HEATHER GRAHAM OMICIDIO A PASSO DI DANZA (Dead On The Dance Floor, 2004) 1 A South Beach c'era sempre qualcosa da vedere...
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HEATHER GRAHAM OMICIDIO A PASSO DI DANZA (Dead On The Dance Floor, 2004) 1 A South Beach c'era sempre qualcosa da vedere. Sfolgorante, animata, rilassante. Illuminata dal sole di giorno e dai neon la notte. I ricchi e i belli venivano per divertirsi, tutti gli altri soltanto per guardare. La spiaggia era piena di vita, di pettegolezzi, di traffico, di corpi seminudi molto attraenti, di corpi seminudi molto poco attraenti. Modelle, cantanti rock, sportivi, motociclisti, surfer a caccia di onde, il popolo di MTV. I vecchissimi. I giovanissimi. Ma quella notte c'era di più. Una gara di ballo internazionale. La più prestigiosa, nel salone di uno degli alberghi più eleganti dell'esclusiva striscia di sabbia chiamata Miami Beach. E quindi c'era Lara Trudeau. Lara volteggiava, roteava, fluttuava nell'aria, un tripudio di trasparenze e di armonia. Era la bellezza in movimento. Danzava con una grazia e una perfezione che in pochi potevano tentare di emulare. Dava prova di eleganza e stile in ogni ballo, il suo volto s'illuminava alle prime note, il sorriso era sempre accattivante. Alcuni giudici avevano dichiarato che era difficile seguire il movimento dei suoi piedi e ancora più difficile guardare le altre coppie sulla pista, perché il suo era un sorriso che rapiva al punto da far dimenticare il dovere. Molti avevano ammesso di non aver seguito gli altri concorrenti con la dovuta attenzione; Lara era così bella e spettacolare, e così brava, che era impossibile distogliere gli occhi da lei. Quella sera non faceva eccezione. Lara era più sensuale e affascinante che mai. Guardarla era come essere stuzzicati, accarezzati, sollecitati, coccolati, eccitati. Era da sola sulla pista con il suo partner, Jim Burke. Come previsto dall'organizzazione, ogni coppia finalista doveva esibirsi da sola. E lei era lì, il corpo perfetto, sinuoso, fasciato nel costume sgargiante che ne disegnava le forme. Jim, bravo quanto lei, era poco più di un accessorio. Chi la amava la guardava in adorazione, chi la disprezzava la guardava con invidia.
Shannon Mackay, direttrice della Moonlight Sonata, la scuola dove Lara aveva cominciato la sua carriera molti anni prima e dove ora lavorava come allenatrice, la osservava con un misto di emozioni, scettica e divertita, indecisa lei stessa se provare per Lara amore od odio. Ma era impossibile negare il suo talento. Anche fra le spettacolari esibizioni dei migliori ballerini professionisti a livello mondiale, Lara brillava. «È semplicemente straordinaria» disse Shannon ad alta voce. Ben Trudeau, ex marito di Lara, che le era seduto a fianco, sbuffò. «Già, proprio straordinaria.» «Non essere acido, Ben» intervenne con un sorriso Jane Ulrich, che era riuscita ad arrivare in finale solo per essere eliminata, come al solito, da Lara. «È così brava, sembra un angelo.» Il complimento di Jane fece sorridere Shannon. Anche Jane era uno splendore quella sera; il corpo tonico e snello, fasciato in un vestito di un intenso color porpora, ricordava il guizzo di una fiammata. «Io preferisco ballare con te» disse Sam Riley, il partner di Jane, sottovoce. «Tu, amore mio, balli davvero con qualcuno. Lara usa i suoi partner solo come sgabelli.» «Ma è fantastica» obiettò Gordon Henson, proprietario della scuola di ballo. Era lui che aveva insegnato a Lara i primi passi di danza e il suo orgoglio era più che giustificato. «Siamo sinceri» aggiunse Justin Garcia, specialista di salsa, «è una puttana ambiziosa e meschina, pronta a calpestare il cadavere del suo migliore amico pur di arrivare in alto.» Accanto a lui Rhianna Markam, che partecipava alla gara, scoppiò a ridere. «Dai, Justin, prova a dire quello che senti davvero.» Shannon si accostò a Rhianna e sussurrò: «Stai attenta, siamo circondati dagli studenti». L'albergo era vicino alla scuola. La Moonlight Sonata era in una posizione invidiabile e invidiata, in una zona frequentata e vivace, sopra un club diventato molto di moda negli ultimi anni, da quando era stato rilevato da un giovane imprenditore latino americano, Gabriel Lopez. Anche Gabriel era lì quella sera per fare il tifo per i suoi amici. E c'erano anche gli studenti, che ammiravano affascinati le esibizioni dei ballerini più bravi del mondo. «È semplicemente stupenda» disse Rhianna, a voce abbastanza alta da essere sentita da tutti. Fece una smorfia di intesa a Shannon e abbassò la
testa. Shannon non poté fare a meno di ridere. Poi Gordon le sussurrò: «Dovresti esserci tu lassù. Tu sì che saresti stupenda». Lei scosse la testa. «A me piace insegnare, non partecipare alle gare.» «Paura?» Shannon sorrise. «Riconosco i fuoriclasse.» «Lo sei anche tu» disse Gordon e le strinse la mano. Sulla pista, Lara eseguì una perfetta elevazione e scese a spirale lungo il corpo del compagno, in sintonia con la musica. Qualcuno diede un colpetto sulla spalla di Shannon, ma lei dapprima non ci fece caso. Tra tutta quella gente, studenti, insegnanti, dilettanti, professionisti, giornalisti e semplici spettatori, una spinta passava inosservata. Tutti cercavano di farsi spazio per vedere meglio lo spettacolo. Ancora quel colpetto. Preoccupata, Shannon si voltò un poco. I lati della pedana erano in ombra, ai margini della luce dei fari puntati sulla pista. Shannon non riuscì a vedere in viso la persona che voleva attirare la sua attenzione, ma quello dietro di lei le sembrò un cameriere, per via della giacca. Buffo, pensò. Camerieri, giudici e ballerini erano vestiti quasi allo stesso modo, quella sera. «Sì?» chiese perplessa. «Sarai la prossima» annunciò una voce maschile. «La prossima?» domandò. Ma l'uomo, il cui viso non era riuscita a distinguere, era già sparito. Doveva essersi sbagliato. Lei non partecipava alla gara. Shannon tornò a osservare la pista e si dimenticò dell'uomo che le aveva parlato, senza preoccuparsene. Chiunque venisse dopo di certo sapeva di essere il prossimo e si stava già preparando, con i nervi a fior di pelle. Non era mai facile ballare dopo Lara. «Eccellente» fu costretto ad ammettere Ben. «Esecuzione impeccabile di ogni singolo passo.» Dal pubblico si levò un mormorio di stupore collettivo. Poi, all'improvviso, Lara Trudeau si fermò e restò immobile, in posa plastica. Le mani eleganti e affusolate volarono al seno sinistro. Per un attimo il tempo si fermò, mentre la musica, un dolce valzer viennese, continuava armoniosa come un alito di brezza. Poi, sempre con grazia, Lara si afflosciò. La sua caduta fu elegante come un passo di danza, come volesse fondersi con la pista da ballo, una discesa lenta, sinuosa.
Finché anche la testa non fu a terra e lì rimase, immobile. «Non fa parte della coreografia» bisbigliò Gordon a Shannon. «No» confermò lei preoccupata. «Pensi che l'abbia aggiunto all'ultimo per ottenere un effetto drammatico?» «Se è così, lo sta facendo durare troppo a lungo» rispose Gordon, senza distogliere gli occhi dalla pista. All'inizio il pubblico rimase in silenzio, in attesa. Poi, mentre Jim Burke era immobile accanto alla sua compagna distesa a terra, il salone si riempì di un fragoroso e interminabile applauso. A poco a poco però l'applauso scemò, si ridusse a qualche battimani isolato e cessò del tutto. Chi conosceva la danza e Lara si era reso conto di non aver assistito a un finale a effetto. Qualcosa non andava. Shannon fece per raggiungere la pista, ma Gordon la trattenne. «C'è qualcosa che non va» borbottò lui. «Credo che ci sia bisogno di un medico.» Non era il solo a pensarlo. La prima persona che si lanciò sulla pista fu il dottor Richard Long, un giovane e attraente chirurgo che frequentava la scuola di ballo. Cadde in ginocchio di fianco a Lara e le tastò il polso. Sollevò la testa, per una frazione di secondo si guardò intorno inebetito e poi urlò: «Chiamate un'ambulanza!.». Quindi si chinò su di lei e cominciò a tentare di rianimarla. Per un attimo la sala si congelò, come se le centinaia di persone fossero paralizzate dallo shock. Subito dopo, tutti si buttarono sui cellulari. Sussurri e bisbigli si levarono attorno alla pista, poi fu di nuovo silenzio. Richard continuava nei suoi sforzi disperati. «Ma cosa diavolo le è successo?» esclamò Gordon angosciato, indeciso se avvicinarsi o no. «Droga?» suggerì Ben. «Lara? Impossibile» sbottò Jane. «No, non può essere» mormorò Shannon. «Oh, certo che no» sibilò Ben. «Droga a South Beach? A Miami, Florida, a un passo dall'America del Sud? Assolutamente impossibile.» «Impossibile per Lara Trudeau» scattò Shannon. «Ci sono vari tipi di droga» osservò Justin. «Ogni tanto prendeva lo Xanax per calmare i nervi» ammise Gordon con tristezza. «Alcolici?» suggerì Justin preoccupato. «Durante una gara?» protestò Rhianna, poi scosse la testa.
«Dice sempre che il suo corpo è un tempio» intervenne serio Sam. «Ma che a volte anche i templi hanno bisogno di ricevere un'offerta» aggiunse. «Deve aver preso qualcosa, basta guardarla.» «Spero che non sia niente di grave. Deve riprendersi» disse Shannon. Di nuovo fece per salire sulla pista. Gordon le posò una mano sulla spalla e la fermò. Shannon lo fissò senza capire. «È troppo tardi» mormorò Gordon. «Cosa?» chiese incredula Shannon. In quel preciso momento, Richard Long si alzò in piedi. «Liberate la pista, prego. È troppo tardi, temo» disse con voce controllata. «Troppo tardi?» urlò qualcuno. «Se ne è andata» rispose Richard impacciato. «È morta?» chiese qualcuno fra il pubblico. Richard sospirò. «Temo proprio di sì.» Si udirono avvicinarsi le sirene di un'ambulanza e pochi secondi dopo la folla aprì un varco per lasciar passare l'équipe medica. Ma era tutto finito. Nessuno fra il pubblico si decideva a lasciare il salone. Shannon fissava gli uomini con il camice, paralizzata e incredula, come tutti gli altri. Mentre guardava, uno strano sussurro le tornò in mente. Sarai la prossima. Si diede della stupida. Qualcuno l'aveva scambiata per la concorrente che doveva scendere in pista, niente di più. Lara era soltanto caduta, tutto sarebbe finito bene. La rianimazione avrebbe funzionato. Lara avrebbe ripreso a respirare e si sarebbe rialzata e tutti avrebbero detto che era pronta a qualunque cosa pur di diventare l'evento sensazionale della serata. Voleva essere ricordata, essere immortale. Ma nessuno vive per sempre. Finalmente la folla si allontanò allibita dalla pista. Lara Trudeau. Morta. Sembrava impossibile. Era morta come era vissuta. Stupenda, elegante, leggiadra, anche nel suo ultimo passo di danza. 2 «Hai visite, Quinn.» Quinn O'Casey alzò lo sguardo e fu sorpreso di vedere Amber Larking in cima alla scaletta. Dopo essere rimasto sott'acqua per tre quarti d'ora, a
pulire lo scafo della Twisted Time, la barca in cui viveva, Quinn stava per risalire a bordo, in tenuta da sub. Per quanto ne sapeva, Amber avrebbe dovuto essere in ufficio, a Key Largo, a lavorare. Era lui a essere in ferie. Non lei. Sollevò un sopracciglio con espressione interrogativa e le lanciò un'occhiata che non cercava neanche di mascherare l'irritazione. Aveva espressamente chiesto di essere lasciato in pace e non riusciva a immaginare perché lei fosse lì. Amber si spostò per lasciarlo salire a bordo. Mentre si liberava delle pinne e della maschera, Quinn capì perché era venuta. Suo fratello era proprio dietro di lei. «Ciao Doug.» «Potevi anche avvisarmi che saresti venuto qui. Mi sarei risparmiato di andare fino a Key Largo e obbligare Amber ad accompagnarmi da te.» Quinn pensò che forse avrebbe dovuto informare il fratello che aveva deciso di prendersi un periodo di vacanza, ma non voleva che si preoccupasse. Doug aveva terminato l'accademia di polizia solo da un anno ed era un poliziotto entusiasta e ambizioso, un fratello minore di cui andare fieri. Era Quinn il ribelle e l'irrequieto della famiglia e per questo era tornato in Florida, anche se il lavoro si era rivelato più impegnativo e coinvolgente del previsto. Quinn scosse la testa. Era contento di essere tornato a casa. Poteva essere un posto fantastico in cui vivere. Ma poteva anche essere il posto che ti sbatteva in faccia quanto gli esseri umani sappiano essere crudeli con i loro simili. Adesso aveva bisogno di staccare. Non che si sentisse a terra o che fosse a un passo dall'esaurimento nervoso. No, ormai aveva imparato che non poteva sconfiggere la malvagità del mondo o di un singolo uomo. Ma chi avrebbe potuto prevedere ciò che era successo a Nell Durken? Sapere che l'assassino era in prigione in attesa dell'ergastolo o della pena di morte non bastava a calmare la sua rabbia. Qualunque fosse la sentenza per Art Durken, Nell non c'era più. E, in un certo senso, Quinn si riteneva responsabile della sua morte, si chiedeva come sarebbero andate le cose se avesse insistito perché lei lasciasse subito quell'uomo. Era stato assunto solo per un normale pedinamento, nessuno avrebbe potuto prevedere le conseguenze. In seguito le aveva suggerito di separarsi dal marito e sembrava che lei fosse pronta a farlo, dopo le prove che le aveva procurato.
Ma non l'aveva fatto abbastanza in fretta. Art non era un violento. Tradiva la moglie, trascorreva molto tempo lontano da casa e quando tornava la obbligava a soddisfare i suoi desideri sessuali, ma chi poteva immaginare che all'improvviso si sarebbe trasformato in un assassino? Lui. Lui avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto intuire che Nell era in pericolo. Ora Quinn si sentiva come la sua barca, una vacanza lo avrebbe aiutato a raschiare via lo stupore e l'amarezza che gli si erano appiccicati addosso come le conchiglie sullo scafo. Doveva staccare. Dal lavoro, dalla famiglia, dagli amici. Soprattutto dalla famiglia. Doug non meritava il suo malumore e i suoi atteggiamenti scorbutici. E poi non aveva nessuna voglia di passare del tempo con il fratello. Doug poteva essere un tormento, un fuoco di fila di indagini e interrogativi. Come un medico che diagnostica una malattia per ogni tic del corpo, così Doug era pronto a scovare il male in ogni gesto insolito delle persone attorno a lui. Era destinato a non avere vita facile nella contea di Miami Dade, dove i comportamenti a dir poco insoliti erano all'ordine del giorno. Quinn non sapeva essere arrabbiato o preoccupato. Doug non era il tipo da dargli la caccia solo per rivolgergli qualche domanda. «La mamma?» chiese Quinn preoccupato. «Il suo cuore batte come un orologio svizzero» si affrettò a rassicurarlo Doug. «Anche se mi ha lasciato capire che non ti sei fatto vedere molto negli ultimi tempi. Sai quanto è felice se vai a cena da lei. Dovresti chiamarla.» «Le ho lasciato un messaggio, le ho detto che stavo bene ma che ero molto impegnato.» «Sì, ma la mamma è una donna intelligente. E legge i giornali.» «È per questo che sei venuto fin qui?» chiese Quinn accigliato. «Ho un caso da proporti» disse Doug. Si avvicinò al fratello per aiutarlo con le bombole. «L'ultima cosa di cui ho bisogno è che tu mi procuri del lavoro. L'agenzia va bene, forse anche troppo. E poi sono in ferie.» «Lo so, me lo ha detto Amber. Per questo ho pensato che fosse il momento giusto per chiederti di fare qualche indagine. A livello privato. Su una cosa che mi preoccupa.» Quinn continuò a trafficare e borbottò: «Fantastico. Devo lavorare e an-
che gratis». Guardò Amber. «Ma è tuo fratello» reagì lei, sulla difensiva. «Adesso che ti abbiamo trovato, vi lascio parlare da soli. Vado da Nick a farmi un hamburger.» Scrollò i lunghi capelli biondi e scese dalla barca. Doug abbozzò un sorriso contrito. «Ti lavo l'attrezzatura» disse, per farsi perdonare. «Ottima idea, io intanto vado in cabina.» Quinn scese i due gradini verso la prua della Twisted Time, si spogliò e rimase sotto il getto di acqua fresca per qualche secondo, poi uscì con un asciugamano attorno ai fianchi e indossò un paio di calzoncini puliti. A piedi nudi e ancora bagnato, prese una birra dal frigorifero e si sedette sul divano. In attesa e nervoso. Doug lo raggiunse, prese anche lui una birra poi si accomodò di fronte a Quinn. «Allora? Devo lavorare gratis?» chiese Quinn accigliato. «Sì, e credo che non ti piacerà.» «Cosa può piacermi meno di lavorare gratis?» «Voglio che tu prenda lezioni di ballo.» Quinn fissò il fratello minore. «Sei fuori di testa» sbottò alla fine. «No. E fra poco capirai il perché.» «Impossibile.» «Invece sì, è morto qualcuno.» «Hai idea di quante persone muoiano al giorno, Doug? Sei un poliziotto. Se si tratta di una morte sospetta, faranno delle indagini. E se è stata naturale o accidentale, sicuramente conosci qualcuno al distretto con cui puoi parlarne.» Quinn scosse la testa. Guardare suo fratello era come rivedere se stesso da giovane. Tra loro c'erano otto anni di differenza. Erano entrambi alti, ma Doug era ancora magro e ossuto come un ventenne, mentre Quinn aveva messo su qualche chilo. Quinn era scuro di capelli e Doug biondo, ma avevano ereditato gli stessi occhi azzurri e i lineamenti marcati del padre. A volte, quasi senza accorgersene, facevano gli stessi movimenti con le mani per esempio. Quando qualcosa li appassionava, gesticolavano come se le parole non fossero sufficienti. Ancora innervosito da quella irruzione, Quinn osservò il fratello. Doug lo guardava con la sua solita espressione adorante e disponibile, con quella fiducia incrollabile che non era venuta meno neppure quando Quinn aveva passato momenti terribili.
«Ci ho provato, ma non sono riuscito a coinvolgere nessuno del dipartimento» ammise Doug. «Ci sono stati troppi crimini nella contea negli ultimi tempi. Sono sulle tracce di uno stupratore che a ogni nuova vittima diventa sempre più violento e ormai non tengono più neanche il conto dei guardiani uccisi durante un furto. Credimi, la omicidi ha troppo lavoro. Non hanno tempo per una morte che sembra accidentale. Al momento non c'è nessuno libero.» «Nessuno?» Doug fece una smorfia. «Va bene, alcune circostanze non sono chiare e c'è un tizio che indaga. Ma è un cretino. Davvero, Quinn.» «Chi è?» «Pete Dixon.» «Il vecchio Pete non è poi così male.» «Certo, se trova un delinquente con la pistola calda ancora in mano, di solito riesce ad arrestarlo.» «Parole grosse, dette da una recluta» borbottò Quinn. «Senti, Dixon non è un'aquila. E indaga su una morte che il medico legale ha definito accidentale. Non è certo il tipo che si impegna a fondo. Farà qualche ricerca d'ufficio comodamente seduto alla scrivania. Non gliene importa niente.» «E dovrebbe importare a me? Al punto da prendere lezioni di ballo? Te l'ho già detto, secondo me ti sei bevuto il cervello» rispose Quinn calmo. Doug sorrise e prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. Estrasse un ritaglio di giornale accuratamente piegato. Doug era così. Era una delle persone più precise che Quinn avesse mai incontrato. L'articolo non era stato strappato, ma ritagliato meticolosamente e piegato per bene. «Che cos'è?» chiese Quinn, mentre prendeva il pezzo di carta. «Leggi.» Quinn lo aprì e lesse il titolo. «Lara Trudeau, la diva, muore a trentotto anni sulla pista da ballo.» Guardò il fratello. «Continua a leggere.» Quinn scorse l'articolo. Non aveva mai sentito nominare Lara Trudeau, ma non significava molto. Non conosceva il nome di un ballerino o di una sala da ballo in tutto lo Stato. Faceva immersioni in apnea fino a centoventi metri, sollevava pesi e se la cavava bene anche come rocciatore. Ma in una sala da ballo l'unica cosa che poteva fare era stare seduto al bar. Continuò a leggere. Lara Trudeau, trentotto anni, ballerina professionista, vincitrice di innumerevoli gare di ballo, era morta come era vissuta: su
una pista da ballo. Arresto cardiaco, probabilmente causato da un cocktail di tranquillanti e alcolici. Le persone più vicine alla ballerina erano incredule. Mai avrebbero pensato che, nonostante i suoi successi, avesse bisogno di ricorrere ai tranquillanti. Quinn guardò il fratello e scosse la testa. «Non capisco. Una bella donna invecchia, diventa nervosa e prende troppe pasticche. Tragico. Ma niente di così insolito.» «Devi leggere fra le righe» disse Doug scoraggiato. Quinn cercò di non ridere. «A quanto sembra, anche al distretto non c'è nessuno che riesca a "leggere fra le righe", giusto?» Doug sbatté la mano sull'articolo. «Quinn, una donna come Lara Trudeau non avrebbe mai preso pillole. Era una perfezionista. E una vincente. Avrebbe vinto la gara. Non aveva motivo di essere nervosa.» «Sei tu che non sai leggere, Doug. Si parla di qualcosa che nessuno riesce a vincere, l'invecchiamento. Leggi qui. Lara Trudeau, trentotto anni. Inseguita da orde di emergenti di vent'anni. Aveva più di un motivo per essere nervosa.» «Quindi secondo te chi passa i trentotto è da buttare via?» «Se sei un attaccante, sei a un passo dalla pensione.» «Lei non era un attaccante.» Quinn si lasciò sfuggire un sospiro irritato. «Non cambia niente. Negli sport come nel ballo. La gente quando invecchia perde colpi.» «Alcuni migliorano con il passare degli anni. Lei continuava a vincere. E nelle gare di ballo non ci sono limiti di età.» «Fantastico. Sono contento per i ballerini. Solo che non capisco perché sei venuto a cercarmi. Si tratta di morte accidentale, lo dice l'articolo e lo dici anche tu. È scritto qui. È morta in pubblico e su una pista da ballo. Avranno eseguito un'autopsia, immagino, e i risultati non avranno lasciato dubbi.» «Esatto. Hanno scoperto la causa fisica della morte. Arresto cardiaco dovuto a pillole e alcolici. Ma perché li ha ingeriti in quantità eccessiva? Questo il rapporto del medico legale non lo dice.» Quinn prese il quotidiano con un grugnito e sfogliò le pagine della cronaca locale. «Madre e due figli trovati morti in un appartamento di Miami, uccisi da arma da fuoco. Cadavere nel bagagliaio di un'auto nel parcheggio di un centro commerciale.» Alzò gli occhi sul fratello. «Vuoi che continui? In una grande città la violenza è ordinaria amministrazione. Hai fatto l'accademia. Là fuori succedono cose brutte. Lo sai tu e lo so anch'io. La
squadra omicidi ha una serie infinita di crimini su cui indagare. Ma qui abbiamo solo una ballerina drogata che è morta e tu vuoi farne un caso. Presto diventerai un detective. Abbi un po' di pazienza.» «Quinn, è davvero importante per me.» «Perché?» «Perché ho paura che moriranno altre persone.» Quinn s'incupì e fissò il fratello più giovane. Si chiese se non stesse esagerando, ma Doug era serio e calmo. Quinn alzò le mani, esasperato. «È solo una sensazione o hai dei fatti? Qualcuno ha ricevuto minacce? Se è così, sei un poliziotto e conosci quelli della omicidi, Dixon incluso. E non è poi così male. Conosce la legge e sa come muoversi fra le scartoffie.» «Ma tu sei più bravo.» «Lo ero» lo corresse Quinn. «Sono stato via a lungo, prima di riprendere il lavoro con Dane giù alle Keys. Comunque, considera i fatti, Doug. È stata eseguita l'autopsia e il medico legale ha stabilito che si è trattato di morte accidentale. La polizia la pensa allo stesso modo, se si limita alle indagini di prassi. Allora? Hai sentito qualcuno che la minacciava prima che morisse? Hai qualche motivo particolare per sospettare che si tratti di omicidio? E se sì, sai se c'è qualcuno che poteva volere la sua morte?» Doug si strinse nelle spalle, mentre meditava la risposta. «Molte persone, a dire il vero.» «E cosa te lo fa pensare?» «Se voleva, poteva essere una gran puttana.» «Lo sai per certo?» «Sì.» «E come?» Ancora una volta Doug esitò, poi girò la testa e guardò di sbieco il fratello. «Andavo a letto con lei.» Quinn emise un grugnito, posò la birra sul tavolo e si prese la testa fra le mani. «Andavi a letto con una donna che era più grande di te di oltre dieci anni?» «Cosa c'è di sbagliato?» «Non ho detto questo.» «Sì invece.» «Hai ragione, solo che mi è sembrato strano, nient'altro.» «Era una donna unica.» «Se lo dici tu, Doug, sono sicuro che lo era.» Fece una pausa. «Eri coin-
volto emotivamente o si trattava solo di sesso?» «Non posso dire di aver mai pensato di voler passare la vita con lei o cose del genere. E sono sicuro che neppure lei la vedeva così. Ma tenevo a lei. Molto.» «Quindi vuoi che faccia qualche indagine solo perché sei coinvolto emotivamente?» chiese serio Quinn. Doug scosse la testa. «Non eravamo una coppia. Questo è sicuro. E non ero l'unico ad avere una relazione con lei. Giocava su più tavoli. Si considerava uno spirito libero.» Scrollò le spalle, senza guardare Quinn. «Come se fosse un dono per il mondo e per gli uomini, si concedeva quando si sentiva sicura o quando le andava, credo. Comunque sia, io non ero l'unico.» «Fantastico. Sai chi erano gli altri?» «Poteva essere chiunque nel giro della scuola.» «In quanti erano a conoscenza della vostra relazione?» «Non lo so» ammise Doug. «Piuttosto vago, direi.» «Sarebbe tutto più chiaro se tu accettassi di scoprire cosa è successo.» Quinn guardò pensieroso il fratello. Era evidente che fosse coinvolto. E questo poteva spiegare perché si rifiutasse di credere che le cose fossero andate come sembrava. «Credo che faresti meglio a tenerti alla larga dai detective della omicidi. Se sospettano che sia stata uccisa, tu saresti il primo della lista.» «Ma io non l'ho uccisa. Sono un poliziotto. E anche se non lo fossi, non ucciderei mai nessuno, Quinn, lo sai.» «Avevi una relazione con quella donna. Se riesci a convincerli che si tratta di omicidio potresti finire sotto inchiesta. Lo capisci, vero?» «Certo. Ma io sono innocente.» Quinn tornò a guardare il ritaglio. «È morta per overdose di Xanax, farmaco che le era stato prescritto. L'alcol può aver potenziato l'effetto fino all'arresto cardiaco.» «Lo so» borbottò Doug. «Non fanno altro che ripetere che era fragile di nervi e ossessionata dal desiderio di fama.» «Doug, mi dispiace dirlo, ma ho visto molte persone fare le cose più stupide. Qui tutto fa pensare che abbia preso le pillole e poi abbia bevuto.» «No.» Doug scosse la testa. «La ricetta era a suo nome. Il dottore è stato interrogato. Ha dichiarato che negli ultimi anni la ballerina lo assumeva sempre prima di una gara. È
scritto nell'articolo.» «È vero» ammise Doug tranquillo. «Se è così, non riesco ancora a capire che cosa vuoi da me.» «C'è sotto qualcosa. Ne sono sicuro. Chiamalo istinto, sensazione, come ti pare.» Quinn conosceva Doug. Poteva essere irremovibile come una quercia. Anche per questo lato del suo carattere aveva terminato l'accademia con onore. Sarebbe diventato un ottimo detective, un giorno. «Ti pagherò» disse Doug. «Non ti puoi permettere le mie tariffe» rispose Quinn secco. «Due settimane, non chiedo di più» sbottò Doug. «Maledizione, Quinn, ho bisogno di te! Almeno vieni alla scuola e verifica con i tuoi occhi che la gente si comporta in modo strano. Non sono il solo a essere convinto che si tratti di omicidio.» «Te l'hanno detto loro?» «Non in modo così esplicito. Tutti quelli che la conoscevano sapevano che prendeva pillole e beveva, di tanto in tanto. Lo faceva per mantenere il titolo in tutte le specialità, liscio, ballo da sala, danze caraibiche e latino americano.» «Per me è come se parlassi arabo» borbottò Quinn nervoso. «La mazurka, la polka e il valzer viennese sono balli lisci; i balli da sala sono il valzer lento, il tango e il fox-trot. Poi ci sono le danze caraibiche, salsa, mambo, merengue, e quelle latino americane, come la samba, il chacha-cha e la rumba.» «Va bene, va bene, non importa. Mi sono fatto un'idea.» «Allora?» «Doug...» «Erano in molti a odiarla, Quinn. Se insisto a fare domande, potrei ficcarmi nei guai. E se indagano su di me, posso dire addio alla mia carriera. Non ti chiedo molto. Solo di prendere qualche lezione. Non ne morirai.» Non ne morirai. Un brivido strano percorse la schiena di Quinn. Si chiese se in seguito non avrebbe ricordato quelle parole. «Nessuno crederà che voglia davvero imparare a ballare. Non ballerei neppure se ne andasse della mia vita.» «Perché credi che gli uomini frequentino le scuole di ballo?» chiese Doug. «Per rimorchiare nei locali della spiaggia.» «Lo vedi? È un vantaggio in più. Cosa vuoi fare? Restare nascosto tutta
la vita come un eremita?» «Non ho mai fatto l'eremita.» Suo fratello si limitò a guardarlo. Quinn si appoggiò allo schienale. «Aspetta un attimo. È così che è cominciato tutto? Hai preso lezioni di ballo?» Non poteva essere più sorpreso, neppure se Doug gli avesse detto che si era messo a lavorare a maglia. Doug era arrivato a un passo dal diventare atleta professionista. Era ancora un ottimo giocatore di golf e una volta alla settimana allenava una piccola squadra di calcio. «Sì, prendevo lezioni di ballo» ammise Doug. «Capisco.» Quinn fece una pausa. «No, invece non capisco. Perché hai deciso di imparare a ballare?» Doug sorrise imbarazzato. «Randy Torres si sposa e mi ha chiesto di fargli da testimone. Lui e la sua fidanzata, Sheila, hanno cominciato a prendere lezioni di ballo e mi sono detto, perché no? Seguo qualche lezione con lui così al matrimonio non farò figuracce. Quella scuola pullula di donne bellissime ed è a South Beach, sopra un club alla moda, dove si balla la salsa. Qualche sera gli allievi vanno lì a esercitarsi. Insomma, mi sembrava divertente. È così che ho cominciato.» «E sei finito a letto con una campionessa più vecchia di te?» «Lara non era proprio un'insegnante, le davano un sacco di soldi per venire ogni tanto e ballare con noi. Le regole degli insegnanti per lei non valevano.» «E quali sarebbero queste regole?» «Gli insegnanti non devono fraternizzare con gli allievi. In realtà è una regola inutile, perché quasi tutti si ritrovano al locale. Alla Moonlight Sonata vanno molte coppie ma c'è anche gente sola. Per loro il club è l'ideale, vai lì, bevi qualcosa, balli con l'insegnante. Funziona. E poi è a South Beach, con un pizzico di fortuna incontri anche qualche divo del cinema.» «E alcol e droga, immagino. Come si chiama il locale?» «Suede.» Quinn sollevò un sopracciglio. «L'ho già sentito, anche se non vado mai a South Beach. Odio quel posto.» L'aggettivo migliore che Quinn poteva trovare per South Beach era "artificiale". Nessuno faceva mai niente, si limitavano a essere visti e a cercare di finire su qualche giornale perché erano riusciti a trovarsi nel locale giusto nel momento in cui arrivava Madonna. La massima dimostrazione del loro valore era non dover fare la fila per entrare in un club. L'unica cosa
buona nei paraggi era Lincoln Road, dove davano ancora qualche film straniero e di qualità, i ristoranti avevano prezzi ragionevoli e si poteva portare a passeggio il cane senza pericolo. «La zona della spiaggia non è poi così male. D'accordo, non è tranquilla come le tue Keys, ma non è terribile. Quanto al Suede, è finito sotto inchiesta poco tempo fa. Una giovane prostituta è stata trovata morta sul marciapiede, a un isolato di distanza. Overdose di eroina. La narcotici ha perquisito il locale, ma non ha trovato niente. Certo, non si può escludere che avesse preso la droga da qualcuno del bar. Lo sai anche tu, gli spacciatori non sempre sono dei poveracci. E sulla costa ci sono i soldi. Il Suede è frequentato dai ricconi. Ma i proprietari e il club ne sono usciti puliti. Stanno attenti a non violare le leggi sugli alcolici. Pochi mesi fa il locale è finito sui giornali perché un barista ha sbattuto fuori un cantante rock e gli ha detto che non gli avrebbe più servito da bere. Comunque, studenti e insegnanti si ritrovano lì dopo le lezioni e ballano insieme, magari bevono un paio di drink. Ma resta il fatto che non si dovrebbero frequentare.» «Perché?» Doug sospirò come se suo fratello fosse diventato vecchio e stupido. «Favoritismi. I corsi sono costosi. A qualcuno potrebbe dare fastidio vedere il suo insegnante con un altro allievo fuori dalla scuola, potrebbe pensare di non essere seguito bene come gli altri. In ogni caso, la regola viene infranta di continuo. Devi andare a dare un'occhiata, Quinn. Che male può farti seguire un paio di lezioni e fare qualche domanda in giro?» Quinn si strinse nelle spalle. «Doug, mi piacerebbe fare paracadutismo acrobatico o parlare meglio lo spagnolo e ho sempre desiderato fare un safari in Africa. Ma mai, in tutta la vita, ho pensato di prendere lezioni di ballo.» «Potrebbe anche sorprenderti» disse Doug. «Ti prego, Quinn.» Lui abbassò lo sguardo. Aveva progettato di andarsene alle Bahamas, dopo aver pulito la barca. Due settimane solo con i pesci, il mare, il sole e la sabbia. Magari avrebbe ascoltato un po' di musica. Ma di certo non avrebbe ballato. Per Doug però era importante. E forse c'era davvero sotto qualcosa. Doug non sarebbe mai venuto fin lì se non ne fosse stato convinto. In quel caso, era meglio che lo scoprisse lui prima della polizia, altrimenti suo fratello sarebbe stato in cima alla lista dei sospetti. Guardò Doug pronto a dirgli che era d'accordo e che non sarebbe morto solo per aver controllato il posto e aver fatto qualche domanda in giro. Poi
esitò. «Ho bisogno di staccare» disse con sincerità. «Non so neppure se sia giusto che tu mi affidi un caso che per te è così importante.» Doug scosse la testa con rabbia. «Sai fare di meglio che addossarti la colpa di quello che è successo. Hai fatto tutto ciò che potevi. A volte l'esperienza e la legge funzionano, a volte no. Ho sempre fiducia in te, anche se tu l'hai persa.» «Non ho perso la fiducia in me stesso» borbottò Quinn. «Mi fa piacere» rispose Doug, «perché c'è ancora qualcosa che non ti ho detto e che potrebbe convincerti a interessarti al caso.» Quinn lo guardò con espressione interrogativa. «La tua ragazza frequentava la Moonlight Sonata. C'è andata fino a novembre.» «La mia ragazza? Chi?» chiese Quinn senza capire. «Nell Durken. Sono riuscito a sbirciare gli archivi e il nome di Nell Durken è segnato nei registri.» Quinn non sapeva che Nell prendesse lezioni di ballo. A dire il vero, non sapeva molto di lei. Lo aveva assunto solo per scoprire cosa combinava il marito. Lui l'aveva scoperto. E quel bastardo l'aveva uccisa. «Nell era nel corso avanzato» continuò Doug, «poi, lo scorso novembre, ha smesso di colpo. Immagino che non te ne abbia mai parlato. Strano, però. I registri dicono che ci andava molto spesso, e poi via, sparita. Dà da pensare, no?» «Va bene» mormorò Quinn, in tono inespressivo. «Andrò a controllare. Prenderò quelle maledette lezioni di ballo.» 3 «Come va?» Ella Rodriguez bussò alla porta socchiusa dell'ufficio di Shannon, poi entrò e si sedette sull'angolo della scrivania. Shannon si appoggiò allo schienale della sedia e guardò la segretaria. «Non lo so. Tu come credi che vada? Secondo me dovevamo restare chiusi per tutta la settimana» disse Shannon. «Abbiamo chiuso tre giorni» le ricordò Ella. «È quello che si fa di solito quando muore qualche parente stretto.» «Ella, le pareti sono tappezzate dalle sue foto.» «Lo so. E so che gli insegnanti e gli studenti più impegnati sentiranno la
sua mancanza, nel bene e nel male, per molto tempo. Ma ci sono anche studenti meno bravi, che non saliranno mai sulla pista di una gara e che vogliono solo non pestare i piedi al compagno il giorno del loro matrimonio. Loro hanno bisogno che le lezioni continuino, Shannon.» Ella si considerava la meno dotata fra i dipendenti della scuola, ma con i capelli corti color platino, gli occhi neri, il viso da monella e un sorriso cordiale e affascinante, conquistava molti studenti. Ora però l'espressione di Ella non aveva niente di cordiale o di affascinante. «Shannon, so che non bisognerebbe parlare male dei morti. Ma a dire la verità, a me Lara non piaceva. E non sono l'unica. Alcuni arrivano a pensare che il fatto che sia morta sulla pista da ballo sia stato un atto di giustizia.» «Ella!» «So che sembra terribile e mi dispiace molto per lei. Non avrei voluto che le accadesse.» Fissò Shannon. «Dai, devi ammetterlo, non è possibile che ti piacesse.» «Comunque fosse, era una presenza importante nella nostra azienda, ed è qui che ha iniziato. Questa era casa sua, in un certo senso.» «Siamo tutti molto dispiaciuti, sappiamo che era una professionista meravigliosa e non c'era nessuno che non rispettasse il suo talento.» I loro sguardi si incrociarono. «Guarda che l'ho detto anche al detective che mi ha interrogata.» «Gli hai detto che non ti piaceva Lara?» chiese Shannon. «Sono stata sincera. E poi, lo sai anche tu che erano solo interrogatori di routine. Quando qualcuno muore in quel modo devono fare l'autopsia e interrogare un po' di persone, ma hanno visto tutti cosa è successo.» Ella alzò un sopracciglio. «Perché, tu hai detto che la adoravi?» «Anch'io sono stata sempre sincera» borbottò Shannon. «In tutti quei lunghi quattro minuti che ho passato con quel detective.» Ella scosse la testa. «Che cosa ti aspettavi? Non c'è niente di sospetto. La sua morte è stata filmata.» Ella si interruppe. «Mi dà i brividi, ma sono sicura che a Lara sarebbe piaciuto. Anche la sua morte è stata a effetto, catturata in un film per l'eternità. Ha perso il controllo ed è morta. Uno spreco assurdo. Però non c'è nulla che nessuno di noi possa fare. Hai chiuso la scuola in suo onore e adesso siamo di nuovo aperti. E fra quindici minuti c'è un nuovo studente per te.» «Io ho uno studente?» «Sì, tu.»
Shannon si accigliò. «Io non faccio lezione a nessun nuovo studente. Sono la direttrice. Ho troppo lavoro da sbrigare e, se non bastasse, devo organizzare il Gator Gala. Ricordi cosa abbiamo deciso nell'ultima riunione?» «Certo che lo ricordo. Ma Jane non c'è. Aveva un appuntamento dal dentista, ti aveva avvisata. Rhianna non ha potuto spostare lo studente delle due. E questo nuovo è stato mandato da Doug, per la lezione di prova. Si tratta di suo fratello. Non vedo l'ora di darci un'occhiatina.» «Quando ti deciderai a prendere l'abilitazione per insegnare?» chiese Shannon. Ella aveva un talento naturale e sarebbe stata un'ottima insegnante. Ma due anni prima era arrivata alla scuola in cerca di un posto da impiegata e continuava a tenersi alla larga dalla pista da ballo. Di solito a Shannon piaceva insegnare e vedere i progressi degli allievi, ma in quel momento era l'ultima cosa che le andava di fare. Dalla morte di Lara tutto le pareva diverso. L'intero mondo della danza sembrava sconvolto. Ma era vero, Lara Trudeau non le era mai stata molto simpatica. In America i campionati, per quanto numerosi, non garantiscono un tenore di vita decente e Lara integrava le sue entrate continuando a ballare alla Moonlight Sonata. Gordon Henson era stato il suo primo istruttore di ballo e ne era molto orgoglioso. Lara non negava mai la sua presenza alla scuola, se avvertita in tempo utile. Negli ultimi tempi, però, Gordon aveva lasciato a Shannon l'incarico di dirigere la scuola e quindi toccava a lei convocare i ballerini. Lara era un forte richiamo per gli studenti e Shannon aveva continuato a chiederle di venire, anche se la infastidiva sentirla prendere in giro allievi e insegnanti dopo le lezioni. Shannon aveva anche altri motivi, più personali, per non amare Lara. Ciononostante, la sua morte l'aveva sconvolta. Forse solo perché era stata tanto prematura, per la difficoltà di accettare l'improvvisa scomparsa di qualcuno che appartiene al proprio mondo, o per il senso di lutto e di perdita che aveva lasciato. Comunque fosse, Shannon non riusciva a concentrarsi sul lavoro o sull'organizzazione del Gator Gala, figurarsi dare lezione a un nuovo allievo con l'allegria e l'entusiasmo necessari a farlo sentire parte della scuola. «È morta da meno di una settimana» disse Shannon. «E non è stata ancora seppellita.» Dopo l'autopsia, il corpo di Lara era stato portato all'obitorio della con-
tea. Ben, l'ex marito di Lara, e Gordon si erano visti per decidere del funerale, previsto per sabato mattina. Lara non aveva figli o altri parenti stretti e i genitori erano morti anni prima. «Shannon, veniva qui solo di tanto in tanto per far ballare gli allievi. È vero, la conoscevamo, ma non è che fosse nostra sorella. Dobbiamo andare avanti» disse Ella. «Davvero. Se c'è qualcuno qui dentro che la conosceva bene quello è Gordon, e lui sta continuando con la sua vita.» Su questo non c'erano dubbi. Gordon aveva passato il pomeriggio precedente a scegliere la stoffa per le nuove tende del soggiorno di casa sua. «Non ti capisco» continuò Ella. «Eri così sconvolta anche quando è morta Nell Durken, ed era con noi solo da un anno.» «Nell Durken non è semplicemente morta. L'ha uccisa suo marito. Forse si era reso conto che stava per perdere la sua principale fonte di sostentamento» commentò amara Shannon. Nell Durken era stata una delle allieve migliori della scuola. Spumeggiante, bella e piena di vita, era cordiale con tutti. Avrebbe voluto coinvolgere anche il marito nelle lezioni, ma alla fine si era decisa a imparare da sola. Venire a sapere che il marito l'aveva uccisa era stato terribile. «Accidenti!» esclamò Shannon. «Cosa c'è?» «È strano, non trovi?» «Cosa?» chiese Ella. «Nell Durken è morta perché il marito le ha fatto ingerire troppi sonniferi.» «E allora? Era un bastardo, lo sapevamo tutti, solo non immaginavamo che potesse arrivare a uccidere. La polizia l'ha incriminato. Lui aveva un'amante, ma la moglie aveva i soldi. Si è liberato di lei con i sonniferi per farlo sembrare un incidente e poter riscuotere l'eredità» disse Ella. «Ma lo hanno preso. Aveva un movente e le sue impronte erano sui flaconi delle medicine.» «Non è che hai visto troppi film polizieschi?» La domanda proveniva dalla porta aperta. Gordon guardava divertito le due donne. «No» rispose Ella. «Mi limito a dire chiaro e tondo quello che è successo a Nell Durken. Spero che quel bastardo abbia quello che si merita.» «Perché state parlando di Nell?» chiese Gordon. «Per Lara» disse Ella. Gordon continuava a non capire. «Abbiamo perso Lara. Dobbiamo accettarlo. Lei era come Icaro, voleva volare sempre più in alto. Quanto a
Nell, sapevamo tutti che avrebbe dovuto lasciare il marito. Mi è dispiaciuto quando ha abbandonato la danza.» «Ha smesso di frequentare quando lui le ha proposto una vacanza ai Caraibi, ricordate?» mormorò Shannon pensosa. «Sarebbe stata la loro seconda luna di miele, un tentativo per riconquistarla.» «E noi ci siamo illusi che le cose fra loro andassero bene, anche quando lei ha telefonato per informarci che era ancora in viaggio. Ho provato a chiamarla» continuò determinata Ella, per impedire a Gordon di interromperla, «ma ho sempre trovato la segreteria.» «Comunque è orribile» mormorò Shannon. «Non saremo noi a portare sfortuna? Un'ex allieva uccisa dal marito e adesso Lara che muore in quel modo.» «Dici che portiamo iella?» Era stato Sam Riley a parlare. Era sulla porta, alle spalle di Gordon. «Non ti azzardare nemmeno a pensare una cosa del genere» protestò Gordon. «Nell aveva lasciato la scuola da un sacco di tempo quando è stata uccisa. E quella di Lara è stata solo una tragedia.» Sollevò tre dita della mano. «La Broward in un anno ne ha persi tre, due allievi e un insegnante.» Shannon cercò di non ridere. «Gordon, gli studenti erano il signore e la signora Hallsly, novanta e novantatré anni. Nessuno si è stupito per il fatto che morissero a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro. E Dick Graft, l'insegnante, ha avuto un aneurisma.» «Volevo solo mettere in chiaro che la gente muore e che noi non portiamo iella» disse Gordon. «Spero proprio di no» aggiunse Sam. «Conoscete il proverbio, non c'è due...» «Sam!» sbottò Gordon. «D'accordo, scusate, non dirò mai niente del genere davanti agli studenti.» «Me lo auguro» brontolò Gordon. «Scusate l'interruzione» si intromise Justin Garcia, in punta di piedi per riuscire a farsi notare. Guardava Ella, ancora seduta sulla scrivania. «È arrivato il nuovo studente. Vorrei fargli lezione io, ma è un armadio e ha tutta l'aria di uno che non gradirebbe un compagno maschile.» «Il fratello di Doug.» Ella balzò in piedi. Doug era il preferito fra i nuovi studenti. Quando aveva iniziato era rigido come una tavola di legno, ma nel giro di una settimana si era appassio-
nato al ritmo delle danze cubane e aveva fatto progressi. Le studentesse lo adoravano e anche la sua insegnante, Jane Ulrich. Alto, biondo, occhi azzurri e disponibile, era lo studente ideale. Ella si fece largo fra gli uomini per correre a dare il benvenuto al nuovo arrivato e fargli compilare i moduli per l'iscrizione. Tornò poco dopo e disse a Shannon quanto Jane avrebbe rimpianto di essere andata dal dentista quel pomeriggio. «Sbrigati, presto! Devi vederlo subito!» esclamò, poi sparì di nuovo oltre la porta. Incuriosita, Shannon lasciò l'ufficio insieme ai tre uomini. Ella sfoggiava il suo sorriso migliore e faceva gli onori di casa, gli altri aspettavano, in cerchio, di essere presentati. Shannon trovò che i due fratelli si assomigliassero. Erano più o meno della stessa altezza, ma Doug aveva un fisico asciutto e aggraziato, mentre il nuovo arrivato sembrava il protagonista di un film sui barbari. Aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri e penetranti. Sam le posò una mano sulla spalla e le bisbigliò all'orecchio: «È un vero peccato che la politica della scuola impedisca di fraternizzare con gli studenti, no?». «Sam» lo rimproverò lei con un sospiro spazientito. Da quando esisteva quella regola, lei e Gordon cercavano sempre di non sapere quello che era meglio che non sapessero. Mentre si avvicinava al nuovo venuto, Shannon sentì Justin sussurrare: «Quella regola varrà per alcuni di noi, forse, ma certo non per tutti». Shannon porse la mano al fratello di Doug e non poté non chiedersi cosa avesse voluto dire Justin. Chi? Chi aveva fraternizzato e con chi? E perché quella stupida domanda la faceva sentire così a disagio? Si sforzò di sorridere. «Allora lei è il fratello di Doug. Siamo molto felici di averla con noi. Doug è un allievo speciale alla scuola.» Un attimo di esitazione. «L'ha trascinata qui per le orecchie?» L'uomo sorrise e comparve una fossetta sulla guancia sinistra. «Qualcosa del genere.» Le strinse la mano con decisione. «Sono Quinn, Quinn O'Casey. Scoprirà presto che io sono il fratello con due piedi sinistri. Quella che ha di fronte è una sfida impossibile.» Shannon non smise di sorridere, un po' a disagio, e si chiese quale fosse il vero motivo che aveva portato lì quell'uomo. «Ella, mi passi una scheda per il signor Quinn, per piacere?» chiese alla segretaria. «Mi segua in sala riunioni, così vedremo che cosa possiamo fa-
re per lei.» La sala riunioni non era altro che un piccolo spazio quadrato, di poco più di due metri per lato, con un tavolino tondo nel mezzo. Sulle pareti erano esposti i premi vinti dagli insegnanti, alcuni anche da lei, e i riconoscimenti conquistati dalla scuola, che negli ultimi due anni era stata giudicata la migliore dello Stato. Shannon prese la scheda che Ella le porgeva, poi chiuse la porta e indicò una sedia a Quinn O'Casey. «Si sieda.» «Si impara da seduti?» chiese lui divertito. «Prima ho bisogno di sapere a quale tipo di ballo è interessato.» «A quale tipo?» L'uomo assunse un'espressione preoccupata, come se Shannon gli avesse rivolto una domanda pericolosa e fosse sul punto di incastrarlo. «In questa scuola insegniamo ogni tipo di ballo, incluso il country, il western e la polka. Di solito chi viene da noi ha un'idea di ciò che vuole imparare.» «Capisco. Mi spiace, io non ho nessuna idea. È stato Doug a convincermi a venire.» Esitò. «Mi ha parlato del ballo da sala, penso che sia quello che fa per me. Almeno credo.» «Quindi le piacerebbe dedicarsi a valzer, fox-trot e tango.» «Tango?» «Sì, tango.» «È considerato un ballo da sala?» «Sì. Preferisce lasciar perdere il tango?» Lui scrollò le spalle. «No, non ho niente contro il tango.» Le rivolse un sorriso ironico che la stupì per il magnetismo che irradiava. Quell'uomo non aveva solo un bel corpo e un bel viso. Il suo sguardo, tanto diretto e intenso, aveva un indubbio potere d'attrazione. Shannon era una donna professionale e matura e sapeva tenere a freno le emozioni, ma non era morta. Quinn si chinò in avanti e aggiunse: «Penso che il tango mi piacerà» come se ci avesse riflettuto a lungo. A Shannon venne spontaneo sorridere. «Ma è sicuro di voler imparare a ballare?» «Sì. No.» Scrollò le spalle. «Doug ce l'ha messa tutta per coinvolgermi.» Shannon era titubante, senza riuscire a spiegarsi il perché. L'uomo seduto di fronte a lei rappresentava una sfida. Il suo modo di guardarla la face-
va sentire debole e indifesa. Si appoggiò allo schienale, sorrise e continuò a guardarlo mentre picchiettava la matita sul tavolo. «Suo fratello è un agente di polizia. Anche lei, signor O'Casey?» chiese con tono distaccato. «Quinn, la prego, mi chiami Quinn. No, non sono un poliziotto, anche se in passato lo ero.» Non aggiunse altri dettagli. «E adesso di cosa si occupa?» «Noleggio. Giù alle Keys.» «Pesca? Immersioni?» Lui sorrise rilassato. «Tutte e due. Perché? È necessario fare un certo tipo di lavoro per prendere lezioni di ballo?» Shannon fece cenno di no con la testa e si accorse, seccata, di essere arrossita. Fissò il modulo. «No, certo che no, è solo che cerchiamo di adattare il corso alle esigenze di chi si iscrive.» «Ho capito. Allora diciamo che a me interessa solo essere in grado di ballare nelle occasioni sociali. E, ripeto, sono davvero negato.» Per un attimo comparve di nuovo la fossetta. Shannon sorrise. «Quando Doug è arrivato da noi, sapeva muoversi con la stessa agilità di un albero secolare. Ha fatto progressi incredibili.» «Sembra che ballare sia diventata una passione, per lui.» «E lei non è convinto di provare la stessa passione, sbaglio?» Quinn scrollò le spalle. Il viso abbronzato esaltava lo splendore degli occhi. «Che mi dice di lei?» «Scusi?» chiese Shannon, stupita del repentino cambio di discorso. «Quando si è innamorata del ballo?» «Appena ho cominciato a camminare» confessò. «Allora è una campionessa.» «No, sono un'insegnante.» Quinn sollevò un sopracciglio e lei si sentì di nuovo a disagio. La stava spogliando con gli occhi. «Secondo me potrebbe essere una campionessa coi fiocchi.» «Mi piace quello che faccio.» «Mi sembra di capire che gareggiare sia piuttosto pericoloso.» Sembrava una frase buttata lì per caso, ma lei si irrigidì. «Pericoloso? Ballare?» «Doug mi ha raccontato che all'ultima gara qualcuno è morto per un attacco cardiaco.» Shannon scosse la testa. «È stata una tragedia. Ma si è trattato di un epi-
sodio isolato. Non mi era mai capitato di assistere a niente del genere. Siamo tutti sconvolti, naturalmente. Comunque no, di solito le gare non costituiscono un pericolo.» Sorrise. «Credo che la pesca e le immersioni siano molto più pericolose.» «Non ero preoccupato» spiegò lui, «solo un po' curioso.» L'incidente era stato riportato dai giornali e dai notiziari. Diverse emittenti avevano mandato in onda il filmato della morte di Lara Trudeau. Era naturale che in molti volessero conoscere i particolari. «Siamo tutti desiderosi di capire» disse Shannon, con voce priva di inflessione. «Lara Trudeau era incredibile. Non era drogata o alcolizzata, o cose del genere. Nessuno di noi riesce a spiegarsi cosa possa essere accaduto quel giorno. Era molto in gamba, ci mancherà lei e ci mancherà il suo talento. Ma ballare non è pericoloso.» Di colpo provò un senso di rabbia, come se si sentisse sotto accusa. Stava per alzarsi e dirgli che si sarebbe scusata con Doug, ma che non gli sembrava il caso di perdere tempo con la lezione di prova. Poi lui parlò. «Caraibico» disse. «Scusi?» «Ho cambiato idea. Quello che voglio è poter andare in un locale come il Suede e non sentirmi un imbranato totale. Salsa, ho detto giusto?» «Giusto. Quasi tutte le serate al Suede sono dedicate a mambo, salsa e merengue.» «Sono costretto a scegliere?» «No, ma sarebbe più facile sapere da cosa vuole cominciare.» «Di solito da cosa si comincia?» «Dall'inizio. Venga. Se non ha una preferenza, faremo a modo mio.» «Sarà lei la mia insegnante?» Sembrava sorpreso e Shannon ebbe l'impressione che non fosse contento. «Sì. C'è qualche problema?» «No, è solo che Doug mi aveva detto che lei non si occupa dei principianti.» «Di solito no. Ma chi fa il primo colloquio segue l'allievo nelle lezioni.» Shannon aveva cambiato idea e non solo perché l'uomo che aveva davanti era uno dei più affascinanti che le fosse capitato di incontrare. Temeva di essere diventata paranoica, ma aveva la sensazione che quel tizio andasse tenuto sott'occhio.
Trenta minuti dopo, Shannon pensava che forse erano troppe settimane che non insegnava. Forse non era capace di correggerlo e guardarlo allo stesso tempo. Forse non aveva abbastanza pazienza. Era praticamente impossibile guidarlo, l'aveva capito subito, appena gli aveva posato una mano sul braccio. Le sue dita si erano scontrate contro un muro. Il fatto che fosse così rigido non aiutava. Inoltre sembrava che avesse qualche problema a riconoscere la destra dalla sinistra. Stavano facendo uno dei passi base. Un semplicissimo passo base. «No, Quinn, il piede sinistro va avanti per primo. È sempre lo stesso piede che abbiamo usato le ultime ventìcinque volte.» Non aveva mentito quando aveva dichiarato di avere due piedi sinistri. «Si tratta di disegnare un quadrato. Piede sinistro in avanti, piede destro di fianco, una scatola.» «Sì, ho capito. Una scatola. Quanti insegnanti ci sono nella scuola?» «Perché, ritiene che io non sia in grado di insegnarle, signor O'Casey?» «No, era solo per sapere. Lei è bravissima. Mi chiedevo quanti fossero gli insegnanti. Avrete un sacco di studenti.» «Ben Trudeau è passato a insegnare a tempo pieno.» «Trudeau?» «Era sposato con Lara. Hanno divorziato molti anni fa. Prima Ben si dedicava alle gare e agli allenamenti, ma alcuni mesi fa ha deciso di stabilirsi sulla costa. È un ottimo insegnante.» «Deve essere sconvolto.» «Lo siamo tutti, signor O'Casey.» «Lo immagino. Lara doveva essere proprio speciale. Così brava e così socievole con tutti, vero? Doug mi ha detto che insegnava qui a volte.» «Allenava» precisò Shannon. «Non dev'essere stato facile riaprire la scuola e fare lezione.» «È lavoro, bisogna andare avanti.» «Sono rientrati tutti?» «Sì.» «Chi sono gli altri?» «Justin Garcia, Sam Riley, Jane Ulrich, l'insegnante di Doug, e un'altra donna, Rhianna Markham.» Le pestò di nuovo un piede. «Mi dispiace, l'avevo avvertita che ho due piedi sinistri» si scusò. Shannon respirò a fondo. «Spero di farla arrivare al punto da poter sostenere una conversazione mentre balla, ma forse se non continuasse a fare
domande mentre lavoriamo sarebbe tutto più semplice.» «Cercavo solo di conoscere meglio la scuola, per sentirmi più a mio agio.» «Per questo ci sono le ore di pratica e le feste.» «Feste?» «E le ore di pratica» confermò decisa. «I principianti di solito vengono il lunedì, il martedì e il venerdì sera, e imparano altri passi in gruppo. Poi li perfezionano con i loro insegnanti.» «È obbligatorio partecipare?» «No, ma le lezioni individuali sono costose. Tutti gli iscritti possono partecipare gratuitamente alle lezioni di gruppo. Se si frequentano i gruppi si impara molto più in fretta e si risparmia.» «E le feste? Quando ci sono? Sono per tutti gli studenti?» «Il mercoledì dalle otto alle dieci, e sì, i principianti sono i benvenuti. Dovrebbe venire.» «Lo farò.» Le calpestò di nuovo i piedi. Con forza. Shannon cercò di non urlare. Quanto mancava, quindici minuti? Non credeva di riuscire a resistere. Si guardò intorno. Jane non era ancora tornata. Rhianna lavorava con David Mercutio, il marito di Katarina, la stilista che condivideva con la scuola il secondo piano dell'edificio. Era molto brava. Di solito disegnava abiti da sposa e da cerimonia, pezzi unici ed esclusivi, ma aveva confezionato anche qualche costume da competizione. David frequentava regolarmente, due volte la settimana. Era allievo di Katarina, ma aveva lavorato anche con Lara. Ora lui e Katarina si esercitavano nel tango. Sam Riley invece non faceva lezione e riordinava i CD. Il piede di Quinn O'Casey piombò ancora una volta sopra il suo. «Sam!» urlò Shannon all'improvviso. Si staccò dal partner. «Sì?» «Puoi venire qui un minuto?» «Arrivo.» Shannon si diresse verso lo stereo, attese la fine del tango e inserì un classico, Fever di Peggy Lee, poi tornò da Quinn. Sam si avvicinò a loro. «In questo momento sta solo imparando i fondamenti. Ma forse abbinare i passi alla musica potrebbe aiutarla» spiegò Shannon a Quinn. Sam le fece da compagno per illustrare i passi base. Lei non smetteva di guardare il suo nuovo allievo. Aveva la sensazione che non si applicasse per niente.
«Sembra un ballo noioso» disse Sam rivolto a Quinn. «Ma può essere molto divertente.» A quel punto Sam prese l'iniziativa e cominciò a farla volteggiare, a farla girare e a guidarla in una serie di passi complicati e decisamente troppo difficili per un principiante. «Basta così, Sam» mormorò lei piano. «Non è proprio il caso di spaventarlo.» «È solo per fargli capire dove si può arrivare» rispose Sam. Shannon evitò di discutere. Dimostravano spesso agli studenti i passi che avrebbero imparato. Quinn annuiva e osservava, come se di colpo tutto gli fosse chiaro. Si fece avanti per riprendere a ballare con lei. Aveva una presa decisa e non smetteva di guardarla. Shannon era a disagio. Guardare, in fondo, era ciò che facevano tutti i principianti. Non in quel modo, però, non con quegli occhi azzurri così penetranti. Lo guardò anche lei e si sforzò di ricordare che era un'insegnante. «Deve sentire la musica e muovere i piedi. Ricordi che stiamo solo disegnando un quadrato.» Incredibile, aveva capito. Ce l'aveva fatta. Riusciva a eseguire il passo. Niente di più semplice, ma sembrava un miracolo. «Sollevi la testa» disse, quasi timorosa di rompere l'incantesimo. «Non si guardi i piedi. Confonde e basta.» Lui la guardò negli occhi senza perdere il ritmo. Sorrise compiaciuto e comparve la fossetta. Erano alla giusta distanza, nessun contatto fisico, ma a Shannon sembrava che fossero troppo vicini. Di colpo desiderò che la lezione finisse. Quando ebbero terminato, Quinn sembrava entusiasta. «Quando posso tornare?» chiese. «Quando vuole.» «Domani?» «Deve chiedere a Ella, la segretaria.» «Sei libera alle due!» urlò Ella, che li aveva sentiti. «Non ho appuntamento con quelli dell'albergo per fissare il salone per il Gator Gala?» chiese Shannon perplessa. «E poi c'è la lezione con il dottor Long.» «La direzione dell'albergo ha spostato l'appuntamento a mercoledì e il dottor Long viene alle cinque e un quarto.» «Allora ci vediamo alle due» disse Shannon.
«Grazie. A domani.» Il nuovo studente uscì. Jane, di ritorno dal dentista, lo incrociò sulla porta. «Chi è?» chiese quando raggiunse Shannon. «Il fratello di Doug.» «Niente male i geni di famiglia. Chi gli ha fatto lezione?» «Io.» «Tu? E hai intenzione di tenerlo?» chiese in un tono che voleva sembrare casuale. Shannon esitò. «Sì.» Sam si avvicinò ballando da solo un valzer viennese. «Tu di fratello ne hai già uno» scherzò. Jane lo guardò seria. «Sì, e ho anche il vecchio signor Clinton, novantotto anni, che a ogni passo perde qualche pezzo. Credevo» disse rivolta a Shannon, «che avessi deciso di non prendere più i principianti.» «Ho cambiato idea. Quei quarantacinque minuti mi sono sembrati dieci ore. Quell'uomo è una sfida, non posso rifiutarla. Guarda» aggiunse a voce più bassa, «sta arrivando il tuo allievo d'altri tempi.» Jane si voltò e vide entrare il suo allegro studente con i capelli bianchi. Il signor Clinton era adorabile, sempre gentile con tutti, ed era abbastanza in forma per la sua età. Era solo un po' duro d'orecchio, così a volte parlava a voce troppo alta. Jane sospirò. «Il signor Clinton è un tesoro» mormorò Shannon. «Lo so, hai ragione.» Jane la fissò, senza aggiungere altro. Sapevano entrambe cosa stava pensando. Certo, l'anziano signore era un tesoro. Ma non era Quinn O'Casey. Jane si sforzò di sorridere. «Sei tu il capo» sussurrò. Poi si allontanò e raggiunse l'anziano allievo. 4 La zona della costa non era poi così male di pomeriggio, pensò Quinn. Era di sera e durante i fine settimana che diventava impossibile, quando le strade si trasformavano in un serpentone di auto e ci voleva un'eternità per avanzare di un solo isolato. L'autunno era alle porte, faceva ancora caldo, ma un venticello fresco arrivava dall'oceano e rendeva l'aria gradevole. A piedi, Quinn si allontanò dalla scuola, che si trovava fra Alton e Washington Road, e passò davanti
a vecchi edifici liberty che avevano mantenuto intatto il loro fascino. C'erano anche diversi negozietti, un piccolo bar, un negozio di fiori. Quinn oltrepassò case bifamiliari, piccoli condomini e alcune villette. La spiaggia era a soli tre isolati di distanza e fu tentato di fare due passi fin lì. La striscia di sabbia che si trovò davanti era punteggiata dai patiti del sole. Qualcuno giocava a pallavolo. Una mamma aiutava i figli a costruire un castello di sabbia. A pochi passi di distanza, una coppia bella e abbronzata si cospargeva di crema solare. Quinn fu costretto ad ammettere che nei giorni feriali la spiaggia era un posto piacevole. Nel tratto di fronte a un grande albergo molto chic, il popolo dei belli e abbronzati si mescolava al popolo dei più mondani. Una donna che indossava un vestito troppo striminzito per il suo fisico straripante camminava tenendo per mano un uomo mingherlino in costume. Sorridevano felici e soddisfatti. Più avanti, Quinn vide un gruppo di ragazzini che si preparava a lasciare la spiaggia. Raccoglievano asciugamani, sdraio e creme solari e si gridavano gli ultimi saluti. Quinn continuò a camminare senza smettere di osservarli. Quando se ne furono andati, restò solo una ragazza molto alta, molto magra e molto triste. Aveva lunghi capelli castano scuri e un'aria così smarrita che Quinn per un attimo pensò di fermarsi a parlare con lei. Ma era South Beach e la ragazza poteva essere chiunque, anche un'agente di polizia in incognito. La giovane sentì i suoi passi e si voltò. Lo fissò, lo squadrò dall'alto al basso e deglutì. «Hai un dollaro?» «Sei scappata di casa?» Arrossì. «Non proprio. Sono maggiorenne. Davvero.» «Ma sei scappata?» «Me ne sono andata. Ho finito la scuola. Non ho ancora trovato un lavoro. Un vero lavoro.» «E vivi per strada.» La ragazza sorrise. «La spiaggia è meglio della strada. Davvero. Se sei senza casa è proprio il posto ideale.» «Ma ce l'hai una casa?» «Chi sei? Un poliziotto?» «No, solo un cittadino che si preoccupa e che non vuole vedere la tua foto al notiziario mentre parlano dell'ultimo corpo senza nome trovato sulla spiaggia.»
La ragazza scosse la testa con forza. «Io sto molto attenta. Insomma, ce l'hai o no un dollaro? Non ho bisogno di un terzo grado.» «Aspetta.» Quinn prese dal portafoglio una banconota da cinque dollari. Stupita, gli si avvicinò. «Cosa vuoi?» chiese a disagio. «Non sono una prostituta da due soldi.» «Voglio solo che mi assicuri che li userai per comprare qualcosa da mangiare.» «Vedi per caso dei buchi sulle mie braccia?» replicò lei in tono orgoglioso. «Comprati del cibo, allora. E ascolta il mio consiglio. Se per caso hai bisogno di aiuto, puoi averlo. Rivolgiti a un poliziotto. Quelli della costa sono piuttosto bravi, oppure vai direttamente alla stazione di polizia di South Miami. C'è un avvocato che difende i più sfortunati, una donna in gamba. Aspetta, ho il suo biglietto da visita.» La ragazza sembrava sul punto di scappare con i soldi, invece si fermò e prese il biglietto. «Non avevi forse detto che non eri un poliziotto?» «Non lo sono.» «Non sei un po' troppo elegante per la spiaggia?» Lui si strinse nelle spalle e il volto della ragazza si illuminò. «Ho capito. Vieni dalla scuola di ballo, giusto? Ci scommetto.» Quinn non rispose. «Beato te, ci andrei anch'io, se avessi i soldi. Mi piace ballare.» Agitò la banconota. «Grazie comunque.» «Mi raccomando.» «Cosa credi, che sia un'ingenua? Non ti preoccupare, sono più furba di quello che sembro.» Scappò via di corsa. Quando fu lontana gli urlò: «Sei uno a posto. A proposito, io mi chiamo Marnie». Poi, come se avesse già detto troppo, si voltò e riprese a correre in direzione della strada. Quinn la guardò allontanarsi e si augurò che fosse davvero furba quanto pensava. Miami Beach era la porta da cui passava ogni vizio dell'emisfero occidentale. Guardò il sole, poi l'orologio, quindi si diresse verso la macchina, che aveva lasciato sulla Alton. Lungo la strada cambiò idea e decise di passare dal medico legale. Shannon chiamò la direzione dell'albergo dove speravano di tenere il Gator Gala e fu felice di scoprire di aver condotto nel modo giusto le trat-
tative. La direzione infatti aveva accettato un costo a notte decisamente ragionevole, che avrebbe facilitato l'iscrizione di un maggior numero di concorrenti. Avrebbero messo a punto i dettagli dell'accordo la settimana successiva. Shannon si precipitò nell'ufficio di Gordon. «Fantastico» disse lui compiaciuto. «È molto importante per noi. Chi non vorrebbe venire in pieno inverno a Miami Beach? E a prezzi così convenienti? E i pasti?» «Stiamo ancora trattando.» «Cosa stiamo trattando?» chiese Ben Trudeau, che si era affacciato alla porta. «Il costo dei pasti» rispose Shannon. Ben era uno di quegli uomini così attraenti da essere fin troppo belli. Una volta, tanto tempo prima, Shannon non la pensava così. Una volta lo vedeva come un dio, alto, agile, elegante, capace di muoversi rapido come un lampo o leggero come il vento. Aveva i capelli e gli occhi scuri come l'inchiostro e i lineamenti perfetti. Era un ballerino con una tecnica invidiabile e un fuoriclasse in ogni competizione. Per anni aveva gareggiato insieme a Lara, ma poi la loro unione era finita. Avevano divorziato cinque anni prima. In quel lasso di tempo lei aveva vinto numerosi premi, sempre in coppia con Jim Burke. Ben aveva partecipato a spettacoli prestigiosi e vinto premi in denaro, ma non aveva raggiunto i successi di Lara. Aveva cambiato troppo spesso partner. In quel preciso momento, lì sulla soglia, aveva incollato gli occhi su Shannon. «È uno spreco» disse. «Cosa?» «Tutto il tempo che dedichi agli affari.» «Vacci piano» si intromise Gordon. «Penso che dovrebbe tornare a gareggiare.» Gordon guardò Shannon con un lieve sorriso sulle labbra. «Può tornare a gareggiare quando vuole.» «Lo so. E non ho nessuna voglia di tornare nel mondo delle gare.» «È una sciocchezza, e lo sai» disse Ben. Si tolse una ciocca ribelle dalla fronte. «Lo frequenti già con i tuoi studenti. Qual è la differenza?» «Sono i miei studenti.» «Studenti fortunati» precisò Gordon, divertito. «Insieme a te sembrano tutti bravissimi.» «E io sono orgogliosa di loro. Ma perché voi due non mi capite? Non
tutti sono ambiziosi.» Sospirò. «La caviglia non è tornata come prima. Non so mai quando cederà e quando ballo troppo mi fa un male del diavolo. Non è in grado di sopportare le ore di allenamento che dovrei affrontare per le gare da professionista. Comunque sono fortunata, insegnare mi piace e gli allievi mi danno tutte le soddisfazioni di cui ho bisogno.» «I principianti» commentò Ben in tono disgustato. «Tutti siamo stati principianti.» Ben scoppiò a ridere. «È per questo che hai deciso di convincere il nuovo studente, l'armadio, a iscriversi nella categoria dei principianti al Gator Gala? È questo il tipo di sfida che cerchi?» «Può essere che abbia intenzione di convincerlo.» «Se lo fai, è solo un modo per mascherare la tua paura» disse Ben. Shannon non ebbe il tempo di rispondergli, perché un cicalino suonò sulla scrivania di Gordon. «È arrivato il dottor Long per la lezione con Shannon» li informò la voce di Ella, dopo che Gordon ebbe premuto un pulsante. «Arrivo subito.» Prima di uscire si rivolse ai due uomini. «Ascoltate bene, tutti e due. Sono più che felice di quello che faccio. Jane e Rhianna sono ottime ballerine. Puntiamo su di loro, d'accordo?» Li fissò. Nessuno dei due le rispose. Mentre usciva, Ben la seguì e le posò una mano sulla spalla. «Eravamo bravi e lo sai.» «Una volta.» «La tua è solo paura. Forse hai paura di me.» «Ben, credimi, non ho paura di te.» «Potremmo arrivare molto in alto insieme» aggiunse brusco. «Non in questa vita» disse lei con dolcezza, poi liberò la spalla. «Scusa, ma il mio studente mi aspetta.» «Non mi hai mai perdonato.» «Ti ho perdonato molto tempo fa.» «Allora non dovresti farti pregare tanto.» «Ci stai provando con me o vuoi solo convincermi a ballare insieme a te?» «Tutte e due?» Le rivolse un sorriso affascinante, che però non fece più vibrare le corde del suo cuore come un tempo. «Mi dispiace. So che farai fatica a credermi, ma non ti odio, non sono fredda e non faccio la difficile, è solo che non mi interessa.» «Te ne pentirai.»
Shannon si fermò e lo guardò. «Hai già una compagna, Ben. Vera Thompson, della scuola Broward.» Ben scosse la testa. «È brava, ma non è del calibro giusto.» «Lei lo sa?» chiese Shannon. «Certo che no. Non ancora.» «Perché?» «Perché tu non mi hai ancora detto di sì.» «Se mai mi capiterà di tornare a ballare da professionista, non sarà certo insieme a te.» «Perché no?» Avrebbe potuto rispondergli che i motivi erano ovvi. Ma Ben non avrebbe capito, o non avrebbe voluto capire. Così scrollò le spalle e non riuscì a trattenere la risposta che aveva sulla punta della lingua. «Non sei del calibro giusto» mormorò, prima di raggiungere lo studente che la aspettava. Quinn aveva già letto il rapporto della polizia che gli aveva procurato Doug. Aveva letto anche il rapporto del medico legale e l'aveva considerato un colpo di fortuna. Degli otto medici che lavoravano nel reparto, l'autopsia di Lara Trudeau era stata eseguita da Anthony Duarte. Lo stesso che aveva esaminato il corpo di Nell Durken. Se Dixon non era un genio della omicidi, Duarte era il migliore nel suo campo. La sua curiosità innata lo spingeva a indagare a fondo anche nei casi che sembravano non presentare complicazioni Quinn conosceva la ragazza dell'accettazione, ma le presentò comunque un documento. Lei lo mise da parte senza guardarlo e avvertì Duarte. Duarte gli venne incontro con un gran sorriso, nonostante fossero quasi le cinque e stesse per finire il turno. «Pensavo che fossi in ferie.» «In teoria lo ero.» «Allora cosa ci fai qui?» «Sono felice di incontrarti.» «Non sono molte le persone che possono dire lo stesso, quando si tratta di lavoro» rispose Duarte con un sorriso ironico. «Cercavo un medico legale e sono felice che quel medico sia tu. Hai eseguito tu l'autopsia a Lara Trudeau.» Duarte, un uomo di colore, magro, alto e con la schiena più dritta che Quinn avesse mai visto, inarcò un sopracciglio striato di grigio. «Fai qual-
che indagine per conto tuo su Lara Trudeau?» «Mi pare di capire che la cosa ti sorprende.» Duarte scrollò le spalle. «Difficile che qualcosa riesca ancora a sorprendermi, sono stato qui troppo a lungo. L'ho classificata come morte accidentale perché non ho trovato un accidenti di niente che provasse il contrario. Comunque, considerato come si sono svolti i fatti, Dixon sta ancora indagando, comodamente seduto alla scrivania, se lo conosco bene.» «Cos'è che ti lascia perplesso?» «Una donna in buona salute ingerisce troppi calmanti, beve qualcosa di forte e muore. Non è una cosa che capita tutti i giorni. Neppure a Miami.» Pronunciò le ultime parole in modo secco e rassegnato. «Anche se, a essere del tutto sinceri, le persone che muoiono per eccesso di farmaci, con ricetta o da banco, sono molti di più di quanto non si creda. Quanto a Lara Trudeau, non so come sia andata. Forse era convinta di essere immortale.» «Quello che mi stupisce è che tutta quella roba non abbia compromesso la sua esibizione.» «Vero anche questo. Doveva avere una forza di volontà di ferro.» «È morta davanti a molte persone.» «Per non parlare delle telecamere. E nessuno ha visto niente di sospetto.» «E non c'era nessun segno di...» «Lividi?» lo precedette Duarte. «Come se qualcuno le avesse aperto la bocca con la forza per farle ingerire le pillole? Non ne ho trovati. La polizia naturalmente ha controllato le impronte sul flacone. Nessuna.» «Nessuna?» chiese sorpreso Quinn. «Neppure le sue?» «Indossava i guanti quando ballava.» «E questo spiegherebbe perché il flacone non avesse traccia di impronte?» «Sì, se lo ha torturato fra le mani come fa una persona nervosa.» «Però...» Duarte scrollò le spalle. «Immagino che sia uno dei motivi per cui la polizia continua le indagini. Era famosa e, a quanto sembra, non era proprio una persona piacevole, quindi è possibile che fossero in parecchi a desiderare la sua morte. Il problema è che non hanno trovato niente. Erano presenti centinaia di persone. Sorrideva quando ha iniziato a ballare. Non risulta che abbia litigato con nessuno, ma avrai già letto il rapporto.» Fissò Quinn. «È ancora qui, vuoi darle un'occhiata?» «Pensavo che aveste già dato il nulla osta.»
«L'ho fatto. Ma quelli delle pompe funebri verranno solo stasera sul tardi. Vieni, te la faccio portare.» Si avviarono nel corridoio, asettico e inquietante. Nonostante fosse pulito, puzzava di morte. Duarte parlò con un assistente e condusse Quinn in una saletta. In alto, in un angolo, vi era una telecamera. Non sempre i parenti erano costretti a vedere il defunto da vicino. La telecamera consentiva di osservare il cadavere in un altro ambiente più confortevole. La portarono dentro. Duarte abbassò il lenzuolo. Lara Trudeau era stata una donna bellissima. Anche nella morte il suo corpo aveva una strana eleganza. Sembrava solo addormentata, finché lo sguardo non scendeva alle cicatrici dell'autopsia. Quinn la osservò a lungo. Fece un giro completo della barella su cui era sdraiata. Nessun segno di violenza, a parte la cicatrice a Y che le deturpava il petto. Neppure quando era crollata a terra si era procurata dei lividi. «Non ho trovato altro che le pillole che le erano state prescritte e l'alcol. Aveva mangiato pochissimo, cosa che deve avere influito. È morta per attacco cardiaco, la reazione del cuore alle medicine e all'alcol.» «Come Nell.» Duarte lo guardò senza capire. «Non proprio. Nellnon aveva bevuto. Perché, ci vedi un collegamento?» «Non lo so.» «È per questo che te ne occupi?» «In un certo senso. Ho scoperto che Nell amava ballare e che seguiva dei corsi nella stessa scuola dove Lara si allenava e allenava gli studenti.» «La polizia però ha arrestato il marito di Nell. E sul flacone delle medicine c'erano le sue impronte. Tu lo pedinavi, sei stato proprio tu a fornire elementi decisivi, grazie ai risultati delle tue indagini.» «È vero.» «Art Durken è in prigione, in attesa di giudizio, da più di una settimana. Di certo non era presente alla gara.» «Sì, lo so.» «Allora?» «Non so, è solo una sensazione, niente di più.» «Durken continua a negare di aver ucciso la moglie?» «Sì.» Quinn guardò Duarte negli occhi. «Ammette di essere stato un dongiovanni impunito, ma giura di non essere stato lui a ucciderla.» «Pensi che il colpevole sia un ballerino?» Duarte lo guardò perplesso. «Quinn, la polizia ha aperto un'inchiesta proprio perché le circostanze non
erano chiare, ma devi attenerti ai fatti. Durante la gara Lara Trudeau non ha litigato con nessuno e sembrava tranquilla quando ha iniziato a ballare. È caduta di fronte a centinaia di persone. Sul flacone non c'erano impronte. Le pillole che ha preso le erano state prescritte da un medico da cui andava da oltre dieci anni e che, a quanto ne so, non è un ballerino.» «Sì, lo so, ho letto il rapporto. Andrò comunque a parlare con il dottor Williams, anche se è già stato interrogato.» Duarte sorrise. «Se la polizia dovesse incriminare ogni medico il cui paziente ha preso troppe medicine, ti assicuro che le carceri sarebbero strapiene, più di quanto non siano già. È un caso complicato, Quinn. Strano e difficile. Non so proprio da dove potresti cominciare. L'autopsia non ha dato indizi. Se si tratta di omicidio, è il famoso omicidio perfetto.» «Che non esiste.» «Ma sappiamo entrambi che molti restano impuniti.» «Sì. E sono d'accordo con te, non c'è niente di certo da cui partire. A meno che io non riesca a trovare qualcuno che sa qualcosa, e quel qualcuno è là fuori da qualche parte.» «Avrei voluto esserti più utile» borbottò Duarte. Quinn annuì. «Nei sei mesi prima di morire Nell Durken non aveva frequentato la scuola. Anche nel caso di Nell non c'era altro, vero? Niente erba, droga o cose del genere?» «No, mi dispiace. Non c'erano sostanze illegali in nessuna delle due donne. Solo dosi eccessive di medicine regolarmente prescritte e, nel caso della Trudeau, alcolici.» «Grazie, mi dispiace averti fatto perdere tempo.» L'espressione di Duarte si fece più seria. «Ne vale sempre la pena. Io credo davvero in quello che si legge e si vede in televisione. I morti non possono più parlare. Siamo noi la loro voce, ma a volte non siamo in grado di farlo bene quanto vorremmo. Se non mi sono accorto di qualcosa o se non ho pensato a cercare nella direzione giusta, lo voglio sapere.» «Grazie.» «Torni alle Keys stasera?» chiese Duarte. «No, ho portato la barca nel porticciolo di Nick per qualche lavoro. Rimarrò lì.» «Allora forse ci vediamo più tardi. Muoio di fame. Sono stato così impegnato che mi sono dimenticato di mangiare. Non so cosa darei adesso per un hamburger.» Quinn annuì, ma in quel momento l'ultima cosa a cui pensava era man-
giare. Aveva assistito a diverse autopsie senza svenire o vomitare, al contrario di molti suoi colleghi, ma aveva sempre lo stomaco chiuso in presenza di un cadavere. Ci sono cose che non cambiano né con il tempo né con l'esperienza. Duarte era uno dei migliori. Riusciva a mangiare con un cadavere aperto sul tavolo. Sopravvivenza, pensò Quinn, in un posto con un obitorio vasto come quello di Miami-Dade. «Ci sarai più tardi?» chiese Duarte. «Certo» rispose Quinn. Si avviarono all'uscita mentre Lara veniva coperta e portata via. Come aveva previsto, andare alla stazione di Kendall si era rivelata una perdita di tempo. Il detective Pete Dixon lavorava dalle nove alle cinque. Niente straordinari. Quinn salutò un paio di vecchi amici e uscì. Al parcheggio incontrò Jake Dilessio, con cui aveva lavorato prima di lasciare Quantico. Se le indagini sul caso Trudeau fossero state affidate a Dilessio, di certo non avrebbe dovuto frequentare un corso di danza. «È tanto che non ci vediamo» lo salutò Dilessio. «E dire che adesso abitiamo a pochi metri di distanza. Hai la barca ormeggiata da Nick, vero? Pensavo che fossi in partenza per le Bahamas.» «Lo ero. Ma sto facendo qualche indagine sul caso Trudeau» rispose Quinn con una scrollata di spalle. «Trudeau?» ripeté Dilessio con fare assorto. «Il nome non mi è nuovo.» «La ballerina che è morta.» «Ero convinto che fosse stata dichiarata una morte accidentale. A quanto ne so, Dixon sta per archiviare i rapporti e chiudere il caso.» «Sì, è stata classificata come morte accidentale» rispose cupo Quinn. «Ma qualcuno è convinto che non sia così, giusto?» «Qualcosa del genere.» «Per chi lavori?» chiese Dilessio. «La parola lavoro di solito vuol dire che si viene pagati.» «Ho capito. Tuo fratello. L'ho visto non molto tempo fa. Mi ha detto che eri pieno di lavoro. A proposito, congratulazioni. Ho saputo che i risultati delle indagini su Art Durken che hai passato alla polizia sono stati risolutivi.» «Non è andata proprio così. Se fossi stato più bravo, lei non sarebbe morta.» «Da quanto fai questo lavoro? Non puoi sentirti responsabile per tutti i
crimini del mondo.» «Sì, lo so. Ma non riesco a smettere di pensarci. Comunque la ballerina che è morta faceva parte della scuola di Doug. Ho deciso di fare qualche indagine per conto mio.» «Se può esserti utile, Dixon viene spesso a cena da Nick. Non ha moglie, non ha figli e non sa cucinare. Si nutre solo di hamburger e viene quasi ogni sera. Sto andando a casa. Se sei libero ti offro la cena.» «Volentieri. E tua moglie? Quando nasce il bambino?» «Molto presto. Fra tre settimane. Però è andata lo stesso a Jacksonville. Avevano bisogno di lei per l'identikit di un sospettato di omicidio.» «Ero convinto che avesse abbandonato la scientifica e finito il corso.» «Ha finito l'accademia ma è rimasta nella scientifica. È la miglior disegnatrice di tutto lo Stato.» Quando Quinn e Dilessio arrivarono da Nick non erano ancora le sei. Il tramonto era il momento ideale per ammirare il porticciolo. All'orizzonte il cielo si tuffava nell'oceano in un tripudio di colori, dal rosso magenta all'arancione, immersi in striature dorate. Come aveva previsto Jake, Pete Dixon era seduto a un tavolo, già alle prese con il secondo hamburger. Quinn afferrò una sedia del tavolo di Dixon, la girò e si sedette a cavalcioni. «Pete, potresti anche aggiungere qualcosa di verde alla tua dieta e stare un po' più attento ai grassi e al colesterolo, almeno ogni tanto» esordì. Dixon si pulì la bocca e guardò Quinn come se fosse un barracuda sul punto di morderlo. Poi i suoi piccoli occhi si posarono accusatori su Jake Dilessio. «Quinn, Jake. Prego, accomodatevi pure, e già che ci siete datemi il tormento per quello che mangio.» «Grazie» mormorò Jake, poi si sedette. «Sei a un passo dalla pensione. Forse ti farebbe piacere continuare a vivere per godertela almeno un po'» aggiunse Quinn. «Cosa sei, vegetariano o roba simile?» borbottò Pete. Quinn rise. «No, prenderò anch'io un hamburger al formaggio. Ma uno solo.» «L'hai portato qui tu» disse Dixon rivolto a Jake. «E gli paghi tu la cena, sia chiaro.» «Anche tu sei mio ospite» rispose Jake. «Quinn ha qualche domanda da farti.» Pete emise un sonoro lamento e si portò le mani sulla pancia, che tendeva i bottoni della camicia. «Mi auguro che Nick abbia del bicarbonato là
dietro. Dannazione. Sono fuori servizio. Dovevi proprio portarmi un investigatore privato?» «Guarda che ho la barca ormeggiata nel porto» protestò Quinn. «Che vuoi?» chiese Dixon in tono inespressivo. Prima che Quinn potesse rispondere, si rivolse a Jake. «Paghi davvero anche per me? Allora mi ordini un'altra birra?» «Sicuro» rispose Jake. Si guardò attorno e vide una cameriera al tavolo vicino. «Debbie, quando hai un minuto...» La ragazza si voltò senza smettere di scrivere sul blocco. «Ancora un hamburger al formaggio, Pete?» «Divertente» borbottò Dixon. «No, due, ma uno per me e l'altro per Quinn, e tre birre» disse Jake. «Arrivano subito.» Debbie si allontanò, le lunghe gambe abbronzate messe in risalto dai calzoncini bianchi. Pete la seguì con lo sguardo. «Pete, non distrarti. Che ci dici di Lara Trudeau?» domandò Quinn. Dixon corrugò la fronte. «Trudeau? Sei qui per farmi domande su di lei?» «Sì. Perché?» «L'ho chiuso proprio oggi.» «Hai già chiuso il caso?» «Ma quale caso? Non c'è nessun caso. Se vuoi vedere di persona quello che è successo, ho il filmato in ufficio. Vieni pure quando vuoi. Inizia a ballare leggera come un'allodola. Pochi minuti dopo è a terra. È presente un dottore che tenta subito di rianimarla. Arriva l'ambulanza, anche loro cercano di rianimarla. La portano all'ospedale. Viene accertata la morte. Il medico legale la esamina a fondo e scopre che si tratta di possibile suicidio: ha bevuto e preso troppe pillole. Oppure le pillole e l'alcol le hanno fatto cedere il cuore. Era sola al bar quando ha ordinato da bere, una decina di testimoni può confermarlo. Le medicine le erano state prescritte, e da un medico dalla reputazione cristallina. Niente impronte sul flacone. La nostra signora indossava i guanti. Abbiamo controllato comunque. Abbiamo interrogato i camerieri e le cameriere, i giudici, i concorrenti e la giuria. Decine di persone le hanno parlato. Nessuno che l'abbia vista litigare con qualcuno. Sì, ho chiuso il caso. Non c'era proprio nessun dannato caso.» Pete terminò di parlare e arrivò Debbie con le birre. Poi sparì per servire un altro tavolo. Il locale era più affollato del solito. «Ma non trovi che ci sia qualcosa di strano nella sua morte?» chiese
Quinn. «Strano? Vieni a dare un'occhiata alle pratiche che ho in ufficio. È strano che un uomo spari al figlio, alla moglie e poi si uccida. È strano che dal nulla arrivi un proiettile che fa secco un ragazzo che va benissimo a scuola. Porca miseria, ce ne sono di cose strane là fuori. Puoi scommetterci. Ma per quanto riguarda l'affare Trudeau, cosa diavolo cerchi? Non c'è proprio niente. Ammettiamo che sia strano. E allora? Sono in molti da queste parti a essere strani. E non è ancora illegale.» «Se ho capito bene la situazione» disse Quinn con calma, «non erano pochi quelli che odiavano Lara Trudeau.» Pete Dixon lo fissò. Portò la bottiglia alla bocca e prese un lungo sorso. «Forse vale lo stesso anche per te, Quinn. Siamo in America. Non è proibito.» «Io non sono morto» gli ricordò Quinn. «Sì, e non lavori nella polizia. La gente ti assume, ti paga per seguire un caso e puoi permetterti di indagare sulle cose strane. Io non sono altrettanto fortunato. Mi limito agli omicidi.» «Ehi Pete, guarda che siamo tutti dalla stessa parte» gli ricordò Jake. «Sì, come no. E il fenomeno Quinn viene dritto dritto dall'FBI. Ma come è andata Quinn? Perché hai mollato? Cosa credi, che aver lavorato con i federali ti renda migliore di noi?» Quinn non si aspettava molta collaborazione da Dixon, ma neppure tanto astio. Abbassò lo sguardo sulle dita che stringevano con troppa forza la bottiglia e cercò di tenere i nervi sotto controllo. «Hai ragione, Pete. Tu hai un sacco di casi. Al momento io ne ho uno solo. Se ti viene in mente qualcosa che potrebbe essermi di aiuto, ti sarei grato se me la comunicassi.» Quinn pensò che forse avrebbe dovuto continuare le sedute con il terapista dei federali. Quella faccenda del controllo sembrava avere ottimi risultati. Con suo stupore, vide che il volto carnoso di Pete era arrossito. «Sì, certo.» Bevve ancora un sorso di birra. «Hai ragione, tutta la faccenda è strana. Soprattutto non mi spiego come quella donna abbia potuto mandar giù quella roba, ballare così bene e poi schiattare di colpo. Passa a prendere il nastro. Forse potrà aiutarti. Io l'ho guardato e riguardato un sacco di volte, ma non ci ho trovato un bel niente.» Dixon terminò la birra. «Devo andare. Il figlio di mio fratello suona il sassofono a uno di quei pallosi saggi della scuola.» Si alzò in piedi. «Grazie per la cena, Dilessio.» «Figurati.»
«Gli fanno lo sconto, lo sai vero?» disse Pete a Quinn. «Ha sposato la nipote del proprietario.» Lo guardarono uscire diretto al parcheggio. Poi Jake scoppiò a ridere. «Certo che ne hai fatti di progressi, Quinn.» «Dici?» «Per qualche minuto, prima, ho avuto paura che ti saresti alzato per riempirlo di pugni.» Quinn scrollò le spalle. «Psicologia dei rapporti interpersonali» disse in tono indifferente, anche se aveva il dubbio che Jake ne sapesse parecchio sull'argomento. «Bene, se hai bisogno di aiuto, mi trovi in giro» mormorò Jake. «Fantastico. Grazie.» «Più tardi si gioca a poker a casa di Nick, ti va di venire?» «Pensavo di andare in un locale.» «A ballare?» «No. Così.» «Vai al Suede?» «Sì. Hai voglia di mollare il poker e venire con me?» Jake fece cenno di no. «Meglio di no. Qualcuno potrebbe riconoscermi.» «Come mai?» «Mi hanno chiamato quando è stato trovato il cadavere di una prostituta non lontano da lì.» «Hai risolto il caso?» «No.» Jake guardò Quinn. «La ragazza non aveva segni di buchi, ma è morta per overdose.» «Però si tratta di omicidio, o no?» «Non ho ancora chiuso il caso» disse Jake con voce priva di inflessione. «Non ho trovato niente, ma non l'ho archiviato, per il momento. A volte, quando c'è la droga di mezzo, è tutto più semplice, perché quelli della narcotici conoscono bene i criminali dell'ambiente. Non in questo caso. Hanno controllato tutti i locali, ma non hanno scoperto nulla. Sappiamo che la ragazza si chiamava Sally Grant. Raccattava per strada i clienti, nessuno di regolare. Nessun testimone, nessuno che l'avesse vista negli ultimi giorni. Niente di più di una ragazza morta. Con una siringa di fianco.» «Impronte?» chiese Quinn. «Solo le sue, ma potrebbe essere una messa in scena.» «Sono parecchie le morti per overdose» commentò Quinn. «Però è strano, non trovi? Due ballerine, eccesso di Xanax. Una prostitu-
ta, eccesso di eroina. Forse non c'è collegamento. Forse sì. Forse il ballo fa male alla salute.» «Era una ballerina anche la prostituta?» «Non che io sappia. Però è stata trovata vicino alla scuola. Ma potrebbe anche non significare nulla.» «Hanno interrogato quelli della scuola per scoprire se l'avevano mai vista?» «Sì. Nessuno degli insegnanti l'aveva mai incontrata.» «Grazie ancora per la cena, Jake.» «Tienimi informato.» «Lo farò.» Quinn lasciò Jake al tavolo e andò alla barca per cambiarsi. Era da parecchio che non entrava in un club sulla costa e non aveva la più pallida idea di come doveva vestirsi. 5 «Vuoi farmi fare bella figura?» «Scusa?» chiese Shannon. Era esausta. Prima la lezione con Quinn O'Casey, che le aveva fatto perdere la pazienza al punto di aver voglia di urlare, e adesso Richard. Richard era bravo. Molto bravo. Un dottore che aveva scoperto che ballare lo aiutava a dimenticare il peso della giornata. Non operava a cuore aperto, ma si dedicava a qualcosa di molto più decisivo, almeno agli occhi dei suoi clienti. Era un chirurgo plastico. Si affidavano a lui per ottenere la cosa più importante del mondo, secondo gli abitanti della zona: l'aspetto. Poteva vantare una clientela rinomata e una rivista lo aveva definito "il re del Botox dell'emisfero occidentale". Shannon non sapeva con esattezza quanti anni avesse, ma riteneva che fosse intorno ai quaranta. Era in ottima forma ed era un fanatico del golf. Sempre abbronzato, con i capelli biondo platino e gli occhi grigi. Sua moglie, una pediatra, prendeva qualche lezione ogni tanto, ma non era un'appassionata del ballo quanto lui. Preferiva le immersioni e passava la maggior parte del tempo libero in barca. Il loro sembrava un rapporto perfetto. Quando potevano stavano insieme, quando preferivano dedicarsi ai rispettivi interessi, le loro strade si dividevano. Richard era simpatico e imparava in fretta. Era un piacere fargli lezione. In un anno aveva fatto progressi incredibili.
«Terra chiama Shannon.» «Scusa. Farti fare bella figura? Non ne hai bisogno, Richard. È proprio perché sei così bravo che mi sono persa nei miei pensieri. Scusami.» Richard sorrise. «Sei ancora sconvolta per Lara.» «Hai ragione» ammise Shannon. «Lo sai che ho fatto tutto il possibile» affermò calmo. «Sarò anche un chirurgo estetico, ma ho passato molte ore in pronto soccorso.» «Certo, Richard, so che hai fatto il possibile. È solo che è tutto così triste.» «Sì. Ci mancherà molto. A te in modo particolare, o sbaglio?» «Certo, perché me lo chiedi?» «Così, non c'è un motivo.» Stavano ballando un valzer. Shannon si fermò vicino allo stereo e lo guardò dubbiosa. «Richard, perché lo hai detto?» «Non avrei dovuto, adesso mi dispiace.» «Richard.» «Un uccellino mi ha raccontato che un tempo tu e Ben ballavate in coppia ed eravate molto affiatati. Poi Ben ha sposato Lara.» «Capisco.» «Ballavate davvero insieme? Ho sentito dire che nessuno era bravo quanto voi.» «Abbiamo vinto qualche gara, ma è stato secoli fa.» «Scusa. Era meglio se stavo zitto.» «Chi te l'ha raccontato?» Richard non rispose. «Non ha importanza. Non c'è niente di segreto o misterioso. Ero solo curiosa.» «Non hai ancora risposto alla mia domanda.» «Quale?» Richard sospirò, come se fosse seccato. «Vuoi aiutarmi a fare bella figura?» «Sì che ti ho risposto. Ti ho detto che non hai bisogno di aiuto.» Richard scosse la testa e sorrise. «Mi arrivano dei pezzi grossi stasera e li porterò al Suede. Ti va di venire, anche solo per poco?» «Avevo intenzione di andare a casa presto. Ma qualcuno ci sarà di certo, Rhianna o Jane.» «Sei tu la mia insegnante. Quando ballo con te è diverso. Perché non vieni? Ti prometto che ti lascerò libera per le dieci e mezzo.» «Richard...»
«Per favore.» «Va bene. Se tu mi dici chi è l'uccellino che ti ha raccontato di Ben e me, allora forse verrò.» «Ma è un ricatto.» «Credo proprio di sì.» Shannon sorrise. «Non posso dirtelo e ti avverto che non cedo facilmente.» «Se vuoi che venga...» «Gordon» borbottò Richard. «Gordon?» «Sì, adesso devi venire.» «Va bene, verrò» promise Shannon. «Ma prima passo a strangolare Gordon.» «Hai appena detto che non era un segreto.» «Resta il fatto che la vita privata non ha niente a che vedere con la scuola.» «Shannon?» «Cosa?» «Quello che è successo è orribile, ma tu non hai nessuna colpa. Siamo tutti sconvolti e dispiaciuti. La vita continua, anche per te. Fa male vederti così infelice.» «Sto bene. È solo che sembra tutto così assurdo. Non riesco a crederci. Non posso credere che Lara abbia bevuto, dopo aver preso i calmanti e prima di una gara.» «Devi farti forza e accettarlo. Non puoi opporti al destino, anche se lo rifiuti con tutta te stessa. Adesso basta, dedichiamoci solo alla salsa. Voglio stupirli stasera.» Shannon andò allo stereo. «E salsa sia.» Che cosa si indossava per andare in un club alla moda? Quasi niente, a quanto sembrava. Quinn era arrivato sulla costa troppo presto. Aveva trovato facilmente posteggio e adesso era seduto ai tavolini all'aperto di un bar di fronte al Suede e alla Moonlight Sonata. Fissò l'edificio liberty che ospitava il club e la scuola di ballo. Aveva visto arrivare e salire al secondo piano gli studenti della scuola. Poi alcune persone che indossavano calzoncini corti e una maglietta con il nome del locale, presumibilmente i dipendenti, erano entrate al piano terra. Il bar dove si trovava Quinn era un ottimo punto di osservazione.
Davanti a lui erano sfilati tre dark, una ragazza e due ragazzi, tutti e tre con l'anello al naso e con tanto argento alle orecchie da far affondare una nave mercantile. Nonostante il caldo, indossavano jeans neri e lunghe giacche scure e ostentavano un trucco cadaverico. Dopo di loro era passata una coppia di vecchietti; poi tre bellezze in costume, di cui una in tanga e con nove centimetri di tacco; infine una donna dal seno abbondante trattenuto a stento da una giacca che arrivava sopra l'ombelico. Un buttafuori prese posto all'ingresso del club. Un'esile ragazza ispanica con un vestito bianco trasparente entrò insieme a un uomo alto con i capelli scuri, seguiti da tre giovani che parlavano a voce alta con un accento inglese. Quinn sorseggiò la sua acqua minerale, divertito da quello che stava leggendo. Appunti preparati da Doug. Accurati come sempre. Vi era una descrizione dettagliata degli insegnanti. Un gruppetto interessante. Doug aveva cominciato con Gordon Henson, che aveva comprato la scuola all'inizio degli anni Settanta. Non insegnava più ma, a quanto pareva, ai suoi tempi era stato istruttore di futuri campioni mondiali. Si faceva vedere alla scuola per controllare come procedevano le cose e aveva passato la direzione a Shannon Mackay. Lei seguiva qualche studente, ma più che altro si dedicava a questioni amministrative. Era nata a Winter Haven, Florida, a tre anni si era trasferita a Miami insieme alla famiglia, si era diplomata in una scuola della zona, poi aveva seguito corsi di perfezionamento a New York. Era alta uno e settanta e pesava sessanta chili. Energia pura, con occhi verdi, capelli biondo scuro e le capacità di una vera professionista. Doug, a quanto sembrava, aveva indorato poeticamente la descrizione. Cosa che non sorprese Quinn. Tutti quelli che aveva visto alla scuola erano attraenti. Ben vestiti e ben pettinati. Ma Shannon Mackay era straordinaria. Lineamenti delicati, sguardo profondo, sincero e intenso. Irradiava un'energia sensuale e ogni suo movimento era involontariamente seduttivo. Il sorriso era aperto ed enigmatico allo stesso tempo. Shannon aveva un tocco gentile ma d'acciaio e riusciva sempre a guidare gli studenti come voleva. Forse, provò a giustificarsi Quinn, era per quello che era stato tanto imbranato: difficile riuscire a concentrarsi con lei così vicina. Si chiese che cosa avrebbe provato se l'avesse incontrata in una situazione diversa. Di certo un interesse speciale. Gli sarebbe piaciuto invitarla a uscire, ascoltare la sua voce, poterla fissare negli occhi. Ma era sospettata di omicidio, come tutti gli altri.
Si trovò a ripensare all'ultima notte con Geneva e a chiedersi che cosa c'era di sbagliato in lui. Erano stati insieme per cinque anni e quella notte lei era esplosa. Non era mai con lei, gli aveva detto. Non era mai davvero con lei. Neppure quando facevano l'amore. Quinn viveva per il lavoro, respirava il lavoro ed era diventato lavoro. Visti da fuori erano una coppia perfetta. Quinn nell'FBI e Geneva assistente del Pubblico Ministero. Stessi orari impossibili, stesse occasioni mondane. Era intelligente e bella. E aveva ragione. Il lavoro lo ossessionava. Era riuscito a lasciare l'incarico, ma non a liberarsene. In palestra, ogni volta che si allenava, picchiava un nemico che non riusciva a vedere, una forza indistinta che vinceva sempre e che gli lasciava dentro una rabbia sorda. Ciò che lo aveva angosciato di più era che, da quando Geneva se n'era andata, non aveva mai davvero sentito la sua mancanza. Aveva provato solo un vago senso di buio, di frustrazione e la sensazione di essere nel posto sbagliato, di essere inutile. Era arrivato il momento di cambiare vita, di tornare a casa. Poi c'era stato il caso Nell Durken. Il bastardo che l'aveva uccisa era in prigione, in attesa di processo. In gran parte per merito suo. Un assassino era stato arrestato. Ma era davvero lui l'assassino? Quinn strinse i denti e tornò agli appunti di Doug. Shannon Mackay. Dirigeva la scuola, insegnava, non partecipava alle gare. Dopo essersi fratturata una caviglia si era allontanata dalle competizioni. Era accaduto quando era al massimo della carriera e i premi che aveva vinto contribuivano all'ottima reputazione della scuola. Quinn guardò oltre la strada e pensò alla sua insegnante. Era tesa. Le domande che le aveva rivolto l'avevano innervosita. Rhianna Markam, Jane Ulrich. Graziose, nubili, nessuna relazione stabile, senza figli. Rhianna era originaria dell'Ohio e si era laureata in discipline umanistiche. Jane non era andata oltre il liceo ma aveva lavorato come ballerina per tre anni al nord, prima di trasferirsi a Miami. Tutte e due erano ambiziose e volevano arrivare in alto nel mondo dei ballerini professionisti. Lara era stata una loro rivale. Ogni ballerina professionista avrebbe voluto essere al posto di Lara e al momento della sua morte erano presenti molti concorrenti. Forse non era quella la pista giusta, ma bisognava pur cominciare da qualche parte. Se Lara era stata uccisa, doveva essere stato qualcuno che la conosceva bene. L'assassino doveva aver studiato con attenzione ogni mossa.
Gli altri insegnanti. Ben Trudeau. L'ex marito. Da sempre il sospettato numero uno. Vicino ai quaranta, alto, bello, dotato, un po' indurito e, come Lara, un po' troppo avanti negli anni per continuare a gareggiare. Insegnante a tempo pieno. Sam Riley, il partner di Jane Ulrich, molto leale, determinato a raggiungere il successo insieme a lei. C'erano arrivati vicini parecchie volte. Justin Garcia, specialista di salsa, acquisto recente della scuola. Poi c'era il partner di Lara, Jim Burke. Non era un insegnante a tempo pieno, ma si recava alla scuola per allenare gli studenti. Anche lui era alto, bello, sulla trentina, baciato dalla fortuna perché era stato scelto da Lara. Rimasto solo. Con Lara volava alto. Senza di lei, era solo e basta. Era tornato all'ultimo gradino. La sua bravura era irrilevante, era Lara la forza della coppia, la vera primadonna della pedana. Impossibile che Jim Burke desiderasse la morte della sua compagna. Gordon Henson? Quinn scosse la testa. Non era difficile trovare moventi fra le amicizie e i conoscenti di Lara. Gordon l'aveva scoperta e le aveva insegnato a ballare. L'aveva forse rifiutato, emarginato, preso in giro o minacciato? Guardò di nuovo verso la strada. Aveva letto solo gli appunti sugli insegnanti e già aveva una mezza dozzina di ipotesi. E non aveva ancora cominciato l'elenco degli studenti. Il Suede si stava animando. Guardò l'ora. Le dieci passate. Fece per alzarsi, ma poi si bloccò. Shannon Mackay stava scendendo la scala laterale. Era chiaro che aveva lasciato in fretta la scuola. Fece di corsa metà rampa. Si guardò alle spalle. Poi si fermò e per un minuto rimase immobile. Quindi si voltò e risalì le scale. Tirò fuori le chiavi e chiuse con gesti veloci la porta. Poi scese. All'inizio si mosse piano, verso la fine della rampa invece cominciò quasi a correre. Arrivata al marciapiede prese un respiro profondo. Guardò le scale e scosse la testa. Il buttafuori del Suede la vide e la salutò. Lei si girò e rispose al saluto. Poi sparì all'interno del locale mentre lui le teneva aperta la porta. Strano modo di comportarsi, pensò Quinn. Pagò il conto e lasciò una mancia generosa, avrebbe avuto ancora bisogno di quel tavolo nei giorni successivi. Andò alla macchina per posare gli appunti e attraversò la strada. Il buttafuori del Suede, un uomo di colore alto uno e novanta e tutto muscoli, squadrò Quinn da capo a piedi, poi decise di farlo passare.
All'interno la musica era assordante. Il bar si trovava sul fondo del locale, dopo la pista da ballo. Il club era all'altezza di quanto prometteva. La sala era arredata con gusto, le pareti erano state dipìnte nei colori del tramonto, le luci fra i tavolini erano soffuse, mentre i faretti illuminavano e vivacizzavano la pista da ballo. Un trio ispanico suonava un pezzo dal ritmo veloce e sulla pista si agitavano alcune donne in costumi succinti. I tavolini erano quasi tutti occupati, ma il locale non era pieno. Sul fondo del locale, a sinistra del bar, Quinn intravide Gordon Henson, che spiccava grazie ai riflessi delle luci sulla capigliatura bianca. Mentre girava attorno alla pista, vide suo fratello con Bobby Yarborough, compagno di corso all'accademia, e quella che doveva essere la sua novella sposa. Shannon Mackay era seduta fra Doug e un uomo alto in camicia e giacca. Accanto a quest'ultimo vi era una donna minuta sui quaranta, molto elegante, ma con i lineamenti così tirati che urlavano chirurgia plastica da tutti i pori. Doug lo vide dall'altro lato della pista e lo chiamò. Quinn attraversò la sala e lo raggiunse. «Ecco il fratello con due piedi sinistri» scherzò Doug, che si era alzato per salutarlo. «Non è per niente vero» disse Shannon in difesa di Quinn, con un sorriso e una strana espressione assente. «È vero. Hai fatto la tua prima lezione oggi. Quindi conosci già Shannon e Gordon. E Bobby, naturalmente.» Quinn annuì e si allungò per stringere la mano a Bobby, che gli sorrise cordiale. «Non credo che tu abbia mai incontrato Giselle, mia moglie.» «Giselle, è un piacere conoscerti.» «Loro sono i dottori Richard e Mina Long» continuò Doug. Strinse la mano a entrambi. «Molto lieto. Lavorate insieme?» La donna scoppiò a ridere. «Mio Dio, no. Richard è dermatologo e chirurgo plastico. Io sono un'umile e infaticabile pediatra.» «Lei fa un lavoro più nobile» tenne a precisare Richard. «Tu sei l'artista» lo prese in giro la moglie. «Siediti» proseguì rivolta a Quinn e si spostò più vicino al marito. «Così sarete scomodi.» «Non preoccuparti» disse Richard. «Ci fermiamo solo per pochi minuti. Dobbiamo raggiungere degli amici a un altro tavolo, e poi stavamo per andare a ballare.» Non guardò la moglie, ma Shannon. Porse la mano all'insegnante, si alzarono entrambi e si diressero verso la pista.
«Racconta» disse Doug, «com'è andata la prima lezione?» «Bene, molto bene» rispose Quinn, con gli occhi fissi su Shannon che saliva in pista con Richard Long. Un attimo dopo si muovevano con grazia e monopolizzavano la pista. Erano così bravi che diverse persone si spostarono di lato per guardarli ammirati. «Salsa?» chiese Quinn. «Samba» rispose Gordon. Guardò Mina. «Balla anche lei, dottoressa?» Lei rise. Una risata piacevole. «Ma non come Shannon. Ballo con Sam Riley, è il mio insegnante.» Si allungò verso il centro del tavolo. «Temo che Richard stasera stia esagerando. Dobbiamo raggiungere i suoi colleghi all'altro tavolo.» «Capisco» disse Quinn. Mina sorrise ancora. Sarebbe stato un gran bel sorriso, se non avesse dato l'impressione che l'intero viso fosse sul punto di andare in pezzi. «Te ne accorgerai anche tu. Aspetta di prendere confidenza con il ballo. A proposito, hai mai visto ballare tuo fratello?» «No, mai.» Mina Long guardò Doug. «So di non essere come Jane o Shannon, ma se vuoi possiamo far vedere qualcosa a tuo fratello. Ti va?» «Certo» rispose Doug. Lui e Mina si alzarono, seguiti da Bobby e dalla moglie. «Mi dica, le è piaciuta la lezione?» chiese Gordon Henson a Quinn. «A dire la verità, sono venuto solo perché Doug ci teneva. Ma è stata una sorpresa. Mi sono davvero divertito» rispose Quinn, mentre osservava Doug e Mina ballare. Dovette ammettere che il fratello era molto bravo. Gordon appoggiò i gomiti sul tavolo e si chinò verso di lui. «Mi dica, di cosa si occupa, signor O'Casey?» Quinn non ebbe modo di rispondergli. Un uomo si avvicinò al tavolo ed esclamò: «Gordon! Sono riusciti a portarti qui?». L'uomo era alto, capelli scuri, attraente, abbronzato, vestito casual con una camicia di seta nera aperta sul collo, pantaloni beige e giacca scura. «Sì, mi hanno trascinato giù» rispose Gordon, che si era alzato per stringere la mano al nuovo arrivato. «Gabe, ti presento Quinn O'Casey. Il fratello di Doug, un nuovo studente. Quinn, lui è Gabriel Lopez, imprenditore di successo. Il Suede è suo.» «Molto lieto» disse Quinn e gli strinse la mano. «Piacere mio. Benvenuto. È mai stato qui?»
Quinn scosse la testa. «Mai, tutto nuovo per me.» «Le piacerà. Ci sono sempre ottimi musicisti, anche durante la settimana. E la cucina prepara deliziosi manicaretti.» «Mi sembra perfetto» mormorò Quinn. «L'ho mai vista ballare?» chiese Lopez mentre gli si sedeva accanto. Quinn fece una smorfia. «No, e non mi vedrà ballare ancora per molto tempo, posso garantirlo.» Gordon sorrise e guardò la pista. «Forse non diventerà mai come Shannon Mackay, ma guardi Doug. Solo sei mesi e già si muove molto bene. E si diverte. È questa la cosa più importante.» «Sì, e per questo la posizione della scuola è perfetta» disse Quinn. «Al piano di sopra si impara e al piano terra si balla. Non potevate pensarla meglio.» «È vero» ammise Gordon. «Ed è capitato per caso.» «Non era già un club?» «È sempre stato un ristorante» precisò Lopez. «Quando l'ho rilevato, circa un anno fa, ho intuito che questo posto era una miniera d'oro, se ben sfruttato.» Gordon puntò un dito verso il soffitto. «L'altro inquilino è una stilista. È molto brava. Katarina. Quando qualcuno ha bisogno di un vestito, per una serata particolare o per una gara, non deve neanche uscire dall'edificio. Sì, direi che siamo stati proprio fortunati» concluse soddisfatto. Lopez annuì e si alzò in piedi. «È ora di tornare al lavoro. Di nuovo benvenuto, signor O'Casey.» Piegò la testa di lato e sorrise. «È anche lei un poliziotto? Suo fratello e i suoi colleghi ci fanno sentire al sicuro.» Quinn fece cenno di no. «No, mi spiace, non sono un poliziotto. Settore barche. Noleggi, immersioni, pesca.» «Bene. È un uomo fortunato, allora. Niente di meglio del mare.» «Sono d'accordo.» «Divertitevi» disse Lopez. «Ci vediamo, Gabe» lo salutò Gordon. Lopez si allontanò in direzione della cucina. «È un tipo in gamba» mormorò Gordon, poi spostò lo sguardo sulla pista. «Guarda tuo fratello adesso, guarda quanto è bravo» disse con una nota di orgoglio nella voce. Tutt'a un tratto aveva preso a dargli del tu. Quinn guardò la pista. Tutti avevano cambiato partner. Doug ballava con Shannon Mackay ed erano poche le coppie sulla pedana. La musica era cambiata, ora vi era un ballo veloce e coinvolgente.
«Bolero» lo informò subito Gordon. «Penso di non aver mai visto nessuno muoversi così.» «Parli di tuo fratello?» scherzò Gordon. Quinn scosse la testa e sorrise. «La signorina MacKay.» «È la migliore.» Bobby e Giselle tornarono al tavolo senza fiato. «Non ballate il bolero?» chiese Gordon. Bobby sbuffò. «Ogni volta che ci proviamo, non facciamo altro che inciampare. Colpa mia, credo.» Giselle sorrise e gli diede una pacca affettuosa sulla spalla. Poi anche Doug tornò al tavolo. Teneva Shannon per mano. «Allora?» chiese a Quinn. In quel momento sembrava essere tornato il fratellino che cercava la sua approvazione. «Siete stati fantastici.» Doug si illuminò. «Adesso tocca a te.» «Tu sei matto» rispose Quinn con una risata. «Vedrai che te la cavi» lo incoraggiò Bobby. «È merengue. Non puoi sbagliare.» «Sì che posso, credimi.» «Avanti» intervenne Shannon. «È facilissimo. So che puoi riuscirci.» Anche lei ormai gli dava del tu. Gli tese la mano mentre lo guardava dritto negli occhi con aria di sfida. Come se dubitasse del vero motivo per cui aveva iniziato a prendere lezioni. Quinn scrollò le spalle. «D'accordo. Vedo che siete decisi a farmi fare una figuraccia.» «Impossibile, non con Shannon» disse Gordon. «Non mi sembra tanto facile» disse Quinn preoccupato, mentre salivano sulla pedana. «Non preoccuparti.» Shannon era fra le sue braccia e gli mostrava la presa. «Segui i miei movimenti. Sinistra, destra, sinistra, destra. Senti il ritmo?» Sì, lo sentiva. E sentiva anche molto di più. Il calore del suo sguardo indagatore. I movimenti flessuosi e sensuali del suo corpo. «Te la cavi bene» disse Shannon stupita. «Hai davvero un buon senso del ritmo. Possiamo provare qualche movimento delle braccia, se te la senti. Devi solo sollevarle, io giro e poi giri tu.» «Io non riesco ad ancheggiare come gli altri.»
«Non preoccuparti. Ti verrà spontaneo.» Quinn sollevò le braccia come aveva detto Shannon. Era un movimento impacciato, ma lei riuscì a girare lo stesso. «Ora tu» sussurrò lei e lui la imitò. «Cos'è successo prima?» chiese Quinn, quando ebbe finito di girare. «Scusa?» «Ti ho vista scendere le scale. Mi sei sembrata agitata.» «Mi hai vista? Mi tenevi d'occhio?» Il tono di voce non era alterato, ma Quinn percepì una nota di indignazione. «Mi stai pedinando?» Quinn sorrise. «No, mi dispiace di aver dato quell'impressione» rispose in tono calmo. «Sono andato al bar qui di fronte a mangiare un panino prima di entrare.» Shannon arrossì. «Scusami.» «No, anzi. Sono io che devo scusarmi, è che avevi un'aria spaventata.» In quel preciso momento, Shannon lo costrinse a sollevare le braccia e fece una giravolta, come se non volesse essere guardata in viso. Quando gli fu di nuovo davanti, disse: «Gordon era già sceso. Ero da sola a chiudere. E proprio mentre uscivo è caduto qualcosa, un libro forse. Per questo ero spaventata». La risposta gli suonò fasulla come il panino che non aveva mangiato. Non poteva essere stato solo quello a spaventarla. «Siamo a Miami, città nota per i crimini oltre che per la spiaggia. Dovresti stare attenta quando chiudi da sola» l'ammonì Quinn. «Il club è aperto tutte le sere e c'è il buttafuori. Il parcheggio è sul retro, proprio di fronte a un piccolo supermercato. Inoltre nell'edificio siamo solo in tre: il club, la scuola e l'atelier.» «Hai dimenticato i clienti del club» osservò lui. «Certo. Ma mi sono sempre sentita al sicuro, e non sono fragile come sembro.» «Davvero?» Gli venne spontaneo sorridere. «Non c'è niente da ridere» disse lei in tono duro. «So difendermi se necessario, credimi. E non mi lascio scoraggiare tanto facilmente.» «Questo l'ho notato durante la lezione.» «Mi piace insegnare. E odio le bugie.» «Ne sei proprio sicura?» chiese. Gli sembrò di vedere un accenno di rossore colorarle le guance, prima che si staccasse da lui. «La musica è cambiata. Non sei ancora pronto per un mambo» borbottò. Poi si voltò e lo lasciò sulla pista da solo.
6 Il giorno dopo Shannon doveva essere alla scuola entro le nove. Alle dieci avrebbe dovuto seguire l'allenamento di Sam e Jane e alle undici si sarebbe vista con Gordon per mettere a punto i preventivi e gli accordi per il Gator Gala. Per fortuna abitava a pochi isolati di distanza e poteva andare al lavoro a piedi. Era un vecchio stabile e la casa era in pessime condizioni, impianto idraulico da rifare, niente aria condizionata, un'orribile carta da parati e una moquette malconcia. Però era stata un affare. Era piccola, due camere da letto e un giardino grande quanto un francobollo, ma si trovava a tre isolati dalla spiaggia e da quando l'aveva comprata il valore era quadruplicato. Ed era sua. Non erano molte le case di proprietà nella zona e Shannon doveva ringraziare Gordon, che gliel'aveva segnalata e le aveva prestato i soldi per l'anticipo. Quando si rendeva conto di aver passato alla scuola più di ottanta ore in una settimana, Shannon gli diceva che lo stava ripagando in sangue e sudore. Gordon rispondeva che lo aveva previsto e che era stato un ottimo investimento. Quella mattina Shannon voleva arrivare alla scuola il più presto possibile. Doveva scoprire se era esaurita, pazza o entrambe le cose. Salì le scale fino al portone ed esitò. Poi inserì la chiave nella serratura. Aprì la porta e restò in ascolto. Nessun rumore. Entrò piano nella sala, scrutò le tavole lucide del pavimento e controllò ogni angolo. Due pareti erano coperte di specchi fino al soffitto. Sul lato che dava sulla strada c'erano due ampie finestre. La sala riunioni era sul davanti, mentre la zona dell'accettazione e gli uffici si trovavano nel lato più vicino all'ingresso. Sul fondo si aprivano quattro porte, la prima dava su una saletta per gli insegnanti, quella subito dopo sugli spogliatoi degli uomini, la terza su quelli delle donne e la quarta portava a una minuscola cucina. Fra gli spogliatoi c'era un corridoio dal quale si arrivava all'ingresso posteriore. All'esterno c'era una piccola veranda condivisa dai due inquilini del secondo piano. Subito a sinistra del portoncino vi era una costruzione in muratura che serviva da magazzino. Era possibile accedervi anche dall'esterno, perché in origine quel locale non faceva parte della scuola. Avevano tutti la chiave. Katarina ci teneva stoffe e manichini, la
scuola di ballo e il club lo usavano di tanto in tanto per riporvi raccoglitori stipati di vecchi documenti, dischi o qualche attrezzatura. Dall'altro lato della veranda si trovavano le scale che portavano al terzo piano, recentemente ristrutturato da Gabriel Lopez. Aveva ottenuto il permesso dai proprietari di risistemare quei locali inutilizzati e li aveva trasformati in uno splendido appartamento. Gordon diceva sempre che avrebbe voluto averci pensato per primo. Shannon conosceva lo studio e tutto l'edificio come il palmo della sua mano. Per questo si era spaventata tanto la sera precedente. Erano andati via tutti, lo stereo era spento e lei era in ufficio a controllare le schede degli studenti. Considerava una sua responsabilità, come direttrice, telefonare di persona agli studenti che, dopo aver frequentato regolarmente, smettevano di venire. Di solito scambiava quattro chiacchiere con loro per accertarsi che non fossero stati delusi dalla scuola e per raccogliere eventuali rimostranze. Dopo la morte di Lara aveva pensato che fosse il caso di fare qualche telefonata per rassicurare gli allievi. Per questo si era fermata in ufficio. La scuola era silenziosa, non arrivavano né i rumori della strada né la musica del club al piano inferiore, perfettamente insonorizzato. Se fosse caduto uno spillo, sarebbe stato impossibile non accorgersene. Mentre lavorava, Shannon aveva sentito un rumore. Sembrava che qualcuno grattasse qualcosa. E sembrava provenire dall'interno della scuola. Un suono rapido, come un'unghia contro una lavagna. Irritante, inquietante, breve. Finito così in fretta che quasi le era venuto il dubbio di averlo immaginato. Ma non era così. Era balzata in piedi, aveva mollato i registri ed era schizzata fuori dall'ufficio, nella sala principale. Forse Gordon aveva dimenticato di chiudere quando era uscito. La pista da ballo era vuota. Shannon aveva raggiunto il portone d'ingresso e aveva scoperto che era chiuso a chiave. Aveva pensato che fosse il caso di controllare tutte le stanze, gli spogliatoi, la sala insegnanti, l'ufficio di Gordon, la cucina, ma vi aveva rinunciato. Era troppo agitata. Aveva afferrato la borsa e la giacca e si era precipitata fuori. Non riusciva a spiegarsi perché quello strano rumore l'avesse terrorizzata al punto da temere per la sua stessa vita. Era uscita così in fretta da dimenticarsi di chiudere a chiave ed era dovuta tornare indietro. Ora si vergognava di essersi comportata in quel modo. Sopratutto da
quando aveva scoperto di essere stata vista. Da Quinn O'Casey, per giunta, il signor Interrogatorio in persona. Solo pensarci la innervosiva. Lui la innervosiva. Non si trovava per caso dall'altro lato della strada a mangiare un panino, ne era certa. O era così o stava diventando paranoica. Da quando Lara era morta le sembrava tutto diverso, malvagio. Sarai la prossima. Niente di più normale da sentire nel contesto di una gara, dove si succedono i turni dei concorrenti. Ma Shannon non ne era convinta. Lara era morta. E quelle parole potevano essere una minaccia. Lei sarebbe stata la prossima. A morire. Si riscosse da quei pensieri e si avviò decisa a fare il sopralluogo che avrebbe dovuto fare la sera prima. Cucina, spogliatoi, sala insegnanti, sala riunioni, ufficio di Gordon, il suo ufficio. Raccolse i registri che aveva fatto cadere. Infine uscì sul retro e controllò la porta del magazzino. Era chiusa. Tornò dentro, prese le chiavi e l'aprì. Era tutto a posto. Gli scaffali ingombri di roba di ogni genere, registri, scatole di materiali e lampadine. Fece qualche passo nella stanza. Una volta in fondo si bloccò, paralizzata. All'improvviso ebbe la sensazione di non essere sola. Ma si trattava solo di uno dei manichini di Katarina. A passi decisi, raggiunse la porta. Prima di uscire si voltò. Il manichino era sempre lì, fasciato in lungo vestito. Senza volto. Immobile. Qualcuno gli aveva infilato un cappello rivestito di lunghe piume. Era solo un manichino. E nella stanza era tutto in ordine. Shannon uscì, chiuse a chiave e tornò nella scuola. Mentre percorreva il corridoio ricordò a se stessa che la mente può diventare la peggiore nemica di se stessi. Si stava lasciando condizionare troppo da quanto era successo a Lara. Ma era più forte di lei. Non importava quali fossero i sentimenti che provava per quella donna, una cosa era certa: la conosceva bene. A Lara importava solo la danza. Poteva anche bere un bicchiere di tanto in tanto o prendere un calmante per tenere a bada i nervi. Ma non avrebbe mai rischiato di compromettere un'esibizione. All'improvviso uno scatto la fece sobbalzare. Si portò le mani alla gola. Poi si rese conto che non era altro che la porta principale. Qualcuno l'aveva aperta e richiusa. Jane era ferma nell'ingresso e la guardava preoccupata. «Qualcosa non va?»
«No. Niente.» «Sembra che tu abbia visto un fantasma.» «Scusa. Ero persa nei miei pensieri e mi hai spaventata.» Jane sorrise. «Lo sai vero che la porta verrà aperta diverse volte durante il giorno?» «Lo sospettavo» cercò di scherzare Shannon. Jane si guardò attorno e la raggiunse. «Siamo sole?» «Sì, Sam non è ancora arrivato.» Guardò Jane con espressione interrogativa. Anche lei si comportava in modo strano. «Cosa succede?» «Non lo so, sono ancora nervosa, credo.» «Perché? È successo qualcosa?» «A me? No» rispose Jane. «È per Lara» arguì Shannon. Jane annuì e la guardò negli occhi. «Tu sei convinta che ci sia qualcosa che non quadra. Lo so. Credi che qualcuno l'abbia uccisa. Non raccontiamoci storie, sono molte le persone che lo desideravano. Siamo entrambe possibili sospette, lo sai. Io perché mi batteva sempre, se ne vantava e mi prendeva in giro. Tu... per via di te e Ben Trudeau.» «Jane, è stato tanto tempo fa e non ha più nessuna importanza.» «Non so come fai a lavorare ancora con lui.» «Non mi ricordo neanche più quello che provavo una volta per Ben. Ora non c'è più niente fra noi. È un ottimo insegnante e un eccellente ballerino. Dovrebbe fare competizioni e avere una partner altrettanto brava.» «E lei l'ha mollato» bisbigliò Jane. «Lo vedi? Chiunque poteva desiderare la sua morte. Anche Gordon.» «Gordon era orgoglioso di lei. La reputazione della scuola era in gran parte basata sul nome di Lara.» «Gordon la trattava con i guanti e lei gli rispondeva sempre male.» «Jane, di solito non si uccide chi ci risponde male» sbottò Shannon. Adesso che era giorno e non era sola iniziava a trovare ridicoli i suoi stessi sospetti. «Lo dici, ma non ci credi» ribatté Jane. «Non so neppure io a cosa credere» borbottò Shannon. «Dobbiamo solo andare avanti.» «Ne combinava sempre una» mormorò Jane. «Tipo?» «Innanzitutto le piaceva vantarsi di non far parte del corpo docente e di non essere tenuta a rispettare la regola che impedisce di fraternizzare con
gli studenti.» Jane abbassò ancora di più la voce. «Sai cosa penso? Penso che le piacesse ferire le persone. Ricordi com'ero contenta per i risultati che avevo ottenuto con Doug O'Casey e in così poco tempo? Lara lo sapeva. Aveva capito subito che Doug era importante per me, che era una persona speciale. Dalla prima volta che si è allenata con lui mi ha praticamente esclusa. E quella stessa sera ha ballato con lui giù al Suede.» «Jane, balliamo tutti al Suede.» «Lo so, lo so, ma quella sera è stato diverso. Sembrava quasi che se lo stesse accaparrando. Mi guardava e sorrideva soddisfatta perché me lo aveva portato via.» «Doug però è ancora un tuo studente.» «È vero, ma sono pronta a giurare che c'era qualcosa fra loro. E Doug non era l'unico. Secondo me è stata praticamente con tutti i miei studenti.» «Anche con il vecchio signor Clinton?» chiese Shannon, nel vano tentativo di alleggerire la conversazione. Jane non rise. «Clinton è ricco. Lara si è sempre comportata come un angelo con lui. Sapeva su chi puntare. Voleva avere qualche finanziatore di scorta, nel caso in cui qualcuno dei suoi sponsor si tirasse indietro.» «Stai esagerando, Jane. Guardiamo in faccia la realtà: era brava. Molto più che brava.» «Era una strega.» «Le piaceva usare le persone e tenerle alla catena. Ma adesso è morta.» Jane annuì, poi la guardò negli occhi. «Penso che dovresti stare molto attenta.» «Io? Perché?» «Perché sono in troppi a sapere che sei convinta che Lara non si sarebbe mai uccisa.» «Nessuno ha parlato di suicidio. Solo di un'overdose accidentale a cui il cuore non ha retto.» «Tu non pensi che sia stato un incidente.» «E neanche tu, a quanto sembra.» «Ma...» Jane si fermò e si voltò per controllare ancora una volta che non ci fosse nessuno. «Tutti sanno quello che pensi e quello che provi. Sei stata sincera con la polizia. Hai detto troppe cose su Lara. Secondo me dovresti stare attenta.» Sarai la prossima. Shannon si sforzò di sorridere. «Non importa quello che pensa la gente. La morte di Lara è stata archiviata come accidentale. Il funerale è domani.
È finita. È dura e ci metteremo un po' a dimenticare, ma dobbiamo andare avanti. La vita continua. D'accordo?» Jane annuì in modo solenne. A quel punto sobbalzarono entrambe. La porta si era aperta. «Cosa diavolo vi prende?» chiese Sam Riley mentre entrava. Le guardò preoccupato. «Cosa c'è? Ho un aspetto così terribile?» Shannon e Jane si guardarono e scoppiarono a ridere. «No, sei in gran forma come sempre, Sam» disse Shannon. «Forza, filate a cambiarvi e cominciamo. Il vostro CD è già pronto sullo stereo. Muoviamoci, prima che arrivino gli altri.» «Agli ordini!» esclamò Sam. Si avviò nel corridoio scrollando la testa. «Buongiorno Sam? Tutto bene? Gradiresti un caffè? Non è mica chiedere troppo» borbottò a voce alta, in modo che le due donne potessero sentire. «A cambiarsi, Sam. Veloce» scherzò Shannon. Jane lo seguì ridendo. Shannon si guardò in giro. Era una bella giornata e il sole illuminava la stanza. Sam e Jane chiacchieravano allegri mentre si cambiavano. Sembrava tutto in ordine, sereno, normale. E rimase così, fino a quando non entrò Gordon per dirle che doveva cancellare tutti gli appuntamenti e le lezioni di gruppo di quella sera. C'era la veglia per Lara Trudeau, nel salone delle pompe funebri, e nessuno poteva mancare. «Devo ammetterlo» sussurrò Sam a Shannon, «è bellissima. Sai cosa intendo, di solito il morto sembra proprio morto. Ma Lara è stupenda. Si direbbe quasi che dorma, no? E sembra anche così giovane.» Inginocchiata sul cuscino davanti alla bara, Shannon era combattuta fra emozioni diverse. No, Lara non era una persona simpatica. Ma era piena di talento e di vitalità, trasudava energia da ogni poro. Si era creata un suo mondo privato di ammiratori e tutte quelle che erano venute dopo di lei l'avevano considerata un traguardo difficile da superare. Per bravura e bellezza. Ma non per simpatia. Sam sospirò. «Di certo nessuno le avrebbe dato una medaglia per il suo spirito comunitario.» «Sam!» Shannon gli si avvicinò. «In teoria siamo qui per pregare per il defunto.» «Sei convinta che abbia bisogno delle nostre preghiere?» chiese lui.
«D'accordo, non era Madre Teresa, ma non era un'assassina. Molto probabilmente è già lì che balla fra le nuvole. O forse, se esiste il purgatorio, è lì che insegna i passi a un gruppo di fessi.» «Sam» grugnì Shannon. «Tu stai pregando perché possa sedersi alla destra di Dio?» sussurrò Sam. Shannon sospirò e si arrese. Non aveva pregato. Lara non c'era più. Si augurava che ci fosse davvero una vita nell'aldilà e che Lara potesse ballare fra le nuvole. Ma era sempre più convinta che non si era trattato di morte accidentale. Lara amava la vita. Amava anche il semplice gesto di svegliarsi ogni mattina e iniziare a vivere, a muoversi, a usare il corpo come strumento per creare una bellezza ammaliatrice. Era impossibile che si fosse uccisa, neppure per errore. Shannon si alzò e Sam fece altrettanto. C'era una lunga fila dietro di loro. La sala era strapiena. Vi erano tutti quelli che l'avevano conosciuta, professionisti, dilettanti e semplici curiosi che erano venuti per un ultimo rispettoso saluto. Shannon raggiunse Gordon, che parlava piano con Gunter Heirich, un campione tedesco. Gunter la salutò con un sorriso triste e un bacio sulla guancia. «Gunter, sei venuto. Sono sorpresa di vederti. È stato deciso tutto così in fretta.» Molto alto, biondo, elegante, con i lineamenti marcati, Gunter si strinse nelle spalle. «Ero in America, io e Helga ci siamo fermati sulla costa dopo la gara. Non restiamo molto, abbiamo intenzione di partecipare alla gara di Asheville settimana prossima. Stavo appunto chiedendo a Gordon se poteva prestarci lo studio per gli allenamenti» continuò Gunter. «Hai tempo da dedicarci?» Erano a una veglia, eppure Gunter ne approfittava per organizzare la sua agenda. Tutta la gente attorno a lei chiacchierava sottovoce. Forse era giusto così. La vita andava avanti. «Penso di sì» mormorò. Adesso vicino alla bara c'era il signor Clinton. Si inginocchiò con un'espressione triste, recitò una breve preghiera e si fece il segno della croce. Quando si rialzò, Jane lo raggiunse e gli posò un braccio attorno alle spalle. C'erano anche i Long, in silenzio, in piedi in fondo alla stanza insieme alla coppia che era venuta a lezione prima del matrimonio. Rhianna era con loro.
Ben era dall'altro lato del feretro. Da solo. Serio. Perso in un mondo tutto suo. Mary e Judd Bentley, proprietari di una scuola giù a Dade Sud, si avvicinarono alla bara e si inginocchiarono insieme. Erano brave persone, amici. Mary piangeva, una delle poche a farlo. «Sarai la prossima.» «Cosa?» Shannon si voltò di scatto verso Gunter, che la guardò perplesso. Shannon non si era resa conto di aver parlato ad alta voce e in tono tanto tagliente. Arrossì. «Scusa. Ero distratta.» «Dicevo a Gordon che doveva riuscire a convincerti a tornare. Sei l'allenatrice migliore che abbia mai conosciuto e balli come nessun'altra. Se tornassi a gareggiare saresti la prossima.» «Grazie» borbottò. «È un pensiero molto carino, ti. prego di scusarmi per come ho reagito.» Di colpo capì che doveva uscire, anche solo per un momento. Attraversò in fretta la navata centrale e le file di sedie. Il profumo delle corone di fiori allineate contro le pareti e sulla bara era opprimente. Chiuse gli occhi e per poco non si scontrò con Ella Rodriguez e Justin Garcia, che attendevano il loro turno per inginocchiarsi davanti a Lara. Anche l'atrio era pieno di gente. Shannon vide Katarina, la salutò con un cenno della mano e uscì all'aria aperta. L'impresa di pompe funebri scelta da Gordon era nel centro di Miami. Gordon aveva pagato una fortuna per assicurare a Lara un posto in uno dei cimiteri più antichi della zona, Woodlawn. La strada che Shannon si trovò davanti era trafficata. Clacson, gente che urlava dal finestrino. Sul lato opposto, un gruppetto di ragazzini seduti su una Chevrolet rideva e scherzava, davanti a un piccolo emporio. Shannon trovò che l'odore dei tubi di scappamento fosse meglio del profumo dolciastro dei fiori della veglia. E dell'atmosfera ipocrita che si respirava all'interno. La gente cominciava a uscire, in molti la salutarono con un gesto solenne della mano diretti al parcheggio. Alcuni li conosceva bene, alcuni solo di vista, altri le erano sconosciuti. Mentre salutava un ultimo gruppo, li vide. I fratelli O'Casey. Doug le si avvicinò a passi decisi, la abbracciò e la baciò su una guancia. Sembrava distrutto. I capelli biondi, di solito ben pettinati e in ordine, erano scompigliati sulla fronte, come se d avesse passato più volte le mani.
Aveva un'espressione tesa. «Eccoci qui» disse con voce roca. «Adesso non possiamo più fingere.» Shannon annuì, gli accarezzò una guancia e fu felice perché c'era qualcuno che voleva davvero bene a Lara Trudeau, sia pure con l'affetto di un allievo e di un amico. Anche se, a quanto diceva Jane, forse fra loro c'era stato molto di più. Doug abbassò la testa. «Vado dentro.» Poi si voltò, diretto alla porta. Quinn rimase. Alto, misterioso, elegante per l'occasione. La osservava. In quella luce, i suoi occhi sembravano quasi neri. E sembravano scrutarla a fondo e accusarla. Shannon incrociò le braccia e lo fissò a sua volta. «Mi sorprende vederti qui. Non conoscevi Lara, o sbaglio. L'hai mai vista ballare?» «Ho accompagnato mio fratello.» «Capisco.» Quinn guardò la porta. «È interessante vedere tanta gente che partecipa a una veglia. Sul serio. Quante persone sono qui perché le volevano davvero bene? E quanti sono qui solo per vederla e per essere visti a loro volta?» «Di solito chi va a una veglia conosce il defunto» rispose piatta Shannon. «Gordon non ha mai detto che sarebbe stata una veglia privata. Voleva che chiunque desiderasse vedere Lara e rendere omaggio al suo talento fosse libero di farlo.» «Molto nobile» borbottò Quinn. Shannon non riuscì a capire se l'aveva detto con ironia. «Torni dentro?» chiese lui. Lo fissò e scosse la testa. «No. Sono venuta presto con Ben e Gordon, per controllare che fosse tutto a posto.» «E domani c'è la fatica del funerale.» Ancora una volta, Shannon non riuscì a cogliere il vero significato della frase. Le faceva il verso? Aveva in qualche modo intuito quanta falsità ci fosse lì dentro? Che era solo una recita? «Hai bisogno di un passaggio per tornare a casa?» Shannon esitò. In effetti ne aveva bisogno. Era venuta con Ben, ma lui e Gordon si sarebbero fermati fino all'ultimo. «Non ti preoccupare, non tenterò di fraternizzare» la rassicurò. Questa volta aveva negli occhi una luce divertita. «Concedimi un minuto per andare a porgere i miei rispetti.» «Non è necessario.» «Vado lo stesso.» Shannon sollevò appena la testa. «È già entrato Doug e tu non la cono-
scevi neppure. Perché dovresti?» Quinn curvò appena le labbra. «Per vedere naturalmente, e forse per essere visto. Aspettami. Torno subito.» Shannon lo guardò andare via. Doveva ammetterlo, aveva paura. Paura di qualcosa di vago che intuiva ma non riusciva a decifrare. Quinn O'Casey voleva qualcosa. Ma Shannon non riusciva a capire cosa. 7 Doug era accanto alla bara e Quinn decise di lasciarlo da solo per un po'. Percorse la navata centrale e si fermò da un lato. C'erano molte persone sedute e altre contro le pareti. Quinn riuscì a cogliere frammenti di conversazione. Un gruppo parlava del tempo, altri lodavano l'iniziativa della Moonlight Sonata di tenere il Gator Gala proprio in pieno inverno, quando tutti desideravano essere in Florida. Qualcuno parlava di ballo, di come eseguire correttamente un passo che Quinn non aveva mai sentito nominare. Probabilmente quasi tutti lì dentro facevano parte del mondo della danza. Doug era sempre in ginocchio davanti alla bara. Gordon Henson vide Quinn e lo salutò con un cenno. Jane aveva raggiunto Doug e si era inginocchiata accanto a lui. Ben Trudeau era in piedi a lato del feretro, aveva le braccia incrociate sul petto come una sentinella di guardia ai poveri resti. Quinn avanzò, in attesa del suo turno. Finalmente Doug si alzò e si allontanò, dopo aver preso Jane sottobraccio. Quinn si avvicinò alla bara. La donna che c'era dentro era stata molto bella. Era pettinata e truccata. Per la sepoltura le avevano messo un vestito da ballo azzurro cielo con un corpetto di perline. Un fiore fra le mani. Giunte. Sembrava proprio una Bella Addormentata moderna in attesa del bacio che l'avrebbe risvegliata. Bacio che non sarebbe mai arrivato. Quinn aveva visto la registrazione. L'aveva vista volare e sfiorare le nuvole. L'aveva vista morire. Si fece il segno della croce e chinò il capo. In ascolto. Qualcuno parlava con Ben vicino alla grande corona di fiori in testa alla bara. Riconobbe la voce, era Gabriel Lopez, l'elegante proprietario del
Suede. «Stai bene, Ben?» Lopez sembrava sincero e realmente preoccupato per l'amico. «Certo che sto bene. Erano anni che eravamo divorziati.» «Ma era impossibile da dimenticare, vero?» insistette Lopez. «Credo di non avere mai smesso di amarla, in un certo senso» sussurrò Ben dopo una pausa. «Come si ama un bambino egoista. Ma a volte la odiavo.» «Forse dovresti fare più attenzione a quello che dici» lo ammonì Gabriel con voce calma. «Perché?» «Le circostanze sono piuttosto strane.» «Oh, basta. I poliziotti ci hanno interrogati tutti. È stata fatta l'autopsia. Hanno esaminato il filmato. Le circostanze sono strane solo perché Lara è stata una stupida a uccidersi in quel modo. Per sbaglio, per stupidità.» Sembrava arrabbiato. «Vorrei solo che la smettessero. Finiremo con l'accusarci tutti a vicenda.» «Ho sentito dire che Shannon Mackay non è convinta.» «Shannon si rifiuta di guardare in faccia la realtà. Se qualcuno cominciasse davvero a puntare un dito contro qualcuno, quel dito punterebbe proprio lei» disse Ben alterato. «Va tutto bene?» Si era aggiunta una terza persona. Una donna. Quinn riconobbe la voce. Era Mina Long. La dottoressa Long, la pediatra. «Siamo a una veglia, no?» mormorò Lopez, con una traccia di umorismo nella voce. «Scusatemi» borbottò Ben. «Ho visto entrare una mia vecchia partner. Vado a salutarla.» Quindi si allontanò. «Sembra sconvolto» disse preoccupata Mina a Gabriel. «Certo che lo è. Ma penso che quello che lo preoccupi sia una nuova partner, non una vecchia. È da tempo che Ben non balla da professionista ed è pronto a ricominciare.» Fece un profondo sospiro. «Devo andare. Salutami Richard.» «Senz'altro, glielo dirò. Buonanotte Gabriel.» Gabriel se ne andò e una donna si avvicinò a Mina. «Ciao cara, come stai?» «Grace, sono contenta di vederti. Anche se avrei preferito circostanze migliori. Congratulazioni per il secondo premio. So che il trofeo è stato da-
to a Lara, alla sua memoria.» «È stata una vittoria amara» disse la nuova arrivata. «Mi chiedo perché Gordon e Ben abbiano scelto quel vestito. Ne aveva tanti altri che sarebbero stati più... come dire... appropriati. Era perfetto per ballare, ma dentro una bara sembra un po' troppo sgargiante, non credi?» Mina sospirò e la donna di nome Grace cambiò discorso. «Ci vediamo al Gator Gala?» «Certo.» «Devo trovare Darrin. Salutami Richard.» Mina Long rimase da sola, ma non per molto. Aveva visto Doug con Bobby e Giselle e li raggiunse. «Doug, Bobby, Giselle, cara. Come state?» Quinn non sentì la risposta perché fu distratto da qualcuno che si era inginocchiato accanto a lui. Sapeva, prima ancora di voltarsi, che era Shannon. Aveva riconosciuto il suo profumo. Shannon fissava la bara con espressione tesa. «Qualcosa non va?» «È morta» precisò irritata. «Sì, ma non mi sembri solo triste.» Shannon scosse la testa. «Lara non dovrebbe essere morta, tutto qui. Era giovane. Era stupenda. Non fumava. Prendeva vitamine di continuo. Non dovrebbe essere morta» disse Shannon. «Credi che ti abbiano visto tutti? Io devo andare a casa, ma posso prendere un taxi.» «No, è un piacere accompagnarti. Sempre che non rischi di essere licenziata per questo.» Gli lanciò un'occhiataccia. «Non c'è niente da ridere. Non è un bene che docenti e studenti diventino troppo intimi. Può creare problemi sul lavoro.» «Ma ballare non serve proprio a questo, a socializzare? Più si balla e più ci si conosce.» Shannon si alzò e sparì. Anche Quinn si alzò e si accorse che Bobby era al suo fianco. Fece un mezzo sorriso a Quinn. «Era proprio bellissima.» «Hai mai ballato con lei?» «Poche volte. Io e Giselle abbiamo preso solo qualche lezione. È Doug quello che si è appassionato al ballo.» Bobby scrollò le spalle e Quinn capì che non sapeva che Doug non si era appassionato solo al ballo. Anche a Lara Trudeau. Poi Bobby abbassò la voce: «Doug non ti ha trascinato fin qui solo per il ballo, giusto?».
Quinn scosse la testa. «Ma alla scuola non lo sanno.» «Non dirò una parola.» Scrollò di nuovo le spalle. «Ma non so proprio cosa potresti scoprire. Io c'ero quando è successo. È semplicemente crollata a terra.» «Lo so. Oggi ho visto il filmato.» «Se posso esserti di aiuto, conta pure su di me.» «Lo so. Grazie.» Quinn uscì e raggiunse Shannon, che stava per fermare un taxi. «Sono qui.» «Sicuro che non ti faccio allungare troppo la strada?» «Ho portato una barca a Coconut Grove. Sono pochi minuti di deviazione. E poi mi piace guidare lungo la costa. Soprattutto di notte, quando le luci sono accese. È il momento più bello.» «D'accordo, allora, grazie.» Camminarono insieme per un breve tratto, poi Shannon si fermò di colpo. «Come fai a sapere che abito vicino alla spiaggia?» «Non lo so. Ho tirato a indovinare, ho pensato alla scuola.» «Tirato a indovinare?» «Sei un po' troppo sospettosa, non credi? Ho immaginato che se abitavi da qualche altra parte me lo avresti detto.» Quinn doveva avere usato un tono esasperato, perché Shannon rise. «Vìvo sulla costa. A pochi isolati dalla scuola.» La serata era mite ma, mentre camminavano, Shannon fu scossa da un brivido. «Hai freddo? Vuoi la mia giacca?» chiese Quinn. «No, grazie. Sto bene.» Si voltò di scarto. Una coppia che era alla veglia camminava dietro di loro. Quinn guardò prima loro poi Shannon. «Sei un po' nervosa?» «Per niente.» «Se lo dici tu. Siamo arrivati.» Premette il pulsante e le aprì la portiera. Shannon salì. «Sarai meno agitata una volta a casa?» chiese Quinn, dopo essersi messo al volante. «La zona dove vivo è tranquilla.» Quinn sbuffò. «Certo, ho sentito dire che hanno trovato il cadavere di una prostituta da quelle parti, non troppo tempo fa.» Shannon si accigliò. «È vero, ma è stato un fatto insolito. Tutti quelli che vivono o lavorano nella zona si conoscono. Avrà incontrato la persona
sbagliata.» «Non è così difficile lungo la costa. Diciamo la verità, la gente va a South Beach per divertirsi. Certo, alcuni si limitano a ristoranti e discoteche, ma altri cercano di più. Alcol, droga. E non tutti sono persone perbene. Si fanno parecchi soldi con la droga, è risaputo.» «Lo so anch'io, ma i ballerini ci tengono alla loro salute.» «Forse però non tutti i vostri studenti sono così appassionati al ballo.» «Il locale di Gabriel è pulito. Davvero. È stato appena perquisito da cima a fondo dalla polizia.» «Allora perché sei così tesa?» «Non lo sono.» «Se vuoi, quando arriviamo potresti offrirmi un caffè. Così controllo dentro gli armadi e sotto i letti, prima di andarmene.» Shannon lo fissò. La luce dei neon faceva brillare i suoi occhi. «Questo sì che sarebbe considerato fraternizzare.» «No, solo uno scambio di favori. Tu mi insegni a ballare, io mi assicuro che tu vada a dormire al sicuro.» «Gordon non ci permette di dare lezioni private.» «Neanche dopo che i dienti sono stati irretiti?» «Irretiti? Mi considero offesa. Te l'ho già detto, siamo pronti a rimborsare tuo fratello.» «Troppo tardi, sono già stato catturato.» Shannon si voltò e guardò fuori dal finestrino. «Hai proprio ragione. A volte dimentico quanto sia bello.» Oltre la baia, i grattacieli del centro di Miami sfavillavano fra le luci multicolori. La luna riluceva sul mare, la brezza era lieve e le onde solo increspate. Si sentiva appena il rumore del mare, in quell'incanto scuro sovrastato da un caleidoscopio di colori. «Sì» rispose Quinn. «La bellezza è la prima cosa che ho notato, quando sono arrivato qui.» «Ti sei trasferito da poco?» «Sono nato qui. Ma ci sono tornato da non molto.» «Dove abitavi prima?» Di nuovo quell'inflessione sospettosa nella voce. Lo fece sorridere. «Nord Virginia. Anche la Virginia è bellissima. Ci sono il mare, le montagne e tutto il resto. Ma questa è casa mia. Ne avevo nostalgia.» «Anche in Virginia lavoravi con le barche?» «Sì, certo. Non posso stare a lungo lontano da una barca o dal mare. Vi-
vo in barca ora. Ti piace il mare?» «Molto. Da bambina andavo a pescare e da ragazza ho fatto qualche immersione.» «E adesso?» Shannon scrollò le spalle. «Adesso non faccio più niente. Il lavoro mi occupa troppo tempo.» «Ma non partecipi alle gare.» «Faccio lezione. E sono sicura di averti già detto che sono un'ottima insegnante.» Sorrise e aggiunse triste: «Ma non scherzavo. Non ho una vita mia al di fuori della scuola». Si voltò di scatto verso il finestrino, come se avesse detto più del necessario. Si girò di nuovo verso di lui. «Ora che ci penso, la barca sarebbe fantastica.» «Vuoi che ti porti a fare un giro?» «Sì. No, non proprio. Avevo in mente qualcosa di speciale per i partecipanti al Gator Gala. Vediamo, inclusi gli insegnanti e gli allievi delle scuole locali, saremo circa una cinquantina di persone. Puoi procurarci una barca per una serata? Niente di troppo elegante, un buffet e piatti di plastica andranno benissimo. E una piccola orchestra, ovviamente. Puoi organizzare qualcosa del genere?» «Certo.» «Poi parleremo del preventivo.» «D'accordo.» Quinn fissava la strada, era appena uscito dallo svincolo «Allora, dove devo andare?» Shannon gli diede le indicazioni. Quando furono davanti alla casa, si accigliò. «Qualcosa non va?» «Avrei giurato di aver lasciato accesa la luce nel portico.» Il portico era buio. Quinn tamburellò le dita sul volante. «Te l'ho già detto, posso entrare e guardare sotto i letti.» Shannon scese in fretta dalla macchina e frugò in borsa per cercare le chiavi, mentre percorreva il vialetto. L'edificio era incantevole, un misto di liberty ed elementi architettonici spagnoleggianti. Quinn la seguì. «Scherzi a parte, forse è il caso che entri per dare un'occhiata.» «Va bene.» Quinn non voleva solo proteggerla, voleva anche controllare la casa. Si chiese se avrebbe visto le coppe che aveva vinto o qualche fotografia di lei
che ballava. Nel soggiorno c'era solo una scena di danza appesa sopra il camino. Era un dipinto, le ballerine indossavano i tradizionali tutù e fluttuavano contro uno sfondo nelle sfumature dell'azzurro e del rosa. Nel complesso era un ambiente accogliente. I mobili scuri erano alleggeriti dai colori chiari del tappeto e dei due divani, di fronte al camino. Il pavimento era in piastrelle chiare. «A quanto pare in soggiorno non c'è nessuno» disse lei secca. «Avevo paura della tua reazione se mi fossi diretto subito nelle camere da letto» rispose Quinn. Lo fissò con gli occhi verde ghiaccio. «Hai ispezionato la stanza con la stessa rapidità con cui mi hai preso le misure giù alla scuola.» Quinn sorrise e proseguì. «La cucina?» chiese mentre lasciava il soggiorno. «La cucina e la zona pranzo sono da questa parte. Le camere da letto dall'altro lato.» Quinn entrò in cucina e accese la luce. Appese alla trave sopra l'isola centrale c'erano alcune pentole di rame. Un bancone separava la cucina dalla zona pranzo, dove si trovavano un tavolo antico e una credenza nello stesso stile. «Molto carino» commentò Quinn. «Lieta di avere la tua approvazione.» Quinn avanzava accendendo le luci. Entrò in una stanza con un divano, qualche poltrona, lo stereo e il televisore. E un armadio. Sollevò un sopracciglio verso Shannon prima di aprirlo. C'erano solo alcuni vestiti da sera coperti dalla plastica, racchette da tennis e due mazze da polo. «Non avevi detto di non avere tempo libero?» «Adesso» rispose. «Il fatto è che io non butto mai via niente.» «Sei brava?» «In cosa?» «A polo o a tennis.» «No, non molto, ma mi piacevano, una volta.» Mentre andava verso la zona notte, Quinn la sfiorò. La guardò e si chiese se anche lei non era rimasta indifferente a quel contatto. «La camera da letto» mormorò Quinn. «Cosa?» Shannon spalancò gli occhi. «La camera da letto. Vado a controllarla.» «Sì. Certo» rispose imbarazzata.
Lo seguì fino alla prima porta. Neppure un mobile. Specchi a tutte le pareti e pavimento in legno. Doveva essere la sua pista da ballo privata. Quinn diede solo una rapida occhiata. Si diresse all'ultima stanza e di nuovo le passò più vicino del necessario. Nonostante l'ostilità che gli dimostrava, quando la toccava gli sembrava di prendere la scossa. Aprì la porta della stanza da letto. «Un letto fantastico, adoro i baldacchini. C'è un computer.» «Tutti hanno un computer» rispose Shannon. «Non in camera da letto.» «Che cosa c'è di strano a tenerlo in camera?» «Supponiamo che tu abbia una vita privata. Supponiamo che venga qui l'amante migliore del mondo dopo Casanova. C'è il baldacchino, ci sono le candele... Non ti sembra che un computer rovinerebbe la scena?» Shannon lo fissò indignata e sorpresa, ma con l'ombra di un sorriso sulle labbra. «Capisco» disse Quinn. «Forse il re dei Casanova non è ancora transitato da queste parti.» «O forse sì» rispose lei. «Allora sai di che cosa parlo.» «Sì, e so che quello che conta non è la scena» rispose in tono provocatorio, poi tornò verso l'ingresso. «Non dimenticare i bagni. Ce ne sono due, uno qui e uno di fianco alla sala prove.» I bagni erano piccoli. Affascinato da quell'incursione nella vita privata di Shannon, Quinn decise di dare un'occhiata all'armadietto dei medicinali. Quando lo richiuse, la vide dietro di sé nello specchio, con una tazza di caffè in mano. «È già pronto il caffè?» chiese, imbarazzato. «Sì. Grazie di aver controllato. Anche se non credo che qualcuno possa nascondersi fra le medicine.» «Meglio non tralasciare mai nulla.» Shannon sorrise scettica. «Comunque grazie. Mi sento più al sicuro adesso.» «Nessun problema.» Quinn prese la tazza e la fissò. «Zucchero, latte?» «No, grazie, mi piace così.» Quinn si appoggiò alla porta e la osservò. Non si toccavano, ma la tensione fra loro era palpabile. Shannon non era provocante in modo sfacciato, la sua era una sensualità discreta, nascosta. Quinn pensò che era la don-
na più eccitante che avesse mai conosciuto. Finì in fretta il caffè, nonostante fosse bollente. Le porse la tazza vuota e incrociò il suo sguardo. «È meglio che vada» disse con un tono di voce così basso che si stupì lui per primo. «Se restassi sarebbe decisamente considerato fraternizzare. Buonanotte.» «Buonanotte e grazie» rispose Shannon. Una volta nel portico, Quinn si voltò e le chiese: «Pensi che la ragione del tuo nervosismo sia che non credi che la morte di Lara Trudeau sia stata un incidente?». «Non so di cosa parli» rispose Shannon, ma socchiuse gli occhi. Fu come se una maschera le fosse calata sul viso. «Sei convinta che Lara Trudeau sia stata assassinata. Se sai qualcosa, se hai paura di qualcosa, devi dirlo, devi riferirlo alla polizia.» «Ho parlato con la polizia il giorno che è morta» annunciò lei con voce priva di espressione. «Ma non ho mai detto che secondo me Lara era stata uccisa.» «Comunque dovresti stare più attenta. In giro sono in molti a dire che secondo te è impossibile che Lara abbia preso le pillole da sola. E se Lara non ha preso da sola le pillole...» «Lara è morta per eccesso di tranquillanti e di alcolici. Lo ha detto il medico legale. Non c'è altro da aggiungere.» «Non è me che devi convincere. Chiudi a chiave la porta.» «È quello che faccio sempre.» Quinn si voltò e si diresse alla macchina, consapevole che lei lo seguiva con lo sguardo. Si voltò ancora. «Ho detto di chiudere a chiave.» Shannon sparì all'interno. Dalla strada la sentì sbattere la porta. Sorrise. Si infilò in macchina e avviò il motore. Shannon si appoggiò al battente. Lo sentì andare via. Era stata una serata lunga ed era a pezzi. Era contenta di averlo fatto entrare, ora si sentiva più sicura. Però sapeva che non avrebbe dovuto essere così attratta da uno studente. Forse doveva fare un passo indietro. Forse era meglio passarlo a Jane. O forse non c'era proprio niente di male. Aveva ventotto anni. E non aveva una vita privata. Vista da fuori la sua vita poteva sembrare eccitante. Ballava tutto il giorno e aveva libero accesso in uno dei locali più esclusivi
della città. Gabriel era un uomo attraente. Le aveva anche chiesto di uscire. Era piacevole ballare con lui ed era una sicurezza averlo come amico, ma Shannon non desiderava nulla di più da lui. Non si sarebbe mai fidata di uno come Gabriel, non era il tipo da relazione seria, aveva sempre bisogno di nuove emozioni. Poi c'era Ben. Shannon aveva smesso di provare qualcosa per Ben da molto tempo ormai. Lo considerava un errore di gioventù. Sam e Justin erano come fratelli minori. A volte la facevano arrabbiare e a volte ne era orgogliosa. Non poteva certo dire di non aver incontrato uomini nella sua vita, o che non le fossero capitate occasioni. Solo che era da un po' che nessuno la interessava. Da troppo tempo. Quinn era un bugiardo. Era sicura che non fosse interessato alle lezioni di ballo. E di certo non era interessato a lei. Si staccò dalla porta. Uno come Gabriel era un libro aperto. Quinn era un libro chiuso. D'un tratto sentì qualcosa all'esterno. Come un ramo che veniva spezzato. Restò immobile. In ascolto. Niente. Poi ancora rumore di passi, silenziosi e veloci. Che strisciavano lungo la casa diretti verso la strada. Poi più niente. Rimase immobile per quello che le sembrò un tempo interminabile. Senza respirare. Dopo un po' si scostò dalla porta e la fissò. Cercò di ragionare. Se aveva sentito dei passi, si allontanavano dalla casa. E forse non li aveva neppure sentiti. Poteva essere stato un gatto che era stato spaventato ed era scappato. Erano anni che abitava in quella casa. Era un quartiere tranquillo. Così tranquillo che non aveva neppure installato un allarme. Si allontanò dalla porta, ma continuò a guardarla. Sarebbe stata una stupida ad aprirla. Ma se non l'avesse aperta per sincerarsi che non c'era nessuno, non avrebbe chiuso occhio. Rimase incerta a lungo, mentre i secondi passavano, con gli occhi fissi sul battente. Alla fine raggiunse la serratura, la apri, esitò ancora e spalancò la porta. 8 Tornato al porto, Quinn notò un gruppo di poliziotti seduto a un tavolo sulla veranda di Nick. C'era anche suo fratello. Era esausto e pensava di
andare subito a dormire, poi però cambiò idea e li raggiunse. Bobby, Giselle e Doug erano seduti con Jake Dilessio. Jake lo salutò con un cenno della mano e lo invitò a sedersi. A un altro tavolo c'era qualche agente della narcotici che Quinn conosceva. «Allora, che cosa ne pensi?» chiese Doug, mentre Quinn si sedeva. «Era bellissima, vero? Parlo di Lara.» «Sì, bellissima» disse Quinn. Era evidente che il fratello aveva bevuto. Sbronza triste. In fondo erano appena stati a una veglia funebre. Ma Quinn aveva la certezza che Bobby non sapesse che suo fratello andava a letto con la campionessa della scuola ed ebbe paura che Doug finisse con lo scoprirsi troppo. «Ho l'impressione che tu abbia fraternizzato, Quinn, o sbaglio?» lo prese in giro Bobby. Quinn scrollò le spalle. «Le ho offerto un passaggio. Nient'altro.» «Non sa che sei un investigatore, vero?» chiese Bobby. «È molto più facile fare domande se le persone non sono sulla difensiva e sospettose.» «Non ti preoccupare, non mi lascerò sfuggire il tuo segreto.» «Un gruppo interessante, non trovi?» osservò Giselle con un sorriso. «È così strano. Alla scuola sono tutti molto cordiali. Ma al Suede si ha l'impressione di non conoscerli affatto. Non sai cosa fanno nel tempo libero, non sai quali siano i loro interessi.» «Non hanno tempo libero. Ballano e basta. È la vita dei professionisti» disse Bobby. «Avresti dovuto essere alla gara, Quinn. Devono essere perfetti. Si ricoprono l'un l'altro di complimenti. Alcuni si comportano come fossero dei e parlano come se si trovassero su un palcoscenico. Ma qualcuno è anche espansivo e affettuoso.» «Sono in molti a essere espansivi e affettuosi» sottolineò Giselle. «Un paio di quei gentiluomini erano un po' troppo interessati a Bobby, secondo me.» Bobby rise e diede alla moglie una pacca affettuosa sulla spalla. «Devo andare in bagno» biascicò Doug. Si alzò e si allontanò con andatura barcollante. «Quinn, non farlo tornare in macchina» suggerì Jake. «Dormirà sulla barca» annunciò Quinn. Bobby annuì. «Sì. È stata una brutta serata per lui. Lo so, una veglia non è mai divertente, ma lui ha preso troppo a cuore la morte di Lara.» «O'Casey!» In quel momento Nick uscì da dietro il bancone con il tele-
fono del ristorante in mano. «C'è una telefonata per te.» «Grazie, Nick.» «Figurati. Vedi di portarmelo indietro. Sarebbe il quarto portatile che perdo in tre mesi» disse Nick. «Lo controlli tu, Jake?» «Senz'altro» promise Jake. Quinn guardò Jake e scosse la testa mentre prendeva il telefono. «O'Casey.» «Ciao. Mi dispiace disturbarti. Ho preso questo numero dalla tua scheda, mi sono collegata da casa. Non avrei dovuto, ma...» «Shannon?» chiese Quinn. «Sì. Mi dispiace. Mi sento una stupida, ma credo che ci fosse una persona in giardino, che si aggirava intorno alla casa. Ho pensato che forse conosci qualcuno che potrebbe venire da queste parti a dare un'occhiata in giro. O forse farei meglio a chiamare la polizia? Sei un poliziotto. Cosa mi consigli?» «Shannon, non stai parlando con Doug, sono Quinn.» «Quinn?» Di colpo la voce si fece più dura. «Anche tu frequenti il locale di Nick? Pensavo che non fossi un poliziotto.» «Non lo sono. Non è indispensabile per mangiare qui. È un posto carino. Ci sei mai stata? No, certo che no. Dimenticavo, non esci mai.» «Divertente. Fa niente. Mi dispiace averti disturbato. Ho pensato che forse Doug aveva un collega di pattuglia, ma lasciamo perdere.» La voce di Shannon era tesa ed era chiaro che era sulla difensiva. «Cosa è successo?» le chiese. «Niente.» «Allora perché sei così spaventata?» Shannon esitò e Quinn pensò che fosse sul punto di riagganciare. Poi sentì un lungo respiro. «Subito dopo che sei andato via, ho sentito un rumore. Come se qualcuno strisciasse lungo la casa, come se volesse origliare. Poi è corso via nel giardino. Ho aperto la porta...» «Cosa hai fatto?» «Ho aperto la porta.» «E come ti è venuto in mente?» «Per convincermi che non c'era nessuno.» «E?» «Era buio, ma credo che non ci fosse nessuno.» «Allora?» «Io sono convinta che ci fosse qualcuno. Ho visto qualcosa muoversi
verso la strada. Lontano dalla casa. Nascosto nell'ombra. Forse era solo un gatto randagio. O forse ho solo creduto di aver sentito quel rumore. Mi dispiace aver telefonato. Ho immaginato tutto, ne sono convinta. Tra la veglia di stasera e il funerale domani, devo avere i nervi a fior di pelle. Davvero, mi dispiace.» «Non andare a dormire. Aspettami, arrivo subito.» «No, sarebbe ridicolo. È tutto sotto controllo. Davvero. Non stare a venire.» «Arrivo subito» disse Quinn e chiuse la comunicazione. Gli altri tre lo fissavano. «Shannon Mackay. Probabilmente si tratta solo di una crisi di nervi. Ma vado lo stesso a dare un'occhiata. Bobby, assicurati che Doug dorma in barca. Jake...» «Ho capito, riporto a Nick il telefono» lo precedette Jake. «Chiama se hai bisogno di qualcosa.» «Puoi scommetterci.» Quinn li salutò e si affrettò verso la macchina. Shannon camminava nervosa per il soggiorno. Da una parte si sentiva una completa idiota, dall'altra si chiedeva quanto ci avrebbe messo Quinn ad arrivare. Non aveva mai avuto paura prima. Tornava a casa tardi quasi tutte le sere. Parcheggiava, scendeva dalla macchina ed entrava in casa, senza nemmeno pensarci. A volte incontrava i vicini che portavano fuori il cane o la spazzatura, o che si godevano l'aria fresca della sera. Non aveva mai pensato a casa sua come a un possibile pericolo. Si lasciò cadere sul divano e si passò le dita fra i capelli. Lara era morta subito dopo che un cameriere aveva detto proprio a Shannon: «Tu sei la prossima». E da quel momento... Una volta era una donna sicura di sé, senza problemi, una persona matura e responsabile. Sapeva di essere molto brava nel mestiere che si era scelta e le piacevano le persone con cui lavorava. Non poteva lamentarsi della sua vita, salvo per il fatto che era un po' troppo vuota. Rabbrividì al ricordo della conversazione che aveva avuto con Jane. Erano troppe le persone a cui aveva confidato che, nonostante il referto del medico legale, nessuno poteva convincerla che Lara si fosse uccisa? Un altro rumore davanti a casa. Sobbalzò sul divano, il cuore le batteva
all'impazzata. Raggiunse la porta e guardò attraverso lo spioncino. Sorrise. Harry, il cane dei vicini, aveva appena marcato il territorio contro i piccoli alberi di palma che aveva piantato da poco lungo il vialetto. Sorrideva ancora, quando il colpo alla porta la fece urlare. «Shannon?» La voce di Quinn. Shannon si diede dell'idiota. «Ciao.» Aprì la porta. «Cosa è successo?» le chiese brusco. «Ho sentito un urlo.» «Hai bussato» disse contrita. «Hai urlato perché io ho bussato?» Shannon abbassò la testa. Quinn doveva essere convinto che lei fosse una scema. «Non importa. È una lunga storia. Forse cominci a rimpiangere che Doug ti abbia mandato da noi per la lezione di prova. Ti assicuro che di solito i ballerini sono sani di mente.» «Pensi di farmi entrare?» «Certo, scusa.» Quinn entrò. «Allora, racconta.» «Non c'è molto da raccontare, a dire il vero.» Shannon sospirò. Averlo lì la agitava tanto quanto essere sola. Ma per motivi diversi. Indossava una lunga vestaglia, eppure si sentiva nuda. La notte era troppo bella. Lui era troppo vicino e lo spazio tra loro troppo carico di intimità. «È tutta colpa del cane.» Rise. «Insomma, è stata una settimana difficile. Lara non era la mia migliore amica, però la conoscevo da sempre e davvero la sua morte è stata una tragedia. Comunque, mi è sembrato di sentire un altro rumore, allora ho guardato fuori e mi sono messa a ridere di me stessa, perché il rumore che avevo sentito non era altro che Harry, il cane dei vicini.» «Un grosso e peloso golden retriver?» «Proprio lui.» «Ero appoggiata alla porta e mi sentivo una scema per essermi spaventata e a quel punto tu hai bussato. Mi sono spaventata di nuovo e ho urlato. Va tutto bene, non era il caso di farti tornare fin qui. È tardi, eri con i tuoi amici. Non dovevo disturbarti.» «Non preoccuparti. Sono più che sveglio. Adesso vado a fare un bel giro per la casa.» «Grazie. Ti va un altro caffè? O un tè magari?»
Quinn continuava a fissarla. «Hai del popcorn?» Lo guardò interrogativa. «Penso di sì.» «Hai un lettore DVD?» «Sì.» «Hai un film che non hai mai trovato il tempo di guardare?» «Ne ho a decine. Continuo a comprarne e non li guardo mai.» «Prepara il popcorn, il tè freddo e cerca un film. Torno subito.» Quinn uscì dalla stanza, poi si riaffacciò alla porta. «Secondo me questo sì che è fraternizzare, cosa dici?» «Temo proprio di sì.» «Potrei sedermi da un lato della stanza e tu dall'altro. Ma in fondo io sono in prova, non sono un vero studente.» «Sì che lo sei. Vieni a lezione.» «Sono una tale frana che forse non conta.» Shannon rise. «Non sei poi così male e conta comunque, ma io non ho intenzione di raccontarlo in giro e mi auguro che neanche tu lo faccia. Sempre che tu sia deciso a fare da babysitter per qualche ora.» «Con tutte le volte che ti ho pestato i piedi, credo di essere in debito.» Quinn si svegliò, sentì le voci che provenivano dal televisore e vide la luce che filtrava dalla finestra alle sue spalle. Un risveglio piacevole. All'inizio non si mosse, si limitò ad aprire gli occhi. Fra poche ore avrebbe avuto dolori ovunque. Si era addormentato seduto, con la testa piegata da una parte. Shannon era accanto a lui, dormiva con la testa sulle sue gambe, teneva le ginocchia piegate contro il petto e le braccia attorno a un cuscino. Ciocche di capelli dorati disegnavano riccioli sui suoi pantaloni e il calore del peso di lei lo incatenava e lo eccitava allo stesso tempo. Ma più di ogni altra cosa, averla accanto risvegliava ricordi difficili, un senso di nostalgia. Non si mosse e ripensò a quando aveva amore e passione nella sua vita e quasi non li notava. Era concentrato solo sul lavoro. Anche quando tutto era scivolato via, anche allora non se ne era accorto, perché qualcosa dentro di lui era morto. Nelle settimane e nei mesi successivi aveva cercato solo qualche breve incontro con il gentil sesso, niente di più. L'apatia era rimasta. Non riusciva a scrollarsela di dosso. Era andato avanti per inerzia, senza mai smettere di chiedersi dove aveva perduto la capacità di amare e di essere amato, e la voglia di divertirsi. Poi Nell Durken era stata trovata morta. E all'apatia si erano aggiunti la rabbia e il senso di impotenza.
A quel punto era entrata in scena Shannon Mackay. Quinn non avrebbe voluto muoversi. I capelli biondi sparsi su di lui. La mano di lei che pendeva dal suo ginocchio. Il suo calore, il suo peso, gli facevano desiderare di restare lì, di lasciarsi sommergere dalle sensazioni piacevoli. Essere così vicino a lei, quell'intimità quasi casuale, gli fecero capire cosa aveva perso, cosa gli era mancato, di cosa aveva bisogno, quello che aveva sempre desiderato nel profondo del cuore. Dopo un po' si alzò piano e Shannon si mosse appena, per trovare di nuovo una posizione comoda. Quinn prese un cuscino e glielo sistemò sotto la testa. Era arrivato il momento di andarsene. Recuperò la giacca, spense il televisore e andò in cucina. Trovò un blocco e scrisse un messaggio. "Grazie per il popcorn, il tè e il film. È l'alba e ti chiudo dentro. Quinn." Uscì senza fare rumore e controllò due volte che la porta fosse ben chiusa. Poi raggiunse la macchina e partì. Al cimitero c'era molta più gente che alla veglia. Il mondo della danza era presente al completo: gli studenti di Lara, gli amici, i partner e gli amanti, erano venuti tutti a porgerle l'ultimo saluto. E come sempre c'erano i giornalisti, le telecamere dei notiziari e decine di curiosi. Shannon era seduta accanto a Gordon, su una delle sedie pieghevoli che erano state sistemate davanti alla tomba. Mentre il prete parlava della vita terrena e della vita nella luce dell'eternità, Shannon abbassò la testa e si perse nei suoi pensieri. Le sembrava una vergogna che fosse venuta tanta gente. Qualcuno aveva calpestato le altre tombe, rovinato i fiori, solo per soddisfare la curiosità e partecipare al funerale di una persona famosa. Lara sarebbe stata seppellita vicino al mausoleo, circondato da imponenti querce, tra la statua di un angelo e un'elegante cappella in marmo. Era una giornata serena. Non c'era traccia di nuvole che sbiadissero l'azzurro intenso del cielo. Per fortuna Gordon aveva fissato la cerimonia al mattino presto. Fra poche ore il caldo sarebbe stato insopportabile, nonostante fosse già autunno. Da qualche parte un'ape ronzò e in lontananza si sentì un cane abbaiare. Il cimitero era in una zona abitata. Bambini che giocavano nei parchi, macchine che avanzavano impazienti entro i limiti di velocità stabiliti, clacson che suonavano. La vita continuava, anche in prossimità di un cimitero. Qualcuno la toccò. Shannon sollevò la testa. Era Ben Trudeau, che con
tristezza le porgeva una rosa da buttare sulla bara. La cerimonia era terminata. Shannon si alzò, si avvicinò alla fossa e buttò la sua rosa. Gordon la prese per un braccio e si allontanarono insieme dalla tomba. «Signor Henson! Signorina Mackay!» Shannon si voltò seccata e vide Ryan Hatfield, il cronista di un giornale locale che detestava. Era alto e ossuto e sembrava avere bisogno di una vita privata molto più di Shannon. Alle gare prendeva sempre in giro i dilettanti e i professionisti. Una volta aveva scritto un articolo crudele su una coppia piuttosto in carne che aveva vinto la gara di valzer dei dilettanti. Dei professionisti scriveva che erano tutti malati, ridicoli snob che guardavano con sospetto e disprezzo chiunque non facesse parte del loro mondo. In un suo pezzo aveva citato Shannon e l'aveva fatta sembrare una strega che viveva in un mondo fatto solo di apparenza. «Cosa vuole?» chiese brusca, prima che Gordon potesse parlare. «Solo un paio di parole» disse Hatfield. «Per poterle distorcere a suo piacere?» «Lara era considerata una star nel mondo del ballo. Che sentimenti provate?» chiese Hatfield, con un tono di voce pieno di sincera comprensione. «Secondo lei, come dovremmo sentirci?» ribatté Shannon furiosa. «È morta troppo giovane. Una tragedia. Di fronte a fatti del genere, cosa crede che si provi? Si prova dolore. È una grave perdita. Adesso, vuole scusarci per favore?» «Dove andate? Vi trovate tutti insieme da qualche parte? Il sacerdote non l'ha detto» insistette Hatfield. «La veglia è stata pubblica, il funerale anche» disse Gordon con decisione. «Quanto seguirà è riservato alle persone che la conoscevano e amavano davvero. Andiamo Shannon.» Con il braccio di Gordon sulle spalle, Shannon si avviò verso la limousine in attesa, ma le parole di Hatfield la seguirono. «Mi faccia il piacere di guardare laggiù. Ben Trudeau è ancora lì, vicino alla tomba. Ed erano divorziati da anni, o no?» Era tanto che Shannon non sentiva una tale rabbia. Aveva paura di esplodere, di perdere il controllo, di liberarsi di tutte le sue ansie e frustrazioni e scaricarle sul cronista. Ma quando si voltò non era più solo. I due fratelli O'Casey erano ai fianchi di Hatfield, pronti a portarlo via. «Cosa diavolo credete di fare?» urlò il cronista fuori di sé. «Lasciatemi
subito o chiamo un poliziotto. Vi faccio causa.» «Io sono un poliziotto» rispose Doug senza scomporsi. «Andiamo» disse Gordon e prese Shannon per un braccio. «Questo è un rapimento. Vi denuncio» urlava Hatfield. Shannon non riuscì a sentire altro, perché Gordon la trascinò alla macchina. Ben Trudeau li raggiunse e salì con loro. Guardò dal finestrino e scosse la testa. «Cronisti del cazzo» borbottò. «Ben» lo rimproverò Gordon. «Non ci sono studenti nei dintorni» rispose Ben. «Ma siamo a...» iniziò Gordon. «È un giorno orribile per lui, lascialo in pace» si intromise Shannon. La limousine lasciò il cimitero. Ben si guardò le mani, poi sollevò lo sguardo e fece un lungo sospiro. «È tutto vero. Se n'è andata. È sotto terra. Non riesco a crederci.» Gordon gli posò un braccio sulle spalle. «Sì, è dura da accettare.» Sarai la prossima. Shannon ricordò quelle parole e fu scossa da un brivido. Bensisporse oltre Gordon. «Scusa, Shannon, tu come stai?» «Non ti preoccupare, sto bene.» Pensieroso, Ben tornò a guardare fuori. «Quello schifoso scribacchino stava per farci uscire di testa, per fortuna che abbiamo un poliziotto fra i nostri studenti. Però è stato il fratello quello che ha intuito la situazione e si è mosso per primo. Siamo sicuri che non sia anche lui un poliziotto? Sembra in ottimi rapporti con loro.» «No, non è un poliziotto. Forse lo è stato in passato, ma adesso non più» borbottò Shannon. «Però si comporta come se lo fosse» notò Ben. «In che senso?» chiese Gordon. Ben scrollò le spalle. «Non lo so. È sempre lì che osserva. Ieri all'ora di pranzo ero in un bar e c'era anche lui, un po' nascosto» rivelò ai suoi due amici. «E allora? Io incontro di continuo persone che conosco» commentò Gordon. «Sì. Credo che tu abbia ragione. Viene anche lui?» «No. Non ho invitato gli studenti. Solo alcuni professionisti con cui Lara ha lavorato e gli altri inquilini dello stabile.» Gordon si portò una mano al-
la fronte. «Il pubblico ha avuto la veglia e il funerale. È tempo di stare per conto nostro.» Il posto che Gordon aveva scelto per la riunione dopo il funerale era un piccolo locale in Lincoln Road dove andavano sempre in occasioni speciali. Gordon aveva limitato gli invitati a una ventina di persone. Si riunirono attorno a quattro tavolini e Gordon fece il suo personale elogio di Lara, poi toccò a Ben e Shannon trovò sincere le sue parole. Parlò del rapporto fra loro, fatto di passione e di intense emozioni, violento a volte proprio come il modo di ballare di Lara, e concluse dicendo che Lara aveva una personalità forte che non lasciava nessuno indifferente. Era una perdita terribile per tutti. A volte Lara usava parole taglienti, ma erano sempre d'incitamento a lavorare di più e meglio e a far sì che la vocazione e l'abilità di ognuno rendesse la danza non un lavoro ma un modo di essere. Shannon confermò a Gunter la sua disponibilità nella settimana successiva, ma tagliò corto quando lui cominciò a dire che era una fortuna che lei non avesse tenuto per sé l'ottima coreografia che aveva creato. A un certo punto si trovò a parlare con Christie Castle, cinque volte campionessa nazionale di liscio e adesso allenatrice e giudice di gara di campionati internazionali. «Ce la fai a resistere, Shannon?» chiese Christie. Christie era sottile come un giunco, con grandi occhi scuri e capelli nerissimi. Aveva un'età indefinita, ma era il tipo di donna che a novant'anni sarebbe stata ancora bella. «Abbastanza. È tutto molto triste, ma lo sai, io e Lara non ci frequentavamo al di fuori della scuola» rispose Shannon. «Gordon dice che negli ultimi giorni sei stata nervosa.» Abbassò la voce. «E la tua segretaria mi ha raccontato che sei convinta che ci siano molte cose che non sappiamo.» «Ella non avrebbe dovuto parlarne con te.» «Credi davvero che Lara possa essere stata assassinata?» Shannon notò che Christie bisbigliava. Gordon, Ben, Justin, Sam e altri erano seduti dietro di loro. A Shannon sembrò che Ben si fosse voltato un poco, come se fosse più interessato a quello che dicevano loro che alla conversazione del suo tavolo. «In realtà non so proprio cosa pensare» borbottò Shannon. Christie le posò una mano sul ginocchio. Aveva un'espressione preoccupata. «Hai un'aria davvero distrutta. Dormi abbastanza?»
La sera precedente era crollata a dieci minuti dall'inizio del film, ma era stata la prima notte di vero sonno di tutta la settimana. «Non molto. Non so perché. Non riesco a rilassarmi.» «Dovresti prenderti un cane» le consigliò Christie con l'aria di chi la sa lunga. Shannon sorrise. Christie aveva Puff, uno yorkshire minuscolo. Lo portava con sé ovunque andasse. «Christie, sono fuori di casa per quindici ore al giorno. E, in tutta franchezza, non so cosa potrebbe fare un cane come Puff se qualcuno mi aggredisse.» «Non credere, Puff fa paura quando abbaia.» «Chi è che fa paura?» Gabriel Lopez si sedette accanto a Christie. Aveva sempre quello sguardo da conquistatore, ma riusciva a non essere volgare. Guardava ogni donna con un'ammirazione così esplicita che non infastidiva. «Puff, ovvio» rispose Christie. Gabriel rise. «Pensavo che parlaste di me, che sono bello da far paura.» «Grazie al cielo, Gabriel, nessuna di noi due è folle al punto da prenderti sul serio. Sappiamo che sei uscito con ogni donna famosa che ha messo piede in città» borbottò Christie. Gabriel scrollò le spalle e simulò un viso contrito. «È solo che il proprietario di un club deve tenere alta la reputazione.» Ben si era stancato della conversazione al suo tavolo e prese posto accanto a Shannon. «E non solo quella, a quanto pare, comunque te la cavi benissimo» disse Ben. «Senti chi parla? Affascinante come Fred Astaire, con decine di donne pronte a seguire ogni tuo passo.» Gabriel aveva parlato in tono scherzoso, ma poi si ricompose. «Condoglianze, Ben.» «Siamo tutti tristi.» Ben fissò Shannon. «Per fortuna abbiamo gli studenti. Doug O'Casey ammirava Lara e nella sua posizione farà di tutto perché la polizia si occupi a fondo del caso.» «Già, il giovane poliziotto» borbottò Gabriel. «La guardava adorante come un cucciolo. Era evidente che non sopportava vederla ballare con altri.» «È un ottimo allievo» disse Christie. «Lara è stata importante per lui.» «E Jane la sua insegnante, ed è bravissima» precisò Shannon. «Sì, ma ho sentito dire che Doug faceva di tutto per allenarsi quando c'e-
ra Lara. A volte restava alla scuola anche mezza giornata, o sbaglio?» chiese Christie. «Molto interessante» notò Ben. «Cosa?» «Costa caro permettersi un allenatore quando si è ancora dilettanti. E Doug è solo un poliziotto. Dove avrà preso i soldi?» «Un poliziotto corrotto?» suggerì Gabriel. «Piantatela» protestò Shannon. «Comunque ha speso un sacco di soldi per il ballo» affermò Ben. «Potrebbe essere ricco di famiglia.» «Potrebbe. E adesso è arrivato anche il fratello. Dice di non essere un poliziotto e di occuparsi di noleggio e di pesca, o qualcosa del genere, ma non mi convince» aggiunse Ben. In quel momento li raggiunse Jim Burke, l'ultimo partner di Lara. Aveva un aspetto orribile, nonostante il completo costoso e di ottimo taglio. Shannon ebbe la sensazione che avesse trascorso la settimana a piangere. Shannon gli sorrise. «Stai bene?» «Sì, me la cavo. Mi sento solo smarrito. Avrei dovuto essere nel pieno degli allenamenti per la gara di Asheville. Io e Lara ci eravamo iscritti. Invece...» «Riposati» suggerì Shannon. «Non posso permettermi di stare fermo a lungo» borbottò. «Non sono ricco come era Lara. Praticamente mi mantenevo con i premi che vincevamo.» «Troverai un'altra partner» disse Christie, poi si rivolse a Shannon. «Dovreste investire su Doug O'Casey. So che è nella polizia, ma il ragazzo ha del potenziale e potrebbe diventare un ottimo professionista.» «Così si troverebbe senza un soldo e dovrebbe insegnare per potersi permettere tutti gli allenamenti di cui ha bisogno» commentò Gabriel. Shannon si alzò. «Scusatemi. Penso che sia stata la settimana più lunga della mia vita. Christie, posso contare su di te per l'organizzazione del Gator Gala?» Si odiò per aver pronunciato quelle parole. Erano lì per rendere un ultimo omaggio a Lara e lei parlava di lavoro. «Ti servo anch'io?» chiese Ben. «Certo. Sarebbe fantastico se tu potessi cominciare con gli allenamenti.» Anche Gabriel si alzò. «Sei venuta con Gordon?» «Sì.» «Ti accompagno a casa. Tanto devo andare a lavorare.»
«Ottimo. Grazie.» Shannon girò fra i tavoli per salutare tutti. Poi raggiunse Gabriel e uscirono. Era ormai tardo pomeriggio. «Ci sarà il pienone stasera al locale» disse Shannon mentre si dirigevano verso l'auto. Gabriel scrollò le spalle. «Già. Per fortuna il mio lavoro mi piace.» «Ti capisco. Anch'io non so cosa farei se non amassi il mio lavoro.» «Ma non ti resta il tempo per fare altro. Io almeno socializzo» la punzecchiò. «Non c'è niente di meglio del ballo per socializzare.» «Sì, se non alzi dei muri.» Shannon scoppiò a ridere. «Ma cosa vi prende? Perché volete tutti diventare il mio psicanalista? Io sto bene.» Gabriel sollevò un sopracciglio. «Te lo dicono tutti?» Lei scosse la testa, non le sembrava il caso di riferire che a dirglielo era stato il nuovo studente, il fratello di Doug. «Quella è casa mia.» «So dove abiti.» Gabriel si fermò davanti alla casa e fece per scendere per aprirle la portiera, da perfetto gentiluomo come sempre. «Gabe, non serve, faccio da sola» mormorò Shannon, con la mano già sulla maniglia. «Guarda che me l'hai insegnato tu. Quando si balla è l'uomo che conduce. Io ti insegno che nella vita lo stesso uomo apre anche la portiera alla donna e la accompagna al portone.» Shannon rise. «Hai vinto.» Gabriel girò attorno alla macchina, aprì la portiera e la aiutò a scendere con un gesto elegante. «Se avessi un pizzico di buonsenso, ti innamoreresti perdutamente di me. Saremmo i padroni del mondo.» «Sono piena di buonsenso, ed è proprio per questo che non mi innamorerò mai di te. E poi non voglio la responsabilità di dover governare il mondo.» Shannon inserì la chiave nella serratura e aprì la porta, poi si voltò per salutarlo. «Potresti almeno invitarmi a entrare. Due anime solitarie che si tengono compagnia in un pomeriggio rubato. Poi torniamo al nostro lavoro con un ricordo segreto di quello che poteva essere» disse Gabriel. «Non dire stupidaggini.» «Peccato. Sarebbe stato divertente.»
«Sono sicura che là fuori ci sono decine di donne pronte a regalarti un pomeriggio.» «Ma non hanno il tuo corpo.» «Grazie del complimento.» «Ci sono. Hai già una storia segreta con qualcuno.» «No. Temo proprio di no.» «Allora perché non mi lasci entrare?» «Siamo amici. E mi va bene così.» «Un cinema?» Shannon scoppiò di nuovo a ridere. «Non stasera. È stata una settimana pesante e tu devi andare al locale.» «Per te sono pronto a darmi malato» sospirò. «Va bene allora, trascorri da sola questo sabato sera.» «Grazie del passaggio, Gabriel.» Le sorrise. «Chiudi bene la porta.» Shannon lo guardò tornare alla macchina e notò che si era fatto buio. Avrebbe voluto che fosse ancora estate e che le giornate durassero più a lungo. Dopo aver chiuso la porta, si fermò esitante. Le ombre si erano impossessate della casa. Accese subito tutte le luci. Non riusciva lo stesso a sentirsi tranquilla. Non rimpiangeva di non aver fatto entrare Gabe, ma era a disagio. In casa non aveva niente che potesse assomigliare a un'arma. Non aveva mai avuto paura tra quelle pareti. L'unico oggetto che le parve servire allo scopo fu una vecchia racchetta da tennis. La prese e iniziò a controllare la casa. Non c'era nessuno, nulla di sospetto. Si sedette davanti al televisore spento. Le finestre sul retro erano grandi e davano sulle piante del piccolo giardino. Shannon si rese conto che, con tutte le luci accese, dall'esterno avrebbero potuto vederla. Si precipitò a chiudere le tende. Mentre lo faceva, credette di vedere qualcosa muoversi fra gli alberi. No, ne era sicura, aveva visto qualcosa. Rami di palma piegati, cespugli smossi. Una sensazione di gelo la percorse da cima a piedi. Lui osservava e si malediva. Aveva rischiato troppo. Ma non sarebbe mai uscita in giardino. O forse
sì? Peccato. Era nervosa. Molto nervosa. Perché? Solo perché non ci credeva? Piccola pazza. Ma cosa doveva a Lara Trudeau? Perché le importava tanto? Lei non mollava. Sapevano tutti che Shannon era convinta che Lara non si fosse uccisa. Era solo perché la conosceva bene? O perché sapeva qualcosa di più? Fissò la casa a lungo. Poi si voltò e scomparve in silenzio. Conosceva bene la casa. Non c'era allarme. Cosa che poteva tornare utile, se mai si fosse reso necessario. Si fermò e guardò indietro. Shannon, lascia perdere, pensò. Lascia perdere. Oppure sarai la prossima. 9 Quinn si strofinò la fronte e riguardò gli appunti. Studenti, insegnanti, professionisti. Possibilità, moventi. Aveva un elenco con i nomi di tutti quelli che erano presenti alla gara. Centinaia di nomi. Alcuni li conosceva. Aveva fatto uno schema con le somiglianze e le differenze. La morte di Nell Durken, la morte di Lara Trudeau. Nell, morte classificata come omicidio. Lara, morte classificata come accidentale. Due dottori diversi, entrambi apprezzati nel loro ambiente. Ricette per i tranquillanti in regola, dosaggio ben specificato. Il marito di Nell era stato colto in flagrante adulterio. Le sue impronte erano state rinvenute dappertutto sui flaconi. Lara aveva bevuto e preso troppe pillole. Era riuscita comunque a scendere sulla pista e a portare a termine in modo perfetto la sua esibizione. Poi era crollata a terra. Nell aveva frequentato la scuola ma aveva smesso di andare sei mesi prima di morire. Doveva esserci un collegamento, ma quale? Il marito di Nell era in carcere. Se qualcuno aveva ucciso Lara per la gara, che motivo avrebbe avuto di uccidere anche Nell? Nell'ipotesi che il colpevole fosse Ben Trudeau, qual era il possibile collegamento con Nell? Di solito gli insegnanti non uccidono gli studenti e poi fanno in modo che la colpa ricada sui mariti. Quinn sospirò, esausto. Aveva passato il pomeriggio a studiare i fogli senza risultato. Qualcuno aveva la chiave. E quel qualcuno era legato in qualche modo alla scuola. Di quello era certo.
Il mare sciabordava contro lo scafo. Quinn guardò fuori e vide che era ormai sera. Dal ristorante arrivavano echi di risate. Aveva bisogno di una birra. Forse da Nick avrebbe incontrato suo fratello o qualche amico. Mentre si alzava, pensò che era tornato a essere schiavo del lavoro. Doug avrebbe fatto bene a essere lì, pensò Quinn. Suo fratello gli doveva qualcosa. Il tempo passava ma Shannon era sempre immobile, a guardare fuori dalla finestra. Dopo un po' strinse i denti e inarcò la schiena nel tentativo di sciogliere la tensione alle spalle. «È tutto così ridicolo» disse ad alta voce. «Perché mai qualcuno dovrebbe aggirarsi nel mio giardino, notte dopo notte, e spiarmi?» Se qualcuno avesse voluto entrare lo avrebbe già fatto. Eppure avrebbe potuto giurare di aver lasciato la luce accesa nel portico la notte precedente. Perché era spenta? «È assurdo. Qualcuno entra in casa, non tocca nulla, ma spegne la luce del portico» borbottò. Le sue parole riecheggiarono nel silenzio della casa. Di colpo provò il bisogno di uscire. Non voleva restare sola, cosa decisamente insolita. Adorava la sua casa e le piaceva stare in pace. Le piacevano le notti da sola, quando lavorava sui passi nella piccola pista da ballo. Per quanto potesse sembrare triste, le piacevano i momenti in cui si preparava i pop-corn e guardava un DVD, dato che non riusciva quasi mai ad andare al cinema. Ma non quella sera. Seguendo un impulso improvviso, si precipitò in camera, si cambiò e indossò qualcosa di più sportivo e comodo. Non sapeva dove sarebbe andata, o perlomeno non le era chiaro finché non fu in macchina. Avrebbe potuto andare al club. Gabriel le avrebbe sempre trovato un tavolo e forse ci sarebbero stati anche gli amici. Ma non era lì che era diretta. Era un'altra l'idea che aveva preso forma nella sua testa negli ultimi minuti. Ripensò a ciò che aveva detto Ben. Chi era veramente Quinn O'Casey? Non era chi diceva di essere. Ne era certa. Iniziò a guidare, mentre cercava di ricordarsi dove si trovasse il ristorante di Nick. «Non è possibile. Non è proprio possibile che accada. È evidente» stava
dicendo Doug. Era seduto a un tavolo di fronte a Bobby. Solo loro due, i piatti con i resti di pesce e patate fritte erano stati spostati in un angolo. Doug beveva un tè freddo e Bobby una birra. «Non capisco perché» disse Bobby. «Lui ha bisogno di una partner.» Poi vide Quinn che si avvicinava. «Ti siedi con noi?» «Sì.» Quinn si sedette e fece un cenno alla cameriera, Mollie, che quella sera si occupava della veranda. «Una birra» disse. «E me la offri tu» aggiunse rivolto a Doug. «Certo» rispose Doug con una smorfia. Quinn guardò Bobby. «Cosa non può accadere?» «Shannon. Non ballerà mai in coppia con Ben Trudeau.» «Balla con lui alla scuola, o sbaglio?» chiese Quinn. «Bobby parla di campionati» precisò Doug. «Lei non gareggia mai, vero?» chiese Quinn. In quel momento Mollie gli portò la birra. Quinn la ringraziò e tornò a fissare i due uomini. «In passato sì, però. E a quanto ho sentito dire, era anche brava. Forse persino meglio di Lara» disse Bobby. «Ho visto il filmato» annunciò Quinn. «Ho visto ballare Sam e Jane, ma nessun altro della scuola.» «Da quando la sua partner si è sposata e ha deciso di avere un bambino, Ben non partecipa più alle gare» spiegò Doug. «Sono circa due anni che cerca una nuova compagna.» «Però è tornato a lavorare alla scuola.» «Sì, da circa un anno, credo» rispose Bobby. «Perché proprio adesso Shannon dovrebbe mettersi a ballare con lui? Non era più il partner di Lara» osservò Quinn. Bobby guardò Doug. «Non sa che ruolo ha avuto nella vita di Shannon?» «No, il sottoscritto non lo sa» borbottò Quinn irritato, mentre fissava il fratello. Era stato lui a coinvolgerlo. Non avrebbe dovuto tralasciare informazioni che potevano essere importanti. «Quando era più giovane, Shannon era perdutamente innamorata di Ben» raccontò Bobby. «È stato lui a scoprirla. Lei lavorava con una piccola orchestra e insegnava in una scuola nella zona di Orlando. Ben ne intuì il potenziale. Non so se prima si sono messi insieme e poi lui l'ha portata qui, o se prima l'ha portata qui e poi si sono messi insieme. Le mie fonti sono solo i pettegolezzi che ho sentito alla scuola. Comunque per due anni
hanno gareggiato insieme. Poi Shannon si è rotta una caviglia. Lara era disponibile, la guarigione di Shannon era una cosa lunga e Ben non è certo il tipo che se ne sta lì ad aspettare. Ha iniziato a lavorare con Lara. Poi...» «È finita che si sono sposati» disse Doug in tono piatto. Quinn fissò Doug. «Supponiamo» ragionò, «che la morte di Lara sia stata un omicidio. La prima a essere sospettata sarebbe Shannon Mackay. Gelosia, passione, rabbia, i moventi ci sono tutti.» Doug scosse la testa. «Basta che tu veda Shannon e parli con lei anche solo una volta, per capire che non è un'assassina.» «Ma ci sono i moventi, Doug» disse Quinn nervoso. Anche lui non pensava che Shannon potesse essere un'assassina. Se lo era, doveva essere anche la migliore attrice dell'universo. Ma i casi d'omicidio su cui aveva lavorato gli avevano insegnato che tutto è possibile. «Tutti avevano un movente. Lo sappiamo bene» borbottò Doug, già sulla difensiva. «Quasi tutte le donne odiavano Lara, lei era così bella.» «Aspetta un attimo» protestò Bobby, «non tutte le donne odiano un'altra donna solo perché è bella.» «Ne sei sicuro?» chiese Doug con un accenno di sorriso. «Sì, ne sono sicuro.» «Solo perché te l'ha detto Giselle?» «Piantala, Doug» s'intromise Quinn. «D'accordo, parliamo seriamente» disse Bobby. «Lara era un'avversaria. Sono tutti uno contro l'altro. Ma normalmente la gente non uccide gli avversari.» «Jane si è scontrata con lei decine di volte, e ha sempre perso» annunciò Doug. «Metà dei professionisti là fuori ha gareggiato contro Lara e ha perso. Questo ci offre centinaia di sospetti.» Quinn scosse la testa. «Chiunque sia stato doveva essere presente quella sera.» «Giusto» concordò Doug. «E doveva anche escogitare un sistema per farle ingurgitare quella roba senza che lei protestasse e senza che ne parlasse con qualcuno. Maledizione. Forse ha fatto tutto da sola. Continuo a essere convinto che la conoscevo bene, ma forse non la conoscevo affatto.» «Che mi dite di Gordon Henson?» chiese Quinn, mentre beveva un sorso di birra. «Considerava Lara la sua gallina dalle uova d'oro. Un vantaggio, anche se era sgradevole con lui come lo era con tutti» disse Bobby.
«Ben aveva un buon movente» mormorò Quinn. «Puoi scommetterci» affermò Doug, che sembrava sul punto di arrabbiarsi. «Litigavano spesso.» «Davvero?» chiese Bobby. «Non ho mai sentito litigare nessuno di loro.» «Solo perché non è consentito farlo all'interno della scuola. Ma un giorno sono tornato per prendere un caffè ed erano lì tutti e due. Anche se hanno smesso di parlare appena mi hanno visto, ho fatto in tempo a sentirli Lui aveva parlato in tono duro a Lara e lei gli ha risposto qualcosa tipo: "Nei tuoi sogni, stronzo".» Quinn era seduto di fronte al vialetto che portava al parcheggio. Alzò lo sguardo e fu stupito di vedere Shannon Mackay, in jeans, maglietta attillata e felpa, che si avvicinava titubante verso i tavoli. «Non ci credo» borbottò. «Perché non ci credi? Li ho sentiti davvero» disse Doug irritato. Quinn fissò il fratello. «No, non credo che Shannon Mackay sia qui. Adesso.» Bobby e Doug si voltarono. Nello stesso momento li vide anche lei. Sembrava impacciata, ma li salutò con un cenno della mano. I due risposero e le fecero cenno di raggiungerli. Shannon si avvicinò sorridente al tavolo. Baciò Doug e Bobby sulla guancia e salutò Quinn in modo più formale, sfiorandogli appena la spalla. Il suo sorriso non era sincero, decise Quinn. «Ma che sorpresa!» esclamò lui. «Ero convinto che il vostro gruppo continuasse la riunione per tutta la sera.» Shannon lo guardò e scrollò le spalle. «Avevo bisogno di evadere. Conosco troppe persone giù alla spiaggia e ho sempre sentito parlare di questo locale.» «Così sei venuta qui e hai trovato noi» constatò Quinn. «Già, proprio così» sussurrò Shannon. «Quinn, non essere antipatico» disse Doug. Lo fissò con rimprovero. «Siediti, unisciti a noi. So che gli insegnanti non dovrebbero frequentare gli studenti, ma tu in fondo sei il capo. E questa è un'occasione particolare, non credi?» «Sì, hai ragione, molto particolare» sospirò Shannon, mentre si sedeva. «Hai fame?» chiese Bobby. «Il pesce è fresco, appena pescato. Anche gli hamburger sono ottimi. O sei vegetariana? Jane lo è, sbaglio?» «Non sbagli, ma io no. Penso che prenderò un hamburger.»
«Mollie!» Bobby si voltò per cercarla ma la cameriera era già lì. «Salve» salutò cordiale. «Cosa le porto?» «Tè freddo» disse Shannon con un sorriso. «E un hamburger.» «Anche le patate fritte sono ottime» suggerì Doug. «E patate fritte.» «Sei sicura di volere un tè?» chiese Bobby. «Mi sembra che tu abbia bisogno di qualcosa di forte.» Shannon sorrise. «Hai ragione, ma devo guidare.» Quinn si sporse in avanti. «Bevi tranquilla. Puoi lasciare qui la macchina e ti accompagno a casa io. Domani vengo a prenderti così la recuperi.» Quinn era sicuro che Shannon fosse sul punto di rifiutare. Sarebbe stato ben più di un incontro occasionale fra insegnante e allievi in un ristorante. «Non ti rivolgerò la parola mentre andiamo» scherzò. «Giuro che non fraternizzerò.» Shannon esitava. «Si beva la birra» s'intromise Mollie. «Mi scusi, ma lei ha davvero l'aria di una che ha bisogno di bere. Questo» indicò Bobby, «è uno sposino novello e non è pericoloso. Quanto agli altri due, be', se dicono che la accompagnano a casa sana e salva, lo faranno senz'altro.» All'inizio Shannon sembrava sorpresa, quasi seccata. Ma quando Mollie finì di parlare scoppiò a ridere. «Vada per la birra. Grande.» «Brava» disse Mollie, poi si allontanò. «Però il conto lo pago io» aggiunse Shannon decisa. «Ve lo devo, dopo quello che avete fatto al funerale.» «Al funerale?» chiese Doug. «Il giornalista» gli ricordò Quinn. «Quell'uomo è una sanguisuga.» «Il suo giornale si è beccato una montagna di querele» aggiunse Shannon. Si sistemò più comoda sulla sedia e si guardò intorno. «Che bel posto» commentò, «rustico e accogliente.» «I ballerini non sono abituati a tovaglie di seta, guanti bianchi e abiti con i lustrini?» chiese Quinn. «Non esco mai senza» rispose seria Shannon. Poi sorrise. «Mi piace davvero questo posto. Forse hai dimenticato che vivo alla spiaggia. La veranda all'aperto, il molo, le barche, il pesce, non manca nulla qui. Non deve essere facile tenerlo così.» «Nick è un uomo in gamba» osservò Doug. «Ha regole molto rigide.» «È un luogo di ritrovo di poliziotti?» chiese Shannon. Quinn capì che la domanda non era casuale come voleva sembrare.
«Sua nipote è un poliziotto, sposata a un poliziotto» le spiegò Bobby. Si alzò di scatto. A disagio. «Grazie per la cena, Shannon. Accetto volentieri, con tutti i soldi che ho dato alla scuola per fare bella figura al mio matrimonio.» Shannon sorrise. «E ci siete riusciti in pieno.» «Sì, è vero, ma se voglio che duri, adesso è meglio che torni a casa. Buonanotte a tutti.» Mentre Bobby se ne andava, arrivò Mollie con il piatto di Shannon. Shannon la ringraziò e attaccò subito l'hamburger. «Ottimo» disse dopo il primo morso. «Certo, non dico mai bugie» scherzò Doug. «No?» chiese Shannon con un sorriso. Doug la guardò serio e scosse la testa. «Non eri tranquilla a casa?» chiese Quinn all'improvviso. «Certo che ero tranquilla» rispose lei in fretta. «Perché non dovrebbe essere tranquilla a casa sua?» domandò Doug. «Capita a tutti ogni tanto» borbottò Quinn. «Le case scricchiolano, soprattutto quelle vecchie con il pavimento di legno.» «Com'è vivere in barca?» chiese Shannon. «È qui, vero?» Quinn indicò il molo. «È proprio là.» «Dovresti vederla» disse Doug, «è la più bella di tutta la baia.» Quinn fissò il fratello attraverso il tavolo. «Mi piacerebbe» mormorò Shannon. «Davvero?» borbottò Quinn. Shannon era nervosa, pensò. Aveva bisogno di non stare sola e aveva scelto lui. Si alzò di scatto. «Allora è meglio che vada a mettere un po' in ordine.» «Non essere sciocco. Non ce n'è bisogno» rispose Shannon. «Faccio solo un salto per vedere se è presentabile. Doug, stai tu con lei finché non torno?» «Nessun problema.» Quinn li lasciò al tavolo, ancora arrabbiato con il fratello. Doug l'aveva coinvolto in quella storia e non gli aveva fornito tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Si precipitò al molo, saltò a bordo e raggiunse la cabina. La cassetta con la registrazione dell'ultima esibizione di Lara Trudeau era sul bancone che divideva il cucinino dalla zona pranzo. Le cartelline con i rapporti dell'autopsia su Nell Durken e Lara Trudeau e altri documenti erano lì vicino. Quinn li infilò dentro un cassetto. Poi diede un'ultima occhiata in giro per
accertarsi che non ci fosse niente di incriminante. Se Shannon avesse visto quella roba si sarebbe infuriata. Tornò sul ponte, saltò sul molo e si affrettò a tornare alla veranda di Nick. Shannon non aveva mentito quando aveva detto di non essere vegetariana. Aveva spazzolato tutto quello che c'era nel piatto. «Posso accedere al luogo sacro, adesso?» scherzò lei. «Non è poi così in ordine, ma può andare. Venire sulla mia barca non sarà considerato fraternizzare?» Shannon terminò la birra. Sembrava molto meno tesa, adesso. Quinn non l'aveva mai vista così rilassata. «Vengo solo per accertarmi che tu sia in grado di organizzare l'incontro che precederà il Gator Gala.» Doug si alzò. «Se volete scusarmi, io conosco la barca. Inoltre domattina sono di turno e comincio presto. Buonanotte, grazie per la cena, Shannon.» «È stato un piacere, Doug» disse. Poi si alzò anche lei. Quinn si rese conto che mentre era via Shannon aveva saldato il conto. «Non avresti dovuto pagare la cena a tutti.» Lei gli sorrise. «Non mi siete costati molto ed è stato bello avere compagnia. E tu hai solo bevuto una birra.» Quinn sorrise. «Ho mangiato a bordo.» «Sai cucinare?» «Non proprio, quanto basta a sopravvivere. Me la cavo. E tu?» «Sono una frana. Ma so fare le cose essenziali, so cuocere la pasta e riscaldare il sugo. E lavare la lattuga.» Parlava allegra mentre percorrevano il molo. Quinn la osservò. Forse un muro era crollato. Una sola birra. Non doveva essere una gran bevitrice. «Siamo arrivati.» Shannon aveva le scarpe da tennis e saltò agile dal pontile alla barca. Sul ponte si guardò in giro, poi socchiuse gli occhi per godersi la brezza della sera. «È molto bella.» «La cabina è da quella parte» annunciò Quinn. Shannon annuì e si diresse verso i gradini che scendevano all'interno. «Ci sono due cabine letto, una a prua e una a poppa. È piccola, ma c'è tutto il necessario» disse brusco. Poi cambiò discorso con la speranza di sorprenderla e di avere una risposta sincera. «Hai paura di stare a casa tua, vero?» «No» protestò in fretta e si voltò come se volesse ispezionare la cabina. «Sono arrivata a casa presto.» Lo guardò a disagio. «Ho controllato da so-
la, sotto i letti, negli armadi e tutto il resto.» «Sei uscita solo per divertirti un po'?» «Sì.» «Meglio così. Accomodati.» C'era un piccolo divano, che all'occorrenza poteva diventare un letto, dall'altro lato del tavolo. Shannon si sedette. «Posso offrirti qualcosa?» «No, grazie.» Quinn prese una birra dal piccolo frigorifero. Poi ci ripensò e ne prese un'altra. Tolse il tappo e gliela porse. «Davvero, sto bene così» mormorò Shannon. «Davvero hai bisogno di rilassarti. Di dimenticare la settimana appena finita.» Shannon esitò, poi prese la birra che le tendeva. «Grazie» disse. Scrollò le spalle. «Tanto guidi tu.» Quinn le si sedette vicino e la guardò mentre sorseggiava la birra. «Allora anche tu possiedi un paio di jeans.» «Più di uno, se è per questo.» Shannon beveva troppo in fretta, soprattutto per una che all'inizio aveva rifiutato. Ma era bello vederla senza le difese che di solito ergeva attorno a sé, nonostante sembrasse sempre molto cordiale con tutti. Difese che nascondevano qualcosa. Quinn si chiese se c'erano anche prima della morte di Lara. Quella sera però i sorrisi di Shannon erano sinceri, affettuosi. Nonostante l'abbigliamento sportivo, Quinn pensò che non l'aveva mai trovata così attraente. Cedette alla tentazione, allungò una mano e toccò una ciocca di capelli biondi. Shannon lo guardò, stupita. «Scusa, mi sembravi smarrita.» «Non è così, so bene dove vado» mormorò Shannon. «Perché non mi hai parlato della relazione che hai avuto con Ben Trudeau?» Lei si irrigidì all'istante. Per un attimo sembrò sul punto di alzarsi e andarsene. Quinn le posò con dolcezza una mano sulla spalla. «Era soltanto una domanda innocente.» «In ogni caso non sono affari tuoi.» «Mi spiace, è solo che ne ho sentito parlare.»
«Fantastico, ne parlano ancora? È stato un secolo fa.» «Avresti potuto dirmelo.» Lo fissò con occhi duri come pietre. «Perché avrei dovuto? Non è che tutto d'un tratto siamo diventati così amici.» Quinn si strinse nelle spalle. «Hai ragione.» «E non mi pare che l'altra sera sul divano tu mi abbia rivelato i tuoi segreti sentimentali» aggiunse Shannon. Quinn sorrise. «Shannon, sei crollata addormentata nel giro di dieci minuti. A proposito, il film mi è piaciuto molto.» Lei arrossì e fissò un punto imprecisato nella stanza. «Mi dispiace. Sei stato gentile a fermarti. Ti sei comportato fin troppo bene. Non vorrei che qualcun altro venisse a sapere delle mie paure.» «Quindi avevo ragione, avevi paura a restare a casa da sola. Perché?» Shannon scosse la testa. «Non c'è un motivo. Niente di concreto, comunque. A essere sincera, ho visto qualcosa muoversi in cortile. Lo so, sono ridicola. C'è il cane dei vicini e il quartiere è pieno di gatti. Ma non posso farci niente.» «Non preoccuparti.» «Mi dispiace, forse avevi altre cose da fare.» «Mi sono offerto io di riaccompagnarti.» Quinn la guardò. «Non sono sposato e non ho nessuna storia.» «Non te l'ho chiesto.» «Mi hai accusato di non averti detto niente di me.» Shannon guardò la bottiglia vuota che aveva in mano. Poi guardò Quinn. «Ancora una e quando arrivo a casa sarò morta di sonno.» Rabbrividì. «Insomma, dormirò bene.» Quinn le tolse la bottiglia vuota di mano, andò al cucinino e ne prese un'altra. «Sicura?» «Ho ventotto anni, so quello che faccio.» «Non voglio sentirti dire che ho approfittato di te perché avevi bevuto.» Shannon sollevò le sopracciglia. Aveva un accenno di sorriso sulle labbra. «Perché, avevi in programma di approfittare di me?» «Non ho nessun programma» tenne a precisare Quinn. Le porse la birra poi si sedette di nuovo accanto a lei. «Scusa, ma devo chiedertelo. È davvero finita la storia con Ben Trudeau?» Shannon sembrò irritata. «Da anni. Non posso credere che qualcuno l'abbia tirata fuori.» «Si è comportato male, però lavora ancora per te. Perché?»
Shannon scrollò le spalle. «Perché è bravo. Non ce l'ho con lui.» «E con Lara?» Scoppiò a ridere. «Sarebbe come odiare un'ape perché ha il pungiglione. Non mi piaceva particolarmente. Non ci frequentavamo, non uscivamo fuori a cena, non andavamo insieme per negozi. Ma ammiravo il suo talento. Mi è dispiaciuto per Ben quando Lara l'ha lasciato.» Fece una breve pausa. «Ben è davvero un ottimo ballerino. All'inizio i loro problemi erano di tipo professionale. Ben non era più contento di come lavoravano, era stufo che fosse sempre lei a dare ordini, quel genere di cose. Poi anche il loro rapporto di coppia è andato in crisi e lei lo ha lasciato. Jim Burke era un partner perfetto per Lara. La lasciava guidare, non si opponeva mai alle sue proposte. Lavoravano bene insieme.» «Devi esserti infuriata quando lui ti ha lasciata, e solo per una caviglia rotta.» «Ero troppo giovane. Troppo ingenua. Se n'era andato già da un po', prima che mi rendessi conto che l'aveva fatto. Ma te l'ho detto, è stato secoli fa. Devo a Ben la vita che faccio ed è una vita che mi piace molto. Quasi sempre. È stato lui a portarmi a vivere qui. Ho cominciato a lavorare alla scuola di Gordon e adesso la dirigo. E quando Gordon deciderà di andare in pensione, sarò io a prendere il suo posto.» Guardò Quinn e sorrise. «Ora Ben lavora per me. Adesso tocca a te. Che mi dici della tua vita sentimentale?» «Sono stato lasciato» le confidò con noncuranza. «Perché?» «Lavoravo troppo.» «Non sembri il tipo. Non adesso. Si direbbe che tu abbia un sacco di tempo libero.» Quinn bevve un lungo sorso di birra. «Non sempre» disse senza guardarla. «È un periodo morto giù alle Keys, il lavoro riprenderà quando saremo più vicini all'inverno.» Lei lo fissò pensierosa. «È stata dura?» «Dura?» «Quando ti ha lasciato.» Quinn fissò la bottiglia. «No, ha fatto bene ad andarsene.» «Perché?» «Si erano messe di mezzo troppe cose, per colpa mia. Posso diventare ossessivo, temo.» «Adesso però sei qui a perdere tempo con una donna sciocca che ha una
crisi di nervi per un gatto in giardino.» Quinn sorrise, e questa volta le spostò la ciocca di capelli con tenerezza. «Non posso pensare a un solo posto dove preferirei essere in questo momento, o a qualcun altro con cui vorrei essere.» Fu il primo a stupirsi della sua sincerità. Non era solo la sua bellezza, il fatto che fosse una delle donne più eccitanti con cui gli fosse capitato di parlare. La voleva lì con lui, ma voleva anche mettersi fra lei e il resto del mondo, proteggerla, difenderla. Shannon lo fissò a lungo. «Bella frase a effetto. O una buona battuta» mormorò alla fine con tono volutamente indifferente. «Vuoi che faccia un passo indietro?» «Non lo so» rispose Shannon. Poi sembrò averci ripensato. «Sì. Vorrei andare a casa.» Quinn si alzò in piedi. «No.» Lei aggrottò la fronte. «Come hai detto?» «Non credo che dovresti tornare a casa.» «E secondo te dove dovrei andare?» «Dovresti restare qui.» Shannon sorrise, poi scoppiò a ridere. «Diciamo che questo sarebbe proprio considerato fraternizzare.» Quinn scosse la testa. «No. Non come lo intendo io. Io faccio un passo indietro. In ogni senso. Ma tu dovresti restare qui. A casa avrai ancora paura. Il fatto di aver bevuto non ti aiuterà. Ho una bella stanza per gli ospiti. Ha anche il suo bagno. È meglio se ti fermi qui.» «Non lo so.» «Fermati. E dormi. Una notte di buon sonno.» Shannon era ancora dubbiosa. «Dovrei avere anche uno spazzolino da denti di scorta» aggiunse Quinn. «Forse hai ragione» mormorò lei. «Ti darò una maglietta per dormire e, lo prometto, me ne starò nel mio lato della barca. Domani mattina ti sveglierò presto. Hai qui la macchina e potrai tornare a casa da sola. Se ci pensi» buttò lì, «nessuno ci vedrà niente di strano, anche se dovesse riconoscere la tua auto. Sia Bobby sia Doug sanno che ti avrei accompagnata io e che la tua auto sarebbe rimasta qui.» «Un punto a tuo favore.» Shannon lo guardò, di nuovo sospettosa, e sparò la sua cartuccia. «Eri un poliziotto prima, vero?» «Sì.» «Non è che sei stato cacciato perché hai commesso qualche crimine?»
Quinn rise. «Ho fatto la mia dose di stupidaggini prima di diventare un poliziotto.» «Ah sì?» «Ti puoi fidare. Te lo giuro.» «Lo so. È strano. Ti conosco da pochi giorni, ma scelgo di dormire da te piuttosto che tornare a casa mia, dove ho paura anche di un gatto in giardino.» «In fondo ho già dormito a casa tua.» «Anche questo è vero. Bene, allora...» «Cosa?» «Posso avere la maglietta?» «Certamente.» Mezzanotte. Fece un altro giro attorno alla casa di lei. La macchina non c'era più. L'uomo guardò la facciata. Preoccupato. Il suo cellulare squillò. Rispose distratto. «Sì?» «Abbiamo un altro problema. Anzi, tu hai un problema. E mi sei debitore perché l'ho scoperto al posto tuo.» «Cosa vuol dire che io ho un problema?» Ascoltò attentamente. Sì, aveva un problema, eppure gran parte degli ultimi problemi non era dipesa da lui. Ma gli era toccato risolverli comunque. «Non dimenticare, non dimenticare mai che ci sei dentro fino al collo, amico mio» disse piano. Poi chiuse la comunicazione. Guardò ancora la casa, furioso. Dove diavolo era? 10 Era sdraiato a letto da non più di due secondi quando sentì bussare alla porta. Quinn balzò in piedi e raggiunse in fretta la porta della cabina, ai piedi del letto. Lei era lì. La maglietta che le aveva prestato sembrava enorme addosso a lei. Le arrivava quasi alle ginocchia e le cadeva sulle spalle. Eppure in
qualche modo riusciva comunque a delineare le sue forme. Shannon era senza trucco, solo la ciocca di capelli biondo oro posata contro la guancia. «Ti ho svegliato?» Quinn si chiese come fosse possibile che bastasse il suono della sua voce a eccitarlo, come se gli penetrasse nella carne. Riuscì a pronunciare un no che sembrò più un lamento. Lei se ne stava semplicemente lì, in piedi sulla porta, ma il suo profumo lo avvolgeva e lo turbava come il suono della sua voce. «C'è qualcosa che non va in me?» chiese Shannon dopo un po'. «Cosa?» Forse voleva essere rassicurata che era normale aver paura di qualcosa che si muoveva in giardino al buio? Shannon sorrise e sollevò il mento, i capelli ricaddero all'indietro. «Ero curiosa di sapere se c'è qualcosa che non va in me.» Quinn si appoggiò allo stipite, in lotta con se stesso per resistere alla tentazione di toccarla. «In che senso?» Il sorriso di Shannon si fece più esplicito. «Perché non ci hai provato con me?» Quelle parole inattese lo lasciarono allibito. La guardò a lungo, come paralizzato. «Non c'è niente che non vada in te. Sei stupenda. Ma...» «Ma cosa?» «Hai bevuto.» «Non sono ubriaca.» «Però non sei neppure riservata come al solito.» «È vero, forse non sono una che esce tutte le sere, ma tre birre sono poche anche per me. Un conto è non mettersi al volante, un conto è astenersi da qualunque attività sessuale. Non ho mai letto raccomandazioni del genere negli annunci contro l'abuso di alcol.» Quinn era incerto se scoppiare a ridere, rispedirla nella sua cabina o attirarla a sé con un gesto veloce e deciso. Nessuna delle tre. Incrociò le braccia e le sorrise. Chi avrebbe potuto immaginare che un giorno si sarebbe trovato nella sua barca, impegnato a cercare di convincere una donna bellissima a non fare sesso con lui? «Sai così poco di me» le disse. Poi cedette alla tentazione. Allungò le mani, le sfiorò i capelli e le accarezzò la guancia. La guardò negli occhi. Sai così poco di me.
Quando mai questo lo aveva fermato? Quante volte nell'ultimo anno si era trovato in situazioni in cui a nessuno importava di conoscersi, prima? Quella notte, invece, era importante. Perché? Lei aveva ventotto anni. Non era una bambina. Non era un'ingenua. Ma non era quello a fermarlo. Nei suoi occhi c'era qualcosa di più profondo. Grandi, espressivi, verdi e profondi come la giungla e di solito così guardinghi, riservati, inquisitori. Occhi che contenevano la differenza fra bene e male, sogni irrealizzati, fiducia, bellezza, verità e lealtà. C'era qualcosa in lei che Quinn desiderava toccare, temeva di toccare. Era così fragile. Era pronto a scommettere che era la prima volta che Shannon si comportava così. Ben Trudeau doveva averla distrutta, anni prima, e da allora probabilmente lei non si era più fidata di nessuno, non aveva più volteggiato come una volta. Quinn non aveva idea di come facesse a sapere tutto questo, e con tale certezza, ma era così. Poteva tirarsi indietro. Avrebbe dovuto. Non importava quanto gli sarebbe costato e quanto avrebbe sofferto. Era la cosa giusta da fare. «Quello che so di te mi basta» sussurrò lei con dolcezza, mentre lo guardava dritto negli occhi. Il verde smeraldo riluceva di pagliuzze dorate e di un accenno di lacrime. Shannon era sempre ferma a pochi centimetri da lui. I loro corpi non si toccavano. Eppure Quinn pensò che nessuna donna lo aveva mai trattato con tale dolcezza. Lei lo accarezzava con lo sguardo. Il suo profumo aleggiava nell'aria come se fosse tangibile e il calore del suo corpo lo avvolgeva da capo a piedi. «Quinn?» indagò dubbiosa. Lui abbandonò ogni resistenza. «Vieni qui» le disse con dolcezza. Lo aveva eccitato al punto che provava quasi dolore. Si sentiva come un adolescente nei sedili posteriori di una Chevrolet. Dimenticò tutti i dubbi e la attirò a sé. Adesso i loro corpi erano a contatto, sentiva i suoi seni contro il torace, le costole che premevano contro i suoi muscoli, la rotondità dei fianchi, le gambe lunghe. La tenne stretta per un attimo, respirò fra i suoi capelli, li accarezzò, sentì il battito del suo cuore e il suo respiro affannato. Poi si staccò, le sollevò il mento e la baciò. Incontrò labbra sensuali, erotiche, pronte a sedurre. Fu un bacio che gridava desiderio, urgenza e passione. Un bacio profondo, eccitante e appagante, che lasciava intuire la meraviglia del dopo. Di colpo venne l'urgenza di sentire la pelle contro la pelle, di liberarsi
dei vestiti. Si staccò per slacciarle i bottoni, con gesti nervosi e impazienti, poi le strappò via la maglietta. Si liberò dei calzoncini. Una volta che i vestiti furono a terra, lei tornò fra le sue braccia, lo accarezzò ancora con gli occhi. Erano occhi eccitati e sfrontati, eppure sul fondo vi era paura. Paura di essere ferita, ecco cosa comunicava il suo sguardo al di là delle parole e dei gesti sensuali. Come se chiedesse sincerità e lealtà in un rapporto di passione e disperazione guidato dal desiderio e dagli istinti più puri. La pelle contro la pelle. I loro corpi davvero a contatto. Le bocche che si cercavano. Le sue mani su di lei, ovunque, sui seni perfetti, sulla vita snella, sui fianchi. Quinn fece un passo indietro e si lasciò cadere insieme a lei sul letto. Le onde che lambivano lo scafo della barca assecondavano il ritmo della loro danza. Lei lo accarezzò con le dita che fremevano di desiderio, esplorò la sua schiena, i suoi fianchi, il torace. Quinn si sentì toccato e posseduto come non gli era mai accaduto. Emise un lamento rauco. Lei era sotto di lui. Voleva conoscere il suo corpo, voleva conoscere tutto di lei. Le baciò la gola, i seni, poi scese ancora più in basso. Ora fra loro l'intimità era completa. Lei si muoveva sotto di lui e Quinn si lasciò guidare dalla passione e dalla tenerezza. Shannon lo abbracciò forte, come se volesse di più. Lui si rialzò, la guardò, fissò le sue labbra socchiuse e umide, ascoltò i suoi respiri brevi e veloci, le lesse negli occhi smeraldo lo stupore del piacere. Poi Shannon lo strinse a sé e socchiuse gli occhi. «Ti prego» gli sussurrò. La baciò ancora, un bacio caldo come lava e dolce come miele. Si esplorarono, si cercarono, si stuzzicarono, i loro corpi si unirono e Quinn entrò in lei. Shannon allacciò le gambe contro i suoi fianchi. Le onde lambivano lo scafo della barca. Il letto sembrava ondeggiare. Nessuna si muove come una ballerina, pensò Quinn. Nessuna prima di lei lo aveva eccitato e appagato in modo così completo. In quell'intreccio di corpi e respiri affannati, Quinn sentì di esistere solo in quel luogo e in quell'istante. Poi arrivò l'esplosione del piacere, come un'onda, come se l'oceano fosse sconvolto dalla tempesta, come se la barca rollasse, fosse portata in alto, ancora più in alto e poi giù, rovesciata, catapultata, sbattuta con forza, an-
cora e ancora, per poi, dopo un tempo lunghissimo, approdare in acque più calme, arenarsi sulla spiaggia e fermarsi. Svuotato di ogni energia, restò sopra di lei e la strinse forte. Quando parlò, le sue parole erano dolci come carezze. «Signorina Mackay, le posso assicurare che in lei non c'è assolutamente niente che non va. E che mai, mai nella vita è stato così, per me.» Shannon si spostò appena per guardarlo. Nei suoi occhi verdi c'era ancora quella richiesta di protezione, una pudica incertezza mescolata a una tale dolcezza, fiducia, adorazione che fece sorgere in lui il desiderio di essere forte e invincibile, per lei. Lei non parlò. Gli sfiorò una guancia come se cercasse le parole. «Anche tu sei stato fantastico» sussurrò alla fine. «E credimi, non sono ubriaca.» Quinn sorrise. «Lo so.» Shannon si strofinò contro di lui. «È passato tanto tempo. Quasi non ricordavo.» «Per me non è passato tanto tempo, ma non c'è niente di simile a te nei miei ricordi» rispose Quinn. Lei si staccò da lui, solo un poco, e lo fissò scettica. «Davvero? O è quello che dici a tutte? Sono piuttosto brava a individuare le frasi fatte. Se ne sentono spesso giù al Suede.» Quinn scosse la testa. «No, quello che ho detto è vero. Ma c'è un problema.» Shannon si irrigidì di colpo e sollevò il lenzuolo, sulla difensiva. «Quale?» mormorò. «Secondo me questo è stato proprio fraternizzare.» «Temo proprio di sì.» «Rischi di perdere il lavoro?» «Tecnicamente è possibile.» «La faccenda è grave, allora.» «Credo di sì» disse lei seria. Gli accarezzò una guancia, fece scivolare la mano sul torace, poi più in basso. «In ogni caso, non mi dispiacerebbe fraternizzare ancora. Se devo pagarne il prezzo, voglio che sia per qualcosa di cui ho goduto appieno.» «Cara signorina Mackay» disse lui con un sorriso. «Possiamo fraternizzare per tutta la notte, se è quello che desidera.» Shannon chiuse gli occhi, poi li riaprì. «È quello che voglio» mormorò. «A una richiesta così gentile non posso che rispondere che farò tutto il possibile per esaudire ogni suo desiderio.»
Quando riprese a baciarla, Quinn sentì di nuovo l'oceano che si sollevava, lo sbattere delle onde, tutta la forza e la passione del mare in tempesta. Quando qualcuno picchiò alla porta, Shannon si spaventò. Si sentì come una bambina colta in flagrante. Quinn si alzò di scatto dal letto e indossò i calzoncini. Si voltò e vide l'espressione terrorizzata sul volto di lei. «Stai tranquilla. Non tutti quelli che conosco hanno a che fare con la scuola, e di solito non perquisiscono la barca quando vengono a trovarmi.» Sorrise e uscì dalla cabina. Shannon cercò di ascoltare, ma con la porta chiusa era impossibile. Trovò la maglietta, la indossò e si avvicinò alla porta. La socchiuse. «No, sono stato sveglio tutta la notte, ma dato che so a cosa lavori, ho pensato che ti sarebbe interessato.» C'era un altro uomo a bordo. Alto, bello, atletico. Pantaloni sportivi, camicia di cotone aperta sul collo e giacca chiara. Non era niente di simile a un'uniforme, ma qualcosa nel suo modo di fare, forse quella sicurezza, quella decisione, sembrava urlare poliziotto. «Certo, grazie» disse Quinn. «Ti raggiungo in veranda fra un paio di minuti.» «D'accordo.» L'uomo se ne andò. Quinn tornò verso la cabina e Shannon gli aprì la porta. «Era solo un amico, devo andare a parlargli. Tu stai bene?» Le sorrise e l'abbracciò. «Sembri un gatto che ha mangiato un canarino, che non è per nulla pentito di averlo fatto, però ha paura che lo prendano.» Shannon sorrise, ma si sentiva a disagio. Per qualche motivo, quello sconosciuto l'aveva angosciata più di quanto sarebbe successo se a bussare alla porta fosse stato Gordon in persona. «Sto bene. C'è il sole ed è una bella giornata.» «Non sei pentita di esserti fermata?» «Te l'ho già detto, non ero ubriaca.» Quinn le prese il mento con tenerezza e le sfiorò le labbra. Ma aveva fretta ed era preoccupato. Shannon se ne accorse. Era domenica e lei non lavorava. Si aspettava che le chiedesse di restare ancora con lui. Ma non fu così. «Non so quanto starò via. Posso chiamarti più tardi?» «Certo.» «Devo fare una doccia veloce» annunciò Quinn, diretto al piccolo ba-
gno. «Il tuo amico è un poliziotto?» chiese lei. Quinn si voltò lentamente e la guardò perplesso. «Sì. Come hai fatto a capirlo?» «Si vede.» «Non gli farebbe piacere sapere di essere tanto facile da riconoscere.» «Allora digli di non stare così rigido. La postura è troppo perfetta.» «Cambierebbe qualcosa?» «Forse no. Ha proprio l'aspetto di un poliziotto.» Quinn sorrise, entrò nel piccolo bagno e chiuse la porta. Shannon sentì scorrere l'acqua e andò nella sua cabina a fare la doccia. Quando uscì, avvolta in un asciugamano, lui era già vestito, jeans e una polo azzurro scuro, e infilava il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. «Ti chiamo più tardi, va bene?» C'era ansia nella voce. Era solo perché aveva fretta o perché voleva davvero vederla più tardi? Prima di uscire Quinn si fermò, le posò le mani sulle spalle e guardò il corpo coperto dall'asciugamano. «Sei così bella» disse con una voce bassa e rauca che le provocò un brivido di desiderio. Quinn esitò, sembrava che non volesse lasciarla. Ma poi si decise. «Non avrai problemi a stare da sola?» «Certo che no, vado subito a casa.» Quinn annuì. «Ti chiamo più tardi.» Salì un gradino e poi si voltò. «Fai come se fossi a casa tua, prendi quello che ti pare, puoi farti un caffè prima di andare.» «Va bene.» Lo salutò con un cenno e Quinn uscì. Una volta sola, Shannon si sentì a disagio a restare nella sua barca, coperta soltanto da un asciugamano. Si vestì in fretta, ma quando fu sul punto di uscire cambiò idea. Trovarsi da sola nel suo ambiente era una sensazione strana, piacevole. Shannon continuava a chiedersi se aveva qualcosa da rimproverarsi, se aveva fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare. Ma non riusciva a ricordare una notte fantastica come quella che aveva appena trascorso. Forse l'unica della sua vita. Più stava con Quinn e più aveva voglia di stare con lui. Le piaceva il suo sorriso, il suo modo di ridere, il tono della sua voce, il suo sguardo. Le piaceva il tocco delle sue mani sulla pelle e più di ogni altra cosa le piacevano il suo senso dell'umorismo e la fossetta che compariva quando lui
sorrideva. Le piaceva anche essere nel suo mondo, le piaceva che si fosse fidato di lei fino a quel punto. Esitò, ma poi decise che, considerato che era domenica e che lei non aveva impegni, poteva fermarsi e farsi un caffè. Caffettiera e caffè erano sul bancone della piccola cucina. Mentre lo preparava, Shannon ricordò a se stessa quanti dubbi aveva su Quinn. Non faceva altro che rivolgere domande, eppure aveva negato di essere un poliziotto. Non aveva alcun senso che Quinn lavorasse sotto copertura. Certo, non era l'unica a pensare che le circostanze della morte di Lara fossero sospette. La polizia aveva aperto un'indagine, aveva interrogato tutti. Era stata fatta l'autopsia. Ma poi il caso era stato chiuso. L'autopsia era stata eseguita da un ottimo medico legale. Il corpo di un morto non mente. Il sangue di Lara era saturo di calmanti e alcol. Impossibile negarlo. Se la polizia non aveva più alcun interesse nel caso, non c'era ragione che Quinn potesse essere un agente in incognito. Il caffè era pronto. Shannon trovò una tazza e il latte nel frigo. Ma niente zucchero. Cercò dappertutto, senza risultato. Fece una smorfia al pensiero di doverlo bere amaro. Forse lo zucchero poteva essere in un cassetto. Aprì il primo: posate. Un altro: asciugamani da cucina. Il terzo: coltelli e mestoli. Aprì l'ultimo. Non trovò lo zucchero. Trovò dei fogli. Una cartellina di cartoncino in cima ad altre carte. Esitò, indecisa sul da farsi, mentre continuava a fissare il contenuto del cassetto. Avrebbe dovuto richiuderlo, visto che non aveva trovato quello che cercava. Forse però aveva trovato la risposta al mistero di Quinn O'Casey. Non poteva far finta di non aver visto. Si chinò ed estrasse le cartelline. La prima aveva un'etichetta con il nome di Lara Trudeau. Sull'altra c'era un altro nome: Nell Durken. Sconvolta, restò a lungo a guardare quei nomi. Poi posò la seconda cartella e aprì quella di Lara. Trovò il rapporto della polizia e numerose relazioni. Il rapporto dell'autopsia. Tutto. Posò la pratica e prese l'altra. Più o meno conteneva le stesse cose, solo che i nomi e le fotografie erano diverse. Rapporto della polizia, autopsia, relazioni, arresto del marito di Nell. Sentì un rumore di passi sul pontile. Qualcuno si avvicinava fischiettan-
do. Shannon cercò di rimettere tutto velocemente dentro il cassetto, ma non ci riuscì. Qualcosa lo impediva. Aprì di più e scoprì che c'era anche una videocassetta. L'etichetta riportava il nome e la data della gara, il nome di Lara e la scritta: "Proprietà della Miami-Dade. Sezione omicidi". Shannon sistemò meglio la cassetta e le pratiche, poi richiuse in fretta. Restò immobile e attese, pervasa dai sensi di colpa per aver frugato dove non doveva e dalla rabbia verso quell'uomo che si era rivelato solo uno schifoso bugiardo. Alla fine vinse la rabbia. E la sua autostima crollò. L'umiliazione le impediva di muoversi. Sì, aveva deciso lei di andare da Nick. Sì, era stata lei a bussare alla porta della sua cabina. Ma lui aveva finto di essere attratto da lei solo per poter approfondire le sue indagini. Si augurò che almeno fosse un poliziotto. Sentì i passi e il fischiettare dirigersi oltre la barca. Chiunque fosse, non era Quinn O'Casey. Ma poteva tornare in qualsiasi momento. Shannon strìnse i denti. Avrebbe voluto passare la barca al setaccio. Distruggere tutto. Uno squillo la bloccò. Si fermò, in ascolto, e si rese conto che era il suo cellulare dentro la borsa. Lo prese e controllò il display. Justin. Rispose, a disagio. Non solo aveva "fraternizzato" e aveva fatto qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare, ma sentiva anche di essere stata usata. Si trovò patetica. «Sì?» disse con voce affannata. «Shannon?» «Sì.» «Hai una voce strana.» «Davvero? Mi dispiace. Non riuscivo a trovare il telefono, era nella borsa.» Lo sentì ridere. «Quindi in uno dei posti più disordinati del mondo.» «Molto divertente. Perché hai chiamato?» «Abbiamo deciso di andare al mare. Proprio nella spiaggia vicino a casa tua. Volevamo sapere se ti univi a noi.» «Chi siete?» «Solo io, Sam, Jane e Rhianna. Non sono riuscito a trovare Ella e Ben, e Gordon mi ha dato una rispostaccia, perché mi sono permesso di svegliarlo di domenica. Ma so che tu sei una mattiniera. Allora, che ne dici? Vieni con noi? Una giornata spensierata di sole e sabbia.»
«Non lo so, Justin. È stata una settimana terribile, ho bisogno di riposare.» «Ho capito. Non hai voglia di vederci.» «Non è vero, sto sempre volentieri con voi. Ma...» «Dai, vieni. Passiamo a casa tua e non ci muoviamo di lì finché non ti decidi.» «No!» «Oh sì, invece. Dovrai chiamare la polizia per liberarti dal nostro assedio.» «Non venite a casa. Datemi un'ora e vi raggiungo.» «Promesso?» «Sì. Ma non venite a casa mia. Ho bisogno di un po' di tempo.» «Certo, tranquilla. Ci trovi alla spiaggia libera di fianco all'albergo.» «D'accordo.» Shannon chiuse la comunicazione e ripose il telefono nella borsa. Sarebbe andata alla spiaggia. E non avrebbe fatto a pezzi la barca di Quinn. In fondo, aveva già scoperto quanto c'era da scoprire. Aveva visto giusto fin dall'inizio. Quinn non era quello che pretendeva di essere. Ma allora chi era? Stava per frugare nella scrivania e dare un'occhiata al suo computer, poi esitò. La cosa migliore da fare era portare via la macchina prima che qualcuno la vedesse. Alla fine la curiosità ebbe la meglio. Shannon si avvicinò alla scrivania e aprì un cassetto. Penne, matite gomme, dischetti, fogli... Ne aprì un altro. Tutto quello che ancora voleva sapere era lì, sul primo foglio di carta intestata. «Whitelaw e O'Casey. Investigatori privati...» borbottò. C'era un indirizzo di Key Largo, il numero di telefono, l'e-mail e il numero della licenza rilasciata dallo Stato della Florida. «Figlio di puttana!» disse ad alta voce. Chiuse con forza il cassetto. Era furiosa. Oh, certo, quell'uomo sapeva bene come si conduce un'indagine approfondita. Tornò alla scrivania. Afferrò il telefono accanto al computer e compose il numero dell'agenzia. Squillò a lungo. A quanto pareva, Quinn e Whitelaw erano così scarsi nel loro lavoro da non potersi permettere una segreteria telefonica. Alla fine però qualcuno rispose.
«Whitelaw e O'Casey.» Shannon sì rese conto che non sapeva cosa dire. «Pronto?» «Sì, mi scusi, c'è il signor O'Casey?» «Non c'è. È in ferie. Vuole lasciare un messaggio per il signor Whitelaw?» «No. Grazie. Richiamerò. Ho bisogno di parlare con il signor O'Casey.» «Chiama dall'ufficio di Quantico? Se ha bisogno posso cercare di rintracciarlo.» «No, no. È una faccenda personale. Grazie.» Riappese. Quantico? Allora non era un semplice investigatore. Era dell'FBI. O almeno lo era stato. Alla faccia del tranquillo pescatore subacqueo e noleggiatore di barche. Al momento, l'unica cosa che Shannon aveva ben chiara era che lui l'aveva usata. Sentì che era sul punto di scoppiare a piangere, ma ricacciò indietro le lacrime con la rabbia che provava verso se stessa. Raggiunse i gradini e si voltò a guardare la cabina. «Non so chi sei in realtà, signor O'Casey, so solo che sei un maledetto bastardo.» Shannon uscì dalla barca. Dimenticò di chiudere, ma certo non tornò indietro per farlo. 11 «Forse non c'è nessun collegamento» esordì Jake assonnato, mentre beveva un sorso di caffè. Erano nella cucina di Nick. Nick e la moglie dormivano ancora. Jake aveva la barca ormeggiata nel porto, ma negli ultimi mesi lui e Ashley si erano spostati nel piccolo appartamento adiacente al ristorante, dove Ashley aveva abitato da ragazza. Quinn era sicuro che Jake fosse in pensiero, da quando la moglie era partita per Jacksonville. Nonostante fosse evidente che non vedeva l'ora di andare a dormire, era comunque lì con lui per aggiornarlo sugli ultimi avvenimenti. Un altro cadavere. «Duarte dice che è recente. E conosce bene il suo lavoro. Anch'io ne ho
visti parecchi che erano stati in acqua a lungo. Questo no» disse Jake. «Farà l'autopsia domani.» «Ha rilasciato qualche primo commento?» chiese Quinn. «Ricca, a quanto pare. Ti farò avere i miei appunti con tutti i dettagli. Rolex. Collana d'oro, così pesante da far affondare un mercantile e con un cuore di brillanti da rendere verde d'invidia ogni donna.» «Ispanica, bianca, nera, asiatica?» «Non lo so ancora. Scura. Forse ispanica. Ma da queste parti metà delle ispaniche che conosco sembrano tedesche. Lei comunque era scura. Scuri i capelli, scuri gli occhi, molto abbronzata.» «Segni di lotta?» «Era nuda, ma se è stata violentata, non ci sono lividi o graffi. Solo segni di aghi sulle braccia.» «Drogata?» «Questo non lo so. Ma di certo si era iniettata qualcosa di recente.» «Corrisponde alla descrizione di qualche persona scomparsa?» chiese Quinn. «Per adesso no. L'unica cosa che so dirti è che è stato trovato sulla spiaggia il corpo di una giovane donna. Secondo Duarte è probabile che sia morta nella notte. È stata in mare, forse gettata da una barca. Visti i buchi alle braccia, è facile che sia morta per overdose. Appena ho altre informazioni te le comunico. Ancora non riesco a vedere un collegamento tra le due morti per abuso di farmaci e questo caso. Ma sono d'accordo con te: è tutto piuttosto strano.» «Strano al punto da far riaprire il caso Trudeau?» Jake si strinse nelle spalle. «Il caso non era mio, non sta a me farlo. Ci vuole l'autorizzazione dei capi e per ottenerla devo avere in mano qualcosa di più di un'altra morte per droga nella stessa zona. Sono un dipendente dello Stato e devo seguire regole e regolamenti. Tu sei molto più libero.» «Sì, ma non ho alle spalle nessuno» commentò Quinn. «È tutto così assurdo» disse Jake in tono rassegnato. «Giù sulla costa lo stile di vita è sopra le righe, assomiglia sempre di più a un lento suicidio. Ogni anno non si contano le morti violente e per overdose. Comunque, se vuoi ti faccio partecipare all'autopsia. A Duarte non dispiacerà se ci sei anche tu.» «Sì, grazie.» «Stai bene? Hai l'aria a pezzi almeno quanto me. Chi c'è nella barca? Qualcuna che conosco? Qualcuna che conosci, spero.»
Quinn piegò la testa da un lato e guardò l'amico. «Qualcuna che conosco. E per il momento non vorrei aggiungere altro.» «D'accordo. Non so cosa ci faccio qui a bere caffè quando ho solo voglia di una doccia e di un letto.» Quinn si alzò. «Grazie. Ho apprezzato molto.» «Forse non significa niente» rispose Jake mentre si alzava a sua volta. «O forse sì. Grazie comunque.» «Ci vediamo domani.» «Quando torna Ashley?» «Oggi pomeriggio, se rispetta i programmi.» Quinn uscì dalla porta laterale che dava sul parcheggio. Si accorse subito che l'auto di Shannon non c'era più. Aveva previsto che se ne sarebbe andata. Dopotutto non sapeva quanto sarebbe stato via e di certo non voleva rischiare che qualcuno la vedesse. Ciononostante, Quinn tornò alla barca con un brutto presentimento. «Che schifo» sbottò Justin. Il gruppo al completo era sdraiato sulla spiaggia. Lucidi di crema, prendevano il sole in riva al mare. Justin, l'unico a essersi portato la sdraio, non faceva altro che osservare e commentare le persone che passavano. «Cosa?» chiese Jane. «Quella, troppa carne in vista» borbottò Justin, mentre indicava una donna robusta in bikini. «Justin, non è bello quello che hai detto» lo rimproverò Rhianna. «Hai ragione. Non è bello per niente uno spettacolo del genere.» «Sarai bello tu! Chi ti ha convinto di essere irresistibile in costume?» lo prese in giro Jane. «Almeno io non sembro una balena spiaggiata.» Shannon guardò la donna che camminava lungo la riva. Era decisamente sovrappeso e il costume era senza dubbio troppo piccolo, ma l'idea che in spiaggia ci fossero solo corpi da indossatori era un'invenzione del cinema. Niente a che vedere con la realtà. «Justin, sei proprio crudele» disse Shannon. «La spiaggia è di tutti.» «Giusto, e te la prendi solo con le donne» borbottò Jane. «No, no. Guarda laggiù. Quel tìzio ridicolo con la pancia e quel costume minuscolo.» «Piantala Justin!» sbottò Rhianna all'unisono con Shannon.
Shannon pensò che Justin era crudele, ma anche divertente. In fondo faceva di tutto per farli ridere. Perché il mondo tornasse alla normalità. «Per fortuna» disse Rhianna, «i poliziotti se ne sono andati. Era una pena vederli girare per la spiaggia con l'uniforme e le scarpe chiuse.» «Poliziotti?» chiese Shannon. «Rhianna» grugnì Sam. «Avevamo deciso di non parlarne, ricordi?» Shannon si mise a sedere, abbassò gli occhiali da sole e li guardò. «Perché c'erano i poliziotti sulla spiaggia?» «C'era un cadavere sulla riva» rispose Sam. «Qualcuno lo ha trovato questa mattina presto. Hanno chiuso una parte della spiaggia fino alle dieci, finché il cadavere della donna non è stato portato via. Prima che tu arrivassi hanno interrogato tutte le persone sulla spiaggia.» «Un cadavere?» ripeté Shannon. «Non era una ballerina» si affrettò a specificare Justin. «Come fai a saperlo?» chiese Jane. Justin sospirò. «Perché li ho sentiti parlare. Doveva appartenere all'alta società. Le persone che l'hanno vista non facevano altro che descrivere i gioielli che portava. Niente vestiti, ma tonnellate d'oro. E aveva buchi sulle braccia. Dev'essere una faccenda di droga.» «Tonnellate di gioielli» rifletté Rhianna. «Se non altro è da escludere che l'abbiano uccisa per derubarla.» «Chi ha detto che è stata uccisa?» domandò Jane. Anche Rhianna si alzò a sedere e la guardò. «Se no, cosa? Si è tolta da sola tutti i vestiti, si è sdraiata sulla sabbia e si è lasciata morire?» Shannon pensò che sarebbe stato strano almeno quanto il fatto che Lara avesse preso tutte quelle pillole prima di ballare. «Ma non li leggete i giornali?» borbottò Justin. «Tutti i giorni muore qualcuno. Stiamo appena superando quello che è successo a Lara, non mi sembra il caso di preoccuparci di una sconosciuta, d'accordo?» «Come fai a sapere che non la conoscevamo?» chiese Jane piano. Justin sospirò. «Io non so proprio nulla. Ma non possiamo farci carico di tutti i guai del mondo. Siamo ancora sconvolti per Lara. Cerchiamo di goderci questa magnifica giornata.» «Hai ragione» replicò Shannon secca. «Quella donna si è comportata male, farsi uccidere così proprio oggi e rovinarci la giornata.» «Come fate a essere tanto sicuri che sia stata uccisa?» ribatté Jane. «Non siamo poliziotti» le rammentò Justin. «Possiamo chiedere a Doug O'Casey la prossima volta che lo vediamo. Lui dovrebbe saperne di più.»
«È della stradale, non della squadra omicidi» lo corresse Jane. «Ha degli amici, sarà in grado di dirci cosa è successo» affermò Justin. E se non ci riesce lui, pensò Shannon, suo fratello sicuramente sì. Il fratello, l'investigatore privato. Che a quanto risultava li teneva d'occhio. Tutti quanti. Perché? Chi l'aveva ingaggiato? C'era qualcuno che sapeva cose che loro ignoravano? Rhianna si alzò e si tolse la sabbia dal costume. «Per oggi basta sole per me. Vado. Ci vediamo domani.» Jane fece lo stesso. «La spiaggia è stata un'ottima idea, grazie Justin, ma anch'io sono un po' cotta.» Con un sospiro si alzò anche Justin. «Vale anche per me, perciò vi saluto.» «Io mi fermo ancora un po'» annunciò Sam, sdraiato con le mani sotto la testa. «Ci vediamo domani, Shannon» disse Jane. Shannon li salutò con un gesto stanco. Jane e Sam erano gli astri nascenti della scuola, avrebbe dovuto essere più affettuosa e grata nei loro confonti. Ma si sentiva a pezzi. Distaccata. Ferita. Distrutta. Aveva pensato di avere un futuro con un uomo fantastico, invece era stata solo un caso su cui indagare. Un'indagine molto accurata, pensò con amarezza. «Shannon?» «Sì, certo, domani mattina verso le dieci.» Jane sorrise e salutò. Sam era sdraiato sulla sabbia. Shannon invece rimase seduta, si portò le ginocchia contro il petto e fissò l'oceano. Si godette il rumore delle onde che si infrangevano sulla riva, l'odore salmastro che aleggiava nell'aria. Sembrava assurdo che una tale bellezza potesse fare da sfondo a tanta violenza. D'un tratto Sam sospirò. «Dai, andiamo fin là a vedere.» Shannon annuì con un senso di colpa. Non l'aveva ammesso con se stessa prima, ma anche lei aveva voglia di vedere il punto dove era stato ritrovato il corpo della donna. «Credi che sia curiosità morbosa?» chiese a Sam. «È più che normale. Pensaci. Siamo vicini alla scuola, per non parlare di casa tua.» Sam scattò in piedi e le porse una mano per aiutarla ad alzarsi, poi le passò un braccio attorno alle spalle e si avviarono insieme. «Ci eravamo messi d'accordo di non farne parola davanti a te, speravamo che i po-
liziotti non tornassero.» «Sam, è stato carino da parte vostra cercare di proteggermi. Però purtroppo possiedo una televisione e leggo i giornali» «Lo so, ma Justin aveva ragione. Sei così sconvolta dalla morte di Lara. Volevamo farti passare una giornata spensierata sulla spiaggia, senza parlare di morte. Non ci è venuta bene, direi.» Shannon lo strinse a sé con affetto. «È stato un pensiero carino da parte vostra. Ma sono piuttosto dura. Lo sai.» «Si?» La guardò con un mezzo sorriso. «Il più delle volte è vero. Sei brava nel lavoro e ti sei guadagnata il rispetto di tutti. Ma da lì a definirti una dura, be', non saprei.» «Perché dici così?» Il sorriso si allargò. «Forse non dovrei incoraggiarti. Diventeresti una nuova avversaria per Jane e per me. Ma se tu fossi davvero una dura, torneresti a gareggiare.» «La mia caviglia non sarà mai come prima.» «Balle. Forse è quello che potrebbe dire un ortopedico. Ma sono passati anni, la tua caviglia funziona benissimo.» A quel punto Sam si fermò. «Là.» Non c' era più niente. Il corpo era stato portato via e la spiaggia era cintata con del nastro. C'era ancora qualche agente della Miami Beach. Due specialisti della scientifica setacciavano l'area circostante. Dietro al nastro, parecchi curiosi guardavano e rivolgevano domande ai poliziotti. «Ma cosa stiamo facendo?» mormorò Shannon. «È come rallentare per osservare un incidente stradale.» «Lo facciamo tutti» sussurrò lui in risposta. «Quando siamo arrivati non si parlava d'altro. I ragazzini che hanno inciampato nel cadavere non erano spaventati o sconvolti. Erano eccitati, non hanno mai smesso di raccontare a tutti com'era andata. Si sentivano le celebrità del momento. È terribile, non trovi?» «Per fortuna hanno portato via quella povera donna» disse Shannon. «Certo. Ti immagini come può diventare un cadavere sotto il sole per tutto il giorno, con questo caldo? A sentire i ragazzini, la donna non era morta da molto tempo, ma i granchi avevano già cominciato a rosicchiarle le dita dei piedi.» «Smettila, ti prego» lo implorò Shannon. Si voltò e Sam la seguì. Mentre se ne andavano, Shannon si girò. Due uomini avanzavano fra la folla. Shannon li riconobbe. Uno era il ti-
zio che era arrivato da Quinn quella mattina. E l'altro era Quinn. Il primo mostrò il tesserino a un poliziotto, quindi presentò Quinn che gli strinse la mano. Poi i due uomini cominciarono a fare domande. «Che cosa succede?» Sam si fermò. «Niente» rispose in fretta Shannon. Riprese a camminare. Non sapeva bene perché, ma non voleva che Sam vedesse il nuovo studente sulla scena del crimine. «Sei sicura?» «Sì. Ho solo avuto un brivido. Andiamo.» Shannon accelerò il passo e appena le fu possibile si guardò di nuovo indietro. I due uomini non erano soli. Con loro c'era una donna molto bella e molto incinta che aveva in mano un blocco da disegno. Quinn le teneva un braccio sulle spalle. Le parlava con calma e sembrava molto serio. La donna lo guardò, sorrise, poi scivolò sotto il nastro di protezione. Si accucciò e iniziò a disegnare. «Ma cosa ti prende?» chiese Sam preoccupato. «A chi arriva primo agli asciugamani!» esclamò Shannon e partì di corsa. Sam raccolse la sfida e iniziò a rincorrerla. Shannon arrivò per prima e si sedette. Lui la seguiva senza fiato. «Ho vinto» disse lei con aria soddisfatta. Senza smettere di ansimare, Sam la fissò e sorrise. «Cosa c'è?» chiese Shannon. «Quella caviglia è ridotta proprio male, vedo.» Shannon sospirò esasperata. «Dove hai la macchina?» «A un isolato da casa tua.» «Accompagnami a casa a piedi, allora. Prima ci rinfreschiamo, poi preparo qualcosa da mangiare.» C'erano giorni in cui Quinn era felice di non fare più parte della polizia. I poliziotti non avevano orari, i turni non venivano quasi mai rispettati. Per lui era così ancora adesso, ma se non altro poteva concedersi qualche momento di riposo, quando voleva. In teoria, in quel preciso momento, avrebbe dovuto essere in ferie. Sempre su una spiaggia, ma una spiaggia alle Bahamas. Un venticello fresco, una bibita ghiacciata fra le mani, bambini che giocavano sulla spiaggia, musica calipso nell'aria. Tutto il necessario per disperdere l'intrico di ragnatele che intrappolavano gli incubi senza speranza che abitavano la sua
mente. A pensarci bene, però, se fosse stato alle Bahamas, non avrebbe vissuto la notte appena trascorsa in barca. E non sarebbe stato con Jake e Ashley, a chiedersi che cosa avesse fatto Shannon nella sua barca quando lui se n'era andato a fissare una striscia di spiaggia dove la corrente di Biscayne Bay aveva trascinato un cadavere. Duarte era così sommerso di lavoro che si sarebbe occupato della nuova arrivata solo la mattina successiva. Jake, l'investigatore della omicidi a capo del caso, aveva deciso di tornare sulla scena del crimine. Quinn era andato con lui, ma prima era tornato alla barca a dare una controllata. Non mancava niente. Shannon si era fatta il caffè ed era andata via così in fretta da dimenticarsi di chiudere. Nel frattempo Ashley era riuscita a tornare prima del previsto, erano passati a prenderla e adesso, dopo un breve sopralluogo sulla scena del delitto, sarebbero andati all'obitorio. Lì Ashley avrebbe fatto l'identikit della donna da distribuire ai giornali, nella speranza di trovare qualcuno che aiutasse a identificarla. La polizia non voleva far circolare la foto, meglio un disegno che la rappresentasse come doveva essere da viva. Ashley era stata una scoperta preziosa per Jake Dilessio, una donna con due passioni nella vita: il disegno e il lavoro nella polizia. Non era mai stanca. Nonostante fosse in attesa del loro primo figlio, che sarebbe nato entro un mese, non smetteva di lavorare. Si sarebbero presi entrambi un periodo di riposo dopo la nascita del bambino, ma fino ad allora, come Ashley diceva sempre con una scrollata di spalle, che altro aveva da fare se non stare seduta a pensare a quanto era grossa? Mentre andavano all'obitorio, Quinn le chiese come riuscisse a sopportare di trascorrere tutto il tempo in presenza di cadaveri. «Non sempre si tratta di corpi sfigurati e orribili» precisò Ashley, dopo essersi voltata a guardarlo. «E poi ho avuto una gravidanza senza problemi. Sto benissimo, neanche una nausea mattutina. Il mio lavoro è importante. Io e Jake facciamo il possibile per rendere migliore il mondo per il nostro bambino.» Sorrise e guardò Jake, che era alla guida. «Non possiamo eliminare tutto il male dell'universo, ma ogni piccolo contributo è importante, no?» «Ashley, dovrebbero clonarti» rispose Quinn. Lei sorrise. «Grazie.» Per un po' rimase in silenzio, poi disse: «Non importa quali siano le circostanze, siamo comunque contenti di riaverti con noi. Se Nell Durken non si fosse rivolta a te e tu non avessi steso rapporti
scrupolosi dei movimenti del marito, forse sarebbe riuscito a farla franca». «Non è ancora stato processato» le ricordò Quinn con espressione preoccupata. A differenza di Ashley, lui sì che soffriva di nausea quando pensava al caso Durken. Arrivarono all'obitorio. Jake e Ashley mostrarono il tesserino e un assistente li accompagnò nella stanza dove era stata portata la vittima trovata sulla spiaggia. Secondo una prima valutazione di Duarte, non era morta da più di ventiquattro ore. Era incredibile quello che il mare, e le creature che lo abitavano, potessero fare in così poco tempo. Eppure si intuiva ancora che era una donna giovane, bella e, a quanto sembrava, ricca. Le unghie, nelle dita rimaste intatte, erano eleganti e curate. Quello che restava del trucco sembrava applicato da mani esperte. I capelli erano folti e scuri. Aveva un volto grazioso, con gli zigomi alti e, quando le aprirono la bocca, i denti erano perfetti. La corporatura, il tono muscolare, tutto indicava che non aveva subito privazioni nella vita. Ashley aveva già cominciato a disegnare. L'assistente li dotò di guanti, ma l'analisi superficiale non fornì ulteriori indicazioni, se non i segni di alcuni buchi sulle braccia. Quinn scosse la testa. «Però le condizioni fisiche sono piuttosto buone.» «Forse aveva appena cominciato» rispose Jake. Poco dopo, Ashley li avvisò che aveva finito. Il disegno non ritraeva un viso sorridente o allegro, ma era rilassato e se qualcuno l'avesse riconosciuta, vederla non sarebbe stato uno shock. Era un ottimo ritratto. Lasciato l'obitorio tornarono alla spiaggia. Si tennero in disparte, perché quelli della scientifica non avevano ancora terminato il loro lavoro. Il ritrovamento era avvenuto sulla spiaggia privata di un albergo. Ma nessuno dei dipendenti e degli ospiti riconobbe la donna del disegno di Ashley. O almeno non dissero di conoscerla. Quinn notò quanto fossero vicini alla scuola e alla casa di Shannon e decise che doveva andare da lei. Salutò Jake e Ashley e si avviò a piedi. Arrivato alla casa di Shannon, suonò il campanello. Sentì dei movimenti dietro la porta, come se qualcuno guardasse dallo spioncino, ma nessuno aprì. Poi sentì delle voci. Sussurri. Appoggiò l'orecchio. «Ma cosa ti prende? Perché non apri?» Una voce maschile. Quinn riconobbe Sam Riley.
«È domenica, oggi non lavoro» replicò secca Shannon. Non sarebbe dovuto venire, pensò Quinn. «Allora apri e diglielo» ribatté Sam. «No. Vedrai che se ne va.» «Io credo che abbia un debole per te» scherzò Sam. «È uno studente.» «Facciamola finita con questa storia, non è uno studente. Non durerà. Un elefante con due piedi sinistri ha più possibilità di lui di imparare a ballare.» Triste ma vero, pensò Quinn divertito. «Allontaniamoci dalla porta» borbottò Shannon. Grazie per essere intervenuta in difesa delle mie doti di ballerino, pensò Quinn. Suonò ancora. «Insomma apri quella porta» sbottò Sam. «Va bene, va bene.» Quinn ebbe appena il tempo di fare un passo indietro. La porta si aprì. Shannon lo fissò. Non era soltanto arrabbiata perché era piombato a casa sua mentre era con un collega. Qualcosa nella sua espressione raggelò Quinn. Gli occhi smeraldo erano duri come non li aveva mai visti. L'atteggiamento del corpo era dichiaratamente ostile. Era più rigida di un pilastro di cemento. Non lo invitò a entrare, lo lasciò nel portico. Sam, dal canto suo, sembrava divertirsi. «Salve, Quinn» disse cordiale. «Cosa vuole signor O'Casey?» chiese Shannon gelida. «Sono passato a vedere come stava.» Guardò Sam. «So dove abita la signorina Mackay perché l'altra sera l'ho accompagnata a casa.» Poi si rivolse a Shannon. «Ero da queste parti e, dopo tutto quello che è successo, ho pensato di venire a trovarla.» «Era da queste parti?» chiese lei in tono sarcastico. Allora Quinn capì. Un colpo allabocca dello stomaco. Shannon aveva frugato fra le sue cose. Era stato un idiota a lasciarla sola sulla barca, con quello che c'era nel cassetto. «Parli di quello che è successo alla spiaggia? Dei ragazzini hanno trovato un cadavere» intervenne Sam. A quanto sembrava, Shannon non ne aveva ancora fatto parola con nessuno. Era già un sollievo.
«L'ho sentito» mormorò Quinn senza espressione e senza smettere di fissare Shannon. «Io e Sam stavamo per uscire.» Quinn la squadrò. Shannon indossava un pareo e Sam era in calzoncini. Entrambi erano coperti di sabbia. «Davvero?» chiese Sam. «Ero convinto che avresti cucinato qualcosa qui.» Shannon lo fissò. Sam ricambiò lo sguardo come se non ci capisse più niente. «Va bene, comunque non mi sembra il caso di lasciare fuori il nostro nuovo studente mentre decidiamo cosa fare.» Si spostò e sorrise. «Entra Quinn.» «Grazie.» Quinn pensò che doveva riuscire a parlare con Shannon. A ogni costo. «Vado a fare la doccia» annunciò Shannon, non appena lui fu entrato. «Sam, noi usciamo. Signor O'Casey, ci farebbe molto piacere invitarla, ma come sa le regole della scuola non permettono che insegnanti e allievi si frequentino. Non vogliamo che qualcuno pensi che uno studente riceve maggiori attenzioni di un altro.» Non gli lasciava molta scelta. Quinn abbozzò un sorriso goffo. «A dire la verità, sono stato lasciato a piedi. Pensavo che mi restituisse il favore e che mi riaccompagnasse a casa.» «Devi parlare con Quinn della barca per il Gator Gala, o sbaglio?» intervenne Sam. «Non credo che il signor Quinn abbia quello che ci serve.» «Sono sicuro di sì, invece. E posso certamente farvi un ottimo prezzo.» Shannon lo fissò. Il suo sguardo era così duro che gli sembrò di sentire la parola "bugiardo" saettare nell'aria. «Ci ho ripensato, non credo che sia giusto fare affari con uno studente» rispose Shannon. «Io posso farvi avere il meglio, però» disse Quinn con un sorriso. Appoggiò una mano allo stipite della porta. «Gordon ne sarà felice» commentò Sam affabile. Quinn si rese conto che Sam se la stava godendo un mondo. Aveva uno sguardo divertito e malizioso. «In ogni caso, io vado a fare la doccia. Sam, se vuoi puoi usare il bagno degli ospiti. E, signor O'Casey, lei può andare...» Esitò. «Faccia quello che vuole. Aspetti, se crede.» Shannon si voltò e si avviò verso la sua camera. «Non si muova» ordinò Sam. Lo guardò con simpatia. «Saremo pronti fra poco.»
Poi sparì anche lui. Quinn si trasferì nell'altra stanza. L'autunno iniziava a farsi sentire, anche in Florida. Nonostante l'aria fosse ancora calda, il buio scendeva ogni giorno più presto. Quinn si appoggiò al muro e guardò fuori, nel cortile. Palme, alberi di lime, cespugli. Un tempo fra le piante c'era un sentiero, ora coperto dalla vegetazione. Una brezza gentile agitava le foglie e piegava i rami. Mentre guardava fuori, però, Quinn si accorse che alcuni rami sembravano mossi da qualcosa che non era il vento. Si irrigidì e continuò a guardare. Aveva l'inquietante sensazione di essere osservato. In casa le luci erano accese. Le ombre dell'oscurità invece proteggevano il cortile. Sì, c'era qualcuno là fuori. Quinn imprecò e afferrò la maniglia della porta di servizio, che non si aprì. Era chiusa a chiave. Con un gesto veloce aprì la serratura e spalancò la porta. Alcuni rami si mossero. Qualcuno cominciò a fuggire. Quinn si precipitò all'inseguimento. 12 Gordon Henson amava godersi le domeniche pomeriggio. Non che la scuola lo impegnasse più molto. Aveva puntato su Shannon, le aveva insegnato a gestire la Moonlight Sonata e si era rivelata un'ottima scelta. Gordon avrebbe potuto tranquillamente andare in pensione, ma aveva scoperto di non averne voglia. Negli ultimi anni aveva cominciato a guadagnare bene. Eppure non riusciva a staccarsi dalla scuola. L'amore per il ballo non finisce mai. Non insegnava più da tempo, ma partecipava alle feste e andava al club quasi tutte le sere. Conduceva una vita piacevole. In passato era stato sposato, una volta sola, più che sufficiente per capire che la vita coniugale non faceva per lui. Nonostante stesse invecchiando, non sentiva alcun bisogno di una relazione stabile. La vita sulla costa gli piaceva, con i locali, gente di ogni tipo e tutto ciò che si può desiderare. Gordon adorava la scuola, il club e il lavoro. Ma adorava anche le sue domeniche. A volte le trascorreva con i dipendenti. Chiedeva a Ella di organizzare un pic-nic in un parco, di solito dalle parti di Broward, dove c'era un la-
ghetto. Altre volte accompagnava i suoi insegnanti a pattinare, con i roller o su ghiaccio, perché era utile per l'equilibrio e i movimenti. E a volte, dopo una settimana impegnativa come l'ultima, se ne restava a casa a guardare qualche vecchio film. Era così che anni prima si era innamorato della danza, guardando Fred e Ginger, Cyd Charisse, Buddy Ebsen e Gene Kelly, che incarnavano la grazia e lo spirito del ballo. Quel giorno decise di vedere Cantando sotto la pioggia. Non si sarebbe mai stancato di guardarlo. Gene Kelly si muoveva agile sul teleschermo, quando squillò il telefono. Gordon lo ignorò e lasciò che scattasse la segreteria telefonica. Ma appena entrò in funzione riagganciarono. Poi il telefono squillò di nuovo. Gordon imprecò e rispose. «Pronto?» «Le cose vanno proprio bene per te, alla scuola.» «Sì?» «È così. Le cose vanno proprio bene per te alla scuola. Decisamente bene. Ricordalo. Non dimenticarlo mai.» La comunicazione fu interrotta. Gordon fissò la mano che teneva il ricevitore. Era sudata. Si accorse di essere scosso da brividi di paura. «Ma cosa diavolo succede?» urlò Shannon, che si era precipitata fuori dalla camera diretta alla porta sul retro. La porta era aperta. Sam la raggiunse di corsa. «Contenta? Sei stata così maleducata che quel poveretto si è spaventato ed è fuggito.» Gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Sam, deve essere successo qualcosa. Oppure c'era qualcuno là fuori.» «Allora andiamo a vedere.» Si accorse dell'espressione preoccupata di Shannon e allungò una mano. «Ma cosa ti succede? Di che cosa hai paura?» «La persona là fuori potrebbe essere armata, o avere un coltello.» Sam scoppiò a ridere. «Perché qualcuno dovrebbe aggirarsi nel tuo giardino con una pistola o un coltello?» «C'era un cadavere questa mattina alla spiaggia. Dobbiamo stare attenti» rispose lei seria. «Controlla che la porta principale sia chiusa a chiave.» Attraverso il giardino, in strada, in un altro cortile. La persona in fuga
era sempre davanti a lui. Infine raggiunsero la spiaggia. Ormai l'oscurità aveva scacciato anche l'ultima luce del giorno. Nonostante fosse sempre più vicino, Quinn non riusciva neppure a distinguere la sagoma del corpo che stava inseguendo. Alla fine la raggiunse. Una donna. Minuta. La bloccò e la fece cadere sulla sabbia. Lei non urlò. Il suo respiro affannato era come un sibilo. Fu sopra di lei e la guardò in viso. Dopo aver chiesto a Sam di controllare la porta di ingresso, Shannon afferrò una racchetta da tennis. Uscirono dal retro. Shannon aveva sempre amato il suo piccolo giardino. Adesso aveva l'impressione che ogni albero, ogni cespuglio, ogni ramo nascondesse un pericolo. «Dobbiamo guardare fra le foglie?» chiese Sam. Shannon scosse la testa. «Se Quinn ha visto qualcosa o qualcuno, qui fuori, e credo che sia così, gli sta dando la caccia.» «Fantastico. Abbiamo controllato la porta, abbiamo un'arma letale, la racchetta da tennis, per proteggerci, e non dobbiamo fare altro che aspettare?» Shannon gli lanciò un'occhiata minacciosa. Un rumore alle loro spalle. Si girarono entrambi. Era il signor Mulligan, il vicino, con il suo cane, Harry. «Buonasera Shannon!» gridò. «Ciao Sam» aggiunse. I due uomini si erano già incontrati. «Salve, signor Mulligan» rispose Sam. Il vicino sorrise, poi fissò la racchetta che Shannon teneva in mano come una mazza da baseball. «Hai ripreso a giocare? Ottima idea.» «Pensiamo che ci fosse qualcuno nel cortile, signor Mulligan» disse Sam. «Un nostro amico gli è corso dietro.» «Qui?» Il signor Mulligan sembrava perplesso. «Sarà stato Harry.» Il cane trotterellò verso Shannon. «Ciao Harry» disse Shannon, mentre gli dava una grattatina fra le orecchie. «Lo sai, io abito alla porta a fianco, se hai bisogno di aiuto...» aggiunse l'anziano vicino. «Lo so, grazie» rispose Shannon con un sorriso affettuoso, mentre si chiedeva che cosa avrebbe potuto fare il vecchio e gracile signor Mulligan
contro un eventuale aggressore. «Non avere paura di disturbare. Dai, Harry, andiamo.» Il cane tornò dal padrone e si avviarono insieme verso casa. «È proprio strano» disse Sam quando il signor Mulligan se ne fu andato. «Ovunque sia Quinn e chiunque stesse inseguendo, adesso è sparito chissà dove.» «Forse dobbiamo chiamare la polizia» mormorò Shannon. «Eccolo che torna!» esclamò Sam. «E non è solo.» Quinn percorreva il sentiero attraverso il cortile. Con lui c'era una ragazza magra e smarrita. Indossava jeans e maglietta. Giovane. Molto giovane. E carina. I capelli castani le ricadevano arruffati sulle spalle e aveva grandi occhi scuri. Shannon e Sam restarono lì fermi a guardarli, mentre si avvicinavano. La ragazza era evidentemente a disagio e sembrava che conoscesse Quinn da tempo. Shannon provò una fitta di gelosia e di disgusto. Si chiese che razza d'uomo fosse quello con cui fino a poche ore prima pensava di poter condividere il futuro. «Shannon, Sam, questa è Marnie» annunciò Quinn quando li ebbero raggiunti. «Shannon, Marnie ha vissuto nel tuo cortile.» «Cosa?» Shannon si rivolse alla ragazza in tono d'accusa. «Non ho rotto niente» disse precipitosa la ragazza. «Non avevo intenzione di entrare o prendere qualcosa. È solo che le foglie sono così fitte e i rami degli alberi formano quasi un capanno naturale. Davvero, non sono una ladra.» A Shannon sembrò sincera. «Ma non hai una casa? Non dovresti essere a scuola?» chiese. «Sarà scappata di casa» sussurrò Sam. «No, non lo sono. Mio padre è morto quando ero piccola» spiegò la ragazza. «Mia madre si è risposata. E lui...» Shannon si rivolse a Quinn indignata. «Deve andare subito alla polizia e denunciarlo.» «Non mi ha fatto niente. Per ora» spiegò la ragazza. Sembrò invecchiata di cinquant'anni in pochi minuti. «Avete capito male. La mamma è rimasta da sola a lungo. Era molto triste, logico. Lui le ha fatto credere che io ci avessi provato con lui. Non è per niente vecchio, è più giovane della mamma. La mamma tiene più a lui che a me. Dovevo andarmene. A giugno ho preso il diploma. Ho diciotto anni. È un mio diritto andare via di casa. È la verità. Potete controllare.»
«Questo non significa che tu possa vivere in un cortile» borbottò Shannon, confusa e dispiaciuta. Marnie aveva un atteggiamento di sfida, ma non sembrava che mentisse. Era come un cucciolo sbattuto fuori al freddo, determinato a comportarsi come un mastino. «Andiamo dentro» decise Shannon. «Così ci spieghi meglio.» «No» disse Quinn. Shannon lo fissò, stupita. «Prima andiamo a trovare una mia amica, alla polizia.» «Ma io non voglio che venga arrestata» protestò Shannon. «Non sono un poliziotto» le ricordò Quinn. «Non mi farà arrestare» spiegò la ragazza, come se si sentisse in obbligo di difendere Quinn. «Mi porta in una casa dove potrò stare, però la mia roba è ancora qui.» «Andiamo a controllare se quello che ha detto Marnie è vero» annunciò Quinn deciso. «Sam, in fondo al sentiero ci dovrebbe essere uno zainetto, è lì che tiene le sue cose.» «Vado» disse Sam, con l'aria di chi non capisce perché spetti proprio a lui. «Andremo alla polizia» ripeté Quinn, quando Sam si fu allontanato. «Una mia amica è avvocato. È molto in gamba. Ci aiuterà a trovare una sistemazione sicura per Marnie.» D'un tratto la ragazza fece un gran sorriso e guardò Shannon. «Ti ho vista ballare» disse. Arrossì. «È così che sono finita nel tuo cortile. Ti guardavo dalle finestre della scuola. Non so cosa darei per ballare come te.» «Vuoi ballare?» «Più di ogni altra cosa al mondo.» «Le lezioni di prova sono gratuite» le spiegò Shannon. La ragazza fissò Quinn. Lui sospirò. «Stasera andiamo a trovare la mia amica Annie. Vedrò cosa si può fare per mandarti a scuola di ballo. Posso iniziare a pagarti io le prime lezioni.» «Davvero?» Il viso le si illluminò. Era decisamente graziosa e in quel momento sembrava un bambino che ha appena ricevuto il regalo più bello del mondo. «Davvero» ripeté lui spazientito. Sam tornò con lo zaino. «Ecco fatto» disse con un sorriso alla ragazza. «Grazie.» Marnie si rivolse a Shannon. «So di non essere stata qui per
tua volontà, ma grazie lo stesso.» «Adesso andiamo» disse Quinn. «Ma come fai ad accompagnarla? Non avevi bisogno di un passaggio?» chiese Sam. «Chiamerò un taxi.» Fissò Shannon. «Così voi due potrete cenare da soli, in pace. Buonanotte. Marnie, andiamo.» Posò una mano sulla spalla di Marnie e fecero per tornare verso la strada. «Perché non li invitiamo a cena qui?» sussurrò Sam a Shannon. Era una tentazione che aveva provato anche lei. Ma poi si era ricordata che Quinn O'Casey era solo un bugiardo e un bastardo che l'aveva usata. «È più urgente che trovi una sistemazione per quella ragazza» rispose decisa. «Può farlo anche dopo cena.» «No» rispose con una durezza che stupì lei per prima. Sam sospirò. «Fammi capire. Non hai un ragazzo. C'è un tipo fantastico che è evidentemente interessato a te e tu lo mandi via. Non mi venire a cercare quando sarai vecchia e sola.» Shannon non rispose. «Guarda che non è detto che torni.» Shannon si voltò. «Vedrai che torna.» «Come fai a esserne così sicura?» Perché indaga su di noi. Su alcuni più che su altri, pensò. «Tornerà, fidati. Che ne dici di ordinare una pizza e restare a casa?» «Shannon?» Si voltò seccata. «Non ho voglia di parlarne. Falla finita, Sam.» «Niente pizza per me, sto ingrassando. Se ordinassimo del sushi?» rispose lui. «Va bene. Ma non voglio sentire nemmeno una parola su Quinn O'Casey. Chiaro?» «Si, capo, messaggio ricevuto.» Entrarono in casa. Sam mantenne la parola. Guardarono un film e lui andò via alle dieci. Mentre chiudeva a chiave la porta, Shannon pensò a tutte le volte che si era spaventata. Ora finalmente si sentiva al sicuro. Aveva davvero sentito quei rumori, ma solo perché una ragazza viveva nel suo giardino. Poi andò a letto e si addormentò subito. Dormì benissimo e la mattina dopo si svegliò con la sensazione che fosse davvero tutto finito.
Lara era stata seppellita. Fine della storia. Il telefono di Quinn squillò alle sei e un quarto di mattina. Jake Dilessio. «Sonya Marquez Miller, ventinove. Nata a El Salvador. Otto anni fa ha sposato un vecchio americano e ha ottenuto la cittadinanza. Doveva amarlo davvero. Anche i figli di Miller le volevano bene. È stata la figlia di Miller a chiamare, dopo averla riconosciuta dall'identikit sul giornale. Non la vedeva da oltre un anno, ma Sonya la chiamava ogni tanto per fare due chiacchiere. Quando Gerald Miller è morto, Sonya si è lasciata andare, forse perché si è resa conto di essere ancora giovane. Ha iniziato a frequentare i locali notturni, in particolare uno a nord di South Beach. Viveva da sola e aveva molti amici, ma, secondo Eva Miller, la figliastra, nessuno di particolare. Comunque nessuno di cui lei fosse a conoscenza.» «Ha mai preso lezioni di ballo?» chiese Quinn. «Non lo sappiamo ancora. I poliziotti sono andati in tutti gli alberghi e in tutti i ristoranti, abbiamo scoperto dove le piaceva andare a mangiare, a fare spese, a divertirsi. Ma nessuno l'ha mai vista in compagnia di qualcuno. Abitava in un appartamento a Collins e il portiere l'ha vista uscire attorno alle otto, sabato sera. È stata l'ultimo a vederla viva. Duarte comincerà l'autopsia fra un'ora, ha detto che puoi andare, se vuoi. A essere sincero, ha detto che gli fa sempre piacere quando vai.» Quinn lo ringraziò e riappese. Prima che riuscisse ad alzarsi per fare il caffè, il telefono squillò di nuovo. Era suo fratello. «Ciao. Hai sentito del corpo che hanno trovato ieri sulla spiaggia?» chiese subito Doug. «Sì. Il caso è di Jake Dilessio. Ieri sono andato sul posto con lui, fra poco vado ad assistere all'autopsia.» «Io sono un poliziotto, tu no. Tu vieni invitato ad assistere. Io no.» «Posso farti entrare, se vuoi.» «Come volevasi dimostrare. Vedi anche tu l'ironia della situazione? Grazie comunque, ma non posso venire, sono di pattuglia.» «Vedrai che riuscirai a diventare un detective.» «Grazie per la fiducia. A volte mi sembra tutto così strano. Ti ho chiesto io di indagare e sono contento che te ne occupi, ma poi... Comunque non credo che la donna uccisa sia collegata con la morte di Lara. Secondo te?» «Da una parte sono convinto che ci sia qualcosa che non quadra. Dall'al-
tra non ho uno straccio di pista da seguire. Neppure una.» «La scuola. C'è qualcosa che non va nella scuola. Non sembra, perché il posto ha un'aria tranquilla, ma lì dentro c'è qualche segreto. A proposito, hai lezione oggi?» «No.» «Meglio se non sei troppo assiduo, ma cerca di venire stasera.» «Per cosa?» «Lezione di gruppo. Classe dei principianti. Sette e quarantacinque. Vedi di esserci.» «Vai ancora al gruppo dei principianti? Tutti parlano di te come del nuovo John Travolta.» «Il mio gruppo inizia alle otto e mezzo. Ci vediamo lì.» «D'accordo.» Il primo allievo di Shannon era Richard Long, che aveva incastrato la lezione fra un lifting al viso e una riduzione di addome nel pomeriggio. Poi sarebbe stata la volta di Brad e Cindy Gray, marito e moglie, che Shannon seguiva da quando aveva cominciato a lavorare alla Moonlight Sonata. Gunter arrivò da solo per perfezionare con lei i passi del suo bolero. Aveva appena finito con Gunter, quando Gordon si affacciò alla porta del suo ufficio. «Ciao.» «Ciao Gordon.» «Hai passato una buona domenica?» «Sì. Siamo andati alla spiaggia. E tu?» «Ottima. L'ho passata da solo.» «Perché non sei venuto al mare con noi? Ne avevi abbastanza dei tuoi bambini?» «Vi adoro. Ma quando è troppo è troppo. Volevo parlarti di una cosa, sulla tua idea di noleggiare una barca per la cena degli insegnanti e degli studenti che partecipano al Gator Gala.» «Sì?» «Mi hanno detto che pensavi di chiedere a Quinn O'Casey di organizzare la serata.» Shannon esitò. «Lo pensavo.» «Ne hai già parlato con lui?» «In realtà no. Ci ho ripensato. Forse non dovremmo servirci di lui, in fondo è uno studente.»
«Vedi di scoprire cosa ci può offrire. Ho dato un'occhiata ai preventivi. Non mi aspetto di guadagnare sull'iniziativa, in fondo è il primo anno del Gator Gala, ma non voglio neanche rimetterci troppi soldi.» «Non lo so, Gordon.» «Parla con lui, fatti dire quanto verrebbe a costare. Voglio che la cena sulla barca avvenga prima del Gator Gala. Per coinvolgere gli studenti. Parla con Quinn. Ha lezione oggi?» «No.» «Potrei chiamarlo.» «Si farà vivo.» Gordon esitò e la guardò. «Ne sei proprio convinta, eh?» Shannon si chiese perché non si era ancora decisa a dire a Gordon che Quinn era un investigatore privato. «Lo chiamo comunque. Vuoi che me ne occupi io?» chiese lui. In circostanze normali Shannon gli avrebbe risposto di no. Le piaceva tenere tutto sotto controllo. Esitò, poi disse: «Sì. Te ne sarei grata, Gordon. Ho un sacco di studenti in questo periodo». «D'accordo. Ci penso io.» Gordon se ne andò. Shannon fissò la porta chiusa e mordicchiò il cappuccio della penna. Pensò che forse avrebbe potuto comunque chiamare Quinn. Per sapere come era andata a finire con Marnie. Poi capì che era solo un pretesto per parlargli da sola. Più che altro per fargli sapere che cosa pensava dei suoi metodi investigativi. Quinn e Jake erano a circa tre metri dal tavolo, in modo da non essere di intralcio ad Anthony Duarte mentre svolgeva il suo lavoro. Un microfono pendeva sopra il cadavere; dopo le foto preliminari, Duarte iniziò a registrare le sue osservazioni. Furono presi campioni di materiale sotto le unghie. Duarte rilevò che non c'erano lividi in tutto il corpo e che la donna era in perfette condizioni fisiche. Non sembrava che fosse rimasta in acqua a lungo, eppure alcune parti del corpo erano state mordicchiate da animali marini. Gli occhi, disse al microfono e al silenzio che regnava nella stanza, erano dilatati. Le vene delle braccia erano punteggiate da buchi di ago. Il resto del corpo non presentava altri segni analoghi. Vennero effettuati i tamponi vaginali e la voce di Duarte registrò che non c'erano tracce di stupro o di rapporti recenti. Il suo ultimo pasto era stato raffinato: aragosta, asparagi, riso, in gran parte non ancora digerito. Poi la voce di Duarte diventò un monotono ronzio. Era passato alla nor-
male routine, aspetti tecnici dell'incisione a Y, a cui seguì la descrizione degli organi che venivano espiantati, forma, aspetto, peso, prelievo dei campioni di tessuto. Duarte dichiarò i suoi sospetti di arresto cardiaco causato da overdose, ma disse anche che bisognava attendere i risultati del laboratorio per avere conferma. Nel silenzio della stanza, il rumore della sega per le ossa del cranio fece venire i brividi Il cervello venne pesato e furono prelevati altri campioni di tessuto. Erano rimasti in piedi in silenzio per ore, quando alla fine Duarte si allontanò dal tavolo e si tolse i guanti. Si avvicinò a Quinn e Jake. «Qualsiasi cosa le sia successo, è chiaro che non ha lottato.» Si strinse nelle spalle. «È possibile che fosse a una festa su una barca e che in stato di eccitazione sia volata fuori bordo, senza che qualcuno se ne accorgesse?» «No. A meno che non sia morta prima di finire in mare. È chiaro che non è morta annegata. Secondo me risulterà che è deceduta per arresto cardiaco. Si tratta senza dubbio di overdose, forse volontaria, forse indotta, poi chi era con lei è stato preso dal panico e l'ha gettata fuori bordo.» «E la corrente l'ha trascinata sulla spiaggia» osservò Jake. «Possiamo concludere che o qualcuno l'ha aiutata a morire, o è stata lei stessa a farlo e poi è stata gettata in mare» commentò Quinn. «In ogni caso si tratta di sostanze illegali e non di normali medicine, vero?» «Hai visto anche tu i segni sulle braccia» gli ricordò Duarte. «Ma finché non avrai i risultati del laboratorio non puoi sapere di che sostanza si tratta» insistette Quinn. «Appena avrò i risultati chiamerò Dilessio. Le analisi del laboratorio possono riservarci qualche sorpresa» annunciò Duarte. «Ti farò avere i rapporti del laboratorio stasera o al massimo domani mattina. Siamo molto occupati. Questa mattina c'è stato un grave incidente sulla I-95. Cinque morti, fra cui un bambino.» «Grazie. E grazie ancora per avermi lasciato assistere» aggiunse Quinn. Duarte fece una specie di sorriso. «Può sembrare strano, ma sono parecchie le persone che vorrebbero assistere a un'autopsia. Quinn, che tu mi creda o no, mi ricordo di quando, tanti anni fa, frequentavi l'accademia di Miami-Dade. I tuoi compagni cadevano come mosche durante l'autopsia. Tu sei soltanto impallidito. Avevo intuito che avresti fatto grandi cose.» «Sono solo un modesto investigatore privato» lo corresse Quinn. Duarte sollevò un sopracciglio. Non era né il momento né il luogo di elencare tutto quello che Quinn aveva fatto prima.
«Signori, ho un bambino che mi aspetta» disse Duarte. «Ci vediamo presto.» Si avviarono verso la porta. Il telefono di Jake squillò. Rispose brusco, poi si aprì in un sorriso. «Mio figlio sta per nascere!» esclamò. «Fantastico, sbrigati.» «Vieni con me.» «Non credo proprio che Ashley mi voglia in sala parto.» «Se è per quello non ti ci voglio neanch'io. Ma a quanto mi ha detto è già dentro da un po'. Sai com'è fatta mia moglie, ha chiamato all'ultimo minuto per non disturbarmi sul lavoro. Il bambino dovrebbe nascere entro due ore al massimo. Dai, vieni. Passa un po' di tempo fra i vivi.» Jake aveva un tono di voce tranquillo, ma sembrava nervoso, così Quinn decise di andare con lui. In fondo i suoi programmi del pomerìggio prevedevano solo qualche ricerca su Internet e una telefonata ad Annie per sapere come stava Marnie. Arrivarono in tempo per scambiare qualche parola con Ashley che, nonostante le contrazioni, riuscì a scherzare con il marito e a rassicurarlo. Poi arrivò il dottore per un controllo e Quinn andò in sala d'attesa. Pochi minuti dopo, Jake si affacciò e disse che non mancava molto. Quinn gli augurò buona fortuna, poi si trovò un angolino tranquillo e chiamò Annie al distretto di South Miami. «È una ragazza in gamba» disse Annie, «e molto intelligente.» «Che mi dici del patrigno?» chiese Quinn. «Si può fare qualcosa?» «Al momento è meglio di no.» «Hai ragione, servirebbe solo ad agitarla ancora di più, soprattutto se pensiamo a quello che direbbe di lei la madre.» «Marnie è in gamba. Ce la farà. Oggi pomeriggio ho qualche ora libera, le darò lezioni di guida.» «Ottimo. Le hai già trovato una sistemazione?» «Certo, in una casa alloggio, almeno per ora. Però sente la mancanza della spiaggia.» «Pensi che diventerà un peso per te?» Annie ci pensò prima di rispondere. «No. Vuole riuscire a fare qualcosa della sua vita. Ha capito che quello che le diamo è un aiuto vero e non assistenza.» «Bene. Ci vediamo più tardi.» Appena finita la telefonata, Jake si precipitò nella stanza. «È una bambi-
na! Ho una figlia.» Sembrava confuso. Quinn si alzò e lo abbracciò. «Congratulazioni!» «Ancora qualche minuto e poi potrai entrare a vederla. È bellissima. Nick sta per arrivare. Nelle prossime ore qui sembrerà di essere alla centrale di polizia.» Jake sparì e Quinn rimase in attesa. Quindici minuti dopo teneva in braccio la figlia dell'amico. Era davvero bellissima. Dicevano che era piuttosto grossa, pesava più di quattro chili, ma a lui sembrava minuscola. Aveva riccioli neri e gli occhi azzurri. Mentre la piccola gli stringeva un dito, Quinn fu stupito di provare un'ondata di tenerezza e la voglia di proteggerla. Quando la bambina lo fissò, si ritrovò a pensare a Marnie. La figlia di Jake sarebbe cresciuta nel calore dell'amore e con un po' di fortuna l'innocenza sarebbe sempre restata nei suoi occhi. Restituì la bambina ai genitori e se ne andò pensieroso ed emozionato per il privilegio di avere tenuto fra le braccia quella creatura fin dai primi momenti di vita. Non poté non pensare a quanto vite finissero sprecate. Compresa la sua, forse. Alle cinque Sam entrò nell'ufficio di Shannon. «Ciao, hai visto i giornali di oggi?» le chiese. «No, non ho neanche acceso la televisione questa mattina.» «Hanno pubblicato l'identikit della donna che è stata trovata sulla spiaggia. Ho sentito al notiziario che è già stata identificata.» «Davvero? La conoscevamo?» chiese Shannon, scossa da un brivido improvviso. «Non credo proprio. Originaria del Sudamerica, sposata a un ricco americano. Ottimo rapporto con i figli di lui. È stata la figlia a riconoscerla dai giornali. Sonya Qualcosa. Il riccone è morto e lei ha perso la testa. Triste.» «Molto triste.» «Il vecchietto finalmente si leva dai piedi, lei è americana, è ricca e bang!» «Sam, è terribile. Sonya come?» insistette Shannon. «Non ricordo. Lo ripeteranno nei telegiornali della sera. Ho visto l'identikit e non mi sembra di averla mai incontrata.» «Come fanno a sapere che è stata uccisa? Forse è solo annegata.» «È stata trovata nuda sulla spiaggia. Ma è rimasta in acqua abbastanza
da essere rosicchiata dai granchi. Inoltre ha segni di aghi sulle braccia.» «Come fai a saperlo?» «Ho letto il giornale. La causa della morte è ancora da stabilire, ma pare proprio che si tratti di overdose.» «Forse l'ha voluto lei.» «Secondo te si è iniettata la droga, ha raggiunto la spiaggia, si è spogliata, ha fatto sparire i vestiti e poi è morta?» Shannon sospirò. «Forse era in barca, a una festa, ha preso troppa droga, è caduta in acqua ed è affogata.» Sam si accigliò. «Non ne ho la più pallida idea. Te ne ho parlato solo perché ieri eravamo proprio lì. Non lo trovi interessante?» «No, lo trovo triste.» Sam si strinse nelle spalle. «Non molto tempo fa hanno scoperto il cadavere di una prostituta vicino alla scuola.» Shannon si appoggiò allo schienale. «Ma questa donna non era una prostituta, vero?» «No, a meno che non fosse di altissimo bordo. Non aveva vestiti, ma era coperta di gioielli di valore.» «È orribile. Mi dispiace. Però» aggiunse con tristezza, «sono contenta che non frequentasse la nostra scuola.» «No, è da escludere, non l'ho mai vista. Dove mangi? Vuoi venire con me al ristorante italiano?» Shannon esitò, poi scosse la testa. «Prima devo sistemare alcune cose in sospeso. Mi spiace. Mi fai un piacere? Avverti Ella che forse farò tardi?» Poi Shannon si alzò, afferrò la borsa e uscì. Una vocina le consigliava di lasciare le cose com'erano. Un'altra invece le diceva che se non voleva correre il rischio di esplodere le conveniva chiarire un paio di cose. Decise di ascoltare la seconda. Troppe persone erano morte attorno a lei negli ultimi tempi. 13 Shannon Mackay attraversò la veranda a passi decisi. Ogni centimetro del suo corpo lasciava intuire quale fosse il suo stato d'animo. Era furibonda. Quinn non era sorpreso di vederla ancora così arrabbiata con lui. Era solo sorpreso che fosse lì.
Era seduto a un tavolo da Nick. A tutti i clienti abituali era stato offerto da bere per festeggiare la nascita della bambina. Quinn aveva ordinato un'acqua tonica perché aveva intenzione di andare alla lezione di gruppo e perché doveva rileggere le pratiche che aveva davanti. Da qualche parte, nei rapporti della polizia o nei dossier su insegnanti e allievi della Moonlight Sonata, doveva esserci un indizio. Shannon scrutò la sala, lo individuò e si avvicinò al tavolo. Senza attendere un cenno di invito, prese la sedia di fronte e si sedette. Quinn s'irrigidì e attese. «Gran figlio di puttana» disse Shannon, con calma e con voce tranquilla. Difficile credere che ci fosse tanto veleno in una voce così suadente. «Ti sbagli.» «Oh, no. Non sbaglio. Sei solo un gran bastardo. E potrei continuare. Ma sono venuta solo per dirti, che, nonostante i tuoi metodi, non voglio esserti di intralcio. E che non ho detto a nessuno cosa sei in realtà.» «Un bastardo?» «Un investigatore privato.» Una cameriera si avvicinò al tavolo. «Cosa posso portarle?» chiese a Shannon. «Il primo lo offre la casa.» «Non bevo, grazie» rispose distratta, senza staccare gli occhi da Quinn. «Non deve per forza essere un alcolico» osservò la cameriera. «Sto bene così, non voglio niente.» Quinn si sporse in avanti. «Prendi un tè freddo, una tonica, un caffè. Oggi qui si festeggia.» «Tè freddo» disse Shannon. La cameriera si dileguò. Shannon era troppo arrabbiata per chiedere cosa festeggiavano. «Stammi lontano. Ti passerò a Jane o a Rhianna, ti faranno lezione loro. Non mi telefonare, non venire a casa mia e vedi di starmi alla larga alla scuola.» Quinn si appoggiò allo schienale e ce la mise tutta per assumere un atteggiamento naturale. «Ti sbagli» ripeté. «Su cosa? Non sei un investigatore? Non sei stato assunto per fare indagini su chi frequenta la Moonlight Sonata?» Lui rimase in silenzio a fissarla. «Bel lavoro. Essere pagato per fraternizzare» aggiunse Shannon. Quinn scosse la testa e le si avvicinò. «No. Non ci guadagno nulla. Anzi, mi costa. Indago solo perché me l'ha chiesto Doug.»
«Ottimo. Continua pure a fare le tue indagini, ti chiedo solo di starmi lontano.» «Sbagli se credi che le due cose siano collegate.» «Indagavi su di me» scattò Shannon. «Devi essere oggetto di indagine. Potresti essere la prima dei sospettati, dopo Ben Trudeau, l'ex marito. Quale migliore movente? Ti ha rubato l'uomo con cui convivevi, il tuo partner. Ti ha colpita quando eri già a terra.» Si avvicinò ancora di più e parlò a bassa voce. «Eri la migliore e sei crollata quando Ben ti ha lasciata per ballare con lei, e come se non bastasse la ha pure sposata. Per colpa sua hai abbandonato ciò che ti piaceva di più, competere.» «Non amo le gare, amo solo la danza. E tu non fai altro che raccontare...» «Tè freddo» disse la cameriera, di ritorno al tavolo. «Si chiamerà Kyra. Kyra Elizabeth» disse a Quinn. «È un nome bellissimo.» «La bambina è bellissima» aggiunse Quinn. «L'hai già vista?» chiese la cameriera. «Sì.» Lui sorrise. Era teso, aveva lo stomaco chiuso, non riusciva a pensare qualcosa da dire a Shannon per difendersi, qualcosa che lei potesse credere. Così si gustò gli sforzi di Shannon per mantenere la calma, mentre la cameriera si tratteneva al loro tavolo. «Ci credo che è bellissima. È carino da parte tua dirlo» disse la cameriera. «Quasi tutti gli uomini pensano che i neonati siano solo degli affarmi rugosi e senza capelli» concluse ridendo. «Kyra Elizabeth non è senza capelli. È nata con una gran massa di riccioli» osservò Quinn. «Fatemi un cenno se avete bisogno di me» disse la cameriera con un sorriso. Poi volò a un altro tavolo. «Balle» sbottò Shannon con durezza. «La bambina è davvero molto bella.» «Non fai altro che raccontare balle. La cosa tra Ben e me risale a un secolo fa, è ridicolo. E mi lusinga sapere che l'unico motivo per cui eri deciso a scoprire tutto il possibile su di me è perché occupo una posizione così alta nella lista dei sospetti.» Quinn sentì qualcosa scattargli dentro, si sporse verso di lei. «Aspetta un attimo. Io ti ho accompagnata a casa e ho controllato che non ci fosse niente di sospetto. Tu sei venuta sulla barca. Ti ho dato la tua cabina. Tu sei venuta a bussare alla mia porta. Io ho detto che non mi sembrava il mo-
mento giusto.» «Non ero ubriaca» affermò gelida. «E io non ho approfittato di te» scattò lui in risposta. «Sarà passato anche un secolo e sarà anche ridicolo, eppure qualunque cosa sia successa ti ha bloccata al punto da non avere una vita affettiva. Ma guardati. È davvero impensabile che qualcuno si interessi a te? Che si trovi bene con te? Che ti veda bellissima?» Shannon lo fissò come se volesse mettersi a urlare o tirargli addosso qualcosa. «Che cosa c'è di male nel mio lavoro?» chiese Quinn. «Mi guadagno onestamente da vivere. E sono piuttosto bravo in quello che faccio. Quasi sempre.» «Sei proprio bravo, non c'è che dire.» «Lo prenderò come un complimento.» «Tipico di un bastardo come te» borbottò Shannon. «Comunque te l'ho già detto, puoi dormire tranquillo, non ho intenzione di far saltare la tua copertura.» «Perché sei convinta che Lara sia stata uccisa.» Shannon esitò. «Sì.» «Allora smettila di odiarmi e aiutami.» «Non posso. Non riesco a immaginare chi sia stato a ucciderla. Adesso devo andare, vedi solo di stare lontano da me.» «Certo, ora che sai che il pericolo nel tuo giardino era solo una ragazza fuggita di casa, me ne devo stare lontano.» «Sono sempre stata sincera.» «No. Menti così spesso a te stessa che non sei più in grado di riconoscere la verità.» Shannon fece un lungo respiro esasperato. «Non provo niente per Ben Trudeau. No, non è vero. Mi dispiace per lui. La sua vita non lo rende felice. Io tiro avanti bene perché mi piace il mio lavoro. Ben ha bisogno di partecipare alle gare. Ha bisogno degli applausi, ha bisogno di vincere. Lo faccio lavorare alla scuola perché è bravo, e con Lara era lo stesso.» Quinn scosse la testa e la fissò. «Dici che non ti interessa partecipare alle gare. Sei bugiarda e codarda. Hai detto che ti ho usata. Non è vero. Ho scoperto che non sei solo bellissima, sei anche intelligente, profonda, divertente e un milione di altre cose meravigliose. Ma non accetti che qualcuno ti veda così. Ben Trudeau ti ha ferita. E tu hai reagito comportandoti da vigliacca e allontanando per paura ogni uomo che mostra di interessarsi
a te.» Con un ultimo sospiro Shannon si alzò e si allontanò dal tavolo. Poi tornò indietro a passi decisi. «Come sta la ragazza?» «Cosa?» «La senzatetto.» «Marnie. Sta bene.» «La porterai davvero alla scuola?» «Sì. E per tua informazione, l'avevo incontrata una volta sola sulla spiaggia. Mi aveva chiesto dei soldi. Le ragazzine non mi interessano.» Shannon arrossì. «Non l'ho mai pensato.» «Avresti dovuto vedere come mi hai guardato l'altra notte. E mi occuperò della barca che avete intenzione di noleggiare. Possiedo davvero due barche. A essere precisi possiedo la metà di due barche, insieme al mio socio, Dane Whitelaw, con cui divido l'agenzia investigativa. Le noleggiamo. È vero che vado a pescare ed è vero che faccio immersioni. E ti farò il prezzo migliore che tu possa ottenere.» «Gordon si metterà in contatto con te.» Quinn incrociò le braccia. «Non tratto con Gordon.» «La scuola è sua.» «E non ballerò con Jane o Rhianna. Ho iniziato con te. E continuerò con te.» «Allora puoi smettere di venire a lezione.» «Perché sono una frana?» «Perché sei uno stronzo.» Shannon fece di nuovo per andarsene, ma sembrò aver cambiato idea. «Chi ha avuto il bambino?» «Un'amica.» «La donna sulla spiaggia?» Quinn socchiuse gli occhi. Doveva averlo visto quando era andato con Jake dove avevano trovato l'ultimo cadavere. «Chi c'era con te?» le chiese. Shannon scosse la testa. «Ero con Sam, ma lui non ti ha visto.» «Siediti» le ordinò. «No.» «Per favore.» Con un sospiro, Shannon si sedette sul bordo della sedia. «Il tipo che è venuto alla barca l'altra mattina è Jake Dilessio, della omicidi. Sua moglie è disegnatrice della scientifica. I poliziotti hanno accesso
a molte informazioni che sono precluse agli investigatori privati. Jake è un tipo in gamba, non ha paura che un esterno si occupi di un suo caso. Sono felice per Jake e Ashley perché oggi hanno avuto il loro primo figlio. Ma sono anche triste perché si prenderanno una vacanza e lui era un aiuto prezioso.» Shannon scosse la testa. «Quale collegamento potrebbe esserci fra la donna della spiaggia e Lara? Non era una studentessa. Non è mai venuta alla scuola.» Quinn scosse la testa. «Non lo so.» «Allora cosa ci facevi là?» «Cercavo di capire perché continuano a morire delle donne.» Quinn esitò. «Tempo fa avevate un'allieva, Nell Durken.» Shannon corrugò la fronte, se non altro la tensione sembrava essersi allentata. E non sembrava più sul punto di aggredirlo. «Nell era molto brava» disse. «Però ha smesso di venire. Voleva rimettere in sesto il rapporto con il marito. Poi quel bastardo l'ha uccisa.» Scrollò la testa. «Ma lo hanno preso ed è stato arrestato. Fra poco ci sarà il processo.» Quinn annuì. «Nell mi aveva assunto. Un caso semplice. Dovevo solo seguirlo. Nell era convinta che il marito la tradisse. Era vero. Quando è stata trovata morta, le sue impronte erano su tutti i flaconi di medicine e, dato che aveva un'altra, il movente era inconfutabile.» «Nell era una donna magnifica» sussurrò Shannon. «Sì, è vero.» «Se è stato il marito a ucciderla, allora non ci può essere un nesso con le altre donne morte» osservò lei. «Solo che sembra molto strano che entrambe siano morte nello stesso modo. Non può essere solo una coincidenza.» «È proprio questo il punto. È decisamente troppo strano.» Shannon si alzò di colpo, come se si fosse ricordata quanto era arrabbiata. «Devo tornare alla scuola. Per quanto ti riguarda, ti offro la mia collaborazione per scoprire la verità. Ma niente di più.» «Messaggio ricevuto. Ti starò alla larga. Perché so troppe cose di te, giusto?» Nella sua voce trapelò più amarezza di quanta avrebbe voluto. «Sì, è così.» Shannon stava per allontanarsi e Quinn le afferrò il polso. «C'è qualcosa che non mi hai ancora detto. Il vero motivo che ti. rendeva così nervosa in casa tua.»
C'era qualcosa. Quinn avrebbe potuto giurarlo. Ma forse Shannon pensava che si trattasse solo di una sciocchezza, o forse temeva di mettere nei guai qualcuno. Lei scosse la testa. «Non so proprio niente. Vorrei tanto che fosse il contrario.» «Non mi sembra un buon desiderio.» «Perché?» «A volte le persone muoiono perché sanno troppo» rispose Quinn. Shannon liberò il polso. «Sono sicura che ci rivedremo, presto o tardi.» «Molto presto, fra qualche ora.» Lo guardò interrogativa. «Lezione di gruppo» le ricordò con un sorriso. Shannon girò sui tacchi. I suoi passi decisi rimbombarono sul vialetto che portava al parcheggio. Rhianna guidava il gruppo dei principianti. Dal suo ufficio, Shannon riusciva a sentire le istruzioni. «Piano, veloce, veloce, piano. Piano, veloce, veloce, piano... Va bene, signor Suarez, ci siamo quasi. Signor O'Casey, pensi a un quadrato. Un quadrato e basta. Piano, veloce, veloce, piano. Come abbiamo già fatto per il fox-trot e per la rumba. Sono due balli diversi, uno veloce e l'altro lento, ma all'inizio si tratta sempre di disegnare un quadrato. Ricordate: sono due le cose da tenere presente. Una è il passo in se stesso, l'altra è la tecnica per eseguirlo. Brava Belinda! È un ballo lento, è vero, ma questo non vuol dire che bisogna stare fermi. Ogni passo si fonde con il successivo. Quando contiamo, ogni numero non corrisponde a un passo, ma a un movimento del corpo, solo insieme formano il passo. Segua la musica, signor O'Casey. Lento, veloce, veloce, lento... lento, veloce, veloce, lento.» Shannon uscì a guardare. Tutti gli uomini, Ben, Justin e Sam, erano impegnati in lezioni private. Jane non aveva lezione e assisteva Rhianna, che cercava di far capire agli uomini quale fosse il modo corretto di tenere la propria compagna. Quella sera erano in pochi nel gruppo dei principianti. C'erano la sarta che aveva cominciato due settimane prima, Quinn O'Casey e un imprenditore edile, Tito Suarez, che doveva partecipare al matrimonio della figlia. Appena arrivata nel salone, Shannon sentì il signor Suarez che si lamentava di non capirci niente. «Scusate, chi di voi due è l'uomo?» «In questo momento l'uomo sono io» disse Rhianna. «Chiamami Reggie,
è il mio nome quando faccio l'uomo. Jane diventa Jason. Ci farai l'abitudine. Dovresti vedere quanto è bravo Justin Garcia quando diventa Judy e si fa condurre da Ben. Sono fantastici.» Shannon si appoggiò al muro con una strana sensazione di sollievo. Non ricordava di aver più sentito ridere dalla morte di Lara. Quella sera sembrava quasi possibile poter tornare alla normalità, dopotutto. O forse niente sarebbe mai più tornato come in precedenza. Incrociò lo sguardo di Quinn, che era in fondo alla sala. Sarai la prossima. Perché non gli aveva detto ciò che le aveva sussurrato il cameriere? Perché, forse, non aveva alcun significato. Poteva essere solo un'altra delle sue ossessioni, come spaventarsi perché un cespuglio si muoveva in giardino. O forse no. «Poca gente.» Shannon sussultò. Gordon, in piedi dietro di lei, aveva parlato a voce bassa e seria. «Vedrai che il lavoro riprenderà» disse Shannon. «Lo spero.» «Ci sono già diverse persone in attesa della lezione di gruppo successiva.» «Forse hai ragione. Qualcuno ha ritirato l'iscrizione al Gator Gala?» «No, nessuno» rispose Shannon. «A proposito, Quinn ci procura la barca.» Shannon si voltò di scatto. Gordon annuì compiaciuto. «Buffet freddo molto semplice, gita alla Biscayne Bay, musica dal vivo, il tutto per un prezzo ragionevole. Ricorda di fare l'annuncio stasera, dopo l'ultimo gruppo. Partiremo da Coconut Grove alle otto. Appuntamento per tutti al molo, intorno alle sette. Avvertili che dovranno vestirsi casual-chic, stile Miami.» «E cosa diavolo significa?» chiese Shannon. Gordon scrollò le spalle. «Significa che possono indossare quello che vogliono» spiegò. Poi tornò in ufficio. Rhianna annunciò il termine della lezione e invitò gli studenti ad applaudire i loro partner e se stessi. Belinda si mise a parlare con Tito. Quinn raggiunse sorridente Jane e Rhianna. Shannon si chiese quali tecniche investigative avrebbe usato con loro. Quinn entrò nell'ufficio di Gordon. «Ho sentito dire che stasera ci sarà
una riunione per chi partecipa al Gator Gala.» Gordon Henson si mise comodo. Sorrise. «Non è proprio una riunione. Fra poco Shannon ha lezione di gruppo con i più bravi. Quasi tutti parteciperanno. Darà loro qualche consiglio, per prepararli, parlerà dei vestiti, delle scarpe, delle pettinature, del trucco. È probabile che tuo fratello si fermi, anche se per lui non sono cose nuove.» «Il Gator Gala è aperto anche ai principianti?» «Certo.» Gordon si illuminò, come se avesse davanti agli occhi una conquista. «Ti interessa?» No, proprio no, pensò Quinn. Ma disse: «Forse. Va bene se mi fermo alla riunione?». «Certo. So che sei convinto di non essere portato per il ballo, ma credimi, tutti all'inizio sono un po' impacciati.» «Sì, certo.» «Tuo fratello sembrava un tronco di legno» affermò Gordon, forse con troppa sincerità, «e guardalo adesso.» «Ci penserò.» «Certo, dovrai lavorare parecchio.» Tanto lavoro, tante lezioni, tanti soldi per la scuola. Tipico sistema americano, era così che funzionava. «Prometto che ci penserò su» disse Quinn. «Vado ad assistere al gruppo.» Quinn tornò alla sala dove si svolgeva la lezione di gruppo. Lavoravano sulla rumba. Si stupì di tutti i movimenti necessari per fare un unico passo. E si stupì di come Shannon li eseguiva. Movimento del bacino, ginocchia flesse, e tutto si fondeva in un unico movimento, così armonico che nessuno poteva intuire quanto fosse complesso da eseguire. Shannon era un'ottima insegnante e usava Doug per illustrare ciò che spiegava. Quinn pensò che suo fratello non gli era mai sembrato così bello. Provò una fitta di gelosia, ma la ricacciò indietro. Ballavano, niente di più, ma quando il ballo era così sensuale... La gelosia è il movente più frequente per gli omicidi. Gelosia, amore non corrisposto, odio generato dall'invidia. Shannon fece ballare tutti. Quinn aveva già incontrato qualcuno dei partecipanti. I dottori Richard e Mina Long. Gabriel Lopez, proprietario del Suede. Suo fratello. C'era anche un uomo anziano che eseguiva i passi alla perfezione. Altre due coppie. Una donna giovane e una di mezza età. Bobby e Giselle lo raggiunsero durante la lezione e si misero anche loro a guardare.
«Sono gli studenti più bravi della scuola» disse Bobby. «Katarina è bravissima. Credo che più che ballare le piaccia mettere in mostra i suoi vestiti, ma comunque sia, pare che funzioni. Richard Long è molto bravo, meglio della moglie, ma vanno abbastanza d'accordo. Dovresti vedere le liti che si scatenano fra marito e moglie qui dentro. Mogli che accusano i mariti di non saper guidare, mariti che accusano le mogli di non essere in grado di seguire.» «A noi non succede» affermò Giselle con un sorriso. Bobby la guardò e ricambiò il sorriso. «Ci mancherebbe, siamo sposati da così poco tempo.» «Siamo meglio dei professionisti» dichiarò Giselle, rivolta a Quinn. «Un giorno eravamo qui mentre Lara Trudeau e Jim Burke si allenavano. Shannon li osservava per correggerli. Lara continuava a prendersela con Jim perché non seguiva il ritmo e Shannon le ha detto che Jim andava a tempo e che doveva farsi guidare da lui.» «E Lara Trudeau ha incassato il colpo?» chiese Quinn sorpreso. Da quanto aveva sentito, era convinto che quella donna non fosse il tipo da lasciarsi dire quello che doveva fare. «Oh, no. Ha detto qualcosa a Shannon, e Shannon le ha risposto che non aveva tempo da perdere con chi era convinto di non aver niente da migliorare. Poi se ne è andata. Lara e Jim hanno iniziato a litigare. Alla fine si sono accorti della presenza di alcuni studenti, Lara è andata a chiamare Shannon e tutto è ricominciato come se non fosse successo niente.» «Jim dev'essere un uomo molto paziente» osservò Quinn. «Voleva partecipare alle gare. E Lara era la migliore» disse Bobby con una scrollata di spalle. «È tanto che non lo vedo, da quando Lara è morta.» «Veniva spesso?» «Certo. Sapeva che Shannon era un'ottima insegnante. Veniva per perfezionarsi, anche senza Lara.» La lezione era finita e Gordon li aveva raggiunti per parlare del Gator Gala. Shannon vide Quinn e aggrottò la fronte. «Ho detto a Gordon che stavo pensando di partecipare, fra i principianti» borbottò, in risposta alla domanda che Shannon non aveva fatto. Shannon lo guardò sorpresa. «Ma è fantastico» disse Sam Riley. «L'ultimo arrivato intende partecipare.» «Non ho ancora deciso, è solo un'idea» si schermì Quinn. «Alcuni di voi hanno già partecipato a qualche gara, altri no» mormorò
Shannon, che si era appoggiata a uno dei tavolini contro il muro. «Alcune cose vi sembreranno stupide, altre buffe. Siete liberi di decidere cosa indossare. Qualsiasi cosa che vi consenta di muovervi bene e che sia adatta al tipo di ballo che avete scelto. Abbiamo un'infinità di cataloghi di vestiti e scarpe e, naturalmente, c'è Katarina qui accanto, se desiderate uno dei suoi modelli. Vi metteremo a disposizione qualcuno che si occuperà delle pettinature e del trucco. È preferibile tenere raccolti i capelli lunghi. Non c'è niente che disturbi di più il partner che ricevere i vostri capelli sulla faccia. Meglio un trucco forte e deciso, per le fotografie e le riprese. La prossima cosa che vi dirò è molto importante. Durante una gara succede tutto molto in fretta. Cercate di sapere sempre con precisione dove dovete trovarvi e quando. State pronti o verrete squalificati. I vostri insegnanti sono responsabili per voi, ma cercate di non assillarli troppo. Tutti avranno l'opportunità di scendere sulla pista e di fare una prova prima di cominciare e, naturalmente, i professionisti si esibiranno in uno spettacolo durante la cerimonia di premiazione.» Mina Long la interruppe. «E per le scarpe?» Esitò. «All'ultima gara, Lara Trudeau era disgustata perché qualcuno indossava le scarpe nere. Ha fatto una scenata, come Joan Crawford in quel film, quando se la prendeva con la figlia per le grucce di ferro nell'armadio.» Qualcuno rise a quell'ultima frase. A disagio. Shannon rispose tranquilla. «Le scarpe color carne sono le più indicate, a meno che non si tratti di uno spettacolo con un costume particolare, che richiede un particolare tipo di scarpa.» «Ma con un vestito nero non sono meglio le scarpe nere?» chiese Giselle, seduta per terra accanto al marito. Rispose Rhianna, che era vicina a Shannon. «So che può sembrare strano o poco elegante, ma le scarpe giuste sono importanti. La giuria avrà gli occhi fissi sui vostri piedi. Quando andate a una festa, le scarpe col tacco nere sono perfette per un abito nero, ma quando ballate scegliete scarpe color carne, beige o marroncino.» «Perché?» chiese Mina. «Le gambe sembrano più lunghe» spiegò Shannon, «i movimenti sembrano più fluidi. Guardatevi le registrazioni che abbiamo e lo capirete anche voi. Paragonate le ballerine e vedrete la differenza.» «Vuoi dire che verremo giudicate in base alle scarpe che indossiamo?» chiese Giselle. Shannon scosse la testa. «No, e naturalmente nessun regolamento vi dice
quali scarpe dovete indossare. Ma guardate i filmati e capirete ciò che ha detto Rhianna. Poi decidete voi. Non esistono regole.» Quinn si guardò in giro. Tutti gli insegnanti, incluso Ben, erano presenti. Tutti avevano allievi che avrebbero partecipato alla gara. Ben, che era stato sposato a Lara e che, forse, l'aveva odiata. Jane e Sam che gareggiavano insieme e che perdevano sempre. Rhianna, anche lei un'avversaria. Justin Lopez. Shannon, che aveva ottime ragioni per odiare quella donna. Poi c'era Gordon Henson, era con lui che Lara aveva cominciato. Jim, che Lara aveva sempre trattato come uno zerbino, ma che aveva bisogno di lei per ottenere ciò che desiderava di più al mondo. Poi gli studenti. Gabriel Lopez, il padrone del club, e Katarina la stilista di moda. In molti dovevano aver odiato Lara e in molti dovevano aver avuto bisogno di lei. Ma perché qualcuno di loro avrebbe dovuto odiare Nell Durken? E le donne morte per overdose? Quale legame poteva esserci con loro? Non aveva senso. La spiegazione più logica era che non ci fosse alcun collegamento fra le vittime. Eppure... «È tutto, grazie dell'attenzione. Ci incontreremo una volta alla settimana e risponderò alle vostre domande. Non dimenticate di prenotare le lezioni con gli insegnanti. Grazie ancora di essere venuti» concluse Shannon, poi si alzò. La riunione era terminata. Non c'era motivo per trattenersi. Gli insegnanti non vedevano l'ora di chiudere e andare a casa. Justin Garcia era già sulla porta, insieme ai colleghi. Quinn guardò l'ora e vide che erano quasi le undici. Ma lui doveva fermarsi. Rimase un po' indietro, per evitare Bobby e suo fratello che andavano via. Si avvicinò a Shannon. «Mi fermo, così ti accompagno alla macchina.» «No, grazie» rispose lei decisa. Scostante. «Vado via con Gordon» annunciò. Ancora quel tono di voce distaccato e gelido. «Va bene, buonanotte.» Quinn fece per andare, ma si girò ancora una volta. «Assicurati che Gordon ti. aspetti mentre entri.» Shannon non gli rispose neppure. A quel punto Quinn non aveva più scelta. Si voltò e uscì dalla scuola. L'ultimo studente se ne andò. Sam e Jane uscirono insieme parlando del Gator Gala. Rhianna borbottò che doveva passare a comprare il latte e fuggì come se fosse inseguita da uno spettro.
Quella sera Ella Rodriguez era a festeggiare il compleanno della madre, quindi toccò a Shannon controllare che tutti gli appuntamenti dell'ultimo minuto fossero stati annotati correttamente. Quando sollevò lo sguardo, vide Ben vicino alla reception che la osservava. «Qualcosa non va?» gli chiese. Ben scosse la testa. «Tranne che...» «Cosa?» «Ho sentito dire in giro che stai per iniziare a ballare con Jim Burke.» Shannon cambiò espressione. «Sai bene che non competo più. Chi te l'ha detto?» «Gabriel Lopez. Ha detto che giù al club non si parla d'altro.» «Solo chiacchiere, niente di vero.» Sospirò. «Ben, io non gareggio. Non voglio farlo. Amo il mio lavoro e sono felice così.» Ben distolse lo sguardo per un momento. Quando tornò a guardarla, la sua espressione sorprese Shannon. Ben era molto bello, affabile, romantico, aveva uno sguardo profondo e intenso. In quel preciso momento la fissava con attenzione. «Volevo dirti solo questo: se la voce fosse stata fondata, sarei stato molto contento per te. Tu sei convinta di non voler partecipare alle gare, ma lo desideri invece. Ti ho osservata più di una volta mentre guardavi gli altri ballerini sulla pista. Ho visto la tua mente al lavoro, ho capito che studiavi i loro passi. Tempo fa ho interrotto la tua carriera. In modo feroce. Pensavo solo a me stesso, volevo sfondare. Tu dovresti competere. Non con me, capisco cosa provi nei miei confronti. Con qualcun altro. Uno bravo. Jim è bravo. Volevo dirti che non c'è bisogno che tu mi tenga nascosta una cosa del genere. Sarei solo felice se tu tornassi a gareggiare, con Jim in particolare.» Shannon per poco non crollò sulla sedia, ma si limitò a guardarlo per alcuni lunghi, interminabili secondi. «Grazie, Ben. Grazie davvero, lo apprezzo molto, ma sono solo chiacchiere.» Ben annuì. «Impegnati per farle diventare vere» disse, poi si voltò e si avviò per uscire. «Buonanotte, ricordati di chiudere, Gordon se ne è andato pochi minuti fa.» «Certo, grazie. Buonanotte.» Shannon sentì la porta chiudersi dietro Ben. La musica era spenta. Di colpo le sembrò che la scuola fosse avvolta in un silenzio inquietante. Non avrebbe voluto essere lì da sola.
Non aveva ancora finito con gli appuntamenti, ma non le importava. Se non fosse stata così scioccata dalle parole di Ben, gli avrebbe chiesto di aspettarla. Si pentì anche di aver rifiutato l'offerta di Quinn O'Casey e si chiese perché gli avesse detto di no. Perché si sentiva ferita. Forse anche per il ballo era andata allo stesso modo. Era stata ferita e aveva rinunciato. Basta, si disse. Prendi la borsa e le chiavi, chiudi e vattene. Comportati in modo razionale. Lasciò la reception e si diresse verso il suo ufficio. Fu mentre si chinava per prendere la borsa che sentì il rumore. Il cigolio di un meccanismo. Un fruscio. Qualcosa che veniva aperto e chiuso. Rimase immobile, provò a convincersi che non c'era nulla di strano in quel rumore. In fondo c'era un club al piano di sotto. Ma il rumore non proveniva dal basso. Proveniva dal secondo piano. «Chi c'è?» chiamò. Si mise la borsa in spalla e uscì con calma. La sala da ballo era vuota. Niente era stato spostato, niente era cambiato. Un brivido le percorse la schiena. Pensò che forse Katarina aveva deciso di lavorare fino a tardi, ma poi si ricordò che lei e il marito erano andati direttamente a casa dopo la riunione. Doveva uscire di lì, subito. Provò a lottare contro quella paura irrazionale. Anche se c'era qualcuno, di certo aveva un valido motivo. Ma voleva solo andarsene, in fretta. L'istinto le diceva che era braccata da una minaccia che avvertiva con chiarezza, che quasi poteva toccare. Si precipitò alla porta sul retro, in un attimo fu fuori. Pensò che forse il rumore era venuto dall'esterno, ma non vide nessuno. Le scale che portavano all'appartamento di Gabriel erano immerse nell'oscurità. La porta del magazzino era chiusa a chiave. «Katarina? Kat, David, siete voi?» Nessuna risposta. Guardò le scale buie che salivano da Gabe. «Gabriel?» Dal buio neppure un sussurro. Siprecipitò verso le scale che portavano al parcheggio. Aveva appena
messo il piede sul primo gradino, quando sentì di nuovo quel fruscio. Alle sue spalle. Non si voltò neppure, cominciò a scendere più in fretta che poté. Sentì dietro di lei un rumore di passi che la seguivano e cominciò a correre. Non aveva più dubbi, qualcuno la inseguiva. Si diresse verso l'auto con le chiavi già in mano e il dito pronto sul pulsante dell'antifurto. Premette il pulsante. L'auto rispose con un rassicurante bip e le luci lampeggiarono. Aprì la portiera con tale violenza che per poco non la fece uscire dai cardini, scivolò dietro al volante e si chiuse dentro sbattendo la porta. Abbassò la sicura e, mentre era girata per allacciare la cintura, sentì un colpo sul finestrino. Urlò in preda al panico. 14 Seduto al tavolo del cucinino, con le gambe allungate sulla panca, Quinn mordicchiava il cappuccio della penna e studiava gli appuntì. Nell Durken, Lara Trudeau. Ballerine, frequentavano la stessa scuola. Art Durken era in prigione, più di cento persone avevano assistito alla morte di Lara. Altre due donne trovate morte per droga nella zona della scuola. Nessuna delle due era una ballerina. Quale poteva essere il collegamento? C'era davvero un collegamento? Riguardò l'elenco degli studenti e degli insegnanti e si rese conto, mentre il mal di testa continuava ad aumentare, che non era certo difficile trovare un movente. Tutti lo avevano. Eliminare. Scartare ogni elemento che sembrava impossibile e, qualsiasi cosa restasse, c'erano buone probabilità che fosse la verità. Chi diavolo poteva eliminare? Iniziò a scrivere un'altra lista. Meno probabile, molto probabile. Meno probabile, Justin Garcia. Piccola esplosione di gesti velocissimi, non ballava con Lara. Era specialista di salsa. E probabilmente non era il tipo di Lara. Troppo basso. Poi scrisse il nome di Ben Trudeau e aggiunse "ex marito ancora ostile" Gordon? Da che parte stava? In quel momento bussarono alla porta della cabina. «Sì?» «Sono io.»
Quinn si alzò e aprì al fratello. Doug sembrava eccitato. «Hai scoperto qualcosa?» chiese. Quinn fece una smorfia. «No.» Doug si accigliò. «Credevo che mi avessi fatto venire perché avevi novità.» «Siediti.» «Sissignore» disse Doug con un tono irritato. «Avevi altro da fare?» chiese Quinn con lo stesso tono. «Sei tu che mi hai tirato dentro.» «Hai ragione. Scusa.» «Chi altro frequentava Lara? Che tipo di rapporto avevate? Solo sesso? Qualcosa di più profondo? Devi dirmi di più. Non posso arrivare a conoscere tutti in così poco tempo.» Doug tamburellò le dita sul tavolo, rimase per un minuto a capo chino e poi lo guardò. «Sono convinto che vedesse qualcun altro.» «Di nuovo Ben?» «Possibile, non sono sicuro. Ma era pronta a liberarsi di lui.» «Come lo sai?» «Lara mi disse che c'era qualcosa nella sua vita che doveva cambiare.» «Perché proprio un uomo?» «Perché era Lara.» Quinn scosse la testa con tristezza. «Prova a raccontarlo in tribunale.» Doug raddrizzò la schiena e assunse un'espressione più attenta e concentrata. «Avresti dovuto conoscerla. Poteva essere la persona più piacevole del mondo, ma anche la più tagliente e crudele.» «Com'è successo che vi siete messi insieme? Quando è cominciata la storia fra voi due?» «Circa tre mesi fa.» «Dove?» «Giù al club. Una sera stavamo ballando. Lara aveva bevuto un po' troppo. Le ho proposto di accompagnarla a casa e magari di fermarmi da lei. In realtà scherzavo. Non pensavo che avrebbe accettato.» «E poi?» «Lara ha risposto di no. Non voleva rischiare che qualcuno lo venisse a sapere. Poi, quasi senza prendere fiato, ha aggiunto che poteva venire lei da me. Ed è andata così. Dopo quella sera ci siamo visti con regolarità, una volta alla settimana. Sempre da me. Lara voleva che nessuno lo sapesse. Io cercavo di fare il distaccato, come se avessi capito che lei era uno spirito
libero. Ma in realtà sono convinto che si stesse affezionando a me. Così un giorno l'ho messa alle strette. Le ho detto che in fondo non era una dipendente della scuola e che, se volevamo, potevamo stare insieme alla luce del giorno. Lara mi ha risposto che non si trattava solo della scuola, che aveva qualche altro problema da risolvere. Dal modo in cui l'ha detto, ho capito che c'era qualcun altro. O forse più di uno.» «Ben?» Doug scosse la testa. «Forse. Qualcuno del mondo della scuola, comunque. Dubito che si trattasse di Sam, perché è gay, e dubito che fosse Justin perché quelli al di sotto del metro e ottanta non la interessavano.» Quinn pensò che le sue supposizioni erano fondate. «Gordon?» «Gordon? È molto più vecchio, ma è ancora un bell'uomo. Si dice in giro che sia bisessuale, ma non lo so con certezza. Se fra loro era scattata l'attrazione fatale, sulla pista non si avvertiva.» «Che mi dici di Jim Burke, il partner?» «Non credo.» «Perché no?» Doug lo fissò e scrollò le spalle. «Lara non era attratta dai deboli. Jim faceva tutto quello che lei gli chiedeva. Non riesco a immaginarlo come suo amante.» Quinn si sporse verso il fratello. «La sera che è morta c'erano centinaia di persone. Ricordi se ha litigato con qualcuno?» Doug esitò. «Posso prendere una birra?» «Certo. Però rispondimi.» Doug si avvicinò al frigorifero e prese una bottiglia. Sollevò un sopracciglio verso Quinn, che annuì mentre il fratello gli passava una seconda bottiglia. «Con me.» «Scusa?» «No, non proprio con me. Per me. Lara disse a Jane che doveva lasciarmi condurre, che io sapevo come muovermi e che lei era troppo dura. Jane sibilò un insulto fra i denti. Lara la sentì e le disse che ne avrebbero riparlato in seguito. Se voleva poteva essere molto pericolosa. Mortalmente pericolosa.» «Però è lei che è morta. Jane e Lara erano le due primedonne?» domandò Quinn. «Rhianna viene considerata più che altro la bella della scuola.» Mentre
Doug parlava il suo cellulare squillò. Lo prese dalla tasca e si scusò in modo sbrigativo. Quinn distolse lo sguardo, era evidente che il fratello fosse a disagio. «Sì, adesso sono occupato» disse Doug a bassa voce, poi ascoltò per qualche momento. «Non sono sicuro» aggiunse, mentre guardava Quinn con una strana espressione colpevole. «Chi è?» chiese Quinn, muovendo solo le labbra. Per un momento Quinn pensò che Doug gli avrebbe mentito, oppure che gli avrebbe risposto che non erano affari suoi. Ma Doug coprì il microfono con la mano e sussurrò: «È Jane». «Ulrich?» Doug annuì. «Ti richiamo dopo» borbottò al telefono, poi chiuse la comunicazione e guardò il fratello. «Le dirò che non posso andare da lei stasera.» «A quanto ne so non dovresti vederla del tutto, o sbaglio?» «No.» Questo spiegava l'atteggiamento colpevole. «Prometti di non parlarne» aggiunse in fretta. «Rischia di essere licenziata. Le dico che non posso andare.» «No. Vai da lei. E non dimenticare che sei un poliziotto e che sei stato tu a infilarmi in questo casino.» «In che senso non devo dimenticare di essere un poliziotto? Devo interrogarla?» «Sì.» «Non lo trovi un po' spregevole?» «No. Il crimine è spregevole.» Doug annuì. «Hai ragione.» Quinn scosse la testa. «Avevi una storia con Lara ed è sotto terra solo da pochi giorni.» Doug annuì. «Lo so. Ma te l'ho detto, anche lei si vedeva con altri. Era importante per me e risolvere il mistero della sua morte lo è ancora di più. Jane è la mia insegnante. Sono mesi che faccio lezione con lei. Siamo buoni amici. È da poco che c'è qualcosa di più fra noi. In questi giorni è agitata, ha paura di restare sola. Pensi che sia sbagliato che io passi del tempo con lei?» Quinn tamburellò le dita sul tavolo. «No, non c'è niente di male. Ma, Doug, se eri così intimo con Lara, come è possibile che tu non abbia notato se è rimasta da sola con qualcuno, prima della gara?» Doug sventolò una mano nell'aria. «La gente si muove in fretta. Prima
della gara c'è stato un cocktail, tutti parlano con tutti. E tutti hanno bevuto qualcosa, anche i professionisti. Inoltre le donne avevano uno spogliatoio e gli uomini un altro, ma erano collegati da un terrazzo.» «Avrebbero dovuto analizzare i bicchieri degli spogliatoi» osservò Quinn, stupito dal fatto che nessuno ci avesse pensato. «Non dimenticare che sembrava una morte naturale» gli ricordò il fratello. «Non crederai davvero che possa essere stata una delle donne?» «Perché no? Le donne sono capacissime di uccidere. E di solito usano il veleno. Niente violenza o armi.» «Lara non è morta avvelenata.» «Farmaci o veleno, il discorso non cambia. Le donne uccidono in silenzio.» «Ma perché Jane? Se è stata una donna, è più probabile che si tratti di Shannon. È lei che nutriva del risentimento nei confronti di Lara.» «Lo so. Ma anche Nell aveva a che fare con la scuola e le circostanze sono troppo simili. Inoltre non so ancora se le due donne morte per overdose possono essere collegate. Il mio istinto mi dice di sì, ma non ho prove concrete. Quindi sospetto di tutti.» «Anche Jane.» «Anche Jane. Scopri che medicine prende, se usa calmanti e se le sono stati prescritti da un medico. Se sì, scopri come se li procura.» «Forse hai ragione. In fondo sei tu quello che ha lavorato all'FBI.» «Sono solo intuizioni. Nient'altro» disse Quinn. «D'accordo, vado da lei» concluse Doug. Riprese in mano il cellulare, la chiamò e le annunciò che sarebbe arrivato tra poco. Dall'altro capo Jane rispose qualcosa e, a giudicare dalle reazioni di Doug, doveva essere qualche frase romantica. Poi Doug uscì e Quinn tornò ai suoi appunti. Coincidenze. Art Durken in prigione. Lara Trudeau morta, come Nell, per eccesso di tranquillanti, mescolati con alcolici. Ricette di dottori diversi, entrambi con un'ottima reputazione. Qual era il collegamento possibile con le altre donne? Cera un collegamento? Stessa medicina. Dottori diversi. Ma non si poteva escludere che Nell e Lara si fossero procurate i calmanti in altro modo. Quinn guardò l'orologio. Era tardi, ma non se ne preoccupò. Prese il telefono. Era arrivato il momento di farsi restituire qualche vecchio favore.
«Ben!» esclamò sollevata Shannon. Aprì il finestrino, senza poter evitare di chiedersi se fosse prudente. «Shannon, stai bene?» Ben la fissava con aria preoccupata. «Sì. Perché hai picchiato in quel modo contro il vetro?» «Perché sei uscita di corsa dalla scuola come se ti avesse morso una tarantola.» «Sono un po' stressata» rispose. «Allora stai bene?» «Sì, a parte il mezzo infarto che mi hai fatto venire tu.» «Mi dispiace, scusami. Ero convinto che ci fosse qualche problema.» Shannon scrollò la testa, poi si accigliò. «Da dove sei sbucato?» «Dalla strada. Sono andato al negozio a comprare alcune cose. Avevo lasciato la macchina qui.» «Non sei tornato su, vero?» «No, te l'ho detto, vengo dalla strada. Perché?» «Mi è sembrato di sentire dei rumori.» «I vecchi edifici come il nostro a volte scricchiolano.» «Dev'essere così» rispose Shannon poco convinta. «Vuoi che ti segua fino a casa?» «No, non ce n'è bisogno.» «Non scendo neanche dalla macchina. Controllo solo che tu entri in casa.» Shannon sorrise. «Forse è meglio di sì, grazie.» Ben raggiunse la sua auto e Shannon mise in moto. Abitava così vicino che a volte si chiedeva perché non andava a piedi. Quando mise la freccia per svoltare nel vialetto privato, vide Ben che la osservava dalla macchina. Percorse veloce il piccolo tratto a piedi, aprì la porta, si voltò per salutarlo ed entrò. Ben rispose al saluto e partì. Era sola. Si appoggiò al battente e si guardò in giro. Aveva lasciato diverse luci accese, ma ad accoglierla trovò solo ombre. Silenzio e buio. Sarai la prossima. Quelle parole, dette da un cameriere durante una gara, dove potevano significare tutto e niente, continuavano a ossessionarla. Dovette resistere alla tentazione di scappare di casa e andare sulla barca di Quinn. Non poteva farlo. Non poteva tornare da lui e non poteva cedere
a quelle paure irrazionali. Così si ritrovò ancora una volta a ispezionare ogni camera, a guardare dentro gli armadi, a controllare negli angoli, a verificare che la porta sul retro fosse chiusa a chiave. Quando ebbe finito si preparò una tazza di tè e prese una compressa di Excedrin, per poi pentirsene subito dopo. Era tardi quando decise di andare a letto. Tutte le luci della casa erano accese, tranne quella della sua stanza. Sarebbe rimasta nell'ombra a controllare. Quel pensiero le permise di chiudere gli occhi. Forse aveva ragione Christie. Forse aveva davvero bisogno di un cane. Di colpo si alzò a sedere sul letto, sudata e spaventata dal buio che l'avvolgeva. Ben aveva detto di essere stato al negozio. A comprare cosa? Non aveva sacchetti, non aveva niente in mano quando le aveva picchiato sul vetro. A casa, era di nuovo a casa. Era finalmente tornata a casa. Da sola. Doveva essere sdraiata a letto. A occhi chiusi. Niente cane. Niente allarme. Facile. Niente di più facile che indossare i guanti, usare la chiave e sgusciare dentro. Shannon non aveva idea di quanto fosse indifesa. Non sapeva niente. Niente di niente. Però aveva sentito. Aveva sentito quello di cui non avrebbe dovuto neppure accorgersi. Forse, col tempo, avrebbe cominciato a cercare la fonte del rumore. C'era di più. L'aveva sentita parlare. Una volta di troppo. Aveva visto come si comportava. Adesso, ogni volta che poteva, la osservava muoversi nella scuola. Quella sera però lei se n'era accorta. Aveva sentito qualcosa. Niente di definito. Aveva avvertito solo una vaga sensazione di pericolo. Era indeciso. Sarebbe stato così facile entrare. Poteva prenderla quando voleva. In ogni momento. Se fosse stato necessario. Certo, gli sarebbe dispiaciuto vederla morta. Per ora era sufficiente spiarla. Nient'altro. Non doveva morire in casa sua. C'erano sistemi migliori. Se proprio si
fosse reso indispensabile. L'uomo era in piedi sul sentiero difianco alla casa, all'ombra di un olmo. Ma l'auto non era parcheggiata distante. Era sempre vicino a lei. Sempre. Eppure lei non se n'era mai accorta. Era quasi l'alba. Avrebbe fatto in modo di starle vicino anche durante il giorno. Avrebbe continuato a spiare e aspettare. Era così vicina. Sarebbe stato facile toccarla. Sarebbe bastato allungare un braccio. In fondo le era sempre vicino. La teneva d'occhio. E lei non se n'era mai accorta. Restarle sempre vicino. Vicino abbastanza da poterla sfiorare. Toccare. 15 Art Durken entrò nella sala colloqui del carcere accompagnato da una guardia giovane e muscolosa e da un altro uomo più anziano con il vestito stazzonato. L'uomo più vecchio si presentò. «Theodore Smith, signor O'Casey. Sono l'avvocato del signor Durken e il mio cliente ha accettato di incontrarla solo in mia presenza. Se le sue domande o i suoi atteggiamenti non mi vanno a genio, ricorderò al mio cliente che non ha nessun obbligo di parlare con lei. Il signor Durken continua a dichiararsi innocente ed è convinto che, dato che ha richiesto questo colloquio, lei abbia motivo di credergli.» «So benissimo che il signor Durken non è obbligato a parlarmi» disse Quinn. «Apprezzo molto che mi abbiate concesso questo colloquio.» Smith annuì. Nonostante l'aspetto trasandato, sembrava un sovrano che concedeva a un suddito un enorme privilegio. Prese una sedia dall'altro lato del tavolo e indicò ad Art la sedia accanto. Quando Art fu seduto, anche Quinn prese posto. La guardia rimase in piedi in un angolo della stanza. Durken aveva da poco passato i trenta, aveva capelli biondi chiarissimi e occhi grigi. Era magro ma muscoloso e con un certo fascino. A quanto sembrava, era anche per il suo aspetto che Nell aveva deciso di restare con lui. Nonostante si fosse scelto come amante un'insegnante del college. «Non sono stato io» esordì Durken, fissandolo negli occhi. «So che Nell ti aveva assunto per seguirmi, so che conosci ogni mio movimento nelle settimane prima che morisse. Ma non ho ucciso mia moglie. Lo giuro.»
Aveva un'aria malata, non sembrava lo stesso uomo che Quinn aveva pedinato. I suoi capelli, di solito ben pettinati, adesso erano arruffati. Prima si comportava come se avesse il mondo fra le mani, ora aveva il viso tirato e stanco e il labbro superiore era imperlato di sudore. Ma forse era solo nervoso, nervoso come un assassino che è stato catturato e che è pronto a negare tutto. Però c'era qualcosa nel modo in cui sosteneva lo sguardo di Quinn che dimostrava sincerità. Non lo aveva aggredito subito, né l'aveva accusato di essere in carcere solo per colpa sua. «C'erano le tue impronte su tutti i flaconi delle medicine» gli ricordò Quinn con voce calma. «Le ho passato quei maledetti affari un sacco di volte. Le ripetevo sempre che non doveva imbottirsi di quella roba. Le dicevo anche che io non valevo tanto. Ma Nell mi aveva convinto che sapeva quello che faceva, che non avrebbe mai esagerato. La aiutavano a tenere a bada gli sbalzi di umore, la depressione e la paura, così diceva.» «Supponiamo che non sia stato tu, Art» mormorò Quinn. «Chi avrebbe potuto spingerla a esagerare con le dosi in quel modo?» L'uomo assunse un'aria desolata e scosse la testa. «Non lo so. Credo che mesi fa abbia avuto una storia. Nell sapeva, o meglio, sospettava, finché non ti ha assunto, che io la tradissi.» Alzò le mani. «Io l'avevo tradita per primo. Credo che volesse mettersi in pari con me, per quello si è cercata un amante. Un giorno l'ho accusata e lei mi ha risposto che avrebbe dovuto farlo, forse così il nostro matrimonio sarebbe durato più a lungo, ma lei mi amava e voleva continuare a essere mia moglie.» «Poi cos'è successo?» Art scosse la testa. «La monogamia non è nel mio DNA, a quanto pare. Ho incontrato Cecily, le ho detto che non ero sposato e il resto lo conosci. A essere sincero» aggiunse stringendosi nelle spalle, «le ho detto che lavoravo per la CIA, che era per quello che sparivo per lunghi periodi, che non potevo vederla spesso, stare con lei. Ci ha creduto. Posso essere stato uno stronzo, un bugiardo e un falso, ma non ho ucciso Nell.» «Non eri arrabbiato per il fatto che lei potesse avere un amante? È la prima volta che ne parli. Non è scritto in nessun rapporto» gli fece notare Quinn. «Art, attento a come rispondi» intervenne Smith. Durken scosse la testa con impazienza. «Non ne ho mai parlato perché nessuno me l'ha mai chiesto. Perché avrei dovuto fornire spontaneamente
un'informazione del genere? Avevo un movente e nessuno aveva intenzione di indagare più a fondo. E già che siamo in argomento, sì, erano i soldi di Nell che ci consentivano di vivere bene.» «Quest'uomo può usare le tue parole contro di te in tribunale» ribadì Smith con fermezza. «È stato quando Nell frequentava la scuola di ballo che hai avuto l'impressione che avesse un altro?» chiese Quinn. Durken era stupito. «Sì.» «Pensi che avesse una storia con un insegnante? Con un compagno di corso?» Art scrollò le spalle. «Non ci ho mai messo piede. Il ballo non fa per me. Nell mi aveva chiesto di andare con lei, all'inizio. Forse avrei fatto meglio ad accontentarla. Comunque sì, è possibile che la sua storia avesse a che fare con quell'ambiente. In seguito però le cose andarono meglio fra noi. Lei mollò la scuola di ballo e forse anche il suo amante. Non le ho mai fatto troppe domande, perché non volevo che ne facesse a me.» Durken si illuminò di colpo. «Ho sentito di quella ballerina che è morta. Anche lei per overdose, vero? Tranquillanti e alcol, roba del genere.» L'entusiasmo svanì. «Ma lei è morta di fronte a un sacco di gente, sbaglio?» «Sì, è morta davanti a centinaia di persone.» Durken tornò ad avere l'aria malata e sofferente. Quinn si alzò, fece un cenno all'avvocato di Durken e alla guardia. «Ma questo non vuol dire che non sia rimasta da sola con qualcuno prima dell'esibizione» tenne a precisare. Estrasse un biglietto da visita e lo porse all'avvocato di Durken. «Se vi viene in mente qualcosa che può essere d'aiuto, chiamatemi.» Quinn si avviò verso la porta. Smith lo richiamò. «Il signor Durken si trova qui dentro per causa sua, signor O'Casey.» «Il signor Durken si trova qui dentro perché le sue impronte erano su tutti i flaconi delle pillole che la moglie aveva ingerito. Io mi sono limitato a fornire alla polizia i suoi spostamenti.» Durken scuoteva la testa senza badare al suo avvocato. «Non m'importa se sono qui per colpa tua, se riesci a tirarmene fuori. Ci penserò, promesso. A ogni cosa. Anche la più stupida.» «Grazie» disse Quinn. La guardia all'esterno aprì la porta e Quinn scoprì di essere impaziente di lasciare il carcere il più presto possibile. Una volta uscito, telefonò ad Annie. Non aveva lezione fino al giorno
seguente, ma voleva una scusa per tornare alla scuola. Marnie era tutta eccitata. Indossava un paio di jeans e una polo ed era preoccupata che non fosse l'abbigliamento adatto. «E le scarpe» disse a Quinn. «Le mie scarpe sono orribili.» Quinn distolse gli occhi dalla strada e la guardò. «Non credo che sia molto importante, non all'inizio.» «Ne sei sicuro?» «Lo scopriremo presto.» Marnie annuì. Quinn continuò a guidare ma si accorse che lei lo fissava. «A proposito, grazie» mormorò la ragazza. «La prima lezione è offerta dalla scuola.» Marnie scosse la testa e i lunghi capelli castani le ondeggiarono sulle spalle. «Grazie per avermi fatto conoscere Annie, e per tutto il resto. Annie è proprio in gamba. Ho iniziato a lavorare. In una boutique vicino alla casa alloggio. È un bel negozio, i vestiti sono fantastici e fra sei mesi avrò diritto a comprarli con il cinquanta per cento di sconto. Posso restare nella casa finché non sarò in grado di provvedere a me stessa» continuò Marnie come un fiume in piena. «Annie conosce una signora anziana che vive da sola e non ha parenti. Potrebbe funzionare. Potrei stare da lei senza pagare l'affitto e in cambio portarla dal dottore, fare la spesa, accompagnarla in chiesa e cose così. Forse posso comprare la sua macchina, una Chevrolet, ha quindici anni ma ha fatto pochissimi chilometri.» «Sembra fantastico» disse Quinn divertito. «Di più, incredibile!» esclamò Marnie. Poi scosse la testa, come se non volesse fare la figura della credulona. «Insomma, grazie. Va tutto bene. Certo meglio che vivere in un cortile, anche se era un gran bel cortile. Negli ultimi tempi, mi faceva paura.» «Paura? Per gli insetti?» Marnie scosse la testa. «Quando si vive per strada ci si abitua agli insetti. No, era proprio inquietante a volte. C'era una macchina che passava molto, molto lenta e poi se ne andava. Forse era solo qualcuno che cercava un indirizzo, ma mi metteva i brividi.» Quinn irrigidì le dita che stringevano il volante. «Che tipo di macchina?» «Non lo so. Non ho preso il numero di targa. Era notte, era buio. Forse era beige, o grigia. Comunque chiara.»
«Che tipo di macchina chiara?» «Una macchina, di quelle che si guidano.» «Grande o piccola?» «Media.» «Chevrolet, Ford, Toyota, Mercedes? Che tipo di macchina?» «Non lo so. Non ne ho una. Non me ne intendo. So solo che quella della signora Marlin è una Chevrolet perché me lo ha detto Annie. Una berlina di dimensione media, direi.» «La riconosceresti se la vedessi di nuovo?» Marnie doveva essersi accorta della preoccupazione nella voce di Quinn, perché si irrigidì. Lo fissava spaventata, come se si fosse fidata di un benefattore per poi scoprire che non aveva tutte le rotelle a posto. Ma sembrava comunque disposta ad aiutarlo. Scosse la testa. «Mi dispiace. Davvero.» «Per quante notti hai visto quella macchina?» «Solo due, sempre che fosse la stessa.» «E perché hai avuto paura?» «Forse senza motivo. Mi spaventava. Attento, devi svoltare qui. Conosco la strada per la scuola come se ci fossi già stata migliaia di volte.» Arrivarono alla Moonlight Sonata. Quinn posteggiò in zona parchimetro ma portò Marnie sul retro, dove erano parcheggiate le auto degli insegnanti, degli allievi più anziani e degli altri impiegati dell'edificio. «È fra queste?» chiese Quinn, ma ancora prima che lei parlasse conosceva già la risposta. Tutte le auto del parcheggio erano o grigie o beige. E tutte erano berline. «Quinn, mi dispiace. Mi sembrano tutte uguali» disse la ragazza. Gli occhi castani incontrarono quelli di Quinn. «Potrebbe essere ognuna di queste.» «O nessuna.» «O nessuna» confermò Marnie. Quinn annuì. «Grazie comunque di essere venuta a vedere. Saliamo.» Marnie sorrise. «La mia prima lezione» sospirò felice. Di ritorno da una riunione, Shannon si fermò a guardare Marnie sulla pista. Ballava con Sam Riley. Sembrava un bambino che ha davanti il suo primo regalo di Natale. Quando si muoveva, secondo le istruzioni che Sam le impartiva, lo faceva con una grazia naturale. Shannon si guardò in giro. Era certa che anche Quinn fosse lì.
E c'era. Era vicino alla reception, con Gordon ed Ella. Guardavano tutti Marnie. «Sei tornata» la salutò Ella. «È andata bene la riunione?» «Sì, tutto bene» disse Shannon mentre raggiungeva il gruppo. Per pura cortesia si sforzò di salutare con cordialità anche Quinn. «Ottimo. Hai lezione fra un quarto d'ora» annunciò Ella. «Chi?» Quinn era fissato per il giorno dopo. «Io» disse Quinn con un sorriso. «Ah sì?» rispose Shannon, con finta indifferenza. «Ho deciso di partecipare al Gator Gala» le spiegò lui. «Quindi ho molto da imparare in pochissimo tempo.» «Hai davvero intenzione di partecipare?» chiese Shannon. «Perché no?» intervenne deciso Gordon. «C'è la categoria dei principianti.» «Ma ha fatto solo una lezione» protestò Shannon. «È questo il punto, devo farne ancora molte» disse Quinn. Shannon annuì. «D'accordo. Mi cambio le scarpe e cominciamo.» Cercò di nascondere l'irritazione. Andò in ufficio e si cambiò le scarpe. Gordon poteva anche essere molto contento che un nuovo studente si iscrivesse alla gara, ma lei no. Comunque era un bene per la scuola. Più lezioni. Più soldi. Shannon si chiese quanto guadagnassero gli investigatori privati. Bussarono alla porta. «Shannon?» disse Ella a bassa voce. «Ha prenotato da solo la lezione.» «Non avrebbe dovuto. Sono appena rientrata» borbottò. «Gordon ne è stato più che felice.» «Allora perché non gli fa lezione lui?» «Shannon, ma cosa ti prende?» chiese Ella. «Niente, arrivo fra un attimo.» Katarina era sulla pista, senza il marito. Ben le insegnava come creare un arco armonioso con il corpo. «È facile dimenticarsi del corpo mentre si imparano i passi» diceva Ben serio. «Ma adesso che li conosci, è tempo di dedicarci al resto del corpo. Cerca di pensare a gesti eleganti. Si balla in due, è vero, ma tu devi sempre tenere a mente la tua posizione, il tuo spazio.» «E stare attenta a non invadere il tuo, vero?» chiese Katarina con un sorriso. «Ho capito Ben, solo che continuo a dimenticarmelo.» «È proprio per questo che continuo a ripeterlo» rispose Ben. Poi si allon-
tanarono a passo di valzer. Quinn due-piedi-sinistri O'Casey era in attesa. Shannon lo raggiunse, lo prese per mano e lo portò all'altro lato della pista, dove Justin Garcia insegnava la salsa a una giovane e graziosa orientale alla sua prima lezione. Sam Riley era ancora con Marnie. La lezione era finita e chiacchieravano nella piccola cucina mentre Sam preparava il caffè. In tutta la scuola non c'era un posto dove parlare in privato, ma almeno la musica copriva le parole. «Chi te lo fa fare di prendere lezioni?» chiese Shannon mentre raggiungevano i CD. «Voglio diventare il migliore ballerino irlandese di salsa di tutta la città» disse lui serio. «Ma non mi dire» rispose Shannon in tono sarcastico. «Forse è banale rivalità tra fratelli. Doug è diventato così bravo, non riesco a sopportarlo.» «La verità.» «È il sistema più semplice per essere qui.» «È il sistema più costoso per essere qui.» «Vero» concordò Quinn. «Ma se frequento con regolarità arriverò a scoprire tutti i segreti più tenebrosi della scuola.» «Abbiamo tutti una vita piena di segreti tenebrosi» osservò Shannon asciutta. «Non abbiamo una vita privata. Questa è la triste verità.» «Lara sì. E anche parecchio attiva.» Shannon attese che la salsa di Justin finisse, poi inserì nel lettore un valzer classico. «Cominciamo» disse. «Inizia a contare. È facile. Un, due, tre, un, due, tre.» Shannon fu sorpresa di scoprire che Quinn conosceva il passo. «Non male» mormorò. «Mi ha insegnato mia madre quando ero piccolo» ammise Quinn. «Ma non mi sembri molto felice di dover ballare con me. Parliamo.» «Riesci a parlare senza smettere di contare?» «Certo.» «Non essere così presuntuoso. I principianti hanno bisogno di contare. Solo col tempo imparano a parlare mentre ballano.» «Proviamo. Sai chi sono e che lavoro faccio, quindi cominciamo con te. Il giorno in cui Lara è morta, ti sei mai trovata da sola con lei?» Shannon lo fissò stupita. Si era resa conto che era molto più bravo di quanto non le avesse lasciato credere. Riusciva a ballare il valzer, girare
per la pista e farle il terzo grado allo stesso tempo. Lo guardò dura. «No. Quando veniva alla scuola per fare lezione, le staccavo gli assegni, facevamo due chiacchiere e mi complimentavo per i suoi successi. Ma non eravamo amiche e non passavamo mai del tempo insieme. Non sono mai rimasta da sola con lei.» «Hai visto qualcuno da solo con Lara?» Shannon scosse la testa. «Non guardavo cosa faceva.» «Allora cos'è che ti ha sconvolta tanto quella sera?» «Niente» rispose, poi si fermò e prese un respiro profondo. «Mi hai mentito?» Shannon scosse la testa. «Non proprio.» Esitò. «E non mi sembri nella posizione di accusare qualcuno di avere mentito.» Shannon lo guardò. Gli occhi di Quinn erano duri come cristallo, freddi, distanti. Stava lavorando. Ed era bravo nel suo lavoro. Shannon era sul punto di confessargli tutto, poi si ricordò che era un investigatore, non un poliziotto. Le sembrava di ballare con Eliot Ness. «Parla» insistette lui. «E già che ci sei, dimmi anche perché non me lo hai raccontato prima.» «Perché non è nulla.» «Questo lascialo decidere a me.» «Mentre Lara ballava, un cameriere mi si è avvicinato e mi ha detto: "Sarai la prossima".» «"Sarai la prossima"?» ripeté Quinn. «Sì. Forse mi ha confusa con una concorrente. Io non partecipavo alla gara, non potevo essere la prossima a scendere in pista. Comunque mi sono spaventata. Poteva anche significare: "Sarai la prossima a morire". Suppongo che sia un'altra delle mie ossessioni, da quando Lara è morta sono paranoica.» «Mai fidarsi delle supposizioni. Sei sicura che quell'uomo fosse un vero cameriere?» «Era vestito come un cameriere.» «Controllerò.» La musica terminò. Justin inserì di nuovo una salsa. Shannon decise di calmarsi. Dopotutto, Quinn non era il nemico. Anzi, cercava di scoprire la verità. Ed era quello che voleva anche lei. «Grazie» riuscì a mormorare. «Quando saprò che quell'uomo mi ha confusa con un'altra mi sentirò molto meglio.» «Ti propongo un patto» disse Quinn in tono calmo e neutrale. «Io scopro
chi era quel cameriere e tu mi dici qualunque cosa ti torni in mente, anche se ti sembra insignificante.» «D'accordo» borbottò Shannon. «Il mio tempo sta per finire. Credo di aver dimostrato che sono in grado di contare. Però non conosco altri passi. Perché stai piegata all'indietro e non mi guardi negli occhi?» «Perché nel valzer non ci si guarda negli occhi. C'è un modo di portare che prevede maggiore vicinanza fra i ballerini, ma non sei ancora pronto per quello.» Quinn inarcò un sopracciglio. «Mettimi alla prova» disse in un sussurro. «Sei un principiante.» «Non in tutto.» Shannon si accorse di essere arrossita e abbassò il viso. «Appena finisce il disco di Justin metterò un valzer.» Si allontanò da lui, prese la cartellina di Quinn dallo scaffale e tornò allo stereo. La salsa terminò. Shannon si preparò a inserire il valzer. Il silenzio tra un CD e l'altro non durò più di un secondo. Una frazione di secondo. Ma Shannon lo sentì. Quel suono, come di qualcosa che viene graffiato, come unghie sulla lavagna, metallo contro metallo, come qualcosa che si apre e si richiude. Poi la musica partì di nuovo e Quinn la raggiunse. Shannon si voltò con espressione preoccupata. «L'hai sentito?» «Cosa? C'è qualcosa nella musica che avrei dovuto sentire?» «No. Era come...» «Un'auto giù in strada ha fatto marcia indietro» annunciò Quinn. Ma Shannon scosse la testa. «Cosa hai sentito?» chiese di nuovo Quinn. «Non lo so. Niente di preciso. Può darsi che fosse la macchina.» Era giorno. La scuola era piena di persone. Le strade erano trafficate. Poteva essersi trattato di qualsiasi cosa. Lei però aveva già sentito quel rumore. Quando la lezione terminò, Shannon fu costretta ad ammettere che non era stata terribile come temeva. Quinn sembrava molto compiaciuto di se stesso. Forse le lezioni erano solo una copertura per il suo lavoro, ma sembrava contento dei progressi fatti. Quinn uscì con Marnie subito dopo la lezione. Poi la giornata sembrò non aver fine. Shannon decise che era giunto il
momento di fare un giro in tutte le stanze per esaminarle a fondo. Voleva scoprire cosa potesse provocare il rumore che continuava a sentire. Niente. Quando Sam la sorprese mentre usciva dallo spogliatoio degli uomini, borbottò la scusa poco credibile di essere entrata per controllare se c'era carta igienica. «Giornata fiacca, vero?» la prese in giro Sam. Poi entrò Justin. «Mai vista tanta gente in questo bagno.» «Controllavo le scorte» borbottò Shannon. Arrivò anche Gordon. «Ma dove siamo? Alla stazione centrale?» chiese. Portò le mani sui fianchi e la guardò sospettoso. «Controllavo che ci fosse abbastanza carta igienica.» Un sopracciglio s'inarcò. «Nel bagno degli uomini? La donna delle pulizie lo fa una volta alla settimana.» «Qualcuno mi ha detto che era finita» borbottò Shannon. Poi, esasperata e imbarazzata, si aprì un varcò e uscì. Nonostante l'accurata ricerca, si ritrovava spesso in ascolto. E a tenere d'occhio Ben. Quando la raggiunse alla reception per controllare gli appuntamenti del pomeriggio, ebbe modo di chiedergli della sera precedente. «Ben?» «Sì?» «Ieri sera?» «Sì?» «Hai detto che tornavi dal negozio.» Ben sollevò lo sguardo dal registro. «Esatto.» Shannon scosse la testa. «Ma non avevi nessun sacchetto e niente in mano. Cosa hai comprato?» Ben si accigliò e la fissò. «Qualcosa di personale» mormorò. «E non sono affari tuoi.» «Scusa.» «Mi accusi di essere tornato indietro per seguirti?» «No, chiedevo così.» Ben appoggiò le mani sulla sedia dove era seduta Shannon e si chinò su di lei. «Profilattici.» «Scusa?» «Se proprio devi saperlo, sono andato a comprare dei profilattici. Se non mi credi, scendi e chiedi a Julio, era lui di turno, ieri sera.» Shannon si sentì arrossire per la seconda volta quel giorno, ma non le importava. Ben si era allontanato dalla sedia.
«Grazie dell'informazione» disse. Si alzò e andò via. Dopo la giornata divenne ancora più noiosa e la tensione con Ben chiaramente avvertibile. Quella sera erano in molti a scendere al club e Shannon pensò con sollievo che almeno non sarebbe uscita da sola dalla scuola. Quando però si decise a chiudere, si accorse che Ella era già andata a casa e che il gruppo si era già avviato al club. Così si ritrovò ancora una volta da sola nella scuola. Si precipitò nell'ufficio, agguantò la borsa, poi si paralizzò. Dei passi venivano verso di lei. Girò su se stessa, pronta a usare la borsa come arma per difendersi. Era Gordon. La guardò interrogativo. «Ma cosa ti prende, Shannon?» Shannon abbassò la borsa, senza riuscire a rilassarsi del tutto. «Shannon?» Gordon aveva usato un tono di voce basso e tranquillo, eppure l'espressione tradiva tensione. La mano lungo il fianco stringeva una penna, con forza. Gordon Henson era stato il suo primo istruttore. Le aveva passato la gestione della scuola. Le aveva dato fiducia. Le aveva dato un ruolo. Ma era stato anche il primo a insegnare e a incoraggiare Lara Trudeau. «Niente. Sto bene.» Shannon fissò la penna che Gordon teneva in mano. Continuava a far scattare il pulsante. Su e giù. Su e giù. Senza smettere. «Ehilà.» Shannon guardò oltre Gordon. C'era qualcun altro nella scuola. Quinn. «Sono passato per vedere se Shannon scendeva al club» disse con noncuranza. Lo fissarono entrambi e lui sorrise imbarazzato. «Non sono un fantasma. È un po' che sono qui. Sono tornato per vedere la lezione di gruppo.» «Io vado a casa» annunciò Gordon. «Visto che sei qui, accompagni tu Shannon? Ben mi ha detto che negli ultimi tempi è un po' nervosa quando si fa buio. Buonanotte.» Gordon salutò e andò via. «Vai giù al club?» chiese Quinn. Shannon scosse la testa. «Sono a pezzi. Ho solo voglia di andare a casa.» «Sei venuta in macchina?» «Sì.» «Allora ti seguo.»
«Grazie, ma non sei obbligato a farlo. Forse preferisci andare al club.» «Non stasera.» Shannon fu tentata di chiedergli di aspettarla, mentre faceva un altro giro della scuola per cercare di capire da dove provenisse quel rumore. Ma non sentì più nulla. E non avrebbe saputo come descriverlo. Inoltre, per qualche misteriosa ragione, era ancora disturbata dall'incontro con Gordon. Le era sembrato piuttosto strano. Uscì dalla scuola e chiuse a chiave la porta. Poi si fermò. In ascolto. «Cosa c'è?» chiese Quinn. «Niente.» Niente davvero. Solo la musica dal piano inferiore. «Allora?» disse Quinn. «Andiamo» rispose Shannon con una scrollata di spalle. Quinn non parlò, la seguì alla macchina e quando fu entrata salì sulla propria auto. La seguì fino a casa, parcheggiò e camminò dietro di lei fino al portone. «Grazie» borbottò Shannon una volta arrivata. «Penso proprio che dormirò sul divano» disse Quinn. «Non ti ho invitato.» «Lo so. Ti sto solo informando che lo farò.» «E se io non volessi?» «Fidati di me. So che vuoi che mi fermi.» A quel punto Quinn entrò e chiuse a chiave la porta. Shannon fu costretta ad ammettere che aveva ragione. Era davvero contenta che fosse lì. 16 Passò davanti piano con la macchina. Facile. Si trattava solo di rallentare. Niente di strano, lo facevano tutti sulla costa. Un giro in macchina per vedere cosa succedeva nei paraggi. Lui però era un po' distante dalle zone più frequentate. Che cosa gli stava succedendo? Aveva sempre avuto un debole per lei? Si muoveva con tale leggerezza. Quel modo di piegare il capo, la curva della schiena, come disponeva le mani, il movimento lento del corpo che si abbandonava alla musica. Tutto in lei era armonico e fluido. Pura eleganza in movimento. Il suo socio continuava a creare problemi. Dopo la prima volta, uccidere veniva quasi spontaneo. Almeno, fu costretto ad ammettere, quell'uomo era abile e del tutto privo di freni morali. Ma per colpa sua potevano essere
beccati. Sulla costa, con i colori brillanti e accecanti della notte, poteva succedere di tutto. Ricchi e poveri, non mancava nessuno. L'estasi cresceva, e con lei le droghe e le sensazioni che garantivano. Ogni notte sulle strade venivano spacciate nuove droghe sintetiche. La gente moriva. La situazione sfuggiva al controllo. Lo sapevano tutti: la droga uccide. Ma adesso... Lei lo rendeva nervoso. Era ossessionato da lei. Se avesse tirato troppo la corda... Avrebbe potuto risolvere tutti i suoi problemi nel breve spazio di una notte. Era in gamba. E pericoloso. Ma lei era sempre sospettosa. Guardava, ascoltava. Sempre, senza sosta. Nascosto e sotto gli occhi di tutti. Ottima soluzione. Lei poteva cercare e ascoltare, ma cosa avrebbe potuto vedere? Lara aveva saputo e aveva chiesto soldi. A dire la verità, aveva trovato tutto molto divertente. Nulla era immorale per Lara Trudeau, fino a quando non la riguardava. Forse era morta senza neanche capire cosa le era successo e perché. Peccato. Avrebbe voluto che sapesse. Lara non avrebbe dovuto esasperare le persone sbagliate. Rallentò l'auto quando fu in prossimità della casa. C'era una seconda auto. Ancora quella. Imprecò. L'ossessione e la rabbia aumentarono. Fu trafitto dalla gelosia, come se la lama di un coltello lo trapassasse. Guardò la casa e immaginò ciò che avveniva all'interno. La rabbia aumentò. Alla fine si allontanò, con la rabbia che gli bruciava dentro, che gli contorceva le viscere come una mano d'acciaio incandescente. Stringeva il volante con tale forza che per poco non uscì di strada. Si obbligò a recuperare il controllo. Sarebbe venuto il suo momento. Sarebbe venuto il momento anche per lei. Quinn O'Casey era diretto in cucina. Shannon lo seguì. «Non puoi restare» disse. «Che cosa c'è qui dentro?» chiese lui mentre apriva un armadietto. «Caffè? Non va bene, non ho voglia di restare sveglio.» Aprì il frigorifero.
«Non puoi fermarti» ripeté Shannon. «Non hai paura questa notte?» chiese Quinn. «Tè. Tè caldo, forse mi aiuterà a dormire.» Prese la scatola del tè. «Non puoi fermarti.» Negli occhi di Quinn c'era una strana espressione. Brillavano, come se fosse divertito. «Hai paura di farmi dormire sul divano? Hai paura di non riuscire a starmi lontana?» Shannon gli prese di scatto la scatola del tè dalle mani. «Ti garantisco che sono più che capace di starti lontana. Quello che non riesci a capire è che non voglio che la tua macchina resti davanti a casa tutta la notte.» «Perché? Non mi dirai che i tuoi colleghi ti controllano? Oppure è Gordon che ha l'abitudine di passare di qui in macchina tutte le notti?» «Ovvio che non mi controlla nessuno. Ma a volte capita che passino qui davanti. O che arrivino la mattina.» «Sei un po' la mamma di tutti?» «Il punto è che è possibile che passino.» «Sposto la macchina» disse Quinn. «E dove?» «Sulla Alton. Sono in molti a fermarsi sulla costa fino all'alba. Posso lasciarla lì e non se ne accorgerà nessuno.» A questo Shannon non poteva replicare. Scosse la testa. «Non c'è nessun bisogno che ti fermi. Prima avevo paura, ma ora che so che Marnie viveva nel cortile sono più tranquilla.» Mentiva. Non aveva smesso di essere agitata, senza motivo. La cosa la stava facendo impazzire. Non era mai stata il tipo che si spaventa facilmente. Inoltre non avrebbe saputo come difendersi. Non aveva mai sparato e non aveva seguito corsi di autodifesa. Quello che diceva riguardo al fatto di non avere vita privata era vero. Passava troppo tempo alla scuola. Perfino Lara si concedeva di avere una vita sua. Ma non era il momento di pensarci. Il punto era che Quinn non avrebbe dovuto essere lì con lei. Promise a se stessa che l'indomani avrebbe controllato di nuovo la scuola, stanza per stanza. Anche lo spogliatoio degli uomini. Avrebbe scoperto da dove proveniva quello strano rumore. E avrebbe cercato di capire perché ogni volta che fuggiva dall'edificio sentiva dei passi che la seguivano. Quinn la stava osservando. Sembrava quasi che riuscisse a leggere la confusione di pensieri che le affollavano la mente. «Credo proprio che sia
il caso che io mi fermi» disse con decisione. «Ma non ti ho invitato» ribatté Shannon. La sua determinazione a fermarsi la metteva a disagio. «Pensi che io sia in pericolo?» chiese. «Allora, ragioniamo. Sappiamo entrambi che sono un investigatore privato che lavora a un caso. Forse ritengo...» «Non potresti semplicemente farmi installare un sistema di allarme?» «Certo. Ma costano molto. E ci vuole tempo.» «Domani?» «Posso farlo per giovedì» disse. «Per questa sera, sposto la macchina.» Puntò un dito verso la scatola del tè che Shannon teneva ancora in mano. «Ci voglio zucchero e latte nel mio» annunciò diretto alla porta. «E chiudi a chiave mentre sono fuori.» Quinn uscì e per alcuni secondi Shannon rimase immobile a guardarlo andar via. Poi si precipitò alla porta e chiuse a chiave. Tornò in cucina e con un gesto nervoso gettò la scatola del tè sul bancone. Quindi attese con impazienza il suo ritorno. Quando arrivò, non gli aprì prima di averlo visto dallo spioncino. «Tesoro, sono a casa» scherzò Quinn. «Dov'è il mio tè?» «Sono sfinita, me ne vado a letto. Sono sicura che sei perfettamente in grado di far bollire l'acqua.» «Capacissimo. A dire la verità, preparo un ottimo tè, ne vuoi una tazza?» «No, grazie.» «Non sei obbligata a dormire con me solo perché ti ho preparato il tè.» «Molto divertente. Non ho voglia di tè.» «Hai ancora paura di non riuscire a resistere alla tentazione se dormo sul divano?» «Toglitelo dalla testa.» «Peccato.» «Ti ho detto che detesto i bugiardi.» «Io non ho mai mentito, a essere precisi. Ma non importa, se hai intenzione di continuare a comportarti in modo così acido.» «Insisto, non c'è alcun bisogno che tu dorma qui.» «Proteggo i tuoi interessi e cerco di perseguire i miei. Se non c'è una possibilità che tu mi perdoni, non c'è neppure motivo che tu sia tanto infastidita dalla mia presenza qui.» Shannon scosse la testa. Se non altro non le si avvicinava e manteneva le distanze. «Se vuoi dormire sul divano, accomodati, dormi pure sul divano» disse
alla fine. «Buonanotte, allora.» «Buonanotte.» Shannon girò su se stessa, raggiunse la camera da letto e si chiuse dentro. Si appoggiò alla porta per qualche momento. Sentì scorrere l'acqua e scosse la testa. La sera precedente era rimasta sveglia a cercare di sentire ogni rumore e a farsi domande su Ben. Quella sera si sarebbe sentita al sicuro. Ma sarebbe comunque rimasta sveglia, al pensiero che quell'uomo era nell'altra stanza. Shannon si staccò dalla porta e andò in bagno. Si lavò i denti, fece la doccia, poi trovò una vecchia camicia da notte di flanella, la indossò, tornò vicino alla porta e vi si appoggiò, in ascolto. Sentì il rumore della televisione e il brusio della voce di Quinn. Era al telefono, pensò. Si trascinò fino al letto cercando di ricordare quanto era arrabbiata con lui per il modo in cui l'aveva usata. Cercò di scacciare l'idea di poter dormire comoda e al sicuro tra le sue braccia, di dimenticare le sensazioni che aveva provato quando aveva trascorso la notte con lui, la seduzione, l'eccitazione, l'appagamento, l'intensità di ogni momento. Si voltò e prese a pugni il cuscino. Era davvero meglio restare lì, sdraiata fra lenzuola dignitosamente fredde? Sì. No. Si alzò e si avvicinò alla porta, sempre in ascolto. Sentì che era ancora al telefono, ringraziava qualcuno per qualcosa che sarebbe stato fatto il giorno successivo. Per sentire meglio aprì di uno spiraglio la porta. Mentre lo faceva, Quinn salutò la persona al telefono e riagganciò. «Nella teiera c'è ancora del tè!» urlò. Shannon si irrigidì. «Volevo solo chiederti di abbassare il volume della televisione.» Quinn si voltò e la vide in fondo al corridoio. «Davvero? Pensavo che saresti venuta da me per sedurmi come l'altra volta.» La guardò a lungo dalla testa ai piedi e notò la vecchia camicia da notte. «Credo proprio di no.» «Scordatelo» disse Shannon seria.
Chiuse la porta e tornò a letto, imprecando. Desiderava con tutta se stessa quello che si era negata, ma a poco a poco lo sconforto diminuì, cominciò a perdere conoscenza e scivolò in un profondo sonno ristoratore. Una noia mortale. Metà del lavoro non era altro che noia. Erano decine i camerieri in servizio la sera della gara. Ma, grazie a Jake, aveva l'elenco dei nomi con i numeri di telefono. Nonostante si qualificasse subito, le persone che rispondevano al telefono si comportavano come se fosse un poliziotto. E funzionava. Alcuni degli uomini interpellati all'inizio erano titubanti. Quinn ebbe la sensazione che non tutti fossero in regola. Una volta accertato che non era dell'Ufficio Immigrazione, si dimostrarono disponibili a collaborare. Alcune telefonate ebbero come risposta solo una lunga serie di squilli a vuoto. Ad altre rispose la segreteria. Ad altre ancora voci insonnolite. Sembrava che quasi tutti lavorassero di notte. Continuò imperterrito a telefonare e a tirare una riga sui numeri già chiamati. Alla telefonata successiva rispose un uomo decisamente a disagio. Quinn spiegò subito che non era dell'Ufficio Immigrazione. «Mettere in fila i ballerini non è lavoro dei camerieri» disse Miguel Avenaro. «Sono i giudici a farlo. Poi ci sono i tabelloni e i concorrenti hanno la lista con i nomi e gli orari. Fanno tutto da soli.» «La ringrazio molto del tempo che mi ha dedicato» mormorò Quinn e riattaccò. Quante telefonate aveva fatto? Già più di venti. Provò il nome successivo sull'elenco. Manuel Taylor. Un nome tipico di Miami. L'uomo che rispose parlava un inglese perfetto, senza ombra di accento. «Lei chi è?» chiese. «Sono un investigatore privato. Mi chiamo Quinn O'Casey.» «Non è un poliziotto?» «No.» «Quindi non sono obbligato a parlare con lei?» «Nessun obbligo. Posso farla chiamare da un poliziotto.» «Ma nessuno alla polizia pensa che qualcuno fra i camerieri sia coinvolto con la morte della donna, vero?» «Vero.» «Allora cosa vuole da me?»
«Cerco la persona che ha parlato alla signorina Mackay per sapere chi gli ha detto di farlo.» Silenzio. «Sono io» borbottò infine l'uomo. Era mattina e Quinn se n'era andato. La porta di casa era chiusa. Il caffè era pronto e a fianco c'era un biglietto. Visto che non sei una patita del tè, ti ho preparato il caffè. Ci vediamo più tardi. Ho lezione oggi. Non vedo l'ora. So che per te è lo stesso. «Molto divertente» borbottò Shannon fra sé. Si versò il caffè. Si appoggiò al bancone e fu scossa da un brivido. Di nuovo provò la vaga sensazione di essere stata ferita. Quinn l'aveva usata. Aveva cercato di conoscerla, aveva fatto l'amore con lei, solo per portare avanti la sua indagine. Però, nonostante tutto, sembrava un tipo a posto. E nella vita non capitava spesso di incontrare uomini a posto. Sarebbe stato così sbagliato avere un'altra stupenda notte di sesso da ricordare? Quel giorno aveva lezione con lui. La turbava già il pensiero dei loro due corpi a contatto, mentre ballavano insieme. Poi l'aspettava una giornata terribile. Gunter ed Helga da supervisionare mentre si allenavano per Asheville. Due lezioni con Richard. Jane e Sam che avevano bisogno di lei per nuovi passi e la sera la festa alla scuola, quando tutti i maestri ballavano con gli allievi per mettere in pratica i passi che avevano imparato. Sentì bussare alla porta. Con addosso ancora la vecchia camicia da notte di flanella, guardò dallo spioncino. Era Gordon. Shannon si sentì a disagio. Ricordò il nervosismo con cui Gordon stringeva in mano la penna la sera precedente. Mentre le chiedeva che cosa avesse. Dopo averla sorpresa nel bagno degli uomini. Shannon esitò. Gordon era sulla soglia. Teneva le mani in tasca e si guardava in giro. Guardò l'orologio e bussò ancora. «Shannon, cosa aspetti ad aprire?» Era giorno. Ed era il solito Gordon, impaziente come sempre. Non era
poi così strano che fosse lì. Capitava spesso che venisse a trovarla di mattina. Shannon esitò ancora un momento, poi aprì la porta. Gordon guardò perplesso il suo abbigliamento. «Sbaglio o non sei in vena di sedurre nessuno stamattina?» chiese. «Mi sono appena svegliata.» «Vai a fare una doccia veloce. Esci con me.» «E dove dovremmo andare?» «A mangiare qualcosa.» «Ho una giornata piena oggi» rispose Shannon. «Ma devi comunque mangiare. Non lasciare da solo il tuo vecchio capo. In questo momento non ho proprio voglia di stare solo.» «Allora serviti una tazza di caffè. Dammi qualche minuto.» Mentre tornava in camera, il telefono squillò. «Vuoi che risponda io?» chiese Gordon. «No, grazie, sono già qui.» Sollevò la cornetta e guardò l'ora. Le dieci. Aveva davvero dormito fino a tardi. «Pronto?» «Ciao, sono io, Quinn. Raggiungimi da Nick fra mezz'ora. Ce la fai?» «In questo momento non sono sola e ho davanti una giornata piena di impegni.» «È molto importante.» «Stavo uscendo per andare a mangiare.» «Ho trovato il cameriere.» «Chi?» «Il cameriere che ti ha detto che eri la prossima.» «Il mio capo è qui» borbottò Shannon. «Esco con lui.» «Gordon Henson è lì con te? Adesso?» «Sì, andiamo a mangiare qualcosa.» Shannon guardò Gordon. Si era spostato in salotto e sembrava disinteressato alla telefonata, ma forse stava ascoltando. «Digli che passo a prendervi» disse Quinn. «Non posso.» «Fallo e basta. Digli che passo a prendervi. Dobbiamo parlare della gita in barca. Digli questo. Fai in modo che capisca che sto per arrivare.» «Va bene. Ma spiegami...» «Vai in camera e chiuditi a chiave. Vedi di fare in modo che capisca che potrei arrivare da un momento all'altro.» Shannon rabbrividì e abbassò la voce. Fissò Gordon. Sentiva crescere la
paura. «È stato lui?» bisbigliò. Afferrò con maggior forza la cornetta. «Sì. È stato Gordon. E non si è limitato a chiedergli di dirti quella frase, gli ha anche sganciato cinquanta testoni perché lo facesse. Metti giù e chiuditi in camera, a chiave, finché non arrivo.» «D'accordo.» Shannon per poco non fece cadere il telefono mentre lo metteva a posto. «Era Quinn!» urlò. «Potrebbe arrivare da un momento all'altro. Andiamo a pranzo con lui per parlare della gita in barca di domenica. Faccio in un attimo.» Volò in camera e chiuse la porta. A chiave. Rimase ferma a lungo con le mani sulla maniglia, aveva paura a lasciarla, anche se la serratura era scattata. Poi sentì la voce di Gordon. Non era più in soggiorno. «Shannon?» Ora Gordon aveva afferrato la maniglia. Shannon la sentì ruotare fra le dita. 17 In pochi secondi Quinn era al volante. Gordon Henson aveva pagato il cameriere perché dicesse a Shannon quelle parole. Sarai la prossima. Solo pochi secondi prima che Lara cadesse a terra morta. Questo non faceva di lui un assassino. Ma se era davvero un assassino, era del tipo più ambiguo. Era strano che andasse da Shannon in pieno giorno per farle del male. Non avrebbe potuto far nulla, soprattutto adesso che sapeva che Quinn stava per arrivare. Quinn accelerò, stupito che la polizia non lo fermasse. Raggiunse la litoranea e guardò l'orologio sul cruscotto. Solo pochi minuti. Probabilmente aveva stabilito un nuovo record. Non aveva senso. Quali vantaggi avrebbe potuto ricavare Gordon dalla morte di Lara Trudeau? Prese il cellulare e premette il numero della casa di Shannon. Rispose Gordon. «Ciao, Gordon, sono Quinn.» «Ciao. Pensavo che fossi già qui. Da come ha parlato Shannon, ero convinto che fossi davanti alla porta.»
«Ci sono quasi.» «Fai pure con calma, Shannon non è ancora pronta. Penso che sia sotto la doccia.» «Volevo parlarti della gita in barca.» «Sì, Shannon me l'ha detto. Non vedo l'ora. La tua proposta è ottima.» «Molto bene.» Svoltò nella strada di Shannon. «Sono arrivato» annunciò e chiuse la comunicazione. In pochi secondi fu fuori dall'auto e percorse di corsa il vialetto privato. Shannon sentì bussare e Gordon che andava ad aprire. Gordon. Non riusciva a crederci. Lo conosceva da anni, aveva fatto tanto per lei. Era ancora paralizzata accanto alla porta. Quando fu certa che Quinn fosse entrato, mollò la presa e si vestì in fretta. Uscì dalla camera e trovò i due uomini seduti in salotto che parlavano tranquilli, o almeno così sembrava. Quinn aveva l'aria di chi non ha una sola preoccupazione al mondo. Gordon aveva solo fame. «L'ho vista cambiare d'abito cinque volte di seguito durante uno spettacolo e non ci ha mai messo tanto» commentò Gordon con un tono tra il divertito e l'esasperato. «Ma adesso è pronta» disse Quinn. «Sì» mormorò Shannon. «Sono pronta.» «Vi va bene se andiamo da Nick? Ci dovrebbe essere qualcuno che mi piacerebbe incontrare» disse Quinn. «Il ritrovo dei poliziotti? Va bene, non ci sono mai stato» disse Gordon, già diretto alla porta. «Forse è meglio se andiamo con due macchine. Così io e Shannon possiamo tornare da soli alla scuola, se tu hai altro da fare» osservò Gordon. «Non ho altri impegni e devo venire anch'io alla scuola» disse Quinn. Shannon lo fissò, mentre cercava di mantenere un'espressione neutrale. Era convinto che Gordon avesse ucciso Lara? Lo avrebbe fatto arrestare? «Come vuoi» rispose Gordon allegro. Quinn fece sedere Shannon davanti. Lei continuava a guardarlo con espressione interrogativa, ma lui non aprì bocca mentre Gordon prendeva posto dietro e faceva qualche apprezzamento sulla macchina. Lungo il tragitto, Gordon sembrò tranquillo e rilassato. «È così facile dimenticare quanto sia bello da queste parti, non trovate?»
disse Gordon mentre guardava fuori dal finestrino. «Acqua, acqua ovunque» borbottò Quinn. «Ho sentito dire che il Nick è un posto carino. Siete amici?» «Sono anni che lo frequento. Un mio amico, un detective della omicidi, ha sposato la nipote di Nick. Anche lei è nella polizia.» «Fantastico» mormorò Gordon. «Anche tuo fratello ci va?» «Sì. Doug è spesso lì.» «Allora forse ci sarà anche lui» aggiunse Gordon, che non sembrava avere alcuna paura di fraternizzare. «O il suo amico, lo sposino novello, Bobby.» «Non credo. Sono di pattuglia oggi» disse Quinn. Guardò Gordon nello specchietto retrovisore. «Doug vorrebbe entrare nella omicidi.» «Sarebbe un peccato. Potrebbe diventare un ottimo professionista» osservò Gordon. «Potrebbe fare entrambe le cose.» Gordon scoppiò a ridere. «Non hai ancora capito cosa vuol dire essere professionista, vero? Ballano, ballano, e poi ballano ancora.» «Doug è davvero così bravo?» chiese Quinn rivolto a Shannon. «Può diventarlo. Ha ancora molta strada da fare» rispose lei. Avevano abbandonato la litoranea ed erano quasi arrivati da Nick. Gordon non sembrava affatto preoccupato. Shannon non riusciva a smettere di chiedersi per quale ragione avesse pagato un cameriere perché le sussurrasse quella frase. Parcheggiarono e scesero dall'auto. Shannon seguì Quinn, che si diresse deciso verso la veranda. Gordon era dietro di lei. La cameriera che li aveva serviti l'ultima volta li vide arrivare e li salutò. «Bentornata» disse a Shannon, che reagì abbassando gli occhi, imbarazzata. «Sei già stata qui?» chiese Gordon. Nel suo sguardo vi era un misto di curiosità e scherno. Shannon abbozzò un debole sorriso. «Quel tuo amico ti aspetta al bar» disse la cameriera a Quinn. «Vi porto un caffè?» «Sì grazie» rispose Quinn. «E una spremuta» aggiunse Gordon. Si sedettero. Prima che Gordon potesse fare domande sull'amico di Quinn, un uomo affascinante dai tratti ispanici attraversò la veranda e si diresse verso di loro. Gordon lo fissò. Socchiuse gli occhi come se cercas-
se di ricordare dove l'aveva già visto. Poi disse: «Quel tipo faceva il cameriere la sera della gara. Lo riconosco». Shannon prese un gran respiro e trattenne il fiato. Quinn osservò serio Gordon. «È così. Non mi stupisce che ti ricordi di lui.» Gordon fissò Quinn. L'uomo raggiunse il tavolo. «Siediti, Manuel» disse Quinn. L'uomo fece un cenno di saluto e si sedette. Era chiaro che si sentiva a disagio. «Ciao, Manuel, come stai? Hai smesso con l'albergo e lavori qui adesso? Oppure voi due siete amici?» chiese Gordon affabile. Guardò prima Manuel poi Quinn. «Il signor O'Casey mi ha chiesto di venire» disse Manuel. Arrivarono le aranciate e i caffè. «Ho portato un caffè fresco in più, anche per lei» disse la cameriera a Manuel. «Grazie.» Gordon aspettò che se ne fosse andata. Poi si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia. A turno li fissò tutti. Lo sguardo che riservò a Shannon era accusatorio. «Bene. Mi volete spiegare che cosa diavolo succede?» «Gordon, poco prima che Lara morisse» cominciò Shannon, «quest'uomo è venuto da me e mi ha detto: "Sarai la prossima". Sei stato tu a pagarlo? Perché?» «Come diavolo potevo sapere che Lara sarebbe morta poco dopo?» borbottò Gordon, furioso. «Se mi avete portato qui e l'avete convocato come testimone oculare, allora potete anche rimandarlo a casa. L'ho pagato perché ti dicesse quella frase. È vero.» «Posso andarmene? Oggi pomeriggio devo lavorare» disse Manuel a Quinn. «Certo. Grazie per essere venuto.» Manuel sorrise. «Non c'è problema. Ho fatto dei bei soldi con voi. E non mi dispiacerebbe servire su una barca, una volta o l'altra. Mi chiami se ha bisogno.» «Lo farò senz'altro» rispose Quinn. Appena se ne fu andato, Shannon si rivolse a Gordon. «Perché? Perché pagare qualcuno che mi dicesse una cosa del genere?» «Ho pensato che quelle parole potessero emozionarti abbastanza da farti tornare la voglia di gareggiare» disse Gordon. «Ricordarti quando scendevi in pista. Risvegliare in te la scintilla della competizione. Insomma, non è
un segreto che siamo tutti convinti che dovresti tornare a gareggiare. Aspetta un attimo.» Spostò lo sguardo su Quinn. «Ora capisco! Shannon, tu sei convinta che qualcuno abbia ucciso Lara. E dato che sono stato io a pagare Manuel perché ti dicesse: "Sarai la prossima", quel qualcuno sono io. Fantastico. Sei convinta che io abbia ucciso Lara.» Shannon avrebbe voluto sprofondare sotto la sedia. Mai, in tutta la vita, aveva visto Gordon con quell'aria da segugio bastonato. «Gordon, tu non hai idea di quanto quelle parole mi abbiano sconvolta» si difese Shannon. «Lara era la gioia della mia vita. La mia creazione» disse Gordon. «E a quanto ho sentito, molto spesso prendeva a morsi la mano di chi le dava da mangiare» osservò Quinn. Gordon scosse la testa disgustato. «Tu non capisci. Se fossi un architetto, Lara sarebbe stata l'edificio di cui andare fiero. Scherzavamo, ci punzecchiavamo, litigavamo, e Lara era piena di sé, certo, ma faceva parte della famiglia. Avevamo un buon rapporto, a volte affettuoso, altre volte difficile da sopportare. Ma neppure in un milione di anni sarei arrivato al punto di farle del male. Quanto a te» si rivolse a Shannon, «se vuoi buttare via anni di duro lavoro e un grande talento, fallo. Se non partecipi ai campionati mi fai solo un piacere, mi eviti di lavorare in questi ultimi anni prima della pensione.» Scosse la testa, ferito e disgustato. «È per questo che siamo qui?» chiese a Quinn. «Hai chiamato a raccolta i tuoi amici poliziotti per farmi arrestare?» Quinn fece cenno di no. «Quando Shannon mi ha raccontato l'episodio, dovevamo scoprire perché il cameriere era andato da lei e chi gli aveva detto di farlo.» Gordon sospirò e chiuse gli occhi. Li riaprì su Shannon. «Hai confidato proprio tutto a quest'uomo, vero?» «Gli ho spiegato di cosa avevo paura, sì.» «Mi sembra logico» disse Gordon. «In che senso?» sussurrò Shannon. «È un investigatore privato.» «Lo sapevi?» chiese Shannon. «Un paio di ricerche in Internet e sai tutto quello che vuoi su di lui.» Gordon fissò Quinn. «Non avrei dovuto essere così sorpreso. Trovare il cameriere dev'essere stato un gioco da ragazzi per lui.» Continuava a guardare Quinn, ma Shannon sapeva che parlava per lei. «Avrebbe dovuto far togliere la sua scheda: è stato espulso al primo anno di college, per uso di
droga e comportamento inadeguato, poi ha dato una svolta radicale alla sua vita. Ha preso una laurea in psicologia, è diventato poliziotto ed è entrato nella squadra omicidi a tempo di record. In seguito ha fatto domanda per l'FBI ed è entrato nel nucleo scienze comportamentali, sai quelli che si occupano di profili psicologici, poi ha mollato tutto ed è tornato qui, ed è diventato socio di un amico che aveva già un'agenzia investigativa.» Shannon fissò prima Gordon poi Quinn. «C'è proprio tutto in Internet, eh?» osservò Quinn. «Eri a servizio dello Stato, ricordi?» ribatté Gordon. «È possibile mangiare in questo posto? Mettiamo le cose in chiaro: tu non ti fidi di me, io non so che farmene di te. Quanto a Shannon, credo che vorrebbe solo farci sparire entrambi in fondo alla baia. Comunque sia, io ho fame.» «Sì, qui si mangia» rispose Quinn e cercò la cameriera. Gordon ordinò la colazione più abbondante della lista, che includeva uova, frittelle, bistecca, patate rosolate con cipolle e pane tostato. Shannon chiese solo il pane tostato. Quinn ancora caffè. Quinn e Shannon rimasero in silenzio per tutto il pranzo. Shannon sentiva un'incontenibile rabbia montarle dentro, al pensiero di quante cose non sapeva della vita di Quinn. Cose che, a quanto pareva, Quinn non aveva pensato di condividere con lei. «Andiamo a vedere la barca?» chiese Gordon. «Cosa?» «La barca, Quinn. Sabato è vicino. Posso farti una domanda? Ce l'hai davvero la barca?» Quinn annuì. «Adesso è giù alle Keys, ma sarà qui con l'equipaggio al completo, per venerdì sera.» «Devi metterti in contatto con la ditta che si occupa del rinfresco, devi accertarti che la lista delle vivande soddisfi le esigenze di tutti. E vorrei essere sicuro che ci sia lo spazio per il trio che ho ingaggiato per la musica.» «La barca è perfetta per le vostre esigenze» lo rassicurò Quinn. «Venerdì potrai fare un sopralluogo.» «Fantastico.» Gordon gettò il tovagliolo sul tavolo. «Dobbiamo aprire la scuola. Siete pronti voi due?» «Pago il conto» propose Quinn. «No, ci penso io. Tieni i tuoi soldi per l'iscrizione al Gator Gala» rispose Gordon. «Non partecipa davvero» disse Shannon. Quinn le lanciò un'occhiata dura e determinata. «Sì, certo che partecipo.
E sono io che vi ho fatto venire qui, quindi pagherò io.» «No, tocca a me» insistette Gordon. Shannon si alzò. «Pago io, poi andiamo.» Il mercoledì era sempre una giornata faticosa. La festa settimanale della scuola cominciava tardi, ma gli studenti arrivavano a tutte le ore per rinfrescare i passi e per prepararsi. Anche Katarina, la stilista della porta a fianco, era occupata con gli ultimi ritocchi ai costumi per la festa. Gabriel Lopez fece una prima lezione con Shannon, una seconda con Jane e più tardi, come disse a Quinn, avrebbe fatto lezione anche con Rhianna. «Penso sia importante» gli disse. «Gestisco un club e devo invitare le donne a ballare per mantenere viva la pista e allegra la tappezzeria. Così ho deciso di prendere lezioni da tutti. Le lezioni» aggiunse con un sorriso, «sono deducibili dalle tasse. È un affare.» I dottori Long facevano lezione in coppia con Justin Garcia per perfezionare la salsa. Poi si separarono per le lezioni individuali. Quinn girellava per la scuola. Beveva caffè e parlava con gli altri che aspettavano di fare lezione o che l'avevano appena finita. Poi venne anche il suo turno. Shannon era più distaccata del solito. «Gordon è arrabbiato con me» disse Shannon. Lo fulminò con gli occhi verdi mentre lo guidava in modo automatico in un fox-trot. «Non mi ha detto niente ma lo conosco abbastanza. L'ho ferito.» «Mi pare di ricordare che dovrei essere io a condurre» mormorò Quinn. «Non sei capace.» «Giusto, ma sono qui per imparare.» «Perché?» chiese Shannon. «Per te tutto questo è solo un gioco. Per te siamo solo un gruppo di persone stupide e piene di boria, convinte di essere chissà chi.» «Non è vero» rispose Quinn, che intanto aveva preso a condurre. «Lo ammetto, pensavo che l'avrei odiato. Ma non è stato così. Quanto a Gordon, era necessario controllare quello che ti è successo. Inoltre» aggiunse, «chi ci assicura che Gordon non sia il miglior attore del mondo?» «Pensi che ci abbia mentito? È ridicolo» protestò Shannon. «A dire il vero non credo che abbia mentito. Dico solo che è pur sempre una possibilità. Vorrei che non fosse così. Vorrei poter scartare qualcuno.» «Suppongo che tu non abbia ancora scartato neanche me» disse gelida.
Quinn scrollò le spalle. «Non ti ritengo colpevole di nulla. O è così, oppure meriti un Oscar.» «Giusto. E tu dovresti averne un bel mucchio» replicò lei. «Piede sinistro. Sinistro.» «Perché?» «Perché devi muovere il sinistro.» «No.» Quinn smise di ballare. «Perché dovrei averne un bel mucchio?» «FBI? Avresti potuto parlarmene.» «Che importanza ha? Me ne sono andato e adesso lavoro qui.» «Perché non me l'hai detto?» «Non abbiamo avuto molte opportunità di parlare della nostra vita. Nessuno dei due.» «Cos'è che non sai di me?» chiese Shannon. «Non so perché non vuoi gareggiare.» «Ancora con questa storia. Te l'ho detto. Mi piace insegnare. E ho avuto un incidente.» «È stato tanto tempo fa.» Quinn smise di parlare e guardò Gunter ed Helga mentre ballavano. «Non voglio imparare il fox-trot. Voglio fare quello.» «Ma se non sai neppure ballare.» «So che posso farlo.» Shannon stava per ricordargli che doveva partire con il piede sinistro, ma non ne ebbe il tempo. Prima che potesse protestare, Quinn l'aveva sollevata e aveva ripetuto il movimento che aveva appena visto, l'aveva fatta ruotare a contatto con la sua schiena e poi l'aveva rimessa a terra. Shannon era rossa in viso, stupita, arrabbiata e anche un po' in soggezione. «Dimmi. Ho sbagliato qualcosa?» «Non hai fatto capire alla partner quello che stavi per fare» scattò Shannon. «Sono io che guido. Tu dovresti seguire. Gli uomini guidano e le donne seguono. È questa la regola sulla pista da ballo. Zero rivendicazioni femministe» rispose Quinn. «È un passo fuori dalle regole. Possono farlo solo i ballerini che si esercitano a lungo» borbottò Shannon. «Appunto, io mi stavo esercitando nel... come si chiama? Ha un nome?» Shannon sospirò. «Qui alla scuola lo chiamiamo Mulino a vento.» «Mulino a vento?»
«Non ricordo neanche chi è stato a chiamarlo così» rispose Shannon spazientita. «Voglio farlo al Gator Gala» disse Quinn ostinato. «Sei un principiante. I principianti eseguono passi da principianti. In seguito...» «Ti dico che lo farò. Sono previsti pezzi liberi, giusto? E io farò un valzer con il Mulino a vento. Sai anche tu che posso farlo.» «So che hai la forza. Ti mancano la tecnica, l'equilibrio e la coordinazione.» «Allora comincia subito a insegnarmeli.» «Ti costerà parecchio.» «Lo so.» Guardò l'ora. «In questo momento mi stai facendo perdere minuti preziosi.» Shannon lo fissò indignata, poi riprese con un valzer che Quinn era convinto di saper fare, fino a quando non scoprì che c'erano molti passi che ancora non conosceva. Eppure alla fine dei quarantacinque minuti si sentì quasi bravo. Quando eseguirono il Mulino a vento al termine del pezzo libero coreografato da Shannon mentre ballavano, nella sala risuonò un applauso. Quinn si guardò attorno e scoprì che tutti si erano fatti da parte per osservarli. Suo fratello era arrivato, dopo essere passato a prendere Marnie, come Quinn gli aveva chiesto. C'erano anche Bobby e Giselle. Gordon li raggiunse. Rideva. «È proprio vero che puoi insegnare a ballare a chiunque» disse a Shannon in tono canzonatorio. Poi strinse la mano a Quinn. «Niente male.» «Diglielo anche tu che deve ancora imparare i fondamenti della danza» rispose Shannon. «Posso dirgli tutto quello che vuoi. Ma non credo che servirà a niente con questo qui.» Gordon si comportava come se avesse dimenticato l'episodio che l'aveva coinvolto. «Vedo che hai chiesto a Doug di accompagnare la ragazza. A quanto ho sentito è una che vive per strada. È maggiorenne, vero? Una maggiorenne senza un centesimo.» «Sì. Le pagherò io qualche lezione» annunciò Quinn. Gordon annuì. «Ne aggiungerò qualcuna anch'io. La ragazza è brava, meglio di te.» «Sono offeso a morte» rispose Quinn con un sorriso. «Comunque niente male, O'Casey. Shannon, Richard Long si è prenotato per un'altra lezione. È laggiù e mi sembra un po' nervoso. Lo sai, adora
essere al centro dell'attenzione.» Gordon se ne andò e Shannon si voltò per raggiungere Richard. Una mano si posò sulla spalla di Quinn mentre lasciava la pista. Era Doug. Sorrideva. «Ti ho visto. Lurido bugiardo. Sei bravo.» «Con il valzer, merito della mamma. Andiamo fuori, dobbiamo parlare.» Quinn portò il fratello al bar dall'altro lato della strada e si sedette allo stesso tavolo dal quale aveva osservato il club giorni prima. Da lì potevano vedere bene chi entrava e chi usciva. Dopo aver ordinato, Quinn lo informò di ciò che gli aveva detto Shannon, di come fosse riuscito a rintracciare Manuel Taylor e del confronto con Gordon. «Gordon ha sostenuto di averlo fatto solo per convincere Shannon a tornare a gareggiare?» chiese Doug. Quinn annuì. «Ed è stato convincente. Ha fatto anche qualche ricerca su di me. Sa praticamente tutto quello che c'è da sapere sul mio conto, almeno per quanto riguarda il lavoro.» «Non mi stupisce. Gordon sa come muoversi in Internet. Controlla tutti gli studenti.» «Mi chiedo perché.» «Curiosità, penso. Però non rivela mai quello che scopre.» «Allora come fai a sapere che controlla gli studenti?» «Un giorno ero nel suo ufficio a fare due chiacchiere. Mi è capitato di guardare lo schermo del computer, era aperto su Richard Long e la sua attività lavorativa. Si è accorto che l'avevo visto e mi ha detto che in rete era possibile trovare praticamente tutto su tutti.» Quinn si appoggiò allo schienale. Aveva smesso di fumare da tempo, ma in quel momento si sarebbe acceso volentieri una sigaretta. Vide la cameriera e ordinò un altro espresso. «Marnie ha l'impressione che un'auto beige o grigia passasse di notte, molto lentamente, davanti alla casa di Shannon» disse. «Chi possiede una macchina beige o grigia?» chiese Doug. «Praticamente tutti.» «Stasera mi segno i modelli e le targhe, per risalire ai proprietari» dichiarò Doug. «Ottima idea. Come sta Jane?» «Nervosa. Anche lei è convinta che Lara sia stata uccisa. Hai notizie della donna trovata sulla spiaggia?» «No, più tardi ne parlo con Jake.» «Non era in ferie?»
«Sì, ma puoi star certo che telefona in ufficio almeno un paio di volte al giorno. Se non è in grado di darmi informazioni di persona, farà in modo che io possa parlare con un collega.» «Dixon, magari?» sbottò Doug Quinn sollevò le mani.«Quando si incontra uno come Dixon, l'unica cosa da fare è continuare a lavorare senza badare a lui.» Si sporse in avanti. «Quella sera, hai per caso visto Gordon con Lara? Offrirle da bere? Qualsiasi cosa?» «No, l'unica persona che non ho visto vicino a Lara quella sera è proprio Gordon. Perché?» «Non lo so. C'è qualcosa che continua a tormentarmi. È qualcosa che ha detto Manuel Taylor, ma non riesco a metterla a fuoco. Mi tornerà in mente, spero.» «C'è altro?» chiese Doug. «Ho lezione fra un quarto d'ora. E devo indossare le scarpe per i ritmi latini.» «Hai comprato scarpe speciali?» «Certo. Dovresti farlo anche tu. Aiuterebbe il tuo Mulino a vento.» Quinn scosse la testa. «Omicidio, Doug. Siamo qui per trovare un colpevole.» Quando arrivò l'ora della festa Shannon era già esausta. All'inizio gli insegnanti ballarono con gli allievi; anche Gordon scese in pista. Poi gli studenti ballarono fra loro. Era il momento che Shannon preferiva, si divertiva a guardare i più bravi aiutare i principianti. Gli uomini invitavano le donne e le donne invitavano gli uomini. Gli amici della scuola chiacchieravano fra loro e gli anziani parlavano con i nuovi per farli sentire a loro agio. Shannon sapeva bene che, in passato, le scuole di ballo come la Moonlight Sonata venivano considerate luoghi d'incontro per cuori solitari. Negli anni Shannon aveva messo molta energia, in qualità di direttrice, per far sì che la loro scuola fosse diversa. Perché fosse solo un posto accogliente e ospitale dove le coppie venivano per divertirsi e dove era possibile incontrare nuovi amici. Era convinta di aver fatto un ottimo lavoro. Shannon era orgogliosa della scuola e soffriva a vederla trasformata in un covo di ombre e sospetti. Dopo il primo gruppo di balli, gli studenti si sedevano. A quel punto Shannon o Gordon o Ben tenevano un discorsetto sul ballo. Quella sera Shannon parlò della goffaggine degli inizi. Sam e Jane fingevano di essere
una coppia che arrivava per la prima lezione, Jane tirava Sam per un orecchio. Si pestarono i piedi l'un l'altro, litigarono. Poi migliorarono un poco, un po' di più, sempre meglio, finché non volteggiarono per la pista fra gli applausi di tutti. Gordon si avvicinò al microfono. «Come al solito, adesso tocca a uno dei nuovi arrivati chiedere di vedere un ballo.» «Bolero!» urlò Mina Long. «Ho detto nuovi arrivati» tenne a precisare Gordon ridendo. Shannon fu stupita quando Quinn O'Casey gridò: «Un valzer. Vorrei vedere Shannon ballare un valzer!» «Sì, Shannon» si unì Doug. La incitarono tutti, come se fossero allo stadio. Poi Ben, che era di fronte a lei, le tese la mano con un sorriso. Shannon accettò l'invito. Non aveva molta scelta. Dopo tanto tempo, scoprì che ricordava tutto di lui. Sapeva come portava, ogni minimo movimento del suo corpo. Dimenticò il pubblico, sentì solo la musica e si abbandonò al ritmo. Shannon fu quasi stupita di ritrovarsi alla fine nella stessa posa con cui avevano terminato l'ultima competizione a cui avevano partecipato insieme. Con il corpo abbandonato ad arco sul ginocchio di lui, la testa che sfiorava il pavimento e una gamba allungata parallela al corpo di Ben. La sala rimbombava di applausi. Shannon fece un cenno a Ben, si alzò e si appropriò del microfono che Gordon teneva ancora in mano. «Cambiamo ballo. Proposte?» Marnie urlò: «Samba!». «Posso farlo io?» chiese Gunter in qualità di ospite. «Certo» rispose Shannon. Gordon inserì il CD nello stereo, Gunter si avvicinò a Jane e la fece roteare sulla pista. Shannon cominciò a battere le mani a tempo e incitò gli altri a imitarla. Era una samba veloce, la coppia era molto affiatata ed eseguiva passi e movimenti perfetti. Poi la musica terminò e Gunter allontanò Jane con una piroetta, in modo che potesse chiudere con un elegante inchino. Jane si raddrizzò e per un minuto il dolore le contorse i lineamenti. Si piegò in avanti. «Cosa succede?» mormorò qualcuno. Jane urlò, le mani strette sulla pancia, si piegò ancora e cadde a terra. «Oddio che male» gemette.
L'intera stanza si bloccò, in silenzio. «Ella, chiama il 911!» ordinò Shannon, che si era ripresa e aveva raggiunto di corsa Jane. «Cosa c'è? Dove ti fa male?» Anche Gunter era inginocchiato a terra. Gordon era lì vicino mentre Ben teneva a bada gli altri perché non si avvicinassero troppo. Jane emise un nuovo lamento e si strinse più forte la pancia. I capelli biondo scuro erano sparsi sul pavimento. Guardò Shannon. «Ti prego aiutami. Non voglio morire. Oddio, non voglio morire come Lara!» 18 Quando si rese conto che la faccenda era seria, Quinn si alzò. Sapeva che Doug e Bobby erano dietro di lui e che entrambi conoscevano le tecniche di pronto soccorso. «Lascia fare a me» disse a Shannon, che lo guardò con gli occhi annebbiati e il viso contorto in un'espressione angosciata. Una mano lo toccò sulla spalla. Quinn si voltò e vide che Mina Long era dietro di lui, seguita dal marito. «Noi siamo dottori» gli ricordò sottovoce. Quinn si fece da parte. Richard era già inginocchiato. Era un chirurgo estetico, ma ricordava i fondamenti della medicina. Parlò a Jane con voce ferma e rassicurante, mentre muoveva le mani con gesti esperti sulla sua pancia. «Ti fa male qui, vero? Il dolore è cominciato ora?» Jane sembrò sul punto di soffocare nel tentativo di rispondere. «Ho avuto alcune fitte, prima. Adesso mi sembra che mi abbiano accoltellata. È un dolore insopportabile. È come se mi avessero avvelenata.» Si sentirono sussurri allarmati fra gli studenti. «No, stai tranquilla» mormorò Richard. Accennò anche un sorriso, poi guardò la moglie, che era dall'altro lato di Jane. «Sei d'accordo che potrebbe trattarsi di un attacco di appendicite?» Mina sorrise a Jane e la accarezzò. «Appendicite?» disse Jane con voce lamentosa. «Penso proprio che finirai sotto i ferri questa notte stessa. Fortuna che l'ospedale non è lontano. Andrà tutto bene» le assicurò Mina. Poi sollevò lo sguardo. «Ella, hai già chiamato l'ambulanza?» «Sì, appena me lo ha chiesto Shannon» rispose Ella. Jane allungò una mano come se cercasse qualcuno. Voleva Shannon, che
capì e le prese la mano fra le sue. «Vieni con me? Vieni all'ospedale?» chiese Jane in un sussurro. «Certo.» Si sentiva già il suono delle sirene in avvicinamento. In un paio di minuti arrivarono i medici del pronto soccorso. Fecero qualche domanda e i normali controlli. Gabe Lopez aprì le porte e fece strada alla barella. Poi Jane, che continuava a lamentarsi, fu sollevata e portata giù per le scale. Shannon salì sull'ambulanza insieme a lei. «Vi seguo con la macchina» disse Quinn. La portiera venne chiusa e le sirene tornarono a ululare. Quinn si rese conto che non solo tutti i partecipanti alla festa erano scesi in strada, ma anche le persone che si trovavano al club. Persino chi era in coda per entrare al Suede si era spostato sul marciapiede. E la gente parlava. «Oddio, è morta?» chiese qualcuno. «Domenica hanno trovato il cadavere di una donna sulla spiaggia» si sentì bisbigliare. Richard Long si rivolse alla folla. «No, va tutto bene. È solo un attacco di appendicite.» Doug estrasse il distintivo. «Non c'è nessun pericolo. Indietro, indietro, non c'è niente da vedere, tornate alle vostre occupazioni.» Lentamente se ne andarono tutti e rimase solo il gruppo della scuola. «La festa è finita, per stasera» annunciò Gordon. «Ella, ricordati di chiamarci tutti domani mattina per farci sapere come sta Jane» disse il signor Clinton. «Anzi, andrò a trovarla e le porterò dei fiori. Richard, sei sicuro che si tratti di appendicite?» «I sintomi sono quelli, signor Clinton. Mina ha curato parecchi bambini con l'appendicite.» Passò un braccio sulle spalle della moglie. «Torniamo su a cambiarci le scarpe e poi ce ne andiamo a casa? Gordon ha ragione, la festa è finita.» «Qualcuno può accompagnarmi?» chiese Marnie sottovoce. «Certo, ti porto io» disse Doug. Poi guardò Quinn. «Vai all'ospedale?» «Sì.» Quinn si rese conto che il fratello lo guardava preoccupato e si ricordò che lui e Jane avevano trascorso molto tempo insieme negli ultimi giorni. «Vuoi andare tu all'ospedale, Doug? Accompagno io Marnie e poi ti raggiungo là.» Doug annuì riconoscente.
«Dai Marnie, andiamo.» La ragazza lo seguì al parcheggio. Quinn si fermò a guardare le macchine. Quella sera ce n'erano di molti colori. Forse i camerieri del club avevano posteggiato in cortile. Mentre entravano in auto, Marnie chiese: «Pensi che sia davvero l'appendice?». «È quello che hanno detto i dottori» rispose Quinn. «Allora perché urlava di essere stata avvelenata?» «Forse perché stava male.» «Ma un attacco di appendicite può venire così in fretta?» «Secondo me sì.» Marnie rimase in silenzio per qualche minuto. Guardava fuori dal finestrino. «Si può morire, vero?» Sospirò piano, poi si voltò a guardarlo. «Mi piace. Mi piace la scuola. Mi piace tanto ballare, ma mi fa un po' paura. Strano, mi fa più paura che dormire per strada.» «Paura? In che senso?» Marnie scosse la testa. «Le persone della scuola, be', ecco, sembra che a loro capiti sempre qualcosa.» Raggiunsero la casa alloggio dove viveva Marnie. La ragazza saltò giù. «Non pensare che io sia una fifona. E non smettere di portarmi alla scuola. Ballare è la cosa che voglio di più al mondo. Sono brava, davvero, me lo hanno detto.» «Non smetterò» promise Quinn, mentre pensava che avrebbe mantenuto la parola, anche se non gli piaceva l'idea che Marnie fosse alla scuola senza di lui. Marnie sorrise. «Mi telefoni per dirmi come sta Jane?» «Certo. Non è troppo tardi?» «Tranquillo. Non abbiamo regole dure.» Quinn aspettò che entrasse, poi ripartì. Anche Marnie l'aveva capito. Nella scuola c'era qualcosa che non andava. In effetti c'era molto che non andava. Arrivato all'ospedale, Quinn scoprì che Jane era già stata visitata al pronto soccorso e spedita al piano di sopra in chirurgia. I Long avevano azzeccato la diagnosi. Era quasi peritonite. Shannon non era sola nella sala d'attesa. Gordon, Ben, Sam, Justin, Rhianna ed Ella, erano tutti lì. Gordon era seduto con le mani intrecciate. Sam andava avanti e indietro per la stanza e incrociava Shannon che faceva lo stesso. Ben litigava con la macchina del caffè. Justin era allungato su
un divano e Rhianna era mezza addormentata addosso a lui. C'erano anche Gabriel Lopez e Katarina, seduti su un divano. Quinn andò a sedersi accanto a Gordon. «Hanno fatto in fretta» disse. «Era ridotta male» borbottò Gordon. «Per fortuna al pronto soccorso c'era solo un ragazzo con un dito rotto. Shannon ha detto che quando sono scese dall'ambulanza erano già pronti la sala operatoria e un chirurgo. Hanno detto che l'abbiamo portata appena in tempo. Rimarrà fuori uso per un po'. Probabilmente qualche settimana. Niente di grave.» «Dov'è mio fratello?» chiese Quinn. «In fondo al corridoio, proprio davanti alla sala operatoria» disse Gordon. Lo fissò per cercare di leggere qualcosa nell'espressione di Quinn, poi scrollò le spalle. Forse non aveva voglia di saperne di più. «Sembrava molto preoccupato.» «Sì, preoccupato» borbottò Ben, mentre prendeva a pugni la macchina del caffè. «Ma perché questi dannati affari non funzionano mai?» Si voltò a guardare gli altri. «Un'appendicite. E piuttosto grave. Ma di questi tempi è quasi un sollievo.» Il silenzio che scese nella sala non era dovuto alla stanchezza o alla preoccupazione. Shannon e Sam si paralizzarono. «Penso che dovremmo annullare il Gator Gala» mormorò Shannon. «Cosa?» Rhianna si raddrizzò di scatto sulla sedia. «Ci sono state troppe tragedie» continuò Shannon. «Prima Lara, poi quella donna sulla spiaggia vicino alla scuola.» «È triste» intervenne Justin, «ma a Miami ci saranno sempre dei morti. Sai quante persone sono state gettate in acqua e di cui noi, probabilmente, non sapremo mai niente? E poi nessuno di noi conosceva quella donna.» «Conoscevamo Lara. E prima di lei c'è stata Nell» disse Shannon. «È stata uccisa dal marito» precisò con durezza Sam. «Non possiamo annullare il Gator Gala. Ci è già costato troppi soldi» borbottò Gordon. Shannon li fissò tutti. «Ho paura. Paura che possa accadere ancora qualcosa a qualcuno. Siamo sinceri, almeno per una volta. Abbiamo tutti paura.» Quinn osservava le loro reazioni in silenzio. Prima che qualcuno potesse parlare si aprì la porta della sala d'attesa. Entrarono Mina e Richard Long. «Pensavo che foste andati a casa» disse Ben. «Eravamo diretti a casa» confermò Mina.
«Ma poi ci siamo resi conto che non saremmo riusciti a dormire se non sapevamo come stava Jane» spiegò Richard. «È sotto i ferri, adesso» li informò Gordon. «Ce l'hanno detto.» «La vostra diagnosi era giusta.» «Bene, si riprenderà presto» disse Richard. «Meglio di così non le poteva andare, non era sola ed è stata soccorsa subito. Poteva finire molto peggio.» «Di cosa stavate parlando?» chiese Mina. «Shannon vuole annullare il Gator Gala» disse Justin. «No.» Richard si sedette, senza smettere di fissare Shannon con espressione accigliata. «Mancano ancora tre mesi e per quella data Jane sarà in ottima forma.» Gabriel Lopez si avvicinò a Shannon e le posò un braccio sulle spalle. «Ascoltate, Jane ha molti studenti e per un po' non sarà in grado di seguirli» disse Shannon. «Preparava anche qualcosa con te, vero Ben? Aveva un carico di lavoro molto pesante. Non potrà fare tutto.» Ben si avvicinò a Shannon. «Puoi ballare tu con me, sai che sono bravo.» «Nessuno mette in dubbio la tua bravura. Non è questo il punto.» «Jane si riprenderà presto e nel suo malore non c'è niente di sospetto. Ci impegneremo tutti a coprire la sua assenza» rispose Ben. «Anche se ballerò con te, ci manca comunque un istruttore.» «Mi è venuta un'idea» disse Sam all'improvviso. «Marnie. Quella ragazza ha un talento naturale incredibile, mai visto niente di simile. Shannon, davvero, in poche settimane posso fare di lei un'insegnante, almeno per gli studenti alle prime armi.» «Per poter insegnare deve imparare tutti i passi, della donna e dell'uomo. Non riuscirai mai a farcela in tempo» borbottò Shannon. Justin scrollò le spalle. «Mi ha detto che da piccola ha fatto anni di balletto, danza moderna e hip-hop. Sa già molto.» «E ha un talento naturale» aggiunse Rhianna. «Ci penseremo noi, vero Justin? Ti prego, non annullare il Gator Gala» disse Sam. Shannon sospirò. Guardò Quinn, che era dall'altro lato della stanza. «Cosa ne pensi?» «Del Gator Gala?» chiese, sorpreso. «Sono l'ultimo arrivato e il più imbranato. Come faccio a sapere quello che accadrà in tre mesi?»
Shannon rise e scosse la testa. «E Marnie, sarà d'accordo?» «Stai scherzando? Quella ragazza ucciderebbe pur di diventare istruttrice» disse Rhianna. Il silenzio scese nella stanza. La scelta di parole di Rhianna non era proprio la più indicata al momento. «Le ho promesso di chiamarla per dirle come sta Jane» mormorò Quinn. «Posso chiederglielo.» «Fallo subito» disse Gordon. Fissava Shannon. «Non possiamo annullare il Gator Gala. È impossibile. Ormai siamo troppo avanti con l'organizzazione.» Doug entrò in sala d'attesa. Aveva un'aria distrutta ma sollevata. «Non mi lasciano stare con lei, ma è fuori dalla sala operatoria e dicono che è andato tutto bene.» Ci fu un sospiro di sollievo collettivo. «Tesoro, dobbiamo andare a casa» disse Mina Long al marito. «D'accordo. Buonanotte a tutti» mormorò Richard. Anche Gabriel si alzò. «Non c'è più bisogno che restiamo tutti qui.» «Torni al club, Gabriel?» chiese Gordon. «Sì.» Scrollò le spalle. «Non sono stanco. Fino alle cinque c'è sempre qualcuno.» «Non ricordo se ho chiuso a chiave la scuola. Ti spiace controllare?» «Figurati.» «Puoi darmi un passaggio?» chiese Katarina. «Ho lasciato lì la macchina.» «Va bene.» «Io vado a casa» annunciò Gordon alzandosi. «Penso che dovremmo andare tutti» commentò Rhianna con uno sbadiglio. «Io mi fermo ancora un po'. Voglio vedere Jane quando si sveglia» disse Shannon. «Come fai?» chiese Ben. «Anche tu hai la macchina alla scuola.» «Io resto» intervenne Quinn. «Sì, anch'io pensavo di fermarmi ancora un po'» disse Doug. Gordon fissò Shannon. «Buonanotte» si limitò a dire lei. Gordon annuì. Poi se ne andarono tutti. In sala d'attesa rimasero solo Doug, Shannon e Quinn. «È stata davvero solo un'appendicite?» chiese Shannon, mentre crollava
a sedere. Doug si sedette accanto a lei e le prese la mano. «Sì. Semplice appendicite.» Shannon si accasciò contro lo schienale con un respiro di sollievo. Poi si sollevò di scatto e guardò Quinn. «Si sa qualcosa della donna della spiaggia?» «Non ci sono novità» rispose lui, «ma spero di averne presto.» Quinn prese il cellulare e compose il numero di Marnie. Quando le spiegò che gli insegnanti avevano pensato di offrirle un lavoro, la ragazza urlò così forte che Quinn fu costretto ad allontanare il telefono. «Cioè, mi dispiace tantissimo per Jane, credi che se la prenderà con me? Oddio, mi sembra un sogno che si avvera. Ieri ero per strada e oggi sono una ballerina.» Scoppiò a ridere. «E mica di un locale squallido dove devo ballare contro un palo. No. Sto per diventare istruttrice di ballo. Vorrei poterti baciare. Tutti quanti resteranno stupiti dall'impegno che ci metterò. Ringrazia Shannon e Gordon in particolare, grazie, grazie ancora!» «Penso che Shannon sia riuscita a sentirti» borbottò Quinn. «C'è un problema però» disse Marnie all'improvviso. «Cosa?» «Come faccio a raggiungere la scuola da qui?» Parlava ancora a voce così alta che anche Shannon e Doug la sentirono. «Dille che può stare a casa mia. Dentro casa, questa volta» propose Shannon. Quinn la fissò per qualche secondo, poi ripeté a Marnie la proposta. Seguì un'altra ondata di ringraziamenti. «Non se ne pentirà. Terrò pulita la casa, cucinerò. Farò qualsiasi cosa» disse Marnie. Shannon prese il telefono. «Vedi solo di impegnarti a diventare una brava maestra. Avrai già abbastanza da fare. E vedi di lavorare anche per te stessa. Il mondo delle gare è là fuori che ti aspetta.» Quinn sentì Marnie protestare che non sarebbe mai stata così brava. Shannon scosse la testa. «Fatti un bel sonno, Marnie. Ne hai bisogno.» «Grazie, grazie ancora.» «È una fortuna per noi e ci stai facendo un favore.» Shannon sorrise e restituì il telefono a Quinn, che in qualche modo riuscì a calmare Marnie e a chiudere la telefonata. «È un peccato non aver pensato subito a offrirle un lavoro» mormorò
Shannon. «Sono tanti gli insegnanti che cominciano senza sapere niente e che non hanno la metà del talento di quella ragazza.» «Destino» disse Doug dal suo angolo. «Cosa?» Shannon e Quinn si voltarono a guardarlo. «A volte il destino fa le cose giuste» proseguì. «Marnie aveva bisogno di una vita e adesso ce l'ha. Jane si riprenderà presto e Marnie avrà il lavoro che ha sempre desiderato.» Entrò un'infermiera che li informò che era possibile vedere Jane per qualche minuto. Quinn restò in sala d'attesa, mentre Doug e Shannon seguivano l'infermiera. Poco dopo il fratello tornò. «C'è una sedia reclinabile» disse Doug a Quinn. «Shannon ha deciso di fermarsi per la notte.» Quinn annuì. Poi guardò Doug, «Tu stai bene?» Doug fece cenno di sì. «Comincio presto domani mattina.» Scosse la testa. «Stasera, all'inizio, mi sono spaventato davvero. Mi è sembrato di vivere un terribile déjà vu.» «Era appendicite.» Doug lo guardò. «Ma c'è qualcosa che non va. Avevo visto giusto, quando ti ho trascinato in questa storia, vero?» «Sì, credo proprio di sì.» «Ancora non capisco. La donna sulla spiaggia cosa c'entra? Quale collegamento potrebbe esserci?» «Non lo so» borbottò Quinn. «Ma qualcosa c'è e ho tutte le intenzioni di scoprirlo.» La mattina successiva, Jane si svegliò con un lamento. Shannon si precipitò accanto a lei. Jane spalancò gli occhi. «Sei rimasta qui tutta la notte?» «Certo.» «Devi essere distrutta.» «A dire la verità, la sedia era piuttosto comoda.» Jane si sforzò di sorridere. Poi guardò angosciata Shannon. «Sto davvero bene?» «Sì, stai bene. Si è trattato di una banalissima appendicite.» Jane cercò di sorridere. «Jane, quando eri a terra hai detto che eri stata avvelenata. C'è qualcosa in particolare che ti ha fatto pensare che qualcuno volesse avvelenarti?»
chiese Shannon. «Poco prima eravamo vicino alla macchina del caffè e Mina Long ha detto che non riusciva a credere che Lara fosse stata così stupida da prendere tante pillole. L'alcol non la stupiva, l'aveva vista più volte bere parecchio e poi scendere in pista come se nulla fosse. Mina ha aggiunto che forse qualcuno poteva averle sciolto delle pasticche in un drink, o qualcosa del genere. Poi ho bevuto il caffè e subito dopo mi è sembrato di morire.» «Adesso capisco» disse Shannon, che aveva già preso la decisione di non bere mai più un caffè alla scuola. «Sciocco, vero?» «Adesso stai bene. È questo l'importante.» Jane la guardò. «Mi hanno detto che sono arrivata appena in tempo.» «Ora non pensarci.» Jane scosse la testa. «Che ne sarà dei miei studenti?» «Andrà tutto bene.» «Come? Gli insegnanti sono troppo pochi.» «Abbiamo pensato di prendere Marnie e di farle un corso intensivo perché possa seguire i principianti.» «Marnie?» disse Jane sorpresa. Poi soppesò l'idea. «Può farcela, se qualcuno si dedicherà interamente a lei. Anch'io non sapevo molto quando ho cominciato. Però c'è un problema.» «Quale?» «Cosa succede se gli studenti la preferiscono a me?» Shannon scoppiò a ridere e le strinse la mano. «Abbiamo fin troppi studenti. E sai quanto bene ti vogliono. Non preoccuparti.» «Speriamo» sospirò Jane. «Adesso vado, torno più tardi. Fra poco arriverà l'infermiera. Devo passare da casa a fare una doccia prima di andare alla scuola.» «Certo. Grazie di aver passato la notte qui.» Shannon esitò. Aveva sempre pensato che fosse meglio fingere di non sapere. Ma in quel caso non seppe trattenersi. «Se non mi fossi fermata io, lo avrebbe fatto qualcun altro.» «Chi?» chiese Jane, che era già arrossita. «Doug O'Casey.» «Davvero?» Jane non riuscì a nascondere un sorriso. «Sì.» «Tanto lo sai, vero? No, non importa.» «Cos'è che dovrei sapere?» chiese Shannon.
Jane scosse la testa. «Non posso proprio dire che Lara mi mancherà molto.» «In che senso?» «Niente.» «Jane...» «D'accordo. È un da un po' che provo "quello che non dovrei" per Doug. Ma poi ha incontrato Lara e ha perso la testa per lei. Adesso Lara non c'è più. E lui non solo pensa che io sia un'insegnante meravigliosa, ma anche... niente, non è importante.» Shannon esitò, prima di parlare. «In questi giorni penso che sia meglio non fidarsi di nessuno» disse piano. «Doug è un poliziotto.» «Lo so.» «Allora...» «Penso solo che dovremmo dubitare di tutti.» «Lara è stata uccisa» affermò decisa Jane. «Sai bene che fra i professionisti non sono pochi quelli che avrebbero voluto vederla morta.» «Possibile. Ma negli ultimi tempi c'è qualcosa alla scuola che non mi convince. Un rumore che non riesco a spiegarmi. Farò qualche indagine, devo scoprire da dove proviene.» «Shannon, ti prego, vedi di non restare mai da sola. Non fare indagini per conto tuo.» «C'è il club al piano terra e Katarina sullo stesso pianerottolo. Adesso mettiti giù buona e stai tranquilla.» «Agli ordini» disse Jane. «Non mi sembra di avere molta scelta, sbaglio?» Shannon la baciò sulla fronte e la lasciò. Voleva prendere un taxi fino a casa e poi arrivare presto alla scuola. Si sarebbe chiusa dentro e avrebbe cercato di scovare l'origine di quel rumore che la inquietava tanto. Era stanca di vivere nella paura. Qualche indagine... Stava per entrare nella stanza, quando aveva sentito la voce di Shannon. Con i fiori in mano, era rimasto fuori dalla porta, in ascolto. No, Shannon, piccola incosciente. Non essere curiosa. Non essere stupida. Mentre era fermo lì, aveva capito di non avere scelta. Shannon Mackay sarebbe stata bella quanto Lara Trudeau.
Dentro una bara. Quando aveva capito che Shannon stava per uscire, era tornato sui suoi passi, aveva lasciato cadere i fiori, superato due infermiere e un'anziana signora su una sedia a rotelle, e aveva percorso in fretta il corridoio. Si era voltato e aveva visto Shannon. Senza attendere l'ascensore, si era precipitato per le scale. Una volta arrivato nell'atrio, era furioso con se stesso. Si era comportato da perfetto idiota. Sarebbe dovuto entrare, in fondo stava solo portando dei fiori. Attese fino a quando vide Shannon salire su un taxi. Tornò dentro l'ospedale, salì in ascensore, recuperò i fiori che erano ancora a terra e socchiuse la porta della camera di Jane. Si era riaddormentata. Uscì in corridoio ed entrò in una stanza a caso, dove posò i fiori sul comodino accanto al letto di una signora anziana. «È il tuo giorno fortunato, dolcezza» mormorò, poi abbandonò l'ospedale. Quando fu di nuovo fuori, al sole, la rabbia non diminuì. I poliziotti dicevano sempre che gli assassini prima o poi commettono qualche errore. Fuggire così era stato stupido. Cosa gli era preso? Poteva entrare ovunque, in qualsiasi momento, e comportarsi in modo normale. Non avrebbe sbagliato. Era troppo bravo e troppo in gamba. D'ora in avanti sarebbe stato più attento. Richard Long divideva uno studio elegante con il dottor Bertrand Diaz e potevano vantare entrambi una vasta clientela. Quando Quinn arrivò, la sala d'aspetto era piena di donne, tutte molto belle, anche se avevano un'aria tirata e finta. Se non altro Long lavorava bene. Quinn parlò con la segretaria. Con sua sorpresa, nonostante le persone in attesa, il dottor Long lo ricevette quasi subito. Richard Long sembrava piacevolmente stupito di vederlo. «Sono sicuro che non sei qui per le mie doti di chirurgo, vero Quinn?» chiese. Si appoggiò a un angolo dell'ampia scrivania di mogano con le braccia incrociate e un'espressione divertita. «Allora, a cosa debbo il piacere di questa visita?» «Ho pensato che avresti potuto aiutarmi.» «Come?» «Mi è venuto in mente che tu e tua moglie siete medici.» «Allora?»
«Secondo te, in che modo Lara Trudeau ha ingerito i tranquillanti?» Long lo fissò per diversi secondi e mentre lo faceva il suo viso cambiò più volte espressione. «Per caso ti sei fatto l'idea che io le abbia procurato illegalmente le pillole? Lara non era una mia paziente. Non l'avrei mai accettata. Sarebbe stata troppo esigente.» «Allora, secondo te, come ha fatto a ingerire tanto Xanax?» Long socchiuse gli occhi. Era irritato. «Tu chi diavolo sei? Con quale diritto vieni qui a farmi domande? Mi sembrava di aver capito che il poliziotto fosse Doug e che tu fossi un pescatore o qualcosa del genere.» «Investigatore privato» precisò Quinn. Non aveva niente da guadagnarci a tenerlo nascosto. Forse la verità poteva essere più utile. «Assunto da chi?» «Non posso permettermi di rivelare il nome del mio cliente.» «Mi spiace, io non posso permettermi di sprecare altro tempo. Non ho mai dato a Lara alcuna ricetta per i tranquillanti. Aveva il suo dottore. Interroga lui.» «Già fatto. Speravo solo che tu potessi fornirmi qualche suggerimento. Anche tua moglie è...» «Non azzardarti a disturbarla. La reputazione di mia moglie è immacolata. Posso garantire che neppure lei ha dato a Lara una ricetta o medicinali di qualunque tipo.» «Un'ultima domanda. La sera della gara hai visto per caso Lara da sola con qualcuno?» «Se ci fossi stato anch'io non sarebbero stati soli» precisò Long in tono acido. «Hai capito benissimo cosa ti sto chiedendo.» «Ero molto occupato il giorno della gara» borbottò Long. «Questo è il mio lavoro, ma la danza è la mia passione. Partecipavo come dilettante e dovevo seguire la mia categoria.» Quinn si alzò. «Mi dispiace averti rubato tempo prezioso.» «Avresti potuto farmi queste domande alla scuola» disse Long. «C'è sempre troppa gente alla scuola.» «Lara ha fatto tutto da sola. È la mia opinione professionale. Mi dispiace, Quinn, ma ho diverse persone in sala d'attesa.» «Certo. Capisco.» Quinn posò la mano sulla maniglia. «Se cerchi qualcuno che è rimasto da solo con Lara, allora faresti bene a guardare più vicino a casa.»
Quinn si voltò. «Molti studenti sono convinti che avesse una storia con Lara» proseguì Long. «Parlane con lui. In effetti, ora che ci penso, Doug è riuscito a restare solo con lei, fuori, sul balcone di comunicazione fra gli spogliatoi. È stato poco prima dell'esibizione di Lara. E sono convinto che stessero litigando. Se hai bisogno di aiuto, Quinn, vai da tuo fratello. Fai a lui qualche domanda.» «Grazie» borbottò Quinn, riuscendo a controllare la voce. Poi uscì dallo studio. Doug! Maledizione. Perché tutto tornava sempre a suo fratello? E perché Doug non gli diceva la verità? Tutta la verità? 19 Shannon era furiosa. Era presto. Aveva fatto la doccia di corsa e si era precipitata alla scuola solo per scoprire che Gordon era arrivato prima di lei. C'erano anche Ella e Ben. Ella riordinava alcuni documenti, Ben studiava da solo dei nuovi passi e Gordon era al telefono. Quando la vide, le fece cenno di entrare nell'ufficio. «Capisco, Richard» stava dicendo Gordon. Shannon si sedette davanti alla scrivania e Gordon le fece una smorfia. «Sì, Richard, ero al corrente della sua professione.» Seguì un momento di silenzio, mentre Richard parlava dall'altro capo. «Secondo me voleva solo chiederti qualche consiglio e non certo accusarti, sappiamo tutti che nessuno metterebbe mai in dubbio la professionalità tua o di Mina.» Di nuovo silenzio. «Ma no. Tu e Mina dovete partecipare alla crociera. Come vuoi» disse Gordon con un sospiro. «Sentiremo la vostra mancanza.» Gordon riagganciò. «Richard Long?» chiese Shannon. «È molto arrabbiato. O'Casey è stato al suo studio a fargli un sacco di domande.» «Perché?» «È un dottore. E un dottore può fare ricette per le medicine.» «Ma Lara aveva le ricette del suo medico» osservò Shannon. Gordon alzò le spalle. «Comunque sia, il dottor Long è furioso. Mi ha detto che non intende partecipare alla crociera e che forse smetterà di veni-
re a lezione.» «Non ti sei impegnato molto per fargli cambiare idea» disse Shannon. «Vuoi che lo chiami io?» Gordon scrollò la testa. «Vedrai che richiama fra poco. Al massimo entro mezzogiorno. Richard si crede la reincarnazione di Fred Astaire. Non smetterà mai di venire.» «Mi auguro che tu abbia ragione» borbottò Shannon. «A proposito, Jane si sta riprendendo. L'ho lasciata stamattina presto, ma era già sveglia.» Gordon annuì. «Sono passato a salutarla. Mi ha detto che eri appena andata via. Ho parlato con il chirurgo. Dovrà restare in ospedale per due o tre giorni, poi a casa a riposo per un po'.» «Forse ieri sera mi sono fatta prendere dal panico, tornerà a insegnare prima di quanto non pensassi.» Gordon ci rifletté. «Panico o no, è comunque servito a qualcosa. Sono convinto che la ragazza sarà un ottimo investimento per la scuola.» Si appoggiò alla spalliera, perso nei suoi pensieri. «Spero solo che non cambi mai. È così piena di entusiasmo ed energia. Adora la danza ed è felice di essere qui. Anche Lara era così quando l'ho incontrata. Poi, però, si è montata la testa.» «Spero anch'io che non cambi, perché le ho detto di venire a stare da me» gli annunciò Shannon. «Parli del diavolo...» disse Gordon. Shannon si voltò. Marnie era sulla soglia. «Mi dispiace, non volevo interrompervi. Quinn mi ha mollata qui. Con le mie cose. Non occuperanno molto posto. Ho pensato che fosse meglio cominciare prima possibile.» «Ottima idea» disse Shannon. Si alzò e con un sorriso le passò un braccio sulle spalle. «Andiamo. La prima lezione la farai con me. Sono in anticipo.» Le fece l'occhiolino. «E poi sono la migliore.» Quando entrarono nella sala da ballo, Shannon si accorse che Quinn non si era limitato ad accompagnare Marnie. Si era fermato. Era vicino alla macchina del caffè. Ben era con lui. Smisero di parlare appena Shannon si avvicinò. «Caffè, Shannon?» chiese Ben. Lei esitò, ripensando a quello che le aveva detto Jane. Poi si diede della stupida. «Sì, grazie.» «Ho visto Jane» annunciò Ben.
«Anche tu? Anche Gordon.» Ben rise. «All'ospedale tireranno un sospiro di sollievo il giorno che Jane se ne andrà. Quando sono arrivato Gordon era appena stato lì. Il signor Clinton ha portato fiori e cioccolatini. Doug è salito per salutarla. E mentre uscivo ho visto Gabe e Katarina arrivare insieme. Sono pronto a scommettere che tutti gli insegnanti passeranno a vedere come sta.» Shannon sorrise. Un tempo era quello il bello della scuola. Capitava che litigassero di tanto in tanto, ma erano sempre solidali e affettuosi tra loro. Adesso era tutto cambiato. Sembrava che un'ombra fosse calata sulla Moonlight Sonata. Ben le porse la tazza. «Ehi, piccola, bevi caffè?» chiese a Marnie. «Certo. Sono maggiorenne» rispose lei. «Speriamo che si limiti a bere caffè» mormorò Quinn. Marnie gli fece una smorfia, ma lo guardò con ammirazione. «Un caffè veloce. Cominciamo subito» disse Shannon. «Davvero? Speravo di riuscire a fare lezione» mormorò Quinn. «Non siamo ancora aperti, Quinn» gli rammentò Shannon. «Mi dispiace.» «Se vuoi comincio io con Marnie» suggerì Ben. «Sono arrivato prima perché non riuscivo a dormire.» «Sì, ma...» «Non ti preoccupare, Marnie ha così tanto da imparare, comincerò con i passi base e ti lascerò le rifiniture.» «Ho bisogno di fare lezione» insistette Quinn. «Va bene» disse Shannon, a cui non veniva in mente un'altra scusa. «Andiamo, allora.» Precedette Quinn verso lo stereo e inserì un fox-trot. «No, lavoriamo sul valzer» protestò lui. «Sai già ballare il valzer. E nel fox-trot sei un disastro.» «Ma il valzer è il mio pezzo libero.» «Se hai intenzione di competere devi imparare il fox-trot.» «No, tu vuoi farmi ballare il fox-trot perché sai che lo odio.» Quinn sorrise. «Prometto che imparerò anche il fox-trot. Ma oggi vorrei ballare il valzer. Voglio fare uno dei migliori Mulini a vento della storia.» Shannon sospirò. «Va bene.» Inserì un valzer e gli scivolò fra le braccia. Quinn ballava con grazia, senza sbagliare un passo. «Hai combinato un bel guaio» disse Shannon.
«Uno solo?» «Richard Long ha deciso di non partecipare alla crociera.» «Scommetto che alla fine verrà.» «È quello che ha detto Gordon. Ma resta il fatto che sei stato al suo studio e l'hai accusato di procurare medicine in modo illegale.» «Non è vero.» «Non sei stato da lui?» «Sono stato da lui ma non l'ho accusato. Gli ho solo fatto qualche domanda.» «Solo» ripeté Shannon ironica. «È il lavoro degli investigatori. Fare domande.» La guardò. «Proprio come ho fatto con te. Una cosa decisamente orribile.» Shannon scosse la testa. «E adesso? Stai perdendo tempo?» «No, sto indagando.» «Su di me?» chiese. «Pensavo che avessi finito con me.» Quinn scosse la testa. «Non del tutto.» «Che cosa non sai di me?» «Come ti sei rotta la caviglia?» Shannon inspirò e scosse la testa. «Mi sono rotta la caviglia perché non ero abbastanza brava. Ti basta?» «Non è vero.» Shannon sospirò. «Eravamo a una gara. In quel periodo facevo coppia con Ben e Lara con un certo Ronald Yeats. Eravamo tutti in pista. Un valzer viennese. Lara mi è venuta addosso, sono caduta con lei e la caviglia si è rotta.» «Quindi è stata Lara la causa di tutti i tuoi mali.» «E per questo l'ho uccisa?» «L'hai fatto?» chiese Quinn di rimando con un'espressione scherzosa solo a metà. «No» scattò Shannon. «Non l'ho mai pensato. Ma...» «Ma cosa?» «Resti comunque una vigliacca. E lo sai.» «Dove vuoi arrivare?» Non le rispose. Si mossero leggeri per la pista, seguendo i passi della coreografia. Poi Quinn la sollevò, la fece girare in una impeccabile esecuzione del Mulino a vento e la condusse infine nella posizione giusta per un inchino perfetto.
Shannon lo guardò. «Tua madre dev'essere un'ottima ballerina.» «È così.» «Davvero? O è solo un'altra delle tue bugie?» «È la verità.» «Sarà anche la verità, però non è tutta la verità. Perché non hai mai parlato dell'FBI? E perché l'hai lasciata? Inoltre sia tu sia Doug date l'impressione di non avere problemi di soldi. Traffico di droga nel tempo libero?» Quinn scosse la testa. «I poliziotti non guadagnano molto, gli agenti dell'FBI neppure e gli investigatori se la cavano. Mio padre è morto qualche anno fa e ci ha lasciato parecchio denaro.» «Era lui che trafficava con la droga?» «Immobili. È venuto qui quando i terreni non costavano quasi niente, ne ha comprati molti e ha fatto dei bei soldi. Per quanto mi riguarda, cerco di non usarli. Non so neppure io perché, ma so che mi piace vivere di quello che guadagno. Vuoi chiamare la mia banca e fare un controllo?» «Forse.» Quinn scrollò le spalle e Shannon ebbe l'impressione che per lui non esistesse niente di impossibile. «Vado a rimettere la musica» disse. L'indagine finanziaria era terminata. Dopo aver ripetuto il valzer diverse volte, passarono al fox-trot. Un fallimento totale. Shannon però si rese conto che le piaceva insegnare a Quinn. Le piaceva quel suo sorriso triste quando non riusciva a capire le istruzioni che gli dava e quel lampo negli occhi quando invece gli era tutto chiaro. Le piaceva il suo profumo, le piaceva il contatto delle sue mani sulla pelle. Fu stupita quando d'un tratto Quinn borbottò: «Adesso basta, ci siamo spinti troppo oltre, devo andare». Si erano davvero spinti troppo oltre, pensò Shannon. Lo fissò. «Sei riuscito a non rispondere alla mia domanda. Perché hai lasciato l'FBI?» Quinn esitò e il suo sguardo diventò indecifrabile. «Ho commesso un errore. Un grosso errore» disse alla fine. Shannon lo guardò, poi scosse la testa. «Sei proprio un bel tipo.» «Perche?» «Dici a me che sono codarda, ma tu sei peggio. Un solo errore e molli tutto.» Quinn non le rispose. Girò sui tacchi, disse qualcosa a Marnie e a Ben e uscì dalla porta sul retro. Shannon lo seguì, ma la porta si era già chiusa. Mentre era ancora lì, incerta sul da farsi, lo sentì.
Sentì di nuovo quello strano rumore. Non riusciva a capirne la provenienza. Veniva dall'interno o dall'esterno? Ben aveva alzato il volume della musica e Shannon si precipitò a spegnere lo stereo. «Che cosa fai?» esclamò Ben stupito. «Non l'hai sentito?» «Sentito cosa?» chiese Ben, che cercava di non far trasparire troppo l'irritazione. «Quel rumore.» «Ci sono rumori ovunque, Shannon. Di quale rumore parli?» «Non importa» disse lei. «Quando avete finito, fai riposare Marnie, poi controllerò cosa ha imparato.» Li lasciò e andò nello spogliatoio delle donne. Niente. Eppure... Decise che il rumore proveniva dal retro della scuola. Ma da dove con esattezza? E cosa diavolo era? Quinn trovò il fratello da Nick. Per fortuna era da solo. Aveva un'aria distrutta. Si sedette di fronte a lui. «Sembri un cadavere.» «Sì, sono stanco» ammise Doug. «Perché sei in pausa pranzo?» chiese Quinn. «Che domanda è?» «So che questa mattina hai già fatto una pausa per andare da Jane.» Doug arrossì. «Dovevo farlo.» «Quando si è di pattuglia non ci si comporta così.» «Sono stato via solo pochi minuti. Ma cosa ti prende? Perché mi aggredisci come un sergente tiranno?» «Hai litigato con Lara durante la gara. Per cosa?» chieseQuinn. Doug evitò di guardarlo negli occhi e si concentrò su un punto lontano. «Litigato?» «Sì, litigato. Sul balcone, fuori dagli spogliatoi.» «Ero arrabbiato.» «Per cosa?» «Per il suo comportamento.» «Quale comportamento?» «Lara aveva bevuto, più del solito. E si comportava come se volesse sedurre tutti gli uomini della sala.»
«Hai sempre saputo che era una facile.» «Questo non vuol dire che la cosa mi andasse bene. Quel giorno poi era in splendida forma. Non la smetteva di parlare dei viaggi meravigliosi che aveva intenzione di fare.» Esitò. «Una volta le ho detto che, anche se ero un semplice poliziotto, potevo permettermi tutte le lezioni che volevo perché avevo ereditato molti soldi. Forse è per questo che si è interessata a me. Ma quel giorno mi annunciò che se qualcosa non mi stava bene, potevo pure togliermi dalle scatole. Che lei voleva essere libera di andare a letto con chi le pareva e che non aveva bisogno di soldi, perché aveva trovato una fonte che avrebbe provveduto a tutte le sue esigenze. Ero convinto che parlasse così perché era ubriaca. Le ho detto che secondo me aveva bevuto troppo. Mi ha risposto che era in grado di ballare in qualsiasi condizione, che era la migliore e che io dovevo solo girare al largo.» «E poi?» chiese Quinn. Doug si strinse nelle spalle. «L'ho fatto. Me ne sono andato.» «Non hai visto nessun altro con lei?» Doug scosse la testa. «Sono andato a sbollire la rabbia. Ho cercato di ripetermi che non mi importava e che avevo sempre saputo che non sarebbe mai stata una cosa seria. Poi l'ho vista ballare e mi sono reso conto che era incapace di innamorarsi di un uomo, perché era troppo innamorata di se stessa, di Lara Trudeau. Non solo del ballo. Di quello che diventava quando era sulla pista, quando tutti la desideravano. O la odiavano.» Prese un sorso di tè freddo. «Hai scoperto qualcosa?» Quinn annuì. «Sì, ho scoperto che i due principali sospetti siete tu e Shannon Mackay.» Si alzò. «Vedi di non fare tardi al lavoro.» Quinn andò alla barca e si mise sul ponte a rileggere i dossier e gli appunti. "Trovare il cameriere." Il cameriere l'aveva trovato. Vicolo cieco. Ma c'era qualcosa che lo tormentava. Qualcosa che Manuel Taylor aveva detto. Tirò fuori l'elenco dei nomi che gli aveva passato Jake, senza riuscire a ricordare di cosa si trattasse. Esitò, poi decise di telefonargli. Gli rispose la segreteria e lasciò un messaggio. «Ciao, sono Quinn O'Casey. Hai detto che ti sarebbe piaciuto lavorare su una barca. Sei libero sabato sera?» Riappese e chiamò le Keys per accertarsi che Dane non avesse problemi a spostare la barca per la festa di sabato sera.
Poi imprecò fra sé. Si era completamente dimenticato dell'impianto d'allarme a casa di Shannon. Anche Marnie adesso viveva lì, non voleva che le due donne restassero senza protezione. Prese la rubrica e compose un numero, con la speranza che i suoi vecchi amici della zona si ricordassero ancora di lui. Carlos non lo deluse e disse che poteva eseguire il lavoro quel giorno stesso, verso le cinque e mezzo. «Un lavoretto extra» osservò Carlos allegro. «Grazie. Grazie davvero.» «Guarda che per me è lavoro» gli rammentò Carlos. «Non c'è problema.» Quinn chiuse la telefonata e riguardò il ritratto della donna trovata morta domenica, l'identikit fatto da Ashley per i giornali. Se lo mise in tasca e decise di tornare sulla costa. Più tardi, nel pomeriggio, Shannon finalmente riuscì a fermarsi. Sorrise a Marnie. «Adesso ci facciamo una vera pausa. Raccogli le tue cose. Andiamo a casa, così ti sistemi e mangiamo qualcosa.» Marnie annuì. «Ma sei sicura?» «Sono abituata a vivere sola» ammise Shannon. «Ma vedrai che ce la caveremo.» Shannon chiese a Ella di avvertire Gordon, che era nel suo ufficio con la porta chiusa, che andava a casa. Poi uscì con Marnie e si diressero alla macchina. La ragazza praticamente non aveva bagagli. Le avevano già trovato un paio di scarpe usate e Rhianna, che aveva più o meno le sue misure, le aveva dato dei jeans e delle magliette. «Non c'è una camera da letto in più, perché l'ho trasformata in sala prova» le annunciò quando arrivarono. «Ma ti farò spazio nell'armadio e il divano è comodo. Non avrai una stanza tutta tua, ma almeno c'è il televisore.» Marnie sorrise. «Ricorda che mi ritenevo fortunata già quando dormivo nel tuo cortile.» Fece qualche passo nel soggiorno. «Stavi così male a casa tua?» chiese Shannon. Marnie annuì e distolse lo sguardo. «Sono un'adulta. Un adulto deve farcela da solo. Ma quando mi sono trovata per strada, ho scoperto che era tutto molto più difficile di quanto credevo. Non sapevo neanche da che parte cominciare.» «Adesso hai un divano e un televisore» disse Shannon in tono scherzoso.
«È moltissimo. Se non fosse stato per te e Quinn...» Marnie sorrise. «Quinn è un tipo speciale, vero?» «Certo che lo è» rispose Shannon. In parte perché non voleva infrangere quello sguardo adorante, in parte perché Quinn era davvero un tipo speciale, nel bene e nel male. «Secondo me è innamorato di te» insinuò Marnie. «È uno studente» rispose Shannon, in un tono più duro del necessario. Marnie rise. «Ma ti sei accorta di come ti guarda? Se qualcuno mi guardasse così, di certo non sarei tanto stupida da farmelo scappare.» «Vado a preparare il tè» borbottò Shannon per cambiare argomento. «Lo prendi anche tu?» «Una tazza di tè caldo?» «Sì. Abbiamo quarantacinque minuti. È la pausa pranzo. Vale per tutti gli insegnanti.» «Lo so, lo so. Sono stata attenta quando mi hai fatto il discorsetto.» Mentre Shannon metteva su l'acqua, Marnie sbirciò dentro la stanza trasformata in palestra. «Fantastico!» «Anche a me piace» disse Shannon, quando Marnie tornò in cucina. «C'è proprio tutto qui. Ti manca solo l'impianto d'allarme» commentò la ragazza. «Il vicino ha un cane.» «Quinn ha detto che te ne avrebbe fatto installare uno. Forse se ne è dimenticato.» Sorrise. «Sono pronta a scommettere che farà un giro da queste parti, stanotte.» «Perché?» «Per la macchina, ovvio. La macchina che continua a passare davanti a casa tua. Mi sa che non te ne ha parlato» aggiunse in tono colpevole. «Forse non ha voluto spaventarti. Ma non credo che sia importante.» L'acqua bolliva. Nonostante il vapore che le saliva sul volto, Shannon fu percorsa da un brivido improvviso. Quando Quinn arrivò, il Suede non era ancora aperto al pubblico. Il buttafuori però lo riconobbe, lo fece entrare e andò a cercare Gabe. Quinn lo aspettò al bar, dopo aver ordinato un'acqua tonica. «Che sorpresa! Il nuovo studente. Ho sentito dire che potresti diventare bravo quanto tuo fratello» lo accolse Lopez, mentre si sedeva accanto a lui. «Posso farti portare qualcos'altro? Vuoi mangiare qualcosa?» «No, grazie. Speravo che tu potessi aiutarmi.»
«Volentieri. Se posso.» Quinn gli mostrò il ritratto di Sonya Marquez Miller. «Sto cercando di scoprire se questa donna è mai stata al club.» Gabriel Lopez scosse la testa. «La polizia è venuta qui subito dopo il ritrovamento del corpo sulla spiaggia. Ho chiesto a tutti i dipendenti di dare un'occhiata all'identikit. Nessuno l'ha mai vista. Non hanno ancora scoperto cosa le sia successo?» «Si è trattato di un'overdose» disse Quinn. «Vorrei poter essere di aiuto.» Esitò. «Lo sai, nei weekend sulla costa succede di tutto. A Miami non ci sono frontiere per la mafia e la criminalità: russa, italiana, cubana, poi ci sono i colombiani. Qualcuno mi ha anche parlato di trafficanti che vengono da Haiti. Pensa a una qualsiasi nazione del Sudamerica e puoi star certo che la sua delinquenza è arrivata fin qui. Venerdì e sabato notte il locale si riempie. La maggioranza però sono persone perbene che vogliono solo divertirsi un po'. Fidati, si tratta di dirigenti, gente perfettamente a posto dal lunedì al venerdì, dalle nove alle cinque, che nei weekend cerca l'evasione e spesso la droga. Ma noi siamo riusciti a tenere pulito il club. I baristi e i camerieri sanno che nessuno può ubriacarsi qui dentro. Li mandiamo via. Il locale è famoso anche per i controlli dei documenti.» «Sì, l'ho sentito. Speravo solo che tu l'avessi vista.» «L'avrei già detto alla polizia. Vieni alla lezione di gruppo di stasera?» «No, stasera no.» «Non smettere con il ballo, però. Torna pure quando vuoi.» «Grazie.» Quinn scese dallo sgabello. «Fai un po' di lavoro per tuo fratello?» Quinn si voltò. «Non sapevo che fossi anche tu un poliziotto» spiegò Lopez. «Non lo sono» precisò Quinn. «Investigatore privato.» «Bene. Ti ha assunto la famiglia della donna?» «Non posso dirlo.» «È un segreto?» «È un diritto del cliente» rispose Quinn. «Ci vediamo. Ci sarai in barca sabato notte?» «Puoi contarci.» Quinn uscì dal Suede e salì al secondo piano. Scoprì che Shannon era andata a casa. Telefonò e gli rispose Marnie. Le disse di avvertire Shannon di non spaventarsi, perché di lì a poco sarebbe arrivato un ragazzo a instal-
lare l'allarme. Marnie urlò qualcosa a Shannon. «Ha detto che dobbiamo tornare al lavoro» spiegò poi a Quinn. «Ho capito, allora arrivo subito.» Quinn chiuse la comunicazione prima che potessero protestare. Quando arrivò a casa di Shannon, Carlos Rodriguez era già arrivato e Shannon stava per uscire. «Di solito se ne parla con il proprietario, quando si ordina qualcosa per la sua casa» disse Shannon. «Ne abbiamo parlato. Hai bisogno dell'allarme» rispose Quinn, poi aggiunse spazientito: «Lo pagherò io, se è questo il problema». «Con il tuo patrimonio?» disse lei gelida. «Non essere ridicolo, guadagno abbastanza bene.» Era rigida e distaccata. Quinn avrebbe voluto accarezzarle il viso. Sfiorarle la guancia con il pollice, infilare le dita nei suoi capelli. Attirarla con forza a sé. Tutto il suo corpo reagì al solo pensiero. Il ricordo della sensazione dei loro corpi a contatto bastò a mandarlo in confusione. «Devo tornare al lavoro. Dato che sei stato tu a chiamarlo, vedi di fermarti finché non hanno finito» borbottò Shannon. «Era quello che avevo intenzione di fare» rispose lui con voce roca. Marnie gli rivolse una scrollata di spalle mentre Shannon andava decisa verso la macchina, poi la raggiunse di corsa. «Te l'ho detto» sentì mormorare Quinn alla ragazza. «Prova qualcosa per te. Secondo me è innamorato.» «È questo che vuoi?» Quinn sussultò. Carlos era davanti a lui. «Cosa?» «L'impianto, vuoi un impianto standard? Finestre, porte, un quadro di controllo e una sirena che parta in caso di effrazione?» Quinn annuì, con lo sguardo ancora fisso sulla macchina di Shannon che spariva lungo la strada. 20 Mentre tornava a casa, Shannon era distrutta. Avrebbe voluto passare a trovare Jane all'ospedale, ma non c'era riuscita. Aveva finito troppo tardi alla scuola. Nonostante la morte di Lara, i ritmi di lavoro non erano rallentati. Anzi. Sembrava che tutti volessero stare alla Moonlight Sonata.
Il Gator Gala doveva servire a invogliare gli studenti a partecipare alle gare e quindi a frequentare di più. E stava funzionando. Anche l'attacco di appendicite di Jane sembrava aver fatto uscire tutti dalle loro tane. Gunter ed Helga erano passati alla scuola, dopo essere stati a trovare Jane. Anche Christie era arrivata. Doug si era fermato poco perché era diretto all'ospedale. Poi Bobby e Giselle, che venivano dall'ospedale. Erano passati anche Katarina e David. Gabriel era salito con alcuni amici del club. Nonostante avesse giurato di non mettere più piede nella scuola, c'era anche Richard Long, accompagnato dalla moglie. Non disse niente di Quinn, notò solo che non c'era. Per non parlare dei nuovi studenti e delle persone che si fermavano a chiacchierare dopo le lezioni. Shannon aveva dovuto resistere per non cedere alla tentazione di mettersi a urlare. Non aveva pensato ai rumori quando aveva lasciato la scuola. Aveva pensato soltanto che le sarebbe piaciuto non dover dividere la casa con nessuno e potersi riposare in pace. Marnie era eccitatissima; aveva lavorato tutto il giorno senza mai stancarsi. Anche Christie l'aveva osservata ballare e le aveva dato qualche consiglio. «A dire la verità mi ricorda un po' Lara» aveva detto poi a Shannon. «In quanto al talento, sì.» Christie aveva sorriso triste. «Certo non per il carattere. Lo so, non sta bene parlare male dei morti, ma c'era qualcosa di perverso e di cattivo in Lara. In Marnie, invece, ci sono solo amore ed entusiasmo. A ripensarci mi ricorda più te. Come eri una volta.» A quel punto Ben le aveva raggiunte. «Shannon ha deciso che riprenderà a ballare con me.» Il viso di Christie si era illuminato. «Davvero?» «Forse» aveva mormorato Shannon. Aveva detto a Ben che avrebbe ballato con lui. Per la prima volta quella sera aveva provato un brivido di eccitazione. Aveva pensato che poteva essere davvero possibile. E aveva dovuto ammettere che se mai fosse tornata a competere da professionista, in parte lo doveva anche a Quinn O'Casey. Mentre lei guidava, Marnie non smetteva di parlare e di sfogare il suo entusiasmo. Shannon dovette trattenersi per non dirle di chiudere la bocca una buona volta. Quando arrivarono a casa e vide che la macchina di Quinn era ancora posteggiata sul vialetto, fu pervasa da una strana emozione. Un'emozione che non voleva analizzare. Era possibile che tenesse davvero a lei? Era
possibile che lei tenesse davvero a lui? «Quinn c'è ancora» annunciò Marnie. «Sì, per fortuna.» Shannon si era resa conto che se non l'avesse trovato sarebbe stato un problema. «Sono uscita senza le chiavi.» Shannon bussò alla porta di casa sua e Quinn arrivò ad aprire solo dopo qualche minuto. Aveva i capelli in disordine e lei intuì che doveva essersi addormentato sul divano. Anche così, con quell'aria trasandata, era attraente quanto bastava per renderla insicura di ogni suo gesto. «Avete fatto tardi» mormorò Quinn. «Vieni, ti spiego come funziona l'allarme.» Le mostrò il quadro di controllo, le spiegò quali tasti doveva premere quando era a casa, quali tasti premere quando usciva e come fare se per qualsiasi motivo doveva entrare e uscire in continuazione. Era vicino a lei e le teneva un braccio sulle spalle. Shannon era tentata di lasciarsi andare e appoggiarsi a lui. Ma non lo fece. Non le importava quello che aveva detto Marnie riguardo al modo in cui Quinn la guardava, non si sentiva ancora pronta a fidarsi davvero di lui. «Hai capito tutto?» chiese Quinn alla fine. «Sì, penso di sì.» «Comunque, le istruzioni sono sul bancone, se ne hai bisogno.» In quel momento arrivò Marnie, che continuava a sprizzare entusiasmo da tutti i pori. «Si può avere un tè?» chiese la ragazza. Shannon fece appello a tutta la sua pazienza. La cosa che desiderava di più in quel momento era andarsene a letto. Vide che Quinn e Marnie la fissavano. «Certo» disse rassegnata. «Ti fermi vero, Quinn?» chiese Marnie. «No, devo proprio andare.» «Solo per una tazza» insistette la ragazza. «Giusto il tempo di bere un tè» rispose lui, mentre guardava Shannon. «Hai mangiato?» chiese Shannon. «Mi hai fatto installare l'allarme, sono in debito con te.» «Non mi devi niente» disse Quinn deciso. Shannon si accorse di essere arrossita. «Vai a sederti, mentre io preparo il tè.» Sorrise. «Marnie ti racconterà la sua giornata.» Quinn sollevò un sopracciglio e incurvò le labbra in un mezzo sorriso. Doveva aver capito che Marnie non aveva smesso un attimo di parlare.
«Messaggio ricevuto. Prepara il tè in pace» mormorò Quinn e si avviò verso il soggiorno. Marnie rimase dov'era, incerta sul da farsi. «Vuoi che ti aiuti?» «No, vai a fare compagnia a Quinn.» Shannon mise a bollire l'acqua e preparò una teiera e un cestino di biscotti all'avena. Nel frigorifero scovò dei formaggini e aggiunse qualche fetta di pane tostato. Quando aveva finito di preparare il vassoio e stava per portarlo in soggiorno, si rese conto che dall'altra stanza proveniva uno strano e inquietante silenzio. Marnie dormiva raggomitolata su una poltrona. Quinn era sul divano, con le gambe allungate sul tavolino. Dormiva anche lui. Mentre Shannon era lì, immobile, Marnie aprì gli occhi. Si stiracchiò. «Gli stavo parlando e mi sono accorta che aveva smesso di rispondermi» bisbigliò. «Forse dovremmo svegliarlo.» «No» disse Shannon sottovoce. «Ma come facciamo?» «Lo lasciamo dormire. Vieni in cucina a bere il tè. Dormirai con me.» Marnie saltò in piedi e la raggiunse. «Pensi che starà bene?» «Benissimo.» Shannon andò in camera e prese una coperta, poi la distese sulle gambe di Quinn. «Vieni, Marnie» mormorò con un dito sulle labbra. La ragazza annuì e la seguì in cucina. Bevvero il tè e Marnie spazzolò quasi tutto il vassoio. Sembrava affamata. Alla fine guardò Shannon con aria contrita. «Metto io a posto.» «Lascia perdere. Lo faremo domani mattina. Vieni, andremo in bagno a turno e poi finalmente a dormire.» Shannon temeva che Marnie avrebbe continuato a parlare tutta la notte, ma non fu così. Accettò lo spazzolino da denti nuovo e la camicia da notte con un semplice grazie, poi insistette perché Shannon usasse il bagno per prima. A mezzanotte passata erano a letto. Finalmente. Marnie se ne stava ferma dal suo lato, come se avesse paura di disturbare. Dopo un minuto disse piano: «Grazie, grazie per tutto quanto». Qualcosa nel suo tono di voce intenerì Shannon, che sorrise. Non l'avrebbe mai immaginato, ma era felice. «Sono contenta di poterti aiutare.»
«Buonanotte. Giuro che non farò altro rumore.» Shannon rise piano, accarezzò i capelli della sua ospite e si voltò dall'altra parte. Non era certo la notte su cui aveva fantasticato nei suoi sogni più audaci. Ma si sentiva al sicuro e le piaceva condividere la sua casa con qualcuno. In pochi minuti si addormentò. Jake era ancora in ferie. Si offrì di accompagnarlo alla stazione di polizia, ma Quinn rifiutò. Jake aveva una nuova partner, una donna di nome Anna Marino, che fu felice di conoscere Quinn e si mostrò più che disponibile ad aiutarlo. Bionda, occhi azzurri, era alta, dal fisico atletico e molto attraente. Avrebbe potuto fare l'indossatrice, se non avesse deciso di diventare una delle migliori della Miami-Dade. «Ti darò tutto quello che posso» assicurò a Quinn, mentre cercava fra le pratiche di Jake. «Vorrei solo avere più informazioni. È uno degli aspetti più tristi del nostro lavoro. Quando abbiamo un sospetto, la scientifica riesce a fare miracoli. Ma quando non si ha neppure l'ombra di una traccia... Trovata. Questa è la prima. Sally Grant.» Sfogliò la pratica per poi passarla a Quinn. «Ventidue anni, prostituta, come indirizzo una pensioncina non proprio rispettabile, uno di quei posti dove non fanno troppe domande e non badano a quello che succede in camera quando la porta è chiusa. Di passaggio, originaria dell'Oklahoma, orfana, è stato rintracciato un fratello che non è venuto per occuparsi del corpo ma ha solo chiesto se c'era un'assicurazione sulla vita. Io e Jake abbiamo setacciato la zona e anche la narcotici ha fatto la sua parte e ha controllato i club. Ma non abbiamo trovato niente.» Esitò. «Abbiamo fatto una colletta fra i colleghi per organizzarle un funerale decente. Un'impresa di pompe funebri ci è venuta incontro.» Quinn annuì, prese la pratica e si sedette di fronte ad Anna. Lei incrociò le mani sulla scrivania e lo guardò. «Vado a cercare la pratica di Sonya Miller. Jake è convinto che ci sia un collegamento, anche se non sappiamo quale. Sonya Miller era ricca e aveva una famiglia che si è occupata di lei. Le due donne appartenevano ad ambienti sociali totalmente diversi.» Quinn annuì. Il caso di Sally Grant era uno dei più tristi. Era giovane. Le fotografie della scena del delitto erano angoscianti. Aveva gli occhi spalancati. Sembrava fissare chi la guardava. I capelli castani erano allargati sul marciapiede. Quinn non poté fare a meno di pensare a Marnie. Guardò Anna. «Segni di violenza sessuale?»
Anna scosse la testa. «In nessuno dei due casi. Sally era una prostituta, è stato confermato da un certo numero di testimoni. Ma quella sera non era ancora stata con nessuno.» Quinn le rivolse un sorriso mesto. «Potrebbe trattarsi di morte accidentale.» Anna scosse di nuovo la testa. «È stata trovata sul marciapiede, con l'ago infilato nel braccio. Una messa in scena e anche piuttosto mal fatta. Dov'era l'astuccio? Dov'era la roba che aveva messo nella siringa? Si è parlato di probabile omicidio o di morte avvenuta per una sfortunata coincidenza. Chiamala come vuoi. È stata assassinata.» «Sono passati mesi tra una morte e l'altra» rifletté Quinn ad alta voce. «Già. Però io e Jake siamo convinti che vi sia un legame. Se ho capito bene, stai indagando sulla morte della ballerina, giusto?» «Sì.» «Avrei voluto che venisse assegnata a me e Jake. Invece no. E Dixon ha chiuso il caso. A dire la verità, però, non so quale collegamento avremmo potuto trovare. La ballerina è morta per un miscuglio di tranquillanti e alcol. Non si è trattato di droga.» «Poco tempo fa è morta un'altra donna per eccesso di medicine, anche quelle con regolare prescrizione» osservò Quinn. Anna annuì. «Nell Durken. Marito arrestato. Il caso è di Joel Kylie. Ha dichiarato che l'arresto è stato facile perché tu avevi raccolto ottime prove contro il marito.» Quinn si strinse nelle spalle. «Non sono così sicuro che sia lui il colpevole.» Anna sembrò stupita. «Le sue impronte erano sui flaconi dei medicinali» gli ricordò. «Cosa ti fa pensare che sia innocente?» «Lo dice lui, tanto per cominciare» borbottò Quinn. La donna sorrise. «Lo dicono quasi sempre. Lo sai anche tu. Ti può capitare di vedere qualcuno tirare il grilletto, guardarti negli occhi e negare di aver sparato.» «Comunque sono convinto che ci sia un collegamento fra le due morti. E penso anche che siano collegate con i vostri casi di overdose.» «Abbiamo avuto altri morti per overdose, lo sai. Se c'è una cosa che non manca da queste parti sono la droga e gli omicidi. Che cosa ti fa pensare che ci sia un collegamento?» «Nell frequentava i corsi della scuola di ballo Moonlight Sonata. Lara Trudeau andava spesso alla scuola per allenare i ballerini e aveva comin-
ciato la sua carriera proprio lì. Secondo questo rapporto, il punto della spiaggia dove è stato ritrovato il cadavere di Sonya Miller è molto vicino. Sally Grant è stata trovata in fondo alla strada.» «Non credo che la nostra prostituta, Sally Grant, frequentasse corsi di ballo. E una come lei sarebbe stata sbattuta fuori da un club come il Suede se solo si fosse azzardata a metterci piede. Poteva essere il posto giusto per Sonya, ma abbiamo interrogato a fondo e sembra che nessuno l'abbia vista» disse Anna. «L'altra attività all'interno dell'edificio è una stilista e la nostra prostituta non poteva certo permettersi i suoi abiti. I poliziotti hanno setacciato la zona dopo il ritrovamento dei due cadaveri. Hanno interrogato la stilista e il marito e hanno parlato con le persone della scuola di ballo.» Quinn la fissò, poi sfogliò ancora il fascicolo su Sonya Miller. Un agente di nome George Banner aveva parlato con Gordon Henson, che aveva dichiarato di non aver mai visto la donna e che non aveva mai frequentato la scuola. Strano, Gordon non aveva detto che la polizia era stata da lui. Gordon aveva uno strano modo di comportarsi, Quinn l'aveva capito l'altro giorno da Nick, quando gli aveva snocciolato tutto quello che sapeva su di lui. «C'è altro?» chiese Anna. «Che cosa sai delle indagini della narcotici?» «Dopo il ritrovamento della prima vittima, abbiamo ottenuto mandati di perquisizione per il Suede e altri club. Ted Healey, della narcotici, mi ha detto che al Suede hanno collaborato in ogni modo. Il direttore li ha invitati a rivoltare tutto il locale, se lo ritenevano necessario. Il club va molto fiero della sua reputazione.» «Sì, lo so» disse Quinn. Anna lo guardò perplessa. «Conosco il proprietario» spiegò Quinn. «Vedo che avete delle copie in più degli identikit della prima vittima, posso prenderne uno?» «Certo.» «Grazie. Per questo e per il tuo aiuto.» «Sarebbe fantastico se riuscissi a scoprire qualcosa che a noi è sfuggito» rispose Anna. «Hai dei sospetti per quanto riguarda la ballerina?» Quinn fece una smorfia triste. «Troppi» disse. E troppo pochi. Le due persone che hanno il movente migliore sono mio fratello e la donna di cui mi sto innamorando. Lasciò la stazione di polizia e tornò alla Twisted Time. Controllò i mes-
saggi in segreteria, Manuel Taylor non lo aveva richiamato. Chiamò di nuovo e lasciò un altro messaggio. Poi si sedette alla scrivania e schizzò una piantina della scuola e degli edifici circostanti. Studiò gli appunti, li paragonò alla ricerca di analogie. L'unica cosa che le quattro morti avevano in comune era la vicinanza o il collegamento con l'edificio che ospitava la Moonlight Sonata. Qualcuno doveva sapere qualcosa. Forse lo stesso qualcuno che continuava a passare davanti a casa di Shannon con una berlina grigia o beige. Controllò la posta elettronica. Il fratello ne aveva fatta una giusta. Gli aveva mandato l'elenco delle targhe e dei modelli di auto di tutti quelli che lavoravano alla scuola o che la frequentavano con regolarità. Quinn procedette con le eliminazioni. Shannon. Era piuttosto improbabile che sorvegliasse casa sua. Jane. Guidava una Chevrolet rossa. Rhianna aveva una Mazda azzurra. Gordon aveva una Lexus color sabbia. Ben aveva acquistato da poco una Mercedes grigia di seconda mano. Il vecchio signor Clinton possedeva un'Audi color talpa. Quinn eliminò comunque Clinton. Continuò a scorrere la lista. Avevano una berlina grigia o beige: Jim Burke, Mina Long, Justin Garcia, Christie Castle, Sam Riley, Gabriel Lopez e quattro dipendenti del Suede. Se non altro suo fratello guidava una Jaguar verde scuro. Mentre se ne stava lì a rimuginare sulle auto, finalmente gli tornò in mente cosa aveva detto Manuel Taylor. Provò a richiamarlo, ma non rispose. Lasciò un altro messaggio e uscì. Quando Shannon si svegliò, Quinn se n'era già andato, ma c'erano il caffè pronto e un messaggio: "Fissami una lezione nel tardo pomeriggio". Shannon voleva riuscire a passare un po' di tempo da sola alla scuola, così uscì presto di casa. Scrisse un biglietto a Marnie per avvisarla che sarebbe passata a prenderla più tardi e si precipitò alla scuola. Entrò e si chiuse dentro a chiave. Quindi cominciò a cercare. Non sapeva con esattezza cosa sperava di trovare, ma perquisì ogni angolo, batté le nocche sul muro, ispezionò i bagni e gli spogliatoi. Alla fine uscì dalla porta posteriore, sul piccolo pianerottolo all'aperto dal quale partivano le scale che portavano al parcheggio e che salivano all'appartamento di Gabe e all'atelier di Katarina.
Si fermò e aprì la porta del magazzino. L'abito sul manichino le fece una certa impressione, anche alla luce del giorno. Notò che sugli scaffali in fondo alla stanza c'era abbastanza spazio libero per riporvi alcuni documenti che le ingombravano l'ufficio e vide qualcuno dei suoi vecchi abiti, ancora in buone condizioni. Se mai fosse tornata a gareggiare, avrebbe dovuto ricominciare a indossarli. Mentre procedeva con quel rapido inventario, le sembrò di sentire rumore di passi sul pianerottolo. Guardò l'orologio, gli altri non avrebbero tardato ad arrivare. Di colpo la luce venne spenta. Shannon si voltò. Non aveva paura, era pieno giorno. Poi però la porta si chiuse e la stanza sprofondò nel buio più assoluto. Shannon urlò e corse verso la porta. Sentì solo dei passi che si allontanavano. Per un attimo il buio impenetrabile la disorientò. Andò a sbattere contro il manichino. Mentre cercava di non farlo cadere e di non perdere l'equilibrio, il sangue le si raggelò nelle vene. Aveva sentito il rumore di un respiro, a poca distanza dal suo orecchio. Era proprio lì. Eppure il rumore di passi proveniva dall'esterno. All'improvviso il manichino le cadde addosso. Shannon cercò di non perdere l'equilibrio ma alla fine scivolò a terra. La testa urtò un ripiano. O meglio, per quanto fosse piuttosto strano, il ripiano la urtò. Il buio si fece totale. A Shannon parve di aver sentito un lamento soffocato, ma non avrebbe saputo dire se era uscito dalla sua stessa bocca. La situazione gli stava sfuggendo di mano, tutta colpa di Shannon. Cosa credeva di fare, mettendosi all'improvviso a ispezionare il magazzino? Forse doveva solo restare calmo e aspettare. Forse se ne sarebbe andata. Entravano in tanti. E tutti ne uscivano. I poliziotti avevano perquisito a fondo l'edificio. Non per la scuola, ma per il club. L'avevano controllato minuziosamente e non avevano trovato niente. Il club era pulito. Non c'era niente di cui preoccuparsi. Allora perché si era mosso troppo in fretta? Gli assassini finiscono sempre per commettere un errore, almeno così dicono. Non nel suo caso. Non sarebbe successo. Rallenta. Calmati, si disse l'uomo. Si chiese che cosa sapeva Shannon. Troppo. Comunque troppo. Sapeva troppo e sospettava troppo. Quei magnifici occhi non erano poi così innocenti. Ma lui aveva capito. Aveva osservato. Aveva cercato.
L'unica cosa che doveva fare adesso era riprendersi e ricordare di comportarsi in modo normale. Quinn entrò nella stanza con un mazzo di fiori, si guardò attorno e si rese conto che il suo bouquet non era all'altezza degli altri. Jane, seduta sul letto dell'ospedale, gli rivolse un sorriso radioso. Solo poche ore prima era in agonia, ma adesso era di nuovo bellissima. Si era pettinata e truccata. «Ciao, Quinn. Sei gentile. Grazie di essere passato. E grazie dei fiori, sono bellissimi» gli disse. Si sporse in avanti come una regina in presenza di un suddito. Quinn le diede un bacio sulla guancia poi si sedette sulla sedia accanto al letto. «Stai benissimo.» «Mi fa male dappertutto» borbottò Jane. «Ma almeno adesso non fanno cicatrici tanto lunghe come una volta» aggiunse con un sorriso. «Fantastico» mormorò Quinn divertito. Jane viveva per il suo corpo. Quinn cominciava a capire come funzionavano le cose nel mondo della danza. Jane era giovane e molto graziosa, e gli abiti che indossava di solito lasciavano ben poco all'immaginazione. «Lo trovi sciocco?» chiese lei con un sospiro. «No, ti capisco.» «Tuo fratello è appena andato via.» «Davvero? Dovrebbe essere al lavoro. È già fortunato a essere di pattuglia e ad avere un orario regolare.» «È passato solo un attimo, per augurarmi il buongiorno.» Quinn annuì. «Voi due state insieme?» «Non dirlo a nessuno» sussurrò Jane, mentre torturava nervosamente il lenzuolo. Quinn sorrise. «Lo capiranno da soli.» «Se arriviamo a quel punto, potrei essere costretta ad andarmene.» Fissò il lenzuolo, poi sollevò lo sguardo. «Gordon e Shannon sono molto disponibili a guardare dall'altra parte finché possono. Dopotutto, forse adesso Shannon sarà più comprensiva.» «Perché?» Jane scoppiò a ridere. «Guarda che era da parecchio tempo che non insegnava a un principiante.» «Credevo che fosse obbligata, dopo avermi fatto la prima lezione.»
«Non se sei Shannon. Lei è la direttrice. Continuare a seguirti è una sua scelta.» «Solo perché voleva scoprire chi ero.» Jane sorrise di nuovo. «Un investigatore.» «Lo sanno tutti vero?» «A essere sincera, me lo ha detto Doug. Ma ho saputo da Katarina che hai combinato un bel casino quando sei andato nello studio del dottor Long.» «Già, così pare.» «Però ti posso confidare un segreto.» «Sarebbe?» «Non penso che Shannon abbia deciso di continuare a farti lezione per scoprire perché eri alla scuola» disse con un sorriso complice. «Non direi di piacerle molto, al momento.» «Sbagli, e lo sai.» «Sicura?» «È molto orgogliosa. Christie mi ha raccontato che Shannon non ha mai fatto capire a nessuno quanto fosse ferita, quando Ben ha deciso di ballare con Lara e poi di sposarla. Ha detto che Shannon si comportava come se fosse la cosa più normale e naturale del mondo, che se ne andava in giro a testa alta. Come se non le importasse, come se fosse un sollievo poter insegnare e basta, senza dover affrontare le competizioni.» Il viso si allargò in un'espressione quasi infantile. «Non sarebbe bello se io sposassi Doug e tu sposassi Shannon?» Quinn non poté evitare di scoppiare in una fragorosa risata. «Non fate le cose un po' troppo in fretta voi due?» Jane arricciò il naso. «Ti riferisci alla faccenda con Lara?» «A dire la verità, sì.» «Lara sapeva che Doug mi piaceva. Molto. E che ero fiera di lui come studente. Per questo ha deciso di prenderselo. Non ne ho fatto una colpa a Doug. Ho solo continuato a dirgli che ero la sua insegnante e che quindi non potevamo uscire insieme. Dopo la morte di Lara, però, non so cosa mi sia successo, forse mi sono resa conto che la vita è breve.» «In ogni caso rinuncia ai tuoi progetti di un doppio matrimonio. Non credo proprio che Shannon sia interessata a me, al momento.» «Ha solo paura di lasciarsi andare, ha perso la testa per te» gli confidò Jane. Sorrise. «Conosco Shannon. È molto cambiata da quando sei arrivato. Ho anche la sensazione che ci siano cose che conoscete molto bene l'u-
no dell'altro, se capisci cosa intendo.» «Staremo a vedere. Adesso, Jane, avrei due domande da farti. Quando sei caduta hai detto che qualcuno ti aveva avvelenata.» Jane arrossì. «Sono stata una sciocca, vero? Mi ero convinta che qualcuno avesse messo qualcosa nel caffè. Poco prima si parlava di Lara. Di come qualcuno avrebbe potuto lasciar cadere qualche pillola nel suo bicchiere, o roba del genere.» «Chi c'era?» Jane fece una smorfia. «Parecchia gente. I Long, il signor Clinton, una delle nuove ragazze di cui non ricordo il nome, Gabe e Katarina. Mi sembra che ci fosse anche David. E Ben e Doug. Gordon era abbastanza vicino e guardava la pista. Sam era di fianco a lui.» «Ricordi se qualcuno ha detto qualcosa di sospetto?» «David Mercurio, il marito di Katarina, è stato lui che ha detto che qualcuno poteva aver dato le pillole a Lara senza che lei se ne accorgesse.» «Seconda domanda. Secondo te, chi può essere rimasto da solo con Lara durante la gara e aver litigato con lei? Oppure essersi comportato con troppa cordialità?» Jane si rabbuiò. «So già di mio fratello» borbottò Quinn. Lei sospirò. «Oltre che con Doug, ha litigato con Jim Burke, il suo partner. Litigavano sempre. Sarebbe stato strano se non lo avessero fatto.» «Qualcun altro?» «Nella piccola zona bar, di fronte alla pista, l'ho vista parlare con Gordon, Ben e Justin. Forse anche con Gabe e i due Long. E con Shannon.» «Shannon?» «Sì. Credo che le abbia offerto da bere. O forse no. Forse si è avvicinata soltanto per augurarle buona fortuna. Non hai idea della confusione che c'è durante una competizione, va tutto così in fretta, e non dimenticare che io ero in gara con Sam.» Quinn annuì. «Un'ultima cosa. Ti dispiace guardare questo ritratto?» Jane scosse la testa e lui le mostrò l'identikit di Sally Grant che aveva preso dal dossier della polizia. Jane rialzò immediatamente lo sguardo su Quinn e scosse la testa di nuovo. «No. Ricordo quando hanno trovato il corpo. Riconosco il disegno, perché l'hanno pubblicato i giornali. Ma non l'ho mai vista alla scuola.» Quinn la ringraziò e si alzò. «Vai alla scuola?» chiese Jane.
«Sì, perché? Hai bisogno di qualcosa?» Jane scosse la testa. «No, ma ne stai facendo parecchie di lezioni.» «Ho tanto da imparare prima del Gator Gala. E devo tenere d'occhio tutti.» «Inclusa Shannon?» «Inclusa lei.» Jane sorrise e si appoggiò al cuscino. «Cosa diavolo ci fai qui? Per terra?» Shannon strizzò gli occhi e sollevò lo sguardo. Gordon era sopra di lei. Si alzò a sedere e si prese il volto fra le mani. Le girava la testa. «Qualcuno mi ha fatto inciampare, o mi ha spinta, non so cos'è successo.» Gordon sollevò un sopracciglio e si guardò in giro. Il magazzino era vuoto. «Cos'hai fatto? Hai picchiato contro uno scaffale? O hai preso a botte il manichino?» «Sono entrata, poi ho sentito dei passi all'esterno.» «Ero io» disse Gordon. «Sei stato tu a spegnere la luce e chiudere la porta?» «Ho pensato che qualche deficiente avesse dimenticato la luce accesa e la porta aperta. Allora ho spento e ho chiuso a chiave la porta.» «Quando?» «Pochi minuti fa. Poi sono entrato nella scuola e ho visto la tua borsa. Ma tu non c'eri e allora mi sono precipitato qui.» Sembrava preoccupato. «Stai bene? Forse sarebbe il caso che tu andassi all'ospedale.» Shannon si guardò in giro, ma vide solo il manichino che era a terra accanto a lei. «Non hai visto uscire nessuno?» «Ho chiuso la porta dall'esterno» rispose Gordon. «Forse avrei dovuto guardare dentro. Ma non pensavo che tu potessi essere qui.» Shannon si convinse di essersi immaginata tutto. Al buio, si era lasciata prendere dal panico. Se ci fosse stato qualcuno, Gordon lo avrebbe visto uscire. Gordon sospirò. «Riesci ad alzarti?» «Certo.» Shannon si alzò, era solo un po' instabile sulle gambe. «Andiamo» disse Gordon. «Dobbiamo annullare tutte le tue lezioni di oggi.» «No» protestò Shannon. La guardò serio. «Avrai un bernoccolo enorme in testa.» Shannon si tastò la nuca. In effetti aveva un rigonfiamento, ma era pic-
colo. «Sto bene, Gordon.» «Dovresti...» «Gordon, te lo giuro, sto bene. Ti prometto che se durante il giorno, in qualsiasi momento, dovessi sentirmi anche solo un po' strana, verrò subito a dirtelo. Non voglio andare all'ospedale e neppure a casa. E non ho nessuna intenzione di annullare le lezioni di oggi.» «Ma...» «Davvero. Un'altra cosa, ti prego di non fare parola di quanto è successo.» Gordon la guardava poco convinto. «Pensa alle chiacchiere, se si venisse a sapere. Saremmo costretti a cancellare il Gator Gala.» Gordon sospirò. «Va bene, hai vinto» disse. Uscirono insieme. Ben era vicino alla porta della scuola. «Cosa succede?» «Perché?» chiese Shannon con aria colpevole. «C'era la porta aperta, lo stereo era acceso e non c'era nessuno in giro.» Shannon guardò Gordon. «Stavo solo cercando i miei vecchi vestiti.» Ben sollevò le sopracciglia scure. «Vuoi dire che stai davvero prendendo in considerazione l'idea di tornare a competere?» «Sì.» «Con me?» «Sì.» «Grazie» mormorò Ben. Shannon non gli aveva mai sentito usare un tono così dimesso. Ben rientrò e Shannon e Gordon lo seguirono. Shannon aveva la sensazione che anche quella sarebbe stata una giornata molto lunga. 21 Qualcosa non andava quel giorno. Forse era solo la botta in testa, che la rendeva suscettibile. Di solito il venerdì era una giornata fiacca, ma non quel giorno. Shannon dovette alternarsi tra Marnie e i suoi allievi. Richard era di pessimo umore e pretendeva di imparare nuovi passi, ma lei non era convinta che fosse in grado. Quel pomeriggio venne anche Billy, uno studente abituale, che aveva da poco subito un ictus. Si impegnava molto, ma senza risultati. Shannon lo ammirava per la sua tenacia, per la sua decisione a pro-
seguire dove altri si sarebbero arresi, ma le richiedeva più energie di quelle che aveva al momento. Poi arrivò Quinn. Ballarono il valzer e Shannon si chiese come potesse essere così bravo nel valzer e un tale disastro nel fox-trot. Per un po' mentre lavoravano furono affiancati da Rhianna, che dava lezione a uno studente, e da Justin che si esercitava con Mina Long. Quando le due coppie si spostarono dall'altro lato della stanza, Shannon andò allo stereo. «Problemi con l'impianto d'allarme?» chiese Quinn. «No, tutto a posto» rispose. Dopo un attimo di esitazione aggiunse rigida: «Grazie». «Figurati. Grazie a te per non avermi svegliato.» Shannon fu tentata di raccontargli ciò che era successo nel magazzino, ma più il tempo passava, più si convinceva che la sua immaginazione le giocava brutti scherzi. «Cosa c'è?» chiese Quinn. Shannon alzò gli occhi su di lui. Era appoggiato al muro e cercava di guardarla negli occhi. Spostò lo sguardo sul pavimento. Scosse la testa. «Niente.» «Non ti credo, c'è qualcosa.» Quinn era uno che non mollava. Shannon decise di cambiare discorso. «Perché non mi racconti qualcosa dell'FBI? Cosa hai fatto esattamente?» Lui assunse un'espressione seria, come se stesse per dirle di farsi gli affari suoi. «Mi occupavo di studio di personalità.» Shannon fu stupita. Si era fatta l'idea che Quinn avesse ucciso qualcuno, che fosse successo qualcosa di terribile. «C'era un caso in Indiana. Dovevo occuparmene io, ma ho fatto una valutazione del tutto sbagliata. Ero convinto che il killer fosse vicino ai trenta, o poco più, con un lavoro umile e forse anche una moglie. Arrestarono un tipo che corrispondeva alla descrizione.» «E poi?» «La comunità abbassò la guardia e il giorno dopo furono trovate morte altre due donne. Quella volta l'assassino si tradì. Perse il portafoglio. Aveva cinquant'anni ed era un dirigente della banca del posto.» «Ma formulare profili psicologici non è una scienza esatta. Si lavora con gli elementi che si hanno a disposizione.» «Forse hai ragione. Ma mi sono sentito inutile. Così sono tornato a casa
e ho cominciato a lavorare con Dane, un vecchio amico. Ero convinto che fosse impossibile fare troppi danni in un lavoro del genere. Mi sbagliavo. Ho pedinato un tipo di nome Art Durken e alla fine lui ha ucciso la moglie.» «Nell» disse Shannon a bassa voce. «Sì, Nell. Gentile, simpatica, il tipo di persona che è un piacere conoscere. Ma è morta e il marito è finito in carcere. E adesso non sono per niente sicuro che Art sia colpevole, ma che io sia dannato se riesco a capire chi potrebbe essere stato. A meno che...» «A meno che cosa?» La guardò a lungo e scrollò le spalle. «Piuttosto ovvio, no? Che sia qualcuno legato alla scuola.» Shannon deglutì. «Non è possibile» mormorò. «Sei tu che vuoi che non sia possibile.» Lo guardò ancora. «Alcuni delitti restano irrisolti.» «Questo no. Quando Doug mi ha convinto a occuparmene, mi ha detto che temeva che ne seguissero altri. Penso che avesse ragione.» «È così che si fa lezione adesso? Chiacchierando?» scherzò Rhianna. «Shannon, posso mettere un cha-cha-cha o ti serve lo stereo?» chiese. «Fai pure. Metti quello che vuoi.» Rhianna inserì un CD e tornò sulla pista. «Passo di qui dopo, per accompagnare te e Marnie a casa» disse Quinn. «Usciremo tardi, verso le dieci direi» annunciò Shannon. «Voglio essere sicuro che arriviate sane e salve.» «C'è l'allarme ora» gli ricordò. «Non serve a molto finché non sei dentro casa.» La lezione di Quinn era terminata. Si salutarono e lui se ne andò. Poi la giornata sembrò non finire mai, anche se gli studenti continuavano ad arrivare. Più tardi, alla fine della lezione di gruppo, Shannon ricordò a tutti gli iscritti al Gator Gala che volevano partecipare alla gita in barca che l'appuntamento era al porto alle sette. Pensò che Quinn si fosse dimenticato di venire, ma arrivò mentre chiudevano. Quinn non scese neppure dalla macchina. Si limitò ad aspettare che Shannon e Marnie entrassero in casa. Poi salutò e andò via, mentre Shannon si sforzava di mascherare la delusione. Di ritorno alla Twisted Time, scoprì che Manuel Taylor non lo aveva ri-
chiamato. Non si era fatto vivo neanche al cellulare. «Non c'è problema. Ho fatto dei bei soldi con voi» aveva detto da Nick. Era stato pagato prima da Gordon e poi da Quinn, perché venisse all'appuntamento. Ma quella frase, Quinn ne era certo, voleva dire molto di più. Qualcun altro del gruppo aveva dato dei soldi al cameriere. Ma per fare cosa? Non poteva trattarsi solo di una mancia. Quinn aveva la sensazione che qualcuno avesse pagato Manuel per servire un drink a Lara Trudeau. Un drink speciale. Un drink drogato. Era tardi. Provò comunque a chiamare l'albergo e si fece passare il responsabile del bar. L'uomo non fu di nessun aiuto. Era arrabbiato. Manuel Taylor avrebbe dovuto servire a una cena la sera precedente, ma non si era presentato. «È affidabile in genere?» «Sì, di solito, sì» rispose al telefono il responsabile. «Ma già un'altra volta non si era presentato perché era andato a Orlando con degli amici. Gli avevo detto che se mi avesse fatto un altro scherzo del genere l'avrei licenziato. È un cameriere in gamba, mi dispiacerebbe essere costretto a fare a meno di lui.» Quinn chiuse la comunicazione. Si sentiva sconfitto e impotente. C'era molto poco che potesse fare. Era agitato, aveva la sensazione che avrebbe dovuto essere a casa di Shannon, anche se adesso c'era l'impianto di allarme e non era sola. Si sdraiò in cabina e rimase sveglio a lungo. Le idee e gli avvenimenti gli danzavano nella testa come fossero pezzi di un puzzle. Shannon a bordo della Twisted Time. Con una sua camicia addosso, incorniciata nella porta. In una sola notte tutto era cambiato. Gli sembrava di sentire ancora il suo profumo aleggiare nella barca, fra le lenzuola, nella cabina, nella memoria. Sentiva il suono della sua voce. E quel suo modo di muoversi a letto, ipnotico, appassionato. Ora invece gli stava sfuggendo. Si rese conto che una ragazza di diciott'anni che viveva per strada aveva visto con chiarezza la profondità di un rapporto che lui aveva giudicato solo superficialmente. Shannon lo aveva sfiorato e adesso tutto il suo mondo ruotava attorno a lei. Ogni momento della giornata. Ogni sogno a occhi aperti. O chiusi. Una delle ragioni per cui voleva scoprire la verità sulla morte di Lara Trudeau era che sentiva l'urgenza di sistemare il mondo attorno a lei, di crearne uno nuovo, dove potessero essere di nuovo insieme. Era già stato innamorato, ma non aveva
mai provato quella sensazione. Shannon gli era entrata sotto pelle, era un'ossessione che lo tormentava. Il venerdì sera Nick stava aperto fino a tardi. Di solito si sentivano le voci dei dienti sulla veranda, che ridevano e chiacchieravano, e la musica del Jukebox. Quella sera però non ci sarebbe stata confusione. Ashley era a casa con la bambina appena nata. Lei e Jake avevano in mente di comprare un appartamento tutto per loro, ma la barca di Jake era ormeggiata lì ed erano entrambi troppo presi dal lavoro per avere il tempo di cercare casa. Il locale di Nick non era certo come quelli sulla costa, assomigliava di più a un ritrovo fra amici, con un'atmosfera familiare e rilassata. Non era come il Suede. Il club era stato perquisito palmo a palmo dalle squadre della narcotici, che non avevano trovato niente. Era un locale alla moda, dove era facile conoscere qualcuno per un'avventura di una notte. Ma era anche un locale che faceva tutto secondo le regole. Due donne però erano state trovate morte nelle vicinanze. Una dell'alta società, l'altra una prostituta. Uccise da sostanze illegali, non da medicine prescritte da un medico. Quinn si arrese. Si vestì e andò verso la veranda di Nick. C'erano parecchi poliziotti quella sera. Il vecchio jukebox suonava a basso volume. Dixon era lì e mangiava un hamburger al formaggio. Nel bar la televisione era accesa. Quinn ordinò una birra e fissò lo schermo. Stava per bere un sorso, ma si fermò con il bicchiere a mezz'aria. Sullo schermo c'era Manuel Taylor. La didascalia sotto di lui recitava: "Vittima di una sparatoria?". Quinn si alzò, si avvicinò al televisore e aumentò il volume. «Non sentiamo più la musica» si lamentò qualcuno. Quinn lo ignorò e si concentrò sulle parole del giornalista: «Manuel Taylor è stato dichiarato morto all'arrivo al Jackson Memorial. Un unico colpo d'arma da fuoco alla testa. Si ritiene che si tratti di una morte accidentale durante una guerra fra bande del posto. Passiamo alle altre notizie...». Il sabato mattina la scuola apriva prima. Quella sera ci sarebbe stata la gita in barca, ma la routine della giornata era la solita. Shannon accompagnò Marnie e disse a Ella che faceva un salto da Jane all'ospedale. La trovò felice e arrabbiata. Felice perché il giorno dopo l'avrebbero mandata a casa con una lunga lista di istruzioni su quello che poteva o non poteva fare, arrabbiata perché non le era consentito partecipare alla gita in barca. «Non è giusto» si lamentò.
«No, non lo è. Mi dispiace. Vorrei tanto poter cambiare le cose» disse Shannon. Jane era irrequieta, era rimasta a letto troppo a lungo. Era stata informata dei progressi di Marnie e la cosa la preoccupava, perché aveva paura che la ragazza potesse rubarle qualche studente. «Abbiamo un sacco di allievi. Puoi stare tranquilla che non mancheranno per nessuno» disse Shannon nel tentativo di rassicurarla. «E poi molto presto sarai troppo occupata a vincere le gare per poterti dedicare all'insegnamento.» «Non potrò ballare per settimane» si lamentò Jane. Shannon non sapeva cos'altro dire per consolarla. Si offrì di andarla a prendere il giorno dopo e accompagnarla a casa. Quando Jane le disse che non ce n'era bisogno, Shannon non cercò di saperne di più. Immaginò che si trattasse di Doug. «Sorveglierai i miei studenti?» chiese Jane. «Puoi scommetterci. Vedrò che il vecchio signor Clinton non corteggi tutte le signore.» Jane le lanciò un'occhiataccia e Shannon scoppiò a ridere. «Preoccupati solo di guarire in fretta. Andrà tutto bene. Pensa soltanto a rimetterti in piedi.» Durante il giorno Shannon fu occupata più in ufficio che sulla pista da ballo. Doveva organizzare le lezioni del mese successivo e sbrigare la contabilità arretrata. Gordon non c'era. Nel pomeriggio sarebbe andato a controllare la barca che avevano noleggiato, ad accertarsi che il catering fosse arrivato, che il gruppo avesse abbastanza spazio per montare gli strumenti e che la pista da ballo fosse a posto. Alle tre a scuola non c'erano più studenti, erano tutti andati a prepararsi per arrivare al molo in tempo per le sette. Ben si dimostrò più che disponibile e la aspettò per aiutarla a chiudere. Anche Marnie si era fermata e si rese utile offrendosi di pulire il pavimento e riordinare. Mentre chiudeva, Shannon non poté evitare di tendere l'orecchio per cercare di sentire il rumore. Non udì nulla. A casa non aveva molto da fare. Era richiesto un abbigliamento casual e avrebbe indossato un paio di jeans e un top che le lasciava scoperta la schiena. Nonostante Marnie fosse magrissima, Shannon bene o male riuscì a trovare un vestito da cocktail da prestarle.
Arrivarono al porto alle sei. Gordon era già a bordo e sembrava entusiasta. Le spiegò come avevano sistemato i tavoli nel salone e le presentò i responsabili del catering e l'equipaggio. I tavoli per il buffet erano stati disposti intorno alla pista da ballo. Il complesso era stato posizionato sul fondo, in modo che la musica si sentisse anche sul ponte di poppa. Shannon fu sorpresa che Quinn non fosse ancora arrivato, ma Gordon le spiegò che aveva qualche faccenda da sbrigare e che sarebbe arrivato per le sette. Tutto era stato organizzato alla perfezione. Quinn aveva fatto miracoli. La barca era fantastica, perfetta per l'occasione. Il loro gruppo iniziò ad arrivare prima delle sette. Gli insegnanti della Moonlight Sonata si schierarono sulla banchina, pronti ad accogliere gli studenti e gli amici. «Lasciamo al vecchio signor Clinton l'onore di salire per primo» disse Sam. «Non chiamarlo vecchio» lo riprese Shannon. «Non lo faccio mai in sua presenza» ribatté Sam. «Guardate, ha portato anche la vecchia signora Clinton» sussurrò Rhianna, mentre guardava l'anziano gentiluomo scortare un'arzilla vecchietta con i capelli bianchi. «Sua moglie è morta molti anni fa» intervenne Gordon. «A quanto pare si è fatto un'amichetta» disse Ben. «Vive in una casa di riposo» bisbigliò Ella. «Dice che è una meraviglia perché le donne sono il doppio degli uomini e un uomo che sa ballare ha solo l'imbarazzo della scelta.» Il signor Clinton presentò la sua amica, Lena Mangetti. Sembrava simpatica ed era eccitata all'idea della piccola crociera. Salirono a bordo seguiti dagli altri, compresi gli studenti della scuola di Broward. I Long arrivarono con i Beckham, un'altra coppia che ballava insieme; Katarina e David fecero la loro apparizione con Gabe e annunciarono che erano venuti in taxi perché erano decisi a bere ben più di un bicchiere. Christie, nella sua duplice veste di studente e giudice, si presentò con Puff, come al solito. Non andava da nessuna parte senza il suo cane. Quando la barca era quasi pronta a salpare, Quinn finalmente arrivò. Suo fratello era con lui. «Hai fatto appena in tempo» scherzò Shannon. «Per poco non ti lasciavamo a terra.» Quinn non fece neppure lo sforzo di accennare un sorriso di cortesia.
«Adesso però sono qui» disse brusco. Doug guardò il fratello, poi scosse la testa e si rivolse a Shannon. «Siamo qui tutti e due. Credo che non si sia neppure accorto della mia presenza.» Quinn ignorò Doug e si allontanò, sotto lo sguardo deluso di Shannon. «Non parlarne in giro» le disse Doug, «ma quel cameriere è stato ucciso. Si è trovato nel mezzo di una sparatoria, anche se Quinn è convinto che non sia andata così.» «Cosa?» chiese Shannon sconcertata. «Il cameriere? Vuoi dire Manuel Taylor?» «Non c'è motivo di spaventarsi» si affrettò ad aggiungere Doug. «Gli hanno sparato, non si tratta di overdose. Non ha niente a che vedere con noi. Va tutto bene.» Per fortuna Shannon aveva troppe altre cose a cui pensare. Non appena si staccarono dal molo cominciarono a piovere domande. Avevano già servito da bere e le chiedevano con quali antipasti iniziare. Sfogliatine al formaggio e crocchette di gamberetti andavano bene? I musicisti volevano sapere quando dovevano attaccare e quando fare pausa. Shannon si accorse che i gruppi di Broward e di Miami-Dade si erano praticamente divisi sui due lati della barca. Fu tentata di chiedere al trio di suonare quel pezzo del musical Oklahoma che diceva che «i cowboy e gli agricoltori dovevano essere amici» o qualcosa di simile. Accettò una coppa di champagne e si sedette vicino a Mary e Judd Bentley, i proprietari della scuola di Broward. «Ciao, Shannon» la salutò Trudy Sommers, una studentessa di vecchia data. «Sono felice di vederti. Mary ci raccontava quanto difficile sia ballare con il marito.» «Non è vero» intervenne Judd. Si sedette sull'angolo di un tavolo e posò il braccio sulle spalle della moglie. «Solo che è un'insegnante, vuole sempre portare lei, anche quando balla con me.» «A maggior ragione quando ballo con te» disse Mary ridendo. «Voi due ballerete insieme stasera, dobbiamo divertirci» intervenne Trudy. «Sicuro» scherzò Judd. «Balleremo sul ponte e le farò fare uno di quei salti che le piacciono tanto.» «Per lanciarmi fuoribordo, scommetto» disse Mary. «Che cosa c'è di meglio di una nuotata sotto le stelle?» rispose allegro Judd. «Non è una buona idea, c'è un'elica o qualcosa del genere lì sotto» os-
servò Shannon. «Trudy, ricordati di mescolarti agli altri. Siamo tutti del Sud della Florida.» «Certo. Presentami qualcuno dei vostri ragazzi. Alla nostra scuola siamo quasi solo donne. Quel tizio, per esempio, non è niente male. E anche quell'altro.» Indicò Doug e Quinn. «Lo studente di Jane. Ho già visto il più giovane, ma l'altro mai. Mi sembra che si assomiglino.» «Sono fratelli» disse Shannon. «Ti presento al signor Clinton, se ancora non lo conosci. Lui sì che è un rubacuori.» Scoppiò a ridere, poi si allontanò. Shannon non si sedette mai a mangiare, si spostò in continuazione da un tavolo all'altro mentre tutti si servivano dal buffet. Durante la cena c'era sempre qualcuno che ballava, ma il ballo vero e proprio iniziò quando i tavoli furono sparecchiati. Era tardi. Dovevano tornare entro mezzanotte. Gordon e Judd presentarono i loro allievi, che eseguirono una versione più breve dei pezzi che avrebbero proposto al Gator Gala. Shannon si stupì quando Gordon annunciò che lei avrebbe ballato un valzer con Quinn. Era sicura che Quinn fosse altrettanto sbigottito, ma si alzò con dignità. Shannon fu felice di scivolargli fra le braccia. Erano i suoi occhi a preoccuparla. «Va tutto bene? Te la senti?» «Di ballare? Certo» rispose lui. Quando la musica iniziò, fu chiaro che non aveva mentito. Il valzer era il ballo giusto per lui e quando arrivarono alla sequenza finale e lui la sollevò e la fece ruotare in un perfetto Mulino a vento, la loro esecuzione raccolse un applauso scrosciante. Quinn sorrise. Era bellissimo. Quando qualcuno gli disse che non riusciva a credere che fosse davvero un principiante, Quinn rispose che avrebbe dovuto vedere il suo fox-trot. Accettò gli abbracci e le congratulazioni, ma era distratto. Non parve neppure accorgersi dei complimenti del fratello. A Shannon sembrava che avesse gli occhi puntati su Gordon. A quel punto Judd annunciò un bolero ballato da lei e Ben. «Ti dispiace?» le chiese Ben. «Neanche un po', balliamo» rispose Shannon. Mentre ballavano, Shannon si rese conto ancora una volta che sulla pista da ballo lei e Ben erano una coppia fantastica. Il loro bolero fu impeccabile. «Hai davvero intenzione di partecipare con me al Gator Gala?» chiese Ben alla fine, mentre la abbracciava fra gli applausi entusiasti del pubblico.
Shannon gli strinse forte la mano. Ben era molto cambiato dalla morte di Lara. Poi prese il microfono per fare l'annuncio. «Grazie. Grazie di cuore a tutti voi. Sono felice di annunciarvi che io e Ben parteciperemo al Gator Gala nella categoria dei professionisti!» Ben la guardò con un'espressione di immensa gratitudine, ma Shannon lo lasciò subito per andare a cercare Quinn. Gordon annunciò che Judd e Mary sarebbero scesi sulla pista e che altri balli sarebbero seguiti. Shannon si diresse verso poppa e incrociò alcuni studenti che tornavano nel salone principale. Si chiese dove poteva essere Quinn. Poi si fermò e si gustò la brezza. Era una notte stupenda. L'ultimo ballo stava per iniziare. Shannon si strinse nelle braccia e rimase immobile a fissare la scia di schiuma bianca lasciata dall'elica. Ferma e in silenzio, sentì il ronzio del motore e il rumore dell'acqua sotto di lei. Poi, a poco a poco, le parve di distinguere delle voci. Bisbigli, sussurri. Si voltò. Non sapeva da dove provenissero. Non riusciva a dare un senso alle parole. «... deve finire.» «Non c'è nessun collegamento evidente.» «Lei ci è andata troppo vicina. Prima o poi scopriranno tutto.» «Shannon!» chiamò qualcuno. Lei si voltò per tornare al salone. Era stato Judd a chiamarla. Lo maledisse fra sé. Strinse i denti, si voltò di nuovo a guardare verso poppa e le vennero i brividi quando vide con quanta violenza l'acqua usciva da sotto lo scafo. Sentì una raffica di vento e fece per voltarsi, proprio mentre la barca virava per tornare al porto. Fu qualcosa, qualcuno forse. Non capì cosa. Di colpo volò fuori bordo e precipitò in mare. Si ritrovò nel vortice impetuoso provocato dalla gigantesca elica. 22 «È caduta! Era lì un secondo fa e poi...» urlò il signor Clinton terrorizzato. Quinn cercava Shannon. Prima che lasciassero la barca voleva dirle che, per quanto ne sapeva, nessun altro se non Gordon era a conoscenza del faccia a faccia organizzato con Manuel Taylor. Forse era vero che il came-
riere si era trovato per caso in mezzo a una sparatoria, ma Quinn non voleva che Shannon restasse da sola con Gordon. Si era fatto largo fra un gruppo di studenti della Broward e aveva controllato fra la folla, ma non era riuscito a trovarla. Poi il signor Clinton aveva urlato. Intuì subito che si riferiva a Shannon e fu preso dal panico. Avanzò a spintoni, senza neanche badare a chi allontanava. Per poco non fece cadere il signor Clinton, mentre gli passava di fianco. Sul momento gli sembrò che nessuno si trovasse vicino al punto da cui era caduta Shannon, ma quando arrivò si era già formata una piccola folla. Prese la rincorsa sul ponte e si tuffò in mare. Qualcuno accese i fari, il motore venne spento. Il mare era gelido, di notte e a quella profondità. Quinn aveva paura di aprire gli occhi e non per l'effetto dell'acqua salata, ma perché aveva il terrore di vedere solo una confusione di rosso. Di scoprire che Shannon era stata risucchiata dall'elica. Tornò in superficie. Urlò il suo nome. «Shannon!» «Sono qui!» Anche se il motore era stato spento, la barca si era allontanata di molto. Quinn sentì che l'equipaggio calava le scialuppe. Presto sarebbero venuti in loro soccorso. «Dove?» «Qui!» La voce sembrava strozzata. Si precipitò in quella direzione. «Cosa stai facendo?» Nuotò veloce verso di lei e si rese conto che Shannon non solo se la cavava benissimo, ma si allontanava da lui. Il cuore gli batteva ancora forte. Lì, in mezzo all'oceano, di notte, Shannon sembrava fragile e delicata. E ostile. Ma era tutta intera. Era scampata alle pale dell'elica. Quinn lottò contro l'urgenza di aiutarla, sembrava perfettamente in grado di farcela da sola. «Cosa sto facendo?» ripeté incredula. «Il bagno di mezzanotte, no?» Arrivò fino a lei. «Sei caduta fuori bordo?» «Direi piuttosto che mi hanno spinto.» «Chi?» «Non lo so.»
«Non hai visto nessuno?» «No.» «Come fai a sapere che ti hanno spinto? Non è che ti sei sporta troppo? La barca ha virato di colpo, sei forse caduta in quel momento?» «No. In quel momento mi hanno spinto.» «Il signor Clinton ti ha vista cadere, ma non c'era nessun altro.» Shannon lo guardò e non rispose, anzi cominciò a nuotare verso il gommone che li stava raggiungendo. Gordon era a bordo con due membri dell'equipaggio, Javier Gonzales e Randy Flores. Quinn li conosceva entrambi perché lavoravano spesso per lui. Erano pronti a issarli a bordo. Shannon tremava mentre la aiutavano a salire. Fu subito avvolta in una coperta. «Stai bene?» chiese Gordon preoccupato. Quinn pensò che sembrava sincero. «Siete feriti?» chiese Javier. «No» disse Shannon. «Sto bene» tagliò corto Quinn. «Cosa diavolo stavi facendo?» chiese Gordon a Shannon. La risposta di Shannon stupì Quinn. «Non lo so. Devo essermi sporta troppo mentre la barca virava per tornare indietro.» «Grazie al cielo hai evitato l'elica» affermò Gordon. Quinn restò in silenzio. Un minuto dopo raggiunsero la barca dove il comandante era pronto ad accoglierli, angosciato. Doug aiutò Shannon a salire, poi si dedicò al fratello e li guardò senza parlare. Shannon si affrettò a rassicurare tutti che stava bene. «Mi dispiace» mormorò. «Evidentemente non ho il senso dell'equilibrio che credevo di avere. Siete tutti invitati a ricordarmelo quanto vi torturerò durante le lezioni.» Ci fu qualche risata. Nonostante quello che aveva appena detto, Quinn sapeva che Shannon era convinta di essere stata spinta. Qualcuno si fece largo fra la folla. Era Richard Long, aveva in mano due tazze. «Caffè con brandy, uno per la nostra incantevole-anche-se-bagnatamaestra, e un altro per l'uomo che ha rischiato la vita per salvarla. Un attimo. Ora che ci penso è lui il proprietario della barca, sbaglio? Forse si è buttato solo per evitare di essere denunciato.» Long aveva un tono scherzoso e tutti risero. «Denunciato? Non potevo correre il rischio che la mia insegnante annegasse. Ho appena cominciato a capire qualcosa del ballo» ribatté Quinn
con leggerezza. «Tutto è bene quel che finisce bene» disse Sam e fece un passo in avanti per abbracciare Shannon. «Bevi il caffè» intervenne Ella. «Stai tremando.» «Un caffè. Ottima idea. Grazie Richard.» Shannon prese la tazza. Dopo che ebbero attraccato al molo, Quinn scambiò due parole con il comandante, che giurò di non aver fatto manovre brusche. Quinn lo rassicurò e disse che non aveva dubbi al riguardo. Quando stava per scendere a terra, vide che Shannon, con i vestiti ancora bagnati appiccicati addosso, si era unita al gruppo della Moonlight Sonata. Si stavano salutando. Il suo tuffo in acqua era diventato parte della gita, una cosa divertente da ricordare per anni. Quinn aveva preso una decisione. Era il momento di stringere i tempi. Gli insegnanti erano agli ultimi saluti. Quinn si avvicinò a Shannon. «Dobbiamo palare.» Lei lo fissò con espressione interrogativa, poi si guardò attorno, per ricordargli che erano circondati dagli altri insegnanti. «Devo accompagnare Marnie a casa» osservò Shannon. «No, non devi» disse Quinn. «Ci penserà qualcun altro. Posso chiedere a Doug di farlo.» Una strana espressione le attraversò lo sguardo. Quinn pensò che avrebbe rifiutato come al solito. Invece Shannon si voltò e chiamò Sam. «Per favore, puoi accompagnare Marnie a casa e» esitò e guardò Quinn, «restare con lei stanotte?» Sulle prime Sam fu sorpreso, la fissò, poi guardò a sua volta Quinn e si aprì in un sorriso. «Volentieri.» «E piantala di sorridere.» «Certo. Chi sorride?» Tutti gli altri terminarono i saluti, poi finalmente lasciarono il pontile diretti al parcheggio. Gordon si fermò. «Sei sicura di sentirti bene?» chiese a Shannon. «Sicurissima. Davvero, Gordon, mi dispiace di aver rovinato la festa.» «Al contrario. Dopo aver visto che eri sana e salva, gli studenti lo hanno trovato molto divertente. Credo che sia stata la prima volta che ti hanno vista fare dei movimenti sgraziati.» Shannon sorrise. «Bene, sono contenta di avervi fatto divertire.» Sam era ancora nei paraggi con Marnie e anche Doug si era fermato.
«Doug, è tutto a posto. Vai a casa. O dove preferisci» disse Shannon. Gli rivolse un sorriso d'intesa. Lui la salutò e andò alla macchina. «Sam, smettila di fare il bambino e porta Marnie a casa.» «Va bene» mormorò Sam. Marnie baciò tutti e due sulle guance e lanciò loro uno sguardo troppo saggio per i suoi anni. «Passate una buona notte» mormorò, poi si avviò per prima. Con una scrollata di spalle Sam la seguì senza smettere di sorridere. Dopo un'ultima occhiata curiosa, anche Gordon se ne andò. Quinn e Shannon erano l'uno di fronte all'altro. Entrambi esausti ed entrambi fradici. Le barche ormeggiate urtavano i parabordi in gomma, da qualche parte una campana suonava, il mare lambiva gli scafi. Dal locale di Nick si sentivano alcune voci soffocate e una musica lenta. Quinn fissò Shannon. Stava per chiederle di nuovo se era stata spinta, ma prima che potesse aprire bocca lei scosse la testa. «No, ti prego, non farlo.» Lui si accigliò e la guardò senza capire. Senza pensare a chi avrebbe potuto vederli, Shannon fece un passo in avanti. Gli passò le braccia attorno al collo e si strinse a lui Poi si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò. Sapeva di sale, sapeva di vento, sapeva di dolce passione. Quinn rispose al bacio, le dischiuse le labbra e sentì nascere il desiderio. Shannon tremava fra le sue braccia. Per il vento o per l'eccitazione, Quinn non avrebbe saputo dirlo e non gli importava. La Twisted Time non era lontana. Shannon si staccò da lui e gli bisbigliò all'orecchio: «Non ti viene mai voglia di dimenticare tutto, proprio tutto, solo per qualche ora, non pensare a niente e...». Lui le prese il viso fra le mani, la guardò e le sorrise appena. «Sì» sussurrò in risposta, poi abbassò la testa. «Quando ti senti così triste e disperato che hai solo voglia di abbandonarti a un altro corpo. Non ti importa di nient'altro, non esiste nient'altro, né il tempo, né lo spazio, né le parole.» Shannon annuì e gli passò una mano sul torace ancora bagnato. Poi scese. Sempre più in basso. «Stai perdendo tempo» mormorò Shannon. Quinn la prese in braccio. Una volta arrivato alla barca saltò sul ponte, si frugò in tasca alla ricerca
delle chiavi e aprì la porta con il gomito. Mentre entravano, Shannon sbatté la testa contro lo stipite. Scesero i pochi gradini ridendo. Poi smisero di ridere, il respiro si fece affannato, si liberarono in fretta dei vestiti bagnati e desiderarono solo fondersi l'uno nell'altro. Shannon era distesa sopra Quinn, sul pavimento nello spazio ristretto fra il tavolo e il divano. Gli sorrise e fece per alzarsi. Quinn si spostò su un fianco. «Dove vai?» «A fare una doccia. Mi sembra di essere diventata di sale.» «Vengo con te.» «Non ci stiamo.» «Vedremo» rispose lui con un sorriso. La doccia era minuscola. Ci stavano appena. Furono avvolti dal piacevole getto caldo dell'acqua e dal vapore. Con una mano appoggiata dietro di lei, Quinn iniziò a baciare ogni centimetro del suo corpo, dapprima affettuoso, poi sempre più sensuale. I capelli bagnati, senza fiato, Shannon sorrideva del modo in cui lui riusciva ad approfittare dello spazio ristretto in cui si trovavano. Quinn le afferrò i fianchi, la sollevò e continuò a baciarla, ovunque, con baci sempre più intensi ed esigenti. Shannon si sentì sciogliere, le cedettero le ginocchia, si ritrovò schiacciata contro la parete di fiberglass. Sentì lo scroscio dell'acqua, il ronzio nelle orecchie e la forza dei muscoli di Quinn che la guidavano verso il precipizio dell'oblio e del puro abbandono. L'orgasmo le trapassò il corpo, violento come il getto dell'acqua. Ancora in piedi, sorretta dal corpo di lui contro la superficie liscia della parete della doccia, si accorse di tremare. Rimasero fermi, schiacciati l'uno contro l'altro, mentre i momenti scorrevano, ancora uniti in un atto d'amore che andava oltre l'amore. Poi si staccarono e iniziarono a insaponarsi a vicenda, finché i gesti non diventarono così intimi ed eccitanti che non c'era altra soluzione che riprendere dove avevano lasciato. Questa volta, però, Quinn aprì la doccia e la portò nella cabina, senza preoccuparsi della scia bagnata che lasciavano dietro di loro. Di nuovo padrona dello spazio, Shannon poté scivolare e muoversi sopra di lui, baciarlo, sentire il suo cuore battere sempre più veloce, respirare il suo respiro, accarezzargli le braccia, le mani, guardarlo negli occhi mentre si alzava sopra di lei, mentre la penetrava piano per aumentare il piacere e poi affondava in lei con forza, con passione, con desiderio. Poi, dopo aver provato la sensazione che tutto il suo mondo le esplodesse dentro per rag-
giungere i vertici del piacere, restò ferma accanto a lui, si godette il calore del suo corpo, in un appagamento che non ricordava di aver mai provato in tutta la vita. Non appena ricominciò a pensare con lucidità, però, ebbe paura. Ebbe paura di essere così indifesa, di desiderare qualcuno al punto da abbandonarsi completamente a lui, e non solo nella passione dell'atto sessuale, ma anche quando ridevano, quando parlavano, quando stavano vicini in silenzio. Quinn le accarezzò i capelli e la attirò a sé. Shannon si stupì delle prime parole che gli sentì pronunciare. «Sai che ha ragione?» «Chi?» «Marnie. Mi sto innamorando di te.» Shannon ebbe paura di rispondere. Lui la abbracciò ancora più forte, per farla aderire interamente al suo corpo. Shannon si sentiva avvolta da lui. Avrebbe voluto sussurrare la sua risposta, ma la paura le chiudeva la gola. «D'accordo» disse Quinn con dolcezza. «Non rispondere. Anche se quello che ti ho detto di solito esige una risposta.» Shannon non poteva guardarlo negli occhi. «Sei stato incredibile.» Quinn scoppiò a ridere. «Sei tornata in cattedra. Non si tratta di dare un giudizio sulla prestazione.» «E presuntuoso» aggiunse. Lui la spostò in modo da trovarsi di fronte a lei. Non rideva più. Shannon pensò che non aveva mai visto occhi di un azzurro così profondo e penetrante. Era serio, concentrato, bellissimo. «Non ho più voglia di giochetti. Lascio la scuola, mi ritiro dal Gator Gala. Voglio stare con te, Shannon.» «Io sono...» «Una codarda, una fifona.» Shannon provò una rabbia improvvisa. «Non è vero.» «Dimmi solo che vuoi provare.» Esitò, a disagio. Sapeva che lui aveva ragione. «Voglio stare con te fino al mattino. Voglio dormire con te ogni notte, sempre» gli confessò. «Perché?» Quinn sorrise. «Oltre al fatto che insieme siamo fantastici e molto meglio di qualsiasi danza erotica.» Shannon sorrise. Poi Quinn tornò serio e quando parlò le sue parole suo-
narono come un impegno per il futuro. «Perché sei il miglior valzer che abbia mai ballato. La rumba più erotica, la gioia più grande e più appassionata. Sei una musica meravigliosa.» Non smise di guardarla. Dopo un momento aggiunse: «E penso che anche tu ti stia innamorando di me, almeno un po'». «Sì, sono innamorata di te» riuscì a borbottare Shannon. «E molto più di un po'.» Più tardi, Shannon pensò che ci sarebbe stato ancora molto da dire. Erano troppe le cose strane che stavano accadendo, aveva bisogno di parlarne con lui, di convincerlo. Aveva bisogno che lui capisse. Niente poteva essere vero, niente poteva essere giusto. Non fino a quando la scia di cadaveri, quell'ombra scura sopra di loro, non fosse terminata. Ma poteva aspettare fino al mattino. Perché adesso, più di ogni altra cosa, avevano bisogno della notte. 23 «Lo giuro, qualcuno mi ha spinta» disse Shannon per l'ennesima volta. Erano seduti al tavolino della barca a bere un caffè. Quinn non l'aveva mai vista così bella. Aveva i capelli appena lavati, indossava una camicia di cotone e un paio di jeans che le aveva prestato Ashley. Quinn stava per andare con Jake alla centrale di polizia. Shannon, invece, sarebbe tornata a casa, per vedere come stava Marnie e lasciare libero Sam di godersi il resto della domenica. Nonostante sapesse che Marnie aveva vissuto per strada e che doveva essere abituata a situazioni ben peggiori, Shannon non se la sentiva di lasciarla sola. Avevano trascorso una mattinata piacevole. Si erano svegliati e preparati con calma, poi erano andati a fare colazione da Nick. Erano stati per oltre un'ora con la bambina, Shannon aveva conosciuto Ashley e si erano piaciute subito. Avevano parlato anche della morte di Manuel Taylor. Quinn non riusciva a smettere di pensare che la morte del cameriere non fosse stata casuale come sembrava. Jake si era offerto di andare alla centrale per leggere i rapporti e poi sul posto, nella zona di Grove, dove era avvenuta la sparatoria Nel frattempo Quinn e Shannon erano tornati alla barca. «La cosa più strana è che ho sentito qualcuno parlare sottovoce, prima di cadere in mare» aggiunse Shannon. «Cosa dicevano?» chiese Quinn.
Shannon si accigliò, pensierosa. «Parlavano di qualcosa che doveva essere fermato, anche perché non c'era un collegamento visibile.» «Collegamento con cosa?» «Non ne ho idea. Ho sentito solo qualche frammento della conversazione.» «Sono convinto che tutto sia collegato. Voglio che tu ti tenga lontana da Gordon in particolare. Non restare da sola con lui.» «Gordon è stato come un secondo padre per me.» «Non m'importa. Guardati da lui.» Sentirono la voce di Jake, fuori dalla barca. «Quinn, sei pronto?» «Arrivo!» rispose. Baciò Shannon sulla fronte e si rese conto che odiava lasciarla, anche solo per poche ore. «Ci vediamo più tardi?» le chiese. Shannon annuì. «Se Sam non ha altri impegni, forse andremo tutti e tre alla spiaggia a prendere il sole.» «Ottima idea.» La baciò di nuovo, uscì e raggiunse Jake sul ponte. «Andiamo con la mia macchina?» chiese Dilessio mentre si incamminavano. «È meglio se andiamo con due.» Jake lo guardò interrogativo e Quinn si strinse nelle spalle. «Penso di fare un salto alla spiaggia, dopo» spiegò. Alla centrale, Quinn studiò a lungo il rapporto che la compagna di Jake, Anna, gli aveva preparato. Tutto dava l'idea che un uomo innocente fosse rimasto per caso coinvolto in una sparatoria. «Te ne faccio una copia e poi andiamo sul posto» disse Jake e uscì dalla stanza. Era domenica e alla stazione c'era solo il personale di turno. La situazione era tranquilla. Così, quando il cellulare di Quinn squillò, sembrò quasi un allarme. Era Marnie. «Ciao» disse la ragazza, «Shannon è con te?» «No, veniva direttamente a casa.» «Non è ancora arrivata.» Marnie sembrava triste. Abbassò la voce. «Sam è come un bambino, vuole andare al mare.» «Prova sul cellulare. Sono venuto via prima di lei. Forse è ancora per strada.» «Ho provato. Non risponde.» «Prova ancora e lascia un messaggio. Io arrivo subito. Va bene?»
«Grazie.» Chiuse la telefonata. Quando Jake tornò, Quinn gli annunciò che aveva cambiato programma e che sarebbe andato da Shannon. «Forse è solo fuori campo» osservò Jake, dopo che Quinn gli ebbe riferito la telefonata con Marnie. «Non mi sento tranquillo» rispose Quinn. «Stanno accadendo troppe cose e troppo in fretta. Forse non c'entra niente con il resto, forse sì.» «Vuoi che ti segua?» Quinn scosse la testa. «No, non è necessario. Probabilmente sto esagerando.» «Chiama, se hai bisogno.» «Certo, grazie.» Mentre raggiungeva la macchina, Quinn provò a chiamare Shannon. Il telefono squillò a lungo, poi sentì la sua voce. «Shannon. Sono Quinn.» «Se volete lasciate un messaggio, vi richiamerò appena possibile.» Imprecò. «Richiama appena puoi.» Infilò il telefono in tasca. La sensazione di pericolo era aumentata. Shannon aveva intenzione di andare direttamente a casa. Sapeva che Quinn era preoccupato per lei e che era stato sul punto di suggerirle di non muoversi dalla barca fino al suo ritorno. Sembrava avercela con Gordon in particolare. Shannon non riusciva a credere che fosse lui il responsabile di ciò che stava accadendo. Qualche volta l'aveva intimorita o innervosita, ma non poteva essere lui. No, non Gordon. Non aveva parlato con Quinn dell'incidente nel magazzino. A ripensarci, l'episodio le sembrava ridicolo. La prova che la paura porta a fare cose stupide. Per questo era stata zitta. Le ci vollero pochi minuti per raggiungere la costa. L'aria era fredda, ormai, e non c'erano in giro molti turisti. Quando arrivò all'incrocio, però, invece di andare verso casa Shannon si ritrovò sulla strada che portava alla scuola. Domenica. L'edificio era senz'altro vuoto. Katarina non era certo al lavoro e alla scuola non ci sarebbe stato nessuno. Niente musica, niente rumore. Si sarebbe fermata solo un secondo. Forse sarebbe riuscita a scoprire la provenienza dello strano suono che continuava a sentire. Parcheggiò sul retro e salì di corsa le scale fino al pianerottolo esterno. Inserì la chiave nella serratura. Entrò. Si chiuse dentro a chiave.
Niente era cambiato dal giorno prima. Rimase ferma in piedi al centro della pista da ballo. Proprio quando iniziava a darsi della stupida, lo sentì. Di nuovo quel suono stridente. Sembrava provenire dallo spogliatoio degli uomini. Shannon tornò sui suoi passi ed entrò nello spogliatoio. Ispezionò ogni cabina, una alla volta. Niente. Eppure, più nitido che mai, sentì ancora quel rumore. Si fermò. Raggiunse in fretta la borsa e prese il portachiavi a cui era attaccata la piccola bomboletta di spray antiaggressione. Così armata, uscì di nuovo e fissò la porta del magazzino. Avrebbe dovuto aspettare. Chiamare qualcuno e dirgli di quel rumore. Ma ogni volta che voleva farlo sentire a qualche altra persona, il rumore spariva. Forse si trattava solo di un topo o di un esercito di scarafaggi. Inserì la chiave nella serratura e aprì. Bloccò la porta in modo che restasse aperta. Se dentro c'era qualcosa, voleva avere la certezza di poter fuggire di corsa. Accese la luce ed entrò. I soliti scatoloni ammassati sugli scaffali. Il manichino di Katarina era di nuovo in piedi. Di guardia, come al solito. Shannon avanzò. In punta di piedi. In silenzio. In ascolto. Poi lo sentì. Proveniva dalla parete sul fondo. Si avvicinò decisa, si fermò. Ascoltò. Guardò la porta, poi la parete. Di colpo si rese conto che la stanza avrebbe dovuto essere più lunga. Si avvicinò agli scaffali e cominciò a spostare gli scatoloni. Quinn raggiunse la casa, ma la macchina di Shannon non c'era. Quando lo sentì arrivare, Marnie uscì di corsa, seguita da Sam. «Non è ancora arrivata, vero?» Marnie fece cenno di no e si sporse nel finestrino. Cambiò espressione. «Cosa c'è?» chiese Quinn. «Perché hai l'identikit di quella donna sul sedile?» «Quale donna?» chiese Quinn distratto. Marnie lo indicò. Il ritratto di Sonya Miller era in cima alle cartelline impilate sul sedile del passeggero. «La conosci?» «No. Ma l'ho vista salire le scale sul retro della scuola.» Quinn fissò Sam e lui alzò le mani. «Non l'ho mai vista prima. Non era
un'allieva, Quinn, te lo giuro. Forse frequentava il Suede.» «Marnie, sei proprio sicura di aver già visto questa donna?» chiese Quinn. «Sì. E non andava al club, l'ho vista salire le scale» ripeté Marnie ostinata. Quinn inserì la retromarcia. «Io vado là. Chiamate la polizia.» Marnie fece appena in tempo a sfilare la testa dal finestrino. Quinn guidò più veloce che poté. Non riusciva ancora a dare un significato al fatto che Marnie avesse visto Sonya Miller. Sapeva solo che doveva fare in fretta. Finalmente era riuscita a togliere tutti gli scatoloni. La parete di fondo era libera. Si avvicinò e notò quello che poteva essere una crepa o un giunto della struttura. Provò a fare pressione. Niente. Picchiettò sopra con le nocche. Suonava a vuoto. Spinse ancora, con tutta la forza che aveva. Il muro cominciò a cedere. Shannon si rese conto che spostare gli scatoloni era stato inutile. Lo scaffale faceva parte della porta nascosta. La porta si aprì. Si aprì con quel rumore che Shannon aveva imparato a conoscere. Si chiese dove portasse. Forse era meglio non scoprirlo, non adesso, comunque. In quel momento doveva solo fuggire. Fece per arretrare, pronta a richiudere la porta e a rimettere a posto gli scatoloni. «Ciao, Shannon. Lo sapevo che prima o poi saresti arrivata. A dire la verità, ti stavo aspettando.» Lei aprì la bocca per urlare e si preparò a scappare. Ma prima che potesse fare una delle due cose, una presa decisa le afferrò un polso e la costrinse a piegarsi in avanti. Quinn salì le scale di corsa e vide la porta del magazzino spalancata. Si precipitò dentro e fece in tempo a vedere Shannon che passava attraverso il finto muro. Per un momento la sorpresa lo paralizzò. Shannon aveva un suo nascondiglio privato nella scuola. L'angoscia lo assalì. No, non poteva essere. Eppure era lì, alla scuola, quando aveva detto che sarebbe andata direttamente a casa. Non c'erano altre auto nel parcheggio. Non c'era nessuno in giro, nessun rumore.
Solo Shannon, che al suo arrivo era scomparsa. Si costrinse a entrare in azione. Dietro il falso muro c'era un lungo corridoio. Iniziò a percorrerlo. Shannon veniva trascinata con una forza tale che riusciva a malapena a respirare, figurarsi urlare. Aveva in tasca la bomboletta, ma non poteva prenderla perché aveva i polsi bloccati. Il corridoio era stretto. L'unica luce proveniva dalla porta segreta del magazzino. Il corridoio finì. Pensò che l'avrebbe sbattuta contro il muro, ma anche quella parete cedette dopo qualche spinta. Si ritrovò in una stanza. Era un locale angusto, largo al massimo un metro e mezzo e lungo meno di tre metri. Era stretto e poco illuminato, ma quando gli occhi si abituarono al buio, Shannon riuscì a distinguere i dettagli. Da una parte c'erano scaffali pieni di sacchetti di polvere bianca. Dall'altra, una stretta scala chiocciola che saliva. All'appartamento di Gabriel Lopez. Gabriel la gettò da una parte ed estrasse una pistola. All'inizio era così terrorizzata da non riuscire ad aprire bocca. Poi si riprese. L'istinto di sopravvivenza le consigliò di parlare, di fare qualsiasi cosa, di dire qualsiasi cosa per impedirgli di sparare. «Tu! Perché?» Gabe scosse la testa. «Soldi, chica, soldi. E la bella vita, naturalmente.» Le lanciò un'occhiata sprezzante. «Ballerini! Eravate la copertura migliore del mondo. Così sciocchi, intimiditi dal club, sempre alla ricerca della celebrità. E questo edificio era perfetto. Tutti erano felici dei lavori di ristrutturazione e la polizia avrebbe trovato solo una stilista e una scuola di ballo. Niente. Soltanto qualche scatolone pieno di vecchi abiti e scartoffie.» Shannon doveva uscire da quella situazione, lo sapeva. Rischiò. Estrasse la catena del portachiavi. Gabriel sollevò subito la pistola e tolse la sicura. «Buttalo a terra.» Shannon premette la bomboletta. Gabe arretrò, imprecò, tossì. Ma non era riuscita a mirare dritta agli occhi. I gas irritanti avevano riempito la stanza e anche lei iniziava a sentirne gli effetti. Poi Gabriel le si scagliò contro. Lottarono, ma alla fine vinse lui. «Lasciala andare, subito.» La voce li fece sussultare entrambi. Shannon era davanti a Lopez, tossiva per via dello spray e lui le puntava la pistola contro una tempia. Aveva
gli occhi pieni di lacrime. Li strizzò e vide che Quinn era arrivato, che aveva percorso il corridoio e li aveva trovati. «Lasciala andare, Lopez. Ora. Non voglio spararti. La polizia sarà qui a momenti e voglio che tu abbia un regolare processo. Non so perché tu abbia ucciso Nell Durken, ma suo marito non merita la pena di morte per qualcosa che hai fatto tu.» «Non sai neppure la metà di quello di cui stai parlando» rispose Lopez sprezzante. «Neppure la metà. La polizia non è ancora arrivata. E tu non sei un poliziotto, sei solo un investigatore del cavolo. Togliti di mezzo. Io esco e poi te la ributto indietro. Questi sono i patti.» Quinn rimase immobile, la pistola puntata su Lopez. «Bel posticino ti sei fatto, ma non riuscirai mai a portarla su per le scale, quindi direi che sei in trappola. Sbaglio?» «Basta solo che tu ti tolga di mezzo.» «Da un minuto all'altro sentirai le sirene.» «Allora è meglio che ti sbrighi. La ucciderò. Peccato però, mi sarebbe piaciuto darle una ripassatina. Ma lei mi ha sempre rifiutato. Era una copertura perfetta e ho dovuto accettare e sorridere. Chi poteva immaginare che sarebbe finita a letto con un idiota come te? Adesso muoviti!» Quinn si spostò un poco. «La cosa buffa, Lopez, è che per un attimo ho sospettato di Shannon. Sono entrato e ho visto la porta segreta. Avresti dovuto chiuderla. Io e i poliziotti ci avremmo messo secoli a trovarla. Hai commesso uno stupido errore.» «Butta la pistola e fammi passare.» Shannon credette di essere sul punto di crollare a terra. Le ginocchia le cedevano e gli occhi le bruciavano per via dello spray. Non riusciva neppure a respirare. Quinn era sempre fermo. «Adesso le sparo» minacciò Lopez. «Va bene, va bene, metto giù la pistola.» Quinn iniziò ad abbassare il braccio. Shannon sentì che Lopez allentava la presa, ma la canna era ancora contro la tempia. «Idiota!» tuonò Lopez. «Vi ucciderò, tutti e due.» Avrebbe tirato il grilletto. Ecco la verità. Shannon non avrebbe avuto neppure il tempo di vedere tutta la vita passarle davanti agli occhi. Il rumore dello sparo fu assordante, rimbombò tra le pareti della piccola stanza.
Shannon non provò dolore. Alle sue spalle, Lopez si accartocciò e la trascinò a terra con sé. Solo a quel punto Shannon cominciò a urlare, quando vide il sangue sgorgare dal foro di entrata del proiettile nella testa dell'uomo. Ebbe la vaga impressione di distinguere il suono delle sirene in lontananza. Poi sentì Quinn che la prendeva in braccio, che le parlava, ma era lontano, molto lontano. «Vieni, è finita. La polizia è arrivata. Continuano loro qui.» Shannon non riusciva ad alzarsi da sola, le ginocchia non la reggevano. Ma lui la teneva stretta e l'avrebbe guidata fuori, alla luce. 24 «Ma perché ha ucciso Lara?» chiese Ben. Erano a Key Largo, ospiti di Quinn nella sua casa con piscina, a due passi dal mare, dove poteva ormeggiare la Twisted Time. Non era una villa troppo lussuosa e non c'era nulla di ostentato e Shannon la trovava bellissima. Aveva tre camere da letto, una adibita a studio ma con un futon a due piazze. La polizia aveva sigillato l'intero edificio della scuola per qualche giorno e Gordon, dopo aver chiesto a Ella di avvertire tutti gli studenti, aveva deciso che, considerata la situazione, era giusto che restassero insieme. Per quello erano alle Keys. I ricordi di domenica erano confusi. Poliziotti ovunque. Shannon che rispondeva sempre alle stesse domande, in continuazione. L'arrivo di Marnie e Sam, prima spaventati, poi sollevati. Doug si era presentato con una pallidissima Jane appena uscita dall'ospedale e che continuava a sostenere di stare benone. Quinn era quello che stava peggio. Aveva detto qualcosa sul fatto che gli dispiaceva di aver ucciso Lopez, perché così molte domande non avrebbero avuto risposta. Shannon aveva dovuto lottare con emozioni contrastanti, compresa la rabbia di sapere che Quinn aveva sospettato di lei e di sentirlo lamentarsi per aver tolto la vita all'uomo che era stato sul punto di ucciderla. Si era pentita subito della sua reazione istintiva, ma ormai era fatta e a quanto sembrava il suo gancio era piuttosto buono, perché ancora lunedì Quinn si massaggiava la mascella. La notte di domenica si era di nuovo fermata a dormire sulla Twisted Time, mentre Sam era a casa sua con Marnie. Quella notte, più che mai, aveva avuto bisogno di sentirsi viva e
nessuno meglio di Quinn poteva darle quella sensazione. Poi avevano parlato per ore. La mattina erano stati svegliati presto da Gordon, che aveva riferito loro l'idea di riunire tutto il gruppo e stare insieme. Quinn aveva proposto casa sua alle Keys, al diavolo la fraternizzazione. E adesso erano lì. Erano arrivati con la barca. Doug, Ben e Quinn erano andati a fare immersioni, mentre Gordon, Sam, Marnie e Rhianna si erano dati alla pesca. Shannon era rimasta con Ella. Justin ne aveva approfittato per prendere il sole e Jane aveva cercato di rilassarsi e di seguire le istruzioni dei dottori. Lunedì sera erano tutti riuniti nel soggiorno di Quinn per la cena. Le finestre sul retro davano sulla piscina, il molo e la baia e lasciavano entrare la brezza e il profumo del barbecue. Si respirava davvero aria di vacanza. Almeno fino a quando non avevano cominciato a parlare dell'accaduto e Ben aveva espresso i suoi dubbi sulla morte di Lara. Quinn guardò Shannon. «Forse si era avvicinata troppo, o forse sapeva troppo.» «Comunque sia, è riuscito a drogarla durante la gara. È riuscito a procurarsi le medicine per uccidere due delle sue vittime e ha fatto fuori le altre due con l'eroina. E» aggiunse Ben guardando Doug, «se ho capito bene, ha ucciso anche Manuel Taylor. Perché Taylor?» «Non c'è dubbio, lo ha ammazzato lui» disse Doug. «Il risultato della balistica è stato positivo. Quando hanno perquisito l'appartamento di Lopez, hanno trovato la pistola che ha ucciso Manuel Taylor, con le impronte di Lopez» spiegò Quinn. «Penso che Gabriel avesse paura che Taylor si sarebbe ricordato di aver ricevuto da lui una bella mancia perché portasse a Lara il drink che le aveva preparato.» Scosse la testa. «Mi dispiace non aver parlato più a lungo con Manuel di quella notte. Ero concentrato solo su ciò che aveva detto a Shannon, non mi è venuto in mente che potesse sapere di più. Comunque, sono convinto che Lopez si sia fatto prendere dal panico e lo abbia ucciso.» «Ha ucciso anche Nell Durken?» chiese Ben. «Così sembra. L'avvocato di Art Durken, a quando pare, ci spera per tirar fuori di prigione il suo cliente» borbottò Doug. «E se è stato davvero Art Durken a ucciderla? Se gli omicidi non sono collegati? Sembra tutto così strano» insistette Ben. «Ben» disse Sam. «È finita. Non ci pensare.» «Sono pronto a scommettere che Lara avesse una storia con Gabe Lopez» affermò Gordon guardandosi in giro.
«Non veniva spesso negli ultimi mesi» intervenne Ella. «Allora forse lui ci ha provato e lei lo ha rifiutato. A Gabe non piaceva essere scaricato. Odiava Shannon per la stessa ragione, vero?» chiese Jane. «È quello che ha detto» convenne Quinn. «L'idea era stare insieme, non continuare a parlare di quello che è successo» si lamentò Gordon. «Voglio solo essere sicuro di aver capito tutto bene» disse Ben. «Allora, la piccola prostituta, Sally Grant, prendeva la droga da Lopez e forse ha visto la stanza segreta. Probabilmente Gabriel ha incontrato Sonya in un altro club, o sulla spiaggia, anche lei faceva uso di droga, ha scoperto troppo e Lopez ha dovuto eliminarla. Non poteva uccidere Lara con un'overdose di eroina, ma sapeva come fare, lo sapeva perché aveva già ucciso Nell Durken. È probabile che avesse una relazione con Nell, poi si è stancato o qualcosa del genere, e ha deciso di eliminarla. L'ha uccisa con i tranquillanti ed è riuscito a far credere che fosse stato il marito. Deve avere pensato che poteva uccidere Lara nello stesso modo. Lara indossava i guanti, era logico che non ci fossero impronte sul flacone. È morta davanti a centinaia di persone. Nessun omicidio, nessun crimine.» «Per quanto ne sappiamo, questo potrebbe essere il quadro della situazione» disse Quinn. «E ha ucciso Manuel per assicurarsi il suo silenzio» aggiunse Gordon. «Così sembra» mormorò Doug. «E tanti saluti al futuro roseo della mia attività» grugnì Gordon. «Lopez era proprietario del club, non della scuola» precisò Shannon. «Sì, ma il club ha chiuso per sempre» rispose Gordon. «Forse no. Forse verrà rilevato da qualcuno. Ora sì che è famoso» osservò Sam. «Si sa che il crimine affascina.» «Non ci resta che stare a vedere» disse Shannon. Ben la guardò con un'espressione triste. «Ti ha quasi uccisa, Shannon.» Scosse la testa. «A ripensarci, ti guardava sempre in modo strano. Secondo me era preoccupato perché credeva che tu avessi dei sospetti.» Shannon scosse la testa. «Non avevo sospetti finché Lara non è morta, poi ho sentito quel rumore. Ha sbagliato a non usare più spesso la scala del suo appartamento per salire e scendere, non mi sarei mai accorta di nulla.» «Sia il club sia l'appartamento erano puliti, niente droga, proprio come credevano quasi tutti i dipendenti» disse Doug. «Quasi tutti? Pensi che avesse dei complici?» chiese Rhianna preoccupata.
«È possibile» mormorò Doug. «Comunque la narcotici e la omicidi sono al lavoro. Scopriranno quali contatti aveva.» «D'accordo, ma siamo qui per stare insieme» insistette Gordon. «Che ne dite di guardare un film? Quinn, hai qualche DVD?» Qualcuno sparecchiò, qualcun altro preparò i popcorn e si ritrovarono in salotto a guardare Il signore degli anelli sul megaschermo di Quinn. A fine serata, Shannon si godette il momento in cui Quinn la toccò su una spalla e si ritirarono insieme in camera da letto. Credeva che sarebbe stato difficile tornare a far parte di una coppia, ma aveva scoperto che non era così. Era la cosa più facile del mondo. Più tardi, quella notte, Shannon si svegliò e vide Quinn che fissava il soffitto. Quando Shannon gli accarezzò una guancia, reagì con un sussulto. «Cosa c'è?» «Non lo so. Non picchiarmi di nuovo, ma vorrei davvero non essere stato costretto a uccidere Lopez. Ci sono ancora troppe cose non chiarite. È stato Lopez a uccidere Nell o è stato Art?» «Ci resterà per sempre il dubbio» sospirò Shannon. «Ricordi quello che ha detto? "Non sai neppure la metà di quello di cui stai parlando."» Shannon annuì. «Ricordo ogni parola di quel momento.» «Quella frase continua a torturarmi. Non ne so neppure la metà. Odio tirare a indovinare.» Shannon rimase in silenzio per qualche minuto. «Forse non avremo mai una spiegazione a tutto, però una cosa la so.» «Cosa?» «Mi hai salvato la vita, te ne sarò grata per sempre.» «Forse sei tu che l'hai salvata a me.» «Perché un giorno riuscirai a ballare il cha-cha-cha?» «No, perché ho imparato che non posso risolvere tutto, ma che posso cercare di essere l'uomo migliore del mondo per la persona che amo.» Con un sorriso, Shannon si rannicchiò fra le sue braccia e sperò di essere davvero riuscita a fargli dimenticare le domande che lo tormentavano. «No, cara, no!» Una settimana dopo, Christie era alla scuola. Aveva deciso di regalare un'ora del suo tempo per aiutare Marnie. «Sbagli, non devi girare mentre avanzi. Sono due movimenti separati. Devi imparare a concentrarti, se vuoi fare tutti quei giri veloci. Spezzali.
Passo e giri. Avanti il tallone. Passo e giri.» Marnie incrociò lo sguardo di Shannon e mimò: «No, cara, no!». «Non ti distrarre» ordinò Shannon, mentre si chiedeva ancora una volta come fosse possibile che qualcuno avesse permesso che Marnie vivesse per strada, che non si fosse preso cura di lei. Ora aveva un motivo di più per volere bene a quella ragazza. Se non fosse stato per lei, se non avesse telefonato a Quinn e non avesse riconosciuto il ritratto di Sonya Miller, forse lui non sarebbe mai arrivato in tempo alla scuola. Ed era stato grazie a lei che erano riusciti a collegare Sonya all'edificio e a Gabriel Lopez. Shannon rimase a guardarle per un paio di minuti. Sorrise e tornò nel suo ufficio. Ella le aveva detto che c'era Quinn al telefono. Shannon rispose dal telefono dell'ufficio. «Ciao. Dove la hai portata?» Sapeva che Quinn era fuori a cena con sua madre, per farsi perdonare i silenzi delle ultime settimane. «Un nuovo posto a nord di Miami. Tornerò tardi, credo. Cucina scozzese. Come ti sembra?» «Interessante. Ruba una lista delle vivande se riesci.» «Sono un ex poliziotto. Non posso rubare.» Shannon scoppiò a ridere. «Me la farai conoscere presto?» «Penso proprio di sì, le ho già raccontato tutto di te.» Shannon sorrise fra sé. «Allora buona cena e divertiti.» «Grazie, a dopo.» Riagganciò e tornò dagli altri. Erano rimasti in pochi, in attesa della lezione di gruppo dei più bravi. Il lunedì era sempre un giorno morto. Shannon andò in cucina e aprì il frigorifero. Ben la raggiunse. «Cosa vuoi fare?» Sam aveva finito le lezioni e aveva accompagnato a casa Marnie. Anche Jane era andata via presto. Non aveva ancora ripreso a insegnare, ma non riusciva a stare lontana dalla scuola. Doug invece era rimasto, non perdeva mai una lezione di gruppo. C'erano anche Katarina, David e Richard Long. Mina era esausta ed era tornata a casa. Anche Gordon era uscito presto, con la scusa che la scuola era in ottime mani. «Cos'hai in mente?» ripeté Ben. «Champagne. Pensavo di ravvivare un po' la lezione di gruppo.» «Richard ha appena preparato il caffè per lo stesso motivo.» Il dottor Long li raggiunse. «Va bene tutto. Lo champagne mi sembra una buona idea.»
Mona O'Casey non si era mai risposata dopo la morte del marito, ma non era caduta in depressione. Rimasta con un'ottima rendita, aveva abbandonato il lavoro da infermiera e dedicava il suo tempo al volontariato. I capelli bianchi tagliati corti, gli intelligenti occhi azzurro polvere, sprizzava energia da ogni poro. «Mi sono comportato male, vero?» Mona sorrise. «Capisco sempre quando sei dell'umore sbagliato. Certo, preferisco quando ti posso parlare, ma so che appena stai meglio ti fai sentire.» Sospirò piano. «Tu e tuo fratello avete scelto professioni pericolose, ho imparato a non restare sveglia la notte a preoccuparmi. E poi Doug mi aveva rassicurato che stavi bene e che si trattava solo di uno dei tuoi momenti no. E» aggiunse con un sorriso mentre beveva un sorso di merlot, «mi sembra proprio di aver capito che presto vi vedrò ballare.» «Già, il valzer. Tutto merito tuo.» Mona rise. «È una consolazione scoprire che vi ho insegnato qualcosa di tanto utile.» Quinn prese la mano della madre e la accarezzò. «Ci hai insegnato molte cose utili. Io ci ho messo un po' a trovare la retta via, ma Doug è stato sempre un bravo ragazzo, fin da piccolo.» D'un tratto Mona divenne seria. «È strano, sai, scoprire cosa provoca angoscia nelle persone. Tuo fratello ha superato imperterrito ogni fase dell'accademia, scene del crimine, obitorio, esami, sempre saldo come una roccia. Quando ha cominciato a ballare, invece, non mi ha mai lasciato assistere alle gare. Ballare lo rende nervoso.» «Anch'io non sono proprio tranquillo all'idea che tu mi veda ballare il valzer» tenne a precisare Quinn. Per un minuto Mona restò in silenzio, con un'ombra triste sul viso. «Ti credo. Ma essere nervosi non è un buon motivo per prendere tranquillanti. L'ho detto a Doug.» «Doug?» «Sì, ti sembra possibile? Tuo fratello si è fatto fare una ricetta per quella roba, solo per allentare la tensione prima di iniziare a ballare.» Quinn si sentì morire. No. Non suo fratello. L'assassino era Lopez. Lopez l'aveva guardato dritto negli occhi e aveva detto: «Non sai neppure la metà di quello di cui stai parlando». Suo fratello andava a letto con Lara Trudeau. Quinn aveva sempre saputo che c'era qualcosa che non quadrava nella
ricostruzione dei crimini. Ma non Doug. Non suo fratello. «Che cosa c'è, caro?» «Mi scusi un attimo, mamma?» Compose il numero della scuola. Rispose la segreteria. Poi chiamò Shannon, ma anche lì incappò nella voce che chiedeva di lasciare un messaggio. Non c'era motivo per pensare che qualcosa non andasse. Shannon non era da sola. La lezione di gruppo sarebbe cominciata fra pochi minuti. «Quinn, così mi fai spaventare» disse Mona. «Mi dispiace. Scusami ancora un minuto. Provo a chiamare Doug.» Quando anche al numero del fratello gli rispose la segreteria, Quinn si irrigidì. «Troverò il modo di farmi perdonare, mamma» mormorò, mentre si alzava, «ma adesso devo andare.» Mona lo guardò negli occhi. «Se non mi telefoni entro la mezzanotte, chiamo la polizia.» «Fallo davvero, se non ti chiamo entro mezzanotte.» Poi Quinn lasciò qualche banconota sul tavolo e uscì di corsa dal ristorante. Shannon posò il bicchiere. Aveva sentito squillare il suo cellulare. «Scusatemi, torno fra un attimo. La lezione inizia fra due minuti. E che nessuno usi lo champagne come scusa per non riuscire a ballare.» Trovò il cellulare e controllò i messaggi. Ce n'era uno di Quinn. Provò a richiamarlo, ma scattò la segreteria. Strano, avrebbe dovuto essere ancora al ristorante, ma forse era già andato via e sull'autostrada in alcuni tratti non c'era campo. «Spero che sia andato tutto bene con tua madre» disse allegra. «Chiamami. Non siamo in molti qui, è tutto tranquillo.» Chiuse pensierosa la comunicazione e tamburellò le dita sulla scrivania. Si alzò, poi si sedette di nuovo e afferrò il telefono che squillava. «Quinn?» «Mi dispiace, sono io. Marnie. Volevo solo sapere se va tutto bene.» «Sto bene, perché?» «Ha chiamato Quinn, ha detto che non riusciva a parlarti.» «Gli ho appena lasciato un messaggio. Va tutto bene.» «Provo a richiamarlo, se vuoi.»
«Grazie, Marnie.» Shannon riappese e si preoccupò. C'era silenzio nella scuola. Solo un valzer che suonava piano. Si alzò e lasciò l'ufficio. Quando raggiunse la pista da ballo, si fermò di colpo. Si guardò in giro. Erano tutti a terra. Tutti. Katarina e David erano uno sopra l'altro. Richard Long era a poca distanza da loro, a faccia in giù. Ben e Rhianna a pochi passi da lui. Doug O'Casey era quasi sotto i suoi piedi. Justin sembrava crollato a terra mentre andava verso lo spogliatoio degli uomini. Ella era riversa sul bancone della segreteria. Shannon fece un gran respiro. Confusione, paura e sbigottimento s'impossessarono di lei. Cadde in ginocchio, posò le dita contro la gola di Rhianna e respirò di sollievo. Sentiva il battito. Si alzò e si voltò, ansiosa di raggiungere il telefono per chiamare aiuto. Non le fu possibile. Una delle persone a terra si era rialzata. Per la seconda volta in poco più di una settimana, Shannon si ritrovò a fissare la canna di una pistola. Quinn ascoltò il messaggio di Shannon e imprecò contro l'autostrada e contro la scarsa copertura della zona. In quel momento squillò il telefono. Era Marnie, che gli disse che andava tutto bene. La ringraziò e chiuse la comunicazione. Nonostante le parole di Marnie e quelle di Shannon, sentiva che doveva arrivare alla scuola il più in fretta possibile. Non poteva smettere di chiedersi se era davvero quella la metà mancante. Gabriel Lopez non lavorava da solo. Doug aveva preso tranquillanti per tenere i nervi sotto controllo. Gli stessi che avevano ucciso Nell e Lara. «Non mio fratello!» disse ad alta voce. Premette più forte l'acceleratore e si maledisse per aver abbassato la guardia. Sapeva che non era ancora finita. «Non hai bevuto il tuo champagne» disse Richard Long a Shannon. «Avresti dovuto.» Shannon lo fissò. «Richard?»
«Devi bere lo champagne.» «Ma perché? Perché l'hai fatto?» Richard sospirò. «Troppe persone pensano che ci sia del marcio in Danimarca, se ricordo bene la citazione. All'inizio ero preoccupato. Ero convinto che Lopez mi tradisse, ma non l'ha fatto. Poi è arrivato quel dannato poliziotto e ha iniziato una storia con Lara. Poi il fratellone, l'investigatore, si è messo di mezzo. Sono ricominciate le domande. Quelli della omicidi e tutti i suoi amici. Prima o poi verranno a bussare alla porta. Lo capisci anche tu, è meglio che io sistemi tutto subito.» «E pensi di farlo così? Quinn arriverà, lo sai, e poi la omicidi e la narcotici.» «Shannon, davvero non voglio farti del male. Perciò bevi lo champagne. Ti assicuro che è semplice. È come addormentarsi.» «E come credi che si spiegheranno tutto questo?» Shannon indicò la stanza con un gesto della mano. Long sogghignò. «L'ultimo ad arrivare sarà il signor Quinn O'Casey. Non credo che lui ne sia al corrente, ma ho prescritto a Doug dei tranquillanti. Ha una ricetta in tasca proprio adesso. Sanno tutti che Doug aveva una relazione con Lara. Il fratello arriva, scopre cosa ha fatto Doug ed è pronto ad affrontarlo. Naturalmente Doug è già sotto l'effetto della droga, il suicidio è l'unica via d'uscita per le sue colpe, ma ha ancora un po' di energia e i due fratelli si sfidano. Doug è più veloce e uccide Quinn, poi muore per overdose, come aveva programmato. Tutti i presenti muoiono. Io sono stato fortunato: ero stanco e sono andato via prima. Altrimenti sarei morto anch'io. Che terribile tragedia.» «Tu sei pazzo» disse Shannon, ma si pentì subito di quelle parole, quando lo vide innervosirsi. «Richard, non capisco. Come avete fatto tu e Lopez...?» «Ho presentato a Gabe molti dei miei clienti. Non hai idea di quanti siano i ricchi che apprezzano la terapia del divertimento. Nessuno ha mai saputo che fosse Gabe lo spacciatore, sapevano solo che potevano andare al club, lasciare i soldi e avrebbero ricevuto la merce. Ci abbiamo guadagnato un bel po' di denaro. La prima è stata Nell. Si sentiva sola e, a dire la verità, Mina mi annoia a morte. Poi Nell si è tirata indietro, perché voleva provare a ricostruire il rapporto con quel parassita del marito. Sono andato a parlarle, abbiamo litigato, mi ha insultato. Allora ho deciso di risolvere la situazione a modo mio. Per quanto riguarda Lara, be', la conoscevi. Era una puttana. Prima mi ha sedotto per divertirsi, poi ha iniziato a seguirmi e
ha capito quello che facevo con Lopez. Ha deciso di ricattarmi, mi ha umiliato dicendomi che andava a letto con il poliziotto. Lui è più giovane, diceva. Più virile. Sono stato costretto a occuparmi di lei. Gabe ha commesso qualche imprudenza con la prostituta e con quella tizia dell'alta società e ha dovuto sistemarle. Nell mi ha fatto impazzire, ma adesso siamo pari. Quanto a Lara, era una puttana e meritava di morire.» «È vero, Lara si comportava come una puttana» convenne Shannon con voce calma. «Quanto ne hanno ingerito quelli a terra? Quanto possono sopravvivere?» «Non hai ancora capito. Questo metterà fine ai dubbi di chi ha continuato a credere che Lopez non poteva aver fatto tutto da solo.» Shannon si voltò di scatto, era certa di aver sentito un rumore di passi per le scale. Anche Richard l'aveva sentito. La afferrò e la trascinò a terra, la canna della pistola puntata al cuore. Quinn entrò di corsa ed ebbe l'impressione di essere sulla scena di un massacro rituale. Erano tutti a terra, tutti. Per poco non era inciampato nel corpo di Justin Garcia mentre entrava. Si inginocchiò e cercò le pulsazioni. Deboli, ma c'erano. Si alzò e si spostò cauto sulla pista. Doug era a terra insieme agli altri. Si chinò subito su di lui, sentì il battito sulla gola e ringraziò il cielo. Aveva la pistola in mano. Con l'altra prese il cellulare. Prima che riuscisse a premere anche un solo tasto, fra le pareti della stanza rimbombò uno sparo. La mano gli bruciò come se fosse stata inghiottita dalle fiamme. La pistola e il telefono caddero a terra. Quinn si prese la mano ferita. Si voltò e vide Richard Long, in un terribile déjà vu. Shannon era davanti a Long, che le puntava la pistola alla testa. «Il dottore, certo» disse con calma. «Che idiota, se penso che sono arrivato a sospettare di mio fratello.» «È stato tuo fratello» dichiarò Long. «Vai all'inferno.» «Tutti crederanno che sia stato lui. È orribile che ti abbia sparato.» «Sei pazzo. La scientifica capirà come si sono svolti i fatti. Finirai sulla sedia elettrica.» «No, non andrà così. Ho previsto tutto.» «Allora perché Shannon non è a terra con gli altri?»
«Perché non ha voluto bere lo champagne. Anzi, falle un favore, prendi il bicchiere e obbligala a bere, così morirà senza soffrire.» «Non lo berrò mai» annunciò Shannon. Quinn incrociò il suo sguardo. Non sembrava spaventata, solo furiosa. «Sarebbe molto più facile per lei. Spiegaglielo tu, Quinn.» Quinn si alzò lentamente, con le mani in alto. Provò a piegare le dita e fu felice di scoprire che lo sparo l'aveva colpito solo di striscio. «La convincerò a bere, Richard» disse con calma, gli occhi puntati su Shannon. «Ma voglio qualcosa in cambio. Tu hai bisogno di me per sistemare per bene la scena e ti aiuterò. Prima però voglio qualcosa da te.» Richard non mollò la presa su Shannon. «Cosa stai dicendo, Quinn?» chiese Shannon. A quel punto Quinn guardò Richard. «Hai concesso a Lara una morte poetica. A quella puttana di Lara. Shannon ti ha sempre trattato come un re, è stata la tua insegnante.» «Che cosa vuoi?» «Un valzer» disse Quinn. «Un ultimo valzer.» «Un valzer? Sei matto?» sussurrò Shannon. «Vi posso sparare subito» intimò Richard. «Sì, ma la scena sarebbe poco credibile. Lasciami ballare. Che cos'hai da perdere?» Richard esitò, poi spinse Shannon verso Quinn. Shannon lo raggiunse con un'espressione dura scavata sul volto. Quinn le sorrise e cercò di comunicare con lo sguardo. Voleva farle capire che aveva bisogno del suo aiuto. Il tempo era poco. Avevano un'unica possibilità. «Il nostro pezzo forte» annunciò ad alta voce. «Tu sei matto» sussurrò Shannon. Aveva le lacrime agli occhi. «Stiamo per morire e vuoi ballare il valzer?» «Il nostro pezzo forte» ripeté Quinn. Shannon sollevò un sopracciglio in un'espressione interrogativa. Quinn si mise in posizione di partenza e la invitò a raggiungerlo. Lei gli scivolò fra le braccia e iniziarono a ballare. Richard li osservò volteggiare per la sala. «Il nostro pezzo forte» disse Quinn. A quel punto Shannon capì cosa aveva in mente Quinn. Temeva solo di non riuscire a farcela. «Ma che vi prende?» esclamò Long.
«Uno, due, tre... adesso!» esclamò Quinn. «Il Mulino a vento.» Shannon gli girò intorno. Quinn si chinò e la sollevò. Poi cominciò a girare su se stesso. Shannon fu fantastica, girò con forza, sospinta da lui e andò a scontrarsi contro Richard Long, che fu costretto ad arretrare e poi cadde a terra. Shannon atterrò sopra di lui. Poi anche Quinn fu a terra. Spostò Shannon e afferrò Long. Il medico cercò di fuggire, di raggiungere la pistola che gli era caduta di mano quando Shannon l'aveva colpito. Quinnlo colpì con forza alla mandibola, mentre Shannon si precipitava a recuperare le due pistole e il telefono di Quinn. Glielo passò. A cavalcioni sopra Long, Quinn compose il 911. «È un'emergenza. Abbiamo bisogno di molte ambulanze, saranno necessarie delle lavande gastriche...» Prima ancora che avesse finito di parlare, si sentì l'ululato delle sirene. Epilogo C'era frenesia sulla spiaggia quella notte. Come al solito. Più del solito. Il Gator Gala, il primo campionato sponsorizzato dalla scuola di danza Moonlight Sonata, che era stato ampiamente pubblicizzato da tutte le riviste del Paese, aveva paralizzato il traffico. L'albergo che ospitava l'evento era strapieno e così pure le strutture vicine. I ristoranti facevano ottimi affari. La brutta storia di droga, adulterio, sesso e omicidi fra ballerine e celebrità, unita a quella della scuola che era riuscita a resistere agli assalti della malavita, avevano reso la gara non solo famosa, ma intrigante, al punto che molti dei grandi nomi del ballo professionista avevano fatto di tutto per essere presenti e non lasciarsi sfuggire la loro fetta di pubblicità. Più aumentavano i grandi nomi, più biglietti si vendevano, più giudici di prestigio chiedevano di partecipare all'evento, più studenti si iscrivevano. La situazione era quasi incontrollabile. E c'era di più, naturalmente. Shannon Mackay, che aveva smesso di gareggiare otto anni prima a causa di una caviglia fratturata, era tornata in pista. Tornata in grande stile. Era a dir poco spettacolare. Poesia al ritmo di musica. Il vestito scintillante le avvolgeva il magnifico corpo e ondeggiava sotto le luci a ogni suo
movimento. Sembrava creare armonia senza alcuno sforzo. I capelli biondi erano raccolti sulla nuca in uno chignon tempestato di pietre preziose dello stesso colore dell'abito. Le bastava distendere un dito per evocare perfezione. Il movimento della testa, l'intensità dello sguardo. Lei stessa era un ballo perfetto, ogni parte di lei era in sintonia con la musica. Era rapita dalla musica. E il pubblico era rapito da lei. La musica era dolce come una fiaba, e dava vita a una fiaba. Shannon era bellissima e il suo sorriso era contagioso. Il suo partner era alto, misterioso, attraente e altrettanto bravo. Insieme erano incredibili. Si muovevano così all'unisono da sembrare una persona sola. «È superlativa» mormorò Gordon. «Insieme a lei Ben sembra bravissimo» aggiunse Sam. «Ben è bravissimo» commentò Quinn. «Sono perfetti insieme» intervenne Rhianna. «Quando ballano, intendo» si affrettò ad aggiungere. Quinn sorrise. «Siamo stati quasi altrettanto bravi» disse Jane, mentre prendeva la mano di Sam. «Quasi» convenne lui con un sorriso. «Secondo me, Marnie ha buone possibilità di vincere il trofeo della salsa» osservò Justin. Quinn guardò Marnie, la ragazza di strada scappata da casa. Era riuscita a farcela. Ancora non guadagnava abbastanza da pagarsi i vestiti, ma Katarina le aveva modificato uno dei vecchi abiti di Shannon. Era difficile trovare una donna più bella di lei in tutta la sala, i capelli raccolti incorniciavano un'espressione raggiante. Incrociò lo sguardo di Quinn e gli sorrise. «Ottime possibilità» disse Quinn con affetto. Sam era diventato molto protettivo nei confronti di Marnie. Si era spostato in un appartamento più grande e la ragazza era andata a vivere con lui. Nessuno dei due poteva uscire con un uomo senza l'approvazione dell'altro. Qualcuno li aveva soprannominati Will e Grace del ballo. «Rhianna, anche tu sei stata stupenda questa sera» tenne a precisare Gordon. «Tu e Doug avete fatto meraviglie.» Doug aveva lasciato la polizia. Gli piaceva essere un poliziotto, ma aveva deciso che ballare gli piaceva di più. Inoltre, con tutta la notorietà che aveva sommerso la Moonlight Sonata, avevano bisogno di un nuovo istruttore. Doug e Marnie non erano ancora qualificati per insegnare agli studen-
ti avanzati, ma i principianti li adoravano. «Già che siamo in vena di smancerie» disse Doug a Quinn, «posso congratularmi per il tuo valzer di questa notte?» Quinn rise. «Siamo arrivati secondi. Se avesse ballato con qualcun altro, Shannon avrebbe vinto.» «Come principiante sei stato bravissimo» rispose Doug. «Tutti e due i miei ragazzi sono stati straordinari» commentò Mona, che si era insinuata fra loro per congratularsi. «Zitti! Il finale!» esclamò Gordon. Sembrava quasi che Shannon fosse sospesa in aria, sopra la testa di Ben, poi scivolò fra le sue braccia, scese piano, con un tempo perfetto, fino all'immobilità. L'applauso fu assordante. Dopo gli inchini, Quinn vide Shannon scrutare la sala. Cercava lui. Gli corse incontro e saltò fra le sue braccia. Quinn le fece i complimenti, poi la posò a terra e la baciò. Per Shannon ballare era più importante che vincere. E l'approvazione delle persone che amava sarebbe stata sempre più importante del giudizio di una giuria. Shannon ricevette i complimenti da tutti. La madre di Quinn, i colleghi, i vecchi amici e anche qualcuno che non conosceva. Alla fine l'ultimo premio fu assegnato. Come previsto, Shannon e Ben vinsero il riconoscimento più importante della serata, la Corona. Gordon gongolava fiero della sua scuola. Più tardi si ritrovarono insieme nella fantastica suite dell'albergo. I raggi della luna si intrufolavano nella stanza. Shannon si avvicinò a Quinn e lo abbracciò. «Non ci sarei mai riuscita senza di te.» Quinn sorrise. «E io non sarei mai tornato nell'FBI se tu non mi avessi incoraggiato. Ho scoperto di essere bravo nel mio lavoro.» «Sei bravo in tutto» disse lei mentre scrutava i suoi occhi. «Avresti anche potuto vincere con il valzer, se io non ti avessi impedito di guidare. Non avrei dovuto. Ho vinto insieme a Ben, ma mi sarebbe piaciuto vincere anche con te.» Quinn sapeva che Shannon aveva voluto vincere più per Ben che per se stessa. E che avrebbe voluto vincere per lui. Le prese il viso fra le mani. «Noi abbiamo già vinto una volta, insieme» le ricordò. «Abbiamo vinto con quello stupido Mulino a vento e con il valzer più incredibile che sia stato mai eseguito. Ben può tenersi il trofeo, io ho te. È questa la cosa più importante.»
«Un Mulino a vento micidiale, vero?» bisbigliò Shannon «Irripetibile.» Shannon sorrise e gli sussurrò all'orecchio: «È stupendo accorgersi che la propria vita è l'applauso più bello, il riconoscimento migliore che si possa ottenere. Se la vita è un ballo, voglio ballarla con te». «Sei tu la maestra. Insegnami.» «A volte anche gli insegnanti devono imparare.» Quinn la prese in braccio. Erano vivi, erano insieme. Davanti a loro avevano il mondo intero, la fiducia conquistata a fatica, la stima che si erano guadagnati e una danza che avrebbero ballato per sempre. FINE