l Daniel C. Dennett
L'evoluzione della libertà
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&gjàello Corti11a Editore
INDICE
www.raffaellocortina.it
Prefazione
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l. Libertà naturale Imparare chi siamo lo sono quello che sono L'aria che respiriamo La penna magica di Dumbo e il Rischio di Paulina
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Alcune utili ipersemplificazioni Dalla fisica al progetto nel Mondo della Vita di Conway Possiamo fare noi il Deus ex machina? Dalla fuga al rallentatore alle Guerre Stellari La nascita dell'eluttabilità
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© 2003 Daniel C. Dennett
Mondi possibili La causalità Il putt di Austin Una maratona di scacchi con il computer Eventi privi di cause in un universo deterministico Il futuro sarà come il passato?
Traduzione di ,'vlassimiliano Pagani
4. Stiamo a sentire le regioni dei libertari
Titolo originale
ISBI\' 88-7078-877-6 CD 200-! Raffaello Cortina Editore Milano. ùa Rossini -l
Prima edizione: 200-l
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2. Uno strumento per riflettere sul determinismo
3. Riflettere sul determinismo
Fr,nlom Ez·oll'cS
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Il fascino dellibertarismo Dove dovremmo inserire la lacuna di cui si sente così il bisogno? Il modello di Kane del processo decisionale indeterministico "Se vi fate \'eramente piccoli, potete esteriorizzare virtualmente qualsiasi cosa" Attenzione al Primo Mammifero Come può "dipendere da me"?
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INDICE
5. Da dm·e viene tutto il progetto? I primi giorni Il dilemma del detenuto
E Pluribus Unum? Digressione: la minacci li del determinismo genetico Gradi di libertà e ricerca della verità
6. L'evoluzione delle menti aperte Come i simbionti culturali trasformano i primati in persone La peculiarità delle spiegazioni darwiniane Begli strumenti, ma devi ancora usarli
7. L'evoluzione dell'agire morale Il benegoismo Essere buono per sembrare buono Imparate a trattare con voi stessi I nostri costosi badge di merito
18ì 188 195 199 20ì 215 22.3 224 239 246 25ì 25ì
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8. Siete fuori dal giro? Fare la morale sbagliata Ogni volta che lo Spirito vi muove Il punto di vista dello scrittore di menti Un Sé per sé
9. Il nostro bootstrapping per esseri liberi Come abbiamo fatto a catturare le ragioni e a farle nostre L'ingegneria psichica e la corsa agli armamenti della razionalità Con un piccolo aiuto dai miei amici Autonomia, lavaggio del cervello ed educazione
10. Il futuro della libertà umana
295 295 302 323 32ì 343 343 353 360 3ì2
Tenere le posizioni contro la discolpa strisciante "Grazie, ne a\'e\'O bisogno!" Siamo più liberi di quanto vorremmo essere? La libertà umana è fragile
383 384 394 401 404
Bibliografia
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Indice analitico
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VIII
Alla l?? id f;7miglic7: S!ts,ul. Petcr, A11drea ..\'at!'ml c BranJo11
PREFAZIONE
Per quanto tempo ho lavorato a questo libro? Molti mi hanno fatto la domanda mentre ero impegnato nella cura editoriale finale, e non ho saputo cosa rispondere: cinque anni o trenta? Penso che trent'anni sia la risposta che si a\Ticina di più alla verità, perché è stato più o meno un trentennio fa che ho cominciato a riflettere sul serio sui temi del volume. a consultare la letteratura specializzata. selezionando gli argomenti, compilando elenchi di articoli e libri da leggere, schematizzando strategie e strutture, e confrontandomi in dibattiti e discussioni. All'interno di una prospetti\·a tanto ampia. il mio libro del 1984, Elbozc Room: The Farieties o/ Free Will Worth Wanting, svolge il compito di progetto pilota. Tale progetto face,·a pesantemente assegnamento su un semplice inserto di sole dieci pagine dedicato all'e,·oluzione della coscienza (pp. 34-43) e accompagnato da due "pagherò": ero in debito con i lettori scettici di una spiegazione dO\·utamente rigorosa sia della coscienza sia dell'evoluzione. Mi ci è voluta una dozzina di anni per pagare il debito. con Coscien:za ( 1991a l e con L'idea pericolosa di Daru·in (1995). Per tutto quel periodo ho continuato ad annotare esempi dello schema che aveva ispirato e modellato Elbou· Room: quell'ordine di \'alari nascosto che tende a influenzare le ricerche teoriche in tutte le scienze sociali e nelle stesse scienze della vita. Ricercatori che lavorano in campi molto diversi. che utilizzano metodologie e scale di \'alori assai differenti. ciononostante condividono spesso una \'elata antipatia per due semplici idee. ed e\·itano comunXI
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que di affrontare le implicazioni: le nostre: mc:nti sono semplicemente quello che i nostri cetTclli fanno in modo non miracoloso. e il talento del nostro cen·ello non può che è'\·okere come op;ni altra mera\·iglia naturale. I loro tenLHÌ\'Ì di esorcizzare queste due tesi hanno fìnito coll'impantanare le loro capacità di ragionamento, mentre erano tutti intenti a assolutismi di dubbia qualità di un fascino che non a\·e,·ano e a sforzarsi di trattare piccole lacune facilmente colmabili come abissi im·alicabili. Obietti\·o di lihro è mettere in luce quanto bizzarri siano gli edifìci difensi,·i che costoro hanno eretto per combattere la loro paura. e poi raderli al suolo per rimpiazzarli con altri dotati di fondamenta più atte a garantire ciò a cui teniamo \'eramente. Nel2001 c'è stata la dirittura d'arri\·o: ho riccTuto un grande aiuto, sia istituzionale sia personale. La mia accademica in tutti questi anni. la Tufts UniYersity, mi ha concesso un semestre sabbatico. Ancora una \·olra. \'illa Serbelloni a Bellagio, proprietà della Fondazione Rockefeller. si è rivelata il luogo migliore m·e rifugiarsi a scri\'ere: da quel ritiro. dopo un mese di intenso la\·oro, è emersa la prima stesura di una buona metà dei capitoli. illuminata dalle discussioni e dai suggerimenti che prm·eni\·ano dagli altri ospiti, specialmente da Sheldon SiegeL Bernard Gross. Rira Charori. Frank Le\'\', [,·eh-n Fox Keller. Julie BarmazeL Mary Childers e Gerald Posten;a. Poi Sandro Nannini. i suoi studenti e i suoi colleghi dell'Uni· \'ersità di Siena hanno costituito l· e ben prep<Jrata che ha messo alla pnwa il debutto di alcuni degli argomenti centrali del libro. In aprile mi sono trasferito. come Le\·erhulme Visiting Professar, alla London School ofEconomics. dove ho preser;tato i primi sette capitoli entro un ciclo di lezioni settimanali re. il giorno dopo. da seminari. imewati da ,-arie discussioni informali sia all'L:;[ stessa sia in occasione di molte ,-isite a Oxford. John \\'orr
more. Antri Saaristo. _l anne Mantykoski. \'alerìe Poner, lsabel Gois e Katrina Sifferd mi hanno fornito risposte. critiche. migliorie e consigli preziosissimi. Oe\'o molto a Christopher Taylor per aYer stimolato un cambiamento di prospetti\·a nel fìlo dei miei ragionamenti - tale cambiamento emerge nell'articolo che abbiamo scritto assieme. ma anche nel capitolo 3 e per l'enorme mole di acuti suggerimenti che ha fornito nella stesura degli altri capitoli. Oe\'o i miei ringraziamenti a David Benedictus, scrittore straordinario e amico per più di trent'anni: è grazie a lui se ho adottato un altro cambiamento di prospettiva che alla fìne mi ha portato al titolo del libro. Robert Kane e Daniel \X'egner, di cui ho criticato i rispetti,·i ,-olumi (in maniera costruttiva. spero 1 l. sono stati assai generosi con i loro commenti al mio approccio alle loro scoperte. Altri amici e colleghi che hanno letto ampi stralci di di\'erse stesure di questo uolume e hanno fornito sia consigli editoriali sia suggerimenti di sostanza sugli argomenti sono, in ordine alfabetico. Andrew Brook, Michael Cappuccì, Tom Clark, Mary Coleman. Bo Dahlbom, Gary Drescher, Paulina Essunger. Mare Ilauser. Kelly. Kathrin Koslicki. Paul Oppenheim, \X'ill Pro\'ine, Peter Reid, Don Ross, Scott Sehon, Mitch Silver. Elliott So ber. Matthe,,· Stuart. Peter Su ber. Tackie Taylor e Ste\·e \X'hite. . Mi sono mantenuto fedele alla tradizione e ho giocato nuo· vamente a fare Tom Sawver che imbianca la staccionata ricoprendola con i fogli della. penultima versione del libro: questa. durante i miei è stata intelligentemente stravolta, se non addirittura fatta a pezzi, da una numerosa e caparbia orda di studenti e di altri \'Ìsitatori, laureati e no. Tames Arinello, DaYid Baptista, Matt Bedoukian, Lindsa\ Be~·erstein. Cinna· mon BidwelL Robert Briscoe. Hecror Cat~sec~. Russell Capo· ne, Regina Chouza, Catherine Da\·is, Ashle\' de Marchena. Tenelle De\X'itt. _lason Disterhoft. Jennifer Durette, Gabri~lle Jackson. Ann J. Johnson. Sarah Jurgensen, Tomasz Koz\Ta, Mare\' Latta. RY<:~n Gabriel Lo,·e. C1re\ ìvlorewedne Brett- Mulder. éarhy Muller. Sebastian S. Ree~·e. Daniel R~~ senberg. Amber Ross. A. SamueL Derek Sanger, Sho-
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PREL\.Zl< l'\1
rena Shaverdashvili, Mark Shwayder, Andrew Siker. I\'aomi Sleeper, Sara Smollett, Rodrigo Vanegas. Nick \X'akeman. Jason \\'alker e Robert \\'oo hanno tutti fornito commenti che mi hanno spinto a dozzine di migliorie. Loro non hanno m·\·iamente colpa degli errori e delle lacune che potrebbero essere rimasti nel testo; hanno fatto del loro meglio per chiarirmi come sta\•ano le cose. Sono grato anche a Craig Garcia e a Durwood MarshalL per avermi fornito le immagini originali; a Teresa Sah-ato e Gabriel Lave del Center for Cognitive Studies, per le innumerevoli corse in biblioteca e per l'aiuto nella scrittura materiale delle \'arie stesure del manoscritto; e al Collegium Budapest. che mi ha dato ospitalità in una dimora graziosa e intellettualmente stimolante, lontano da casa mia. durante la stesura finale e le revisioni. Gli ultimi ringraziamenti. i più importanti, vanno, ancora una volta, alla mia diletta moglie. Susan. per più di quarant'anni di consigli, amore e conforto. Danie! Dennctt 20 giugno 2002
l LIBERTÀ NATURALE
C'è una tradizione popolare che considera l'essere umano come un agente responsabile, al timone di comando del suo stesso destino, poiché, sostiene, l'uomo è essenzialmente anima, un pezzo immateriale e immortale di materia divina che abita e controlla il suo corpo materiale come farebbe un fantomatico burattinaio. Quest'anima è la fonte di ogni significato e il luogo da cui proviene ogni sofferenza, ogni gioia, ogni gloria o disonore per l'essere umano. Tale idea delle anime immateriali, che sarebbero in grado di eludere le leggi della fisica, però, ha ormai superato ogni livello di credibilità grazie all'evoluzione delle scienze naturali. Sono in molti a credere che le conseguenze dell'abbandono di tali credenze potrebbero rivelarsi disastrose: non possediamo davvero il "libero arbitrio", dicono, e nulla ha più senso. Scopo del libro è mostrare a questa gente quanto abbia torto.
Imparare chi siamo Sì, abbiamo un'anima. Ma è fatta di tanti piccoli robot. GIULIO GIORELLO
Non abbiamo bisogno di ricorrere alle care vecchie anime immateriali per mantenere vive le nostre speranze; le nostre aspirazioni di esseri morali, i cui atti e le cui vite hanno un senso, non dipendono a/fatto dalla presenza di una mente che obXI\'
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L'EVOLUZIONE DFJI A L!RFRTA
LIBJ:KTA NATURALI:
bedisca a una fisica differente da quella che governa il resto della natura. La comprensione di noi stessi che possiamo trarre dalla scienza può aiutarci a poggiare le nostre vite morali su fondamenta nuove e migliori; e una volta capito in che cosa consista la nostra libertà, saremo ben più preparati a difenderla dalle minacce reali che sfuggono normalmente ai nostri tentativi di identificarle. Uno dei miei studenti, che si era arruolato nei Peace Curps per evitare di essere chiamato in Vietnam, mi raccontò, in seguito, del suo lavoro presso una tribù che viveva nel profondo della foresta brasiliana. Gli chiesi se gli fosse stato richiesto di parlare a quelle persone Jel conflitto in corso tra USA e URSS. Per niente, rispose. Non avrebbe avuto senso. Non avevano mai sentito parlare né dell'America né dell'Unione Sovietica. Anzi, non avevano mai sentito parlare nemmeno del Brasile! Negli anni Sessanta del Novecento era ancora possibile che un essere umano vivesse in una nazione, e fosse soggetto alle sue leggi, senza averne la minima conoscenza. Se troviamo incredibile tutto ciò, è perché gli esseri umani, al contrario di tutte le altre specie del nostro pianeta, sono esseri che bramano la conoscenza (knowers). Siamo i soli ad aver raggiunto la piena consapevolezza della nostra natura e del nost.ro po~to entro questo immenso universo, e stiamo persino mcommciando a farci un'idea di quale sia stato il cammino che ci ha permesso Ji giungere fino a qui. Le scoperte più recenti su chi siamo e su come siamo pervenuti al nostro stato attuale sono, a dir poco, terrificanti. Quello che siete, ci dicono, è un assemblaggio di più o meno un migliaio di miliardi di cellule, appartenenti a migliaia di generi differenti. Il grosso di questo ammasso di cellule è composto da "figlie" della cellula uovo e dello spermatozoo, la cui unione ha dato vita a voi; ma, in realtà, queste sono superate numericamente da trilioni di batteri, autostoppisti provenienti da migliaia di ceppi diversi stipati nel vostro corpo (Hooper et al., 1998). Ognuna delle vostre cellule ospiti è un meccanismo non pensante, un piccolo robot piuttosto autonomo. Non è più cosciente dei batteri che ospitate. Nessuna delle
cellule che contribuiscono a comparvi sa chi siete, né le importa saperlo. Ogni squadra composta da trilioni di questi robot è organizzata in una struttura sociale la cui efficienza lascia esterrefatti, un regime senza un condottiero ma capace di mantenere una struttura così ben organizzata da respingere gli estranei, espellere i deboli, e rafforzare le regole ferree della disciplina - e fungere da quartier generale di un unico sé cosciente, di una sola mente. Queste comunità di cellule sono fasciste all'estremo; ma i vostri interessi o i vostri valori hanno poco o nulla da spartire con le mire limitate delle cellule che vi compongono- per fortuna! Un individuo può essere gentile e generoso, un altro può essere spietato; c'è chi fa il pornografo e chi invece dedica la propria vita a servire Dio. Una delle tentazioni a cui l'uomo, nel tempo, ha ceduto è stata quella di immaginare che queste fondamentali differenze potessero essere ricondotte a caratteristiche speciali di un qualche elemento extra (un'anima), posizionato da qualche parte nel quartier generale del corpo. Ormai sappiamo che, per quanto sia ancora molto seducente, l'idea non è minimamente supportata da ciò che abbiamo imparato sulla nostra biologia in generale e sul nostro cervello in particolare. Più comprendiamo come ci siamo evoluti e come funziona il nostro cervello, più ci convinciamo che non può esistere alcun ingrediente extra di questo tipo. Ognuno di noi è composto di robot non pensanti e da nient'altro; non abbiamo alcun ingrediente non-fisico o non-rubatico. Le differenze che distinguono una persona dalle altre sono tutte riconducibili al modo in cui, durante una vita di crescita ed esperienza, le squadre dei loro personali robot si sono assemblate. La differenza tra saper parlare francese o saper parlare cinese è una Jifferenza nell'organizzazione di queste parti mobili; lo stesso vale per tutte le altre Jifferenze di cultura e personalità. Dal momento che io sono cosciente e voi lo siete altrettanto, noi tutti Jobbiamo avere sé coscienti che sono in qualche modo composti Ji questi strani piccoli elementi. In che modo? Per riuscire a capire come si possa ottenere un lavoro di as-
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L'EVOLUZIONE DELLA LIBERfÀ
semblaggio così straordinario, dobbiamo osservare la stori~ dei processi di progettazione (design) che hanno svolto tutto tl lavoro, l'evoluzione della coscienza umana. Dobbiamo anche capire in che modo queste anime, composte da robot cellulari; riescano effettivamente a fornirci tutti quei poteri importanti e tutti i conseguenti doveri che le anime immateriali tradizionali abitualmente ci concedono (grazie a una magia non precisata). Scambiare un'anima soprannaturale con un'anima naturale- ma è un buon affare? Che cosa ci perdiamo e che cosa ci guadagniamo? C'è chi, a proposito di questo scambio, salta a conclusioni spaventose che sono, però, ampiamente errate. Intendo dimostrare proprio questo, ricostruendo la storia della crescita della libertà sul nostro pianeta fin dalla sua primissima apparizione, all'alba della vita. Che genere di libertà? Ne appariranno diverse forme, man mano che proseguirò nella mia storia. Quattro miliardi e mezzo di anni fa, il pianeta Terra era già formato; ed era totalmente privo di vita. Così rimase forse per un altro mezzo miliardo di anni, fino a quando apparvero le prime forme di vita elementare; poi, più o meno per i successivi tre miliardi di anni, gli oceani del pianeta brulicarono di vita, ma di una vita cieca e sorda. Le cellule semplici si moltiplicarono, ingoiandosi l'un l'altra, sfruttandosi a vicenda in migliaia di modi, ignare del mondo che stava oltre le loro membrane. In seguito, finalmente, si evolsero cellule molto più grandi e complesse: gli eucarioti, ancora stupidi e robotici, ma dotati di una complessità interna sufficiente per iniziare aspecializzarsi. Continuò così per qualche centinaio di milioni di anni, il tempo necessario agli algoritmi dell'evoluzione per imbattersi in tecniche adatte a trasformare queste cellule, e le loro figlie e nipoti, in organismi multicellulari composti di milioni, miliardi e (col tempo) trilioni di cellule, ognuna delle quali in grado di svolgere la propria particolare routine, ma a quel punto aggiogata a servitù specializzate, come parti di un occhio, di un orecchio, di un polmone o di un rene. Questi organismi (non i membri individuali delle squadre che li compongono) erano diventati esseri in grado di conoscere a distanza, 4
LJBERTA NATURALE
in grado di procacciarsi la cena sviluppando tecniche per passare inosservati durante l'avvicinamento alla preda e abili nel percepire le minacce incombenti da lontano. Neanche a questo punto, però, questi organismi completi sapevano ancora chi fossero. L'istinto garantiva loro che effettivamente stavano provando ad accoppiarsi con un membro della specie giusta, o che coloro con cui si riunivano in branchi erano membri della loro stessa specie, ma come quei brasiliani non erano coscienti di essere brasiliani, così nessun bisonte ha mai saputo di essere un bisonte.' Solo in una specie, la nostra, si sviluppò un nuovo strumento: il linguaggio. È questo strumento che ci ha permesso di creare una larga via per la condivisione della conoscenza, per qualsiasi argomento. La conversazione ci unisce, nonostante la diversità delle lingue. Tutti siamo in grado di sapere parecchio su che significhi essere un pescatore vietnamita o un tassista bulgaro, un'infermiera ottantenne o un bambino di cinque anni cieco dalla nascita, un campione di scacchi o una prostituta. Non importa quanto siamo diversi l'uno dall'altro, sparpagliati per tutto il Globo; possiamo sempre studiare le nostre differenze e parlarne. Non importa quanto simili tra loro siano i bisonti, raggruppati fianco a fianco in una mandria; non possono sapere assolutamente nulla della loro similarità, trascurando le loro differenze, perché non sono in grado di confrontare degli appunti. Possono anche avere esperienze simili, stando fianco a fianco; di certo, non possono condividere le esperienze come facciamo noi. Persino alla nostra stessa specie ci sono volute migliaia di anni di comunicazione per cominciare a individuare le chiavi l. Generalmente, la natura opera secondo una versione del "Principio della Necessità della Conoscenza", tipico del mondo dello spionaggio: i bisonti non hanno bisogno di sapere che sono ungulati appartenenti alla classe dei Mammalia - essendo bisonti non saprebbero cosa farsene di quell'informazione; i brasiliani non avevano (ancora) bisogno di sapere granché sull'ambiente più ampio, di cui la giungla che ben conoscevano non era che una piccola parte; ma i brasiliani. essendo esseri umani, sono stati in grado di estendere i loro orizzonti epistemici quasi senza sforzo non appena ne hanno sentito il bisogno. Sono sicuro che ora sanno di essere brasiliani.
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L'EVOLUZIONE DELLA LIBERTÀ
delle nostre identità. Sappiamo di essere mammiferi solo da poche centinaia di anni e solo da pochi decenni abbiamo compreso, nei particolari che contano, la storia e della nostra evoluzione e di quella di tutti gli altri esseri viventi, partita da quei semplici inizi. Su questo pianeta, certi nostri distanti cugini, come le formiche ci superano di numero- per non dire di parenti ancora più alla lontana, i batteri. Anche se costituiamo una minoranza, la nostra natura di esseri in grado di conoscere a distanza ci dà poteri che rendono insignificanti quelli di tutte le altre specie viventi del Globo. Oggi, per la prima volta nella sua storia millenaria, il nostro pianeta è protetto da sentinelle in grado di scrutare l'orizzonte, di avvistare minacce provenienti da un futuro lontano - una cometa in rotta di collisione, o il riscaldamento globale- e produrre piani per porvi rimedio. La Terra ha infine sviluppato un sistema nervoso: noi. Potremmo non essere all'altezza del compito. Potremmo anche distruggere il pianeta, invece di preservarlo, più che altro perché siamo pensatori così liberi e creativi, esploratori e avventurieri tanto indisciplinati da essere diversissimi dai trilioni di lavoratori schiavizzati che ci compongono. I cervelli sono fatti per prevedere il futuro, in modo che si possano compiere i passi opportuni nella direzione migliore; ma anche la più intelligente tra le bestie ha orizzonti molto limitati e poche, se non nessuna, abilità di immaginare mondi alternativi. Noi esseri umani, al contrario, abbiamo avuto la mezza fortuna di poter pensare anche alla nostra morte e a ciò che potrebbe seguirne. Un'enorme porzione della nostra energia negli ultimi diecimila anni è stata dedicata ad alleviare le preoccupazioni provocate da questa nuova sconvolgente vista, una vista che solo noi abbiamo. Se bruciate più calorie di quante ne assumete, in breve morirete. Se riuscìste a escogitare un modo qualsiasi per avere un surplus di calorie, come potreste mai utilizzarlo? Potreste dedicare secoli di lavoro umano per costruire templi, tombe e pire sacrificali, nelle quali gettare alcuni dei vostri averi più preziosi - e perfino alcuni dei vostri figli prediletti. Perché mai dovreste voler fare tutto questo? Questi irrazionali e terribili 6
LIBERTÀ NATURALE
dispendi di energia ci forniscono indizi su alcuni dei costi celati entro l'accresciuto potere della nostra immaginazione. Non abbiamo conquistato il nostro sapere senza dolore. Che cosa faremo, ora, della nostra conoscenza? I dolori del parto delle nostre scoperte non si sono ancora placati. Sono in molti a pensare che imparare troppo su ciò che siamo- barattare il mistero con dei meccanismi- impoverirà la nostra concezione delle possibilità umane. Questo timore è comprensibile, ma se stessimo veramente correndo il pericolo di sapere troppo, coloro che lavorano in prima linea in questa attività di ricerca non dovrebbero mostrare segni di sconforto? Guardate, invece, chi sta partecipando a questa avventura per accrescere la conoscenza scientifica e sta assimilando con impazienza le nuove scoperte; non sono certo a corto di ottimismo, hanno convinzioni morali, dimostrano impegno nella vita e nella società. Piuttosto, se volete trovare ansia, disperazione e anomia tra le fila degli intellettuali di oggi, date un'occhiata alla tribù, tanto alla moda ultimamente, dei postmodernisti, che si compiacciono di affermare che la scienza attuale non è altro che l'ultimo di una lunga serie di miti, che le sue istituzioni e i suoi costosi apparati non sono altro che rituali ed equipaggiamenti dell'ennesima religione. Che persone intelligenti possano prendere sul serio tesi di questo tipo è una riprova della potenza che a tutt'oggi continuano ad avere i ragionamenti catastrofistici, malgrado i progressi fatti nella conoscenza di noi stessi. I pensatori del postmodernismo hanno ragione, quando dicono che la scienza è solo uno dei modi che abbiamo di consumare il nostro surplus di calorie. Che sia stata una delle fonti principali di queste calorie in più non conferisce alla scienza alcun diritto di reclamare particolari quote del benessere che ha creato. Dovrebbe però risultare ovvio che le innovazioni della scienza - non solo i microscopi, i telescopi o i computer, ma i suoi legami con la ragione e i dati- sono i nuovi organi di senso della nostra specie, organi che ci permettono di rispondere a domande, risolvere misteri e prevedere il futuro con risultati che non possono essere paragonati a nessuna istituzione umana emersa precedentemente. 7
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Più impariamo che cosa siamo, più alternative scorgeremo di cosa provare a diventare. Negli USA per lungo tempo si è reso omaggio alla figura dell'"uomo che si fa da sé", ma proprio quando stiamo realmente imparando abbastanza da poter timodellare noi stessi in qualcosa di nuovo, molti anche qui si tirano indietro. Apparentemente, preferirebbero andare a tentoni, a occhi ben chiusi, fiduciosi nelle tradizioni, più che guardarsi intorno per vedere che cosa sta accadendo. Sì, è una situazione snervante. Certo, può far paura. Dopo tutto, c'è una gamma di errori completamente nuovi che potremmo commettere per la prima volta. Ma è l'inizio di una grande, nuova avventura per la nostra specie intelligente e sarà certamente molto più eccitante, oltre che saggio, tenere i nostri occhi ben aperti.
Ho letto recentemente su un giornale di un giovane padre che, andando al lavoro una mattina, dimentica di portare la sua bambina all'asilo nido. La bimba rimane tutto il giorno chiusa nella macchina del genitore, parcheggiata in uno spiazzo arroventato dal sole. Quando la sera sta tornando a casa, il padre si ferma all'asilo nido per riprendere la figlia, e lì si sente dire: "Non ce l'ha portata, questa mattina". Corre allora alla macchina e trova la piccola ancora assicurata con la cintura al suo seggiolino sul sedile posteriore, morta. Se siete in grado di sopportarlo, provate a mettervi nei panni di quell'uomo. Quando lo faccio, mi vengono i brividi; mi fa male il cuore al pensiero di una tale indicibile vergogna, di una tale ripugnanza di sé, e del rimorso che trascende il dolore che quest'uomo deve soffrire ora. Ed essendo io una persona notoriamente distratta, che si perde nei propri pensieri con grande facilità, trovo ancora più sconvolgente chiedermi: Potrebbe capitarmi un giorno di fare una cosa simile? Potrei essere tanto negligente con la vita di un figlio messa nelle mie mani? Mi figuro la scena in varianti diverse, cercando di immaginarmi possibili distrazioni- un allarme antincendio che suona proprio men-
tre sto per svoltare per l'asilo nido, qualcosa alla radio che miricorda un problema che devo risolvere quel giorno, e più tardi, di fianco al posto macchina, un amico che mi chiede aiuto proprio mentre esco dall'auto o, forse, dei fogli che mi cadono per terra, e devo chinarmi a raccoglierli. Potrebbe una sequenza di distrazioni di questo tipo accatastarsi tanto da seppellire, nella mia mente, il mio programma iniziale di portare la mia bambina sana e salva all'asilo nido? Potrei essere tanto sfortunato da incappare in una situazione in cui gli eventi cospirano per trarre da me il peggio del peggio, mettendo in risalto le mie debolezze e facendomi precipitare lungo una china tanto spregevole? Sono veramente grato che niente del genere mi sia mai capitato, perché non sono sicuro che non ci siano circostanze in cui non potrei fare gli stessi errori commessi da quell'uomo. Cose simili succedono di continuo. Non so nulla di più di quel giovane padre. È possibile che sia un essere umano insensibile e irresponsabile, un criminale degno di tutto il nostro disprezzo, ma è anche possibile che sia fondamentalmente una persona retta, vittima di una sfortuna cosmica. Ovviamente, più elevato è il grado della sua rettitudine e maggiore deve essere il rimorso che ora lo tormenta. Lui starà chiedendosi se ci sia davvero un modo onorevole di poter continuare a vivere. "Sono l'uomo che si è dimenticato la sua piccola e l'ha lasciata arrostire a morte in un'auto chiusa a chiave. Ecco chi sono." Ognuno di noi è quello che è, con i suoi nei e tutto il resto. Io non sono in grado di essere un campione di golf, o un pianista da grande concerto, o un fisico quantistico. Lo posso sopportare. Tutto ciò fa parte di chi io sono. Posso superare i novanta su un campo da golf, o addirittura suonare una fuga di Bach dall'inizio alla fine senza commettere errori? Posso provare, pare; ma se non dovessi riuscirei mai, questo potrebbe significare davvero che non avrei mai potuto farcela? "Sii tutto ciò che puoi essere!" - recita uno squillante slogan per il reclutamento nell'esercito degli Stati Uniti; ma non cela una beffarda tautologia? Non siamo noi tutti, automaticamente, tutto ciò che possiamo essere? "Ehi, sono un tipo indisciplinato, maleducato, un grosso sacco di lardo che non ha la minima
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Io sono quello che sono
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LIBERTÀ NATURALE
intenzione di arruolarsi nell'esercito. Io sono già tutto ciò che posso essere! Io sono quello che sono!" Chi parla in questo modo si sta automaticamente escludendo dalla possibilità dì una vita migliore o ha colto il nocciolo del problema? Sussiste un legittimo motivo per il quale sia possibile affermare che, sebbene io non possa essere, nel vero senso della parola, un campione di golf, nello stesso tempo io possa superare, nel vero senso della parola, i novanta? Ognuno di noi potrà mai fare qualcosa di diverso da ciò che finisce per fare? E se così non fosse, che senso avrebbe provarci? Anzi, che senso avrebbe fare una qualsiasi cosa? Ciò che invece vogliamo sia vero, in un modo o nell'altro, è che abbia un senso fare una qualsiasi cosa, e per millenni abbiamo combattuto con una serie di ragionamenti che portavano a credere che nulla avesse senso, perché se il mondo deve essere come lo dipinge la scienza, allora i nostri sforzi e i nostri desideri non hanno spazio al suo interno. Gli antichi atomisti greci avevano appena escogitato la grande idea di un mondo composto da una miriade di piccole particelle in continuo urto tra loro, che scoprirono il corollario che affermava che, in quel caso, qualsiasi evento, da ogni battito cardiaco a ogni frottola o intimo rimprovero a noi stessi, si sarebbe svolto, fin nei più piccoli dettagli, secondo le leggi di natura che determinano come si deve evolvere qualsiasi configurazione di partenza, e perciò non ci sarebbe stata alcuna alternativa, alcuna vera possibilità di scelta, alcuna opportunità, per quegli eventi, di accadere in un modo invece che in un altro. Se il determinismo fosse vero, nonostante possa sembrare che le nostre azioni abbiano un senso, il tutto non sarebbe che illusione. Anzi, potrebbe essere determinata persino la nostra stessa fiducia che i nostri atti abbiano un senso; ma, se così fosse, saremmo nel torto. Spesso è sembrato che il problema si ponesse appunto in questi termini. Ovviamente, questo tipo di ragionamento ha foraggiato la speranza che le leggi della natura non siano affatto deterministiche. Il primo tentativo di ammorbidire la posizione degli atomisti si deve a Epicuro e ai suoi seguaci che ipotizzarono uno scostamento casuale nella traiettoria di alcu-
nidi quegli atomi, in modo da lasciare spazio di azione alla libera scelta; ma poiché il solo fondamento di questa deviazione casuale era un pio desiderio, l'ipotesi venne in principio accolta con il meritato scetticismo. Ma non abbandonate la speranza: arriva in soccorso la fisica dei quanti! Quando apprendiamo che laggiù, nel mondo bizzarro della fisica subatomica, vigano leggi differenti, leggi indeterministiche, ciò, guarda caso, dà il via a una nuova avventura: trovare il modo di imbrigliare questo indeterminismo quantistico in modo da costruire un modello di un essere umano che sia un combattente dalle opportunità autentiche, capace di prendere decisioni veramente libere. L'attrazione per quest'opzione è così forte che l'ipotesi necessita di un'analisi attenta e di una critica indulgente, e tanto le verrà concesso nel capitolo 4; ma sosterrò, come hanno dichiarato molti altri prima di me, che questa visione semplicemente non funziona. Come ha scritto \Xlilliam James quasi un secolo fa:
Come, appunto? Raccomando sempre ai miei studenti di stare in guardia quando trovano domande retoriche, poiché queste indicano di solito l'anello più debole di una qualsiasi difesa. Una domanda retorica implica una reductio ad absurdum fin troppo ovvia per essere esplicitamente formulata, il posto ideale per nascondere un'assunzione non analizzata che, se individuata, potrebbe essere facilmente respinta. Si potrebbe sempre cercare di mettere in imbarazzo colui che pone la domanda retorica semplicemente cercando di rispondergli: "Ti /arò vedere io come!". Prenderemo in considerazione un tentativo siffatto nel capitolo 4 e mostreremo che la
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Se un atto "libero" fosse qualcosa di assolutamente nuovo, che non viene da me, dall'io che ero prima, ma ex mhilo, e semplicemente si attacca a me, come posso io, l'io che ero prima, essere responsabile? Come posso avere un carattere permanente che persista abbastanza per essere retribuito con la lode o con il biasimo? (James, 1907, p. 69)
L'EVOLUZIONE DELLA LIBERTA
LIBERTÀ NATURALE
sfida lancìata da James può in effetti essere raccolta, nella maggior parte dei casi. Egli esagera la situazione per vari aspetti, quando conclude: "11 rosario dei miei giorni cade in una pioggia di grani sconnessi non appena il filo della necessità interiore viene sfilato dall'assurda teoria indeterministica". In realtà, l'indeterminismo non è assurdo; ma non è nemmeno d'aiuto a coloro che vogliono a tutti i costi il libero arbitrio; e la nostra analisi rivelerà alcune sorprese su come la nostra immaginazione sia stata deviata nella ricerca di una soluzione, appunto, al problema del libero arbitrio.
notte per la preoccupazione. Tali questioni sono abitualmente lasciate ai margini delle argomentazioni e presentate come complicazioni empiriche che ìntorbidiscono le acque metafìsiche; ma è mia intenzione oppormi a questa deformazione e promuovere questi problemi tangenziali al rango di argomento principale. minaccia reale, la fonte sommersa di angoscia che rende l'argomento del libero arbitrio un catalizzatore di attenzioni tanto potente nei corsi di filosofia, nasce da un insieme di fatti relativi alla condizione umana che sono empirici e anche, in un certo senso, politici: dipendono dall'atteggiamento umano. Ciò che fa la differenza è l'idea che ne abbiamo. Viviamo le nostre vite su uno sfondo di fatti, alcuni dei quali sono mutevoli, altri solidi come rocce. Parte di questa stabilità è una conseguenza di verità fondamentali della fisica: la legge della gravità non ci deluderà mai (ci tirerà sempre verso il basso, almeno fino a quando staremo sulla Terra) e possiamo contare sulla costanza della velocità della luce in ogni nostra misurazione; 2 parte deriva da verità ancora più fondamentali, verità metafisiche: 2 + 2 darà sempre 4, il teorema di Pitagora continuerà a valere, e se A = B, qualunque cosa sia vera per A lo sarà anche per B, e viceversa. L'idea di avere libero arbitrio è a sua volta uno dei pilastri che regge tutto il nostro modo di riflettere sulla vita. Ci facciamo affidamento; contiamo sul fatto che la gente "abbia libero arbitrio", nello stesso modo in cui ci aspettiamo che la gente cada se spinta da un dirupo e che abbia bisogno di acqua e cibo per vivere; eppure, questa aspettativa non è né una condizione metafisica di sfondo, né una condizione fondamentale della fisica. Il libero arbitrio è come l'aria che respiriamo, ed è presente quasi ovunque vogliamo andare; ma non solo non è eterno, si è evoluto e sta ancora evolvendo. L'atmosfera del nostro pianeta si è evoluta per centinaia di milioni di anni, come prodotto dell'attività delle prime semplici forme di vita, continua a evolversi oggi in
L'aria che respiriamo Siamo tutti straordinariamente bravi a distogliere lo sguardo da prospettive inquietanti, ma in nessun altro caso, come in quello dello studio del libero arbitrio, siamo stati così capaci di focalizzare la nostra attenzione lontano dalla vera natura della questione. Il problema classico del libero arbitrio, così come è stato definito e discusso in secoli di analisi da parte di filosofi, teologi e scienziati, consiste nel chiedersi se il mondo sia fatto in modo tale da consentirci di prendere decisioni genuinamente libere e responsabili. La risposta dipende, così è sempre sembrato, da fatti elementari ed eterni -le leggi fondamentali della fisica l qualunque forma possano mai assumere) e da verità derivanti dalle definizioni della natura della materia, del tempo e della causalità, nonché da verità, parimenti fondamentali, derivanti dalla definizione della natura della mente: riteniamo, per esempio, che una roccia e un fiore non possano assolutamente possedere un libero arbitrio; solo qualcosa che possiede una mente può essere un candidato adatto a ricevere questo dono, qualunque cosa esso sia. Proverò a dimostrare che l'approccio tradizionale al problema del libero arbitrio è, nonostante il suo pedigree, ingannevole, un rompicapo di nessuna importanza che distoglie la nostra attenzione da alcune questioni contigue, che sarebbero, loro di rilevanza fondamentale e che dovrebbero tenerci svegli la 12
2. O quasi-costanza. Certe recenti e controverse osservazioni dei confini più lontani dello spazio hanno fatto pensare ad alcuni scienziati che per la velocità della luce ci potrebbero essere dei cambiamenti a una scala terncosmologica.
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LIBERTÀ 1\ATURA.LE
risposta alle attività deì mìliardi di forme di vita più complesse che essa stessa ha reso possibili. L'atmosfera del libero arbitrio è un altro tipo di ambiente. È l'atmosfera concettuale che avvolge tutto, che conferisce ìl potere, che modella la vita, composta da quelle azioni intenzionali che consentono di progettare e di sperare, di promettere e di incolpare, di offendere, di punire e di premiare. Tutti noi siamo cresciuti entro questa atmosfera concettuale e abbiamo imparato a condurre le nostre vite nei termini che questa atmosfera stabilisce. A prima vista, sembra essere un costrutto stabile e astorico, tanto eterno e immutabile quanto lo è l'aritmetica; ma non è così. Si è evoluta, come prodotto recente di interazioni umane; e alcuni tipi di attività umane, che precedentemente essa ha reso possibili su questo pianeta, potrebbero anche minacciare di distruggere la sua stabilità futura, o persino affrettarne la fine. Non ci sono garanzie che l'atmosfera del nostro pianeta possa durare per sempre: lo stesso vale per il libero arbitrio. Stiamo già prendendo misure per prevenire il deterioramento dell'aria che respiriamo. Potrebbero essere troppo poche e potrebbe essere troppo tardi. Si possono immaginare innovazioni tecnologiche (gigantesche cupole ad aria condizionata, terra-polmoni?) escogitate apposta per permetterei di vivere senza 1' atmosfera naturale. La vita sarebbe molto diversa e molto più difficile, ma potrebbe essere ancora una vita degna di essere vissuta. Che succede, però, se proviamo a immaginarci di vivere in un mondo privo dell'atmosfera del libero arbitrio? Potrebbe essere vita, ma saremmo noi a viverla? Varrebbe la pena vivere, privati della nostra fede nella capacità di prendere decisioni libere e responsabili? E potrebbe mai l'onnipresente atmosfera del libero arbitrio, nella quale viviamo e agiamo, non essere un fatto ma solo una sorta di apparenza, una m era facciata, un'allucinazione di massa? C'è gente che sostiene che il libero arbitrio sia sempre stato un'illusione, un sogno prescientifico dal quale ci stiamo finalmente destando. Non abbiamo mai veramente avuto il libero arbitrio, né avremmo mai potuto averlo. Pensare di possedere il libero arbitrio è stata, nella migliore delle ipotesi, un'idealo-
gia che ha modellato la vita e che ha persino accresciuto la vita; ma possiamo imparare a farne a meno. Qualcuno arriva a dichiarare di già riuscito, ma quello che intende contali parole non è perspicuo. Alcuni di costoro insistono nel dire che, sebbene abbiano scoperto che il libero arbitrio è un'illusione, questa presa di coscienza non ha influito significativamente su ciò che pensano della loro vita, delle loro speranze, o dei loro progetti o delle loro paure, ma non si prendono il disturbo di rimuginare su questa curiosa separazione dei termini del problema. Altri si scusano per le vestigia delle credenze che ancora pervadono il loro modo di parlare e di ragionare, e le trattano come fossero abitudini del tutto innocue di cui non si sono ancora curati di liberarsi, o come concessioni diplomatiche ai modi tradizionali, tipici dei pensatori meno raffinati che li circondano. Essi seguono così la massa, accettando la "responsabilità" di "decisioni" che non sono propriamente libere, accusando ed elogiando altri, ma tenendo le dita fermamente incrociate, sapendo che, in realtà, nessuno mai merita niente perché tutto ciò che accade non è l'esito risultante del moto di una vasta rete di cause irrazionali che, a un'analisi finale, impediscono a qualsiasi cosa di avere un senso. Stanno forse prendendo un grosso granchio questi individui sedicenti dis-illusi? Stanno scartando un punto di vista prezioso senza alcuna buona ragione, abbagliati come sono da una cattiva interpretazione della scienza che li spinge ad accettare un'immagine sminuita di se stessi? E importa poi qualcosa che sia vero un punto di vista o l'altro? Si avrebbe la tentazione di liquidare il problema del libero arbitrio come uno dei tanti rompicapo filosofici, un quesito artificioso creato da una congiura di definizioni fin troppo sottili. Hai il libero arbitrio? "Beh," risponde il filosofo, accendendosi la pipa, "dipende tutto da che cosa intendi con lihero arbitrio; vedi, per un certo verso, se adottiamo una definizione compatibilista di libero arbitrio ... " (a quel punto siamo già corsi alla partita). Per vedere quanto sia alta la posta in palio, quanto sia importante il problema, conviene porlo in termini personali. Riflettete, allora, sulla vostra vita da adulti e scegliete un e-
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vento tragico, una cosa talmente brutta che siete costretti a cancellare qualche dettaglio per riuscire a sopportarne il ricordo. (Altrimenti, se il ricordo è troppo doloroso, provate solo a mettervi per un momento nei panni del giovane padre che abbiamo incontrato alle pp. 8-9.) Quindi fissatevi nella mente quel terribile fatto; lo avete commesso. Se solo non lo aveste fatto! E allora? Che significato attribuite al vostro rimorso entro il contesto più ampio delle cose? Brucia più di tutto, o è solamente una sorta di singulto involontario, uno spasmo senza significato provocato da un mondo privo di scopo? Viviamo in un universo dove ha senso adoperarsi e sperare, provare rimorso, incolpare, promettere, cercare di migliorare, condannare ed elogiare? O fa tutto parte di un'immensa illusione, che sebbene onorata dalla tradizione è matura al punto giusto da essere smascherata? Certuni- e voi potreste essere tra quelli- potrebbero sentirsi momentaneamente confortati dall'idea di non possedere libero arbitrio, e che dunque non li tocchi più nulla, né i reati più vergognosi, né i trionfi più gloriosi; tutto non sarebbe altro, per loro, che una conseguenza dell'azione di un meccanismo privo di senso. Ma sebbene in un primo momento questo potrebbe sembrare ai loro occhi di grande sollievo, in seguito, riflettendoci su, anche loro si accorgerebbero con irritazione di non poter fare a meno di sentirsi coinvolti, di non potersi esimere dal preoccuparsi, adoperarsi, sperare- e quindi andrebbero avanti a riflettere, per accorgersi infine di non poter fare a meno di sentirsi irritati da questo incessante impulso a sentirsi coinvolti, e così via, intrappolati in una spirale discendente che è l'equivalente motivazionale della morte termica dell'universo: niente si muove, niente importa, niente. Qualcun altro- e ancora potreste essere voi- è invece sicuro di avere il libero arbitrio. Questi non si applica semplicemente a ciò che fa, ma vi si dedica con tutto se stesso, sfidando con ogni gesto il suo cosiddetto destino. Affronta le possibilità che gli si prospettano, cerca di ottenere il massimo da quelle a lui favorevoli e si entusiasma quando scampa per un
soffio ai disastri. Si considera padrone della propria vita, responsabile delle proprie azioni. Ci possono essere, sembrerebbe allora, due tipi di persone: quelli che credono di non godere del libero arbitrio (anche se non possono fare a meno di agire, nella maggior parte del tempo, come se credessero di averlo) e quelli che sono convinti di averlo (anche se è un'illusione). A quale categoria appartenete? Quale categoria è messa meglio, è più felice? E, in fin dei conti, quale dei due gruppi ha ragione? Coloro che appartengono alla categoria dei disillusi, coloro che, almeno nei loro momenti di riflessione, riescono a vedere attraverso la grande illusione? O non sono, invece, proprio questi coloro che non colgono il nocciolo del problema, vittime di una qualche illusione cognitiva che li forza a volgere la schiena alla verità, rendendosi impotenti proprio con lo scartare l'unica idea che darebbe un senso alla loro vita? (Peggio per loro, ma forse non possono farne a meno. Forse, la loro decisione di rigettare l'idea di libero arbitrio è determinata dalla loro storia, dai loro geni, dal modo in cui sono stati tirati su, dalla loro istruzione! Come ha detto il comico Emo Phillips: "Non sono un fatalista; ma anche se lo fossi, che cosa potrei farci?".) Questo punto fa emergere quella che sembrerebbe un'altra possibilità. Forse, ci sono due tipologie di persone normali (sedute a fianco di coloro che sono veramente dei disabili e che non possono avere libero arbitrio perché comatosi o dementi): coloro che non credono nel libero arbitrio e perciò non hanno il libero arbitrio, e coloro che credono nel libero arbitrio e perciò hanno davvero il libero arbitrio. Qualcosa come "il potere del pensiero positivo" sarebbe mai talmente forte da fare effettivamente la differenza? Il ragionamento potrebbe essere di poco conforto, dal momento che è sempre possibile attribuire al cieco caso la vostra appartenenza a un gruppo o all'altro, nel bene come nel male. Potreste mai cambiare gruppo? Potreste mai volerlo fare? È tremendamente arduo mettere a fuoco questi aspetti così curiosi del problema del libero arbitrio. Se fosse una mera verità metafisica avere (o non avere) libero arbitrio, allora la cosa non potrebbe essere
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influenzata da "regole di maggioranza" né da altro dello stesso genere, e la vostra sola opzione (possibilità di scelta? -ma abbiamo veramente scelta?) sarebbe quella di voler conoscere, o di non volerlo fare, quale possa essere questa verità metafisica. Spesso si continua però a parlare e a scrivere come se si potesse, effettivamente, impegnarsi per sostenere la fede nel libero arbitrio, come se il libero arbitrio (non solamente la fede nel libero arbitrio) fosse una condizione politica che può venire minacciata, disperdersi o estinguersi sulla base delle credenze degli elettori. Il libero arbitrio è forse come la democrazia? Che relazione esiste tra la libertà politica e il libero volere (libertà metafisica, in mancanza di locuzione migliore)? Nel resto del libro il mio scopo sarà condurre questa pletora di prospettive a un punto fermo e cercare di fornire una visione coerente, unificata, stabile, empiricamente ben fondata del libero arbitrio umano; sapete già dove voglio andare a parare: il libero arbitrio è reale, ma non è una caratteristica indipendente dalla nostra esistenza, come lo è invece la legge di gravità. Non è nemmeno ciò che la tradizione vuole che sia: una sorta di potere divino che ci dispensa dal tessuto causale del mondo fisico. È una creazione evoluta delle attività e delle credenze umane, ed è reale almeno quanto le altre creazioni umane come la musica e la moneta; e decisamente più preziosa. Da questo punto di vista evoluzionistico, il problema tradizionale del libero arbitrio può essere spezzato in alcuni frammenti piuttosto insoliti, ognuno dei quali ha un certo peso nel contribuire a chiarire i problemi seri concernenti il libero arbitrio; ma potremo intraprendere questo processo di riesame solo dopo avere corretto l'informazione sbagliata implicita negli approcci tradizionali all'intera questione.
Nel classico della Disney Dumbo, dove si raccontano le avventure del piccolo elefante che impara a distendere le sue enormi orecchie e a volare, c'è una scena chiave in cui un ti-
moroso - se non terrorizzato - Dumbo è stato convinto dai suoi amici, i corvi, a lanciarsi da un dirupo per dimostrare a se stesso di poter volare. Uno dei corvi ha un'idea brillante. Mentre Dumbo non sta guardando, strappa una penna dalla coda di un altro corvo e la dona cerimoniosamente a Dumbo, dicendogli che è una penna magica: fino a quando Dumbo la stringerà forte con la sua proboscide, sarà in grado di volare! La scena viene resa con magistrale economia. Non è fornita alcuna spiegazione, dal momento che anche i bambini più piccoli sono in grado di comprenderla senza alcun aiuto: la penna, in realtà, non è magica; è uno strumento protesico, un sostegno di fede per così dire, che permetterà a Dumbo di levarsi dal suolo grazie al potere del pensiero positivo. Immaginate ora una variante della scena. Figuratevi che uno degli altri corvi, lo scettico del villaggio, sveglio a sufficienza da rendersi conto dell'inganno perpetrato, ma non tanto da capirne il valore, cerchi di dire a Dumbo la verità, proprio mentre lui è appollaiato sul ciglio del dirupo, la penna stretta nella proboscide. I bambini strillerebbero: "Fermate quel corvo!". Soffocate quel sapientone, svelti, prima che sia la rovina di Dumbo! Agli occhi di qualcuno, io sono quel corvo. Fate attenzione, avvisano. Quest'individuo sta combinando un grosso guaio, sebbene sia mosso da buone intenzioni. Insiste nel parlare di questioni che è meglio evitare di approfondire. "Shhh! Romperai l'incantesimo." Questo avvertimento non si adopera solo nelle fiabe; talvolta, risulta appropriato anche nella vita reale. Una fedele descrizione della biomeccanica del risveglio sessuale e dell'erezione non sarebbe un buon argomento da affrontare nel bel mezzo dei preliminari con una signora, e una riflessione sull'utilità sociale delle cerimonie e degli abiti non sarebbe consigliabile né durante un'orazione funebre né durante il brindisi di un matrimonio. Ci sono momenti in cui diamo prova di tutta la nostra saggezza nel distogliere l'attenzione dai particolari scientifici, momenti in cui l'ignoranza ci dà immensa gioia. È forse questo un momento del genere? Il fatto è che la capacità di volare di Dumbo dipende solamente dalla fede di Dumbo di essere in grado di volare. Que-
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La penna magica di Dumbo e il Rischio di Paulina
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sta non è una verità necessaria; se Dumbo fosse un uccello (o anche solamente un elefante più sicuro di sé!), il suo talento non sarebbe così vulnerabile; ma essendo lui quello che è, ha bisogno di tutto il supporto morale che riesce ad avere, e alla nostra curiosità scientifica non dovrebbe essere permesso di interferire con il suo delicato stato mentale. È così anche per il libero arbitrio? Non è quanto meno probabile che possedere libero arbitrio dipenda dalla convinzione di avere libero arbitrio? E se è anche solo probabile, non dovremmo evitare di sbandierare tesi che potrebbero, giustamente o ingiustamente, minare quella convinzione? Se non possiamo metterei un bavaglio, non siamo almeno obbligati a chiudere la bocca o a cambiare argomento di conversazione? C'è sicuramente chi la pensa così. Dopo anni e anni di lavoro sul problema, ho imparato ariconoscere uno schema. La mia prospettiva fondamentale è il naturalismo, la concezione per cui le investigazioni filosofiche non sono superiori a, o a priori rispetto a, indagini svolte nel campo delle scienze naturali, ma collaborano con queste attività di ricerca della verità, la concezione che sostiene che, in questo caso, il lavoro tipico di un filosofo sia chiarire e unificare prospettive spesso in conflitto entro un'unica visione dell'universo. Ciò significa accettare di buon grado il dono di scoperte scientifiche comprovate ma anche di teorie speculative, considerandole come materiale grezzo utile alla riflessione filosofica, in modo che sia possibile un informato e costruttivo scetticismo scientifico o filosofico. Non appena presentati i frutti del mio naturalismo, la mia teoria materialistica della coscienza (per esempio, in Coscienza [Dennett, 199la]), e il mio resoconto degli algoritmi darwinisti stupidi e privi di scopo che hanno creato la biosfera e tutti i suoi prodotti derivati sia i nostri cervelli sia i frutti della nostra immaginazione (per esempio, in L:idea pericolosa di Darwin [Dennett, 1995]), ho incontrato sacche di inquietudine, un'aria predominante di disapprovazione o di ansia, ben diversa dal puro scetticismo. Di solito, questa sensazione di fastidio è ovattata, come il bole rombo di un tuono lontano, una t1ebile trama di pii desi20
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cleri che quasi subliminalmente stravolge l'ordine del giorno di un dibattito. Spesso, terminate le provviste di obiezioni, qualcuno dei miei interlocutori svelava il vero ordine del giorno che era alla base di tanto scetticismo: tutto molto interessante, ma allora che ne è del libero arbitrio? Caro Signore, la Sua visione non distrugge la possibilità stessa del libero arbitrio?". Questa è sempre una replica benvenuta, in quanto rafforza la mia convinzione che la preoccupazione per il libero arbitrio sia la forza trainante della maggior parte delle resistenze incontrate dal materialismo in generale, dal neodarwinismo in particolare. Tom Wolfe, che è sintonizzato sullo Zeitgeist come tutti gli altri, ha compendiato il punto in un articolo dal titolo non a caso delirante: "Scusate, ma la vostra anima è appena morta" (" Sorry, but your soul just died"). L'articolo parla dell'ascesa di ciò che l'autore con una certa confusione etichetta come "neuroscienze", di cui identifica il padre ideologo in E. O. Wilson (che, tra l'altro, non è un neuroscienziato, ma un entomologo e un sociobiologo) insieme ai suoi scagnozzi, Richard Dawkins e me. Wolfe pensa di aver colto il presagio funesto: Dato che la coscienza e il pensiero sono prodotti interamente fisici tuo cervello e del tuo sistema nervoso, e dato che il tuo cervello arriva alla nascita con un imprinting completo, che cosa ti fa pensare di avere un libero arbitrio? Da dove dovrebbe venire? (Wolfe, 2000, p. 117)
Ho la risposta. Wolfe è semplicemente in errore. Per un qualche motivo, il vostro cervello non arriva "alla nascita con un imprinting completo", ma questo è il minore dei fraintendimenti a cui ricondurre la diffusa resistenza al naturalismo. Il naturalismo non è nemico del libero arbitrio; anzi, esso ci consente una spiegazione positiva del libero arbitrio, un approccio che, di fatto, consente di trattare i rompicapi meglio di quanto riescano a fare quelli che cercano di proteggere il libero arbitrio dalle grinfie della scienza ricorrendo a una "metafisica oscura e paurosa come un coniglio" (per dirla con la bella espressione di P.F. Strawson). Ne ho presentato una versione 21
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nel mio libro del1984, Elbow Room: the Varietzes o/Free Will Worth \Vanting. Ma mi sono reso conto che la gente spesso dubita che io voglia esattamente quello che affermo. Sono convinti, con Tom Wolfe, che il materialismo non possa ovviamente concedere spazio al libero arbitrio, e laddove Wolfe è almeno qualche volta causticamente divertente nel trattare l'argomento ("Mi piace parlare con queste persone: rivelano un determinismo irriducibile"}, altri non lo sono. Brian Appleyard, per esempio, ha lanciato numerose grida d'allarme sotto forma di libri; ma secondo il parere di un altro allarmista, Leon Kass, è stato anche lui sedotto: Appleyard, assai non approva le implicazioni del pensiero genocentrico ed esprime la speranza che queste possano risultare erronee; comunque, insiste che a esso si debba resistere. Ma lui stesso non è filosoficamente dotato per mostrare cosa non vada in quella dottrina. Peggio, sembra che sia una vittima inconsapevole di una simile corrente di pensiero, nutrita dai tronfi pronunciamenti dei più riduzionisti e grandiosi bioprofeti: Francis Crick, Richard Dawkins, Daniel Dennett,James Watson ed E.O. Wilson. (Kass, 1998, p. 8)
Determinismo, genocentrismo, riduzionismo attenti a questi grandiosi bioprofeti; sono in procinto di sovvertire ogni valore! Dovendomi confrontare spesso con queste condanne (e con questi travìsamenti, come vedremo), mi sono reso conto che c'era bisogno di qualcosa di simile a un'apologia. Faccio forse qualcosa di irresponsabile nel diffondere queste idee in modo tanto energico? Gli studiosi, dalla loro tradizionale torre d'avorio, non si sono mai preoccupati molto delle responsabilità dovute all' impatto ambientale del loro lavoro. leggi sulla diffamazione e sull'oltraggio, per esempio, non dispensano nessuno di noi; nonostante ciò, la maggior parte di noi compresi scienziati di molti settori della ricerca abitualmente evita di fare affermazioni che, a prescindere da considerazioni di diffamazione e oltraggio, possano arrecare danno ad altri, anche solo 22
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indirettamente. Si può avere una misura immediata di questo fatto notando quanto sia palesemente ridicola l'idea di un'assicurazione sulla negligenza professionale nel campo della critica letteraria, o della filosofia, della matematica, della storia e della cosmologia. Che cosa mai potrebbe combinare un matematico o un critico letterario nel compimento dei suoi doveri professionali da meritare una copertura assicurativa contro eventuali negligenze? Certo, potrebbe inavvertitamente far inciampare uno studente nei corridoi o far cadere un libro in testa a qualcuno, ma a parte questi bizzarri effetti collaterali, le nostre professioni sono tutte dei paradigmi di non pericolo. Così sì potrebbe almeno pensare. Ma nei settori ove la posta in gioco è più alta - e più chiara - esiste una tradizione di vecchia data richiama soprattutto alla prudenza e chiama in causa le responsabilità del lavoro svolto, in modo da garantire che a nessuno venga fatto del male (tale tradizione è esplicitamente onorata nel giuramento di Ippocrate). Gli ingegneri, consci che la vita di migliaia di persone potrebbe dipendere, poniamo, dal ponte che stanno progettando, si applicano in esercizi mirati, introducendo particolari condizioni per appurare se, alla luce delle conoscenze a loro disposizione in quel momento, i loro progetti siano davvero inoffensivi. Quando noi accademici aspiriamo a ottenere un impatto maggiore sul mondo "reale" (in contrapposizione a quello "accademico"), dobbiamo adottare le regole e le abitudini proprie di queste discipline più pratiche. Dobbiamo, dunque, ritenerci responsabili di ciò che affermiamo, riconoscendo che le nostre parole, se credute, possono avere effetti profondi nel bene e nel male. E non è tutto. Dobbiamo renderei pure conto che le nostre parole possono essere male interpretate, e che siamo per certi versi ugualmente responsabili tanto delle probabili incomprensioni di ciò che diciamo quanto degli effetti "propri" delle nostre parole. Ecco un principio familiare: l'ingegnere progetta un prodotto che è potenzialmente dannoso se male utilizzato, è responsabile tanto degli effetti del cattivo uso quanto di quelli dell'uso proprio, e deve fare quanto è in suo 23
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potere per mettere in guardia i profani circa i pericoli conseguenti a un uso improprio del suo prodotto. Dire la verità come meglio riusciamo a fare è la nostra responsabilità prioritaria, ma non è sufficiente. La verità può far male, specialmente se la si può stravolgere; e ogni accademico convinto che la verità sia una difesa sufficiente contro ogni rivendicazione probabilmente non ha riflettuto abbastanza profondamente su tutte le possibilità. Qualche volta, la probabilità dei fraintendimenti (o di altri abusi) di affermazioni vere, il dolore prevedibile che simili fraintendimenti potrebbero provocare sono così grandi che chi pronuncia quelle affermazioni farebbe meglio a tacere. A una dei miei primi allievi, Paulina Essunger, si deve un chiaro esempio che trae il suo argomento dal mondo ipotetico della filosofia per ambientarlo però nella dura realtà. Paulina ha svolto ricerche sull'AIDS e conosce bene i pericoli abituali in quel campo di ricerca, così chiamerò il suo esempio il Rischio di Paulina:
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sbarazzasse.) Per esempio, si potrebbe diffondere un sentimento di irrazionale compiacimento, diciamo, tra i maschi omosessuali: "L'AIDS ormai è curabile, quindi non me ne devo preoccupare". L'incidenza del livello di rischio di attività sessuali senza l'uso di protezioni all'interno di questo gruppo potrebbe tornare a crescere, a causa di questo sentimento di falsa sicurezza. Inoltre, la diffusione della prescrizione del trattamento potrebbe portare a una drastica propagazione di virus resistenti nella popolazione infetta, dovuta alla periodica non collaborazione dei pazienti. (Essunger, corrispondenza personale)
tare la notizia. Alcune di queste loro responsabilità, però, sembrano ricadermi addosso. Specie se utilizzo termini come "debellato", che in un contesto virale implica che io abbia spazzato via il virus dalla faccia della Terra, e non "solamente" aver fatto in modo che un singolo individuo contagiato se ne
Nel peggiore dei casi voi potete avere una cura per l'AIDS, sapete di avere una cura per l'AIDS, ma non siete in grado di trovare un modo di rendere questa scoperta pubblica in modo responsabile. Non serve prendersela con il non grande spirito di collaborazione o la sconsideratezza della comunità a rischio, non serve incolpare i pazienti irresoluti che abbandonano il trattamento a metà- questi sono effetti prevedibili e naturali (sebbene deplorevoli) dell'impatto che potrebbe avere la vostra pubblicazione. Dovreste esplorare tutte le vie praticabili utili a prevenire ogni abuso della vostra scoperta, naturalmente, e fare progetti per mettere in atto ogni possibile difesa; ma forse, nel peggiore dei casi, i benefici auspicabili della vostra scoperta non si potrebbero semplicemente ottenere: non riuscireste a fare quel piccolo passo. Non sarebbe solamente un serio dilemma, sarebbe una tragedia. (L'ipotetico caso prospettato da Essunger sta naturalmente e per certi aspetti diventando reale: l'ottimismo in-vista di una cura imminente ha già portato a una pericolosa rilassatezza nell'attuazione di pratiche sessuali sicure tra gruppi a rischio, almeno in Occidente.) Questa, allora, è in linea di massima una possibilità; ma è altrettanto probabile che analoghe sistematiche fonti di frustrazione si oppongano al mio tentativo di comunicare una "cura" naturalistica del problema del libero arbitrio? Anzi, alcune di queste fonti sono realmente presenti, e sono davvero frustranti. Ci sono svariati guardiani del bene pubblico che - animati dalle migliori intenzioni - vogliono fermare
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Diciamo che io stia per "scoprire" che l'HIV può essere debellato in un individuo contagiato, in circostanze ideali (totale collaborazione del paziente, totale assenza di eventi che possano inibire l'azione di farmaci, come la nausea, ecc., totale assenza di contaminazioni da ceppi di virus estranei, e così via), dopo quattro anni di applicazione di un certo regime terapeutico. Posso essere in errore. Posso ingannarmi in un modo semplice e diretto. Poniamo che abbia sbagliato dei calcoli, letto male dei dati, mal giudicato i pazienti che ho selezionato, o forse che sia stata troppo larga nell'estrapolazione. Ma potrei pure sbagllare nel pubblicare questi stessi risultati anche nel caso che fossero verz~ a causa del loro potenziale impatto ambientale. (Inoltre, i media potrebbero commettere un errore nel riportare la notizia, o sbagliare nel modo scelto per ripor-
l"'EVOLUZIO:'>JE DELLA LIBERTA
quel corvo l Sono pronti a fare qualunque mossa ritengano necessaria per scoraggiare o screditare o ridurre al silenzio chiunque ritengano possa spezzare l'incantesimo, prima che venga combinato qualche danno davvero serio. Sono in carica da molti anni e sebbene le loro divise siano ormai consunte e i loro grossolani errori siano stati ripetutamente smascherati dai loro colleghi scienziati, i resti delle loro campagne continuano a inquinare l'atmosfera della discussione, distorcendo la comprensione che il pubblico generico ha dell'argomento. Per esempio, i biologi Richard Lewontin, Leon Kamin e Steven Rose una volta hanno dichiarato di considerarsi come
LIBERTÀ :'>JATURALE
Nessuno ha mai sostenuto che una brigata di vigili del fuoco debba combattere lealmente contro il fuoco: così, questi nostri pompieri gettano ben altro oltre all'acqua della ragione, su coloro che giudicano degli incendiari. E non sono i soli. Collocata al polo opposto dello spettro politico, anche la destra religiosa ha imparato a padroneggiare l'arte della confutazione caricaturale, e si avventa su ogni opportunità che ha di sostituire qualsiasi prudente osservazione dei fatti dell' evoluzione con sensazionalistiche semplificazioni che possono poi subissare di fischi, additandole al mondo con orrore. Concedo ai critici, sia di destra sia di sinistra, che alcuni di quelli che loro hanno preso di mira hanno fatto alcune sfortunate affermazioni, esagerate e semplicistiche; concordo pure che tale trascuratezza della propria responsabilità possa avere effetti veramente perniciosi. Inoltre, non metto in discussione né i loro
motivi né le loro tattiche; se io incontrassi i la tori di un messaggio che ritenessi tanto pericoloso da non concedermi di correre il rischio di accordare loro il beneficio di un equo uditorio, sarei quanto meno tentato fortemente di stravolgerlo, di farne una caricatura in nome del bene comune. Vorrei inventare qualche buon epiteto come determinismo genetico o riduzionismo o fondamentalismo darwinista, e poi flagellerei questi insulsi personaggi con tutta la mia forza. Come si usa dire, è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo. Dove penso che questi guardiani sbaglino è nel fare un unico fascio dei naturalisti prudenti e responsabili (come Crick e Watson, E.O. Wilson, Richard Dawkins, Steven Pinker e me) e dei pochi che, incuranti, tendono a esagerare e ad attribuirci interpretazioni che siamo stati più che attenti a sconfessare e a criticare. Come strategia è intelligente: se pensi veramente di dover spalmare del catrame su qualcosa, utilizza un pennello da catrame largo, tanto per andare sul sicuro; non permettere ai cattivi di nascondersi dietro a uno scudo di ostaggi rispettabili! Ma ciò ha l'effetto di abbattere dei naturali alleati con il "fuoco amico" e, per essere sincero, è disonesto, sebbene mosso da buone intenzioni. Il Rischio di Paulina che affrontiamo noi naturalisti è che, ogni volta che proponiamo versioni circospette e precise delle nostre posizioni, alcuni di questi guardiani del bene pubblico applicano la loro intelligenza a trasformare la nostre prudenti asserzioni in slogan televisivi che sono di fatto assurdi e irresponsabili. Ho scoperto che più sono attento a presentare i miei messaggi, in modo che siano chiari e convincenti, per esempio, più questi guardiani diventano sospettosi. Quello che dicono, ricorrendo a una parafrasi, è questo: "Non badate a tutti i distinguo e a tutti i sofismi mascherati dalla sua spregiudicata retorica! Quello che lui sta realmente dicendo è che voi non avete la coscienza, non avete la mente, non avete il libero arbitrio! Tutti noi siamo solo degli zombie, e niente ha un senso- questo è ciò che sta realmente sostenendo!''. Come dovrei comportarmi? (Per la cronaca, non è questo ciò che sto realmente dicendo.) E a peggiorare le cose, ci sono alcune gra-
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i vigili del fuoco, continuamente chiamati nel mezzo della notte a spegnere l'ultimo incendio, sempre pronti a rispondere agli allarmi improvvisi, ma mai con abbastanza tempo a disposizione per fare il progetto di un edificio realmente antincendio: una volta è il Q! e la razza, un'altra i geni per lacriminalità, un'altra ancora l'inferiorità biologica delle donne, oppure la rigidità genetica della natura umana. Tutti questi incendi deterministici devono essere domati in tempo con l'acqua fredda della ragione, prima che l'intero complesso intellettuale vada in fiamme. (Lewontin et al., 1984, p. 271)
L'L\'OU '71( l:\E DITLA LJB!XL\
LIBERTA :\.".TURt\l.E
vi defezioni e disaccordi anche all'interno di quello che si suppone sia il monolitico accampamento del "fondamentalismo darwinista". Per esempio, Robert Wright, il cui recente libro Nonzero: Tbe Logico/ Human Dcstiny costituisce per vari aspetti un'eccellente esposizione di molti dei temi che tratterò in questa sede, ritiene di non poter sottoscrivere il contenuto principale (per come lo vedo io) delle nostre teorie:
Wright, ahimè, cerca infine scampo nella visione mistica dì Teilhard dc Chardin, dopo diverse centinaia di eccellenti pagine di vigorosa demistificazione naturalistica. (Una defezione meno radicale ma più frustrante è quella di Steven Pinker [1997]. il cui continuo gingillarsi con dottrine misteriche della coscienza è esso stesso un mistero. Nessuno è perfetto.) Evidentemente, la posta in palio è alta. Ciò a cui assistiamo sembra una corsa agli armamenti evoluzionistica, con un'incessante escalation da entrambe le parti. Notate, però, che invece di ribattere cercando di mettere in caricatura i miei oppositori, sto posizionando un'arma differente tra le nostre fila: sto cercando di impiantare in voi il seme del sospetto in modo che pensiate che questi nostri eminenti critici possano anche aver capito in fondo al loro cuore che noi siamo nel giusto. Il corvo aveva ragione. dopotutto; ma nonostante questo, loro dicono ancora: Fermate quel corvo.' Come vedremo nei capitoli successivi, alcune delle più popolari obiezioni alla teoria naturalistica del libero arbitrio sono alimentate da paure più che da ragioni. Ma anche una paura può essere alquanto ragionevole; se pensate che quello che vi stanno offrendo possa essere il vaso di Pandora, tenete- costi quel che costi~ il dito sul grilletto del sospetto e sparate tutte le vostre obie-
zioni prima di lasciare che il va:so venga aperto, perché allora potrebbe essere troppo tardi. Perché, di fronte a questa furiosa resistenza, insisto nello sforzo di presentare ìl mio punto di vista, dal momento che, soprattutto, mi rendo conto che non è atlatto ovvio che esso non possa fare alcun male? n critici dipingono il pericolo come se fosse maggiore, ovviamente, insistendo a caratterizzare le mie opinioni con tinte pericolose; stanno giocando a chi tiene duro più a lungo con noi naturalisti, in effetti.) La ragione è che penso che sia ora di svezzare Dumbo e di toglicrgli la sua penna magica. Non ne ha bisogno, e prima lo impara, meglio è. Nel film, come sicuramente ricordate, la penna scivola dalla presa di Dumbo in un momento cruciale, mentre sta precipitando verso il suo destino, e all'ultimo momento si ravvede e si salva, distendendo le orecchie e interrompendo la picchiata. Si chiama crescita, e io penso che noi tutti siamo pronti per crescere. Perché Dumbo starebbe meglio senza i suoi miti o la sua magia? Perché sarebbe meno dipendente, più abile e più autonomo nel suo stato di disillusione. Cercherò di dimostrare che alcune delle concezioni tradizionali del libero arbitrio sono semplicemente e palesemente erronee e, inoltre, riportano indietro i termini della diatriba in un modo che crea gravi problemi per il futuro del libero arbitrio su questo pianeta. Per esempio, un approccio senza illusioni al problema del libero arbitrio può chiarire alcune delle nostre idee sulla colpa e sul castigo, e alleggerirci di alcune delle nostre preoccupazioni dovute a quello che io chiamo lo Spettro della Discolpa Strisciante Oa scienza ci sta veramente mostrando come nessuno, in realtà, meriti una punizione? O un premio, se è per questo?). Può aiutare aristabìlire il ruolo propdo dell'educazione morale, così come a spiegare il ruolo importante che ha avuto la religione in passato nel sostenere la moralità nella società, un ruolo che le idee religiose non rivestono più, ma che noi accantoniamo a nostro rischio e pericolo. Se insistiamo a rivolgerei ai miti, se non abbiamo il coraggio di accantonarli in favore di sostituti scientificamente credìbili- che sono già disponibili-, ci potrebbero restare pochi giorni di volo. La verità vi farà dawero mettere le ali.
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Ovviamente, il problema qui è la tesi che la coscienza sia "identica" a stati mentali fisici. Più Dennett e soci cercano di spiegarmi ciò che vogliono dire con tale frase, più mi convinco che quello che realmente intendono è che la coscienz11 non esiste. (Wright, 2000, p. 398)
L'E\'( lLLZIUNE DELL\ LIBEIU.À
Capitolo l
Una spiegazione naturalùtica di come sia noi sia le nostre menti evolvano sembra minacciare la concezione tradizionale del libero arbitrio, e la paura generata da questa prospettiva ha falsato le indagini scientt/iche e .lilosofìche sull'argomento. Alcuni di coloro che hanno intuito i pericoli di queste nuove scoperte circa noi stessi li hanno gravemente travisati. implicazioni della n/ondata conoscenza delle nostre origini dimostrerà, sulla base di una analisi serena, di supportare una dottrina della libertà più/orte e più saggia di quella /orm"ta dai miti che deve sostituire. Capitolo 2
La nostra concezione del determinismo è spesso distorta da illusioni che possono essere eliminate con l'aiuto di un modellinogiocattolo teorico, entro cui entità elementari possono evolvere tanto da eludere i pericoli e riuscire a riprodursi. Questo esempio mostra che il tradizionale legame tra determinismo e ineluttabilità è un errore, e che il concetto di ineluttabilità appartielle allivello progettuale, non a quello /ìsico.
Fonti e letture consigliate Il rimando completo ai libri e agli articoli citati nel testo (vedi Wolfe, 2000) si può trovare nella bibliografia riportata alla fine del libro. Aggiungerò, per ogni capitolo, ulteriori commenti e indicazioni di altre fonti che trattano degli argomenti discussi. Qualche lettore potrebbe aver avuto l'impressione che io abbia cominciato malissimo in questo lavoro, cadendo in palese contraddizione a pagina 3. In un primo momento, nego che noi possiamo possedere un'anima oltre a migliaia di miliardi di cellule robotiche; poi, osservo disinvoltamente che noi siamo esseri coscienti: "Dal momento che io sono cosciente e voi lo siete altrettanto. noi tutti dobbiamo avere un sé cosciente 30
LIBERL\ 1':,-\TURALE
che è in qualche modo composto di questi strani piccoli menti". Quel lettore potrebbe sentirsi tentato di concordare con Robert Wright nell'affermare che, di fatto. io stia sostenendo che la coscienza non esiste. Sarebbe però un peccato, se quel lettore lasciasse a questa convinzione il potere di viziare la sua lettura del resto delltbro; lo prego, per ora, di sospendere il giudizio, nella piccolissima probabilità che Wright sia nel torto! Il mio materialismo intransigente è davvero parte integrante della posizione che difenderò; vorrei essere franco su questo punto, a costo di correre il rischio di prendermi l'ostilità e lo scetticismo di coloro che ancora tengono a una trattazione dualistica del problema della coscienza. La descrizione e la difesa di questa teoria materialistica della coscienza si può trovare nei miei libri che ho menzionato nel testo; un'ulteriore elaborazione e difesa da svariate critiche recenti si trova nella miaJean Nicod Lecture, spedita a Parigi nel novembre del2001 (Dennett, in stampa d), o anche in una serie di articoli, pubblicati o in fase di stampa in diverse riviste o entro volumi, ma anche reperibili sul mio sito Web: http://ase.tufts.edu/cogstud. La letteratura filosofica sul libero arbitrio è enorme; in queste pagine farò riferimento solo a una piccola porzione dei lavori più recenti sull'argomento. l testi da me analizzati forniranno i numerosi rimandi a quelli che ho dovuto escludere. Nell'anno in cui stavo apponendo gli ultimi ritocchi allibro sono stati pubblicati due straordinari lavori scritti da autori che non sono filosofi; consiglio a chiunque sia interessato a questi argomenti di leggerli: Breakdown o/ Will di George Ainslie (200 l) e The llluJion o/ Conscious Will di D ani el Wegner (2002). Ho elaborato alcune riflessioni su queste opere all'interno del libro, ma la ricchezza dei loro contributi va ben oltre ciò che si può intuire dalle mie considerazioni.
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2 UNO STRUMENTO PER RIFLETTERE SUL DETERMINISMO
Il determinismo è la tesi che afferma che "per ogni istante solamente un futuro fisicamente possibile" (Van Inwagen, 1983, p. 3). Può sembrare che questo concetto non sia particolarmente ostico da comprendere, ma è incredibile quanto spesso anche pensatori molto sofisticati riescano a farsene un'idea completamente sbagliata. ln primo luogo, vari studiosi partono dal presupposto che il determinismo implichi l'ineluttabilità. Ma non è così. In secondo luogo, molti arrivano a pensare che sia una cosa ovvia che l'indeterminismo la negazione del determinismo- possa concedere ad agenti come noi quella libertà, quella manovrabilità, quello spazio di azione, che semplicemente non potremmo avere in un universo deterministico. Ma non è così. E, terzo, è una credenza diffusa che in un mondo deterministico non ci siano possibilità di scelta teali, ma solo apparenti. Questo è falso. Veramente? Ho appena contraddetto tre argomenti tanto centrali nelle discussioni sul libero arbitrio e così raramente messi in discussione, che molti lettori potrebbero pensare che stia scherzando, o stia rivestendo le mie parole di qualche significato esoterico. No, sto affermando che il compiacimento che consente a queste argomentazioni di venir tanto placidamente accettate è in sé un grave errore.
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L'E\'OLUZIClNE DLLL'I LIBERTÀ
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Il personaggio a cui Pynchon fa pronunciare queste parole è giunto alla conclusione che, dal momento che gli atomi non possono produrre nulla, e che le persone sono costituite da atomi, nemmeno le persone, in realtà, possano produrre nulla. Ha ragione nel dire che c'è una differenza tra il produrre e
il mero accadere, come ha ragione ad avvisare che c'è una pericolosa illusione in agguato nei nostri sforzi di comprendere questa differenza, ma capovolge l'illusione. Non si tratta dell'errore di considerare le persone come se non fossero costituite da tanti atomi che subiscono la successione degli eventi (lo sono), ma quasi dell'opposto: parlando degli atomi come se fossero piccole persone che /anno cose (non lo sono l. Tutto ciò capita quando estendiamo in modo indebito le categorie, appropriate per trattare degli agenti che evolvono, al più vasto mondo della fisica. Il mondo dell'azione è il mondo in cui viviamo, e quando tentiamo di imporre la prospettiva con cui lo analizziamo anche al mondo "inanimato" della fisica, allora inforchiamo lenti profondamente ingannevoli. Farsi un'idea chiara di questo aspetto della complessa relazione tra la fisica fondamentale e la biologia sembra compito spaventoso; fortunatamente, esiste però un modellino (toy mode!) di quella relazione che fa proprio al caso nostro. La differenza tra giocattolo (toy) e strumento (tool) tende a sfumare, se il modellino è davvero in grado di aiutarci a comprendere concetti su cui altrimenti non potremmo avere alcuna presa a causa della loro eccessiva complessità. La scienza trae spesso grandi benefici dall'uso di modellini. Nessuno ha mai visto un atomo, ma sappiamo tutti "che aspetto ha": un minuscolo sistema solare, con un nucleo simile a un grappolo d'uva impenetrabile, circondato da elettroni orbitanti in ogni possibile direzione nei loro piccoli aloni. Questa configurazione ormai familiare, il modello di Bohr (figura 2.1), ovviamente è enormemente semplificata e distorta, ma per vari scopi costituisce un modo molto, molto efficace di pensare la struttura base della materia. Altrettanto familiare all'immaginario comune è la gigantesca costruzione della doppia elica realizzata da Tinkertoy con un sacco di pioli: il modello di Crick e Watson della molecola del DNA (figura 2.2). Anche questa è un'utile rappresentazione ipersemplificata. Il fisico e matematico francese Pierre-Simon de Laplace ci ha dato, quasi due secoli fa, un'efficace immagine del determi-
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Alcune utili ipersemplificazioni Questi errori si annidano nel cuore stesso dei fraintendimenti circa il libero arbitrio e la libertà più in generale, tanto che, prima di fare ulteriori passi per capire in che modo possa evolvere la libertà (in un universo che potrebbe benissimo essere deterministico), dobbiamo dotarci di un equipaggiamento correttivo, di strumenti di riflessione che ci renderanno meno vulnerabili ai canti da sirene di queste potenti illusioni. (Se provate avversione per le disquisizioni filosofiche su questioni attinenti al determinismo, alla causalità, alla possibilità, alla necessità e all'indeterminismo della fisica dei quanti, potete saltare al capitolo 5, ma in questo caso dovete giurare di abbandonare tutta la fiducia che riponete in quelle tre "ovvie" affermazioni, non importa quanto possiate ritenerle intuitivamente vere; e dovete credermi quando vi assicuro che affermazioni del genere sono tipici appigli traditori che vi fanno precipitare in migliaia di discussioni fuorvianti. Vi posso comunque garantire che quasi certamente non sarete in grado di rispettare il giuramento; quindi, la scelta migliore è quella di addentrarvi nella mia dimostrazione che si tratta di falsità, una fatica che concede alla fine una qualche ricompensa e delle notevoli sorprese, per di più non richiedendo una particolare preparazione di base.) Nel romanzo di Thomas Pynchon L'arcobaleno della gravità un personaggio tiene il seguente discorso solenne: Però, così facendo, si è incorsi in un'illusione ancora più grande, più pericolosa. L'illusione del controllo. Che A potesse produrre B. Ma questo era falso, completamente falso. Nessuno può produrre niente. (Pynchon, 197 3, p. 45)
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nismo, tanto semplice e vivida da fornire da allora una struttura alla nostra immaginazione e quindi alle nostre teorie e ai nostri dibattiti.
Nella figura 2.3 l'immagine ingrandisce, all'istante ! 1, per tre soli atomi del mondo, le loro svariate traiettorie, e il demone utilizza questa informazione per predire la collisione e il rimbalzo di due di loro al tempo ! 2 , per tracciare le posizioni al tempo t~> e così via. Un universo è deterministico se esistono regole di transizione (le leggi della fisica) che determinino esattamente quale descrizione di stato segua da ogni particolare descrizione di stato. Basta una minima ombra di incertezza, e l'universo è indeterministico. Questa immagine semplificata, almeno per come è stata proposta, presenta però troppe falle: quanto deve essere esatta una descrizione di stato? Dobbiamo considerare ogni particella subatomica, e quali proprietà della particella dobbiamo includere nella descrizione? Possiamo fissare arbitrariamente questi elusivi fattori adottando un'altra semplificazione, l'idea proposta da W.V. Quine (1969) di restringere la nostra attenzione a universi immaginari semplici, da lui chiamati universi "democritei", in onore di Democrito, il più inventivo tra gli atomisti dell'antica Grecia. Un universo democriteo consiste
Un'intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se d'altra parte fosse così vasta da sottoporre questi dati all'analisi, abbraccerebbe in un'unica e medesima formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e quelli del più lieve atomo: niente sarebbe incerto per essa, e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi. (Laplace, 1814)
Date a questa intelligenza onnisciente, più nota con il nome di demone di Laplace, un'istantanea completa dello "stato dell'universo", che mostri la posizione esatta (e la traiettoria, la massa e la velocità) di ogni singola particella in quell'istante, ed essa saprà tracciare, sfruttando le leggi della fisica, ogni collisione, ogni rimbalzo, ogni urto evitato nell'istante successivo, aggiornando la fotografia per ottenere la descrizione di un nuovo stato dell'universo, e così via, per l'eternità.
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Figura 2.2 La doppia elica del DNA.
Figura2.1 L'atomodiBohr.
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Figura 2.3 Istantanea laplaciana.
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di alcuni "atomi" che si muovono nello "spazio". Ed è tutto. Gli atomi dell'universo "democriteo" non sono le particelle di oggi, zeppe di complessità quantistiche, ma veri atomi a-tomici (indivisibili, indistruttibili), piccoli punti uniformi di materia privi di parti, simili piuttosto a quelli a suo tempo postulati dallo stesso Democrito. Anche il loro spazio abitativo va reso il più semplice possibile, digitalizzandolo. Lo schermo del vostro computer è un ottimo esempio di un pù:zno·digitalizzato, uno schieramento bidimensionale (matrice) fatto di centinaia di righe e di colonne di minuscoli pixel, piccoli quadrati, ognuno dei quali acquisisce, in ogni istante, uno dei diversi colori presenti entro un insieme finito. Se vogliamo digitalizzare uno spazio, o meglio un volume a tre dimensioni, abbiamo bisogno di cubi- voxel, nel linguaggio della computer grafica. 1 Immaginate un universo composto da una grata reticolare infinita costituita da minuscoli voxel cubici, ognuno dei quali è o vuoto o pieno (contiene cioè esattamente un atomo). Ogni voxel possiede una posizione unica, o un unico indirizzo, indicato dalle sue tre coordinate spaziali {x,y,z), all'interno di questa grata reticolare. Così come ogni sistema di computer grafica a colori possiede una certa gamma di valori- diverse tonalità di colore- che ogni pixel può acquisire, in un universo democriteo ogni voxel che non sia vuoto (che non abbia valore O) contiene un atomo che rientra in un numero limitato di differenti tipologie di atomo. Può essere d'aiuto immaginare questi atomi come se fossero colori differenti, come l'oro, l'argento, il nero (il carbone), il giallo Oo zolfo), ecc. Così come possiamo definire l'insieme di tutte le immagini possibili su uno schermo di un computer (per ogni particolare sistema di associazione pixel-colore) come l'insieme di tutte le permutazioni del riempimento dei pixel con i colori ammessi, possiamo anche definire l'insieme di tutti i momenti di un universo democriteo come l'insieme di tutte le permutazioni del riempimento di tutti i voxel dello spazio con le varie tipologie di atomo.
Ora, quando vogliamo mettere il demone di Laplace di fronte a un'istantanea "completa" per farlo lavorare, sappiamo esattamente che cosa dobbiamo fornirgli: una descrizione di stato di un universo democriteo, che riporti i valori di ogni voxel in un certo istante. Dunque, una parte della descrizione dello stato S,. si potrebbe leggere così: al tempo t: voxel {2,6,7} =argento, voxel {2,6,8} =oro, voxel {2,6,9} =O, ... e così via. Non dobbiamo preoccuparci di quanto debba essere "fine" la "grana" della descrizione, poiché un universo democriteo ha un limite definito, ha una differenza minima, e noi possiamo confrontare le descrizioni di stato dell'universo a due a due e scoprire, per i voxel corrispondenti, quali siano occupati in modo diverso. Finché ci sarà un numero finito di elementi diversi (oro, argento, carbone, zolfo, ecc.) possiamo ordinare tutte le descrizioni di stato- in ordine alfabetico, di fatto- per voxel e per elemento occupante il voxel. La descrizione dello stato l è l'universo vuoto al tempo t; la descrizione dello stato 2 è esattamente come la l salvo per un singolo atomo di alluminio che occupa il voxel {0,0,0}; la descrizione dello stato 3 muove quel singolo atomo di alluminio nel voxel {0,0,1}; e così via, fino all'ultima descrizione di stato (in ordine alfabetico), nel quale l'universo è riempito - in ogni voxel - da atomi di zinco! Ora aggiungete il tempo, cioè la quarta dimensione. Supponete che nell"'istante" successivo, l'atomo di oro presente nel voxel {2,6,8} dello stato S,., si sposti di un voxel a est. Quindi, nello stato si-+ l' al tempo t+ 1: voxell3,6,8] =oro.
l. Il termine voxel è il risultato della combinazione di due parole, "volume'' e "pixel", a sua mlta p ixel deriva daplcture elcment (unità elementare di immagine). [NdT]
Pensate a ogni "istante" di tempo come se pensaste a una schermata di un'animazione al computer, in cui specificate il
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colore e il valore di ogni voxel in quell'istante. Questa digitalizzazione dello spazio e del tempo ci consente di contare le differenze e le similarità, e di poter dire quando due universi, o due regioni, o due periodi di universi siano esattamente simili. Una serie di descrizioni di stato, una per ogni successivo "istante", costituisce la storia dell'intero universo democriteo, per quanto lunga sia la sua durata- dal suo Big Bang alla sua Morte Termica (o qualunque altra cosa vada a rimpiazzare l'inizio e la fine in questi mondi immaginari). In altre parole, un universo democriteo è come un video digitale 3D più o meno lungo. Possiamo dividere il tempo con il grado di precisione che desideriamo; trenta fotogrammi al secondo (come nei film) o trentamila miliardi di fotogrammi al secondo, a seconda dei nostri scopi. La dimensione del voxel è minima: un atomo indivisibile per voxel, al massimo. Quine proponeva una semplificazione aggiuntiva: immaginiamo che gli atomi siano esattamente identici tra loro (come capita con gli elettroni); in tal modo, potremmo trattare ogni voxel come se fosse o vuoto (con valore = O) o pieno (con valore = 1). Questa opzione è esattamente come rimpiazzare uno schermo a colori con uno schermo in bianco e nero, una semplificazione che torna utile al conseguimento di alcuni obiettivi, come vedremo; ma che non è strettamente necessaria. Quanti modi diversi ci sono per riempire i voxel di colori (o solo di O e l)? Anche mantenendo la dimensione dell'universo non solo finita, ma molto piccola, il numero di possibilità cresce enormemente, e piuttosto in fretta. Un universo composto di soli otto voxel (formanti un cubo di lato due) e un tipo di atomo (vuoto o pieno, O o 1), che duri solamente 3
Figura 2.4 Tre dei 256 stati diversi di un universo democriteo composto da 8 voxel.
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"istanti", possiede più di 16 milioni di varianti differenti (2 8 = 256 differenti descrizioni di stato, che possono essere composte in 256 3 diverse serie da tre). La valutazione per un secondo dell'universo, contenuto in un singolo cubetto di zucchero (a una velocità di avanzamento lenta di 30 fotogrammi al secondo e considerando la larghezza del cubetto di solo un milione di atomi), è già un numero al di là di ogni umana immagmazwne. In L'idea pericolosa di Darwin ho utilizzato il termine "enorme" per indicare quei numeri che, sebbene finiti, hanno una dimensione molto più che astronomica. L'ho utilizzato per caratterizzare il numero dei libri contenuti nella Biblioteca di Babele immaginata daJorge Luis Borges, un numero che non è realmente infinito e che rappresenta l'insieme di tutti i libri possibili e, per estensione, anche il numero dei possibili genomi nella Biblioteca di Mendel, l'insieme di tutti i possibili genomi. Analogamente, ho anche coniato un termine reciproco, "evanescente", che caratterizza, per esempio, il sottoinsieme dei libri leggibili, pressoché impercettibile entro la Biblioteca di Babele. Diamo ora un nome all'insieme di tutti i possibili universi democritei, composti da tutte le combinazioni logiche possibili degli atomi nello spazio e nel tempo, e chiamiamo questo insieme la Biblioteca di Democrito. La Biblioteca di Democrito è tanto immensa da farci inorridire al solo pensiero, e limitare il numero dei suoi parametri a un insieme finito (tipologie di atomi, durata, ecc.) non migliora la situazione. La cosa si fa interessante, però, quando osserviamo un particolare sottoinsieme della Biblioteca. Alcuni universi della Biblioteca di Democrito sono praticamente vuoti, mentre altri sono pieni di materia; alcuni cambiano frequentemente nel corso del tempo, altri sono statici- mostrando la stessa descrizione di stato ripetuta per sempre. In alcuni i cambiamenti sono totalmente casuali - una sequenza di coriandoli atomici dopo l'altra, con i singoli atomi che rimbalzano dentro e fuori dall'esistente; in altri si notano schemi di regolarità e quindi di predicibilità. Perché mai alcuni universi mostrano queste configurazioni (patterns)? Solo perché la Biblioteca di Democrito
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UJ\'0 STRUMENTO PER RIFLETTERE SUL DETERM!i\!SMO
contiene tutti gli universi logici possibili, e quindi ogni schema possibile di qualsiasi cosa deve trovarsi da qualche parte al suo
una particolare regola di transizione o un insieme di regole, ma che presenti un insieme di descrizioni dello stato di partenza quanto più vario possibile. È come se noi, nella Biblioteca di Babele, concentrassimo la nostra attenzione solo sui libri scritti secondo le regole della grammatica inglese; esistono delle regole che gestiscono la transizione da un carattere all'altro ("i'' precede sempre ae" tranne che dopo "c" ... e Ogni domanda inizia
interno; l'unica regola è che ogni descrizione di stato deve essere completa e coerente (un atomo solo per voxel). Una volta che iniziamo a imporre regole aggiuntive su ciò che può essere adiacente a qualcos'altro, e su come possano diverse descrizioni di stato succedersi nel tempo, siamo in grado di accedere a sottoinsiemi di stati più interessanti, presenti nella Biblioteca. Potremmo, per esempio, proibire la "distruzione della materia" per mezzo di una regola che afferma che ogni atomo che esiste al tempo t deve esistere da qualche parte anche al tempo t+ l, quantunque possa spostarsi in un nuovo voxel se quel voxel risulta libero. Questa regola garantisce che l'universo non perda mai atomi col trascorrere del tempo. (Più precisamente, noi "proibiamo" che questo accada, ignorando così l"' enormità" di universi che non obbediscono a questa regola e concentrando la nostra attenzione solo sul già ''enorme" ma relativamente "evanescente" sottoinsieme di quegli universi per cui invece questa regola vale: "Considerate l'insieme S degli universi nei quali vale sempre la regola seguente .. , ".) Potremmo introdurre un limite di velocità (una sorta di analogo della velocità della luce) aggiungendo il vincolo che un atomo possa muoversi solo nei voxel adiacenti istante dopo istante, o potremmo permettere balzi più lunghi. Potremmo concedere che la materia si possa distruggere- o creare- sotto condizioni particolari: per esempio, potremmo avere una regola che afferma che tutte le volte che due atomi di oro si trovano impilati uno sull'altro, nell'istante successivo essi scompaiano e che nel voxel inferiore appaia un atomo di argento. Regole di transizione di questo tipo sono equivalenti alle leggi fondamentali della fisica, che valgono in ogni universo immaginario e possiamo osservare, con una certa utilità, insiemi di universi in cui appaiono le stesse regolarità, incuranti delle altre differenze che li possono distinguere. Supponete, per esempio, di voler "mantenere fisse le costanti della fisica" ma "variare le condizioni iniziali" lo stato dell'universo al suo istante iniziale. Prendiamo in considerazione, allora, l'insieme degli universi in cui sia sempre valida
... ), ma i soggetti trattati sono quanto di più vario si possa avere. Si potrebbe trovare un'analogia migliore tra la Biblioteca di Babele di Borges e la nostra Biblioteca di Democrito, se esistesse, nella prima, un numero "enorme" di libri che iniziassero correttamente - come romanzi o storie o manuali di chimica ma che improvvisamente degenerassero in accozzaglie assurde di parole, in un'incomprensibile composizione tipografica. Per ogni libro che può essere letto con gioia e profitto dall'inizio alla fine, un "enorme" numero di volumi che iniziano correttamente, mostrando regolarità nella grammatica, nel lessico, nella trama, nello sviluppo dei personaggi, e in tutto ciò che è un prerequisito per la comprensione del contenuto, ma che da un certo punto in poi degenerano in un guazzabuglio privo di uno schema compositivo. Non c'è nessuna garanzia di natura logica che un libro che inizi correttamente possa continuare altrettanto correttamente. La stessa situazione si presenta nella Biblioteca di Democrito. Questo era il punto messo in chiaro da David Hume, nel diciottesimo secolo, quando osservava che il sorgere quotidiano del Sole, verificatosi fino a oggi, non è in contraddizione alcuna con la supposizione che domani la cosa possa essere diversa, cioè che il Sole possa non sorgere. Traducendo l'osservazione del filosofo scozzese nel linguaggio della Biblioteca di Democrito, notate che esiste un insieme di esiste un insieuniversi, A, nei quali il Sole sorge sempre, e me di universi, B, nei quali il Sole sorge sempre fino al [poniamo] 17 settembre 2004, giorno in cui accade qualcosa di diverso. Non c'è niente di contraddittorio in quei mondi sembra solo che essi non ''obbediscano" alla fisica che vale sempre per gli universi dell'insieme A. Si può esprimere la tesi di Hume in
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con una lettera maiuscola e termina con un punto interrogativo
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UNO STRU!\IENTO PER RiFLETTERE SUL DETERMINISMO
questo modo: non importa la quantità dei dati che raccogliete sul passato dell'universo in cui vi trovate, non potrete mai dimostrare, logicamente, che vi trovate in un universo appartenente all'insieme A, dal momento che, per ogni universo appartenente all'insieme A, esiste un numero "enorme" di universi dell'insieme B che sono identici al vostro universo in ogni unità voxel/tempo almeno fino al 17 settembre 2004, e che poi divergono in tutte le direzioni inaspettate o fatali possibili! Come osservava Hume, noi ci aspettiamo che la fisica che ha funzionato fino a oggi nel nostro mondo funzioni anche in futuro; ma non siamo in grado di dimostrare in modo puramente logico che ci farà questo favore. Abbiamo ottenuto cospicui successi nello scoprire regolarità che si sono rivelate valide nel passato del nostro universo, e abbiamo persino imparato a fare predizioni in tempo reale, sulle stagioni e sulle ma~ ree, sulla caduta dei gravi e su quello che si può trovare scavando in un punto o dissezionando un corpo, riscaldando qualcosa o mischiando qualcos' altro con acqua, e così via. Queste transizioni sono così regolari, e la nostra esperienza non ci ha mai presentato delle eccezioni, che siamo stati in grado di codificarle e di proiettarle ingegnosamente nel futuro. Finora tutto bene; ha funzionato come per incanto, ma non c'è alcuna garanzia logica che continuerà a funzionare. Abbiamo, comunque, qualche ragione per credere di abitare in un universo in cui questo processo di scoperta può andare avanti più o meno per un tempo infinito, fornendoci predizioni sempre più specifiche, affidabili, dettagliate e accurate, fondate sulle regolarità che abbiamo osservato. In altre parole, ci possiamo considerare delle approssimazioni imperfette e finite del demone di Laplace; ma non siamo in grado di dimostrare logicamente che il successo delle nostre predizioni continuerà, senza presupporre, nel farlo, quelle stesse regolarità di cui vorremmo stabilire l'universalità e l'eternità. Inoltre, come vedremo in seguito, ci sono delle ragioni per concludere che esistano dei limiti assoluti alla nostra capacità di predire il futuro. Se poi questi limiti abbiano implicazioni sull'immagine di noi stessi come agenti in grado di prendere decisioni "li-
bere" e fare scelte, delle quali potremmo a ragione essere ritenuti responsabili, è una di quelle infide questioni che dobbiamo affrontare, e a cui ci stiamo awicinando circospetti, chiarendone per primi i punti più semplici. Ci stiamo accostando gradualmente al nostro obiettivo, il determinismo, limitando i nostri spostamenti all'interno di un "enorme" ma "evanescente" quartiere del più "enorme" spazio degli universi logicamente possibili. Alcuni insiemi degli universi democritei presentano regole di transizione che sono deterministiche; altri no. Consideriamo quell'insieme di universi nel quale specifichiamo che ogniqualvolta un atomo è circondato da voxel vuoti ha una-probabilitàsu-trentasei di svanire semplicemente - altrimenti rimane fermo dov'è fino al prossimo istante. È come se, in un simile universo, la natura tirasse i dadi per fare evolvere ogni situazione simile all'isolamento di un atomo come quello appena descritto; se i dadi danno due, l'atomo "muore"; altrimenti, a meno che non abbia acquistato un vicino, quell'atomo vive per un altro istante e la Natura fa un altro tiro. Questa sarebbe una fisica indetermìnistica, una fisica che non specifica, in ogni istante, quello che deve accadere in tutti i particolari nell'istante successivo, ma lascia alcune delle transizioni alla mera probabilità. Il demone di Laplace dovrebbe aspettare il risultato del lancio dei dadi per poter continuare a predire il futuro. Altri insiemi di universi sono governati da regole di transizione che non lasciano nulla al caso, cioè che specificano esattamente quali voxel saranno occupati, e da quali atomi, in ogni istante successivo. Questi sono gli universi deterministici. Le regole di transizione degli universi democritei, owiamente, possono essere deterministiche o in deterministiche in un fantastilione di modi diversi. Come facciamo a riconoscere le regole di transizione che governano un dato universo democriteo? Possiamo stabilire una regola e poi considerare che cosa deve o può essere vero per tutti i membri possibili dell'insieme che è governato da quella regola; ma se, in qualche modo, ci venisse dato da studiare un universo democriteo particolare, l'unica cosa che potremmo fare sarebbe esaminare l'intera storia di tutti i suoi
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voxel e individuare quali regolarità - se ne esistono siano presenti. Possiamo suddividere il lavoro in partì semplici, cercando regolarità emergenti nei primi momenti e controllando se queste continuino a valere per tutti gli istanti successivi. Tenendo a mente l'inquietante scoperta di Hume che non possiamo mai dimostrare che il futuro sarà simile al passato, possiamo ciononostante cercare di individuare tutte le regolarità che riusciamo e accettare la scommessa tanto azzardata quanto seducente- ma che cosa abbiamo da perdere? che il futuro sarà come il passato, cioè che non abitiamo in uno di quei bizzarri universi dove ogni sentiero che seguiamo si interrompe, impazzendo all'improvviso dopo un lungo tratto regolare. Abbiamo ora un modo per classificare gli universi democritei nell'insieme di quelJi deterministici, nell'insieme di quelli indeterministici e infine in un insieme di robaccia- potremmo chiamare i membri di quest'ultimo insieme universi nichzlisti, nei quali non c'è alcuna regolarità permanente nelle transizioni di stato. Notate che, all'interno di questo contesto, tutto ciò che rientra nell'insieme degli universi deterministici o in quello degli universi indetermìnistici presenta sempre un certo tipo di regolarità- anche forme di regolarità con probabilità inferiori a uno ma ineliminabili, o forme di regolarità in cui simili probabilità sono assenti. In altre parole, non c'è alcuna possibilità di affermare che due universi democritei possano essere identici per ogni voxel/istante, ma che mentre uno di questi è deterministico, l'altro sia indeterministico. 2
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La differenza tra universi democritei deterministici e indeterministici ci è ormai chiara; ma il modo migliore per capire che cosa implichi (e che cosa non implichi!) questa differenza è quello di essere ancora più indulgenti con la nostra immaginazione, già confusa, e di prendere in considerazione un modellino del determinismo ancora più semplice. Per prima cosa, scendiamo da tre a due dimensioni (dai voxel ai pixel); quindi, serviamoci anche dell'opzione solo-bianco-e-nero di Quine, in modo che ogni pixel risulti ON (acceso) oppure OFF (spento) in ogni istante. Siamo quindi atterrati sul piano dove il "Gioco della Vita" (L~/e) di Conway fa girare le sue sorprendenti configurazioni. Questo modello in miniatura, sfacciatamente semplicistico, del determinismo è stato sviluppato negli anni Sessanta del Novecento dal matematico britannico John Horton Conwav. Il Gioco della Vita di Comvay illustra chiaramente proprio le idee di cui abbiamo bisogno e lo fa in un modo che non richiede conoscenze tecniche specifiche né di biologia né Ji fisica, e nessun tipo di matematica, tranne l'aritmedi base.
Dalla fisica al progetto ne] Mondo della Vita di Conway La complessità di un indtviduo vivente meno la sua ;lbilità a p re\· edere ciò che accadrà {rispetto all'ambiente in cui si trova l è uguale ,,tJ'indeterminatezza dell\1mbieme meno la sua sensibilità (rispetto a quel particolare inJi\'iduo vivente l. l< JK<,c \\'c\\;1:\;S!lLRG. "Complt>xitv versus Uncertainty"
2. Anzi, per definizione, non possono esìsrere due universi democritei identici per ogni voxellistante. Una delle virtù della semplificazione di Quine è che ò permette dì contare gli universi nello stesso modo in cui contiamo le edzzioni dì un libro: se tutti gli elementi di due universi sono nello stesso posto nelìo stesso tempo. questo stabilisce la loro tdcntità. Laddomesticamento dei mondi possibili proposto da Quine elude anche l'Idea, dr dubbia validità, per cui dobbiamo conoscere l'zdentitd dei singoli atom1 -non solo l~ loro tipologia. carbone od oro per distinguere il conrenuto dei voxel d1 un umverso da quelli di un altro. (Nota per gli esperri: questa non. e..una nozione standard applicabile alle problematiche dei mondi possJbdc essa semplicemente elude i tradizionali problemi legati all'identità dei mondi.)
Consideriamo, quindi, una griglia bidimensionale di pixel, ognuno dei quali può essere o~ o OFF (pieno o \'UOto, nero o bianco).' Ogni pixel ha otto vicini: le quattro celle adiacenti: nord, sud, est e ovest e le quattro diagonali: nordest, sudest, sudovest e nordovest. Lo stato del mondo cambia tra un ticchettio dell'orologio e l'altro, secondo la regola seguente:
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3. Questa inrmJuzionc ;\1 Mondo della Viu ficazioni. da Dennett il 991 a l e Dennen i 19':15 l.
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Fisica di "Li/e": Per ogni cella della griglia, si conti quante delle otto celle vicine sono ON nell'istante preso in considerazione. Se la risposta è esattamente due, la cella permane nel suo stato presente (ON oppure OFF) anche nell'istante successivo. Se la risposta è esattamente tre, la cella diventa ON nell'istante successivo, qualunque sia il suo stato nell'istante considerato. [n tutti gli altri casi la cella diventa OFF.
Tutto qui. Questa semplice regola di transizione esprime tutta la fisica del Mondo della Vita. Potreste considerare la trasposizione di questa curiosa fisica in termini biologici come un utile esercizio mnemonico: pensate alle celle che si accendono come a nascite, e a quelle che si spengono come a morti, e agli istanti che si succedono come a generazioni. Sia il sovraffollamento (più di tre celle adiacenti abitate) sia l'isolamento (meno di due celle adiacenti abitate) conducono alla morte. Ma tenete a mente che questo è solo un sostegno per la vostra immaginazione: la regola del due-tre costituisce la fisica di base del Mondo della Vita. Vediamo come alcune semplici configurazioni di partenza possano evolvere. Calcolate prima la nascita delle celle. Nella configurazione mostrata nella figura 2.5 soltanto le celle d e /hanno esattamente tre vicini ON (le tre celle nere), quindi saranno loro le uniche celle nate nella generazione successiva. Le celle b e h hanno solamente un vicino ON; quindi, moriranno nella gene-
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Ovviamente, la configurazione mostrata nella figura 2.6 all'istante successivo tornerà a essere quella precedente, e questo piccolo schema continuerà a oscillare tra le due configurazioni, a meno che qualche nuova cella ON non venga in qualche modo introdotta nella figura. Tale configurazione prende il nome di lampeggiatore o semaforo.
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Figura 2..5 Lampeggiatore verticale.
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Figura 2.6 Lampeggiatore orizzontale.
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razione successiva. La cella e ha due vicini ON, quindi rimarrà esattamente com'è. L'istante successivo avrà, dunque, una configurazione del tipo illustrato nella figura 2.6:
Figura2.7 Quadrato Natura morta.
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Che cosa succederà, invece, alla configurazione rappresentata nella figura 2.7? Niente. Ogni cella ON ha esattamente tre vicine ON, quindi rinascerà rimanendo esattamente com'è. Nessuna cella OFF ha tre vicine Ol'\, quindi non ci sarà nessun'altra nascita. Questa configurazione è chiamata Natura morta; ci sono molte diverse configurazioni di Natura morta, totalmente indifferenti al trascorrere del tempo. Applicando scrupolosamente quell'unica legge, siamo in grado di predire con perfetta precisione l'istante successivo di qualunque configurazione di celle ON e OFF, così come l'istante seguente e quello successivo ancora, e così via, tanto che possiamo dire che ogni Mondo della Vita è un universo democriteo bidimensionale e deterministico. Infatti, a una prima occhiata, il Mondo della Vita soddisfa perfettamente il nostro stereotipo di determinismo; è cioè meccanico, ripetitivo: ON, OFF, ON, OFF per l'eternità, senza mai una sorpresa, mai un'occasione, mai un'innovazione. Se "riavvolgessimo il nastro" e proiettassimo di nuovo la sequenza di ogni configurazione e poi lo facessimo ancora diverse volte, vedremmo sempre e comunque lo stesso film. Noioso. Grazie a Dio, noi non viviamo in un universo come questo! Ma la prima occhiata può trarre in inganno, specialmente quando osserviamo troppo da vicino la novità. Se facciamo un passo indietro, infatti, e prendiamo in considerazione schemi più ampi delle configurazioni del Mondo della Vita, ci troviamo di fronte a qualche sorpresa. Il lampeggiatore ha periodi di due generazioni che si ripetono ad infinitum, a meno che qualche altra configurazione non invada i] suo spazio. È l'invasione ciò che rende il Mondo della Vita interessante. Tra le configurazioni periodiche ce ne sono alcune che nuotano, simili ad amebe, per tutto il piano. La più semplice è l'aliante, la configurazione composta da cinque pixel, riprodotta nella figura 2 .8, che si sposta in diagonale di una cella verso sudest. Poi ci sono i mangiatori, i treni a vapore, i rastrelli spaziali, e una moltitudine di altri abitanti del Mondo della Vita dai nomi appropriati che emergono come oggetti riconoscibili a un nuovo livello. In un certo senso, questo nuovo livello è
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Figura 2.8 L'aliante.
semplicemente uno sguardo a volo d'uccello del livello basilare, la considerazione di grandi agglomerati di pixel invece di singoli pixel. Ma, strano a dirsi, quando accediamo a questo livello, giungiamo a un esempio di quello che ho chiamato il livello di progetto (design); questo livello ha un suo linguaggio specifico, un'abbreviazione trasparente delle descrizioni tediose che si possono ottenere allivello fisico. Per esempio: Un mangiatore può mangiare un aliante in quattro generazioni. Qualunque cosa divori, il processo di base è sempre lo stesso. Si forma un ponte tra il mangiato re e la sua preda. Nella generazione successiva, la regione del ponte muore per sovrappopolamento portandosi via sia un pezzo del mangiatore sia un pezzo della preda. Il mangiatore, allora, si ripara. La preda solitamente non ci riesce. Se il resto della preda scompare, come capita con l'aliante, la preda viene divorata. (Poundstone, 1985,p.38)
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Fate attenzione, perché capita qualcosa di curioso alla nostra "antologia"- il nostro catalogo di dò che esiste- mentre ci spostiamo di livello. Allivello fisico non esiste alcun moto, solo stati ON e OFF, e l'unico essere esistente individualmente, la cella, viene definito attraverso la sua posizione spaziale,
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{x,y}. Allivello di progetto notiamo improvvisamente la com-
parsa del movimento di oggetti persistenti; è sempre lo stesso aliante (sebbene composto a ogni generazione da differenti pixel) a muoversi verso sudest nella figura 2.8, cambiando forma durante il moto; e c'è un aliante in meno nel mondo dopo che il mangiatore ne ha divorato uno come nella figura 2.9. Notate pure che, sebbene allivello fisico non si abbia alcuna eccezione alla regola generale, allivello di progetto le generalizzazioni devono essere protette: necessitano di clausole come "solitamente" ("La preda solitamente non riesce" aripararsi) o del tipo "sempre che non ci siano invasioni". A questo livello, pezzettini alla deriva di rottami di eventi precedenti possono "rompere" o "uccidere" uno degli oggetti dell'antologia. La salienza di quesi come cose reali è considerevole, ma non è garantita. Si è introdotto un elemento di mortalità. Laddove un atomo individuale- un pixel- può lampeggiare dentro e fuori dall'esistenza, ON e OFF, senza avere la minima possibilità di accumulare un cambiamento, una vicenda che possa influenzare la sua storia futura, le costruzioni maggiori possono subire dei danni, una revisione strutturale, una perdita o un acquisto di materiale che, nel loro futuro, può fare la differenza. Può anche succedere che le costruzioni maggiori vengano migliorate, rese meno vulnerabili alla dissoluzione futura, da qualche cosa che capita loro. È questa storicità la chiave: l'esistenza nel Mondo della Vita di strutture che possono crescere, contrarsi, ruotare, rompersi, muoversi ... e, in generale, persistere nel tempo, apre le porte a opportunità progettuali. C'è una comunità mondiale di hacker del Mondo della Vita che si cimenta a esplorare queste opportunità, ci sono hobbisti che adorano mettere alla prova la loro ingegnosità escogitando configurazioni sempre più elaborate nel Piano della Vita, configurazioni che facciano cose interessanti. (Se volete esplorare il Mondo della Vita, potete scaricare gratuitamente una implementazione raffinata e di facile utilizzo, chiamata Life 32, che potete trovare sul sito Web http://psoup.math.wisc.edu/Li-
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fe32.html. Questa versione dispone di un archivio di configurazioni interessanti e collegamenti ad altri siti. Io chiedo ai miei studenti di esplorare il Mondo della Vita perché ho imparato che questa esperienza fornisce loro in modo vivido e forte un insieme di intuizioni che altrimenti non avrebbero modo di sperimentare, e li aiuta a riflettere su queste tematiche. Anzi meraviglia delle meraviglie-, capita che a volte li conduca a rivedere le loro opinioni su alcune posizioni filosofiche. Quindi, siate cauti; vi può procurare del divertimento che dà assuefazione- e vi può condurre ad abbandonare la vostra avversione determinante nella vita per il determinismo!) Per diventare un hacker del Mondo della Vita dovete semplicemente ascendere allivello di progetto, adottarne l'antologia e iniziare a fare delle predizioni- a grandi linee e in modo rischioso- sul comportamento di configurazioni maggiori o di sistemi di configurazioni, senza curarvi di/are i calcoli allivello fisico. Vi potete porre l'obiettivo di progettare dei supersistemi interessanti facendo incetta delle "parti" che il livello di progetto vi mette a disposizione. Ci vogliono solo pochi minuti per farsi prendere dal gioco, e chi può dire che cosa sarete in grado di architettare? Per esempio, che cosa otterreste, se allineaste un gruppo di mangiatori di nature morte e poi li spruzzaste con alianti? Ideato il vostro progetto, potete metterlo veramente alla prova; Life 32 vi informerà velocemente di qualsiasi problema sia sfuggito alle vostre predizioni durante l'impostazione del progetto. Potete farvi un'idea della ricchezza del livello di progetto, leggendo alcune citazioni che una volta ho scaricato da un sito eccellente dedicato al Mondo della Vita, http://www.cs. jhu.edu/-callahan/lifepage.html#newresults. Quel sito Web adesso, triste a dirlo, è defunto: non perdete tempo nel cercare di capire questi commenti; essi servono solamente a illustrare il modo in cui gli hacker del Mondo della Vita pensano e parlano. La pagnotta reagisce con tutta la schifezza che l'R-pentomimo produce quando si trasforma naturalmente in un Herschel, e riappare miracolosamente qualche tempo dopo senza lasciare alcun detrito. È necessario impedire al primo aliante Herschel
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di colpire i residui sbiaditi della reazione, e non c'è la possibilità di avere un mangiatore tradizionale. Ma, per fortuna, si può usare una tinozza con coda e un ceppo al suo posto.
Questi hacker del Mondo della Vita stanno giocando a Dio nel loro universo bidimensionale semplificato, cercando di progettare schemi spettacolari sempre più sofisticati che si propagheranno, si trasformeranno, si proteggeranno e si muoveranno per tutto il piano del Mondo della Vita- in poche parole,/anno cose nel mondo, invece di lampeggiare solamente a intermittenza o, peggio, persistere immutati per l'eternità (sempre che non ci siano invasioni). Come rivelano le citazioni riportate, il problema, per chiunque giochi a fare Dio in questo mondo, è che, non importa quanto sia bello lo schema di partenza, questo incorrerà sempre nel rischio di finire annichilito, di ridursi in rottami, di essere divorato da un mangiatore, di svanire senza lasciare traccia. Se volete che le vostre creazioni durino nel tempo, dovete fare in modo che siano protette. Mantenendo costante la fisica (ovvero, senza cambiare la regola base del Mondo della Vita), l'unica cosa su cui potete giocare è la descrizione dello stato iniziale, ma avete così tanti stati da scegliere! Un insieme di Mondi della Vita dalle dimensioni di solo un milione di pixel per un milione di pixel vi dà già un numero di due elevato a mille miliardi di differenti universi possibili da esplorare - la Biblioteca di Conway, un "enorme" ma "evanescente" ramo della molto ma molto più "enorme" Biblioteca di Democrito. Alcuni di questi Mondi della Vita sono veramente molto interessanti; ma trovarli è più arduo che scovare un ago nel pa-
gliaio. L'unico modo di riuscirei, dal momento che una procedura casuale è decisamente senza speranza, consiste nel pensare alla ricerca come se fosse un problema progettuale: come posso costruire una forma-di-Vita che faccia x o y o z? E una volta progettato qualcosa che riesca a fare x, pensare: come posso proteggere il mio buon x-costruttore dal pericolo, dopo averlo effettivamente costruito? Dopo tutto, ci sarà stata molta preziosa attività di R&S (ricerca e sviluppo) alla base dello sviluppo del mio x-costruttore, e sarebbe un vero peccato che questo andasse distrutto prima ancora di riuscire a compiere il suo lavoro. Come potete fare a costruire oggetti in grado di resistere nel Mondo della Vita, a volte così velenoso? Questo è un obiettivo, un problema non-antropomorfico. La fisica sottostante è la stessa per tutte le configurazione del Mondo della Vita, ma alcune di queste, in virtù solamente della loro /orma, hanno poteri che mancano ad altre configurazioni. Ecco la caratteristica fondamentale del livello di progetto. Fate in modo di progettare delle configurazioni il meno umane possibile, il meno cognitive possibile, il meno simili ad agenti di quanto possiate pensare. Se saranno in grado di sopravvivere, che cosa ci sarà in loro di così speciale da giustificare tanta abilità? Una Natura morta va bene fino a quando non viene aggredita. Poi che succede? È in grado di ristabilirsi in qualche modo? Qualcosa che sia in grado di muoversi velocemente, fuori portata, potrebbe andare meglio; ma come potrà mai avvertire il pericolo di missili in rotta di collisione? Qualcosa in grado di nutrirsi dei relitti in avvicinamento e trame profitto potrebbe andare ancora meglio. Anzi, la regola è: qualunque cosa funzioni va bene. Ciò che emerge dall'applicazione di questa regola è qualcosa di straordinariamente simile a un agente, anche se questo potrebbe essere più il risultato di un pregiudizio della nostra immaginazione - come il riconoscere la forma di un animale nelle nuvole solo perché la nostra memoria visiva è piena di "forme" di animali- che qualcosa di necessariamente reale. Comunque, conosciamo un insieme di trucchi che funzionano: un insieme di trucchi che richiama fortemente alla mente la nostra stessa biologia. Il fisico Jorge Wagensberg ha
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Dave Buckingham ha trovato un riflettore stabile e più veloce che non utilizza la reazione speciale di Paul Callahan. Invece, gli alianti che si avvicinano colpiscono una nave per formare un B-eptomino, che viene convertito in un Herschel e si muove in cerchio per restaurare la nave. Qui serve una forma compatta di condotto Herschel a 119 passi, dal momento che è una forma non standard ancora in vita che tiene testa al condotto sequenza 64 64 77.
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recentemente dichiarato che questa rassomiglianza alla vita come noi la conosciamo non è accidentale. In un saggio, in cui però non cita il Mondo della Vita di Conway, elabora definizioni di informazione, incertezza e complessità da cui può poi derivare misure di "indipendenza rispetto all'incertezza dell'ambiente", misure da utilizzare per mostrare che la persistenza, o ciò che egli chiama "mantenere un'identità", in un ambiente complesso dipende (probabilisticamente) dalle diverse tecniche utili per mantenere la propria "indipendenza" -e queste tecniche includono sia misure "passive" come la "semplificazione" (come i semi e le spore), l'ibernazione, l'isolamento (dietro a scudi e a ripari) e una dimensione leggera, sia, soprattutto, misure "attive", atti che richiedano una capacità di predizione. "Un biota progredisce all'interno di un particolare ambiente, se il nuovo stato del biota è più indipendente del precedente rispetto all'incertezza di quell'ambiente" (Wagensberg, 2000, p. 504). Talvolta, un muro rappresenta un buon compromesso, se è tanto robusto che niente può abbatterlo. (Niente? Beh, niente che sia più piccolo di G, il proiettile più gigantesco che gli dobbiamo ancora lanciare contro.) Un muro se ne sta semplicemente lì a prendersi i colpi, senza/are niente. Un difensore mobile, d'altro canto, deve muoversi: o lungo una traiettoria fissata, come una sentinella che marcia attorno al perimetro di un campo; o seguendo traiettorie casuali, come il tubo di aspirazione a vuoto per pulire le piscine che vaga a caso, pulendone le pareti; o ancora muovendosi lungo traiettorie guidate che sono condizionate dalla sua capacità di ottenere informazioni sull'ambiente nel quale si muove. Un muro in grado di autoripararsi è un'altra possibilità interessante, ma diventa un progetto molto più difficile da ideare rispetto a un muro statico. I progetti che richiedono un po' più di fantasia, in grado di fare delle mosse per migliorare le proprie possibilità di persistenza, possono diventare molto dispendiosi, poiché dipendono dalle loro reazioni alle informazioni che ottengono circa le situazioni in cui si trovano. I loro immediati paraggi Oe otto celle vicine a ogni pixel) sono più che informativi- sono asso-
lutamente determinanti - quando compare qualcosa in quei paraggi, è "troppo tardi per fare qualsiasi cosa", non si può evitare la collisione imminente. Se volete che la vostra creazione sia in grado di eludere (avoid) un pericolo incombente, è opportuno che la progettiate o in grado di fare la cosa giusta "automaticamente" Oa cosa che fa sempre), o capace di prevedere in qualche modo l'arrivo dell'evento pericoloso, in modo da essere (progettata per essere) guidata da un messaggero o da qualcos'altro lungo un cammino più sicuro. L'abilità nell'elusione nasce qui; è questa la genesi della capacità di prevenzione, di protezione, di guida, di miglioramento, e di tutte quelle tipologie di azioni che sono più fantasiose e più costose. Ed è proprio al momento della nascita che possiamo discernere le caratteristiche chiave di cui avremo bisogno più avanti: alcuni danni possono, in linea di principio, essere evitati mentre altri no; questi ultimi sono, come si dice, ineluttabili. Un allarme ricevuto con buon anticipo è la chiave che permette di eludere il pericolo, e nel Mondo della Vita questa capacità è fortemente limitata dalla "velocità della luce" che è (a tutti gli effetti) la velocità con cui gli alianti semplici possono nuotare diagonalmente attraverso il piano, Gli alianti, in altre parole, si possono considerare come i fotoni, o particelle di luce, nell'insieme degli universi del Mondo della Vita; e la reazione-a-un-aliante può essere un modo di trasformare una semplice collisione o un'invasione in una trasmissione di informazione, il caso più semplice di osservazione o discernimento. Possiamo capire perché le calamità che piovono alla velocità della luce debbano sorprendere ogni creazione che incontrano: esse sono veramente ineluttabili. Guai che si muovono a velocità più ridotta possono, in linea di principio, venire predetti da quasi tutte le forme del Mondo della Vita in grado di cogliere gli indizi trasmessi da una pioggia di alianti (o da qualsiasi altra fonte di informazione più lenta) e prepararsi appropriatamente. Una forma del Mondo della Vita può prelevare le informazioni per sapere che cosa l'aspetta da altre cose che incontra, ma solo se in quelle configurazioni esiste un'informazione che consenta di predire la presenza di altre
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configurazioni in altri punti dello spazio o del tempo. In un ambiente totalmente caotico, impredicibile, non c'è alcuna speranza di elusione del pericolo, solo la mera e cieca fortuna. Notate che in questa disamina sto mescolando due diversi processi di raccolta di informazioni, che adesso è necessario distinguere in modo più chiaro. Primo, abbiamo l'attività dei nostri Dei-hacker che sono liberi di far volare il loro sguardo e il loro pensiero su immense schiere di possibili Mondi della Vita, cercando di immaginare quale tra i tanti avrà la tendenza a funzionare, quale sarà il più robusto, quale il più fragile. Per il momento, stiamo supponendo che le loro "miracolose" interazioni con le creature del Mondo della Vita siano tipicamente divine- non sono certo limitate dalla bassa velocità degli alianti-luce; gli Dei-hacker possono intervenire raggiungendo la creatura e aggiustandone il progetto in qualunque momento decidano di farlo, possono fermare il Mondo della Vita nel bel mezzo di una collisione, riparare il danno e cancellare tutta la lavagna per elaborare un nuovo progetto. Ovunque loro siano in grado di intravvedere una fonte di difficoltà, possono porsi l'obiettivo di progettare un modo per contrastarla. Le loro creazioni saranno gli inconsapevoli, imprudenti beneficiari della provvidenza degli Dei-hacker, che li hanno progettati proprio perché prosperassero in quelle circostanze. Anche gli Dei-hacker hanno dei limiti, e tenderanno a economizzare tutte le volte che potranno. Per esempio, potrebbero essere interessati a problematiche del tipo: quale sarà la forma di Vita più piccola in grado di proteggersi dal danno x o dal danno y, sotto le condizioni z (ma non sotto le condizioni w)? Dopotutto, raccogliere informazioni e metterle in atto è un processo costoso, che richiede molto tempo, anche per un Dio-hacker. La seconda possibilità è data dalla prospettiva di un Dio-hacker che progetta configurazioni in grado di occuparsi loro stesse della raccolta di informazioni, localmente, rispettando i vincoli del mondo fisico in cui sono immerse. Aspettatevi che ogni creazione finita, in grado di utilizzare le informazioni, sia parsimoniosa, prendendo in considerazione solo ciò di cui (probabilmente) ha bisogno o che (probabilmente) può usare, date le vicissitudini che accado-
no nei suoi immediati paraggi. Dopotutto, il Dio-hacker, che l'ha progettata, l'ha voluta tanto robusta da essere in grado di proteggersi non in ogni possibile Mondo della Vita, ma in ogni mondo dell'insieme di Mondi della Vita nel quale la creatura ha una qualche possibilità di fare degli incontri. Una creatura di questo tipo sarà, al massimo, in una posizione tale da comportarsi come se sapesse di dover vivere in un certo tipo di vicinato, di dover evitare un certo tipo di danno o di doversi assicurare un certo tipo di vantaggio, invece di agire come se conoscesse esattamente in quale sorta di Universo della Vita sta abitando. Parlare di queste minuscole configurazioni dotate dell'abilità di eludere i pericoli come se "sapessero" qualcosa implica una certa dose di licenza poetica, dal momento che questi esseri sono la cosa più simile a un oggetto privo di mente che voi possiate immaginare - sono molto più semplici di un batterio del mondo reale, per esempio-, ma è comunque un'utile finzione per tenerci in contatto con il lavoro di progetto che è stato fatto al loro interno e che li ha arricchiti con l'abilità di fare cose che qualunque altro agglomerato di pixel delle loro stesse dimensioni e caoticamente assemblato non sarebbe in grado di fare. (Ovviamente, "in linea di principio" - come amano dire i filosofi - un Accidente Cosmico potrebbe produrre esattamente la stessa costellazione di pixel con esattamente le stesse capacità, ma questa è una possibilità del tutto trascurabile, sotto la soglia dell'improbabilità. Solo cose costosamente progettate sono in grado di fare, a loro volta, cose di una certa rilevanza.) Abbellire la fase di progetto parlando delle configurazioni come se queste '{ sapessero ,, o "eredessero " qua lcosa, e "volessera" portare a termine un certo compito o un altro ci consente di innalzarci dalla semplice fase progettuale a quella che io chiamo la fase intenzionale. I nostri agenti elementari vengono riconcettualizzati come agenti razionali o sistemi intenzionali, e questo ci permette di riflettere su di loro con un grado ancora superiore di astrazione, ignorando i dettagli di come facciano anche solo ad accumulare le informazioni in cui "credono" e di come riescano a "immaginarsi" che cosa fare, basandosi
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su ciò che "credono'' e "vogliono". Noi assumiamo semplicemente che qualsiasi cosa essi facciano, la facciano razionalmente sulla base di ciò che sanno e, dato ciò che vogliono, siano in grado di trarre le giuste conclusioni su quel che faranno in seguito. Ciò rende la vita miracolosamente più semplice ai progettisti di alto livello, così come il teorizzare che i nostri amici e vicini (e i nostri nemici) siano sistemi intenzionali rende la vita più semplice a tutti noi. Possiamo oscillare tra la prospettiva del Dio-hacker e la "prospettiva" delle creature del Dio-hacker. Gli Dei-hacker hanno ragioni, buone o cattive non importa, per progettare le loro creature nel modo in cui le fanno. Le creature stesse possono essere totalmente all'oscuro di queste ragioni; ma esse sono la ragione per cui queste peculiarità di progettazione sussistono, e se le creazioni durano, sarà proprio grazie a queste peculiarità. Se, oltre a questo, tali creature sono state programmate per raccogliere informazioni da utilizzare in azioni di controllo, la situazione si complica ulteriormente. La possibilità più semplice prevede che un Dio-hacker progetti un repertorio di impulsi reattivi che tendono a funzionare bene all'interno degli ambienti già incontrati, uno stratagemma simile agli IRt\1 (Innate Releasing Mechanisms o Meccanismi Innati di Rilascio) e ai FAP (Fixed Action Patterns o Schemi Fissi di Azione) che gli etologi hanno individuato nel comportamento di molti animali. Garv Drescher (1991) chiama un'architettura di questo tipo app~rato a situazione-azione e la mette a confronto con il più costoso, e più complesso, apparato a scelta, nel quale l'atto creativo individuale genera le sue proprie ragioni per fare x o y, sulla base dell'anticipazione degli esiti probabili di svariate azioni candidate e assegnando un valore a questi esiti rispetto agli obiettivi che esso stesso si prefigge (dal momento che questi obiettivi possono variare con il tempo, in risposta a nuove informazioni raccolte). Se ci chiedessimo "a che punto" le ragioni del progettista diventino le ragioni dell'agente progettato, potremmo renderei conto di come esista un amalgama di passi intermedi senza soluzione di continuità, con parti del lavoro di progetto gradualmente sempre
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più scaricate dal progettista all'agente progettato. Una delle meraviglie della fase intenzionale è che ci permette di vedere chiaramente questa deriva della distribuzione del "lavoro cognitivo", dal processo di progettazione originale agli sforzi della cosa progettata. Tutta questa fantasiosa chiacchierata sulle configurazioni di pixel del Mondo della Vita considerate come agenti razionali potrebbe sembrarvi bizzarra esagerazion~, un mio mani~ festa tentativo di mettervi un velo sugli occhi. E il momento dt fare il punto della situazione: in linea di principio, fino a che punto possiamo dire che una progettata costellazione di pixel del Mondo della Vita può fungere da mattone fondamentale per forme del Mondo della Vita di livello superiore, considerando la capacità di discriminazione-degli-alianti e capacità analoghe come le "molecole" del livello di progetto? Questa è stata la domanda che originariamente ha ispirato Conway nella creazione di Li/e; la risposta che lui e i suoi studenti hanno trovato è a dir poco sconcertante. Essi sono stati in grado di dimostrare che ci sono Mondi della Vita- e ne hanno delineato uno all'interno dei quali c'è una macchina di Turing universale, un computer bidimensionale che può calcolare, in linea di principio, ogni funzione computabile. Non è stato affatto facile, ma Conway e i suoi ragazzi hanno mostrato di saper "costruire" un computer funzionante basandosi solamente sulle semplici forme del Mondo della Vita. Fasci di alianti possono fare da "nastro" di input-output, per esempio, e la testina di lettura può essere composta da un enorme ammasso di mangiatori, alianti e da altri pezzi e parti. Il significato di tutto ciò è sbalorditivo: ogni programma lanciato su un qualsiasi computer potrebbe, in linea di principio, girare anche nel Mondo della Vita, su una di queste macchine di Turing universali. Potrebbe esistere una versione di Lotus 1-2-3 nel Mondo della Vita; così come potrebbe esserci Tetris o un altro videogioco qualsiasi. Quindi, la capacità di gestire informazioni da parte di gigantesche forme del Mondo della Vita è equivalente alla capacità di gestire le informazioni dei nostri computer tridimensionali reali. Qualunque compito possiate 61
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"far fare a un chip" e inserire in un aggeggio 3D può essere perfettamente imitato da una costellazione di Lt/e similmente immersa in un'ancora più grande forma di Vita bidimensionale. Noi sappiamo che questa forma di Vita può esistere, almeno in linea teorica. Tutto ciò che dovete fare è trovarla- il che significa che tutto ciò che dovete fare è progettarla.
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il signor Darwin: il quale, per una peculiare inversione del ragionamento, sembra pensare che l'Ignoranza Assoluta possa prendere il posto della Sapienza Assoluta in tutte le imprese di abilità creativa. (MacKenzie, 1868, p.217)
A un'attenta disamina, si troverà che questo enunciato esprime, in forma condensata, l'intento essenziale della Teoria, e formula in poche parole tutto ciò che vuoi dire
MacKenzie identificava così ciò che definiva una "peculiare inversione del ragionamento", e aveva ragione su tutti i punti! La rivoluzione darwiniana è un'inversione del ragionamento quotidiano per più di un aspetto e risulta, per questa ragione, "peculiare": una lingua straniera, irta di trappole per l'incauto, anche se con una considerevole pratica alle spalle, per lo più perché zeppa di termini che i linguisti chiamano falsi amici - termini che sembrano parenti stretti o sinonimi di termini propri della vostra madrelingua ma che ne differiscono in un modo sottile e insidioso. Gz/t per qualcuno (inglese) è "dono"; per qualcun altro (tedesco) è "veleno"; chair per qualcuno (inglese) è "cattedra"; per qualcun altro (francese) è "carne", ecc. (Suggerimento: andate a dare un'occhiata al dizionario Tedesco -Inglese e a quello Francese- Inglese.) Nel caso della prospettiva darwiniana, il problema dei falsi amici è esacerbato, poiché i termini che causano confusione sono, di fatto, strettamente correlati e pertinenti tra loro, ma non sono esattamente gli stessi. Quando invertiamo la tradizionale prospettiva top-down e guardiamo alla creazione bottom-up, vediamo l'intelligenza emergere dall"' intelligenza", esseri in grado di vedere creati da un "orologiaio cieco"; assistiamo alla scelta che emerge dalla "scelta", l'elettorato consapevole dall'" elettorato" incosciente, e così via. Ci saranno parecchie citazioni da brivido nelle spiegazioni che seguiranno. Vedremo- parlando di paradossi!- come un tutto può essere più libero delle sue parti. A quanto pare, il problema prettamente tecnico di capire se un processo evolutivo possa sostituirsi all'operato di un Diohacker entro un Mondo della Vita presenta implicazioni di vasta portata. Inoltre, la risposta procede con alcuni curiosi avvitamenti. In un simile Mondo della Vita ci dovrebbero essere entità in grado di autoriprodursi, e noi sappiamo già che queste entità possono esistere, visto che Conway e i suoi studenti hanno in seri-
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Possiamo fare noi il Deus ex machina? Ora è il momento di chiederci se possiamo eliminare dalla nostra descrizione gli Dei-hacker che operano in modo miracoloso, rimpiazzando i loro tentativi di progettazione ingegnosa con l'evoluzione all'interno dello stesso Mondo della Vita. Esiste un Mondo della Vita qualsiasi, di qualsiasi dimensione, nel quale il tipo di attività umana di R&S appena descritto venga portato avanti dalla selezione naturale? Più precisamente, ci sono configurazioni del Mondo della Vita tali per cui, se date il via al mondo in una di queste, essa alla fine farebbe tutto il lavoro degli Dei-hacker, scoprendo c facendo proliferare gradualmente creazioni in grado di eludere il pericolo in modo sempre più abile? Questo passo, verso una prospettiva evoluzionistica, porta con sé una famiglia di idee che, viste dalla nostra prospettiva quotidiana, possono sembrare paradossali e incoerenti, e ci richiede alcuni ardui esercizi di riflessione per poterei fare sentire a nostro agio nella transizione tra le due prospettive. Uno dei primi critici di Darwin intravvide ]'approssimarsi di questo cambiamento, e poté a malapena contenere il suo sdegno: Nella teoria con cui abbiamo a che fare, l'artefice è l'Ignoranza Assoluta; tant'è che possiamo enunciare come principio fondamentale dell'intero sistema che, PER CREARE UNA MAC CHINA PERFETTA E MERAVIGLIOSA, NON È INDISPENSABILE SAPERE COME FARLA.
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4. Al tempo in cui Poundstone scriveva (19851, questo era veramente un numero molto alto; ma oggi sembrerebbe alquanto basso. I pixel del mio laptop sono più piccoli dì almeno quattro volte. il che vuoi dire che l'intero schermo a quella risoluzione sarebbe largo all'incirca meno di un schermo! un chilometro. Sarebbe, comunque, un
mile con qualcosa di meno complicato, anche se questa affermazione non è stata ancora rigorosamente dimostrata. Ma l'autori produzione da sola non è sufficiente. Abbiamo bisogno anche della mutazione, e l'aggiunta di questa caratteristica risulta essere un'operazione sorprendentemente costosa. Nel suo libro Ton Beau de Marot (1997), Douglas Hofstadter ha posto l'accento su ciò che lui chiama intrusioni spontanee in ogni processo creativo, sia che queste siano la conseguenza degli sforzi di un artista umano, di un inventore o di uno scienziato, sia che siano solo le conseguenze dell'attività della selezione naturale. Ogni incremento della progettazione che compare nell'universo inizia con un momento dì serendipìtà, l'intersezìone non progettata di due traiettorie che genera qualcosa che risulta essere, retrospettivamente, ben più di una mera collisione. Abbiamo visto come la previsione delle collisioni sia una fondamentale capacità che può essere messa a disposizione delle forme del Mondo della Vita e come, di fatto, la collisione rappresenti uno dei maggiori problemi che un hacker del Mondo della Vita deve affrontare; ma esattamente quante collisioni ci possiamo permettere nei nostri Mondi della Vita? Questo diventa un problema molto serio, quando ci apprestiamo ad aggiungere la mutazione al potere di autoreplicazione delle configurazioni di Vita. simulazioni al computer dell'evoluzione abbondano e ci mostrano il potere della selezione naturale nel creare, in un mondo virtuale qualsiasi, novità straordinariamente efficaci in periodi di tempo incredibilmente brevi. Si tratta però, giocoforza, sempre di ordini di grandezza inferiori a quelli del mondo reale, perché questi mondi sono sempre molto più tranquilli. Ciò che accade in un mondo virtuale è solo ciò che il progettista ha specificato debba accadere. Prendete in considerazione una tipica differenza tra i mondi virtuali e i mondi reali: se vi prefiggete di costruire un albergo reale, dovete dedicare molto tempo, energie e materiali per sistemare le cose in modo che gli ospiti alloggiati in stanze adiacenti non possano sentirsi tra loro; se vi prefiggete di costruire un hotel virtuale, potete ottenere quel genere di isolamento sen-
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to la loro macchina di Turing universale proprio in un contesto di questo tipo. Essi hanno concepito il Gioco della Vita, infatti, per poter esplorare le proprietà dei pionieristici esperimenti mentali diJohn von Neumann sugli automi in grado di autori prodursi; e sono riusciti a progettare una struttura autoriproducentesi in grado di popolare il piano vuoto con molte copie di se stessa, in modo simile a come fanno i batteri in una capsula di Petri, ponendo una macchina di Turing universale all'interno di ognuna delle copie. A che cosa assomiglia tale macchina? Poundstone ha calcolato che l'intera costruzione sarebbe dell'ordine di 1013 pixeL Per mostrare uno schema di 10" pixel, avremmo bisogno almeno di uno schermo di circa tre milioni di pixel per lato. Se poniamo che un pixel sia grande un millimetro quadrato (il che è una risoluzione veramente alta rispetto agli standard dei computer di casa)," allora lo schermo dovrebbe essere largo almeno tre chilometri e avrebbe un'area sei volte circa quella del Principato di Monaco. La prospettiva farebbe contrarre i pixel di una configurazione autoriproducente fino a renderla invisibile. Se vi allontanaste dallo schermo fino a riuscire a vedere comodamente l'intera configurazione, i pixel (così come gli alianti, i mangiatori e i cannoni) sarebbero così minuscoli da non poter essere distinti. Una configurazione autoriproducente avrebbe l'aspetto di una vaga luminosità, sarebbe come una galassia. (Poundstone, 1985, pp. 227 -228)
In altre parole, quando avrete accumulato un numero di pezzi sufficiente per poter costruire qualcosa in grado di riprodursi (in un mondo bidimensionale), questa cosa sarà più grande dei suoi pezzi più piccoli più o meno come un organismo è più grande dei suoi atomi. Ciò non dovrebbe sorprendere. Probabilmente, non sareste in grado di fare niente di si-
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za fatica. Se volete che in un albergo virtuale gli ospiti alloggiati in stanze adiacenti possano sentirsi reciprocamente, dovete aggiungere appositamente questa caratteristica. Dovete aggiungere questo non-isolamento. Dovete aggiungere anche le ombre, gli aromi, le vibrazioni, la sporcizia, le impronte delle scarpe, e tutto il logorio della ''vita moderna". Tutte queste caratteristiche non funzionali sono gratis nel mondo reale, e svolgono un ruolo cruciale nell'evoluzione. L'imprevedibilità propria del processo evolutivo che agisce attraverso la selezione naturale dipende dalla straordinaria ricchezza del mondo reale che è fonte inesauribile di nuovi elementi non progettati che possono venire imbrigliati, serendipicamente, con nuovi elementi di progetto solo a ogni morte di papa! Prendiamo in considerazione il caso più semplice: ci può essere abbastanza interferenza nel mondo da produrre semplicemente un numero appropriato di mutazioni senza distruggere, nel processo, l'intero sistema riproduttivo? Il sistema riproduttivo della macchina universale di Turing creata da Conway era assolutamente privo di rumore, in grado di fare copie perfette ogni volta. Non c'era alcuna possibilità di mutazione, a prescindere dal numero di copie prodotte. Si potrebbe progettare un automa autoriproducentesi ancora più grande, ancora più ambizioso, in grado di farsi colpire da un aliante occasionale, come da un raggio cosmico, e produrre in questo modo una mutazione del codice genetico da riprodurre? Può un Mondo della Vita bidimensionale essere sufficientemente rumoroso da promuovere un'evoluzione aperta e allo stesso tempo sufficientemente calmo da permettere alle parti progettate di svolgere il loro compito indisturbate? Nessuno lo sa. È interessante che tutte le volte che si progettano Mondi della Vita abbastanza complessi da poterlì considerare candidati idonei a fornire una risposta al quesito, questi sono troppo complicati per essere riprodotti in una simulazione. Si è sempre in tempo ad aggiungere rumore e sporcizia a un modello, ma ciò ha l'effetto di dissipare l'efficienza che rende i computer in primo luogo degli strumenti tanto importanti.
Così, in questo caso, c'è una sorta di omeostasi o di equilibrio auto-limitante. L'ipersemplificazione, cioè l'eccessiva semplificazione dei nostri modelli, può impedire la loro capacità di simulare ciò a cui siamo più interessati, come la creatività, che sia quella dell'artista umano o della selezione naturale, dal momento che in entrambi i casi tale creatività si alimenta della complessità del mondo reale. Non c'è nulla di misterioso né di enigmatico in tutto questo, non c'è l'alito di alcuna nuova, strana, forza-della-complessità né alcuna emergenza in-lineadi-principio-impredicibile; è semplicemente una verità della vita di tutti i giorni: le modellizzazioni al computer della creatività devono fare i conti con un calo della rendita, perché per poter rendere il modello il più aperto possibile, lo si deve per forza rendere più concreto. Il modello deve simulare un numero sempre crescente di quelle collisioni accidentali che coinvolgono gli oggetti del mondo reale. L'invasione è, anzi, ciò che rende la vita interessante. Detto questo, è improbabile che noi si riesca mai a dimostrare attraverso le simulazioni che in qualche punto nell'"enorme" estensione del Piano della Vita ci siano configurazioni che emulano la completa indeterminatezza della selezione naturale. Tuttavia, possiamo costruire le partì pezzo per pezzo, producendo pertinenti dimostrazioni di esistenza di cui abbiamo bisogno. Quindi sì, ci sono importanti configurazioni riconoscibili come macchine di Turing universali, e ci sono configurazioni durature autoprotettive, schemi replicatori e processi evolutivi limitati. Argomenti formali, come quelli di Wagensberg (e quelli di Conway e di Turing), ci conducono ben oltre la costruzione, colmano i vuoti dell'impraticabilità e ci permettono di affermare, con una certa sicumera, che il nostro modellino di mondo deterministico è una costruzione che presenta tutti gli ingredienti necessari perché si possa parlare di evoluzione delle ... configurazioni capaci di eludere il pericolo (avozders)! Questa affermazione è ciò che ci serve per stroncare l'illusione cognitiva che aggioga il determinismo alla ineluttabilità. Prima di concentrarci su questo punto, però, sarà utile uscire dal dominio
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della simulazione e tornare alla realtà, per capire quanto sappiamo su come si sia evoluta l'abilità di eludere i pericoli sul nostro pianeta.
Il semplice "atto" di discernimento - il solo fatto di "individuare" un nuovo problema e prendere posizione per rispondere alla minaccia richiede il tempo di una generazione, mentre il processo per tentativi-ed-errori necessario per "elaborare" una soluzione coinvolge nell'esplorazione sacrificale orde di lignaggi diversi che interessano svariate generazioni. Accidentalmente, alla fine, i progetti buoni emergono vittoriosi, oppure il lignaggio si estingue, cosa che è il risultato più comune a tutti quegli "sforzi" per preservare in buona salute la stirpe. Capita a pochi di loro, i fortunati, di trovare buone contromosse. (Non stavano facendo niente, erano solamente parte di ciò che stava accadendo la parte fortunata, come succede, che per caso è nata con le mutazioni utili.) Questi individui fortunati hanno avuto una discendenza, la cui discendenza- ancora la più fortunata- ha avuto a sua volta una discendenza, e così via, fino a giungere a noi. Noi noi fortunati -siamo composti di queste parti utili, progettate mirabilmente per essere il miglior contributo alla nostra capacità di elusione, anche se ora su una scala temporale molto più rapida. E il processo continua, anche nel presente. Matt Ridley descrive il caso recente, ampiamente studiato, del cosiddetto elemento P, un "gene saltatore" parassita che emerse da un ceppo di laboratorio del moscerino della frutta (Drosophila willistoni) negli anni Cinquanta del Novecento e si diffuse nella popolazione selvaggia dei suoi cugini, la Drosophila me-
Dalla fuga al rallentatore alle Guerre Stellari Sappiamo che nei primi tempi nei primi miliardi di annidi vita di questo pianeta emersero progetti in grado di autodifendersi, grazie al processo lento e non miracoloso della selezione naturale. Si dovette attendere un periodo dell'ordine di un miliardo di anni di continue repliche delle più semplici forme di vita per trovare i migliori progetti - ancora suscettibili di revisione oggi, ovviamente dei processi elementari di riproduzione. Lungo il percorso emerse molta capacità di elusione e di prevenzione, ma a un passo troppo lento per poter essere apprezzata, a meno che non si velocizzi il processo artificialmente, ricorrendo all'immaginazione. Per esempio, occasionalmente l'incessante processo di esplorazione della selezione naturale rigurgitava di sequenze di DNA controproduttive, geni parassiti o transposoni, che rubavano il passaggio ai genomi delle prime forme-di-vita, non contribuendo affatto al loro benessere, ma stipando solamente in quei genomi copie extra (e copie di copie di copie) di loro stessi. Questi parassiti creavano un problema: era necessario /are qualcosa; e a tempo debito l'incessante processo di esplorazione della selezione naturale, per mezzo di una ricerca più o meno esaustiva, "trovò" una soluzione (o due, o più di due): progetti di strutture all'interno delle parti preziose e costruttive dei genomi che impedivano a questi parassiti di prosperare èccessivamente, contrapponendo alle loro azioni delle reazioni, e così via. I geni parassiti reagirono, a loro volta, a tale nuovo sviluppo con una loro contromossa, sviluppata dopo molte centinaia o molte migliaia o molti milioni di generazioni, e la lotta proseguì in questo modo, e lo fa ancora oggi. In questo caso la velocità limite della capacità di evitamento (avoidance) non coincide con la velocità della luce, ma con quella della generazione.
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lanogaster. Da allora l'elemento P si è diffuso come un incendio, al punto che quasi tutti i moscerini lo contengono, tranne quelli raccolti in natura prima del 1950 e da allora mantenuti in isolamento. L'elemento P è un pezzo di DNA egoista che manifesta la sua presenza distruggendo i in cui salta. Un po' alla volta, il resto dei geni contenuti nel genoma del moscerino della frutta è passato alla controffensiva, escogitando sistemi per sopprimere l'abitudine saltatoria dell'elemento P, si è calmato trasformandosi in passeggero. (Matt Ridley, 1999, p. 147)
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Quanto tempo ci è voluto a questi geni per "riconoscere" il problema e "iniziare a combatterlo"? Molte generazioni; ma si noti come non ci sia stato alcun osservatorio centralizzato, alcun centro decisionale. Quello che è successo è semplicemente ciò che succede sempre con la selezione naturale. L'impatto degli elementi P non è stato uniforme in tutto il ceppo dei moscerini della frutta; ci sono state variazioni nei genomi dei moscerini della frutta, alcune di queste in grado di reagire meglio alla nuova minaccia. Quegli esemplari che tennero testa alla minaccia prosperarono, e perciò quelli della loro discendenza che tennero testa anche meglio prosperarono ancor di più, tanto che a tempo debito emersero soluzioni ai problemi posti da quegli elementi P, e queste soluzioni vennero "scoperte" e "approvate" da Madre Natura, altrimenti nota come selezione naturale. Questo fenomeno, in natura, non può accadere più velocemente di così; l'esplorazione non può precedere la presenza del problema (altrimenti, si avrebbe precognizione evolutiva) e, di conseguenza, ogni passo richiede almeno una generazione. Fortunatamente, l'esplorazione può avvantaggiarsi di una "procedura parallela", esplorando tutti i ceppi effettivi (sebbene non siano tutti quelli possibili) dei moscerini della frutta contemporaneamente, in modo che la procedura di problem-solving possa avvenire assai rapidamente, cioè in meno di mezzo secolo nel caso dei moscerini della frutta. Uno degli argomenti correttivi standard (e ce n'è molto bisogno), diffuso tra coloro che studiano l'evoluzione, è il vecchio adagio sulla assenza totale di lungimiranza della selezione naturale. È vero, ovviamente. L'evoluzione è l'orologiaio cieco, e non dobbiamo mai dimenticarlo. Ma non dovremmo nemmeno ignorare il fatto che Madre Natura è'ben rifornita della saggezza del senno di poi. Il suo motto potrebbe benissimo essere: "Se sono così miope, come mai sono così ricca?". E se da un lato Madre Natura rimane priva, lei stessa, di lungimiranza, dall'altro ha provveduto a creare esseri - principalmente noi, gli esseri umani che ne hanno e che stanno persino iniziando a utilizzare questa loro capacità per guidare e favorire gli stessi processi della selezione naturale presenti su
questo pianeta. A volte mi capita di incontrare anche raffinati evoluzionisti che trovano la cosa paradossale. Come può un processo privo di qualsiasi lungimiranza inventare un processo fornito invece di tale capacità? Uno degli obiettivi principali del mio libro, L't'dea pericolosa di Darwin, era quello di dimostrare come ciò non avesse nulla di paradossale. Il processo di selezione naturale, in sé lento e privo di lungimiranza, inventa processi o fenomeni che accelerano il processo evolutivo stesso- che, nella mia colorita terminologia, erano gru, non ganci sospesi al cielo o simili strutture aeree fino a chè il processo evolutivo così potenziato non raggiunge finalmente un punto in cui esplorazioni portate a termine in un tempo inferiore alla durata della vita degli organismi individuali possono intaccare il lento processo di evoluzione genetica soggiacente e anche, in determinate circostanze, scalzarlo. Oggi, noi esseri umani siamo in grado di udire e vedere eventi a distanza, senza dover attendere si avvtctmno troppo. Grazie ai nostri organi in grado di percepire eventi a distanza e alla protesica estensione che vi abbiamo applicato, siamo in grado di porre e risolvere problemi a un ritmo che è prossimo al limite di velocità massimo dell'universo fisico, la velocità della luce. Qualsiasi cosa più veloce della luce sarebbe precognizione, cosa che noi non possiamo avere, anche se effettivamente cozziamo proprio contro la barriera della velocità della luce nel caso delle nostre capacità di riconoscimento e soluzione dei problemi. Grazie alla nostra tecnologia, per esempio, siamo capaci di individuare il decollo di un missile nucleare dopo pochi secondi dal lancio a migliaia di chilometri di distanza, e possiamo quindi usare quel prezioso lasso di tempo per escogitare una contromisura che abbia una qualche probabilità di riuscita maggiore di zero. Sono siffatte prodezze della nostra capacità di elusione che ci lasciano senza fiato, come, per esempio, l'evitare un mattone che ci sta precipitando addosso. (Ma possiamo davvero farlo? Non ho forse io stesso dichiarato in più occasioni che l'iniziativa dì strategia difensiva [Strategie De/ense Initiative] di Ronald Reagan e le
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altre che ne sono derivate - spesso chiamate Guerre Stellari -non sono altro che fantasie recnologiche, sistematicamente incapaci di un'implementazione di successo? Ma se le Guerre Stellari sono attualmente impraticabili, come credo fermamente, è solo perché oggi si trovano al limite estremo della corsa agli armamenti della capacità di elusione o evitamento, e le contromisure, che possiamo facilmente immaginarci, sembrano avere il sopravvento; queste riuscirebbero quasi certamente a prevenire la prevenzione, che è invece l'obiettivo delle Guerre Stellari, anche se, sicuramente, molti missili verrebbero intercettati con successo- e questo è tutto ciò che penso. Non sono un sostenitore delle Guerre Stellari; sono tuttavia compiaciuto al vedere che questo sistema criminalmente costoso e irresponsabile possa, dopotutto, avere anche un utilizzo modesto, se pur solo come esempio filosofico!) Oggi noi siamo esseri virtuosi, nell'eludere, prevenire, ostacolare e prevedere i pericoli. Abbiamo fatto in modo di trovarci nella felice situazione di avere abbastanza tempo libero per sederci senza agitarci guardando sistematicamente al futuro e chiedendoci come agire. Stiamo spremendo ogni goccia di informazione possibile dal mondo, per poi elaborarla, ottenendo panoramiche mozzafiato, completamente nuove, su come sarà il domani. E che cosa vediamo? Vediamo che ci sono alcune ineluttabilità, anche se, in realtà, la lista si accorcia di settimana in settimana. Sembra ovvio che non possiamo fare nulla contro i maremoti, o contro le epidemie di influenza, o i tornado (non siamo ancora in grado di deviarli, ma ormai siamo avvertiti con un anticipo così grande che possiamo ancorare tutto a terra e minimizzare i danni}. Sembrava naturale pensare che una persona caduta da una nave nel pieno della notte, in mezzo all'oceano, fosse sicuramente spacciata; ma adesso possiamo volare su elicotteri guidati da radiobussole e strappare la gente alle profondità marine esattamente come succedeva nei finti miracoli realizzati dal deus ex machina nelle tragedie greche dell'Antichità. Tutto questo è uno sviluppo biologico piuttosto recente. Non c'è stato niente del genere
per miliardi di anni, sul nostro pianeta. I progressi erano o completamente ciechi, o al meglio miopi, inetti e reattivi, mai lungimiranti e intraprendenti. Come abbiamo visto, è facile per agenti come noi, inveterati e immaginativi come siamo, distinguere la configurazione utile per l'elusione e per la prevenzione su molte scale temporali differenti, dalla supersonica alla superglaciale. Possiamo senza fatica estenderla agli atomi e persino alle particelle subatomiche se ci piace, pensando a loro come se, anche loro, fossero minuscoli agenti, preoccupati del loro stesso futuro, speranzosi di contribuire a qualche grande avventura, resistendo quanto più possono nel mondo dei grandi urti. Possiamo immaginarci gli atomi, se ci piace, che si fanno piccoli per la paura in attesa delle collisioni che si aspettano che accadranno. Sarebbe stupido, naturalmente. Gli atomi non hanno lungimiranza, interessi o speranze; essi sono solamente minuscoli "luoghi" dove le cose non vengono /atte, ma accadono. Ciò, però, non ci impedisce di semplificare il modo in cui ce li rappresentiamo e di trattarli come se fossero agenti -agenti molto elementari, con un unico scopo. Quell'atomo di carbonio si avvinghia tenacemente a questi due atomi di ossigeno, prevenendo la loro tendenza a girovagare, formando una molecola persistente di anidride carbonica - un compito modesto per un atomo di carbonio. Altri atomi di carbonio svolgono ruoli più eccitanti, tenendo assieme gigantesche proteine mega-atomiche, in modo da permettere alle proteine di svolgere il loro compito, qualunque esso sia. Sospetto che il motivo per cui troviamo naturale tenerci al corrente della complessità degli atomi e degli strani abitanti del mondo della fisica subatomica, trattandoli come se fossero minuscoli agenti sia quello che i nostri cervelli sono progettati per trattare ogni cosa con cui vengono in contatto come se fosse un possibile agente - nel caso lo fosse veramente. Nei primi giorni della cultura umana, potremmo dire all'infanzia della civiltà, risultava utile abusare di questa forma di animismo, trattando tutta la natura come se fosse composta da dei e fate, spiriti malevoli e benevoli, diavoletti e folletti maligni, es-
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seri responsabili di tutti i processi naturali che si potevano osservare. Si può dire che ci fossero sistemi intenzionali ovunque. Questa tattica è stata mitigata e modificata- sin dai tempi appunto di Democrito- così che ora per noi è del tutto naturale pensare agli atomi come a piccoli granelli rimbalzanti e privi di mente. Essi non sono più degli agenti, ma/anno ancora delle cose- si respingono e si attraggono, oscillando intorno a un punto o scappando via. Non sto suggerendo che ci sia una divisione netta, infine, tra le cose che meramente accadono e le cose che fanno altre cose, per quanto valida possa essere tale distinzione. Come al solito, anche in questo caso abbiamo una gradazione continua di casi che passano dai colori vivi al pastello e all'invisibile: vi è così una diminuzione dell'uso appropriato che possiamo fare della famiglia di concetti che sono legati alla nostra condizione di agenti in lotta per la sopravvivenza. Dopotutto, una valanga può distruggere un villaggio e uccidere delle persone esattamente con la stessa micidiale precisione che avrebbe un esercito di predoni, e persino semplici atomi di elio possono spingere dall'interno le pareti di un pallone, mantenendolo rigido e teso. Certo, e gli enzimi possono essere degli agenti veramente occupati. Sospetto, infatti, che sia la nostra incapacità di rappresentarci gli eventi del mondo subatomico secondo i familiari termini di agenti a rendere il mondo della fisica subatomica un'arena di eventi tanto bizzarra, così difficile da visualizzare. I concetti familiari di causa e di effetto, come vedremo nel capitolo successivo, sono ancorati molto meglio al mondo macroscopico dell'azione che a quello soggiacente della microfisica.
l'etimologia del termine "ineluttabile". Significa inevitabile (unavoidable). Curiosamente, la sua negazione non viene utilizzata, 5 ma noi possiamo coniare il termine con relativa facilità e osservare che alcune cose sono eluttabili da alcuni agenti, mentre altre cose, al contrario, non sono eluttabili dagli stessi agenti. Abbiamo visto che in mondi deterministici, come il Mondo della Vita possiamo progettare cose che sono più atte di altre a eludere i pericoli presenti in quel mondo e queste cose devono la loro capacità di persistere nel tempo a questa loro abilità. Di tutte le configurazioni che potremmo osservare su un piano particolare del Mondo della Vita, quali potranno essere ancora presenti dopo un miliardo di passi, a partire da adesso? Quelle creature in grado di eludere i pericoli hanno le probabilità migliori. Possiamo riformulare il punto principale del capitolo come la conclusione di un ragionamento esplicito:
La nascita dell'eluttabilità
In alcuni mondi deterministici esistono creature in grado di evitare (avoidl i pericoli. Quindi, in certi mondi deterministici alcune cose vengono evitate. Qualunque cosa venga evitata è di per sé evitabile o eluttabile. Quindi, in certi mondi deterministici non tutto è ineluttabile. Quindi, il determinismo non implica l'ineluttabilità.
Questo ragionamento ha l'aria sospetta, non è vero? Questo perché mette in luce assunzioni nascoste concernenti la capacità di evitare i pericoli e l'ineluttabilità, che sono passate largamente inosservate. Additare esempi particolari di capacità di evitamento, e utilizzarli come prove per testimoniare la presenza dell"'eluttabilità" sembra strano, perché è il procedimento contrario al modo tipico di pensare all'ineluttabilità:
È giunto il momento di fare un piccolo inventario e di prendere in considerazione alcune obiezioni che finora ho tralasciato di trattare. L'obiettivo principale di questo capitolo è mostrare che dobbiamo prendere in seria considerazione
5. I.;Oxford Englisb Dzctionary cataloga evitable come una parola coniata nel 1502, segnalandola come obsoleta, eccetto nella sua forma negativa. [Si è reso evitable con "eluttabile" che il nuovo etimologico (Zanichelli, 1999) fa derivare dal latino eluctari, uscire dalla lotta, utilizzato prevalentemente da Virgilio e poi caduto in disuso, eccetto per la sua forma negativa. NdT]
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Se il determinismo è vero, allora qualsiasi cosa accade non è altro che l'ineluttabile risultato di un insieme completo di cause che si applicano in ogni istante.
''vive" in un mondo deterministico, e se voi riavvolgeste il nastro per un milione di volte e lo riguardaste, ogni volta ognuna di loro "farebbe" esattamente la stessa cosa - capiterebbe esattamente la stessa cosa- non importa quanto sia progredita !'"evoluzione" in quel mondo. Nello scenario evolutivo del Mondo della Vita, ogni configurazione in grado di evitare il pericolo, posizionata esattamente dov'è nel piano, andrà incontro a quel particolare fato che era da sempre destinata a incontrare- sia che sfugga al pericolo fino a riuscire a riprodursi, sia che non lo faccia. Se affronterà migliaia di opportunità di "eludere" il pericolo prima di essere eliminata, quella sarà stata esattamente la vita che era destinata ad avere. Voi parlate di queste configurazioni come se "avessero le migliori probabilità" di sopravvivere; ma, ovviamente, la probabilità non ha nulla a che vedere con tutto ciò! Coloro che sopravvivono, sopravvivono; e coloro che non lo fanno, soccombono; tutto ciò è determinato sin dall'inizio.
Questo ha l'aria di essere un enunciato familiare sul determinismo, ma che cosa significa? Mettetelo a confronto con l'affermazione banalmente vera: Se il determinismo è vero, allora qualsiasi cosa accade non è altro che il risultato determinato di un insieme completo di cause che si applicano in ogni istante.
Se "ineluttabile" non è solamente sinonimo di "determinato", che significato aggiuntivo veicola? Esito ineluttabile? Ineluttabile per chi? Ineluttabile per l'universo, considerato come un insieme unico, un tutto? Quest'ultimo enunciato non ha senso, in quanto l'universo non è un agente che ha interesse a evitare alcunché. Ineluttabile, allora, per tutti? Questo enunciato, però, è falso: abbiamo appena imparato a distinguere, in certi mondi deterministici, le creature abili a evitare i pericoli dai loro parenti meno abili. Quando diciamo che un particolare risultato è ineluttabile, dovremmo specificare che è ineluttabile per tutti gli agenti che vivono in quel tempo e in quel luogo, ma che questo poi sia vero o falso è del tutto indipendente dal determinismo. Dipende, inoltre, dalle circostanze. Tutto ciò necessita di un ulteriore chiarimento, e chi può aiutarmi meglio di Conrad, il vostro difensore civico?"
6. Conrad è il cugino di Otto, il fantasioso ideatore di tante obiezioni e sfide alla mia teoria della coscienza in Coscienza. Otto è stato descntto diverse volte in articoli di riviste come la mia "spalla" o la mia "coscienza", ma nel bene e nel male egli ha espresso, nel modo più vivido e comprensi~ vo che mi è stato possibile adottare, i più comuni fraintendimenti .con cu1 ho avuto modo di confrontarmi sugli argomenti di quel libro. Egh spesso parla con la voce di quei critici che ho ringraziato nella prefazione, e se ho fatto bene i calcoli, spesso parla anche con la vostra voce ...
Come vedremo nel capitolo successivo, c'è una concezione assolutamente corretta della probabilità che è compatibile con il determinismo, ed è la stessa concezione, tra le altre cose, che invochiamo per spiegare l'evoluzione. (L'evoluzione non dipende dall'indeterminismo.) Ma, intanto, hai ragione Tu, quando dici che ogni traiettoria del Mondo della Vita è perfettamente determinata; però, perché insisti nel dire che evitare un pericolo in modo deterministico non sia una vera elusione di un pericolo? Il processo a lungo termine, del quale ognuna di queste semplici creature in grado di eludere il pericolo (o di pseudoeludere, se insisti) forma una parte non intenzionale, capitando solamente per caso e calcando fino in fondo la parte scritta dal suo "destino", ha un potere fuori dal comune: gradualmente produce entità in grado di (pseudo-) eludere pericoli, creature sempre più abili, oggetti sempre migliori, capaci di tener testa ai problemi del Mondo della Vita- sebbene, ovviamente, anche i problemi diventino sempre più difficili; è una competizione sfrenata. Che l'intero processo sia determinato non toglie nulla al dato di fatto che, con il passare del tempo, il processo generi sempre più qualcosa che sembra agli occhi di tutti l'abilità di eludere i pericoli.
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CONRAD: Le configurazioni del Mondo della Vita, che capita che- che sembra che - eludano questo o quello, non stanno in realtà eludendo nulla, ovviamente. Dopotutto, ognuna di loro
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Potrebbe sembrare la capacità di eludere i pericoli, ma non è una vera capacità di elusione. La lJera capacità, infatti, implica la trasformazione di qualcosa che stava per succedere ìn qualcosa che non accadrà più.
CONRAD:
Penso che tutto ciò dipenda da quello che intendi con "stava per succedere". Ti stai forse facendo trarre in inganno dalla semplicità degli esempi immaginari del Mondo della Vita? C'è una contrapposizione tra le risposte evasive semplici, "cablate", e varietà più elaborate; ma non puoi utilizzarla per mettere a confronto la capacità di elusione nel mondo reale con quella nel Mondo della Vita. Un esempio opportuno ci è offerto dal riflesso che fa battere le ciglia e che è sintonizzato su un meccanismo di risposta molto sensibile dentro di noi, talmente sensibile che la maggior parte delle volte che sbattiamo le ciglia in risposta al rapido apparire di qualcosa, rispondiamo a un falso allarme. Non c'era alcun detrito destinato a colpire i nostri occhi, dopotutto; non c'era alcun motivo per cui le nostre palpebre dovessero formare un temporaneo muro protettivo. Nello scegliere tra i costi dovuti allo spreco dì energia e all'interruzione della vista di qualcuno per un istante e quelli di perdere l'opportunità di sbattere le ciglia, cosa che potrebbe salvare l'occhio, Madre Natura ha "peccato in eccesso di cautela", probabilmente perché i costi (in tempo ed energia) per ottenere maggiore informazione prima di impegnarsi nell'azione crescono troppo vertiginosamente. Il battito di ciglia è, in generale, un riflesso in"·olontario; ma ci sono altre reazioni che potrebbero essere soppresse. Il cervello umano riserva un elaborato sottosistema all'analisi del moto-in-profondità, in cui la parte più grossa dello spazio rappresentativo è dedicata al cono delle direzioni che intersecano la testa. Ancora, la motivazione alla base di questo schema rappresentativo è intumvamente ovvia noi siamo più "interessati" agli oggetti che si avvìcìnano velocemente alla nostra testa. Intuitìvamente, cioè, è la palla da baseball che sta per colpirvi dritto in faccia ciò che è interessante, non la palla che sta per oltrepassare la
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vostra spalla sinistra e il sistema rappresentativo riflette questo fatto. (Akins, 2002, p. 23 3)
1via in che senso la palla da baseball "stava per" colpirvi dritto in faccia? L'avete evitata; siete stati costretti a evitarla, grazie all'elaborato sistema che l'evoluzione ha costruito dentro di voi per farvi reagire ai fotoni rimbalzanti su missili in avvicinamento lungo traiettorie ben definite. "Non avrebbe proprio mai" potuto colpirvi, proprio perché il semplice avvicinarsi della palla ha già messo in azione il vostro sistema di evitamento. Ma quel sistema è molto più complicato del mero riflesso che comanda il battito di ciglia; come tale, può rispondere a informazioni aggiuntive, quando sono disponibili, e ritornare sulle sue decisioni. Prendendo in considerazione il fatto che potreste far vincere la vostra squadra facendovi colpire dal bolide in avvicinamento, potreste decidere di beccarvi il colpo. Voi sfuggite all'impulso di sfuggire alla palla, cosa che era perfettamente in vostro potere - grazie a (forzati da) notizie approfondire che avete avuto sul contesto più ampio. E potete persino sfuggire all'impulso di sfuggire all'impulso di sfuggire alla palla quando le circostanze vi autorizzino a farlo. C'è una bella differenza tra questa aperta abilità umana e le semplici configurazioni in grado di evitare il pericolo che abbiamo immaginato nel Mondo della Vita; ma se siete tentati di pensare che nel Mondo della Vita si possano evolvere solamente semplici "riflessi cablati" (si potrebbe chiamarli mere creature capaci di pseudo-fuga), vi state sbagliando. Tutti i livelli di sensibilità e di rit1esso di cui siamo capaci noi esseri umani sono, in linea di principio, accessibili alle configurazioni del Mondo della Vita. Dopotutto, ci sono macchine di Turing universali nel Mondo della Vita. Ho capito il tuo ragionamento, ma continuo a pensare che ciò che accade nel Mondo della Vita, a qualsiasi grado di complessità o di raffinatezza, non sì possa ritenere vera capacità di elusione, dal momento che questa impone effettivamente Ja modifica di un esito. L'elusione determinata non è vera capacità di elusione, perché in realtà non cambia alcun esito. CONRAD:
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Cambiare che cosa in che cosa? L'idea stessa di modificare un esito, sebbene sia comune, è incoerente- a meno che non si voglia intendere cambiare un esito anticipato, che abbiamo appena visto essere esattamente ciò che accade nel caso di evitamenti determinati. Il vero esito, l'esito reale, è qualsiasi cosa che accada, niente può modificar/o in un mondo determinato -o in un mondo indeterminato!
No, questa è precisamente l'interpretazione del concetto di "ineluttabilità" che sto mettendo in questione. Se tutto ciò che Tu vuoi dire è che il potere che ognuna di queste entità possiede per eludere i pericoli è determinato dal passato, allora hai ragione; ma devi abbandonare questa cattiva abitudine che consiste nell'appaiare il determinismo all'ineluttabilità. Quella è la conseguenza che bisogna invalidare alla fonte; perché, se non si può applicare al tuo impulso a schivare o a non schivare la palla da baseball, allora non si può nemmeno applicare ai molti atti apparenti di evitamento dei pericoli mostrati dalle più semplici creature del Mondo della Vita deterministico. Se vogliamo trovare un senso nel mondo biologico, abbiamo bisogno di un concetto di capacità di elusione dei pericoli che si applichi liberamente agli eventi della storia della vita sulla Terra, che quella storia sia o non sia determinata. È questo, io sostengo, il concetto corretto di capacità di eludere i pericoli, tanto reale quanto lo potrebbe essere tale elusione. Infine, è bene notare che, come l' eluttabilità è compatibile con il determinismo, così l'ineluttabilità è compatibile con l'indeterminismo. Qualcosa è ineluttabile per Te quando non c'è niente che Tu possa fare per evitarne l'accadimento. Se un fulmine indeterminato Ti colpisce a morte, allora possiamo veramente dire, retrospettivamente, che non c'era niente che
avresti potuto fare per evitarlo. Non hai avuto alcun preavviso. Anzi, se sei di fronte alla prospettiva di correre per un campo aperto nel quale i fulmini potrebbero rappresentare un problema, faresti meglio ad andarci solo se il loro ritmo e la loro posizione fossero determinati da qualcosa, dal momento che potresti essere in grado di prevederne la caduta, e quindi di sfuggirne il pericolo. Il determinismo è l'alleato, e non la minaccia, di coloro che hanno in avversione l'ineluttabilità. Ciò dovrebbe servire a spezzare quel tradizionale o consueto legame che esiste tra determinismo e disperazione. Ci sono altri familiari abiti di pensiero che sarebbe opportuno fare a pezzi o anche solo "epochizzare" sottoponendoli a un'analisi scettica. Parlare di prevenzione o di elusione in un universo prebiologico o abiologico significa proiettare un concetto oltre la base familiare della nostra immagine manifesta di agenti; lo si fa non sempre in modo illusorio, ma certo, quantomeno, con la conseguenza di aprire la porta a implicazioni non desiderate. Quanta prevenzione ci può essere nel nostro mondo? Parliamo della gravità in grado di impedire a un razzo, spinto da un motore di potenza insufficiente, di entrare in orbita, perché questo è un argomento che ci interessa. È meno probabile sentirei parlare della gravità che impedisce alla birra contenuta in un bicchiere di fluttuare per tutta la stanza; ma non perché questa sia una regolarità in qualche modo meno attendibile. Mentre leggete queste parole, il vostro cuore pompando il sangue allontana la vostra morte, e la vostra attenzione sulla pagina viene ostacolata da tutta una serie di altri particolari che appartengono all'ambiente circostante. Proprio in questo momento potreste anche evitare di slogarvi una caviglia, grazie semplicemente al fatto che non state camminando; ma potreste anche accelerare il processo di decadimento della sedia su cui seduti. Possiamo facilmente evocare scenari nei quali queste regolarità vengano drammatizzate come casi di prevenzione, conferendo potere, ostacolando, deviando, disfacendo, reagendo, e così via, e questa è solitamente una prospettiva utile da adottare nei confronti di queste regolarità; ma si dovrebbe riconoscere che l'abitudine di pensiero o
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CONRAD: Ma nonostante tutto, quelle entità del Mondo della Vita, che hanno questi vari poteri della cosiddetta elusione dei pericoli, hanno ineluttabilmente solamente i poteri che hanno, e sono ineluttabilmente situati nel mondo solamente dove sono, in ogni tempo, grazie al determinismo di quel mondo, e alla condizione iniziale dalla quale sono partiti.
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la linea di condotta sono proiezioni antropocentriche (o almeno agentocentriche).
re i pericoli. Il processo grazie al quale queste entità emergono utilizza informazioni racimolate dall'ambiente per anticipare caratteristiche generali e talvolta particolari di futuri probabili, assicurandosi in questo modo un controllo informato. Ciò dimostra che l' eluttabilità si può ottenere in un mondo deterministico e perciò che l'associazione comunemente accettata tra il determinismo e l'ineluttabilità è un errore. Il concetto di ineluttabilità, come il concetto fondante di evitamento, appartiene propriamente allivello progettuale, non allivello fisico.
Va bene. Capisco come io non possa fare a meno di utilizzare il termine "ineluttabile" nel senso abituale, ma continuo ad avere il forte sospetto che tu mi stia mettendo nel sacco. Penso che ci debba essere qualche senso del termine "ineluttabile" per il quale ciò che accade in un mondo determinato è ineluttabile. E io non riesco a vedere nulla che assomigli a ciò che chiamo libero arbitrio nel Mondo della Vita. CONRAD:
È abbastanza giusto. Continueremo a guardare nei capitoli seguenti al senso elusivo del termine "ineluttabile", ma converrai nel dire che nel frattempo sono riuscito a spostare l'onere della prova: non si riuscirà a inferire l'ineluttabilità in ogni senso dal determinismo, senza presentare un ragionamento a sostegno. E concordo che siamo ancora molto distanti dal libero arbitrio. Non c'è nulla che assomigli anche remotamente alla libertà, allivello della fisica del Mondo della Vita. Alianti e mangiatori non sono neanche lontanamente liberi, e ciò che essi fanno è ciò che devono fare, ogni volta. Sembra piuttosto sensata la convinzione che nulla che sia composto di parti tanto vincolate possa avere una qualunque libertà aggiuntiva, ovvero che l'intero non possa essere più libero delle sue parti; ma questa impressione, che rappresenta il vero nucleo duro della resistenza al determinismo, risulterà, a una più attenta disamina, nient'altro che un'illusione. Nel prossimo capitolo analizzeremo più da vicino la concezione del nesso causa-effetto, ovvero della possibilità e dell'opportunità, dalla prospettiva degli agenti, per vedere in dettaglio perché l'argomento così importante dell'ineluttabilità non abbia in realtà nulla a che fare con la questione del determinismo.
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Capitolo 3 l l
I concetti di causa e di possibilità si trovano al cuore delle preoccupazioni per il libero arbitrio; l'analisi mostra come i nostri concetti abituali non abbiano però quelle implicazioni che spesso si assume che abbiano: il determinismo non è una minaccia per la nostra concezione più importante delle possibilità e delle cause entro le nostre vite.
Fonti e letture consigliate
Un modellino di determinismo mostra che nell'"enorme" spazio delle possibili configurazioni di "materia" ve ne sono alcune che persistono meglio di altre, perché sono state progettate per evita-
È possibile trovare argomentazioni più ampie sulle conclusioni riportate in questo capitolo nel mio "Real patterns" (Dennett, 1991b), in !;idea pericolosa di Darwin (Dennett, 1995), in La mente e le menti (Dennett, 1996a) e, più recentemente, in "Collision detection, muselot, and scribble: some reflections on creativity" (Dennett, 2001a). Una semplice macchina di Turing per il Mondo della Vita, espandibile (nell'immaginazione, non nella pratica) in una macchina di Turing universale, è stata realizzata da Paul Rendell, e si può ammirare ed esplorare sul suo sito http://www. rendell.uk.co/gol/tm.htm. La lista dei suoi componenti- tutti ottenuti da alianti, mangiatori e loro parenti- può essere fonte di ispirazione: 1Spazio3, 1Spazio4, 1Spazio8, Indirizzo Colonna, Comparatore, Controllo di Conversione, Carico Massimo di Uscita, Macchina a Stato Finito, Nella Porta, Cella di
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Capitolo2
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Memoria, Metamorfosi n, Pistola MWSS, Ritardo nello stato successivo, Porta NOT XOR, Fuoriporta, Collazionatrice di Esito, Pistola Pl20, Pistola P240, Pistola P30LWSS, Pistola P30MWSS, Controllo di Scoppio, Controllo di Spinta, Indirizzo Riga, Posizionare la Serratura sul Reset (a), Posizionare la Serratura sul Reset (b), Rivelatore di Segnale, Pila, Cella a Pila, Da asporto, Nastro di Turing.
3 RIFLETTERE SUL DETERMINISMO
Il determinismo sembra capace di privarci delle nostre opportunità, di sigillare il nostro fato in una rete globale di catene causali che si estenderebbe fino nel passato più remoto. Generalmente, tendiamo a ignorare tale inquietante prospettiva. Tutti noi spendiamo molto del nostro tempo a chiederci come potranno andare le cose quest'oggi o l'anno seguente, o come sarebbero potute andare se solo fosse successo questo o quello. Sembra dunque, in altre parole, che noi si sia soliti assumere che il nostro mondo non sia deterministico.
Mondi possibili Quando siamo immersi in queste riflessioni, distinguiamo facilmente tra come le cose sarebbero o non sarebbero potute andare, tra come proprio non vanno (qualunque cosa succeda) e come invece vanno se lo vogliamo. Come amano dire i filosofi, noi spesso immaginiamo dei mondi possibili: Nel mondo A lo sparo di Oswald mancò Kennedy colpendo invece LBJ, cambiando la storia che ne seguì in milioni di modi.
E noi ci affidiamo a queste fantasie per operare le nostre scelte per agire, sebbene soltanto un filosofo sarebbe propenso a presentare la cosa nei termini seguenti:
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t:EVOLUZIONE DELLA LIBERTÀ
RIFLETTERE SUL DETER..\IINISMO ......................
Ho immaginato un mondo identico al mondo. re~le, tran.ne che in quel mondo io non ho mangiato quel pastlccmo e qumdi non ho provato il rimorso che invece adesso sto provan~o. Nel mondo A mi dichiaro a Rosemary. Nel mondo B, le mvia questo biglietto di addio che sto scrivendo, ed entro in un ordine monastico.
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A causa dell'abitudine a fare questi esercizi di fantasia, tanta immaginazione può giocarci brutti tiri, quando cerchia~,o di riflettere rigorosamente sul determinismo e sulla causaltta. In questo capitolo sosterrò che il determinismo è ~erfetta mente compatibile con le assunzioni che governa~o d nostr? modo di pensare a ciò che è possibile. L'apparente mcom~an: bilità è, in realtà, un'illusione cognitiva, tutto qua. Non Sl da un simile conflitto. Sia nel nostro abituale modo di pensare a ciò che dobbiamo fare, sia nelle nostre più rigorose riflession~ scientifiche sulle cause dei fenomeni, noi utilizziamo concetti di necessità, possibilità e causalità che sono assolutamente n~~ tralì rispetto alla questione se il nostro mondo sia determtmstico o indeterministico. Se ho ragione, allora un numero notevole di eminenti filosofi ha completamente torto; quindi, aspettatevi di sentire colpi di artiglieria solo tuoni lo.ntani, in quanto non ho affatto intenzione di dare loro ~at:agl.ta, almeno in questa sede. Christopher Taylor ha chtanto m modo egregio il mio punto di vista sulla questione ~,~i ~a. mostrat? come intraprendere una campagna ancora p1u mc1s1va e radicale a sostegno delle mie precedenti affermazioni sull'argomento· l'articolo che abbiamo scritto insieme (Taylor, Dennett 2001) fornisce molti più dettagli tecnici di quelli che ci serviranno ora. Darò, quindi, una versione semplificata del ragionamento presentato in quell'articolo, sottolineando i punti essenziali in modo che i non filosofi si rendano conto, almeno, di quali siano i nodi della discordia e di come abbiamo pensa~ to di scioglierli, mentre ho evitato di far riferimento a quasi tutte le formule logiche. I filosofi dovrebbero consultare la versione ufficiale, ovviamente, per controllare se siamo veramente riusciti a fissare i particolari rimasti in sospeso e chiuso
le falle del ragionamento, a cui non accennerò in questa presentazione. Dal momento, poi, che ciò che segue è quasi tutto opera dì Taylor, ci sarà un temporaneo slìttamento pronominaie dall"'io" al "noi". Il nostro obiettivo, quindi, è quello di chiarire il significato dei concetti quotidiani di possibilità, necessità e causalità, concetti che compaiono nei nostri ragionamenti, nei nostri progetti, nelle nostre preoccupazioni e nella nostra fantasia, non appena interagiamo con il mondo e con le sue sfide. Possiamo semplificare l'obiettivo restringendo il nostro modo di pensare a mondi possibili, al modo di pensare i soli universi democritei di Quine. Costui era notoriamente scettico nei confronti di ogni tentativo dì trattare seriamente la possibilità e la necessità - concetti centrali della logica modale - e aveva architettato i suoi universi democritei allo scopo di costruirsi una base di operazioni opportunamente coltivata e ordinata, da cui poter iniziare a esplorare tali concetti. Come vi ricorderete dal capitolo 2, ognuno dei numerosissimi universi democritei è composto da una moltitudine di punti-atomo le cui traiettorie nel tempo e nello spazio vengono assegnate per mezzo delle loro coordinate quadridimensionali {x, y, z, t}. Una descrizione dì stato completa del mondo nel tempo t è semplicemente la lista esaustiva degli indirizzi {x, y, zl occupati nell'istante t. Chiamiamo Biblioteca di Democrito l'insieme di tutti i mondi logicamente possibili e chiamiamo
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vello atomico e descrivere il mondo in termini di agglomerati maggiori di oggetti. Così come possiamo seguire la carriera di un particolare aliante, dalla sua nascita alla sua morte nel Piano della Vita, possiamo anche individuare le traiettorie percorse nel tempo e nello spazio da "ipersolidi connessi" (oggetti quadridimensionali) simili a stelle, pianeti, creature viventi e a ogni altro oggetto quotidiano quelle cose familiari che si incontrano nella vita di tutti i giorni. Platone, in un'immagine ormai famosa, parla di natura scolpita e dei suoi punti di giunzione, e i punti di giunzione da cui partiamo noi letteralmente, quando una cosa cessa di vivere e la cosa successiva incomincia a vivere - sono quelle configurazioni abbastanza rilevanti e stabili da venire identificate da noi (e tracciate, e identificate nuovamente) come cose macroscopiche. Come abbiamo visto nel Mondo della Vita, la "fisica" soggiacente Oa regola di transizione di stato) stabilisce quali configurazioni sono abbastanza solide nel tempo da costituire regolarità macroscopiche (non microscopiche), e noi adottiamo queste regolarità per ancorarvi la nostra immaginazione quando pensiamo a cause e possibilità. Possiamo descrivere siffatte configurazioni di medie dimensioni di atomi utilizzando il sistema familiare dei predicati in/armali, come (in ordine di crescente controversia) "ha la lunghezza di un metro", "è rosso", "è umano", "crede che la neve sia bianca". Questi predicati informali scatenano un'orda di problemi, relativi alla vaghezza, alla soggettività e all'intenzionalità; e sono tali problemi - i problemi che emergono quando vi innalzate dal livello base degli atomi e dello spazio a quello più elevato delle categorie antologiche - che alimentavano lo scetticismo di Quine sull'eventualità che avesse mai senso discutere seriamente dei concetti di possibilità e di necessità. Noi pensiamo che, evidenziando questo innalzamento al nuovo livello e concentrando tutte le discrepanze possibili all'interno del movimento stesso che ci conduce dal livello fisico atomico a quello della vita quotidiana, possiamo tenere "isolati" questi problemi, in modo che non mettano a repentaglio il nostro approccio fondamentale. Procedendo con una certa cautela, quindi, e ipotizzando di riuscire
ad avere in pugno alcuni predicati informali provvisori, potremmo allora formare, in buona coscienza, enunciati come
l. Avviso per gli esperti: Sì, ci stiamo tenendo lontani dalla battaglia, sulla designazione rigida, ma a nostro rischio. Prendeteci, se potete. (La
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(l) C'è qualcosa che è umano.
e determinare se si applichino nei vari mondi possibili. Non ci sono esseri umani in alcun Mondo della Vita, dal momento che gli esseri umani sono esseri tridimensionali, ma ci potrebbero essere, in alcuni Mondi della Vita, entità bidimensionali che fanno venire alla mente in modo straordinario gli esseri umani. Considerando un contesto più simile al nostro, potrebbe mai un mondo possibile nel quale bipedi che utilizzano un linguaggio, che sfruttano una tecnologia, che creano una cultura, ma che hanno piume al posto dei capelli e sono discesi da antenati degli struzzi, essere un mondo che presenta qualcosa di umano? O dovremmo chiamare simili creature persone non-umane? "Umano" è una categoria biologica o, come suggerirebbe l'uso del termine humanae litterae, una categoria socioculturale o politica? Ci potrebbero essere opinioni differenti su come interpretare il predicato informale "umano". Si incontrano abbastanza spesso mondi di confine, per i quali è impossibile dare giudizi incontestabili. Meritevoli di una nota speciale sono i predicati di identificazione, della forma "è Socrate". "È Socrate", potremmo supporre, si applica a ogni entità di ogni mondo possibile che condivida così tante caratteristiche con il ben noto abitante del mondo reale che saremmo portati a considerarla la stessa persona. Nel mondo reale, ovviamente, "è Socrate" si applica a una sola entità; in altri mondi potrebbe non abitare alcuna entità con tali caratteristiche, o potrebbe essercene una, o plausibilmente due o più, alle quali il predicato si applichi altrettanto bene. Come ogni altro predicato informale, i predicati di identificazione soffrono di vaghezza e di soggettività, ma questi imbarazzanti problemi possono essere isolati e trattati singolarmente, quando si presentano, caso per caso.'
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Ora siamo in grado di definire i concetti fondamentali di cui abbiamo bisogno- necessità, possibilità e causalità- in termini di mondi possibili. Un enunciato come (2) Necessariamente, Socrate è mortale.
potremmo tradurlo così:
(4) Possibilmente, Socrate potrebbe aver avuto i capelli rossi significa: (5) C'è un (almeno un) mondo possibile/ nel quale l'enunciato "C'è qualcosa che è Socrate e questo qualcosa ha i capelli rossi" è vero.
designazione rigida è un concetto di Kripke [1972] e le opinioni si dividono sulla possibilità che questo concetto comporti la resurrezione dell'essenzialismo. Noi pensiamo di no, ma non abbiamo intenzione di spendere tutto l'anno a difendere il nostro punto di vista.)
Ancora una volta, dobbiamo decidere se ciò di cui stiamo parlando è una possibilità fisica o logica. È fisicamente possibile, se c'è un mondo appartenente all'insieme
che ha al suo interno un Socrate dai capelli rossi; altrimenti, ciò è escluso fisicamente, non importa quanto siano comuni i Socrate dai capelli rossi in mondi logicamente possibili ma fisicamente impossibili. Ora siamo nella condizione di chiarire la definizione di determinismo data all'inizio del capitolo 2: per ogni istante c'è solamente un futuro fisicamente possibile. Affermare che il determinismo è vero significa dire che il nostro mondo reale appartiene a un sottoinsieme di mondi che possiedono la seguente proprietà interessante: non ci sono due mondi che hanno esattamente lo stesso inizio (se lo fanno, rimangono identici per sempre- non sono per niente mondi differenti) e se due mondi hanno una descrizione di uno stato qualsiasi esattamente identica, allora essi condivideranno tutte le descrizioni di stato successive. Il Mondo della Vita illustra tale proprietà in modo spettacolare. È deterministico solo in una direzione: non sareste in grado, in generale, di estrapolare l'istante precedente con la stessa facilità con cui potete sempre estrapolare l'istante successivo. Per esempio, un Piano della Vita contenente un solo quadrato di Natura morta nell'istante t (si veda la figura 3.1) ha un passato ambiguo. Lo stato successivo (e il successivo, e così via) è sempre ed esattamente lo stesso - a meno che qualcosa non invada il campo -, ma lo stato precedente potrebbe essere uno qualsiasi dei cinque stati illustrati nella figura 3 .l (o di un numero indefinito di altri caratterizzati da pixel ON in procinto di scomparire e situati a una distanza maggiore).
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(3) In ogni mondo (fisicamente?) possibile/, l'enunciato "Se una cosa è Socrate, questa cosa è mortale" è vero. In altre parole, quando ci spremiamo le meningi per esaminare tutte le possibilità che possiamo contemplare, scopriamo che non esiste un unico mondo possibile nel quale possa esistere un Socrate immortale. Questo è ciò che significa dire che Socrate è necessariamente mortale. Qui "è Socrate" ed "è mortale" sono predicati informali del genere appena introdotto. Decidere se l'enunciato sia vero può presentare varie sfide, ovviamente, dovute in larga parte all'inevitabile forma indistinta che assumono i predicati. Un candidato-Socrate che è mortale, ma che può volare come Superman, vale meno, per il predicato "è Socrate", di un candidato-Socrate che è inchiodato a terra, ma miracolosamente immune alla sua razione di cicuta? Chi può dirlo? Inoltre, non abbiamo ancora deciso se l'insieme di tutti i mondi possibili su cui dovremmo permettere a/ di spaziare debba essere l'intera Bibliote.ca di Democrito (tutti i mondi) o (i mondi fisicamente possibili) o persino un insieme X ancora più ristretto. La mera logica non può risolvere il trilemma; ma il linguaggio della logica ci aiuta ad analizzare con esattezza siffatte questioni e a individuare con maggiore precisione il genere di vaghezza che dobbiamo affrontare. Ora possiamo definire la possibilità. Ciò che è possibile è qualsiasi cosa che non sia necessariamente non vera. Così,
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Figura 3.1 Natura morra e Ciò che potrebbe essere stato.
Quindi, se il determinismo così definito è vero, possiamo concludere che, pur se molti passati diversi potrebbero averci condotto esattamente al nostro presente attuale, il nostro futuro è "fissato" dal nostro stato presente. Da questo punto di vista, il determinismo sembra essere esattamente l'opposto della sua definizione abituale, nella quale il passato è "fissato" mentre il futuro è "aperto". Potremmo definire una versione più forte (e non standard) di determinismo, una versione che escluda un passato tanto ambiguo, non ammettendo ciò che ho chiamato fatti storici inerti- fatti concernentì il passato che, fintanto che valgono le leggi della fisica, potrebbero essere andati in un modo o in un altro senza che queste differenze abbiano alcun effetto sul futuro. L'abilità dei cosmologi di saper "riavvolgere il nastro", e quindi calcolare fatti riguardanti i primi istanti dopo il Big Bang, mostra che rispetto ad alcune proprietà noi possiamo estrarre il passato dal presente con un'estrema precisione e un ampio raggio di azione, ma questo non prova ancora la non esistenza di fatti storici inerti. Che parte dell'oro che è presente nei miei denti sia appartenuto un tempo a Giulio Cesare o la sua negazione, cioè che neanche un'oncia di quest'oro gli appartenne mai - è un caso accettabile di fatto storico inerte. E certamente un fatto praticamente inerte. Poiché non capita certo che si tenga trae-
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eia della catena di possessori dei pezzi d'oro nello stesso modo in cui teniamo traccia, diciamo, dei possessori dei quadri di Rembrandt, è quasi del tutto inimmaginabile che un'indagine sullo stato corrente della distribuzione degli atomi del mondo possa consentire a qualcuno di distinguere quale tra le due frasi precedenti sia quella vera, sebbene una delle due lo debba essere di sicuro. Quando rivolgiamo il nostro sguardo al futuro, ci è quasi impossibile dire quando un fatto storico che era fino a quel momento inerte possa attivarsi e "fare la differenza" nello svolgimento dei fatti che stanno accadendo in quell'istante. Supponete che il determinismo sia vero, e di conoscere le leggi della fisica perfettamente bene, nel modo in cui, cioè, le conosce il demone di Laplace. Ancora una volta, se non possediamo una conoscenza perfetta e completa di una descrizione di stato dell'universo, non siamo in grado di affermare quale, entro l'" enorme" numero di mondi possibili inevitabile appartenenti all'insieme che differiscono l'uno dall'altro per particolari microscopici, sia il mondo reale. È l'incompletezza ineluttabile della nostra conoscenza che rende il ragionamento in termini di mondi possibili un ripiego tanto opportuno. Una delle applicazioni più utili del ragionamento via mondi possibili è l'interpretazione degli enunciati contro/attuali, come (6) Se Greenspan avesse versato calde lacrime al Congresso, il mercato sarebbe crollato. e (7) Se avessi fatto lo sgambetto ad Arthur, lui sarebbe caduto. Secondo David Lewis (1973 ), possiamo vedere che (pressapoco) la frase (7) è vera se e solo se in ogni mondo approssimativamente simile al nostro dove l'antecedente è vero, così lo è anche il conseguente. In altre parole, (8) Dato un insieme di mondi X simili al nostro mondo reale, in ogni mondo di quell'insieme dove c'è il caso di
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voi che sgambettate Arthur, c'è anche il caso di Arthur che cade.
Talvolta, pronunciando asserzioni controfattuali come questa, noi in realtà ci ritroviamo a controllare tali enunciati immaginando alcune variazioni del tipo: "Vediamo, supponiamo che Arthur avesse addosso una maglietta rossa, questo gli avrebbe impedito di cadere? Supponiamo che la radio non fosse accesa, supponiamo che il riscaldamento fosse spento, supponiamo che egli stesse indossando delle ginocchiere ... No, egli sarebbe caduto comunque. Supponiamo che la stanza fosse piena di airbag gonfiati o che l'intero edificio fosse in caduta libera, in una condizione di assenza di gravità, ora questo gli avrebbe impedito di cadere ... Ma tutto ciò si discosta troppo dalla realtà per poterlo prendere in considerazione". In situazioni sperimentali controllate, poi, non ci limitiamo a immaginare, ma analizziamo realmente le variazioni. Variamo sistematicamente le condizioni, osservando che cosa cambi e cosa resti invariato. Queste non sono operazioni così semplici come sembrano, lo vedremo. Sia quando conduciamo esperimenti reali sia quando presentiamo esperimenti mentali, ciò che intendiamo quando usiamo un controfattuale è che c'è qualche siffatto insieme di mondi X, simile al nostro mondo reale, che presenta tale regolarità. In generale, possiamo esprimere l'interpretazione di un controfattuale, come quelli descritti in (6) o (7), nel seguente modo: (9) Nell'insieme di mondi X, A==> C, dove A è l' antecendente e C il conseguente. Ma quanto dovrebbero essere simili al nostro mondo i mondi dell'insieme X? Scegliere un valore ottimale per X non è mai facile in casi del genere, ma possiamo seguire delle linee guida approssimative: In frasi come la (6) o la (7), X dovrebbe: contenere mondi in cui vale A, vale non-A, vale C e vale non-C; contenere mondi per altri versi molto simili al mondo reale (fintanto che lo permette la clausola precedente).
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Quindi, nell'analizzare la (7) scegliete un X in modo che contenga i mondi nei quali voi sgambettate Arthur, mondi in cui voi vi astenete dal farlo, mondi dove lui cade e mondi dove rimane perfettamente in piedi. (Notate come usiamo la nostra antologia di livello superiore per riunire assieme questi mondi simili. Noi non classifichiamo la gradazione di similarità dei mondi contando quanti voxel diversi sono riempiti con ferro o con oro; utilizziamo invece predicati informali, con tutta la loro ricchezza di interpretazione e la loro vaghezza, per determinare quali mondi dobbiamo prendere in considerazione. Risulta, come vedremo, che molte delle perplessità che emergono dalle affermazioni sulla causalità e sulla possibilità derivano da come scegliamo l'insieme X, cioè l'insieme di paragone dei mondi possibili vicini a quello reale.)
La causalità Che dire, infine, della causalità? Alcuni filosofi sperano di portare un giorno alla luce l'unica "vera" natura della causalità, ma data l'informale, vaga e spesso incoerente definizione del termine, noi riteniamo che sia un obiettivo più realistico quello di sviluppare semplicemente un analogo formale (o degli analoghi formali) che ci aiuti (ci aiutino) a ragionare più chiaramente circa il mondo. Le nostre preesistenti intuizioni sulla causalità possono, in qualche modo, farci da guida; ma dovremmo diffidare di qualsiasi argomento informale che, travestito da "dimostrazione", tenda a convalidare o respingere dottrine causali particolari.2 Quando facciamo una dichiarazione del tipo: 2. Queste, alle orecchie di alcuni filosofi, suoneranno ovviamente come dichiarazioni di guerra. Bene, siamo felici di lasciare l'onere della prova a loro. Se saranno in grado dì giungere a una teoria convincente e priva di controesempi che spieghi il concetto ordinario di causalità in modo completo, noi allora la raffronteremo al nostro progetto più modesto, qui semplicemente abbozzato, per vedere se abbiamo tralasciato qualche aspetto importante. Nel frattempo, possiamo continuare nella nostra analisi sfruttando la nostra concezione parziale di ciò che consideriamo come i più significativi aspetti del concetto di causalità utilizzato quotidianamente.
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(lO) Lo sghambetto di Bill ha fatto cadere Arthur
parecchi fattori sono al lavoro per avallare l'affermazione. In un ordine di importanza approssimativo, possiamo elencare i seguenti: Necessità causale. Il nostro avallo dell'enunciato (lO) dipende dalla nostra convinzione che, se Bill non avesse ~atto lo sgambetto ad Arthur, questi non sarebbe caduto. Ricorrendo all'interpretazione dei controfattuali che abbiamo dato sopra, possiamo scegliere l'insieme X, l'insieme de~ mondi simili al nostro, come un insieme contenente mondt in cui (i) Bill fa lo sgambetto ad Arthur; mondi in cui (ii) Bill non sgambetta Arthur; mondi in cui (iii) Arthur cade; e mondi in cui (iv) Arthur non cade affatto. E poi controlliamo per assicurarci che in questo insieme X, in tutti i mondi in cui Arthur cade, Bill gli abbia fatto lo sgambetto. Sufficienza causale. Potrebbe benissimo succedere che ogni volta che noi asseriamo (lO), lo facciamo in parte perché crediamo che la caduta di Arthur sia un esito ineluttabile dello sgambetto di Bill: in ogni mondo in cui Bill ostacola il cammino di Arthur, questi ruzzola a terra. (C'è quella parola "ineluttabile" che qui significa inevitabile: Arthur per una ragione o per un'altra non può evitare di cadere e i suoi amici non riescono a impedirgli di cadere e non c'è nient'altro nelle vicinanze che interferisca con la sua caduta, e così via; non metteremo in discussione in questo caso la gravità.) Tale seconda condizione è logicamente del tutto distinta dalla prima; nonostante ciò, le due sembrano confondersi notevolmente nei nostri ragionamenti quotidiani. Anzi, come vedremo, la confusione spesso nasce precisamente qui. Più oltre, analizzeremo in modo più esteso le relazioni tra queste due condizioni. Indipendenza. Ci aspettiamo che i due enunciati A e C siano logicamente indipendenti. Ciò significa, in termini di mondi possibili, che devono esistere mondi, per quanto lontani dalla realtà, nei quali vale A ma non C, e viceversa.
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Da ciò segue che "Il fatto che Mary ballasse e cantasse ha causato che ballasse e cantasse" formi chiaramente un circolo piuttosto "vizioso". Tale condizione ci consente anche di scartare "l+ l 2 implica2 + 2 4". Precedenza temporale. Un modo accettabile di distinguere le cause dagli effetti è quello di notare che le cause accadono prima degli effetti. (Nota per gli esperti.) Altri criteri eterogenei. Sebbene meno stringenti dei punti precedenti, una quantità di altre condizioni che possono accrescere la nostra sicurezza quando esprimiamo giudizi causali. Per fare un caso, negli esempi sulla causalità che compaiono nei libri di testo, A spesso descrive l'azione di un agente e C rappresenta il cambiamento di stato di un oggetto passivo (come nella frase "Mary ha causato l'incendio della casa"). Inoltre, spesso ci attendiamo che i due partecipanti all'azione entrino in contatto fisico durante l'operazione. Per poter meglio comprendere tali condizioni, mettiamole alla prova in alcune situazioni di controllo, alcune delle quali tratte da Lewis (2000). Come primo caso, consideriamo un tiratore scelto che stia mirando a un bersaglio collocato a una distanza considerevole. Supponiamo che, da un esame accurato dei risultati passati del tiratore, si evinca che la probabilità che il bersaglio venga colpito sia, in questo caso, O, l; se pensate possa fare una qualche differenza, possiamo immaginare che eventi quantistici irriducibilmente casuali, nell'aria circostante, o nel cervello del tiratore scelto, aiutino a determinare l'esito del tiro. Supponiamo che, nel caso presente, il proiettile colpisca e uccida la vittima. Saremmo concordi nell'asserire, senza alcuna esitazione, che le azioni del tiratore scelto hanno causato la morte della vittima, nonostante la loro insufficienza causale. Di conseguenza, sembra che almeno in casi come questi, le persone antepongano la necessità alla suffìcienza nel pronunciare giudizi sulle cause. Comunque, la sufficienza mantiene la sua importanza. Supponiamo che sia il re sia il sindaco si interessino al destino 97
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di un giovane dissidente; si dà il caso che entrambi ordinino il suo esilio, e così lui viene esiliato. Ecco un esempio classico di sovradeterminazione. A 1 stia per "Il re emette l'ordine di proscrizione", A, stia per "Il sindaco emette l'ordine di proscrizione" e C stia per "Il dissidente va in esilio". In questo contesto né A 1 né A1 sono, da sole, necessarie per C: per esempio, se il re avesse fallito nell'inviare l'ordine, il dissidente sarebbe comunque stato mandato in esilio in conseguenza dell'ordine emesso dal sindaco, e viceversa. Ma la sufficienza ci corre in soccorso e ci consente di scegliere tra le due alternative. In questo caso A2 fallisce il test: è facile immaginare un universo in cui, nonostante il sindaco emetta il suo decreto, il dissidente se la cavi (basta cambiare l'ordine del re in una grazia). L'ordine del re, invece, è veramente efficace: per quanti piccoli cambiamenti possiamo apportare all'universo (comprese modifiche agli ordini del sindaco), l'esilio del dissidente dipenderebbe dal comando del re. Possiamo concordare nell'assegnare ad A 1 la palma della "causa reale" (se proprio sentiamo la necessità di soddisfare questo desiderio). Prendiamo in considerazione, infine, la storia di Billy e Susie. I due bambini stanno lanciando sassi contro una bottiglia di vetro, e capita che il sasso di Susie, viaggiando leggermente più veloce, raggiunga la bottiglia per primo e la mandi in frantumi. Il sasso di Billy arriva nel punto esatto dove stava la bottiglia con un attimo di ritardo; ma, naturalmente, non incontra altro che schegge volanti. Se dovessimo scegliere tra A1 ("Susie lancia il sasso S") e A2 ("Billy landa il sasso B"), voteremmo A 1 come causa di C ("La bottiglia va in frantumi"), nonostante nessuna delle due asserzioni risulti necessaria (se Susie non avesse lanciato il suo sasso, la bottiglia sarebbe comunque andata in frantumi per il sasso lanciato da Billy, e viceversa) ed entrambe siano sufficienti (il lancio di Billy è sufficiente a provocare una bottiglia rotta, qualunque cosa faccia la sua compagna di gioco; lo stesso vale per Susie). Perché? Il concetto generale di precedenza temporale (introdotto più sopra in relazione alla distinzione tra cause ed effetti) si presenta come considerazione discriminante. Come nelle dispute
sulla priorità che sono proprie delle scienze, delle arti e dello sport, anche noi tendiamo ad assegnare un premio a chi arriva primo con un'innovazione e, dal momento che il sasso S è giunto nelle vicinanze della bottiglia prima del sasso B, noi riconosciamo il merito di aver rotto la bottiglia a Susie. Inoltre, è chiaro che, pur se la bottiglia sarebbe andata ugualmente in frantumi senza il tiro di Susie, l'evento della frantumazione sarebbe stato significativamente diverso, avvenendo un istante dopo, a causa di un sasso diverso che avrebbe spedito le schegge in direzioni differenti. (Notate che il problema sorge precisamente perché noi ci siamo riferiti all'antologia quotidiana delle bottiglie e delle rotture, e sulle loro dibattute condizioni di identità. Il problema, qui, è cosa considerare lo "stesso effetto", non l'incertezza sottostante a ciò che è accaduto.) Possiamo scegliere l'insieme X in modo che rifletta questo fatto (rispettando le linee guida): facciamo in modo che contenga mondi in cui (l) la bottiglia non va affatto in frantumi o (2) va in frantumi in modo molto simile a come fa nella realtà. Allora, per ogni mondo in X,
potrebbe anche non valere in X; X può certamente contenere mondi in cui la bottiglia va in frantumi, ma Billy si trattiene dal lanciare il sasso. In breve, A 1 è "più necessario" di A2 , a patto che scegliamo bene X. La vaghezza di X, sebbene sia talvolta imbarazzante, può anche risolvere situazioni di stallo. Non che queste situazioni di stallo debbano sempre risolversi. Dovremmo accettare con serenità la prospettiva che, talvolta, le circostanze non permettano di determinare la "vera causa" di un evento specifico, a prescindere dagli sforzi profusi nel cercarla. Uno di questi casi è un classico indovinello per studenti di legge:
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C=*' A 1 vale; in ogni elemento di X in cui la bottiglia va in frantumi, noi vediamo Susie lanciare il sasso per prima. D'altro canto,
C=*' A2
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Tutti i soldati della legione straniera odiano Fred e lo vogliono morto. La notte prima che Fred intraprenda un duro viaggio nel deserto, Tom avvelena l'acqua della sua borraccia. Dick, poi, all'oscuro dell'intervento di Tom, svuota la borraccia di Fred dell'acqua avvelenata e la riempie di sabbia. Infine, Harry si avvicina e fa dei buchi nella borraccia di Fred, in modo che l'" acqua" possa lentamente uscirne. Più tardi, Fred si sveglia e si accinge al viaggio prendendo con sé la sua borraccia. Si accorge che la borraccia è mezza vuota quando è troppo tardi; ma, inoltre, ciò che rimane è sabbia, non acqua e nemmeno acqua avvelenata. Fred muore di sete. Chi ha causato la sua morte?'
studio del libero arbitrio. Al primo posto, c'è la paura che il determinismo riduca le nostre possibilità. Possiamo capire il motivo per cui questa affermazione sembra avere un certo valore prendendo in considerazione un esempio famoso, proposto molti anni fa daJohn Austin:
Molti avranno la tentazione di insistere che ci deve essere una risposta a questa domanda e ad altre simili. È vero, senza dubbio, che possiamo accordarci perché sia promulgata una risposta per legge nel caso riteniamo che sia opportuno fare così, e alcune proposte giuridiche saranno senza dubbio più attraenti, più intuitive di altre; ma non è chiaro se ci sia alcun fatto - legato al modo in cui il mondo è fatto o a ciò che noi realmente intendiamo o anche a ciò che noi veramente dovremmo intendere che possa risolvere la questione.
Si consideri il caso in cui fallisca un colpetto molto corto e mi mangi le mani perché potevo metterla in buca. ~on è che l'avrei messa in buca se avessi provato: ho provato, e l'ho mancata. Non è che l'avrei messa in buca se le condizioni fossero state diverse: potrebbe essere naturalmente, ma parlo proprio delle condizioni date, e asserisco che potevo metterla in buca. È questo che mi rimprovero. Non è neppure che "Posso metterla in buca questa volta" significa la metterò in buca questa volta se provo o se qualcos'altro: infatti posso provare e non riuscirei, e tuttavia non essere convinto che non potevo farcela. In effetti, esperimenti ulteriori possono confermare la mia credenza che ce l'avrei fatta quella volta, anche se non è andata così. (Austin, 1990, p. 208)
3. La versione doppiamente elaborata di questo esempio, che risale ~ McLaughlin (1925), è stata escogitata per lapnma volta da H~rt e Honore (1959). La versione di Hart e Honoré ha un hvello d1 comphcaz1one m meno rispetto a quello dato in questo uolume: "Si supponga che A si stia avventurando nel deserto. B segretamente mette una dose di veleno mortale nel barilotto per l'acqua di A. A porta il barilotto nel deserto dove C lo ruba; s1a A sta C pensano che contenga dell'acqua. A muore di sete. Chi lo ha ucciso?".
Austin non l'ha messa in buca. Avrebbe potuto farcela, se il determinismo fosse vero? Linterpretazione a mondi possibili mette in luce il passo falso del ragionamento di Austin. In primo luogo, supponiamo che il determinismo valga e che Austin manchi la buca e che H sia l'enunciato "Austin fa buca". Abbiamo ora bisogno di scegliere l'insieme X di mondi possibili rilevanti che dobbiamo vagliare per vedere se avrebbe potuto farcela. Supponiamo che X venga scelto in modo che sia l'insieme dei mondi fisicamente possibili che sono identici al mondo reale in un certo istante t, precedente quel colpo. Dal momento che il determinismo sostiene che c'è per ogni istante esattamente un unico futuro possibile, questo insieme di mondi contiene un unico elemento, il mondo reale, il mondo nel quale Austin sbaglia il tiro. Quindi, scegliendo l'insieme X in questo modo, otteniamo come risultato H non vale in alcuno dei mondi di X. Quindi, non era possibile, secondo questa analisi, per Austin fare buca.
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Il putt di Austin Ora che abbiamo una comprensione più chiara dei mondi possibili, possiamo esporre tre importanti fattori di confusione riguardo ai concetti di possibilità e di causalità, che hanno reso difficile la vita a coloro che hanno tentato di intraprendere uno
LT.\'()LUZIONE DELLA LIBEIUA
RIFLETTERE SUL DFTER,\!1;\;ISMO
Ovviamente, questo crìterio di scelta di X (chiamiamolo il criterio ristretto) è solamente uno tra molti. Supponiamo di essere costretti ad ammettere, nell'insieme X. mondi che differiscono in pochi modi impercettibilmente microscopici dal mondo reale nell'istante t,; potremmo facilmente scoprire di avere incluso nell'insieme anche mondi nei quali Austin fa buca anche quando vale il determinismo. Questo, dopotutto, è quanto hanno mostrato recenti studi sul caos: molti fenomeni, di un certo interesse per l'uomo, possono mutare radicalmente se si alterano in modo impercettibile le condizioni iniziali. Quindi, la domanda è: quando qualcuno sostiene che un evento è possibile, sta veramente pensando nei termini del criterio ristretto? Supponiamo che Austin sia un giocatore di golf terribile e che il suo compagno nella partita odierna sia portato a negare che lui avrebbe mai potuto fare buca. Se lasciamo variare X su uno spettro troppo ampio, potremmo includere nell'insieme mondi nei quali Austin, grazie ad anni di carissime lezioni, diventa un campione di golf che va in buca con estrema facilità. Questo, presumibilmente, non è ciò che intende Austin. Austin sembra sottoscrivere il criterio ristretto di scelta di X, quando insiste che lui sta "parlando di condizioni come quelle che precisamente c'erano". Nonostante ciò, nella frase successiva, sembra recedere da questa posizione, là dove osserva che ''ulteriori esperimenti potrebbero rafforzare la mia fiducia nel fatto che avrei potuto fare buca anche quella volta, sebbene io non ce l'abbia fatta". Quali ulteriori esperimenti potrebbero rafforzare la fiducia di Austin che ce l'avrebbe potuta fare? Esperimenti sul campo-pratica? La sua fiducia potrebbe forse trovare un sostegno adeguato néll'esecuzione e nel successo di una decina di putt quasi identici a quello sbagliato, mandati in buca uno dopo l'altro? Se questo è il tipo di esperimenti che Austin ha in mente, allora egli non è così interessato, come diceva di essere, alle condizioni come quelle che precìsamente c'erano. Per capirlo, supponiamo invece che l'esperimento ulteriore di Austin consista nell'estrarre dei fiammiferi da una scatola e accenderne dieci, uno dopo
l'altro. "Visto", dice, "avrei potuto mandar/o in buca quel putt." Potremmo obiettare, giustamente, che questo esperimento non ha assolutamente relazione con la sua affermazione; e mandare in buca uno dopo I'altro dieci putt corti non ne avrebbe di più, considerando in senso ristretto la sua affermazione sulle "condizioni come quelle che precisamente c'erano". Noi suggeriamo che Austin dovrebbe essere soddisfatto di considerare "Austin fa buca" un'asserzione possibile, se, in situazioni molto simili all'occasione reale in questione, egli facesse buca. Pensiamo che sia questo ciò che intende e che avrebbe ragione a riflettere sul suo putt in tali termini. Questa è la maniera familiare, ragionevole e utile di condurre "ulteriori esperimenti" ogni volta che siamo interessati a capire la causalità coinvolta in un fenomeno che ci interessa. Variamo leggermente (e spesso sistematicamente) le condizioni iniziali per vedere che cosa cambi e che cosa resti inalterato. È questo il modo che abbiamo di ottenere informazioni utili dal mondo, per poter guidare le nostre successive iniziative di elusione dei pericoli e di miglioramento. Curiosamente, questo stesso punto era stato toccato, quanto meno indirettamente, da G.E. Moore nel lavoro che Austin stava criticando nel passaggio sopra riportato. Gli esempi di Moore erano semplici: i gatti possono arrampicarsi sugli alberi, mentre i cani no; e una nave a vapore che sta viaggiando in questo istante a venticinque nodi può, ovviamente, viaggiare anche a venti nodi (ma naturalmente non nelle circostanze esatte in cui si trova in questo preciso istante, con il motore posto sull'Avanti Tutta l. Il senso del verbo "potere" invocato in queste affermazioni indiscutibili, il senso chiamato "potere (generale)'' da Honoré (1964) in un articolo importante, ma passato totalmente inosservato, è qualcosa che ci richiede di non guardare alle "condizioni come quelle che precisamente c'erano", ma a una variazione minima di tali condizioni. Quindi, Austin si esprime in modo ambiguo quando discute di possibilità. Infatti, il criterio ristretto di scelta di X non ha il significato che lui e molti altri immaginano. Da ciò segue che la validità o meno del determinismo non dovrebbe in-
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fluenzare la nostra credenza che certi eventi che non si sono realizzati fossero, ciononostante, "possibili", in un senso quotidianamente importante del termine. Possiamo sottolineare quest'ultima affermazione entrando in un dominio ristretto in cui sappiamo, con assoluta certezza, che regna il determinismo: il mondo dei programmi di scacchi per computer.
stesso modo, lo stesso migliaio di miliardi di passi? Ma fammi il piacere! Allora, perché il mio portatile si impianta così spesso? Perché il mio word processor si è impallato martedì, mentre stavo facendo esattamente la stessa cosa che non mi aveva dato problemi lunedì?
Una maratona di scacchi con il computer I computer esemplificano in modo eccellente l'ideale laplaciano e già quello democriteo di determinismo. È banale far eseguire a un computer una procedura di qualche migliaio di miliardi di passi e poi riportarlo esattamente nello stesso stato (digitale) in cui si trovava in partenza, e assistere ancora una volta all'esecuzione esattamente identica di quell'enorme numero di passi, e ancora una volta, e una volta ancora. Il mondo subatomico nel quale vivono i computer, e quindi le parti submicroscopiche di cui sono costituiti, potrebbero essere o non essere deterministici, ma i computer stessi sono brillantemente progettati per essere deterministici, a dispetto del rumore submicroscopico e anche dell'indeterminazione quantistica, poiché oggi sono in grado di assorbire queste fluttuazioni nella loro stessa essenza di macchine digitali e non analogiche. L'idea fondamentale che sottende la digitalizzazione finalizzata alla produzione del determinismo è che noi possiamo creare, di proposito, fatti storici inerti. L'ordinamento forzato di tutti gli eventi cruciali in due categorie - alto opposto a basso; ON opposto a OFF; O opposto a l - garantisce che si scartino spietatamente tutte le microdifferenze (tra differenti alti voltaggi, tra differenti modi di essere ON, tra differenti gradi di 0). Niente può dipendere da loro, e loro svaniscono senza lasciare traccia, meri fatti circa le variazioni storiche reali che non influiscono per niente sulla serie successiva di stati attraverso i quali passa il computer.
Non stavi facendo veramente la stessa cosa! Si è impiantato non perché è indeterministico, ma perché martedì non si trovava esattamente nello stesso stato in cui era lunedì. Il tuo portatile deve aver fatto qualcosa nel frattempo, qualcosa che ha alzato un "indicatore" nascosto o ha richiamato alcune sezioni del programma che Tu non avevi mai attivato prima, e queste hanno infilato un bit da qualche parte, che è stato poi salvato nella sua nuova posizione quando hai spento il computer; e ora, il word processar è inciampato su quel minuscolo cambiamento e si è impiantato. E se riuscirai in qualche modo ariportarlo una seconda volta esattamente nello stesso stato di martedì mattina, si impianterà ancora. CONRAD: E che mi dici del "generatore di numeri casuali"? Credevo che il mio computer fosse fornito di uno strumento in grado di creare la casualità, a richiesta.
CONRAD: I computer sono deterministici? Sei veramente in grado di far loro ripercorrere all'infinito, esattamente nello
Oggi, ogni computer è dotato di un generatore di numeri casuali che qualsiasi programma può richiamare ogni volta che ne ha bisogno. La sequenza dei numeri che genera non è veramente casuale, ma solo pseudocasuale: è "matematicamente comprimibile", nel senso che questa sequenza di numeri indefinitamente lunga può essere catturata da una procedura, specificata in modo finito, in grado di farla girare. Ogni volta che farai partire il generatore di numeri casuali a freddo -subito dopo aver fatto riawiare il computer, per esempio-, esso creerà sempre esattamente la stessa sequenza di numeri, una sequenza, però, che apparentemente è priva di schema, come se fosse g_enerata da fluttuazioni quantistiche genuinamente casuali. (E piuttosto simile a una ripresa videoregistrata molto lunga che riporta la storia di milioni di giri di una ruota di una roulette non truccata. Il nastro ritorna sempre all'inizio, quando riawii il computer.) Talvolta, questo fatto ha una
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certa utilità; i programmi dei computer che si servono della casualità in alcuni punti "a scelta", nonostante ciò, caricheranno, se fatti partire più volte a freddo, esattamente la stessa sequenza di stati; e se vuoi testare un programma, ti troverai a controllare sempre lo stesso "campione casuale" di stati, a meno che Tu non faccia delle manovre (abbastanza semplici) per spingere i] programma a immergersi altrove, a intervalli irregolari, nel flusso di numeri per elaborare il numero "casuale" successivo. Supponi di installare due programmi differenti per giocare a scacchi sul tuo computer e di accoppiarli insieme attraverso un programmino che funga da supervisore e che li contrapponga l'uno all'altro, partita dopo partita, in una serie di scontri potenzialmente infinita. I due programmi giocheranno la stessa partita, in continuazione, fino a quando non spegnerai il computer? Potrestì fare in modo che le cose vadano così, ma allora non impareresti nulla di interessante sui due programmi, A e B. Supponiamo che A batta B in questa partita eternamente ripetuta; non potresti inferire da questo risultato che A è un programma in generale migliore di B, o che A batterebbe B in una partita diversa, e non saresti in grado di imparare nulla sui punti di forza e di debolezza dei due programmi da questa continua, esatta ripetizione. Otterresti molte più informazioni organizzando un torneo nel quale A e B potessero giocare una successione di partite differenti. Si può fare facilmente. Se i due programmi di scacchi consultano il generatore di numeri casuali durante il calcolo delle mosse (se, per esempio, il programma periodicamente "lancia una moneta" per uscire da situazioni dove, nel corso delia sua ricerca euristica, non ha una ragione particolare per preferire una mossa a un'altra), allora nel corso della partita successiva lo stato del generatore di numeri casuali sarà cambiato (a meno che Tu non lo abbia reinizializzato appositamente) e quindi verranno esplorate alternative diverse, in un ordine differente, conducendo occasionalmente alla "scelta'' di mosse differenti. Emergerà una partita diversa e la terza partita sarà differente per aspetti ancora diversi, dando vita a una serie di scontri in cui non ci saranno
mai due partite uguali, ma in cui ogni scontro sarà unico come i fiocchi di neve. Ciononostante, se Tu spegnessi il computer e lo riavviassi, e poi lanciassi lo stesso programma, comparirebbe esattamente la stessa multiforme serie di partite. Supponiamo, allora, di considerare un simile universo di scacchi comprendente i due programmi A e B, e di studiare i risultati di una lunga sequenza di, diciamo, un migliaio di partite. Troveremmo un mucchio di schemi altamente attendibili. Supponiamo di scoprire che, dopo un migliaio di partite dìverse, A batte sempre B. Questo sarebbe uno sche~ ma che vorremmo spiegare, e l'asserzione "Dal momento che il programma è deterministico, A è stato sempre forzato a battere B" non sarebbe assolutamente in grado di soddisfare la nostra curiosità, una curiosità più che giustificata. Noi vorremmo sapere qualcosa sulle particolarità della struttura, del metodo, delle disposizioni di A che rendono conto della sua superiorità nel gioco degli scacchi. A possiede un'abilità o un potere che manca aB, e noi dobbiamo individuare questo fattore interessante. Quando ci accingiamo a esplorare il problema, dobbiamo avvalerci di una prospettiva di alto livello, nella quale vengano presi in considerazione gli oggetti "macroscopici'' per lo stesso processo decisionale del programma: rappresentazioni dei pezzi, posizioni sulla scacchiera, valutazioni di possibili sviluppi, decisioni su quale sviluppo perseguire ulteriormente, e così via. Potrebbe anche darsi che la spiegazione si collochi a un livello inferiore; potrebbe risultare che, per esempio, il programma A e il programma B abbiano una capacità di valutare le mosse scacchistiche identìca, ma che il programma A sia stato codificato in modo più eftìciente e che per questo risulti in grado di esplorare più mosse del programma B nello stesso numero di cicli macchina. In realtà, A "riflette nello stesso modo" di B sulle mosse da fare, solo che lo fa in modo più veloce. Sarebbe effettivamente molto più interessante se non fosse sempre lo stesso programma a vincere. Supponiamo che A batta quasz' sempre B e supponiamo che A sia in grado di valutare
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le mosse utilizzando un differente insieme di regole rispetto a B. Allora avremmo qualcosa di molto più interessante da spiegare. Per poter analizzare questo problema causale, dovremmo studiare la storia di tutte le migliaia di partite diverse giocate dai due programmi, per cercare ulteriori schemi. Ne troveremmo sicuramente in abbondanza. Alcuni di questi sarebbero endemici degli scacchi, ovunque si giochino (per esempio, la quasi certezza che B perda ogni partita in cui lascia indietro una torre), alcuni sarebbero tipici di A o di B in quanto giocatori di scacchi con caratteristiche proprie (per esempio, la propensione di B di far uscire la sua regina il più presto possibile). Troveremmo gli schemi standard della strategia scacchistica, come il fatto che, quando il tempo a disposizione di B sta per scadere, questi cerca meno in profondità lungo le diramazioni rimaste aperte nell'albero di sviluppo del gioco di quanto farebbe nella stessa posizione con un tempo maggiore a disposizione. In breve, troveremmo una vasta gamma di regolarità esplicative, alcune di queste prive di eccezioni (all'interno della nostra sequenza di mille partite) e altre solo statistiche. Questi schemi macroscopici sono momenti salienti nello svolgimento di uno spettacolo deterministico che, visto dalla prospettiva della microcausalità, è quasi sempre identico. Ciò che, da un punto di vista, ci appare come lo spettacolo di due programmi di scacchi sospesi in una contesa, attraverso il "microscopio" (come se guardassimo le istruzioni e il flusso dei dati attraverso la CPU del computer) può apparire un singolo automa deterministico che è descrivibile in un solo modo, con le sue mangiate perfettamente prevedibili sulla base dell'analisi dello stato preciso del generatore di numeri pseudocasuali. Non ci sono biforcazioni o diramazioni "reali" nel suo futuro; tutte le "scelte" operate da A e B sono già determinate. Ci sembra che niente sia realmente possibile in questo mondo, oltre a ciò che effettivamente accade. Supponiamo, per esempio, che appaia all'orizzonte una minacciosa successione di mosse che porterebbe allo scacco matto di B nel tempo t, ma che questa collassi quando A esaurisce il suo tempo e termina la sua ricerca della mossa chiave un passo prima di trovarla. Quella successione di mosse vincente non vedrebbe mai la luce.
(Ecco un'affermazione che potremmo dimostrare, in caso di dubbio, facendo giocare esattamente lo stesso torneo il giorno successivo. Nello stesso punto di questa serie di partite, A esa urirebbe il suo tempo un'altra volta e terminerebbe la sua ricerca delle mosse esattamente nello stesso momento.) Quindi, che cosa stiamo sostenendo qui? Questo mondo-giocattolo è veramente un mondo privo di ostacoli, privo di attacco e di difesa, di opportunità mancate, privo di affondi e parate da parte di veri agenti, privo di genuine possibilità? Per ammissione, i nostri programmi di scacchi, come gli insetti o i pesci, sono agenti fin troppo semplici per poter essere candidati plausibili al possesso di un libero arbitrio moralmente significativo; ma il determinismo del loro mondo non li deruba dei loro poteri caratteristici, deila loro diversa abilità nel saper approfittare delle opportunità che si presentano loro. Se vogliamo capire che cosa accada nel loro mondo, possiamo, anzi dobbiamo, parlare di come le loro scelte informate causino il cambiamento delle circostanze in cui vengono a trovarsi, e anche di quello che possono e non possono fare. Se vogliamo svelare le regolarità causali che ci forniscano una spiegazione degli schemi che individuiamo in quelle mille partite, dobbiamo prendere in seria considerazione la prospettiva che descrive quel mondo come se contenesse due agenti, A e B, che cercano di battersi a vicenda agli scacchi. Supponiamo di preparare il programma per il torneo, in modo che ogni volta che A vince suoni una campana e ogni volta che vince B suoni invece un cicalino. Facciamo partire la maratona e un'osservatrice, che non sa nulla del programma, annota che la campana suona molto frequentemente mentre il cicalino non si sente quasi mai. Supponiamo che ella voglia sapere quale è la spiegazione di questa regolarità. La regolarità con la quale A batte B si può benissimo comprendere e descrivere indipendentemente dall'adozione dell'atteggiamento intenzionale, ma rimane in attesa di una spiegazione. La sola spiegazione -la spiegazione corretta- potrebbe essere che A genera "credenze" migliori su ciò che B farebbe se ... di quante ne generi B su quello che farebbe A se ... In un caso siffatto, adottare l'atteggiamento intenzionale è indispensabile per trovare una spiegazione.
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Supponiamo di individuare due partite della serie nelle quali le prime dodici mosse siano identiche, solo che nella prima A gioca con i bianchi, mentre nella seconda gioca con i neri. Alla tredicesima mossa della prima partita B "fa un errore" e da quel momento la sua partita è finita. Alla tredicesima mossa della seconda partita A, al contrario, scopre una mossa protettiva, arroccando, e si avvia alla vittoria. "B avrebbe potuto arroccare in quello stesso punto della prima partita", dice uno spettatore facendo il verso ad Austin. Vero o falso? La mossa, l'arrocco, era altrettanto lecita nella prima partita, quindi, in quel senso, era tra le "opzioni" disponibili per B. Supponiamo di scoprire, inoltre, che l'arrocco non solo era una delle mosse candidate analizzate da B, ma che B, in realtà, aveva intrapreso un'esplorazione superficiale delle conseguenze dell'arrocco, abbandonandola, ahimè, prima che questa ne rivelasse i vantaggi. Quindi, B avrebbe potuto arroccare? Che cosa stiamo cercando di scoprire? Analizzare precisamente Io stesso caso, più volte, è assolutamente non informativo; invece, analizzare casi simili è, in effetti, diagnostico. Se troviamo che in altre partite, in molte circostanze simili, B spinge realmente la sua valutazione un poco oltre, scoprendo i vantaggi di siffatte mosse e adottandole - se troviamo, come minimo, che il lancio di un singolo bit nel generatore di numeri casuali dà come risultato l'arrocco di B -, allora sosterremo ("con ulteriori esperimenti") l'opinione dell'osservatore che B avrebbe potuto arroccare. Diremo, infatti: il mancato arrocco da parte di B è stato un caso, un colpo di sfortuna nell'uso del generatore di numeri casuali. Se, al contrario, troviamo che la scoperta delle ragioni a favore dell'arrocco richiede una profondità di analisi che B non sarebbe in grado di portare a termine nel tempo a sua disposizione (sebbene A, essendo un giocatore più bravo, vi riesca benissimo), allora avremmo ragioni per concludere che no, B, al contrario di A, non avrebbe potuto arroccare. L'arrocco, potremmo scoprire, era una di quelle mosse contrassegnate con un " (!)" nella rubrica dei giornali dedicata agli scacchi, una mossa "difficile", ben oltre la portata di B. Immaginare B che arrocca richiederebbe trop-
p e alterazioni della realtà; commetteremmo l'errore, menzionato in precedenza, di allargare troppo l'insieme X. Riassumendo, l'utilizzo del criterio ristretto di scelta di X è inutile, se vogliamo spiegare gli schemi che emergono dalla nostra analisi dei dati. Riusciamo a ottenere una qualche comprensione solo se "ritocchiamo (wiggle) gli eventi" (come ha detto David Lewis), non prestando attenzione alle "condizioni come quelle che precisamente c'erano" ma ai mondi nelle loro vicinanze prossime. Una volta che estendiamo un poco X, scopriamo che B ha opzioni aggiuntive, in senso sia informativo sia rilevante (quando facciamo riferimento ai mondi che stanno oltre la scacchiera). Molti filosofi hanno ipotizzato, senza l'avallo di dimostrazioni a sostegno, che quando poniamo una domanda su che cosa era possibile, noi siamo o dovremmo essere interessati a sapere se, esattamente nelle stesse circostanze, ricorrerebbe lo stesso evento. Abbiamo sostenuto che, a dispetto del tradizionale sostegno da parte dei filosofi, siffatta politica non è mai stata seguita da analisi serie delle possibilità ed è, comunque, immotivata: non potrebbe darvi una risposta in grado di soddisfare la vostra curiosità. L'onere passa ora a quelli che pensano invece di spiegare perché la possibilità "reale" richieda un criterio di scelta ristretto di X o perché dovremmo mai essere interessati a un simile concetto di possibilità, a prescindere dalla sua "realtà". Quindi, mondi deterministici possono, senza alcuna difficoltà, contemplare possibilità più ampie e interessanti. Anzi, l'introduzione dell' indeterminismo non aggiunge nulla alle possibilità, opportunità o capacità di un universo. Se nel nostro torneo di scacchi deterministico il programma A batte sempre il programma B, allora la sostituzione del generatore di numeri pseudocasuali con uno strumento genuinamente indeterministico non aiuterebbe affatto B. A vincerebbe ancora ogni volta. Un algoritmo superiore come quello di A incapperebbe difficilmente in errore se messo a confronto con una modificazione tanto irrilevante da essere praticamente invisibile. Sebbene i generatori di numeri pseudocasuali non producano, di fatto, esiti genuinamente casuali, vi si avvicinano a
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4. Se ne avete bisogno, potete prendere sequenze veramente casuali di numeri sul \Veb, visitando diversi siti come www.random.org e www.fourmilab.ch/hotbits.
stante t,, e sl specifica analogamente la descrizione di stato dell'universo all'istante t,, allora il determinismo impone che Sn è sufficiente per S1 in tutti i mondi fisicamente possibili. Il determinismo, però, non ci dice nulla su quali condizioni precedenti a S 1 siano necessarie per la sua produzione o per la produzione di altri enunciati relativi all'argomento. Perciò, dal momento che la causalità presuppone generalmente la necessità, la verità del determinismo avrebbe ben poche relazioni, se poi ne ha alcuna, con la validità dei nostri giudizi causali. Per esempio: secondo il determinismo, la precisa condizione un istante dopo il Big Bang (chiamiamo l'enunciato corrispondente S0 ) è causalmente sufficiente a produrre l'assassinio diJohn F. Kennedy nel1963 (proposizione C). Ciononostante, non c'è alcuna ragione per asserire che So ha causato C. Sebbene sia sufficiente, non abbiamo nessuna ragione per credere che S1, sia necessaria. Per quanto ne sappiamo, Kennedy poteva essere assassinato comunque, anche se ci fossero state alcune condizioni iniziali differenti all'origine dell'universo. Chi potrà mai stabilirlo? Possiamo riuscire a immaginarci il tipo di indagine che ci vorrebbe per stabilire un fatto come questo, anche se non potremmo mai essere in grado di portarla a termine: immaginiamo di fare una fotografia dell'universo nel momento dell'assassinio di Kennedy, poi alteriamo la fotografia in un modo piuttosto semplice (spostando Kennedy di l millimetro a sinistra, diciamo). La proposizione C, "John F. Kennedy è stato assassinato nel 1963 (in Dealey Plaza, mentre passava il corteo presidenziale ... )"è ancora vera, ma con una differenza microscopica nelle condizioni atomiche che la rendono tale. Allora, partendo dalla nostra versione sottilmente rivisitata della descrizione di stato del1963, e seguendo le leggi (deterministiche) della fisica all'indietro, generiamo un filmato che ripercorre tutta la strada fino al Big Bang, ottenendo un mondo in cui S0 , a causa di una differenza impercettibile, non vale più. Ci sono mondi possibili molto simili al nostro, nei quali Kennedy viene assassinato, ma S0 non vale; in tali mondi, quindi, lo stato dell'universo descritto da S0 non è la causa dell' assassinio di Kennedy. Cause molto più plausibili di quell'evento
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tal punto che in quasi tutte le circostanze in cui vengono utilizzati tale deficienza non ha alcuna conseguenza. C'è solo un contesto nel quale questa differenza ha davvero rilevanza: la crittografia. Il particolare aroma di non schematidtà lasciato da certi algoritmi generatori di numeri pseudocasuali alla fine può venire fiutato da super computer, e ciò premia l'utilizzo di sequenze genuinamente casuali di numeri in tali contesti particolari. 4 Ma al di fuori di un contesto nel quale avreste ragione di preoccuparvi di un avversario in grado di accedere al vostro particolare tipo di generatore di numeri pseudocasuali e di usarlo per "leggervi nel pensiero", non avete nulla da guadagnare a muovervi su un terreno genuinamente indeterministico. Per dirla in modo chiaro, l'universo potrebbe essere deterministico nei giorni pari del mese e indeterministico nei giorni dispari, e non noteremmo mai differenze nelle opportunità e nei poteri degli uomini; ci sarebbe esattamente lo stesso numero di trionfi e lo stesso numero di deplorevoli fallimenti il4 ottobre come il3 ottobre o il5 ottobre. (Se il vostro oroscopo vi consigliasse di spostare ogni decisione seria a un giorno dispari, non avreste più ragioni di seguire il consiglio di quelle che avreste se vi dicesse di aspettare la luna calante.)
Eventi privi di cause in un universo deterministico L ampia indipendenza causale di eventi che accadono contemporaneamente è la caratteristica che preserva la libertà di movimento all'interno dell'universo. ALFRED !'iORTH WHITEHEAD, Avventure di idee
Il determinismo è una dottrina che tratta della sufficienza: se S0 è un enunciato (sbalorditivamente complesso) che specifica in ogni dettaglio la descrizione di stato dell'universo all'i-
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includerebbero: "Un proiettile seguì una traiettoria diretta al corpo di Kennedy"; "Lee Harvey Oswald premette il grilletto del suo fucile". Visibilmente assenti da questo elenco sono le descrizioni microscopicamente dettagliate di come era l'universo miliardi di anni prima di quell'evento. I filosofi che asseriscono che in un contesto deterministico S, "causa" e "spiega" C mancano il bersaglio principale dell'indagine causale; questo è il loro secondo grave errore.
vità, la distanza dal terreno, la temperatura, la rotazione della Terra, la distanza di Marte e di Venere in quell'istante, e così via. Certo, ma questa somma totale non ha, al suo interno, alcuno schema predittivo. Questa è la caratteristica di un dispositivo per la generarazione di eventi casuali come il lancio di una moneta: fare in modo che il risultato sia incontrollabile, rendendolo sensibile a un numero così elevato di variabili che nessun elenco finito e attuabile di condizioni possa essere considerato come causa del fenomeno. Ecco perché richiediamo che la moneta venga lanciata in alto, con una rotazione vigorosa, e non venga solamente lasciata cadere dalle dita a un centimetro di distanza dal tavolo: mettiamo in moto una sequenza che garantisce praticamente che non ci sia alcuna causa al suo cadere con una faccia o l'altra in vista. Si noti, anche, come la strategia del lancio della moneta utilizzi il procedimento di digitalizzazione per garantire che l'esito del lancio sia privo di cause (se è realizzato senza trucchi). La realizza esattamente all'opposto di come viene utilizzata la digitalizzazione nei computer: invece di assorbire tutte le microvariazioni presenti nell'universo, le amplifica, garantendo che la somma incredibilmente grande delle forze all'opera in quell'istante farà scattare il digitalizzato re in uno dei due stati, o testa o croce, ma senza che nessuno dei due stati presenti una condizione necessaria saliente per la sua realizzazione. La pratica di "ritoccare gli eventi" in esperimenti controllati è una delle maggiori innovazioni della scienza moderna e, come è stato puntualizzato da Judea Pearl, serve qualcosa di simile a un lancio di una moneta per rompere il legame causale che altrimenti potrebbe sussistere tra gli eventi che desideriamo analizzare:
In realtà, il determinismo è perfettamente compatibile con la concezione che alcuni eventi non abbiano affatto una causa. Considerate l'enunciato "La svalutazione della rupia ha causato il crollo d eli' indice Do w J o n es". N oi trattiamo questo enunciato con il giusto sospetto; siamo veramente così sicuri che, entro l'insieme degli universi vicini al nostro, il Dow Jones sia crollato solo in quelli dove la rupia è stata prima svalutata? Arriviamo davvero a immaginare che in ogni universo dove la rupia abbia subito svalutazione si sia assistito a una svendita delle azioni di mercato? Non potrebbe esserci stata una confluenza di dozzine di fattori che, nella loro totalità, sono stati sufficienti a far crollare il mercato, ma nessuno dei quali, singolarmente, ha svolto un ruolo essenziale? In certi giorni, forse, il comportamento di Wall Street può avere una spiegazione semplice; ma, probabilmente tutte le volte che lo sospettiamo, non c'è alcuna particolare causa all'opera. Il lancio di una moneta, di una moneta non truccata, è un esempio familiare di un evento che ha un esito (testa, diciamo) che propriamente non ha una causa. Non ha una causa perché, a prescindere da come scegliamo l'insieme X (ignorando l' errato avviso di Austin di considerare le circostanze come precisamente erano), non troveremo nessuna caratteristica C che sia necessaria per ottenere testa o necessaria per ottenere croce. Avete mai pensato all'apparente contraddizione insita nell'usare il lancio di una moneta come generatore di eventi casuali? È certo che l'esito del lancio di una moneta è il risultato deterministico della somma totale delle forze che agiscono sulla moneta: la velocità e la direzione del lancio che impartisce la rotazione, la densità e l'umidità dell'aria, l'effeno della gra114
Supponiamo di dover studiare l'effetto di un certo trattamento farmacologico su pazienti ricoverati perché sofferenti di un dato disturbo. [ ... ]In condizioni non controllate, la scelta del trattamento tocca ai pazienti e potrebbe dipendere dalla loro situazione socioeconomica. Ciò crea un problema. perché non
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siamo in grado di stabilire se le modificazioni dei tassi di ricovero siano dovute ai trattamenti scelti o a questi fattori del retroterra del paziente. Ciò che vorremmo fare è comparare pazienti con una situazione di partenza, e questo è esattamente ciò che l'esperimento aleatorio di [Sir Ronald] Fisher consente di fare. Come? L'esperimento, in realtà, è composto di due parti, randomizzazione e intervento. Intervento significa cambiare il comportamento naturale dell'individuo: separiamo i soggetti in due gruppi, chiamati di trattamento e di controllo, e convinciamo i soggetti a sottostare al piano dell'esperimento. Assegniamo trattamenti ad alcuni pazienti che, in circostanze normali, non chiederebbero di essere curati; diamo dei placebo a pazienti che altrimenti riceverebbero cure. Questo, nel nostro nuovo dizionario, significa chirurgia- stiamo tagliando un legame funzionale e lo rimpiazziamo con un altro. La grande intuizione di Fisher è stata quella di mostrare che far dipendere la scelta del nuovo legame dal lancio casuale di una moneta avrebbe garantito che il legame che volevamo spezzare si era effettivamente rotto. La ragione è che si suppone che il lancio casuale di una moneta non sia influenzato da alcun elemento che noi possiamo misurare a un livello macroscopico- inclusa, ovviamente, la situazione socioeconomica di un paziente. (Pearl, 2000, p. 384)
"ritocchino gli eventi", nel tentativo di trovare antecedenti necessari al verificarsi del primo conflitto mondiale nei mondi possibili vicini, essi scoprano che quegli universi nei quali scoppia la prima guerra mondiale non hanno alcun antecedente necessario in comune. Supponiamo, per esempio, che nell'universo A l'arciduca Ferdinando venga assassinato e che dopo scoppi il conflitto. Il primo evento sarebbe allora la causa del secondo (come alcuni di noi hanno "imparato" a scuola)? Forse no; forse, nell'universo B l'arciduca Ferdinando sopravvive, ma la guerra mondiale scoppia comunque. Analogamente, poi, per ogni "causa" che lo storico X potrebbe proporre, lo storico Y sarebbe in grado di immaginare un mondo nel quale la prima guerra mondiale scoppi senza che prima sì realizzi la causa candidata. La guerra potrebbe essere stata il frutto di un caso sfortunato, e allora insistere con ragionamenti su quale sia stata la "causa" sarebbe non solo futile, ma quasi assicurerebbe la nascita di miti artificiosi sulle cause nascoste, in cerca di ulteriori approfondimenti. La ricerca di simili condizioni necessarie è sempre un'attività razionale, purché ci ricordiamo che, in qualche caso particolare, potrebbe anche non esserci nulla da trovare.' Qualcuno potrebbe chiedersi, allora, perché la necessità causale sia così importante ai nostri occhi. Torniamo, per un attimo, ai programmi di scacchi A e B. Supponiamo che la nostra attenzione venga attirata da una di quelle rare partite in cui B vince, e che vogliamo conoscere la "causa" di tale sorprendente vittoria. L'affermazione banale che la vittoria di B sia stata "causata" dallo stato iniziale del computer sarebbe una spiegazione totalmente non informativa. Certamente, lo
La nostra esperienza di casi simili smentisce un'assunzione di base che sembra assai diffusa (ma raramente, se non mai, esaminata): che l'unica circostanza in cui un evento si può dire privo di causa è quella di un evento rigorosamente indeterminato, senza nessuna condizione sufficiente, a prescindere da quanto esso possa essere diffuso, complesso e privo di interesse. Tale assunzione può creare gravi alterazioni alla scala dei valori scientifici di chiunque: qual è stata la causa della prima guerra mondiale? Di certo, se vogliamo essere buoni divulgatori scientifici, dobbiamo trovare una causa! Dichiarare che la prima guerra mondiale non ha avuto una causa sarebbe equivalente a definirla una violazione delle leggi di natura - una sorta di perverso miracolo- o (qui ci viene in soccorso la fisica dei quanti) il risultato di processi quantistici indeterministici? No, non lo sarebbe. Potrebbe darsi che, per quanto gli storici
5. La propensione non solo a cercare ma a trovare per forza una causa non è qualcosa di vano. come osserva Matt Ridley nella sua analisi della malattia di Creutzfeldt-Jakob, per cui non si è ancora trovata alcuna causa: "Ciò offende il nostro determinismo innato, secondo cui le malattie devono avere una causa; però, noi non viviamo in un mondo del tutro determinato. Magari in una persona su un milione la malattia di Creutzfeldt- Takob si produce spontaneamente" (Matt Ridley, 1999, pp. 329-330). .
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stato totale dell'universo-giocattolo negli istanti precedenti è stato sufficiente per il verificarsi della vittoria; noi vogliamo~~ pere quali caratteristiche si siano rivelat~ necessarz_e e, p~rcto, capire che cosa abbiano in comune eventt tanto ran. Vo~ltamo scoprire queste caratteristiche, alla cui assenza consegu~re~b_e direttamente la sconfitta di B, l'esito abituale. Forse, mdtvtdueremmo una falla nella struttura di controllo di A, qualcosa che precedentemente era insospettabìle, un baco_ che sol~ ~r~ è emerso. O potremmo scoprire una strana oasi dt gemaltta nell'abilità di B, qualcosa che, una volta esaminata, ci può permettere di prevedere quali circostanze in futuro consentirebbero un'altra analoga vittoria di B. O forse, la vittoria è dovuta a una coincidenza di condizioni tanto smisurata da non consigliare alcuna azione, poiché la pr?ba~ilità di ~~a. l~ro ricorrenza è praticamente zero. Quest ultima posstbtlna, la mancanza, da un punto di vita pratico, di una causa alla base d~lla vittoria di B (è stato un caso fortuito) è abbastanza semphce da capire in un contesto così semplificato come quello dei programmi degli scacchi; ma difficile da accettare, sembra, se . . . . viene applicata ai casi del mondo reale. La razionalità ci impone di valutare le condtz10m necessane almeno con la stessa cura con cui valutiamo quelle sufficienti. Consideriamo un tizio che stia cadendo nella tromba dell'ascensore. Sebbene lui non sappia esattamente in quale mondo possibile sta vivendo in quell'istante.' sa per cert~ ah_neno un~ cosa: egli è in un insieme di mondi e m tuttt questtlm atterrera in breve tempo alla base della tromba. La gravità si occuperà di farglielo fare. L'atterraggio è quindi ineluttabile, perché accade in tutti i mondi coerenti con ciò che lui sa. Ma, forse, la sua morte non è ineluttabile. Forse, in qualcuno dei mondi in cui precipita, lui sopravvive. Diciamo c~e tra questi m~ndi non sono compresi quelli in cui atterra d1 testa o a volo d angelo, ma potrebbero esserci i mondi in cui lui riesce ad atterrare rannicchiato sulle gambe e così a sopravvivere. C'è una certa libertà di azione. Può razionalmente pianificare una linea di azione basata sull'ipotesi che sia possibile sopravvivere e, anche se non è in grado di scoprire le condizioni sufficienti aga-
rantire la sopravvivenza, può almeno aumentare le sue probabilità di attenerla facendo qualunque azione sia necessaria, e perciò, con un po' di fortuna, ritrovarsi in uno dei tanti mondi appartenenti all"'enorme" insieme di mondi possibili nei quali riesce a sopravvivere. CONRAD: Ancora una volta, che senso può avere questo parlare di aumentare le sue probabilità? Non stiamo presupponendo il determinismo, qui? Il tizio non può cambiare di mondo. È nel mondo in cui sta vìvendo, il mondo reale, e in quel mondo vive o muore, e questo è tutto!
Ma questo è vero indipendentemente dal determinismo, ed è irrilevante per il problema della razionalità dell'azione. Facciamo finta di sospendere temporaneamente la caduta di quest'uomo e permettiamogli di sottoporre a un'attenta analisi l'"enorme'' angolo della Biblioteca di Babele che contiene le biografie di qualcuno che ha il suo stesso nome, le sue particolarità, le sue caratteristiche e la stessa storia fino a quell'istante il racconto di un tizio che accidentalmente cade nella tromba di un ascensore e si trova a consultare un'inconcepibilmente immensa collezione di libri, ognuno dei quali pretende di essere la vera storia della sua vita. In alcuni di questi libri lui sopravvive e in altri muore (ed essendo questa la Biblioteca di Babele, in alcuni altri viene trasformato in una tazza da tè dorata e viene lanciato a Cleopatra da una lumaca gigantel. Il problema è che, sebbene lui sia in grado di eliminare i libri di fantasia f!razie alla sua conoscenza di base di come funziona il mondo, non avrebbe alcuna possibilità di stabilire quale particolare libro, tra quelli che lo descrivono sopravvivere o morire dopo la caduta, sia quello vero. E assumere che ìl determinismo sia vero. o falso, non lo aiuterà a trovare l'ago in questo pagliaio. La migliore strategia, considerata la sua ineliminabile incertezza su quale possa essere il libro che racconta la verità, consiste nel cercare delle configurazioni generali di salienza predittiva schemi a cause ed effetti -e lasciarsi guidare dalle previsioni che queste gli suggeriscono. Ma come è in
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grado di farlo? Non è un problema: è stato destinato a fare così, da eoni di evoluzione. Se non avesse questo talento, non sarebbe qui. Egli è il prodotto di un processo progettuale che ha creato specie di esseri elusori-anticipatori (anticipator-avoiders) per i quali questi espedienti sono una seconda natura. Non sono perfetti, ma ottengono risultati migliori di quelli che si avrebbero adottando un comportamento dettato dal caso. Paragoniamo, per esempio, le prospettive di creature messe di fronte alla possibilità di poter vincere un milione di dollari facendo una scommessa sull'uscita di una faccia di una moneta gettata per aria o sull'uscita del due nel lancio di una coppia di dadi. Alcuni di loro ragionano in modo fatalistico: "Non fa alcuna differenza quale metodo scelgo; gli odds di ottenere due con un lancio di dadi è sempre O o l. Non so quale sia l'esito che il fato ha già stabilito, e lo stesso vale per la mia scommessa sul lancio della moneta". Altri agiscono nella convinzione che avere una possibilità su due di azzeccare l'esito col lancio della moneta sia meglio che avere una probabilità su trentasei di azzeccare l'uscita del due col lancio dei dadi, e scelgono di scommettere sulla faccia della moneta. Non è certo una sorpresa che persone progettate in quest'ultimo modo abbiano ottenuto risultati migliori dei fatalisti che, da una prospettiva storica, si può dire che abbiano davvero il destino segnato.
che modo, stroncherebbe quelle che lui chiama le nostre speranze di vita: Se le cose sono andate bene per una persona, ci sono ragioni per sperare che in seguito le cose vadano meglio sulla base dell'ipotesi che l'intero corso della sua vita sia fissato. [ ... ] Se le cose non sono andate bene, o non così bene come si sperava andassero, è quanto meno non irragionevole avere maggiori speranze sull'assunzione che l'intera vita di un individuo non sia prefissata, ma sia connessa alle attività del singolo [ ... ]. Considerate le premesse ottimistiche della nostra ragionevolezza, ci sono motivi per credere che noi non siamo inclini all'idea che il nostro personale futuro sia fissato. (Honderich, 1988, pp. 388-389)
Adesso, finalmente, siamo pronti a confrontarci con il terzo grave errore che si commette quando si riflette sul determinismo. Alcuni pensatori hanno insinuato che la verità sul determinismo potrebbe implicare una o più di una delle seguenti deprimenti affermazioni: tutte le tendenze sono stabili; in linea di massima il carattere è immutabile; è improbabile che qualcuno cambierà, nel futuro, il proprio destino, la propria sorte o la propria natura fondamentale. Ted Honderich, per esempio, ha sostenuto che il determinismo, in qual-
Chiaramente, siffatte preoccupazioni hanno origine dalla confusa sensazione che le possibilità reali (per poter migliorare la propria condizione, diciamo} scompaiano in un contesto deterministico. Ma questo è un errore. La distinzione tra l'avere un futuro aperto e l'avere un futuro chiuso è rigorosamente indipendente dal determinismo. In generale, non c'è nulla di paradossale nell'osservare che alcuni fenomeni sono determinati a essere mutevoli, caotici e impredicibili; è un fatto ovvio e importante che i filosofi hanno curiosamente ignorato. Honderich trova irritante l'idea che si possa avere "un futuro personale fissato", ma le implicazioni di questa ipotesi sono totalmente distinte dalle implicazioni dell'avere una "natura personale fissata". Potrebbe benissimo essere che il proprio futuro "fissato" - cioè determinato - sia benedetto da una natura multiforme, estremamente sensibile all"' attività del sé". L'insieme totale dei futuri personali, "fissati" o meno, contiene tutte le tipologie di scenari gradevoli, compresa la vittoria sulle avversità, il dominio sulle debolezze, i cambiamenti di carattere, persino i mutamenti della sorte. Potrebbe essere determinato sia il fatto che voi siate in grado di insegnare a un vecchio cane dei nuovi trucchi, sia il fatto che non vi riusciate. La domanda da porre è: i vecchi cani sono quel genere di cose cui è possibile insegnare nuovi trucchi? Se non è
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Il futuro sarà come il passato?
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così, noi non vogliamo essere come dei vecchi cani. Giustamente, ci teniamo ad appartenere a quella sorta di entità che posseggono traiettorie future che non ripercorrono gli schemi incontrati in passato; e, in generale, la tesi del determinismo non ha alcuna implicazione con tale questione. Consideriamo il determinismo elementare dei Mondi della Vita. A un certo livello non cambia mai nulla; i pixel fanno le stesse cose in continuazione, per sempre, seguendo le regole semplici della fisica. A un altro livello vediamo diverse tipologie di mondi. Da una visione dall'alto, alcuni mondi sembrano immutabili tanto quanto lo sono a livello atomico: un campo di nature morte e lampeggiatori, per così dire, lampeggianti per l'eternità. Né situazioni drammatiche, né suspense. Altri mondi "evolvono" in continuazione, senza mai entrare nello stesso stato due volte; ed evolvono sia in modo schematico, crescendo in modo predicibile, creando, per esempio, un fascio uniforme di alianti identici, equidistanti tra loro, sia in modo apparentemente privo di schema, con miriadi di sciami di pixel che crescono, si spostano e si scontrano. In questi mondi, il futuro è come il passato? Sì e no. La fisica è immutabile nel tempo, quindi i microeventi sono sempre gli stessi. Ma a un livello superiore il futuro potrebbe essere multiforme: potrebbe presentare delle configurazioni che sono simili a quelle comparse nel suo passato, ma potrebbe contenerne delle altre completamente inedite. In alcuni mondi deterministici, cioè, ci sono cose la cui natura cambia nel tempo, così che il determinismo non implica una natura fissata. Un piccolo dettaglio, ma incoraggiante; e ce ne sono altri in arrivo. In alcuni Mondi della Vita ci sono competizioni in atto e anche se il demone di Laplace conosce esattamente l'esito di ognuna di queste, per le intelligenze inferiori, che non possono sapere altrettanto, per via del loro punto di vista limitato, circa l'esito delle contese, ci potrebbero essere situazioni sia genuinamente drammatiche sia di pura suspense. Consideriamo, per esempio, quei Mondi della Vita in cui c'è una macchina di Turing universale che lancia il nostro programma nel quale A gioca a scacchi contro B. Gli scacchi sono un gioco a
"informazione perfetta"; da questo punto di vista, sono molto differenti dai giochi con le carte, dove si tengono le proprie carte celate allo sguardo dell'avversario (e dove nessuno dei partecipanti sa quale sarà la prossima carta a uscire dal mazzo). Quindi, sia A sia B hanno informazione completa e condivisa dello stato della partita a scacchi in corso, e delle possibilità che si presentano nello sviluppo del gioco. Ciononostante, essi si formano differenti corredi di aspettative in competizione tra loro su quelle che potrebbero essere le possibili mosse future dell'avversario - e sulle proprie. Il confronto sta tutto nell'uso dell'informazione condivisa per generare informazione esclusiva sulla quale basare la propria scelta per la mossa da fare, e la spiegazione del perché A batta B (se lo fa, quando lo fa) deve essere fornita in termini della sua superiore capacità nel generare, e nell'utilizzare, l'informazione sul futuro incerto e aperto dell'esito della partita (dal suo punto di vista). Ogni fruitore di una quantità di informazione finita ha un orizzonte epistemico; non conosce mai tutto del mondo che abita, e questa ignoranza inevitabile è la garanzia che il suo futuro è soggettivamente aperto. La suspense è una condizione necessaria di vita per ogni agente di questo tipo. 6 Mettiamo da parte, però, la suspense soggettiva e il cambiamento di natura. Che cosa possiamo dire del miglioramento? Ci può essere, in un mondo deterministico, non il miglioramento semplice, ma il miglioramento autogenerato? Un agente che vive in un mondo deterministico può sperare realisticamente di migliorare la sua sorte? Ancora una volta, la risposta alla domanda non ha niente a che vedere con il determinismo, e ha invece tutto a che vedere con la progettazione. l
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6. Il demone di Laplace esemplifica un problema interessante evidenziato per la prima volta da Turing e analizzato da Ryle ( 1949), da Popper l 1951) e da MacKay (1960). Nessun sistema di elaborazione di informazioni può avere al proprio interno una descrizione completa di se stesso- è il problema di Tristram Shandy di come rappresentare il rappresentante del rappresentante del rappresentante ... degli ultimi piccoli bit. Quindi, anche il demone di Laplace ha un orizzonte epistemico e, di conseguenza, non può predire le sue stesse azioni nello stesso modo in cui può predire il prossimo stato dell'universo (che deve essergli esterno).
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programmatori hanno già mostrato come gli algoritmi deterministici del computer possano adattarsi ai cambiamenti dell' ambiente e imparare dagli errori. Finora abbiamo rimandato ogni riferimento a una capacità di apprendimento nei due programmi di scacchi, non volendo distogliere l'attenzione dagli altri aspetti in discussione; ma consideriamo adesso cosa accade quando includiamo la capacità di apprendere dall'esperienza in uno dei due contendenti. Se, sebbene inizialmente mediocre, B possedesse la capacità di apprendere che A non possiede, allora vedremmo alla fine B lasciare la scacchiera vittorioso. Uno dei prodotti della storia delle partite giocate da B contro A, uno dei frutti del suo stesso lavoro, potreste dire, potrebbe essere l'evoluzione di una struttura di B che gli dia maggiore competitività, e una sorte migliore nella vita. B cambia da perenne perdente in vincente abituale. Supponiamo che B possieda questa sorta di struttura per apprendere in un mondo deterministico; tale sua invidiabile capacità non verrebbe affatto migliorata dall'introduzione di un generatore di numeri casuali genuinamente indetcrministico. Analogamente, aggiungere l'indeterminismo all'universo non potrà aiutare B ad avere un futuro aperto, se gli manca questa capacità di apprendere. Le condizioni alle quali un automiglioramento di tale genere può aver luogo (in modo non miracoloso) sono precisamente quelle condizioni alle quali qualcosa che sia un Diohacker o l'evoluzione o il programmatore di B o B stessoidentifica le cause responsabili di una vittoria e introduce dei progetti (designs) che accrescono la possibilità di ricreare, al momento opportuno, queste cause nel futuro. C'è, allora, un motivo che capiamo bene alla base della progettazione di un programma in grado di apprendere dall'esperienza: in futuro potrebbe incontrare una situazione simile, e ciò che accadrebbe allora potrebbe essere influenzato da quel che apprende ora. Questo perché ciò che potrebbe accadere in quella situazione dipenderebbe da ciò che deciderà allora; arroccare o meno, per esempio, dipenderà da lui in un senso importante del termine. Il fatto che le regole degli scacchi rimangano o
meno costanti non dipenderà da lui, come non dipenderanno da lui le mosse dell'avversario; le sue mosse, invece, dipenderanno da lui, in un senso che è veramente importante: saranno il risultato dei suoi processi esplorativi e decisionali. Allo stesso modo, possiamo paragonare la situazione di un pesce che sta di fronte a un amo. fornito di esca, con quella di un pesce che sta per essere preso da una rete in avvicinamento rapido; se ingoiare o meno l'esca dipende dal primo pesce; entrare o meno nella rete, probabilmente, non dipende dal secondo pesce. l pesci, allora, possiedono il libero arbitrio? Non in un senso pregnante, ma possiedono un sistema dì controllo che prende ''decisioni" di vita-o-di morte, il che è quanto meno una condizione necessaria per poter avere libero arbitrio. Nel capitolo 4 cercheremo di capire se possa esistere un altro modo, un modo più restritrivo di intendere la locuzione "dipendere da", che si possa applicare a noi (se siamo agenti morali), ma che non si applichi a programmi computerizzati di scacchi- o a pesci. Viviamo in un mondo che è soggettivamente aperto; e noi siamo stati progettati dall'evoluzione per essere degli "informivori" (informavores), dei cercatori di informazioni epistemicamente affamati, sempre a caccia di miglioramenti della nostra posizione di forza nel mondo, esseri che sanno prendere nel modo migliore le decisioni sul proprio futuro soggettivamente aperto. La Luna è composta della nostra stessa materia, obbedisce alle stesse leggi della fisica, ma la sua natura, al contrario della nostra, è fissata. Inoltre, al contrario del nostro caso, la sua natura non dipende da leì. Non è equipaggiata affatto per prendersi cura di se stessa. La differenza tra noi e la Luna non è una differenza riconducibile allivello fisico; è una differenza di progettazione a livello superiore. Noi siamo il prodotto di un processo di progettazione massiccio e basato sulla competizione; la Luna no. Questo processo di progettazione, la selezione naturale, notoriamente utilizza, come generatore finale di diversità, delle mutazioni "casuali". Abbiamo visto come i programmi dei computer e gli esperimenti controllati in senso più generale facciano uso di an alo-
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ghi generatori di diversità, quasi con gli stessi risultati: per guidare i processi di esplorazione entro nuove configurazioni, e fuori da quelle vecchie. Ma abbiamo anche visto come questa felice sorgente di diversità non debba essere necessariamente casuale, nel senso di indeterministica. Sostenere che, se il determinismo fosse vero, allora il vostro futuro sarebbe fissato, significa dire ... niente di interessante. Sostenere che, se il determinismo fosse vero, allora la vostra natura sarebbe fissata, è dire qualcosa di falso. La nostra natura non è fissata, perché noi ci siamo evoluti fino a essere entità progettate per cambiare la nostra na!ura in risp.osta alle nostre interazioni con iJ resto del mondo. E la confustone tra natura fissata e futuro fissato che alimenta il sentimento di angoscia nei confronti del determinismo. La confusione nasce quando si cerca di mantenere contemporaneamente due diversi punti di vista sull'universo: la prospettiva dell'"occhio di Dio" che vede il passato e il futuro tutto spiegato davanti a sé, e la prospettiva coinvolta di un agente all'interno dell'universo. Dal punto di vista atemporale dell'occhio di Dio nulla cambia mai- tutta la storia dell'universo si svolge ''in un attimo" -e persino un universo indeterministico verrebbe rappresentato solamente dalla ramificazione di uno statico albero di traiettorie. Dal punto di vista dell'agente coinvolto le cose cambiano nel tempo e gli agenti stessi cambiano per affrontare quei cambiamenti. Ma ovviamente, non tutti i cambiamenti sono possibili. Ci sono cose che possono cambiare e cose che non possono cambiare, e tra ultime alcune sono deplorevoli. Ci sono molte cose sbagliate nel nostro mondo; ma il determinismo non è una di quelle, anche se il nostro mondo fosse determinato. Quindi, messa da parte la paura del determinismo fisico, possiamo concentrare la nostra attenzione sul livello biologico, nel quale potremmo realmente essere in grado di spiegare il motivo per cui noi siamo liberi, mentre altre entità del nostro mondo, formate dallo stesso genere di sostanza, non sono libere affatto. E come sempre quando si tratta di biologia, scopriremo che ci sono diverse libertà, distinte per genere e grado. 126
La libertà, così come si presenta, di un programma per gli scacchi che vive sul Piano della Vita è un modellino, una mera caricatura del tipo di libertà a cui siamo imeressati. Ma noi siamo interessati anche a questo tipo di libertà, e aiuta iniziare con il più semplice modello immaginabile di essa, usando appunto un modello semplice e facilmente immaginabile, e confermare che è compatibile con il determinismo. Va bene, hai mostrato che Austin aveva torto. Ma, guarda caso, egli non era interessato affatto .alle ~ossibilit~ reali; era interessato ad andare in buca! E hat ragtone che tl modo migliore per controllare tale situazione è quello di ten: tare più volte e in modo diverso, e vedere quante buche s1 centrano. Come hai mostrato, esiste un senso di competenza, un si può fare, che si può applicare ugualmente ~e~ e agli agenti umani e a certi congegni come i programmi dt scacchi dei computer (e agli apriscatole, se è per questo). Ma tutto quello che hai mostrato è che, rispondendo a quel genere di domande , non ci si avvicina di un palmo al problema . che mi interessa: Austin avrebbe potuto veramente andare m buca quella volta? E la risposta alla domanda, in un mondo deterministico, deve essere "no". CONRAD:
Molto bene, se insisti. Forse, c'è un senso di "possibile" per il quale Austin non avrebbe mai potuto avere la possibilità di fare buca quella volta, se il determinismo fosse vero. Ora, perché mai ci dovrebbe importare rispondere alla tua domanda? Escludendo una futile curiosità metafisica, perché mai dovrebbe interessarci sapere se Austin avrebbe potuto o meno fare buca nel tuo senso? Gli incompatibilisti hanno una risposta alla domanda, e prima di tornare a occuparci tranquillamente di evoluzi:me, dovremmo dare loro la possibilità di presentarla. Il capnolo successivo è dedicato all'analisi della loro migliore (a oggi) risposta. Coloro che si sono già persuasi che il determinismo non sia il problema possono saltare il capitolo 4, ma così perderebbero alcune scoperte fortuite circa la natura della nostra libertà che sono del tutto indipendenti dall'indagine sull'indeterminismo che ha contribuito a svelarle. 127
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Capitolo3
I nostri ragionamenti quotidiani su possibilità, necessità e causalità sembrano in conflitto con il determinismo, ma tale conflitto è un 'illusione. Il determinismo non implica che ciò che facciamo non avremmo potuto farlo in modo diverso, che ogni evento abbia una causa o che la nostra natura sia/issata. ---------------~···-~····--
Capitolo4
Un'occhiata simpatetica a un ambizioso modello indeterministico di processo decisionale mette in evidenza tanto le motivazioni quanto i problemi che tormentano qualunque teorico che intraprenda quelle ricerche. Ciò che i libertari plausibilmente reclamano di aver bisogno si può ottenere senza l'indeterminismo e l'indeterminismo non può apportare alcuna dz/ferenza che possa essere una dz/ferenza significativa.
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nisticamente) in questo fenomeno, i loro sforzi di spiegare le regolarità macrocausali che osservano sarebbero continuamente frustrati. Per saperne di più sui numeri pseudocasuali e la loro influenza sul controllo e sul libero arbitrio, si veda Elbow Roortz (Dennett, 1984), pp. 66-67 e altrove. Pubblicato in nove volumi tra il1759 e il 17 66, il romanzo umoristico di Laurence Sterne, Tristram Shandy, si spaccia per un'autobiografia, ma si fa coinvolgere (intenzionalmente) in cicli ricorsivi di riflessione e reazione e metareazione, un compito non terminato, interminabile.
Fonti e letture consigliate
Causality: Models, Reasoning, and Inference di.Judea Pearl (2000), che ho scoperto mentre stavo preparando l'ultima bozza di questo libro, solleva obiezioni sul metodo TavlorDennett di presentare le cose in termini di mondi possibili, e propone allo stesso tempo alcuni allettanti metodi alternativi. Non sarà un lavoro facile digerire queste critiche e, se sarà necessario, riformulare le nostre conclusioni che però non pensiamo siano state contestate direttamente. Questo è lavoro per il futuro. Per qualcosa di più sul concetto di possibilità, si veda L'idea pericolosa di Darwin (Dennett, 1995), capitolo 5, "Possibilità e realizzazioni" e, in particolare, "La possibilità calata nella natura" (pp. 148-155). Si veda anche l'esperimento mentale (''Due scatole nere", pp. 525-533), nel quale si può notare come, anche se gli scienziati avessero una conoscenza completa dei processi microcausali che avvengono (determi128
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Il classico problema del libero arbitrio è introdotto dalla proposizione che se il determinismo fosse vero, allora non avremmo libero arbitrio. Questo è il manifesto dell' incompatibilismo e, all'inizio, sembra certamente plausibile. Molti di coloro che hanno riflettuto a lungo e con attenzione su questa asserzione la ritengono vera; così, prima di tornare al mio progetto che la contesta apertamente, cominciamo col vagliarla un po' per scoprire perché abbia così fascino e quali possano essere tanto i suoi punti di forza quanto le sue debolezze.
Il fascino dellibertarismo Se accettiamo la proposizione alla lettera, a seconda dell'importanza che diamo alle sue componenti, si aprono due vie di analisi: Determinismo radicale: Il determinismo è vero, quindi noi non possediamo libero arbitrio. Uomini di scienza caparbi dichiarano a volte di aderire a questa tesi, affermando pure che si tratta di un problema facile da risolvere. Molti di loro aggiungerebbero: e se il determinismo fosse falso, noi non avremmo comunque libero arbitrio: non avremmo libero arbitrio in alcun caso; è un'idea incoerente. Ma. tipicamente, personaggi del genere si sentono esonerati dal rispondere a chi chieda loro di giustificare le stesse convinzioni morali, spesso sostenute
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con forza, che continuano a guidarli nell'agire. Dove ci conduce un atteggiamento del genere? Che significato possiamo dare, in quest'ottica, alla lotta, alla lode, al biasimo nel mondo degli uomini? Nel capitolo l abbiamo già visto la spirale che a questo punto si spalanca nell'abisso. C'è qualche seria alternativa a tale minaccioso nichilismo morale? (Quelli tra di voi che sentono di essere dei deterministi radicali potrebbero scoprire nei capitoli seguenti che questa concezione, attentamente ponderata, porta a considerare che, se il libero arbitrio - nel senso in cui voi intendete il termine - non esiste, c'è qualcosa di piuttosto simile al libero arbitrio, e questo qualcosa cade proprio a fagiolo per permettervi di puntellare le vostre convinzioni morali, consentendovi di tracciare quelle distinzioni che avete bisogno di fare. Un esito così dolce del determinismo radicale, forse, è diverso solo per la terminologia dal compatibilismo, la prospettiva appunto per cui libero arbitrio e determinismo sarebbero, in fondo, compatibili- che è la prospettiva che sto difendendo in questo libro.)
libero arbitrio in senso libertario non sono vincolati per ciò stesso a questa o quella concezione particolare dei poteri che lo Stato dovrebbe esercitare nei confronti dei cittadini. Concordano sul fatto che il libero arbitrio si fondi sull'indeterminismo; ma poi si schierano su posizioni nettamente diverse o rivali quando devono analizzare l'intoppo che ho appena menzionato: in che modo, appunto, l'indeterminismo a livello subatomico potrebbe portare al libero arbitrio? Un gruppo dichiara semplicemente che il problema deve risolverlo qualcun altro, che esso è compito dei neuroscienziati, forse, o dei fisici. Il loro compito, invece, consisterebbe solamente nello studiare i vincoli top-down della responsabilità morale: perché un agente umano possa essere ritenuto propriamente responsabile di aver fatto qualcosa, si deve poter stabilire se la scelta dell'agente possa essere stata determinata, o no, dall'insieme totale delle condizioni fisiche che erano presenti prima che questa venisse fatta. "Noi filosofi siamo responsabili di stabilire le specifiche per definire un agente libero; lasciamo il problema dell'implementazione di queste specifiche ai neuroingegneri." Un altro gruppo, più esiguo, ammette che siffatta divisione del lavoro non sarebbe sempre una buona idea: la coerenza stessa delle specifiche libertarie viene messa in dubbio dalle difficoltà che si incontrano quando si cerca di implementarle. Inoltre, ci si è accorti come il tentativo di sviluppare una spiegazione in positivo della natura indeterministica delle scelte umane procuri vantaggi che sono indipendenti dalla presunzione dell'indeterminismo. Fino a oggi, il tentativo migliore è quello di Robert Kane, in un libro del1996, The Significance o/ Free Will. 1 Kane sostiene che solamente una spiegazione libertaria potrebbe garantire quelle caratteristiche del libero arbitrio che noi - alcuni di noi, almeno - desideriamo mantenere, e che lui mette sotto l'etichetta di Responsabilità Ultima. Illibertarismo esordisce con un'asserzione che ormai conosciamo bene: se il determi-
Libertarismo: Noi possediamo libero arbitrio, quindi il determinismo deve essere falso; l'indeterminismo è vero. Dal momento che, grazie alla fisica dei quanti, il punto di vista dominante oggi tra gli scienziati è che l'indeterminismo sia vero (a livello subatomico e, di conseguenza, anche a livelli superiori, sotto varie condizioni specifiche), questo esito potrebbe sembrare una felice soluzione del problema; ma c'è un intoppo: come si può estendere l'indeterminismo della fisica dei quanti al punto di ottenere una chiara e coerente descrizione di un agente umano in grado di esercitare questo magnifico libero arbitrio?
Sia chiaro: questa accezione del termine libertarismo non ha nulla da spartire col senso politico della parola. Probabilmente, sono più i filosofi di sinistra che quelli di destra a schierarsi a difesa di questa corrente di pensiero; ma solo perché ci sono, probabilmente, più filosofi di sinistra, in generale. Potrebbe anche darsi, però, che politici di destra, che abbiano riflettuto sul problema, tendano a favorire la visione libertaria del libero arbitrio, e che ne siano attratti i conservatori, per esempio i tradizionalisti in religione, se non altro perché considerano ripugnante qualsiasi alternativa; ma i sostenitori del 132
l. Seguito da una risposta ai critici apparsa in "Responsibility, luck and chance: reflections on free will an d indeterminism" (Kane, 1999).
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nismo è vero, allora ogni decisione che prendo, come ogni respiro che emetto, non è che un effetto, in fondo, di una catena causale che riconduce nel passato, fino a un momento in cui io non ero ancora nato. Nel capitolo precedente ho sostenuto che determinazione non è sinonimo di causalità; ho mostrato, in particolare, che il sapere che un sistema è deterministico non ci dice nulla circa la presenza di un'interessante relazione di causalità, o circa la mancanza di tale relazione, tra gli eventi che accadono al suo interno; ma la mia è una conclusione discutibile, che sfida una lunga tradizione. Alcuni potrebbero interpretarla, al più, come un'eccentrica raccomandazione su come usare il termine "causa''; quindi, !asciamola momentaneamente da parte e vediamo che succede se ci allineiamo invece alla tradizione e trattiamo il determinismo come se fosse la tesi che sostiene che un qualsiasi stato di cose causi lo stato di cose successivo. Come molti hanno sostenuto, allora, se le mie decisioni sono il frutto di una catena causale di eventi che risale a prima della mia nascita, posso venire giudicato causaimente responsabile per le conseguenze delle mie azioni nello stesso modo in cui un tronco d'albero che cade durante una tempesta di vento può ritenersi causalmente responsabile della morte delle persone su cui precipita; ma, ovviamente, il tronco, che ha resistito quel tanto che poteva, non ne ha colpa, come non ne ha il vento che ha soffiato tanto impetuosamente, o l'intera pianta che è cresciuta troppo vicino al sentiero. Per potermi ritenere moralmente responsabile, dovrei essere io la sorgente ultima delle mie decisioni, e ciò può essere vero solamente quando nessuna influenza precedente si può ritenere sufficientemente forte da modificare l'esito delle mie decisioni che, quindi, "dipenderebbero veramente da me''. Harrv Truman teneva una targa sulla sua scrivania nello studio ovale della Casa Bianca che è diventata famosa: "Mi prendo io la responsabilità".2 La mente di un essere umano deve essere il po-
sto dove egli si prende la responsabilità, dice Kane, e solo illibertarismo può garantire questo tipo di libero arbitrio, il tipo che ci dona la Responsabilità Ultima. Una mente è un'arena di "(scelte, decisioni, o sforzi) volontari" e: Se queste pulsioni fossero a loro volta causate da qualcos'altro, in modo che la catena esplicativa si potesse ricondurre ulteriormente al passato, all'ereditarietà o all'ambiente, a Dio, o al Destino, allora la Responsabilità Ultima non ricadrebbe sugli agenti ma su qualcos' altro. (Kane, 1996, p. 4)
I libertari devono trovare un modo per spezzare minacciose catene causali di questo genere all'altezza dell'agente, nel momento cioè della decisione e, come lo stesso Kane ammette, l'archivio dei modelli libertari sviluppati sino a oggi è, di fatto, un vero e proprio museo degli orrori. "I libertari hanno fatto ricorso a centri di potere transempirici, ego non materiali, sé noumenici, cause non-agenti e a una congerie di altri agenti ad boe le cui operazioni non erano mai spiegate chiaramente" (p. 11). Il programma di Kane è appunto quello di porre riparo a tale sequela di insuccessi. Prima di analizzare il suo tentativo, comunque, è opportuno notare come alcuni libertari non vedano in tutto quanto si è detto fallimento alcuno. Dualisti incorreggibili e altre categorie di pensatori abbracciano, anzi, l'idea che solo una sorta di miracolo possa fare di loro esseri dotati di libero arbitrio. Se lo sentono nelle ossa, con in discutibile certezza, che il libero arbitrio, quello vero, in un mondo materialistico, meccanidstico, "riduzionistico" sarebbe assolutamente impossibile- e tanto peggio per la visione da materialisti! Prendiamo in considerazione, per esempio, la dottrina nota sotto il nome di "causalità efficiente". Roderick Chisholm, l'architetto capo della versione contemporanea di questa concezione piuttosto vecchia, la definisce così:
here"; frase coniata da Harry Truman dall'espressione "pass the buck" scancare un problema, una responsabilità. Deriva dall'uso, nel gioco del di mettere un coltello, di solito con il manico di corno (buckborn davanti al giocatore cui tocca dare le carte. [NdTJ
"Se siamo responsabili [. .. ], allora abbiamo una prerogativa che qualcuno attribuirebbe solamente a Dio: ognuno di noi, quando è un primo motore immobile. Nel fare quello che facciamo, noi causiamo l'occorrenza di certi eventi, e
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2. "The buck
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niente- o nessuno- causa il nostro causare l'occorrenza di questi eventi. (Chisholm, 1964, p. 32)
zioni estreme che, in realtà, sono già vulnerabili per la loro stessa iperbolicità. L'assolutismo in filosofia è, però, un rischio professionale, dal momento che posizioni radicali, molto nette, sono più facili da definire con chiarezza, sono più agevoli da memorizzare e tendono ad attirare più attenzione. Nessuno è mai diventato un famoso filosofo per essere stato un campione di ibridismo ecumenico. Nella questione del libero arbitrio, questa tendenza viene amplificata e sostenuta dalla sua stessa tradizione: come hanno dichiarato i filosofi per due millenni, o siamo in possesso di libero arbitrio o non lo siamo; o tutto o niente. Le varie proposte di compromesso, i suggerimenti che il determinismo potrebbe essere compatibile con almeno alcune tipologie di libero arbitrio sono sopravvissuti solo come cattivi esempi di compromesso intellettuale, se non come pericolosi sowertimenti dei fondamenti della morale. I libertari hanno a lungo insistito che le tipologie di libero arbitrio compatibilistiche, che descrivo e difendo in questo libro, non hanno niente a che fare con l'oggetto reale, ma che sono al più un ''misero sotterfugio", per utilizzare un' espressione fin troppo citata di Immanuel Kant. Ma questo gioco allo svilimento si può fare dalle due parti. Osservate. Secondo il nostro punto di vista di compatibilisti, i libertari sembrano intendere che si possa avere libero arbitrio solamente se si è in grado di partecipare a quella che potremmo chiamare una levitazione morale. Non sarebbe meraviglioso poter levitare -anzi, volare via in qualsiasi direzione- con un mero schiocc? delle dita? Mi piacerebbe davvero farlo, ma non ci riesco. E impossibile. Non esistono cose tanto prodigiose come esseri umani in grado di levitare; ma ci sono, però, alcuni oggetti in grado di quasi-levitare molto bene: mi vengono in mente i colibrì, gli elicotteri, i dirigibili e i deltaplani. La quasi-levitazione, tuttavia, non è sufficiente per i libertari che dicono:
Ma come facciamo "noi" a causare l'occorrenza di questi eventi? Come può un agente essere la causa di un effetto senza che ci sia un evento (presumìbilmente nell'agente) che sia la causa di questo effetto (e che sia a sua volta l'effetto di una causa antecedente, e così via)? Siffatta "causalità efficiente" è una dottrina francamente misteriosa, che postula l'esistenza di qualcosa di incomparabile a qualsiasi altra cosa scopriamo nei processi causali delle reazioni chimiche, della fissione o della fusione nucleare, dell'attrazione magnetica, degli uragani, dei vulcani, o di processi biologici come il metabolismo, la crescita, le reazioni immunitarie e la fotosintesi. Esiste mai qualcosa di simile a ciò che postula la dottrina della causalità efficiente? Quando i libertarì insistono che deve esserci qualcosa, fanno il gioco dell'altro schieramento, cioè dei deterministi radicali, che sono ben lieti di lasciare che sia la definizione intransigente di libero arbitrio voluta dai libertari a fissare i termini del confronto, in modo da poter dichiarare, con la scienza come alleata, tutto il peggio possibile del libero arbitrio. Constato come tutti coloro, che accettano come ovvio il fatto che il libero arbitrio sia un'illusione tendano ad adottare la loro definizione di libero arbitrio da modelli radicali di causalità efficiente. Questo bipolarismo, probabilmente, è inevitabile. Quando la posta è alta, si dovrebbe andare molto cauti; ma un eccesso di cautela porta a irrigidire le posizioni e crea un senso di paranoia da ''erosione". Se non siete parte della soluzione, siete parte del problema, come si usa dire in tali casi. Attenzione, al primo anello della catena, a non finire in un baratro insidioso. Se date loro un dito, vi prendono il braccio. La cautela, inoltre, può condurre persino a una sorta di involontaria autocaricatura. Questi radicali, nel loro zelante tentativo di proteggere qualcosa di prezioso, a volte decidono di scavare la trincea troppo avanti, convinti che sia più sicuro difendere troppo che rischiare di difendere troppo poco. Il risultato è che si trovano a cercare di difendere l'indifendibile, arroccati su posi-
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Se i vostri piedi toccano la terra, la decisione non è veramente vostra - in realtà, è una decisione del pianeta Terra. La decisione non è presa da voi, ma è piuttosto la mera somma di treni di cause che si incrociano nel vostro corpo, una semplice
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asperità mobile sulla superficie del pianeta, colpita da influenze. di cui è responsabile la gravità. La vera autonomia, cioè la vera libertà, richiede che chi sceglie sia per così dire sospeso, isolato dal tira e molla di tutte queste cause, in modo che nell'istante in cui delle decisioni, queste non siano prodotte da nient'altro che da lul!
come attori su un palco, recitiamo le nostre battute con apparente convinzione, commettiamo i nostri "crimini" con eleganza o in modo goffo, ma sempre come è stato stabilito in cabina di regia. Convincente, non è vero? Ma falso. Probabilmente, il modo migliore di arrivare alla sorprendente conclusione che questa prospettiva è semplicemente erronea una reazione di panico non giustificata minimamente dalle premesse del determmlsmo è dare alla parte avversa la possibilità di sparare il suo colpo migliore, spiegandoci che cosa d concederebbe tra le genuine possibilità di scelta. La sfida che Kane affronta è quella di descrivere un modo di trasformare le nostre procedure decisionali apparenti in procedure decisionali reali, e vuole farlo senza postulare l'esistenza di alcuna entità soprannaturale o forma misteriosa di agente. Come me, anche lui è un naturalista che assume che noi siamo tutti delle creature che rientrano nella classificazione naturale e la cui attività mentale dipende dalle operazioni che hanno luogo nel nostro cervello. Tale assurdo naturalistico di fondo pone alcune questioni che vale la pena presentare. (Nei capitoli a venire analizzeremo più da vicino ciò che hanno da dire le neuroscienze cognitive e la psicologia contemporanea sui processi decisionali, per vedere quanto diventino interessanti le cose quando ci facciamo più ambiziosi e proviamo ad arricchire il problema di più dettagli.)
Quelle descritte sopra sono le caricature. Hanno una loro funzione; ma adesso torniamo seri ed esaminiamo il tentativo, audace e ostinato dì Kane di tappare le falle, per presentare un modello libertario del processo decisionale responsabile. Riconoscendo che "libertà è termine che ha molti significati", Kane ammette che "anche se vivessimo in un mondo detenninistico, potremmo distinguere in modo significativo persone che sono libere da cose come impedimenti fisici, tossicodipendenza o nevrosi, coercizione o persecuzione politica, da persone che non sono libere da tutto ciò, e converremmo che tali libertà sono preferibili alle loro negazioni, anche in un mondo deterministico" (Kane, 1996, p. 15). Quindi, alcune libertà che vale la pena desiderare sono compatibili con il determinismo, ma "i desideri degli uomini trascendono" queste libertà; anzi, "c'è almeno un tipo di libertà che è incompatibile con il determinismo, ed è un tipo significativo di libertà che vale la pena desiderare". Si tratta del "potere di essere i creatori ultimi e i sostenitori dei nostri propri fini o scopi" (p. 15). Si suppone, comunemente, che in un mondo deterministico non ci siano possibilità di scelta reali, ma solo possibilità apparenti. Ho mostrato nei due capitoli precedenti come questo punto di vista sia a sua volta illusione; ma se lo è, è anche incredibilmente resiliente e attraente. Se il determinismo è vero, allora in ogni istante esattamente un solo futuro fisicamente possibile; quindi, dal momento che ogni scelta è già stata determinata, tutta la vita non è altro che lo svolgimento di un copione che è stato scritto all'alba dei tempi. Senza genuina possibilità di scelta, senza alcun punto di diramazione nella traiettoria che rappresenta la nostra storia, sembra difficile poterei ritenere autori delle nostre azioni; siamo piuttosto
Una leggendaria recensione inizia così: "Questo libro riempie una lacuna di cui c'era veramente bisogno". Che il critico volesse dire ciò che ha scritto o meno, Kane ha veramente bisogno di una lacuna (gap), di uno iato nel determinismo, e vuole collocarlo nel cervello, in quella che chiama la facoltà di ragion pratica. Descrive tale facoltà nei termini dei suoi input, dei suoi output e di ciò che a volte succede durante il processo che trasforma gli input in output (si veda la figura 4.1 ). Questi tre fenomeni sono distinti da Kane come tre sensi di volontà:
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Dove dovremmo inserire la lacuna di cui si sente così il bisogno?
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(i) volontà desiderativa o appetitiva: ciò che voglio, desidero o preferisco fare
Kane delinea un esempio per farci vedere siffatto sistema in azione: consideriamo il caso di una donna d'affari "che si sta recando a una riunione cruciale per la sua carriera e che scopre un'aggressione in un vicolo. Ne consegue una lotta interiore tra la sua coscienza morale, che la spinge a fermarsi e a chiamare aiuto, e le sue ambizioni di carriera, che le dicono che non può perdere la riunione" (Kane, 1996, p. 126). Egli arrischia l'idea che questa lotta intestina possa dare vita a due "reti neurali ricorrenti e connesse" - una per ogni faccia del problema. Tali due reti neurali interconnesse si mandano reciprocamente dei feedback, interagendo in svariati modi, interferendo l'una coll'altra, e in genere dibattendosi nella lotta fino a quando una delle due non vince il braccio di ferro, e a quell'istante il sistema si assesta, emettendo una decisione.
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(ii) volontà razionale: ciò che scelgo, decido o intendo fare (iii) volontà combattiva: ciò che provo, tento o faccio uno sforzo di fare. (Kane, 1996, p. 26)
Semplificando, la volontà di tipo (i) fornisce l'input alla facoltà di ragion pratica, la quale produce come risultato, quando tutto va bene, il tipo (ii) di volontà. Quando c'è una tensione all'interno di tale dispositivo decisionale, abbiamo il tipo (iii), che implica sempre una resistenza, genera una lotta o almeno una fatica elevata. Tutto ciò suona molto familiare e corretto. Quando siamo indecisi, imbottiamo la nostra mente con qualsiasi preferenza pertinente o desiderio che abbiamo (i), ci facciamo venire a mente tutti i fatti rilevanti o tutte le credenze, e poi rimuginiamo. Il nostro rimuginare, tranquillo o sofferto (iii), termina alla fine con una decisione (ii). "Se c'è indeterminazione nel libero arbitrio, dal mio punto di vista, deve emergere da qualche parte tra l'input e l'output" (Kane, 1996, p. 27). DESIDERI, PREFERENZE, ...
RAGIONAMENTO PRATICO ({"VOLONTÀ
COMBATTIVA"))
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Simili reti mettono in circolo impulsi e informazioni in cappi di feedback e hanno generalmente un ruolo nei complessi processi cognitivi del cervello, del tipo che ci si aspetterebbe di trovare nei processi umani di deliberazione. Inoltre, le reti ricorrenti sono non lineari, idonee quindi (come fanno pensare alcune ricerche recenti) alla possibilità di attività caotica [corsivo mio- oco], che contribuirebbe a quella plasticità e a quella flessibilità che il cervello umano dispiega nella soluzione creativa di problemi (di cui la deliberazione pratica è un esempio). L'input di una di queste reti ricorrenti è costituito dalle motivazioni morali della donna, e l'output dalla scelta di tornare indietro; l'input dell'altra è rappresentato dalle sue ambizioni nel mondo del lavoro, e il suo output è dato dalla scelta di andare alla riunione. Le due reti sono connesse tra loro, in modo che l'indeterminismo che rende incerto [corsivo mio- oco] che lei scelga di fare ciò che le sue spinte morali le suggeriscono proviene dal suo desiderio di fare l'opposto, e viceversa- l'indeterminismo emerge, come abbiamo detto, da un conflitto nella volontà. (Kane, 1996, pp. 225-226)
Figura 4.1 Facoltà del ragionamento pratico.
Prima di procedere oltre, dobbiamo distinguere due aspetti che in questo passaggio vengono confusi assieme. L'"attività caotica'' che Kane menziona qui è il caos deterministico, l'im-
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DECISIONI, INTENZIONI, ...
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predicibilità pratica relativa a certi fenomeni che sono comunque descrivibili con la semplice, vecchia fisica newtoniana. Come anche Kane ammette, due reti che interagiscono in modo caotico non creerebbero, in sé, alcuna forma di indeterminismo; quindi, se c'è una qualsiasi forma di "indeterminismo che rende incerta" la scelta, deve provenire da qualche altra parte. Ecco il punto cruciale. Kane non è il solo a vedere l'importanza del caos nei processi decisionali, ma è una sua idea quella di integrare il caos con un pizzico di casualità quantistica, seguendo, come altri, le orme di Roger Penrose (1989, 1994 ). Il punto che dobbiamo considerare è se gli ingredienti aggiuntivi di Kane abbiano svolto un qualche ruolo importante, e per fare questo dobbiamo chiarire che cosa sia un fenomeno caotico. Consideriamo la mostra dei cuscinetti a sfera della Hyatt New Departure. Il Museo della Scienza e della Tecnologia di Chicago ha esposto per anni una gabbia di vetro nella quale, ora dopo ora, si svolgeva un fenomeno sorprendente. Questo exhibit, donato da una branca della Generai Motors, mostrava una parata senza fine di piccole biglie di acciaio che rotolavano fuori da un minuscolo foro posto nella parete posteriore dell' exhibit, cadevano dopo alcune decine di centimetri sulla testa tirata a lucido di una splendida "incudine" cilindrica d'acciaio di forma perfetta, rimbalzavano nuovamente in aria per passare attraverso un anello che ruotava sul proprio asse come una moneta fatta girare sul ripiano del tavolo (così che il calcolo del ritmo dei balzi attraverso l'anello rotante doveva essere squisitamente preciso), per poi rimbalzare su un secondo "cilindro" e infilarsi in un piccolo foro posto nel retro della gabbia, attraverso cui tutte le biglie uscivano in modo preciso: un rimbalzo, un rimbalzo, un sibilo, un rimbalzo, un rimbalzo, un sibilo, così per centinaia di volte ogni ora. La didascalia spiegava: "Questa macchina dimostra la precisione della lavorazione e l'uniformità delle proprietà fisiche delle biglie usate nella produzione dei cuscinetti a sfera". Una volta posizionati in modo appropriato i due cilindri, l'exhibit andava avanti per giorni senza interruzione, ogni biglia seguiva esattamente la traiettoria di
quella che l'aveva preceduta, mostrando un processo deterministico perfettamente predicibile e affidabile; una dimostrazione potente della capacità delle proprietà fisiche di un sistema di determinarne il destino - almeno nel caso che si tratti di una piccola biglia di acciaio. Tutta questa predicibilità potrebbe però essere distrutta semplicemente raddoppiando il numero delle incudini "cilindriche" (in modo da far fare a ogni biglia quattro rimbalzi prima di farla uscire di scena) e ruotandole sul lato, in modo da far rimbalzare le biglie sulle pareti curve delle "incudini" e non sulla loro testa ultra piatta. I margini di errore concessi nella lavorazione delle biglie e nell'orientamento dei cilindri si assottiglierebbero, quasi al punto di scomparire, diventando vicinissimi a zero.' La semplice presenza di astanti dall'altra parte della vetrina creerebbe un'interferenza gravitazionale sufficientemente variabile da sconvolgere i calcoli più esatti e da indurre molte biglie a mancare la loro destinazione finale! Questo tipo di caos è deterministico, ma non per questo è meno interessante; come dice Kane, potrebbe anzi contribuire "a quella plasticità e a quella flessibilità che il cervello umano dispiega". N egli ultimi anni, le potenzialità di questo genere di caos, e più in generale della "non linearità", sono state esplorate e ampiamente dimostrate impiegando molte delle simulazioni a cui allude anche Kane. Alcune di queste ricerche sono state salutate da certi critici come campane a morto per l'Intelligenza Artificiale o, più precisamente, per quella variante mangia-simboli nota come GOFAl - Good Old Fashioned Artificial Intelligence (Haugeland, 1985); e si è prodotta l'impressione, nei più vari ambienti, che le reti neurali non lineari avessero poteri meravigliosi, totalmente fuori dalla portata dei semplici computer, e dei loro delicati, gorgoglianti programmi algoritmici. Ma ciò che molti dei supporter delle reti neurali si sono lasciati sfuggire è che gli stessi modelli cui ricorrono per la dimostrazione delle loro tesi non sono altro che simulazioni al computer, non solo strettamente
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3. Il fisico Michael Berry ( 1978) ha svolto i calcoli per predire le traiettorie delle biglie di acciaio che rimbalzano sugli ostacoli rotondi nei t1ipper. Tre rimbalzi ci portano oltre i limiti del calcolo oggi fattibile.
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deterministiche ma anche, nell'antro buio della loro sala motori, algoritmiche. Non sono algoritmiche solamente allivello più alto. (Può il tutto essere "più libero" delle sue parti? Ecco uno dei modi in cui può esserlo.) Anche un commentatore scaltro come Paul Churchland può cadere in questa trappola attraente. Nel suo (giusto) tentativo di contrastare la mossa di Roger Penrose di arruolare la fisica dei quanti contro i tetri algoritmi dell'lA, Churchland scrive:
spiegare i notevoli poteri di queste reti simulate; in entrambi i casi, ciò che si sta svolgendo al microlivello è un processo deterministico, digitale e algoritmico. Gli stessi modelli su cui Churchland esprime un giudizio tanto positivo sono implementati come programmi di computer- algoritmi, dal punto di vista dei limiti computazionali. Quindi, a meno che non voglia ripudiare i suoi esempi favoriti, Churchland deve ammettere, dopotutto, che i processi algoritmici possano esibire quei poteri che egli pensa siano cruciali per poter fornire una spiegazione delle capacità mentali. Allora, però, la sua dichiarazione che le reti neurali hardware sono non algoritmiche, anche se fosse vera, non avrebbe alcun ruolo nella giustificazione della potenza che queste reti esibiscono- dal momento che le loro approssimazioni algoritmiche hanno tutta la potenza necessaria} Gli agenti elementari del Mondo della Vita considerati nel capitolo 2 e i programmi per gli scacchi analizzati nel capitolo 3 erano entrambi digitali e deterministici, e quindi, grazie a tutte le loro potenzialità extra, sono simulazioni computerizzate di reti neurali non lineari. L'ingrediente ulteriore di Churchland - l'hardware al posto del software della macchina virtuale - non aggiunge nulla alle potenzialità delle reti neurali. Se lo fa, comunque, nessuno ci ha mai fornito alcuna ragione per crederlo.' Può l'ingrediente ulteriore di Kane -l'indeterminismo a livello quantistico - fare qualcosa di più? Per ri-
Non c'è bisogno di andare a cercare cosi lontan:.J, cioè di arrivare al mondo quantistico, per trovare un ricco dominio di processi non algoritmici. I processi che hanno luogo entro una rete neurale hardware [corsivo mio- DCD] sono tipicamente nonalgoritmici, e costituiscono la massa centrale dell'attività computazionale che si sviluppa entro la nostra testa. Sono non algoritmici in senso molto netto: non consistono in una serie di stati fisici discreti che devono essere attraversati uno dopo l'altro, seguendo le istruzioni di un insieme di regole per manipolare i simboli immagazzinati in memoria. (Pau! Churchland, 1995. p. 266)
Notate, in questo brano, l'inserimento della parola "hardware". Senza quella parola, ciò che Churchland afferma sarebbe falso. In realtà, tutti i risultati che riporta (NETTalk, le reti di Elman che apprendono la grammatica, EMPATH di Cottrell e Metcalfe, e altro) non sono ottenuti da "reti neurali hardware", ma da reti neurali virtuali simulate su computer tradizionali. Quindi, a un livello basso, ognuna di queste dimostrazioni consiste in realtà di "una serie di stati fisici discreti che devono essere attraversati uno dopo l'altro, seguendo le istruzioni di un insieme di regole per manipolare i simboli immagazzinati in memoria". Questo, ovviamente, non è il livello al quale dobbiamo spiegare il loro funzionamento, ma è un livello algoritmico. Niente di ciò che fanno questi programmi trascende i limiti della computabilità di Turing. Esattamente come quando siamo ricorsi al livello dei giocatori di scacchi per spiegare le differenze di potenza dei due programmi A e B nel capitolo 3, dobbiamo ora porci allivello dei modelli delle reti neurali per
4. Questo paragrafo è tratto, con delle modifiche, da Densmore, Den· nett (1999). 5. Ci potrebbe essere una ragione, implicita nella mia analisi del ruolo delle collisioni nella creatività nel capitolo 2. Potrebbe darsi che nessuna simulazione computerizzata fattibile, nessun mondo virtuale tanto piccolo da essere rappresentabile, possa mai contenere la mistura di rumore e quiete necessaria per poter avere un potere creativo aperto. Questo po· trebbe anche non essere un punto pertinente alla tesi di Churchland sulle reti neurali. ma potrebbe essere vero. Il lavoro di Adrian Thompson (per esempio, Thompson et al., 1999) sull'elettronica evolutiva arriva alla conclusione, da una prospettiva diversa, che il software non riesca sempre a sostituire correttamente l'hardware nell'esplorazione dello spazio dei pro· getti. Thompson ha creato chip per computer forniti di abilità che non dipendono dalla loro capacità di maneggiare software, ma si basano invece su interazioni non progettate che agiscono a livello microfisico e che pos· sono venire selezionate con i metodi dell'evoluzione artificiale.
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spandere alla domanda, dobbiamo analizzare i dettagli della sua alternativa. Dove e come Kane inserisce l'indeterminismo che tanto desidera?
Il modello di Kane del processo decisionale indeterministico Che cosa dovrebbe fare la facoltà del ragionamento pratico, e come dovrebbe farlo? Quali sono le specifiche, come direbbe un ingegnere, di questo strumento decisionale? Kane ci dice che dovrebbe in qualche modo distinguere il grado di importanza delle diverse motivazioni, e delle preferenze che so ttendono tale importanza, e di volerne capovolgere l'ordine a favore della ragione dell'agente che "vuole agire sulla base di più ragioni di quante ne abbia (per agire diversamente)". Egli aggiunge ancora la clausola che casi indovinati e riusciti della facoltà in azione non dovrebbero emergere come risultato di coercizioni o costrizioni (Kane, 1996, p. 30). Kane, volutamente, lascia aperta fin dall'inizio la questione se la facoltà operi o no in modo deterministico, poiché intende sostenere la tesi che, affinché un libero arbitrio di stampo libertario emerga da questa facoltà, sia necessario introdurre la caratteristica aggiuntiva dell'indeterminismo. Per analizzare le specifiche della facoltà del ragionamento pratico, è bene andare oltre le condizioni minime di Kane e considerare alcuni aspetti di quel tipo di incompetenza che nessuno di voi vorrebbe che questa vostra facoltà esibisse. (l) Non dà alcun risultato- si è semplicemente rotta. Non siete in grado di pensare a che cosa fare dopo.
(2) Ha una larghezza di banda troppo esigua (non può manipolare contemporaneamente tutto ciò che volete o desiderate o preferite, e getta tutto via, incapace di digerire l'immensa mole dell'input). Ci mette troppo a fornire l' output adatto al mondo in cui vivete. (3)
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(4) Incappa nel problema di Amleto (un loop infinito) e ritarda indefinitamente la comunicazione dell' output.
(5) Non è in grado di funzionare con particolari tipi di input (consigli della mamma, propositi patriottici, situazioni di sesso, questioni di proprietà, ecc.). (6) Vi dà l' output sbagliato per determinati input (per esempio, voi preferite in modo esplicito i diritti umani all'avere un gelato all'istante t, ma la vostra facoltà decide di comperare un gelato piuttosto che mettere i soldi nella scatola per le offerte di Amnesty International). Quest'ultimo punto solleva l'interessante questione della debolezza della volontà, e della volontà combattiva- il tipo (iii) di Kane -,problema che emerge quando ci sono delle resistenze e si deve pur concedere qualcosa. Dove si colloca l'attrito di questo meccanismo? All'esterno della facoltà o al suo interno? L'esempio riportato nel punto (6) colloca l'attrito all'interno della facoltà, aprendo la via a uno slittamento non inteso tra l'input e l'output: voi giungete a prendere una decisione non voluta. Apparentemente, però, esiste un altro genere di caso: il vostro ragionamento pratico funziona perfettamente e voi decidete di devolvere il vostro denaro per i diritti umani, ma (maledizione!) l'attrito slitta subito dopo aver preso la decisione, e voi finite per comperarvi un gelato invece di fare quello che avevate deciso di/are (si veda la figura 4.2). Questi sono veramente due casi diversi? Se è così, che differenza c'è, e perché è importante? Quando una decisione è veramente una decisione? Questo non è l'unico problema di demarcazione che incontreremo. Che cosa succederebbe se la vostra facoltà di ragionamento pratico vi fornisse differenti output correlati a uno stesso identico input? Si tratterebbe di un difetto? Di solito, desideriamo che i sistemi si rivelino affidabili, il che significa che facciamo affidamento sul fatto che a ogni possibile input il sistema ci darà sempre lo stesso output- il rniglior output, qualunque esso sia. Considerate il vostro calcolatore da tasca come un esempio di questi sistemi affidabili. Talvolta, però, quando 147
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l'output migliore non è definibile o quando vogliamo specificamente che il sistema introduca variazioni "casuali'' nel supersistema circostante, siamo soddisfatti che il sistema ci restituisca, per uno stesso input, output differenti. Il modo abituale per ottenere un comportamento del genere è quello di inserire un generatore di numeri pseudocasuali nel sistema, facente funzione del lancio di una moneta (in grado di produrre, a richiesta, uno O o un l) o del lancio di un normale dado a sei facce (in grado cioè di produrre, a richiesta, un numero da 1 a 6) o il giro di una ruota della fortuna (in grado di produrre, a richiesta, un numero da 1 a n). Kane, però, vuole qualcosa di meglio della pseudocasualità. Egli vuole una casualità genuina, e propone di attenerla ipotizzando la presenza di un qualche tipo di amplificatore di fluttuazioni quantistiche nei neuroni. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, questo tipo di aggiunta non renderebbe affatto il suo modello più flessibile o aperto, non gli permetterebbe di migliorarsi o di apprendere più facilmente. Non darebbe al
suo sistema alcuna opportunità che già non avrebbe con un generatore di numeri pseudocasuali funzionante, ma non è questo il punto. Il punto di Kane è metafisica, non pratico. In ogni caso, vorreste veramente che la vostra facoltà di ragionamento pratico vi fornisse differenti output per uno stesso input? Anche in tale evenienza siamo di fronte a un altro problema di demarcazione. Che cosa consideriamo come input? La facoltà contiene lei stessa la storia delle sue precedenti attività o è una macina priva di contenuto, un processare che deve ricevere (parte del) la storia da una memoria esterna? (Si veda la figura 4.3 .) Sicuramente, non vorreste una facoltà di ragionamento pratico tanto rigida da prendere ogni giorno sempre le stesse decisioni - per esempio, decidendo sempre per un panino al prosciutto per pranzo. Ma se considerassimo fatti disponibili per l'input anche quelli presi direttamente dalla memoria, in modo che uno degli input di oggi sia il fatto che avete mangiato un panino al prosciutto per due giorni di fila, ciò rendereb-
CJ
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RAGIONAMENTO PRAtiCO
RAGIONAMENTO PRATICO
Figura 4.2 Collocazione dell'attrito. dentro o fuori.
Figura 4.3 Collocazione della memoria, dentro o fuori.
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be la situazione di oggi un caso diverso da quella di ieri, qualunque cosa decidiate poi di mangiare. Dal momento che la gente ha una memoria capiente e una notevole sensibilità percettiva, le persone non sarebbero mai due volte nello stesso identico stato; così, potremmo disporre di una enorme quantità di variabilità nell' output delle nostre facoltà di ragione pratica, semplicemente alimentandola con gli input più vari circa lo stato presente e le circostanze attuali. Il vostro sistema di ragionamento pratico potrebbe essere tanto affidabile quanto lo è il vostro calcolatore tascabile, sempre determinato a fornire un output, in risposta all'input. per ogni valore di i, e sempre senza mai prendere la stessa decisione due volte ma solo perché il tempo continua a scorrere e il sistema non si confronta mai con lo stesso identico input in due occasioni diverse. "Ciò che è stato è stato, ora è diverso", come si usa dire. Come abbiamo visto nel capitolo 3, i programmi computerizzati per gli scacchi che giocano uno contro l'altro potrebbero non giocare mai la stessa partita due volte, anche senza mai mettere mano alla loro facoltà di ragione pratica, poiché tutte le variazioni sarebbero il risultato di modificazionì apportate ai loro input avvenute con lo scorrere del tempo. Potreste essere perfettamente coerenti, e nello stesso tempo percorrere tutta una mappa di possibilità, se lasciaste che le caratteristiche della mappa influenzino il vostro processo decisionale. Ora siamo pronti per affrontare la tesi centrale di Kane. Supponiamo che la vostra facoltà di ragionamento pratico, al contrario della configurazione deterministica appena descritta, sia equipaggiata con un in determinismo collocato "da qualche parte tra l'input e l'output". Questo indeterminismo è un baco del sistema o una sua proprietà? Come potremmo immaginare tutto ciò? Dovremmo fard un'idea di siffatta facoltà come di un qualcosa che contenga, come sottosistemi, uno o più moduli di ragionamento deterministico, ma che abbia pure dei visceri ìndeterministici? Se posizioniamo un generatore di numeri casuali, un "randomizzatore", fuori dalla facoltà (figura 4.4 ), allora si devono considerare i numeri casuali che questo genera come input della facoltà, e la facoltà dovrebbe trattarli esatta-
mente come ogni altro input: se è affidabile, deve essere in grado di fornire un output determinato da quell'input. Se, al contrario, collochiamo un generatore di numeri casuali all'interno della facoltà, per lasciare libera la facoltà di gestirsi i suoi input, allora gli output prodotti non sarebbero più determinati dai suoi input- ma tutto ciò che abbiamo fatto è stato semplicemente disegnare la linea di demarcazione in una differente collocazione funzionale.
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figura 4.4 Randomizzatore esterno.
Kane sostiene che l'indeterminazione dovrebbe essere "tra'' l'input e l'output, ma nulla ci vieta di chiedere perché mai l'indeterminazione non possa provenire da fuori, come parte dell'input. Che differenza potrebbe mai fare? Ho posto direttamente la domanda a Kane (mentre si discuteva di una stesura precedente di questo capitolo), e lui mi ha dato una risposta interessante: C'è una ragione per cui è tra l'input e l' output, e non proviene da fuori semplicemente come parte dell'input. La ragione è che quello che si suppone avvenga tra input e output è ciò che dipende dall'agente o dall'azione (nella forma del ragiona-
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mento pratico e degli sforzi che hanno come esito delle scelte). L'input (nella forma di disposizioni, credenze, desideri esimili) non è qualcosa che l'agente controlla qui e ora, sebbene parti di esso possano essere state il prodotto di ragionamenti, sforzi o scelte fatte in momenti precedenti. [ .. .] L'indeterminismo, collocato meramente allo stadio dell'input, non ci dà responsabilità robusta. L'indetermìnìsmo non deve essere solo un ingrediente di ciò che ci "viene in mente", ma anche di ciò che l'agente sta effettivamente facendo (ragionando, sforzandosi, compiendo scelte) per catturare interamente la concezione libertaria della responsabilità. Se gli input sono il risultato delle nostre azioni, tutto bene, ma se solamente ci capitano o accadono, questo non va più bene, nemmeno se tutto ciò accade per caso. (Kane, comunicazione personale) Kane vuole che l'indeterminismo sia il "risultato delle nostre azioni", più che la casualità che "semplicemente accade" nell'input. A questo si può facilmente provvedere: poniamo che la facoltà di ragionamento pratico mandi a prendere fuori una qualche casualità ogni volta che, nel mezzo del suo lavoro, incontri qualcosa che interpreta come un ostacolo di un qualsiasi tipo- una scelta imponderabile o una metascelta su quale direzione prendere o su che cosa pensare successivamente (figura 4.5). Quell'espediente, dal momento che la casualità è stata "chiamata in causa" come un risultato di attività specifiche della facoltà, non sarebbe semplicemente un fulmine a ciel sereno. Inoltre, l'uso che si farebbe della richiesta casualità dovrebbe essere determinato da attività costruttive della facoltà stessa. (Se decido di lanciare una moneta per stabilire dove cenare questa sera, il gesto è comunque una mia scelta; io ho /atto in modo che fosse una mia scelta.) Ma qui, ancora una volta, non stiamo facendo altro che titracciare la linea di demarcazione; qualunque cosa possa fornire una sorgente di casualità a bordo, può anche essere aggiunta all' input da una sorgente esterna di casualità che venga consultata ogni volta che è necessario. Come stiamo incominciando a capire, la metafora del recipiente si è rivelata, per Kane, qualcosa di molto laborioso. 152
Figura 4.5 Andar fuori a prendere la casualità.
Comunque, per amore di discussione, assumiamo che Kane possa fornire una buona ragione per distinguere sorgenti interne da sorgenti esterne di casualità. Installiamo l'indeterminazione all'interno della facoltà, tra input e output, seguendo le sue istruzioni, e poi installiamo la facoltà entro l'agente. Cosa succederebbe nella vita di tutti i giorni? Kane nota che scelte e decisioni, di solito, pongono fine ai processi di deliberazione o di ragionamento pratico, ma non è necessario che sia sempre così. Non abbiamo bisogno di escludere la possibilità di decisioni impulsive, prese su due piedi, o comunque repentine, decisioni che risolvono certe situazioni di indecisione ma che hanno pochissimo ragionamento alle spalle, se non nessuno. Però, nonostante si possano prendere decisioni impulsive o repentine, queste, nell'ottica del libero arbitrio, sono meno importanti delle decisioni che rappresentano la fine di un processo di deliberazione in cui si siano messe a confronto più alternative in modo ponderato. Infatti, in quest'ultimo caso noi siamo in grado di sentire nel modo migliore che abbiamo il controllo dell'esito della decisione e che avremmo anche "potuto fare diversamente". (Kane, 1996, p. 23) 153
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Quindi, otteniamo l'immagine di atti occasiona/i di scelta deliberata come di punti di svolta moralmente significativi -"essi rivestono un ruolo chiave" (p. 24)- che pongono le basi di abitudini e intenzioni per cui, in seguito, si agirà in modo piuttosto irriflessivo, ma pur sempre con responsabilità. Consideriamo l'esempio di una decisione repentina. Mia moglie mi chiede se andando al lavoro posso passare dall'ufficio postale per spedirle un pacco; io rispondo quasi istantaneamente che non posso, perché così arriverei in ritardo a un appuntamento con un mio studente. Ho fatto forse una scelta deliberata? Mi sono impegnato in un processo di ragionamento pratico? Questo non è un caso di procedura decisionale di forte responsabilità; piuttosto, è il genere di cose di cui sono composte le nostre vite morali (e immorali): centinaia di migliaia di scelte minori, decise in un attimo, di solito sullo sfondo di giustificazioni tacite e inarticolate. Sarebbe stato strano, se io avessi invece risposto così: "Ebbene, dal momento che tu sei mia moglie e noi ci siamo promessi solennemente aiuto reciproco, e dal momento che non riesco a rilevare alcun difetto o problema nella tua richiesta- non mi hai infatti chiesto di fare qualcosa di fisicamente impossibile, o illegale, o autodistruttiva, per esempio- c'è innegabilmente un'ottima ragione perché la mia risposta sia 'Sì, cara'. D'altra parte, ho detto a un mio studente che lo avrei incontrato alle nove e trenta e, considerando il traffico, soddisfare la tua richiesta vorrebbe dire !asciarlo aspettare per almeno mezz'ora. Potrei provare a chiamarlo e chiedergli licenza di ritardare l'appuntamento, ma forse non sarei in grado di raggiungerlo, e tra l'altro, la domanda più importante è se il fatto che io spedisca il pacco per te con tanta tempestività sia un incarico sufficientemente importante da legittimare l'inconveniente che gli causerei. L'appuntamento che ho preso è equivalente a una promessa che gli ho fatto, sebbene non sia una promessa che non si possa rompere in caso di ... ". Forse, è sorprendente notare che tutte queste considerazioni (e molte altre ancora!) hanno veramente contribuito, in qualche modo, a innescare la mia risposta. Come può essere? Ebbene, avrei dato ugualmente un giudizio
repentino tanto avventato, positivo o negativo, se mia moglie mi avesse chiesto se andando al lavoro, per favore, potevo passare a strangolare il dentista, o buttarmi con la macchina giù da un dirupo? Se, in precedenza, avessi semplicemente detto al mio studente che intendevo essere in ufficio alle 9.30 per prendere un caffè (senza che ci fosse alcuna promessa esplicita o implicita), o se avessi lasciato l'ora dell'appuntamento più lasca, o se fossi stato al telefono con lui nel momento stesso in cui mia moglie mi chiedeva il favore, tutto ciò avrebbe modificato, sicuramente, la mia decisione istan· tanea. Anche una scelta rapida può essere straordinariamente sensibile a una miriade di caratteristiche del mio mondo che hanno cospirato nel tempo per creare la mia disposizione in quel momento. Kane è propenso ad ammettere che una disposizione mentale tanto complessa, che è più o meno in continua costruzione dentro di me sin da quando ero bambino, possa determinare il mio modo di rispondere in un simile caso e in tutti quei casi dove sembra che io non agisca sulla base di deliberazione. Ma, ancora una volta, si profilano all'orizzonte questioni di demarcazione. Dovremmo considerare la mia decisione istantanea come un qualcosa che proviene direttamente dalla facoltà di deliberazione (però, talmente veloce e privo di sforzo da lasciare "tacito" ogni dettaglio) o dovremmo invece vederla come il risultato di un'azione più diretta che emerge da una facoltà o da un sottosistema di livello "inferiore", lasciando la facoltà di deliberazione a riposo, in attesa di attivazioni occasionali di maggiore importanza? Ritengo sia meglio tracciare le linee (che sono, dopotutto, linee di analisi filosofica, non certo demarcazioni anatomiche ancora da scoprire) in modo che anche i giudizi istantanei vengano eseguiti, spontaneamente, entro e dalla facoltà di ragionamento pratico. Infatti, come vedremo, Kane sostiene che, laddove la lacuna (gap) dell'indeterminismo debba essere collocata all'interno della facoltà (tra input e output), la facoltà non si deve necessariamente servire dell'indeterminismo. Può anche operare in modo deterministico, anche quando abbia a che fare con decisio-
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ni morali caratterizzate da una posta molto alta. (Posso strangolare il dentista? Noo!) Kane si trova a suo agio con questo ruolo occasionale del determinismo entro la vita dell'agente morale, e ciò per diverse ragioni. In primo luogo, questo gli permette di trattare in modo realistico il caso di tali giudizi istantanei. Non è affatto plausibile sostenere che le consuetudini di una vita che rendono le nostre decisioni tanto prevedibili da affidare, loro la nostra stessa esistenza, siano, ciononostante, indeterministiche (eccetto che nel senso limitato in cui ci potrebbe essere una probabilità su un fantastilione che possano venire scompigliate). Pensate alla vostra abilità nel guidare in una strada statale, avendo a che fare con automobili che sulla carreggiata opposta, vi vengono incontro a una velocità anche di novanta chilometri all'ora. La vostra vita dipende dal fatto che gli autisti di quei veicoli non decidano, sebbene siano liberi di farlo, di irrompere improvvisamente nella vostra corsia spinti anche solo dalla curiosità di vedere quello che potrebbe così succedere. La tranquillità che mostrate quando percorrete la statale è un indice della vostra fiducia sulla prevedibilità dei comportamenti di questi altri guidatori sconosciuti. Loro potrebbero uccidervi in un insensato, suicida acte gratuit, ma voi non sareste disposti a pagare un dollaro (e nemmeno un centesimo) per avere l'opportunità di liberare l'altra corsia da tutte le macchine prima di mettervi in via. In secondo luogo, Kane necessita dell'aiuto del determinismo per affrontare un'obiezione molto più seria contro illibertarismo, un'obiezione che ho avanzato in Elbow Room: il caso di Martin Lutero.
un atto che commette semplicemente perché pensiamo che non poteva fare altrimenti. Qualunque cosa stesse facendo L utero, non stava cercando di sottrarsi alle sue responsabilità. (Dennett, 1984, p. 133)
Kane accetta che la decisione di L utero sia stata quanto di più diverso da una scelta istantanea, che sia stata certamente una decisione moralmente responsabile, e che ciò che Lutero abbia raccontato possa benissimo essere stato la verità: L utero non avrebbe potuto fare altrimenti; egli, in quel momento, era veramente costretto dalla sua facoltà di ragionamento pratico a "stare saldo". Il caso di L utero non è certo un tipo di situazione rara o di poca importanza. Come vedremo nei capitoli successivi, l'abitudine a prepararsi a compiere scelte difficili, in modo da essere costretti a fare la cosa giusta nel momento giusto, è segno distintivo di un maturo senso di responsabilità; Kane lo accetta. Anzi, egli costruisce la sua spiegazione del libero arbitrio intorno all'idea che per ognuno di noi, agenti moralmente responsabili, ci debbano essere state delle occasioni relativamente rare nella vita in cui ci siamo confrontati con desideri conflittuali - generando il suo tipo (iii) di volontà combattiva. In alcune di tali occasioni abbiamo deciso di adottare "azioni autoformative" (sel/-/orming actions, SFA), che potessero avere un effetto deterministico sul nostro comportamento successivo; e solo queste SFA devono essere il risultato di processi che operano all'interno della facoltà di ragionamento pratico e che sono genuinamente indeterministici:
"Ecco, io qui sto saldo", disse Lutero. "Non posso fare altrimenti." L utero dichiarava di non poter fare altrimenti, che la sua coscienza gli rendeva impossibile la ritrattazione. Poteva, ovviamente, avere torto, o avere deliberatamente esagerato la verità. Ma anche se lo stava facendo- forse, proprio se lo stava facendo -, la sua dichiarazione è la testimonianza che noi non esentiamo qualcuno dall'incolparlo o dall'elogiarlo per
Un gesto come quello di Lutero si può ritenere fondamentalmente responsabile [ ... ], sebbene lui fosse costretto dalla propria volontà, perché la volontà che aveva generato quel gesto era una volontà del suo stesso farsi, e in quel senso era il suo "proprio" libero arbitrio [ ... ].In ultimo, gli atti responsabili, o gli atti perpetrati sulla spinta del proprio libero arbitrio, costituiscono una classe di azioni più ampia di quella rappresentata dalle azioni autoformative (SFA), una classe che deve essere indeterminata e tale che l'agente avrebbe potuto fare altri-
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menti. Ma se non ci fossero azioni "autoformative" in questo senso, noi non saremmo in ultimo responsabili di alcunché di quel che facciamo. (Kane, 1996, p. 78)
le è lo stato di cose in ogni istante di tempo; ci richiede di pensare alle possibilità-a-quell'-istante. Kane (p. 87) cita un passaggio rapsodico di William James:
Quando lancio con una catapulta un masso verso le linee nemiche, una volta che il masso sia in volo, la sua traiettoria è fuori dal mio controllo, owero non è più soggetta alla mia volontà; ma i suoi effetti all'atterraggio ricadono sotto la mia responsabilità, non importa quanto tempo sia passato dal lancio. E quando lancio me stesso lungo una linea di condotta di un tipo o di un altro, avendo preso delle precauzioni per garantirmi di non poter alterare alcun aspetto di quella condotta in un secondo momento, si devono evidentemente trarre le stesse conclusioni. Simili riflessioni portano alcuni libertari ad accettare che la libertà che stanno cercando di istituire possa concentrarsi all'interno di poche finestre di opportunità con speciali proprietà. (Peter van Inwagen, per esempio, si allinea con Kane a tali posizioni; ma, diversamente da Kane, suppone che queste finestre debbano essere rarissime.) Ora, però, quali proprietà speciali dovrebbero mai avere queste finestre? Kane afferma che una SFA dovrebbe soddisfare la condizione AP:
Il punto importante è che ... le possibilità ci sono realmente ... in quei momenti in cui ... le bilance del destino sembrano oscillare da una parte o dall'altra ... siamo disposti ad ammettere che la decisione non viene presa se non qui e ora. È questo che dà una palpitante realtà alla nostra vita morale e la pervade ... di un entusiasmo così strano e complesso. 1James, 1897, pp. 206-207),
(AP) L'agente possiede possibilità alternative (o può fare altrimenti) rispetto ad A all'istante t nel senso che, all'istante t, l'agente può (ha il potere di o l'abilità di) fare A e può (ha il potere di o l'abilità di) /are altrimenti. (Kane, 1996, p. 33)
Si noti il ruolo di "all'istante t" in questa formulazione. Alcuni filosofi sono semplicemente incapaci di dire cose semplici, come "Si supponga che un cane morda un uomo". Si sentono, invece, obbligati a dire "Si supponga che un cane c morda un uomo u all'istante t", dimostrando in questo modo il loro inscindibile legame con il rigore della logica, anche se poi non procedono affatto a manipolare alcuna formula che coinvolge c, u e t. Parlare dell'istante t, nelle definizioni filosofiche, è onnipresente, ma raramente riveste qualche importanza. Qui, al contrario, ha un ruolo serio. Questa definizione descrive qua158
Analizziamo più da vicino quella "bilancia che ascilla". Immaginate che la vostra facoltà di ragion pratica sia equipaggiata di un quadrante, con un ago che mostri in quale modo la bilancia si stia effettivamente ribaltando, mentre la frollatura dei vostri pensieri continua, indugiando tra Vai e Resta (supponendo che queste siano le opzioni che voi state di fatto prendendo in considerazione) e andando avanti e indietro, forse anche tremando, oscillando rapidamente tra i due valori (figura 4.6). Supponete, inoltre, che in qualsiasi momento voi possiate portare a termine il processo di decisione semplicemente schiacciando il bottone Ora!, legando la vostra scelta a una qualsiasi delle due opzioni, Vai o Resta, che in quell'istante venga favorita dallo stato del vostro processo di decisione. Supponete, ora, che tutta l'elaborazione della vostra facoltà di ragionamento pratico sia deterministica; la facoltà "somma i
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RESTA
tempo t
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Figura 4.6 indice "oscillante" tra Vai e Resta.
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pesi", per mezzo di una funzione deterministica, di tutti gli input che ha considerato fino a quell'istante, e fornisca un valore istante- per-istante che oscilla in una direzione e nell'altra, tra Vai e Resta, dipendendo dall'ordine nel quale le considerazioni sono state processare e riprocessate alla luce di successiva deliberazione. In questo caso la condizione AP sarebbe soddisfatta? A quale punto del grafico guarderemmo per rispondere alla domanda? Supponiamo di osservare l'ultimo minuto del processo di deliberazione e di notare che, in quell'intervallo, l'ago ha oscillato avanti e indietro una dozzina dì volte, o più, e che ha puntato per più o meno metà delle volte verso Vai e per l'altra metà verso Resta. Rispetto a quella scala, sembrerebbe che entrambe le alternative siano aperte (paragonatelo, per esempio, al minuto durante il quale l'ago ha indicato fermamente Resta per tutto il tempo). Ma a Kane (e aJames) questo non basta. Perché si possa parlare di libero arbitrio, entrambe le possibilità devono risultare aperte all'istante t, nell'esatto momento in cui avete premuto il bottone Ora.'. Se quindi zoomassimo su quell'istante e notassimo che negli ultimi 10 millisecondi prima di t l'ago era stabile su Resta, che è stata anche la decisione registrata in seguito alla pressione del tasto Ora.', potremmo dire di avere una solida evidenza che l'opzione Vai non era disponibile all'istante t (si veda la figura 4.7).
Ah, ma c'è una scappatoia. Credevo che voi doveste schiacciare il bottone Ora 1• Potremmo introdurre l'indeterminazione lasciando che "dipenda da voi" la scelta dell'esatto istante in cui premere il bottone? Supponiamo, allora, che mentre il processo di macinatura è completamente deterministico, ciò che è indeterminato sia l'istante in cui esercitare la pressione sul bottone Ora.'. In qualche momento dell'intervallo dei successivi 20 millisecondi il bottone verrà premuto, ma dire esattamente quando è strettamente (quantisticamente) indeterminato. Allora, se le oscillazioni tra Vai e Resta avvengono a frequenze sufficientemente alte da far cadere gli intervalli di scelta di Vai e quelli di Resta esattamente all'interno della finestra dei 20 millisecondi, la decisione effettiva, resa attuale dalla pressione del bottone Ora.', sarà indeterminata, totalmente e ufficialmente impredicibile sulla base di una descrizione completa dell'universo all'inizio della finestra dell'opportunità (figura 4.8). Sfortunatamente, nemmeno in questo caso si riuscirebbe a soddisfare la condizione AP, a causa di una falla nella definizione di AP: quella seccante condizione "all'istante t". Sarà ancora perfettamente predicibile che se una decisione accadrà nel millisecondo 5, diciamo, questa decisione cadrà su Vai, e che se accadrà nel millisecondo 17, cadrà su Resta. Di fatto, per ogni istante t della finestra dell'opportunità, sarà possibile determinare quale decisione verrà presa istante per istante;
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Figura 4.7 Ingrandimento della figura 4.6 che rappresenta un intervallo di IO millisecondi.
Figura 4.8 Finestra dell'opportunità.
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ciò che non è determinabile è quando esattamente presa la decisione. L'agente non è libero all'istante t di decidere tra Vai e Resta per ogni valore di/. Ma fintanto che l'istante della scelta rimane indeterminato, ciò non potrebbe essere sufficiente? È allettante proporre una versione più mite della condizione AP, che sia compatibile con il nostro semplice modello: si spalmi il tempo t su tutta la finestra di 20 millisecondi di intervallo, invece di considerarlo istantaneo, e siamo a cavallo, dal momento che sia Vai sia Resta coesistono nel tempo t che abbiamo dilatato (stretched) - 20 millisecondi non sono certo un periodo di tempo molto lungo. L'ago sul quadrante e il pulsante danno a questo modello una veste decisamente "meccanicistica", dobbiamo riconoscerlo; ma è Kane stesso a richiederlo. Sta cercando di comportarsi come un libertario naturalista, quindi desidera che il suo modello sia scientificamente rispettabile: qualcosa che il cervello possa implementare, e sia il quadrante sia il pulsante sono solamente congegni molto vividi che ci aiutano a visualizzare lo stato soggiacente della relativa complessità neurale. Uno stato neurale fisicamente realizzabile di un qualche tipo deve implementare la distribuzione attuale dei pesi, e una transizione di stato di un qualche tipo deve implementare una decisione (fornire un output); noi possiamo solo pretendere che il quadrante trasduca il primo e che il pulsante inneschi il secondo. Quindi, il modello illustra un modo anzi, una famiglia dì modalità- per amplificare l'indeterminazione quantistìca presente a livello subatomico, fino a farle svolgere un ruolo cruciale nei processi decisionali. Inoltre, il modello sembra soddisfare il requisito di carattere "ultimo" a cui, per Kane, devono rispondere le SFA:
Traduzione: potete essere personalmente responsabili dì una cosa, se siete personalmente responsabili di tutto ciò che è una causa sufficiente dell'occorrenza di quella cosa. Secondo Kane,
(U) per ogni X e Y (dove X e Y rappresentano occorrenze di eventi e/o stati), se l'agente è personalmente responsabile di X, e se Y è un'arche" (o motivo sufficiente, o causa, o spiegazione} di X, allora l'agente deve essere ritenuto anche personalmente responsabile dì Y. (Kane, 1996, p. 35)
le SFA sono quelle azioni indeterminate che fermano volontariamente (o che frenano) il regresso nelle storie della vita degli agenti e che sono richieste perché U venga soddisfatta. (Kane, 1996,p.75)
L'indeterminazione nell'indìvìduazìone dell'istante in cui viene premuto il pulsante Ora! potrebbe rendere la decisione stessa indeterministica in quei casi in cui entrambe le opzioni si presentano alternativamente all'interno di una finestra di opportunità leggermente ampliata; non ci sarebbe alcuna condizione sufficiente né per la scelta di Vai né per quella di Resta in alcun istante precedente; quindi, voi potreste essere ritenuti personalmente responsabili della scelta dì Vai (o di Resta) senza dovervi preoccupare di essere responsabili di ogni precedente condizione sufficiente alla base della scelta di Vai (o di Resta). Ovviamente, dobbiamo ancora trovare un modo per giustificare la nostra scelta di considerare l'occorrenza dell'evento indetermìnistico alla base della pressione sul pulsante Ora! come qualcosa che "dipende da voi" e non un mero input casuale ed esterno.
"Se vi fate veramente piccoli, potete esteriorizzare virtualmente qualsiasi cosa"' Siamo nuovamente di fronte a un problema di demarcazione, e questa volta è più importante: come può Kane ottenere un'indeterminazione quantistica che stia all'interno del sistema pertinente? Per evidenziare la difficoltà, supponiamo 7.
Room 6. Arche è il termine aristotelico per
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lo tra
era, probabilmente, l'enunciato più importante di Elbow 1984, p. 143 ), e ho commesso lo stupido errore di metterNei lavori che ho fatto dopo, ho cercato di correggere
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che uno spettatore urli proprio nel momento in cui voi state per premere il pulsante Ora.', facendovi spaventare e di conseguenza accelerando la vostra pressione sul pulsante di 5 millisecondi, causando la vostra pressione sul pulsante. In questo caso, la decisione non sarebbe più vostra? Dopotutto, la caratteristica cruciale della causa, ciò che ha determinato se scegliere Vai o Resta, è stata a sua volta causata dall'urlo dell'astante (che è stato, a sua volta, causato da un gabbiano che gli è volato troppo vicino, gabbiano che è stato spinto a fare ciò dall'improvviso ritorno di una flotta di pescherecci, improvviso ritorno causato dalla ricomparsa di El Nifio, che a sua volta ... è stato causato da una farfalla che ha battuto le ali nel lontano 1926). Anche se il battito di ali di quella farfalla è stato veramente indeterminato, l'effetto ingigantito di un salto quantistico avvenuto nel suo minuscolo cervello, questo momento di indeterminismo è avvenuto nel tempo e nel posto sbagliati. Quel momento di libertà della farfalla, nel lontano 1926, non è certo ciò che vi concede libero arbitrio, o no? Illibertarismo di Kane gli impone di interrompere la catena causale da qualche parte all'interno dell'agente e nell'istante della decisione: ecco il requisito di "qui e ora" di cui parlava in modo così eloquente già WilliamJames. Se questo è ciò che è veramente importante, come pensano i libertari, allora è meglio schermare i nostri processi di deliberazione da tutte queste interferenze esterne. Si farebbe meglio a isolare il muro che circonda ... voi in modo che le forze esterne non possano interferire con la decisione che state cucinando voi, nella vostra cucina interiore, usando solamente gli ingredienti che voi avete fatto entrare dalla porta. Questa ritirata del Sé in un'enclave circondata da mura dove si deve svolgere tutto il lavoro di paternità è 'equivalente a un'altra ritirata nel centro del cervello, cioè alle varie linee di argomentazioni e di riflessioni mal concepite che conducono a quello che io chiamo il Teatro cartesiano, il punto immaginaquell'errore, esplicitando le tante implicazioni conseguenti alla decisione di abbandonare l'idea di un sé punteggiato. Ovviamente, ciò che volevo dire nella mia ironica formulazione era l'opposto: vi sorprenderebbe vedere quanto potete interiorizzare, se vi fate grandi.
rio nel centro del cervello "dove tutto si unisce" a formare la coscienza. Un simile posto, semplicemente, non c'è, e qualsiasi teoria che presupponga tacitamente che ci sia deve essere immediatamente accantonata come una falsa pista. Tutto il lavoro svolto dal misterioso omuncolo all'interno del Teatro cartesiano deve essere distribuito nel tempo e nello spazio in tutto il cervello. Il problema, per Kane, è composito, in quanto egli deve fare in modo che l'evento quantistico indeterminato non avvenga semplicemente in voi, ma sia vostro. Egli vuole, sopra ogni altra cosa, che risulti che la decisione "dipende da voi", ma se la decisione è indeterminata- il requisito che caratterizza illibertarismo -,non è determinata da voi, qualunque cosa voi siate, perché non è determinata da niente. Qualunque cosa siate, non potete esercitare un influsso sull'evento indeterminato -l'intero argomento dell'indeterminazione quantistica si basa sul concetto che tali eventi quantistici non sono influenzati da nulla- quindi, dovrete in qualche modo cooptare l'evento o unire le forze con lui, dovrete utilizzarlo in modo totalmente personale, un objet trouvé che voi, in un qualche modo, sensatamente incorporerete nei vostri processi decisionali. Ma per poter fare tutto ciò, vi si deve attribuire qualcosa di più di qualche mero punto matematico; dovete essere qualcuno; dovete avere delle parti ricordi, progetti, credenze e desideri - che avete acquisito per tutto il vostro cammino. E quindi, tutte quelle influenze causali, provenienti dal passato e dall'esterno, tornano ad accalcarsi all'interno, contaminando il laboratorio, appropriandosi della vostra creatività, usurpando il controllo del vostro processo decisionale. Un gran bel pasticcio. Il problema, come ricorderete, era stato chiaramente colto da William James, quando si chiedeva: "Se un atto 'libero' fosse qualcosa di assolutamente nuovo, che non viene da me, dall'io che ero prima, ma ex nihilo, e semplicemente si attacca a me, come posso io, l'io che ero prima, essere responsabile?". Kane fa alcuni utili progressi nel rispondere a questa domanda retorica con la sua idea della "razionalità molteplice" (Kane, 1996, capitolo 7). Noi non vogliamo che le nostre
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azioni libere siano immotivate, inspiegabili, casuali lampi luminosi senza né capo né coda. Noi vogliamo che ci sia una ragione che le spieghi; vogliamo anzi che queste siano ragioni nostre e (se siamo libertari) vogliamo che soddisfino la condizione AP, cioè che siano libere nel senso che "all'istante t" noi "avremmo potuto fare altrimenti". Ciò potrebbe verificarsi solo in un modo, se cioè proprio voi stessi aveste speso tempo ed energie per sviluppare due (o più) insiemi di ragioni in competizione. Allora, ogni insieme di ragioni sarebbe composto, ideato, rivisto, levigato e rifinito localmente proprio da voi stessi. Sebbene possiate aver preso delle idee da fuori, le avete fatte vostre, tanto che queste sono, anzi, ragioni /ai-date. Inoltre, voi avete quantomeno sottoscritto in via di tentativo ogni insieme di ragioni. (Se uno di questi non lo fosse stato, non ci sarebbe stata alcuna competizione, non credete? Avreste fatto una scelta veloce- forse anche istantanea- a favore dell'altro.) Così, quando finalmente il processo deliberativo ha termine, qualunque sia il lato sul quale possa essere caduta la vostra preferenza, questo sarebbe un lato su cui voi stessi avete riflettuto molto seriamente, fin proprio al limite dell'accettazione. Il vostro atto equivale a un verdetto finale, una dichiarazione che fa di voi il tipo di persona che siete (uno che Resta o uno che Va)- e proprio allora avreste potuto fare altrimenti! Il punto di forza della razionalità molteplice- o dell"' elaborazione in parallelo", come la si chiama più recentemente (Kane, 1999)- è che si basa su un'intuizione che tutti noi abbiamo sempre avuto: ci si può ritenere giustamente responsabili dell'esito di un'azione che comprende un elemento casuale o indeterminato, se quell'esito è ciò che stavamo tentando di ottenere. Il presunto assassino il cui colpo fortunato da grande distanza ha centrato il primo ministro non viene assolto sulla base del fatto che centrare il bersaglio da tanta distanza è stato un puro colpo di fortuna - anche se si tratta davvero di un caso di sorte indeterministica. Nel mettere in piedi un processo antagonistico, in cui combattono tra di loro due differenti spinte (per esempio, l'incertezza della don-
na d'affari se fare la cosa giusta o preoccuparsi della carriera), Kane tende a dare per scontato che, quando una delle due spinte si sia indebolita, l'altra si sia rafforzata, sicché la signora in questione viene giustamente ritenuta responsabile in ogni caso, perché quella era una delle cose che stava cercando di ottenere. Il fatto che la donna stesse cercando di ottenere due risultati incompatibili nello stesso tempo non mostra che lei non stesse veramente cercando di ottenere il risultato che alla fine è emerso dal suo conflitto interiore. Kane, in questo modo, dichiara che tale incastro di indeterminismo nel vortice delle ragioni conflittuali, dove l'agente si sta effettivamente impiegando- il tipo (iii), la volontà combattiva - garantisce che il risultato, qualunque esso sia, non sarà attribuibile a un colpo di fortuna, a una mera casualità. Ogni agente adulto avrà affrontato un dilemma analogo, morale o prudenziale, e ne sarà stato così forgiato.
L'idea che chi si sia messo alla prova nei seri dilemmi della ragione pratica, e si sia misurato con le tentazioni e con le incertezze, sia più facilmente considerabile padrone di sé, un
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Scegliendo, in simili casi, una soluzione o l'altra, gli agenti potrebbero, a seconda delle circostanze, sia irrobustire la loro indole morale o prudenziale sia rinforzare i loro istinti egoistici o imprudenti. Essi sarebbero coinvolti nella "costruzione" di loro stessi o nella "formazione" delle loro volontà in una direzione o nell'altra, in un modo che non sarebbe determinato solo dalla personalità, da moventi e da circostanze del passato. [ ... ] È proprio perché le loro fatiche sono una risposta ai conflitti interiori incastonati nelle loro precedenti personalità e nelle loro precedenti motivazioni che le personalità e le motivazioni degli agenti possono spiegare i conflitti e il motivo per cui queste fatiche sono state compiute, senza spiegare anche gli esiti di questi conflitti e di queste fatiche. Le motivazioni ad agire e le personalità passate forniscono ragioni per scegliere una direzione di azione, ma non forniscono ragioni decisive che spieghino quale linea di azione l'agente sceglierà inevitabilmente. (Kane, 1996, p. 127)
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uomo, o una donna, che non ha padroni, un agente morale più responsabile di chi invece si è limitato a galleggiare felicemente sul fiume della vita, prendendo le cose come venivano, è un concetto familiare e attraente; e nello stesso tempo, anche qualcosa che ha finora eluso l'attenzione dei filosofi. Nella maggior parte delle tesi sul libero arbitrio, la presenza di scelte sofferte nella storia personale dell'agente non svolge alcun ruolo manifesto, venendo, anzi, ampiamente ignorata, probabilmente perché sposterebbe l'attenzione su un imbarazzante caso limite: l'asino di Buridano, che a quanto ci risulta sarebbe morto di fame perché si trovava alla stessa distanza da due mucchi di fieno, e non riusciva a trovare una ragione per mangiare dal mucchio di sinistra e non da quello di destra (o viceversa). Questa "libertà d'indifferenza" è stata notata sin dal Medioevo, e uno spareggio deciso dal lancio di una moneta è sempre stato considerato una soluzione accettabile per uscire da una tale situazione d'impasse, un'utile protesi della volontà, si potrebbe dire, che però non sembra un buon modello da applicare al libero arbitrio. Quando noi teorici scopriamo di avvicinarci, con le nostre costruzioni, a una situazione in cui le nostre sole libere scelte potrebbero essere altrettanto efficacemente rappresentate dal lancio di una moneta in aria, allora, solitamente, pensiamo di essere andati alla cieca lungo il sentiero sbagliato e torniamo subito indietro. E così la problematica viene ignorata. Kane, però, mostra in modo molto convincente che la formazione graduale della personalità, che potrebbe (come pure non potrebbe) emergere da una vita di ardue scelte prese con la massima serietà, aggiunge davvero una "varietà di libero arbitrio che vale la pena desiderare". C'è un grosso problema con questa tesi, comunque: non ha bisogno dell'indeterminismo che ha ispirato la sua creazione. Inoltre, non può imbrigliare l'indeterminismo in alcun modo che consenta di distinguerlo dal determinismo, perché il requisito del "qui e ora" non solo non è ben motivato ma, come vedremo, è (forse) anche incoerente.
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Attenzione al Primo Mammifero L'idea di base è che la responsabilità ultima si collochi dove si colloca la causa ultima. ROBERT KANE,
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Potete pure pensare di essere dei mammiferi e che lo siano anche cani, mucche e balene: ma, in verità, non esistono mammiferi- non potrebbero esistere! Eccovi un ragionamento filosofico in grado di dimostrarvelo (tratto, con alcune modifiche, daSanford, 1975). (l) Ogni mammifero ha avuto un mammifero per madre. (2) Se i mammiferi fossero esistiti veramente, ce ne sarebbe
stato solamente un numero finito. (3) Ma se fosse esistito anche un solo mammifero, allora per (l) ci sarebbe stato un numero infinito di mammiferi, il che contraddice (2); così, non può essere esistito nemmeno un mammifero. È una contraddizione in termini.
Poiché sappiamo con certezza che i mammiferi esistono, possiamo prendere in seria considerazione questo ragionamento solo per accettare la sfida e scoprire dove si annidi l'errore. Bisogna scartare qualche premessa. E noi sappiamo, in linea generale, a che cosa dobbiamo rinunciare: se percorressimo a ritroso abbastanza a lungo l'albero genealogico di un qualsiasi mammifero, alla fine incontreremmo i Terapsidi, quelle strane specie estinte che fungono da anello di congiunzione fra i rettili e i mammiferi. In quel punto è avvenuta una graduale transizione dai rettili puri ai mammiferi puri, con una moltitudine di intermediari che hanno riempito le lacune e che è difficile per noi classificare. Che cosa dovremmo fare per tracciare linee di demarcazione in questo spettro graduale di cambiamento? Possiamo identificare un mammifero, ìl Primo Mammifero, che non ha avuto un mammifero per madre, negando in questo modo la premessa (l)? In base a quali caratteristiche? Qualsiasi insieme di caratteristiche scegliessimo a supporto della nostra decisione, sarebbe indistinguibile da 169
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un insieme di caratteristiche che potremmo usare a supporto anche del giudizio contrario, stabilendo che l'animale scelto non è un mammifero- dopotutto, sua madre era un terapside. Che cosa dovremmo fare? Dovremmo reprimere il nostro bruciante desiderio di fissare linee di demarcazione. Non ne abbiamo bisogno. Possiamo convivere con il fatto, niente affatto scioccante o misterioso che, come sapete, ci sono stati tutti quei cambiamenti graduali che si sono accumulati per milioni di anni e alla fine hanno prodotto dei mammiferi che sono inspiegabilmente ... mammiferi. I filosofi sono portati ad affezionarsi all'idea di eludere la minaccia del regresso all'infinito individuando qualcosa che sia- debba essere il blocco del regresso: il Primo Mammifero, nel caso. Questa tendenza li conduce spesso a dottrine che sguazzano nel mistero, o quanto meno nei rompicapi, e, ovviamente almeno nella maggior parte casi, ciò li compromette con l' essenzialismo. Primo Mammifero deve essere qualunque mammifero appartenente all'insieme dei mammiferi che per primo abbia presentato tutte le caratteristiche essenziali dei mammiferi. Se poi non alcuna essenza definibile di mammz/ero, allora siamo nei guai. E la biologia dell'evoluzione ci dice che non ci sono essenze siffatte.) La teoria del libero arbitrio di Kane fa ricorso, in modo peculiare, a casi speciali di "blocco del regresso", le azioni autoformative, o SFA:
Dato che sono dei momenti chiave nella vita di ogni agente morale - dei naturali riti di passaggio, potremmo dire, verso l'età adulta, quella responsabile-, è preoccupante che sia praticamente impossibile individuarli. Non un modo per distinguere una SFA genuina da una pseudo-SFA, una catena di ragionamento fraudolenta che non ha mai effettivamente dato spazio all'indeterminismo quantistico, ma ha solo messo in moto un procedimento pseudocasuale, ottenendo quindi un risultato deterministico. In questo modo, due agenti proverebbero le stesse sensazioni e il loro comportamento apparirebbe identico, indipendentemente dalla precisione dei nostri apparati di osservazione. Come mi ha fatto notare Paul Oppenheim, possiamo paragonare utilmente le SFA di Kane agli eventi di speàazione nell'evoluzione, che si possono riconoscere solo retrospettivamente. Qualsiasi nascita in qualunque lignaggio è un potenziale evento di speciazione, in quanto ogni prole possiede almeno minuscole differenze che la rendono unica, e ogni differenza potrebbe essere l'inizio di qualche cosa che alla fine potrebbe sbocciare in una speciazione. Deciderà il tempo. Non nulla di speciale, al momento di una nascita, che ci possa far dire che quella è stata un evento di speciazione. 8 Analogamente, dovremmo considerare in modo sospetto la richiesta che ci sia un evento - una SFA - che possegga certe caratteristiche speciali, intrinseche, locali che lo distinguono dai suoi parenti più prossimi e che spieghino la sua capacità di originare qualcosa di importante. È plausibile,
m
Se si deve impedire un regresso infinito, ci devono essere azioni, da qualche parte nella storia della vita dell'agente, per le quali i motivi predominanti dell'agente e la volontà sulla base della quale l'agente non avevano imboccato un corso univoco. (Kane, 1996, p. 114)
Ci potremmo fermare, e chiederci quante volte nella vita di ognuno tendano a capitare questi momenti importanti. Con una media di una volta al giorno, o di una volta all'anno, o di una volta ogni dieci anni? Hanno forse la tendenza a incominciare alla nascita, o a cinque anni, o durante la pubertà? Queste SFA sembrano tanto sospette quanto i Primi Mammiferi.
8. Alcuni creazionistì contemporanei hanno ammesso che tutti gli esseri viventi sono correlati per discendenza lungo un albero della vita vecchio di miliardi di anni, e hanno anche accettato che tutte le trasformazioni presenti nelle generazioni successive all'interno delle specie siano compiute dalla cieca selezione naturale darwiniana, ma si aggrappano alla speranza che gli stessi eventi che generano la ramificazione dell'albero, le speciazioni, siano, se non miracolosi. almeno dipendenti da un intervento speciale da parte di un progettista (designer) intelligente (o del Progettista Intelligente- dichiarano di essere indifferenti a quale potrebbe essere l'identità del p.i.). Questa condensazione di tutta l'eccezionalità in un unico momento magico- o in un posto dove tutto viene a formarsi è un moti vetto irresistibile per certi pensatori. L: esempio più lampante è Michael Behe (1996); per un'analisi dei ragionamenti errati presenti in questo suo lavoro si veda Dennett (1997c).
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allora, che un agente che non abbia ancora fatto esperienza di un evento simile o di più di uno di questi eventi veramente speciali (ma vi ci sia solo avvicinato, con pseudoSFA) semplicemente non sia responsabile di alcuna delle azioni che compie? "Sì, queste cose pelose dal sangue caldo assomigliano molto ai mammiferi, odorano ed emettono suoni come i mammiferi, si possono riprodurre incrociandosi con i mammiferi, ma non ne possiedono l'essenza segreta; non sono affatto mammiferi, almeno non nel vero senso del termine." Proviamo ad analizzare il comportamento di Lutero da questo punto di vista. Kane sostiene: "Se in ultimo lo si può ritenere responsabile del suo atto presente, allora almeno alcune delle sue scelte o alcune delle sue azioni precedenti devono essere state tali da permettergli di comportarsi diversamente rispetto a ciò che ha fatto. Se così non fosse, niente di ciò avrebbe mai potuto fare avrebbe fatto la differenza rispetto a ciò che era" (Kane, 1996, p. 40). E così qualcuno potrebbe pensare-, ha senso studiare con attenzione la biografia di Lutero per vedere che genere dì educazione abbia ricevuto, quali potenti influenze lo abbiano dominato, quali calamità abbia mai sopportato, e simili. In realtà, però, niente di ciò che potremmo scoprire riguardo a questi macroscopici dettagli getterebbe alcuna luce sulla questione se ci sia mai stata veramente qualche genuina SFA nella vita di Lutero. Potremmo scoprire, ovviamente, che in diverse occasioni ci sono stati episodi di conflitto interiore e dilemmi di coscienza, e potremmo anche confermare che queste crisi abbiano dato vita a processi "caotici" opposti proprio nelle reti neurali dalle quali alla fine sono emerse le sue decisioni. Ciò che non potremmo scoprire, però, è se questo o quel "braccio di ferro" abbia la proprietà di essere generatore di variabilità genuinamente casuale, e non invece mera sorgente di variabilità pseudocasuale. Il prezzo che i libertari devono pagare, per poter segregare i loro momenti chiave in transazioni subatomiche localizzate (all'istante t) in qualche luogo privilegiato del cervello, è quello di rendere questi momenti chiave del tutto invisibili, sia alle analisi del quotidiano fatte dal biografo sia allo sguardo addestra-
to del neuroscienziato. Si potrebbe pensare che la differenza tra Luteron che ha speso cinque anni della sua adolescenza in una cella e ha subito una sorta di lavaggio del cervello, e Lutero2, che ha vissuto in un mondo chiassoso un'adolescenza più o meno normale, con gioie e dolori, avrebbe attinenza con la presenza o meno diSFA appartenenti alla storia ancestrale delle decisioni prese da Luteroo~t.'' Siffatte differenze ambientali salienti, però, che intuitivamente detJOno avere connessione con la nostra concezione della capacità di prendere decisioni morali da parte di Lutero, non sono in alcun modo sintomi della presenza o dell'assenza diSFA. (Sono semplicemente itrilevanti per il problema di capire se c'è stata o meno qualche SFA nella storia di Lutero, tanto quanto erano irrilevanti i dieci tiri dimostrativi di Austin per dirimere la questione se lui fosse o meno determinato a sbagliare il colpo all'istante t.) Se poi tirassimo fuori i nostri supermicroscopi e osservassimo l'attività subatomica nei neuroni, qualsiasi cosa vedessimo sarebbe ugualmente poco informativa sulla presenza o meno di SFA. Ma questa imperscrutabilità della responsabilità ultima non è un problema per ogni teoria? Come ha detto Kane:
Ciò che dice Kane, per come lo presenta, è vero. Le variazioni nella storia della vita sono certo rilevanti per le variazioni dell'attuale grado di responsabilità, come dice Kane; e sono
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Se un giovane omicida viene sottoposto a processo e si analizza la sua vita passata di abusi infantili subiti sia da parte di adulti sia da parte di coetanei, è necessario emettere un giudizio su quanta parte della sua attuale personalità immorale, dalla quale sono sgorgate queste sue azioni, sia da imputare a sue responsabilità e quanta invece sia da attribuire a influenze esterne, sulle quali non ha avuto alcun controllo. Simili questioni sono della massima rilevanza per la determinazione della colpevolezza o dell'innocenza, e per poter stabilire quanta parte della pena dovrebbe essere attenuata sulla base di ogni teoria. Sono risposte tremendamente difficili da dare, a prescindere dalla teoria del libero arbitrio che si vuoi prendere in considerazione. (Kane, comunicazione personale)
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anche difficili da analizzare, da parte di qualsiasi teoria. Ma l'approccio libertario di Kane gli impone un'analisi aggiuntiva, che è difficile giustificare - anzi, secondo me, impossibile. Consideriamo la situazione da un punto di vista statistico: formiamo un campione di un centinaio di assassini, da quello che ha subito le peggiori privazioni al più fortunato, per capire chi tra loro potrebbe godere di una attenuazione del giudizio, o possa essere totalmente discolpato (indicheremo i criteri di questa linea di condotta più tardi). Supponiamo di rilevare quanto segue: il sessanta per cento dei casi testimonia chiaramente di aver subito grandi privazioni, del tipo peggiore, e quindi è composto da candidati che non sollevano problemi di sorta nel caso di una richiesta di una sostanziale mitigazione della pena; il dieci per cento è rappresentato da casi "sulla linea di confine" - mostrano cioè di aver subito una notevole quantità di privazioni, ma quanto è troppo? e il rimanente trenta per cento è composto da candidati cresciuti in un ambiente educativo che va dal normale all'esemplare, nessun segno di danno cerebrale, ecc. (si veda la figura 4.9). Questi individui fortunati emergono, da un processo di eliminazione,
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FORTUNATI
Figura 4.9 La distribuzione
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come praticamente in distinguibili l'uno dall'altro sulla base dell'analisi di tutti i caratteri macroscopici che reputiamo condizioni necessarie per stabilire le responsabilità -le caratteristiche che il sessanta per cento non possiede. Apparentemente, sono tutti adulti responsabili. Fanno tutti parte di quelle storie che la società riconosce come storie di apparente successo -li abbiamo educati bene, abbiamo soddisfatto i loro bisogni, dato loro uguali opportunità, e così via. La natura non ama i confini troppo netti; talvolta, però, noi abbiamo il bisogno di indicare linee di azione di carattere politico, non foss' altro perché dobbiamo disporre di un modo pratico ed equo di trattare casi particolari. Nella maggior parte degli USA non potete guidare se non avete almeno sedici anni, e non potete bere alcolici se avete meno di ventun anni, non importa quanto siate maturi rispetto alla vostra età. Confrontandoci con lo spettro dei casi illustrato nella figura 4.9, dovremmo trovare un modo relativamente convenzionale di tracciare una linea di confine attraverso quel semioscuro dieci per cento, e senza dubbio le opinioni su quali fattori far pesare di più e su quali ignorare differiranno. (Se la curva fosse molto più ripida, saremmo sollevati nell'individuare un evidente punto critico nel quale incasellare la natura; se fosse più graduale, il nostro compito politico sarebbe più difficile.) La concezione di Kane, però, ci richiede di sospendere il giudizio non solo per il dieci per cento dei casi candidati a una mitigazione parziale della pena, ma anche per il trenta per cento dei candidati esemplari. Un numero indefinito di loro- potrebbe essere anche tutto il trenta per cento - potrebbe risultare totalmente non responsabile, perché tutte le apparenti SFA della storia della loro vita potrebbero essere state pseudo-SFA. Dopotutto, Kane sostiene che nessun robot, dotato solamente di un generatore di numeri pseudocasuali, potrebbe mai essere considerato un essere responsabile e, nonostante ciò, un simile robot sarebbe in grado di passare tutti gli esami macroscopici di perfetta umanità. {Un siffatto robot, al contrario di una moglie della città di Stepford, non tradirebbe la sua natura robotica a causa di un palese ser175
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vilismo verso la politica di qualcuno, e questo grazie alle vibrazioni pseudocasuali nella sua facoltà di ragione pratica che lo renderebbero un essere di aperte vedute per l'eternità .l'' Anzi, secondo la prospettiva di Kane, potrebbe essere perfettamente possibile che qualcuno del gruppo marginale del dieci per cento possa venire giustamente ritenuto responsabile dei suoi atti, nonostante le privazioni subite, dato che nel suo passato ci può essere stato un numero modesto di genuine SFA, mentre alcuni appartenenti al gruppo privilegiato del trenta per cento possono venire considerati candidati non idonei ad avere responsabilità morali. Provate a immaginare il primo imputato (il figlio di un miliardario, dato che avrà bisogno di una schiera di avvocati e di scienziati!) che cerca di presentare delle prove alla corte prima che questa si pronunci, "dimostrando" che il suo cervello non ha mai avuto quelle indeterminazioni quantistiche che sono necessarie per essere ritenuti persone responsabili, anche se ha goduto di un'educazione esemplare, possedeva un'intelligenza oltre la media, ecc È un bel problema! Perché mai le caratteristiche metafisiche della Responsabilità Ultima (supponendo che Kane ne definisca la possibilità in modo coerente) dovrebbero valere di più delle caratteristiche macroscopiche che si possono definire indipendentemente dal concetto di indeterminismo quantistico, e che sono ben motivate in termini di competenze dei processi decisionali che l'agente possiede o meno? Anzi, perché mai la metafisica Responsabilità Ultima dovrebbe contare qualcosa? Se non può essere giustificata come base sulla quale poter trattare le persone in modo differente, perché mai qualcuno dovrebbe pensare che è una varietà di libero arbitrio che vale la pena desiderare? Come dice Kane stesso: "In breve, se viene descritto attraverso una prospettiva solamente fisica, il libero arbitrio assomiglia al caso" (Kane, 1996, p. 147). E il caso ha 9. Nel1975, nel film di fantascienza La fabbrica delle mogli, di Brian Farbes (basato su un romanzo di Ira Levin), si descriveva la città di Srepford, dove vere mogli venivano gradualmente rimpiazzate con stupidi duplicati robotici che dedicavano tutte le loro energie alla cura della casa e dei loro mariti.
sempre lo stesso aspetto, che sia genuinamente indeterministico o meramente pseudocasuale o caotico. Illibertario, come l'essenzialista in biologia, è attratto dai confini, in particolare dalle lìnee di demarcazione che delimitano il "qui" e l'" ora". Ma questi confini, essendo parzialmente interdefinibili, sono comunque porosi. Supponete che i neuroni che operano in modo indeterministico e che sono responsabili della vostra facoltà di ragionamento pratico muoiano, !asciandovi orfani di qualunque futura SFA. Ma immaginate pure che, per vostra fortuna, la porzione danneggiata del vostro cervello possa venire sostituita da una protesi artificiale, che opera in modo indeterministico, impiantata proprio nell'ambiente giusto della parte sana del vostro cervello. Il modo migliore per ottenere un indeterminismo quantistico genuino da un dispositivo fisico è quello di ricorrere al decadimento del radio e a un contatore ger; ma potrebbe non essere molto salutare impiantare un generatore di casualità radioattivo nel vostro cervello; così, si potrebbe lasciare il generatore in laboratorio, circondato da una protezione di piombo, e si potrebbero inviare i risultati al cervello a richiesta, attraverso un collegamento via radio (come capita nel mio racconto, "Dove sono?", in Brainstorms [Dennett, 1978]). La collocazione del generatore di casualità entro il laboratorio non farebbe alcuna differenza, dal momento che lo strumento sarebbe funzionalmente all'interno del sistema; svolgerebbe esattamente il compito che svolgevano i neuroni danneggiati, a prescindere da dove si trovi geograficamente. Ma ci potrebbe essere un modo ancor più economico e sano di ottenere lo stesso effetto: si potrebbero utilizzare, come sorgente generatrice di casualità, le fluttuazioni della luce proveniente dallo spazio profondo, che sono genuinamente casuali, dirigendole direttamente a un ricevitore impiantato nel vostro cervello. Dato che questi segnali viaggiano alla velocità della luce, non abbiamo alcun modo di predire quale potrebbe essere la fluttuazione successiva a quella che abbiamo appena ricevuto, anche se la sorgente di casualità fosse una stella di-
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stante anni luce. Ma se non c'è alcun problema nell'ottenere l'indeterminazione da una stella lontana, perché insistere nel produrla ora? Registrate una serie di fluttuazioni casuali ottenute da un generatore di casualità radioattivo per tutto un secolo e installate questo elenco di registrazioni del passato da qualche parte nel vostro cervello, come se fosse un vostro generatore di numeri pseudocasuali, pronto per essere consultato alla bisogna. In Elbow Room ho sottolineato quanto sia poco importante la differenza tra una lotteria nella quale il biglietto vincente viene scelto (a caso) dopo che tutti i biglietti sono stati venduti, e una lotteria in cui la matrice vincente viene scelta prima che i biglietti vengano venduti. Sono tutte e due lotterie corrette; entrambe concedono a ogni acquirente di un biglietto un'equa possibilità di vittoria.
grammi richiami al generatore di numeri casuali, senza preoccuparsi che questo possa in qualche modo sfuggire loro di mano e generare del caos dove non richiesto. Provate a immaginare le dinamiche che operano all'interno del vostro cervello nel nostro esempio Vai-Resta creando una sella all'interno del paesaggio della decisione, un posto dove l'esploratore della decisione alla fine scivolerà giù dal promontorio e finirà nella valle Vai situata a nord o in quella Resta posta a sud (si veda la figura 4.10). Il paesaggio è abbondantemente cosparso di bucce di banana - sono le chiamate al generatore di numeri casuali che vengono attivate ogni volta che l'esploratore della decisione vi mette sopra un piede. Ciò costringe l'esploratore a muoversi, casualmente se necessario, il che previene l'emergenza del comportamento da ''asino di Buridano", così che l'esploratore non rimane mai inchiodato sul dorso pianeggiante della sella, a morire di indecisione. Queste scivolose bucce di banana sono innocue, comunque, perché una volta che una decisione inizia a far scivolare l'esploratore verso una delle due vallate,
Se il nostro mondo è determinato, allora noi abbiamo al nostro interno dei generatori di numeri pseudocasuali, non generatori di aleatorietà del tipo contatori Geiger. Il che significa che, se il nostro mondo è determinato, tutti i nostri biglietti della lotteria sono stati estratti insieme, eoni fa, sono stati messi in una busta per noi e ci sono stati distribuiti al momento del bisogno nel corso della nostra vita. (Dennett, 1984, p. 121)
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Kane mi ha suggerito (comunicazione personale) che "il meccanismo di produzione dell'indeterminazione deve essere in grado di rispondere prontamente alle dinamiche che avvengono all'interno della stessa volontà dell'agente e non ignorarle, o sarebbe lui a prendere le decisioni e non l'agente". La sua preoccupazione è che una sorgente remota di casualità minaccerebbe la vostra autonomia e potrebbe probabilmente prendere il controllo dei vostri processi cognitivi. Non sarebbe molto più sicuro- e quindi molto più responsabile- tenere il generatore di casualità all'interno di voi stessi, in qualche modo sotto il vostro attento controllo? No. La casualità è solamente casualità; non è casualità strisciante. I programmatori, di solito, msenscono all'interno dei loro pro-
Figura 4.10 La sella nel paesaggio della decisione.
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La risposta libertaria di Kane a questo stringente ragionamento consiste nel tentare di isolare l'indeterminismo del libero arbitrio in senso libertario in pochi cruciali episodi di possibilità "all'istante t"; ed egli spera di localizzare questi episodi, sia spazialmente sia temporalmente, all'interno del-
l'agente, in modo che le scelte dell'agente possano "dipendere" solo da lui. Ma una volta che ha ammesso che gli effetti moralmente rilevanti di questi episodi possano venire ampiamente distribuiti nel tempo (come nel caso di Lutero), che cosa resta da fare al contorno del contenitore? Se alcuni eventi dell'infanzia di Lutero possono avere un ruolo cruciale per permetterei di attribuire la responsabilità dell'importantissima decisione di non ritrattare al Lutero adulto, perché non potrebbe averlo un evento della vita della madre di Lutero, avvenuto mentre Martin era ancora solo un embrione? Perché, presumibilmente, questi eventi non hanno avuto luogo all'interno di Lutero ma fuori di lui, nell' ambiente esterno, per quanto fortemente si siano imposti a lui, e perciò non "dipendevano da L utero". Va bene, ma se "il bambino è il padre dell'uomo", il giovane L utero non potrebbe essere considerato altrettanto esterno al Lutero adulto? Perché mai le vicende della giovinezza di Lutero, così come i suoi successivi ricordi episodici coscienti di quei momenti, non potrebbero anche loro rientrare tra le influenze remote provenienti "dall'esterno"? Questa è una versione ampliata del problema che abbiamo già affrontato in questo capitolo, quando ci siamo chiesti se inserire la memoria all'interno della facoltà di ragionamento pratico o !asciarla fuori, con la possibilità di paterne "acquisire" delle porzioni quando le circostanze lo richiedevano. Le linee di confine che tracciamo non svolgono per noi alcun lavoro visibile. E come vedremo in seguito, il nostro stato di agenti morali spesso dipende in modo cruciale da "un piccolo aiuto da parte dei nostri amici", senza venirne in alcun modo, per questo motivo, sminuito. L'ideale del "fatelo da soli", portato alle conseguenze estreme, è superstizione. È vero che, se vi fate quanto più piccoli potete, riuscite a esteriorizzare virtualmente qualsiasi cosa. Tanto peggio per quei modelli che concentrano tutto ciò che conta in un singolo momento, da qualche parte nel nucleo di un atomo. Se rimane una possibilità al libertarismo, questa dovrà arrivare da qualche regione ancora inesplorata, visto che il miglior ten-
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imbattersi in una buccia di banana inutile può solo far fare un piccolo salto indietro alla decisione, riportandola di poco verso la collina e ritardando per un micromomento il tuffo che è già stato deciso, o altrimenti intralciare la sua discesa dalla collina, ma senza essere in grado di impedirla. Oppure, volendo usare un'altra vivida immagine, assai in voga tra i progettisti di modelli, il generatore di numeri casualì "agita" o "ritocca" semplicemente il paesaggio così incessantemente, in modo che niente si possa fermare per sempre sulla sella- ma la forma del paesaggio non viene alterata affatto, così che niente di davvero minaccioso "sfugga mai di mano".
Come può "dipendere da me"? Un ragionamento piuttosto diffuso, di cui sono note numerose varianti, pretende di dimostrare l'incompatibilìtà tra determinismo e libero arbitrio (moralmente importante) nel modo seguente: (l) Se il determinismo fosse vero, la mia decisione tra Vai o Resta sarebbe completamente determinata dalle leggi della natura e da eventi che sono accaduti in un remoto passato.
(2) Non dipendono da me né la forma delle leggi della natura né ciò che è accaduto in un remoto passato. (3) Perciò, la scelta tra Vai o Resta è completamente determinata da circostanze che sono fuori dal mio controllo. (4) Se una mia azione non dipende da me, non è un'azione libera (nel senso moralmente importante del termine). (5) Perciò, la mia scelta tra Vai o Resta non è un'azione libera.
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tativo fatto sino a questo momento, quello di Kane, finisce in un vicolo cieco. La sua richiesta della Responsabilità Ultima finisce per gravare, a un più attento esame, sulle specifiche di un agente libero, con condizioni che si dimostrano sia immotivate sia impossibili da rilevare. Potete certo volere una macchina con due sterzi e una bussola nel serbatoio, ma questo non vuol dire che quella sia una macchina che vale la pena desiderare. Come potremmo rispondere, allora, all'argomento degli incompatibilisti? Dov'è il passo falso che ci permette di respingere le loro conclusioni? Ci possiamo rendere conto, ora, che questo ragionamento cade nello stesso errore fatto dalla dimostrazione fallace dell'impossibilità dell'esistenza dei mammiferi. Eventi di un remoto passato certo non "dipendono da me", ma adesso la mia decisione tra Vai e Resta dipende da me, perché i suoi "genitori" -alcuni eventi che mi sono accaduti nel mio passato recente, come le scelte che ho fatto non molto tempo fa- dipendevano da me (perché i loro "genitori" dipendevano da me), e così a ritroso, non all'infinito, ma abbastanza per poter concedere al mio sé un'estensione sufficientemente ampia nel tempo e nello spazio da far sì che ci sia un Io da cui possano dipendere le mie decisioni! La realtà dell'esistenza di un Io morale, in questo modo, non è messa in discussione dal ragionamento incompatibilista più di quanto non lo sia l'esistenza reale dei mammiferi. Prima di abbandonare le tesi dei libertari dovremmo chiederci, una volta di più, che cosa volevano ottenere. Una scintilla indeterministica che apparisse nel momento delle nostre decisioni più importanti non potrebbe renderei più flessibili, non ci darebbe maggiori opportunità, non farebbe di noi delle persone che si sono fatte da sé o più autonome, in alcun modo che si possa riconoscere dall'interno o dall'esterno, quindi perché mai dovrebbe interessarci? Come potrebbe essere una differenza che fa la differenza? Bene, potrebbe darsi, come potrebbe non darsi, che credere nell'esistenza di una simile scintilla, come credere in Dio, possa
cambiare tutto il vostro modo di pensare al mondo e alla vostra vita nel mondo, anche se non potrete mai sapere (in questa vita) se sia o non sia davvero così. Certo, la credenza nell'indeterminismo nell'azione può portare a qualcosa di simile. Ma c'è una importante distinzione da fare: anche se non potrete mai sapere, anche se non potrete mai dimostrare scientificamente che c'è un Dio, non è difficile spiegare perché la fede nell'esistenza di un Essere supremo e benigno che vi osserva possa darvi conforto, forza morale e speranza, e cose simili. La fede in Dio non è come, diciamo, la fede in D id (una grande sfera di rame che orbita attorno a una stella posta fuori dal nostro cono di luce e che ha la sigla DID stampata in rilievo sulla sua superficie). Chiunque può benissimo avere fede in Did se ciò lo fa stare bene, ma perché dovrebbe farlo? Ciò di cui accuso i libertari è di aver gonfiato desideri perfettamente ragionevoli di una varietà di libero arbitrio che vale la pena di desiderare nella brama di una varietà di libero arbitrio che è desiderabile quanto la comunione con Did. Ma è anche vero che, per quanto possa essere sviante siffatta brama, potrebbe essere poco prudente interferire con essa. Potrebbe darsi che, fino a quando, o a meno che, non si trovi un sostituto adatto, dovremmo sentirei obbligati a trattenerci dal fare ulteriori critiche a questo desiderio, pur irrazionale e immotivato. (Fermate quel corvo!) Ma se le cose stanno così, è troppo tardi per celare nuovamente il segreto. Faremmo meglio a darci da fare per aiutare la gente a superare le sue delusioni.
Un'analisi della migliore tesi dellibertarismo mostra come non si possa trovare una posizione dz/endibile per l' indeterminismo all'interno dei processi decisionali di un agente responsabile. Dal momento che illibertarismo non può giustificare il suo requisito di base, possiamo abbandonare l'indeterminismo e prendere in considerazione requisiti più realistici per la libertà, e cercare di capire come essi possano essersi evoluti.
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Capitolo 4
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Ho sottolineato l'importanza del caos per i filosofi in Elbow Room (Dennett, 1984). Si può trovare una valutazione compatibilistica più recente del ruolo del caos in Matt Ridley, 1999, pp. 360-363. Su chi si debba prendere la responsabilità si veda Elbow Room (p. 76), che include anche i dibattiti sul caos newtoniano (pp. 151-152) e sull'attrito che fa la differenza tra debolezza della volontà e autoinganno. La discussione sui giudizi istantanei della facoltà di ragione pratica è una discendente della discussione sulla comprensione del motto di spirito che ho presentato in Brainchildren (Dennett, 1998a, p. 86): la complessa disposizione dello stato della credenza che determina se qualcuno riderà o meno a un motto di spirito dipende dalla capacità di quel qualcuno di completare i molti dettagli lasciati in sospeso dal racconto. Sarebbe strano chiamare il processo inconscio che attiva un sorriso involontario una deliberazione, ma è comunque un processo sofisticato di trasformazione dell'informazione. Si veda "What happens when someone acts?" di David Velleman (1992) per maggiori informazioni sulla causalità efficiente di Chisholm e su una sua possibile riduzione a qualcosa di più accettabile per un naturalista, un argomento affrontato anche nel capitolo 8 di questo volume. Raramente i teorici approvano in modo esplicito il Teatro cartesiano, ma talvolta si riesce a far uscire allo scoperto qualche inveterato cartesiano. Per una serie di esempi, con commenti, si vedano i miei libri e i miei articoli più recenti sulla
coscienza. Un'immagine analoga di isolamento dovuta al gusto per la paternità ispira, e distorce, il pensiero di alcuni filosofi a proposito della comprensione. Si veda il mio "Do-ityourself understanding" in Brainchildren (Dennett, 1998a), per saperne di più sul tentativo di Fred Dretske di distinguere la comprensione genuina dal simulacro prefabbricato che si può comperare e installare a prezzo inferiore. (Secondo questo approccio, potrebbe sembrare che i robot capiscano; ma quella non sarebbe comprensione loro, dal momento che non l'hanno fabbricata da soli.) Sull'idea di Kane dell"'elaborazione in parallelo": in un pezzo intitolato "Diamo ai sostenitori del libero arbitrio ciò che dicono di volere" (in Dennett, 1978) ho presentato più o meno lo stesso suggerimento, utilizzando l'esempio (pp. 440441) di una donna che deve scegliere se accettare un'offerta di lavoro dall'Università di Chicago o un'offerta da Swarthmore; entrambe le decisioni sono razionali e anche se, quando lei prende la decisione, la scelta è indeterminata, qualunque alternativa imbocchi ci sarà sempre una buona ragione a sostenerla, e questa è la sua ragione. Ma non ho preso quell'idea molto sul serio, se non come una briciola da lasciare ai libertari. Kane mostra quanto io l'abbia sottovalutata. Sui mammiferi: molta letteratura ha preso corpo negli ultimi anni sulla vaghezza e su come comportarsi con essa. Raccomando, in particolare, Diana Raffman (1996); mi ha convinto, ma se i suoi ragionamenti non convincono voi, potete spulciare la bibliografia che presenta a sostegno delle sue tesi. Il modello Tabletalk di Robert French (1995) è un'architettura profondamente soddisfacente di un genere di processo decisionale stocastico come quelli abbozzati in questo capitolo- un mondo in miniatura senza alcun significato morale, ma pieno di intuizioni. Si veda la mia introduzione al suo libro, ristampata in Brainchildren (Dennett, 1998a). Kane ha proposto una distinzione tra quella che lui chiama la versione "epicurea" dell'indeterminismo e la versione "non epicurea" (Kane, 1996,pp.172-174). Unmondoindeterministico in senso epicureo consiste di "biforcazioni di storie"
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Capitolo} Quattro miliardi di anni fa non c'era libertà sul nostro pianeta, perché non c'era traccia di vita. Che tipi di libertà si sono evolutz; da quando la vita ha avuto origine e come si sono evolute le sue ragioni evolutive - le ragioni di Madre Natura -fino a diventare le nostre ragioni?
Fonti e letture consigliate
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(modellate sulle deviazioni caotiche epicuree) sparse tra le cose e gli eventi, e con ''determinate" proprietà. In un mondo indeterministico in senso non epicureo ci sono sia "un'indeterminazione delle proprietà fisiche sia la possibilità della presenza di biforcazioni di storie". Che differenza c'è tra le due cose? "Un mondo epicureo nel quale accorressero eventi indeterminati dato un passato interamente determinato - un mondo di caso senza indeterminazione - sarebbe un mondo di puro caso, non di libero arbitrio. Non ci sàrebbero 'periodi di gestazione' indeterminati per atti liberi, per così dire; questi semplicemente sbucherebbero fuori da un passato determinato in un modo o in un altro, senza alcuna preparazione in quella forma di indeterminazione che produce tensione, lotta interiore, conflitto" (p. 173). Ma che dire dei modelli computerizzati di "braccio di ferro" non lineare, caotico, con feedback ricorrente? Essi presentano "periodi di gestazione" apparenti, zeppi di (un'approssimazione digitale della) indeterminazione quanto volete; ma essi ottengono il loro (pseudo-) indeterminismo in modo epicureo - con generatori di numeri pseudocasuali che spargono gli esiti dei loro calcoli tra le subroutine deterministiche. Non potete avere entrambe le cose: se, seguendo i ragionamenti di Paul Churchland, volete applaudire alla scoperta del potere delle reti neurali ricorrenti non lineari, con tutta la loro apertura olistica non simbolica, non rigida e a ruota libera, allora dovete riconoscere che l'algoritmicità epicurea è sufficiente a fornire tutto ciò, dal momento che è ciò di cui sono fatti i modelli funzionanti.
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"Mi scusi signore, mi può dire come faccio ad arrivare alla Symphony Hall?" "Con l'esercizio, mio caro, con molto esercizio!"
La Boston Symphony Orchestra è famosa per mettere solitamente a dura prova i nuovi direttori fino a quando costoro non sono in grado di mostrare il loro valore. Un giovane direttore, alla vigilia del suo debutto con la BSO e perfettamente a conoscenza di questa reputazione, decise di cercare di ottenere il più rapidamente possibile il rispetto degli orchestrali. Gli era stata assegnata da calendario la direzione della prima di una composizione contemporanea dissonante e letteralmente inascoltabile e, non appena se ne rese conto, gli venne in mente un brillante stratagemma per raggiungere lo scopo. Trovò un crescendo veloce in cui l'intera l'orchestra stava strillando su più di una dozzina di note in disaccordo e constatò che il secondo oboe, una delle voci più sommesse dell'orchestra, avrebbe dovuto suonare un si naturale. Prese la partitura del secondo oboe e inserì con molta attenzione il segno di bemolle: all'oboe ora sarebbe stato richiesto di suonare un si bemolle. Alla prima prova generale, diresse vivacemente l'orchestra fino alla fine del crescendo così modificato. "N o!" urlò, fermando bruscamente l'esecuzione. Poi, con la fronte corrugata in un'espressione di profonda concentrazione, disse: "Qualcuno, vediamo, sì, deve essere ... il secondo oboe. Tu dovevi suonare un si naturale e invece hai suonato un si bemolle". 187
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"Diavolo, no," disse il secondo oboe. "Io ho suonato un si naturale. Qualche idiota vi aveva scritto sopra un si bemolle!"
Consideriamo questo fenomeno dal punto di vista biologico. La Boston Symphony Orchestra esiste da più di un secolo, il suo personale viene continuamente rinnovato, le sue finanze crescono e scemano, il suo repertorio si amplia e cambia man mano che vengono "messi a riposo" i brani vecchi e risaputi, e si sperimentano nuovi pezzi. Sotto molti punti di vista, questa gloriosa e antica istituzione è come un organismo vivente, con una precisa personalità. una sua particolare storia di crescita, di malattie e di salute, in grado di imparare e dimenticare, di viaggiare per il Globo e tornare a casa, capace di rimpiazzare le sue vecchie e stanche "cellule" con nuove reclute, di modificare il suo comportamento in funzione della nicchia ecologica nella quale prospera. Tale prospettiva biologica è interessante e utile; però, trascura le caratteristiche più affascinanti e importanti del fenomeno. Se dei biologi da un'altra galassia dovessero scoprire la Boston Symphony Orchestra, quello che dovrebbe attirare maggiormente la loro attenzione non sarebbero le notevoli somiglianze con animali e piante, ma le differenze. Un organismo è costituito da un'immensa squadra di cellule, ma nessuna di esse può soffrire d'ansia temendo di essere umiliata. Nessuna può imparare a suonare l'oboe o essere responsabile della scelta del direttore da ospitare per un anno entro una lista di giovani direttori promettenti. Nessuna è in grado di calcolare le implicazioni della risposta dell'oboista, e prevedere l'effetto catastrofico che questa avrà sulla campagna indetta dal giovane direttore per guadagnarsi la stima degli orchestrali. Ciò che è straordinario nella Boston Symphony Orchestra (e in una miriade di molte altre istituzioni e di pratiche umane) è che, se da un lato può essere così ben organizzata e progettata, così autonoma, dall'altro è composta da un disparato assortimento di individui a loro volta aut01tomi, di diversa na-
zionalità, età, sesso, temperamento e aspirazioni. I membri dell'orchestra sono liberi di rimanere e andarsene quando vogliono; quindi, il comitato di direttori deve lavorare duro per garantire che le condizioni di lavoro e la paga siano sufficientemente buone da farli sentire motivati. Guardate la sezione dei violini. Venti individui di talento, ma tutti differenti. Alcuni sono brillanti ma pigri, altri invece perfezionisti ossessivi; qualcuno è annoiato ma coscienzioso, qualcun altro è rapito dalla musica, un alrro ancora sta sognando di fare l'amore con quell'adorabile violoncellista poche file più in là; ma tutti loro muovono il loro archetto sulle corde degli strumenti perfettamente all'unisono, una configurazione forzatamente sovraimposta a un caleidoscopio di coscienze umane tutte differenti. Ciò che rende possibile concertare queste azioni è un massiccio complesso di prodotti culturali, profondamente condivisi dai musicisti, dal pubblico, dal compositore, dai conservatori, dalle banche, dal pubblico, dai liutai. dai rivenditori di biglietti, e così via. Non c'è proprio nulla nel regno animale che possa essere paragonabile a tanta complessità. La mente dell'uomo è fornita di- e ossessionata da migliaia di aspettative, valurazioni, progetti, schemi, speranze, paure e ricordi che sono totalmente inaccessibili persino alle menti dei nostri parenti prossimi, le grandi scimmie antropomorfe. Questo universo di ideali e artefatti umani dona agli individui della nostra specie capacità e inclinazioni che sono nettamente differenti da quelle di qualunque altro essere vivente presente sul nostro pianeta. La libertà che ha un uccello di volare dove più ne ha voglia è, senza alcun dubbio, un tipo di libertà, un miglioramento decisivo della libertà che aveva già la medusa di lasciarsi portare dalla corrente ovunque questa la conducesse; ma è una parente povera della libertà umana. Fate un paragone tra il canto degli uccelli e il linguaggio degli esseri umani. Entrambi sono due magnifici prodotti della selezione naturale, e nessuno dei due è un miracolo; ma il linguaggio umano rivoluziona la vita, aprendo al mondo biologico dimensioni decisamente inaccessibili agli uccelli. La libertà umana, che è in parte un prodotto della rivoluzione generata dal linguaggio e dalla cul-
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I primi giorni
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tura, è tanto differente dalla libertà degli uccelli quanto il linguaggio umano lo è dal loro canto. Ma per poter capire il fenomeno più complesso, è necessario prima intendere le sue più semplici componenti, e i suoi precedenti. Quello che dobbiamo fare per poter comprendere la natura della libertà umana è seguire lo "strano capovolgimento del ragionamento" operato da Darwin e ripensare ai primi tempi della vita sul nostro globo, quando non c'era libertà, non c'era intelligenza, non c'era possibilità di scelta, ma solamente protolibertà, protoscelta e protointelligenza. Abbiamo visto, a grandi linee, quello che successe: cellule semplici che alla fine generarono cellule complesse, che alla fine generarono organismi pluricellulari, che poi generarono il mondo macroscopico complesso in cui viviamo e agiamo oggi. Ora, dobbiamo ritornare sui nostri passi e analizzare alcuni dei dettagli del racconto di questo processo. Supponiamo che vi basti solo sopravvivere sul pianeta Terra. Che cosa vi servirebbe? Partendo dal livello molecolare, non vi basterebbe il DNA, ma avreste bisogno di tutte le attrezzature molecolari - le proteine - per completare i tanti passi della replicazione del DNA. Avreste bisogno di una proteina che dia inizio al processo, di una per svolgere l'elica, un'altra per legare il filamento singolo di DNA, per distendere i superavvolgimenti, per segmentarelimpacchettare i cromosomi, e così via. Nessuna di queste operazioni è facoltativa; sono tutte obbligate. Se doveste perdere una qualunque di queste proteine, sareste eliminati. E stato necessario progettare anche queste stesse componenti elementari, nel corso del tempo. Il kit completo, che noi oggi condividiamo con tutte le altre forme di vita del pianeta, è stato assemblato e perfezionato nel corso di alcuni miliardi di anni, e ha sostituito kit più semplici utilizzati dai nostri predecessori meno complessi. Noi dipendiamo dal nostro kit di montaggio come i nostri predecessori dipendevano dal loro; ma noi abbiamo più possibilità di quelle che avevano loro, perché le migliorie apportate al nostro kit hanno reso possibili forme di aggregazione più sofisticate, e queste a loro volta hanno reso possibili modi ancora più indiretti
per entrare in collisione con le altre cose del mondo, nonché lo sfruttamento dei risultati delle collisioni stesse. Quando la vita ha avuto inizio, c'era un solo modo di rimanere vivi. Ed era fai A o muori. Ora ci sono diverse opzioni: fai A o B o C o Do ... muori. Per vivere avete bisogno di energia. È stato il Sole a fornire la prima energia utile alla vita o sono state le sorgenti termali situate nelle viscere della Terra? Questa è, al momento, una questione aperta, con un allettante spettro di ipotesi sull'origine della vita, tutte in competizione tra loro e in attesa di conferma. Comunque abbia avuto inizio, la vita- o comunque la maggior parte di essa- è alla fine diventata dipendente dall'energia proveniente dal Sole. Per rimanere in vita e per riprodurvi avreste dovuto galleggiare nelle prossimità o sulla superficie delle acque, crogiolandovi alla luce solare. Si è prodotta un'innovazione rilevante quando alcuni di questi esseri mutarono, "scoprendo" in tal modo che, invece di fare tutto da soli, potevano ottenere di meglio ingoiando e scomponendo alcuni degli esseri vicini a loro, utilizzandoli come comoda scorta di pezzi di ricambio già costruiti. L'invasione è ciò che rende la vita interessante. Invasori e invasi hanno così inaugurato una corsa agli armamenti che ha condotto entrambi gli schieramenti a sviluppare nuove varietà. In poco tempo- più o meno in un miliardo di anni - sono emersi molti e vari "modi per guadagnarsi da vivere" (come Richard Dawkins ha sottolineato); ma questi modi non saranno mai nulla più di una trama "evanescente" di condizioni reali nell'"enorme" spazio delle possibilità logiche. Quasi tutte le combinazioni di queste componenti elementari rappresentano un modo di non essere vivi. Una delle più importanti innovazioni in questa corsa agli armamenti della progettazione competitiva è stata la mutazione accidentale conosciuta come rivoluzione eucariotica, che è avvenuta più di un miliardo di anni fa. I primi esseri viventi, le cellule relativamente semplici note come procarioti, hanno avuto tutto il pianeta a loro disposizione per tre miliardi di anni, fino a quando uno di loro non è stato invaso da un vicino e la coppia risultante si è rivelata più adatta dei suoi parenti non
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modificati, quindi ha prosperato e si è moltiplicata passando tale predisposizione al lavoro di squadra alla propria progenie. Ecco un primo esempio di una sorta di cooperazione: la simbiosi, un caso in cui X e Y si scontrano, ma invece dì avere una situazione in cui X distrugge Y, o quella opposta o, anche peggio, invece di avere la mutua distruzione il risultato abituale degli scontri in questo mondo difficile-, X e Y uniscono le loro forze, creando Z, un essere nuovo, più grande e più versatile, con maggiori possibilità di scelta. Questo potrebbe essere accaduto molte volte nel mondo dei procarioti, ovviamente; ma quando successe la prima volta, il pianeta cambiò a beneficio delle forme di vita successive. Queste super-cellule, gli eucarioti, vivevano a fianco dei loro cugini procarioti ma, grazie ai loro "autostoppisti", erano enormemente più complessi, versatili e competenti. Questa era una cooperazione involontaria, ovviamente. I membri delle squadre eucarioti erano all'oscuro del lavoro di équipe nel quale erano impegnati! Non avevano- e non avevano bisogno di avere- alcuna comprensione della razionalità fluttuante (/ree-floating rationale) che era alla base del loro vantaggio nella competizione. I primi eucarioti non erano nemmeno pluricellulari; ma dovevano aprire lo spazio dei progetti agli organismi pluricellulari, poiché si erano ritrovati con un sufficiente numero di pezzi di ricambio sì da specializzarsi in differenti modi. (Siamo ancora molto lontani dai violinisti o dagli oboìsti, cioè dal lavoro di squadra della BSO, ma siamo sulla strada giusta.) La rivoluzione eucariotica porta alla nostra attenzione il fatto che anche nell'evoluzione biologica, che Darwin molto a proposito chiamava "generazione con mutazione", c'è un sacco di spazio concesso alla trasmissione orizzontale del progetto (design). Gli ospiti procarioti che vennero "infettati" per primi dai loro visitatori simbiorici ricevettero un grande dono di competenza progettata altrove. Cioè, non ricevettero tutte le loro competenze per discendenza verticale dai loro antenati, attraverso i loro genitori e i loro nonni, e così via. In altre parole, non ricevettero tutte le loro competenze dai loro geni. Essi, comunque, passarono questo dono a tutta la loro prole e
alla prole della prole attraverso i loro geni, dato che i geni degli invasori vennero a condividere il destino dei geni del nucleo dei loro ospiti, viaggiando a fianco a fianco, di generazione in generazione, ognuna delle quali, si può dire, veniva infettata nel momento stesso della sua nascita dalla sua controparte simbionte. La traccia chiara di questo percorso duale è ancora oggi piuttosto saliente, in tutti gli organismi pluricellulari, noi compresi. l mitocondri, i minuscoli organelli che trasformano l'energia in ognuna delle nostre cellule, sono i discendenti di questi invasori simbionti, e hanno il loro genoma, un loro proprio D;.JA. Il vostro DNA mitocondriale, che ricevete solamente da vostra madre, è presente in ognuna delle vostre cellule, a fianco del vostro DNA nucleare - del vostro genoma. (La riproduzione sessuale arriverà in seguito; lo sperma di vostro padre non ha contribuito con alcun mitocondrio durante il processo di fertilizzazione.) La trasmissione orizzontale del progetto, dell'informazione che può essere messa a buon uso, è la caratteristica fondamentale della cultura umana, e costituisce indubbiamente il segreto del nostro successo come specie. Ognuno di noi è beneficiario di un lavoro progettuale svolto da un numero indefinito di altri individui che non appartengono al nostro albero genealogico. Nessuno di noi deve "reinventare la ruota" o riscoprire la matematica o gli orologi o la forma del sonetto. Talvolta si sostiene erroneamente che questa trasmissione culturale, avvenendo tra individui geneticamente indipendenti tra loro, mostri come la cultura umana non possa venire interpretata come un fenomeno evolutivo governato dai principi della teoria neodarwiniana. In realtà, come abbiamo appena visto, la trasmissione orizzontale di buoni elementi progettuali, che avviene tra individui privi di una qualunque relazione parentale tra loro, va considerata una caratteristica importante dell'evoluzione delle prime (unicellulari) forme di vita, arricchita da una crescente lista di esempi comprovati; è più un motivo di orgoglio che di imbarazzo per la contemporanea biologia dell'evoluzione. La rivoluzione eucariotica non si è prodotta all'improvviso; l'evoluzione ha dovuto scoprire faticosamente la soluzione di
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molti problemi prima di poterla rendere sicura. Nel capitolo 2 abbiamo incontrato i transposoni parassiti, geni rinnegati i cui effetti deleteri devono essere contrastati. Il processo che risolse questi conflitti intragenomici mette in luce alcuni importanti temi darwiniani: l'attività di R&S è costosa, ogni progetto deve essere "pagato", e l'evoluzione continua a riutilizzare progetti precedenti (già pagati e copiati) per nuovi scopi. I semplici procarioti potevano esprimere i loro geni grazie a un equipaggiamento per la lettura genica relativamente semplice. Il che significa che non c'è bisogno di una tecnologia molto raffinata per seguire i passi di una ricetta genica di un procariote e costruire la prole di un procariote. Le cellule eucarioti più complesse, però, per non parlare di noi stessi esseri pluricellulari composti da questi "mattoni'' ben più complessi, necessitano di un sistema incredibilmente elaborato di passi intermedi, di controlli e di bilanciamenti, in modo che i geni possano venire attivati e disattivati nei tempi giusti e per mezzo di effetti indiretti di altri prodotti di geni, e così via. Per un certo periodo, i biologi hanno dovuto confrontarsi con il classico problema dell'uovo e della gallina: come si è evoluto questo dispositivo di regolazione dei geni? La vita pluricellulare non poteva nemmeno iniziare a evolversi prima che buona parte di tale costosa apparecchiatura fosse pronta; apparentemente, però, questa n ori serviva alla vita dei più elementari procarioti. Chi ha pagato tutta questa attività di R&S? La risposta che sta emergendo ora è che tutta questa attività di R&S ebbe come prezzo una guerra civile che si è combattuta approssimativa,mente per un miliardo di anni della vita dei primi procarioti. E stata una corsa agli armamenti che si è svolta all'interno del genoma, con geni buoni-cittadini che davano battaglia a quei transposoni-scrocconi che si replicavano in continuazione all'interno del genoma senza apportare alcun beneficio all'organismo intero. Questa lotta ha fatto emergere un'enorme quantità di misure e di contromisure, quali meccanismi silenziatori e tecniche di isolamento e di sconfitta degli avversari. (l dettagli di tali meccanismi, come i dettagli dei meccanismi che hanno permesso l'unificazione simbiotica dei genomi nella rivolu-
zione eucariotica, stanno iniziando a emergere, e sono affascinanti, ma vanno ben oltre gli scopi di questo libro.) Come nella corsa agli armamenti della nostra storia attuale, il risultato è stato il raggiungimento di un costoso punto di equilibrio, ma i frutti di tanta attività di R&S erano ormai pronti per essere trasformati in aratri: il meccanismo ad alta tecnologia necessaria per creare le forme di vita pluricellulari (McDonald, 1998). Quindi, sembra che noi stessi siamo una sorta di "dividendo della pace", come i computer, il teflon, il GPS e gli altri prodotti ad alta tecnologia derivati dalla corsa agli armamenti perseguita dal complesso militare-industriale USA, a suon di dollari (procurati con le tasse).
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Il dilemma del detenuto' Ma come esattamente funzionano queste corse agli armamenti? Quali fattori governano o condizionano le offensive e le controffensive delle "parti" coinvolte nella competizione? Ogni circostanza in natura nella quale appare qualcosa di simile a una cooperazione richiede una spiegazione. (Potrebbe benissimo incominciare come un caso fortunato; ma non riuscirebbe a sopravvivere per lo stesso motivo. Sarebbe troppo bello per essere vero!) È in casi come questi che dobbiamo ricorrere a un approccio tratto dalla teoria dei giochi e a un suo classico esempio, il "dilemma del detenuto" (o, come altri dice, "del prigioniero"). Questo è un semplice "gioco" a due, che getta ombre, ovvie non meno che sorprendenti, su molti e vari aspetti del nostro mondo. Eccone una versione assai semplice. Voi e un'altra persona siete stati messi in galera e siete in attesa di giudizio (per un'accusa inventata, poniamo); la pubblica accusa offre a ciascuno dei due, separatamente, lo stesso patto: se entrambi tenete duro, senza confessare o coinvolgere l'altro, otterrete tutti e due una pena lieve Oe l, Alcune parti di questa sezione sono tratte. con modifìcazioni, da L'i-
di:' a palco!osa di Daru·in IDennett, 1995, pp. 319-322),
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prove contro di voi non sono così forti); se voi confessate e coinvolgete l'altro, e lui tiene duro, voi rimarrete impuniti, mentre lui verrà condannato all'ergastolo; se confessate tutti e due, coinvolgendovi a vicenda, vi beccherete entrambi un certo periodo di detenzione. Ovviamente, se voi tenete duro e l'altro confessa, lui resta libero e voi vi beccate la condanna all'ergastolo. Che fare? Se ambedue poteste tener duro, sfidando l'accusa, sarebbe molto meglio che confessare entrambi; quindi, perché non potreste semplicemente promettervi a vicenda di tener duro? (Nel gergo usuale del dilemma del detenuto, la prima opzione si chiama appunto cooperazione- con l'altro detenuto, naturalmente, non con l'accusa.) Potreste promettervi, ma ognuno di voi avrebbe poi la tentazione- che la segua o meno - di tradire, perché così facendo ognuno penserebbe di venire liberato, lasciando il babbeo, è triste dirlo, in grossi guai. Visto che il gioco è simmetrico, l'altra persona sarà tentata nello stesso modo, è ovvio, di farvi passare da babbeo tradendovi. Rischiereste l'ergastolo basandovi sulla vostra convinzione che quell' altro manterrà la parola? Probabilmente è più sicuro tradire, non è vero? In questo modo evitereste sicuramente il peggiore degli esiti e potreste addirittura venire rilasciati. Ovviamente, se è un'idea così geniale, l'avrà anche l'altro; quindi, probabilmente anche lui giocherà sul sicuro e vi tradirà, nel qual caso voi dovrete tradire per evitare il disastro- a meno che non siate tanto santi da non avere nulla in contrario a passare il resto della vita in prigione per salvare qualcuno che non mantiene le promesse; quindi, è probabile che entrambi finirete per tradire e vi beccherete tutti e due una condanna di una certa entità (ma non l'ergastolo). Se soltanto poteste resistere a questo ragionamento, e cooperare! Quel che conta è la struttura logica del gioco, non lo scenario che è solo un utile e vivido stratagemma per aiutare l'immaginazione. Possiamo sostituire le condanne con prospettive positive (la possibilità di vincere una certa quantità di denaro o, poniamo, di avere dei discendenti), purché i compensi siano simmetrici e ordinati in modo tale che il tradimento di uno solo
paghi più della cooperazione reciproca, che paga più del tradimento reciproco, che a sua volta paga più di quello che si ottiene a farsi gabbare dal compagno quando, lui solo, tradisce. (E nelle presentazioni formali viene imposta una condizione ulteriore: la media dei compensi in palio per l'esito con un babbeo e con un tradimento reciproco non deve superare la media dei compensi che sono in palio nel caso di mutua cooperazione.) Ogniqualvolta si presenta una struttura simile a questa nel mondo. si ha a che /are con il ''dilemma del detenuto". L'esplorazione della teoria dei giochi è stata portata avanti in molti settori, dalla filosofia e dalla psicologia all'economia e alla biologia. Nella teoria dei giochi applicata all'evoluzione, il compenso viene misurato in discendenti, e lo scopo dei modelli è quello di esplorare le condizioni alle quali i progetti di "cooperazione" possono rafforzarsi e arrivare a sconfiggere gli altrimenti sempre favoriti tradimenti reciproci. Perché il tradimento è la strategia vincente di default? Date un 'occhiata alla matrice dei compensi nella figura 5 .l. Qualunque mossa faccia il giocatore Y, se il giocatore X tradisse, quest'ultimo otterrebbe di più che nel caso in cui cooperasse. Si dice che il tradimento come politica domina nella situazione di base. L'effetto di questo fatto sui discendenti del giocatore X, come su una proporzione della generazione successiva di popolazione, si può calcolare matematicamente; si evince facilmente
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Figura 5.1 Il dilemma del detenuto.
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dalle simulazioni, nelle quali singoli agenti traditori di un qualche genere vengono messi a confronto in duelli con singoli agenti cooperatori di un qualche genere. Questi duellanti interagiscono secondo la loro natura i traditori tradiscono sempre e i cooperatori cooperano sempre- e gli esiti (in termini di numero di discendenti) vengono calcolati e sommati per una gamma di molte generazioni. In assenza di caratteristiche speciali che prevengano tale esito, i traditori in breve tempo, triste a dirlo, annientano i cooperatori. Questa tendenza ineluttabile rappresenta la corrente prevalente contro la quale deve lottare tutta l'evoluzione della cooperazione. La più influente tra le tante applicazioni della teoria dei giochi alla concezione dell'evoluzione è l'idea di strategia evolutivamente stabile di John Maynard Smith, (Evolutionary Stable Strategy, o ESSÌ, una strategia che può anche non essere la migliore immaginabile, ma che, date le circostanze, nessun'altra stategia alternativa è in grado di battere. Il mondo crudele nel quale tutti tradiscono continuamente è un'ESS nella maggior parte delle circostanze immaginabili, dato che pionieri di cooperatori gettati entro una popolazione di questo tipo verrebbero annientati in breve tempo. Ci sono condizioni, però, alle quali si ottengono altri esiti, più rincuoranti, e queste vie d'uscita dalla spietata situazione di partenza costituiscono i gradini della scala che conduce fino a noi. Non ci può essere alcun dubbio sull'utilità delle analisi basate sulla teoria dei giochi per lo studio dell'evoluzione. ché, per esempio. nelle foreste ci sono alberi tanto alti? Esattamente per la stessa ragione per cui file enormi di insegne vistose si contendono la nostra attenzione nelle vie commerciali di tutte le regioni del paese! Ogni albero bada a se stesso e cerca di procurarsi quanta più luce è possibile. Se soltanto queste sequoie potessero riunirsi e trovare un accordo sulla gestione controllata dì alcune aree esposte e la smettessero di competere tra di loro per la luce solare, potrebbero evitarsi la fatica di costruire quei tronchi tanto ridicoli e costosi, smettere di crescere e vivere come arbusti fiorenti, avendo esattamente la stessa quantità di luce di prima! Ma non possono
riunirsi a discutere. In queste circostanze, il tradimento di un qualsiasi accordo di cooperazione è destinato a premiare ogni volta che si verifica; quindi, se non esistesse una risorsa essenzialmente inesauribile di luce solare, gli alberi subirebbero la "tragedia delle risorse in comune" (Hardin, 1968). La tragedia delle risorse in comune si verifica quando esiste una risorsa "pubblica" finita, o quando c'è una risorsa condivisa, che i singoli individui tendono a utilizzare oltre la giusta quota che è stata loro assegnata - si pensi al pesce commestibile negli oceani. A meno che non si raggiungano accordi molto peculiari e praticabili, l'esito più probabile di questa situazione è la distruzione delle risorse. È stata l'evoluzione di un praticabile equilibrio biologico che ha permesso ai geni cooperativi di resistere contro i transposoni traditori, una delle prime innovazioni "tecnologiche", superando così le limitazioni del mondo semplice e noioso dell'egoismo universale, del tradimento universale.
2. Questa sezione contiene una versione rivista di una sezione dallo stesso titolo inserita nel capirolo 16 di L'zdl:'a pericolosa di Daru·in (0ennett. l 9951.
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E Plun·bus Unum? 2 L'avvento della pluricellularità è stato accompagnato da un'altra innovazione nella cooperazione: la soluzione del problema della solidarietà di gruppo a livello cellulare. Come ho fatto notare nel capitolo l, tutti noi siamo composti da migliaia di miliardi di cellule ''robotiche", ognuna delle quali è dotata di un insieme completo di geni e di un'impressionante gamma di apparati per il supporto vitale interno. Perché queste cellule individuali si sottomettono così altruisticamente al bene dell'intera squadra? Sono diventate fortemente dipendenti l'una dall'altra, ovviamente, e non potrebbero sopravvivere a lungo autonomamente, eccetto che nell'ambiente particolare in cui vivono di solito; ma come hanno fatto a entrare in
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questa situazione di dipendenza? 3 Una delle virtù insìte nel "punto di vista del gene" sull'evoluzione è che attira l'attenzione su tale problema considerandolo un problema serio. La solidarietà tra gruppi di cellule è presente ovunque in natura; cellule servilmente devote si possono trovare, dopotutto, in ogni organismo vivente, visibile a occhio nudo. Quindi, è qualcosa di "naturale''; ma, ciononostante, rimane un obiettivo progettuale di grandi proporzioni, non certo qualcosa che i biologi possano dare per scontato. Le lezioni da apprendere sono difficili, ardue, perché le cellule di cui siamo composti appartengono a due categorie piuttosto differenti. Le cellule che compongono il me pluricellulare hanno tutte un'ascendenza comune: sono tutte parte di un unico ceppo, le cellule figlie e nipoti dell'uovo e dello spermatozoo che si sono uniti per formare il mio zigote. Esse sono cellule ospitanti. Le altre cellule, i simbionti, sono lo stesso genere di cosa sono ancora procarioti ed eucarioti ma vanno considerate come delle estranee perché vantano un differente albero genealogico. (Così, questa è una simbiosi di seconda generazione; la simbiosi ha creato le vostre cellule eucarioti, che poi a loro volta hanno ospitato un profluvio di nuovi venuti!) Che importanza può avere questa distinzione tra ospitanti e simbionti? La risposta alla domanda, che avrà un'eco allivello superiore della vita sociale umana, è che, sebbene il pe3. Notate come sono cascato nel vizio tipico dei biologi di parlare di tipi biologici (o ceppi o specie) come se stessi parlando di individui. Le noS[re cellule sono "diventate dipendenti", ma nessuna delle mie cellule è diventata dipendente; sono tutte nate così. Le giraffe hanno sviluppato il loro lungo collo per eoni e ci sono volute migliaia di anni prima che gli uccelli tessitori "imparassero'' a costruire i loro nidi. Lo "sviluppare" e !"'imparare'' che ho utilizzato in questi casi divengono invisibili, se vi concentrate sugli individui. Come abbiamo visto nel caso dell'emergenza dell'elusione del pericolo nel capitolo 2, anche quando ogni individuo è determinato per essere esattamente quello che è fino alla fine dei suoi giorni, il processo maggiore che lo ingloba può apportare dei cambiamenti, delle migliorie, della crescita. Alcuni filosofi si sono dichiarati sospettosi di una simile dualità di prospettiva "la carota e il bastone" è la locuzione che utilizzo in L'zdea pericolosa di Darwin (1995) per caratterizzare il loro sce[ticismo, ma essa è lo strumento fondamentale per comprendere come possano funzionare tutte le attività di R&s dell'e\·oluzione.
digree sia spesso una buona garanzia delle competenze future, sono queste ultime che alla fine avranno importanza, a prescindere dal loro pedigree. Per esempio, il vostro sistema immunitario è formato da cellule che ora sono membri che rivestono un ruolo importante entro la squadra che li ospita, ma hanno iniziato la loro carriera, nei vostri antenati, come soldati di un esercito di invasione che è stato gradualmente cooptato e trasformato in truppa di guardie mercenarie: la loro identità genetica si è fusa con quella del ceppo più antico con cui hanno unito le forze dando vita a un altro esempio di trasmissione orizzontale del progetto. Il trucco per capire le configurazioni che queste trasformazioni assumono di volta in volta è quello di considerare tutte queste cellule robotiche come minuscoli agenti individuali, come sistemi intenzionali, ognuno con un pizzico di potere decisionale "razionale". Adottare l'istanza intenzionale, sollevandosi dall'istanza fisica di componenti atomiche, attraverso l'istanza progettuale delle macchine semplici, fino a giungere all'istanza intenzionale degli agenti elementari, è una tattica che può ripagare generosamente, ma che deve essere usata con attenzione. È perfino troppo facile non accorgersi che ci sono momenti cruciali nella carriera di queste varietà di agenti, semi-agenti e quasi-semi-mezziagenti in cui si affacciano le opportunità ''di prendere delle decisioni", e poi passano. Le cellule che compongono il mio corpo hanno un destino condiviso, ma alcune di loro in un senso più forte di altre. Il DNA presente nelle cellule delle mie dita e nelle cellule del mio sangue è in un vicolo cieco; queste cellule fanno parte della linea somatica (il corpo), non di quella germinale (le cellule sessuali). Come François Jacob ha detto con un'espressione memorabile, il sogno di ogni cellula è quello di diventare due lule; ma le cellule della mia linea somatica sono destinate a morire "sterili" - a parte l'occasionai e sostituzione di qualche vicina che muore in combattimento, e fatta eccezione di risolutivi progressi delle tecniche di clonazione. Dato che questo vicolo cieco è stato costruito molto tempo fa, non c'è più pressione, possibilità normale, ''punto di scelta'' nel quale le loro
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traiettorie intenzionali - o le traiettorie intenzionali della loro limitata progenie - potrebbero essere modificate. Essi sono, per così dire, sistemi intenzionali balistici, i cui principali obiettivi e scopi sono stati fissati una volta per tutte, senza alcuna possibilità che vengano rivisti o guidati. Sono schiavi totalmente compromessi con ilsummum bonum del corpo di cui formano una parte. Dei visitatori li possono sfruttare, imbrogliare o sobillare, ma in normali circostanze essi non sono in grado di ribellarsi da soli. Come le mogli di Stepford, hanno un unico summum bonum impiantato dentro di loro, e questo non è certo "Cerca di essere il migliore". Al contrario, hanno la natura dei corridori gregari. Anche il modo in cui perseguono questo summum bonum è impiantato dentro di loro, e da questo punto di vista differiscono profondamente dalle altre cellule che sono ''sulla stessa barca": i miei visitatori simbionti. Gli ospiti con cui scambio vantaggi, i commensali neutrali e i parassiti deleteri che condividono il veicolo che tutti insieme compongono- vale a dire, io- ciascuno di loro ha un summum bonum progettato dentro di sé, che per ognuno è quello di favorire il proprio ceppo, non me. Fortunatamente, ci sono condizioni che consentono di mantenere un'intesa cordiale, in quanto, dopotutto, sono (siamo) tutti sulla stessa barca, e le condizioni che consentono loro di ricevere maggiori benefici non cooperando sono in numero ridotto. Comunque, loro hanno la possibilità di "scegliere". La questione, per queste cellule, si pone in un modo differente da come si mette per le cellule ospitanti. Perché? Che cosa consente- o impone- alle cellule ospitanti di impegnarsi tanto, lasciando nello stesso tempo i visitatori del tutto liberi di ribellarsi non appena si presenti l' opportunità? Ovviamente, nessuna di queste cellule è un essere pensante, percettivo o razionale. Come nessuno dei due tipi presenta una capacità cognitiva significativamente superiore a quella dell'altro. Non è questo il fulcro della teoria dei giochi applicata all'evoluzione. Neanche le sequoie sono alberi particolarmente astuti, ma le condizioni in cui si trovano a competere le costringono a tradire la promessa, creando ciò che, dal
loro punto di vista (!), è una tragedia di sprechi. L'accordo cooperativo, in base al quale rinuncerebbero tutte a sviluppare tronchi altissimi nel vano tentativo di ricevere più luce di quanto spetti loro, non è evolutivamente applicabile. La condizione che crea la possibilità di scelta è il "voto", privo di intenzionalità, della riproduzione dzf/erenziale. È l'opportunità della riproduzione differenziale a consentire che i ceppi dei nostri visitatori "cambino idea" o "riconsiderino" le scelte fatte, "esplorando" politiche alternative. Le mie cellule ospitanti, tuttavia, sono state progettate una volta per tutte da un unico voto, svoltosi al tempo in cui si è formato il mio zigote. Se, in seguito a una mutazione, sono loro a sviluppare strategie dominanti o egoistiche, allora non prospereranno (relativamente ai loro contemporanei), dal momento che vi è una ben misera possibilità di riproduzione differenziale. (Il cancro si può considerare come una ribellione egoistica - che conduce alla distruzione del veicolo- resa possibile da una revisione delle circostanze normali che consentono la riproduzione differenziale.) Brian Skyrms ha escogitato (1994a, b) un'analogia meravigliosa tra questa politica pluricellulare (un altro frutto benigno della guerra civile che ha creato tutto l'apparato di lettura genica) e la monumentale Teoria della giustizia diJohn Rawls (1971). La precondizione per la cooperazione normale nel destino fortemente condiviso delle cellule di linea somatica è analoga alla situazione detta della "posizione originaria", l'esperimento mentale di Rawls finalizzato a mostrare come gli agenti razionali sceglierebbero di progettare uno stato ideale giusto se fossero costretti a scegliere sotto quello che lui chiama "il velo dell'ignoranza". Skyrms lo ribattezza, appropriatamente, il "velo darwiniano dell'ignoranza". Le vostre cellule sessuali (spermatozoi o uova) si sono formate in un processo diverso da quello della normale divisione cellulare, o mitosi. Le vostre cellule sessuali si sono formate da un processo chiamato meiosi, un processo che costruisce, per mezzo di una procedura casuale, metà del candidato-genoma (che unirà le sue forze alla metà proveniente dal partner) scegliendo prima
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un pezzettino dalla "colonna A" (i geni che avete ricevuto da vostra madre) e poi un pezzettino dalla "colonna B" (i geni che avete preso da vostro padre) fino a costruire la serie completa dei geni- ma una sola copia di ognuno- e a installarla in una cellula sessuale, pronta a tentare la sorte nella grande lotteria dell'accoppiamento. Ma quali "figlie" del vostro zigote originale sono destinate alla meiosi e quali invece alla mitosi? Anche questa è una lotteria. È una lotteria casuale o pseudocasuale? Per quanto ne sappiamo, è come il lancio di una moneta, determinato da alcune coincidenze inscrutabili e non strutturate di influenze, e perciò predicibili in linea di principio solo dall'intelligenza infinita immaginata da Laplace, ma non dalle forze altamente sensibili e selettive che consentono la cieca ma efficace andatura barcollante dell'Orologiaio Cieco. Con questo meccanismo, i geni paterni e materni (dentro di voi) normalmente non potrebbero "conoscere il loro destino" in anticipo. Che si apprestino ad avere una progenie nella linea germinale, che potrà avere a sua volta un fiume di discendenti che scorrerà nel futuro, oppure che vengano relegati nelle acque stagnanti e sterili della schiavitù della linea somatica per il bene collettivo, ovvero a vantaggio della "corporazione" (si pensi all'etimologia del termine), non è noto né può esserlo, così che i geni che si trovano "sulla stessa barca" non possano guadagnare nulla dando vita a una competizione egoistica. Questa, comunque, è l'impostazione abituale. Vi sono, tuttavia, alcune condizioni particolari in cui il velo darwiniano dell'ignoranza si solleva brevemente: i casi di meiotic drive o di imprinting genomico (Haig, Grafen, 1991; Haig, 1992, 2002; per l'analisi di questo argomento si veda L'idea pericolosa di Darwin [Dennett, 1995, capitolo 9]), in cui le circostanze consentono invece l'emergere tra i geni di una competizione "egoistica"- che, di fatto, si manifesta dando il via a una corsa agli armamenti crescente. Nella maggior parte delle circostanze, però, il "tempo di essere egoisti", per i geni, è notevolmente ristretto, e una volta che il dado è tratto- o che la scheda è inserita nell'urna- questi geni sono lì solo per farsi un giro fino all'elezio-
ne successiva. L'analogia è stata notata per la prima volta, forse, da E. G. Leigh:
Provate a descrivere queste configurazioni complesse della natura senza utilizzare l'istanza intenzionale! Le configurazioni che si evolvono al rallentatore e che sono predicibili a livello genico ricordano in modo impressionante- di fatto, anticipano -le configurazioni che sono predicibili a livello psicologico e sociale: opportunità, discernimento e ignoranza, la ricerca delle mosse migliori per vincere la competizione, l' elusione del pericolo e la rappresaglia, la scelta e il rischio. Le mosse e le contromosse nelle attività di R&S nell'evoluzione hanno un che di razionale, anche se niente o nessuno lo prende esplicitamente in considerazione. Queste sono quelle che io chiamo motivazioni in libera fluttuazione, e hanno preceduto di miliardi di anni le nostre motivazioni articolate e ragionate. Vi rientra il principio fondamentale dell'evitamento del pericolo, che è lo stesso in entrambi i campi: quando non possedete alcuna informazione su quello che potrebbe essere il vostro destino, non potete concedervi alcuna libera scelta.
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È come se avessimo a che fare con un parlamento di geni: ciascuno agisce nel proprio interesse personale, ma se i suoi atti danneggiano gli altri, questi si assoceranno per sopprimerlo. Le regole di trasmissione della meiosi si evolvono come regole difair play sempre più inviolabili, una costituzione progettata al fine di proteggere il parlamento dalle azioni deleterie di uno o più geni. Ciononostante, in loci collegati tanto intimamente a un fattore distorcente che i benefici che si possono ottenere approfittando della situazione superano il danno della malattia a esso associata, la selezione tende ad accrescere l'effetto di distorsione. Pertanto, una specie deve avere molti cromosomi, se, quando si presenta un fattore di distorsione, la selezione deve favorirne la soppressione nella maggior parte dei loci. Proprio come un parlamento troppo piccolo può venire corrotto dal complotto di pochi individui, una specie con un solo cromosoma è facile vittima della distorsione. (Leigh.l971, p. 249)
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E questo è un altro modo per negare alle persone un' opportunità: tenerle all'oscuro di ciò che le riguarda. Potremmo chiamare tale opportunità, tanto sconosciuta quanto non immaginata, la pura opportunità. Se passeggio vicino a una fila di bidoni dell'immondizia e capita che uno di questi contenga una borsetta piena di diamanti, allora io perdo una pura opportunità di diventare ricco. [.. ,] Le pure opportunità sono presenti in grande quantità, ma non ci bastano; quando diciamo divolere un'opportunità, o la possibilità di migliorare le nostre finanze, noi non vogliamo solo delle pure opportunità. Vogliamo riconoscere le opportunità che ci capitano, o esserne avvisati, in tempo per agire. (Dennett, 1984, pp. 116-117)
re una decisione. Per questo motivo siamo di continuo messi di fronte a opportunità e dilemmi sociali a cui la teoria dei giochi fornisce un terreno di gara e le regole per lo svolgimento, ma non le soluzioni. La vita è molto più complicata per gli individui nella società di quanto lo sia per le cellule che li compongono, e noi abbiamo molta attività di R&S da portare avanti- "Esercitatevi, esercitatevi, esercitatevi!"- prima di arrivare alla Symphony Hall. È comunque incoraggiante vedere come i problemi che noi abbiamo di fronte abbiano dei precedenti che sono stati risolti per tentativi ed errori. Altrimenti, non saremmo qui. Il procedimento per tentativi ed errori- anche quello privo di intenzionalità, con la conservazione del progresso parziale - è un processo potente. Ha creato novità importanti nel mondo; ha risolto problemi di notevole entità; ha superato ostacoli a prima vista scoraggianti. Procedere per tentativi ed errori funziona, sicché anche i tentativi funzionano: almeno una certa varietà di tentativi ha dei precedenti comprovati. Le nostre varietà di tentativi potrebbero non sembrare tanto inefficienti dal punto di vista deterministico, quando guardiamo quanto successo hanno avuto i loro precedenti. Le stesse cellule che ci compongono sono i discendenti diretti delle cellule che una volta dovettero risolvere un enorme problema di cooperazione, e ci riuscirono.
Skyrms mostra che quando gli elementi individuali di un gruppo- che si tratti di un organismo intero o di sue partisono strettamente imparentati (sono cloni o semicloni) o sono comunque capaci di riconoscimento reciproco e di "accoppiamento" assortativo, la forma elementare del dilemma del detenuto, in cui domina sempre la strategia del tradimento, non è più il modello corretto per descrivere le circostanze. Ecco il motivo per cui le nostre cellule somatiche non tradiscono: sono dei cloni. È una delle condizioni in cui i gruppi - come il gruppo delle mie cellule "ospitanti"- possano avere l'armonia e la coordinazione richieste per comportarsi, in modo alquanto stabile, come un "organismo", come un "individuo". Ma prima di cantare vittoria e considerarlo il modello perfetto dalle realizzazione di una società giusta, dovremmo soffermarci a notare che esiste un altro modo di considerare questi cittadini modello, le cellule della linea somatica e gli organi: il loro particolare genere di altruismo è l'obbedienza incondizionata degli zeloti, è la manifestazione di una fedeltà di gruppo ferocemente xenofoba che non è certo un ideale per la emulazione umana. Noi, a differenza delle cellule che ci compongono, non siamo su traiettorie balistiche: siamo missili guidati, in grado di cambiare direzione in ogni momento, di abbandonare un obiettivo, di modificare alleanze, di tramare una congiura e poi tradirla, e così via. Per noi è sempre il momento di prende206
Digressione: la minaccia del determinismo genetico Dopo questo nostro sinistro racconto di cellule e di geni contrapposti a violinisti e oboisti, è tempo, forse, di metterei l'animo in pace e richiamare lo "spettro" del "determinismo genetico" per bandirlo una volta per tutte. Stando a Stephen Jay Gould, i deterministi genetici crederebbero a quanto segue: È chiaro che se noi siamo programmati per essere quello che siamo, tutti questi caratteri sono ineluttabili. Ben che vada, possiamo canalizzarli, ma non potremo mai cambiarli, né con l'educazione, né con la cultura. (Gould, 1978, p. 226)
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Se il determinismo genetico è questo, allora possiamo tirare tutti un bel sospiro di sollievo: non c'è alcun determinista genetico. Non ho mai incontrato qualcuno che affermasse che la volontà, l'educazione e la cultura non possano cambiare molti, se non tutti, i nostri tratti geneticamente ereditati. La mia tendenza genetica alla miopia è annullata dalle lenti degli occhiali che indosso (ma io devo volerli indossare); e molti di coloro che altrimenti soffrirebbero di una qualche malattia di origine genetica possono ritardarne indefinitamente i sintomi con una buona educazione circa la rilevanza di una particolare dieta, o grazie al dono, di origine culturale, della prescrizione di una medicina opportuna. Se avete il gene della fenilchetonuria, tutto quello che dovete fare per evitare gli effetti indesiderabili della malattia è smettere di mangiare cibo contenente fenilalanina. Come abbiamo visto, ciò che è ineluttabile non dipende dal fatto che regni o meno il determinismo, ma dal fatto che ci siano o meno dei passi che possiamo fare, sulla base di informazioni che possiamo ottenere in tempo utile per poter fare questi passi, in modo da eludere il pericolo previsto. Ci sono due requisiti necessari per una scelta che abbia senso: l'informazione e la via su cui l'informazione possa guidare la scelta. Senza uno di questi due, l'altro è inutile, o peggio. Nella sua eccellente panoramica della genetica contemporanea, Matt Ridley ( 1999) tocca il tasto cruciale con l' esempio straziante del morbo di Huntington, che "è un tipo di determinismo, una predestinazione e una fatalità che neppure Calvino avrebbe potuto ipotizzare. Sulle prime, sembra la prova definitiva che tutto dipenda dai geni e noi non possiamo fare nulla. Non importa se fumiamo o ci riempiamo di vitamine, se facciamo vita all'aperto o non ci schiodiamo dalla poltrona" (p. 63). L'esempio appare in netto contrasto con tutte quelle predisposizioni genetiche altrettanto indesiderabili contro cui, invece, possiamo fare qualcosa. Ed è per questa ragione che molte persone predisposte, considerata la storia medica della loro famiglia, ad avere la mutazione di Huntington scelgono di non fare quel semplice test che direbbe loro quasi con certezza se ne saranno colpite o meno. Ma notate che se e
quando si troverà un modo, come potrebbe avvenire in futuro, per curare queste persone affette dalla mutazione di Huntington, le stesse persone che oggi rifiutano il test saranno le prime a chiedere di farlo. Gould e altri hanno dichiarato la loro ferma opposizione al "determinismo genetico''; ma io dubito che ci sia qualcuno che pensi che il nostro bagaglio genetico sia infinitamente rivedibile. È semplicemente impossibile che io, un giorno, possa partorire, grazie al mio cromosoma Y. Non posso cambiare questo fatto né con la forza di volontà, né con l'istruzione né con la cultura- almeno non nell'arco della mia vita (ma chi sa che cosa renderà possibile un altro secolo di scienza?). Così, almeno per quanto possiamo prevedere del futuro, alcuni dei miei geni continueranno a fissare alcune parti del mio destino, senza che io possa avere alcuna reale possibilità di esonero. Se questo è ciò che si intende per determinismo genetico, allora siamo tutti deterministi genetici, Gould compreso. Ma una volta che le caricature sono state messe da parte, ciò che rimane, nel migliore dei casi, sono oneste differenze di opinioni sull'intensità dell'intervento necessario per controbilanciare questa o quella tendenza genetica e, cosa più importante, se un simile intervento possa essere giustificato. Queste sono problematiche morali e politiche importanti, ma spesso risulta quasi impossibile discuterle in modo calmo e ragionevole. Un primo passo verso la restaurazione della ragionevolezza è riconoscere, come utile regola empirica, che ogni volta che si incontra l"' accusa" di "determinismo genetico" la probabilità di trovarsi in una situazione del tipo Fermate quel corvo-' è piuttosto alta, e ciò autorizza l'astensione da qualsiasi ulteriore discussione, almeno in quei termini. Per di più, che cosa ci sarebbe di tanto negativo nel determinismo genetico? Il determinismo ambientale non sarebbe altrettanto terribile? Consideriamo una definizione analoga di determinismo ambientale:
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È chiaro che se noi siamo stati allevati ed educati in un particolare ambiente culturale, allora i tratti che ci sono stati imposti da quell'ambiente sono ineluttabili. Ben che vada, possia-
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Si suole sempre citare il detto attribuito ai gesuiti \non so quanto correttamente): "Datemi un bambino sotto i sette anni, e vi mostrerò l'uomo che sarà". Un'esagerazione fatta per impressionare, sicuramente; ma ci sono pochi dubbi sul fatto che la prima educazione e altri importanti avvenimenti dell'infanzia possano avere un effetto profondo sul resto della vita. Ci sono studi. per esempio, che suggeriscono che eventi tanto atroci, come l'essere rifiutati dalla propria madre nel primo anno di vita, aumentino la tendenza a commettere crimini violenti (per esempio. Raine et al., 1994). Ancora una volta, non dobbiamo commettere l'errore di confondere il determinismo con l'ineluttabilità. Ciò che dobbiamo esaminare empiricamente e questo può variare profondamente sia nel contesto ambientale sia in quello genetico- è se siamo in grado di eludere gli effetti indesiderabili, per quanto profondi, per quanto grandi, alle decisioni che prendiamo. Considerate l'handicap noto come non sapere una parola di cinese. Ne soffro anch'io, soprattutto a causa di influenze ambientali a cui sono stato esposto da bambino (i miei geni non hanno niente proprio niente- a che fare con esso). Se dovessi trasferirmi in Cina, tuttavia, potrei "curarmi" abbastanza in fretta, con qualche sforzo da parte mia, sebbene mi senta sicuro che porterei nel mio profondo, per il resto della vita, un segno inalterabile del mio handicap iniziale, facilmente individuabile da qualsiasi individuo di madrelingua cinese. Ma potrei certamente impadronirmi sufficientemente bene del cinese da essere considerato responsabile di ogni atto commesso sotto l'influenza di qualche oratore cinese da me incontrato. Non è forse vero che qualsiasi cosa non sia determinata dai nostri geni debba essere determinata dal nostro ambiente? Che altro O c'è la natura (nature) o c'è la cultura (nurturc). C'è anche qualche X, qualche altra cosa che contribuisca a ciò che siamo? C'è il caso. La fortuna. Abbiamo visto nei capitoli 3 e 4 quanto sia importante tale ingrediente extra, ma sappiamo
che non per forza provenire dalle viscere quantistiche dei nostri atomi o da qualche stella lontana. È tutto intorno a noi, nei lanci casuali delle monete nel nostro mondo così ricco di rumori, eventi che tappano automaticamente tutte le falle o lacune presenti nelle specifiche lasciate indefinite sia dai nostri geni sia dalle cause salienti dell'ambiente in cui viviamo. Tutto ciò è particolarmente evidente nel modo in cui si formano itrilioni di connessioni tra le cellule del nostro cervello. È un fatto ormai riconosciuto da anni che il nostro genoma, per quanto sia grande, è troppo piccolo per poter specificare (nelle sue ricette geniche) tutte le connessioni che si formano tra i neuroni. Ciò che succede è che i geni forniscono le specifiche per i procedimenti che mettono in moto la crescita di immense popolazioni di neuroni un numero di neuroni di molto superiore a quello che effettivamente verrà usato dal nostro cervello - e questi neuroni emettono rami esploratori, a caso (uno pseudocaso, ovviamente); e capita che molti di questi si connettano ad altri neuroni in modi ritenuti utili (ritenuti utili dai procedimenti non intenzionali della potatura cerebrale). Queste connessioni riuscite tendono a sopravvivere, mentre le connessioni mancate muoiono, sì da essere smantellate in modo che le loro parti possano venire riciclate, qualche giorno dopo, dalla generazione successiva di sviluppo neurale promettente. Questo ambiente selettivo entro il cervello (specialmente all'interno del cervello del feto, molto prima di incontrare l'ambiente esterno) non è più in grado di specificare le connessioni finali di quanto lo siano i geni; salienze tanto nel patrimonio genetico quanto nell'ambiente dello sviluppo influenzano e sfrondano la crescita, ma rimane molto spazio all'azione del caso. Quando, recentemente, è stato pubblicato il genoma umano, ed è stato annunciato che noi abbiamo "solamente" 30.000 geni circa (stando alle assunzioni oggi in voga su come identificare e contare i geni), e non i 100.000 geni che alcuni esperti avevano ipotizzato, la stampa ha emesso un divertente sospiro dì sollievo. Fiuu! "Noi" non siamo solamente il prodotto dei nostri geni; "noi" dobbiamo contribuire a fissare tutte le specifiche che quei 70.000 geni mancanti avrebbero al-
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trimenti dovuto "stabilire'' dentro di noi! E come, si potrebbe chiedere, potremmo mai fare noi una cosa simile? Non siamo forse sotto l'altrettanto spàventosa minaccia del terribile ambiente, la vecchia temibile cuhura (nurture) con le sue insidiose tecniche di indottrinamento? Dopo che natura (nature) e cultura (nurture) hanno svolto il loro compito, può forse rimanere qualcosa che possa essere me? (Se vi fate veramente piccoli, potete virtualmente esteriorizzare qualsiasi cosa. l Ma è poi così importante quale sia il loro rapporto, se poi, in un modo o nell'altro, i nostri geni e il nostro ambiente (compreso il caso) si dividono il bottino e "fissano" la nostra personalità? Può sembrare che l'ambiente sia una fonte di determinazione più benigna, dato che, dopotutto, "possiamo modificare l'ambiente". Questo è vero, ma noi non possiamo modificare l'ambiente passato di una persona più di quanto possiamo cambiare i suoi genitori, e le modificazioni che possiamo apportare agli ambienti futuri possono essere tanto fortemente indirizzate a cancellare precedenti vincoli genetici quanto precedenti vincoli ambientali. E noi ora siamo sul punto di poter aggiustare il nostro futuro genetico con la stessa facilità con cui possiamo aggiustare il nostro futuro ambientale. Supponete di sapere che ognuno dei vostri figli avrà un problema che si può lenire sia per mezzo di una modificazione genetica sia per mezzo di una modificazione ambientale. Ci sono molte buone ragioni per preferire una politica di cura all'altra, ma non è certamente ovvio che una di queste opzioni possa essere esclusa sulla base di mere considerazioni morali o metafisiche. Supponete, per citare un caso immaginario che però potrebbe presto diventare realtà, di essere un inuit convinto che la vita sul Circolo Artico sia l'unica che valga la pena di vivere; e supponete che vi venga detto che i vostri bambini avranno una dote genetica inadatta a poter vivere in simile ambiente. Potete trasferirvi ai Tropici, dove i vostri figli staranno bene- al prezzo di perdere tutta la loro eredità ambientale o potete aggiustare i loro genomi, permettendo loro di continuare a vivere nel mondo artico, al prezzo lo èl della perdita di alcuni aspetti della loro "naturale" eredità
Il problema qui non è il determinismo, che sia genetico o ambientale o entrambi assieme; il punto verte su che cosa possiamo cambiare, che il nostro mondo sia o no deterministico. Una prospettiva affascinante circa la visione fuorviata che si ha del determinismo genetico si può trovare nel magnifico libro di Jare d Diamo n d (1997) Armz; acciaio e ma lattzé. La domanda che Diamond pone, e alla quale risponde in modo esteso, è perché siano state le popolazioni "occidentali" (europei o eurasiatici) a conquistare, colonizzare e per altri aspetti dominare le popolazioni "del Terzo Mondo", e non l'opposto. Perché le popolazioni umane dell'America e dell'Africa non hanno, per esempio, creato imperi mondiali invadendo, massacrando e schiavizzando le popolazioni europee? La risposta genetica? La scienza ci sta forse mostrando che la fonte ultima del dominio occidentale sta nei nostri geni? Nel considerare questa domanda per la prima volta, molte persone anche scienziati di grande cultura - saltano alla conclusione che Diamond, anche solo per aver posto la domanda, stia cercando di restaurare qualche orribile ipotesi razzistica circa la superiorità genetica europea. Sono così irritati da siffatto sospetto che fanno molta fatica ad accertare il fatto (che l'autore fa molta più fatica a enfatizzare) che Diamond sta in realtà sostenendo l'opposto: la spiegazione segreta non sta nei nostri geni, cioè nei geni umani, ma si colloca in un dominio di geni molto più grande, quello dei geni delle piante e degli animali che sono stati gli antenati selvaggi di tutte le specie addomesticate dall'agricoltura umana. I direttori delle carceri hanno una regola empirica: se può accadere, allora accadrà. Ciò che vogliono dire con ciò è che ogni lacuna nella sicurezza, ogni divieto o sorveglianza inefficace o debolezza nel contenimento verrà individuata abbastanza presto e sfruttata in pieno dai detenuti. Perché? L'istanza intenzionale lo spiega chiaramente: i detenuti sono sistemi intenzionali che sono intelligenti, pieni di risorse ma frustrati; come tali, sono equivalenti a un'enorme riserva di desiderio di informazioni con un sacco di tempo a disposizione per esplorare il loro mondo. Il loro processo di ricerca sarà
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praticamente esaustivo, e saranno in grado di distinguere le mosse migliori da quelle di seconda categoria. Contate su di loro per trovare qualsiasi cosa ci sia da trovare. Diamond sfrutta la stessa regola empirica, assumendo che la gente di una qualsiasi zona del mondo sia sempre stata altrettanto intelligente, parsimoniosa. opportunista, disciplinata e lungimirante della gente presente in qualsiasi altra zona, e mostrando anzi che quella gente è sempre stata in grado di trovare quello che c'era da trovare. Con buona prima approssimazione, si può dire che tutte le specie selvagge che si potevano addomesticare sono state addomesticate. La ragione per cui gli eurasiatici hanno sempre avuto un vantaggio nello sviluppo della tecnologia è che hanno sempre avuto un vantaggio nell'agricoltura. e hanno avuto questo vantaggio perché, tra le piante e gli animali che stazionavano nelle loro vicinanze diecimila anni fa, c'erano i candidati ideali per l'addomesticamento. C'erano erbe che erano geneticamente simili a superpiante a cui si poteva arrivare più o meno per caso, distanti solo poche mutazioni dal superbo e nutriente grano, e animali che, grazie alla loro natura sociale, erano geneticamente vicini agli animali da pascolo che si riproducono facilmente in cattività. granoturCO, nell'emisfero occidentale, ha richiesto più tempo per essere addomesticato, in parte perché c'era una distanza genetica maggiore da percorrere per separarlo dai suoi precursori selvatici.) E ovviamente.la porzione chiave degli eventi selettivi, che era presente in questo ambito, prima della moderna agronomia, era ciò che Darwin chiamava "selezione inconscia" - quella tendenza grandemente inintenzionale e certamente priva di informazione, insita negli schemi comportamentali della gente che aveva solamente una minima idea di quello che stava facendo e del perché. Casualità della biogeografia, e quindi dell'ambiente, sono state le cause maggiori, quei condizionamenti che hanno "fissato" le opportunità di scelta delle persone, ovunque queste vivessero. Grazie alla convivenza millenarìa con le molte varietà dì animali addomesticati, gli eurasiatici svilupparono una difesa immunitaria ai diversi agenti patogeni che saltavano dai loro ospiti animali agli ospiti
umani - questo è un ruolo importante svolto dai geni umani, ed è un ruolo che è stato confermato al di là di ogni dubbio e quando, grazie alla loro tecnologia, sono stati in grado di colmare lunghe distanze e di incontrare altre popolazioni, i loro germi hanno fatto danni molte volte peggiori di quelli che riuscivano a fare le loro armi e il loro acciaio. Che cosa possiamo dire di Diamond e della sua tesi? È un terribile determinista genetico o un terribile determinista ambientale? Nessuno dei due, ovviamente, visto che entrambe queste specie di uomo nero sono miti che almeno quanto i lupi mannari. Arricchendo l'informazione che abbiamo circa le varie cause dei vincoli che limitano le nostre possibilità di scelta correnti, Diamond ha accresciuto il nostro potere di eludere ciò che vogliamo eludere, prevenire ciò che vogliamo prevenire. La conoscenza del ruolo ricoperto dai nostri geni, e dai geni delle altre specie attorno a noi, non è una nemica della libertà umana, ma una delle sue migliori alleate.
Si possono riconoscere le "decisioni'' prese dai lignaggio ceppi (di cellule parassite o di sequoie giganti, per esempio) solo guardandole con l'occhio giusto. Dovete applicare a questi curiosi insiemi di cose l'istanza intenzionale, mettere il tempo sull'avanti veloce, e andare in cerca delle configurazioni di livello superiore che emergono dalla montagna dei dati, cosa che avviene con soddisfacente prevedibilità. Le forme più riconoscibili di decisioni, prese in tempo reale da individui dotati di una certa ''salienza", per così dire "compatti", hanno dovuto attendere la nascita della locomozione. Ovviamente, gli alberi possono "decidere" che è arrivata la primavera ed è tempo di far uscire i germogli, e i molluschi possono "decidere" di star saldi ogni volta che sentono un colpo allarmante sulla loro conchiglia; ma queste possibilità di scelta sono talmente rozze, così simili a semplici commutazioni di comportamento istintivo, che vengono considerate decisioni solo per una forma di
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Gradi di libertà e ricerca della verità
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cortesia. Ma anche un semplice commutatore, attivato e disattivato da qualche cambiamento ambientale, indica un grado di libertà, come dicono gli ingegneri, e quindi è qualcosa che ha bisogno di essere controllato, in un modo o in un altro. Un sistema possiede un grado di libertà quando sussiste un insieme di possibilità di un qualche tipo; e quale di queste possibilità possa venire attualizzata in qualunque momento dipende da qualsiasi funzione o commutatore controlli tale grado di libertà. I commutatori {sia on!off sia a scelta niultipla) possono essere collegati tra loro in serie, o in parallelo, o in disposizioni che combinino queste due forme di collegamento. Con il proliferare di tali disposizioni, che formano reti di interruttori più grandi, i gradi di libertà si moltiplicano vertiginosamente e il problema del controllo cresce di complessità, fino a diventare non lineare. Ogni lignaggio dotato di schemi di questo genere deve affrontare un problema: quale informazione dovrebbe modulare il transito attraverso questa disposizione di percorsi biforcanti in uno spazio multidimensionale di possibilità? Questo è il compito del cervello. Il cervello, con il suo mucchio di input sensoriali e output motori, è uno strumento localizzato e specializzato nell'estrarre informazione dall'ambiente di cui si è fatta esperienza e nel raffìnarla nella moneta preziosa delle previsioni del futuro. Queste previsioni tanto sudate possono poi venire utilizzate per adeguare le vostre scelte meglio di come gli altri individui della vostra stessa specie adeguino le loro. La velocità è essenziale, dato che l'ambiente cambia in continuazione e pullula di concorrenti; ma lo è anche la precisione {poiché tra le possibilità di scelta dei competitori ci sono tattiche come il mimetismo) e l'economia (visto che ogni cosa ha un costo che va sempre pagato, almeno nel lungo periodo). Queste condizioni aggiunte all'evoluzione generano un insieme di compensazioni, che tendono a premiare la velocità, r alta fedeltà, e la grande pertinenza dell'attenzione sensoriale. La corsa agli armamenti nelle produzioni future garantirà a ogni specie la possibilità di ignorare qualsiasi cosa si possa permettere di ignorare dell'ambiente in cui vive, una politica rischiosa che 216
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potrebbe produrre dei punti deboli in futuro, nel momento in cui una variabile di quell'ambiente, fino ad allora innocua, improvvisamente si riveli fatalmente importante. Tale prospettiva di livello superiore di un ambiente ricco di imprevedibili ma rilevanti novità genera un'altra compensazione: il lignaggio che investirà nell'apprendimento verrà ripagato? C'è un notevole costo generale: si devono installare gli apparati per poter ridisegnare le reti di commutazione in tempo reale, durante il corso della vita dell'organismo individuale, in modo che questo possa aggiustare le sue funzioni di controllo in risposta alle nuove configurazioni che individua nel mondo. Riprendete la distinzione di Drescher ( 1991) tra apparati a sùuazz'one-azione e apparati a scelta, cui abbiamo accennato nel capitolo 2. Gli apparati a situazione-azione sono una collezione di commutatori relativamente semplici, ognuno dei quali incorpora una regola ambientale del tipo: se incontri la condizione /ai A. Sono costosi per organismi relativamente semplici, il cui comportamento specifico è innato. Gli apparati a scelta hanno Un differente insieme di meccanismi, che incOt·porano predizioni: se incontri la condizione C facendo A avrai come esito Z (con probabilità p). Essi generano alcune o molte predizioni di questo genere e poi le valutano (utilizzando qualsiasi scala di valori posseggano o possano aver sviluppato), e questa configurazione è costosa per organismi che sono progettati per apprendere durante il corso della loro vita. Un organismo può avere entrambi gli apparati in dotazione, utilizzando il primo per fare scelte repentine e non ponderate ma importanti per la sopravvivenza, e affidandosi al secondo per riflessioni più serie sul futuro -una rudimentale facoltà di ragionamento pratico. Simili estrosi congegni per l'apprendimento si ripagheranno da soli unicamente se ci saranno sufficienti occasioni di apprendimento {e l'apprendimento tende ad andare nella direzione di nuove buone abitudini, non di nuove cattive abitudini, ovviamente). Quanto sarà sufficiente? Dipende dalle circostanze, ma non c'è dubbio che spesso non è mai abbastanza. "Usalo o gettalo" è un motto che ha molte applicazioni nel 217
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mondo animale. Per esempio, il cervello degli animali addomesticati è significativamente più piccolo di quello dei più vicini parenti selvaggi, e questo non è solo un sottoprodotto della selezione a favore di grandi masse muscolari favorite in animali allevati per essere mangiati, Gli animali addomesticati possono permettersi di essere stupidi e continuare ad avere una numerosa discendenza, poiché hanno effettivamente esternalizzato molti dei loro sotto-obiettivi cognitivi a un'altra specie, noi, di cui sono diventati parassiti. Come le tenie, che hanno "deciso" di affidarsi a noi per risolvere tutti i loro problemi di locomozione e di approvvigionamento, sì da potersi permettere di semplificare drasticamente il loro sistema nervoso, di cui non hanno più bisogno, anche gli animali addomesticati si troverebbero in spiacevoli condizioni senza i loro ospitanti umani a sostenerlL Non sono endoparassiti, che vivono dentro di noi, ma sono comunque parassiti. Siamo giunti in prossimità della libertà dell'uccello, che può volare dove vuole. Perché vuole volare proprio dove vuole volare? Ha le sue ragioni. Le sue ragioni sono incorporate nelle configurazioni di tutti i commutatori presenti nel suo cervello, e sono rafforzate, nel lungo periodo, dalla sua continua sopravvivenza. Prevalentemente, le cose su cui vuole avere informazioni sono le cose che sono più importanti per il suo stato di salute immediato, Più le pressioni dei concorrenti selvaggi a cui sono stati sottoposti recentemente i suoi antenati sono state forti, più sarà probabile che l'uccello sopporterà un investimento in attrezzature costose per combattere quel genere di minacce. Quando i pescatori giunsero per la prima volta con le loro barche da pesca in isole remote del Pacifico abitate da uccelli i cui antenati non avevano visto un predatore in molte migliaia di anni trovarono quei volatili così incuriositi, per nulla intimoriti da quei grandi oggetti mobili che si stavano avvicinando, che i pescatori potevano camminare con aria tracotante direttamente in mezzo a loro e afferrarli a mani nude. Quegli uccelli erano in grado di volare perfettamente bene, ma non ci fu bisogno dì alcun sotterfugio per catturarli. Potevano volare dove \'olevano, ma non avevano una volontà
molto furba; c'erano nell'aria ragioni che essi non conoscevano abbastanza da potersene appropriare. Avevano una miriade di pure opportunità dì salvarsi, ma mancavano delle informazioni necessarie per paterne approfittare. Tali specie di uccelli sono ora estinte, ovviamente. Sia la corsa agli armamenti intrapresa da prede e predatori sia la competizione per l'accoppiamento che coinvolge individui della stessa specie, e quella per gli strumenti utili all'accoppiamento cibo, riparo, territorio, rango sociale, ecc. -ha dato alla nostra biosfera centinaia di milioni di anni di attività di R&S grazie a un'ampia gamma di processi paralleli attivati su milioni di specie contemporaneamente. In questo stesso momento, trilioni di organismi stanno giocando a rimpiattino. Ma per loro non è solamente un gioco; è questione di vita o di morte.lvluoversi bene, non commettere errori, per loro è importante- anzi, non c'è niente di più importante-, ma essi non si rendono conto, di regola, di questo "gioco". Sono i beneficiari di un equipaggiamento squisitamente progettato per fare in modo che si muovano bene, ma quando il loro equipaggiamento ha un difetto di funzionamento, non hanno alcun espediente, di regola, per rendersene conto, per non dire criticarlo. Essi persistono, involontariamente. La differenza tra l'apparenza delle cose e la loro reale consistenza è una lacuna a volte tanto fatale per loro quanto lo può essere per noi; ma loro ne sono molto più inconsapevoli. Il riconoscimento della differenza tra apparenza e realtà è una scoperta umana. Poche altre specie -alcuni primati, qualche cetaceo e forse anche qualche uccellomostrano segni di comprensione del fenomeno della "falsa credenza" -il muoversi male. Mostrano sensibilità per gli errori degli altri, e forse anche sensibilità per i propri errori riconosciuti come tali, ma manca loro la capacità di riflessione necessaria per soffermarsi adeguatamente su questa possibilità, e così non sono in grado di utilizzare tale sensibilità con il deliberato intento di apportare riparazioni o migliorie ai loro stessi meccanismi di caccia o di evitamento. Siffatta capacità di ricucire lo scarto tra apparenza e realtà è un espediente che noi esseri umani abbiamo padroneggiato da soli.
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Noi siamo la specie che ha scoperto il dubbio. Abbiamo accumulato abbastanza cibo per l'inverno? Ho sbagliato i calcoli? Il mio compagno mi è forse infedele? Avremmo dovuto migrare a sud? Questa caverna è sicura? Altre creature sembrano spesso visibilmente agitate dalle loro incertezze su questioni simili a queste, ma, dato che non sono in grado di porsi realmente queste domande, non possono articolare chiaramente i loro guai da sole o fare dei passi per migliorare la loro presa sulla verità. Esse sono bloccate nel mondo delle apparenze, interpretando quanto meglio possono le cose che loro si mostrano, e raramente, se mai succede, sono turbate dal dubbio che le cose che appaiono possano veramente non essere come appaiono. Solamente noi siamo torturati da dubbi, e solamente noi siamo stati provocati da quel "prurito" epistemico da cercare di porvi rimedio: migliori metodi di ricerca della verità. Vo1endoci tenere in contatto con i nostri fornitori di cibo, con i nostri territori, con le nostre famiglie, con i nostri nemici in modo migliore, abbiamo scoperto i vantaggi dovuti al parlarne con altri, facendo domande, trasmettendo tradizioni orali. Abbiamo inventato la cultura. È la cultura che trova il fulcro grazie al quale ci possiamo librare su nuovi territori. La cultura ci fornisce il punto di vista privilegiato dal quale possiamo scorgere come cambiare le traiettorie che ci sono state imposte dalla cieca attività di esplorazione dei nostri geni. Come ha detto Richard Dawkins: "Il punto cruciale è che non vi è ragione alcuna per credere che gli eventi genetici siano più irreversibili di quanto non siano quelli ambientali" (1982, p. 20). Ma per poter ribaltare ogni influenza siffatta, dobbiamo essere in grado di riconoscerla e di capirla. Possediamo solo noi, esseri umani, la conoscenza a lungo raggio sufficiente per identificare e per eludere le trappole disseminate lungo il percorso proiettato dai nostri geni poco lungimiranti. La conoscenza condivisa è la chiave per la nostra maggior libertà dal "determinismo genetico". Non siamo ancora arrivati alla Symphony Hall, ma ci stiamo avvicinando.
Le idee presenti in questo capitolo sono state sviluppate in modo più esteso in L'idea pericolosa di Darwin (Dennett, 1995), da dove ho tratto alcuni paragrafi. Game, Sex an d Evolution di John Maynard Smith ( 1988; in particolare i capitoli 21 e 22) è un'eccellente opera introduttiva per l'applicazione della teoria dei giochi all'evoluzione, almeno quanto lo è l'edizione riveduta del Gene egoista di Richard Dawkins (1976). Evolution o/ the Social Contrae! di Brian Skyrms (1996) coinvolge nell'esposizione filoni di ricerca più recenti. Per un'a v-
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CapitoloJ La saggezza insita nel progetto delle forme di vita p!uricellulari si può capire meglio se si applica un'istanza intenzionale a tutto l'intero processo dell'evoluzione. Da questa prospettiva possiamo individuare gli elementi razionali in fluttuazione libera delle scelte cooperative in azione entro i giochi non a somma zero che hanno condotto il processo di attività di R&s dell'evoluzione a costituire agenti razionali ancora più complessz; espandendo la capacità delle /o nn e di vita di riconoscere le opportunità e di agire in base a queste. Lasciandoci alle spalle lo spauracchio /uorvz'ante del "determinismo genetico", possiamo ora scorgere come l'evoluzione, per mezzo della selezione naturale, fornisca un numero sempre maggiore di gradi di libertà; ma questi non sono ancora la libertà dell'agire umano.
Capitolo 6 La cultura umana non è né t/Il miracolo né un'aggiunta diretta all' equipaggz'amento fornitoci dai nostri geni per accrescere la loro stessa capacità di adattamento o fitness. Per poter capire come una persona possa essere sia una creazione sia un creatore di cultura, dobbiamo esplorare il processo evolutivo stratificato dal quale la cultura e la società umana sono emerse.
Fonti e letture consigliate
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vincente panoramica delle tendenze analizzate in questo capitolo, si veda Nonzero: Tbe Logico/ Human Destiny (2000) di Roberr Wright. L'interpretazione dei processi evolutivi delineata in questo capitolo, specialmente 1'analisi dei conflitti tra i geni descritta per mezzo dell'istanza intenzionale, sta incontrando favore a ritmo sostenuto. Di molte delle aspettative specifiche di oggi (come il numero dei geni presenti nel genoma umano) potrebbero forse non trovare alcun riscontro nelle scoperte di domani, ma lo scheletro della teoria e le evidenze che tengono insieme la biologia dell'evoluzione sono incredibilmente robusti e salienti. Un libro eccellente, anche se difficile, che riassume i passi della transizione dalle forme di vita più semplìci alle società umane è quello di Maynard Smith ed Eors Szathmary, The Major Transitions in Evolution (1995); il loro volume del 1999, Le origini della vita: dalle molecole organiche alla nascita del linguaggio, è una versione più semplice di quest'opera precedente. Per un punto di vista autorevole sullo stato deJia conoscenza fino alla fine del2000 circa si legga Evolution: From Molecules to Ecosystems, a cura di Andrés Moya ed Enrique Font (in corso di stampa), che contiene un insieme di studi su argomenti quali l'evoluzione della pluricellularità, i conflitti che possono nascere, nonostante il destino largamente condiviso, tra i geni mitocondriali e nucleari, gli scambi di costi e benefici della simbiosi, e molti altri affascinanti argomenti. La distinzione che Drescher opera tra apparati a situazioneazione e apparati a scelta chiarifica utilmente (e trascende parzialmente) la distinzione che ho abbozzato tra creature skinneriane e creature popperiane {Dennett, 1975, 1995, 1996a).
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Gli esseri umani non sono solo dei bruti intelligenti, agenti pieni di risorse in cerca di se stessi in un mondo pieno di insidie, e non sono nemmeno animali da branco, che senza volerlo si stringono insieme per un mutuo beneficio che non hanno bisogno di comprendere. La nostra socialità è un fenomeno a più strati, pieno di manifestazioni che coinvolgono il reciproco riconoscimento (e il riconoscimento del riconoscimento ... ) e quindi di opportunità a profusione per quelle attività così tipicamente umane come fare promesse e romperle, lodare e diffamare, castigare e tributare onori, ingannare e autoingannarsi. È questa complessità ambientale che guida i nostri sistemi di controllo, le nostre menti, nei loro molti strati di complessità, in modo da consentirci di far fronte a ciò che ci offre il mondo intorno a noi - se siamo persone normali. Ci sono anche esseri umani sfortunati che, per un motivo o per un altro, non ci riescono e sono costretti a vivere in mezzo a nOI m una condizione di inferiorità, più come animali domestici, nella migliore delle ipotesi, di cui si ha cura e rispetto, ma anche rinchiusi in manicomio, se necessario; vengono amati e amano per quanto è loro possibile, però, non sono in grado di partecipare pienamente al mondo sociale umano e, ovviamente, sono privi di libero arbitrio moralmente significativo. Il problema del confine tra loro e il resto di noi, e le questioni di estrema difficoltà che sorgono ogni volta che profferiamo giudizi negativi o elogiativi su un qualsiasi individuo, sono argomenti che tratteremo in un altro capitolo; ma, per porre le 223
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basi di quella discussione, dobbiamo prendere da ora in considerazione più nei dettagli il modo in cui evolve questa complessità, esclusiva della società umana e della psiche.
Come i simbionti culturali trasformano i primati in persone Un ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue celle di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dali 'ape migliore è che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla con la cera. KARL .\lARX,
Jl capita/e
La cultura rende tutto più facile- o addirittura possibile. E alcuni suoi cambiamenti sembrano quasi più inesorabili (''evolutivi") di altri. IOHN .\tr\YN,\RD S.\IJTH, "Models of cultura! an d genetic change''
In specie che depongono le uova e poi le abbandonano, senza mai condividere l'ambiente con la loro prole, i geni sono quasi l'unica strada di discendenza verticale o ereditarietà. Quasi, ma non del tutto, come possiamo capire da un semplice esempio: prendete una specie di farfalla che normalmente depone le uova sulle foglie di un particolare tipo di pianta, e considerate che cosa può accadere quando una femmina depone per errore le sue uova su un altro tipo di foglia. È probabile che il gene. responsabile (più di altri) di quest'operazione di deposizione delle uova, agisca facendo in modo che la prole subisca un "imprinting" da qualsiasi tipo di foglia si trovi di fronte nel momento della schiusa delle uova. La prole di tale farfalla atipica ripeterà il suo "errore'' e deporrà le sue uova istintivamente su foglie che le ricordano quella su cui è nata. Se l'errore commesso risulta essere stato un incidente fortunato, il suo lignaggio potrebbe prosperare, mentre altri potrebbero perire: la preferenza delle nuove foglie sarebbe un ada ttamento senza alcuna modificazione genetica. L'esempio chiarisce l'elemento di deissi, o "puntmnento", coinvolto in quel tipo di riferimento adoperato nelle ricette 224
genetiche. Il gene della prole della farfalla, in realtà, dice: deponi le tue uova su qualcosa che assomigli a questo (e un minuscolo ditino punta alla cieca, capitando su qualunque obiettivo si trovi in quella posizione quando l'organismo "guarda" nella direzione indicata). Una volta compreso il principio, si è in grado di riconoscerlo ovunque, specialmente nei molteplici processi di sviluppo che dipendono dalla "memoria della cellula". La farfalla non depone solo D:\ A su quella foglia; depone delle uova, e queste cellule uovo contengono tutto l'apparato di lettura e il materiale grezzo iniziale per seguire le ricette del DNA. Inoltre, questo apparato di lettura contiene le informazioni cruciali che sono necessarie per la formazione del fenotipo della prole, informazione che non è codificata nei geni; i geni, in realtà, "indicano" solamente gli ingredienti e dicono all'apparato di lettura: usa questo e quello per modellare e dispiegare la prossima proteina.; Se facciamo in modo di alterare questi elementi nell'ambiente immediatamente collegato al processo di decodificazione dei geni, possiamo produrre un cambiamento nell'esito della lettura (come l'alterazione dell'operazione di scelta della foglia indotta nella prole della farfalla) e se questo risulta essere come quella abitudine alterata- una modificazione che garantisce che la medesima alterazione tenderà a presentarsi anche nelle generazioni successive dell'apparato di lettura dei geni, abbiamo prodotto una mutazione fenotipica (una mutazione nel prodotto, che è il veicolo che affronta la selezione naturale) senza aver indotto alcuna mutazione nel genotipo (la ricettal. l cuochi sanno bene che le impercettibili differenze nella consistenza delle farine e degli zuccheri provenienti dai vari paesi possano causare effetti notevoli sulla riuscita delle loro ricette favorite. Loro seguono la ricetta alla lettera, aggiungendo quella cosa che qui viene chiamata ''farina", ma così ottengono una torta che non è l. I geni forniscono le informazioni per guidare la costruzione degli apparati di decodificazione della generazione succc.rsil•,1, O\'Ùamente, e per riempire di materia prima la cucina della generazione; ma, come abbiamo appena \'ÌSto, anche altre fomi possono contribuire a tale operazione e tornire delle specifiche,
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quella solita. Però, se la nuova torta è buona, la sua ricetta potrà essere riprodotta e realizzata da molti altri cuochi, e così nascerà un "lignaggio'' completamente diverso sia dalle loro progenitrici sia dai loro "parenti'' presenti in quello stesso momento nel territorio natio. (Sono certo che gli aficionados coglieranno subito le analogie tra questo punto e l 'industria filosofica dell'argomento della Terra Gemella. Coloro che non capiscono questo inciso possono ritenersi fortunati per esserne rimasti completamente all'oscuro.) Madre N atura non è "gena-centrista". Il che vuoi dire che il processo di selezione naturale non favorisce la trasmissione dell'informazione via geni quando la stessa informazione (grosso modo) si può reperire in modo altrettanto sicuro, e più economico, grazie ad altre regolarità presenti nel mondo. Ci sono le regolarità fornite dalle leggi della fisica (gravità, ecc.) e dalla stabilità a lungo periodo dell'ambiente che, dal punto di vista della sopravvivenza, possiamo tranquillamente ''aspettarci" che rimarranno tali Oa salinità negli oceani, la composizione dell'atmosfera, i colori delle cose che possono essere utilizzate come leve, ecc.). Dato che queste condizioni sono più o meno costanti, la loro presenza può venire tacitamente data per scontata dalle ricette genetiche e non venire "menzionata" affatto. (Si noti che i preparati per torta venduti in scatola prescrivono spesso diverse temperature di cottura, o l'aggiunta di una quantità extra di farina o di acqua, per la cottura a grandi altitudini, un esempio di variabilità che obbliga la ricetta a menzionare qualcosa che altrimenti, per economia, potrebbe passare sotto silenzio.) Tra le regolarità che le ricette dei geni si possono permettere di dare per scontate, ci sono anche quelle che si trasmettono di generazione in generazione grazie all'apprendimento sociale. Sebbene siano solamente varianti di regolarità ambientali su cui si può fare affidamento, assumono un'importanza ulteriore per via della possibilità di essere a loro volta soggette alla potatura selettiva (al contrario della gravità, per esempio). Una volta che il percorso informativo della trasmissione viene stabilito, e i geni lo reputano "affidabile" per svolgere parte
del trasporto dell'informazione, esso stesso viene sottoposto a migliorie progettuali, esattamente come le miriadi di perfezionamenti che hanno rafforzato i processi di codificazione, di replicazione, di composizione e di trasmissione del DNA per eoni. modificazioni genetiche che tendono a prolungare il contatto e l'interazione genitore-prole, per esempio, possono accrescere l'attendibilità di questi percorsi di apprendimento e quindi possono sociale, fornendo loro più tempo per fare in modo che la propensione a prestare attenzione evolva (guarda la Mamma!) per sintonizzare ulteriormente la trasmissione. Il sentiero diventa una strada che diventa un 'autostrada, un canale d'informazione progettato (designed) dalla selezione naturale per accrescere l'attività di R&S nel lignaggio che vi fa affidamento. Per quelle specie in cui genitori e prole vivono assieme per un certo periodo, c'è un 'ampia strada percorribile da siffatte trasmissioni verticali, ma non genetiche, di informazioni utili, le "tradizioni", come preferenze abitative e alimentari (Avi taL Jablonka, 2000l. Come abbiamo visto, la trasmissione orizzontale di progetti trasme.'ì.'ìl geneticamente, la condivisione di geni utili da parte di organismi altri rispetto ai genitori o alla prole, è in circolo dai primi giorni dell'evoluzione, e ha avuto un ruolo cruciale in molte delle più brillanti conquiste dell'evoluzione; ma queste conquiste sembrano frutto di circostanze fortuite e non corsie studiate apposta per la diffusione dei progetti. La trasmissione orizzontale di informazione non genetica è un 'innovazione molto più recente nelle forme di vita pluricellulare dotate di sistema sensoriale (gli animali, in pratica). Il potere di questa innovazione ha raggiunto l'acme nella nostra specie; ma noi non siamo i soli a coglierne i benefici. Studi sulle scimmie che abitano in una delle isole dell'arcipelago giapponese hanno mostrato come queste abbiano imparato molto bene, attraverso l'imitazione o l'osservazione, il trucco di ripulire il grano caduto sulla spiaggia lanciando manciate di grano e sabbia in mare per poi raccogliere il grano che galleggia alla superficie dell'acqua: e ci sono motiYi per credere che le tecniche di costruzione delle dighe trasmesse
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dai castori adulti ai loro piccoli possano includere una quantità sostanziale di osservazione e di apprendimento per imitazione, se non di istruzioni formali. Ci sono, come sempre capita in biologia, alcuni casi intermedi interessanti che gettano luce su quelli collocati agli estremi. Le capre di montagna percorrono una rete di sentieri ottimale nel loro territorio, tramandando questo contesto di utilizzo accuratamente predisposto, tanto ordinato quanto può esserlo un sistema viario umano, non solo alla loro prole di prima e di successiva generazione, ma anche a tutte le creature che si muovono in quell' area. È forse un caso di trasmissione culturale? Sì e no. La preservazione dell'uniformità della rete su cui si basa il sistema dipende dalla ripetizione di azioni fatte da singole capre, che sono state in grado di vedere quello che le altre capre stavano facendo. Si tratta forse di imitazione? Che cosa si sta replicando esattamente? È difficile dirlo. Ma c'è una specie. l'Honw sapiens, che ha fatto della trasmissione culturale la sua autostrada dell'informazione, generando un enorme numero di ramificazioni di famiglie di famiglie di famiglie di entità culturali, e trasformando i suoi membri attraverso la tendenza, trasmessa culturalmente, a installare vigorosamente quanta più cultura possibile nei piccoli, non appena questì siano pronti ad assorbirla. Questa innovazione della trasmissione orizzontale dell'informazione è così rivoluzionaria che i primati che ne fanno uso meritano un nome totalmente nuovo. Potremmo chiamarli euprimati- superprimati se volessimo usare un termine tecnico. O potremmo utilizzare una parola più familiare, e chiamarli persone. Una persona è un ominide con un cervello "infettato" che ospita milioni di simbionti culturali, e i canali principali attraverso i quali questi ospiti si trasmettono fanno parte dei sistemi simbionti conosciuti come linguaggi. Che cosa è nato prima, il linguaggio o la cultura? Come molti dei quesiti del tipo "l'uovo o la gallina", anche questo sembra paradossale solo se lo si studia in modo superficiale. È vero che un linguaggio pienamente articolato non può diventare un'istituzione per i membri di una specie fino a quando
non si formi una comunità di qualche tipo, con norme, tradizioni, riconoscimento degli individui e ruoli murualmente compresi. Quindi, ci sono alcune ragioni a sostegno dell'affermazione che una qualche sorta di cultura preceda- e non possa che precedere il linguaggio. Le comunità degli scimpanzé hanno un (certo genere di) sistema di norme e tradizioni, riconoscono alloro interno la presenza di individui, e presentano una (specie di) scala sociale comunemente accettata, senza che per questo ci sia la presenza di un linguaggio; e queste comunità danno anche prova di una modesta forma di trasmissione culturale: tradizioni o "tecnologie" per rompere le noci, per prendere le termiti, per estrarre l'acqua da fonti non direttamente accessibili. Fanno addirittura uso di protosimboli; in almeno una comunità di scimpanzé, il battere maliziosamente impudico di un filo d'erba strappato da parte di un maschio può venire interpretato, da una femmina spettatrice, come qualcosa di simile a un "Yabba-dabba-doo!" ovvero "Ti andrebbe di salire da me e vedere la mia collezione di stampe cinesi?". Ci sono differenze nelle strette di mano durante i riruali di grooming che sembrano trasmesse per via culturale e non genetica. Volgendo lo sguardo indietro alla storia evoluti\'a della nostra stessa specie, troviamo evidenze (pur se aspramente contestate) di un controllo del fuoco da parte degli ominidi che risalirebbe a un milione di anni fa, e questa deve essere stata una pratica trasmessa sicuramente per via culturale (non per via genetica, come le tecniche adottate dagli Sfecidi per scavare i loro nidi), nonostante che il linguaggio si possa ritenere un'innovazione decisamente più recente, con stime che vanno dalle centinaia di migliaia a solo decine di migliaia di anni fa. La cultura e la trasmissione culturale possono esistere senza il linguaggio, e ciò vale non solo per noi, ominidi, o per gli scimpanzé, i nostri parenti sopravvissuti più stretti. Ma è il linguaggio che apre le porte alla trasmissione culturale che ci differenzia da tutte le altre specie. Sembra che culture linguistiche elaborate siano emerse una volta sola su questo pianeta - finora. (l Neanderthal, probabilmente, possedevano anche
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loro un linguaggio; ma, pur se questo significa che c'è stato un periodo della storia del pianeta in cui erano presenti due spe~ cie dotate di una qualche forma di linguaggio, entrambe pro~ babilmente lo avevano ereditato dai loro antenati comuni. J Perché nessun'altra specie ha mai scoperto questa magnifica suite dell'adattamento? La lista delle caratteristiche esclusive dell'Homo sapiens la conosciamo bene: controllo del fuoco, agricoltura (ma non dìmentic~iamoci .delle f.or~ic~e coltiva~ triei di funghi), costruzione dt attrezzi sofisticati, lmguaggw, religione, guerra (ma ricordiamoci delle formiche!), arte, rr:u~ sica, pianto, riso, ecc. In quale ordine sono emerse queste smgolarità, e perché? I fatti storici risalgono a tempi remoti, ma non sono affatto inerti; hanno lasciato tracce fossili che posso~ no essere studiate oggi da antropologi, archeologi, genetisti evolutivi, linguisti, e altri. Ciò che tiene assieme tutte le interpretazioni dei dati e governa l'avanzare del dibattito è il pen~ siero darwiniano - e questo non chiama in causa solamente 1 geni. Talvolta, i geni non c'entrano per niente. Il linguaggio ~i è evoluto una volta sola: ma le lingue si evolvono da quando tl primo gruppo che utilizzava un linguaggio si è diviso in du.e sortogruppi, e sebbene sia indubbio che ci siano state delle risposte genetiche all'avvento del linguaggio (i cervelli si san~ evoluti anatomicamente per diventare dei migliori elaboraton di testi), è molto improbabile che ognuna delle differenze che si sono evolute tra, diciamo, il finnico e il cinese, o il navajo e il tagalog, sia dovuta a ognuna delle sottili differenze genetiche che si possono riscontrare {per mezzo di sofisticate analisi statistiche) tra le popolazioni umane che usano una lingua madre piuttosto che un'altra. Qualsiasi cucciolo d'uorr.10 può imparare qualunque lingua umana a cui venga esposto e, per quanto ne sappiamo, riesce a farlo con la stessa facilità. Quindi, l'evoluzione delle lingue non è direttamente correlata all' evoluzione dei geni, ma è stata ugualmente governata da condizionamenti darwiniani: ogni attività di R&S è costosa, e ogni nuovo progetto sì deve ripagare da solo in un modo o in un altro. Se la complessità della grammatica di un tipo o di un altro resiste, per esempio, lo fa per una ragione, dal momento che 230
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ogni cosa presente nella biosfera è continuamente suscettibile di rinnovi, revisioni o cancellazioni. Abitudini e tradizioni si possono estinguere con la stessa facilità delle specie, a meno che qualcosa non le mantenga in vita. Innovazioni elaborate -del linguaggio o di qualche altra pratica umana- non accadono, e basta: accadono, sempre, per qualche ragione. La domanda, allora, è: ragioni di chi? Gli avvocati chiedono "Cui bono?" a chi (o a che) giova? Per rispondere in modo appropriato al quesito, dobbiamo spingere la nostra immaginazione a un salto audace senza 1' ausilio di nessuna penna magica. Quando salterete, sentirete una folla rumorosa di astanti isterici urlarvi di non farlo, implorarvi di voltare le spalle a quest'idea pericolosa. L'argomento che siamo in procinto di affrontare ha il potere impareggiabile di infastidire i guardiani della tradizione e di far aumentare il volume ma non l'accuratezza delle loro obiezioni. Siamo in procinto di prendere in considerazione la prospettiva dei memi, i replicatori della cultura analoghi ai geni, e molti di quelli che hanno avuto modo di considerare questa prospettiva, la odiano, punto e basta. Proviamo prima a capirla, e cerchiamo anche di capire se è veramente così insopportabile. Farò del mio meglio, a partire da adesso, per presentare nel modo più chiaro possibile la prospettiva del partito dell'odio, in modo da non essere accusato di in dorare la pillola velenosa. Guardiamo una formica che faticosamente si sta arrampicando su uno stelo d'erba. Perché lo sta facendo? Perché quel comportamento è adattivo? Che cosa ci guadagna, la formica, a comportarsi così? Questa è la domanda sbagliata. La formica non ha nulla da guadagnare. Allora, tale comportamento è dovuto semplicemente a un puro caso (/luke)? Si tratta proprio di questo, dì un/luke, nel senso di un platelminta trematode!2 Il cervello della formica è stato invaso da un Dicrocoelium dendriticum Uancetfluke), un membro di una combric2. L'aurore sfrutta un gioco di parole non riproducibile in italiano: in inglese può significare sia "caso fortuito'' sia. in gergo zoologico, "platelminta trematode". [NdT]
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cola di minuscoli vermi parassiti che devono spingersi fin dentro l'intestino delle pecore o delle mucche per potersi riprodurre. (l salmoni nuotano controcorrente; questi vermi parassiti guidano le formiche sulle estremità degli steli d'erba per aumentare le loro possibilità di essere ingoiati da un ruminante di passaggio.) I vantaggi di una simile azione non vanno calcolati secondo la prospettiva delle possibilità riproduttive del3 la formica, ma secondo quelli del platelminta trematode. Con Il gene egoista ( 1976), Richard Dawkins ha ipotizzato che anche alcuni elementi culturali -da lui battezzati memipotessero essere considerati come parassiti. Essi usano i cervelli umani (al posto dello stomaco delle pecore) come abitazioni temporanee e saltano da cervello a cervello per riprodursi. Come quei vermi, anche i memi si sono specializzati nel trasmettere questo elaborato ciclo (a causa di tutta la competizione tra memi per appropriarsi del limitato spazio disponibile nei cervelli) e, nuovamente come i platelminti che assillano le formiche, non devono per forza avere una qualche idea del come e del perché si stiano comportando in tale modo. Sono strutture informative ingegnosamente progettate che si servono involontariamente di esseri pensanti, senza per questo essere loro stessi degli esseri pensanti. Non possiedono un sistema nervoso; non hanno neanche un corpo, almeno non nel senso ordinario del termine. Sono molto più simili a un semplice virus che a un verme (Dawkins, 1993 ), perché viaggiano con poco bagaglio invece di doversi portare appresso un grosso corpaccione. In fondo, un virus è solo una stringa di acido nucleico (un gene) con una certa grinta. (Ha anche un rivestimento proteico di un qualche tipo; un viroide è un gene anco3. Per parlare chiaramente, secondo la prospettiva delle possibilità riproduttive dei geni del platelminta trematode (o dei geni del gruppo dei platelminti trema todi l. Come hanno e\'idenziato So ber e \X'ilson ( 1998 l nel loro studio del D. dendriticum come esempio di comportamento altruistico, il platelminta che di fatto controlla il cer\'ello della formica è una specie di pilota kamikaze che muore senza alcuna possibilità di tramandare i suoi ge· ni, avvantaggiando i suoi quasi-cloni (riprodottisi asessualmente) presenti in altre parti della formica.
ra più spoglio, che manca appunto di quel rivestimento.) Analogamente, un meme è un pacchetto di informazione con una certa grinta - una ricetta o un manuale d'istruzioni per fare qualcosa di culturale. I memi, guindi, sono analoghi ai geni. Di che cosa è fatto un meme? E fatto di informazione, che può essere trasmessa con ogni medium fisico. I geni, le ricette genetiche, sono tutti scritti sul medium fisico del DNA, usando un unico linguaggio canonico, l'alfabeto delle triplette costituite da C, G, A e T, per mezzo delle quali si codificano gli aminoacidi. I memi, le ricette culturali, analogamente dipendono da un certo medium fisico per continuare a esistere (non sono magici), ma possono saltellare da un medium a un altro, possono essere tradotti da un linguaggio a un altro, esattamente come ... le ricette! Sia che venga scritta in inglese con inchiostro su carta, o dettata in italiano da una videocassetta, o registrata nella struttura dati diagrammatica del disco fisso di un computer, la medesima ricetta di una torta al cioccolato può essere conservata, trasmessa e copiata. Come il criterio per stabilire se il pudding è venuto bene è mangiarlo, la fedeltà di una ricetta presa da ognuna delle sue repliche fisiche dipende (principalmente) dal successo della torta. Successo nel fare che cosa? Nel convincere un altro ospite a replicarla e a diffonderla. Cui bono? Normalmente, sono coloro che mangiano la torta a trame beneficio, e questo è il motivo per cui fanno tesoro della ricetta, producendone copie o diffondendola; ma che tali "ospitanti" ne traggano o meno vantaggio, se in un modo o in un altro la torta riesce a convincerli a far circolare la ricetta è la ricetta stessa a beneficiarne nel solo modo importante per,le ricette: venendo copiata e in questo modo prolungando la vita del suo "lignaggio". (Possiamo immaginarci, per esempio, che la ricetta sia quella di una torta, in realtà, piuttosto tossica, ma che contenga un potente allucinogeno che inculca nelle persone che la mangiano il desiderio ossessivo, opprimente, di fare più copie della ricetta e condividerle con gli amici.) Nel dominio dei memi, il beneficiario finale, il beneficiario unico al quale si devono applicare i calcoli finali di costi e be-
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nefici, è il meme stesso, non i suoi veicoli. Questa non deve essere considerata una tesi empirica audace, tendente a escludere (per esempio) il ruolo dei singoli agenti umani nel concepire, apprezzare e assicurare la diffusione e la perpetuazione dei temi culturali. La mia posizione sostiene piuttosto che noi potremmo adottare una prospettiva, o un punto di vista, dal quale si possa comparare un'ampia varietà di differenti tesi empiriche, comprese quelle più tradizionali, e tutte le evidenze a favore mettendole a confronto entro un contesto neutrale, un contesto che non nutra pregiudizi su alcuna di queste ipotesi. A una prima occhiata, siffatta concezione della cultura potrebbe sembrare più minacciosa che promettente. Se questo è un tipo di libertà, è quantomeno uno strano tipo di libertà,.sembra, in nessun senso preferibile alla libertà ignorante, ma felice, dell'uccello che vola dove vuole. Nell'analogia con il platelminta trematode, siamo stati invitati a considerare il meme come un parassita che si impossessa di un organismo a suo mero beneficio riproduttivo; dovremmo, però, ricordare che si possono classificare tali "autostoppisti" o simbionti in tre categorie fondamentali: parassiti la cui presenza indebolisce la fitness dei loro ospitanti; commensali, la cui presenza è neutra (sebbene, come ci ricorda l'origine etimologica del termine, essi "siedano alla stessa tavola"); e mutualisti, la cui presenza accresce la fitness sia dell'ospitante sia del simbionte. Dato che queste varietà sono collocate in un continuum, le linee di confine tra un tipo e l'altro non vanno tracciate in modo troppo netto; anche nei punti dove i benefici si azzerano e si trasformano in danni non si ha la possibilità di ottenere misure dirette attraverso test realizzabili, sebbene si possano analizzare le conseguenze causate da questi punti di svolta in modelli simulati. Ci dovremmo aspettare che anche i memi possano ricadere in queste tre varietà. Alcuni memi aumentano certamente la nostra fitness, rendendo più alta la nostra probabilità di avere una discendenza numerosa (per esempio, le tecniche di igiene e profilassi, l'allevamento dei bambini, la cottura dei cibi); altri sono neutrali- anche se molti di loro possono dare dei vantaggi sotto altri aspetti non meno importanti (per esempio, l'alfa-
betizzazione, la musica e l'arte) -e alcuni memi, infine, sono senza alcun dubbio deleteri per la nostra fitness genetica, ma nonostante ciò potrebbero andarci bene per altri scopi, che sono per noi più importanti Oe tecniche di controllo delle nascite ne sono un ovvio esempio). Banalmente, i memi che persistono saranno quelli in possesso di una loro fitness di replicatori maggiore, qualunque siano gli effetti della loro azione sulla nostra fitness, o anzi sul nostro benessere in tutti i sensi. Quindi, è un errore assumere che la selezione naturale di un tratto culturale avvenga sempre secondo "una ragione" - a causa sempre di un qualche beneficio avvertito (o anche non avvertito) che questo reca all'ospitante. Possiamo sempre chiederci se gli ospitanti, cioè gli agenti umani che fungono da vettori, percepiscano qualche beneficio e (per quella ragione, buona o cattiva che sia) favoriscano la preservazione e la riproduzione dell'oggetto culturale in questione, ma dobbiamo essere pronti ad accettare che la risposta sia che non ne percepiscono alcuno. In altre parole, dobbiamo considerare come una possibilità effettiva l'ipotesi che gli esseri umani risultino, presi individualmente o come gruppo, sia inconsapevoli di, sia agnostici verso, o anche decisamente contrari a un certo tema culturale e che questo, ciononostante, sia in grado di sfruttare i suoi ospiti come vettori. Come ha detto George Williams:
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Entro una società, un meme potrebbe addirittura accrescere la felicità o lafìtness dei suoi portatori, come potrebbe anche non farlo. Se può venire trasmesso orizzontalmente con una incidenza maggiore di quella che può produrre singolarmente il suo portatore, la fitness di quei portatori diviene totalmente irrilevante. Il progresso del fumo delle sigarette lascia una traccia di corpi non meno morti di quelli abbattuti da un done di una spirocheta. (Williams, 1988, p. 438)
Ci sono varie domande senza risposta a proposito dei memi, e molte obiezioni. Si può trasformare la prospettiva memica in una vera e propria scienza della memetica, o questa è "so-
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lo" un vivido esercizio di immaginazione·, uno strumento o un giocattolo filosofico, una metafora che non può essere presa alla lettera? È troppo presto per dirlo. La maggior parte delle argomentazioni avverse a una scienza della memetica è fuorviante e disinformata, e rivela il suo lezzo di disonestà intellettuale o di disperazione. Ciò diventa particolarmente evidente quando siffatte argomentazioni vengono ripetute da persone che manifestamente non ne capiscono un'acca, dal momento che ne replicano fedelmente, e senza la minima comprensione, errori minori che in qualche modo hanno fatto breccia nella linea germinale! mia preferita è quella che sostiene che l'evoluzione culturale sia "lamarckiana"; ciò le vieterebbe di essere "darwiniana": ecco un mantra con diverse varianti una più insensata dall'altra, nessuna delle quali è a tenuta stagna.4 Ma suona bene, non è vero? Suona come un'obiezione raffinata che non può non colpire a fondo quei noiosi ''ultradarwinisti", proprio dove fa loro più male. (fermate quel corvo') Attività di ricerca pionieristiche, al momento in atto, potrebbero maturare in una disciplina sostanzialmente nuova della memetica e provare che questi critici hanno torto. (Mangiate quel corvo.') O potrebbero non farcela. Ci sono ancora ostacoli e obiezioni molto serie che è necessario affrontare. (Si vedano le indicazioni sulle letture consigliate alla fine del capitolo.) Come ho premesso, è troppo presto per dirlo, ma è del tutto ininfluente per i nostri scopi, dato che il contributo più importante che richiederemo ai memi in questo contesto sarà, di fatto, "solo" di natura filosofica o concettuale ma non per ciò meno valido: la prospettiva memica ci permette di riconoscere il valore di una possibilità che altrimenti sarebbe assai ar-
duo prendere in seria considerazione. Come abbiamo visto nel capitolo 4 parlando dellibertarismo, esiste la diffusa convinzione tra molti pensatori che sia in qualcbe modo necessario, se ci vogliamo fregiare di un libero arbitrio che abbia una qualche valenza morale, liberarci dalla nostra bruta eredità biologica. Poiché non ci possiamo avvalere di una qualche magica levitazione morale, e non possiamo ricorrere ai quanti per librarci oltre la nostra biologia, dobbiamo cercare altrove, per trovare una via d'uscita. Richard Dawkins chiude Il gene egoista con una dichiarazione appassionata: Abbiamo il potere di andare contro ai nostri geni egoisti e, se necessario, ai memi egoisti del nostro indottrinamento [ ... ]. Siamo stati costruiti come macchine dei geni e coltivati come macchine dei memi, ma abbiamo il potere di rìbellarci ai no· stri creatorì. Noi, unici sulla Terra, possiamo ribellarci alla tirannia dei replica tori egoisti. mawkins, 197 6, p. 215)
4. Brevemente, il lamarckismo è l'eresia della trasmissione genetica dei caratteri acquisiti, ma i caratteri acquisiti dì chi dei memi o degli ospiti? Gli ospiti trasmettono alla loro prole i parassiti che hanno acquisito da sempre- non c'è alcuna eresia lamarckiana gui- e dato che i memi non hanno una distinzione linea germinale l linea soma ti ca. non c'è una netta demarcazione, per un meme, tra murazìone e carattere acquisito. Se per "l'evoluzione culturale è lamarckiana" sì intende una di lJUeste due cose. allora non si tratta di un'obiezione alla mcmerica: se sì intende qualcos'altro. quest'altro deve ancora emergere dalla corrina fumogena"
Ma "noi", come possiamo riuscirei? Dawkins non ce lo dice; ma io penso che la prospettiva memica, di fatto, ci dischiuda proprio gli scenari di cui abbiamo bisogno per completare la sua affermazione. Ci vorrà un po' di più di un qualche passo. Il primo è semplicemente questo: possiamo riconoscere che l'accesso ai memi- buoni, cattivi o indifferenti ha l'effetto di aprire un mondo di immaginazione agli esseri umani che altrimenti sarebbe inaccessibile. Il salmone che sta nuotando controcorrente per andare a deporre le uova può essere astuto quanto volete, ma non può nemmeno contemplare la possibilità di abbandonare il suo progetto di riproduzione e decidere, invece, di vivere oltre il suo limite prestabilito, studiando la geografia delle coste o cercando di imparare il portoghese. La creazione di una panoplia di nuove prospettive è, secondo me, il prodotto più impressionante della rivoluzione rappresentata dagli euprimati. Laddove tutte le altre forme di vita sono state progettate dall'evoluzione per vagliare tutte le possibilità di scelta attinenti al summum bonum del successo riproduttivo, noi possiamo barattare quella finalità
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con una qualunque di mille altre, tanto facilmente quanto un camaleonte può cambiare colore. Uccelli, pesci e anche altri mammiferi sono totalmente immuni al fanatismo, una malattia dovuta a infezioni culturali che colpisce solo la nostra specie; ma, ironia della sorte, la cultura ci rende vulnerabili a simili patologie perché ci rende esseri di larghe vedute rispetto a finalità e a significati, e lo fa in un modo che non è concesso ad alcun altro animale. Quando un agente o un sistema intenzionale prende una decisione sulla migliore linea d'azione da seguire, dopo aver considerato tutte le alternative, è necessario sapere secondo la prospettiva di chi si è giudicata ottimale questa scelta. Un'assunzione più o meno tacita, almeno nel mondo occidentale, e specialmente tra gli economisti, è quella di considerare un agente come una sorta di ''punteggiata" regione cartesiana di benessere. Che rne ne viene in tasca? Interesse egoistico razionale. Ma mentre deve esserci qualcosa nel ruolo del Sé qualcosa che ci permetta di dare una risposta alla domanda Cui bono?- nel caso del soggetto responsabile delle decisioni che stiamo considerando, non vi è necessità alcuna di accettare implicitamente questa assunzione (condotta di default), per quanto sia comune. In linea di principio, possiamo considerare un Sé-come-beneficiario-ultimo nei termini di un qualcosa distribuito in modo indefinito. Posso avere a cuore l'interesse di altri o di una struttura sociale più ampia, per esempio. Non c'è nulla che mi limiti a un io in contrasto con un noi. (Se vi fate veramente piccoli, potete esteriorizzare virtualmente qualsiasi cosa.) Una certa tradizione di pensiero parlerebbe, in tal contesto, di altruismo "altruistico", ma questa visione crea più problemi di quanti ne risolva: la ricerca del "vero" altruismo è missione votata al fallimento. È costretta a fallire non per via del fatto che noi non siamo angeli (è vero, noi non siamo angeli; ma non è questo il problema), ma perché i criteri che definiscono il vero altruismo sono sistematicamente elusivi, come avremo modo di vedere. È molto meglio pensare alla capacità umana di rielaborare il proprio summum bonum co-
me a una capacità di estendere il dominio del Sé. Posso sempre conseguire ìl mio scopo di cercare di essere "il Migliore'' includendo nella ricerca del mio primato non solo il mio corpo vivente, ma anche la mia famiglia, i Chicago Bulls, Oxfam, ... ditemi voi chi altri. Ecco una buona ragione per considerare il proprio Sé in questo modo: supponete che io sia un agente coinvolto in una contrattazione, o sottoposto al dilemma del detenuto, o posto di fronte a un'offerta coercitiva, o a un tentativo di estorsione. n mio problema non si risolve, non diminuisce né si sistema in modo significativo se il Sé che sto proteggendo è qualcosa di diverso dal mio Sé personale, se non sto solo cercando di salvarmi la pelle, per così dire. Un estorsore o un benefattore che conoscesse ciò che mi preme, sarebbe nella posizione di escogitare una situazione su misura per colpirmi dove più sarei vulnerabile, qualunque fosse il mio punto debole. Siamo giunti all'ingresso della Symphony HalL ma ancora molto da esplorare. Dobbiamo vedere come l'evoluzione culturale, talvolta imbrigliata con l'evoluzione biologica, possa produrre le condizioni sociali che costituiscono l'atmosfera concettuale, l'aria che respiriamo, quando agiamo nella convinzione che siamo spesso liberi, in un senso moralmente importante, di fare qualsiasi cosa decidiamo di fare.
Idee etiche, politiche, religiose, e concezioni scientifiche - tutte queste nozioni e tutte le istituzioni che le incorporano sono nate in un tempo biologico assai recente, e non sono comparse per magia. La cultura non è calata un giorno su una banda di ominidi come una nuvola di germi portati dall'aria. Per poter capire come le idee veicolate dalla cultura abbiano potuto allargare i limiti dei nostri Sé, dobbiamo rivolgerei alla struttura dell'ambiente dove devono aver agito questi agenti ancestrali. Quando iniziamo ad analizzare l'ambiente, siamo di fronte a un'ampia gamma di ipotesi danviniane, quasi del
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tutto inesplorate, da controllare nella nostra indagine della storia che ha creato la nostra eredità culturale e le ragioni che ne giustificano la frammentazione in così tante parti. Quando l'ambiente culturale cambia, una tendenza di tipo culturale può dissiparsi in una notte, e questo può creare un effetto domino nell'ambiente selertivo, il che vuoi dire che c'è un potente ciclo di feedback che accelera l'evoluzione, spesso in direzioni di cui potremmo arrivare a pentirei. Consideriamo qualche esempio. Il cartone animato Bambt della \V'alt Disney venne proiettato nell942, e da allora ha cambiato le abitudini statunitensi riguardo la caccia ai cervi nello spazio di pochi anni (Cartmill, 1993 ). Oggi, la popolazione dei cervi in alcune zone degli USA sta creando seri problemi sanitari, fomentando piccoli focolai epidemici di morbo di Lyme, diffuso dalle zecche dei cervi che mordono gli esseri umani che amano passeggiare nelle aree selvatiche. E nel corso di una sola generazione, le stoviglie di alluminio hanno sostituito i tradizionali cesti sukuma della cultura masonzo lungo le sponde del lago Victoria in Africa:
La testimonianza degli effetti dell'introduzione delle asce di acciaio presso gli indiani Panare del Venezuela è ancora più triste.
Questi cesti per l'utilizzazione dell'acqua erano intrecciati dalle donne e venivano impiegati durante le cerimonie come recipienti per il consumo di grandi quantità di pombe, una birra ottenuta dal miglio. [ ... ]Fili d'erba tinti con il manganese veniYano intrecciati nei cesti seguendo schemi geometrici con significato simbolico. Non era sempre possibile conoscere il significato degli schemi, perché l'arrivo dei mazabethl le stoviglie di alluminio chiamate così per Yia della regina Elisabetta e introdotte su larga scala durante il dominio britannico- ha segnato la fine della cultura masonzo. Ho parlato con una vecchia di un piccolo villaggio che, a distanza di trent'anni, era ancora furibonda verso i mazabetbi [. .. ]. "Sisi wanawake, noi donne. noi eravamo abituate a intrecciare i cesti. tutte sedute in cerchio chiacchierando tra di noi. Non ci vedo nulla di male in questo. Ogni donna faceva del suo meglio per intrecciare il cesto più bello che pote\'a. I mazabetbihanno posto fine a tutto questo." (Goldschmidt. 1996, p. 39)
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:\el passato, quando si usavano le asce di pietra, vari individui si ritrovavano e lavoravano assieme per abbattere gli alberi per fare spazio a un nuovo giardino. Con l'introduzione delle asce di acciaio, però. un uomo è in grado di ripulire un giardino da solo L.. ]; la collaborazione non è più né un imperatiYo né è parricolarmente frequente. (Milton, !992, pp. 37 -42)
Questa gente ha perso la sua tradizionale "rete di interdipendenza cooperativa", e ora sta perdendo anche una grande quantità di conoscenza della fauna e della flora del mondo in cui vive, pur accumulata nel corso dei secoli. Spesso, le loro stesse lingue si sono estinte, in una o due generazioni. Potrebbe accaderci qualcosa di simile? Ci sono doni della tecnologia o della scienza in grado di provocare devastazioni al nostro milieu culturale, simili a quelle apportate dall'introduzione delle asce di acciaio nel loro? Perché no? La nostra cultura è fatta dello stesso genere di sostanza che compone la loro. (Fermate quel cm~·o.' solo che ora, forse, iniziamo a renderei tutti conto che, in realtà, ci potrebbero essere delle ottime ragioni per fermare il corvo.) Questi esempi mostrano che le caratteristiche culturalmente tramandate sono altamente volatili e, in certe condizionì, si possono estinguere con facilità, il che è sconvolgente. Ma ci fa anche sperare. Un male culturale- come la tradizione schiavistica o i maltrattamenti alle donne - talvolta può evaporare in breve tempo, per mezzo di alcune misure concrete. Non tutte le caratteristiche culturali, però, sono così fragili. Un 'abitudine culturalmente imposta potrebbe sopravdvere a lungo alla sua utilità, continuando a persistere grazie alle sanzioni imposte dai membri della cultura, che potrebbero essere ignari del, o anche solo conoscere vagamente il, motivo originale alla base delle loro tradizioni-trasformate-inabitudini. Il divieto di mangiare carne di maiale, per esempio, 241
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potrebbe aver avuto una motivazione nettamente razionale (in fluttuazione libera o meno) quando è stato introdotto, una motivazione che è caduta nel dimenticatoio tanto tempo fa, e che non è più funzionale al mantenimento del tabù. E se una caratteristica è ancorata geneticamente, il tempo che può intercorrere tra la scomparsa della sua raisott d' étre e la sua estinzione si può misurare in centinaia di generazioni. La nostra debolezza per i dolci, per prendere un esempio che calza a pennello, aveva un senso al tempo dei cacciatoriraccoglitori, quando ogni barlume di energia utile per la raccolta era una questione di vita o di morte. Ora, in un ambiente dove lo zucchero è onnipresente, questa è diventata una calamità che dobbiamo combattere con una varietà di contromisure, anch'esse, ovviamente, di natura culturale. (Alzino la mano tutti i deterministi genetici che pensano che questa sia una battaglia persa - hmmm, non vedo nessuna mano alzata.) Ci sono numerose possibilità di interazioni complesse tra fattori genetici e culturali (e altri fattori ambientali). Bastano le differenze nella scala del tempo ad assicurarlo. Considerate, per esempio, un programma incompleto delle possibilità di una spiegazione danviniana del fenomeno religioso.' La religione è presente ovunque nelle culture umane, e prospera, nonostante i suoi considere\·oli costi. Ogni fenomeno che apparentemente passa i suoi limiti funzionali richiede una spiegazione. Non ci meravigliamo quando osserviamo una creatura scavare ostinatamente sotto terra con il naso. perché immaginiamo che stia cercando del cibo; se, però, interrompe regolarmente la sua attività di scavo per fare una capriola, allora vogliamo saperne il motivo. Che benefici si può presumere (giustamente o meno) essa otterrà da questo eccesso di attività? Dal punto di vista dell'evoluzione. il senso religioso appare come un'inclinazione onnipresente a" capriole'' di ungenere più elaborato, e come tale an ch 'esso richiede spiegazio-
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ne. Non c'è penuria di ipotesi. La religione (o alcune caratteristiche della religione) è paragonabile a: Il denaro: è un'aggiunta culturale ben progettata, la cui annipresenza può essere spiegata facilmente e persino giustificata; è un Buon Trucco che ci si aspetterebbe di riscoprire in continuazione, un caso di evoluzione sociale convergente. La società ne trae giovamento. (È in qualche modo simile alle tracce di feromoni emesse dagli insetti sociali per coordinare le attività dei loro compagni -la sua utilità può essere compresa solo in un contesto di gruppo, il che solleva tutti i problemi della selezione di gruppo.) Uno schema a piramide: è una truffa governativa progettata con astuzia, che si trasmette (culturalmente) di generazione in generazione entro un'élite, che la usa per mantenere un vantaggio sui suoi conspecifìci. Ne trae giovamento solo l'élite. Una perla: è uno splendido sottoprodocro di un rigido meccanismo geneticamente controllato, che è la risposta a un 'ineluttabile irritazione; l'organismo, quindi, si protegge da danni interni.
Il boudoir dell'uccello giardiniere: è il prodotto di qualcosa di analogo a una selezione sessuale che sfugge di mano; l'elaborazione di strategie biologiche coinvolte in una scala mobile a retroazione positiva.
Il tremore: questa agitazione apparentemente diffusa in tutto il corpo svolge in realtà un ruolo positivo nell'equilibrare il bilanciamento omeostatico, aumentando la temperatura corporea. Colui che la subisce ne trae giovamento, in quasi tutte le circostanze in cui succede.
Lo starnuto: parassiti invasori hanno requisito l'organismo e lo stanno conducendo verso destinazioni che daranno un gim·amento, a prescindere dagli effetti che avranno sull'orga· nismo, come nel caso del platelminta trematode nel cervello della formica.
5. I seguenti paragrafi sono tratti, con moditìc,Jzioni. da Dennett {1997al.
La vera natura della religione potrebbe benissimo risultare un amalgama di molte di queste ipotesi, o di altre ancora. Ma anche nel caso che fosse così- anzi. specialmente in questo ca-
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so-, non avremmo una chiara idea del perché la religione esista fino a quando non saremo in grado di identificare chiaramente queste possibilità e sottoporle una per una a controllo. Non conducono tutte nella stessa direzione; ma sono tutte esempi dì interpretazione darwiniana. Tutte le ipotesi cercano di spiegare l'esistenza della religione cercando di scoprirne alcuni vantaggi, parte del lavoro svolto a rimborso del costo speso; ma differiscono notevolmente nella risposta alla domanda Cui bono? È il gruppo che ne trae giovamento, o l'élite, o l'organismo individuale, oppure è un caso di "effetto della regina rossa", in cui tutte le parti coinvolte devono correre quanto più velocemente possono per poter rimanere quello che sono, o c'è ancora qualche altro beneficiario in termini evolutivi? E nessuna di queste spiegazioni evoca un "gene della religione", sebbene i geni abbiano un ruolo in discutibile nel garantire alcune delle possibili precondizioni di alcuni aspetti della religione. Ci potrebbe essere, ovviamente. qualcosa di veramente simile al gene della religione. Per esempio, un atteggiamento di eccessiva "religiosità" è un sintomo indicativo di alcune forme di epilessia, ed è noto che ci siano predisposizioni genetiche all'epilessia. Potrebbe darsi che gli ambienti culturali- insiemi di tradizioni, pratiche e aspettative possano diventare degli amplificatori e dei modellatori di certi rari fenotipi, e abbiano la tendenza a trasformarli in sciamani o preti o profeti, il cui messaggio sia poi dipendente dal contesto sociale (sarebbe come imparare la vostra lingua madre). È proprio in questo modo che il "dono della profezia'' potrebbe" scorrere nel sangue di famiglia" ci sarebbero geni della profezia, come ci sono geni della miopia o dell'ipertensione. (Sì, sì, lo so; "a rigar di termini'' non ci sono cose simili ai geni della miopia o dell'ipertensione; i cosiddetti geni sono solamente predisposizioni a quelle condizioni. Fermate quel coruo 1) Se ci fosse veramente un gene della religione, questa sarebbe, in realtà, la meno interessante e la meno informativa delle possibilità darwiniane. L'evoluzione (e il persistere, alla faccia dell' estinzione) delle condizioni che potrebbero fungere da am-
plificatori sarebbe molto più importante, e questa, quasi certamente, non è governata affarto dai geni. È un 'evoluzione culturale. Dato che sto smontando le caricature del pensiero darwiniano, posso altrettanto facilmente mettervi in guardia su un'altra di queste deformazioni, una che chiamerò la fallacia nudista. La rivista The Arnerican Sunbather (di cui ebbi modo di maneggiare alcune copie con le mie mani sudaticce di ragazzo) fece il colpaccio, se ben ricordo, rivendicando l'essenziale naturalezza dello stile di vita dei nudisti. Era un ritorno alla nostra eredità animalesca, priva di vestiti, un modo in cui tutti avremmo potuto riavvicinarci a "come Madre N atura avrebbe voluto che fossimo". Un'assurdità. Non la parte su ciò che Madre Natura avrebbe voluto- sono più che contento di difendere l'uso di questa frase colorita a mo' di stenografia per i motivi razionali in fluttuazione libera alla base dei progetti che l'evoluzione scopre e sostiene. Assurda è piuttosto l'idea che ciò che vorrebbe Madre Natura sia ìpso facto buono (per noi, ora l. Comunque, toglietevi gli abiti ogni volta che vi sentite di farlo, ma non commettete l'errore di credere che questo modo di essere "naturali'' migliori anche di poco la vostra condizione. (Anzi, gli abiti sono tanto naturali per la nostra specie quanto una conchiglia presa a prestito lo è per il paguro, che si comporterebbe in modo ben meno saggio a scorrazzare in giro completamente nudo.) La miopia è naturale, ma grazie al cielo abbiamo gli occhiali. Madre Natura si aspettava che noi avessimo proseguito a mangiare tutte le cose dolci che ci capitavano tra le mani; ma questo non è un buon motivo per continuare a seguire quell'istinto. Molte delle caratteristiche culturalmente evolute della vita umana sono chiaramente dei correttivi efficaci di un qualche istinto andato in pensione (Campbell, 1975) e altre caratteristiche, come vedremo, sono correttivi di quei correttivi, e così via. I processi darwiniani vengono lanciati dalla competizione strisciante tra gli alleli del genoma; ma. nella nostra specie. l'adattamento si lascia la rampa di lancio molto indietro.
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Begli strumenti, ma devi ancora usarli
modo che ha un meme di muovere i primi passi e venire messo alla prova dalla selezione naturale, esattamente come fare
Le nostre opinioni, ridestare con garbo dalle circostanze, iniziano a riesaminarsi sotto una coltre di disattenzione. Diciamo loro, con voce ferma: No, non sono interessato a un cambiamento in questo momento. Ma non sì possono fermare le opinioni. A loro non importa se le vogliamo tenere o no; fanno quello che vogliono. NICHOLS00J BAKER, di testa non guasta
una ricetta per comporre le proteine venga eseguita e liberarne nel mondo il risultato è il modo che ha un gene di venire
Nei pochi decenni passati tutti hanno letto o visto un numero senza fine dì libri dedicati alla cultura del narcìsismo, dell'incredulità, del desiderio, o chissà che altro. L'oggetto dì questi volumi è sempre lo stesso: cìò che immaginate siano le vostre credenze ben fondate o le vostre preferenze non risulta essere altro che un insieme di rit1essi impiantati in voi da assunzioni nascoste della vostra "cultura". Voi non siete scettici nei confronti della religione perché non credete nella storia di N oè e dell'Arca, ma fate parte della cultura dell'incredulità. ADAM GOPI\'IK, Tbe N eu· 'torker (24 maggio 1999)
Prima di poter proseguire tranquillamente, dobbiamo presentare e disarmare un'altra fonte di resistenza al pensiero darwiniano che si cela all'interno di questo ricco contesto. Un'incomprensione profonda e persistente del pensiero darwiniano si rivela essere l'idea che ogni volta che diamo una spiegazione in termini di evoluzione dei fenomeni umani, invocando sia i geni sia i memi, dobbiamo negare che le persone pensino! Talvolta, quest'idea è un sottoprodotto di una caricatura del determinismo genetico, i cui immaginari seguaci direbbero: "Le persone non pensano, hanno solamente un'enormità di istinti irriflessivi". Ma sì può anche trovare una caricatura (talvolta, devo ammetterlo, un'autocaricatura) di teorici dell'evoluzione culturale che dice, in realtà: "I miei memi mi hanno costretto a farlo!"- come se i memi {diciamo, i memi della matematica o della fisica dei quanti) potessero svolgere il loro compito negli umani che li ospitano senza richiedere a quegli stessi di pensare. I memi dipendono dai cervelli umani, che sono i luoghi atti alla loro nidificazione; i reni umani o i polmoni non funzior:erebbero bene come luoghi alternativi, perché i memi dipendono dalla capacità di pensare di chi li ospita. Essere coinvolto in un'attività di pensiero è il
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messo alla prova. Se i memi sono strumenti per pensare (e molti dei migliori sono esattamente questo), devono essere esercitati perché i loro effetti fenotipici emergano. Dovete continuare a pensare. È vero che un buon modello darwiniano del pensiero non assomiglierà per niente a un modello tradizionale. Dobbiamo rimpiazzare il vecchio e malfunzionante modello cartesiano di una res cogitans centrale e non meccanica, letteralmente la cosa pensante, che svolge tutti i compiti genuinamente spirituali. Il Teatro cartesiano, il posto immaginario al centro del cervello "dove tutto si unisce" per la coscienza (e il pensiero}, va smantellato; e tutto il lavoro del pensiero va ridistribuito a elementi agenti (agencies) meno fantastici. Nel capitolo seguente analizzeremo in maggior dettaglio le conseguenze che seguono dalla tesi che i nostri compiti di ragionamento vengano esternalizzati a subappaltatori neurali semi-indipendenti, in competizione tra loro; ma quel lavoro di riflessione va comunque svolto e, ovunque lo si faccia, le persone si comportano se-
condo ragioni che sono le loro ragioni. Quindi, non abbiamo una situazione di memi contro ragioni. Non è nemmeno una situazione di 1nemi contro buone ragioni. Spiegazioni che danno a intendere di poter giustificare una di queste due situazioni, citando i ragionamenti fatti da agenti pensanti, non sono spiegazioni sviluppate secondo un convincente approccio darwiniano. Ne sono ben lontane. L'unica tesi sulla ragione che la memetica contraddice è la posizione quasi incoerente che suppone che la ragione possa in qualche modo esistere senza alcun supporto biologico, aggrappandosi a qualche cartesiano gancio sospeso. Una parodia ne mostrerà la fallacia: "Gli esperti della Boeing sono vittime del ridicolo equivoco che fa loro credere di aver elaborato i progetti dei loro aeroplani sulla base dei solidi principi della fisica e dell'ingegneria, e di aver dimostrato con rigore che i
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progetti sono come avrebbero dovuto essere, quando, in realtà, la memetica ci mostra che tutti questi elementi progettuali sono semplicemente dei memi che sono soprawissuti e si sono diffusi nei gruppi sociali ai quali questi costruttori di aeroplani appartengono". Ovviamente, è vero che quei memi hanno fatto un buon lavoro in tali circoli sociali; ma ciò non è in competizione con la rispettabile vecchia spiegazione in termini di buon progetto, buona pianificazione, buona conduzione razionale della ricerca e dello sviluppo. Tutt'al' più, integra una spiegazione di tale genere. Perché qualcuno dovrebbe pensarla diversamente? Escludendo confusioni occasionali su questo punto da parte di qualche sedicente darwinista, ed escludendo le caricature, c'è una ragione molto più interessante. Talvolta, potrebbe sembrare che i sedicenti memetisti neghino al pensiero qualsiasi ruolo perché occasionalmente mimano le prospettive adottate tipicamente dai genetisti delle popolazioni, che deliberatamente ignorano l'attività reale dei fenotipi il cui successoriproduttivo differenziale determina il fato dei geni in esame. I genetisti delle popolazioni tendono a eludere le discussioni sui corpi, sulle strutture e sugli eventi del mondo reale, che in qualche modo compongono eventi di selezione, e invece parlano solamente degli effetti sul pool genico di un qualunque ipotetico cambiamento. È come se né i leoni né le antilopi avessero una loro vita, ma fossero solo in grado di procreare o di non procreare, a seconda dell'indice di fitness che possiedono i loro corpi. Immaginatevi un torneo di tennis in cui tutti i concorrenti devono solo spogliarsi completamente e venire esaminati con attenzione, a coppie, da dottori sportivi e allenatori, ai quali spetta poi dare un voto su chi dei due membri della coppia debba avanzare al turno successivo, fino a giungere alla proclamazione del vincitore del torneo. I genetisti delle popolazioni apprezzerebbero il concetto che sta alla base di una pratica tanto stramba: ma anche loro dovrebbero ammettere che, poiché i criteri dei giudici devono basarsi sul botta-e-risposta che costituisce il gioco reale, sarebbe meglio permettere ai giocatori di scendere in campo e lasciare che sia-
no le loro condizioni del momento a decidere chi ne uscirà vincitore. Nonostante ciò, insisterebbero, non avremmo bisogno di guardare la partita. Eccovi l'espressione di una tipica razionalità:
Analogamente, le baruffe che avvengono tra i memi nei cervelli possono essere ignorate (in fondo, tutto è così incasinato e complicato), e possiamo starcene seduti in disparte a elencare i nomi degli eventuali vincitori e sconfitti, ma non dobbiamo dimenticarci che le lotte si svolgono effettivamente. Il pensiero è un fatto, e il modo in cui si realizza influenza pure ciò che i memi fanno. Gli algoritmi darwiniani dell'evoluzione sono a substrato neutro. Non trattano solo delle proteine, o del DNA, e nemmeno della vita a base di carbonio; trattano di tutti gli effetti della replicazione differenziale con mutazione, ovunque accadano e at· traverso qualunque mezzo di diffusione. Ciò risulta particolarmente importante quando ci rivolgiamo, come stiamo per fare, all'evoluzione della morale. Per renderei conto di questa neutralità, prendiamo in considerazione una fantasticheria su un'alrra unica creazione umana, la musica. È altamente probabile che noi, membri della specie Homo sapiens, abbiamo predisposizioni genetiche alla musica. Ma che sia probabile o meno, poniamo che ciò sia vero per stare al gioco imposto dal nostro esperimento mentale. Supponiamo che il nostro amore per la musica, la nostra reazione alla musica, il nostro talento per la
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Fino a quando i meccanismi immediati sono il risultato di variazioni trasmissibili per eredità, gli adattamenti evolveranno per selezione naturale. C'è un senso per il quale lo specifico meccanismo immediato non conta. Se selezioniamo ali lunghe in moscerini della frutta e otteniamo ali lunghe, chi se ne importa del cammino dì sviluppo specifico? Se il verme che va nel cervello si è evoluto al punto di sacrificare la sua vita in modo che il gruppo possa raggiungere il fegato di una mucca, a chi interessa sapere come (o se) pensa o sente di essersi rimanato nel cervello della formica? (So ber, Wilson, 1998, p. 193 l
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musica, ecc. siano parzialmente prodotti da alcune caratteristiche progettuali trasmesse per via genetica. E supponiamo che ciò ci distingua da "marziani'' intelligenti (una specie non umana, ma culturalmente esperta e comunicativa) a cui mancano del tutto. nella loro primogenitura genetica, queste eccentricità tutte umane per la musica. Una squadra di ricerca marziana visita il nostro pianeta. Uno di questi studiosi si interessa, in un modo totalmente teorico, della musica terrestre e cerca di incorporare nelle sue capacità percettive e nelle sue inclinazioni tutte le discriminazioni, le preferenze, le abitudini, ecc. di un musicofilo umano. Mentre un normale essere umano non deve fare nessun lavoro del genere ed è, di fatto, un potenziale amante della musica, per il nostro immaginario marziano la musica diventa, senza ombra di dubbio, semplice questione di gusto. Ma supponiamo che il marziano ce la faccia e acquisti tale gusto, a forza di studio diligente e di sedute di training autogeno. Ora accantoniamo la questione (in fondo, un po' noiosa) se il marziano possa veramente apprezzare la musica "nello stesso modo in cui noi umani l'apprezziamo". Consideriamo, invece, il quesito, più interessante, circa quali siano gli schemi che distinguono la grande musica dalla buona musica, dalla musica così-così e dalla musica più brutta. Quali sono gli schemi (patterns) che il marziano ha intenzione di apprendere per iniziare a rendersi conto se potrà diventare un critico musicale convincente, per esempio? Questi sono gli schemi - profondamente intrecciati, sicuramente, con la bizzarra storia genetica dell'Homo sapiens, ma descrivibili indipendentemente da tale storia - che un teorico della musica darwiniano dovrebbe aspirare a scoprire più di ogni altra cosa. Supponiamo che il nostro pioniere marziano se ne torni sul pianeta rosso portando la musica della Terra con sé, e che poi altri marziani si dedichino a questo nuovo passatempo esotico e, seguendo le indicazioni del pioniere, si impregnino loro stessi delle attitudini e delle disposizioni necessarie (ma cariche di cultura). Quando loro interpretano, amano e criticano le opere di Mozart, la spiegazione della fonte delle loro disposizioni sarà culturale, non genetica; e con questo? Vera-
mente non ha importanza (secondo alcuni rilevanti punti di vista) che qualcuno sia un musicista "naturale" (progettato geneticamente) o ''artificiale" (progettato culturalmente). I motivi attinenti alle relazioni, alle strutture, agli schemi che rendono il tal pezzo un pezzo di Mozart, o un pezzo di musica barocca, o un pezzo di musica terrestre, hanno substrato neutrale. E se, come sembra probabile, la hit parade marziana arrivasse a includere composizioni che sulla Terra non verrebbero mai ascoltate da nessuno, la spiegazione delle differenze tra le reazioni del pubblico di Marte e quelle del pubblico della Terra, che sarebbero importanti per capire queste differenze di gusto, sarebbero neutrali rispetto alle loro origini genetiche o culturali. Ora, se i marziani non sono semplicemente in grado di acquisire siffatto gusto per la musica, allora non manifesteranno mai gli schemi di preferenze e di abitudini che potrebbero perpetuare il fenomeno; i marziani, semplicemente, non hanno orecchio e la musica non è fatta per loro. Ma se sono veramente in grado di acquisire il gusto per la musica, allora non importerà come ci siano riusciti: la somma delle forze della natura e della cultura operanti durante il loro sviluppo potrebbe raggiungere lo stesso risultato alla fine di molte strade diverse - tutte darwiniane. Questo esperimento mentale, fantascientifico com'è, ci ricorda però una verità importante circa le differenze che intercorrono tra i vari musicisti umani. Sussistono, anzi, enormi differenze tra coloro che hanno un talento musicale "naturale" e coloro che, invece, devono inculcarselo incorporando massicce dosi di teoria. È, però, una posizione piuttosto vicina al razzismo quella che sostiene che solo i primi sono veri musicisti, che solo i primi fanno veramente musica. Sospetto che, alla fine, saremo in grado di identificare i geni ''per" il talento musicale; ma la teoria della musica è, e dovrebbe restare, neutrale rispetto a questi geni. Così, dovrebbe essere tale anche la teoria che spiega la morale. Dovrebbe essere neutrale rispetto al fatto che le nostre attitudini morali, i costumi, le preferenze e le nostre tendenze siano prodotti dei geni o della cultura. Stabilire fino a che punto siamo nati "naturalmente buoni", come ha detto de
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Waal ( 1996) degli scimpanzé, e fìno a che punto noi siamo nati "storti" e dobbiamo essere raddrizzati dalla cultura, come pensava Kant di noi: "Aus so krummem Holze, als woraus der
ca interessante della biologia dell'evoluzione, tale approccio descrive uno schema che deve essere presente in ogni circostanza di conflitto, un pattern che sia incorporato in geni, memi o in qualche altra regolarità culturale. Recentemente, sono apparsi vari libri eccellenti che studiano e illustrano queste ricerche, e io non cercherò cerro di scrivere l'ennesimo manuale, quando ce ne sono già alcuni fatti così bene da altri (si vedano le indicazione sulle fonti e letture consigliate alla fine del capitolo successivo). Farò invece un passo indietro e offrirò alcune interpretazioni per orientare il lavoro secondo i nostri scopi, così come cercherò di edificare alcune dighe necessarie a opporsi a una piena di interpretazioni erronee che hanno devastato la rìcerca su questi temi.
Menscb gemacht ist, kann nichts ganz Gerades gezimmert werden" (Da un pezzo di legno così storto, come quello da cui è stato fatto l'uomo, non si può costruire niente di completamente dritto), è una problematica empirica importante. La spiegazione di come sia nata la morale e del perché abbia assunto la forma che ha ora dovrà essere, in entrambi i casi, una spiegazione darwiniana. Le interazioni tra vie di trasmissione culturali e genetiche si possono analizzare unicamente da una prospettiva neutrale. Anche gruppi che sono geneticamente identici possono differenziarsi profondamente a livello fenotipico a causa di meccanismi culturali, e queste differenze si possono trasmettere per via ereditaria nell'unico senso che ha significato entro il contesto del processo di selezione naturale. Il fatto che la cultura da sé possa fornire gli ingredienti richiesti dal processo di selezione naturale le conferisce lo status che i critici del determinismo biologico hanno enfatizzato. (Sober, Wilson, 1998, p. 3 36)
Riuscire a spiegare perché esista la musica e perché abbia le proprietà che ha è un progetto appena ai suoi difficili inizi. Riuscire a spiegare perché esista la morale e perché abbia le proprietà che ha è un altro progetto, sul quale è stato fatto qualche passo avanti in più, e questo lavoro sarà l'argomento del capitolo successivo. Alcune delle intuizioni guida provengono dal lavoro sulla teoria dei giochi applicata all'evoluzione già analizzato nel capitolo 5. Negli ultimi anni una squadra crescente di ricercatori provenienti dalle più varie disciplìne ha iniziato a esplorare l'evoluzione della "cooperazione", o dell"'altruismo", o della "tendenza di gruppo", o della "virtù". A prescindere dal nome che si possa dare ai risultati di queste ricerche, che siano cioè considerati studi di sociobiologia o di psicologia dell'evoluzione, di economia darwiniana o di scienza politica, di etica naturalizzata o semplicemente di una bran-
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Capitolo6
Un approccio darwiniano alla cultura umana ci permette di abbozzare un percorso interpretativo in grado di spiegare le maggiori differenze tra noi e i nostri parenti animali prossimi. La cultura è la maggior innovazione della storia dell'evoluzione. Ha fornito a una specie, l'Homo sapiens, nuovi argmnenti a cui pensare, nuovi strumenti con cui pensare e da quando la cultura dei media ha introdotto la possibilità di replicatori culturali la cui fitness è indipendente dalla nostra fitness genetica - nuove prospettive da cui pensare. Capitolo 7
La stabilità delle condizioni socialz; delle pratiche individuali e degli atteggiamenti su cui si ancora la nostra natura di agenti rnorali richiede un 'analisi che si sta iniziando a perseguire da parte dei teorici dell'evoluzione, i quali riconoscono come anche la cultura debba rispettare le condizioni della selezione naturale. Contrariamente alle ammonizioni minacciose di certi criticz; tale approccio non sovverte gli ideali della morale,/ormsce loro, invece, quel supporto di cui hanno molto bisogno.
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Fonti e letture consigliate
Anima! Traditions, di Eytan Avìtal ed EvaJablonka (2000), è un 'indagine affascinante sull'argomento, poco studiato, delle tradizioni animali. Si veda anche la mia recensione (Dennett, in corso dì stampa b), che apparirà nel ]oumal o/ Evolutionary Biology, e la recensione dì Matteo Mameli in Biology and Philomphy, 17:1 (2002). Coloro che vogliono saperne di più sulla Terra Gemella possono consultare l'antologia curata da Andrew Pessin e Sanford Goldberg, Tbe Twùz Eartb Cbronides (1996), o il mio saggio "Al dì là della credenza", incluso in L'atteggiamento intenzionale (Dennett, 1987). Sui memi si vedano Blackmore (1999); Aunger (2000, 2002): Dennett (in corso di stampa c); e un numero speciale di Tbe AJonist sull'epidemiologia delle idee (Sperber, 2001). Oltre al mio L'idea pericolosa di Darzi)ÌJ? ( 1995) e ai miei contributi in Aunger (2000) e Sperber (2001), ho scritto ancora sui memi in "The Evolution ofEvaluators" (2001c); in una recensione di Creation o/ the 5acred: Tracks o/ Biology in Early Rellgions di Walter Burkert (Dennett, 1997 a); e in una breve voce, "The new replicators", inclusa nella Encyclopedia o(Evolutlon di M. Pagels e altri (Oennett, 2002a). Un eccellente riesame della questione attinente all' esistenza della religione è quello di Pascal Boyer, Religion Explained: The Evolutinary Origins o/ Religious I110ught (200 l). Un articolo eccellente sull'uso dei metodi cladistici per l'analisi dell'evoluzione del linguaggio è quello di Gray ejordan (2000) sulla diffusione della lingua nel Pacifico. Mark Ridley ( 1995, p. 258) presenta un resoconto sul Dicrocoelium dendriticum; un'analisi più dettagliata è presente in Sober e Wilson (1998). Cloak (1975) converge con Dawkins (1976) sulla questione del Cui bonoJ relativa ai temi culturali: "Il valore della sopravvivenza di un'istruzione culturale è lo stesso della sua funzione; è il valore della sopravvivenza/replicazione di sé stessa o della sua replica". Per una discussione sull'errore di contrapporre nella stessa 254
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arena la spiegazione darwiniana e le ragioni si veda il mio commento all'articolo "On a critique of evolutionary archaeology'' diJames L Boone ed Eric Alden Smith, apparso in Current Anthropology (Dennett, 1998b).
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7 L'EVOLUZIONE DELL'AGIRE MORALE
Mi riferisco alla morale come a una facoltà prodotta accidentalmente, nella sua illimitata stupidità, da un processo biologico che normalmente si opporrebbe all'espressione di una simile facoltà. CLORGE \X'll.l.IA.\lS, in lvgon Se comunità di geni e di cellule sono in grado di evolvere un sistema di regole che permette loro di fuzionare come unità adattive, allora perché comunità di individui non possono fare lo stesso) Se lo facessero, allora i gruppi Iarebbero uguali agli individui, che è il punto che stiamo cercando di stabilire. LLLIOTT SOBLR, DA\'ID SLOA:"\ \\'ILSO:'\, Unto Others
La natura premia l'individuo o la comunità? È opinione condivisa- specialmente tra coloro che temono qualsiasi coinvolgimento di considerazioni di carattere evoluzionistico nell'eticache, poiché Darwin vedeva "la natura con i denti e le zanne insanguinate", l'utilizzo di un approccio darwiniano non farebbe altro che sovvertire o screditare le nostre aspirazioni etiche; e certo non le rafforzerebbe con nuove intuizioni, né con nuove fondamenta. Quest'opinione, semplicemente, non è vera.
Il benegoismo Dobbiamo anzi aiutarci tutti assieme, o. paradossalmente, dobbiamo aiutarci tutti separatamente.
Benjamin Franklin a fohn Hancock, alla /irma della Dichtarazzòne di Indipendenza, ..J luglio 1776.
Questa esortazione di Ben Franklin ci giunge attraverso i secoli, ondeggiante nel vento il suo rosso-bianco-e-blu, profu-
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mata all'aroma di torta di mele, ed è una fonte di ispirazione talmente squisita e nobile che sembra fatta apposta per essere pronunciata dal nostro eroe, vero? Ma aspettate un momento. Il furbo, vecchio Ben, in realtà, non stava invece facendo appello alla prudenza pusillanime e interessata dei suoi ascoltatori? Sveglia, codardi; vorrei richiamare la \'Ostra attenzione sui vostri veri guai: unitevi o morrete! Che cosa fu: un richiamo all'altruismo e all'abnegazione, o un'esortazione a coloro che sapevano come rendersi la vita più facile? La mia proposta è ipotizzare che non fosse, dopotutto, un richiamo all'altruismo genuino (considereremo in seguito che cosa potrebbe essere l'altruismo genuino e se esista in quantità significative), ma l'espressione di qualcosa di altrettanto stupefacente: un richiamo a una particolare varietà di egoismo lungimirante, un genere di prudenza che tende a essere schiacciata nella competizione, dal momento che l'evoluzione è nota per la sua miopia, essendo sempre in procinto di battere cassa per il pagamento immediato di tutte le sue innovazioni. Ho proposto di battezzare questa particolare varietà di comportamento cooperativo lungimirante ben egoismo (benselfislmess), in onore di Ben, ma anche come indicazione del fatto che, sebbene sia una forma di egoismo, è una buona forma di egoismo. Se non fosse stato per la serendipità di cui è intrisa l'eloquenza di Franklin, l'avrei battezzata euegoismo. L'altruismo genuino, o puro, è un concetto elusivo, un ideale sempre pronto a scomparire proprio nel momento in cui si è nella giusta posizione per raggiungerlo e afferrarlo. Non è chiaro, comunque, che cosa si intenda per altruismo genuino, e ogni volta che si cerca dispiegarlo, un paradosso si libra nelle vicinanze. Immaginate un mondo in cui ci sia un solo altruista in mezzo a tutti gli altri egoisti. L'altruista e un egoista sono bloccati su un'isola, con una barca a remi che può ospitare soltanto una persona. Che cosa dovrebbe fare l'altruista? Dovrebbe offrirsi volontario per morire sull'isola o sarebbe meglio - più altruistico - impossessarsi della barca, lasciando l'egoista ad arrangiarsi, in modo da poter andare ad aiutare i molti altri egoisti rimasti in terraferma? Un altruista
non dovrebbe sacrificarsi stupidamente senza un vantaggio - quest'ultima cosa non significa essere altruisti, ma essere idioti. Quanto può essere scàltro un altruista nello sfruttare gli
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nel corso introduttivo di filosofia. Il tutto ha inizio con la considerazione della famosa battuta di Socrate (nel Menone) che nessuno augura mai del male a se stesso, una dottrina che è ovviamente falsa, a meno che non la si puntelli aggiungendo che nessuno augura mai consapevolmente a se stesso qualcosa che, tutto considerato, possa essere male. È vera almeno questa versione corretta? È impossibile, o solo altamente improbabile? Il punto si riduce, davvero, al fatto che chiunque augurasse consapevolmente a se stesso di incamminarsi lungo una linea di condotta che fosse, tutto considerato, pericolosa, probabilmente non durerebbe tanto a lungo da avere una discendenza? I muli sono sterili a causa dei geni dei loro genitori, ma non perché hanno ereditato "il gene della sterilità" dai loro genitori, poiché non esiste tale gene. 1 La sterilità è un vicolo cieco, la fine del lignaggio; non è qualcosa che si possa superare. Un altruista è forse come un mulo, una mistura di caratteristiche più o meno probabili che è perfettamente possibile, ma che è sistematicamente improbabile che sia in grado di perpetuarsi? Dovremmo tenere a mente che, sebbene i muli non abbiano discendenza, proliferano in alcuni tempi e in alcuni luoghi, grazie agli effetti indiretti che coinvolgono altre specie (come i L I muli hanno un padre asino e una madre ca\·alla Idi solito, quelli che hanno una mamma asina e un padre ca\·allo \'engono chiamati bardotti); gli asini possiedono sessantadue cromosomi; i ca\'alli ne hanno sessantaguattro (trentadue coppie), e i muli hanno sessantatré cromosomi spaiati. Ci sono casi, molto rari, di muli fertili. E si danno condizioni alle quali potrebbe esistere una sorta di gene della sterilità. Per esempio, potrebbe esserci un gene che preso singolarmente (eterozigoticità: una copia ottenuta o dalla madre o dal padre ma non da entrambi) potrebbe arrecare un gran beneficio, così grande da riuscire a persistere a-dispetto del fatto che gli individui con una doppia dose del gene (omozigoticità) sono sterili. Questa è una condizione autolimitante, dato che. man mano che la proporzione degli indi\'idui che possiedono un singolo gene cresce, cresce anche la probabilità che, all'interno delle coppie dei genitori. entrambi posseggano una copia del gene, e cresce la probabilità che entrambi la trasmettano alla loro discendenza, facendo aumentare, quindi, la proporzione degli indiYidui sterili: ma questi indi\·idui rappresentano uno scacco per il gene. L'esempio più noto di tale fenomeno piuttosto conosciuto. la superiorità eterozigote, è la resistenza alla malaria fornita dalla presenza singola di un gene che in dose doppia causa l'anemia falciforme.
membri della specie Homo sapiens che sono anche membri della British Mule Society, da dove ho ricevuto alcune di queste dettagliate informazioni sui muli l. In realtà, ci sono vari modi in cui l'evoluzione può sostenere popolazioni di organismi che sembrano, a prima vista, sistematicamente condannate. Ci sono condizioni in cui il comportamento altruistico - o almeno ben egoistico- non rappresenta un vicolo cieco, culturale o genetico, e queste condizioni sono state analizzate e chiarite da una famiglia crescente di modelli teorici. La gamma dei modelli della teoria dei giochi applicata all'evoluzione sviluppati negli ultimi decenni può essere ordinata, solo con minima forzatura, in qualcosa di simile a un albero genealogico di modelli, che parte da un seme originale che ha discendenza, e così via; e questo albero esibisce- approssimativamente - due tendenze intrecciate: i modelli genitori sono sempre più semplici della loro prole, cioè della generazione successiva di modelli, e questa complessità crescente nei modelli non conduce solo a un maggior realismo (con modelli che riflettono sempre più la complessità effettiva del mondo reale), ma anche a un crescente ottimismo! Nei modelli più elementari l'altruismo appariva condannato. A eccezione di alcuni occasionali capricci di natura, dall'esistenza breve, gli altruisti sembrano essere esclusi dai principi fondamentali della teoria dell'evoluzione, impossibili come le macchine a moto perpetuo. In questo mondo spietato, i bravi ragazzi arrivano ineluttabilmente per ultimi. Poi, una volta aggiunto qualche tocco di realismo, cambia qualcosa a favore dell'altruismo che, a certe condizioni, inizia a fiorire; l'ulteriore aggiunta di altri livelli di complessità sembra apportare più varietà di quasi-altruismo, pseudoaltruismo, o comunque lo vogliate chiamare. (lo voglio chiamarlo ben egoismo.) Sembrerebbe, forse, di avvicinarci, man mano che i nostri modelli e le nostre teorie tendono alla complessità del mondo reale, all'altruismo genuino, finalmente, considerato come una possibilità reale del mondo reale. Tale prospettiva ottimistica è, forse, un'illusione? Questo progetto di costruzione dell'altruismo bottom-up è senza speranza, proprio come lo sarebbe il progetto di co-
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struzione di una torre sulla Luna? Non lo si può ottenere cos'L direbbero gli scettici antidarwiniani, Non ci provate nemmeno, O forse, sono proprio gli scettici gli unici a essere confusi, intenti come sono a lottare per una visione "gonfiata" d eli' altruismo che è inaccessibile per via bottom-up perché è gonfiata- una "struttura sospesa al cielo", ovvero uno sk'yhook, alla lettera. In ogni caso, tutti i modelli mostrano quando e come il benegoismo possa fiorire, e nessuno dei modelli fin qui realizzati fa distinzione tra benegoismo e altruismo "genuino", sempre che una simile cosa possa essere caratterizzata. Tutti mostrano le condizioni alle quali, tenendo testa al costante vento di prua della miopia dell'evoluzione, gli organismi possano arrivare a essere progettati dall'evoluzione per cooperare o, più precisamente, progettati per comportarsi in un modo tale da preferire il benessere a lungo termine del gruppo al loro benessere individuale immediato. Il seme di questo albero di modelli inizia con il problema rappresentato dal dilemma del detenuto. In questi modelli il tradimento assume un ruolo piuttosto simile a quello rivestito in fisica dal secondo principio della termodinamica. I fisici ci ricordano da sempre che le cose tendono a rompersi, inclinano a mescolarsi, mentre non hanno la tendenza a ripararsi da sole, a meno che non intervenga qualcosa di speciale come un essere vivente, una forma locale di resistenza all'entropia (crescente). Gli economisti, con lo stesso spirito, ci ammoniscono da sempre che non si dà qualcosa come un pasto gratis. Gli evoluzionisti, analogamente, ci ricordano che gli scrocconi, alla fine, fanno sempre la loro comparsa e quando sarà il caso vinceranno in breve tempo la contesa localé per il cibo, a meno che non si interponga un ostacolo che impedisca la realizzazione di un esito del genere. A prescindere dal gioco locale, e dai costi e benefici per il gruppo Oa popolazione che interagisce localmente e che deve condividere spazio, risorse erischi), se è possibile condividere i benefici delle azioni di un gruppo senza dover condividere la propria razione di costi (il proprio debito, si potrebbe dire), allora tutti coloro che si in-
cammineranno per questo percorso egoistico saranno avvantaggiati su quelli che non lo faranno. È semplice come una sottrazione: i vantaggi netti (vantaggi meno debiti) non possono che essere minori dei vantaggi lordi, che è ciò che gli scrocconi si assicurano, per definizione. Tutto ciò rimane valido, a meno che non ci siano condizioni che prevengano tale comportamento in un modo o in un altro. Iniziamo con una popolazione uniforme di cooperatori felici (avranno tutti il loro gene della cooperazione, per farla più semplice). Possiamo supporre che tutti loro, normalmente, generino una prole onesta: ma che cosa succederebbe se un mutante scroccone comparisse anche in una sola generazione della discendenza? Lo scroccone, come minimo, se la caverebbe bene quanto i cooperatori (dato che non paga i suoi debiti) e quindi genererebbe un numero di figli (scrocconi) superiore alla media. Molto presto, ci sarebbe una crescente tribù di scrocconi e, non importa se il gruppo nell'insieme agisca bene o male (probabilmente agirà male, minato com'è da tutti gli scrocconi), entro il gruppo nessuno starebbe meglio degli scrocconi, che gradualmente inizierebbero a dominare il gruppo stesso, Ovviamente, potrebbe intervenire qualche fattore a impedire tale increscioso deterioramento. Potete immaginare, se volete, che gli scrocconi tendano a essere sterili o infanticidi. Che colpo di fortuna per i cooperacori~ Potete anche immaginarvi che Zeus ami scagliare le sue saette contro gli scrocconi, mantenendo basso, grazie a questo sport, il loro numero (grazie al cielo). A parte queste illusioni, potete chiedervi che cosa potrebbe evolversi naturalmente al punto di produrre come effetto sistematico quello di bloccare l'ascesa degli scrocconi, che invece dobbiamo ammettere per default. Come abbiamo visto, il problema è emerso nei primi giorni della vita su questo pianeta, nel cont1itto intragenomico tra geni buoni e geni parassiti scrocconi, e si è risolto con l'evoluzione di meccanismi antagonistici in grado di tenere a freno gli scrocconi. I problemi, a quel livello elementare e submicroscopico, erano invisibili a Darwin, ovviamente; ma egli, però, intuì il problema nel caso degli insetti sociali, la cui estrema devozione al
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gruppo era la sfida più rilevante alla teoria della selezione naturale. William Hamilton doveva mostrare, nel suo famoso lavoro sulla "selezione per parentela", come gli insetti sociali {e altre specie fortemente sociali) potessero evolvere simili configurazioni di istinto cooperativo; Richard Dawkins doveva riplasmare il modello di Hamilton entro la prospettiva del gene egoista. Siamo costretti a ridiscendere a livello del gene, per trovare una risposta alla questione del Cui bono? nel caso eccezionale di comportamenti tanto altruistici, poiché, come hanno sostenuto in modo colorito Sterelny e Griffiths: "Una rondine, forse, può essere stata cauta nello scegliere di non deporre tutte le uova che poteva, ma un'ape che punge un intruso al costo sicuro della sua stessa vita non sta certo mettendo da parte qualcosa per i tempi di magra" (Sterelny, Griffiths, 1999, p. L5ì). T primi modelli ipotizzavano, per semplicità, l'esistenza di un singolo gene per la "cooperazione" e di un gene per il "tradimento", e stimavano che questi geni operassero deterministicamente al livello biologico del comportamento. (Ricordate: questo discorso non ha nulla a che fare con il determinismo o l'indeterminismo della fisica; ha tutto a che vedere, invece, con il progetto. In tali modelli gli organismi individuali sono pensati come cani anziani, ormai non più in grado di apprendere nuovi trucchi, e inchiodati per tutta la vita al loro ruolo di cooperatori o di traditori.} Questa non è nemmeno un'ipersemplificazione, se la applicate al mondo degli insetti, le cui routine di comportamento sono relativamente rigide e tropistiche (o sphexistzche, per usare il termine che Douglas Hofstadter ha coniato, in onore della vespa Sphex), sebbene anche gli insetti sociali siano in grado dì adeguare il loro ruolo alle circostanze in modo piuttosto notevole, passando quasi in una sola notte dallo stato di fuco a quello di operaio, per esempio, quando le condizioni della colonia ne richiedano un reimpiego. Questi modelli mostrano che i profittatorì se la possono cavare veramente bene, sebbene possano contaminare i loro stessi nidi: man mano che la loro proporzione cresce, tendono
a incontrarsi sempre più spesso, con esiti costosi di tradimenti reciproci, e ci sarebbero sempre meno cooperatori sfruttabili in giro a fare la differenza. A quel punto, i cooperatori inizierebbero la loro rimonta; ma solo fino al raggiungimento di un numero sufficiente per rendere nuovamente vantaggioso lo sfruttamento; a quel punto, gli scrocconi tornerebbero nuovamente a crescere di numero. I modelli, però, hanno esibito anche alcuni bizzarri effetti, assestandosi intorno a dei punti di equilibrio che non coincidono con quelli che ci aspetteremmo, e quindi sollevando il dubbio che almeno qualche cosa nel comportamento dei modelli sia artificioso, un sottoprodotto non voluto dell'ipersemplificazione, piuttosto che il rit1esso di qualcosa presente nel mondo reale (si veda Skvrms, 1996, per un'analisi estremamente chiara di questi probiemi). Tale situazione sarebbe piuttosto simile all'ipotetica scoperta che, secondo il vostro modello aerodinamico corrente, i bombi non dovrebbero essere in grado di volare. In quel caso, ci sarebbe probabilmente qualcosa di sbagliato nei vostri modelli, visto che un bombo sta volando proprio di fronte a voi. Il modello potrebbe essere troppo semplice, escludendo una complicazione che è, in realtà, la chiave dell'evidente successo nel volo da parte del bombo. Una semplificazione eccessiva di questi modelli della teoria dei giochi in contesto evolutivo pare dovuta alla loro eccessiva astrattezza. Gli individui sono semplicemente membri di un insieme, raggruppati in coppie casuali per svolgere le interazioni che poi dovrebbero determinare il loro fato nella fase successiva, senza alcuna attenzione per le loro collocazioni spaziali relative entro un qualche mondo. È come se gli organismi individuali vivessero in Internet, con la stessa probabilità di interagire con qualcuno distante mezzo mondo da loro e con qualcuno che abita invece alla porta accanto. nn realtà, ovviamente, la mutua accessibilità in Internet è fortemente ordinata: alcune persone sono molto "più lontane" difficilmente raggiungibili - di altre, tanto che questi modelli opererebbero un'eccessiva grave semplificazione anche del '"villaggio globale" del World V?ide Web.) Una seconda ondata di modelli ha imposto una spazia-
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lità semplificata, migliorando la probabilità degli incontri attraverso un fattore di "viscosità" (maggiore è la viscosità dello spazio immaginario, maggiore è la vostra propensione a incontrarvi con qualcuno che abita vicino a voi), e questa semplice modificazione ha offerto nuove opportunità per l'evoluzione della cooperazione; e nello stesso tempo ha eliminato questì imbarazzanti punti di equilibrio. Ne è risultato che l'introduzione del vicinato fa una grossa differenza. (L'invasione è ciò che rende la vita interessante.) Il vicinato aumenterà le probabilità che voi possiate interagire con qualcuno a voi affine, il che significa che avrete una rimunerazione media maggiore a ogni incontro cooperativo, in cui sarete coinvolti, dal momento che sarà più probabile che quello sarà l'atteggiamento ricambiato. Quindi, se rendiamo gli agenti individuali leggermente più sofisticati, più flessibili, consentendo loro di scegliere in parte con chi interagire (permettendo loro di rìfiutarsi di giocare in determinate circostanze, per cominciare), il semplice spazio che tutti loro abitano (non dissimile dal piano del Mondo della Vita) comincia ad acquistare una certa struttura: gruppi di agenti che si comportano nello stesso modo inizierebbero a costituirsi in modo autonomo, formando gruppi caratterizzati ciascuno da proprietà peculiari. l cooperatori tenderebbero a unirsi tra di loro, e i traditori tenderebbero a rimanere bloccati dovendosi associare ad altri traditori. Tutto ciò è molto suggestivo, ovviamente, ma siamo ancora molto lontani dall'altruismo. Per esempio, un altruista genuino non dovrebbe disdegnare la politica egoistica di cercare altri dotati di mentalità altruistica con cui riunirsi? Un altruista genuino non dovrebbe tirar diritto per la sua strada, rimanendo l'unico altruista in un gruppo di egoisti? Sembra questo il luogo dove egli è più necessario; e lui non dovrebbe darsi alla bella vita con i suoi amici altruisti. Quest'ultima cosa sarebbe assolutamente benegoista da parte sua~ Inoltre, sembra pure che gli agenti di questo modello abbiano capacità mentali elementari, paragonabili a quelle dei cani anziani, degli apparati a situazioneazione con pochi commutatori preimpostati, che determinano
le ''scelte" da fare a ogni incontro sulla base dell'applicazione di una semplice regola. Una caratteristica evidente della semplicità degli agenti contemplati da questi modelli è che le tattiche di autosegregazione e di ostracismo che emergono dalle simulazioni sono già state adottate allivello macromolecolare del contlitto intragenomico nell'era dei procarioti. Un modello che non senta la necessità di tracciare una distinzione tra una macromolecola e un cittadino umano adulto è tanto astratto da lasciarci senza fiato ... Quando rendiamo il comportamento degli agenti ancora più facoltativo, più plastico, dando loro la possibilità di imparare dall'esperienza, adattando le regole con cui sono nati in funzione degli incontri che hanno già avuto, le cose si fanno ancora più interessanti. L'ineluttabilità - notate il termine della sorte di un gruppo travolto da scrocconi dipende sempre dall'ipotesi che tutti siano ignari del pericolo; i singoli individui non sarebbero in alcun modo in grado di notare quello che sta accadendo, di lanciare l'allarme, di disapprovare, di proporre sanzioni, di formare gruppi di vigilanti, di marchiare o punire i profittatori insinuatisi tra loro. Una volta che aggiungiamo pur semplici versioni di queste forme di reattività, tale modificazione introduce un'onda di nuova complessità. Condizioni terribili, che erano apparse ineluttabili, ora risultano essere, in fondo, evitabili, grazie all'uso tempistico e ben indirizzato dell'informazione tra i componenti dei gruppi. l benegoisti, adesso, hanno una ragione per punire gli "altruisti" troppo puri gli stupidi o gli imbranati che si fanno sempre sfruttare dagli scrocconi- dato che questi creduloni di fatto aiutano i profittatori a prosperare. Quindi, ogni mutazione che giovi a distinguere tra un benegoista e un credulone sarà la favorita; ma, allora, ogni scroccone o credulone che riuscirà a mascherarsi da benegoista tenderà a prosperare, fino a quando incomincerà la fase successiva della corsa agli armamenti. Un'evoluzione della capacità di un gruppo di imporre un ordine ai suoi membri, adottando la disposizione di punire i trasgressori (di qualsiasi regola tra quelle introdotte) presenti tra i suoi membri, apre le porte dell'evoluzione sociale o cultu-
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rale di tutti i generi dì norme locali. In un classico sull'evoluzione culturale, Rob Boyd e Peter Richerson mostrano che, se il costo della punizione è relativmt~ente basso - qualcosa che può essere virtualmente garantito ogni volta che emerga la pratica di punire coloro che non puniscono-, ciò crea un motore di conformismo di gruppo che ha apparentemente scopi e poteri illimitati. Il titolo dell'articolo dice tutto: "Punishment allows the evolution of cooperation (or anything else) in sizable groups", ovvero ''L'introduzione della punizione in gruppi numerosi favorisce l'evoluzione della cooperazione (o di qualsiasi altra cosa)" (Boyd, Richerson, 1992). Finora, quindi, la nostra storia evolutiva ha indicato quel genere di condizioni che avrebbero potuto condurci, senza l'ausilio di strutture sospese o di altri miracoli, a una prudente disposizione per la cooperazione, rafforzata dalla disposizione, che condivideremmo con i nostri concittadini, di ''punire" coloro che non cooperano: ma questa rimane, pur sempre, una tipologia di non aggressione mutualmente rafforzata, fredda e robotica. Come ha detto Allan Gibbard:
Ampiamente morali, ma non puramente morali. Non c 'è ancora alcun segno della considerazione del benessere degli per esempio. Questo è probabilmente altri come un fine in proprio ciò che dovevamo aspettarci, visto che non abbiamo ancora aggiunto alcuna caratteristica tipicamente umana nei modelli; e una delle intuizioni iniziali sulla morale che ci metteva abbastanza a nostro agio era che, sebbene gli animali non
umani possono essere "buoni", come dice Frans de \'V'aaL non sono ancora .. animali morali", per esprimerci come Robert Wright. Ancora, sebbene tale sorta di struttura societaria autoconservativa si possa ora considerare come una precondizione necessaria per permettere agli agenti genuinamente altruisti di prosperare nel lungo periodo, è rassicurante vedere quanto poco si debba presupporre per farla evolvere e permetterle di autosostenersi: l'estrema semplicità e la relativa rigidità delle capacità di discriminare gli scrocconi dai buoni cittadini, e le inclinazioni a ''punire", mostrano che, per quanto riguarda questa caratteristica della cultura, essa potrebbe perfino anticipare il linguaggio, le convenzioni e le cerimonie. Non stiamo parlando né della "parola ai giurati" né di denunce pubbliche, in questo contesto; stiamo parlando, piuttosto, di un'inclinazione "bruta" e irriflessiva a dirigere alcuni pericolosi istinti di aggressione contro gli appartenenti a una congrega che si è riconosciuto essere composta da trasgressori di norme. Sarebbe ragionevole cercare evidenze del mantenimento nel lungo periodo di simili "costumi" locali tra i branchi di lupi o i gruppi di scimmie o di primati, per esempio. Che si scopra o meno che questo stadio del cammino dell'evoluzione fino allo sviluppo completo della cultura umana sia occupato da qualche altra specie, ciò fornirebbe un certo grado di sollievo per la nostra opposizione allo scetticìsmo: una possibile Storia Proprio Così per allontanarci gradualmente dagli animali che sono meramente sociali nel senso delle api e delle formiche, e avvicinarci ad animali che hanno un 'inclinazione alla trasmissione e al trapianto culturale, disposti a prestare attenzione alle sfumature di approvazione o disapprovazione, a lasciarsi arruolare in squadre provvisorie di uigilantes, a preferire il conforto dell'accoglienza alla minaccia della censura del gruppo. E in questa transizione i gruppi diventano archivi di "conoscenza" recentemente scoperta, non dovendo attendere che l'evoluzione genetica di ogni nuovo Buon Trucco permetta di diffondersi fino a consolidarsi in tutta la popolazione, poiché esso ormai può essere propagato in modo molto più rapido grazie al conformismo di gruppo. Un prezzo che vale la pena di pagare
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Le inclinazioni umane naturali sono state modellate da qualcosa che sarebbe stupido giudicare per se stesso, vale a dire la moltiplicazione dei propri geni in tutte le generazioni successive. Ciononostante, vale la pena di ,-olere quei tipi di coordinamento che hanno aiutato ì nostri antenati a trasmettere i loro geni per formare noi per ragioni migliori. Le forze darwiniane hanno plasmato gli interessi e le sensazioni che noi conosciamo, e alcune di questi sono ampiamente morali. (Gibbard, 1990,p.327J
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Lo spettro del tradimento incombe su tutti noi: è il peccato originale dell'evoluzione, con la sua riflessione sempre pronta a sedurci: come può non essere razionale tradire a questo punto? Se l'altro tradisce (o se "tutti gli altri tradiscono"), allora voi sarete lo zimbello di ognuno, se non tradirete anche voi; e se l'altro signore non tradisce, risulterete un bandito proprio perché lo tradirete. E se tutti sono consapevoli della situazione, come è possibile che qualcuno cooperi? Quando le ricompense vengono assegnate sul breve periodo, come può l' evoluzione ignorarle, e quando consideriamo che la vira è breve, come possiamo noi stessi non pensare a quelle ricompense? La paura della punizione e il desiderio di essere accolti ci aiuteranno a superare i casi più semplici, cambiando i premi che ci aspettiamo. Come vari pensatori hanno riconosciuto per secoli, non è difficile capire perché la cooperazione sia razionale, se il Grande Fratello ci sta guardando. Ogni società che sia stata abbastanza fortunata da accogliere nel suo seno la fede in un Dio onnipresente, vigilante - che ci si aspetta sia più propenso ad assegnarci le nostre punizioni nell'aldilà che paga rei le nostre ricompense qui- sarà una società abitata da cittadini che ci si può aspettare facciano ciò che quel Dio ha comandato loro, anche quando nessun loro concittadino li stia osservando. Notate che, perché questo mito si diffonda e proliferi, non è ne-
cessario che ci sia stato un autore intelligente che ha compreso queste motivazioni, non più di quanto sarebbe necessario avere un promulgatore intelligente delle politiche che si sono evolute per assicurare la condiscendenza dei geni potenzialmente rivali nella meiosi. Gli esseri ummi potrebbero essere i beneficiari inconsapevoli di questo adattamento di gruppo, senza che nessuno si sia mai immaginato la sua motivazione razionale in fluttuazione libera. Ma come hanno sottolineato i critici, fin dai tempi di Nietzsche, una "morale" così fondata sul timore di Dio non sarebbe né nobile né stabile, e questo noi invece vorremmo che fosse. Che cosa succederebbe in una società dove questa utile impalcatura cominciasse a scricchiolare, o non fosse nemmeno mai esistita? Ci sarebbe ancora una possibilità di evoluzione di "robuste" abitudini cooperative per i suoi membri? Che cosa succede nei casi estremi, quando si è abbastanza sicuri di riuscire a barare senza \'enir beccati? In questi ultimi casi la voce della tentazione parla con allarmante razionalità: nessuno lo saprà e pensa a quello che puoi guadagnarci! Non appena entriamo nel mondo in cui i processi decisionali devono tenere conto di tentazioni così serie, e degli infiniti spazi di riflessione che possono accompagnare la nostra interiore resistenza a siffatte tentazioni, ci lasciamo il libero arbitrio degli uccelli alle spalle, e iniziamo a esplorare il territorio insidioso del libero arbitrio umano, l'unica varietà che ha con sé un importo morale. La tradizione piazza il fardello di tutto quel carico morale sulle spalle di un funzionario immaginario: l'immortale, immateriale anima operatrice di miracoli; ma una Yolta che osserviamo più da vicino gli antecedenti evolutivi dei nostri umani sistemi di controllo, possiamo cercare di applicare l'ingegneria inversa a quell'anima e capire perché mai alcune delle sue parti lavorino nel modo in cui in realtà fanno. Stando a Sallustio, Catone era uomo veramente nobile: "Esse qua m videri honus malebat", ovvero preferiva essere un uomo buono piuttosto che sembrarlo. Se Robert Frank ha ragione, Catone è allora stato uno di quegli intelletti superiori che ha fatto in modo di invertire la politica che ci rende in primo luogo morali: A1alo esse bonus ut mdetzr preferisco essere
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per avere accesso a questo più intelligente ritmo di scoperta è una certa vulnerabilità a qualcosa di simile al mito: locali scoperte errate che, ciononostante, operano meravigliosamente all'interno del conformismo strutturato del gruppo.
Essere buono per sembrare buono Gesù sta arrivando. Fatti vedere occupato' Adesivo per pamurl! La coscienza è quella Yocina imerio re che ci avvisa che porrebbe esserci qualcuno che ci sta guardando. HEC'\RY LOl:IS ,\!Er\CKL'!,
l'f'P1U.II~PI
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buono per sembrare buono. In Passions lL!ithin Reamn: The Strategie Role o/ the Emotions passioni nella ragione. Il ruolo strategico delle emozioni), Frank sostiene che il plateau superiore dell'evoluzione della libertà è comparso quando i nostri antenati si sono confrontati per la prima volta con, e hanno imparato a risolvere, quelli che lui chiama i problemi dell'impegno. Un problema dell'impegno (commitment) "nasce quando una persona ha interesse ad accettare un impegno vincolante a comportarsi in un modo appanra m seguito in contrasto con il suo interesse personale" (Frank, 1988, p. 47). Abbiamo già incontrato la struttura di base di un problema dell'impegno nel dilemma del detenuto: il destino evolutivo dei cooperatori e dei traditori è fortemente influenzato dalla presenza o dall'assenza di cooperatori fasulli, o ingannatori. Ciò crea una pressione selettiva per la discriminazione degli ingannatori e dà inizio a una corsa agli armamenti nelle stratedi smascheramento e di occultamento. Quando le motivazioni razionali in fluttuazione libera presenti in questa arena competitiva vengono colte dal sistema di controllo flessibile degli agenti umani, il ritmo aumenta, e l'aspetto del problema passa da impersonale (quale agente si comporterà meglio in queste condizioni ora, il cooperativo o il traditore?) a personale (che cosa dovrei fare, in queste condizioni, cooperare o tradire?). Quando l'evoluzione trova il tempo di creare agenti in grado di imparare, riflettere e ponderare la mossa da fare al passo successivo, mette alla prova questi agenti con una nuova versione del problema dell'impegno: come impegnarsi a fare qualcosa e convincere altri che dovrebbero /are altrettanto? Indossare un cappello con la scritta "Sono un cooperatore" non è mossa che vi porterà lontano in un mondo abitato da altri agenti razionali che vivono sempre sulla difensiva. Secondo Frank, in un tempo da evoluzione, abbiamo "imparato'' come imbrigliare le nostre emozioni allo scopo di trattenerci dall'essere troppo razionali, e cosa altrettanto importante- di procurarci una reputazione di essere non troppo razionali. È il nostro involontario eccesso di razionalità miope e ristretta, afferma Frank, che ci rende così vulnerabili alle tentazioni e alle
minacce, così sensibili a "offerte che non possiamo rifiutare", come dice il Padrino (del film). Parte del divenire un vero agente responsabile, cioè un buon cittadino, consiste nel fare in modo di diventare un essere che sia affidabile nella sua lativa) impermeabilità a simili offerte. In primo luogo, perché mai dovreste desiderare per voi una simile reputazione? Ebbene, se voi vi poteste fregiare di una reputazione del genere, la Mafia vi lascerebbe in pace, poiché riterrebbe che le sue offerte coercitive probabilmente non avrebbero presa su di voi; e quindi, perché sprecare la testa di un buon cavallo? Ancora più importante, la vostra reputazione andrebbe a genio per le esigenze dei compagni membri del gruppo, che conoscono tutti i rischi conseguenti all'attacco proveniente da un traditore, ed esplorano i dintorni alla ricerca di qualcuno che pensano sia affidabile nel resistere alle tentazioni. Abbiamo visto nella sezione precedente che i cooperatori tendono a frequentarsi tra loro, così come fanno, del resto, pure i traditori. "I problemi dell'impegno abbondano e, se i cooperatori possono trovarsi fra di loro, questo dà loro vantaggi materiali che possono afferrare", osserva Frank ( 1988, p. 249); e i vantaggi dell'essere un cooperatore entro un gruppo di cooperatori sono stati dimostrati in una miriade di modelli dell'evoluzione. Se siete abbastanza fortunati dal trovarvi entro un gruppo di cooperatori, questo fatto può dipensolo dalla fortuna? No, se il gruppo richiede un esame di ammissione. Ma potreste essere allora tanto fortunati da possedere il talento per la cooperazione necessario a passare quell'esame? Forse, avere la fortuna di possedere un talento è meglio di avere solo fortuna. (Avrò altro da dire sulla fortuna, più avanti.) È il benegoismo che vi spinge a desiderare di avere una reputazione impeccabile, ma come diavolo fate a esibirla? Dato che parlare costa poco, tutti coloro a cui lo chiederete saranno pronti a mettere la mano destra su una pila di Bibbie per giurare che loro non tradiranno mai. A meno che non ci siano altri metodi per riconoscere un cooperatore in mezzo a dei traditori, ci saranno poche probabilità di formare gruppi stabili di
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cooperatori razionali. (Tenete a mente: i cooperatori della linea somatica che compongono la maggior parte del vostro corpo sono sistemi balùtici imenzionali, robot assolutamente affidabili e impermeabili alle tentazioni: ma ora non stiamo parlando di costruire un cmpo. bensì una corporazione di individui fortemente razionali, come la Boston Symphony Orchestra.) E per questo motivo, qualsiasi comunicazione dì affidabilità di cui valga la pena fidarsi deve essere, come ci ha mostrato Amotz Zahavi ( 1987). una comunicazione costosa- qualcosa che non possa essere falsificato a buon mercato. Giurare sulla Bibbia è una cerimonia vuota che non può veicolare informazioni utili, dato che, se si iniziasse a impiegarla come segnale di affidabilità, sarebbe immediatamente copiata e sfruttata da tutti i soggetti non affidabili, e in questo modo perderebbe ogni credibilità, finendo col cadere in disuso. Potreste provare a salvarla Bibbie, giurerò su solo gonfiando la cerimonia- giurerò su una pila di Bibbie ma così si allude in modo elegante all'inutilità di un simile rigonfiamento nell'idioma: il nostro paradigma miti co di un tentativo fallito di dimostrare l'affidabilità. 2 Quindi, è questo il problema principale: non come fare a incappare in un agente su cui poter fare affidamento nel caso dì un problema dell'impegno, ma come fare a comunicare in modo credibile che voi siete qualcuno di cui potersi fidare. Talvolta, un problema può venire risolto da un altro problema. Questo è vero specialmente quando il problema è affrontato da Madre Natura, quella ben nota maestra di opportunismo. Abbiamo un problema di autocontrollo che per noi risolvere. Secondo è veramente arduo - ovvero costoso Frank, il fatto che sia costoso risolverlo è un'opporcunità, e non una sciagura. È il problema esemplificato da Ulisse e dalle Sirene, dove il trucco consiste nell'escogitare uno stratagemma per farvi legare all'albero della nave e intanto tappare le
orecchie dei vostri marinai con la cera, così che voi non cadiate vittima delle vostre più forti inclinazioni del momento. trucco consiste nell'organizzare il tutto in modo che "all'istante t" la vostra volontà sia totalmente inefficace.) Ulisse conosce alla perfezione i vantaggi sul lungo periodo della politica di eludere il seducente canto delle Sirene, ma sa anche di essere predisposro in troppi casi a sopravvalutare le ricompense immediate; così, ha bisogno di proteggersi da una struttura di preferenze, in qualche modo patologica, che lui si aspetta si imporrà alla sua volontà quando l'istante t si avvicinerà. Conosce se stesso, e sa che cosa gli ha fornito l'evoluzione: una facoltà di ragionamento in qualche modo di second'ordine, che lo costringerà ad accettare ricompense immediate (''Non potevo fare altrimenti'', direbbe saltando nelle braccia delle Sirene)- a meno che non prenda ora delle decisioni per distribuire il suo processo decisionale su momenti e su atteggiamenti più favorevoli. La seduzione delle Sirene non è ineluttabile, concesso che si dia a Ulisse tempo sufficiente per allestire le sue contromisure. Come osserva Frank:
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È importante spiegare che la letteratura sperimentale non sostiene che le ricompense immediate pesino troppo in ogni situazione. Dice soltanto che sono caratterizzate sempre da pesi molto /orti. A conti fatti, questa condizione, realizzata negli ambienti in cui ci siamo evoluti, è stata probabilmente una buona cosa. Quando le pressioni selettive si intensificano, le ricompense del momento sono spesso le uniche importanti. Il presente, dopotutto, è la porta del futuro. \Frank, 1988, p. 89)
stigo divino. è il se11no dell'in_!!resso consape\·ole dì qualcuno nell'arca pericolosa dello spergiuro. che n:ca con sé il variabile ma sempre reale rischi0 di condanna terrena.
Il problema di Ulisse non è un problema morale: è un problema di cautela, quel genere di problema prudenziale che potrebbe colpire anche il più egoista, o il meno altruista, degli agenti. Per l'agente egoista è il problema di come evitare di perdere, a causa di interessi egoistici a breve termine, interessi egoistici nel lungo periodo, è il problema del controllo di se stesso per poter avere una vita di maggior successo prudenziale. Prima di dedicarci alla spiegazione di Frank di come, risol\'endo il problema del controllo, la soluzione di tale problema
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2. Allora, perché persiste la pratica del giuramento sulla Bibbia~ Perché oggi. indipendentemente dal iatto che il partecipante creda o meno in un ca-
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prudenziale ci porti direttamente al problema della morale, dobbiamo analizzare in modo un po' più dettagliato il problema della tentazione.
Quando un fattore, che abitava in un Maine di altri tempi, iniziò a sollevarsi i calzoni dopo aver usato la latrina esterna, un quarto di dollaro rotolò fuori da una tasca e cadde nel buco. "Maledizione!", esclamò; ed estratta una banconota da cinque dollari dal portafoglio, la gettò nel buco, dietro al quartino. "Perché diavolo l'hai fatto?", gli chiesero. "Non penserete mica che entrerei là dentro solo per venticinque centesimi, vero?", rispose. Alzare la posta da soli modifica il compito di autocontrollo con cui ci dobbiamo confrontare. Abbiamo tutti un'inclinazione ad avere dei problemi, quando trattiamo con le tentazioni, che possono venire facilmente individuati attraverso poche e semplici domande: l. Che cosa preferireste: un dollaro subito o un dollaro domani.J Se voi siete come la maggior parte delle persone normali, preferirete un dollaro subito, per ovvie ragioni. Prima lo avrete, e prima lo potrete utilizzare: chi sa poi che cosa vi riserva il futuro? Se, stranamente, sarete totalmente indifferenti alla possibilità di avere subito il dollaro o di averlo domani, o la settimana prossima, o l'anno prossimo, allora diremo che voi non tenete conto del futuro. Ovviamente, è razionale tenere conto del futuro, ma quanto? 2. Che cosa preferire.~te: un dollaro subito o un dollaro e mezzo domanP Se preferite un dollaro e mezzo domani, che cosa direste di un dollaro e un quarto domani? E di un dollaro e
dieci centesimi? A un certo punto troveremo una possibilità di scelta che vi lascerà totalmente indifferenti; e quel valore fisserà due punti su una curva, la vostra curva della considerazione del futuro. Potremmo raccogliere molti dati di questo tipo per disegnare una moltitudine di punti sulla vostra curva personale, utilizzando il denaro come comodo sistema di misura (facendo esso le veci di un insieme più ampio di vostre preferenze: Che cosa preferireste, non provare dolore oggi o non provarlo tra una settimana? Che cosa preferireste, la celebrità oggi o l'anno prossimo?). Supponiamo che siate indifferenti alle proposte della domanda numero 2. Un dollaro oggi o un dollaro e mezzo domani vi sembrano ugualmente desiderabili. Considerate, allora, la domanda seguente: 3. Che cosa preferireste: un dollaro tl prossimo martedì o un dollaro e mezzo il prossimo mercoledì? Questa è la stessa domanda della precedente, ma osservata da un punto di vista temporale più distante. Potreste, però, scoprire che le vostre risposte non coincidono. Se siete come la maggioranza delle persone, è molto difficile che l'offerta di un dollaro e mezzo domani possa battere l'offerta di un dollaro subito, mentre risulta piuttosto semplice sottoscrivere la scelta prudente di accettare l'offerta di avere un dollaro e mezzo il prossimo mercoledì invece di quella di avere un dollaro il prossimo martedì. Se siete inclini a preferire un dollaro subito piuttosto che uno e mezzo domani, ma nello stesso tempo preferireste avere un dollaro e mezzo il prossimo mercoledì piuttosto che un dollaro solamente il prossimo martedì, allora avete un conflitto; scoprirete un mutamento delle vostre preferenze in un certo punto nel tempo, a cavallo tra ora e il prossimo martedì, un mutamento causato solamente dal trascorrere del tempo. La nostra suscettibilità a questi conflitti intertemporali è un difetto di funzionamento, una mania, un'anomalia delle no· stre competenze di agenti in grado di operare delle decisioni e delle scelte, e ci parla nel cuore di una rilevante teoria della volontà umana, sviluppata dallo psichiatra George Ainslie e disponibile da poco, nella veste di un'accessibile presentazione, nel suo libro Breakdown ofWill (Ainslie, 2001). Gli indivi-
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Imparate a trattare con voi stessi La contrattazione intertemporale sembra essere un processo piuttosto artificioso, la cui comparsa tra gli animali inferiori è improbabile. È stata la stirpe umana ad ampliare enormemente la portata della scelta di un individuo e a scoprire che il libero arbitrio spesso ci serve peggio della nuda necessità. GEORGE AJNSLIE, Breakdown o/Wìfl
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dui possono tener conto del futuro in modi differenti, e non esiste una risposta corretta a quanto intensamente si dovrebbe tenere conto del futuro; ma qualunque sia il vostro modo di farlo, se voi agiste razionalmente nel seguire tale vostra tendenza, lo fareste in modo da non scatenare alcun conflitto intertemporale: la scelta a mente fredda che fareste adesso per ìl prossimo anno sarebbe la stessa scelta che fareste l'anno prossimo. Il soccombere alle tentazioni è la tendenza a tradire lavostra linea di condotta razionale (qualunque essa sia) in un modo che voi probabilmente evitereste razionalmente, se solo poteste farlo. Che forma dovrebbe avere la vostra curva di considerazione del futuro? La figura 7 .l mostra due tipi elementari di curve sovrapposte: la curva graduale e.1ponenziale e la curva iperbolica, piegata fortemente e a crescita rapida.
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tempo-+ Figura 7.2 Curve convenzionali (esponenziali) di considerazione per due ri· compense di di,·erso valore, disponibili in tempi diversi. In ogni punto in cui il soggeno porrebbe voler valutare le ricompense precedenti o quelle successive. il \'al ore trovato rimarrebbe proporzionale alloro valore oggetti· vo. (t\inslie, 2001, p. 32)
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Figura 7.1 Una curva esponenziale di considerazione e una curva iperbolica (più piegata l. riferite alla stessa ricompensa. Man mano che passa il tempo (da sinistra a destra lungo l'asse orizzontale l. l'impatto motivazionale zl /..'Cl· !ore- dell'obiettivo di un soggetto si a\·Yicìna al suo valore di non considera· zione. che è rappresentato dalla linea verticale (Ainslie. 2001, p. 311.
Figura 7.3 Curve iperboliche di considerazione per due ricompense dì diverso valore, disponibili in tempi diversi. La ricompensa più piccola viene preferita temporaneamente per il periodo che precede la sua disponibilità, come mostrato dalla porzione della sua curva che proietta sopra quella della ricompensa maggiore. successinl (Ainslie, 2001, p. 32 L
Si può mostrare (si veda, per una efficace rappresentazione, la figura 7.2) che un tasso esponenziale di considerazione non può produrre alcuna anomalia, mentre un tasso iperbolico di considerazione (si veda la figura 7.3 ), avendo una ripida coda, può farlo. Quella porzione di grafico, in cui l'uncino iperbolico della ricompensa più piccola attraversa brevemente la curva della ricompensa più succosa, è dove si apre la vostra finestra di tentazione: un breve periodo di tempo durante il quale la ricompensa più piccola sembra più preziosa di quella più grande.
Controlli a tappeto, condotti nelle più varie condizioni, hanno mostrato che noi, come gli altri animali, siamo dotati in modo innato di rapporti di considerazione del futuro di tipo iperbolico. "La stirpe umana si è evoluta con una curva di considerazione per valutare il futuro molto regolare ma profondamente piegata" (Ainslie, 2001, p. 46). Questa, nota Ainslie, è un'illusione piuttosto simìle alla celebre illusione di Mi.iller-Lyer (figura 7.4 ). Possiamo di fatto sapere - grazie alla misurazione che le due linee sono lunghe uguali. ma questo non impedisce all'illu-
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sione di continuare a esercitare la sua potente forza su di noi. Possiamo imparare a compensare il risultato illusorio naturale, facendo prevalere una deliberata e cosciente correzione. Analogamente, la teoria dell'utilità (e la misurazione) ci può convincere che un tasso di considerazione esponenziale è quello giusto da adottare, e noi potremmo anche imparare a compensare i tassi di considerazione iperbolici con cui siamo nati. E un atto innaturale, ma anche qualcosa che vale la pena di imparare a eseguire. Qualcuno di noi lo fa meglio di altri.
Piuttosto, c'è una successione di estimatori le cui conclusioni differiscono: man mano che il tempo passa, questi estimatori mutano le relazioni esistenti tra loro, da una cooperazione per ottenere un obiettivo comune a una competizione per obiettivi incompatibili fra loro. L'Ulisse che pianifica come vincere la tentazione del canto delle Sirene deve considerare l'Ulisse che ascolterà il canto come un individuo distinto, su cui influire se possibile, se no da prevenire. (Ainslie, 2001, p. 40)
< > )>----------<( Figura 7.4 L'illusione dì Muller-Lyer.
La desiderabilità di razionalizzare il nostro comportamento lungo linee esponenziali è, quanto meno, abbastanza apprezzata: ma come diavolo possiamo farlo? Da dove attingiamo la vitalità necessaria a prevalere sui nostri stessi istinti? La tradizione direbbe che tale potere proviene da un qualche fenomeno psichico chiamato forza ·di volontà; ma questo è solo un modo di dare un nome al fenomeno, rinviandone la spiegazione. Come viene implementata la "forza di volontà" nel nostro cervello? Secondo Ainslie, la otteniamo da quelle situazioni competitive in cui i vari "interessi" vengono coinvolti in quella che lui chiama la "contrattazione intertemporale". Questi "interessi" sono una sorta di agenti temporanei, omuncoli che rappresentano le varie possibili ricompense:
Il "potere di contrattazione" messo in campo da questi "gruppi di procedure per la ricerca della ricompensa" è un processo in grado di trovare autonomamente un equilibrio, che non ha bisogno di "nessun io o giudice, o altri re-filosofi, nessun organo dell'unità e della continuità, sebbene sia in grado di predire quando un simile organo potrebbe incominciare a operare" (p. 62). Per come Ainslie descrive il fenomeno, abbiamo una competizione per la selezione in cui i competitori si possono cooptare e sfruttare a vicenda, e ciò non è altro (sospetto io) che il processo antagonistico della "volontà combattiva" immaginato nelle sue linee portanti da Kane. Questo processo contribuisce veramente e in modo importante a rendere imprevedibilì le scelte umane, ma non sfruttando l'indeterminismo quantistico come sperava Kane, bensì avendo al suo interno una caratteristica ricorsiva che sistematicamente impedisce la predizione: quando operiamo una scelta, noi usiamo in modo riflessivo la nostra scelta come uno strumento per predire quali saranno le nostre scelte nel futuro; la nostra stessa autocoscienza delle scelte già fatte crea una spirale ricorsiva che rende le nostre scelte indefinitamente sensibili a considerazioni posteriori.
Un agente che considera la ricompensa in modo iperbolico non è un estimatore di valori così diretto come si suppone che sia uno che invece considera la ricompensa in modo esponenziale.
L'ordinata piazza del mercato interiore, rappresentata dalla abituale teoria dell'utilità, diventa una complicata situazione del tutto-gratis-per-tutti, dove una possibilità di scelta, per prevalere sulle altre, non solo deve promettere più di quanto fanno quelle concorrenti, ma deve anche agire strategicamente per impedire a quelle concorrenti di mischiare le carte in tavola al turno successivo. (Ainslie, 2001, p. 40)
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Ainslie analizza come le microstrategie di quesd omuncoli riescano ad affastellare le ricompense insieme, creando quindi un'approssimazione del tasso di considerazione esponenziale, generando "regole" e soluzioni che, a loro volta, generano giustificazioni di minore esenzione (sarebbe più facile per me rispettare la mia dieta, se non fossi così severo con me stesso, quindi visto che è i] mio compleanno- mi premierò con una fettina di torta ... ), che a loro volta generano ulteriori mosse e contromosse, in un caos di sfide interiori che cresce come una valanga. Per esempio: "Quando mi aspetto di trovare un 'esenzione ogni volta che l'impulso è forte, non ho più una prospettiva credibile dell'intera serie delle ricompense successive i vantaggi cumulativi della mia dieta - che sono a portata di scelta. In questo modo, le curve di considerazione iperbolica rendono il mio autocontrollo una mera questione di autopredizione" (p. 87).
po. In ogni momento lei compie la scelta che le sembra la migliore: ma una grossa fetta di questa torta è composta dall'aspettativa che lei nutre su come farà le prossime scelte, un'aspettativa che è per lo più fondata su come ha già operato le precedenti. (Ainslie, 200 l, p. 131)
Un'alcolizzata che viene ricoverata potrebbe aspettarsi di trattenersi dal bere una volta, ma questa aspettativa sorprendentemente la frustrerebbe, e quando se ne rende conto, perde fiducia nelle sue aspettative; se la sua aspettativa calasse al di sotto della sua capacità di porre dei paletti alla sua sete. la sua frustrazione sarebbe soggetta a diventare una profezia in grado di autoconfermarsi. Ma se questa prospettiva, nell'intervallo di tempo la sua promozione a sua tendenza preferita, è di per se stessa abbastanza scoraggiante, lei cercherà altri incentivi per opporsi alla sua voglia di bere prima che questa diventi troppo forte, e perciò aumenterà la sua aspettativa di riuscire a non bere, e così via - tutto ciò prima che lei effettivamente si prenda da bere. La sua scelta è doppiamente determinata in anticipo, nello stesso senso in cui tutti eventi hanno precise cause che a loro volta hanno delle cause: ma ciò che determina nell'immediato la sua scelta è l'interazione di elementi che, anche se ben conosciuti di per se stessi, rendono l'esito impredicibile quando interagiscono in modo ricorsivo. La considerazione iperbolìca rende i processi decisionali dei fenomeni di massa, con la massa costituita dalle disposizioni successive di scelta che l'individuo ha corso del tem-
La teoria della volontà di Ainslie fornisce spiegazione di un numero notevole di fenomeni che hanno sconcertato altri teorici (o sono semplicemente e convenientemente stati ignorati da loro), su argomenti come la dipendenza e la compulsione, "l'appagamento prematuro", l'autoinganno e la disperazione, il ragionamento "legalistico" e la spontaneità. Il da pagare per raggiungere questa fecondità teorica consiste in qualche premessa iniziale controintuitiva: in particolare, ricompense e piaceri vanno distinti. Le ricompense sono, per definizione, ''tutte quelle esperienze che tendono a causare una ripetizione del comportamento che ne segue", e come tali alcune di queste esperienze sono effettivamente dolorose, a prescindere da quanto possano incrementare la disposizione a replicare Oa fitness intracerebrale, potreste chiamarla) quel comportamento. È una teoria intricata, che pullula di novità che richiedono a chi la legge di mettere da parte vecchie e care abitudini di pensiero, e ho solamente sfiorato le conclusioni più interessanti che stanno alla superficie di questa presentazione. Tale lavoro non ha ancora ricevuto l'attenzione che merita, tanto che è ancora questione aperta stabilire quali delle sue affascinanti conclusioni meriti sostegno, ma non c'è alcun dubbio che rappresenti un'ottima aggiunta alla ricchezza di lavori recenti che applicano una prospettiva evoluzionistica alle tradizionali problematiche filosofiche circa la volontà e la mente. Presenta anche alcune osservazioni sconvolgenti sull'argomento dell'elusività della morale, e sui modi in cui le nostre regole meglio formulate possano diventare per noi un incubo, producendo conseguenze non desiderate; ma questi sono argomenti da trattare in altre occasioni. Non siamo ancora arrivati nell'arena della morale: ma Robert Frank, però, ci indica un percorso,
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I nostri costosi badge di merito
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Supponiamo che mettiate una caramella di fronte a una bambina e che le diciate che può anche prenderla; ma che se solo potesse attendere quindici minuti, allora ne avrebbe due. Sono bravi i bambini in queste imprese a ricompensa ritardata? Non molto. I bambini mostrano delle differenze significative nella loro abilità di autocontrollo e, che queste siano da attribuire maggiormente a differenze genetiche o a differenze ambientali presenti durante la loro prima infanzia o completamente al caso, esse non sono ineluttabili; possono venire attenuate (o rafforzate) da semplici strategie di autodistrazione, o da una giusta dose di concentrazione. {Per esempio, i bambini possono imparare ad aspettare per avere la seconda caramella concentrandosi sulle proprietà deliziose di qualcos'altro che al momento non possono avere- buone merendine, bretzel salati, per esempio, o un gioco preferito.) Alcune buone strategie fanno perno sulla fredda ragione, altre sulla competizione tra passioni roventi. Queste proposte di automanipolazione, appunto, si oppongono a una tematica influente in filosofia morale, quella attribuita a Immanuel Kant, che sottolinea la natura ignobile e scadente di un simile substrato di innesti meramente emozionali. L'ideale kantiano è una fantasia nella quale in qualche modo si stirano i muscoli del puro ragionamento, fino a un'estensione tanto perfetta da pensare di poter emettere giudizi puri, privi di emozioni, non contaminati da sentimenti di colpa senza valore o meri desideri d'amore e approvazione. Kant sosteneva che simili giudizi non sono solo i giudizi morali migliori, ma che sono il solo genere di giudizi che si può considerare veramente morale. La riflessione vitale, che sfrutta meschini richiami al substrato emozionale, potrebbe andare bene per educare i bambini; ma la presenza di quegli strumenti educativi squalifica di fatto i giudizi per qualunque considerazione morale. Questo è, forse, uno di quei casi in cui la tensione alla perfezione- una sorta di malattia professionale dei filosofi- occulta la strada migliore? Secondo Frank, la bellezza evolutiva del compito principa-
le della cooptazione dell'emozione nell'autocontrollo è quella di fornire contemporaneamente una base per trasmettere segnali costosi proprio di questo trionfo: gli altri vedranno che voi appartenete a quel genere di gente emotiva su cui si può contare, che manterrà appassionatamente gli impegni presi; il punto non è che voi siete pazzi o irrazionali, ma che fissate un prezzo irrazionalmente alto (dal punto di vista miope dei critici) per la vostra integrità. Dovrete parlare con il cuore in mano; ed è un cuore pesante. Il segreto per ottenere una reputazione di brava persona, una qualità davvero preziosa, è di essere veramente una brava persona. Non ci sono scorciatoie (non ancora: l'evoluzione continua). Per poter capire perché essere veramente una brava persona è la soluzione più efficace dal punto di vista dei costi a questo problema, dobbiamo considerarlo come il prezzo che paghiamo per avere l'autocontrollo, Posso controllarmi solamente in modo imperfetto. "Si possono considerare i sentimenti morali come un tentativo grezzo di sintonizzare bene il meccanismo di ricompensa, di renderlo più sensibile a premi e punizioni lontani nel tempo in esempi selezionati" (F rank, 1988, p. 90). Come vedremo nel capitolo successivo, io non sono in grado di avere un controllo capillare su quelle decisioni che prendo in tempo reale; così, devo ripiegare su un approccio a mitraglia, dotandomi di disposizioni emotive potenti che si riversino sui loro obiettivi, mi lascino tremante di rabbia quando la rabbia è il sentimento appropriato, incapace di contenere la gioia quando questa è la cosa giusta, sconvolto dal dispiacere o dalla pietà quando è il caso. Ma per poter fare in modo che queste emozioni mi possano aiutare a prendere decisioni accorte nel lungo periodo quando sono in balia della tentazione delle Sirene nell'immediato, devo lasciare che esse guidino le mie scelte quando queste oscillano tra un guadagno a breve termine per me e ciò che è meglio per altri. Non posso solo essere lasciato a me stesso. O, per dirla con le parole del mio motto preferito, l'ambiente sociale in cui mi trovo mi incoraggia, al fine di perseguire i miei stessi ristretti interessi, ad aprirmi agli interessi degli altri, molto più di quanto avrei fatto da
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solo; quando "cerco di essere il Migliore", getto una rete così ampia da includere quelli che cooperano con me. Come sempre, non mi limiterò a postulare questo felice stato di cose come se fosse un dono di Dio. Potrebbe essere emerso per caso, ma se resiste abbastanza a lungo da diventare una configurazione nel mondo, allora ha bisogno di spiegazione. L'obiettivo dei modelli evoluzionistici è dimostrare come gli ambienti possano evolvere e come in questi ambienti un simile autoampiamento sia esso stesso una mossa forzata, imposta razionalmente. Il progetto "decisione"- pagando il prezzo di affidarsi a una varietà di altruismo impuro (o è solamente una forma avanzata di benegoismo?) per poter guadagnare l'autocontrollo- ha una motivazione razionale che non necessariamente va apprezzata da qualcuno. È un elemento di razionalità in fluttuazione libera; ma nessuno soffre di ciò! Anzi, si sta meglio con una motivazione razionale in fluttuazione libera. È ciò che dona alle espressioni emotive il loro stato probatorio nella corsa agli armamenti per il riconoscimento e la dissimulazione. Se noi potessimo, come individui, capire prontamente e agire sulla base di questa motivazione, fissandola nelle nostre stesse menti, saremmo sospettati di agire per metterei in mostra. Noi siamo prontissimi a giudicare le persone, e uno studio dei particolari a cui diamo importanza (che ne apprezziamo consciamente il contributo o no) dovrebbe rivelare che prestiamo poca attenzione a quelle manifestazioni che si possono simulare con facilità, e che ci concentriamo invece sui segni che sono irreprimibili, manifestazioni inequivocabili di disposizioni d'animo. E quello è esattamente ciò che vediamo, afferma Frank:
cooperare con successo con altre persone dalle inclinazioni simili. (frank, 1988, pp. 82-83 l
Possiamo immaginarci perciò una popolazione nella quale persone dotate di coscienza se la cavano meglio di altre che ne sono prive. Le persone che non hanno coscienza, se solo potessero, si comporterebbero più onestamente di come fanno, ma hanno semplicemente più difficoltà a risolvere il problema dell'autocontrollo. Le persone che hanno una coscienza, al contrario, sono in grado di farsi un 'ottima reputazione e di
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E dove sarebbe qui il contrasto tra benegoismo e altruismo genuino? Frank sostiene che l'innovazione che egli descrive attraversa la linea di confine e ci conduce direttamente all'altruismo genuino: Gli individui dotati di sentimenti morali genuini sono in grado di agire nel loro interesse meglio degli altri. [... ] Le persone con una buona reputazione possono, perciò, risolvere anche dilemmi del detenuto non iterati. Per esempio, possono cooperare con successo tra di loro in attività dove è impossibile individuare il tradimento. L'altruismo genuino può emergere, in altre parole, solamente come conseguenza dell'aver stabilito la reputazione di un comportamento accorto. (Frank, 1988, p. 91)
Frank mostra che, di fatto, gli altruisti- se questi bravi ragazzi sono veramente altruisti - se la cavano molto bene, nonostante gli alti costi che devono talvolta pagare. Psicologi ed economisti hanno condotto vari esperimenti in cui esseri umani (quasi sempre studenti universitari) venivano coinvolti in dilemmi del detenuto dove le ricompense consistevano in piccole, ma non trascurabili, somme di denaro. Negli esperimenti condotti da Frank, agli studenti venivano date varie opportunità di conoscersi durante brevi incontri (da dieci minuti a mezz'ora) prima di essere ripetutamente coinvolti, a coppie, in interazioni tipo dilemma del detenuto. Frank ha osservato che, al variare delle condizioni, le persone sono sorprendentemente brave - sebbene ancora lontane dall'essere perfette: raggiungono una precisione tra il sessanta e il settantacinque per cento- a prevedere chi coopererà e chi tradirà. L'esperimento del dilemma del detenuto conferisce sostegno alla nostra intuizione che possiamo individuare le persone non opportuniste. E possiamo farlo. in realtà: questa è la premessa centrale su cui il modello dell'impegno si fonda. Da questa premessa segue logicamente che emergerà e sopravviverà un com-
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portamento non opportunistico anche in un mondo materiale spietatamente competitivo. Potremmo, quindi, ammettere che le forze materiali alla fine governino il comportamento, ma allo stesso tempo respingere l'idea che le persone siano sempre e dovunque morivate da un interesse personale materiale. (Frank, 1988,p. 145) E ancora: Come sottolineano i razionalisti, noi viviamo in un mondo materiale e, nel lungo periodo, i comportamenti maggiormente indirizzati al successo materiale dovranno predominare. Abbiamo visto più volte, però, come i comportamenti più adattivi non emergano direttamente dalla ricerca di un vantaggio materiale. A causa di un coinvolgimento importante. e di problemi di implementazione, quella ricerca si rivelerà spesso controproducente. Per poter agire bene, dobbiamo talvolta smettere di dedicarci solo a fare il meglio che possiamo. (f rank, 1988, p. 211)
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condo: abbiamo visto come la paura dei filosofi circa il fatto che, se noi fossimo determinati, non potremmo essere in grado di ammettere una vera possibilità di scelta - se noi fossimo determinati, non ci sarebbe per noi alcuna genuina opportunitàci riporti indietro; noi possiamo essere liberi in un senso moralmente importante solo se, in realtà. impariamo a diventare insensibili alle molte opportunità che ci attraversano la strada. Ancora, non otteniamo tale risultato diventando pazzi o ciechi, ma aumentando la posta in gioco in modo che le "decisioni" siano mosse forzate, irriflesse, al di là di ogni attenta considerazione. Terzo: abbiamo visto che quel mitico essere, il puro agente egoista razionale degli economisti che non può mai resistere a un affare, è uno stupido razionale, al quale possiamo porre la famosa domanda retorica: "Se siamo così stupidi, come mai siamo anche così ricchi?". Per dirla con F rank: Gli altruisti [... ] sembrano cavarsela meglio economicamente: gli studi sperimentali confermano in modo consistente che il comportamento altruistico è di fatto correlato a una buona condizione socioeconomica. Owiamente, ciò non significa che il comportamento altruistico conduca necessariamente al successo economico. Ma il tutto fa pensare che un atteggiamento altruistico non possa essere troppo seriamente gravoso in termini materiali. (Frank, 1988, p. 235)
Diverse particolarità della versione di Frank suggeriscono pesanti correzioni al vento filosofico prevalente che abbiamo incontrato nei capitoli precedenti. Primo: torniamo alla discussione del capitolo 4 su "avrei potuto fare altrimenti", e sull'esempio di Martin Lutero. Lungi dal rappresentare eccezioni alla regola, o casi speciali che richiedano spiegazioni speciali, siamo in grado ora di capire che esempi di questa pratica di costruire se stessi in modo tale da non permetterei di comportarci diversamente da come facciamo rappresentano un'innovazione chiave per l'ascesa evolutiva attraverso lo spazio dei progetti -l"' enorme" spazio multidimensionale di tutti i progetti possibili - del libero arbitrio umano. Ci si può rendere conto di come questa tattica di fissare la volontà di ognuno di noi, una volta che l'abbiamo individuata, lasci una traccia fossile dietro di sé, prendendo in considerazione una caratteristica dell'elogio morale che viene raramente trattata dai filosofi, ma che è spesso ammirata negli agenti morali: quella persona dà prova di tale determinazione, diciamo con ammirazione. Se-
Possiamo ribattere con lo stesso spirito a un 'altra creatura mitica, il santo razionale kantiano: "Se siamo così immorali, come facciamo ad avere così tanti amici fidati?". In altre parole, se volete arrivare all'altruismo genuino, dovete prendere in considerazione l'approccio evoluzionistico, a\·vicinandovi a quella meta per progressivi incrementi, senza far ricorso ai Primi Mammiferi o ai ganci dal cielo, ma passando dal cieco egoismo, andando dallo pseudoaltruismo al quasi-altruismo lbenegoismol, fino ad arrivare a qualcosa che potrebbe andare abbastanza bene per tutti noi. Vorrei riflettere brevemente sui metodi a cui mi sono affidato in questo cammino e sulle conclusioni che non sto tirando.
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Le argomentazioni e le conclusioni dì Frank non sì sono ancora guadagnate nulla di paragonabile al riconoscimento pubblico da parte dei colleghi economisti e dei teorici (o dei filosofi) dell'evoluzione; inoltre, lasciano aperti alcuni problemi- e alternative - a cui è necessario dedicarsi con attenzione. Ciò che io ritengo più importante è che il progetto di Frank, come quello di Ainslie, è un esempio di un tipo di approccio a queste problematiche, un approccio ?anviniano, che, sostengo, è sia obbligatorio sia promettente. E obbligatorio, perché ogni teoria d eli' etica che si voglia servire di un comodo insieme di virtù umane, senza cercare di spiegare come si possano essere formate, rischia di promuovere l'uso di un gancio sospeso al cielo, di un miracolo che "spiega'' ben poco, perché non può "spiegare" nulla. È promettente, perché, contrariamente a quanto dichiarano i nemici dell'approccio darwiniano, dagli esercizi di questi teorici sgorgano, con una frequenza notevolmente gratificante, nuove intuizioni. speculativi circa il progettoagente sono stati il prodotto principale dei filosofi sin dai tempi della Repubblica di Platone. Ciò che la prospettiva evoluzionistica aggiunge di nuovo è un modo abbastanza sistematico di collocare questi esercizi a livello naturalistico (in modo da non finire per progettare un angelo o macchine a moto perpetuo) e, cosa altrettanto importante, tale prospettiva ci permette di esplorare le interazioni che avvengono nel tempo tra gli agenti, cosa che i filosofi solitamente si limitano ad accennare. Per esempio, i filosofi considerano spesso "Che succederebbe se tutti lo facessero?" come una domanda retorica, e non si fermano a indagare la risposta, che di solito pensano sia ovvia. Non considerano mai, nemmeno, la domanda "Che succederebbe se alcune persone lo facessero?" khe percentuale, in quale periodo di tempo, a quali condizioni? l. Le simulazioni al computer degli scenari evolutivi aggiungono più disciplina: sono un modo di scoprire assunzioni nascoste all'interno di un qualsiasi modello, e un modo di esplorare gli effetti dinamici, semplicemente "girando le manopole" per vedere l'effetto delle diverse configurazioni delle variabili. È importante rendersi conto che queste simulazioni computerizzate sono a tutti gli
fetti esperimenti filosofici mentali, sorgenti di intuizioni, non esperimenti empirici. Esplorano sistematicamente le implicazioni di insiemi di assunzioni. I filosofi erano abituati a condurre i loro esperimenti mentali uno alla volta, con fatica personale. Ora sono in grado di dominare migliaia di variazioni in un'ora, un buon metodo di controllo, per essere sicuri che le intuizioni che stanno mettendo alla prova non siano prodotti da qualche caratteristica arbitraria dello scenario. Siamo giunti a un abbozzo - ma solo a un abbozzo - di un percorso che ci ha portato dalle origini della vita all'esistenza delle persone, cioè di agenti la cui libertà costituisce il maggiore punto di forza e il più arduo problema nello stesso tempo. Adesso, prima di dedicarci all'esplorazione delle implicazioni dell'evoluzione continua della libertà umana, dobbiamo analizzare più da vicino ciò che deve succedere all'interno di un simile agente umano quando prende una decisione libera.
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Capitolo 7
Le complessità della vita sociale in una specie dotata di linguaggio e di cultura generano una serie di corse evolutive agli annamentt; dalla quale emergono agenti che esibiscono componenti chiat'e della morale umana. un interesse per la scoperta delle condizioni alle quali può fiorire la cooperazione, una sensibilità alle punizioni e alle minacce, un'inclinazione alla reputazione, disposizioni di alto livello per l'automanipolazione che sono progettate per migliorare l'autocontrollo difronte alle tentazioni, e un'abtlità nel coinvolgimento in azioni che sono apprezzate dagli altri. Innovazioni si/fatte prosperano a condizioni specificabili che co-evolvono con loro, soppiantando il miope "egoismo" degli organismi pilÌ semplici che abitano nicchie più semplici. Capitolo 8
Il quadro emergente di un agente umano rappresentato come uno sciame di interessi in competizione, modellati dalle forze dell'evoluzione, è difficile da conciliare con la nostra idea !radi291
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zio nale di noi come ego coscienti o anime o Sé, padroni delle nostre azioni intenzionali grazie alle libere decisioni cbe devono emergere dal santuario privato nella nostra mente. Questa tensione è evidenziata in modo elegante in un controverso e spesso frainteso esperimento diBenjamin Libet, e può venire risolta guardando più da vicino a come emerge il Sé dai processi che accadono ne/nostro cervello. Correggere questi malintesi comuni sul Sé e sul cervello dissolve anche le fosche conclusioni di alcune analisi del libero arbitrio che si sono guadagnate un qualche credito in alcuni ambienti.
Fonti e letture consigliate Tra i libri eccellenti che trattano degli approcci evoluzionistici alla cooperazione spiccano: Evolution of the Social Contrae! (1996) di Brian Skyrms; Tbe Mora! Anima! (1994) e Nonzero (2000) di Robert Wright; The Origin ofVirtue (1996) di Matt Ridley; Sex ~.md Deatb; An Introduction to Pbllosophy of Biology (1999) di Kim Sterelnv e Paul Griffiths· e ovviamente, Unto Otbers (1998) di Élliott Sober e David Slo~n Wilson. Per valide recensioni del testo di Sober e Wilson (e le repliche degli autori) si veda Katz (2000). Ho espresso le mie opinioni sul loro libro in un saggio in fase di stampa che apparirà su Philosophy and Phenomenological Research (Dennett, in stampa a), che conterrà anche molti altri commenti nonché la replica degli autori. Sulla semplice varietà delle punizioni richieste per rafforzare le norme culturali si vedano Having Thought (1999) di.John Haugeland e la mia recensione (1999al. Paul Bingham (1999) ha sviluppato una teoria ardita e controversa dell'evoluzione umana, basata sulla premessa che l'innovazione di armi semplici bastoni e pietre abbia alterato a tal punto il rapporto costi-benefici o la pericolosità del coinvolgimento di un individuo nella punizione di un gruppo di traditori, da introdurre le uniche varietà di cooperazione sociale dalle quali dipende la cultura umana, una rivoluzione svìluppatasi culturalmente cui 292
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rapidamente sarebbe seguita una risposta genetica, con l'adattamento dello scheletro a un migliore uso delle armi e delle protezioni. Il principio dell'handicap di Zahavi viene discusso lungamente da Frank (1988). Si veda anche Il pavone e la formica ( 1991) di Helena Cronin. Randolph N esse è il curatore di una straordinaria antologia di nuovi lavori sul problema dell'impegno. Evolution and the CapacityforCommùment (2001). Per una rassegna della letteratura sperimentale sull'automanipolazione e sull'autocontrollo nei bambini si veda "A hot/cool system analysis of delay of gratification: dynamics of willpower" 0999) di]. Metcalfe e W. Mischel. Per una carrellata sul contesto della teoria dei giochi in cui si muove la proposta di Frank. insieme con sottili critiche e amichevoli correzioni al suo richiamo alle emozioni per questo ruolo di segnalazione, si veda "Emotions as strategie signals'' di Don Rosse Paul Dumouchel.
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8 SIETE FUORI DAL GIRO?
"Voi immaginate un costrutto mentale fantasioso chiamato 'libero arbitrio', che per un neuroscienziato è come credere ai folletti o agli UFO." RACHEL Pc\L~!()UIST, personaggio di Brain Storm di Richard Dooling
Ho avuto una strana esperienza, diversi anni fa. Stavo leggendo un romanzo divertente e stimolante di Richard Dooling, intitolato Brain Storm (1998), consigliatomi da un amico che insisteva che mi sarebbe piaciuto nonostante il suo titolo - nel 1978 avevo pubblicato un libro intitolato Brainstorms.
Fare la morale sbagliata Il protagonista del romanzo è un giovane avvocato che visita un laboratorio di neuroscienze nel tentativo di dimostrare che il suo cliente, sotto processo per omicidio, ha un danno cerebrale. Il neuroscienziato che si rende disponibile ad aiutarlo, la dottoressa Rachel Palmquist, è- chi l'avrebbe mai detto?tanto disinibita quanto bella, e la situazione, alla fine, si fa incandescente. I vestiti vengono scagliati in un angolo; ma poi, avviluppati sul pavimento del laboratorio, i due amanti hanno un problema: il nostro eroe pare possedere una coscienza, e il pensiero della moglie e dei figli lo costringe a porre un brusco freno alla conoscenza carnale. Che fare? La dottoressa Palmquist fa ciò che ritengo farebbe qualunque brillante neuroscienziato, nudo, in quelle stesse circostanze. Lei dice: 295
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In Coscienza Dan Dennett sfrutta l'analogia con un personaggio dei cartoni animati, Casper il fantasmino. Tu vuoi dire che hai un'anima. mooling, 1998, p. 228)
Il libero arbitrio è il punto; secondo lei, io avrei spiegato che non può esistere. ''Non abbiamo nemmeno il libero arbitrio?" "Di nuovo psicologia spicciola", disse lei. "È una finzione carina. Forse, una finzione necessaria - che una certa parte della tua coscienza possa starsene separata da se stessa, per valutare e controllare le sue stesse azioni. Ma un cervello è un'orchestra sinfonica senza un direttore. Proprio ora stiamo ascoltando un oboe o persino un' ottavina fare indiscreti svolazzi di autoesame, mentre gli altri strumenti sono tutti impegnati in un crescendo ben diverso. Ciò che rimane di te è un equilibrio estremamente complesso di umidi processi biologici paralleli che si fanno concorrenza in quell'infornata elettrochimica dì maccheroni sgomitanti che sì agitano tra le tue orecchie: il che è, alla fine, ciò che è responsabile del tuo corpo, ma che per definizione non può essere responsabile di se stesso." (Dooling, 1998, p. 229)
Una bella doccia fredda! La nostra esperta in neuroscienze deve essere veramente brillante, poiché prosegue facendo un sunto della mia teoria della coscienza, così, su due piedi, che è penetrante e accurato- abbastanza buono da poter essere presentato anche da una cattedra e con i vestiti addosso; ma ciò che mi ha letteralmente galvanizzato è stato il principale travisamento di Doolìng: ha completamente deformato la mia concezione del libero arbitrio, proprio come hanno fatto alcuni veri neuroscienziati. Il libero arbitrio sarebbe, quindi, secondo il mio punto di vista, solo una storiella? Sarebbe questa la conseguenza della mia teoria sulla coscienza? Per niente, ma ben più persone che qualche sparuto neuroscienziato o psicologo hanno ritenuto che la loro scienza avesse dimostrato proprio questo, e la mia allusione a Casper, il fantasmino, potrebbe aver contribuito ad alimentare tale errata interpretazione. È più facile capire la natura del problema se, per un momento, cambiamo tipo di fantasia. Consideriamo allora il mito
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di Cupido, che svolazza in giro con le sue ali da cherubino facendo innamorare la gente con le frecce del suo piccolo arco. Questo è uno stereotipo quasi fumettistico, una tal caricatura che è difficile credere che qualcuno l'abbia mai presa alla lettera. Ma possiamo fare finta che, invece, sia stato proprio così: supponete che una volta ci fossero persone che davvero credevano che una freccia invisibile scoccata da un dio volante inoculasse un qualche virus che faceva innamorare la gente. E immaginate pure che un certo scienziato guastafeste, un giorno, si sia fatto avanti per dimostrare a tutti che la cosa era semplicemente falsa: non esiste alcun dio volante del genere. "Ha dimostrato che nessuno si innamora mai, che nessuno lo fa veramente. L'idea dell'innamoramento è solamente una finzione carina -forse anche necessaria. Ma non capita mai." Questo è ciò che avrebbe allora potuto dire qualcuno. Altri, si spera, avrebbero invece contestato una conclusione del genere: "No. L'amore è una cosa molto reale, come l'innamoramento. Solo che non è quello che la gente pensava che fosse. È altrettanto bello forse anche di più. L'amore vero non ha bisogno di alcun dio volante". Il problema con il libero arbitrio è esattamente lo stesso. Se voi siete tra coloro che pensano che il libero arbitrio possa considerarsi veramente tale solo se viene prodotto dall'intervento di un'anima immateriale che gironzola felice per il vostro cervello, scoccando le frecce della decisione nella vostra corteccia motoria, allora, considerato quello che voi intendete per libero arbitrio, è mia opinione che non ci sia affatto libero arbitrio. Se, d'altra parte. ritenete che il libero arbitrio possa essere moralmente importante, anche senza essere soprannaturale, allora è mia opinione che il libero arbitrio sia perfettamente reale; solo che non è esattamente quello che voi probabilmente vi aspettavate che fosse. Poiché i lettori generalmente si dividono equamente tra i due schieramenti, non si può sperare di rivolgersi a tutti se non attirando l'attenzione su questo problema, cosa che ho provato a fare spesso. Nel mio Brainstorms una delle problematiche affrontate era stabilire se cose come credenze e dolori fossero "reali'': così, ho raccontato una breve favola su perso-
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ne che usavano una lingua nella quale dicevano di essere assaliti dalle "fatiche" ogni volta che voi e io avremmo detto più semplicemente di essere stanchi, esausti. Quando entriamo in scena noi, con il nostro sofisticato bagaglio scientifico, quelle persone ci chiedono di indicare loro, tra le tante piccole cose presenti nel sangue, quali siano allora le fatiche. Noi eludiamo la domanda, il che spinge loro a domandare, con una sfumatura di incredulità nella voce, "State dicendo che le fatiche non sono reali?". Date le loro tradizioni, questa diventa una domanda scomoda cui rispondere, una domanda che necessita di diplomazia (non metafisìca). In Coscienza (199la) ho provato aprevenire la stessa confusione con la storia di un matto che diceva che non c'erano animali nello zoo- sapeva perfettamente bene che c'erano giraffe ed elefanti, e simili, ma insisteva che non erano ciò che la gente pensava fossero. Siffatti esercizi che chiedono un continuo sforzo di immaginazione mi sembravano idonei a rendere l'idea; ma devo ammettere che pare che il messaggio non venga recepito. Infine, sono giunto alla conclusione che la gente ami la confusione. Non vogliono le loro fantasie. Va loro bene sostenere che io nego l'esistenza della coscienza, che nego l'esistenza del libero arbitrio. Persino un pensatore attento e sottile come Robert Wright ritiene che il rifiuto della distinzione su cui insisto sia irresistibile:
elusione a cui stanno giungendo le persone fuori dai laboratori è Siamo tutti_h-egatl-' Siamo tuttipredispostt'.' Oltre a Non prendetevela con me-' Sono /atto proprio cosl' (Wolfe, 2000. pp. 120-21)
Ovviamente, il problema qui è l'affermazione che la coscienza sia "identica" a stati fisici del cervello. Più Dennett e soci cercano di spiegarmi quello che vogliono dire con tutto ciò, più io mi convinco che quello che realmente intendono è che la coscienza non esiste. (Wright, 2000, p. 3981
E Tom Wolfe, da scaltro osservatore culturale quale è, constata riferendosi a E. O. Wilson, Richard Dawkins e a me: i loro eleganti argomenti concernono, per esempio, le ragioni per cui le neuroscienze non dovrebbero affatto diminuire la ricchezza della vita. la magia dell'arte o la giustizia delle cause politiche L.. ]. Nonostante tutti i loro sforzi, però, le neuroscienze non lambiscono il pubblico con placide ondate di rassicurante erudiziOne. Ma per lambire, lambiscono. e rapidamente. La con298
Esattamente le stesse conclusioni a cui Rachel Palmquist voleva arrivare sdraiata sul pavimento del laboratorio. Più avanti, in questo stesso capitolo, affronteremo di petto il problema, come è espresso nel titolo del nuovo eccellente libro dello psicologo Daniel Wegner, The Illusion o/ Conscious Will (2002). Ritengo che questo studio di Wegner rappresenti la migliore analisi della volontà conscia che io abbia mai visto. Concordo quasi sotto ogni punto di vista. E ho discusso con lui la mancanza di tatto esibita- a mio parere nella scelta del titolo. Io lo vedo un po' come quello scienziato guastafeste che dimostrava che Cupido non scocca frecce e insisteva, con tutto questo, a intitolare il suo libro L'illust'one dell'amore romantico. Ma mi rendo conto che ci sono persone che invece replicherebbero che il titolo scelto da Wegner sia appropriato: egli sta davvero dimostrando che la volontà conscia è illusione. Wegner, alla fine, abbassa il tiro, là dove dice che la volontà conscia potrebbe essere un'illusione, ma che l'azione morale responsabile è più che reale. E questo è il punto di arrivo di entrambi, io e lui. Concordiamo sul fatto che Rachel Palmquist sia in torto quando ricorre a una teoria neuroscientifìca della volontà per giustificare le proprie conclusioni che la coscienza del nostro eroe non dovrebbe creargli dei problemi (dato che lui non possiede libero arbitrio, non lo possiede veramente). ~'egner e io siamo dunque d'accordo sulle conclusioni; ciò su cui non conveniamo è la tattica. Wegner ritiene che sia meno ingannevole, anzi più efficace, sostenere che la volontà conscia sia un'illusione, anche se un'illusione benigna e, per certi aspetti, veritiera. (Ma non è una contraddizione in termini? Non necessariamente; l'illusione veritiera, non diversamente dall'atomo divisibile, può guadagnarsi un posto nei nostri schemi concettuali, a dispetto della sua etimologia.) Da parte mia, ritengo che la tentazione di fraintendere tale conclusione nello stesso modo in cui la fraintende Rachel 299
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Palmquist sia così forte che preferisco ottenere gli stessi risultati dicendo che no, il libero arbitrio non è un'illusione; tutte le varietà di libero arbitrio che vale la pena desiderare sono, e possono essere, nostre; ma per capire in che modo stiano le cose, dovete solamente abbandonare un po' di falsa e datata ideologia. L'amore romantico senza le frecce di Cupido è ancora qualcosa per cui vale la pena struggersi. È ancora, anzi, amore romantico, vero amore romantico.
ca superstizione? Sostengo che le varietà di libero arbitrio che sto difendendo siano meritevoli di interesse, precisamente perché svolgono tutti quei preziosi compiti che la tradizione ha da sempre attribuito al libero arbitrio. Ma non posso negare che la tradizione assegni al libero arbitrio anche delle proprietà che difettano alle mie varietà. Tanto peggio per la tradizione, ribatto io. Forse, il tempo saprà stabilire quale tra le due tattiche espositive, la mia o quella di Wegner, sia la migliore per trattare la questione del libero arbitrio; o forse le cose non andranno così. Ma guai a tutti coloro che ignoreranno la tesi- esplicitamente difesa da entrambi- che un approccio naturalistico ai processi decisionali lasci comunque un sacco di spazio alla responsabilità morale.' Che cosa c'è di tanto particolare nelle neuroscienze applicate al processo decisionale che convince così tante persone che il libero arbitrio sia illusione? Non è una mera questione di materialismo - il fatto che non ci sia nessun Cupido a scoccare frecce nella nostra corteccia motoria -, ma un aspetto particolare delle neuroscienze; e Rachel Palmquist svolge un buon lavoro di comunicatrice di quest'impressione popolare:
No, non lo è! L'amore romantico privato della sua genuina spiritualità- ed è di questo che ti stai prendendo gioco quando parli delle frecce di Cupido- non è affatto il vero amore romantico! Ne è solo uno scadente surrogato! E lo stesso si può dire del libero arbitrio. Ciò che tu chiami libero arbitrio, un fenomeno che in fin dei conti è solamente un complicato groviglio dì cause meccaniche che può avere l'aspetto di un processo decisionale (da certe angolazioni), non è affatto vero libero arbitrio! CONRAD:
È tutto abbastanza giusto, Conrad, se insisti a usare le parole in quel modo. Ma allora devi accettare l'onere di dimostrarmi perché dovresti essere tanto saggio da insistere sull' esistenza di queste "genuine" varietà di amore romantico e di libero arbitrio, quando i miei sostituti soddisfano tutti i requisiti da te elencati finora. Che cosa ci dovrebbe convincere anche solo a prendere in considerazione queste varietà "genuine"? Concordo con te che la margarina non è vero burro, non importa quanto possa essere gustosa; ma se insisti a ogni costo a preferire il vero burro, dovresti almeno avere una buona ragione. CONRAD: Ah! Lo ammetti, allora. Stai solo giocando con le parole, sperando di far passare la margarina per il vero burro. Esorto tutti a esigere il vero libero arbitrio; guardatevi dai surrogati!
La cognizione preconscia è l'attività cerebrale che accade prima che tu ne sia cosciente. La cosa che spaventa è che questa attività promuove movimenti reali nel mondo fisico. La tua coscienza, se vuoi chiamarla così, semplicemente osserva delle attività che sono nate da qualche altra parte nel tuo cervello [... ]. Pensa al tuo cervello come a un assemblaggio complesso di reti di trasmissione e processori in parallelo. Di tanto in tanto, alcuni di loro sono coscienti di se stessi, ma altri non lo sono. Immagina un vuoto morale della durata di trecento millisecondi che
E vorresti anche esortare i diabetici a esigere la "vera" insulina al posto della roba "artificiale" che somministrano loro? E se il tuo cuore un giorno smettesse di pompare, rifiuteresti sdegnoso un sostituto artificiale che può svolgere tutte le funzioni del tuo vero cuore? A che punto l'amore per le tradizioni si muta in scioc-
l. Derek Pereboom, il cui ultimo libro, Living without Free Wzll (2001), è stato pubblicato mentre stavo curando l'ultima stesura di questo volume, è in disaccordo con entrambi. Egli difende la tesi che "secondo le nostre migliori teorie scientifiche. fattori al di là di ogni nostro controllo producono ogni nostra azione e per questo noi non ne siamo moralmente responsabili". Non mi ha persuaso per niente; ma molti di coloro che troveranno {jUesto mio libro poco convincente magari scopriranno in lui un valente alleato.
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si apre subito dopo che il cervello ha attivato un qualche tipo di comportamento e prima che il cervello ne diventi consapevole. (Dooling, 1998, p. l20}
Ci vuole tempo perché il cervello faccia una qualsiasi cosa; quindi, ogni volta che fate qualcosa \ogni volta che il vostro
corpo fa qualcosa), il vostro cervello, che controlla il vostro corpo, deve aver già fatto qualcos' altro prima. Di solito, quando siete svegli e occupati, fate diverse cose nel medesimo tempo - parlate mentre camminate, scaldate la pentola sul fuoco mentre cercate di ricordarvi quali ingredienti metterei per primi, leggete la successiva battuta del pianoforte mentre con un orecchio prestate ascolto a quello che sta suonando il violoncello e con le mani vi portate in posizione per suonare il prossimo accordo, o semplicemente sorseggiare la vostra birra mentre fate zapping. Normalmente, facciamo così tante cose, sovrapposte nel tempo, che sarebbe difficoltoso individuare tutte le dipendenze, ma è possibile acquietare tutto e isolare un ''singolo" atto, solo per poterlo studiare. Sedete completamente immobili per un po', cercando dì non pensare assolutamente a niente, e poi, per nessuna ragione se non perché lo volete voi, simulate, con il vostro polso destro, il movimento di una frustata secca, una volta. Un solo movimento secco, prego; quando, come si dice, lo spirito vi guida. Chiamiamo quel vostro atto volontario, intenzionale, Frustah/l Se monitorassimo l'attività del vostro cervello per mezzo di una serie di elettrodi di superficie (applicarli sul vostro cuoio capelluto andrebbe benissimo; non c'è alcun bisogno di inserirli nel vostro cervello), scopriremmo che l'attività cerebrale riconducibile alla Frustata' avrebbe un andamento temporale definito e ripetibile, e anche una forma. Dura più della metà di un secondo- tra 500 e 1000 millisecondi - finendo quando il vostro polso effettivamente si muove (movimento che noi possiamo registrare puntando un raggio di luce, alimentato da una semplice fotocellula, sull'articolazione del polso). Il movimento del polso è preceduto per meno di 50 millisecondi da un'attività dei nervi motori che scende dalla corteccia motoria del cervello fino a raggiungere i muscoli dell'avambraccio; ma è preceduta per almeno 800 millìsecondi quasi un secondo da un'onda di attività chiaramente visibile nel vostro cervello nota come potenziale di prontezza (in · readmess potential, RP) (Kornhuber, Deecke, 1965). (Si veda la figura 8.l.l
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Il "vuoto morale" di 300 millisecondi è il problema. È come se il vostro cervello prendesse una decisione prima che lo facciate voi! "Stimoli, sensazioni", lei disse, attaccando un elettrodo a ogni spalla. "Vengono implementati prcconsciamente: importanti decisioni e rappresentazioni mentali vengono realizzate prima che l'autocoscienza
del
cervello ne sia consapevole.'' (Doo-
ling, 1998, p. 122) La "lacuna" di 300 millisecondi c'è veramente, ma c'è pure qualcosa di equivoco in tale modo di interpretarla - come un "vuoto morale''-, e questo è l'errore che voglio mettere sotto esame. Ancora una volta. Ne ho già parlato in un capitolo di Coscimza; ma quell'analisi era poco chiara e difficile, e ha bisogno di una rinfrescata. Questa volta, forse, la morale della storia emergerà chiaramente- invece di venir fuori stravolta come capita con quella brillante donna di scienza, Rachel Palmquist, nuda sul pavimento.
Ogni volta che lo Spirito vi muove Le decisioni sono volontarie? O sono cose che ci capitano? Da alcuni tug~evoli punti di visra sembrano essere le mosse volontarie
preminenti entro le nostre vite, gli istanti in cui noi spingiamo il nostro potere di agenti al massimo. Ma quelle stesse decisioni si possono anche vedere come eventi che stranamente eludono il nostro controllo. Dobbiamo attendere per capire come prenderemo una qualche decisione; e quando la prenderemo. la nostra decisione scaturirà alla nostra coscienza da non si sa dove. Noi non assistiamo al suo !arsi: noi assistiamo al suo giungere. Ciò può condurci alla strana idea che il Quartier Generale Centrale non sia dove noi, come analisti introspettivi coscienti, siamo; ma che sia entro d1 noi ìn qualche altro luogo più profondo, a noi inaccessibile. DA:\ l EL c. D!::-\\T.TT. Elhou: Ruom
L'EVOLUZIONE DELLA LIBERTA
SIETE HJORl DAL GIRO)
Da qualche parte, tra quelle migliaia di millisecondi, c'è il famoso "istante t", cioè l'istante in cui voi coscientemente decidete di dare la Frustatat. Benjamin Libet si è proposto di stabilire con esattezza quando tale istante scocca. Dato che questo istante è definito dalle sue proprietà soggettive, aveva bisogno che ci foste voi a dirgli quando stava scoccando, in modo da poter poi sovrapporre quell'istante soggettivo alla serie di eventi oggettivi che stavano avvenendo nel vostro cervello. Ha ideato un metodo brillante per registrare le due serie di eventi, quella soggettiva e quella oggettiva. Faceva osservare ai suoi soggetti un "orologio" con una lancetta incredibilmente veloce, simile alla lancetta dei secondi, ma ancor più veloce, in grado di fare una rivoluzione del quadrante in 2,65 secondi, in modo che fosse facile calibrare le sue registrazioni degli eventi cerebrali su letture delle frazioni di secondo. (Si veda la figura 8.2.)
Libet chiedeva ai suoi soggetti di tenere conto della posizione della lancetta sul quadrante nell'istante in cui decidevano di, o erano coscienti dell'impulso di, o desideravano, muovere il polso. Dovevano poi riferire questa informazione (in seguito, molto dopo aver mosso il polso, senza alcun bisogno dì affrettarsi a fare rapporto l. Egli ha così individuato una lacuna temporale, o una latenza, tra l'RP che misurava nei cervelli dei suoi soggetti e l'istante della decisione da loro riportato, una lacuna che variava tra i 300 e i 500 millisecondi. Quello è il "vuoto morale" di cui parla Rachel Palmquist, ed è enorme, secondo gli standard neuroscientifici se viene paragonato, per esempio, ai tratti caratteristici e alle imprecisioni che si possono osservare in altri giudizi di simultaneità. Non alcuna controversia sul fatto che, in queste circostanze artificiali, l'RP possa essere la causa scatenante del movi-
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B.D. 30 Figura 8.1 EEG tracciante l'RP (da Libet, 1999, p. 46).
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Figura 8.2 Quadrante dell'orologio utilizzato da Libet ìda Libet, 1999. p. 48l.
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mento del vostro polso. L'RP è un predittore di movimento altamente attendibile. Quindi, qual è ora il problema? Sembra il seguente: quando pensate di stare decidendo, voi state in realtà solo guardando passivamente una sorta di registrazione interna trasmessa in ritardo (quei famigerati 300 millisecondi di ritardo) della vera decisione, che è avvenuta in modo inconscio nel vostro cervello molto prima che "a voi venisse voglia" di muovere il polso. Come ho scritto in Coscienza, non siamo del tutto "fuori del giro" (come dicono alla Casa Bianca); ma, poiché il nostro accesso alle informazioni è differito, il massimo che possiamo fare è intervenire con qualche "veto" all'ultimo momento. Nel flusso che sgorga dal Quartier Generale Supremo io non svolgo alcuna reale iniziativa, non mi trovo mai all'inizio di un progetto, ma esercito un minimo di influenza sulle politiche già formulate che passano nel mio ufficio. !Dennett, 199la, p. 187)
Ma stavo descrivendo questo punto di vista con il fine di dimostrarne la falsità. Ho proseguito dicendo "Questa immagine è attraente, ma incoerente". Altri, comunque, non scorgono questa incoerenza. Da raffinato (e ben vestito) neuroscienziato, Michael Gazzaniga ha esposto la questione nel modo che segue: "Libet ha determinato che i potenziali del cervello stanno funzionando trecentocinquanta millisecondi prima che voi abbiate l'intenzione cosciente di agire. Quindi, prima che siate consapevoli di pensare di voler muovere un braccio, il vostro cervello si sta già preparando per realizzare quel movimento!" (Gazzaniga, 1998, p. 73 ). William Calvin, un altro brillante neuroscienziato (che veste abiti molto rassicuranti) espone lo stesso punto, ma in modo più cauto:
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vostra decisione di fare il movimento, ma quello era cammino. (Calvin, 1989, pp. 80-81 l
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Lo stesso Lìbet, recentemente, ha riassunto la sua interpretazione del fenomeno con le seguenti parole: l'avvio dell'atto liberamente volontario sembra cominciare in modo inconscio nel cervello, molto prima che l'individuo sappia consciamente di voler agire! Ci può essere, a questo punto, un qualche ruolo della volontà cosciente nell'esecuzione di un atto volontario? (si veda Libet, 1985) Per rispondere alla domanda bisogna prendere atto che la volontà cosciente (\X') appare circa 150 millisecondi prima che il muscolo venga attivato, anche se segue l'inizio dell'RP. Un intervallo di 150 millisecondi lascerebbe alla funzione della coscienza un tempo sufficiente per influenzare l'esito finale del processo volitivo. (In realtà, sodi questo tilo lOO millisecondi sono utilizza bili per ogni po. I restanti 50 millisecondi, precedenti l'attivazione del muscolo, formano l'intervallo di tempo necessario alla corteccia motoria primaria per poter attivare le cellule nervose motorie spinali. Durante questo intervallo l'atto procede verso il suo completamento, senza alcuna possibilità, da parte del resto della corteccia cerebrale, di poterlo fermare.) (Libet, 1999, p. 49l
Il mio amico neurofisiologo Ben Libet ha mostrato, lasciandoci tutti costernati, che l'attività del cervello associata alla preparazione di un movimento (qualcosa chiamato "potenziale di prontezza") [.. .] ha inizio un quarto di secondo prima dell'istante, da voi riportato, in cui avete deciso di fare quel movimento. Voi, semplicemente, non eravate ancora consci della
Solo un decimo di secondo l 00 millisecondi - per poter inoltrare il veto presidenziale. Come ha detto una volta, scherzando, l'astuto (e impeccabilmente abbigliato) neuroscienziato Vilayanur Ramachandran: "Ciò fa pensare che le nostre menti coscienti non possano fregiarsi di libero arbitrio, semmai di 'libero diniego'!" (Holmes, 1998, p. 35). Detesto guardare in bocca a cavai donato, ma io certo desidero più libero arbitrio di tutto questo. Possiamo trovare una falla nel ragionamento che ha condotto un così distinto gruppo di neuroscienziati alle loro tremende conclusioni? Il lavoro sperimentale di Libet è piuttosto insolito, e vale la pena raffigurarcelo con attenzione. Siete seduti tranquillamente nel suo laboratorio, state guardando girare la lancetta sul quadrante e aspettate fino a che, per nessun'altra ragione se non la crescente noia, non decidete di muovere il polso:
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nicato di aver annotato) al millisecondo 7 ,005. Quanti millisecondi dovrebbe aspettarsi di dover aggiungere a questo numero per avere l'istante in cui voi eravate coscienti del fatto? La luce viaggia dal quadrante dell'orologio al vostro bulbo oculare quasi istantaneamente; ma il cammino dei segnali luminosi dalla retina attraverso il nucleo genicolato laterale fino alla corteccia striata richiede dai 5 ai lO millisecondi- una misera porzione dei 300 millisecondi di differenza; ma quanto tempo ancora richiede il segnale per giungere a voi? (0 voi siete localizzati nella corteccia striata?) I segnali visivi devono venire elaborati prima di giungere ovunque debbano giungere per permettervi una conscia decisione di simultaneità. Il metodo di Libet presuppone, in breve, che possiamo localizzare l' intersezione di due traiettorie:
"Lasciate che l'impulso ad agire si presenti da solo in qualunque momento, senza alcuna premeditazione né alcuna concentrazione su quando agire" (Libet et al., 1983, p. 625 ). È importante che voi non seguiate una linea di azione tipo quella di decidere di muovere il polso al prossimo passaggio della lancetta dell'orologio "sulle tre", poiché in quel caso avreste preso la vostra decisione (''secondo il vostro libero arbitrio") ben prima del passaggio sulle tre, e avreste iniziato a implementare l'atto più o meno irriflessivamente, un atto scatenato dall'immagine visiva del quadrante dell'orologio (ricordatevi di Martin L utero, che ha preso le sue decisioni molto tempo prima, e ora non può comportarsi altrimenti). Come potete essere certi che non state permettendo a qualcosa di simile all'aspetto del quadrante dell'orologio di scatenare le vostre "libere" scelte? Dio solo lo sa; ma, per ora, assumiamo che voi riusciate a eseguire bene tutte le istruzioni, almeno per poter affermare che, da quel che potete capire, non state "legando" la vostra scelta alla posizione della lancetta sul quadrante, ma state solo "annotando" la posizione della lancetta sul quadrante nel momento in cui "vi viene voglia" di fare il movimento. Dopo aver mosso il polso, comunicate a Libet quale era la posizione della lancetta ("La lancetta dell'orologio aveva appena superato il l Oquando ho deciso" o "La lancetta puntava verticalmente in basso, sul30", o come volete), e le sue registrazioni precedenti gli possono permettere di capire, con un grado di precisione di un millisecondo, esattamente in quale istante la lancetta si trovava in quella posizione. Libet può ora sovrapporre il vostro flusso di coscienza (quello che avete riportato successivamente) a una registrazione temporale della vostra attività cerebrale; tale sovrapposizione fisserà il momento della presa di coscienza della vostra decisione, non è così? Questa è l' assunzione che soggiace all'esperimento di Libet, ma non è così innocente come appare a prima vista. Supponiamo che Libet sappia che il vostro potenziale di prontezza abbia segnato un picco al millisecondo 6,810 della sessione sperimentale e che la lancetta dell'orologio puntasse verticalmente in basso (che è la posizione che voi avete comu-
in modo che questi due eventi accorrano fianco a fianco, come se lo fossero, in un posto dove la loro simultaneità possa essere notata. Poiché Libet vuole saperlo da voi, non dalla vostra corteccia striata, dobbiamo sapere dove siete voi nel cervello, prima di poter anche solo incominciare a interpretare i dati. Supponiamo, per amore di discussione, che tutto ciò abbia un senso. Per essere corretti e costruttivi, accantoniamo tutte le versioni stravaganti della congettura: Libet non sta ipotizzando che voi siate un vero omuncolo, con braccia e gambe, occhi e orecchie, come il piccolo ornino verde seduto nella sala di controllo del pupazzo a grandezza umana sdraiato nell' obitorio in MIB-Men in Black, e non sta supponendo che voi siate una porzione immateriale di ectoplasma brillante che fluttua in giro per il vostro cervello come un'ameba fantasma, né che l'o i siate un angelo le cui ali rimangono nascoste fino a quando non sarete chiamati a volare in paradiso. Dobbiamo prendere in considerazione una versione minimalista dell'ipotesi, purgata di tutti questi dettagli imbarazzanti: voi siete esattamente
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- l'emergenza, a livello di coscienza, del segnale rappresentante la decisione di muovere il polso; - l'emergenza, a livello di coscienza, del segnale rappresentante le orientazioni successive del quadrante dell'orologio;
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qualunque-cosa-serva-per-poter-sperimentare-decìsione-eorientazione-del-quadrante-simultaneamente. (Se abbiamo bisogno di visualizzare un'immagine, possiamo !imitarci a pensare che questo qualunque-cosa-sia sia una qualche connessione o insieme di attività mentali, e potrebbe scivolare in giro a diverse condizioni, un lampo mentale con poteri cognitivi piuttosto speciali. Si veda la figura 8.3.) A questo punto. ci sono almeno tre possibilità da esplorare: (A) Voi siete impegnati a prendere le vostre decisioni libere nella facoltà di ragionamento pratico (dove vengono prese tutte le decisioni libere), e dovete aspettare in quel luogo il contesto visivo che vi viene spedito dal centro della visione. Quanto tempo ci vuole? Se la pressione del tempo non fosse critica, forse il contenuto visivo verrebbe spedito molto
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lentamente e sarebbe fortemente in ritardo nel momento dell'arrivo, un po' come il quotidiano del giorno prima.
centro della visione e dovete aspettare che la facoltà del ragionamento pratico vi spedisca i risultati dei suoi ultimi processi decisionalì. Quanto d vuole? Potrebbe essere un'altra pessima (B) Voi siete impegnati a guardare l'orologio nel
trasmissione, non è vero? (C) Voi sedete nel solito posto: nel quartier generale di comando (altrimenti noto con il nome di Teatro cartesiano) e dovete aspettare che sia il centro della visione sia la facoltà di ragionamento pratico inviino i rispettivi prodotti in questa sede, dove tutto si unisce e da accade la coscienza. Se uno di questi avamposti fosse più distante dall'altro o trasmettesse a un ritmo più lento, voi sareste soggetti all'illusione della simultaneità -se giudicaste la simultaneità sulla base dell'effettivo arrivo dei segnali al quarder generale di comando, invece di affidarvi a qualcosa di simile a timbri postali o ad altri contrassegni.
Fìgura 8.3 Dove siete \'oi nel vostro cervello?
Porre il problema in siffatti termini non aiuta molto- io mi aspetto- a chiarire i problemi legati all'approccio di Libet. Qual è l'implicazione presunta di queste differenti ipotesi? Che cosa significherebbe per voi essere in una di queste regioni del cervello, invece che in un'altra? L'idea guida è che presumibilmente voi potete agire solamente dove vi trovate; così che, se non vi trovate nella facoltà di ragionamento pratico quando una decisione viene presa là, allora quella decisione non l'avete presa voi. Al massimo, l'avete delegata. ("Io voglio essere nella facoltà del ragionamento pratico. Dopotutto, se non fossi là quando le decisioni vengono prese, queste non sarebbero mie. Sarebbero sue!") Ma quando voi siete là, potreste essere così assorbiti dal prendere le vostre decisioni che "vi si appannerebbe la vista", vanificando il buon lavoro del centro della visione, il cui risultato non giungerebbe mai fino a voi. Così, forse, voi dovreste andare avanti e indietro tra la facoltà del ragionamento pratico e il centro della visione. Ma se così fosse, sarebbe più che possibile che voi foste, in realtà,
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consci della decisione dì muovere il polso nell'istante stesso in cui prendete quella decisione, ma che poi vi cì vogliano più dì 300 millisecondi per spostarvi nel centro della visione e stra re un 'immagine - arrivate nel centro proprio mentre vi giunge l'immagine della lancetta-verticale-verso-il-basso - e così avete valutato male la simultaneità perché non vi siete resi conto del tempo che ci è voluto per spostarsi da un posto all'altro. Caspita! Questa è un'ipotesi, chiamatela l'ipotesi del Voi vagabondo, che potrebbe salvaguardare l'esistenza del libero arbitrio mostrando che la lacuna temporale, dopotutto, è solo un'illusione. Secondo quest'ipotesi, voi avete deciso realmente di muovervi quando lo ha deciso quella parte del vostro cervello (sì, voi eravate là, in quell'istante, cavalcando il potenziale di prontezza nel momento stesso in cui veniva creato), ma avete in seguito frainteso il tempo oggetto di quella decisione segnato dall'orologio, a causa del tempo che vi ci è voluto per arrivare al centro della visione e raccogliere l'ultima immagine del quadrante dell'orologio. Se non vi piace questa ipotesi, eccovene un'altra che potrebbe funzionare, basata sull'alternatìva (C), nella quale sia il centro della visione sia la facoltà del ragionamento pratico vengono collocate fuori del quartier generale di comando. Chiamatela pure il Voi fuori portata. Avete esternalizzato l' esecuzione di questi compiti, come si potrebbe dire seguendo la tendenza attuale del mondo degli affari, delegandoli a subappaltatori; ma continuate ad avere un controllo (limitato) delle loro attività dalla vostra poltrona nel quartier generale del comando, mandando loro ordini e ricevendo i loro risultati, in un continuo ciclo di comandi e risposte. Se vi fosse chiesto il motivo per non cenare fuori questa sera, voi girereste la richiesta del motivo alla vostra facoltà di ragionamento pratico che vi rimanderebbe due risposte molto velocemente: Sono troppo stanco e C è del cibo nel frigorifero che potrebbe andare a male se non lo consumassinw questa sera. Come ha fatto la facoltà a formulare queste due risposte? Perché proprio in questo ordine? Che operazioni ha eseguito per produrre queste risposte? Non ne avete la minima idea: voi sapete solamente che cosa 312
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avete inviato e riconoscete che ciò che avete ricevuto risponde in modo soddisfacente alla vostra richiesta. Se vi fosse domandato che ora è, voi inviereste il comando appropriato al centro della visione, e questo vi reinvierebbe l'ultima immagine dell' orologio al vostro polso, con un piccolo aiuto da parte del centro-di-controllo-della-mobilità-del-polso; ma voi non avete nemmeno idea di come si possa essere mai realizzata quella collaborazione. Dato il problema di ritardi temporali variabili, voi istituite un sistema di datazione, che svolge egregiamente la sua funzione nella maggior parte delle circostanze, ma che voi utilizzate erroneamente nel contesto sperimentale, piuttosto innaturale, di Libet. Quando vi viene chiesto di giudicare, dalla vostra posizione non privilegiata nel quartier generale di comando, in che istante esattamente la vostra facoltà di ragionamento pratico abbia emesso il suo ordine di movimento (un giudizio che dovete riportare in termini di tempi indicati nel datario che distinguete nel flusso di rapporti provenenti sia dalla facoltà del ragionamento pratico sia dal centro della visione), voi prendete in considerazione i rapporti sbagliati. Dal momento che vi siete affidati a fonti di informazione di seconda mano (rapporti provenienti dai due subappaltatori periferici), potete facilmente sbagliare la scelta di quale dei due eventi sia accaduto prima, o se i due eventi siano simultanei. Una cosa da prendere sul serio, in questa ipotesi, è che siffatti giudizi di simultaneità sono in primo luogo atti innaturali, a meno che non vengano escogitati per raggiungere uno scopo particolare, come il vostro tentativo di iniziare l'attacco dello staccato in sincronia con quello del direttore, o il vostro sforzo di entrare in connessione con una palla veloce bassa per poterla ribattere direttamente sulla testa dellanciatore. In contesti naturali di questo genere, gestioni virtuose del tempo sono possibili; ma giudizi isolati di simultaneità "modali incrociate" (in risposta a domande del tipo "Che cosa stato prima, la luce o il suono, o sono stati simultanei?") sono notoriamente esposti all'interferenza e all'errore. A seconda di come elaborate un giudizio, a seconda dell'uso che ne volete fa313
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re, ciò che viene considerato, soggettivamente, come simultaneo può cambiare in continuazione. Così, se emettete il vostro giudizio di simultaneità da una simile posizione non privilegiata, senza un contesto naturale che fornisca al vostro giudizio una ragione valida, potreste anche ordinare alla facoltà di ragionamento pratico di prendere una decisione, e potreste semplicemente registrare male il suo rapporto di completamento, arrivando a fraintendere il suo accadimento simultaneo con la percezione del centro della visiòne riportante il quadrante dell'orologio con la lancetta posizionata sul 30. Forse, però, questa ipotesi non si può applicare, perché voi non siete effettivamente presenti all'interno della facoltà di ragionamento pratico, quando essa prende la decisione. Quindi, eccovi un'altra ipotesi, che vi rimette dove c'è (o c'era) l'azione: l'ipotesi dell'Inchiostro a essiccamento lento. Quando prendete una decisione, consciamente, nella facoltà di ragionamento pratico (e voi siete proprio là, nel cuore dell'azione), voi "descrivete tutto" con un inchiostro che è a essiccamento lento: sebbene, sulla base della decisione presa, possiate iniziare ad agire immediatamente, non potete comparare ciò che state facendo con ciò che sta succedendo nella visione fino a quando l'inchiostro non secca (ci mette più o meno 300 millisecondì). (Questa ipotesi si ispira ad altri lavori di Libet che ho analizzato in Coscienza [Dennett, 1991a], particolarmente in "Il caso del riferimento· all'indietro nel tempo di Libet" della coscìenza.l Sulla base di questa ipotesi, voi decidete realmente di fare la Frustata .t esattamente quando lo mostra l'RP nel vostro cervello, senza alcun ritardo: ma non arrivate a confrontare quella decisione cosciente con il risultato proveniente dal centro della visione se non dopo un buon intervallo di 300 millisecondi o più, il tempo necessario perché la vostra decisione maturi prima di entrare nella camera del confronto. E se non vi piace questa ipotesi, ne possiamo considerare altre, comprese, è ovvio, tutte quelle ipotesi che non "salvano il libero arbitrio", perché tendono a confermare la visione di Libet sull'argomento: che, nel corso normale del processo
decisionale morale, voi in realtà avete al massimo l 00 millisecondi nei quali potete porre un veto o altrimenti modificare decisioni che sono già state prese prima (e altrove) inconsciamente. Ma non possiamo semplicemente liquidare l'intera gamma di queste misere ipotesi sulla base del fatto che sono grossolane rappresentazioni semplicistiche, ampiamente non realistiche, di ciò che si conosce sul funzionamento dei processi decisionali nel cervello? Anzi, potremmo e dovremmo farlo. Ma quando operiamo tale scelta, non liquidiamo solamente tutte yueste fantasiose ipotesi che potrebbero "salvare il libero arbitrio" dai dati raccolti da Libet; liquidiamo anche la stessa ipotesi di Libet e tutte le alrre, che danno a intendere di mostrare che noi abbiamo solo un "libero diniego". La sua ipotesi, esattamente come le altre cui ho accennato, dipende dal fatto che Libet prende in seria considerazione l'idea che voi siate ristretti ai materiali cui avete accesso da una particolare regione del cervello. Come può essere? Consideriamo la sua idea di una finestra di possibilità rigidamente limitata all'opportunità di porre il veto. Libet presuppone tacitamente che voi non possiate iniziare a pensare seriamente di porre o meno un vem a qualcosa fino a quando non siete coscienti di ciò su cui potreste voler esercitare il vostro diritto di veto: e voi dovete aspettare 300 millisecondi o più per questo, il che vi lascia solamente 100 millisecondi per "agire". "Ciò fornisce un intervallo di tempo in cui la funzione cosciente potrebbe, o meno, determinare potenzialmente il prosieguo del processo volitivo fino al compimento" (Libet, 1993, p. 134). La "funzione cosciente" attende, nel Teatro cartesiano, l'arrivo dell'informazione; e solo allora, per la prima volta, vi può accedere e può iniziare a pensare che cosa farne, se porre il veto, ecc. Ma perché voi non potreste aver iniziato a pensare ("inconsciamente") alla possibilità di porre il veto alla Frustata/ fin da quando avete deciso ("inconsciamente") di muovere il polso, mezzo secondo prima? Libet deve aver assunto che il cervello sia sufficientemente dotato per riuscire a mettere insieme i dettagli per calcolare come muovere il polso in quel periodo di tempo, ma che solo una "funzione cosciente"
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sia sufficientemente dotata per meditare sui pro e i contro del veto a quella decisione. Di fatto, a un certo punto Libet si accorge del problema e ne parla candidamente: " Non si esclude la possibilità che i fattori, su cui sì basa la decisione di porre il veto (controllo), si sviluppino per processi inconsci che precedono il veto" (Libet, 1999, p. 51). Ma se non si esclude tale possibilità, allora la conelusione che Libet e soci dovrebbero trarre è che la presenza della "lacuna" di 300 millisecondi non è stata dimostrata affatto. Dopotutto, sappiamo che in condizioni normali il cervello inizia il suo lavoro di riconoscimento e di valorizzazione non appena riceve gli stimoli, e lavora a diversi processi concorrenti contemporaneamente, permettendoci di rispondere intelligentemente appena in tempo per rispettare molte scadenze, senza costringerci ad ammucchiarle in una pila in attesa di superare il cancelletto della coscienza prima di iniziare la valutazione. Patricia Churchland (1981) lo ha dimostrato con un semplice esperimento, in cui chiedeva ai soggetti di rispondere consciamente (come altrimenti?) all'accensione di un lampo di luce. Il loro tempo di risposta complessivo era di circa 350 millisecondi. La reazione di Libet al risultato della Churchland è consistita nell'insistere che una simile risposta doveva aver avuto un inizio inconscio: "l: abilità di rivelare uno stimolo e di reagire a esso intenzionalmente, o di esserne psicologicamente influenzati, senza rivelare nessuna presa di coscienza riferibile dello stimolo, è ampiamente accettata" (Libet, 1981, p. 188). Ma questa risposta concede proprio quanto è in discussione: Voi potete iniziare a reagire intenzionalmente a voi potete essere psicologicamente influenzati da una decisione di muovere il polso molto prima che questa "raggiunga la sfera della coscienza". Sulla base di tutto quello che hanno mostrato gli esperimenti di Libet, potrebbe essere che voi abbiate in ogni momento un accesso ottimale ai processi decisionali in cui siete coinvolti. Cioè, potrebbe essere che ogni parte di voi, che ha una certa competenza per svolgere un qualche ruolo nel processo decisionale nel quale vi è capitato di incappare, ottenga tutto ciò di cui ha bisogno per svolgere il suo lavoro nel minor
tempo possibile. (Di che altro vi potreste preoccupare, quando vi chiedete se voi verrete informati troppo tardi per riuscire a fare la differenza che volete fare?) I dati di Libet escludono, in realtà, proprio quell'ipotesi che avrebbe potuto essere la nostra favorita: il Voi autom/ficiente, secondo la quale tutti i lavori di routine del cervello sono raggruppati in un luogo compatto, un unico posto dove tutto potrebbe accadere contemporaneamente- visione, udito, processi decisionali, giudizi di simultaneità, ecc. Con tutto così a portata di mano, il problema dei tempi non esisterebbe: un individuo, un'anima, potrebbe sedere in quel luogo e prendere decisioni libere, responsabili ed essere simultaneamente cosciente di farlo, e di ogni altra cosa in atto in quel momento nella coscienza. Ma non esiste un simile posto nel cervello. Come non mi stanco mai di far notare, tutto il lavoro svolto dall'omuncolo immaginario del Teatro cartesiano deve essere frantumato e distribuito nello spazio e nel tempo all'interno del cervello. È nuovamente l'occasione di ripetere il mio motto ironico: se vi fate veramente piccoli, potete esteriorizzare virtualmente qualsiasi cosa. Il cervello elabora stimoli nel tempo, e la quantità di tempo dipende dal tipo di informazione che viene estratta e dallo scopo per farlo. Un campione di tennis è in grado di progettare una risposta a un servizio in più o meno 100 millisecondi. I 23,77 metri che vanno da una linea di fondo all'altra possono venire percorsi dalla palla di servizio di Venus Williams (che ha una velocità media di 200 chilometri orari) in meno di 450 millisecondi, solo 50 millisecondi circa in più di quanto sarebbe stato sufficiente alla palla di servizio più veloce che si ricordi (di Greg Rusedski, a 235 chilometri orari di velocità iniziale). E poiché il preciso momento e la forma di quella risposta dipendono criticamente dall'informazione visiva (se ne dubitate, provate a rispondere al servizio con gli occhi bendati), è possibile per il cervello estrarre le informazioni visive e farne l'uso migliore in quel brevissimo intervallo di tempo. Come ha mostrato Patricia Churchland, il solo premere un bottone su richiesta per segnalare se si è visto o meno un lampo di luce ri-
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chiede a un soggetto normale circa 350 millisecondi. Ora, queste sono risposte coscienti, volontarie, intenzionali a eventi (non lo sono forse?) e accadono senza alcun ritardo di 300500 millisecondi. Owiamente, la giocatrice di tennis e il soggetto dell'esperimento devono decidere (liberamente. coscientemente) in anticipo di collegare le loro risposte a condizioni particolari. Questi sono, di fatto, situazioni da Lutero in miniatura. La giocatrice di tennis si impegna prima in un semplice piano e poi lascia che i "riflessi" eseguano il suo atto intenzionale. (Il tutto potrebbe essere alquanto condizionale, seguendo le linee del SE ricevi alto sul rovescio, ALLORA effettua un lob dtfensivo, ALTRilvfENTI a rete con un top spin. In realtà, lei si trasforma temporaneamente in una rnacchina situazioneazione_) E voi, avendo deciso di collaborare con lo sperimentatore schiacciando il bottone non appena appare il lampo di luce, agite allo stesso modo: semplicemente attivate il pilota automatico e lasciate che le vostre decisioni vengano implementate. "Non potevo fare altrimenti", potreste dire. "Poiché non c'era tempo di riflettere e ponderare, ho fatto la mia riflessione offlìne, nell'agio del tempo libero, in modo che, quando è arrivata la crisi, ho potuto agire senza pensare." Lo facciamo sempre. Le nostre vite sono piene di decisioni che vanno prese quando è già troppo tardi, impegni a rivedere linee di azione e atteggiamenti che modelleranno risposte che dovranno essere fornite troppo rapidamente per poter essere sottoposte al vaglio della riflessione nella foga dell'azione. Noi rimaniamo gli autori e gli esecutori di tali politiche, anche se queste vengono compilate da parti che possiamo monitorare e controllare solo indirettamente. La capacità che abbiamo di fare esecuzioni musicali d'insieme, per esempio, mostra che i nostri cervelli sono in grado di operare in multitasking su una scala temporale altamente complessa, e tutto è deliberato, controllato e voluto. Le risposte che diamo nelle conversazioni, soprattutto le stesse parole che diciamo silenziosamente a noi stessi quando pensiamo a cosa fare successivamente, sono anch'esse atti che hanno avuto tempi lunghi di preparazione, che si diramano all'indietro, nel passato. Ciò che ha scoperto
Libet non è che la coscienza resta vergognosamente indietro rispetto alle decisioni inconsce, ma che i processi decisionali coscienti richiedono tempo. Se dovete prendere una serie di decisioni consce, è meglio che calcoliate di impiegare almeno mezzo secondo, all'incirca, per ciascuna; e se avete bisogno di controllare la situazione più velocemente, allora dovete implementare il vostro processo decisionale in un dispositivo che possa omettere una buona parte di quel processo che viene elaborato in una decisione cosciente autonoma. Libet cita un semplice esperimento di Jensen (1979) che evidenzia questo effetto. Jensen ha chiesto a dei soggetti di premere un bottone non appena consci di un lampo di luce, come ha fatto anche Patricia Churchland, e ha ottenuto risultati in accordo con quelli della Churchland -anzi, le reazioni dei suoi soggetti sono state leggermente più veloci 250 millisecondi in media. Poi, ha chiesto ai suoi soggetti di applicare la pressione sul bottone con un breve ritardo, il più breve possibile. Questi dovevano aggiungere un intervallo di 300 millisecondi al loro tempo di risposta. Per eludere questi ritardi il cervello in certe condizioni usa dei trucchi, come analizzare la scena alla ricerca di un particolare quando ha poco tempo a disposizione. Per esempio, quando si mira a un bersaglio, il cervello a volte possiede un numero sufficiente di nozioni per permettersi di lasciarsi andare; applica una ricerca visiva casuale di un sistema di caratteri, anche se porrebbe adottare una ricerca metodica "più efficiente". L'attenzione, quando viene lasciata libera, può saltare velocemente da un oggetto a un altro, dal momento che "l'attenzione è veloce, ma la volizione è lenta" (\X'olfe, Alvarez, Horowitz, 2000). Questi trucchi per guadagnare tempo solitamente si mescolano senza soluzione di continuità e sono incorporati nella stessa attività di osservazione che il cervello applica a ciò che accade intorno a lui, ma in circostanze artificiali (come quelle preparate da alcuni brillanti sperimentatori) si possono mettere questi trucchi allo scoperto. Per esempio, quando il cervello rende esecutiva una decisione di agire (nell'istante indicato dal picco dell'RI)), formula delle anticipazioni- produce un picco-
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lo futuro su quello che potrebbe poi accadere. Se ciò che accade in seguito viene artificialmente scompigliato venendo anticipato o ritardato, per esempio - ciò crea violazioni delle aspettative e segnala che c'è qualcosa che non va. Ma il cervello potrebbe non essere in grado di giungere alla giusta interpretazione di ciò che semplicemente è successo entro una regolazione così inaspettata. In Coscienza (Dennett, 199la, pp. 190-191) ho descritto uno dei primi esperimenti in grado di illustrare il fenomeno, che ho chiamato la giostra precognitiva di Grey Walter. All'inizio degli anni Sessanta del Novecento uno dei primi studiosi di robotica, nonché eminente neurochirurgo, Grey W alter, sfruttò il fatto di avere una serie di pazienti affetti da epilessia ai quali impiantò degli elettrodi nelle aree motorie del cervello. Collegò l'estremità degli elettrodi a un proiettore di diapositive in modo tale che, ogni volta che un paziente decideva (a suo libito, ogni volta che lo spirito lo muoveva) di passare alla diapositiva successiva, l'attività cerebrale rivelata nell'area motoria attivava direttamente il proiettore di diapositive che scattava alla diapositiva successiva. Il bottone che i pazienti schiacciavano era finto, non era collegato a nulla. L'effetto, diceva, era drammatico: i pazienti avevano l'impressione che, proprio mentre erano "in procinto" di schiacciare il bottone, ma prima che avessero deciso di farlo, il proiettore leggesse nella loro mente e strappasse letteralmente la decisione dalle loro manF Poìché la loro anticipazione della percezio-
ne del cambiamento della diapositiva veniva "battuta" dalla percezione, sempre leggermente in anticipo, di tale cambiamento, i pazienti erano condotti alla fermissima convinzione che stesse accadendo qualcosa di fantasmatìco; il proiettore di diapositive stava "leggendo" nella loro testa. ln un certo senso, questo era esattamente ciò che stava succedendo, solo che il proiettore non stava anticipando le loro decisioni prima che loro ne fossero consci- stava semplicemente "leggendo" ed eseguendo le loro decisioni coscienti a una velocità maggiore di quella utilizzata dai muscoli delle braccia per "leggere" ed eseguire le stesse indicazioni. Immaginatevi di infilare una fotografia in una busta e di spedirla (per posta tradizionale) a un amico, e supponete che la lettera venga prontamente intercettata da un ladro di posta che, per fare la sua birbonata, scandisce la vostra fotografia e la spedisce via e-mail al vostro amico qualche minuto dopo che voi avete imbucato la busta nella cassetta delle lettere. Dopo mezz'ora da quando avete fatto l'operazione, il vostro amico vi telefona e si meraviglia dei dettagli riportati nella fotografia. Voi vi aspettavate una chiamata del genere, ma non prima di due o tre giorni! Sarebbe a dir poco sconvolgente, e voi potreste essere tentati di saltare alla falsa conclusione di credere di aver spedito la lettera molto prima di quanto siate consci di averlo fatto avete mai sofferto di sonnàmbulismo in questi ultimi giorni? Una confusione analoga, immagino, è quella che si sta verificando nel caso dell'errata valutazione dei 300 millisecondi da parte dei soggetti di Libet. Quando eseguiamo un'azione intenzionale, normalmente controlliamo visivamente (e, ov-
2. Grey Walter descrisse questi esperimenti in una lezione a cui ebbi l'occasione dì assistere u Oxford nel 1963 o nel 1964. Il suo resoconto, per quanto ne so. non è mai stato pubblicato. Io e un certo numero di partecipanti a quella lezione abbiamo cercato di trm·are qualche traccia concreta di questa pubblicazione. senza successo, e molti- Wegner compreso hanno espresso il dubbio che a Oxford quel giorno Grey Walter ci stesse prendendo in giro. Forse è vero, ma la mia ipotesi è che egli abbia deciso di non pubblicare nulla perché, anche per gli standard di quei tempi, l'etica di quegli esperimenti era al limite: ai suoi pazienti erano stati impiantati cronicamente degli spinotti e sporge\·ano dai loro crani per mesi, un regime che probabilmente non an·ebbero mai accettato se non avessero pensato che fosse parte di un tmttamento che pote\·a migliorare la loro condizione di epilertici: m
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recm·ano loro alcun plausibile beneficio terapeutico. (Comunque, oggi sa· rebbe possibile riprodurre quesro effetto in modo non invasivo su soggetti normali. con l'aiuro della più rt'cente analisi ad alta velocità dei segnali elettrici del cuoio capelluto, o analisi ,\lEG [i\1agnetoEncefaloGrafial. La difficoltà tecnica maggiore non è quella di ottenere i dati. ma di elaborarli a una \'elocità sufficientemente elc\·ata da riprodurre l'effetto di anticipazione. Sebbene io non sia a conoscenza di alcuna riproduzione pubblicata dell'esperimento - o di alcuna fallita riproduzione -, pre\-edo che chiunque si la brig<~ di rifare il test e di realizzare la \'ariante che ho proposto in onerrà il risultato resté riportato. l
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viamente, con l'udito e il tatto) per essere sicuri che tutto stia avvenendo come è stato pianificato. La coordinazione occhio-mano è realizzata da un sistema di sensori fortemente intrecciato e dal sistema motorio. Supponiamo che io stia intenzionalmente scrivendo le parole "muovi il polso'' e desideri controllare eventuali errori di battitura presenti nel prodotto del mio gesto. Dato che i comandi motori richiedono un certo tempo per venire eseguiti, il mio cervello non dovrebbe mettere in relazione l'attuale comando moto rio con l'attuale risultato visivo poiché, nel momento in cui leggo la parola "muovi" sullo schermo, il mio cervello sta ancora inviando il comando di scrivere "polso" ai miei muscoli. Il mio cervello dovrebbe mantenere in circolo il comando precedente (scrivi "rrtuovi") abbastanza a lungo (inchiostro a essiccamento lento?) da poterlo utilizzare efficacemente per scopi di controllo visivo. Se questa consuetudine fosse sufficientemente radicata (e perché no?), dovrebbe interferire con il tentativo di realizzare l'atto innaturale di sincronizzare la decisione stessa piuttosto che l'azione eseguita. L'unico modo perché i dati di Libet implichino l'inquietante lacuna temporale di 300 millisecondi è quello di assumere che il giudizio di simultaneità che questa sua tesi chiama in causa non venga influenzato da una consuetudine di questo genere; ma noi abbiamo buone ragioni per pensare diversamente; in questo modo la lacuna diventa, in realtà, un artefatto di una teoria male elaborata, non una scoperta. Quando rimuoviamo il collo di bottiglia cartesiano, e con esso il riferimento al mitico istante t, il momento in cui si prende la decisione conscia, la scoperta fatta da Libet della finestra di 100 millisecondi utile per il veto viene meno. Allora, possiamo capire che il nostro libero arbitrio, come tutti gli altri nostri poteri mentali, deve essere distribuito nel tempo, e non può essere misurato in istanti. Una volta che voi distribuite il lavoro svolto dall'omuncolo (in questo caso, il processo decisionale, il controllo dell'orologio e il giudizio di simultaneità della decisione) sia nello spazio sia nel tempo all'interno del cervello, dovete analogamente distribuire la vostra capacità di
3. Uno dei commentatori di Libet che si avvicina a questa idea è Sean Gallagher: .. Penso che questo problema possa venire risolto una volta che noi non pensiamo più al libero arbitrio come a un atto istanraneo. Una volta che capiamo che le deliberazioni e le decisioni sono processi che si dispiegano nel tempo. sebbene, almeno in alcuni casi, in interYallì di tem· po molto piccoli. allora c'è ampio spazio per le componenti della coscienza che sono ben più che degli accessori successivi al fatto" (Gallagher, 1998). CMa poi egli prosegue dicendo che se il feedback è tutto inconscio, allora sarà .. deterministico", mentre se è conscio, non lo sarà. La concezio· ne cartesiana è dura a morire.)
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azione morale. Non siete fuori dal giro; voi siete il giro. Voi siete molto grandi. Non siete un punto privo di dimensione. Ciò che siete e ciò che fate incorporano tutte le cose che accadono; non sono qualcosa di separato da loro. Una volta che riuscite a vedervi in tale prospettiva, potete escludere il concetto che precedentemente vi pareva così convincente di un'attività mentale che è iniziata inconsciamente e che solo in seguito è "entrata nella sfera della coscienza" (dove voi state ansiosamente aspettando di entrarne in possesso). Questa è un'illusione, visto che molte delle vostre reazioni a quella attività mentale hanno avuto inizio in tempi precedenti -le vostre "mani" arrivano tanto lontano, sia nel tempo sia nello spazio.)
Il punto di vista dello scrittore di menti Illusoria o meno, la volontà cosciente è la guida alla responsabilità che una persona ha delle proprie azioni. DA:\!EL \\'EGI\TR,
The Illusion o/Conscious Will
Se il modello del processo decisionale cosciente abbozzato nel Teatro cartesiano dì Libet è troppo semplice, a che cosa dovrebbe assomigliare un modello più sofisticato? Quello di Daniel Wegner ha la curiosa virtù di essere a metà strada, nella giusta direzione. Essendo ancora troppo cartesiano, troppo legato alla seducente metafora del "posto nel cervello dove sono io'', illustra l'attrazione potente di quell'idea. È molto difficile, infatti, descrivere la fenomenologia immediata dei processi decisionali in qualsiasi altro termine, così che rilevando
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la posizione di Wegner a metà strada da casa, possiamo vedere meglio come portare a termine la nostra dipartita dal Teatro cartesiano. Tutti sanno che cosa cì si può aspettare da un lettore di menti; Wegner è un abile scrittore di menti. Ha escogitato un modo per comporre delle azioni intenzionali e imporle alle persone in modo che queste siano convinte di scegliere di farle di loro spontanea volontà. C'è un'industria casalinga, nel mondo filosofico delle ricerche sul libero arbitrio, che si dedica all'analisi di esperimenti mentali coinvolgenti vari immaginari scrittori di menti, come gli efferati neurochirurghi che impiantano congegni telecomandati nei cervelli delle loro vittime; ma la verità riguardo alla reale scrittura della mente ha alcune ìncrespature che sono, dal mio punto di vista, di enorme interesse filosofico. Come può fare qualcuno a scrivere delle intenzioni nella mente di qualcun altro? Non è forse vero che ognuno di noi ha un "accesso privilegiato" alle proprie decisioni e alle proprie scelte? No, non è proprio così. Uno dei temi principali del lavoro dì Wegner è la dimostrazione, attraverso i percorsi più diversi, che la nostra conoscenza della relazione tra i nostri pensieri e le nostre azioni (e tra i nostri pensieri e altri pensieri) ha solamente il "privilegio'' di un'ordinaria intìmità. Se io so meglio di voi che cosa sto per fare è solo perché io passo più tempo con me di quanto facciate voi. Ma se voi riuscite a infilare di nascosto nel mio flusso di coscienza le basi per delle false credenze, potete convincermi che sto prendendo decisioni "libere", quando invece siete voi a controllare le mie azioni. La tecnica di base per realizzare questo trucco è nota ai maghi, e da secoli: loro adesso la chiamano forcing psicologico e, in abili mani, può essere una tecnica di considerevole efficacia. Date alla vittima una serie di ragioni per pensare che lei e solo lei è responsabile della decisione che voi volete che prenda, e lei ci cascherà. Oppure, potete ingannarla lavorando nella direzione opposta, facendole cioè credere di non essere responsabile di qualcosa di cui. in realtà, è per esempio, la com-
posizione lettera per lettera del messaggio "spiritico" su una tavola Ouija. Wegner ha adattato il principio della tavola Ouija e le tecniche dei maghi alla strumentazione di laboratorio, producendo alcuni considerevoli risultati. I soggetti protagonisti dei suoi esperimenti sono sistematicamente portati ad attribuire erroneamente a se stessi decisioni che sono state, in realtà, prese da qualcun altro. La ragione per cui riescono a farsi raggirare così è che, come è stato evidenziato tanto vigorosamente da David lfume qualche secolo fa, essi non sono in grado di percepire la causalità. Non si può vedere quando essa agisce all'esterno e non si può percepire introspettivamente quando agisce dentro di noi. Ciò che la gente percepisce è la successione di accadimenti di un fenomeno dopo un altro; e per questo motivo casca nella magia di Wegner, come tutti noi cadiamo nella magia dei prestigiatori professionisti: siamo troppo solleciti a interpretare, a "notare" cose che causano altre cose, quando, in realtà, sia le ''cause" sia gli "effetti" sono conseguenze di un complesso macchinario che rimane celato ai nostri sguardi- dietro le quinte, di fatto. Wegner mostra che non abbiamo niente di simile a un accesso diretto alle cause e agli effetti delle nostre decisioni e delle nostre intenzioni; dunque, dobbiamo trarre delle inferenze - rapidamente e senza alcuna trionfalismo logico. In realtà, siamo anche molto bravi a farlo; le inferenze che traiamo sono spesso inferenze che puntano alla spiegazione migliore della sequenza di cui abbiamo fatto esperienza, a parte quando un furbo manipolatore inserisce nel gioco premesse che traggono in mganno. Notate come l'introduzione della questione degli accessi privilegiati ci ponga automaticamente sulla china insidiosa del Teatro cartesiano: ci sono cose che succedono dentro di me di cui io non sono a conoscenza, e poi ci sono cose che io conosco "direttamente"- mi vengono in qualche modo consegnate ovunque io sia. Invece di contrastare questa visione, Wegner si consente il lusso di ricorrere all'intera concezione di Cartesio, quando questa risulta funzionale ai suoi scopi: "Non
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possiamo assolutamente conoscere (per non parlare di tenere traccia di) l'enorme numero delle influenze meccaniche che agiscono sul nostro comportamento, perché noi abitiamo una macchina straordinariamente complicata" (Wegner, 2002, p. 27). Questa macchina che abitiamo semplifica le cose a nostro beneficio: "L'esperienza della volontà, poi, è il modo in cui la nostra mente ritrae per noi le sue operazioni; quindi, non le operazioni reali" (p. 96). In altre parole, noi riusciamo solo a farci un'idea utile, ma distorta, di quello che accade nel nostro cervello:
zione emerge solo dopo che l'RP segnala che gli eventi del cervello hanno già cominciato a creare l'azione (e probabilmente, pure l'intenzione e l'esperienza alla base della volontà cosciente). (Wegner, 2002, p. 59)
L'unica utilità che l'essere umano può ricavare dai pensieri coscienti che prevedono le sue azioni è il privilegio concessogli di sentire che ha caparbiamente causato quello che ha fatto. In realtà, meccanismi inconsci e imperscrutabili hanno creato sia il pensiero cosciente sull'azione sia l'azione stessa, e hanno anche prodotto la sensazione di volontà che proviamo percependo il pensiero come causa dell'azione. Così, mentre i nostri pensieri possono avere profonde, importanti e inconsce connessioni causali con le nostre azioni, l'esperienza della volontà cosciente emerge da un processo che interpreta queste connessioni, non dalle connessioni stesse. (Wegner, 2002, p. 98)
Un Sé per sé Strane, però, tutte queste trattative tra me e me. Prima, mi sono imposto un pnnCJpiO base; adesso, mi espongo la resi e discuto con me stesso sensazioni e intenzioni riguardo al dipinto. Chi sarà mai quest'altro Sé, questo fantomatico partner interiore, con il quale sto prendendo tanti accordi? MICHAEL FRAY!\, A testa bass(/ I filosofi e gli psicologi sono soliti parlare di un organo di unificazione, chiamato il Sé, che può variamente "essere" autonomo, diviso, individuato, fragile, ben delimitato. e così via; ma non è necessario che quest'organo esista come tale. GH 'RGL :\INSLIE,
Breakdou·n ofWi!!
Un 'azione volontaria è qualcosa che una persona può fare quando le I'Ìene richiesto. DAt\IEL \\'E(;:"ER,
The l!lusùm o/Conscious Wil!
La coscienza e l'azione sembrano giocare al gatto col topo tut· to il tempo. Sebbene possiamo essere coscienti di tutte le prospettive dell'azione, prima che questa si metta in moto, è come se la mente cosciente poi perdesse contatto. Una microanalisi dell'intervallo temporale prima e dopo l'azione indica che la coscienza salta dentro e fuori dalla situazione e non fa realmente nulla [corsivo mio- DCD]. La ricerca di Libet, per un verso, fa pensare che, quando si giunge all'istante reale dell' azione spontanea, l'esperienza di volere coscientemente l'a-
Così, "la coscienza[. .. ] in realtà non fa niente", almeno a detta di Wegner; e questo è il motivo per cui ìllibero arbitrio è, come recita il titolo del suo libro, un'illusione. C'è, però, una via d'uscita a questa visione, se si ricorre a un lieve cambiamento di prospettiva che, di fatto, è già implicito nell'opera di Wegner. La coscienza ha un sacco di lavoro da fare, ma il suo compito sembra scomparire quando ci chiediamo che cosa stia facendo proprio ora (all'istante t). Poiché in ogni momento "in realtà non fa niente", può sembrare che essa sia un ornamento totalmente epifenomenico, che è insieme con noi solo per farsi un giro gratis. Un approccio evoluzionistico, però, ci mostra perché questa concezione è sbagliata. Uno dei fenomeni che Wegner ci offre per un'analisi mig~iore è !'"automatismo ideomotorio". Questo è il nome conzato per indicare il fenomeno familiare- ma spesso sconcertante in cui il pensiero di qualcosa porta a un'azione corpo-
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Chi o che cosa è questo "noi" che abita il cervello? È un commentatore e un interprete che ha un accesso limitato alla vera macchina, più simile a un addetto stampa che a un presidente o a un dirigente. E tali immagini ci portano direttamente alla concezione di Libet della "volontà cosciente" come qualcosa "fuori dal giro".
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rea correlata con l'oggetto di quel pensiero, senza che tale azione sia un'azione intenzionale. Per esempio, potreste tradire un vostro desiderio sessuale segreto con un movimento della mano rivelatore, un movimento che non intendevate fare e che, di fatto, sarebbe imbarazzante scoprire. In un caso del genere, voi non siete coscienti della relazione causale tra il desiderio e l'atto; ma questa c'è, ed è altrettanto evidente della relazione tra l'aroma del buon cibo e l'aumento di salivazione. La caratteristica principale delle azioni ideomotorie è che la gente tende a dimenticarle - hanno un accesso non privilegiato, potreste dire. È come se la nostra mente, solitamente trasparente. avesse installato cortine o barriere, dietro le quali queste catene causali possono venire intrecciate rimanendo però celate alla nostra introspezione, e producendo così effetti senza la nostra collaborazione. "Questo esercito spettrale di azioni inconsce lancia una seria sfida alla nozione di un agente umano ideale. Le più grandi contraddizioni al nostro ideale di azione cosciente compaiono proprio quando scopriamo che ci stiamo comportando senza alcuna idea cosciente di quello che stiamo facendo'' (Wegner, 2002, p. 157). Per Cartesio la mente era perfettamente trasparente a se stessa; non c'era nulla che accadesse lontano dalla sua vista; c'è voluto ben più di un secolo di teorizzazioni psicologiche e di sperimentazioni per erodere questa idea della perfetta possibilità di introspezione, la quale, possiamo vederlo bene noi adesso, fa fare passi indietro alla comprensione di tutta la faccenda. La coscienza delle molle di azione è l'eccezione, non la regola: richiede, comunque, che alcune circostanze piuttosto notevoli si siano evolute completamente. Le azioni ideomotorie sono i fossili, in realtà, di un'era precedente, di un periodo quale i nostri antenati avevano meno indizi di quanti ne abbiamo noi oggi su quello che stavano facendo. Come dice Wegner: "Piuttosto di aver bisogno di una teoria per spiegare le azioni ideomotorie, noi potremmo solo aver bisogno di spiegare perché le azioni ideomotorie e l'automatismo abbiano eluso il meccanismo che produce l'esperienza della volontà" (p. 150). Nella maggior parte delle specie che siano mai vissute, la 328
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causalità "mentale" non ha bisogno di, e quindi non evolve, alcuna capacità elaborata di automonitoraggio. In generale, le cause lavorano piuttosto bene al buio, senza aver bisogno di essere osservate da qualcuno, e ciò vale tanto per le cause nel cervello degli animali quanto in qualsiasi altro luogo. Così, per quanto le facoltà discriminatorie di un animale possano essere "cognitive", la capacità dei loro risultati di causare la selezione di comportamenti appropriati non ha bisogno di essere sperimentata da niente o da nessuno. Un fascio di collegamenti situazione-azione di sofisticazione senza fine può risiedere nel sistema nervoso di una creatura elementare e soddisfare tutto l'insieme delle sue necessità, senza alcuna ulteriore supervisione. Le sue azioni individuali possono aver bisogno di essere guidate da una certa quantità di automonitoraggio interno (specifico all'azione), in modo da essere sicuri, per esempio, che ogni attacco alla preda raggiunga l'obiettivo, o di mettere le bacche davvero in bocca, o di guidare il delicato contano con l'apparato sessuale di un conspecifico dell'opposto sesso; ma questi cicli di retroazione si possono isolare, come se fossero ristretti a una funzione, come i controlli che incitano il sistema immunitario ad agire quando si profila un'infezione, o ad aggiustare il battito cardiaco e la respirazione durante un esercizio fisico. (Questa è la verità che sottende l'intuizione, profondamente fraintesa, che gli invertebrati, se non gli animali "superiori, a sangue caldo", potrebbero essere dei "robot" o degli "zombi", del tutto privi di mente.) Mano a mano che le creature acquisiscono un numero sempre maggiore di queste opzioni di comportamento, tuttavia, il loro mondo si complica e il valore dell'ordine interno può diventare qualcosa di "apprezzato'' dalla selezione naturale. Molte creature hanno sviluppato comportamenti istintivi elementari al fine di realizzare quello che si potrebbe chiamare un perfezionamento del proprio ambiente, la preparazione di percorsi, posti di vigìlanza, nascondigli e altre caratteristiche dei dintorni, solitamente rendendo il territorio locale più facile da girare e più facile da capire. Analogamente, con l' aumentare dei bisogni, le creature evolvono istinti per adornare il lo329
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ro ambiente più intimo: il loro stesso cervello - creando percorsi e punti di riferimento per utilizzi posteriori. Lo scopo inconsciamente seguito in questi preparativi è per la creatura arrivare a conoscere il cammino verso se stessa; ma quanti di questi addobbi della casa interiore siano da attribuire a una automanipolazione individuale del Sé e quanti, invece, siano una conseguenza dei geni, è questione empirica aperta. Lungo uno di questi percorsi, o lungo molti di questi, si trovano quelle innovazioni che conducono a creature capaci di considerare varie linee di azione, prima di impegnarsi a seguirne una, e capaci di valutarie sulla base delle proiezioni del probabile esito di ognuna di loro. Nel capitolo 5 abbiamo preso in considerazione l'avvento degli apparati a scelta che erano in grado di valutare gli esiti probabili di opzioni candidate prima della decisione. Entro l'attività di ricerca dei cervelli per la produzione di un futuro utile, questo è un notevole passo avanti rispetto all'attività rischiosa della cieca procedura per tentativi ed errori, poiché, come ha detto una volta Karl Popper, ciò fa sì che alcune delle nostre ipotesi muoiano al nostro posto. Siffatte creature popperiane, come io le ho battezzate, possono controllare alcune delle loro intuizioni ricorrendo a simulazioni informate, piuttosto che mettendole a rischio direttamente nel mondo reale; ma non hanno bisogno di comprendere il motivo di questa miglioria per poterne cogliere i benefici. L'apprezzamento degli effetti probabili di azioni particolari è insito in ogni valutazione di questo tipo, ma l'apprezzamento degli effetti della contemplazione in sé è un livello di automonitoraggio ancora superiore, ben più opzionale. Non avete bisogno di sapere di essere una creatura popperiana, per esserlo. Dopotutto, ogni programma computerizzato di scacchi considera e scarta migliaia di milioni di mosse possibili sulla base del loro esito probabile, e non è per questo un agente manifestamente cosciente o autocosciente (non ancora: il futuro potrebbe riservare robot coscienti e persino autocoscienti, che certamente non sono creature impossibili). Che cosa è comparso nel mondo per incoraggiare l' evoluzione di un'implementazione meno involontaria del controllo
comportamentale popperiano? Quale nuova complessità ambientale ha mai favorito le innovazioni apportate nella struttura di controllo che hanno reso tutto ciò possibile? In una parola, la comunicazione. È stato solo dopo aver iniziato a sviluppare un'attività di comunicazione, e in particolare di comunicazione delle sue azioni e dei suoi progetti, che una creatura ha dovuto avere certe capacità per monitorare non solo i risultati delle proprie azioni, ma anche delle proprie precedenti valutazioni, come anche della formazione delle sue intenzioni (M cF arland, 1989). A quel punto, c'era bisogno di un livello di automonitoraggio che tenesse traccia di quali schemi di situazione-azione fossero ancora in attesa di esecuzione, o di quali fossero in quel momento in concorrenza per l'esecuzione - e di quali candidati fossero stati presi in considerazione dalla facoltà di ragionamento pratico, se quest'ultimo non è un termine troppo grandioso per indicare l'arena dove avvenivano le competizioni. Come si è potuto sviluppare questo nuovo talento? Possiamo raccontare una Storia Proprio Così che può evidenziare le caratteristiche essenziali del processo. Paragonate la situazione che hanno dovuto affrontare i nostri antenati (e Madre Natura) con quella che affrontano gli ingegneri del software che vogliono rendere i computer più facili da usare. I computer sono macchine diabolicamente complesse, la maggior parte dei loro dettagli è intricata fino alla nausea e, almeno nella maggior parte dei casi, non è nemmeno troppo degna di nota. Agli utenti dei computer non serve avere informazioni sullo stato di tutti i flip-flop, sull'attuale posizione dei loro dati sul disco, e così via; perciò, i progettisti di software hanno creato una serie di semplificazioni- persino distorsioni benigne, in molti casi - di quella verità così complicata, astutamente studiate per captare, e per migliorare, i poteri di percezione e di azione preesistenti negli utenti. Il metodo di trascinamento, gli effetti sonori e le icone sul desktop sono le più famose e le più ovvie di queste; ma tutti coloro che sono interessati a scavare più a fondo troveranno una miriade di altre metafore che aiutano a farsi un'idea di ciò che sta avvenendo all'interno, ognuna di queste a prezzo di una
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semplificazione. A mano a mano che interagivano sempre di più con i computer, le persone hanno sviluppato una quantità di nuovi trucchi, progetti, scopi, modi di usare e di abusare di competenze progettate per loro dagli ingegneri, che a quel punto tornavano alla fase di progettazione per sviluppare ulteriori raffinamenti e migliorie, che a loro volta erano oggetto di uso e abuso, innescando così un processo coevolutivo che continua di buon passo anche oggi. L'interfaccia utente con cui interagiamo oggi era inimmaginabile, quando apparvero i primi computer; ed è la punta di un iceberg in più di un senso: non solo i dettagli di ciò che avviene all'interno del vostro computer vi sono celati, ma cosi lo sono anche i dettagli della storia dell'attività di R&S, le false partenze, le pessime idee che si sono concluse in un nulla di fatto prima ancora di raggiungere il pubblico (così come quelle più note che invece lo hanno raggiunto, ma hanno fallito l'aggancio). Un siffatto processo di attività di R&S ha portato all'interfaccia utente che viene utilizzata da persone parlanti per comunicare con altre persone parlanti, e ha rivelato principi progettuali e motivazioni razionali (in fluttuazione libera) simili. un ulteriore caso di coevoluzione, con il comportamento, gli atteggiamenti e gli obiettivi delle persone che evolvevano in risposta ai nuovi poteri che avevano scoperto. Ora la gente può /are delle cose con le parole, qualcosa che non aveva mai potuto fare prima, e la bellezza dell'intero sviluppo è che ciò tende a rendere quelle caratteristiche dei loro complicati vicini, che avevano più interesse a modificare, prontamente accessibili alla regolazione dall'esterno- anche da parte di qualcuno che non sapeva nulla del sistema di controllo interno, il cervello. Questi nostri antenati hanno scoperto intere classi generative di comportamenti per regolare il comportamento degli altri, e per monitorare e modulare (e, se era il caso, per resistere a) la mutua regolazione dei loro stessi controlli del comportamento da parte degli altri. La metafora centrale di questa illusione dell'utente umano coevoluto è il Sé, che sembra risiedere in un posto nel cervello, il Teatro cartesiano, munito di una vista limitata e metafori-
ca di ciò che sta accadendo entro il cervello. Esso fornisce questa vista ad altri, e a noi-stessi. In realtà, noi non esisteremmo- come dei Sé "che abitano meccanismi complessi", come dice vividamente lo stesso Wegner -,se non fosse per l'evoluzione delle interazioni sociali che ha richiesto a ogni animale umano di creare all'interno di sé un sottosistema progettato per interagire con gli altri. Una volta creato questo sottosistema, l'individuo era in grado di interagire anche con se stesso in differenti tempi. Fino a quando non siamo comparsi noi esseri umani, nessun agente in tutto il pianeta ha goduto della curiosa non-dimenticanza che abbiamo noi dei collegamenti causali che sono emersi come salienti solo una volta che abbiamo iniziato a parlare di ciò che stavamo facendo. 4 Per dirla ancora con \'Vegner: ''Le persone diventano quel che pensano di essere, o quel che scoprono che gli altri pensano che siano, in un processo di negoziazione che cresce inesorabilmente come una valanga" (Wegner, 2002, p. 314). Quando gli psicologi e i neuroscienziati escogitano una nuova situazione sperimentale o un paradigma nel quale controllare soggetti non umani come topi, gatti, scimmie o delfini, spesso devono dedicare dozzine o persino centinaia di ore a ogni soggetto per prepararlo ai nuovi compiti. Una scimmia, per esempio, può essere addestrata a guardare a sinistra, se vede una griglia muoversi verso l'alto, o a destra, se vede una griglia muoversi verso il basso. Un delfino può essere addestrato a recuperare un oggetto che ha lo stesso aspetto (o lo stesso suono, per il suo sistema di ecolocalizzazione) di un oggetto mostratogli dal suo addestratore. Ognuno di questi addestramenti richiede tempo e pazienza, da parte sia dell'allenatore sia del soggetto stesso. Ai soggetti umani in esperimenti di questo genere, però, si può di solito semplicemente descrivere quello che ci sì aspetta che essi facciano. Dopo una breve sessione di domande-risposte e pochi minuti di pratica, noi sog-
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.f. I filosofi potrebbero voler paragonare la mia Storia Proprio Così con
il mito di Wilfrid Sellars 11963 ì dei "nostri antenati Ryleani". e di ··Jones, l"im·enrore dei pensieri··. Il mio debito con Sellars dmrebbe essere loro chiaro.
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getti umani diventiamo del tutto competenti del nuovo contesto, almeno quanto qualsiasi altro agente potrà mai esserlo. Ovviamente, dobbiamo capire bene le descrizioni che ci vengono presentate in questi incontri, e ciò che ci viene richiesto deve essere composto di parti-azioni che rientrano nell'insieme delle cose che siamo in grado di fare. Ecco ciò a cui si riferisce Wegner, quando identifica le azioni volontarie come quelle cose che possiamo fare quando ci viene richiesto di farle. Se vi fosse richiesto di abbassare la vostra pressione sanguigna, di regolare il vostro battito cardiaco o di muovere le orecchie, non sareste altrettanto pronti a soddisfare richieste del genere, sebbene con un po' di allenamento, non molto dissimile da quello che si pratica con gli animali da laboratorio, potreste alla fine essere in grado di aggiungere siffatte capacità al vostro repertorio di azioni volontarie. Come mi ha fatto notare Ray Jackendoff, quando è comparso il linguaggio, esso portò con sé il tipo di mente in grado di trasformarsi, così su due piedi, in una macchina virtuale alquanto differente, capace di assumere nuovi progetti, cercare nuove regole, adottare nuove politiche. Noi siamo dei trasformisti. Questo è ciò che è una mente, a differenza di ciò che è il mero cervello: il sistema di controllo del trasformista camaleontico, una macchina virtuale per creare altre macchine virtuali. Gli animali non umani possono venire coinvolti in azioni volontarie, per così dire. L'uccello che sta volando dove vuole, sta volteggiando volontariamente in quella o in quell'altra direzione, sta muovendo volontariamente le sue ali, e lo fa senza usufruire dei vantaggi del linguaggio. La distinzione incorporata nell'anatomia tra ciò che si può fare volontariamente {muovendo i muscoli striati) e ciò che succede automaticamente, mosso da muscoli lisci e controllato dal sistema nervoso autonomo, non è il punto in questione. Abbiamo aggiunto un livello che va oltre le capacità dell'uccello (come del primate o del delfino), quello di decidere che cosa fare dopo. Non è un livello anatomico del cervello, ma un livello funzionale, un livello virtuale formatosi in qualche modo nei particolari microscopici dell'anatomia del cervello: possiamo chiederci a vi-
cenda di fare delle cose e possiamo chiedere a noi stessi di fare delle cose. E almeno qualche volta riusciamo a soddisfare prontamente queste richieste. Sì, potete "chiedere" al vostro cane di svolgere un certo numero di compiti volontari, ma il vostro cane non vi può chiedere perché gli fate queste richieste. Un maschio di un babbuino può "richiedere" a una femmina vicina un po' di grooming, ma nessuno dei due può discutere il probabile esito del soddisfacimento di quella richiesta, un esito che potrebbe avere serie conseguenze per entrambi, specialmente se il maschio non è il maschio dominante del gruppo. Noi esseri umani non solo possiamo fare delle cose a richiesta; possiamo anche esigere chiarimenti su ciò che stiamo facendo, e sul perché. Possiamo cioè venire coinvolti nella pratica del chiedere e del fornire spiegazioni. È questo genere di richieste, che possiamo anche rivolgere a noi stessi, che crea la categoria speciale di azioni volontarie che ci distingue. Altri sistemi intenzionali più elementari agiscono in modi che sono nitidamente predicibili sulla base di credenze e desideri che noi attribuiamo loro in seguito, in conseguenza dei nostri studi dei loro bisogni e della loro storia, dei loro talenti percettivi e comportamentali; ma alcune delle nostre azioni sono, come ha insistito ad affermare Robert Kane, in grado di formarsi da sole in un senso moralmente rilevante: emergono come risultanti dalle decisioni che prendiamo nel corso dei nostri sforzi per dare un senso a noi stessi e alle nostre vite (Coleman, 2001). Una volta che iniziamo a parlare di quello che stiamo facendo, abbiamo bisogno di tenere traccia di quello che facciamo, in modo da fornire risposte pertinenti alle domande in proposito. Il linguaggio ci richiede di tenere traccia delle cose; ma ci aiuta anche a farlo, aiutandoci a classificare e a ipersemplificare i nostri programmi. Non possiamo fare a meno di diventare psicologi dilettanti di noi stessi. Nicholas Humphrey e altri hanno parlato dei primati e di altre specie fortemente sociali come di psicologi naturali, per via della manifesta abilità e attenzione che dedicano a interpretare ognuno il comportamento dell'altro; ma fino a quando, al contrario degli psicologi accademici - e
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degli altri esseri umani-, i primati non confronteranno i loro appunti, per discutere sulle attribuzioni di ragioni e credenze, la loro competenza di psicologi non li obbligherà mai a utilizzare rappresentazioni esplicite. Per noi è differente. Noi abbiamo bisogno di avere qualcosa da dire, quando ci viene chiesto che diavolo stiamo facendo. E quando rispondiamo, la nostra autorità è problematica. II biologo dell'evoluzione William Fiamilton, riflettendo sulla propria difficoltà a riconoscere questo fatto, ha formulato il problema in modo particolarmente chiaro:
Wegner ha ragione, allora, a identificare il Sé che emerge tanto dai suoi esperimenti quanto da quelli di Libet con un agente addetto alle pubbliche relazioni, un portavoce e non un capo: ma questi sono casi eccezionali, adatti a isolare fattori che normalmente sono integrati, e noi non abbiamo bisogno di identificare noi stessi in modo tanto preciso con un Sé isolato temporalmente in questo modo. (Se vi fate veramente piccoli, ecc.) Wegner attira la nostra attenzione su tutte le volte non infrequenti per quelli di noi che sono "con la mente altrove"- in cui ci troviamo con un pensiero perfettamente cosciente che semplicemente ci sconcerta: è come se fosse, come ha detto meravigliosamente, cosciente ma non accessibile (Wegner, 2002, p. 163). (Ora. perché sto in piedi in cucina di fronte alla credenza? So che sono nel posto dove volevo venire, ma che cosa sono venuto a prendere qui?) In
un momento del genere, io ho perso traccia del contesto, e quindi della raison d'ètre di questo stesso pensiero, di questa esperienza cosciente; quindi, il suo significato (e questo è ciò che è più importante) non 1m è temporaneamente più accessibile - al me più grande che sovrintende alla costruzione delle linee di condotta- di quanto non lo sarebbe a qualsiasi sconosciuto, qualsiasi "osservatore" esterno che vi si imbattesse. Anzi, un astante potrebbe benissimo essere in grado di rammentarmi che cosa stavo cercando di fare. La capacità che fa sì che qualcosa mi possa venire rammentata (riportata alla mente) è cruciale, poiché è solo questa che può convincermi che l'astante ha ragione, che quello che lui dice era effettivamente ciò che io stavo facendo. Se il pensiero o il progetto appartiene a qualcuno, appartiene a me appartiene al me che lo ha messo in moto e che gli ha fornito un contesto nel quale questo pensiero ha acquisito un senso; è solo che quella parte di me che è rimasta sconcertata non è momentaneamente in grado di accedere all'altra parte di me che è l'autore di questo pensiero. Potrei sostenere, come scusante, che non ero rne stesso quando ho fatto quell'errore, o quando ho dimenticato quello che stavo facendo, ma questo non è il disordine grave dell'autocontrollo che si osserva nella schizofrenia, nel1a quale i pensieri stessi del paziente vengono interpretati (da lui stesso) come voci di estranei; questa è solo la fuggevole perdita di contatto che può distruggere un piano perfettamente escogitato. Molto di ciò che voi siete, molto di ciò che state facendo o che conoscete sorge da strutture che sono giù nella sala macchine e che fanno in modo che le azioni vengano eseguite. Se uno dei vostri pensieri è solo conscio, ma non è contemporaneamente accessibile a quel macchinario (a una parte di esso, al macchinario che ne ha bisogno}, allora voi non potete fare nulla con quel pensiero e vi ridurrete a biascicare in silenzio quella dannata frase a voi stessi, al vostro Sé isolato, in continuazione. Anzi, la coscienza isolata non può fare granché da sola. Né la si può ritenere responsabile di alcunché.
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Nella vita, che cos'era che volevo veramente? Il mio conscio e apparentemente indivisibile Sé stava diventando qualcosa di molto diverso da ciò che avevo immaginato e io non ho bisogno di provare così tanta vergogna per la mia autocommiserazione! Sono stato un ambasciatore mandato all'estero da una fragile coalizione, un portatore di ordini conflittuali, dati da padroni impacciati di un impero diviso [. .. ]. Nello stesso momento in cui scrivo queste parole, anche per il solo fatto di essere in grado di scriverle, mi aggrappo a un'unità nella profondità del mio animo, so ora che non esiste. (Hamilton. 1996, p. 134)
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Come nota Wegner: "Se le persone dimenticassero spesso i compiti per la semplice ragione che i compiti sono stati completati, questo segnalerebbe una perdita di contatto [corsivo mio- DCD] con le loro intenzioni iniziali una volta terminate le azioni- e indicherebbe, quindi, una certa tendenza a rivedere le loro intenzioni" (Wegner, 2002, p. 167). Una perdita di contatto tra cosa e cosa? Tra un Ego cartesiano che non fa nulla e un cervello che prende tutte le decisioni? No. Una perdita di contatto tra il voi che era in sella prima e il voi che è in sella adesso. Una persona deve essere in grado di rimanere in contatto con le intenzioni passate e con quelle future, e uno dei più importanti compiti dell' autoillusione dell'utente del cervello, illusione che chiamo il Sé come centro di gravità narrativa, è quello di fornirmi dei modi per interfacciarmi con il me stesso di un altro momento temporale. Per dirla con Wegner: "La volontà cosciente è particolarmente utile, quindi, come guida per noi stessi" (p. 28). Il trucco prospettico che dobbiamo utilizzare per poter sfuggire alle grinfie del Teatro cartesiano è quello di arrivare a vedere che io (l'Io maggiore, un Sé temporalmente e spazialmente esteso) posso controllare, fino a un certo punto, ciò che succede entro la barriera della semplificazione, dove avvengono i processi decisionali, e questo è il motivo per cui, come ha detto Wegner, "illusoria o meno, la volontà cosciente è la guida alla responsabilità che una persona ha delle proprie azioni" (p. 341). So bene che molti trovano questa idea difficile da afferrare o anche solo da considerare seriamente. Pensano che questo sia un trucco realizzato con gli specchi, una sorta di gioco di prestigio verbale che fa sparire la coscienza, e il vero Sé, dalla vista, proprio quando era in procinto di esservi introdotto. Facendo eco a Robert Wright, molti sembrano dell'opinione che tale punto di vista neghi l'esistenza della coscienza, invece che spiegare in che modo essa sia comparsa. A che punto compare la coscienza? È già lì, ignorata nel cuore dell'attività appena descritta. I contenuti mentali non diventano coscienti entrando in qualche speciale camera del cervello, o venendo
trasdotti in un qualche privilegiato e misterioso medium, ma vincendo la concorrenza di altri contenuti mentali per il dominio del controllo del comportamento, e quindi dell'attenimento di effetti durevoli nel tempo- o, come diciamo in modo erroneo, "entrando nella memoria". E dal momento che siamo esseri parlanti, e dal momento che parlare con noi stessi è una delle nostre più influenti attività, uno dei modi più efficaci- ma non il solo- che un contenuto mentale ha di diventare influente è quello di trovarsi nella posizione di poter guidare quelle parti dei controlli che utilizzano il linguaggio. Tutto ciò deve succedere nell'arena del cervello, nel ''centro dell' elaborazione", ma senza la direzione di nulla o nessuno. Come ha notato Ainslie: "L'ordinata piazza del mercato interiore rappresentata dalla teoria dell'utilità abituale diventa una complicata situazione di gratis-per-tutti" (Ainslie, 2001, p. 40): l'Ego cartesiano frammentato in coalizioni cangianti, senza alcun re o presidente di giuria.
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Supponiamo che tutti questi strani processi competitivi stiano avvenendo all'interno del mio cervello, e supponiamo che, come hai detto, i processi coscienti siano solamente quelli che vincono queste lotte. Come può questo renderli coscienti? Che cosa capita loro dopo, che fa sì che io sia conscio della loro esistenza? Poiché, dopotutto, è la mia coscienza ciò che io conosco da una prospettiva in prima persona, che ha bisogno di venire spiegata! CONRAD:
Una domanda come questa tradisce una profonda confusione, poiché presuppone che ciò che Tu sei sia qualcosa d'altro, una qualche res cogitans cartesiana da aggiungere a tutta questa attività cervello-e-corpo. Ciò che tu sei, Conrad, è solo questa organizzazione di tutte le attività in competizione tra una miriade di capacità che il tuo corpo ha sviluppato. Tu sei "automaticamente" a conoscenza di tutte queste cose che stanno accadendo nel tuo corpo, perché, altrimenti, esso non sarebbe il tuo corpo! Gli atti e gli e\'enti di cui ci puoi parlare, e le ragioni a loro sostegno, sono tuoi, perché sei stato tu ad averli fatti - e per-
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ché loro hanno fatto te. Ciò che tu sei è quell'agente di cui puoi raccontare la vita. La puoi raccontare a noi e la puoi raccontare a te stesso. Il processo di autodescrizione ha inizio nella primissima infanzia e richiede una buona dose di fantasia fin dal principio (pensa a Snoopy dei Peanuts, che siede sul tetto del suo canile e pensa: "Ecco l'asso della prima guerra mondiale che si sta gettando nella mischia''). Continua durante tutta la vita (pensa al cameriere del caffè nella discussione di Jean-Paul Sartre sulla "malafede" in L'essere e il nulla [Sarrre, 194.3], che è tutto preso dall'imparare come fare a convivere con la sua descrizione di sé come cameriere). È dò che noi facciamo. È ciò che noi siamo.; Le richieste della comunicazione non creano solamente il bisogno di quella sorta di disposizioni in grado di automonitorarsi che creano l'illusione del Teatro cartesiano. Esse preparano la psicologia umana a una ricca varietà di elaborazioni ulteriori. Il fatto che le complessità primarie nei nostri ambienti non siano solamente altri agenti - predatori o prede o rivali o compagni potenziali- ma altri agenti comunicanti- amici o nemici potenziali, concittadini potenziali ha ancora ulteriori implicazioni per l'evoluzione della libertà umana: queste verranno esposte nei due capitoli restanti. Capitolo8
Quando e dove prendiamo esattamente le nostre decisioni? Quando analizziamo più da vicino le decisioni consce delle persone, scopriamo che questa richiesta di precisione spazio-temporale collassa, creando l'illusione di un Sé isolato e senza potere. Ridiamo il potere, e quindi le potenzialità di una responsabilità morale, al Sé riconoscendo che i suoi doveri sono distribuiti nel cervello sia spazialrnente sia ternporalmente. 5. Alcune partì dei tre precedenti paragrafi sono tratte, con alcune mo· dìficazìoni, da Dennen 1!997b l.
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Capitolo 9
Quali sono i prerequisiti dell'autonomia e come si possono mai ottenere? Per poter essere degli agenti morali dobbiamo essere in grado di agire secondo ragioni che siano le nostre ragioni, ma noi siamo, al più, ragionatori imperfetti. Possiam:o veramente essere sufficientemente razionali da riuscire a sostenere la visione che abbiamo di noi stessi come agenti morali genuini e, se ci riusciamo, come facciamo a ottenere questo risultato?
Fonti e letture consigliate
I saggi più recenti di Libet sull'argomento sono stati pubblicati in un volume ispirato ai suoi esperimenti, Tbe Volitional Brain (Libet et al., 1999), che include saggi di psicologia, neurologia, teologia, filosofia, e anche qualcuno solo bizzarro. Il volume è un insuperato esempio di apertura mentale; prova di questa mia affermazione è la presenza, come saggio che conclude la raccolta, di una tagliente recensione dello stesso lavoro, "Review of The Volitional Brain", per mano di Thomas Clark (1999), che espone in maniera incisiva ma corretta tutti gli errori maggiori e le confusioni presenti nei saggi che la precedono. l filosofi hanno scritto a non finire della contraddizione pragmatìca conseguente all'asserzione di enunciati come "p e nessuno dovrebbe credere che p". Ora hanno un esempio nel mondo reale di siffatta contraddizione pragmatica su grande scala (in realtà, Stephen Stich li ha battuti sul tempo; il primo capitolo del suo Deconstructing the Mind [ 1996] dà a intendere esplicitamente di respingere i capitoli che lo seguono: saggi ristampati, alcuni dei quali scritti insieme con i suoi stu~enti poi laureati. È un esempio di come si possa cambiare rdea in pubblico. esempio che mi piacerebbe venisse preso a modello da pane di un numero maggiore di filosofi, sebbene mi chieda quanti dei coautori di quei saggi fossero altrettanto pronti ad abbandonare la nave quanto Io era lui: non viene detto). Le mie analisi degli esperimenti di Libet includono il 341
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capitolo 6, "Tempo ed esperienza'', di Coscienza !Dennett, 1991al; il saggio un po' più tecnico scritto con Marcel Kinsbournc, "Time and the observer: the where and when of consciousness in the brain", pubblicato in Bebavioura! and Bra in Sciences, 1991 (si veda anche il commento di Libet presente in quel volume); e i miei contributi, compreso il dibattito con Liber, nel volume degli atti del simposio della CIBA Foundation del 1993, Experimental and Tbeoretical Studies o/ Consciousness, specialmente le pp. 134-135. Si veda anche il resoconto di Libet contenuto in Libet (1996). La letteratura filosofica sugli efferati neurochirurghi che impiantano apparecchi per il controllo a distanza nel cervello dei loro pazienti nasce prevalentemente dal classico saggio di Harry Frankfurt del 1969, "Alternative possibilities an d moral responsibility". Si vedano Kane (200 l) e il migliore tra i libri recenti, Responsibility and Contro!: A Tbeory o/Mora! Responsibility (1998) diJohn Martin Fischer e Mark Ravizza. Il problema della permeabilità della linea di confine tra apprendimento individuale e "istinto" supportato dall'ereditarietà genetica viene sollevato in modo particolarmente interessante dall'effetto Baldwin, o da ciò che C.H. Waddington ha chiamato l'assimilazione genetica, un argomento che ho analizzato sia in Coscienza (199la) sia in L'idea pericolosa di Darzvin (1995 l. Un'ondata di nuove riflessioni sull'effetto Baldwin è stata recentemente raccolta in un volume di prossima pubblicazione, a cura di Bruce Weber e David Depew, che include una mia ampia difesa dell'effetto Baldwin, "The Baldwin eftect: a crane, nota skyhook'' (Dennett, 2002b). In questo capitolo ho anche sviluppato ulteriormente idee presenti in La mente e le menti (Dennett, 1996a), ''Learning and labeling" (Dennett, 1993) e "Making tools for thinking" (Dennett, 2000a).
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È stata la cultura che ci ha permesso di diventare ciò che notoriamente Aristotele chiamava animali razionali. Come? Consentendo, una volta di più, la divisione del lavoro e la distribuzione della responsabilità, due fenomeni che hanno raggiunto sempre nuovi livelli di raffinatezza progettuale nella storia evolutiva.
Come abbiamo fatto a catturare le ragioni e a farle nostre Noi siamo creature che chiedono perché, sia per le regole sia in altri campi. Non \·ogliamo accettare la morale ciecamente, come un insieme di tabù, ma solo come qualcosa che abbia uno scopo- o forse che abbia anche più di uno scopo; ma allora vogliamo sapere che cosa abbiano a che vedere quegli scopi tra di loro e come conciliarli, AL L\;-.; C!BBARD.
Wlse Choices, Apt
La coscienza umana è stata creata per condividere idee. Cioè, l'interfaccia utente umano è stata creata dall'evoluzione, sia biologica sia culturale, ed è nata come risposta a un 'innol. Potremmo render! o con "autoinnalzamento" o '' autoele\'azione".
Buotstrap è alla lettera il laccio delle scarpe, e chi non ricorda la \'Ìcenda del Barone di Miinchhausen? 1'\el 1965 il fisico G.F Che\\' chiamò dmamical bootstrap un regime in cui tutte le particelle che subiscano I'interaZJOne torte si situano "su una stessa base di equivalenza dinamica''. Il termine ha poi assunto vari significati tecnici in più di un contesto dalla ingegnena alla computer scie1m!, alL1 economia. [NdT]
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vazione nel comportamento: l'attività di comunicare credenze e progetti, nonché quella di confrontare gli appunti. Questo fatto ha trasformato molti cervelli in molte menti, e la distribuzione di paternità di un'idea, resa possibile da queste nuove metodologie di collegamento, non è solo la fonte dell'immenso divario tecnologico che ci separa dal resto della natura, ma anche della nostra morale. L'ultimo passo richiesto per completare la mia spiegazione naturalistica del libero arbitrio e della responsabilità morale richiede di render conto di quell' attività di R&S che ha fornito a ognuno di noi una prospettiva su noi stessi, un posto da dove assumersi delle responsabilità. Il nome di questa leva di Archimede è il Sé (the sel/J. Questo è qualcosa concernente noi esserì umani che ci distingue come potenziali agenti morali, e non è una sorpresa che il linguaggio vi sia coinvolto. Ciò che è più arduo capire è come il linguaggio, quando è installato in un cervello umano, porti con sé la costruzione di una nuova architettura cognitiva che crea un nuovo genere di coscienza- e la morale. Questa è sia una questione storica sia un problema di giustificazione. Se fosse banalmente una questione storica, la risposta potrebbe essere: c'era un volta, tanti anni fa, una navicella aliena che arrivò sulla Terra e gli alieni fecero inghiottire a tutti gli esseri umani delle pillole di morale; da quel momento abbiamo insegnato noi la morale ai nostri figli. O in una versione solo leggermente più realistica: un retrovirus invase i nostri antenati ominidi, e al risveglio i pochi che erano sopravvissuti avevano acquisito il gene dell'apprezzamento della giustizia. O in modo ancora più realistico: i memi della morale sorsero per caso, qualche decina di migliaia di anni fa e invasero la popolazione umana in un'epidemia mondiale. Anche se una di queste divertenti storielle fosse vera, ci lascerebbe senza metà della risposta alla domanda che abbiamo formulato poco sopra: che ne è della giustificazione? Per fortuna, il "ragionamento" darwiniano è tutto imperniato sullo spiegare le cose "facendo il punto". Ogni spiegazione condotta in termini di selezione naturale presuppone una risposta- una risposta qualsiasi- alla domanda Cui bono?
Però, poiché l'argomento della morale è ovviamente non ristretto a problematiche come il ''bene della specie" o "la sopravvivenza dei nostri geni" o simili, dovremo trovare nuove discendenze dalle domande darwiniane del tipo Cui bono? Dovrà essere qualcosa che emerge nel corso del processo che ha portato noi stessi a essere quel tipo di Sé che siamo oggi. Una delle caratteristiche più sconcertanti dei processi evolutivi descritti nei capitoli precedenti è l'assenza di qualche cosa come la comprensione negli agenti le cui tendenze sono modellate dai processi. Questi agenri (o meglio, i loro geni) potrebbero essere i beneficiari di alcuni istinti amabili, di una qual blanda disposizione a cooperare, ma questo non significherebbe niente per loro. È possibile che essi rimangano completamente all'oscuro delle ragioni che giustificano la presenza delle caratteristiche che governano le loro vite, quegli elementi razionali in fluttuazione libera di cui non hanno bisogno di riconoscere il valore, e quindi non hanno bisogno di rappresentare. L'evoluzione della nostra capacità di riconoscere queste ragioni e di riflettere su di esse, e in seguito di modificarle in ragioni completamenre differenti, è stata un'altra transizione di enorme importanza nella storia dell' evoluzione e, come tutte le altre, doveva utilizzare qualcosa che si era già evoluto per piegarlo a scopi diversi. Il nocciolo di quest'idea è noto da secoli. Secondo David Hume, abbiamo iniziato con quelle che lui chiamava le motivazioni naturali: appetiti sessuali, affetto per i bambini, benevolenza circoscritta, interesse e rancore - un elenco che nel ventunesimo secolo ogni psicologo evolutivo sarebbe disposto a sottoscrivere. Queste disposizioni d'animo hanno ragioni che non sono le nostre ragioni, sebbene abbiano preparato la scena per la nostra inclinazione a richiedere e fornire ragioni. Per usare le parole stesse di Hume nel Trattato della natura umana: "Se la natura non ci aiutasse a questo proposito, i politici parlerebbero inutilmenre di onorevole o disonorevole, lodevole o biasimevole. Queste parole risulterebbero assolutamente inintellegibili" (I-lume, 1739, p. 528). Fin dal principio, ci rendiamo conto che approviamo alcune inclinazioni e alcu-
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ne pratiche considerate come "intrinsecamente" buone e queste inclinazioni e pratiche sono state modellate per millenni senza l'aiuto di un progetto antecedente, ma solo grazie alle loro raisons d' ètre. I nostri antenati possono avere quanto meno confusamente percepito i vantaggi forniti da alcune di queste abitudini e pratiche consolidate, ma anche questo non è un requisito privo di eccezioni, dato che ci sono (almeno) tremodi in cui replicatori differenziali potrebbero ripagarci per i progetti trasmessi a noi: (l) se le nostre motivazioni naturali sono adattamenti direttamente vantaggiosi per gli individui che li possiedono (selezione a livello di individuo, il caso più o meno standard); (2) se c'è stata una struttura gruppale nelle popolazioni umane sufficientemente rilevante da creare le condizioni per cui gruppi di individui, che involontariamente seguivano quelle pratiche, potevano prosperare a discapito di gruppi meno favorevolmente costituiti (selezione di gruppo); (3) se i m emi per le motivazioni sono entrati in concorrenza per attribuirsi il numero limitato di rifugi presenti nei cervelli umani e queste motivazioni si sono fissate, come molti altri nostri simbionti, come stabili caratteristiche dell'ecologia culturale umana per una ragione o per l'altra. Tutti questi sono modi "naturali", nel senso di Hume, in cui potremmo essere stati dotati delle motivazioni che contribuirono alla fondazione dell'onda successiva di attività di R&S, ingegneria sociale deliberata, che è vecchia solo di pochi millenni. Le motivazioni naturali, Hume sosteneva, hanno una "discendenza", che lui chiamava le virtù "artificiali" della moralità- come la giustizia. Hume vedeva l'etica come un tipo di tecnologia umana, e vedeva la riflessione come uno strumento fornitoci dalla natura che ci consente di rivedere i nostri istinti naturali, potenziandoli con elaborazioni protesiche le cui motivazioni razionali (in fluttuazione libera, fino a quando Hume e altri non le hanno inchiodate a terra e rappresentate) sono, in realtà, mirate a ottenere una ancora maggiore libertà, coerente con la protezione dal pericolo. Lenti per l'anima, potreste dire. Ma prima di rivolgerei a questo nuovo tipo di attività di R&S, dobbiamo considerare i punti essenziali di questa sorta di proces-
so evolutivo, reso possibile dalla trasformazione di agenti inconsapevoli in agenti riflessivi e intenzionali. Iniziamo con l'elegante "favola evoluzionistica" di Brian Skyrms del gioco della divisione della torta descritto nel suo Evolution o/the Soàal Contra et (Skyrms, 1996, pp. 3 e seguenti). Supponiamo di trovarci, voi e io, di fronte una torta al cioccolato che vogliamo dividerci tra noi. Invece di litigare per prendercela (un 'opzione pericolosa per entrambi), ci accordiamo per dirimere la questione grazie a un semplice gioco: "Ognuno di noi scriva la sua richiesta definitiva della percentuale della torta che vorrebbe avere su un bigliettino di carta, lo pieghi e dia poi il biglietto a un giudice. Se le richieste sono superiori al totale del cento per cento, allora la torta se la mangia ìl giudice. Altrimenti, otterremo quello che abbiamo richiesto. (Potremmo anche assumere che, se chiediamo meno del cento per cento, il resto della torta vada al giudice.)" (p. 4). Come nota Skyrms, quasi tutti sceglierebbero una percentuale del cinquanta per cento come quantità corretta (il giudice non fa veramente parte del modello, ma svolge solamente un piccolo ruolo coreografico). E altrettanto sicuramente la teoria dei giochi applicata all'evoluzione mostrerebbe che la divisione 50-50 è una strategia evolutivamente stabile (Evolutionarily Stable Strategv, o ESS). "La divisione corretta risulterà stabile contro ogni dinamica con la tendenza ad accrescere la proporzione (o la probabilità) di strategie caratterizzate da una maggiore ricompensa, perché ogni deviazione unilaterale dalla divisione corretta condurrebbe a esiti decisamente peggiori" (p. 11). Ma questa non è la sola ESS, nota Skyrms; ce ne sono delle altre. Questo è il problema delle trappole polimor/e:
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Per esempio, supponiamo che una metà della popolazione richieda i 2/3 della torta e I' altra metà ne richieda 1/3. Chiamiamo la prima strategia Ingorda e la seconda Modesta. Una persona ingorda ha la stessa probabilità di incontrare un'altra ingorda o una modesta [perché non abbiamo ancora introdotto alcuna correlazione DCDJ. Se incontra un'altra persona ingorda, non ottiene nulla, perché le loro ri-
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chieste complessive eccedono il totale della torta; ma se incontra una persona modesta, ottiene i 2/3 della torta. La sua vincita media è 1/3. Una persona modesta, d'altro canto, ottiene sempre una vincita di 1/3, a prescindere da chi incontra. · Controlliamo, allora, se questo polimorfì.smo è un equilibrio stabile. In primo luogo, notiamo che, se la percentuale della popolazione ingorda dovesse crescere, allora gli ingordi si incontrerebbero più spesso, e la vincita media della strategia ingorda crollerebbe sotto il valore di 113, valore che rappresenta la vincita garantita dalla strategia modesta. E se la percentuale di popolazione di ingordi dovesse diminuire, gli ingordi incontrerebbero i modesti più spesso e la vincita media della strategia ingorda salirebbe oltre 113. Retroazioni negative manterrebbero identica la percentuale dei modesti e degli ingordi dentro la popolazione. Ma che dire dell'invasione di altre strategie mutanti? Supponiamo che compaia all'interno della popolazione un mutante Superingordo, che chieda più di 2/3 della torta. Questo mutante avrebbe una vincita di O, e si estinguerebbe. Supponiamo che compaia entro la popolazione un mutante Supermodesto, che richieda meno di 1/3. Questo mutante otterrebbe sempre la sua porzione di torta, che è inferiore a quanto ricevono sia i modesti sia gli ingordi; così anche questa forma si estinguerebbe - sebbene in modo meno rapido di quanto è accaduto al superingordo. Rimane la possibilità della comparsa di un mutante compreso tra gli estremi, che chiede meno di un ingordo ma più di un modesto. Un caso di speciale interesse è quello del mutante Equanime, che chiede esattamente 112. Tutti questi mutanti non avrebbero niente da un incontro con un ingordo, e avrebbero meno di un ingordo da un incontro con un modesto. Perciò avrebbero tutti una vincita media inferiore a 113, e tutti - compreso il nostro mutante equanime - sarebbero condannati all'estinzione. Il polimorfì.smo gode della proprietà della stabilità forte. Questa è una notizia infausta, per la popolazione così come per l'evoluzione della giustizia, perché il nostro polimorfì.smo è inefficiente. Qui ognuno ottiene, in media, 113 della torta -mentre 1/3 viene sciupato dagli incontri tra ingordi. (Skyrms, 1996, pp. 12-13)
Skyrms va oltre, e nota che quando aggiungiamo qualche correlazione positiva alla scena, in modo che ogni genere di strategia tenderà a interagire con il suo stesso tipo più di quanto farebbe con una distribuzione casuale di incontri, questi polimorfismi sfortunati divengono meno attraenti - diventano più evitabili. Non importa quale caratteristica del mondo faccia crescere questa correlazione; comunque, agenti provvisti di menti e di una cultura sono particolarmente inclini a favorirla, come Don Ross dimostra con un'immaginaria Storia Proprio Così che costruisce sulla base di quel che ha osservato Skyrms:
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Immaginate una popolazione che si trovi in una delle ESS polimorfe. Il continuo successo degli agenti Ingordi in questo gioco dipenderà dall'incoraggiamento dato ai Modesti a evitare interazioni con ogni mutante Equanime che compare. Così, ci aspetteremmo che questa popolazione evolva norme della giustizia che sono un po' come quelle di Aristotele. Queste norme assocerebbero la "giustizia" all'idea che i Modesti debbano rispettare il loro posto naturale e siano deferenti verso gli lngordi. Queste sarebbero delle norme assai familiari a molte società umane, passate e presenti. Se questi agenti non potessero eseguire calcoli moderatamente sofisticati, o spingersi oltre i loro pensieri sulla base di questi calcoli, allora la popolazione resterebbe in tale stato. È, dopotutto, in un equilibrio ESS. Ma se questi agenti fossero in grado di studiare anche solo un po' di economia e di cogliere anche un po' di logica darwiniana elementare- non c'è bisogno di niente di troppo elaborato- potrebbero rendersi conto che la ESS perseguita da soli individui equanimi è (a) più efficiente (il punto economico), e (b) raggiungibile lungo un cammino di equilibrio (il punto darwiniano). Possiamo facilmente immaginarci cosa succederebbe. Inizialmente, la maggior parte della popolazione considererebbe la ESS di soli equanimi una violazione scioccante della morale naturale. Ma alcuni dei modesti, partendo dal riconoscimento di (a), giungerebbero alla consapevolezza del loro proprio sfruttamento. Perché no? Ogni creatura con altrettanta flessibilità concettuale proverebbe a fare quel passo ragionevole, anche solo per dissuadersi dal portarlo fìno in fondo per rispetto dell'opinione pubblica. Alcuni
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qualcosa che i loro antenati non conoscevano? Sicuramente sì: sanno che l'equità è giusta; essi sono veramente superiori ai loro antenati. A dispetto della ghigliottina di Hume [il principio secondo il quale non si può passare da "è" a "deve essere"DCD], lo hanno scoperto grazie al fatto di essere diffusori coscienti di memi, in grado di pensare in modo ipotetico, e grazie al fatto di saper utilizzare quelle capacità per apprendere un po' di teoria dell'evoluzione. (Ross, comunicazione personale)
modesti che avessero abbracciato l'idea sarebbero puniti; ma questo fatto, per il suo stesso accadere, aiuterebbe il meme a diffondersi drammatizzandone l'importanza. l modesti illuminati, se solo si potessero riconoscere tra loro, potrebbero facilmente ribellarsi in modo molto efficace: dovrebbero solo applicare la strategia degli equanimi tra di loro, realizzando perciò il maggiore guadagno dallo scambio. Dopotutto, quando parliamo di comparsa di "mutanti equanimi" in questo contesto, non intendiamo parlare letteralmente di fenomeni da baraccone genetici; ogni volta che il meme equanime fa scalo nella mente di un modesto, abbiamo un mutante. Finora, supponiamo, questi mutanti sarebbero motivati solamente dall'avidità: non avrebbero ancora sfidato moralmente le norme vigenti. Alcuni modesti, e persino alcuni ingordi, tuttavia, troverebbero la bellezza matematica degli esiti più efficienti tanto attraente da lottare per questo stesso diritto. Un passo del genere aiuterebbe l'interesse personale a velocizzare la dinamica, sebbene non sia strettamente necessario. La teoria dei giochi applicata all'evoluzione mostra che questa popolazione evolverà inesorabilmente verso una ESS di soli equanimi. Molto prima di quel punto, il concetto di giustizia-come-equità comparirà naturalmente, perché gli equanimi promuoveranno il loro successo nel modo migliore, incoraggiando l'ostracismo contro gli ingordi. Inculcare la ripugnanza morale per gli ingordi sarebbe una mossa naturale - un Buon Trucco piuttosto ovvio - sempre che siano biologicamente predisposti a provare semplice ripugnanza verso qualcosa. Alla fine, la popolazione (se composta da individui sofisticati) rileggerebbe il suo primo consenso alla situazione iniziale come una sorta di infanzia amorale. Oppure, giudicherebbe i propri antenati come individui cattivi, e alcuni stupidi e insicuri di sé scoraggerebbero la lettura dei libri antichi sopravvissuti. Ora, osserviamo quel che è successo. Questi agenti sono stati sottoposti a un'evoluzione morale, misurabile come tale con standard oggettivi. Vi sono giunti, come primo passo, intravvedendo di sfuggita un solo punto logico elementare darwiniano. Non c'è stato bisogno di alcun supereroe morale, di Cristo o di ~ietzsche, in un qualche momento lungo il cammino. È bastato un po' di scienza e di logica per fare tutto il lavoro. Alla fine del processo, questi agenti conoscono forse
Sia il processo selettivo inconscio sia quello metodico sono solo casi speciali di un processo più inclusivo, la selezione naturale, in cui il ruolo dell'intelligenza umana e la sua possibilità di scelta possono rimanere nulli. Dal punto di vista della selezione naturale, cambiamenti nei lignaggi dovuti alla selezione inconscia o a quella metodica, sono semplicemente dei
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Non c'è bisogno di utilizzare il linguaggio dell'economista di professione per poter apprezzare la validità della spiegazione economica, come non c'è bisogno di essere un esplicito sostenitore del darwinismo per capire come si possa arrivare da qui (trappola polimorfa inefficiente) a lì (distribuzione equa) in un percorso che si sostiene da solo. Una versione abbozzata, immaginata ancora in modo confuso, andrà bene, come sempre, per imboccare la srrada conduce gradualmente dall'ignoranza alla comprensione. Lo stesso Darwin doveva attirare la nostra attenzione sull'importanza del fenomeno che chiamava selezione inconscia (o inconsapevole} e che era un passo intermedio tra la selezione naturale e la selezione metodica: il "miglioramento della discendenza" deliberato, pianificato, intenzionale da parte di allevatori di animali o di coltìvatori di piante. Darwin sottolineava che la linea di demarcazione tra selezione inconscia e metodica era essa stessa un confine non ben definito e piuttosto, graduale: L'uomo che per primo selezionò un colombo con la coda un po' più grande non immaginava neppure come sarebbero diventati i discendenti di quel colombo, grazie a un lunghissimo processo selettivo in parte inconscio e in parte metodico. !Darwin, 1859, pp. 65-66)
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cambiamenti in cui una delle pressioni più prominenti nell'ambiente è l'attività umana. In questo insieme di processi diversi di selezione naturale sui geni è comparso, più di recente, un nuovo membro: l'ingegneria genetica. In che cosa essa si differenzia rispetto al processo selettivo metodico dei tempi di Darwin? È meno dipendente dalla preesistente variazione nel pool genico, e procede in modo più diretto verso un nuovo candidato a genoma, con un metodo per tentativi ed errori meno manifesto e meno dispersivo. C'è una pianificazione ancora più accurata, ma anche qui, se guardiamo più da vicino alle pratiche di laboratorio, troveremo in larga misura metodi di esplorazione consistenti di tentativi ed errori finalizzati alla ricerca della miglior combinazione di geni. Possiamo adoperare i tre livelli darwiniani della selezione genetica, più il quarto livello più recente, l'ingegneria genetica, come modelli per quattro analoghi livelli di memetica nella cultura umana. I primi memi sono stati selezionati naturalmente, pavimentando la strada per la selezione inconscia dei memi- m emi che sono stati "addomesticati" inawertitamente, potremmo dire; poi è venuta la selezione metodica dei m emi, in cui l'anticipazione e la pianificazione da parte degli esseri umani hanno svolto un ruolo evidente, ma nella quale i meccanismi soggiacenti sono stati compresi solo in modo confuso e la maggior parte degli esperimenti verteva sulla ricerca di semplici variazioni su temi già esistenti; fino ai giorni nostri, in cui l'ingegneria memetica è un'attività di ricerca umana importante: il tentativo di progettare e diffondere interi sistemi culturali umani, teorie etiche, ideologie politiche, sistemi di giustizia e di governo, una vastissima gamma di progetti concorrenti, allo scopo di agevolare il vivere in gruppi sociali. L'ingegneria memetica è una raffinatezza molto recente nella storia dell'evoluzione del nostro pianeta; ma è, comunque, più vecchia di vari millenni dell'ingegneria genetica; tra i suoi più noti prodotti si possono annoverare la Repubblica di Platone e la Politica di Aristotele. :\oi non siamo solo creature popperiane, in grado di pensare al domani e di immaginarci futuri alternativi con i loro
probabili esiti, ma creature gregoriane/ capaci di utilizzare gli strumenti del pensiero che la nostra cultura ha installato dentro di noi nella nostra infanzia e dopo l'infanzia (Dennett, 1995, pp. 478 e seguenti l. Ci ritroviamo un'accozzaglia di precetti memorizzati sulla punta delle nostre lingue ogni volta che affrontiamo i dilemmi della vita. Anche le storielle e le favole di Esopo possono svolgere un ruolo importante nel diril'attenzione di un bambino. Una delle ragioni per cui è così raro che finiamo col ritrovarci bloccati in un angolo della stanza quando ne pitturiamo il pavimento, o che seghiamo il ramo su cui siamo seduti, è che abbiamo tutti udito un racconto memorabile e divertente su un qualche personaggio che ha fatto esattamente così. E se seguiamo la regola aurea, o i Dieci Comandamenti, rafforziamo il nostro istinto naturale soggiacente con protesi che tendono a incoraggiare la formazione di contesti in cui inquadrare situazioni che, in un modo o nell'altro, dobbiamo affrontare. Ma molta di questa tradizione si è evoluta senza paternità deliberata, ed è stata trasmessa senza un esplicito riconoscimento della sua utilità, almeno finora.
. 2. Queste creature sono un omaggio di Dcnneu al lavoro dello psicologo bntanntco RIChard Gregory, "d teorico preminente del ruolo dell'informaZione nella creazione di mosse accorte", come afferma lo stesso autore ln L. dt Dannn 4/8). Sempre in quella pagina Dennett ne tormsce una definizione "[le creature ~Zregoriane sono] i successon delle semplici creature poppcriane [... ] i cui ambienti interni sono permeati dalle partì progettate dell'ambiente esterno". [NdTJ
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L'ingegneria psichica e la corsa agli armamenti della razionalità In realtù. ho assumo il punto di vista di un ingegnere psichi co incaricato di progettare le nostre regole per ottenere un vantaggio che possiamo insieme riconoscere. .-\LL\:\ GfBBARD, W'ùe Cho/ces, Apt Feelings
Una volta che abbiamo catturato gli elementi di razionalità in fluttuazione libera delle motivazioni naturali e siamo stati capaci di rappresentarli a fianco degli schemi di tutti gli strata-
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gemmi che sappiamo ideare nel corso delle nostre riHessioni, non siamo più vincolati al metodo per tentativi ed errori proprio della selezione naturale, che è così inefficace, dispendioso, non intenzionale. Possiamo sperare di sostituire a un equilibrio di mero potere riproduttivo un equilibrio riflessivo di agenti razionali che sono coinvolti nell'attività comune di reciproca persuasione. Questo slittamento da una procedura per tentativi ed errori non direzionata a una (ri)progettazione intelligente è, come ho già fatto notare, un passo importantissimo nella storia dell'evoluzione, un passo che ha letteralmente spalancato dimensioni prima inimmaginabili dello spazio delle opportunità, nel bene e nel male. Fino alla comparsa dell'etica, le attività di R&S darwiniane sono andate avanti per miliardi di anni senza alcuna capacità previsionale, arrampicandosi a poco a poco sulla china del Monte Improbabile (Dawkins, 1996). Ogni volta che i lignaggi si trovavano su picchi locali del paesaggio adattivo, i loro membri non avevano nemmeno la possibilità di chiedersi se ci fosse o meno una cima più alta, o migliore, dall'altra parte di questa o quella valle. All'interno dei loro territori fisici, i più lungimiranti di loro potevano fare qualcosa che equivaleva a crearsi una meta andando dall'altra parte del fiume, o raggiungendo un fazzoletto di erba commestibile su una collina poco distante; ma questioni più remote su quale potesse essere lo scopo della vita o come lo si potesse ottenere nel modo migliore erano letteralmente impensabili, prima del nostro arrivo. Noi siamo la sola specie i cui membri sono in grado di immaginarsi, oltre il paesaggio fisico, il paesaggio adattivo delle possibilità, e possono "scrutare" oltre le valli fino a vedere altri picchi concepibili. Il solo fatto che stiamo facendo ciò che facciamo provando a immaginarci se le nostre aspirazioni etiche possano avere una qualche coerenza, una sorta di ancoraggio al mondo che la scienza ci sta svelando mostra quanto siamo differenti da tutte le altre specie. Possiamo concepire (noi pensiamo) un mondo migliore e desiderare di farne parte. Siamo sicuri che questi altri mondi saranno davvero migliori? E in che senso? Secondo quali standard? Secondo i nostri. Le nostre evolute capacità di riHettere conce-
dono a noi e solo a noi- tanto l'opportunità quanto la competenza di valutare i fini e non solo i mezzi. Dobbiamo impiegare i nostri attuali valori come punti di partenza per qualsiasi rivalutaL.>v•·•'- concepibile di quegli stessi valori; ma dalla nostra prospettiva, dalla collina che attualmente occupiamo, possiamo formulare, criticare, rivedere e- se siamo fortunati approvare di comune accordo un insieme di principi progettuali per vivere in società. Possiamo avvistare alcuni picchi utopici allettanti, molto differenti dalla nostra attuale situazione. Possiamo raggiungerne qualcuno? Siamo sicuri di volerei davvero provare? Il fatto di non riuscire ad arrivarci potrebbe rivelarsi tragico, ma certo non un'offesa alla ragione. La scomposizione in fattori della politica, l'arte del possibile, è essa stessa una delle questioni progettuali più difficili che mai affrontiamo. Potremmo essere bloccati, ahimè, nel migliore dei mondi possibili, data la nostra situazione storica; ma potremmo lo stesso essere in grado di scoprire alcune migliorie da apportare al nostro attuale progetto, che darebbero qualche speranza di giungere su una vetta più alta. E al contrario di tutte le altre specie, questi per noi sono problemi. Noi ci lavoriamo veramente, impiegandovi tempo ed energie. Raccogliamo informazioni utili per risolverli, esploriamo le loro varianti, dibattiamo sui loro pregi sapendo che le nostre ritlessioni ci aiuteranno davvero a determinare quale sarà la traiettoria da imboccare nel nostro futuro. Ciò fornisce, alla fine, un contesto naturalistico che può dare un senso alle tradizionali questioni della morale. Il nostro viagevolutivo ci ha condotto infine al campo tradizionale delle ricerche filosofiche e politiche, e del dibattito, un'area in cui molte idee si combattono per guadagnarsi la nostra approvazione. L'etica è un campo molto complesso e vasto, e questo è un ambito su cui non cercherò di pronunciarmi, né tenterò di contribuirvi con questo libro, al di là dì pochi suggerimenti circa alcune tracce fossili di quel viaggio che possono ancora deviare il nostro ragionamento etico in modo ingannevole. Uno dei nostri compiti più urgenti, come ingegneri psichici, è quello di capire se possiamo garantire il concetto fondamentale di agente morale responsabile, un agente che, al contrario del collaborativo cane
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della prateria, o del lupo leale, o del delfino amichevole, sceglie liberamente sulla base di ragioni ponderate, e può essere moralmente ritenuto responsabile degli atti che ha scelto. Abbiamo accennato allo sviluppo evolutivo delle configurazioni che costituiscono l'ambiente concettuale dove un simile concetto può risiedere -l'aria che respiriamo -, ma ci tocca ancora esaminare come un individuo possa essere capace di crescere in un ruolo tanto esaltato. Ce la può fare veramente chiunque? Non impariamo forse dagli psicologi che in realtà siamo ben lontani da quegli agenti razionali che pretendiamo di essere? Allen Funt era uno dei più grandi psicologi del ventesimo secolo. I suoi esperimenti informati e le sue dimostrazioni con la Candid Camera sono paragonabili, per l'efficacia nel mostrare sia la psicologia umana sia le sue sorprendenti limitazioni, al lavoro di qualunque psicologo accademico. Eccovi uno degli esperimenti migliori (per come me lo ricordo, a distanza di molti anni): Funt aveva collocato un portaombrelli in una posizione ben visibile dentro un negozio e lo aveva riempito con manubri nuovi di zecca di carrelli da golf. Questi erano pezzi di tubo lucenti e robusti, in acciaio inossidabile, lunghi pressappoco sessantuno centimetri, con una leggera curvatura a metà altezza, con una filettatura a un'estremità (per poterli avvitare nell'alloggiamento filettato del vostro carrello da golf) e con un vigoroso pomello di plastica sferico all'altra. In altre parole, il pezzo di tubo di acciaio inossidabile più inutile che potete immaginare, a meno che non abbiate proprio un carrello da golf a cui manca il manubrio. Ci mise su un cartello. Non spiegò la natura degli oggetti in vendita, ma scrisse semplicemente: "50% di sconto. Ultimo giorno! $ 5.95". Alcune persone li comperarono, e quando venne loro chiesto perché l'avessero fatto, furono ben svelti a uscirsene borbottando con una risposta qualsiasi. Non avevano la minima idea di che cosa avessero mai comperato; ma era qualcosa di bello, e un affarone! Queste persone non avevano subito alcun danno cerebrale e non erano ubriache; erano adulti "normali", nostri vicini, noi stessi. Scrutando nell'abisso spalancato da una simile dimostrazione, sorridiamo nervosamente. Potremmo essere intelligen356
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ti; ma nessuno di noi è perfetto, e sebbene né io né voi cadremmo mai nel vecchio trucco dei manubri, sappiamo per certo che ci sono varianti di questo trucco che potrebbero trarci in inganno, e nelle quali senza dubbio inciamperemo in futuro. Quando scopriamo siffatta imperfezione della nostra razionalità, cioè la nostra inclinazione a venire mossi nello spazio delle ragioni da qualcosa di diverso da ragioni consciamente riconosciute, temiamo di non essere più liberi. Forse, ci stiamo prendendo gioco di noi stessi. Forse, la nostra approssimazione alla perfetta facoltà della ragion pratica kantiana si è dissolta così in fretta che l'orgogliosa autoidentificazione come agenti morali è una delusione di grandeur. I nostri fallimenti in questi casi sono effettivamente i fallimenti di libertà, l'incapacità di rispondere come vorremmo alle opportunità e alle crisi che la vita ci scaglia addosso. Per quella ragione sono infausti, perché questa è anzi una delle varietà di libertà che vale la pena desiderare. Si noti come la dimostrazione di Funt non ci avrebbe mai impressionato se i suoi soggetti non fossero stati uomini ma animali- cani o lupi o delfini o scimmie. Che una bestia possa venire ingannata da qualcosa di brillante e allettante ma totalmente inutile, e soprattutto che l'animale non desidera veramente- o che non dovrebbe desiderare veramente - non è certo una novità per noi. Ci aspettiamo che gli animali "inferiori" vivano in un mondo di apparenze, avvantaggiandosi di istinti e di capacità percettive che sono incredibilmente efficaci in quel contesto, ma facilmente vulnerabili in circostanze improbabili. Noi ci ispiriamo a un ideale più elevato. Più impariamo delle debolezze umane e del modo in cui le tecniche di persuasione riescono a sfruttarle, più arriviamo a credere che la nostra tanto vantata autonomia sia un mito insostenibile. "Scegli una carta, una qualunque", dice il mago, e immancabilmente vi fa scegliere la carta che lui ha già scelto per voi. I commercianti conoscono centinaia di modi per farvi abbassare le difese e riuscire a convincervi a comperare un'auto o un vestito. Sembra che attenuare il tono di voce funzioni molto bene: "La vedo in dzfficoltà". (Potreste doverlo ricordare, la prossima volta che un venditore vi sussurrerà all'orecchio.) No357
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tate che, anche in questo caso, c'è una corsa agli armamenti in atto, con manovre e contromanovre che si susseguono bilanciandosi. Ho appena sminuito in qualche modo l'efficacia del trucco del sussurro presso quelli di voi che si ricorderanno la mia esposizione di esso. È abbastanza facile scorgere l'ideale di razionalità che funge da sfondo per questa battaglia: Caveat emptor, esclamiamo, stia attento il consumatore. Questa è una linea di azione che presuppone che il compratore sia sufficientemente razionale da individuare l'inganno sottostante le lusinghe del venditore, ma dato che sappiamo che è meglio credere a un mito per quello che è, continuiamo a sottoscrivere una politica di consenso in/armato, raccomandando descrizioni chiare, in linguaggio comprensibile, di tutte le clausole importanti di un qualsiasi contratto. Inoltre, siamo consapevoli che queste politiche sono soggette a violazioni continue - il trucco della scrittura sottile, l'incredibile impermeabilità del linguaggio formale - quindi, potremmo andare avanti a raccomandare ulteriori esercizi per semplificare l'informazione a favore dei consumatori incauti. A che punto abbiamo abbandonato il mito degli "adulti consenzienti" per la nostra opera di "infantilizzazione" della cittadinanza? Quando veniamo a sapere di proposte di adattamento di un messaggio a particolari gruppi o a particolari individui, ognuno di loro caratterizzato con immagini, storie, aiuti e avvisi specifici, possiamo avere la tentazione di condannare queste proposte come paternalistiche, e sovversive rispetto all'ideale di libero arbitrio per il quale noi tutti saremmo agenti kantiani, responsabili del nostro stesso destino. Allo stesso tempo, però, dobbiamo essere consapevoli del fatto che l'ambiente nel quale viviamo ha subito correzioni continue sin dall'alba della civiltà, è stato preparato minuziosamente, reso più semplice per noi, arricchito di segnali di direzione e segnali di allarme un po' ovunque, per alleviare il peso dalle nostre spalle di imperfetti agenti responsabili di decisioni. Ci appoggiamo felicemente alle protesi che noi abbiamo trovato valide- questa è la bellezza di una vita civilizzata-, ma tendiamo a essere riluttanti ad accettare quelle di cui altri necessitano. Una volta che comprendiamo che pure questa è una corsa agli armamenti, possiamo parare i colpi
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dell'assolutismo che contempla solo due possibilità: o siamo perfettamente razionali, o non lo siamo per niente. Tale assolutismo incoraggia il terrore paranoico che la scienza possa essere sul punto dimostrarci che la nostra razionalità è un'illusione, sebbene un 'illusione benigna da certi punti di vista. Quella paura, a sua volta, conferisce un 'attrattiva apocrifa a ogni dottrina che sembri promettere di tenere la scienza a bada, e le nostre menti inviolabili e misteriose. Noi siamo, in realtà, meravigliosamente razionali. Siamo tanto razionali, per esempio, da essere molto bravi a progettare manovre per fare giochi mentali tra di noi, portando alla luce le crepe sempre più sottili delle nostre difese razionali, un gioco a nascondino senza pausa né termine. _ Ma come possiamo diventare tanto bravi a questo gioco da tare squadra? Una buona risposta alla domanda dovrebbe essere in grado di parare l'attacco di paradossi da qualunque parte provengano (Suber, 1992). Poniamo che voi siate liberi: siete allora responsabili della vostra libertà o siete solamente fortunati? Potete essere incolpati di non essere in grado di rendervi liberi? Come abbiamo visto nel capitolo 7, i cooperatori in grado di risolvere problemi dell'impegno e di farsi una reputazione di agenti morali arrivano ad assaporare i tanti vantaggi dell'essere membri della comunità di cui ci si può fidare, ma se voi non avete ancora conquistato quello stato, che speranza, se ce n'è qualcuna, vi rimane? Dovremmo considerare i frequenti traditori presenti tra noi con disprezzo o con compassione? Le barriere divisorie create dai processi evolutivi tendono a essere porose e graduali, con casi a metà strada che colmano il baratro tra coloro eh~ hanno e coloro che non hanno; ma non possiamo seguire fi?o tn fondo il rifiuto di Madre Natura a rendere categorico tutto Il processo. I nostri sistemi morali e politici apparentemente ci obbligano a dividere gli individui in due categorie: coloro che sono moralmente responsabili e coloro che sono esenti da res~onsabilit~, perché non ce l'hanno fatta. Solo i primi sono canLhdatt adatti per eventuali punizioni, a essere cioè considerati responsabili dei loro misfatti. Come decideremo dove tracciare la hn ~a~- Le aziom · · stupiue ·- 1 che occasionalmente compiamo, e le abitudini, i tratti caratteriali che scopriamo in noi stessi, potreb-
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bero spingerei a chiederci se ogni categorizzazione del genere non possa essere niente altro che un mito conveniente, utile, simile all'odioso mito dei metalli di Platone, la pionieristica manovra di pubbliche relazioni con la quale egli proponeva di mantenere la pace nella sua Repubblica. Alcune persone sono nate per essere Oro; altre dovrebbero star contente di essere Argento o Bronzo. Potrebbe sembrare, per esempio, che le teorie politiche avallino la politica del mantenimento di un certo grado di punizioni nella società per dare credito a divieti che effettivamente cerchino di scoraggiare la tendenza a trasgredire (fino a un certo punto), ma questa politica è destinata all'ipocrisia. Coloro che finiscono per essere puniti pagano, in realtà, un prezzo doppio, perché sono capri espiatori. deliberatamente colpiti dalla società per poter fungere da vivido esempio per i più abili ad autocontrollarsì; ma non sono realmente responsabili per i peccati di cui noi, piamente, lì accusiamo di essersi macchiati in piena libertà. Quali sono, in realtà, le qualifiche per poter essere considerato una genuina canaglia, responsabile delle proprie colpe? E qualcuno potrebbe dawero averle tutte?
azioni autoformative, o SFA - dei momenti di appropriazione della responsabilità, nei quali l'universo trattiene il fiato, mentre l'indeterminazione quantistica vi permette di "farlo da Yoi", plasmando voi stessi come agenti morali responsabili (avreste potuto agire diversamente). La soluzione di Kane non può funzionare, perché voi non potete bloccare il regresso appellandovi a un Primo Mammifero, o inventando una differenza speciale che è "essenziale" ma invisibile. Una persona che goda della genuina possibilità di scelta quantistìca e la sua gemella che possegga solo una possibilità di scelta pseudocasuale, non diversamente dal caso del Primo Mammifero e madre del Primo Mammifero, non si distinguono per alcun carattere sufficientemente visibile da poter giustificare tale speciale differenza. Non potrete mai dire di essere riusciti ad avere una genuina SFA; perciò, anche se ne avete avute, il loro significato morale evapora sotto la lente dell'analisi e il regresso continua a minacciarci. Come avete fatto, quindi, se si esclude un salto miracoloso di autocreazione, ad arrivare fin qui Oa capacità di azione morale) da lì {la mancanza di libertà moralmente insignificante di un infame)? In modo del tutto prevedibile, la mia risposta invocherà i temi daru.'iniani della sorte, delle impalcature ambientali e del gradualismo, Con una piccola dose di fortuna, e un piccolo aiuto da parte dei vostri amici, avete messo il vostro considerevole talento innato al lavoro, e vi siete autoelevati (bootstrapping), centimetro dopo centimetro, sulla vostra strada verso la vera capacità di compiere azioni morali. I! processo di base è stato illustrato nel capitolo 8: un Sé propriamente umano è la creazione, largamente involontaria, d.i un processo progettuale interpersonale, nel quale incoraggiamo i nostri piccoli a diventare comunicatori e, in particolare. a unirsi a noi nella nostra pratica di richiedere e fornire ragioni, e poi riflettere su cosa fare e sul perché. Affinché tutto ciò funzioni, bisogna cominciare con una materia grezza ma adatta. Non funzionerà, se proverete con il vostro cane, per esempio, o con uno scimpanzé, come sappiamo da una serie dì entusiastici sforzi profusi negli anni. Anche alcuni neonati non sono all'altezza della situazione. La prima soglia da varcare,
Con un piccolo aiuto dai miei amice Le cose che tale favola gli assicura sono ben lontane dall'essere vere: nonostante ciò. egli è pronto a credersi unicamente quella creatura, solo di poco inferiore a un cherubino, che l'uomo è diventato per interminabili piccoli gradi, innalzandosi su tutto, chiaramente superiore allo scimpanzé, JAMES BRANCH CABELL,
BeyonJ Li/e
Simula finché non ci riesci.
S!ogJn
Nel capitolo 4 abbiamo analizzato e rimandato al mittente il tentativo di Robert Kane di bloccare un minaccioso regresso all'infinito ricorrendo ad alcuni "istanti'' piuttosto magici -le 3, With a Little Help /rom melodie dei Beatles. [NdT]
My Fricnds è il tirolo di una delle più note
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sulla strada per diventare una persona, quindi, è semplicemente quella della comunicazione. Coloro nei quali il fuoco della ragione non prende, per una qualche ragione, vengono relegati a uno stato sociale inferiore, senza troppa discussione. Non è colpa loro, ma solo della loro cattiva sorte. Ma visto che siamo in argomento, vediamo di calibrare i nostri strumenti di misura sulla fortuna. Ogni essere vivente è, da un punto di vista cosmico, incredibilmente fortunato solo per il fatto di essere vivo. La maggior parte, il novanta per cento e più, degli organismi che hanno mai vissuto, è morta senza produrre una discendenza in grado di vivere, ma nessuno dei vostri antenati, se si riavvolge il tempo fino all'alba della vita sulla Terra, è mai stato colpito da questa diffusissima sfortuna. Voi sgorgate da una linea ininterrotta di vincitori che risale per miliardi di generazioni, e quei vincitori erano, in ogni generazione, i più fortunati tra i fortunati, uno su cento o su mille o persino su un milione. Quindi, per quanto oggi possiate essere sfortunati in una qualche situazione, è la vostra presenza sul nostro globo che testimonia il vero ruolo che la fortuna ha avuto nel vostro passato. Oltre la prima soglia, gli individui esibiscono una grande diversità di ulteriori talenti, nel riflettere, nel parlare e nell'autocontrollarsi. Alcune di queste differenze sono "genetiche" - dovute prevalentemente a differenze nell'insieme particolare di geni che compone il genoma-, mentre alcune sono congenite ma non direttamente genetiche (sono dovute, piuttosto, alla malnutrizione della madre, o all'assunzione di droghe o di farmaci da parte di lei, o alla sindrome da intossicazione alcolica del feto, per esempio); e altre non hanno alcuna causa, nel senso che abbiamo individuato nel capitolo 3: sono il risultato dell'azione del caso. Nessuna di queste differenze presenti nel vostro patrimonio ereditario è un fattore che dipenda dal vostro controllo, ovviamente, dato che queste erano alloro posto prima ancora che voi nasceste. Ed è vero che gli effetti prevedibili di alcuni di tali fattori siano ineluttabili, ma non tutti- e sempre meno, man mano che il tempo passa. Non dipende nemmeno da voi, in alcun modo, l'essere nati in uno specifico milieu, ricchi o poveri, viziati o sfruttati, con qualche vantaggio sugli altri o schiacciati già alla
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linea di partenza. E queste, che sono differenze manifeste, sono anche diverse nei loro effetti: alcuni ineluttabili altri no, alcuni presenti come cicatrici per tutta la vita, altri, di fatto, evanescenti. Molte delle differenze che sopravvivono sono, in ogni caso, di trascurabile importanza per quello che stiamo trattando qui: una seconda soglia, la soglia della responsabilità morale- in contrasto, diciamo, con il genio artistico. Non tutti possiamo essere Shakespeare o Bach; ma quasi tutti possiamo imparare a leggere e a scrivere abbastanza bene da diventare cittadini informati. Quando W.T. Greenough e FR. Volkmar (1972) dimostraremo per primi che dei topi, lasciati crescere in un ambiente ricco di giochi, di ingranaggi per gli esercizi e di opportunità di fare esplorazioni impegnative, mostravano un numero di connessioni neurali quantitativamente maggiore e avevano dei cer\"elli più grandi rispetto ai topi cresciuti in ambienti angusti e spogli, alcuni genitori e alcuni educatori esagerarono nella loro ansia di fungere da araldi di questa importante scoperta, e quindi iniziarono a preoccuparsi che ai loro piccoli fosse messa a disposizione la quantità sufficiente del tipo giusto di giocattoli. In realtà, sappiamo da sempre che un bambino allevato da solo, in una stanza spoglia, senza alcun giocattolo, crescerà gravemente rachitico; però, nessuno ha ancora mostrato che il fart o di avere due giocattoli, o l'averne venti o duecento, possa creare una qualsiasi differenza su come si svilupperà, nel lungo periodo, il cervello del bambino. Sarebbe estremamente arduo farlo, a causa delle numerosissime influenze distorcenti che intervengono, alcune pianificate altre fortuite, un centinaio di \'o lte l'anno fino alla maturazione di ogni bambino, e che appongono o rimuovono effetti interessanti. Dovremmo portare avanti questa difficile ricerca al meglio delle nostre possibilità, poiché è certo posstbile che ci sia una condizione qualsiasi tra queste che svolga un ruolo maggiore di quanto si sospetti - e quindi, sarebbe questo l'obiettivo più appropriato a cui indirizzare i nostri sforzi di rescissione. Ma possiamo essere piuttosto sicuri che per la maggior parte, se non tutte, queste differenze presenti alla linea di partenza svaniranno nella nebbia statistica con il passare del tempo. Come nel lancio di una moneta, po363
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trebbe non esserci alcuna causa saliente riconoscibile dagli esiti. Solo dopo aver districato questi fattori al punto da renderne possibile uno studio scientifico accurato, saremo in grado di indicare, con meritata fiducia, quali interventi sia più appropriato applicare per porre rimedio alle insufficienze; e solo allora saremo in buona posizione per poter emettere quei giudizi di valore che ognuno di noi muore dalla voglia di profferire. Tom Wolfe, per esempio, deplora l'uso del Ritalin (metilfenidato) e di altre meta-amfetamine per combattere il disturbo di iperattività da deficit dell'attenzione che colpisce i bambini. Lo fa, senza fermarsi a considerare il volume delle evidenze che indicano che alcuni bambini hanno uno scompenso facilmente correggibile- eluttabile- di dopamina nel loro cervello, e che questo deficit produce un difetto nella loro area dell' autocontrollo più o meno paragonabile a quello che la miopia causa nell'area della visione.
Questo passaggio così colorito contiene una certa non tipica ironia inintenzionale. Mi chiedo se Wolfe raccomanderebbe ai miopi un corroborante regime di esercizi visivi e dei corsi
tipo "Impariamo a vivere con la vista corta", al posto dell'uso degli occhiali. Egli termina declamando la versione del ventunesimo secolo di una vecchia storiella: se Dio avesse voluto che volassimo, ci avrebbe fornito di ali. È così irritato dall'immaginario spauracchio del determinismo genetico che non riesce a capire che l' autoelevazione (bootstrapping) che dichiara di proteggere, la vera sorgente della nostra libertà, è accresciuta, non minacciata, dalla demitizzazione del Sé. La conoscenza scientifica è la strada maestra - anzi, la sola strada - verso l'eluttabilità. Forse, qui riusciamo a intravvedere le linee guida della paura segreta che alimenta alcune di quelle urla: Fermate quel corvo! La paura non è che la scienza possa portarci via la libertà, ma che la scienza ce ne possa dare troppa. Se vostro figlio non ha lo stesso "vero coraggio" del figlio del vostro vicino, forse potete comperargli del coraggio artificiale. E perché no? È un paese libero, e il miglioramento di noi stessi è uno dei nostri ideali più nobili. Perché dovrebbe essere così importante riuscire a portare a termine il miglioramento di voi stessi solo nel modo tradizionale che ci è tanto caro? Si tratta di questioni molto importanti, e le risposte non sono banali. Dovrebbero, però, essere affrontate direttamente, senza venire distorte da uno sconsiderato tentativo di soffocarle. In Elbow Room ho paragonato le differenze di dote, genetica e ambientale, che tutti noi esibiamo, alla partenza scaglionata di una maratona, in cui alcuni corridori partono parecchi metri dietro agli altri, ma tutti corrono verso quell'unico traguardo. Questo è corretto, ho sostenuto, dato che, in una gara tanto lunga, "un vantaggio iniziale così piccolo non avrebbe alcun significato, poiché ci si può aspettare con una certa fiducia che accadrà qualche altro fortuito incidente che potrà avere persino effetto maggiore" (Dennett, 1984, p. 95). Il che è vero, ma sottovaluta il ruolo degli incidenti non fortuiti che avvengono nella gara, quelli cioè causati da agenti responsabili. La ricerca dello stato di persona è qualcosa che richiede lavoro di squadra, con allenatori e tifosi che svolgono un ruolo importante ai lati dell'azione, arricchendo l'ambiente con un tipo di impalcatura progettata (inconsciamente) per far emer-
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È successo perché un'intera generazione di ragazzi americani, nelle migliori scuole private del Nordest come nelle peggiori scuole pubbliche di Los Angeles o San Diego, venivano messi in riga con il metilfenidato, drogati diligentemente ogni giorno dalla loro spacciatrice, l'infermiera della scuola. L'America è un paese meraviglioso! Dico davvero! Nessun onesto scrittore potrebbe confutare questa affermazione! La commedia umana non è mai a corto di materiale! Non ti delude mai! Nel frattempo, la nozione di sé, un sé che esercita l' autodisciplina, pospone la gratificazione, controlla gli appetiti sessuali, evita comportamenti e aggressioni criminali, un sé che può diventare più intelligente e scalare le vette della vita con le sue sole forze, grazie allo studio, all'allenamento, alla costanza e al rifiuto di rinunciare nonostante ogni avversità, questo antiquato concetto (che cos'è un bootstrap in nome di Dio?) del successo ottenuto grazie all'intraprendenza e al fegato sta sgretolandosi ... sgretolandosi ... sgretolandosi ... (Wolfe, 2000, p. 125)
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gere il meglio che è in noi. L'insieme delle attitudini ambientali e delle politiche che un bambino è in grado di osservare e alla fine condividere è più importante ancora della fornitura di giochi appropriati per lo sviluppo, e anche di un appropriato nutrimento. C'è una quantità di evidenze a supporto dell'ipotesi che un bambino fatto crescere in mezzo ad altri che sono violenti, bugiardi ed egoisti- compagni di gioco che sono presenti nella vita del bambino quanto e più dei genitori- tenda a sviluppare questi tratti caratteriali. Il lato buono di queste o mbre è altrettanto significativo: quelli di noi che hanno la fortuna di crescere in una società libera, in compagnia di persone che sono ragionevoli. fidate e amorevoli, tendono ad aspirare a quegli ideali. L'educazione fa grande differenza. È un errore ridurre gli effetti dell'educazione all'" educazione morale", come se la chiave per garantire che un minore possa crescere per diventare un adulto responsabile sia la doverosa ubbidienza a un qualsiasi catechismo. Avere come corredo un vademecum di pii precetti può aiutare, ma un insieme di influenze ben più potente viene installato già prima, e canalizza il modo che abbiamo di meditare su ogni fugace pensiero. Quando parliamo ai nostri piccoli ancora in fase prelinguistica, noi sappiamo, in modo quasi cosciente, che la maggior parte di quello che diciamo loro entra da un orecchio per uscire dall'altro, ma non tutto. Qualcosa mette radici. Che cosa vuoi? Hai paura di quello? Dove ti fa male? Sai dov'è il coniglietto? Stai provando a prendermi in giro? "Non preoccupiamoci, lui vi crescerà dentro", dice Mamma, quando mette un abito di seconda mano piuttosto fuori misura al suo bambino, e si potrebbe dire lo stesso delle disposizioni psicologiche di seconda mano alquanto fuori misura che gli adulti ci impongono quando siamo piccoli. E abbastanza sicuramente, ci cresceremo dentro, facendole nostre, diventando degli agenti come quelli già cresciuti. Tanto più seriamente faremo partecipare i nostri bambini alla nostra pratica di richiedere e fornire ragioni, tanto più seriamente si prenderanno in considerazione loro stessi. Questa inclinazione a presumere, peccando nella presupposizione della presenza di più competenza di progetto nei
nostri giovani interlocutori di quella che i meri fatti potrebbero garantire, è un'aggiunta straordinariamente potente all'arsenale dei trucchi dell'attività di R&S darwiniana. Poiché noi esseri umani non siamo degli orologiai ciechi, ma siamo dei creatori di noi stessi dalla vista piuttosto acuta. per di più capaci di riflettere su ciò che vediamo e di trarre inferenze circa ciò che vorremmo vedere nel futuro, siamo molto più facilmente riprogettati, prima dagli altri, poi da noi stessi, di qualsiasi altro organismo che si sia mai evoluto su questo pianeta. Consideriamo, per esempio, il fenomeno del ''comportarsi come meglio si sa fare". Indipendentemente da tutte le istruzioni, formali o informali che siano, noi quasi sempre regoliamo il nostro comportamento per armonizzarci con quella (che noi riteniamo essere) la domanda sociale nelle circostanze attuali. Eccettuato per pochi spiriti bizzarramente liberi che sembrano veramente non venire sfiorati dalla pressione sociale, le persone pensano di riuscire deliberatamente a frustrare le aspettative di coloro che li circondano, solo grazie agli sforzi più strenui e disciplinati. Questa pressione delle aspettative lavora in ogni direzione. Quale genitore non ha ritrovato forza di carattere, ottenuto trionfi sulla sua pigrizia o sulla paura o sul suo essere schifiltoso. essendosi reso conto che un figlio lo stava osservando? Fino a quando saremo "all'altezza della situazione", sarà bello avere una vita ricca di occasioni, piena di opportunità per mettere in mostra il nostro lato migliore, per gli altri e per noi stessi, e così facendo si renderà più probabile che questo Sé migliore si manifesti sempre più frequentemente nel futuro (Ainslie, 2001, presenta un'analisi particolarmente illuminante di questa dinamica). La "messa in scena del sé nella vita quotidiana" (Goffman, 1959) è una danza coreografica interattiva che rappresentiamo con cura (ma quasi del tutto inconsciamente), nella quale non solo proviamo ad apparire meglio di come siamo, ma nel cui processo estraiamo il meglio dagli altri. Nessuno vorrebbe interferire in modo avventato con quell'insieme di pratiche. frutto dì migliaia di anni di evoluzione genetica e culturale. Si potrebbero disfare molte valide attività di R&S ( Ferrnate quel corvo.'). D'altro canto, se effettuata con discernimento e com-
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Quali sono le configurazioni sociali a grande scala che incrementeranno la libertà e la distribuiranno in modo più equo sul nostro pianeta? Quale combinazione di esplicite promulgazio-
ni e di trucchi sottili è più probabile che l'ambiente promuova in modi favorevoli alla crescita di un Sé umano? Nel capitolo 7 abbiamo soppesato la tesi di Robert Frank che i problemi di autocontrollo e di impegno si diano una mano a vicenda per trovare una soluzione, favorendo l'evoluzione di emozioni come la collera e l'amore. Allan Gibbard amplia il punto mettendo a fuoco il problema di un "ingegnere psichico" che voglia sintonizzare le disposizioni degli individui in modo che questi provino collera, sensi di colpa e altre emozioni. La collera, nota Gibbard, "è potente e inevitabile, e spesso aiuta a regolare le azioni secondo i desideri" (Gibbard, 1990, p. 298). Anche se "noi siamo legati alla collera, a prescindere dalle nostre regole" (p. 299), in alcune culture sembra che non ci sia spazio per il concetto di colpa. Ciò solleva la questione se non potremmo stare tutti meglio senza questo concetto. Qualche duro determinista ha sostenuto che non solo non dovremmo lamentarci per la dipartita del libero arbitrio "genuino", ma dovremmo anche esclamare "Finalmente!", poiché, senza il presupposto del libero arbitrio, potremmo tranquillamente abbandonare i concetti di responsabilità morale, di biasimo e di castigo e, da quel momento in poi, vivere tutti ancora più felici. Ho fatto quello che ho potuto per troncare la connessione che costoro immaginano tra determinismo e assenza di responsabilità; ma possiamo ancora cercare di capire, con Gibbard, se la moralità stessa sia o meno una caratteristica che dovremmo tentare di preservare nella nostra società. "La questione è in parte pragmatica: potremmo fare meglio senza questi sentimenti particolari, o senza le norme che li governano?" (p. 295). Colpa e collera si mescolano bene assieme: il senso di colpa placa la collera, e la minaccia della colpa previene atti che evocherebbero la collera. Come tenderebbero a comportarsi tra loro le persone in una società in cui colpa e collera fossero entrambe bandite il più lontano possibile, o- in seguito a un'eroica ri-progettazione ingegneristica della società - completamente sedate? Potrebbe anche essere accorto, per una qualche ragione, regolare il senso di colpa e la collera lontano da un punto di equilibrio, lasciando una delle due un po' sopra l'altra? Il duro determini-
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prensione, una certa interferenza potrebbe rafforzare e incrementare quei progetti, compensando opportunità mancate e percezioni affievolite. Inoltre, alcuni interventi deliberati potrebbero cancellare tutte quelle sfortunate varianti delle nostre pratiche che possono essere facilmente considerate controproducenti. Questo è il momento in cui le nostre capacità di riflessione evolute tornano utili. Consideriamo il sottile ma devastante effetto individuato dalla scrittrice afro-americana Debra Dickerson, quando scriveva di suo padre: In seguito mi resi conto che lui si aspettava e aveva bisogno che i neri fallissero, altrimenti non ci sarebbe stata alcuna prova della perfidia e della mancanza di anima dei bianchi. Non capì mai che il suo fatalismo era una profezia che si autoavvera, controproducente. Non prese mai in considerazione che era spinto a credere, a un certo livello, che i bianchi fossero superiori, dal momento che era convinto che i neri non avessero alcuna possibilità nella vita; probabilmente, avrebbe attribuito tutto ciò al potere trascendente del male innato dei bianchi. Tra di noi siamo abituati a dire che "il ghiaccio dei bianchi è più freddo" per descrivere i molti tra di noi che non crederanno né valuteranno mai niente, a meno che non provenga dalla gente bianca. Peggio stanno i neri, più i bianchi sembrano magici, sebbene sia cattiva magia. Così mio padre, come molti altri neri, fece il lavoro dell' oppressore al posto dei bianchi; e mi insegnò a fare lo stesso. Quello fu il momento in cui iniziai a chiudere le porte intorno a me. Forse, i bianchi erano anche felici di assumersi quel compito loro stessi, ma solo raramente dovevano farlo. Non c'era bisogno che bianchi ponessero ostacoli sul mio cammino, lo facevo già da me, "accettando" il mio posto prestabilito alla fine di ogni fila. Il razzismo e le iniquità sistematiche sono forze molto reali in tutte le nostre vite; ma lo è non meno il fatalismo, con una sorta di godimento perverso del proprio stato di oppresso. (Dickerson, 2000, p. 40)
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sta afferma che il nostro mondo sarebbe un posto migliore, se potessimo in qualche modo chiamarci fuori dal nostro senso di colpa, quando causiamo del male a qualcuno; dalla nostra collera, quando qualcuno ne causa a noi. Ma non è chiaro quanto una "cura" praticata lungo siffatte linee non risulti peggiore della "malattia" che dovrebbe eliminare. La collera e la colpa hanno le loro motivazioni, e sono profondamente incastonate nella nostra psicologia. Sarebbe migliore, sostiene Gibbard. una politica che favorisse condizioni atte a moderare l'intensità degli standard di queste emozioni. Egli contrappone sistemi "arroganti" di norme morali a sistemi "timidi". Le norme arroganti stabiliscono una gran quantità di vincoli, e quindi favoriscono il pullulare di riserve private, ipocrisie e sospetti verso gli altri. Impongono un giogo rigido alla natura umana e tendono a implicare "un 'oppressione piuttosto inefficiente". Questa, sostiene, è una falla progettuale evidente, come quella di regolare il rapporto dello sterzo di una macchina troppo alto, portando il conducente a sovrasterzare, a correggere continuamente la direzione, e poi a correggere le correzioni, e così via. È insicuro, e sottopone il meccanismo a tensioni non dovute, senza per questo ottenere l'effetto voluto (vedi p. 306). Le norme timide, d'altro canto, sono relativamente tolleranti, un compromesso tra prudenza e interesse egoistico che è facile ingoiare, e quindi effettivamente più facile da sottoscrivere da parte dei vari individui. Così, Gibbard propone che il progettista razionale regoli le norme per la collera e la colpa in modo piuttosto blando, un insieme culturalmente instillato che imbrigli la natura invece di combatterla. Consideriamo un individuo, che Gibbard indica con la h cuzione "colui che rimugina in privato", che è alle prese con una lotta tra obiettivi egoistici e la spinta della benevolenza verso gli altri o della morale. Viene coinvolto in un dibattito per manifestare la propria adesione a varie norme pubblicamente sottoscritte, ma potrebbe avere delle riserve private, potrebbe chiedersi, per esempio, se debba veramente concordare con quelle norme, quando potrebbe benissimo farla
franca non rispettandole. Potrebbe suonargli familiare l'affermazione dì Robert Frank che paga. prudenzialmente, essere buoni per poter sembrare buoni; ma potrebbe anche baloccarsi con l'idea di poter essere, proprio lui, un'eccezione. Ha accettato l'aiuto dei suoi amici, ma può giungere al punto di chiedersi che razza di affare sia mai stato, se poi è costretto a restituire il favore aiutando loro. È stato persuaso ad aderire alla buona cittadinanza dalle richieste di circostanza nelle conversazioni? La risoluzione di un conflitto del genere è qualcosa che dipende pesantemente dall'atmosfera sociale:
Gli ingegneri, come i politici, hanno a che fare con l'arte del possibile, e ciò richiede che noi, tutti noi, pensiamo realisticamente a ciò che le persone sono davvero, e a come hanno fatto a diventare così. Gli esercizi di teorizzazioni etiche, che rifiutano di piegarsi ai fatti empirici riguardanti la condizione u.mana, non possono che generare fantasie capaci magari di nsvegliare un certo interesse estetico, ma che non devono essere prese seriamente per raccomandazioni realistiche. Come o?ni altra c?sa creata dall'evoluzione, noi siamo delle valigie dr trucchi, !rutto di progettazioni piuttosto opportunistiche: la nostra morale dovrebbe basarsi su tale considerazione. I filosofi hanno spesso cercato di realizzare una superpura, ultrarazionale morale, per nulla corrotta dalla "simpatia'' IKant) o dagli "istinti", da inclinazioni animali o da passioni o emozioni. Gibbard osserva pragmaticamente ciò con cui
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Se rispettare la morale è il modo migliore per perseguire i suoi obiettivi piil egoistici, allora la sua indecisione è già scomparsa. Con una morale arrogante questo sarebbe improbabile; con una morale timida. sembrerebbe più plausibile Ciò che rende una morale timida è il suo allearsi, nella maggioranza dei casi, con un numero sufficiente di altri motivi per poter prevalere- per prevalere sulle persone reali, con tutte le loro unioni e separazioni, con tutte le loro spinte norma ti ve e i loro appetiti, i loro sentimenti, impulsi e bramosie. (Gibbard, 1990, p. 309)
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dobbiamo lavorare e propone, come un ingegnere, di fare la stessa cosa che Madre Natura fa da sempre: lavorare con quello che si ha a disposizione.
La spiegazione che ho abbozzato dell'arte del farsi da sé mostra di comprendere una quantità sconvolgente di manipolazioni inconsce o subliminali affiancate all'esercizio della "ragion pura", Ma questo processo non mina già esso il concetto di un Sé responsabile? Questa domanda è stata analizzata a lungo da Alfred Mele nel suo Autonomous Agents (1995). Egli afferma che, al di là del mero autocontrollo, c'è il concetto di autonornia, che egli oppone al concetto di eteronomia, per il quale un agente dotato di autocontrollo sarebbe ciononostante anche sotto il controllo (parziale) di altri. Propone così un Principio di Responsabilità per default: se nessun altro è responsabile del vostro essere nello stato A, allora il responsabile siete proprio voi. Tale principio esclude in modo elegante il regresso all'infinito temuto da Kane; ci permette di trasmettere la responsabilità a coloro che praticano il lavaggio del cervello (se tali ce ne sono mai stati nel vostro passato), ma non alla "società" in generale o all'ambiente privo di agenti. Solamente se siete stati manipolati da agenti che sanno guardare lontano, che lo hanno fatto per fini noti solo a loro, sarete assolti dalla responsabilità personale delle azioni intraprese dal vostro corpo; in questo caso, quelli non sono gesti vostri, ma gesti di coloro che vi hanno fatto il lavaggio del cervello. Abbastanza giusto, ma anche gli educatori pro-
gettano le loro interazioni con noi in modo da perseguire fini tutti loro, in particolare 1' obiettivo di trasformarci in agenti morali affidabili. Come facciamo a distinguere tra buona educazione, dubbia propaganda e pericoloso lavaggio del cervello? Quando state solo beneficiando di un piccolo aiuto da parte dei vostri amici e quando, invece, qualcuno vi sta ingannando? Il termine che urilizza Mele per indicare il lavaggio del cervello è "ingegneria dei valori" e parla in modo sprezzante dell'ingegneria che ''aggira" la capacità della gente di controllare le proprie attività mentali (Mele, 1995, pp. 166-167). Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, l'autocontrollo delle nostre attività mentali è limitato e problematico in ogni caso, così non ci dovrebbe sorprendere la nostra difficoltà nel distinguere tra un'ingegneria che aggira le nostre capacità e un'ingegneria che le sfrutta in modo tollerabile e auspicabile. Per drammatizzare la differenza tra autonomia ed eteronomia, Mele delinea degli esperimenti mentali che coinvolgono due agenti minimamente differenti, Ann e Beth. Supponiamo, per iniziare, che Ann sia genuinamente autonoma- qualunque cosa questo possa voler dire. Beata Ann! Poi, supponiamo anche che Beth sia proprio come Ann, la sua gemella psicologicamente identica, potreste dire, ma che abbia subito un qualche lavaggio del cervello senza che lei si fosse accorta di essere in tale stato psicologico, forse solo apparentemente invidiabile. Beth ha tutte le stesse disposizioni di Ann; come lei è di larghe vedute, non ossessiva, flessibile ma anche risoluta, come lo è Ann; ma la sua autonomia apparente, suggerisce Mele, è fasulla. È come un dollaro perfettamente contrat1atto, facilmente scambiabile con una Coca e degli spiccioli, ma comunque non autentico in modo importante, moralmente. Gli esperimenti mentali che si basano su condizioni tanto estreme - ed estremamente irreali - sono famosi per avere buone probabilità di abbindolare l'immaginazione dei filosofi, ed è impanante girare tutti i pomelli, variare tutte le condizioni in qualsiasi modo, per capire esattamente in che direzione stanno spingendo le intuizioni. Ovviamente, nel mondo reale,
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Autononùa, lavaggio del cervello ed educazione Considerare qualcuno un agente razionale significa assumere che la sua ragione trovi un 'applicazione pratica o, equivalentemente, che lui abbia una volontà. Inoltre. non si può assumere tutto questo, senza presupporre l'idea di libertà, che è il motivo per cui qualcuno può agire o cominciare ad agire- e solo sotto quest'idea. Ciò costituisce, per così dire, la forma del pensiero di se stessi come agenti razionali. HE:--JRY A. ALLI SO;.;, "We can act only under the idea of freedom"
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la ragione per cui sono importanti le differenze di natura storica (in questo caso, l'educazione di Ann comro il lavaggio del cervello di Beth) è che queste differenze creano, di conseguenza, differenze di carattere e di disposizioni che sfoceranno in differenze di comportamento nel futuro. Queste differenze sono esattamente ciò che è stato escluso dal caso immaginario; ma possiamo stimare queste condizioni per quello che appaiono a prima vista? Gli esperimenti mentali sul lavaggio del cervello sono un fenomeno endemico nelle analisi dei filosofi del libero arbitrio; una caratteristica molto frequente su cui raramente si fa qualche commento di questi esperimenti mentali è la completa ignoranza che la vittima ha dell'intervento subito. Vediamo che succede quando ruotiamo questo pomello. Supponiamo, con Mele ( 1995, p. 169), che Beth venga successivamente informata del suo segreto passato e le si dia una possibilità di richiedere la cancellazione del suo lavaggio del cervello. Se lei retrospettivamente dovesse chiedere una cosa del genere, questo atto conterebbe? Lei sarebbe giocoforza un agente autonomo? Il vostro intuito potrebbe drarsi indietro a questo punto, dato che lo stato di Beth quando "aderisce'' alla richiesta è esso stesso un prodotto del suo lavaggio del cervello precedente (per ipotesi l. Voi potreste voler obiettare che lei è stata progettata per approvare il suo stesso progetto, il che sarebbe sicuramente un gesto vuoto da parte sua. Non è così. Considerate il tempo e la differenza che questo può aver fatto. Supponete che attendiamo diversi anni prima di rendere Beth edotta della sua storia segreta, dandole il tempo di farsi un sacco di esperienze nel caotico mondo delle decisioni morali. Dato che Beth è proprio di aperte vedute, cognitivamente flessibile quanto lo è Ann (per ipotesi), questa esperienza avrebbe lo stesso valore per lei di quello che avrebbe per Ann, e quindi dovrebbe essere in grado di sostenere qualunque approvazione da parte sua tanto quanto riuscirebbe a farlo nel caso di Ann. Possiamo spingere questa linea di ragionamento oltre, supponendo di girare lo stesso pomello nel caso di An n: (mentendo) diciamo ad Ann che lei è stata vittima di un lavaggio del cervello. Lei riflette su questa con-
fessione e decide di approvare il tipo di persona che è diventata - dovrebbe farlo comunque, dopotutto; lei è realmente autonoma (qualunque cosa voglia dire). I suoi atti contano forse di più di quelli di Beth? Non riesco a vedere alcun motivo per cui dovrebbe essere così. Forse in modo più pertinente, potreste sentirvi leggermente spinti a ipotizzare che, mentendo ad An n, l'abbiamo effettivamente resa peggiore, nell'area dell'autonomia, di come sarebbe stata altrimenti- supponendo che lei abbia creduto alla nostra bugia, ovviamente! Perché? Perché ora ha delle informazioni profondamente sbagliate sul suo passato, che lei si basi o meno su queste informazioni per prendere le sue decisioni. (Ed è abbastanza facile immaginare che tali informazioni sbagliate possano condire in modo molto saporito tutta la sua conseguente riflessione su argomenti morali.) Ricordiamoci, però, che anche Beth era profondamente male informata riguardo al suo passato, prima che noi le dicessimo del lavaggio del cervello. O non lo era? Mele non approfondisce il punto, ma presumibilmente il lavaggio del cervello di Beth le era stato celato; presumibilmente, parte della sua somiglianza psicologica con Ann prima che il suo segreto le venisse svelato è un insieme straordinariamente ricco di falsi pseudoricordi di una buona educazione morale con garanzia di autonomia, che non c'è mai stata. Come si potrebbe altrimenti sostenere la convenzione che lei sia la gemella psicologica di Ann? Potrebbero, quindi, essere la menzogna e l'occultamento i segni distintivi del lavaggio del cervello? Fino a quando dite alla gente la verità (quella che viene considerata la verità nel momento in cui la comunicate), vi astenete da qualsiasi tentativo di ingannarla; fino a quando la lascerete in uno stato dal quale possa fare valutazioni della propria situazione quanto meno buone e indipendenti, come quelle che faceva prima del vostro intervento, la starete educando e non starete facendo nessun lavaggio del cervello. L'idea che la storia di qualcuno possa fare una differenza moralmente importante, senza per questo fare differenza alcuna per le sue competenze future,
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non è giustificata affatto dall'esperimento mentale di Mele. La sua analogia con il dollaro perfettamente contraffatto è, sotto questo profilo, istruttiva. La contraffazione ha importanza per i suoi effetti sulle credenze dell'ambiente e sui desideri che la gente comune nutre nei confronti dell'integrità del proprio capitale, ma questi sono effetti generali, non sono effetti dovuti a particolari biglietti. L'identificazione e la rimozione di biglietti perfettamente contraffatti dal fondo monetario sarebbe un progetto senza scopo, dal momento che la differenza tra un dollaro genuino e una perfetta contraffazione sarebbe (ex hypothesi) un fatto storico inerte. La credenza che ci siano parecchi dollari contraffatti diffusi tra la scorta legale potrebbe arrecare disturbo all'economia indebolendo la fiducia nella capacità di controllo della politica monetaria del governo, ma non ci sarebbe vantaggio alcuno nel raccogliere tutti i biglietti contraffatti e distruggerli (rispetto al raccogliere e distruggere parecchi dollari in circolazione). Consideriamo nuovamente Ann e Beth. Se Beth apprende la verità sul lavaggio del cervello che ha subito, ciò produrrà senza dubbio echi sconvolgenti nella sua psiche, con chissà quali effetti sulla sua competenza di individuo morale. Ma si produrrebbero esattamente i medesimi echi nella psiche di Ann, se le venisse comunicata in modo convincente la stessa "verità" su di lei. Se una viene danneggiata, così anche l'altra. E se l'autonomia di Ann dipende dalla verità delle sue credenze circa il proprio passato, allora il problema di Beth è solo che le è stato mentito, non che è stata messa nel suo invidiabile stato disposizionale dall"'ingegneria di valori". Notate, a proposito, ciò che questo fa presagire per ogni dottrina che si erga a giustificare Fermate quel corvo' sulla base che sia meglio non far conoscere la verità alla gente: "Abbiamo dovuto distruggere l'autonomia umana per poterla salvare''. Non è certo una tesi politica attraente. L'agente genuinamente autonomo è un agente razionale, in grado di controllarsi, e in possesso di informazioni non violentemente alterate. La ripugnanza intuitiva che proviamo nei confronti delle "pillole di moralità" e del "lavaggio del cervel-
lo", in contrasto con la cara vecchia educazione morale, è forse dovuta, allora, al nostro confuso renderei conto della totale impossibilità di qualsiasi trattamento tanto veloce, e tale da preservare veramente la correttezza dell'informazione, la t1essibilità e l'ampiezza di vedute che, sulla base della nostra esperienza, possono dipendere solo da una solida educazione. Non riesco a vedere come ingoiare consapevolmente una pillola per aumentare la nostra capacità di autocontrollo sia in qualche modo più sovversivo nei confronti della nostra autonomia di quanto possa esserlo nutrire consapevolmente una modesta quantità di autoinganno sui nostri poteri. Se siete in grado di manipolare voi stessi consapevolmente in questo modo, come adulti consenzienti, e beneficiarne degli effetti sia in prospettiva sia retrospettivamente, allora questo è un test abbastanza buono per sapere se sareste in grado di manipolare legittimamente i vostri figli nello stesso modo. Nella mitica città sul lago Wobegon di Garrison Keillor, "tutti i bambini sono sopra la media", e questo mito felice li rende migliori di quanto sarebbero stati altrimenti almeno fino a quando non iniziano a sentirsi seriamente ingannati dal mito. È certamente un miglioramento rispetto alla credenza che il ghiaccio dell'uomo bianco sia più freddo. l filosofi hanno esplorato ampiamente un'altra prospettiva dell'autonomia, sulla scia dell'int1uente saggio di Harry Frankfurt, "Freedom of the will and the concept of person" !Frankfurt, 1971). Frankfurt ha sviluppato l'idea che una persona un agente adulto responsabile - differisca da un animale o da un bambino grazie al possesso di una psicologia più complessa, in particolare desideri di ordine superiore. Una persona può volere una cosa, ma può voler volere qualcos'altro e agisce sulla base di quel desiderio di second'ordine. Una tale capacità di rit1essione su, e di approvazione o rigetto di, desideri che si scoprono in noi stessi, non è solo un sintomo di maturità, dice Frankfurt; è criterio dell'essere persona. Questa idea intuitivamente attraente ha dimostrato di essere notevolmente resistente a qualsiasi obiezione, in modo da eludere regresso e contraddizioni e un tentativo, relativa-
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mente recente, dovuto a David Velleman, ha evidenziato utilmente, per quello di cui ci stiamo occupando in questo libro, il ruolo del ragionamento, e insieme il requisito di non farci troppo piccoli. "Il ruolo dell'agente, secondo Frankfurt, è quello di riflettere sulle ragioni che competono al governo dei suoi comportamenti, e di determinare l'esito della competizione, schierandosi a fianco di alcune di queste ragioni a discapito di altre" (Velleman, 1992, p. 476). Ma come fa una persona a schierarsi con, o contr·o, una delle sue ragioni? Consideriamo la differenza che sussiste tra due sacerdoti cattolici: uno è un credente fervente, approva pienamente il suo voto di celibato ed è trionfante nella potenza della sua volontà sul suo temperamento geneticamente ereditato; l'altro è celibe come il primo, ma considera il suo Cattolicesimo quasi come una forma di tossicomania. Si considera vittima di un lavaggio del cervello, una preda di memi alieni: ma non riesce a risolversi a fare il salto e ad abbandonare i principi che gli sono stati inculcati. Ci sono certamente molte persone che rientrano in una di queste due categorie, in molti diversi campi, ma in che cosa consiste principalmente la differenza? Entrambi i sacerdoti sono fortemente motivati dal dogma del Cattolicesimo Romano; ma uno si identifica passionalmente con la sua religione, l'altro no. L'identificazione non può dipendere da un perlaceo Ego cartesiano o da un'anima immateriale che accetta dei m emi mentre ne rigetta altri; l'entità che accetta entusisticamente la situazione deve essere un qualche tipo di struttura complessa meme-cervello. Ma come facciamo a identificare, nella vorticosa competizione che ha luogo nel cervello, una simile struttura come un agente interno, capace di "schierarsi", senza ricadere nei misteri cartesiani di un'indipendente res cogitans che funge da capo, o quanto meno da vigile che governa il traffico, e da giudice? Velleman ci presenta un esempio che ricorda alcuni degli esperimenti di Daniel Wegner; qui una cospirazione inconscia, parzialmente o persino totalmente sommersa, di motivazioni, ragioni, ammissioni e altro, modella l'azione:
Supponiamo che io abbia organizzato già da tempo un incontro con un vecchio amico allo scopo di appianare delle piccole divergenze; ma che, mentre parliamo, i suoi bruschi commenti mi inducano ad alzare la voce in un crescendo di risposte taglienti, fino a quando non ci separiamo, entrambi in preda alla collera. Una riflessione successiva mi permette di rendermi conto di come dei rancori accumulati si siano cristallizzati nella mia mente, durante la settimana precedente all'incontro, nella decisione di dare un taglio alla nostra amicizia sfruttando l'argomento in questione e come sia stata questa decisione a dare ai miei commenti quel taglio ingiurioso [ ... ].Ma penso necessariamente che ho preso la decisione o che l'ho eseguita? [... ]Quando i miei desideri e le mie credenze hanno generato un'intenzione a dare un taglio all'amicizia, e quando quell'intenzione ha attivato il mio tono velenoso, stavano esercitando lo stesso tipo di potere causale che esercitano solitamente, e inoltre lo stavano facendo senza alcun contributo da parte mia. (Velleman. 1992, pp. 464-465)
Può solo essere, come pensava Kant tempo fa, un rispetto per la ragione stessa: "Ciò che anima il pensiero pratico è l'interesse nell'agire d'accordo con la ragione" (vedi p. 478). E da dove proviene questo pensiero pratico? Dall'educazione che coinvolge il bambino nella pratica di chiedere e fornire ragioni. li ruolo della coscienza qui è proprio quello di collocare il problema nell'arena della deliberazione e della considerazione, dove possono venire esaminate e si possono negoziare nel tempo le ragioni pro e quelle contro. Ma allora, che dire di
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Che cosa cambierebbe se ci/asse un simile contributo? Come nota Velleman, ci deve essere qualcosa di più in un agente che un semplice punto matematico, dato che quando si schiera con alcune di queste ragioni, le sostiene con una forza aggiuntiva a, e quindi altra da, la loro stessa forza [... ]. Quale evento o stato mentale può svolgere questo ruolo di dirigere sempre ma di non finire mai sotto un esame tanto minuzioso? Può essere solamente una motivazione che guidi essa stessa il pensiero pratico. (Velleman, 1992, pp. 476-477)
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quei gesuiti che (si narra) sostenevano che i primi sette anni erano loro sufficienti per educare un bambino in modo da farlo identificare con la fede? Era indottrinamento o educazione? Penso che sia un punto di forza e non di debolezza della posizione che sto delineando qui il consentire a entrambi i nostri sacerdoti cattolici di essere nel giusto; il primo potrebbe non deludere se stesso nel credere di possedere la necessaria autonomia per sottoscrivere la sua decisione e intendere di farlo; il secondo potrebbe aver ugualmente ragione a prendersela con il suo indottrinamento; e le differenze nella loro educazione potrebbero essere minime. Gli individui sono esseri meravigliosamente complicati, e ciò che funziona bene con uno di loro potrebbe essere decisamente doloroso per un altro. (Lo stesso vale per il Ritalin, ovviamente; molti di coloro cui è stato prescritto dovrebbero decisamente evitare di prenderlo.) Quale è, allora, il ruolo importante di un simile Sé? Il Sé è un sistema cui viene assegnata una responsabilità, nel tempo, così che esso può essere affidabilmente presente per assumersi questa responsabilità: c'è qualcuno in casa in grado di rispondere quando si sollevano questioni di responsabilità. Kane e gli altri hanno ragione a cercare un posto dove la responsabilità si debba alla fine arrestare. Solo che cercando hanno guardato al tipo sbagliato di cosa.
IL :\OSTRO BOOT\ TRAPP/SC PER ESSERI: LIBERI
Capitolo 10
Le vere minacce alla libertà non sono metafisiche, ma politiche e sociali. Più impariamo delle condizioni della scelta da parte di esseri umani. più dobbiamo sviluppare e condividere sistemi di governo e leggi che non siano ostaggi di_falsi miti sulla natura umana, che siano robusti rispetto a scoperte scientifiche e sviluppi tecnologici/uturi. Siamo più liberi di quanto vorremo essere;; Abbiamo oggi più potere di quanto ne abbiamo mai avuto per creare le condizioni alle quali noi e i nostri discendenti potremo condurre le nostre vite.
Fonti e letture consigliate
La cultura umana ha favorito l'evoluzione di menti sufficientemente potenti da catturare le ragioni delle cose e farle diventare le nostre ragioni. Noi non siamo agenti perfettamente razionalz; ma l'arena sociale nella quale viviamo sostiene processi di interazione dinamica che richiedono e permettono nello stesso tempo il rinnovo e l'approvazione delle nostre ragiom~ tras/ormandoci in agenti che possono prendersi la responsabilità delle proprie azioni. La nostra autonomia non dipende da niente di simile alla sospensione miracolosa della causalità, ma dall'integrità dei processi dell'educazione e della mutua condivisione della conoscenza.
Don Ross mi ha fatto notare che l'analisi di Skyrms non è del tutto generale, ma che quella, recente, di Ken Binmore (pur minacciosamente matematica) in Game Theorv an d Soeia! Contrae!, vol. 2: Just Playing (1998) fornisce u~a spiegazione completamente generale. In Elbow Room (Dennett, 1984) si può trovare una versione precedente del mio resoconto dell' autoelevazione gradualistica (bootstrapping), che si trova nel capitolo 4, "Sé fatti da sé". La spiegazione che ho presentato in questo libro integra, e non invalida in alcun modo, quanto ho scritto allora. Il saggio del 1992 di Peter Suber, ''The paradox of liberation '' (non pubblicato ma scarica bile dal sito http://www. earlham.edu/ -peters/writing/liber.htm), mi ha fornito molte intuizioni, così come la magnifica citazione da James Branch Cabell e lo slogan degli Alcolisti Anonimi che ho utilizzato come epigrafi. Si veda il libro Non è colpa dei genitori (1998) di Judith Harris sulle prove che evidenziano la maggiore influen;a che i bambini subiscono dai loro compagni di gioco rispetto a quella esercitata dai genitori, analizzate con un ampio spettro di variabili psicologiche. Per commenti in qualche modo piuttosto divergenti a La
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Capitolo 9
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vita quotidiana come rappresentazione di Goffman (1959) si veda The Mora l Anima l ( 1994) di Robert Wright, nel capitolo sull'inganno e sull'autoinganno. Sul ruolo delle favole all'interno del processo di creazione di agenti affidabili si veda il mio "Producing future by telling stories" (1996c). Il lavoro di Victoria McGeer è stata la fonte principale per i miei commenti sulle impalcature. È rileva-nte anche la sterminata letteratura sulla "teoria della mente del bambino", che è ben studiata in Astington, Harris, Olson (1988); Baron-Cohen (1995): e in Baron-Cohen, Tager-Flusberg, Cohen (2000). Coloro che volessero indagare sulle attrazioni e sulle trappole del determinismo radicale e suoi affini dovrebbero consultare "Ethics without free will" (1990) di Michael Slote; La macchina dei memi (1999) di Susan Blackmore; il libro di Derk Pereboom, Living without Free Will (2001). Per saperne di più sull'uso di esperimenti mentali estremi in filosofia, che ci richiedono di prendere in seria considerazione fantasie come le pillole della moralità e i lavaggi del cervello-che-non-lasciano-segno, si veda il mio "Cow-sharks, magnets, and swampman" (1996b). Per Hume si legga "Natural and artificial virtues: a vindication ofHume's scheme" (1996) di David Wiggins.
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Come andrà a finire? Quando si tratta di libero arbitrio non esiste una causa di angoscia più potente dell'immagine minacciosa che le scienze fisiche sommergano ogni nostra azione, buona o malvagia, nel brodo acido delle spiegazioni causali, corrodendo l'anima fino a che non rimarrà più niente da lodare o incolpare, da onorare, rispettare e amare. O almeno, così sembra a molta gente. Per questo motivo, tali persone erigono una barriera dopo l'altra, ricorrendo a qualunque dottrina assolutistica che vada abbastanza bene per tenere a bada siffatte idee distruttive. Questa è una strategia destinata al fallimento, una reliquia dello scorso millennio. Grazie alla nostra crescente comprensione della natura, abbiamo imparato che questi bastioni possono solo ritardare la catastrofe, e spesso render la peggiore. Se volete vivere sulla spiaggia, farete meglio a essere pronti a traslocare quando questa si sposterà, come fanno solitamente le spiagge, lentamente ma inesorabilmente. l frangiflutti possono "salvare" il litorale solamente al prezzo di distruggere alcune delle caratteristiche che fanno del litorale stesso, per prima cosa, un posto così bello per viverci. La mossa più saggia sarebbe quella di studiare la situazione e quindi concordare alcune linee guida che stabiliscano quale sia la distanza limite dal mare per la costruzione di una casa. Ma i tempi cambiano. e le politiche che hanno avuto senso per decenni, o per secoli, possono diventare obsolete e aver bisogno di una revisione. Si dice spesso che dobbiamo lavorare con e non contro la natura; ma ovviamente, questa è sola383
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mente la retorica della moderazione; ogni artefatto umano ostacola o devia qualche tendenza della natura; il segreto sta nel riuscire a farsi un'idea abbastanza buona di come siano composti gli schemi della natura, così da fare in modo che le interferenze che esercitiamo su di loro ci diano i risultati voluti.
Tenere le posizioni contro la discolpa strisciante Più impariamo come la gente si costruisce le sue idee, più le assunzioni alla base delle nostre istituzioni di lode e colpa, punizione e carcerazione, educazione e cura dovranno adeguarsi a rispettare i fatti così come li conosciamo, perché una cosa è chiara: istituzioni e pratiche basate su ovvie falsità sono troppo precarie per essere affidabili. Sono poche le persone che sarebbero pronte ad affidare il loro futuro a un mito fragile, del quale essi stessi possono intravvedere i primi cedimenti. Anzi, i nostri atteggiamenti verso questi argomenti sono gradualmente cambiati nel corso dei secoli. Noi ora, al di là di ogni dubbio, discolpiamo o mitighiamo in molti casi ciò che i nostri antenati avrebbero trattato molto più severamente. Questo è progresso, o ci stiamo tutti innamorando del peccato? Al timoroso questa revisione sembra un'erosione, e allo speranzoso sembra un illuminismo crescente; ma c'è anche una prospettiva neutrale da cui si può interpretare tale processo. A un evoluzionista questo appare come un equilibrio precario, mai tranquillo per lungo tempo, l'esito solo relativamente stabile di una serie di innovazioni e di contro-innovazioni, aggiustamenti e meta-aggiustamenti, una corsa agli armamenti che genera almeno una sorta di progresso: crescente conoscenza di sé, crescente raffinatezza nella comprensione di chi siamo e di che cosa siamo, e di ciò che possiamo fare e di quello che non possiamo fare. E grazie a questa autocomprensione noi modelliamo e rimodelliamo le nostre conclusioni su ciò che dovremmo essere. Eccoci alla domanda cui non abbiamo risposto nel capitolo 9: quali sono, di fatto, le qualifiche per poter essere considera384
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to una genuina canaglia meritevole di punizione, e qualcuno potrebbe veramente averle tutte? Nessuno è perfetto, e comunque, una perfetta canaglia è un concetto a rischio di incoerenza: un punto, questo, che è stato compreso sin dai tempi di Socrate. Non ci deve essere qualcosa di sbagliato in qualcuno che si è dato da fare consapevolmente per fare il male? Come potremo tracciare la linea di confine tra patologie che hanno una giustificazione di qualche tìpo -lui non lo sapeva, non riusciva a controllarsi - e il far del male "di propria libera volontà", da parte di chi sa quello che sta facendo? Se collochiamo la soglia troppo in alto, tutti saranno fuori dai guai; se la mettiamo troppo in basso, finiremo per punire anche i capri espiatori. Le diverse proposte libertarie elaborate per risolvere il problema mancano ampiamente il bersaglio: una causalità efficiente francamente misteriosa, l'indeterminazione quantistica all'interno della facoltà di ragione pratica, la levitazione morale prodotta da anime immateriali e da altri speciali burattinai- queste dottrine ci possono al più persuadere a sviare la nostra attenzione da un rompicapo difficoltoso per fissarla su un mistero convenientemente insolubile. Quindi, torniamo al problema: come tracciare ueramente la linea di demarcazione, e che cosa potrebbe fare in modo di impedirle di arretrare di fronte a tutte le pressioni della scienza? Immaginiamo di provare a sviluppare un test attitudinale che misuri la flessibilità mentale, la conoscenza generale, la comprensione sociale e il controllo degli impulsi, attributi che sono giustificabili come requisiti minimi della capacità di azione morale. Un simile test potrebbe rendere operativo l'ideale implicito nella nostra tacita comprensione della responsabilità: gli adulti normali ce l'hanno, e voi o l'avete o non l'avete. Potremmo progettarlo in modo che abbia un "limite superiore dell'esecuzione": non potete ottenere più di cento su cento punti disponibili, e la maggior parte delle persone raggiunge quel valore. (Non abbiamo un legittimo interesse nell'analizzare le differenze di capacità che sono oltre la soglia. L'ottuso Smith potrebbe non aver saputo quello che stava facendo nello stesso modo in cui, invece, era chiaro al suo complice, il ge385
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niale Jones; ma Smith sapeva in modo più che chiaro che ne sarebbe stato considerato responsabile. J Le motivazioni di una simile politica sono intuitive e familiari; e sembrano funzionare bene in applicazioni tanto semplici come le procedure di assegnazione delle patenti di guida. Dovete avere sedici anni (o quindici, o diciassette, ecc.) e dovete superare un esame attitudinale e uno di conoscenza del codice stradale. Dopo di ciò, vi viene concessa la stessa libertà di movimento e sarete trattati alla stregua di qualsiasi altro guidatore. Siffatta politica si può modificare m an mano che apprendiamo nuovi fatti circa i suoi effetti sulla sicurezza stradale; restrizioni notturne, periodi di apprendistato, eccezioni per invalidità evidenti o altre circostanze speciali possono avere una certa influenza nell'equilibrio tra costi e benefici che coinvolge sia l'impulso a massimizzare la sicurezza sia quello a massimizzare la libertà. Si può riconoscere come proprio un simile processo di bilanciamento sia in grado di operare anche all'interno di dibattiti sul tema della discolpa o della mitigazione della responsabilità in generale. Più impariamo delle configurazioni di relativa incapacità e dei loro effetti, e più scopriamo come riposizionare gli individui rispetto alla soglia fissata, di solito ma non sempre nella direzione di discolpare alcune classi di persone fino a quel momento considerate come chiaramente colpevoli. Tale processo crea l'impressione di avere a che fare con una soglia che si ritira sempre più, ma dobbiamo esaminare quell'impressione in modo più imparziale. È più che possibile procedere ad ampie revisioni delle nostre politiche su chi incarcerare e su chi curare, per esempio, senza per questo procedere ad alcuna revisione delle nostre assunzioni filosofiche di fondo. Dopotutto, non modifichiamo i nostri concetti di colpa e di innocenza quando scopriamo che alcuni individui in prigione sono stati incolpati ingiustamente. Rimettiamo in libertà quelle persone sfortunate, togliendole dall'insieme degli individui che riteniamo colpevoli; ma non cambiamo per ciò stesso il criterio che si è scelto per stabilire l'appartenenza a quell'insieme. È precisamente grazie alla nostra adesione al-
la concezione standard del concetto di colpa, che siamo in grado di riconoscere l'innocenza di questa o quella persona. Analogamente, sulla base di nuove evidenze, una categoria di individui potrebbe venire tolta dall'insieme degli esseri umani responsabili, senza che questo comporti qualche modificazione in particolare, qualche "erosione" del nostro concetto di responsabilità morale. Impareremmo semplicemente che nella nostra società ci sono meno persone responsabili di quante precedentemente pensavamo ce ne fossero. Ritorna il m an tra della preoccupazione: ''Ma come andrà a finire?". Non stiamo forse tendendo a una società "clinicizzata" al cento per cento, nella quale nessuno sarà più responsabile e tutti saranno vittime di una certa sfortunata caratteristica presente nel loro ambiente (natura o cultura)? No, non è così, perché ci sono delle forze non forze metafisiche misteriose, ma forze sociali e politiche facilmente individuabili che si oppongono a questa tendenza, e sono dello stesso tipo, di fatto, delle forze che impediscono che l'età minima per la vuole che la si posguida salga, diciamo, a trent'anni! La sa giudicare responsabile. I benefici di cui godono tutti i cittadini occupano una buona posizione all'interno di una società libera sono così diffusamente e profondamente apprezzati che c'è sempre una potente presunzione a diventare come loro. La colpa è il prezzo che dobbiamo pagare per il riconoscimento, e lo paghiamo con piacere nella maggior parte delle circostanze. Paghiamo caro, accettando la punizione e l'umiliazione pubblica per avere una possibilità di tornare nel gioco dopo essere stati sorpresi nel compimento di qualche trasgressione. E quindi, la migliore strategia per poter tenere le posizioni contro la discolpa strisciante è chiara: proteggere e incrementare il valore delle partite che una persona sta giocando se è un cittadino in una buona posizione. È l'erosione di questi benefici, non la marcia in avanti delle scienze umane e biologiche, che minaccia l'equilibrio sociale (ricordare lo slogan cinico che ha accompagnato la decadenza e il collasso finale dell'cRSS: loro fanno finta di pagarcl e noi facciamo finta di lavorare).
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Poiché ci sarà sempre la forte tentazione di farvi veramente piccoli, di esteriorizzare le cause delle vostre azioni e di negare le vostre responsabilità, il modo per neutralizzare siffatta tendenza è quello di presentare alla gente un'offerta che non può rifiutare: se volete essere liberi, dovete prendervi le vostre responsabilità. Ma che cosa dire, allora, dei poveri zotici che non riescono nemmeno a tenere insieme la loro vita, la cui capacità di resistere alle tentazioni è così debole che sono quasi sicuri di vivere una vita di crimini e punizioni? Non è scorretto nei loro riguardi, non sarebbe un 'offerta coercitiva, solo mascherata da scelta libera? Essi non sono veramente in grado di soddisfare la loro parte di impegno e quindi verranno puniti. Possono risultare degli utili capri espiatori, forse, dato che l'esempio che forniremmo con loro manterrebbe viva la minaccia della pena, minaccia che, in realtà, scoraggia solo coloro che posseggono una capacità di autocontrollo leggermente superiore, ma non è questa una scelta palesemente ingiustificabile? Dopotutto, "non potevano fare altrimenti". C'è un senso di questa consunta frase che è rilevante al nostro contesto; ma non è il senso di cui gli incompatibilisti si preoccupano, come vedremo. La dinamica del processo di negoziazione della soglia diviene forse più visibile quando analizziamo i casi estremi che occasionalmente saltano agli occhi del pubblico. Che cosa dovremmo fare, per esempio, con i pedofili convinti? Il tasso di recidività è terrificante- sembra che, davvero, non si possano insegnare nuovi trucchi a un vecchio cane - e il danno che quelle persone possono fare se lasciate alla loro libertà è ancora più terrifìcan te (Quinsey et al., 1998). C è, comunque, un trattamento che gli studi hanno mostrato essere efficace per dotare i pedofili di autocontrollo, che li renderebbe sufficientemente innocui da poter essere riammessi nella società (sotto un'ulteriore supervisione): la castrazione. Un terribile rimedio per una condizione terribile! Si può giustificare? È una punizione "crudele e insolita''? È importante sapere che molti pedofili convinti si sono offerti volontari per subire la castrazione, considerandola altamente preferibile all'alternativa del-
l'incarcerazione a vita. (Ci si può sentire meno contrari a questa punizione, crudele e insolita, se si considerar alternativa di rilasciare un colpevole di reati sessuali entro una comunità di cittadini assai comprensibilmente terrorizzati e oltraggiati, decisi a formare gruppi di vigilanti per cacciare il pericoloso individuo via dalla città.) Il problema è lontano dalla soluzione ed è complicato da molti fattori. La castrazione ottiene il suo dfetto principale fermando il flusso di testosterone nel corpo, e la cosa si può realizzare sia chimicamente sia chirurgicamente. La castrazione chimica richiede una continua serie di iniezioni ed è in genere reversibile, ma i farmaci hanno effetti collaterali poco piacevoli; al contrario, la castrazione chirurgica non è facilmente reversibile, ma il suo maggior effetto sul comportamento potrebbe essere aggirato da un' autosomministrazione di testosterone- se uno lo volesse veramente. Ma perché qualcuno vorrebbe farlo? (Si vedano, per esempio, Prentky, 1997 e Rosler, Witztum, 1998.) L'effetto simbolico della castrazione fa parte, ovviamente, di ciò che rende il problema tanto scottante. Se l'asportazione chirurgica, diciamo, dell'appendice avesse un effetto positivo altrettanto evidente sull'autocontrollo di coloro che si sottoponessero all'operazione, è difficile credere che ci sarebbe altrettanta veemenza nell'opposizione a questa opzione. So per esperienza che discutere di un simile argomento in un contesto come questo starà facendo scrollare la testa a qualche lettore. "Va a finire che invoca la castrazione!" No, ho sollevato la questione parlando di una seria alternativa, ma non ho espresso alcuna opinione ultima sulla saggezza di una simile opzione. Dopotutto, ci potrebbero essere cure migliori, e meno drastiche, proprio dietro l'angolo. Inoltre, supponiamo, per amore di discussione, che il tasso di recidività dei pedofili sia del cinquanta per cento (il che è non lontano dal segno), e supponiamo che molti pedofili si sottopongano volontariamente alla castrazione, considerata come un prezzo che si può pagare per riavere la libertà. Parlando a spanne, metà di quegli interventi saranno stati "non necessari": loro non ci avrebbero riprovato in ogni caso. Il problema è che noi non possia-
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mo individuare (ora) questa metà in anticipo. Ma presumibilmeme, con la crescita della conoscenza, la situazione migliorerà. Che cosa dovremmo fare, nel frattempo? Ci sono ragioni incontestabili per rifiutare la castrazione e ragioni inconfutabili per appoggiarla. Sto usando la castrazione come esempio, e sto invitando i lettori a ritlettere su quanto forte sentano il loro impulso a rispondere a una simile "indicibile" proposta, spegnendo le loro menti e alzando il volume dei loro "cuori". Questo fa parte del problema. Alcune persone sono così convinte di essere state attirate su un pendio scivoloso che li condurrà alla perdizione, da non rìuscire nemmeno a pensare a questi problemi. Si suppone che i filosofi siano superiori a pressioni del genere, che siano in grado di contemplare in modo imparziale ogni opzione concepibile, chiusi come sono entro le loro torri d'avorio, ma questo è un mito. In realtà, i filosofi raramente abbandonano le loro divise da esploratori in avanscoperta, a prevenire catastrofi confusamente immaginate, prima che queste abbiano anche solo una possibilità di venire ben individuate. La castrazione è un esempio utile, dal momento che mette in evidenza l'incoerenza dei ragionamenti dei difensori di entrambe le parti. Ci sono quelli che chiedono ansiosamente la prescrizione di farmaci per aiutarsi a mantenere una dieta o a controllare la pressione del sangue, incapaci di farlo attraverso l'opportuno esercizio, mentre negano l'uso di ogni simile stampella high-tech per accrescere o supplire a una mancanza di forza di volontà di coloro che sono soggetti ad altre tentazioni. Se è razionale e responsabile per loro riconoscere le proprie debolezze e utilizzare qualunque misura sia disponibile per aumentare il proprio autocontrollo, come possono condannare la stessa linea di condotta in altri? La nuova tendenza a inserire chirurgicamente un bypass gastrico, che sembra sia una grande conquista della medicina nella cura di coloro che soffrono di obesità cronica causata da eccessiva ingestione di cibo, è una misura drastica; ma l'opinione diffusa oggi, in molti ambienti, è che le persone seriamente sovrappeso che rifiutano di fare l'operazione debbano ritenersi degli irre-
sponsabili (Gawand, 2001). Tale opinione potrebbe facilmente cambiare con l'aumento della nostra conoscenza deglì effetti che l'operazione ha sul lungo periodo sia sui mangiatori esagerati, sia sulla società che li ospita e sui suoi costumi. Simili costumi sociali svolgono un ruolo potente nello stabilire le condizioni per fare delle scelte libere. Per esempio, disordini alimentari come la bulimia e l'anoressia nervosa sono molto meno comuni tra le donne dei paesi musulmani, nei quali l'attrattiva fisica di una donna ha un ruolo diverso da quello dei paesi occidentalizzati (Abed, 1998). Anche revisioni minori delle abitudini sociali, come nota Gibbard, possono avere un effetto profondo sui modi in cui gli individui pensano alle scelte che fanno, e questa è una caratteristica chiave per distinguere tra la capacità di scelta umana e quella animale. Supponete di avere un grosso punto viola sulla schiena. Questa è una caratteristica biologica, ma probabilmente non una caratteristica psicologica molto importante. Supponete, invece, di avere un grosso punto viola sul naso. Questa è una iella ben peggiore, dato che, nonostante che le due macchie possano essere fisiologicamente innocue, la chiazza viola sul naso interferirà senza dubbio profondamente sull'immagine che avete di voi, perché influenzerà il modo in cui gli altri vi vedono e vi trattano, e il modo in cui reagite a quel trattamento, nonché il modo in cui loro reagiscono alle vostre reazioni, e così via. Un naso color porpora è un handicap psicologico notevole. Il suo ruolo di handicap è, comunque, qualcosa che può essere riconosciuto anche da molti, il che può condurre all'approvazione di politiche sociali, pratiche e atteggiamenti che tendono a minimizzarne, o in ogni modo a controllarne, gli effetti. Quella che aveva esordito come una caratteristica biologica superficiale di un organismo è diventata una caratteristica psicologica e, a sua volta, una caratteristica politica, in un mondo più vasto. Cose del genere, solitamente, non succedono nel mondo animale. Etologi che ricercano sul campo catturano abitualmente ed etichettano gli animali che studiano per aiutarsi nel riconoscimento degli individui nel tempo. Molte migliaia di uccelli hanno vissuto la loro esistenza con
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una banda colorata attaccata alla zampa, e forse altrettanti mammiferi hanno condotto la loro vita con etichette numerate di metallo applicate in modo decisamente appariscente alle loro orecchie, e per quello che si può sapere, queste etichettature non hanno interferito seriamente con la loro condizione, non hanno diminuito né aumentato le loro possibilità. Un essere umano che dovesse apparire in pubblico con un'etichetta metallica applicata a un orecchio dovrebbe invece apportare notevoli modificazioni alle sue aspettative di vita e ai suoi progetti; c'è, quindi, una dimensione politica per ogni decisione, autoimposta o meno, di mettere in evidenza siffatte caratteristiche. Questa sensibilità agli echi sociali e politici, che distingue la capacità di azione umana da quella animale, fornisce anche il terreno su cui fondare la responsabilità umana, senza ricorrere a qualcosa di poco promettente come l'indeterminazione quantistica. Le negoziazioni politiche dalle quali emergono le nostre attuali pratiche e supposizioni sulla responsabilità non hanno nulla a che vedere con il determinismo e con il meccanicismo in generale, ma riguardano la stima della ineluttabilità - o dell' eluttabilità - di alcune particolari caratteristiche di particolari agenti e tipologie di agente. Potete insegnare a questi vecchi cani qualche nuovo trucco, o no? Come abbiamo notato nel capitolo 3, c'è un senso non problematico per cui ci può essere, in un mondo deterministico, una crescita nel tempo di capacità, così come un aumento di possibilità di scelta e di come queste vengano sfruttate da particolari agenti deterministici. Una tale crescita di capacità nel tempo è completamente invisibile a quelle menti quadrate che adottano la visione ristretta della possibilità custodita gelosamente nella definizione di determinismo: "Per ogni istante c'è solamente un futuro fisicamente possibile". Secondo questa concezione, in un mondo deterministico a ogni istante t non c'è niente che possa /are qualcosa di diverso dall'unica cosa che è determinato a fare all'istante t; e in un mondo indeterministico, a ogni istante t, qualsiasi cosa può /are tante cose diverse - almeno due- quante ne permette quel tipo di in determinismo, presu-
mibilmente dovuto a una verità della fisica profonda e immutabile che non potrebbe mai essere influenzata da modificazioni nelle pratiche o dalla conoscenza o dalla tecnologia. Il fatto ovvio che oggi si possano /are molte più cose di quelle che una volta si potevano fare sparisce dalla nostra vista, se consideriamo le possibilità in questo modo, e nondimeno quel fatto è tanto importante quanto ovvio. Anzi, il fallimento nel trattare le implicazioni di questa interpretazione del termine "potere" è ciò che devono affrontare ora i teorici dell'etica di ogni confessione. Una delle poche proposizioni indiscusse dell'etica, nonostante la sua semplice forma, è "dovere implica potere"- potete essere obbligati a fare solo qualcosa che siete in grado di fare. Se siete evidentemente incapaci di fare X, allora non è vero che dovreste fare X. Talvolta, si suppone che proprio qui si possa cogliere la fondamentale- e ovvia- connessione tra libero arbitrio e responsabilità: poiché siamo responsabili solo di ciò che è in nostro potere, e poiché, se il determinismo è vero, possiamo /are solo ciò che siamo determinati a fare, non sarà mai vero che dovremmo fare qualcos' altro, non essendoci nient'altro da fare in nostro potere. Ma allo stesso tempo, è ancor più ovvio che la crescita esplosiva del poter /are a cui si è assistito nella recente storia umana sta rendendo obsolete molte delle nostre tradizionali nozioni morali sui vincoli umani, del tutto indipendentemente da qualsiasi considerazione sul determinismo o sull'in determinismo. Il senso di "potere" che ha una pregnanza morale non è il senso di "potere" (se ce n'è uno) che dipende dall'indeterminismo. Supponete che un adulto del tutto affidabile ma molto malato vi chieda di aiutarlo a mettere il suo corpo, ancora vivo, in una condizione di sospensione criogenica delle funzioni vitali, in attesa della scoperta (non molto probabile) di una cura per la sua malattia, scoperta che avverrà in un qualche imprecisato momento del futuro. Non sarebbe un caso di suicidio assistito? Oggi, in modo già discutibile, lo è; domani, potrebbe essere altrettanto giustificabile quanto l'assistenza nella somministrazione dell'anestesia a qualcuno che sta per affrontare
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un intervento chirurgico di sopravvivenza. Prima, non eravamo abituati a preoccuparci dell'etica della clonazione, o dell' anni presente sorveglianza elettronica, o di atleti che fanno uso di droghe in grado di alterare la mente, o dell'utilizzazione genetica degli embrioni, e non abbiamo mai dovuto preoccuparci molto della prospettiva dell'impiego di efficaci accrescimenti protesici n eli' abilità degli agenti umani nel controllare se stessi; ma non appena appaiono simili innovazioni, si ha bisogno di avere pronta una comprensione delle responsabilità che sia sufficientemente salda da accoglierle nel modo giusto.
La chiave che ci permetterà di attuare questo cambiamento è un'inversione prospettica, descritta da Stephen White in The Unity o/ the Self (1991, capitolo 8, "Moral responsibility"). Non provate a ricorrere alla metafisica per dare fondamento all'etica, dichiara; fate l'opposto: utilizzate l'etica per fissare quei concetti che vorremmo stabilire con il nostro criterio "metafisica". Prima mostrate come ci possa essere una giustificazione interna per il comportamento di quegli agenti che accettano la loro punizione- dicendo, di fatto, "Grazie, ne avevo bisogno!" -e poi usate quella comprensione per ancorare e supportare un'interpretazione del vostro enunciato fulcro, avrei potuto agire diversamente. "Un agente avrebbe potuto agire diversamente da come ha fatto solo nel caso in cui l'attribuzione della responsabilità e della colpa all'agente per l'azione in questione è giustificata" (p. 236). Detto altrimenti, il fatto che valga la pena desiderare di avere un libero arbitrio può essere utilizzato per ancorare la nostra concezione del libero arbitrio, in un modo che i miti metafisici non riescono a fare. L'argomento di base è progettato per comprendere tutti i casi di plauso e di colpa morale, ma possiamo semplificare il ragionamento se ci concentriamo sui casi di punizione da parte di un'autorità ("lo Stato") considerati come emblema di una più ampia classe di casi nei quali, sebbene nessun crimine sia stato
commesso, un individuo incolpa un altro di un misfatto. In molti dei casi rientranti nella classe più ampia non ci potrebbe essere alcuna punizione prevista oltre al rimprovero- o al solo risentimento, o al pensare male del colpevole. Possiamo monitorare la generalità dell'argomento spostandoci in continuazione tra l'aspetto legale (lo Stato contro Jo n es) e quello morale (un genitore che sgrida un figlio, per esempio). L'ideale alla base dell'istituzione di una punizione, sostiene White, starebbe nel fatto che ogni punizione dovrebbe essere giustificata agli occhi della persona punita. Ciò presuppone che gli agenti papabili di punizione siano intelligenti, razionali, sufficientemente informati da essere giudici competenti della supposta giustificazione di quella punizione. L' accettazione (immaginata) della loro stessa punizione serve come punto di riferimento, o fulcro, su cui fissare la soglia. Coloro che sono incompetenti a emettere un simile giudizio sono sicuramente non competenti a godere della libertà di cittadini senza il supporto di una supervisione, così non li incolpiamo (non ancora, se sono dei bambini). Coloro che sono sufficientemente competenti da apprezzare la giustificazione, e l'accettano, sono esempi non problematici di carogne colpevoli -lo dicono loro stessi, e noi non abbiamo alcuna ragione plausibile per non credere alla loro parola. Rimangono coloro che sono apparentemente competenti ma che rifiutano di accettare la punizione. Questi sono i casi problematici, ma sono pressati da entrambi i lati: da una parte, presumibilmente desiderano lo stato di cittadini competenti, con tutti i suoi molteplici vantaggi, e dall'altra temono la punizione, che possono evitare solamente dichiarandosi - e rivelando di essere - troppo piccoli (se vi fate veramente piccoli, potete esteriorizzare virtualmente qualsiasi cosa). White nota, astutamente, che persino uno psicopatico razionale avrebbe una giustificazione interiore per accettare le leggi che puniscono gli psicopatici, dal momento che queste lo proteggono da altri psicopatici e gli consentono la libertà di perseguire al meglio i suoi interessi. Possiamo immaginarci la scena, sia che questa cerimonia
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della giustificazione venga sia che non venga rappresentata veramente. Supponiamo che voi siate il colpevole. Lo Stato, fettivamente, vi dice: "Hai sbagliato. È un vero guaio, ma per il bene della collettività ti viene chiesto da questo momento di sottoporti alla tua punizione". Voi ascoltate le accuse, le prove, il verdetto. Supponiamo che voi siate colpevoli di ciò di cui vi accusano. (l controlli e gli equilibri del sistema manterranno una pressione sullo Stato in modo che questo presenti bene i suoi casi, e voi sarete incoraggiati a sfruttare quella presunzione in vostra difesa.) Ma ora la questione è se voi responsabile degli atti commessi. Potremmo riformulare il problema nella domanda "Avreste potuto agire diversamente?"; ma non accetteremmo a quel punto la testimonianza di metafisici o di fisici quantistici. Vorremmo specifiche prove della vostra competenza, e delle circostanze attenuanti. Consideriamo, in particolare, una difesa che citi fattori che erano al di fuori del vostro controllo, fattori che erano stati prodotti molto tempo prima della vostra nascita, per esempio. Questa difesa sarebbe rilevante solo se voi non potevate essere a conoscenza dell'esistenza di questi fattori. Se sapevate che il terreno su cui avete costruito la vostra casa era stato contaminato da rifiuti industriali un centinaio di anni prima, o se avreste dovuto saperlo, non potete citare questo come un fattore al di fuori del vostro controllo. Ma avreste potuto saperlo? ("Doimplica "potere".) Man mano che abbiamo sempre maggiori poteri per acquisire una conoscenza dei fattori che hanno un ruolo causale nelle nostre azioni, diventiamo in modo sempre crescente responsabili della nostra ignoranza di questi fattori sia esterni (per esempio, il suolo contaminato) sia interni (per esempio, la vostra nota ossessione a inseguire guadagni facili - avreste dovuto fare qualcosa al riguardo!). Una difesa incentrata sul "Non avrei potuto agire altrimenti", sarebbe stata ritenuta valida un tempo, non è più accettabile. Siete obbligati, dalle tendenze prevalenti nella società, a tenervi aggiornati fin dagli ultimi ritrovati di ogni materia sulla quale vorreste esercitare delle responsabilità. Lo Stato vi invita ad accettare la vostra punizione e, ovvia-
mente, voi potete rifiutarla; ma se lo Stato ha svolto il suo compito correttamente, così dovete fare anche voi. Il che vuoi dire che lo Stato può offrirvi una ragione che può difendere senza sentirsi in imbarazzo. Se non la capite, questo è un vostro problema. Ma se ci sono molte persone che non la capiscono, è un problema dello Stato; hanno collocato la soglia troppo in basso, o in qualche altro modo hanno fatto un pessimo lavoro nel modellare le leggi. Come facciamo a trattare i casi che albergano nella penombra del mondo reale, non ideale, delle persone che non capiscono questa ragione, o la cui adesione alla punizione è il risultato di un lavaggio del cervello o di coercizione? L'esistenza di un insieme non vuoto di colpevoli che non accettano competentemente la loro punizione è ineluttabile, ma non è ineluttabilmente grande. Anzi, il sistema di soglie negoziate possiede la bella proprietà di poter essere regolato nel corso del tempo, proprio per minimizzare l'insieme di questi elementi mal classificati. Ogni volta che apprendiamo di insuccessi della giustizia, li consideriamo come un terreno ove preparare la revisione delle nostre politiche e, quando apprendiamo di categorie di individui che cadono oltre l'attuale soglia protetta d eli' autocontrollo, affrontiamo un problema politico dello stesso tipo di quello che avremmo nel caso di una decisione di modificare le regole per l'assegnazione delle patenti di guida. E se nuove tecnologie (chirurgia o farmaci o trattamenti o strumenti protesici o sistemi educativi o luci di emergenza o ... ) possono essere efficaci per aggiustare le capacità di coloro che sono inferiori alle aspettative, valuteremo, in un rapporto di costi e benefici, se gli effetti vantaggiosi possano superare i danni arrecati. Possono i pedofili agire diversamente? Alcuni di loro lo possono, altri no; e noi dovremmo considerare i passi necessari per riuscire a trasferire molti del secondo gruppo al primo. Coloro che possono diversamente sono coloro che, se sbagliassero, insisterebbero per far rispettare il loro diritto di essere puniti. E nel questa richiesta, non dovremmo pregiudicare la loro presunzione di competenza nel farla -sebbene quella sarà argomento del processo. Ma l' occorren-
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za di un errore, di qualunque errore, non mostrerebbe, dopotutto, che essi non avrebbero potuto agire diversamente- almeno in quella specifica occasione? No. Questo è un illecito ritorno a una concezione ristretta di "potere". Abbiamo ancorato la nozione estesa alle nostre pratiche e reputato simili individui responsabili. Nel senso rilevante della frase, essi avrebbero potuto agire diversamente (ricordate la versione più elementare di questo fenomeno presentata nel capitolo 3: il programma di scacchi che sbaglia non arroccando, ma che avrebbe potuto arroccare benissimo - anche se opera in un mondo deterministico e quindi sbaglia sempre non arroccando, esattamente nelle stesse circostanze). Ma sapendo che ci saranno quasi certamente alcuni recidivi che commetteranno errori, non è questa una politica semplicemente troppo rischiosa da adottare? Forse lo è, ma è anche un problema politico stabilire con quanto rischio siamo disposti a convivere; non è un problema filosofico sul fatto che i pedofili abbiano o meno una qualche sorta di libero arbitrio, dopotutto, o nemmeno un problema scientifico su che cosa può far sì che un pedofilo si comporti come fa. Più impareremo sulle condizioni- neurochimiche, sociali, genetiche- che predispongono alla pedofilia (e sui limiti di spostamento dell'eluttabilità di tali condizioni), più riusciremo a ridurre l'incertezza, e quindi il rischio, di lasciare una simile persona a piede libero, ma ci sarà sempre un rischio. Il problema politico riguarda la quantità di rischio che siamo disposti a tollerare, come società, per poter mantenere la nostra libertà. Per secoli abbiamo convissuto con la regola che nessuno può essere punito, o recluso, solo perché è probabile che possa commettere un crimine, e per tutto questo tempo siamo stati perfettamente consapevoli del fatto che questo ammirevole principio comporta dei rischi. Che cosa facciamo dei cittadini che, nonostante siano stati fino a questo momento osservanti delle leggi, si avvicinano alla loro futura vittima impugnando un'arma pericolosa? Esattamente, quando possiamo intervenire? In quale momento il nostro concittadino può venir privato della sua libertà? Ha forse il diritto di sparare il primo
colpo, prima che si possa intervenire contro di lui? Più apprendiamo sulle probabilità, e le condizioni loro sottostanti, più pressioni ci saranno per aggiustare il nostro ammirabile principio nell'interesse della sicurezza pubblica. Notate che abbiamo una quantità di innovazioni brillanti nel nostro codice che servono già a questo scopo- preservano il nostro principio ammirevole creando nuovi crimini da far commettere alla gente che è già sulla strada per commettere il crimine peggiore. Emaniamo una legge che vieta alla gente di portare con sé armi pericolose in pubblico, per esempio, o che istituisce il nuovo crimine di cospirazione intesa a commettere un altro crimine. È già un crimine, per individui che soffrono di alcune condizioni mediche, nascondere il loro stato di salute, quando si presentano a concorsi per l'assegnazione di certi incarichi ad alto rischio. Abbiamo metodi per collocare il fardello della conoscenza sugli individui in modo che possano prendere decisioni analoghe alla terribile scelta dei pedofili. E- questo è il punto importante- se noi manteniamo la richiesta che queste innovazioni debbano passare il vaglio del test del "Grazie, ne avevo bisogno!", possiamo salvaguardare la nostra istituzione della responsabilità; possiamo tenere a bada lo spettro della discolpa strisciante. Chiedete a voi stessi: supponiamo che sappiate (grazie a un sacco di buona scienza) che soffrite di una condizione che vi rende altamente inclini a ferire la gente in qualche modo, a meno che non vi sottoponiate alla cura Z, che renderebbe una simile calamità decisamente più eluttabile; e supponiamo che sottomettersi a questa cura preservi la vostra competenza in (virtualmente) ogni modo. Sareste disposti a sottoporvi al trattamento? Sareste favorevoli a una legge che facesse di questa decisione di curarsi una condizione per il mantenimento della propria libertà? In altre parole, siete sicuri che, in queste circostanze, voi avreste un diritto di sparare il primo colpo? Potreste dire, durante il vostro processo, "Ho una malattia, vostro onore; ero fuori controllo! N o n potevo agire altrimenti", ma questa vostra affermazione sarebbe falsa, visto che sapevate dell'opportunità. Che cosa sarebbe successo se foste stati sottoposti a un simile tratta-
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mento durante la giovinezza, prima dell'età della ragione? Siamo pronti a considerare la saggezza etica di simili interventi di prevenzione? Che tipo di standard richiederemmo al corpo delle prove prima di sottoscrivere che una simile misura per salvaguardare la '"salute pubblica" possa essere applicabile a tutti? (Abbiamo già leggi per la vaccinazione obbligatoria, anche se sappiamo bene, con una certezza morale, che alcuni bambini reagiranno malissimo e moriranno o rimarranno disabili.) Più sappiamo le cose, più siamo in grado di agire; più siamo in grado di agire, più vincoli affrontiamo. Potremmo invocare i bei tempi andati, quando l'ignoranza era una scusa migliore di quanto lo sia oggi, ma non possiamo riportare indietro le lancette dell'orologio. È il momento di ricordare la situazione di quel padre disgraziato che abbiamo incontrato nel capitolo l, che è responsabile o non lo è? della morte della sua bambina. Presumibilmente, ognuno di noi ha un punto di rottura; coloro che incappano nel loro personale punto di rottura, crollano! Come si può pensare che sia corretto considerarli responsabili e punirli, solo perché altre persone non sarebbero crollate affrontando esattamente le stesse situazioni? Non è, quel padre, solo la vittima della cattiva sorte? E non è stato solo grazie alla vostra buona sorte che voi non siete caduti in tentazione o non avete subito una qualche cospirazione di eventi capace di sfruttare le vostre debolezze? Sì, la fortuna è presente in modo invadente nelle nostre vite, tutti i giorni; ma dato che lo sappiamo, prendiamo delle precauzioni che stimiamo appropriate per minimizzare gli incresciosi effetti della sorte e poi assumiamoci la responsabilità di qualsiasi cosa succeda. Possiamo osservare che, se quell'uomo si fa veramente piccolo, può esteriorizzare l'intero episodio dalla sua vita, trasformandolo quasi in un brutto sogno, qualcosa che gli è capitato, ma non qualcosa che ha fatto. O si può fare grande, e poi affrontare il compito molto più impegnativo di costruirsi un futuro Sé che ha questo terribile atto di omissione nella propria biografia. Dipende da lui, ma possiamo sperare che riceva un piccolo aiuto dai suoi amici. Questa è anzi un'opportunità per il gene-
re di azione autoformativa che Kane ha portato alla nostra attenzione; noi esseri umani siamo la sola specie in grado di fare c~zioni siffatte, ma non c'è alcun bisogno che queste siano indeterminate.
Nicholas Maxwell (1984) definisce la libertà come "la capacità di ottenere ciò che ha valore entro uno spettro di circostanze". Penso che sia la definizione concisa di libertà migliore che si possa dare. In particolare, lascia aperta in modo appropriato la questione di che cosa sia "di valore''. La nostra esclusiva capacità di riconsiderare le nostre più profonde convinzioni su ciò che rende la vita degna di essere vissuta ci obbliga a prendere in seria considerazione la scoperta che non ci sono vincoli evidenti su che possiamo considerare. Siamo totalmente liberi. Per certe persone, questa è una prospettiva paurosa, che apre le porte al relativismo e al nichilismo, che si sbarazza dei Comandamenti di Dio e rischia di farci piombare nell'anarchia. Fermate quel corvo! Penso che queste persone dovrebbero avere più fiducia negli esseri umani loro simili, e apprezzare quanto siano meravigliosamente sottili e svegli, quanto siano stati dotati dalla natura e dalla cultura per formulare e partecipare a organizzazioni sociali ben progettate che massimizzano la libertà di tutti. Lungi dall'essere anarchiche, simili organizzazioni sono e devono essere- sìntonizzate esclusivamente a stabilizzare un equilibrio tra la e la libertà di azione. Se non possiamo ottenere l'universalità (il termine sciovinistico dell'Homo sapiem che sta per ampia accettazione da pane della specie), potremmo almeno essere in grado di aspirare a ciò che Allan
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Siamo più liberi di quanto vorremmo essere? Forse, se vedessimo dove conduce una richiesta apparentemente ideale, cambieremmo idea su ciò che la rende una richiesra ideale. In ogni caso, se un tale metodo funziona, de\' e farlo lentamente, con tentativi scrupolosi attuati in molte direzioni. ALL\N GIBBARD, Wùe Choiccs. Apt Feelings
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Gibbard chiama "provincialismo per una comunità di credenti più ampia possibile" (Gibbard, 1990, p. 315). Ma potremmo essere in grado di ottenere la vera universalità. L'abbiamo ottenuta in altri campi. Il problema dei filosofi è quello di negoziare la transizione tra "essere" e ''dover essere" -o, più precisamente, mostrare come potremmo andare al di là del fatto "meramente storico" che alcuni costumi e alcune politiche hanno avuto, di fatto, un impatto sociale molto diffuso, e giungere direttamente a norme che convoglino il consenso di tutti gli agenti razionali. Esempi di successo di questa strategia sono noti. L' autoelevazione (bootstrapping) ha funzionato in passato, e può funzionare ancora altrettanto bene. Non abbiamo bisogno di ganci sospesi al cielo. Consideriamo il curioso problema di disegnare una linea retta. Una linea veramente retta. Come possiamo fare? Usiamo un righello, ovviamente. E dove lo prendiamo? Nel corso dei secoli abbiamo raffinato le nostre tecniche nella costruzione dei cosiddetti righelli in modo che fossero sempre più dritti, misurandoli uno contro l'altro in tentativi supervisionati e mutue correzioni che hanno contribuito all'innalzamento della soglia di precisione. Abbiamo ora enormi macchinari che possono vantare una precisione di fattura nell'ambito del milionesimo di centimetro su tutta la lunghezza, e non abbiamo alcuna difficoltà nell'usare il nostro attuale punto di vista per apprezzare la regola, praticamente non seguibile ma facilmente immaginabile, per ottenere una riga veramente retta. Abbiamo scoperto quella regola, l'eterna forma platonica della "rettitudine", se preferite, grazie alla nostra attività creativa. Abbiamo anche scoperto l'aritmetica e molti altri sistemi di verità senza tempo e assolute. Come dice Gibbard, potremmo non essere in grado di trovare un simile punto limite anche nella nostra ricerca di un sistema per l'etica; ma, se riusciamo a mettere a punto l'ideale di una società libera nella quale si possano condurre libere ricerche, non riesco a immaginare alcuna ragione a priori per escluderne la possibilità. La normatività implicita in queste scoperte umane- o sono invenzioni? - è essa stessa uno dei frutti dei processi evolutivi, sia genetici sia culturali,
che ci hanno progettato per essere quello che siamo, sfruttando miliardi di collisioni serendipiche e amplificandole, "gli accidenti congelati" della storia, come li ha chiamati Francis Crick, fino a condurle al nostro stato corrente. Il nostro mutuo processo di ingegneria memetica continua anche oggi, dopo migliaia di anni, e questo libro è solo una parte di quel processo. Non ha alcuna leva archimedea con la quale sollevare il mondo, ma può contribuire, forse, al raffinamento della nostra comprensione di noi stessi e della nostra condizione. La libertà di pensiero e di azione che è necessaria per scoprire la verità è un antesignano, come abbiamo visto, dell'ideale più costoso di libertà politica o civile, un meme che si diffonde facilmente, in apparenza. È molto più contagioso del fanatismo, grazie al cielo. Il segreto è svelato. Non ci sono possibilità che l'ignoranza imposta possa averla vinta, sul lungo periodo. Non potete diseducare facilmente le persone. Quanto più le tecnologie della comunicazione rendono arduo ai leader politici schermare il loro popolo dalle informazioni provenienti dall'estero, e quanto più le realtà economiche del ventunesimo secolo mostrano chiaramente che l'educazione è l'investimento più importante che ogni genitore può fare per un figlio, tanto più le chiuse si apriranno in tutto il mondo, con effetti tumultuosi. Tutti i relitti galleggianti della cultura popolare, tutta la spazzatura e lo schifo che si accumula negli angoli di una società libera inonderanno quelle regioni relativamente incontaminate, trascinando con sé anche i tesori della moderna educazione, la parità di diritti per le donne, le abitudini sanitarie migliori, i diritti dei lavoratori, gli ideali democratici e l'apertura alle culture degli altri. Come l'esperienza della disciolta URSS ha mostrato anche troppo chiaramente, le caratteristiche peggiori del capitalismo e dell'alta tecnologia sono tra i più resistenti replicatori di questa popolazione di memi in esplosione, e ci sarà anche ampio spazio per la xenofobia, illuddismo e la perversa "igiene" del fondamentalismo che guarda al passato con tanta nostalgia. Come ha mostrato Jared Diamond in Armz~ acciaio e malattie (1997), sono stati i germi degli europei a condurre le popo-
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!azioni dell'emisfero occidentale sull'orlo dell'estinzione, dato che quella gente non aveva avuto alcun momento della sua storia passata per sviluppare la resistenza nei loro confronti. Nel prossimo secolo saranno i nostri memi, sia tonici sia tossici, che provocheranno la devastazione di quel pezzo di mondo che è impreparato. La nostra capacità di tollerare gli eccessi tossici della libertà non si può presumere negli altri, né esportarla semplicemente come un qualsiasi altro bene di lusso. L'educabilità potenzialmente illimitata di ogni essere umano ci dà speranze di successo, ma progettare e implementare la necessaria vaccinazione culturale per evitare il disastro, rispettando nello stesso tempo i diritti di coloro che hanno bisogno di questa vaccinazione, sarà compito urgente e di grande complessità, che richiederà non solo una scienza sociale migliore, ma anche sensibilità, immaginazione e coraggio. L'espansione del settore della salute pubblica, fino a comprendere la salute culturale, sarà la sfida più difficile di questo nuovo secolo. 1
altri prodotti della società, la sua persistenza è influenzata da quello che noi crediamo di essa. Perciò, non è sorprendente che i nostri sforzi di studiarla imparzialmente vengano distorti dalla preoccupazione che noi potremmo goffamente uccidere l'esemplare sotto il microscopio. La libertà umana è più giovane della nostra specie. Le sue caratteristiche più importanti hanno solo qualche migliaio di anni- un battito di ciglia nella storia dell'evoluzione- ma in quel breve periodo ha trasformato il nostro pianeta in modi che sono paragonabili, per salienza, a grandi transizioni biologiche, come la creazione di un'atmosfera ricca di ossigeno e la creazione della vita pluricellulare. La libertà deve evolvere come ogni altra caratteristica della biosfera, e continua a evolvere anche oggi. La libertà è reale adesso, in alcune parti felici del mondo, e coloro che l'amano lo fanno saggiamente, ma è ben lungi dall'essere ineluttabile, dall'essere universale. Più capiamo come si è sviluppata, e meglio riusciamo a lavorare per preservarla nel futuro, e per proteggerla dai suoi molti nemici naturali. I nostri cervelli sono stati progettati dalla selezione naturale, così come sono stati progettati anche tutti i prodotti del nostro cervello, solo che questi ultimi sono stati realizzati a una scala temporale decisamente più veloce, da processi fisici in cui non si può riconoscere alcuna esenzione dalla causalità. Come fanno, allora, le nostre invenzioni, le nostre decisioni, i nostri peccati e i nostri trionfi a essere differenti dalle meravigliose ma amorali tele dei ragni? Come fa una torta di mele, amorevolmente cucinata come dono di riconciliazione, a essere differente, moralmente, da una mela "brillantemente" progettata dall'evoluzione per attirare un frugivoro con l' allettante prospettiva di uno scambio di fruttosio in cambio di una distribuzione dei suoi semi? Se queste domande vengono trattate come se fossero semplicemente retoriche, implicando con ciò che solo un miracolo potrebbe distinguere le nostre creazioni dalle cieche creazioni prive di scopo di meccanismi materiali, allora continueremo a girare a vuoto intorno ai tradizionali problemi del libero arbitrio e del determinismo, in un
La libertà umana è fragile Le balene vagano per gli oceani, gli uccelli si librano in volo nel cielo e, secondo una vecchia barzelletta, un gorilla di 250 chili può sedersi dove vuole; ma nessuna di queste creature è libera nel modo in cui può esserlo un essere umano. La libertà umana non è un'illusione; è un fenomeno oggettivo, distinto da tutte le altre condizioni biologiche e presente in una sola specie, noi. Le differenze tra gli agenti umani autonomi e gli altri assemblaggi della natura sono visibili non solo da una prospettiva antropocentrica, ma anche dalla maggior parte dei punti di vista oggettivi (il plurale è importante) raggiungibili. La libertà umana è reale - reale quanto il linguaggio, la musica e il denaro - e come tale la si può studiare oggettivamente, utilizzando un approccio scientifico, impresa che non è affatto assurda. Ma come il linguaggio, la musica, il denaro e l. I due paragrafi precedenti sono stati tratti da Dennett ( 1999bi.
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vortice di mistero insondabile. Gli atti umani- atti di amore e di genio, ma anche atti criminali e peccaminosi- sono semplicemente troppo diversi, ai nostri occhi, da ciò che accade agli atomi, che si muovano guidati dal caso o meno, da permetterci di capire a prima vista come fare a inserire le due categorie di oggetti entro un'unica costruzione coerente. I filosofi hanno provato per migliaia di anni a colmare la lacuna con un colpo spavaldo o due, sia dando un posto privilegiato alla scienza sia esaltando l'orgoglio umano - o dichiarando (correttamente, ma in modo poco convincente) che l'incompatibilità era solamente apparente, senza però entrare nei dettagli. Nel cercare di rispondere alla questione, nell'abbozzare il percorso non miracoloso che ci conduce per mano dal dominio degli atomi insensibili a quello delle azioni scelte liberamente, noi forniamo appigli all'immaginazione. La compatibilità tra libero arbitrio e scienza (deterministica o indeterministica: non fa differenza) non è così inconcepibile come sembrava una volta. Le questioni affrontate in questo libro non sono semplicemente dei rompicapi accademici, deliziosi enigmi concettuali da risolvere o fenomeni bizzarri non ancora inquadrati in buone teorie. Molte persone le considerano questioni di vita o di morte, e questo le rende questioni di vita o di morte, poiché il timore degli individui tende ad amplificare le implicazioni supposte delle diverse analisi e a distorcere il senso dei ragionamenti, rendendoli strumenti spuntati al servizio della propaganda, nel bene e nel male. L'eco emotiva della parola "libertà", come della parola "Dio", garantisce un certo pubblico, ansioso di avventarsi su ogni passo falso, su ogni minaccia, su ogni concessione. L'effetto è che la tradizione normalmente ha il campo libero, o quasi. La gente è incline a pensare che le dottrine che vengono appoggiate dalla tradizione non si dovrebbero sottoporre a esame se non in casi rari, come gesto di tattica prudente, poiché metterle in discussione servirebbe solo a suscitare un vespaio. E così, le idee tradizionali continuano a vivere, ampiamente incontestate, e cresce loro attorno uno strato madreperlaceo di illegittima invulnerabilità, che si rafforza con il trascorrere del tempo.
Ho provato a mostrare, con l'aiuto di molti altri pensatori, che possiamo e dobbiamo rimpiazzare queste sacrosante ma effimere tradizioni con fondamenta più naturalistiche. fl pensiero di liberarsi di preconcetti tanto onorati come il conflitto immaginario tra determinismo e libertà, e la falsa sicurezza di un Sé che opererebbe per via miracolosa, o di un'anima che sarebbe il posto dove la responsabilità ha la sua casa, fa paura. L'analisi filosofica, da sola, non sarebbe sufficiente a motivare un cambiamento tanto drastico nel nostro modo di pensare, anche quando fosse fondamentalmente corretta; forse, la caratteristica più radicale di questo libro, scritto da un filosofo, è la preminenza data, nelle sue pagine, ai lavori di ricercatori che non sono filosofi. La mia opinione è che i filosofi, come filoso/i, non possono affermare di svolgere il loro lavoro professionale nei loro stessi campi di interesse fino a quando non prestino sufficiente attenzione ai ragionamenti di psicologi come Daniel Wegner e George Ainslie, di economisti come Robert Frank, di biologi come Richard Dawkins,Jared Diamond, Edward O. Wilson e David Sloan Wilson, e di altri le cui idee hanno avuto un ruolo importante in questo libro. Ovviamente, non sono il solo filosofo a pensarla così. Filosofi eccellenti come J o n Elster, Allan Gibbard, Philip Kitcher, Alexander Rosenberg, Don Ross, Brian Skyrms, Kim Sterelny ed Elliott Sober si sono spinti ben oltre quanto ho fatto io in queste ricche sorgenti di minerale filosofico, chiarendo così un tale modo di procedere sia della scienza sia della filosofia. Non solo ho profuso attenzione alle idee dei non filosofi, ma nell'andare avanti ho ignorato le idee di più di un paio di grossi calibri della filosofia, schivando varie controversie vigorosamente dibattute all'interno della mia disciplina senza farne assolutamente menzione. Ai partecipanti di questi dibattiti devo una spiegazione. Dove sono, qualcuno potrebbe chiedere benissimo, le mie confutazioni, le mie dimostrazioni, i miei ragionamenti filosofici che provano l'inconsistenza delle loro analisi tanto attentamente sviluppate? Ne ho fornita qualcuna: il putt di Austin, la facoltà di ragionamento pratico di Ka-
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ne, l'autonomia di Mele, per esempio, si sono guadagnati quella sorta di attenzione dettagliata che i filosofi si aspettano. Per quanto riguarda gli altri, ho deciso di lasciare a loro l'onere della prova. Ci vuole una certa quantità di assunzioni di fondo condivise per mettere in piedi una controversia filosofica, e mi sono convinto- non l'ho dimostrato che i miei resoconti informali e le mie osservazioni sfidino alcune delle loro assunzioni preliminari, rendendo le loro contese facoltative, anche se piacevoli per coloro che vi ci sono invischiati. Avrei potuto dire esattamente come e quando; questo, però, avrebbe richiesto un centinaio di pagine o più di densa esegesi testuale e di argomentazione, terminante con verdetti di falsi allarmi, una banalità da evitare. Quella che ho preso è una decisione rischiosa, poiché scopre il fianco all'accusa che io abbia deplorevolmente sottovalutato l'ineluttabilità dei loro presupposti condivisi; ma è un rischio che sono pronto a correre. Il mio scopo in questo libro era quello di dimostrare che, se siamo pronti ad accettare la "strana inversione di ragionamento" di Darwin, allora possiamo sviluppare dal principio alla fi. ne il migliore e più profondo ragionamento umano su argomenti come la morale e il significato, l'etica e la libertà. Lungi dall'essere nemica di queste indagini tradizionali, la prospettiva evoluzionistica è un alleato indispensabile. Non ho cercato di rimpiazzare il voluminoso edificio dell'etica con qualche alternativa darwiniana, ma di porre quell'edificio sulle fondamenta che merita: una visione realistica, naturalistica, potenzialmente unificata del nostro posto nella natura. Riconoscere la nostra unicità di animali riflessivi e comunicativi non richiede alcuna "straordinarietà" umana che debba lanciare il guanto di sfida a Darwin ed evitare le intuizioni che val la pena cogliere da quel sistema di pensiero magnificamente articolato ed empiricamente ancorato. Possiamo capire come la nostra libertà sia maggiore di quella delle altre creature, e vedere co· me questa accresciuta capacità porti con sé implicazioni morali: noblesse oblige. Siamo nella migliore posizione per scegliere la mossa successiva, perché abbiamo tutta la conoscen-
za possibile, e quindi la migliore prospettiva sul futuro. Ciò il futuro tiene in serbo per il nostro pianeta dipende da tutti noi, dal nostro ragionare assieme.
L'antologia di Robert Kane, The Ox/ord Handbook o/ Free Will (2001), contiene saggi commissionati ai maggiori protagonisti della letteratura filosofica deglì ultimi anni: consultandola, i lettori potranno fruire delle utili triangolazioni che il testo presenta sulle ternatiche trattate in questo libro. Il problema assai intricato della punizione e della recidività è ben analizzato nel libro di Quinsey e collaboratori, Viole n t 0//enders: Appraising and Managing Risk (1998), uno studio ampio, statistico e sofisticato sulla prevenzione e sul trattamento, con un'attenzione particolare agli psicopatici. Tra le sue rivelazioni più sconcertanti vi è quella che gli psicopatici che hanno seguito dei corsi di sensibilità sociale e di relazioni interpersonali durante il periodo del carcere sono più inclini a commettere crimini violenti, una volta rilasciati: "Pensiamo, allora, che i pazienti apprendano un sacco dai programmi intensivi, ma che i rei psicopatici utilizzino queste nuove conoscenze in modi del tutto non previsti'' (p. 89). I filosofi devono ripensare alle assunzioni preliminari - le ipersemplificazioni - che tipicamente invocano quando discutono di psicopatici e di altri problematici colpevoli. Come al solito, la nuda immaginazione di un filosofo, non contrastata dai fatti, è uno strumento troppo spuntato per essere di qualche utilità all'analisi di un insieme di problemi tanto delicati e importanti. The Unity o{ the Sel/(1991) di Stephen White, specialmente nei capitoli 8 e 9, contiene un'analisi acuta e dettagliata di alcuni dei problemi che io, in questa sede, ho solo schizzato a tratti veloci, e sviluppa argomenti che dovrebbero soddisfare gli scettici, specialmente sul bisogno di, e sulla sicurezza di, un capovolgimento dì ciò che lui propone. In particolare, racco-
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Fonti e letture consigliate
LE\'OLUZIO~E DELLA LIBERTÀ
mando la sua analisi dei difetti dei primi tentativi filosofici di affrontare tali questioni. Un libro affascinante sulla storia del processo di autoelevazione (bootstrapping) che ha fornito gli standard odierni (beh, degli anni Settanta del Novecento) di "rettitudine" e precisione è Foundations o/ Mechanical Accumcy (1970) di Wayne Moore. Alcuni lettori di questo mio libro hanno percepito la mancanza di una giustificazione della creativita e dell'autorità umana. Ma questo era più l'argomento del mio Discorso presidenziale alla Easter Division dell' American Philosophical Association, del dicembre del2000 (Dennett, 2000b). La relazione tra libero arbitrio e libertà politica è analizzata in modo acuto da Philip Pettit nel suo A Theory o/ Freedom: From the Psychology to the Politics o/ Agency (2001), e da Robert Nozick, nel capitolo finale, "La genealogia dell'etica", del suo ultimo libro, Invarianze (2001). Il ruolo della cultura, specialmente dell'organizzazione politica ed economica, nel m antenere e nell'ampliare la libertà è mostrato in Lo sviluppo e la libertà (1999) di Amartya Sen. Mentre stavo curando la revisione finale di questo uolume, ho ricevuto per posta una copia del nuovo libro di Merlin Donald, A M in d So Rare: The Evolution o/ Human Consàousness (2001). Questi mette subito in chiaro, fin dalla prima pagina, che ha concepito il libro come una sorta di antidoto ai miei due, Coscienza (1991a) e Lidea pericolosa di Darwin (1995). Comunque, l'ultimo capitolo del suo volume, "The triumph of consciousness", potrebbe essere benissimo l'ultimo capitolo di questo mio libro. Com'è possibile? Perché Donald, come molti altri, ha enormemente sottovalutato il dono che si trova nella "strana inversione di ragionamento" di Darwin. Donald scrive nel prologo: "Questo libro fa pensare che la mente umana sia diversa da qualsiasi altra cosa su questo pianeta non grazie alla sua biologia, che non è qualitativamente unica, ma grazie alla sua abilità di assimilare e generare cultura" (p. XIII). Appunto.
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INDICE ANALITICO
gruppi di, 266 libero, 291 morale, 341,355, 359-360 progetto di, 290 prospettiva di, 35 razionale, 59, 202-203, 289, 353,358,372 responsabile, 157 semplice, 201 urnano,235,291,404 Agente-centrismo, 82 Agire moralmente, 253 Agricoltura, 214, 230 Ainslie, George, 31, 276-282, 283, 290, 327, 339, 367, 407,411 Aiuto dai propri amici, 361, 373 Akins, Kathleen, 79,411 Alberi decisioni degli. 215 tradimento degli, 202 Alcolismo, 282-283 Alfabetizzazione, 234-235 Algoritmo (i), 145, 186 darwiniano, 249 dell'evoluzione. 4. 20 per gli scacchi, 111, l24 Aliante (nel Mondo della Vita). 50. 53, 61. 67, 122 come i fotoni. 57
Abed, Riadh, 391,411 Abitudini, 346 buone e cattive, 217 Ahnt:gazione, 258-64 Accadere, contrapposto al causare, 34, 54, .59, 69, 78, 406 Accesso privilegiato, }25 Accidente cosmico, 59 Accidente ghiacciato, 403 Accoppiamento assortarivo, 206 Acte gratuit, 156 Adattamento, 245, 288, 293, 346 linguaggio come, 230 senza mutamento genetico. 224 Addomesticamento, 214 dei memi, 352 Adulti consenzienti, 358 Africa. 240 Agente (i), 44, 75, 97, 126, 167, 223, 238, 266, 267' 272, 340, 345, 350, 372, 377379,392 atomo visto come, 73-74 causalità degli, 136. 183, 385 che "conosce", 59 come vettore, 235 con mente e cultura. 349 da smemorato a riflessivo, 347
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INDICE A\'\ALITIU l
non libero, 82 velocità dell', 57 Allison, Henrv A., 372,411 Allucinazione-, di massa, 14 Altezza della situazione, essere all',367 Altruismo, 232n, 238, 252, 261,266,275 definito, 258-260 genuino, 258, 287,289 Alvarez, GA, 319, 423 Ambiente, 211, 216, 220, 239, 284 concettuale, 14 culturale. come amplificatore di tendenze genetiche, 244 sociale, 285 Ameriam Sunbather, 245 Amici, aiuto dagli, 361, 373 Amminoacido, 23 3 Amnesty International, 147 Amore, 284,369,405 innamorarsi, 297 romantico, 297-301 Analisi costi-benefici, 235, 244, 270-211,292,386,398 Analisi MEG, 32ln Anemia falciforme, 260n Anestesia, 393 Angeli. 238, 290, 309 Anima, 1-2, 271, 292,296-297, 317, 378, 383-85, 405-406 appena morta, 21 lenti per l', 346 Animale morale, 268 Animali addomesticati, cervello degli, 218 razionali, 343 Animismo, 73 Annichilimento della materia, 42 Alcolisti Anonimi, 360, 381
Anoressia nervosa, 391 Ansia del libero arbitrio, 20, 121, .383' 405 Antenati Ryleani, 33 3n Antropocentrismo, 82 Antropomorfismo, 55 Apparato 60,217,222,350 a a situazione-azione, 60, 217, 266,317,330 di lettura, 225-26 Appleyard, Brian, 22 Apprendimento, 148,267 algoritmi di, 124 e istinto, 342 in tempi evoluzionistici, 272 investire in, 217-218 sociale, 226 Arche, 162 Archeologia evoluzionistica, 255 Architettura cognitiva, 344 Arinello, James, XIII Aristotel~, 343, 349,352 Aritmetica, 14, 402 Armi, evoluzione delle, e punizione, 291-92 Arte, 230, 235 Ascia, introduzione della, 241 Asino di Buridano, 168, 179 Assassini, di diversa provenienza, 174 Assenza di uno schema apparente, 105 come casualità, 112 Assicurazione sulla negligenza professionale degli accademici, 23 Assolutismo, XII, 181, 358, 383 Astington, J-, 382, 41 I Atmosfera, 13, 405 concettuale, 239 Atomismo greco, 10, 37
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INDICI ANALITICO
Aton1o,35,42,45,64,87-88,406 di carbonio, come agente, 73 indivisibile, 38 modello di Bohr, 35-36 Attenzione, 319 Aunger Robert, 254,411 Austin, J.L, 101-102, llO, 114, 127,411 putt di Austin, 100-104, 127, 173,407 Autocontrollo, 274-275, 283285, 291, 293, 339, 362, 373, 37ì, 388-389,394, 397 Autocoscienza, 3, 281 Autocreazione, 223, 361 Autodescrizione, 340 Autoelevazione, 361, 365, 381, 402,410 Autoinganno, 283 Automanipolazione, 291, 293, 325, 377 Automatismo psicomotorio, 328329 Automonitoraggio, 330 Autonomia, 138, 182, 188,341, 372-377,380,404,408 di Dumbo, 29 Autoprevisione, 281-282 Autore, 164, 185 di atti, 138 intelligente, non c'è bisogno di, 271 Autoriproduzione, 67 per mezzo di macchine di Turing, 64 Autostrada informativa, trasmissione culturale come, 228 Avital, E., 227,254,411 "Avrei potuto fare altrimenti", 110, 153, 158-159, 166,275, 288, 318-319, 388, 396-400; vedi anche Condizione AP
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Azione come causa, 97 nascita dell', 57 Azione intenzionale, 321, 328 Azione involontaria negli animali, 219, 331 negli uomini, 271, 345 nei m emi, 23 3 nelle creazioni del Mondo della Vita, 57 Azione morale, 229 Azione volontaria, 326-327, 334335 Azioni autoformative (SFA), 157158, 162, 167, 171-178,335, 360,401 Azioni guida, 60 Azioni inconsce, armata fantasma di, 328 Babbeo, nella teoria dei giochi, 197 Bach, Johann Sebastian, 363 Badge, di merito. 284 Baker, Nicholson, 246,411 Bambi, 240 Baptista, David, XIII Barare, 271 Barmazel, Julie, XII Baron-Cohen, S., 382,411 Batteri, 2, 59, 64 Bedoukian, Matt, XIII Behe, Michael, 171,412 Benedictus, David, XIII Beneficiari finali, 233,238,244 inconsapevoli, 58, 1.39-140, 270 Beneficiario ultimo, 238-244 Benegoismo, 257-263,266, 273,287,289 Benevolenza, 370
INDICE A:--.:ALITICO
Berry, Michael, 143,412 Beyerstein, Lindsay, XIII Bibbia, giurare sulla, 2ì3 Biblioteca di Babele, 41, 43, 119 di Conway, 54 di Democrito, 41-44, 54, 87, 90 di Mendel, 41 Bidwell, Cinnamon, XIII Big Bang, 40, 113 Bingham, Paul, 292, 412 Binmore, Ken, 381,412 Biologia, 408 in relazione alla fisica, 35 Biologia evoluzionistica, 170, 222 Bisonte, conoscenza del, 5 Blackmore, Susan, XII, 254, 382, 412 Boeing, 247 Bontà "intrinseca", 346 Boone, James L., 25 5, 412 Borges, Jorge Luis, 41, 43, 412 Boston Symphony Orchestra, 188,192,274 Boyd, Robert, 268, 412 Boyer, Pascal, 254, 412 Brainchildren (Dennett), 185 Brainstorms (Dennettl, 295, 297 Brasile, 2, 5 Briscoe, Robert, XIII British Mule Society, 261 Brook, Andrew, XIII Bulimia, 391 Buon trucco, 243,269, 350 Burkert, Walter, 254,412 Cabell, James Branch, 360, 381,412 Cacciatore-raccoglitore, 242 Calcolatore tascabile, 147, 150 428
Calorie, 6 Calvin, William, 306, 412 Cambiamento, 126 accumulo di, 52 Campbell Donald, 245,412 Canaglia colpevole, 385,396 Cancro, 203 Candid Camera, 356 Cane della prateria, 355 Canseco, Hector, XIII Canto dell'uccello, 190, 218, 234,271,334,404 Caos, 141-143. 172, 178, 18486,282 modelli al computer del, 186 non c'è elusione neL 58 Capacità di azione morale, 75, 109, 139-140, 392 evoluzione della, 257-293 requisiti minimi per, 387-388 Capitalismo, 403 Capone, Russell, XIII Cappucci, MichaeL XIII Capriola, 242 Capro espiatorio, 360, 385, 388 Caricatura, 209 Carota e bastone, 200 Cartesio (Réné Descartes), 328 Cartmill, Matt, 240, 412 Caso, 176, 186, 211, 284, 362 compatibile con il determinismo, 77 indeterministico, 166; vedi anche Casualità; Distribuzione casuale di incontri; Fortuna; Movimenti casuali; Numeri casuali; Variazioni casuali Casper il fantasmino, 296 Castrazione, 389 Casualità, 41, 106, 152 come se la Natura lanciasse dei dadi, 45
INDICE ANALITICO
contrapposta alla pseudocasualità, 204 non strisciante, 178 quantistica, 148 sorgenti di, 178 strisciante, 178 vedi anche Pseudocausalità Categorizzazione obbligatoria, 359 Catene causali, 134 Catone, 271 Cattolico Romano, 378-379 Causa, 79, 88, 114, 325, 328329 ed effetto, 74, 82, 119 eventi senza alcuna, 362-363 non-agente, 136 "reale", 99 Causalità, 34, 83, 95-96, 114, 128 efficiente, 135, 136, 184, 385 "mentale", 329 non può essere percepita, 325 Causare opposto ad accadere, 34,54,60,69,78,406 Cavea! emptor, 357 Celibato, voto di, 378 Cellula (e), 188, 199-201, 207. 211,215, come robot, 2-3, 30, 199201,274 comunità di, 257 della linea somatica, 201-206, 236n,274 Centro della visione, 310-314 Centro di potere transempirico, 135 Cervello, 3, 21, 141-144, 177, 249, 302-303,317-321, 329333,334,345,363-364,405 come nido per il meme, 246 crescita del, 211-212 dimensione, 217-218 429
e l'Io, 292 multitasking del, 318 trasformato in una mente, 344 Cesti Sukuma, 240 Cetacei, 219 vedi anche Delfini Charon, Rita, XII Cherubino, 360 Chicago Museum of Science and Technology, 142 Childers, Mary, XII Chirurgia per by-pass gastrico, 391 Chirurgia, nel senso di 116 Chisholm, Roderick, 136, 184, 412 Chouza, Regina, XIII Churchland, Patricia, 317-319, 412 Churchland, Paul, 144-146, 186,412 Ciclo ricorsivo, 281-282 Cittadino, 371 buon,273 informato, 363 Clark, Thomas, XIII, 341, 413 Cloak, ET., 254, 413 Clonazione, etica della, 394 Clone, 206 quasi-, 206, 232 Codice genetico, 66 Coercizione,138, 146 Cohen, D., 382,411 Coleman, Mary, XIII, 335, 413 Collegium Budapest, XIV Collera, 285,369-370 Collisione, 191, 403 nella creatività, l45n nell'evoluzione, 65n Collo di bottiglia cartesiano, 322 Colpa, 369, 384-385, 394 come prezzo da pagare per il
INDICE A:'\ ..\LITJCO
di importanza predittiva, 119 di livello superiore, 215 macroscopiche, l 08 negli universi, 41 sociali, 368 Conflitto intragenomico, 194 Conformismo, 268-269 Conoscenza, 30, 303, 408-409 dell'Io, 7 fardello della, 399 gruppi come depositi di, 269 perdita di, 241 ruolo nella pianificazione, 119 umana, 220 Conoscenza di sé, 6, 275, 385 Conoscere il cinese, 21 O Conrad (jJ vostro difensore d'ufficio), 76, 79-82, 104, 119, 127,300,339 Consapevolezza, 270 Consenso informato, 358 Considerazione curva esponenziale di, 279 curva iperbolica di, 278-283 Contatore Geiger, 17 8 Contraddizione pragmatica, 341 Contraffazione, perfetta, 373377 Contrattazione intertemporale, 276 "Contributo da parte mia'', 379 Controllo, 216,223 vedi anche Autocontrollo Conway, John Horton, 47, 56, 61, 63, 66-67, 87 Cooperatore, 262-263,266,272, 286 Cooperazione, 195-201, 207, 221,252,258, 263-266, 271, 281,291-292, 346, 355, 359 Coraggio artificiale, 366 vero, 365
riconoscimento, 387 senso di, 284 Colpevolezza, 384-385 Colui che rimugina in prìvato, 370 Combattere per la fede nel lìbero arbitrio, 18 Cometa, 6 Commensalismo, 202, 234 Commutatore, 216 Compatibilismo, 132, 137, 406 Competizione, 122, 204, 219, 280-281 di 339 di ragioni, 378 tra subappaltatori neurali, 247 Complessità, 47, 56 della grammatica, evoluzione della.230 Comprensione, 185, 3.33 Comprimibilità matematica, 105 Computabilità di Turing, 144 Computer, 104, 127, 145, 150, 398 come strumento deterministico, 104-105 facile da usare, 331 Computer che gioca a scacchi, 106,127,145,150,398, abilità del, 123, 118 non 330 Computer grafica, 38 Comunicazione, 5, 331, 344, 361, 403,408 Comunità, 229 di geni, 257 Concretezza nella creatività, 67 Condizione di AP (possibilità alternative}, 158-160, 166 Condizioni sociali, 253,267 per il libero arbitrio, 239 Configurazioni, 115, 122, 126, 182,205,217,264,355,386
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Corea di Huntington, 210 Corsa agli armamenti evoluzionistica, 28, 72, 19L 194-195, 219.267,291,358,384 "cosciente ma non accessi bile", 336 (Dennettl, XI, 20. 76n, 296, 298, 302, 306, 314, 320,342,410 Coscienza, XL 3-4, 30-31, 185, 247,280-281,302,308-315, 317-319,323-328,336, 338, 343-345,351,356,379 negare l'esistenza della, 28 reale, 298 Cosmologia, 68 Costo della pena, 268 dell'informazione, 58,217 Cottrell, G., 144 Creatività, 65, 165,410 modellizzazione della, 67 Creatori di noi stessi dalla vista acuta, 367 Creatura gregoriana, 352 Creatura skinneriana, 222 Creature popperiane, 330. 352 Creazionismo, 171n Credenza, 99,109,335,344,370 falsa, riconoscimento della, 219 297 c<.eucu;cc e dolori reali. 297 Creutzfeld-Jakob, morbo di, 117 Crick, Francis, 22, 27, 403 modello del DNA, 35 398,406 393 Cristo, 350 Criterio ristretto per scegliere
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un insieme di mondi possibili, 101-104, 111 Crittografia, 112 Cromosoma, 205 nei muli, 260n Cromosoma Y, 209 Cronin, Helena. XII, 293, 413 Cui bono.?, 231, 238, 244, 254, 264,345 Cultura, 190, 208, 221, 224, 233-247, 251-255, 291-292, 369,380,402,410 evoluzione della, 224-239, 246, 269,343,367 invenzione della, 220 popolare, 403 trasmissione della, 193, 229 Cultura dell'incredulità, 246 Cupido. 297-302 Curiosità metafisica, 127 Curry, Oliver, XIT Dadi, 148 Dahlbom, Bo, XIII Darwin, Charles R., 62-63, 190, 214,263,351,408-410,413 Darwinismo, 20, 63, 236, 257 neo-darwinismo, 21, 193 Dawkins, Richard, XII, 22, 27, 191, 220, 237, 254, 2(Yi, 298, 354, 407' 4 t3 Debiti, pagare i. 262-263 Debolezza della volontà, 147 Decisione (il,14, 135, 137, 147, 149-50, 157, 162,238, 306, 308-310, 314-317,318-319, 324-325,334-335,340 cosciente,321 ''decide" e "decisione", 124125.201,215,218,286,289 di chi?, 311 improwisa, 153-156, 166 impulsiva, 184
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inconscia, 315, 318-319 libera, 11, 45,291 tempo della, 206-207, 314 volontaria, 302-303 Deeke, L., 303,418 Deissi, 224 Delfini, 335, 333 Demarcazione, 163-164, 177, 181,351,359 della facoltà di ragione pratica nella natura, 88, 175, 147 vedi anche Incidere alle giunture De Marchena, Ashley, XIII Democrito, 38, 74, 104 Demone di Laplace, 36-3 7, 44, 93, 122 di intelligenza infinita, 204 Denaro, 243,405 Dennett, Susan, XIV Densmore, S., 145n, 415 Depew, David, 342, 423 Descrizione di stato, 37-40, 87, 93, 112-113 Deserto, 15 Desiderio, 54,379,334, di ordine superiore, 377 Designazione rigida, 90n Destra, religiosi di, 26 Determinismo, 10, 17, 22, 30, 34, 37, 47, 50, 74-88, 104, 109, 113, 120-122, 128, 145, 150, 157, 180, 204, 207, 264, 283, 288-289, 323n, 369, 392, 398, 405-406 ambientale, 209-213 che riduce le nostre possibilità, 101 definizione, 3 3, 131-13 2 e ineluttabilità, 67 genetico, 207-216 nel futuro ma non nel passato, 92-93
odio verso il,(awersioneper il,) 53 radicale, 132, 136, 369 stereotipi deL 5O Deus ex machina, 72 Deviazioni caotiche, 186, 406 De WaaL Frans, 251-252, 269, 415 De Witt, J an elle, X Ili Diabete, 300 Diamond, J ared, 213-215, 407, 415 Dickerson, Debra, 368, 415 Dicrocoelium dendriticum (distoma epatico piccolo), 231, 235,254 Dieci Comandamenti, 353 Diffamazione, leggi sulla, 22 "Differenza che fa la differenza", 375-376, 183 Differenze genetiche, 362 nei bambini, 184 Digitalizzazione, 115 dello spazio e del tempo, 38 Dilemma del detenuto, 195196, 206, 238, 262, 272, 287,288 Dilemma di Amleto, 147 Dio, 3. 271, 401,406 dono da, 286 fede in, 183 giocare a, 54 hacker, 58-65, 124 "Dipende da me", 125, 161165, 180-83 "Diplomazia, non metafisica", 298 Direttori, carceri, regola empirica, 213 Diritto, 403 di sparare il pnmo colpo, 398-399 432
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Dottrine misteriche della coscienza, 28 "Dove sono?", 177 "Dovrebbe essere" derivato da "è", 402 implica "può", 392-393, 396397 Dowding, K.M .. XII Drescher, Gary, XIIJ, 60, 217, 415 Dretske. Fred, 185 Drosophila (moscerino della frutta), 69 Dualismo, 31 Dubbio, scoperta del, 219 Dumbo, 18-20, 29 Dumouchel, Pau!, 293, 421 Durette, Jennifer, Xlii
Discendenza delle motivazioni naturali, 346 Discendenza fortunata, 70 Discendenze possibili, 71 Discolpa, 17 4 strisciante, 29, 384-388, 399 Discriminazione dell'ingannatore, 272 Disinformazione, 375-376 Disney, Walt, 18, 240, Disquisizione filosofica, 34 Disterhoft, J aso n, XIII Distinzione tra apparenza e realtà, 219 Distrazione, 8 Distribuzione dei processi decisionali nel tempo, 275 di lavoro cognitivo, 61 Distribuzione casuale di incontri, 349 Disturbo di iperattività da deficit dell'attenzione, 364 Dividendo della pace, 195 Divisione del lavoro, 343 DNA, 69, 190, 193, 201, 225, 227,233,249 egoista, 69 modello della doppia elica, 35 Dolore, come reale, 298 Domanda retorica, 11, 165,290 Dominio, nella teoria dei giochi, 197, 206-207, 263 Donald, Merlin, 410,415 Donna in carriera, esempio della, 141, 167 Donne, inferiorità biologica presunta delle, 26 Dooling, Richard, 295-296, 415 Dopamina, 364
Economia, 149, 238, 262, 289, 350,376,407,410 darwiniana, 252 Educazione, 373, 384, 397, 403 morale, 29, 366,376, 380 opposta all'indottrinamento, 349-380 Effetti fenotipici, 247 Effetto, 325 vedi anche Causa Effetto Baldwin, 342 Effetto della regina rossa, 244 Efficacia, 285,217-218 Egoismo, 199, 204, 370-371, 384 miope, 291 razionale, 239 vedi anche Benegoismo ElboU' Room (Dennett), 22, 129, 156, 163n, 178, 184, 302, 365, 381 Elemento P, 69 Elettroni, 40 Elettronica evoluzionistica, 145 Elman, J., 144 433
INDICE ANALITICO
Età idonea per guidare, 175 Eteronomia, 372 Etica, 239, 257, 290, 352-354. 371,393,402,408 come tecnologia, 346 della clonazione. 394 naturalizzata. 252 Etologia, 60, 391 Eucariote, 4, 200 Eventi quantistici, 97 Evento di speciazione, 171 Evolutivamente non applicabile, 202 Evoluzione. XI, 2-4, 13, 27, 62, 66-68,77,79, 120-127, 172, 193,216,221 227-232, 237,244,261,267-273,284. 289, 333,343-347, 359,380,402,405 algoritmica, 4, 21 artificiale, 14 5 conseguenza di processi di tentativi ed errori, 69 indipendente dal determinismo, 77 simulazioni dell', 65 vedi a11cb!:' Selezione naturale; Pensiero darwinista
Elster. Jon, 407 Elusione (avoidance), 57. 62, 67. 71, 75, 78-79, 83, 205, 207. 215,275, 362 Eluttabilità, 75, 83, 349, .36364,.398-99 nascita della, 74-75 Emersione, 66-67 Emozione, 285, 371 EMPATH, 144 Endoparassita, 218 Energia, 191 Enzimi, come agenti,74 Epilessia, 244, 320 Equilibrio, nella teoria dei giochi, 266 precario, 384 sociale, 387 tra potere riproduttivo e nflessivo, 3 53 Eresia lamarckiana, 236 Errore, 224 Esercito degli Stati Uniti, 9 Esperimenti controllati, 116, 125 mentali, 85-95, 203,251.291, 373,382 Esperimento dì randomizzazione, 116 ESS, vedi Strategia Evolutivamente Stabile Essenza, 170 "Essenziale ma invisibile", 361 Essenzialismo, 90n, 170, 177 Essere una persona criterio per, 377 prima soglia per, 361 ricerca dell', 365 Essunger, Paulina. XIII, 24-25. 27 Estensione del proprio. 295 Estinzione, 219. 242, 244 delle abitudini, 231
Facoltà cognitive, 329 Facoltà di ragione pratica, 13941, 154, 167, 184, 310-14, 331,356,385 modello di Kane, 146-163 rudimentale, 217 Falsi amici, 63 Fanatismo, 238, 403 FAP (schemi fissi di azione), 60 Fare delle cose con le parole, 332 Fare di tutto per comportarsi bene,367
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Farfalla, deposizione delle uova della, 224-225 Farsi da sé, 3ì2, 381 Fascismo delle cellule, 3 Fatalismo,l7, 120,208,368 "Fatelo da soli", 181, 185, 360 Fatiche,298 Fato, 77 Fatti metafisici, 13 Fatti storici inerti, 92-94, 230, 376 Fatti sullo sfondo, 13 Favola di Esopo, 352 Feedback, 186,323 cicli di,141, 329 negativo, 347 positivo, 244 tra evoluzione culturale e genetica, 240 Fenilchetonuria. 208 Fenomenologia del processo decisionale, 323 Fenotipo, 225, 244,248 Fermate quel corvo', 19, 25-26, 28,183,209,236,241,244, 365,367,376 Filosofi attitudini e metodi dei, 20, 59,85-87,95,111,133,137, 158, 168-171,226,284,288290,324,374.390,406-409 cambiano opinioni, 53 rompicapi dei, 15 Filosofia, 197 corso introduttivo, 260 morale, 284 Finestra delle opportunità, 323 Tohn Martin, 342, 416 Fisher, Ronald,116 Fisica, 262-264, 393 dei quanti, 11, 34, 116. 132. 142,237,396
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immutabile dei Mondi della Vita, 122 inanimata, 35 newtoniana, 142, 184 subatomica, 73 Fitness, 234-235, 248, 253 intracerebrale, 283 Fondamentalismo, 403 darwinista, 27 Font, Enrique, 222, 420 Forbes, Brvan, 176n Forcing psicologico, 324 Formazione della personalità, 168 Formiche, 231 Fortuna, 9, 119, 121, 20, 355,359,361,400 Forza di volontà, 280, 390 Forze darwiniane, 268 politiche non metafisiche,387 Fossato, scavato troppo lontano, risultati deL Fotografie laplaciane, 36-38 Fotone, 57, 79 Fotosintesi, 136 Fraintendimento, effetti del, 24 Frank, Robert, 271-275, 284, 286,293,369,371,407,416 Frankfurt, Harrv, 342, 3ì7, 416 Franklin, Benja~in, 257-258 Frayn, Michael. 327,416 French, Robert, 185.416 Frizione, nella facoltà di ragione pratica, 147-149 Frustata!, 303,315 Frutti dell'immaginazione, 20 Fulmini, eludere il pericolo dei, 80-81 Fumo di sigaretta, 235 Funr, Allen, 357 Futuro aperto, 121, 123, 126
INDICE ANALITICO
!:-\DICE A"--ALITICO
cervelli che producono iL 320, 330 prefissato contro natura prefissata, 121, 126 sarà come il passato, 44, 46, 120-122 Gallagher, Sean, 323,416 Gancio sospeso, XI, 262, 268, 290,402 cartesiano, 247 Garcia, Craig, XIV Gawand, Atul, 391,416 Gazzaniga, Michael, 306, 416 Gene (i), 193,204-216,220,225232,247,253,345,349-350, 351,362 dell'apprezzamento della giustizia, 344 della religione, 244 egoista, 23 7, 264 parlamento di geni, 205 parassita, 194 "per x", 244 pool di, 248, 351 regolazione del, 194 saltatore, 69 vedi anche Transposone Generai Motors, 142 Generatore di numeri pseudocasuali, 105, 112, 129, 148, 175-176, 186 Genetica, 209, 329 assimilazione,342 determinismo, 27, 207-216, 221,242,246, 365 ed evoluzione culturale, 29293 sfruttamento degli embrioni, 394 Genio, 405 Genocentrismo, 22, 226 Genoma, 245 umano, 211
Genotipo, 225 Germi, 215, 403 Gesù, 270, 350 Gesuiti, 210, 380 Ghigliottina di Hume, 350 Gibbard, Allan, 268, 343, 353, 369-372,391,401-402,407, 416 Giochi a somma non zero, 221 Gioco per la divisione della torta, 347-348 Giorello, Giulio, 416 Giostra precognitiva, 321 Girare le manopole delle sorgenti dell'intuizione, 290 Giro, fuori dal, 306, 323 Giudizi di simultaneità, 309314,317-318,322 Giudizi di valore, 364 Giulio Cesare, 92 Giuramento di Ippocrate, 23 Giustificazione, 344 Giustizia, 346, 349, 353 evoluzione della, 349 insuccessi della, 397 GOFAI (Good Old Fashioned Artificial Intelligence), 143 Goffman, Erving, 367, 382,416 Gois, Isabel, XIII Goldberg, Sanford, 254, 420 Goldschmidt, T., 240,416 Gopnik, Adam, 246,416 Gorilla, 404 Gould, Stephen J ay, 207-209, 416 Governo, sistemi di, 352 Gradi di libertà, 215-221 Gradualismo, 273, 381 Grafen, A., 204,417 Grande Fratello, 270 Grandiosi bioprofeti, 22 Gravità, 13, 18, 81, 143,228 Gray, Russell, 254, 416
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"Grazie, ne avevo bisogno", 394, 399 Grey, Walter, 320-321 Griffiths, Paul, 264, 292, 422 Gross, Bernard, XII Gru, 71 Gruppi, 269 benessere dei, 262 come individui, 257 Guerra, 230 "Guerra civile nel genoma", 194 Guerra del Vietnam, 2 Guerre Stellari, 72 Hacker nel Mondo della Vita, 52-54 come Dei, 58-65 Haig, David, 204,416 Hamilton, William, 264, 336,417 Hardin, G., 199,417 Hardware, 145 Harris,Judith, 381,417 Harris, P., 382,411 Hart, H.L.A., 100n, 292,417 Haugeland,John, 143,292,417 Hauser, Mare, XIII HIV, 24 Hofstadter, Douglas, 65, 264, 417 Holmes, Bob, 307,417 Homo sapiens, 230, 249, 253. 261,401 Honderich, Ted, 121,417 Honoré, A.M., 100, 103,417 Hooper, L.V., 2, 417 Horowitz, T.S., 319, 423 Hume, David, 44, 46, 325,345, 382,417 Humphrey, Nicholas, XII, 335 Ibridismo ecumenico, 13 7 Idea platonica, 402
437
Ideali, democratici, 403 Idee scientifiche, 239 Ideologia, 352 falsa, 300 Ignoranza, 374-376 vedi anche Azione inconsapevole Ignoranza assoluta, 62 Illusione, 280, 323, 327 benigna, 299 libertà non è un', 405 yeritiera, 299 volontà come, 300 Illusione dell'utente, 332 Illusione di Miiller-Lyer, 279 Imitazione, 228 Immaginazione, 237-353 Immunità agli agenti patogeni, 214-215 Impalcatura, 365, 382 ambientale, 361 religione come, 271 Impatto ambientale delle idee, 22 Impegno, 293 Imprevedibilità delle scelte umane, 281 Imprinting, 2, 25 del cervello, 21 genomico, 206 Incantesimo, rompere l', 19 Inchiostro a essiccamento lento,314,322 Incidente, o colpo di sfortuna, 167 Incompatibilismo, 127, 138, 388 definizione, 131 manifesto dell', 180-183 Incompetenza, 146 Incontro cooperativo, 266 Indeterminatezza, 140, 152; vedi anche Indeterminismo Indeterminazione quantistica,
INDICE A;-.!AL!TICO
Ingegneria,23,216,372 dei valori, 373,376 di software, 331 genetica, 351 memetica, 403 psìchica, 353-355, 369-371 sociale, 346 Ingegneria inversa applicata all' anima, 271 Iniziativa di strategia difensiva (SDI), 71 Insetti in grado di adeguare il loro ruolo, 264 sociali, 242, 264, 269 Insiemi CHV.lli!l, 41-45, 54, 67, 82, 87, 93, 119, 192,288 evanescenti, 41-42, 45, 54, 143 Insulina, 300 Intelligenza Artificiale, 143 Intelligenza, ruolo nella selezione, 350 lntenzionalità, 88 Interesse personale, 258, 272, 288,350,370 Interessi, 280 in competizione, 291 Interfaccia utente, 331-332,343 Internet, 265 · Intero, come più libero delle sue parti, 63, 82, 143 lntertemporale, contrattazione, 277-281 Intervento, 116 Introspezione, 328 Intrusioni spontanee, 65 Inuit, 212 Invasione, 50-54,57,67,91, 192, 266 Invertebrati, come robot o zombìe, 329 Io cartesiano, 338-339
164-165, 171, 176-lìì, 21L 360,385,392 Indeterminismo, 11-12, 33-36, 70-81, 88, 112, 116, 124129, 132, 142, 146, 150, 165-169,177,180,182,264,
392 epicureo e non epicureo, 8586 Indifferenza, 275 Indipendenza, 56 di cause ed effetti, 97 Individualismo, 257 Individui, 206,215,257 Indottrinamento opposto a educazione, 379-380 Ineluttabilità, 67,76-84,96, 118, 207, 210, 275, 362, 397,405 della collera, 369 nei modelli della teoria dei giochi, 267 nel senso di inevitabile, 75 non dipendente dal determinismo, 33 Inetti, 267 Infantilizzazione, 358 Inferenze alla spiegazione migliore, 325 Informazione, 56, 60, 72, 83, 125, 193, 207, 215-219, 233,267-268 costi dell', 57-58 estrazione dell', 317 m emi come costituiti di, 23 3 necessaria per le scelte libere, 205 omogeneizzazione, 358 perfetta, gioco dell', 123 ruolo nell'elusione, 57 trasmessa dai geni, 57 visiva, 317 lnformivoro, 125
438
come addetto stampa, 326 come una fragile coalizione, 336 demitizzato, 364-365 deve avere delle parti. 165 dimensione dell', 239 distribuito nello spazio e nel tempo, 182 migliore, 367 presentazione dell', 367 punteggiato, 164n ritirata dell', 164 Ipertensione, 244 IRJvl (Meccanismi innati di rilascio), 60 Irrazionalità, 285 Istante t, 158-162, 180,275,304, 322,327 Istanza definizione, 59 fisica, 201 intenzionale, 60, 109, 201, 205,214-216,222 Istinto, 245-246, 329, 346, 352, 357,371 prevalente, 280
Jablonka, E., 227, 254, 411 J ackendoff, Ray, 334 Jackson, Gabriella, XIII Jacob, François, 201 James, William, 159-160, 165, 417 Jensen, A_, 319,417 "]o n es, l'inventore dei pensieri", 333n J ohnson, Anne J., XIII Jordan, F.M., 416 Jurgensen, Sarah, Xlli Kamin, Leon, 26.418 Kane, XIII, 133-186, 281, 335,
439
342, 360, 372, 380, 401, 407-408,417-418 Kant, Immanuel, 137, 252,284, 289,358,371,379,418 Kass, Leon, 22, 418 Katz, Leonard, 292, 418 Keillor, Garrison, 377 Keller, Evelyn Fox, XII Kelly, Erin, XIII Kennedy,John F., 85 assassinio di, 113 Kinsbourne, Marcel, 342 Kitcher, Philìp, 407 Kornhuber, H.H., 303,418 Koslicki, Kathrin, Xlii Kozyra, Tomas, XIII Kripke, Saul, 90n, 418 Lacuna dell'indeterminismo, 155 di 300 millisecondi di Libet, 305,310,311-312,316,321 di cui c'è veramente bisogno, 139 Lago Wobegon, 377 Lampeggiatore (nel Mondo della Vita), 122 "La natura con i denti e le zanne insanguinate", 257 Lancio della moneta, 120, 148, 152,168,204,211,363 come generatore casuale, 115 per spezzare i legami causali, 115-116 Laplace, Pierre-Simon de, 36, 104,418 Laptop, 64n Larghezza di banda, 146 Larghezza di vedute, 238, 374, 377 Latrina esterna, fattore nella, 276 Latta, Marcy, XIII
!:'\DICE :\Nt\L!TfCO
Lavaggio del cervello, l7 3, 373-78, 382 Legge della fisica, 13, 38, 42. 45,54, 87,113,226 Legge di gravità, 9, 18 Legge di natura, 116, 180 Leigh. E.G., 205,418 Lettore di mente contro scrittore di mente, 324 Leva di Archimede. 344 Levin, Ira, 176n Levitazione morale, 137-138,237, 384-385 Levy, Frank, XII Lewis, David, 93, 97, 111,418 Lewontin, Richard, 26,418 Liberi, la verità ci rende, 29 Libero arbitrio, l, 28, 82, 101, 125-126, 132, 140, 153, 157, 164,168,173,180,186,237, 297,322,343,361,374.393 analisi del, 219 angoscia dovuta al, 20, 121, 383, 405 come allucinazione di massa, 14 come illusione, 15-16, 135 come la democrazia, 17-18 come l'aria che respiriamo, 13 come problema politico, 12 credenza nel, 17, 18, 19, 20 di stampo libertario, 146 genuino, 60, 371 letteratura sul, 31 metafisica, 399 moralmente significante, 109, 223 non può esistere, 296 problema classico del, 12 problema del, "cura" per, 25 vero, 300-301 Libero, Responsabilità di essere, 359
Libertà, 346,365.407-408 dagli impedimenti, 398 definizione, 40 l degli uccelli, 264, 234, 271 eccessi di, 404 evoluzione della, H fallimenti della, 357 gradi dì. 215-221 idea della, 372 massimizzazìone della, 388 politica, 18, 410 tipi di, 4. 126, 180, 234 troppa,365, 380,401-04 umana. rispetto a quella animale, 189, 405 Libertà d'indifferenza, 168 Libertarismo, 132-134. 136. 158, 180-186, 164-165, 173, 237,385 politico, 132 Libet, Benjamin. 292, 304-323, 326, 336, 341, 418-419 L'idea pericolosa di Daru•in (Dennettl. Xl, 20, 41, 71, 83, 128, l95n, 199n,200n,204,221, 342,410 Limite di velocità, 71 dell'evoluzione, 7 l Limite superiore della performance, 385 Linea di azione di carattere politico, 175 Linea germinale, 201-04 Linguaggio, 189,229,233,269, 291,334,339,344,404 evoluzione del, 232, 254 Livello di analisi, l 07 biologico, 126 fisico, 51-54,88 funzionale non anatomico, 334 persona, 272 Locomozione, 215,218
440
INDICE A.\:ALITIU
Mameli, Matteo, Xll, 254. 419 Mammifero, 169-17l, 183, 186, 391 Primo, 169-72, 183. 289, 361 "M<1ngiate quel corvo-'", 236 Man!"iatori (nel Mondo della Vira), 50-51, 54 non liberi,82 Manipolazione di informazione, 61 inconscia, 372 Mantykoski, Janne, Xlll Maratona, 365 Marsball, Durwood, XIV Marx, Karl, 224, 419 Mascheramento, 267 Materia divina, l Materialismo, 20, 31, 301, 405 Maxwell. Nicholas, XII, 401, 419 Maynard Smith, John, Xli, 198. 221-222,224,419 Mazabethi. 240 McDonaHJ.F., 195,419 McFarland. Davi d, 3 3 l, 420 McGeer, Victoria, 382, 420 McLaughlin, J.A., 100, 420 Meccanismi inconsci, 325 Meccanismo immediato, 249 Medusa, 189 Meiosi, 203 Mele, Alfred, 373, 376, 408, 420, 253-254 Meme, 232-236, 246-249. 347 353 analogo al gene, 233 coinvolto in attività di pensiero, 247-249 contrapposto alla ragione, 247 dal punto di vista del meme. 236 macchina del, 237
Lodare e incolpare, Il, 16 Logica, 90 modale, 87 London School of Economics (LSE), XII
.~.
... '
l
Long, Ryan, xm Lotteria, 178, 204 Lotus 1-2-3,61 Love, Gabriel. Xlll Luce, velocità della, 13, 42, 57, 71, lì/ Luddismo. 403 Lungimiranza, 73 che manca all'evoluzione, 7071 creata dall'cvoluzione,70-71 Lupo. 269, 355 Lupo mannaro, 215 Lutero, Martin, 156, 172, 181. 288,308,318 Macchina a moto perpetuo, 262,290 Macchina di Turing semplice nel Mondo della Vita, 83 universale nel Mondo della Vita, 61, 64, 67, 79. 83, 122 Macchina \'irtuale, 146, 3 35 MacKay, D.M., l23n, 419 MacKenzie, Robert, 63.419 Madre Natura, 70, 78, 184, 226, 274, 331, 340, 344. 359,372 intenzioni di, 245 Mafia, 273 Magia. 233,239 da palcoscenico, 325, 357 istanti magici, 360 Malaria, 260n i'vlale, 385 augurarlo a se stessi, 260 culturale, 241 441
INDICE A:--JALITICO INDICE Af\'ALITICO
mi costringe a fare, 246 tonico e tossico, 404 Memetica, scienza della, 236, 246 Memoria cellulare, 225 Memoria, 339 Mencken, H.L., 270 Men in Black, 309 Menone, 260 Mente, l, 12,223,292 casa della responsabilità, 134 come cervello, XII giochi, 359 trasparente, 328 trasformista, 334 umana, 188 Messa in scena del sé, 367 Metabolismo, 136 Metafisica, 149, 176, 212, 387, 394 contrapposta alla diplomazia, 298 Metcalfe,J., 293,420 Metodi cladistici, 254 Mezzo, 249 indipendenza dei memi dal, 233 Miglioramento di sé, 124, 365 Migliore, cercare di essere il, 202,239,286 Milton, Katherine, 241 Mimetismo, 216 Miopia, 208, 244, 364 come fenomeno naturale, 245 dell'evoluzione, 263, 245 Miracolo (i), 137, 221, 268, 271,291,405-406 finti, 72 interventi miracolosi del Dio hacker, 58 libero arbitrio come, 135 Mischel, W., 293,420 Misero sotterfugio, 136
Mistero, 384 della mente, 359 Mito, 271, 377 dei metalli (Platone), 359 fragile, 385 metafisica, 394 vulnerabilità al, 270 Mitocondrio, 193, 222 Mitosi, 203 Modelli dell'immaginazione, 55 Modellino (i) contrapposto a strumenti, 35 del determinismo, 30 generi di libertà, 127 mondo, 109, 185 Modelli, astrattezza dei, 267 della teoria dei giochi, 262266 Mondi fisicamente possibili, 91, 113 possibili, 46n, 86-91, 95, 102, 116 virtuali, tranquillità dei, 6566 Mondi della Vita possibili, 59 Mondo della Vita (Gioco di Conway del), 47, 70, 75, 78, 88-92,122,145,266 hacker del, 52 sito internet, 52 Monte Improbabile, 354 Moore, G.E., 103, 420 Moore, Wayne, 410,420 Morale, 272, 291, 344, 350, 355,370,408 elusività della, 283 evoluzione della, 249-53, 351 neutralità della teoria dell'evoluzione della, 252 pillole di, 344,376, 383 ultra-razionale, 371 Morbo di Lyme, 240
442
Morewedge, Carey, XIII Morte termica dell'universo, 40 Moscerino della frutta, 70, 74 Mossa forzata, 286, 289 Motivazione, 37 8 in fluttuazione libera, 192, 204, 221,241,245,271,286,332, 345, 354,369-370 morale, 212-213 naturale, 346 Moto-in-profondità, 78 Motore primo, 135 Motto di spirito, 184 Moya, Andrés, 222,420 Mozart, Wolfgang Amadeus, 250 Mulder, Brett, XIII Muller, Cathy, XIII Mulo, 260 Multitasking da parte del cervello,318 "Muoversi bene", 219 Muro, come elemento progettuale, 56 Musica, 230,235,251,404 predisposizione genetica per, 249-250 Mussulmano, 391 Mutazione, 65-66, 69, 191, 203, 225,234,249,267 Mutualismo, 202, 234 Nannini, Sandro, XII Nascondino, 219 Naso porpora, 391 Nastro, riawolgere il, 50 Natura, o cultura prefissata contrapposta a un futuro prefìssato, 121 prefissata contrapposta a una natura aperta, 122 vedi anche Madre Natura Natura morta (nel Mondo della Vita), 50, 122
Naturalezza, 245 Naturalismo come nemico del libero arbitrio, 21 Naturalmente buoni, come gli scimpanzé, 268 Necessità, 34, 87-91, 128 causale, 96-99, 113, 118 definizione, 90 Neo-Darwinismo, 21, 193; vedi anche Pensiero darwiniano; Darwinismo Nesse, Randolph, 293 NETTalk, 144 Neuroni, 177 connessioni tra, 211 Neuroscienze, 21, 139, 173, 195, 298,301,305,333 Nevrosi, 135 Nichilismo, 132 Nicod, Jean, Lectures, 31 Nietzsche, Friedrich, 271, 350 Noblesse oblige, 408 Non-dimenticanza, 333 Non-linearità, 141, 143, 186 Norme, 229, 292, 343, 349353,370,390,402 Nozick, Robert, 410, 420 Numeri casuali generatore di, 106-108, 11 O, 150-151, 179 web site di, 112 Obiettivi, 61,202 Objet trouvé, evento quantistico come, 165 Offerta coercitiva, 239, 273 Olson, D.R.E., 382,411 Omeostasi, 244 Ominide, 230-231 Omuncolo, 165,281,309,317, 322 Onore, 223 Ontologia, 52, 95
443
1'-JDICE Al'\r\LlTICO
l:\ DICE A:-\ALJTICO
Opinioni, 246 Oppenheim, Paul, XIII, 171 Opportunismo, 288 di Madre Natura, 274 Opportunità, 10, 16, 76, 82, 109, 201-204,206,215, 22L 287, }55.367,392,401 da progetto, 52-53 finestra di, 158, 314-315 pura, 206, 218 reale, 289 Oppressione politica, 138 Orchestra sinfonica, cervello come, 296 Ordine del giorno nascosto, sulla questione del libero arbitrio, XI-XII, 21 Orizzonte epistemico, 123 Oro, 92 Orologiaio cieco, 63, 70. 204, 367 Orologio, di Libet, 304, 307308 Ospite, 236n beneficio ali', 234 umano,2 Oswald, Lee Harvey. 85. 114 Otto, cugino di Conrad, 76n Padre che causa la morte della sua bambina, 8-9, 400 Padrino, 273 Padronanza, 292 Paesaggio adattivo, 354 della decisione, 179 Pagels, Mark, 254, 415 Paguro,245 Palmquist, Rachel. 295, 299, 30L 305 Parassiti, 194, 202, 217, 232, 234
animali domestici come. 218 geni parassiti, 68 Passione, 284, 371 Paternalismo, 358 Paura della scienza, 7-8. 28-29 Peanuts, 340 Pearl,Judea, 115, 128.420 Peccato originale. evoluzionistico, 270 Pedofilo, 389-390,397,399 Penna. magica di Dumbo, 19 Penrose, Roger, 142-143, 420 Pensieri, 326 Pensiero darwiniano, 230, 239, 242-245, 262-263, 283, 290, 344, 349-353, 361,367.389390.408 caricature del, 245-248 Pensiero libero, 6 Percezione a distanza, 71 Pereboom, Derk, 30ln, 382, 420 Perfezionamento del proprio ambiente, 329 Pericolosi istinti di aggressl0ne,269 Periodi di 185 Perla,243 Persona, 221,228,338 concetto di, 377 evoluzione della, 291 Pesce, libero arbitrio del, 125 Pessin, Andrew, 254, 420 Pettit, Philip, 410, 420 Phillips, Emo, 17 Pianificazione razionale, 118 Pianto, 229 Pinker, Steven, 28, 420 Pixel, 38, 47, 60, 64, 91 Platone, 88, 290, 352, 359 Pluricellularità, 190-196. 200, 203,222,227,405 evoluzione della, 4
444
Politica, 239,392,397-.398 egoista. 267 Politici, 371 Popper, Karl. 123, 330, 421 Portare in giudizio, 269 Porter, Valeria, Xlii Posizione originale, di Rawls, 203
Possibile, arte deL 3 71 Possibilità, 34, 82-83, 109, 129, l 90, 354 concetto quotidiano di, 87, 104, 128 definizione, 90 fisica, 87 in mondi deterministici, 111112 logica, 86,90-91, 192,351 nel mondo dei programmi giocano a scacchi, l 08 "reale", lll ristretta, 393, 398 spazio multi-dimensionale della, 216 Possibilità di scelta, 191 in un mondo deterministico, 33 Possibilità-a-guell'istante, 159, 162 Postema, Gerald, XII Postmodernismo, 7 Potatura selettiva, 226 Potenziale di prontezza (RP), 303-304,308,319 "Potere". 10 "poter fare", 393 uedi Possibilità "Potere del pensiero positivo", 18-19, Potere di contrattazione, 281 Poundstone, William, 51, 64, 421
445
Precedenza temporale delle cause. 97-98 Precognizione, come impossibile, 71 Predicati di identificazione, 89 Predicato informale. 89-91 Prentky, RA., 389,421 Pressione selettiva, 275,351 Pressione sociale, 367 Presumere, 366 Presupposizione da parte dei geni, 226 Predicibilità, 143 Prevenzione, 73, 81,96 Previsione.44, 54,217 come "aspectativa" 226, 282, 367 limiti della nostra abilità di, 44 Prima Guerra Mondiale, causa della, 116 Primati, 189,219,269 psicologi naturali, 335-36 Principio della Conoscenza Necessaria, 34, 87-91, 128 Principio dell'handicap di Zahavi, 293 Principio di Responsabilità di Base, 372 Probabilità, 57-60, 12.3, 3 99 Problema causale, 108 Problema dell'impegno, 272273,359 Problemi di implementazione, 288 Procariote, 4, 191-194.201,267 Procedura di ricerca, esaustiva, 214 Processo antagonistico, 281 nel cervello, 166, 172 Processo creativo. 65 Processo decisionale, 14 3, 271, 300, 338, 381
!N DIC:I: A'-:AL!T!CO
difetto neL 277 fenomenologia deL 322-23 modello di, 138 morale, 156, 37 4 stocastico, 185 vero, 139 Processo di soluzione di problemi, evoluzione come, 70 Processo progettuale, 120 interpersonale, 361 Produrre il futuro, 320, 330331 Profezia, dono della, 244 Progetti simili ad agenti. 55 Progetto, 33, 55-56, 124, 193, 227, 237, 247, 264, 286, 343,346,352,353,366,370 degli agenti, 290 di canali di informazione, 227 difetti del, 369 eseguito dall'evoluzione, 69, 262 inconscio, 365 incremento deL 65 istanza, 53, 60,201 livello, 51-56,60-61 miglioramento del, 366-67 obiettivo del, 201 opportunità, 52 principi, 332 spazio, 145n. 288 Progetto Intelligente, 171n Programmi, 335 Promesse fare e rompere, 223 nel dilemma del detenuto, 196 Propaganda, 373 Proposizioni controfattuali, 9394 Prospettiva, 238 delgene,200 dell'"occhio di Dio", 126
di prima persona, 339 evoluzionistica, 327 neutrale della memetica, 234 Proteine, 190, 232, 249 che svolgono il loro compito, 73 Protesi, 397 della ragione, 358 della volontà, 168 regole come, 353 Protolibertà, 190 Provincialismo verso una comunità di credenti più ampia possibile, 402 Provine, Will, Xlll Prudenza, 258, 268, 275, 277, 370 Pseudoaltruismo, 289, 261 Pseudocasualità, 211, 361 Pseudoelusore, 77 Psicologi, accademici, 335 naturali, 335 Psicologia, 333, 356, 370, 391, 407 dell'evoluzione, 252, 345 Psicopatico, 409 razionale, 395 Pulsante Ora!, 159-164 Punizione, 223, 267-70, 291292,360,388,395,400,409 accettare una, 395-397 crudele e insolita, 388 nell'aldilà, 270 o imprigionamento, 384 Punti deboli, 217, 57 Punti di riferimento, nel cervello, 330 Punto di scelta, per le cellule, 201 Putt di Austin, 102-103, 127. 173, 407 Pynchon. Thomas, 340,421 446
!:-.:DICE ANALIT!C< l
nostre e di Madre Natura, 184, 340, 344 spazio delle, 356 Ragno, 224 Raine, A .. 210.421 Raison d'erre, 242 Ramachandran, Vilayanur, 307, 421 Ravizza, Mark, 342,416 Rawls,John, 203,421 Razionalismo, 288 Razionalità, 59, 201, 270, 274, 276, 281, 341, 358, 376, 394 del tradimento, 270-271 ideale di, 357 imperfetta, 356 miope, 207 molteplice, 165, 178 Razza, 26 Razzismo, 213,251, 368 Reagan, Ronald, 71 Realismo, incremento di, 261 Reazione involontaria, battito di ciglia come, 78 Recidività, 308, 389, 398 Reeve, Sebastian, xiii Re-filosofo, 281 Regola aurea, 352 Regolarità causali, 109 dell'ambiente, 226 Regole di manipolazione di simboli, 144 di transizione negli universi, 41-42, 83 Regresso infinito, 170, 361, 372 Reid, Peter, Xlii Religione, 7,29, 132,230,239, 243-245,254 gene per, 244 Religiosità, 244 Rembrandt. 93
(.)!, 26 Quartier Generale Centrale, 302 Quartier Generale di Comando, 311-313 Quasi-altruismo, 261, 289 Quine, W.V., 37, 40, 47, 87-88, 421 Quinsey, Vernon L., 388, 409, 421
R&S (ricerca e sviluppo), 55, 62, 194-195, 200, 205-207, 219, 227, 230, 248, 332, 344,346,354,367 Raccolta di informazioni, 57 Raffman, Diana, 185,421 Ragionamento, 349-350, 378 per reductùJ ad absurdum, 11 strana inversione di, 63, 150, 408-409 Ragione, 355, 362,372 acqua fredda della, 26 fredda, 284 in fluttuazione libera, 166, 192,205,242,245,270-272. 286-287, 332, 343-346, 353, 369 pura,372 rispetto per, 379 Ragione pratica, facoltà di, 139142, 154, 167, 184, 310314,331,356,384 modello di Kane, 146-163 rudimentale, 217 Ragioni, 240, 268, 339, 390 concedere alla vittima, 325 concorrenti, 165 contrapposte ai memi, 247 degli dci hacker, 60 fai-da-te, 166 inconsce, 377-378 naturali, 345, 353
447
INDICE Af\:ALJTICO
Rendell, Paul, 83 Replicatore, 234, 403 culturale, 232 Replicatori egoisti, 23 7 Replicazione, 228 del DNA, 191 Reputazione, importanza della, 272-273,285,291,359 Res cogitans, 247, 339,378 Responsabilità, 14-15, 45, 175, 210, 299, 301, 317, 324, 355, 358, 360, 369, 372, 385-388,392,397,400 apparente, 175 degli effetti di ciò che si dice, 23-25 distribuzione della, 344 gradi di, 173-174 mia, per le traiettorie a cm ho dato vita, 158 morale, 134, 323, 338, 340, 359, 394-395 prendersi, 344, 380, 388 robusta, 152 soglia deHa, 363 ultima, 133-135, 157. 162163, 169, 173, 176, 182 Reti di commutatori, 216-216, 301 neurali, 141-145, 186 Retrovirus, 344 Rettili, 169 Rettitudine, 410 Ricerca casuale, come la più veloce, 318 Ricerche sull'AIDS, 24-25 Ricetta, 233 di geni, 226 Richerson, Peter, 268, 412 Ricompensa ritardata, 284 Ricompensa, definizione di
448
Ainslie di, 283 Riconoscimento da parte dell'evoluzione, 6 228-229 reciproco, 205, Ricordare, 337 Ridley, Mark, 69, 117, 184, 208,421 Ridley, Matt, 69, 117, 184,208, 421 Riduzionismo, Riflessione, 271, 353, 367368, 379-380.408 capacità di, 219 ruolo nell'imprevedibilità, 281282 Riflesso, 318 del battito delle ciglia, 78 "pre-impostato", 79 Rimpianto, 14-15 Riproduzione asessuata, 232n differenziale, 248, 346 sessuale, 193 Riscaldamento globale, 6 Rischio, 205, 247n, 330, 39899,408 Risentimento, 346 Riso, 230 Ritalin (metilfenidato), 364, 380 Rivalutazione dei valori, 354 Rivoluzione eucariotica, 191195 Robot, 175, 185,329 cosciente, 330 Rose, Steven, 26, 418 Rosenberg, Alexander, 407 Rosenberg, Daniel, XIII Rosler, A., 389, 421 Ross, Amber, XIII Ross, Don, XIII, 293, 349-350, 381,407,421 Rumore, 66
!:-.:DICE A:'\ r\LlTJCO
ruolo nella creatività, 145n ruolo nell'evoluzione, 66 Ruota della fortuna, 148 Rusedski, Greg, 317 Ryle, Gilbert, 123n, 421 Saaristo, Antti, xm Saggezza etica, 400 Sallustio, 271 Salmone, immaginazione del, 237 Salto guantistico, 164 Salvato, Teresa, XI\' Samuel, George A., XIII Sanford, D., 169, 421 Sanger, Derek, xiii Santo razionale, 289, 290 Sanzioni, 267 Sartre,Jean-Paul, 340,422 Sawyer, Tom, XIII Scacchi, 108, 124 paragonati ai giochi con le carte, 122-23 Scelta, 63, 183, 205, 217, 266, 282, 325 informata, 109 informazione necessana per la, 208 libera, 205 ottimale, 238 ''reale", 108 ruolo nell'evoluzione, 351 "scelta", 201,266 umana, 276, 391 Schema a piramide, 243 Schemi. 54, 108, 250, 384 Schierarsi, 378-3ì9 Schizofrenia, .33 7 Schwavder, Mark, xiv Sciam~no, 244 Scienza, l, ì -8, 20, 29 cattiva interpretazione, 14 legami con la ragione, ì
449
Scimmie, 269 addestramento delle, 3.33 cultura tra le, 227 Scimpanzé, 229-230, 252, 360361 vedi a11cbe Primati Scommessa, 46 Scopi, 202 Scrivere, 322 Scroccone,l94, 263-269 "Scuotere gli eventi", 111-115 Sé, 292, 332, 338, 340, 345, 361, 365, 369, 372, 382,400,407 come addetto stampa, 326 come una fragile coalizione, 336 demitizzato, 364-365 deve avere delle parti, 165 dimensione del, 239 distribuito nello spazio e nel tempo, 182 migliore. 367 presentazione del, 36ì punteggiato, 164n ritirata del, 164 Secondo principio della termedinamica, 262 Segnale costoso, 274,284-87 Segnali, emozioni come strategici, 293 Sehon, Scott, Xlll Selezione a livello individuale, 346 di gruppo, 353 nconscia, 214,351 metodica, 351 naturale, 62-71, 17ln, 189, 22L 235, 248, 252253, 263-264, 330, 345, 405: anche Evoluzione per parentela, 264 sessuale, 244
INDICE ANALITICO
INDICE Al'\ALIT!CO
Sella, nel paesaggio della decisione, lì9 Sellar, Wilfrid, 333n, 422 Semplificazione, 56 Sen, Amartya, 410, 422 Sensazioni morali, 268 Sentieri delle capre, 228 Sentimenti morali, 285 Serendipità, 66,258, 403 nella creazione, 65 Serie soggettive e oggettive, registrazione delle, 304 "Se vi fate veramente piccoli ... ", 163, 181, 211-212, 238. 3lì, 323, 336, 388, 395,401 SFA (azione autoformativa), 15ì158, 162, 16ì, 171-178,335, 360,401 Shakespeare, William, 363 Shaverdashvili, Shorena, XIIIXIV
Siegel Sheldon, XIII Sifferd, Katrina, XIII Silver, Andrew, XIV Silver, Mitch, XIII Simbionte, culturale, 228 Simbiosi, 3, 192, 195,201, 34ì Simpatia, 3ìl Simulazione al computer, 65, 290 del caos, 186 delle reti neurali, 143 144 delle reti neurali non lineari, 145 Sindrome da intossicazione alcolica del 362 Sistema a datario, 311, 313-314 Sistema immunitario, 329 di cellule, come mercenari, 201
450
Sistema intenzionale, 46, 213, 238, 335 balistico, 202, 2ì4 definizione, 60 ovunque, ì4 Sistema militare-industriale, 147 Sistemi di norme morali, 370 Skyrms, Brian, 203, 206, 221, 265, 347-348, 381, 422 Sleeper, Naomi, XIV Slote, Michael, 382, 422 Smith, Eric Alden, 255,492 Smollet, Sara, XIV
Snoopy,340 Sober, Elliott, XIII, 232, 249, 252, 254-59, 292, 40ì, 422 Socialità, 223-224 Società medicalizzata, 38ì Sociobiologia, 252 Socrate, 89-91 Software, 145n Soggettività, 88-89 Soprannaturale, 29ì Sorgenti di intuizioni, 291 Sovradeterminazione, 98 Spazialità, introduzione della nella teoria dei giochi, 265 Specifiche, 146, 182 stabilire le, 13 3 Speranze di vita, 121 Sperber, Dan, 254,422 Spergiuro, 274 Sphexismo, 264 Spiegazione, 123, 290 della regolarità, l 09 dell'abilità, 10ì 108 Spiriti liberi, 36ì Spiritualità, 300 Spontaneità, 284 Spore, 56 Starnuto, 245 Stati Uniti, 2 "Stava per succedere", ì9, 108
'
l
Sterelny, Kim, 264, 292, 40ì, 422 Sterilità, gene per la, 260 Sterne, Laurence, 129 Stich, Stephen, 341, 422 Storìcità, 52 Storie Proprio Così, 269, 331, 3.33n,349 Straordinarietà, 408 Strategia Evolutivamente Stabile (ESS), 50, 198, 347 Strawson, P.F., 21 Strumenti, 230,253 memi come, 247 o modellini, filosofici. 236 per il pensiero, 34, 352 Sruart, Matthew, XIII Stupidi, 267 Stupidità, evoluzione della, 257 Stupido razionale, 289 Suber, Peter, Xlii, 359, 381, 422 Substrato neutro, 249 Sufficienza, causale, 96-100, 112, 118 Suicidio, assistito, 393 Summum bonum, 202,237-238 Superiorità eterozigote, 260 Superman, 90 Sviluppo in parallelo, 70, 219, 296,301 o razionalità molteplice, 167 Symphony Hall, 188, 20ì, 220, 239 Szathmary, Eors, 167, 419
247, 311, 313, 317, 322326,3.32,338 Tecnica, .393, 39ì della persuasione, 358-59 Teflon, 195 Teilhard de Chardin, Pierre, 28 Tempo, 275, 2ì9, 302-303, 31ì, 322,374,3ì9 distanza in, 2ìì -278 la quarta dimensione, 39 scala, differenza in evoluzione,242 Tendenza di gruppo, 253 Tenere conto del futuro, 276-
77 Tenia, 218 Tennis palla di servizio, 31 ì torneo, 250 Tentativi ed errori, 69, 207, 351 Tentazione, 213, 2ì0-277, 291, 38ì,399 Teorema di Pitagora, 13 Teoria dei giochi, 196-200, 206,221 applicata all'evoluzione, 196200, 202, 252, 261-ìO, 350 Teoria della mente del bambino,.382 Teoria dell'evoluzione, 290 Teoria dell'utilità, 280 Teoria politica, 360 Terapsidi. 169 Terra gemella, 226, 254 Terra, formata, 4 Terzo Mondo, 213 Tetris, 61 Thompson, Adrian, 145n, 422 Tinkerwy, 35 Tiratore scelto, 97 Topi, in ambienti restrittivi, 363 Tossicodipendenza, 138,283,378
Tabù, 241 Tager-Flusberg, H., 382,411 Talento, 273 Tavola Ouija, 325 Taylor, Christopher, XIII, 86, 128, 422 Taylor, Jackie, XIII Teatro cartesiano, 164, 184-185,
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!:\DICE A:-\AUTlCO
Tradimento, 196-203, 206, 265, 270-273, 359 previsione di, 287 Traditori. 266 Tradizione, 227 animale, 254 con campo libero, 406-407 Tragedia delle risorse in comune, 198-199 Traiettoria balistica, 206 Tranquillità, dei mondi virtuali, 65-66 Transposone, 68, 194 Trappole polimorfe, 347-348, 350 Traslazione, 23 3 Trasmissione orizzontale e verticale, 192-93,227,235 Trasmissione verticale e orizzontale, 192-95,224 Tremore, 24 3 Tristram Shandy (Sterne), 123n, 129 Tropismo, 264 Trucco del manubrio del golfcart, 356 Truman, Harry, 134 Tufts University, XII Turing, Alan, 67, 123,422 Uccello, 219, 391 giardiniere, 244 libertà dell', 189 UFO (oggetto volante non identificato}, 295 Ulisse e le Sirene, 274,281 "Umanità" (HUiviAì\AE LITTERAE), 89 Unione Sovietica, 2, 387, 403 Universalità, 401-02 Universi nìchilisti, 46 Universo democriteo, 39-41. 45-46, 50, 87
452
II'\DICE A:\ALJTJCO
Uomo che si è fatto da 8 Uomo nero, 215 Uovo-gallina, quesito, 194, 228 Vaccinazione culturale, 404 obbligatoria, 400 Vaghezza, 88-89, 185 Valore, 217,268,401 vostro contrapposto a quello delle vostre cellule, 2-3 Vanegas, Rodrigo, xiv Van Inwagen, Peter, 33, 158, 422 Vantaggi del gruppo, 244 Variazione casuale, 148 Vaso di Pandora, 28 Vecchi cani, nuovi trucchi e, 121, 267' 388, 393 Velleman, David. 184, 37879,423 Velo dell'ignoranza, darwiniano, 204 Velocità, 216 della generazione. 68 della luce, 13, 42. 57, 71, 177 Venezuela. 241 Vera elusione, 78 Verità che ci rende liberi, 30 come potenzialmente nociva, 24 metafisiche, 17 metodi di ricerca della, 220 responsabilità delle mcomprensiOnr probabili della, 24 scoperta della, 402 Veto, 306,315.322 Vettore, agente umano come, 235 Vicinato, 266
l
Vicolo cieco, genetico o culturale, 261 Vigili del fuoco, 26 Villa Serbelloni, Xli Virtù, 252,290 artificiale. 346, 382 Virus,232 Viscosità, 266 Vita a base di carbonio. 249 Vita che vale la pena vivere, 16 origine della, 4. 191,291 Vivere, modi per guadagnarsi da, 191 Voi autosufficiente, 317 dove siete all'interno del vostro cervello, 309-310 fuori portata, 312 vagabondo, 312 Volkmar, F.R., 363,416 Volo del bombo, Volontà, 372 appetiva. 140 combattiva, 140. 157.281 cosciente, 299 debolezza della, 147 esperienza della, 325 razionale, 140 umana, 276 Volontà consapevole, 299, 326 come illusoria,3 38 Von Neumann,John, 64 Votazione, 206 "Voto" della riproduzione dif''-''-"'"w'~' 203 Voxel. 40-42. 46n, 94-95 Vuoto morale, 300 millisecondi dL 302
342 \'\'addington. Wagensberg, ]orge, 47, 55, 67. 423 Wakeman, Nick. XIY Walker, Jason, XI\' \X'all Street, spiegazione causaledi,114 Watson,James, 27 Webe~ Bruce,257.423 Wegner, DanieL XIII, 31.299-301, 320n. 324-328, 333, 336-38, 378,407,423 White, Steve, Xlll, 394, 409-410. 423 Whitehead, Alfred North, 112, 423 Wiggins, David, 382,423 235. 257. Williams, 42.3 Wilson, David Sloan, 232, 249, 252-260,292.407,422 Wilson, Edward 0., 21-22, 27, 298,407 Witztum, 389,421 Wolfe,Jeremy. 319.423 Wolfe, 1om, 2 30, 298, 364, 423 Woo, Robert, XIV World Wide Web. 265 Worrall. John. XII Wright, Robert, 28, 31. 222. 263, 292.298,338,423 Xenofobia, 206, 403 Zahavi, Amotz, 274, 293, 423 Zecca del cervo, 239 Zeus, 263 Zombie, 27, 329
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