RUTH RENDELL OMICIDIO A THATTO CASTLE (The Speaker Of Mandarin, 1983) Parte prima 1 Il corpo perfettamente conservato de...
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RUTH RENDELL OMICIDIO A THATTO CASTLE (The Speaker Of Mandarin, 1983) Parte prima 1 Il corpo perfettamente conservato della donna chiamata "La Marchesa di Tai" giaceva, protetto da una lastra di vetro, qualche metro sotto di loro. La donna era morta a cinquant'anni, e il cadavere si era conservato per due millenni. Un candido lenzuolo copriva il corpo scarno, che non doveva pesare più di quaranta chili, dal collo alle cosce. Le gambe bianco rosate erano segnate da striature; il braccio destro, in seguito alla riduzione di una frattura, era più corto del sinistro. La Marchesa aveva il viso bianco, gonfio, il dorso del naso incavato, la bocca aperta con la lingua fuori, e nell'insieme esprimeva una sorta di agonia estrema, come se la donna fosse morta per strangolamento. Ma non era così. Secondo il catalogo del museo e a detta del signor Sung, la Marchesa soffriva di tubercolosi e di calcoli alla cistifellea. Poco prima di morire di un attacco di cuore aveva ingerito centoventi semi di anguria. «Aveva avuto un infarto del miocardio» disse il signor Sung, citando a memoria, per abitudine, senza consultare il catalogo. «Molto ammalata, sapete, cuore in pessime condizioni, intestini che funzionavano male... Ola andiamo.» Si spostarono per osservare, attraverso una seconda apertura, gli organi interni della Marchesa e la duramadre conservati in vasi di vetro pieni di formaldeide. Il signor Sung scrutò con aria inquisitoria il viso del suo compagno, sperando forse di notarvi segni di nausea o di disgusto. Ma l'espressione dell'altro era imperturbabile. Il signor Sung emise un lieve sospiro. «Andiamo!» «Vorrei che la smetteste di esprimervi in questo modo» osservò Wexford, irritato. «Se posso darvi un suggerimento, sarebbe meglio dire: "Possiamo andare?" o "Siete pronto?".» Il signor Sung si affrettò a rispondere: «Potete suggelile. Glazie. Sono ansioso di impalale a parlare un buon inglese. Possiamo andale? Siete
plonto?» «Sì, certo!» «No, non lispondete, piego. Mi sto eselcitando. Possiamo andale? Siete plonto? Bene, ho capito. Su, andiamo. Siete pronto a raggiungere la zona archeologica? Rispondete, ora, per favore!» Ritornarono in tassì. Nonostante l'aria condizionata, la temperatura sia nell'edificio sia nella macchina sembrava quella di un forno. Il tassista li portò attraverso la città fino agli scavi dove gli archeologi avevano trovato i corpi della Marchesa, del marito e del figlio e inoltre statuette in argilla di servitori, provviste e vasellame che dovevano accompagnarli durante il viaggio nell'aldilà. Gli altri corpi erano ridotti al solo scheletro e i loro abiti si erano polverizzati. Solo la Marchesa, orrenda, grottesca, avvolta nei suoi indumenti colorati, venti strati di tuniche di seta, aveva conservato la vita nei cerei lineamenti e fissava i visitatori con le vuote occhiaie. Wexford e il signor Sung, attraverso la grata di legno, gettarono uno sguardo nella profonda tomba rettangolare e il signor Sung citò a memoria un lungo periodo della Guida alla Repubblica cinese, edizioni Fodor. Il cinese aveva un'ottima memoria e doveva essersi convinto che Wexford, dato che non era in grado di decifrare gli ideogrammi, fosse incapace anche di leggere nella propria lingua. La sera prima, ingenuamente, si era fatto prestare la Fodor da Wexford. L'inglese aveva smesso di ascoltarlo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sbarazzarsi di quell'accompagnatore dal viso infantile con le guance rosee e gli occhi obliqui. In qualsiasi altro paese del mondo, una somma equivalente allo stipendio di un mese (e dati gli stipendi della Repubblica cinese, ciò sarebbe stato nelle possibilità di Wexford) l'avrebbe liberato per sempre della sua guida-interprete. Ma in Cina erano vietate persino le mance. E, del resto, il signor Sung era incorruttibile. Malgrado la sua giovane età, era già membro del partito. Mentre gli parlava dei grandi statisti, e di Mao Tse-tung in particolare, che era nato nella stessa provincia dalla quale proveniva lui, l'Hunan, una luce di fanatismo gli si era accesa negli occhi e i suoi flaccidi muscoli si erano irrigiditi. Wexford si era chiesto se sarebbe venuto un giorno, nei prossimi vent'anni, in cui, aprendo il «Times», avrebbe letto che il nuovo presidente del partito comunista cinese sarebbe stato un certo Sung Lao Zhong, nato a Changsha. Era davvero possibile. Arrivato alla fine del paragrafo citato a memoria, il signor Sung tirò un sospiro di sollievo per aver compiuto il suo dovere, ma non volle darsi per vinto.
«Chialo?» disse. «Possiamo andare? Ora visiteremo una fabbrica di oggetti di porcellana e, prima di sera, mangeremo nella scuola di tirocinio per insegnanti.» «No, nient'affatto» replicò Wexford. Una zanzara l'aveva punto proprio sopra il malleolo. Il caldo era spaventoso. A Wexford sembrava di star cuocendo lentamente come un arrosto, mentre il sudore viscoso gli gocciolava lungo il corpo come sugo. Ciò non era da imputare solo ai quarantacinque gradi, ma anche alla forte umidità. «No, non faremo assolutamente nulla di tutto ciò. Andremo in albergo, faremo una doccia e poi un bel riposino.» «Non ci sarà più tempo per la fabblica di porcellana.» «Non so che farci.» «È assolutamente necessario vedele il collegio frequentato dal presidente Mao.» «Non oggi» tagliò corto Wexford. L'aria gelida dell'abitacolo dell'auto lo fece inondare di sudore. L'inglese si asciugò il viso. «Benissimo. Spelo che non ve ne pentilete» ribatté il signor Sung, indignato, mentre, come ogni volta che si emozionava, la sua pronuncia incespicava sulle consonanti. «Temo che ne salete dispiaciuto.» Nella sua voce c'era una vaga minaccia. Un altro gesto di ribellione da parte di quell'ostinato visitatore, pensò Wexford, e il signor Sung avrebbe potuto dichiarare che non gli avrebbe più permesso altre omissioni del genere. Se il Lu Xing She, l'Ufficio del turismo cinese, di cui il signor Sun era, per così dire, il vicario in terra, ordinava a Wexford di vedere fabbriche, asili, collegi e raffinerie di petrolio, lui doveva vedere quelle istituzioni, non c'erano dubbi. Il signor Sung si girò e guardò fuori del finestrino. La sua faccia di rado esprimeva qualcosa all'infuori di una burbera affabilità. La sua testa arrivava all'incirca alla spalla di Wexford, sebbene il signor Sung, per essere un cinese meridionale, non fosse di bassa statura. Indossava una camicia di cotone candida come la neve, un paio di pantaloni sformati, anch'essi di cotone, di color verde oliva e sandali di plastica marrone. Suo padre, aveva detto a Wexford, era un quadro del partito, sua madre era medico come sua sorella e sua moglie. Vivevano tutti insieme in un appartamento di due locali, in uno di quei grigi casermoni cittadini, insieme al bimbo del signor Sung, Tsu Ken. Strombazzando per farsi strada in mezzo ai pedoni e ai ciclisti che portavano sulle loro bici chi un paio di maialini vivi, chi un pollo, chi un mobile, l'auto infilò le grigie strade che portavano al Xiangjiang Hotel. A
Changsha erano ben pochi gli edifici costruiti prima della Rivoluzione del 1949. Si erano conservati solo la sede del Kuomintang, con i verdi tetti arcuati, proprio accanto all'albergo, e una chiesa europea diroccata, intonacata di grigio e di cui nessuno sembrava conoscere la nazionalità. Il signor Sung, sceso dalla macchina, entrò nell'atrio insieme a Wexford, e qui strinse la mano a varie persone. Non aveva ancora trovato un comportamento più disinvolto che soddisfacesse anche il suo senso del dovere. Wexford aveva fatto di tutto per dissuaderlo dall'accompagnarlo in ascensore fino all'ottavo piano. Il signor Sung gli chiese se per favore poteva trovarsi pronto alle sette per Una proiezione all'aperto di un film sulla storia della Rivoluzione. «Oh, no, grazie» gli rispose Wexford. «Troppe zanzare.» «Spero che abbiate preso le pillole contro la malattia ogni venerdì.» «Non mi piace essere morsicato.» Il malleolo di Wexford si era enormemente gonfiato. «Cosa piuttosto strana» soggiunse scrutando in uno dei rari specchi la sua faccia bagnata di sudore e bruciata dal sole «io sono un soggetto particolarmente prediletto dalle anofele, ma la passione non è reciproca.» Il signor Sung lo guardò con una gentilezza implacabilmente priva di comprensione. «E non intendo sedermi all'aperto per invitarle a martoriarmi.» «Capisco. È chialo. Voi andate al cinema dell'albergo a vedere La ragazza di Shanghai e Charlie Chaplin nel Grande dittatore. La ragazza di Shanghai è un ottimo film cinese, interpretato molto bene. Siederà vicino a voi, così non perderete neppure una parola della storia.» «Non sarebbe meglio che andaste a casa da vostra moglie e da vostro figlio?» Il signor Sung gli lanciò un sorriso enigmatico. Ancora una volta strinse la mano di Wexford. «Devo fare il mio lavoro, chialo?» Wexford si distese sul leggero copriletto del suo letto dalla testiera in ferro battuto. Il lenzuolo, per qualche strana ragione, era una tovaglia a quadretti bianchi e blu. Dal condizionatore giapponese gli arrivavano sulla fronte sbuffi irregolari di aria fredda, mentre fuori della finestra la sede del Kuomintang e i tetti dalle tegole color marrone di Changsha cuocevano sotto il sole infuocato. Con l'acqua del thermos, che era uno dei gentili servizi della stanza che occupava, si era preparato mezzo litro di tè verde in una teiera decorata con fiori di ciliegio. Nell'albergo la cena veniva servita alle sei (la prima colazione alle sette, il pranzo, orrore! alle undici e mezzo), ma mancava ancora un'ora e mezzo. Wexford non riusciva a inghiotti-
re la limonata con fragole e cassia effervescente che si usava versare nella bevanda per combattere la disidratazione. Così aveva continuato a bere tè verde, preparandoselo personalmente e badando che fosse molto forte, o comprandolo ai chioschi della strada per un fen al bicchiere, circa un terzo di penny. Ora, dopo la seconda tazza di tè, si era appisolato, ma si era svegliato proprio in tempo per fare una doccia e per mettersi una camicia pulita per la cena. A sua moglie avrebbe scritto più tardi, ora non ne aveva il tempo. Hong Kong, dove lei lo stava aspettando, sembrava infinitamente lontana. Scese in sala da pranzo dove avrebbe cenato da solo, con un ventilatore personale, seminascosto agli altri stranieri, alcuni italiani seduti a un ampio tavolo rotondo, da un paravento di bambù. Si sedette e chiamò la cameriera per ordinarle una bottiglia di birra. Entrarono gli italiani e lo salutarono. La cameriera mise in moto il loro ventilatore, scostò il paravento dal loro tavolo e cominciò a servire Wexford. Quella sera c'erano pollo e germogli di bambù in salsa piccante, arachidi fritte nell'olio, spinaci di un verde brillante quasi crudi, zucchini e pesce fritto. Su consiglio di suo nipote Howard e di altri ufficiali di polizia di più alto grado, si era portato in valigia cucchiaio e forchetta perché temeva che il Peking Hotel non possedesse posateria occidentale. Che ingenuo era stato! Il Peking Hotel era austero come un Ritz, aveva l'aria condizionata, era dotato di un'enorme galleria di negozi e i suoi tendaggi si aprivano e si chiudevano elettricamente. Tuttavia nessuno degli ospiti stranieri aveva mai toccato l'argenteria che veniva apparecchiata e fin dall'inizio tutti avevano mangiato come i cinesi. Wexford era diventato abile nel maneggiare i bastoncini quanto un dignitario della Città Proibita. Si era accorto che con i bastoncini riusciva persino a prendere una scivolosa arachide immersa nell'olio, tanto grande era ora la sua perizia. La ragazza gli portò una ciotola di riso e una grossa bottiglia verde di birra Tsing-tao. Quando ebbe iniziato a mangiare, si sentì pervadere da una sensazione di benessere. Dopo due settimane in Cina, faceva ancora fatica a credere che lui, Reg Wexford, un poliziotto di campagna, si trovava qui in Tartaria, nel Cathai, aveva passeggiato sulla Grande Muraglia, aveva messo piede nella Barca di pietra del Palazzo d'Estate, aveva toccato le rosse colonne del Tempio del Cielo e ora stava compiendo un giro turistico nel Sud, per vedere tutte le meraviglie e provare tutte le gioie che il Lu Xing She gli avrebbe permesso.
Quando l'ispettore capo di Scotland Yard Howard Fortune, figlio della defunta sorella di Wexford, aveva detto in una riunione di famiglia che nell'estate del 1980 sarebbe andato in Cina, suo zio aveva provato qualcosa cui non era abituato: l'invidia. Howard naturalmente avrebbe dovuto trascorrere buona parte del suo tempo al tavolo dei congressi. La sezione speciale del governo cinese che l'avrebbe ospitato voleva da lui una consulenza sulla prevenzione e la difesa dal crimine. Quella gente non avrebbe rinunciato al passatempo preferito dei comunisti, quello di mostrare le loro istituzioni nazionali, in questo caso stazioni di polizia, tribunali, prigioni. Ma Howard e i suoi collaboratori avrebbero avuto modo di vedere anche i Palazzi imperiali, la Collina del carbone e il Ponte di Marco Polo. Era una vita che Wexford desiderava vedere la Città Proibita ed era certo che non ne avrebbe mai avuto la possibilità. Ma non ne aveva fatto parola e si era rallegrato con Howard raccomandandogli, come tutti gli altri, di comperare giade e pezze di seta e di portargli un pezzetto della Grande Muraglia come ricordo. Una settimana dopo Howard aveva telefonato per dire che doveva andare a Brighton e che sarebbe passato a trovare lo zio a Kingsmarkham sulla via del ritorno. Il sabato sera alle sei, entrò un pallidissimo e gigantesco uomo che, sebbene fosse in perfetta salute, sembrava avere vent'anni più della propria età. I suoi suoceri vivevano a Hong Kong. Dopo il viaggio in Cina, lui voleva raggiungere la moglie a Hong Kong. Che cosa ne pensava zia Dora di andare a stare con Denise per due o tre settimane? «Viene anche Reg?» aveva ribattuto subito Dora. Era abituata a stare lontana da lui per lunghe ore, anche per giorni. Ma non avrebbe mai accettato di partire lasciandolo solo. «Non è possibile» disse Howard scuotendo il capo. «Sarà occupato altrove.» Wexford pensò che intendesse Kingsmarkham. Lanciò un'occhiata al nipote, non riuscendo a comprendere quella strana scelta di vocaboli. «Ho bisogno di lui a Pechino» soggiunse Howard. Ci fu un lungo silenzio. Wexford trovò infine la voce per chiedere: «Parli seriamente, Howard?» «Certo. Mi hanno dato carta bianca nella scelta dei miei collaboratori e io scelgo te come il miglior detective che io conosca. E ti darò tutte le informazioni che ti occorrono perché tu possa richiedere il visto. I visti sono una tale seccatura se visiti la Cina, come del resto penso vorrai fare!» Ed era proprio quello che stava facendo ora, mentre Howard, appassio-
nato di archeologia, passava il suo tempo in estatica contemplazione dei padiglioni dai tetti gialli di Pechino. Gli altri membri della sua squadra, che cominciavano a sentire qualche disturbo alle coronarie, si erano affrettati a ritornare in volo ai fastidi e ai delitti inglesi. Wexford si era preso due settimane delle sue ferie annuali. Tre giorni prima era partito in volo da Pechino e il signor Sung era andato a riceverlo all'aeroporto di Changsha. Non avrebbe mai potuto dimenticare quel volo, la hostess che gli aveva portato uno strano miscuglio di uova sode, ciambella e prugne secche ricoperte di crème caramel, e i passeggeri (lui era il solo di razza caucasica): i ragazzi e le ragazze vestiti di cotone blu, gli ufficiali di alto rango dell'esercito coreano e i soldati semplici in uniforme grigio verde che si facevano vento con ventagli di seta nera intessuta d'oro. Wexford fu distolto dalle sue fantasticherie da un discreto colpetto di tosse. Il signor Sung era in piedi davanti a lui, e certamente lo aspettava per condurlo al cinema. Wexford lo pregò di sedersi per bere una birra, ma il signor Sung non volle saperne perché era astemio. Alla fine comunque si sedette e cominciò a tenere a Wexford una conferenza sull'alto grado di educazione esistente in Cina, con particolare riferimento all'Istituto di Lingue straniere di Pechino che lui considerava la sua alma mater. Wexford aveva visitato l'università mentre si trovava in quella città? No? Era strano, certamente l'avrebbe rimpianto, ne sarebbe stato spiacentissimo. Wexford bevve due tazze di tè verde, mangiò quattro litchi e una fetta di anguria. «State attento che i semi non vi soffochino come è successo alla signora di duemila anni fa» disse il signor Sung, che aveva un senso dell'umorismo del tutto particolare. Il Grande dittatore era doppiato in cinese. Wexford rimase a vederlo per dieci minuti. Gli sembrava che nel cinematografo ci fossero tutti i bambini di Changsha; ridevano tutti così tanto che rischiavano ogni momento di precipitare in terra dalle ginocchia delle loro madri. Si scusò con il signor Sung, dicendo che, anche se sembrava strano, lui aveva freddo. L'aria condizionata lo colpiva sopra la spalla sinistra e alla base del collo. Uscì a camminare nella via dove il caldo lo avvolse come una pelliccia polverosa e gli sembrò di essere dentro un manicotto. Sul lato opposto c'era il negozio in cui si acquistava il tè. Wexford pensò che quella sera avrebbe dovuto comperarne un pacchetto perché quello fornito dall'albergo era quasi terminato. Continuò la sua passeggiata. Aveva un ottimo senso dell'orientamento.
Gli era utile perché i nomi delle strade erano scritti con segni ideografici che lui non era in grado di decifrare. La città era poco illuminata, una specie di recinto, esotico e fantasioso, senza la minima pretesa di bellezza. In una via laterale alcune persone giocavano a carte sul selciato sotto i lampioni. Ricordando il significato del nome dell'albergo, ritornò indietro dirigendosi verso il fiume. Le strade erano affollate di gente dall'atteggiamento amichevole, troppo educata per fissarlo, sebbene i bambini additassero con risatine soffocate il gigante dagli occhi azzurri. Alle dieci la serata ha termine se ci si deve alzare alle sei del mattino. Wexford si preparò una tazza di tè, poi si coricò addormentandosi subito e piombando in un sogno che non aveva mai fatto o che non faceva da anni. Un incubo. Si trovava in Cina, ma era la Cina della sua gioventù, prima che salisse al potere il comunismo, molto prima che la Rivoluzione culturale distruggesse i templi dei taoisti, dei buddhisti e dei confuciani, quando le città erano ancora circondate da gruppi di pagode. Lui era un giovanotto, probabilmente cinese. In ogni caso sapeva di essere inseguito, forse dai soldati nazionalisti o dai comunisti o dai giapponesi. Camminava scalzo, con un involto sulla schiena, lungo un sentiero a nord della città, fuori delle mura. Tra i massi della porta sul lato della collina vi era una piccola apertura. Lui vi si era introdotto, alla ricerca di un posto per ripararsi durante la notte, e si era trovato in uno stretto passaggio che sembrava condurre nel cuore della collina. Faceva freddo in quel corridoio, e c'era odore di umidità, un odore di antico, forse quello della dinastia Han. Lui continuava ad avanzare, non proprio spaventato, solo un po' preoccupato. Il passaggio era buio, tuttavia non ebbe difficoltà a trovare la strada nella grande stanza rettangolare sia tastandone le pareti con un bastone, sia grazie alla luce di una piccola lampada a olio di bronzo. La lampada ardeva di fianco a una tavola di legno o a una panca che gli era sembrata un letto preparato per il suo riposo notturno. Andò verso di essa e sollevò la stoffa di seta dipinta che la ricopriva e vide distesa la Marchesa di Tai. Quello che aveva scoperto era un sarcofago, che si trovava in una camera funebre. Il viso della donna morta era contratto in una smorfia di agonia, le labbra erano gonfie, gli occhi neri e sporgenti, le labbra contorte mettevano in mostra le gengive retratte, i radi denti giallastri e la lingua gonfia. Indietreggiò verso il luogo da cui era venuto perché dai vaghi tenebrosi recessi della bara saliva un odore dolciastro di carne putrefatta. Ma mentre afferrava il tessuto di seta per ricoprire di nuovo quell'or-
renda cosa morta, le membra striate della Marchesa sembrarono percorse da un brivido e lei si sollevò e allacciò le sue gelide braccia intorno al corpo di Wexford. Lottò per uscire dal sogno e si svegliò con un grido. Si alzò a sedere, accese la luce e subito udì il fruscio dell'aria condizionata e il battito precipitoso del suo cuore. Che sciocco! Doveva essere stato il film o il pesce fritto con lo zenzero o il caldo a procurargli un sogno che sembrava uscito dalla Maledizione della tomba della mummia! Sembrava che non avesse mai visto il cadavere di una donna! In realtà la maggior parte di quelli che aveva visto non erano certo ben conservati come quello della Marchesa. Bevve un po' d'acqua e spense la luce. Fu il giorno seguente che vide per la prima volta la donna con i piedi fasciati. 2 Non era la prima donna in quelle condizioni che vedeva da quando era venuto in Cina. La prima l'aveva vista a Pechino su uno di quei ponti di marmo che attraversano il fossato davanti alla Porta della Pace celeste. Era una vecchina minuta, tutta raggrinzita come diventano le cinesi con il passare degli anni, che indossava una giacchetta nera e un paio di pantaloni. Stringeva un bastone da passeggio in una mano mentre con l'altra si aggrappava al braccio della figlia o della nuora avanzando a passetti zoppicanti. I suoi piedi assomigliavano a zoccoletti. Forse quando era giovane potevano apparire graziosi, ma ora erano solo piedi equini infilati in calze rosa e pantofole nere, grandi come i piedini di un bambino di cinque anni. Wexford dapprima era rimasto affascinato, poi aveva provato un moto di repulsione. La moda dei piedi bendati era cominciata nel 500 dopo Cristo ed era scomparsa solo con l'avvento del Kuomintang. All'inizio fu praticata solo dagli aristocratici, ma poi questa abitudine si diffuse anche tra i contadini finché divenne difficile trovare in Cina una ragazza con i piedi di grandezza naturale. Wexford si era chiesto quanti anni potesse avere l'anziana donna che attraversava il ponte di marmo al braccio della figlia. Forse non più di sessanta. Cominciavano a bendare strettamente i piedi, ripiegando le dita sotto o sopra la pianta, quando la bambina era poco più che una neonata e le ossa erano flessibili. Il potere della moda era tale che nessun uomo avrebbe desiderato una moglie con i piedi normali, una donna che potesse camminare speditamente. Nel 1930, l'usanza era stata bandita
dalla legge e i piedi che potevano ancora essere salvati erano stati liberati dalle bende. Il fascino aveva avuto la meglio sulla repulsione, sulla pietà e sulla ripugnanza e Wexford era rimasto a fissare la donna. Dopo tutto, anche gli altri fissavano lui! Come si sentiva ora quella donna? Che cosa provava? Autocommiserazione, risentimento, invidia per le sue discendenti che avevano avuto maggior libertà e, peggio, per le sue quasi contemporanee che erano state sottratte a quell'usanza? Wexford non lo credeva. La natura umana spesso era insondabile. Nonostante tutto il dolore che aveva sofferto, la limitazione dei movimenti, il quotidiano tormento nel vestirsi, nel lavarsi, nel rifare la fasciatura, con tutta probabilità la donna compativa quelle ragazze che vedeva attraversare il ponte di corsa con i loro grandi piedi sani e, con una punta di snobistico disprezzo, arrancava orgogliosamente sulle sue minuscole estremità deformate. Era stata la prima della serie di donne di questo genere che aveva visto, circa una decina in tutto. E proprio loro gli avevano suscitato la curiosità di osservare i piedi arcuati e ben fatti della Marchesa di Tai, anche se sapeva che lei era nata alcuni secoli prima che quell'usanza si diffondesse. Il mattino dopo, quando ripensò al sogno della notte trascorsa, lo trovò ridicolo. Non gli era mai capitato di avere incubi e non voleva cominciare ora. Doveva essere stato colpa del cibo. La colazione era ben lontana dal costituire un pasto accettabile. Esaminò con rassegnazione la tavola apparecchiata davanti a lui. Panini tostati, gallette, burro rancido, marmellata di prugne, torta alla crema e al cioccolato e biscotti al cocco. Il tè era stato servito in un bricco di alluminio e lui ne bevve due tazze. Il signor Sung si fermò davanti al suo tavolo prima che lui avesse finito. Indossava una fresca camicia rosa. Era infatti una delle persone dall'aspetto più pulito che Wexford avesse mai visto, e i suoi capelli neri erano ancora umidi per il bagno del mattino. Come poteva essere già pronto dal momento che doveva dividere la stanza da bagno non solo con quattro o cinque membri della sua famiglia ma anche con gli altri inquilini dello stesso piano? Era veramente ammirevole. Wexford in quel momento si ricordò con un senso di disagio che qualcuno aveva detto che i cinesi non apprezzano l'odore degli occidentali, dovuto al loro consumo di prodotti caseari. Se ciò era vero, il suo odore ultimamente non doveva essere molto migliorato, pensò, spingendo da parte il burro verdastro e quasi liquido.
«Vi dispiace viaggiare in autobus in compagnia?» «Nient'affatto. Perché dovrebbe spiacermi?» Come se Wexford anziché accettare avesse protestato, il signor Sung gli disse in tono di rimprovero: «Non è economico guidare un autobus per quindici chilometri con una sola persona a bordo. È un vero sperpero. Molto meglio che voi veniate con una comitiva, europei e americani molto simpatici. Chialo?» Gli europei e americani molto simpatici si stavano accalcando sull'autobus mentre lui usciva dall'albergo. Avevano l'aria stanca e oppressa, come se l'ultima cosa che desideravano fosse di essere trasportati nell'ardente campagna cinese, sui luoghi in cui Mao Tse-tung era nato e aveva trascorso l'infanzia. Comunque, non avevano scelta. La loro guida, con la quale quella di Wexford si mise a chiacchierare velocemente in lingua mandarina fumando una sigaretta al mentolo, non appariva tanto spietata, decisa, vivace e amante della pulizia quanto il signor Sung. L'uomo era un po' più alto, un po' più magro, il suo inglese era più scadente, e fu presentato a Wexford come il signor Yu. Si strinsero la mano. Risultò che era un compagno di studi del signor Sung nell'alma mater di lingue straniere. Tra tutte le coltivazioni verdi il riso è il più verde. Wexford osservava fuori del finestrino le pianticelle di riso, alcune appena cresciute, altre quasi pronte per il raccolto. Erano la quintessenza del color verde, forse il verde perfetto di Aristotele, che tutti gli altri verdi dovevano emulare o sforzarsi di farlo. Uomini e donne con indosso vecchi abiti di cotone azzurro e cappelli di paglia conici lavoravano i campi mentre bufali grigi si muovevano pesantemente nell'acqua. Per distrarre il signor Sung e il signor Yu dalle loro entusiastiche disquisizioni sulla carriera politica di Mao, Wexford si fece indicare le coltivazioni di arachidi, di melanzane, di ricino, di cassava, di colocasia e di soia. Numerosi specchi d'acqua, stagni, laghi, canali, punteggiavano lo splendido paesaggio come pietre preziose su una seta lavorata. Dopo un po' il signor Yu si alzò e raggiunse la parte anteriore dell'autobus dove cominciò a tradurre alcuni articoli di un giornale in un pessimo inglese, a beneficio dei turisti. Wexford stava cercando di capire che senso avesse uno sciopero di pirati in Ungheria e il morbillo nell'Afghanistan quando uno degli uomini della comitiva venne a sedersi accanto a lui. Era un ometto con una faccia rossa paffuta e folti capelli rossicci. «Vi spiace se mi siedo accanto a voi?» Che altro poteva dire se non che non gli dispiaceva affatto?
«Mi chiamo Lewis Fanning. Se non mi sedevo accanto a voi, non mi restava che saltar giù urlando da questo maledetto autobus. Voi non potete essere peggio di tutta questa marmaglia e c'è la possibilità che siate addirittura migliore.» «Molte grazie.» Wexford si presentò e domandò una spiegazione riguardo alle notizie raccontate dal signor Yu. «Intende dire piloti e missili. Se avessi saputo che avrebbe partecipato a questa escursione, non sarei venuto. Me ne sarei rimasto nella mia stanza e me ne sarei infischiato. Da come vanno le cose, non credo che lo lascerò arrivare sano e salvo a Canton.» Wexford gli chiese perché fosse venuto se odiava tanto quella gita. «Per l'amor del cielo, non sono in vacanza. Lavoro! Sono il capogruppo. Ho portato questa gente in treno fin qui. Pensavate che fossi così stupido?» «In treno da dove?» «Calais» rispose Fanning. Sembrava divertito dall'incredulità di Wexford. «Ho passato trentasei giorni in treno, compreso il tragitto in Transiberiana. Dieci balordi da guidare attraverso l'Asia. Stavo per perderne una al Muro di Berlino. Hanno sganciato una carrozza e quella è rimasta nell'altro pezzo. È saltata giù urlando e si è messa a correre lungo i binari. È un miracolo che sia ancora con noi. C'è un'alcolizzata e una che non può stare senza uomini. So con certezza che in viaggio ne aveva quattro in altrettante carrozze-letto.» Wexford non poté fare a meno di ridere. «Dove siete diretti?» «Hong Kong. Partiamo domani sera in treno e facciamo tappa a Kweilin. Divido l'alloggio con due tipi che hanno litigato a Irkutsk e da allora non hanno più aperto bocca.» Anche Wexford avrebbe viaggiato su quel treno, in uno scompartimento con quattro cuccette, per quanto ne sapeva, solo con il signor Sung. Era incerto se invitare o no Lewis Fanning a unirsi a loro, ma poi decise di no. Rimase invece ad ascoltare il lungo racconto delle inclinazioni della turista alcolizzata, di come si scolasse una bottiglia di whisky al giorno e di come a Ulan Bator avesse dovuto essere trasportata da quattro uomini sul treno. Avevano continuato così fino all'arrivo a Shao-shan. Avevano bevuto il tè prima di inerpicarsi su per la collina per arrivare alla cascina di Mao. La campagna laggiù aveva quell'aspetto rigoglioso che talvolta capitava di vedere in Inghilterra in quelle rare meravigliose giornate che seguono a un lungo periodo di piogge. Davanti alla casa, da uno stagno poco profondo,
spuntavano rosei fiori di loto con le foglie rotonde a forma di parasole. Il riso era dello stesso verde delicato della giada imperiale. Ma nonostante tutto ciò, il caldo era intenso. Trentanove gradi, aveva detto il signor Yu, al che Wexford, moltiplicando per nove, dividendo per cinque e aggiungendo trentadue, ottenne ben centodue gradi Fahrenheit. All'ombra faceva di colpo terribilmente freddo, ma loro non erano all'ombra e quando scesero la collina, con la testa imbottita di Maoismo, dovevano ancora visitare il museo di Maoiana, prima del pranzo in albergo. Wexford era uno di quegli inglesi che dichiarano di trovare una bevanda calda più rinfrescante di una fredda. Quando ebbero preso posto nella sala da pranzo dell'albergo, bevve circa mezzo litro di tè forte e caldo. Il signor Sung sedette con il signor Yu alla tavola di due guide locali. La comitiva del treno, per qualche imperscrutabile ragione cinese, era stata sistemata dietro un paravento e ancora una volta Wexford si trovò solo. Il caldo lo opprimeva. Si disse: «Mia madre mi ha partorito in un clima nordico». Era per quello che si sentiva abbattuto e pesto a quella temperatura? Dietro di lui un ventilatore agitava l'aria calda e pesante. Due ragazze gli servirono un pranzo luculliano, non meno di sette portate. Uova sode, uova sbattute, uova fritte, germogli di loto, maiale con fette di ananas, anatra con germogli di fagioli, funghi e germogli di bambù, gamberi con piselli e pomodori tagliati a fette. Chiese dell'altro tè. Poi prese i bastoncini di legno intagliato e cominciò a mangiare, mentre il sudore gli scorreva lungo la schiena bagnandogli la camicia. Dall'altra parte della stanza, alle guide erano stati serviti pane tostato, uova dall'aspetto ammuffito e qualcosa che a Wexford sembrò un serpente. «Lo mangerebbero anche se si muovesse» gli aveva sussurrato Lewis Fanning entrando nel locale. «Divorerebbero anche i topi se riuscissero a prenderli.» Alcune risatine soffocate arrivarono dall'angolo in cui si trovavano le ragazze. Sembrava il cinguettio degli uccelli al tramonto. Le voci degli uomini si alzarono facendo sentire la strana purezza dell'antica lingua mandarina. Wexford si chiese come mai gli europei chiamavano gialli i cinesi. La pelle di quei quattro era di un luminoso avorio traslucido, le guance si erano colorate di rosso e le mani apparivano sottili e brune. Distolse lo sguardo, costringendosi a non fissarli. Guardò invece nella parte in ombra della stanza dalla quale emergevano le cameriere. Ed ecco che vide una vecchia in piedi sulla soglia. Lei lo osservava intensamente. Aveva il viso pallido e gonfio, gli occhi
neri come carbone. Difficilmente i capelli dei cinesi diventano bianchi, anzi rimangono neri a lungo nella mezza età, e i suoi sebbene dimostrasse un'età avanzata, erano appena brizzolati. Indossava una giacchetta grigia su un paio di pantaloni neri e i piedi fasciati erano piccolissimi e a forma di cuneo, ricoperti da calze grigie, e pantofoline nere da bambino. Stava piuttosto eretta, pur appoggiandosi a un bastone da passeggio. Wexford pensò che fosse la madre del proprietario o del cuoco. Il modo in cui lo fissava era piuttosto sconcertante. Era come se cercasse di parlargli, come se stesse raccogliendo il coraggio per dirgli qualcosa. Eppure era assurdo. E poi c'era l'angosciosa probabilità che parlasse solamente il cinese. I loro sguardi s'incontrarono di nuovo. Wexford depose i bastoncini, si pulì la bocca e si alzò. Voleva andare dal signor Sung e chiedergli di fare da interprete tra loro, visto che era chiaro che lei desiderava comunicargli qualcosa. Ma prima che avesse potuto raggiungere la tavola del signor Sung, la donna se n'era andata. Si voltò a guardare il luogo in cui lei si trovava e non vide più nessuno. Certamente aveva sbagliato a pensare che avesse bisogno di lui. Non era a Kingsmarkham, ricordò a se stesso, dove spesso la gente lo consultava, sfogava con lui le proprie amarezze o gli chiedeva di intercedere in suo favore. Terminato il pranzo, uscirono di nuovo nell'inesorabile calura per visitare la scuola che Mao aveva frequentato e lo stagno in cui aveva nuotato. Ritornando all'autobus, Wexford cercò ancora l'anziana donna. Scrutò l'oscuro atrio dell'albergo nel caso fosse là dentro, ma di lei non c'era traccia. Molto probabilmente l'aveva osservato così intensamente per la stessa curiosità tipica dei bambini, provocata dalla sua alta statura e dalla sua prestanza fisica, dai suoi abiti, dal colorito roseo, dai capelli biondi che in quel Paese attiravano l'attenzione come un unicorno che galoppi per le strade. «Adesso» disse il signor Sung «andremo alla Scuola magistrale numero uno, alla casa del presidente Mao, allo Stagno dall'acqua chiara.» Saltò sull'autobus con aria allegra. L'ultimo giorno a Changsha Wexford lo trascorse all'Isola arancione e nel museo che raccoglieva i manufatti delle tombe di Mawangdui. Vi era conservata la Marchesa di Tai, questa volta riprodotta in cera e protetta anch'essa, ma accessibile a un esame minuzioso. Wexford bevve circa mezzo litro di tè verde nel negozio del museo. Poi comperò qualche ninnolo di giada per Dora, un ventaglio per la figlia fabbricato con ossa di bufalo che
assomigliavano all'avorio (Sheila, iscritta al WWF, non avrebbe approvato l'avorio autentico) e un quadro su cui erano dipinti un boschetto di bambù e delle cavallette, con il sigillo del pittore in rosso e la sua firma in ideogrammi neri. Le antiche case sull'isola, con i loro giardini cintati, i fiori, la vegetazione intorno e il fiume che le circondava, avevano un aspetto inglese. I muri erano a cannicciata ricoperta d'argilla come i cottage di Sewingbury. Ma l'aria profumava di zenzero e gli alti gigli rosso mattone ardevano nei vapori caliginosi. Poco lontano dal luogo in cui Mao aveva nuotato, ragazzi e ragazze si bagnavano nel fiume. Il signor Sung colse l'opportunità per offrire a Wexford una lettura della struttura della politica cinese che l'inglese non ascoltò. Per poter ottenere il visto aveva dovuto dichiarare sulla domanda la sua religione e le sue idee politiche. Aveva scelto, con spirito umoristico, le definizioni più banali: conservatore, Chiesa anglicana. A volte si era chiesto se quelle dichiarazioni reazionarie erano state comunicate con un modulo rosso alla sua guida. Sedette all'ombra e osservò con aria di approvazione l'arco con il tetto verde a punta, delicato come un gioiello, che si stagliava contro il cielo. Attraverso l'arco, vide arrivare la vecchia dai piedi fasciati che aveva notato nell'albergo di Shao-shan. Questa volta era curva e si appoggiava a un bastone da passeggio con il manico in osso di bufalo intagliato. Wexford si lasciò sfuggire un'esclamazione. Il signor Sung smise di leggere e disse con voce tagliente: «C'è qualcosa che non va?» «No. Solo che mi pare straordinario il fatto di aver visto ieri a Shao-shan quella donna laggiù. Com'è piccolo il mondo.» «Piccolo?» ribatté il signor Sung. «La Cina è un paese grandissimo. Perché la signora di Shao-shan non può venire a Changsha? Lei va e viene come le pare. Tutti i cinesi sono liberi di andare in giro. Chialo? Non vedo la signora. Dov'è andata?» Wexford aveva il sole negli occhi e non vedeva più nulla. «Al di là della porta una donna vestita di nero con i piedi fasciati.» Il signor Sung scosse il capo. «Pessima usanza feudale. Ora ce ne sono pochissime. Sono morte tutte.» Aggiunse poi con spietata indifferenza: «Se non può camminare, perché non se ne sta a casa?» La donna se n'era andata. Aveva riattraversato l'arco o si era inoltrata in uno dei vialetti lastricati tra le aiuole di gigli? Wexford decise di prendere l'iniziativa. «Se siete pronto, possiamo andare?»
Il viso mite del signor Sung fu attraversato dallo stupore. Wexford sospettò che nessun altro turista avesse mai osato far qualcosa che non fosse sottomettersi passivamente a lui. «D'accoldo, chialo. Andlemo al palazzo Yunlu.» Quando stavano per lasciare l'isola, incontrarono la comitiva del treno guidata dal signor Yu. Lewis Fanning non si vedeva da nessuna parte. A fianco del signor Yu, immerso in una accalorata conversazione con la guida, camminava il più giovane dei due uomini che avevano litigato sulla Transiberiana, quello che aveva l'aspetto migliore. Il suo nemico, un uomo alto e allampanato, teneva unita la retroguardia della comitiva e si guardava intorno con aria nervosa e infelice. Gli abiti delle donne in quei trentasei giorni di treno si erano irrimediabilmente sciupati. Alcuni erano scoloriti o consumati per i lavaggi troppo frequenti, altri sporchi e sgualciti perché non erano stati mai lavati. Wexford non aveva avuto la minima difficoltà a scoprire qual era la ninfomane e quale l'alcolizzata: rispettivamente una donna molto truccata e una dall'aspetto scialbo. A parte queste quattro persone, la compagnia era formata da un'altra donna sola e anziana, e da due coppie sposate in età avanzata, una delle quali era accompagnata dalla figlia non più molto giovane. Tutto sommato, pensò Wexford, sembrava che la gioventù e la bellezza non potessero permettersi un lungo viaggio di cinque settimane attraverso l'Asia. Quella sera intorno ai loro rispettivi tavoli erano stati sistemati i paraventi e lui non riuscì più a vedere la comitiva fino a quando non s'imbarcarono sul torpedone per Chuchow, dove avrebbero preso il treno proveniente da Shanghai e diretto a Kweilin. 3 L'aereo sarebbe stato più comodo e più veloce. Naturalmente per la comitiva di Fanning, che doveva fare il viaggio a tappe, andava bene il treno, ma Wexford avrebbe potuto andare in aereo. Comunque non dipendeva dalla sua volontà, ma da quella del Lu Xing She e del signor Sung. Sul pullman poteva disporre di due sedili. Senza parlare, osservava gli altri passeggeri. Un paio di giorni in albergo a Changsha li aveva fatti rinascere e avevano un po' perso quell'aria di chi sembra sbucato da una siepe. Anche i due nemici si erano assicurati due posti per ciascuno. Uno si era
messo dietro il conducente, l'altro nella fila opposta a quella di Wexford. Con la coda dell'occhio Wexford lesse il cartellino legato alla borsa dell'uomo più anziano: A.H. Purbank e un indirizzo di un posto nell'Essex. Purbank doveva avere circa quarantacinque anni, il suo aspetto era malaticcio, scarno. Indossava un paio di jeans sformati e una camicia verde pallido aperta sul collo. Anche il suo azzimato avversario dai capelli neri era in jeans, ma i suoi erano di cotone e gli si adattavano perfettamente. Gli davano un'aria alla moda e disinvolta. L'uomo si era girato sul sedile e ora stava parlando con la donna seduta dietro di lui. Si trattava della figlia di una delle coppie anziane che poco dopo si alzò per andarsi a sedere nel posto vuoto accanto a lui. Wexford lanciò un'altra occhiata a Purbank e pensò a come doveva essere stato faticoso il viaggio per tutti quei chilometri da Irkutsk, poco distante dal lago Baikal, fin là con un uomo con il quale non si vuole scambiare neppure una parola. Che cosa aveva originato la lite che era scoppiata tra quei due viaggiatori dall'aspetto inoffensivo? Erano tutti e due inglesi, appartenevano tutti e due al ceto medio, erano con tutta probabilità benestanti, certamente inclini all'avventura, avevano dunque un bel po' di cose in comune. Eppure avevano litigato così aspramente da non voler più rivolgersi la parola per tutto quel vasto territorio dell'Asia orientale. Alla tavola degli alberghi dovevano essersi seduti, se non insieme, per lo meno piuttosto vicini l'uno all'altro. Forse erano stati sistemati in camere contigue. Adesso avrebbero diviso una cuccetta di due metri e quaranta per uno e cinquanta respirando la stessa aria calda al buio per otto o nove ore. Era grottesco. C'era forse uno di loro o tutti e due fra i quattro uomini con i quali Fanning pretendeva che quella bella e truccatissima creatura un po' sfiorita, che indossava una camicetta macchiata e un paio di pantaloni bianchi, avesse allacciato una relazione per tutto il viaggio? Fanning sicuramente esagerava. Certamente tra i suoi partner non poteva aver indicato il padre della donna bionda, che in quel momento dormiva con il cappello di cotone bianco calato sugli occhi, o l'uomo austero dai capelli d'argento che aveva una moglie assai brutta. Wexford rifletté che Fanning non aveva specificato se si trattava dei membri della comitiva e la Transiberiana poteva essere stata piena di altri uomini. Il cielo luminoso si era rannuvolato e aveva incominciato a cadere una calda pioggerella. Stava ancora piovendo quando entrarono nella stazione. A ogni sportello del treno era ritta in attesa una ragazza con l'uniforme gri-
gia e la stella rossa della Repubblica popolare sul berretto. A Wexford fu mostrato il suo scompartimento letto. Le cuccette erano pulite e comode, ma faceva terribilmente caldo: il termometro alla parete segnava trentasette gradi. Quando il treno si mise in moto, l'inglese spalancò il finestrino e avviò il ventilatore. Attraverso le tendine della carrozza arrivò un'aria leggermente più fresca. Appena furono partiti entrò il signor Sung. Wexford, che aveva trovato un thermos ed era indaffarato con il Silver Leaf che aveva comperato a Changsha, gli offrì una tazza di tè, ma il signor Sung rifiutò. Qui, come altrove, riusciva a dare l'impressione di essere sempre occupato e pieno di vitalità. Disse che alle otto avrebbero aperto la carrozza ristorante e che si potevano richiedere le bevande: birra, vino rosso e bianco, Maotai, forse un whisky giapponese. Wexford sorseggiò il suo tè mentre leggeva la Fodor. Era ormai l'imbrunire, e con il sopraggiungere dell'oscurità anche il caldo era diminuito, sebbene ne entrasse ancora qualche vampata attraverso le sottili maglie della tendina. Il treno correva veloce, lasciando dietro di sé la provincia dell'Hunan nascosta dalle tenebre. Wexford uscì nel corridoio per cercare la toilette e la stanza da bagno. Accanto alla stanza da bagno, nel primo scompartimento della carrozza, c'erano quattro cinesi di Hong Kong, con indosso camicie hawaiane e pantaloni bianchi, che giocavano a carte. La porta di quello successivo era aperta e, mentre lo oltrepassava, Wexford udì una voce apostrofarlo: «Oh, scusatemi. Mi chiedevo se potevamo disturbarvi un momento.» Wexford entrò, nient'affatto riluttante. Era piuttosto curioso riguardo a quelle due donne e desiderava osservarle più da vicino per farsene un'idea. Quella che era stata indicata come l'alcolizzata era distesa in una delle cuccette inferiori. Aveva lasciato cadere le scarpe sul pavimento e due cuscini le tenevano i piedi sollevati. Gli rivolse un sorriso languido. «È così terribile dover darsi da fare continuamente per farsi capire da questi cinesi» disse l'altra «e quell'odioso Yu che è scomparso di nuovo. Sparisce sempre quando si ha bisogno di lui. Immagino che così giochi a rendersi più prezioso! Che ne dite voi? Ah, fra l'altro, io sono Lois Knox e questa è Hilda Avory. Il vostro nome lo conosciamo già, l'ho osservato sul vostro bagaglio. E ora, per favore, per favore, potete essere così terribilmente carino da mettere in moto il ventilatore?» L'inserviente che aveva mostrato a Wexford il suo scompartimento gli aveva avviato il ventilatore. Così ora non ebbe difficoltà a trovare l'inter-
ruttore, abilmente nascosto sotto il ripiano del tavolo. Lois Knox gli strinse tutt'e due le mani con entusiasmo infantile. «E visto che siete così intelligente, potreste essere un tale angelo da scoprire come si chiude quella maledetta radio?» Wexford aveva pensato che quella musica marziale che l'aveva accolto al suo ingresso, e che ora era stata interrotta da quello che doveva essere un discorso politico, fosse diffusa per desiderio delle due viaggiatrici. «Oh, no, noi la odiamo, vero, Hilda? Deve esserci una manopola là sotto, ma è rotta e non si muove. Così non possiamo chiudere occhio.» Gli occhi della donna erano azzurri come il mare, occhi bellissimi che lo fissavano intensamente. Aveva i muscoli del viso piuttosto flaccidi e la linea della mascella non era più ferma, ma c'era in lei qualcosa di giovanile mentre l'aria del ventilatore le faceva ondeggiare i capelli neri. Erano capelli tinti, bruno grigiastri alle radici dopo cinque settimane senza le cure di un parrucchiere. «Siete solo, vero?» Non aspettò neppure la conferma. «Noi non ne possiamo più di stare su questo schifoso treno, Dio ci aiuti. Come vorremmo cambiare con un aereo o anche con un misero pullman, giusto, Hilda?» Hilda Avory non rispose. Sporse una mano per afferrare la sua tazza di tè e bevve rabbrividendo. Aveva l'aria depressa, la pelle lucida, ciuffi inanellati le ricadevano sulla fronte, parti dell'abito aderivano al corpo magro, come se si fosse trovata sotto la pioggia o avesse sudato a profusione. Wexford si mise a cercare i tasti di comando della radio. «Potrei sistemarla se avessi un paio di pinze.» «Figuriamoci, come potremmo spiegare la parola pinze a quell'impenetrabile piccolo Yu! Volete una tazza di tè? O del laoshan?» «Si tratta di acqua minerale cinese» lo informò Hilda Avory, aprendo bocca per la prima volta. Aveva una voce rauca, incredibilmente profonda. «Mi dispiace moltissimo di non aver qualcosa di più forte, ma il fatto è che Hilda si è scolata tutto, vero, cara? E non si sente abbastanza saggia da tenere dell'alcol qui intorno. È una tentazione così terribile, capite!» Sembrava che non ci fosse molto da dire al riguardo. Accettò una tazza di tè. Improvvisamente la musica esplose di nuovo in una specie di versione cinese del «Washington Post». «Che cosa possiamo fare?» gridò Lois Knox. Protese le mani in atteggiamento supplichevole. Aveva le unghie rosse lunghe come quelle di una donna manciù. «Finiremo per diventare pazze furiose entro domattina.» «Che ne dite di tagliare i fili?» chiese Wexford.
La voce profonda si alzò dall'altra cuccetta. «Non è una buona idea. Ho sentito di qualcuno che lo ha fatto in Cina e ha dovuto pagare per rifare l'impianto radio di tutto il treno. Gli è costato migliaia di yuan.» «Vedrò che cosa posso fare» assicurò Wexford. Bevve il suo tè e uscì in corridoio per cercare un ferroviere. Il solo che vide, un ragazzo molto giovane, sonnecchiava con il capo appoggiato alla parete in una nicchia accanto alla stanza da bagno. Wexford si diresse nell'altra carrozza attraverso il passaggio a soffietto, mentre il sudore gli scendeva per tutto il corpo e grosse gocce gli cadevano dalla fronte fin sopra le labbra. Se ci si allontanava dai ventilatori, il caldo era terribile. Ora fuori non si vedeva altro che tenebre, e attraverso la parte superiore del finestrino faceva capolino qualche timida stella dal bagliore tremulo. In uno scompartimento, con il signor Yu e un altro giovane cinese, sedeva il signor Sung. Tutti e tre erano intenti a studiare una mappa del fiume Li che avevano disteso sul tavolo. «Il ristorante aprirà alle otto» gli annunciò il signor Sung non appena lo vide. Tutte le guide dovevano essere convinte che i visitatori occidentali avessero bisogno di mangiare e bere tutto il giorno per poter conservare il loro equilibrio, e che ogni richiesta che ricevevano dai turisti dovesse necessariamente riguardare cibo, tè o birra. «Tornerò a prendervi quando il ristorante aprirà.» «Desidero un paio di pinze» ribatté Wexford. Il signor Sung, il signor Yu e l'altro uomo lo guardarono con una espressione di muta interrogazione. A Wexford venne in mente quella volta, a Pechino, quando aveva chiesto a un interprete dove avrebbe potuto comperare una scatola di aspirine ed era stato indirizzato a un negozio di gelati. «Ponce» lo corresse infine Sung. «Volete un ponce?» intervenne il signor Yu. «Avrete quanti ponce vorrete quando aprirà il ristorante, più tardi.» «Non voglio ponce, voglio le pinze.» Wexford fece con le dita il movimento di stringere, e mimò l'azione di estrarre un chiodo dalla parete. Il signor Sung lo fissò con gentilezza. Il signor Yu lo guardò e poi rise. L'altro gli porse un grosso libro malconcio che risultò essere un dizionario inglese-cinese. Wexford indicò pinze e l'ideogramma corrispondente con la punta del dito. Tutti sorrisero e annuirono. Il signor Sung uscì nel corridoio e fece ritorno con una ragazza che prestava la sua opera sul treno e che porse a Wexford un paio di pinzette per i peli. Wexford si arrese. Mancava un quarto alle otto e incominciava a deside-
rare fortemente una birra. Nel passaggio tra i due vagoni incontrò la donna un po' più anziana che faceva parte di quello che sospettava, sebbene non ne fosse certo, fosse un ménage à trois. Aveva in mano un pacchetto di bustine da tè. «Oh, buonasera» lo salutò lei. «Questa è una specie di avventura, vero?» Wexford non capiva bene se dicesse seriamente o se stesse ironizzando, o peggio ancora, tanto più che continuò, il capo un po' inclinato da una parte: «Noi inglesi dobbiamo stare uniti, questo l'ho sempre detto.» Finalmente comprese, più per intuizione che per vera comprensione, dove volesse arrivare. Non era né spiritoso né particolarmente intelligente, anche se nelle intenzioni della donna voleva essere tutt'e due le cose, e si riferiva al fatto che lui aveva per breve tempo parlato con Lois Knox, cosa che lei aveva probabilmente osservato dal corridoio. Aveva un'espressione ironica, la bocca le tremava un po'. Era piccola e minuta come una cinese e indossava un completo pantaloni unisex blu scuro. Che cos'era per quell'uomo che Fanning aveva definito un avvocato in pensione? La sorella? La cognata? La confidente della moglie o la vedova del suo miglior amico? Mentre entrava nello scompartimento accanto a lui, osservò che non portava anelli nella mano sinistra. Nella rientranza accanto alla stanza da bagno il ragazzo era ancora addormentato con la testa appoggiata alla parete. Wexford vide una cosa che prima gli era sfuggita, e cioè una borsa di tela per gli attrezzi sul pavimento ai piedi del ragazzo. Si chinò, aprì la borsa e prese un paio di pinze. Fuori dei finestrini sfilarono alcune deboli lampade. Stavano oltrepassando un villaggio o una cittadina. Per un attimo si poté vedere il profilo delle montagne e poi le tenebre ripiombarono di nuovo, mentre il treno riprendeva a correre veloce. Wexford stava in piedi sulla soglia dello scompartimento di Lois Knox. La radio era ancora accesa e trasmetteva una scelta di pezzi dal Lago dei cigni. Hilda Avory era ancora distesa nella cuccetta inferiore e, in fondo a essa, accanto ai piedi della donna, era seduto Purbank. Sembrava stesse rivolgendo loro un'arringa proprio sull'argomento che costituiva la ragione della visita di Wexford in Cina, la prevenzione del crimine. Il viso di Lois aveva l'espressione di una donna che aveva imparato fin da piccola che gli uomini devono essere adulati a ogni costo. Gli occhi di Hilda erano chiusi. «Questi comunisti fanno un mucchio di discorsi roboanti sulla loro abilità nell'abolire il crimine. Tutto bello, sì, ma in pratica sappiamo che non è affatto vero. Tanto per dire, dove mi hanno rubato l'orologio e la tessera
del Diner's Club e tutto quel denaro? Non in Europa, oh no! Nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. E, notate bene, in un treno. Ora, perché qui dovrebbe essere diverso? Perché non possiedono beni materiali, o peggio, solo poche cose, potete scommetterci che non aspettano altro che di mettere la loro piccola calda mano sugli averi dei ricchi capitalisti, cioè sulla vostra roba. Dunque non lasciate niente nello scompartimento, portate tutto con voi, e quando...» Wexford tossì. Lois lo vide e balzò su a mani giunte. Durante la sua assenza si era messa un po' di rossetto, si era truccata gli occhi e aveva sostituito il leggero vestito giallo dalla scollatura profonda con un abito nero. «Oh, che paura mi avete fatto! Tony ci stava sconvolgendo con racconti di furti e di assassini.» Purbank si comportava da vero macho, rassicurando la piccola donna con risate fragorose. «Quando mai ho parlato di delitti? Non ho mai detto una parola riguardo ai crimini. Ho solo fatto presente quanto sia inopportuno lasciare denaro in giro.» «Troppo giusto.» Wexford tastò sotto il tavolo finché riuscì ad afferrare con le pinze la manopola rotta e la girò in senso antiorario. La musica cessò. «Oh, che uomo meraviglioso, meraviglioso!» esclamò Lois. «Sentite che benedetto silenzio! Finalmente un po' di pace! Che ne dite di quel modo imperioso con cui è entrato nello scompartimento? Tu non riusciresti a farlo, Tony. Il massimo che hai saputo fare è stato di dirci che dovevamo rassegnarci a sopportare la radio tutta la notte e che potevamo venir derubate.» «Da' una tazza di tè a quest'uomo» borbottò Hilda dal suo cuscino. «Gli darò tutto quel che vuole!» Porse la tazza a Wexford, tenendola con tutt'e due le mani e inchinandosi nel modo in cui probabilmente pensava facesse la concubina di un imperatore. «Oh, almeno tu non avessi bevuto tutto lo scotch, Hilda!» In quel momento sulla soglia apparve il signor Yu per annunciare che il ristorante era aperto e che per favore lo seguissero. Forse memore dell'avvertimento di Purbank, Lois raccolse il borsellino, la borsetta, la borsa e tutto quello che poteva sembrare un portagioielli. Wexford bevve il tè che era diventato tiepido, rendendosi conto di essere in trappola e di dover scortare le due donne insieme a Purbank. Essendo in Cina, pensò che difficilmente il ristorante sarebbe rimasto aperto a lungo. Dappertutto aveva osservato che la vita notturna cessava alle dieci. Ma c'era qualche probabi-
lità di poter dormire in quel treno soffocante? Si sentì cogliere da quelle sensazioni che derivano dal non aver dormito abbastanza. Non era proprio stanchezza, piuttosto un senso di vertigine e di irrealtà. Percorsero il corridoio, Wexford per ultimo nella fila, subito dietro a Lois. L'inserviente era ancora addormentato, ma la sua testa era scivolata giù dalla parete e si era appoggiata al tavolo. Wexford infilò le pinze al loro posto nella borsa di tela. Lois non si era accorta della sua assenza e aveva continuato a seguire gli altri. Wexford rimase un momento davanti al finestrino, cercando di capire quale fosse il paesaggio che li circondava in quelle tenebre che scorrevano via. Udì un passo poco lontano, nella direzione dalla quale erano venuti. Si girò e, a qualche metro da lui, vide la vecchia con i piedi fasciati che gli si stava avvicinando. Quella volta non aveva il bastone da passeggio. Lo aveva seguito sul treno? Chiuse gli occhi. Quando li riaprì la donna era scomparsa. Era entrata in uno scompartimento? Una mano dalle lunghe unghie rosse si posò sul suo braccio e gli giunse il profumo di Lois Knox. «Reg? Venite, caro, pensavamo di avervi perduto.» La seguì lungo il corridoio fino alla carrozza ristorante. Tendaggi di velluto blu, tendine di pizzo, e sui sedili quelle fodere di cotone bruno grigiastro che in Cina coprono tutte le sedie delle sale d'aspetto: dei treni, degli aeroporti e persino degli aerei. Lois tamburellò sulla sedia accanto a lei ed egli non poté fare a meno di sedersi lì. Sulla tavola c'erano un piatto di dolci incartati, un piatto di savoiardi a forma di cuneo, una bottiglia di vino che conteneva alcol, secondo Purbank, e una bottiglia di alcol che conteneva vino. Tutti e due i liquidi avevano il colore del Riesling. Wexford ordinò al cameriere una bottiglia di birra. Purbank, accendendosi un sigaro, incominciò a parlare della frequenza dei furti con scasso nella zona dell'Essex. La carrozza ristorante era piena. I passeggeri cinesi mangiavano germogli di bambù e verdure in ciotole di terraglia. Le guide bevevano il tè, bisbigliando in Pu Tong Hua. Dietro a Wexford, le due coppie sposate erano sedute a uno stesso tavolo e il più anziano degli uomini, con quel tono di voce gioviale e insensibile comune a molti chirurghi, stava descrivendo ai suoi compagni l'antica arte di bendare i piedi. Mentre parlava dell'atrofia delle dita dei piedi, la moglie dell'avvocato ebbe un sussulto di repulsione. Arrivò la birra. Era calda e dolciastra. Wexford fece una smorfia e richiamò il cameriere che stava girando con una teiera in mano. Sotto la to-
vaglia, il ginocchio di Lois lo toccò. «Scusatemi» disse Wexford alzandosi e si diresse verso la tavola del signor Sung. «Fatemi sapere quando siete pronto per andare a coricarvi. Non voglio tenervi alzato.» Sorse allora uno di quegli equivoci tanto difficili da chiarire. Perché mai Wexford voleva che lui, il signor Sung, andasse a letto? Non era ammalato! Erano solo (disse precisamente il signor Sung) le duemilacento ore. Fu estratto di nuovo il dizionario. Il signor Yu sorrise benevolmente, mentre fumava una sigaretta. Finalmente trapelò che il signor Sung non dormiva affatto nello scompartimento di Wexford, che non aveva mai avuto intenzione di dormire con lui, e che avrebbe invece diviso lo scompartimento con il signor Yu e con l'altro uomo che presentò come il signor Wong. Poiché il treno non era affollato, Wexford era stato sistemato da solo. Egli allora si diresse verso Lewis Fanning e gli offrì una delle cuccette disponibili nel suo scompartimento. Ma Fanning rispose in un modo che sarebbe stato di grande interesse per uno studioso del carattere. «Santo cielo! Non potrei lasciare quei due da soli! Si strozzerebbero in un batter d'occhio. Si farebbero a pezzi. No, vi sono terribilmente grato e lo sarò per tutta la vita.» Al che Wexford dedusse che Fanning era ben lontano dal temere l'arrivo della notte e non vedeva l'ora di cavare da essa il massimo del suo valore drammatico per la gioia di quelli che volevano ascoltarlo. Il signor Sung, il signor Yu e il signor Wong avevano incominciato a giocare a carte. Il chirurgo stava tracciando disegni di metatarsi, prima e dopo la fasciatura, su un tovagliolo. Wexford si sedette di nuovo. La sua tazza era stata riempita di tè. Per rifarsi di tutto il tempo che aveva passato con la gola secca, Hilda Avory continuava a bere da un bicchiere riempito con il vino della bottiglia che per Purbank era invece alcol cinese Maotai. Intanto Purbank non cessava di raccontare aneddoti riguardanti tutti i furti e le violazioni di domicilio che conosceva. Il ginocchio di Lois Knox si appoggiò di nuovo contro quello di Wexford, che si sentì colpire la caviglia dalla punta del suo piede nudo, dopo che lei ebbe lasciato cadere il sandalo sotto il tavolo. Il treno correva nelle tenebre, attraverso un'oscurità che non lasciava intravedere la linea di demarcazione tra terra e cielo e che non era punteggiata da alcuna luce. La donnina con il completo pantaloni blu entrò nella carrozza ristorante ed esitò un istante prima di dirìgersi alla tavola alla quale sedevano le due coppie sposate. L'avvocato balzò in piedi e spostò una sedia perché lei vi
prendesse posto. E allora Wexford capì che l'anziana donna che aveva visto era lei. Avanzava lungo il corridoio quando lui si era allontanato dal finestrino. E mentre teneva gli occhi chiusi, la donna era sparita nel suo scompartimento. Anche lei era una creatura piccola ed esile, anche lei indossava giacca e pantaloni scuri, e sebbene i suoi piedi non fossero mai stati costretti nella fasciatura, non erano molto più grandi di quelli di un bambino ed erano infilati in quelle nere pantofole cinesi che si vendevano ovunque. Rise tra sé. Doveva essere molto affaticato e piuttosto sciocco per credere veramente che la donna cinese si fosse trovata a Shao-shan e poi all'Isola arancione e l'avesse quindi seguito sul treno per Kweilin. Bevve il suo tè e poi accettò un bicchiere di Maotai. Chi sa? Poteva servirgli per addormentarsi. Hilda Avory si alzò in piedi vacillando. Con tono incerto disse: «Penso che, se provo ora, riuscirò a dormire un po'. Per favore, non stare a lungo, Lois. Se entri a mezzanotte e fai rumore, mi sveglierai.» «Cara, non ho mai fatto rumore» protestò Lois. Si avvicinò di più a Wexford. «Sii un angelo e dalle una mano, Tony. Questo tenibile treno non fa che sussultare.» Purbank esitò, indeciso tra l'essere un gentiluomo e ordinare un'altra bottiglia di vino ai fiori d'alloro prima che il bar chiudesse. Fanning, che vigilava, stava per alzarsi dal suo posto. «Lasciate fare a me» disse Wexford, cogliendo quell'opportunità. Lois emise un piccolo suono petulante. Lui le sorrise, quasi come se avesse a che fare con un bambino difficile che, dopo tutto, non è il proprio e che non si incontrerà mai più. Poi prese Hilda per il braccio e la guidò attraverso i tavoli fuori nel corridoio. Lei sudava abbondantemente, ma il sudore sapeva di profumo francese: le colava dal braccio inzuppandole la manica della camicia. Fuori del finestrino, il parallelepipedo di un edificio costellato di puntini luminosi balzò fuori dalle tenebre e si allontanò al passaggio del treno. Wexford fece scorrere la porta dello scompartimento accanto al suo e la aiutò a entrare. C'era un profondo silenzio. Il ventilatore era stato spento e l'aria era pesante, densa e calda, ed emanava un leggero sentore di fuliggine. Il termometro segnava 35 °C. Riaccese il ventilatore. Hilda cadde sulla cuccetta di sinistra e si distese prona. Wexford rimase a guardarla per qualche minuto pensando se c'era qualcosa d'altro che potesse fare, ma poi decise di no. S'inumidì le labbra, passandosi la lingua anche sul palato. Il Maotai gli aveva fatto venir sete di nuovo. Chiuse la porta ed entrò nel suo scompartimento.
Il ventilatore era spento anche qui. Wexford lo accese e tornò verso la cuccetta inferiore di sinistra. Il suo thermos era stato riempito e sul tavolo c'erano due bustine di tè. Non gli erano mai piaciute le bustine di tè. Mise un'abbondante razione di Silver Leaf nella tazza e vi versò sopra l'acqua quasi bollente. Dal liquido emanò un pungente profumo aromatico, non diverso dal pacchetto di tè del supermercato vicino a casa sua. Bevendo il tè, fissò per qualche istante l'oscurità senza stelle che scorreva davanti al finestrino e poi abbassò la tendina. Lois Knox e Purbank avanzavano insieme lungo il corridoio. Riusciva a udire le loro voci ma non quello che dicevano. Poi Purbank parlò più forte. «Buonanotte, signore.» Il suo passo si allontanò. Wexford attese che il corridoio fosse vuoto, poi si diresse verso la stanza da bagno. Il gabinetto era vuoto, la stanza da bagno occupata, perché l'avvocato l'aveva preceduto. Nel gabinetto faceva caldo e un nauseante odore di ammoniaca colpiva le narici. Il treno sussultò e fischiò. Wexford aspettò in corridoio, guardando il nulla fuori del finestrino. Augurò la buonanotte al dottore e a sua moglie che lo oltrepassarono e continuò ad attendere che l'avvocato uscisse dalla stanza da bagno e la lasciasse libera. Il nemico di Purbank e la figlia del dottore, pensò, non si erano visti con il resto della comitiva nella carrozza ristorante. Una pausa romantica? La porta della stanza da bagno si aprì e ne uscì l'avvocato che disse brevemente: «Buonanotte» e si allontanò con in mano l'asciugamano marrone scuro e la borsa da toilette di spugna scozzese. Wexford si lavò le mani e la faccia, si risciacquò i denti cercando di non inghiottire l'acqua. Avrebbe dovuto portarsi dell'acqua nel thermos! Tutte le porte degli scompartimenti erano chiuse. La luce che rischiarava il corridoio era stata abbassata. Wexford si chiese, e non era la prima volta, se in tutta la Cina esistesse una lampadina da cento candele. Spinse la porta del suo scompartimento. Sulla cuccetta di destra, distesa supina, con le gambe a strisce bianche e rosa che uscivano di lato da sotto il lenzuolo bianco, il viso pallido e gonfio, il naso affilato, la bocca aperta e la lingua sporgente, c'era la Marchesa di Tai. 4 Non gridò. Chiuse gli occhi e strinse i pugni. Invece di guardare di nuovo quella cosa morta, mummificata, quella cosa di duemila anni fa, si girò
e corse fuori nel corridoio, senza accertarsi di avere chiuso la porta dietro di sé. Percorse il corridoio. Il finestrino della stanza da bagno era aperto e Wexford si sporse per respirare un po' d'aria fresca. Mise la testa fuori nelle tenebre che gli correvano incontro. Nessuno sapeva meglio di lui che quella era la cosa più imprudente che potesse fare. Anni prima, quando era giovane, gli era stata affidata un'inchiesta su un uomo che aveva sporto la testa fuori del finestrino di un treno ed era stato decapitato quando il treno era entrato in una galleria. Respirò profondamente e chiuse di nuovo gli occhi. Non riusciva a pensare. Avrebbe dovuto tornare indietro e fare qualcosa. La porta della stanza da bagno era aperta e qualcuno disse: «Oh, scusate.» Era il vecchio dottore. «Stavo proprio uscendo» bofonchiò Wexford. Si chiese se il suo viso era davvero pallido come se lo sentiva. Ma il dottore sembrò non essersi accorto di nulla, e borbottando tra sé cominciò a lavarsi le mani. Wexford ritornò nel corridoio e ripercorse in fretta la strada che aveva fatto prima, procedendo alla cieca. Così andò a cozzare contro Lois Knox che stava aprendo la porta scorrevole del proprio scompartimento. Indossava una vestaglietta bianca di pizzo inglese tutta stropicciata e la sua faccia aveva l'aspetto spoglio che ha di solito il viso delle donne quando si sono tolte il trucco. Wexford si scusò. Lei non disse nulla, ma chiuse la porta con un colpo violento. Trattenendo il respiro, con i nervi tesi, egli entrò nel proprio scompartimento e guardò la cuccetta. Era vuota. Wexford si sedette. Chiuse gli occhi e li riaprì per guardare di nuovo la cuccetta che era sempre vuota. Avrebbe tanto desiderato un doppio whisky o anche un bicchiere di Maotai, ma era sicurissimo che non avrebbe potuto ottenerlo a quell'ora (erano le undici passate) anche se avesse saputo come chiamare un addetto al treno, cosa che peraltro non sapeva fare. Versò una porzione di Silver Leaf in una tazza pulita e vi gettò sopra dell'acqua calda, non più bollente. Non aveva dubbi su ciò che aveva visto. Il corpo era disteso là. Ed era esattamente quello che aveva osservato quando aveva guardato nel sarcofago di vetro contenuto nella buca del pavimento del museo. C'era anche lo stesso braccio destro più corto, i piedi arcuati, la bocca spalancata con la lingua fuori. Sapeva di aver visto tutto ciò. Allora, prima con aria guardinga, poi con più sicurezza, toccò la cuccetta di fronte e vide che era rimasta
una traccia. C'era un visibile avvallamento nel cuscino e alcune grinze sul lenzuolo superiore. Qualcosa era stato disteso là e poi era stato tolto mentre lui era assente. Scoprì che non era possibile chiudere a chiave la sua porta, ma era possibile infilare il «Notiziario azzurro» di Pechino nel binario su cui scorreva la porta per impedire a chiunque di aprirla dall'esterno. Bevve il suo tè. Il ventilatore era stato spento per la notte e, malgrado la finestra aperta, l'afa gravava sullo scompartimento. Mentre si svestiva, Wexford ebbe un'idea spiacevole. Montò sul gradino di ferro che sporgeva dalla parete e si assicurò che non ci fosse nulla nelle due cuccette superiori. Gli era venuta in mente una sgradevole storia di F. Marion Crawford nella quale un marinaio aveva trovato il corpo di un annegato, ossia il fantasma di un annegato, nella cuccetta superiore della sua cabina. Quando ebbe bevuto una seconda tazza di tè spense la luce. Dopo essersi dimenato e rigirato per ore, riuscì a dormire solo poche decine di minuti. Erano solo le tre quando si svegliò e capì che per quella notte non avrebbe più potuto dormire. Si mise seduto, accese la luce e si rivolse una domanda. Era possibile che colei che aveva visto stesa in quella cuccetta fosse Lois Knox? Wexford era un uomo modesto e non aveva una grande opinione delle sue attrattive, alle quali del resto non aveva mai pensato. Sua moglie lo trovava immancabilmente attraente pur dopo trent'anni di matrimonio, ma c'era di che esserne grato anziché considerare la cosa oggetto di meditazione. Nella sua vita non aveva mai provato ammirazione per le donne: non le aveva mai guardate attentamente. Neppure Lois Knox aveva preso sul serio, eppure ora il suo pensiero correva a lei... se quello che Fanning aveva detto era vero, o era una parte della verità, quella vacanza era per lei una specie di giro turistico-sessuale. Wexford sapeva molto bene che una donna di quel genere non aveva bisogno di trovare nei partner che sceglieva una particolare attrattiva; le bastava che fosse un uomo e accessibile, qualcuno che alimentasse il suo ego languente, per una sera o per un'ora, qualcuno che calmasse il suo panico, per allontanare almeno di un po' la vecchiaia e la morte. Senza pensarci, lui le aveva sorriso lasciando la carrozza ristorante. Forse Lois aveva scambiato quel sorriso per un invito. Forse era nel corridoio quando lui era tornato indietro dalla stanza da bagno. Aveva indossato una camicia bianca corta o in ogni caso un bianco e corto indumento da notte, e
aveva finto di essere offesa e indignatissima con lui. Si era quindi distesa in quella cuccetta ad aspettarlo? Che cosa aveva provato quando lui era indietreggiato chiudendo gli occhi inorridito ed era uscito tutto confuso senza dire una parola? Wexford era conscio che molta gente avrebbe trovato la cosa divertente. Dopo tutto, la donna, non più giovane, non più attraente, ma ardita e sfrontata come una bella fanciulla, aveva avuto niente più di quanto si meritasse. Se non altro, grazie a Dio, non aveva saputo che lui l'aveva scambiata per un cadavere bimillenario, sbudellato e pieno di malanni. Ma le cose stavano proprio così? Chiuse gli occhi di nuovo, sballottato in quello scompartimento soffocante e scarsamente illuminato, e rivide quel che aveva visto prima. La Marchesa di Tai. Il viso non era quello di Lois, bontà divina! E quel braccio destro più corto? Quelle cosce attraversate da profonde incisioni? Forse aveva bisogno di un paio di occhiali da portare tutto il giorno e non solo per leggere. Forse stava diventando matto. Forse stava diventando schizofrenico (cosa possibilissima: una specie di schizofrenia spontanea che spesso sopraggiunge verso la mezza età) e probabilmente aveva le allucinazioni e non sapeva che erano allucinazioni e si comportava d'improvviso proprio come se le avesse. «Non essere sciocco» si disse. «Ritorna a dormire. Non devi meravigliarti di avere delle visioni, se soffri d'insonnia.» Sul finir della notte sonnecchiò un poco, finché arrivò l'alba e il ventilatore riprese a funzionare. Al mattino le cose appaiono sempre diverse. Ci ripetiamo sempre questa verità con meraviglia forse perché è un'importante verità. Ed è veramente così. Tutto quello che faceva paura, che destava ansia, che appariva mostruoso e macabro svanisce con le prime luci e con il fresco del mattino. La luce che invase lo scompartimento di Wexford non era particolarmente fresca, ma compì la medesima opera di pulizia. Non era impazzito, ci vedeva perfettamente, e indubbiamente non avrebbe dovuto bere quel grosso bicchiere di Maotai la sera precedente. Gli avvenimenti confermarono ben presto che Lois Knox si era distesa nella cuccetta inferiore. Nella carrozza ristorante, lei e Hilda Avory erano sedute al tavolo dell'avvocato, di sua moglie e dell'amica di sua moglie, e tutti all'infuori di Lois alzarono la testa per salutarlo. Lois, che stava leggendo ad alta voce la guida di Kweilin, s'interruppe, guardò fuori del finestrino, e quando lui fu passato, riprese a leggere a voce ancora più alta.
Wexford si sedette davanti a Fanning. «Come avete passato la notte? Vedo che quei due non si sono ammazzati.» «Il signor Purbank e io abbiamo dormito profondamente, grazie. Il signor Vinald non ci ha onorati della sua presenza, grazie a Dio. Da quanto posso dedurre, e non posso dire che l'argomento mi affascini, ha occupato la cuccetta vuota nello scompartimento del dottor Baumann.» «Anticonformista» disse Wexford. «Non c'è niente di meglio di alcuni giorni sulla Transiberiana per farvi dimenticare i più radicati dogmi della vostra educazione. Non che ci sia stato qualcosa tra Baumann e il signor Vinald. Papà e Gordon sopra, mamma e Margery sotto.» Wexford diede un'occhiata alla donna grassottella e bionda che ora sedeva accanto al padre e di fronte a Gordon Vinald. Stava mangiando la versione cinese di una frittata spagnola che veniva presentata sempre sotto l'ampio e generico appellativo di uova e che dovunque ci si trovasse veniva servita infallibilmente a ogni prima colazione. La donna aveva un aspetto piacevole, con un viso sereno, e non aveva commesso l'errore di Lois di infilare la sua figura a forma di clessidra in pantaloni e T-shirt. Il suo sguardo si posò quindi proprio su Lois. Aveva i capelli pettinati con cura, il viso truccato a discreta imitazione di quello di una ragazza. Non presentava la più piccola somiglianza con la Marchesa di Tai, e sarebbe stato calunnioso affermarlo. Gli occhi di lei incontrarono i suoi e Lois distolse lo sguardo con calcolato disprezzo. «La signora Knox vi dà già la nausea?» chiese Fanning con aria innocente. «Santo cielo, no!» rispose Wexford. «Ero solo curioso di saperlo.» Il signor Sung, il signor Yu e il signor Wong stavano mangiando con i bastoncini germogli di riso e verdura nelle ciotole. Entrò Purbank e Wong si alzò immediatamente per parlargli. Qualunque cosa gli avesse detto, provocò sulla faccia di Purbank un'espressione di nervosismo che per un momento si tramutò addirittura in panico. L'uomo si allontanò dal cinese e sedette, solo, a un tavolo. Wexford si sentiva sollevato. Aveva ripreso a osservare il comportamento della gente, era di nuovo lui, si era sbarazzato dei suoi pensieri. Dopo tutto, non si era trattato di un cadavere. Porse con vero piacere la tazza al cameriere che stava arrivando con la teiera.
Un altro grigio casermone adibito ad albergo, dal disegno talmente banale da rafforzare in Wexford l'idea che nella sua costruzione non fosse assolutamente entrata la mano di un architetto. Ma quando attraversò la sua camera e andò a guardare fuori della finestra, il panorama era tale da allontanare ogni pensiero dalle cose fatte dall'uomo. Le montagne che apparivano all'orizzonte, e il lungo crinale di monti, avevano una forma fantastica e rassomigliavano a tutto fuorché alle formazioni carsiche citate dalla guida. Quelle montagne avevano l'aspetto di coni, di cipressi, di funghi. Coperte di alberi, si ergevano verticali sulla pianura, a strapiombo, e terminavano con cime arrotondate. Erano le montagne dei dipinti cinesi che fino a quel momento Wexford aveva creduto una stilizzazione degli artisti. Osservandole, si riusciva a dimenticare i grigi parallelepipedi, simili a quell'albergo, che spuntavano ovunque in città, e si vedevano solamente i coni delle montagne, i bassi tetti rosso bruni, l'acqua degli stagni e dei laghi e il fiume Li che scorreva argenteo. Era una cosa insolita in Cina che una guida accompagnasse qualcuno durante un viaggio in treno. Normalmente il signor Sung si sarebbe congedato da lui alla stazione di Changsha, mentre Wexford a Kweilin avrebbe incontrato una nuova guida. Sembrava tuttavia che il signor Sung fosse proprio di Kweilin e che avesse ottenuto di fare quel viaggio per ragioni personali. Il signor Yu, insieme al signor Wong, era scomparso alla stazione di Kweilin e la comitiva di Fanning era stata affidata a un uomo dall'aspetto cadaverico, eccezionalmente alto per essere un cinese, di nome T'chung. La nuova guida aveva spietatamente intruppato i turisti in una escursione alle grotte. Avevano solo due giorni da trascorrere là. Dovevano dunque vedere il più possibile. Wexford sfuggì al signor Sung e compì una tranquilla passeggiata per la città, sotto gli alberi di cassia. Qui, proprio come a Pechino, si correva il rischio di essere travolti dalle biciclette che affollavano le strade. Uomini con le spalle curve e i muscoli tesi tiravano carretti carichi di blocchi di cemento, mentre le donne, reggendo un palo a mo' di giogo alle cui estremità erano appesi dei cestini carichi, avanzavano con il loro strano passetto da coolie. Tra le foglie delle cassie volavano farfalle verdi e nere. Wexford pagò alcuni fen per vedere una mostra di dipinti e per passeggiare in un giardino di bonsai. Entrò in una di quelle buie drogherie piene di vasi di spezie dall'aroma fragrante, e comperò una bella quantità di tè verde. Indugiò a esaminare le mercanzie, alghe marine essiccate a fasci e
barili di riso, pesce in salamoia, radici di zenzero, botticelle di salsa di soia, tofu in vaschette d'acqua. Quando si voltò per guardare le focacce e i dolci esposti sottovetro, dall'altra parte del negozio, appoggiata al suo bastone, c'era la vecchia con i piedi fasciati che scrutava come aveva appena fatto lui dentro un bidone di riso. Gli ci volle una frazione di secondo per accorgersi che non era la stessa donna. Lei si raddrizzò, voltò la testa ed egli vide che aveva la faccia scura come una noce, segnata da centinaia di rughe, e gli occhiali sul sottile naso camuso. I suoi occhi lo oltrepassarono con indifferenza, in essi c'era solo un lampo di normale curiosità, e poi la donna cominciò a parlare al commesso che aveva chiamato accanto a sé. Laggiù i negozi erano come quelli inglesi di una quarantina di anni fa, pensò Wexford. Durante la sua prima giovinezza erano proprio così. I commessi, gentilissimi, ti servivano con pazienza, si davano un gran daffare, ti facevano capire che il cliente aveva sempre ragione. Com'erano cambiati i tempi! La vecchia comperò un po' di riso, due dolcetti, un sacchetto di semi di soia arrostiti e si avviò trotterellando come un pony, con quell'andatura che le derivava dal possedere le dita e il collo del piede curvati a U. A pranzo, fu contento che si continuasse la discreta abitudine di dargli un ventilatore e di disporre un paravento intorno al suo tavolo. Dall'altra parte del paravento udì Purbank e Lois Knox lamentarsi per tutti i chilometri che erano stati costretti a percorrere in quelle grotte, e anche per quel viaggio in treno. Le cameriere gli portarono una carpa fritta, maiale e melanzane in salsa di zenzero, tagliolini in brodo e funghi, fettine di anatra, uova bollite passate nella pastella e fritte. Facevano un tè molto forte e aromatico. Quando ebbe finito, salì sulla terrazza, al nuovo bar di cui l'albergo sembrava molto orgoglioso. Era evidente che il suo ideatore non aveva mai visto un bar occidentale. Forse avevano letto qualcosa o visto qualche vecchio film. L'effetto era un misto tra un'aula di tribunale di un villaggio inglese e un saloon di città in una pellicola western degli anni Trenta. Sul terrazzo di cemento, con la balaustra anch'essa di cemento, erano stati disposti grandi tavoli sguarniti retti da cavalietti e sedie pieghevoli in legno. L'illuminazione era fornita da semplici lampadine e dalla luna. Al banco si potevano comperare fuochi d'artificio e in una zona appartata e non illuminata un gruppo di cinesi faceva esplodere dei petardi. Ma la maggiore attrattiva di quel bar sulla terrazza era costituita dal panorama. Il cielo era rischiarato dalla luce lunare e in basso, alla base delle
montagne che sembravano galleggiare come nubi temporalesche, scorreva il fiume. Mentre Wexford, con un bicchiere di vino di cassia accanto a sé sulla balaustra, posava lo sguardo sulla città e sulle montagne, un giradischi appoggiato su un tavolo da gioco suonava canzoni natalizie. Un coro intonò Silent Night Santa Claus is Coming e poi Bing Crosby cantò il suo dolce e sommesso White Christmas. Faceva più caldo che a Changsha. C'era un'umidità viscosa, gli alberi erano carichi di fogliame, e una splendente luna di giugno illuminava la terrazza. Mentre il disco suonava senza sosta, gli americani incominciarono a ridere. L'abile e sorridente ragazzo cinese che si occupava del giradischi e che aveva scelto il disco li guardava con occhi sfavillanti di gratitudine. Aveva reso felici i turisti stranieri! Pensò di renderli ancora più felici ricominciando tutto da capo. Mentre Silent Night, con tutti i suoi richiami al freddo pungente, alle campane della chiesa, alla stella di Betlemme, si insinuava per la seconda volta nell'aria immobile e calda, Lois Knox salì dal piano di sotto. Uscì da sotto la sporgenza di cemento che ospitava il bar accompagnata da un panciuto australiano con il quale Wexford era sceso in ascensore per andare a pranzo. Lois si era appena truccata ed era riuscita a trovare il tempo per andare dal parrucchiere dell'albergo. Indossava un vestito di lino blu appena stirato e scarpe blu con i tacchi alti. Non l'aveva mai vista in forma migliore e l'australiano sembrava già conquistato. Wexford capì di essere stato perdonato perché ora lei poteva permetterselo. Lois lo salutò con la mano, esclamando: «Non vogliamo intrometterci nelle vostre fantasticherie!» L'australiano la prese per il braccio e la guidò verso la parte della terrazza in cui non arrivavano né le luci né il chiarore lunare. Wexford sedette a un tavolo da solo. Dopo la notte passata, non era prudente bere molto. Inoltre il vino di cassia era tanto dolce da dare la nausea. In quel momento Gordon Vinald e Margery Baumann uscirono insieme sulla terrazza. Si fermò a parlare con loro per un po', poi tornò al suo tè verde e al letto. Uscire dall'albergo al mattino era un po' come camminare in una nube di vapore. Già alle otto meno un quarto, la temperatura era salita a ventiquattro gradi. A Wexford sembrava assurdo prendere un autobus per un tragitto di due o trecento metri, fino al pontile d'imbarco. S'incamminò a piedi nel tentativo di scacciare la delirante, fantastica sensazione che l'accompagnava. Il ronzio dell'aria condizionata l'aveva svegliato alle due, ma quando l'aveva spenta, la temperatura era diventata di nuovo infuocata, chiudendo-
lo in una spessa coltre soffocante. Per di più, il letto era il più duro che gli fosse mai capitato, un'asse di legno ricoperta da un sottile strato di ovatta di cotone. Era rimasto disteso a leggere, rigirandosi con le membra indolenzite. Avendo già finito la maggior parte dei libri che aveva portato con sé, La Fiera delle vanità (che leggeva per la terza volta), le poesie di Lu Yu (per il quale era venuto in Cina) e il vincitore del Booker dell'anno precedente, aveva iniziato una ponderosa antologia intitolata I capolavori del soprannaturale. La prima storia della raccolta era "La cuccetta superiore" ed era contento di non averla letta in treno. Ripresosi a poco a poco dai tormenti della notte, si avviò lungo il viale fiancheggiato dagli alberi di cassia. La nave era già pronta; la comitiva di americani e gli uomini d'affari australiani stavano salendo a bordo. Mentre Wexford si accingeva a seguirli arrivò un minibus e ne balzò fuori il signor Sung, con aria pomposa e imbronciata. «Malissimo. Non si deve andare soli. Perché non avete aspettato l'autobus come vi ho detto? Non potete salire a bordo senza biglietti.» Ficcò un colorato tagliando d'imbarco in mano a Wexford. Il signor T'chung riunì la comitiva del treno facendo segnali con le braccia come un semaforo. Wexford prese la matrice del biglietto che gli restituivano. Vi era disegnata la mappa del fiume Li su cui era tracciata la rotta lungo lo Yangshuo, oltre a un numero scritto in inchiostro rosa e ad alcune pretenziose parole stampate: CARTA D'IMBARCO. Il battello comunque faceva la sua bella figura: era un tipico battello da fiume, con un saloon e un vasto ponte superiore con sedie a sdraio. «Il panorama migliore lo vedrà alle dieci e mezzo» lo avvertì il signor Sung. «Anche questo è un bel panorama» osservò Wexford mentre la passerella veniva alzata e il battello si metteva in moto. Il fiume Li, ampio e color bronzo, scorreva serpeggiante fuori della città tra i verdi coni delle montagne. «Alle dieci e mezzo» insistette il signor Sung. «Allora potrete fotografare.» Wexford era stanco di spiegargli che non possedeva una macchina fotografica. Era impossibile far capire al signor Sung che non aveva portato l'apparecchio fotografico per sentirsi libero. Gordon Vinald, la moglie dell'avvocato e la sua amica erano saliti sul ponte, e stavano borbottando, mentre cambiavano la pellicola e lottavano con i teleobbiettivi. Wexford sedette a un tavolo del salone con Margery Baumann, a bere il tè che era
appena stato servito. Qualche volta anche una donna di mezza età può apparire fresca come una ragazza, e questo era l'aspetto di Margery Baumann, con l'abito di cotone a quadretti bianchi e blu e i capelli biondi appena lavati, alle otto e mezzo del mattino sul fiume Li. «Aspettavo con ansia questo viaggio» disse lei. «È meraviglioso. E dopo questo... be', non torneremo a casa mai abbastanza presto per me.» «Penso che non farete il viaggio verso casa in treno, no?» «Oh, no, santo cielo!» Aveva una risata simpatica e rise un bel po', più che altro, pensò Wexford, per una specie di nervosismo. «In treno fino a Canton, in treno fuori della Cina fino a Hong Kong, poi a casa in aereo con la cara vecchia e comoda Swissair.» «Non siete contenta delle nostre vacanze?» «Altroché, enormemente!» Per un momento i suoi occhi assunsero un'aria sognante, per le cose deliziose, forse romantiche che ricordava. Ma poi parlò in tono pratico. «Adesso però ne ho abbastanza, sei settimane sono veramente tante. E poi io ho bisogno di tornare a casa. Comincio a sentirmi in colpa.» «Che lavoro fate, signorina Baumann?» «Sono medico.» Lui non capì perché era rimasto così sorpreso. I figli dei medici spesso diventano a loro volta dottori. Ma lei aveva l'aria del tipo di donna che ha deciso di dedicare la propria vita agli anziani genitori. «In tre anni, non mi sono mai presa una vacanza all'infuori di qualche lungo weekend. Così ho trovato un sostituto e mi sono presa in una sola volta una super vacanza!» Rise. «Esercitate a Londra?» In realtà non avrebbe dovuto fare domande del genere. Era l'abitudine tipica dell'ufficiale di polizia. Lei parve non farci caso. «No, a Guildford.» «Davvero? Io non sono lontano: abito a Kingsmarkham.» «Allora i Knighton sono ancora più vicini a voi. Vengono da un posto che si chiama Sewingbury.» «I Knighton?» «Quelli» disse lei, mentre l'avvocato e sua moglie passavano davanti alle vetrate. Lois Knox entrò nel salone con il suo australiano. Glielo presentò come Bruce. Wexford, con aria cordiale, gli strinse la mano. Bruce incominciò a parlare a voce alta e in modo spregiativo della doppiezza che dimostravano i cinesi nel modo di pensare, del fatto che tutto sembrava appartenesse al popolo, il denaro del popolo, l'albergo del popolo, la scuola
del popolo, mentre in realtà il popolo non possedeva nulla. Si mise a punzecchiare il signor T'chung che beveva tranquillamente il tè con il signor Sung. «Avete detto che le Tombe Ming sono state costruite con il lavoro degli schiavi, giusto? Non è sbagliato costringere gli uomini a costruire una tomba grandiosa per un vile imperatore?» «Certo» rispose il signor T'chung. «Ma invece va benissimo che gli uomini costruiscano un maledetto mausoleo per Mao Tse-tung nella piazza Tien An Men, vero? Dove sta la differenza?» Il signor T'chung lo guardò calmo. «A questa domanda» disse con la sua vocetta infantile «nessuno può dare una risposta.» Bruce alzò le mani scoppiando in una risata. «Non parliamo di questa noiosissima politica» intervenne Lois. Wexford salì sul ponte. L'amica dei Knighton e Hilda Avory erano sedute sulle sedie a sdraio e bevevano rispettivamente del tè e del Maotai. Hilda disse, con la sua voce roca, mangiandosi le parole: «Alcune persone che hanno compiuto questo viaggio ieri mi hanno detto che il battello si è guastato in mezzo alla corrente e ci sono volute tre ore per ripararlo.» «Allora è improbabile che si guasti anche oggi.» «Non è una questione di probabilità, ma di efficienza. Per fortuna questo posto non è brutto come la Russia.» Vicino a una sponda c'erano alcuni ragazzi che nuotavano, e davanti all'altra alcuni bufali d'acqua. Sopra le sponde scoscese roteavano due uccelli che avrebbero potuto essere aquile. Wexford sedeva in silenzio, guardando il paesaggio che gli scorreva davanti: un villaggio con un ponticello ricurvo che scavalcava un'insenatura, un tempio con un tetto azzurro che la Rivoluzione culturale era riuscita a ignorare, alcuni uomini che pescavano con i cormorani... Rimase in piedi sotto il sole per tutto il tempo in cui gli riuscì di sopportare il caldo. La signora Knighton salì sul ponte e, infaticabile, fotografò tutto quel che vedeva, i bufali d'acqua, i cormorani, i contadini nei campi, le barche con le vele quadrate color arancione, anche un fabbricato che Wexford identificò per una concimaia. Alle dieci e mezzo scese dabbasso, abbandonando il ponte. Si avverò ciò che il signor Sung gli aveva preannunciato. Improvvisamente il panorama divenne spettacolare, le montagne sembravano fantastiche nubi, l'acqua era trasparente come vetro anche se la corrente la portava via veloce.
Il pranzo fu servito all'ora preferita dai cinesi, le undici e mezzo, e fu il pasto peggiore che Wexford avesse mai mangiato. La principale portata era formata dagli intestini e da quegli organi che in Occidente non si servono agli esseri umani. Lo divertì il fatto che il cibo cinese, che in Rupert Street o al Poon era ritenuto fragrante e delicato, potesse apparire anche viscido e insipido. Fu durante il pranzo che, guardandosi intorno, Wexford vide l'uomo che gli era stato presentato in treno come il signor Wong. Ne fu molto sorpreso. Ma forse non era il signor Wong, forse l'aveva confuso con qualcun altro. Eppure era proprio lui. Dire che per gli europei tutti i cinesi si assomigliano è un grosso errore, come affermare che tutti i cinesi hanno la pelle gialla. Be', doveva esserci qualche ragione se egli era là, ragione probabilmente non del tutto estranea al Lu Xing She. In una delle buie scale interne c'era uno spazio appena sufficiente per infilarvi una sedia. Vi si sedette a sonnecchiare mentre il battello avanzava scoppiettando sull'acqua profonda e copriva la distanza tra Kao Ping e Hua Shan. La nave si lasciava dietro le barche in cui vivevano intere famiglie, i pescatori con i cormorani, e passava in mezzo alle montagne dalle cime arrotondate sulle quali gli alberi crescevano come muschio sui ciottoli. Wexford non voleva dormire, eppure non riusciva a tenere gli occhi aperti... Fu svegliato da un gran trambusto ed ebbe l'immediata sensazione che la nave non fosse più in movimento. Solitamente, appena sveglio era subito attivo ma dopo tante notti in bianco e quella calda aria soporifera tornò in sé a poco a poco con molta lentezza. Il suo primo pensiero fu che Hilda Avory avesse ragione e che il battello si fosse guastato. Ma la sala motori era proprio dietro a dove era seduto lui e, girandosi, vide che era deserta. Poi scorse le teste chine sull'acqua. Si alzò e cercò di avanzare, ma dopo pochi metri si trovò bloccato in mezzo alla calca. Il salone era vuoto, a prua c'erano venti o trenta persone. Wexford tornò indietro e salì sul ponte superiore. Anche lassù c'era una folla che si sporgeva dal parapetto, ma era più facile guardare verso l'acqua. Riuscì a vedere il signor Sung che nuotava, completamente vestito, e quello che pareva l'intero equipaggio del battello immerso nell'acqua. E non solo l'equipaggio, ma anche Margery Baumann, Gordon Vinald, Tony Purbank. Tutti nuotavano o annaspavano nell'acqua, cercando qualcosa o qualcuno... La signora Knighton, tenendo la macchina fotografica nelle sue manone rosse, gli disse: «È caduto un uomo fuori bordo. Non sa nuotare, lo stanno cercando.»
«Chi è?» Lei, continuando a scattare fotografie, rispose con indifferenza: «Nessuno di noi. Un cinese.» 5 Passarono un'ora a cercare. Quindi sbarcarono uno dell'equipaggio che si avviò al più vicino posto telefonico distante sei o sette chilometri. Wexford rimase a guardare la figura in camicia blu che camminava tra la sponda del fiume e le risaie fino a che il blu scomparve nel verde smagliante. Margery Baumann fu la prima dei soccorritori a risalire a bordo. Indossava un costume da bagno nero. Wexford pensò che era esattamente il tipo di donna che non avrebbe mai fatto un viaggio del genere senza indossare un costume da bagno sotto i vestiti. Senza dir niente, scese nella stanza da bagno ad asciugarsi e a rivestirsi. Subito dopo arrivò Purbank, tutto tremante nonostante il caldo. L'unico membro dell'equipaggio che era rimasto a bordo, un uomo molto giovane, anche se era più anziano degli altri che a Wexford sembravano tutti sui diciotto anni, pareva essere il capitano. Aiutò Purbank a salire a bordo, cercando di dirgli qualcosa in un inglese molto zoppicante. Non riuscendo a continuare, si strinse nelle spalle e alzò le mani in un gesto di impotenza. Gordon Vinald stava ancora nuotando tra gli scogli che spuntavano qua e là sulla superficie dell'acqua. Ma mentre a uno a uno i cinesi abbandonavano la ricerca, lui nuotava ancora con riluttanza verso la nave e infine si decise a farsi tirare su. Terminate le ricerche, quasi tutti si erano dispersi. Alcuni erano saliti sul ponte, altri si erano ritirati nel salone. Il fiume era sgombro, uno splendente lenzuolo color turchese sotto un pallido cielo azzurro, le montagne sullo sfondo come un orizzonte di anelli azzurrini. Com'era bello quel fiume così ridente! Un fiume che gli artisti avevano dipinto per duemila anni e che certamente sarebbe stato dipinto per un altro millennio. Sotto la serica superficie increspata, intrappolato tra gli spuntoni di uno scoglio, fluttuava il cadavere di un annegato, piccolo, sottile, bianco come una radice. «Che cosa è successo?» chiese Wexford a Purbank. «Mi ero addormentato.» Purbank, in slip azzurri, si asciugava al sole. Si ficcò le dita tra i capelli bagnati. «Nessuno lo sa con precisione. È sempre così, no, quando qualcuno cade fuori bordo? Quel tizio si trovava qui a prua dove siamo noi ora.
Doveva essere solo ed era seduto sui talloni, penso, così come fanno loro. Deve aver perso l'equilibrio. Naturalmente non sapeva nuotare. Il capitano Ma ha convinto tutti quelli che erano abili nel nuoto a buttarsi, ma quello è sparito prima che io fossi sceso in acqua.» «Chi era?» «Chi era chi?» «L'uomo che è annegalo. Chi era?» «Chi lo sa! A dir la verità, non l'ho chiesto. Voglio dire, come potevamo conoscerlo noi? Era cinese.» «Nessuno dell'equipaggio?» «Non saprei. Si potrebbe pensare che siate un poliziotto dalle domande che fate. Saranno già abbastanza quelle che dovremo subire dalla polizia cinese quando arriveremo a quel posto chiamato Yang Shuo.» Ma sembrava che il capitano Ma non avesse alcuna intenzione di continuare il viaggio fino a Yang Shuo. Erano appena a un nodo di distanza da un villaggio sul fiume che possedeva un pontile di sbarco ed era là che erano ora diretti, disse il signor Sung a Wexford. Le macchine si avviarono e il battello cominciò a muoversi. Sarebbe arrivato un autobus e li avrebbe presi a bordo. Era la cosa migliore. Non c'era da preoccuparsi, era stato uno sfortunato incidente, ecco tutto. «Chi era l'uomo annegato?» chiese Wexford. «Uno dell'equipaggio?» Il signor Sung esitò. Sembrava che stesse riflettendo e aveva un'aria tutt'altro che felice. Wexford, grazie alla sua lunga pratica nello studio delle reazioni umane, pensò che ciò che vedeva sul viso del signor Sung non era tanto il dolore per la morte di un essere umano quanto la paura per la propria pelle. Alla fine disse con riluttanza: «Il suo nome è Wong T'ien Shui.» «Il signor Wong?» Il signor Sung annuì. Restò a guardare gli scogli oltre il parapetto. Contro uno di essi la chiglia del battello aveva sfregato leggermente. «Per tutto gennaio e febbraio è impossibile navigare» disse vivacemente. Wexford si strinse nelle spalle. Entrò nel salone e si servì una tazza di tè verde e subito dopo una seconda. Il tè forte lo fece rinascere dandogli uno stimolo forse maggiore di quello che provoca l'alcol. I passeggeri avevano radunato le loro cose, borse, macchine fotografiche, impermeabili, ombrelli, carte geografiche, e si preparavano a sbarcare. «Che cosa diavolo ci faceva Wong in questo viaggio?» borbottò Fanning a Wexford. «Era uno studente? Frequentava l'università di Changsha? Un cinese non può andarsene in giro per il paese così, a suo piacimento. Loro
non sono liberi. Scommetto cinquanta yuan che qualcuno la pagherà cara. Molte teste rotoleranno per questo. Grazie a Dio, domani porterò il mio gruppetto fuori di Canton.» Scesero a riva. Su una spiaggetta sedeva un vecchio con la barba rada e un paio di baffi rivolti in giù. Tre bimbetti giocavano sulla sabbia accanto a lui. La spiaggia era popolata anche da un centinaio di galline e di anitre e da due capre bianche. Il vecchio guardò gli occidentali con una specie di impassibile curiosità educata. Rivolse alcune parole al capitano Ma e annuì con il capo. Il villaggio sorgeva sopra di loro, in cima a un viottolo. Quelle erano le ore più calde della giornata. Wexford prima di allora non aveva mai dovuto considerale il sole come un nemico, come qualcosa da cui difendersi, di cui aver paura. La comitiva saliva ansando mentre i riflessi del sole danzavano sulle loro teste. Il terreno era coperto da una leggera polvere rosso bruna che si alzava in spirali a ogni loro passo. La polvere copriva ogni cosa: le casupole che fiancheggiavano la stradina, i muri, l'erba, persino le gambe, le braccia e i visi dei bambini che uscivano dalle case, masticando manciate di riso gelatinoso, per osservare i visitatori. In cima alla collina, una mezza dozzina di persone, uomini e ragazze, stavano costruendo alcuni appartamenti. L'odore del fiume e della polvere aveva lasciato il posto a un profumo più gradevole di legno di sandalo. All'ingresso del villaggio c'era un negozio in cui l'intera comitiva, a eccezione di Wexford e di Fanning, scomparve immediatamente. In fondo alla strada sorgeva una grande casa con il cortile recintato da un muro, che forse un tempo era stata la casa del generalissimo del luogo. Fanning si accovacciò all'orientale nell'ampia veranda del negozio e si accese una sigaretta. «Io telefono a Yang Shuo» disse il signor Sung. «Pullman venire prestissimo.» «Io telefono» lo corresse il signor T'chung in tono di ammonimento. E agitando le mani si lanciò in una paternale all'altra guida in un tono cantilenante. Wexford cominciò a pensare che, se si fosse presentato il problema di trovare un nuovo presidente in quella parte del mondo, T'chung Bei Ling avrebbe avuto migliori probabilità di Sung Lao Zhong. Faceva troppo caldo per esplorare il villaggio, ma Wexford aveva ugualmente percorso un paio di stradine. Lo seguiva una torma di bambini che ridacchiavano tra loro. Mentre ritornava nella piazzetta del mercato in cui si trovava il negozio, vide una donna anziana ritta nell'ombra scura del-
la sporgenza di un tetto. Si fermò e la guardò, esaminandola dai capelli neri striati di grigio e dalla faccia bianca gonfia, la faccia della Marchesa di Tai, giù fino ai piedini a forma di cuneo nelle pantofoline da bambino. Si avvicinò finché fu a un solo metro da lei. «Volete parlarmi?» chiese, pronunciando le parole con chiarezza. Lei non rispose. Wexford ripeté la domanda. La donna sembrò volersi tirare indietro, per timidezza o per paura. Dall'altro lato della piazzetta il signor T'chung cominciò a chiamare: «Il pullman è arrivato. Per favore, scendere in fretta la collina per salire in pullman. Andiamo, il pullman è arrivato.» Quando l'inglese si girò di nuovo verso la vecchia, questa era sparita. Dove, nella casa? Era impossibile che fosse svanita rifugiandosi in casa di estranei. Raggiunse la soglia buia e guardò dentro. Era una sudicia catapecchia in cui un bimbo seduto sul pavimento mangiava manciate di riso e un maialino grufolava in un angolo. Non c'era traccia della vecchia e neppure di un'altra uscita attraverso la quale avesse potuto allontanarsi. Per un momento prese in considerazione l'idea del soprannaturale... Parlando con eccitazione dei loro acquisti, dimentichi in quel momento della disgrazia accaduta a Wong, la comitiva del treno e gli australiani scesero la collina per raggiungere il pullman che li attendeva. L'automezzo era parcheggiato davanti alla spiaggia e accanto vi era una macchina della polizia. C'erano poliziotti anche sul battello, occupati a parlare con il capitano Ma. Un funzionario si avvicinò al signor T'chung e lo sottopose a un fuoco di fila di domande. «Questa sera qualcuno della polizia verrà all'albergo» disse poi il signor T'chung. In condizioni normali tutto questo avrebbe suscitato un grande interesse in Wexford. La ragione per cui questo non avveniva dipendeva dal fatto che per tutto il percorso dalla cima della collina fino al pullman, la vecchia dai piedi fasciati l'aveva seguito a distanza. Lui si era voltato un paio di volte, come il viaggiatore di Shelley, si era detto tra sé, ma invece di uno spaventoso demonio aveva visto quell'anziana creatura, che avanzava a fatica appoggiandosi al bastone e che per lui era diventata un essere diabolico. Ora che stava per salire in corriera, nell'accecante riverbero dell'immobile acqua azzurra, si girò e guardò coraggiosamente dietro di sé. Era sparita. Non c'era alcun luogo in cui avrebbe potuto nascondersi, eppure era sparita.
Per gli altri passeggeri il ritorno in corriera completava quel panorama di cui avevano avuto un assaggio durante il viaggio in battello. Il pullman correva lungo vallate lussureggianti, rese splendenti dal verde brillante delle giovani pianticelle di riso. Wexford continuava a pensare alla vecchia che aveva visto ormai già tre, o forse quattro volte. Era un essere reale? Era veramente una donna che, per quanto incredibile potesse essere, aveva determinate ragioni per seguirlo attraverso la Cina? O era un'allucinazione come quelle che pensava potessero capitare agli schizofrenici? Era seduto accanto a Tony Purbank, anch'egli silenzioso. Purbank era una persona dalla pelle chiara che mal sopportava il sole. Eppure aveva trascurato di proteggersi il viso come invece aveva fatto Wexford. L'ampia calvizie sulla sommità della testa e la fronte gli stavano diventando di un bel rosso acceso nonostante si fosse precipitato a cercare rifugio nell'aria condizionata del pullman. Non diceva una parola, pareva vittima di un leggero colpo di calore. Anche il signor Sung fece il viaggio di ritorno in assoluto silenzio. Dai sedili di dietro, in cui si trovavano Lois Knox con Bruce e i Knighton, Wexford poteva udire un fitto parlottare: si stavano esaminando i vari modi in cui il signor Wong poteva essere caduto dal battello. Wexford si era aspettato di vedere la vecchia scendere dalla corriera dietro di lui, ma ciò non accadde. Si sentì assurdamente sollevato. Salì subito in camera e si preparò una tazza di Silver Leaf. Poi si distese sul letto pensando alla schizofrenia. Intanto si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare se la donna lo avesse raggiunto, se fosse entrata nella sua stanza di notte e si fosse distesa nell'altro letto. Probabilmente non era mai esistita. Ripensò al passato. A Changsha ne aveva udito il ticchettio del bastone e la voce mentre parlava con il suo compagno. Inoltre, se la sua mente non aveva mai creato immagini ossessive, perché avrebbe dovuto creare lei? Per quali remote esperienze, processi inconsci, addirittura traumi, la sua mente evocava una vecchia cinese? Il tè, come sempre, lo rimise in forma. Sarebbe riuscito a convincersi che ciò che aveva visto in quel villaggio in riva al fiume era un miraggio, uno scherzo giocatogli dal caldo e dai riflessi della luce? «Quelli della polizia dicono che non hanno bisogno di parlare con voi» disse il signor Sung, che aveva raggiunto il suo tavolo mentre lo stavano servendo. «Non è necessario far domande a tutti i turisti, basta l'equipaggio della nave.» S'interruppe, poi riprese scegliendo accuratamente le parole: «Hanno trovato il corpo di Wong T'ien Shui.»
«Povero ragazzo» commentò Wexford. «Non doveva avere più di vent'anni.» «L'età non la conosco» replicò il signor Sung. «Molto giovane lo era sì. Il corpo era a pezzi e, come dite voi? confuso dalle rocce in modo orribile.» «Contuso?» «Contuso, sì. Grazie. C'erano molte rocce aguzze sotto il fiume, così il corpo è stato tagliuzzato e fortemente contuso.» C'era il solito paravento tra Wexford e la tavola alla quale era seduta la comitiva del treno. Da dietro lui riusciva a sentire solo un brusio di conversazione. La cameriera girò con la teiera e lui ne chiese due tazze, perché si sentiva stranamente turbato dalla morte di Wong T'ien Shui. Erano solamente le sette e il sole stava per tramontare. Uscì dall'albergo, attraversò la strada e prese la stradina che portava all'isola in mezzo al lago. Per un impulso sentimentale, certamente, cercava d'immaginarsi Wong come doveva essere stalo da ragazzo, non molto tempo prima, mentre frequentava il giardino d'infanzia, e la madre, con i capelli raccolti in due trecce, andava a prenderlo e gli comprava un krapfen in un negozio buio di droghiere, o mentre lanciava l'aquilone a forma di farfalla o di drago, o andava a trovare gli adorati nonni. Era stata stroncata di colpo una giovane vita! Avrebbe potuto essere piacevole passeggiare sull'isola, ma la pesante cappa di umidità lo metteva a disagio. Le ondulazioni delle montagne ora apparivano azzurre, velate dalla foschia, e l'aria si riempiva lentamente di zanzare in continuo movimento. Dopo essere stato punto per la seconda volta, ritornò all'albergo. Ora la malaria e la febbre dengue potevano essere sgominate, ma capitava facilmente che una gamba e un braccio si gonfiassero come palloni. La terrazza era troppo alta per le zanzare. Sapeva che non avrebbe dovuto bere, a causa della pressione alta e di un sempre incombente problema di peso, ma doveva pure farsi venire sonno! Comprò una bottiglia di vino di cassia non molto grande. I Baumann, i Knighton con la loro amica e Gordon Vinald lo chiamarono al loro tavolo, solamente un secondo prima che fosse invitato all'altro, ovviamente ad alcuni metri di distanza a causa dell'antagonismo tra Purbank e Vinald, occupato da Lois Knox, Hilda Avory e Purbank. Non c'era traccia degli australiani e di Fanning. Lois appariva un po' acida e Hilda ammalata, ed era un sollievo per Wexford dover seguire la regola di accettare l'invito di chi aveva chiamato per primo. Gli occupanti del tavolo a cui prese posto erano impegnati nel passatem-
po preferito dei turisti, quello di mostrarsi a vicenda i souvenir che avevano comperato quel giorno. Quando Gordon Vinald cominciò a parlare, la signora Baumann sussurrò a Wexford che era un antiquario. «La giada è sempre fredda al tatto» stava dicendo Vinald. «Questo è uno dei sistemi migliori per il dilettante per sapere se si tratta di giada o no. Se rimane fredda anche in una stanza calda o quando viene appoggiata contro la pelle, con tutta probabilità è giada.» Descrisse poi le varie frodi riguardanti la giada: come alcuni commercianti di Hong Kong senza scrupoli preparassero esposizioni con cinque articoli di plastica contro uno di giada, cinque articoli di plastica contro uno di avorio. Comunque, in Cina ci si poteva fidare. I cinesi o erano di principi troppo sani per imbrogliare o erano troppo innocenti per capire il meccanismo dell'imbroglio. Ma naturalmente, se la giada che avevano messo in vendita era stata importata in Cina, potevano essere stati imbrogliati a loro volta. Wexford pensò agli oggettini che aveva comperato per Dora e Denise e per la figlia. Erano freddi al tatto? Non si ricordava. Fece una domanda al riguardo a Vinald. «Non occupate la stanza attigua alla mia?» rispose Vinald. «Visto che dovremo andare a letto all'ora delle galline, perché non me le portate a vedere in quell'affascinante orario che sono le nove e mezzo?» Margery Baumann rise. Tirò fuori dalla borsetta un pacchetto avvolto nella carta velina e ne trasse sei tazzine, alcuni medaglioni, un anello e un ciondolo a forma di tartaruga. Si mise al dito l'anello. Vinald esaminò tutti i pezzi e assicurò che erano di giada, in realtà una giada molto vicina al colore prediletto dagli imperatori. Poi, improvvisamente, come se non ci fosse nessun altro, sollevò la mano di lei e l'appoggiò alla guancia. In apparenza stava saggiando la temperatura dell'anello di lei sulla propria pelle. Eppure il gesto sembrava quello di un innamorato. Wexford vide che la signora Baumann sorrideva con piacere e Margery arrossiva. Vinald le lasciò la mano. «Avete fatto un buon acquisto, Margery. Se non avete già una professione migliore, devo dire che avete il fiuto adatto per il mio lavoro.» Lei non rispose, ma rise di nuovo. Eppure, l'osservazione fatta con un certo tono e dopo quel gesto, poteva servire da introduzione a una proposta di matrimonio. Wexford pensò che non si sarebbe sorpreso se il giorno seguente fosse stato fatto un annuncio alla compagnia. Offri il suo vino a tutta la tavolata. I bevitori di bina rifiutarono, ma la signora Baumann e la signora Knighton ne presero un bicchiere ciascuna.
La sua bottiglia non sarebbe durata a lungo. Andò al bar a prendere un'altra bottiglia mentre il giradischi diffondeva le note di Silent Night. In piedi davanti al bar, in compagnia di un'anziana signora, c'era la più bella ragazza che Wexford avesse mai visto da quando si trovava in Cina. Era una splendida caucasica. Di bellezze cinesi ce n'erano molte, ma aveva l'impressione che donne con l'aspetto di sua figlia Stella o di sua nipote Denise non provassero alcun interesse a visitare la Repubblica popolare. Quella ragazza, comunque, avrebbe attirato sguardi di ammirazione negli ambienti più sofisticati. Lei e l'anziana signora erano in piedi davanti al banco e parlavano con tre uomini d'affari australiani dell'argomento che polarizzava l'attenzione dell'intero albergo e probabilmente di tutta la città di Kweilin: l'annegamento di Wong T'ien Shui. Wexford la udì dire: «Succede sempre qualcosa con quel battello. Se dovessi giudicare da incidenti del genere, dovrei dire che quel battello è segnato da cattiva stella. Forse il luogo in cui è stato costruito era sotto lo sguardo di un drago o qualcosa di simile.» Terminò con una risata. Risero anche gli australiani, in modo rumoroso. Aveva un accento della Nuova Zelanda, pensò Wexford. Prese poi la parola la donna più anziana, che forse era sua madre. «Prendi ancora quel vino rosso, Pandora, o quella porcherìa di whisky giapponese?» Pandora rifletté. Era alta e straordinariamente esile, e doveva aver passato da poco i vent'anni. I suoi capelli erano di un nero corvino come la chioma tinta di Lois Knox, ma quelli di Pandora erano di un colore naturale e le scendevano dritti sulle spalle come se fossero bagnati. Non c'era trucco sulla pelle color madreperla, solo un tocco di verde smeraldo sulle palpebre. Gli occhi erano castani con pagliuzze verdi e le ciglia folte e scure come quelle di un gattino nero. Indossava un vestito verde con una cintura rosa e nera e sandali rosa. Decise per il whisky, si girò e uscì sulla terrazza. Bruce prese un vassoio e vi ammucchiò sopra bottiglie e bicchieri. Wexford comprò il suo vino e si allontanò. Per un momento pensò di aver visto la vecchia signora con i piedi fasciati eretta contro la balaustra, ma quando guardò di nuovo vide solo un ragazzo cinese con un petardo in mano. Quando ritornò al tavolo, si stava ancora parlando della morte di Wong. Il dottor Baumann non riusciva a capire come uno potesse annegare dove c'erano così tanti scogli a cui aggrapparsi. Margery pensava che aves-
se battuto la testa contro uno di quegli scogli durante la caduta. La signora Knighton, con una sgradevole risatina, disse che l'incidente aveva guastato quella che prometteva di essere un'interessante giornata all'aperto. Poi l'attenzione di Wexford fu attratta dal comportamento di Lois Knox che aveva visto il suo australiano uscire sulla terrazza con una donna e altri due uomini e sedersi al tavolo al quale aveva preso posto Pandora. Lois si alzò mormorando «Scusatemi» ai compagni e si diresse rapidamente verso la scala. Purbank disse qualcosa di inafferrabile, ma la risposta di Hilda Avory giunse fino a lui portata dall'aria della notte. «Naturalmente ciò la rende infelice. Deve pur aspettarsi che le succeda una cosa del genere alla sua età!» Knighton guardava fisso davanti a sé. Per un po' aveva preso parte alla conversazione ma ora si era completamente estraniato da essa. Dopo aver lanciato un'occhiata attraverso la terrazza, sbarrò gli occhi come se avesse avuto una visione ultraterrena o avesse visto un fantasma. Di colpo piegò la testa da una parte e Wexford rimase stupito nel vedere la sua espressione incantata. Da che cosa era stata prodotta? Sua moglie stava mostrando le foto di famiglia alla signora Baumann: «Abbiamo quattro figli, tre maschi e una femmina, quattro nipotini veramente adorabili e il quinto in viaggio.» La signora Baumann stava per commentare come si conveniva, quando Knighton parlò. Guardò il panorama, le stelle, e disse: «Sono salito a bordo e osservavo la partenza. Quando ho udito dalla riva il suo canto e un trapestio.» "Lo stagno dei fiori di pesco ha una profondità di mille metri ma non è altrettanto profondo quanto l'amore con cui ti congedasti da me." I Baumann si guardarono, terribilmente imbarazzati. Sulla faccia di Vinald apparve un sorriso impacciato. La signora Knighton guardò l'amica e l'amica guardò lei, poi la signora Knighton alzò lentamente gli occhi. «L'opera di Li Po» disse Knighton nel suo solito tono freddo e asciutto. «Il famoso poeta cinese dell'ottavo secolo.» «Non so che cosa decidi, Irene» osservò la signora Knighton «ma io sento il bisogno di salire in camera mia.» «Di scendere» corresse l'amica. «Sì, scendere. Non fare tardi» continuò rivolta al marito. «lì aspetta una lunga giornata.» Terminò con un ampio sorriso, come se compisse una serie di esercizi facciali, e disse con vivacità: «Buonanotte a tutti!» Knighton si alzò in piedi con l'aria di uno che segue un antico e logoro
rituale di cortesie. Ma quando le donne se ne furono andate e i coniugi Baumann ebbero riunito le loro cose apprestandosi a seguirle, invece di sedersi di nuovo si allontanò dal tavolo e raggiunse il punto più lontano della terrazza. Si appoggiò alla balaustra e contemplò il paesaggio illuminato dalla luna. Wexford fu lasciato a reggere il moccolo ai due innamorati. Allora augurò la buonanotte a Margery, salì in camera e si preparò una tazza di tè. La vecchia signora con i piedi fasciati era svanita: probabilmente le sue materializzazioni erano stale richieste altrove. Si immerse nella lettura dei Racconti straordinari di Poe, aspettando di udire il passo di Vinald nel corridoio, a meno che, naturalmente, l'antiquario non dimenticasse il suo appuntamento e quella notte il suo passo non risuonasse nel corridoio sottostante, dove si trovava la stanza di Margery. Ma non era passata neppure mezz'ora quando udì accendersi la luce di Vinald. Wexford raccolse i suoi oggetti di giada e bussò alla porta dell'antiquario. 6 I tesori che aveva sistemato in giro per l'austera camera da letto dell'albergo cinese l'avevano trasformata in una specie di museo della Città Proibita. C'erano piatti di famille jaune, porcellane bianche e blu, uno stupendo vaso di notevole altezza color madreperla con disegni di uccelli e di alberi carichi di pesche mature; poi vassoi laccati, scatole di sigilli in giada, cornalina e steatite, tre o quattro ciotole ornate con una semplice riga ma di forma squisita, un paio di vasi di giada intagliata con il coperchio e, sparpagliati ovunque, oggettini di giada lavorata, tabacchiere, sigilli e flaconi metallici di profumo. «Confesso che preferisco gli oggetti più appariscenti» disse Wexford. «Ciò dimostra che sono ignorante e tutt'altro che un intenditore, vero?» Vinald rise. «Non necessariamente. Questo vaso è un pezzo delizioso. Sono stato fortunato a trovarlo. Ce ne sono un paio come questo che sono stati fatti per l'Imperatrice Madre.» «Allora non è molto antico.» Qualcosa Wexford sapeva. «Ha meno di un secolo.» Vinald gli restituì i suoi acquisti. «Le vostre giade sono davvero splendide. Francamente, sarei sorpreso se non lo fossero. Posso offrirvi una tazza di tè?» Quando l'ebbe versato, si mise a riordi-
nare la stanza. «Domani partiremo di nuovo, un viaggio orrendamente tortuoso poiché non c'è una strada diretta da Kweilin a Canton. Sembra che ci siano di mezzo le montagne.» Continuava a ficcare in una borsa gli oggetti che si trovavano sulla scrivania, una penna a sfera, un bastoncino di ceralacca rossa, un blocco per gli appunti, un brogliaccio di carta da lettere dell'albergo. Wexford era divertito. A tutti piace procurarsi qualcosa senza pagare, anche alle persone più ricche! Per esempio quell'uomo certamente benestante che rubava qualche foglio di carta da lettere quando senza dubbio poteva comprarsi tutte le riserve di carta per appunti di Kweilin senza subire danni economici. Vinald bevve un sorso di tè. «Non sono venuto in Cina per comperare oggetti antichi» disse. «Avevo bisogno di una vacanza, ormai non mi reggevo più in piedi. Avevo comunque intenzione di comprare qualcosa quando fossi stato qui. Sapevo bene quali tesori possiede la Cina.» Wexford alzò le sopracciglia con aria interrogativa. «Oh, sì. Potete ben immaginare la roba che è stata rubata ai tempi di quella che loro chiamano Liberazione! Per non parlare della Rivoluzione culturale! Hanno rivendicato tutto ciò che è passato attraverso le mani del governo, ma il fatto è che sottraevano ogni cosa ai legittimi proprietari, arrivando a ucciderli se la verità veniva scoperta.» «Non si sa mai quel che succede realmente in Cina» commentò Wexford. «E non da ora; è sempre stato così.» Vinald l'interruppe con un lieve gesto d'impazienza della mano. «Posso dirvi che se la Cina scegliesse di lasciar perdere quello che ha nel mondo, verrebbe immediatamente esclusa dal mercato dell'antiquariato.» «Il che non sarebbe certo conveniente per voi, immagino.» «Avete ragione. Mi sono procurato alcune trascurabili inezie.» Vinald tirò fuori un pacco di carta velina da un cassetto e cominciò ad avvolgere gli oggetti, imballandoli nelle scatole, alcune delle quali erano imbottite di paglia. «Ditemi» aggiunse riprendendo improvvisamente il discorso «pensate che sia sbagliato comprare qualcosa per cinquanta yuan, vale a dire quindici sterline, quando sapete perfettamente che il suo reale valore sarebbe di cinquecento sterline?» «Se per sbagliato intendete dire illegale, dovrei pensare che tutto è illegale nel mondo. Indubbiamente non è morale, alcuni direbbero che ciò significa approfittare dell'ingenuità di persone semplici. Ebbene? Ne avete fatte molte di queste cose?» «Qualcuna» disse Vinald. «Sono così ignoranti che non sanno neppure
quel che vi offrono. Può darsi che non sia morale in certi posti, ma qui non credo. Come potete pensare che sia disonesto abusare del governo cinese? Non è come farlo a un individuo che sta cercando di guadagnarsi da vivere.» «E che cosa ne pensate di una nazione che ha bisogno di guadagnarsi da vivere?» Vinald lo guardò senza capire e allora Wexford cambiò argomento. «Non vi invidio: non dev'essere tanto facile portare a casa tutta quella roba.» «La maggior parte la metterò in valigia.» Vinald stava imballando i piatti bianchi e blu, un'icona, una ciotola bianca traslucida. «Ho portato il minimo indispensabile di indumenti perché sapevo che l'avrei riempita alla fine del viaggio.» «Non prevedete guai con i doganieri?» «Non commetto alcuna irregolarità nei loro confronti. Fintanto che non portate fuori dalla Cina qualcosa che ha più di centoventi anni, va tutto bene.» Wexford lo ringraziò per la perizia e per la tazza di tè e lo lasciò mentre impaccava un'icona azzurra, cremisi e oro. Tornato nella sua stanza, trovò in piedi nell'angolo accanto al condizionatore la vecchia con i piedi fasciati. Wexford la fissò e lei si tramutò nell'attaccapanni di legno al quale aveva appeso la sua giacca. La sua ombra era volata via attraverso la finestra buia. Ora egli sapeva che quell'immagine non era reale e che se l'era inventata forse a causa di qualcosa che era accaduto ai suoi occhi o alla sua mente. In un libro di racconti riguardanti il soprannaturale: ne aveva letto uno di Somerset Maugham intitolato La fine del volo, non aveva niente a che vedere con gli aerei ma parlava di un tale nel lontano Oriente che aveva fatto una specie di torto a un tizio e quindi, in qualunque posto fuggisse, era ossessionato da questo tizio o dal suo fantasma. Wexford, naturalmente, non aveva mai fatto alcun torto alla vecchia signora cinese. La stanza era di nuovo vuota, di lei non c'era traccia. Il condizionatore aveva raffreddato troppo l'aria. Andò a letto, tirandosi il copriletto fin sopra la testa. Gli era impossibile dormire. A metà della notte si alzò di nuovo e si preparò un tè. La vecchia non c'era. Eppure non riusciva a dormire. E per giunta, alle quattro del mattino il ronzio del condizionatore fu sovrastato da un violento scroscio. Stava piovendo. Quando incominciò ad albeggiare, scese dal letto e si mise a osservare la pioggia. Non riusciva a vedere altro che la pioggia che batteva contro i ve-
tri. Il lago, i tetti delle case, le montagne, tutto era coperto da una spessa nebbia lattiginosa. Era assurdo tentare di uscire, a meno di non esservi costretti, come nel caso della comitiva del treno. Dovevano imbarcarsi per Canton, un viaggio di soli trecento chilometri in linea retta. Tuttavia avrebbero passato due giorni in treno. Il loro bagaglio era ammonticchiato nell'atrio dell'albergo. Scendevano in ascensore in due o tre alla volta per aspettare il signor T'chung e l'autobus. Wexford si sedette in una sedia di malacca a leggere il racconto di Maugham. Scesero per primi i Knighton con la loro amica; quest'ultima indossava il solito completo azzurro che però non assomigliava molto a quello della vecchia con i piedi fasciati. Fuori, l'autobus stava arrivando. Lois Knox uscì dall'ascensore seguita da Hilda Avory. «Immagino che dobbiamo salutarci» disse Lois con uno sguardo intenso come se fossero stati amici intimi. Wexford le strinse la mano e fece altrettanto con Hilda e con Vinald. «Fate buon viaggio.» «Anche voi» ricambiò Vinald. «Ve ne volerete via in un grazioso piccolo Fokker. Fossimo così fortunati!» I Baumann e Margery gli fecero un cenno. Fanning uscì dall'ascensore con il signor T'chung. «Che Dio mi aiuti» sussurrò Fanning a Wexford. «Una volta a casa, il posto più lontano in cui andrò sarà l'isola di Wight.» Si misero in fila fuori dell'autobus sotto gli ombrelli tenuti dalle guide, e all'ultimo momento furono raggiunti dalle due donne della Nuova Zelanda. La bella Pandora indossava un paio di pantaloni gialli aderenti e una camicetta gialla. Wexford vide Lois lanciarle un'occhiata di avversione. La pioggia inghiottì l'autobus che si diresse verso la stazione sollevando schizzi da tutte le parti. Wexford bevve un po' di tè, poi cercò di dormire. Quindi si rimise a leggere una storia di M. R. James che parlava di un uomo perseguitato dal fantasma di un nobile svedese che aveva inavvertitamente liberato da una tomba. Non riuscì a finirla. Aveva visto la vecchia con i piedi fasciati attraversare l'atrio poco dopo la partenza dell'autobus e ora con la coda dell'occhio continuava a vederla gironzolare lì intorno. Quando la fissava in viso, lei scompariva. Ora, mentre guardava da un'altra parte, era vagamente conscio che lei lo aspettava, per parlare, come una visione. Era inutile preoccuparsene. Quando sarebbe stato a casa avrebbe chiesto
al dottor Crocker di mandarlo da un oculista o specialista in allergie o forse, se era proprio necessario, da uno psichiatra. Anziché preoccuparsi, o anziché preoccuparsi più del necessario, incominciò a chiedersi se dovesse andare a parlare con la polizia locale. Dopo tutto, lui era venuto in Cina come poliziotto su invito del ministero degli Interni. Doveva informarli che si trovava sul battello al momento del fatale incidente occorso a Wong? Continuò a rimuginare la cosa con aria accigliata. Ma come avrebbe potuto fare con la sua scarsa conoscenza del cinese e con la probabile carenza di vocaboli inglesi da parte loro? Forse avrebbe potuto servirsi del signor Sung come interprete. E che aiuto avrebbe potuto fornire la sua deposizione? Aveva dormito per tutto il tempo. No, non sarebbe andato. Un'azione del genere poteva far pensare che volesse mettersi in evidenza, per dimostrare che lui e la nazione da cui proveniva possedevano un maggior grado di efficienza. D'altra parte non poteva far niente, non aveva niente da raccontare, se non che era l'ultima persona da cui in realtà ci si potesse aspettare una testimonianza di quanto era accaduto sul battello. Piovve per tutto il giorno. Ma ventiquattr'ore dopo, quando cominciava a pensare che il suo volo sarebbe stato cancellato a causa del maltempo, il cielo si schiarì, ritornò a splendere il sole e i gioghi delle montagne forarono le nubi per stagliarsi contro l'azzurro trasparente. Si poteva distinguere ogni albero sui loro pendii. Il signor Sung lo scortò all'aeroporto in tassì. «Desidero dirvi» dichiarò il signor Sung «che è stato per me un grandissimo piacere farvi da guida. Vi auguro un ottimo viaggio e un piacevole soggiorno a Guangzhou.» Questo, come sapeva Wexford, era il nome che i cinesi davano a Canton. O perlomeno sarebbe più giusto dire che, nel tentativo di pronunciare Guangzhou, Canton era la migliore pronuncia che avevano trovato i mercanti europei che vi avevano soggiornato. «Vi prego di porgere i nostri omaggi ai vostri amici e conoscenti del Regno Unito e di dir loro che saranno i benvenuti in Cina. Tutti gli amici sono benvenuti in Cina.» L'aereo non aveva l'aria condizionata. Per diradare il vapore formatosi nell'interno non pressurizzato i passeggeri si facevano aria con i ventagli, distribuiti dalle hostess, su cui erano dipinte le montagne del Kweilin. Wexford era l'unico europeo a bordo. Sapeva che l'hostess che andava avanti e indietro lungo il corridoio con ventagli e vassoi carichi di dolciumi era una
ragazza che aveva superato da poco la ventina, ma per un momento la vide trasformata in una vecchia con i piedi fasciati. L'avrebbe vista a Canton? A Hong Kong? L'avrebbe vista in Inghilterra, come l'uomo di Maugham con il suo persecutore? A Canton si incontrò con la sua nuova guida, Lo Nan Chiao. Il signor Lo gli strinse la mano e disse che era il benvenuto a Guangzhou e che, se gli avesse fatto piacere, mentre il suo bagaglio veniva trasportato all'albergo, avrebbero proseguito direttamente per il Mausoleo dei martiri. La vecchia dai piedi fasciati era là ad aspettarlo. Chiuse gli occhi e quando li riaprì lei si era trasformata in una sorvegliante in uniforme. Poi la vide uscire dalla porta del monumento a Sun Yatsen e attraversare il ponte dalla parte di Sha Mian per andargli incontro. Si sarebbe convinto della propria follia se il signor Lo non le avesse rivolto la parola. Successivamente la guida spiegò a Wexford che si trattava di una conoscente di sua madre. Wexford stava sudando. Era solo una conoscente della madre di Lo. A Canton faceva ancora più caldo e c'era una forte umidità. Quando tentò di preparare il tè scoprì che l'acqua del suo thermos era appena tiepida e fece notare al personale dell'albergo che avevano dimenticato di procurargli l'acqua bollente. Ma a pranzo scoprì una nuova qualità del Lao Shan: la più fresca e la migliore acqua minerale che avesse mai gustato. Ne comprò una dozzina di bottiglie, con grande meraviglia della cameriera per la quale forse quel genere di stravaganza rappresentava il salario di una settimana. Anche il cibo era buono e il caffè bevibile. Stava sonnecchiando nella sua stanza e questa volta avrebbe potuto anche pensare che fosse stato un sogno e non una visione, ma non avrebbe mai saputo la verità. Ci fu la tradizionale scena contemplata in tutte le storie di fantasmi. Wexford le scagliò addosso qualcosa. Quasi in ogni altra parte del mondo, nella camera d'albergo avrebbe trovato a portata di mano un libro sacro, la Bibbia o il Corano, qui invece dovette servirsi de I capolavori del soprannaturale. La vecchia scomparve. Wexford si sentiva esausto. Era certo che non sarebbe riuscito a dormire e si rassegnò a un'altra notte in bianco, interrotta da un greve assopimento senza sogni dal quale emerse alle sei, quando squillò il telefono. «Buongiorno. È ora di alzarsi» disse un'allegra voce dall'inflessione cantonese. Wexford si sentì molto meglio. Il sole splendeva sulle verdi montagne coperte di alberi che scorgeva dalla sua finestra. Colazione e poi visita alla
fabbrica di porcellana con il signor Lo, la fabbrica di Fushan dove era stata prodotta tutta la più bella porcellana cinese del passato che da qui veniva esportata in Europa. Molto probabilmente qui era stato modellato, dipinto e smaltato il vaso con i fiori di pesco che Gordon Vinald aveva acquistato. Quando tornò indietro all'albergo Bai-yun per pranzare, si rese conto che non aveva più visto la vecchia dopo che in fabbrica si era sottratta alla sua vista nascondendosi dietro un gruppo di ragazze che modellavano statuette. Quella sera non comparve nella sua stanza e neppure il giorno dopo al parco Tung Shan. Non si fece vedere neppure nell'orto botanico, così lui poté contemplare in pace le bellissime orchidee. Il signor Lo arrivò con il visto di uscita di Wexford e il cestino della colazione per pranzare sul treno diretto a Kowloon. Quando arrivarono in stazione, la vecchia non c'era. Non lo aspettava neppure nello scompartimento. Il treno aveva fodere di cotone grigiastro con volant pieghettati sui sedili, tendine di tulle con mantovane di velluto celeste ai finestrini. C'erano apparecchi televisivi a circuito chiuso ai quali di quando in quando apparivano un'annunciatrice o alcuni acrobati che eseguivano i loro esercizi. Wexford non riusciva ancora a credere che la vecchia se ne fosse andata e continuava a lanciare occhiate intorno. Ma finì con il ricavarne nient'altro che un fastidioso mal di testa. Stava per lasciare la Cina. Tranquillamente, senza fermate o pratiche di frontiera, il treno attraversò la zona di confine con i nuovi territori di Hong Kong a Shunchun. Da quel momento Wexford sentì con assoluta certezza che non avrebbe mai più rivisto la vecchia dai piedi fasciati. Fantasma o allucinazione, qualunque fosse la ragione per cui gli si era mostrata a Shao-shan, per una ragione altrettanto inspiegabile l'aveva abbandonato a Canton. Si sentiva stanco, scosso, ma sollevato. Il treno, fresco e arieggiato, correva piacevolmente verso la colonia della Corona, tornando al lusso, alla normalità, al «troppo alto» standard di vita, ai letti soffici, al capitalismo. Dora era ad attenderlo sul marciapiedi della stazione di Kowloon. Aveva sentito la mancanza del marito e sapeva che anche per lui era stato lo stesso. Dopo tutto erano sposati da trent'anni, fu quindi un poco sorpresa dall'ardore del suo abbraccio. Parte seconda 7
La fattoria del castello di Thatto sorgeva a circa due chilometri dalla cittadina di Sewingbury, in un delizioso paesaggio collinare in mezzo ai boschi. Il castello in realtà era stato demolito parecchi anni addietro e la casetta, che era stata acquistata da una coppia di Londra nel 1965 ed era stata trasformata per essere impiegata come residenza di campagna, è ora l'unica dimora di Thatto Vale. Il villaggio più vicino è Paunceley, un complesso di villini e una piccola proprietà comunale collegati a Sewingbury da una strada secondaria con un sistema di sentieri che passano vicino alla fattoria. È una casa di mattoni lunga e bassa, di circa centosessant'anni fa, che comprende sei stanze, due bagni, una toilette e una cucina. I giardini sono tenuti molto bene e la casa ha un aspetto curato, quasi di lusso. In ottobre la vite americana rampicante che copre una buona metà della facciata della casa assume una splendida tonalità rossastra e le due aiuole circolari nei due praticelli sul davanti sono piene di astri nani in varie sfumature di porpora, rosa e blu. Un mattino di ottobre la signora Renie Thompson, la domestica a ore della fattoria del castello di Thatto, arrivata alle nove come al solito, trovò la sua padrona stesa senza vita sul pavimento della sala da pranzo. Wexford si recò al lavoro mezz'ora più tardi e quella fu la prima cosa che gli comunicarono. Il nome non gli parve sconosciuto e neppure l'indirizzo. «Chi è morto?» chiese al sergente Martin. «Una certa signora Knighton, signore. Adela Knighton. La donna che l'ha trovata dice che le hanno sparato.» «L'ispettore Burden è andato laggiù con il dottore e con Murdoch? Penso che dovremo andarci anche noi.» Era una splendida giornata di sole: la leggera foschia mattutina era scomparsa. Le foglie non avevano ancora incominciato a cadere. Proprio nel punto in cui il sentiero sbuca nella strada, poco prima della fattoria, un uomo con in mano un fucile e penzoloni sulla spalla due conigli, stava risalendo la breve scarpata. La fattoria di Thatto era avvolta in una bruma dorata. Sui prati rasati scintillanti di rugiada erano sparse un gran numero di mele giallo rosse cadute dal melo selvatico. La porta d'ingresso era aperta e Wexford entrò. Murdoch, l'agente addetto al sopralluogo nei casi di omicidio, si trovava nella sala da pranzo con il dottor Crocker e il cadave-
re. Naughton, lo specialista in impronte digitali, era indaffarato nell'anticamera. Al tavolo di cucina sedeva Renie Thompson. Stava bevendo una tazza di tè forte, e Burden era seduto di fronte a lei. La signora Thompson aveva la stessa età della sua padrona, era cioè sulla sessantina. Era una donna alta e scarna, dai capelli castani tinti raccolti in una retina. Indossava una gonna e una camicetta con sopra un grembiule a fiori color malva. «Dov'è il signor Knighton?» chiese Wexford. «Non chiedetelo a me.» La signora Thompson aveva conservato modi sfacciati e brutali anche nello stato di shock in cui si trovava. «Io arrivo sempre puntuale alle nove, il lunedì, il mercoledì e il venerdì e questa è stata la prima volta che ho notato che non c'erano né lui né lei. Sono salita e ho dato un'occhiata. Voglio dire che per quanto ne so io potrebbe esser morto anche lui ed essere disteso lassù. Avevano letti separati, e lui non ha dormito nel suo. Non era mai capitato prima, eppure è un bel mucchio di anni che lavoro qui.» Wexford salì al piano di sopra. La scala era di quercia lucidata, senza tappeti. Mentre le stanze avevano il pavimento ricoperto dalla moquette, su quello della spaziosa anticamera del piano superiore erano stesi alcuni tappetini blu e grigio argento. La stanza principale, con i suoi due letti, uno sfatto e l'altro intatto, era tutta in varie tonalità di rosa. Le altre tre erano rispettivamente in azzurro, in verde e in oro. Mobili in stile vittoriano, tendaggi in cinz con mantovane pieghettate, su una mensola un mazzo di fiori finti in un vaso Bing e Grondahl, e in ogni stanza una gran varietà di suppellettili. Tutto molto ordinato e di buon gusto. Wexford guardò in tutti gli armadi e persino sotto i letti. Scese al pianterreno ed esaminò l'ampio soggiorno, ammobiliato anch'esso in modo tradizionale. Dopo aver messo dentro la testa nei bagni, entrò anche nella toilette: qui notò che alla finestra mancava una lastra di vetro. Knighton non c'era, né vivo né morto. Uscendo dalla sala da pranzo, il dottor Crocker disse: «Il vecchio Tremlett sta arrivando. Sono riuscito a chiamarlo a casa prima che uscisse per andare all'ospedale.» «È vero che le hanno sparato?» «Dietro la testa. Le deve aver appoggiato la canna della rivoltella contro l'occipitale. Ha i capelli tutti bruciacchiati dietro.» «Le ha sparato all'occipitale? Le ha appoggiato la rivoltella contro la testa da dietro e le ha sparato? Stento a crederlo. Sentite, sergente, e se invece lei avesse udito un rumore, fosse scesa a vedere di che cosa si trattava, lui avesse strisciato furtivo dietro di lei e le avesse sparato?»
«Forse aveva sentito il vetro andare in pezzi, signore. Da una finestra di là manca un pannello di vetro.» «A meno che non sia stato tagliato. Dovreste parlare con la signora Thompson e scoprire che cosa possedevano di valore o che cosa c'era di costoso in questa casa.» Wexford s'inginocchiò e osservò il corpo. Era freddo e duro al tatto ed era già cominciato il rigor mortis. Aveva passato poco tempo con Adela Knighton in Cina e l'aveva completamente dimenticata. Ora provava solo un moto di pietà. Non era bella a vedersi e non c'era dignità nella sua morte. Da viva e in salute era stata brutta, tozza, insignificante e piuttosto aggressiva. Ora da morta era distesa in un flaccido ammasso di carne. La sua faccia sembrava di cera molle. I suoi capelli rossicci e brizzolati erano anneriti dalla polvere da sparo sulla nuca e intorno alla ferita provocata dall'entrata della pallottola. Indossava una pesante camicia da notte dall'aspetto molto costoso, di seta color pesca con applicazioni e orli di pizzo, e sopra una vestaglia di velluto blu scuro. Aveva ai piedi pantofole basse di velluto nero trapuntato. Alla mano sinistra portava l'anello nuziale, una fascetta di platino con brillantini incastonati, di una misura troppo grande per quelle dita magre. «Sembra che qualcosa di molto allarmante l'abbia fatta scendere» osservò Wexford. «C'era un telefono con una derivazione accanto al suo letto e i fili non sono stati tagliati.» Una Daimler nera avanzava lungo il viale ghiaioso. Era arrivato sir Hilary Tremlett, il patologo. Wexford attraversò l'anticamera ed entrò nella toilette. Conteneva un water con la cassetta dell'acqua, un tavolino con inserito un lavabo, un piccolo specchio rotondo appeso sopra il lavabo. Il telaio della finestra era diviso in quattro pannelli, ciascuno dei quali misurava quaranta centimetri di larghezza, e in uno di essi il vetro era stato tagliato. Wexford osservò che un uomo della sua taglia non avrebbe potuto passare attraverso quell'apertura. La maggior parte delle donne ci sarebbe riuscita e anche un uomo di corporatura media. Fuori, proprio sotto la finestra, c'era una piccola aiuola nella quale erano sbocciati alcuni fiori di sedum rosa. Wexford sapeva che non c'erano impronte. Era uscito a vedere e non ne aveva trovate. Qualcuno aveva chiaramente calpestato quel che era rimasto dei segni lasciati. La signora Thompson stava spiegando a Martin che i Knighton non avevano mai tenuto denaro in casa, a quanto ne sapeva lei. La signora Knighton, come molte persone agiate, precisò Renie Thompson, era sempre a
corto di denaro contante e più di qualche volta l'aveva pagata con un assegno. Non era sparito nessun soprammobile e non c'era stato alcun tentativo di portar via pesanti apparecchiature come il televisore, l'impianto stereo o qualche attrezzo da cucina. «Forse possedeva gioielli.» «Avrei dovuto chiederlo» disse Martin con l'aria di uno che non ci avrebbe neppure pensato se il suo capo non gliel'avesse rammentato. «Cosa mi dite dei gioielli, signora Thompson?» «Io la vedevo solo di mattina. Come si fa a chiedere a me se aveva anelli o altro?» Wexford si ricordò che in Cina la donna aveva un orologio di platino e un anello di fidanzamento, o qualcosa del genere, con una pietra quadrata. Descrisse questi oggetti alla signora Thompson. «Se lo dite voi! Non chiedetemi dove li tenesse.» «D'accordo, non ve lo chiediamo» tagliò corto Wexford, irritato da quei modi petulanti e villani. «Lo scopriremo noi. Non sono molti i nascondigli possibili. Non poteva certo tenerli nel frigorifero o infilati nella cappa del camino.» Sir Hilary aveva terminato il suo esame preliminare e si accordarono per portar via il corpo. Murdoch stava ancora lavorando con meticolosità sulle superfici del tavolo, della balaustra, degli stipiti delle porte. Il dottore, prima di andarsene, chiese a Wexford: «Viveva qui sola?» «C'è un marito» rispose Wexford. «E dov'è?» «È quello che vorrei sapere.» Martin scese dal piano superiore. «Non ci sono gioielli né cofanetti di gioielli nella sua stanza e neppure nelle altre camere da letto, signore.» «Bene.» Ricordando il tavolo sulla terrazza dell'albergo con sopra una busta gialla di fotografie, chiese alla signora Thompson: «Aveva figli? Se sì, dove vivono?» «La figlia a Sewingbury, per quanto ne so io. Non chiedetemi dove si trovano i figli, tutti lontano da qui, suppongo. Potrebbero esserci i numeri di telefono in quell'agenda.» Un elenco telefonico rilegato in pelle si trovava sul tavolino del telefono. Wexford si tenne a mente il numero della figlia. Era segretamente fiero della sua memoria. Sapeva che era eccezionale. «Qual è il nome della figlia da maritata?» «Il cognome? Non saprei. Avevo forse qualche ragione per chiederlo?
Loro la chiamavano Jennifer. Potrebbe dirvelo il signor Knighton.» «Sì, non ho dubbi che lui conosca il cognome della propria figlia» ribatté Wexford. «Potete tornare a casa, ora, signora Thompson, se volete. Penso che dovremo vedervi di nuovo. Ve lo faremo sapere.» «Allora non mi date un passaggio fino a casa?» «Prego?» «Pensavo che come minimo uno di voi avrebbe fatto una corsa per riportarmi a casa. Vi ho riferito di averla trovata, no? Vi sono stata utile nell'inchiesta. In queste circostanze è usanza provvedere al trasporto.» Wexford era divertito. «In questo settore non lo è affatto. Forse nella Divisione Y o a Los Angeles. Voi avete visto troppi telefilm polizieschi.» Renie Thompson spinse in fuori il mento e uscì con aria seccata. Wexford rise. «Abita solamente qui a Paunceley» disse Burden. «Non pensate che si poteva accontentarla?» «Andiamo. Non sa distinguere una Beretta da un apribottiglie. Hai finito, Murdoch? Allora è meglio che io torni in ufficio. Martin, voglio la figlia dei Knighton, che abita da qualche parte a Sewingbury, e anche i figli se è possibile. Voglio un'indagine capillare qui e a Sewingbury e dall'altra parte di Thatto Vale attraverso Paunceley. Fortunatamente, o forse è una sfortuna, non ci sono molte case.» «Che cosa dobbiamo cercare, signore?» «Ogni fatto sospetto accaduto durante la notte, ogni macchina strana e ogni passante sconosciuto che siano stati visti ieri o questa notte. Ah, dobbiamo anche cercare Knighton. Dobbiamo darci da fare per trovare Knighton.» Quando se ne furono andati, Wexford incominciò a raccontare a Burden della Cina. Non del viaggio in generale, considerati i resoconti fatti nelle settimane precedenti, ma di tutto ciò che riusciva a ricordare di Adam e Adela Knighton. Non era molto. Per una strana ironia aveva prestato più attenzione agli altri membri della comitiva del treno che non ai Knighton e alla loro amica. Forse perché gli altri gli avevano un po' imposto la loro compagnia. Verso la fine del viaggio, quando aveva fatto la conoscenza dei Knighton, si sentiva indemoniato, assillato, tormentato da quella fantasia o allucinazione, come la si voleva chiamare. Alle donne aveva rivolto la parola raramente, a Knighton... Che cosa riusciva a ricordare di lui? Un uomo alto e magro, con i capelli d'argento, sulla sessantina, che aveva sbarrato gli occhi per un momento come se avesse avuto una visione e che
aveva recitato, senza nessuna apparente ragione, una strana ode di un poeta cinese. Ora che aveva raccontato tutto ciò a Burden, lasciando da parte solo quel che riguardava le proprie visioni, scavando nella sua ottima memoria sarebbe stato in grado di riferire con precisione, ne era certo, ogni frase che aveva udito pronunciare da Adam e Adela Knighton. «Potrebbe essere utile» disse Burden in tono poco incoraggiante. Wexford ribatté piuttosto oscuramente, anche se Burden capì ugualmente: «Be', non poteva trattarsi di un ladro. Lei non si è alzata e non è scesa dabbasso perché c'era un ladro. Un rapinatore non le si sarebbe avvicinato alle spalle per incollarle un fucile dietro la testa. Non è andata così. E dove diavolo è Knighton?» «Ha assassinato la moglie ed è fuggito con l'amica. No, ma in effetti, avrebbe potuto farlo. Non scappare con l'amica, non voglio dire questo. Non alla sua età. Può aver avuto un alterco con lei durante la notte, averle sparato e poi essersene andato, il diavolo sa dove. Perché no? È la cosa più probabile. Potrebbe addirittura essere uscito dal paese. Forse lo ha fatto. Gente della sua posizione ha sempre amici ricchi e influenti.» «Non sono necessari gli amici ricchi e influenti» scattò Wexford. «Basta comperare un biglietto d'aereo. All'American Express. È tutto così maledettamente facile oggigiorno. D'accordo, ammetto che questa è la cosa più probabile. Tuttavia penso che fossero al piano di sopra quando hanno litigato se lei era in camicia da notte, e certo non mi sarei aspettato che un gentiluomo inglese come Knighton potesse sparare a qualcuno, neppure alla moglie e da dietro le spalle, mirando alla testa.» «Questo vi secca parecchio, vero?» «Naturalmente.» Si trovavano nel soggiorno. Una volta erano tre o quattro stanzette, ora riunite in un salone lungo una decina di metri, con portefinestre sul retro e finestre a due battenti che si affacciavano sui prati e sul viale. Un grande orologio a pendolo incominciò a battere le undici con sonori rintocchi. Wexford udì anche un altro suono. Si diresse verso una delle finestre e guardò fuori. Lungo il viale avanzava una macchina, una grande Ford blu scuro. «È un tassì della stazione di Kingsmarkham» constatò Burden. «Sì.» La macchina si fermò. Dalla parte posteriore scese un uomo che, dopo aver pagato il conducente, afferrò una ventiquattrore di cuoio nero che aveva appoggiato sulla ghiaia per un momento e si diresse verso la porta
d'ingresso scomparendo alla loro vista. «Knighton» disse Wexford. La chiave girò nella serratura. I due poliziotti rimasero tranquillamente in attesa. La porta d'ingresso si aprì e si richiuse, i passi risuonarono attraverso l'anticamera e la voce di Knighton chiamò: «Adela!» 8 Era venuto il momento di rivelare la loro presenza. Wexford tossì ma forse Knighton non lo udì perché quando vide i due uomini uscire dal soggiorno ebbe un violento sussulto. «Che cosa diavolo!...» «Buongiorno, signor Knighton» lo salutò Wexford. «Sì, noi ci siamo già incontrati. È stato in Cina. Vedo che mi riconoscete come io riconosco voi. Sovrintendente Wexford della sezione omicidi di Kingsmarkham. Questo è l'ispettore Burden.» «Il signor Wexford, sì. Mi ricordo di voi, anche se non capisco... Che cosa fate in casa mia? C'è stato un furto o che altro?...» «Questo non lo sappiamo ancora. Comunque, è avvenuto qualcosa di molto serio. Dovete prepararvi...» «Dov'è mia moglie?» Wexford glielo disse. Knighton divenne pallidissimo. Entrò nel soggiorno e si sedette su una poltrona. «Le hanno sparato? Hanno sparato a Adela?» «Sono spiacente, ma questa è la verità, signore.» «Qualcuno che si è introdotto qui le ha sparato? È morta?» «Sì. Sembra che sia stata uccisa da qualcuno che è penetrato nella casa durante la notte.» Knigton si passò una mano sulla faccia. «E voi, voi siete un poliziotto di Kingsmarkham? Voi siete entrato qui e avete trovato mia moglie morta?» «Io tra gli altri. Ci ha avvertito la vostra donna delle pulizie.» «Buon Dio! Dio del Cielo!» Burden si era seduto e ora si sedette anche Wexford. La faccia di Knighton era ancora bianca come un cencio, i suoi occhi erano vitrei per lo shock. Wexford poteva giurarlo che era stato uno shock. Notò qualcosa di cui non si era accorto mentre erano in Cina: il tormentoso pensiero della vecchia signora dai piedi fasciati indubbiamente l'aveva sconvolto. Notò che Knighton aveva dei lineamenti straordinariamente belli. Aveva un bel-
l'aspetto anche ora, sebbene il colpo lo facesse apparire come malato. Come doveva essere stato da giovane? Aveva ancora l'espressione di un ragazzo, l'agile portamento di un giovanotto, e i suoi tratti erano di tipo classico, anche se il passare degli anni li aveva fissati in un immobilismo marmoreo. Con il tempo i suoi riccioli dorati erano diventati argentei. Adela Knighton, invece, era stata veramente brutta, addirittura orrenda. E la sua era quel tipo di bruttezza non dovuta all'età ma presente fin dalla nascita. Tutto questo, naturalmente, poteva essere irrilevante. Wexford fece la classica domanda che l'aveva sempre fatto sentire un personaggio di una storia poliziesca. «Dov'eravate la notte scorsa, signore?» «Dov'ero? Mi trovavo con un amico a Londra. Perché me lo chiedete?» «Domanda di rito.» «Buon Dio.» La bocca di Knighton si piegò in una specie di consapevolezza piena di orrore. «Mi sembrava che aveste detto che uno scassinatore...» «Se poteste dirci dove vi trovavate la notte scorsa, signore, il nome del vostro amico e via dicendo, potremmo procedere molto più in fretta in questa dolorosa faccenda.» «Oh, benissimo.» Knighton esitò un secondo. «Un mio vecchio amico, Henry Lacey» rispose «ha dato un pranzo al club al quale apparteniamo sia lui sia io. È il Palimpsest in St James. Era per celebrare i suoi cinquant'anni nell'avvocatura, quel che è di moda chiamare le nozze d'oro, penso. Io ero invitato. In occasioni del genere rimango a Londra perché non mi è mai piaciuto far uscire mia moglie con la macchina all'una del mattino. E alla stazione a quell'ora i tassì non sono più disponibili, come saprete anche voi.» «Siete rimasto al club?» «No, con un amico che ha un appartamento in Hyde Park Gardens.» Squillò il telefono. Knighton ebbe un altro violento sussulto. Wexford vide con sorpresa che lanciava un'occhiata nella sua direzione prima di alzarsi. Assentì con il capo. Knighton rispose con una voce bassa e controllata. Chiunque fosse all'altro capo, a meno di non essere completamente insensibile, doveva aver riconosciuto la voce di uno che aveva da poco subito una grave perdita. Una valutazione crudele ma esatta. Knighton era sconvolto, ma non era triste. Forse la tristezza sarebbe venuta più tardi.
«Oh, Jennifer...» Era la figlia. «La polizia te l'ha detto? Hai parlato con Rod? Sì, per favore, vieni...» Depose la cornetta, toccandosi di nuovo la fronte con la mano. «Stanno arrivando mio figlio, mia figlia e mio genero.» «Mi sembrava che aveste quattro figli.» «Una figlia e tre maschi. Uno è in America e uno in Turchia.» «Mentre aspettiamo vostro figlio, il signore e la signora...?» «Norris. Mio genero è avvocato nello studio Symonds, O'Brien e Ames a Kingsmarkham.» «Mentre li aspettiamo, potreste darci il nome del vostro amico che abita in Hyde Park Gardens e l'indirizzo del signor Henry Lacey.» Jennifer e Angus Norris arrivarono per primi. Lei era una donna giovane e brutta, tarchiata e lentigginosa, che assomigliava alla madre. Era al settimo mese di gravidanza e Wexford si ricordò che Adela aveva parlato di un bambino in arrivo. Suo fratello Roderick arrivò poco dopo in una Triumph TR7 gialla, che aveva guidato a tutta velocità da Londra. Era bello e alto come il padre, nonostante l'aria preoccupata, ed era molto più anziano della sorella. Un altro avvocato, venne a sapere Wexford. La legge era ben rappresentata nella famiglia Knighton, alla quale era accaduta una cosa fuori della legge. Il vivace genero, basso di statura come la moglie e con una massa di riccioli neri che circondavano un'area di calvizie, l'aveva visto qualche volta in tribunale. La giovane signora Norris aveva maniere che Wexford aveva già trovato nelle donne dell'alta borghesia allevate con molta indulgenza. Chiamava i genitori mammina e paparino e parlava della sua famiglia e di quelli della sua cerchia come di un'élite. «È così terribile! Sembra impossibile che potesse succedere proprio a noi. Paparino era avvocato penalista, sapete, e ricordo che mammina diceva che ciò le aveva fatto aprire gli occhi sull'orrenda quantità di delitti che avvengono. E paparino era solito rispondere che non doveva preoccuparsi perché solo una minima parte di questi assassini avviene tra gente come noi. Riguardano quasi tutti i ceti più bassi. E adesso, povera mammina... Voglio dire, sembra così ingiusto! Conduci una vita decorosa e cerchi di conservare un certo tenore e poi ti va a succedere una cosa spaventosa come questa!» Indubbiamente il delitto le sarebbe sembrato più comprensibile se la vit-
tima fosse stata Renie Thompson. Nonostante le sue osservazioni, Wexford non poté evitare di chiedere dove avevano trascorso la notte precedente lei e il marito. «A quale spazio di tempo alludete?» intervenne Norris. «Che cosa vuol dire notte?» Parlava nello stile che usava quando interrogava in contraddittorio qualche testimone nervoso. «Quanto tempo ha occupato tutto ciò?» «Riferiamoci all'intera notte per il momento, signor Norris.» «Lo chiedo perché ho accompagnato fuori mia moglie ieri sera.» Jennifer Norris produsse un suono che nelle circostanze non poteva far pensare a una risata, e tuttavia vi era molto vicino. Era un sinistro riso annoiato. Suo fratello le rivolse un'occhiata fredda e autoritaria. «Sì, ma davvero, Angus, tu mi hai accompagnato fuori! Intende dire, Rod, che abbiamo passeggiato avanti e indietro lungo il fiume e abbiamo bevuto qualcosa dai Miller, il massimo della vita mondana che conduciamo in questi giorni...» Wexford tossì. «Sì, be', sovrintendente» incominciò Norris che era arrossito «siamo andati a letto presto, noi...» «Oh, Angus, lascia che lo dica io. Il dottore mi ha consigliato un blando sedativo e il risultato è che dormo come un ghiro. E più tardi siamo stati chiamati al telefono da un attaccabottoni, così se la povera mammina ha cercato di mettersi in contatto con noi...» Wexford si rese conto che la donna non riusciva neppure a immaginare che lei o suo marito potessero essere sospettati. Si trattava di un assassinio nel corso di un furto con scasso. Era dunque un delitto da basso ceto. «Noi abitiamo in Springhill Lane» spiegò senza esserne richiesta. «In una delle case antiche.» Era una forma di snobismo che Wexford aveva incontrato solo un paio di volte prima d'allora. La gente che viveva nella zona più prestigiosa di Sewingbury si sentiva un gradino più su dei vicini se possedeva una casa originale del diciassettesimo secolo. Di queste case ce n'era forse solo mezza dozzina, intorno e in mezzo ai nuovi edifici che erano sorti al posto di quelli antichi negli ultimi vent'anni. «Mammina non deve aver udito rompersi il vetro. Aveva un apparecchio telefonico accanto al letto e, anche se non è riuscita a chiamare noi, poteva cercare di telefonare alla polizia. Voglio dire, come poteva sperare di trattare con un tipo grossolano come quello?» «È entrato spaccando il vetro di una finestra?» chiese Norris. «Non esattamente, signor Norris. Possiamo dire piuttosto che è stato ta-
gliato un pannello dal vetro di una finestra. E voi che cosa avete fatto la scorsa notte, signor Knighton?» Roderick Knighton aveva modi cordiali. Lanciava frequenti occhiate al suo orologio. Aveva già fatto parecchie telefonate, e negli intervalli tra l'una e l'altra aveva dichiarato che non sapeva a che cosa servisse la sua presenza, ma se c'era qualcosa che avesse potuto fare per il padre, la sorella e il sovrintendente non avevano che da domandarlo. Parlava sbadigliando. Guardò di nuovo l'orologio mentre spiegava a Wexford che la notte precedente non aveva chiuso occhio. Lui, la moglie e la ragazza alla pari erano rimasti alzati per la maggior parte del tempo ad assistere la figlia più piccola che era ammalata. «Orecchioni» precisò. «Povera piccina.» Jennifer Norris si era alzata in piedi. Suo marito era ritto accanto a una delle finestre. Guardava fuori con aria pensierosa. Sembrava preoccupato o imbarazzato dal fatto che un uomo nella sua posizione, come certamente diceva di sé, potesse improvvisamente trovarsi coinvolto in una faccenda così disgustosa. Alla successiva osservazione di Wexford sì girò lentamente per scambiare con la moglie un'occhiata di sgomento o forse di incredulità. «Vorrei poter fare un inventario dei gioielli della signora Knighton che mancano.» Per Knighton si trattava di un'impresa disperata. Ora appariva stupito e confuso da quel che era accaduto e dalla sua faccia erano spariti il colore e l'animazione. Era abbandonato in una poltrona. Guardava un punto fisso e a un tratto si scosse da quell'intontimento con un brivido. La richiesta di Wexford ottenne da lui solo una vaga scrollata di capo. Roderick era di nuovo al telefono. Sussurrava nella cornetta, mettendo ogni tanto le mani a coppa intorno al microfono. «Mancano dei gioielli?» chiese Norris con il suo tono di voce strascicato. «Così si suppone. Non ce ne sono in casa» disse Wexford seccamente. «Penso che la signora Knighton possedesse qualche gioiello oltre all'anello nuziale.» «Certo» ribatté Jennifer vivacemente. Wexford si chiese come Norris riuscisse a sopportare quella petulanza. «C'era un braccialetto d'oro che era appartenuto a mia nonna» continuò, con totale mancanza di discrezione «e che lei ha sempre detto che un giorno sarebbe stato mio.» Norris trasalì chiudendo gli occhi. «E le sue perle, naturalmente. Alcuni anelli e spille,
un paio di orologi. Noi siamo il tipo di persone che si ornano come alberi di Natale. Mammina sembrava terribilmente volgare con i buchi nei lobi per gli orecchini.» «Vorrei che faceste del vostro meglio per prepararmi un elenco, signora NOITÌS. Immagino che vostro padre le abbia donato qualche gioiello nel corso degli anni.» Knighton non parlò. Wexford improvvisamente notò il grosso diamante quadrato sulla mano sinistra, corta e rossa della figlia. «Non credo che abbia fatto molti doni del genere» commentò lei. Il dottor Moss, che era un collega di Crocker e il medico curante di Adam Knighton, arrivò all'una e porse a Knighton alcune pillole di sonnifero e alcuni tranquillanti e gli fece le sue condoglianze. Roderick informò i presenti che intendeva andarsene, ma che se avessero avuto bisogno di lui non avevano altro da fare che telefonargli. Lasciò una sfilza di numeri di telefono. Jennifer Norris fece notare al marito che ora avrebbero potuto telefonare al fratello di lei a Washington. In quella città erano le otto del mattino. Al fratello che viveva ad Ankara lei avrebbe mandato un cablogramma. Wexford ritornò alla stazione di polizia. Le indagini non avevano dato alcun risultato. Wexford comunque non si era aspettato granché. La fattoria di Thatto era troppo isolata. In attesa del rapporto di sir Hilary Tremlett, Crocker aveva dichiarato che la morte poteva essere stata fra le due e le quattro del mattino. Prima del giorno successivo non avrebbero potuto conoscere altri particolari: il tipo di arma usata, la causa precisa della morte, e di altre eventuali lesioni. «Non si tratta di furto con scasso, vero?» chiese Burden. «È solo un goffo tentativo di simulazione.» Wexford annuì. «Probabilmente non si tratta neppure di quello che Jennifer Norris chiama un rozzo individuo.» «Knighton» azzardò Burden «non è quel che potrebbe chiamarsi un rozzo individuo.» Wexford alzò le sopracciglia. Burden sedeva di fronte a Wexford nell'unica sedia girevole che poteva vagamente assomigliare a una poltrona. «Ha fornito uno stupendo alibi per un uomo innocente. Partenza per Londra, cena in St. James, soggiorno in Hyde Park Gardens. Raramente trascorre una notte lontano da casa, ma se ne va proprio la notte in cui la moglie viene assassinata. Quando l'avete incontrato in Cina, vi sembrava... be', innamorato della moglie? Voglio dire,
era un matrimonio felice?» «Il matrimonio è un divertente tran-tran nel complesso, no? È difficile dirlo. Non saprei.» «Bene. Oserei dire che vi sentite un languorino allo stomaco. Andiamo alla Perla dell'Africa? Oh, Dio, ve lo si legge in viso: volete tornare di nuovo al ristorante cinese. Sta per venire il giorno in cui non sarò in grado di fronteggiare un'altra porzione di nidi di rondine fritti.» «Non posso fare a meno di impressionare la gente con la mia favolosa abilità nel maneggiare i bastoncini» disse Wexford mentre passeggiavano lungo Queen Street verso il Drago Splendente. «Lo sai, Mike, avrei dovuto prestare più attenzione ai Knighton in Cina. Ho la sensazione che sarebbe stato molto utile. Tutto quello che riesco a ricordare è solamente Knighton seduto al tavolo che all'improvviso guarda davanti a sé come se vedesse un fantasma. O potrebbe non essere stato un fantasma.» Tacque per riflettere. «Potrebbe essere stato il Santo Graal o la Città di Dio o Beatrice, se lui fosse stato Dante.» 9 Nella scatola cranica della donna c'era una pallottola sparata da una Walther PPK 9 mm automatica, la cui traiettoria si era interrotta contro l'osso frontale. Era stata sparata da una distanza molto ravvicinata. La bocca della rivoltella era stata appoggiata contro l'occipitale. Il rapporto circostanziato di sir Hilary Tremlett delimitava l'ora della morte a un periodo compreso tra le due e quindici e le tre e quarantacinque del mattino. Adela Knighton era una donna di circa sessantacinque anni, di salute normale, di peso piuttosto abbondante, che aveva messo al mondo diversi figli e che durante la sua vita aveva subito alcuni interventi chirurgici: mastoidite, vene varicose, appendicite e, quattro o cinque anni prima, un'isterectomia. Aveva alcune contusioni nella parte superiore del braccio sinistro. Le impronte alla fattoria di Thatto appartenevano alla donna morta, a Adam Knighton, a Renie Thompson, a Jennifer Norris e ad Angus Norris. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno in cui era morta sua madre, la signora Norris aveva consegnato a Wexford un elenco di tutti i gioielli che la madre possedeva. Ma nel frattempo gli agenti di Wexford, perlustrando il terreno intorno alla fattoria, avevano trovato un cofanetto di cuoio verde sotto la siepe vicina al cancello d'ingresso. C'erano anche gli oggetti che
esso conteneva, disseminati qua e là nell'evidente tentativo di nasconderli nelle aiuole, proprio sotto la siepe, sul terrapieno che fiancheggiava la strada. Due orologi, un braccialetto d'oro, una collana di perle, due anelli di diamanti e rubini su montature antiche. La signora Norrìs identificò il tutto come appartenuto a sua madre e confermò il fatto che non mancava nulla. Wexford capì chiaramente ciò che era accaduto. Non si trattava di uno scassinatore introdottosi nella fattoria di Thatto Hall a tarda ora. Chiunque avesse preso il cofanetto dei gioielli, aveva intenzione di simulare un furto con scasso. In seguito, dopo aver abbandonato quest'idea, probabilmente perché non sarebbe riuscito a ingannare nessuno, e non volendo essere ostacolato da gioielli di valore, li aveva gettati via, l'uno dopo l'altro, mentre si allontanava fuggendo. Doveva conoscere la casa, doveva conoscere quella finestra. Doveva sapere che la signora Knighton era sola. Aveva tagliato il pannello di vetro della finestra e l'aveva appoggiato contro il muro. Era entrato senza far rumore, era salito di sopra e aveva svegliato la donna che dormiva nella sua camera. Lei era stata costretta ad alzarsi ed era scesa sotto la minaccia della pistola. L'arma era stata premuta contro la parte posteriore del cranio e lei era stata afferrata per un braccio. La donna si era rifiutata di mostrare o di dire qualcosa all'assassino, di condurlo da qualche parte, o di fare promesse, rivelazioni o altro? E lui, in sala da pranzo, aveva premuto il grilletto. La donna era caduta sul pavimento, senza vita. Questa, secondo Wexford, era la dinamica dei fatti. Ne avrebbe fatto la sua ipotesi di lavoro. «Knighton» disse Wexford «afferma di aver lasciato la casa alle tre di martedì pomeriggio, dopo aver telefonato per chiamare un tassì che lo portasse alla stazione di Kingsmarkham, e di aver preso il treno delle tre e ventisette. Possiede una macchina, una Volvo familiare, ma dice che la moglie voleva servirsene e, se si fosse fatto accompagnare da lei a Kingsmarkham, la moglie avrebbe fatto tardi.» «Dove doveva andare?» chiese Burden a Wexford, mentre i due si trovavano in macchina, diretti a Londra. «A far spese a Myrìngham. Sembra che fosse un rito del martedì pomeriggio. Knighton è arrivato alla stazione Victoria alle quattro e quindici, da lì ha raggiunto in metropolitana Lancaster Gate e a piedi ha coperto la breve distanza che lo separava dall'appartamento di un amico di nome Adrian
Dobson-Flint in Hyde Park Gardens. Questo Dobson-Flint è rientrato a casa un po' prima del solito per accoglierlo. «Il pranzo al Palimpsest Club era alle sette e mezzo, ma l'appuntamento era per le sette. Lui e Dobson-Flint hanno lasciato Hyde Park Gardens in tassì alle sette meno dieci, hanno pranzato al club e hanno fatto un po' di bisboccia fino alle undici e mezzo. Poi sono tornati a casa. Qui hanno bevuto qualcosa e si sono coricati intorno a mezzanotte e mezzo. DobsonFlint doveva trovarsi in Old Bailey alle dieci del mattino, così si sono alzati entrambi alle otto. Dobson-Flint è uscito poco prima delle nove e Knighton intorno alle nove e venti. Ha preso il treno delle nove e quaranta per Kingsmarkham alla stazione Victoria.» «Sospettate di lui?» chiese Burden. «Non proprio. Solo che non so a chi altro pensare, almeno per il momento. Lei ha lasciato un testamento, comunque. Me ne ha parlato Angus Norris senza aspettare che glielo chiedessi. Il suo era lo studio di fiducia della signora Knighton. La defunta aveva un po' di denaro personale, alcune migliaia di sterline ereditate da una zia, un altro gruzzolo lasciatole da uno zio, alcuni beni, e alcune azioni di un'azienda di famiglia. Insomma, aveva duecentomila sterline e ha disposto affinché venissero divise in parti uguali tra i quattro figli. «Julian, il figlio che vive a Washington, è sposato con un'americana il cui padre è una specie di miliardario. Roderick è un avvocato di fama e sua moglie dirige un ufficio di collocamento. Colum, il più giovane, ha trent'anni, è addetto all'ambasciata inglese ad Ankara e, sia che fosse interessato o meno a quest'eredità, non c'è dubbio che alle tre di mercoledì mattina era in Turchia. «Mi ripugna un po' l'idea di una donna incinta di sette mesi che uccide la propria madre. Oltretutto, non sarebbe entrata attraverso la finestra. Lei, oltre allo stesso Knighton e alla signora Thompson, era l'unica persona che possedeva una chiave della casa. Doveva certo sapere che il padre sarebbe rimasto fuori quella notte e che la madre sarebbe stata sola. Ma che motivo avrebbe avuto? La quinta parte dell'eredità? Norris è solo un procuratore legale, ma non è sicuramente stupido. È in gamba e può diventare socio dello studio, un giorno. Vivono in Springhill Lane, che non è certo un ambiente per gente a corto di soldi. Per il momento possiamo metterli da parte. Julian e sua moglie erano a Washington. Colum, come ho detto, ad Ankara e Roderick avrebbe un alibi, se fosse necessario, fornitogli dalla moglie, dalla ragazza alla pari, dal suo sfortunato medico curante e certamente
dalla figlia colpita dagli orecchioni, se glielo domandassimo.» Lo studio di cui Adrian Dobson-Flint era socio era lo stesso di cui in passato aveva fatto parte anche Adam Knighton. Solo la morte, e quel genere di morte, della moglie di Knighton era presumibilmente la causa dell'espressione di contenuto dolore sul viso del commesso dello studio, un uomo di nome Brownrigg, che mostrò a Wexford e a Burden la stanza di Dobson-Flint. L'amico di Adam Knighton era più giovane di lui di sette o otto anni. Quell'uomo doveva stare molto bene con la parrucca da avvocato perché era quasi completamente calvo. La sua faccia senza rughe, rosea e dall'aspetto giovanile, lo faceva sembrare un marine dalla testa rapata. Anche la sua stanza era insolita, nient'affatto polverosa e buia né piena di libri in disordine: era un locale dipinto di un fresco color crema con la moquette color fulvo e i mobili di mogano. Si affacciava su un giardinetto cintato e la finestra lasciava entrare la luce del sole. «In che cosa posso essere di aiuto a lor signori?» L'immagine del marine fu rapidamente dissipata dalla voce gentile e modulata di Dobson-Flint. C'era in essa anche l'indispensabile nota di dispiacere. La faccia da bambino era contratta in una smorfia di petulante angoscia. «Devo dire che questa è davvero la cosa più sconvolgente e stupefacente che abbia mai udito.» Il che, se fosse stato vero, avrebbe offerto una strana prospettiva dell'attività di uomo di legge svolta da quell'individuo per un quarto di secolo e oltre. Wexford gli chiese di descrivergli la serata di martedì. Dopo aver dissertato sugli alibi, sui tempi, sulle ragioni riguardo alle quali una persona dovrebbe essere in un posto piuttosto che in un altro, Dobson-Flint arrivò finalmente al punto. Nonostante la sua voce si fosse levata in pubblico quasi ogni giorno per parecchi anni, egli era ancora innamorato del suo suono. Parlò con precisione, in tono mellifluo, del pranzo, di cui avevano ricevuto l'invito alcune settimane prima, dell'ora dell'arrivo di Knighton al suo appartamento, dell'ora della loro uscita e del loro arrivo al Palimpsest. Aveva un'aria leggermente divertita, come se si rendesse conto di giocare come un pescatore alla mosca che sta adescando un salmone. Alla base di tutto sembrava esserci l'inespressa domanda: «Sei così ottuso da sospettare di omicidio, sia pur lontanamente, il mio vecchio amico Adam Knighton?».
La sua angoscia per la morte della moglie dell'amico, se mai l'aveva provata, ora sembrava dimenticata. I suoi occhi cerulei scintillavano. Sedeva con le spalle appoggiate allo schienale e le gambe incrociate. Un braccio era appoggiato con noncuranza sul bracciolo della sedia, l'altra mano gli sorreggeva il mento. «Era una bella notte chiara» raccontò. «Abbiamo deciso di non prendere un tassì e di fare invece una passeggiata. Siamo arrivati sulla soglia di casa esattamente a mezzanotte meno due minuti. E ora, sovrintendente, mi chiederete secondo una veneranda usanza come posso essere così sicuro dell'ora, no? E la mia risposta sarà che quando ho alzato la mano per infilare la chiave nella serratura il signor Knighton mi ha informato dell'ora, facendomi notare che ventotto minuti da St James a Bayswater Road non erano male per due uomini che non si trovavano più nella prima e neppure nella seconda giovinezza.» Con gente del tipo di Dobson-Flint generalmente Wexford assumeva un atteggiamento distaccato e vacuo. Fu quindi con voce incolore che domandò: «Vivete solo, signore?» «Oh, sì. Sono passati vent'anni da quando mia moglie e io abbiamo raggiunto un amichevole accordo di separazione.» Wexford non fece commenti su questa rivelazione di tipo matrimoniale. Dobson-Flint riprese: «Il signor Knighton e io abbiamo bevuto un bicchiere di whisky Chivas Regal e ci siamo coricati intorno alle dodici e venti. Dico intorno perché questa volta il signor Knighton non ha fatto alcuna osservazione sull'ora. Alle sette e quarantacinque del mattino, o giù di lì, mi sono alzato e ho fatto il bagno. Stavo quindi per entrare nella stanza del signor Knighton con una tazza di tè cinese quando lui è apparso completamente vestito e mi ha annunciato la sua gentile intenzione di far colazione con me. Alle nove meno dieci, com'è mia abitudine, sono uscito per guadagnarmi il pane. Ho lasciato il signor Knighton che si accingeva a ritornare allegramente a casa, anche se in realtà sarebbe ritornato solo per piangere, per lamentarsi e per battere i denti.» «Giusto, signore. Il signor Knighton soggiornava spesso da voi?» «Spesso è un avverbio impreciso» puntualizzò Dobson-Flint nelle sue migliori maniere di avvocato penalista. «Un uomo potrebbe dire: "Vado spesso all'estero" sottintendendo che lascia il suo paese tre o quattro volte all'anno, ma potrebbe altrettanto giustamente dichiarare: "Vado spesso al cinema" volendo dire in questo caso che assiste a una proiezione cinematografica due volte la settimana.» Sorrise.
«E quale delle due potrebbe applicarsi ai soggiorni notturni del signor Knighton in casa vostra?» «Nessuna delle due!» esclamò Dobson-Flint con aria trionfante. «La verità potrebbe essere che nei tre anni del suo pensionamento e del suo trasferimento in campagna, ha soggiornato da me in media una volta e mezzo l'anno.» Wexford si alzò. «Immagino che ora abbiate un intervallo per il pranzo, signore.» «Se vorrete scusarmi, ispettore.» «Non volevo dire questo, signor Dobson-Flint. Intendo dire che, dato che siete sicuramente libero per un'ora e più, possiamo impiegare questo tempo per dare un'occhiata al vostro appartamento.» «Oh, suvvia, è proprio necessario?» Con lo stesso tono di voce smorzato, Wexford rispose: «È essenziale. Ho una macchina. Non dovrete disturbarvi in alcun modo.» Hyde Park Gardens, il vicolo della metà del diciannovesimo secolo che si affaccia su Bayswater Road e su Hyde Park all'altezza di Lancaster Gate, è tagliato da Brook Street in due sezioni. La parte orientale è più antica, più larga e molto imponente. Qui c'era l'ambasciata dello Sri Lanka e da una casa che un tempo era appartenuta al misterioso Duca di Portland (che andava sempre in giro con una maschera nera), secondo una leggenda, aveva inizio un passaggio segreto che correva nel sottosuolo e sbucava in Baker Street. Adrian Dobson-Flint invece aveva l'appartamento nella parte occidentale di Hyde Park Gardens. Wexford era già stato un'altra volta in quell'edificio, anni addietro, e allora era entrato per l'ingresso sulla facciata, aveva salito i gradini, aveva attraversato una doppia porta, era passato davanti alla guardiola del portiere e aveva infilato la larga scala ricurva. Pensava di percorrere la stessa strada, ma Dobson-Flint indicò al tassì di l'aggiungere Stanhope Place che si stende sul retro di Hyde Park Gardens. Poi li guidò verso l'ingresso di un appartamento che, sebbene fosse al pianterreno sul retro, sul davanti doveva essere chiamato sotterraneo o piano più in basso del pianterreno. Occorsero pochi secondi a Wexford per capire che dai piani ai quali si accedeva da Stanhope Place gli inquilini di Hyde Park Gardens potevano andare e venire senza passare attraverso l'ingresso frontale evitando di incontrare i portinai. Sul gradino, Wexford chiese: «A che ora martedì pomeriggio il signor Knighton è venuto qui?» «Io sono tornato alle cinque» rispose Dobson-Flint. «Vogliamo dire alle
cinque e dieci? Sì, potrei dire intorno alle cinque e dieci.» Entrarono. C'erano due camere da letto. Quella per gli ospiti era la più vicina alla porta d'ingresso. Dobson-Flint aveva lasciato cadere le chiavi in un largo piatto di peltro che si trovava su un tavolino e che conteneva già un altro mazzo di chiavi e le chiavi della macchina nella loro custodia. «Avete un sonno pesante, signor Dobson-Flint?» chiese Burden. «Riesco a dormire con i rumori più assordanti del traffico di Londra. Dovrei quindi dire di sì.» Non c'era nient'altro di interessante da vedere. Wexford osservò: «Immagino che il signore e la signora Knighton fossero una coppia felice.» Non si aspettava una risposta sincera, ma voleva solo vedere che genere di risposta avrebbe dato. Dobson-Flint ribatté con una specie di forzato e impaziente entusiasmo: «Erano attaccatissimi l'uno all'altra. Si adoravano. I Knighton erano ciò che generalmente si chiama una famiglia molto unita. Fino a questa spaventosa tragedia che li ha colpiti, il signore e la signora Knighton vivevano l'uno per l'altra. Non posso pensare che abbiano mai avuto occhi per qualcun altro.» Rifiutò l'offerta di Wexford di dargli un passaggio e tornò indietro in tassì, lasciandoli sulla strada fuori della porta di casa. Wexford disse pensieroso: «Parla un po' troppo.» «E della reciproca devozione dei Knighton che ne dite?» chiese Burden. «Ha fatto una strana osservazione. "Non posso pensare che abbiano mai avuto occhi per qualcun altro." Non è un pensiero che verrebbe in mente a chi considera la felicità domestica o altro di persone che hanno passato la sessantina. Perché ne ha parlato? Sembra assurdo, Mike, ma ho la sensazione che ciò che è avvenuto in questo caso, e che potrebbe ancora avvenire, dovrebbe riguardare persone di trent'anni più giovani dei Knighton. Ho la sensazione che questo sia un delitto passionale, anche se non ho mai visto più improbabile candidata alla passione della signora Knighton.» «E lo pensa anche quel pallone gonfiato dalla testa pelata?» «Che parole dure, Mike. Può darsi che sia così, penso proprio di sì. Knighton potrebbe essere tornato nel Sussex durante la notte, aver sparato alla moglie ed essere ritornato qui qualche ora prima che Dobson-Flint incominciasse a baloccarsi con il suo tè Lapsang-Souchong.» «E in che modo? Non ci sono treni tra le dodici e cinquantacinque e le sei e quaranta.» «Non con il treno. In realtà, non avrebbe potuto prenderlo ugualmente perché non aveva mezzi per andare da Kingsmarkham a Sewingbury e ri-
torno. Però può essersi servito della macchina.» «Sappiamo che non l'ha fatto. La sua macchina era in garage alla fattoria di Thatto Hall.» «Ascolta, Mike. Che cosa ha fatto da quando è sceso alla stazione Victoria alle quattro e quindici al momento dell'arrivo in Hyde Park Gardens alle cinque e dieci? Cinquantacinque minuti per andare dalla stazione Victoria a Lancaster Gate? C'è qualcosa che potrebbe aver fatto. Potrebbe essere andato in un'agenzia in cui noleggiano automobili, aver affittato una macchina e averla restituita la mattina dopo. «Tutto quello che doveva fare era prenotare una macchina per telefono e passare a prenderla alle quattro e quarantacinque, guidarla fin qui e lasciarla a un parchimetro. Mentre venivamo qui, mi è sembrato che tutta la zona fosse dotata di parchimetri. L'orario del parchimetro termina alle sei e mezzo così doveva solo infilare monete per un'ora e mezzo. Dopo che Dobson-Flint è andato a letto, Knighton lascia l'appartamento servendosi di una chiave che ha preso da quel piatto di peltro, sale sulla macchina che ha noleggiato e guida fino a Sewingbury, non più di un'ora di strada di notte. Entra per la porta d'ingresso, sveglia Adela, le spara, prende il cofanetto dei gioielli. Poi taglia il pannello della finestra della toilette. Mentre torna indietro verso la strada dove ha lasciato la macchina parcheggiata vicino al cancello, abbandona i gioielli e il cofanetto. Un'ora dopo è di ritorno in Hyde Park Gardens e sono solo le tre e mezzo. Che ne dici?» «Ha corso un bel rischio» obiettò Burden. «Supponiamo che DobsonFlint fosse entrato nella stanza?» «Assolutamente no! Come puoi pensare a una cosa del genere? Non quel tipo di persona. Non lo farebbe mai! I loro figli potrebbero, sì, ma non quei due. Dobson-Flint sarebbe entrato là solo se Knighton avesse gridato e anche allora avrebbe esitato.» «Comunque» osservò Burden mentre tornavano al tassì «suo figlio vive a Londra. Perché non va a passare la notte da lui?» «Roderick Knighton e sua moglie vivono a Mill Hill, una zona piuttosto fuori mano. Troppo decentrata se si deve dipendere dai trasporti pubblici e dai tassì. O comunque è quello che Knighton direbbe. La verità è che se stava progettando di compiere un viaggio a scopo di omicidio nelle ore piccole, Bayswater Road è molto più vicina al Sussex.» Gli uomini stavano cercando l'arma nell'erba delle aiuole, sotto le siepi, nei campi, lungo i sentieri, e scandagliavano persino il fiume Kingsbrook
che scorre attraverso Thatto Vale. Wexford si chiedeva se la rivoltella era di proprietà di Knighton. Un procuratore in pensione che aveva lavorato alla sezione criminale avrebbe potuto benissimo sapere dove acquistare un'arma automatica. La pistola, lo si era scoperto da una leggera graffiatura sul proiettile che aveva ucciso la signora Knighton, aveva una leggera protuberanza come una capocchia di spillo, una minuscola escrescenza all'interno della canna. Era una giornata umida e fredda, molto più fredda del solito, considerata la stagione, e più buia del solito, data l'ora. Le colline e i boschi intorno erano coperti da una grigia bruma. La rivoltella poteva essere nascosta ovunque là intorno, un sottile tubo di metallo in mezzo a un'estensione di chilometri di terra, di fango e d'acqua. Oppure poteva essere, pulita e lucente, avvolta in un morbido panno, al sicuro in un cassetto. Wexford diresse la macchina verso la fattoria di Thatto Hall. Julian Knighton era arrivato quella mattina dall'America con la moglie Barbara. Era basso, tarchiato e con la faccia da luna piena come la madre; doveva essere sulla quarantina. I Knighton appartenevano a quella categorìa di coppie che, come la regina, aveva avuto due generazioni di figli. I due figli più vecchi dovevano certamente avere avuto circa dieci e otto anni alla nascita di Jennifer, e poi i Knighton avevano avuto un altro figlio due o tre anni dopo, Colum. Quest'ultimo non era ancora arrivato. Adam Knighton aveva un aspetto malaticcio, sembrava distrutto dal dolore. Dalla faccia tirata sporgevano gli zigomi. Wexford si rammentò di come era rimasto sbalordito, incredulo quando gli aveva annunciato la morte della moglie. Solo un attore consumato poteva fingere in quel modo. Guardò l'ispettore capo con occhi incavati e uno sguardo allucinato. La signora Norris giaceva abbandonata in una poltrona, con i piedi sollevati. Barbara Knighton stava bevendo qualcosa da un bicchiere, forse tè ghiacciato o whisky molto diluito. Suo marito espresse a Wexford la sua opinione. «Ho l'impressione che l'assassino si aspettasse di trovare una cassaforte, ispettore. Mio padre, in realtà, aveva una cassaforte in questa casa, ma quando le effrazioni sono diventate così frequenti a Sewingbury, se n'è disfatto. La sua presenza avrebbe potuto indicare che vi erano oggetti preziosi da proteggere.» «È stato quando usavamo questa casa solo per i weekend» disse il padre. «Al sabato sera, prima di partire per tornare ad Hampstead, avevo l'abitudine di mettere i nostri pochi oggetti di valore nella cassaforte. L'assassino
potrebbe essere venuto a cercarla? È una cosa verosimile. Pensate che mia moglie sia morta per un incidente? Che quell'uomo l'abbia minacciata con la pistola perché lei si è rifiutata di rivelargli dove si trovava la cassaforte e che abbia premuto il grilletto inavvertitamente? Potrebbe essere una teoria valida.» L'uomo era un insigne, addirittura brillante avvocato. Era difficile credere che potesse elucubrare una sciocchezza del genere. Wexford si ricordò di aver letto di lui sui giornali: «Il signor Adam Knighton patrocina la causa di...», «La magistrale presentazione dell'accusa da parte del signor Adam Knighton...». Un'espressione languida e fiacca si era diffusa su quel viso duro. Quand'erano in Cina gli era sembrato il volto di un nobile uccello da preda. Eppure adesso pareva che quei lineamenti fossero stati scolpiti nella cera e che una mano calda fosse passata su di essi sconvolgendoli. I muscoli intorno alla bocca si erano rilassati, con un effetto patetico. A Wexford era venuto lo spiacevole pensiero, poi convinzione, che quando Knighton era solo, quando saliva in camera da letto e chiudeva la porta alla rispettosa comprensione dei figli, scoppiasse in lacrime. Il suo viso era quello di un uomo che fatica a trattenere il pianto. «Avete mai posseduto una rivoltella, signore?» La domanda era rivolta a Julian Knighton, che esclamò: «Buon Dio, no! Certo che no!» Gli occhi di Wexford si posarono su Adam Knighton. «Quando all'inizio sono venuto qui e ho giocato al gentiluomo che trascorre i weekend in campagna, avevo un fucile da caccia. L'ho venduto cinque anni fa.» Jennifer Norris sussurrò qualcosa alla cognata. Tutt'e due lanciarono a Wexford occhiate feroci. «Mi piacerebbe riesaminare la casa, se è possibile» disse questi. «Pensavo che mio fratello vi avesse spiegato chiaramente che la cassaforte non c'è più» proruppe Jennifer Norris nel tono di una castellana del diciannovesimo secolo che si rivolge al suo fattore. «Molto chiaramente, grazie.» Wexford guardò Adam Knighton. «Fate come credete meglio, ispettore.» Wexford chiuse la porta del soggiorno dietro di sé e salì nella stanza da letto dove Adela Knighton aveva dormito da sola quel martedì notte e dalla quale era stata fatta scendere in modo così perentorio e con esito così terrificante. Dopo la sua ultima visita il letto era stato rifatto. Un attento esame degli abiti della signora Knighton non gli rivelò nulla. Le tasche, come del resto le borsette, erano vuote. Sul davanzale della finestra, tra le tende su
cui erano stampati rami di rose rampicanti, c'erano un candeliere cinese, un incensiere e alcuni libri che qualcuno aveva cessato di leggere in gioventù: due o tre Jeffery Farnols: Precious Bane, The Story of an African Farm, Mere Christianity di C.S. Lewis, Cranford della Gaskell. Wexford stava cercando qualcosa di cui non aveva idea quando due giorni prima aveva rovistato nella scrivania del piano inferiore. La toilette aveva soltanto un cassetto. Lo aprì. Fazzoletti, una scatola di fazzolettini di carta, un cartoncino di mollette per i capelli, due salviette detergenti per il viso, una scatola di cartone di cotone idrofilo. Sui comodini accanto ai letti c'erano due lampade di porcellana rosa con un paralume di tulle anch'esso rosa. Ogni comodino aveva un cassetto. In quello della signora Knighton c'era una bottiglietta di aspirine, ancora due fazzoletti, un servizio di manicure con il manico d'argento, un flacone di gocce per il naso, un paio di occhiali nel loro astuccio; in quello di Knighton, un paio di occhiali nella custodia, due penne a sfera, un notes, un tubetto di pastiglie per la gola e un rasoio a pile in un astuccio di cuoio. Ogni comodino aveva uno sportello sotto il cassetto. La signora Knighton vi teneva un paio di pianelle di velluto a coste nero e un album di fotografie rilegato in pelle marrone. Adam Knighton, un mucchio di libri alla rinfusa, evidentemente libri riposti settimane e mesi prima, compresi quelli che stava leggendo e magari quelli per il prossimo futuro. Rappresentavano per Wexford un'insospettabile raccolta. A Mortal Flower di Han Suyin e un libro di regole linguistiche intitolato In giro per la Cina. Anna Karenina, The Return of the Native, Sonetti dal portoghese di Elizabeth Barrett e The Browning Love Letters. Wexford li guardò interessato. Romantico era la parola che gli venne alla mente. A eccezione del manuale linguistico, erano tutti voluttuosamente romantici. Sembrava veramente incredibile che il vecchio avvocato dai capelli bianchi, poco loquace, che si trovava al piano di sotto, potesse dedicarsi a letture del genere. Eppure, se i libri erano là, lui li aveva letti, li stava leggendo o aveva il proposito di leggerli. Aprì i Sonetti dal portoghese nel punto indicato da un segnalibro («Se tu devi amarmi, fallo solo in nome dell'amore...»). Come segnalibro c'era un pezzo di carta strappato dal notes, e su di esso, nella scrittura rotonda stilizzata di Knighton, erano tracciate alcune righe di versi. Non di Elizabeth Barrett, non l'ode che Knighton aveva citato sulla terrazza a Kweilin, ma un frammento di un altro poema inequivocabilmente cinese.
Non sparare alle oche selvatiche che vengono dal Sud; Lasciale volare verso Nord. Quando sparerai, uccidile in coppia. Così i due non saranno separati. Molto strano davvero. Naturalmente si poteva pensare che avesse scritto quei versi dopo la morte della moglie, dopo che qualcuno le aveva in effetti sparato e aveva diviso loro due. Ma Wexford non era di quest'idea. Quelle parole non erano state scritte dopo quel martedì. La carta era strapazzata dal lungo uso, per aver fatto da segno in molte pagine di quel libro di sonetti. Quando uscì di nuovo sul pianerottolo e guardò attraverso la porta aperta della camera verde di fronte, vide il copriletto spostato e una vestaglia a quadri sul fondo marrone abbandonata su una sedia. Per il momento, il vedovo aveva abbandonato la stanza che aveva diviso con la moglie. Si trovavano ancora tutti e quattro nel soggiorno. Jennifer era sempre semidistesa con i piedi sollevati e stava prendendo il tè insieme al padre. Barbara Knighton era intenta a sistemare le ultime rose dell'estate in un vaso di rame. I fiori di ottobre appartenevano alla seconda o alla terza fioritura. Quelle rose erano un po' pallide e sciupate e sembravano carta strapazzata. «Solo una cosa, signor Knighton. Che fine hanno fatto le fotografie che voi e la signora Knighton avete scattato in vacanza?» «Fotografie?» «Non c'erano nell'album che ho trovato nel comodino della signora Knighton, mentre c'erano le istantanee delle vostre precedenti vacanze.» «Probabilmente questa volta non ne hai fatte, vero, babbo?» Knighton esitò. Wexford pensò che avrebbe potuto aggrapparsi all'appiglio che gli aveva offerto Julian e lo prevenì con decisione: «Non mi pare che ci siano dubbi sul fatto che voi e la signora Knighton avete scattato fotografie, vero?» I loro sguardi s'incontrarono. Wexford si chiese se era esatto quello che leggeva nell'espressione dell'altro. O era solo immaginazione la sua? Da quanto gli era sembrato di capire, il pensiero di Adam Knighton era che non poteva esserci sfortuna peggiore di avere di fronte questo poliziotto che aveva conosciuto in quella vacanza cinese. «Abbiamo scattato qualche istantanea, sì» disse con indifferenza. «Se sono riuscite, se sono state sviluppate, certamente saranno da qualche parte in casa.»
Ma non c'erano. Wexford non ne parlò più. Rifletté su Adam Knighton, sul suo morboso attaccamento alla letteratura, sulla sua indifferenza. Eppure qualche volta sembrava molto tormentato dagli incubi che lo assillavano. Come aveva potuto, lui che amava i poeti e le grandi storie d'amore, appoggiare la rivoltella contro il cranio della moglie e ficcarle una pallottola nel cervello? L'interrogatorio avvenne il lunedì mattina, i funerali furono celebrati il giorno dopo, Ognissanti, a Sewingbury. Nel frattempo era stato appurato che nessuna agenzia di autonoleggio nel raggio di cinque chilometri intorno alla casa di Adrian Dobson-Flint aveva affittato una macchina a un uomo che corrispondeva alla descrizione di Adam Knighton. Intanto la ricerca della rivoltella intorno a Thatto Vale era stata sospesa. Sewingbury ha circa quattromila abitanti, un campo da golf, un convento e un collegio per ragazze, un mulino in disuso a Kingsbrook e un'enorme piazza del mercato, solitamente stipata di macchine posteggiate. La chiesa sorge a metà della collina, lungo la strada che porta al fiume e alla nuova diga. L'autista di Wexford infilò Springhill Lane, oltrepassando il ponte appena costruito e costeggiò l'argine del fiume dove il sentiero che proviene da Thatto Vale attraversa River Street. La famiglia di Knighton era tutta riunita. Adam, smunto, smagrito, a capo scoperto, indossava un soprabito nero stretto in vita, Roderick un abito scuro con cravatta nera e la moglie di Roderick, Caroline, un vestito nero attillato e un originale paio di scarpe nere dai tacchi alti. Julian e sua moglie erano vestiti di chiaro, rispettivamente in grigio e in verde, ma sul loro viso vi era un dolore così intenso che forse compensava l'abbigliamento. Wexford decise che il bel giovane dal naso aquilino e la ragazza snella e bruna che sembrava una greca potevano essere Colum e sua moglie. Mancava solo Jennifer. Era rappresentata dal marito che arrivò tardi e a piedi. Nel lasciare la chiesa alla fine della cerimonia, dopo che la famiglia si fu diretta in fila verso l'uscita, Wexford, che era rimasto seduto in fondo alla chiesa, diede un'occhiata distratta lungo la navata. La donna anziana, che ricordò essere l'amica di Adela Knighton durante il viaggio in Cina, stava dirigendosi verso di lui dopo aver lasciato il banco sul quale era seduta. Fino a quel momento, lui aveva completamente dimenticato la sua esistenza. Si mostrò stupita di vederlo. Lo guardò con la stessa espressione che doveva avere avuto lui quando aveva visto la sua persecutrice con i piedi fasciati. Poi distolse rapidamente gli occhi.
Wexford uscì e l'aspettò sotto il portico. 10 «Mi chiamo Irene Bell. Non credo che ci abbiano mai presentati in Cina.» «Ispettore capo Wexford della sezione omicidi di Kingsmarkham. Come state, signorina Bell?» «Così voi siete un poliziotto e abitate qui. Che cosa strana! Dev'essere stato un bel colpo per il povero Adam oltre a tutto il resto. Sembra proprio distrutto, vero? Be', tutti lo siamo. Adela e io eravamo a scuola insieme, sapevamo quasi tutto l'una dell'altra. La nostra amicizia durava da circa mezzo secolo.» «È un bel periodo di tempo» osservò Wexford. «Potremmo parlare un momento, signorina Bell?» «Adesso, volete dire? Penso di sì. Vorrei tornare a casa, comunque. Non mi piace tutto questo mangiare e bere ai funerali. Non lo fanno per essere irriverenti, ma qualche volta dimenticano per quale ragione si trovano là. Qualcuno comincia a ridere e ben presto la riunione si trasforma in una festa. Ritengo che questo sia di pessimo gusto.» Wexford ne convenne. Sembrava una donna di carattere. «Vi porterò alla stazione di Kingsmarkham. Pensate che sia irriverente prendere una tazza di tè strada facendo?» «Una tazza di ottimo tè caldo la prendo volentieri» disse la signorina Bell. Era piccola e robusta, anche se non proprio grassa, con un viso largo dai lineamenti angolosi. Aveva capelli neri tendenti al grigio, un po' crespi per la permanente. Il completo blu non sarebbe stato adatto a quell'occasione e comunque era troppo leggero: la notte precedente c'era stata la prima brinata invernale e in qualche recesso c'era ancora un lieve strato bianco. Indossava quindi un tailleur di tweed grigio scuro, con una camicetta di seta beige e un paio di scarpe nere scollate ma dall'aspetto pratico. Fino a tre anni prima, così disse a Wexford, aveva diretto un'agenzia di viaggi a Swiss Cottage, vicino alla sua abitazione. In realtà, era stata questa agenzia a organizzare il viaggio attraverso l'Asia per lei e per i Knighton. Non era la prima volta che loro tre partivano insieme. Era andata con loro in Egitto e aveva trascorso alcuni periodi di vacanza in Europa. Era una compagnia per Adela, disse, e Wexford trovò quest'osservazione interessante.
Tornando indietro verso Kingsmarkham, Wexford l'accompagnò al Willow Pattern, un caffè che si trovava in High Street, e ordinò il tè per tutt'e due. Irene Bell rifiutò di prendere qualche dolce, forse ancora con il pretesto che era sconveniente mangiare subito dopo aver seguito il funerale della migliore amica. Ecco quello che doveva essere stata per lei la signora Knighton, una cara, devota amica, affezionata come una sorella. Quando la signorina Bell si riferiva a lei con queste espressioni, sul suo viso angoloso appariva un'amara tristezza. Era la madrina di Jennifer, disse, era zia Irene per tutti i ragazzi Knighton, ed era quasi come se avesse legami di sangue con ciascun membro della famiglia. Wexford la lasciò parlare per un bel po' della sua lunga amicizia con la defunta. Notò che, sebbene la signorina Bell si riferisse a tutti i figli della signora Knighton chiamandoli per nome e parlandone come se fossero figli propri, non menzionò mai Adam Knighton. La interruppe per ritornare a quello che lei gli aveva detto in macchina. «Avete detto che facevate compagnia alla signora Knighton. Non le bastava la compagnia del marito?» Lei alzò le spalle e fece un sorrisetto. «Era un matrimonio felice, signorina Bell?» «Qualcuno ha detto che lo stato matrimoniale è infelice solo in quanto la propria vita è infelice.» «L'ha detto Samuel Johnson. Voi che cosa ne dite?» «In linea di massima, signor Wexford, non ci penso molto. Dura troppo a lungo. Se si trattasse, diciamo, di cinque anni, penso che potrebbe essere un'ottima istituzione. Ma chi può sopportare la stessa persona mattina, mezzogiorno e sera per quarant'anni? La gente pensa che una donna sola della mia età non si è sposata perché non è stata fortunata. Naturalmente non è così» concluse Irene Bell con una risatina soffocata. Era una risatina sarcastica che non denotava né divertimento né soddisfazione. «Non sono certo una Venere e non lo sono mai stata, come d'altronde la maggior parte delle donne sposate che vedete in giro. Se la gente si sposasse solo perché è bella o affascinante, avremmo un mondo di persone sole. No, io non mi sono mai sentita attratta dal matrimonio. Non mi piace dividere tutto con un'altra persona. Non mi piace né cucinare né dirigere una casa né aver bambini, e neppure il sesso. Oh, sì, l'ho provato il sesso. L'ho provato tre volte quarant'anni fa e quelle tre volte a parer mio sono state sufficienti per un'intera vita. «Ma questo è il mio modo di pensare. Questo è il matrimonio in genera-
le. Per quanto riguarda quello di cui mi chiedete, potrei dire che i Knighton erano felici più o meno come le altre coppie. Lei era molto innamorata di lui, povera Adela. Ha fatto la sua scelta e l'ha portata avanti fino alla fine. È stata una buona moglie, non ce n'erano migliori di lei.» «Lui non ti piace» pensò Wexford tra sé. «O la cosa è ancora più complicata? Magari un tempo ti è piaciuto troppo?» «Non avevano mai molto da dirsi. Questo è in parte quel che intendevo quando ho detto che non ho mai pensato al matrimonio. In che altro modo si può comunicare quando tutto è già stato detto e fatto? Senti dire un mucchio di sciocchezze sul linguaggio degli sguardi, sul linguaggio dell'amore, sulle tacite intese, e altre cose del genere. Non c'era niente di tutto ciò tra Adela e Adam, posso assicurarvelo. E comunque Adela non era quel tipo di donna. Adam... be', l'ho sempre trovata una cosa divertente, è un uomo che legge poesie.» «La maggior parte di esse è scritta da uomini.» «È diverso» disse la signorina Bell. «Non mettetemi in imbarazzo. Voglio dire che un uomo che legge, come si chiamano, sonetti, non è molto equilibrato, è piuttosto sdolcinato, se volete il mio parere!» Wexford le chiese bruscamente: «Lui la tradiva? Aveva affari di cuore con altre donne?» Era stata presa alla sprovvista. Stava portando la tazza del tè alle labbra. Si arrestò a mezz'aria, poi lentamente posò di nuovo la tazza sul piattino. «Buon Dio, no! Che idea assurda! Ha sessantatré anni.» «Non ha sempre avuto sessantatré anni. E poi è un gran bell'uomo, di aspetto, devo dire, molto attraente.» Wexford tacque. Dopo dieci minuti passati davanti a una tazza di tè, i loro discorsi erano diventati confidenziali e franchi. In quel momento sembrava che non ci fosse nulla che potessero nascondersi l'un l'altra. Era un peccato che lei non avesse altro da dire. «Ci sono molti uomini di sessantatré anni che rimarrebbero inorriditi se gli si consigliasse di por termine alla loro vita emotiva.» Lei fece una risatina aspra. «Avete scoperto che si sta profilando quel giorno anche per voi, vero? No, per quanto riguarda Adam non c'è stato niente del genere, toglietevelo dalla mente. Con chi volete che se la intendesse? Non ha mai visto una donna all'infuori della moglie del vicario. Se pensate che abbia potuto sparare alla povera Adela per prendersi qualcun'altra, siete proprio fuori pista. Adam non potrebbe puntare una rivoltella contro nessuno, tanto meno sparare. Ha smesso di sparare ai piccioni perché ha detto che non era morale. Una volta l'ho visto farsi pungere da una
vespa nel tentativo di mandarla fuori della finestra perché non voleva ucciderla.» Rise di nuovo, poi depose la tazza facendola tintinnare. «Lo sapevo!» disse. «Si è trasformato tutto in una festa, in un pranzo, e io non mi faccio ingannare. Dico che è di pessimo gusto. Avete fatto bene a offrirmi il tè, ma ora accompagnatemi alla stazione, per favore.» Wexford implorò: «Concedetemi ancora cinque minuti, signorina Bell, e vi prometto che farò quel che chiedete. Voglio domandarvi qualcosa sulla Cina. Vi ricordate quando eravamo seduti in quel bar sulla terrazza dell'albergo, a Kweilin?» Lei si stava infilando i guanti. «La temperatura era di ventisei gradi e stavano suonando White Chrìstmas. Certo che mi ricordo.» «Il signor Knighton ha avuto un sussulto. È diventato bianco. Aveva visto qualcosa o qualcuno ed era sconvolto da quel che vedeva. L'avete notato?» «Non saprei.» «Un paio di minuti dopo la signora Knighton ha detto che pensava di andare a letto e voi due vi siete alzate per congedarvi.» «Forse, ma non ricordo.» «E il giorno dopo lui non ne ha parlato con voi? O con la signora Knighton in vostra presenza? Voglio dire, non ha osservato: "La tal cosa che ho visto sulla terrazza la notte scorsa mi ha sorpreso?"» «No, non l'ha detto. Perché non lo chiedete a lui?» «Lo farò. Avete scattato un mucchio di fotografie. E così pure la signora Knighton. Vi ha mostrato quelle che ha scattato lei?» «Alcune settimane fa» confermò Irene Bell. «Era venuta in città. Veniva sempre a colazione con me in queste occasioni. Mentre pranzavamo, guardavamo le foto l'una dell'altra.» «Che cosa ne ha fatto delle sue, la signora Knighton?» «Se le è portate via, naturalmente. Le avrebbe messe in un album che possedeva.» Quando salì nel suo ufficio al secondo piano della stazione di polizia trovò Burden e il dottor Crocker che parlavano di armi. Burden aveva anche in mano una Walther PPK calibro 9 che avevano confiscato a un giovane esaltato. Costui aveva minacciato con quest'arma una stella della musica pop. Quando il caso si era chiuso, la rivoltella era finita inspiegabilmente nel cassetto della scrivania di Wexford e vi era rimasta dimenticata. «Mi sento più a mio agio con un bisturi» commentò il dottore. «È stato
un bel funerale, Reg? Non capisco perché la gente che non è religiosa celebri i funerali. Faccenda noiosa, imbarazzante, inopportuna, che non presenta alcuna attrazione o bellezza per coloro che hanno più o meno abbandonato il rituale della Chiesa anglicana.» «Voi volete il funerale, vero?» chiese Burden. «Se intendi dire perché è di regola, certamente no. La gente vuole il funerale perché pensa di doverlo fare, ma non è affatto così. Basta dare disposizioni all'impresa di pompe funebri per compiere l'operazione quando il crematorio è libero. Tutto qui. E con una spesa all'incirca uguale. Oggigiorno un funerale viene a costare più o meno cinquecento sterline.» Wexford, che era rimasto in silenzio, sedette alla sua scrivania e, afferrando la pistola, la rigirò lentamente tra le mani. Poi disse: «Era seduto sulla terrazza e stava bevendo vino di cassia, quando improvvisamente ha visto qualcosa che l'ha sorpreso enormemente. Non qualcosa di sgradevole dovrei dire, al contrario. Potrei addirittura azzardare l'idea che abbia visto qualcosa di bello. Ma che cosa ha visto?» «Una bella ragazza» azzardò il dottore. «Oh, via! Una reazione del genere di fronte a una bella ragazza ce l'ha solo chi è stato rinchiuso in cella per vent'anni.» «Un vecchio amico?» chiese Burden. «Nel qual caso perché non si è alzato immediatamente e non è andato a parlargli? Perché ha incominciato a declamare sottovoce una poesia cinese ed è andato ad appoggiarsi alla balaustra?» «Sarebbe meglio chiederglielo.» «Lo farei, ma sono sicuro che mi mentirebbe. L'unica cosa che possiamo fare è scoprire chi sapeva che lui si sarebbe allontanato la notte di quel martedì. Non abbiamo indagato molto in questa direzione. Eppure è probabile che parecchie persone ne fossero al corrente. Tanto per cominciare, tutti quelli che hanno partecipato alla festa delle nozze d'oro al Palimpsest Club. Probabilmente, la maggior parte delle conoscenze della signora Knighton a Sewingbury. Amici o conoscenti cui lei poteva aver scritto o parlato per telefono.» «Vuoi dire» commentò il dottore «che è poco convincente quel che è avvenuto quella notte? Insomma, che un tizio si allontani da casa una volta all'anno e che proprio nella notte in cui è fuori sua moglie venga assassinata?» «In ogni caso questo ci dimostra che la cosa era stata progettata. Poteva essere stata architettata da una di quelle persone che sapevano che lui era
fuori casa, oppure potrebbe essere stata ideata dallo stesso Knighton in combutta con qualcun altro, o Knighton può aver agito da solo.» «Tutti gli abitanti di Hyde Park Gardens» spiegò Burden «sono stati interrogati per sapere se qualcuno ha visto Knighton quella notte.» Esitò, poi proseguì con un certo imbarazzo: «Penserete che sono andato troppo lontano con l'immaginazione.» Wexford ribatté: «Sono proprio io a essere accusato di ciò.» «Si vede che è contagioso. Forse perché... be', mi sono messo a leggere parecchio.» Si sapeva che la colta moglie di Burden aveva l'abitudine di consigliare al marito i libri da leggere. Era una di quelle rare persone che amano le letture pubbliche e aveva scoperto nel marito un insospettato talento da attore nel leggere ad alta voce. Burden era arrossito un poco. «Un po' di narrativa. Devo ammettere di aver letto solo romanzi ultimamente.» Wexford sbottò in una citazione da un'opera di Jane Austin. «"Solo romanzi! Solo opere nelle quali la più completa comprensione della natura umana, i più felici ritratti delle sue diversità, le più vivaci manifestazioni del suo ingegno e dei suoi stati d'animo sono trasmessi al mondo nel linguaggio più ricercato!"» «D'accordo, lascia che ci parli della sua idea» brontolò Crocker. «È solo che... be', in realtà sembra qualcosa preso a prestito da Conan Doyle. D'altro canto a volte sui giornali si legge che...» Vedendo gli occhi di Wexford mandare lampi per la rabbia, Burden continuò precipitosamente: «Si sente parlare di malviventi e assassini condannati dal giudice che gli giurano di vendicarsi. Non è vero? E io sono sicuro di essermi imbattuto in casi simili di recente... almeno si tratta di sospetti. Potrebbe trattarsi di una cosa del genere.» «Knighton non è un giudice.» «No, ma una persona accusata di un delitto in un caso in cui lui era il pubblico ministero potrebbe provare nei suoi confronti lo stesso risentimento che nutre per il giudice. Potrebbe aver avuto la sensazione che la presentazione delle prove contro di lui da parte di Knighton abbia avuto più effetto sulla giuria delle conclusioni espresse dal giudice. Supponiamo che, in seguito a ciò che Knighton ha detto nel corso di un processo, qualcuno sia stato condannato mentre si aspettava di essere assolto o abbia ricevuto una pena doppia di quella che aveva previsto. Costui non potrebbe dunque aver deciso di rendere la pariglia a Knighton una volta uscito di prigione? E io ricordo che Knighton ha sostenuto la parte della pubblica accusa in una dozzina di casi del genere. Il suo nome era sempre sui gior-
nali.» «Vuoi dire che l'individuo che ha sparato alla signora Knighton voleva vendicarsi contro il marito?» Wexford cominciò a mostrare un certo interesse. L'idea non gli dispiaceva. «È possibile, specie se, come dici, Knighton lo ha fatto imprigionare per dieci anni anziché per quattro o cinque. Ma perché non avrebbe sparato a Knighton, allora?» «Ci sono molti uomini sposati» spiegò Burden «la cui vita non vale la pena di essere vissuta senza la moglie.» Diede un'occhiata inquieta al dottore come se si aspettasse una risata da parte sua. «So di essermi sentito in questa condizione quando è morta Jean e, se non mi giudicate troppo ridicolo, devo dire che provo la stessa cosa ora con Jenny.» Gli altri non risero, ma Burden si sentì ugualmente molto imbarazzato. «Knighton era stato sposato per un periodo lunghissimo» intervenne Crocker. «Se si presta fede alle cartoline umoristiche, alle vignette e a cose del genere si potrebbe pensare che ciò renda la gente meno affettuosa. Ma non è così. La lunga consuetudine, la condivisione di ogni cosa, la comunanza delle idee... mio Dio! Tu non hai ancora avuto questa possibilità, giovane Mike. Non conosci neppure la metà di tutto ciò.» E neppure Irene Bell, pensò Wexford. E citò a memoria: Non sparare alle oche selvatiche che vengono dal Sud; Lasciale volare verso Nord. Quando sparerai, uccidile in coppia, Così i due non saranno separati. «Da dove vengono questi versi?» Wexford glielo spiegò. «Sono andato in biblioteca a fare ricerche. È un'ode cinese di una raccolta di versi del periodo T'ang, diciannovesimo secolo. Il poeta si chiamava Shen Hsun e al riguardo vi è una strana osservazione da fare: lui e la moglie sono stati assassinati da uno schiavo.» «Stiamo ritornando alla Cina, vero? Ho la sensazione, l'ho avuta fin da quando è avvenuto il delitto, in verità, che la chiave di tutto sia in Cina.» «Non puoi ritornare laggiù» osservò il dottore. «No, ma posso almeno parlare con la gente che ha viaggiato attraverso l'Asia insieme a Adela Knighton. Ricordo di averli anche conosciuti. C'erano alcune cose strane...» Parlò loro dei due uomini che non si erano rivolti la parola per tutto il tragitto da Irkutsk a Kweilin, di Wong che era annegato. «Lei e lui avevano scattato fotografie in Cina, erano sempre in-
daffarati con la macchina fotografica. Che cosa ne è stato di quelle fotografie? Perché non si trovano nell'album o in giro per la casa nelle loro buste? No, sono sempre più sicuro che è alla Cina e a ciò che è successo laggiù che dobbiamo guardare. Avrei dovuto fare più attenzione. Non potevo immaginare, naturalmente, quel che sarebbe accaduto. Però di solito mi piace osservare la gente, vedere come si comporta. Ma ero troppo maledettamente preoccupato per quella donna con i piedi fasciati.» Crocker lo guardò. «Quale donna?» Timidamente Wexford glielo disse. Sapeva che avrebbe dovuto parlargliene molto prima, ma non se l'era mai sentita. Quando i sintomi scompaiono, chi si preoccupa della causa della malattia? Crocker, che pure non aveva riso alle confidenze coniugali di Burden, ora scoppiò in una risata. «Che cosa stavi leggendo?» «D'accordo, è vero, qualcosa che si chiamava I capolavori del soprannaturale e non l'ho neppure finito.» «Non vorrei che le tue fantasie fossero dovute a tutto quel tè cinese.» «Certo, tutte le allucinazioni derivano dalla fantasia. Ciò non le rende meno reali per colui che ne cade vittima. Pensi che fossero dovute solo a quel libro e all'insonnia?» «Anche alla disidratazione e all'ingestione di quel terribile Maotai di cui hai portato a casa una bottiglia.» «Incominciate a preoccuparvi» disse Burden «solo se vedrete quella signora camminare barcollando sul ponte del Kingsbrook.» Wexford gli lanciò un'occhiata ironica. «Non dobbiamo trascurare ogni indagine relativa alla possibilità che il movente sia la vendetta. Dunque svolgi pure le tue indagini sui delinquenti contro i quali Knighton ha sostenuto la pubblica accusa, partendo, direi, dai quindici anni precedenti al suo ritiro. E per sicurezza, anche su tutti quei furfanti che non è riuscito a difendere con successo. Questo dovrebbe tenerti occupato per un pezzo. «Quanto a me, darò fuoco a una miniera in Cina con polvere da sparo ipnotica.» 11 Donaldson si allontanò alla ricerca di un parcheggio e Wexford attraversò Kensington Church Street per raggiungere il negozio sulla cui vetrina spiccava in caratteri dorati un solo nome: VINALD. In quella vetrina, in splendida solitudine, troneggiava un vaso. Non uno di quelli che Vinald
aveva trovato in Cina, ma un vaso alto come un uomo di bassa statura e fatto di una lucente porcellana nera, sul quale era dipinto un drago rosso con gli artigli dorati. Dentro c'era un alto tappeto nero, soffice come la pelliccia di un gatto. Il luogo era strategicamente illuminato da appliques in stile rococò con candelieri dorati e da un faretto la cui luce cadeva sopra una spinetta o clavicembalo o qualsiasi cosa fosse. Per tutta la stanza erano sparsi altri oggetti d'antiquariato, frutti di cera sotto una campana di vetro, un orologio di ceramica su cui spiccavano due statuine di porcellana di Chelsea, Eros e Psyche, un boccale di vetro e, su una consolle, una raccolta di stampe di Audubon aperta su una riproduzione di uccelli verdi e gialli. Wexford si presentò alla commessa e chiese del signor Gordon Vinald. La donna era spiacente ma il signor Vinald era fuori per un'asta e non lo si attendeva prima del tardo pomeriggio. Era molto importante? Wexford annuì, ma aggiunse che sarebbe ritornato. «Le sarebbe utile vedere la signora Vinald? So che è in casa. Ha telefonato soltanto due minuti fa.» Certamente non era sposato quando Wexford l'aveva conosciuto. «Non sapevo che ci fosse una signora Vinald.» Lei sorrise come quando si rivela qualcosa di tenero o di commovente riguardo a un matrimonio di fresca data. «Il signore e la signora Vinald sono sposati da un mese solamente. Devo darle un colpo di telefono? La sua casa è proprio qui vicino, a Searle Villas.» Si rese conto di quel che era accaduto. Non l'aveva forse previsto? Vinald aveva sposato Margery Baumann. «La signora Vinald dice che se volete andare su, signor Wexford, sarà felicissima di vedervi.» Searle Villas era proprio lì vicino. Il giardino del numero sedici doveva confinare con il retro del negozio. Era una casa inserita in mezzo ad altre di stile vittoriano che a Kingsmarkham nessuno avrebbe degnato di uno sguardo, ma in quel luogo doveva valere almeno mezzo milione di sterline. Fu introdotto da una giovane donna nera in jeans con il piumino per la polvere in mano, che spinse una porta appena accostata e lo informò con indifferenza: «È là dentro.» La stanza era un museo. Sembrava arredata con il mobilio che il negozio non era riuscito a contenere. In mezzo al tappeto cinese era accoccolato un gatto soriano grasso e grosso, dal pelo folto, che aveva smesso di fare toilette per fissarlo con occhi scintillanti come diamanti. In piedi accanto alla
mensola di marmo, il candido braccio appoggiato al caminetto, c'era la bella Pandora dai capelli neri. Lei non lo riconobbe. Probabilmente non l'aveva neppure notato in quella precedente occasione. Mentre un uomo dell'età di Wexford non avrebbe potuto fare a meno di osservare e di ricordare una donna del genere, per lei il poliziotto doveva essere stato invisibile. I suoi capelli ora erano più lunghi, pettinati con una frangetta e piegati in sotto come quelli di un paggetto. Assomigliava a una regina egiziana. Aveva le labbra dipinte di rosso e le palpebre truccate con un ombretto verde giada. Wexford ebbe la sensazione o di averla vista prima, vale a dire prima di incontrarla sulla terrazza dell'albergo, oppure che assomigliasse in modo straordinario a una famosa bellezza. Una stella del cinema della sua gioventù? Hedy Lamarr? Lupe Velez? Indossava una camicetta aderente di seta nera e una gonna di velluto stampato a disegni rossi e neri e le sue gambe erano le più belle che avesse mai visto, ancora migliori di quelle di sua figlia Sheila, pensò slealmente. «Penso che siate venuto per parlare della defunta signora Knighton. Ho indovinato?» Corrugò le sopracciglia, sorpreso. «Per che altro potrebbe essere?» La voce nasale le toglieva buona parte del suo fascino, facendola scendere dal piedistallo di dea. «Ho viaggiato con lei fino a Hong Kong. Anzi, per l'intero tragitto fino in Inghilterra, contando anche l'aereo. Non volete sedervi?» Il gatto balzò agilmente sulla sedia, prima che lui potesse accomodarvisi. «Vai via, Selima.» Pandora lo sollevò e lo gettò su una sedia a sdraio. «Si chiama la Pensosa Selima per ragioni note a mio marito, credo rappresenti qualcosa che riguarda un'ode.» «È la più riservata della razza dei soriani» disse Wexford. «Forse. Io non ho un animo poetico.» In un certo senso era vero. Nessun uomo avrebbe desiderato scrivere una poesia per lei o su di lei. Con un lieve senso di delusione capì quel che lei intendeva dire. Nonostante il suo aspetto e il profilo hollywoodiano, era piuttosto rozza. «Che cosa posso fare per voi?» «Non lo so, signora Vinald, vado un po' a tentoni. Voi non avete viaggiato su quel treno attraverso l'Asia, vero?» Lei fece un cenno di diniego con la testa. «Ho incontrato la comitiva del treno in un posto che si chiama Kweilin. La prima volta che ho visto mio
marito è stato in un albergo laggiù. Stavo facendo una specie di giro del mondo. Venivamo da Auckland e abbiamo sostato a Giacarta. Poi da lì a Singapore e da Singapore a Pechino. Avremmo dovuto raggiungere Bombay dopo Hong Kong, ma... be', improvvisamente Londra mi è sembrata più attraente. Mi dispiace dirvi che non credo di aver scambiato una sola parola con la povera signora Knighton. Conosco il suo nome solo perché Gordon mi ha detto chi era, dopo che abbiamo letto sui giornali che era stata assassinata.» Wexford pensò che era il momento di informarla che anche lui era stato in Cina. La donna rimase stupita e sconcertata. Era stato laggiù alle costole della signora Knighton per sorvegliarla o che cosa? No, Pandora non riusciva a seguire il suo discorso. Davvero Wexford l'aveva vista prima di allora, proprio lei, Pandora Vinald? È sempre difficile rendersi conto che una persona molto bella, soprattutto se ha un volto sensibile e un'espressione dolce, possa essere assolutamente stupida. Pandora Vinald, decise l'ispettore, era, per dirla nel modo più gentile possibile, poco intelligente. Infinitamente inferiore, se si esclude l'aspetto, a Margery Baumann. «Avete incontrato qualcuno della comitiva del treno da quando siete qui?» le chiese. «No, non abbiamo visto nessuno. Gordon dice che le amicizie delle vacanze sono una perdita di tempo, non conducono mai a niente.» «Diversamente dalle vacanze sentimentali.» Le lasciò un po' di tempo, e quando Pandora ebbe finalmente capito, scoppiò in un'allegra risata compiaciuta. La Pensosa Selima si sedette sulle zampe posteriori e cominciò a pulirsi freneticamente il muso alla maniera dei gatti, come se fosse stata improvvisamente avvertita da una voce interiore che aveva una macchia che la deturpava. Pandora Vinald disse: «Abbiamo una foto che ci ha mandato una certa signora Knox. Voglio dire, l'ha mandata a Gordon. Eravamo ritratti noi e anche un mucchio di altra gente. Non siamo venuti molto bene, non è molto nitida. Gordon mi disse di non rispondere, sarebbe servito solo a incoraggiarla. Non credo che sia stato molto gentile. Ho pensato come si sarebbe sentita.» Sorrise e disse ingenuamente: «Così le ho scritto ringraziandola e dicendole che la foto era molto bella, anche se non era vero, e l'ho informata che ci eravamo sposati.» «Avete ancora il suo indirizzo?» Il gatto saltò giù dalla sedia a sdraio, si diresse con maestosa andatura verso la porta e lanciò un miagolio impaziente. Lei non gli prestò attenzio-
ne e il gatto emise allora una specie di urlo. «Oh, Selima, sei un animale noioso. È una gatta terribilmente viziata. L'ex moglie di Gordon le lasciava fare qualsiasi cosa le saltasse in mente, come affilarsi le unghie su mobili antichi di grande valore. È davvero terribile.» La porta fu aperta e la gatta uscì con una lentezza insolente. «L'indirizzo, avete detto? Effettivamente, ho gli indirizzi di tutti. L'agenzia turistica ha mandato a Gordon un elenco delle persone che partecipavano al viaggio prima che lui partisse ed è proprio qui sopra la scrivania. Vi può servire?» C'erano tutti in ordine alfabetico: Signora H. Avory, 19 Oswestry Place, Rosia Bay, Gibilterra. Dottore e signora C. Baumann, Four Winds, Southwood Hill, Purley, Surrey. Dottor M. Baumann, 2 Crestleigh Drive, Guildford, Surrey. Signorina I. M. Bell, Flat 6, Meleager Court, Queen Charlotte Road, London NW3. Signor L. Fanning (capogruppo), 105a Kingsland House, New King's Road, London SW6. Signore e signora A. D. Knighton, Fattoria di Thatto Hall, Myringham Road, Sewingbury, Sussex. Signora L. Knox, 26 Redvers Lodge, Redvers Road, Rosia Bay, Gibilterra. Signor A. H. Purbank, 10 Fairmead Farm Court, Disraeli Road, Buckhurst Hill, Essex. Signor G. W. Vinald, 16 Searle Villas, London, W8. Ringraziò la signora Vinald e si accomiatò. Fuori, in cima a una delle colonne che fiancheggiavano il cancello, Selima sedeva come una sfinge. Imprudentemente Wexford tese una mano per accarezzarla e ricevette un graffio da cui sprizzò un po' di sangue. Nell'appartamento del caseggiato laggiù in capo al mondo c'era solo la moglie di Lewis Fanning. Era una donna ossuta con i capelli tinti, ma grigi alla radice. Con Wexford si mostrò brusca e indifferente. Suo marito era di nuovo lontano da casa. Era alla guida di una comitiva che stava compiendo il giro delle isole dell'Egeo e non sarebbe tornato prima della fine del mese. Per Purley, dove vivevano i Baumann, sarebbe passato tornando a casa.
Era sulla strada di Brighton Road. Prima Wexford aveva pensato di dare un'occhiata alla casa in cui i Knighton avevano abitato prima di trasferirsi nel Sussex. Chiese a Donaldson di portarlo ad Hampstead. La sua conoscenza di Londra era migliore di quella di Burden, ma era ancora colma di lacune. Stava ancora cercando un'indicazione per lo Swiss Cottage quando gli venne in mente che Irene Bell gli aveva detto che abitava laggiù, sebbene dal suo indirizzo postale apparisse Hampstead. «Vedi un po' se riesci a trovare Queen Charlotte Road.» Ma Donaldson, che prima di entrare nella polizia aveva pensato di diventare un conducente di tassì e aveva fatto lunghe passeggiate in bicicletta tutt'intorno per acquisire pratica, sapeva dove si trovava senza bisogno di una carta stradale. L'edificio di Meleager Court sembrava interamente composto da balconi in mattoni rossi, ed era circondato dai platani. Irene Bell quel giorno aveva un aspetto migliore di quanto lui ricordasse, indossava un abito grigio con la gonna pantaloni che, quando lui era sulla quarantina, si chiamava abito da sirena. Non si mostrò affatto sorpresa di vederlo. «Ho appena preparato una teiera del nostro veleno preferito, ispettore capo. Venite. Attento al gradino. È prerogativa degli inglesi di razza prendere il tè alle cinque del pomeriggio, secondo me. Ho preparato anche un sandwich. Avete già pranzato?» «Pensavo di pranzare da mia figlia che abita in cima alla collina, a Keats Grove. Ma poi mi sono ricordato che al martedì è fuori per la rappresentazione pomeridiana.» «Sheila Wexford» commentò la signorina Bell. «Allora voi siete suo padre. Voglio dire, indipendentemente da quel che siete. Sluttish Time va ancora forte, vero? Non è il genere di lavoro teatrale che preferisco, ma lei mi piace molto. È una gioia guardarla.» Wexford sentì che Irene Bell era davvero molto simpatica. Accettò il tè e un sandwich al prosciutto. Forse lei poteva dirgli dove avevano abitato i Knighton ad Hampstead. Lei glielo spiegò mentre versava una seconda tazza di tè per entrambi. «Devo essere stata molto sbrigativa l'altro giorno» aggiunse poi. «Ero sconvolta e non mi sentivo a mio agio. Ma c'era qualcosa di più da dire, anche se non so se è il genere di cose che voi volete ascoltare.» «Voglio ascoltare tutto.» «Anche faccende vecchie, di parecchi anni fa?» Aggrottò le sopracciglia, mentre andava indietro con il pensiero. Poi riprese: «Desidero che voi sco-
priate chi ha ucciso Adela e voglio che costui abbia il suo giusto castigo. Non che oggigiorno questo sia molto duro. Lo tengono dentro cinque anni, magari quello riesce anche a prendere una laurea alla Open University e poi lo rimettono in libertà con un vestito nuovo e cinquanta sterline come ricompensa.» «Non è proprio così» obiettò Wexford che non poté fare a meno di sorridere a queste parole. D'improvviso lei esclamò: «Hanno dovuto sposarsi, sapete.» «Scusate?» «Adam e Adela. Immagino sappiate che cosa intendo dire. Sono cose che succedevano ai vostri tempi, come ai miei. Adesso non più, naturalmente. Le ragazze si tengono il bambino o abortiscono e spesso sono proprio i ragazzi, a quel che ho sentito, che pregano le ragazze di sposarli. Adela si innamorò di Adam fin dal primo momento in cui lo vide. La sorella di lui era stata a scuola con noi e ci aveva chiesto di farle da damigelle d'onore. Così abbiamo conosciuto Adam. Noi avevamo tutt'e tre ventiquattro anni e Adam ne aveva ventuno. Lui studiava a Oxford. Be', io non mi sono mai interessata agli uomini come mi sembra di avervi detto l'altro giorno, ma Adam era ben diverso dagli altri giovani. Non era solo bello, era meraviglioso. La gente adora gli uomini alti, bruni e di bell'aspetto, ma niente mi colpisce di più di un uomo biondo e bellissimo. Non vorrei sembrare sdolcinata, ma era come il dio di un dipinto. «Ero davvero molto affezionata a Adela. Comunque era stata lei per prima ad ammettere con me di non essere molto attraente. Non dimenticate che veniva da un'ottima famiglia, gli Aylhurst. Erano un ramo cadetto degli Aylhurst dello Staffordshire, non c'era niente da ridire su questo.» Esitò. Wexford non avrebbe certo immaginato che lei mostrasse tanto rispetto per la posizione sociale e fu sorpreso di trovare in lei un dichiarato snobismo. D'altronde, era stata amica intima della signora Knighton... «Suo padre era Gerald Aylhurst, cancelliere dello Shropshire. Non posso dire come mai Adam si fosse interessato a lei, perché non lo so. Forse si sentiva lusingato perché era più vecchia di lui. Ho udito uomini della mia generazione dire che avevano sofferto di terribili frustrazioni sessuali quando erano giovani. C'è una bella differenza dai giorni nostri, eh? Potrebbe quindi trattarsi di questo. Adela non disse di no, sebbene indubbiamente ricorderete che le belle ragazze nel 1939 dicevano di no. Comunque lei rimase incinta e naturalmente non c'era via di scelta. Adam fu costretto a sposarla senza troppe esitazioni. Tuttavia lui disse alla sorel-
la, la quale lo riferì a me, che quando lo misero di fronte ai fatti, dichiarò che piuttosto si sarebbe ucciso. Disse che era innamorato di un'altra donna e che piuttosto di sposare Adela si sarebbe suicidato.» «Chi era l'altra?» «Non chiedetemelo. Non fate quella faccia, non ero io. Suvvia, Adam Knighton non mi deve aver guardato più di un paio di volte. Non so chi fosse, forse qualche ragazza di Oxford, e ora non ha più alcuna importanza. Sono passati quarant'anni.» Wexford convenne che effettivamente la cosa non importava più. Irene Bell continuò: «Come sappiamo non si è suicidato. Gli Aylhurst organizzarono un fastoso matrimonio in abito bianco nella chiesa del loro paese. Fu una cosa di pessimo gusto, con Adela incinta di quattro mesi e lo si vedeva. Adam tornò a Oxford e passò gli ultimi esami. Ebbe addirittura la votazione più alta. In settembre nacque Julian. «Tutto dovette procedere abbastanza bene se l'anno dopo, in novembre, Adela ebbe Roderick. Era il 1941 e Adam dovette partire con il suo reggimento per una località dell'Oriente, penso che fosse Burma. Rimase lontano quattro anni. Quando tornò a casa, si rimise a studiare per entrare nell'Ordine degli avvocati. Vi riuscì e raggiunse ben presto il successo, come sappiamo tutti. Io continuavo a vederli. Dividevo un appartamento con un'altra ragazza a Maitland Park e loro abitavano in una di quelle strade che sboccano in Haverstock Hill, vicino alla stazione di Belsize Park. Lui aveva uno strano modo di trattarla, una specie di irritata sopportazione. Non so se riesco a spiegarmi. Si sarebbe detto che lui volesse umiliarla continuamente. Ricordo che una volta, avevano appena comperato il loro primo apparecchio televisivo, lui disse che avrebbero visto I fratelli Karamazov. Adela chiese: "È quello spettacolo che fanno al London Palladium, caro?". Be', per caso sapevo che si trattava di un famoso romanzo russo, sebbene non l'avessi mai letto, ma era il genere di gaffe che chiunque può commettere. D'altronde ricorda un poco una troupe di acrobati, no? Adam chiamò i figli e disse: "Venite a sentire che cosa ha detto la vostra intellettuale mammina" e quando telefonò quell'omosessuale, quel Dobson-Flint, lo raccontò anche a lui. «Adela ebbe altri due figli. Penso che lo facesse per tenere legato Adam. Non ne sono sicura, ma questo è quel che penso io.» «Volete dire che lui tentava di defilarsi?» «Non lo so. Quel che è certo è che non era mai a casa. «Devo lavorare» diceva, e forse era così. Doveva accettare anche un mucchio di inviti, dice-
va, sebbene Adela desse sempre ricevimenti a casa per lui. Era una buona moglie, come vi ho detto, e gli evitava ogni fastidio. Comunque ebbe Jennifer e Colum, sebbene ciò non sembrasse avere molta importanza per Adam. Lui dormiva a casa. Avevano traslocato in Fitzjohn Avenue, e questo è tutto quel che posso dirvi. In verità per... quanti? cinque anni?... comunque, per alcuni anni dopo la nascita di Colum, Adela al posto di un marito ebbe solo un uomo che dormiva nell'altro letto della sua camera. «Poi, improvvisamente, lo ricordo bene, doveva essere stato poco tempo dopo la cinquantina, lui cominciò a comportarsi diversamente. Si fermava a casa e vi prendeva i pasti. Cominciò a portar fuori Adela. Era come se avesse ricevuto un colpo e fosse ritornato in sé. Credo che lei avesse minacciato di lasciarlo e di portarsi via i figli. Lui era molto affezionato ai ragazzi. Comunque cambiò atteggiamento e lo mantenne. Da quel momento divennero una coppia modello, se si esclude il fatto che non avevano mai niente da dirsi. Il vecchio Adam era scomparso, questo è certo. Era annoiato a morte ma si era rassegnato. E la povera vecchia Adela, che continuava a comportarsi da buona moglie affettuosa, doveva portarmi in vacanza con sé. Ci sono dei limiti nel sopportare un uomo che non pronuncia più di due parole in un'ora. «Buon Dio» esclamò Irene Bell «vi meravigliate se non ho una grande opinione del matrimonio dopo averne osservato uno così da vicino?» Era una bella casa con molte stanze, di mattoni rosa, probabilmente di epoca edoardiana, con frontone e vetri romboidali che andavano di moda allora. Sorgeva circa a mezza strada verso la cima della collina di Hampstead, sul lato destro. Il giardino era tutta una macchia di rododendri, c'erano un leccio e una araucaria in mezzo al prato ovale. Mentre Wexford osservava dalla macchina la casa in cui i Knighton avevano vissuto quella loro triste vicinanza, un uomo dal naso adunco con indosso un caffetano uscì dalla porta principale. Ora solo un arabo poteva permettersi di comprare la casa e di viverci. «Il matrimonio» mormorò Wexford, parlando tra sé «è una cosa terribile. Le rane di Esopo erano molto sagge. Avevano una gran voglia di immergersi nell'acqua, ma non saltavano nel pozzo perché non avrebbero mai più potuto uscirne.» Donaldson non disse nulla. Ma poi, parlando con Loring, osservò che la vita è piena di sorprese. Aveva sempre pensato che l'ispettore andasse d'accordo con la signora Wexford.
«A Purley, adesso, signore?» chiese dopo un minuto. «Purley e poi Guildford.» Ma furono esentati dal compiere quel viaggio attraverso il Surrey. Quando suonò alla casa dei Baumann, Wexford infatti si trovò davanti a Margery Baumann. Lei lo riconobbe subito e rimase molto sorpresa di incontrarlo. Lui si qualificò e spiegò la ragione per la quale si trovava là. Margery Baumann comprese molto più rapidamente di Pandora Vinald. Al venerdì terminava più presto le visite, disse, e trascorreva sempre la sera con il padre e la madre. Intanto avevano attraversato l'atrio con le pareti rivestite di pannelli di legno della casa dei Baumann, in stile anni Trenta, ed erano entrati nel soggiorno. I Baumann stavano prendendo il tè con lo stesso apparato che si usava nel Trent: sandwich al cetriolo, pane e burro, marmellata di fragole, spumoni Victoria e dolce alla crema. Il dottor Baumann indossava un paio di pantaloni di flanella, la camicia bianca, il cravattino a farfalla, una giacca sportiva. Sua moglie portava un abito da pomeriggio a fiori e una collana di perle. Stava versando il tè da una teiera d'argento. Sembrava proprio il salotto di una commedia di vecchio stile. E dato l'aspetto autunnale del giardino e il cielo plumbeo, ci si aspettava di veder entrare da un momento all'altro dalla portafinestra un giovanotto in pantaloni sportivi con una racchetta da tennis in mano. Wexford notò tutto questo mentre Margery riferiva ai genitori la sua identità e la ragione della sua visita. Quando ebbe finito di parlare, i Baumann non mostrarono il minimo imbarazzo. «Ora che siete qui, sedetevi e prendete una tazza di tè» disse la signora Baumann con aria un po' fatua. «Spero che l'ispettore gradirà un pezzo della tua favolosa torta, Lilian.» Il dottor Baumann si alzò. «Vado a prendere un piatto. Non posso dire di aver ben capito perché si trovi qui, ma non avrò alcuna considerazione per un uomo che non gusti la stupenda torta della mamma.» «Latte e zucchero, signor Wexford?» «Niente zucchero, grazie.» «Allora, che cosa volete sapere esattamente da noi?» chiese Margery. «Per cominciare, tutto quello che riuscite a ricordare sui Knighton. Oh, grazie, molto gentile.» Il dottor Baumann era ritornato con un piatto da dolce e una tovaglietta con un pizzo intorno. Wexford, che era sempre più o meno a dieta, fu costretto ad accettare una grossa fetta di torta ripiena di marmellata. «Voi avete viaggiato in treno con loro. Vorrei sapere qualun-
que cosa possiate ricordare.» «Ah!» esclamò il dottor Baumann «dunque è questo che vuole sapere. Che ne dici, mia cara? E tu, Margery? Sarà sorpreso di scoprire che io ho due ragazze molto osservatrici, non è vero?» Tossicchiò rivolto a Wexford: «Come vi sembra la torta?» Era la prima volta che si rivolgeva direttamente a lui. Wexford aveva cominciato a pensare che il dottore si fosse abituato a parlare in terza persona a causa del continuo riferimento ai pazienti ricoverati in ospedale a cui era costretto nel corso delle lezioni che teneva agli studenti. «Veramente molto buona. Potreste fornirmi le vostre impressioni sui Knighton, signora Baumann?» Lui l'aveva completamente disorientata. «Che impressioni dovrei avere? Erano... be', gente comune, abbastanza simpatica. Questo è quel che abbiamo detto, non è vero, Cyril? A quell'epoca, voglio dire, quando parlavamo dell'altra gente della compagnia, sapete come si fa di solito, ho detto a mio marito che i Knighton sembravano abbastanza simpatici e che quella signorina Bell che era con loro pareva anche lei piuttosto simpatica. Lui era avvocato, mi ricordavo di aver visto il suo nome sui giornali. Era un uomo molto colto, questo è quel che pensavo.» Margery disse improvvisamente: «Era antisemita.» Sul viso della signora Baumann passò un'ombra. Suo marito sorrise, in modo esagerato e con eccessiva tolleranza. A Wexford prima non era venuto in mente che fossero ebrei. In effetti lo erano. «Questo genere di cose è davvero sgradevole» continuò Margery. «Era imbarazzante. Non mi piaceva sentirli darsi dell'ebreo a vicenda e soprattutto lei chiamare il marito vecchio ebreo quando lui non voleva tirare fuori il denaro per qualche acquisto. Sapete, mia madre ha perso tutta la sua famiglia nell'Olocausto: non immaginava la signora Knighton come potesse sentirsi?» «Non è la prima volta che tua madre e io abbiamo dovuto sopportare questo genere di cose, e non sarà neppure l'ultima.» Baumann prese la mano della figlia. «Lui non vuole ascoltare questo tipo di informazioni. Lui vuole sentir riferire minacce, estorsioni e tentativi di assassinio, e sentir parlare di rivoltelle che sparano nel silenzio della notte e di arsenico versato nei boccali di birra.» «Non pensavo affatto...» «Oh, santo cielo, no. Non c'era niente di tutto ciò. Ma so che cosa piace a gente come voi, qualcosa in cui affondare i denti. Lui pensa che io non
abbia mai letto un racconto poliziesco, Margery.» Wexford represse un sospiro. Aveva cominciato a scendere una pioggerella leggera ed era calata l'oscurità. Margery accese due appliques e una lampada da tavolo con un galeone dipinto sul paralume. «Non abbiamo informazioni straordinarie da dare sui Knighton, signor Wexford.» «Allora permettete che vi chieda qualcos'altro. Ricordate quando eravamo tutti seduti al tavolo sulla terrazza dell'albergo di Kweilin? Voi tre, io, il signor Vinald, i Knighton e la signorina Bell. Knighton vide qualcosa che lo stupì. Aveva l'aspetto di uno che aveva ricevuto una tremenda, anche se non spiacevole, emozione. Voglio sapere che cosa aveva visto.» Il dottor Baumann rise a quelle parole e scosse diverse volte il capo come se si trattasse di un'assurdità. Ma sembrava voler evidenziare che l'assurdità si riferiva a Wexford e non a Knighton. Che domande da fare! Che risposta poteva attendersi? «Devo ammettere di essermene accorta anch'io» disse la signora Baumann, cortesemente. La figlia guardò Wexford. «Era quella bellissima ragazza, naturalmente, quella che andava così d'accordo con Gordon Vinald durante il viaggio di ritorno. Pandora Vattelapesca. Una ragazza della Nuova Zelanda. Stava uscendo sulla terrazza e tutti gli uomini la guardarono.» La sua voce, quando nominò Vinald, ebbe un'inflessione di imbarazzo ma non di amarezza. «Mi è capitato di osservare l'espressione sul viso del signor Knighton. In effetti era trasalito improvvisamente alla vista di una così straordinaria... be', stupenda ragazza.» «Io non l'ho neppure guardata» disse il dottor Baumann con voce trionfante. «Be', può darsi che tu non l'abbia fatto, papà. Ma penso che tutti gli altri uomini della terrazza l'abbiano guardata. So benissimo che cosa intende dire il signor Wexford. L'ho vista anch'io quell'espressione. Penso che il signor Knighton sia molto sensibile alla bellezza e là dentro non c'erano molti tipi del genere, no? Ciò che mi ha colpito di quella comitiva di viaggio è che eravamo tutti vecchi bacucchi.» «Margery!» esclamò la madre. «Una giovane donna come te! Sono certa di non aver visto niente di speciale in quella signorina Pandora Vattelapesca.» «Ora signora Vinald» precisò Wexford. La signora Baumann lanciò un'occhiata in tralice alla figlia che invece aveva assunto un'espressione divertita. «Sono certa che lei è stata ben lieta
di accettarlo» commentò la signora Baumann. «Quell'uomo non mi è mai piaciuto, non era affatto un uomo simpatico. E sono certa che non è una persona onesta. Non credo che gli antiquari siano gente rispettabile.» «Oh, mamma! È stato molto gentile con noi. Lo sai come sei rimasta contenta di quel vasetto. Eppure non l'avresti mai comperato se Gordon non ti avesse detto che valeva molto di più di quanto ti chiedeva il venditore. Ed era parecchio di più. Mio padre l'ha fatto stimare, signor Wexford, e il perito l'ha valutato trecento sterline. Mica male se si pensa che la mamma ne ha pagate venti.» Prese da un tavolino da tè un vasetto bianco e blu e lo porse a Wexford. L'ispettore non riusciva a credere che qualcuno potesse pagare trecento sterline per una cosa del genere, una sottile porcellana biancastra con sopra un uccello azzurro e qualche altro disegnino. Sotto il piedistallo vi era un piccolo sigillo rosso. «Non si può portare fuori niente dalla Cina che abbia più di centoventi anni» spiegò Margery. «Così loro mettono il marchio rosso su un pezzo antico per far vedere che è dentro le date stabilite e così va tutto bene.» Wexford glielo restituì. «Siete riuscita a sapere perché il signor Vinald e il signor Purbank hanno litigato al punto di non parlarsi più dopo aver lasciato Irkutsk?» Ora fu Margery a ridere. «Lo so che non si sono più rivolti la parola, ma non ho la più vaga idea del perché. Gordon ha detto solo che era stata una disgustosa faccenda e non ne ha parlato più.» L'ispettore tornò a casa, a un'altra buona unione, di lunga durata: la propria. Dora stava guardando un vecchio film inglese alla televisione, Candida farfalla, con Trevor Howard e Milborough Lang. «Mi chiedo se la gente fra vent'anni vedrà vecchi film di Sheila.» «Se si considera che lei non ne ha mai fatti» obiettò Wexford «non ne avranno molte probabilità. Non vorrai che se ne vada a Hollywood, vero?» «Mi piacerebbe che facesse solo uno o due buoni film oltre a recitare in teatro. C'è quella vecchia serie televisiva, naturalmente, di cui non tengo conto. Mi piacerebbe pensare di lei... be', sì, che la sua bellezza è ricordata dai posteri. In una meravigliosa rappresentazione, in un film sensibile come questo. Dopo tutto, come credi che appaia Milborough Lang adesso? Deve avere circa cinquantacinque anni.» Wexford aveva fatto sempre del suo meglio per non prendere troppo sul serio i toni sentimentalistici della moglie. Naturalmente la vedeva ancora come quando l'aveva sposata. Quando apparvero i titoli di coda, spense il
televisore. «Come avrei voluto che tu fossi con me a Kweilin. Avresti osservato la gente. Avresti parlato con la gente, l'hai sempre fatto. Avresti cercato di conoscerla. Non saresti stata distratta come me dalle... allucinazioni.» Lei lo guardò un po' preoccupata. «Reg, voglio che andiamo a fondo di questa storia delle allucinazioni.» «Mancanza di sonno e Maotai.» «Oh, andiamo! Non credo che tu abbia bevuto più di un paio di sorsi di quella roba.» Wexford si strinse nelle spalle. «Allora dovresti dirmi perché un uomo che vede una bella ragazza attraversare una terrazza la guarda come se vedesse la Vergine Maria.» Squillò il telefono. Era Burden. «Ho ottenuto più di quanto mi aspettassi da quel Brownrigg che è impiegato nello studio legale in cui lavorava Knighton. È uno scapolo anziano e meticoloso e ha archiviato la documentazione di tutti i casi che hanno trattato negli ultimi vent'anni. Ma vi ho telefonato perché un tizio di nome Vinald ha chiamato tre volte nel pomeriggio. Vi do il suo numero.» Wexford lo chiamò. Rispose Vinald in persona. «Oh, ispettore capo, come siete stato gentile a telefonarmi. Ho cercato di mettermi in contatto con voi non appena mia moglie mi ha detto che eravate stato qui.» Aveva una voce cordiale, voleva ingraziarselo. Ma era anche molto nervoso. «Volevo infatti sapere che cosa desideravate da me.» «Sapere tutto quel che potevate dirmi voi o vostra moglie sul signor Knighton e la sua defunta moglie, signor Vinald, tutto qui.» Ci fu un breve silenzio. Vinald si schiarì la gola. «Ma c'è qualcos'altro, vero? Non credo che possa trattarsi solo di questo, eh?» Wexford fece un rapido ragionamento. Avrebbe giocato d'azzardo, anche se doveva puntare alla cieca. «Mi auguro» disse «che ricordiate quell'ultima sera a Kweilin altrettanto bene quanto la ricordo io.» «Oh, certamente. E mi rendo conto che avete ragione a richiedermi una spiegazione più completa. Immagino che vogliate cominciare dal momento in cui ci siamo incontrati in quel bar sulla terrazza...» «Signor Vinald» lo interruppe Wexford bruscamente «non voglio ascoltare queste cose per telefono. Verrò senz'altro a trovarvi domani. Vi incontrerò nel vostro negozio a mezzogiorno in punto.» «Sì, certo. Mi farò un dovere di esserci. Posso assicurarvi che c'è una spiegazione assolutamente semplice e logica per l'intera faccenda...»
«Buonasera, signor Vinald» lo salutò Wexford tagliando corto. Era molto meglio un confronto con l'uomo di mattina e faccia a faccia. Si sarebbe goduto l'attesa della rivelazione. Il giorno dopo con molta probabilità Vinald non avrebbe esitato a dirgli che cosa aveva tanto colpito Knighton sulla terrazza. Eppure Wexford, anche se non nei particolari, credeva di saperlo già. Knighton aveva visto Pandora Vìnald. Naturalmente non era la vista della bella ragazza che aveva suscitato quell'espressione sulla sua faccia. Le persone che gliel'avevano suggerito così semplicemente non pensavano a quel che stavano dicendo. Era quella particolare ragazza. E Knighton non aveva trasalito a quel modo vedendola per la prima volta, ma in realtà perché l'aveva già vista, forse nel passato. Una ragazza che un tempo aveva contato molto per lui, che aveva amato? Era uscita sulla terrazza e per pura coincidenza lui era là, aveva alzato gli occhi e l'aveva guardata con gioia, con stupore e con paura. Parte terza 12 L'ispettore Burden era un conservatore, un tradizionalista che credeva appassionatamente nella legge e nell'ordine. La più lieve offesa contro questi principi destava in lui ripugnanza. Odiava fortemente il crimine. Quella comprensione della mente del criminale e del suo funzionamento che alcuni poliziotti hanno in tale grado da rendersi ben conto che non c'è molto da scegliere tra la propria moralità e quella dei criminali, era estranea a Burden, e lo disgustava. Forse perché come poliziotto non aveva avuto il successo che si aspettava. Tra i criminali e lui si era creato un abisso che diventava sempre più profondo man mano che il tempo passava. Era insensibile e non ispirava simpatia. Dovendo sostenere una parte senza sapere quale, spesso diceva che avrebbe riservato la sua compassione alla vittima di un tagliagole, al padrone di casa assediato dagli inquilini o addirittura al fisco. Credeva nelle punizioni e apparteneva a quella maggioranza di poliziotti, da cui era escluso Wexford, che auspicava la reintroduzione della pena capitale. E questo non esclusivamente nell'interesse della vita dei poliziotti. Il fatto che la Francia, che era stata così saggia da conservare tanto a lungo la ghigliottina, proponesse ora di sbarazzarsene, era al di sopra della sua comprensione.
Ancora più dei malavitosi e degli assassini lo disgustavano i recidivi. Questa era una parola che gli aveva insegnato sua moglie. Lui li aveva sempre chiamati galeotti, ma la sostanza non cambiava. Era fortunato, come aveva fatto notare a Jenny nell'uscire di casa, a dover passare la giornata, forse alcuni dei giorni successivi, a snidarli. Ma non avrebbe mai potuto provare la soddisfazione della massaia che dà la caccia agli scarafaggi, perché quando li scopriva non poteva agire contro di loro. Nutriva per Adam Knighton un'antipatia poco professionale, ma dovette recarsi da lui. Renie Thompson gli aprì la porta d'ingresso e lo introdusse nel soggiorno. Burden, con sorpresa, vide che il suo capo era già arrivato e sedeva davanti a Knighton, immerso in un interrogatorio sull'argomento che lo ossessionava. Knighton era dimagrito in quegli ultimi giorni, i suoi piedi erano infilati in un paio di pantofole e intorno alle spalle aveva un pesante golf di lana lavorato a mano. Era invecchiato di colpo, tutto il suo stile e la sua prestanza fisica erano scomparsi. Wexford rivolse a Burden un cenno del capo, mentre il padrone di casa fece l'atto di alzarsi dalla sedia. «Non scomodatevi, signor Knighton» disse Wexford. «Vorrei che pensaste un momento a quel che vi ho chiesto, per favore.» Knighton alzò le spalle. Appariva accigliato. «Vi ho detto che ricordo molto poco di quella faccenda. La mia memoria ha sofferto per tutto ciò che è successo» disse amaramente, come chi rammenti un'epoca tranquilla che non può più ritornare. «Era tutto molto bello, no? I più bei panorami che abbia mai visto. Se sono apparso stupito su quella terrazza immagino che ciò fosse dovuto alla bellezza dello spettacolo.» Un sorriso spettrale gli attraversò il volto. Wexford scrollò le spalle e si volse a Burden. Aveva fatto del suo meglio. L'uomo mentiva, naturalmente, o per lo meno quella sua frase era molto ambigua. Burden suggerì la possibilità che l'assassinio fosse stato commissionato da qualcuno del suo ambiente che nel passato l'avvocato avesse contribuito a far condannare. Il sorriso si spense sulla faccia di Knighton e la sua espressione divenne incerta. Prese da Burden la lista che Brownrigg aveva compilato. Si concentrò per qualche minuto. Dopo questo sforzo, parlò con un tono normale di conversazione. «Vedo qui il nome di Hayward. Gilbert o Gib Hayward. Mi ha minacciato, in realtà mi ha minacciato in tribunale. La giuria aveva emesso un ver-
detto di colpevolezza e lui aveva atteso la sentenza. Quando il giudice gli chiese se aveva qualcosa da dire, lui cominciò a lanciarmi minacce. E faceva paura, anche se naturalmente non poteva far nulla. Ho anche ricevuto lettere anonime, ma che uso se ne poteva fare, se erano anonime?» Knighton stava parlottando in quel suo modo semifolle, pensò Burden, tanto per dire qualcosa, qualsiasi cosa, piuttosto che rivelare i suoi veri sentimenti, i suoi riposti timori. «Oh, e qui c'è anche quell'altro tipo, quel Peter Kevin Smith. Io ero il suo difensore. Per non so quale ragione pensava che non avessi fatto un buon lavoro. Andò in prigione per cinque anni e il giorno dopo sua madre venne a trovarmi, irruppe nello studio, ed esplose in una serie di minacce, dicendomi che lui mi avrebbe sparato quando fosse uscito.» «Nello scorrere questi nomi, signore, uno o più di uno possono darvi la sensazione che, sì, c'è qualcuno che potrebbe aver messo in atto le sue minacce?» Knighton restituì gli elenchi come se non gradisse tenerli in mano, come se non volesse toccarli. «Nessuno di loro ha mai fatto nulla. Non posso pensare che qualcuno abbia mandato a effetto una minaccia simile contro di me... o di mia moglie. E poi come possono gli uomini ricordare così a lungo?» «Può succedere» osservò Wexford con aria enigmatica, e aggiunse: «Dipende da quel che desiderano ricordare.» E adesso come fare per ottenere informazioni su quegli elenchi? La gente che Knighton aveva difeso con successo e che aveva perseguito senza risultati poteva essere ignorata. Ma ne rimanevano ancora molti con cui, secondo Burden, doveva essere stato spietato, inflessibile, a seconda delle circostanze. Forse aveva deciso di trascurare i piccoli crimini e di occuparsi solo di assassini, rapinatori a mano armata e scassinatori. E come escludere che si trattasse di una donna? Per cominciare, pensava proprio che lo fosse. Solo che non riusciva a vedere come una donna in diretto antagonismo con Adela Knighton avesse potuto farla uscire dal letto e costringerla a scendere le scale per poi spararle a sangue freddo. Un'amichetta di Knighton, forse, che aveva qualche ragione di odio o di risentimento contro Adela, che avrebbe voluto essere qualcosa di diverso. Ma Knighton non aveva amichette. Burden era certo che una persona dell'età di Knighton potesse a fatica arrampicarsi e intrufolarsi attraverso quella finestra, sebbene Knighton fosse
un sessantatreenne snello e ben conservato. L'assassino però doveva essere magro, di mezz'età. Aveva cominciato a stendere un suo elenco e, davanti a tutti, c'erano Gib Hayward e Peter Kevin Smith. Il primo aveva ora cinquantadue anni, il secondo quarantasei. Tuttavia, potevano essere grassi, o addirittura essere morti. Hayward aveva ucciso un uomo in una rissa fuori di un pub del West London e Kevin Smith aveva ferito una vecchia allo stomaco, spaccandole la milza, prima di scassinare il cassetto della sua tabaccheria. Dopo avere eliminato dall'elenco le donne, le persone al di sopra dei sessantacinque anni, i falsari, i truffatori, gli svaligiatori, i rapinatori di banche, sebbene non sapesse se era giusto farlo, aveva ottenuto un totale di sedici uomini. In realtà, stando ai documenti di Brownrigg erano molto più numerosi i clienti che avevano ragione di essere grati a Knighton che non coloro che potevano odiarlo. Doveva essere stato il genere di avvocato da rotocalco che i malavitosi adoravano: spettacolare, senza scrupoli, brillante, crudele e astuto. Si recò a Londra con Wexford, ma qui le loro strade si divisero. Burden aveva mandato Martin a cercare Gib Hayward a Brighton, mentre intendeva vedere Peter Kevin Smith personalmente. «Vive ancora con sua madre che gli è molto fedele» disse Burden mentre si separavano. Wexford tenne la macchina. Burden salì sul treno per Mile End. La Pensosa Selima questa volta era seduta nella vetrina del negozio. Non dalla parte del grande vaso, ma sul bordo dell'elegante stoffa blu drappeggiata che copriva il ripiano. Sedeva comodamente acciambellata nell'ombra di un'ampia poltrona bruno rossiccia. La commessa non c'era. Se non avesse visto Vinald all'ora fissata e nel suo ambiente, Wexford avrebbe potuto non riconoscerlo. In Cina indossava sempre i jeans. Gli apparve molto diverso, in un completo di tweed grigio scuro, una camicia bianca di seta e una cravatta grigia con un disegno a zig zag color argento. Gli sembrò più vecchio, più disinvolto e molto più affabile. «Ispettore capo, sedetevi. Mi fa piacere che siate venuto.» Wexford pensò che quella strana osservazione fosse dovuta al doveroso rispetto di una mente sagace piuttosto che a un sentimento di altruismo. Scelse una sedia che immaginò fosse di Hepplewhite, perché una volta aveva arrestato un uomo che ne aveva rubato una mezza dozzina di simili a quella. Vinald sedette di fronte a lui sul cuscino di raso giallo di un delizioso sgabello. Si sporse in avanti in un atteggiamento familiare e, a bassa
voce, si lanciò in una... che cos'era? La risposta a una domanda inespressa? La lettura di un proclama? O solo una difesa di se stesso? «Ispettore capo, la Cina è enormemente lontana e comunque abbastanza estranea a noi, sono certo che vorrete convenirne. E chi lo sa quanto durerà l'attuale regime? Che cosa sono trent'anni? Nulla in termini storici. I prossimi che andranno al potere potranno ottenerlo solo con una sanguinosa rivoluzione. E che cosa accade nel corso di ogni nuova insurrezione? Più o meno quel che è avvenuto durante la Rivoluzione culturale. L'anarchia. Le autorità armeranno i ragazzi di sedici anni perché distruggano tutte le cose antiche su cui potranno mettere le mani. Lo sapevate che ogni villaggio in Cina aveva il proprio tempio, taoista, buddista o confuciano, e molti ne avevano addirittura tre? Dove sono ora? Sappiamo bene qual è la risposta. Distrutti. Rasi al suolo. E molti di quei luoghi sono stati arati come l'antica Cartagine. Quando sento alcuni sentimentali stigmatizzare i nostri cosiddetti furti in Cina, della rivolta dei Boxer, ringrazio Dio per queste... appropriazioni. Grazie al cielo, ci hanno dato la possibilità di esporre il trono dell'Imperatrice Madre al British Museum. Che cosa pensate che ne avrebbero fatto le Guardie Rosse?» Wexford non capiva dove Vinald volesse arrivare, ma era evidente che l'uomo doveva sentirsi molto colpevole di qualcosa. «Che cosa?» disse con voce atona. «D'altra parte, solo un romantico idealista potrebbe insistere che i mezzi non sono mai giustificati dal fine. Il fine in questo caso è salvare inestimabili tesori d'arte a beneficio del mondo. E questi non sono di proprietà della Cina ma indiscutibilmente di tutto il genere umano. Sono la nostra eredità, perché in arte tutti gli uomini sono fratelli. Perciò affermo che dovremmo mettere le mani su tutto ciò che possiamo sia in modo legale sia illegale... non che i miei sistemi siano illegali, no di certo.» Finalmente percepì la confusione di Wexford, sebbene fosse velata dall'esperienza professionale. «Io sono piuttosto in fondo nella graduatoria» continuò in tono più confidenziale. «Mi è difficile pensare che valga la pena...» «Se noi decidessimo che non vale la pena di perseguire quelle che voi chiamate infrazioni di minor conto, signor Vinald, penso che ben presto l'anarchia l'avremmo proprio nel nostro paese.» Avrebbe voluto capire a fondo quel che Vinald intendeva dire, ma non era il momento. «Dato che siete così franco con me, sono certo che non vi dispiacerà rispondere a un paio di domande.» Vinald appariva ora molto nervoso. «Per esempio: dove eravate la notte del primo ottobre?»
Il fatto che Vinald non dovesse soffermarsi a pensare lo sorprese. In realtà c'erano persone con ottima memoria, persone che in un baleno potevano dirti esattamente quel che stavano facendo una sera di quindici giorni prima. Lo stesso Wexford era uno di quelli. «Ero a casa con mia moglie. Voi sapete dove abito. Proprio girato l'angolo, nella Villas. La madre di Pandora ha portato un amico a trovarci dopo cena, un cameraman o qualcosa del genere. Sono rimasti fino quasi a mezzanotte, poi mia moglie e io siamo andati a letto.» Wexford gli domandò l'indirizzo della suocera e lui gli rispose che abitava in un appartamento in Cadogan Avenue. «Non posso dirvi se il tizio che ha portato vive con lei. Si chiama Phaidon, Denis Phaidon, con la ph.» Wexford si alzò, come se stesse per andarsene, e disse con ingannevole indifferenza: «A proposito, per che cosa avete litigato voi e il signor Purbank sul treno diretto a Irkutsk?» «Cosa?» Pazientemente Wexford ripeté la domanda. «Cosa c'entra quel fatto con tutto ciò?» «C'entra con che cosa, signor Vinald?» «Con il mio commercio di oggetti antichi» brontolò Vinald «o con l'assassinio di questa signora Knighton.» «È solamente una di quelle piccole cose per le quali noi pensiamo valga la pena di infastidirvi» rispose Wexford. Vinald si strinse nelle spalle. «A ogni modo non ricordo. È passato un mucchio di tempo e ho fatto del mio meglio per dimenticarmene e ci sono riuscito. Quell'uomo era semplicemente un individuo di pessimo carattere.» I gatti non fanno mai rumore quando si muovono. Wexford si rese conto che la Pensosa Selima aveva lasciato la vetrina solo quando la sentì fare le fusa contro la propria gamba. Poi la vide dirigersi con andatura maestosa verso il retro come se fosse padrona del luogo e non ci fosse nessun altro. Venne alla porta la vecchia in persona. Guardò Burden con una tale insolenza che egli capì che sarebbe stato inutile credere a qualsiasi alibi lei avesse potuto fornire riguardo al figlio. Ma per ciò che era accaduto non era necessario alcun alibi da parte sua. E questo perché Peter Kevin Smith era diventato troppo grosso, dopo quei dieci anni di prigione che aveva scontato, per poter passare attraverso il
pannello della finestra. Inoltre, aveva la mano destra ingessata e non era mancino. Se l'era fratturata cadendo in strada, ubriaco, pensò Burden, e per dimostrare che l'infortunio era avvenuto precedentemente al primo ottobre, esibì un cartoncino su cui era fissato un appuntamento in un ospedale ortopedico per il diciotto settembre. Il successivo nell'elenco era Sidney Maurice Wills di Southwark. Appariva più interessante di Smith, perché era smilzo, agile e in buona salute. Inoltre aveva appena passato i trent'anni ed era uscito di prigione da oltre un anno. Knighton era stato il pubblico accusatore in uno strano caso in cui Wills era stato dichiarato colpevole di complicità in assassinio e di occultamento di cadavere. Si era impegnato a disfarsi del corpo di una donna accoltellata a morte da un conoscente e l'aveva quindi seppellita nel pavimento appena sterrato di una strada. «Invece di perdere il vostro tempo con me, dovreste scovare chi è stato pagato da quel bastardo di Knighton perché gli facesse quel lavoretto.» «Oh, ha pagato qualcuno?» chiese. «È naturale, no? Non lo avrebbe mai fatto da solo, come non avrebbe mai riparato il suo impianto elettrico o controllato il motore della sua Rolls Royce. Avrà chiamato un professionista come Chipstead, per esempio. Frequentava la plebaglia di Lee, potevano essere tutti quelli che conosco. Ora non mi mescolo più con quel tipo di persone, ma è solo un esempio. Cristo, devo insegnarvi il vostro mestiere?» Wills aveva un alibi quasi altrettanto valido di quello di Kevin Smith, o per lo meno avrebbe potuto esserlo una volta verificato. Era stato in vacanza per una settimana a Minehead con una ragazza che lui chiamava la sua fidanzata, ed era tornato a Londra il tre ottobre. C'erano ancora otto londinesi da incontrare. Gli altri uomini dell'elenco vivevano nel nord dell'Inghilterra e sarebbero stati interrogati dalla polizia locale. Degli otto di Londra, George Lake aveva festeggiato le nozze d'argento in un ristorante del quartiere in cui abitava, Wandsworth, fino all'una di notte. Mojinder Singh, un sikh del Southall, era rimasto a casa con la numerosa famiglia di sua moglie, i suoceri, due fratelli e sei sorelle. Norman Trimley e Brian Gage erano troppo grassi. Henry Rossi aveva settantadue anni e un aspetto malandato. George Catchpole aveva svolto il suo turno di lavoro in un night e Walter Silver Perry... «Silver fare un torto al signor Knighton?» esclamò la signora Perry nell'appartamentino in cima alla torre di Bethnal Green. «Silver venera persino la terra su cui il signor Knighton cammina. Figuriamoci poi sua mo-
glie!» Burden brontolò a bassa voce. Si rese conto che aveva fatto confusione con gli elenchi. Quello stava diventando un compito disgustoso per lui. Silver Perry aveva ucciso a randellate un guardiano notturno e avrebbe trascorso in carcere parecchi anni. Questa era la versione dei fatti offerta ai lettori dei giornali del paese, ma l'abilità di Adam Knighton l'aveva fatto assolvere. Burden ricordava vagamente la storia dell'uomo apparsa sul «News of the World» e, mentre cercava di metterla a fuoco, la signora Perry gli mise tra le mani un album di ritagli, ingialliti dal tempo. «Credo di dovere al signor Knighton la mia salute mentale e persino la mia vita...» Che scrittorucoli! Stava restituendo l'album quando entrò Perry in persona. Era un uomo alto, sulla sessantina. Aveva i capelli come quelli di un'anziana signora che si fosse appena fatta la messa in piega. I capelli di Silver, tuttavia, avevano un colore metallico naturale e naturale era anche l'ondulazione. E avevano proprio lo stesso aspetto di quando aveva trentatré anni e le sue fotografie erano state pubblicate sul «News of the World». Diede a Burden un'occhiata bonaria poi disse gravemente: «Darei la mia vita per il signor Knighton.» «Davvero? Non so che uso potrebbe farne lui.» Silver continuò come se Burden non avesse parlato. «Mi ha addolorato sapere della sua grande perdita. A quanto si dice era un ottimo marito...» A Burden nessuno aveva detto che Knighton fosse un ottimo marito. Uscì, e poiché l'ascensore non arrivava, scese a piedi le scale: ben centocinquanta gradini! C'era ancora un uomo da vedere. Coney Newton, che viveva nell'East End, aveva violentato una ragazza e subito dopo l'aveva accoltellata, anche se non mortalmente. Quasi un anno dopo, quando la ragazza era finalmente guarita, Knighton l'aveva messa alla berlina sul banco dei testimoni, ma la giuria non aveva tenuto conto delle sue parole e Newton era finito in prigione per otto anni. Nessuno poteva dire, eccetto quel paranoico di Newton, che Knighton non avesse fatto del suo meglio per farlo assolvere. «Io non porto rancore, badate. L'ho detto a Silver. Non porto rancore e non lo biasimo...» «Silver?» chiese Burden. «Silver Perry. È un mio amico. È stato proprio per quello che aveva detto sui giornali che ho insistito perché mi procurasse la difesa di quel Knighton. L'ho detto a loro che volevo un tizio di nome Knighton e tutto sarebbe andato bene. Badate, non porto rancore, ma potevo cavarmela per il
rotto della cuffia. Tutte quelle scene, quel dire alla giuria che era stata la ragazza a volerlo, non mi è servito affatto, ha creato solo spettacolo. Usare un mucchio di paroloni, farla arrossire e strappare qualche risata, era solo spettacolo. Quello che avrebbe dovuto fare, come gli avevo detto e ridetto, era solo insistere sul fatto che io non ero là. Quella era la verità. Io non c'ero. Tutto quel che volevo era che lui dicesse esattamente i fatti come stavano, che io non ero là.» «Immagino che è quello che direte quando vi chiederò dove eravate la notte di martedì primo ottobre.» Coney Newton guardò Burden di traverso. Era un uomo di forse cinquant'anni, smilzo, sparuto, dai capelli grigi, con una fila di denti grigiastri sporgenti. Un brutto ceffo in ogni senso. «Non ero in nessun luogo in cui non avrei dovuto essere, questo è certo» rispose e s'ingolfò in una complicata spiegazione di come quella sera fosse stato in un pub con qualcuno di nome Rocky di cui non conosceva il cognome, poi da sua sorella, poi in un club nei dintorni di Leicester Square con il vecchio Silver. «Eravate in un club con Silver Perry?» «Ve lo sto dicendo!» «Fino a che ora vi siete rimasto?» «Potevano essere le due» disse Newton e lanciò a Burden un'altra occhiata in tralice. Avrebbe dovuto confrontare questo con gli alibi di Lake, Singh e Catchpole. Il club, che Newton aveva detto chiamarsi El Video, con tutta probabilità era chiuso a quell'ora, ma Burden aveva del tempo a disposizione prima di incontrarsi con Wexford. Prese un autobus e salì sulla piattaforma superiore. Era il suo modo di viaggiare preferito quando doveva girare per Londra. Avrebbe dovuto andare a trovare Newton per primo, così poi avrebbe potuto confrontare il suo alibi con quello di Perry. L'ultima cosa che certamente avrebbe fatto Perry sarebbe stata di appoggiare la falsa storia di qualcuno che ce l'aveva con il suo eroe. Comunque, prima di tutto El Video. Come si era aspettato; era chiuso. Dopo un irrigidimento della legge sulla pornografia, le fotografie nelle vetrinette ai lati della porta scarseggiavano di seni e natiche in primo piano, di bocche procaci e di fianchi in bella mostra. Inoltre sulla porta c'era un cartello che avvertiva che il club era strettamente privato e riservato ai soli membri e più sotto un poster reclamizzava un concerto rock. C'erano tre campanelli e Burden suonò quello
centrale. Poco dopo la porta fu aperta da una giovane donna nera con un paio di calzoni di velluto al ginocchio e una camicetta rossa. Guardò Burden, disse che non c'era niente da fare fino alle sei e che del resto si entrava solo per appuntamento, ma poi sembrò capire che egli cercava qualcuno del club. Fece una risatina e disse che Moggy avrebbe aperto alle otto. Burden si avviò lungo Charing Cross Road, chiedendosi come se la fosse cavata Wexford. Purbank non volle dirgli la ragione di quel litigio. Disse che l'aveva dimenticata, sebbene fosse stato più riservato di Vinald. Non aveva infatti detto che l'altro uomo era un individuo disgustoso. Il suo appartamento, vicino a Epping Forest, faceva parte di un alto edificio con grandi vetrate da cui si poteva godere la vista delle cime degli alberi. Sembrava che Purbank fosse un consulente finanziario che svolgeva il suo lavoro in casa, in una grande stanza in cui regnava il grigiore, ammobiliata tutta sui toni del beige e del marrone. Come Vinald, la visita di Wexford l'aveva reso molto nervoso e, quando l'ispettore gli chiese se, dopo il ritorno dalla Cina, si fosse messo in contatto con qualche altro membro della comitiva del treno, e in particolare se avesse ricevuto fotografie da qualcuno di loro, aveva gridato: «No, no!» con la veemenza di chi supplica di non venire assalito. Ma dei Knighton sembrava proprio non sapere nulla. Durante il viaggio in treno, le coppie sposate tendevano a tenersi in disparte, sebbene i Knighton avessero sempre formato un terzetto con Irene Bell. Sulla terrazza dell'albergo a Kweilin proclamò di non essersi accorto d'altro all'infuori di ciò che egli chiamava quella stupida musica e a quel ricordo si lasciò sfuggire una risata nervosa. Wexford pensò che le probabilità che quell'uomo avesse sparato a Adela Knighton erano assai remote. Ma rimase piuttosto sorpreso quando Purbank non fu in grado di ricostruire i propri movimenti nella notte del primo ottobre. Poteva dire solamente che era rimasto a casa solo, o così gli pareva. In realtà, non riusciva a ricordare, ma pensava di essere rimasto a casa solo e non ricordava di aver ricevuto visite o telefonate. Sembrava un uomo senza amicizie, così appartato, così noioso e confusionario da far fuggire ogni probabile amico. Con l'ossessione del ricordo della Cina, alla quale continuava a pensare, domandandosi dove fossero finite le fotografie scattate da Adela Knigton,
Wexford attraversò l'atrio dell'edificio e si ritrovò faccia a faccia con un cinese. In altre circostanze, neppure a Kingsmarkham, dove c'era almeno un ristorante cinese, difficilmente gli avrebbe rivolto una seconda occhiata. Ma qui, senza volere, lo fissò proprio come i cinesi avevano fissato lui a Changsha. L'uomo gli parlò cortesemente in un inglese un po' stridulo. «Buongiorno. State cercando qualcuno?» Wexford si ricompose. «No» rispose. «Grazie lo stesso.» Era alto per essere un cinese, sulla quarantina, e aveva l'aspetto di un professionista. Indossava un completo scuro con una cravatta di seta color prugna e teneva in mano una borsa di cuoio rosso. Il suo inglese aveva un accento straniero ma era fluentissimo e molto appropriato. «Pessima giornata» concluse. «Fa veramente freddo fuori.» E con un sorriso si diresse verso l'ascensore. Wexford diede un'occhiata ai nomi sopra i campanelli fuori del portone. Numero 7: Y. S. e M. Hsia. Doveva essere quello. Purbank abitava al numero 8. Naturalmente non c'era alcuna ragione perché Purbank non potesse avere un vicino di casa cinese. Nel paese dovevano esserci molte migliaia di immigrati provenienti da Hong Kong, da Taiwan e da Singapore. La maggior parte di essi vivevano nelle città e nelle periferie delle città, in un appartamento di Buckhurst Hill come altrove. Eppure era strano! Cominciò a considerare Purbank, che aveva messo da parte come una persona di scarso interesse, con occhi nuovi. Passò a prendere Burden nel luogo dell'appuntamento, sul ponte di Londra. Pioveva forte e l'ispettore era ritto sotto l'ombrello. «Dobbiamo dare un'occhiata al conto in banca di Knighton» disse Wexford. «Bisogna vedere se da quando è tornato dalla Cina ha ritirato forti somme.» Burden ribatté con scetticismo: «Non penserete che quel tipo abbia assoldato un assassino?» «Siamo fatti tutti della stessa pasta. Altri uomini della sua posizione e della sua classe sociale hanno commesso assassini. Qualunque cosa abbia detto a questo proposito alla moglie e ai figli, l'omicidio non è prerogativa della classe operaia. Mike, non è da lui aver detto una cosa simile, un'affermazione del genere appartiene al suo personaggio pubblico e ciò mi fa ritenere più verosimile la sua colpa. Non sono d'accordo con te, penso che sia più probabile che abbia assoldato qualcuno per non sporcarsi le mani.» «Be'» replicò Burden con inaspettata sagacia «questo potrebbe spiegare
perché prova una tale vergogna, perché sembra odiarsi così tanto.» 13 Se mostrava di esser più interessato alla famiglia Vinald che non agli altri membri della comitiva del treno, questo derivava dal fatto che era propenso a credere che la vista di Pandora Vinald, allora ancora nubile, fosse stata la causa di quell'espressione estatica e sconvolta sul viso di Knighton. Un tempo, da qualche parte, Knighton l'aveva già vista, e se doveva basarsi su quell'espressione, non si era limitato a vederla. Il prossimo passo sarebbe stato quello di andare a trovare Jennifer Norris nella sua vecchia casa di Springhill Lane. Quel giorno lei assomigliava più che mai alla madre. Si era fatta fare da poco la permanente e il suo viso splendeva come il sole. Wexford si era aspettato di essere ammesso in un appartamento di lusso da una donna delle pulizie o dall'equivalente odierno di una cameriera. Era rimasto sorpreso di trovarla sola e di venire introdotto in una stanza scarsamente arredata. Lei non gli disse di accomodarsi. «Dove andavano in vacanza i miei genitori prima di quel viaggio? Volete dire da quando papà era in pensione?» «Possiamo risalire a cinque anni fa, signora Norris?» Quanti anni poteva avere Pandora? Era certamente più giovane di Jennifer. Forse non aveva più di ventiquattro anni. Lei non rispose immediatamente. Non poteva perdere l'occasione di dilungarsi sulla prosperità e i vantaggi sociali della sua famiglia. «La mamma aveva quel che lei chiamava il suo fondo vacanze. Era il suo modo di ottenere il meglio dal denaro. Voleva un vero viaggio, capite, non i soliti sport invernali in gennaio e il soggiorno sulla solita spiaggia del Mediterraneo d'estate che hanno tutti.» Quest'ultima frase lasciò Wexford senza fiato. Ma non disse nulla. «Così Angus investiva questo fondo per lei, e la mamma vi attingeva quando voleva andare in qualche posto... davvero superlativo, come la Cina. La mamma adorava viaggiare.» Wexford annuì. «Dove sono andati la prima volta, dopo che si era incominciato a stanziare questo... ehm, fondo?» «In Egitto, mi sembra, o forse erano la Thailandia e Giava. Penso che siano andati in Messico una volta, ma non ne sono certa. E una volta sono andati soltanto in Jugoslavia e a Corfù.» I Balcani non erano molto considerati: non potevano reggere il confronto con Bognor Regis. «Ma questo è
avvenuto almeno sei anni fa.» Cercando di restare calmo, Wexford chiese se non erano mai andati nella Nuova Zelanda. «Nessuno va in Nuova Zelanda in vacanza, sapete?» Era una ragazza dagli orizzonti limitati. «Abbiamo una specie di lontano cugino a Sydney o forse è Melbourne, uno di quei posti laggiù; sono andati a trovarlo e sono rimasti un po' di tempo, forse un mese.» «Hanno trascorso un mese in Australia? Quando?» «Oh, parecchi anni fa. Sei o sette.» La situazione era un po' forzata. Era difficile per Wexford immaginare il cinquantaseienne Knighton che andava e veniva da Sydney ad Auckland dopo essersi innamorato di una ragazza di diciassette anni. E questo che cosa avrebbe potuto significare, peraltro? Che la ragazza lo amava ancora dopo sette anni, che si era incontrata con lui in Cina e che poi aveva sparato alla moglie, alla sua rivale? «La mamma voleva andare in India e in Nepal il prossimo anno» disse Jennifer Norris. «Voleva andarci in febbraio, povera mamma.» Per la prima volta Wexford vide i segni di un'autentica commozione sul viso della giovane. Mentre tornavano attraverso l'atrio alla porta d'ingresso, egli scorse qualcosa, sulla parete di una specie di studio, che lo incuriosì. Avrebbe incaricato il sergente Johnson di indagare non appena fosse arrivato alla stazione di polizia, ma Johnson sapeva già tutto. «Ha un porto d'armi regolare, signore, ne ha avuto uno per diversi anni. Ne possedeva uno anche prima di sposarsi, quando viveva qui in un appartamento dell'High Street. Noi verifichiamo, controlliamo che tenga il materiale pericoloso sotto chiave. La maggior parte di quel che vedete appeso alla parete sono vecchi fucili da caccia, fucili a pietra focaia e roba del genere. Però possiede anche un armamentario moderno. Ho un elenco aggiornato.» «Niente Walther PPK?» Johnson scosse il capo. «È stata la prima cosa che ho controllato all'inizio del caso.» Wexford entrò nel suo ufficio e trovò due pacchi che lo aspettavano insieme al resto della posta. Uno era arrivato per posta, l'altro, avvolto semplicemente in un foglio marrone, era stato portato a mano. Aprì questo secondo pacco. Conteneva una serie di libri usati, racconti del macabro di uno scrittore di epoca vittoriana, Sheridan Le Fanu, con un pezzo di carta
strappato dal foglio di un ricettario con sopra scarabocchiato un nome: Len. Wexford si chiedeva che cosa tramasse il dottor Crocker. Non aveva mai letto niente di Le Fanu e pensò che sarebbe stato ottimo per rilassarsi durante il sabato pomeriggio e la domenica che intendeva prendersi di libertà. Nell'altro pacco, quello che era stato mandato per posta, non c'era alcun indizio che permettesse di scoprire l'identità del mittente. Wexford estrasse dalla carta marrone da pacco otto buste di quelle usate per le pellicole fotografiche. Sopra ciascuna di esse era stampato il nome KNIGHTON. Certamente erano le istantanee che i Knighton avevano scattato durante le vacanze, e gli erano state spedite da una fonte sconosciuta. Il suo nome sull'etichetta e l'indirizzo della stazione di polizia di Kingsmarkham erano stati scritti a macchina. La spedizione era stata effettuata dall'ufficio postale di Londra 1, Chingford, E 4. Osservò attentamente le fotografie. Non gli ci volle molto per capire che alcune, tre o quattro, erano sparite. Non c'erano neppure i negativi, perché la striscia di celluloide era stata tagliata. La loro scomparsa non era dunque dovuta al fatto che non erano riuscite. Ma quali mancavano? Le prime sei buste contenevano foto dell'Europa orientale e della Russia, comprese quelle di una stazione ferroviaria russa sulle quali le autorità si sarebbero certamente avventate se ne avessero conosciuto l'esistenza. Era dalle fotografie delle altre due buste, quelle cinesi, che mancavano alcune istantanee scattate. Riconobbe Changsha, la tomba della Marchesa di Tai a Mawangdui, i luoghi natali di Mao a Shao-shan. C'erano alcune foto dei gioghi montani di Kweilin, che sembravano scattate dalla terrazza dell'albergo. Poi più niente fino alla statua delle Cinque Capre di Canton. Che cosa ne era stato dell'escursione sul fiume Li, la gita più spettacolare che si potesse fare tra Pechino e Hong Kong? I Knighton avevano lasciato la macchina fotografica in albergo? Wexford sapeva bene che non era così. Ricordava che Adela Knighton aveva scattato fotografie sul ponte... pescatori con il cormorano, villaggi, barche. Qualcuno, il mittente di quel pacco, doveva aver avuto una ragione, ancora incomprensibile per Wexford, per sottrarre quelle vedute e con tutta probabilità distruggerle insieme ai negativi. Knighton non si oppose alla proposta di esaminare la sua situazione finanziaria. Con viso impenetrabile, porse a Wexford l'ultimo estratto conto della banca, di quelli che riceveva mensilmente. Quando Wexford gli chiese perché gli mandassero l'estratto conto così spesso, egli spiegò che un
anno prima, a causa di un ordine fisso per una nota di addebito diretta di cui si era dimenticato, il suo conto era rimasto scoperto per breve tempo. Da allora la banca lo teneva al corrente con frequenti estratti conto. Prima di andare in pensione aveva posseduto un conto privato, poi lui e sua moglie avevano usato un conto unico. I riepiloghi mensili riguardavano proprio questo conto. Knighton telefonò alla banca e autorizzò il direttore a mettere al corrente Wexford su tutto ciò che riguardava il suo conto privato, che era stato estinto tre anni prima. Negli estratti conto non c'era niente che indicasse che nell'anno precedente era stata ritirata una forte somma non documentabile. Vi era stata versata una notevole somma che Wexford pensava riguardasse la pensione o la rendita annua di Knighton, e c'erano versamenti di somme più consistenti probabilmente relativi a interessi sugli investimenti di Knighton o di sua moglie. Nel conto di aprile appariva un versamento di quattromila sterline. Con molta probabilità provenivano dal fondo vacanze della signora Knighton. E altrettanto denaro era stato ritirato due settimane dopo per anticipare la quota del viaggio in treno. Era più che evidente che Knighton non aveva sborsato dei soldi per assicurarsi i servigi di un sicario. Naturalmente non c'era modo di sapere se quel conto era l'unico che avesse. Ma nella precedente perquisizione della casa, della sua scrivania e dei cassetti, Wexford non aveva trovato libretti degli assegni o distinte di pagamento di un altro conto che non fosse quello in comune con la moglie e quello privato di cui Knighton aveva conservato l'ultimo libretto degli assegni. «Signor Knighton, vorreste venire al posto di polizia con me per parlare un po'? Penso che sarebbe utile per voi avere un colloquio con me e il mio collega, l'ispettore Burden.» «Non capisco perché non possiamo parlare qui.» «Forse voi no, ma io sì. Sarebbe più semplice per tutti noi, al distretto di polizia.» «Intendete dire più intimidatorio per me? Io sono già abbastanza intimorito, ve l'assicuro.» Knighton mosse stancamente il capo. «Non so se sia stata la paura o lo shock o che altro, ma mi sembra di soffrire di una specie di amnesia, quella che un medico fanatico chiamerebbe una fuga.» Knighton usò l'antiquata espressione senza alcun imbarazzo. «Mi sembra di vivere in uno stupefatto intontimento» concluse. Wexford notò che non aveva aggiunto il dolore nell'elencare le emozioni che lo angosciavano.
«Se intendete interrogarmi, penso che dovrei avere la consulenza di un legale.» Sembrava strano che lo dicesse proprio lui che era stato avvocato. «Deve essere presente il mio consulente legale» ribadì. «Questo fa parte dei vostri diritti, signore» ammise Wexford più soavemente che mai. Fu uno strano colloquio. E questo perché la sincerità di Knighton riguardava solo certe aree e non altre. Comunque il consulente legale non era presente. Forse Knighton aveva pensato che con tutta l'esperienza che aveva, avrebbe potuto fare a meno dei consigli altrui. Usarono una delle celle più piccole come stanza dei colloqui. C'era un tappeto sul pavimento. Le sedie avevano alti schienali ma sedili imbottiti. Knighton sedette a un lato del tavolo e Wexford e Burden davanti a lui. Appariva ammalato, i suoi occhi sembravano buchi scuri nella faccia. Una specie di rimorso lo aveva schiacciato sotto il peso degli anni, come un cancro. Sembrava che fosse giunto alla fine delle sue risorse o alle sue ultime ore. Eppure continuava a condurre le sue schermaglie di pedante avvocato. Faceva freddo nella stanza. Il riscaldamento centrale avrebbe avuto inizio solo il primo novembre. Wexford aveva portato una stufetta elettrica e si scusò con Knighton per il freddo e il lieve disagio. «De minimis non curat lex» disse Knighton con un sogghigno. La legge potrebbe non dare importanza a queste inezie ma coloro che la praticano sì. Conformemente all'espresso desiderio di Wexford, Knighton si addentrò in lunghe particolareggiate supposizioni su come un potenziale assassino potesse aver saputo che lui era fuori di casa quella notte del primo ottobre. Ancora una volta nominò le persone alle quali aveva parlato del suo progettato viaggio a Londra: la moglie, la figlia Jennifer, il genero, i vecchi amici del paese e il figlio Roderick. Lo sapeva naturalmente il suo ospite Dobson-Flint. A chi costoro l'avessero comunicato era difficile da indovinare. Improvvisamente disse: «Avete chiesto ai miei figli, alla signorina Bell, a Adrian Dobson-Flint e anche ad altri, immagino, se il mio matrimonio era felice. Non avevate che da chiederlo a me.» «In una circostanza del genere» disse Burden «ritenevamo scontato che ci avreste risposto affermativamente.» «In un'inchiesta di assassinio, ispettore, voi non potete dare tutto per scontato. Non era un matrimonio felice. Non lo è mai stato. Da anni era noto a tutti che non andavo d'accordo con mia moglie. Adela mi trattava come molte donne trattano i loro mariti. Ero una cosa sua, il suo protettore,
e aveva diritto alla mia continua presenza nella sua vita. Non credo che si sia mai chiesta se mi amava o no. Non mi è mai piaciuta. E con il passare degli anni mi piaceva sempre meno.» Per il momento questo tacitò Burden. E mise Wexford in un grande imbarazzo. «Forse ritenete di dover fare una nuova deposizione, signor Knighton?» «Io non sto confessando niente, se è questo che volete dire. Non amavo mia moglie, ma rimpiango amaramente la sua morte. Darei qualsiasi cosa per...» esitò e Wexford pensò che stesse per dire «per riportarla in vita», ma lui terminò: «ritornare a prima di quel primo ottobre.» Wexford disse: «Voi eravate un marito controvoglia. Eravate fedele?» «Per venticinque anni lo sono stato. Prima di allora... c'era una persona che desideravo sposare, ma era impossibile e ci siamo separati. Avevo i figli a cui pensare.» «E la vostra carriera, direi anche» osservò Wexford. Knighton trasalì. Fece un gesto vago come per scacciare qualcosa dal viso. «E la mia carriera, sì. Pensavo alla carriera di giudice. Alla quale tuttavia non sono mai arrivato. Debbo dire che sapevo per certo che avrei dovuto rinunciarvi in partenza se avessi abbandonato mia moglie e i miei figli per una giovane attrice.» Lo interrogarono per più di un'ora. Gates entrò con il caffè e un piatto di sandwich al prosciutto e al formaggio. Knighton accettò il caffè ma rifiutò di mangiare. Wexford gli fece alcune domande circa la sua conoscenza delle armi. Knighton rispose che non sapeva nulla della Walther PPK all'infuori del fatto che in letteratura era l'arma usata negli ultimi libri di James Bond e che nella realtà era impiegata dalle forze di polizia di Stoccolma. Alle cinque del pomeriggio lo lasciarono tornare a casa. Il lunedì mattina ci furono due avvenimenti significativi. Uno fu il crollo dell'alibi di Gordon Vinald. Erano stati sentiti la signora Ingram e Denis Phaidon ed entrambi confermarono di aver fatto visita ai Vinald per prendere un caffè e bere qualcosa, ma ciò era accaduto mercoledì due ottobre e non martedì primo ottobre. E Phaidon, innocentemente, peggiorò ancora più la situazione aggiungendo che avevano avuto l'intenzione di andare a casa sua il martedì, ma l'incontro era stato rimandato alla sera successiva perché, a detta di Pandora, Gordon Vinald doveva andare a Birmingham per affari. Wexford stava leggendo il rapporto riguardante questa deposizione,
quando entrò l'agente Archbold Constable che con Bennett e Loring stava ancora occupandosi dell'inchiesta a Sewingbury, per dirgli che finalmente sembrava avessero trovato un testimone: Thomas Bingley, un vecchio in pensione, che un tempo faceva l'agricoltore. Si trovava nel bosco attraversato dal sentiero che portava da Sewingbury a Thatto Vale... «Un vecchio?» lo interruppe Wexford. «In un bosco alle due e mezzo del mattino. Che cosa diavolo ci faceva?» «Be', signore, andava a caccia. Fagiani, sembra. Ci abbiamo messo così tanto a scovarlo, perché se ne stava nascosto. È stata la nipote a metterci in contatto con lui, sebbene sapessimo che lui era spesso su quel sentiero di notte in quest'epoca dell'anno. Evidentemente tende le trappole e va a prendere la selvaggina di primo mattino.» «Ed era là il primo ottobre, vero? Chiamerei questo aggiungere un insulto al danno, cacciare di frodo proprio il primo giorno in cui inizia ufficialmente la caccia.» «È uno sfrontato» ammise Archbold. «Il punto è, signore, che dice di aver visto un uomo su quel sentiero. Era una notte chiara, splendeva la luna e Bingley dice di avere visto un uomo alto e magro con i capelli grigi e bianchi camminare rapidamente lungo il sentiero verso Sewingbury.» «Con un'automatica fumante in mano, oserei dire» concluse Wexford. Per un caso fortuito, grazie al pacco anonimo, Wexford possedeva ora le fotografie di una serie di possibili sospetti. Nel semplice soggiorno della casetta di Bingley giù verso Sewingbury Mill mostrò al vecchio una fotografia di Knighton. Bingley la guardò e si grattò la testa dicendo che poteva essere l'uomo che aveva visto, sebbene non gli fosse sembrato così alto. Poi guardò Purbank, ritratto contro la balaustra dell'albergo di Kweilin mentre conversava con Irene Bell, e sembrò prenderlo in considerazione. Poi esitò e indicò con il suo corto dito, un dito sporco con un'unghia spezzata, qualcuno sullo sfondo della fotografia, un uomo i cui capelli erano nascosti da un cappello da sole. Era Vinald. «Questo assomiglia molto al tizio che ho visto.» «Non potete prestar fede a quel che dice uno zoticone come quello» commentò Burden quando si trovarono sulla riva del fiume. «Sta sforzandosi in modo confuso di compiacerci nel caso lo accusassimo di cacciare di frodo. È una di quelle persone che pensano che potremmo prendercela con lui se ci dice che non sa niente.» Wexford ispezionò il calcestruzzo dell'argine, noto tra gli abitanti del luogo come la chiusa, attraverso il quale il Kingsbrook era stato fatto pas-
sare. C'erano state parecchie controversie sul fatto di realizzare o meno quell'opera. Il fiume che tre settimane prima scorreva tra le rive di folti canneti (e spesso tra cumuli di rifiuti) era stato imbrigliato in un canale con gli argini lastricati, fori nel pavimento per gli alberi e un nuovo ponte ad arco in mattoni che portava a Springhill Lane. «Non è poi così brutto ora che è finito» disse Wexford. Gli venne in mente la vista del fiume Li e dei suoi dintorni con i gioghi delle montagne, il cielo simile a porcellana azzurra, il mormorio dell'acqua... e l'annegamento di Wong. «Purbank ha i capelli grigi» osservò. «Oh, andiamo! Nella tempesta ogni buco è un porto.» «Non in questo caso. Purbank non ha alibi per quella notte. E poteva avere un motivo.» Si avviarono verso la macchina che li attendeva nel punto in cui il sentiero per Thatto Vale sbuca nella strada. «Dal gruppo delle fotografie dei Knighton mancano tre o quattro istantanee con i relativi negativi. Supponiamo che Adela Knighton avesse mandato le foto a Purbank. L'ufficio postale segnato sul pacco che è tornato a me era Chingford, e Chingford, secondo la carta stradale della Grande Londra, è abbastanza vicina a Buckhurst Hill dove vive Purbank. Supponiamo che una o più di una di queste istantanee mostrino Purbank in una situazione compromettente: una situazione che lui farebbe l'impossibile per non rendere di pubblico dominio.» «Di che genere?» «Questo non lo so. Io non le ho viste. Ma Purbank può aver pensato che Adela Knighton gliele avesse mostrate, non per gentilezza o per sollecitudine, ma per informarlo che lei sapeva. E forse lei sapeva.» «Dunque che cosa dobbiamo fare?» «Nulla, per ora. Per prima cosa dobbiamo scoprire perché Vinald ha mentito dicendo che era a casa dove aveva organizzato un piccolo ricevimento, quando in realtà era a Birmingham. O a Herstmonceux o a Mevagissey. Non c'è niente da fare con un bugiardo del suo calibro. Ma la cosa veramente interessante è che il suo è anche l'alibi di Pandora. E ora non hanno più alibi né lui né lei.» Risultò che a Birmingham Vinald aveva incontrato l'agente di un collezionista sudamericano di porcellane. Aveva con sé alcuni dei pezzi che aveva portato fuori dalla Cina e due vasi acquistati più recentemente. Dicendo che questo era accaduto la sera del due ottobre invece che nella data vera del primo ottobre, aveva solo commesso un errore.
Vinald aveva fornito la sua spiegazione con disinvoltura, ma non era riuscito a nascondere un fondo di nervosismo. Aveva paura di qualcosa e la sua paura cresceva. Wexford e Burden lo incontrarono a casa sua anziché nel negozio. Pandora entrò nella stanza mentre stavano parlando. Vinald era forse spaventato per lei? La giovane donna quel giorno indossava un abito di maglia di lana bianco, cintura e scarpe color bronzo. I capelli neri erano acconciati nella pettinatura di moda, lisci sopra e arricciati in riccioli rinascimentali ai lati. Appariva calma, senza il minimo segno di nervosismo. Wexford improvvisamente fu certo di essersi sbagliato a collegarla con Knighton. Era più probabile che non si fossero mai parlati. «Dunque voi e vostra moglie eravate soli qui martedì notte?» Entrambi assentirono, rapidi e all'unisono. Si sorrisero imbarazzati per la fretta che avevano dimostrato. Pandora si strinse nelle spalle, spalancando gli occhi. «Devo insistere perché mi diciate la causa del vostro litigio con il signor Purbank.» Vinald rimase in silenzio un momento. Si sforzò di sorridere, facendo del suo meglio. «Se volete saperlo, faceva spesso insinuazioni sul fatto che io volessi trasformare il viaggio in quello che lui chiamava un giro d'affari.» «E se questo fosse stato vero, a lui che cosa importava?» «Ogni volta che dovevamo compiere un giro turistico e scegliere che cosa visitare, lui asseriva che io optavo per i luoghi in cui si trovavano manufatti in vendita anziché per i musei e vedute panoramiche o cose del genere.» «Questo poteva irritarvi, ma non certo offendervi, vero?» «Era il modo in cui lo diceva. Dipendeva più dal tipo di insinuazione che da quello che diceva in realtà.» «Il signor Purbank dice di aver dimenticato la causa del vostro litigio.» Era inequivocabile che queste parole produssero una certa soddisfazione in Vinald. Sorrise con allegria. Mise un braccio intorno alla vita della moglie. «È proprio un gaglioffo. In realtà, quando lui disse che avrebbe informato la guida del fatto che intendevo trasformare le vacanze di altra gente in una speculazione commerciale per rimpinguare le mie tasche, io ne ebbi abbastanza. Lo schiaffeggiai e... andammo più in là delle parole.» Wexford sapeva che stava mentendo. O piuttosto che stava dando una versione a lui favorevole della verità, qualunque essa fosse. Congedatisi,
scendendo le scale, Wexford si fermò ad accarezzare il capo della Pensosa Selima che era seduta proprio in mezzo ai fiori in un vaso. La gatta sopportò le sue attenzioni, poi si scosse infastidita, balzò fuori dal vaso e schizzò l'acqua tutt'intorno. «Non c'è nulla che alletta i tuoi occhi vagabondi» disse Wexford «e i cuori disattenti è lecita ricompensa...» «Che cos'è questo?» «La poesia in onore del gatto. Su, andiamo al V. e A.» Un tempo Burden l'avrebbe guardato con aria interrogativa. Sua moglie l'aveva completamente cambiato. «Al museo Victoria and Albert» disse a quell'esperto di Londra che era Donaldson, e poi, a Wexford: «Che cosa andiamo a fare laggiù?» «L'arte più brillante della Cina» spiegò Wexford. Quella sera, arrivò a casa stanco. Ma poiché non era molto tardi, finì il racconto di Le Fanu sui vampiri, Carmilla, e cominciò la novella successiva, Tè verde. 14 Non l'aveva detto a Burden. Non l'aveva detto a nessuno all'infuori di sua moglie. Seduto sul letto a leggere Le Fanu accanto a Dora che leggeva Charlotte Brontë, arrivò stupito in fondo alla storia e scoppiò a ridere. «Vuoi dire» osservò Dora dopo che lui le ebbe spiegato il motivo della sua risata «che quell'uomo, mentre scriveva, combatteva la stanchezza bevendo tè? Enormi quantità di tè verde che gli serviva come stimolante.» «Puoi dire una sfilza di tazze di tè verde. E quando aveva cominciato a vedere una specie di scimmia negli angoli della stanza, si era spaventato. Poi l'aveva vista nella via ed era salito sull'omnibus con lei. Bene, io vedevo una vecchia con i piedi fasciati.» «Immagino che sia stato Len Crocker a mandarti il libro.» «Certo. Ha pensato che fossi in preda alle allucinazioni come era capitato al reverendo Jennings nella novella di Le Fanu. Sai, ho bevuto grandi quantità di tè verde. Una decina di litri al giorno, credo.» Rise a quel ricordo. Ma quando ci ripensò prima di addormentarsi, non si sentì del tutto pago di quella spiegazione. Provava sollievo, si era tolto un piccolo peso dalla mente, era naturale che fosse stato il tè a provocargli le visioni... ma tutto quel che era accaduto era stato a causa della bevanda? Sicuramente c'era stato dell'altro, sebbene non riuscisse a scoprire che co-
sa. Si senti un po' strano mentre beveva la tazza di tè a colazione, sebbene si trattasse di tè Assam della Twining e non di tè verde. Dopo colazione, esaminando i suoi libri, trovò I capolavori del soprannaturale e vide, come aveva sospettato, che l'ultima novella della raccolta era "Tè verde". Se l'avesse letto fino in fondo, quando si era sentito al colmo dell'ansia avrebbe avuto la risposta ai suoi timori. Ora che cosa doveva fare riguardo a quel che aveva visto il bracconiere? E riguardo a Purbank e alle fotografie? Burden era indaffarato con le cronache giudiziarie di Middlesbrough, Manchester e Newcastle, che discolpavano tutti i rimanenti uomini che Knighton aveva perseguitato, in veste di pubblico ministero, con l'accusa, rispettivamente, di assassinio, incendio e offese personali. Ritornato alla casetta vicina alla chiusa di Sewingbury, Wexford cercò di ottenere qualcosa di più preciso da Bingley. Ma il vecchio indicò di nuovo Vinald nella fotografia, motivando la sua scelta con la giustificazione che l'uomo che aveva visto in quell'istantanea assomigliava a Vinald più di qualunque altro. L'unica cosa di cui era certo era che aveva visto un uomo camminare lungo il sentiero alle tre del mattino circa e che quell'uomo tornava indietro da Thatto Vale. Wexford e Burden avevano fatto colazione insieme al Drago Splendente. Saltimbocca, carne con cipolle, germogli di fagioli, castagne lessate, funghi cinesi. A Burden avevano portato una teiera di tè al gelsomino mentre Wexford, reprimendo un lungo brivido, aveva stappato una bottiglia di acqua minerale. Era tornato nel suo ufficio da cinque minuti quando il centralino gli annunciò che c'era una ragazza che voleva vederlo. Una certa signorina Elf. «Una signorina che cosa?» «Elf, signor Wexford. Come i gnomi e le fate, insomma.» Stava per dire: «È di color verde pallido?» ma in quel momento per lui la parola verde rappresentava qualcosa di torbido. Loring la fece entrare e uscì a un cenno di Wexford. Era una ragazza piccola e bionda, alta circa un metro e cinquanta, e sembrava molto giovane. A prima vista non le avrebbe dato più di quattordici o quindici anni. Aveva un viso infantile, innocente, con grandi e dolci occhi azzurri. Indossava un paio di jeans, una camicetta rossa macchiata di sudore con sopra una giacca militare rossa e bianca e scarpe da jogging in tela e gomma bianche e blu. Non aveva borsetta e teneva le mani affondate nelle tasche. «La signorina Elf?» chiese Wexford.
«Appunto.» La sua voce non concordava con l'aspetto. «Che cosa posso fare per voi?» «Sono io che posso fare qualcosa per voi. Un mio amico... be', più che altro un cliente e... dice che la polizia qui sta cercando quel vecchio che andava a zonzo in Hyde Park Gardens la notte del primo ottobre. Non dovrei rivelare un segreto di un cliente, ma ho pensato che sarebbe stato meglio che mi presentassi qui perché voi poteste controllare quel che ho visto. Voglio dire che l'ho visto.» Era tutto molto oscuro. La signorina Elf doveva certo avere un paio d'anni in più di quel che aveva calcolato, ma lui era ancora disorientato. «Abitate in Hyde Park Gardens o in Stanhope Place? I vostri genitori abitano laggiù?» Lei scoppiò in una risata. «No, no. Sarà meglio incominciare dall'inizio, vero? Dovrei dirvi chi sono e che cosa sono e che cosa stavo facendo laggiù a quell'ora, giusto?» «Che cosa siete?» chiese Wexford lentamente. «Sono una puttana» rispose la signorina Elf. Wexford aveva cominciato a intuirlo. Non gli piaceva la gente che cercava di sconvolgerlo. Si stupiva del fatto che la gente non avesse ancora imparato che nulla poteva più impressionarlo dopo che aveva passato trent'anni in quel lavoro. «Penso che vogliate dire che siete una prostituta, una ragazza squillo?» «Giusto.» «Sembrate molto giovane per questo mestiere.» «Be', è questo il bello, no? Voglio dire, il fatto che sembro giovane. Forse è questo che vi ha fatto confondere, io sembro sempre tanto giovane. Ho una merce insolita da vendere, e il mercato la richiede. Ho ventiquattro anni. Ma il desiderio di scopare davvero le ragazzine non si accorda con l'animo vittoriano di certi uomini, e quando ho iniziato il mestiere, dimostravo dodici anni. Ora passo per una quindicenne, non vi sembra?» Wexford annuì. Non poté fare a meno di chiederle: «Il vostro nome è realmente Elf?» La sua risatina era bassa e rauca, con una nota volgare. «Realmente e sicuramente. Sono nata Elf, l'unica figlia del signore e della signora Elf. Una bella fortuna, vero? Ma potete chiamarmi Sharon.» Decise di non approfittare dell'invito. Pensò che la maggior parte dei clienti della ragazzina erano probabilmente uomini della sua età. E lui ne sapeva abbastanza di prostitute per rendersi conto che lei l'avrebbe consi-
derato allo stesso modo in cui considerava quella gente, ritenendolo vittima degli stessi desideri e degli stessi bisogni perversi che spingevano quegli uomini a ricercare le ragazzine. Provava una sensazione di rabbia e di malessere riguardo a tutto ciò. Si disse che comunque quel che accadeva era diecimila volte meglio di quando effettivamente i clienti se la facevano con le ragazzine vere. «Torniamo alla notte del primo ottobre» rispose freddamente. Sharon Elf lo fissò con i grandi occhi azzurri. «Questo mio cliente di Stanhope Place è un cliente regolare, che in realtà mi ricorda un po' voi.» Non vide che Wexford era trasalito, o se lo vide, non vi badò. «Mi diede un colpo di telefono intorno alle otto e mi chiese di andarlo a trovare a mezzanotte. Sarebbe stato meglio alle dodici e mezzo se mi fosse stato possibile, perché aveva gente a cena e alle dodici e mezzo sicuramente se ne sarebbero andati tutti.» «Dove abita esattamente questo vostro cliente?» «In una di quelle case che sorgono sul retro di H.P.G.» «Ah, Hyde Park Gardens, sì, ho capito.» «L'ho rassicurato dicendo che mi era senz'altro possibile. Ho avuto un altro cliente alle undici, che abitava in St John's Wood, e l'ho lasciato alle dodici e venti, dodici e venticinque, e ho preso un tassì. Sono arrivata in Stanhope Place giusto all'una meno venti. So che desiderate chiedermi come posso essere così sicura dell'ora. Il fatto è che non volevo mettere in imbarazzo il mio cliente... sapete, nel caso i suoi ospiti non se ne fossero andati entro l'ora che lui mi aveva indicato. Così ho tenuto d'occhio l'orologio e siamo arrivati là poco prima dell'una meno venti. «Ho dato un'occhiata alla casa del mio cliente e ho visto la luce nell'atrio e nella camera da letto, ma non nel salotto. Ho dunque pensato che andava tutto bene. Stavo pagando il conducente quando quel vecchio è uscito dal retro dell'H.P.C, uno di quegli appartamenti del piano più basso... be', il seminterrato in realtà. Ha attraversato la strada ed è salito sul mio tassì.» «Avete udito l'indirizzo che ha dato al conducente?» «Mi dispiace. In questo non sono in grado di aiutarvi. Non m'interessava, non avevo alcuna ragione per occuparmene.» «E ora che ragione avete esattamente?» domandò Wexford. Lei disse semplicemente: «Il mio cliente di Stanhope Place mi ha dato un colpo di telefono la notte scorsa e sono andata da lui intorno alle dieci. Mi ha detto che la polizia gli aveva fatto un mucchio di domande. Così io avrei dovuto dire che non lo vedevo da tre settimane, o forse ancora da
prima.» Wexford avrebbe benedetto Purbank o chiunque era stato a mandargli quelle fotografie. Si erano rivelate davvero utili. Ce n'era una dell'intera comitiva del treno sulla terrazza dell'albergo di Kweilin. Mancava solo Adela Knighton, che stava scattando la foto. Senza esitare, Sharon Elf indicò Knighton. «Eccolo.» «Siete proprio sicura che è l'uomo che avete visto in Stanhope Place all'una meno venti della notte del primo ottobre?» «Assolutamente» disse lei allegramente. «Ho un'ottima vista. Sono una buona conoscitrice.» Il cervello di Wexford lavorava. Allora la cosa funzionava a doppio senso. Se i vecchi cercavano ragazze troppo giovani e non in grado di criticarli, anche le ragazze cercavano un surrogato dei nonni. Tuttavia fu contento di ammirare la schiena della signorina Elf e di sentirsi uno sciocco, mentre si chiedeva chi era lui per giudicare. Cionondimeno aprì per un po' la finestra dopo che lei se ne fu andata. Forse lo fece solo per far uscire il sentore delle suole di gomma e del sapone Palmolive. Rimuginò quel che la ragazza gli aveva detto. C'era stata la testimonianza di Bingley e ora questa. Premette il tasto del centralino e chiese se c'era l'ispettore Burden e se, in caso affermativo, poteva salire da lui. Burden entrò con in mano un rapporto sull'ultimo uomo dell'elenco, un certo Dudley Preston che Knighton aveva difeso dall'accusa di omicidio colposo e guida in stato di ubriachezza, senza riuscire a evitargli tre anni di carcere. «Lo sapete che la vostra finestra è spalancata? Sembra di stare in una cella frigorifera.» «Puoi chiudere, se vuoi.» Wexford gli raccontò di Sharon Elf e di quello che lei aveva visto. La bocca di Burden assunse una piega di delusione. Ma probabilmente, pensò Wexford, più a causa della professione della signorina Elf che non del crollo dell'alibi di Knighton. «E voi le credete? A una donna del genere?» «Qualche volta sembri un sagrestano dell'epoca vittoriana. Non vedo perché una ragazza squillo non dovrebbe essere sincera come qualsiasi altra persona. Sotto qualsiasi punto di vista il suo è un mercato onesto, lei dà per quello che riceve. Comunque ne ho abbastanza di queste sciocchezze. Lo ha indicato in un gruppo fotografico, perciò le devo credere.» Burden si strinse nelle spalle. «Se è vero, e penso che lo sia, le cose si
mettono male per Knighton.» «Lui e Dobson-Flint si devono essere ritirati immediatamente nelle loro stanze, e lui si è preparato a uscire di nuovo. Deve aver aspettato che Dobson-Flint entrasse nella stanza da bagno, poi è scivolato fuori, prendendo uno dei mazzi di chiavi dal tavolo dell'anticamera. Era troppo tardi per un treno, così deve essersi fatto portare dal tassì fino al luogo in cui lo aspettava la macchina noleggiata. Chi lo sa? Può aver noleggiato una macchina in qualche posto vicino alla stazione Victoria, lasciandola parcheggiata in attesa di poterla raggiungere. Deve averla noleggiata quando è arrivato a Londra, infilando nel parchimetro un numero di monetine sufficiente ad arrivare alle sei e un quarto. Con il quarto d'ora di tolleranza il tempo sarebbe scaduto alle sei e mezzo e lui dopo quell'ora non aveva più da preoccuparsi. Penso che ora sia necessario informarsi sulle agenzie di noleggio intorno alla stazione Victoria.» «Se ha preso il tassì all'una meno venti deve essere arrivato alla stazione Victoria all'una meno dieci. Anche se non so molto di Londra, sono certo che non deve esserci molto traffico a quell'ora di notte. All'una al più tardi, deve essere salito su quella macchina, avviando il motore. Non gli ci sarà voluto più di un'ora, possiamo dunque dire che è arrivato là alle due.» «Un quarto d'ora per tagliare il pannello del vetro, forse alcuni minuti per prendere coraggio... sì, è proprio come abbiamo calcolato.» «Non deve essere entrato attraverso la finestra. Aveva una chiave.» «Eppure ha dovuto tagliare il vetro.» «Già, è vero, l'ha fatto» disse Burden. «Sono uno sciocco. Certo che l'ha fatto. E non l'ha fatto dopo averla uccisa. C'è solo una cosa, be'... riuscite a immaginarlo mentre la fa scendere dal letto e la porta giù per le scale e le spara dietro la testa?» «Ci sono un mucchio di cose che non posso immaginare che gli esseri umani riescano a fare, eppure le fanno, Mike.» «Be', io non riesco ad accettarlo. Non è possibile fare una cosa simile a una donna con cui si è stati sposati per quarant'anni. Non alla propria moglie. E Knighton non è uno di quei loschi figuri con cui ho rapporti. Non possiamo, voglio dire, nessuno può chiamare civile un uomo del genere.» «Guarda, ci sono un mucchio di cose che non mi piacciono molto. Tutto questo mi mette a disagio, ma non possiamo negare l'evidenza, Mike. Sharon Elf l'ha visto alle dodici e quaranta sgattaiolare fuori dall'appartamento di Dobson-Flint. Bingley ha visto un uomo tornare indietro da Sewingbury intorno alle tre e non era Vinald quello che ha visto. Adela Knighton è
morta tra le due e un quarto e le tre e quarantacinque. I tempi coincidono perfettamente. Che cosa l'ha spinto a prendere un tassì all'una meno venti del mattino mentre l'amico pensava che fosse a letto addormentato se non il dover tornare clandestinamente nel Sussex? Dobbiamo vederlo, dobbiamo averlo qui di nuovo. Dobbiamo sapere dov'è ora quella pistola.» «Non vedo il movente.» «Il movente si scopre all'ultimo momento. Comunque, qualcuno ha detto che ogni uomo sposato ha un movente per uccidere.» Wexford stava per alzare il ricevitore, quando il telefono squillò. Gli annunciavano un secondo visitatore. «C'è un certo signor Shah, signore, che chiede di vedervi.» La voce si abbassò. «Un cinese.» «Non ha un nome cinese.» Sha? Shah? Volevano dire indiano? O forse tibetano? Per un momento Wexford rimase disorientato. Poi sentì un nodo alla gola per l'eccitazione. Il nome poteva essere pronunciato all'incirca Shah, ma in realtà era Hsia. Il suo visitatore era il vicino di Purbank in Fairmead Farm Court, a Buckhurst Hill. «Vorrei che tu rimanessi» disse a Burden. L'uomo alto in abito scuro che Wexford aveva incontrato nell'atrio dell'edificio entrò nel suo ufficio. Quel giorno indossava un completo scuro di una tonalità leggermente diversa e teneva in mano la borsa anche stavolta. I suoi capelli neri erano così lisci e lucidi che sembravano dipinti sul cranio. Aveva occhi dolci, intelligenti e un'espressione impassibile. Porse a Wexford una mano sottile di un bruno pallido nel cui indice era infilato un anello d'oro e ossidiana con un sigillo. Wexford fece le presentazioni. «Il mio collega, l'ispettore Burden. Il signor Hsia.» Hsia accennò un leggero inchino. «Voi siete l'ispettore capo Wexford, vero? Spero di non essere arrivato in un momento inopportuno.» «Nient'affatto. Volete accomodarvi? Penso che possiamo prendere tutti una tazza di tè, no?» Wexford mise il dito sul pulsante del dittafono. Hsia si sedette, si appoggiò ai braccioli della sedia, poi, come se seguisse una tecnica orientale di rilassamento, sollevò le braccia e abbandonò tranquillamente le mani in grembo. «Ispettore capo, sono venuto qui per dirvi qualcosa che il mio amico e vicino signor Purbank non può risolversi a confessarvi. Potrebbe sembrare che io voglia tradire la sua fiducia, ma se permane questo riserbo, ho paura
che lui si ammalerà. Sapete, è molto spaventato, quindi per aiutarlo devo dirvi tutta la verità.» Il viso di Hsia si rilassò e l'uomo emise una specie di penosa risatina. «Considerate che sono il solo che dovrebbe mantenere il segreto, perché il criminale sono io. Posso incominciare ora?» Wexford annuì. Entrarono con il tè. Wexford rimase piuttosto sorpreso di vedere Hsia prendere un goccio di latte e due zollette di zucchero. «Il mio nome è Hsia Yu-seng» incominciò. «Sapete dove abito. Lavoro per la Kowloon e Fuchow Bank in London Wall.» Fece una pausa e Wexford pensò che quel lavoro per sottintendesse un atto di modestia. «La maggior parte della gente» continuò Hsia «pensa che io provenga da Hong Kong o da Taiwan, ma non è così. Sono nato a Shao-shan nella Repubblica popolare, anzi, proprio nella città natale dell'ultimo presidente, Mao Tsetung. Sono nato in quel luogo dieci anni prima che proclamassero la liberazione.» «Come avete fatto a lasciare la Cina?» chiese Wexford. Hsia portò la tazza alle labbra e bevve un sorso. «Posso?» chiese, tendendo la mano con il sigillo per prendere un biscotto. «Ho commesso un delitto» disse. «Avevo ventun anni. Se fossi stato catturato, e sarei stato catturato, in Cina non si può nascondere questo genere di cose, sapete, sarei stato senz'altro giustiziato.» Wexford si inumidì le labbra. Inevitabilmente, associò la pena capitale all'assassinio. «Quale delitto?» «Ho violentato una donna» rispose in tono lievemente mellifluo il signor Hsia e gli angoli della bocca gli si sollevarono in un sorriso di scusa. 15 Burden emise un suono strozzato al di sopra della sua tazza di tè. Si forbì la bocca con un fazzoletto bianco con le iniziali. «Scusatemi.» «Avete violentato una donna?» ripeté Wexford. «Insieme ad altri tre. Voi non sapete com'era la vita laggiù, le privazioni, l'oppressione, la repressione. Questa ragazza, vedete, ci adescava, ci stuzzicava, ci invitava con gli occhi, con l'andatura. E poi, quando è successo, prima con il mio amico, poi con me, si è spaventata e più tardi l'ha detto a suo padre che era un quadro del partito.» Nell'angoscia del racconto, il suo inglese peggiorava, assumendo inflessioni cinesi. Si riprese e smise di tormentarsi le mani. «Per questa colpa, in Cina c'è la pena di morte. C'era allora e c'è anche adesso. Mio zio, il fratello di mia madre, possedeva un
camion con il quale andava ogni settimana a Canton. Mi nascose in questo camion e da Canton entrai nei Nuovi Territori. Non mi dilungo nei particolari. Percorsi la zona di confine, attraversai i Nuovi Territori ed entrai a Hong Kong. Parlavo un po' d'inglese, l'avevo studiato all'università di Changsha. Quindi dopo un certo tempo venni in Inghilterra con mia moglie, che avevo sposato a Hong Kong e che è figlia del direttore della Kowloon e Fuchow Bank. Da allora, tutto è andato bene per me.» Sorrise di nuovo e questa volta chinò leggermente il capo. Wexford lo guardò: osservò la mite faccia color pergamena, gli immobili lineamenti che avevano fatto sì che imperscrutabile fosse un aggettivo invariabilmente associato ai cinesi. Incredibili avventure, terrori, privazioni, lotte restavano nascosti tra le pieghe di quella lunga storia raccontata per sommi capi. Wexford non aveva mai incontrato un violentatore meno probabile di quel Hsia Yu-seng. «Tutto ciò è molto interessante» obiettò «ma che cosa ha a che fare con il signor Purbank?» «Stavo arrivandoci» lo rassicurò Hsia. «Ho detto che tutto mi va bene e questa è la verità, fuorché per un lato. Mia madre. Mio padre è morto in un combattimento nel 1949 e mia madre è vedova. Vive con mio fratello e la sua famiglia. Ma io ero il suo prediletto e mi ha sempre addolorato il non averle potuto dare mie notizie. Nel suo interesse, non mi è mai stato possibile mandarle una lettera, e io non posso recarmi nella Repubblica popolare. Ho pensato spesso al modo di farle avere mie notizie. Ma non ho mai trovato niente di meglio di quello che già aveva fatto mio suocero: farle sapere che ero vivo. Un giorno il mio vicino dice a mia moglie che si recherà in treno in Cina.» «Comincio a capire» disse Wexford. «L'itinerario del signor Purbank l'avrebbe portato a Shao-shan e voi gli avete chiesto di consegnare una lettera a vostra madre.» «Gli chiesi di portare una lettera a mia madre. Avevo saputo attraverso mio suocero che la moglie di mio fratello lavora come cuoca nel Wu Jiang Hotel. Pensai dunque che non sarebbe stato un disturbo per il signor Purbank, che certamente avrebbe pranzato laggiù quando fosse andato a visitare la casa natale di Mao, domandare della cuoca per farle i complimenti per le pietanze. Avrebbe dovuto chiederle il suo nome e, se lei avesse risposto "signora Hsia", farle scivolare in mano la mia lettera. «Ma tutto è andato storto. Il signor Purbank ha perduto la lettera quando hanno manomesso i suoi bagagli in Russia. E questo lo ha reso molto ner-
voso e angosciato. Pensava di dover rimediare in qualche modo, ma non sapeva che cosa fare. Così ha chiesto all'interprete di dire alla cuoca: "C'è qui un amico di vostro fratello", cosa che lui ha fatto. Mia cognata, molto eccitata, ha mandato a chiamare mia madre, che è ora una donna anziana, ha più di settant'anni.» Con i piedi fasciati, pensò Wexford. E quando l'aveva vista quella prima volta, quando l'aveva vista mentre stava pranzando al Wu Jiang Hotel, non era un'allucinazione provocata dal tè verde. Era una donna in carne e ossa quella che aveva visto ritta accanto al paravento in attesa di notizie del figlio. «Proseguite» disse, impaziente. «Be', allora il signor Purbank si è spaventato, perché qualsiasi cosa avesse voluto dire avrebbe dovuto dirla attraverso l'interprete e guida ufficiale fornita dal Lu Xing She. Sapeva che io avevo commesso un crimine e aveva paura che se la cosa si fosse risaputa, lui e la comitiva sarebbero stati espulsi dalla Cina. A mia madre e a mia cognata disse allora, per mezzo dell'interprete, che si era sbagliato, che c'era stato un equivoco. «Ma mia madre non si diede per vinta. Immaginò, credo, che il signor Purbank avesse molto da dire ma che avesse paura di parlare. Il giorno dopo, quando mio cugino, il figlio dello zio che mi ha salvato la vita, raggiunse Changsha in macchina, lei andò con lui per cercare il signor Purbank...» La seconda apparizione, pensò Wexford, sull'Isola arancione. «...e lo trovò, ma non riuscì a comunicare con lui se non a segni e tutti e due, il signor Purbank e la mia povera madre, erano spaventati. Allora, per un colpo di fortuna, mentre il signor Purbank cammina per strada a Changsha, uno studente di nome Wong gli si avvicina per chiedergli se può aiutarlo a far esercizio nella lingua inglese.» Hsia era ricaduto nell'uso del presente e Wexford si ricordò di aver letto che la lingua mandarina non ha la coniugazione dei tempi. «Forse questo succede spesso nella Cina di oggi» commentò Hsia. «Sì.» «Dunque al signor Purbank viene la luminosa idea di chiedere a questo Wong di fargli da interprete. Mia madre è sempre seduta nell'atrio del Wu Jiang Hotel, in attesa. Il signor Purbank racconta tutto di me a Wong: che vivo in Inghilterra, che lavoro nella banca Kowloon e Fuchow, che sono sposato, che ho due figli in collegio, insomma tutto, e Wong riferisce queste cose a mia madre che è molto felice e se ne va piena di gioia con mio cugino che è ritornato a prenderla. Ma per il signor Purbank la storia non
finisce qui. «Forse questo Wong è a sua volta un criminale o forse vuole solamente fuggire dalla Repubblica popolare. Insomma, per farla breve, segue il signor Purbank sul treno per Kweilin, implorandolo di portarlo con lui fuori dalla Cina. Inoltre, dice il signor Purbank, gli chiede continuamente denaro minacciandolo. Lo avverte che, avendo il signor Purbank commesso un imbroglio, lo metterà nei guai se non gli darà del denaro.» «Volete dire che questo Wong ricattava il signor Purbank? Se il signor Purbank non avesse accettato di aiutarlo a uscire dalla Cina e di dargli del denaro, avrebbe rivelato tutta la storia del vostro contatto con vostra madre?» «Qualcosa del genere, sì. Il signor Purbank era molto spaventato, anche perché questo Wong lo seguiva dappertutto. E quando ci fu l'incidente del battello sul fiume Li e Wong annegò, sebbene ritenesse che ciò che era accaduto era una cosa terribile, non ne fu molto afflitto.» I suoi lineamenti rigidi si spianarono in un sorriso pensoso. «Il signor Purbank aveva pensato che i suoi guai erano finalmente terminati. Ma, tornato a casa, qualche tempo dopo, quella signora Knighton che qualcuno ha assassinato gli mandò le fotografie del viaggio sul fiume Li. In esse lui stava parlando con Wong. Così il signor Purbank è di nuovo molto spaventato...» «Avete visto queste fotografie, signor Hsia?» «No, ma ne ho sentito parlare. Il marito della signora Knighton ha in qualche modo a che fare con la legge e il signor Purbank pensa, suppone che venga fuori tutta la storia e provochi un incidente internazionale. Quindi brucia le fotografie e i negativi e manda le altre a voi. Ma poi ridiventa nervoso perché ha timore che voi lo sospettiate dell'uccisione di questa signora Knighton...» A Wexford venne quasi da ridere. C'era qualcosa che lui sapeva e della quale Hsia probabilmente era all'oscuro. «È stato saggio da parte vostra venire da me» disse. «Ho ritenuto che fosse la cosa migliore. E ora vorrei dirvi dove si trovava il signor Purbank la notte del primo ottobre fin dopo mezzanotte: era con me e con mia moglie nel nostro appartamento.» Alzatosi per congedarsi, mentre porgeva la mano, Hsia aggiunse: «Ho paura che lui preferisca essere sospettato dell'assassinio della signora Knighton piuttosto che si sappia che frequenta gente politicamente pericolosa come noi.» Dalla finestra, Wexford lo osservò attraversare il cortile antistante all'ufficio di polizia e prese mentalmente nota della targa della BMW blu scuro.
Gli sembrava strano che quel mellifluo capitalista fosse il figlio di quella vecchia con i piedi simili a zoccoli, quella donna foriera e istigatrice di allucinazioni. «Credete a tutto ciò?» chiese Burden. «Pensate che Purbank sia veramente impaurito delle ripercussioni ad alto livello che possono provocare alcune fotografie in cui lui è stato ripreso mentre parla con un cinese dissidente?» «Hsia lo crede.» «Per forza! Ha passato la giovinezza in un paese con un sistema politico che è forse il più repressivo del mondo.» «Ti dirò quel che penso. Prendila per quel che vale» disse Wexford. «Non sarò mai in grado di dimostrarlo, non ho nient'altro su cui basarmi se non le mie sensazioni, ma sono convinto che Purbank ha spinto Wong oltre il parapetto. Era tormentato dalla persecuzione di Wong e quando furono sul battello, si avvicinò a Wong da dietro, gli diede uno spintone e lo gettò fuori dal parapetto. A parer mio, non era sua intenzione ucciderlo, ma solo spaventarlo, per vederlo in difficoltà in una situazione cui non era abituato e troncargli ogni speranza. «Tornato a casa, pensava che presto avrebbe dimenticato l'accaduto. Conosciamo tutti il vecchio detto: se bastasse un cenno per uccidere un cinese e se per questo cenno ti offrissero un milione di sterline, lo faresti? È opinione generale che pochi esiterebbero a lungo. Potrebbe essere press'a poco quel che è successo a Purbank. Dopo che Wong era annegato, ho chiesto alla Knighton che cosa fosse accaduto. Mi ha risposto con indifferenza che era annegato qualcuno: "non uno di noi" ha detto, "un cinese". Purbank aveva fatto un gesto che gli aveva procurato la pace anziché del denaro; tutto era accaduto a dodicimila miglia di distanza e comunque ci sono così tanti cinesi... finché non sono arrivate le fotografie con la sua mano tesa verso la schiena di Wong.» Burden convenne che la cosa era abbastanza verosimile. I sospetti erano stati chiariti, ad altri si arrivava per deduzione. Lo stupro gli aveva fatto venire in mente Coney Newton e ciò che doveva dire a Wexford di El Video Club. Loring, la notte precedente, vi si era recato per indagare. «È gestito da un uomo di nome Jimmy Moglander, Moggy per i soci. Newton era proprio là. Lui e altri tre o quattro sono rimasti nel club fino alla chiusura del mercoledì mattina. Ecco come passano il tempo quei furfanti! Moglander e i barman si ricordano tutti che Newton era al club. Con questo sembra chiarita la posizione di tutti gli ex carcerati che potevano
aver avuto ragioni di rancore contro Knighton.» «E di Knighton che cosa mi dici?» «Penso che lo interrogheremo domani in mattinata.» «D'accordo.» Wexford spinse indietro la sedia e si alzò. «Vado a casa, Mike. Se rimango qui ancora, salterà fuori qualcuno a dirmi che ha visto una vecchia con i piedi bendati entrare nella toilette di Knighton attraverso la finestra. Lasciamo stare Knighton fino a domani.» Ma non ci fu un domani per Adam Knighton. Era come un déjà vu, pensò Wexford al mattino, o come se vedesse un film per la seconda volta. Sembrava che fosse rimasto seduto a esaminare l'intera pellicola per rivederne l'inizio. Solo che ci si comporta così se il film è piaciuto, mentre questo non l'aveva gradito neppure la prima volta, e la seconda... Gli stessi personaggi, lo stesso inizio. Cominciò con la telefonata di Renie Thompson alla stazione di polizia alle nove. Subito Burden, l'esperto di impronte digitali, l'addetto a fotografare la scena del delitto e il dottor Crocker si recarono alla fattoria di Thatto Hall. Splendeva il sole e l'erba era bagnata di rugiada. Forse le pratoline erano un po' appassite e il gelo aveva fatto avvizzire le foglie delle dalie, inoltre il sole era un po' più alto perché gli orologi erano stati portati indietro di un'ora, ma solo una persona molto pignola l'avrebbe notato. Fino a quel momento tutto sembrava svolgersi nello stesso modo. Solo quando entrarono in casa trovarono che le cose erano diverse. Questa volta il morto era Knighton ed era stato lui a uccidersi. «Due volte in un mese» disse la signora Thompson. «Una cosa del genere costringe a pensarci due volte prima di entrare in casa. Ho creduto che fosse a letto, ma la porta della camera era socchiusa, così ho bussato e poi ho messo dentro la testa...» La sera precedente Knighton era entrato nella stanza che aveva diviso con la moglie e là si era spogliato, aveva indossato il pigiama di cotone azzurro e una vestaglia di lana marrone, si era disteso sul letto e aveva atteso la morte. Sul comodino accanto a lui c'era una bottiglia quasi vuota di brandy, una bottiglia vuota di vino, un bicchiere, e un tubetto di plastica che aveva contenuto cinquanta capsule di tuinal. «Probabilmente gliele aveva prescritte il medico per l'insonnia.» «Non io, grazie al cielo» disse Crocker. «Io gli avrei dato il mogadon. L'unico modo per suicidarsi con mogadon è di rimpinzarsene fino a morire soffocati.»
Chiuse gli occhi cerulei di Knighton. Sulla toilette c'erano due buste sigillate. Entrambi gli indirizzi erano vergati con la chiara e bella scrittura di Knighton. Una di esse era diretta al coroner. «Chi è la signora M. Ingram?» chiese Crocker. «Lo sa il cielo!» Wexford lesse l'indirizzo "Thain Court, Cadogan Avenue, London, SWI" e allora capì. «Dovrebbe essere la suocera di un antiquario che ho conosciuto. Vedo che si è procurato un francobollo, ma penso che la consegnerò a mano.» Fuori, sotto la finestra, la ghiaia scricchiolò. Wexford guardò giù. «Angus e Jennifer» disse e s'infilò le lettere in tasca. Il viso cereo di Knighton assomigliava a quello della Marchesa di Tai nella morte. Sembrava che fosse di porcellana. «Povero diavolo» commentò Wexford. «Non aveva via di scampo.» «Allora l'ha uccisa lui?» «Non intendevo dire questo. Ho la sensazione che il suo problema fosse di tipo morale, che lui non riuscisse a sfuggire alla sua coscienza.» Lasciarono la stanza chiudendosi dietro la porta. «Non ti ho mai ringraziato per il libro.» «Non sono certo se facesse realmente al caso tuo.» «Be', sì e no» rispose Wexford dubbioso. Jennifer e il marito erano nell'atrio. L'espressione di lei era più che mai sgradevole. Mentre scendeva le scale, Wexford udì le ultime parole di ciò che stava dicendo alla signora Thompson, qualcosa sul fatto che non aveva un aiuto in casa e che un colpo come questo poteva essere sufficiente a provocarle un parto prematuro. Angus Norris sembrava invece sconvolto e disperato come se Knighton fosse stato suo padre. «È una brutta faccenda, signor Norris» disse Wexford. Era la frase che usava quando si trovava in circostanze del genere. Non era impegnativa e tuttavia esprimeva l'indispensabile. Norris colse al balzo l'espressione. Parlò con una specie di tragico entusiasmo. «Una terribile faccenda, veramente terribile.» La sua faccia era piuttosto pallida e piena come lo è di solito il viso degli adolescenti, sebbene quel periodo l'avesse superato da un pezzo. Cercò con gli occhi la moglie, forse per confortarla o per essere confortato, ma Jennifer era entrata nel soggiorno e si era distesa in una poltrona con i piedi appoggiati più in alto del corpo. Chiese in un tono più controllato: «C'era... una lettera di spiegazione o qualcosa del genere?»
«Qualcosa del genere» confermò Wexford e seguì il dottore che stava uscendo per la porta principale. La TR7 gialla di Roderick Knighton era proprio accanto alla vecchia Citroen dei Norris sul viale ghiaioso. Ne scese l'avvocato che si precipitò dentro la casa, sbattendo la porta dietro di sé. Wexford si sentiva bruciare le lettere in tasca. Avrebbe voluto essere autorizzato ad aprire la busta indirizzata alla signora Ingram e a leggerne il contenuto. Un suicida perde il proprio diritto al riserbo e questo suicida era il principale sospettato in un caso di assassinio. Chi era la signora Ingram, oltre a essere la madre di Pandora Vinald? Che cosa era stata per Adam Knighton perché le scrivesse una lettera prima di morire? Non l'avrebbe aperta senza prima telefonarle. Alzò il ricevitore per incaricare il centralino di trovargli il numero, ma poi lo riabbassò. Sulla terrazza dell'albergo a Kweilin c'era un'altra donna con Pandora, una donna molto anziana, con i capelli bianchi. Tutte le volte che aveva ripensato agli avvenimenti di quella sera al bar della terrazza, tutte le volte che aveva passato in rassegna le persone coinvolte, non aveva mai avuto presente quella donna. La bellezza di Pandora l'aveva eclissata. Per lui era stato così, e anche per la maggior parte delle persone che le avevano viste insieme, ma non per Knighton. Seduto al tavolo con la moglie, Adam Knighton l'aveva vista come Dante vide Beatrice e in un attimo tutta la sua vita e le sue speranze erano state trasformate. Ma contrariamente a Dante, non era la prima volta che egli vedeva la sua donna. Wexford ne era sicuro. C'era un lato romantico nella sua natura. Aveva un debole per gli eventi passionali. Ma nonostante ciò, non poteva ammettere la possibilità che un uomo dell'età di Knighton si innamorasse a prima vista di una donna come la signora Ingram. Doveva averla conosciuta prima, forse in anni precedenti. Quando lo aveva interrogato, lui gli aveva detto che la sua carriera sarebbe stata danneggiata se avesse abbandonato la moglie e i figli per una giovane attrice. La signora Ingram doveva essere stata giovane, quando i Knighton vivevano ad Hampstead durante la settimana e trascorrevano i weekend nel Sussex, quando Jennifer e Colum erano piccini, quando Knighton con la sua eloquenza aveva salvato almeno un assassino dalla pena capitale. Il bello era che la prima volta che aveva visto Pandora a Londra lei gli aveva ricordato una famosa bellezza degli anni Trenta. Aveva pensato a Hedy Lamarr o Lupe Velez. Era la copia esatta della madre e la rievocava nello splendore della sua giovinezza. La signora Ingram aveva amici nel
mondo del cinema. Aveva portato un operatore cinematografico in visita in casa della figlia e del genero. «Che aspetto credi che abbia ora Milborough Lang?» aveva detto Dora guardando Candida farfalla. «Deve avere circa cinquantacinque anni.» La lettera al coroner, il dottor Neville Parkinson, Wexford la consegnò personalmente. Poi uscì per incontrarsi con Burden per il pranzo al Drago Splendente. «È strano che non abbiate fame» commentò Burden. Wexford mangiava di malavoglia, piuttosto distrattamente. «C'è roba di Sezuan anche qui» disse. «È certo migliore del cibo dell'Hunan che ci servono la maggior parte delle volte.» Burden sembrava impressionato. «Avete mai sentito parlare di un'opera teatrale intitolata L'anima buona di Sezuan di un tizio di nome Brecht? La filodrammatica lo rappresenta alla fine del mese. Potreste andarci.» «Suppongo che la parte principale la interpreti tua moglie.» A giudicare dall'occhiata confusa di Burden, Wexford ritenne di aver colto nel segno. Manipolò abilmente i bastoncini per afferrare un ricciolo di abelmosco mentre Burden lo guardava con aria ammirata. Lasciata da parte la versatile Jenny Burden con un sorriso di convenienza, Wexford riprese: «Per pescare trote ci vuole il fiume adatto. E Knighton era troppo vecchio per quel genere di cose. Era troppo vecchio anche per avere un'amante e troppo vecchio per uccidere la moglie.» «Che cosa diceva la lettera indirizzata a Parkinson?» «Era molto breve. Forse riesco a ripeterla a memoria. "Vi informo che la mattina del due ottobre ho ucciso mia moglie, Adela Knighton, sparandole con una Walther PPK automatica. In seguito a ciò, al momento in cui leggerete questa mia, mi sarò tolto la vita." Seguiva la firma. Tutto qui.» Burden si versò un bicchiere di acqua minerale. «Vorrei sapere dove ha preso l'arma e che cosa ne ha fatto poi, dopo averla usata.» «Io vorrei sapere un mucchio di altre cose. Francamente, Mike, tutti questi dubbi che ho mi stanno... be', non voglio dire sconvolgendo, ma mi mettono a disagio.» «Non vorrete dire che pensate a una falsa confessione?» Wexford non rispose direttamente. «Era divorato dal senso di colpa, no? Si può dire questo.» Allontanò il piatto. Per un momento esitò, poi chiese al cameriere di portare una teiera di tè verde. «E certamente desiderava la morte della moglie. Lasciò la casa di Dobson-Flint e tornò qui quella notte. Deve averla uccisa. Perché dirlo se non l'avesse fatto veramente? Non è
normale fare una falsa confessione. L'uomo si è suicidato. Lo scopo di una falsa confessione è di attrarre l'attenzione e l'isterico che fa una cosa del genere non rovina tutto suicidandosi subito dopo.» «Certamente no» ammise Burden. «Andiamo. Devo telefonare alla signora Ingram e poi devo incontrarmi con lei.» 16 La moda ha corsi e ricorsi e gli abiti che lei indossava non erano diversi da quelli che aveva portato nei suoi film: un tailleur grigio piuttosto sportivo con una gonna diritta, una camicetta di seta color perla con un colletto alto pieghettato, calze con la cucitura, scarpe dai tacchi alti. Il suo aspetto sembrava immutato. Ma quelle delicate sfumature corvine dei capelli erano forse le più vulnerabili al passare del tempo. La sua chioma era più candida della pelle, e la pelle stessa era attraversata da una fitta rete di rughe. Al telefono non si era mostrata sorpresa. Come mai? Doveva avere atteso settimane che la polizia andasse a trovarla. Il perché Wexford ci fosse andato, era un'altra cosa. La donna lo accolse con una cortese, anche se leggermente ironica, benevolenza. Entrarono nel soggiorno. L'appartamento si trovava in un piccolo fabbricato di abitazioni in affitto a breve locazione, elegante, persino lussuoso, in una delle zone residenziali più ricercate. Non aveva uno stile particolare. Sembrava una serie di stanze di motel, con moquette color biscotto sul pavimento, tende color cioccolato alle finestre e mobili imbottiti, qua e là arazzi di Samuel Palmer e Rowland Hilder o creazioni realizzate con barattoli di latta ammaccati e pezzetti di bambù. Lei aveva aggiunto qualche oggetto personale: un paio di acquerelli, una icona rossa e azzurra su fondo dorato, un paio di vasi che probabilmente provenivano dal negozio di Vinald, e fiori in abbondanza. Aveva riempito vasi e ciotole con ciò che offriva l'ottobre, dalie e crisantemi, e anche con fiori che l'ottobre non poteva permettersi, come rose, gladioli e garofani. La signora Ingram si sedette sul divano, le ginocchia unite, il corpo un po' inclinato, la testa eretta, proprio nell'atteggiamento di Milborough Lang. Di colpo Wexford si sentì stringere il cuore. Provò un gran dispiacere per lei.
«Penso che abbiate conosciuto Adam Knighton» incominciò. La donna assunse un'aria di apprensione. «Abbiate conosciuto?» disse. «Che cosa significa "abbiate conosciuto"? Lo conosco, sì.» Così doveva sentirsi l'uomo che sollevò un lembo della tenda di Priamo nel cuore della notte. E come Priamo lei aveva incominciato a indovinare. «Signora Ingram, ho usato quelle parole deliberatamente. Devo darvi una brutta notizia. Credo che sarà una brutta notizia.» Si era irrigidita, gli occhi fissi su di lui. «Dovete prepararvi a uno shock. Il signor Knighton è morto.» Le sue labbra si schiusero. Lei vi avvicinò tutt'e due le mani. «È stato trovato morto questa mattina» continuò Wexford. «Volete dire che...» «Mi dispiace, è proprio così.» «Come?» chiese in un soffio. «Brandy e una dose eccessiva di sonnifero. Ha lasciato un biglietto per il coroner e uno per voi. Ve l'ho portato.» Sul terzo dito della mano attraversata da vene bluastre che tese verso di lui brillava un diamante grande come un acino d'uva. C'erano diamanti sul suo orologio e sugli orecchini. Dopo la rivelazione della morte di Knighton, la signora Ingram sembrava invecchiata di dieci anni. «Siete stato gentile a venire a comunicarmelo personalmente.» Fece per alzarsi. Voleva congedarlo educatamente. «Capisco che vogliate leggere la vostra lettera in privato» le disse «ma dopo quanto è accaduto sono spiacente di doverne prendere visione.» Lei la appoggiò contro il petto, incrociandovi sopra le mani, nel gesto tradizionale di una ragazza che vuol difendere una lettera d'amore. Era ancora l'attrice di un tempo. «Devo leggerla, signora Ingram. Può essere di grande importanza per l'assassinio della signora Knighton. Devo vedere la lettera dopo di voi e poi devo interrogarvi.» «Se non ve la mostrerò, potete emettere un mandato o un ordine o qualcosa del genere per costringermi?» Lui assentì. «Qualcosa del genere. Ma sono certo che me la lascerete vedere senza difficoltà, non è vero?» «Sì.» Spinse l'unghia del mignolo sotto il risvolto della busta e incominciò ad aprirla. «Scusatemi se vado di là a leggerla.» Era un po' rischioso, ma non ebbe il coraggio di rifiutarglielo. Assentandosi, la signora Ingram lasciò la porta di comunicazione tra le due stanze
socchiusa, come se avesse indovinato la sua preoccupazione. Wexford pensò a quello che gli aveva detto Irene Bell sull'atteggiamento di Knighton verso la famiglia nel passato: «Per cinque anni dopo la nascita di Colum, Adela aveva avuto per marito un uomo del tutto indifferente che dormiva nell'altro letto nella sua camera». Colum Knighton doveva essere sulla trentina. Il conto quadrava. «Poi improvvisamente Adam aveva fatto marcia indietro. Viveva in casa, vi prendeva i pasti, aveva incominciato ad accompagnare fuori Adela... spesso.» Che cos'altro aveva detto? «Questo in realtà era avvenuto quando, dopo una relazione durata cinque anni, Milborough Lang lo aveva lasciato per sposare un altro.» Ritornò da lui e gli consegnò la lettera con un gesto rapido, quasi sdegnato. C'era una lampada, ma lui si avvicinò alla finestra e la lesse alla morente luce del giorno. Mia cara, quando tu leggerai questa lettera, io sarò morto. Avevo sognato che saremmo stati tanto felici insieme, l'avevo desiderato ardentemente e per un momento era sembrato che ciò fosse veramente a portata di mano. Speravo di poter vivere a lungo quanto te e che fossimo finalmente l'uno dell'altra, ma mi ero sbagliato. L'amore che nutro per te è il più forte sentimento che abbia mai provato per qualcuno, più forte di ciò che sento per i miei figli. Ti ho amato per trent'anni e non ho mai potuto scacciare la tua immagine dalla mia mente. Ma i rimorsi sono più forti dell'amore. Quando ho ucciso Adela non mi conoscevo. Sebbene abbia trascorso tutta la mia vita a contatto con il male, non sapevo quanto sia insidioso il peccato, come distrugga ogni gioia, anche quella dell'amore. Non avevo pensato che quest'azione che avrebbe dovuto darmi la felicità mi avrebbe invece portato il disonore e l'odio per me stesso, un demone che è con me giorno e notte, in ogni istante. Con questo peso non posso vivere con te né pretendere che tu lo divida con me. Così ho deciso di farla finita. Venticinque anni fa mi sono tirato indietro a causa dei miei figli, delle mie responsabilità e della mia paura. Questa volta penso che dovrò avere coraggio. Non tanto il coraggio, forse, quanto la mancanza di esso, la mancanza della forza necessaria per continuare a vivere come sto vivendo ora. Ricordi quando leggevamo le odi cinesi insieme? Ecco due ri-
ghe di Chang Chi. «Così ora ti restituisco perle splendenti con una lacrima ciascuna.» Rimpiango di non averti incontrata quando ero ancora celibe. Buonanotte, mia cara, e Dio ti benedica, Adam. Non aveva pianto quando aveva letto la lettera, ma nel vedere l'ispettore scorrere quelle righe le spuntarono le lacrime. Scesero silenziose. Lei sembrava non accorgersene. «Per favore, sedetevi, signora Ingram. Vi sentite di parlare o volete che aspetti un po'?» «È meglio ora.» Pronunciò quelle fredde parole con molta grazia. Si sedette. «Potrei riavere la mia lettera, per favore?» «Più tardi. La riavrete prima che me ne vada. Ora, volete raccontarmi... tutta la storia?» Lei ebbe un moto di orrore e scosse il capo. «Lui non l'ha uccisa, qualunque cosa abbia detto. Non può averla uccisa.» «Capisco che non possiate accettare quel che ha fatto. Ora dovreste raccontarmi di voi due. Sarebbe meglio per voi e per me. C'è qualcun altro a cui parlarne? Qualcuno a cui interessi ascoltare?» «No» sussurrò lei. Era accaduto trentadue anni prima. Lei ne aveva venticinque. Si erano incontrati a un pranzo offerto proprio da quel Henry Lacey che aveva invitato Knighton la sera in cui era morta sua moglie. C'era anche Adela. La giovane Milborough Lang era diventata famosa la sera precedente, quando era stato proiettato il suo primo film, una strana storia quasi mistica su una ragazza sorda, intitolato la Candida farfalla. A esso era seguita una serie di rappresentazioni, con l'attrice nella parte di Petra, de Il nemico del popolo di Ibsen. Wexford ricordava di aver visto Candida farfalla quand'era uscito. Come probabilmente nel caso della Garbo, erano state la bellezza, la grazia dei movimenti e la disinvoltura in pubblico a determinare il successo più che la recitazione. Milborough Lang era straordinariamente bella. «Eravamo una splendida coppia» disse come se avesse letto nei suoi pensieri. «Isak Dinesen dice che la vita non è altro che un gaio girotondo di cuccioli intorno a vecchi cani rognosi. Solo che noi non eravamo una vera coppia. Adam aveva Adela e quattro figli. Colum era nato solo tre mesi prima che ci incontrassimo. Adam mi aveva detto che Adela aveva
voluto i due figli più piccoli per costringerlo a rimanere con lei, e la cosa aveva funzionato, era servita da garanzia. «Ci vedevamo tutte le volte che potevamo. In apparenza lui viveva con Adela, dormiva sotto il suo tetto. Era molto triste, e lei si comportava in modo odioso, devo dirlo. Penso che lui si sentisse più in colpa di quanto non fosse.» S'interruppe e con le dita si asciugò le lacrime che le scendevano lungo le guance. «Dovevamo pagare, naturalmente. Dovevamo essere puniti. Le volte in cui stavamo insieme erano sempre una corsa contro il tempo. Lui doveva tornare al lavoro, in tribunale, da Adela, e anch'io avevo la mia carriera. Ho avuto un'offerta da Hollywood, sono partita per gli Stati Uniti e ho girato quel terribile film Mind over Matter. Ma non potevo stare senza Adam. «Fui io a troncare. Non potevamo andare avanti così. Erano passati cinque anni, ma Colum era ancora piccolo e questo avrebbe voluto dire altri quindici anni di corse e di sotterfugi, di passione e di pazzi imbrogli. Inoltre, quel legame non avrebbe mai avuto alcuna probabilità di diventare una relazione fissa, era solo un'avventura. «Incontrai Ryan Ingram. Voleva sposarmi e portarmi con sé in Nuova Zelanda. Povero caro Ryan, penso che si considerasse una specie di prìncipe Ranieri del nuovo mondo, che strappava la sua amata a quella razza di topi dello schermo per offrirle una vita di ricchezze e di pace. Sembra che io abbia una inclinazione per gli uomini romantici, vero? Comunque lo sposai e andai via con lui. Adam e io non ci scrivemmo né ci vedemmo per venticinque anni... fino a quando uscii sulla terrazza di quell'albergo in Cina.» Ryan Ingram era morto per un'affezione alle coronarie tre anni prima. La loro figlia Pandora aveva fatto un matrimonio sbagliato all'età di diciannove anni. Era stato in parte per dimenticare l'accaduto e il conseguente divorzio che lei e la madre avevano intrapreso quel viaggio che doveva portarle in giro per il mondo e che invece, per una faccenda di cuore, era terminato a Londra. «Adam mi aveva riconosciuto immediatamente. Deve essere vero che l'amore è cieco perché penso di essere cambiata molto più di quanto succede alla maggior parte della gente, in questi venticinque anni. Anch'io lo riconobbi subito, naturalmente. Provai una straordinaria emozione nel vederlo seduto là, ancora con Adela.» Si alzò e chiuse le tende sull'oscurità del tardo pomeriggio. Quando la
lampada illuminò dal basso gli splendidi colori dell'icona, l'oro dello sfondo e della corona della Vergine brillò nella luce. Wexford improvvisamente si ricordò di aver letto un articolo illustrato sul supplemento del «Sunday» riguardo le icone simili a quella e che provenivano dai dintorni del lago Baikal... Milborough Ingram sorrise, un po' tristemente, e continuò: «Adela andò a letto. Lui si avvicinò al nostro tavolo e disse... per prudenza, quell'eterna prudenza... "Signorina Lang, ci siamo incontrati molti anni fa in casa di Henry Lacey, a Londra. Non so se ricordate." "Ricordo" risposi. Pandora stava parlando con alcuni australiani, non so se si sia accorta di Adam. La gioventù non osserva, non si interessa a noi. E perché dovrebbe farlo? Lui disse, la sua voce era tremula, "Posso offrirvi un drink?" Mi scusai con gli altri ed entrai nell'albergo. Non ho preso quel drink... Penso di poterne prendere uno adesso. Posso offrirlo anche a voi?» Wexford annuì. La donna andò a prendere il ghiaccio e versò il whisky in due grandi bicchieri. «Abbiamo trovato una specie di sala dei banchetti, una grande stanza vuota un po' tetra, dove siamo entrati e abbiamo parlato. Anche voi eravate in quell'albergo, mi ha detto Adam. Non è strano? Mi chiedo dove foste in quel momento.» «Ad ammirare la collezione di porcellane che vostro genero mi stava mostrando.» Lei inarcò le sopracciglia delicate. «Ha una folle paura di voi perché pensa che vogliate incriminarlo per aver venduto qualcosa a un americano. È vero?» Wexford sorrise. «Penso che sarebbero piuttosto i cinesi a inseguirlo, se lo sapessero. Ma la Cina è così lontana!» «Sì.» La sua voce si fece di nuovo grave. «La Cina è molto lontana. Adam una volta mi ha parlato del mandarino cinese, mi ha detto che la maggior parte della gente non ci penserebbe due volte a uccidere un mandarino cinese se questa azione fruttasse un milione di sterline. La Cina è tanto lontana, tanto remota, anche oggi. Se uno dovesse solo fare un cenno, diceva...» Si sedette di nuovo e lo fissò. «In Cina, quella notte, tutto sembrava semplice. Adam avrebbe lasciato Adela. Il tempo aveva sistemato le cose a nostro favore e ora potevamo vivere insieme.» «Voi lo desideravate ancora? Dopo un quarto di secolo? Dopo il vostro matrimonio?» Lei non rispose subito. Prima bevve un sorso del suo drink. «Devo essere onesta» ammise finalmente. «Non sono più la stessa di allora. Come po-
trebbe una persona normale e realistica sentirsi la stessa? Adam non era una persona comune. Non è per vantarmi che dico che lui provava ancora gli stessi sentimenti, forse anche più forti. Volevo renderlo felice. Mi sarebbe piaciuto risposarmi con lui. Oh, sì, mi sarebbe piaciuto.» «Così al ritorno siete saliti sullo stesso aereo, voi e vostra figlia e i Knighton. Avete parlato con Adela Knighton?» «No. Lei mi aveva visto una volta, trent'anni fa, a un pranzo e naturalmente si era dimenticata di me. Adam e io non ci parlammo più finché non fummo a Londra. Pandora e Gordon si erano subito sentiti attratti l'uno verso l'altra. Questa è stata la ragione per cui andammo direttamente a Londra. Pandora lo desiderava e se io avessi avuto qualche obiezione sarebbe venuta in Inghilterra senza di me. A Londra, prendemmo in affitto questo appartamento e Adam venne a trovarmi qui. Lui e Adela erano soliti passare qualche giorno a Londra. Prendevano il treno insieme. Poi lui andava a trovare qualche vecchio amico mentre lei faceva commissioni e telefonava a qualche amica in Primrose Hill. Io rappresentavo i vecchi amici. «Era proprio come venticinque anni fa. I modelli si ripetono, non è vero? Io che vivevo nel mio appartamento e Adam che abitava con sua moglie. Continuavamo a tenere d'occhio l'orologio come una volta. Quasi come allora io sapevo che non avrebbe lasciato Adela. Abbordai l'argomento e lui... lui pianse, protestò, povero Adam, era atroce. Non poteva lasciarla, disse, non poteva dopo quarant'anni. Non se la sentiva di affrontare lei e i figli per spiegare una cosa del genere. Era come se quel quarto di secolo non fosse mai trascorso. Io mi ero sposata, avevo avuto una figlia e avevo vissuto all'altro capo del mondo e lui era diventato consigliere della regina e poi era andato in pensione e adesso era nonno ma tutto era rimasto immutato. Era incredibile! Eppure lui mi amava, mi amava anche più di quanto non lo amassi io, povero Adam. «E allora cercai di interrompere la nostra relazione proprio come avevo fatto l'altra volta. Gli dissi che anche stavolta non c'erano speranze per me, che la storia si stava semplicemente ripetendo. Gli dissi che ero troppo vecchia per quel genere di cose e che quando sarebbe scaduto l'affitto di questo appartamento me ne sarei ritornata alla mia casa di Auckland.» «Volete dire che quelle parole dovevano costituire una minaccia sospesa sul suo capo?» Lei alzò le spalle. Sulle sue labbra apparve il fantasma del sorriso di Milborough Lang. «Sì, sapeva che me ne sarei andata se le cose non aves-
sero assunto una sistemazione definitiva per me.» Quel sorriso lo riempì di collera. «Allora sappiate, signora Ingram, che condividete la responsabilità dell'assassinio di Adela Knighton e da questo momento anche quella del suicidio di Adam Knighton.» Lei balzò in piedi. Il suo viso aveva perso la compostezza di prima e la signora Ingram gli gridò: «Questo non è vero! Adam non l'ha uccisa. Non ve l'ho detto che non può averla uccisa?» «Lui l'ha ammesso. Prima della sua confessione eravamo quasi certi: l'evidenza, le circostanze e tutto il resto indicano che lui l'ha uccisa. Aveva il motivo e l'opportunità per farlo ed era laggiù.» «Non era affatto laggiù» affermò lei, più calma. «Era qui con me.» 17 «Può sembrare ridicolo» continuò «che un uomo di oltre sessant'anni strisci furtivo fuori della casa dell'amico e si precipiti in tassì a trovare la donna che ama: una donna di cinquantacinque anni. Per passare la notte con lei e andarsene all'alba. Un Romeo e una Giulietta piuttosto stagionati. Eppure succede. È proprio quel che è successo.» Wexford le credette. La verità appariva evidente. «A che ora è arrivato?» Lei rispose senza esitazione. Forse era stata l'unica volta che avevano trascorso l'intera notte insieme. «L'una e qualche minuto.» Knighton non era il primo uomo che confessava un delitto che non aveva commesso, pensò Wexford. Eppure... «Immagino che l'abbiate visto altre volte dopo questa.» «Parlavamo molto al telefono. L'ho visto... tre volte? Oppure quattro?» «Non ha mai detto nulla che potesse farvi pensare che avesse ucciso la moglie?» «Come poteva farlo quando sapevo che era qui con me a quell'ora? Posso dire che era infelice, che sembrava tormentato. D'altra parte gli avevano assassinato la moglie e, qualunque sentimento provasse per lei e per me, si trattava sempre di sua moglie.» Milborough Ingram appoggiò il mento a una mano. La sua voce si era fatta tremula. «Non aveva più parlato del nostro matrimonio, della nostra convivenza. Appariva cambiato. Ho pensato che fosse ammalato. Gli ho detto che doveva prendersi una vacanza e che io sarei andata con lui. Lui mi fissava soltanto, mi teneva la mano e mi fissava.» Si protese per prendere il suo whisky. «Oh, Dio, non devo bere più. Mi ubriacherò e non ser-
virà a niente. Fin da quando avevo diciotto anni mi sono ripromessa di non bere mai perché non volevo guastarmi la figura e il viso, e così ho fatto fino a ora. Ma adesso che importanza ha?» Lui si alzò per andarsene. In apparenza lei era calma, ma sotto quella sua compostezza covava una crisi isterica. «Volete che chieda a vostra figlia di venire da voi?» «Sto meglio sola. Davvero!» Wexford distolse lo sguardo da quel volto devastato che un tempo era stato bellissimo, e lo posò sull'icona. Gli venne in mente dove l'aveva vista prima: nella camera da letto di Vinald, all'albergo di Kweilin. «L'ho comperata da mio genero per duecento sterline.» Wexford colse una nota stridula nella sua voce. «Sono certo che le vale» commentò educatamente. «Oh, indubbiamente. Solo che Pandora mi ha detto che lui l'ha pagata con due paia di jeans e un paio non era neppure suo.» Aveva pronunciato queste parole con profonda amarezza. Stava sfogando contro Gordon Vinald la rabbia che provava per l'ingiustizia del mondo. Ma si vergognò subito di quell'indiscrezione. «Che importanza ha ora?» soggiunse di nuovo. Wexford non replicò. La salutò e scese dabbasso dove lo aspettava Donaldson al volante dell'auto di servizio. Tabard Road, a Kingsmarkham, era l'edificio che per Wexford era altrettanto familiare della sua casa all'altro capo della città. Dora Wexford aveva affrontato il proprio destino di moglie di un poliziotto con rassegnazione e buona volontà, Jenny Burden invece aveva risolto più brillantemente il problema, occupando le serate con corsi di apprendimento e di insegnamento, con filodrammatiche e complessi musicali. Quella sera era fuori per una prova, aveva detto Burden. Andò a prendere due lattine di birra in frigorifero. «Knighton non era pazzo» osservò Wexford. «Non gli importava della delusione che avrebbe provocato. Sapeva di non aver materialmente usato la pistola né di aver premuto il grilletto per ucciderla. Intendeva dire che era moralmente responsabile, che aveva incaricato qualcuno di farlo.» «Senza pagarlo però. Sappiamo che non possedeva grosse somme.» Wexford obiettò: «Forse non l'ha fatto in modo diretto. Forse era solo questione di conoscere la persona, di fare un cenno e di uccidere il mandarino.»
«Non vi seguo.» Burden aveva ripreso quell'aria ottusa che aveva quasi completamente perduto dopo il secondo matrimonio. Una volta, di fronte a quell'espressione, Wexford disse che gli aveva fatto venire in mente Goering, il quale aveva detto che avrebbe sparato a chiunque avesse pronunciato la parola cultura. Sul volto intuitivo dell'ispettore era ricomparso il torpore di un tempo. «Non riesco a trovare il bandolo di tutta questa faccenda» confessò. «Non posso illuminarti. Non sono oscuro di proposito. Il fatto è che non so molto di più. Voglio invece parlarti di Vinald e di Purbank. Posso dirti la ragione per cui hanno litigato. Vinald ha sottratto un paio di jeans a Purbank per venderli in cambio di un'icona.» «Ha fatto cosa?» «Immagino che abbia scoperto che un contadino della parte orientale della Russia possedeva quell'icona. I russi vanno pazzi per i jeans, così ho sentito dire. Probabilmente Vinald non poteva restare a lungo laggiù, ovunque fosse, o il venditore dell'icona non poteva aspettare, così Vinald tornò al treno e prese un paio di jeans suoi. Forse non ne aveva altri puliti o non voleva restare senza o le ragioni erano altre, così ne sottrasse un paio a Purbank. Probabilmente più tardi spiegò la cosa al compagno di viaggio e forse si offrì di pagarglieli, ma Purbank si sentì offeso e si rifiutò di aver ancora a che fare con lui.» Burden rise. «Ma perché non l'hanno detto?» «Vinald perché non voleva far la figura del ladro. Purbank perché non voleva essere scambiato per uno sciocco. Non è certo molto dignitoso farsi rubare un paio di pantaloni con i quali un altro commette una truffa. È una specie di reato per interposta persona.» «Sarà così» disse Burden. «Mettete pure giù il gatto se volete.» Il gatto abissino di Jenny, agile e sinuoso quanto la Pensosa Selima era grassa e tozza, era saltato con leggerezza in grembo a Wexford. Lui aveva appoggiato la mano sul suo morbido dorso. «Pensate che Vinald sia un ladro?» «Ti ricordi quando siamo andati al v. e A. io osservavo con particolare attenzione le porcellane Sung? Seladonite la chiamano. Bianca o grigio pallido o verde pallido, un tentativo di imitare la giada di un migliaio di anni fa. Quando ero a Kweilin, Vinald mi mostrò le giade verde pallido che aveva comprato, confidando, e giustamente, nella mia ignoranza. Mi disse che avevano un centinaio di anni, pezzi dell'epoca dei Ching, e naturalmente io gli credetti. Vidi una ciotola di un bianco opaco dall'aspetto in-
significante, e ricordo di aver pensato che Dora non l'avrebbe voluta in casa. Lo crederesti che c'è qualcuno che sborsa diecimila sterline per un oggetto del genere?» «Dieci bigliettoni? Per un vaso bianco di cento anni fa?» «Be', non di cent'anni fa, Mike. È questo il punto. Diciamo ottocento? Nella stanza d'albergo di Vinald ho visto il punzone per il sigillo rosso di ceralacca e in quel momento non significava niente per me. Allora non sapevo che si potevano portar fuori dalla Cina solo gli oggetti antichi che avevano il sigillo rosso del governo. Vinald acquistava oggetti di grande pregio di cui i proprietari non conoscevano il valore e li pagava una sciocchezza. Poi vi apponeva il sigillo rosso. Tra essi vi era quella ciotola, che portò a Birmingham il primo di ottobre e che vendette all'agente del compratore sudamericano per diecimila sterline.» «Possiamo incriminarlo?» «Come? Estradandolo in Cina? Sai che cosa ci risponderebbe se noi gli contestassimo quel che ti ho detto ora? Che ha pagato la ciotola al giusto prezzo credendo che fosse di epoca Ching. Tanto più che vi era stato apposto il sigillo. Di che cosa possiamo incolparlo? È stato solo quando è tornato a casa e ha esaminato attentamente l'oggetto che ha scoperto di aver comprato per quattro soldi un pezzo di epoca Sung.» Wexford continuava ad accarezzare il gatto e questi cominciò a fare le fusa emettendo un suono rauco. Scuotendo il capo alle elucubrazioni dell'ispettore capo, Burden andò a prendere un'altra birra. Wexford cambiò argomento. «Quando hai dato la caccia a quegli ex galeotti, o recidivi, come li chiami tu, avevi due elenchi, giusto? Gli uomini che Knighton ha fatto incarcerare e quelli che ha salvato dai guai o che ha fatto condannare con una pena lieve perché era il loro avvocato difensore, è così?» «Precisamente.» «Qual era la graduatoria della lista alternativa?» «Intendete dire chi sono quelli che ha fatto assolvere?» «Intendo dire, qual era la graduatoria della gente dell'elenco che non aveva alcun motivo per vendicarsi di lui?» «Non c'era una vera graduatoria. Brownrigg e io abbiamo solo steso il profilo di ogni caso in cui Knighton era presente e che pensavamo fosse importante. Ho elencato quelli che nutrivano per Knighton sentimenti di amicizia nella colonna di destra e quelli... be', che potevano covare propositi di vendetta in quella di sinistra. Li ho anche confusi, io...»
Ma Wexford non voleva ascoltare altro. «Hai ancora quegli elenchi?» «Certo che li ho.» Il mattino dopo Wexford diede loro un'occhiata. «Questo Coney Newton è su tutte e due le liste. Per che cosa è stato condannato?» «Stupro e tentato omicidio» rispose Burden. «Si trova su entrambe le liste perché... be', pensavo che potesse o essere grato a Knighton che lo aveva fatto condannare a solo sette anni o volersi vendicare contro di lui per non essere stato invece assolto. E, stranamente, non sembra nutrire desideri di vendetta, ma pensa che Knighton non l'ha difeso in modo efficiente. Comunque, ha un buon alibi per quella notte e il suo alibi è Silver Perry.» «È proprio intelligente a far avallare la sua parola da un cittadino esemplare come quello, non è vero?» «Erano in un club insieme» ribatté Burden. «Sono andato al club. Non ci sono problemi...» «Benissimo. Chi è Henry Thomas Chipstead?» «In passato, era un gangster dell'East End di Londra. Circa vent'anni fa è stato incriminato per aggressione e ferimento e Knighton l'ha fatto assolvere. Wills...» Burden indicò con il dito il nome nella colonna di sinistra. «Mi ha suggerito che Knighton poteva aver chiamato un «professionista come Chipstead». Sono parole sue, non mie. Ha detto che Chipstead aveva fatto parte della cricca di Lee, sebbene ora, per quel che ne sapeva lui, poteva anche essere morto. Ma non è morto. È vivo e vegeto e abita a Leytonstone. Ma ha ormai superato la settantina e in ogni caso sappiamo che Knighton non ha pagato nessuno.» «E qual è stato il contributo di Wills alla disintegrazione della società?» Burden rise, un po' a disagio. «Favoreggiamento. Non ha ucciso quella donna, ma è stato complice del delitto. Ha sepolto il cadavere di notte nel cantiere di un'autostrada. Ma uno degli sterratori l'ha scoperto prima che fosse steso il manto stradale... Che cosa succede?» «So dove ha messo la pistola.» «Dove l'ha messa chi?» «Ah, si tratta di un'altra faccenda. Volevo dire che so dove l'autore del delitto, chiunque sia, ha nascosto l'arma. Me l'hai detto proprio tu. Con quel che mi hai raccontato di questo Wills e dei lavori stradali.» «E cosa c'entra?» «La chiusa, Mike, la chiusa del mulino di Sewingbury.»
Era una pistola a canna lunga. Burden era convinto che loro non avrebbero mai demolito tutto quel cemento armato e quel muro in mattoni, argine e pavimentazione, solo per una pistola. Forse per un cadavere... Ed era molto probabile, disse pessimisticamente, che la pistola non ci fosse affatto. «Quando avrò in mano l'autorizzazione» ribatté Wexford «loro dovranno procedere alla demolizione anche se dovessero cercare uno spillo e il collegio agricolo di Sewingbury darà l'ordine di demolizione.» Il colonnello Charles Griswold, il capo della polizia del Mid-Sussex, era scettico quanto Burden. E forse Wexford non avrebbe mai ottenuto quell'autorizzazione se l'ispettore ai lavori che aveva sorvegliato la costruzione di quella diga per conto delle autorità della contea non avesse detto al capo della polizia che, quando gli operai avevano smesso di lavorare alle cinque di quel primo ottobre, rimaneva da completare solo la zona lastricata. A quell'ora, quel pomeriggio, disse, le aree che dovevano essere lastricate erano state lasciate aperte e scoperte eccetto che per una fondazione che scendeva in profondità nel suolo. «Supponiamo che abbia lasciato la macchina nella piazza del mercato di Sewingbury» osservò Wexford. «Ha percorso questa strada fino al sentiero per Thatto Vale ed è arrivato a Thatto Hall Farm intorno alle due. Che sia entrato attraverso la finestra della toilette o che abbia usato la chiave di casa, ha fatto in modo che si pensasse che era entrato per la finestra. Ha svegliato la signora Knighton, l'ha portata al pianterreno tenendole la rivoltella puntata addosso, l'ha uccisa fingendo poco credibilmente di essere un ladro, ed è tornato indietro per il sentiero su cui l'ha visto Bingley intorno alle tre. Al termine del viottolo di Sewingbury ha notato i lavori di pavimentazione della chiusa quasi terminati e gli ci è voluto solo qualche minuto per far sparire la rivoltella gettandola in fondo al cunicolo attraverso l'apertura delle fondamenta.» Era una giornata fredda e soffiava un vento piuttosto pungente. Il Kingsbrook, gonfio per le recenti piogge, scorreva rumoreggiando sotto il ponte di Springhill e attraversava il nuovo canale. Gli stessi impresari che avevano presieduto ai lavori della chiusa avevano ordinato di demolirne una parte. Non appena furono sollevate le pietre della pavimentazione, il sergente Martin e Archbold cominciarono a scavare in profondità per cercare la rivoltella. Wexford restò per qualche minuto poi si recò a presenziare all'istruttoria su Adam Knighton. C'era Angus Norris in rappresentanza della famiglia.
Wexford sapeva che non era possibile ottenere alcun risultato se l'istruttoria non fosse stata rinviata. Il dottor Parkinson, dopo aver letto ad alta voce la confessione di Knighton, citò le parole di Wexford secondo cui Knighton poteva non essere stato fisicamente responsabile della morte della moglie. Wexford scivolò fuori dell'aula del tribunale. All'altro lato del cortile che divideva il tribunale dalla stazione di polizia lo stava aspettando Donaldson al volante della sua macchina, con Burden sul sedile posteriore. Il vento lo investì con una raffica pungente e gli fece agitare la sciarpa come una bandiera. «La riva del fiume non è certo il luogo adatto per una mattinata come questa» disse Burden stropicciandosi le mani. «Dobbiamo comunque salire allo Smoke, o lì vicino. Haze mi pare si chiami. Leytonstone è un posto in cui si può pranzare, Donaldson?» Ma l'esperto di Londra, con evidente dispiacere, non lo conosceva, non c'era mai stato. «Si tratta di Chipstead, immagino» osservò Burden. «Henry Thomas Chipstead, cinquantadue Dogshall Road, Leytonstone. Ha settantatré anni e sembra che non abbia subito altre condanne per la sua attività di killer da quando Knighton l'ha tolto dai guai quando aveva cinquant'anni.» «Mi piacerebbe che mi spiegaste che cosa intendete con l'assassinio del mandarino.» Erano in autostrada ora, diretti a Londra. Il vento era così forte che le raffiche facevano oscillare la pesante macchina. Ogni tanto grosse gocce di pioggia battevano contro il parabrezza. «Penso che molti anni fa» disse Wexford «Knighton avesse avuto occasione di entrare in contatto con quel malavitoso che faceva il killer. Probabilmente era il suo avvocato difensore. Dopo la conclusione del suo caso, Chipstead andò da Knighton e gli parlò della sua attività di sicario dicendogli: "Se c'è qualcosa che posso fare per voi, signor Knighton, non avete che da dire una parola. Sapete che cosa intendo dire...". E lo toccò con il gomito. "Qualcosa che volete che sia fatto senza chiasso...". Knighton si sarà mostrato senza dubbio indignato ignorando le sue parole. Ma più tardi queste gli ritornarono alla mente. Molto più tardi e quando aveva realmente bisogno di togliere di mezzo qualcuno. «Non avrebbe dovuto neppure sborsare del denaro, quello era il vantaggio. Non avrebbe dovuto spiegare niente a quell'assassino di professione, non avrebbe neppure dovuto dargli tre o quattromila sterline in banconote
usate o qualcosa del genere. All'inizio probabilmente non gli venne neppure in mente di essere il vero istigatore. Supponiamo si sia trattato solo di fare una telefonata e di dire qualcosa come: "Mia moglie sarà a casa sola la notte del primo ottobre". Supponi che la cosa fosse ancora più indefinibile e sfuggente di questa? «Ma il rimorso e la colpa, per un uomo come Knighton, sarebbero stati gli stessi che se avesse pagato un assassino o avesse premuto il grilletto personalmente.» «Be', avrebbe avuto solamente la colpa» disse Burden. «Certo che l'avrebbe avuta, ma moltissimi uomini non la considererebbero una colpa. Ecco l'analogia con il mandarino. Una vita umana nella brulicante folla di milioni di cinesi è esattamente identica a quella della moglie o del figlio, ma si ha l'impressione che non sia la stessa cosa perché è così lontana, così fuori della propria portata. E se uno avesse solo da fare un cenno... Penso che Knighton abbia dovuto solo lare un gesto o qualcosa di altrettanto trascurabile, per sbarazzarsi della moglie e ottenere Milborough Ingram.» Arrivarono a Londra per il Blackwall Tunnel. Leytonstone non era lontano dalla sua estremità nordorientale. Il vento faceva turbinare le foglie morte al limitare della foresta di Epping. Dogshall Road era una lunga strada diritta che scavalcava una linea ferroviaria suburbana e si abbassava sotto un'altra. I lati erano ingombri delle foglie che il vento aveva strappato agli alberi che fiancheggiavano la carreggiata, tre volte più alti delle piccole tozze file di case. Solo una chiesa in mattoni con un vestibolo prefabbricato interrompeva la lunga monotonia delle case vittoriane con doppia fila di macchine parcheggiate. Donaldson fermò l'auto in uno spazio libero. «Sarebbe fuori posto voler fare il moralista» osservò Wexford «ma questa è un'intelligente dimostrazione di come il delitto non paghi, non vi sembra? Henry Chipstead ha vissuto per anni, per gran parte della sua vita, da criminale. È inutile che dica che i suoi delitti hanno causato molte sofferenze, hanno danneggiato la società, hanno seminato il terrore, hanno dato un gran lavoro alla polizia, sono costati un sacco di denaro. Mi sembra che non gli abbiano arrecato il minimo beneficio, no?» I tre uomini osservarono quel che Chipstead aveva ricavato dalla sua attività: una catapecchia di mattoni marrone che aveva un centinaio d'anni con un cortiletto lastricato di due metri, diviso dalla strada, nel quale si vedeva un bidone della spazzatura e un geranio appassito in una tinozza. C'erano solo tre finestre sulla facciata della casa e avevano tutte le tendine ti-
rate. Wexford scese dalla macchina e Burden lo seguì. La casa aveva un aspetto completamente abbandonato come se i suoi occupanti l'avessero chiusa e se ne fossero andati. Mentre bussava energicamente, dato che non c'era campanello, Wexford aveva poche speranze di ottenere risposta. Ma dopo qualche istante si udì la voce di una donna gridare qualcosa, e poi alcuni passi risuonarono per le scale. Renie Thompson aprì loro la porta. 18 «Henry era mio fratello» disse. Rimasero in anticamera. C'era una luce sopra le scale e alcune donne mormoravano qualcosa. «Era?» chiese Wexford. «È morto. Volete dire che non lo sapevate? Oggi c'è il funerale. A dir la verità, quando avete bussato ho pensato che fosse l'impresario delle pompe funebri.» Indossò un soprabito grigio e un cappello di feltro nero. «Vi piacerebbe riuscire a capire qualcosa, vero? Lo so. Non c'è niente da fare.» «Ci dica i fatti, signora Thompson, e vedremo che cosa sapremo fare.» Una donna aveva cominciato a scendere le scale, probabilmente una sorella. Si fermò ad ascoltare, appoggiata alla balaustra, fissandoli. «Ho lavorato per la signora Knighton da quando avevo diciannove anni. Lui e lei erano i migliori datori di lavoro che abbia mai trovato. Henry doveva essere processato per qualcosa che non aveva commesso e io gli dissi: «Vai a parlare con il signor Knighton» e lui andò dal signor Knighton. Il signor Knighton lo difese perché conosceva me, e Henry fu assolto, doveva esserlo, considerato che non aveva commesso nulla.» La donna sulle scale fece schioccare la lingua. «Per Henry non c'era nessun altro al mondo che il signor Knighton.» «Era così anche per te, Renie» s'intromise la donna sulle scale. «Avete una famiglia a Sewingbury, vero?» chiese Burden. Annuirono entrambe, guardandolo di traverso. «Vostro fratello è stato ammalato prima di morire?» Ora scese anche la terza sorella, abbottonandosi una pelliccia nera di astrakan. «È stato sei mesi in ospedale» disse Renie Thompson. «Era malato di petto, un polmone, e poi il male è sceso alla colonna vertebrale.»
Bussarono alla porta. La donna con la pelliccia di astrakan andò ad aprire e il vento le spinse una foglia avvizzita contro la pelliccia. Fuori c'erano due uomini vestiti di nero, che tenevano il cappello in mano. «D'accordo» tagliò corto Wexford «non vogliamo disturbarvi oltre.» Ora fra le altre macchine parcheggiate c'erano due Daimler nere in attesa, una vuota, l'altra aperta per accogliere la salma dell'ex gangster in un feretro coperto di fiori. Wexford e Burden tornarono alla loro macchina. Donaldson riferì il messaggio che gli era stato comunicato per radio: sotto il selciato della chiusa era stata trovata la pistola. Wexford annuì. Stava guardando la casa di Chipstead. Non aveva immaginato che ci fossero altre persone dentro, oltre alle tre sorelle. Quella gente era rimasta seduta in silenzio dietro le finestre dalle cortine tirate in attesa di seguire il corpo di Chipstead fino alla tomba o al crematorio. Sul sentiero si raggrupparono un uomo anziano e una donna, a braccetto, un ragazzo di diciotto anni con una giacchetta nera che doveva essersi fatto prestare e la cravatta, un ometto con i capelli rossi, un uomo grasso quasi completamente calvo, un uomo alto con i capelli color argento. «Silver Perry» spiegò Burden. «Erano vecchi compagni o qualcosa di simile?» «Evidentemente. Non mi sorprende.» Sulla Daimler salirono le tre sorelle e la coppia anziana. Gli altri partecipanti presero posto su una vecchia Ford Popular blu scuro. «Dove pensi che andranno, Donaldson?» domandò Wexford. «Al crematorio della città di Londra, a Manor Park, signore» rispose immediatamente Donaldson. «Venti minuti per arrivare là, venti minuti per cantare un inno e "bruciare il nostro caro fratello" e venti per ritornare.» «Allora possiamo andare a pranzo.» Il vento aveva smesso di soffiare e si era fatto buio, abbastanza da accendere la luce nella stanza sulla facciata del numero 52 di Dogshall Road. Le luci filtravano attraverso le tendine verdi. Il ragazzo fu il primo ad andarsene. Indossava una tuta di pelle e teneva in mano un casco da motociclista. Salì sulla Yamaha posteggiata accanto alla Ford Popular e partì con un rombo in direzione del ponte. Poco dopo la porta si aprì di nuovo e uscì Silver Perry. Portava un completo scuro e un soprabito anch'esso scuro stretto in vita da una cintura. Qualcosa nel suo aspetto lo faceva assomigliare, sotto la fievole luce, a Adam Knighton, anche se Perry era più vol-
gare, più rozzo. In realtà era un po' più basso e non aveva il portamento dell'uomo per il quale aveva detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche offrire la propria vita. «Ha usato quest'espressione?» chiese Wexford. «Be', in un giornale» disse Burden. «Ve l'avrei detto, stavo anzi per dirvelo, ma voi mi avete interrotto con la storia della pistola. Si ricordano che Coney Newton è rimasto a El Video fino alle tre circa e Newton ha detto che era là con Perry, ma nel club nessuno mi ha parlato di Perry.» Sulla soglia Perry baciò Renie Thompson, poi si allontanò rapidamente. Wexford pensava che sarebbe salito sulla Ford, ma evidentemente non era sua, perché se ne andò a piedi. Camminava sotto la sottile e fitta pioggerella che aveva cominciato a cadere. Si erano accesi i lampioni stradali e la luce che filtrava attraverso gli alberi li faceva assomigliare ad arance appese ai rami. Perry si alzò il colletto del soprabito, e prese a camminare con le mani in tasca. Probabilmente era diretto alla stazione della metropolitana trecento metri oltre il cavalcavia. La macchina lo seguì silenziosa. Donaldson guidava molto lentamente. Un furgone alle sue spalle cominciò a suonare il clacson, ma Donaldson non vi badò. «Ha intenzione di attraversare qui» esclamò Wexford. «Gira l'angolo.» Donaldson svoltò rapidamente a sinistra, proprio mentre Perry scendeva il gradino del marciapiede per attraversare la strada. L'uomo si trovò davanti la fiancata della macchina come un muro. Tornò indietro sul gradino mentre la portiera si apriva e ne scendeva Wexford. «Volete un passaggio, Silver?» Wexford aveva la sua tessera, ma non dovette disturbarsi a tirarla fuori. Perry apparteneva a quella categoria di uomini che riescono a riconoscere un poliziotto in costume da bagno o mascherato per un ballo. Era un gioco da ragazzi per lui individuare tre di loro in una periferia londinese, in macchina, sotto la pioggia. Quindi si guardò in giro per un attimo alla ricerca di una via di scampo. In quell'attimo sulla sua faccia passò un barlume di speranza, un lampo di panico, infine la consapevolezza della realtà. Alzò le spalle e salì in macchina. La pioggia gli sgocciolava dai capelli argentei. «Sai dov'è Cyril Street, a Bethnal Green, Donaldson?» chiese Burden. «Posso trovarla, signore.» «Giù per Globe Road» disse Perry. «O lo portiamo direttamente con noi? La vostra pistola è stata ritrovata, Perry. I cacciatori di solito fanno lunghi giri.»
«Cacciatori? Che cacciatori?» chiese Perry. «Prima in Cyril Street, penso» disse Wexford «e poi possiamo tornare indietro. Vi siete divertito al funerale, non è vero, Silver? Per Dio, ma voi puzzate di sherry di Cipro.» «Forse credete di essere spiritoso. Non mi sono affatto divertito. Henry Chipstead era un amico di lunga data.» «E sappiamo bene quanto siete buono con i vostri amici. Tanto da offrire loro la vostra vita e così via. Oppure la vita di altre persone.» Wexford fissò l'uomo negli occhi cerulei, occhi color dell'acqua, più allungati e più sfuggenti di quelli di Knighton. «Non avete un alibi per la notte del primo ottobre, e siete stato visto vicino alla fattoria di Thatto Hall. Vi hanno visto camminare lungo il sentiero che va da Sewingbury a Thatto Vale alle tre del mattino.» Silver Perry non disse nulla. La macchina s'infilò in una rete di strade a senso unico, tornò indietro due volte, dalla periferia orientale nell'East End di Londra. Adesso pioveva forte e i tergicristalli funzionavano alla velocità più alta. «Avete lasciato la macchina sulla piazza del mercato di Sewingbury» disse Burden. «Dovete conoscere molto bene la zona.» Perry non confermò nulla. A bassa voce tentò di spiegare: «Renie e io... conosco Renie da un mucchio di tempo.» «Quando siete tornato indietro avete visto i lavori in corso e avete seppellito la pistola, sapendo che sarebbe stata ricoperta dal cemento armato il giorno dopo.» Perry batté sulla spalla di Donaldson. «Seconda a sinistra, adesso, ragazzo.» «Penso che Knighton vi abbia dato qualcosa per il vostro disturbo» disse Burden. Perry diede un'occhiata alla casa. «Mia moglie è fuori, da sua sorella. Non voglio che sia immischiata in questa faccenda.» L'alta sagoma di un grattacielo costellato di piccoli riquadri illuminati si stagliava con i suoi dormitori in verticale. Un centinaio di macchine erano posteggiate sul selciato bagnato, non c'erano foglie appassite perché non c'erano più alberi intorno. Wexford mandò Donaldson in un caffè di Globe Road a prendersi una tazza di tè. L'ascensore che li portò su sino alla tana di Perry sembrava salire per chilometri. La vista di lassù, che una volta avrebbe fatto trasalire per lo stupore, oggi è un'esperienza comune per chi viaggia in aereo o fre-
quenta i ristoranti sui belvedere. Non c'era nessuno a casa. Era tutto buio. Perry accese un paio di luci e li fece entrare in una stanza che non aveva nulla in comune con l'idea che si ha normalmente di un attico, all'infuori dell'altezza. Poi disse: «Vi racconterò tutto. Ormai non devo più preoccuparmi per il signor Knighton. Non c'è più nulla che possa danneggiarlo, là dove si trova.» Il sentimentalismo a buon mercato di quella gente! pensò Wexford. Era tipico. Perry aveva ucciso un uomo a sangue freddo, aveva commesso violenze spaventose, per non parlare del fatto che aveva accettato di assassinare la signora Knighton per conto del marito, eppure parlava come un'ingenua vecchietta innocente. «Voi comunque» disse Wexford «non siete ancora in quel mondo felice, anche se ci sono buone probabilità che possiate arrivarci.» «Mi state minacciando?» Wexford scosse il capo. «Non ancora. Raccontateci di quando avete conosciuto il signor Knighton.» «È stato venticinque anni fa, o forse più. Devo a lui se non mi hanno impiccato.» Silver guardò Burden. «Voi sapete com'è andata. Ho scritto la mia storia per un giornale, ho ritagliato il servizio e l'ho mandato al signor Knighton. Lui non mi ha risposto, naturalmente non poteva: un uomo nella sua posizione! Una sera l'ho aspettato in un albergo di Lincoln e abbiamo parlato.» «Proprio come adesso?» Wexford cercò di immaginarsi l'incontro con quel bastardo dall'aria sfuggente e il colloquio. Knighton doveva averlo raggelato con un'occhiata, minacciandolo di chiamare la polizia se avesse insistito. «Non come adesso» rispose Silver. «Non l'ho importunato, e neppure contrariato. Gli ho solo detto che volevo ringraziarlo, gliel'ho detto in modo tranquillo. Gli ho assicurato che avrei fatto qualsiasi cosa per lui.» Allora Wexford capì. L'integrità di Knighton era già incrinata, lui era già corrotto. Per cinque anni era stato l'amante di Milborough Lang e fin da allora sapeva che non avrebbero potuto continuare in eterno con quel tormento. Lei voleva andarsene e lui voleva rimanere con Adela. A meno che... «Con qualsiasi cosa intendevate proprio sbarazzarlo della moglie, vero?» Silver trasalì a quel discorso senza mezzi termini. «Lui sapeva che cosa intendevo dire. E io sapevo che lui sapeva. Non c'era bisogno di entrare in
particolari. Lo avrei aiutato a ottenere quel che voleva, questo è quel che intendevo, e lui lo sapeva.» «Come potevate sapere che cosa desiderava?» chiese Burden. «Ho detto che lo aspettavo. Lo avevo fatto già altre volte e lo avevo seguito prima di incontrarlo da solo e di parlare con lui. Un paio di volte l'avevo visto incontrarsi con quella ragazza. Era un'attrice, una delle più famose.» «A quell'epoca Knighton non tenne conto della vostra generosa offerta?» «Il signor Knighton aveva un mucchio di scrupoli» affermò Silver con una specie di riverente inchino. «Be', mettetevi nella sua posizione. Gli dissi che non avrei mai dimenticato quel che aveva fatto per me e in qualsiasi momento avesse deciso non aveva che da farmelo sapere. Non l'avrei più disturbato, gli assicurai. Sapevo che un uomo nella sua posizione non desidera essere visto con gente come me, ne ero ben conscio. Allora vivevo in un appartamento a Cambridge Heath. Quando il tribunale ci costrinse a venire qui, gli mandai due righe con il mio indirizzo e il numero telefonico. Lui non ha mai risposto, naturalmente non poteva.» Silver guardò Wexford direttamente negli occhi. «Ero dispiaciuto, continuavo a pensare al fatto che non avevo mai fatto nulla per contraccambiarlo, questa cosa l'avevo sulla coscienza.» «Sulla vostra che cosa?» «Voglio dire che provo anch'io gratitudine, come le altre persone.» «No, non come le altre persone, Silver» dichiarò Wexford. «Il vostro senso della gratitudine è patologico.» Scosse la testa pensoso. «Che cosa pensavate che facesse, che vi desse un colpo di telefono e vi dicesse che aveva cambiato parere?» «Vi ho detto che non ne abbiamo mai parlato apertamente. Era una cosa sottintesa, noi ci capivamo. Avrebbe dovuto darmi un colpo di telefono, sì. Avrei organizzato io tutto. Sapevo che non mi avrebbe chiesto nulla apertamente.» Silver si dimenò nella sedia. Aveva ancora addosso il soprabito nero, ma in quel momento se lo tolse e lo appoggiò sullo schienale di una seggiola. Dietro di lui il cielo sembrava punteggiato da un milione di stelle cadenti. «Gli spiegai che se avesse voluto farmelo sapere, non aveva che da fare un fischio. Non disse una parola. Lo guardai negli occhi. "Non dovrete neppure dirlo" lo rassicurai. "Chiamate il mio numero" dissi "e quando risponderò dite una sola parola. Una parola qualunque" suggerii "purché io la capisca."» C'erano alcune gocce di sudore ora sulla fronte di Silver, vicino all'attaccatura dei capelli bianchi che sembravano una parrucca.
«Non mi ha risposto direttamente. Mi ha guardato e ha incominciato a raccontarmi la storia di un mandarino cinese, non ricordo bene come fosse. Eccola, esclamai, mandarino. Mi chiamerete al telefono e quando risponderò mi direte: "Mandarino" e io capirò. Questo avvenne venticinque anni fa, quasi ventisei. "Mandarino" ribadii "in qualsiasi momento voi diciate questa parola io capirò... e lo farò."» Che cosa era passato nella mente di Knighton in quel momento? Aveva pensato che la cosa potesse realizzarsi subito, in quei giorni? O aveva semplicemente assecondato Silver Perry, prendendosi gioco di lui, per potersene sbarazzare con le buone maniere? Wexford immaginò che si fossero incontrati in un pub o anche sulla panchina di un parco. Il solo e unico incontro, di questo era sicuro. Perry appassionato, grato, onorato che quell'uomo importante avesse acconsentito a parlare con lui, Knighton indicibilmente sconvolto, inorridito, già tentato. Fare un gesto, dire una sola parola, lei sarebbe morta e lui avrebbe potuto realizzare il più grande desiderio della sua vita. Che assurda malvagità! Meglio condurre una vita di sofferenze che autorizzare una cosa simile, che restare là ad ascoltare quelle parole. Ma mandarino è una sola parola... «Ma un giorno, non molto tempo fa, lui vi ha telefonato e ha detto quella parola» incalzò Burden. «Era l'inizio di settembre. Ho alzato il ricevitore e per un po' nessuno ha parlato, sebbene udissi un respiro affannoso. Pensai che si trattasse di uno scherzo quando venne fuori la voce, una voce balbettante e molto bassa. Il buffo è che io avevo dimenticato. Non avevo più visto il signor Knighton da quella volta, non avevo più udito la sua voce. Per qualche anno avevo avuto sue notizie attraverso Renie, ma non per molto tempo; non sapevo neppure che era andato in pensione, non sapevo neppure che era andato a stabilirsi nel Sussex. «La voce disse quella parola. Sentii che cominciava con Man e pensai a Manager, ma la linea fu interrotta prima che potessi dire qualcosa. Tuttavia nel mio subcosciente dovevo averla riconosciuta perché la cosa mi ossessionò per tutto il giorno. All'improvviso mi venne in mente. Dopo tutti quegli anni, potevo finalmente contraccambiare il signor Knighton, potevo tener fede alla mia promessa.» Wexford si alzò e si girò di spalle. «Mi date la nausea.» Rimase in piedi accanto alla finestra e guardò in basso dove Londra sembrava più bella. In alto passò un aereo con le luci accese. L'ispettore capo cercò di respirare
regolarmente per dominare la collera. «Andiamo avanti» riprese «e lasciamo da parte i nobili sentimenti.» «Avete agito sulla base di una sola parola, una parola che non avete neppure sentito chiaramente?» intervenne Burden. «Avevo capito» disse Silver. «Ho gironzolato intorno al suo studio ma ho visto che lui non usciva, allora ho guardato la targa sulla porta e ho scoperto che tra i nomi degli avvocati il suo non c'era. Mi sono diretto verso Hampstead, ma ho dato solo un'occhiata perché la casa era piena di arabi. Un paio di volte ho telefonato a Thatto Hall Farm: la prima volta ha risposto lui e la seconda lei, ma non mi è servito a niente.» «In che senso?» «Dovevo conoscere i suoi movimenti, no? Dovevo trovarla sola. Finché un giorno l'ho visto. Stava uscendo dalla stazione Victoria, intorno alle quattro del pomeriggio, era il primo ottobre. Aveva in mano una ventiquattrore, compresi che sarebbe rimasto fuori anche la notte.» «Che cosa facevate alla stazione Victoria?» «Lavoravo, no? Devo guadagnarmi da vivere. Faccio il tassista. Avevo appena accompagnato un cliente. Il signor Knighton stava cercando un tassì. Mi sono detto: perché non offrirmi per accompagnarlo? Ma sapevo che ero l'ultima persona con cui avrebbe voluto farsi vedere. E poi ebbi un'idea migliore. Mi era venuta vedendo quella ventiquattrore. Lui era venuto in città per trascorrervi la notte e lei era rimasta sola. Ricordai che doveva essere sola. Un paio di settimane prima ero andato a trovare all'ospedale il povero vecchio Henry e c'era Renie che mi aveva raccontato che la figlia dei Knighton si era sposata e aspettava un bambino e tutto il resto. Così mi venne in mente che la vecchia sarebbe stata sola. Pensai che, se dovevo farlo, sarebbe stato meglio farlo allora, sarebbe stato meglio farlo quella notte.» A Wexford sembrò di aver udito girare la chiave nella toppa della porta di casa. Si sentirono alcuni rumori in anticamera e poi entrò la donna che aveva incontrato Burden. Come il marito, conosceva i poliziotti per istinto e lanciò a Wexford un'occhiata che altri avrebbero riservato a un ladro o a un vagabondo. Wexford e Burden uscirono in anticamera. «Lo portiamo con noi e lo arrestiamo?» Wexford si strinse nelle spalle. «Non c'è nessuna accusa contro di lui. Non credo che riusciremo mai a dimostrare questo complotto.» Quando ritornarono nella stanza, la donna era scomparsa e Silver Perry stava bevendo qualcosa che assomigliava a whisky. Sembrava che gli fos-
se stato razionato, per ordine del medico. «Dovevo lavorare fino a mezzanotte. Ho passato il tempo con un amico, non ricordo chi, non ha importanza ora, ho passato il tempo con lui per poter dire di essere stato a El Video in sua compagnia se qualcuno me l'avesse chiesto. Comunque, il mio ultimo passeggero mi ha offerto una buona mezz'ora di vantaggio ed erano le due, anzi le due e un quarto, due e venti quando sono arrivato a Sewingbury. Ho lasciato il tassì nella piazza del mercato e ho proseguito a piedi. Al ritorno ho percorso il sentiero, ma all'andata ho camminato lungo la strada per timore di perdermi se non fosse sorta la luna. «Erano le tre passate quando arrivai alla fattoria di Thatto Hall. Estrassi il mio tagliavetri e tagliai il pannello della finestra della toilette. Devo averci impiegato una decina di minuti, forse quindici. La casa non era al buio perché la luna la illuminava. Mi tolsi le scarpe e salii la scala. «Tutte le porte delle camere da letto erano spalancate e io entrai in quella grande di fronte, pensando che l'avrei trovata là. C'erano due letti e uno di essi aveva il bordo del lenzuolo ripiegato. Tornai lassù più tardi, presi la scatola dei gioielli e li seminai in giro per simulare la rapina di un dilettante che non ne conosceva il valore. Ma prima guardai nelle altre stanze e, non riuscendo a trovarla, scesi di nuovo le scale. Pensavo che non si fosse coricata, che altro posso dire?» Silver bevve il suo whisky e depose il bicchiere con un colpo secco. «La trovai sul pavimento. Era morta. Le avevano sparato. Capii che era la cosa più giusta. Il signor Knighton era arrivato là prima di me e aveva provveduto da sé.» 19 Wexford teneva la pistola in mano. Tutto quello che avrebbe potuto ricavare da un esame era scritto nel rapporto sulla scrivania di fronte a lui. Era una Walther PPK 9 mm automatica e, circa a metà della canna, nella parte inferiore, c'era un difetto di fabbricazione simile a una piccola protuberanza nel metallo: ogni pallottola sarebbe stata segnata con un graffio. Burden, guardando al di sopra della spalla, chiese: «Che cosa avrebbe usato Perry? Le mani nude?» «Penso di sì. Sono armi di cui non si ha bisogno di sbarazzarsi. Che strana faccenda, eh? Perry era sicuro che l'avesse ammazzata Knighton. Pensò che Knighton si fosse stancato di aspettare che lui mantenesse la
promessa e l'avesse uccisa personalmente.» Wexford depose la rivoltella sulla scrivania. «Non ho tempo da dedicare a uno scellerato come quello, Mike, ma gli credo quando dice che si è vergognato di se stesso per aver trascurato Knighton. Lui aveva esitato per tutto il mese di settembre e Knighton si era visto costretto ad agire da solo. Silver allora aveva pensato che Knighton non avesse abbastanza professionalità per ideare un furto con scasso, non avendo mai fatto un lavoro del genere. Così aveva portato fuori dalla casa la scatola dei gioielli e, tenendo in scarsa considerazione il nostro acume, ne aveva sparpagliato il contenuto davanti al giardino. «Tuttavia Perry, nonostante la trovata dei gioielli della signora Knighton, si aspettava che Knighton fosse arrestato da un momento all'altro con l'accusa di aver assassinato la moglie. E si era maledetto per aver lasciato passare tanto tempo spingendo Knighton a commettere il delitto di persona. Ma, vedendo che a Knighton non accadeva nulla, aveva imputato la cosa all'inettitudine della polizia. Se avesse avuto qualche dubbio sulla colpa di Knighton, il suicidio dell'avvocato l'aveva completamente dissipato. «A sua volta Knighton credeva che fosse stato Perry a ucciderla» continuò Wexford. «Nel momento in cui è entrato in casa quel due di ottobre e io gli ho annunciato che avevano sparato a sua moglie, lui ha creduto che fosse stato Perry a ucciderla dietro suo ordine. Ecco perché avevamo la sensazione che fosse sorpreso sì e no, che fosse colpevole eppure innocente. Quel giorno in cui ha telefonato all'inizio di settembre... mi chiedo che cosa lo ha spinto a farlo, che cosa era successo di particolare? Non potremo mai saperlo. Adela aveva forse trovato qualcosa che riguardava Milborough Ingram e l'aveva minacciato o deriso? La signora Ingram aveva cominciato a parlare di andarsene? O Adela aveva esposto i suoi progetti relativi a un'altra lunga vacanza, sappiamo che desiderava andare in India e in Nepal in febbraio, a causa della quale lui avrebbe dovuto di nuovo allontanarsi da Milborough? Di qualunque cosa si fosse trattato, gli era tornata la tentazione di venticinque anni prima e questa volta aveva ceduto. Ma forse non ci credeva realmente, Mike. Deve essergli sembrata pura fantasia. Con qualsiasi altro che non fosse Silver Perry, con un po' di buonsenso, sarebbe stata veramente pura fantasia. «Potrebbe averlo pensato lasciando l'appartamento di Milborough Ingram sul tardo pomeriggio per andare all'appuntamento con Adela e prendere il treno insieme. Potrebbe aver visto una cabina telefonica vuota a un angolo di strada o in una stazione della metropolitana e essersi ricordato
del passato, del mandarino. «Naturalmente è tutto assurdo, potrebbe non essere mai accaduto. Mandarino era la sola parola che doveva dire, l'omicidio sarebbe stato commesso e la sua felicità sarebbe stata assicurata. Nella fantasia, nei sogni, non nella realtà. Ma lui entrò nella cabina telefonica, compose il numero e pronunciò la parola. Insomma disse qualcosa del genere e quando uscì per incontrare Adela certamente si diede del pazzo.» Burden girò intorno alla scrivania e si sedette. Aveva l'aria accigliata. «Deve essersi chiesto se sarebbe veramente accaduto qualcosa.» «Forse. Ma lui non ha fatto niente, vero? Erano passate tre o quattro settimane e non era accaduto nulla. Deve avere pensato che Silver Perry avesse dimenticato la parola mandarino o che fosse invecchiato o che fosse rinsavito o che quella prima volta lui avesse capito male. Ma non appena Adela fu trovata morta, capì. E non ci fu più felicità. Non ci fu liberazione, non ci fu futuro, non ci fu la gioia che aspettava da tanto tempo. Invece della felicità, ci furono i rimorsi. Era convinto che Perry l'avesse fatto in seguito a una sua parola, sebbene quella parola fosse stata sussurrata dopo un intervallo di venticinque anni.» «Si è suicidato inutilmente» osservò Burden. «Si è suicidato per un errore. Avrebbe potuto essere felice, avrebbe potuto risposarsi. Non aveva fatto nulla e neppure Perry aveva fatto nulla.» «L'intenzione c'era, Mike» obiettò Wexford pensieroso. «E il suo era ben più di un desiderio che la moglie morisse, no? Pur volendo passarci sopra, era un ordine vero e proprio e lui l'ha dato a. uno sporco delinquente, ha compiuto un assassinio senza dover neppure abbassarsi a parlarne. Anche se noi avessimo trovato l'autore del delitto mentre lui era vivo, non avrebbe mai potuto dimenticare di averlo pensato, no? Nella sua coscienza provava disgusto per se stesso e immagino che ciò abbia avvelenato il sentimento che nutriva per il grande amore della sua vita. Uomini come lui farebbero bene a non commettere delitti, neppure per interposta persona, farebbero meglio a non essere coinvolti in delitti che pensano di aver commesso per interposta persona.» Burden guardò l'orologio. «A quest'ora dovrebbe essere qui. Sono le dieci passate.» Wexford non rispose. L'ispettore spiegò più chiaramente: «Quello che ha veramente commesso il delitto, voglio dire. Avete detto che non volevate andare a casa sua.» «No, in questo caso no.» Wexford sospirò. «Non che faccia molta differenza, sarà solo questione di un paio d'ore. Non credo che dovremo parlare
a lungo con lui, non è necessaria una confessione. È tutto chiaro e limpido. Avrei potuto scoprirlo fin dall'inizio, se non si fosse intromessa la Cina, la Cina e quel che ne derivava, a confondermi le idee. Non che la Cina non abbia la sua parte in questa faccenda!» «Ha comprato la pistola» riferì Burden «senza sotterfugi in un rispettabilissimo negozio di armi, la Warrington Weapons di London Wall. Era semplice. E ciò ha facilitato il nostro compito.» «I libri contabili che possedeva, o non possedeva, parlavano fin troppo chiaro. Abbiamo passato il resto della giornata a smascherare le sue truffe e i suoi raggiri contabili, Mike. Su, allora, andiamo a prenderlo.» Avevano finito. Non c'era più niente da fare finché non si fosse riunita la corte speciale in mattinata. C'era un tempo cupo, era una giornata umida e nebbiosa di novembre. Wexford afferrò l'impermeabile e se lo gettò sulle spalle. «Sento il bisogno di un drink.» «Venite a casa mia» disse Burden. Wexford si sentiva profondamente stanco, proprio come dopo quelle notti passate in bianco nella lontana Cina. La sua testa ondeggiava, gli sembrava che fosse piena di volti e di menzogne. Eppure i due poliziotti non riuscivano a pensare o a parlare d'altro all'infuori di quel che avevano fatto quel giorno. «Ma è certo che fosse Perry quello che Bingley ha visto nel bosco?» chiese Burden. «Come poteva essere lui? Pur nella sua confusione, Bingley era certo che l'uomo che aveva visto stesse tornando indietro da Thatto Vale, e non che vi stesse andando. Perry invece c'era andato lungo la strada e solo al ritorno aveva preso il sentiero. Ora se Perry è arrivato a Thatto Hall Farm intorno alle tre, ha impiegato dai dieci ai quindici minuti per tagliare quel vetro e altri dieci minuti per girare per la casa e trovare il corpo, dovevano dunque mancare solo dieci minuti alle quattro quando è passato nella radura in cui si trovava Bingley. Ma nel frattempo, Bingley era certamente andato a casa.» Salirono sulla macchina di Wexford, perché Jenny aveva preso quella di Burden. Wexford era stanco e guidava lentamente. «Era un uomo dai capelli grigi quello che ha visto» insistette Burden. «Ma sarà vero? È venuto a trovarci soprattutto perché sua nipote gli ha detto che doveva farlo. Ha visto un uomo camminare lungo quel viottolo che porta a Sewingbury alle tre del mattino del due ottobre. Ma lo innervo-
siva l'idea di venire da noi perché era stato scoperto a cacciare di frodo. Così per compiacerci ha adattato la sua storia il più possibile a quel che pensava volessimo sapere. Knighton è alto e ha i capelli grigi. Lui conosce Knighton di vista o ha notato la sua fotografia sui giornali. Di conseguenza ha descritto l'uomo che ha visto come una persona alta e con i capelli grigi. Ma quando gli ho mostrato le fotografie, la faccenda è stata diversa. Allora si è ricordato di quello che l'uomo del bosco sembrava realmente. Dei personaggi delle fotografie non ha indicato Knighton che più di ogni altro assomiglia a Silver Perry. Ha indicato Gordon Vinald che non gli assomiglia affatto ma è più giovane, bruno, piuttosto basso e un po' scarno.» La luce del portico di Burden era spenta. Anche la villetta era immersa nelle tenebre. Wexford scese dalla macchina e risalì il vialetto. Qualcosa di morbido e flessuoso uscì dall'oscurità e gli si strofinò contro la gamba. Fece un balzo indietro perché era stanco e la giornata era stata lunga e faticosa. Burden girò la chiave nella toppa della porta d'ingresso e Wexford lo seguì in casa, tenendo in braccio il gatto. «Bingley non avrebbe potuto indicare l'uomo che aveva ucciso Adela Knighton nella fotografia perché non c'era. Così indicò l'uomo che poteva assomigliargli maggiormente. Scelse il solo uomo del gruppo che fosse giovane, bruno, basso e smilzo.» Il lampadario centrale del soggiorno si accese, ma la lampadina dell'abat-jour brillò un attimo, fece un sibilo e poi si spense. La luce abbagliante al centro del soffitto accecò Wexford facendolo sussultare. Burden la spense. «Cambierò la lampadina. Devo solo ricordarmi dove le tiene Jenny. E allora che cosa? Scotch?» «Non dovrei» rispose Wexford comportandosi allo stesso modo di Milborough Ingram, sebbene lui pensasse più alla salute che al viso e alla linea. «Ma accetto.» Sedette al buio, alla debole luce che veniva dall'anticamera. La porta sul retro sbatté mentre Burden si dirigeva verso il garage. Il gatto incominciò a fare le inquietanti cose che fanno i gatti, guardando nel vuoto e seguendo con gli occhi qualcosa di invisibile per la stanza. Scivolò giù dalle ginocchia di Wexford e si sedette muovendo lentamente la coda, rivolto verso la soglia e la luce. Un'anziana donna cinese con i piedi fasciati e con addosso un paio di pantaloni neri e una giacchetta trapuntata, camminando con passettini affrettati, uscì dalla luce o da qualche luogo misterioso e si fermò sulla so-
glia. Il cuore di Wexford ebbe un sobbalzo. Gli sembrò che si fosse fermato e che poi si rimettesse in moto, con battiti sordi, un po' dolorosi. «Perché state seduto al buio?» chiese Jenny Burden. «Dov'è Mike?» Fece il possibile per ritrovare la sua voce normale. «È andato a cercare una lampadina.» Lei si diresse verso la cucina. I sandali dalle alte suole di legno che indossava le rallentavano il passo. Ritornò subito dopo con una lampadina. L'abat-jour si accese ed egli poté vedere la moglie di Burden, truccata da cinese ma non anziana, con una parrucca nera che le copriva i capelli biondi. Il gatto si strofinò contro di lei, passandole tra le caviglie. «L'anima buona di Sezuan, immagino.» «C'era la prova dei costumi. Era buio, così ho pensato di tornare a casa vestita così.» Baciò Burden che era entrato con i drink. «Se mi scusate, vado a cambiarmi.» «Mio Dio» esclamò Burden. «Non vorrei che pensaste di avere ancora le allucinazioni.» Wexford non rispose. Prese il suo whisky con mano ferma. «Cosi era Angus Norris quello che aveva visto Bingley?» chiese Burden. «Naturalmente. Entrato alla fattoria di Thatto Hall con la chiave della moglie, aveva tirato giù dal letto la suocera, l'aveva portata dabbasso e le aveva sparato. Era ritornato a casa lungo quel viottolo, e Bingley l'aveva scorto alle tre.» «Immagino che le avrà detto» commentò Burden «che sua moglie si era ammalata o che aveva le doglie o qualcos'altro del genere e che non erano riusciti a raggiungerla per telefono. Le ha sparato alla regione occipitale perché, da quel gentiluomo che è, lascia sempre il passo alle donne quando entrano in una stanza. E pensare che sua moglie sta per avere un bambino...» «Spero che questo la possa un po' consolare» disse Wexford tristemente. «Madre, padre, e ora questa faccenda. Norris era rimasto sconvolto dal suicidio di Knighton. Hai visto la sua faccia? Non se l'aspettava. Credo che pensasse di fargli un favore uccidendo Adela. Bada, non l'aveva premeditato, o comunque non era molto che ci pensava. Non è andato a Londra alla Warrington Weapons a comprare la pistola con questa idea. Ha comperato la pistola perché faceva collezione di armi. Poi, forse lo stesso primo ottobre, sua moglie gli aveva detto che il padre avrebbe trascorso la notte a Londra. «Jennifer dormiva profondamente perché aveva preso un sedativo. Non
si sarebbe accorta se lui si fosse assentato per un'ora. Penso che fosse disperato. La donna che aveva sposato si aspettava un tenore di vita simile a quello della madre, dei fratelli maggiori e delle loro mogli, ma lui non poteva raggiungere quel livello. Aveva solo quello che guadagnava come socio più giovane dello studio Symonds, O'Brien e Ames. Qui vado per intuizione, ma non può essere stato diversamente, doveva aver comperato quella casa stipulando un mutuo molto più alto di quanto potesse permettersi. Il costo della vita era salito e anche gli interessi del mutuo erano aumentati. Era evidente che la casa non era ancora adeguatamente ammobiliata. Oggi abbiamo esaminato i suoi affari tanto da capire che era pieno di debiti. E c'era in viaggio un bambino per il quale probabilmente Jennifer avrebbe preteso più di quanto lui poteva dare. «Era sconvolto dalle preoccupazioni economiche. Ha preso la pistola e si è diretto alla fattoria di Thatto Hall per uccidere la madre di Jennifer, convinto che avrebbero pensato che lei fosse scesa ad aprire a un estraneo che aveva suonato alla porta. Norris ha gli stessi difetti della famiglia di sua moglie: pensa di appartenere a un'élite al di sopra di ogni sospetto riguardo il crimine.» Burden spiegò: «Il suo studio legale era quello che curava gli interessi della signora Knighton. Avevano redatto loro il suo testamento. Lui dunque sapeva che la moglie avrebbe ereditato cinquantamila sterline. «Questo era solo uno dei moventi. Era una gratifica. Il vero movente era il fondo vacanze della signora Knighton. «Non abbiamo trovato un solo accenno a questo, neppure una parola che si riferisse a esso. «Credo che Norris fosse convinto che quello era il modo più sicuro. Forse era stato addirittura così audace da sognare che se fosse andato tutto perduto, avrebbe potuto negare che sua suocera gli avesse affidato una forte somma da investire. Ma questo avrebbe significato per lui e per sua moglie interrompere ogni rapporto con tutta la famiglia e perdere sicuramente quella futura eredità. Comunque non era un uomo coraggioso. Il coraggio l'ha avuto solo per ucciderla. «Immagino che abbia attinto a quel fondo per farne un uso personale e che abbia sperato fino all'ultimo di poter colmare il disavanzo con i propri mezzi o in altro modo prima che Adela gli chiedesse una grossa somma.» Wexford annuì. «Dopo tutto, lo scorso aprile lui aveva dovuto consegnarle quattromila sterline per il viaggio in Cina, una somma notevole per una vacanza.»
«Ma questo è accaduto più di sei mesi fa. Perché l'ha uccisa ora?» «Perché lei gli ha chiesto altri soldi. Voleva andare in India e in Nepal a febbraio. Quanto sarebbe venuto a costare? Almeno quanto il viaggio in Cina. Molto probabilmente non era rimasto molto di quel fondo. Con l'eredità di Jennifer avrebbe potuto pagare i debiti. Avrebbe potuto rimborsare ciò che aveva sottratto dal fondo e presentare il denaro intatto non appena Knighton o uno dei cognati avesse cominciato a fare qualche domanda.» «Non è strano che un uomo arrivi ad assassinare e di conseguenza finisca per farsi incarcerare per una quindicina d'anni, perdendo la moglie e il figlio, piuttosto che confessare coraggiosamente di aver perduto una somma di denaro?» Wexford si strinse nelle spalle. «Capita a tutti di essere codardi almeno una volta nella vita.» Alzò gli occhi e sorrise, mentre Jenny rientrava nella stanza vestita con i suoi abiti normali. FINE