ROBERT JORDAN NUOVA PRIMAVERA (New Spring, 2004) Per Harriet, ora e per sempre
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ROBERT JORDAN NUOVA PRIMAVERA (New Spring, 2004) Per Harriet, ora e per sempre
1
L'Uncino Il vento freddo imperversava nella notte, su quella terra coperta di neve dove durante gli ultimi giorni gli uomini si erano massacrati a vicenda. L'aria era frizzante, anche se non gelida come si sarebbe aspettato Lan in quel periodo dell'anno. Il freddo era tuttavia intenso e penetrava al di sotto del pettorale d'acciaio e attraverso la giubba, mentre il fiato si condensava in nuvolette davanti al volto dell'uomo, quando il vento non le soffiava via. L'oscurità che ammantava il cielo stava cominciando ad attenuarsi, e le migliaia di stelle, che ricordavano polvere di diamante gettata in ordine sparso, iniziavano a schiarirsi. La falce di luna era bassa, emanava una luce fioca che permetteva solamente di notare le sagome degli uomini di guardia al campo privo di fuochi, fra la distesa disordinata di querce ed eriche. I fuochi avrebbero rivelato la loro posizione agli Aiel. Lan li aveva già combattuti molto tempo prima che cominciasse la guerra, nelle marche shienaresi, per una questione di dovere nei confronti degli amici. Gli Aiel erano molto pericolosi alla luce del giorno. Affrontarli di notte era come mettere in gioco la propria vita basandosi solo sul lancio di una moneta: non vi era alcuna differenza. Appoggiando la mano guantata sull'elsa della spada riposta nella custodia, si strinse il mantello contro il corpo e prosegui l'ispezione delle sentinelle, camminando nella neve che gli arrivava fino al polpaccio. La sua era una spada antica, creata con l'Unico Potere prima della Frattura del Mondo, durante la Guerra dell'Ombra, quando per un breve periodo il Tenebroso aveva camminato sulla terra. Di quell'Epoca rimanevano solo delle leggende, a eccezione di quanto sapevano le Aes Sedai, ma l'arma di Lan ne era una prova tangibile. Non poteva essere spezzata e non aveva bisogno di essere affilata. L'elsa era stata rimpiazzata innumerevoli volte nel corso dei secoli, ma la lama non si bruniva mai. Un tempo era stata la spada dei re malkieri. La sentinella successiva che incontrò, un tipo basso e tozzo che indossa-
va una lunga giubba nera, era appoggiata al tronco di una grande quercia, con il capo reclinato sul petto. Lan toccò il soldato su una spalla e quello scattò, lasciando quasi cadere l'arco di corno e tèndine che impugnava fra le mani guantate. Il cappuccio del mantello scivolò all'indietro, rivelando per un istante l'elmetto conico prima che l'uomo lo tirasse di nuovo su. Alla pallida luce lunare Lan non avrebbe potuto riconoscere il volto dietro le barrette verticali della visiera, ma sapeva già di chi si trattava. L'elmetto di Lan era aperto, nello stile del Malkier ormai scomparso, con una mezza luna d'acciaio che pendeva davanti alla fronte. «Non stavo dormendo, mio signore» si giustificò subito l'uomo. «Stavo solo riposandomi un momento.» Era un Domanese dalla pelle ramata e, giustamente, sembrava imbarazzato. Quella non era la sua prima battaglia, nemmeno la prima guerra. «Un Aiel ti avrebbe svegliato tagliandoti la gola o trapassandoti il cuore con una lancia, Basram» rispose tranquillo Lan. Gli uomini ascoltavano più volentieri i toni pacati che le grida, se la voce era ferma e trasmetteva una sensazione di calma. «Forse sarebbe meglio se non ci fosse un albero tanto vicino a tentarmi» si giustificò il soldato. Lan si trattenne dal dirgli che anche se gli Aiel non lo avessero ucciso rischiava il congelamento delle dita dei piedi, rimanendo troppo a lungo fermo in un solo posto. Basram lo sapeva. Nell'Arad Doman gli inverni erano freddi quanto nelle Marche di Confine. Borbottando delle scuse, il Domanese si toccò l'elmetto in segno di saluto e si allontanò di tre passi dall'albero. Adesso stava dritto e scrutava nell'oscurità. Muoveva anche i piedi, per evitare il congelamento. Giravano voci su delle Aes Sedai vicino al fiume che si offrivano di guarire i soldati con la magia; ferite e malattie scomparivano come se non fossero mai esistite, mentre senza il loro intervento l'amputazione sarebbe stato il solo mezzo per evitare che i piedi, le braccia o le gambe imputridissero. In ogni caso, era meglio non rimanere coinvolti negli affari delle Aes Sedai più di quanto non fosse strettamente necessario. A distanza di anni potevi scoprire che una di loro ti aveva legato, nel caso avesse avuto bisogno di te. Quelle donne erano molto previdenti, e sembrava si curassero di rado di chi usavano per i loro piani, o come. Era uno dei motivi per cui Lan le evitava. Quanto sarebbe durata la rinnovata attenzione di Basram? A Lan sarebbe piaciuto conoscere la risposta, ma non aveva senso insistere nel rimproverare quell'uomo. Tutti i soldati ai suoi ordini erano stanchi. Probabilmente ogni guerriero dell'esercito della rinomata Grande Coalizione - a volte era
chiamata in quel modo, altre Grande Alleanza o con una mezza dozzina di altri nomi, alcuni poco lusinghieri - era prossimo all'esaurimento. Una battaglia era un lavoro difficile con o senza la neve, e stancante. I muscoli erano rigidi per la tensione anche quando gli uomini avevano l'opportunità di riposare, e durante gli ultimi giorni non avevano avuto molte occasioni di fermarsi a lungo. Nel campo vi erano oltre trecento soldati, uno su venticinque sempre all'erta - contro gli Aiel, Lan voleva tutti gli uomini che era in grado di gestire - e prima che si fosse allontanato di duecento passi aveva dovuto svegliarne altri tre, di cui uno che dormiva in piedi senza alcun tipo di supporto. Era un trucco che qualche soldato imparava, in particolare quelli di vecchia leva come Jaim. Interrompendo le proteste dell'uomo con la barba grigia, che sosteneva di non stare affatto dormendo, Lan gli promise che se lo avesse trovato un'altra volta a dormire lo avrebbe raccontato a tutti i suoi amici. Jaim rimase a bocca aperta per un momento, quindi deglutì. «Non accadrà di nuovo, mio signore. Che la luce mi bruci l'anima se dovesse accadere di nuovo!» Sembrava molto sincero. Alcuni uomini avrebbero temuto che gli amici li picchiassero per averli messi tutti in pericolo, ma considerando quale fosse la compagnia di Jaim, era più probabile che temesse ruminazione di essere stato scoperto. Mentre proseguiva la ronda, Lan si accorse di ridacchiare. Gli capitava di rado, e ciò che lo aveva divertito tanto era una sciocchezza, ma ridere era meglio che preoccuparsi di cose che non poteva cambiare, come gli uomini stanchi che si addormentavano durante il turno di guardia. Tanto valeva preoccuparsi della morte. Ciò che non poteva essere cambiato andava sopportato. Si fermò di colpo alzando la voce. «Bukama, perché te ne vai in giro di soppiatto? Mi stai seguendo da quando mi sono alzato.» Alle sue spalle sentì un verso seccato, di stupore. Senza dubbio Bukama pensava di essere stato silenzioso e, in verità, pochi uomini avrebbero sentito il leggero frusciare degli stivali nella neve, ma doveva sapere che Lan se ne sarebbe accorto. Dopo tutto era stato uno degli insegnanti di Lan, e in una delle prime lezioni gli aveva spiegato come essere sempre consapevole di quanto lo circondava, anche durante il sonno. Per un ragazzo non era stata una lezione facile da imparare, ma solo i cadaveri potevano permettersi delle dimenticanze. Queste ultime spesso si trasformavano in morte certa, nella Macchia oltre le Marche di Confine.
«Ti guardavo le spalle» rispose piccato Bukama, allungando il passo per unirsi a lui. «Uno di quegli Aiel Amici delle Tenebre velati di nero potrebbe svicolare e tagliare la tua, di gola, per quanto possa prestare attenzione. Hai dimenticato tutto quello che ti ho insegnato?» Schietto e grosso, era alto quasi quanto Lan, più della maggioranza degli uomini, e indossava l'elmetto dei Malkieri senza la cresta, anche se gli sarebbe spettata di diritto. Era più preoccupato dei suoi doveri che dei diritti, cosa corretta, ma Lan desiderava che non avesse sdegnato in quel modo 'tutte' le sue prerogative. Quando la nazione del Malkier era scomparsa, a venti uomini era stato dato l'incarico di portare in salvo l'infante Lan Mandragoran. Dopo quel viaggio erano rimasti solo in cinque, per crescerlo e addestrarlo; Bukama era l'ultimo sopravvissuto. I capelli erano tutti grigi, tagliati all'altezza delle spalle come richiedeva la tradizione, ma la schiena era dritta, le braccia solide, gli occhi azzurri chiari e perspicaci. Bukama era immerso nella tradizione. I capelli erano mantenuti all'indietro da un sottile laccio di cuoio intrecciato, infossato nel solco permanente sulla fronte che si era creato nel corso degli anni. Erano pochi gli uomini che ancora portavano l'hadori. Lan lo faceva. Sarebbe morto indossandolo e sarebbe stato sepolto con quello e nient'altro. Sempre che fosse rimasto qualcuno per seppellirlo, al momento della sua morte. Lanciò un'occhiata verso nord, verso la sua casa lontana. Molti lo avrebbero trovato un luogo insolito da chiamare casa, ma lui, da quando si era recato a sud, provava per quel posto una certa attrazione. «Mi sono ricordato la lezione abbastanza bene da sentirti» rispose. C'era poca luce per riuscire a vedere il volto consumato di Bukama, ma Lan sapeva che era torvo. Non riusciva a ricordare di aver mai visto un tipo diverso di espressione sul viso dell'amico e insegnante, nemmeno quando gli rivolgeva un complimento. Bukama era acciaio rivestito di carne. Volontà inamovibile e senso del dovere radicato. «Credi ancora che gli Aiel si siano votati al Tenebroso?» L'alto uomo fece uno scongiuro contro il male, come se Lan avesse pronunciato il nome del Tenebroso: Shai'tan. Avevano assistito entrambi alle sfortune che capitavano quando quel nome veniva pronunciato ad alta voce, e Bukama era tra coloro che si dicevano convinti che il solo pensarlo ne attirasse l'attenzione. Il Tenebroso e tutti i Reietti sono legati a Shayol Ghul, si disse Lan, recitando il catechismo a memoria, legati dal Creatore al momento della creazione. Che sia possibile per noi ripararci sotto la Luce, fra le mani del Creatore. Lan non condivideva i timori di Bukama, ma
era meglio essere sicuri piuttosto che disingannati, quando si parlava dell'Ombra. «Se non lo sono, perché si trovano qui?» osservò amareggiato l'anziano guerriero. Fu una sorpresa. A lui piaceva lamentarsi, ma sempre di cose incongrue o future, mai del presente. «Ho dato la mia parola che sarei rimasto fino alla fine» rispose Lan con calma. Bukama si strofinò il naso. Stavolta forse era in imbarazzo. Era difficile esserne sicuri. Un'altra delle sue lezioni era stata sulla parola data da un uomo, che doveva valere come giuramento prestato di fronte alla Luce. Gli Aiel erano davvero sembrati un'orda di Amici delle Tenebre quando erano apparsi improvvisamente fra le immense montagne chiamate la Dorsale del Mondo. Avevano incendiato la grandiosa città di Cairhien e, nel corso dei due anni seguenti, avevano combattuto a Tear e poi ad Andor, prima di raggiungere quel campo di battaglia di fronte alla grande cittàisola di Tar Valon. In tutti gli anni trascorsi da quando le attuali nazioni erano state ricavate dal vecchio impero di Artur Hawkwing, gli Aiel non avevano mai lasciato la loro terra, il deserto. Forse prima di allora avevano invaso queste stesse zone, ma nessuno ne era sicuro, con la possibile eccezione delle Aes Sedai di Tar Valon, che però, come accadeva spesso, non ne parlavano. Il sapere delle donne della Torre Bianca era un loro segreto, elargito con parsimonia se e quando sceglievano di parlare. Nel mondo al di fuori di Tar Valon, molti sostenevano di vedere un motivo ricorrente. Erano trascorsi mille anni tra la Frattura del Mondo e le Guerre Trolloc, come riportavano la maggior parte delle storie. Quelle guerre avevano distrutto le nazioni allora esistenti e nessuno dubitava che il Tenebroso, imprigionato o meno, vi avesse giocato un ruolo come con la Guerra dell'Ombra, la Frattura e la fine dell'Epoca Leggendaria. Poi, trascorsi mille anni dalle Guerre Trolloc, l'impero che Hawkwing aveva costruito fu a sua volta distrutto. Dopo la morte di quel grande condottiero, era cominciata la Guerra dei Cento Anni, e alcuni storici sostenevano di aver visto la mano del Tenebroso anche dietro quel conflitto. Adesso, quasi mille anni dopo il crollo dell'impero di Hawkwing, erano arrivati gli Aiel, incendiando e uccidendo. Doveva essere un motivo ricorrente. Di certo era stato il Tenebroso a scatenarli. Lan non si sarebbe mai recato tanto a sud se non lo avesse creduto. Adesso aveva cambiato idea, ma ormai aveva dato la sua parola. Mosse le dita negli stivali. Anche se era un freddo al quale era abituato, i
piedi si congelavano rimanendo nella neve troppo a lungo. «Camminiamo» disse. «Senza dubbio dovrò svegliare un'altra dozzina di uomini, se non di più.» E poi fare un'altra ronda per risvegliare i primi. Prima che riuscissero a fare un passo, un rumore li mise all'erta. Il rumore di un cavallo che procedeva nella neve. Lan aveva spostato la mano sull'elsa della spada, liberando la lama nel fodero. Dalla parte di Bukama provenne un rumore sommesso di metallo che strusciava sul cuoio; stava facendo anche lui la stessa cosa. Nessuno dei due temeva un attacco; gli Aiel cavalcavano solo in caso di estremo bisogno, e con molta riluttanza. Ma un cavaliere solitario a quell'ora doveva essere un messaggero, ed era raro che i messaggeri portassero buone notizie in quei giorni. Specialmente di notte. Cavallo e cavaliere si materializzarono dall'oscurità seguendo un uomo appiedato e scarno: una sentinella, a giudicare dall'arco. L'animale aveva il bel collo arcuato dei pregiati purosangue tarenesi, il cavaliere era chiaramente di Tear. Lo precedeva con il vento un profumo di rose, proveniente dalla barba brillante intrisa di olio; solo i Tarenesi erano abbastanza sciocchi da fare una cosa del genere, come se gli Aiel non avessero il naso. In ogni caso, nessuno portava quegli elmetti con la cresta alta sulla cima e un bordo che lasciava il volto in ombra. Una sola, corta piuma bianca sull'elmetto lo qualificava come ufficiale, scelta insolita per un messaggero, anche se era un ufficiale di basso rango. L'uomo era rannicchiato sulla sella dal pomello alto e serrava il mantello. Sembrava in preda ai brividi. Tear si trovava molto a sud. Lungo le coste di quella terra non aveva mai nevicato. Lan non ci aveva creduto fino a quando non lo aveva visto di persona. «Eccolo, mio signore» disse la sentinella con voce rauca. Un uomo della Saldea di nome Rakim, che si era guadagnato quella voce l'anno precedente, assieme alla cicatrice frastagliata che amava mostrare quando beveva, procuratagli da una freccia Aiel nella gola. Rakim si riteneva fortunato a essere ancora vivo, e lo era. Purtroppo credeva anche che, avendo eluso la morte una volta, avrebbe continuato a farlo. Azzardava parecchio e, anche quando non aveva bevuto, si vantava della sua sorte, una cosa sciocca da fare. Non aveva senso prendere in giro il destino. «Lord Mandragoran?» Il cavaliere tirò le redini di fronte a Lan e Bukama. Li guardò incerto rimanendo in sella, senza dubbio perché le loro armature erano disadorne, e le giubbe e i mantelli erano fatti di semplice lana, per giunta consumata. Un piccolo ricamo poteva abbellire un capo di abbigliamento, ma alcuni uomini del sud si decoravano come degli arazzi.
Probabilmente sotto quel mantello il cavaliere indossava un pettorale dorato e una giubba di broccato con le strisce del colore della casata di appartenenza. Gli stivali erano ricamati con dei motivi a spirale che risplendevano argentei alla luce della luna. In ogni caso, l'uomo continuò a parlare senza quasi prendere fiato. «Che la Luce mi folgori l'anima, ero sicuro che foste più vicini, ma stavo cominciando a pensare che non vi avrei mai trovati. Lord Emares sta inseguendo circa cinque o seicento Aiel con seicento dei suoi uomini armati.» Scosse leggermente il capo. «La cosa strana è che si stanno dirigendo a est. Lontano dal fiume. La neve rallenta tanto loro quanto noi, e lord Emares pensa che se riesci a sistemare un'incudine su quella cresta che chiamano l'Uncino lui potrebbe prenderli alle spalle con un martello. Il mio signore dubita che possano arrivare a destinazione prima dell'alba.» Lan tese le labbra. Alcuni di quei meridionali avevano idee curiose riguardo l'educazione. Non smontare da cavallo prima di parlare. Non presentarsi. Come ospite, avrebbe dovuto farlo. Quell'uomo non aveva nemmeno porto i saluti o gli auguri del suo lord. E sembrava convinto che loro non avessero la minima idea che est significava lontano dal fiume Erinin. Forse era la fretta, ma si comportava da maleducato. Bukama non si era mosso e Lan aveva ancora la mano sulla spada. Il suo anziano amico poteva essere permaloso. L'Uncino si trovava a una lega dal campo e la notte stava svanendo, ma Lan annui. «Informa lord Emares che sarò sul posto all'alba» rispose al cavaliere. Quel nome gli era sconosciuto, ma l'esercito di cui comandava una parte era grande: quasi duecentomila uomini che rappresentavano più di una dozzina di nazioni, più le guardie della Torre da Tar Valon e tutti i contingenti dei Figli della Luce. Era impossibile sapere il nome di tutti. «Bukama, sveglia gli uomini.» Il coriaceo guerriero sbuffò seccato e, facendo un gesto a Rakim perché lo seguisse, lasciò a grandi passi il campo, alzando la voce mentre si allontanava. «Sveglia e in sella! Si cavalca! Sveglia e in sella!» «Muoviti in fretta» disse il Tarenese anonimo con un accenno di comando nella voce. «Lord Emares rimpiangerebbe di aver cavalcato contro quegli Aiel senza un'incudine.» Sembrava alludere al fatto che Lan avrebbe pagato caro il rimpianto di Emares. Lan creò l'immagine mentale di una fiamma e la colmò di emozioni: non solo la rabbia, ma tutto, ogni minima parte di ciò che provava, fino a quando sembrò che fluttuasse nel vuoto. Dopo anni di pratica, per rag-
giungere ko'di, l'unicità, aveva bisogno di meno di un attimo. Corpo e pensiero si fecero distanti, e in questo stato Lan divenne una cosa sola con il suolo sotto i suoi piedi, con la notte, con la spada che non avrebbe usato contro quello sciocco maleducato. «Ho detto che ci sarò» rispose in tono duro. «Quando dico una cosa, la faccio.» Adesso non aveva più voglia di sapere il nome dell'uomo. Il Tarenese gli rivolse un inchino impercettibile dalla sella, fece voltare il cavallo e lo spronò al trotto. Lan mantenne il ko'di ancora un po', per essere certo che le proprie emozioni fossero sotto controllo. Non era saggio andare in battaglia infuriati. La rabbia restringeva le vedute e spingeva a fare scelte sciocche. Come aveva fatto quel tipo a sopravvivere tanto a lungo? Nelle Marche di Confine avrebbe scatenato dozzine di duelli ogni giorno. Solo quando fu sicuro di essere calmo, freddo quasi come se fosse ancora avvolto nell'unicità, Lan si voltò. Ripensare al volto in ombra del Tarenese non lo faceva innervosire. Bene. Quando raggiunse il centro del campo fra gli alberi, notò che agli occhi della maggior parte degli uomini sarebbe sembrato un formicaio preso a calci. Per quelli che sapevano, era animato da un'attività ordinata, quasi silenziosa. Non c'erano mosse o fiato sprecati. Non c'erano tende da smontare, visto che gli animali da soma sarebbero stati un ingombro al momento del combattimento. Alcuni uomini erano già a cavallo, con i pettorali, gli elmetti sul capo e le lance dalla lunga lama di acciaio fra le mani. Quasi tutti gli altri stavano stringendo i sottopancia, legando gli archi nelle custodie di cuoio o le faretre piene dietro le selle. Quelli più lenti erano morti durante il primo anno di combattimento contro gli Aiel. La maggior parte dei superstiti era della Saldea o di Kandor, più qualche Domanese. Anche alcuni Malkieri si erano spostati a sud, ma Lan non si sarebbe messo alla loro guida, nemmeno li. Bukama cavalcava con lui, ma non lo seguiva. Il suo anziano amico portava una lancia e guidava il castrone roano biondo, Lancia di fuoco, seguito da un giovane sbarbato di nome Caniedrin, che accompagnava cauto il cavallo di Lan, Gatto danzante. Lo stallone baio era solo parzialmente addestrato, ma Caniedrin sapeva come prendersene cura. Anche un cavallo da guerra non del tutto domato era un'arma formidabile. L'uomo, un Kandori, non era ingenuo come suggeriva il volto fresco. Era anzi un soldato esperto ed efficiente, arciere di rara bravura, e un assassino allegro che spesso rideva durante i combattimenti. Anche adesso sorrideva, all'idea della battaglia futura. Gatto danzante mosse il capo, anche lui im-
paziente. Per quanto Caniedrin potesse essere esperto, Lan controllò i finimenti del cavallo prima di prendere le redini. Un sottopancia lento poteva uccidere con la stessa velocità di un colpo di lancia. «Ho detto loro cosa andiamo a fare,» spiegò Bukama dopo che il soldato kandori si fu incamminato verso il suo cavallo «ma con questi Aiel un'incudine può trasformarsi in puntaspilli, se il martello tarda ad arrivare.» Non si lamentava mai davanti agli uomini, solo con Lan. «Anche il martello può diventare un puntaspilli se colpisce senza l'incudine» rispose lui, montando in sella. Adesso il cielo era grigio. Grigio scuro, ma rimanevano solo poche stelle. «Dovremo cavalcare duramente per raggiungere l'Uncino alle prime luci dell'alba.» Quindi alzò la voce. «A cavallo!» Avanzarono con fatica, al piccolo trotto per una lega, quindi al trotto, poi guidando gli animali per le redini a passo veloce prima di rimontare in sella e ricominciare da capo. Nelle storie gli uomini galoppavano senza sosta per distanze immense, ma nella realtà, anche senza neve, la stessa impresa avrebbe azzoppato la metà dei cavalli e sfinito l'altra metà, molto prima di raggiungere l'Uncino. Il silenzio della notte che svaniva era spezzato solo dal rumore degli zoccoli che affondavano nella neve, lo scricchiolio delle selle di cuoio e, a volte, le imprecazioni sussurrate di uomini che inciampavano in un sasso nascosto. Nessuno sprecava fiato in lamentele o chiacchiere. Avevano sostenuto spesso quel ritmo, e seguivano un passo che faceva loro coprire lunghe distanze con grande facilità. Il terreno che circondava Lan consisteva prevalentemente di pianure ondulate, punteggiate da boschetti radi e campi ben distanziati, alcuni grandi, tutti immersi nell'oscurità. Lan osservava quei gruppi di alberi con molta attenzione mentre faceva procedere i suoi uomini e manteneva la colonna ben distante dalla macchia. Gli Aiel erano in grado di usare tutto ciò che potevano trovare come nascondiglio, inclusi posti dove molti uomini erano certi che non sarebbe riuscito a nascondersi nemmeno un cane, ed erano molto bravi a sferrare imboscate dai cespugli. Nulla si muoveva. Per quanto Lan riusciva a vedere, il plotone che guidava poteva essere composto dai soli uomini viventi al mondo. Il verso di un gufo fu l'unico altro suono che senti. Il cielo a est era di un grigio molto più chiaro quando la bassa catena chiamata l'Uncino divenne visibile. Lunga assai meno di una lega, la cresta
spoglia era piuttosto bassa, ma qualsiasi tipo di rilievo portava vantaggi nella difesa. Il nome era dovuto al modo particolare in cui il lato nord curvava indietro verso sud, una caratteristica ben visibile a Lan mentre disponeva i suoi uomini in una lunga fila lungo la cima della cresta, da entrambi i lati. La luce stava crescendo. Gli sembrava di riuscire a vedere la sagoma chiara della Torre Bianca che svettava al centro di Tar Valon, ad almeno tre leghe di distanza. La Torre era la struttura più alta della parte nota del mondo, ma era comunque sovrastata dalla massa della montagna solitaria che sorgeva dalle pianure oltre la città, dall'altro lato del fiume. La montagna era sempre visibile, anche quando c'era poca luce. A notte fonda la si poteva vedere perché nascondeva le stelle. Montedrago sarebbe stato un gigante nella Dorsale del Mondo, ma qui sulla pianura era una cosa mostruosa, perforava le nuvole e le oltrepassava. Ben oltre le nubi che sormontavano la maggior parte delle altre montagne, il picco emetteva sempre un pennacchio di fumo. Un simbolo di speranza e disperazione. La montagna delle profezie. Lanciandole un'occhiata, Bukama fece un altro scongiuro. Nessuno voleva che le profezie si compissero. Ma un giorno sarebbe comunque accaduto. Dalla catena montuosa il terreno declinava dolcemente per più di un chilometro verso ponente fino a uno dei boschetti più vasti, largo mezza lega. Tre sentieri ben delineati attraversavano la neve nei punti in cui era già passato un numero elevato di uomini o cavalli. Senza avvicinarsi era impossibile stabilire chi avesse lasciato quelle impronte, gli Aiel o gli uomini della così detta Coalizione. Risalivano a quando aveva smesso di nevicare, circa due giorni prima. Lan non aveva ancora visto alcun segno degli Aiel, ma se non avevano cambiato direzione, cosa sempre possibile, potevano spuntare da quegli alberi in qualsiasi momento. Senza attendere il suo ordine, i soldati affondarono le lance nella neve, da dove avrebbero potuto estrarle facilmente in caso di bisogno. Liberarono gli archi da cavallo e incoccarono le frecce, ma nessuno tese la corda. Solo i nuovi arrivati pensavano di poter mantenere un arco teso per molto tempo. Lan era l'unico a non avere quell'arma. Il suo dovere era comandare in battaglia, non selezionare i bersagli. L'arco era l'arma preferita contro gli Aiel, anche se molti meridionali lo disdegnavano. Emares e i suoi Tarenesi avrebbero cavalcato fra i nemici con le loro lance e spade. C'erano momenti in cui quello era il solo modo di combattere, ma era sciocco perdere uomini inutilmente, e di sicuro in caso di scontri ravvicinati con gli Aiel ci sarebbero state delle perdite. Lan non si aspetta-
va che gli Aiel si sarebbero fatti da parte nel vederli. Non erano combattenti selvaggi, nonostante quanto sostenevano alcune persone; rifiutavano la battaglia quando le condizioni erano sfavorevoli. Seicento Aiel, però, avrebbero ritenuto il proprio numero sufficiente per affrontare meno di quattrocento soldati, anche se erano piazzati su un territorio rialzato. Si sarebbero scagliati all'attacco per essere bersagliati da una pioggia di frecce. Un buon arco da cavallo poteva uccidere un uomo a trecento passi di distanza e ferirlo a quattrocento, se l'arciere era bravo. Quello era un lungo corridoio da percorrere per gli Aiel. Sfortunatamente, avevano degli archi di corno e tèndine, efficienti come quelli da cavallo. Il momento peggiore sarebbe stato quando gli Aiel si sarebbero alzati per ricambiare i colpi di freccia; entrambe le parti avrebbero perso degli uomini, per quanto potesse essere veloce Emares. Sarebbe stato meglio se gli Aiel avessero deciso di avvicinarsi; un uomo in corsa non poteva scagliare frecce con tanta cura. E comunque sarebbe stato meglio se Emares non avesse ritardato. Perché a quel punto gli Aiel avrebbero provato a forzare i fianchi, specialmente se avessero saputo di essere seguiti. In entrambi i casi, quando Emares li avrebbe attaccati alle spalle, Lan avrebbe riunito i lancieri e sarebbe sceso a valle. Questo era il significato di martello e incudine. Una forza che avrebbe mantenuto gli Aiel impegnati in un punto fino a quando l'altra non avesse colpito, quindi entrambe si sarebbero chiuse su di loro. Una tattica semplice ma efficace; la maggior parte delle tattiche di successo era semplice. Anche quegli ottusi dei Cairhienesi avevano imparato a usarle. Molti uomini di Altara e del Murandy erano morti perché si rifiutavano di apprendere. Il grigiore mutò in luce: presto il sole sarebbe sorto all'orizzonte, rivelando le sagome sulla cresta. Il vento soffiò facendo svolazzare il mantello di Lan, ma lui si era di nuovo immerso nel ko'di e ignorava il freddo. Riusciva a sentire il respiro di Bukama e degli altri uomini. Lungo la fila i cavalli scalpitavano impazienti nella neve. Un falco atterrò sul campo aperto, impegnato nella caccia lungo i margini del fitto bosco. Di colpo l'uccello volò via al presentarsi di una colonna di Aiel, che uscirono di corsa dagli alberi, in file di venti uomini affiancati. Non sembrava che la neve li intralciasse molto. Sollevando in alto le ginocchia si muovevano con la stessa velocità di molti uomini su un terreno normale. Lan estrasse il cannocchiale dalla custodia di cuoio legata alla sella. Era di buona fattura cairhienese, e quando portò la canna di ottone all'occhio, gli
Aiel, ancora a un chilometro di distanza, sembrarono balzargli incontro. Erano uomini alti, molti quanto lui e altri ancora di più, indossavano giubbe e brache in diverse sfumature di marrone e grigio che risaltavano nella neve. Ognuno aveva un panno avvolto attorno al capo e un velo scuro che nascondeva il viso fino agli occhi. Probabilmente alcuni erano donne - le Aiel a volte combattevano con gli uomini. Avevano tutti una corta lancia in una mano, uno scudo rotondo di cuoio e altre lance di riserva nell'altra. Gli archi erano riposi nelle custodie dietro le spalle. Con quelle armi avrebbero potuto compiere un lavoro mortale. Gli Aiel avrebbero dovuto essere ciechi per non vedere gli uomini a cavallo che li aspettavano, ma avanzavano senza una pausa: la colonna pareva un lungo serpente che scivolava fra gli alberi dirigendosi verso la cresta. Lontano a est si sentì risuonare una tromba, fievole per via della lontananza, quindi si aggiunse una seconda. Se il suono era tanto debole, i trombettieri dovevano trovarsi vicino al fiume, o addirittura sull'altra sponda. Gli Aiel continuavano ad avanzare. Si sentì il richiamo di una terza tromba, molto lontana, poi una quarta, una quinta, e ancora altre. Le teste degli Aiel si voltarono indietro a osservare. Erano state le trombe ad attirare la loro attenzione oppure sapevano che Emares li seguiva? Gli Aiel continuavano a sciamare dagli alberi. Qualcuno li aveva contati male, oppure altri si erano uniti a quel primo gruppo. Quelli visibili erano più di mille, e ne stavano arrivando altri. Millecinquecento, e ancora altri in arrivo. Lan ripose il cannocchiale nella custodia. «Abbraccia la morte» mormorò Bukama, con voce fredda come l'acciaio, e Lan sentì che altri uomini delle Marche di Confine gli facevano eco. Lui si limitò a pensare quelle parole; era sufficiente. La morte prima o poi sopraggiungeva per tutti, raramente nel luogo e al momento in cui la si aspettava. Alcuni uomini morivano nei loro letti, ma Lan aveva saputo fin dall'infanzia che non sarebbe stato quello il suo destino. Guardò con calma a destra e a sinistra lungo la fila dei suoi uomini. Quelli della Saldea e di Kandor erano immobili, ma era contento di vedere che nessuno dei Domanesi dava segno di nervosismo. Nessuno si guardava alle spalle per cercare una via di fuga. Non che si aspettasse di meno, dopo aver combattuto con loro per due anni, ma si fidava sempre più degli uomini delle Marche di Confine che degli altri. I primi sapevano che a volte andavano fatte scelte difficili, lo avevano impresso nelle ossa. Quando l'ultimo degli Aiel usci dagli alberi, sembravano almeno duemila, un numero che cambiava tutto e niente. Duemila Aiel erano un numero
sufficiente per sopraffare i suoi uomini e vedersela poi anche con Emares, a meno che i soldati della Coalizione non avessero la fortuna del Tenebroso. Nessuno pensò mai alla ritirata. Se il lord tarenese avesse colpito senza l'incudine al suo posto i suoi sarebbero stati sterminati, ma se Lan fosse riuscito a resistere fino all'arrivo di Emares, forse incudine e martello sarebbero riusciti a colpire. In ogni caso aveva dato la sua parola, e non aveva intenzione di morire in quel luogo o di far morire i suoi uomini. Quando gli Aiel si fossero trovati a duecento passi di distanza da loro, se l'esercito di Emares non arrivava, Lan avrebbe guidato la compagnia giù dalla cresta per provare ad accerchiare gli Aiel e unirsi ai Tarenesi. Estrasse l'arma dalla custodia e la impugnò, restando in attesa. Poteva sembrare solo una spada, con nulla che attirasse l'attenzione. Sarebbe sempre stata solamente una spada, ma in essa giacevano il suo passato e il futuro. Le trombe a occidente suonavano in maniera quasi costante. Di colpo uno degli Aiel davanti alla colonna sollevò la lancia sopra la testa, mantenendola in alto per la durata di tre passi. Quando la abbassò, con lui si arrestò l'intera colonna. Erano distanti almeno cinquecento passi, ben oltre la portata degli archi. Ma perché, per la Luce? Non appena si fermarono, la parte finale dello schieramento si voltò nella direzione dalla quale erano venuti. Erano solo prudenti? Era più ragionevole supporre che fossero a conoscenza dell'arrivo di Emares. Lan estrasse di nuovo il cannocchiale usando la mano sinistra, e osservò gli Aiel. Gli uomini nella fila frontale si proteggevano gli occhi con una mano, guardando i nemici sulla cresta. Non aveva senso. Potevano essere in grado al massimo di vedere delle sagome scure controluce, forse le creste sugli elmetti. Nient'altro. Sembrava che gli Aiel stessero parlando fra loro. Uno degli uomini a capo del gruppo sollevò una mano, con la lancia in pugno, imitato dagli altri. Lan abbassò il cannocchiale. Adesso gli Aiel si erano voltati e ognuno teneva sollevata una lancia. Prima d'ora non aveva mai visto nulla di simile. Tutte le lance scesero all'unisono e gli Aiel gridarono una sola parola che echeggiò chiara nello spazio che li separava, coprendo il suono lontano delle trombe. «Aan'allein!» Lan scambiò un'occhiata meravigliata con Bukama. Era la lingua antica, parlata durante l'Epoca Leggendaria e nei secoli che avevano preceduto le Guerre Trolloc. La traduzione migliore che Lan riuscì a elaborare fu 'un uomo solo. Ma cosa significava? Perché gli Aiel avevano gridato quelle parole?
«Si stanno muovendo» mormorò Bukama; ed era vero, ma non stavano dirigendosi verso la cresta. La colonna di uomini velati si era rivolta a nord, iniziando a correre, e quando la testa del gruppo fu ben oltre la fine della cresta, si diresse di nuovo verso est. Follia su follia. Non era neppure una manovra di affiancamento. «Forse stanno tornando nel deserto» gridò Caniedrin. Sembrava deluso. Alcune voci si alzarono a deriderlo. Tutti sapevano che gli Aiel non abbandonavano mai un campo di battaglia fino a quando i nemici non erano tutti morti. «Li seguiamo?» chiese Bukama con calma. Dopo un momento Lan scosse il capo. «Troveremo lord Emares e parleremo con lui - educatamente - della manovra di incudine e martello» rispose. Voleva scoprire il senso di tutte quelle trombe. La giornata era iniziata in modo bizzarro e Lan aveva la sensazione che ci sarebbero state altre stranezze, prima che finisse. 2
Un desiderio avverato Anche se il fuoco era acceso nel camino di marmo verde, la sala d'attesa dell'Amyrlin era abbastanza fredda da far rabbrividire Moiraine, e non le battevano i denti solo perché teneva le mandibole serrate. Quell'atto l'aiutava anche a non sbadigliare, visto che aveva dormito solo per poche ore. Non sarebbe stato educato. Gli arazzi colorati appesi nel corridoio, che rappresentavano scene primaverili, giardini e parchi, dovevano essere gelati e dalle cornici potevano facilmente pendere dei ghiaccioli. Il camino si trovava dal lato opposto della sala e il calore non si propagava abbastanza, inoltre i battenti di vetro alle sue spalle, che proteggevano l'alta finestra arcuata, che a sua volta si affacciava su un balcone rivolto verso i giardini privati dell'Amyrlin, non erano sistemati a dovere; dai bordi trapelava il freddo. Quando il vento soffiava all'esterno, una brezza gelida colpiva Moiraine in mezzo alla schiena e penetrava sotto l'abito di lana. Un'altra
folata colpì l'amica che le stava a fianco, ma, anche se Tarenese, Siuan non avrebbe dato alcun segno di sofferenza, nemmeno se fosse congelata a morte. Il palazzo del Sole a Cairhien, dove Moiraine era cresciuta, era spesso molto freddo durante l'inverno, ma lei non era mai stata costretta a rimanere in piedi nelle correnti d'aria. A Tar Valon, il freddo saliva dal pavimento di marmo e passava attraverso il tappeto proveniente da Illian, decorato con motivi floreali, penetrandole attraverso le scarpe. Il Gran Serpente d'oro sulla mano sinistra, il serpente che si mordeva la coda, simbolo di eternità, continuità e del legame con la Torre, le dava la sensazione di una fascia di ghiaccio. Quando l'Amyrlin diceva a un'Ammessa di rimanere in piedi in un punto e non disturbarla, l'Ammessa rimaneva nel posto indicato dall'Amyrlin, senza lasciarle notare che sentiva freddo. E ancor peggiore del freddo era l'odore acre di fumo che nemmeno gli spifferi gelidi riuscivano a disperdere. Non veniva dai camini, ma dai villaggi incendiati attorno Tar Valon. Concentrarsi sul freddo le permetteva di non pensare al fumo. E alla battaglia. La porzione di cielo visibile dalla finestra era grigia. Presto i combattimenti sarebbero iniziati di nuovo, se non era già successo. Moiraine voleva sapere gli sviluppi. Ne aveva il diritto. Era stato suo zio a dare il via a quella guerra. Lei non giustificava gli Aiel per la distruzione che avevano portato su Cairhien, città e nazione, ma sapeva di chi era colpa. Da quando erano arrivati gli Aiel, le Ammesse erano recluse nella Torre, con le stesse limitazioni delle novizie. Era come se il mondo fuori le mura non esistesse. I rapporti arrivavano regolarmente da Azil Mareed, sommo capitano delle guardie della Torre, ma il contenuto non veniva condiviso con nessuna che non fosse una Sorella a pieno titolo, e anche in quel caso, non sempre. Le domande sulla battaglia rivolte alle Aes Sedai culminavano in rimproveri e in inviti alle ragazze a concentrarsi sui propri studi. Come se la guerra più grande che si fosse mai scatenata dai tempi di Artur Hawkwing fosse una semplice distrazione! Moiraine sapeva di non poter essere coinvolta in nessun modo significativo - per la verità in nessun modo in assoluto ma voleva con tutte le sue forze sapere almeno cosa stesse succedendo. Poteva sembrare illogico, ma in fondo non aveva mai pensato di unirsi all'Ajah Bianca, una volta ottenuto lo scialle. Le due donne con i vestiti di seta di diverse tonalità di azzurro, sedute una di fronte all'altra davanti a uno scrittoio della stanza, non davano alcun segno di essere consapevoli del fumo e del freddo, anche se erano lontane dal camino quasi quanto lei. Erano Aes Sedai, con i volti privi dei segni
dell'invecchiamento e, per quanto riguardava il fumo, di certo avevano visto gli effetti delle battaglie molte più volte di qualsiasi generale. Potevano rimanere la serenità in persona, anche se mille villaggi fossero stati incendiati davanti ai loro occhi. Nessuna diventava Aes Sedai senza imparare a controllare le proprie emozioni quando serviva, con se stesse e all'esterno. Tamra e Gitara non sembravano stanche, anche se avevano solo dormicchiato da quando era iniziata la battaglia. Era questo il motivo per cui tenevano delle Ammesse come aiutanti durante la notte, nel caso volessero mandarle a compiere delle commissioni o che qualcuno venisse portato al loro cospetto. Il freddo per loro non era un problema. Freddo e caldo non toccavano le Sorelle come le altre persone. Sembravano sempre indifferenti alle diverse condizioni atmosferiche. Moiraine aveva cercato di imparare come ci riuscissero; ogni Ammessa faceva un tentativo, prima o poi. Comunque funzionasse, non includeva l'Unico Potere, o lei avrebbe visto o percepito i flussi. Tamra era qualcosa più di una semplice Aes Sedai, era l'Amyrlin Seat, la governante di tutte le Aes Sedai. Era stata scelta fra le Azzurre, ma la stola che aveva sulle spalle rappresentava i colori di tutte e sette le Ajah, per mostrare che l'Amyrlin apparteneva a tutte le Ajah e a nessuna. Da quando esisteva la Torre, alcune Amyrlin avevano interpretato quel significato più seriamente di altre. Anche la gonna di Tamara rappresentava i sette colori, benché non fosse richiesto. Nessuna Ajah si sentiva avvantaggiata o svantaggiata, al suo cospetto. Al di fuori della Torre, quando Tamra Ospenya parlava, re e regine ascoltavano, sia che avessero delle consigliere Aes Sedai sia che odiassero la Torre Bianca. Quello era il potere dell'Amyrlin Seat. Forse non avrebbero seguito i suoi pareri o accettato gli ordini, ma ascoltavano educatamente. Anche i sommi signori di Tear e il lord capitano Comandante dei Figli della Luce facevano lo stesso. I capelli lunghi, leggermente striati di grigio e raccolti in una retina d'argento decorata con delle gemme, incorniciavano un volto squadrato e determinato. Di solito otteneva sempre quello che voleva con i regnanti, ma non prendeva il potere alla leggera e non lo usava indiscriminatamente, all'interno o all'esterno della Torre. Tamra era leale e giusta - le due cose non sempre coincidevano - e spesso era anche gentile. Moiraine la ammirava immensamente. L'altra donna, la Custode degli Annali, era tutta un'altra faccenda. Forse la seconda donna più potente della Torre e di certo allo stesso livello delle Adunanti, Gitara Moroso era sempre giusta e di solito leale, ma la gentilezza non era qualcosa che le appartenesse. Era anche molto vistosa, tanto
da sembrare dell'Ajah Gialla o Verde. Alta e voluttuosa, portava al collo una collana di granato, orecchini con rubini grandi come uova di piccione e tre anelli con delle pietre preziose, oltre all'anello con il Gran Serpente. Il vestito di broccato era di un azzurro più scuro di quello di Tamra, con la stola della Custode sulle spalle - azzurra, visto che anche lei era stata eletta fra le Azzurre - talmente grande da poter essere definita uno scialle. Moiraine aveva sentito dire che Gitara si considerava ancora un'Azzurra, cosa che, se fosse stata vera, sarebbe stata da considerare scandalosa. L'ampiezza della stola sembrava confermare queste voci; ma era una questione di scelte personali. Come con tutte le Aes Sedai che avevano lavorato abbastanza a lungo con il Potere, era impossibile definire l'età di Gitara. A prima vista le si potevano dare venticinque anni, forse anche meno; a una seconda occhiata poteva sembrare una giovanile quarantenne o forse una cinquantenne, sempre comunque molto bella, e a una terza occhiata cambiavi di nuovo idea. Quel viso liscio e privo dei segni del tempo era il marchio delle Aes Sedai, per quelli che sapevano riconoscerlo. Per gli altri, ed erano in molti, i capelli creavano ancor più confusione. Acconciati con dei pettinini d'avorio, erano candidi come la neve. Secondo delle voci Gitara aveva più di trecento anni, molti anche per un'Aes Sedai. Parlare dell'età di una Sorella era considerato molto maleducato. Anche a un'altra Sorella sarebbe stata assegnata una punizione per questo; una novizia o un'Ammessa sarebbero state mandate dalla maestra delle novizie per essere frustate. Ma pensarlo soltanto non contava. C'era anche qualcos'altro che rendeva Gitara una donna fuori dall'ordinario. Aveva, a volte, il dono della preveggenza, il Talento di predire gli eventi futuri. Era un Talento molto raro e si manifestava occasionalmente, ma le voci la residenza delle Ammesse era piena di chiacchiere - sostenevano che negli ultimi mesi Gitara aveva avuto più che delle premonizioni. Secondo alcuni l'esercito si era trovato sul posto all'arrivo degli Aiel grazie a una delle premonizioni di Gitara. Nessuna fra le Ammesse lo sapeva per certo. Forse qualcuna delle Sorelle. Anche quando le predizioni di Gitara erano di conoscenza comune, solo Tamra veniva informata del contenuto. Era sciocco sperare di essere presenti al momento di una premonizione, ma Moiraine se lo era comunque augurato. Nelle quattro ore in cui lei e Siuan avevano rimpiazzato Temaile e Brendas al servizio dell'Amyrlin, Gitara aveva solo scritto una lettera.
Le venne in mente di colpo che circa quattro ore erano un lasso di tempo molto lungo per una lettera, e Gitara aveva riempito appena mezzo foglio. Stava seduta con la penna sospesa sul foglio. Come se il pensiero di Moiraine la avesse in qualche modo raggiunta, Gitara lanciò un'occhiata alla penna ed emise un verso di frustrazione, quindi immerse il pennino di metallo in una boccettina di alcol per rimuovere l'inchiostro essiccato, chiaramente non per la prima volta. Il liquido nella boccetta era nero come quello nel contenitore con il tappo argentato dell'inchiostro. Di fronte a Tamra c'era una cartella con il bordo di pelle piena di carte, e sembrava che la donna le studiasse con grande attenzione, ma Moiraine non riusciva a rammentare di aver visto l'Amyrlin voltare pagina. I volti delle due Aes Sedai erano l'immagine della calma e della freddezza, e questo la preoccupava. Moiraine si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa, quindi dovette interrompersi per fugare uno sbadiglio. Ma continuò a pensare. Doveva esserci qualcosa, quel giorno, che le aveva fatte preoccupare in particolar modo. Il giorno precedente aveva incrociato Tamra nei corridoi, e se mai si era vista una donna molto sicura, quella era lei. La battaglia aveva infuriato per tre giorni. Se Gitara aveva davvero previsto la battaglia, se aveva davvero avuto altre premonizioni, di cosa poteva trattarsi? Tirare a indovinare non serviva a nulla, ma forse ragionando sarebbe giunta a qualche risultato. Gli Aiel che oltrepassavano i ponti per irrompere in città? Impossibile. In tremila anni, mentre le nazioni sorgevano e declinavano e anche l'impero di Hawkwing veniva spazzato via fra le fiamme e il caos, nessun esercito era riuscito a penetrare le mura di Tar Valon o a superarne i cancelli; e anche a quell'epoca, vi avevano provato in pochi. Forse la battaglia si sarebbe trasformata in qualche altro tipo di disastro? O c'era qualcosa da fare per evitare una sciagura? Al momento Tamra e Gitara erano le sole Aes Sedai presenti nella Torre, a meno che qualcuna non avesse fatto ritorno durante la notte. Si parlava di una quantità tale di soldati feriti, che c'era bisogno di tutte le Sorelle, anche di quelle con una minima conoscenza della guarigione, ma nessuna diceva con chiarezza che era proprio per questo che uscivano. Le Aes Sedai non potevano mentire, ma spesso parlavano in modo sibillino pur non dando indicazioni sbagliate. Le Sorelle potevano anche usare il Potere come arma se loro o i propri Custodi erano in pericolo. Nessuna Aes Sedai aveva preso parte alle battaglie fin dalle Guerre Trolloc, quando avevano affrontato la progenie dell'Ombra e gli Amici delle Tenebre, ma forse Gitara aveva previsto qualche disastro nel caso le Aes Sedai non si fossero recate sul posto. Ma perché aspettare fino
al terzo giorno? Una previsione poteva essere tanto precisa? Forse, se le Sorelle si fossero unite in battaglia prima... Con la coda dell'occhio, Moiraine vide Siuan che le sorrideva. Quel sorriso trasformava il viso della donna da bello a grazioso, e le faceva brillare gli occhi azzurri. Più alta di Moiraine - che aveva superato la rabbia di essere tanto bassa, ma non poteva mai fare a meno di notare l'altezza altrui e con la pelle chiara quasi quanto la sua, Siuan indossava l'abito formale da Ammessa con un'aria di sicurezza che Moiraine non aveva ancora imparato a gestire. Il vestito a collo alto era del bianco più puro a esclusione delle bande colorate in fondo all'orlo, che imitavano quelle della stola dell'Amyrlin. Non riusciva a capire come facevano tutte quelle Sorelle dell'Ajah Bianca a indossare il bianco tutto il tempo, come se fossero in lutto eterno. Per lei la parte più difficile nell'essere una novizia era stata vestire di bianco tutti i giorni. Oltre ad aver dovuto imparare a controllare il carattere. Quello ancora la metteva nei guai, di tanto in tanto, ma non così spesso come durante il primo anno. «Lo scopriremo quando lo scopriremo» sussurrò Siuan lanciando una rapida occhiata a Tamra e Gitara. Nessuna delle due si era mossa di un millimetro. La penna della Custode degli Annali era di nuovo sulla lettera, con l'inchiostro che si asciugava. Moiraine non poté fare a meno di ricambiare il sorriso. Siuan aveva quel dono; la faceva sorridere quando avrebbe voluto corrucciarsi e ridere quando avrebbe desiderato piangere. Il sorriso mutò in uno sbadiglio e la ragazza si guardò velocemente intorno per vedere se l'Amyrlin o la Custode l'avessero notata. Erano ancora immerse nei loro pensieri. Quando si voltò di nuovo indietro, Siuan aveva una mano davanti alla bocca e la guardava furiosa. Cosa che la fece quasi ridere. All'inizio era rimasta sorpresa di quell'amicizia con Siuan, ma fra le novizie e le Ammesse le amiche più strette erano sempre donne molto simili o molto diverse. Loro erano entrambe orfane; le madri erano morte quando erano tutte e due giovani, i padri avevano abbandonato casa dopo l'evento. Ed entrambe erano nate con la scintilla innata, cosa non comune. Prima o poi avrebbero iniziato a incanalare il Potere, che avessero o meno cercato di apprendere; non tutte le donne potevano imparare a farlo. Da lì iniziavano le differenze - risalenti a prima del loro arrivo a Tar Valon - e non era solo il fatto che Siuan fosse nata povera e lei ricca. A Cairhien, le Aes Sedai erano rispettate e Moiraine aveva dato un gran ballo al palazzo del Sole per celebrare la sua partenza per la Torre. A Tear incana-
lare era fuori legge e le Aes Sedai non erano popolari. Siuan era stata messa su una nave destinata a Tar Valon lo stesso giorno che la sorella aveva scoperto che poteva incanalare. C'erano così tante differenze, ma nessuna era davvero importante. Fra le altre cose, Siuan era giunta alla Torre già con il totale controllo del proprio carattere, era veloce nel risolvere i rompicapo, cosa che Moiraine non riusciva a fare, non sopportava i cavalli, che Moiraine amava, e apprendeva a un ritmo che lasciava stupefatta l'amica. Non quando si trattava di incanalare l'Unico Potere, però. Erano state aggiunte nel libro delle novizie lo stesso giorno ed erano andate quasi di pari passo nell'apprendimento del Potere, passando anche al livello di Ammesse lo stesso giorno. Moiraine però aveva ricevuto l'educazione di una nobile in tutto, dalla storia alla lingua antica, e parlava e leggeva talmente bene da non dover frequentare le lezioni della Torre. Come figlia di un pescatore tarenese, Siuan riusciva appena a leggere e ad eseguire le operazioni più semplici, ma aveva assorbito tutte le lezioni come la sabbia fa con l'acqua. Adesso era lei a insegnare la lingua antica alle novizie. Alle classi delle principianti. Siuan Sanche era additata alle novizie come esempio del livello al quale dovevano aspirare. Be', in realtà il discorso valeva anche per Moiraine. Solo un'altra donna aveva concluso il periodo da novizia in soli tre anni. Elaida a'Roihan, una donna detestabile, aveva terminato anche il periodo da Ammessa in tre anni, un record, e sembrava possibile che le altre due la potessero eguagliare. Moiraine era ben consapevole delle proprie carenze, ma pensava che Siuan sarebbe stata un'Aes Sedai perfetta. Aprì la bocca per sussurrare che la pazienza era per i sassi, ma il vento fece tremare la finestra e lei fu colpita da un'altra raffica gelata. Aveva la sensazione di essere in sottoveste tanto era scarsa la protezione che le offriva l'abito. Invece di sussurrare si lasciò sfuggire un'esclamazione ad alta voce. Tamra girò il capo verso le finestre, ma non per via di Moiraine. Nel vento adesso si sentiva il suono distante di una tromba, di dozzine. No, centinaia. Per sentirle da dentro la Torre dovevano essere centinaia. Il suono inoltre era continuo, squillo dopo squillo. Quale che fosse la causa, doveva essere qualcosa di urgente. L'Amyrlin chiuse la cartella che aveva davanti a sé con un movimento brusco. «Vai a vedere se ci sono novità sulla battaglia, Moiraine.» Tamra parlò con tono normale, ma nella voce c'era un qualcosa di indefinibile, qualcosa di vagamente brusco. «Siuan, prepara del tè; veloce, bambina.»
Moiraine batté le palpebre. L'Amyrlin era preoccupata. Ma c'era una sola cosa da fare. «Subito, Madre» risposero lei e Siuan all'unisono, senza esitazione, rivolgendole degli inchini profondi e voltandosi verso il corridoio dell'anticamera, di fianco al camino. La teiera intarsiata d'oro era appoggiata su un vassoio adagiato sopra un tavolo vicino alla porta, con la scatola del tè, un vasetto di miele, una piccola caraffa di latte e una grande di acqua, tutto lavorato in argento. Su un secondo vassoio erano disposte delle delicate tazze verdi di porcellana del Popolo del Mare. Moiraine sentì un vago prurito quando Siuan si apri alla fonte e abbracciò saldar, la metà femminile del Potere. La sua amica fu circondata da un bagliore visibile solo alle donne in grado di incanalare. Usare saidar per le faccende quotidiane era vietato, ma l'Amyrlin le aveva detto di sbrigarsi. Siuan stava già preparando un sottile flusso di Fuoco per far bollire l'acqua. Né Tamra né Gitara dissero una parola per fermarla. L'anticamera degli appartamenti dell'Amyrlin non era grande, visto che serviva solo per far attendere i visitatori fino a quando non venivano annunciati. Le delegazioni incontravano l'Amyrlin in una delle sale delle udienze o nello studio adiacente, non nelle sue stanze private. Alle spalle del camino della sala d'attesa, l'anticamera era quasi calda. C'era una sola sedia, decorata semplicemente ma grande e, malgrado il peso, era stata trascinata vicino a una delle lampade dorate, di modo che Elin Warrel, la snella novizia di turno, avesse una luce migliore per leggere. Guardava dal lato opposto della sala d'attesa ed era intenta nella lettura del libro con la copertina di legno che teneva fra le mani, per cui non sentì Moiraine camminare sul tappeto frangiato. Elin avrebbe dovuto percepirne la presenza molto prima che fosse abbastanza vicina per osservarla da dietro le spalle. Non era proprio una bambina, visto che era stata novizia per sette anni ed era arrivata alla Torre che già ne aveva diciotto, ma ogni novizia veniva chiamata bambina, indipendentemente dall'età. Allo stesso modo, le Aes Sedai chiamavano bambine le Ammesse. Moiraine aveva percepito la capacità di incanalare della bambina non appena era entrata nella stanza. Elin a sua volta avrebbe dovuto percepire la sua, a quella distanza. Una donna che poteva incanalare non sarebbe mai giunta di sorpresa alle spalle di un'altra, se quest'ultima avesse prestato attenzione. Da dietro le spalle di Elin, riconobbe subito il libro. Cuori in fiamme, una raccolta di racconti d'amore. La biblioteca della Torre era la più vasta
nel mondo conosciuto e conteneva copie di quasi ogni libro che fosse mai stato stampato, ma quello non era adatto a una novizia. Alle Ammesse era concesso qualche margine - a quel punto sapevi già che avresti visto tuo marito invecchiare e morire, come anche i figli, i nipoti e i pronipoti, mentre tu non saresti cambiata affatto - ma le novizie erano scoraggiate dal pensare agli uomini e all'amore, per cui venivano tenute alla larga dai maschi. Non sarebbe stato appropriato se una novizia fosse fuggita per sposarsi o, peggio, per farsi mettere incinta. L'addestramento era intenzionalmente rigido - se dovevi spezzarti era meglio che accadesse da novizia che non da Sorella. Essere Aes Sedai era davvero duro - e aggiungere un figlio al tutto rendeva le cose ancora più difficili. «Dovresti trovare delle letture più appropriate, Elin» disse Moiraine seria. «E prestare maggiore attenzione ai tuoi doveri.» Prima che lei finisse di parlare, la novizia balzò in piedi per la sorpresa, il libro cadde in terra e la ragazza si voltò di scatto. Non era alta per essere Andorana, ma Moiraine dovette comunque alzare gli occhi per incontrarne lo sguardo. Quando Elin la vide tirò un piccolo sospiro di sollievo. Molto piccolo. Per le novizie, le Ammesse erano solo un gradino sotto le Aes Sedai. Elin allargò la gonna bianca rivolgendole velocemente la riverenza. «Nessuno sarebbe entrato senza che io lo vedessi, Moiraine. Merean Sedai mi ha detto che potevo leggere.» Inclinò il capo da un lato, giocando con il grande fiocco bianco che usava per tenere legati i capelli. Tutto ciò che indossavano le novizie era bianco, anche le scarpe. «Perché quel libro è inappropriato?» La ragazza era più grande di Moiraine di tre anni, ma l'Anello del Gran Serpente e la gonna con le bande colorate erano una fonte di sapienza agli occhi di una novizia. Sfortunatamente vi erano degli argomenti di cui Moiraine non parlava volentieri con nessuno. Esisteva una cosa chiamata decoro. Alzando la voce, disse alla novizia: «Le bibliotecarie sarebbero molto scontente se restituissi uno dei loro libri danneggiati.» Provò soddisfazione per quel rimprovero. Era il tipo di replica che avrebbe dato una Sorella che non voleva rispondere a una domanda. Le Ammesse provavano le frasi da Aes Sedai per il giorno in cui avessero ottenuto lo scialle, ma le sole su cui esercitarsi al sicuro erano le novizie. Alcune provavano con i servitori, per un po', ma loro le prendevano in giro. Perché sapevano molto bene che agli occhi delle Aes Sedai le Ammesse erano un gradino sopra le novizie, ma un gradino sotto di loro. Come Moiraine aveva sperato, Elin cominciò a esaminare ansiosamente
il libro alla ricerca di eventuali danni e lei continuò a parlare per non consentire alla novizia di ritornare su quella domanda imbarazzante. «Abbiamo ricevuto dei messaggi dal campo di battaglia, bambina?» Elin sgranò gli occhi, indignata. «Sai bene che li avrei riferiti subito se fossero arrivati, Moiraine. Sai che lo avrei fatto.» Era vero. E anche Tarara lo sapeva. Ma mentre la Custode o un'Adunante potevano fare presente che l'Amyrlin aveva impartito un ordine sciocco - almeno, pensavano di poterlo fare un'Ammessa poteva solo obbedire. E le novizie non potevano dire che un'Ammessa aveva rivolto loro una domanda sciocca. «Pensi che sia il modo corretto di rispondere, Elin?» «No, Moiraine» rispose contrita la ragazza, rivolgendole un'altra riverenza. «Non ho ricevuto alcun messaggio da quando sono qui.» Inclinò di nuovo il capo. «Gitara Sedai ha avuto una premonizione?» «Torna alla tua lettura, bambina.» Non appena pronunciate quelle parole, Moiraine seppe che erano sbagliate, poiché contraddicevano quanto aveva affermato prima. Adesso era troppo tardi per recuperare. Voltandosi rapidamente e sperando che Elin non avesse notato il rossore sulle sue guance, uscì dall'anticamera con tutta la dignità che riuscì a trovare. Be', la maestra delle novizie le aveva detto che poteva leggere e le bibliotecarie le avevano lasciato prendere il libro, se non glielo aveva prestato una delle Ammesse. Ma Moiraine odiava fare la figura della sciocca. Un pennacchio di vapore saliva dalla teiera e dal boccale dell'acqua quando Moiraine rientrò nella sala d'attesa e chiuse la porta. Il bagliore di saidar non risplendeva più attorno a Siuan. L'acqua bolliva velocemente, quando veniva usato l'Unico Potere. Il trucco era evitare che si riducesse tutta in vapore. Siuan aveva riempito due delle tazze verdi e stava versando del miele in una. Nell'altra c'era il latte. Siuan spinse la tazza che stava preparando verso Moiraine. «È di Gitara» disse sottovoce. Poi aggiunse, in un sussurro e con una smorfia, «Le piace con talmente tanto miele da farlo diventare sciroppo. Mi ha detto di non essere tirata!» La porcellana era troppo calda per le dita di Moiraine, ma si sarebbe freddata al punto giusto una volta attraversata la sala per dirigersi allo scrittoio dove Gitara sedeva ancora, tamburellando con le dita, impaziente. L'orologio di legno nero lucidato sulla mensola del caminetto segnava l'alba. Le trombe ancora squillavano. Parevano in delirio, ma Moiraine sapeva che si trattava solo della sua immaginazione. Tamra era in piedi e guardava fuori dalla finestra, osservando il cielo che si rischiarava velocemente. Continuò a guardare anche dopo che Siuan le
ebbe rivolto la riverenza e porto la tazza, poi finalmente si voltò e vide Moiraine. Invece di prendere il tè, chiese: «Che notizie ci sono, Moiraine? Sai bene che non devi perdere tempo.» Oh, doveva davvero essere tesa per rivolgersi a lei in quel modo. Doveva sapere che l'Ammessa le avrebbe parlato subito se ve ne fossero state. Moiraine stava porgendo la tazza a Gitara, ma prima che potesse rispondere la Custode balzò in piedi, colpendo il tavolo con tale forza che la boccetta dell'inchiostro si rovesciò, creando una pozza nera sul piano del tavolo. Rimase in piedi con le braccia tese lungo i fianchi, guardando un punto fisso sopra la testa di Moiraine, con gli occhi sgranati e colmi di terrore. Terrore allo stato puro. «È nato di nuovo!» gridò la Custode. «Lo sento! Il Drago ha fatto il primo respiro sulle pendici di Montedrago! Sta arrivando! Sta arrivando! Che la Luce ci aiuti! Che la Luce aiuti il mondo! Giace nella neve e grida come il tuono! Brucia come il sole!» Con l'ultima parola emise un verso flebile e ricadde in avanti fra le braccia di Moiraine, che fece cadere la tazza del tè per afferrarla; il peso della donna più grossa le trascinò entrambe sul tappeto. Moiraine cadde in ginocchio con la Custode fra le braccia invece di finire sotto di lei. Tamra le raggiunse in un istante, inginocchiandosi noncurante sull'inchiostro che gocciava dal tavolo. Il bagliore di saidar la circondava e aveva già preparato dei flussi di Spirito, Aria e Acqua. Afferrando il capo di Gitara fra le mani fece affondare i flussi nel corpo immobile. Ma la sonda lanciata per controllare lo stato di salute non si trasformò in guarigione. Guardando negli occhi fissi di Gitara, Moiraine capì perché. Sperava che fosse rimasto un piccolo frammento vitale, qualcosa con cui Tamra potesse lavorare. La guarigione curava ogni tipo di malattia e ferita, ma non poteva vincere la morte. La macchia d'inchiostro sul tavolo si era allargata rovinando la lettera che la Custode stava scrivendo. Era strano cosa si andasse a notare, in momenti come quello. «Non adesso, Gitara» sussurrò Tamra. Sembrava stanchissima. «Non ora, quando ho maggior bisogno del tuo aiuto.» Lentamente alzò gli occhi e incontrò quelli di Moiraine, la quale abbassò lo sguardo. Si diceva che lo sguardo di Tamra potesse smuovere i sassi e, in quel momento, Moiraine ci credette. L'Amyrlin si concentrò su Siuan, ancora in piedi davanti alla finestra. La Tarenese aveva entrambe le mani premute sulle labbra, e la tazza che prima aveva in mano adesso era in terra. Anche lei sobbalzò davanti a quello sguardo.
Moiraine guardò la tazza tra le sue mani. Un bene che non si sia rotta, pensò. La porcellana del Popolo del Mare è molto costosa. Sì, la mente giocava strani scherzi quando voleva evitare di pensare a qualcosa. «Siete entrambe intelligenti» disse alla fine Tamra. «E non siete sorde, sfortunatamente. Sapete bene che Gitara ha avuto l'ultima premonizione.» La domanda implicita era abbastanza chiara da indurre le due donne ad annuire in segno di risposta. Tamra sospirò, come se avesse desiderato una risposta diversa. Prendendo Gitara dalle braccia di Moiraine, l'Amyrlin la appoggiò sul tappeto e le sistemò i capelli. Dopo un momento prese l'ampia stola dalle spalle della Custode e gliela adagiò sul viso. «Con il tuo permesso, Madre,» disse Siuan con voce rauca «posso mandare Elin a cercare la cameriera personale della Custode per fare quanto è necessario.» «Ferma!» gridò Tamra. Lo sguardo duro come il ferro colpì entrambe le ragazze. «Non parlerete con nessuno di quanto è accaduto, per nessun motivo. Se necessario, mentite. Anche alle Sorelle. Gitara è morta senza parlare. Mi capite?» Moiraine annui e si accorse che Siuan aveva fatto lo stesso. Non erano ancora Aes Sedai - le Ammesse potevano mentire e alcune occasionalmente lo facevano, anche se si sforzavano di comportarsi come Sorelle - ma non si era mai aspettata che le venisse ordinato, certo non da un'Aes Sedai e tanto meno dall'Amyrlin Seat. «Bene» riprese stanca Tamra. «Manda... la novizia di turno si chiama Elin? Falla venire da me. Le dirò dove può trovare la cameriera di Gitara.» Voleva accertarsi che la novizia non avesse sentito nulla attraverso la porta chiusa. Altrimenti avrebbe assegnato quel compito a Siuan o Moiraine. «Quando arriva la ragazza potete andare. E ricordate: non una parola! Nemmeno una!» L'enfasi sulle ultime parole ne evidenziò l'importanza. A un ordine dell'Amyrlin Seat si doveva obbedire come se fosse un giuramento. Non c'era bisogno di enfatizzare nulla. Desideravo sentire una premonizione, pensò Moiraine mentre rivolgeva all'Amyrlin l'ultima riverenza prima di andare via, e quella che ho ricevuto è stata una premonizione di rovina. Adesso avrebbe tanto voluto essere stata più cauta con i propri desideri. 3
Esercizio L'ampio corridoio fuori degli appartamenti dell'Amyrlin era freddo come la sala, e pieno di correnti d'aria. Alcune erano talmente forti da smuovere gli arazzi appesi alle pareti di marmo bianco. Sopra le lampade dorate fra un arazzo e l'altro, le fiamme tremarono, quasi spegnendosi. A quell'ora le novizie stavano facendo colazione, come anche, probabilmente, la maggior parte delle Ammesse. Per il momento i corridoi erano vuoti se non per la presenza di Siuan e Moiraine. Seguivano la guida azzurra, che occupava la metà del corridoio, avvantaggiandosi della minima protezione che quel tappeto offriva contro il freddo delle mattonelle, che riportavano i sette colori delle Ajah. Moiraine era troppo scioccata per parlare. Lo squillo sommesso delle trombe la raggiungeva a stento. Svoltarono l'angolo per accedere a un corridoio dove le mattonelle sul pavimento erano bianche e il tappeto verde. A destra pendeva un altro grande arazzo, affiancato da lampade con il sostegno a spirale: si trovavano davanti al passaggio che portava alle residenze delle varie Ajah, e la parte visibile era azzurra e gialla, con la guida grigia, marrone e rossa. In ogni area dominava il colore dell'Ajah di appartenenza, e alcuni degli altri potevano essere del tutto assenti, ma nelle aree comuni della Torre i colori delle varie Ajah erano usati nella stessa proporzione. Per la testa di Moiraine passavano pensieri irrilevanti. Perché dovevano essere in parti uguali quando alcune Ajah erano più grandi di altre? Una volta erano state tutte della stessa dimensione? Una nuova Aes Sedai sceglieva l'Ajah liberamente, eppure ogni Ajah aveva a disposizione aree della stessa dimensione. I pensieri irrilevanti erano meglio che... «Vuoi fare colazione?» le chiese Siuan. Moiraine sussultò per la sorpresa. Colazione? «Non potrei ingoiare un solo boccone, Siuan.» L'altra donna sollevò le spalle. «Nemmeno io ho fame. Avevo solo pensato di farti compagnia nel caso tu volessi mangiare.» «Torno in camera mia per cercare di dormire un po', se riesco a calmarmi. Fra due ore ho una classe di novizie.» E probabilmente non solo una,
se le Sorelle non avessero ripreso a tornare presto. Le novizie non potevano mancare le lezioni per piccolezze come le battaglie o... non voleva pensare all'alternativa. Anche lei avrebbe perso una lezione se non fossero tornate le Aes Sedai. Per la maggior parte del tempo le Ammesse studiavano da sole, ma lei aveva una lezione privata programmata con Meilyn Sedai e un'altra con Larelle Sedai. «Dormendo perderai del tempo che non abbiamo» rispose Siuan con fermezza. «Faremo le prove per l'esame. Forse abbiamo ancora un mese, ma potrebbe succedere anche domani.» «Non possiamo essere sicure che sia così presto. Merean ha detto solo che eravamo vicine al traguardo.» Siuan sbuffò forte. Quando era ancora una novizia, le Sorelle le avevano ripulito il linguaggio, che allora rievocava quello dei moli ed era spesso duro, ma non erano ancora riuscite ad addolcirle il carattere. Il che era un bene. Quelle spigolosità le appartenevano. «Quando Merean dice che qualcuna è vicina, viene esaminata entro un mese e tu lo sai bene. Proveremo.» Moiraine sospirò. Non pensava che sarebbe riuscita a dormire, non in quel momento, ma dubitava di potersi concentrare bene. L'esercizio richiedeva concentrazione. «Oh, va bene, Siuan.» La seconda sorpresa dopo l'amicizia era stata la constatazione che, fra loro, la figlia del pescatore era il capo e la figlia del nobile la seguace. Il rango nel mondo esterno non contava, nella Torre. Vi erano state due figlie di mendicanti elette Amyrlin, come anche figlie di mercanti, contadini e artigiani, incluse tre figlie di calzolai, e solo una principessa. Inoltre, a Moiraine era stato insegnato a giudicare le capacità delle persone molto prima che lasciasse casa. Specialmente nel palazzo del Sole, si cominciava a imparare non appena si era in grado di camminare. Siuan era nata per comandare. Sembrava davvero naturale seguire, quando la guida era Siuan. «Scommetto che farai parte del Consiglio della Torre quando avrai indossato lo scialle per cento anni, e diverrai Amyrlin prima che ne siano passati altri cinquanta» le disse, e non era la prima volta. Ottenne la solita reazione. «Non fare l'uccello del malaugurio» le rispose Siuan aggrottando le sopracciglia. «Voglio vedere il mondo. Anche terre che nessun'altra Sorella ha mai conosciuto. A Tear vedevo sempre le imbarcazioni piene di seta e avorio provenienti da Shara e mi sono sempre chiesta se qualcuno della ciurma avesse mai avuto il coraggio di sgattaiolare e avventurarsi oltre i porti commerciali. Io lo avrei fatto.» E suo viso eguagliava quello di Tam-
ra in determinazione. «Una volta mio padre aveva portato la sua imbarcazione fino al Mare delle Tempeste e io riuscivo appena a tirare su le reti, tanto ero concentrata a fissare il sud, chiedendomi cosa si trovasse oltre l'orizzonte. Un giorno lo saprò. E l'Oceano Aryth. Chi sa cosa si trova a ovest dell'Oceano Aryth? Strane terre con strane usanze. Forse città grandi come Tar Valon e montagne più alte della Dorsale del Mondo. Pensaci, Moiraine. Pensaci!» Lei soffocò un sorriso. Siuan era così ardente al pensiero delle avventure future, anche se non le avrebbe mai chiamate tali. Le 'avventure' si trovavano solo nei libri o nelle storie, non nella vita reale, come avrebbe puntualizzato Siuan a chiunque avesse usato quella parola. Senza dubbio, una volta ottenuto lo scialle, sarebbe partita come una freccia scagliata da un arco. A quel punto si sarebbero viste una o due volte all'anno, non di più. Quel pensiero la fece rattristare, ma non dubitava che anche le sue previsioni si sarebbero avverate. Non serviva il talento della preveggenza. No: stava pensando alle cose sbagliate. Quando voltarono l'ennesimo angolo e oltrepassarono una stretta rampa di scale di marmo che scendeva al piano inferiore, lo sguardo torvo di Siuan si calmò e la ragazza iniziò a studiare Moiraine lanciandole delle occhiate in tralice. Le mattonelle del pavimento erano di un verde vivace, la guida giallo scuro e le pareti bianche erano semplici e spoglie. Le lampade non erano dorate in quella parte della Torre, che era usata più dai servitori che dalle Sorelle. «Stai cercando di cambiare argomento, vero?» chiese Siuan di colpo. «Quale argomento?» chiese a sua volta Moiraine, quasi ridendo. «Esercizio o colazione?» «Sai di che parlo, Moiraine. Cosa ne pensi?» La risata svanì. Non c'era bisogno di chiedere spiegazioni. Ma lei non ci non voleva pensare. 'È nato di nuovo.' Sentiva ancora la voce di Gitara. 'Il Drago ha fatto il primo respiro...' I brividi stavolta non avevano nulla a che fare con il freddo. Per più di tremila anni il mondo aveva aspettato che si compissero le Profezie del Drago, temendole, ma sapendo anche che erano la loro sola speranza di salvezza. E adesso un bambino stava per nascere - o era appena nato, da come aveva parlato Gitara - per far avverare quelle Profezie. Nato sulle pendici del Montedrago, dove, si narrava, era morto l'uomo che egli era stato in passato. Più di tremila anni prima il Tenebroso si era quasi liberato degli esseri umani scatenando la Guerra dell'Ombra, che si era
conclusa con la Frattura del Mondo. Tutto era andato distrutto, la superficie del pianeta era cambiata, l'umanità si era ridotta a un gruppo di profughi disperati. Erano passati dei secoli prima che la semplice lotta per la sopravvivenza generasse nuovi edifici, città e nazioni. La nascita di quel bambino significava che il Tenebroso si sarebbe liberato di nuovo, perché il piccolo doveva nascere per affrontarlo durante Tarmon Gai'don, l'Ultima Battaglia. In lui era riposto il destino del mondo. Le Profezie sostenevano che fosse la sola possibilità di salvezza. Non dicevano che avrebbe vinto. Forse anche peggiore del pensiero della sua sconfitta, era il fatto che avrebbe incanalato saidin, la metà maschile dell'Unico Potere. Moiraine a questo pensiero non rabbrividì, tremò. Saidin portava in sé la contaminazione del Tenebroso. Alcuni uomini di tanto in tanto provavano a incanalare. Qualcuno riusciva a imparare da solo, e sopravviveva alla mancanza di un insegnante, anche se non era semplice. Fra le donne, solo una su quattro sopravviveva al tentativo. Alcuni di quegli uomini scatenavano le guerre. Di solito si trattava di falsi Draghi, uomini che sostenevano di essere il Drago Rinato, mentre gli altri tentavano di nascondersi dietro vite ordinarie, ma, a meno che non venissero catturati, portati a Tar Valon e domati tagliati per sempre fuori dal Potere - impazzivano tutti. A volte ci volevano anni, a volte mesi, ma era comunque inevitabile. Uomini che potevano attingere all'Unico Potere, che faceva girare la Ruota del Tempo e guidava l'universo. Le storie trasudavano degli orrori commessi da simili individui. E le Profezie dicevano che il Drago Rinato avrebbe portato una nuova Frattura del Mondo. La sua vittoria sarebbe stata preferibile a quella del Tenebroso? Sì, doveva essere così. Anche la prima Frattura aveva lasciato dei sopravvissuti per la ricostruzione. Il Tenebroso avrebbe lasciato solo un ossario. In ogni caso, le Profezie non cambiavano per assecondare i desideri di un'Ammessa. Nemmeno per le preghiere di intere nazioni. «Penso che l'Amyrlin ci ha ordinato di non parlarne, ecco cosa penso» rispose. Siuan scosse il capo. «Ci ha detto di non riferirlo a nessuno. Visto che già lo sappiamo, non credo sia un problema se ne discutiamo fra di noi.» Si interruppe nel vedere una robusta cameriera con la Fiamma Bianca di Tar Valon cucita sul petto che compariva dietro l'angolo di fronte a loro. Mentre la donna rotonda le oltrepassava, le guardò sospettosa. Forse sembravano colpevoli. Gli inservienti maschili spesso chiudevano un occhio su ciò che combinavano le Ammesse, e anche le novizie; non volevano essere coinvolti con le Aes Sedai più del necessario. Le donne, d'altro
canto, le osservavano con la stessa attenzione delle Aes Sedai. «Se siamo prudenti...» sussurrò Siuan, una volta che la cameriera in livrea le ebbe oltrepassate. Per quanto fosse sicura che parlarne fra loro non fosse vietato, sembrò rasserenata dal non dover aggiungere altro fino a quando raggiunsero le stanze delle Ammesse, nell'ala ovest della Torre. Le gallerie con le ringhiere di pietra sospese su una specie di ballatoio circondavano un piccolo giardino, tre piani più in basso. Il giardino era composto solo da cespugli di sempreverdi che in quel periodo dell'anno spuntavano dalla neve. Un'Ammessa che facesse il passo sbagliato poteva ritrovarsi a spalare la neve con un badile - le Sorelle credevano fermamente che il lavoro fisico costruisse il carattere - ma nessuna si era infilata in grossi guai, di recente. Appoggiando le mani sulla ringhiera, Moiraine osservò il chiaro cielo invernale, oltre le sei file di gallerie silenziose dei piani superiori. Il fiato le si condensò in una nuvola bianca davanti al viso. Da lì le trombe si sentivano meglio che dal corridoio, e il puzzo del fumo era più forte. Su quel piano del palazzo c'erano stanze per almeno cento Ammesse, come anche al secondo piano. Forse non le sarebbero venuti in mente quei numeri, se non fosse stato per la premonizione di Gitara, eppure ci aveva già pensato. Li aveva incisi nel cervello, come se fossero stati impressi con l'acido. Spazio per almeno duecento Ammesse, ma il secondo piano era chiuso da così tanto tempo che nessuna Aes Sedai vivente si ricordava di quando era stato costruito, e del primo erano occupate solo sessanta stanze. Anche l'area delle novizie era organizzata su due piani, con camere per almeno quattrocento ragazze, ma uno era chiuso da tempo e nell'altro c'erano meno di cento occupanti. Moiraine aveva letto che in passato novizie e Ammesse venivano ospitate due per camera. Un tempo, la metà delle ragazze che entravano come novizie veniva esaminata per ottenere l'anello; adesso meno di venti sarebbero giunte fino a quel punto. La Torre era stata costruita per ospitare tremila Sorelle, ma adesso ve ne risiedevano solo quattrocentoventitré, con forse il doppio di quel numero sparso per il mondo. Numeri che bruciavano come fuoco. Nessuna Aes Sedai lo avrebbe detto ad alta voce, e lei stessa non avrebbe mai osato farlo in un luogo dove una Sorella poteva sentirla, ma la Torre Bianca stava decadendo. La Torre stava decadendo e l'ultima battaglia stava per arrivare. «Ti preoccupi troppo» le disse gentilmente Siuan. «Mio padre diceva sempre, 'cambia quello che puoi se è necessario, ma impara a vivere con ciò che non puoi cambiare. Altrimenti ti farai solo venire mal di stomaco.
Quest'ultima parte è mia, non di mio padre.» Sbuffando di nuovo, tremò per il freddo e si strinse le braccia contro il corpo. «Adesso possiamo entrare? Sto congelando. La mia stanza è vicina. Andiamo.» Moiraine annui. Anche la Torre insegnava alle sue allieve a convivere con quanto non potevano cambiare. Ma alcune cose erano abbastanza importanti da meritare un tentativo anche se si aveva la certezza di fallire. Quella era stata una delle lezioni che aveva appreso da bambina. Le stanze delle Ammesse erano identiche fra loro, tranne che per i dettagli: quella di Siuan era leggermente più larga sul retro che di fronte, con le pareti in semplici pannelli di legno scuro. Nessuno dei pezzi di arredamento era raffinato, nulla che una Sorella avrebbe tollerato. C'era un piccolo tappeto tarabonese a righe verdi su un fondo blu sbiadito sul pavimento, e sul lavabo con specchio sistemato in un angolo era appoggiata una brocca bianca sbeccata, con a fianco il catino. Le Ammesse dovevano usare quello che avevano, a meno che qualcosa si rompesse e, in tal caso, dovevano fornire valide spiegazioni sulla natura dell'incidente. Il tavolino, con tre libri rilegati in pelle appoggiati, e le due sedie con lo schienale di cuoio potevano anche appartenere a una famiglia di contadini squattrinati, ma il letto disfatto era grande, qualcosa che già sarebbe sembrato appropriato a una famiglia più prospera. Un piccolo guardaroba completava l'arredamento. Nulla era inciso né decorato in alcun modo. Quando Moiraine si era spostata dalla piccola ed essenziale camera da novizia, aveva avuto la sensazione di muoversi in un palazzo, anche se la nuova stanza era grande la metà di una qualsiasi sala dei suoi appartamenti nel palazzo del Sole. La cosa migliore in quel momento era il camino di pietra grigia. Qualsiasi ambiente con un camino le sarebbe sembrato un palazzo, se avesse potuto avvicinarsi e scaldarsi. Siuan mise subito tre pezzi di legna sugli alari - la cassa era quasi vuota; gli inservienti portavano la legna alle Aes Sedai, ma le Ammesse dovevano trasportarla da sole - quindi sbuffò nel constatare che i suoi sforzi per mantenere vive le braci della sera precedente erano stati vani. Senza dubbio per la fretta di raggiungere le stanze dell'Amyrlin, non le aveva coperte bene con le ceneri in modo da evitare che bruciassero del tutto. Per un momento aggrottò le sopracciglia, quindi Moiraine sentì un leggero prurito mentre il bagliore di saidar circondava per pochi istanti l'amica. Qualsiasi donna in grado di incanalare poteva percepirne un'altra che usava il Potere, se erano abbastanza vicine, ma il prurito era insolito. Le donne che stavano spesso insieme durante l'addestramento a volte lo sentivano, ma la sensa-
zione, in teoria, doveva svanire con il trascorrere del tempo. Ma lei e Siuan lo avvertivano ancora. A volte Moiraine pensava che fosse un segno di quanto la loro amicizia fosse stretta. Quando il bagliore svanì, il legno bruciava allegramente. Moiraine non disse nulla, ma Siuan le lanciò un'occhiata come se le avesse fatto una ramanzina. «Avevo troppo freddo per aspettare» spiegò, sulla difensiva. «E poi dovresti ricordare la lezione di Akarrin di due settimane fa. 'Dovete conoscere le regole alla lettera'» citò «'e vivere con esse prima di sapere quali potete infrangere e quando.' Mi pare chiaro che a volte le regole possono essere ignorate.» Akarrin, una Marrone snella con gli occhi che saettavano per accorgersi di chi non seguiva la lezione, si era riferita a come essere Aes Sedai, non Ammesse, ma Moiraine mantenne il silenzio. Siuan non aveva mai avuto bisogno di nulla per pensare a infrangere le regole. Non lo faceva mai con quelle principali - non cercava mai di fuggire, non mancava di rispetto alle Sorelle o cose del genere, e non avrebbe mai rubato - ma fin dall'inizio aveva avuto la tendenza a fare delle ragazzate. Be', per Moiraine era lo stesso. La maggior parte delle Ammesse lo facevano, di tanto in tanto, e anche qualche novizia. Fare degli scherzi era un modo come un altro per alleviare il peso dello studio costante con pochi giorni liberi a disposizione. Le Ammesse non avevano incarichi, a parte quelli necessari per tenere se stesse e le loro stanze pulite e in ordine e per evitare che si cacciassero in qualche guaio, ma dovevano studiare sodo, molto più di quanto si sognasse una novizia. Servivano delle distrazioni, o altrimenti si poteva esplodere come un uovo che cade su una roccia. Nulla di quanto avevano combinato lei e Siuan era stato malvagio. Lavare con l'ortica la camicia di un'Ammessa antipatica non contava. Elaida aveva reso i loro primi anni da novizie davvero infelici, assegnando limiti e regole che nessuna aveva ancora mai sperimentato, ma insistendo che obbedissero. Il secondo anno, dopo che Elaida aveva ottenuto lo scialle, era stato il peggiore, fino a quando la Sorella non aveva lasciato la Torre. La maggior parte dei loro scherzi erano stati benevoli, anche se perfino il più innocente culminava in una punizione, specialmente se la vittima era un'Aes Sedai. Il loro maggior trionfo era stato riempire la fontana più grande nel giardino dell'acqua con delle grosse trote verdi, durante una notte dell'estate precedente. Il migliore, in parte per la difficoltà e in parte perché non erano state scoperte. Alcune Sorelle le avevano guardate con sospetto, ma fortunatamente nessuna poteva provare che fossero state loro.
E chiedere se erano colpevoli non era previsto, con le Ammesse. Mettere le trote nella fontana non sarebbe culminato con una visita alla maestra delle novizie, ma lasciare la Torre senza permesso per andarle a comperare - e, peggio ancora, di notte! - avrebbe avuto di sicuro quella conseguenza. Moiraine sperava che Siuan non stesse progettando uno scherzo, con il suo parlare di infrangere le regole. Lei per prima era troppo stanca, e le avrebbero di sicuro scoperte. «Inizi tu, o vado io?» chiese. Forse esercitarsi avrebbe distolto l'amica dal cacciarsi nei guai. «Tu hai più bisogno di esercizio. Questa mattina ci concentreremo su di te. E questo pomeriggio. E stanotte.» Moiraine fece una smorfia, ma era vero. L'esame per lo scialle consisteva nel creare cento flussi diversi, perfetti e in un ordine preciso, rimanendo sotto stress costante. E per tutta la durata della prova bisogna dimostrare una profonda calma. Non sapevano esattamente cosa avrebbe provocato quello stress costante, solo che sarebbero stati fatti dei tentativi per distrarle e spezzare la compostezza. Nelle esercitazioni, Siuan era molto brava a farla distogliere nel momento peggiore o a stuzzicare il suo caratterino. Troppa collera impediva di mantenere il contatto con saidar; anche dopo aver lavorato sei anni, incanalare richiedeva una certa calma. Lei, invece, di rado riusciva a turbare Siuan, che manteneva i nervi perfettamente sotto controllo. Abbracciando la Vera Fonte, Moiraine lasciò che saidar la colmasse. Incanalare era stancante e più potere attingeva, peggio stava. Anche con quella piccola quantità che la attraversava, pervadendola di felicità e voglia di vivere, di esultanza, la meraviglia era prossima al tormento. La prima volta che aveva abbracciato saidar non aveva saputo se piangere o ridere. Sentì subito il bisogno di attingerne di più e lo respinse. Tutti i sensi erano acuiti, nitidi, quando era colmata dal Potere. Le sembrava quasi di sentire il battito del cuore di Siuan. Avvertiva le correnti d'aria che le sfioravano il viso e le mani, i colori delle bande in fondo al vestito dell'amica erano più vividi, il bianco della lana più candido. Scorgeva piccole crepe sui pannelli davanti alle pareti che altrimenti non avrebbe visto senza appoggiare il naso al muro. Era esilarante. Si sentiva... più viva. Una parte di lei voleva mantenere la presa su saidar tutto il tempo, ma era assolutamente proibito. Quel desiderio portava alla tentazione di attingere sempre più Potere, fino a quando non sarebbe stato più di quanto ne potevi gestire, la qual cosa ti avrebbe uccisa o avrebbe bruciato per sempre l'abilità di incanalare. Perde-
re questa... beatitudine... sarebbe stato peggio che morire. Siuan prese una delle sedie e fu avvolta dal bagliore. Moiraine non vedeva la propria luce che la circondava. Dopo aver intessuto una protezione contro chi avesse voglia di origliare - pareti, soffitto, pavimento - Siuan ne legò i flussi per non doverla mantenere. Conservare due flussi allo stesso tempo era doppiamente faticoso, tre, il doppio del doppio. Oltre questo limite non ci sarebbe più stato modo di descriverlo, ma lo si sarebbe potuto fare comunque. Fece cenno a Moiraine di voltarle la schiena. Guardando torva la protezione, lei obbedì. Sarebbe stato più facile evitare distrazioni se avesse visto i flussi che Siuan stava preparando per lei. Ma perché la protezione contro le spie? Se qualcuno avesse premuto un orecchio contro la parete, non avrebbe sentito nulla neanche se lei avesse gridato a pieni polmoni. Di certo Siuan non avrebbe fatto nulla per farla urlare. No. Doveva far parte del piano per turbarla, spingendola a chiedersi le ragioni di quella misura. Sentì che Siuan lavorava i flussi, Terra e Aria, quindi Fuoco. Acqua e Spirito, poi Terra e Spirito: cambiavano sempre. Senza guardare non c'era modo di dire se la donna stesse creando una tessitura o solo tentando di distrarla. Inspirando profondamente, si concentrò per restare calma. La maggior parte delle tessiture dei flussi dell'esame erano molto complesse ed erano appositamente elaborate. Stranamente nessuna richiedeva dei gesti, cosa che invece di solito era necessaria. Il movimento non era davvero parte della tessitura, ma se non lo facevi il flusso cedeva. In teoria il movimento creava dei sentieri mentali. La mancanza di gesti faceva inizialmente credere di non poter usare le mani durante quella parte della prova. Sembrava sinistro. Un'altra stranezza era che nessuno di questi flussi intricati produceva reazioni: anche se intessuto nel modo sbagliato, non avrebbe causato conseguenze disastrose, cosa che era possibile con un diverso numero di altre tessiture. Alcune fra le più semplici potevano scatenare dei disastri. Delle donne erano morte durante la prova, ovviamente non per aver pasticciato con una tessitura, ma un errore nella prima prova poteva avere come risultato un tuono assordante. Moiraine incanalò dei flussi sottili di Aria, intessendoli. Si trattava di un'operazione semplice, ma saidar non poteva essere forzato. Il Potere era come un vasto fiume, che fluiva inesorabilmente; cercare di forzarlo avrebbe spazzato via chiunque, come un ramoscello nel fiume Erinin. Bisognava usare la forza del fiume per guidare il Potere. In ogni caso la dimensione non era specificata, nell'esame, e una tessitura piccola richiedeva meno lavoro. Inoltre il rumore sa-
rebbe stato minore se Siuan fosse riuscita a... «Moiraine, pensi che le Rosse riusciranno a lasciarlo in pace?» La ragazza sobbalzò ancor prima che la tessitura che stava lavorando esplodesse con fragore. Ogni Sorella doveva essere capace di gestire un uomo in grado di incanalare, se ne avesse incontrato uno, ma le Rosse erano concentrate nel dar loro la caccia. Siuan si riferiva al neonato. Questo spiegava la protezione. E anche i discorsi sull'infrangere le regole. Forse Siuan non era sicura, come faceva finta di essere, che a Tamra non importasse se parlavano di quel bambino fra loro due. Moiraine lanciò un'occhiataccia alle sue spalle. «Non smettere» le disse con calma l'amica. Stava ancora incanalando, ma non faceva nulla se non muovere i flussi. «Hai davvero bisogno di esercizio se hai già pasticciato con quello. Be'... Che ne pensi? Delle Rosse, intendo.» Stavolta la tessitura produsse un disco azzurro argentato grande come una moneta, che cadde fra le mani protese di Moiraine. La forma non era specificata, un'altra stranezza, ma dischi e sfere erano le cose più facili. Flussi di Aria duri come l'acciaio, freddi. Moiraine rilasciò il flusso e la 'moneta' svanì, lasciando solo un residuo del Potere, che presto sarebbe svanito. La tessitura successiva era una delle più complesse e inutili. Richiedeva tutti e cinque i Poteri e Moiraine rispose mentre lavorava. Poteva parlare e incanalare al tempo stesso. Aria, Fuoco e Terra. Spirito e poi di nuovo Aria. Intesseva senza fermarsi. Per qualche motivo questi flussi si dissolvevano se rimanevano parzialmente lavorati per un periodo lungo, o si trasformavano in qualcosa del tutto diverso. Spirito di nuovo, Fuoco e Terra insieme. «Avranno vent'anni per imparare a lasciarlo in pace, nel peggiore dei casi. Nel migliore, anche di più.» Le ragazze a volte, anche se era un caso raro, cominciavano a incanalare a dodici o tredici anni, se avevano la scintilla innata, ma i ragazzi non lo facevano mai prima di aver raggiunto i diciotto o i diciannove, a meno che non lo imparassero da qualcuno, e in alcuni uomini la scintilla non si manifestava fino a quando non arrivavano ai trent'anni. Di nuovo Aria, poi Spirito e Acqua, tutti sistemati con precisione. «Si tratta del Drago Rinato. Anche le Rosse capiranno che non può essere domato fino a quando non combatterà l'Ultima Battaglia.» Un destino tetro. Salvare il mondo, se poteva, e per ricompensa essere tagliato fuori da questa meraviglia. Le Profezie non erano note per essere pietose, come non lo erano per esaudire le preghiere. Terra, Fuoco, altra Aria. Quella
cosa stava cominciando a somigliare al più goffo nodo del mondo. «Sarà abbastanza? Ho sentito dire che alcune Rosse non si impegnano molto a catturare vivi quegli uomini.» Anche lei ne aveva sentito parlare, ma era solo una voce. E una violazione delle leggi della Torre. Una Sorella poteva essere frustata per questo e, probabilmente, mandata in esilio in una fattoria remota per riflettere sul suo crimine. Doveva essere considerato un omicidio, ma visto ciò che quegli uomini potevano fare senza controllo, Moiraine capiva quasi perché non era così. Altro Spirito, con degli intrecci di Terra. Apparvero dita invisibili che sembrava le scorressero sui fianchi fino a raggiungere le ascelle. Soffriva il solletico e Siuan lo sapeva bene, ma avrebbe dovuto tentare qualcosa di meglio. Moiraine fece solo un leggero movimento. «Come mi ha detto qualcuno non troppo tempo addietro, impara a vivere con ciò che non puoi cambiare» rispose ironica. «La Ruota del Tempo gira come vuole e le Ajah fanno ciò che devono.» Altra Aria e Fuoco, seguiti da Acqua, Terra e Spirito. Poi tutti e cinque assieme. Luce, che intrico orrendo! Ancora incompleto. «Io penso...» iniziò a dire Siuan, e la porta si spalancò lasciando entrare un'ondata di aria fredda che portò via tutto il calore del camino. Colma di saidar, Moiraine aveva i sensi acuiti e sì sentì improvvisamente coperta da un manto di gelo, dalla testa ai piedi. La porta rivelò Myrelle Berengari, un'Ammessa di Altara che aveva ottenuto l'anello il loro stesso anno. Aveva la pelle olivastra ed era bellissima, alta quasi quanto Siuan, socievole e anche irrequieta, con un senso dell'umorismo turbolento e un carattere anche peggiore di quello di Moiraine, quando si lasciava andare. Le due avevano avuto uno scambio di parole infuocato da novizie, culminato nella fustigazione di entrambe, ma alla fine erano diventate amiche. Un legame non stretto come con Siuan, ma comunque forte. Solo per questo riuscì a non scattare contro l'Ammessa per essere entrata senza bussare. Non avrebbero comunque sentito se lo avesse fatto, visto che c'era la protezione. Ma non importava. Era una questione di principio. «Quanto pensate che manchi all'Ultima Battaglia?» chiese Myrelle chiudendo la porta. A quel punto notò il groviglio di flussi incompleto davanti a Moiraine e la protezione contro i curiosi, e sorrise. «Esercizi per l'esame, vedo. L'hai fatta gridare, Siuan? Se vuoi posso aiutarti. Conosco un metodo sicuro per farla strillare come un maialino incastrato in una rete.» Moiraine lasciò svanire la tessitura prima che crollasse e scambiò un'oc-
chiata confusa con Siuan. Come faceva Myrelle a sapere? «Non ho gridato come... nel modo che hai detto tu» rispose compassata, giocando per un po'. La maggior parte degli scherzi delle Ammesse erano contro le altre Ammesse, le battute e le bravate di Myrelle erano frequenti quasi quanto le sue e quelle di Siuan. Quel particolare metodo che aveva menzionato aveva richiesto l'uso di ghiaccio in piena estate, quando anche all'ombra sembrava di stare in un forno. Ma non aveva strillato come un maialino! «Cosa vuoi dire, Myrelle?» chiese Siuan con cautela. «Be', gli Aiel, ovviamente. Cos'altro volete che sia?» Moiraine scambiò un'altra occhiata con Siuan, stavolta mortificata. Diverse Sorelle sostenevano che in più passaggi delle Profezie del Drago vi erano dei riferimenti agli Aiel. Altrettante sostenevano il contrario. All'inizio della guerra vi erano state discussioni animate al riguardo. In altri ambienti sarebbero state chiamate liti furiose, se le donne coinvolte non fossero state Aes Sedai. Ma con la notizia che avevano ricevuto, quel particolare era uscito dalla mente di Moiraine e, chiaramente, da quella di Siuan. Mantenere nascoste le loro conoscenze avrebbe richiesto una vigilanza costante. «Voi due avete un segreto, vero?» disse Myrelle. «Non conosco nessun'altra con tanti segreti. Be', non crediate che ve li chieda, perché non lo farò.» Ma, a giudicare dalla sua espressione, moriva dalla voglia di sapere. «Non è nostro e non possiamo rivelarlo» rispose Siuan, e le sopracciglia di Moiraine si sollevarono prima che riuscisse a controllarsi. Che cosa stava progettando l'amica? Provava a giocare a Daes dae'mar? Moiraine aveva cercato di insegnarle come funzionava il Gioco delle Casate. A Cairhien anche i servitori e i contadini sapevano come muoversi per avvantaggiarsi e deviare gli altri dai propri piani. In quel regno i nobili e la gente comune vivevano secondo il Daes Dae'mar più che in qualsiasi altro posto, e il Gioco veniva giocato ovunque, anche nelle terre dove negavano di farlo. Malgrado tutti gli sforzi di Moiraine, Siuan non si era mai mostrata in grado di apprendere. Era semplicemente troppo diretta. «Però puoi aiutarmi con Moiraine» prosegui la donna, ancor più sorprendentemente. Gli esercizi erano sempre fra loro due. «Ormai conosce troppo bene i miei trucchi.» Ridendo, Myrelle si strofinò gioiosamente le mani e prese la seconda sedia, con il bagliore del Potere che la circondava. Moiraine si girò di schiena, nera in volto, e iniziò a lavorare sulla secon-
da tessitura, ma Siuan disse: «Dall'inizio, Moiraine. Lo sai bene. Devi avere l'ordine bene in mente di modo che nulla possa farti sbagliare.» Sospirando, lei produsse la moneta di Aria azzurro argentata, quindi prosegui. Siuan aveva ragione, a modo suo, sul fatto che Moiraine conoscesse i suoi trucchi. Alla Tarenese piaceva farle il solletico nel momento peggiore, colpirla d'improvviso in punti sgradevoli, farle sentire carezze imbarazzanti e rumori spaventosi proprio nelle orecchie. Le piaceva quello, e dire le cose più scandalose che le venivano in mente, e la donna aveva una vivida immaginazione, anche dopo la ripulitura del linguaggio da porto operata dalle Aes Sedai. Conoscere quei trucchi, però, non l'aiutava a rimanere composta. Dovette iniziare da capo per due volte grazie a Siuan. Myrelle era peggio. Le piaceva il ghiaccio. Era facile da creare, Acqua e Fuoco per estrarlo dall'aria. Ma a Moiraine sarebbe piaciuto sapere come aveva fatto l'Ammessa a farlo apparire dentro il suo vestito, o in posti peggiori. Myrelle la pizzicava e produceva degli schiocchi simili al rumore della frusta, a volte la colpiva sul didietro, dandole la sensazione di una cinghiata. Pizzichi e colpi erano reali, e anche i lividi che le lasciava. Una volta Myrelle la aveva sollevata dal suolo con delle funi di Aria - ruotandola lentamente sottosopra, con la gonna che le era ricaduta sopra la testa. Il cuore le batteva all'impazzata e, quasi in preda al panico, Moiraine si era tolta la gonna da davanti al viso, usando le mani. Non era modestia, doveva continuare a intessere i flussi. Una tessitura poteva essere mantenuta senza vederla, ma non ci si poteva lavorare, e se quel particolare intrico dei Cinque Poteri crollava avrebbe avuto conseguenze dolorose, come se a piedi nudi si passasse da un tappeto a un pezzo di ferro, anzi, tre volte peggio. Riuscì a completare l'esercizio con successo, ma alla fine Myrelle era stata capace di distrarla quattro volte! Era molto irritata a quel pensiero, con se stessa, non con l'altra ragazza. Una cosa su cui erano d'accordo tutte le Ammesse era che, qualsiasi cosa ti facessero le Sorelle durante l'esame, sarebbe stata peggiore di ciò che le amiche riuscivano a escogitare; quindi queste ultime avrebbero dovuto impegnarsi al massimo per distrarti, per aiutarti a essere pronta. Luce, se Myrelle e Siuan potevano farla sbagliare sei volte in un periodo di tempo tanto breve, che speranza aveva di superare l'esame? Ma Moiraine proseguì con ferrea determinazione. Lo avrebbe superato, al primo tentativo. Lo avrebbe fatto! Stava intessendo il secondo gruppo di flussi quando la porta si aprì di nuovo, e li lasciò svanire, riluttante ad abbandonare saidar. Non
era mai piacevole separarsene. Sembrava che la vita svanisse con il Potere; il mondo diventava grigio. In ogni caso, non le restava molto tempo: aveva una lezione con la sua classe di novizie da istruire. Alle Ammesse non era permesso avere degli orologi, troppo costosi comunque per la maggior parte di loro, e i gong che scandivano le ore non sempre erano udibili dentro la Torre, per cui era meglio sviluppare un acuto senso del tempo. Alle Ammesse non era permesso ritardare, come non lo era alle novizie. La donna che teneva la porta aperta non era un'amica. Più alta di Siuan, Tarna Feir era del nord Altara, vicino Andor, ma i capelli biondo chiaro non erano la sola differenza con Myrelle. Alle Ammesse non era permesso essere arroganti, ma l'espressione di quei freddi occhi azzurri rivelava che lei lo era. Non aveva nemmeno senso dell'umorismo e, per quanto si sapeva, non aveva mai fatto uno scherzo a nessuno. Tarna aveva ottenuto l'anello un anno prima di Siuan e Moiraine, dopo nove anni da novizia. All'epoca aveva poche amiche, proprio come ora. Non sembrava sentirne la mancanza. Una donna molto diversa da Myrelle. «Dovevo aspettarmi di trovarvi insieme, voi due» disse freddamente. Non sembrava che parlasse mai con calore. «Non capisco perché non condividiate la stanza. Ti sei unita alla corte di Siuan adesso, Myrelle?» Il tutto era stato detto come un dato di fatto, ma gli occhi dell'interpellata cominciarono a dardeggiare. Il bagliore aveva lasciato Siuan, ma Myrelle manteneva ancora una certa presa sul Potere. Moiraine sperava che non fosse tanto impulsiva da usarlo. «Vai via, Tarna» le disse Siuan con un rapido gesto di congedo. «Abbiamo da fare. E chiudi la porta.» La donna non si mosse. «Devo andare dalla mia classe di novizie» intervenne Moiraine rivolgendosi a Siuan. Ignorò Tarna. «Stanno imparando come creare un globo di fuoco e, se non sono presente, di sicuro una di loro ci proverà in ogni caso.» Alle novizie era vietato incanalare o anche solo abbracciare la Fonte senza la presenza di una Sorella o di una delle Ammesse che le sorvegliasse, ma lo facevano in ogni caso, se ne avevano la possibilità. Le ragazze nuove non credevano sul serio ai pericoli impliciti, mentre le anziane erano sempre sicure di sapere come evitarli. «Alle novizie è stata data una giornata libera» rispose Tarna «per cui non hai nessuna classe oggi.» Essere congedata e ignorata non l'aveva fatta scomporre. Nulla poteva riuscirci. Senza dubbio quella donna avrebbe ottenuto lo scialle al primo tentativo. «Le Ammesse sono state convocate alla sala ovale delle conferenze. L'Amyrlin deve farci un discorso. C'è un'al-
tra cosa che dovete sapere: Gitara Moroso è morta proprio qualche ora fa.» La luce che circondava Myrelle si spense. «Allora era questo il segreto che nascondevate!» esclamò. Gli occhi adesso erano ancora più ardenti di prima. «Ti ho detto che non era nostro diritto divulgarlo» le disse Siuan. Una risposta da Aes Sedai, se mai ne era esistita una. Fu abbastanza per far annuire Myrelle, per quanto con riluttanza. Gli occhi non persero comunque il furore. Moiraine sospettava che lei e Siuan avrebbero presto fatto degli incontri sorprendenti con il ghiaccio. Sempre con la porta aperta - la donna era immune al freddo come le Sorelle? - Tarna studiò Moiraine e poi Siuan. «Giusto. Voi due eravate di turno. Cosa è successo? Sappiamo solo che è morta.» «Le stavo passando una tazza di tè quando ha sussultato e mi è caduta fra le braccia» raccontò Moiraine. Era una risposta da Aes Sedai persino migliore di quella di Siuan: ogni parola vera, evitando però di dire la verità. Con sua sorpresa Tarna divenne triste. Fugace, la sua fu comunque un'espressione addolorata. Quella ragazza non mostrava mai le proprie emozioni. Era scolpita nella roccia. «Gitara Sedai era una gran donna» mormorò. «Ci mancherà molto.» «Perché l'Amyrlin vuole parlarci?» chiese Moiraine. Ovviamente la morte della Custode era già stata annunciata e, secondo le usanze, il funerale sarebbe stato il giorno seguente, per cui non era necessario fare comunicazioni. E di certo Tamra non voleva annunciare la premonizione. «Non lo so» rispose Tarna, ancora una volta fredda. «Ma non dovrei starmene qui impalata a parlare. A tutte è stato detto di interrompere immediatamente la colazione. Se ci affrettiamo forse arriviamo prima dell'Amyrlin.» Le Ammesse dovevano mantenere una certa dignità, per prepararsi al giorno in cui avrebbero ricevuto lo scialle. Di sicuro non dovevano correre, a meno che non venisse loro ordinato. Ma lo fecero, Tarna veloce come le altre, tenendo sollevata la gonna e ignorando le occhiate di stupore che le rivolgevano i servitori in livrea nei corridoi. Le Aes Sedai non facevano aspettare l'Amyrlin. Le Ammesse non potevano neppure concepire l'idea. La sala ovale delle conferenze, con le decorazioni a spirale che si snodavano sotto la cupola dipinta di azzurro cielo e con le nuvole bianche, veniva usata raramente. Moiraine e le altre due furono le ultime Ammesse ad arrivare, ma le file di panche lucidate erano semivuote. Il brusio delle voci,
Ammesse che speculavano sul motivo della convocazione, sembrò enfatizzare quanto fossero poche, a confronto della dimensione dell'ambiente costruito per ospitarle. Moiraine allontanò i numeri in calo delle Sorelle dalla sua testa. Forse se le Aes Sedai... No. Non avrebbe rimuginato. Per fortuna il palco di fronte alla sala era ancora vuoto. Lei e Siuan si sedettero in fondo e Tarna di fianco a loro, ma, ovviamente, non con loro. La donna si dava un sacco di arie. Myrelle, ancora risentita perché non le avevano detto di Gitara, si diresse dal lato opposto della fila. Sembrava che la metà delle presenti nella sala parlassero, sovrapponendosi a vicenda. Era quasi impossibile discernere cosa dicessero le singole persone, e il poco che Moiraine riusciva a sentire erano cose senza senso. Tutte loro dovevano fare l'esame per lo scialle? Immediatamente? Aledrin doveva avere la meningite per fiottare a getto continuo una tale sequenza di sciocchezze. Be', quella donna si esaltava facilmente. Brendas era anche peggio. Di solito era sensibile, ma adesso sosteneva che le avrebbero mandate tutte a casa perché Gitara prima di morire aveva previsto la fine della Torre Bianca, o forse del mondo. Probabilmente in poco tempo sarebbero state divulgate una dozzina di storie sulle previsioni di Gitara, se già non c'erano - nell'area delle Ammesse le voci crescevano come rose in una serra - ma a Moiraine non piaceva ascoltarle. Per mantenere il loro segreto avrebbe dovuto distorcere parecchio la verità, almeno per i prossimi giorni. Sperava di esserne all'altezza. «Qualcuna di voi sa qualcosa?» chiese Siuan all'Ammessa che le sedeva accanto, una donna magra, molto scura, con i capelli lisci e lunghi che le arrivavano alla vita e dei tatuaggi neri sulle mani. «O si tratta solo di vento fresco?» Zemaille la guardò solennemente per un istante, prima di dire: «Penso si tratti di vento.» Zemaille rifletteva sempre, prima di parlare: era sempre seria e pensierosa. Molto probabilmente avrebbe scelto l'Ajah Marrone, una volta superato l'esame. O forse la Bianca. Era una rarità nella Torre, una del Popolo del Mare, gli Atha'an Miere. C'erano solo quattro Aes Sedai che appartenevano al Popolo del Mare, tutte Marroni, e due di loro erano anziane quasi quanto lo era stata Gitara. Le ragazze degli Atha'an Miere non si recavano mai alla Torre, a meno che non manifestassero la scintilla o riuscissero ad addestrarsi da sole all'uso di saidar. In ogni caso la ragazza era stata consegnata alla Torre da una delegazione del Popolo del Mare, che se ne era andata non appena possibile. Agli Atha'an Miere non piaceva rimanere a lungo lontani dalle acque, e il
braccio di mare più vicino a Tar Valon si trovava a quattrocento leghe a sud. Zemaille però sembrava voler dimenticare le sue origini. Non parlava mai del Popolo del Mare, a meno che non fosse messa sotto pressione da un'Aes Sedai. Era diligente, molto concentrata nel tentativo di ottenere lo scialle, fin da primo giorno, come aveva sentito dire Moiraine, ma non imparava velocemente. Non più lenta di tante altre, ma nemmeno più veloce. Era stata Ammessa per otto anni e nel decennio di noviziato, Moiraine l'aveva vista pasticciare con i flussi fino a fare, improvvisamente, la tessitura giusta con una perfezione tale che veniva da chiedersi perché non vi fosse riuscita prima. Ma in fondo tutte progredivano al proprio passo e la Torre non spingeva mai nessuna oltre i limiti. Un'Ammessa alta seduta davanti a loro, Aisling Noon, si voltò. Stava quasi per saltellare sulla panca dall'eccitazione. «Si tratta della previsione, ecco cosa penso. Gitara ha avuto una premonizione prima di morire e l'Amyrlin ci dirà di cosa si trattava. Voi due eravate di turno stamattina, vero? Eravate con lei quando è morta. Cos'ha detto?» Siuan si irrigidì e la sua amica apri la bocca pronta a mentire, ma Tarna la salvò. «Moiraine mi ha detto che Gitara non ha avuto nessuna premonizione, Aisling. Scopriremo cosa vuole dirci l'Amyrlin non appena arriverà.» La voce era fredda, come sempre, ma non tagliente. L'altra Ammessa arrossi. Anche Aisling era una rarità per la Torre, una dei Tuatha'an, i Calderai. I Tuatha'an vivevano in carrozzoni dai colori brillanti, si spostavano da un villaggio all'altro e, come il Popolo del Mare, non volevano fra loro nessuna selvatica che avesse imparato da sola a usare il Potere. Se la tribù scopriva la scintilla in una delle ragazze, la carovana dei carri si dirigeva a Tar Valon alla massima velocità consentita dai cavalli. Verin, una robusta Marrone che era anche più bassa di Moiraine, sosteneva che le ragazze dei Calderai non si stancavano mai di cercare di imparare da sole come incanalare, perché non volevano diventare Aes Sedai. Doveva essere vero, visto che lo aveva detto Verin, ma Aisling si applicava con la stessa determinazione di Zemaille e con maggior successo. Aveva ottenuto l'anello in cinque anni, insieme a Siuan e Moiraine, e quest'ultima pensava che forse l'avrebbero sottoposta all'esame per lo scialle in un anno o anche meno. Una delle porte sul retro del palco si aprì e Tamra ne usci, ancora con l'abito azzurro della sera prima e la stola dell'Amyrlin attorno al collo.
Moiraine fu una delle prime a scorgerla, la prima ad alzarsi, ma in pochi momenti tutte la seguirono e si zittirono. Sembrava strano vedere l'Amyrlin da sola. Da sempre, ogni volta che Tamra passava nei corridoi era accompagnata da almeno qualche Aes Sedai, che fossero Sorelle ordinarie che le sottoponevano una richiesta o Adunanti del Consiglio della Torre che discutevano dei problemi di Tar Valon. Tamra pareva stanca, almeno agli occhi di Moiraine. Stava a schiena dritta e l'espressione diceva che avrebbero potuto attraversare un muro, se lo avesse deciso, ma qualcosa nello sguardo indicava una stanchezza che aveva poco a che fare con la mancanza di sonno. «Come ringraziamento per la sicurezza di Tar Valon,» disse, con una voce che le raggiunse tutte «ho deciso che la Torre elargirà una ricompensa di cento corone d'oro a ogni donna in città che ha partorito o partorirà un bambino fra il primo giorno di arrivo dei soldati e il giorno in cui la minaccia finirà. Lo stanno annunciando nelle strade proprio in questo momento.» Sapevano tutte bene che non dovevano fiatare quando l'Amyrlin parlava, ma quell'annuncio provocò qualche mormorio, incluso uno di Siuan. Più simile a uno sbuffo. Lei non aveva mai visto dieci corone d'oro tutte insieme, tantomeno cento. Con quella cifra si poteva comperare una grande fattoria, o chissà quanti pescherecci. Ignorando quell'interruzione, Tamra continuò: «Come alcune di voi già sapranno, un esercito è sempre seguito da diverse persone, a volte più numerose dei soldati stessi. Sono artigiani di cui l'esercito ha bisogno, per le armature e le frecce, fabbri, maniscalchi e costruttori di ruote per i carri, ma fra di essi vi sono anche le mogli dei soldati e altre donne. Visto che l'esercito ha provveduto a proteggere Tar Valon, io ho deciso di estendere la ricompensa anche a quelle donne.» Moiraine si accorse che stava mordendosi il labbro inferiore e si costrinse a smettere. Era un'abitudine che stava cercando di eliminare. Non aveva senso lasciare capire agli altri che stavi pensando. Almeno adesso sapevano cosa stava cercando Tamra. Doveva davvero credere che il bambino sarebbe nato presto. Ma perché, per la Luce, dirlo alle Ammesse? «La minaccia alle nostre terre potrebbe andare avanti ancora per un po',» aggiunse Tamra «anche se ho dei rapporti di stamattina che riportano una probabile ritirata degli Aiel, ma la situazione sembra abbastanza sicura per cominciare a raccogliere i nomi, almeno nei campi vicino la città. Per essere giuste con queste donne, dobbiamo cominciare al più presto, prima che
vadano via. Alcune lo faranno, se gli Aiel si stanno ritirando davvero. Molti dei soldati inseguiranno il nemico, per essere presto raggiunti dal seguito del campo, e altri torneranno a casa. Nessuna Sorella è ancora rientrata alla Torre, quindi invierò tutte voi per iniziare la raccolta dei nomi. Visto che, inevitabilmente, alcune donne fuggiranno prima che le troviate, chiedete anche di quelle che hanno partorito e non possono essere trovate. Scrivetevi tutto ciò che può aiutarvi a rintracciarle. Chi erano i padri, il villaggio o la città di provenienza, la nazione, tutto. Verrete accompagnate ognuna da quattro soldati della Torre, per essere certe che nessuno vi dia noia.» Moiraine stava quasi per soffocare, nel tentativo di rimanere in silenzio. Alcune esclamazioni di stupore eruppero da quelle meno brave di lei. Era raro che a un'Ammessa venisse concesso di lasciare la città, ma senza una Sorella? Non si era mai sentito prima! Con un sorriso indulgente sul volto, Tamra fece una pausa per permettere il recupero dell'equilibrio. Ovviamente sapeva di averle stupite tutte. E doveva anche aver sentito qualcosa che era sfuggita a Moiraine, perché quando scese nuovamente il silenzio, l'Amyrlin disse, «Se vengo a sapere che qualcuna ha usato il Potere per difendersi, Alanna, quella donna dovrà sedersi con molta cautela dopo l'incontro con la maestra delle novizie.» Alcune delle Ammesse erano turbate al punto tale da ridacchiare a quell'osservazione, e una o due risero forte. Alanna era timida, ma stava lavorando sodo. Diceva a tutti che voleva diventare una Verde, l'Ajah da battaglia, e avere una dozzina di Custodi. Nessuna ne aveva così tanti, ma Alanna esagerava sempre. Tamra batté le mani, facendo cessare le risate e i risolini allo stesso tempo. Vi erano dei limiti all'indulgenza. «Presterete tutte molta attenzione e considerazione ai soldati che vi scortano.» Adesso nessuna sorrideva. La voce dell'Amyrlin era ferma. Non sopportava insensatezze dai governanti e di certo non le avrebbe tollerate dalle Ammesse. «Gli Aiel non sono il solo pericolo fuori le mura di Tar Valon. Alcuni potrebbero credere che siete delle Aes Sedai, e voi potrete lasciarglielo fare, purché non siate abbastanza sciocche da sostenere di esserlo.» L'ultima affermazione accrebbe il silenzio; dichiarare di essere Aes Sedai non essendolo violava una legge della Torre che veniva applicata severamente, anche contro donne che non erano iniziate della Torre. «Ma ci sono dei ruffiani che vedranno solo un bel viso femminile. Facile preda, potrebbero pensare, se non fosse per la scorta. Meglio rimuovere la tentazione ed evitare il problema. Non dimenticate
che i Figli della Luce sono nell'esercito. Un Manto Bianco sa riconoscere il vestito di un'Ammessa quando ne vede uno e può, senza correre rischi, trafiggervi alle spalle con una freccia, cosa che lo renderà felice come se avesse colpito un'Aes Sedai.» Non sembrava possibile che la stanza potesse diventare più tranquilla, eppure accadde. Moiraine pensava di poter sentire le altre respirare, solo che sembrava che nessuna fiatasse. Quando un'Aes Sedai usciva nel mondo e svaniva, come ogni tanto accadeva, il primo pensiero erano sempre i Manti Bianchi. I Figli accusavano le Aes Sedai di essere Amiche delle Tenebre, e sostenevano che toccare l'Unico Potere fosse un'aberrazione punibile con la morte; una sentenza che erano fin troppo volenterosi nel portare a termine. Nessuno capiva perché stavano aiutando Tar Valon. Nessuna delle Ammesse. L'Amyrlin fece scorrere lentamente gli occhi sulle file di ragazze. Alla fine annui soddisfatta nel constatare che l'avviso aveva fatto presa. «Ci sono dei cavalli sellati per voi nelle stalle dell'ala ovest. Troverete del cibo nelle bisacce e tutto ciò di cui potete avere bisogno. Adesso tornate nelle vostre stanze, mettete delle scarpe robuste e prendete i mantelli. Sarà una giornata lunga e fredda per voi. Andate con la Luce.» Era un congedo, e le donne si inchinarono quasi all'unisono, ma mentre loro iniziavano a muoversi verso il corridoio, Tamra aggiunse, proprio come se le fosse appena venuto in mente: «Oh, si,» e le parole fecero bloccare tutte le Ammesse «quando registrerete il nome di una donna, scrivete anche il nome del bambino e il sesso, la data di nascita e il luogo esatto. Gli archivi della Torre devono essere precisi. Adesso potete andare.» Come se quanto aveva lasciato per ultimo non fosse la cosa più importante. Era nel perfetto stile delle Aes Sedai. Alcuni sostenevano che le Sorelle avessero inventato il Gioco delle Casate. Moiraine non poté fare a meno di scambiare un'occhiata carica d'emozione con Siuan, la quale odiava tutto ciò che odorava di lavoro d'ufficio, ma sorrise. Avrebbero cercato il Drago Rinato. Solo il nome, ovviamente, e quello della madre, ma era la cosa più vicina a un'avventura che un'Ammessa potesse sperare. 4
Lasciare la Torre La stanza di Moiraine non era molto diversa da quella di Siuan. Il tavolino quadrato, con quattro libri appoggiati e le due sedie con lo schienale rigido senza cuscini, sembravano provenire dalla stessa fattoria dalla quale avevano preso quelli della Tarenese. Il letto era più piccolo, il tappeto di Illian tondo e decorato con motivi floreali, rammendato in diversi punti, mentre sul lavabo era il catino a essere sbeccato. Lo specchio era incrinato su un angolo. A parte questi particolari, pareva la stessa camera. Moiraine non si prese il disturbo di accendere il fuoco. Aveva coperto le braci con maggior cura di Siuan, ma non aveva tempo di scaldare la stanza. Infilando un braccio nel guardaroba, leggermente più grande di quello di Siuan ma altrettanto semplice, prese un paio di scarpe robuste e fece una smorfia. Erano brutte, di cuoio spesso. I lacci sarebbero andati bene per cucire una sella. Ma le tenevano i piedi asciutti nella neve e le scarpine che indossava in quel momento non avrebbero ottenuto lo stesso risultato. Aggiungendo un paio di calze di lana, sedette sul bordo del letto disfatto e le mise ai piedi, sopra quelle che indossava. Per un momento prese anche in considerazione l'idea di indossare una seconda sottoveste. Per quanto facesse freddo nella Torre, sarebbe stato peggio dove si stava recando. Ma aveva poco tempo, e poi non voleva togliersi il vestito con quell'aria gelida. Di certo la raccolta dei nomi l'avrebbero fatta al riparo, con un fuoco o un braciere per il calore. Era sicura che sarebbe stato così. La maggior parte della gente del campo le avrebbe scambiate per Sorelle, come aveva suggerito Tamra. L'oggetto successivo a essere estratto dall'armadio fu una sottile cinta di cuoio con una fibbia d'argento e una semplice custodia nella quale era inserito uno stiletto con l'impugnatura anch'essa d'argento e la lama leggermente più lunga di una mano. Non lo aveva mai portato da quando era giunta alla Torre e all'inizio l'oggetto sul fianco le diede una sensazione strana. Le era proibito usare il Potere per difendersi, ma lo stiletto andava altrettanto bene, in caso di bisogno. Trasferì il sacchetto di pelle dalla cin-
tura bianca che aveva appoggiato sul letto e si fermò un momento a riflettere. Tamra aveva detto che ciò di cui avevano bisogno era pronto, ma dipendere da qualcun altro, anche l'Amyrlin Seat, per avere tutto il necessario, non era saggio. Infilò il pettine e la spazzola d'avorio nella sacca di pelle. Per quanto fosse urgente raccogliere quei nomi, non dubitava che qualsiasi Ammessa fosse andata in giro disordine a lungo sarebbe incorsa come minimo in un bel rimprovero. I guanti buoni da cavallo in pelle di colore blu scuro con solo un lieve ricamo sul dorso, più un completo da cucito in una scatola di legno intagliata, un rotolo di spago robusto, due paia di calze di ricambio, nel caso quelle che indossava si fossero bagnate, diversi fazzoletti di varie dimensioni e alcuni altri oggetti che potevano esserle utili, incluso un coltellino pieghevole per appuntire le penne d'oca, se avessero dovuto usarle. Le Sorelle non si sarebbero mai trovate a combattere con certi inconvenienti, ma loro erano Ammesse. Dopo essersi messa la sacca a tracolla, raccolse il mantello con le strisce colorate sull'orlo e un'altra serie di bande a contornare il cappuccio, e uscì giusto in tempo per incontrare Meidani e Brendas che oltrepassavano velocemente il corridoio, con i mantelli che sventolavano alle loro spalle. Siuan l'attendeva impaziente, con la sacca dietro le spalle e gli occhi azzurri che brillavano per l'eccitazione. Non era la sola a essere presa dall'emozione del momento. Dall'altro lato del corridoio, Katerine Alruddin sbucò dalla sua stanza, gridando a pieni polmoni dietro Carlynia per farsi restituire il completo da cucito, quindi rientrò senza aspettare risposta. «Alanna, Pritalle, una di voi può prestarmi un paio di calze pulite?» La voce proveniva dal basso. «Te ne ho prestate un paio ieri, Edesina» fu la risposta dall'alto. Le porte sbattevano ovunque mentre le donne correvano e chiamavano Temaile, Desandre, Coladara o Atuan per farsi restituire o per prendere in prestito qualcosa. Se fosse stata presente almeno una Sorella, quella cacofonia le avrebbe fatte finire tutte in pentola, su un fuoco acceso. «Perché hai tardato, Moiraine?» chiese Siuan senza fiato. «Muoviti, prima che restiamo indietro.» Si incamminò a passo rapido, come se si aspettasse davvero che i soldati sarebbero andati via se non si fossero sbrigate. Ovviamente non era possibile, ma Moiraine non perse tempo. Non avrebbe sprecato neppure un secondo prima di lasciare la città. Specialmente in questo caso. Fuori il sole era ancora ben lontano dal picco di mezzodì. Il cielo era coperto da grosse nuvole nere. Forse quel giorno sarebbe nevicato, il che non
avrebbe facilitato il loro incarico. La camminata fra gli alberi fu facile, visto che l'ampio viottolo di ghiaia che portava alle stalle ovest, dietro l'ala della Torre che ospitava le Ammesse, era stato pulito. Non per aiutare le Ammesse: la maggior parte delle Sorelle teneva i cavalli in quella stalla e il viale veniva pulito anche due o tre volte al giorno, se necessario. La stalla era composta da tre piani di pietra grigia, ed era più grande di quella principale del palazzo del Sole; il cortile lastricato con delle grandi pietre era quasi pieno di stallieri con indosso delle rozze giubbe, cavalli sellati e soldati della Torre con gli elmetti e i pettorali di acciaio, indossati su giubbe quasi nere e mantelli altrettanto scuri, sui quali era ricamata la lacrima bianca della Fiamma di Tar Valon. I portabandiera erano riconoscibili da un tabarro con le sette bande colorate, portato anche dall'unico ufficiale presente. Brendas e Meidani stavano montando in sella, mentre una mezza dozzina di Ammesse, ammantate e incappucciate in una fila ordinata, già si dirigeva verso il cancello del tramonto, circondata dai soldati. Moiraine provò un leggero moto di irritazione nel vedere che già in tante avevano preceduto lei e Siuan. Non si erano portate via nulla, per aver fatto tanto in fretta? Ma le altre non sapevano cosa in realtà avrebbero dovuto cercare, e il pensiero le rianimò lo spirito. Facendosi largo fra la folla trovò la sua giumenta baia: le redini erano in mano a una governante scarna con un'espressione di disapprovazione sul volto sottile. Molto probabilmente era seccata all'idea di un'Ammessa con un cavallo tutto suo. Erano in poche ad averne uno - la maggior parte non poteva permetterselo e, inoltre, le opportunità di cavalcare al di fuori del territorio della Torre erano rare - ma Moiraine aveva comprato Freccia per celebrare la conquista dell'anello. Un atto di ostentazione che le era quasi costato un viaggetto allo studio di Merean. Ma non rimpiangeva quell'acquisto. La giumenta non era alta, visto che Moiraine non gradiva assomigliare a una bambina, cosa che le accadeva vicino agli animali più grossi. Freccia però poteva continuare ad avanzare quando la maggior parte dei cavalli si stancava. Un animale veloce era un bene, uno con grande resistenza era meglio ancora. Freccia aveva entrambe le qualità. Poteva anche saltare oltre dei recinti che la maggior parte dei cavalli non tentava nemmeno di superare. Quella scoperta era costata a Moiraine una visita alla maestra delle novizie. Le Sorelle erano di strette vedute quando si trattava di Ammesse che rischiavano di spezzarsi il collo. Vedute davvero molto ristrette. La governante cercò di passarle le redini, ma Moiraine appese la sacca al
pomello della sella, quindi apri le bisacce da viaggio. In una era riposto un pacchetto avvolto in un panno che conteneva un pezzo di pane scuro, albicocche secche avvolte in carta oleata e un grande pezzo di formaggio giallo chiaro. Molto più di quanto lei potesse consumare, ma c'erano Ammesse che mangiavano molto di più. Nell'altra sacca era riposto uno scrittoio da grembo, completo di una risma di ottima carta e due penne con il pennino d'acciaio. Non c'era bisogno del coltellino, pensò, facendo attenzione a mantenere il volto inespressivo. Non voleva far capire alla governante che provava vergogna. Almeno si era preparata. Sullo scrittoio era fissata anche una boccetta di inchiostro di un vetro molto spesso. Con malcelato divertimento della governante, Moiraine controllò che fosse ben chiusa. Be', quella donna poteva sghignazzare quanto voleva, senza prendersi il disturbo di coprirsi con la mano, ma lei non si sarebbe ritrovata a combattere con lo sporco dell'inchiostro versato ovunque. A volte Moiraine pensava che fosse un peccato che la servitù non vedesse le Ammesse con lo stesso occhio delle novizie. La governante le rivolse un inchino derisorio quando alla fine lei prese le redini, e si inchinò per offrire le mani a coppa e aiutarla a montare in sella, un altro gesto denigratorio, ma Moiraine rifiutò l'aiuto. Si infilò gli aderenti guanti da cavallo e montò agevolmente in sella. Che quella donna provasse pure a sghignazzare! Moiraine era salita sul primo cavallino - legato, per essere sicuri - non appena era stata abbastanza grande da camminare senza che qualcuno la tenesse per mano, e il primo le era stato regalato quando aveva compiuto dieci anni. Sfortunatamente gli abiti da Ammessa non avevano le gonne divise per cavalcare, e la necessità di abbassare la gonna nel vano tentativo di coprire le gambe rovinò la dignità del momento. Era preoccupata del freddo: la sua non era modestia. Be', almeno in parte. Moiraine notò alcuni dei soldati che le guardavano le gambe inguainate nelle spesse calze e scoperte quasi fino al ginocchio e arrossi furiosamente. Nel tentativo di ignorarli, cercò Siuan. Aveva tentato di comperare un cavallo anche a lei e adesso desiderava di non aver lasciato che l'amica la convincesse a non farlo. Le sarebbe servita qualsiasi forma di esercizio. Stava salendo pietosamente in sella a un grosso castrone baio, tanto goffa che il placido animale si voltò a guardarla costernato. Siuan quasi cadde nel tentativo di infilare l'altro piede nella staffa. Quando vi fu riuscita afferrò le redini con tale forza che i guanti grigio scuro le si tesero sopra le nocche; le si disegnò in volto un'espressione tor-
va, come se si stesse preparando per un compito oneroso in cui poteva fallire. Per lei, era così. Siuan era in grado di cavalcare, solo che lo faceva molto male. Alcuni degli uomini le guardarono le gambe semiscoperte, ma non sembrò farvi caso. Se anche lo avesse notato, non ne sarebbe stata sconvolta. Secondo Siuan lavorare su un peschereccio significava avere la gonna sollevata, mostrando le gambe ben oltre il ginocchio! Non appena furono entrambe a cavallo, un giovane luogotenente, con una corta piuma bianca sull'elmetto, scelse otto dei suoi come scorta. Era un bel ragazzo, dietro le barrette della visiera, ma ogni soldato della Torre sapeva bene che era meglio non sorridere alle Ammesse, per cui si limitò a guardare Moiraine e l'amica prima di voltarsi. Non che lei volesse un sorriso da quell'uomo - non era una novizia scervellata - ma le sarebbe piaciuto guardarlo ancora un po'. Il capo della scorta non era bello. Un portabandiera alto, grigio, con un cipiglio permanente, che si presentò rozzamente come Steler parlando con voce profonda e grave, facendo disporre gli uomini in circolo attorno a loro due, quindi voltando lo slanciato castrone roano verso il cancello del tramonto senza aggiungere un'altra parola. I soldati lo seguirono e lei e Siuan si ritrovarono a essere guidate da loro. Guidate! Moiraine si sforzò di rimanere calma. Era un buon esercizio. Siuan non sembrava credere di averne bisogno. «Dovremmo andare verso la riva occidentale» gridò, guardando furiosa la schiena di Steler. L'uomo non le rispose. Spronando la sua cavalcatura affiancò l'uomo, cadendo quasi di sella nel tentativo. «Mi hai sentito? Dobbiamo andare alla riva occidentale.» Il portabandiera sospirò forte e alla fine si voltò per guardare Siuan. Sembrò concentrarsi, come se stesse pensando a quale titolo usare nel rivolgersi a lei. I soldati parlavano di rado con le Ammesse. Apparentemente non gli venne in mente nulla, perché esordi senza titoli onorifici e con tono di voce fermo. «Se una di voi si fa un solo livido sarà colpa mia e non ho intenzione di sentire storie, per cui rimani dentro l'anello di protezione, intesi? Vai, o ci fermeremo qui fino a quando non lo farai.» Serrando la mascella, Siuan ritornò indietro. Moiraine si guardò velocemente intorno per accertarsi che nessuno dei soldati sentisse, quindi sussurrò: «Non puoi pensare che saremo noi, Siuan.» Lo sperava, ma questa era la vita reale, non la favola di un menestrello. «Potrebbe non essere nemmeno nato.» «Abbiamo le stesse possibilità di chiunque altra» rispose Siuan. «Di più,
visto che sappiamo cosa stiamo cercando.» Non si era fermata per guardare male il portabandiera. «Quando legherò a me un Custode, per prima cosa mi accerterò che faccia quanto gli viene detto.» «Stai pensando di scegliere Steler?» chiese Moiraine con voce innocente. Lo sguardo di Siuan era un miscuglio di stupore e orrore, tanto che Moiraine scoppiò quasi a ridere, solo che l'amica cadde quasi da cavallo ancora una volta e in quello non c'era nulla di comico. Una volta superati i cancelli del tramonto, decorati con un sole calante dorato inserito nel legno spesso che dava il nome al cancello, divenne subito chiaro che stavano dirigendosi a sudovest seguendo il pavimento lastricato, verso il cancello Alindaer. Nella città c'erano molte chiuse da dove potevano entrare le piccole barche, più un molo a nord e uno a sud per i battelli fluviali, ma solo sei varchi di accesso ai ponti. Il cancello Alindaer era quello più a sud dei tre occidentali, non certo di buon auspicio visto che era vicino a Montedrago, ma Moiraine non pensava che Steler si sarebbe lasciato convincere a modificare il percorso. Vivi con ciò che non puoi cambiare, si disse severa. Siuan doveva essere pronta a mangiarsi le unghie. Sedeva in silenzio e osservava la schiena del capo della scorta. Adesso non lo guardava più male ma lo studiava, come aveva fatto con quel rompicapo che amava tanto, intricato da impazzire, con i pezzi incastrati fra loro in modo tale che sembrava non si sarebbero mai separati. Solo che per Siuan, alla fine si separavano sempre. La Tarenese vedeva dei percorsi dove nessun altro li scorgeva. Era talmente presa dal portabandiera che cavalcava a suo agio, anche se non con perizia. Almeno, non sembrava sul punto di cadere a ogni passo. Forse avrebbe trovato un sistema per fargli cambiare idea, ma Moiraine si dedicò a godersi la cavalcata attraverso la città. Alle Ammesse non era concesso tutti i giorni di lasciare la Torre, e Tar Valon era la città più grande nel mondo conosciuto. Anzi, in tutto il mondo. L'isola era lunga oltre sedici leghe e, a esclusione dei parchi pubblici e privati - e naturalmente del boschetto Ogier - la città copriva tutto il territorio. Le strade che attraversavano erano ampie e lunghe, libere dalla neve, e tutto sembrava ricco e animato; i passanti erano quasi ratti a piedi, anche se passavano fra la folla portantine e carrozze chiuse. In quel caos, a camminando si procedeva più rapidi che a cavallo, e solo i più orgogliosi e ostinati - una nobildonna tarenese, con il collo rigido coperto di merletti e un seguito di servitori e soldati, un pugno di mercanti di Kandor con le ca-
tene d'argento che passavano davanti ai toraci, alcuni gruppetti di gente del Murandy con le giacche colorate vivacemente e baffi ricurvi, che avrebbero dovuto unirsi alla battaglia - andavano a cavallo. Anche quelli che dovevano affrontare un viaggio lungo, si corresse tra sé Moiraine, cercando invano di coprirsi le gambe e guardando male un uomo della Saldea dagli occhi a mandorla, un commerciante o artigiano a giudicare dalla semplice giubba di lana, che lanciava occhiate languide fin troppo esplicite. Luce! Gli uomini non sembravano mai capire, o essere interessati a farlo, quando una donna desiderava essere guardata e quando no. In ogni caso, Steler e i suoi soldati riuscirono ad aprirsi un varco con la loro semplice presenza. Nessuno voleva impedire il passaggio di otto uomini della Torre armati. Doveva essere quello il motivo che aveva fatto spostare la folla. Moiraine dubitava che in città sapessero che l'abito bianco con le bande colorate indicava le iniziate della Torre Bianca. La gente che si recava a Tar Valon si teneva alla larga dalla Torre a meno che non avesse degli affari da discutere con le Aes Sedai. In quella calca sembrava rappresentata ogni nazione. Il mondo si reca a Tar Valon, così recitava il detto. Gli uomini di Tarabon dal lontano Ovest, con i veli che coprivano il volto fino agli occhi abbastanza trasparenti da mostrare i baffi folti, spalla a spalla con marinai dalla pelle dura e i piedi scalzi, anche con il freddo, provenienti dai battelli fluviali che riempivano l'Erinni. Un uomo delle Marche di Confine con la cotta di maglia e il pettorale li oltrepassò cavalcando in direzione opposta, uno Shienarese con il volto di pietra e l'elmetto con la cresta che pendeva da un lato della sella, la testa rasata tranne che per il codino. Era di sicuro un messaggero diretto alla Torre e per un attimo Moiraine pensò di fermarlo. Ma non le avrebbe rivelato nulla, e per riuscire a intercettarlo lei avrebbe dovuto aprirsi un varco a forza fra i soldati di Steler. Luce, quanto odiava non sapere! C'erano Cairhienesi vestiti di scuro, facili da riconoscere perché erano più bassi e pallidi di quasi tutti gli altri, uomini di Altara con le giubbe riccamente ricamate e le donne che stringevano forte i mantelli, rosso acceso, gialli o verdi, per proteggere le parti del corpo che i loro abiti dalle scollature profonde esponevano all'aria fredda. Tarenesi con le giubbe ad ampie righe colorate e abiti bordati di merletto, Andorani vestiti in maniera semplice che camminavano come se sapessero con esattezza dove stavano recandosi e volessero raggiungere la meta prima possibile. Gli Andorani si concentravano sempre su una cosa per volta; erano gente ostinata, troppo orgogliosa e priva di immaginazione.
Una mezza dozzina di Domanesi con dei mantelli estrosi - senza dubbio mercanti; la maggior parte delle donne domanesi all'estero lo erano - comperavano torte di mele da un carretto, e vicino a loro un uomo di Arafel, che indossava una giubba con le maniche a strisce rosse, i capelli neri che scendevano dietro la schiena acconciati in due trecce con dei campanelli d'argento, agitava un braccio mentre discuteva con un Illianese che sembrava interessato solo ad avvolgersi addosso il mantello dalle vivide strisce di colore. Moiraine vide anche un tipo dalla pelle nera come il carbone che forse apparteneva al Popolo del Mare, anche se c'erano alcuni Tarenesi altrettanto scuri. Le mani erano nascoste nel mantello consumato, per cui non aveva visto se erano tatuate. Un numero così elevato di persone avrebbe fatto baccano anche solo parlando, ma i carri e i calessi aggiungevano la loro parte con lo scricchiolio degli assi poco oliati, l'acciottolio degli zoccoli e il rumore dei cerchioni di metallo sulla pietra del lastricato. I conducenti di carri e calessi gridavano per farsi strada, cosa tutt'altro che facile, mentre gli ambulanti vendevano nastri, aghi o noccioline tostate, più un'altra dozzina di oggetti che esibivano sui loro vassoi. Malgrado il freddo, giocolieri e acrobati si esibivano agli angoli delle strade, uomini e donne con i cappelli in terra per raccogliere denaro, mentre altri suonavano il flauto, le cornamuse o l'arpa, mentre i negozianti stavano di fronte alle proprie botteghe facendo pubblicità alle merci. Gli spazzini con le loro scope, i badili e i carri pulivano quanto i cavalli si lasciavano dietro più tutta l'altra spazzatura, gridando: «Fate largo alle scarpe pulite! Fate largo se volete le scarpe pulite!» Era così... normale. Nessuno sembrava notare l'odore del fumo sospeso nell'aria. Una battaglia fuori Tar Valon non alterava il ritmo di quanto succedeva al suo interno. Forse non ci sarebbe riuscita nemmeno una guerra. Ma anche Cairhien era così, anche se non negli stessi numeri o con la stessa varietà. Tar Valon era una città unica nel suo genere. La Torre Bianca si stagliava al centro dell'abitato, un pilastro candido e spesso che si elevava per almeno cento passi su nel cielo, visibile da diverse leghe di distanza. Era la prima cosa che vedeva chiunque si avvicinasse alla città, molto prima di scorgerne gli edifici. Cuore del potere delle Aes Sedai, era di per sé sufficiente a rendere Tar Valon diversa, ma altre torri più piccole erano visibili in tutta la città. Non dei semplici pinnacoli, ma spirali e torri scanalate, alcune abbastanza vicine tra loro da essere unite da ponti sospesi in aria. Neanche le torri senza cima di Cairhien erano paragonabili a queste. Al centro di ogni piazza c'era una fontana o una statua
enorme, alcune sopra dei piedistalli alti anche cinquanta spanne, ma gli edifici stessi erano più spettacolari che la maggior parte dei monumenti nelle altre città. Attorno alle residenze sfarzose di ricchi mercanti e banchieri, con le cupole, le guglie e i colonnati, vi era una moltitudine di negozi e taverne, stalle, palazzi, appartamenti e abitazioni della gente ordinaria, eppure anche questi erano decorati con sculture e fregi consoni a un palazzo. Un discreto numero di queste abitazioni potevano passare per palazzi residenziali. Erano quasi tutte di costruzione ogier, e gli Ogier lavoravano curando sempre la bellezza. Ancora più meravigliose erano le strutture che punteggiavano la città, una mezza dozzina ben in vista in ogni strada, nei punti in cui ai costruttori ogier era stata data mano libera. L'abitazione di un banchiere su tre piani suggeriva un volo di uccelli in marmo e oro, mentre l'ingresso della gilda dei mercanti di Kandor sembrava rappresentare dei cavalli al galoppo che si trasformavano in spuma, o forse il contrario, e una locanda molto grande chiamata Il gatto azzurro somigliava appunto a un gatto azzurro accoccolato. Il mercato del pesce più grande della città sembrava in effetti un enorme branco di pesci, verdi, rossi, blu e alcuni a strisce. C'erano anche altre città piene di costruzioni, ma nulla che assomigliasse a Tar Valon. Le impalcature circondavano uno degli edifici ogier, nascondendone le forme, e si capiva solo che era verde e bianco e sembrava tutto composto da curve; c'erano degli Ogier sulle impalcature, alcuni trasportavano dei grandi pezzi di pietra bianca su una lunga gru di legno che spuntava sulla strada. Anche il loro lavoro aveva bisogno di riparazioni di tanto in tanto, e nessun operaio umano poteva eguagliarne la maestria. I costruttori non si vedevano spesso. Uno di loro era in piedi nella strada, in fondo alla grande scala a pioli che portava alla prima piattaforma, e indossava una lunga giubba scura, svasata sopra il bordo degli stivali, con uno spesso rotolo di carta sottobraccio. Doveva essere il progetto. Il costruttore avrebbe potuto essere scambiato per un umano, se guardato distrattamente. Ignorò il fatto che gli occhi erano allo stesso livello di quelli di Moiraine, mentre gli passava vicino a cavallo. A lei però non sfuggirono le lunghe orecchie pelose che gli spuntavano fra i capelli, un naso largo quasi quanto il viso e la bocca che apriva in due il volto. Le sopracciglia pendevano dal viso come baffi. Moiraine gli rivolse un inchino formale dalla sella, e l'Ogier lo restituì con la stessa dignità, carezzandosi la sottile barba che scendeva davanti al torace, ma mosse le orecchie e le parve di aver visto un sorriso mentre si voltava per salire sulla scala. Ogni ogier che si recava a Tar Valon avrebbe
riconosciuto l'abito delle Ammesse. Arrossendo, Moiraine osservò con la coda dell'occhio per vedere se Siuan se ne era accorta, ma l'altra donna stava ancora studiando Steler. Probabilmente non aveva nemmeno notato l'Ogier. Siuan poteva diventare molto assorta nei suoi rompicapo... ma non notare un Ogier? Quasi un'ora dopo aver lasciato la Torre raggiunsero il cancello di Alindaer, abbastanza largo da consentire il passaggio di cinque o sei carri insieme, fiancheggiato da due grandi torri con le cime scanalate. Le torri era disposte lungo tutto il perimetro delle bianche mura della città che si affacciavano sul fiume, ma nessuna era alta e resistente come quelle dei ponti. I grandi cancelli rivestiti di bronzo erano spalancati, ma i soldati in cima alle torri erano in allerta, pronti a ordinarne la chiusura, e c'erano altre due dozzine di uomini armati di alabarda di fianco alla strada, che controllavano le persone di passaggio. Moiraine, Siuan e la scorta attirarono l'attenzione come il ferro con le calamite. O meglio, furono gli abiti con le bande colorate ad attirarla. Nessuno disse nulla riguardo alle Ammesse che uscivano dalla città, il che lasciava intendere che un altro gruppo doveva essere già passato da quel cancello. A differenza dalle strade brulicanti, lì non c'era traffico. Tutti quelli alla ricerca della sicurezza offerta da Tar Valon si trovavano dentro le mura e, malgrado l'apparente normalità all'interno, nessuno riteneva fosse ancora sicuro andare via. Uno dei soldati sulla strada, un portabandiera dalle spalle larghe, annui a Steler, che fece lo stesso cenno in risposta, senza fermarsi. Mentre gli zoccoli dei cavalli risuonavano sul lastricato, Moiraine rimase senza fiato. I ponti erano meravigliosi, costruiti con l'aiuto del Potere, con la pietra lavorata a merletto che si arcuava per circa una lega e mezza al di sopra del suolo, oltre le rive fangose del fiume, senza supporti per tutta la lunghezza e abbastanza alti al centro da consentire il passaggio dell'imbarcazione più imponente. Non fu però questo che la colpi. Era fuori dalla città. Le Sorelle insistevano molto con le novizie che anche il solo mettere piede su un ponte sarebbe stato considerato un tentativo di fuga, il peggior crimine che potesse commettere una novizia dopo l'omicidio. Lo stesso valeva per le Ammesse, solo che a queste non c'era bisogno di ricordarlo. Adesso era fuori dalla città, libera come se avesse già ottenuto lo scialle. Lanciò un'occhiata ai soldati che la circondavano. Be', quasi libera. Nel punto più alto del ponte, a più di cinquanta passi sopra il fiume, Steler tirò di colpo le redini. Era abbastanza pazzo da fermarsi a guardare Montedrago in lontananza, con la punta spezzata che esalava nastri di fu-
mo? Nella sua euforia, Moiraine aveva dimenticato il freddo, ma una brezza sostenuta che scendeva lungo l'Alindrelle Erinin le penetrò sotto il mantello e le fece tornare la memoria. L'odore di legno bruciato sembrava particolarmente forte. Si accorse che le trombe non squillavano più. Adesso il silenzio sembrava più sinistro degli squilli precedenti. A quel punto vide un gruppo di cavalieri ai piedi del ponte, nove o dieci, che fissavano le mura della città. Adesso il fatto che le trombe avessero smesso di suonare non sembrava più preoccupante. I cavalieri indossavano pettorali lucidati ed elmetti che risplendevano come argento, e avevano tutti lunghi mantelli bianchi aperti sui fianchi dei cavalli. Moiraine abbracciò la Fonte colmandosi di gioia e vita, ma, più importante al momento, accorgendosi che il Potere le aveva aguzzato la vista. Come aveva sospettato, su ognuno di quei mantelli, davanti al petto e sul lato sinistro, era ricamato un sole raggiato. Figli della Luce. E osavano bloccare il traffico su uno dei ponti di Tar Valon? Be', 'il traffico' era costituito solo da lei, Siuan e i soldati, ma il principio era lo stesso. Il fatto che fossero due Ammesse e un gruppo di uomini della Torre peggiorava la situazione. La rendeva intollerabile. «Portabandiera Steler,» disse ad alta voce «ai Manti Bianchi non deve essere permesso di pensare di poter intimidire le iniziate o i soldati della Torre. Cavalcheremo oltre.» Quello sciocco non la guardò nemmeno, impegnato a studiare i Figli della Luce. Forse se gli avesse dato un colpetto in testa con un piccolo flusso di Aria... «Moiraine!» sussurrò Siuan, mantenendo il suo tono pungente. Moiraine guardò l'amica, sorpresa. Siuan aveva l'espressione torva. Come aveva fatto a scoprirla? Non aveva nemmeno iniziato a tessere! Ma la Tarenese aveva ragione. Alcune cose non erano permesse. Sentendosi in colpa rilasciò saidar e sospirò quando tutta quella gioiosa esultanza la abbandonò. Tremando, tirò su il mantello. Come se potesse servire a qualcosa. Alla fine i Manti Bianchi si voltarono e cavalcarono verso il villaggio. Alindaer era grande, praticamente una città, con le case in mattoni di due e anche tre piani, con i tetti di tegole azzurre, quando erano visibili fra la neve, con locande, negozi e mercati. La candida coltre lo faceva sembrare pulito e pacifico. Per alcuni istanti i Manti Bianchi svanirono. Solo quando riapparvero in uno spazio fra due edifici, su una strada che si dirigeva verso nord, Steler fece muovere il cavallo. Teneva la mano guantata appoggiata sull'elsa della spada e ruotava co-
stantemente il capo, scrutando le strade davanti a loro, mentre discendevano lungo l'ultimo tratto del ponte. Dove c'era un gruppo di Manti Bianchi, poteva essercene un altro. Moiraine fu improvvisamente molto grata per la presenza di Steler e dei suoi uomini. Un pugnale non sarebbe servito a molto contro una freccia. Nessuno dei suoi preparativi stava rivelandosi molto utile. Quando raggiunsero il limitare della città, Siuan fece di nuovo avvicinare il castrone baio al portabandiera, sempre avvolta nei propri pensieri, tanto che cavalcava con qualcosa di prossimo alla... non alla grazia, ma almeno alla sicurezza. «Portabandiera Steler.» Il tono di voce combinava fermezza, cortesia e un forte elemento di durezza. Era la voce di chi comanda. Steler voltò il capo verso di lei, battendo le palpebre sorpreso. «Tu sai perché siamo qui» prosegui senza attendere un cenno di assenso. «Le donne che probabilmente sono andate via prima di sentire della ricompensa sono quelle che si trovavano nei campi più lontani dalla città. Recarsi sul posto ieri avrebbe implicato alcuni pericoli, ma l'Amyrlin ha ricevuto diversi rapporti che parlano della ritirata degli Aiel.» Luce, da come parlava sembrava che Tamra condividesse con lei tutte le notizie! «L'Amyrlin ha espresso la propria volontà di non lasciar andare via queste donne senza la ricompensa, portabandiera, per cui suggerisco vivamente di dare credito all'urgenza dell'Amyrlin e iniziare dai campi più lontani.» Il gesto che era seguito poteva sembrare vago a chiunque tranne che a Moiraine: casualmente, aveva indicato verso Montedrago. «L'Amyrlin Seat lo vorrebbe.» Moiraine trattenne il fiato. Che Siuan avesse trovato la chiave? «Ho sentito dire che non ci sono Aiel da questo lato dell'Erinin» rispose Steler con voce serena. Ma subito dopo distrasse le speranze dell'Ammessa. «Ma mi è stato detto di recarmi agli accampamenti vicino al fiume, ed è lì che andremo. Mi è stato anche detto che se qualcuna si lamenta devo riportarla subito alla Torre. Ma tu non ti stai lamentando, vero? Non mi sembra.» Tirando le redini del cavallo per dare modo a Moiraine di raggiungerla, Siuan si avvicinò a Freccia. Non aveva l'espressione torva, ma lo sguardo fisso sulla schiena del portabandiera era di un azzurro glaciale. Il bagliore di saidar la avvolse improvvisamente. «No, Siuan» le disse Moiraine con calma. L'amica la guardò torva. «Forse stavo solo cercando di guardare lontano, nel caso ci fossero altri Manti Bianchi.»
Moiraine sollevò un sopracciglio: Siuan arrossi, e il bagliore che la circondava si dissolse. Non aveva il diritto di sembrare sorpresa. Dopo sei anni trascorsi gomito a gomito, Moiraine riconosceva a prima vista quando l'amica pensava a qualche piccola astuzia. «Non capisco come fai a sopportare tutto questo» mormorò la donna, quasi alzandosi in piedi sulle staffe. Moiraine dovette allungare una mano per evitare che cadesse di sella. «Se il campo si trova molto lontano, avrò bisogno di una Sorella per la guarigione.» «Ho un unguento» rispose Moiraine, dando dei colpetti sulla sacca che pendeva appesa alla sella con una certa soddisfazione. Il temperino e il pugnale erano inutili, ma almeno aveva pensato all'unguento. «Se solo avessi anche una carrozza là dentro» si lamentò Siuan, ma Moiraine si limitò a sorridere. Alindaer era vuoto e immobile. Il villaggio era stato incendiato almeno tre volte durante le Guerre Trolloc, ancora una volta verso la fine della Guerra del Secondo Drago e altre due durante l'assedio ventennale di Tar Valon ad opera dell'esercito di Artur Hawkwing. Adesso sembrava che gli abitanti si aspettassero la stessa cosa. Nella strada coperta dalla neve vide una sedia, un tavolo da un'altra parte, una bambola, una pentola, tutte cose lasciate indietro dalle persone che stavano affrettandosi a entrare in città, portandosi qualsiasi cosa potessero arraffare. Tutte le finestre sembravano ben chiuse e le porte serrate, qualsiasi cosa gli abitanti si fossero lasciati alle spalle pronta e al sicuro per il loro ritorno. Ma l'odore di bruciato era più forte che sul ponte, e i soli rumori che si sentivano erano lo scricchiolio delle insegne delle locande e il tonfo sordo degli zoccoli dei cavalli sulle pietre del lastricato sotto la neve. Il luogo adesso non sembrava più tanto spopolato; sembrava... morto. Moiraine provò un gran sollievo quando si lasciarono il villaggio alle spalle, anche se cavalcare verso sud le faceva allontanare da Montedrago. La campagna in teoria doveva essere tranquilla e l'odore di bruciato svaniva man mano che si allontanavano. Siuan ovviamente non era sollevata. Di tanto in tanto si guardava indietro, verso il grande picco nero di Montedrago - la metà delle volte almeno ebbe bisogno della mano di Moiraine per evitare di cadere - e in più di un'occasione digrignò i denti. Spesso avevano parlato di quale Ajah avrebbero scelto e Moiraine da tempo aveva deciso per l'Azzurra, ma pensava che Siuan alla fine avrebbe scelto la Verde. Il primo accampamento che incontrarono, tre chilometri dopo Alindaer, era una distesa di carri e fuochi da campo, tende di ogni dimensione e con-
dizione, miste a ripari rudimentali ricavati nei cespugli. I martelli risuonavano sulle incudini di tre forge differenti, i bambini correvano e gridavano giocando nella neve sporca, come se non fossero consapevoli che c'era stata una battaglia o che i loro padri potevano essere morti. Forse era proprio così. Sarebbe stato un segno di pietà. La fila dei cavalli era quasi vuota e, a parte i fabbri, erano ben pochi gli uomini in vista, ma una lunga processione di donne - ben oltre cinquanta! - stava di fronte a una tenda di canapa dove le Ammesse erano sedute davanti a un tavolino con quattro soldati della Torre dietro di loro, per cui Steler non rallentò. Moiraine abbracciò brevemente la Fonte e sentì Siuan fare lo stesso solo per vedere meglio di chi si trattava. Una moltitudine di treccine nello stile di Tarabon circondava il volto lontano di una delle iniziate. Sarene era la donna più bella fra le Ammesse, a esclusione forse di Ellid, anche se, al contrario dell'altra, non sembrava esserne consapevole, ma aveva davvero poco tatto per essere la figlia di un negoziante. La madre doveva essere stata contenta di liberarsi della sua linguaccia consegnandola a Tar Valon. «Spero che stavolta non si cacci nei guai» osservò sommessamente Siuan, come se avesse letto i pensieri dell'amica. Ma in fondo entrambe conoscevano bene Sarene. Un'amica, ma a volte irritabile. A salvarla era il fatto che spesso sembrava inconsapevole di aver detto qualcosa di sbagliato, come lo era della propria bellezza. A cento passi di distanza, la luce attorno a Siuan svanì e anche Moiraine rilasciò il Potere. Rischiavano di essere viste da una Sorella. Il campo successivo, a meno di un chilometro e mezzo verso sud, era più vasto e disordinato, senza nessuna che raccogliesse nomi. Era anche più rumoroso, con sei forge al lavoro, il doppio dei bambini, tutti che correvano e gridavano. Gli uomini erano assenti anche qui e la fila dei cavalli quasi tutta libera di cavalieri, ma, sorprendentemente, un numero di carrozze chiuse punteggiava il campo. Moiraine fece una smorfia nel sentire l'accento del Murandy mentre cavalcavano. Era gente rissosa, permalosi su punti d'onore che nessun altro poteva concepire, sempre in duello. Ma quando Steler annunciò il motivo della loro presenza con un grido che avrebbe spaventato un toro, nessuno ebbe voglia di discutere. In breve tempo, due uomini magri che indossavano dei mantelli consumati portarono fuori un tavolo per Moiraine e Siuan. Lo misero all'aperto, ma altri due portarono dei bracieri a tre zampe che piazzarono da entrambi i lati del tavolo. Tutto sommato il loro compito non sarebbe stato troppo sgradevole.
5
Il cuore umano Una volta che Moiraine si fu accomodata su uno degli sgabelli con lo scrittoio aperto sul tavolo davanti a lei, cambiò idea sulla gradevolezza del compito. Il calore dei bracieri all'aperto si dissipava velocemente, senza quasi ridurre il freddo, e i mulinelli di fumo grigio le finivano sul viso, bruciandole gli occhi e a volte facendola tossire. Nonostante le calze pesanti, i piedi, che erano diventati molto freddi durante la cavalcata, si gelarono rapidamente. E quelle che sembravano essere cento donne, la maggior parte con dei piccoli in braccio, si erano affollate attorno al tavolo, dichiarando tutte i loro nomi simultaneamente per farli registrare subito. La maggior parte aveva addosso della semplice lana spessa, ma una mezza dozzina indossava vesti di seta o abiti ricamati di bel taglio, indicando benessere, nobiltà o entrambi. Gridavano come tutte le altre. Nobildonne che strepitavano con la gente comune! Nel Murandy non avevano alcuna idea sulla correttezza dei comportamenti. Con l'elmetto in grembo, Steler gridò fino a quando il volto non gli divenne nero, per far formare a tutte una bella fila ordinata, ma nessuna gli prestò attenzione. Due dei soldati si mossero per cominciare a spingere indietro le donne, fino a quando un movimento brusco del portabandiera li fece fermare, il che fu un bene. Quel tipo di interventi poteva dare il via a una sommossa. Moiraine si alzò nel tentativo di ristabilire l'ordine, anche se non sapeva bene come. Non aveva mai dovuto affrontare un problema simile prima di quel momento, in nessuna delle sue residenze; dubitava che fosse successo a uno qualsiasi dei suoi maggiordomi, e la gente era più esplicita con i domestici che con una lady. Siuan la precedette, salendo in piedi sullo sgabello con il volto livido. Afferrò i bordi del mantello come se volesse evitare di stringere i pugni. La luce di saidar la avviluppò e lavorò un flusso di Aria e Fuoco. Era una tessitura semplice e aveva usato una quantità minima di Potere, ma
quando parlò la sua voce echeggiò come il tuono. «State calme!» Era un semplice ordine, pronunciato in modo impressionante, senza rabbia, ma le donne stupite si fecero indietro, improvvisamente silenziose come rocce. Anche il rintocco dei martelli sulle incudini era cessato. L'intero campo era ammutolito, tanto che Moiraine sentiva i cavalli che battevano gli zoccoli in terra. Steler rivolse a Siuan uno sguardo di approvazione - i portabandiera apprezzavano i polmoni potenti, secondo l'esperienza di Moiraine - e rivolse un'occhiata torva alle donne attorno al tavolo. Un certo numero di bambini iniziò a piangere e, quando Siuan proseguì, lo fece senza l'uso del Potere, ma sempre a voce alta e ferma. «Se volete vedere anche un solo centesimo, mettetevi in fila e rimanete in ordine. La Torre Bianca non tratta con una ressa indisciplinata e con i bambini disobbedienti. Comportatevi da adulte, o ve ne pentirete.» Annui una volta, per porre enfasi sulla frase, quindi guardò severa la massa di donne per vedere se avevano capito. Sembrava tutto chiaro. Mentre scendeva dallo sgabello le presenti si disposero su due file davanti al tavolo, dandosi solo qualche gomitata, almeno per quanto riuscì a vedere Moiraine. Le donne vestite meglio erano davanti, con le cameriere che tenevano i bambini, ma anche loro avevano spinto e lanciato occhiatacce. Forse erano mercanti, ma non riusciva a immaginare che tipo di affari avessero trovato lì. Una volta aveva visto due commercianti ben vestiti del Murandy lanciarsi in una rissa per strada, con i nasi sanguinanti, rotolandosi nei condotti. Malgrado le zuffe meschine nessuno disse una parola, e le madri i cui bambini piangevano sembravano fare ogni sforzo per calmarli. Alcune ragazze, riunite da un lato e strette nei mantelli, indicavano le due Ammesse sussurrando eccitate. A Moiraine parve di sentir nominare le Aes Sedai. Un'altra giovane donna, tre o quattro anni più grande di quanto era stata lei quando si era recata a Tar Valon, restava nei paraggi e faceva finta di non guardare. Molte ragazze sognavano di diventare Aes Sedai; poche avevano il coraggio di fare il primo passo. Lanciando indietro il mantello, Moiraine apri la boccetta d'inchiostro e prese la penna. Rimase con i guanti; la pelle sottile non la proteggeva molto contro il freddo, ma era meglio di niente. «Il tuo nome, mia signora?» disse. La donna grassoccia e sorridente indossava un abito da cavallo verde a collo alto che non era della migliore seta ma era comunque di seta, come anche il mantello blu foderato di pelliccia, ricamato in rosso e oro. Indossava anche un anello per ogni dito. Forse non era nobile, ma i complimenti non costavano nulla. «Quello del
tuo bambino?» «Mi chiamo lady Meri do Ahlan a'Conlin, discendente diretta di Katrine do Catalan a'Coralle, la prima regina del Murandy.» Il sorriso della donna si allargò, e la voce era intrisa di orgoglio. Aveva quell'accento cadenzato del Murandy che faceva pensare a un popolo come pacifico, fino a quando non scoprivi la sua vera natura. Con una mano fece avanzare una donna robusta vestita di lana scura, con un pesante scialle avvolto attorno al corpo e un bambino gorgogliante fra le braccia, fasciato in modo tale che era visibile solo il volto. «Questo è mio figlio, Sedrin. È nato una settimana fa. Mi sono rifiutata di rimanere indietro quando mio marito è partito per la guerra. Farò incorniciare le monete, così Sedrin saprà sempre di essere stato onorato dalla Torre Bianca.» Moiraine non disse che avrebbe condiviso quell'onore con altre centinaia di bambini, forse migliaia, se gli altri campi erano come quello. Luce, non si sarebbe mai aspettata che così tante donne avessero partorito! Mantenendo il volto inespressivo, studiò per un momento il piccolo. Moiraine non era un'ingenua - aveva osservato i cavalli accoppiarsi e aiutato a farli figliare; se non sapevi come succedeva, come potevi capire se i servitori facevano il loro dovere? - ma non aveva esperienza con i bambini. Poteva avere dieci giorni, o un mese o due, per quanto ne sapeva. Steler e i suoi soldati controllarono che madre e figlio si mantenessero alla giusta distanza dal tavolo, ma non furono di alcun aiuto. In ogni caso, Moiraine non poteva chiederlo. Se lady a'Conlin stava mentendo, una Sorella lo avrebbe scoperto. Moiraine si guardò intorno. La donna davanti a Siuan aveva un bambino più grosso, ma l'amica scriveva. Intingendo la penna nell'inchiostro, vide una donna che passava accanto a loro con un bambino al seno. Mezzo nascosto sotto al mantello, non sembrava più grande di Sedrin, ma la madre ignorava educatamente la fila. «Perché lei non è in coda? Suo figlio è troppo grande?» Il sorriso di lady a'Conlin svanì e la nobile sollevò le sopracciglia. La voce divenne più fredda. «Non sono abituata a tenere il conto di tutti i mocciosi che nascono nel campo.» Indicò impetuosa verso le carte sul tavolo. Sull'anello di quel dito era montato un granato con una falla. «Scrivi il mio nome, voglio ritornare al calore della mia tenda.» «Scriverò il tuo nome e le altre informazioni di cui ho bisogno, non appena mi dici qualcosa di quella donna» rispose Moiraine, cercando di imitare la voce di comando che aveva usato Siuan. Il tentativo non funzionò molto bene. Meri a'Conlin assunse un'espres-
sione accigliata e le labbra le si arricciarono in una smorfia bellicosa. Sembrava quasi che stesse per esplodere. O colpirla. Prima che potesse fare l'una o l'altra cosa, la cameriera dal viso rotondo rispose velocemente, rivolgendole una specie di riverenza ogni due o tre parole. «La bambina di Careme è nata lo stesso giorno di Sedrin, chiedo scusa per aver parlato, mia signora, chiedo perdono, Aes Sedai. Ma il tizio che Careme 'voleva' sposare è scappato per diventare un Custode e non le piace affatto l'uomo che invece 'dovrà' sposare.» Scosse il capo per enfatizzare la notizia. «Oh, non vuole nulla dalla Torre Bianca, Careme davvero non vuole.» «Riceverà comunque la ricompensa» ribatté Moiraine con fermezza. Tamra aveva detto di prendere tutti i nomi. Si chiese se l'amante di Careme avesse raggiunto il suo scopo. Erano pochi gli uomini con le caratteristiche necessarie. Un Custode non usava semplicemente le armi, 'era' un'arma; e quella era solo la prima dote richiesta. «Come si chiamano lei e il bambino?» «Lei si chiama Careme Mowly, Aes Sedai, e la bambina Ellya.» Meraviglia delle meraviglie, lady a'Conlin sembrava contenta che la cameriera rispondesse alla domanda. Non solo, l'espressione torva era svanita e stava studiando Moiraine con aria circospetta. Forse un tono di voce fermo era tutto ciò che serviva. Quello, ed essere credute Aes Sedai. «Di quale città o villaggio?» chiese lei, mentre scriveva. «E dov'è nata tua figlia, con precisione?» sentì chiedere da Siuan. La Tarenese si era sfilata i guanti, un regalo di compleanno di Moiraine, per evitare che si macchiassero. La donna impaziente vestita di seta che aveva di fronte avrebbe potuto essere ritenuta bella, se non fosse stato per un naso disgraziato. Era anche abbastanza alta, più di Siuan. «In un fienile a un chilometro e mezzo a ovest? No, non un posto dove ti aspetti di far nascere il tuo erede. Forse non dovevi andare a cavalcare così vicina al termine della gravidanza, per non parlare delle battaglie in corso. Conosci donne che hanno avuto bambini negli ultimi giorni e non sono presenti? Come si chiama? Niente chiacchiere, mia signora. Rispondi alla domanda.» La lady ripose senza aggiungere altre lamentele. I modi di Siuan non consentivano di frapporre lagnanze o problemi. Non alzava la voce e non era maleducata; era solo chiaramente lei a comandare. Come faceva? Qualsiasi cosa avesse pensato Moiraine di questa loro caccia al Drago Rinato, stava svanendo lentamente, assieme con l'eccitazione di trovarsi fuori dalle mura della città. Porre le stesse domande di continuo e scrivere le risposte, riponendo con cura le pagine piene per farle asciugare e poi ri-
cominciare su un foglio nuovo, divenne ben presto incredibilmente noioso. Le sole interruzioni erano le pause per scaldarsi le mani sul braciere dal suo lato del tavolo. Un piacere indescrivibile, date le circostanze. Le dita le facevano male per il freddo, e non c'era nulla di emozionante. La sola sorpresa fu il numero di donne che non erano del Murandy. Sembrava che i soldati in guerra trovassero spesso mogli straniere. Dopo un po' i fabbri ripresero a usare le incudini e alcuni tizi che stavano lavorando intorno a un carro iniziarono a martellare, cercando di inserire una nuova ruota nella sua sede. Il rumore minacciava di procurarle il mal di testa. Era una situazione davvero pesante. Moiraine fece uno sforzo particolare per non sfogarsi con le donne con cui parlava, anche se un gruppetto l'aveva provocata a sufficienza. Era riuscita a convincere parte delle nobili a non enunciare tutta la linea di nascita fino ai tempi di Artur Hawkwing e oltre, e alcune delle donne in abiti semplici non volevano fornire il nome dei padri o dichiarare da dove provenissero, sospettose che dietro quella richiesta ci fosse una specie di trucco per eludere il pagamento del loro denaro, ma tutto quello che serviva era uno sguardo deciso. Nemmeno quelle del Murandy volevano esagerare con delle donne che credevano Aes Sedai, idea che stava divulgandosi velocemente. Faceva procedere la fila con ordine, anche se non in fretta. Gli occhi di Moiraine continuavano a cadere sulle donne che vedeva camminare ancora gravide. Alcune si fermavano a guardare il tavolo come se pensassero al momento in cui avrebbero potuto prendere il denaro. Una di loro poteva essere la madre del Drago Rinato, se avesse scelto di fare una gita al Montedrago e quindi partorire. I soli due nati dopo la premonizione di Gitara erano bambine e, come qualsiasi altro neonato, erano venuti al mondo nell'arco di circa una lega e mezza dal campo. Qualche altra Ammessa avrebbe trovato quel bambino senza sapere cosa aveva tra le mani. Luce, come sembrava ingiusto. Lei sapeva e non era servito a nulla. Verso mezzogiorno Moiraine alzò gli occhi e vide una donna magra vestita con abiti scuri di fronte a lei, con un bambino fra le braccia. «Susa Wynn, Aes Sedai» disse remissivamente la donna. «Sono io. Questo è il mio Cyril» aggiunse, carezzando la testa del bambino. Moiraine non aveva esperienza con i bambini, ma poteva distinguerne uno di sei o sette mesi da un neonato. Mentre stava aprendo la bocca per dire che non era una sciocca, Siuan le appoggiò una mano su un braccio. Fu tutto - Siuan non aveva mai smesso di interrogare la donna della quale stava scrivendo il nome - ma indusse Moiraine a lanciare una seconda oc-
chiata. Susa Wynn non era magra, era quasi scarna, con delle occhiaie scure e lo sguardo perso e disperato. L'abito e il mantello erano consumati e rammendati. I rattoppi erano fatti bene, ma sembrava ormai che prevalessero sull'abito. «Il nome del padre?» chiese Moiraine, prendendo tempo prima di decidere. Il bambino era troppo grande, ecco tutto. Se non... «Jac, Aes Sedai. Jac Wynn. Lui...» Gli occhi infossati della donna si colmarono di lacrime. Scivolato sulla neve, cranio spaccato su una roccia. Non sembrava giusto essere andati tanto lontano per poi morire in quel modo. Il bambino iniziò a tossire di una tosse grassa e Susa si chinò su di lui, ansiosa. Moiraine non era sicura se fosse per il bambino, per le lacrime o per il marito morto, ma trattò la donna con particolare attenzione. La Torre poteva permettersi qualche centinaio di corone d'oro per una madre e un figlio che probabilmente non avevano alcun tipo di aiuto. Il bambino sembrava paffuto, ma Susa era chiaramente affamata. E Meri a'Conlin voleva incorniciare il denaro! Evitò di chiedere sotto chi aveva servito Jac Wynn. Chiunque fosse stato, non avrebbe mai dovuto permettere alla faccenda di arrivare a quel punto! I nobili avevano tante responsabilità quanti erano i diritti! Di più, per come le era stato insegnato. E poi, dov'erano gli amici della donna? Gente del Murandy! «Che la Luce ti benedica, Aes Sedai.» Susa cercò di nascondere le lacrime, senza riuscirci. Non singhiozzava; le lacrime le scivolavano sulle guance. «Che la Luce risplenda su di te per sempre.» «Sì, sì» rispose gentile Moiraine. «Avete una Lettrice nel campo?» No, nel Murandy usavano un altro nome per definire le donne che conoscevano erbe e cure. Qual era? Verin Sedai aveva tenuto una lezione sull'argomento durante il primo anno in cui lei e Siuan erano divenute Ammesse. «Una Sapiente? Una Donna Saggia?» Al cenno di assenso di Susa, Moiraine prese il sacchetto che aveva appeso alla cintura e le infilò una moneta d'argento in mano. «Portale il tuo bambino.» Questo aggiunse altre lacrime sul volto della donna e altri ringraziamenti, più un tentativo di baciarle la mano che Moiraine evitò a malapena. Luce Susa non era una sua vassalla. Era quasi indecente. «Con la ricompensa che deve arrivare» sussurrò Siuan una volta che Susa se ne fu andata «la Donna Saggia lo avrebbe curato a credito.» Non spostò gli occhi da quanto stava scrivendo con calligrafia precisa, ma Moiraine vide un'espressione di disapprovazione sul suo viso. Siuan era molto
cauta con i pochi soldi che aveva. Moiraine sospirò - quel che era fatto, era fatto - e si accorse che le due file di donne mormoravano di nuovo. La voce che una delle 'Aes Sedai' aveva accettato il bambino di Susa Wynn si sarebbe sparsa come fuoco nell'erba secca, e in breve vide una serie di donne arrivare, inclusa una che portava il bambino per mano! «Il mio Danil di recente è stato davvero ombroso, Aes Sedai» disse la donna dal viso rotondo davanti a lei, con un sorriso di speranza. E il bagliore dell'avarizia negli occhi chiari. Il bambino che aveva fra le braccia emetteva versi allegri. «Vorrei avere il denaro per permettermi una visita alla Donna Saggia.» L'abito di lana grigia della donna sembrava quasi nuovo. Moiraine si irritò e non fece alcuno sforzo per nascondere l'ira. «Posso guarirlo io» rispose freddamente. «Ma è molto giovane, potrebbe non resistere. Molto probabilmente morirà.» A quell'età di certo non sarebbe sopravvissuto alla guarigione: inoltre, si trattava di una delle poche tessiture che alle Ammesse era vietato usare senza l'assistenza di una Sorella. Un errore nella guarigione poteva creare più danni al malato che alla tessitrice. La donna non ne sapeva nulla, e quando Moiraine protese una mano guantata balzò indietro, stringendo il bambino con fare protettivo, con gli occhi quasi fuori dalle orbite per la paura. «No, Aes Sedai. Grazie, ma no. Io... troverò il denaro che serve. Lo farò.» L'ira svanì - non durava mai a lungo - e per un momento Moiraine si vergognò. Solo per un momento. La Torre poteva permettersi di essere generosa, ma non poteva lasciare che le Aes Sedai venissero prese in giro. Una buona parte del potere di Tar Valon proveniva dalla credenza che le Sorelle non fossero affatto sciocche, in tutti i sensi. Di nuovo i mormorii si accesero nelle file e la donna con il bambino per mano fece per andarsene. Almeno con quella non avrebbe dovuto vedersela. Non c'era modo di evitare uno scontro verbale con qualcuna che riteneva che la Torre potesse essere imbrogliata facilmente. «Ben fatto» mormorò Siuan, mentre scriveva. «Davvero ben fatto.» «Danil» disse Moiraine mentre scriveva. «E il tuo nome?» Il sorriso era per il complimento, ma la madre di Danil lo scambiò per un segno di perdono e rispose sollevata. Moiraine ne fu contenta. La maggior parte delle persone temevano la Torre Bianca, non di rado per buoni motivi - la Torre poteva essere severa, quando doveva - ma la paura era un mezzo povero e
che si ritorceva quasi sempre su chi lo utilizzava. Lo aveva imparato molto prima di recarsi alla Torre. Una volta che il sole superò il picco, lei e Siuan andarono a prendere il cibo dalle bisacce da sella. Non aveva senso chiederlo agli uomini di Steler. Si erano già accovacciati per preparare un pasto a base di carne secca e gallette, non lontano da dove avevano legato i cavalli. Nessuno sembrava pronto a fare un passo se non in caso di attacco. Ma Steler rivolse loro un cenno del capo mentre si dirigevano ai cavalli, solo un lieve inchino, ma di approvazione, le sembrò. Gli uomini erano decisamente... strani. Con meno della metà dei nomi registrati, si aspettava almeno un borbottio, invece le donne andarono a mangiare a loro volta senza lamentarsi. Una donna scura con l'accento tarenese portò una teiera ammaccata piena fino all'orlo di un tè denso, lasciandolo sul tavolo e un paio di tazze verdi con la smaltatura screpolata, mentre un'altra, magra e con i capelli grigi portò due boccali con il coperchio che emanavano profumo di vino speziato. Quel volto rugoso non sembrava fosse mai stato toccato da un sorriso. «Susa Wynn era troppo orgogliosa per accettare più di un po' di cibo da chiunque, non fosse stato per il bambino» disse con voce incredibilmente profonda, posando i boccali. «Il tuo gesto è stato molto caritatevole e ben fatto.» Con un cenno del capo si voltò allontanandosi nella neve, con la schiena dritta come quella di un soldato. Erano di sicuro dei modi insoliti da usare con un'Aes Sedai. «Sa chi siamo» sussurrò Siuan, tenendo il boccale fra le mani per scaldarle. Moiraine fece lo stesso, guanti o no. Le dita della povera Siuan dovevano essere gelate. «Non lo dirà» rispose Moiraine dopo un momento, e l'amica annui. Non che la verità avrebbe causato problemi, con Steler e i suoi uomini presenti, ma era meglio evitare l'imbarazzo. Curioso che una delle donne del popolo avesse capito che non erano Aes Sedai quando le nobili non lo avevano fatto. Doveva essere per via del volto, non ancora da Aes Sedai; o per l'abito, ancora da Ammesse. O forse per entrambi. «Credo che da giovane sia stata alla Torre.» Una donna alla quale non poteva essere insegnato a incanalare veniva mandata via, ma prima avrebbe comunque visto Aes Sedai e Ammesse. Siuan la guardò di traverso, come se avesse detto che l'acqua era bagnata. A volte era irritante quando la Tarenese capiva le cose per prima. Parlarono poco mentre mangiavano il pane, la frutta e il formaggio. Le novizie dovevano rimanere in silenzio durante il pasto e le Ammesse do-
vevano mantenere una certa dignità, per cui si erano abituate a quel comportamento. Il vino lo toccarono appena - le Ammesse bevevano il vino durante i pasti, ma annacquato, e non sarebbe stato bello se fossero state alticce - ma Moiraine fu sorpresa nel constatare che aveva divorato tutto il cibo che era certa fosse troppo per lei. Forse stare fuori al freddo le aveva aumentato l'appetito. Stava ripiegando il panno nel quale era stato avvolto il pranzo - rimpiangendo di non aver avuto più albicocche secche - quando improvvisamente Siuan mormorò: «Oh, no.» Moiraine alzò lo sguardo e il cuore le sprofondò. Due Sorelle stavano entrando nel campo, avanzando lentamente fra le tende e i carri. Data la situazione, donne in abito di seta che se ne andavano per le campagne senza una scorta dovevano essere delle Sorelle, e queste erano seguite da un solo uomo, un tipo scuro nascosto dietro un mantello che cambiava colore e si mimetizzava con l'ambiente circostante, per cui parti dell'uomo e del cavallo nero sembravano invisibili. Gli occhi di quell'individuo non si soffermavano mai a lungo su un solo punto; faceva sembrare le guardie della Torre un gruppo di cani mezzo addormentati davanti a un leopardo in caccia. Il mantello di un Custode era una vista sconcertante, e nel campo si levarono dei mormorii, con la gente che indicava a bocca aperta. I fabbri abbassarono i martelli e rimasero in silenzio ancora una volta. Non fu la comparsa delle Sorelle a far venire il mal di stomaco a Moiraine. Aveva riconosciuto i volti incappucciati. Meilyn Arganya, con i capelli grigio argento e il mento prominente, era una delle donne più rispettate della Torre. Si diceva che nessuno pensasse male di lei. Da sola non avrebbe concesso a Moiraine un solo momento di pausa. L'altra invece era Elaida a'Roihan. Luce, cosa ci faceva lì? Elaida era diventata consigliera della regina di Andor quasi tre anni prima. Tornava alla Torre per delle visite occasionali, per parlare con l'Amyrlin degli eventi di Andor. Siuan e Moiraine scoprivano sempre molto presto del suo arrivo, con loro sommo rimpianto. Le rivolsero la riverenza non appena si avvicinarono, e Siuan esordi con: «Abbiamo il permesso di essere qui.» Anche Meilyn poteva indisporsi se le avesse rimproverate scoprendo poi che non c'era motivo. Elaida si sarebbe infuriata; odiava apparire sciocca. «L'Amyrlin Seat ci ha ordinato di...» «Lo sappiamo» la interruppe Meilyn. «Da come si sta spargendo la vo-
ce, sospetto che lo sappiano anche i gatti a Selesin.» Ma dal tono di voce non era possibile capire se concordasse con la decisione di Tamra. Il suo viso liscio non mostrava mai alcuna emozione. I sorprendenti occhi azzurri erano sereni come un bicchiere d'acqua. Con una mano guantata di nero sistemò con cura la gonna divisa, con tante strisce bianche che sembrava solo impuntata di azzurro. Era una delle poche Bianche ad avere un Custode; prese da interrogativi sulla razionalità e la filosofia, la maggior parte di loro non ne vedeva la necessità. Moiraine sperava che smontasse da cavallo. Il pezzato di Meilyn era alto, e lei era più alta della maggior parte degli uomini. Almeno a Cairhien. Guardarla in sella le avrebbe procurato il torcicollo. «Siete sorprese di vedermi?» chiese Elaida, guardando verso il basso dalla sua bella giumenta bianca. L'abito di broccato non era di un rosso smorto o pallido, ma di una tonalità accesa, come se la Sorella stesse gridando la propria Ajah al mondo intero. Il mantello, foderato di pellaccia nera, era della stessa tonalità. Un colore che andava bene per il carro di un Calderaio, pensò Moiraine. Elaida sorrise, ma la severità del viso non ne fu intaccata. Se non fosse stato per quello sarebbe stata bellissima. Tutto in lei era severo. «Ho raggiunto Tar Valon proprio prima degli Aiel e da allora sono stata impegnata, ma non temete, vi chiamerò entrambe al mio cospetto.» Moiraine era sicura che il cuore non avrebbe potuto sprofondarle ulteriormente, ma si era sbagliata. Fu molto difficile non gemere dalla disperazione. Meilyn sospirò. «Presti troppa attenzione a queste ragazze, Elaida. Si monteranno la testa se cominceranno a pensare di essere le tue favorite. Forse sta già succedendo.» Moiraine si scambiò delle occhiate stupite con Siuan. Favorite? Capre offerte ai leoni piuttosto, ma mai delle favorite. Da quando aveva ottenuto lo scialle, Elaida non aveva mai chinato il capo davanti a nessun altro se non l'Amyrlin Seat o un'Adunante che Moiraine aveva visto una volta, ma in quell'occasione chinò il capo, mormorando: «Come dici tu, Meilyn, ma sembra possibile che possano essere chiamate per l'esame prima della fine dell'anno. Io me lo aspetto e credo anche che lo supereranno con facilità. Non accetterei nulla di meno da loro due.» Anche quella frase mancava della consueta intensità. Di solito Elaida sembrava tesa come una corda d'arco, e intimidiva tutte quelle che le capitavano a tiro.
La Sorella bianca sollevò le spalle, come se la cosa non meritasse altri commenti. «Voi bambine avete tutto ciò che vi serve? Bene. Alcune di voi non si sono preparate bene, devo dire. Quanti nomi dovete raccogliere ancora?» «Circa cinquanta, Meilyn Sedai» rispose Siuan. «Forse qualcuno in più.» Meilyn guardò il sole, che aveva cominciato la discesa verso occidente. Le nuvole nere che minacciavano neve stavano spostandosi a sud, lasciandosi alle spalle un bel cielo aperto. «In questo caso, scrivete in fretta. Dovete fare ritorno alla Torre prima che sia scuro, come sapete.» «Gli altri accampamenti sono come questo?» chiese Moiraine. «Credevo che gli uomini in battaglia pensassero solo a quello, non a...» si interruppe, arrossendo. «...figliare come ricci» sussurrò Siuan. La sentì solo Moiraine, che arrossì ancora di più. Perché aveva fatto una domanda simile, per prima cosa? «Cairhienesi» sussurrò Meilyn. Sembrava quasi... divertita! Ma prosegui in tono più serio. «Quando un uomo pensa che sta per morire, vuole lasciare qualcosa di sé alle sue spalle. Quando una donna crede che il suo uomo possa morire, vuole disperatamente quella parte di lui. E risultato è un gran numero di bambini nati durante le guerre. È illogico, visti i tempi difficili che possono seguire in caso di morte dell'uomo, o della donna, ma il cuore umano di rado agisce secondo logica.» Questo spiegava molte cose, e lasciò Moiraine con la sensazione di avere il viso in fiamme. C'erano cose che si potevano fare in pubblico e di cui si poteva parlare e altre che venivano fatte in privato e di cui non si parlava, categoricamente. Fece fatica a riconquistare il controllo, eseguendo degli esercizi mentali alla ricerca della calma. Lei era il fiume, contenuto dalle rive; lei era le rive e conteneva il fiume. Era un bocciolo che si dischiudeva al sole. Non era di aiuto il fatto che Elaida stesse studiando lei e Siuan come uno scultore con in mano martello e scalpello, per decidere quale pezzo di pietra rimuovere per ottenere la forma desiderata. «Sì, si, Andro» disse improvvisamente Meilyn. «Andiamo via fra un attimo.» Non si era nemmeno voltata indietro a guardare il Custode, ma l'uomo annui come se la Sorella avesse risposto a qualcosa che lui aveva detto. Snello e non più alto della sua Aes Sedai, sembrava giovane. Fino a quando non notavi gli occhi. Moiraine si accorse di essere rimasta a bocca aperta e non per via dello sguardo fisso di Andro. Una Sorella e il suo Custode si percepivano a vi-
cenda, emozioni e condizioni fisiche, ognuno sapeva con esattezza dove si trovava l'altro, se erano abbastanza vicini, e la direzione se erano lontani, ma questo sembrava addirittura un caso di lettura del pensiero. Alcuni sostenevano che le Aes Sedai ne erano in grado. C'erano una serie di cose che non ti venivano insegnate fino a quando non ottenevi lo scialle. Come la tessitura per legare un Custode. Meilyn la guardò dritta negli occhi. «No» disse piano. «Non posso leggere i suoi pensieri.» Lo scalpo di Moiraine prudeva come se i capelli stessero cercando di rizzarsi. Doveva essere vero, visto che Meilyn lo aveva detto, eppure... «Quando sei rimasta legata a lungo con un Custode, riesci a capire cosa pensa e lo stesso vale per lui. Una questione di interpretazione.» Elaida tirò su con il naso, anche se sommessamente. Unica fra le Ajah, la Rossa rifiutava il legame con i Custodi. A molte delle Rosse non sembrava piacessero affatto gli uomini. «Secondo la logica» disse Meilyn, lo sguardo sereno che si dirigeva sull'altra Sorella «le Rosse avrebbero maggior bisogno di Custodi di tutte le Aes Sedai, forse ancor più delle Verdi stesse. Ma non importa. Le Ajah scelgono quello che vogliono.» Sollevò quindi le redini frangiate. «Vieni, Elaida? Dobbiamo raggiungere il maggior numero possibile di bambine. Alcune perderanno di sicuro la testa trattenendosi troppo a lungo, senza che nessuno ricordi loro dell'orario. Ricordate bambine, prima che sia buio.» Moiraine si aspettava una specie di esplosione da parte di Elaida, o almeno un lampo di rabbia negli occhi. Il commento sui Custodi si era pericolosamente avvicinato a una violazione del codice di cortesia e riservatezza che governava la vita delle Sorelle, regole su cosa poteva dire o chiedere un'Aes Sedai a un'altra e cosa no. Non erano leggi, ma delle usanze più forti delle leggi stesse, e ogni Ammessa doveva impararle a memoria. Sorprendentemente, Elaida fece voltare il suo baio e la segui. Osservando le due Sorelle che lasciavano il campo seguendo Andro, Siuan sospirò di sollievo. «Temevo che sarebbe rimasta a controllarci.» «Si» rispose Moiraine. Non serviva specificare a quale si riferisse Siuan. Nulla di quanto facevano sfuggiva alle sue richieste di assoluta perfezione. «Ma perché non lo ha fatto?» Siuan non aveva una risposta e, in ogni caso, non avevano tempo di parlarne. Essendo palese che avevano finito di mangiare, le donne avevano di nuovo formato le file. Dopo la visita di Meilyn ed Elaida non sembravano più tanto sicure che le due fossero Aes Sedai. Un'occhiataccia e la voce
ferma adesso non riuscivano a sedare una discussione. Siuan iniziò a gridare quando era necessario, cosa che accadeva di frequente, e a passarsi la mano fra i capelli per la frustrazione. Moiraine dovette minacciare per tre volte di smettere di raccogliere i nomi di fronte a una donna che si era presentata con un bambino ovviamente troppo grande, prima che questa abbandonasse la fila. Se una solo di loro fosse stata come Susa forse sarebbe stata tentata, ma erano tutte ben nutrite e ovviamente non più povere delle altre, solo avide. Per concludere, con oltre una dozzina di donne ancora davanti al tavolo, apparve Steler, con l'elmetto in capo e il cavallo tenuto per le briglie. Gli altri soldati non erano molto lontani, due di loro avevano le redini di Freccia e dell'animale di Siuan. «È ora di andare» disse serio il portabandiera. «Ho aspettato fino all'ultimo momento, ma adesso è ora di andare, altrimenti dovremo cavalcare molto duramente per essere di ritorno alla Torre al tramonto.» «Ehi, un momento» protestò una delle donne. «Devono prendere i nostri nomi!» Dalle altre provennero dei borbottii rabbiosi. «Guarda il sole, uomo» disse Siuan, sentendosi attaccata. Anche lei lo guardò, con i capelli in disordine visto che continuava a toccarli. «Abbiamo ancora molto tempo.» Moiraine guardò il sole a sua volta, basso a occidente, e si sentì assai meno sicura. C'erano dieci chilometri tra quel campo e la Torre, l'ultima parte in strade affollate di sera come di giorno. Aggrottando le sopracciglia Steler apri la bocca, ma improvvisamente la donna con il viso rugoso che aveva dato loro i boccali di vino caldo si piazzò davanti a lui, con sei o sette altre donne, tutte con i capelli grigi o quasi, spingendolo indietro. «Lascia lavorare queste ragazze» gridò la vecchia. «Mi hai sentita?» Altre arrivarono di corsa da tutte le direzioni, fino a quando il capo della scorta non fu circondato, come anche gli altri soldati. La metà delle donne sembrava che gridasse e agitasse i pugni, mentre il resto lanciava occhiatacce in silenzio, con le mani appoggiate sulle else dei pugnali da cintura. I fabbri smisero di usare le incudini ancora una volta, mentre con i martelli sollevati osservavano la folla di donne. Dei giovani e dei ragazzini cominciarono a riunirsi con gli occhi iniettati di sangue, furiosi. Alcuni avevano sfoderato i pugnali. Luce, ci sarebbe stata una sommossa. «Scrivi!» ordinò Siuan. «Non lo tratterranno a lungo. Il tuo nome?» chiese alla donna che aveva di fronte.
Moiraine scrisse. Quelle in attesa sembravano d'accordo con Siuan. Non vi furono altre discussioni. Ormai conoscevano le domande e rispondevano subito non appena arrivavano di fronte a loro, alcune talmente veloci che dovevano ripetere tutto. Quando Steler e i suoi riuscirono finalmente a spingere indietro le donne che li circondavano senza fare nulla che avrebbe scatenato gli uomini e i ragazzi del campo, Moiraine stava asciugando l'ultimo nome e Siuan si sistemava i capelli con il pettine di legno. Il volto del portabandiera dietro le barrette della visiera era torvo, ma tutto quello che disse fu: «Adesso avremo bisogno di un po' di fortuna.» Le fece uscire dal campo al trotto: gli zoccoli dei cavalli facevano volare la neve e Siuan rimbalzava malamente sulla sella, tanto che due soldati le cavalcavano da entrambi i lati per evitare che cadesse. Appesa disperatamente al pomello della sella li guardò male, ma non ordinò loro di andare via. Moiraine si rese conto che Siuan non le aveva chiesto l'unguento; adesso le sarebbe servito più che mai. Dopo un chilometro e mezzo, Steler rallentò al passo, ma solo per un altro chilometro e mezzo, quindi riprese il trotto. Solo i due soldati tenevano Siuan in sella. Moiraine iniziò a protestare, ma un'occhiata al volto determinato di Siuan - e un'altra al sole - la fecero tacere. L'amica avrebbe impiegato giorni a perdonarla se lei avesse puntualizzato quanto cavalcava male. Ma non l'avrebbe mai perdonata se così facendo le avesse fatte tardare e finire nello studio di Merean. Steler mantenne quell'andatura fin quando giunsero in città, trotto e passo, trotto e passo; Moiraine sospettava che non avrebbe alterato la velocità se non fosse stato per la folla nelle strade. Il passo era il meglio che potessero fare, in quella massa. Il sole era una bassa cupola rosso oro sopra le mura che circondavano la Torre, quando entrarono nel cortile della stalla ovest. Gli stallieri si fecero avanti per prendere Freccia e il cavallo di Siuan, e un luogotenente dal volto serio guardò male Steler anche mentre restituiva il saluto, con un braccio davanti al petto. «Siete gli ultimi» gridò, come se volesse una scusa per prendersela con il primo che gli capitava a tiro. «Queste due ti hanno creato problemi?» Aiutando una gemente Siuan a smontare da cavallo, Moiraine trattenne il fiato. «Sono state degli agnellini» rispose Steler e Moiraine sospirò. Scendendo da cavallo, il portabandiera si rivolse ai suoi uomini. «Voglio i cavalli strigliati e la sella oliata prima che pensiate anche solo a mangiare. Sai che ti tengo d'occhio, Malvin.»
Moiraine chiese al giovane ufficiale cosa dovessero fare con fogli e scrittoi. L'uomo la guardò furioso prima di rispondere: «Lasciateli dove sono. Verranno messi a posto.» Detto questo se ne andò via così velocemente da far sventolare il mantello. «Perché è così arrabbiato?» Steler lanciò un'occhiata ai soldati che portavano i cavalli nella stalla, quindi rispose a voce molto bassa. «Voleva andare a combattere gli Aiel.» «Non mi importa se quello sciocco vuole diventare un eroe» rispose secca Siuan. Si appoggiò a Moiraine, la quale sospettò fosse solo grazie al suo braccio attorno alla vita se l'amica rimaneva in piedi. «Voglio un bagno caldo e il mio letto, della cena non mi importa.» «Sembra un'idea bellissima» sospirò Moiraine. A parte le considerazioni sulla cena. Avrebbe potuto mangiare una pecora intera! Siuan riuscì a camminare da sola, ma zoppicava, con la mascella tesa e reprimendo i gemiti. Rifiutò di farsi portare la sacca da Moiraine. Non si lasciava mai andare al dolore. Non si arrendeva davanti a nulla. Quando raggiunsero la galleria degli appartamenti delle Ammesse, i pensieri sui bagni caldi svanirono. Katerine le aspettava. «Era ora» disse, stringendosi nel mantello con le bande colorate. «Pensavo di gelare a morte prima che faceste ritorno.» Era una donna dal volto spigoloso, con una massa di capelli ondulati che le arrivavano alla vita, e poteva essere molto acida. Con le novizie e le altre Ammesse, lo era. Con le Aes Sedai era dolce come l'acqua di fiume, tutta sorrisi e ossequi. «Merean ti vuole nel suo studio, Moiraine.» «Perché vuole vederci?» chiese Siuan. «Non è ancora il tramonto.» «Oh, non sempre Merean mi dice le sue ragioni, Siuan. E stavolta vuole vedere solo Moiraine, non te. Be', io vi ho avvisate e voglio andare a cena e a letto. Dobbiamo rifare questa miserabile cosa anche domani, cominciando all'alba. Chi lo avrebbe detto che avrei preferito restarmene qui a studiare invece che andare a cavalcare in campagna?» Siuan guardò male Katerine mentre la donna si allontanava. «Un giorno si taglierà con quella lingua. Vuoi che venga con te, Moiraine?» Lei lo avrebbe desiderato con tutto il cuore. Non aveva fatto nulla, non di recente, eppure una convocazione nello studio di Merean non era mai buon segno. Molte delle novizie e delle Ammesse entravano in quella stanza per piangere sulla spalla di Merean quando avevano nostalgia di casa o la fatica dell'apprendimento diventava insopportabile. Una convocazione però era tutta un'altra faccenda; tuttavia, scuotendo il capo, Moiraine
diede il mantello e la sacca di pelle a Siuan. «Il vaso con l'unguento è dentro la sacca. È un ottimo lenitivo per il dolore.» Il volto dell'amica si illuminò. «Potrei venire comunque con te. Non sono ridotta poi tanto male.» «Riesci a malapena a camminare. Vai. Qualsiasi cosa voglia quella donna, sono sicura che non ci vorrà molto.» Sperava che Merean non avesse scoperto qualche bravata che lei pensava di aver nascosto bene. Ma se fosse stato questo il caso, almeno Siuan avrebbe evitato la punizione. Nelle sue condizioni, non l'avrebbe sopportata. Lo studio della maestra delle novizie si trovava dall'altro lato della Torre, vicino alle stanze delle novizie e un piano sotto lo studio dell'Amyrlin, davanti a un ampio corridoio dove le mattonelle in terra erano rosse e verdi, con la guida azzurra. Moiraine inspirò a fondo davanti alla semplice porta fra due arazzi dai colori brillanti e si sistemò i capelli, desiderando di averli spazzolati, quindi bussò due volte, con fermezza. Merean diceva a tutte di non bussare come se fossero topolini. «Avanti» rispose una voce dall'interno. Inspirando ancora una volta, Moiraine entrò. A differenza dello studio dell'Amyrlin, quello di Merean era abbastanza piccolo e semplice: le pareti erano coperte da pannelli di legno scuro, la mobilia era essenziale e quasi del tutto priva di decorazioni. Moiraine sospettava che le donne che erano state Ammesse cento anni prima di lei avrebbero riconosciuto tutto di quella camera. Forse anche duecento anni prima. Lo stretto tavolino vicino alla porta, leggermente intagliato sulle zampe con uno strano motivo, forse era anche più vecchio, e su una parete era appeso uno specchio, con la cornice macchiata di frammenti di doratura. Sulla parete opposta vi era un armadietto che evitò di guardare. Le cinghie e la frusta venivano conservate là dentro, con una ciabatta che, a modo suo, era ancor più terribile. Con sua sorpresa notò che Merean era in piedi anziché seduta dietro la scrivania. Era alta - la testa di Moiraine le raggiungeva solo il mento - con i capelli quasi tutti grigi raccolti dietro la nuca, e uno sguardo materno che sopraffaceva quasi la mancanza dei segni dell'età tipica delle Aes Sedai. Era uno dei motivi per cui molte delle ragazze in fase di addestramento si sentivano a proprio agio nel piangere sulla spalla di Merean, anche se lei per prima le aveva fatte piangere abbastanza spesso. Era gentile e buona, molto comprensiva. Finché non infrangevi le regole. Merean aveva un ottimo talento per scoprire ciò che volevi tenere nascosto.
«Siediti, bambina» disse seria. Moiraine obbedì sospettosa e si accomodò sullo sgabello davanti alla scrivania. Dovevano essere cattive notizie, ma di quale natura? «Non c'è modo di rendere facile quanto devo dirti, bambina. Ieri re Laman è stato ucciso, con entrambi i fratelli. Ricorda che siamo tutti fili del Disegno e la Ruota gira come vuole.» «Che la Luce illumini le loro anime,» rispose solennemente Moiraine «e che possano proteggersi sotto la mano del Creatore, fino al giorno in cui rinasceranno.» Merean sollevò le sopracciglia, senza dubbio sorpresa che non fosse scoppiata in lacrime nel sentire che aveva perso tre zii in un solo giorno, ma non conosceva Laman Damodred, un uomo distante che bruciava dall'ambizione, la sola parte calorosa che avesse mai avuto. L'opinione di Moiraine era che fosse rimasto scapolo per il semplice motivo che neppure l'incentivo all'idea di diventare regina di Cairhien aveva potuto indurre una donna a sposarlo. Moressin e Aldecain erano stati anche peggio, pieni di un'ira che sarebbe bastata per dieci uomini e che esprimevano con furia e crudeltà. E tutti e tre disprezzavano suo padre, perché era un erudito e perché aveva preso una donna colta come seconda moglie piuttosto che fare un matrimonio di interesse e acquisire terre per la casata Damodred. Avrebbe pregato per le loro anime, ma provava maggior dolore per Jac Wynn che per tutti e tre gli zii messi assieme. «Il colpo...» mormorò Merean. «Sei turbata, ma passerà. Quando accadrà, vieni da me, bambina. Fino a quel momento, non c'è bisogno che tu esca domani. Informerò L'Amyrlin.» La maestra aveva l'ultima parola quando si trattava di novizie e Ammesse. Merean doveva essere seccata per il fatto che Tamra avesse mandato fuori le Ammesse senza consultarla prima. «Grazie per la tua gentilezza,» rispose velocemente Moiraine «ma ti prego di non farlo. Avere qualcosa da fare mi sarà d'aiuto, e anche essere con le mie amiche. Se rimango qui domani, sarò sola.» Merean sembrò dubbiosa, ma dopo qualche altra parola di conforto - per il dolore che era certa l'Ammessa stesse nascondendo - lasciò che Moiraine tornasse in camera sua, dove trovò tutte e due le lampade accese e il fuoco che scoppiettava nel camino. Senza dubbio opera di Siuan. Pensò di andarla a trovare, ma di sicuro l'altra donna ormai dormiva. La cena sarebbe stata servita nella sala da pranzo per almeno un'altra ora, ma Moiraine accantonò ogni pensiero di cibo e trascorse l'ora successi-
va a pregare per l'anima degli zii. Una penitenza. Non voleva trasformarsi in una di quelle Sorelle che si sottoponevano regolarmente a penitenza mantenendo un certo equilibrio nelle loro vite, così lo chiamavano; lei la riteneva una sciocca ostentazione - eppure doveva provare qualcosa per la morte dei propri familiari, per quanto fossero stati riprovevoli. Era sbagliato non sentire nulla. Solo quando fu certa che la sala da pranzo era piena di inservienti con gli spazzoloni, si alzò e si spogliò. Dopo aver usato un rivolo di Fuoco per scaldare l'acqua si lavò. L'acqua fredda sarebbe stata un'altra penitenza, ma c'erano dei limiti. Spense le lampade e lavorò i flussi per evitare che i suoi sogni interferissero con quelli delle altre - poteva succedere con chi incanalava; le persone nelle vicinanze potevano ritrovarsi a condividere i sogni - e si infilò sotto le coperte. Era davvero molto stanca e il sonno giunse subito. Sfortunatamente anche gli incubi. Non lo zio, o Jac Wynn, ma un bambino che giaceva fra la neve di Montedrago. I lampi dardeggiavano nel cielo buio come la pece e il pianto del piccolo era il tuono. In quel sogno c'erano anche i fulmini, ma era lui che li evocava dal cielo, e le città bruciavano. Le nazioni. Il Drago era Rinato. Moiraine si svegliò piangendo. Il fuoco si era ridotto a qualche tizzone ardente. Piuttosto che aggiungere altra legna usò l'attizzatoio per coprire le braci con la cenere e, invece di rimettersi a letto, si avvolse una coperta sulle spalle e uscì nella notte. Non era certa che avrebbe dormito di nuovo, ma di una cosa era sicura. Non voleva farlo da sola. Non aveva dubbi che Siuan dormisse, ma quando si infilò nella camera dell'amica, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle, la Tarenese chiamò sottovoce: «Moiraine?» Nel camino ballava ancora qualche fiamma, che emanò abbastanza luce da renderla visibile mentre sollevava le coperte da un lato. Moiraine non perse tempo e si infilò nel letto. «Anche tu hai avuto degli incubi?» «Sì» sussurrò Siuan. «Cosa possono fare, Moiraine? Anche se lo trovano, cosa possono fare?» «Possono portarlo alla Torre» rispose lei, cercando di assumere un tono più sicuro di quanto suggerisse il suo stato d'animo. «Qui lo possiamo proteggere.» Sperava che fosse vero. Le Rosse lo avrebbero di certo voluto imprigionare e domare, qualsiasi cosa sostenessero le Profezie. «E possiamo educarlo.» Il Drago sarebbe stato educato. Doveva sapere il più possibile di politica come qualsiasi regnante, tutto sulla guerra come un genera-
le. Tutto della storia come uno studioso. Verin Sedai aveva spiegato che la maggior parte degli errori commessi dai governanti derivavano dalla mancata conoscenza della storia; agivano ignorando gli sbagli che altri avevano commesso prima di loro. «Può essere guidato.» Quella sarebbe stata la parte più importante, per essere sicure che avrebbe fatto le scelte giuste. «La Torre non può insegnargli a incanalare, Moiraine.» Era vero. Quello che facevano gli uomini era... diverso. Differente come uomo e donna, aveva spiegato Verin. Un uccello non poteva insegnare a un pesce come volare. Il Drago Rinato doveva sopravvivere imparando da solo. Le Profezie non dicevano se ci sarebbe riuscito, o che non sarebbe impazzito prima dell'Ultima Battaglia, solo che doveva trovarsi a Tarmon Gai'don, se volevano avere una speranza di vittoria, ma lei doveva credere in qualcosa. Doveva! «Pensi che Tamra stia avendo gli incubi come noi stanotte, Siuan?» La donna sbuffò. «Le Aes Sedai non hanno incubi.» Loro però non erano ancora Aes Sedai. Nessuna delle due riuscì a chiudere occhio per il resto della notte. Moiraine non sapeva cosa stesse vedendo Siuan, sdraiata a fissare il soffitto - non riusciva a chiederglielo - ma lei vedeva un bambino che piangeva nella neve, sulle pendici del Montedrago, e un uomo senza volto che evocava i fulmini. Rimanere sveglia non la proteggeva da quell'incubo. 6
Sorprese Qualcuno, che si rivelò essere una timida novizia di nome Setsuko, bussò alla porta di Siuan quando era quasi mattina: la ragazza, robusta e più bassa di Moiraine, disse che per ordine dell'Amyrlin tutte le Ammesse dovevano trovarsi alla stalla ovest prima della terza levata, pronte a svolgere il loro compito. Gli occhi di Setsuko, illuminati della lampada che aveva in mano, sembravano carichi di invidia. La giovane proveniente dall'Arafel sapeva già che la sua permanenza alla Torre sarebbe terminata nell'arco di qualche mese.
Setsuko aveva parlato apertamente di fuggire fino a quando una visita allo studio di Merean le aveva insegnato a essere discreta, se non saggia. Per quanto fosse stata amara la scoperta, non avrebbe mai ottenuto lo scialle, ma doveva proseguire fino a quando le Sorelle fossero state sicure che avrebbe incanalato senza fare del male a se stessa o agli altri. Malgrado tutto, forse pensava ancora alla fuga. Le novizie di tanto in tanto scappavano come anche le rare Ammesse che temevano ciò che le aspettava, ma venivano sempre riprese, e il ritorno alla Torre era, come minimo, sgradevole e doloroso. Era molto meglio per tutti se poteva essere evitato. In un altro momento Moiraine le avrebbe offerto parole di conforto, o ammonimenti a essere prudente, ma era molto stanca. Quella mattina il gong della prima levata era già suonato e mancava solo mezz'ora alla seconda. Forse potevano riuscire a prendere al volo qualcosa da mangiare e raggiungere la stalla prima della terza, ma non più di quello. Moiraine diede a Siuan un ultimo abbraccio e corse fuori nel buio, avvolta nella sua coperta, prima che Setsuko raggiungesse la stanza successiva per svegliare Sheriam bussando timidamente alla porta. La bambina avrebbe dovuto fare di meglio. Sheriam dormiva come un sasso. Altre novizie con le lampade bussavano alle altre porte, immagini spettrali nella notte. Davanti alla stanza di Moiraine, una ragazza molto alta con i capelli biondi che le scendevano dietro la schiena le rivolse una riverenza imbronciata quando lei le fece cenno di andare. A Lisandre avrebbero concesso di tentare l'esame da Ammessa, ma solo se riusciva a porre rimedio alla propria scontrosità. Probabilmente ce l'avrebbe fatta. Quando la Torre notava una pecca in una delle allieve, di solito veniva curata, in un modo o nell'altro. Moiraine si lavò e vesti rapidamente, strofinandosi solo i denti con sale e soda e spazzolandosi i capelli fino a sistemarli in maniera semi ordinata, ma quando raggiunse la galleria con la sacca che pendeva sotto il mantello, l'oscurità si era trasformata in grigiore. Siuan era già fuori, pronta, con il mantello in spalla, e parlava con Sheriam, una donna dai capelli rosso fuoco e decisamente assonnata, mentre altre Ammesse stavano dirigendosi a fare colazione. «Sheriam dice che gli Aiel stanno davvero ritirandosi, Moiraine» le disse eccitata l'amica, sistemandosi la sacca sulla spalla. «Ormai si trovano leghe a est del fiume.» Sheriam annui e cominciò a seguire le altre, ma lei l'afferrò per il bordo del mantello.
«Ne sei certa?» Moiraine quasi trasalì. Se fosse stata meno stanca avrebbe scelto le parole con maggior cautela; non scoprivi nulla se facevi indisporre subito le persone. Fortunatamente la snella Ammessa non aveva un brutto carattere come sembravano suggerire i capelli e gli occhi a mandorla. Sospirò e guardò speranzosa verso la porta per abbandonare quella galleria. «Mi è stato riferito da un soldato che lo ha sentito da un commilitone shienarese, un corriere, poi mi è stato detto lo stesso da Serafelle, da Ryma e da Jennet. Una Sorella potrebbe sbagliarsi, ma quando in tre ti dicono la stessa cosa, puoi essere certa che è vero.» Sheriam era una compagna molto gradevole per trascorrere una serata, ma aveva un modo di spiegare le cose che la faceva sempre sembrare un'insegnante. «Perché sorridete come sciocche?» chiese improvvisamente. «Non sapevo che stessi sorridendo» rispose Siuan, cambiando espressione. Sembrava ancora impaziente, in punta di piedi, come se volesse scappare. «L'opportunità di una cavalcata in campagna non vale forse un sorriso?» puntualizzò Moiraine. Adesso forse potevano convincere la loro scorta a condurle al campo più vicino a Montedrago. Non sapeva con certezza quando avesse assunto lo stesso punto di vista di Siuan, ma ora tra loro due c'era condivisione perfetta. Lo avrebbero trovato per prime. In qualche modo ci sarebbero riuscite. Sorridere? Se ne avesse avuto la possibilità avrebbe riso a crepapelle. «A volte voi due siete strane» osservò Sheriam. «A me fa ancora male tutto dopo una giornata in sella, tanto che quasi zoppico. Be', se volete potete anche rimanere impalate a parlare. Io voglio fare colazione.» Mentre si voltava per andare via si immobilizzò, sospirando. Merean era apparsa nel corridoio ancora oscuro, lo scialle con i viticci ricamati calato sulle braccia tanto che le frange azzurre toccavano quasi il suolo. Attirò gli sguardi di molte Ammesse. Le Sorelle di rado indossavano lo scialle nella Torre, se non per occasioni ufficiali. La comparsa della maestra delle novizie in quel luogo con lo scialle indosso significava che qualcuna si trovava davvero nei guai. O che doveva venir convocata per l'esame. Alcune delle donne si trattennero speranzose nella galleria, mentre un gruppo si allontanò il più veloce possibile, quasi di corsa, senza dubbio spronate da una coscienza sporca. Avrebbero dovuto essere più furbe. Tutto quello che ottennero fu farsi notare da Merean, che adesso avrebbe indagato fino a quando non avesse scoperto perché si sentivano colpevoli. A
Cairhien lo avrebbero capito perfino un branco d'oche. In ogni caso, in quel momento la donna non prestò loro attenzione e continuò a camminare leggera nel corridoio: tutte le Ammesse che aveva oltrepassato avevano il rimpianto dipinto in volto. Sheriam era una di quelle che si erano trattenute, e fu davanti a lei, Moiraine e Siuan che la donna si fermò. Il cuore di Moiraine batteva forte, e lei faticò a respirare mentre le rivolgeva la riverenza. Forse Siuan aveva ragione. Sì, era proprio così. Quando Merean diceva che un'Ammessa sarebbe stata presto sottoposta all'esame, accadeva sempre entro un mese. Ma lei non era pronta! Il volto di Siuan era illuminato dall'impazienza e gli occhi le brillavano. Sheriam aveva le labbra socchiuse per l'attesa. Luce, ogni Ammessa doveva ritenersi più preparata di Moiraine Damodred. «Se non ti muovi arriverai in ritardo, bambina» disse bruscamente la Sorella Azzurra rivolgendosi a Sheriam. Fu una sorpresa. Merean non era mai rude, neanche se c'era una punizione in vista. Quando faceva una ramanzina sui misfatti di una o dell'altra o elargiva frustate o cinghiate o, peggio, l'odiosa ciabatta, la sua voce era sempre e solo ferma. Quando la donna dai capelli rosso fuoco si fu allontanata a passo rapido, la maestra delle novizie rivolse la propria attenzione su Moiraine e Siuan. Moiraine aveva la sensazione che il cuore le sarebbe saltato fuori dalle costole. Non ancora, Luce, non ora. «Ho parlato con l'Amyrlin, Moiraine, ed è d'accordo con me sul fatto che tu sia in una condizione emotiva particolare. Le altre Ammesse per oggi dovranno fare a meno di te.» Le labbra di Merean si tesero per un momento, prima che le ritornasse la serenità in volto. La voce rimase pungente. «Io vi avrei tenute tutte dentro, ma la gente coopererà maggiormente con delle iniziate della Torre piuttosto che con degli scrivani, anche se della Torre Bianca, e le Sorelle sarebbero tutte in agitazione se chiedessimo loro di svolgere questo compito. La Madre aveva ragione almeno su questo punto.» Luce! Doveva aver discusso con Tamra per essere sconvolta al punto da rivelare il fatto a delle Ammesse. Non c'era da meravigliarsi se era brusca. Moiraine fu sollevata all'idea di non essere portata immediatamente via per l'esame dello scialle, ma era comunque delusa. Oggi avrebbero potuto raggiungere i campi attorno Montedrago. Be', almeno uno dei campi. Avrebbero potuto! «Ti prego Merean, io...» La Sorella sollevò un dito. Era l'avvertimento a non continuare a discute-
re e, per quanto fosse buona e gentile in generale, non offriva mai una seconda opportunità. Moiraine chiuse subito la bocca. «Non dovresti essere lasciata sola a rimuginare» prosegui Merean. Viso sereno o meno, il modo in cui si tirò lo scialle sulle spalle esprimeva irritazione. «La grafia di alcune delle ragazze somiglia a zampe di gallina.» Sì, era decisamente seccata. Quando aveva delle critiche, per quanto minime, le riferiva al suo obiettivo e a nessun'altra. «La Madre ha acconsentito a farti copiare le liste quasi illeggibili. Tu hai una bella calligrafia. Forse un po' troppo svolazzante, ma chiara.» Moiraine cercò disperatamente di pensare qualcosa da dire che la Sorella non avrebbe scambiato per un'obiezione, ma non le venne in mente nulla. Come ne sarebbe uscita? «È un'ottima idea, Moiraine» intervenne Siuan, e lei guardò l'amica a bocca aperta, colma di stupore. La sua amica! Ma quella proseguì serena nel suo tradimento. «Non ha dormito affatto la scorsa notte, Merean. Forse solo un'ora. Non credo che sia sicuro per lei cavalcare. Cadrà entro una lega.» E detto da Siuan! «Sono contenta che tu sia d'accordo con la mia decisione, Siuan» rispose secca Merean. Moiraine sarebbe arrossita se si fosse rivolta a lei con quel tono di voce, ma l'altra era fatta di un materiale più resistente, quindi sostenne lo sguardo della Sorella e sollevò un sopracciglio con un sorriso di dichiarata innocenza. «Non dovrebbe essere lasciata da sola, per cui tu potrai aiutarla. Anche tu scrivi bene.» Il sorriso si congelò sul volto di Siuan, ma la Sorella non vi prestò attenzione. «Venite, venite. Ho altro da fare oggi che accompagnare voi due in giro.» Scivolando davanti a loro come un grosso cigno in un torrente veloce, fece strada verso una saletta senza finestre poco oltre le stanze dell'Amyrlin, sull'altro lato del corridoio. Su un tavolo molto intagliato c'era un cestino con delle penne, una grande boccetta di inchiostro, la sabbia per asciugarlo, delle risme di ottima carta e una serie di pagine scritte sparse in disordine. Davanti al tavolo c'erano anche due sedie con lo schienale dritto. Moiraine appese il mantello a un gancio e appoggiò in terra lo scrittoio portatile, quindi osservò il mucchio di carte, come anche Siuan. Almeno c'era un camino con il fuoco acceso. La stanza era calda, rispetto al corridoio. E molto più calda di una cavalcata nella neve. Era tutto. «Una volta finita la colazione,» disse Merean «tornate qui e cominciate a lavorare. Lasciate le copie nell'anticamera dell'Arnyrlrn.» «Luce, Siuan,» disse Moiraine non appena la Sorella si fu allontanata
«cosa ti ha fatto pensare che fosse una buona idea?» «Tu...» Siuan assunse un'espressione mesta. «In questo modo vedremo più nomi. Forse tutti, se Tamra ci lascia fare questo lavoro. Potremmo essere le prime a capire di chi si tratta. Dubito che possano essere nati in due sulle pendici del Montedrago, ma pensavo che si sarebbe trattato solo di te, non di noi.» Sospirò depressa, quindi d'improvviso guardò Moiraine, accigliata. «Perché hai un'espressione così turbata?» La notte prima, rivelare le sue pene le era sembrato fuori luogo, una facezia a confronto con quanto sapevano di dover affrontare, ma Moiraine non ebbe problemi a rivelarlo ora. Prima che finisse Siuan la strinse in un forte abbraccio di consolazione. Avevano pianto l'una sulla spalla dell'altra molto più spesso che non su quelle di Merean. Non era mai stata vicino a nessuna come lo era a Siuan. O amato qualcuno così tanto. «Sai che io ho sei zii che sono delle brave persone,» raccontò sottovoce la Tarenese «e uno che è morto provando quanto fosse bravo. Quello che non sai è che ne ho altri due ai quali mio padre non lasciava oltrepassare la soglia di casa, e uno era proprio suo fratello. Mio padre non pronunciava nemmeno i loro nomi. Erano dei ladruncoli, rissaioli e ubriaconi. Quando tracannavano troppa birra, o acquavite se avevano rubato abbastanza da permettersela, iniziavano a litigare con chiunque li guardasse male. Di solito se la prendevano entrambi con lo stesso poveraccio, prendendolo a calci e pugni o colpendolo con qualsiasi altra cosa a portata di mano. Un giorno verranno impiccati per aver ucciso qualcuno, se non è già successo. Quando accadrà, non verserò una lacrima. Alcune persone non valgono nemmeno una stilla.» Moiraine la abbracciò. «Dici sempre la cosa giusta. Ma io pregherò lo stesso per i miei zii.» «Anche io pregherò per quei due farabutti quando moriranno. Semplicemente non ho voglia di pensare a loro, vivi o morti. Andiamo. Facciamo colazione. Sarà una giornata lunga e non cavalcheremo per fare un po' di esercizio.» Moiraine era certa che scherzasse, ma negli occhi azzurri dell'amica non c'era nemmeno una scintilla di divertimento. Odiava davvero fare il lavoro d'ufficio. A nessuno piaceva. La sala da pranzo usata dalle Ammesse si trovava al piano più basso della Torre, una grande sala con le pareti d'un bianco splendente e il pavimento coperto da piastrelle dello stesso colore, piena di lunghi tavoli lucidati e semplici panche che andavano bene per due persone, o tre se si fossero strette. Le altre Ammesse mangiarono velocemente, a volte ingoiando boc-
coni interi, in maniera indecorosa. Sheriam si versò la farinata sul vestito e uscì veloce dalla stanza sostenendo che aveva tempo per cambiarsi. Andò via quasi di corsa. Tutte correvano. Anche Katerine, mentre ancora mangiava un panino spazzolando le briciole dal vestito. Sembrava che la possibilità di lasciare la città non fosse tanto sgradevole. Siuan giocava con la sua farinata d'avena mista a mele cotte, e Moiraine le fece compagnia bevendo un'altra tazza di tè nero con una sola goccia di miele. Dopo tutto le possibilità che il nome del bambino fosse fra quelli che le aspettavano doveva essere molto piccola. Presto furono le sole a tavola, e una delle cuoche si affacciò lanciando loro un'occhiataccia, con le mani sui fianchi. Una donna paffuta che indossava un lungo grembiule immacolato, Laras non aveva ancora raggiunto la mezza età ed era più che carina, eppure con lo sguardo poteva trapassare la roccia. Nessun'Ammessa era tanto sciocca da venire alle mani con lei, e comunque mai per più di una volta. Anche Siuan si arrese davanti a quello sguardo incrollabile, finendo rapida l'ultima cucchiaiata di mele nella ciotola. Laras cominciò a chiamare gli sguatteri per pulire il pavimento prima che le due Ammesse ebbero raggiunto la porta. Come aveva previsto Moiraine, il lavoro si dimostrò una sfacchinata, anche se non brutto come temeva. Non proprio. Iniziarono a cercare le proprie liste e aggiunsero quelle che erano già leggibili, azione che ridusse parzialmente la risma di scritti da controllare, anche se solo per metà. Chi si recava alla Torre essendo incapace di scrivere veniva addestrata a redigere in bella grafia fin da novizia, ma quelle che già sapevano farlo, anche se male, impiegavano anni a raggiungere una discreta leggibilità, ammesso che vi riuscissero. Alcune Sorelle usavano degli scrivani per far copiare qualcosa che volevano fosse chiaro per tutti. La maggior parte delle liste sembrava più corta della sua e di quella di Siuan, ma anche considerando le spiegazioni di Meilyn sembrava che un numero stupefacente di donne avesse partorito proprio in quel periodo. E quei rapporti riguardavano solo i campi in prossimità del fiume! Notando che l'amica controllava ogni foglio prima di metterlo da parte, Moiraine iniziò a fare lo stesso. Senza riporvi troppa speranza, ma era pronta a cogliere il minimo barlume di probabilità: tuttavia, più leggeva, più sentiva prevalere lo scoramento. Molte delle note erano terribilmente vaghe. 'Nata in vista delle mura di Tar Valon'? Le mura si stendevano per leghe, fino alle pendici di Montedrago. In questo caso si trattava di una bambina, con il padre Tarenese e la
madre Cairhienese, ma la nota non era valida per localizzare il luogo di nascita della piccola. Ce n'erano fin troppe come quella: per esempio 'nato in vista della Torre Bianca'. Luce, la Torre poteva essere vista da Montedrago! Be', comunque da molto lontano. Altre annotazioni erano tristi. Salia Pomfrey aveva dato alla luce un bambino e se ne era andata per fare ritorno al suo villaggio in Andor, dopo che il marito era morto al secondo giorno di combattimenti. C'era una nota vicino al nome, nella calligrafia ingarbugliata di Myrelle. Le donne al campo avevano cercato di dissuaderla, ma si diceva che fosse mezza impazzita dal dolore. Luce, aiutala. Triste da far piangere. O da un punto di vista cinico, preoccupante come una nota sbagliata. Non c'era il nome del suo villaggio, e Andor era la nazione più vasta fra la Dorsale del Mondo e l'oceano Aryth. Come avrebbero fatto a ritrovarla? Il bambino di Salia era nato sulla riva sbagliata dell'Erinni e in anticipo di sei giorni, ma se alla madre del Drago Rinato succedeva una cosa simile, come avrebbero fatto a trovarlo? Le pagine erano piene di storie come quella, anche se la maggior parte sembravano appartenere a donne di cui altre avevano sentito parlare, per cui era plausibile che l'informazione fosse riportata per esteso altrove. O forse no. E pensare che quel compito era sembrato molto semplice quando Tamra lo aveva assegnato. Che la Luce ci aiuti, pensò Moiraine. Che la Luce aiuti il mondo. Scrissero instancabili, a volte lavorando assieme per decifrare una grafia che assomigliava davvero alle zampe di gallina. Un'ora di pausa a mezzogiorno per andare nella sala da pranzo a consumare pane e zuppa di lenticchie, poi tornarono alle loro penne. A quel punto apparve Elaida, con un abito a collo alto di un rosso anche più brillante di quello che aveva indossato il giorno precedente: girò attorno al tavolo e fissò in silenzio prima Siuan e poi Moiraine, come se stesse studiando il loro lavoro. Lo scialle rosso era riccamente ricamato di fiori e viticci. Fiori con lunghe spine, come si addiceva a quella donna. Non trovando nulla da criticare lasciò di colpo la stanza, e il sospiro di sollievo di Moiraine fece eco a quello di Siuan. Non ricevettero altre visite. Quando Moiraine cosparse di sabbia l'ultima pagina e la fece ricadere nella scatola di legno fra le due sedie, era ormai ora di cena. Il giorno precedente erano nati un certo numero di bambini - la nascita doveva avvenire dopo la premonizione di Gitara - ma nessuno di loro somigliava anche remotamente a quello che cercavano. Dopo una notte di sonno agitato, non ebbe bisogno dell'invito di Siuan per tornare in quella piccola camera, piuttosto che unirsi alle altre Ammesse che si dirigevano di corsa alle stalle. Anche se quel giorno alcune non
furono così solerti. Sembrava che anche una gita fuori città potesse stancare, quando tutto quello che facevi era sedere su una panca e scrivere nomi. Eppure Moiraine era impaziente di scrivere nomi. In fondo nessuno aveva detto loro di non farlo. Erano state svegliate dal rumore delle altre donne che si preparavano, non da una novizia che recava l'ordine di abbandonare il riposo. Come spesso diceva Siuan, era più facile chiedere perdono che non il permesso di fare qualcosa. E la Torre non era generosa nel perdonare le Ammesse. Le carte del giorno precedente erano sul tavolo, una pila alta e disordinata come la prima. Mentre selezionavano le liste più leggibili due scrivani entrarono nella stanza e si fermarono sorpresi: erano una donna robusta con la Fiamma di Tar Valon su una delle maniche scure, i capelli grigi ordinati e raccolti sopra la nuca, e un giovane smilzo che sembrava più adatto a un'armatura che alla sua semplice giubba di lana. Aveva dei bellissimi occhi marroni. E un bel sorriso. «Non mi piace che mi vengano assegnati degli incarichi per poi scoprire che qualcun altro sta già svolgendo il lavoro» osservò acida la donna. Notando il sorriso del giovane, gli lanciò un'occhiataccia. La voce della donna divenne di ghiaccio. «Sai cosa fare se vuoi mantenere il posto, Martan. Vieni con me.» Con il sorriso cancellato dalla preoccupazione e rosso in viso, Martan la segui fuori dalla stanza. Moiraine guardò Siuan con apprensione, ma l'amica non aveva smesso di controllare le carte. «Continua a lavorare» le disse. «Se ci facciamo vedere abbastanza impegnate...» non terminò la frase. Era una piccola speranza, se il compito era già stato assegnato a degli scrivani, ma era tutto ciò che avevano. In pochi minuti riuscirono a iniziare a copiare nomi prima che arrivasse Tamra. Quel giorno l'Amyrlin indossava un abito di semplice seta azzurra, e rappresentava la calma delle Aes Sedai in carne e ossa. Nessuno avrebbe pensato che un'amica le fosse morta proprio davanti agli occhi solo due giorni prima, o che stesse aspettando la scoperta di un nome che avrebbe salvato il mondo. Tamra era tallonata dalla scrivana con i capelli grigi, che aveva un'espressione fin troppo soddisfatta, e dal giovane Martan, che rivolse un sorriso a Siuan e Moiraine. Avrebbe davvero perso il posto se lo avesse fatto troppo spesso. Moiraine balzò in piedi e fece una riverenza all'Amyrlin con tale velocità che dimenticò di avere la penna in mano. La sentì roteare e guardò turbata la macchia di inchiostro grande come una moneta spandersi sulla lana
bianca. Siuan fu altrettanto veloce, ma molto più ferma. Rammentò di appoggiare la penna sul vassoio prima di allargare la gonna. Calma, si disse Moiraine. Devo rimanere calma. Ripassare gli esercizi non le servi a molto. L'Amyrlin le studiò con attenzione, e quando Tamra esaminava qualcuno, anche le più dure e insensibili si sentivano soppesate e misurate. La sola cosa che riuscì a fare Moiraine fu non cambiare costantemente posizione. Di certo quello sguardo avrebbe scoperto tutti i loro piani. «Per voi due avevo pensato a una giornata libera, per leggere o studiare, a vostra scelta» disse lentamente l'Aes Sedai, sempre osservandole. «O forse per esercitarvi per i vostri esami» aggiunse, con un sorriso che non fece nulla per ridurre in loro la sensazione di essere giudicate. Dopo una lunga pausa annui. «Sei ancora turbata dalla morte dei tuoi zii, bambina?» «Ho avuto di nuovo gli incubi la scorsa notte, Madre.» Vero. Ma ancora una volta erano stati occupati da un bambino che piangeva fra la neve e un giovane uomo senza volto che spezzava il mondo mentre lo salvava. La fermezza della propria voce la stupì. Non pensava che avrebbe mai osato dare all'Amyrlin una risposta da Aes Sedai. Tamra annui ancora. «Molto bene: se pensi che ti faccia bene avere un'occupazione, puoi continuare. Quando la noia di copiare tutto il giorno diventerà insopportabile, lasciate un appunto con il lavoro che avete completato e manderò qualcuno a rimpiazzarvi.» Mentre si stava voltando, si fermò. «L'inchiostro è molto difficile da rimuovere, specialmente dal tessuto bianco. Non ti dirò di non incanalare per farlo; lo sai già.» Un altro sorriso, quindi si rivolse alla scrivana che stava lasciando la stanza. «Non c'è bisogno di essere tanto indignate, comare Wellin» disse per calmarla. Solo gli sciocchi disturbano gli scrivani; i loro errori, accidentali o intenzionali, possono provocare molto danno. «Sono sicura che hai cose molto più importanti da fare che...» la voce mutò in un mormorio mentre si allontanava nel corridoio. Moiraine sollevò la gonna per osservare la macchia. Si era espansa. Rimuoverla avrebbe richiesto ore di lavaggio con la varechina che bruciava le mani e non offriva nessuna garanzia di successo. «Mi ha appena detto di usare il Potere per pulirmi il vestito» osservò stupita. Le sopracciglia di Siuan erano a dir poco inarcate. «Non dire sciocchezze. Ho sentito bene come te, e non ha detto nulla di simile.» «Devi ascoltare il significato che le persone vogliono dare alle parole oltre a quello che dicono, Siuan.» Interpretare le intenzioni altrui significava
essere immerse nel Gioco delle Casate e, mettendo assieme il sorriso di Tamra, lo sguardo e il modo in cui aveva costruito la frase, si arrivava a considerare il tutto come un vero e proprio permesso scritto. Abbracciando il Potere lavorò un flusso d'Aria, Acqua e Terra, depositando la tessitura sulla macchia. Il fatto che alle Ammesse fosse vietato incanalare per svolgere i loro compiti non significava che non veniva insegnato loro come fare; per le Sorelle non esisteva un simile divieto, e spesso viaggiavano senza una cameriera. La macchia nera brillò, improvvisamente umida, e cominciò a rimpicciolire, salendo in superficie. Divenne sempre più piccola fino a ridursi a un fagiolo di inchiostro secco, che cadde nel palmo della mano di Moiraine. «Potrei tenerlo come ricordo» disse, appoggiandolo sul tavolo. Un promemoria per ricordare che Siuan aveva ragione. C'erano volte in cui le regole potevano essere infrante. «E se fosse entrata una Sorella?» le chiese asciutta Siuan. «Avresti tentato di dirle che era tutto parte del Gioco delle Casate?» Moiraine arrossi e rilasciò la Fonte. «Le avrei detto... le avrei detto... Dobbiamo parlarne adesso? Devono esserci tanti nomi quanti ne abbiamo trovati ieri, e mi piacerebbe finire prima che sia pronta la cena.» Siuan rise di cuore. Si poteva anche dire che il rossore sul viso di Moiraine le trasformava il volto in quello di un pagliaccio. Avevano scritto già per un'ora quando Moiraine trovò un appunto che le diede da pensare. 'Nato in vista di Montedrago', diceva, che era ridicolo come dire 'nato in vista della Torre', ma Willa Mandair aveva partorito un bambino, a ovest del fiume e nel giorno della premonizione di Gitara. Moiraine copiò la nota lentamente. Sollevando la penna alla fine, non la intinse di nuovo nell'inchiostro per passare al nome successivo, vergato nella grafia tremante di Ellid. Lo sguardo si spostò sul fagiolo nero. Lei era un'Ammessa, non una Sorella. Ma presto l'avrebbero convocata per l'esame. Bili Mandair era nato sulla riva del fiume e la madre poteva comunque vedere Montedrago, ma nulla che avesse scritto Ellid indicava quanto fosse lontano il campo dalla montagna. O vicino. La voce precedente riportava solo 'nato nell'accampamento di lord Ellisor, fuori Tar Valon'. La pagina bianca davanti a lei era solo parzialmente compilata, ma Moiraine prese lo stesso un altro foglio bianco e copiò i dati di Bili Mandair. Un nome umile, se ce n'era uno. Ma era più probabile che il Drago Rinato fosse figlio di un semplice soldato che di un signore. Improvvisamente notò che Siuan stava scrivendo in un libretto rilegato
in pelle abbastanza piccolo da entrare nel sacchetto appeso alla cintura, mentre teneva d'occhio la porta. «Devi essere sempre pronta» le disse l'amica. Annuendo, Moiraine le passò la pagina con un solo nome e la Tarenese copiò con cura l'informazione nel libretto. Il giorno seguente Moiraine avrebbe portato il suo. Quella giornata trovarono diversi nomi di bambini 'nati in vista di Montedrago', di cui parecchi a est del fiume Erinni. Moiraine se lo aspettava. La montagna era il punto di riferimento più facile per leghe. Era solo la lista del secondo giorno, e avevano aggiunto altri nove bambini al libro di Siuan. Luce, quanti altri nomi avrebbero raccolto prima di finire? Vi furono anche altre sorprese. Poco oltre la metà della mattinata, Jarna Malari entrò nella stanza, elegante in un abito di seta color grigio scuro, con delle striature bianche alle tempie che aggiungevano stile alla sua presenza autoritaria, zaffiri fra i lunghi capelli neri e altri attorno al collo. Le frange di seta dello scialle posato sulle spalle erano talmente lunghe che quasi toccavano il suolo. Jarna era un'Adunante delle Grigie. Le Adunanti di rado notavano le Ammesse, ma lei si diresse verso Moiraine. «Vieni un attimo con me, bambina.» Nel corridoio, Jarna camminò per un po' in silenzio e Moiraine ne fu contenta. Luce, cosa poteva volere un'Adunante da lei? Se si fosse trattato di un compito da eseguire glielo avrebbe comunicato subito. In ogni caso, le Ammesse non cercavano di mettere fretta alle Sorelle. Sarebbe stato come cercare di farlo con l'Amyrlin Seat. La corrente d'aria che faceva ondeggiare la fiamma della lampada non sembrava dare noia a Jarna, ma Moiraine avrebbe tanto voluto con sé il suo mantello. «Ho sentito dire che sei turbata dalla morte dei tuoi zii» disse alla fine l'Adunante. «È comprensibile.» Moiraine emise un verso che sperò venisse scambiato per assenso. Le risposte da Aes Sedai andavano bene, ma voleva evitare di mentire apertamente. Se poteva. Cercò di allungarsi al massimo, ma con la testa arrivava solo alla spalla dell'altra donna. Cosa voleva da lei? «Temo che gli affari di Stato non si fermino mai per il nostro lutto. Dimmi, bambina, quale componente della casata Damodred credi ascenderà al trono del Sole, adesso che Laman e i suoi fratelli sono morti?» Moiraine inciampò mentre camminava, e sarebbe caduta se Jarna non l'avesse sorretta. Un'Aes Sedai le chiedeva la sua opinione sulla politica? Era vero che si trattava della sua terra natia, ma le Adunanti conoscevano
la politica delle altre nazioni meglio degli stessi governanti. Gli occhi marroni e vacui di Jarna la fissarono sereni, con pazienza. Aspettava. «Non ho pensato minimamente alla faccenda, Aes Sedai» rispose Moiraine. «Forse il trono del Sole passerà a un'altra casata, ma non saprei dire quale.» «Forse» mormorò l'altra, socchiudendo leggermente gli occhi. «La casata Damodred ha una brutta reputazione, e Laman l'ha peggiorata ancora.» Moiraine aggrottò le sopracciglia e cercò subito di ritornare a un'espressione serena, sperando che Jarna non l'avesse notata. Era vero. Suo padre era stato il solo a non avere un carattere malvagio, fra uomini e donne. Le generazioni precedenti erano state altrettanto crudeli, se non di più. Le azioni della casata Damodred avevano gettato cattiva luce sul nome, ma non le piaceva sentirlo dire. «Il tuo fratellastro, Taringail, non può subentrare per via del matrimonio con la regina di Andon» prosegui Jarna. «Una legge ridicola, ma non può cambiarla a meno che non diventi re e non può diventare re se la legge non viene cambiata. Cosa mi dici delle tue sorelle maggiori? Non hanno una buona reputazione? Il... contagio... sembra aver saltato la tua generazione.» «Sono ben volute, ma non abbastanza per il trono» rispose Moiraine. «Ad Anvaere interessano solo i cavalli e la caccia con i falchi.» E una volta sul trono del Sole nessuno si sarebbe fidato del suo carattere, molto peggiore di quanto fosse mai stato quello di Moiraine. Era qualcosa che avrebbe detto solo a Siuan. «Se Innloine ottenesse il trono, gli affari di Stato di chiunque passerebbero in secondo piano, preceduti dai giochi con i suoi bambini.» Innloine era una madre amorevole ma, a dir la verità, non era brillante, anche se molto ostinata. Una combinazione pericolosa, per un governante. «Non verrebbero sostenute da nessuno per il trono, Aes Sedai, neppure nella casata Damodred.» Jarna osservò a lungo gli occhi di Moiraine, rammentandole Meilyn quando le aveva detto che le Aes Sedai non erano in grado di leggere il pensiero. Non poté fare altro che sostenere quello sguardo con paziente e apparente franchezza. Con la fervente speranza che Meilyn non avesse trovato il sistema di aggirare i Tre Giuramenti. «Vedo» disse alla fine Jarna. «Puoi tornare al tuo lavoro, bambina.» «Cosa voleva?» le chiese Siuan quando Moiraine fece ritorno alla stanza. «Non ne sono sicura» rispose lentamente. Era la prima bugia che avesse mai detto a Siuan. Aveva paura di conoscere fin troppo bene le intenzioni
di Jarna. Per quando ebbero finito di copiare i nomi, e depositato i fogli sul tavolo intagliato con delle rose che una volta era stato di Gitara, nella spaziosa anticamera dello studio dell'Amyrlin si erano presentate altre sei Adunanti per parlare con Moiraine. Una da ogni Ajah, tutte più o meno con le stesse domande. Tsutama Rath, bellissima e dagli occhi tanto duri da far sussultare Moiraine, le aveva rivolto la domanda direttamente. «Non hai mai pensato» le aveva chiesto casualmente, giocando con le frange rosse dello scialle, «di diventare regina di Andor?» In questo modo lei ebbe dei nuovi incubi, oltre a quello del bambino e dell'uomo senza volto. Era seduta sul trono del Sole con indosso lo scialle da Aes Sedai e, nelle strade, la folla distruggeva la città. Nessuna Sorella era stata regina per circa mille anni e, anche in precedenza, le poche che lo avevano ammesso apertamente se l'erano vista brutta. Ma se quello era l'obiettivo del Consiglio della Torre, come avrebbe potuto evitarlo? Solo lasciando la Torre non appena ottenuto lo scialle e rimanendo lontana fino a quando le faccende a Cairhien non si fossero risolte. Trascorse la maggior parte della notte insonne, pregando di essere esaminata presto. Anche il giorno seguente. Luce, non era pronta, ma doveva fuggire. Doveva trovare il modo. 7
Prurito Il giorno seguente portò qualche altro nome che rispettava i criteri di selezione, e molti con riferimenti a Montedrago come luogo di nascita. Moiraine capì che lei e Siuan non avrebbero mai visto la scritta 'nato sulle pendici di Montedrago'. Le Profezie del Drago erano note a molti, anche se spesso nel modo sbagliato, specialmente fra la gente comune, ma la connessione con la montagna si presentava anche nelle versioni meno credibili. Nessuna donna avrebbe mai voluto confessare di aver partorito un figlio che avrebbe potuto prima o poi incanalare il Potere, con tutto ciò che im-
plicava, a partire da un destino di follia e terrore. Tanto meno confessare di avere portato in grembo un figlio che sarebbe diventato il Drago Rinato. Non era possibile negare del tutto Montedrago, ma 'vicino la montagna' o 'in vista di Montedrago' era abbastanza sicuro. Il bambino che cercavano era di certo nascosto dietro quelle definizioni. Qualcuno avrebbe dovuto porre a quelle donne domande più specifiche, formulate con prudenza e rivolte con cautela. Moiraine ripassò mentalmente il delicato sondaggio per ottenere informazioni senza fornirne alcuna. Far insospettire una madre l'avrebbe indotta a mentire di nuovo. E probabilmente a fuggire non appena le avessero voltato le spalle. Si trattava di giocare il Daes Dae'mar avendo come posta il destino del mondo. Non proprio un incarico di suo gusto, ma come non provare a immaginarlo? Il mattino ricevette anche una visita di Tamra, che entrò improvvisamente nella stanza, proprio mentre Moiraine stava riponendo nel sacchetto appeso alla cintura il librettino di cuoio, dove aveva appena riportato un nuovo nome. Cercò di camuffare il movimento includendolo nella riverenza, una leggera goffaggine dovuta alla sorpresa. Pensò di averlo nascosto bene, ma trattenne il fiato mentre l'Amyrlin la studiava. L'altra donna aveva visto il libretto? Improvvisamente l'idea che fosse più facile chiedere perdono invece che un permesso le sembrò inconsistente. Scoprirlo non le avrebbe fatto guadagnare nulla. Probabilmente la conseguenza sarebbe stato il ritiro in campagna, al lavoro in una fattoria isolata dall'alba al tramonto, lontana dalle amiche e dagli studi, con il divieto di incanalare. Per le novizie e le Ammesse era la punizione più estrema, prima di essere cacciate per sempre. Più ancora delle vesciche sulle mani, a preoccuparla era la sospensione definitiva della caccia al bambino. «Pensavo che il lavoro di ieri sarebbe bastato ad annoiarvi» disse Tamra, e Moiraine riprese a respirare. «Te in particolar modo, Siuan.» Siuan arrossiva raramente, ma in questo caso accadde. Tutti sapevano che non le piaceva il lavoro d'ufficio. Copiare era la punizione che temeva di più. Moiraine intervenne: «La lista mi aiuta a governare i pensieri, Madre.» Una volta che cominciavi a dare risposte fuorvianti, venivano sempre più facili, anche davanti all'Amyrlin Seat. Per la verità i pensieri le balenavano ancora in mente quando meno se lo aspettava. Un bambino nella neve e un uomo senza volto. Il trono del Sole. Voleva pregare Tamra di bloccare quel piano, ma sapeva che sarebbe stato inutile. La Torre non era meno implacabile della Ruota stessa nelle sue
tessiture. In entrambi i casi i fili erano tante vite umane e il disegno che componevano era più importante dei singoli componenti. «Molto bene, bambine. Finché non ne risentono i vostri studi.» Tamra estrasse un documento ripiegato che Moiraine non aveva notato, sigillato con un cerchietto di cera verde. «Portalo a Kerene Nagashi. Dovrebbe essere nella sua stanza. Non darlo a nessun altra.» Come se avesse mai potuto fare una cosa simile! Alcune Ammesse si lamentavano, con molta calma e riservatezza, all'idea di dover risalire tutto il lungo corridoio che si snodava a spirale nella Torre, ma anche dovendo arrivare quasi in cima a Moiraine piacevano le commissioni che la portavano nelle residenze delle Ajah. Guardando come vivevano le persone si poteva imparare molto. Anche le Aes Sedai abbassavano la guardia, in quelle circostanze. Lo facevano quanto bastava per chi sapesse come ascoltare e osservare. Le aree delle Ajah erano identiche per numero di stanze e disposizione, ma i dettagli erano molto diversi. L'immagine di una spada era impressa su ognuna delle enormi lastre bianche del pavimento dell'Ajah Verde, in due dozzine di stili diversi, con una sola lama o a doppio filo, curve e dritte. Su ogni porta era incisa una spada con la punta rivolta verso l'alto, dorata per le stanze delle Adunanti e argentata o laccata per molte altre. Gli arazzi appesi alle pareti, fra alte lampade dorate con le basi lavorate in modo tale da assomigliare a delle alabarde, rappresentavano scene marziali, uomini a cavallo che attaccavano e momenti cruciali di battaglie famose, alteranti con stendardi di casate antiche provenienti da terre dimenticate da molto tempo, molti strappati e macchiati, conservati durante i secoli grazie all'uso dell'Unico Potere. Nessuna Aes Sedai aveva cavalcato in guerra fin dai tempi delle Guerre Trolloc, ma quando fosse giunta l'Ultima Battaglia, l'Ajah da battaglia sarebbe stata in prima linea. Fino a quel momento avrebbero combattuto per la giustizia ogni volta che la potevano ottenere tramite le spade dei loro Custodi, ma sarebbe servito solo a riempire il tempo in attesa di Tarmon Gai'don. Un'altra differenza era data dalla quantità di uomini. E non si trattava di uomini qualsiasi. Custodi. Alti o bassi, grossi o magri, alcuni anche molto robusti, si muovevano come leoni o leopardi. Nessuno indossava il mantello distintivo quando si trovavano all'interno dell'edificio, ma quell'indumento era solo un'aggiunta inutile per un occhio attento. I Custodi erano visibili in ogni ala riservata alle Ajah, tranne in quella Rossa, ma molti avevano delle stanze nelle baracche dei soldati o in città. I Custodi delle
Verdi invece spesso condividevano l'appartamento con le Sorelle! Uno di loro, con gli occhi azzurri e la bassa statura compensata dalla corporatura robusta, le lanciò un'occhiata mentre passava velocemente, come se stesse svolgendo qualche incarico. Altri tre riuniti si azzittirono nel vederla avvicinarsi, riprendendo la conversazione non appena si allontanò. Uno aveva dei campanelli d'argento nella treccia di capelli scuri, particolare tipico dell'Arafel, l'altro portava i baffi folti caratteristici di Tarabon e il terzo era molto scuro, forse Tarenese o del sud di Altara, ma oltre la grazia dei loro movimenti c'era un'altra cosa che li accomunava, e che condividevano con tutti gli uomini presenti nella Torre. Una volta, mentre cacciava con i falchi assieme alla cugina, Moiraine aveva guardato negli occhi di un'aquila, con la collottola di piume nere attorno alla testa. Incontrare lo sguardo di un Custode procurava lo stesso effetto. Non era selvaggio, ma molto sicuro, del tutto consapevole delle proprie doti e della propria capacità di commettere violenza. Eppure era una violenza contenuta, disciplinata dalla volontà di quegli uomini e dal legame con le Aes Sedai. Nella Torre si limitavano a trascorrere la loro giornata in attesa. Un uomo magro con il capo rasato a eccezione del codino shienarese riposava appoggiato al muro con una gamba, accordando un violino e ignorando le prese in giro bonarie di un altro Custode, il quale gli stava dicendo che lo strumento emetteva il suono di un gatto bagnato preso in una rete. Altri due, in camicia, si esercitavano con le spade di legno in un'area ampia del corridoio, e le fascine tremavano a ogni colpo. Rima Hafden, che faceva sembrare grazioso il suo volto squadrato ed elegante e aggraziata la corporatura grossa, li incoraggiava con un bel sorriso gridando: «Bel colpo, Waylin! Oh, gran bella mossa, Elyas!» A giudicare dalla mole potevano essere fratelli, ma uno era scuro e ben rasato, l'altro chiaro di carnagione, con una corta barba. Sorridendo, si mossero sempre più veloci. Le camicie intrise di sudore erano appiccicate alle schiene, ma i due sembravano freschi e riposati. Da una porta arrotondata Moiraine vide un Custode che suonava una melodia con un flauto mentre Jala Bandevin, una donna con i capelli grigi, imponente anche se molto bassa - più di Moiraine - cercava di insegnare a un altro Custode i passi per un ballo di corte. Doveva essere nuovo, un ragazzo timido con i capelli biondi che non aveva più di vent'anni, anche se nessun uomo otteneva il legame a meno che non avesse già le capacità necessarie. Tutte tranne la danza.
La porta di Kerene, con una spada laccata in rosso, oro e nero, era aperta, e ne proveniva il suono d'una musica allegra. Moiraine non conosceva il significato delle laccature o dei colori, e sospettava che non lo avrebbe mai saputo a meno che non fosse diventata Verde. Non sarebbe accaduto, ma non le piaceva non essere informata. Una volta che aveva identificato qualcosa che non sapeva, l'ignoranza diventava un prurito dietro le scapole, in un punto irraggiungibile. Ancora una volta rimosse il pensiero delle spade, insieme a molti altri scaturiti da cose che aveva notato fra le stanze delle varie Ajah. Il prurito si alleviò, ma si sarebbe ripresentato alla porta successiva. I pochi arazzi nella stanza di Kerene rappresentavano scene di guerra e caccia, ma la maggior parte dello spazio sulle pareti era riservato a librerie intagliate nello stile di una mezza dozzina di nazioni diverse. Insieme ai libri vi era appoggiato il teschio di un leone, quello ancora più grande di un orso, delle ciotole smaltate, vasi di diverse forme, pugnali adornati di gemme e oro e stiletti con l'elsa di legno, uno dei quali con un mozzicone di lama. Il martello di un fabbro con il battente separato in due era sistemato vicino a una ciotola di legno rotta in cui era depositato un solo granato, bello abbastanza da poter essere montato su una corona. Un orologio a pendolo con le lancette ferme a poco prima di mezzogiorno (o mezzanotte) era sistemato vicino a un guanto dal dorso di acciaio macchiato di un nero che Moiraine pensò fosse sangue. Erano tutti cimeli di oltre cento anni di scialle. I ricordi del periodo precedente erano pochi. Solo una fila di miniature dipinte sulla mensola intagliata del camino, che mostravano un uomo in abiti semplici e dignitosi, una donna paffuta e sorridente, due bambini e tre bambine. Era la famiglia di Kerene, seppellita da molto tempo con i figli, i nipoti, i pronipoti, i figli di questi ultimi e altri ancora. Era quello il dolore che le Aes Sedai si portavano dentro. I tuoi cari morivano e tutto quello che conoscevi svaniva. Tranne la Torre. La Torre Bianca sopravviveva sempre. Due dei Custodi di Kerene si trovavano nella stanza con lei. Il grosso Karile, con i capelli e la barba che lo facevano assomigliare a un leone con la criniera dorata, stava leggendo un libro davanti al camino, con i piedi appoggiati sui parafuoco di ottone, e dalla sua pipa spuntava un pennacchio di fumo azzurro. Stepin, che sembrava più uno scrivano che un Custode, con le spalle strette e tristi occhi marroni, sedeva su uno sgabello mentre suonava una giga con un tarabuso a dodici corde, e le sue dita scat-
tavano agili come quelle di un qualsiasi musicista. Nessuno dei due interruppe le proprie attività all'arrivo dell'Ammessa. Kerene era in piedi e lavorava a un ricamo montato su un telaio. Sembrava sempre strano vedere una Verde impegnata in un simile compito. Specialmente quando, come ora, il soggetto era una distesa di fiori selvatici. Come poteva quell'attività andare d'accordo con le scene di violenza e morte che decoravano le pareti? Kerene era alta e snella e assomigliava esattamente a ciò che era, il volto senza i segni dell'età forte e bellissimo, gli occhi quasi neri come pozze di serenità. Anche nella Torre indossava un abito da cavallo con le gonne divise striate di verde smeraldo; i capelli scuri, con dei leggeri tocchi di bianco, erano più corti di quelli di Karile e Stepin, le arrivavano sopra le spalle ed erano intrecciati. Sicuramente erano più facili da tenere in ordine durante i viaggi. Kerene non si tratteneva mai a lungo nella Torre. Appoggiò l'ago sul telaio, prese la lettera e ruppe il sigillo verde con il pollice. Tamra sigillava sempre i messaggi destinati alle Sorelle con il colore dell'Ajah di appartenenza. Qualunque cosa avesse scritto l'Amyrlin, fu letto rapidamente e l'espressione di Kerene non cambiò, ma prima che la Verde finisse di leggere Stepin appoggiò il tarabuso contro il tavolo e iniziò ad abbottonarsi la giubba. Karile ripose il libro sullo scaffale, rimosse la brace dalla pipa facendola cadere nel camino e infilò la pipa in una tasca. I due uomini si misero in attesa, pronti. A dispetto degli occhi tristi, Stepin non sembrava più uno scrivano. Erano entrambi leopardi in attesa del comando per iniziare la caccia. «Devo attendere la risposta, Aes Sedai?» chiese Moiraine. «La porto io, bambina» rispose Kerene, incamminandosi verso la porta con un passo rapido che fece frusciare la gonna di seta. «Tamra mi vuole con urgenza,» disse rivolgendosi ai Custodi, che le andavano dietro come segugi «ma non ha spiegato perché.» Moiraine si concesse un breve sorriso. Come con gli inservienti, le Aes Sedai spesso dimenticavano che le Ammesse avevano le orecchie. A volte il modo migliore di scoprire qualcosa era rimanere in silenzio e ascoltare. Mentre si dirigeva di nuovo verso il corridoio pieno di correnti d'aria che discendeva a spirale pensando a quanto aveva sentito e cercando di ignorare il freddo, Siuan la raggiunse di corsa. Non c'erano Sorelle in vista, ma era sempre meglio... «Un altro messaggio» spiegò la Tarenese. «Per Aisha Raveneos. Continuava a parlare di qualcosa di urgente, facendolo apparire come una ri-
chiesta. Scommetto che si trattava dello stesso messaggio che hai consegnato a Kerene. Cosa pensi che possa volere Tamra da una Grigia e una Verde assieme?» Le Grigie si occupavano di giustizia e mediazione, quando bisognava ricorrere alla legge piuttosto che alle spade, e la reputazione di Aisha era la rigida osservanza del codice, senza riguardo per i propri sentimenti, che fossero di pietà o disprezzo. Un tratto che condivideva con Kerene, ed entrambe le donne avevano indossato lo scialle per molto tempo, anche se forse questo era irrilevante. Moiraine non era brava con i rompicapo come Siuan, e ora le sembrava quasi di giocare al Gioco delle Casate. Si guardò intorno circospetta, lanciandosi anche un'occhiata alle spalle. Una cameriera stava spuntando gli stoppini di una lampada in fondo al corridoio, e due uomini in livrea stavano trafficando con uno degli arazzi. Ancora nessuna Sorella in vista, ma abbassò comunque la voce. «Tamra vuole... cercatrici... per trovare questo bambino. Oh, questo cambia tutto. Mi ero sbagliata, Siuan. E tu avevi ragione.» «Torto e ragione su cosa? Cosa ti fa pensare che stia convocando delle cercatrici?» Come era possibile che la sua amica fosse tanto brava con i rompicapo e non riuscisse a vedere il disegno in quelle convocazioni? «Cosa potrebbe essere più urgente per Tamra che trovare il bambino?» chiese paziente. «O più segreto, tanto da non scrivere il motivo della convocazione? Questa riservatezza significa che non pensa di potersi fidare delle Rosse. Su questo avevi ragione. Oltre a ciò, quante Sorelle inizialmente negheranno che il bambino è veramente quello profetizzato? Specie se viene scoperto prima che sia adulto e in grado di incanalare? No. Vuole usare le Sorelle per cercarlo. Mi ero sbagliata nel pensare che sarebbe stato portato alla Torre. Qui sarebbe esposto alle Rosse e a Sorelle delle quali forse non ci si può fidare. Una volta trovato, Tarara lo farà nascondere. La sua istruzione verrà affidata alle cercatrici, le donne di cui si fida maggiormente.» Siuan si diede una manata in fronte. «Penso che mi scoppierà la testa» mormorò. «Hai dedotto tutto da due messaggi e non sai nemmeno cosa riportavano.» «So una cosa che c'era scritta e una che non c'era scritta. Si tratta solo di vedere il disegno celato e mettere insieme i pezzi, Siuan. Tu dovresti essere in grado di farlo facilmente.» «Davvero? Ellid mi ha dato il rompicapo di un fabbro la scorsa settimana, dicendomi che l'aveva annoiata, ma io credo che in realtà non riuscisse
a risolverlo. Ci vuoi provare tu?» «Grazie, no» ripose educatamente Moiraine e poi, dopo l'ennesima occhiata per controllare che non ci fossero Sorelle in giro, fece una linguaccia all'amica. Il giorno seguente Tamra inviò altri tre messaggi. Il primo a Meilyn Arganya, il secondo a Valera Gorovni, una piccola Marrone paffuta che aveva sempre sulle labbra un sorriso che sembrava esplosivo anche quando era immobile, e il terzo a Ludice Daneen, un'ossuta Gialla dal lungo viso scarno incorniciato da treccine con le perline colorate nello stile di Tarabon, che le arrivavano alla vita. Nessuna aveva rivelato la minima parte del contenuto del messaggio, ma tutte e tre avevano indossato lo scialle per oltre cento anni e condividevano la reputazione di aderire strettamente alla legge. Moiraine lo interpretò come una conferma, e anche Siuan cominciava a crederle. Cinque Sorelle sembravano poche per avviare la ricerca del bambino giorno dopo giorno i nomi aggiunti nel libretto aumentavano - ma Tamra non inviò altri messaggi. Almeno, non tramite loro due. Aeldra Najaf era stata eletta Custode degli Annali per rimpiazzare Gitara e forse era stata lei a consegnarli o, più probabilmente, aveva inviato una novizia. Per un certo periodo Moiraine e Siuan cercarono di mantenere un controllo discreto sullo studio e gli appartamenti dell'Amyrlin, facendo a turno per osservare dalla soglia, ma Tamra riceveva un flusso regolare di visite. Le Adunanti potevano non essere prese in considerazione, visto che raramente lasciavano la città quando avevano un posto nel Consiglio della Torre, ma ognuna delle altre avrebbe potuto essere una cercatrice. O forse no. Era molto frustrante per Moiraine, quel prurito fra le scapole, proprio dove le dita non arrivavano. Presto rinunciarono ai tentativi di spiare i movimenti delle Aes Sedai. In primo luogo non sembrava avere molto senso. Inoltre, con una sola delle due a copiare, l'esame dei nomi procedeva molto a rilento. Aeldra era ritornata nello studio dell'Amyrlin e aveva visto Moiraine che si sporgeva dalla soglia. I capelli bianchi erano la sola similitudine fra Aeldra e Gitara, e la prima li portava corti come Kerene. La nuova Custode era magra, la pelle ramata era indurita per via dell'esposizione al sole e al vento, e quelle caratteristiche, insieme alla mascella sottile e al naso affilato, garantivano che nessuno l'avesse mai definita bella. Il solo gioiello che indossava era il Gran Serpente, l'abito era di lana azzurra, ben lavorato ma di taglio semplice, e
la stola azzurro scuro era molto piccola. Una donna decisamente diversa da Gitara. «Che cosa stai guardando, bambina?» chiese gentilmente. «Solo le Sorelle che vanno avanti e indietro dallo studio dell'Amyrlin, Aes Sedai» rispose Moiraine. Ogni parola era vera. «Ne abbiamo il tempo, Aes Sedai, e questo lavoro mi impegna la mente in maniera diversa.» Anche questo era vero. La ricerca del bambino le occupava tutta la mente e non lasciava spazio per altri pensieri. Un leggero cipiglio fece aggrottare la fronte di Aeldra, che appoggiò una mano sulla guancia di Moiraine, come se le controllasse la temperatura. «Quei brutti sogni ti disturbano ancora? Alcune delle Marroni sanno molto sulle erbe. Sono sicura che se lo chiedi potrebbero darti qualcosa per dormire.» «Verin Sedai lo ha già fatto.» Il composto aveva un sapore disgustoso, ma l'aiutava a dormire. Era un peccato che non l'aiutasse a dimenticare gli incubi che sopraggiungevano con il sonno. «I sogni non sono tanto brutti adesso.» A volte non c'era modo di evadere le domande. «Bene.» Il sorriso ritornò sul volto di Aeldra, ma la donna agitò un dito ammonitore davanti al naso di Moiraine. «Comunque sognare a occhi aperti su una soglia non è bello per le Ammesse, bambina. Se ti scopro ancora a farlo dovrò prenderne nota. Mi capisci?» «Sì, Aes Sedai.» Non l'avrebbe più fatto. Moiraine sentiva che avrebbe potuto mettersi a gridare, con tutto quel prurito. 8
Frammenti di serenità Non avevano modo di evitare le lezioni private con le Sorelle. Non che Moiraine e Siuan lo volessero, ma le molte ore trascorse sedute a scrivere le lasciavano sorprendentemente stanche, e con il poco tempo libero concentrato dopo cena. Le Ammesse uscivano ancora tutti i giorni all'alba, anche se molte si lamentavano - quando non c'erano Aes Sedai che le sentis-
sero. Le due amiche accettavano le lezioni quando venivano offerte. Alcune Sorelle si rifiutavano, dicendo che avrebbero insegnato di nuovo quando non avessero più dovuto occuparsi delle novizie al posto di altre Ammesse. La situazione non era gradita da fin troppe Aes Sedai. Le voci di corridoio dicevano che erano state inviate diverse richieste all'Amyrlin per fare ritorno alle solite abitudini, ma se era vero Tamra le aveva rifiutate tutte. I volti delle Sorelle rimanevano una maschera di serenità, ma spesso gli occhi anche di quelle più tranquille lampeggiavano di un fuoco che faceva strillare le novizie e fuggire le Ammesse. Nel cuore del freddo inverno, la Torre sembrava febbricitante. Siuan non parlava mai delle proprie esperienze, ma Moiraine si accorse che anche lei attirava occhiatacce da quasi tutte le Aes Sedai che incontrava, e avrebbe dovuto capirne il motivo. A differenza delle altre Ammesse, loro due avrebbero potuto insegnare alle novizie e avere le loro lezioni in orari più ragionevoli, ma alcune Sorelle che di solito insegnavano di notte dicevano di essere impegnate quando una delle due amiche programmava una lezione. Le Aes Sedai potevano essere meschine come chiunque altro, anche se nessuna Ammessa l'avrebbe detto ad alta voce. Moiraine sperava che quei piccoli screzi finissero presto. Un'irritazione insignificante a volte si trasformava nell'antagonismo di una vita. Ma cosa poteva fare? Scusarsi umilmente con quelle che sembravano molto arrabbiate, pregare che fossero indulgenti con lei e sperare. Non avrebbe rinunciato a lavorare sulla lista. Non tutte le Sorelle erano così riluttanti. Aveva visto Kerene per discutere i pochi fatti relativamente noti dell'impero di Artur Hawkwing, Meilyn la aveva esaminata sull'antico scrittore Willim di Manaches e sulla sua influenza sul filosofo della Saldea Shivena Kayenzi, mentre Aisha l'aveva interrogata sulle differenze nella struttura della legge fra lo Shienar e l'Amadicia. Erano il tipo di lezioni che riceveva in quella fase. Ciò che potevano insegnarle del Potere, e ciò che poteva imparare a riguardo - non sempre le due cose coincidevano - era stato trasmesso nei mesi precedenti. Se fosse stata ardita avrebbe chiesto a quelle Aes Sedai cosa ci facevano ancora nella Torre. Perché non erano a caccia dei nomi sulla lista? Perché? Ma conosceva la risposta. Quella che doveva essere la risposta. Non ce n'era una migliore. Semplicemente, non avevano fretta. Togliere subito il bambino alla madre sarebbe stato crudele. Forse pensavano di avere anni a disposizione per trovarlo, ma, se quello era il caso, non avevano ancora visto la lista, con tutte quelle note senza nemmeno il nome di un villaggio.
Forse attendevano che fosse completa. Lei sperava che vi fossero altre cercatoci, perché Siuan le aveva detto che Valera e Ludice erano ancora nella Torre. Nessuna fretta? Moiraine ardeva dall'agitazione. Le voci sostenevano che la battaglia continuava, molte leghe a sudest, ma si trattava solo di rappresaglie, anche se si raccontava che alcune erano state feroci. Apparentemente nessuno fra i comandanti dell'esercito della Coalizione voleva fare troppa pressione su gente pericolosa che, dopotutto, stava ritirandosi. Quest'ultima notizia proveniva dalle Aes Sedai. Le voci dicevano che molti degli uomini del Murandy e di Altara se ne erano già andati verso sud, a casa, e che quelli di Amadicia e Ghealdan avevano in programma di imitarli presto. Sempre le stesse voci aggiungevano che c'erano noie nella Macchia e che gli uomini delle Marche di Confine presto si sarebbero diretti a nord. Sembrava che le Aes Sedai non prestassero attenzione a queste dicerie. Moiraine cercava di introdurre l'argomento con loro, ma... «Le voci sono irrazionali e qui non hanno spazio, bambina» le aveva spiegato Meilyn con fermezza, lo sguardo sereno sopra la tazza che stringeva fra le dita. «Ora, quando Shivena dice che la realtà è un'illusione, da quale parte dell'opera di Willim deriva una tale conclusione, e qual è la sua posizione in materia?» «Se vuoi parlare di voci, falle diventare delle voci su Hawkwing» aveva risposto Kerene con tono brusco. Giocava sempre con uno dei suoi pugnali mentre insegnava, usandoli per indicare. Quella sera era il pugnale da cinturone di un pover'uomo, talmente vecchio che l'impugnatura di legno era spaccata e deformata. «Solo la Luce lo sa: la metà di quanto conosciamo sono dicerie.» Aisha aveva sospirato e le aveva puntato contro un dito, gli occhi marroni che si facevano di colpo duri. Una donna dal volto semplice che poteva passare per la moglie di un contadino, indossava molti gioielli, orecchini con grossi granati, lunghe collane di smeraldi e rubini, ma sulle mani portava solo il Gran Serpente. «Se non riesci a concentrarti sulle faccende attuali, forse una visita da Merean sarebbe appropriata. Sì, penso che si possa dire così.» Non far capire loro che c'era fretta le sembrava impossibile! Tutto quello che Moiraine poteva fare era aspettare. E esercitarsi a non digrignare i denti. Luce, sperava che l'esame giungesse presto. Con lo scialle sulle spalle avrebbe lasciato la Torre e iniziato la ricerca del bambino come una freccia che si librava dall'arco. Presto, ma non prima di aver raccolto tutti i nomi.
Oh, era un tale dilemma! Negli alloggi delle Ammesse circolavano più voci del solito, anche se non riguardavano chi avesse discusso con chi, o quale Verde si comportasse in maniera scandalosa con il suo Custode. Le storie arrivavano dai soldati, dagli uomini e le donne nei campi, e riguardavano la battaglia, gli uomini che erano morti eroicamente e quelli che da eroi ancora vivevano. Di questi ultimi si parlava molto; uno di loro avrebbe potuto avere le qualità utili a un Custode, un argomento molto discusso fra le Ammesse, tranne quelle che volevano diventare Rosse. C'erano storie sugli accampamenti in disfacimento, anche se nessuno sapeva se stessero dirigendosi a est seguendo l'esercito che ritornava a casa, e racconti di gruppetti rimasti indietro per essere certi che i nomi di tutte le donne venissero raccolti per la ricompensa della Torre. Almeno quest'ultima parte riduceva le possibilità che la madre giusta se ne andasse senza essere registrata, ma se il nome era già stato preso e la donna se n'era poi andata, sarebbe stata ancora facile da trovare? Moiraine avrebbe voluto gridare per la frustrazione. Ellid Abareim aveva saputo qualcosa riguardo un'Aes Sedai, e insisteva che non si trattava di una diceria. «Ho sentito Adelorna parlarne a Shemaen» spiegò sorridendo. Sorrideva sempre quando si specchiava e, quando sorrideva, sembrava sempre che si specchiasse. Una folata di brezza fece ondeggiare i capelli biondo oro che incorniciavano quel volto perfetto. Gli occhi ricordavano dei grossi zaffiri, la pelle faceva pensare a una crema. La sola pecca che Moiraine aveva identificato nel suo aspetto era il seno troppo florido. Era molto alta, quasi quanto gli uomini, che le sorridevano sempre, quando non la guardavano sfrontati. Le novizie le gravitavano intorno, e troppe sciocche fra le Ammesse la invidiavano. «Adelorna asserisce che Gitara ha previsto l'avvento di Tarmon Gai'don con le Sorelle che sono in vita ora. Non posso aspettare. Capite, voglio scegliere l'Ajah Verde.» Tutte le ammesse lo sapevano. «Voglio avere sei Custodi al momento dell'Ultima Battaglia.» Le Ammesse sapevano anche questo. Ellid diceva sempre a tutti quello che voleva fare. E di solito riusciva anche a farlo. Non sembrava giusto. «Quindi,» disse sommessamente Moiraine quando Ellid si unì alle altre per cena «Gitara ha avuto altre premonizioni. Almeno una, e forse anche di più.» Siuan aggrottò le sopracciglia. «Sappiamo già che l'Ultima Battaglia sta giungendo.» Rimase in silenzio al passaggio di Katerine e Sarene, che discutevano se fossero o meno troppo stanche per mangiare, quindi prosegui.
«Cosa importa se Gitara ha avuto una dozzina di premonizioni, o anche cento?» «Siuan, ti sei mai chiesta come fa Tamra a essere certa che questo sia il momento giusto, che il bambino nascerà ora? Secondo me è molto probabile che almeno una delle altre preveggenze parlasse di lui. Qualcosa che, aggiunto a quanto abbiamo sentito noi, ha indicato all'Amyrlin che questo è il momento.» Stavolta fu Moiraine ad aggrottare la fronte, pensierosa. «Sai come funzionava la preveggenza per Gitara?» Agiva diversamente con donne differenti, incluso il modo in cui si manifestava. «Da come ha parlato poteva essere nato proprio in quell'istante. Forse è stato proprio rendersene conto all'improvviso che l'ha uccisa.» «La Ruota gira come vuole» rispose cupa Siuan, quindi si scosse. «Luce! Andiamo a mangiare. Hai ancora bisogno di esercitarti.» Avevano ripreso a prepararsi per l'esame e Myrelle continuava ad aiutarle, quando non era tanto stanca da doversi coricare subito dopo cena. A volte anche prima. Era così per molte altre Ammesse, tanto che nelle gallerie scendeva il silenzio molto prima che venissero spente le lampade. Le esercitazioni furono scadenti per Moiraine, specialmente all'inizio. La prima sera Elaida era entrata nella sua stanza mentre lei sopportava i tormenti di Siuan e Myrelle sul tappeto a fiori. Il fuoco era al massimo consentito dal piccolo camino, ma si poteva dire tutt'al più che la fiamma riduceva leggermente il freddo. Se non altro, non si gelava. «Sono contenta di vedere che non usi la scusa del lavoro per evitare l'esercizio» osservò la Sorella Rossa. Dal tono di voce si capiva che era sorpresa dalla scena, e la parola 'lavoro' era infusa di disgusto. L'abito era ancora una volta rosso e indossava lo scialle come se vi fosse una ricorrenza formale. Appartandosi in un angolo di fronte a Moiraine, incrociò le braccia sotto il seno e disse: «Continua. Voglio osservare.» Lei non poté fare altro se non obbedire. Forse spronate dalla presenza di Elaida, Siuan e Myrelle fecero del loro meglio, il che comportò subire i peggiori schiaffi e pizzichi, colpi improvvisi vicino alle orecchie e frustate sulle gambe, proprio nei momenti di maggiore concentrazione. Moiraine cercò di non guardare Elaida, ma la Sorella si trovava in un punto dove non poteva fare a meno di vederla. Lo sguardo critico dell'Aes Sedai la innervosiva, ma forse allo stesso tempo la ispirò. O la stimolò. Concentrandosi su se stessa, su tutto quello che aveva, riuscì a completare sessantuno tessiture prima che la sessantaduesima crol-
lasse in un groviglio di Terra, Aria, Acqua e Spirito che le lasciò la pelle vischiosa fino a quando non si dissolse. Non una prova bellissima, ma nemmeno terribile. Aveva quasi completato tutte e cento le prove in numerose occasioni, ma aveva portato a termine con successo l'esercizio solo due volte, di cui una con estremo sforzo. «Pietosa» osservò Elaida, fredda come il ghiaccio. «Non supererai mai l'esame in queste condizioni, e io voglio che tu passi. Ce la farai, o ti costringerò a spellarti da sola e a ballare a ossa scoperte prima di essere mandata via. Voi due siete delle pessime amiche, se è così che l'aiutate. Noi sì che sapevamo come esercitarci, quando eravamo Ammesse.» Indirizzando Siuan e Myrelle nell'angolo dove si trovava lei, prese il loro posto al tavolo. «Adesso vi mostro come si deve fare. Di nuovo, bambina.» Umettandosi le labbra, Moiraine le voltò la schiena. Myrelle le sorrise incoraggiante e Siuan annui, ma lei vedeva che erano preoccupate. Cosa avrebbe fatto Elaida? Moiraine iniziò. Non appena abbracciò il Potere, davanti agli occhi cominciarono a passarle dei lampi di luce. Esplosioni e fischi le perforavano le orecchie. Colpi simili a cinghiate la tormentavano in continuazione. Era tutto incessante, senza tregua fino a quando non completava una tessitura e, dopo una breve pausa, iniziava da capo. Per tutto il tempo Elaida arringò Moiraine con un tono di voce freddo e spietato. «Più veloce, bambina. Devi lavorare i flussi più velocemente. La tessitura deve quasi saltare verso la completezza. Più veloce. Più veloce.» Rimanendo attaccata con le unghie alla propria serenità, Moiraine raggiunse solo la dodicesima tessitura prima di perdere concentrazione. Non solo la tessitura crollò, ma Moiraine perse del tutto il contatto con saidar. Battendo le palpebre cercò di schiarirsi la vista e scacciare le lacrime. Le faceva male dappertutto, dalle spalle alle caviglie, come se fosse cosparsa di lividi: le ferite delle frustate pulsavano, il sudore bruciava. Nelle orecchie sentiva uno scampanellio costante. «Grazie, Aes Sedai» disse subito Siuan. «Adesso abbiamo visto cosa dobbiamo fare.» Myrelle aveva i pugni serrati, il volto cinereo e gli occhi sgranati dall'orrore. «Di nuovo» ordinò Elaida. Moiraine dovette fare ricorso a tutte le sue forze per voltarle la schiena ancora una volta. La sola differenza fu che stavolta completò solo nove tessiture. «Di nuovo» ingiunse l'Aes Sedai. Al terzo tentativo completò sei tessiture e al quarto tre. Il sudore le imperlava il viso. Dopo un po' i lampi luminosi e i fischi sembrarono un fa-
stidio secondario. Solo le cinghiate incessanti importavano. I colpi e il dolore infinito. Al quinto tentativo cadde in ginocchio piangendo alla prima scarica di colpi. La grandinata si fermò immediatamente, ma Moiraine, ripiegata su se stessa, singhiozzava come se non dovesse smettere più. Oh, Luce, non aveva mai sofferto tanto dolore. Mai. Non si era nemmeno accorta che Siuan si era inginocchiata vicino a lei fino a quando l'amica non le chiese gentilmente: «Puoi alzarti, Moiraine?» Sollevando il capo dal tappeto fissò il volto preoccupato di Siuan. Con uno sforzo che non riconobbe come suo, riuscì ad assumere il controllo sul pianto, quindi annui e iniziò a sollevarsi. I muscoli indolenziti non volevano collaborare. Ogni movimento creava attrito contro le ferite intrise di sudore, devastandola con una bruciante agonia. «Sopravvivrà» disse secca Elaida. «Un po' di dolore stanotte le servirà di lezione. Devi essere veloce! Ritornerò domani mattina per guarirla. Adesso tocca a te, Siuan. Aiutala ad andare a letto e comincia.» Siuan impallidì, ma quando un'Aes Sedai ordinava qualcosa... Moiraine non voleva guardare, ma la sua amica vi era stata costretta, per cui mantenne gli occhi aperti solo grazie alla forza di volontà. Le veniva voglia di ricominciare a piangere. Quando si esercitavano Siuan riusciva a completare ogni tessitura malgrado i tentativi di Moiraine. Non sbagliava mai, se non verso la fine. Quella sera, sotto il rigido controllo di Elaida, riuscì a farne venti la prima volta. La seconda diciassette, e quattordici la terza. Il volto era sbiancato e madido di sudore. Respirava a fatica. Ma non versava una lacrima. Quando falliva una tessitura iniziava da capo senza nemmeno un momento di pausa. Al quarto tentativo ne completò dodici, come anche al quinto e al sesto. Ostinatamente, iniziò a lavorare di nuovo i flussi. «Per oggi può bastare» concluse Elaida. Non c'era segno di pietà nella sua voce. Siuan si voltò con lentezza e dolorosamente, e la luce di saldar svanì. Il volto era del tutto privo d'espressione. Elaida prosegui con calma, sistemandosi lo scialle sulle spalle. «Anche se fossi riuscita a finire, ora come ora falliresti. Non c'è un briciolo di serenità in te.» Guardò prima Siuan e poi Moiraine, con il volto serio. «Ricordatevi, dovete essere serene qualsiasi cosa vi viene fatta. E veloci. Se siete lente fallirete con la stessa certezza che se vi abbandonaste al panico o alla paura. Domani sera vedremo se riuscirete a fare di meglio.» Siuan attese fino a quando la porta si fu chiusa alle spalle dell'Aes Sedai, quindi reclinò indietro la testa. «Oh, Luce!» gemette, cadendo in ginocchio pesantemente. Le lacrime che aveva
trattenuto sgorgarono come un torrente in piena. Moiraine balzò giù dal letto. O meglio, ci provò. Il suo fu più che altro un doloroso zoppicare, e Myrelle raggiunse Siuan per prima. Le tre rimasero in ginocchio, abbracciandosi e piangendo. Alla fine Myrelle si fece indietro, tirando su con il naso e pulendosi le lacrime dal viso con le dita. «Aspettate qui» disse, come se fossero in condizione di andare da qualche parte, quindi usci come un fulmine dalla stanza. Presto fece ritorno con un vaso abbastanza grande smaltato di rosso e con Sheriam ed Ellid, per aiutare Siuan e Moiraine a svestirsi e applicare loro l'unguento. «È sbagliato!» protestò energica Ellid una volta che le due furono svestite e aprì il vaso, senza più stupirsi alla vista delle ferite causate dalla frusta e dei lividi. Sheriam e Myrelle annuirono all'unisono. «La legge proibisce di usare il Potere per infliggere disciplina a un'iniziata!» «Davvero?» ribatté perplessa Siuan. «E quante volte le Sorelle ti hanno tirato l'orecchio con il Potere, o colpita sul didietro? Non c'è bisogno di chiarirlo ulteriormente, vero?» «Mi dispiace» rispose l'altra con voce contrita. «Cercherò di spiegarmi meglio.» La vanità era un difetto grave in Ellid, ma era il solo. Veramente l'unico. Era difficile non apprezzare Ellid. «Voi due dovreste denunciare l'accaduto. Potremmo andare tutte da Merean.» «No» rispose Moiraine rauca. Il balsamo pungeva più delle ferite della frusta. Ma poi sarebbe stata meglio. Almeno un po'. «Credo che Elaida stia davvero tentando di aiutarci. Ha detto che vuole che superiamo l'esame.» Siuan la guardò come se le fossero spuntate le piume. «Non mi ricordo di averla sentita dire una cosa simile. Io penso che stia tentando di farci fallire!» «Inoltre,» aggiunse Moiraine «chi ha mai sentito... Oh! Oh!» Sheriam mormorò delle scuse, ma l'unguento pungeva ancora. «Chi ha mai sentito parlare di un'Ammessa che si sia lamentata senza poi fame le spese?» L'osservazione ottenne tre cenni del capo. Malvolentieri, ma annuirono. Le novizie che si lamentavano ricevevano una spiegazione ferma e gentile sul perché le cose andavano a quel modo. Dalle Ammesse ci si aspettava che lo sapessero. Dovevano imparare la sopportazione come parte dell'Unico Potere. «Forse deciderà di lasciarvi in pace» azzardò Sheriam, ma non sembrava
convinta che sarebbe accaduto. Quando alla fine se ne andarono, Myrelle lasciò il vaso di unguento con loro. Solo la pozione disgustosa di Verin le fece addormentare, assieme sotto le coperte del lettino di Moiraine, e fu il ricordo amaro di quel vasetto sulla mensola del camino che contrastò il sonno insieme ai lividi e alle ferite delle frustate. Elaida mantenne la promessa, apparendo prima che fosse giorno per curarle. La guarigione venne usata, non offerta. Prese le loro teste fra le mani e lavorò i flussi senza chiedere permesso. Quando l'intricata tessitura di Spirito, Aria e Acqua la toccò, Moiraine rimase a bocca aperta e in preda alle convulsioni. Per un momento ebbe la sensazione di essere immersa in un secchio d'acqua gelata, ma quando il flusso svanì, i lividi ingialliti non c'erano più. Sfortunatamente Elaida li rinnovò la sera stessa e la seguente. Moiraine resisté per sette tentativi e poi per dieci, prima che il dolore e le lacrime avessero il sopravvento. Siuan ne fece dieci la seconda sera e dodici la terza. Non pianse mai davanti a Elaida. Nemmeno una lacrima. Sheriam, Myrelle ed Ellid dovevano averle tenute d'occhio ogni sera, perché ogni volta che Elaida se ne andava apparivano per consolarle mentre le aiutavano a svestirsi e a spalmare l'unguento. Ellid tentò anche di fare una battuta, ma nessuna aveva voglia di ridere. Moiraine cominciò a chiedersi se nel vaso vi fosse abbastanza unguento. Che avesse sentito male? Forse Siuan aveva ragione, ed Elaida voleva che fallissero. Un terrore gelido le attanagliò lo stomaco, un blocco opprimente di ghiaccio. Aveva paura che all'incontro successivo avrebbe pregato l'Aes Sedai di smetterla. Ma Elaida non lo avrebbe fatto; ne era sicura, e quella certezza le faceva venire voglia di piangere. La mattina dopo la terza visita di Elaida, fu Merean a svegliarle nel letto di Siuan e a offrire la guarigione. «Non vi creerà ancora questo tipo di problemi» spiegò l'Aes Sedai con fare materno, una volta guariti i lividi. «Come lo hai scoperto?» chiese Moiraine infilandosi la camicia da notte. Avevano dormito come dei sassi grazie alla pozione di Verin, il fuoco si era estinto e l'aria nella stanza era fredda, anche se non come in certi giorni precedenti: il pavimento, anzi, era ancora tiepido. Afferrò le calze da dove le aveva lasciate, sullo schienale di una sedia. «Ho i miei sistemi, come dovreste sapere» rispose Merean misteriosa. Moiraine si aspettava che Myrelle, Sheriam o Ellid, se non tutte e tre, avessero riferito qualcosa, ma Merean era un'Aes Sedai. Mai dare una ri-
sposta diretta quando si poteva essere misteriose. «Ha quasi ottenuto una punizione, e l'ho informata di aver richiesto all'Amyrlin la mortificazione della carne. Le ho anche rammentato che quando me la vedo con le Sorelle sono molto più dura di quando punisco novizie o Ammesse. Sembrava convinta.» «Perché non deve ricevere una punizione per quanto ha fatto?» chiese Siuan, cercando di allacciarsi i bottoni dietro le spalle. La maestra delle novizie sollevò un sopracciglio nel sentire quel tono di voce, simile a un ordine. Forse Siuan pensava che meritassero un piccolo vantaggio dopo l'esperienza con Elaida. «Se avesse usato saidar per punirvi o forzarvi, avrei fatto in modo che fosse legata al triangolo per la fustigazione, ma quanto ha fatto non ha infranto la legge.» Gli occhi di Merean lampeggiarono, poi la donna sorrise di colpo. «Forse non dovrei dirvelo, ma lo farò. L'avremmo punita se vi avesse aiutate a imbrogliare durante la prova per lo scialle. Quello che l'ha salvata è l'interrogativo se davvero si trattasse di un imbroglio. Mi auguro che accetterete il suo dono nello spirito in cui è stato offerto. Dopotutto, quando l'ho affrontata ha pagato un prezzo umiliante per avervelo porto.» «Credimi, Aes Sedai, lo farò» rispose atona Siuan. Quello che intendeva era chiaro. Merean sospirò e scosse il capo, ma non aggiunse altro. Il blocco gelido che si era sciolto nello stomaco di Moiraine una volta appreso che non vi sarebbero state altre lezioni da Elaida, si riformò, ben più pesante. Le aveva quasi aiutate a imbrogliare? Che avesse dato loro un'anticipazione sul vero esame per lo scialle? Luce, se l'esame consisteva nell'essere picchiate tutto il tempo... Oh, Luce, come avrebbe potuto superalo? Ma qualsiasi fosse la prova, ogni donna che indossava lo scialle vi era stata sottoposta e l'aveva superata. Lei avrebbe fatto lo stesso. In qualche modo vi sarebbe riuscita! Incitò Myrelle e Siuan a essere più dure con lei anche se a volte la facevano piangere, ma si rifiutarono di fare le stesse cose di Elaida. Anche così, falliva ogni volta prima di completare le cento tessiture. Il blocco di ghiaccio aumentava di dimensioni di giorno in giorno. Non videro Elaida per due giorni, quindi la notarono mentre si recava a pranzo. La Sorella Rossa si fermò vicino a una lampada da terra non appena le vide, senza dire una parola mentre le rivolgevano la riverenza. Sempre in silenzio si voltò a guardarle mentre si allontanavano. Il volto della donna era una maschera di serenità, ma gli occhi erano ardenti. Quello sguardo avrebbe bruciato la lana di qualunque veste.
Moiraine sentì che il cuore le colava a picco. Ovviamente Elaida pensava che fossero state loro a rivolgersi alla maestra delle novizie, e 'aveva pagato un prezzo umiliante' stando a quanto aveva raccontato loro Merean. Moiraine poteva pensare a diversi modi di usare la minaccia di una punizione per far desistere Elaida, e ognuno di essi avrebbe umiliato la Sorella. La sola domanda era: quanto era stata dura Merean? Probabilmente moltissimo. Parlava delle novizie e delle Ammesse come se fossero cosa sua. Questa non era una piccola inimicizia che si sarebbe alleviata con il passare del tempo. Negli occhi di Elaida vi era la massima ostilità. Si erano procurate una nemica per la vita. Quando rivelò a Siuan le sue deduzioni, la compagna sbuffò amareggiata. «Be', non ho mai voluto essere sua amica, giusto? Ti dico che non appena otterrò lo scialle, se mai dovesse tentare di nuovo di farmi del male gliela farò pagare.» «Oh, Siuan,» rise Moiraine «le Aes Sedai non se ne vanno in giro a farsi del male a vicenda.» Ma l'amica non si era calmata. Una settimana dopo il giorno in cui Gitara aveva avuto la premonizione, il tempo migliorò improvvisamente. Il sole spuntò in un cielo terso, in quella che sembrava una fresca giornata primaverile, e prima del tramonto la maggior parte della neve si era sciolta. Era scomparsa da tutto il Montedrago, tranne che sul picco. Il terreno attorno alla montagna era caldo e la neve si squagliava sempre prima in quel punto. I limiti erano stati delineati. Cercavano un bambino nato in quei dieci giorni. Due giorni dopo, il numero di bambini che rispondevano ai criteri di selezione cominciò a diminuire drasticamente e dopo un'altra settimana trascorsero cinque giorni prima che ne aggiungessero un altro nei libretti. Potevano solo sperare che non ne venissero trovati altri. Nove giorni dopo il disgelo, alla luce tenue che precedeva l'alba, Merean apparve nella galleria mentre Siuan e Moiraine stavano allontanandosi per la colazione. Indossava lo scialle. «Moiraine Damodred,» disse formalmente «sei convocata al saggio per il conseguimento dello scialle da Aes Sedai. Che la Luce ti mantenga integra e ti protegga.» 9
Inizio Merean le concesse solo il tempo per un rapido abbraccio con Siuan prima di portarla via, e a ogni passo il blocco di ghiaccio nello stomaco di Moiraine cresceva. Non era pronta! Durante gli esercizi era riuscita a completare tutte le tessiture solo due volte, e mai contro distrazioni simili alla pressione che Elaida le aveva messo addosso. Avrebbe fallito e l'avrebbero cacciata dalla Torre. Queste parole le pulsavano in testa, come il battito di un tamburo che segna il passo verso l'ascia del boia. Avrebbe fallito. Mentre seguiva Merean giù per una stretta scala che scendeva a spirale nel basamento sotto la Torre, le venne in mente un'idea. Anche se avesse fallito avrebbe ancora potuto incanalare, almeno fino a quando fosse stata cauta. La Torre guardava palesemente di malocchio le donne che mandava via e, quando qualcuno era inviso a Tar Valon, solo gli sciocchi non vi prestavano attenzione. Le Sorelle sostenevano che le donne cacciate evitavano di toccare saidar per paura di intralciare inavvertitamente le restrizioni della Torre, ma rinunciare a quella beatitudine andava oltre la sua comprensione. Sapeva che lei non lo avrebbe mai fatto, qualsiasi cosa fosse accaduta. Si sentì avvolgere da un altro pensiero, apparentemente sconnesso. Se falliva, sarebbe stata ancora Moiraine Damodred, rampolla di una casata potente e malfamata. Le sue proprietà avrebbero avuto bisogno di anni per riprendersi dai saccheggi degli Aiel, ma di certo avrebbe comunque ottenuto un appannaggio dignitoso. Un terzo pensiero e tutti i pezzi si unirono: era talmente ovvio che doveva averci ragionato fin dall'inizio a un livello inconscio. Aveva ancora il suo libretto con le centinaia di nomi riposto nel sacchetto appeso in vita. Anche se avesse fallito poteva iniziare a cercare il bambino. La cosa implicava dei pericoli. La Torre non si limitava a non gradire gli estranei che si immischiavano nei suoi affari. I governanti avevano rimpianto amaramente le volte che avevano interferito con i piani delle Aes Sedai. Cosa sarebbe toccato in sorte a una giovane esiliata, per quanto appartenente a una casata nobiliare? Non importava. Sarebbe successo quel che doveva succedere. «La Ruota gira come vuole» mormorò, ottenendo un'occhiataccia da
Merean. Il rituale non era complesso, ma doveva essere rispettato. Aver dimenticato che, una volta sotto terra, doveva rimanere in silenzio fino a quando non le fosse stata rivolta la parola, non era comunque decisivo per l'esito della prova. Era molto strano. Voleva essere Aes Sedai più di ogni altra cosa nella vita, ma la consapevolezza che avrebbe potuto iniziare la ricerca, qualsiasi cosa le fosse accaduta... sapere che lo avrebbe fatto in ogni caso aveva placato quel tamburo nella testa. Fece anche rimpicciolire il blocco di ghiaccio nello stomaco. Almeno un po'. In un modo o nell'altro, in pochi giorni avrebbe iniziato la sua ricerca. Luce, sperava di poterlo fare da Aes Sedai. Il passaggio elevato dove la guidava Merean, scolpito nella roccia dell'isola, era ampio come gli altri della Torre, ben illuminato da lampade con sostegni di ferro appese in alto sulle pallide mura, anche se molti dei corridoi che lo intersecavano erano bui, o con lampade molto distanziate che proiettavano delle pozze di luce solitaria. Il pavimento di pietra liscia era libero dalla polvere. Il percorso era stato preparato per loro. L'aria era fredda e asciutta e, oltre al rumore lieve delle loro scarpe, silenziosa. A parte i magazzini ai livelli più alti, il basamento era usato di rado e tutto era semplice e disadorno. Le porte di legno scuro erano allineate lungo il corridoio, tutte chiuse e, man mano che si inoltravano sempre più in basso, serrate con dei lucchetti. Molti oggetti erano custoditi proprio lì, lontano da occhi indiscreti. Quanto veniva fatto laggiù non era mai per occhi estranei. Al livello più basso Merean si fermò davanti a una porta a due battenti più larga di tutte quelle che avevano oltrepassato, alta e ampia come i cancelli di una fortezza, ma lucidata fino a brillare e senza paletti di ferro. L'Aes Sedai incanalò e dei flussi di Aria fecero aprire le porte in silenzio, su cardini ben oliati. Inspirando profondamente, Moiraine la segui in una larga stanza rotonda, sormontata da una cupola e circondata da lampade. La luce, riflessa dalle pareti di pietra lucida, era abbagliante a confronto con l'oscurità del passaggio. Mentre batteva le palpebre, l'attenzione di Moiraine fu subito attratta da un oggetto al centro della sala, sotto la cupola, un grande cerchio ovale, stretto in cima e in fondo, il bordo poco più largo di un braccio. Più alto di una spanna e forse largo un passo, risplendeva alla luce delle lampade, ora argenteo, ora dorato, verde, azzurro o in un misto di tutti i colori, ma mai identico per più di un momento e - cosa quasi impossibile - apparentemente privo del minimo supporto. Si trattava di un ter'angreal, un congegno
fatto per usare il Potere nell'antica Epoca Leggendaria. All'interno vi si sarebbe svolto il suo esame. Non avrebbe fallito. Non avrebbe fallito! «Presenziate» disse formalmente Merean. Le altre Aes Sedai nella stanza, una per ogni Ajah, si alzarono in cerchio attorno a loro, con gli scialli frangiati sulle spalle. Una di loro era Elaida, e il cuore di Moiraine palpitò. «Giungi ignorante, Moiraine Damodred. Come andrai via?» Luce, perché a Elaida era stato permesso di partecipare al rituale? Avrebbe tanto voluto chiederlo, ma le frasi erano programmate. Fu sorpresa di sentire la propria voce molto ferma. «Con la conoscenza di me stessa.» «Per quale motivo sei stata convocata in questo luogo?» intonò Merean. «Per essere messa alla prova.» La calma era importante, ma per quanto la voce poteva sembrare tranquilla, il suo stato d'animo non lo era affatto. Non riusciva ad allontanare Elaida dai propri pensieri. «Per quale motivo devi essere messa alla prova?» «Per scoprire se sono degna.» Tutte le Sorelle avrebbero tentato di farla fallire - dopotutto, la prova consisteva in questo - ma la Rossa sarebbe stata la più dura. Oh, Luce, cosa poteva fare? «Di cosa verrai trovata degna?» «Di indossare lo scialle.» Detto questo, iniziò a spogliarsi. Secondo le antiche usanze, doveva essere esaminata vestita della Luce, per dimostrare che si fidava di quella sola protezione. Mentre slacciava la cintura, rammentò improvvisamente il libretto. Se lo avessero scoperto... Esitare ora sarebbe equivalso a fallire. Appoggiò la cintura e il sacchetto in terra e cominciò a sbottonare l'abito dietro le spalle. «In tal caso ti istruirò» prosegui Merean. «Vedrai questo segno in terra.» Incanalò e le dita disegnarono nell'aria una stella a sei punte, due triangoli sovrapposti tratteggiati per un istante con il fuoco. Moiraine sentì che una delle Sorelle alle sue spalle incanalava e un flusso le toccò la testa. «Ricorda ciò che devi ricordare» mormorò l'Aes Sedai. Era Anaiya, l'Azzurra. Ma questo non faceva parte di quanto le avevano insegnato. Che significava? Sbottonò con fermezza l'abito. Aveva iniziato e adesso doveva andare avanti con la massima calma. «Quando vedrai il simbolo ti dirigerai immediatamente verso di esso, con passo sicuro, senza andare di corsa né rallentare, e solo allora potrai abbracciare il Potere. Le tessiture richieste devono iniziare immediatamente e non potrai abbandonare il simbolo fino a quando non avrai finito.» «Ricorda quello che devi ricordare» mormorò Anaiya.
«Quando le tessiture saranno finite» spiegò Merean «vedrai di nuovo il simbolo e ti indicherà la via da seguire, sempre con passo fermo, senza esitazioni.» «Ricorda quello che devi ricordare.» «Dovrai fare cento tessiture, nell'ordine che ti è stato dato e in perfetta compostezza.» «Ricorda quello che devi ricordare» mormorò Anaiya per l'ultima volta, e Moiraine sentì i flussi penetrarla, come con la guarigione. Tutte le Sorelle tranne Merean si allontanarono e si disposero in circolo attorno al ter'angreal. Inginocchiandosi sul pavimento di pietra, ognuna abbracciò saidar. Circondate dalla luce del Potere, incanalarono e i colori cangianti sull'ovale aumentarono di velocità, fino a quando lampeggiarono come un caleidoscopio attaccato alla ruota di un mulino. Lavorarono tutti e cinque i Poteri, in una forma altamente complessa come tutto quello che era richiesto nell'esame, ogni Sorella concentrata sul proprio compito. No, non era vero. Non del tutto. Elaida distolse lo sguardo e quando lo puntò su Moiraine era severo e rovente. Un falco rosso fuoco pronto a perforarle il cranio. Voleva umettarsi le labbra, ma la 'perfetta compostezza' significava proprio quello. Protezione della Luce o no, togliersi gli abiti davanti a tante persone non fu facile, ma la maggior parte delle Sorelle erano concentrate sul ter'angreal. Solo Merean la guardava. Alla ricerca di segni di esitazione, di una rottura della serenità esteriore. L'esame era iniziato e vacillare adesso significava il fallimento. La sua era solo calma esteriore, una maschera di lineamenti distesi del tutto superficiale. Continuando a svestirsi piegò con cura ogni indumento e lo sistemò in una pila ordinata sopra la cintura e il sacchetto. Doveva bastare. Tutte le Sorelle tranne Merean sarebbero state occupate fino alla fine - almeno, pensava che lo sarebbero state - e dubitava che la maestra delle novizie avrebbe frugato fra i suoi abiti. In ogni caso lei non aveva alternative. Sfilarsi per ultimo l'anello con il Gran Serpente e depositarlo sopra agli indumenti le provocò uno spasimo. Da quando lo aveva ottenuto lo aveva indossato anche quando faceva il bagno. Il cuore pulsava all'impazzata, così forte che era certa che Merean lo sentisse. Oh, Luce, Elaida. Doveva essere molto cauta. La donna sapeva come spezzarla. Doveva tenerla d'occhio ed essere pronta. A quel punto poté solo rimanere in piedi e osservare. Presto le venne la pelle d'oca in quell'aria fredda e avrebbe voluto muovere i piedi nudi sulla
pietra, che era ben più che fredda. Perfetta compostezza. Rimase immobile, schiena dritta, mani lungo i fianchi, respirando regolarmente. Perfetta compostezza. Luce, aiutami. Non poteva fallire per la semplice presenza di Elaida. Non poteva! Il blocco di ghiaccio nello stomaco diffondeva il freddo nelle ossa. Moiraine non mostrava nulla di tutto ciò. Una perfetta maschera di compostezza. L'aria nell'apertura dell'anello si trasformò improvvisamente in una lamina bianca. Sembrava più bianca della lana del suo vestito, della neve o della carta più raffinata, sembrava assorbire parte della luce, facendo diventare scura la stanza. A quel punto l'ovale iniziò a roteare sulla base, senza il minimo rumore di attrito. Nessuna parlava. Non ne avevano bisogno. Lei sapeva cosa andava fatto. Incrollabile, almeno esteriormente, Moiraine si incamminò verso l'anello rotante con passo fermo, senza affrettarsi o trattenersi. Sarebbe passata, qualsiasi cosa avesse tentato Elaida. Lo avrebbe fatto! Entrò in quel candore, lo attraversò e... ... si chiese dove si trovasse, per la Luce, e come vi fosse giunta. Si trovava in piedi in un semplice corridoio di pietra con delle lampade da terra ai lati e la sola porta, al lato opposto, era aperta in pieno sole. Era l'unica via d'uscita. Alle sue spalle vi era un muro liscio. Era certa di non aver mai visto quel posto. E perché si trovava lì... senza abiti? Solo la certezza di dover mostrare calma assoluta evitò che si coprisse con le mani. Chiunque poteva entrare da quella porta, in qualsiasi momento. Improvvisamente notò un abito appoggiato su un piccolo tavolo a metà strada del corridoio. Era certa che né il tavolo né il vestito fossero stati lì un attimo prima, ma le cose non apparivano improvvisamente dal nulla. Credeva di esserne sicura. Lottando contro la voglia di correre, camminò verso il tavolo e trovò una serie completa di indumenti. Le scarpe erano di velluto nero ricamato, la sottoveste bianca e le calze della seta più fine; l'abito di un materiale leggermente più pesante, verde scuro e lucido, ben tagliato e cucito meticolosamente. Fasce rosse, verdi e bianche, ognuna alta cinque centimetri, creavano una linea sottile di colore sul davanti del vestito, dal collo alto fino a sotto il ginocchio. Come era possibile che un abito con i colori della sua casata si trovasse in quel posto? Non riusciva a ricordare l'ultima volta che aveva indossato un vestito in quello stile, cosa molto strana, perché di certo era fuori moda da non più di un anno o due. La memoria le sembrava piena di buchi. Un abisso. Eppure, una volta che fu di nuovo vestita, guardandosi dietro le spalle per agganciare i piccoli bottoni di madreperla os-
servando il riflesso nello specchio... da dove proveniva? No, era meglio non preoccuparsi di quanto sembrava inspiegabile. L'abito le andava bene come se lo avesse cucito la sua sarta personale. Una volta vestita cominciò a sentirsi in tutto e per tutto lady Moiraine Damodred. I capelli acconciati in elaborate crocchie su entrambi i lati del capo potevano rafforzare la sensazione. Quando aveva cominciato a portarli sciolti? Non importava. Dentro Cairhien solo una manciata di persone poteva dare ordini a Moiraine Damodred. La maggior parte obbediva ai suoi. Non aveva dubbi di esser in grado di mantenere tutta la serenità che serviva. Per ora, comunque. La porta in fondo al corridoio si aprì in un largo cortile circolare circondato da alti archi di mattoni che supportavano una galleria colonnata. Guglie e cupole dorate suggerivano che si trattasse di un palazzo, ma non c'era nessuno in vista. Primavera, o forse un fresco giorno estivo. Non ricordava nemmeno in che stagione si trovasse! Ma sapeva chi era, lady Moiraine, cresciuta nel palazzo del Sole, e questo era sufficiente. Si fermò solo il tempo che bastava a identificare una stella a sei punte di ottone lucidato incastonata nel pavimento al centro del cortile e, sollevando la gonna, uscì. Si muoveva come se fosse nata in un palazzo, a testa alta e senza fretta. Al secondo passo l'abito svanì, lasciandola in sottoveste. Era impossibile! Solo grazie alla forza di volontà, continuò a camminare. Serena. Sicura. Altri due passi e sparì anche la sottoveste. Quando le calze di seta e le giarrettiere di merletto si volatilizzarono, a metà della stella, sembrò una grave perdita. Non aveva senso, ma almeno erano stati una forma di copertura. Passo sicuro. Serena e sicura. Tre uomini uscirono da sotto gli archi; erano grossi, non rasati e indossavano rozze giubbe, il tipo di energumeno che sprecava i giorni bevendo nelle taverne, nelle sale comuni delle locande. Certo non uomini che sarebbero stati ammessi in un palazzo. Le guance le arrossirono prima ancora che la notassero e cominciassero a guardarla vogliosi. Lanciandole sguardi languidi! Fu presa dalla rabbia e la represse. Serenità. Passi sicuri, senza fretta o tentennamenti. Doveva essere così. Non sapeva perché, solo che era giusto. Uno dei tre si passò le mani fra i capelli grassi come se li volesse sistemare, creando un maggior disordine. Un altro lisciò la giubba lisa. Si avviarono ciondolanti verso di lei, con dei ghigni untuosi che deformavano i volti. Non li temeva, era solo la consapevolezza che questi... questi... ruffiani... la guardavano nuda - senza nemmeno un punto di stoffa addosso! ma non osò incanalare fino a quando non raggiunse la stella. Calma asso-
luta e passo sicuro. La rabbia profonda si divincolava, ma lei la teneva a bada. Il piede toccò la stella d'ottone e Moiraine ebbe voglia di sospirare per il sollievo. Al contrario, si voltò per guardare i tre ceffi e, abbracciando saidar, incanalò Aria per la tessitura richiesta. Una parete solida di Aria, alta tre passi, si materializzò attorno ai tre e Moiraine la legò. Era permesso. Quando uno di loro vi sbatté contro risuonò come il metallo. Sui mattoni sopra l'arco da dove provenivano gli uomini brillava una stella a sei punte. Moiraine era certa che prima non ci fosse, ma adesso era lì. Camminare con passo deciso diventava difficile attraversando il muro d'Aria, ed era contenta di avere afferrato il Potere. Dalle imprecazioni e le grida che sentiva provenire da oltre quel muro, gli uomini stavano tentando di arrampicarsi salendo l'uno sulle spalle dell'altro. Non aveva paura di loro, ma non voleva che la vedessero nuda. Era molto difficile non aumentare il passo, ma si concentrò per mantenere il volto inespressivo e disteso, per quanto rosso. Passando sotto l'arco Moiraine si voltò, pronta in caso loro... Luce, dove si trovava? E perché era... svestita? Perché aveva abbracciato saidar? Lo rilasciò a disagio e con riluttanza. Sapeva di aver completato la prima delle cento tessiture che doveva creare, proprio in quel cortile vuoto. Sapeva solo questo e nient'altro. Doveva andare avanti. Fortunatamente trovò una serie di indumenti, in terra, proprio fuori l'arco. Erano fatti di rozza lana spessa, le calze pungevano ma le andavano bene come se fossero su misura. Anche le pesanti scarpe di cuoio. Brutte, ma le calzò ugualmente. Era molto strano, visto che alle spalle le sembrava di avere il cortile di un palazzo, ma il corridoio che stava attraversando era di pietra non lavorata, illuminata da lampade inserite in sostegni di ferro, in alto sulla parete. Più consone a una fortezza che a un palazzo. Sembrava privo di porte, ma non poteva esserlo. Lei doveva proseguire e questo significava andare da qualche parte. Anche più strano del corridoio era il luogo che l'unica porta visibile rivelò. Davanti a lei si trovava un piccolo villaggio, con una dozzina di case dal tetto di paglia e granai dissestati, apparentemente abbandonati per effetto di una tremenda siccità. Le porte deformate scricchiolavano nei cardini mentre il vento sollevava la polvere sull'unica strada di terra battuta, sotto un sole implacabile. Il caldo le calò addosso come una martellata, inzuppandola di sudore
prima che avesse fatto dieci passi. Fu improvvisamente contenta delle scarpe pesanti. Il terreno era roccioso, e se avesse avuto delle scarpette delicate le avrebbe scorticato i piedi. Al centro di quello che forse era stato il campo del villaggio, adesso ridotto a una distesa di terra con dei cespugli inariditi sparsi qua e là e fili di erba secca, si trovava un pozzo in pietra. Davanti alle mattonelle verdi crepate che decoravano il bordo del pozzo, nel punto in cui una volta uomini e donne si erano fermati per attingere l'acqua, qualcuno aveva dipinto una stella a sei punte con della pittura rossa, adesso scolorita e crepata. Non appena mise piede sulla stella iniziò a incanalare. Aria, Fuoco e poi Terra. Fin dove poteva vedere c'era una distesa di campi secchi e abbandonati o di alberi spogli. Nulla si muoveva. Come era giunta in quel luogo? Comunque fosse accaduto voleva andare via da quel posto desolato. Rimase improvvisamente impigliata in un cespuglio di rovi, le lunghe spine nere passavano attraverso la lana, le pungevano le guance, la testa. Non perse tempo a dirsi che era impossibile. Voleva solo uscire. Ogni puntura bruciava e sentiva che in qualche punto stava sanguinando. Calma. Doveva rimanere calma. Incapace di muovere la testa cercò di staccare a tentoni almeno qualcuno dei rami marroni, e rimase quasi a bocca aperta quando le punte acuminate le penetrarono nella carne. Dalle braccia sgorgò sangue fresco. Calma. Poteva incanalare altre tessiture oltre a quelle previste, ma come poteva liberarsi di quelle spine? Provare con Fuoco non sarebbe servito, i cespugli sembravano secchi come uno stoppaccio e bruciarli l'avrebbe avvolta fra le fiamme. Continuò a tessere mentre pensava. Spirito, quindi Aria. Spirito seguito da Terra e Aria assieme. Aria, quindi Spirito e poi Acqua. Qualcosa si mosse su uno dei rami, una piccola sagoma scura con otto zampe. Le tornò in mente un ricordo e rimase senza fiato. Mantenere il volto inespressivo assorbiva tutte le sue forze. Il ragno 'morte della testa' era originario del deserto Aiel. Come faceva a saperlo? Il nome derivava da qualcos'altro oltre al marchio grigio sul dorso che assomigliava a un teschio umano. Un morso poteva far stare male un uomo per giorni. Due potevano ucciderlo. Sempre intessendo l'inutile groviglio dei Cinque Poteri - non sapeva perché, ma non poteva farne a meno - divise i flussi e toccò il ragno con un sottile ma intricato flusso di Fuoco. La creatura si ridusse in cenere senza nemmeno bruciare il ramo. Non ci voleva molto per incendiare i cespugli. Prima ancora di provare sollievo vide un altro ragno che le andava incon-
tro e lo uccise con lo stesso stratagemma, quindi un altro e un altro ancora. Luce, ma quanti ce n'erano? Con gli occhi, la sola parte del corpo che poteva muovere, investigò l'area e vide le creature incendiate quasi ovunque, ma vide un altro 'morte della testa' che le veniva incontro. Uccideva tutti quelli che vedeva, ma erano così numerosi che la domanda le venne spontanea: quanti ce n'erano fuori dalla sua visuale? O alle sue spalle? Calma! Bruciando i ragni non appena li vedeva iniziò la lavorare più velocemente alla grossa matassa inutile. In diversi punti, sottili fili di fumo salivano da zone annerite sui rami. Mantenendo il viso impassibile cominciò a lavorare sempre più veloce. Morirono altre dozzine di ragni e salirono altri fili di fumo, alcuni densi. Una volta che si fosse manifestata la prima fiamma, il fuoco si sarebbe propagato come il vento. Più veloce. Più veloce. L'ultimo flusso andò a occupare il suo posto in quell'ammasso inutile e non appena Moiraine smise di tessere, il cespuglio di rovo svanì. Semplicemente scomparso! Le punture delle spine invece rimasero, ma adesso non era importante. Voleva togliersi quegli indumenti e liberarsene. Usando dei flussi di Aria. I ragni erano scomparsi con il cespuglio, ma se qualcuno si era arrampicato sul vestito? O forse dentro di esso? Invece di pensare agli insetti cercò la stella a sei punte e la trovò intagliata sopra la porta di una delle case con il tetto di paglia. Una volta all'interno avrebbe cercato degli abiti. Con calma. Entrò in una profonda oscurità, chiedendosi dove si trovasse e come ci era arrivata. Perché era vestita da contadina? E perché sanguinava come se si fosse rotolata fra i rovi? Sapeva di aver completato due delle cento tessiture che doveva eseguire, e nient'altro. Non ricordava neppure dove le aveva create. Non sapeva nulla, se non che la via da seguire doveva essere nascosta in quella casa. Non si voltò indietro a guardare il paesaggio arido. Tutto quello che vedeva davanti a sé era un'area illuminata debolmente dall'altro lato della stanza. Strano. Era certa che le finestre non fossero serrate. Forse il bagliore indicava una via d'uscita, un'apertura vicino alla porta. Avrebbe potuto creare una luce, ma non doveva ancora abbracciare il Potere. L'oscurità non la spaventava, ma si muoveva con cautela per evitare di inciampare in qualcosa, anche se nulla le intralciava il percorso. Camminò per quasi un quarto d'ora, con la pozza di luce che diventava sempre più grande, prima di accorgersi che quella che vedeva era una porta. Aveva vagato un quarto d'ora in una casa alla quale avrebbe potuto girare intorno due volte nella metà di quel tempo. Un posto davvero insolito.
Avrebbe detto che si trattava di un sogno, e non era certa che non lo fosse. Impiegò quasi lo stesso tempo a raggiungere la porta, che si affacciava su una scena strana quasi quanto quella lunga camminata. Un solido muro di pietra massiccia, alto cinque passi e largo trenta, circondava una piazza lastricata di pietra; ma oltre non si vedeva nulla, né edifici né alberi. Né se vi fossero cancelli o porte; quella dalla quale era uscita era scomparsa quando si voltò indietro. Un'occhiata indifferente, con il volto sempre nascosto da una maschera di calma che sembrava quasi scolpita. L'aria era umida e primaverile, il cielo chiaro e luminoso tranne qualche nuvola bianca, ma non alterava l'impressione sinistra generata da quel posto. La stella a sei punte, larga una spanna, era scolpita al centro della piazza e Moiraine camminò verso di essa alla massima velocità consentita senza osare troppo. Proprio prima che la raggiungesse, una sagoma massiccia con la cotta di maglia chiodata scavalcò il muro saltando all'interno del cortile. Era alta come un Ogier, ma per quanto lei si sforzasse non riusciva a darle dei connotati umani, anche se il corpo sembrava quello di un uomo. Aveva visto dei disegni di Trolloc, ma mai uno in carne e ossa. La progenie dell'Ombra nata dalla guerra che aveva concluso l'Epoca Leggendaria, servitori del Tenebroso, i Trolloc vivevano nella Macchia corrotta lungo le Marche di Confine. Che si trovasse proprio in quelle terre? Le si ghiacciò il sangue al solo pensiero. Dietro di lei sentì un tonfo di stivali e di zoccoli. Non tutti i Trolloc avevano piedi umani. La creatura con il muso di lupo estrasse una lunga spada ricurva che portava dietro la schiena e iniziò a correrle incontro. Luce, se era veloce! Sentì il rumore di altre bestie in corsa, di zoccoli. Altri Trolloc si calarono dal muro davanti a lei, i volti deturpati da becchi d'aquila o zanne di cinghiale. Un altro passo e fu sulla stella. Abbracciò subito saidar e iniziò a tessere. Prima i flussi richiesti, ma non appena ebbe creato la prima tessitura d'Aria, Terra e Spirito, separò i flussi creando una seconda tessitura e poi una terza, di Fuoco. Vi erano diversi sistemi per creare una palla di fuoco: lei aveva scelto il più semplice. Afferrandola con entrambe le mani la lanciò contro il Trolloc più vicino e si voltò di scatto, sempre intessendo Fuoco. Dovette fare una pausa nella tessitura più importante, ma se fosse stata abbastanza veloce... Luce, c'erano dozzine di Trolloc nella piazza con lei, e altri stavano scavalcando il muro! Scagliava sfere fiammanti con entrambe le mani alla massima velocità, mirando contro i più vicini e, quando faceva centro, i globi di fuoco esplodevano, decapitando le creature con i grugni da ariete e le corna, separando in due un Trolloc con le corna caprine, strappando gambe. Non aveva pie-
tà. I Trolloc facevano prigionieri umani solo per usarli come cibo. Completato il giro riprese la tessitura principale poco prima che crollasse, appena in tempo per lanciare altre sfere di fuoco che decapitarono un Trolloc con la testa d'aquila a pochi passi di distanza e tagliarono in due il torso di uno con il muso da lupo, che barcollò fino al margine della stella prima di cadere senza vita. Non avrebbe funzionato. C'erano troppi Trolloc e non poteva trascurare la tessitura importante, anche se avesse volteggiato alla massima velocità. Doveva esserci un altro sistema. Non avrebbe fallito! In qualche modo, il pensiero di essere uccisa e mangiata dai Trolloc non distolse mai la sua attenzione. Non avrebbe fallito, era quella la sola cosa importante. Di colpo capì cosa fare e, sorridendo, cominciò a mormorare la danza di corte più veloce che conosceva. Forse era il sistema giusto, valeva comunque la pena provare. I rapidi passi la portarono ai margini della stella senza farle perdere di vista la tessitura che doveva completare. Dopotutto, per quanto andasse veloce, cosa poteva esserci di più lieto di un ballo, eseguito con il volto sereno, come se fosse nel palazzo del Sole? Lavorò i Cinque Poteri il più velocemente possibile, più di quanto aveva mai fatto prima, ne era certa. La danza a modo suo aiutava e la tessitura intricata cominciò a prendere forma come il più raffinato merletto di Mardina. Tesseva e ballava, scagliando fuoco con entrambe le mani e sterminando la progenie dell'Ombra. A volte i mostri le arrivavano talmente vicino che il sangue le schizzava sul viso, oppure doveva danzare per uscire dalla loro traiettoria mentre cadevano, lontano dalle spade ricurve, ma ignorava il tutto e continuava a muoversi. L'ultimo flusso andò a posto e lei lasciò evaporare il tutto, ma nella piazza c'erano ancora dei Trolloc. Un passo rapido la portò al centro della stella, dove danzò in un minuscolo cerchio, schiena a schiena con un compagno immaginario. Lavorare tre flussi separati allo stesso tempo aveva esaurito le sue energie, ma raccolse le forze residue e ne usò di nuovo tre. Danzando scagliò fuoco ed evocò i fulmini dal cielo, tormentando la piazza con le loro esplosioni. Alla fine nulla si mosse più tranne lei, che continuava a volteggiare. Fece ancora tre giri prima di accorgersi che era tutto finito. Smise di canticchiare il motivo. Adesso nel muro vi era un arco, un'apertura in ombra con la stella che la sormontava. Il cuore le divenne di ghiaccio. Un arco che si apriva sul punto da cui erano venuti i Trolloc. Nella Macchia. Solo dei pazzi ci sarebbero andati di loro spontanea volontà. Raccolse la gonna e si
costrinse ad attraversare la piazza, che adesso era una distesa di corpi, per avvicinarsi al cancello. Era la via che doveva seguire. 10
Fine Novantanove tessiture. Trovò la stella a sei punte disegnata con delle pietre di fiume fra le dune di un deserto dove il caldo svuotava la mente e succhiava via l'umidità dalla pelle prima che il sudore avesse tempo di formarsi. L'aveva trovata anche tracciata nella neve sulle pendici di una montagna, travolta dalla tormenta e dai fulmini che impazzavano, e in una grande città dalle torri impossibili, dove gli abitanti si rivolgevano a lei in una lingua incomprensibile. Si era trovata di notte in una foresta, in una palude dalle acque torbide, in un acquitrino cosparso di erba alta che tagliava come lame di coltello, in fattorie e pianure, nelle topaie e nei palazzi. A volte era vestita, ma spesso gli abiti svanivano e altrettanto spesso, all'inizio, non ne aveva affatto. A volte era improvvisamente immobilizzata da manette o funi, forzata in posizioni innaturali che le torcevano le giunture o appesa per le caviglie o per i polsi. Aveva affrontato serpenti velenosi e lucertole acquatiche lunghe tre spanne, cinghiali selvatici infuriati e leoni a caccia, leopardi affamati e branchi di animali in fuga. Era stata punta da calabroni e vespe, morsa da sciami di formiche, mosche cavalline e altri insetti che non aveva riconosciuto. Folle in tumulto con le torce accese avevano tentato di metterla al rogo, Manti Bianchi volevano impiccarla, ladri volevano pugnalarla, borseggiatori volevano strangolarla. Ogni volta dimenticava e si chiedeva come avesse fatto a graffiarsi una guancia, come poteva avere una ferita da taglio sulle costole, tre buchi sulla schiena che dovevano essere stati procurati da artigli, o altri lividi e ferite che la facevano sanguinare. Ed era stanca, molto stanca, distrutta. Tutto quello che aveva fatto oltre incanalare le novantanove tessiture poteva spiegare la stanchezza. Forse erano anche le ferite. Novantanove tessiture. Afferrando la gonna di semplice lana, barcollò verso la stella successiva,
disegnata con delle mattonelle rosse accanto a una fontana di marmo gorgogliante, in un piccolo giardino circondato da un porticato di sottili colonne scanalate. Riusciva appena a stare in piedi, e mantenere il viso sereno le prendeva tutte le forze, riducendola al limite estremo. Ogni parte del corpo le faceva male. No, agonia era una parola più appropriata. Ma questa era l'ultima prova. Una volta conclusa tutto sarebbe finito, e sarebbe stata libera di andare a cercare qualcuno per la guarigione. Se avesse trovato un'Aes Sedai. In caso contrario, una Lettrice sarebbe andata bene lo stesso. Doveva creare un'altra di quelle tessiture inutili, che alla fine avrebbe prodotto solo una pioggia di pagliuzze colorate e brillanti se la avesse lavorata correttamente. Se invece fosse stata creata nel modo sbagliato, le avrebbe fatto arrossare la pelle dolorosamente, come una scottatura solare. Iniziò, prestando molta attenzione. Fra le colonne apparve suo padre, proprio di fronte a lei: indossava una lunga giubba in uno stile fuori moda da almeno un anno, con la fascia dei colori della casata Damodred che andava dal colletto fin sotto le ginocchia. Era molto alto, per essere un uomo di Cairhien, quasi un metro e ottanta, con i capelli grigi legati dietro la nuca. Aveva sempre mantenuto una posizione eretta come una spada, tranne per inchinarsi a prenderla fra le braccia quando era bambina, ma adesso le spalle erano incurvate. Non capiva perché, ma la vista del padre la commosse. «Moiraine,» disse con la preoccupazione che gli accentuava le rughe «devi venire immediatamente con me. Si tratta di tua madre, bambina. Sta morendo. C'è ancora un po' di tempo, se vieni subito.» Era troppo. Aveva voglia di piangere. Voleva correre via con lui. Ma non fece nessuna delle due cose. La tessitura sembrò completarsi in una nebbia confusa e delle pagliuzze gaiamente colorate esplosero tutto intorno a loro. Lo spettacolo sembrò particolarmente doloroso. Apri la bocca per chiedere dove fosse la madre e vide la seconda stella apparire dietro suo padre, sempre disegnata con delle mattonelle rosse, proprio nel punto da dove era apparso l'uomo. Passo sicuro, senza esitazioni. «Ti voglio bene, papà» disse con calma. Luce, come faceva a essere calma? Ma sapeva di dovere. «Ti prego, di' a mamma che la amo con tutto il cuore.» Oltrepassandolo, zoppicò verso la seconda stella. Le sembrava che il padre la stesse chiamando, che le stesse correndo dietro cercando di trattenerla per le maniche, ma era confusa dallo sforzo di mantenere il viso calmo e il passo regolare. Per la verità barcollava, ma non rallentò né accelerò. Pas-
sò fra le colonne scanalate, sotto la stella e... ... si trovò barcollante in una stanza rotonda e bianca: la luce riflessa delle lampade da terra era accecante. Le ritornarono tutti i ricordi, facendola quasi cadere in ginocchio. Incapace di pensare mentre quel torrente la travolgeva, riuscì a fare altri tre passi prima di fermarsi. Ricordava tutto, come aveva creato ogni tessitura e ogni ferita che le era stata inferta. Tutti i passi falsi, gli sforzi frenetici di restare aggrappata all'apparente serenità. «È conclusa» intonò Merean, battendo le mani con un forte schiocco. «Che nessuna parli mai di quanto è accaduto qui. Solo noi lo condivideremo in silenzio con colei che lo ha vissuto. La prova è conclusa.» Batté di nuovo le mani e le frange azzurre dello scialle ondeggiarono. «Moiraine Damodred, trascorrerai la notte in preghiera e contemplazione, meditando sui pesi che dovrai prendere sulle tue spalle domani, quando indosserai lo scialle da Aes Sedai. È conclusa.» Batté le mani per la terza volta. Raccogliendo la gonna, la maestra delle novizie si incamminò verso la porta, ma le altre Sorelle si diressero tutte da Moiraine. Tutte tranne Elaida. Con lo scialle attorno alle spalle come se sentisse freddo, la Rossa stava andando via con Merean. «Accetti di essere guarita, bambina?» chiese Anaiya. Poco più alta di Moiraine, i lineamenti semplici offuscavano quasi la mancanza di età tipica delle Aes Sedai e la facevano somigliare più a una contadina, malgrado l'abito di fine lana azzurra dal bel taglio con l'intricato ricamo sulle maniche. «Non so perché l'ho chiesto. Non sei in cattive condizioni come altre che ho visto, ma non stai comunque bene.» «Ho... superato la prova?» chiese lei, sorpresa. «Se arrossire contasse come perdere la calma, nessuna raggiungerebbe mai lo scialle» rispose Anaiya, sistemandosi il proprio con una risata. Luce, avevano visto tutto! Era ovvio, ma ricordò un bellissimo uomo che l'aveva afferrata e aveva iniziato a baciarla profondamente mentre lavorava la quarantatreesima tessitura, e arrossi di nuovo. Avevano visto anche quello! «Dovresti davvero guarire la bambina, prima che cada per terra, Anaiya» osservò Verin. Bassa e dall'espressione sognante, era paffuta e indossava un abito di lana color ruggine, con uno scialle dalle frange marroni. A Moiraine piaceva Verin, eppure provò un brivido nel vedere i propri abiti fra le mani della Sorella. «Suppongo di sì» rispose Anaiya, e afferrando la testa di Moiraine fra le mani incanalò.
Le ferite erano molto peggio dei lividi e delle frustate di Elaida, e stavolta Moiraine ebbe la sensazione di essere ricoperta di ghiaccio piuttosto che immersa in acqua fredda. Quando l'Aes Sedai ebbe finito, tutti i tagli, i buchi e le lacerazioni erano scomparsi. Lei era ancora stanca, forse persino più di prima. Ed era affamata. Da quanto si trovava laggiù? La capacità di intuire il trascorrere del tempo, che aveva acquisito con tanta fatica, sembrava del tutto svanita. Sfiorò il sacchetto e capì che il libro era ancora ben riposto all'interno, ma non poté fare altro davanti alle Sorelle. E poi voleva rivestirsi, ma aveva ancora una domanda da porre. La sua prova non era stata casuale, risultato unico del ter'angreal. I continui assalti alla sua modestia non lasciavano alcun dubbio. «L'ultima prova è stata molto crudele» disse, fermandosi mentre si infilava il vestito. Per osservare i loro volti. «Non bisogna parlarne» rispose Anaiya con fermezza. «Mai, con nessuno.» Ma Yuan, una snella Gialla, guardò verso la porta, con gli occhi grigi pieni di delusione. Bene. Merean non aveva preso parte alla prova. Elaida aveva provato a farla fallire e più duramente delle altre, o la Sorella dell'Arafel non avrebbe disapprovato. Bene. Le altre tre Aes Sedai si allontanarono, ma Anaiya e Verin la scortarono in superficie, usando una via diversa da quella dell'andata. Quando la lasciarono, Moiraine andò nella camera dove lei e Siuan avevano trascorso tutti quei giorni a copiare nomi e trovò due scrivane che svolgevano il lavoro, donne dall'aria impegnata che non erano affatto contente di essere interrotte da domande su un'Ammessa di cui non sapevano nulla. Che fosse vero? Oh, Luce, che fosse vero? Andò di corsa nell'area delle Ammesse - richiamata tre volte dalle Sorelle; era ancora un'Ammessa, fino al giorno seguente - e trovò la stanza di Siuan e la sua completamente vuote. Alcune delle missioni per raccogliere i nomi adesso finivano presto, ed era pomeriggio inoltrato, per cui cercò nelle altre stanze fino a quando trovò Sheriam e Myrelle sedute davanti al fuoco nella stanza di quest'ultima, con un piccolo tappeto dalle frange rosse consumate e un lavabo con la brocca blu. «Merean è venuta a prendere Siuan da poco» disse Myrelle eccitata. «Per l'esame.» «Hai... Sei passata?» chiese Sheriam. «Sì» rispose Moiraine, e provò un'improvvisa tristezza davanti al cambio di espressione delle due: Si alzarono addirittura, con le mani sulla gonna, e
le fecero quasi la riverenza. Adesso fra loro si era aperta una voragine. Lei era ancora Ammessa, fino al giorno successivo, ma l'amicizia era finita, fino a quando anche loro avessero ottenuto lo scialle. Non le chiesero di andare via, ma nemmeno di restare, e sembrarono sollevate quando disse che voleva andare in camera sua per attendere il ritorno di Siuan da sola. Una volta nella sua stanza esaminò il libretto che aveva appeso alla cintura, ma nulla indicava che fosse stato toccato: le pagine non erano rovinate da qualche goffo tentativo di leggerle. E che non significava che non fossero state lette. Ma in fondo nessuna avrebbe saputo cosa cercare, a meno che non fossero al corrente della premonizione di Gitara. Come le cercatici di Tamra. Pregò in silenzio ringraziando che nessuna di loro si era trovata fra le Sorelle che l'avevano esaminata. Per quanto ne sapeva. Una cameriera, o forse una novizia, aveva acceso il fuoco nel camino; c'era un vassoio e, rimuovendo il panno che lo copriva, sul tavolo vide un pasto regale, più abbondante del migliore della sua vita, pile di arrosto, rape con crema, fagioli con formaggio di capra, cavolo con le nocciole. C'era una pagnotta e un'enorme caraffa di tè. Dovevano averlo appena lasciato, perché tutto era ancora caldo. La Torre aveva un tempismo perfetto. Il cibo era davvero troppo, ma mangiò tutto, anche il pane. Tutta la pagnotta. Il corpo voleva dormire, ma lei non aveva la minima intenzione di assecondarlo. Se Siuan falliva e fosse sopravvissuta - Luce, fa almeno che viva - sarebbe stata riportata in camera il tempo che bastava a raccogliere le sue cose e salutare. Moiraine si rifiutava di correre il rischio di non vederla più, per cui si mise sul letto, con l'intenzione di leggere un libro. Cuori in fiamme non era adatto a una novizia, ma era uno dei suoi preferiti. E di Siuan. Era rimasta a fissare la prima pagina per un minuto prima di accorgersi che non aveva letto nemmeno una riga. Si alzò per camminare un po' prima di riprendere il libro sbadigliando, ma non riuscì nemmeno a leggere una frase. Siuan sarebbe tornata. Non sarebbe stata mandata via dalla Torre. Ma c'erano così tanti modi di sbagliare, di fallire. No! Siuan sarebbe passata. Doveva. Sarebbe stato ingiusto se Moiraine avesse ottenuto lo scialle e l'amica no. Sapeva che Siuan sarebbe stata una Aes Sedai migliore di quanto avrebbe mai potuto essere lei. Durante il pomeriggio sentì il rumore di altre Ammesse che ritornavano: alcune ridevano, altre si lamentavano, tutte parlavano ad alta voce. Il baccano si trasformò rapidamente in silenzio, dato che si era diffusa la notizia che Moiraine aveva superato l'esame ed era nella sua camera. Il giorno seguente sarebbe stata eletta Aes Sedai, ma le ragazze si comportavano come
se già lo fosse, muovendosi di soppiatto per non disturbarla. L'ora di cena giunse e passò. Moiraine pensava che forse avrebbe potuto mangiare qualcos'altro malgrado l'enorme pasto, ma non andò nella sala. Per prima cosa dubitava che avrebbe sopportato gli sguardi delle altre o, peggio, le occhiate scoraggiate. Inoltre Siuan poteva tornare mentre lei non c'era. Si era sistemata sul suo letto, sbadigliando e facendo un altro tentativo di lettura, quando la Tarenese entrò, con in volto dipinta un'espressione indecifrabile. «Hai...» Iniziò a dire Moiraine senza riuscire a terminare la frase. «È stato facile come cadere fuori bordo» rispose Siuan. «In mezzo a un branco di lucci. Mi sono quasi ingoiata il cuore quando ho rammentato...» batté una mano sul sacchetto appeso alla cintura, dove aveva scritto i nomi dei bambini. «Ma dopo tutto è andato bene.» Divenne improvvisamente rossa in volto, ma sorrise ugualmente. «Verremo promosse insieme, Moiraine.» Lei balzò in piedi e, ridendo, danzarono mano nella mano per la gioia. Moriva dalla voglia di chiederle cosa fosse accaduto durante l'esame. Quel rossore - da Siuan! - la invitava a fare domande imbarazzanti, ma... la prova poteva essere condivisa in silenzio e solo con le donne che vi erano state presenti. Quanto tempo era passato da quando non avevano condiviso qualcosa? Anche fra loro due, lo scialle creava dei divari. «Starai morendo di fame» disse Moiraine, smettendo di danzare. Era talmente stanca che aveva iniziato a barcollare, e Siuan non era molto più stabile di lei. «E deve esserci un vassoio che ti attende nella tua camera» aggiunse, indicando quello sul suo tavolo. Le era stato portato per quell'occasione speciale, ma doveva riportare indietro i piatti sporchi da sola e ritenersi fortunata se non doveva lavarli. «Potrei mangiare un cinghiale, ma in camera mia c'è qualcosa di meglio del cibo.» Siuan sorrise improvvisamente. «Stamattina ho ricevuto sei topolini da uno degli stallieri.» «Siamo praticamente Sorelle» protestò Moiraine. «Non possiamo infilare topi nei letti delle altre. Oltre a non essere appropriato sarebbe ingiusto. Quasi tutte sono state fuori per l'intera giornata e devono essere stanche come te.» «Essere praticamente Sorelle non è la stessa cosa che esserlo a tutti gli effetti, Moiraine. Pensa. È la nostra ultima possibilità. Una volta ottenuto lo scialle, allora sarebbe davvero sbagliato.» Il sorriso di Siuan divenne torvo. «Ed Elaida non ha ancora lasciato la Torre, che io sappia. I topolini
sono un piccolo prezzo per tutte quelle botte, Moiraine. Glielo dobbiamo. Glielo dobbiamo!» Moiraine trattenne il fiato. Senza Elaida non si sarebbe esercitata a lavorare in fretta e forse avrebbe fallito. Ma sospettava che suo padre non fosse stata la sola aggiunta della Sorella Rossa alla prova. Troppo spesso le sue debolezze erano state messe a nudo da qualcuno che le conosceva particolarmente bene. La donna aveva cercato di farla sbagliare. «Solo dopo che avrai mangiato» rispose all'amica. 11
Appena prima dell'alba Alla luce di un'unica lampada e del fuoco basso nel piccolo camino, Moiraine si vesti con cura, facendo fatica a reprimere gli sbadigli. Era faticoso. Una notte di contemplazione significava una notte senza riposo. Gli occhi erano impastati, gli arti di piombo. Be', non le sarebbe stato comunque possibile dormire, semplicemente per quanto l'aspettava il giorno seguente. Oh, perché non aveva convinto Siuan a non fare quell'ultima bravata? Se lo era chiesto durante la notte, come sempre inutilmente. Discuteva di rado con l'altra donna. Se solo l'amica fosse stata con lei in quel momento. Contemplare i pesi e i doveri di un'Aes Sedai finiva irrimediabilmente per riportarla al compito che Siuan aveva intenzione di intraprendere, e la vastità di quella ricerca era cresciuta a vista d'occhio man mano che la notte trascorreva, fino a quando le sembrò insormontabile, come il Montedrago stesso. La compagnia le sarebbe stata d'aiuto, ma il rituale era chiaro. Ognuna doveva essere da sola quando fossero andate a chiamarle. A quel punto ogni errore avrebbe comportato punizioni e non il semplice imbarazzo, oltre probabilmente a una reputazione da ignorante capricciosa che non si sarebbe mai scrollata di dosso - e che forse aveva già - ma che le era sembrata l'arma migliore per essere al sicuro da ogni sgridata. Una volta vestita dispose alcune delle sue cose sul letto, ma, a parte una
sottoveste di ricambio e le calze, lasciò gli altri indumenti nel guardaroba. Sarebbero stati lavati e riposti per la prossima novizia che avesse ottenuto l'anello e avesse portato la stessa taglia. Nessuna di quelle al momento presenti nella Torre avrebbe potuto indossarli senza grosse modifiche, ma non importava. La Torre Bianca era paziente. Il libretto era riposto nel sacchetto appeso alla cintura, il posto più sicuro che le venisse in mente. Aveva appena appoggiato la piccola scatola di legno di rosa sul letto, con i pochi gioielli che si era portata da casa, quando bussarono alla porta, tre colpi fermi. Moiraine sobbalzò e il cuore le saltò in gola. Era improvvisamente nervosa come prima dell'esame. Fu molto difficile non correre ad aprire. Al contrario, controllò davanti allo specchio sul lavabo che i capelli fossero in ordine, pettinò alcune ciocche che non ne avevano affatto bisogno, ripose la spazzola sul letto e quindi andò alla porta. Sette Sorelle la aspettavano nella notte, una per ogni Ajah, e indossavano tutte lo scialle ricamato con motivi di viticci su abiti di fine seta o lana. I volti erano maschere prive dei segni dell'età. Come richiedeva il rituale. Elaida rappresentava le Rosse, ma Moiraine sostenne lo sguardo della donna con il viso tranquillo. Be', fece comunque del suo meglio. Un'altra ora, non un minuto di più, e sarebbero state eguali a diversi livelli. Elaida non l'avrebbe mai più fatta gridare. Uscì senza dire una parola, chiudendosi quella porta alle spalle per l'ultima volta e, sempre in silenzio, le donne formarono un anello intorno a lei, scortandola lungo la scura galleria verso la porta di Siuan. Il silenzio faceva parte delle regole. Jeaine, una snella Domanese con la pelle ramata, bussò tre volte, le frange verdi dello scialle ondeggiarono. Siuan aprì subito: probabilmente scalpitava già da un po'. L'anello di Sorelle si allargò per lasciarla entrare e Siuan sollevò un sopracciglio alla vista di Elaida, ma non fece nessuna smorfia, grazie alla Luce. Moiraine serrò le mandibole per nascondere uno sbadiglio. Avrebbe finito senza infrangere le regole del rituale. Attraversarono i corridoi della Torre producendo solo un leggero fruscio con le scarpine: nulla sì muoveva salvo loro e le fiamme che crepitavano nelle lampade. Moiraine fu sorpresa nel non vedere nessuno dei servitori in giro. La maggior parte del loro lavoro veniva svolta nelle ore prima che le Sorelle si alzassero o dopo che si erano ritirate per la notte. Discesero in silenzio i livelli inferiori della Torre, lungo corridoi ben illuminati e altri scuri. Le porte della stanza dove lei e Siuan avevano passato l'esame erano spalancate, ma si fermarono tutte nel corridoio, e l'anello di Aes Sedai si
apri per formare una linea dietro loro due, mentre si voltavano verso l'entrata della sala. «Chi viene in questo luogo?» chiese la voce di Tamra dall'interno. «Moiraine Damodred» rispose lei con voce chiara, mentre il viso rimaneva impassibile e il cuore le batteva forte. Stavolta di gioia. Siuan disse il suo nome nello stesso momento, con un tono di voce leggermente provocatorio. Insisteva nel sostenere che Elaida avrebbe ancora tentato di derubarle dello scialle, se avesse potuto. Le loro insegnanti non avevano mai parlato della questione delle precedenze - forse non si erano mai aspettate che loro due avrebbero marciato di pari passo fino a quel punto - ma Moiraine sentì che qualcuna alle loro spalle tratteneva il fiato e, quando Tamra parlò di nuovo, fu dopo una pausa talmente breve che forse se la erano solo immaginata. «Per quale motivo siete venute?» «Per prestare i Tre Giuramenti e, di conseguenza, reclamare lo scialle da Aes Sedai» risposero all'unisono. Che fosse un'infrazione alle regole o meno, quella mattina intendevano fare tutto insieme, per quanto fosse possibile. «Con quale diritto rivendicate un tale fardello?» «Per aver compiuto il passaggio, sottomettendoci alla volontà della Torre.» «Allora entrate, se osate, e legatevi alla Torre Bianca.» Entrarono mano nella mano. Insieme. Viso disteso e passo sicuro, senza affrettarsi né trattenersi. La volontà della Torre le chiamava. Tamra indossava un abito di broccato azzurro chiaro, con la stola a righe dell'Amyrlin attorno al collo, e stava in piedi nel ter'angreal ovale, i cui colori cambiavano lentamente fra l'argento e l'oro, il blu e il verde. Aeldra le stava al fianco con un abito di una tonalità di azzurro più scuro e un cuscino di velluto nero fra le mani. Lungo la parete circolare erano disposte le Adunanti del Consiglio della Torre, tutte con lo scialle e raggruppate per Ajah di appartenenza, e di fronte a ognuna di loro tre Sorelle, sempre della stessa Ajah, con lo scialle sulle spalle e un altro piegato fra le mani. Occhi inespressivi osservarono Moiraine e Siuan farsi avanti. Il ter'angreal presentò il primo problema. L'alto ovale era troppo stretto per consentire loro di passare assieme, a meno che non si fossero avvicinate molto una all'altra, e questo decisamente non era conforme alla dignità del momento. Fu Moiraine ad avanzare per prima. Siuan le lanciò un'occhiata - sembrava impossibile che quegli occhi azzurri potessero diventare
bruschi senza che l'espressione distesa si alterasse, eppure accadde - e, raccogliendo le gonne, entrò seguendola da vicino. Fianco a fianco, si inginocchiarono davanti all'Amyrlin. Tamra prese la Verga dei Giuramenti dal cuscino che Aeldra teneva fra le mani, un cilindro liscio, avorio bianco, lungo trenta centimetri e leggermente più largo del polso di Moiraine. Un ter'angreal che le avrebbe legate ai Tre Giuramenti e, di conseguenza, alla Torre. Tamra esitò per un istante, come se fosse incerta con quale delle due iniziare, ma fu solo un momento. Moiraine sollevò le mani davanti a sé, con i palmi rivolti verso l'alto, e Tamra vi piazzò la Verga. Aveva ottenuto da Siuan la precedenza nell'ovale, in cambio di un favore. Era inutile dire che l'amica non aveva rivelato il 'favore' fino a quando Moiraine non aveva accettato. Sarebbe diventata Aes Sedai in pochi minuti. Non era giusto! Ma adesso non c'era tempo di pensare che la Tarenese doveva avere in mente qualcosa per essersi arresa tanto facilmente. Il bagliore di saidar circondò Tamra, che toccò la Verga con un flusso di Spirito. Moiraine chiuse le mani sul ter'angreal: la sensazione era quella del vetro, solo più liscio. «Sotto la Luce e per la mia speranza di salvezza e rinascita, giuro che non proferirò parola che non sia vera.» Il Giuramento fece presa su di lei e di colpo sembrò che l'aria le premesse sulla pelle. Il rosso è bianco, pensò. Alto è basso. Poteva ancora pensare una bugia, ma adesso non riusciva a pronunciarla. «Sotto la Luce e per la mia speranza di salvezza e rinascita, giuro che non creerò un'arma che consenta a un uomo di uccidere un altro uomo.» La pressione crebbe improvvisamente; aveva la sensazione di essere cucita dentro un vestito invisibile troppo stretto, che la modellava dalla testa ai piedi. Con somma mortificazione il sudore le imperlò la fronte, ma riuscì a mantenere l'espressione calma. «Sotto la Luce e per la mia speranza di salvezza e rinascita, giuro che non userò mai l'Unico Potere come arma se non contro la progenie dell'Ombra, o come difesa per la mia vita, quella del mio Custode o di un'altra Sorella in un momento di estremo bisogno.» L'abito invisibile divenne ancora più stretto e Moiraine respirò a fatica dal naso, serrando le mascelle per evitare che la sua reazione si trasformasse in un sussulto. Era invisibile e molto flessibile, ma così stretto! La sensazione di compressione sarebbe svanita, ma non prima di un anno. Luce! Si chiese quanto fosse piaciuto a Elaida prestare l'ultimo giuramento, parlando di Custodi. I Tre Giuramenti erano gli stessi indipendentemente dall'Ajah. Pensare al futuro aiutava almeno un po'. «Siamo a metà» intonò l'Amyrlin «e la Torre Bianca è impressa nelle tue
ossa.» Non completò la cerimonia con Moiraine. Al contrario, prese la Verga e la depose fra le mani di Siuan. Moiraine represse un sorriso. Avrebbe voluto baciare Tamra. Siuan non sudò e non sussultò. Pronunciò i Giuramenti con voce forte e chiara, senza nemmeno battere le palpebre mentre facevano presa su di lei. Nessuna pressione fisica poteva turbare quella donna, che non aveva mai pianto fino a quando Elaida non aveva lasciato la stanza, non aveva mai versato una lacrima fino a quando non aveva lasciato lo studio di Merean. Siuan aveva il cuore di un leone. «Siamo a metà e la Torre Bianca è impressa nelle tue ossa» disse Tamra, sistemando di nuovo il ter'angreal sul cuscino di Aeldra. «Ora alzatevi, Aes Sedai, scegliete la vostra Ajah e che possa essere fatto sotto la Luce.» Per quanto Siuan avesse mostrato grande calma nel prestare i Giuramenti, si muoveva rigida come Moiraine quando si alzarono per rivolgere la riverenza all'Amyrlin, inchinandosi per baciare il Gran Serpente. Si avviarono insieme verso le Sorelle Azzurre. Lentamente, con tutta la grazia che riuscirono a trovare e senza tenersi per mano; non sarebbe andato bene, non ora. Come ogni altra Ammessa, avevano spesso parlato di quale Ajah scegliere, elencandone pregi e difetti come se sapessero più di quello che traspariva in superficie, ma per l'ultimo anno e forse più le discussioni erano servite solo a confermare una scelta già fatta. Le Azzurre cercavano di rimediare alle cose sbagliate, che non era la stessa cosa di ricercare giustizia, come le Verdi e le Grigie. Verin aveva definito le Azzurre 'Cercatori di Giuste Cause' e le maiuscole trasparivano dal tono di voce. Moiraine non riusciva a vedersi altrove se non con loro. Siuan stava sorridendo, cosa che non avrebbe dovuto fare, ma in fondo era così e non poteva cambiarlo. Quando la direzione divenne chiara le Sorelle delle altre Ajah cominciarono a rivolgere la riverenza all'Amyrlin e ad andare via. Prima le Gialle, poi le Verdi, che uscirono leggiadre dalla stanza con le Adunanti che facevano strada. Andarono via le Marroni seguite dalle Bianche. Moiraine non aveva idea di cosa potesse stabilire l'ordine, ma una volta che le Rosse furono andate via, per ultime, Tamra le segui. Aeldra rimase a guardare. Le tre Adunanti rimaste si riunirono mentre Leane dalla pelle ramata, snella e alta come molti uomini, si inchinò per deporre lo scialle con le frange Azzurre attorno alle spalle di Moiraine e Rafela, magra, scura e graziosa, fece lo stesso con Siuan. Nessuna delle due amiche aveva ancora il volto tipico da Aes Sedai, ma erano molto dignitose. Le Adunanti erano
la dignità in persona. La robusta Eadyth, con i capelli bianchi che le arrivavano alla vita, baciò Siuan lievemente su entrambe le guance, quindi fece lo stesso con Moiraine, mormorando ogni volta, «Benvenuta a casa, Sorella. Ti abbiamo attesa a lungo.» Anlee, volto serio e capelli grigi, con indosso un abito verde e azzurro e quasi tanti anelli e collane quanti ne aveva indossati Gitara, ripeté baci e parole: quindi fu il turno di Lelaine, la cui espressione solenne si trasformò in un sorriso mentre parlava. Lelaine era molto bella quando sorrideva. «Benvenuta a casa Sorella» disse, inchinandosi per baciare Moiraine. «Ti abbiamo attesa a lungo.» Anche Aeldra le baciò pronunciando le stesse parole, quindi sorprendentemente aggiunse: «Mi dovete entrambe una torta, fatta con le vostre mani. È l'usanza per la sesta Sorella che vi dà il bacio di benvenuto.» Moiraine batté le palpebre e rivolse un'occhiata a Siuan. Che la cerimonia fosse finita così repentinamente? Una torta? Dubitava che Aeldra sarebbe stata in grado di mangiare quella fatta da lei. Non aveva mai cucinato in vita sua. Eadyth schioccò la lingua e si sistemò lo scialle sulle braccia. «Sii seria, Aeldra» disse con fermezza. «Solo perché queste due hanno scelto di oltrepassare i limiti in così tanti modi, non c'è motivo che tu dimentichi la tua dignità.» Le lunghe frange azzurre ondeggiarono quando alzò il braccio. «Ti assegno l'incarico, Leane Sharif, di scortare Moiraine Damodred affinché la Torre Bianca possa vedere che una Sorella Azzurra è arrivata a casa. Ti assegno l'incarico, Rafela Cindal, di scortare Siuan Sanche affinché la Torre Bianca possa vedere che una Sorella Azzurra è arrivata a casa.» Raggiungendo Aeldra, Eadyth guidò le Adunanti fuori dalla camera, ma sembrava che le altre non avessero ancora finito. «Le usanze sono un bene prezioso che non dovremmo lasciar avvizzire» disse Rafela, guardando Siuan e Moiraine. «Vi dirigerete alle abitazioni dell'Ajah Azzurra vestite della Luce, come richiedono le antiche usanze?» Siuan afferrò lo scialle come se non volesse mai più toglierlo e Rafela aggiunse prontamente, «E con il vostro scialle, ovviamente. Per mostrare che non avete bisogno di altra protezione oltre la Luce e lo scialle da Aes Sedai.» Moiraine si accorse che stringeva il suo scialle allo stesso modo e si impose di rilassarsi, carezzando gentilmente la seta con le dita. I Tre Giura-
menti l'avevano resa Aes Sedai e non si era sentita tale fino a quando non aveva avuto lo scialle addosso, ma se doveva andare in pubblico indossando solo quello... Oh, Luce, adesso aveva il viso in fiamme! Non aveva mai visto un'Aes Sedai arrossire. «Oh, piantala, Rafela» disse Leane, lanciando un rapido sorriso rassicurante sia a Moiraine che a Siuan. Per un po' erano state Ammesse assieme, e dal calore di quel sorriso sembrava che l'amicizia potesse riprendere da dove l'avevano interrotta. «Mille anni fa le donne arrivavano alla promozione vestite della Luce e se ne andavano allo stesso modo - tutte le presenti devono averlo fatto - ma la sola parte rimasta di quell'usanza prevede di mantenere i corridoi liberi fino a quando raggiungerete l'area delle Ajah» spiegò vivacemente. Leane faceva tutto a quel modo. «Dubito che chiunque tranne qualche Marrone ricordi quest'usanza. Rafela è quasi ossessionata dall'idea di riportare tutto alle antiche regole. Non negarlo, Rafela. Che mi dici del fiore di melo? Nemmeno le Verdi ricordano quale battaglia doveva commemorare.» Stranamente Rafela, che aveva raggiunto lo scialle un anno prima di Leane, si limitò a sospirare. «Le usanze non dovrebbero essere dimenticate» disse, ma senza aggressività. L'altra scosse il capo. «Andiamo. So che volete fare colazione ma dobbiamo fare ancora qualche altra cosa, inclusa questa camminata. Che non comprenderà tutti i corridoi pubblici» aggiunse, sollevando un sopracciglio in direzione di Rafela. «E non ci fermeremo nemmeno nelle aree di ogni Ajah a chiamarle per mostrare loro una Sorella Azzurra.» Scuotendo il capo le spinse gentilmente oltre la porta, fermandosi un istante a incanalare per chiuderla. «Non sono mai stata tanto imbarazzata in vita mia. Avresti dovuto essere tu ad arrossire, Rafela. Verin le ha detto che aveva davvero una voce melodiosa e che doveva iniziare a cantare. Una Rossa è uscita per dirci di smettere di miagolare e di andare via. E le Verdi! Alcune Verdi hanno... un senso dell'umorismo... scabroso.» Che Rafela fosse arrossita o meno allora, adesso aveva le guance leggermente colorate. Moiraine si chiese quanto fosse stato scabroso il senso dell'umorismo di quelle Verdi. Almeno il rossore di Rafela la fece smettere di preoccuparsi del proprio. Era chiaro che le Sorelle mostravano aspetti diversi l'una con l'altra più di quanto non facessero con chi non indossava lo scialle. L'idea la fece sentire più alta, anche se Leane torreggiava su di lei. L'altra donna aveva rallentato, ma Moiraine dovette comunque correre per restarle incollata mentre salivano per lasciare il piano interrato e si incamminavano per i
corridoi vuoti della Torre. Di solito non erano molto frequentati, ma l'assenza di persone li faceva sembrare cavernosi. Immaginare la Torre completamente vuota fu fin troppo facile. Un giorno lo sarebbe stata, se continuavano di quel passo. «La cerimonia si conclude con questa camminata?» chiese Moiraine. «Intendo la parte dell'Ajah Azzurra. Possiamo fare domande?» Immaginava che avrebbe dovuto chiederlo prima, ma voleva sentire il rumore delle voci per scacciare i cattivi pensieri. «Non del tutto,» rispose Leane «ma potete chiedere qualsiasi cosa vogliate. Alcune domande comunque non possono avere risposta fino a quando non incontrerete la Prima Selezionatrice, il capo della nostra Ajah.» «Non devi mai rivelare quel titolo» intervenne subito Rafela. Moiraine annui, anche se già lo sapeva. Alle Ammesse veniva insegnato che ogni Ajah aveva dei segreti e Rafela doveva esserne consapevole. Più di una Sorella aveva detto a Moiraine che avrebbe avuto molto da imparare una volta ottenuto lo scialle, quasi quanto in precedenza. E lei aveva intenzione di muoversi con molta cautela. «Ho una domanda» disse Siuan aggrottando le sopracciglia. «Ci sono molte usanze come questa delle torte? Io posso cucinare, ma era sempre mia sorella maggiore a preparare l'impasto.» «Oh, sì, ce ne sono tante» rispose allegra Rafela, elencando usanze arcane mentre camminavano per il primo piano della Torre, alcune sciocche come indossare calze azzurre quando si lasciava Tar Valon, altre più sensate come evitare di sposarsi. Di tanto in tanto le Aes Sedai prendevano marito, ma Moiraine non capiva come potesse finire il matrimonio, se non miseramente. Il torrente di informazioni continuò mentre risalivano lungo un corridoio, per fermarsi una volta raggiunte le semplici porte lucidate che immettevano nell'area delle Azzurre. «Potrete sentire il resto più tardi» disse Rafela, calandosi lo scialle sulle braccia. «Fate in modo di imparare velocemente tutte le usanze. Alcune sono osservate come le leggi della Torre. Io penso che dovrebbero esserlo tutte.» «Falla finita, Rafela» disse Leane, e le due Sorelle strinsero le maniglie di ottone delle porte, aprendole. Non avevano incanalato. Era un'altra usanza. Cavalcare sarebbe stato scomodo per alcuni giorni e Moiraine aveva intenzione di usare il tempo che le restava prima di lasciare la Torre per imparare quelle usanze, alme-
no le più consolidate. Non avrebbe iniziato la sua ricerca lasciandosi ostacolare da qualche cosa ridicola come non indossare indumenti azzurri il primo giorno del mese. Luce, di certo quella non la rispettavano. Era comunque meglio esserne sicura. Lei e Siuan oltrepassarono la porta e si fermarono, sorprese. L'Azzurra era una delle Ajah più piccole, dopo la Bianca, ma ogni Sorella Azzurra in Tar Valon era allineata nel corridoio principale, tutte, tranne Aeldra, con lo scialle informale sulle spalle. 12
Entrare a casa Anaiya fu la prima a farsi avanti e baciarle sulle guance, dicendo: «Benvenute a casa, Sorelle. Vi abbiamo attese a lungo. Aeldra mi ha detto come ha rubato le mie torte» aggiunse, scuotendo irritata lo scialle e non lasciandosi tradire da una risata. «Non è stato leale avvantaggiarsi a quel modo della sua posizione.» «O le mie torte, se fossi stata leggermente più rapida» aggiunse Kairen dopo aver rivolto loro il benvenuto formale. Era una donna bellissima e non troppo alta, ma il sorriso tradiva la freddezza dei fermi occhi azzurri. «Possiamo almeno sperare che non sappiate cucinare? Aeldra adora le bravate quasi quanto voi due, e sarebbe carino vederla ripagata a dovere.» Moiraine rise e abbracciò Siuan. Non poté farne a meno. Era davvero arrivata a casa. Erano arrivate a casa. L'area delle Azzurre non era appariscente come quella delle Verdi o delle Gialle, anche se non era semplice come quella delle Marroni o delle Bianche. Gli arazzi colorati appesi alle pareti per l'inverno lungo il corridoio principale rappresentavano giardini primaverili e distese di fiori selvatici, ruscelli che fluivano sulle rocce e uccelli in volo. Le lampade da terra contro le pareti chiare erano dorate, ma con decorazioni semplici. Solo le mattonelle del pavimento, di tutte le tonalità dell'azzurro, da un chiaro color cielo alla profonda sfumatura del crepuscolo, disposte in un motivo on-
deggiante, davano un tono di magnificenza. Procedendo lentamente lungo quelle onde, lei e Siuan ricevettero il benvenuto altre trentanove volte, prima di raggiungere Eadyth e le altre due Adunanti. «Sono state preparate delle stanze per voi» disse la Sorella dal viso rotondo «con gli indumenti appropriati e la colazione, ma cambiatevi e mangiate rapidamente. Devo dirvi alcune cose, cose che dovete sapere affinché sia veramente sicuro per voi mettere piede fuori da questa area. O anche camminare all'interno di essa per dire la verità, anche se molte sono tolleranti con le nuove Sorelle. Cabriana, vuoi mostrare loro la via?» Una Sorella con gli occhi chiari e capelli biondi che le arrivavano quasi alla vita allargò la gonna azzurra rivolgendole la riverenza. Non tutte le Aes Sedai insegnavano e Moiraine non l'aveva riconosciuta. Lo sguardo era ardente e diretto, consono a una Verde, ma il tono di voce era abbastanza dolce quando rispose: «Come vuoi tu, Eadyth.» Rivolgendosi a Siuan e Moiraine quasi docilmente, aggiunse: «Volete seguirmi, per favore?» Era un miscuglio veramente insolito di fierezza e... be', in effetti docilità sembrava la parola più prossima a descrivere quell'atteggiamento. «È lei la Prima Selezionatrice?» chiese Moiraine con cautela non appena furono fuori dalla portata di Eadyth e, sperava, di chiunque altra. Le Sorelle che si erano riunite stavano ritornando alle loro faccende, togliendosi gli scialli. «Oh, sì» rispose Anaiya, unendosi a loro con Kairen. Cabriana aveva aperto la bocca per rispondere, ma la chiuse senza una traccia di protesta per essere stata preceduta. «È insolito che la Prima Selezionatrice sia anche Adunante,» prosegui Anaiya «ma, a differenza di altre, noi Azzurre amiamo fare uso completo delle diverse capacità di una donna.» Ripiegando lo scialle e appoggiandoselo su un braccio, Kairen annuì. «Eadyth probabilmente è l'Azzurra più capace degli ultimi cento anni, ma se fosse stata una Marrone o una Bianca, l'avrebbero lasciata vagare ogni volta che avesse voluto.» «Oh, sì» aggiunse Cabriana, sibilando. «Alcune delle Adunanti Marroni sono state una disgrazia. Almeno quattro. Ma le Marroni divagano sempre. In ogni caso puoi essere certa che qualunque sia il tuo talento, troveremo il modo di usarlo.» A Moiraine l'idea non piacque, e scambiò un'occhiata con Siuan. Be', nessuna delle due aveva qualità particolari, ma contro quali pericoli doveva metterle in guardia Eadyth? Un pericolo presente anche in quel posto.
Avrebbe voluto chiedere alle tre Sorelle che la scortavano lungo il corridoio, ma era certa che l'informazione doveva venire da Eadyth e in privato, altrimenti glielo avrebbe detto subito. Luce! Nella nuova casa potevano esserci tante correnti occulte quante nel palazzo del Sole. Era decisamente il caso di essere caute. Il momento di ascoltare, osservare e dire molto poco. Gli appartamenti scelti per lei e Siuan erano affiancati, quasi in fondo al corridoio principale. In ognuno vi era una spaziosa camera da letto, un grande soggiorno, uno spogliatoio e uno studio, con i camini di marmo scolpiti e i fuochi accesi che avevano scaldato l'aria. Le pareti erano spoglie, ma i tappeti variopinti, alcuni con le frange, provenienti da una mezza dozzina di nazioni diverse, erano disposti sul pavimento di mattonelle azzurre. Anche l'arredamento era misto: il tavolo era intarsiato di madreperla secondo la moda di Cairhien di circa cento anni prima, e quanto alla sedia con degli intagli che rappresentavano altrettanti viticci, la Luce solo sapeva da dove provenisse; le lampade e gli specchi riproducevano tutti gli stili possibili, ma nulla era sbeccato o crepato e ogni pezzo di metallo o legno era stato lucidato fino a brillare. Le cose che avevano lasciato sul letto nella camera da Ammesse erano state portate su, il pettine e la spazzola di Moiraine erano appoggiati sul lavabo, lo scrittoio di legno scuro sul tavolo nello studio, il cofanetto con i gioielli su un comodino in camera da letto; tutto già marchiava quella stanza come sua. «Abbiamo pensato che vi sarebbe piaciuto rimanere vicine» disse Anaiya quando giunsero nel soggiorno di Moiraine. Kairen e Cabriana stavano in piedi accanto a lei sopra un tappeto decorato a spirali e la guardavano spesso almeno quanto Siuan e Moiraine. Parlavano fra di loro con la serenità di una lunga amicizia, ma erano chiaramente subordinate ad Anaiya. Era impercettibile, ma ovvio agli occhi di chi era cresciuta nel palazzo del Sole. Non che significasse qualcosa - in ogni gruppo c'era sempre qualcuna in carica - ma Moiraine ne prese mentalmente nota. «Potete scegliere stanze diverse se desiderate» aggiunse Kairen. «Ne abbiamo fin troppe vuote, anche se temo che alcune siano polverose come la peggiore cella del piano interrato.» Presto avrebbe lasciato Tar Valon, aveva parlato sbadatamente di qualche affare a Tear. Che fosse una delle cercatoci di Tamra? Non c'era modo di saperlo. Vi erano sempre Aes Sedai che partivano dalla Torre e altre che vi facevano ritorno. «Se volete cambiare camera posso farle pulire» disse Cabriana, raccogliendo la gonna come se intendesse farlo immediatamente. Sembrava quasi ansiosa! Perché si comportava in quel modo strano? Chiaramente era
la meno potente delle tre, ma si comportava allo stesso modo anche nei suoi confronti di loro due. «Grazie, no.» Moiraine toccò il bordo ricamato del cuscino della sedia e cercò di dire che le stanze erano molto belle - le tre Sorelle avevano preparato tutto, anche se i tappeti e la mobilia erano regali dell'Ajah - ma la lingua si rifiutò di mentire, per cui concluse: «Queste sono più che adeguate.» Ogni cuscino era decorato con merletti, come il copriletto e le federe. Alcuni dei ricami sembravano essere fatti di merletti a loro volta! La stanza sarebbe stata perfetta una volta che si fosse liberata di tutti quei fronzoli. Siuan invece aveva sorriso alla vista dei merletti sul letto, come se le piacesse l'idea di dormire in un mare di decorazioni. Moiraine tremò al pensiero. Offri del tè e del vino speziato prima di rendersi conto che non aveva idea di come procurarseli, ma Anaiya disse che dovevano essere impazienti di cambiarsi e fare colazione, e le altre due annuirono in assenso e raccolsero le gonne all'unisono. «Il cibo può aspettare» disse Siuan quando la porta si chiuse alle spalle delle tre Sorelle. «Prima Eadyth. Hai dedotto nulla su quanto vuole dirci? A me sembra qualcosa di simile al Gioco delle Casate.» «Prima Eadyth, poi la colazione» concordò Moiraine, anche se l'odore della farinata di avena calda e di albicocche stufate che proveniva dal vassoio coperto sul tavolo le aveva fatto venire l'acquolina in bocca. «Ma non ne ho idea, Siuan, nessuna.» La sua amica aveva ragione, la situazione ricordava il Daes dae'mar. Appesi nello spogliatoio c'erano quattro vestiti di fine lana azzurra, semplici e dal bel taglio, due con le gonne divise per cavalcare, e Moiraine si cambiò indossandone uno con la gonna, lasciando quello da Ammessa ripiegato nel cestino di vimini della biancheria. Il libretto lo trasferì dal sacchetto bianco che avrebbero portato a lavare a quello azzurro che aveva trovato nel grande guardaroba. Anche lì, e forse specialmente lì, non le sembrava vi fosse un posto più sicuro che su di sé. Il nuovo vestito le calzava a pennello, e non fu una sorpresa. Si diceva che la Torre, sulle proprie iniziate, ne sapesse più di tutte le loro sarte e parrucchiere messe assieme. Lei non aveva avuto né una sarta né una parrucchiera per un bel po', lacuna che intendeva colmare. Almeno per quanto riguardava la sarta. Si era abituata a portare i capelli sciolti, ma avrebbe avuto bisogno di più di quattro vestiti prima di lasciare Tar Valon, e fatti di un materiale migliore della lana. La seta non era economica, ma addosso era bellissima.
Dalla scatola dei gioielli prese il suo pezzo preferito. Una kesiera. Aveva rimpianto di non averla potuta indossare prima, ma anche dopo sei anni le mani ricordavano come sistemare la sottile catenina d'oro fra i capelli per far pendere il piccolo zaffino proprio al centro della fronte. Osservandosi in uno specchio dalla cornice lavorata a spirali, sorrise. Non aveva ancora il volto tipico da Aes Sedai, ma adesso sembrava lady Moiraine Damodred, e già a quindici o sedici anni lady Moiraine Damodred aveva navigato nel palazzo del Sole tra correnti nascoste che avrebbero potuto trascinarla sott'acqua. Adesso era pronta ad affrontare quelle stesse correnti nella sua nuova casa. Sistemandosi lo scialle con le frange azzurre andò a cercare Siuan e la trovò nel corridoio, avvolta nel suo scialle e proveniente dalla direzione opposta alla sua. La prima Sorella che incontrarono, Natasia, una snella donna della Saldea, con gli scuri occhi a mandorla e gli zigomi alti, un'insegnante indulgente, diede loro indicazioni per raggiungere la stanza di Eadyth con una leggera espressione di disgusto sulle labbra. Moiraine si chiese perché non le piacesse Eadyth, cosa che non poteva dimostrare apertamente, ma neanche Eadyth aveva un'espressione amichevole mentre indicava loro le alte sedie imbottite nel soggiorno, davanti all'ampio camino dove danzavano le fiamme. Quindi l'Aes Sedai rimase in piedi a riscaldarsi le mani come se fosse riluttante a parlare. Non offrì loro tè o vino e non diede loro nemmeno il benvenuto. Siuan era molto impaziente e stava sul bordo della sedia, ma Moiraine si impose di rimanere immobile. Con difficoltà, ma vi riuscì. La tensione dei Tre Giuramenti era molto dura da sopportare da seduta. Silenzio, ascolta e osserva, si disse. Il soggiorno di Eadyth era più ampio del loro, con la cornice decorata a onde e coperta di arazzi, tutti pieni di fiori e uccelli colorati. Le lampade erano molto semplici. I mobili massicci erano di legno scuro intarsiato d'avorio e turchese, a parte un delicato tavolino che sembrava d'avorio o di osso. Indipendentemente da quanto tempo Eadyth occupasse quelle stanze, aveva aggiunto qua e là dei tocchi personali, un alto vaso di porcellana gialla del Popolo del Mare, una grande ciotola di argento battuto e un paio di statuine di cristallo, un uomo e una donna che protendevano entrambi una mano verso l'altro sulla mensola sopra il camino. Il tutto non le diceva nulla se non che la Sorella dai capelli bianchi aveva buon gusto e ritegno. Silenzio, ascolta e osserva. Dimenandosi sul cuscino della sedia,. Siuan sembrava pronta ad alzarsi quando Eadyth si voltò verso di loro. Incrociò le braccia e sospirò. «Per sei
anni vi è stato insegnato che la seconda offesa più grave è parlare apertamente della forza di qualcuna nell'uso dell'Unico Potere.» Torse di nuovo la bocca per un breve istante. «Per la verità adesso trovo difficile farlo, anche se è necessario. Per sei anni siete state fortemente dissuase dal pensare alla vostra forza con il Potere o a quella di chiunque altra. Adesso dovete imparare a confrontarla con quella di qualsiasi Sorella incontriate. Con il tempo diventerà naturale e lo farete senza pensare, ma fino a quel momento dovrete essere molto caute. Se un'altra Sorella si trova in una posizione più forte della vostra con il Potere, qualsiasi sia la sua Ajah, dovrete obbedirle. Più è forte e maggiore sarà l'obbedienza. Mancare una simile regola è la terza offesa, e terza solo per un nonnulla. Le punizioni più comuni per le nuove Sorelle sono di solito conseguenza di un errore di quel tipo e, visto che la penitenza viene decisa dalla Sorella offesa, di rado è leggera. Un mese o due di lavoro o di destituzione è il minimo che possiate aspettarvi. Anche la mortificazione dello spirito e della carne è una punizione comune.» Moiraine annui lentamente. Ma certo. Ecco spiegata la deferenza di Elaida nei confronti di Meilyn e di Rafela con Leane. E quella di Cabriana; non era affatto forte. Quel pensiero non fu facile da accettare. Quando la Torre Bianca voleva scoraggiare qualcosa, sapeva bene come farlo. Luce, prima ti estirpavano qualcosa, quindi te la facevano usare per determinare le priorità. Che intrico. Almeno lei e Siuan erano quasi identiche nel Potere e probabilmente lo sarebbero state anche una volta raggiunto il massimo potenziale. Fino a quel momento si erano mosse di pari passo. Sarebbe sembrato innaturale se Siuan fosse stata costretta a rispettarla. «Dobbiamo obbedire loro?» domandò la Tarenese, arrendendosi e alzandosi, ed Eadyth sospirò. «Credevo che fosse ben chiaro, Siuan. Più è in alto una Sorella rispetto a te, maggiore deve essere la tua deferenza. Non mi piace affatto parlare di questo argomento, per cui non mi far ripetere le cose due volte. Funziona ovviamente anche al contrario, ma ricordatevi che la regola non vale se la Torre o la vostra Ajah ha piazzato un'altra Sorella al di sopra di voi. Per esempio, se venite inviate con un'ambasciata, obbedirete all'emissaria della Torre come fareste con me, anche se fosse forte appena quanto basta da essere accettata all'esame da Ammessa. Ora, è abbastanza chiaro? Bene. Perché io ho l'urgente bisogno di lavarmi i denti.» Quindi le fece uscire di corsa dalla sua stanza come se davvero volesse prendere sale e soda. «Avevo una paura terribile,» disse Siuan una volta che furono di nuovo
nel corridoio «ma alla fine non è stato tanto male. Pensavo che avremmo dovuto iniziare dal fondo, invece siamo già vicine alla cima. In altri cinque anni lo saremo ancora di più.» Che vi pensassero o meno, tutte sapevano quando avrebbero raggiunto il massimo della forza. Il lasso di tempo variava molto da donna a donna, ma era sempre il culmine di un percorso lineare. «Anche io avevo paura,» rispose Moiraine sospirando «ma non è così semplice come lo fai sembrare. A che punto la deferenza diventa obbedienza? Anche se non l'ha chiamata a quel modo, era proprio questo che intendeva. Dobbiamo osservare attentamente le altre Sorelle e, fino a quando non saremo sicure, essere prudenti. Fra un mese intendo trovarmi a chilometri di distanza da Tar Valon, non a sudare in una fattoria lungo il fiume.» Siuan sbuffò. «Allora procederemo con cautela. Cos'altro abbiamo fatto per gli ultimi sei anni? Ma potrebbe comunque essere peggio. Che ne pensi se porto il mio vassoio in camera tua e facciamo colazione insieme?» Prima che raggiungessero le loro stanze vennero intercettate da un'altra Aes Sedai, una donna alta dal viso squadrato che indossava un abito azzurro cielo e aveva i capelli grigio acciaio acconciati in una moltitudine di treccine che le arrivavano alla vita ed erano fissate con delle perline azzurre. Moiraine era certa che tutte le Azzurre della Torre fossero state presenti al benvenuto, ma questa non ricordava di averla vista. Controllò l'abilità dell'altra donna, la sua forza, e si accorse che era quasi pari alla sua e quella di Siuan una volta sviluppate. Evidentemente in questo caso era richiesta più che la semplice deferenza. Dovevano rivolgerle la riverenza? Decise di attendere educatamente con le mani appoggiate sulla vita. «Mi chiamo Cetalia Delarme» disse la Sorella con un forte accento del Tarabon, guardandole dall'alto in basso. «Secondo le descrizioni che ho sentito, tu, la graziosa bambolina di porcellana, devi essere Moiraine.» Lei si irrigidì. Una graziosa... bambolina... di porcellana... bambolina? Riuscì solo a rimanere inespressiva e a non serrare la presa sullo scialle. Pensare a quella fattoria le fu d'aiuto. L'attenzione di Cetalia si era già distolta. «Di conseguenza tu devi essere Siuan, giusto? Mi è stato detto che sei molto brava a risolvere rompicapo. Che mi dici di questo?» chiese, dando a Siuan una risma di carte. Siuan aggrottò le sopracciglia mentre leggeva, come anche Moiraine, che osservava alle sue spalle. Siuan scorreva i fogli troppo in fretta per darle modo di afferrare qualcosa, ma sembravano solo i nomi di carte da
gioco, disposti senza nessun ordine particolare. Il re di coppe seguito dal signore dei vènti, il re di fiamme seguito dalla lady di bastoni, poi il cinque di denari seguito dal quattro di coppe. Un rompicapo? Non aveva senso. «Non ne sono certa» rispose Siuan alla fine, restituendo le pagine. Se la cosa era un rompicapo avrebbe trovato comunque la soluzione. «Oh?» Dalla parola traspariva una leggera delusione, ma, dopo un momento, Cetalia prosegui, e le perline fra i capelli tinfirmarono quando inclinò il capo pensierosa. «Non hai detto di non sapere, per cui hai un'intuizione. Di cosa non sei sicura?» «Ho sentito parlare di un gioco» ripose lentamente Siuan «che le donne benestanti fanno con le carte, e che si chiama 'Ordinare'. Bisogna disporre le carte in ordine decrescente per ogni seme, ma possono essere giocati solo alcuni colori sopra altri. Credo che siano stati fatti degli schemi su come si svolge il gioco di una partita vincente.» Cetalia inarcò un sopracciglio. «Hai solo letto qualcosa su questo gioco?» «Le figlie dei pescatori non possono permettersi di giocare a carte» rispose secca l'altra, e Cetalia assunse un'espressione pericolosa. Per un momento Moiraine pensò che avessero la punizione in sospeso sulle loro teste. Invece, tutto quello che la Sorella tarabonese rispose fu: «Scommetto che Moiraine ha giocato a Ordinare, ma sospetto che le avrebbe definite solo una serie insensata di carte da gioco, o qualcosa di simile. La maggior parte delle donne avrebbe fatto lo stesso. Ma tu hai letto del gioco e dedotto la risposta corretta. Vieni con me. Ho altri rompicapo che voglio provare con te.» «Non ho ancora fatto colazione» protestò Siuan. Osservando l'amica che con riluttanza seguiva Cetalia lungo il corridoio, Moiraine lanciò un'occhiata torva alle spalle della donna. Quel comportamento sfiorava la maleducazione. Apparentemente c'erano diversi livelli gerarchici. Be', le sfumature erano tutto anche nel palazzo del Sole. Avrebbero dovuto sopportare solo per un breve periodo. Nell'arco di una settimana sarebbero andate via, e lei non aveva intenzione di tornare fino a quando non avesse raggiunto il massimo della forza nel Potere. Se non per dire a Tamra dove si trovava il bambino. Sarebbe stato bellissimo se lo avesse trovato lei. La sua farinata d'avena era ancora tiepida e commestibile, per cui si mise a mangiare di buona lena accomodandosi su una sedia imbottita, ma prima che riuscisse ad assaporare il secondo boccone, entrò Anaiya. La donna era
forte quasi quanto Cetalia, per cui Moiraine appoggiò il cucchiaio d'argento e si alzò. «Ti direi di sedere e mangiare,» le si rivolse la Sorella con fare materno «ma Tamra ha inviato una novizia a cercarti. Ho detto alla bambina che avrei riferito il suo messaggio perché volevo offrirti la guarigione. In alcuni casi può aiutare a sopportare il rigore dei Giuramenti.» Moiraine arrossi. Era chiaro che tutte sapessero. Luce! «Grazie» rispose, riferendosi sia alla guarigione - la tensione non era diminuita, ma si sentiva molto meglio - che al suggerimento. Se non doveva alzarsi per Anaiya, di certo non le doveva obbedire. A meno che quello di Anaiya non fosse altro che un gesto cortese. Aveva voglia di sospirare. Doveva continuare a osservare, prima di raggiungere qualche conclusione. Lasciando l'area delle Azzurre con lo scialle addosso - non voleva ancora andare in giro senza, e poi l'aiutava a sopportare il freddo - si chiese cosa volesse l'Amyrlrn da lei. Le veniva in mente solo una risposta. Adesso che lei e Siuan erano Sorelle, forse Tamra voleva inserirle nel gruppo delle cercatrici. Dopotutto loro erano già al corrente. Qualunque altra ipotesi non aveva senso. Allungò il passo impaziente. «Ma io non voglio un lavoro» protestò Siuan, con lo stomaco che gorgogliava per la fame. Era esausta dopo aver trascorso ore nelle stanze di Cetalia, piene di libri e scatole di carte al punto che sembravano gli alloggi di una Marrone. Per giunta, sembrava proprio che la donna non avesse mai sentito parlare di cuscini. Quelle sedie erano dure come la pietra! «Non essere ridicola» rispose la Sorella con i capelli grigi accavallando le gambe. Lanciò l'ultima delle pagine che aveva dato a Siuan su uno scrittoio già coperto da altre carte. «Non sei andata male per essere una principiante. Ho bisogno di te e questo è tutto. Ti aspetto alla seconda levata domani mattina. Adesso vai a mangiare. Sei un'Aes Sedai, non puoi andare in giro facendo il rumore di uno scarico intasato.» Non aveva senso insistere ancora. La maledetta donna le aveva già fatto presente che due proteste di seguito erano molto prossime alla maleducazione. Maledetta, maledetta donna! Non lasciò comunque trasparire la rabbia sul volto, una lezione imparata molto prima di Tar Valon. Sui moli dei pescatori mostrare rabbia o paura poteva arrecare problemi. A volta si finiva con un pugnale nella schiena. «Come vuoi, Cetalia» mormorò, ottenendo un'occhiata di traverso e riu-
scendo appena a non andare via di corsa. Una volta fuori allungò il passo, e che il Tenebroso si prendesse tutte quelle che non gradivano! Che fosse folgorata: come aveva fatto a consentire alla donna di stimolarla? Moiraine le aveva consigliato cautela e invece lei aveva cercato di cancellare ogni dubbio dalla maledetta voce della maledetta donna, pensando come Moiraine. Mani inesperte sul timone facevano affondare la nave quando non la ribaltavano. E come conseguenza della sua inesperienza, rischiava di non poter lasciare la Torre molto presto. Per anni, fino a quando non fosse stata abbastanza forte da poter dire a Cetalia cosa poteva farsene del suo lavoro. Almeno la donna non aveva messo le grinfie su Moiraine. Con la sua mente, sarebbe stata un'assistente meravigliosa per Cetalia. Affamata o no, andò a cercare l'amica anziché un pasto, per farle sapere che sarebbe dovuta andare alla ricerca del bambino da sola. La vista di Moiraine la faceva sempre sorridere. Cetalia si era sbagliata su un particolare. Quella donna non era una bambolina di porcellana, se non nell'aspetto. Interiormente, dove contava, era tutta un'altra cosa. La prima volta che Siuan l'aveva vista aveva pensato che la ragazza di Cairhien si sarebbe spezzata come una conchiglia in pochi giorni. Invece Moiraine si era rivelata dura quanto lei, se non di più. Per quante volte la abbattessero, si rialzava sempre e subito. Moiraine non conosceva il significato della parola arrendersi, per cui fu sorprendente trovarla accasciata su una sedia nel soggiorno, lo scialle sullo schienale e l'espressione imbronciata. Una teiera verde smaltata emanava l'odore del tè, ma la tazza bianca era pulita. «Cosa ti è successo?» chiese Siuan. «Ti hanno già dato una punizione, vero?» «Peggio» rispose Moiraine sconsolata. La voce dell'amica le ricordava il tintinnio dei campanelli, ma Moiraine odiava sentirselo dire. «Tamra mi ha affidato la distribuzione delle ricompense.» «Sangue e maledette ceneri!» Siuan stava testando le parole. Non ci sarebbe stata punizione per parlare in modo naturale. Aveva sentito delle Aes Sedai che avrebbero fatto arrossire un marinaio. Dopo le era parso però di percepire nelle loro bocche un sentore di sapone. «Sospetta qualcosa? Sta cercando di accertarsi che tu non interferisca?» Forse era il motivo per cui Cetalia l'aveva bloccata. No, lei era stata brava con il maledetto rompicapo della donna, come una stupida. «Non penso, Siuan. Mi è stato insegnato a gestire le proprietà, anche se me ne sono occupata solo per pochi mesi prima di venire alla Torre. Ha
detto che l'esperienza mi ha dato tutte le conoscenze di cui ho bisogno.» Nel ripeterlo fece una smorfia. «Me ne stavo andando in giro senza fare nulla, così ha detto lei, e sospetto che abbia deciso di assegnare un compito oneroso a un'Azzurra per far vedere che agisce in modo equo. E per quanto riguarda te? Che tipo di rompicapo ti ha fatto risolvere Cetalia?» «Un mucchio di vecchi rapporti» si lamentò Siuan, accomodandosi su una sedia imbottita. Se solo l'imbottitura non fosse stata così minuscola! Senza chiedere si versò una tazza di tè. Non chiedevano mai il permesso per simili cose. «Voleva che scoprissi cosa è successo quaranta o cinquant'anni fa a Tarabon, in Saldea e nell'Altara.» Non appena ne ebbe parlato, le venne voglia di tapparsi la bocca, ma era troppo tardi. Moiraine si sedette, improvvisamente interessata. «Cetalia è a capo degli occhi e delle orecchie delle Azzurre.» Non era una domanda. Si era focalizzata subito sul nocciolo della questione. «Non sussurrarlo nemmeno. La maledetta donna mi farà bollire come un pesce se scopre che me lo sono lasciato sfuggire. Probabilmente lo farà in ogni caso, ma non voglio darle l'opportunità prima che lo scopra da sola.» Lo avrebbe fatto di sicuro, se l'incontro di quel giorno era stato indicativo. «Be', consegnare le ricompense non può durare più di qualche mese. Una volta finito sarai libera di partire. Fammi sapere dove andrai e, se scoprirò qualcosa, cercherò di farti avere notizie.» Le Azzurre avevano una vasta rete di occhi e orecchie, utile per inviare messaggi fuori dalla Torre come per ricevere rapporti. «Non so se posso permettermi di attendere mesi» rispose Moiraine con voce flebile, abbassando lo sguardo, atteggiamento molto insolito per lei. «Io... ti ho nascosto qualcosa, Siuan.» Non era possibile, non avevano segreti fra loro! «Temo che il Consiglio voglia mettermi sul trono del Sole.» Siuan batté le palpebre. Moiraine una regina? «Saresti una regnante fantastica. E non portarmi gli esempi di quelle regine Aes Sedai che hanno fatto una brutta fine. È successo molto tempo fa. Ormai quasi tutti i governanti hanno una consigliera Aes Sedai. Chi ha mai detto una parola in contrario, se non i Manti Bianchi?» «Il passo da consigliera a regina è lungo, Siuan.» Moiraine sedette sistemandosi con cura la gonna, e la sua voce assunse quel fastidioso tono paziente che usava quando voleva spiegare qualcosa. «Ovviamente il Consiglio pensa che potrei prendere il trono senza far scatenare una sommossa, ma io non voglio correre il rischio che si sbaglino. Cairhien ha sopportato
abbastanza in questi ultimi due anni. Anche se le Sorelle avessero ragione, nessuno ha mai governato a lungo Cairhien senza essere stato propenso a servirsi del sequestro, l'assassinio o anche di peggio. La mia bisnonna, Carewin, ha regnato per oltre cinquant'anni, e la Torre definisce il fatto molto positivo perché Cairhien prosperò e vi furono poche guerre durante il suo mandato, ma il suo nome viene ancora usato per spaventare i bambini. Meglio essere dimenticati che ricordati come Carewin Damodred, ma anche con la Torre alle mie spalle dovrò tentare di eguagliarla se il Consiglio ottiene ciò che vuole.» Improvvisamente si accasciò e scoppiò quasi in lacrime. «Cosa posso fare, Siuan? Mi sento come una volpe in trappola e non posso nemmeno amputarmi la zampa per scappare.» Appoggiando la tazza sul vassoio, Siuan si inginocchiò vicino alla sedia dell'amica e le appoggiò le mani sulle spalle. «Troveremo una via d'uscita» le disse, con un tono di voce che ostentava una sicurezza inesistente. «Troveremo un sistema.» Fu leggermente sorpresa che il primo giuramento le avesse permesso di pronunciare quelle parole. Non riusciva a immaginare una via d'uscita per nessuna di loro due. «Se lo dici tu, Siuan...» Nemmeno Moiraine sembrava crederlo. «C'è una cosa però che posso fare. Posso offrirti la guarigione?» Siuan l'avrebbe baciata. E fu proprio quello che fece. C'era ancora molta neve vicino alle montagne che si elevavano davanti a Lan, e le impronte di un grosso contingente di uomini spiccavano nel sole pomeridiano, portando direttamente fra le colline verso i picchi incappucciati dalle nuvole, che diventano sempre più alti man mano che li guardavi. Sollevò il cannocchiale e non riuscì a vedere alcun movimento. Gli Aiel dovevano trovarsi già fra le montagne. Gatto danzante scalpitò, impaziente. «Quei monti sono la Dorsale del Mondo?» gridò Rakim con voce rauca. «Imponenti, ma pensavo che fossero più alti.» «Quello è il Pugnale del Kinslayer» rise un uomo di Arafel che aveva viaggiato molto. «Parlando di 'colline' ai piedi della Dorsale, non ti sbaglieresti di molto.» «Perché ce ne stiamo qui?» chiese Caniedrin, a voce abbastanza bassa per non essere richiamato, ma abbastanza forte per farsi sentire da Lan. Gli piaceva spingersi al limite, quando poteva. Bukama si prese la briga di rispondere per lui. «Solo gli sciocchi cercano di combattere gli Aiel sulle montagne» disse ad alta voce. Voltandosi
verso Lan e rimanendo in sella abbassò la voce quasi a un sussurro, mentre le rughe del cipiglio permanente si facevano più profonde. «Che la Luce non voglia far scegliere a Niall proprio questo momento, per dipingersi il viso.» Quel giorno Niall, lord capitano Comandante dei Figli della Luce, era alla guida delle truppe. «Non lo farà» rispose semplicemente Lan. Solo una manciata di uomini conoscevano la guerra bene come Niall. Il che significava che il conflitto poteva anche finire quel giorno. Si chiese se sarebbe stato ricordato come una vittoria. Riponendo di nuovo il cannocchiale nella custodia sulla sella, si accorse di guardare verso nord. Sentiva il richiamo, come un pezzo di ferro verso una calamita. Era quasi doloroso, dopo tutto quel tempo. Alcune guerre non potevano essere vinte, ma dovevano comunque essere combattute. Studiandolo in volto, Bukama scosse il capo. «E solo gli sciocchi saltano da una guerra all'altra.» Non si prese il disturbo di parlare a bassa voce, e alcuni Domanesi vicino a Lan lo guardarono in modo strano, ovviamente chiedendosi di cosa parlasse. Nessun abitante delle Marche di Confine aveva bisogno di porsi quella domanda. «Avrò un mese o due per riposarmi, Bukama.» Era il tempo necessario per raggiungere casa. Un mese, se era fortunato. «Un anno, Lan. Solo un anno. Oh, va bene. Otto mesi.» Bukama la fece sembrare una grande concessione. Forse era stanco? Era sempre sembrato di ferro, ma non era più giovane. «Quattro mesi» concesse Lan. Aveva atteso due anni, poteva rimandare di altri quattro mesi, e se Bukama fosse stato ancora stanco, allora... era un baratro che avrebbe pensato a colmare nel momento in cui si fosse presentato. Proprio come lui aveva predetto, Niall non scelse di comportarsi in modo sciocco, il che fu un bene, considerato che metà dell'esercito era già partita pensando che la vittoria fosse stata ottenuta giorni addietro, quando gli Aiel avevano cominciato la ritirata. E la chiamavano una grande vittoria. Quelli che non avevano combattuto la ritenevano tale: i seguaci, gli spettatori e gli storici stavano già scrivendo come se sapessero tutto. Lan li avrebbe lasciati fare. Con la mente, era già centinaia di chilometri a nord. Dopo aver salutato, lui e Bukama si rivolsero a sud, verso terre meno ostili, evitando di guardare Tar Valon. Era grandiosa e meravigliosa per molti versi, ma troppo piena di Aes Sedai per essere gradevole. Bukama parlava entusiasta di quanto avrebbero visto ad Andor e forse a Tear. Era-
no già stati in entrambe le terre, ma combattendo contro gli Aiel non avevano visto nemmeno la leggendaria Pietra di Tear o le grandi città. Lan non parlava a meno che Bukama non si rivolgesse a lui. Sentiva molto forte il richiamo di casa. Tutto quello che voleva era ritornare nella Macchia. Ed evitare qualunque incontro con le Aes Sedai. 13
Affari in città Potevano farsi portare il cibo in camera, ma dopo che Moiraine ebbe guarito Siuan si diressero al primo turno della sala da pranzo. Nessuna delle due voleva perdere il primo pasto da Aes Sedai nella mensa delle Sorelle, dove le Ammesse erano accolte solo nel caso raro di inviti e le novizie solo per servire a tavola. Era una sala spaziosa con i soffitti alti, tappezzata da begli arazzi colorati che coprivano le pareti bianche e un ampio cornicione che risplendeva, coperto di foglie dorate. I tavoli quadrati erano solo per quattro persone e molto distanziati per non turbare la riservatezza delle conversazioni, anche se alcuni erano affiancati per gruppi numerosi. In quanto uniche donne nella stanza che indossavano lo scialle, attirarono l'attenzione delle altre Sorelle, per non parlare di alcuni sorrisi divertiti. Moiraine sentì di avere le guance in fiamme, ma sarebbe servito ben più di una derisione per farle rimuovere lo scialle ogni volta che lasciava la stanza. Aveva lavorato troppo duramente per ottenerlo. Siuan marciò con grazia regale sulle mattonelle colorate che rappresentavano tutti i colori delle Ajah, aggiustandosi distrattamente lo scialle sulle braccia come per attirare l'attenzione su di esso. Non era certo timida. Nella sala non c'erano panche, ma sedie dallo schienale basso intagliate in modo da combinarsi con le zampe dei tavoli e, mentre le Ammesse mangiavano qualsiasi cosa preparasse la cucina, una giovane inserviente con la Fiamma di Tar Valon ricamata sul petto rivolse loro la riverenza prima di elencare quanto era disponibile in cucina, con la voce cantilenante di chi recitava la lista molto spesso. Mentre le Ammesse avevano piatti di
ceramica pesante e dovevano servirsi da sole e sparecchiare, la stessa inserviente portò loro il cibo su un vassoio d'argento lavorato in sottili piatti di ceramica di Tarabon, con la Fiamma di Tar Valon incisa lungo tutto il bordo. La ceramica di Tarabon non poteva essere paragonata a quella delle isole degli Atha'an Miere, ma era comunque costosa. Siuan si lamentò del pesce che le era stato servito, troppo speziato, ma non lasciò nulla e si guardò intorno pensando di chiederne ancora. Moiraine prese una zuppa di verdure e manzo, ma si accorse di non avere molta fame e alla fine mangiò solo un pezzettino di pane nero e bevve una sola tazza di tè. Doveva fuggire ma non aveva via d'uscita. Abbandonare l'incarico assegnatole dall'Amyrlin Seat era impensabile. Forse il Consiglio avrebbe deciso che il piano non era realizzabile. Nessuna l'aveva avvicinata per parlarle di questo argomento da quando Tsutama le aveva chiesto se avesse preso in considerazione l'idea di essere regina di Cairhien. Forse potevano aver cambiato idea. Sembrava una speranza flebile, ma era tutto ciò cui poteva attaccarsi. Non appena tornarono alle abitazioni delle Azzurre, Eadyth le convocò nelle sue stanze e, senza cerimonie, consegnò a ognuna una lettera con diritti per l'ammontare di mille corone d'oro. «Riceverete la stessa cifra dalla Torre ogni anno in questo giorno,» spiegò «e se non siete qui verrà depositata nel luogo che voi specificherete.» Il disgusto della prima convocazione era scomparso del tutto. Adesso sorrideva, serena e contenta di avere due nuove Azzurre. «Spendeteli con saggezza. Potrete ottenerne di più, se vi servono, ma se chiedete troppo spesso dovrete risponderne davanti al Consiglio. Credetemi, essere interrogate dal Consiglio non è mai piacevole. Mai.» Siuan sgranò gli occhi nel leggere la cifra e, per quanto le sembrasse impossibile, li spalancò ulteriormente nel sentire che potevano ottenerne di più. Solo pochi mercanti guadagnavano più di mille corone in un anno, e molti nobili di casate minori ce la facevano con anche meno, ma la Torre non poteva permettersi di avere delle Sorelle in povertà. Il palazzo del Sole aveva insegnato a Moiraine che il potere aumentava non appena gli altri decidevano che lo avevi già, e un'apparenza di benessere poteva accrescere quell'impressione. Moiraine aveva i suoi banchieri, ma per quanto si fosse offerta come garante anche per Siuan, la sua amica preferì depositare la propria lettera dei diritti con la Torre. Il padre di Siuan non aveva mai guadagnato mille corone in tutta la vita e lei non avrebbe messo quella somma a rischio per
nessun motivo. Nulla di quello che diceva Moiraine era riuscito a convincerla. Le interessava solo la sicurezza ed era convinta che una dinastia di banchieri vecchia al punto tale da aver prestato denaro ad Artur Hawkwing non poteva essere neppure confrontata con la prima banca fondata dopo la Frattura. Indossando lo scialle per mostrarlo orgogliosa a tutte, Moiraine noleggiò una portantina nella grande piazza di fronte alla Torre, dove la folla di gente che passeggiava nel primo pomeriggio e gli ambulanti, giocolieri e acrobati, musicisti e carrettieri che vendevano tortini di carne e noccioline tostate, si tenevano tutti alla larga dall'imponente struttura. In pochi si avvicinavano, a meno che non avessero qualche affare con la Torre o volessero presentare una richiesta. I due portatori, uomini rugosi che indossavano delle giubbe marrone scuro e avevano i capelli lunghi legati dietro la nuca, la portarono agilmente per le strade, con quello in testa che gridava: «Fate largo all'Aes Sedai! Fate largo all'Aes Sedai!» Le sue urla non sembravano impressionare nessuno, e forse destavano solo incredulità. Anche con le pesanti tendine tirate indietro le frange dello scialle rimanevano nascoste, a meno che lei non appoggiasse il braccio sul bordo del finestrino. Nessuno si spostava più velocemente di quanto non avrebbe fatto alle grida di un carrettiere, e spesso se la prendevano anche più comoda, visto che i carrettieri avevano le fruste e non erano riluttanti a usarle. Anche così, presto Moiraine raggiunse quello che sembrava un piccolo palazzo, su un ampio viale con una fila di ericacee al centro della strada, quindi i portatori slegarono le assi di sostegno per farle aprire le porte. L'edificio era costruito nello stile del Sud, con un'alta cupola bianca, piccole guglie ai quattro angoli e ampie scale di marmo che portavano a un portico colonnato, ma vi dominava un certo rigore. Le sculture di pietra, e i fregi che rappresentavano viticci e foglie erano semplici e non ostentati. Nessuno avrebbe lasciato del denaro in una banca povera, ma nemmeno in una che avesse speso troppo per vanità. Un usciere con due bande rosse sulle maniche scure della giubba si inchinò mentre Moiraine oltrepassava le alte porte di ingresso e la diresse verso un valletto con la giubba semplice, un bel giovane anche se troppo alto, che la scortò serio allo studio di comare Dormaile, una donna magra e minuta con i capelli grigi, addirittura più bassa della nuova Aes Sedai. Il padre di Moiraine aveva condotto affari bancari con il fratello maggiore di Haiti Dormaile, che ancora gestiva i suoi conti a Cairhien, rendendole più facile la scelta a Tar Valon. Quando vide lo scialle, sul volto di comare Dormaile apparve un breve
sorriso che ne spezzò l'ordinaria solennità, e la donna allargò la gonna scura con le fasce rosse rivolgendole una perfetta riverenza, né troppo breve né troppo profonda; ma l'aveva accolta allo stesso modo quando si era recata da lei in veste di Ammessa. Sapeva perfettamente quanto aveva depositato nella sua banca non appena arrivata in città e quanti altri beni le aveva inviato nel corso degli anni, ma il sorriso sembrava genuino. «Posso congratularmi, Moiraine Sedai?» disse calorosamente, scortandola verso una sedia imbottita con lo schienale alto e intagliato. «Gradisci del vino speziato o del tè? Forse dei dolcetti al miele o ai semi di papavero?» «Del vino, grazie» rispose lei sorridendo. «Andrà benone.» Moiraine Sedai. Era la prima volta che qualcuno si rivolgeva a lei con quell'appellativo, e il suono le piaceva. Una volta che l'altra donna ebbe riferito i propri ordini al valletto, prese una sedia di fronte a Moiraine senza chiedere permesso. Non era necessario che un banchiere fosse troppo cerimonioso. «Suppongo sia venuta a depositare la tua rendita.» Era ovvio che ne fosse al corrente, visto il suo mestiere. «Se desideri ulteriori informazioni, temo di aver incluso tutto nella lettera che ti ho inviato.» Per un istante Moiraine sentì il suo sorriso ghiacciarsi e lo sbloccò a fatica, simulando una voce spensierata. «Supponi di dovermelo riferire di nuovo. Forse potrei discernere qualcosa che mi è sfuggito alla lettura.» Comare Dormaile inclinò leggermente il capo. «Come preferisci. Nove giorni fa un uomo è venuto da me, un Cairhienese, con indosso l'uniforme da capitano dei soldati della Torre, presentandosi come Ries Gorthanes. Parlava con accento forbito e educato, forse addirittura nobile, era alto, molto più di me, e aveva le spalle ampie e il portamento marziale. Era rasato e il volto era ben proporzionato, di bell'aspetto malgrado una cicatrice abbastanza lunga, proprio qui.» Si passò un dito dall'angolo dell'occhio sinistro fino all'orecchio. Né nome né descrizione le dicevano nulla e, se anche avesse rammentato qualcosa, non l'avrebbe detto. Fece un piccolo gesto per invitare la banchiera a proseguire. «Mi ha presentato un ordine presumibilmente firmato e sigillato dall'Amyrlin Seat che mi invitava a rivelargli la consistenza delle tue finanze. Sfortunatamente per quell'uomo conosco la firma di Tamra Ospenya e la Torre Bianca sa molto bene che non rivelerei mai gli affari di una delle mie clienti, per nessun motivo. Alcuni dei miei valletti lo hanno so-
praffatto e lo hanno rinchiuso in una camera di sicurezza, poi ho inviato qualcuno a chiamare dei veri soldati della Torre. Mi dispiace di non essere riuscita a estorcergli il nome della sua padrona o padrone, ma come sai le leggi della Torre Bianca sono abbastanza restrittive.» Il valletto tornò con una brocca d'argento decorata e due boccali dello stesso materiale su un vassoio, e la banchiera rimase in silenzio fino a quando non se ne fu andato. «È fuggito prima che arrivassero i soldati» prosegui poi, versando del vino scuro che emanava un gradevole odore di spezie. «Pagando una mancia al carceriere.» La bocca della donna si deformò in una smorfia mentre offriva la coppa a Moiraine rivolgendole l'inchino. «Ho fatto frustare il giovane coinvolto e scommetto che ancora non può sedersi. Quindi l'ho fatto assumere come ragazzo di sentina su un battello fluviale che commercia in pepe dei ghiacci con Tear, dove verrà lasciato a terra senza un centesimo, a meno che non riesca a convincere la donna capitano a tenerlo. Me ne sono assicurata facendomi consegnare la sua paga in anticipo. È un bel giovane. Forse riuscirà a persuaderla. Penso che stesse studiando il modo fin da quando mi ha dato il denaro.» Lanciando un'occhiata all'altra donna mentre teneva in mano il boccale, Moiraine sollevò un sopracciglio con fare interrogativo. Era abbastanza fiera della sua freddezza esteriore, imperturbabile come quella che aveva mostrato durante l'esame. «A falso capitano dei soldati ha infranto la legge della Torre, Moiraine Sedai» comare Dormaile rispose alla domanda che non le era stata rivolta. «E io avrei dovuto consegnarlo alla giustizia della Torre, ma le questioni interne preferisco mantenerle tali. Te l'ho detto solo perché sei coinvolta direttamente, capisci?» Moiraine annui. Ma certo. Nessuna banca poteva permettersi di rendere noto che uno dei suoi impiegati si era lasciato corrompere. Sospettava che il giovane se la fosse cavata con poco perché era il figlio o il nipote di qualcuno, altrimenti avrebbe dovuto andarsene via per conto proprio. I banchieri non erano gente dura. Comare Dormaile non chiese cosa sapesse o pensasse Moiraine della faccenda. Non erano affari suoi. Non aveva nemmeno l'espressione curiosa. Questa discrezione era uno dei motivi per cui Moiraine aveva sempre tenuto solo qualche moneta alla Torre. Come novizia, senza accesso alla città, non le era necessario avere denaro. Ma il suo senso di riservatezza l'aveva spinta a mantenere il deposito anche da Ammessa. La legge della Torre richiedeva che lo stesso numero di elementi per ogni Ajah fosse cliente della banca della Torre, e adesso che indossava lo scialle non voleva
che i suoi affari fossero noti alle Azzurre, tantomeno alle altre Ajah, specialmente dopo quanto le era stato detto. La sola ragione per cui la Torre avrebbe potuto trattenere la lettera di comare Dormaile era la speranza del Consiglio di toglierle dalla mente l'idea che avessero deciso di non metterla sul trono del Sole. Ma avevano già fatto la prima mossa, o meglio ne avevano di certo fatta più d'una, agendo cautamente come borseggiatori che tentassero di rubare il portamonete ben sorvegliato di una nobildonna. C'era già abbastanza per dedurre le loro intenzioni. Niente altro avrebbe spiegato la visita di un Cairhienese che tentava di scoprire se lei stesse dissipando del denaro e con chi. Oh, Luce, lo avrebbero fatto prima che si accorgesse di quanto stava accadendo, a meno che non avesse trovato una via d'uscita. Non fece trapelare nulla dall'espressione, ma si limitò a sorseggiare il vino, lasciando che il calore tiepido della bevanda le scivolasse in gola e mostrando serenità. «Mi hai reso un gran servigio, comare Dormaile, a discapito della tua casata. Ti prego di trasferire una ricompensa adeguata dal mio conto al tuo.» Come si aspettava, la banchiera ripeté due volte le sue obiezioni, chinando il capo, prima di accettare manifestando una riluttanza che Moiraine notò a malapena. Luce, doveva trovare una via d'uscita! Iniziò a elaborare una strategia. Non voleva fuggire, ma doveva avere dei piani a disposizione. Firmò la lettera dei diritti, e prima di andare via diede delle istruzioni per le quali comare Dormaile mostrò una vaga sorpresa. Forse perché anche lei era Cairhienese e abituata al Daes Dae'mar, o forse perché i banchieri erano tutti stoici. Magari aveva altre Aes Sedai fra i clienti. Se così fosse stato, Moiraine lo avrebbe scoperto solo se glielo avesse rivelato una Sorella. Una tomba era meno discreta di Ilain Dormaile. Una volta alla Torre chiese in giro il nome di una sarta. Almeno cinque Azzurre menzionarono Tamore Alkohima come la migliore di Tar Valon, e anche quelle che le avevano fornito altri nominativi erano d'accordo che Tamore fosse molto brava, per cui il pomeriggio seguente lei e Siuan noleggiarono una portantina per recarsi da comare Alkohima, con Siuan che si lamentava del prezzo. Ed era solo un centesimo d'argento. Moiraine aveva dovuto faticare molto per convincere l'amica a seguirla. Come faceva a pensare che quattro vestiti fossero sufficienti? Doveva imparare a non essere parsimoniosa. Il negozio di comare Alkohima, le pareti piene di scaffali coperti di roto-
li di seta e lana fine di tutte le tonalità di azzurro, era uno dei tanti che occupavano il piano terra di un edificio che sembrava tutto curve. Era perfetto per Tamore. Con la pelle chiara per una Domanese, avrebbe fatto sembrare Gitara mascolina, al confronto. Quando le andò ad accogliere - gli scialli con le frange erano la garanzia di un benvenuto personale - piuttosto che camminare sembrava fluttuare graziosamente fra gli scaffali pieni di merletti e nastri colorati e i manichini coperti di abiti non ancora finiti. Le sei assistenti fecero tutte la riverenza, giovani ragazze graziose vestite con abiti dal taglio fine, esempi degli stili delle loro terre natie e ognuno diverso dall'altro, ma la sarta non fece inchini di sorta. Sapeva quale fosse il suo posto nel mondo. L'abito verde chiaro, elegante e semplice allo stesso tempo, era una dimostrazione evidente delle sue capacità, anche se era aderente in maniera allarmante, modellandola in un modo che non lasciava alcun dubbio su cosa nascondesse la seta. Il sorriso languido di Tamore si allargò quando sentì l'ordine, come era logico. Poche sarebbero andate da lei a chiedere un intero guardaroba in una sola visita. O meglio, si allargò per Moiraine. Dopo molte insistenze, Siuan aveva acconsentito a farsi fare sei vestiti, uno per ogni giorno della settimana più quelli che già aveva, ma dovevano essere di lana. Moiraine ne ordinò venti, la metà con la gonna divisa per cavalcare, tutti della seta migliore. Gliene sarebbero bastati meno, ma il Consiglio avrebbe potuto controllare. Un ordine di venti abiti avrebbe fatto credere che voleva fermarsi a Tar Valon. Lei e Siuan furono subito invitate a recarsi nel retro, dove Tamore rimase a osservare mentre quattro delle sue assistenti le svestivano e prendevano loro le misure, facendole girare da una parte e dall'altra per far vedere alla sarta con cosa doveva lavorare. In quasi ogni altra circostanza la situazione avrebbe imbarazzato Moiraine a morte, ma la presenza della sarta rendeva tutto diverso. Giunse quindi il momento di scegliere le stoffe. Tamore conosceva il significato delle frange sullo scialle, e quindi tra le sue proposte dominavano le tonalità azzurre. «Io voglio degli abiti decenti» disse Siuan. «Collo alto e nulla di aderente.» L'ultima osservazione fu seguita da un'occhiata al vestito di Tamore. Moiraine trattenne a stento un moto d'esasperazione. Luce, fa' che non intenda proseguire a questo modo! «Credo che questa sia troppo leggera per me» mormorò Moiraine studiando un campione di seta azzurra fra le mani di una ragazza alta con i capelli biondi, che indossava un abito verde con la scollatura squadrata che
mostrava troppo seno. «Pensavo allo stile di Cairhien, senza colori delle casate o ricami» suggerì. Non avrebbe mai potuto indossare i colori dei Damodred nella Torre. «Certo, di taglio cairhienese» ripeté Tamore, toccandosi pensierosa il labbro inferiore. «Per te sarà perfetto. Quella sfumatura è molto adatta al tuo colorito pallido. La metà del tuo guardaroba dovrebbe essere di colori chiari, e arricchita da ricami. Devi essere elegante, non semplice.» «Se facessimo solo un quarto?» Il taglio cairhienese le sarebbe andato bene? La donna stava forse insinuando che non avrebbe potuto indossare un abito di taglio domanese? Non l'avrebbe fatto comunque. I vestiti di Tamore erano indecenti! Ma era il principio che contava. La sarta scosse il capo. «Almeno un terzo di colori chiari» confermò con fermezza. «Almeno la metà ricamati.» Aggrottando leggermente le sopracciglia si passò di nuovo il pollice sul labbro. «Un terzo e metà» concordò Moiraine prima che la donna potesse rilanciare, come sembrava stesse pensando di fare. Con una buona sarta era sempre importante negoziare. Sarebbe sopravvissuta a qualche ricamo. «Non hai nulla di più economico, comare Alkohima?» cinese Siuan, guardando torva la bella lana azzurra avvolta su di lei. Luce, sta chiedendo i prezzi! pensò esasperata Moiraine. Non c'era da meravigliarsi che la ragazza incaricata di assistere la sua amica avesse l'aria scandalizzata. «Vuoi scusarci solo per un momento, Tamore?» disse, e quando la sarta annuì, consegnò la seta alla ragazza andorana e prese subito Siuan da parte. «Ascoltami, e non discutere» le sussurrò. «Non dobbiamo far aspettare comare Tamore. Non chiedere i prezzi; ci dirà il costo dopo che abbiamo scelto. Nulla di quanto comprerai qui è economico, ma gli abiti che cucirà Tamore ti faranno sembrare più Aes Sedai dello scialle. E si chiama Tamore, non comare Alkohima. Devi osservare le formalità o penserà che la stai prendendo in giro. Cerca di pensare a lei come a una Sorella di rango superiore al tuo. Un tocco di deferenza è necessario. Solo un tocco, e ti dirà cosa indossare e quanto vuole.» Siuan rivolse un'occhiataccia alla sarta. Luce, l'aveva guardata male! «E il maledetto calzolaio ci dirà che scarpe comprare per poi farci pagare abbastanza da procurarsi cinquanta reti da pesca nuove?» «No» rispose Moiraine, spazientita. Tamore aveva sollevato un sopracciglio, ma il volto era livido di rabbia. Il significato di quell'espressione era chiaro come il più fine dei cristalli. L'avevano già fatta aspettare troppo e
avrebbero pagato per quello. E quell'occhiataccia! Moiraine si sbrigò sussurrando più veloce possibile. «Il calzolaio farà quanto vogliamo noi e negozieremo il prezzo con lui, ma non troppo, se vogliamo che lavori. Lo stesso faremo con il guantaio, la camiciaia e tutti gli altri. Sii contenta che nessuna di noi due ha bisogno di una parrucchiera. Le migliori sono davvero delle tiranne, fastidiose quasi quanto i profumieri.» Siuan rise forte, come se Moiraine stesse scherzando, ma lo avrebbe imparato a sue spese se mai fosse andata da una parrucchiera, senza sapere come sarebbero stati acconciati i capelli fino a quando il lavoro non fosse finito e non le avessero permesso di guardare nello specchio. Almeno a Cairhien era così. Una volta che furono concordati la scelta dei colori e i tipi di ricamo anche in questo caso fu necessario negoziare per stabilire su quale vestito andavano i ricami - dovevano ancora rimanere per il taglio del primo abito, per le misure e l'assemblaggio, un compito che Tamore svolse con grande sapienza, usando un puntaspilli che teneva legato al polso. Moiraine scoprì presto quale sarebbe stato il prezzo per aver fatto aspettare la donna. La stoffa che la sarta aveva scelto per lei era di un azzurro anche più chiaro di quello del cielo, quasi bianca e, dal modo in cui appuntava gli spilli sul vestito di lana azzurro scuro di Siuan, sarebbe stato attillato sul petto e con i fianchi simili a quello che indossava lei. Sarebbe potuta andare anche peggio. La sarta avrebbe potuto pungerla 'per sbaglio' una dozzina di volte e chiedere di appuntare tutti gli abiti, ma Moiraine era certa che i primi vestiti sarebbero stati tutti di tonalità chiare. I prezzi che Tamore aveva menzionato, una volta finito di puntare gli spilli e tolti gli abiti alle donne per montarli sui manichini, fecero sgranare gli occhi a Siuan, anche se stavolta restò zitta. Avrebbe imparato. In una città come Tar Valon, una corona d'oro per un abito di lana e dieci per uno di seta erano prezzi ragionevoli, vista la qualità del lavoro di Tamore. Ma Moiraine mormorò che avrebbe elargito una generosa ricompensa se avesse concluso velocemente. Altrimenti non avrebbero visto nulla per mesi. Prima di andarsene disse a Tamore che aveva deciso di avere cinque abiti da cavallo, nel severo stile di Cairhien, ovvero di colore scuro, ognuno con sei fasce rosse, verdi e bianche sul petto, meno di quelle a cui aveva diritto. L'espressione della donna domanese non cambiò davanti all'evidente segnale della sua appartenenza a una casata nobile minore. Cucire per un'Aes Sedai equivaleva a lavorare per un sommo signore di una casata illustre, o forse anche per un governante. «Vorrei che questi venissero realizzati per ultimi, per favore» le disse
Moiraine. «E non spedirli, verrà qualcuno a prenderli.» «Ti prometto che saranno gli ultimi, Aes Sedai.» Oh, sì; il primo vestito sarebbe stato chiaro. Ma la seconda parte del suo piano era compiuta. Per il momento si sentiva pronta, nei limiti in cui poteva esserlo. 14
Cambiamenti Le Sorelle che le avevano rivelato che una volta ottenuto lo scialle c'era da imparare quasi quanto prima avevano ragione. Moiraine e Siuan avevano imparato le complessità delle usanze della Torre Bianca da Ammesse, e sapevano in particolare quali esistevano da così tanto da essere diventate legge, e le punizioni in caso di violazione. Adesso Rafela e le altre trascorrevano ore a istruirle sulla lunga lista delle usanze dell'Ajah Azzurra, accumulatesi in tremila anni. Siuan ricordava ancora gran parte di quanto aveva detto loro Rafela durante la prima camminata verso le abitazioni dell'Ajah Azzurra, e Moiraine dovette lavorare sodo per raggiungerla. Sarebbe stato vergognoso ottenere una punizione per qualcosa di tanto banale come indossare un indumento rosso dentro la Torre. Le gemme rosse erano consentite, granati o rubini, ma il colore era vietato negli indumenti, in memoria di una vecchia inimicizia fra le Azzurre e le Rosse, tanto antica che nessuna era certa di quando fosse iniziata e perché. Azzurre e Rosse si contrastavano per principio, a volte portando il Consiglio quasi a un punto di stallo. La sola idea che ci fossero inimicizie fra le Ajah la stupiva, ma c'erano anche altri di questi antagonismi. Mentre le Verdi e le Azzurre erano passate attraverso alcune rotture nel corso dei secoli, la situazione era ben diversa per altre Ajah. Al momento vi era una leggera tensione con le Bianche per motivi noti solo a queste ultime e una tensione maggiore con le Gialle, causata dal fatto che Sorelle di entrambe le Ajah si accusavano a vicenda di aver interferito con le rispettive azioni in Altara circa cento anni prima. Le usanze vie-
tavano di interferire con altre Sorelle: era la sola tradizione che non tenesse conto della deferenza dovuta a quelle più forti nel Potere. Almeno, fuori dalla Torre. Poi c'erano le coalizioni. Per esempio, le Marroni sostenevano le Bianche contro le Azzurre, ma supportavano le Azzurre contro le Gialle. Almeno per il momento. Questi antagonismi potevano durare secoli o cambiare nel volgere di un istante. Era anche necessario imparare quali antagonismi e rivalità esistessero anche fra le altre Ajah, quando erano noti. Ogni dimenticanza era una trappola in attesa di un passo incauto o una parola imprudente. Luce, quell'intrico rendeva il Dae'Daes'mar un gioco da bambini! Siuan la interrogava ogni sera, come avevano fatto da novizie e da Ammesse, e lei interrogava l'amica, anche se non sembrava avere senso. Siuan non commetteva mai errori. Si ritrovarono a studiare di nuovo il Potere, con Lelaine, Natasia e Anaiya che facevano a turno con altre. Impararono il flusso per creare il legame con un Custode e altre tessiture non consentite alle Ammesse, incluse alcune note solo alle Azzurre. Questa per Moiraine fu una scoperta interessante. Se le Azzurre avevano incluso tessiture fra i segreti della loro Ajah, di certo anche le altre Aes Sedai lo avevano fatto. Dopotutto lei aveva il suo segreto personale, imparato prima di recarsi a Tar Valon, e lo aveva sempre tenuto nascosto alle altre Sorelle. Sapevano che in Moiraine già brillava la scintilla, ma aveva detto loro che si era limitata ad accendere candele e fare globi luminosi per vedere al buio. Nessuno cresceva nel palazzo del Sole senza imparare a mantenere dei segreti. Che anche Siuan avesse delle tessiture segrete? Non era certo il tipo di domanda che potevi rivolgere alla tua migliore amica. Anche se erano abbastanza esperte nell'uso di saidar per imparare velocemente, c'era troppo da fare perché bastasse un giorno o anche una settimana. Moiraine non ci riusciva. Il metodo per ignorare il caldo si rivelò un trucco mentale di concentrazione, abbastanza semplice una volta che sapevi come eseguirlo, come sosteneva Natasia. «La mente deve essere serena come uno stagno» spiegò con fare pedante proprio come le lezioni che impartiva. Si trovavano nella sua stanza, dove quasi ogni superficie piatta era coperta da figurine e piccole sculture o miniature dipinte. Le lezioni si svolgevano sempre nella classe delle insegnanti. «Concentratevi su un punto dietro l'ombelico, al centro del corpo, iniziate a respirare ritmicamente, ma non come fate di solito. Ogni respiro deve avere la stessa durata, e così anche gli intervalli tra uno e l'altro: sem-
pre la stessa durata. Con il tempo diventerà naturale. Respirando e concentrandovi in questo modo la mente si distacca dal resto del mondo, senza più percepire caldo o freddo. Potrete camminare nude in una tormenta di neve o attraversare un deserto senza rabbrividire o sudare.» Sorseggiando il tè Natasia rise e gli scuri occhi a mandorla brillarono. «Geloni e scottature presenteranno ancora delle difficoltà. Solo la mente è distaccata, non il corpo.» Forse era semplice, ma per una settimana la concentrazione di Moiraine continuò a svanire, quando era a pranzo o camminava lungo un corridoio e si lasciava sempre cogliere di sorpresa quando il freddo la travolgeva improvvisamente, tre volte più forte di quando aveva iniziato la meditazione. Le sue esclamazioni in pubblico attiravano l'attenzione delle altre Sorelle. Temeva di stare acquisendo la reputazione di sognatrice. E di una che arrossiva sempre. Era difficile da sopportare. Inutile dire che Siuan afferrò subito il trucco e non rabbrividì mai più, almeno davanti a Moiraine. La Festa delle Luci segnò il cambio dell'anno e per due giorni ogni finestra di Tar Valon brillò dall'alba al tramonto. Nella Torre i servitori entravano in stanze che non erano state usate per secoli, per accendere le luci e accertarsi che rimanessero accese per tutti e due i giorni. Era una celebrazione gioiosa, con processioni di cittadini che trasportavano le lampade durante la notte e riunioni allegre che spesso duravano fino all'alba, anche nella case più povere, ma la festa fece intristire Moiraine. Stanze mai usate per secoli. La Torre Bianca stava rimpicciolendosi e lei non riusciva a immaginare cosa potesse essere fatto per rimediare. Ma in fondo, se le donne che indossavano lo scialle da oltre duecento anni non avevano trovato la soluzione, perché doveva riuscirci lei? Molte Sorelle ricevevano inviti a balli eleganti durante il periodo delle feste, e spesso accettavano. Alle Aes Sedai piaceva danzare come a qualsiasi altra donna. Moiraine ricevette un invito da nobili cairhienesi di due dozzine di casate e da quasi altrettanti commercianti abbastanza benestanti da affiancarsi all'aristocrazia. Solo i piani del Consiglio nei suoi confronti potevano aver fatto giungere in città tanti Cairhienesi potenti in una sola volta. Gettò i cartoncini di invito nel fuoco senza rispondere. Una mossa pericolosa nel Daes Dae'mar: non c'era modo di dire come sarebbe stata interpretata, ma adesso non stava giocando il Gioco delle Casate. Si stava nascondendo. Sorprendentemente, i primi abiti arrivarono la mattina presto del primo giorno di festa. O Tamore era impaziente di ricevere la ricompensa, o, più
probabilmente, pensava che la sua cliente volesse avere dei bei vestiti per le celebrazioni. Giunse con due delle sue assistenti per vedere se fossero necessari interventi di rifinitura, ma non servi. Tamore era eccellente nel suo lavoro, ma su una cosa Moiraine aveva avuto ragione. Il più severo dei sei abiti era di una tonalità poco più scura del cielo e solo due erano ricamati, il che significava che quasi tutto il resto lo sarebbe stato. Avrebbe continuato a indossare i vestiti di lana che l'Ajah le aveva donato. Almeno, tutti gli abiti da cavallo sarebbero stati scuri. Nemmeno Tamore poteva proporre un abito da cavallo di colore chiaro. Gli abiti di Siuan, di cui uno solo con la gonna divisa, mostravano l'eleganza con cui Tamore li aveva resi consoni a un palazzo malgrado fossero di lana, ma le mettevano in risalto il seno e i fianchi in modo fin troppo palese. Siuan non fece commenti. Le importava molto poco degli abiti. Alcune cose per la Tarenese non erano facili. Si presentava nella stanza di Cetalia con il volto che le si scuriva di giorno in giorno. Diventava sempre più permalosa e irritabile, ma rifiutava di rivelare quale fosse il problema, e rispondeva male anche a Moiraine quando l'amica insisteva nel chiedere cosa avesse. La cosa era preoccupante. Poteva contare sulle dita di una mano le volte che Siuan si era arrabbiata con lei in sei anni. Il giorno in cui Tamore consegnò gli abiti Siuan si unì a lei per un tè nella sua stanza prima di andare a pranzo, ma subito si accasciò sulla sedia intagliata e incrociò le braccia furiosa. Il volto era rigido e gli occhi ricordavano una fiamma azzurra. «Quel maledetto pesce zannuto di donna sarà la mia maledetta morte» gridò. Quella mezza settimana aveva disfatto tutto il lavoro che le Sorelle avevano operato sul suo linguaggio. «Interiora di pesce! Si aspetta che salti come un codarossa che depone le uova! Non sono mai scattata tanto velocemente nemmeno quando ero una...» A quel punto sbuffò e parve soffocare, e sgranò gli occhi mentre il Primo Giuramento faceva il suo effetto. Tossì e impallidì, battendosi il torace con una mano. Moiraine le versò subito una tazza di tè, ma trascorsero diversi minuti prima che Siuan fosse in grado di bere. «Be', non quando ero un'Ammessa» mormorò, una volta che fu di nuovo in grado di parlare. «Non appena arrivo da lei è tutto un 'trova questo, Siuan' o 'fai quello, Siuan' e 'non hai ancora finito, Siuan?' Cetalia schiocca le dita e si aspetta che io scatti.» «Le cose stanno così» rispose giudiziosa Moiraine. La situazione poteva essere molto peggiore, ma l'amica sembrava aver cambiato idea su quel
punto e lei non aveva intenzione di iniziare una discussione. «Non durerà per sempre, e solo una manciata di Sorelle ci supererà, in bravura.» «È facile per te parlare in questo modo» si lamentò Siuan. «Tu non hai la maledetta Cetalia che schiocca le dita costantemente.» Era vero, ma non significava che il suo compito fosse semplice. Le nuove lezioni le lasciavano poco tempo libero ma aveva sperato che la distribuzione delle ricompense le avrebbe permesso di cercare nei campi che ancora rimanevano da esaminare. Invece, per due o tre ore ogni mattina sedeva in una stanza priva di finestre, nel livello più alto della Torre, larga quel tanto che bastava a ospitare una scrivania e due sedie. Vi erano delle lampade da terra di semplice ottone con degli specchi sul retro per riflettere la luce, disposte agli angoli, che creavano un'efficace e indispensabile illuminazione. Senza di esse la stanza sarebbe stata buia. Doveva essere stata la postazione di un capo scrivano, ma chiunque fosse, non aveva lasciato nessuna traccia personale. Solo un flacone di inchiostro, un contenitore per le penne, il vasetto con la sabbia e una boccetta di alcol per pulire i pennini disposti sul tavolo; le pareti di pietra chiara erano spoglie. La larga sala all'esterno era piena di scaffali alti, piccole scrivanie e sgabelli, ma non appena Moiraine arrivò gli scrivani si disposero in fila davanti alla sua scrivania, facendo quasi il giro della stanza, per portarle la lista delle donne che avevano ricevuto la ratifica e per organizzare gli invii a quelle che se ne erano già andate. Il numero dei rapporti era scoraggiante. Rimanevano ancora alcuni campi da visitare e gli ultimi si stavano dissolvendo come neve al sole. Nessuno degli scrivani usava la seconda sedia: rimanevano rispettosamente in piedi mentre lei leggeva ogni pagina e firmava l'approvazione in calce, quindi le rivolgevano la riverenza o un inchino e se ne andavano senza dire una parola. Moiraine iniziò a pensare che fosse possibile morire di noia. Cercò di convincerli a organizzare la distribuzione più velocemente - le vaste risorse della Torre potevano risolvere la questione in una settimana, visto che c'erano centinaia di impiegati - ma continuarono a lavorare al loro passo. Prese in considerazione l'idea di pregare Tamra di sollevarla da quell'incarico, ma perché avrebbe dovuto sottoporsi a quest'inutile fatica? Quale metodo migliore per tenerla bloccata a Tar Valon fino a quando i piani del Consiglio fossero stati maturi? Noia e frustrazione. Ma anche lei aveva un piano. L'idea le era d'aiuto. Lentamente si convinse di una cosa: se la situazione fosse peggiorata sarebbe fuggita, qualsiasi fosse la peni-
tenza. Qualsiasi punizione si celasse nel futuro sarebbe comunque finita, prima o poi. Il trono del Sole, invece, sarebbe stato una condanna a vita. Il giorno dopo la Festa delle Luci, Ellid fu convocata per l'esame, anche se Moiraine ne sentì parlare solo a cose fatte. La bellissima Ammessa che voleva diventare Verde non era riuscita a uscire dal ter'angreal. Non vi era stato alcun annuncio; la Torre Bianca non annunciava i fallimenti, e una donna morta durante l'esame era considerata un grande fallimento da parte della Torre. Ellid era scomparsa e le sue cose erano state portate via. Vi fu un giorno di lutto e Moiraine indossò dei nastri bianchi fra i capelli e legò un fazzoletto di seta bianca con i bordi di merletto attorno a entrambe le braccia in modo che le scendessero fino sui polsi. Non le era mai piaciuta Ellid, ma la donna meritava comunque un segno di dolore. Non tutte le Sorelle erano abbastanza forti da farla scattare agli ordini, né mostravano desiderio di farlo. Elaida evitava lei e Siuan, o almeno non la videro più prima di sentire che aveva lasciato la Torre per ritornare ad Andor. Anche così, scoprire che era andata via fu un sollievo. Si trovava in una posizione elevata, quella che un giorno avrebbero raggiunto anche loro, e avrebbe potuto rendere le loro vite un inferno, quasi come quando erano state novizie e poi Ammesse. Forse peggio. Le commissioni capricciose che novizie e Ammesse facevano e si aspettavano potevano essere quasi una penitenza per un'Aes Sedai. Lelaine, che era nella stessa posizione di Elaida ed era per giunta Adunante, le aveva invitate diverse volte per il tè, per trovare sollievo dalla tensione delle prime settimane, come aveva spiegato. Andava molto d'accordo con Siuan, mentre rendeva Moiraine leggermente nervosa con quel suo sguardo penetrante. Sembrava sempre che sapesse sugli altri molto più di quanto rivelava, come se per lei non ci fossero segreti. D'altro canto, Siuan pareva incapace di capire l'apprezzamento di Moiraine per Anaiya. Non era per la guarigione. Anaiya era calorosa e aperta, e faceva sentire che tutto alla fine sarebbe andato bene. Quasi ogni conversazione con lei era consolatoria. Moiraine pensava che con il tempo sarebbero potute diventare amiche come con Leane, anche se non intime come con Siuan. L'amicizia con Leane era ripresa da dove sì era interrotta, con lei e con Siuan, e un'altra ne iniziò con Adine Canford, una donna paffuta con gli occhi azzurri e i capelli neri tagliati corti che non mostrava nemmeno un pizzico di arroganza malgrado fosse andorana. Ma non era nemmeno molto forte nel Potere. Considerare quell'aspetto stava davvero diventando una seconda natura. Rinnovarono la conoscenza con Sorelle di altre Ajah che
erano state Ammesse con loro, scoprendo che in certi casi l'amicizia si era ridotta a uno scambio di parole e in altri si era trasformata in conoscenza, mentre altre ancora si erano abituate al divario fra Aes Sedai e Ammesse al punto di non voler rinnovare l'amicizia, ora che indossavano lo scialle. Ma loro due la pensavano diversamente. Le amiche alleggerivano molti pesi, anche quelli di cui non si era consapevoli. Amiche o no, i giorni passavano con lentezza glaciale. Meilyn lasciò finalmente la Torre, quindi fu il turno di Kerene, seguita in ordine da Aisha, Ludice e Valera, ma il sollievo di Moiraine nel sapere che la ricerca era iniziata era inficiato dalla frustrazione per esserne stata lasciata fuori. Siuan cominciò a interessarsi al proprio lavoro, tanto che le lamentele adesso si concentravano sulle modalità più che sugli incarichi. Si dirigeva alle stanze di Cetalia prima di quando dovesse e spesso si tratteneva fino al secondo o terzo turno di cena. Moiraine non era altrettanto entusiasta. Gli incubi continuavano, con il bambino nella neve e l'uomo senza volto o il trono del Sole, anche se non erano frequenti come prima. Aveva eliminato quasi tutti i pizzi e merletti dalla sua stanza, la qual cosa richiese una sola visita dal tappezziere e una breve attesa per le modifiche. Non lo fece fare ovunque, perché Anaiya era ovviamente scontenta di veder scomparire i ricami, per cui il letto rimase un oceano di pizzi che faceva sorridere deliziata la sua amica. Ma per quanto fosse deliziata, Siuan trascorreva più tempo nelle altre stanze, per cui il motivo doveva essere per forza il letto. Dopo numerosi tentativi, Moiraine riuscì a cuocere una torta senza carbonizzarla, ma Aelda l'assaggiò e divenne verde. Siuan cucinò una torta di pesce che la Sorella dai capelli grigi dichiarò abbastanza saporita, ma dopo un'ora andò di corsa al gabinetto e fu necessario applicarle la guarigione. Nessuna le accusò di aver agito deliberatamente, ma Anaiya e Kairen la considerarono un'eccellente ricompensa per l'avarizia di Aelda. Una settimana dopo Ellid, durante il periodo di Chasaline Alta, Sheriam fu chiamata per l'esame e lo superò. Tecnicamente era Siuan l'ultima Azzurra, ma Cetalia rifiutava di perdere i suoi servigi anche solo per qualche ora, per cui fu Moiraine a depositare lo scialle sulle spalle della donna della Saldea dai capelli rosso fiamma quando scelse l'Ajah Azzurra, e il giorno seguente la scortò per il benvenuto alle residenze delle Azzurre, dove Siuan riuscì a fare un'apparizione per ottenere il sesto bacio. Sheriam era una buona cuoca, e amava fare le torte. A Cairhien era il Giorno della Riflessione, ma Moiraine non riusciva a meditare sui propri peccati e sulle colpe: lei e Siuan avevano recuperato
un'amica che temevano sarebbe stata perduta per anni. La Tarenese aveva addirittura suggerito di associare Sheriam alla loro ricerca, e convincerla a non farlo aveva richiesto ore. Moiraine non temeva che Sheriam le avrebbe tradite con Tamra, ma già da Ammessa era stata una gran chiacchierona. Non rivelava mai quanto prometteva di tenere segreto, ma non avrebbe saputo resistere a fare delle allusioni sul fatto che lei conoscesse un segreto, e Siuan doveva saperlo molto bene. E se si lasciava che gli altri capissero che si era a conoscenza di un segreto, qualcuno avrebbe lavorato per scoprirlo. Era un istinto naturale. A volte Siuan non conosceva il significato della parola cautela. A volte? No, mai. Le Sorelle cominciarono a parlare di una resurrezione della Torre, con tante donne che avevano preso lo scialle nello stesso periodo e con una o due che forse lo avrebbero fatto in breve tempo. Per tradizione nessuna parlava di Ellid, ma Moiraine ci pensava spesso. Una donna morta e tre promosse allo scialle nell'arco di due settimane, ma la sola novizia a essere esaminata da Ammessa in quel periodo aveva fallito ed era stata mandata via, e all'albo delle novizie non erano stati aggiunti nuovi nomi, mentre venti troppo deboli erano state congedate. Quelle stanze sarebbero rimaste inutilizzate ancora per secoli, di questo passo. Fino a quando sarebbero rimaste tutte vuote. Siuan cercò di consolarla, ma come poteva essere felice quando la Torre Bianca era destinata a diventare un monumento alla morte? Tre giorni dopo, Moiraine desiderò di aver trascorso il Giorno della Riflessione in modo migliore. Non era superstiziosa, ma si diceva che non rispettare quella ricorrenza portasse sempre sfortuna a qualcuno a cui si voleva bene. Si trovava al secondo turno della colazione e mangiava lentamente la farinata d'avena, pensando alla tortura cui l'avrebbero sottoposta gli scrivani, quando Ryma Galfrey entrò nella sala. Magra ed elegante, indossava un abito giallo striato di verde ed era molto alta in confronto a Moiraine. Non era una delle Sorelle cui Moiraine doveva deferenza, ma aveva un portamento regale, accentuato dai rubini fra i capelli che rammentavano una corona e dall'aria arrogante tipica delle Gialle. Sorprendentemente lavorò un flusso di Aria e uno di Fuoco per rendere la voce chiara e forte in ogni angolo della sala da pranzo. «La scorsa notte Tamra Ospenya, la Custode dei Sigilli, Fiamma di Tar Valon, l'Amyrlin Seat, è morta nel sonno. Che la Luce risplenda sulla sua anima.» La voce era controllata, come se stesse annunciando che sarebbe piovuto, e aspettò quel tanto che bastava per controllare che il pubblico a-
vesse incamerato l'informazione prima di andarsene. Fra i tavoli si diffuse immediatamente un mormorio, ma Moiraine rimase seduta, stordita. Le Aes Sedai morivano prima che giungesse il loro momento, come tutti gli altri, e le Sorelle non diventavano sempre più deboli con il passare degli armi - la morte giungeva in piena salute - eppure stavolta la notizia era talmente inaspettata che lei ebbe la sensazione di aver ricevuto una martellata in testa. Che la Luce illumini l'anima di Tamra, pregò in silenzio. Di certo lo avrebbe fatto. Che cosa ne sarebbe stato adesso della ricerca del bambino? Nulla sarebbe cambiato, ovviamente. Le cercataci prescelte da Tamra sapevano cosa dovevano fare, e avrebbero informato la nuova Amyrlin. Forse quest'ultima l'avrebbe sollevata dal suo attuale incarico, se riusciva a raggiungere la donna prima che il Consiglio la informasse dei suoi piani. Fu immediatamente colta da una forma di disgusto nei propri confronti e spostò la ciotola con la farinata: l'appetito era svanito del tutto. Una persona che ammirava con tutta l'anima era morta e lei pensava a trame vantaggio! Il Daes Dae'mar lo aveva davvero nelle ossa, e forse anche tutta la brutalità dei Damodred. Stava quasi per chiedere a Merean di darle una punizione, ma forse la maestra delle novizie le avrebbe assegnato un compito che l'avrebbe trattenuta a Tar Valon. Questo pensiero le fece crescere il senso di colpa, per cui decise da sola come punirsi. Solo uno degli abiti che possedeva si avvicinava al colore del lutto, un azzurro talmente chiaro da sembrare bianco, e lo indossò per i riti funebri di Tamra. Tamore aveva ricamato l'indumento davanti e dietro, incluse le maniche, con una fine e intricata rete che appariva abbastanza innocente fino a quando non indossò l'abito. A quel punto sembrò appariscente come quello che indossava la sarta stessa. Si mise quasi a piangere dopo essersi osservata allo specchio. Siuan batté le palpebre nel vederla per il corridoio fuori dalle loro stanze. «Sei sicura di voler indossare quello?» La voce sembrava quasi soffocata. Fra i capelli aveva dei lunghi nastri bianchi, e altri attorno alle braccia. Le Sorelle che incontrarono indossavano tutte vesti simili. Le Aes Sedai non portavano mai il lutto totale a parte le Bianche, che non lo consideravano tale. «A volte è richiesta una punizione» rispose Moiraine, spostando deliberatamente lo scialle sulle braccia, e Siuan non chiese null'altro. Vi erano domande che potevano essere rivolte e altre che era meglio tenere per sé. Era un'usanza molto forte. E un segno di amicizia.
Dopo aver indossato lo scialle, ogni Sorella si riunì in una radura isolata sul terreno della Torre, dove il corpo di Tamra giaceva in un catafalco, cucito dentro un semplice lenzuolo funebre azzurro. L'aria del mattino era decisamente frizzante - Moiraine ne era consapevole anche se non rabbrividiva - e le querce tutto intorno erano ancora senza foglie sotto il cielo grigio: i rami spessi e contorti erano perfetti per un funerale. L'abito di Moiraine fece sollevare più di un sopracciglio, ma la disapprovazione delle Sorelle era parte della penitenza. La Mortificazione dello Spirito era sempre la più difficile da sopportare. Stranamente le Bianche avevano indosso nastri neri e lucidi, ma doveva trattarsi di un'usanza di quell'Ajah, perché nessuna delle altre Sorelle manifestò sorpresa. Dovevano averlo già visto in precedenza. Chiunque lo desiderasse aveva il permesso di recitare una preghiera o alcune parole in memoria di Tamra, e molte lo fecero. Solo le Adunanti parlarono per conto delle Rosse e in maniera molto concisa, ma forse anche quella era un'usanza. Moiraine sì fece avanti e rimase in piedi davanti al catafalco con lo scialle morbido sulle braccia, esponendosi alla vista delle altre, sapendo che tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di lei. La parte più difficile da sopportare. «Che la Luce illumini l'anima di Tamra della luminosità che merita, e lei possa rifugiarsi nella mano del Creatore fino al momento della rinascita. Che la Luce le invii una radiosa rinascita. Non riesco a pensare a nessun altra donna che ammirassi più di Tamra. Ancora la ammiro e la onoro. Lo farò sempre.» Adesso aveva gli occhi colmi di lacrime, e non per l'umiliazione che la pungeva come un susseguirsi di lunghe spine. Non aveva mai conosciuto bene l'Amyrlin - le novizie e le Ammesse non riuscivano mai a conoscere le Sorelle, tantomeno l'Amyrlin Seat - ma, Luce, le sarebbe mancata. Secondo i desideri di Tamra il corpo fu consumato dalle fiamme del Fuoco, le ceneri sparse sul suolo della Torre Bianca dalle Sorelle della sua Ajah di appartenenza, quella alla quale faceva ritorno al momento della morte. Moiraine non era la sola a piangere. La serenità delle Aes Sedai non era un'armatura contro eventi così gravi. Indossò quell'abito vergognoso per il resto della giornata. Non avrebbe più potuto guardarlo senza ricordare. Fino a quando non fosse stata eletta una nuova Amyrlin, il Consiglio della Torre avrebbe governato, ma le limitazioni nella legge aumentavano di volta in volta per assicurarsi che non lo facesse troppo a lungo, e la sera dopo il funerale di Tamra Sierin Vayu fu eletta fra le Grigie. Un'Amyrlin
doveva in teoria concedere amnistie e sollievo dalle punizioni il giorno che prendeva stola e staffa. Da Sierin non ne giunse nessuna, e nello spazio di pochi giorni ogni scrivano della Torre era stato mandato via senza preavviso, in teoria per aver amoreggiato con novizie e Ammesse o per aver lanciato occhiate e sguardi inappropriati, una colpa talmente vaga che poteva significare di tutto. Anche uomini così vecchi che perfino i loro pronipoti avevano figli furono allontanati, e persino alcuni ai quali le donne non piacevano affatto. Nessuna Sorella commentò gli eventi. Nessuno osava farlo, non quando la notizia poteva giungere alle orecchie di Sierin. Tre Sorelle furono mandate in esilio da Tar Valon per un anno, e per due volte Moiraine fu costretta a unirsi alle altre alla Corte dei Traditori per vedere un'Aes Sedai spogliata e frustata fino a quando non avesse gridato dal dolore. Una protezione che formava una cupola grigia e scintillante sopra la Corte dal pavimento lastricato tratteneva le grida in quella sala, e a Moiraine sembravano assordanti. Per la prima volta dopo settimane perse la concentrazione e rabbrividì. Non solo per il freddo. Temeva che quelle grida le sarebbero risuonate nelle orecchie molto a lungo, da sveglia e nel sonno. Sierin guardava e ascoltava, con calma estrema. La nuova Amyrlin poteva scegliere la Custode e anche una nuova maestra delle novizie. Sierin aveva fatto entrambe le cose. Stranamente Amir, la donna robusta dalle lunghe trecce con le perline che ondeggiavano mentre usava la frusta con grande energia, era Rossa, come anche la nuova Custode, Duhara. Non vi erano leggi o usanze che richiedessero che Custode e maestra delle novizie appartenessero alla stessa Ajah dell'Amyrlin, ma era prevedibile. In fondo vi erano stati mormorii di gran sorpresa anche quando Sierin aveva scelto l'Ajah Grigia piuttosto che la Rossa. Moiraine non pensava che le cercatrici di Tamra avrebbero rivelato a Sierin della ricerca del bambino. Il giorno dopo la seconda fustigazione, Moiraine si presentò nell'anticamera dello studio dell'Amyrlin, dove Duhara sedeva rigidamente dietro la scrivania, con l'ampia stola rossa drappeggiata attorno al collo. Il vestito scuro era talmente screziato di rosso che avrebbe anche potuto essere stato scarlatto. Una domanese, Duhara era magra e bella, anche se molto alta, ma le labbra carnose avevano una piega malvagia e gli occhi erano sempre alla ricerca di colpe. Moiraine si ricordò che, senza la stola della Custode, Duhara avrebbe dovuto saltare se lei avesse schioccato le dita. Mentre stava aprendo bocca, la porta dello studio dell'Amyrlin si spalancò e Sierin
uscì di gran passo con una lettera fra le mani. «Duhara, ho bisogno che... E tu che cosa vuoi adesso?» L'ultima frase era rivolta a Moiraine, che si lanciò subito in una riverenza, profonda come avrebbe fatto una novizia, baciando l'anello del Gran Serpente prima di sollevarsi. Quello era il solo gioiello che indossava Sierin. La stola dalle sette strisce colorate era più piccola di quella della Custode e gli abiti di seta grigio scuro erano di taglio semplice. La donna era abbastanza paffuta, il volto rotondo sembrava fatto per la gioia e l'allegria, invece era sempre torva come se la sua espressione fosse scolpita e immutabile. Moiraine poteva quasi guardarla negli occhi. Occhi duri. Aveva la bocca secca e lottò per non rabbrividire a un'ondata di freddo improvviso che sembrava peggio del cuore dell'inverno, ma gli esercizi per calmarsi le diedero la compostezza necessaria. Moiraine aveva imparato molto su Sierin ascoltando le voci sulla nuova Amyrlin. Un fatto la colpì più di altri in quel momento, come un coltello affilato. Sierin vedeva la legge in quanto legge, senza un briciolo di pietà. «Madre, ti chiedo di sollevarmi dal mio incarico di consegna delle ricompense.» La voce era ferma, grazie alla Luce. «Le scrivane portano avanti il compito il più velocemente possibile, ma farle rimanere in piedi in fila ogni giorno per ricevere l'approvazione di una Sorella per qualcosa che possono fare da sole toghe ore al loro lavoro.» Sierin si umettò le labbra come se avesse morso un frutto acerbo. «Io bloccherei l'intera idiozia della ricompensa se non mettesse in cattiva luce la Torre. Un ridicolo spreco di denaro. Molto bene; le scrivane possono inviare le loro carte a un'altra per farle firmare. Una Marrone, forse. A loro piacciono quel tipo di cose.» Il cuore di Moiraine gioì prima che l'Amyrlin aggiungesse: «Tu resterai a Tar Valon. Come sai, presto avremo bisogno di te.» «Come preferisci, madre» rispose Moiraine, con il cuore affossato nello stomaco. Rivolgendole un'altra riverenza profonda, baciò l'anello dell'Amyrlin ancora una volta. Con una donna come Sierin era meglio non correre rischi. Siuan l'aspettava in camera sua. L'amica si protese in avanti, curiosa. «Sono libera dalla ricompensa, ma mi ha ordinato di rimanere a Tar Valon. 'Come sai, presto avremo bisogno di te.'» Pensò che fosse una buona imitazione della voce di Sierin, con una leggera punta di amarezza. «Interiora di pesce!» mormorò Siuan ricadendo all'indietro. «Cosa farai adesso?»
«Me ne andrò a fare una cavalcata. Sai dove trovarmi.» Siuan rimase senza fiato. «Che la Luce ti protegga» le disse dopo un momento. Non aveva senso aspettare, per cui Moiraine si cambiò indossando un abito da cavallo, facendosi aiutare dall'amica per sbrigarsi. Il vestito era blu scuro, con alcune foglie di vite ricamate in argento che risalivano sulle maniche e attorno al collo. Tutti gli abiti scuri erano ricamati, ma Moiraine aveva iniziato a pensare che un leggero ornamento non era poi tanto male. Lasciando lo scialle ripiegato nel capace guardaroba, prese un mantello foderato di pelliccia di volpe nera e infilò spazzola e pettine in una taschina interna e il set da cucito nell'altra. Prese i guanti da cavallo, abbracciò Siuan e se ne andò di corsa. Un lungo addio sarebbe finito in lacrime, e non poteva correre quel rischio. Le Sorelle nel corridoio la guardavano mentre passava, ma sembravano intente nelle loro faccende, anche se Kairen e Sheriam osservarono che faceva freddo per una cavalcata. Solo Eadyth aggiunse dell'altro, fermandola con una mano sollevata e guardandola in quel modo che ricordava Lelaine. «Fattorie e villaggi in rovina non ti renderanno piacevole l'escursione, temo» mormorò l'Adunante dai capelli bianchi. «Sierin mi ha ordinato di rimanere a Tar Valon,» rispose Moiraine, con il volto da perfetta Aes Sedai «e non credo che una gita fino a uno dei ponti per qualche ora si possa considerare un'infrazione.» Le labbra di Eadyth si tesero per un istante, talmente breve che Moiraine pensò quasi di averlo immaginato. Ovviamente aveva dedotto da quella risposta che Sierin aveva rivelato i loro piani, e ne era seccata. «L'Amyrlin a volte può essere temibile con qualcuno che va contro i suoi desideri, anche in forma minima, Moiraine.» La donna quasi le sorrise. Luce, le aveva dato la possibilità di parlare apertamente. Be', quasi. Una bella riposta da Aes Sedai. «Allora è un bene che non intenda superare i ponti. Non ho voglia di essere frustata.» Nella stalla ovest aveva fatto sellare Freccia, senza bisacce. Non ne aveva bisogno per andare in città, e nonostante il tenore delle sue risposte a Eadyth, l'Adunante poteva sempre inviare qualcuno a controllare. Moiraine lo avrebbe fatto. Se avesse avuto fortuna nessuna avrebbe sospettato nulla fino al tramonto. La prima fermata la fece da comare Dormaile: la banchiera aveva preparato un certo numero di lettere dei diritti per differenti importi e quattro sacchetti di denaro contenenti duecento corone d'oro e d'argento. Il denaro
l'avrebbe sostentata per un po'. Le lettere dei diritti sarebbero servite per le emergenze una volta finite le monete. Una volta usata la prima, avrebbe dovuto muoversi velocemente. Gli occhi e le orecchie della Torre l'avrebbero cercata, e per quanto fossero discreti i banchieri, la Torre di solito scopriva quello che voleva scoprire. Ovviamente comare Dormaile non fece domande, ma capendo che Moiraine era da sola le offri quattro dei suoi valletti come scorta e lei accettò. Non aveva paura dei borseggiatori, ma se qualcuno avesse pensato di derubarla, era meglio se fosse stato spaventato da quattro uomini piuttosto che cacciato con il Potere. Un'azione del genere avrebbe attirato l'attenzione. Le donne benestanti spesso cavalcavano con le guardie del corpo, anche a Tar Valon. Gli uomini che cavalcarono con lei affiancando Freccia erano definiti valletti, ma anche se indossavano giubbe semplici erano muscolosi e sembravano abituati ad avere le spade appese al cinturone. Senza dubbio erano della stessa risma dei 'valletti' che avevano sopraffatto mastro Gorthanes, o qualsiasi fosse stato il vero nome. I banchieri avevano sempre delle guardie, anche se non le chiamavano mai a quel modo. Una volta al negozio di Tamore, mandò due uomini con il denaro per acquistare un baule da viaggio e assumere una coppia di portatori, quindi si cambiò indossando uno degli abiti da cavallo che la contrassegnavano come nobile appartenente a una casata minore cairhienese. Tre su cinque erano ricamati, ma solo leggermente, e Moiraine non si lamentò. Era comunque troppo tardi per far rimuovere le decorazioni. Tamore non le rivolse domande come non l'aveva fatto comare Dormaile: in fondo era quanto ci si aspettava da una sarta. Anche le sarte dovevano avere un senso della discrezione, altrimenti non rimanevano a lungo negli affari. Prima di andare via Moiraine ripose l'anello con il Gran Serpente in un sacchetto di pelle. Provò una sensazione strana alla mano, senza: il dito anelava letteralmente a quel circoletto d'oro, ma troppi a Tar Valon ne conoscevano il significato. Per ora doveva davvero nascondersi. Si diresse a nord con il suo piccolo seguito, facendo diverse fermate per riempire il baule, che i portatori trasportavano su delle pertiche appoggiate sulle spalle, con oggetti indispensabili che non aveva potuto portare via dalla Torre per non farsi notare, fino a quando alla fine raggiunse il molo nord, dove le mura della città curvavano verso il fiume e creavano un anello largo circa un chilometro e mezzo, interrotto solo dall'imboccatura del porto. L'interno di quel grande cerchio era formato da banchine con i tetti di legno cui erano ancorati battelli fluviali di ogni dimensione. Scambiò
poche parole con la persona in carica al porto, una donna pesante con i capelli grigi e l'espressione afflitta, e ottenne indicazioni di cercare L'ala azzurra, un veliero a due alberi. Non era il più grande attraccato ai moli, ma salpava entro un'ora. Ben presto Freccia venne issata a bordo con una specie di argano, quindi fu legata al ponte: i portatori erano stati pagati, i valletti mandati via con un marco d'argento a testa come ringraziamento e il baule riposto in una cabina nel cassero. Moiraine avrebbe trascorso più tempo del dovuto in cabina, per cui rimase sul ponte a carezzare il muso di Freccia mentre il battello fluviale levava gli ormeggi e salpava; i lunghi remi usati per manovrare L'ala azzurra nel porto la facevano somigliare a un grosso insetto acquatico. Fu assistendo alle operazioni che vide la donna del porto indicare L'ala azzurra e parlare con un uomo avvolto in un mantello nero, che fissava il veliero. Moiraine abbracciò immediatamente saidar e tutto divenne limpido, chiaro. L'effetto non era lo stesso di un cannocchiale, ma riuscì a vedere in volto l'uomo, che osservava avidamente da sotto il cappuccio. La descrizione di comare Dormaile era esatta. Non era bello, ma affascinante, malgrado la cicatrice all'angolo dell'occhio sinistro. Ed era molto alto per essere Cairhienese. Come aveva fatto a trovarla e perché la stava cercando? Non riusciva a pensare una risposta piacevole a nessuno dei due quesiti, in particolare il secondo. Se qualcuno voleva bloccare il piano del Consiglio perché voleva un altro componente della casata Damodred sul trono del Sole, la soluzione più semplice sarebbe stata la morte della candidata della Torre. Fissandosi bene nella mente il volto di quel tipo, Moiraine rilasciò il Potere. Un altro motivo per essere molto prudente. L'uomo sapeva su quale veliero stava viaggiando e probabilmente conosceva tutti gli scali fra Tar Valon e le Marche di Confine. Le era sembrato il posto migliore da dove iniziare, molto lontano da Cairhien e facile da raggiungere via fiume. «Capitano Carney, L'ala azzurra è un veliero veloce?» L'ufficiale, un uomo grosso e abbronzato con dei baffi non troppo folti incerati e appuntiti, smise di gridare ordini e le rivolse una specie di sorriso rispettoso. Era stato contento di avere una nobile a bordo con il suo cavallo, tanto più vista la ricompensa. «La più veloce del fiume, mia signora, ne puoi essere certa» rispose, tornando a guidare la sua ciurma. Aveva già la metà dell'oro e doveva solo mostrarsi abbastanza rispettoso per ottenere il resto. Ogni capitano avrebbe detto lo stesso del proprio vascello, ma quando le
vele presero il vento L'ala azzurra rese onore al nome, volando fuori dall'imboccatura del porto. In quel momento Moiraine stava disobbedendo ufficialmente agli ordini dell'Amyrlin Seat. Sierin di certo aveva inviato qualcuno a seguirla non appena lasciata la Torre, ma l'intenzione non si traduceva subito in azione. Qualsiasi punizione fosse venuta in mente alla donna, sarebbe stata probabilmente una combinazione di lavoro, deprivazione e mortificazione della carne e dello spirito. Inoltre, forse lei era inseguita da un assassino. Le ginocchia avrebbero dovuto tremarle per la paura di Sierin, se non per quella di mastro Gorthanes, ma quando Tar Valon e la Torre cominciarono a rimpicciolire alle sue spalle, provò solo un'esplosione di libertà ed eccitazione. Non potevano metterla sul trono del Sole, adesso. Quando il Consiglio l'avesse trovata il posto sarebbe già stato di qualcun altro. E poteva cercare il bambino. Era partita per l'avventura più grandiosa mai intrapresa da un'Aes Sedai. 15
A Canluum Quando Lan fece ritorno nelle terre dove aveva sempre saputo che sarebbe morto, a Kandor si respirava l'aria limpida della nuova primavera. Sugli alberi erano spuntati i primi germogli e alcuni fiori selvatici punteggiavano l'erba scurita dal gelo invernale dove era libera dai piccoli cumuli di neve che le zone in ombra non lasciavano ancora sciogliere. Il pallido sole offriva ancora poco calore, le nuvole grigie minacciavano nuove piogge e un freddo vento penetrava sotto la giubba del Malkieri. Forse la permanenza al Sud lo aveva ammorbidito più di quanto pensasse. Se era vero, sarebbe stato un peccato. Era quasi a casa. Quasi. Cento generazioni di passanti avevano battuto quella strada riducendola quasi alla stessa durezza della pietra delle colline che la fiancheggiavano, per cui si alzava poca polvere, anche se dal mercato mattutino di Canluum si allontanava un flusso regolare di carri, carovane di carrozze di mercanti
circondate da guardie a cavallo con elmetti di acciaio e parti di armatura, che fluivano verso le alte mura grigie della città. Di tanto in tanto la catena che rappresentava la gilda dei mercanti di Kandor attraversava un torace, o si vedeva una donna di Arafel con i campanelli fra i capelli, un rubino all'orecchio di un uomo, una spilla di perle appuntata sul petto di una donna, ma per la maggior parte i commercianti indossavano abiti modesti come le loro maniere. Un mercante che si vantava troppo del profitto trovava difficile fare affari. Al contrario, i contadini ostentavano il loro successo quando si recavano in città. Le brache a sbuffo erano riccamente decorate, come anche i pantaloni delle donne e i mantelli che sventolavano al vento. Alcune avevano dei nastri colorati fra i capelli o un piccolo collo di pelliccia. Sembravano tutti vestiti per la festa di Bel Tine. Eppure la gente di campagna guardava in modo strano i forestieri come le guardie, quindi sollevava i bastoni o le asce e si allontanava. I tempi avevano reso tutti nervosi a Kandor, come forse lungo le intere Marche di Confine. I banditi erano spuntati come le erbacce e dalla Macchia venivano anche più problemi del solito. Giravano anche voci su un uomo che incanalava l'Unico Potere, ma dicerie del genere si diffondevano di frequente. Guidando Gatto danzante verso Canluum, Lan prestò poca attenzione agli sguardi che si posavano su di lui e il suo compagno, come anche alle occhiate torve di Bukama e alle sue lamentele. Con tutto quel suo parlare di riposarsi, più erano rimasti a sud e più era diventato scontroso. Stavolta era seccato perché lo zoccolo del cavallo si era rovinato battendo contro un sasso e adesso doveva andare a piedi. Attiravano molta attenzione. Due uomini alti che camminavano guidando i cavalli e una bestia da soma, con un cesto di vimini rovinato e gli abiti semplici consumati e macchiati dal viaggio. I finimenti e le armi erano ben curati. Un giovane e un vecchio con i capelli lunghi fino alle spalle e trattenuti da un laccio di cuoio intrecciato attorno alle tempie. L'hadori attirava l'attenzione. Specialmente lì, nelle Marche di Confine, dove la gente sapeva bene cosa significasse. «Sciocchi» mormorò Bukama. «Pensano che siamo banditi? Credono che intendiamo derubarli, a mezzogiorno e in mezzo alla strada principale?» Si guardò intorno torvo e cambiò posizione alla spada, in un modo che attirò l'attenzione delle guardie di molti mercanti. Un contadino robusto fece allontanare il suo bue. Lan rimase in silenzio. I Malkieri che ancora indossavano l'hadori ave-
vano una certa reputazione, anche se non di banditismo, ma rammentarlo a Bukama lo avrebbe reso di umore ancora peggiore di quello che già ostentava. Le lamentele si concentrarono sulla speranza di trovare un letto migliore per la sera e un pasto più decente del giorno prima. Bukama si aspettava poco e non si fidava di nulla. Cibo e sistemazione non rientravano nei pensieri di Lan, malgrado la distanza che avevano percorso. Continuava a voltare il capo verso nord. Rimaneva consapevole di chiunque lo circondasse, specialmente di quelli che guardavano dalla sua parte più di una volta, consapevole del tintinnio dei finimenti e dello scricchiolio delle selle, dello scalpiccio degli zoccoli e dello schiocco dei teloni di copertura dei carri dovuto ai ganci allentati. Ogni rumore insolito per lui sarebbe suonato come un grido. Rimase in allerta, ma la Macchia si trovava a nord. Ancora molto lontana, ma lui la percepiva, ne sentiva la corruzione contortali fatto che fosse la sua immaginazione ad agire non rendeva meno reale quella presenza incombente: l'aveva già attratto quando si trovava a sud, a Cairhien e Andor, anche a Tear, a quasi cinquecento leghe di distanza. Lan era stato due anni lontano dalle Marche di Confine, la sua guerra personale abbandonata per un'altra, e ogni giorno il richiamo diventava più forte. Non avrebbe mai dovuto lasciare che Bukama lo convincesse ad aspettare, permettendo al Sud di rammollirlo. Gli Aiel lo avevano aiutato a mantenersi sul chi vive. La Macchia per molti uomini significava morte. Morte e l'Ombra, una terra marcia, contaminata dal respiro del Tenebroso, dove tutto poteva uccidere, il morso di un insetto, la puntura di una spina, sfiorare la foglia sbagliata. Dimora di Trolloc, Myrddraal e creature anche peggiori. Due lanci di moneta avevano deciso da dove iniziare. La Macchia era costeggiata da quattro nazioni, ma la sua guerra personale le comprendeva tutte, dall'oceano Aryth alla Dorsale del Mondo. Un posto era buono come un altro, per morire. Era quasi arrivato a casa. Era quasi tornato nella Macchia. Era stato via troppo a lungo. Le mura della città erano circondate da un fossato, largo cinquanta passi e profondo dieci, attraversato da cinque ampi ponti di pietra con delle torri alle due estremità, alte come quelle che si trovavano lungo le mura. Le incursioni dei Trolloc e dei Myrddraal a volte si spingevano ben oltre Canluum, a Kandor, ma nessuna aveva mai superato le mura della città. Il Cervo Rosso garriva su ogni torre. Lord Varan era un uomo orgoglioso, sommo signore della casata Marcasiev; la regina Ethenielle non faceva sventolare tutte quelle bandiere nemmeno a Chachin.
Le vedette sulle torri esterne, gli elmetti decorati con corna ramificate di cervo e il Cervo Rosso ricamato sul petto, ispezionavano il retro dei carri prima di farli salire sui ponti, o facevano occasionalmente cenno a qualcuno di togliersi il cappuccio. Era necessario un solo gesto; la legge in tutte le Marche di Confine vietava di nascondere il volto quando si era in un centro abitato e nessuno voleva essere scambiato per uno di quei mostri senza occhi che tentavano di entrare di soppiatto in città. Sguardi severi seguirono Lan e Bukama sul ponte. I volti erano chiaramente visibili. E gli hadori. Negli occhi di chi osservava non vi era segno di riconoscimento. Due anni erano un periodo molto lungo per gli abitanti delle Marche di Confine. Molti uomini potevano morire, in due anni. Lan notò che l'amico era silenzioso, sempre un brutto segno. «Stai tranquillo, Bukama.» «Non sono mai io a creare problemi» rispose seccato il vecchio, ma smise di toccare l'elsa della spada. Le guardie sopra i cancelli di ferro della città e quelle sul ponte indossavano solo dei pettorali come armatura, ma erano molto vigili, specialmente davanti a una coppia di Malkieri con i capelli raccolti. Le labbra di Bukama si contraevano sempre più a ogni passo. «Al'Lan Mandragoran! Che la Luce ci protegga, abbiamo sentito dire che eri morto combattendo gli Aiel davanti alle Mura Lucenti!» L'esclamazione proveniva da un giovane soldato, più alto degli altri, quasi quanto Lan. Aveva, forse un anno o due meno di lui, eppure la differenza sembrava di dieci. Una vita. Il soldato si inchinò profondamente, con la mano sinistra appoggiata su un ginocchio. «Tai'shar Malkier!» Il vero sangue del Malkier. «Io sono pronto, maestà.» «Non sono re» rispose Lan tranquillo. Malkier era morta. Viveva solo la guerra, almeno in lui. Bukama invece non era tranquillo. «Pronto per cosa, ragazzo?» Con il palmo della mano colpì il pettorale del soldato, proprio sopra il Cervo Rosso, facendolo raddrizzare e arretrare di un passo. «Ti sei tagliato i capelli e li hai lasciati liberi!» Pronunciò le parole con disgusto. «Hai giurato fedeltà a un signore di Kandor! Con quale diritto adesso proclami di essere Malkieri?» Il giovane arrossi mentre cercava una risposta plausibile. Altri soldati iniziarono a dirigersi verso di loro, ma si fermarono quando Lan lasciò cadere le redini. Fu l'unico gesto che fece, ma adesso sapevano il suo nome. Guardarono lo stallone baio, in piedi immobile alle sue spalle, osservando-
lo con la stessa cautela che usavano con lui. Un cavallo da combattimento era un'arma formidabile, e loro non sapevano che Gatto danzante era solo parzialmente addestrato. Si aprì un varco mentre la gente vicina al cancello si allontanava prima di voltarsi a guardare, e quelli ancora sul ponte si facevano indietro. Da entrambe le direzioni si levarono delle grida: provenivano dalle persone che volevano sapere cosa stesse bloccando il traffico. Bukama ignorò tutta la situazione, concentrato sul soldato dal volto rosso. Lui non aveva mollato le redini del cavallo da soma o del roano castrato. Era la sola speranza di passare senza far snudare le lame. Dal posto di guardia dentro i cancelli apparve un ufficiale con l'elmetto sottobraccio, ma una mano era coperta dal guanto d'acciaio e appoggiata sull'elsa della spada. Un uomo schietto, con i capelli grigi e cicatrici bianche sul volto, Alin Seroku aveva servito quarant'anni lungo i confini della Macchia, e sgranò gli occhi alla vista di Lan. Ovviamente anche lui aveva sentito le storie riguardo la sua morte. «Che la Luce risplenda su di te, lord Mandragoran. Il figlio di el'Leanna e al'Akir, benedetto dalla loro memoria, è sempre benvenuto.» Gli occhi di Seroku saettarono su Bukama, non in segno di benvenuto. Si piazzò a gambe divaricate in mezzo ai cancelli. Cinque uomini a cavallo sarebbero potuti passare facilmente da entrambi i lati, ma lui voleva sbarrare il passo. Nessuno dei soldati si mosse, ma tutti avevano le mani sulle else delle spade. Tutti tranne il giovane che stava ricambiando l'occhiata torva di Bukama. «Lord Marcasiev ci ha ordinato di mantenere la pace» prosegui Seroku, come se stesse scusandosi. Ma solo parzialmente. «La città è ai limiti della sopportazione. Tutte queste storie su un uomo che incanala sono pessime, e per strada si sono verificati omicidi questo mese e anche prima, in piena luce del giorno, e ci sono anche stati degli strani incidenti. La gente mormora di una progenie dell'Ombra Libera all'interno delle mura.» Lan annui lievemente. Con la Macchia tanto vicina la gente parlava sempre di progenie dell'Ombra quando non c'erano altre spiegazioni, che si trattasse di una morte improvvisa o un raccolto andato inaspettatamente male, ma non raccolse le redini di Gatto danzante. «Vogliamo riposare alcuni giorni prima di dirigerci a nord.» Riposare e cercare di recuperare il controllo. Per un momento pensò che Seroku fosse sorpreso. L'uomo si aspettava forse la promessa di mantenere la pace, o delle scuse per il comportamento di Bukama? Entrambe le cose avrebbero offeso il vecchio guerriero. Era
un peccato che la guerra finisse lì. Lan non voleva morire uccidendo degli uomini di Kandor. Bukama distolse lo sguardo dal giovane soldato, in piedi e tremante con i pugni serrati. «È tutta colpa mia» annunciò atono. «Non avevo il diritto di fare quel che ho fatto. In memoria del nome di mia madre, manterrò la pace di lord Marcasiev. In memoria del nome di mia madre, non estrarrò la spada dentro le mura di Canluum.» Seroku rimase a bocca aperta e Lan riuscì a nascondere a fatica la propria sorpresa. Esitando un solo momento, l'uomo con il volto sfregiato si fece da parte, inchinandosi e toccando l'elsa della spada, quindi si portò la mano al petto. «Lan Mandragoran Dai Shan è sempre benvenuto,» disse formalmente «come Bukama Marenellin, eroe di Salmarna. Che entrambi possiate conoscere la pace, un giorno.» «La pace è nell'ultimo abbraccio della madre» rispose Lan con la stessa formalità, toccandosi anche lui elsa e cuore. «Che un giorno ci accolga nella sua casa» concluse Seroku. Nessuno desiderava davvero morire, ma era il solo modo in cui trovare la pace, nelle Marche di Confine. Con espressione ferrea Bukama si avviò tirando Lancia di fuoco e il cavallo da soma, senza aspettare Lan. Non era un buon segno. Canluum era una città di pietra e mattoni, le strade lastricate si inerpicavano intorno alle colline. L'invasione degli Aiel non aveva mai raggiunto le Marche di Confine, ma le conseguenze della guerra erano sempre negative per il commercio, anche molto lontano dal campo di battaglia, e adesso che i combattimenti e l'inverno erano finiti, la città si era riempita di gente proveniente da ogni terra. Malgrado la Macchia alle porte della città, le miniere di pietre preziose rendevano ricca Canluum. E, cosa strana, alcuni dei più bravi sarti di mantelli erano lì. Le grida degli ambulanti e dei negozianti che pubblicizzavano le proprie merci si elevavano al di sopra del brusio della folla, anche lontano dalla zona del mercato. Musicisti con abiti variopinti, giocolieri e acrobati si esibivano a ogni angolo. Alcune carrozze laccate ondeggiavano fra la massa di gente, carri e carriole, cavalli con selle e brighe montate d'oro o d'argento che si facevano largo fra la folla. Gli abiti dei cavalieri erano ricamati come le finiture degli animali e bordati di pelliccia di volpe, martora o ermellino. Non c'era un passo di strada Libera ovunque si guardasse. Lan notò anche diverse Aes Sedai, donne con il volto sereno e privo dei
segni dell'età. Erano molte le persone che le riconoscevano a vista, e si creavano degli ingorghi fra la folla, quando tutti cercavano di allontanarsi. Rispetto o cautela, riverenza o paura, vi erano motivi sufficienti per cedere il passo a una Sorella, anche per un re. Un tempo poteva trascorrere un anno senza vedere un'Aes Sedai, anche nelle Marche di Confine, ma le Sorelle sembravano essere ovunque da quando la vecchia Amyrlin Seat era morta. Forse erano le storie sull'uomo che incanalava; non lo avrebbero lasciato libero a lungo, se esisteva. Lan tenne gli occhi lontano da loro, camminò velocemente per evitare di essere notato. L'hadori era sufficiente per attirare l'attenzione di una Sorella alla ricerca di un Custode. In teoria dovevano chiedere il permesso prima di legare un uomo, ma lui ne conosceva diversi che avevano subito il legame come una sorpresa. Chi avrebbe rinunciato alla propria liberà per trottare alle calcagna di un'Aes Sedai, a meno che non fosse stato costretto? Stranamente i volti di molte donne erano coperti da veli di merletti, molto sottili e abbastanza trasparenti da rivelare che avevano gli occhi. Del resto nessuno aveva mai sentito parlare di un Myrddraal femmina, ma Lan non si era aspettato comunque che la legge tollerasse questa moda. La prossima mossa sarebbe stata eliminare le lampade a olio per le strade e lasciare che la notte in città diventasse totalmente buia. Un fatto ancor più stupefacente dei veli fu vedere Bukama che guardava le donne e non apriva bocca. A quel punto, un uomo con il naso sporgente di nome Nazar Kurenin passò davanti agli occhi di Bukama e questi non batté ciglio. Il giovane soldato vestito di scuro era nato dopo che la Macchia aveva fagocitato il Malkier, ma Kurenin, con i capelli corti e la barba biforcuta, aveva il doppio degli anni di Lan. Il tempo non aveva cancellato del tutto l'impronta dell'hadori. Erano molti gli uomini come lui, e la sua vista avrebbe dovuto far impazzire Bukama. Lan guardò preoccupato l'amico. Si erano mossi a passo regolare verso il centro della città, risalendo verso la collina più alta, il Passo del Cervo. Il palazzo fortezza di lord Marcasiev era costruito in cima al declivio, assieme a quelli di lord e lady di casate minori innalzati sui livelli inferiori. Ogni casa da quelle parti offriva il benvenuto ad al'Lan Mandragoran. Forse anche più caloroso di quanto lui volesse. Balli e battute di caccia, con inviti di nobili, anche da grandi distanze, addirittura da oltre il confine con l'Arafel. Gente che bramava di sentire le sue avventure. Giovani uomini che attendevano di potersi unire alle sue scorrerie nella Macchia e vecchi che volevano confrontare le loro
esperienze con le sue. Donne impazienti di dividere il letto con un uomo che, secondo molte storie sciocche, la Macchia non poteva uccidere. Kandor e Arafel erano pessime come molte terre del Sud, in tali circostanze. Alcune di quelle donne erano sposate. E ci sarebbero stati uomini come Kurenin, che si erano dati da fare per cancellare le memorie lontane della perduta Malkier, donne che non adornavano più la loro fronte con il ki'sain, segno della disponibilità a giurare sui loro figli di opporsi all'Ombra fino a quando avessero respirato. Poteva ignorare i sorrisi falsi quando lo chiamavano al'Lan Dai Shan, onorato lord della guerra e re non coronato di una nazione tradita mentre lui era nella culla. Nel suo umore attuale, Bukama avrebbe potuto uccidere. O peggio, visto che aveva giurato ai cancelli di non prendere la spada. Avrebbe rispettato il giuramento fino alla morte. Ma le mani e i piedi del vecchio erano pericolosi al punto da mutilare o storpiare un uomo per sempre. «Varan Marcasiev ci tratterrà una settimana o più, con tutte quelle cerimonie» disse Lan, svoltando verso una strada più stretta che portava via dal Passo. «Con quello che abbiamo sentito su banditi e cose simili sarà sicuramente contento se non mi presento a fargli la riverenza.» Era abbastanza vero. Lan aveva incontrato il sommo signore della casata Marcasiev solo una volta, anni prima, ma ricordava un uomo dal volto serio dedito al dovere. Lord Marcasiev avrebbe organizzato balli e battute di caccia e rimpianto ognuno di essi. Bukama lo segui senza lamentarsi di perdere il letto di un palazzo o i banchetti che i cuochi avrebbero preparato. Era preoccupante. Oltre a recuperare l'equilibrio doveva trovare il modo di affilare quello di Bukama, o tanto valeva che si tagliassero le vene già da subito. 16
Le profondità Negli avvallamenti verso le mura settentrionali non sorgevano palazzi, solo negozi e taverne, locande, stalle e parcheggi per i carri. I magazzini
dei fattori erano in trambusto, ma nessun carro si recava alle Profondità e molte strade erano grandi appena quanto bastava per consentire il passaggio dei carretti. Erano piene di gente come la via principale, e altrettanto rumorose. Lì le decorazioni dell'abbigliamento degli artisti erano brunite, ma questi gridavano ancora più forte, e compratori e venditori urlavano come se cercassero di farsi sentire dalla strada affianco. Probabilmente alcuni nella folla erano tagliaborse, rapinatori o altri tipi di criminali, che avevano finito di lavorare nella zona alta o si dirigevano in quel luogo per il pomeriggio. Sarebbe stato stupefacente che non ci fossero, con così tanti mercanti in città. La seconda volta che della dita invisibili gli sfiorarono la giubba nella folla, Lan si infilò le monete sotto la camicia. Qualsiasi banchiere gli avrebbe prestato denaro usando come garanzia la residenza shienarese che aveva ottenuto al raggiungimento della maturità, ma perdere l'oro a quel modo significava accettare l'ospitalità del Passo del Cervo. Alle prime tre taverne che provarono, cubi di pietra con i tetti di ardesia, alcuni dei quali con insegne colorate, i locandieri non avevano nemmeno un buco da offrire. I piccoli commercianti e le loro guardie avevano riempito le camere. Bukama cominciò a lamentarsi di dover preparare il letto in un fienile, ma non fece mai parola del materasso di piume e delle lenzuola di lino che lo attendevano al Passo. Lasciando i cavalli allo stalliere di una quarta locanda, La rosa azzurra, Lan entrò determinato a trovare un posto anche se gli fosse servito tutto il resto della giornata. All'interno vi era una donna con i capelli grigi, alta e bella, che controllava una sala comune affollata dove chiacchiere e risate quasi soffocavano la canzone della snella ragazza che si accompagnava con il suo strumento. Le travi del soffitto erano avvolte dal fumo delle pipe e dalle cucine proveniva l'odore dell'agnello arrosto. Non appena la locandiera vide Lan e Bukama, si sistemò il grembiule a righe azzurre e bianche e si incamminò verso di loro con acuti occhi scuri. Prima che Lan potesse aprire bocca la donna prese il suo amico per le orecchie, gli abbassò la testa e lo baciò. Le donne di Kandor non erano molto riservate, ma il suo fu comunque un bacio decisamente profondo, davanti a tanti occhi. Dita puntate e ghigni passarono da un tavolo all'altro. «È bello vederti di nuovo, Racelle» mormorò Bukama con un lieve sorriso, quando finalmente lei lo lasciò andare. «Non sapevo che avessi una locanda quaggiù. Pensi che...» Bukama abbassò gli occhi per non incontrare il suo sguardo in modo troppo rude, il che si dimostrò un errore. Il pugno di Racelle lo colpì con tale forza che i capelli volarono mente indie-
treggiava. «Sei anni senza una parola» scattò la donna. «Sei anni!» Afferrandolo di nuovo per le orecchie gli diede un altro bacio, stavolta più lungo. Lo prese a forza, piuttosto che darlo. Una strattonata alle orecchie rese vano ogni tentativo di fare altro che restare chino e lasciarle fare come voleva. Almeno non gli avrebbe infilato un pugnale nel cuore se lo baciava. Forse. «Penso che comare Arovni possa trovare una camera per Bukama da qualche parte» disse la voce familiare di un uomo alle spalle di Lan. «E anche per te, immagino.» Voltandosi Lan strinse gli avambracci del solo uomo, oltre Bukama, che fosse della sua stessa statura: Ryne Venmar, un vecchio amico. La locandiera teneva ancora impegnato il vecchio guerriero quando Ryne fece strada a Lan verso un tavolino in un angolo. Più grande di cinque anni, Ryne era Malkieri, ma i capelli erano acconciati in due lunghe trecce con dei campanelli, e ne aveva cuciti altri sul risvolto degli stivali e sulle maniche della giubba gialla. Bukama non detestava del tutto Ryne - non esattamente - ma nell'umore attuale solo Nazar Kurenin avrebbe potuto avere un effetto peggiore. Mentre i due si accomodavano su una panca, una cameriera con il grembiule a strisce portò del vino caldo speziato. Sembrava che Ryne lo avesse ordinato non appena aveva visto Lan. Con gli occhi scuri e le labbra carnose, la donna lo guardò dall'alto in basso mentre piazzava il boccale davanti a lui, quindi gli sussurrò in un orecchio il suo nome, Lira, e un invito, se si fosse trattenuto alla locanda. Tutto quello che Lan voleva quella notte era dormire, per cui abbassò lo sguardo, mormorando che gli rendeva troppo onore. Lira non lo lasciò finire. Ridendo si chinò per mordergli un orecchio. «Entro domani» disse con voce rauca e forte «ti avrò onorato tanto che le tue ginocchia non ti reggeranno.» Dai tavoli intorno a loro si levarono grasse risate. Ryne impedì che qualcuno potesse porre rimedio a quella situazione lanciandole una moneta e dandole una pacca sul didietro per mandarla via. Lira gli rivolse un sorriso mentre si infilava la moneta d'argento nella scollatura del vestito, ma se ne andò lanciando occhiate languide verso Lan, che lo fecero sospirare. Se adesso avesse tentato di dire di no, lei gli avrebbe tirato contro un pugnale per lavare l'offesa. «Vedo che sei sempre fortunato con le donne.» La risata di Ryne era tesa. Forse Lira gli piaceva. «Solo la Luce sa come fanno a trovarti affasci-
nante. Diventi ogni anno più brutto. Forse dovrei tentare di adottare anch'io quella tua modestia timida e lasciare che le donne mi guidino per il naso.» Lan apri la bocca, quindi sorseggiò il vino invece di parlare. Non doveva dare spiegazioni, e con Ryne era comunque inutile. Il padre lo aveva portato nell'Arafel l'anno che Lan aveva compiuto dieci anni. L'uomo aveva solo una spada al fianco invece che due dietro le spalle, ma era dell'Arafel fino alla punta dei piedi. Iniziava a conversare con donne che non gli avevano rivolto la parola per prime. Lan, cresciuto da Bukama e i suoi amici nello Shienar, era rimasto circondato da una piccola comunità che manteneva le tradizioni Malkieri. Se Lira avesse condiviso il letto con lui quella notte, e sembrava ormai cosa certa, avrebbe scoperto che non c'era nulla di timido o riservato in Lan, ma era comunque la donna a decidere quando entrare in quel letto e quando andare via. Un numero di persone attorno alla stanza guardava il loro tavolo con aria indifferente da dietro i boccali di birra o vino. Una donna paffuta dalla pelle ramata che indossava un abito di stoffa molto più robusta di quella di solito usata dalle Domanesi non si curò di nascondere le occhiate, e parlava concitata a un tizio con i baffi ricurvi e una grande perla che pendeva da un orecchio. Probabilmente si chiedeva se ci sarebbero stati problemi per Lira e se era vero che un uomo che indossava l'hadori poteva uccidere alla minima provocazione. «Non mi aspettavo di trovarti a Canluum» osservò Lan posando il boccale. «Fai la guardia per il carro di qualche mercante?» Bukama e la locandiera adesso erano spariti. Ryne sollevò le spalle. «Ho lasciato Shol Arbela. Il commerciante più fortunato dell'Arafel, dicevano. Gli è servito a poco. Siamo arrivati ieri e la scorsa notte dei criminali gli hanno tagliato la gola qui nei paraggi. Nessun guadagno per me stavolta, nel viaggio di ritorno.» Con un'occhiata di rimpianto bevve del vino. Forse era per il ricordo del mercante o forse per la perdita di metà stipendio. «Che io sia folgorato se mi aspettavo di vederti qui.» «Non dovresti dare ascolto alle voci. Ryne. Non sono stato neanche ferito in modo serio da doverne parlare da quando mi sono diretto a sud.» Lan aveva deciso di prendere in giro Bukama se avessero ottenuto delle stanze, chiedendogli se aveva già pagato e come. Forse l'indignazione lo avrebbe tirato fuori da quell'umore nero. «Gli Aiel» sbuffò Ryne. «Non ho mai pensato che potessero prenderti.»
Lui però non li aveva mai affrontati. «Mi aspettavo che saresti andato ovunque si fosse trovata Edeyn Arrel. È a Chachin ora, mi pare.» Quel nome fece scattare la testa di Lan verso l'uomo dall'altro lato del tavolo. «Perché dovrei essere vicino a lady Arrel?» chiese sottovoce, ma enfatizzando il titolo. «Calma, amico» rispose Ryne. «Non intendevo...» saggiamente abbandonò il discorso. «Che io sia folgorato, vuoi dire che non hai sentito? Adesso fa sventolare la Gru d'oro. In tuo nome ovviamente. In un anno si è recata da Fal Moran a Maradon e adesso sta tornando indietro.» Ryne scosse il capo e i campanelli fra i capelli tintinnarono. «Devono esserci due o trecento uomini qui a Canluum pronti a seguirla. A seguire te, voglio dire. Alcuni che nemmeno potresti immaginare. Il vecchio Kurenin si è messo a piangere quando l'ha sentita parlare. Sono tutti pronti a riprendersi il Malkier dalla Macchia.» «Ciò che muore nella Macchia, muore per sempre» rispose stanco Lan. Dentro di sé sentiva freddo. Di colpo la sorpresa di Seroku nel sentire che voleva dirigersi a nord assunse un nuovo significato, come anche l'affermazione della giovane guardia sul fatto di essere pronto. Anche gli sguardi nella sala comune sembravano diversi, ora. Edeyn ne era parte. Le era sempre piaciuto trovarsi nel cuore della tormenta. «Devo accudire il cavallo» disse a Ryne, alzandosi dalla panca. L'uomo disse qualcosa su un giro delle taverne quella notte, ma Lan non stava a sentire. Passò veloce nelle cucine, roventi per via del ferro caldo, i forni di pietra e i camini, per poi andare nel freddo della stalla, dove era sospeso in aria l'odore misto di cavalli, fieno e fumo di legna. Un'allodola grigia trillò sul tetto. Arrivavano anche prima dei pettirossi, in primavera. Avevano cantato a Fal Moran quando Edeyn gli aveva sussurrato in un orecchio per la prima volta. I cavalli erano già stati sistemati, briglie, selle e bisacce sulle coperte sottosella davanti alla porta della stalla, ma il cesto di vimini era sparito. Ovviamente comare Arovni aveva fatto sapere agli stallieri che lui e Bukama avevano ottenuto delle stanze. Nella stalla c'era una sola inserviente, una tipa magra dal viso duro che spalava il letame. Lo guardò silenziosa mentre studiava Gatto danzante e gli altri cavalli che aveva strigliato, camminando sul pavimento coperto di fieno. Stava tentando di pensare, ma il nome di Edeyn continuava a vorticargli nella testa. Il volto di lei, circondato dai capelli neri e morbidi come la seta che le scendevano sotto la vita, un volto bellissimo con grandi occhi
scuri che potevano bere l'anima di un uomo anche quando erano colmi di senso del dominio. Dopo un po' la stalliera borbottò qualcosa, toccandosi le labbra e la fronte, e mise velocemente il secchio con il letame fuori dalla stalla, guardandolo. Si fermò per chiudere le porte e lo fece altrettanto di corsa, lasciandolo nell'ombra spezzata solo dalla luce lunare che filtrava. Il pulviscolo danzava di fronte a quel fascio di luce. Lan fece una smorfia. La donna aveva avuto paura di lui perché indossava l'hadori? Pensava che il suo incedere fosse una minaccia? Si accorse improvvisamente che le mani carezzavano l'elsa della spada e percepì la tensione sul proprio volto. Incedere? No, era la posizione chiamata Il leopardo nell'erba alta, usata quando vi erano nemici da ogni lato. Aveva bisogno di calma. Sedendosi a gambe incrociate su una balla di fieno raggiunse il ko'di e fluttuò nella calma del vuoto, diventando una sola cosa con la balla di fieno sotto di sé, la stalla e la custodia della spada alle sue spalle. Percepiva i cavalli che mangiavano e le mosche che ronzavano negli angoli. Era tutto parte di lui. Specialmente la spada. Stavolta però era alla ricerca solo del vuoto emotivo. Dal sacchetto appeso alla cintura estrasse il pesante sigillo d'oro con l'immagine incisa di una gru in volo e se lo fece girare diverse volte fra le dita. L'anello dei re malkieri, indossato da uomini che avevano tenuto lontana l'Ombra per novecento anni e forse più. Era stato forgiato innumerevoli volte perché il tempo lo consumava, ed era sempre lo stesso oro a diventare parte del nuovo. Probabilmente in esso esistevano ancora alcune particelle dell'anello portato dai re di Rhamdashar, che era esistita ancor prima di Malkier e Aramaelle. Quel pezzo di metallo rappresentava oltre tremila anni di battaglie contro la Macchia. Era stato suo quasi da quando era nato, ma non lo aveva mai portato. Anche solo guardarlo era difficile. Si era esercitato ogni giorno per poterlo fare. Senza il vuoto non pensava di poterci riuscire. In ko'di, il pensiero era libero e le emozioni lontane oltre l'orizzonte. Quando era nella culla aveva ricevuto quattro regali: l'anello che aveva fra le mani e il medaglione che aveva al collo. La spada al suo fianco e un giuramento prestato in suo nome. Nel medaglione era racchiusa l'immagine dipinta della madre e del padre, che non ricordava di aver conosciuto: era l'oggetto più prezioso, ma il giuramento era il dono più pesante. «Combattere l'Ombra fino a quando il ferro sarà duro e la pietra ferma. Di-
fendere i Malkieri fino a quando resterà una sola goccia di sangue. Vendicare quanto non può essere difeso.» Quindi era stato unto con olio e chiamato Dai Shan, consacrato prossimo re di Malikier e mandato via da una terra che si sapeva sarebbe morta. Adesso non rimaneva più nulla da difendere, solo una nazione da vendicare, ed era stato addestrato per fare proprio quello fin dal suo primo passo. Con il dono della madre attorno alla gola e la spada di suo padre in mano, con l'anello marchiato nel cuore, aveva combattuto per vendicare il Malkier da quando aveva compiuto sedici anni. Ma non aveva mai guidato gli uomini nella Macchia. Bukama e altri avevano cavalcato con lui, ma non li avrebbe condotti in quel luogo. Quella guerra era solo sua. I morti non potevano essere riportati in vita, e lo stesso valeva per la terra. Ma ora Edeyn Arrel voleva provare. Quel nome echeggiò nel vuoto dentro di Lan. Centinaia di emozioni torreggiavano su di lui come enormi montagne, ma le usò per nutrire le fiamme fino a eliminarle tutte. Fino a quando il cuore batté a ritmo con il lento scalpitare dei cavalli, con le ali delle mosche che vibravano veloci per fare da contrappunto al respiro. Quella donna era la 'carneira', la prima amante. Centinaia di anni di tradizione lo gridavano, malgrado il vuoto che lo avviluppava. Lan aveva quindici anni, Edeyn più del doppio, quando lei aveva preso i capelli di lui, lunghi fino alla vita, fra le mani e gli aveva sussurrato le sue intenzioni. Le donne da allora lo avevano chiamato bellissimo divertendosi nel vederlo arrossire, e per sei mesi la donna aveva goduto nel mostrarsi con lui al braccio e nel portarselo a letto. Fino a quando Bukama e gli altri uomini gli consegnarono l'hadorì. Il dono della spada al compimento dei dieci anni aveva, per tradizione, fatto di lui un uomo solo lungo il Confine, con diversi anni di anticipo, ma fra i Malkieri quel nastro di cuoio era molto più importante. Una volta legato attorno al capo, solo lui avrebbe deciso dove recarsi, quando e perché. La canzone oscura della Macchia era diventata un ululato che soffocava ogni altro suono. Il giuramento che aveva rimbombato tanto a lungo in cuor suo si era trasformato in una danza che i piedi dovevano seguire. Erano trascorsi quasi dieci anni da quando Edeyn lo aveva visto cavalcare lontano da Fal Moran e andare via subito ogni volta che tornava, ma ancora rammentava il volto di quella donna con maggior chiarezza di quello di qualsiasi altra avesse condiviso il letto con lui da quel momento. Adesso non era più un ragazzo, e non credeva che lei lo amasse solo perché aveva
scelto di diventare la sua prima amante, ma c'era un vecchio detto fra gli uomini malkieri. 'La tua carneira indosserà per sempre parte della tua anima come un nastro fra i capelli'. Un'idea rinforzata da usanze durevoli come leggi. Una delle porte della stalla si apri cigolando e apparve Bukama, senza giubba, con la camicia infilata disordinatamente nei pantaloni. Senza spada sembrava nudo. Quasi esitando, aprì entrambe le porte prima di entrare. «Cosa vuoi fare?» disse alla fine. «Racelle mi ha detto di... della Gru d'oro.» Lan ripose l'anello, lasciando che il vuoto lo abbandonasse. Il volto di Edeyn sembrava improvvisamente ovunque, appena fuori portata. «Ryne dice che anche Nazar Kurenin è pronto a seguirti» aggiunse spensierato Bukama. «Non sarebbe una cosa da vedere?» Un esercito poteva morire nel tentativo di sconfiggere la Macchia. Intere armate erano già scomparse per averci provato. I ricordi del Malkier stavano già morendo. Una nazione era un ricordo proprio come una terra. «Quel ragazzo ai cancelli potrebbe lasciarsi crescere i capelli e chiedere al padre l'hadori.» La gente stava dimenticando, tentava di dimenticare. Quando l'ultimo uomo che si legava i capelli fosse sparito, con l'ultima donna che si dipingeva la fronte, il Malkier sarebbe davvero scomparso? «Ryne potrebbe anche disfarsi di quelle trecce.» Ogni traccia di divertimento abbandonò la sua voce quando aggiunse: «Ma ne vale la pena? Alcuni ne sembrano convinti.» Bukama sbuffò dopo una pausa. Forse lui era uno di quelli. Dirigendosi verso Lancia di fuoco, l'uomo più anziano cominciò a lavorare con la sella del suo roano appesa alla porta della stalla, come se si fosse improvvisamente dimenticato del perché si era mosso. «C'è sempre un costo per tutto» disse senza sollevare il capo. «Ma esistono costi e costi. Lady Edeyn...» lanciò un'occhiata a Lan, quindi si voltò per guardarlo bene. «È sempre stata pronta a chiedere ogni diritto e a pretendere che il più piccolo obbligo venisse onorato. Le usanze ti legano e qualsiasi cosa tu decida di fare le userà come delle redini, a meno che tu non riesca a trovare il modo di evitarlo.» Lan infilò i pollici dietro la cintura. Bukama lo aveva portato via dal Malkier legato dietro le sue spalle. L'ultimo dei cinque a essere sopravvissuto a quel viaggio. Aveva il diritto di parlare liberamente anche quando si trattava della carneira di Lan. «Come pensi che possa evitare i miei obblighi senza coprirmi di vergogna?» chiese lui con un tono di voce più duro di quanto volesse. Inspirando profondamente proseguì più pacato: «Vieni,
la sala comune ha un odore molto più gradevole di questo. Ryne ha suggerito un giro delle taverne. A meno che comare Arovni non abbia delle pretese. Oh, sì. Quanto costeranno le nostre stanze? Sono buone? Non troppo care, spero.» Bukama si avvicinò con lui alle porte, diventando sempre più rosso. «Non troppo care» rispose in fretta. «Tu hai un pagliericcio nell'attico e io... ah... sono nelle stanze di Racelle. Mi piacerebbe venire per il giro, ma penso che Racelle... non credo che intenda lasciarmi andare... io... giovane maleducato!» gridò. «C'è una ragazza di nome Lira là dentro che sta facendo sapere a tutti che stanotte tu non userai quel pagliericcio, e che non dormirai molto, per cui non pensare di poter...» Si interruppe mentre uscivano al sole, molto forte dopo la penombra della stalla. L'allodola grigia cantava ancora il suo inno alla primavera. Sei uomini stavano attraversando il cortile vuoto. Sei uomini ordinari con le spade al fianco, come qualsiasi uomo nelle strade della città, ma Lan aveva capito tutto prima ancora che questi muovessero le mani, prima che il loro sguardo si concentrasse su di lui e i loro passi accelerassero. Aveva affrontato troppi individui che volevano ucciderlo per non capire. Al suo fianco aveva Bukama, legato da giuramenti che non gli avrebbero lasciato estrarre la spada anche se ne avesse avuta una. Le mani nude erano armi scadenti contro le spade, specialmente in sei contro due. Se entrambi avessero provato a rientrare nella stalla, gli uomini sarebbero piombati loro addosso prima che riuscissero a chiudere le porte. Il tempo rallentò, scivolando come il miele freddo. «Vai dentro e chiudi la porta!» ordinò brusco Lan mentre portava la mano sull'elsa. «Obbedisci, soldato!» In vita sua non aveva mai dato un ordine a Bukama in quel modo e l'uomo esitò un momento, quindi si inchinò formalmente. «La mia vita è tua, Dai Shan» disse. «Obbedisco.» Mentre Lan si faceva avanti per affrontare gli aggressori, sentì il paletto delle porte che scendeva. Il suo sollievo era distante. Fluttuava nel ko'di, era una cosa sola con la spada che uscì fluidamente dal fodero. Una sola cosa con gli uomini che lo attaccavano e gli stivali che colpivano il terreno battuto mentre snudavano le lame. Un tipo smilzo scattò in avanti e Lan cominciò la serie delle posizioni. Il tempo era miele freddo. L'allodola grigia cantava e l'uomo smilzo gridò mentre Il taglio delle nuvole gli mozzava la mano destra all'altezza del polso, quindi Lan fluì da un lato per non permettere agli altri di attaccare tutti,
insieme e continuò a passare da una posizione all'altra con la massima scorrevolezza. La pioggerella al tramonto aprì un profondo taglio sul volto di un uomo grasso cavandogli l'occhio sinistro, e un tipo biondo fece un taglio sul costato di Lan che stava eseguendo Ciottoli neri sulla neve. Solo nelle favole un uomo solo ne affrontava sei senza essere ferito. La rosa si dischiude amputò il braccio sinistro di un uomo calvo, e il biondo fece un altro taglio vicino all'occhio di Lan. Solo nelle storie un uomo solo ne affrontava sei e sopravviveva. Lo aveva saputo fin dall'inizio. Il dovere era una montagna, la morte una piuma e il suo obbligo era nei confronti di Bukama, che lo aveva portato bambino dietro le spalle. Viveva per questo momento, per cui continuò a lottare, scalciando il biondo sulla testa, danzando verso la morte, danzando e rimanendo ferito, sanguinante mentre volteggiava sulla lama del rasoio della vita. Il tempo era come miele freddo, Lan fluiva da una posizione all'altra, e poteva esserci solo una fine. Il pensiero era distante. La morte era una piuma. Il dente di leone nel vento squarciò la gola dell'uomo grasso ora con un solo occhio - non si era quasi fermato quando aveva subito la prima ferita - e un tipo dalla barba biforcuta e le spalle da fabbro sussultò sorpreso quando Bacia la vipera permise a Lan di trapassargli il cuore con la lama. Di colpo Lan si accorse di essere da solo, con sei uomini distesi in terra nel cortile della stalla. Il giovane biondo scalciò per l'ultima volta, quindi Lan restò il solo a respirare. Rimosse il sangue dalla lama, si chinò per pulirla bene sulla giacca di lusso dell'uomo con le spalle da fabbro e la ripose formalmente nel fodero, come se avesse appena completato un'esercitazione sotto gli occhi di Bukama. La gente uscì improvvisamente dalla locanda, cuochi e stallieri, cameriere e avventori che gridavano per sapere cos'era stato tutto quel rumore, fissando poi gli uomini morti, colmi di stupore. Ryne fu il primo, con la spada già in mano e il volto pallido quando si avvicinò a Lan. «Sei» mormorò, osservando i corpi. «Hai davvero la maledetta fortuna del Tenebroso.» Gli occhi scuri di Lira si posarono su Lan solo un attimo prima di quelli di Bukama: entrambi stavano esaminando delicatamente i tagli. La donna rabbrividiva man mano che ne scopriva di nuovi, ma stava discutendo se fosse il caso di mandare a chiamare un'Aes Sedai per la guarigione e quanti punti erano necessari con lo stesso tono di voce calmo di Bukama, scostando poi la mano dell'uomo con l'ago per intervenire lei. Comare Arovni si fece avanti a lunghi passi, tenendo sollevata la gonna per non macchiarsi con il fango insanguinato, guardando torva i corpi che sporcavano il suo
cortile e lamentandosi a voce alta che le bande di tagliagole non se ne sarebbero mai andate in giro in piena luce se la Guardia Civile avesse fatto il proprio dovere. La donna domanese che aveva fissato Lan all'interno della taverna concordò, ricevendo in cambio dalla locandiera l'ordine di andare a cercare la Guardia Civile, assieme a uno spintone di incoraggiamento. Era segno della confusione di comare Arovni trattare a quel modo una delle sue clienti, e un segno dello stupore di tutti che la Domanese andasse via di corsa senza lamentarsi. La locandiera cominciò ad attivare degli uomini per far portare via i corpi. Ryne guardò da Bukama alla stalla come se non capisse - forse era davvero così - ma quello che disse fu: «Non erano tagliagole, credo.» Indicò il tipo con la barba biforcuta che ricordava un fabbro. «Quello aveva ascoltato Edeyn Arrel quando era qui e gli piaceva quanto aveva sentito. Anche uno degli altri, mi pare.» I campanelli suonarono mentre scuoteva il capo. «Curioso. La prima volta che Edeyn ha sollevato la Gru d'oro è stato dopo che abbiamo sentito della tua morte alle Mura Lucenti. Il tuo nome attira uomini, ma se muori lei potrebbe essere el'Edeyn.» Ryne dovette proteggersi dalle occhiate che gli lanciarono Lan e Bukama. «Non accuso nessuno» disse veloce. «Non ho mai accusato lady Edeyn di una cosa simile. Sono certo che è piena della dolcezza e pietà delle donne.» Comare Arovni sbuffò e Lira mormorò che il grazioso uomo dell'Arafel sapeva poco di donne. Lan scosse il capo. Non a mo' di smentita. Edeyn poteva decidere di farlo ammazzare se le avesse fatto comodo, poteva aver dato ordini in giro nel caso le voci sulla sua morte si fossero rivelate false, ma se lo aveva fatto, non era comunque un motivo valido per collegare il suo nome a quella vicenda, specialmente davanti a degli estranei. Bukama si fermò mentre esaminava un taglio. «Dove ci dirigiamo, adesso?» chiese con calma. «Chachin» rispose Lan dopo un momento. C'era sempre una scelta, ma a volte le alternative erano una più amara dell'altra. «Dovrai lasciare il tuo cavallo. Voglio partire domani alle prime luci dell'alba.» L'oro che aveva sarebbe bastato per comprare un nuovo animale. «Sei!» gridò Ryne, rinfoderando la spada con forza. «Penso che verrò con te. Preferisco non tornare a Shol Arbela fino a quando non sono sicuro che Ceiline Noreman non mi accusi della morte del marito. E sarà bello vedere la Gru d'oro di nuovo in volo.» Lan annui. Mettere la mano sulla bandiera e abbandonare quanto si era
ripromesso di fare per tutti quegli anni, o fermare, se poteva. In ogni caso, doveva affrontare quella donna. La Macchia sarebbe stata molto più semplice. 17
Un arrivo Moiraine aveva deciso alla fine del primo mese che inseguire la Profezia non era molto avventuroso; anzi, al contrario, decisamente noioso. Adesso, dopo tre mesi dalla fuga da Tar Valon, la grande ricerca consisteva prevalentemente di frustrazioni. I Tre Giuramenti le davano ancora la sensazione che la pelle fosse troppo stretta e il dolore per la permanenza in sella si aggiungeva alla confusione dei sentimenti. Il vento faceva sbattere le finestre chiuse contro i chiavistelli e lei cambiava continuamente posizione sulla sedia di legno, nascondendo l'impazienza mentre sorseggiava il tè senza miele. A Kandor le comodità erano ridotte al minimo, in una casa a lutto. Non sarebbe rimasta troppo sorpresa di vedere il ghiaccio sulle foglie intagliate dei mobili o sull'orologio d'acciaio sopra il camino. «Era tutto così strano, mia signora» sospirò Jurine Najima, abbracciando per la decima volta le figlie, come se non volesse lasciarle mai più. Sembravano trovare conforto in quella morsa di ferro. Avevano forse tredici o quattordici anni e si trovavano su entrambi i lati della sedia di Jurine. Colar ed Estelle avevano capelli lunghi e neri e gli occhi azzurri pieni di dolore. Anche gli occhi della madre sembravano grandi, in un viso contratto dalla tragedia, e l'abito grigio e semplice sembrava cucito per una donna più grossa. «Josef era sempre cauto con le lanterne nella stalla,» proseguì «e non permetteva mai nessun tipo di fiamma libera. Probabilmente i ragazzi avevano portato il piccolo Jerid fuori per vedere il padre al lavoro e...» Un altro sospiro. «Sono rimasti tutti intrappolati. Come è possibile che l'intera stalla abbia preso fuoco tanto velocemente? Non ha senso.» «Sono poche le cose che non hanno senso, comare Najima» rispose Moiraine con un tono di voce dolce, appoggiando la tazza sul tavolino vicino
al gomito. Provava simpatia, ma la donna stava ripetendosi. «Non sempre vediamo le ragioni, ma possiamo trovare un po' di sollievo sapendo che ce n'è sempre una. La Ruota del Tempo ci intesse nel Disegno come vuole, ma il Disegno è opera della Luce.» Sentendosi parlare, Moiraine nascose una smorfia. Quelle parole richiedevano una dignità e un peso che la sua giovane età non supportava. Per un momento desiderò di avere il volto privo dei segni dell'età tipico delle Aes Sedai, ma l'ultima cosa che poteva permettersi era di essere identificata come tale. Nessuna Sorella si era ancora recata da Jurine, ma una di loro prima o poi lo avrebbe fatto. «Come dici tu, lady Alys» mormorò educatamente l'altra donna, anche se un movimento inconsapevole degli occhi espresse tutti i suoi dubbi. Quella straniera era una ragazzina sciocca, nobile o meno che fosse. La piccola pietra azzurra della kesiera che pendeva sulla fronte di Moiraine e uno degli abiti da cavallo verde scuro di Tamore certificavano il presunto rango di nobile. La gente permetteva ai nobili di rivolgere domande che non avrebbe mai accettato da persone comuni e giustificava anche i loro comportamenti insoliti. In teoria, la lady stava facendo visite per raccogliere la partecipazione del popolo alla morte del re. Non che molte persone piangessero la fine di Laman, nemmeno a Cairhien. Le ultime notizie che aveva ricevuto, il mese precedente, parlavano di quattro casate che avevano reclamato il diritto al trono e di diverse schermaglie, alcune prossime alla battaglia. Luce, in quanti sarebbero morti prima che si risolvesse la questione? Ci sarebbero stati tutti quei decessi anche se lei avesse aderito ai piani del Consiglio - la successione al trono del Sole veniva sempre contestata, che si trattasse di aperto conflitto, assassinio o rapimento - ma se ne era andata da abbastanza tempo per evitare almeno quello. Avrebbe comunque pagato il suo gesto, oltre qualsiasi punizione che Sierin avesse imposto per quella disobbedienza. Forse lasciò trasparire parte della sua rabbia e comare Najima pensò che fosse un effetto dei suoi pensieri, manifestati con troppa chiarezza, perché iniziò di nuovo a parlare in modo ansioso. Nessuno voleva far arrabbiare una nobile. «Voglio solo dire che Josef è sempre stato fortunato, lady Alys. Ne parlavano tutti. Dicevano che se Josef Najima fosse caduto in una buca, in fondo avrebbe trovato degli opali. Quando andò a combattere gli Aiel dopo la convocazione di lady Kareil ero preoccupata, ma non si fece mai nemmeno un graffio. Quando il campo fu travolto da un'epidemia di febbre, non colpì mai nessuno di noi o i bambini. Josef ottenne i favori del-
la lady senza nemmeno provarci. Allora sembrava che la Luce brillasse davvero su di noi. Jerid era nato sano e ben formato e la guerra era finita, tutto in pochi giorni, e quando siamo ritornati a Canluum, la lady come premio dei servigi resi da Josef ci aveva donato la stalla e... e...» La donna trattenne delle lacrime che non voleva versare. Colar iniziò a singhiozzare e la madre se la strinse la petto, sussurrandole parole di conforto. Moiraine si alzò. Altre ripetizioni. Li per lei non c'era nulla. Jurine si alzò a sua volta: non era alta, ma comunque arrivava a un palmo più di lei. Le bambine la guardavano negli occhi. Costringendosi a prendere tempo mormorò altre condoglianze e cercò di infilare un sacchetto di monete nella mano di Jurine, mentre le ragazze le portavano il mantello foderato di pelliccia e i guanti. Un sacchetto piccolo. All'inizio l'istinto l'aveva resa generosa, anche perché la gratifica stava per arrivare se non era già stata ricevuta, ma se avesse continuato di quel passo avrebbe presto avuto bisogno della banca. Il rifiuto rigido della donna di accettare il denaro la irritò. No, capiva l'orgoglio, e inoltre lady Kareil aveva già provveduto. La presenza dell'orologio indicava una casa benestante. La cosa che la irritava sul serio era la fretta che aveva di andare via. Jurine Najima aveva perso il marito e tre figli in una mattina di fuoco, ma il suo Jerid era nato nel posto sbagliato di almeno trenta chilometri. A Moiraine non piaceva provare sollievo per effetto della morte di un bambino, eppure era così. Il piccolo non era quello che lei cercava. Di fuori, sotto un cielo grigio, Moiraine strinse forte il mantello. Chiunque si muovesse per le strade di Canluum con il mantello aperto avrebbe attirato l'attenzione. Gli stranieri di certo, a meno che non fossero Aes Sedai. Inoltre, il fatto di non permettere al freddo di farsi strada non rendeva del tutto insensibili a esso. Come facesse quella gente a chiamare un tempo simile 'nuova primavera' senza considerarla una presa in giro andava oltre la sua comprensione. Cancellò mentalmente il nome di Jurine Najima. Altri di quelli scritti sul libretto infilato nel sacchetto appeso alla cintura erano stati già depennati. Le madri di cinque bambini nati nel posto sbagliato o nel giorno sbagliato. E quelle di tre bambine. L'ottimismo iniziale all'idea che sarebbe stata lei a trovare il piccolo si era ridotto a una flebile speranza. Nel libro erano riportati centinaia di nomi. Di certo una delle cercatrici di Tarara lo avrebbe scovato per prima. Eppure voleva proseguire. Sarebbero passati anni prima che per lei fosse stato sicuro ritornare a Tar Valon. Molti, molti anni.
Malgrado il vento quasi gelido che soffiava sopra i tetti, le strade a tornanti erano piene di gente, carri, calessi e ambulanti che vendevano le loro merci. I carrettieri gridavano e schioccavano le fruste per farsi largo, ed erano le donne le più aggressive, tanto che riuscivano a muoversi in linea retta, ma per lei era una questione di scegliere il percorso, zigzagando fra carri e calessi. Certamente non era la sola forestiera a piedi in quelle strade. Un uomo di Tarabon con i baffi folti la spinse passandole accanto e mormorando delle scuse, una donna di Altara con la pelle olivastra la guardò male, quindi fu il turno di un Illianese sorridente con la barba che lasciava scoperto il labbro superiore, un bel tipo, anche se non era alto. Incontrò un Tarenese con un mantello a strisce e un volto scuro ancor più affascinante, che la guardò dall'alto in basso umettandosi le labbra e tradendo pensieri lascivi. Si fece anche avanti per parlarle, ma Moiraine lasciò che il vento sollevasse il mantello per mostrare le fasce colorate davanti al petto. Fu sufficiente per farlo andare via. L'uomo avrebbe avvicinato una mercante e fatto allusioni impudiche, ma una nobile era un'altra faccenda. Non tutti erano costretti a procedere a fatica. Per due volte vide delle Aes Sedai che passeggiavano fra la folla, e tutti coloro che riconoscevano il significato della mancanza dei segni dell'età si scostavano subito dalla loro traiettoria e facevano cenno agli altri di togliersi di mezzo, per cui le donne camminavano in spazi aperti che procedevano di pari passo con loro. Moiraine non conosceva nessuna delle due, ma tenne il capo basso e rimase sul lato opposto della strada, abbastanza lontano da non far percepire la sua capacità di incanalare. Forse avrebbe dovuto indossare un velo. Una donna robusta le passò di fianco, con i lineamenti nascosti da un velo di merletto. Sierin Vayu poteva passare senza essere riconosciuta a dieci metri di distanza, indossando una di quelle cose. La locanda dove Moiraine aveva preso una piccola stanza si chiamava I cancelli del paradiso, quattro piani con il tetto di pietra verde. Era la migliore e la più grande di Canluum. I negozi circostanti, gioiellerie e oreficerie, argentieri e sarte, provvedevano alle necessità dei signori e signore del Passo che sorgeva alle spalle della locanda. Non si sarebbe fermata in quel posto se avesse saputo chi altro vi dimorava, prima di prendere la stanza. Non era possibile trovare un altro alloggio in tutta la città, ma in quella situazione avrebbe preferito un fienile. Inspirando profondamente entrò nella locanda. Né il caldo improvviso di quattro camini né il buon odore che proveniva dalla cucina riuscì a farle rilassare le spalle tese. La sala comune era grande, e ogni tavolo sotto al soffitto dalle travi di
colore rosso acceso era occupato. I clienti erano per la maggior parte mercanti, che negoziavano a bassa voce il prezzo del vino, e un gruppetto di artigiani ben messi con gli indumenti coperti di preziosi ricami. Li notò appena. Non meno di cinque Sorelle risiedevano a I cancelli del paradiso nessuna che avesse visto alla Torre, grazie alla Luce - ed erano tutte sedute nella sala comune quando lei entrò. Mastro Helvin, il locandiere, avrebbe sempre trovato posto per un'Aes Sedai, anche se doveva costringere qualche altro avventore a condividere la stanza con uno sconosciuto. Le Sorelle stavano ciascuna per proprio conto, notando appena la presenza delle altre, e la gente che non sapeva riconoscere le Aes Sedai a vista adesso sapeva chi fossero ed evitava qualunque forma d'invadenza. Ogni altro tavolo era gremito, e gli uomini che sedevano con le Sorelle erano i loro Custodi, individui dallo sguardo pericoloso per quanto potessero avere un aspetto ordinario. Una delle Sorelle sedute da sole era Rossa, ma Moiraine aveva ricavato l'informazione da un commento. Solo Felaana Bevaine, una snella donna bionda appartenente all'Ajah Marrone che portava un abito di lana molto semplice, indossava lo scialle. Era stata la prima a stringere Moiraine in un angolo quando era arrivata. Avevano percepito la sua abilità non appena si era avvicinata. Infilando i guanti dietro la cintura si avviò verso le scale di pietra nel retro della sala. Non troppo velocemente, ma nemmeno con lentezza. Lo sguardo fisso davanti a sé. Gli occhi delle Sorelle che la seguivano le rammentavano il tocco leggero delle dita. Non una morsa ferrea. Nessuna le parlò. Credevano che fosse una selvatica, una donna che aveva imparato da sola a incanalare. Quel fortunato malinteso era saltato fuori per sbaglio, un errore di interpretazione da parte di Felaana, ma era coadiuvato dalla presenza di una vera selvatica nella locanda. Nessuno sapeva cosa fosse comare Asher, a parte le Sorelle. Molte Aes Sedai snobbavano le selvatiche, considerandole una perdita per la Torre, e poche cambiavano traiettoria per rendere loro la vita difficile. Una mercante con indosso un abito di lana scura e solo una spilla smaltata come gioiello, comare Asher abbassava gli occhi ogni volta che una Sorella la guardava, ma non avevano alcun interesse per lei. I capelli grigi della donna lo assicuravano. Proprio mentre Moiraine raggiungeva le scale, una donna le rivolse la parola. «Oh, be', questa sì che è una sorpresa.» Voltandosi rapidamente Moiraine mantenne il viso inespressivo con grande sforzo e le rivolse una rapida riverenza consona a una nobildonna di una casata minore che salutasse una Aes Sedai. Due Aes Sedai. A parte
Sierin in persona, non avrebbe potuto incontrare due Sorelle peggiori della coppia che indossava abiti di seta dal taglio sobrio. Le striature bianche fra i capelli di Larelle Tarsi ne enfatizzavano la serena eleganza e la pelle ramata. Aveva insegnato diverse cose a Moiraine, sia da novizia che da Ammessa, e aveva la capacità di rivolgerti l'ultima domanda al mondo che avresti voluto sentire. Quel ch'era peggio, l'altra era Merean. Vederle insieme fu una sorpresa: non pensava che le due si piacessero. Larelle era forte quanto Merean, richiedeva deferenza, ma ora si trovavano fuori della Torre. Non avevano il diritto di interferire con qualsiasi cosa stesse facendo lei in quel posto, ma se una delle due avesse detto la cosa sbagliata, qualcosa su Moiraine Damodred che se ne andava in giro camuffata, la voce si sarebbe diffusa fra le Sorelle nella stanza e avrebbe certamente raggiunto le orecchie sbagliate. Era così che andava avanti il mondo. Prima o poi la avrebbe raggiunta una convocazione di ritorno a Tar Valon. Disobbedire una volta all'Amyrlin Seat era già abbastanza. Se lo avesse fatto di nuovo molto probabilmente sarebbero state inviate delle Sorelle a riportarla indietro. Aprì la bocca nella speranza di prevenire tale eventualità, ma qualcun altra parlò per prima. «Non c'è bisogno di provare quella là» disse Felaana, voltandosi e rivolgendosi a un tavolo vicino. Era concentrata su qualcosa che stava scrivendo in un libretto rilegato in pelle, e aveva una macchia di inchiostro sul naso. «Dice di non avere alcun interesse a recarsi alla Torre. Ostinata come la pietra, a riguardo. Anche molto riservata. Avremmo dovuto sentir parlare di una selvatica, se è anche apparsa in una delle casate minori cairhienesi, ma questa bambina preferisce restarsene per conto suo.» Larelle e Merean guardarono Moiraine. La prima aveva arcuato un sopracciglio, e l'altra cercava di nascondere un sorriso. «È vero, Aes Sedai» rispose Moiraine con cautela, sollevata all'idea che qualcun altra le avesse offerto le basi per proseguire. «Non ho desiderio di fare la novizia e non lo farò.» Felaana la fissò soppesandola, ma si rivolse comunque alle altre. «Dice di avere ventidue anni, ma questa regola è già stata forzata una volta o due. Una donna dichiara di avere diciotto anni e per quello viene presa. A meno che la bugia non sia troppo ovvia, e questa ragazza potrebbe facilmente passare per...» «Le nostre regole non sono state fatte per essere infrante» rispose Larelle secca, e Merean aggiunse con tono di voce rigido: «Non credo che questa
giovane donna mentirebbe riguardo la propria età: non vuole essere una novizia, Felaana. Lasciala andare.» Moiraine aveva quasi sospirato di sollievo. Decisamente più debole delle altre due, Felaana accettò di essere interrotta e cominciò ad alzarsi, ovviamente intenzionata a continuare la discussione. Mentre si levava in piedi guardò in alto oltre Moiraine, sgranò gli occhi e improvvisamente si mise di nuovo a sedere, concentrandosi sul suo scritto come se non esistesse null'altro al mondo a parte quel libro. Merean e Latelle presero gli scialle, le frange grigie e quelle azzurre ondeggiarono. Sembravano impazienti di trovarsi altrove. Pareva che avessero i piedi inchiodati al suolo. «Così questa ragazza non vuole essere una novizia?» La nuova voce femminile proveniva da sopra le scale. Una voce che Moiraine aveva sentito una sola volta, due anni prima, e che non avrebbe mai dimenticato. Alcune donne erano più forti di Moiraine, ma solo una poteva essere all'altezza di quell'Aes Sedai. Moiraine si voltò di malavoglia. Gli occhi quasi neri la studiavano, sormontati da un'acconciatura di capelli grigi con delle decorazioni d'oro, stelle e uccelli, mezzelune e pesci. Cadsuane indossava lo scialle con le frange verdi. «Secondo me, ragazza,» disse secca «potresti trarre qualche profitto dal trascorrere dieci anni in un abito bianco.» Tutte credevano che Cadsuane Melaidhrin fosse morta da qualche parte in ritiro, fino a quando non era riapparsa all'inizio della Guerra Aiel, e molte Sorelle probabilmente avrebbero preferito l'alternativa della tomba. Cadsuane era una leggenda, vederla viva e intenta a fissarti era un'esperienza decisamente sgradevole. La metà delle storie su di lei erano pressoché impossibili, mentre le altre erano incredibili, anche quelle suffragate da prove. Un re di Tarabon dei tempi passati era scomparso dal proprio palazzo quando si era scoperto che poteva incanalare, portato a Tar Valon per essere domato e seguito da un esercito che non credeva nel tentativo di salvarlo. Un re dell'Arad Doman e una regina della Saldea, entrambi sequestrati, erano stati fatti scomparire in segreto e quando alla fine Cadsuane li aveva rilasciati, una guerra che sembrava certa semplicemente svanì nel nulla. Si diceva che quella Sorella piegasse le leggi della Torre ai suoi scopi, si facesse beffa delle usanze, andasse per la sua strada e spesso trascinasse altri con sé. «Ringrazio l'Aes Sedai per l'interessamento» iniziò a rispondere Moiraine, quindi si interruppe davanti allo sguardo della donna. Non duro. Sem-
plicemente implacabile. Sì narrava che anche le Amyrlin con il passare degli anni si muovessero in punta di piedi nelle vicinanze di Cadsuane. Si diceva che avesse addirittura assalito un'Amyrlin. Era chiaramente impossibile, sarebbe stata giustiziata! Moiraine deglutì e cercò di cominciare da capo, solo per scoprire che voleva deglutire di nuovo. Scendendo le scale, Cadsuane disse a Merean e Larelle: «Portatemi la ragazza.» Senza dare loro una seconda occhiata, attraversò la sala comune. Mercanti e artigiani la guardavano, alcuni apertamente, altri con la coda dell'occhio, e anche i Custodi facevano altrettanto; ma ogni Sorella mantenne la testa bassa. Il volto di Merean si tese e Larelle sospirò, ma entrambe spinsero Moiraine dietro la donna. Non aveva altra scelta che seguirla. Se non altro, Cadsuane non poteva essere una delle Aes Sedai che Tamra aveva incluso nella ricerca; non era mai ritornata a Tar Valon dopo quella visita all'inizio della guerra. La Sorella Verde le guidò in una delle sale da pranzo private della locanda, dove il fuoco ardeva nel camino e lampade d'argento erano appese ai pannelli rossi. Vicino al fuoco era sistemata al caldo una caraffa grande, e dei boccali d'argento erano disposti su un vassoio laccato appoggiato su un tavolino intagliato. Merean e Larelle presero due delle sedie imbottite, ma quando Moiraine mise il suo mantello su una sedia e fece per sedersi, Cadsuane indicò un punto davanti alle altre due Sorelle e le disse: «Resta lì in piedi, bambina.» Combattendo un moto d'ira Moiraine fece uno sforzo per non stringere con forza la gonna. Neanche una donna forte come Cadsuane aveva il diritto di darle degli ordini, ma sotto quello sguardo implacabile li esegui. Tremando per l'oltraggio trattenne a stento parole di cui poi si sarebbe pentita. In quella donna c'era qualcosa che le ricordava Siuan, ma amplificato. Siuan era nata per guidare. Cadsuane per comandare. La donna girò lentamente intorno alle tre, per due volte. Merean e Larelle si scambiavano occhiate preoccupate e Larelle apri la bocca, ma dopo un solo sguardo di Cadsuane la richiuse. Assunsero un'espressione serena e imperturbata e ogni osservatore avrebbe supposto che sapessero con esattezza cosa stava succedendo. Occasionalmente Cadsuane le guardava, ma la sua attenzione era quasi tutta concentrata su Moiraine. «Molte delle Sorelle» disse improvvisamente la leggendaria Verde «si tolgono lo scialle solo per dormire e lavarsi, ma ti sei presentata qui senza scialle o anello, in uno dei posti più pericolosi che potessi scegliere, vici-
nissimo alla Macchia. Perché?» Moiraine batté le palpebre. Una domanda diretta. Ignorava veramente tutte le usanze, quando le faceva comodo. Moiraine rese la sua voce spensierata. «Le nuove Sorelle sono anche alla ricerca di un Custode.» Perché questa donna la stava interrogando in quel modo? «Io il mio non l'ho ancora trovato. Mi hanno detto che gli uomini delle Marche di Confini sono degli ottimi Custodi.» La Verde le lanciò un'occhiata tagliente che le fece desiderare di aver parlato con voce meno sicura. Fermandosi dietro Larelle, Cadsuane le appoggiò una mano sulla spalla. «Cosa ne sai tu di tutto questo, bambina?» Ogni ragazza delle classi di Larelle l'aveva definita la Sorella perfetta, ed erano rimaste tutte intimidite dal suo sguardo freddo. Erano tutte spaventate da lei e volevano imitarla. «Moiraine era studiosa e ha imparato velocemente» rispose pensierosa. «Lei e Siuan Sanche sono state due delle più veloci che la Torre abbia mai visto, ma questo suppongo tu lo sappia già. Fammi pensare. Era un po' troppo libera nell'esprimere le proprie opinioni e nel mostrare il suo carattere, fino a quando l'abbiamo fatta calmare. Nei limiti consentiti, lei e la ragazza Sanche hanno sempre amato fare scherzi, ma hanno entrambe passato l'esame da Ammesse al primo tentativo. Ha bisogno di maturare, ma un giorno potrebbe diventare qualcuno.» Cadsuane si spostò alle spalle di Merean rivolgendole la stessa domanda, e aggiungendo: «Amava fare scherzi, ha detto Larelle. Una ragazza fastidiosa?» Merean scosse il capo con un sorriso. «Non proprio. Uno spirito allegro. Nessuno dei suoi scherzi era malvagio, ma ne ha fatti diversi. Da novizia e da Ammessa è stata mandata al mio studio più spesso di ogni altra ragazza. A esclusione della sua amica del cuore, Siuan. Certo che le amiche intime spesso si cacciano nei guai insieme, ma con queste due una non veniva mai mandata da me senza l'altra. L'ultima volta è stata la sera stessa che hanno superato l'esame per lo scialle.» Il sorriso si trasformò in un'espressione accigliata, proprio come quella sera. Non rabbia, ma incredulità di fronte ai guai in cui si potevano cacciare le due. E un po' divertita. «Invece di trascorrere la notte in contemplazione, hanno cercato di infilare dei topolini nel letto di una Sorella - Elaida a'Roihan - e sono state prese. Dubito che qualsiasi altra donna sia stata eletta Aes Sedai quando ancora non poteva sedersi dopo l'ultima visita dalla maestra delle novizie.» Moiraine rimase inespressiva, evitando di stringere i pugni, ma non poteva fare nulla per le sue guance in fiamme. Quello sguardo divertito, co-
me se fosse ancora un'Ammessa. Aveva bisogno di maturare, vero? Be', forse in parte era vero... e poi, raccontare a quel modo fatti privati! «Penso che tu sappia di me tutto quello che c'è da sapere» ripose rigida a Cadsuane. Quanto fossero intime lei e Siuan non erano affari loro. Come le punizioni, e i 'dettagli' delle punizioni. «Se sei soddisfatta dovrei preparare le mie cose. Sto per dirigermi a Chachin.» Moiraine represse un gemito prima ancora che potesse formarsi. Lasciava ancora la briglia troppo' sciolta alla lingua, quando si innervosiva. Se Merean e Larelle facevano parte del gruppo di ricerca dovevano avere almeno una parte della lista del suo libretto. Inclusa la parte relativa a Jurine Najima, lady Ines Demain a Chachin e Avene Sahera, che viveva 'in un villaggio lungo la strada principale fra Chachin e Canluum'. Tutto quello che adesso doveva fare per rinforzare i sospetti era dire che poi voleva recarsi in Arafel, e quindi nello Shienar. Cadsuane sorrise, un'espressione per nulla piacevole. «Tu andrai via quando lo dico io, bambina. Fai silenzio fino a quando non ti viene chiesto di parlare. In quella caraffa dovrebbe esserci del vino speziato. Versalo per noi.» Moiraine tremò. Bambina! Non era più una novizia. La donna non poteva ordinarle di andare e venire. O di non parlare. Ma non protestò. Si diresse verso il camino - a grandi passi - e prese la caraffa d'argento dal lungo collo. «Sembri interessata a questa giovane donna, Cadsuane» osservò Merean, voltandosi leggermente per guardare Moiraine che versava il vino. «C'è qualcosa che dovremmo sapere?» Il sorriso di Larelle aveva una punta di ironia. Solo una punta, con Cadsuane. «Qualcuno ha previsto che un giorno sarà Amyrlin? Non posso dire di vederlo in lei, ma in fondo non ho il dono della preveggenza.» «Forse vivrò altri trenta anni,» rispose Cadsuane, protendendo una mano per prendere la coppa di vino che le stava porgendo Moiraine, «o forse solo tre. Chi può dirlo?» Moiraine sgrano gli occhi e si versò il vino sul vestito. Merean esclamò e Latelle sembrava fosse stata colpita in fronte da una pietra. «Fai più attenzione con l'altro calice» disse la Verde, imperturbata da tutta l'agitazione. «Bambina?» Moiraine ritornò al camino guardandosi ancora intorno stupita e Cadsuane prosegui. «Meilyn è molto più vecchia di me. Quando io e lei moriremo, la più forte sarà Kerene.» Larelle si fece indietro. La donna aveva intenzione di violare tutte le usanze in una volta so-
la? «Ti sto disturbando?» Il tono solerte di Cadsuane non poteva essere più falso, e non attese risposta. «Mantenere il segreto sulla nostra età non fa in modo che la gente ignori che viviamo più a lungo della norma. Bah! Da Kerene è una caduta ripida alle cinque successive. Cinque, fino a quando questa bambina e la ragazza Sanche raggiungeranno il pieno potenziale. Una di quelle cinque è vecchia quanto me e si è già ritirata.» «C'è un fine in tutto questo?» chiese Merean, il viso terreo. Larelle strinse le mani sullo stomaco, il volto grigio. Lanciarono appena uno sguardo al vino che Moiraine aveva offerto loro prima di fare cenno di portarlo via, e lei tenne la coppa, anche se non pensava che sarebbe riuscita a deglutire. Cadsuane le guardò torva, un'espressione terribile a vedersi. «Nessuna che fosse in grado di eguagliarmi si è recata alla Torre in mille anni. Nessuna al livello di Meilyn e Kerene per almeno seicento. Mille anni fa ci sarebbero state cinquanta Sorelle o anche più in posizioni più elevate di questa bambina. Fra altri cento anni lei sarà fra le più potenti. Forse verrà scoperta qualcuna più forte, ma non saranno mai cinquanta e forse non ce ne sarà nessuna. Stiamo diminuendo.» A Moiraine pizzicavano le orecchie. Cadsuane aveva forse una risposta per quel problema? E come poteva l'eventuale soluzione coinvolgerla? «Non capisco» ammise secca Larelle. Sembrava essersi ripresa e arrabbiata per la precedente debolezza. «Ne siamo tutte consapevoli, ma cosa c'entra Moiraine con tutto questo? Credi che possa in qualche modo attrarre alla Torre altre ragazze con un... potenziale più forte?» L'ultima frase la pronunciò a fatica, con una smorfia di disgusto, e lo sbuffo che segui diceva chiaramente cosa ne pensasse. «Mi dispiacerebbe che la ragazza si consumasse prima di riconoscere il dritto dal rovescio. La Torre non può permettersi di lasciarla libera alla mercé della propria ignoranza. Guardala. La graziosa bambolina di un nobile cairhienese.» Cadsuane mise un dito sotto il mento di Moiraine, sollevandole il viso. «Fino a quando non troverai un Custode come vuoi tu, bambina, un brigante che vuole vedere cos'hai nella borsetta potrebbe trafiggerti con una freccia. Un tagliagole che sverrebbe alla vista di una Sorella addormentata potrebbe sfondarti il cranio e ti sveglieresti in fondo a un vicolo senza l'oro o forse peggio. Sospetto che sarai molto cauta nello scegliere il tuo primo uomo, proprio come farai con il tuo primo Custode.» Moiraine balzò indietro, colma di indignazione. Prima lei e Siuan, adesso questo. C'erano cose di cui si poteva parlare e altre riservate! Cadsuane ignorò la sua espressione oltraggiata. Sorseggiando con calma
il vino si rivolse di nuovo alle altre. «Fino a quando non troverà un Custode che le guardi le spalle, forse sarebbe meglio proteggerla dal suo entusiasmo. Voi due andrete a Chachin, immagino. Viaggerà con voi. Mi aspetto che non la lasciate mai da sola.» Moiraine ritrovò la parola, ma le sue proteste ebbero lo stesso effetto dell'indignazione. Anche Merean e Larelle si opposero, ma con lo stesso risultato. Le Aes Sedai non avevano bisogno di essere 'controllate', per quanto fossero nuove. E loro due avevano faccende più importanti da sbrigare. Non furono molto chiare in merito e non era chiaro se condividessero gli stessi interessi - poche Sorelle lo facevano - ma chiaramente nessuna voleva compagnia. Cadsuane non prestava attenzione e non voleva nemmeno sentire repliche: dava semplicemente per scontato che avrebbero fatto quello che voleva lei, accentuando la pressione ogni volta che le donne suggerivano una soluzione. Presto le due cominciarono a divincolarsi sulla sedia e smisero di dire che si erano incontrate solo il giorno prima e che non erano certe che avrebbero viaggiato insieme. In ogni caso, entrambe avevano in programma di trascorre due o tre giorni a Canluum, mentre Moiraine voleva andare via il giorno stesso. «La bambina rimarrà fino a quando non andrete via» rispose Cadsuane vivace. «Bene, tutto è a posto, allora. Sono sicura che voi due vorrete fare qualsiasi cosa vi abbia portate a Canluum. Non vi tratterrò.» Larelle si sistemò lo scialle irritata per il rozzo congedo, quindi usci a grandi passi mormorando che Moiraine avrebbe avuto di che rimpiangere se fosse stata di intralcio o l'avesse rallentata nel viaggio verso Chachin. Merean la prese meglio, dicendo che avrebbe vegliato su Moiraine come una figlia, anche se il sorriso non sembrava affatto lieto. Quando furono andate via, Moiraine fissò Cadsuane incredula. Non aveva mai visto nulla di simile. Tranne una valanga, una volta. La cosa giusta da fare adesso era rimanere in silenzio fino a quando non avesse avuto occasione di andare via senza che Cadsuane e le altre la vedessero. Era davvero la soluzione più saggia. «Non ho concordato nulla» disse freddamente. Molto freddamente. «E se ho affari a Chachin che non possono attendere? Se decidessi di non aspettare qui altri due o tre giorni?» Forse doveva davvero imparare a tenere a freno la lingua. Cadsuane stava guardando pensierosa la porta che si era chiusa alle spalle di Merean e Larelle, ma riportò il suo sguardo penetrante su Moiraine. «Porti lo scialle da soli quattro mesi e hai affari che non possono aspettare? Bah! Non hai ancora imparato la prima vera lezione: lo scialle significa
che sei pronta a iniziare a imparare sul serio. La seconda lezione è la cautela. So meglio di altre quanto sia difficile trovarla quando sei giovane, hai saidar sulla punta delle dita e il mondo ai tuoi piedi. Come sembri credere anche tu.» Moiraine cercò di intervenire, ma sarebbe stato come tentare di restare in piedi davanti a una valanga. «Correrai molti rischi in vita tua, se vivrai abbastanza a lungo. Ne stai già correndo più di quanto tu sappia. Bada bene a quello che dico. E fai ciò che ti ho ordinato. Stanotte verrò a controllare il tuo letto e, se non ci sei dentro, ti scoverò e ti farò piangere come hai fatto per quei topolini. Potrai asciugarti le lacrime con lo scialle dopo che avrò finito, se pensi che ti renda invincibile, ma ti accorgerai che non è vero.» Fissando la porta che si chiudeva alle spalle di Cadsuane, Moiraine si accorse che aveva ancora fra le mani la coppa di vino, e lo bevve tutto d'un fiato. Quella donna era... formidabile. Le usanze vietavano qualunque violenza fisica contro un'altra Sorella e Cadsuane non ne aveva infranta nessuna con la sua minaccia. Lo aveva detto, quindi i Tre Giuramenti confermavano che era proprio quello che intendeva fare. Incredibile. Era per pura coincidenza che aveva menzionato Meilyn Arganya e Kerene Nagashi? Erano due delle cercataci di Tamra. Che lo fosse anche Cadsuane? In ogni caso aveva posto fine alla ricerca di Moiraine per una settimana o forse più. Se fosse andata con Merean e Larelle. Ma perché solo una settimana? Se la donna faceva parte della ricerca... se Cadsuane sapeva di lei e Siuan... se... In piedi, giocherellando con la coppa di vino vuota, si accorse che non stava concludendo nulla. Afferrò il mantello. 18
Un passaggio angusto Alcune persone guardarono Moiraine quando apparve nella sala comune, non senza simpatia. Dovevano aver immaginato cosa significasse essere al centro dell'attenzione di un'Aes Sedai e non riuscivano a pensare a nulla di buono. Sui volti delle Sorelle non vi era alcuna commiserazione. Molte
non la notarono affatto. Felaana aveva un sorriso compiaciuto, pensando probabilmente al nome di lady Alys scritto sul libro delle novizie. Almeno non sapeva la verità, non a giudicare dalla sua espressione. Aveva ancora qualche speranza di non farsi scoprire subito da Sierin, almeno per un po'. Cadsuane non era in vista, e nemmeno le altre due Aes Sedai. Procedendo fra i tavoli Moiraine si sentiva come se l'avessero fatta girare a mo' di trottola. C'erano troppe domande e nessuna risposta. Voleva tanto che Siuan fosse con lei, con la sua capacità di risolvere i rompicapo. Inoltre, nulla scuoteva la sua amica. La sua presenza le sarebbe bastata per calmarsi. Una giovane donna si affacciò alla porta che dava sulla strada, quindi si allontanò di colpo. Moiraine inciampò. Desidera troppo qualcosa e ti sembrerà di vederla. La donna si affacciò di nuovo, il cappuccio del mantello che ricadeva sul fagotto che aveva dietro le spalle: era davvero Siuan, vigorosa e bella con indosso uno dei semplici abiti blu da cavallo di Tamore. Stavolta vide Moiraine, ma invece di entrare a salutarla fece un cenno del capo indicando la strada e scomparve di nuovo. Con il cuore in gola, Moiraine si mise il mantello sulle spalle e uscì. Siuan procedeva in strada fra la folla, voltandosi indietro ogni tre passi. La conducente di un carro tirò le redini per evitare di investirla e le fece schioccare lo scudiscio sulla testa, ma Siuan sembrò inconsapevole degli sbuffi del cavallo, della frusta o delle grida furiose della conducente. Moiraine la segui velocemente, con crescente preoccupazione. Dovevano trascorrere altri tre o quattro anni prima che Siuan diventasse abbastanza forte da dire a Cetalia che voleva lasciare il lavoro da assistente. Avrebbe nevicato nel Giorno del Sole prima che la donna la lasciasse andare. La sola altra possibilità per giustificare la sua presenza a Canluum era... Moiraine gemette e un tipo con le orecchie a sventola che vendeva spilli disposti su un vassoio la guardò preoccupato. Lei invece lo fissò con tale furia che l'uomo distolse lo sguardo. Forse Siuan si era lasciata scappare qualcosa, o forse avevano scoperto il suo libretto con i nomi, o... no; non importava come fosse successo. Sierin doveva aver scoperto tutto. Sarebbe stato tipico della donna inviare Siuan per riportarla indietro, per cui la preoccupazione reciproca poteva aumentare durante il viaggio di ritorno. Forse stava creando dei fantasmi, ma non riusciva a immaginare un'altra spiegazione. A cento passi dalla locanda Siuan si voltò di nuovo indietro, si fermò fino a quando fu sicura che l'altra la vedesse, quindi si infilò in un vicolo.
Moiraine allungò il passo per seguirla. L'amica camminava sotto le lampade ancora spente che seguivano lo stretto passaggio polveroso. Il vestito blu scuro mostrava i segni di un viaggio lungo e faticoso, era spiegazzato, macchiato e impolverato. Niente spaventava Siuan, eppure nei suoi acuti occhi azzurri adesso brillava la paura. Moiraine aprì la bocca per confermare i suoi timori riguardo Sierin, ma la donna più alta parlò per prima. «Luce! Pensavo che non ti avrei mai trovata, maledizione. Dimmi che lo hai scovato, Moiraine. Dimmi che il figlio di Najima è il nostro bambino e che potremo consegnarlo alla Torre con cento Sorelle a sorvegliarlo, così possiamo farla finita.» Cento Sorelle? «No, Siuan, non è lui.» Non sembrava si trattasse di Sierin. «Cosa succede? Perché sei venuta di persona invece di mandare un messaggio?» Siuan cominciò a piangere. Siuan, la donna con il cuore di un leone. Aveva le guance coperte di lacrime. Lanciando le braccia al collo di Moiraine la strinse con tale forza da farle male alle costole. Tremava. «Non potevo affidare quest'informazione a un piccione,» mormorò «o agli occhi e le orecchie. Non ho osato. Sono tutte morte. Aisha e Kerene, Valera, Ludice e anche Meilyn. Dicono che Aisha e il suo Custode sono stati uccisi dai banditi nel Murandy. Kerene pare sia caduta da una nave nell'Alguenya durante una tempesta e sia affogata. Meilyn... Meilyn...» era talmente scossa dai singhiozzi che non poté proseguire. Moiraine la abbracciò cercando di consolarla, con un'espressione costernata. «Gli incidenti capitano» disse lentamente. «Banditi. Tempeste. Le Aes Sedai muoiono con la stessa facilità degli altri.» Mentre parlava aveva difficoltà a credere alle proprie parole. Tutte loro? Suo padre diceva sempre che una volta era una coincidenza, due potevano esserlo, ma tre o più volte indicavano l'azione di un nemico. Lo aveva letto da qualche parte. Ma quali nemici? Le venne in mente un'ipotesi e la respinse. Alcune cose non potevano nemmeno essere pensate. Siuan si liberò dall'abbraccio di Moiraine. «Tu non capisci. Meilyn!» Facendo una smorfia si asciugò gli occhi. «Interiora di pesce! Non mi sto esprimendo con chiarezza. Controllati, maledetta stupida!» Stava parlando da sola, adesso. Conducendo Moiraine verso un barile capovolto, la fece sedere e si liberò dal fagotto dietro le spalle. Era tutto il suo bagaglio: probabilmente aveva solo un abito di ricambio. «Non vorrai essere in piedi quando sentirai quello che ho da dirti; anzi, per dirla tutta nemmeno io vo-
glio rimanere in piedi.» Prendendo una cassa con le stecche rotte che si trovava nel vicolo, si accomodò, sistemandosi la gonna, poi osservò la strada, borbottando di persone che le guardavano. La sua riluttanza non faceva nulla per placare lo stomaco di Moiraine. Sembrava servire a poco anche per Siuan. Quando riprese a parlare continuava a interrompersi e a deglutire, come se volesse dare di stomaco. «Meilyn era ritornata alla Torre circa un mese fa. Non so perché. Non ha detto dov'era stata o dove stesse recandosi, ma voleva trattenersi solo per qualche notte. Io... ho sentito di Kerene la mattina che Meilyn era tornata, e delle altre sapevo già da prima. Per cui avevo deciso di parlarle. Non guardarmi a quel modo! So come essere prudente!» Prudente? Siuan? Moiraine avrebbe voluto ridere, ma sapeva che se lo avesse fatto sarebbe finita in lacrime. Era una follia. Doveva essere una follia. Respinse di nuovo quel pensiero terribile. Doveva esserci un'altra spiegazione. Doveva esserci. «In ogni caso sono entrata di nascosto nella sua stanza e mi sono infilata sotto il letto, in modo che i servitori non mi vedessero al cambio delle lenzuola.» Siuan sbuffò amareggiata. «Mi ci sono addormentata e mi sono svegliata all'alba: il letto era intonso. A quel punto sono uscita, sempre di nascosto - non è facile, a quell'ora del mattino, ma sono certa che nessuna mi abbia vista - e sono scesa per il secondo turno della colazione. Mentre mangiavo la farinata d'avena è entrata Chesmal Emry e... ha... ha annunciato che Meilyn era stata trovata morta nel suo letto, durante il sonno.» Concluse velocemente e si accasciò appoggiandosi a Moiraine, che era molto contenta di essere seduta. Le sue ginocchia non avrebbero sostenuto una piuma. Follia. Era stato commesso un omicidio. «L'Ajah Rossa?» suggerì alla fine. Una Rossa poteva uccidere una Sorella che intendeva proteggere un uomo capace di incanalare. Era possibile. Ma non poteva dirlo ad alta voce, perché non lo credeva. Siuan sbuffò. «Meilyn non aveva segni sul corpo. Se ne sono ovviamente occupate le Gialle. Non hanno trovato tracce di veleno o soffocamento. Non hanno trovato nulla e l'hanno definita morte naturale, ma io so che non lo è stata. Non è possibile, non per come l'hanno trovata. Senza segni. Significa il Potere, Moiraine. Una Rossa potrebbe farlo?» La voce era fiera, ma prese il fagotto e lo strinse in grembo. Sembrava volesse nascondersi dietro di esso. Comunque, adesso sul viso aveva meno paura e più rabbia.
«Pensa, Moiraine. Ci hanno detto che anche Tamra è morta nel sonno. Ma ora sappiamo che non è vero, ovunque l'abbiano trovata. Prima Tamra, poi le altre. La sola cosa che ha senso è che qualcuno abbia notato che stava convocando le Sorelle, ed era così ansiosa di scoprire cosa stesse succedendo che ha osato interrogare l'Amyrlin Seat in persona. Dovevano avere qualcosa da nascondere per fare una cosa simile. L'hanno uccisa, per nascondere quanto avevano fatto, e poi hanno cominciato a uccidere le altre. E questo significa che non vogliono che il bambino venga trovato. Vivo, no. Non vogliono il Drago Rinato all'Ultima Battaglia. Ogni altra conclusione equivale a svuotare il secchio con la sciacquatura dei piatti controvento, sperando per il meglio.» Inconsciamente Moiraine guardò l'imbocco del vicolo. Alcuni passanti lanciavano occhiate nella loro direzione, ma nessuno per più di una volta. Neppure uno si fermò nel vederle. Alcune cose si potevano discutere meglio quando non si andava troppo nello specifico. L'Amyrlin era stata interrogata; 'lei' era stata uccisa. Non Tarara, non un nome che richiamava un volto familiare. 'Qualcuno' l'aveva uccisa. 'Loro' non volevano che venisse trovato il Drago Rinato. Interrogare qualcuno con l'uso del Potere non violava nessuno dei Tre Giuramenti, ma l'omicidio usando saidar era di certo un crimine, anche per... per quelle che Moiraine non voleva nominare, come non voleva farlo Siuan. Costringendosi ad assumente un'espressione serena e a mantenere la calma, parlò a stento. «L'Ajah Nera.» Siuan si fece indietro,' quindi annui arrossendo. Quasi ogni Sorella si arrabbiava all'insinuazione che esistesse un'Ajah segreta, nascosta nelle altre, un'Ajah dedita al Tenebroso. Molte Sorelle rifiutavano di sentirne parlare. La Torre Bianca aveva difeso la Luce per almeno tremila anni, ma alcune Sorelle non negavano l'esistenza dell'Ajah Nera. Alcune vi credevano. Poche lo avrebbero ammesso, anche con le altre Aes Sedai. Moiraine non voleva ammetterlo nemmeno con se stessa. Siuan giocava con i legacci del fagotto, ma prosegui con voce energica. «Non credo che abbiano i nostri nomi - Tamra non ci ha mai considerate parte della ricerca; ci ha ordinato di restare in silenzio e ci ha dimenticato altrimenti anche io avrei subito un 'incidente'. Proprio prima che andassi via ho infilato una nota con i miei sospetti sotto la porta di Sierin. Non riguardo al ragazzo, riguardo... l'Ajah Nera. Solo che non sapevo quanto potessi fidarmi di lei. L'Amyrlin Seat! Ma se è vero, chiunque potrebbe appartenervi. Chiunque! Ho scritto con la mano sinistra, ma tremavo talmen-
te che nessuno avrebbe potuto riconoscere la mia grafia anche se avessi usato la destra. Che mi si folgori il fegato! Anche se sapessimo di chi fidarci, abbiamo acqua di sentina come prova.» «Per me è abbastanza.» Luce, l'Ajah Nera! «Se sono al corrente di tutto, e conoscono tutte le donne scelte da Tamra, forse non ne è rimasta nessuna oltre noi due. Dobbiamo muoverci velocemente se vogliamo trovare il bambino.» Tutto sembrava privo di speranze - chi poteva dire quante Sorelle Nere potevano esserci? Venti? Cinquanta? O, pensiero terribile, anche di più? - ma Moiraine cercò di parlare con un tono di voce vigoroso. Fu gratificante vedere che Siuan si limitava ad annuire. Non si sarebbe arresa nemmeno davanti a tutti i singhiozzi e i tremiti, e non aveva mai preso in considerazione che Moiraine potesse farlo. Molto gratificante. Specialmente quando ancora dubitava della saldezza delle proprie ginocchia. «Forse sanno di noi e forse no. Magari pensano di poter lasciare le due Sorelle nuove per ultime. In ogni caso non possiamo fidarci di nessuno se non di noi stesse.» Impallidì, e sentì improvvisamente la testa vuota. «Oh, Luce! Ho appena avuto un incontro terribile alla locanda, Siuan.» Cercò di riferire tutto parola per parola, ogni sfumatura, dal primo momento che aveva parlato Merean. Siuan ascoltò con lo sguardo distante, percependo, elaborando. «Cadsuane potrebbe appartenere all'Ajala Nera» concordò quando Moiraine ebbe finito il suo racconto. Non aveva quasi esitato. «Forse sta solo cercando di levarti di mezzo senza sollevare sospetti. O forse è una delle prescelte di Tamra. Solo perché pensiamo che non si sia recata a Tar Valon per due anni, non significa che sia vero.» Le Sorelle a volte entravano e uscivano dalla Torre senza essere viste, ma Moiraine credeva che ovunque arrivasse Cadsuane la terra tremasse come colpita da un terremoto. «Il problema è che ogni ipotesi potrebbe essere valida.» Appoggiandosi sul fagotto, Siuan toccò il ginocchio dell'amica. «Riesci a prendere il tuo cavallo dalla stalla senza essere vista? Io ne ho uno buono, ma non so se è in grado di trasportarci entrambe. Dovremmo trovarci a ore da qui prima che scoprano che siamo andate via.» Moiraine sorrise pur non volendo. Dubitava che Siuan avesse un buon animale. Ogni commerciante di cavalli avrebbe potuto rifilarle un brocco come purosangue: l'occhio della Tarenese in quel senso non era meglio del suo stile in sella. La cavalcata a nord doveva essere stata un'agonia per lei. E piena di timori. «Nessuno sa che ti trovi qui, Siuan» disse Moiraine. «Ed è meglio se le cose rimangono in questo modo. Hai il tuo libretto? Bene. Se rimango fino al mattino, avrò un giorno di vantaggio su di loro invece
che qualche ora. Tu andrai a Chachin adesso. Prendi un po' del mio denaro.» A giudicare dalle condizioni dell'abito, Siuan doveva aver trascorso l'ultima parte del viaggio dormendo fra i cespugli. Non avrebbe certo osato prendere troppo denaro prima di abbandonare la Torre. «Inizia a cercare lady Ines e io ti raggiungerò, vedendo di trovare Avene Saliera durante il percorso.» Non era certo facile. Siuan aveva una vena di testardaggine larga quanto il fiume Erinin. «Ho tutto quello che mi serve» borbottò, ma Moiraine aveva insistito nel darle metà del denaro che teneva nel sacchetto e, quando le rammentò del patto che avevano stipulato nei primi mesi di permanenza alla Torre (quello che possedeva una apparteneva anche all'altra), lei mormorò: «Abbiamo anche giurato che avremmo trovato dei bei giovani principi da legare a noi. Le ragazze dicono questo tipo di sciocchezze. Adesso fai bene attenzione. Lasciami da sola in questo caos e io ti tiro il collo.» Una volta abbracciatesi per i saluti, Moiraine trovò difficile lasciarla andare. Un'ora prima la sua preoccupazione era stata concentrata sul tempo che le restava per sfuggire la giustizia di Sierin e la frusta. Adesso le sembrava di essersi preoccupa di una ferita all'alluce. L'Ajah Nera. Provava un senso di nausea. Se solo avesse avuto il coraggio di Siuan. Osservando l'amica che spariva in fondo al vicolo sistemandosi di nuovo il fagotto sulle spalle, Moiraine desiderò di aver scelto l'Ajah Verde. Avrebbe voluto tre o quattro Custodi che le piacevano e le avrebbero consentito di avere le spalle ben guardate. Mentre camminava in strada non poté fare a meno di guardare tutti quelli che incrociava, uomini o donne. Se l'Ajah Nera - aveva il voltastomaco ogni volta che pensava quel nome - era coinvolta, allora lo erano anche gli Amici delle Tenebre. Persone deviate, convinte che il Tenebroso avrebbe donato loro l'immortalità, gente che avrebbe ucciso e fatto di tutto per ottenere l'agognata ricompensa. Se una qualsiasi delle Sorelle poteva appartenere all'Ajah Nera, allora chiunque incontrava poteva essere un Amico delle Tenebre. Sperava che se lo ricordasse anche Siuan. Mentre si avvicinava a I cancelli del paradiso, sulla soglia della locanda apparve una Sorella. O meglio, parte di una Sorella; tutto quello che Moiraine vide fu un braccio con uno scialle frangiato che vi pendeva, e solo per un istante. Un uomo molto alto che era appena uscito, i capelli raccolti in due trecce con i campanelli, si voltò un momento per parlarle, ma la mano fece un gesto perentorio e l'uomo oltrepassò Moiraine, cupo in volto.
Non ci avrebbe pensato due volte se non avesse meditato sull'Ajah Nera e gli Amici delle Tenebre. Solo la Luce sapeva, le Aes Sedai parlavano con gli uomini e altre facevano ben più che parlare. Lei stava riflettendo sugli Amici delle Tenebre e sulle Sorelle Nere. Se solo avesse visto il colore di quelle frange. Gli ultimi trenta passi li fece di corsa, con espressione torva. Merean e Larelle erano sedute assieme vicino alla porta; entrambe indossavano lo scialle. Poche Aes Sedai lo facevano, se non per le cerimonie o per mettersi in mostra. Entrambe osservavano Cadsuane che stava entrando in una sala da pranzo privata seguita da una coppia di uomini magri e con i capelli grigi che sembravano duri come querce. Anche lei indossava lo scialle, con la Fiamma di Tar Valon sulla schiena fra i viticci intrecciati. Poteva essere una qualsiasi di loro. Forse Cadsuane voleva un altro Custode; le Verdi sembravano sempre alla ricerca. E magari lo stesso valeva anche per Merean e Larelle. Nessuna delle due ne aveva uno, a meno che non li avessero legati da quando avevano lasciato Tar Valon. Lo sguardo torvo di quel tipo poteva essere dovuto al fatto di essersi sentito dire che non faceva al caso loro. C'erano centinaia di spiegazioni possibili e Moiraine rimosse quell'uomo dai propri pensieri. I veri pericoli erano già abbastanza seri da non doverne aggiungere altri. Prima che Moiraine muovesse tre passi nella sala comune, mastro Helvin si fece avanti affannato, con indosso un grembiule a righe verdi, un uomo calvo largo quasi quanto era alto, che le diede un nuovo motivo d'irritazione. «Ah, lady Alys, ti stavo proprio cercando. Con altre tre Aes Sedai che si sono fermate qui, temo di dover di nuovo cambiare i letti. Di certo non ti dispiacerà condividere il tuo, date le circostanze. Comare Palan è una donna molto gradevole.» Date le circostanze? In una situazione normale non avrebbe mai osato suggerire a una nobile di dividere la stanza, per quante mercanti dovesse infilare in un solo letto. Ma quello che voleva dire era che presto lei si sarebbe comunque dovuta recare alla Torre Bianca. Fece più che suggerirlo. Aveva già fatto spostare la donna! E quando lei protestò... «Se sei scontenta, ti suggerisco di parlare con una delle Aes Sedai» rispose con voce ferma. Con voce ferma! Con lei! «Adesso, se vuoi scusarmi, ho molte cose da fare. In questo periodo siamo molto indaffarati.» Quindi andò via senza aggiungere una parola. O un inchino! Moiraine avrebbe voluto gridare. Aveva quasi incanalato per colpirlo sulle orecchie. Haesel Palan era una commerciante di tappeti del Murandy, con la ca-
denza ritmata del Lugard nella voce. Moiraine sentì molto più di quanto volesse, dal momento che aveva messo piede nella stanza che una volta era stata solo sua. Gli abiti erano stati spostati dal guardaroba su dei pioli appesi al muro, il pettine e la spazzola tolti dal lavabo per fare spazio a comare Palan. La rotonda donna dai capelli grigi, che indossava abiti di fine lana, di certo si sarebbe comportata in maniera differente con 'lady Alys,' ma non con una selvatica che tutti dicevano stesse per diventare un'iniziata della Torre Bianca. Diede lezione a Moiraine sui doveri di una novizia, tutte informazioni sbagliate. Alcune delle cose che insinuava avrebbero ucciso quasi tutte le ragazze in una settimana se non al primo giorno, e il resto era semplicemente impossibile. Imparare a volare? La donna era pazza! Seguì Moiraine al piano inferiore per la cena e riunì altri commercianti di sua conoscenza per condividere quanto sapevano sulla Torre Bianca. Che equivaleva a niente di niente. Ma si confidarono tutto nei minimi dettagli. Se Moiraine fosse stata davvero una potenziale novizia, l'avrebbero spaventata a morte fino a farle passare la voglia anche solo di avvicinarsi alla Torre! Aveva pensato di sottrarsi andando a dormire presto, ma comare Palan apparve quasi subito dopo di lei e parlò fino a quando non si fu addormentata. Non fu una notte facile. Il letto era stretto, i gomiti della donna appuntiti e i piedi gelidi malgrado le spesse coltri che intrappolavano il calore della piccola stufa di piastrelle vicino al letto. Ignorare l'aria fredda era una cosa, i piedi gelati erano tutt'altra faccenda. Il temporale che era parso imminente per l'intera giornata era finalmente esploso: vento e tuoni fecero tremare le persiane per ore. Moiraine dubitava che sarebbe riuscita a dormire anche in circostanze differenti. Gli Amici delle Tenebre e l'Ajah Nera le danzavano nella mente. Vide Tamra svegliata a forza, trascinata via in qualche luogo segreto e torturata da donne che usavano il Potere. Queste avevano il volto di Merean, Larelle e Cadsuane o di ogni Sorella che conosceva. Quando la porta si apri lentamente nelle prime ore ancora scure del mattino, Moiraine abbracciò la Fonte in un baleno. Saidar la colmò fino al punto in cui la gioia e l'estasi si avvicinavano al dolore. Non attinse a tutto il Potere che sarebbe stata in grado di usare nell'arco del prossimo anno, meno ancora in cinque anni, ma arrivò comunque molto vicino a una quantità tale da perdere per sempre la capacità di incanalare o addirittura finire uccisa. Cadsuane si affacciò nella stanza. Moiraine aveva dimenticato la sua promessa, la minaccia. La Sorella Verde vide il bagliore e percepì tutto il
Potere che Moiraine aveva impugnato. «Ragazza sciocca» fu tutto quello che disse prima di andarsene. Moiraine contò lentamente fino a cento, quindi mise i piedi fuori delle coperte. Era un momento buono come un altro. Comare Palan si girò su un fianco e iniziò a russare. Sembrava il fragore di tende strappate. Anche così, Moiraine fece attenzione a evitare ogni rumore. Incanalando Fuoco accese una delle lampade e si vestì in fretta. Stavolta scelse un abito da cavallerizza di seta blu scuro, con un ricamo sul collo e le maniche con il filo dorato che riportava il motivo del merletto di Maldine. Decise con riluttanza di abbandonare le bisacce da sella con tutto il resto che avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle. Chiunque l'avesse incontrata non doveva pensare troppo a lei, anche a quell'ora del mattino, e non sarebbe successo se l'avessero vista con le bisacce da sella. Tutto quello che prese furono le cose che riuscì a infilare nelle tasche cucite dentro il mantello: la spazzola, il pettine, il completo da cucito, alcune calze pulite e una sottoveste. Non aveva spazio per altro. Le sarebbe bastato, insieme alle lettere di diritto e l'oro che le rimaneva. Comare Palan ancora russava quando Moiraine si chiuse la porta alle spalle. 19
L'acqua dello stagno La sala comune a quell'ora era vuota, anche se il rumore delle pentole e i mormorii provenienti dalla cucina indicavano che stavano preparando la prima colazione. Moiraine uscì velocemente da una porta laterale per raggiungere il cortile della stalla. Era certa che nessuno l'avesse vista. Fino a quel momento era andato tutto bene. Il cielo cominciava a diventare grigio e nell'aria era ancora percepibile il freddo della notte, ma almeno aveva smesso di piovere. Conosceva un flusso che poteva tenere lontana la pioggia, ma avrebbe attirato l'attenzione. Sollevando gonna e mantello per evitare che si sporcassero nelle pozzanghere sul lastricato, allungò il passo. Prima se ne andava meno erano le possibilità che la vedessero.
Ovviamente non poteva evitare tutti gli sguardi. I cardini della porta cigolarono leggermente mentre si infilava nelle stalle, e lo stalliere del turno di notte balzò in piedi dallo sgabello dove senza dubbio stava sonnecchiando con la schiena appoggiata a una trave. Un tipo magro con il naso adunco e gli occhi a mandorla della Saldea, si passò le mani fra i capelli nel vano tentativo di sistemarli e le rivolse un inchino rigido. «Come posso aiutarti, mia signora?» le chiese con voce rauca. «Sella la mia giumenta, Kazin» rispose Moiraine, infilandogli un centesimo d'argento nella mano. Era fortunata che lo stesso uomo fosse stato di servizio anche al suo arrivo. Mastro Helvin aveva scritto una descrizione di Freccia nel libro della stalla, seduto su uno sgabello vicino alla porta, ma dubitava che Kazin sapesse leggere. Le dispiaceva di dover lasciare indietro il cavallo da soma, ma nemmeno una stupida nobile - aveva sentito Kazin mormorare 'chi se non una stupida nobile vorrebbe cavalcare a quest'ora?' - avrebbe portato un animale da soma in una passeggiata mattutina. Nel migliore dei casi lo stalliere sarebbe entrato di corsa nella locanda per controllare che avesse pagato. Lei lo aveva fatto, per un'altra notte, ma c'era sempre la possibilità che Cadsuane avesse promesso ai servitori delle ricompense per controllare i suoi movimenti. Al posto della Sorella Verde lei lo avrebbe fatto. In questo modo, invece, nessuno avrebbe sospettato nulla fino a quando quella sera non l'avessero vista tornare. Montando in sella a Freccia rivolse allo stalliere un sorriso freddo in risposta al suo commento e cavalcò lentamente nella strada umida e quasi vuota. Sembrava che sarebbe stata una bella giornata. Il cielo appariva terso, quasi senza nuvole a nascondere le stelle, e c'era poco vento. Le lampade appese ai muri di ogni edificio erano ancora accese sia nelle strade che nei vicoli e le ombre erano pallide, ma le sole persone che vide furono gli uomini della Ronda Notturna, con elmetti, alabarde e balestre, più i lampionai, armati anche loro pesantemente mentre facevano la perlustrazione per accertarsi che le lampade rimanessero accese. Era stupefacente che la gente riuscisse a vivere tanto vicino alla Macchia sapendo che i Myrddraal potevano uscire dalle ombre. La Ronda Notturna e i lampionai la guardarono sorpresi mentre li oltrepassava. Nessuno usciva di notte. Non nelle Marche di Confine. Fu per quello che Moiraine si sorprese nel constatare che non era la prima a raggiungere il cancello occidentale. Facendo rallentare Freccia rimase a distanza dai tre grossi uomini che aspettavano con i cavalli da soma
dietro alle cavalcature. Nessuno indossava elmetto o armatura, ma ognuno aveva una spada al fianco e un arco da cavallo, con le faretre piene legate davanti alle selle. Pochi uomini andavano in giro disarmati in quelle terre. La loro attenzione era concentrata sui cancelli chiusi e di tanto in tanto scambiavano qualche parola con le guardie. Sembravano impazienti di andare via e quasi non guardarono nella sua direzione. Le lampade vicino ai cancelli mostravano con chiarezza i loro volti. Un uomo anziano brizzolato e un giovane dal volto duro, con indosso una lunga giubba che arrivava alle ginocchia, e un nastro di cuoio intrecciato legato attorno al capo di entrambi. Malkieri? Le sembrava di ricordare che quello fosse il significato. Il terzo era dell'Arafel, aveva dei campanelli fra i capelli. Indossava una giubba di un giallo scuro con altri campanelli cuciti sopra. Lo stesso tipo che aveva visto uscire da I cancelli del paradiso. Quando la luce all'orizzonte permise l'apertura dei cancelli si era creata una piccola fila di carri di mercanti pronti a partire. I tre uomini erano i primi, e Moiraine lasciò che una dozzina di alti carri coperti da teloni passassero davanti a lei, accompagnati dalle guardie in elmetto e pettorale di metallo, prima di oltrepassare il ponte e incamminarsi sulla strada che attraversava le colline. Continuò a controllare i tre, che procedevano nella sua stessa direzione. Avanzavano velocemente, bravi cavalieri che muovevano appena le redini, ma la velocità le andava bene. Più spazio frapponeva fra lei e Cadsuane e meglio era. Si manteneva vicina quel tanto che bastava per vederli. Non aveva bisogno di attirare la loro attenzione fino a quando non lo avesse desiderato. A quel passo i carri dei mercanti e le loro guardie erano già distanziati quando avvistò il primo villaggio, a metà mattinata: uno sparuto gruppo di case in pietra dal tetto di tegole che circondava una piccola locanda su una collina boscosa dietro la strada. Anche dopo diversi mesi le sembrò ancora strano vedere gli abitanti che indossavano le spade e almeno una alabarda fuori ogni porta, insieme a balestre e faretre. Tutto era in netto contrasto con i bambini che giocavano con i cerchi e che lanciavano sacchi di fagioli in strada. I tre uomini non rallentarono e non degnarono di uno sguardo il villaggio, ma Moiraine si fermò per comperare del pane chiaro e croccante e un pezzo di formaggio giallo, chiedendo anche se qualcuno conoscesse una donna di nome Avene Saliera. La risposta fu no e Moiraine galoppò fino a quando non tornò a vedere i tre sulla strada battuta di fronte a lei, che procedevano ancora a passo sostenuto. Forse non sapevano altro che il nome
della Sorella con cui aveva parlato l'uomo di Arafel, ma qualsiasi cosa avesse scoperto su Cadsuane o le altre due sarebbe stata per il meglio. Progettò diversi piani per avvicinarli e li scartò tutti. Tre uomini in una foresta deserta potevano benissimo decidere che una donna da sola fosse un'opportunità inviata dal paradiso, specialmente se erano quel che temeva. Occuparsi di loro non presentava alcuna difficoltà, se fosse stato necessario, ma voleva evitarlo. Se avesse scoperto che erano Amici delle Tenebre o semplici briganti, li avrebbe dovuti tenere prigionieri fino a quando non avesse potuto consegnarli alle autorità competenti. Non sapeva quanto ci sarebbe voluto, e poi non avrebbe potuto nascondere il fatto di essere Aes Sedai. La notizia di una donna che aveva catturato tre fuorilegge si sarebbe sparsa come il fuoco su una miccia. Tanto valeva che se ne andasse in giro con una colonna di fumo sopra la testa per aiutare chiunque volesse trovarla. La foresta si alternava con le fattorie per poi riprendere di nuovo il dominio, fatta di abeti torreggianti ed ericacee e querce massicce con solo delle piccole gemme rosse sui grandi rami. Un'aquila dalla cresta rossa volò sopra di loro, a nemmeno trenta passi di altezza, una sagoma ben delineata contro il sole calante. La strada davanti a lei era vuota a eccezione dei tre uomini e i loro animali da soma, e nemmeno dietro di lei c'era nessuno. La gente per bene adesso stava mangiando. Non che vedesse altro a parte fattorie. Mentre le ombre si allungavano alle sue spalle, Moiraine, decise di dimenticare gli uomini e cominciare a cercare un posto per dormire. Se avesse avuto fortuna presto avrebbe visto altre fattorie, e se una moneta d'argento non le procurava un letto, avrebbe dovuto accontentarsi di un fienile. Se avesse avuto fortuna la sella sarebbe andata bene come cuscino. Anche un pasto sarebbe stato cosa gradita. Le sembrava di aver mangiato quel pane e quel formaggio molto tempo prima. I tre uomini davanti a lei si fermarono all'improvviso nel mezzo della strada, parlando fra di loro. Moiraine tirò le redini di colpo. Anche se l'avevano notata, la prudenza di una donna che cavalcava da sola l'aveva indotta a non avvicinarsi ai loro. Quindi uno dei tre prese i cavalli da soma e si diresse nella foresta. Gli altri spronarono i propri animali e lo seguirono veloci, come se si fossero improvvisamente ricordati che dovevano recarsi da qualche parte. Moiraine aggrottò le sopracciglia. Era stato l'uomo dell'Arafel ad allontanarsi, ma durante il viaggio poteva aveva parlato di un suo incontro con un'Aes Sedai con il compagno che aveva lasciato. Le sembrava il giovane
Malkieri. La gente parlava di incontri di quel tipo. Erano relativamente pochi quelli che avevano incontrato una Sorella sapendo chi o cosa fosse. Inoltre un uomo sarebbe stato di sicuro meno difficile da controllare che tre, se fosse stata cauta. Dirigendosi nel punto in cui cavalieri e cavalli da soma erano scomparsi, smontò da cavallo e iniziò a cercare qualche traccia. La maggior parte delle dame lasciavano che fossero i loro guardacaccia a cercare le impronte, ma Moiraine si era interessata a questa operazione quando ancora si arrampicava sugli alberi e si sporcava le mani con la terra, e le era sembrata divertente. Pareva che quell'uomo non fosse esperto di foreste. Rami spezzati e foglie autunnali capovolte lasciavano una traccia che poteva essere seguita da un bambino. Dopo cento passi dentro la foresta Moiraine vide un grande stagno in una radura fra gli alberi. E il giovane Malkieri. Aveva già tolto la sella e impastoiato il cavallo - un bell'animale, molto bello per un uomo con la giubba consumata, doveva averlo rubato - e stava sistemando in terra il carico delle bestie da soma. Da vicino sembrava anche più grosso, con le spalle molto ampie e la vita sottile. Non era comunque bello. Nemmeno attraente, con quel volto spigoloso e duro. Il viso di un brigante. Dopo aver sciolto il cinturone si accomodò in terra a gambe incrociate, di fronte allo stagno, sistemò la spada al suo fianco e appoggiò le mani sulle ginocchia. Sembrava che osservasse, oltre la polla d'acqua che ancora risplendeva attraverso le ombre del pomeriggio, il canneto che costeggiava la riva opposta. Non muoveva un muscolo. Moiraine rifletté. Chiaramente era stato incaricato di allestire il campo. Gli altri sarebbero tornati, ma non troppo presto, visto che se la prendeva comoda. Una domanda o due non avrebbero preso troppo tempo. «Chi di voi ha incontrato un'Aes Sedai di recente?» Sarebbe bastato. Ma se si fosse leggermente innervosito - magari trovandola improvvisamente al suo fianco - avrebbe potuto reagire prima di pensare. Saidar doveva restare un'ultima risorsa. Quasi certamente avrebbe dovuto usarla, ma voleva che la sua capacità di incanalare venisse per ultima, come sorpresa. Legò le redini di Freccia al ramo basso di un'ericacea, quindi sollevò gonna e mantello e si incamminò silenziosa verso l'uomo. Dietro di lui sorgeva una piccola collinetta, e Moiraine vi salì sopra. Quel rialzo poteva essere utile. Era un uomo molto alto. Poteva anche essere di aiuto farsi vedere con il pugnale in una mano e la spada di lui nell'altra. Incanalando, Moiraine fece scivolare il fodero della spada da dove era riposto. Ogni minima cosa che potesse innervosirlo...
L'uomo si mosse più veloce del pensiero. Nessuno tanto grosso poteva muoversi così rapidamente, ma mentre la presa di Moiraine si stringeva sulla custodia l'uomo si alzò roteando, afferrando con una mano la spada già estratta fra le mani di lei. Con l'altra le aveva afferrato la parte anteriore dell'abito. Prima che riuscisse a pensare di incanalare, Moiraine stava volando in aria. Ebbe appena il tempo di vedere lo stagno che le veniva incontro, gridare qualcosa, non sapeva cosa, quindi urtò la superficie di piatto, rimanendo senza fiato e sollevando molti spruzzi. L'acqua era gelida! Saidar la lasciò per effetto dell'impatto. Agitando i piedi riemerse fino alla vita tossendo, i capelli bagnati appiccicati al viso e gli abiti zuppi che scendevano sulle spalle. Sì girò furiosa per affrontare l'avversario, abbracciò di nuovo la Fonte e si preparò ad abbatterlo e a bastonarlo fino a quando avesse gridato! L'uomo era in piedi e scuoteva il capo, osservando stupito il punto in cui lei si era trovata prima, a un passo da dove era seduto. Moiraine avrebbe anche potuto essere un pesce! Quando si degnò di notarla, mise in terra la spada nella custodia e si diresse al bordo dello stagno, chinandosi per porgerle una mano. «Non è saggio cercare di rubare a un uomo la sua spada» le disse, e dopo aver lanciato un'occhiata alle strisce colorate sull'abito aggiunse: «Mia signora.» Non si stava scusando. I suoi affascinanti occhi azzurri non incontrarono quelli di lei. Stava nascondendo del... divertimento! Mormorando, Moiraine si fece avanti goffamente in un punto da dove poteva prendere la mano dell'uomo con entrambe le sue. A quel punto fece leva con tutta la sua forza. Ignorare l'acqua gelida che le gocciolava sulle costole non era semplice e se lei era bagnata lo stesso sarebbe dovuto succedere a lui, senza il bisogno di usare l'Uni... L'uomo si tirò su e Moiraine uscì dall'acqua appesa al suo braccio. Lo fissò costernata fino a quando toccò il suolo con i piedi e l'uomo si fece indietro. «Accenderò un fuoco e appenderò delle coperte, così ti potrai asciugare» mormorò, sempre senza guardarla negli occhi. Cosa stava nascondendo? O forse era timido. Non aveva mai sentito parlare di un Amico delle Tenebre timido, ma immaginava che potessero esisterne. L'uomo mantenne la parola e quando apparvero gli altri lei stava in piedi vicino a un fuoco, circondata da coperte prese dai fagotti e appese ai rami di una quercia. Moiraine non aveva bisogno del fuoco per asciugarsi. Un
flusso di Acqua le aveva rimosso ogni goccia dai capelli e dagli abiti mentre ancora li indossava. Era un bene che l'uomo non l'avesse notato. Non aveva guardato neanche lei, fino a quando non ebbe pettinato di nuovo i capelli. Inoltre, Moiraine apprezzava il calore della fiamma. In ogni caso doveva rimanere abbastanza a lungo fra le coperte per far credere all'uomo che aveva usato il fuoco. Non aveva ancora rilasciato saidar. Fino a quel momento, non aveva fornito il minimo indizio. «Ti ha seguito, Lan?» disse la voce di un uomo mentre smontava da cavallo al suono dei campanelli. L'uomo di Arafel. «Perché hai tirato su quelle coperte?» chiese una voce acida e scontrosa. Moiraine guardava nel nulla e non sentì la risposta che il suo assalitore diede agli uomini. Se ne erano accorti? Di quei tempi, gli nomini prestavano attenzione ai banditi, ma davvero avevano notato una donna da sola e deciso che li stava seguendo? Non aveva senso. Ma perché attirarla nella foresta invece di affrontarla direttamente? Tre energumeni non avevano motivo di temere una donna. A meno che non sapessero che era un'Aes Sedai. In quel caso si sarebbero mossi con molta cautela. Ma era certa che quell'uomo non aveva idea di come avesse fatto lei a prendergli la spada. «Una Cairhienese, Lan? Immagino che tu ne abbia vista qualcuna, ma io non ho mai avuto l'occasione.» Adesso avevano attirato la sua attenzione, e con il Potere che la colmava non le sfuggì neppure un altro suono: quello dell'acciaio che scivolava fuori dal fodero. Preparando diversi flussi che avrebbero immobilizzato il gruppetto, si aprì un varco fra le coperte e si affacciò. Con sua sorpresa l'uomo che l'aveva scagliata in acqua Lan? - era in piedi, di spalle alle coperte. Era quello con la lama snudata fra le mani. L'uomo di Arafel gli stava di fronte e sembrava sorpreso. «Tu ricordi la vista dei Mille Laghi, Ryne» disse freddo Lan. «Una donna ha bisogno di protezione dai tuoi occhi?» Per un momento Moiraine pensò che Ryne avrebbe estratto la spada malgrado Lan lo avesse preceduto, ma l'uomo più anziano - aveva sentito che lo chiamavano Bukama -, segnato da cicatrici, con i capelli grigi e alto come gli altri due, calmò gli animi e portò i compagni in un luogo appartato per parlare di un certo gioco chiamato 'sette'. Sembrava si trattasse di un passatempo strano e molto pericoloso in quella luce crepuscolare. Lan e Ryne si accomodarono a gambe incrociate uno di fronte all'altro, con le spade nella custodia, quindi estrassero senza preavviso e le lame scattarono reciprocamente verso le gole, fermandosi pochi centimetri prima della car-
ne. L'uomo anziano indicò Ryne. Infilarono le spade nel fodero e lo fecero di nuovo. Per tutto il tempo che Moiraine restò a guardare, proseguirono nello stesso modo. Forse Ryne non era così sicuro come era sembrato. Aspettando fra le coperte cercò di ricordare cosa le fosse stato insegnato del Malkier. Non molto, se non la storia. Ryne ricordava i Mille Laghi, quindi anche lui doveva essere Malkieri. Era accaduto qualcosa con le donne bisognose di protezione. Adesso che era con loro tanto valeva che rimanesse fino a quando non avesse scoperto qualcosa di utile. Quando uscì da dietro le coperte, era pronta. «Rivendico i diritti di una donna sola» disse loro formalmente. «Viaggio verso Chachin e chiedo la protezione delle vostre spade.» Infilò anche una moneta d'argento fra le mani di ognuno. Non era del tutto sicura di questa faccenda ridicola della 'donna sola', ma l'argento otteneva l'attenzione di molti uomini. «Ve ne darò altre due una volta raggiunta Chachin.» Le reazioni non furono quelle che si aspettava. Ryne guardò torvo la moneta mentre se la faceva girare fra le mani. Lan fissò la sua, inespressivo, e la ripose in tasca sbuffando. Aveva dato loro alcuni degli ultimi marchi di Tar Valon, ma erano monete che potevano essere trovate ovunque, come quelle di ogni altra nazione. Bukama si inchinò con la mano sinistra appoggiata sul ginocchio. «Onorato di servirti, mia signora» rispose. «Fino a Chachin la mia vita è tua.» Anche lui aveva gli occhi azzurri, come gli altri due, e non la fissò mentre parlava. Moiraine sperava di non dover scoprire che si trattava di un Amico delle Tenebre. Ma appurare qualsiasi cosa si rivelò difficile. Impossibile. Prima gli uomini furono impegnati con il campo, ad accudire i cavalli e preparare il fuoco. Non sembravano impazienti di affrontare la notte della nuova primavera senza fuoco. Bukama e Lan non dissero una parola durante il pasto a base di gallette e carne essiccata che lei cercò di non ingurgitare, pur essendo famelica. Ryne parlò e fu abbastanza gradevole, con le fossette sulle guance quando sorrideva e una scintilla negli occhi azzurri, ma non le offrì la minima occasione di discutere de I cancelli del paradiso o delle Aes Sedai. Quando alla fine gli chiese perché stessero recandosi a Chachin, il volto dell'uomo divenne triste. «Ogni uomo deve morire da qualche parte» rispose sottovoce, e andò a preparare il giaciglio. Una risposta molto strana. Degna di un'Aes Sedai. Lan copri il primo turno di guardia mentre la luna sorgeva sopra gli al-
beri, seduto a gambe incrociate non troppo lontano da dove dormiva Ryne e, quando Bukama spense il fuoco e si sistemò nelle coperte vicino a Lan, Moiraine eresse una protezione di Spirito attorno a ogni uomo. Flussi di Spirito che poteva mantenere nel sonno in modo che, se uno di loro si fosse mosso nella notte, lo scudo l'avrebbe svegliata senza farli allarmare. Significava destarsi a ogni cambio della guardia, quindi molto spesso, ma non aveva altra scelta. Lei si era sistemata ben lontano dagli uomini, e mentre appoggiava la testa sulla sella per la terza volta, Bukama mormorò qualcosa che non riuscì a sentire. Le arrivò però molto chiara la risposta di Lan. «Mi fiderei più di un'Aes Sedai, Bukama. Vai a dormire.» Tutta la rabbia che Moiraine aveva represso ritornò in superficie. L'uomo l'aveva scagliata in uno stagno gelido, non si era scusato e... Incanalò Aria e Acqua intessute con un tocco di Terra. Dalla superficie dello stagno si alzò una colonna d'acqua che salì sempre più in alto sotto la luna, inarcandosi. Ricadde su quello sciocco con la lingua tanto sciolta! Completamente inzuppati, Bukama e Ryne balzarono in piedi imprecando, ma Moiraine continuò a far scendere il torrente d'acqua fino a quando ebbe contato fino a dieci. L'acqua scorse lungo il campo. Si aspettava di vedere un uomo zuppo, semi congelato, schiacciato al suolo e pronto a imparare il rispetto. Lan effettivamente grondava e aveva addirittura qualche pesciolino che si agitava intorno ai piedi, ma era in piedi. Con la spada sguainata. «Progenie dell'Ombra?» chiese Ryne incredulo, mentre Lan rispondeva, «Forse! Non ho mai sentito nulla di simile però. Proteggi la donna, Ryne! Bukama, vai a ovest e torna da sud; io mi dirigo a est e ritorno da nord!» «Non è stata la progenie dell'Ombra!» scattò Moiraine, facendoli fermare. La fissarono tutti e tre. Avrebbe voluto poter vedere meglio le loro espressioni alla luce della luna, ma le nuvole di passaggio nascosero anche lei, ammantandola nel suo tormento. Con uno sforzo diede alla voce tutta la fredda serenità, Aes Sedai che riuscì a trovare. «Non è saggio mostrare altro all'infuori del rispetto nei confronti di un'Aes Sedai, mastro Lan.» «Aes Sedai?» sussurrò Ryne. Malgrado la debole luce, la reverenza che aveva in viso era evidente. O forse si trattava di paura. Nessun altro emise un suono, a parte Bukama che si lamentava mentre portava il pagliericcio lontano dal fango. Ryne ci mise molto a spostare le coperte in silenzio, rivolgendole piccoli inchini ogni volta che guardava nella sua direzione. Lan non fece alcun tentativo di asciugarsi. Si cercò un
nuovo posto per montare di guardia, quindi si fermò e sedette nello stesso punto di prima, nel fango e nell'acqua. Moiraine forse lo aveva scambiato per ungeste di umiltà, ma l'uomo stavolta la guardò quasi negli occhi. Se quella era umiltà, i re erano gli uomini più umili sulla terra. Moiraine sistemò di nuovo gli schermi attorno a loro. Essersi rivelata lo rendeva ancor più necessario. Non dormi per un bel po', aveva molto a cui pensare. Per prima cosa nessuno aveva chiesto perché li stesse seguendo. Quell'uomo era rimasto in piedi! Quando si era allontanata stava stranamente pensando a Ryne. Era un peccato che adesso avesse paura di lei. Un gran peccato se avesse scoperto che si trattava di un Amico delle Tenebre. Era affascinante e di bell'aspetto. Non le importava se un uomo la vedeva svestita, ma temeva solo il fatto che potesse parlarne con altri. 20
Colazione a Manala «Potete chiamarmi lady Alys» disse la piccola, strana donna agli uomini quando, all'alba, uscì assonnata dalle coperte, nascondendo uno sbadiglio con una mano. Era certa che Lan fosse rimasto sveglio per tutti i turni di guardia. La gente respirava in maniera differente da sveglia e da addormentata. Be', le donne che indossavano la seta di rado incontravano privazioni e scomodità. L'uomo dubitava del nome quanto dell'anello con il Gran Serpente che mostrò loro, specialmente dopo che lo ebbe riposto nel sacchetto appeso alla cintura dicendo che nessuno doveva sapere che lei era un'Aes Sedai, nemmeno le altre Sorelle. Era vero che le Aes Sedai facevano spesso finta di essere donne ordinarie e portavano avanti la farsa con quelli che non sapevano riconoscerle, e, altrettanto vero, una volta aveva incontrato un'Aes Sedai che non aveva ancora il viso privo dei segni dell'età, ma tutte erano serene fino all'inverosimile. Si arrabbiavano, ma si trattava di un'emozione fredda. Lui aveva visto il volto di 'Alys' alla luce della luna quando l'acqua si era fermata, anche se non si era reso conto di cosa stava vedendo se non più tardi. E vi aveva letto la gaiezza dei bambini che facevano gli scherzi e
lo scontento infantile che lo scherzo non fosse riuscito come desiderava. Le Aes Sedai erano molte cose, e talmente contorte da far sembrare semplici le altre donne, ma non erano mai infantili. Quando l'avevano vista dietro di loro per la prima volta, all'atto di superare i carri dei mercanti e le loro guardie, Bukama aveva elaborato un motivo per giustificare il fatto che una donna da sola seguisse tre uomini. Se sei spadaccini non potevano uccidere un uomo alla luce del giorno, forse una donna ci sarebbe riuscita nell'oscurità. Bukama non aveva parlato di Edeyn, ovviamente. Per la verità non poteva essere vero o sarebbe morto già da un pezzo, ma Edeyn forse aveva inviato una donna per controllarlo, pensando che sarebbe stato meno sulla difensiva. Solo uno sciocco avrebbe creduto che le donne fossero meno pericolose degli uomini, e le donne consideravano sempre gli uomini degli sciocchi, quando si trattava di avere a che fare con loro. La notte, malgrado i dubbi, Bukama aveva espresso dispiacere al rifiuto di Lan di assumere l'impegno formale con la donna, ma il suo bastava a legarli a questa 'lady Alys' fino a Chachin. E poi li aveva pagati. Lei non sapeva quanto li avesse insultati offrendo loro il denaro. La mattina Bukama borbottava, mentre sellava il castrone nero, un cavallo che non reggeva il confronto con Lancia di fuoco. Era un bell'animale, con un corpo eccellente e una buona andatura, anche se non era addestrato come cavallo da combattimento. «Aes Sedai o no, un uomo per bene segue certe forme» mormorò mentre stringeva il sottopancia. «Si tratta di semplice decenza.» «Falla finita, Bukama» gli disse Lan con calma. Lui ovviamente non obbedì. «È una mancanza di rispetto, Lan, e una vergogna da parte tua. Un uomo onorevole protegge chiunque ne abbia bisogno, soprattutto le donne e i bambini. Offri la tua protezione per il tuo onore.» Lan sospirò. Probabilmente Bukama avrebbe proseguito in quel modo fino a Chachin. Doveva capire. Se la donna era davvero un'Aes Sedai, Lan non voleva legami con lei. Il vecchio ne aveva già creato uno, ma il giuramento di Lan poteva portare a una fine peggiore. Se era una della Torre, forse era a caccia di un Custode. Se lo era. Ryne attese che la donna finisse di spazzolarsi i capelli, cosa che fece restando seduta sulla sella appoggiata a terra, prima di rivolgerle quel bell'inchino che faceva suonare i campanelli. «Una bellissima mattina,» le disse «anche se nessuna alba potrebbe essere paragonata alla bellezza di quelle profonde pozze scure che sono i tuoi
occhi.» Quindi si agitò, con gli occhi sgranati nel tentativo di capire se l'aveva offesa. «Ah... posso sellare la tua giumenta, mia signora?» diffidente come uno sguattero che si ritrae. «Be', grazie» rispose lei, sorridendo. Un sorriso molto caloroso. «Un'offerta graziosa, Ryne.» Moiraine andò con lui per accudire la giumenta, o meglio, per civettare, a quanto pareva. Gli rimase molto vicina mentre lavorava, guardandolo con quei grandi occhi che lui ammirava tanto e, qualsiasi cosa lei dicesse, Lan sentiva risposte sulla 'sua pelle come neve setosa' che la facevano ridere deliziata. Lan scosse il capo. Capiva cosa fosse ad attrarre Ryne. Il volto della donna era bello, e per quanto si fosse comportata in maniera infantile il corpo snello in quell'abito blu non apparteneva a una bambina. Ma Ryne aveva ragione; lui aveva visto le Cairhienesi più di una volta. Avevano tutte cercato di infilarlo nei loro schemi, a volte anche in due o tre per volta. Ricordava in particolar modo dieci giorni trascorsi a sud di Cairhien, dove era stato quasi ucciso per sei volte e quasi sposato due. Un'Aes Sedai, se lo era davvero, e di Cairhien, per giunta? Non poteva esserci una combinazione peggiore. Stranamente non si lamentò di dover cavalcare senza aver fatto colazione, ma quando raggiunsero Manala, un grande villaggio a meno di un'ora lungo la strada, ordinò al gruppo di fermarsi. Fu proprio un ordine. «Del cibo caldo adesso renderà il viaggio più facile» disse con fermezza, sedendosi eretta sulla sella e guardandoli con aria di sfida. Era il comportamento di un'Aes Sedai, ma in fondo era anche quello di molte donne. «Desidero raggiungere Chachin il più velocemente possibile e non voglio che cadiate di sella per la fame nello stupido tentativo di mostrarmi quanto siete forti.» Solo Ryne la guardò negli occhi, con un sorriso di disagio. L'uomo doveva decidere se essere più infatuato o spaventato. «Avevamo in programma di fermarci brevemente per mangiare, mia signora» disse Bukama, abbassando gli occhi in segno di rispetto. Non aggiunse che avrebbero mangiato nel villaggio incrociato il giorno prima e dormito in veri letti, se non fosse stato per lei. Se li avesse seguiti a Manate, non avrebbe significato nulla. Seguire Lan nella foresta invece indicava che aveva qualche interesse a conoscere i loro piani. Un insieme di case in pietra con i tetti di tegole rosse o verdi, Manate poteva quasi essere definita una città, con oltre venti strade che intersecavano un paio di colline. Tre locande erano disposte davanti a un parco co-
mune nell'insenatura fra le colline, lungo la strada. Gli uomini di due grandi carovane di mercanti si diressero a est, dove legarono i cavalli con riluttanza, sotto gli occhi vigili dei loro padroni. Un'altra carovana di almeno venti o trenta carrozze stava già dirigendosi a ovest, con alcune delle guardie che si guardavano alle spalle invece di controllare i dintorni come avrebbero dovuto. A Manate stava svolgendosi la festa di Bel Tine. Non erano ancora giunti ai giochi di bravura, forza e velocità, ma le coppie appena sposate danzavano formalmente attorno al Palo della Primavera al centro del parco, con i piedi che scattavano e i corpi rigidi mentre intrecciavano dei lunghi nastri colorati attorno al palo, e gli anziani che non si erano sposati danzavano in maniera più vivace alla musica di violini, flauti e tamburi di una mezza dozzina di dimensioni diverse. Tutti indossavano il miglior abito delle feste: le bluse chiare e i pantaloni ampi delle donne e le giubbe dai colori vivaci degli uomini erano coperti di ricami elaborati. Affollavano l'ampio spazio aperto, ma non rappresentavano l'intera popolazione di Manate. Un flusso regolare di persone risaliva la collina, uomini e donne con qualche commissione da fare, e un flusso altrettanto regolare ne discendeva, spesso portando un piatto di cibo per la lunga tavolata sistemata dal lato opposto. Era uno spettacolo felice. Bambini che ridevano, con i visi sporchi di miele, correvano e giocavano in tutta quella confusione, mentre alcuni dei più grandi alimentavano i piccoli fuochi di Bel Tine agli angoli del parco. Lan non era certo di quanti credessero che saltare sopra quelle fiamme basse avrebbe bruciato la malasorte accumulata dal precedente Bel Tine, ma lui credeva nella fortuna. In quella buona e in quella cattiva. Nella Macchia vivevi o morivi tanto secondo te sorte, quanto in base alle tue capacità. In netto contrasto con il divertimento nel parco, dall'altro lato della strada erano piantati sei aste con delle teste di Trolloc impalate, musi di lupo, corna di ariete e becchi d'aquila sotto occhi fin troppo umani. Sembravano morti da due o tre giorni, anche se faceva ancora abbastanza freddo da prevenire la decomposizione o l'assalto delle mosche. Quelle teste erano il motivo per cui gli uomini danzanti avevano la spada e le donne dei lunghi pugnali appesi alle cinture. Non si sentiva odore di carbone, per cui doveva essersi trattato di una piccola incursione, e anche fallimentare. 'Lady Alys' fece fermare la sua giumenta vicino ai pali e fissò le teste. Non stupita, né spaventata o disgustata. Il volto era una maschera perfetta di calma. Per un istante Lan quasi credette che fosse davvero un'Aes Sedai. «Non mi sarebbe piaciuto affrontare queste creature armata solo di una
spada» mormorò. «Non posso immaginare quanto coraggio richieda una tale impresa.» «Hai affrontato dei Trolloc?» chiese Lan sorpreso. Ryne e Bukama si scambiarono occhiate sbigottite. «Sì.» Moiraine fece una smorfia, come se la parola le fosse sfuggita prima di pensare. «Dove, se posso chiedere?» domandò Lan. Pochi meridionali avevano mai visto un Trolloc. Alcuni pensavano che fossero solo delle favole per spaventare i bambini. Alys lo guardò, fredda. Molto fredda. «La progenie dell'Ombra può essere trovata in posti che non ti sei mai sognato, mastro Lan. Scegli una locanda, Ryne» aggiunse con un sorriso. La donna pensava di essere al comando. Da come Ryne saltò per obbedire, doveva esserne convinto anche lui. La lama dell'aratore consisteva in due piani di pietra rossa con delle feritoie per le frecce al posto delle finestre al piano terra e, esposto sopra una porta di legno, uno spadone a due mani del tipo che i contadini portavano appeso agli aratri. Cosi vicino alla Macchia, le locande erano delle fortezze contro gli attacchi dei Trolloc, come anche molte case. La locandiera, una donna robusta dai capelli grigi, la blusa ondeggiante decorata con dei fiori rossi e gialli e gli ampi pantaloni coperti di fiori rossi e blu, si avvicinò dal parco, da dove li aveva visti legare i cavalli ai fermi davanti alla locanda. Comare Pomicili sembrava a disagio con i due Malkieri nella locanda, ma si illuminò quando Alys iniziò a dare ordini per la colazione. «Come desideri, mia signora» mormorò la locandiera dal viso rotondo, rivolgendo ad Alys una profonda riverenza. La Cairhienese non aveva detto il suo nome, ma le maniere e il vestito suggerivano che si trattasse di una dama. «Desideri delle stanze per te e il tuo seguito?» «Grazie, no» rispose lei. «Intendo andare via molto presto.» Ryne non mostrò alcuna offesa nell'essere definito parte del seguito, accettando la parola con molta facilità, ma l'espressione perpetuamente accigliata di Bukama divenne ancor più cupa. Naturalmente non disse nulla, non lì e forse non lo avrebbe fatto mai, visto che si era impegnato. Lan decise che avrebbe scambiato qualche parola con Alys quando ne avesse avuta l'occasione. C'era un limite al numero degli insulti che un uomo poteva tollerare. Lui e gli altri uomini ordinarono pane scuro e un tè forte, con delle ciotole di farinata d'avena e del prosciutto. Alys non li invitò a dividere il tavolo con lei nella grande sala comune, per cui si sistemarono altrove. C'era
molta scelta, visto che erano soli a eccezione di comare Tomichi che li servì di persona, spiegando che non voleva sottrarre nessuno dalla festa. Quando la pagarono anche lei vi fece ritorno. Approfittando della solitudine, Lan e gli altri discussero della donna che si era incollata a loro. O meglio, litigarono a suo riguardo, a bassa voce per non essere sentiti. Ryne era decisamente convinto che Alys fosse un'Aes Sedai e raccomandò di non fare domande. Con un'Aes Sedai potevano essere pericolose, e le risposte sarebbero state spiacevoli. Bukama era fermo sulla sua posizione, e insisteva che dovevano sapere cosa voleva da loro, specialmente se era di Tar Valon. Essere intrappolati in qualche schema ignoto di un'Aes Sedai poteva essere pericoloso. Un uomo poteva farsi dei nemici senza saperlo o essere sacrificato senza alcun preavviso. Lan si astenne dal fare presente che era stato proprio lui a fargli mettere i piedi in quella trappola. Non credeva che la donna fosse una Sorella. Pensava invece che fosse una selvatica inviata a controllarlo - da Edeyn, anche se non aveva fatto il suo nome, ovviamente. Probabilmente Edeyn aveva una rete di occhi e orecchie grandi quanto le Marche di Confine. Non sembrava una coincidenza insolita che lei avesse una selvatica ad attenderlo a Canluum, tanto più che c'erano stati quei sei uomini, e non riusciva a pensare a nessun altro che potesse averli inviati. «Io dico comunque...» iniziò Bukama, quindi imprecò. «Dov'è andata?» La ciotola di Alys era vuota sul tavolo dove era seduta, ma di lei non vi era traccia. Non l'avevano sentita andar via. Facendo scivolare indietro la panca, Ryne si precipitò verso una delle feritoie per le frecce e guardò fuori. «Il cavallo è ancora qui. Forse è solo andata al bagno.» Lan rimase di stucco per la volgarità. C'erano cose di cui si poteva parlare e altre di cui era più opportuno tacere. Ryne si toccò una delle trecce, quindi la tirò facendo suonare i campanelli. «Lasciamole il denaro e andiamo via prima che ritorni.» «Vai, se lo desideri» rispose Lan alzandosi. «Bukama si è impegnato con lei e io onoro il suo impegno.» «Meglio se onori il tuo» brontolò Bukama. Ryne fece una smorfia e tirò di nuovo la treccia. «Se voi rimanete, rimango anche io.» Forse la donna si era recata solo a dare un'occhiata alla festa. Dicendo a Bukama di rimanere nel caso facesse ritorno, Lan uscì con Ryne a cercarla. Non si trovava fra la gente che ballava o gli spettatori. Con l'abito di seta sarebbe risaltata in mezzo a tutto quel lino e quella lana ricamati. Alcune
delle donne li invitarono a ballare e Ryne sorrise a quelle più graziose non avrebbe smesso di sorridere a un bel faccino nemmeno se fosse stato attaccato da una dozzina di Trolloc - ma Lan lo mandò a cercare fra le case sulla collina meridionale, mentre lui si diresse verso l'altura dietro La lama dell'aratore. Non voleva che Alys incontrasse qualcuno a sua insaputa, magari per organizzare una sorpresa per la tarda mattinata. Solo perché la donna non aveva cercato di ucciderlo non significava che Edeyn lo volesse vivo. La trovò in una strada quasi vuota a metà strada sulla collina, mentre una donna snella con la blusa e i pantaloni ricamati con motivi rosso e oro, intricati come quelli sull'abito da cavallo di lady Alys, le faceva la riverenza. La gente di Kandor era pacchiana come i meridionali, quando si trattava di ricami. Procedendo con passo leggero, si avvicinò abbastanza per sentire. «Ci sono alcune Sahera che vivono a tre strade di distanza, da quella parte, mia signora» spiegò la donna magra indicando. «E credo che qualcuna viva sulla collina a sud. Ma non so se si chiamano Avene.» «Mi sei stata di grande aiuto, comare Marishna» rispose calorosa Alys. «Grazie.» Accettando un altro inchino, rimase in piedi a osservare la donna che risaliva la collina. Una volta che comare Marishna si fu allontanata, parlò di nuovo, e la voce era tutt'altro che calorosa. «Devo mostrarti come viene punito nella Torre Bianca chi spia, mastro Lan?» L'uomo quasi batté le palpebre. Prima era riuscita a lasciare la compagnia senza che loro la sentissero, adesso si accorgeva di lui quando cercava di essere silenzioso. Notevole. Forse era davvero un'Aes Sedai. Il che magari significava che voleva legare Ryne come Custode. «Non credo» le rispose rimanendo alle sue spalle. «Abbiamo faccende a Chachin che non possono aspettare. Forse la tua ricerca potrebbe essere più veloce se possiamo aiutarti a trovare questa Avene Saliera.» La donna si voltò rapida e lo guardò cercando di allungarsi al massimo. Lan pensava che fosse in punta dei piedi. No, non era un'Aes Sedai, malgrado la fredda espressione di comando che aveva negli occhi. Aveva visto Aes Sedai anche più basse dominare stanze piene di uomini che non avevano idea di chi fossero, e senza il minimo sforzo. «Sarà meglio che dimentichi di aver sentito quel nome» disse fredda. «Non è saggio immischiarsi negli affari delle Aes Sedai. Adesso puoi andare, ma mi aspetto di trovarvi pronti quando avrò finito. Immagino che i Malkieri mantengano la parola come ho sentito dire.» Dopo averlo insultato a quel modo, si diresse nella direzione che aveva indicato la comare.
Luce, quella donna aveva la lingua come un coltello! Quando Lan fece ritorno a La lama dell'aratore e disse a Bukama cosa aveva scoperto, il vecchio si illuminò. O meglio, il suo cipiglio si ridusse. Per lui era l'equivalente del sorriso di qualsiasi altra persona. «Forse tutto quello che vuole da noi è protezione fino a quando non troverà questa donna.» «Questo non spiega perché ci ha seguiti per un giorno intero» rispose Lan, sedendosi sulla panca davanti alla ciotola della colazione. Tanto valeva che finisse la farinata. «E non provare a dirmi che aveva paura di avvicinarsi a noi. Credo che quella donna si spaventi con la stessa facilità con cui ti spaventi tu.» A questo, Bukama non seppe cosa rispondere. 21
Alcuni trucchi del Potere Lan sapeva che arrivare a Chachin sarebbe stata un'esperienza da dimenticare, e il viaggiò confermò le sue aspettative. Cavalcarono duramente oltrepassando una carovana di mercanti, senza mai fermarsi a lungo in un villaggio, e dormirono la maggior parte delle notti, sotto le stelle, visto che non avevano denaro per le locande, non per quattro persone con i cavalli. Fienili o granai, ne trovavano sempre uno quando si faceva notte. Molte delle colline lungo la strada erano prive di villaggi o fattorie, solo querce ed ericacee, pini e abeti, con piccoli faggi e alberi della gomma sparsi qua e là. Nelle Marche di Confine, non esistevano fattorie isolate; prima o poi una fattoria isolata era destinata a diventare una tomba. Alys continuò la ricerca di Saliera in ogni villaggio che sorpassarono, ma rimaneva in silenzio quando Lan o uno degli altri si avvicinava e lo guardava fredda fino a quando non andava via. La donna era una vera artista, quanto a freddezza. Almeno con Lan. Ryne si girava e la guardava con gli occhi sgranati, scattando al suo servizio, trottava e le faceva complimenti, come un gentiluomo al guinzaglio, sempre altalenando fra il rapimento e la paura, e lei accettava la sua sottomissione e gli elogi come se
fossero dovuti, ridendo alle sue battute ma senza concentrarsi solo su di lui. Non lasciava quasi trascorrere un'ora senza rivolgere domande dirette a ognuno di loro, fino a quando sembrò che volesse conoscere tutta la storia delle loro vite. La donna era come uno sciame di mosche. Per quanto ci si agitasse a scacciarle, erano sempre pronte a mordere. Anche Ryne ne sapeva abbastanza per evitare quel tipo di conversazione. Il passato di un uomo apparteneva a lui e alle persone che lo avevano vissuto con lui; non era un argomento di conversazione per una donna indiscreta. Malgrado le domande di Moiraine, Bukama continuò con le sue lamentele. Giorno e notte, sembrava che ogni commento che usciva dalla sua bocca riguardasse l'impegno assunto con la donna. Lan cominciava a pensare che il solo modo di zittirlo fosse giurare di non impegnare il proprio onore con lei. Delle enormi nuvole nere uscirono dalla Macchia per rilasciare temporali e grandine, con chicchi tanto grandi da spaccare il cranio di un uomo. Le peggiori tempeste primaverili provenivano dalla Macchia. Quando la prima di quelle nuvole oscurò il cielo a nord, Lan iniziò a cercare un posto dove i rami degli alberi fossero abbastanza grandi da offrire riparo, forse con l'aiuto delle coperte, ma quando Alys capì cosa stava cercando di fare, disse freddamente: «Non c'è bisogno di fermarsi, mastro Lan. Siete sotto la mia protezione.» Dubbioso, era ancora alla ricerca di un riparo quando la tempesta si scatenò. I fulmini lampeggiarono azzurri e bianchi in un cielo che sembrava quasi notturno e il tuono rimbombò come un enorme rullo di tamburo, ma la pioggia battente scivolò su una cupola invisibile che procedeva con i cavalli e la grandine rimbalzò in un silenzio soprannaturale, come se non avesse colpito nulla. Moiraine ripeté il prodigio per la seconda tempesta, ed entrambe le volte sembrò sorpresa dei loro ringraziamenti. Il suo volto non perdeva quasi mai la calma, un'imitazione ben fatta dell'espressione delle Aes Sedai, ma negli occhi le brillava qualcosa. Era una donna davvero strana. Avvistarono dei banditi, come previsto in base alle dicerie, un gruppo di dieci o dodici vestiti rozzamente che avevano tentato la fortuna contro tre soli cavalieri con le frecce incoccate, e si dissolsero nella foresta prima che Lan e gli altri li raggiungessero. A turno, lui o Bukama li seguivano sempre, tenendosi a una distanza che consentiva loro di avere la certezza che se ne fossero andati davvero, mentre quello che restava, insieme a Ryne, vegliava su Alys. Sarebbe stato sciocco finire in un'imboscata tanto facilmente prevedibile.
Il pomeriggio del quarto giorno attraversarono delle colline boscose lungo una strada deserta fin dove potevano vedere, in entrambe le direzioni. Il cielo era chiaro, con solo qualche nuvola bianca sparsa qua e là, e l'unico rumore era quello degli zoccoli dei cavalli e il verso degli scoiattoli che squittivano sui rami. D'improvviso dei cavalieri spuntarono in mezzo agli alberi da entrambi i lati della strada a circa trenta passi di distanza: una ventina di uomini in malarnese che formarono una linea per impedir loro il passaggio, ma il rumore degli zoccoli faceva capire che ne stavano arrivando altri. Lasciando le redini sul pomello della sella, Lan prese altre due frecce tenendole fra le dita mentre tendeva quella già incoccata. Dubitava che avrebbe avuto il tempo per un secondo tiro, ma doveva provare. Tre degli uomini di fronte a lui indossavano dei pettorali di acciaio molto ammaccati e macchiati di ruggine sopra le giubbe sporche, e uno aveva un elmetto arrugginito con una visiera a sbarre. Nessuno aveva l'arco, ma non faceva molta differenza. «Ventitré dietro di noi a venti passi di distanza» gridò Bukama. «Senza archi. A un tuo segnale.» Non faceva alcuna differenza che non avessero gli archi perché formavano una banda abbastanza grande da attaccare una carovana di mercanti. Ma Lan non si perse d'animo. Fino a quando gli uomini si limitavano a stare seduti in sella, c'era sempre una possibilità. Piccola. Vita e morte spesso si decidevano grazie alle minime opportunità. «Cerchiamo di non essere troppo frettolosi» gridò l'uomo con l'elmetto, rimuovendolo per rivelare capelli grigi e grassi e un volto che non vedeva il rasoio da una settimana. L'ampio sorriso mostrò due denti mancanti. «Potreste riuscire a uccidere due o tre di noi prima che vi abbattiamo, ma non ce n'è bisogno. Dateci il vostro denaro, i gioielli della bella signora e potrete andare per la vostra strada. Le belle signore che indossano seta e pelliccia hanno sempre molti gioielli, vero?» guardò con occhi cupidi oltre Lan, verso Alys. Forse pensava che il suo fosse un sorriso amichevole. L'offerta non era allettante. Quei tipi non volevano perdite se potevano evitarlo, ma arrendersi significava che lui, Bukama e Ryne sarebbero stati sgozzati. Probabilmente intendevano tenere Alys in vita fino a quando avessero pensato che non rappresentava un pericolo. Se lei conosceva qualche trucchetto con il Potere, Lan adesso avrebbe voluto davvero che... «Osate impedire il passaggio a un'Aes Sedai?» esplose Moiraine, un vero e proprio tuono che fece agitare alcuni dei briganti e scalciare i cavalli.
Gatto danzante, che conosceva il significato delle redini rilasciate, rimase immobile, in attesa della pressione delle ginocchia e dei talloni di Lan. «Arrendetevi o affronterete la mia collera!» Quindi esplose del fuoco rosso e ruggente sopra le teste dei banditi, lasciando cadere in preda al panico altri cavalli e facendo crollare due dei disgraziati cavalieri in terra. «Ti ho detto che era un'Aes Sedai, Coy» frignò un grassone calvo con il pettorale di acciaio troppo piccolo. «Non l'ho forse detto, Coy? Una Verde con tre Custodi, ho detto.» L'uomo magro lo colpì sul viso con il dorso della mano, senza mai distogliere lo sguardo da Lan. O meglio, da Alys, dietro di lui. «Adesso non accetto più la resa. Siamo ancora in cinquanta contro quattro. Piuttosto che affrontare il cappio, correremo il rischio di vedere quanti di noi riuscirete a uccidere prima che vi prendiamo.» «Molto bene, anzi, meglio» rispose Lan. «Se quando avrò contato fino a dieci vedrò anche uno solo di voi, vi attaccherò.» Appena finito di pronunciare la frase cominciò a contare ad alta voce. I banditi non lasciarono che raggiungesse il due prima di galoppare via verso gli alberi. Al quattro, i due che erano stati disarcionati rinunciarono al tentativo di riprendere i cavalli e fuggirono a piedi il più velocemente possibile. Non vi fu bisogno di seguirli. Lo scalpiccio degli zoccoli e il rumore di rami spezzati non proveniva dai dintorni e stava allontanandosi. Date le circostanze era la fine migliore che potessero augurarsi. Solo che Alys non la vedeva a quel modo. «Non avevate il diritto di lasciarlo andare via» disse indignata, con la rabbia che dardeggiava negli occhi mentre faceva del suo meglio per trapassare ognuno di loro con lo sguardo. Fece voltare la giumenta per essere certa che ricevessero tutti una dose della sua ira. «Se avessero attaccato avrei potuto usare l'Unico Potere contro di loro. Quante persone hanno derubato e ucciso, quante donne violentate, quanti bambini sono rimasti orfani? Avremmo dovuto combatterli e portare i sopravvissuti da un magistrato.» Lan, Bukama e Ryne fecero a turno nel tentativo di convincerla di quanto fosse improbabile che uno di loro quattro si trovasse nel gruppo dei sopravvissuti - i banditi avrebbero lottato strenuamente per evitare il patibolo - ma lei sembrava del parere che avrebbe potuto sconfiggere cinquanta uomini da sola. Una donna molto strana. Anche se si fosse trattato solo di tempeste e banditi, sarebbe comunque stato più di quanto Lan si aspettasse da qualsiasi viaggio. La stupidità di
Ryne e le lamentele di Bukama potevano essere faccende ordinarie, ma Amys era ottusa per molti aspetti, e questo rendeva tutto diverso. La prima notte era rimasto seduto nell'acqua per dimostrarle che aveva accettato quanto lei aveva fatto. Se dovevano viaggiare insieme era meglio salvare l'onore, e lei doveva capirlo. Solo che non lo faceva. La seconda notte la donna rimase sveglia fino all'alba e fece in modo che lui facesse lo stesso, creando dei forti schiocchi di una frusta invisibile ogni volta che si addormentava. La terza notte si ritrovò inspiegabilmente la sabbia negli indumenti e negli stivali, uno strato spesso. Aveva rimosso tutta quella che poteva, ma in mancanza di acqua, il giorno seguente aveva cavalcato tutto coperto di sabbia. La notte successiva all'attacco dei banditi... Non era riuscito però a capire come avesse fatto a far entrare le formiche nei suoi indumenti intimi e farle mordere tutte nello stesso momento. Era certo che fosse stata opera sua. Amys era in piedi e lo osservava quando aprì gli occhi, e sembrò sorpresa che non avesse gridato. Ovviamente la donna voleva delle risposte, una reazione, ma Lan non sapeva cosa offrirle. Se sentiva di non essere stata ripagata per il tuffo nello stagno, doveva essere una molto dura, ma solo una donna poteva stabilire il prezzo per un insulto subito o una lesione, e non c'erano altre donne per dirle di piantarla quando oltrepassava quello che loro consideravano il giusto limite. Tutto quello che poteva fare era sopportare fino a quando non avessero raggiunto Chachin. La notte seguente Moiraine scoprì una macchia di vescicafoglia vicino all'accampamento, e Lan, nonostante se ne vergognasse, quella sera aveva quasi perso la pazienza. Non fece parola dell'incidente con Bukama e Ryne, ma era certo che sapessero. Cominciò a sperare di vedere Chachin dopo ogni salita. Forse Edeyn aveva inviato quella donna per controllarlo, ma a lui ormai sembrava che in fondo volesse ucciderlo. Lentamente. Moiraine non riusciva a capire la testardaggine di quel Lan Mandragoran, anche se Siuan le aveva detto che la 'testardaggine' era da considerare come una caratteristica aggiuntiva, quando si trattava di uomini. Tutto quello che voleva era che lui mostrasse un po' di rimorso per averla inzuppata. Be', quello e delle scuse. E il debito rispetto per un'Aes Sedai. Ma non aveva mai dato il minimo segno di essersi pentito. Era arrogante fino al midollo! Il fatto che non credesse al diritto allo scialle che si era conquistata era così palese che sembrava lo gridasse ai quattro venti. Una parte di lei ne ammirava la forza, ma solo una parte. Lo avrebbe ridotto all'obbe-
dienza. Non voleva domarlo in maniera becera - un uomo umiliato non era utile a se stesso o a chiunque altro - ma doveva essere certa che riconoscesse i propri errori in tutto e per tutto. Gli lasciò a disposizione le giornate per riflettere, mentre progettava cosa gli avrebbe fatto durante la notte. Le formiche erano state una gran delusione. Era uno dei segreti dell'Ajah Azzurra, respingere gli insetti o farli riunire, mordere o pungere, anche se non era inteso per l'uso che ne aveva fatto lei. Era comunque fiera di quella vescicafoglia, che almeno lo aveva fatto saltare un po', provando che anche lui era fatto di carne. Ormai aveva quasi cominciato a dubitarne. Stranamente nessuno degli altri due uomini gli aveva mai offerto una parola di conforto, o almeno, non che lei avesse sentito, anche se dovevano aver capito cosa gli stesse facendo. Se Lan con lei non si lamentava, cosa abbastanza insolita, di certo doveva aver parlato con gli altri; era uno dei motivi per cui esistevano gli amici. Ma i tre erano stranamente silenziosi. A Cairhien la gente amava parlare almeno un po' di se stessa, e le era stato insegnato che gli abitanti delle Marche di Confine erano sfuggiti al Gioco delle Casate, ma i suoi accompagnatori non rivelavano quasi nulla di loro stessi anche dopo che li aveva incoraggiati raccontando dei propri incidenti di gioventù a Cairhien e nella Torre. Ryne almeno rideva quando le storie erano divertenti - quando capiva che Moiraine si aspettava ridesse, lo faceva - ma Lan e Bukama sembravano imbarazzati. Credeva fosse un effetto dell'emozione che mostravano; avrebbero potuto insegnare alle Aes Sedai a controllare le proprie espressioni. Ammisero di aver incontrato delle Sorelle prima di lei, ma quando cercò di investigare con delicatezza per scoprire quando e dove... «Vi sono Aes Sedai in così tanti posti che è difficile ricordare» rispose Lan una sera mentre cavalcavano davanti alla propria ombra. «Sarà meglio se ci fermiamo in quelle fattorie davanti a noi per controllare se possiamo noleggiare un fienile per la notte. Non incontreremo un'altra casa fino a notte fonda.» Era un atteggiamento tipico. Quei tre avrebbero potuto dare lezione alle Aes Sedai anche su come fornire risposte evasive ed evitare le domande. Ma la cosa peggiore era che non aveva ancora scoperto se erano Amici delle Tenebre. Non aveva veri motivi per credere che qualcuna delle Sorelle a Canluum appartenesse all'Ajah Nera e, se anche era così, la visita di Ryne a I cancelli del paradiso poteva avere motivi del tutto innocenti, ma la diffidenza la spingeva a porre altre domande. Levava ancora uno scudo
attorno a ognuno di loro ogni notte. Non poteva fidarsi di nessuno se non di Siuan. Le altre Aes Sedai, e qualsiasi uomo coinvolto con loro, la mettevano tutti, sul chi vive. A due giorni di viaggio da Chachin, in un villaggio di nome Ravinda, trovò finalmente Avene Sahera, la prima donna alla quale aveva rivolto la parola in quel posto. Ravinda era un villaggio fiorente, anche se molto più piccolo di Manala, con un ampio spazio di terra battuta che serviva come piazza del mercato per la gente dei paesi limitrofi, dove barattare prodotti e manufatti o comprare dagli ambulanti. Due carri di mercanti, con gli alti teloni coperti di pentole e padelle, erano circondati da una folla di gente quando lei e i suoi riservati compagni di viaggio erano giunti nel villaggio quella mattina. Ogni ambulante guardava male la concorrenza malgrado la gente che acclamava per comprare tutti i beni in vendita. A Ravinda c'era anche una locanda in costruzione, il secondo piano era già terminato, risultato della gratifica ricevuta da comare Sahera, che voleva chiamare il suo locale la Torre Bianca. «Credi che le Sorelle avrebbero delle obiezioni?» domandò, guardando preoccupata l'insegna già dipinta che pendeva davanti alla porta principale quando Moiraine suggerì di cambiare il nome. La Torre sull'insegna, in proporzione, doveva essere alta più di trecento metri! Avene era una donna rotonda con i capelli grigi, un pugnale dall'elsa d'argento appeso alla cintura di pelle e un ricamo giallo che copriva le maniche della blusa rossa. Apparentemente la gratifica le aveva concesso un momento di festa quasi ogni giorno. Alla fine scosse il capo. «Non vedo perché non dovrebbero gradire una cosa simile, mia signora. L'Aes Sedai che ha preso i nomi nel nostro campo era molto gradevole.» La donna avrebbe capito quanto si sbagliava la prima volta che una Sorella che voleva rivelarsi fosse capitata da quelle parti. Moiraine desiderava tanto sapere quale Ammessa aveva preso il nome di Avene Sahera: il figlio di Avene, Migel - il decimo figlio! - era nato a cinquanta chilometri da Montedrago e una settimana prima della premonizione di Gitara. Quel tipo di trascuratezza nello scrivere i dati era intollerabile! Quanti altri nomi nel suo libretto si riferivano a bambini nati al di fuori dei dieci giorni da prendere in considerazione? Mentre si allontanavano da Ravinda, l'aperta soddisfazione degli uomini sulla rapidità della sua investigazione fece spostare la rabbia dall'Ammessa su di loro. Non lo mostravano apertamente, ma aveva sentito Ryne dire: «Almeno è stata veloce, stavolta.» L'uomo non era stato abbastanza prudente da non farsi sentire e Bukama aveva mormorato qualcosa in accordo
mentre la seguivano. Lan cavalcava in testa al gruppo, evitando ovviamente la sua compagnia. In realtà Moiraine ne capiva le ragioni, ma l'ampia schiena e la posizione eretta sembravano un rimprovero. Cominciò a pensare a cosa avrebbe potuto fargli durante la notte. Forse lasciando un pizzico anche agli altri due. Per un po' non le venne in mente nulla oltre a quanto aveva già fatto, quindi una vespa le passò davanti agli occhi e Moiraine la guardò volare fra gli alberi lungo la strada. Certo non voleva ucciderlo. «Mastro Lan, sei allergico alle punture delle vespe?» L'uomo si girò rimanendo in sella, facendo quasi voltare anche il cavallo, e sbuffò d'improvviso, sgranando gli occhi. Per un istante Moiraine non capì, quindi vide la punta della freccia che spuntava dalla parte anteriore della spalla destra. Senza pensare abbracciò la Fonte e saidar la colmò. Era come se fosse tornata al momento dell'esame. I flussi si formarono, prima di tutto uno scudo di Aria per bloccare altre frecce rivolto contro Lan, quindi uno per se stessa. Non avrebbe saputo spiegare perché li aveva creati in quell'ordine. Colmata dal Potere e con la vista acuita, osservò gli alberi nel punto da dove era partito il dardo e vide del movimento proprio ai margini della foresta. Flussi di Aria scattarono per immobilizzare l'uomo mentre stava scagliando una nuova freccia, l'asticella puntò in alto con un angolo sbagliato mentre l'arco gli veniva schiacciato contro il corpo. Le bastarono pochi attimi: veloce come durante l'esame. Lo stesso tempo era servito a Ryne e Bukama per scagliare due frecce e fare centro. Con un gemito di sgomento Moiraine rilasciò il flusso d'Aria e l'uomo cadde all'indietro. Aveva cercato di uccidere Lan, ma non era stata sua intenzione bloccarlo perché fosse a sua volta ucciso. Sarebbe stato giustiziato, una volta che lo avessero portato da un magistrato, e lei non voleva collaborare all'esecuzione, specialmente prima che venisse processato. Ciò che aveva fatto era molto vicino al concetto di usare il Potere come arma, o creare armi che gli uomini potessero usare. Molto vicino. Sempre facendo presa su saidar si rivolse a Lan offrendosi di guarirlo, ma malgrado la freccia che gli trapassava la spalla da parte a parte, lui non le diede la possibilità di parlare, spronando il cavallo e dirigendosi al margine del bosco, dove smontò e si avviò verso l'uomo abbattuto, seguito da Bukama e Ryne. Con il Potere ancora in lei, Moiraine poteva sentire con chiarezza cosa dicessero. «Caniedrin?» osservò Lan scioccato.
«Conosci questo tizio?» chiese Ryne. «Perché?» gridò Bukama, quindi si sentì il rumore del suo stivale che colpiva le costole del cadavere. Una voce flebile rispose fra i gemiti: «Oro. Per quale altro motivo? Hai ancora... la fortuna del Tenebroso... voltarti proprio quando... o quella freccia... avrebbe trovato... il tuo cuore. Avrebbe dovuto... dirmi... che era un'Aes Sedai... invece di ordinarmi solamente... di ucciderla per prima.» Non appena sentì quelle parole, Moiraine spronò Freccia al galoppo per la breve distanza che la separava dagli uomini, smontò rapida di sella preparando già dei flussi per la guarigione. «Levategli quelle frecce dal corpo» ordinò, sollevando mantello e gonna per evitare di inciampare. «Se restano nella carne la guarigione non lo terrà in vita.» «Perché vuoi curarlo?» chiese Lan, sedendosi sul tronco di un albero abbattuto da una tempesta, le cui radici si innalzavano sopra la sua testa in un immenso groviglio. «Sei così impaziente di vederlo impiccato?» «È già morto» intervenne Ryne. «Puoi guarire la morte?» Sembrava interessato a scoprire se fosse possibile. Le spalle di Moiraine si accasciarono. Gli occhi di Caniedrin, sgranati mentre fissavano i rami degli alberi, erano già vitrei e vuoti. Stranamente, malgrado il sangue attorno alla bocca, sembrava giovane. Abbastanza uomo da commettere un omicidio, però. Abbastanza da morire con due frecce conficcate nel petto. Adesso, non le avrebbe più detto se era stato Gorthanes a inviarlo, o dove rintracciarlo. In vita aveva avuto una faretra quasi piena e due frecce erano conficcate a terra vicino a lui. Apparentemente sembrava sicuro di essere in grado di uccidere quattro persone con quattro frecce. Anche conoscendo Lan e Bukama, era rimasto di quel parere. Però aveva disobbedito alle istruzioni ricevute, cercando di uccidere prima Lan. Doveva aver pensato che fosse il più pericoloso dei tre. Mentre osservava l'uomo le venne in mente che forse anche da morto poteva dirle qualcosa. Con il pugnale tagliò i lacci della sacca che pendeva davanti alla faretra e ne svuotò il contenuto fra l'erbetta che spuntava dallo strato protettivo delle radici. Un pettine di legno, un pezzo di formaggio mangiucchiato coperto di garza, un coltellino pieghevole, della corda che Moiraine srotolò per accertarsi che all'interno non vi fosse nascosto nulla, un fazzoletto sporco che spiegò con la punta del coltello. Era troppo sperare in una lettera scritta da mastro Gorthanes con le istruzioni su come trovarla. Tagliò quindi le corde che legavano il sacchetto al cinturone di Caniedrin e lo rovesciò sulle altre cose. Una manciata di monete d'argento e
qualche centesimo di rame. E dieci corone d'oro. Ecco. Il prezzo della morte a Kandor era lo stesso di un abito di seta a Tar Valon. Monete pesanti con il sole nascente di Cairhien da un lato e il profilo dello zio dall'altro. Una nota consona, per la storia della casata Damodred. «Adesso derubi i cadaveri?» chiese Lan con un tono di voce freddo e irritante. Aveva solo chiesto, senza rivolgere alcuna accusa, ma era comunque... Moiraine si tirò su di scatto arrabbiata proprio mentre Ryne spezzava l'impennatura della freccia conficcata nella spalla di Lan. Bukama stava legando una sottile striscia di cuoio dietro la punta della freccia. Una volta stretto il nodo, afferrò il laccio e tirò con forza e di scatto, sfilando la freccia dal corpo di Lan, che batté le palpebre. Gli avevano appena sfilato una freccia dal corpo e si era limitato a battere le palpebre! Non aveva idea del perché la cosa la irritasse, ma era così. Ryne tornò subito sulla strada mentre Bukama aiutava Lan a togliersi la giubba e la camicia, rivelando un foro irregolare sulla parte anteriore della spalla. Probabilmente quello posteriore non era meglio. Il sangue che aveva intriso la giubba e la camicia cominciò a fluire copioso sul petto e le costole. Nessuno degli uomini chiese la guarigione e lei aveva una mezza intenzione di non offrirla. Il corpo di Lan aveva più cicatrici di quante si aspettasse di vederne su un uomo tanto giovane, e un numero di ferite fresche parzialmente guarite coperte da punti scuri. Apparentemente faceva innervosire gli uomini con la stessa facilità con cui faceva arrabbiare le donne. Ryne fece ritorno con delle bende e del pane masticato da usare come impiastro. Nessuno di loro avrebbe chiesto la guarigione fino a quando l'uomo non si fosse dissanguato! «Accetti la guarigione?» domandò lei freddamente, protendendosi verso la testa di Lan. L'uomo si ritrasse al suo tocco. Si ritrasse! «Dopodomani a Chachin potresti avere bisogno del braccio destro» mormorò Bukama, passandosi una mano sotto il naso e senza guardare nessuno negli occhi. Una cosa insolita da dire, ma lei sapeva che non aveva senso chiedere cosa significasse. Dopo un momento Lan annui e si sporse in avanti. Fu tutto. Non chiese né accettò la guarigione. Si piegò solo in avanti. Moiraine gli afferrò la testa fra le mani quasi con violenza e incanalò. Le convulsioni nel momento in cui la guarigione lo toccò facendogli scattare le braccia, lo fecero sfuggire alla sua presa. Molto soddisfacente. Anche se respirava pesantemente, Lan non ansimava. Le vecchie cicatrici rimasero,
le ferite parzialmente guarite adesso erano solo delle sottili linee rosa - i punti esterni erano caduti, sulle braccia e sul petto; per togliere il resto forse avrebbe avuto dei problemi - ma dove era stato colpito dalla freccia la pelle era integra. Poteva vedersela con le vespe in perfetta salute. Avrebbe sempre potuto guarirlo in un secondo momento, se fosse servito. Lasciarono le monete accanto al corpo di Caniedrin, anche se avrebbero chiaramente fatto comodo. Non volevano nulla da quel cadavere. Bukama trovò il cavallo legato lontano fra gli alberi, un castrone marrone con le zampe bianche, l'aspetto veloce e i muscoli adatti a lunghi viaggi. Lan liberò le briglie dell'animale legandole alla sella, quindi lo spronò e lo fece correre verso Ravinda. «Cosi potrà mangiare fino a quando qualcuno non lo trova» spiegò quando vide che Moiraine aveva aggrottato le sopracciglia. Per dire la verità, lei rimpiangeva di non aver perquisito le bisacce legate dietro la sella, ma Lan aveva mostrato una sorprendente delicatezza. Non si era spettata di trovare una cosa simile in lui. Solo per quello si sarebbe salvato dalle vespe, ma doveva comunque fare qualcosa di memorabile. Aveva solo altre due notti per spezzarlo. Una volta raggiunta Chachin sarebbe stata troppo impegnata per occuparsi di Lan Mandragoran. Almeno per un po'. 22
Osservare le usanze Se Canluum era un città collinare, Chachin era montuosa. Le tre cime più alte spiccavano nonostante fossero piatte in sommità, e le tegole smaltate e colorate dei tetti delle case risplendevano nella luce del sole pomeridiano. Sulla più elevata delle tre, il palazzo di Aesdaishar risaltava su ogni altro edificio, verde, rosso e con il cavallo rosso rampante che sventolava sulla cupola più ampia. Tre cerchi di mura turrite circondavano la città, insieme a un fossato largo cento passi e valicato da due dozzine di ponti, ognuno con una fortezza dall'altro lato. Il traffico era molto elevato e la
Macchia non troppo lontana: i soldati con elmetti e pettorali e il cavallo rosso sul petto erano diligenti come quelli di Canluum, e oltrepassare il ponte dell'Alba, fra fiumi di carri e carretti, gente a cavallo e a piedi che fluiva in entrambe le direzioni, fu un'operazione lenta. Una volta dentro la prima cerchia di mura, Lan non sprecò tempo a tirare le redini, scostandosi dalla carovana di mercanti che scorreva di fianco a loro. Anche se sapeva che Edeyn lo aspettava, non era mai stato tanto felice di raggiungere un posto. Seguendo la legge alla lettera, non era ancora del tutto dentro Chachin - la seconda, alta cerchia di mura era ancora a cento passi di distanza e la terza, ancor più alta, oltre ancora - ma voleva farla finita con Alys. Alys. Come aveva fatto a trovare delle pulci, per la Luce, in quel periodo dell'anno? E le mosche! Non dovevano apparire fino al mese successivo! Era tutto coperto di morsi, che gli davano un forte prurito. Ma era riuscito a non darle soddisfazione. Di questo era certo. «L'impegno era proteggerti fino a Chachin e l'abbiamo rispettato» disse alla donna. «Fino a quando eviterai le parti brutte della città, sarai al sicuro in ogni strada come se avessi una guardia del corpo di dieci elementi. Adesso potrai occuparti dei tuoi affari e noi dei nostri. Tieniti il tuo denaro» aggiunse freddamente quando la donna prese il sacchetto con le monete. Aver perso l'autocontrollo accentuò la sua irritazione, ma la donna rispose per le rime a ogni insulto. Ryne iniziò immediatamente a parlare sul rischio di offendere un'Aes Sedai e offri sorrisi, scuse e profondi inchini dalla sella, tanto che i suoi campanelli suonarono come allarmi, mentre Bukama si lamentava acido parlando di uomini che avevano modi da maiali. Alys fissò Lan, talmente priva di espressione che lui sospettò fosse davvero quello che proclamava di essere. Una cosa pericolosa da dichiarare, se falsa. Se invece era vera... era un motivo in più per non voler avere nulla a che fare con lei. Facendo voltare Gatto danzante, si diresse al galoppo nell'ampia strada costringendo a scansarsi la gente a piedi e anche qualcuno a cavallo. In un altro momento un gesto simile avrebbe dato il via a un duello. L'hadori e la reputazione che lo seguiva non avrebbe trattenuto nessuno, a parte la gente comune. Ma lui andava troppo veloce per sentire le grida di sfida, zigzagando fra le portantine e i carri dalle alte ruote dei commercianti, o i portatori con il carico sulle spalle, senza mai rallentare. Dopo la calma della campagna, il rombo delle ruote cerchiate di ferro sul lastricato di pietra, le grida degli ambulanti e dei negozianti erano un fastidio. La musica degli
artisti itineranti era stridente. L'odore di noccioline tostate e polpette sui calessi dei venditori, insieme a quello di cucina proveniente dalle dozzine di locande e centinaia di abitazioni si trasformavano in un miscuglio sgradevole dopo l'aria fresca della strada. Un centinaio di stalle piene di cavalli aggiungevano al tutto il loro aroma. Bukama e Ryne lo raggiunsero con le bestie da soma prima che Lan fosse a metà strada lungo la dorsale che portava al palazzo di Aesdaishar, affiancandolo. Se Edeyn si trovava a Chachin, sarebbe stata in quel palazzo. Saggiamente, Bukama e Ryne rimasero in silenzio. Il vecchio guerriero sapeva cosa Lan dovesse affrontare. Entrare nella Macchia sarebbe stato molto più semplice. E perfino uscirne vivo. Ogni sciocco poteva entrare nella Macchia. Lan era stato uno sciocco, a recarsi in quel luogo? Più salivano in alto, più rallentavano. Per strada c'erano meno persone: nel punto in cui le case cominciavano a lasciare spazio ai palazzi, alle abitazioni di mercanti facoltosi o banchieri, le mura erano coperte di mattonelle colorate e i musicisti di strada erano stati sostituiti da servitori in livrea. Carrozze laccate di colori brillanti con i sigilli delle casate dipinti sugli sportelli rimpiazzarono i carri dei mercanti e le portantine. Una carrozza con un tiro di quattro o sei cavalli con le piume sulle briglie prendeva tanto spazio e molte avevano un seguito di una mezza dozzina di uomini a piedi più un paio di soldati aggrappati sul retro, armati e pronti a discutere con chiunque cercasse di avvicinarsi troppo. In particolare, con i tre uomini vestiti rozzamente che ci avevano provato. La giubba gialla di Ryne non sembrava tanto elegante come a Canluum, e con la sua giacca migliore rovinata dal sangue, Lan aveva dovuto indossarne una di ripiego, tanto da far sembrare Bukama ben vestito al confronto. Pensare alle macchie di sangue gli fece venire in mente altre cose. Aveva un debito con Alys per averlo guarito, come anche per i tormenti che gli aveva inflitto, ma per riguardo al proprio onore poteva ripagare solo il primo. No. Doveva liberare i propri pensieri da quella strana piccola donna, anche se sembrava che in qualche modo si fosse insinuata dentro la sua testa. Adesso doveva concentrarsi su Edeyn e sulla battaglia più incerta della sua vita. Il palazzo di Aesdaishar copriva la cima piatta della montagna, un'immensa struttura risplendente composta di cupole e balconi, una vera e propria cittadina: ogni superficie brillava con decorazioni di mattonelle verdi e rosse. I grandi cancelli di bronzo decorati con un cavallo rampante in smalto rosso erano aperti in maniera invitante sotto un arco di mattonelle parimenti rosse che introduceva nel cortile dei visitatori, ma una dozzina di
soldati usci per sbarrare loro il passo quando Lan e gli altri si avvicinarono. Il cavallo rosso era ricamato sui tabarri verdi che indossavano sopra i pettorali di acciaio e sulle alabarde erano legati nastri con i colori della casata. Anche le uniformi erano variopinte, con gli elmetti e le brache rossi e gli stivali alti verdi, ma ogni uomo che serviva in quel palazzo era un veterano di più di una battaglia, e tutti osservavano i nuovi arrivati attraverso le barrette delle visiere con occhi duri. Lan smontò da cavallo e si inchinò, non troppo profondamente, toccandosi la fronte, il cuore e l'elsa della spada. «Sono Lan Mandragoran» disse, senza aggiungere altro. La rigidità delle guardie si ridusse leggermente nel sentire quel nome, ma non gli lasciarono libero il passo. Un uomo poteva dichiarare di chiamarsi in qualsiasi modo. Una di loro si allontanò di corsa e ritornò dopo poco con un ufficiale dai capelli grigi che aveva l'elmetto con la piuma rossa sotto un braccio. Jurad Shiman era un combattente di vecchia data che aveva cavalcato a sud con Lan per un po', e sul suo viso lungo apparve un sorriso. «Benvenuto, al'Lan Mandragoran» disse, inchinandosi molto più profondamente di quanto non avesse mai fatto per Lan. «Tai'shae Malkier!» Oh, sì; se anche Edeyn non si trovava lì adesso, vi era comunque stata. Guidando il cavallo baio, Lan segui Jurad attraverso l'arco rosso sul lastricato levigato del cortile dei visitatori, con la sensazione di dover impugnare la spada e indossare l'armatura. I balconi in pietra traforata che si affacciavano nell'ampio cortile avevano ai suoi occhi l'aspetto di nicchie per gli arcieri. Era ovviamente ridicolo. Quei balconi aperti, come tanti merletti di pietra, concedevano ben poca protezione a un tiratore. Servivano per osservare i nuovi arrivati nelle grandi occasioni, non a scopo di difesa. Nessun nemico aveva mai oltrepassato il secondo muro di cinta, e se i Trolloc fossero riusciti a entrare in città, allora tutto era perduto. Forse Edeyn era ancora lì e lui non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di entrare in un campo di battaglia. Stallieri con la livrea rossa e verde e il cavallo rosso ricamato sulle spalle andarono loro incontro di corsa per prendere i cavalli, mentre altri uomini e altre donne si occupavano del carico degli animali da soma e di accompagnare ognuno alla propria stanza, a seconda del grado di importanza. Fu preoccupante il fatto che fosse proprio la shatayan del palazzo a guidarli. Era una donna maestosa con la schiena eretta, e indossava la livrea: i capelli grigi erano raccolti dietro la nuca. L'anello d'argento con le chiavi ap-
peso alla vita proclamava che comare Romera era a capo di tutti i servitori del palazzo, ma una shatayan era più di un'inserviente. Di solito solo i governanti potevano sperare di essere accolti ai cancelli da una shatayan. Lan nuotava nel mare delle aspettative altrui. Diversi uomini erano morti in simili acque. Andò a vedere le stanze di Bukama e Ryne, ringraziò comare Romera, non perché si aspettava che gli assegnassero delle brutte camere, ma perché era necessario che provvedesse ai suoi uomini prima che a se stesso. Ryne aveva il volto cupo, ma certo non si era aspettato niente più di una stanzetta in una delle caserme di pietra del palazzo, e lo stesso valeva per Bukama. Lan aveva un'idea di cosa lo attendeva. Almeno Ryne aveva ottenuto una stanza da solo, la camera di un portabandiera con una stufa rivestita di mattonelle sotto il letto. I soldati ordinari dormivano in dieci per ogni stanza e, come ricordava Lan, passavano metà dell'inverno a discutere su chi dovesse avere il letto vicino al camino. Bukama si sistemò soddisfatto - be', soddisfatto secondo il suo metro; lo sguardo cupo era quasi scomparso -, si mise a fumare la pipa e a parlare con alcuni uomini con cui aveva combattuto e Ryne sembrò riprendersi subito. In ogni caso, quando Lan si allontanò l'uomo stava chiedendo ai soldati se vi fossero ragazze graziose fra le cameriere e come poteva farsi lavare e stirare gli indumenti. Aveva molta cura del proprio aspetto, in particolar modo con le donne, giovani o vecchie, e correva sempre appresso alle gonnelle. Forse era stato il pensiero di apparire con i vestiti sporchi davanti alla shatayan e le cameriere che lo aveva amareggiato. Con gran sollievo di Lan, non gli fu assegnata la stanza degli ospiti del re, malgrado la scorta della shatayan. Le sue tre camere erano spaziose, con arazzi di seta davanti alle pareti azzurre e un'ampia cornice con decorazioni che rappresentavano montagne stilizzate a bordeggiare il soffitto alto, ma la mobilia basilare era semplice, con solo una leggera doratura. Nella camera da letto c'era un balconcino che si affacciava su uno dei giardini del palazzo e il letto era dotato di un materasso di piume grande abbastanza per quattro o cinque persone. La posizione dei suoi appartamenti era perfetta e ringraziò comare Romera forse un po' più del dovuto, perché la donna sorrise, corrugando la fronte. «Nessuno sa cosa ci riserva il futuro, mio signore,» disse la shatayan «ma noi sappiamo chi sei.» A quel punto gli rivolse una piccola riverenza prima di andare via. Una riverenza. Notevole. Qualsiasi cosa dicesse, an-
che lei aveva delle aspettative sul futuro. Con le stanze aveva ottenuto anche due cameriere dal volto squadrato, Anya ed Esne, che iniziarono a sistemare i suoi pochi beni nel guardaroba, e un tizio dinoccolato di nome Bulen per le commissioni, che rimase a bocca aperta nel vedere l'elmetto e il pettorale di Lan, che sistemò nella cassa nera laccata vicino la porta, anche se doveva aver già visto molte armature. «Sua maestà è al palazzo?» chiese educatamente Lan. «No, mio signore» rispose Anya, inarcando le sopracciglia nel vedere la giubba macchiata di sangue e mettendola da parte con un sospiro. Aveva i capelli grigi, e Lan pensò che potesse essere la madre di Esne. Non era stata la vista del sangue a farla sospirare - a quello era abituata - ma la difficoltà nel togliere le macchie. Con un po' di fortuna, Lan avrebbe riavuto la giubba pulita e rammendata nel migliore dei modi. «La regina Ethenielle sta avanzando attraverso l'entroterra.» «E il principe Brys?» Conosceva la risposta a quella domanda - Ethenielle e il principe consorte potevano essere fuori città simultaneamente solo in tempo di guerra - ma c'erano delle formalità da seguire. Bulen rimase a bocca aperta all'insinuazione che anche il principe consorte potesse essere fuori città, ma un ragazzo di corte non poteva conoscere ancora tutte le usanze reali. Non avrebbero mandato Anya a servire Lan se lei non ne fosse stata completamente pratica. «Oh, sì mio signore» rispose, sollevando la camicia macchiata e scuotendo la testa prima di mettere da parte l'indumento. Non sarebbe stato facile come con la giubba. Apparentemente la camicia era una causa persa. La donna scuoteva il capo quasi per ogni indumento, anche quelli che ripose nel guardaroba. Molti sembravano estremamente lisi. «Ci sono delle personalità in visita?» Lan fremeva per fare quella domanda fin da quando era entrato, quasi come quando era stato morso dalle pulci e le mosche. Anya ed Esne si scambiarono un'occhiata. «Solo una da tenere in considerazione, mio signore» rispose la più anziana. Piegò una camicia e la ripose nel guardaroba, facendolo aspettare. «Lady Edeyn Arrel.» Le due donne si scambiarono un sorriso. Somigliavano molto una all'atra. Era chiaro che sapevano fin dal principio cosa stesse cercando di scoprire, ma non avevano il diritto di ridacchiare come due stupide. Dopo che Bulen ebbe lucidato gli stivali, Lan si lavò a fondo nel lavabo piuttosto che aspettare che gli portassero la vasca, e si cosparse sulle ferite
l'unguento che aveva richiesto Anya, ma lasciò che fossero le donne a vestirlo. Solo perché erano inservienti non c'era motivo di insultarle. Aveva una sola camicia di seta bianca che non sembrava troppo consumata, un paio di brache aderenti dello stesso materiale e in buone condizioni e una giubba, sempre di seta nera con dei ricami sulle maniche, delle rose sanguigne in oro fra i rovi di spine. Rose sanguigne, per simboleggiare la perdita e la memoria. Perfettamente adeguate. Gli stivali adesso risplendevano, anche se non si era aspettato tanto da Bulen. Adesso era armato al meglio delle possibilità. Con una spada fra le mani c'era poco da temere, ma le lame di Edeyn non sarebbero state d'acciaio. Era poco esperto nel tipo di battaglia che avrebbe dovuto combattere adesso. Diede ad Anya ed Esne un marco d'argento, a Bulen un centesimo d'argento - comare Romera avrebbe trovato oltraggiosa l'offerta di denaro, ma le servitrici si aspettavano sempre qualcosa il primo e l'ultimo giorno -, inviò il ragazzo ad accertarsi che alle stalle avessero seguito le sue istruzioni su Gatto danzante e lasciò le donne nel corridoio a fare la guardia alla stanza. A quel punto si sedette e attese. Il suo incontro con Edeyn doveva essere pubblico, con il maggior numero di spettatori possibile. In privato tutti i vantaggi sarebbero andati alla carneira. Si chiese dove fosse andata Alys, cosa volesse da lui e dagli altri, e cercò di togliersela dalla testa. Anche assente, la donna era un fiore di cardo nel colletto. Su uno dei tavolini laterali era appoggiata una caraffa con del tè, senza dubbio aromatizzato con bacche e menta, e un'altra con del vino, ma le ignorò entrambe. Non aveva sete, e aveva bisogno di mantenere la mente sgombra per concentrarsi su Edeyn. Mentre aspettava raggiunse il ko'di e rimase seduto nel vuoto. Era sempre meglio andare in battaglia privo di emozioni. Anya fece ritorno presto, chiudendosi con cautela la porta alle spalle. «Mio signore, lady Edeyn richiede la tua presenza nelle sue stanze.» Il tono di voce era completamente neutro e il volto inespressivo come quello di un'Aes Sedai. «Riferisci al suo messaggero che non mi sono ancora ripreso dal viaggio» rispose. Anya sembrava scontenta ma gli rivolse un inchino. L'etichetta richiedeva che gli venisse dato il tempo di riprendersi, tutto il tempo che voleva, ma dopo meno di mezz'ora, secondo l'orologio dorato sulla mensola del camino, Anya entrò di nuovo con una lettera sigillata, con l'immagine di una leonessa accucciata impressa nella cera azzurra.
Una leonessa pronta a balzare all'attacco. Il sigillo personale di Edeyn, un'immagine degna di lei. Lo spezzò con riluttanza. La lettera era molto breve. Vieni da me, tesoro. Vieni da me adesso. Non c'era la firma, ma non sarebbe stata necessaria neppure se il sigillo fosse stato anonimo. Quella calligrafia elaborata gli era ancora familiare come la propria. La lettera era nello stile di Edeyn. Imperativa. Edeyn era nata per essere una regina e lo sapeva. Lasciò cadere il messaggio fra le fiamme del camino. Stavolta la delusione di Anya non traspari. Luce, la donna aveva l'incarico di servirlo ma era un'alleata di Edeyn. Molto probabilmente Edeyn sapeva. Aveva un suo modo per scoprire tutto quello che le era utile. Non giunsero altre convocazioni, ma quando l'orologio batté tre volte per segnalare il trascorrere di un'ora, si fece avanti comare Romera. «Mio signore,» disse in tono formale «sei abbastanza riposato per essere ricevuto dal principe consorte?» Finalmente. Era un onore essere scortato direttamente da lei, e i forestieri avevano bisogno di una guida per recarsi in qualsiasi posto del palazzo. Lui vi era stato molte volte e ancora, di tanto in tanto, vi si perdeva. La spada rimase sulla rastrelliera laccata vicino alla porta. Lì non gli sarebbe servita e avrebbe insultato Brys portandola, quasi sentisse di aver bisogno di protezione. Ed era così, ma l'acciaio sarebbe comunque servito a poco. Lan si aspettava un incontro privato, ma comare Romera lo condusse in una grande sala da riunioni, sormontata al centro da una vasta cupola affrescata in modo da rammentare il cielo. La base era sostenuta da sottili colonne bianche e la sala era piena di gente. I mormorii della conversazione cessarono al suo arrivo. I servitori in livrea si muovevano con passi felpati fra la folla offrendo vino speziato ai signori e alle dame di Kandor con indosso abiti di seta ricamati con i sigilli delle casate, e agli ospiti che indossavano lana fine, con i sigilli di gilde importanti. Anche ad altri. Lan vide uomini con lunghe giubbe che indossavano l'hadori, uomini che, lo sapeva bene, non lo avevano messo mai negli ultimi tre anni se non di più. Donne con i capelli ancora tagliati all'altezza delle spalle o anche più corti, con il puntino del ki'sain dipinto sulla fronte. Si inchinarono alla sua comparsa e gli rivolsero profonde riverenze: erano tutte persone che avevano deciso di
ricordare il Malkier. Guardarono la shatayan presentarlo a Brys, come falchi che osservassero un topo. Falchi che attendevano il segnale di attacco. Forse non avrebbe mai dovuto recarsi in quel luogo. Adesso era comunque troppo tardi. La sola via d'uscita era andare avanti, qualsiasi cosa lo aspettasse alla fine. Il principe Brys era robusto, uno squadrato uomo di mezza età che sembrava più adatto per l'armatura che per la seta verde ricamata in oro, anche se per la verità era abituato a entrambe. Brys era il Portatore della Spada, il generale dell'esercito, posizione che aveva ottenuto dopo il matrimonio con Ethenielle. Aveva una bella reputazione come generale. Prese Lan per le spalle affinché non si inchinasse. «Non lo permetto a un uomo che mi ha salvato la vita due volte nella Macchia, Lan» disse ridendo. «Tu hai salvato due volte la mia» rispose Lan. «L'onore è pari.» «Forse, forse. Ma la tua venuta sembra aver contagiato Diryk. È caduto stamattina da un balcone, quindici metri fino al lastricato, senza rompersi un osso.» Fece un cenno indicando il secondogenito, un bel bambino dagli occhi scuri di otto anni con indosso una giubba come la sua. Il piccolo si fece avanti. Aveva un grande livido su un lato della testa e si muoveva con rigidità per via delle molte altre ammaccature, ma gli rivolse comunque un inchino formale rovinato leggermente da un grande sorriso. «Dovrebbe essere a lezione adesso,» gli confidò Brys «ma era così impaziente di vederti che ha dimenticato le lettere e si é tagliato con una spada.» Aggrottando le sopracciglia il bambino protestò di non essersi mai tagliato. Lan restituì l'inchino con la stessa formalità e le ultime parvenze di etichetta svanirono in un baleno dall'atteggiamento del bambino. «Dicono che hai combattuto gli Aiel a sud e nelle Marche dello Shienar, mio signore» disse. «È vero? Sono sul serio alti tre metri? Si velano davvero il volto prima di uccidere? Si mangiano i loro morti? La Torre Bianca è davvero più alta di una montagna?» «Dagli la possibilità di rispondere, Diryk» disse Brys, fingendo un oltraggio che esplose in una risata. Il ragazzino arrossi imbarazzato, ma riuscì comunque a sorridere con affetto al padre, che gli scompigliò i capelli con una mano. «Ricorda cosa significa avere otto anni, Brys» gli disse Lan. «Lascia che il piccolo manifesti la sua eccitazione.» Lui a quell'età stava già studiando il ko'di e sapeva cosa avrebbe affrontato la prima volta che fosse entrato nella Macchia. Iniziava a imparare come uccidere con le mani e i piedi.
Che almeno Diryk avesse un'infanzia felice, prima di dover pensare alla morte. Libero, il bambino lo sommerse di domande, anche se stavolta attese le risposte. Se avesse avuto la possibilità avrebbe continuato all'infinito a chiedere degli Aiel e delle meraviglie delle città del Sud come Tar Valon e Far Madding. Probabilmente non avrebbe creduto che Chachin era grande come le altre due. Il padre mise fine all'interrogatorio. «Lord Mandragoran ti riempirà la testa fino all'orlo più tardi» disse al figlio. «Adesso deve incontrare qualcun altro. Vai dalla tua comare Tuval e torna ai tuoi libri.» Lan ebbe l'impressione che tutti nella sala trattenessero il respiro colmi di attesa, mentre Brys lo accompagnava, lo scortava attraverso la sala dal pavimento di mattonelle bianche e rosse. Edeyn era esattamente come la ricordava. Dieci anni in più, con un tocco di bianco che le striava le tempie e alcune rughe sottili agli angoli degli occhi, ma le grandi pupille scure lo rapirono. Il ki'sain era ancora del bianco vedovile e i capelli sempre lunghi fino alla vita. Indossava un abito di seta rossa nello stile domanese, attillato e molto trasparente. Era bellissima, ma nemmeno lei poteva fare nulla in quei luoghi. Le rivolse l'inchino con calma. Per un momento la donna lo guardò, fredda e lucida. «Sarebbe stato più semplice se... fossi venuto da me» mormorò, sembrando incurante del fatto che Brys sentisse o meno. Quindi, con suo stupore, si inginocchiò e gli prese la mano fra le sue. «Sotto la Luce,» annunciò con voce forte e chiara «io, Edeyn ti Gemallen Arrel, presto la mia fedeltà ad al'Lan Mandragoran, signore delle Sette Torri, signore dei Laghi, la Vera Lama del Malkier. Che possa troncare l'Ombra!» Anche Brys sembrava stupito. Vi fu un momento di silenzio mentre la donna baciava le dita di Lan; quindi le acclamazioni eruppero da tutte le parti. Grida come «la Gru dorata!» E anche, «Kandor cavalca con il Malkier!» Il clamore lo indusse a liberarsi le mani e tirarla su. «Mia signora,» disse con voce calma ma tesa «non esiste alcun re del Malkier. I sommi signori non hanno lanciato i bastoncini.» La donna gli appoggiò una mano sulle labbra. Una mano calda. «I tre sopravvissuti su cinque sono presenti in questa sala, Lan. Vogliamo chiedere loro come li lanceranno? Quel che deve essere, sarà.» Quindi scivolò fra la folla di quelli che si erano raggruppati intorno a Lan per congratularsi, per giurare fedeltà sul posto, se solo glielo avesse lasciato fare. Brys andò in suo soccorso, trascinandolo verso un ballatoio con la balaustra di pietra alto sessanta metri. Era il posto dove il principe consorte si
ritirava quando desiderava stare da solo e non essere seguito. Solo una porta di accesso, nessuna finestra e nessun rumore dal palazzo. «Se avessi saputo cosa intendeva fare» disse l'uomo più anziano mentre camminava avanti e indietro con le mani dietro la schiena «non le avrei mai dato il benvenuto. Se lo desideri le faccio comunicare che la sua presenza non è più gradita. Non guardarmi in quel modo. Ne so abbastanza delle usanze malkieri da non insultarla. Ti ha quasi inchiodato in una bara che so non sceglieresti mai di tua spontanea volontà.» Brys sapeva meno di quel che pensava. Per quanto avesse parlato delicatamente, dichiararla persona non grata sarebbe stato un insulto mortale. «Anche le montagne si consumano con il passare del tempo» disse Lan. Non era certo di poter evitare di guidare gli uomini nella Macchia. O che volesse davvero evitarlo. Tutte quelle persone che si ricordavano del Malkier... Il Malkier meritava di essere ricordato. Ma a quale prezzo? «Cosa farai?» Una domanda semplice, formulata semplicemente, ma cui era molto difficile rispondere. «Non lo so» rispose Lan. Edeyn aveva vinto solo una schermaglia, ma lui era stupito di quanto fosse stato facile. Un'avversaria formidabile, quella donna, che portava parte della sua anima fra i capelli. Per il resto parlarono con calma di caccia e di banditi, e discussero se l'agitazione che da un anno investiva la Macchia potesse presto spegnersi. Brys rimpiangeva di aver ritirato il suo esercito dalla guerra contro gli Aiel, ma non aveva avuto alternative. Parlarono delle voci su di un uomo che poteva incanalare - ogni storia lo piazzava in terre diverse; Brys pensava che fosse un altro Jak delle Ombre, e Lan era d'accordo - e delle Aes Sedai che sembravano essere ovunque per motivi ignoti. Ethenielle aveva scritto che in un villaggio lungo il suo tragitto due Sorelle avevano catturato una donna che faceva finta di essere Aes Sedai. La sventurata poteva incanalare, ma non le era servito a nulla. Le due vere Aes Sedai l'avevano flagellata per tutto il villaggio facendola gridare, facendole confessare i propri crimini davanti a tutti i cittadini. Quindi una delle Sorelle l'aveva portata a Tar Valon per la vera punizione, qualunque fosse. Lan si ritrovò a sperare che Alys non avesse mentito sulla sua identità di Aes Sedai, anche se non riusciva a capire perché gli importasse. Sperava di evitare Edeyn per il resto del giorno, ma quando venne guidato di nuovo nella sua stanza - stavolta da un inserviente - la donna era lì, che lo attendeva languida, accomodata su una delle sedie dorate del soggiorno.
Le sue cameriere non erano in vista. Sembrava che Anya fosse davvero alleata di Edeyn. «Temo che tu non sia più bello, tesoro mio» disse quando Lan entrò. «Penso che da vecchio potresti addirittura diventare brutto. Ma mi sono sempre piaciuti più gli occhi che il viso.» Il suo sorriso divenne appassionato. «E le tue mani.» Lan si fermò sulla porta. «Mia signora, non sono nemmeno trascorse due ore da quando hai giurato...» La donna lo interruppe. «E ti obbedirò, mio re. Ma, come dice il proverbio, 'un re non è un re, da solo con la sua carneira'.» Rise gutturalmente. Si godeva il potere che aveva su di lui. «Ho portato qui il tuo daori. Prendilo e dammelo.» Senza volerlo la segui con lo sguardo fino a una scatola laccata appoggiata su un tavolino di fianco alla porta. Sollevare il coperchio costò uno sforzo pari a sollevare un masso. Nella scatola era custodito un cordone fatto di capelli intrecciati. Lan ricordava ogni momento della mattina dopo la prima notte, quando la donna lo aveva portato alle residenze femminili del palazzo reale a Fal Moran e aveva lasciato che le dame e le inservienti guardassero mentre gli tagliava i capelli all'altezza delle spalle. Gli aveva anche spiegato il significato di quel gesto. Le donne erano divertite e facevano battute mentre si sedevano ai piedi di Edeyn per intrecciare il daori. La dama osservava le usanze, ma a modo suo. I capelli erano morbidi e flessibili, forse li aveva fatti trattare con degli oli ogni giorno. Attraversando la stanza lentamente, Lan si inginocchiò davanti a lei e le porse il daori che aveva fra le mani. «Come pegno per quello che ti devo, Edeyn, ora e per sempre.» Nella sua voce non c'era lo stesso fervore di quella prima mattina, ma lei di certo capiva. La donna non prese la corda dalle sue mani. Al contrario lo studiò, una leonessa che osservava un cerbiatto. «Sapevo che non eri andato via troppo a lungo per dimenticare le nostre usanze» disse alla fine. «Vieni.» Alzandosi lo afferrò per un polso e lo condusse al balcone che si affacciava sul giardino sottostante. Due servitori versavano acqua su alcune piante e una giovane passeggiava lungo i vialetti lastricati con indosso un abito azzurro brillante come i fiori del mattino che crescevano fra gli alberi. «Mia figlia, Iselle.» Per un momento orgoglio e affetto scaldarono la voce di Edeyn. «Te la ricordi? Adesso ha diciassette anni. Non ha ancora trovato il suo carneira.» L'usanza voleva che fossero le donne, a scegliere.
«Ma credo sia comunque giunta l'ora che si sposi.» Lan si ricordava vagamente di una bambina sempre circondata da inservienti, l'orgoglio di sua madre, ma all'epoca lui pensava solo a Edeyn. Luce, la donna ancora gli riempiva la mente, solo con il profumo che emanava. Il profumo di quella donna. «È bella come la madre, ne sono sicuro» rispose educatamente, stringendo il daori. La donna aveva un vantaggio troppo grande fino a quando fosse rimasto fra le mani di lui, letteralmente tutti i vantaggi, ma lei doveva prenderlo. «Edeyn, dobbiamo parlare.» La donna ignorò la richiesta. «Anche per te è giunto il momento di sposarti, tesoro mio. Visto che nessuna delle tue parenti è rimasta in vita, dovrò essere io a organizzare il tuo matrimonio.» La donna rivolse un sorriso caldo alla ragazza nel parco, il sorriso amorevole di una madre. Lan rimase a bocca aperta a quel suggerimento. All'inizio non riusciva a crederci. «Iselle?» chiese con voce rauca. «Tua figlia?» Edeyn seguiva le usanze a modo suo, ma questo era scandaloso. «Non mi lascerò guidare in qualcosa di tanto vergognoso. Non da te o da... questo.» Le scosse il daori davanti al viso, ma la donna si limitò a guardarlo e a sorridere. «Certo che non ti lascerai trascinare, tesoro mio. Sei un uomo, non un ragazzo. Ma rispetti le usanze» lo prese in giro, facendo scivolare un dito lungo la corda di capelli che tremava fra le sue mani. «Forse dobbiamo parlare.» Ma non cercò parole e lo portò invece verso il letto. Almeno in quel posto avrebbe recuperato un po' del terreno perduto, che lei prendesse o meno il daori dalle sue mani. Era un uomo, non un cerbiatto, per quanto lei fosse una leonessa. Non rimase sorpreso quando lei gli disse che poteva appoggiare il daori da qualche parte per aiutarla a svestirsi. Edeyn non avrebbe mai rinunciato ai suoi vantaggi. Non fino a quando avesse presentato il daori alla sua sposa il giorno delle nozze, e Lan non vedeva alcun modo di evitare che quella sposa fosse Iselle. 23
La stella del vespro Moiraine si concesse un sorrisetto quando gli amici di Lan lo seguirono al galoppo. Se voleva allontanarsi da lei in fretta, era perché lei aveva lasciato il segno. Per lasciarne uno più profondo avrebbe dovuto aspettare. L'uomo pensava che dovesse evitare le parti malfamate di Chachin, eh? Il modo come si era sbarazzata di quei banditi avrebbe dovuto fargli capire come stavano le cose. Togliendosi dalla testa il suo compagno di viaggio, andò a cercare proprio quelle strade. Quando a lei e Siuan veniva concessa un'escursione a Tar Valon, da Ammesse, le sale comuni che la Tarenese amava visitare erano sempre nelle zone meno sicure. Il cibo e il vino erano economici e difficilmente potevano essere frequentate da Aes Sedai, che di certo avrebbero disapprovato il fatto di trovare delle Ammesse con un bicchiere di vino in mano in posti come quelli. Inoltre Siuan aveva detto che si sentiva più a suo agio in quelle locande che in posti migliori, dove Moiraine avrebbe preferito mangiare. Visto che l'amica era taccagna di certo avrebbe cercato anche lì la stanza più economica. Moiraine cavalcò fra le strade affollate fino a quando trovò un posto all'interno della prima cerchia di mura dove non c'erano portantine o musicisti, i rari venditori ambulanti non avevano clienti né speranza di trovarne uno. Gli edifici di pietra allineati nelle strade anguste avevano un aspetto trascurato che smentiva i tetti di tegole colorate; la pittura sulle porte era screpolata e le finestre scrostate, i vetri erano sporchi e le persiane rotte. I bambini con gli abiti stracciati correvano ridendo e giocando, ma i bambini fanno così ovunque. I negozianti erano di guardia con i manganelli per evitare che venisse rubato qualcosa dai banconi e osservavano i passanti come se fossero ladri potenziali. Forse molti lo erano, con i loro abiti lisi e quel loro andarsene in giro a testa bassa o tracotanti, con espressioni provocatorie. Una donna povera poteva facilmente cadere in tentazione, quando non aveva nulla. Il mantello foderato di pelliccia e l'abito di seta di Moiraine attirarono l'attenzione, come anche Freccia. In strada non vi erano altri cavalli. Quando smontò di sella davanti alla prima locanda che vide, un posto dall'aspetto polveroso di nome L'oca agitata, un cane giallo con le costole in fuori le ringhiò contro arruffando il pelo, ma lei lo scansò con un sottile flusso di Aria, facendolo scappare guaendo. Più preoccupante fu la comparsa di una giovane donna alta con un abito rosso pieno di rammendi rea-
lizzati con pezze di diverse tonalità. Faceva finta di cercare un sasso nella scarpa mentre guardava Freccia di traverso. Uno sguardo avido. Lì non c'erano paletti o anelli per legare il cavallo. Lasciando libere le redini, un messaggio per Freccia di non muoversi, Moiraine legò le zampe anteriori dell'animale con Aria e creò uno schermo attorno alla bestia che l'avrebbe avvisata se qualcuno avesse cercato di portargliela via. La scura sala comune de L'oca agitata faceva fede all'aspetto esteriore. Il pavimento era coperto di quella che una volta era stata polvere di sabbia, adesso fango congelato. L'aria puzzava di fumo di tabacco, birra stantia e qualcosa che sembrava odore di bruciato proveniente dalle cucine. Gli avventori bevevano seduti ai tavoli, i volti rozzi e le giubbe logore, e al suo ingresso sollevarono la testa sorpresi. Il locandiere era un tipo smilzo che indossava una giubba grigia macchiata, aveva il viso sottile con occhi avidi, un tipo dall'aspetto vile come lo erano stati i banditi che avevano incontrato per strada. «Avete alloggiato una donna di Tairen?» chiese Moiraine. «Una giovane con gli occhi azzurri?» «Questo posto non è per quelle come te, mia signora» mormoro l'uomo, passandosi una mano su una guancia. Forse stava cospargendo meglio lo sporco. «Vieni, ti mostro qualcosa di pili appropriato.» L'uomo si incamminò verso la porta, ma Moiraine gli appoggiò una mano sul vestito. Senza pigiare troppo. Alcune delle macchie sulla giubba sembravano di cibo incrostato, e da vicino il locandiere puzzava come se non si lavasse da settimane. «La donna tarenese.» «Non ho mai visto una Tarenese con gli occhi azzurri. Prego, mia signora. Conosco una bella locanda, un posto elegante, solo a due o tre strade da qui.» Lo schermo che aveva elevato attorno a Freccia le fece pizzicare la pelle. «Grazie, no» rispose al locandiere, uscendo veloce in strada. La donna con il vestito rosso sbiadito stava provando a rubare il cavallo, tirava le redini e si lamentava per la frustrazione di fronte ai passetti incerti dell'animale. «Io la smetterei se fossi in te» disse Moiraine ad alta voce. «La punizione per il furto di cavalli consiste nella fustigazione, se l'animale viene ritrovato, e peggio ancora in caso contrario.» Ogni Ammessa doveva imparare le leggi più comuni delle diverse nazioni. La giovane si voltò di scatto, rimanendo a bocca aperta. Apparentemente aveva pensato di avere più tempo prima che Moiraine uscisse. La sorpresa
svanì rapidamente dal suo volto, e la donna si tirò su e appoggiò una mano sull'elsa del pugnale dalla lunga lama. «Immagino che pensi di potermelo impedire» disse, guardando disgustata Moiraine dall'alto in basso. Sarebbe stato un piacére mandare in giro quella ladra con alcune ferite sulla schiena, ma per farlo avrebbe dovuto rivelare la propria identità. Un numero di passanti, uomini, donne e bambini, si fermarono a guardare. Senza interferire; solo per vedere come andava a finire. «Lo farò, se devo» rispose Moiraine con calma e freddezza. La giovane aggrottò le sopracciglia, umettandosi le labbra e toccando l'elsa del pugnale. Di colpo lasciò andare le redini di Freccia. «Tienitelo allora! La verità è che non vale niente.» Voltandosi si incamminò lanciando occhiate oblique in ogni direzione. Moiraine si infuriò e incanalò Aria, colpendola sul didietro. Un colpo molto forte. Con un grido la donna balzò in avanti afferrando l'elsa del pugnale, si voltò di scatto, guardandosi intorno furibonda alla ricerca di chi l'avesse colpita, ma non c'era nessuno vicino e la gente la guardò incuriosita. Lei si mise di nuovo a camminare, strofinandosi con entrambe le mani. Moiraine annui soddisfatta. Forse in futuro la presunta ladra di cavalli avrebbe evitato di insultare la bestia di un'altra donna. Ma la sua soddisfazione non durò a lungo. Nella seconda locanda lungo la strada, Il maiale cieco, una donna con il viso rotondo con indosso un lungo grembiule che forse una volta era stato bianco disse che non aveva una Tarenese nelle sue stanze. Ogni parola che le usciva di bocca era seguita da una risata. «I miei clienti se lo mangeranno a cena un bocconcino come te, se non ti sbrighi ad andare via.» Inclinando la testa di lato esplose a ridere, e gli avventori le fecero eco. Al Centesimo d'argento, l'ultima taverna della strada, la locandiera che trovò era una donna bellissima di mezza età, non troppo alta, con un sorriso gioviale e i capelli neri e lucenti acconciati in una treccia molto alta. Meraviglia delle meraviglie, il vestito di lana marrone di Nedare Satarov era pulito, in ordine e di buon taglio, e il pavimento della sala comune era stato spazzato da poco. I clienti erano uomini e donne dai visi rozzi e gli occhi duri, ma l'odore delle cucine prometteva qualcosa di buono. «Sì, mia signora,» rispose «ho un'ospite tarenese che risponde alla tua descrizione. È uscita in questo momento. Perché non ti accomodi e bevi del vino speziato mentre l'aspetti?» Le porse un boccale di legno che aveva in mano quando l'aveva vista entrare e dal quale proveniva il profumo del-
le spezie fresche. «Grazie» rispose Moiraine restituendo il sorriso alla donna con uno altrettanto luminoso. Che fortuna, trovare Siuan tanto in fretta. Ma fermò la mano prima di prendere il boccale. Qualcosa era cambiato nell'espressione di comare Satarov. Impercettibilmente, ma vi era un'espressione d'attesa in quel volto, e così Moiraine ripensò al fatto che la donna aveva il boccale in mano prima che lei entrasse. Non aveva visto vino nelle altre due locande. Nessuno, in quella parte della città, poteva permetterselo. Le spezie potevano coprire molti altri sapori. Abbracciando la Fonte lavorò un flusso di Spirito in una delle tessiture segrete delle Azzurre, e con essa toccò la locandiera. Il senso di attesa si trasformò in disagio. «Sei sicura che quella donna corrisponda esattamente alla descrizione?» chiese Moiraine, stingendo il flusso per un attimo. Sulla fronte di comare Satarov apparve del sudore. «Ne sei assolutamente certa?» Una nuova stretta, e negli occhi della donna apparve una traccia di paura. «Ora che mi viene in mente, non ha gli occhi azzurri e... se ne è andata stamattina, ora che ci penso.» «A quanti passanti inconsapevoli hai dato quel vino?» chiese Moiraine con freddezza. «Quante donne? Le lasci vivere? O preferiresti vederle morte?» «Io... non so di cosa stai parlando. Se vuoi scusarmi, io...» «Bevi» ordinò Moiraine, stringendo il flusso per farla cadere quasi in preda al panico. Comare Satarov tremava e non riusciva a distogliere lo sguardo. «Bevilo tutto.» Sempre fissando Moiraine negli occhi, la donna sollevò il boccale a disagio portandoselo alle labbra ed ebbe delle convulsioni mentre deglutiva. Sgranò gli occhi di colpo quando sì accorse di cosa stava facendo e, gridando, scagliò lontano il boccale, sputandone il contenuto. Moiraine rilasciò il flusso, ma non sciolse la paura di comare Satarov. Il volto della donna era contorto dal terrore mentre si guardava intorno nella sala comune. Sollevandosi la gonna sopra le ginocchia iniziò a correre verso la cucina, forse dirigendosi alle scale sul retro, ma dopo tre passi già barcollava e in altri tre cadde a terra come se le si fossero sciolte le ossa, lasciando le gambe esposte fino alla coscia. Indossava calze di seta. Evidentemente traeva un buon profitto da quella sua vile attività. Agitava le braccia come se volesse strisciare, ma non aveva forza. Alcuni degli uomini e delle donne ai tavoli guardarono Moiraine mera-
vigliati, senza dubbio stupiti che non fosse lei a giacere al suolo, ma molti sembravano concentrati sui futili tentativi di comare Satarov di procedere. Un uomo nodoso con una lunga cicatrice che gli attraversava il volto le rivolse un sorriso, che però non si estese agli occhi. Un tipo grosso con le spalle da fabbro si umettò le labbra. Le donne, a gruppetti di due o tre, cominciarono a uscire, e molte si scostarono da Moiraine mentre le passavano accanto. Anche alcuni degli uomini uscirono. Moiraine si unì all'esodo senza guardarsi indietro. A volte il castigo proveniva da altre fonti oltre la spada della giustizia. Il resto della giornata si svolse pressappoco a quel modo, alla ricerca dei quartieri dove la gente indossava abiti consumati e tutti andavano a piedi. A Chachin nell'arco di cinque strade si poteva finire da case, negozi e studi artigianali moderatamente prosperosi allo squallore della povertà. I buoni governanti cercavano sempre di fare qualcosa per i bisognosi e aveva sentito dire che Ethenielle era considerata generosa, eppure ogni volta che un uomo veniva liberato dall'indigenza, un altro sembrava cadere in disgrazia. Non era giusto, ma così andavano le cose nel mondo. La frustrazione che provava era un altro motivo per cui non avrebbe mai accettato il trono del Sole. Chiese indicazioni in sale comuni piene di ubriachi che gridavano e ridevano e in altre losche dove le persone sedute ai tavoli sembrava volessero solo annegare i loro problemi nella birra, ma nessuno confermò di aver visto una giovane tarenese con gli occhi azzurri. Le fu ancora offerto del vino in circostanze sospette, ma non fece di nuovo come con comare Satarov. Non che non fosse tentata, ma le dicerie su eventi di quel tipo si spargevano in fretta. Una sola voce avrebbe potuto essere considerata un pettegolezzo; tante sarebbero stata un'altra faccenda. Ogni Azzurra che avesse sentito una cosa del genere avrebbe sospettato che un'altra Sorella fosse in città. Non le piaceva pensare all'Ajah Nera, ma tutte le Aes Sedai potevano farne parte e lei aveva bisogno di rimanere nascosta più a lungo possibile. Per due volte fu attaccata da coppie di uomini che avevano afferrato le briglie di Freccia e tentato di disarcionarla. Se fossero stati di più, sarebbe stata costretta a rivelarsi, ma il flusso che incuteva paura, scagliato alla massima forza, li faceva scappare fra la folla completamente in preda al panico. I passanti guardavano ovviamente stupiti, chiedendosi perché degli uomini forti che volevano rubare un cavallo fuggissero così all'improvviso, eppure, a meno che fra loro non vi fosse una selvatica, nessuno ne capiva nulla. In almeno sette occasioni cercarono di rubare Freccia mentre lei era
dentro le locande. Una volta fu un gruppo di bambini che scapparono gridando, un'altra volta una mezza dozzina di giovani che pensavano di poterla ignorare, fino a quando non li fece scappare saltando e gridando con una pioggia di frustate di Aria. A Chachin la legge non veniva rispettata e lei si trovava in quartieri dove un abito di seta, un mantello foderato di pelliccia e un bel cavallo erano tutti segni che era pronta per essere derubata. Se avesse perso Freccia in quella zona, un magistrato avrebbe anche potuto concludere che fosse stata colpa sua. Non poteva fare altro che serrare i denti e proseguire la ricerca. La fredda luce diurna stava trasformandosi in notte. Camminava con Freccia fra le ombre lunghe, osservando sospettosa l'oscurità nei vicoli e pensando che per quel giorno doveva arrendersi, quando Siuan le apparve alle spalle. «Ho immaginato che potessi cercarmi qui, al tuo arrivo» disse la Tarenese, prendendola per un gomito per farla andare avanti. Indossava lo stesso abito blu da cavallo. Moiraine dubitava che avesse anche solo preso in considerazione l'idea di spendere parte del denaro che le aveva dato per comperarne un altro. «Stavo girando in queste vie alla tua ricerca. Entriamo da qualche parte prima di congelare.» Siuan guardò le ombre nel vicolo e con fare assente toccò il pugnale, come se non potesse cavarsela con il solo Potere. Be', non senza farsi scoprire, comunque. Forse era meglio andare via di corsa. «Non è una zona per te, Moiraine. Ci sono dei tipi qui in giro che ti mangerebbero a cena prima che tu ti renda conto di essere in pentola. Stai ridendo o tossendo?» «Tutte e due le cose» rispose Moiraine con qualche difficoltà. Per quante volte oggi aveva sentito delle varianti in cui, se non fosse stata prudente, si sarebbe trasformata in qualcosa da cucinare e mangiare? Dovette fermarsi e abbracciare la sua amica. «Oh, Siuan, è troppo bello vedere la tua faccia. Dove ti sei fermata? In qualche posto dove servono pesce, immagino. Posso almeno sperare che nei letti non vi siano pulci e pidocchi?» «Forse non è un posto come quelli ai quali sei abituata,» rispose Siuan «ma un tetto solido per non bagnarsi è tutto ciò di cui hai bisogno. E non ci sono Sorelle lì, per cui puoi cacciare pulci e pidocchi quanto ti pare. Ma sarà meglio che ci sbrighiamo, se vogliamo arrivarci prima di notte.» Moiraine sospirò e accelerò. Le ore dopo il tramonto non erano il momento ideale per essere fuori nei tipi di posti che gradiva Siuan. Scoprì invece che l'amica aveva trovato una stanza in una locanda molto rispettabile, di nome La stella del vespro, tre piani di pietra che ospitavano
mercanti di ceto medio, specialmente donne che non volevano essere seccate dal rumore delle sale comuni. Una coppia di tizi dalle spalle taurine appoggiati alle colonne dipinte di azzurro teneva d'occhio la porta principale, accertandosi che non vi fossero disturbatori. Erano i soli uomini nella sala. La maggior parte dei tavoli era occupata da donne: molte indossavano abiti di buon taglio in lana raffinata, con una spilla o degli orecchini, e ve ne erano due con sul petto le catene che rappresentavano la gilda dei mercanti di Kandor. Tre indossavano abiti domanesi, discutevano accalorate di qualcosa a bassa voce e avevano delle catene d'oro molto alte che coprivano loro tutto il collo. Una donna con i capelli grigi suonava un dulcimero a martelletti e si era lanciata in un motivetto allegro; l'odore delle cucine prometteva agnello arrosto, non pesce. La locandiera, Aliene Tolvina, era una donna magra con l'aria della persona sensata, indossava un abito grigio ricamato con una cascata di fiori azzurri sulle spalle. Non aveva stanze libere, ma non fece obiezioni alla proposta di condividere quella di Siuan. «Basta che paghi l'extra» aggiunse, allungando una mano. Seta e pelliccia non bastavano per ottenere riverenze da comare Tolvina. «Posso cacciare le pulci come meglio credo?» chiese Moiraine, appendendo il mantello su un gancio nella piccola stanza di Siuan all'ultimo piano. Almeno era calda, con una stufa costruita sotto il piccolo letto, ed era in buon ordine. Siuan non era mai disordinata. «Sono sorpresa che ti sia fermata qui.» L'extra era un centesimo d'argento, il che significava che Siuan ne pagava due. «Prima devi farle venire le pulci, se vuoi cacciarle. Perché sei sorpresa?» Siuan si era seduta a gambe incrociate sul letto. Sembrava rinvigorita, dopo Canluum. Avere uno scopo la riempiva sempre di entusiasmo. Moiraine non rispose alla domanda. Avrebbero condiviso quel letto e Siuan sapeva bene quale fosse il punto debole dell'amica: farle il solletico fino a farla implorare fra le risate. «Hai scoperto qualcosa?» «Un bel niente. Ho avuto molto tempo, Moiraine, credimi. Quello stupido cavallo mi ha quasi ammazzata per arrivare fin qui. Il Creatore ha fatto le persone perché camminassero o andassero in barca, non per essere sballottate in giro. Immagino che quella Sahera non fosse la nostra donna, o adesso salteresti come un pesce in primavera. Ho trovato Ines Demain quasi subito, ma non in un luogo nel quale io possa raggiungerla. È vedova di fresco, ma ha un figlio. Lo ha chiamato Rahien perché ha visto sorgere il sole sul Montedrago. Voci di strada. Tutti pensano che sia un motivo
cretino per scegliere un nome.» Moiraine represse un accenno di emozione. Vedere l'alba sulla montagna non significava che il bambino fosse nato sulle sue pendici. Non c'era una sedia o uno sgabello, per cui si accomodò sul bordo del letto, con le braccia attorno alle ginocchia. «Se hai trovato Ines e suo figlio, Siuan, perché non sono raggiungibili?» «La donna si trova nel maledetto palazzo di Aesdaishar, ecco perché.» Siuan poteva ottenere facilmente l'ingresso presentandosi come Aes Sedai o, in caso contrario, solo se al palazzo avessero assunto cameriere. Il palazzo di Aesdaishar. «Ce ne occuperemo domattina» sospirò Moiraine. Significava pericolo, ma se lady Ines era lì, doveva essere interrogata. Nessuna donna che avesse trovato Moiraine aveva visto il Montedrago quando aveva dato alla luce il bambino. «Hai visto qualche segno della... dell'Ajah Nera?» Doveva abituarsi a pronunciare quel nome. Siuan si guardò il grembo e toccò la gonna con lo spacco al centro. «Questa è una strana città, Moiraine» rispose alla fine. «Lampade in strada e donne che combattono in duello, anche se lo negano, e una quantità enorme di voci. Alcune sono interessanti.» Si protese in avanti per appoggiare una mano sul ginocchio dell'amica. «Tutti parlano di un giovane fabbro che è morto con la schiena spezzata un paio di giorni fa. Nessuno si aspettava molto da lui, ma nell'ultimo mese si era messo a parlare tanto. Aveva convinto la sua gilda a prendere soldi dai poveri che venivano in città, spaventati dai banditi, gente senza affiliazione alle gilde o alle casate.» «Siuan, per la Luce, ma cosa...» «Fai silenzio e ascolta, Moiraine. Quell'uomo aveva racimolato molto argento e sembrava che stesse dirigendosi alla casa madre della gilda per depositare sette o otto sacchetti quando è stato ucciso. Lo sciocco aveva tutto il denaro con sé. Il punto è che non gli è stato preso, Moiraine. Su di lui non vi erano segni, a parte la schiena spezzata.» Le donne si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, quindi Moiraine scosse il capo. «Non riesco a collegarlo con Meilyn o Tamra. Un fabbro? Siuan, possiamo impazzire se cominciamo a vedere Sorelle Nere ovunque.» «Possiamo morire anche se pensiamo che non esistano» rispose Siuan. «Be', forse possiamo fare i lucci nelle reti invece che gli scorfani. Ricorda solo che anche i lucci finiscono al mercato del pesce. Cosa hai in mente per questa lady Ines?»
Moiraine le spiegò il suo piano. A Siuan non piaceva e stavolta ci mise quasi tutta la notte a convincerla. Per la verità, Moiraine desiderava quasi che l'amica la convincesse a fare qualcosa di diverso. Ma lady Ines aveva visto l'alba sul Montedrago. Almeno l'Aes Sedai consigliera di Ethenielle era con lei a sud. 24
Usare l'invisibilità Siuan cominciò a parlare di nuovo la mattina seguente, mentre si stavano vestendo. Non le piaceva essere contestata su qualsiasi argomento, in particolare quando pensava di avere ragione. «Non voglio che sia tu a prendere tutto il rischio» borbottò, infilandosi il vestito azzurro. Venne fuori che se ne era portato uno di ricambio, e fu tentata di fare presente che era Moiraine ad averne uno solo. «Non sarà così» rispose Moiraine, reprimendo un sospiro. Avevano discusso quel punto per tutta la notte. «Tu avrai la tua parte. Mi aiuti con questi bottoni?» Siuan la fece voltare prendendola per le spalle quasi rozzamente e sistemò le due file di bottoni di madreperla che scendevano sulla schiena. «Non fare la furba» mugugnò, tirando il vestito con maggior forza del necessario. «Se il tuo piano funziona come dici, nessuno mi noterà. Tu avrai issato tutte le vele e le bandiere al vento. Io dico che deve esserci un modo migliore e adesso ci sediamo e cerchiamo di venirne a capo.» A quel punto Moiraine sospirò. Un orso con il mal di denti sarebbe stato una compagnia migliore. Perfino quel tipo, Lan! Mentre abbottonava il vestito di Siuan cercò di distrarre la donna facendole i complimenti per l'abito e per quanto le stava bene indosso, modellando fianchi e seno. Be', era qualcosa di più che un tentativo di distrarla: voleva ricambiarla! «Attira l'attenzione degli uomini» rispose Siuan. Ridendo! Scosse anche i fianchi! Moiraine pensava che avrebbe trascorso l'intera giornata sospirando.
Quando scesero, con i mantelli ripiegati sottobraccio, la sala comune era quasi piena di mercanti che parlavano facendo colazione, sempre tutte donne. Le due di Kandor, una con tre catene davanti al petto, l'altra con due, mangiavano di corsa ed erano raggianti quasi immaginassero già il giorno proficuo che le aspettava. Altre avevano fatto affari la notte precedente, a quanto sembrava. Una donna magra che indossava un abito grigio scuro osservava la socia paffuta con l'espressione addolorata di qualcuno che fosse stato portato sull'orlo del fallimento. Le tre domanesi spizzicavano dai loro piatti, giocando con il cibo. Vedendo gli occhi tesi e i volti pallidi, Moiraine capì che stavano tutte recuperando dal troppo bere. «Una colazione abbondante e poi possiamo parlare» disse Siuan, camminando in punta di piedi alla ricerca di un tavolo libero. «La colazione qui è buona.» «Panini che possiamo mangiare strada facendo» rispose con fermezza Moiraine, raggiungendo velocemente comare Tolvina, che stava istruendo una cameriera con indosso un grembiule bianco candido bordato di azzurro. Il solo modo di prevalere in una discussione con Siuan era trascinarla. Un solo istante di pausa e si sarebbe verificata la situazione inversa. «Vorremmo ingaggiare due dei tuoi uomini come scorta per alcune ore.» I due che controllavano le porte quella mattina erano diversi da quelli della sera precedente, anche se della stessa immensa corporatura. La donna magra sollevò leggermente le sopracciglia, accentuando la sua espressione di persona che non voleva sentire sciocchezze. Di nuovo senza nessuna riverenza, anche se Moiraine aveva usato il Potere per accertarsi che il vestito apparisse pulito. «Perché? Se vi cacciate in un duello non voglio averci a che fare. Questi duelli sono una sciocchezza e io non vi appoggio. Come minimo mi ritornate piene di tagli sanguinanti. Sono sicura che non avete mai combattuto prima.» Moiraine si morse la lingua. Siuan le aveva spiegato che la locandiera aveva delle regole tutte sue, come chiudere la porta esterna a mezzanotte o non ammettere ospiti maschi nelle stanze, e le faceva rispettare con fermezza, ma non avrebbe parlato in quel modo se avesse saputo che erano Aes Sedai. «Desidero andare in banca» rispose quando si sentì più calma. Farsi buttare fuori dalla stanza non sarebbe stato un disastro, ma di sicuro un inconveniente. Avevano molte cose da fare quel giorno. «Una banca buona e rispettabile. Ne conosci qualcuna nei paraggi?» Come si era aspettata, comare Tolvina ne conosceva una, quella che usava lei e, per quel motivo, era disposta a offrirle due dei suoi 'osservatori',
come li chiamava, svegliati mentre erano ancora nelle loro camere sopra le stalle - per una cifra che, Moiraine era certa, aveva raddoppiato il loro appannaggio giornaliero. Moiraine pagò in anticipo. Obiettare sarebbe stato solo uno spreco di tempo e forse avrebbe fatto salire il prezzo. Ailene Tolvina non sembrava una donna disposta a negoziare. Presto lei e Siuan si ritrovarono sedute una di fronte all'altra in una portantina trasportata da quattro uomini molto magri che non sembravano abbastanza forti da sopportarne il peso, anche se si mossero con disinvoltura fra la folla, con maggiore agilità della coppia di uomini che le scortavano armati di due lunghi manganelli bardati in ottone. «Non funzionerà» mormorò Siuan mentre addentava un grosso panino. «Se pensi che abbiamo bisogno di altro denaro va bene, ma stai esagerando. Che io sia folgorata, questo tuo piano non funzionerà mai. Ci prenderanno subito. Probabilmente manderanno a chiamare una Sorella. Se non ce n'è già una. Te lo ripeto, dobbiamo trovare un altro sistema.» Moiraine fece finta di essere impegnata a mangiare il panino ancora caldo per non rispondere. Inoltre aveva veramente fame. Se incontravano un'altra Aes Sedai... era un baratro che dovevano affrontare una volta che vi fossero incappate. Si disse che lo stomaco sottosopra era dovuto alla fame, non alla paura. Ma era palesemente una bugia. Il suo piano doveva funzionare. Non avevano altra scelta. Come a Tar Valon, la banca somigliava a un piccolo palazzo, e brillava alla luce del mattino come gli edifici più in alto sulla montagna, con le mattonelle dorate su tutte le pareti e le alte cupole bianche. Il portiere che si inchinò al loro arrivo indossava una livrea rosso scuro ricamata sui polsini con delle api d'argento e i lacchè avevano corte giubbe nere e brache attillate. L'abito di Moiraine con le fasce colorate che rappresentavano la nobiltà Cairhienese fu sufficiente a farla parlare con la banchiere in persona anziché con un subalterno, in una stanza tranquilla con le pareti rivestite di pannelli di legno, le lampade da terra argentate e i mobili con delle dorature leggere. Kamile Noallin era una donna graziosa, snella, di mezza età, i capelli grigi acconciati in quattro trecce e gli occhi severi e inquisitori. Kandor era lontana da Cairhien e anche da Tar Valon. La donna si fece portare una lente di ingrandimento per studiare la firma e il sigillo di Ilain Dormaile in calce alla lettera dei diritti di Moiraine. La lettera fortunatamente aveva subito danni modesti dal tuffo nello stagno. Non era la più ricca fra quelle che aveva con sé, eppure ottenne una bella quantità d'oro divisa in dieci sacchetti di pelle disposti sulla scrivania della banchiera,
anche dopo la commissione elevata che la banca si era trattenuta. «Mi auguro che tu abbia delle guardie del corpo» mormorò comare Noallin educatamente. Quantità elevate di oro facevano diventare tutti educati. «Chachin è talmente immorale che due donne non sono al sicuro in piena luce del giorno?» chiese Moiraine con freddezza. Una lente d'ingrandimento! «Credo che qui abbiamo finito.» Una coppia di lacchè molto grossi trasportarono fuori il denaro e lo sistemarono dentro la portantina, sembrando sollevati alla vista dei due 'osservatori' di comare Tolvina con i loro manganelli. I portatori sollevarono il peso aggiuntivo senza sforzo apparente. «Perfino quel fabbro deve aver barcollato, carico come un mulo» mormorò Siuan, toccando i sacchetti con la punta del piede. «Chi può avergli spezzato la schiena a quel modo? Interiora di pesce! Qualsiasi sia il motivo, Moiraine, deve essere stata l'Ajah Nera.» I portatori potevano sentire con chiarezza, ma continuarono a correre senza barcollare, ignoranti del significato della parola Ajah Nera: forse non sapevano nemmeno cosa fosse un'Ajah. D'altro canto una donna dall'aria imponente che passava vicino a loro con dei pettinini d'avorio fra i capelli sobbalzò, quindi sollevò la gonna alle ginocchia e andò via di corsa, lasciandosi alle spalle le due cameriere, che dovettero correrle appresso a bocca aperta. Moiraine guardò Siuan con aria di rimprovero. Non potevano contare sull'ignoranza degli altri. Siuan arrossi, ma gli occhi azzurri avevano un'espressione di sfida. La stella del vespro aveva una piccola sala dove i mercanti potevano conservare il loro denaro al sicuro se non avevano una cassetta di sicurezza nella loro camera, ma lasciare quasi tutto l'oro in quel posto non valse a Moiraine le riverenze di comare Tolvina, neanche dopo che le ebbe dato una corona d'oro per il disturbo. Senza dubbio aveva visto fin troppe mercanti perdere tutto per essere impressionata dalla temporanea fortuna di qualcuno. «La sarta migliore di Chachin è Silene Dorelmin,» rispose alla domanda di Moiraine «ma è molto cara, almeno ho sentito dire. Molto cara.» Moiraine riprese uno dei sacchetti, anche se le pesava appeso alla cintura. Quel fabbro doveva davvero aver barcollato! No, Siuan stava vedendo lucciole per lanterne, ecco tutto. Silene era una donna magra e arrogante con la voce fredda, e indossava
un abito azzurro brillante con la scollatura molto profonda. L'abito sfiorava appena le spalle! Moiraine non si preoccupò di essere infilata in quel tipo di vestito. Aveva intenzione di violare quasi ogni regola di decoro fra una donna e la sua sarta. Tollerò che le venissero prese le misure, visto che non aveva modo di accelerare la pratica, ma Silene scelse i tessuti e i colori in un battito di ciglia. Per un momento sembrò volesse rifiutarsi di cucire l'abito di cui aveva bisogno Siuan, ma Moiraine le disse con calma che avrebbe pagato il doppio del normale. Gli occhi della donna divennero due fessure, ma annui. Moiraine sapeva che avrebbe ottenuto quello che voleva. Almeno lì. «Li voglio domani» disse. «Metti tutte le tue sarte al lavoro.» A quella richiesta non socchiuse gli occhi, al contrario li sgranò, furiosa. La voce divenne fredda. «Impossibile. Forse per la fine del mese. Forse dopo. Se riesco a trovare il tempo. Molte dame hanno ordinato degli abiti nuovi. E re del Malkier è in visita al palazzo di Aesdaishar.» «L'ultimo re del Malkier è morto venticinque anni fa, Silene.» Prendendo il sacchetto di denaro Moiraine lo svuotò sul tavolo della sala delle misure, mettendo da parte trenta corone d'oro. Stava ordinando qualcosa di più di un vestito ma, mentre la seta era costosa come a Tar Valon, il servizio era molto meno caro, ed era quella la spesa più rilevante per un abito su misura. Silene guardò le monete con cupidigia e gli occhi le brillarono quando Moiraine le disse che avrebbe preso altrettanto una volta finito il lavoro. «Tratterrò sei monete dalla seconda rata per ogni giorno di ritardo.» Improvvisamente sembrò che l'abito potesse essere finito prima di un mese. Molto prima. «Dovresti farti fare un abito come quello che indossava quella sgualdrina rinsecchita» disse Siuan mentre risalivano sulla portantina. «Pronto a cadere. Tanto vale che ti godi l'attenzione dei maschi se vuoi mettere la tua stupida testa sul ceppo del boia.» Moiraine fece un esercizio da novizia, si immaginò di essere un bocciolo di rosa che si dischiudeva al sole. Grazie al cielo la fece calmare, anche se cercare di mantenere la calma stando vicino a Siuan poteva dimostrarsi difficile. Si sarebbe spezzata un dente se avesse continuato a digrignarli. «Non abbiamo un altro sistema, Siuan.» La giornata era già molto avanti e avevano ancora parecchie cose da fare. «Credi che comare Tolvina ci darà uno dei suoi uomini per più di qualche ora?» Il re del Malkier? Luce! La donna doveva averle prese per delle stupide!
A metà mattinata, dopo due giorni dall'arrivo di Moiraine a Chachin, una carrozza laccata di giallo dietro a un tiro di quattro cavalli grigi condotto da un tipo con le spalle taurine si fermò davanti al palazzo di Aesdaishar, con due giumente legate dietro, una baia con il collo elegante e una grigia dinoccolata. Lady Moiraine Damodred, le fasce di colore che andavano dal collo alto dell'abito blu scuro fino a sotto le ginocchia, fu ricevuta con tutti gli onori da un servitore di alto lignaggio con delle chiavi d'argento ricamate dietro il Cavallo Rosso sulla spalla. Se non il suo, il nome della casata Damodred era certamente noto, e con Laman morto qualunque Damodred sarebbe potuto ascendere al trono del Sole, se non lo avesse occupato un'altra casata. Non sapevano quanto Moiraine lo sperasse. Le vennero offerte delle belle stanze, tre camere spaziose con arazzi di seta davanti alle pareti decorate con motivi floreali incisi sul legno e un balcone con la balaustra di marmo che si affacciava a nord sopra la città, verso i picchi coperti di neve. Le vennero anche assegnati dei servitori, due cameriere e un ragazzo per le consegne che si affrettò a disfare le ceste della lady e a versare oli essenziali per il bagno all'aroma di rose. Nessuno a parte i servitori degnò di un'occhiata Suki, la cameriera personale di lady Moiraine. «Va bene» mormorò Siuan quando i servitori alla fine se ne andarono lasciandole da sole nel soggiorno. «Ammetto di essere invisibile.» L'abito grigio scuro era di lana buona, semplice a parte il colletto e i polsini, decorati con le bande di colore della casata Damodred. «Tu però spicchi come un gran signore che si trascini appresso un cinghiale. Luce, stavo per ingoiarmi la lingua quando hai chiesto se c'erano Sorelle a palazzo. Sono talmente nervosa che comincio a sentirmi la testa vuota. Faccio fatica anche a respirare.» «È l'altitudine» le rispose Moiraine. «Ti ci abituerai. Qualsiasi visitatore avrebbe chiesto delle Aes Sedai; come hai visto i servitori non hanno battuto ciglio.» Aveva comunque trattenuto il fiato fino a quando non le avevano risposto. Una Sorella avrebbe cambiato tutto. «Non so perché devo continuare a dirtelo. Un palazzo reale non è una locanda. 'Puoi chiamarmi lady Alys' qui non funziona. È un fatto, non un'opinione. Devo essere me stessa. Suggerirei che tu faccia uso di quell'invisibilità e veda se riesci a scoprire qualcosa su lady Ines. Mi farebbe piacere andare via al più presto.» Magari l'indomani, senza offendere nessuno e scatenare delle chiacchiere. Siuan aveva ragione. Ogni occhio nel palazzo si sarebbe concentrato
sulla nobile forestiera della casata che aveva dato il via alla Guerra Aiel. Ogni Aes Sedai che si fosse recata a Aesdaishar ne avrebbe sentito parlare immediatamente, e ogni Aes Sedai che passava da Chachin poteva recarsi al palazzo. Se Gorthanes la stava ancora cercando, le voci sulla presenza di Moiraine Damodred al palazzo di Aesdaishar lo avrebbero raggiunto fin troppo presto. Nella sua esperienza i palazzi erano più ricchi di assassini che le strade. Siuan aveva ragione; si era messa su un piedistallo e faceva da bersaglio, senza idea di chi potesse essere l'arciere. Domani mattina presto avrebbero dovuto andarsene. Siuan uscì, ma fece ritorno quasi subito con delle cattive notizie. Lady Ines si trovava in ritiro, in lutto per il marito. «È morto durante la colazione dieci giorni fa» raccontò, accasciandosi su una sedia, le braccia penzoloni. Le lezioni di contegno erano qualcosa che aveva dimenticato dopo aver ottenuto lo scialle. «Un uomo molto più anziano, ma sembra che lo amasse. Le hanno dato dieci stanze e un giardino sul lato sud del palazzo; suo marito era un amico intimo del principe Brys.» Ines sarebbe rimasta da sola per tutto un mese, non vedendo nessuno se non i familiari stretti. I suoi servitori lasciavano le stanze solo quando era strettamente necessario. «La visita di un'Aes Sedai la accetterà» sospirò Moiraine. Nemmeno una donna in lutto avrebbe rifiutato di vedere una Sorella. Siuan balzò in piedi. «Sei impazzita? Lady Moiraine Damodred attira già abbastanza attenzione. Moiraine Damodred Aes Sedai potrebbe far partire dei messaggeri per ogni angolo della Terra! Pensavo che l'idea fosse di andare via prima che chiunque altro fuori del palazzo scoprisse che siamo qui!» Una delle cameriere, una donna grassoccia con i capelli grigi di nome Aiko, entrò in quel momento, per annunciare che la shatayan era arrivata per scortare lady Moiraine dal principe Brys, e fu chiaramente stupita di trovare Suki in piedi che puntava un dito contro la sua padrona. «Riferisci alla shatayan che arrivo subito» rispose Moiraine con calma, e non appena la donna con gli occhi sgranati ebbe lasciato la stanza, si alzò per mettersi allo stesso livello di Siuan, cosa difficile anche quando si aveva il massimo vantaggio. «Cos'altro suggerisci? Rimanere per due settimane fino a quando deciderà di uscire è altrettanto pericoloso, e non puoi certo farti amici i servitori, se sono in ritiro con lei.» «Forse. Escono solo per le commissioni, ma penso che potrei farmi invitare nelle loro stanze.» Moiraine stava per dire che forse ci sarebbe voluto troppo tempo, ma
Siuan la prese per le spalle con fermezza e la fece voltare, guardandola dall'alto in basso con occhio critico. «La cameriera di una lady deve accertarsi che la sua padrona sia vestita come si deve» disse, spingendo Moiraine verso la porta. «Vai dalla shatayan che ti aspetta. Con un po' di fortuna, un giovane lacchè di nome Cal sta aspettando Suki.» 25
Una risposta La shatayan che aspettava Moiraine era una donna alta e di bell'aspetto, avvolta nella sua dignità e molto fredda per via dell'attesa. Quegli occhi nocciola avrebbero ghiacciato il vino. Ogni regina che si inimicava una shatayan era una sciocca, per cui Moiraine si rese gradevole mentre la donna la accompagnava per i corridoi. Le sembrava di aver fatto qualche progresso nello sciogliere il gelo, ma era difficile concentrarsi. Un giovane lacchè? Non sapeva se Siuan fosse mai stata con un uomo, ma di certo non lo avrebbe fatto solo per arrivare nelle stanze di lady Ines! Non con un lacchè! I corridoi erano decorati da statue e arazzi, fatto molto sorprendente date le sue conoscenze delle Marche di Confine. Statue di marmo che rappresentavano donne con dei fiori o bambini che giocavano, arazzi di seta che rappresentavano fiori e campi, con dei nobili in giardino e solo alcune scene di caccia, senza nemmeno una battaglia. A intervalli regolari si vedevano delle finestre che si affacciavano su più giardini di quanti se ne aspettasse, cortili lastricati, alcuni con fontane di marmo. In uno di questi vide qualcosa che rimosse gli interrogativi su Siuan e il lacchè. Era un cortile semplice, senza fontane o passeggiate affiancate da colonne, e gli uomini erano in piedi, disposti in file lungo le pareti, mentre ne osservavano altri due nudi fino alla cintola che combattevano con delle spade di legno da allenamento. Ryne e Bukama. Era un combattimento, anche se per esercitazione; i colpi erano abbastanza forti perché lei potesse sentirne il rumore. Tutti assestati da Ryne.
Doveva evitarli, come anche Lan, se si trovava a palazzo. Non si era preso il disturbo di nascondere i propri dubbi e poteva rivolgere domande che lei non avrebbe gradito. Si chiamava Moiraine o Alys? Peggio ancora, era un'Aes Sedai o una selvatica che faceva finta? Interrogativi che sarebbero stati discussi nelle strade entro la notte successiva, alla portata dell'orecchio di ogni Sorella, e l'ultimo in particolare era di quelli su cui qualsiasi Aes Sedai avrebbe investigato. Fortunatamente tre soldati erranti difficilmente si sarebbero trovati nei luoghi che avrebbe frequentato lei. Il principe Brys, un uomo robusto con gli occhi verdi, le diede un caloroso benvenuto in una grande stanza con i pannelli rossi e oro. Due delle sorelle sposate del principe erano presenti con i loro mariti, e una delle sorelle di Ethenielle con il suo consorte. Gli uomini indossavano seta dai colori smorti, le donne tinte brillanti su abiti a vita alta incrociati davanti al seno e ricamati lungo le maniche e sull'orlo della gonna. Uomini in livrea le offrirono caramelle e noci. Moiraine pensava che le sarebbe venuto il torcicollo a furia di guardare in alto. La donna più bassa era più alta di Siuan e stavano tutti in posizione eretta. Per una Sorella avrebbero piegato leggermente il collo, uomini e donne, ma credevano di essere allo stesso livello di lady Moiraine. I discorsi variavano dall'arte al miglior musicista fra i nobili a corte, dai rigori dei viaggi all'opportunità o meno di credere alle voci che parlavano di un uomo in grado di incanalare o al perché tante Aes Sedai fossero in giro. Moiraine trovò difficile mantenere un contegno disinvolto. Le importava poco della musica e meno ancora di chiunque suonasse uno strumento: a Cairhien i musicisti venivano assunti e dimenticati in un angolo. Tutti sapevano che viaggiare era pesante, senza la garanzia di trovare dei letti o del cibo decente alla fine della giornata, e per non parlare di quando era brutto tempo. Ovviamente alcune delle Sorelle erano in giro per via di tutte quelle voci su un uomo che incanalava e altre per riallacciare legami che potevano essersi indeboliti con la Guerra Aiel, per accertarsi che troni e casate capissero che dovevano ancora soddisfare le aspettative della Torre, sia in pubblico che in privato. Se un'Aes Sedai non si era ancora recata ad Aesdaishar, presto lo avrebbe fatto, motivo più che valido per tenersi lontana dalle chiacchiere oziose. E lo stesso valeva per l'altro motivo che aveva spinto le Sorelle in giro. Gli uomini si erano adattati facilmente alla sua presenza, ma immaginò che le donne la trovassero particolarmente tediosa. Quando entrarono i figli di Brys, Moiraine provò un gran sollievo. Il fatto che le presentassero i bambini era un segno di accettazione e inoltre se-
gnava la fine dell'udienza. Il più grande, Antol, si trovava a sud con Ethenielle in qualità di suo erede: rimanevano quindi una graziosa bambina dagli occhi verdi di dodici anni, di nome Jarene, e quattro fratelli, formalmente disposti in ordine di età, anche se i due più giovani indossavano ancora le vestine ed erano in braccio alle balie. Nascondendo l'impazienza di sapere cosa avesse scoperto Siuan, Moiraine fece i complimenti ai bambini per il loro comportamento e li incoraggiò per le loro lezioni. Dovevano crederla noiosa, proprio come gli adulti. Poco meno che insignificante. «Come ti sei procurato questi lividi, lord Diryk?» chiese, senza ascoltare la risposta del bambino che le riferiva di una specie di caduta, fino a quando... «Mio padre dice che la fortuna di Lan mi ha salvato la vita, mia signora» rispose Diryk, soddisfatto del proprio tono formale. «Lan è il re del Malkier e l'uomo più fortunato del mondo, anche il miglior spadaccino. A parte mio padre, ovviamente.» «Il re del Malkier?» ripeté Moiraine battendo le palpebre. Diryk annui con vigore e iniziò a spiegare con un fiume di parole le escursioni di Lan nella Macchia e i Malkieri che erano giunti ad Aesdaishar per seguirlo, fino a quando il padre non gli fece cenno di tacere. «Lan è re se lo desidera, mia signora» disse Brys. Una cosa molto insolita da dire, e il tono dubbioso la rendeva anche più strana. «Rimane troppo nelle sue stanze,» e anche questo sembrava preoccupare il principe «ma lo incontrerai prima di... mia signora, ti senti bene?» «Non molto» rispose Moiraine. Aveva sperato di incontrare di nuovo Lan Mandragoran, lo aveva pianificato, ma non lì! Lo stomaco stava tentando di annodarsi. «Forse anche io resterò nelle mie stanze per alcuni giorni, se vuoi perdonarmi.» Lo avrebbe fatto: tutti erano dispiaciuti di dover rinunciare alla sua compagnia ma capivano la stanchezza che il viaggio le aveva provocato. Aveva anche sentito una delle donne mormorare che le meridionali dovevano essere particolarmente delicate. Una giovane dai capelli chiari che indossava un abito verde e rosso aspettava Moiraine per riaccompagnarla alle sue stanze. Elis le rivolgeva la riverenza ogni volta che parlava, e all'inizio lo aveva dovuto fare spesso. L'avevano messa al corrente della 'debolezza' di Moiraine, e ogni venti passi le chiedeva se desiderava sedersi per riprender fiato, o se voleva un panno fresco per tamponarsi la fronte, o mattoni caldi per i piedi, sali da inalare, o un'altra dozzina di cure per la 'testa leggera', fino a quando Moi-
raine non le disse bruscamente di fare silenzio. Non le importava se la donna si era offesa. Tutto quello che voleva in quel momento era trovare Siuan con delle buone notizie. Con il bambino fra le braccia, nato sul Montedrago, e la madre pronta ad andare via. Sarebbe stato il massimo. Più di ogni altra cosa, però, voleva lasciare il corridoio prima di incontrare Lan Mandragoran. Preoccupata alla sola idea, svoltò l'angolo seguendo la cameriera e si ritrovò faccia a faccia con Merean, lo scialle con le frange azzurre adagiato sulle braccia. Alle spalle della Sorella dal volto materno c'era una fila di inservienti, una donna che portava i guanti rossi da cavallo, un'altra con il mantello foderato di pelliccia, una terza con il cappello di velluto. Una coppia di uomini trasportava una cesta di vimini che avrebbe potuto essere tranquillamente sostenuta da uno solo, e altri avevano mazzi di fiori fra le braccia. Un'Aes Sedai riceveva più onori di una semplice dama, anche se quest'ultima apparteneva a una casata importante. Merean socchiuse gli occhi alla vista di Moiraine. «È una sorpresa vederti qui» disse lentamente. «Con quel vestito immagino tu abbia deciso di rinunciare alla tua copertura. No, ancora niente anello.» Moiraine era talmente stupita all'apparizione improvvisa della donna che non aveva quasi sentito cosa le diceva. «Sei da sola?» chiese. Per un momento gli occhi di Merean divennero fessure. «Larelle ha deciso di procedere per conto proprio, verso sud credo. Altro non so.» «Mi riferivo a Cadsuane» rispose Moiraine, battendo le palpebre sorpresa. Più ci pensava, più si era convinta che apparteneva all'Ajah nera. La sorpresa era stata Larelle. All'epoca era sembrata determinata a raggiungere Chachin e senza alcun indugio. Certo, i piani potevano essere modificati, ma improvvisamente Moiraine si accorse di qualcosa che avrebbe dovuto essere ovvia. Le Sorelle Nere potevano mentire. Era impossibile - i Tre Giuramenti non potevano essere spezzati! - ma succedeva. Merean si avvicinò a Moiraine e quando questa fece un passo indietro, la seguì. Moiraine era rimasta in posizione eretta, ma ancora non superava il mento dell'altra donna. «Sei così impaziente di vedere Cadsuane?» chiese guardandola dall'alto in basso. La voce era gradevole, il volto rassicurante, ma gli occhi erano freddi come acciaio. «L'ultima volta che l'ho vista mi ha detto che se ti avesse incontrata di nuovo ti avrebbe sculacciata fino a renderti impossibile sederti per una settimana. Lo farà.» Guardando improvvisamente i servitori, sembrò accorgersi per la prima volta che non era sola. «Cadsuane aveva ragione, sai. Una giovane donna
che pensa di sapere più di quello che sa può ritrovarsi in guai molto grossi. Ti suggerisco di restare calma e tranquilla fino a quando potremo parlare.» Il gesto che rivolse alla shatayan perché procedesse fu perentorio, e la dorma dignitosa scattò obbediente. Un re o una regina potevano ritrovarsi nelle cattive grazie di una shatayan, ma non un'Aes Sedai. Moiraine rimase a guardare Merean fino a quando scomparve dietro l'angolo in fondo al corridoio. Tutto quello che le aveva appena detto poteva provenire da una delle prescelte di Tamra. Le Sorelle Nere potevano mentire. Che Larelle avesse cambiato idea riguardo Chachin? O forse era morta, abbandonata da qualche parte, come Tamra e le altre? Si accorse improvvisamente di star lisciando il suo vestito. Bloccare le mani fu semplice, ma non riuscì a smettere di tremare. Elis la fissava con gli occhi sgranati. «Anche tu sei un'Aes Sedai!» gridò la donna, quindi saltò, scambiando il sussulto di Moiraine per un'occhiataccia. «Devi essere in incognito» disse senza fiato. «Non dirò una parola a nessuno, Aes Sedai. Lo giuro sulla Luce e sulla tomba di mio padre!» Come se ogni persona alle spalle di Merean non avesse sentito tutto, proprio come lei. Non avrebbero tenuto a freno le lingue. «Accompagnami da Lan Mandragoran» le ordinò Moiraine. Ciò che era vero all'alba poteva non esserlo più al tramonto, e lo stesso valeva per quanto era necessario fare. Prese l'anello con il Gran Serpente dal sacchetto di pelle e lo mise alla mano destra. A volte bisognava correre dei rischi. Dopo una lunga camminata, fortunatamente in silenzio, Elis bussò a una porta rossa, annunciando alla donna con i capelli grigi che aveva aperto che lady Moiraine Damodred Aes Sedai desiderava parlare con re al'Lan Mandragoran. La donna aveva aggiunto un tocco personale a quanto le aveva detto Moiraine. Re, davvero! La risposta scioccante fu che lord Mandragoran non desiderava parlare con nessuna Aes Sedai. La donna con i capelli grigi sembrava scandalizzata, ma chiuse la porta con fermezza. Elis la fissò a occhi sgranati. «Adesso posso accompagnare la mia signora Aes Sedai alla sua camera» disse incerta. «Se...» gridò quando Moiraine apri la porta ed entrò. La cameriera con i capelli grigi e quella giovane, apparentemente impegnate a cucire le camicie, balzarono in piedi. Un ragazzino ossuto si alzò dalla sua postazione vicino al camino, osservando le donne, in attesa di istruzioni. Le due fissarono semplicemente Moiraine fino a quando lei non sollevò un sopracciglio con fare interrogativo. A quel punto la donna con i capelli grigi indicò verso una delle due entrate degli appartamenti.
La porta indicata si apriva su un soggiorno simile a quello di Moiraine, ma tutte le sedie dorate erano state spostate contro le pareti e il tappeto con i motivi floreali arrotolato. Senza camicia, Lan si esercitava con la spada nello spazio che si era creato. Un piccolo medaglione d'oro pendeva al collo dell'uomo mentre si muoveva: la spada era veloce ed era coperto di sudore. Le ferite che lei aveva guarito erano adesso rimpiazzate da... graffi di qualche animale selvatico? O forse i segni lasciati da una donna. Era possibile che quell'uomo ispirasse una tale passione in una donna al punto che... Sentì che le guance arrossivano all'immagine che le venne in mente. Che prendesse tutte le donne che gradiva, fino a quando avesse obbedito ai suoi ordini. L'uomo si voltò con grazia abbandonando le figure di scherma, e appoggiò la punta della spada sulle mattonelle del pavimento. Non la guardò negli occhi, con quel modo strano di fare che avevano lui e Bukama. I capelli erano umidi, appiccicati al viso malgrado il laccio di cuoio, ma non era affannato. «Tu» gridò. «Allora sei Aes Sedai e Damodred, oggi. Non ho tempo per i tuoi giochi, Cairhienese. Aspetto qualcuno.» I freddi occhi azzurri scattarono verso la porta alle sue spalle. Uno strano oggetto che sembrava una corda intrecciata di capelli era legato attorno alla maniglia con un nodo elaborato. «Non sarà compiaciuta di trovare un'altra donna qui.» «La tua lady amante non ha nulla da temere da me» rispose asciutta Moiraine. «Per prima cosa sei troppo alto, e poi preferisco uomini con un minimo di fascino. E buone maniere. Sono venuta a chiedere il tuo aiuto. Esisteva un giuramento, e vale fin dalla Guerra dei Cento Anni. I Malkieri avrebbero cavalcato al richiamo della Torre Bianca. Io sono un'Aes Sedai e ti chiamo!» «Sai che le colline sono alte, ma non come sono disposte» mormorò Lan come se stesse enunciando qualche proverbio Malkieri. Allontanandosi da lei afferrò la custodia e rinfoderò la spada con forza. «Ti aiuterò se rispondi a una domanda. L'ho rivolta a tutte le Aes Sedai nel corso degli anni, ma la evitano ritirandosi come vipere. Se sei Aes Sedai, rispondimi.» «Se sono in grado, lo farò.» Non gli avrebbe detto di nuovo che lei era quel che era, ma abbracciò saidar e prese una sedia dorata facendola fluttuare a mezz'aria. Con le mani non avrebbe potuto sollevarla, ma oscillava lieve sul flusso di Aria e lo avrebbe fatto anche se fosse pesata il doppio. Una volta seduta appoggiò le mani sulle ginocchia, lasciando bene in vista l'anello con il serpente d'oro. Una persona alta ha un vantaggio quando il
suo interlocutore è in piedi, ma finirà col provare la sensazione di essere giudicata se l'interlocutore è seduto, specialmente se quest'ultimo è un'Aes Sedai. Non sembrava che quell'uomo provasse nulla di simile. Per la prima volta da quando lo aveva incontrato, la guardò dritto negli occhi, e lo sguardo era ghiaccio azzurro. «Quando il Malkier è morto,» raccontò Lan in tono pacato «lo Shienar e Arafel inviarono degli uomini. Non potevano fermare il fiume di Trolloc e Myrddraal, ma vennero in ogni caso. Uomini giunsero da Kandor e anche dalla Saldea. Arrivarono troppo tardi, ma arrivarono.» Il ghiaccio azzurro divenne fuoco. La voce non cambiò, ma le nocche delle mani erano bianche per la forza con cui stringeva la spada. «Per novecento anni abbiamo cavalcato quando la Torre Bianca chiamava, ma dov'era la Torre quando il Malkier ha chiamato? Se tu sei un'Aes Sedai, rispondimi!» Moiraine esitò. La risposta che voleva Lan era sigillata a Tar Valon, insegnata alle Ammesse nelle lezioni di storia e vietata a chiunque non fosse un'iniziata della Torre, ma in fondo cosa sarebbe stata un'altra punizione con tutto quello che già l'aspettava? «A più di cento Sorelle era stato ordinato di andare nel Malkier» iniziò con maggiore calma di quanta ne provasse. Secondo tutto quello che le era stato insegnato, avrebbe dovuto essere lei stessa a invocare una punizione, solo per quanto gli aveva già detto. «Ma nemmeno le Aes Sedai possono volare. Sono arrivate troppo tardi.» Quando arrivarono le prime, gli eserciti del Malkier erano già stati dispersi da orde infinite di progenie dell'Ombra, e la gente era in fuga o morta. La fine del Malkier era stata dura e veloce. Un bagno di sangue. «È successo prima della mia nascita ma lo rimpiango fortemente. E rimpiango il fatto che la Torre abbia deciso di mantenere segreto il suo sforzo.» Era meglio lasciar credere che le Aes Sedai non avessero fatto nulla piuttosto che far sapere che avevano provato e fallito. Il fallimento era un duro colpo e il mistero un'armatura di cui la Torre aveva bisogno. Le Aes Sedai avevano le loro ragioni per intervenire come per decidere di non farlo, e queste erano note solo alle Aes Sedai. «È tutto ciò che posso dirti. Più di quanto avrei dovuto, più di quanto chiunque altra farà mai, credo. Ti basta?» Per un po' l'uomo restò a fissarla: il fuoco stava di nuovo trasformandosi in ghiaccio. Distolse lo sguardo. «Quasi: ti credo, almeno in parte» mormorò alla fine, senza spiegarsi meglio. Rise amareggiato. «Come posso aiutarti?» Moiraine aggrottò le sopracciglia. Voleva trascorrere del tempo da sola
con lui, per addestrarlo, ma doveva aspettare. Sperava davvero che non fosse un Amico delle Tenebre. «C'è un'altra Sorella nel palazzo. Merean Redhill. Devo sapere dove si reca, cosa fa e chi incontra.» L'uomo batté le palpebre, ma non le rivolse la domanda che sarebbe stata ovvia. Forse sapeva che non avrebbe ricevuto risposta, ma il suo silenzio era gradevole. «Sono rimasto in camera mia nei giorni scorsi» le rispose, guardando di nuovo la porta. «Non so quanto posso tenere d'occhio questa donna.» Pur non volendo, Moiraine tirò su con il naso. L'uomo aveva promesso di aiutarla, ma sembrava attendere con ansia l'arrivo della sua donna. Forse non era quello che aveva sperato di trovare. Ma era tutto ciò che aveva. «Non tu» gli disse. La sua visita sarebbe presto stata nota a tutto Aesdaishar, se non lo era già, e se lo avessero notato mentre spiava Merean... Sarebbe stato un disastro anche se la donna fosse stata innocente come un neonato. «Pensavo potessi chiedere a uno dei Malkieri che, mi sembra di aver capito, si sono riuniti per seguirti. Qualcuno con l'occhio fine e la bocca chiusa. Deve essere fatto nella massima segretezza.» «Nessuno mi segue» le rispose duro. Lanciando un'occhiata alla porta, sembrò improvvisamente stanco. Non si accasciò, ma si diresse verso il camino e vi appoggiò la spada con la cautela di un uomo sfinito. Dandole le spalle, disse: «Lo chiederò a Bukama e Ryne, ma non posso promettere per loro. È tutto quello che posso fare per te.» Moiraine represse un brontolio irritato. Che fosse o meno tutto ciò che poteva fare, non aveva modo di costringerlo. «Bukama» rispose infine. «Solo lui.» Per come si era comportato con lei, Ryne sarebbe stato troppo impegnato a guardare Merean a bocca aperta per notare qualcos'altro. Se non avesse addirittura confessato cosa stava facendo nel preciso istante in cui la donna lo avesse notato. «E non dirgli perché.» L'uomo si voltò di scatto, ma dopo un momento annui. Di nuovo non le fece la domanda ovvia che molti le avrebbero rivolto. Moiraine gli spiegò come avrebbe avuto sue notizie, attraverso dei messaggi che gli sarebbero stati portati da Suki, e dentro di sé pregò di non star commettendo un grave errore. Una volta giunta nelle sue stanze, scoprì con quanta velocità si fosse sparsa la voce. Nel soggiorno Siuan stava offrendo delle caramelle a una giovane donna alta che indossava un abito di seta verde chiaro, poco più di una ragazza, con dei capelli neri che le scendevano sotto i fianchi e un piccolo punto blu dipinto sulla fronte, pressappoco all'altezza della pietra azzurra della kesiera di Moiraine. Il volto di Siuan era inespressivo, ma la
voce era tesa quando la presentò. Lady Iselle le dimostrò subito il perché. «Tutti nel palazzo dicono che sei un'Aes Sedai» disse, guardando dubbiosa Moiraine. Non si alzò e non le rivolse la riverenza, né un cenno del capo. «Se è vero, ho bisogno della tua assistenza. Desidero recarmi alla Torre Bianca. Mia madre vuole farmi sposare. Non mi dispiacerebbe avere Lan come mio carneira, se non fosse già quello di mia madre, ma se dovessi sposarmi, credo che sarebbe con uno dei miei Custodi. Voglio prendere l'Ajah Verde.» Aggrottò leggermente le sopracciglia guardando Siuan. «Non ciondolare, ragazza. Rimani li fino a quando avremo bisogno di te.» Siuan andò vicino al camino, con la schiena rigida e le braccia conserte sotto il seno. Nessuna vera cameriera avrebbe assunto una simile posizione - o aggrottato le sopracciglia a quel modo - ma Iselle non le prestava più attenzione. «Siedi, Moiraine,» prosegui con un sorriso «e ti dirò cosa mi serve da te. Se sei davvero un'Aes Sedai, ovviamente.» Moiraine la fissò. Invitata a sedersi nel proprio soggiorno. Quella sciocca ragazzina reggeva il confronto con Lan in fatto di arroganza. Il suo carneira? Significava 'primo' nella lingua antica, e ovviamente qualcos'altro in quel caso. Di certo, non quel che sembrava: perfino i Malkieri non potevano essere strani fino a quel punto! Sedendosi disse asciutta: «Prima di scegliere l'Ajah dovresti attendere almeno che io ti esamini per vedere se ha senso mandarti alla Torre. Basteranno pochi minuti per determinare se puoi imparare a incanalare e valutare la tua forza potenziale...» La ragazza la interruppe in tono allegro.«Oh, ho fatto l'esame alcuni anni fa. L'Aes Sedai aveva detto che sarei diventata molto forte. Dichiarai di avere quindici anni, ma lei scoprì la verità. Non vedo perché non potessi recarmi alla torre a dodici, se volevo. Mia madre era furiosa. Ha sempre detto che sarei diventata regina del Malkier un giorno, ma per farlo dovrei sposare Lan, e non vorrei farlo nemmeno se mia madre non fosse la sua carneira. Quando le dirai che mi porti alla Torre, dovrà ascoltare. Tutti sanno che le Aes Sedai prendono le donne che vogliono per l'addestramento e nessuno può fermarle.» Si umettò le labbra carnose. «Tu sei un'Aes Sedai, vero?» Moiraine esegui l'esercizio del bocciolo di rosa. «Se vuoi andare a Tar Valon, allora vai. Io non ho tempo di accompagnarti. Lì troverai delle Sorelle sulle quali non potrai avere dubbi. Suki, vuoi mostrare l'uscita a lady Iselle? Senza dubbio non desidera ritardare la partenza prima che la madre la prenda.» La ragazzina era indignatissima, ma Moiraine voleva solo vederla spari-
re e Siuan la spinse quasi fuori nel corridoio, mentre protestava a ogni passo. Moiraine sentì che l'amica abbracciava la Fonte, e le proteste si interruppero con un grido. «Quella» disse Siuan mentre rientrava strofinandosi le mani «non durerà un mese, anche se fosse forte come Cadsuane.» «Sierin in persona potrebbe lanciarla dalla cima della Torre, per quanto mi interessa» scattò Moiraine. «Hai scoperto qualcosa?» «Be', ho scoperto che il giovane Cal sa come baciare e, oltre a questo, sono ritornata con un secchio di acque luride.» Siuan si accigliò improvvisamente. «Perché mi guardi in quel modo? L'ho solo baciato, Moiraine. Non hai più baciato un bel ragazzo dopo il giovane Cormanes, la notte prima che ti recassi alla Torre? Be', per me è passato troppo tempo, e Cal è molto carino.» «Tutto molto bello» rispose Moiraine energica. Luce, quanto tempo era passato da quando aveva pensato per l'ultima volta a Cormanes? Era davvero affascinante. Sorprendentemente, scoprire che Moiraine aveva cercato Lan fece arrabbiare Siuan più della presenza di Merean. «Che io sia scuoiata e ricoperta di sale se non corri rischi inutili, Moiraine. Un uomo che si proclama erede al trono di una nazione morta è nove volte sciocco. Potrebbe star spifferando tutto su di te a chiunque volesse ascoltare, proprio in questo momento! Se Merean scopre che la fai spiare... che io sia folgorata!» «Quell'uomo è uno sciocco per molti versi, Siuan, ma non credo che sia un chiacchierone. Inoltre, 'non puoi vincere se non rischi un centesimo', come mi hai sempre detto che sosteneva tuo padre. Non abbiamo altra scelta. Con Merean qui, forse non ci resta più molto tempo. Devi raggiungere lady Ines il più velocemente possibile.» «Farò quello che posso» mormorò Siuan, uscendo a lunghi passi e raddrizzando le spalle, come se si fosse stancata. Anche lei si stava lisciando la gonna. Moiraine sperava che non si sarebbe spinta oltre i baci. Erano comunque affari di Siuan, ma quel tipo di cose erano sciocche. Specialmente con un lacchè! La notte era scesa da parecchio e Moiraine stava cercando di leggere alla luce della lampada quando Siuan fece ritorno. Moiraine mise il libro da parte; aveva trascorso l'ultima ora fissando sempre la stessa pagina. Stavolta Siuan aveva delle notizie, che le riferì mentre sistemava vestito e sottoveste.
Per prima cosa era stata avvicinata durante il percorso di ritorno da 'una vecchia cicogna rugosa' che le aveva chiesto se lei era Suki, quindi le aveva riferito che Merean aveva trascorso quasi tutto il giorno con il principe Brys prima di ritirarsi nei suoi appartamenti per la notte. Nessun indizio di sorta. Cosa più importante, Siuan era riuscita a tirare fuori l'argomento Rahien in una conversazione con Cal. Il lacchè non era ancora al servizio di lady Ines alla nascita del bambino, ma sapeva la data esatta: il giorno dopo che gli Aiel avevano iniziato la ritirata da Tar Valon. Le due amiche si scambiarono una lunga occhiata. Un giorno dopo che Gitara Moroso aveva avuto la premonizione della rinascita del Drago e ne era morta per lo stupore. Alba sulle montagne, e nato nei dieci giorni che avevano preceduto l'improvviso disgelo. «In ogni caso,» prosegui Siuan, cominciando a fare un fagotto di abiti e calze «ho convinto Cal che ero stata sospesa dal tuo servizio per averti versato del vino addosso e mi ha offerto un letto con le cameriere di lady Ines. Pensa di potermi trovare un posto con la sua signora.» Sbuffò divertita, quindi vide lo sguardo di Moiraine e sbuffo di nuovo. «Non è il suo maledetto letto, Moiraine. E se pure lo fosse, be', ha dei modi gentili e gli occhi marroni più belli che tu abbia mai visto. Uno di questi giorni ti troverai pronta a fare di più che sognare un uomo, e spero di essere presente per vedere di persona!» «Non dire sciocchezze» le rispose Moiraine. L'incarico che la aspettava era troppo importante per ridere sugli uomini, almeno nel modo che intendeva Siuan. Merean aveva trascorso tutta la giornata con Brys? Senza avvicinarsi a lady Ines? Che fosse una delle prescelte di Tamra o appartenesse all'Ajah Nera, non aveva senso comunque, e non era pensabile che non fosse né l'una né l'altra cosa. C'era qualcosa che le sfuggiva, e questo la preoccupava. Quello che non sapeva avrebbe potuto ucciderla. Peggio ancora, avrebbe potuto uccidere il Drago Rinato nella culla. 26
Quando arrendersi
Lan scivolò fra i corridoi dell'Aesdaishar da solo, usando tutte le conoscenze che aveva acquisito nella Macchia, facendo attenzione a non svoltare un angolo fino a quando non fosse certo che il corridoio era vuoto. Avvolto nel ko'di poteva quasi percepire la presenza delle persone quando si immettevano nel corridoio alle sue spalle: sentiva una nuova presenza e si infilava in una porta aperta o sotto un arco prima di essere notato. Sembrava un fantasma. Anya ed Esne davano la precedenza agli ordini di Edeyn rispetto ai suoi, come se credessero che faceva parte delle tradizioni malkieri. Forse era stata lei a farglielo credere. Bulen era leale, almeno così pensava Lan, ma si aspettava che chiunque nell'Aesdaishar con indosso una livrea avrebbe riferito a Edeyn dove trovarlo. Pensava di sapere in che punto si trovasse. Malgrado le visite precedenti, senza una guida si era perso due volte da quando aveva lasciato la stanza, e solo il senso dell'orientamento lo aveva aiutato. Si sentiva uno sciocco con la spada indosso. L'acciaio non era utile in quella battaglia, ma senza la sua arma si sentiva nudo e la nudità era qualcosa che non poteva permettersi contro Edeyn. Un movimento impercettibile lo fece appiattire contro la parete dietro la statua di una donna vestita di nuvole e con le braccia piene di fiori. Appena in tempo. Due donne attraversarono il corridoio davanti a lui, fermandosi per conversare. Iselle e l'Aes Sedai, Merean. Rimase fermo come la pietra alle sue spalle. Era il movimento che attirava l'attenzione. Non gli piaceva nascondersi, ma mentre Edeyn slegava i nodi che lo avevano tenuto rinchiuso per due giorni, aveva reso ben chiaro che intendeva annunciare presto il suo matrimonio con Iselle. Bukama aveva ragione; Edeyn aveva usato il daori come una redine. Secondo le usanze, la maggior parte del potere che aveva su di lui sarebbe finita una volta che Iselle avesse posseduto quella corda di capelli, solo un ricordo del passato, ma era certo che Edeyn avrebbe usato Iselle al posto del daori. E Iselle avrebbe cooperato. Dubitava che la ragazza avesse la forza di schierarsi apertamente contro la madre. La sola cosa da fare davanti a un avversario che non potevi sconfiggere era correre, a meno che la morte non servisse a un bisogno superiore, e lui avrebbe voluto scappare. Solo Bukama lo tratteneva in quel posto. Bukama e un sogno. A un gesto secco di Merean, Iselle annui impaziente e tornò indietro di corsa da dove era venuta. Per un momento l'Aes Sedai la guardò mentre andava via, con il volto impassibile e sereno tipico delle Sorelle. Quindi,
sorprendentemente, la segui, camminando sulle mattonelle verdi in un modo che faceva sembrare goffa Iselle. Lan non perse tempo a chiedersi cosa stesse progettando Merean, come non si era chiesto perché Moiraine volesse farla controllare. Un uomo poteva impazzire cercando di capire un'Aes Sedai. Cosa che Moiraine doveva davvero essere, o Merean l'avrebbe fatta correre urlando per tutti i corridoi. Dopo aver atteso abbastanza a lungo da permettere alle due di andare via, si sporse con cautela da dietro l'angolo. Erano sparite entrambe, quindi prosegui. Quel giorno le Aes Sedai non erano un suo problema. Doveva parlare con Bukama. Dei sogni. Fuggire avrebbe posto fine ai progetti di matrimonio di Edeyn. Se l'avesse evitata abbastanza a lungo, lei avrebbe trovato un altro marito per Iselle. Scappare avrebbe posto fine ai sogni di lei sulla resurrezione del Malkier; e il sostegno di Edeyn sarebbe svanito come la nebbia al sole pomeridiano, una volta che avessero scoperto che era andato via. Fuggire avrebbe posto fine a molti sogni. L'uomo che quando lui era bambino lo aveva portato legato dietro le spalle aveva il diritto di sognare. Il dovere era una montagna, ma lui doveva portarla sulle spalle. Davanti a lui c'era una lunga fila di ampie scale con il corrimano. Si voltò per scendere, e d'improvviso cadde. Si ritrovò a rimbalzare da un gradino all'altro, rotolando, e finì per atterrare sul pavimento con uno schianto che gli svuotò i polmoni dell'aria che gli era rimasta. Davanti agli occhi riusciva a vedere solo delle macchie. Tentò di respirare e di alzarsi. Dal nulla apparvero dei servitori che lo aiutarono ad alzarsi, tutti stupiti che non si fosse sfracellato con una caduta simile, chiedendogli se volesse vedere un'Aes Sedai per la guarigione. Aggrottando le sopracciglia in preda alle vertigini, guardò la scalinata e mormorò una risposta, la prima cosa che gli venne in mente, pur di farli andare via. Pensava di avere più lividi di quelli racimolati in una vita, ma sarebbero guariti e l'ultima cosa che voleva al momento era una Sorella. La maggior parte degli uomini avrebbe opposto resistenza alla caduta e sarebbero stati fortunati se si fossero ritrovati alla fine con metà delle ossa rotte. Qualcosa gli aveva strattonato le caviglie. Qualcosa lo aveva colpito in mezzo alle spalle. Poteva essere stata una sola cosa, anche se non aveva alcun senso. Se ne sarebbe accorto se avesse avuto qualcuno vicino e fisicamente in grado di toccarlo. Un'Aes Sedai aveva cercato di ucciderlo con il Potere. «Lord Mandragoran!» Un uomo corpulento con la giubba verde delle guardie di palazzo si fermò di colpo e cadde quasi nel tentativo di fare un
inchino mentre era ancora in movimento. «Ti abbiamo cercato ovunque, mio signore!» ansimò. «Si tratta del tuo uomo, Bukama! Presto, mio signore! Forse è ancora vivo!» Imprecando, Lan corse dietro la guardia, incitando l'uomo ad andare più veloce, ma era troppo tardi. Troppo tardi per chi lo aveva trasportato bambino sulle spalle. Troppo tardi per i sogni. Le guardie si erano affollate in uno stretto passaggio subito dopo uno dei cortili per le esercitazioni e si tirarono indietro per far passare Lan. Bukama giaceva prono, con il sangue che formava una pozza attorno alla bocca e l'elsa di legno di un pugnale che spuntava alla schiena, al centro di una macchia scura. Gli occhi vitrei sembravano sorpresi. Inginocchiandosi, Lan li chiuse mormorando una preghiera perché l'ultimo abbraccio della madre gli desse il benvenuto a casa. «Chi lo ha trovato?» chiese, ma sentì appena la pioggia di risposte sul chi, il dove e il cosa. Sperava che Bukama fosse rinato in un mondo dove la Gru d'oro volava nel vento, le Sette Torri erano intatte e i Mille Laghi brillavano come una collana sotto il sole. Come aveva potuto permettere a qualcuno di avvicinarsi tanto da pugnalarlo? Bukama 'sentiva' quando veniva snudato l'acciaio nelle sue vicinanze. Solo una cosa era certa. Bukama era morto perché Lan lo aveva coinvolto negli schemi di un'Aes Sedai. Dopo essersi alzato si mise a correre, ma non per scappare da qualcosa. Doveva raggiungere qualcuno e non gli importava di chi lo vedesse. Il tonfo attutito sulla porta dell'anticamera e le grida oltraggiate delle cameriere fecero alzare Moiraine dalla sedia imbottita dove attendeva. Qualsiasi cosa, ma non questo. Abbracciando saidar si mosse dal soggiorno, ma prima che raggiungesse la porta questa si spalancò. Lan si scosse di dosso le cameriere che gli si erano appese alle braccia, chiuse loro la porta in faccia e vi appoggiò contro la schiena, sostenendo lo sguardo stupito di Moiraine. Il volto angoloso era coperto di lividi purpurei e camminava come se lo avessero picchiato. Fuori era tutto silenzioso. Qualsiasi cosa volesse Lan, dovevano pensare che lei era in grado di gestirlo. Si accorse che, per assurdo, stava toccando la custodia del pugnale alla cintura. Con il Potere avrebbe potuto fasciarlo come un poppante, anche se era grosso, eppure... non la guardava male. In quegli occhi azzurri di certo non c'era fuoco. Moiraine voleva farsi indietro. Non il fuoco, ma la morte che bruciava fredda. La giubba nera gli si attagliava alla perfezione, con quelle spine crudeli e i boccioli d'oro.
«Bukama è morto con un pugnale nel cuore,» disse con calma «e meno di un'ora fa qualcuno ha cercato di uccidermi con l'Unico Potere. All'inizio ho pensato che potesse essere Merean, ma l'ultima volta che l'ho vista stava seguendo Iselle e, a meno che non mi avesse visto e volesse tenermi a bada, non credo sia stata lei. Rimani solo tu.» Moiraine sussultò e solo in parte per la sicurezza nel tono di voce di Lan. Doveva sapere che quella sciocca ragazza sarebbe andata dritta da Merean. «Saresti sorpreso nello scoprire quanto sono poche le cose che sfuggono a un'Aes Sedai» rispose. Specialmente se la Sorella era colma di saidar. «Forse non avrei dovuto chiedere a Bukama di controllare Merean. È molto pericolosa.» Quella donna apparteneva all'Ajah Nera, adesso ne era certa. Le Sorelle potevano usare le persone come esempio in maniera dolorosa, se le scoprivano a spiare, ma non uccidevano. Cosa aveva a che fare con lei, quella storia? Non c'erano prove, di sicuro nulla che avrebbe retto davanti all'Amyrlin Seat, ma se Sierin era dell'Ajah Nera... era un argomento del quale adesso non poteva occuparsi. Cosa stava progettando la donna, per sprecare tempo con Iselle? «Se ti interessa la ragazza, ti suggerisco di trovarla velocemente e tenerla lontana da Merean.» Lan sbuffò. «Tutte le Aes Sedai sono pericolose, e Iselle è abbastanza al sicuro, per il momento. L'ho vista venendo qui, mentre si recava velocemente da qualche parte con Brys e Diryk. Perché Bukama è morto, Aes Sedai? In quale trappola l'ho fatto cadere per te?» Moiraine sollevò una mano per farlo tacere e rimase in parte sorpresa che le obbedisse. Ora rifletteva furiosamente. Merean con Iselle. Iselle con Brys e Diryk. Merean aveva tentato di uccidere Lan. Di colpo vide un legame, perfetto in ogni parte; non aveva senso, ma non dubitava che fosse reale. «Diryk mi ha detto che sei l'uomo più fortunato del mondo» spiegò, protendendosi verso Lan con un'espressione intensa «e, per la sua sicurezza, mi auguro che avesse ragione. Dove si recherebbe Brys per una conversazione molto riservata? Un luogo dove non possono vederlo o sentirlo...» Doveva essere un posto dove si sentiva a suo agio, ma isolato. «C'è una passeggiata sul lato occidentale del palazzo» rispose Lan lentamente, poi all'improvviso il suo tono si fece teso. «Se Brys è in pericolo, devo allertare le guardie.» Stava già voltandosi, la mano sulla maniglia. «No!» gridò. Era ancora colma di Potere e preparò un flusso di Aria per bloccarlo, nel caso fosse servito. «Il principe Brys non apprezzerà un'incursione delle guardie se sta solo parlando con Merean.»
«E se stanno facendo altro?» chiese Lan. «Allora non abbiamo abbastanza tempo per chiamare le guardie, ammesso che vengano. Non abbiamo alcuna prova contro di lei, Lan. Solo sospetti contro la parola di un'Aes Sedai.» L'uomo si voltò arrabbiato, borbottando qualcosa sulle Aes Sedai che Moiraine non ascoltò. Avrebbe dovuto fargliela pagare per quello, e non c'era tempo. «Portami a questa passeggiata, Lan. Lascia che sia un'Aes Sedai a vedersela con le Aes Sedai. E sbrighiamoci.» Se Merean stava parlando, Moiraine non si aspettava che durasse a lungo. Lan si affrettò, con le gambe che di distendevano in corsa. Tutto ciò che Moiraine poté fare fu raccogliere la gonna e seguirlo, ignorando le occhiate e i mormorii dei servitori e degli altri nei corridoi alla vista delle gambe esposte, grata che l'uomo non la distanziasse. Lasciò che il Potere la colmasse mentre correva, fino a quando la dolcezza e la gioia raggiunsero il limite del dolore nella loro intensità, e cercò di elaborare un piano, di capire cosa poteva fare contro una donna considerevolmente più forte di lei, una donna che era stata Aes Sedai per oltre cento anni prima che nascesse la sua bisnonna. Desiderava non avere tanta paura. Desiderava che Siuan fosse con lei. Attraversarono corridoi splendenti e sale per gli affari di Stato in quella corsa all'impazzata; superarono passaggi fiancheggiati dalle statue e si ritrovarono improvvisamente all'aperto, con i rumori del palazzo alle loro spalle, su una lunga passeggiata con la balaustra di pietra larga venti passi e una splendida vista sulla città sottostante. Un vento freddo soffiava come un uragano strattonandole la gonna. Moiraine vide Merean, circondata dal bagliore di saidar, Brys e Diryk in piedi vicino alla balaustra, che si agitavano vanamente contro lacci e bavagli di Aria. Iselle guardava corrucciata il principe e suo figlio e, sorprendentemente, in fondo alla passeggiata c'era Ryne, con le braccia incrociate davanti al petto. Anche lui era un Amico delle Tenebre. «...e non potevo portarti facilmente lord Diryk senza il padre» stava dicendo Iselle con tono di voce petulante. «Mi sono accertata che nessuno sapesse, ma perché...?» Tessendo uno schermo di Spirito, Moiraine lo scagliò contro Merean usando ogni minima parte del Potere che la colmava, sperando di riuscire a tagliar fuori la donna dalla Fonte. L'attacco andò a segno, ma si spezzò. Merean era troppo forte, troppo vicina ai suoi limiti. Sapeva di aver preso la Sorella Azzurra - la Sorella Nera - di sorpresa,
ma questa non batté nemmeno le palpebre. «Sei stato bravo a uccidere la spia, Ryne» disse con calma mentre preparava un bavaglio d'Aria per far tacere Iselle e bloccarla a occhi sgranati. «Adesso vedi se riesci a sistemare il giovane. Hai detto di essere il miglior spadaccino.» Tutto sembrò accadere in un momento. Ryne si scagliò in avanti con espressione torva mentre i campanelli nella treccia tintinnavano. Lan fece appena in tempo ad afferrare la spada prima che gli si avventasse contro. E prima dell'impatto del metallo sul metallo, Merean colpì Moiraine con lo stesso flusso che aveva usato lei, ma più forte. Moiraine si accorse terrorizzata che l'altra poteva avere ancora forza sufficiente per mantenere lo schermo, anche mentre lei era colma di saidar. In preda al panico si difese con Aria e Fuoco e Merean sbuffò mentre il flusso spaccato creava il contraccolpo. In quel breve intervallo Moiraine provò a tagliare i legami che bloccavano Diryk e gli altri, ma prima che il flusso toccasse quello di Merean, fu questa a recidere il suo, e il secondo tentativo di Merean di schermarla la raggiunse prima che riuscisse a liberarli. Moiraine aveva un nodo allo stomaco. «Compari troppo spesso, Moiraine» disse Merean come se stessero semplicemente chiacchierando. Era sempre serena e materna, per niente turbata. «Temo di doverti chiedere come fai e perché.» Moiraine era appena riuscita a recidere un flusso di Fuoco che le avrebbe bruciato gli abiti, forse anche la pelle, e Merean sorrise, una madre divertita dalle birichinate della giovane figlia. «Non preoccuparti, bambina. Ti guarirò perché tu possa rispondere alle mie domande. Qui nessuno sentirà le tue grida.» Se Moiraine avesse ancora avuto qualche dubbio sull'appartenenza di Merean all'Ajah Nera, quel flusso di Fuoco vi avrebbe posto fine. E in un istante ebbe molte altre prove, flussi che scatenavano scintille sul suo vestito, che la lasciavano senza fiato, alla ricerca di aria inesistente, flussi che non riconosceva ma che di certo l'avrebbero spezzata e fatta sanguinare se l'avessero colpita, se non fosse riuscita a tagliarli tutti... Ogni volta che poteva, provava a sciogliere i legami di Diryk e gli altri, come anche a schermare Merean o farle perdere i sensi. Sapeva di lottare per la vita - sarebbe morta se avesse vinto l'altra, subito o dopo l'interrogatorio che di sicuro l'attendeva - ma non aveva mai preso in considerazione quella scappatoia nei Giuramenti che la costringevano. Anche lei aveva delle domande da porre alla donna. Sfortunatamente, quasi tutto ciò che poteva fare era difendersi, e sempre al limite delle proprie forze. Lo stomaco era chiuso e in condizioni sempre peggiori. Merean manteneva tre
persone legate eppure era al suo livello, forse più forte. Se solo Lan fosse riuscito a distrarla... Una rapida occhiata mostrò quanto fosse improbabile quella prospettiva. Lan e Ryne eseguivano le figure, fluendo con grazia da una all'altra, le lame erano come mulinelli, ma se c'era una leggera differenza fra le loro capacità, era a favore di Ryne. Il sangue grondava su un lato del volto di Lan. Moiraine abbassò lo sguardo cupa, senza risparmiare nemmeno la concentrazione che le serviva per ignorare il freddo. Tremando, colpì Merean, difendendosi e poi colpendo di nuovo. Se fosse riuscita a far stancare la donna... «Ci stiamo mettendo troppo, bambina, non pensi?» disse la Sorella. Diryk fluttuò in aria, dimenandosi contro i lacci che non riusciva a vedere, e venne avvicinato alla balaustra. Brys voltò il capo, seguendo il figlio con lo sguardo, e cercò di muovere la bocca dietro il bavaglio invisibile. «No!» gridò Moiraine. Disperatamente lanciò dei flussi di Aria per prendere il ragazzo e portarlo in salvo. Merean li colpì mente rilasciava la presa sul ragazzo. Diryk cadde gridando e nella testa di Moiraine esplose una luce bianca. Apri gli occhi intontita: il grido del ragazzo che cadeva le echeggiava ancora nella mente. Era distesa sul lastricato di pietra, la testa le girava. Fino a quando non si fosse schiarita la mente, non avrebbe potuto abbracciare saidar, come un gatto non poteva cantare. Non che facesse differenza, ormai. Vedeva lo schermo di Merean su di lei e anche una donna debole avrebbe potuto mantenerlo, una volta elevato. Cercò di alzarsi, ricadde, quindi riuscì ad appoggiarsi su un gomito. Erano passati solo pochi istanti. Lan e Ryne danzavano ancora la loro mortale coreografia al suono dell'acciaio. Brys era rigido per motivi che andavano oltre i legami dei flussi d'Aria, fissava Merean con un odio implacabile e sembrava si sarebbe liberato solo grazie alla forza della rabbia. Iselle tremava, tirando su con il naso e piangendo, guardando a occhi sgranati nel punto in cui era caduto il piccolo Diryk. Moiraine si costrinse a pensare al nome del bambino, fece una smorfia nel rammentare il suo sorriso e il suo entusiasmo. Fu solo un breve istante. «Tu resisterai un po' più a lungo, penso» disse Merean mentre le dava le spalle. Brys salì al di sopra della balaustra. Il volto dell'uomo grosso non cambiò espressione e non smise mai di guardare l'Aes Sedai con odio. Moiraine si mise in ginocchio a fatica. Non poteva incanalare. Non le era rimasto alcun coraggio, nessuna forza. Solo la determinazione. Brys
fluttuò oltre la balaustra. Moiraine barcollò nel mettersi in piedi. Determinazione. Quello sguardo di puro odio inciso nel viso dell'uomo. L'Aes Sedai cadde, senza emettere suoni. Doveva finire. Iselle venne sospesa in aria mentre si contorceva in preda al panico, cercando invano di gridare dietro il bavaglio di Aria. Doveva finire adesso! Barcollante, Moiraine estrasse il pugnale e lo affondò nella schiena di Merean fino all'elsa: il sangue le imbrattò le mani. Caddero insieme sul lastricato e il bagliore che circondava Merean cominciò a svanire con l'avanzare della morte, come anche lo schermo che imprigionava Moiraine. Iselle gridò, oscillando sulla balaustra di pietra nel punto in cui era caduta dopo che i legami creati dal Potere erano svaniti. Sforzandosi di muoversi, Moiraine passò carponi sopra il corpo di Merean e afferrò una delle mani di Iselle fra le sue, proprio mentre i piedi della ragazza cominciavano a cadere nel vuoto. Lo strattone la trascinò oltre la balaustra e si ritrovò a fissare la giovane appesa alla sua mano insanguinata su un baratro che sembrava proseguire senza fine. Tutto quello che poté fare Moiraine fu rimanere ferma nella stessa posizione, per quanto instabile. Se avesse provato a tirare su Iselle, sarebbero cadute entrambe. Il volto della ragazza era contorto e teneva la bocca aperta. La mano scivolò dalla presa di Moiraine. Costringendosi a calmarsi, lei si protese verso la Fonte e falli. Guardare quei tetti distanti non la aiutava a placare le vertigini. Provò di nuovo, ma era come tentare di raccogliere acqua con una mano aperta. Avrebbe salvato uno dei tre, anche se era la più inutile. Combattendo le vertigini si sforzò per afferrare saidar, e la mano di Iselle le scivolò fra le sue insanguinate. Tutto quello che poté fare fu guardarla cadere, mentre sentiva il lungo grido che svaniva in lontananza, con le mani tese come se pensasse di riuscire ancora a salvarla. Un braccio tirò via Moiraine dalla balaustra. «Non guardare mai qualcuno morire, se non devi» le disse Lan, adagiandola delicatamente a terra. Il braccio destro gli pendeva da un lato, decorato da un lungo taglio sulla manica. L'uomo era coperto da diverse ferite, oltre quella sulla testa che ancora sanguinava, macchiando il volto di rosso. Ryne era disteso supino a pochi passi di distanza e fissava il cielo con espressione sorpresa. «Una giornata nera» mormorò Lan. «La più nera che abbia mai visto.» «Un momento» rispose Moiraine, incerta. «Le vertigini sono ancora troppo forti e non posso camminare da sola.» Le ginocchia tremarono
quando passò sopra il corpo di Merean. Non avrebbe avuto nessuna risposta. L'Ajah Nera sarebbe rimasta nascosta. Si chinò e riprese il pugnale infilato nella schiena dell'altra donna, pulendolo sulla gonna della traditrice. «Sei in gamba, Aes Sedai» disse Lan. «Faccio quello che posso» rispose Moiraine. Il grido di Diryk le risuonava nelle orecchie. Il volto di Iselle si rimpiccioliva sotto i suoi occhi. Come nell'esame per lo scialle, la sua calma era solo esteriore, ma vi rimaneva saldamente aggrappata. Se si fosse lasciata andare anche per un solo istante, si sarebbe ritrovata in ginocchio, in un pianto dirotto. «Sembra che Ryne avesse torto, oltre a essere un Amico delle Tenebre. Tu sei più bravo di lui.» Lan scosse leggermene il capo. «Era lui il migliore. Ma pensava che fossi finito, con un solo braccio. Non ha mai capito. Ci si arrende solo dopo la morte.» Moiraine annui. Arrendersi dopo la morte. Sì. Ci mise un pò per riprendersi ed essere di nuovo in grado di abbracciare la Fonte, e dovette anche cercare di calmare Lan, ansioso di dire alla shatayan che Brys e Diryk erano morti prima che si spargesse la voce del ritrovamento dei loro corpi sui tetti. Comprensibilmente, era meno impaziente di comunicare a lady Edeyn la morte della figlia. Anche Moiraine era in ansia per il trascorrere del tempo, anche se per motivi differenti. Avrebbe dovuto salvare la ragazza. Quella morte era colpa sua quanto di Merean. Guari Lan non appena fu in grado di farlo, e lui rimase a bocca aperta quando la complessità dei flussi di Spirito, Aria e Acqua chiuse le ferite. La carne si rimarginava integra, ma Moiraine non provava alcuna soddisfazione nell'avere finalmente la prova della mortalità di Lan. Dopo la guarigione l'uomo era debole, le forze prosciugate dalla cura stessa sommata al combattimento, abbastanza debole da dover riprendere fiato appoggiato alla balaustra di pietra. Per un po' non sarebbe corso da nessuna parte. Moiraine doveva accertarsi che Lan sapesse cosa dire, e aveva altri piani per lui. Fece fluttuare con cautela il corpo di Merean oltre la balaustra con dei flussi di Aria, quindi lo fece scendere in basso, vicino alla pietra della montagna. A quel punto dei flussi di Fuoco avvilupparono la Sorella Nera, fiamme talmente calde che non fecero nemmeno scaturire fumo, solo un forte bagliore nell'aria e il rumore occasionale della roccia che si spaccava. «Che cosa stai...» iniziò Lan, poi si corresse in un: «Perché?»
Moiraine rimase davanti al calore crescente, correnti d'aria che sembravano uscire da una fornace. «Non abbiamo prove che appartenesse all'Ajah Nera, solo che era un'Aes Sedai.» Fece una smorfia dopo aver risposto. La Torre Bianca aveva bisogno della copertura del silenzio, molto più di quando il Malkier era finito, ma non poteva dirglielo. Non ancora. L'uomo non batté ciglio nel sentir parlare di Ajah Nera. Forse era ignorante al riguardo, ma Moiraine non ci avrebbe scommesso. Lan aveva lo stesso autocontrollo delle Sorelle. «Non posso mentire sull'accaduto, ma posso rimanere in silenzio. Tu resterai zitto o farai il lavoro dell'Ombra?» «Sei una donna molto dura» rispose Lan alla fine. Fu la sola risposta che le diede, ma fu sufficiente. «Sono dura quanto serve» rispose Moiraine. Le grida di Diryk. Il volto di Iselle. Doveva ancora occuparsi del corpo di Ryne e del sangue sul lastricato e sui loro abiti. Dura quanto serviva. Epilogo
L'alba successiva Aesdaishar era in lutto, le bandiere bianche sventolavano da ogni sporgenza, i servitori avevano dei lunghi fazzoletti bianchi legati attorno alle braccia. Le voci in città parlavano già di portenti che avevano preannunciato quelle morti, comete nella notte, fuochi nel cielo. La gente aveva un modo particolare di modificare quanto aveva visto in cose che conosceva o a cui voleva credere. La scomparsa di un semplice soldato, o anche di un'Aes Sedai, passò in secondo piano rispetto al profondo dolore per le altre perdite, che faceva piangere anche gli uomini più forti nei corridoi. Dopo aver distrutto i beni di Merean - non senza aver prima cercato invano ogni indizio che potesse indicare legami con altre Sorelle appartenenti all'Ajah Nera - Moiraine si fece da parte per far passare Edeyn Arrel, che camminava leggera nel corridoio tutta vestita di bianco, i capelli tagliati corti in maniera grossolana. Le voci dicevano che intendeva ritirarsi dal mondo. Moiraine pensava che lo avesse già fatto. Gli occhi fissi della donna sembravano smarriti e vecchi. A Moiraine ricordarono quelli della fi-
glia, pieni di disperazione alla consapevolezza della morte imminente. Quando entrò nei suoi appartamenti, Siuan balzò da una sedia nel soggiorno. Sembrava fossero trascorse settimane da quando l'aveva vista. «Assomigli a qualcuno che abbia preso un pesce zannuto» brontolò. «Be', non mi sorprende. Ho sempre odiato il lutto, quando conoscevo la gente che è morta. In ogni caso possiamo andare via non appena sei pronta. Rahien è nato in una fattoria a quasi quattro chilometri da Montedrago. Merean non si è nemmeno avvicinata a lui, almeno fino a stamattina. Suppongo che non gli farà del male sulla base di alcuni sospetti, anche se appartiene all'Ajah Nera.» Non era lui. Moiraine ne era stata quasi certa. «Merean non farà più del male a nessuno, Siuan. Adesso prestami la tua mente per un rompicapo che devo risolvere.» Accomodandosi su una sedia iniziò dalla fine e si sbrigò a raccontare tutta la storia malgrado i sussulti di Siuan o le domande per avere maggiori dettagli. Le sembrava di rivivere tutto. Una volta giunta a spiegare ciò che l'aveva spinta a quel confronto, provò un senso di sollievo. «Quello che voleva morto più di tutti era Diryk, Siuan; lo ha ucciso per primo. E ha cercato di uccidere Lan.» «È una follia» gridò l'altra. «Che cosa può legare un bambino di otto anni a un pesce leone dal cuore freddo come Lan?» «La fortuna. Diryk era sopravvissuto a una caduta che avrebbe dovuto ucciderlo e tutti dicono che Lan è l'uomo più fortunato del mondo, o la Macchia lo avrebbe ucciso anni addietro. È un filo conduttore, ma il tutto mi sembra folle. Forse il tuo fabbro ne fa parte. E Josef Najima, a Canluum, per quanto ne so. Anche lui era fortunato. Cerca di capire il legame, se ci riesci. Io credo sia importante, ma non riesco a vedere come.» Siuan camminò avanti e indietro nella stanza, scalciando la gonna e strofinandosi il mento, mormorando sulla 'fortuna degli uomini' il 'fabbro che si era svegliato d'improvviso' e altre cose che Moiraine non riuscì a sentire. Poi si fermò di colpo e disse: «Non sì è mai avvicinata a Rahien, Moiraine. L'Ajah Nera sa che il Drago è Rinato, ma non quando! Magari Tamra è riuscita a non rivelare quel particolare o forse sono state troppo dure ed è morta prima di confessarlo. Deve essere così!» La sua impazienza si trasformò in orrore. «Luce! Stanno uccidendo ogni uomo o ragazzo che 'potrebbe' essere in grado di incanalare! Oh, che io sia folgorata, potrebbero morire migliaia di uomini, decine di migliaia.» Era una deduzione terribilmente sensata. Gli uomini che potevano incanalare raramente sapevano cosa stessero facendo, almeno all'inizio. Al
principio sembravano solo fortunati. Gli eventi si volgevano in loro favore e spesso, come con il fabbro, prendevano pieghe inaspettate. Siuan aveva ragione. L'Ajah Nera aveva iniziato un massacro. «Ma non sanno di dover cercare un poppante» rispose Moiraine. Dura quanto serviva. «Un bambino non mostra alcun segno. Abbiamo più tempo di quanto pensassimo, ma non dobbiamo essere incaute. Qualsiasi Sorella può appartenere all'Ajah Nera. Credo che Cadsuane sia una di loro. Sanno che anche altre sono alla ricerca. Se una delle cercatrici di Tamra trova il bambino e loro la scoprono con lui, o se decidono di interrogarne una invece di ucciderla non appena capita l'occasione...» Siuan la fissava. «Abbiamo ancora qualcosa da fare» le disse Moiraine. «Lo so» rispose lentamente l'amica. «Ma non ho mai pensato... Be', quando c'è un lavoro da fare, issi le reti o sventri i pesci.» Questa frase non l'aveva detta con la solita forza. «Potremmo essere in cammino verso Arafel prima di mezzogiorno.» «Tu tornerai alla Torre» le disse Moiraine. Insieme non potevano cercare più rapidamente che da sole e, se dovevano separarsi, quale posto era più strategico per Siuan che lavorare per Cetalia Delarme, leggendo i rapporti degli occhi e delle orecchie delle Azzurre? Mentre una andava a caccia del bambino, l'altra poteva scoprire cosa succedeva in ogni nazione e, sapendo cosa stava cercando Moiraine, avrebbe potuto riconoscere ogni segno dell'Ajah Nera o del Drago Rinato. Siuan riusciva a capire quando le cose avevano senso, anche se stavolta le costò fatica e, quando alla fine acconsenti, lo fece con poca grazia. «Cetalia mi userà per tappare le falle, visto che sono fuggita senza permesso» borbottò. «Che io sia folgorata! Appesa a seccare fuori della Torre! Sarò fortunata se non mi fa frustare! Moiraine, le implicazioni di questa storia saranno sufficienti a farti sudare a secchi nel cuore dell'inverno! Lo odio!» Ma, mentre si lamentava, stava già rovistando nelle ceste per vedere cosa portarsi indietro a Tar Valon. «Immagino che tu abbia avvistato quel tipo, Lan. Mi sembra che lo meriti, per tutto il bene che gli farà. Ho sentito dire che è andato via un'ora fa, dirigendosi verso la Macchia, e se non lo uccide quella... dove stai andando?» «Ho un affare in sospeso con quell'uomo» le rispose Moiraine mentre si allontanava. Aveva preso una decisione a riguardo la prima volta che lo aveva visto, sempre che non avesse scoperto che era un Amico delle Tenebre, e intendeva mantenerla. Nella stalla dove era custodita Freccia, una manciata di marchi d'argento
le fecero ottenere la giumenta sellata e imbrigliata mentre ancora stava pagando, e montò in sella senza badare alla gonna sollevata fino alle ginocchia. Affondando gli speroni galoppò fuori dall'Aesdaishar e si diresse a nord, attraversando la città, facendo balzare la gente di lato e facendo saltare Freccia oltre un carro vuoto che andava troppo lento, ingombrandole il passaggio. Si lasciò alle spalle una serie di grida e pugni sollevati. Sulla strada a nord della città rallentò per chiedere indicazioni ai conducenti di carri che provenivano dalla direzione opposta: voleva sapere se avessero visto un cavaliere malkieri su uno stallone baio e fu più che sollevata quando alla prima domanda le risposero di sì. L'uomo avrebbe potuto prendere cinquanta direzioni diverse dopo aver superato il ponte sul fossato. E con un'ora di vantaggio... lo avrebbe raggiunto anche se avesse dovuto seguirlo fin nella Macchia! «Un Malkieri?» Il mercante magro con il mantello blu scuro sembrava stupito. «Be', le mie guardie mi hanno detto che ce n'è uno proprio lassù. Gente pericolosa, questi Malkieri.» Girandosi dal posto di guida indicò una collina erbosa a cento passi di distanza dalla strada. Due cavalli erano in piena vista sulla cima: uno era un animale da soma, e Moiraine vide il fumo di un piccolo fuoco che fluttuava nella brezza. Lan la guardò appena quando smontò da cavallo. Inginocchiandosi vicino alle rimanenze di un piccolo fuoco, stava spargendo le ceneri con un bastone. Stranamente nell'aria si sentiva odore di capelli bruciati. «Speravo che avessi finito con me» le disse. «Stai bruciando il tuo futuro? Renderai tristi molte persone, quando morirai nella Macchia.» «Sto bruciando il passato» rispose lui alzandosi. «I ricordi. Una nazione. La Gru d'oro non volerà più.» Iniziò a coprire le ceneri con la terra, quindi esitò e si chinò per raccogliere del terreno umido, versandolo dalle mani in modo quasi solenne. «Nessuno soffrirà per me quando morirò, perché quelli che lo avrebbero fatto sono già morti. E poi tutti gli uomini muoiono.» «Solo gli sciocchi scelgono di morire prima che sia giunto il momento. Voglio che tu sia il mio Custode, Lan Mandragoran.» L'uomo la guardò senza battere ciglio, quindi scosse il capo. «Avrei dovuto sapere che era quello che volevi. Ho una guerra da combattere, Aes Sedai, e nessun desiderio di aiutarti con le trame della Torre Bianca. Trovatene un altro.» «Combatto la tua stessa guerra contro l'Ombra. Merean apparteneva
all'Ajah Nera.» Gli disse tutto, dalla premonizione di Gitara alla presenza dell'Amyrlin e di due Ammesse alle conclusioni sue e di Siuan e alla morte delle cercatoci di Tamra: tutto. Con un altro uomo avrebbe tenuto quasi tutto nascosto, ma fra i Custodi e le Aes Sedai c'erano pochi segreti. A un altro uomo avrebbe offerto una versione meno dura, ma non credeva che i nemici lo spaventassero, nemmeno se si trattava di Aes Sedai. «Hai detto di aver bruciato il tuo passato. Lascia che il passato si tenga le ceneri. È la stessa guerra, Lan. La battaglia più importante. Una che puoi vincere.» Per un lungo momento Lan rimase a fissare nel vuoto, verso la Macchia. Moiraine non sapeva cosa avrebbe fatto in caso di rifiuto. Gli aveva rivelato più di quello che avrebbe dovuto con chiunque a parte un Custode. L'uomo si voltò di scatto, facendo saettare la lama e, per un istante, Moiraine pensò che intendesse attaccarla. Invece cadde in ginocchio, con l'arma fra le mani. «Sul nome di mia madre, estrarrò la spada quando mi dirai 'estrai' e la rinfodererò quando mi dirai 'rinfodera'. Sul nome di mia madre, verrò quando mi dirai 'vieni' e andrò quando mi dirai 'vai'.» Baciò la lama e guardò Moiraine con aria piena di aspettativa. Anche in ginocchio avrebbe fatto apparire misero ogni re su un trono. Avrebbe dovuto insegnargli un po' di umiltà per la sua salvezza. E in ricordo di uno stagno. «C'è qualcos'altro» disse Moiraine, ponendogli le mani sul capo. Il flusso di Spirito era uno dei più intricati conosciuti dalle Aes Sedai. Lo circondò, penetrandolo, e svanì. Di colpo Moiraine fu consapevole della sua presenza, nel modo in cui le Aes Sedai lo erano dei loro Custodi. Le emozioni dell'uomo erano riposte in fondo alla sua mente, tutte dura determinazione, affilate come l'arma che aveva fra le mani. Riconosceva il dolore silenzioso delle vecchie ferite, tamponato e ignorato. Adesso lei avrebbe potuto attingere alla sua forza, quando necessario, e lo avrebbe trovato ovunque si fosse recato. Erano legati. Lan si alzò rinfoderando la spada e studiando Moiraine. «Gli Uomini che non c'erano l'hanno chiamata la battaglia delle Mura Lucenti» disse di colpo. «Quelli che c'erano la chiamano Neve Insanguinata. Niente di più. Sanno che si trattava di una battaglia. La mattina del primo giorno ho guidato circa cinquecento uomini. Da Kandor, dalla Saldea, Domanesi. Al tramonto del terzo giorno, la metà erano morti o feriti. Se avessi fatto scelte differenti, alcuni sarebbero vivi e altri sarebbero morti al posto loro. In guerra si recita una preghiera per i morti e si prosegue, perché c'è sempre una battaglia all'orizzonte. Recita una preghiera per i morti, Moiraine Sedai, e prosegui.»
Stupita, lei rimase quasi a bocca aperta. Aveva dimenticato che il legame funzionava in entrambe le direzioni. Lan conosceva le sue emozioni e apparentemente le capiva meglio di quanto riuscisse a lei con lui. Dopo un momento la donna annuì, anche se non sapeva quante preghiere avrebbe dovuto recitare per schiarirsi la mente. Passandole le redini di Freccia, Lan le disse: «Dove ci dirigiamo per prima cosa?» «Torniamo a Chachin» ammise Moiraine. «Quindi nell'Arafel e...» Erano poche le terre ancora facili da trovare. «In tutto il mondo, se serve. Vinceremo questa battaglia, o il mondo morirà.» Cavalcarono fianco a fianco giù dalla collina e svoltarono a sud. Alle loro spalle il cielo tuonò e divenne nero, un altro uragano che proveniva dalla Macchia. FINE