adesso strilla fortissimo, allora deve essere malato. n Riepilogo In tutti i casi citati, i processi di imitazione che operano nel bambino sono quelli soliti. I bambini copiano c assumono i modi di comportamento che possono osservare negli adulti che amano nell'a· silo cosl come copierebbero i genitori e i loro comportamenti se vivessero in famiglia. Se i risultati di tale imitazione sono talvolta insoliti o anormali, questo dipende soltanto dalle insolite e anormali circostanze in cui vivono i bambini residenziali.
Modelli di comportamento familiare nell'asilo A parte i tipi di comportamento che abbiamo descritto, diretta· mente dovuti all'inAuenza dell'asilo, è abbastanza sorprendente che i nostri bambini manifestino atteggiamenti che, nella vita normale, si fanno risalire allo stimolo costituito dall'esempio dei genitori. l bambini piccoli, tra i quindici mesi e i due anni, giocano fra loro in modi o affettuosi o fisicamente violenti, che, se osservati in fami· glia, sarebbero considerati prova del fatto che i bambini sono stati testimoni di manifestazioni affettuose o sessuali da parte dei genitori (l·edi cap. :z). Essi fanno questo anche se non hanno mai avuto le normali occasioni di osservare i genitori o di dividere la camera da letto con persone adulte.6 I maschietti dai tre ai cinque anni sviluppano varie qualità maschili che comunemente si credono dovute all'imitazione di una figura paterna. Nel loro rapporto con le "madri di famiglia~ nell'asilo, a quell'età essi passano dalla dipendenza passiva ed esigente ad atteggiamenti maschili e p!Otettivi. Fanno proposte di matrimonio esattamente come i bambini di quell'età alle loro madri. 11. Bob Smith (tre anni e undici mesi) dava il bacio della buonanotte alla sua "madre di famiglia" dicendo: "Buona notte, Ilsa Smith. ~ Oppure propongono il matrimonio a nome del loro padre. Tony (quattro anni e mezzo), poco dopo la morte di sua madre, disse alla bambinaia prediletta: "Non potresti essere la mia mamma? Non sarebbe bello se tu fossi mia mamma, e mio papà il mio papà?"
Essi cominciano a guardare le femmine dall'alto in basso. 12.. Bob (quattro anni e mezzo) domandò a una giovane bambinaia perché era una ragazza. Quando essa spiegò che la differenza fra maschi e femp1ine è cosa naturale e che si nasce cosl, Bob la guardò pieno di compassione, le prese il viso fra le mani e le diede un bacio.
Anziché chiedere protezione, questi bambini offrono consolazioni. Quando Tony (quattro anni e mezzo) sentl che la bambina predì· letta non aveva né padre né madre, le disse in tono protettivo: "Ma io sono qualche cosa per te, non è vero?" 'V(diancboA.Ftnd,O...rvarioni$u!losviluppainfanlilc(oq~).
6/CJBSClTADnLAPUSONAUT.I.MiLL'ASILO
Questo cambiamento di atteggiamento avviene spontaneamente, come una tappa dello sviluppo. Può essere accompagnato (come per Bob e Tony) da fantasie a proposito di un padre, ma in sé non è direttamente dovuto all'influenza di un padre. Molti di questi bambini non hanno mai conosciuto il padre, non sono mai vissuti a stretto contatto con un uomo, oppure furono separati dal padre nei primi mesi di vita. Le bambine, dai due anni circa in poi, manifestano attributi spiccatamente materni verso i compagni di gioco, i bambini più piccoli e le bambine, anche se non hanno sperimentato le cure di una madre dalla primissima infanzia, né hanno avuto occasione di osservare la propria madre con un bambino più piccolo. Naturalmente nel caso loro è più difficile separare il modello di comportamento mostrato dalle madri da quello delle bambinaie. Nell'asilo residenziale quindi i giochi d'immaginazione non sono tanto diversi, quanto si potrebbe prevedere, dagli stessi giochi nell'asilo diurno o in famiglia. I bambini organizzano i soliti giochi della famiglia con varia distribuzione delle parti ("tu fai il papà", "tu fai la mamma", "tu fai il bambino") e si contendono, com'è usuale, la parte del padre. Come si è dimostrato negli esempi del e:~pitolo precedente circa la funzione del padre, i bambini fanno uso larghissimo di ogni particolare di una vita familiare reale che riescano ad afferrare. Ogni volta che visitano i genitori o ricevono visite, le loro reazioni di comportamento imitativo e di giochi d'immaginazione sono cosi forti che spesso si è portati a credere che durante queste visite si siano veri· ficati episodi estremamente emozionanti. In realtà gli avvenimenti e le azioni più insignificanti da parte dei loro genitori bastano a fornire una potente stimolazione a tendenze che sono pronte dentro di loro. Le emozioni dell'ambiente di famiglia e i modelli di comportamento relativi sono latenti nei bambini, e si manifestano in ogni possibile occasione. (Vedi il padre di Tony che rimescola la pappa di avena; Bob e l'uomo con l'impermeabile.) I bambini senza genitori partecipano alle esperienze dei compagni di giochi; coloro che tra i nostri bambini vanno a visitare la famiglia (c sono una minoranza) ne riportano impressioni di vita familiare che vengono rapidamente prese e utilizzate dai bambini a cui mancano occasioni simili. Cosi il bambino con padre vivo, o un padre che viene a fargli visito, può diffondere il concetto della figura paterna,
con il gioco e il comportamento che ne conseguono, in un intero gruppo di bambini orfani di padre. Ogniqualvolta i bambini lasciano la famiglia per entrare in un asilo, debbono attraversare un lungo e doloroso periodo di adattamento. Nulla nella loro costituzione psicologica li prepara alla vita comunitaria. D'altra parte, ogniqualvolta ritornano in famiglia o sono ammessi in nuove famiglie, riprendono o acquisiscono le emozioni e il comportamento idoneo alle relazioni familiari in brevissimo tempo. Sviluppo mediante identificazione: formazione del carattere Ogni tipo serio di educazione cerca di produrre nel bambino uno stato mentale per cui questi si adatta ai criteri del mondo adulto, non perché è continuamente incitato a farlo, ma perché sono diventati suoi propri. Per esempio i bambini piccoli possono essere addestrati alla pulizia in parecchi modi: stabilendo azioni riflesse automatiche (trattenersi dopo i pasti ccc.); con la paura della punizione per gli'' incidenti" o mediante continue lodi per i buoni risultati sul vasino o nel gabinetto. Ma nessun bambino si conserverl!. sicuramente pulito per un tempo prolungato e se cambiano le circostanze esterne, finché non abbia fatto suo il desiderio della pulizia e provi la stessa antipatia, o perfino il disgusto per lo sporcarsi, che regnano nel mondo adulto intorno a lui. l bambini possono essere indotti a spartire i loro dolci con altri. In uno dei nostri gruppi, essi offrono regolarmente alla sovraintendente una porzione di qualsiasi dolce ricev::mo in regalo dicendo: "Per i tuoi bambini~; i "bambini" della sovraintendente sono naturalmente loro amici e compagni di gioco, ma le parole dimostrano che il dono è fatto in omaggio alla "madre" comune. Questo non vuoi dire che siano di,•entati generosi o abbiano superato l'egoismo e l'ingordigia; non sono "altruisti..- o "generosi" nel vero senso della parola fino al momento in cui essi stessi, senza che sia esercitata su di loro alcuna pressione, non possono più sopportare la delusione o gli sguardi avidi degli altri bambini senza spartire con loro. Nell'affrontare le tendenze aggressive, l'educazione opera mirando al punto in cui il far soffrire un altro cessa di procurare piacere e si risveglia invece il sentimento opposto, la pietà. Nell'affrontare gli impulsi sessuali infantili, i genitori perlopiù non
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sono contenti finché il bambino non scambia il suo ingenuo godimento nel soddisfare i medesimi con la valutazione o condanna di tali impulsi che prevale nel suo ambiente immediato. Un simile cambiamento totale avviene solo per gradi e lentamente. Al principio della sua vita il bambino è dominato soltanto dai propri desideri. Poi impara a rinunciare alla soddisfazione per amore dei genitori. Denick (tre anni e mezzo) diceva della sua "madre di fa· miglia": "Se Sara mi vuole bene, non mi può voler bene quando sono bagnato." Nella fase successiva comincia a condividere le valutazioni dei genitori. Brìdget (due anni e tre mesi), collocata sul gabinetto dopo un incidente nell'ultimo stadio dell'addestra· mento alla pulizia, disse con improvviso sollievo: "Non più pupù per terra; mamma non è contenta, Jean [sua "madre di famiglia"] non è contenta, Bridge t non è contenta." Il compito educativo è assolto sotto ogni riguardo quando il bambino si è consolidato negli atteggiamenti da poco acquisiti, senza che vi sia più bisogno di invocare le immagini delle persone per amore delle quali è stato iniziato il rovesciamento di tutti i valori interiori. Egli allora ha stabilito dentro di sé un centro morale (coscienza morale, Supcr-io) contenente i valori, i comandi e le proibizioni che originariamente erano stati inseriti nella sua vita dai genitori, e che ormai regolano le sue azioni ulteriori, più o meno indipendentemente, dall'interno. La saldezza e la forza, in alcuni casi l'inesora· bilità di queste nuove forze morali nel bambino, dipendono in gran parte dalla forza, profondità e in generale dalla sorte degli attaccamenti che hanno dato loro origine. È su questo punto che il bambino d'istituto si trO\'a svantaggiato al massimo. Un bambino piccolo in un asilo residenziale può acquisire i metodi più rozzi e preordinati di adattamento sociale indotti dall'atmosfera del reparto "piccoli"; metodi di attacco e difesa, del cedere e spartire, del "barattare" e cosl via; può inoltre acquisire convenzioni e schemi di comportamento che obbediscono alle regole dell'asilo e imitano i più grandicelli. Ma nessuno di questi processi, pur contribuendo allo sviluppo della personalit:i del bambino, lo porterà all'incorporazione dei valori morali sopra descritti. Un'identificazione di questo tipo avviene soltanto a una condizione: come risultato e residuo dell'attaccamento emotivo alle persone che siano la personi6cazione vera e viva delle richieste che ogni società civile pone allo scopo di limitare e trasformare le primitive tendenze pul· sionali. Ove simili oggetti amorosi manchino, il bambino è privato
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dell'occasione, sommamente importante, d'identificarsi con queste richieste. I b.1mbini orfani del nostro asilo fanno del loro meglio, come abbiamo descritto, per inventare figure materne e paterne proprie e vivere in stretto contatto emotivo con loro nell'immaginazione. Ma questi prodotti della loro fantasia, per necessari che siano ai bisogni emotivi del bambino, non esercitano le stesse funzioni dei genitori. Sono evocate dal desiderio del bambino per l'oggetto d'amore assente, e come tali soddisfano il suo desiderio; sono la personificazione di fone interne, operanti nel bambino, e come tali testimoniano gli stadi consecutivi di sviluppo. Ma sono riflessi della coscienza morale infantile, che si viene formando sotto l'influenza di un'altra persona, e non sono all'origine di questa coscienza come lo sono i genitori veri. Le persone che logicamente dovrebbero svolgere questa funzione nella vita del bambino-in asilo residenziale sono le persone adulte dell'asilo. La buona o cattiva riuscita dell'educazione nell'asilo resi· clenzialc dipenderà perciò dalla forza degli attaccamenti del bambino ad esse. Se questi rapporti sono profondi e durevoli, il bambino di un asilo residenziale seguirà il corso normale di sviluppo, formerà un Super-io e diventerà un essere morale e sociale indipendente. Se in· vece gli adulti dell'asilo restano figure remote e impersonali, o se, come avviene in alcuni asili, cambiano cosl spesso che non sorge nessun attaccamento permanente, l'educazione istituzionale fallirà su questo punto importante. I bambini, in forza di circostanze interne, manifesteranno difetti di sviluppo del carattere, il loro adattamento alla società potrà restare a un livello superficiale e il loro avvenire sarà esposto al pericolo di sviluppi asociali di ogni specie.
7· Conclusioni
La continuazione o la chiusura degli .:~sili residenziali dopo la guerra sarò\ decisa probabilmente in base a bisogni sociali cd economici, non in base alle esigenze psicologiche. Malgrado ciò, può essere utile avere presenti a grandi lince le circostanze psicologiche degli .:~sili residenziali. Vi sono ambiti della vita infantile nei quali l'asilo residenziale può giovare molto, creando, in modo molto simile al giardino d'infanzia, eccellenti condizioni di sviluppo: salute, igiene, sviluppo delle capacito\, precoci reazioni sociali. Vi sono - e li abbiamo descritti - :~Itri ambiti nei quali è importante che gli asili residenziali riconoscano i propri limiti, come nella vita emotiva c nello sviluppo del carattere; riconoscendoli, potranno affrontarli e combatterne le conseguenze più efficacemente. I lettori che conoscono i concetti della psicologia psicoanalitica comprenderanno facilmente lo speciale interessamento che ha portato le autrici a iniziare queste indagini. La psicoanalisi, fin da principio, ha richiamato l'attenzione sull'importanza preminente dei primi cinque anni di vita. In questo periodo le primitive forze pulsionali operano apertamente nel bambino (sessualit;\ infantile con ramificazioni e derivati; aggressivit;\ primitiva). Nel suo primo attaccamento ai genitori, il cosiddetto complesso edipico, il bambino mette in opera queste forze, e identificandosi poi con i desideri dei genitori (formazione del Supcr-io), si oppone ad esse e respinge i propri fini precedenti. In questo modo la vita pulsionale infantile diventa, in gran parte, rimossa e inconscia, cioè dimenticata. Le sue manifestazioni spariscono dalla superficie, e il bambino che cresce comincia una vita nuova basata sulle sue rimozioni e difese. Dato che siamo abituati a vedere avvenire questi sviluppi sotto l'influenza del complesso edipico, cioè del rapporto con le figure parentali, è interessantissimo per noi indagare che cosa avviene quando l'intera costellazione familiare manca del tutto; come il bambino reagisce alla mancanza di risposte emotive; come egli le sostituisce con l'attivit;\ della sua fantasia; come le forze interne che controllano, trasformano o rimuovono le pulsioni, riescono a operare in queste circostanze. L'allevamento e l'educazione dei bambini in un asilo residenziale,
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ovc sia inevitabile, offre ottime occasioni di un'osserv.:~zione particolareggiata e ininterrotta dello sviluppo infantile. Se queste occasioni fossero ampiamente utilizzate, molto materiale prezioso circa le risposte emotive cd educative nei primi anni di vita potrebbe venire raccolto e applicato all'allevamento degli altri bambini che hanno la fortuna di vivere in circostanze più normali.
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1
1,
N.
1.
975
La psicop;rlologia eonsidesata sullo sfondo dello sviluppo no11nale. Vol.J. Psychop;rtholoCY Seen Apimt lhe &c/:gsound ol Norma/ Dcvelopment, Bsit. j. Poycbi>t.,,"DI.uol•o761.
Piano delle "Opere di Anna Freud"
Volume
1
Scritti 1922-1943 Fant.. ic di percosse e sogni a occhi aperti (lllll) Quattro o:onf~renze sull'onalisi infantile (1916) Quatlro confe<enze di psicoo11alili per i11sqn.onti e IC11Ìlori (19)0) L'inftusso della malattia 6si<:a sulla vita pskhi<:a del bambino (19)0) L'loeimçccanismididife:g(>ll)6) P
Volume 2
lndiruionipcrl'analisiinbntile(>Q4Sl Lo!tudiop!icoonalitioodeidisturbiinfontilidell'olimenbzione(>Q46) Alcuni tipi e sbdi di disadatbmcnto sociale (1949) Alcune difficoltl noi ropporto del prcado!eKentc o:on i ,enitori (1949) llcontributodcl\op:sico.anoli$iallap$io:ologiagenetico.(>949l o,......,zioni rullo sv~uppo infantile (1949) Un esperimenta di edu<:azione di ifUppo (>IIS>) Il concetto di "madre che ,.,.pini"" (1954) n o:onlri\>1110 dato alla psicaon.alisi da\L'aswvorione dirctb dci bambini (1957) O....rvazione del bambino e previsione della sviluppo: conferenza commemorativa in onore di Emll Kri$ (1957) Ado!Mnu (1957) P95:7"6ol
,., Risposte a
dom~nde
di pediatri (>H9)
La funzione dd~ reerenione nello sviluppo psichico (•9•hl Commenti sul traum• P'lithiro (191)4)
Volume 3
Normaliù c
~tolo,ia
ntll'et;\ inr.ntile l•o6sl
Nevr
L'istituto p•iroan.olitico idule: un'utopia (1966) Cure
resid~n>iali
c eurc del bombino in affidamento 1•9661
L'adolcsccoza rome diuurbo tvOluti•·o (1966) Messainatto(r'}67) Jndio;;o~ioni
e eontJoindieaoioni pu l'ono.lisi infantile (ro67)
Discorso alla «rimonlo di .onfcrimento delle loumo alla Yale L.aw School (to67l
DifficottldcllaP'ieo>.nolili:confrontofro.puntidivistopwotiepresenti(ro67l Sintomatoloaia dell'infanzia: tcntativopuliminaredi un.aclossifiCttoJpecialitl della psicoanalisi (1970) Un'opinione )nicoanalitit":l Julla p>icopotolai;, evol~tiva (197.() pJicopotolo~:i:l considontaJu11osfondodello rvilupponormalc(toH)
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