J e a n Daniélou
La teologia del giudeo-cristianesimo
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Edizioni Dehoniane Bologna
Edizione originale: Théologie du ]udéo-Christianisme. Histoire des doctrines chrétiennes ava11t Nicée, I, Tournai, Desclée & Co., 1958. Tra duzione di Carlo Prandi. Messa a punto redazionale di Speranza Tur chetti.
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1964 by Darton, Longman & Todd Ltd.
©
1980 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna
ISBN 88-10-40758-X
Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 1998
Introduzione all' edizione italiana
di Luigi Cirillo
Il problema del giudeo-cristianesimo
La teologia del giudeo-cristianesimo del Card. Jean Daniélou, pubblicata nel 1 95 8 , quando l'autore era pro fessore all'Institut Catholique de Paris, è passata nella storiografia delle origini cristiane come l'opera che ha dato una definizione nuova del giudeo-cristianesimo. Contemporaneamente nuove piste di ricerca sono state aperte nel campo degli studi sul cristianesimo primitivo. La preoccupazione dell'autore è di presentare la comples sità del fenomeno giudeo-cristiano attraverso la molte plicità delle speculazioni teologiche proprie delle primi tive comunità cristiane anteriormente alla seconda metà del secondo secolo. Quest'opera deve essere considerata come il punto di arrivo di piu di un secolo di ricerche. In effetti, da F. Ch. Baur della Scuola di Tubinga - da cui prendeva ufficialmente inizio la discussione sul giudeo cristianesimo - a J. Daniélou, gli studi sulla Chiesa pri mitiva hanno fatto dei progressi enormi. Per introdurre alla lettura della presente pubblica zione, conviene preliminarmente: l) discutere i termini inclusi nell'espressione; 2 ) presentare i capisaldi della bi bliografia sul giudeo-cristianesimo; 3 ) mostrare le pecu liarità della tesi di J. Daniélou. l termini «
del problema
Non è per nulla agevole definire il contenuto del giudeo-cristianesimo »: di per sé, questa espressione
Luigi Cirillo sta .t ;.• • )a fusione di elementi giudaici con ele ..-i aM' !; -. nella sua estensione, essa può inclu dere realtà diverse. Cominciamo allora col sintetizzare, dal punto di vista della storia delle religioni, i contenuti dei due termini : giudaismo e cristianesimo. Per giudaismo gli studiosi intendono la religione del popolo giudaico dopo la distruzione del primo Tempio e la cattività di Babilonia ( 586 a.C.). Della sua lunga evo luzione ci interessa specifìcatamente il periodo tardivo, quello che nella bibliografia è denominato Spiitjudentum (giudaismo tardivo). Due grandi avvenimenti storici ca ratterizzano questo periodo: l'ellenizzazione della Pale stina, che fu il compito precipuo di Antioco IV Epifane ( 1 7 5-164 a.C.), che tentò di introdurre i costumi greci in Palestina attraverso l'introduzione della paideia (l'edu cazione) greca e a cui si oppose il movimento dei Macca bei ( presentato nei libri omonimi della Bibbia), e l'occu pazione della Palestina attraverso Pompeo, che la ridusse a provincia romana ( 65 a.C.). Il mondo giudaico non aveva una unità geografica : ai giudei che vivevano in Palestina vanno aggiunti tutti quelli ( ed era la maggio ranza) che vivevano nella Diaspora, dispersi cioè, ma riuniti a formare colonie, di cui le piu importanti erano quelle di Mesopotamia, Siria, ed Egitto, ove quella di Alessandria fu chiamata ad un grande destino letterario e religioso. Questi fatti storico-geografici determinano la cultura del giudaismo: la Diaspora metteva i giudei a contatto diretto con le culture ambientali, l'introduzione delle culture ellenistica e romana inquinava d'altra parte lo stesso giudaismo di Palestina, aperto ormai a civiliz zazioni straniere, che lo rendevano un carrefour culturale. Tutti questi aspetti saranno presenti nella letteratura giu daica di questo periodo. Dopo il libro di Daniele, ultimo libro accolto nel canone della Bibbia ebraica, il giudaismo tardivo conosce espressioni letterarie molteplici per il genere letterario e per la lingua: a) la letteratura sapienziale; b ) il pul lulare di libri apocrifi, di cui l'apocalittica, costituitasi
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nella scia dei libri di Daniele e di Enoc, è l'espressione piu rappresentativa 1; c) i testi di Qumran in ebraico 2, le opere di Filone e di Giuseppe Flavio in greco; d) la letteratura rabbinica. Di questa cultura, il sincretismo let terario e ideologico è la nota piu caratteristica. Dal punto di vista religioso, giudaismo significa es senzialmente la professione di fede nell'unità di Dio e nell'elezione di Israele, manifestata dalla circoncisione, considerata come il sigillo dell'appartenenza al popolo della promessa, e dalla condotta di vita secondo la legge mosaica e le tradizioni dei padri 3 • Il tipo di vita è in dicato dal verbo « giudaizzare », attestato soprattutto nell'uso linguistico greco extratestamentario nella forma luocdsew, il cui significato esprime la maniera giudaica di vivere relativa sia ai giudei di nascita, sia a tutti quelli che, sotto l'azione della propaganda giudaica, si converti vano al giudaismo; questi ultimi si distingueranno in « proseliti » e « semiproseliti », nella misura in cui con dividono in tutto o solo in parte il tipo di vita secondo i precetti giudaici 4• Il cristianesimo di per sé è una religione diversa dal giudaismo per il fatto che ha riconosciuto in Gesti di Nazaret il Messia promesso ed ha sostituito perciò al tempo dell'attesa il tempo della realizzazione e del com pimento . Ma se il cristianesimo viene considerato esat tamente dal punto di vista del compimento delle spe ranze messianiche giudaiche, secondo come questo com pimento era vissuto dai primi uomini chiamati a testi moniarlo e come presentato nei piu antichi strati dei testi neo-testamentari, il cristianesimo si presenta come un prolungamento del giudaismo. Esso accoglie la Bibbia giudaica nel suo canone delle Scritture sacre, l'Antico 1 Cfr. D. S. Russe!, The Method and Message of ]cwish Apoca lyptic, London, 1964. 2 Per l'edizione italiana segnaliamo L. Moraldi, I Manoscritti di Qumrdn (Classici delle Religioni}, Torino, UTET, 197 1 . 'Cfr. Rom. 2, 1 7 s . , 2S; Gal. l, 14. 4 W. Gutbrob, in Theologisches Worterbuch zum Ncuen Testament (cl1a1o dopo: THWNT}, III, p. 385.
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Testamento, che costituirà per le prime generazioni cri stiane il punto di partenza della prova che Gesu è quel Messia ivi promesso. Da questo punto di vista, il cri stianesimo è un giudaismo realizzato, secondo l'espres sione di G. Lindeskog 5• Nascerà cosi il Nuovo Testa mento, che, d 'altra parte, non sarà accettato nel canone delle scritture che nella seconda metà del secondo se colo e non uniformemente da tutte le comunità cristiane. Se allora le nostre considerazioni sul rapporto giu daismo-cristianesimo si fermano a questo punto, sa remo costretti a denominare la Chiesa cristiana tutta intera « giudeo-cristiana », come esattamente faceva Mar cione nel secondo secolo 6• Ma non è in questa linea che si imposta la nostra discussione. Il giudeo-cristia nesimo non è un fatto generico ma preciso, anche se molteplice, in seno al cristianesimo primitivo , riconosci bile inoltre da alcuni elementi specifici e identificabile in gruppi umani, almeno nella gran parte dei casi: è cosi che è presentato nella bibliografia specializzata. Ve diamo allora come alcuni eminenti studiosi hanno definito la natura del giudeo-cristianesimo.
La bibliografia sul giudeo-cristianesimo Di una vasta bibliografia scegliamo le opere piu rap presentative . L'interesse per il giudeo-cristianesimo, come materia separata di studio, cominciò nella Scuola di Tu binga, quando F. Ch. Baur pubblicava, nel 183 1 , un lavoro dal titolo Die Christuspartei in der Korinthischen
Gemeinde. Der Gegensatz des paulinischen und petrini-
s Christianity as Realised Judaism, in « Horae Soderblomianae », VI (1964), pp. 15-36. 6 Marcione secondo Tertulliano, Adversus Marcionem, l, 19, ri teneva che la Chiesa, come tale, è la continuazione della Sinagoga per aver accettato nel suo canone delle Scritture la Bibbia giudaica. Marcione invece voleva la separazione delia « Legge », rivelazione del Demiurgo, dio subalterno, dal «Vangelo », rivelazione del Dio delia grazia.
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schen Christentums 7• Il giudeo-cristianesimo è definito
qui solo in rapporto alla legge mosaica, vissuta ancora dalla comunità cristiana primitiva di Gerusalemme, iden tificata in un tipo di cristianesimo, chiamato « petrino », opposto antiteticamente all'altro tipo, denominato « pao lina » e fondato sulla libertà del Vangelo. L'opposizione tra Legge e Vangelo, concepita da Baur in termini di filosofia hegeliana di tesi e antitesi, era all'origine del futuro sviluppo del cristianesimo, come si vede nell'opera successiva, pubblicata nel 1 853, Das Christentum und die
Christliche Kirche der drei ersten. Jahrhunderte.
A. Schwegler fu molto vicino alle posizioni di Baur, quando nel 1846 scrisse Das nachapostolische Zeitalter in den Hauptpunkten seiner Entwicklung, in cui volle dimostrare che il cristianesimo anteriore a Paolo non era che una setta del giudaismo. Per l'autore il giudeo-cri stianesimo è la vita della setta cristiana degli Ebioniti, vicinissima alla setta giudaica degli Esseni . Rispetto a Baur, A. Ritschl fu piu moderato e in parte lo criticò. Nella sua opera del 1 850 , riconosceva il grande valore della letteratura giudeo-cristiana, che l'autore identificava principalmente nelle Pseudo-Clementine, da cui provava l'esistenza di diversi partiti giudeo-cristiani e riteneva, contro Baur, che la tendenza ebionita, per quanto forte, non fu la tendenza dominante nel secondo secolo. Le Pseudo-Clementine, nella duplice recensione delle Homiliae 8 e Recognitiones 9 diventavano in seguito la fonte privilegiata per la conoscenza del giudeo-cristia nesimo a partire dallo stesso Baur 10, seguito soprattutto da A. Hilgenfeld 11, H. Waitz 12, C. Schmidt 13, O. CuliIn « Tiibinger Zeitschrift », 1831, n. 4. s Ed. a cura di B. Rehm, Die Pseudoklementinen, I, Homilien ( Die Grieschiche Christlishe Schriftsteller der drei ersten Jahrhunderte, 42) ( =G.C.S.), Berlin, 1953. 9 Ed. a cura di B. Rehm, Die Pseudoklementinen, II, Recogni tiom·m in Rufinus Dbersetzung (G.C.S., 51), Berlin, 1965. IO r. C:h. Baur, Die Christliche Gnosis oder die Christliche Re lif!,ionsphilosophie in ihrer Entwicklung, Tiibingen, 1835. " Die C/ementinischen Recognitionen und Homilien nach ihrem UrsprUflfl. rmd I nhalt dargestellt, Jena, 1848. 7
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marm 14, G. Strecker 15• A partire da A . Harnack la cri tica notava le difficoltà della definizione del giudeo-cristia nesimo, date le sue molteplici implicanze. Per il noto au tore la prerogativa giudeo cristiana doveva essere innan ziwtto riservata ai cristiani di origine giudaica legati alle forme politico-nazionali e religiose del giudaismo, ma estesa anche a quei cristiani che, come Paolo, salvavano il valore del popolo giudaico in seno al cristianesimo 16• A. Hilgenfeld ha anche il merito di aver raccolto le ti fon patristiche del giudeo-cristianesimo in un piccolo li bro del 1 886 ]udentum und ]udenchristentum} eine Nach lese zu der Ketzergeschichte des Urchristentums. Anche per lui, il giudeo-cristianesimo è basato sul tipo di vita secondo la legge mosaica 17 • Giungiamo cosi alle definizioni piu precise di F. J. A. Hort e G. Honnicke. Il primo, nell'opera ]udaistic Christianity ritiene che si può chiamare giudeo-cristiane simo solo quel movimento che storicamente si considera un prolungamento della primitiva comunità cristiana ge rosolimitana e si definisce propriamente per rapporto alla mentalità giudaica. In questo senso - l'autore aggiunge il giudeo-cristianesimo potrebbe essere denominato « giu daismo cristiano » e la sua posizione fondamentalmente non differisce da quella dell'Islam, sebbene Gesti e non Maometto sia l'ultimo dei profeti 18 • Per Honnicke, Das -
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Die Pseudoklementinen (Texte und Untersuchungen) ( =T.U.), Leipzig, 1904. Studien zu den Pseudo-Klementinen (T.U., 46, 1), Leipzig, 1929. 14 Le problème littéraire et historique du Roman Pseudo-Clémentin (Etude sur le rapport entre le Gnosticisme et le fudéo-Christianisme), Paris, 1930. 15 Das Judenchristentum in den Pseudo-Klementinen, (T.U., 70), Be rlin, 1958. 16 A. von Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, ed. 1909, l, pp . 310-334. 17 Cfr. la conclusione del suo libro, pp. 1 16 ss. 18 ]udaistic Christianity. A Course of Lectures, Cambridge-London, 189 4 , pp. 5 s., si legge: « The only christianity which can properly be called Judaistic is that which falls back to the Jewish point of view. . . Ju daistic Christìanity, i n thìs the true sense o f the term, mìght with at least equal propriety be called Christian Judaism. lts position is
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Judenchristentum im ersten und zweiten ]ahrhundert, del 1 908, il giudeo-cristianesimo è l'interpretazione del van
gelo propria dei cristiani di provenienza giudaica e la convinzione che « la salvezza è possibile solo attraverso la mediazione del giudaismo » 19 • Nella linea delle osservanze giudaiche si inserisce la definizione di M. Simon, nell'opera Verus Israel 20 ma la sua concezione del giudeo-cristianesimo è molto piu par ticolareggiata. Nell'opera indicata l'autore avverte che « giudeo-cristiano » si può essere in due sensi diversi : etnico e religioso. In senso etnico lo è il giudeo che con vertito al cristianesimo resta legato alle osservanze giu daiche; in senso religioso invece lo è il cristiano pro veniente dal paganesimo, che persuaso dall'attività mis sionaria giudaica, giudaizza a sua volta. Storicamente infatti si verifica il fenomeno dei giudei convertiti, che come san Paolo rompono il legame con la religione dei padri e, all'inverso, quello dei convertiti dal paganesimo che osservano le pratiche giudaiche . Al Colloquio di Strasburgo sul giudeo-cristianesimo ( 23-25 aprile 1964) lo stesso autore presentava la relazione Problèmes du ]udéo-Christianisme 21, in cui precisava che il fenomeno del giudeo-cristianesimo stricto sensu è caratterizzato dall'attaccamento alle prescrizioni della legge mosaica e da alcune particolarità dottrinali primitive, giudicate aber ranti dalle norme ecclesiastiche in seguito all'evoluzione interna del cristianesimo antico e nella misura in cui si precisava la nozione di ortodossia. Accanto, esistono poi aspetti del pensiero e della pratica cristiana antica che non sono settarii ma appartenenti alla grande Chiesa, caratterizzati tuttavia o dall'assenza o dalla disconoscenza not fundamentally or generically different from that of Mahometanism,
though Jesus, not Mahomet, is its great prophet >>. 1" Nelle parole proprie del'autore, op. cit., p. 18: « Alles Heil kann nur durch Vermittlung des Judentums gewonnen werden ». 20 VNus Israel. Étude sur les relations entre chrétiens et juifs d,mr f",·mpire romain (135-425), Paris, 1948, 1964, pp. 277-314. 21 In Aspects du Judéo-Christianisme (Travaux du Centre d'études wprric·urcs çp,:cialisé d'histoire des Religions de Strasbourg) ( =Aspects), Pariw, 1965. pp. 1-16.
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degli orientamenti fondamentali delle comunità cristiane paoline o dalla gentilità occidentale. Si tratta di un set tore ben definito del cristianesimo primitivo: transpa lestinese dal punto di vista geografico e semitico per lingua e cultura 22• Che il giudeo-cristianesimo non debba essere identifi cato soltanto con un movimento settario del cristianesimo primitivo ma con un modus vivendi giudaico all'interno della Chiesa soprattutto della Siria è stato affermato da G. Strecker nello studio Zum Problem des ]udenchri stentum in appendice alla seconda edizione del volume di W. Baur 23• Per H. J. Schops , che nel 1 949 pubblicava la sua opera Theologie und Geschichte des ]udenchristentums, il giudeo-cristianesimo è preferenzialmente quello degli Ebioniti e la fonte per ricostruirlo è per eccellenza quella delle Pseudo-Clementine. Questo giudeo-cristianesimo si rivela originario di un giudaismo marginale e settario, e la Chiesa palestinese di Gerusalemme deve essere con siderata come un anello intermedio verso la formazione del pensiero ebionita. Con la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme si identifica infine il giudeo-cristianesimo secondo J. Munck. L'autore ribadisce il suo pensiero nell'arti colo: ]ewish Christianìty in Post-apostolic Times del 1960 24 e nella relazione Primitive Jewish Christianity
and Later Jewish Christianìty: Continuation of Rupture? al Colloquio di Strasburgo del 1 964 25• Per J. Munck
non esiste giudeo-cristianesimo al di fuori della comu nità cristiana di Palestina prima del 70 d.C., per la co noscenza della quale disponiamo solo dei testi del Nuovo Testamento. Tra questa chiesa e la cristianità giudaica della Palestina e la Siria dei secoli posteriori vi è una 22
Cfr. Aspects, Conclusion générale. pp. 181 s. W. Bauer, Rechtglaubigkeit und Ketzerei im altestCII Christentum, Tiibingen, 1964, pp. 245-287. 2 4 Pubblicato in « New Testament Studies » ( = « N.T.S. »}, VI ( 1 960), pp. 103-1 16. 2s I n Aspects, pp. 77 91 23
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rottura, da cui nasce un nuovo tipo di chiesa, che non ha alcuna relazione con la chiesa gerosolimitana. Concludendo, dalla bibliografia riportata si vede che il giudeo-cristianesimo è la vita della comunità cristiana palestinese ( a nostra conoscenza è solo J. Munck a so stenere questa tesi), oppure la vita di alcuni settori del cristianesimo primitivo, che si manifesta in due precisi elementi: l'osservanza della legge mosaica ritenuta ne cessaria per la salvezza, e l'atteggiamento antipaolino. In questa complessità di intel'pretazioni e di valuta zioni, J. Daniélou presenta la sua versione del giudeo cristianesimo, definito come « categoria di pensiero » . Questa concezione si inserisce in un sistema organico di idee sulle origini del cristianesimo, che ricostruiremo nel paragrafo seguente.
Le origini del cristianesimo secondo ]. Daniélou La teologia del giudeo-cristianesimo si deve inserire nel vasto contesto di pubblicazioni di Jean Daniélou, da cui emerge una concezione abbastanza unitaria del l'autore sulle origini cristiane. In ordine di tempo questa bibliografia può essere ordinata come segue : a) L'articolo La Communauté de Qumran et l'organi sation de l'Église ancienne 26; e il libro Les Manuscrits de la Mer Morte et les origines du Christianisme 21, in cui l'autore, sensibile sin dall'inizio alla nuova proble matica sulle origini del cristianesimo, posta dalle nuove scoperte, apportava il suo contributo alla questione di battuta sui rapporti tra la vita e l'organizzazione della Chiesa primitiva e la comunità degli Esseni di Qumran. h) La teologia del J!,iudeo-cristianesimo del 19 58, che costituisce il primo volume di una trilogia, in cui l'au tore si propone di presentare la storia delle idee cri311 In << Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuses Rei.>>), XXXV ( 1955), pp. 104-115. 27 Paria, 1957.
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stiane prima del concilio di Nicea ( 325 d.C.). In questo volume si studia propriamente l'espressione del cristia nesimo in categorie giudaiche. Il secondo volume, pubblicato nel 1961 con il ti tolo Mtssagt lvangelique et Culture hellénistique aux II et III siècle (che vedrà pure la luce in edizione ita liana in questa collana), è dedicato all'incontro del pen siero cristiano con l'ellenismo e in cui l'attenzione del l'autore è rivolta particolarmente allo studio di Giustino, Ireneo, Clemente Alessandrino, Origene, fissando quindi l'ambito della ricerca al II e III secolo della letteratura cristiana. Un terzo volume, che dovrebbe essere imminente, stu dierà i testi in latino della teologia, a tendenza giudeo cristiana, prima di Tertulliano 28• Gli studiosi troveranno in questa trilogia tre mondi, caratterizzati da tre culture ed espressioni diverse della verità cristiana: la giudaica, l'ellenistica e la latina. c) Il giudeo-cristianesimo è fondamentalmente ma non esclusivamente trattato nella Teologia ; altre pubbli cazioni ribadiscono o perfezionano il pensiero. Conviene per questo leggere i primi capitoli del primo volume della Nouvelle Histoire de l 'Eglise , del 1 963 29; la re lazione al Colloquio di Strasburgo sulle origini della gnosi, ]udéo-Christianisme el gnose 10; il fascicolo dal titolo Das ]udenchristenlum und die Anfiinge der Kirche del 1 964 31 • Una ricapitolazione dei problemi è presentata invece in Une vision nouvelle des origines chrétiennes, le judéo-christianisme 32• In Etudes d'exégèse judéo-chré timne. Les Testimonia, del 1966, viene studiato il me2B Per un primo contatto con questa teolol!ill, cfr. ]. Daniélou, Le
traité De Centesima, Sexagesima, Trigtsima, cl lt· ]11déo-Christianisme auant Tert11llien, in « Vigiliae Christianae » ( = « V . C . » ), XXV ( 1971 ), p. 171-181. 29 Pubblicata in collaborazione col prof. H. Marrou, Paris, 1963.
30 In Aspects, pp. 139-164. ·11 I n Arbeitsgemeinschaft fiir Forschung des Landes Nordrhein Wlcstfalen. Geistwissenschaften, quaderno 121, Koln-Opladen, 1964 . .12 In « Etudes », 1967, n. 7, pp. .59.5-608, ar t icolo riprodotto in << Cross C urrents », XVIII (1968), pp. 163-173.
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todo esegetico del cristianesimo primitivo nell'ambiente giudaico di origine. Infine, i Bulletins sur les origines du Christianisme nella rivista « Recherches de Science Reli gieuse » permettono di cogliere la reazione immediata dell'autore nella lettura e la critica di quelle opere, che toccano il nostro argomento 33 • Tutte queste pubblicazioni messe insieme danno la nuova definizione del giudeo-cristianesimo considerato co me il cristianesimo primitivo che si esprime nelle forme del pensiero dello Spatjudentum. È ripetutamente detto da J. Daniélou che il giudeo-cristianesimo non si identi fica semplicemente con una setta in margine alla grande Chiesa, come poteva essere la setta degli Ebioniti parti colarmente per H. ]. Schops, né con un movimento set tario in generale. L'espressione include invece forme mol teplici, corrispondenti ad ambienti diversi del cristiane simo antico, forme che hanno in comune, tutte, l'appar tenenza alla sfera culturale e sociologica del giudaismo 34• Il giudeo-cristianesimo è dunque un fenomeno complesso e l'autore precisa che esso può avere tre significati di versi. a) In senso eterodosso, l'espressione designa la setta degli Ebioniti - gruppo intermedio tra giudei e cri stiani - che hanno riconosciuto in Gesu il piu grande tra i profeti, o un Messia, ma non il Figlio di Dio. I giudeo-cristiani delle Pseudo-Clementine appartengono a questa categoria, in cui si ritrovano insieme gruppi di stretta osservanza giudaica e giudeo-cristiana sincretisti, presso i quali è apparso per la prima volta il dualismo gnostico. La dottrina ebionita , nel suo complesso, rivela l'origine essena della setta. Molto vicino agli Ebioniti sono gli Elcasaiti e tra loro esiste un fondo comune. A questo punto J. Daniélou rimprovera a Schops di identificare il giudeo-cristianesimo con l'ebionismo 35• l,l
Cfr.
<<
Recherches de Science Religieuse » ( = « R. Se. R. » ), da
XLVII ( 1 9 59), a LIX (1971). 14 • R. Se. R.>>, LUI (196.5), p. .U lhidc·m, pp. 132 s.
2
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6) Bllate poi un siudeo-cristianesimo ortodosso, quello clllla � aMDunitl cristiana di Gerusalemme, con � da Giacomo, « fratello del Signore » Questa co aàicA li � c:liapena dopo la caduta di Gerusalemme nel 70. d.C. l suoi continuatori sono i Nazareni, setta di IIDpa aramaica organizzatasi in Transgiordania. Da essi hl MPUto origine il Vangelo secondo gli Ebrei, in ara .
IDiic:o. I Nazareni hanno riconosciuto in Gesu i due ti
toli di « Messia » e « Figlio di Dio », essi sono perfet tamente ortodossi, ma separati dal resto della Chiesa, unicamente perché ritenevano ancora e per sempre ob bligatorie le osservanze giudaiche come quelle del sabato e della circoncisione. Questi non devono essere confusi con gli Ebioniti, che sono eterodossi. Né il Vangelo se condo Matteo dei Nazareni deve essere confuso con quello dallo stesso titolo adoperato dagli Ebioniti, perché il primo era completo, il secondo falsificato e mutilo. c) Esiste infine una terza interpretazione del giudeo cristianesimo, quello considerato come « una forma di pensiero cristiano, che non implica un legame con la comunità giudaica, ma che si esprime nelle categorie prese in prestito dal giudaismo » 36• La terza è propria mente la definizione del giudeo-cristianesimo secondo J. Daniélou, essa è molto vasta e include, oltre ai gruppi di cui si è parlato prima, anche quegli uomini che hanno rotto con l'ambiente giudaico e lo hanno combattuto, ma hanno continuato a pensare nelle categorie giudaiche, come è il caso dell 'apostolo Paolo. Il giudeo-cristiane simo è dunque innanzitu tto « un tipo di cultura, quello delle apocalissi » 37• Questa definizione tuttavia - ag giunge l'autore - non esclude quella fondata sulle os servanze giudaiche. Malgrado la diversità delle correnti in seno al giudaismo, J. Daniélou trova « una menta lità comune », che si riflette nella prima teologia cri36 J7
Cfr., piu avanti, Teologia, pp. 15-17. In « Etudes », dicembre 1967, p. 595.
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stiana, che si qualifica come una teologia « di espressione giudaica, semitica ». Del giudaismo tardivo l'apocalittica è il denominatore comune, donde la struttura apocalit tica della teologia primitiva, che definisce il giudeo-cri stianesimo. Questa teologia si è sviluppata nel periodo che va dalle origini del cristianesimo alla metà del se condo secolo circa. Questa espressione del cristianesimo è stata perduta di vista dopo, sia perché i testi stessi sono andati perduti, sia perché l'Occidente ne ha dato un'immagine deformata. Alla ricostruzione dunque di questa teologia orientale primitiva è consacrata La teo logia del giudeo-cristianesimo, in cui lo sforzo piu con siderevole è quello di mettere insieme le fonti ritenute accomunate dalla medesima struttura morfologica apoca littica. La presentazione di queste fonti prende i primi due capitoli del libro, che sono i capitoli fondamentali dell'opera, nei quali è discussa la data e precisata la natura di questi testi, da cui saranno tirate quelle linee di pensiero, che formeranno la materia dell'opera stessa. Inizialmente è presentata « l'eredità del giudeo-cristia nesimo » ortodosso a ) in un certo numero di libri apo crifi dell'Antico e del Nuovo Testamento, b) nelle opere dei Padri Apostolici, c ) nelle tradizioni dei « presbiteri » sulle dottrine della comunità primitiva, d) nelle testi monianze indirette di autori posteriori sulle idee che possono essere attribuite ai giudeo-cristiani ( = cap. I). Si passa poi alla trattazione delle sette giudeo-cristiane eterodosse, in questa occasione l'autore dedica un pa ragrafo alla « gnosi samaritano-cristiana », per provare che lo gnosticismo è diventato una eresia cristiana attra verso la mediazione degli ambienti giudaici eterodossi ( = cap. II). Sul problema specifico delle origini della gnosi J. Daniélou ritornava con la relazione J udéo-Chri slitmisme et gnose, tenuta al Colloquio di Strasburgo. La posi, definita come una conoscenza esoterica, portata Id interessarsi delle dimore celesti e infernali, dei nomi cleali angeli e delle ipostasi divine, ha, a sua volta,
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or1gme nell'ambiente giudeo-cristiano, ispirato all'apoca littica giudaica 38• Nelle parole proprie dell'autore il giudeo-cristiane simo diventa cosi sinonimo del cristianesimo arcaico, giu daicamente strutturato, anteriormente all'incontro col mondo greco-romano 39 e La teologia del giudeo-cristia nesimo avrà l'aspetto di una sintesi, nella quale sono stati inclusi quasi tutti i problemi concernenti le origini cristiane. Cosf , J. Daniélou poteva scrivere : « la nostra ambizione sarebbe quella di fare per il giudeo-cristia nesimo ortodosso quello che H. J. Schops ha fatto per il giudeo-cristianesimo eterodosso » 40• Questa tesi di J. Daniélou sul giudeo-cristianesimo non è senza difficoltà, ma è certo che essa ha suscitato vivissimo interesse tra gli studiosi e che la ricerca po steriore ne sarà, in un modo o in un altro, condizionata. È quanto si constata da due raccolte di studi, il Col loquio di Strasburgo del 23-25 aprile 1 964, che abbiamo già citato e la miscellanea ]udéo-Christianisme, pubbli cata nel vol. 60 di « Recherches de Science Religieuse » del 1 972, in cui eminenti specialisti offrono al Card. J . Daniélou il risultato delle loro ricerche su aspetti di versi del nostro problema. Da queste premesse una sola conclusione si può tirare, quella della problematicità della definizione e della conseguente identificazione del movimento giudeo-cristiano alle origini del cristianesimo. Giunti a questo punto, riteniamo opportuno esami nare direttamente quelle che da tutti gli studiosi sono ritenute come le fonti sicure del giudeo-cristianesimo.
Le fonti del giudeo-cristianesimo La ricerca risulterebbe troppo vasta se non facessimo una scelta di testi, e questa scelta sarà fatta per mo38
39
40
In Aspects, pp. 139-154. Art. cit. in Aspects, p. 139. Cfr., piu avanti, Teologia, p. 19.
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strare che il giudeo-cristianesimo, nei primi secoli della Chiesa, è una realtà molteplice e in evoluzione. La distinzione tra fonti neo-testamentarie e fonti pa tristiche permette di considerare separatamente il giudeo cristianesimo della primitiva comunità cristiana di Geru salemme, rappresentata soprattutto dal libro degli Atti, e quello di alcune comunità cristiane dei secoli succes sivi. Il giudeo-cristianesimo del tempo patristico è pre sentato nelle tre forme che sono diventate classiche e che, secondo la data delle fonti, si presentano in que st'ordine : Ebioniti, Elcasaiti e Nazareni. Allo stato at tuale della documentazione, il primo autore a quali ficare i giudeo-cristiani come eretici e a classificarli tra le sette del cristianesimo primitivo col nome di Ebioniti è Ireneo, nell'Adversus Haereses, I , 26, 2 , alla fine del secondo secolo 41• È qui che per la prima volta gli Ebioniti sono legati ai sistemi di Cerinto e Carpocrate e sarà in questa forma che troveremo citati gli Ebioniti dagli eresiologi successivi: l'Elenchos, 7,34; Ps. Ter tulliano, Adversus omnes haereses, 3 ; Filastrio di Brescia, Diversarum haereseon liber, VII , VIII, IX. L'autore che separa gli Ebioniti da Cerinto è sant'Epifania, che tratta degli Ebioniti nell'Haer. , XXX, e di Cerinto nell 'Haer. , XVIII del Panarion. La setta giudeo-cristiana degli Elcasaiti è conosciuta daii'Elenchos, IX, 1 3 - 1 7 ; da OrigeQ.e, Omelia sul Salmo 82 (in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, VI, 38 42) e da Epifania, Panarion Haer. XIX; XX, 3 ; XXX, 3 ; LIII. l .a notizia tardiva di Teodoreto di Ciro, Haeresum fabu.1
41 Se il giudizio di eresia portato sui giudeo-cristiani sia anteriore
l re neo si ignora e la questione dipende anche dal contenuto del
l'npna perduta di san Giustino, Syntagma contro tutte le eresie. Era
l'opinione di R. Ad. Lipsius, Zur Quellenkritik des Epiphanios, Wien, 186 '5. che il Syntagma fosse stato lo « scritto di base » degli eresio lot&i posteriori e che a partire da questi si potesse ricostruire il con tenuln del libro perduto da Giustino. L'idea è accettata da A. Hil ll"f,·ld, Die Ketzergeschichte des Urchristentums, Leipzig, 1884, JP• .?OI ss . . . . . ., . ecclesrastzca .. . d'1 Euseb'10 sara' d'ora m po1 Citata con Ia .a .>torta
..... III:'
XX Il
Luigi Cirillo
Jarum compendium, Il, 7, non aggiungerà nulla di nuovo.
Per i Nazareni, invece, il primo autore a trattarne è Epifanio, al sec . IV, in Panarion, Haer. , XXIX. Seguirà san Girolamo, nella Lettera CXII , 1 3 a sant'Agostino. I Nazareni saranno ricordati dopo da sant'Agostino nel Liber de haeresibus , IX. Brevi notizie saranno date nel trattato Praedestinatus , IX, e da Teodoreto di Ciro, Hae resum /ab. comp. , II, 2 . Esistono infine altri testi che rivelano l 'esistenza di un giudeo-cristianesimo, che potremmo chiamare gene ralizzato e che non costituiva un raggruppamento eret1co ma si definiva da un modo di vivere il cristianesimo se condo il mosaismo; questa forma di giudeo-cristiane simo era diffusa in Oriente molto di piu di quanto appare dalle fonti s�esse. Di questa forma le prime orme sono in san Giustino, Dialogo con Trifone, cap. 47. Ordinando allora le fonti secondo la loro data, po tremo fare la storia dei movimenti giudeo-cristiani in tre periodi : l) dalle origini alla prima insurrezione giu da i ca ; 2) tra le due guerre giudaic he ; 3 ) dalla fine del sec. II alla fine dell'era patristica.
l) Il !l.iudeo-crislianesimo fino alla prima insurrezione !l.iudaica ( 66-70 d.C.). Secondo J. Munck, come detto
sopra nella bibliografia, l'unica forma valida di giudeo cristianesimo è quella della piu a n t ica comunità cristiana di Gerusal emme , per la cui conoscen z a non restano, in definitiva, che i Vangeli, il libro dclo'( l i lttti c le lettere di san Paolo 4.1. Questa comunità, da tut ti i pun t i di vista, è nata dal giudaismo e nel piu a n t ko !ltadio dc1Ia sua esistenza non doveva presentare un aspetto diverso da quello di una comunità giudaica, che credeva di incarn:�re il vero giudaismo e di formare il nuovo Israele, perché credeva
41 P�r que st a parte si rinvia a L. (;oppt"h. ( 'hmten/1117.' und ]uden ''"'' im erstcn und zweiten ]abrbundcrt, 19H. Di questo libro esiste la traduzione in francese dal titolo l.n OriJI.m•·• ,t,. !'l:glise, Christia l!ismc cl .fudalsme aux deux prmrinr .lihf,.,, 1'a1is. 1961. H. Con zelmnnn, Gr.:scbichte des Urcbri.rtrntmn.r, 1971
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di vivere il compimento delle speranze di Israele nel messianesimo realizzatosi in Gesti. Era inevitabile perciò che i primi cristiani prolungassero nell'esperienza della nuova fede cristiana le forme giudaiche di vita e di pensiero. Essi frequentano il Tempio di Gerusalemme (Atti 2,46), cosa che fanno anche gli apostoli Pietro e Gio vanni (Atti 3, l ). In seguito cristiani come questi sa ranno definiti: giudei che hanno creduto e « �1}À.W-ta.t -tou v6[.tou » ( osservanti accaniti della legge mosaica) (Atti 2 1 ,20). Nell'opinione comune essi non sono considerati diversamente da come si poteva identificare una setta stessa del giudaismo, « la setta dei Nazareni » (Atti 24,5). Ovviamente la circoncisione era per loro il segno del l'appartenenza al popolo della promessa e soprattutto il pegno della salvezza, come appare da Atti 1 5 , 1 , in cui è detto che alcuni provenienti dalla Giudea insegnavano ai fratelli: « se non vi lasciate circoncidere secondo il costume introdotto da Mosè, non potrete salvarvi ». È chiaro cosi che mentre per gli eresiologi a partire dalla fine del sec. II d.C. il giudeo-cristianesimo è un'ere sia ai margini della grande Chiesa , nella primitiva co munità cristiana di Gerusalemme esso costituisce la forma unica di cristianesimo. Dal tempo della scoperta dei testi di Qumran e della loro pubblicazione gli studiosi non hanno mancato di se gnalare le affinità esistenti tra questa comunità cristiana e quella essena, che viveva nel Khirbet Qumran, a occi dente del Mar Morto, a pochi chilometri da Gerusa lemme 44• Queste affinità si estendono a quasi tutti gli
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,,,.
H Per i testi di Qumran, cfr. l'ed. cit. di L. Moraldi. Sui rapporti h comunità di Qumriìn e quella cristiana di Gerusalemme esi1111a
vasta bibliografia. Si rinvia alle seguenti raccolte di studi: .\lmm.rcrits de la Mer Morte (Colloque de Strasbourg, 25-27 mag li'" 1'!�'5). Paris, 1957; The Scrolls and the New Testament, a cura di 1\ Stl'ndhal, New York, 1 957; La Secte de Qumr!in et les Origines tlu Cl•mti,:lli<me, Louvain, 1959; cfr. inoltre W. D. Davies, Christian 0"1'"" <111<1 /udaism, Philadelphia, 1962. La bibliografia ulteriore su pruh! .. mi particolari è data dalla rivista specializzata in materia « Re VIIt' d .. <.hnnr;Ìn », pubblicata a Parigi. f.·,
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aspetti della vita della comunità palestinese antica con riferimento particolare a ) alla sua struttura fortemente gerarchizzata sotto il controllo dei Dodici in un primo momento, e diretta poi da Giacomo « fratello del Si gnore» 45 , b) all'organizzazione economica, c) all'attesa escatologica, d) e alla sua consapevolezza di possedere, come Qumran, l'autentica tradizione religiosa del giu daismo. Se fu un'esagerazione l'affermare che la comu nità giudaica di Qumràn aveva anticipato il cristianesimo 46, è vero però che la comunità cristiana gerosolimitana doveva presentare l'aspetto umano e sociologico di una chaburah giudaica, se non tipicamente quello di Qumràn. La stessa celebrazione dell'Eucaristia, menzionata nella formula « 1) xÀ.ciau, -tou &p-tou - la frazione del pane » di Atti 2, 42, cfr. 46, avveniva nel corso di un ban chetto giudaico , in un'atmosfera religiosa creata dalle speranze escatologiche, analogamente alla Regola della Congregazione di Qumrdn, II, 1 7-22 . Se noi consideriamo la Cena eucaristica primitiva non già nel suo aspetto di banchetto della salvezza realizza tasi, ma nel suo aspetto escatologico, come attesa del Messia che dovrà ritornare nella sua comunità, si vede allora che non vi è differenza tra la comunità cristiana ed una qualsiasi comunità religiosa del giudaismo 47 • A questo tipo di vita della comunità primitiva fe45 Dopo l'uccisione dell'apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, da parte di Erode Agrippa (Atti 12, 2) e l'incarcerazione di Pietro (Atti 12, 4 ss. ), Giacomo chiamato anche «il giusto>> prende la di rezione della Chiesa di Gerusalemme ( cf r. Gal. l. 19; 2, 9.12). Se condo una citazione di Clemente Al essandrino (Ipotiposi, LVI) ri portata da Eusebio, H.E. , II, l , 3, Giacomo era stato scelto come « episcopos >> della Chiesa di Gerus al em me da Pietro, Giacomo e Gio vanni, dopo l'ascensione del Salvatore. 46 Cfr. A. Dupont-Sommer, A perçus préliminaires sur lcs Manu scrits de la Mer Morte, Paris, 1 950; Nouveaux Aperçus sur !es Ma nuscrits de la Mer Morte, Paris, 1953 ; Les Manuscrits de la Mer Morte, leur importance pour l'histoire des Réli.�ions, in « Numen », 11 (1955), pp. 168-189. 47 I n Qumrdn e le Origini dell'Eucaristia nr:l Nuovo Testamento di cui solo una parte è fino ad ora pubblicata a Napoli, 1965, h o trattato d i questo problema.
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cero resistenza dapprima il gruppo degli « Ellenisti», dei quali faceva parte Stefano, e in un secondo momento Paolo. Col nome 'EÀ.À.I}vLcr"ta.t il libro degli Atti 6 , 1 , designa un gruppo della Chiesa palestinese opposto agli 'EBpa.�oL. Non si ha nessuna prova per dire che gli Ellenisti erano giudei che parlavano in greco, in opposizione agli Ebrei, giudei di lingua aramaica. È probabile invece che con questo nome il libro degli Atti indichi un gruppo par ticolare della primitiva comunità di Gerusalemme, che non viveva secondo la legge mosaica 48• Di essi si inte ressa solo Luca nel libro degli Atti 6-8 . In Atti 6,4, Stefano è accusato di aver detto che Gesti distruggerà il tempio e cambierà i costumi dati da Mosè. L'espressione greca del testo: "tcX t:ell ri 1ta.pHiwxs:v 'i}[J)�v Mwi.icrfjc; indica bene che Stefano attaccava, col Tempio , la validità delle consuetudini che si facevano ri salire, per tradizione diretta, a Mosè stesso. Il suo di scorso in Atti 7, confermava il suo pensiero, e il suo atteggiamento non conformista gli varrà la morte attra verso la lapidazione (Atti 7, 57-60) e provocherà l'espul sione da Gerusalemme dell'intero gruppo degli Ellenisti, solidali con Stefano. Cosi, quella breccia che era stata aperta nel giudaismo dagli Esseni attraverso l'idea della spiritualizzazione del culto 49, fu aperta dagli Ellenisti e da Stefano nella comunità gerosolimitana 50• Windisch, Th. WNT, II, p. 509. questo argomento esiste una vasta bibliografia; da segna· larc in particolare J. Carmignac, L'utilité ou l'inutilité dus sacrificcs wnglants dans la Règle de la Communauté de Qumran, in << Rcvuc Biblique », LXIII (1956), pp. 524-532; A. Gartner, Thc Tn"Zple and tbc Community in Qumran and the New Testament. A Comparative \"tudy in the Temple Symbolism of the Qumran Texts ancl the New Fn!imzent ( S ociety for New Testament Studies, Monograph Scrics, 1), N'"w York, 1965, e la sua recensione fatta da V. Nikiprowetzky, Tem r•f,· ,·r Communauté, in « Revue des .Etudes Juives >> ( << R.E .J. >> ), <:XXVI (1967), pp. 7-25. "' Il prof. O. Cullmann, in due studi successivi ha dimostrato la ,.,·Lvioll,. esistente tra queste due idee degli Ellenisti, quelle di <)ullH:m e del vangelo di Giovanni: The Significance of the Qumran Tnt1 ./or Rcscarch into the Beginnings o/ Christianity, in The Scrolls 48 H. 49 Su
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Doveva essere però la m1ss10ne riservata a Paolo quella eU gridare ai cristiani giudaizzanti: il cristianesimo è « una nuova creazione - xtxwl] x"t'tcnc; » ( Gal 6,15). Per origine e formazione Paolo è un giudeo. Egli steuo si cUce educato secondo la legge dei padri (Atti 22,3 ), fariseo e figlio di farisei (Atti, 26,3 ), israelita nato dal seme di Abramo ( Rom. 1 1, l ) e vissuto irreprensi bilmente nella convinzione che la giustificazione è data dall'osservanza della legge (Fil. 3 ,6 ). Ma queste idee erano destinate ad essere infrante dalla conoscenza del Cristo, da cui Paolo tirava coerentemente la conclusione che la giustificazione non è fondata sulla « legge », ma sulla « fede » nel Cristo. Paolo diventava cosf il nemico per eccellenza dei cristiani giudaizzanti. Il problema immediato era quello della circoncisione per i pagani che chiedevano il battesimo. La polemica si accese nel 49 d.C. quando dei giudeo-cristiani venuti dalla Giudea, insegnavano la necessità della circoncisione per la salvezza 51• Quando la comunità pagano-cristiana di Antiochia richiese che il problema fosse portato a Ge rusalemme, davanti agli Apostoli (Atti 1 5 ), in quella circostanza Paolo con Barnaba sostenne l'assoluta libertà dei pagani, sul punto di diventare crist iani , dalla legge mosaica. Il gesto eU Paolo era denso di significato sto rico perch� sganciava il dest ino del cristianesimo da quello del giudaismo non solo sul piano religioso ma anche sul piano politico. Disgraziatamente il successo di Paolo fu solo parziale perch� il « decreto apostolico » emesso dal l'assemblea di Gerusalemme se liberava i pagani dall'ob bligo della circoncisione , imponeva loro tuttavia alcune K. Stcndh11l, pp. IR-32; L'oppo sition contre le Temple de ]érura/em, mnti/ commun dc· la tbéologie jobannique et du monde ambiant, in « N.T.S. •· V ( 19�8/9), pp. 157-173. 51 J. Daniélou, N ouvelle Histoirc dt l'BR/iu, l, p. 60, spiega l 'ac canimento dei giudeo-cristiani per la circoncisiont", oltre che per il suo val ore religioso, anche per il suo significato polit ico, dato che la circoncisione era considerata come i l aegno dell'appartenenza al popolo giu da i co e perciò l'cspres-aionc del nazionalismo giudaico nella
(ll!d tbe New Testament, a cu ra di
lotta contro i romani.
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osservanze rituali espresse nella formula « astenersi da gli idolotiti ( = le carni delle vittime offerte agli idoli), dal ( mangiare) il sangue e le carni di animali uccisi per soffocamento ( 'TtV�x-twv ) e dalla fornicazione ( 7topveLa.) » ( Atti 1 5, 29; 2 1 , 25 ) 52• Cosf la Chiesa cristiana ritor nava ancora alla Sinagoga. Infatti le osservanze rituali che si ritrovano nel « decreto » corrispondono alla parte rituale dei precetti rivelati da Dio a Noè ( Gen 9, 3-5) e che i rabbini imponevano ai semi-proseliti, i simpatiz zanti del giudaismo. Analogamente quindi allo spirito della Sinagoga per la quale, nella missione giudaica, esi stevano i proseliti, piegati a tutti gli obblighi del mo saismo, e i semi-proseliti che ne accettavano una parte, l'assemblea apostolica di Gerusalemme riconosceva di fatto due categorie di cristiani: i giudeo-cristiani che osserva vano la legge mosaica nella sua pienezza e i pagano-cri stiani, legati ad un minimo di ritualismo. Malgrado tutto, la decisione di Gerusalemme assu meva però qualche autonomia nei confronti del giudaismo, 'ina certamente non nella linea e sulla base volute da Paolo 53• Finalmente questo atteggiamento dovette scontentare tutti, Paolo naturalmente, che sembra fare del decreto stesso una critica velata nella I Cor. 8, 7-9; 9 , 1 ss., e i giudaizzanti intransigenti che non accetteranno il de creto, perché non contiene la circoncisione. Essi con sidereranno Paolo come il loro nemico e questo contras segno resterà tipico nella letteratura pseudo-clementina e in tutti i testi giudeo-cristiani noti. 52 Il significato di 7topvd�. che traduce l'ebr. « zenuth >> (forni clzionc) è discusso tra gli studiosi. Cfr. E. Molland, La circoncision, f,· bapteme et l'autorité du decret apostolique, in « Studia Thcologica » , I X ( 1955), pp. 37 ss. ; A. F. J. Klijn. The Pseudo.Clementines and t f.,· 1\ J)()Stolic Decree, in « Novum Testamcntum >> , X (1968), pp. )()) l 12 ; M. Simon, T he Apostolic Decree and Its Setting in the ;1•mc''' rburch, in « Bulletin of the John Rylands Library >> , II ( 1 '170). '5 '5 . pp. 437-460, spiega il termine dalla complessità dei si Rnilint t i dl'l termine ebraico « zenuth », che, oltre ai vizi impuri, i mpl intva anche le impurità rituali e i matrimoni irregolari. � 1 Cfr. ;\l . Simon, art. cit., pp. 459 s.
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Questi giudeo-cristiani accaniti li ritroviamo dapper tutto nel tempo apostolico : essi agiscono in Palestina e nella Diaspora; nell a Galazia, a Corinto, Colossi e Roma; non solo nelle missioni cristiane non raggiunte da Paolo, ma anche in quelle evange1izzate da lui 54• A giudizio di Paolo, i giudaizzanti pervertono il vangelo di Cristo, ((3al 1 ,7) , imponendo ai galati, che sono in maggio ranza pagani convertiti ( Gal. 4 , 8-10; 5, 2 ss. ) l'osser vanza dell a totalità della legge e in particolare l'obbligo della circoncisione ( Gal. 5,3- 1 2 ; 6, 12- 1 5 ) ; probabilmente con l'appoggio di Pietro, come sembra dedursi dall'esi stenza del partito di Cephas ( cioè di Pietro) a Corinto ( l Cor l , 1 2 ), o piu sicuramente di Giacomo, cosa che spiegherebbe l'enorme importanza di quest'ultimo per i giudeo-cristiani delle Pseudo-Clementine. E saranno i giudeo-cristiani probabilmente l'occa sione della morte di Paolo. Il vescovo di Roma, Cle mente, nella I Cor. 5,5, attribuisce la morte di Paolo « alla gelosia e alla discordia » , come anche la morte di Pietro ( l Cor. 5,4 ) , che, alla fine, dovette fare causa comune con Paolo 55• Intanto in Palestina dal 66 d.C. gli avvenimenti pre cipitavano: il nazionalismo zelota guidava la prima in surrezione giudaica contro i romani . L 'esi t o fu la distru zione di G erusalemme e del Tempio ad opera delle le gioni di Tito. La comunità g iudeo-cris t ia na di Gerusa lemme non sarebbe stata ri spa r mi at a se non avesse ri cevuto un avvertimento celeste di migrare a Pella, lo calità della Perea, in Transgiorda nia . La notizia è tra smessa da Eusebio ( H. E. , I I I , '5 , 3 ) in q t �est i t ermin i : 54 Per ]. Munck però, soprat tutto ndla �un opan P,w/us u nd die l leilsgeschichte ( in Acta Jutlandira, '1\·oloRi�k Snil' 6 ) , Copenhagen, 1 954, i giudaizzanti opposti a Paolo non sono m·n·s,ariamente cri 'tiani provenienti dal giudaismo, ma possono t'sscrc considerati anche come pagano-cristiani che giudaizzano. Consulra rt· anchL· la recensione di 4uest'opera fatta da W. D. Davies in « N.T.S. » , I l ( 1 95 5 ), pp. 196 ss. 55 L'idea è del prof. O. Cullmann, l.n Cil/1.11'.1 ,f,. la 111ort de Pierre l't de Pau! d'après l6 témoignage de C/,�mmt ronlilill, in « R.H. Phil. Hl'! . >>, 1 930, pp. 294 ss.
Il problema del giudeo-cristianesimo
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« Il popolo della Chiesa di Gerusalemme, per mezzo di un vaticinio ( xrnà -rwa XP'lJOlt6v) 11ivelato alle persone ragguardevoli del luogo, ricevette l'ordine di allontanarsi dalla città prima della guerra e di abitare una città della Perea chiamata Pella ». Fu allora - continua Eusebio - che la vendetta divina si abbatté sugli empi ( giudei ), rei dei delitti contro Cristo.
La realtà del fatto è stata negata da S.G.F. Brandon 56, G . Strecker 57 e J. Munck 58 • Per quest'ultimo autore la notizia di Eusebio sarebbe soltanto il racconto di una storia edificante, con la conseguenza che i giudeo-cristiani, che incontreremo dopo nella regione di Pella, non sono una continuazione della comunità gerosolimitana ma l'e spressione del pagano-cristianesimo misto ad elementi ere tici giudaizzanti. Ma è difficile credere che il giudeo-cristianesimo po steriore, caratterizzato dalla tendenza antipaolina, sia nato spontaneamente nel filone della tradizione pagano cristiana. D'altra parte le ragioni per rigettare il testo di Euse bio non sono plausibili 59• Da parte sua, Epifanio in Panarion, Haer. , XXIX, 7 , e XXX, 2 , spiega l'origine dei Nazareni e degli Ebioniti direttamente dalla comunità gerosolimitana spostatasi a Pella. La notizia della Storia ecclesiastica ci si presenta cosi' di capitale importanza per spiegare nelle sette giudeo cristiane trans-palestinesi quel tipico carattere primitivo della loro dottrina, che sarà all'origine del giudizio di eresia che gli eresiologi porteranno su di loro.
2 ) Il giudeo-cristianesimo tra le due guerre giudaiche . ( 70-1 35 d.C. ) . Dopo la guerra del 70, la comunità,
56 The Fall of }erusalem and the Christian Church, London, 195 1 , pp. 168-173. 57 Das ]udenchristentum in den Pseudo-Klementinen, pp. 229-231. 5B }ewish Christianity in Post-Apostolic Times, pp. 107 s . ; Primitive ]ewish Christianity and later ]ewish Christianity: Continuation or Rup ture � , pp. 89-91. ·'9 Cfr. M. Simon, La migration a Pella, légende ou réalité?, in << R . Se. R. >>, LX (197 1 ), n. l, pp. 37-54; H.-J. Schoeps, Theologie tmd C'cschichte des ]udenchristentums, pp. 266-277.
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Luigi Cirillo
trasferitui a Pella, dovette ritornare, almeno in parte, a Gerusalemme, perch� lo stesso Eusebio ( H.E. , IV , 5, 2 ) cUce eU aver conosciuto d a « documenti scritti » l a suc ceslione, nella chiesa di Gerusalemme, di quindici vescovi « tutti eU origine ebraica » fìno all'assedio subito dai aJudei sotto Adriano ( 1 32 d.C.) e che in questo tempo tutta quella Chiesa era formata da fedeli ebrei ( È; 'È�patwv "t.CM'GN). Per questo periodo, l'autore piu importante per la storia del movimento è Giustino nel Dialogo con Trifone, capp. 47-48. L'opera stessa scritta poco dopo il 1 50 d.C. situa la discussione tra Giustino e il giudeo Trifone al tempo della guerra giudaica guidata da Bar-Kochba ( 1 32-135 d.C . ), alla quale allude il cap . l , chiamandola « guerra attuale » 60 • Dal Dialogo emerge l a situazione interna delle comu nità cristiane di Palestina e Siria nella prima metà del secondo secolo, relativa ai rapporti tra giudaismo e cri stianesimo 61 • Sull'argomento interessano particolarmente i capitoli 44-48 , ma noi fermeremo l'attenzione sui due ultimi. L'importanza storica del Dialoi!,O è nel fatto che esso testimonia che intorno alla data indicata i giudeo c ris ti ani non erano ritenuti eretici . Questi, al cap . 4 6 , 1 , sono presentati come « alcuni (
60 TI testo del Dialogo è citato secondo l 'edizione f:nta da G. Ar chambault , Le Dialogue avec Tryphon, Paris, 1909, l . cfr. a p. 4: « "rÒV VUV "'(EV61J.EVOV 7t6À.E!J.OV ». �'1 Cfr. A. von Hamack, ]udentum und Tudt'llchristentum in Ju
ltins Dialof!. mit Trypho nebst einer Colla/io n . 4'50 (T.U., 39/I), Leipzig, 1913, pp. 90 ss. 62 E d. a cura di G. Archambault , p. 202.
der Pariser Handscri/t,
Il problema del giudeo-cristianesimo
XXXI
ché essi non si sforzino di imporre ai pagano-cnsttani l'obbligo delle osservanze giudaiche, come se esse fossero necessarie alla salvezza. Gli altri invece ritengono che la co munione cai giudaizzanti debba essere rotta, cosa che Giu stino non condivide, trattandosi di fratelli nati dallo stesso seno ( wç Ò(..I.O
txW6[J.EVOL) 64 .
Se questi « alcuni della vostra razza » con riferi mento a Trifone sono ancora i cristiani di origine giu daica, di cui l'Autore aveva parlato precedentemente, la 63
64
Ibidem, pp. 208-212. Ibidem, pp. 214 e 216.
XXX I I
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c:oueauenza � che essi negavano la divinità di Gesti, ma
� in lui il Messia. Queld testi del Dialogo dunque presentano la compJwd� della formazione delle comunità cristiane del A M!IIJ!D 1 la loro tensione interna: esistono gruppi di cri lflllllll!lt provenienti dal giudaismo, altri provenienti dal paga uiif ·- e i pagano-cristiani « giudaizzanti », persuasi dalla �a giudaica. In questa situazione non mancava Ub certo buon senso, attestato dalla moderazione del giu dizio di Giustino stesso, tendente a considerare la pra
dca giudaizzante non necessariamente come un ostacolo alla salvezza, a condizione però che i costumi giudaici fossero uniti alla fede in Cristo. Appare infine l'esi stenza di due gruppi giudeo-cristiani, gli intransigenti che costringevano i gentili a vivere secondo la legge, ri tenendola necessaria alla salvezza, e i moderati. Quanto alle idee cristologiche del cap . 48, Giustino non speci fica se esse fossero di tutti i giudeo-cristiani oppure del solo gruppo degli intransigenti, come troveremo attestato negli eresiologi posteriori. Allo stesso modo, non è si curo se la scomunica dei giudei ( di cui in 4 7,5) fosse rivolta contro i giudeo-cristiani ritenuti traditori dai loro connazionali, oppure contro i cristiani in generale. Giustino voleva che si conservasse la comunione coi giudeo-cristiani. Questo parere conciliante finirà ben pre sto. Il fatto è che questi giudaizzanti finiranno come « eretici » nel giudizio degli autori, che vengono subito dopo, e col nome di Ebioniti li troveremo elencati da Ireneo di Lione nel suo catalogo di eresie. 3 ) Il giudeo-cristianesimo come eresia (fine del sec. II ti/ sec. V) . Questo terzo periodo offre le testimonianze più numerose sui giudeo-cristiani, considerati come di stin t e sette eretiche. Conviene sacrificare la successione nonologica dei testi al loro ordine logico, per mostrare le caratteristiche che gli autori daranno a distinti gruppi giuJeo-cristiani. Seguirà cosi la presentazione dei testi au A ) g l i Ebioniti, B ) gli Elcasni t i , C ) i Nazareni. Tut tavia In t rattazione che Epifanio fa degli Ebioniti ( Haer. ,
XXXII I
Il problema del giudeo-cristianesimo
XXX) sarà rinviata alla fine, perché i suoi testi ripren
dono le testimonianze anteriori, da cui in gran parte dipendono, e vi aggiungono dati nuovi in modo che ne risulta una testimonianza che fa quasi da sintesi del movimento giudeo-cristiano fino al sec. IV. A ) Gli Ebioniti. Allo stato attuale della documen tazione, il primo autore a presentare un gruppo di giu deo-cristiani col nome di Ebioniti e a classificarli tra gli eretici è Ireneo di Lione, alla fine del secondo secolo. Nell'Adversus Haereses i seguenti testi riguardano gli Ebioniti: I, 26, 2 ; I II, 2 1 , l ; IV, 33 , 4 ; V, l , 5. Il primo di essi è una presentazione sintetica del sistema dottrinale ebionita. Ecco il testo 65: Per quanto riguarda gli Ebioniti, essi sono in verità dell'av viso che il mondo è stato fatto da Dio, ma per quanto concerne il Signore , [ non 66 ] pensano allo stesso modo di Cerinto e Car pocrate. Si servono soltanto del vangelo secondo Matteo ( solo autem eo quod est secundum Matthaeum evangelio utuntur) e respingono l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge ( apo statam eum legis dicentes ) . Per i testi profetici, si accaniscono ad interpretarli in maniera stravagante (curiosius); si circoncidono e persistono in quei costumi che sono secondo la legge e nella maniera giudaica di vita, in modo da adorare Gerusalemme, come la casa di Dio .
All'inizio, il testo parla della teodicea e della cristo logia degli Ebioniti e la loro cristologia è messa in re lazione con quella degli gnostici Cerinto e Carpocrate 67 • 65 .1 . E. Grabe, S. Irenaei Contra omnes Haereses libri quinque, Oxford, 1702, pp. 102 s. 66 Alcune edizioni, come la Patrologia graeca del Migne, pongono il non davanti a « similiter ». J. B. Cotelier, Constitutiones Apostolicae, L VI, cap. 6, in nota, propose di espungere la negazione perché falsa il testo. Che il non debba essere espunto è chiaro ancora di piu se il nostro testo è confrontato con la notizia dell Elenchos, VII, 34, sugli Ebioniti, dove la frase di Ireneo viene riprodotta senza la negazione. J. E. Grane, nell op . cit., p. 102, nota f., propose di leg gere « consimiliter » . 67 Sui due eretici cfr. ed. Hilgenfeld, Die Ketzergescichte des Urch ristentums, pp. 397 ss. (Carpocrate); pp. 411 ss. (Cerinto). ]. Daniélou n� parlerà nelle pp. 95 ss. e 97 ss. '
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Per Cerinto e Carpocrate il mondo non ha avuto ori Dio ma da una potenza che ignora Dio e che � al eU sopra di tutto, cosi attesta Ireneo in Ad v. Haer. , l, 2,,1 ; l, 26, 1 . In cristologia essi ritengono che Gesu � nato da Giuseppe e da Maria e che in lui, al mo mento del battesimo è venuto « il Cristo » , una potenza divina. In teodicea dunque gli Ebioniti non seguono Ce rinto e Carpocrate ma l'insegnamento dell'Antico Te stamento. Per la cristologia invece, nella scia dei due eretici, gli Ebioniti negano la nascita verginale di Gesu. Questa dottrina cristologica ebionita è confermata negli altri testi citati di Ireneo. In Adv Haer. , IV, 3 3 ,4, gli Ebioniti sono presentati come un gruppo che non accetta Gesu come figlio di Dio; nel libro V, 1 ,3 come quelli che respingono l'incarnazione del « figlio del Dio Altis simo » operata in Maria dallo Spirito Santo. Molto interessante è il testo del libro III, 2 1 , 1 , che offre il fondamento biblico della loro dottrina cristolo gica. Nella profezi a dell 'Emmanuele d'I s. 7 , 1 4 , gli Ebio niti seguivano la traduzione greca eU Aquila e Teodozione, proseliti giudei, in cui l 'ebraico il � r ! ( 'almah ) è tra dotto con va4v�< ( = giovane donna)' e non con 11:ap8Évoç ( = . vergine), come nella traduzione d c i S e t tanta e nel Vangelo di Mat t . l , 2 3 a . Di qui gli Ehion i t i profbs1vano che Gesu era nato dal matrimonio di G i u s e p pe e Maria 6-s . Che gli Ebioniti fossero crist iani d i origine giudaica è detto da Ireneo nel libro V , 1 ,3 , quando l 'autore li accusa di cont inu a re a vivere nel « vecch i o l ievito » uella loro origine, senza entrare nella nuova ge n eraz i one inau guratasi con l 'incarnazione •. Per Irenc:o quindi gli Ebio niti non hanno solo un modo giuda i co d i vivere pre sentato nella circoncisione, osservanza della legge e l'ado-
Bine da
1•3 F. Saignard, Irénée de Lyon. Ccmtrr lt•r / /,:n:,·ics Livre III. ( Sources Chrétiennes, 34 ), Paris, 1 952, pp. 3-IK- 3 '50. Sulla traduzione di fs. 7, 14 da parte di TcoJozionc c A q u i l a , come fondamento scr i t t u rist ico degli Ebioniti nel ncgnrc !.1 nn,d t a verginale di Gesti,
dr. anche H.E., V. VIII, 10. 6'1 A . Rousseau, Irénée de Lyo11. Con/r,· f,. , 1 1/réries, l. V, l, 3 ( Sourcn Cbrétiennes, n. 153), Paris, 1 96'J, pp . 2-1-28 .
Il problema del giudeo-cristianesimo
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razione di Gerusalemme, ma altres1 una mentalità giu daica nell'interpretare i fatti cristiani. Questa mentalità impedirà loro di accettare l'evoluzione del dogma cri stiano. Essi appariranno perciò necessariamente come dei cristiani, che non sono al passo dell'evoluzione che si fa nelle altre comunità cristiane. Segni del loro sentire giudaico sono ancora il ripudio di san Paolo, ritenuto come il traditore della causa giudaica e il loro uso del solo Vangelo di Matteo, perché piu vicino alla loro men talità 70 • Ireneo tuttavia non dà un'informazione precisa su questo vangelo e le testimonianze che ne seguiranno non saranno sempre concordi. Né l'avverbio « curiosius » in forma piu chiaramente sul loro modo di fare l'esegesi dei testi profetici. Dopo Ireneo , sarà l'autore dell'Elenchos, VI I, 34, a dedicare agli Ebioniti questa corta notizia 71 : Gli Ebioniti ritengono che il mondo è stato fatto dal vero Dio, ma per quanto concerne il Cristo fabulano alla maniera di Cerinto e di Carpocrate. Vivono secondo i costumi giudaici ( E8E<7LV i.ouo�i:xoi:c; 1;w<7� ), dichiarando di essere giustificati secondo la legge ( xa:ttÌ. V6!J.OV q>fl.O'XOV'tt:c; O�X��OU0'0�� ), affermando che anche Gesu fu giustificato dall'osservanza della legge e che per questo egli fu chiamato Cristo ( = Messia) di Dio e Gesu, dal momento che nessun ( altro) osservò la legge; perché se un altro avesse osservato le prescrizioni della legge, sarebbe stato quegli il Cristo. Ritengono per altro che, agendo allo stesso modo ( di Gesu ), possono essi stessi diventare Cristi ( ouvaa-e�� . . . XP�O'-coùc; YEVÉ<70tn), infatti essi dicono anche che lui è un uomo uguale a tutti gli altri ( �ù-còv Ò!J.ol.wc; livOpwTiov dv�� 1téi0'� À.ÉyouO'LV ).
Come si vede all'inizio, il testo dell'Elenchos riprende quello precedente di Ireneo, attribuendo chiaramente agli Ebioniti la cristologia di Cerinto e Carpocrate. Ma per quanto concerne la condotta giudaica di vita, il conte70 Per· il problema critico dell'opera rimandiamo a P. Nautin, Hyppo lite et ]osipe, Contribution à l'histoire de la littérature chrétienne du troisième siècle, Paris, 1947. 7I Ed. a cura di P. Wendland, Hyppolytus Werke, vol. III: Refu tatio omnium haeresium (G.C.S., 26), Leipzig, 1916, p . 221 , 8-16.
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nuto del nostro testo è piu forte di quello di Ireneo, � va fino a dire che per gli Ebioniti la giustifi cuione � effetto dell'osservanza della legge, convinzione queata che colloca gli Ebioniti a fianco dei giudaizzanti contro i quali san Paolo stesso scriveva (dr. per esempio G.J. 2,2 1 ; 3,21 ) . Nella linea della giustificazione secondo la legge , e ssi stabiliscono la grandezza morale di Gesti, che per natura fu un uomo come gli altri, ma per la sua perfezione nell'ubbidienza alla legge nessuno lo ha mai uguagliato, e fu la sua virtu che gli meritò il nome « Cri sto ». Ritengono perciò che la fedele osservanza della legge potrà renderli simili a lui. Questa presentazione degli Ebioniti si preciserà nelle testimonianze che seguono, che lasceranno intravedere come lo stesso gruppo non la pensi allo stesso modo . Arriviamo cosi ai testi di Origene e di Eusebio. La testimonianza di Origene è relativa alla prima metà del terzo secolo ed è contemporanea di quella del l 'Elenchos; i testi della Storia Ecclesiastica di Eusebio sono invece della prima metà del quarto secolo. Per Origene, Contra Celsum, I l , l , gli Ebioniti sono quei giudei che hanno accolto Gesu come Messia, senza abbandonare la legge dei loro padr i . Essi devono il loro nome alla « povertl di interpretazione della legge » , 'ebion infatti presso i giudei significa « povero » . Poi Origene aggi unge : « Pietro stesso sembra aver osservato a lungo i costumi giudaici secondo la legge di Mosè come se egli non avesse imparato da Gesu ad elevarsi dal senso letterale della legge a quello secondo lo spi rito » 72• Origene è il primo autore a dare . l 'etimologia esatta del nome « Ebioniti » dall'ebraico J P J X ( = povero) e sarà seguito da Eusebio, H.E. , I I I , 27;6. Per tutti gli a l t ri autori, da Te rtul l i :.mo ( De Prae.rcriptionc haeretico rum , Gip . X; De Came Christi, capp. X l V ; XVI I I ; XXIV) i2
M . Borret, Origènc contra Ct:lst:, t. l, l. l
ticnncs, 1 32), Paris, 1967, pp.
276-279.
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I I (Sources Chré
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XXXVII
a Epifanio, Panarion , Haer. , XXX, l , che non avevano fatto attenzione alla radice ebraica, il nome degli Ebioniti era sp i egato dal r.ome fittizio di un « Ebion », presunto loro fondatore. Gli Ebioniti invece sono i poveri di Israele ( b'� i ,H ) da cui viene il greco Tt't'WXO� che si ritrova nel testo delle Beatitudini in Matt. 5 ,3 , e Le. 6,20 : essi perciò possono essere considerati, originariamente, come quei cristiani che sulla parola di Gesu avevano scelto la povertà come ideale di vita. Il loro nome dunque indica la loro piu antica origine, che può presumibilmente collocarli in quella stessa atmosfera spirituale, che fu degli Esseni di Qum ràn, che si denominavano con lo stesso appellativo di « poveri » ( cfr. Regola della Guerra, IQM, XI , 1 3 ; XIII, 1 4 ; Inni, IQH, V, 1 6- 1 8-22; ecc.). La loro colpa, come Origene ha detto nel Contra Celsum, II, l , è la « pover tà » nell'interpretare la legge stessa, nel senso ( come sem brano potersi interpretare le parole che seguono nello stesso testo ) che si sono fermati al suo senso letterale senza pervenire all'idea del suo « compimento », come invece ha fatto Pietrq, che come loro aveva osservato la morale giudaica. Di qui, Origene, De Principiis, IV 3, 8, li denomina <� i poveri di intelligenza » ( ot 1t"t'WXO� 'tU ow. voCq.) 73, interpretando cosi in senso dispregiativo il loro nome, che era solo rivelatore della condizione sociale e spirituale. Donde sembra potersi concludere che eretici essi lo sono per deficienza, per la loro povertà dottrinale primitiva. Nel Contra Celsum, V 6 1 , Origene distingue gli Ebio niti in due classi ot o�,;,;oL 'E��wvcx.i:o� e la distinzione è fatta in base alla credenza nella nascita verginale di Gesu : quelli che ammettono come noi - dice Origene - che Gesu è nato da una vergine e quelli che lo credono nato come tutti gli altri uomini 74• Ma nel Contra Celsum, V, 71 P. Koetschau , De Principiis ( Origenes l .l'i pz i g , 1913, p, 334, 1-2. 14 1\1 Borret, op. cit., pp. 164-166.
Werke, vol. V, G.C.S., 22),
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6' dice che ambedue i gruppi { ' E��t<Jvcx.�o� à.�J.cp6·n:po�) ri 75 •
pttano le lettere dell'apostolo Paolo La loro or1gme aiudaica infine è indicata da Origev-e, quando l'autore attribuisce loro l'uso della celebrazior1e della Pasqua, se 7
eonc:lo la pratica quartodecim ana ad i&itazione di Gesu 6• E.usebio dedica all'eresia de�li Ebi ?ni �i il cap . XXVII del hbro I II della sua Storia eccles1astzca, classificando .
questa eresia tra Menandro e Cerinto. Conviene leggere il tetto nella sua interezza :
l . Da ll e origini questi uomini furono c:f:!iai_Dati a giusto titolo povere e umili Ebioniti, perché avevano sul conto del Cristo Idee O o o �ti!;ov't aç) O LCT X V 't L 't 'tà O 7t 'ttl7tEWW xaL 1t'tWXW ( Ep . p <; <; 2. Essi lo consideravano infatti come (ut' uomo) semplice e co mune, solamente un uomo, giustificato dal progresso della virtu, nato dall'unione di un uomo ,e di Maria . era necessa11io per essi assolutamente l'osservanza della legge perché ( �iceva�o) non avreb bero potuto salvarsi attraverso la sola feJe m Cnsto e la vita conforme a questa fede. 3 . Ma accanto a questi ve ne erano llltri , che portavano lo stesso nome ma evitavano la stolta strav�Jganza dei primi ; essi non negavano che il Signore fosse nato d? u na vergine e dallo Spirito Santo, ma come i primi anche JOro no n confessavano che egli fosse preesistente come Dio , Ve l"bo e S apien za e cosi h cadevano nell'empiet� dei primi, tanto piu c e, c�me quelli, met e mtesa nel senso legg ro tevano tutto Il lo zelo nell'adempiere la
materiale. Essi ritenevano che foasero da rigettllrsi del tutt? le l�ttere A de l postolo, che chiamavano apostata del l a l�gge: S1. serv1�ano U�lcamc?�C del vanselo chiamatO UCOIIJo j!.fl [brez ( wayyEÀLt:p . . . 't' t:p xaO E � pa(ov<; ÀIYOI4•VItl xrM�4rvo�) c f aceva n o poco conto
�
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degli altri ( vangeli). 5 . Osservavano il sabato e tutto jJ rcs'o della condotta giu daica come quelli; ma celebravano le Jt>menic hc qu as i come noi, in ricordo della risurrezione del Salv11'ore. 6. Donde, a causa di siffatta intrap retf ll , ha nno ott enuto in sor te di partecipare a tale denominazione • gi acché i l nome di �bio�it! rive.la la po�ertà della loro intell l��za :. mn qu es to nome mf,attl e designato « d povero » presso gli f•.hrcl . '
7·1 lhidcm, p . 174.
E. Kl os termann, Ori 76 I n Matthaeum Commentariorum Series , 1"· n d r çommen Jl.cncs. Matthauserkli.irung. II, Die lateinische o kt'�Sl'IZ.U Jl. � 38) , L eipZlg 1933 , tariorU 'II Serics ( Origenes Werke, vol. X l , G.(,..\ . , , pp. 1 89, 15 ss.
Il problema del giudeo-cristianesimo
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Eusebio dunque, al seguito di Origene, distingue due gruppi di Ebioniti: a) quelli per i quali Gesu è un uomo comune per la sua natura, nato dall'unione matrimoniale, ma contraddistinto da una vita altamente morale ; b ) gli « altri » che ammettono la sua nascita verginale per opera dello Spirito Santo, ma che tuttavia, come i primi, ne gano la sua preesistenza come Logos e Sapienza di Dio . I due gruppi hanno in comune l'idea della neces sità dell'osservanza della legge mosaica per la salvezza, il rifiuto dell'insegnamento di Paolo, ritenuto apo stata, e l'uso di un solo vangelo, detto « secondo gli Ebrei » . Sembra infine che appartenga al solo secondo gruppo la celebrazione, accanto al sabato, della domenica in ricordo della risurrezione. Se è cos1, questo gruppo non fa che ripetere il costume della comunità cristiana di Gerusalemme, che frequentava il Tempio, celebrando do po, probabilmente, il banchetto eucaristico ( cfr. Atti 2 , 46 ) M a per tutti gli Ebioniti, Eusebio ripete il disprezzo di Origene : il loro nome ò 'lt't"wx6c; designa 't"fjc; otcx.votac; 'lt't"WXEtcx.v ( la povertà della loro intelligenza). Quanto al vangelo degli Ebioniti, si noterà che Ireneo lo dénominava « secondo Matteo » , mentre Eusebio lo ha chiamato « secondo gli Ebrei » . Proprio con quest'ul timo nome lo indicava anche Egesippo, che secondo lo stesso Eusebio è un giudeo-cristiano convertito dal giu daismo ( H.E. , IV, 22,8 ) e vissuto sotto Adriano e Marco Aurelio (H.E., IV, 8 , 1-2; IV, 2 1 ); ma Egesippo cono sceva direttamente questo vangelo, come conosceva « il vangelo siriaco » da cui doveva fare qualche citazione ( H.E. , IV, 22, 8 ) nella sua opera perduta 'Y'ltoiJ.ViJIJ.CX.'t"CX. ( Le Memorie), che Eusebio conosceva ( H.E. , II, 23,3.8; I V , 8 , 2) e che era probabilmente la fonte diretta di Eu sebio sui giudeo-cristiani. I nfine, una notizia molto preziosa dà Eusebio nel I 'Onomasticon (e Girolamo dietro di lui), quando indica nel vil laggio di Choba, a Sud-Ovest della città di Dama Ileo i n Siria, il luogo di abitazione degli Ebioniti « gli .
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Ebrei che hanno creduto in Cristo » 77• Sesto Giulio Afri invece, nella lettera ad Aristide ( in Eusebio, H.E. , I , 7, 14) indica l o stesso villaggio col nome di Chochaba (XWxat�at) insieme con Nazareth, come luogo di origine dei familiari del Salvatore, mentre per Epifania « Cho c:habe a. � il luogo di origine dei Nazareni, dopo la migra zione della comunità di Gerusalemme a Pella (Panarion, H11tr. , XXIX, 7). Le fonti esaminate finora sul primo gruppo giudeo-cri stiano, quello degli Ebioniti, sono state assai omogenee nella presentazione di un'« eresia » secondo i lineamenti tramandati dalla tradizione. La trattazione che seguirà sugli Elcasaiti, indicherà le relazioni esistenti tra i gruppi giudeo-cristiani, e la conseguente evoluzione del pensiero ebionita. B) Gli Elcasaiti. L'Elenchos, IX, 1 3- 1 7 è il primo te sto che informa sugli Elcasaiti 78 • La loro dottrina è fon data sulla rivelazione di un libro sacro, fatta al loro fon datore Elcasai da un angelo dalle dimensioni enormi che è accompagnato da un 'ipos tasi femminile di uguale gran dezza : l 'angelo è il figlio di Dio e la donna è lo Spirito Santo 19• La rivelazione del libro sacro avvenne nel terzo anno di Traiano ( 1 00 d.C.); questo libro annunziava una nuov a remissione dei pecca ti a quelli che lo avessero accolto con fede e si fossero lasciati battezzare ( IX, 1 3 ) . cano
77 In P. de Lagarde, OnomaJtlc• Jllcrll, Giiuingcn, I l , 1!\70, p. 301 , 32-34: Xw�li: t\ lcr-rw tv ct.pw'flpf At�Jldcrxov. la--.:L oè xa.t Xw�à xw�TJ Èv ni:c; a.v-.:oi:c; J.Liprcn.v, tv ft ctoiv 'E[3pa.i:oL ot dc; XpLO"'!ÒV 7t LO''t' EVO'Il.V't Ec; 'E�LWVIl.LOL xa.>..o4Lr'llo�. Cfr. anche la traduzione di aan Girolamo, op. cit , p. 1 1 2 , 9-1 3 : < < Choba ad laevam pa r tem Damaaci , eat autcm e t i l i � Chobaa in iisdem regionibus, habens adcolas Hebrat'OI, qui crc.-dc.-ntcs in Christum omnia legis praecepta cus tod iu n t, et a pri ncillC' hacresos 'E�Lwvi:-ra.r. nuncupa n tu r » . 7 8 Ed . a cura di P. Wendland, Hippoly/uJ Wakc, ( G.C.S., 26), Lcipzig, 1916, I I I , pp . 251-255 . 79 Questi due punti : i l Cristo concepi to come: un angelo e lo S pi rito Santo come una donna indicano la provenienza giudaica della dottrina dcasaita. I n ebraico infatt i « spirito ,. "' rtiah è di genere fem
minile.
I l problema del giudeo-cristianesimo
XLI
Alcibiade di Apamea in Celesiria, discepolo di Elcasai, fece conoscere il libro sacro a Roma. L'elcasaitismo si presenta allora come una religione fondata nella rivelazione di un libro sacro e consistente in particolari riti di purificazione, che nel giudaismo sono, peraltro, in comune con gli Esseni e con le sette battiste 80• L'Elenchos infatti menziona per gli Elcasaiti un triplice tipo di bagni di purificazione. Un primo battesimo è desti nato ai falsi profeti e a quelli che hanno peccato di pedera stia, bestialità, omosessualità, incesto, adulterio e prosti tuzione, e desiderano il perdono. Essi devono leggere « il libro » e lasciarsi battezzare « in nome del grande e al tissimo Dio, in nome di suo figlio, gran re », e chiamare in testimonianza « i sette testimoni ( !J.ap't'vpac;) scritti in questo libro : il cielo, l'acqua, gli spiriti santi, gli angeli 8 della preghiera, l'olio, il sale e la terra » 1 • Oltre questo battesimo per la remissione dei peccati, il discepolo di Elcasai annunziava un rito d'immersione, che avrebbe dato per esempio la guarigione da un morso di un cane affetto da rabbia, a colui che avesse invocato il grande e altissimo Dio con cuore sincero e i sette testimoni ( di cui sopra), previa promessa di non peccare piu . Questa immersione doveva essere fatta con tutti gli abiti, con 82 • l 'invocazione « del nome del grande e altissimo Dio » A quelli che sono affetti dalla tisi o posseduti da un demonio, è ordinato, per la guarigione, un terzo tipo di battesimo nell'acqua fredda e quaranta volte per sette giorni 83• La vita degli Elcasaiti è ordinata secondo la legge mosaica e sono circoncisi: è quanto l'Elenchos, IX, 14, chiama v6(J.ov 'ltoÀ.vtda ( una condotta secondo la legge). In materia cristologica l'Elenchos attribuisce loro que80 Cfr. J. Thomas, Le mouvement baptiste en Palestine et en Syrie (Univ. Cath. Lovaniensis. Series Il, tome 28), Gembloux, 1935. 81 Elenchos, IX, 15, ed. P. Wendland, p. 253, 14-19; dr. Epifanio, J'anarion, XIX, l ; XXX, 17, ove l'ordine, il numero e il nome degli clementi sono cambiati di poco. 82 Elenchos, IX, 15, P. Wendland, p. 254, 2-15. sl Elenchos IX, 16, P. Wendland, p. 254, 16-18.
XLII
Luigi Cirillo
idee : a) il Cristo è un uomo comune, nato alla mmiera deall altri uomini ( IX, 1 4 ); b ) il Cristo è un an selo, l'angelo dalla taglia gigantesca ( IX, 1 3 ); c) nel con testo poi dell a dottrina pitagorica della metempsicosi, gli ate tre
Elc:uaJti dicono che il Cristo è stato generato molte volte e che si � trasferito di corpo in corpo ( IX, 1 4 ) . Quest 'ul timo testo deve essere letto insieme con quel lo dell'Elenchos, X, 2 9 . I n questo testo, dopo la tratta zione di Noeto e di Ermogene, l'autore parla di « altri » ( non identificati), che fondandosi sul libro di Elcasai ri tengono che il Cristo non sia uno, ma che « disceso dal l'alto » sia « lo stesso che è passato piu volte in molti corpi ed ora in Gesu » 84• Il verbo p,E"tcx:yyts6p,Evov indica bene che l'autore poteva interpretare la cristologia elcasai ta nel contesto della dottrina della metempsicosi, ma l'ave re indicato che H Cristo viene dall'alto e l'averlo consi derato come « spirito » che si incarna successivamente nei corpi, rivelandosi in essi, ci immettono nel filone delle speculazioni giudaiche sul Figlio dell'Uomo preesistente, dottrine che saranno presenti nel cristianesimo primitivo sotto varie forme, di cui la piu nota è quella delle succes sive incarnazioni del « vero profeta » della letteratura pseudo-clementina da Adamo fino a Gesu . Epifanio attri buirà questa dottrina cris tologica agli Ebioniti (Haer., XXX, 3 ) , essa deriva quindi dagli Elcasaiti , il cui influsso sugli Ebioniti è attestato da Epifanio nello stesso testo . Eusebio (H.E. , VI 38 ) riporta ques to testo di Origene sugli Elcasaiti, estratto dall'Omelia sul Salmo 82 : Vi esporrò quali errori Insegna questa dot trina, affinché non ne siate implicati. Essa rigetta certi paasl di tutta la seri t tura, c a ncora si serve di parole prese da t u t to l ' A nt i co Testamento come dai Vangeli e respinge completamente l'Apostolo. Essa in segna che è cosa indifferente rinnegare ( la fede) e che il saggio, nelle necessità, vin n cgh crà con la bocca e non l·ol cuore. Essi tw P. Wendland, p. 284, 10- 1 5 : « Xp!.nbv 15l @vrt oùx ò�oÀ.oyoucnv, tH.).. ' Elva� "t"ÒV (!EV /ivw fva, ali-tbv 5l l.l.l"t"4YY�!;.6�Evov Év CTWJ..L!101. 'ltOÀ.À.o�c; 'ltOÀ.Àthc�c; xaL vuv oi tv -tcil 'I'I")O"OV, h1totwc; '!tO"t"È J..LÈv Èx "t"Ou Otou yEyEvijtrOa�. 1tO"t"È oÈ 'lt'.IEVJ..L4 yayovtwu ... ».
Il problema del giudeo-cristianesimo
XLI I I
tramandano anche u n libro, che dicono essere caduto dal cielo che colui che gli porge ascolto e vi crede riceverà la re missione dei peccati, una remissione diversa da quella che ha dato Gesu Cristo. c
Da questo testo tre sono le idee concernenti la dot trina elcasaita : la prima riguarda il loro modo di inter pretare la Scrittura ; la seconda, che sembra alludere al rinnegamento della fede, riguarda forse la condotta da se guire in tempi di persecuzione; la terza aggiunge un dato nuovo a quanto sapevamo già intorno al libro sacro dall'Elenchos : questo libro è ritenuto disceso dal cielo, ciò che è finalizzato evidentemente a dar valore al suo contenuto. Quanto poi alla remissione dei peccati con cessa a chi accoglie il libro sacro e vi crede, essa era già nell'Elenchos. Quello che è veramente interessante in questa noti zia di Origene è l'accenno al loro modo di manipolare la scrittura da cui essi es pungono alcune cose ( 'tWci ) , ri tenendole ovviamente falsificate. L'avversione a Paolo poi si nota nel loro rifiuto del corpo paolino ( 'tÒV a1t60''toÀ.ov ) . Cosf per la prima volta nei testi sul giudeo-cristianesimo si fa strada l'idea che le Scritture siano falsificate, idea destinata ad avere molta fortuna non solo nella storia successiva dei giudeo-cristiani ma anche in altri ambienti del cristianesimo antico e nell'Islam. Le notizie di Epifania sugli Elcasaiti appaiono confuse e disseminate nella ttattazione di eresie diverse. In Pana rion, Haer. , LIII, l , i Sampsei sono identificati con gli Elcasaiti discendenti dallo stesso « maestro Elxai » , abi tanti la Perca, al di là del Mar Morto, la regione della Moabitide, l 'ultimo tratto della Iturea e Nabattide. Ma in questa stessa regione, secondo Haer. , XIX, l, sono gli 'OO'O'T)vo! che per Epifania formano un'eresia giudaica; dai tratti della Iom dottrina si vede che questi ultimi corri spondono agli Esseni, a proposito dei quali Epifania scrive letteralmente « ad essi, dopo, si aggregò Elxai » 85 • Se si 85 Pan., Haer., XXX, 3 .
XLIV
Luigi Cirillo
vuol dunque fare affidamento nella notizia di Epifanio, si
deve concludere che gli Elcasaiti sono propriamente quel gruppo di giudeo cr istiani piu legato agli Esseni, da cui prendono chiaramente i rivi di purificazione battesimale se -
Palati
dall'Elenchos. Ed ora, dopo la scoperta delle spe Culazioni di Qumran su Melchisedec, angelo-essere divino ( = l lQ Me/eh. ) 86 appare molto probabile, se non certo, che � ancora dagli Esseni che gli Elcasaiti tirano le spe culazioni su l Cristo-1tVEU!J.CX. ( spirito ) che si rivela succes sivamente secondo le epoche ; dottrina, in seguito, passata a s u a volta negli Ebioniti. C) I Nazareni. La prima volta che il nome dei Naza reni entra nella storia dell'eresiologia, come titolo di una setta giudeo-cristiana distinta, è nel Panarion di Epifanio. Finora, da Origene ad Eusebio, si distinguevano soltanto due rami tra gli Ebioniti. Epifanio consacrando l'Haer. , XXIX, ai Nazareni e l'Haer. , XXX, agli Ebioniti, fa dei due rami ebioniti due sette. Per Girolamo invece i due nomi, Ebioniti e Nazareni , sono sinonimi, e indicanti i giudeo cristiani della Palest i n a e Siria del quarto secolo. Per que sto, sebbene il testo di Epifanio preceda quello di Giro l amo , � da quest'ultimo che inizieremo per illuminare la testimonianza stessa di Epifanio. Noi tralasciamo quanto Girolamo dice intorno agli Ebion i t i , perch� le sue notizie non aggiungono nulla di nuovo : gli Ebioniti ripudiano Paolo 8\ praticano i riti giudaici 88 e ri tengono Cristo per semplice uomo 89 • Ma nuova è l ' informazione del D� viris, I X , i n cui si legge che l'apostolo Giov anni scrisse il suo vangelo contro gli Ebioniti e Cerinto, afferm a ndo la precsistcnza del Cri sto \'(). 86 Per questo frammento di Qumdn dr. la nota 1 2X. 87 Commento a Matteo, XII, 2, Migne, Plltrolol(io lati11a ( P.L.), XXVI , 76 B-C. « .. . qui cum caeteros rec:ipiunl apostolos, Paulum quasi t ransgressorem legis repudiant ». BB Co m men to a Isaia, I, 3 ( P.L. , XXI V , 27 A l « Ehion ... sic recipit evangdum, ut iudicar um superstitionum . . . l'aercmon ias non relinquant » . �? Cfr. Commento alla Lettera ai Ga/111i, l , l (P L . , XXVI, 312 D.) e Commento alla Lettera agli Efesini, I V , IO ( l' . L . . XXV I , 499 C). 'lO E. C. Richardson, De viris inlus/ribus , Corpus Scriptorum Eccle !ltliiicorum Latinorum, Wien ( = C.S. H l ) , 14, Lcipzig, 1896, p. 13, 1-3. =
•.
Il problema del giudeo-cristianesimo
XLV
Importante è la Lettera CXII, 1 3 a sant'Agostino. Questo testo proietta una luce nuova sul movimento giu deo-cristiano della Siria-Palestina nel quarto secolo, esso presenta inoltre l'esperienza diretta di Girolamo, esso merita perciò una presentazione diretta 91 : L'essenziale del problema, o piuttosto della tua op1 mone, è che dopo il vangelo di Cristo si comportano bene i giudei cre denti quando osservano i precetti della legge, come offrire i sa crifici, che Paolo offri, circoncidere i figli, rispettare il sabato, come Paolo nel caso di Timoteo e tutti i giudei osservarono. Se questo è vero cadiamo nell'eresia di Cerinto e di Ebion, che, pur credendo in Cristo, furono scomunicati dai padri solo per a fatto che mescolarono i riti della legge col vangelo di Cristo; e cosi essi professarono cose nuove senza perdere le vecchie. Cosa dirò degli Ebioniti che fingono di essere cristiani? fino ad oggi, in tutte le sinagoghe dell'Oriente, tra i giudei vi è un'eresia che è chiamata dei Minei (Minaeorum) e che è fino ad ora condannata dai Farisei : abilmente li si chiama Nazareni ( quos vulgo Nazaraeos nuncupant), essi credono in Cristo figlio di Dio, nato da Maria vergine, e dicono che è colui che è morto sotto Ponzio Pilato ed è risorto; e nel quale anche noi cre diamo; ma mentre vogliono essere nello stesso tempo giudei e cristiani, non sono né giudei né cristiani (nec ]udaei sunt nec
Christiani).
In questo testo le due serie di verbi, al passato nella prima parte e al presente nella seconda, stabiliscono due piani diversi nella testimonianza di Girolamo. Comin ciando a parlare della condotta giudaica dei cristiani del tempo, l'autore li rapporta all'eresia di Cerinto e di Ebion, considerata come un fatto passato. Ma nella se conda parte i verbi sono al presente e qui Girolamo parla degli Ebioniti del suo tempo e da lui conosciuti. Questi , nell'accezione comune, passano col nome di « Nazareni » ( q u os vulgo Na.zareos nuncupant) ed è importante sottoli neare che « essi credono in Cristo figlio di Dio », morto sotto Ponzio Pilato e risorto, quello stesso - aggiunge Girolamo - in cui crediamo anche noi. Ma accanto essi 9 1 Il testo latino segue l'edizione di J. Labourt, Saint ]erome Let ( Société d'édition « Les Belles Lettres », vol. VI), pp. 3 1 s.
/u'I
XLVI
Luigi Cirillo
r.udalzzano, formando cosi un'entità religiosa mista, che �e 1 Girolamo che
essi non sono né giudei né cristiani non sono ac cettad · neanche dalla Sinagoga . Le loro pratiche giudaiz IIJld tecondo la legge n on li allontanano dalla scomunica del �ariaei, che li considerano una « eresia » del giu daltmo, chiamata dei Minei, perché l'ebraico 'o,] ) (MIIIIm ) significa « settari » . 1
(Il« ]wl•ei stmt nec christiani). Infa tti essi
·
·
Noi sappiamo dunque che nella Palestina-Siria del
quarto secolo col nome di Ebioniti-Nazareni si identifi
cavano i giudeo-cristiani, che, nello stesso tempo, erano considerati ai margini del giudaismo e del cristianesimo. Ma si deve rilevare che la loro cristologia appare ortodossa e che essi possono corrispondere di fatto al ramo ortodosso degli Ebioniti secondo Origene ed Euse bio, tanto piu che lo stesso Girolamo nel Commento a Isaia, I X , l , lascia intendere che essi riconoscono l'apo stolo Paolo 92, Va fatto notare infine che col nome di Nazareni il gi udai s m o dell'epoca indicava i cristiani tout court e che è poss i bile quindi che la scomunica ( di cui sopra) dei Farisei contro i Nazareni significhi non soltanto la sco munica dci giudeo-cristiani ma quella dei cristiani in ge nerale . In questo ultimo senso va il testo di Girolamo nel Commento a Isaia, V, 1 8-19, che parla dell'anatema ai Nazareni da parte della Sinagoga: Tre volte al giorno nelle
( t•ocabulum )
s inagoghe anatematizzano
cristiano sotto il nome dci Nazareni
93 •
il
nome
Nel De viris, cap. 3 , si parla del « vangelo dci Na zareni » 94• Girolamo dice che l 'apostolo Mat tco compose 92
Cfr. P.L., XXIV, 125 B-C.
•n P. L , XXIV, 87 . Su questo a r�om..:n to , dr. M . S i mon, Verus l ,;-,�c·!, pp. 2 1 6 ss. La maledizione dd l(imlt·i con l ro i cristiani è a l l L' S l a t a gi� in Giustino al second o scwlo , mmc ahhiamo visto so pr,t : l li.i/of!o con Trifone, 47, 5 ; cfr. anche 1 6 , 4 . L ' a n a tema ai Na l a rl'n i sarà attestato anche da Epifunio, J>,marioll, 1 /c�er. , XXIX, 9. Sui 1\l i m·i cfr. anche l'art. di A . M . (;t �ldhn� i n Lexicon fur Theo los:it· 1111d Kirrbc, VII, 423 ( con bihliol(rnfia ) . '>4 L C. R ichardson, C.S. E.L., X l V , p. H , lO '>. 9.
Il problema del giudeo-cristianesimo
XLVII
per i cristiani provenienvi dal giudaismo ( « propter eos qui ex circumcisione crediderant » ) il vangelo di Cristo in parole e lettere ebraiche, tradotto poi in greco da un autore ignoto. Questo stesso vangelo ebraico si trovava ancora a Cesarea di Palestina, nella biblioteca di Panfilo, almeno fino al tempo della composizione del De viris ( 3 92-93 ), e l'autore aggiunge che egli lo ha trascritto col permesso dei Nazareni, che vivono a Berea, città della Siria 95• Passi di questo vangelo sono citati da Girolamo nel l'Adversus Pelagianos, III, 2 96, mentre nel Commento al Vangelo di Matteo, XII, 1 3 97, Girolamo dice che gli Ebioniti e i Nazareni adoperano questo stesso vangelo, che egli ha appena finito di tradurre dall'ebraico in greco, e questa potrebbe essere una prova supplementare per l'identificazione dei due gruppi giudeo-cristiani. Epifanio, nativo della Giudea, di Eleuteropoli, verso il 3 15 , vescovo di Salamina dell'isola di Cipro nel 367 e morto nel 403, iniziava la sua opera contro le eresie, Panarion, poco prima del 3 7 5 . Egli è il primo eresiologo a distinguere la setta dei Nazareni da quella degli Ebio niti . Ecco i lineamenti di questa setta secondo I'Haer. , XXIX. Col nome di Nazareni (Ncxswpcx'Lo� ) Epifanio indica la setta cristiana giudaizzante ( XXIX, l ) e si prende cura di distinguerla sia dalla setta omonima del giudaismo, presentata nella forma Ntx.O'txpcx'Lo� (XXIX, 5 ), che costi tuisce per lui la quinta setta giudaica (Haer. , XVIII), sia dai Nazirei 98 • In Haer. , XXIX, l , spiegando il nome dei 95 Cfr. in E. C. Richardson, « Porro ipsum hebraicum habetur usque hodie in Caesariensi bibliotheca, guam Pamphilus martyr studio sissime confecit. Mihi quoque a Nazaraeis, qui in Beroea mbc Syriae hoc volumine utuntur, describendi facu!tr.s fuit ». 96 P.L., XXIII, pp. 597 ss. 97 P.L., XXVI, 78. 98 Cfr. P. Nautin, Saint Epiphane, in << Dict. Hist. et Géog. Ecclés. », \ \' , pp. 617-63 1 . Cf r. inoltre Epiphanius, Anchoratus und Panarion (G.C.S., 25 ), ed. a ' " ' a di K. Holl, Leipzig, 1915, p. 326, 12 ss.
XLVIII
Luigi Cirillo
Nazareni crist iani , Epifania li lega direttamente al piu antico gruppo dei credenti in Cristo, in Palestina, che si denominavano appunto Ncxswpcxi:oL ( cfr. Atti 24,5 ), prima che ad Antiochia fossero chiamati « cristiani » (cfr. Alli 1 1 ,26 ) ; per Epifania essi sono dunque i di ac:endenti della piu antica comunità cristiana di Pale stina. Essi sono giudei per le osservanze, ma cristiani perché credono in Cristo, e finalmente sono differenti dagli uni e dagli altri ( Haer. , XXIX, 7 ) . Accanto alla Bibbia giudaica ordinata secondo le tre parti del canone giudaico: la legge, i profeti, gli scritti ( X X IX, 7 ), i Nazareni hanno il vangelo secondo Matteo scritto in �braico , completo ( -.ò xcx-.tl. Mcx...-ecxi:o'\1 eùcxyyÉÀ.Lo'\1 1tÀ.T)pÉO"t"cx-.o'\l 'Ef3pcx.WtL), conservato ancora al tempo in cui Epifania scriveva, ma l'autore ignora se vi fosse contenuta la genealogia da Abramo a Gesu 99• Per la Cristologia, Epifania non sa se essi ritengono che Gesu è un uomo come gli altri o se invece cre dano che Gesu è nato verginalmente per opera dello Spirito santo ( XXIX, 7 ) 100, credono però che Gesu è il Messia 101 • Per questo, sono maledetti dai giudei tre volte • al giorno durante le assemblee Liturgiche (XXIX, 9 ) 102 Al tempo di Epifania i Nazareni erano in Transgior dania, nella contrada di Berea nei pressi della Celesiria, nel l a Decapoli verso le parti di Pella, nella Basanitide nei pressi della città, chiamata in greco, Chochabe . In questa regione essi vennero dopo la rovina di Gerusa lemme avvertiti da Cristo stesso sull'imminente cata strofe (XXIX, 7 ) 103• Da questi punti appare che i Nazareni di Epifania hanno molte cose in comune con gli Ebioniti, secondo '�9
Ibidem, p. 332, 8-1 1 . lhidem, p . 329, 2 1 , p . 330, 4. l hidcm, p. 332, 6. 1 02 lhidem, p. 331, 27, p. 332, 5 ; cfr. sopra la testimonianza si mi! .. in Giustino: Dialogo, 47, 5, e Girolamo, Commento a Isaia, HXl 10 1
V, l ll - I <J. Il<' l loll , p. 330, 4-1 3 ; 'l, 1 .
cfr. sopra il testo di
Eusebio:
H. E., III,
Il problema del giudeo-cristianesimo
IL
la presentazione degli eresiologi antenor1; soprattutto abitano la stessa contrada. Per Girolamo, come abbiamo visto, i due nomi Ebioniti e Nazareni sono soltanto due espressioni per indicare la stessa realtà. Sarebbe allora erroneo l'uso che Epifania fa dei due nomi come indi canti due distinte sette giudeo-cristiane ? La risposta di pende dalle somiglianze e dalle differenze, Ebioniti-Na zareni, nei testi dello stesso Epifania. Epifania resta uno tra i piu informati eresiologi sui giudeo-cristiani, ma se sia anche il meglio informato di pende dalla « tradizione », che è la sua fonte princi pale, come appare dai frequenti richiami ad essa fatti 1()4. Ecco quanto si può stabilire da Epifania sulla relazione Ebioniti-Nazareni. a) L'origine. Dall'Haer. , XXX, dedicata agli Ebioniti, risulta che l'origine di questi ultimi è quasi del tutto in comune con quella dei Nazareni dell'Haer. , XXIX: Ebion, che Epifania erroneamente crede il fondatore de gli Ebioniti, cominciò la sua azione, dopo la distruzione di Gerusalemme, al tempo dell'esodo della chiesa gero solimitana a Pella; si stabili nel quartiere chiamato Cho chabe ( XXX, 2) donde il suo messaggio si diffuse in Asia e a Roma (XXX, 1 8 ). Per la loro origine, Ebioniti e Nazareni sono dunque i continuatori della comunità gerosolimitana e, per un certo tempo, gli Ebioniti « hanno pensato le stesse cose dei Nazareni » 105• Per quanto Epifania non sia del tutto sicuro della relazione cro nologica tra i due gruppi, è piuttosto indine a far cre dere che i Nazareni precedono, a) perché in XXIX, 5 sono legati al piu antico gruppo dei « nazareni » di Pa lestina prima della distruzione di Gerusalemme, b ) gli Ebioniti in XXX , l , discendono dai Nazareni e ne seguono le idee. Ma il fatto nuovo e determinante per i soli Ebioniti secondo Epifania è che ad essi « si un! Elxai » , 104
Cfr. XVIII, I : w ç ò Et<; i)piiç H.Bwv 7tEp�ÉXE� Myoç. XIX, 1 :
�)c; 'Ì) dç 1'][J.Ciç ÈÀ.Boucra 'ltEp�ÉXE� 'ltap&;Socr�ç, ecc. 10s Holl, p. 333, 5 « -tà lip.o�a -to&to�ç q>povl]craç ».
r
L
Luigi Cirillo
il cui influsso distanzierà gli Ebioniti dai Nazareni (XXX, 3 ). b ) I costumi. Tanto gli Ebioniti quanto i Nazareni praticano le osservanze giudaiche 106 • Ma per gli Ebio niti, Epifania sembra meglio informato, cosf egli attri buisce loro : le abluzioni rituali 107, oltre il battesimo cri stiano 108; l'uso quartodecimano di celebrare la Pasqua, secondo il calendario giudaico ( 14 Nisan ) e con pane az zimo e acqua 109 ; l'astensione dai sacrifici materiali, dopo la distru:;,ione del Tempio, secondo il loghion attribuito a Gesu nel loro vangelo: « sono venuto per abrogare i sacrifici e se non smetterete di sacrificare, l'ira ( divina) non si allontanerà da voi » 1 10; l'astensione dalle carni 11 1 ; il ripudio dell'apostolo Paolo perché greco di Tarso 112; il culto nella sinagoga, sotto la guida di « presbiteri » e di « capi di sinagoga » ( àpxtO'vvcxywyouc;) 113 ; l'esalta zione all'inizio e l'interdizione poi della verginità 114• Tutte queste informazioni mancano per i Nazareni, per i quali Epifania dice solo che osservano la circon cisione, il sabato e le altre cerimonie giudaiche. c ) I libri religiosi. Apparentemente, da Epifania sem bra che Nazareni ed Ebioniti leggano lo stesso vangelo secondo Matteo chiamato « ebraico o secondo gli Ebrei 'Ef3pcxtx6v, opp., xcx-.tl. 'Ef3pcxtouc; » 115, ma probabilmente erano due vangeli diversi, perché lo stesso Epifania li distingue, dicendo che quello dei Nazareni è completo, quello degli Ebioniti invece è mutilo e falsificato. 106 Per i Nazareni: Haer., XXIX, 8; per gli Ebioniti: XXX, 2, 26, ecc. 107 XXX, 32 = Holl, p. 377, 18-19. 108 XXX, 16 Holl, p. 353, 9-10. 109 XXX, 16 Holl, p. 353, 10-12. Holl, p. 354, 7-8. 11o XXX, 16 111 XXX, 16 Holl, p. 352, 15, p. 353, 2. 112 XXX, 16 Holl, p. 355, 3-14. 113 XXX, 18 Holl, p. 357, 17-19. 114 XXX, 2 = Holl, p. 334, 20, p. 335, 3 . 1 15 Nazareni: Haer., XXIX, 9; Ebioniti : Haer. , XXX, 3 ; dr. 18. Già Egesippo (in Eusebio H.E. , IV, 22, 8 ) citava questo vangelo con lo stesso nome. ==
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In ogni caso la biblioteca ebionita era molto piu ricca ed essa offriva i testi da cui dipendono concezioni teo logiche non attestate per i Nazareni. Gli Ebioniti non accettano il Pentateuco di Mosè nella sua integrità 116• Conformemente al loro tenore di vita, espungono dal Pentateuco l'ep1sodio di Abramo che offre agli angeli il vitello e il latte ( Gen. 1 8, 3 9 ); la men zione di Noè che mangia le carni ( Gen. 9, 3 ) e quella dell'offerta di animal1 fatta da !sacco, Giacobbe e Mosè. La ragione è che con l'avvento del vangelo, questi punti della legge sono stati soppressi. Detestano tutti i profeti 117• Per il vangelo, solo per gli Ebioniti viene detto che nel loro vangelo manca la genealogia divina di Gesu ( = Matt. l ) 118 • Ai soli Ebioniti sono attribuiti i seguenti scritti: I Viaggi di Pietro scritti da Clemente 119; testi attribuiti a Giacomo, 'Avcx�aelJ.o� 'Iaxw�ou, in cui Gia como parla contro il Tempio e i sacrifici 120; altri Atti degli Apostoli 121 ; libri diversi attribuiti agli Apostoli, Matteo e Giacomo ed ad altri discepoli 122• d) La cristologia. Quello che Epifanio rileva molto bene è l'evoluzione del pensiero cristologico presso gli Ebioniti, inserendo tra i due momenti l'influsso degli Elcasaiti. All'inizio (-.ò !J.È"V 1tpw-.o"V : XXX, 3 ), gli Ebioniti ri tenevano Gesu per semplice uomo, nato dal seme umano, cioè da Giuseppe 123• Ma dopo un certo tempo e fino ad oggi ( Èx xp6"Vou oÈ -.woç xcxt oevpo) - aggiunge Epifa nio - gli Ebioniti hanno cambiato parere e, intorno al Cristo, gli uni pensano diversamente dagli altl'i. Que1 16
XXX, 18 Holl, p. 358, 10-1 1 . XXX, 15 Holl, p. 352 , 1 1-12. n s XXX, 13 Holl, p. 350, 7 s . 1 1 9 XXX, '15 Holl, p . 352, 4·5: xpwv-ra�... -rai:ç 11Ep�6So�<; X!XÀ.OUj.tÉVa�ç IIÉ"tpou, -rai:ç s�à KÀ.T)j.tEV"toç ypaq>ELCTIX�<;. 1 2o XXX, 16 Holl, p. 354, 12-355, 3. 1 2 1 XXX, 16 Holl, p . 354, 10 s . 122 XXX, 23 Holl, p . 364, 15·19. 1 23 Cfr. XXX, 2; 16; 18; 20; 26; 29; 30; 34. 1 17
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LII
Luigi Cirillo
sta evoluzione è dovuta ad Elcasai, secondo cui Cristo era « spirito santo » 124 • Dunque da una cristologia pri mitiva che riteneva Gesu un uomo comune, ma tutta via l 'eletto di Dio, gli Ebioniti approdarono ad una cri stologia, costruita sul modello della preesistenza, che dalla nostra fonte è fatta discendere dagli Elcasaiti. Di qui viene la tipica dottrina cristologica ebionita attestata posteriormente. In Gesu, nato dal seme umano, al mo mento del Battesimo, in forma di colomba, è venuto « il Cristo » che è « lo spirito » ; egli è un « arcangelo » che non è stato generato, ma creato da Dio prima di tutte le cose, superiore agli altri arcangeli perché domina su tutta la creazione; per questo Gesu è chiamato « figlio di Dio secondo l'elezione » 125 • Dio ha stabilito anche il dualismo nella creazione, facendo del Cristo il prin cipe dell'eone futuro e il diavolo del presente 126• Ora, il Cristo « spirito » superiore agli angeli e che signoreggia sulla creazione, viene nel mondo, come vuole; difatti rivestendo un corpo umano si è rivelato in Adamo, nei Patriarchi, e alla fine dei tempi col corpo di Adamo è apparso agli uomini, ha sofferto, è risorto e ritornato in cielo. Per questo gli Ebioniti dicono che Gesu è Adamo 127 • Epifania, nel riportare queste idee, le qualifica bal buzienti e caliginose, ma la realtà è tutt'altra : la teoria del Cristo àpxàyyEÀ.oc; e 1tvEV(.ltx che si fa strada tra gli Ebioniti partendo dall'ambiente elcasaita, anche secondo Epifania, non ci si presenta altrimenti che come una versione delle speculazioni su « Melchisedech » del fram mento l lQ Melch. di Qumran, che presenta esattamente Melchisedech come « un essere celeste ( b'Ti i 7X ) » , l'an · gelo, capo delle schiere celesti, della corte divina, mes saggero di salvezza ( secondo Is. 52, 7 citato nel fram mento) e protettore della comunità 128 Noi crediamo che
124 XXX, 3 Holl, p. 336, l ss . : 7tEpt Xp�cr't'ou o�T}youv't'a� xat 7tEpt 'lt\IEUj.tCX'tO<; ày(ou. Holl, p. 354, l s s . ; cfr. XXX, 3 . 12 XXX, 16 1265 XXX, 16 Holl, p. 3 5 3 , 12-17. 127 XXX, 3 = Holl, p. 336, 4 , p. 337, 6. 128 L'editio princeps del frammento in ebraico è data da A. Van =
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Il problema del giudeo-cristianesimo
LIII
è anche a partire da queste speculazioni che si è fatta strada nel cristianesimo primitivo la dottrina sul Cristo concepito come un angelo. Una delle piu antiche orme di questa dottrina l'abbiamo ritrovata sopra negli Elca saiti secondo l'Elenchos, IX, 1 3 , in cui « il figlio di Dio » ci è stato presentato come « un angelo » dalla taglia immensa. È permesso allora ricostruire dal giudaismo set tario, come quello di Qumran, questo tipo di riflessioni che troviamo negli Elcasaiti, e che per loro tramite pas sarono nei giudeo-cristiani Ebioniti, ma non esclusiva mente, perché sono attestate anche in altri ambienti . Quando poi Epifania parla delle successive incarna zioni del « Cristo » preesistente, egli tocca un'altra dot trina, quella del « vero profeta » che cambiando forme e apparenze ritorna nelle varie tappe della storia e che è propriamente la dottrina delle Pseudo-Clementine, il cui contenuto è da presumere che non sfuggisse ad Epi fania, perché egli le cita nella versione de I Viaggi di Pietro . Ed è ancora a questa letteratura che sembra riferirsi Epifania quando scrive che gli Ebioniti chia mano il Cristo « il profeta della verità », mentre gli al t ri profeti sono detti « profeti di intelligenza e non di verità » 129• Questa ricchezza di idee cristologiche non è attestata per i Nazareni né da Epifania né dagli altri autori an t i chi. Riteniamo perciò, in base alle differenze notate e con la cautela dovuta per i testi di Epifania, che gli Ebio n i ti e i Nazareni all'occhio di un eresiologo potevano veramente costituire due distinte sette per la diversità Der Woude, Melkisedec als himmlische ErlOsergestalt in neugefundenen <.,chatologischen Midrashim aus Qumran-Hohle XI, in << Oudtesta tncntische Studien », XIV ( 1 965), pp. 354-373; cfr. anche M. de Jonge , . Van Der Woude, l l Q Melchizedek and the Ni?w Testament, " N .T.S. », XII ( 1966), pp. 301-326. M. Delcor, Melchizedek /rom gene ' i' to the Qumran Texts and the Epistle to the Hebrews, in « Journal l < > r the Study of Juda!sm », II ( 1971 ), pp. 1 1 5-135. L'edizione italiana d , J testo è in L. Moraldi, op. cit. , pp. 577 ss. 12'1 XXX, 18 Holl, p. 358, 3-7. =
Luigi Cirillo
LIV
ideoloaica e che
quindi i Nazareni non sono un'inven
lione di Epifanio, come invece ha scritto R. A. Lipsius 130, mentre all 'occh io del popolo Ebioniti-Nazareni passavano
per una sola entità, dato il loro tenore di vita, e questo aplep il testo di Girolamo.
Il giudeo-cristianesimo e nesimo » di ]. Daniélou.
«
La teologia del giudeo-cristia
Come abbiamo visto, le fonti innanzitutto presentano il radicamento del giudeo-cristianesimo in un vasto con testo geografico del cristianesimo primivivo. Nato in Pailestina (dr. libro degli Atti), grazie alla mis sione giudeo-cristiana, che va considerata come un aspetto del proselitismo giudaico, il giudeo-cristianesimo è pre dicato nella Diaspora : in Galazia, a Corinto, a Colossi, a Roma ( cfr. lettere paoline ); attraverso lo spostamento della chiesa palestinese a Pella, in Transgiordania (Eusebio), inizia poi il suo cammino in Oriente. Si impianta nel Parea geografica transpalestinese e la valle del Giordano, nella sua lunghezza , diventa l'habitat di gruppi giudeo cristiani : attestati nelle regioni di Moab, Galaad, Karna1m, nella Batanea, Baaanitide e nella Decapoli, nei tre cen tri Damasco, Pella e Cochaba. La valle del Giordano era la sede delle sette battiate mentre piu a Sud, le rive del Mar Morto e il deserto di Gi uda erano la sede degli Esseni. I giudeo-cris t iani facevano cos( nuove esperienze a contatto con le sette sincretiste dd g i udaismo : è quanto si deduce d ai testi di Epifania, che dà impor tanza grande all'influsso degli Esseni particolarmente su gli Ebioniti. Questi, secondo Epifania, raggiunsero, al Nord, la Siria e Celesiria, fino alla contrada di Berea ( Haer. , XXX, 2 ) . Dalla valle del Giordano, aggiunge I JO R. A . Lipsius, Zur
pp. 1 22- 1 5 1 .
Quellenltritilc des Epiphanios, Wien, 1865,
Il problema del giudeo-cristianesimo
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Epifania in Haer., XXX, 18, gli Ebioniti misero le loro radici a Cipro e a Roma. La Siria, sin dai primi tempi del cristianesimo ma dre-patria del sincretismo religioso, fu l'habitat degli El casaiti. Da Apamea, punta settentrionale della Celesiria, viene a Roma Alcibiade, nella prima metà del terzo se colo. Egli porta con sé un libro, che :si vuole disceso dal cielo ( Origene) e che annunzia una nuova remis sione di peccati attraverso riti battesimali, predicata la prima volta dal profeta Elcasai (Elxai) nell'anno 1 00 d.C. Gli esperti di Qumran riconoscono qui espressioni che portano la marca essena: le abluzioni in ordine alla pe nitenza. Gli Elcasaiti dell'Elenchos ci si presentano cosi come la setta piu sincretista del giudeo-cristianesimo. Giudeo-cristiani erano in Egitto, perché Clemente Ales sandrino ( Stromata, II, 9, 45 ) 131 e Origene ( Commento al Va ngelo di Giovanni, II, 1 2 ) 132 citano il « vangelo se condo gli Ebrei » . Per Eusebio (H. E., V , 1 0, 3 ) questo cristianesimo di tipo giudeo-cristiano era stato predicato nelle Indie (probabilmente la penisola arabica), dall'apostolo Barto lomeo, che vi avrebbe lasciato il vangelo secondo Matteo « in lettere ebraiche » prima che vi arrivasse Panteno. Questa notizia è importante perché permette di rico stituire, attraverso l'ambiente, una continuità tra il giu deo-cristianesimo e la primitiva tradizione dell'Islam 133• In Mrica, il giudeo-cristianesimo è attestato dalla pre senza dei Simmachiani, conosciuti da sant'Agostino. Infine la Didascalia ( Siria), Afraate della Chiesa di Edessa (dell'Osroene in Mesopotamia) e le omelie di san Giovanni Crisostomo Contro i Giudei di Antiochia alla fine del sec. IV 134 attestano l'esistenza di un altro tipo 131 O. Staehlin, Clemens Alexandrinus, 2. Band Stromata Buch l-VI, ( G.C.S., 15), Leipzig, 1906, p. 137, 4 s. 132 E. Preuschen, Origenes Werke, vol. IV: Der ]ohanneskommentar, ( G.C.S., 10), p. 67, 19 Il. 133 Sull'argomento cfr. D. Masson, Le Coran et la révélation ;udéo chretienne, Etudes comparées, Paris, 1958. 134 G. Crisostomo parla di feste e digiuni di tipo giudaico (I Di-
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di giudeo-cristi anesimo, di senso largo, che non è giu dicato come una setta ai margini della grande Chiesa,
come la tendenza giudaizzante opposta alla dottrina
ma
eccleaiutica, questo tipo non va considerato un fenomeno inaipificante in seno al cristianesimo an tico 135•
Il giudeo-cristianesimo si conferma cosi una realtà complessa, come si diceva nella bibliografia, molto di piu di quanto i pochi resti delle fonti ecclesiastiche non di
cano. Questa complessità è etnico-sociologica e culturale. Sin dalle fonti piu antiche, come il Dialogo di Giustino, si vede che i giudeo-cristiani non sono tutti di origine giudaica, vi sono anche quelli di origine pagana che sotto la spinta della missione giudaica si convertono ad un tenore di vita secondo la legge mosaica. Dal punto di vista culturale si distingue un giudeo-cristianesimo pale stinese ed un giudeo-cristianesimo ellenistico, con forme culturali diverse, che si esprimono anche in una diversità linguistica, secondo la vastità dell'area geografica, in cui il movimento si è via via impiantato. In questa molteplicità di significati, i Padri della Chiesa hanno schemat,i?.zato dal punto di vista dell'ere siologia, considerata alla luce dell'evoluzione del dogma eccles i as tico , tre sette giudeo-cristiane: Ebioniti-Elcasaiti Nazareni , che vanno considerati come tre tipi di giudeo cristiani, senza pretendere che q ues t i esauriscano la com plessità del movimento. I testi di E p i fa nio fanno con vergere sui Nazareni il ca rattere della dipendenza dai pitl antichi cristiani, mentre per Girolamo « Nazareni » era la denominazione popolare degli Ebioniti di Palestina e Siria del sec. IV. Nelle fonti tardive lo scambio di nome per i giudeo-cristiani si accentu a . Questo fenomeno si ri scontra i n due opere di sant 'Agostino : Contra Faustum Manichacum, XIX, 1 7 c Contra Crt•.rconium , I, 3 . Nel smrso, Mignc, Patrolo?.ia Gracca ( "" P.C. ), X LV I l l , R44; cfr. 849-50) <)t � .m·-;ima c della data ddlu n:lc:-hm�iotw dl'lla Pasqua (IV Di-
dl'lla
P,(;. , XLVII I , 864, 866-67). ( ;, St rcckcr, Das Problt'ln dn /ut!mrhristentums, ed. cit., pp. 245 s s . , /)as ]udcncbrislcnlllm in tlrn l' • ,·udoldementinen, pp. 259 s. 1<-or.w, � ��
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primo testo l'autore testimonia che Fausto denominava i Simmachiani come Nazareni e questi sono contempo ranei di sant'Agostino : « qui usque ad nostra tempora ... perdurant » 136• D'altra parte i Simmachiani stessi sono una derivazione degli Ebioniti, perché prendono il nome da Simmaco, il traduttore della Bibbia in greco, che per Eusebio è un ebionita ( H. E. , VI, 1 7 ). Questo scambio di nome crea non poche difficoltà nell'attribuzione delle caratteristiche proprie al singolo gruppo, se si esclude il comune tenore di vita giudaica. Cosi per i Nazareni, mentre Epifanio ignora se essi ritengono Gesu un uomo come gli altri o se nato verginalmente, secondo Girolamo gli Ebioniti-Nazareni « credono in Cristo figlio di Dio » e nello stesso tempo « non sono né giudei né cristiani » ( Lettera CXII, 1 3 ). Inoltre, mentre per Girolamo « il vangelo dei Nazareni » era letto dagli Ebioniti e dai Nazareni, Epifania lascia credere che Nazareni ed Ebioniti possedevano due distinti vangeli. Questa discordanza nelle fonti stesse deve ispirarci la piu grande prudenza nelle conclusioni sul mondo giudeo-cristiano. Quanto agli Ebioniti poi, quelli che fino ad Eusebio sono distinti in due gruppi secondo la fede cristolo gica, ma qualificati insieme « i poveri di intelligenza », sono ancora gli stessi di quelli ai quali Epifanio attri buisce le difficili speculazioni cristologiche? Oppure si deve pensare che esistesse un giudeo-cristianesimo popo lare, che passava genericamente col nome di ebionismo con la possibilità della presenza, all'interno del movimento, di gruppi di élite e che sarebbero quindi tutti questi diversi aspetti della realtà giudeo-cristiana che si riflet tono nelle fonti? Sembra vero in ogni caso che il loro nome « i poveri » trasformato dagli autori ecclesiastici in « i poveri di intelligenza » per disprezzo, sia indicativo della loro piu remota origine giudaica, che si rivela nella concezione di un cristianesimo secondo i dogmi giLJdaici e nei costumi che richiamano quelli degli Esseni, con i 1 36 P.L., XLII, 359.
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Ebioniti di fatto sono stati confusi 137• Gli Ekasait i , infine, sono quei giudeo-cristiani piu pro priamente sincreti sti, quelli che accanto alle linee co quali gli
muni al giudeo-cristianesimo, hanno professato a) la ve
neraione
degli elementi della natura e l'astrologia rive complicate formule magiche; b ) hanno conosciuto apeculazioni sull'Angelo-Adamo-Cristo; c) hanno creduto nella falsi.fìcazione di alcuni passi delle Scritture. Le due ultime idee erano destinate ad avere una fortuna grande nella Storia delle religioni. Come si diceva nelle premesse bibliografiche, il giudeo cristianesimo si è rivelato un fatto preciso del cristia nesimo antico e riconoscibile da alcune manifestazioni teo logiche e pratiche ben nette, che si possono indicare cosi: a) professione del dogma giudaico dell'unità di Dio col riconoscimento della messianicità di Gesu; b ) fede nella giustificazione attraverso la legge mosaica; c) forte op posizione all'apostolo Paolo e riconoscimento del primato di Giacomo; d) organizzazione della comunità ( riti reli giosi, calendario li turgico , ecc. ) secondo uno spirito giu daico ed in generale non corrispondente all'organizza
lata da
zione delle chiese occidentali. Tuttavia � neceuario avvertire che sfumature diverse devono essere apportate 1 questi punti, sfumature che risulterebbero da un'analial completa e dettagliata di tutte le fonti giudeo-cristiane , includendovi gli scritti pseudo clementini, che non possono essere presentati in questo breve studio, e tutte le fonti ancora sconosciute. La scoperta di questo giudeo-crist i anesi mo è possibile attraverso le fonti attestate dagl i autori ecclesiastici an tichi :
a) i frammenti dei vangeli giudeo-cristiani apocrifi, sulla cui individuazione e numero non si può essere ca137 Cfr . .T. L. Teicher, Tht DtadSt• Scrolls-Documents of the Je wi.rh-Christian Sect of Ebionitts, in « Journal of Jewish S tudies », ( = « J..T .S. » ) , II (1951 ), pp. 67 11., e la m�sa a punto di J. A. Fitz mcycr, The Qumrdn Scrolls, tht Ebioflilts and their Literature, in « Thcolol(ical Studies », XVI ( 19,), pp . .H,·372.
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Il problema del giudeo-cristianesimo 38
tegorici, data la contraddizione nelle fonti stesse 1 ; 139 b ) le Pseudo-Clementine ; c) la traduzione greca della Bibbia fatta da Simmaco, le cui varianti testuali sono rivelatrici delle idee ebionite del traduttore 140 ; d) l'opera di Egesippo Memorie è da considerare giudeo-cristiana a causa dell'autore che viene « dagli Ebrei » (Eusebio, H. E., IV, 22, 8); e ) la strada resta ancora aperta ad altri testi del 1 cristianesimo semitico siriaco 14 • Per il futuro, tra le numerose piste di ricerca, quella sul giudeo-cristianesimo nei testi arabi della tradizione islamica sembra destinata ad un certo successo, nascon dendo questa letteratura, come sembra, fonti giudeo-cri stiane 142• Ora, restando nello stretto ambito del cristianesimo 138 Come è stato visto nelle fonti, Egesippo parlava di un « van gelo secondo gli Ebrei », espressione ripresa da Eusebio per attri buirlo agli Ebioniti. Epifanio attribuisce un « vangelo secondo Mat teo » detto « ebraico » o « secondo gli Ebrei » in comune agli Ebio niti e ai Nazareni, ma mentre da Epifanio sembra derivare che si tratti di due testi diversi, da Girolamo lo stesso vangelo scritto da Matteo in lettere ebraiche è attribuito ai Nazareni ed è letto, senza differenza, da Nazareni ed Ebioniti. Il confronto dei frammenti citati dagli autori antichi offre ulteriore materia di discussione tra gli studiosi moderni. Sembra piu probabile la tesi di tre apocrifi giudeo cristiani: vangelo dei Nazareni (in aramaico o siriaco) molto vicino al vangelo canonico secondo Matteo; vangelo degli Ebioniti (in greco) anch'esso vicino al Matteo canonico ma diverso in punti essenziali; vangelo degli Ebrei, testimoniato da Clemente e Origene, che diverge dai vangeli canonici per i suoi elementi sincretisti di carattere eretico. Cfr. P. Vielhauer, ]ewish-Christian Gospels, in R. MeL. Wilson, New Testament Apocrypha, London, 1959, vol. I, pp. 117 ss., qui p. 139. 139 Attestate nei due scritti testimoniati da Epifanio: Haer., XXX, 15-16; dr. note 1 19 e 120. Sono richiamate qui le pubblicazioni su questo argomento presentate nella bibliografia, dr. note 8-15. 140 Cfr. H . .T. Schoeps, Aus friihchristlicher Zeit, in « Symmachusstu dien », cap. III, pp. 82 ss. 141 Cfr. G. Quispel, Makarius, Das Thomasevangelium und das Lied von der Perle, Leiden, 1967. 142 Segnaliamo la pubblicazione di S. Pines, The ]ewish Christians
of the Early Centuries of Christianity according to a New Source,
Jerusalem, 1966, che trova linee di giudeo-cristianesimo in un testo arabo polemico di 'Abd al-Jabbiir del sec. X.
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primitivo, è possibile aggiungere nuove fonti giudeo-cri stiane 1 quelle già conosciute? È qui tutto il problema dell'opera di J. Daniélou, alla quale dedichiamo ora la nottra attenzione. Come è stato detto sopra, il suo scopo è, propria mente lo studio del giudeo-cri s tiane simo ortodosso di atinto dal giudeo-cristianesimo eterodosso, ed era normale che l'autore ne discu te s se le fonti e i criteri per rin venirle. Queste fonti sono fissate in base a tre criteri :
l ) gli scritti che vanno dalle origini del cristianesimo al l a metà del sec. II circa (criterio cronologico ), 2 ) ri fle ttono « una mentalità comune », quella dello Spatju dentum (cri terio letterario), che 3 ) si manifesta in un tipo di cult ura determinata dalle categorie apocalittiche (cri terio dottrinale). Ovviamente i tre criteri possono non ritrovars1 m sieme in una stessa opera, ma sono essi che fanno di uno scritto cristiano primitivo una fonte del giudeo-cri stianesimo ortodosso ( cfr. , pi\1 avanti , a p. 2 0 ) . Esaminiamo questi tre p u n t i , ind u dendovi inoltre il criterio dell'ortodossia messo alla base dell'individua zione di un giudeo-cristianesimo ortodosso. A. Criterio dell'ortodossia. Per J. Daniélou la linea di demarcazione tra l 'ortodossia e l 'eterodossia dei giu de o- cr istiani passa nel campo della cristologia; una di stinzione netta è fatt a allora tra gli Ebioniti « che hanno riconosciuto nel Cristo un profe ta o un Messi a ma non i l figl io di Dio » e i Naza ren i , credi del la primitiva comunità di Gerus alemme, la cui fede me s s i anica « im pl ica l a divinità del Cristo » ( cfr . , p i \1 avan t i , pp . 1 5- 1 7 ). Dopo la lettura delle fonti giudeo-cristiane la distin zione fa tt a non ci appare cosi evidente. a ) Se accettiamo l a sepa razione t ra Ehion iti e Na z,trcni L1 1 t a da Epifanio, il co n t en ut o esatto della fede nistologict dci Nazareni non è chiaro , p e rché lo stesso Epifa ni o prima scrive « proclamano un solo Dio e Gesti C ri sto suo servitore ( . . . �va 0E6v . . . xat 'tÒV 'tOihou 'TCCI�oa
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Xpt.cr't'6v) » 143 e poco dopo aggiunge « In quanto al Cristo poi non posso dire se essi . . . lo ritengano per semplice uomo ( \j.lt.À.év &vepwrcov) oppure se affermino ,che è nato dallo Spirito Santo e da Maria, come è vero » 144• b ) Se accettiamo invece l'identificazione dei due grup pi, secondo Girolamo, ci si deve chiedere come poter mettere d'accordo il testo di quest'ultimo autore secondo il quale gli Ebioniti-Nazareni « fingono di essere cri stiani » ma « credono in Cristo figlio di Dio nato da Maria Vergine », con i testi anteriori e posterioti a Gi rolamo che negano per gli Ebioniti la fede nel figlio di Dio. Noi comprendiamo inv,ece che i giudeo-cristiani, secondo il dogma giudaico dell'unità di Dio, riconosce vano in Gesti il titolo messianico di « servitore di Dio » (che sintetizza tutta l'opera salvifìca) secondo la cristo logia piu arcaica: Atti 3 , 1 3-26 ; 4 , 25-27-30 ; Didachè, 9 ; 2-3 ; 10, 2-3, ecc. c) Prendiamo poi un caso concreto : quello della rap presentazione giudeo-cristiana del Cristo come l'angelo dalla taglia immensa. Quale differenza veramente pro fonda vi è tra la concezione degli Elcasaiti ( eterodossi) sul Cristo-Angelo e quella del « Pastore » di Erma (or todosso) Sim. , VIII, l , 1 -2 ; dr. IX 6, l ( cfr. , piu avanti, pp. 54 s.)? Se si fa astrazione dalle parole dell'autore dell'Elenchos (vedi sopra), la realtà cri stologica resta la stessa, quella della rappresentazione della grandezza del Cristo attraverso l'aspetto fisico della taglia immensa. Si vede che un vocabolario e rappresen tazioni comuni legano questi testi, che non possono es sere interpretati alla luce del criterio dell'ortodossia, sta bilito nei secoli successivi. La divinità del Cristo come definita dopo nei Concili della Chiesa sembra estranea allo spirito di questi primi cristiani 145, per conseguenza 'Il)O"ouv
143
Epifania, Haer., XXIX, 7 Holl, p. 329, 14-15. Haer., XXIX, 7 Holl, p. 329, 21, p. 330, 4. 145 M. Simon e A. Benoit, Le ]uda'isme et le Christianisme anti qlle, Paris, 1968, p. 264. 1 44
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non sembra opportuno farne un criterio di distinzione tra un giudeo-cristianesimo eterodosso e di uno ortodosso. Una prova può essere data dal testo del Dialogo con 'Jrifone, 48, 4 (citato sopra), in cui i giudeo-cristiani non sono ancora confinati tra le eresie ( cfr. cap. 4 7 ), eppure, secondo Giustino, essi ritengono che Gesu è « un uomo fra gli uomini » . B. Criterio cronologico. S e il giudeo-cristianesimo vie ne definito « l'espressione del cristianesimo nelle forme dello Spatjudentum (p. 1 8 ), qual è la ragione per la quale l'influsso del Giudaismo si arresta alla seconda metà del sec. II del cristianesimo, lasciando poi il posto all'elle nismo? In questo modo il giudeo-cristianesimo non è piu una « categoria di pensiero », che come tale si può ritro vare sempre, ma diventa un periodo della storia della Chiesa e viene ad identificarsi puramente e semplicemente col cristianesimo anteriore agli Apologisti. Difatti quasi tutta la produzione letteraria del periodo dei Padri Apo stolici vi è stata inclusa. Dalla Teologia si ha l'impressione che lo spirito della trilogia (cristianesimo giudaico, elle nistico, latino) introduce una schematizzazione artificiosa alle origini letterarie del cristianesimo, come se l'influsso dell'una o dell'altra categoria obbedisse a dei cicli storici, mentre siamo in un periodo della storia del pensiero umano in cui forme molteplici si ritrovano insieme, con temporaneamente: è questo lo spirito dello Spatjudentum. C. Per il criterio letterario, sono fonti giudeo-cri stiane quelle che riflettono la « mentalità comune » dello Spatjudentum, da cui deriva una « teologia cristiana di espressione giudaica, semitica » . Il corto paragrafo che abbiamo premesso su questo argomento (vedi sopra) ha presentato il pluralismo culturale e il sincretismo dot trinale propri di questo tempo, carattere riconosciuto dall'autore (pp. 1 8 s.). Di fatti però vengono esclusi da una parte il giudaismo greco-alessandrino e Filone, c dall'altra il giudaismo rabbinico, per accordare invece tutta l'importanza ai gruppi marginali al giudaismo stesso come l'essenismo. In questo modo non si creano
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forse equivoci nella definizione del giudeo-cristiane simo? 146• La definizione che ne è stata data infatti non sembra tener conto della complessità dell'ambiente in cui è nato il cristianesimo, ambiente dove precise linee di pensiero ellenistico si ritrovano accanto a quelle semitiche, determinando un tipo di cultura, che non si può chiamare genuinamente « semitico » 147 • Prendiamo un altro caso concreto, quello del tema delle « Due Vie » comune ai testi della Didaché, I , l -VI , l ; alla Lettera di Barnaba, XVIII-XX; al Pastore di Erma, Precetto VI, l : era nello stesso tempo un tema ellenistico e giu daico, pagano e cristiano 148 • La conseguenza è che quello che nella Teologia del giudeo-cristianesimo di J . Daniélou viene etichettato « giudeo-cristiano » rappresenta in molti casi un tipo composito e sincretista del cristianesimo 149• D. Quanto al criterio dottrinale infine, si chiede per ché il giudeo-cristianesimo, « mentalità comune . . giudaica, semitica » debba restringersi alle categorie « dell'apo calittica » ( pp. 19 e 20). Da una parte infatti l'apocalit tica è soltanto un aspetto della letteratura giudaica e dall'altra non sembra che lo stile e il pensiero apocalittici si ritrovino in tutte quelle fonti presentate come l'« ere dità letteraria del giudeo-cristianesimo » (cap. l ) e allo stesso modo, per costituire il denominatore comune per una sintesi teologica giudeo-cristiana. Accanto all'apocalit tica quelle opere rivelano molte altre preoccupazioni e caratteristiche degli ambienti in cui hanno avuto origine. In concreto ogni opera di quelle che sono state presentate 146 Cfr. in particolare la recensione di D. E. Lanne, in « Irenikon >> , XXXII ( 1959), pp. 445 ss. 147 Cfr. R. Bultmann, Theologie des Neuen Testaments, Tiibingen, 19686, pp. 66-186; W. Bousset, Die Religion des Judentums im neute stamentlichen Zeitalter, Berlin, 19062, pp. 497-524. 148 Su questo argomento dr. per esempio, R. Knopf, Die Lehre der zwolf Apostel (in Handbuch zum Neuen Testament, a cura di H. Lietz mann: Die Apostolichen Wiiter, 1 ), Tiibingen, 1920, p. 40. O. Becker, Das Bild des Weges und verwandte Vorstellungen im friichgriechischen Denken, Berlin, 1937. 149 M. Simon in « Journal of Semitic Studies », V (1960), pp. 1 69-170.
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costituisce una problematica a sé stante. Un'analisi dettagliata e minuziosa dei testi stessi avrebbe condotto forse a risultati diversi, ma certamente a conclusioni dai contorni piu differenziati; in effetti gli studi dal 1 958 ad oggi rivelano che la realtà letteraria e contenutistica delle fonti della Teologia del giudeo-cri stianesimo è di una complessità diversa da quella che ci viene presentata in questo libro. Il lettore allota potrebbe avere l 'impressione che la loro reclamata « unità » è otte nuta attraverso l'astrazione teologica e non attraverso l'esame dei testi. Su questo terreno delle apocalissi, l'autore fa anche il legame tra il giudeo-cristianesimo e la gnosi: « l'apo calittica giudaica era una gnosi » (cfr. piu avanti p. 39, e la relazione citata: ]udéo-christianisme et Gnose; cfr. p. 1 6 , n. 30). Ma questa concezione apre ancora un altro grosso problema, discusso fra gli studiosi e che non può essere ripreso qui, quello delle origini dello gnosticismo nei settori del Giudaismo e del giudeo-cristianesimo set tario 150• In conclusione, il giudeo-cristianesimo come definito e presentato in questo libro è una realtà cosi fluida che diventa incontrollabile ed inafferrabile dal punto di vista concreto della storia e le fonti presentate, nel loro in sieme, difficilmente potranno passare per « fonti giudeo cristiane » 151 • Tuttavia gli studiosi hanno ammesso che 150 Rimandiamo al volume Le Origini dello gnosticismo (Colloquio di Messina 1 3-18 aprile 1966), a cura di U. Bianchi, Leiden, 1967. 151 Di un certo numero di recensioni che abbiamo letto riman diamo particolarmente a A. Orbe, Une théologie du judéo-christianisme, in « R. Se. R. », XLVII ( 1959), pp. 544-549; R. A. Kraft, In search of « Jewish Christianity » and Its « Theology », in « R. Se. R. >>, LX ( 1972), pp. 81-82: « In one sense, then, Daniélou's " theology of Jewish Chri stianity " ... seems to be an idealistic abstraction, a purilìed and systema tized distillation of various ideas drawn from a variety of sources, without special regard for the question of whcther any actual person or group of persons ever consciously adhereù to such a " theology" . This " Jewish Christian theology" would be rclated to actual early Chri stians as the Platonic world of ideas is thou ght to be related to the empirica! world ». R. Murray, in « The Heythrop Journal », VI ( 1965), pp. 420 s.,
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linee interessanti del pensiero arcaico cristiano sono state messe in luce dall'illustre studioso. Resta soprattutto il merito indiscusso del Card. Jean Daniélou l'aver attirato l'attenzione sull'esistenza del cri stianesimo di espressione semitica, letteriamente parlando in aramaico o siriaco, delle province orientali della Chiesa antica, che costituisce una delle acquisizioni fondamen tali e il punto di partenza degli studi sul cristianesimo primitivo negli anni a venire. Le intuizioni seminate in questa opera hanno già prodotto una serie di studi sulle origini cristiane; al centro di discussioni e dibat titi, un punto sembra stabilito per La teologia del giu deo-cristianesimo : gli studiosi saranno obbligati a pas sarvi per ulteriori ricerche sulla materia. Dal punto di vista della storia della teologia poi, questa opera dimostra validamente contro l'opinione di A. von Harnack 152 che la speculazione teologica era già in azione prima del tempo degli Apologisti, e quello che piu interessa, era una speculazione che non seguiva le categorie della filosofia greca ma le categorie storiche della rivelazione stessa. I bei capitoli dedicati alla cristologia (VI-IX) pre sentano le insospettate ricchezze delle speculazioni cri stologiche, a dimensione cosmica, dei primi cristiani. Tutti quelli che sono sensibili alla ricostruzione della primitiva tradizione cristiana, nella sua purezza, saranno aiutati egregiamente da quest'opera: è qui il valore maggiore della Teologia del giudeo-cristianesimo del Cardi nale Jean Daniélou. LUIGI CIRILLO Parigi, maggio
1973
scrive: << I cannot believe in Père Daniélou's Judaeo-Christianity as an entity. The subject of his admirable researches is not a theology but a style: it is the midrashic style in ali his forms... This style was the early Church's inheritance from Judaism, and it is well worth studying, but it cannot form the basis for discovering a theological synthesis to which particular groups or individuals can he declared related or unrelated. . . ». m Lehrbuch der Dogmengeschichte, Tiibingen, 1909, I, pp. 502 ss.
Jean Daniélou La teologia del giudeo-cristianesimo
Prefazione
La teologia cnstlana utilizzerà, a partire dagli Apo logisti, gli strumenti intellettuali della filosofia greca. Ma ]n precedenza vi era stata una prima teologia di strut tura semitica. Sinora l'esistenza di tale teologia è rima sta, in generale, sconosciuta. Per esempio Harnack, nella sua opera Lehrbuch der Dogmengeschichte, non se ne occupa. Sembrerebbe che, secondo lui, la teologia sia nata dall'incontro del messaggio evangelico con la filo sofia greca. Ora, questa tesi sembra veramente contesta bile. Noi invece pensiamo che la teologia sia antica quanto la rivelazione e che sin dalle origini questa sia stata oggetto di riflessione e d'approfondimento. L'errore di Harnack può essere spiegato dalla rarità delle testimonianze riguardanti questo primo periodo della storia della teologia. È vero che i documenti lette rari giunti sino a noi sono poco numerosi e sollevano difficili questioni che si sono venute chiarendo a poco a poco; tuttavia, a parte tali documenti, molteplici testi monianze attestano l'esistenza di questa teologia arcaica. Già la Lettera agli Ebrei oppone l'insegnamento elemen tare, dato ai bambini, alla « parola di perfezione » che è rivolta agli « uomini fatti » ( 5 , 1 1- 1 4 ). La stessa distin zione viene ripresa da Ignazio di Antiochia (Ad Trall. , V, 2 ) . Parimenti è a questa teologia arcaica che, secondo noi, fanno riferimento, in seguito, diverse espressioni finora mai poste a confronto, ma che sembrano indicare realtà simili. Papia, Ireneo, Clemente Alessandrino par-
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Prefazione
lano di « tradizioni » che risalgono ai tempi apostolici e distinte dalla regola di fede; la Lettera di Barnaba si propone di iniziare i cristiani formati alla « gnosi dei misteri » ; la Lettera degli Apostoli e l'Apocalisse di Pie tro ci trasmettono dei presunti insegnamenti dati da Cristo dopo la Resurrezione e conservati nella tradizione orale_ La somiglianza di contenuto che le diverse espres sioni sottendono fa ritenere che si tratti di un medesimo dato di partenza, la teologia giudeo-cristiana, come tente remo di mostrare. L'elemento specifico di tale teologia sta nel fatto che essa si esprime nel contesto del pensiero giudaico del tempo, cioè dell'apocalittica. È una teologia visionaria. Non dobbiamo esporne la metodologia, identica a quella del giudaesimo contemporaneo e quindi spiegata nelle opere che lo trattano. Tale metodologia implica conce zioni come quella di « rivelazione » nel senso letterale del termine, cioè di svelamento dei segreti celesti. Questi segreti riguardano il cosmo sacro, le dimore degli angeli, dei demoni e delle anime. Il visionario li percorre durante un'ascensione « con o senza il proprio corpo » : non lo sa. Egli prende ugualmente conoscenza dei libri celesti, che contengono i segreti della storia. L'essenza della fede cristiana consiste nell'affermare che soltanto Cristo ha oltrepassato il velo e che egli solo ha aperto i sigilli del libro. Ma questa affermazione viene sviluppata dalla teologia giudeo-cristiana per mezzo di categorie che appartenevano all'apocalittica. In questo primo volume cercheremo di raccogliere gli elementi sparsi di questa teologia giudeo-cristiana. Il nostro studio ha un interesse storico nella misura in cui illumina un periodo particolarmente oscuro della storia del cristia nesimo. E neppure è necessario dire quale elemento pre zioso rappresentino le scoperte del Mar Morto e di Nag Hammadi. Parimenti siamo debitori nei confronti dei lavori recenti di Schoeps, Cullmann, Goppelt, Dix e molti altri. Ma l'interesse di questa ricerca non è soltanto sto-
Prefazione
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rico. Essa dimostra che il cnstlanesimo, prima di mani festarsi con i concetti del mondo ellenistico, ha cono sciuto un'espressione semitica che persiste ancora nel cristianesimo siriaco, il quale si pone per molti aspetti sul prolungamento del giudeo-cristianesimo. D'altra parte il carattere visionario, iconologico, di questa teologia fa si che essa si sia conservata in modo sorprendente nella tradizione liturgica e archeologica, nella quale sopravvi vono parecchi elementi apocalittici. Infine, data l'origine semitica dei vocaboli impiegati, questa teologia si trova in continuità con l'ambiente biblico e può ancora oggi prestarsi ad alcuni ressourcements.
}EAN DANIÉLOU
Premessa all'edizione italiana
Dopo l'apparizione, nel 1 958, della mia Théologie du Judeo-Christianisme, le ricerche sul giudeo-cristianesimo si sono moltiplicate. Nel loro insieme esse hanno confer mato le tesi che avevo proposto - che non ho dovuto perciò modificare - ma hanno portato delle precisa zioni e dei complementi. Ho approfittato della pubbli cazione della traduzione italiana per aggiornare il libro, il quale si presenta perciò come una nuova edizione rive duta e completata. Gli aggiornamenti riguardano innanzitutto la biblio grafia. Senza pretendere di essere esaustivo, l'ho comple tata, sia dal punto di vista delle edizioni che degli studi critici. Il capitolo sul giudeo-cristianesimo eterodosso è stato sviluppato in seguito alla pubblicazione dei testi gnostici di Nag Hammadi, i quali portano una conferma alla mia tesi sulle fonti giudaiche dello gnosticismo. Infine i capitoli sui sacramenti e la comunità presentano importanti complementi. Peraltro ho avuto occasione dopo il 1 958 di discu tere nel mio Bulletin d'histoire d es origin es chrétiennes, che compare annualmente in « Recherches de Science Re ligieuse », la maggior parte delle opere riguardanti il giudeo-cristianesimo. Si troverà una bibliografia di que sti rendiconti, cosi come delle mie altre pubblicazioni sul giudeo-cristianesimo, nei numeri di gennaio e agosto 1 972 di questa stessa rivista, interamente dedicati al giudeo-cristianesimo 1 • J. D. 1
«
RSR », LX ( 1972), pp. 1-1 60 e 162-327.
Indice delle abbreviazioni
Riviste
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11 Collezioni ACW
Ancient Christian Writers, a cura di J. Quasten e J. C. Plumpe, Westminster, London, 1946 ss.
CSEL
Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, Wien, 1866 ss.
GCS
Die griechischen Schri/tseller der erstendrei ]ahrunderte, Leipzig, 1 897 ss.
PG
Patrologia graeca, a cura di J. P. Migne, Paris, 1857-1866. Patrologia latina, a cura di J. P. Migne, Paris, 1878-1890.
PL PO
Patrologia orientalis, a cura di R. Graffin e F. Nau, Paris, 1903 ss.
PS
Patrologia syriaca
SC
Sources chrétiennes, a cura di H. de Lubac e J. Daniélou, Paris, 1941 ss.
TS TU
Texts and Studies, Cambridge, 1891 ss. Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristliche Literatur. Archiv. fiir die griechisch-christlichen Schrifts teller der erstendrei ]ahrhunderte, Leipzig-Berlin, 1882 ss.
Lessici DACL
Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie
RAC
Reallexikon fiir Antike und Christentum
TWNT
Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament ( trad. it., Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia, 1965 ss. )
Manoscritti del Mar Morto CDC
Documento di Damasco
DSD
Manuale di disciplina
DSH
Midrash di Abacuc
DST
I nn i
DSW
Combattimento tra i figli delle tenebre e i figli della luce
di rendimento di grazie
Parte prima
Le fonti
Capitolo primo
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
Scopo di questo lavoro è la ricostruzione del pensiero del giudeo-cristianesimo. Difatti tra il Nuovo Testa mento e gli inizi della teologia ellenistica, quale essa appare negli Apologisti, corre un periodo intermedio la cui fisionomia ci è poco nota. La causa sta nel fatto che le opere in cui esso si esprime sono in gran parte perdute, perché rappresentavano un'espressione imperfetta che ha lasciato il posto ad opere piu complete, e contemporanea mente perché, essendo d'altronde quasi completamente scomparso l'ambiente che esse esprimevano, cioè il cri stianesimo di struttura semitica - siriaca, per dirla con G . Dix - è pure cessato l'interesse per le opere in cui si manifestava. Tuttavia il progresso delle ricerche com piute da circa mezzo secolo ha permesso di recuperare una parte della sua eredità letteraria. Questo primo capitolo è dedicato a precisare in che cosa consista tale eredità. ll
giudeo-cristianesimo
Anzitutto converrà stabilire che cosa intendiamo per giudeo-cristianesimo. Il termine può essere inteso se condo tre diverse accezioni. In primo luogo può indi care dei giudei che hanno riconosciuto nel Cristo un profeta o un messia, ma non il Figlio di Dio, e che costi tuiscono cosi un gruppo intermedio tra giudei e cristiani. In particolare è il caso degli Ebioniti, ai quali H. J. 6
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Le fonti
Schoeps ha dedicato il suo libro Theologie und Geschichte des ]udenchristentums. Ma non vi sono soltanto gli Ebioniti. Bo Reicke 1 ha sottolineato l'influenza esercitata dalla propaganda giudaica tra il 40 e il 70 presso le giovani comunità cristiane. Essa era collegata all'efferve scenza politica e messianica che allora agitava il mondo ebraico. Reicke ritiene di individuarla nei diversi gruppi con i quali si è scontrato Paolo a Corinto, a Colossi, o in Galazia. In ogni caso l'influenza di un messianismo giudaico di questo tipo è riscontrabile nel millenarismo materialista di Cerinto, che rappresenta un giudeo-cri stianesimo eterodosso di tendenza zelota, mentre l 'ebio nismo deriva da un gruppo esseno. Questo giudeo-cristianesimo, accanto a tali gruppi di stretta osservanza giudaica, ne presenta altri a tendenza sincretistica, nei quali sembra proprio che dapprima sia nato il dualismo gnostico. Antecedentemente all'ellenizza zione compiuta da Basilide e Valentino, il dualismo ha preso forma anzitutto in comunità giudeo-cristiane, certa mente influenzate dall'Iran. È il caso, sembra, di Cerdone e Carpocrate, ad Antiochia. Senza dubbio si tratta anche dell'ambiente in cui si è formato Simon Mago, antenato di Marco il Mago. Vi è pure una setta in cui si mesco lano ebionismo e gnosticismo : sono i discepoli di Elcasai, gli Elcesaiti, la cui comparsa è posta da Eusebio sotto Traiano. Tutti questi gruppi sono derivati da sette giu daiche eterodosse e sincretistiche. In secondo luogo per giudeo-cristianesimo si può intendere la comunità cristiana di Gerusalemme, domi nata da Giacomo, con tutte le tendenze che la caratte rizzano. La Scuola di Tubinga ha avuto il merito di cogliere l'opposizione tra questa tendenza e quella di Paolo, ma vi aveva erroneamente collegato Pietro che è assai piu vicino al cristianesimo della missione. L'am biente è perfettamente ortodosso, ma rimane fedele a certe consuetudini giudaiche, senza peraltro imporle ai 1 Diakonie, Festfreude und Zelos, Uppsala, 1 951, pp. 233-368.
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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proseliti provenienti dal paganesimo. È questo gruppo che M. Simon, in Verus Israel, designa come giudeo cristianesimo. È merito di S. G. F. Brandon la dimostra zione che sino al 70 il prestigio della Chiesa di Gerusa lemme e di Giacomo è stato considerevole, che Paolo ha dovuto lottare per far valere le sue opinioni, e che soltanto dopo la caduta di Gerusalemme l'atteggiamento paolino si è imposto definitivamente 2• G. Dix ha retti fìcato acutamente la tesi del Brandon, determinando esat tamente l'unità di fondo che non ha mai cessato di esi stere malgrado le differenze 3• J. Munck, al contrario, va troppo lontano nel contestare l'esistenza di questo giu deo-cristianesimo 4 • Dopo la caduta di Gerusalemme questi giudeo-cristiani sono lentamente scomparsi. G. Dix ha collegato ad essi, chiamati talvolta Nazareni, la Lettera di Giuda 5 • Hanno pure scritto, in aramaico, il Vangelo degli Ebrei. Restano fedeli ad una teologia arcaica, ma, a differenza degli Ebio niti, essi credono alla divinità di Cristo. Questo gruppo, escluso da Gerusalemme con gli altri Giudei, si è fossi lizzato : alcuni dovettero riunirsi agli Ebioniti, mentre altri si fusero con le comunità ellenistiche. Ad essi, senza dubbio, deve attribuirsi la missione verso l'Oriente, in Osroene, in Adichene, in Arabia e, forse, la prima evan gelizzazione dell'Egitto. Giustino ne ha incontrati ancora in pieno secondo secolo. È possibile che la loro comunità sia sopravvissuta a lungo nella Siria orientale. Si può infine chiamare giudeo-cristianesimo una forma di pensiero cristiano che non implica l'esistenza di legami con la comunità giudaica, ma che si esprime entro un quadro d'estrazione giudaica. Il termine assume allora un significato molto piu ampio: abbraccia tutti i gruppi di cui abbiamo sinora parlato; comprende inoltre perG. F. Brandon, The Fall of ]erusalem and tbe Christian 2 S. Cburch, London, 195 1 , pp. 126-154. 3 G. Dix, ]ew and Greek, London, 1953, p. 66. 4 J. Munck, ]ewi;·h Christianity in Post Apostolic Times, in << JTS » , V I ( 1960), pp. 103-116. s G. Dix, ]ew and Greek, cit., p. 65.
Le fonti
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sone che hanno rotto completamente con l'ambiente giu daico, ma che continuano a pensare nelle sue categorie 6 • Cos{ l'apostolo Paolo, se non è giudeo-cristiano nel se condo significato che abbiamo attribuito al termine, lo è in questo terzo senso. È il giudeo-cristianesimo dei cri stiani provenienti dal giudaesimo, ma anche dei pagani convertiti. Una legge della missione infatti è l 'esistenza di uno scarto considerevole tra il radicarsi del Vangelo presso un nuovo popolo e il suo esprimersi nella cultura di quel popolo. Da tre secoli vi sono cristiani in India e cristiani indiani, ma non esiste ancora una teologia cri stiana con una struttura indiana. Spetta a L. Goppelt il grande merito di aver mo strato in Christentum und ]udentum l'importanza di questa terza forma di giudeo-cristianesimo. Sino alla metà del secondo secolo il cristianesimo, sparso in tutto il bacino del Mediterraneo, mantiene una struttura giudaica. Che cosa dobbiamo intendere con questo? Goppelt mo stra chiaramente che giudaesimo può significare tre cose : anzitutto l'uso dell'Antico Testamento, ma ciò appar tiene all'eredità cristiana in quanto tale; poi lo Spatju dentum, cioè il giudaesimo contemporaneo a Cristo, quello dei Farisei, degli Esseni e degli Zeloti : è il giu daesimo nelle cui forme cominciò a esprimersi il cristia nesimo nascente e in cui continua a tradursi nel nostro tempo; infine il giudaesimo rabbinico, legalista a partire dalla caduta di Gerusalemme: quello che ha avversato il cristianesimo e da cui è stato a sua volta combattuto. Qui dunque noi intendiamo per giudeo-cristianesimo l'espressione del cristianesimo nelle forme dello Spatju dentum. Quest'ultimo, d'altra parte, aveva molteplici aspetti che si ritroveranno nel giudeo-cristianesimo : vi è il giudeo-cristianesimo palestinese, di tendenza alquanto farisaica e legalista, di cui prima abbiamo parlato; vi è la corrente apocalittica e messianica deIl' Asia Minore, di tendenza piuttosto zelota; è presente l'influsso esseno 6 I bidcm, pp. 55-59.
L-'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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che appare a Roma nel Pastore di Erma e a Edessa nelle Odi di Salomone; vi è persino un'influenza rabbinica nella Chiesa siriaca orientale di lingua aramaica. Lascio da parte l'influenza di Filone, appartenente ad un giu daesimo che dipende dalle categorie della filosofia greca. Con tutto ciò non è ancora detta l'ultima parola sugli influssi giudaici presenti nel cristianesimo. M. Simon ha dimostrato che il giudaesimo era rimasto vivo e attivo sino al quarto secolo 7 : con le nuove forme che allora assunse, particolarmente nella letteratura haggadica, ha influito sugli scrittori cristiani. Giustino è stato in con tatto col giudeo Trifone; Origene ha consultato dei rab bini e ne ha tratto delle interpretazioni esegetiche; in modo particolare la letteratura siriaca, con Eusebio di Emesa o con Efrem, è nutrita di haggada giudaica. Ma non si tratta piu, allora, che di apporti secondari, di tradizioni giudaiche incorporate in un contesto che non lo è piu. Perciò questo periodo va oltre quello che stiamo studiando. Ritornando ad esso, constatiamo, malgrado la diver sità delle correnti, l'esistenza di una mentalità comune. Vi è dunque una teologia cristiana originaria, di espres sione giudaica, semitica. L'oggetto del nostro studio è esattamente questa teologia. Essa copre il periodo comu nemente chiamato dei Padri Apostolici, se non sempre cronologicamente, almeno morfologicamente. È possibile arrivare a conoscere questa teologia? Rimangono docu menti che ce la facciano conoscere oppure si è quasi completamente estinta? Vorremmo dimostrare che esiste la possibilità di ricostruirla. La nostra ambizione sarebbe di fare per il giudeo-cristianesimo ortodosso ciò che H. J. Schoeps ha fatto per il giudeo-cristianesimo eterodosso. Ma la prima cosa da farsi, ora, è la ricostruzione dell 'ere dità letteraria del giudeo-cristianesimo. Le fonti della teologia giudeo-cristiana possono essere raggiunte in parecchi modi. Anzitutto vi sono le opere, 7 M. Simon, Verus Israel, Paris, 1964, p. 14.
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Le fonti
che ci sono state conservate, proprie di un certo tipo di pensiero giudeo-cristiano. Esse pongono problemi di varia natura che dovremo esaminare. In secondo luogo esi stono le testimonianze dirette, cioè l'attribuzione espli cita di determinate dottrine alla comunità primitiva da parte di autori posteriori : il che pone il problema delle tradizioni dei presbiteri, che incontriamo in Ireneo e in Clemente Alessandrino. Vi sono infine le testimonianze indirette, costituite dalla presenza presso scrittori non giudeo-cristiani di dottrine che possiamo attribuire al giudeo-cristianesimo. Questi autori possono essere orto dossi : è il caso di Giustino, di Ireneo, di Ippolito, di Metodio, per non parlare che dei principali. Ma troviamo pure autori eterodossi: qui nasce la questione, di cui ci occuperemo espressamente, della utilizzazione di elementi della teologia giudeo-cristiana arcaica da parte degli Gnostici.
Apocrifi dell'Antico Testamento Il primo problema è quello delle opere che possiamo attribuire al giudeo-cristianesimo. Quali criteri possiamo adottare? Il primo è cronologico. Il periodo giudeo cristiano si estende dalle origini del cristianesimo a circa la metà del secondo secolo : si pone pertanto un pro blema di datazione. Il secondo criterio riguarda il genere letterario. Dopo le scoperte di Qumràn conosciamo meglio la letteratura dello Spatjudentttm. Siamo in grado quindi di determinare quali opere cristiane sono composte se condo le sue norme. Infine il criterio dottrinal e : il giu deo-cristianesimo si esprime secondo peculiari categorie, in particolare quelle dell'apocalittica; possiamo ricono scere nelle opere cristiane i temi che appartengono a tali strutture. Questi criteri diversi non sono tutti validi per ogni opera : dovremo utilizzare, volta per volta, gli uni o gli altri . La prima serie di opere che incontriamo comprende
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un certo numero di scritti di cui si deve sapere non tanto se sono d'origine giudaica ( ciò è evidente), ma se sono cristiani e in qual misura. Mi riferisco ad un gruppo di apocrifi dell'Antico Testamento nei quali è difficile non riconoscere lineamenti cristiani. Ciò riguarda, in parti colare, tre di essi : l'Ascensione d'Isaia, il II Henoch e i Testamenti dei XII Patriarchi. Lo sfondo giudaico di queste opere è certo: sono tipiche dello Spatjudentum, in quanto contengono forme letterarie - visioni, ascensioni, testamenti - che gli sono proprie. Inoltre sono lettera riamente collegate ad opere giudaiche note: il Il Henoch al I Henoch, i Testamenti ai Giubilei, l'Ascensione d'I saia alle narrazioni dei martiri dei Profeti. Il problema posto da tali opere consiste dapprima nel saper discernere ciò che proviene dal giudaesimo da ciò che è cristiano: è un punto importante, perché ri guarda il contributo originale del cristianesimo. Ed è anche un punto difficile. Le scoperte di Qumran hanno dimostrato ancor meglio l'affinità di certe rappresenta zioni paleocristiane con quelle delle apocalissi giudaiche. Peraltro, una volta ammessi e riconosciuti gli apporti cristiani, si pone il problema - secondario, ma reale di sapere se si tratta di interpolazioni cristiane presenti nelle opere giudaiche o di opere cristiane che utilizzano materiale giudaico. La seconda ipotesi ci porrebbe di fronte ad autentici scritti giudeo-cristiani, dovuti a cri stiani ancora profondamente inseriti nel giudaesimo. Il testo che permette la soluzione piu chiara è l'Ascensione d'Isaia 8• L'opera, certamente cristiana, la possediamo integralmente soltanto nella versione etiopica. Comprende, com'è noto, tre parti: il martirio d'Isaia fa parte dell'haggada giudaica e piu particolarmente delle narrazioni dei martiri dei Profeti; il testamento d'Eze chia è una profezia che riguarda il Cristo, la Chiesa e la fine dei tempi; la visione d'Isaia è una rivelazione fatta B In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III: Lettere e Apocalissi, Torino, 1969.
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Le fonti
da un angelo a Isaia: riguarda il mondo celeste e la sua traversata da parte del « Diletto », la sua discesa e la sua risalita. Quest'ultima parte appartiene ad un genere letterario di visioni tipico dell'apocalittica, ove il mondo celeste e i suoi segreti sono manifestati da un veggente nel corso di un'ascensione celeste durante la quale è assistito da un angelo. Essa costituisce uno dei docu menti piu caratteristici della letteratura giudeo-cristiana. Il carattere arcaico del testo è confermato da molte plici aspetti. La presenza dei profeti, menzionata accanto a quella dei pastori e dei presbiteri ( III, 27 ), costituisce una componente giudeo-cristiana che si ritrova nella Didachè e nel Pastore. La teologia trinitaria è di strut tura angelologica. La Resurrezione è descritta in termini molto prossimi al Vangelo di Pietro ( 1 5- 1 7 ). Certi aspetti permettono una precisione ancora maggiore. Il testo rife risce che la discesa e la natività del Diletto sono rimasti nascosti « ai cieli e a rutti i principi e a tutti gli dèi di questo mondo » (XI, 1 6 ). Questa frase sembra proprio la fonte di un passo di Ignazio di Antiochia: « Al prin cipe di questo mondo rimase nascosta la verginità di Maria e anche il suo parto » (Ad Eph. , XIX, l ) 9• Le lettere di Ignazio sono dell'inizio del secondo secolo; l'Ascensione d'Isaia va quindi datata alla fìne del primo. Un altro particolare permette una datazione analoga. Per l'autore la fìne del mondo è vicina; essa deve essere preceduta dalla venuta dell'Anticristo ( IV, 2 ), il quale è atteso sotto forma di una reincarnazione di Nerone : « Beliar ... verrà giu dal suo firmamento sotto l'aspetto di un uomo, re iniquo, matricida » ( IV, 2) . Ciò si ritrova negli Oracoli sibillini ( IV, 1 2 1 ) ed anche, senza dubbio, nell'Apocalisse di Giovanni ( 1 3 , 3 e 1 7, 8 ) 10• Poiché Nerone è morto nel 68, questa credenza nel suo ritorno non può situarsi che poco tempo dopo. D'altra parte l'Apocalisse non può essere molto posteriore alla morte � I n I Padri Apostolici, a cura di G . Corti, Roma, 1966. 1 0 S . Gie t , La guerre des Juifs de Flavius ]osèphe et quelques •'ni[l.llll'J dc l'Apocalypse, in « RevSR », XXVI ( 1952), pp. 18-22.
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di Nerone. L'Ascensione d'Isaia deve quindi essere si tuata nella stessa epoca, solo un po' piu tardi, certa mente tra 1'80 e il 90. Resta il problema dell'ambiente geografico e religioso in cui situare l'opera, che è veramente tipica dell'apoca littica giudeo-cristiana palestinese. D'altra parte non ha i tratti caratteristici dell'ambiente asiatico : il suo mille narismo è molto attenuato ( IV, 1 6 ) . Viene quindi da pensare al centro in cui sembra si siano raccolti i giudeo cristiani soprattutto dopo il 70, cioè ad Antiochia 1 1 • Lo si deduce proprio da queste speculazioni sul mondo cele ste a cui Ignazio allude quando scrive: « Io stesso quan tunque sia incatenato e possa intendere le cose celesti, le gerarchie ( 't'O'ltoeEaùx.ç) angeliche, le schiere dei princi patì, non per questo sono un vero discepolo » (Ad Trall. , V, 2 ). La dottrina dei sette cieli, che è estranea all'apo calittica giudaica palestinese e che compare nell'apocalit tica giudeo-cristiana, sembra un'influenza siriaca che ritro veremo nei Testamenti. Quanto al contesto religioso, non vi è motivo di vedere influssi esseni caratterizzati. Il riferimento ad un demone come Beliar ( IV, 2 ) appartiene in quel momento al giudaesimo comune. Il clima è perciò quello del giu daesimo comune - o piu esattamente della gnosi giu daica - cioè della conoscenza dei misteri celesti, che ne costituisce il carattere specifico . D'altronde questo non implica alcun carattere eterodosso. Nel libro non v'è traccia di gnosticismo ; e la sua teologia della Trinità e dell'Incarnazione è arcaica, ma non eretica. L'interesse dell'opera risiede dunque nel fatto che ci pone di fronte ad una prima gnosi, cioè ad una prima teologia cristiana le cui forme d'espressione sono prese a prestito dall'apo calittica giudaica. Si tratta quindi di una fonte assai importante per la nostra ricerca. Il problema posto dai Testamenti dei XII Patriarchi è piu delicato, in quanto lo scritto contiene allusioni cri11
L. Goppelt, Christentum und ]udentum, Giitersloh, 1954, p. 177.
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Le fonti
stiane meno esplicite, anche se si può discutere per sta bilire se certi brani siano giudei o cristiani. Ma, soprat tutto, si pone un problema relativo all'opera nel suo insieme. La maggior parte degli autori, in particolare R. H. Charles, la considera giudaica; i cristiani poi vi avrebbero fatto delle interpolazioni 12 • Generalmente essa viene datata al primo secolo avanti Cristo. La presenza di certe dottrine caratteristiche, i due spiriti, i Messia provenienti da Giuda e da Levi, la visita ( È'ltL> , LXVI I ( 1960), pp. 516-550.
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m enti fanno parte della nostra documentazione sulla teo logia giudeo-cristiana. Il carattere giudaico assai marcato dell'opera com porta una data antica. In particolare è da notare il carat tere molto arcaico della cristologia e della teologia trini taria, influenzata dall'angelologia 16 • Vi è poi un episodio che permette una datazione piti precisa. L 'autore parla dell'abbandono del Tempio di Gerusalemme da parte dell'angelo della presenza 17 ; il che sembra dipendere da quanto scrive Giuseppe Flavio a proposito della caduta di Gerusalemme nel 70 ( Bel!. ]ud. , VI , 5, 3 ) e che sarà ripreso da Tacito (Hist. , V, 3 ). La redazione non deve dunque essere molto posteriore alla caduta di Gerusa lemme e alla narrazione di Giuseppe. D'altronde il tema non presenta ancora la forma che assumerà in Melitone (Hom. Pasch. , 98), che dipende dai Testamenti, ma si collega esplicitamente alla Passione di Cristo secondo Mt. 27, 5 1 . L 'ambiente geografico, effettivamente, sembra ancora la Siria. Troviamo, almeno in certe recensioni, la dot trina dei sette cieli 18 : sembrerebbe una modificazione in contesto siriano della dottrina arcaica dei sette cieli; il che lascerebbe supporre una redazione piti antica, già giudeo-cristiana ma in ambiente palestinese, prima del 7 0 . È evidente che il testo ha avuto parecchie redazioni. D 'altra parte il Testamento di Levi contiene una descri zione dell'iniziazione battesimale in cui l'unzione con l 'olio precede il battesimo 19; un ordine, normale nella liturgia giudeo-cristiana 20 , che si ritrova nella liturgia siriaca posteriore 21• Quanto all'ambiente religioso, qui si tratta ancora 1 6 R . de Jonge, The Testaments of tbe XII Patriarchs , cit . , pp. 92-93. 17 Ibidem, pp. 123-124. 18 Ibidem, pp. 47-51 .
1 9 T. W . Manson, Miscellanea Apocatyptica, I I I , in « JTS >> , XLVIII ( 1947), pp. 59-61. 2 0 G. Dix, The Seal in the Second Century, in « TH >> , LI ( 1948), p . 7.
21
R.
de Jonge,
Tbe Testaments of the XII
Patriarchs, cit., p.
128.
Le fonti
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di un giudeo-cristianesimo ortodosso, ma che sembra effet tivamente quello degli Esseni convertiti. Abbiamo già messo in risalto molteplici aspetti che, in questo senso, sono caratteristici. In particolare si noterà la posizione occupata dalla dottrina dei due spiriti, che ritroviamo in altre opere giudeo-cristiane influenzate dall'essenismo, specialmente la Didachè e il Pastore di Erma. Vorrei sottolineare soltanto un altro aspetto. L'autore dei Testa menti utilizza, per applicarli al Cristo, dei Testimonia che sembrano proprio d'origine essena, in particolare Num. 24, 1 7 : « Un astro spunterà da Giacobbe » , che com pare molte volte nei manoscritti di Qumràn (in partico lare CDC, VIII, 1 9 ). Pur essendo vicino al gruppo giu deo-cristiano da cui ha avuto origine l'Ascensione d'Isaia, l 'ambiente al quale si collegano i Testamenti ci sembra avere un orientamento un po' diverso, meno gnostico e piu fedele all'essenismo classico. Di recente è stata avanzata la proposta di collegare il II Henoch al medesimo gruppo, che, secondo M. Vail lant 22 , avrebbe adattato la letteratura henochiana alla propaganda cristiana, come già gli autori degli Oracoli sibillini cristiani avevano fatto per gli Oracoli sibillini giudaici . Ma le argomentazioni del Vaillant per suffra gare la sua tesi non sono tutte dello stesso valore. In primo luogo, nel fatto che gli Egregori, i Vigilanti che hanno peccato con le figlie degli uomini siano riconciliati e posti al quinto cielo, egli vede la traccia di una teo logia cristiana piu misericordiosa di quella del I Henoch, che li mostrava incatenati in una regione inferiore del cielo, in attesa del giudizio definitivo ( p. X ). Tale ricon ciliazione di angeli ribelli sarebbe un fatto nuovo, ma in realtà non sembra che sia cosi. Gli Egregori del quinto cielo non hanno peccato ed Henoch non deve riconci liarli, ma soltanto incoraggiar li; quelli che hanno peccato 22 Le livre des secrets d'Hénoch , Paris, 1 952, pp. XII-XIII . La tesi è contestata da M. Phi!onenko, La cmmogonie du Livre des Secrets
d'Hénoch, in Religions en Egypte pp. 1 09-1 16.
bcllénistique
et romaine, Paris, 1969,
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si trovano effettivamente in prigione nel secondo cielo in attesa del Giudizio definitivo. Unico scopo dell'autore è stato quello di conciliare la caduta degli Egregori del I Henoch con l'affermazione dell'esistenza di Egregori non colpevoli in Dan. 4 , 1 0 e 1 4 . Non vi è quindi un'impronta propriamente cristiana. Pure contestabile è l'affermazione di M. Vaillant, che oppone l'Henoch giudeo, modello di penitenza, all'He noch cristiano, annunciatore della Buona Novella (p. X). In realtà l'Henoch modello di penitenza non è l'Henoch giudaico, ma l'Henoch ellenistico di Eccli. 44, 15, di Sap. 4, 2, di Filone (De Abrah. , 1 7 ). L'Henoch giudaico è messaggero di segreti divini, ed è quello del II Henoch come del I Henoch. Giungiamo a ragioni maggiormente valide con l'espressione di « luogo preparato » ('JÌ-to� (J.WTIJ.Évov) ( IV, 1 9 ). M. Vaillant l'accosta a Mt. 25, 34. Si potrebbe aggiungere Apoc. 12, 6 e Giov. 14, 2-3 . Essa compare inoltre nel Test. Levi, III, 2 ; sembra quindi caratterizzare l'apocalittica giudeo-cristiana. Ana logamente il paragone tra le beatitudini di XXII , 6- 1 6 e quelle del Vangelo ha il valore di un indizio. Con la narrazione della nascita di Melchisedec abbiamo a che fare con un argomento molto piu deci sivo. L'autore racconta che Sofonim, moglie di Nir e sorella di Noè, concepf il bambino nella sua vecchiaia « senza aver dormito con suo marito » (XXXIV, 10-1 1 ). Il bambino nacque poi miracolosamente. M. Vaillant scrive che « l'imitazione del racconto della nascita di Cristo è flagrante » (p. XI ). Si può aggiungere che l'epi sodio del fanciullo Melchisedec perseguitato ( XLI, 22) ricorda quello di Gesti bambino braccato da Erode . La nascita di Noè alla fine del I Henoch è altrettanto mira colosa, ma non si parla di concepimento verginale 23 • Sembra quindi veramente che qui vi sia una proiezione della nascita verginale di Cristo nella storia di Melchi23 Cfr. anche il concepimento di Noè, attribuito da Lamech ai Vigi lanti nel Commento della Genesi scoperto a Qumriìn (A Genesis Apo cryphon, Jerusalem, 1956, col. II, 1 ).
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sedec. La tesi è tanto piti verosimile se si considera che la Lettera agli Ebrei aveva paragonato la generazione di Melchisedec a quella di Gesti, dicendo che Melchisedec era senza padre ( 7, 3 ). Peraltro il II H enoch mostra Melchisedec nascosto in Paradiso che compare nel mondo « per essere capo dei sacerdoti di un'altra stirpe » (XLI, 3-4 ). Ci(> ricorda l'opposizione tra il sacerdozio di Aronne e quello di Melchisedec nella Lettera agli Ebrei. Sembra dunque che, in questo caso, si tratti di un tema specifi camente cristiano. Occorre aggiungere che un altro argomento, non addotto dal Vaillant, conferma la sua tesi. Si tratta del confronto con l'Ascensione d'Isaia, che presenta molti punti di contatto col II Henoch. In entrambi l 'entrata del veggente nel settimo cielo è contrastata dagli angeli ed è autorizzata da Dio (Asc. , IX, 1 -2 ; II Hen . , XII, 4 ) ; i l veggente vede soprattutto una luce meravigliosa e innu merevoli angeli (Asc. , IX, 6 ; II Hen. , XI, 1 -2 ); l'angelo Gabriele, che sta alla sinistra di Dio, lo rincuora (Asc. , IX, 39; II Hen., XI, 15 e XIV, l ); gli sono comunicati i libri del destino (Asc. , IX, 2 1 -22 ; II Hen. , XIII, 4-7 ) ; a quelli che entrano nel cielo vengono donati gli abiti di gloria (Asc. , IX, 2 ; II Hen . , XII , 1 5- 1 6 ). Inoltre il racconto della nascita di Gesti in Asc. è molto vicino a quello della nasci ta di Melchisedec in II He n. ( Asc. , XI, 8; II Hen., XXXIX, 1 ). Sembra proprio che l 'opera presenti certi aspetti deri vati dalla teologia giudeo-cristiana. Il primo è la conce zione dell'ascensione corporale dei giusti in Paradiso prima del giudizio, non reperibile nell'apocalittica giu daica ove le ascensioni sono soltanto viaggi celesti prov visori. Invece il Il Henoch ha questa teoria ( XXIII, 18 ), come pure l'Ascensione d'Isaia ( IX, 28 ) . Essa riappare nelle Ree. Clem. , I , 52, negli Anziani ( Presbyteres) 24 : ivi il carattere giudeo-cristiano è evidente. Altra dottrina giudeo-cristiana è la rappresentazione del Verbo e dello 24
l reneo, Adv. haer. , V, 5, l .
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Spirito per mezzo di angeli superiori. Nell'Ascensione d'Isaia Gabriele è equiparato allo Spirito Santo (VII , 2 3 ; VIII, 1 4 ; IX, 3 5 ): una nota distintiva che troviamo anche nel II Henoch ( XI, 1 5 ; XII, 1 2 ). Tutto ciò permette di concludere che il II Henoch deve essere considerato opera di un giudeo-cristiano. La sua data è certamente posteriore all'Ascension e d'Isaia : forse la fine del primo secolo 25• Anche l 'ambiente è senza dubbio quello siriaco. Nell'opera troviamo in particolare la dottrina dei sette cieli, che l'apparenta all'Ascens io ne d'Isaia e ai Testamenti. È un aspetto caratteristico del l'apocalittica giudeo-cristiana siriaca. L'opera proviene da un gruppo che è pure quello da cui è uscita l'Ascen sione. Al medesimo gruppo si deve far risalire la Preghiera di Giuseppe, un'opera citata a piu riprese da Origene 26• Schiirer pensava che si trattasse di un apocrifo giudaico, ma Resch ne ha dimostrato in modo decisivo il carattere giudeo-cristiano 27 • Studieremo i due principali frammenti rimastici. Qui sarà sufficiente sottolineare un'osservazione di Resch. In questo apocrifo incontreremo l'espressione 'ltVEU!J.CX &.pxtx6v attribuita al settimo angelo. Ora Epifa nio cita degli eretici giudeo-cristiani chiamati 'Apxov ·nxoL 28 • Costoro hanno il libro santo, la I:u(J.q>ovLcx, in cui si parla dei sette cieli e dei loro angeli. D'altra parte questi eretici, sempre secondo Epifanio, utilizzano la Ascensione d'Isaia ( Pan. , XL, 2 ). Sembra che la Preghiera di Giuseppe e l'Ascensione d'Isaia appartengano allo stesso gruppo : anche la prima parla dei sette cieli. Avremo modo di far notare altre somiglianze. L'Ascensione e la Preghiera erano dunque
25 Cfr. M. Philonenko, La cosmogonie du Livre des Secrets d'Hé noch, cit., p. 109. 26 Comm. in ]oh., I, 3 1 ; II, 3 1 ; Comm. in Gen. in PG, 12, 73 B, 81 B; Hom. in Num. , XVII, 4. 27 A. Resch, Agrapha (in TU, 30, 3-4), Leipzig, 1906, pp. 296-297. 28 Cfr., su questa setta, H. C. Puech, Archontiker, in RAC, I , 634-646. ,
Le fonti
)0
opere arcaiche accettate dai giudeo-cristiani. Resch ha rilevato un certo numero di elementi che peraltro atte
ltano il carattere cristiano della Preghiera. Si osserverà ID pa rt icol are l'espressione xcx"tÉ91']v bd -t'l)v yfjv che ri corda la dottrina della discesa del Diletto nell'Ascen lione. Vedremo in seguito l'importanza dell'opera per la teologia trinitaria giudeo-cristiana. E necessario accostare alle opere di cui ci siamo oc cupati gli Oracoli sibillini giudeo-cristiani. Effettivamente ci troviamo davanti ad un caso del tutto parallelo, cioè di rimaneggiamenti cristiani di opere giudaiche o di com posizioni cristiane direttamente ispirate a prototipi giu daici. La raccolta degli Oracoli a noi pervenuta ci fa se guire le tappe di un simile sviluppo. Secondo lo studio di J. Geffcken 29 completato da A. Kurfess 30, i libri III e IV sono giudei, i libri I, II e V sono giudei rimaneggiati da dei cristiani, i libri VI, VII e VIII sono opere giudeo cristiane dell'epoca che stiamo studiando. Lasciamo da parte gli altri libri che sono di un'epoca posteriore. Il genere è parallelo alle Apocalissi, ma al posto di Henoch o di Noè qui sono le Sibille ad annunciare gli avvenimenti escatologici. Il libro V ha un carattere giudaico molto accentuato. Tuttavia Geffcken vi riscontra molteplici passaggi palese mente cristiani, in particolare sulla nascita di Cristo ( 256269 ) . Interpolata o composta da un cristiano, si tratta dunque, sotto la forma i n cui ci è pervenuta, di un'opera giudeo-cristiana. La sua caratteristica , che la differenzia notevolmente dalle apocalissi preceden t i , è la violenta osti lità contro Roma . Sono gi udeo-c r i s t i an i molto vicini ai Giudei c che ne condividono il risentimento contro Roma, a causa della caduta di Gerusalemme. L'opera quindi non
N
f;.omprJJition und J:ntsft•bui/R,szril Ja Oracula Sibyllina, Leipzig,
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f.'hri1tlu hr· Sih1•llim·n,
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s,hnccmelcher, Neutesta Ttibingen, 1959-62,
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pp. 4'JK �2K.
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31
deve essere molto posteriore a questo avvenimento. Geff cken la pone sotto Domiziano o Nerva 31 • Per mezzo degli indizi geografici Geffcken dimostra che la regione d'origine sembra proprio l 'Egitto 32• Ciò comporta un'importante conseguenza per le origini della Chiesa giudeo-cristiana d'Egitto, che rimangono molto oscure. Infatti la violenza antiromana, che non si riscon tra né nel giudeo-cristianesimo siriaco, né in quello asia tico, fa supporre che i giudeo-cristiani d'Egitto, come i Giudei in generale, siano stati allora particolarmente per seguitati dalle autorità romane. La scarsità di notizie in nostro possesso sul primo cristianesimo egiziano potrebbe trovare la sua spiegazione nella precatietà di tale situa zione. Si noterà peraltro la colorazione fortemente elle nizzata dell'opera, veramente consona all'ambiente ales sandrino, seppure molto influenzata dall'apocalittica pale stinese e assai lontana dalla tendenza di Filone. I libri I e II appartengono allo stesso genere lette rario. Essi sono fissati da Kurfess poco dopo Adriano 33 • Il libro VI è una caratteristica opera giudeo-cristiana, come è stato riconosciuto da J. Geffcken 34• Inizia con una narrazione del battesimo di Cristo : aspetto arcaico pre sente in Marco, che persisterà negli eretici arcaicizzanti, negli Ebioniti, in Cerinto, e che sarà ripreso dagli Gno stici ( 1-8 ) . Per di piu in questo racconto del battesimo, come in molti testi primitivi, si parla della presenza del fuoco nel Giordano, ma qui interpretata nello stesso senso del Vangelo degli Ebioniti. Il libro termina con un'ascen sione celeste della croce, che ricorda il Vangelo di Pietro a cui lo riavvicina pure il carattere della sua polemica antigiudaica. Piu che di un'apocalisse, si tratta di un poe ma arcaico ispirato agli antichi targumim del Vangelo. Geffcken data l'opera alla set:onda metà del secondo se31 J. Geffcken, Konzposition und Entstehungszeit der Oracula Sibyllina, cit., p. 25. 32 Ibidem, p. 26. 33 A. Kurfess, Christliche Sibyllinen, cit., p. 501. 3 4 Komposition und Entstehungszeit der Oracula Sibyllina, cit., p. 3 1 . 1
)2
Le fonti
colo. l punti di contatto con gli altri libri fanno ugual mente pensare all'Egitto come luogo d'origine. Il l ibro VII contiene innanzitutto una lunga descri llone dei flagelli escatologici: caos cosmico e incendio del mondo, caos sociale e confusione delle nazioni, caos mo rale e unioni illegittime. A questi tempi succederanno i tempi messianici che assumono una colorazione meno
materiale del millenarismo asiatico, mentre si nota una affinità con la tarda apocalittica giudaica. L'incendio cosmico, che compare nelle Hodayoth di Qumràn, si ri trova nell'Apocalisse di Pietro e nella II Lettera di Pie tro. Gli episodi della vita di Cristo risentono della teo logia giudeo-cristiana : incendio del Giordano al momento del battesimo, esaltazione al di sopra degli angeli al mo mento dell'Ascensione. L'opera risale probabilmente alla fine del secondo se colo. Parecchi aspetti ci fanno ancora pensare all'Egitto. Cristo è esaltato al di sopra degli angeli (VII, 32-35), senza alcuna allusione ai sette cieli, come in Siria. Lo spazio dato al battesimo e non alla natività, come inizio della vita di Cristo, ci ricorda i legami del Vangelo di Marco con Alessandria, e l'apparizione della festa del battesimo in questa città, stando alla testimonianza di Clemente Alessandrino. Le apocalissi siriache di cui ab biamo parlato insisteranno sulla Natività. L'allusione al l'ogdoade ( VII, 1 39 ), come ultimo periodo della storia, si ritrova nella stessa epoca, ad Alessandria, nello Pseudo Barnaba. Possiamo quindi situare l 'opera in Egitto. E gli Oracoli sibillini ci appaiono cosi la forma egiziana dell'apocalittica giudeo-cristiana. Quanto all'ambiente al quale lo scritto si collega, risulta evidente l'affinità con il V anR,do degli Ebioniti; ma non v'è traccia di cristologia eterodossa. Le stesse caratteristiche si ritrovano nel libro VI. È stata ugual mente notata l'affinità delle descrizioni escatologiche con quelle dei manoscritti di Qumrun. Anche qui il fuoco ha una funzione dominante. Tutto ciò sembrerebbe col lcaarsi ad Esseni convertiti, <.·he non presentano però gli
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3.3
aspetti eterodossi degli Ebioniti: un punto nel quale ci discostiamo dal Geffcken 35• I libri VI e VII sarebbero quindi una testimonianza della presenza in Egitto di cri stiani ortodossi vicini agli Ebioniti 36; il che farebbe ri cordare la forte solidarietà con i Giudei attestata dal libro V. Si avrebbe cosi una conferma della tesi del Brandon sull'esilio in Egitto, dopo il 70, di una parte della comunità giudeo-cristiana della Palestina 37 , oppure di quella del Dupont-Sommer sulla presenza di Esseni in Egitto, anteriore al 70, di cui alcuni si sarebbero poi convertiti. Il libro VIII infine presenta dei contatti col libro V per la sua violenza antiromana, ma anche degli aspetti di una teologia piu evoluta. In particolare vi sono delle analogie con la concezione dei due Adami in Ireneo ( 256263 ) . Kurfess lo situa alla fine del secondo secolo. Esso presenta degli aspetti della teologia giudeo-cristiana assai importanti, in particolare in ciò che concerne la teologia della croce : l 'estensione di Cristo sulla croce rappresenta le quattro dimensioni della terra e la sua signoria su tutte le nazioni ( 3 1 9-3 2 3 ); i sette millenni sono i tempi della penitenza ( 367 ). Ma non vi è millenarismo. È la linea della Lettera di Barnaba. L'espressione « portare ( �cxcncisEw ) il nome », per essere marchiato col sigillo di Cristo ( 320), è tipicamente giudeo-cristiana.
Apocrifi del Nuovo Testamento Una seconda fonte per la conoscenza della teologia giudeo-cristiana è la letteratura pseudo-evangelica. Oltre Vangeli canonici, gli antichi autori ci hanno lasciato i 's
Ibidem. Si noti che il Vangelo degli Egiziani, citato da Clemente Alessan drino (Strom., II, 9, 63-66), presenta una tendenza antifemminista che si ritrova negli scritti pseudo-clementini, caratteristici dell'ebionismo, come vedremo. 37 S. G. F. Brandon, The Fttll o/ ]erusalem and the Christian Church, cit., p. 178.
36
Le fonti
34
frammenti di un certo numero di altri Vangeli : il Van
gelo di Pietro, i l Vangelo di Giacomo, il Vangelo degli Ebrei, i l Vangelo degli Egiziani, ecc. I papiri ci hanno
tramandato anche episodi non canonici della vita di Gesti. Del resto u n certo numero di À.6y�cx extracanonici di Gesu ci sono pervenuti tramite antichi scrittori e per mezzo di papiri. Questi frammenti esistevano isolati o
facevano parte di altri Vangeli? Il Vangelo di Tommaso, scoperto a Nag Hammàdi, sembra mostrare che molti di essi provengono dal Vangelo degli Ebrei 38 • È difficile discernere ciò che in questa letteratura de riva dal giudeo-cristianesimo. Un certo numero di testi può essere scartato per il loro carattere nettamente eterodosso. Il Vangelo degli Ebioniti, ad esempio, si col lega al giudeo-cristianesimo eterodosso: ne parleremo in questa forma. Del resto i frammenti del Vangelo degli Egiziani attestano una provenienza encratita. Altri sono gnostici : tale sembra, in particolare, il caso del Vangelo di Filippo. Possono contenere elementi arcaici, ma non possiamo collegarli, come tali, al giudeo-cristianesimo ortodosso. Detto questo, rimangono alcuni testi in cui poss i amo cogliere esp res s i on i del giudeo-cristianesimo e che ne testimoniano, d'altronde, la diversità delle ten
denze. Il pri mo è il Vangelo di Pit•tro 1" , la cui esi stenza era nota per varie testimoninnze antkhc, particolarmente quella di Origene (Comm. i11 Mt. , X , 1 7 ) . Ad Akhmin ne sono stati t rov ati importanti frammen t i . Alla tesi della sua origine giudeo-cristian11 si pot rchbc opporre l'atteggiamento polemico antigiud11ico mol to spinto che manifesta. Ma è un'obiezione al suo mllcgamento con
gli ambienti giudeo-cristiani giudaizzanti , non contro la letteratura a struttura giudeo-cristhm11 . Ora, come ab biamo detto, noi ci poni amo i n ques t a prospettiva. Tale carattere polemico si troverà i n a l t re opere, che conside1"
Cfr. G.
N
In I
1 /chrcws, i n
«
Quispcl , NTS
»,
Thc
Gospt'l o/
Thomas ,mJ tbe Gospel of the
X l i ( 1 966 ) , pp. 3 7 1 -�X2.
Vall?,eli Apocrifi,
11 cura
di M. Cravcri , Tori n o, 19702.
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35
riamo giudeo-cristiane: la Lettera di Barnaba o la Dida chè. A proposito di quest'ultima Goppelt ha sostenuto che il suo carattere antigiudaico non le impediva di es sere giudeo-cristiana .o10. In realtà si tratta di due giu daesimi. Un'opera può appartenere alla cultura dello Spatjudentttm e opporsi ugualmente al giudaesimo rab bineggiante posteriore al 70. Il Vangelo di Pietro dipende chiaramente dalla cul tura dello Spatjudentum. Esso presenta gli avvenimenti della vita di Cristo secondo categorie prese a prestito dall'apocalittica in modo tale da evidenziare la loro por tata teologica. C'interessa quindi non per le tradizioni che riferisce, ma per la sua indole dottrinale. Il suo scopo, come ha ben visto Vaganay, è « far risaltare il carattere divino della persona di Cristo » 41 • Cosi nel rac conto della Resurrezione di Cristo un buon numero di aspetti ha una colorazione apocalittica: i cieli aperti, il brusio nel cielo, gli angeli vestiti di luce. Tipica la sta tura gigantesca per indicare la divinità di Gesti e l'emi nenza degli angeli ( Vang. Piet. , 4 0 ). Questa nota pecu liare la si ritrova in Test . Rttb. , V, 7 ; II Hen. , II, l ; IX, 3 . Proviene dal giudaesimo apocalittico e si trova nel Documento di Damasco ( II , 1 9 ). Il Vangelo di Pie tro appartiene quindi allo stesso mondo delle opere di cui abbiamo sinora parlato. D'altra parte, come avremo occasione di vedere, si noteranno alcune componenti che caratterizzano la teo logia giudeo-cristiana. La Resurrezione è identificata con l'Ascensione, secondo la prospettiva antica - come ha dimostrato il p. Benoit - in cui l'Ascensione significa l'esaltazione dell'umanità di Gesti al di sopra di tutte le creature 42 • La discesa agli inferi ha per scopo la sal vezza dei santi dell'Antico Testamento : elemento giu daizzante ed arcaico 43 • Un tema parimenti caratteristico, 40
L. Goppelt, Christentum und Judentum, cit., p. 187.
43
W. Bieder, Die Vorstellung von der Hollenfahrt Jesu Christi,
41 L. Vaganay, L'Evangile de Pierre, Paris, 1930, p. 1 19. 42 P. Benoit, L'Ascension, in « RB », LVI ( 1949), p. 168. Ziirich, 1949, pp. 129-135.
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che qui appare per la prima volta, è quello della croce luminosa e vivente, che conferisce allo strumento del supplizio di Gesti un significato simbolico e lo trasforma in segno di gloria. Questa theologia gloriae è un aspetto della teologia giudeo-cristiana. Il carattere arcaico dei dati teologici implica una data molto alta, al piu tardi all'inizio del secondo secolo. La critica esterna dimostra che l'ambiente è certamente la Siria. Vaganay ha potuto stabilire che le testimo nianze antiche sono siriache 44 : quella di Serapione 45 che
risale alla fìne del secondo secolo, e in particolare quella della Didascalia. Per quanto concerne la critica interna, la grande somiglianza osservabile tra l'episodio della Resurrezione nell'Ascensione d'Isaia e nel Vangelo di Pietro presuppone lo stesso contesto. La Chiesa giudeo cristiana di Antiochia ne costituisce ugualmente il milieu spirituale. Il Vangelo di Pietro rappresenta, con l'Ascen sione, l'eco della gnosi, cioè della teologia di questo am biente, il suo modo di esprimere le dottrine cristiane con le categorie dell'apocalisse giudaica 4<\ . Il Vangelo degli Ebrei, o Vangelo dei Nazarenì 47 , ci orienta invece in tutt 'al tro milieu. L'opera va distinta dal Vangelo degli Ebioniti, che ne costituisce un rima neggiamento posteriore a tendenza eterodossa. Lo tro viamo citato da Clemente Alessandrino ( Strom. , II, 9 , 45; V , 1 4 , 96). Lo conosciamo attraverso citazioni di Origene ( Comm . in ]oh. , I I , 12; Comm. in Mt. , XV, 14 ) , di Eusebio, e soprattutto d i Girol amo 48 • L'evi dente carattere giudeo-cristiano de ll 'ope ra è confermato dalle citazioni. Lo Spirito è chiamato Madre, il che
L'Evangile de Pierre, cit ., p. 1 79. Hi.1 t. ecci. , V I , 1 2 , 2 . 4<\ A . Rcsch, A grapha , cit., pp. 38 1 - }1 0 , hn notato la dipendenza dd Vangelo di Pietro dagli A pocrifi di Grrc·mia, che è un antichissimo
44
45 Eusebio,
midrash giudeo-cristiano. 47 Non c'è u na ragione seria per diMinguerc questi due vangeli wmc hn fatto Viclhaucr ( Hennecke - Sl'hnn:rnelc.:hcr, Neutestamentliche 1lpocryphen, ci t., vol. I , p p . 90-109). 411 Cfr. E. Prcuschcn, Antilr/l,omrna, Gicsscn, 19052 , pp. 2-9.
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presuppone l'ebraico ruah (Comm. in ]oh., II, 1 2 ). In un altro passo lo Spirito dice al Cristo, dopo il batte simo: « Tu sei il mio Figlio diletto », un fatto che im plica il carattere femminile dello Spirito 49• Infìne Cristo appare per primo a Giacomo che, sempre per primo, è invitato a mangiare con Lui 50• A che ambiente si deve collegare questo Vangelo? L'allusione al primato di Giacomo fa subito pensare alla Chiesa di Gerusalemme ed ai giudeo-cristiani che la compongono: un'idea confermata da varie testimonianze. Epifania e Girolamo hanno conosciuto in Siria gli ultimi rappresentanti di questo giudeo-cristianesimo di Geru salemme, fedeli alle consuetudini giudaiche del sabato, della circoncisione, della preghiera verso Gerusalemme 51• Da loro Girolamo ha letto il nostro Vangelo, scritto in dialetto siro-caldeo ( = aramaico), ma con lettere ebrai che 52• Il Vangelo degli Ebrei è quindi espressione del l'ambiente giudeo-cristiano in senso stretto, quello da noi sopra indicato come composizione di cristiani orto dossi, ma ancora inseriti nel mondo giudaico. La data è evidentemente molto antica. Eusebio ed Epifania sembrano supporre che si tratti dell'originale aramaico di Matteo, ma le citazioni da noi offerte ne dimostrano l'impossibilità. Ciò non toglie che il testo abbia dei rapporti con Matteo, l'unico Vangelo accettato dal gruppo. Schoeps sembra andare troppo lontano quando vi scorge « un arrangiamento aramaico del Mat teo greco » 53; e pure Dix, quando scrive che i Naza reni - che erano legati alle comunità cristiane della gentilità - hanno ricevuto da esse il Vangelo di Mat teo e l'hanno utilizzato per comporre, alla maniera di un targum, il loro Vangelo aramaico. Questo Vangelo 49 Girolamo, Comm. in Is., XI, 2. 50 Girolamo, Comm. in Mich. , VII, 7. 51 Epifania, Pan., XXIX, 1-3. 52 Girolamo, Adv. Pelag. , III, 2. 53 H. ]. Schoeps, Theologie und Geschichte des Judenchristentums, Ttibingen, 1949, p. 26.
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contiene sicuramente elementi arama1c1 primitivi. Sem bra che Ignazio d'Antiochia lo abbia conosciuto. Infatti ICrive: « Quando ( Gesu) si presentò a Pietro e agli Apostoli radunati con lui, disse loro: " Toccatemi, pal patemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo " » (Ad Smyrn. , III, 2 }. Questa frase è un passo del nostro Vangelo, citato da Girolamo (De virill. , 16) 54• L'opera risale quindi alla fine del primo secolo. Da ciò abbiamo pure un'indicazione di luogo. Giro lamo ha letto il Vangelo a Berea, in Siria; Ignazio lo conosceva ad Antiochia fin dall'inizio del secondo secolo. D'altra parte Origene la cita ad Alessandria. Quispel ha dimostrato i suoi contatti con il Vangelo di Tommaso, scoperto in Egitto 55 • La Siria e l'Egitto sono le due regioni in cui i giudeo-cristiani si rifugiarono dopo la catastrofe del 70. Sembra dunque che il Vangelo degli Ebrei sia anteriore a questa dispersione e si colleghi al milieu palestinese. Sarebbe perciò una delle opere giu deo-cristiane piu arcaiche. Qui sopra abbiamo incontrato, con l'Ascensione di Isaia e il II Henoch, rielaborazioni cristiane di apoca lissi giudaiche. Ma vi furono pure apocalissi cristiane : ne abbiamo un esempio canonico nell'Apocalisse di Gio vanni. Si tratta di un esempio privilegiato fra molti altri. Ci rimangono alcuni modelli di queste apocalissi cristiane, di tipi diversi del resto, come lo era la stessa apocalittica giudaica. In un certo senso si può affer mare che tutta la letteratura giudeo-cristiana è apocalit tica, se l'apocalisse costituisce il suo metodo teologico. Tuttavia qui riserveremo il termine per k opere che non contengono soltanto dati apoc ali t t id , m a che si pre sentano interamente apocalittiche. La pri ma è l 'Apocalisse di Pit'lro, di c u i possediamo '4 Cfr. l11 diS<:ussionc di H. K&IC'r, Synopti1cbe Oberlieferung bei Jrn Apostolischt•n V lilt'rn, lkrlin, 19'7 , JlJl. 4�·46. Il passo è pure noto C.'OmC' de'Ilo JlnoMko ApcllC' l:IC"nch , V l l , 38). M G . Quiapd , Thr Gosp� of rJx;mal antl tbe New Testament, in . ve •. x 1 ( 1 957 ), p. 190.
(lfpollto
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una traduzione etiopica e frammenti greci 56 • Si tratta di un'amplificazione della scena della Trasfigurazione che include delle rivelazioni di Cristo ai suoi Apostoli pre feriti: esse riguardano la fine dei tempi e i supplizi dei dannati; gli Apostoli infine contemplano un'ascensione celeste di Cristo. Il carattere giudaico dei diversi epi sodi è evidentissimo. La descrizione della fine dei tempi ricorda alcune Hodayoth di Qumran e preannuncia i Sibillini cristiani. Vi s'incontrano in particolare le « ca teratte di fuoco » che caratterizzano l'apocalittica giu daica tardiva. Il tema dell'ascensione, nel senso che qui ha il termine, cioè l'elevazione provvisoria di un uomo in modo che possa contemplare le realtà celesti, è il tema centrale di tutta l'apocalittica giudaica. Lo si ri trova nell'ascensione di Paolo al terzo cielo. In questa apocalisse compare un elemento essenziale per la nostra ricerca : quello di un insegnamento riser vato, che il Cristo impartisce agli Apostoli da lui scelti, e che costituisce una sorta d'istruzione superiore, di gnosi. Lo ritroveremo nella Lettera degli Apostoli. Sarà ripreso e strumentalizzato dagli Gnostici, i quali preten deranno cosi di dare autorità al proprio insegnamento 57 • Ma Clemente Alessandrino condividerà l'idea di un inse gnamento esoterico di Cristo, distinto da quello tra smesso dalle opere canoniche. Pensiamo che si tratti in realtà di gnosi giudeo-cristiana, attribuita fittiziamente a Cristo dagli autori giudeo-cristiani secondo un proce dimento allora corrente e dal quale i greci, come Cle mente, sono stati ingannati. Ma questa sedicente gnosi esoterica assume per noi un interesse capitale perché co stituisce esattamente una delle fonti di questa teologia giudeo-cristiana che cerchiamo di delineare. In altri termini: l'apocalittica giudaica era una gnosi formata da insegnamenti sulle realtà nascoste del mondo 56 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III: Lettere e Apocalissi, cit. 57 Basilide si presenta come discepolo di Glaucia, interprete di Pie tro; Valentino come discepolo di Teoda, familiare di Paolo (Clemente Akss., Strom. , VII, 17, 106).
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celnte e sui mi st eri ultimi dell'avvenire. E queste rive laioni, ai margini della Scrittura canonica, erano poste lOtto il pa t rocinio degli antichi saggi: Noè, Henoch o Abramo. I cristiani hanno ripreso lo stesso procedi mento ed hanno pure sviluppato speculazioni in margine ed in continuazione delle Scritture canoniche del Nuovo Testamento. Anch'essi hanno posto queste dottrine sotto un pat rocinio, quello dello stesso Cristo, che dà ad esse un'autorità. L'apocalittica cristiana continua cosi l'im pianto dell'apocalittica giudaica 58 • L'antichità dell'Apocalisse di Pietro è attestata da molte testimonianze. Il Canone Muratoriano la nomina accanto all'Apocalisse di Giovanni, tanto grande era la autorità di cui godeva alla fìne del secondo secolo. Cle mente Alessandrino la cita in due riprese nelle Eclogae propheticae ( 4 1 , 48 ) . Il carattere arcaico della teologia permette di pensare che l'opera sia della fìne del primo secolo. È invece piu difficile determinarne l'origine geo grafica. L'opera è nota a Clemente Alessandrino ed è stata trovata in Egitto, ma nessuno di questi elementi è decisivo. Piu importante il suo accostamento al Van gelo di Pietro, di cui abbiamo dimostrato l'origine si riaca. Possiamo quindi collocarla in Siria, conformemente alla conclusione del Goppelt 59• L'ambiente è tipico del giudeo-cristianesimo della Grande Chiesa, senza quei tratti marcati che lo colle gano ad una setta particolare. I n ta l senso si noterà come sia posto, appunto, sotto il patroci n i o di Pietro. Abbiamo sottolineato i punti di contatto con la II Let tera di Pietro. Del resto i frammenti di Akhmin la avvi cinano al Vangelo di Pietro. Senonché Pietro appare la figura tipica del giudeo-cri stianesi mo , cosi come noi lo concepiamo, contrario si a al particolarismo giudaico di Giacomo, sia alle tendenze maggiormente ellenizzanti di Paolo. Gli scritti collegati a Pietro sembrano dunque In
• Cfr. A.
Mnrmorstc:i n , Judisch� Para/ll'icn zur Petrusapocalypse, ZNW •, X ( 1 909), pp. 297-300. • L. Goppd t, Christt·ntum u"d Jud�ntum, ci t., p. 208.
•
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esprimere questa corrente classica del giudeo-cristiane simo, che ha per centro la Siria 60• Vi si potrebbe rial lacciare la forma piu antica degli Atti di Pietro. Anche la Lettera degli Apostoli si collega al genere dell'Apocalisse 61 • Si tratta di uno scritto composito, com prendente un Testamento ( 1-12 ), una Catechesi ( 1 3-22 ) e un'Apocalisse ( 23-62 ), inviato dagli Apostoli alle Chie se 62• Ma il contenuto del Testamento e dell'Apocalisse è costituito dal racconto delle rivelazioni fatte dal Cristo agli Undici nel periodo compreso tra la Resurrezione e l'Ascensione. Ritroviamo qui lo stesso tema dell'Apoca lisse di Pietro : rivelazioni che riguardano l'insegnamento sui misteri piu nascosti e che chiariscono ciò che il Van gelo lascia nell'ombra. L'opera è tipica della gnosi giu deo-cristiana ortodossa. Il contesto storico è il tempo che segue la Resurrezione, che ritroveremo in numerose opere gnostiche, in particolare nella Pistis Sophia. Il carattere giudeo-cristiano dell'opera è certo 63 • La discesa agli inferi si presenta, come nel Vangelo di Pie tro, in relazione al problema della salvezza dei santi del l'Antico Testamento: elemento tipico di un ambiente giudaizzante. Vi ritroviamo, come nell'Ascensione d'Isaia, il tema dell'attraversamento dei sette cieli da parte di Cristo ( che ha assunto la forma di un angelo) al mo mento dell'Ascensione ( Lett. Apost. , 24 ). La descrizione della Parusia, preceduta da segni cosmici tratti dall'apo calittica comune, è accompagnata dalla croce gloriosa: particolare specifico della teologia della croce che abbia mo constatato nel V angelo di Pietro. La designazione del cielo superiore come ogdoade sarà ripresa dagli Gno stici, ma - come ha giustamente notato C. Schmidt 64 dipende da una gnosi ortodossa.
-
60 Ibidem,
p. 178.
61 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta,
II: Atti e Leggende, Torino, 1966. 62 Cfr. P. Vanovermene, Livre que ]ésus-Christ a révelé à ses disci ples, tesi inedita, Paris, Instit. Cath., 1962. 63 M. Hornschuh, Studien zur Epistula Apostolorum, Berlin, 1965. 64 Gesprache Jesu mit seinen ]iingern, Leipzig, 1919, pp. 175 ss.
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La data è certamente anteriore al 180. Infatti Cristo IIUlunda il suo ritorno entro 1 50 anni. Poiché si presu me che abbia parlato intorno al 30, gli anni 180 devono aacora venire. Non si sbaglierà quindi fissando la com pollzione dell'opera alla prima metà del secondo secolo. l punti di contatto con l'Ascensione d'Isaia e il Vangelo 65
Ji Pietro potrebbero far pensare alla Siria, senonché il
ruolo importante occupato dall'apostolo Giovanni orien ta piuttosto verso l'Asia Minore. Ci si può domandare se il tema degli insegnamenti nascosti dati da Cristo tra la Resurrezione e l'Ascensione sia di origine giovannea. Infatti possiamo pensare che i discorsi di Cristo fossero posti anticamente in quell'intervallo e che il Vangelo di Giovanni li abbia messi dopo la Cena, forse per rea zione contro l'abuso che gli Gnostici facevano del tema dell'insegnamento esoterico dopo la Resurrezione. Altri aspetti orientano ugualmente verso l'ambiente asiatico : il luogo di riposo, l'ogdoade, è chiamato xupLa.xi) ( Lett. Apost. , 29 ), il che sembra di origine giovannea. La Pasqua è celebrata il 14 Nizan , secondo l'usanza asia tica. Il testo però non fa alcuna allusione al millena rismo. Sembra perciò che possa essere collocato in Asia Minore, ma in un ambiente diverso da q ue llo di Papia e dei Presbiteri di Ireneo. Questi hanno un camttere mes sianico con una forte impronta dello spirito d egli Zeloti palestinesi . La Lettera si col l c�a alla corrente piu specu lativa della gnosi g iudeo-c r is t i a na , man i fest:mdosi cosi vicinissima alla tendenza siriaca che abbiamo spesso in contrato sin qui . Ma es sa dimost ra a nche che questa tendenza è presente i n Asia M ino re . A questi apocrifi giudeo-cristiani del Nuovo Testa mento, già noti , le scope rte di Nng l la mmàdi hanno ag � i u n to I 'Epistula ]acobi Apocrypha 116• Essa appartiene al C(}(/cx ]ung. Si t rat t a di rivelazioni fatte da Gesti risu !K'i t nto a P ie t ro c a G i acomo , al term i ne dei 545 giorni _,
•
nlne,
lbt,Jrm. pp. 285 , �02, 501 . lipis�ula /ilcohì �pocrypha, tcato. c.�'l?'" '" t raJuzionc Il. C h . l un:h, ( , . QUJapd , c:cc . , Zumh, 1 968.
di M. Mali
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che vanno dalla Resurrezione all'Ascensione. I l trattato termina col racconto dell'Ascensione. Tutto questo ci pone nel contesto dei testi che abbiamo visto. Il tema delle rivelazioni fatte da Gesti risuscitato è quello della Lettera degli Apostoli. I 545 giorni dalla Resurrezione all'Ascensione sono nell'Ascensione d'Isaia. Infine il ruolo preponderante attribuito a Giacomo è un carattere specifico del giudeo-cristianesimo. Esso presenta qui dei tratti propri. Giacomo è l'unico discepolo che ritorna a Gerusalemme dopo le apparizioni. Il problema di sapere se l'opera presentasse dei ca ratteri gnostici è stato posto da H. Ch. Puech, ma nes suno dei tratti rilevati è decisivo e tutti possono spie garsi per mezzo del giudeo-cristianesimo. Alcuni tratti, al contrario, sono decisamente antignostici. Il piti chiaro è l'esaltazione dei martiri ( 2 , 6, 7-9 ). Ciò va direttamente contro l'atteggiamento dei Valentiniani, come ha mo strato A. Orbe 67 • Peraltro l'accento posto sulla libertà, la 7tpo�(pEcrLc;, ha un carattere antignostico. Questi aspetti sono invece assai prossimi alle Lettere di Ignazio d'An tiochia (p. XXIX). Sembra proprio che W. C. van Unnik abbia avuto ragione nel riconoscere in questa lettera, come nell'Epistula Apostolorum , « un relitto dell'antica letteratura cristiana » 68 • Il contenuto del trattato conferma il suo carattere giudeo-cristiano. Gesti vi è chiamato « Figlio dello Spi rito Santo » ( 3 , 6, 20), il che implica il carattere femmi nile dello Spirito e ricorda Ex. Hebr . ( fr. 2 e 3 ). Si parla della discesa agli inferi ( 5, l O, 3 7 , 3 ), che è una dottrina cara al giudeo-cristianesimo. Si parla pure della discesa del Figlio di Dio ( 7 , 1 4 , 39). Un tratto interessante è l'allusione ad una esegesi delle parabole data dal Cristo prima della sua Ascensione e che ha un carattere esote rico ( 4, 8, 5-1 0 ). Tali parabole sono, in particolare, 67
290.
68
Las primeros hereies ante la persecuci6n, Roma, 1956, pp. 286W. C. van Unnik, The Origin of the Recently Discovered Apo « VC », VIII ( 1954), pp. 1 1-12.
l:ryptcm ]acob, in
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quella della pecora smarrita, quella del seminatore, quella della dracma e quella delle vergini sagge e delle vergini folli. Ora un carattere del giudeo-cristianesimo, ortodosso o gnost ico , è l'importanza attribuita all'esegesi esoterica di queste parabole. Quella delle vergini sagge si trova nella Lettera degli Apostoli.
Ma il piu importante è il racconto dell'Ascensione di Gesu al termine del trattato. Gesti viene portato via su « un carro spirituale » ( 7 , 1 4 , 34). Egli deve svestirsi per rivelarsi ( 25-3 6 ). Il tema del rivestimento celeste si trova nell'Ascensione d'Isaia ( IV, 14- 1 7 ). I due Apostoli lo accompagnano nella sua ascensione, ma non possono accompagnarlo che sino al secondo cielo : il terzo, il cielo supremo, è loro interdetto ( 8 , 15-25). Cristo è innalzato alla destra di Dio. La sua ascensione è salutata nel se condo cielo dalle lodi degli angeli ( 8, 1 5 , 20). La traver sata del primo cielo, invece, è una vittoria sui demoni ( 8 , 1 5-20 ). Molti di questi aspetti ricordano l'Ascensione alla fine della Lettera degli Apostoli. Scrilti liturgici
Le ul t i me opere esaminate rappresentano la rifles sione teologica, la gnosi dei giudeo-cristiani sul dato evan gelico. Esse vengono dopo quelle che si limi tavano sem plicemente a rimaneggia re opere giudaiche. Un altro grup po è formato dagli sc ri t t i che espongono la vita della Chiesa giudeo-cristiana ; in teressa n ti perché manifestano il loro carattere giudaico non solo n livello di categorie teologiche, ma anche riguardo le forme concrete della vita della Chiesa ( i l culto, la morale , l'ascesi , l 'insegnamento catechetico ) ed attestano il pe rm ane re , presso i giudeo cristiani della Diaspora, di forme espressive specificamente gi u da i che , proprie della primitivn <"Omunità cristiana della Palestina . La prima opera è l a Didachc\, sulla quale, com'è noto, si è avuta, ed è tuttora in corso, una discussione circa il
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luogo d'origine, la data di composizione, l'ambiente che essa riflette. La tesi di Wokes 69, che supponeva si trat tasse di un lavoro montanista e considerava puramente letterario il suo evidente arcaismo, oggi non sembra piu sostenibile. Anche se il testo ha subito dei rimaneggia menti, come ha dimostrato E. Peterson 70, il suo sotto fondo appare decisamente come giudeo-cristiano. Ciò è evidente per la parte morale, il Trattato delle due vie, con un carattere giudaizzante rilevato da lungo tempo, e che la scoperta del Manuale di disciplina di Qumran ha confermato in modo clamoroso, perché vi troviamo la stessa dottrina 71 • Del resto il genere letterario della Didachè, nel suo insieme, ha legami di affinità con quello della Regola essena. Ma la parte liturgica presenta ugualmente numerosi aspetti giudeo-cristiani. È il caso dei riti battesimali, in particolare quello dell'acqua viva. A. Benoit può scrivere che « si tratta di un rito giudaico colorato di cristiane simo » 72• L'usanza della preghiera tre volte al giorno ( VIII, 3 ) sembra debba essere accostata alla consuetudine essena testimoniata pure dal Manuale di disciplina 73 • Piu tardi, in ambiente romano, sarà collegata alle tre ore di guardia; ma ciò è secondario. Il carattere giudeo-cristiano delle preghiere di benedizione che seguono è stato stabi lito da E. Peterson 74 e da J. P. Audet 75• L'allusione alla vigna di David, l'espressione mii:c; per designare Gesu, l'abitazione del Nome, sono particolarmente caratteristici . 69
The Riddle of the Didache, London, 1 938, pp. 129-146.
70 Uber einige Probleme der Didache-Oberlieferung, in « RivAC
»,
XXVII ( 1 952), pp. 37 ss.; ripreso in Friihkirche, ]udentum und Gnosis, Freiburg, 1959, pp. 146-183. 7 1 Cfr. J. P. Audet, La Didachè, instructions des Apotres, Paris, 1 958. Audet colloca la Didachè verso il 50-70. S. Giet pensa che la sua ultima redazione risalga alla fine del primo secolo (L'énigme de la Didachè, Paris, 1970). 72 A. Benoit, Le baptéme chrétien au Second Siècle, Paris, 1953, p. 3 1 . 73 J. Jungmann, Altchristliche Gebetsordnung i m Lichte des Re gelbuches von En-Feschka, in « ZKT », LXXV ( 1953), pp. 2 14-215. 74 Didachè capp. 9 e 10, in « EL », LVIII ( 1 944), pp. 3-13. 75 La Didachè, instructions des Ap6tres, cit., pp. 367-398.
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Come dimostra E. Peterson, queste benedizioni traggono certamente origine da antiche epiclesi, anche se il loro uso neU'operetta attuale non è con altrettanta certezza eucaristico. I l Maranatha che conclude l'ultima benedi zione cos tituisce il vestigio piu prezioso della primitiva l i tu rgia aramaica di Gerusalemme 76 •
Quanto concerne la struttura della gerarchia è dello stesso ordine. Si noti, in particolare, il ruolo dei Profeti : questa sembra un'istituzione specificamente giudeo-cri stiana. Si ricorderà che l'Ascensione d'Isaia ( III, 27), un po' piu tardi e nello stesso milieu, si lamenta del loro rarefarsi. Li incontreremo ancora nel Pastore di Erma ( Prec. , XI , 9 ). Infine anche l 'ultima parte, che riguarda l'escatologia, ricorda l'Ascensione d'Isaia : la Parusia sarà preceduta dalla venuta dell'Anticristo e il S ignore verrà con tutti i suoi santi. Quest'ultimo aspetto è l 'espres sione del millenarismo moderato tipico dell'ambiente siriaco. In realtà, è in direzione della Siria che occorre rivol gersi per cercare l'ambiente di provenienza del testo. D'altronde nella liturgia siriaca esso sarà conservato nel quarto secolo, accanto alla Didascalia, nelle Costituzioni Apostoliche. Ed è in Siria che le espressioni aramaiche del testo (H osa na, marana tha, amen ) si giustificano me glio; dalla Siria, senza dubbio, esse sono state adottate in altri luoghi . I molteplici punti di contatto con l'Ascen sione d'Isaia da noi rilevati confermano che la Didachè appartiene allo stesso ambiente . Ciò non esclude che la sua prima origine sia palestinese, come pensa E. Peter son 77, e che essa cosi risalga, nella sua prima stesura, a prima del 70. Per quanto riguarda lo spirito di questo scritto, i punti Ji contatto con i documenti esseni sono sorprendenti : le due vie, le tre ore della preghiera , il battesimo con l'ac7" O . Cullmann, Le culte dans 1'/?p,listtl«chè capp. 9 e lO, cit., p. 9.
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qua viva, i profeti. L'essenismo è l'unico milieu del giu daesimo in cui, stando a Giuseppe Flavio, il profetismo era ancora attivo nel primo secolo dopo Cristo. Tuttavia, nel rapporto tra essenismo e cristianesimo si possono di stinguere due momenti : nella primitiva comunità di Ge rusalemme dapprima vi furono influssi ( emprunts) del tutto esteriori; poi l 'essenismo, dopo il 7 0, ha agito su un certo numero di giudeo-cristiani in un senso piu spe cifico: è quanto abbiamo riscontrato nei Testamenti e negli Oracoli sibillini. Sembra proprio che qui si tratti del primo periodo; la Didachè è toccata dall'essenismo nel senso in cui lo è stato il primo cristianesimo 78 • Ciò implica importanti conseguenze per quanto ri guarda la data dell'opera. In realtà siamo indotti a pen sare che la sua prima stesura risalga alla prima comunità di Gerusalemme. Certamente le sono stati apportati degli sviluppi, dopo il 70, nell'ambiente siriaco; infine, la re dazione giunta sino a noi ha subito ulteriori ritocchi nel secondo secolo. Ma ciò non toglie che la Didachè sia forse il documento piu venerabile della letteratura giudeo-cri stiana. A. Adam, in una conferenza tenuta nel 1 956 al Berliner Theologentag, giunge a conclusioni analoghe sul l'origine gerosolimitana e lo sviluppo siriaco dell'opera 79• Assieme alla Didachè, il piu antico documento che possediamo sulla liturgia giudeo-cristiana è costituito dalle Odi di Salomone. Il loro carattere semitico è cosi accen tuato che è stato possibile sostenere la loro origine giu daica, ma è impossibile non riconoscere che esse proven gono da un ambiente cristiano. Tutto vi evoca il giudeo cristianesimo. Sono presenti le categorie dell'apocalittica, in particolare il libro della vita (VIII-IX). I grandi temi sono quelli della teologia giudeo-cristiana, in particolare la discesa agli inferi ( XVII, XXIII ) che qui compare ad 7H Cfr. ]. Daniélou, La communauté de Qumran et l'organisation de ('t!l.lise ancienne, in La Bible et l'Orient (Congrès d'archéologie et d 'orientalisme biblique de Saint-Cloud), 1954, pp. 104-1 17. 7'1 A. Adam, Erwagungen zur Herkunft der Didachè, in « ZKG » , LXV l l i ( 1957), pp. 33-47.
8
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un grado piu evoluto che non nel Vangelo di Pietro 80• Il simbolismo della croce occupa un posto importante (XXIII, XXVII, XXXVII), e cosi pure per le allusioni sacramentarie e l 'acqua viva. Notiamo poi il carattere 8 femminile dello Spirito, come nel Vangelo degli Ebrei 1 • L'origine siriaca dell'opera è certa 82 : in suo favore sta il fatto che ci è stata conservata in siriaco, per quanto l 'originale sia indubbiamente greco. Altri elementi ci orientano verso la Siria. Sottoli
neiamo l'importanza che nelle Odi hanno le descrizioni del Paradiso, mentre non vi si trova alcuna allusione ai cieli. Orbene, questa teologia del Paradiso rimarrà carat teristica della Siria orientale; la si troverà in Efrem. Piu in particolare, la Chiesa è considerata come Paradiso (XI, 15-16 ). Questo rimarrà il tema preferito della catechesi siriaca, cosi come la troviamo in Teodoro di Mopsuestia. Inoltre è da tener presente l 'importanza conferita alle immagini nuziali ( III, 4-9 ), quale si ritroverà nella cate chesi battesimale di Cirillo di Gerusalemme, il quale si riallaccia alla liturgia siriaca. Goppelt ha sottolineato i 83 punti di contatto tra le Odi e le Lettere di Ignazio ; in particolare notiamo la somiglianza tra « l'acqua parlante » dell'Ode XI e « l'acqua viva che mormora » di Ignazio (Ad Rom., VII, 2 ). La determinazione dell'ambiente esatto è piu difficile, poiché presenta parecchi elementi . Certi aspetti richia mano i manoscritti di Qumran R4 . L'accento è posto sulla 80
W. Bieder, Die Vorstellung von da Hiillc•ll/ahrt fe.\11 Christ, cit.,
pp. 1 72-192. 81
Le Odi sono citate dalla Pistis Sophia nel terzo secolo. Esse sono dclla metà del secondo sccolo. R2 R . M. Grant, The Odes o/ Solomon and thc· Church of Antioch, in << JBL >> , LXI I I ( 1944), pp. 363-377; .J. dc Zwna n , The Edessene Ori)?.ilt of the Odes of Solomon, in Quantulacumqllt' (Studies Presented '" Kirwpp Lake ), pp. 285-302. Ili L. Goppclt, Christentum und }udnrtum, d t . , pp. 1 94-201 . R4 Cf r . J . Carmignac, Les a/finith qumranit·1znes de la onzième Ode tlt Sa/omon, in « R()um ,. , IX ( 1961 ), pp. 7 1 - 1 0 3 ; K. Rudolph, War Jtr Vt'r/ttssc·r der Oden Sttlomos ein Qumranchrist?, in « RQum », XVI ( 196-4 ), pp. 523- � � 7 ; I I . Charlea-Worth, 1-c·s Odes de Salomon et les flllffl Mscrils dt' la Mc·r Morte, in « RB ,., LXXV I I ( 1970), pp. 522-550.
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lode delle labbra (VIII, XII, XIV). D'altra parte le Odi appartengono allo stesso genere letterario delle Hodayoth di Qumran, cosi come la Didachè s'apparentava alla Re gola. Esse sono espressione del profetismo liturgico ca ratteristico del giudeo-cristianesimo; peraltro l'elemento gnostico vi è assai marcato. La piu caratteristica è la mi steriosa Ode XXIII, in cui la croce è simbolizzata da una ruota e in cui è detto che « la testa scese sino ai piedi » . Questa frase sembra debba essere accostata ad uno strano passo degli Atti di Pietro, 38, in cui la crocifissione di Pietro a testa in giu simbolizza la discesa del Verbo. Orbe interpreta il testo in senso valentiniano &S, ma io penso che si tratti di una speculazione sulla croce senza aspetti eretici, e tipica della gnosi giudeo-cristiana. Un ultimo elemento caratteristico è costituito indub biamente dalla presenza di alcune tracce d'ascetismo. Un passo dell'Ode XI, 1 8 , fa ritenere a R. Harris che le Odi diffidino del matrimonio 86• Il vino non è mai nominato. Si ricorderà che Taziano, il quale dipende anche dalla scuola siriaca orientale, esagera le stesse tendenze 87 • Voo bus ha stabilito che originariamente in Siria i battez zandi, al momento del battesimo, sceglievano tra matri monio e celibato, e che coloro che optavano per la ver ginità venivano battezzati per primi 88• Tutto ciò sembra denotare un rapporto con un milieu marcato dall'asceti smo di certe comunità giudaiche, senza eccessi eterodossi. L'insieme di questi aspetti coincide col cristianesimo siriaco della Grande Chiesa e riunisce ad un tempo l'Ascensione d'Isaia con le Lettere d'Ignazio. Tuttavia da una parte sembra che ci troviamo alla presenza di un gruppo nel quale l 'influenza essena è rimasta particolar mente viva. D'altro canto certi aspetti fanno pensare di ss A . Orbe, Las primeras herejes ante la persecuci6n,
2 1 3.
cit., pp.
167-
86 R. Harris, The Psalms and Odes of Soloman, Cambridge, 1909, pp. 70-71 . 87 Ireneo, Adv. haer. , 1, 28, l . 88 H . Voobus, Celibacy, a Requirement far Admission to Baptism in the Early Christian Church, Stockholm, 1951, pp. 20-34.
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preferenza alla Siria orientale piuttosto che alla stessa Antiochia. Saremo dunque inclini a vedere nelle Odi l'opera di giudeo-cristiani della Grande Chiesa, apparte nenti alla Siria orientale e vicini a Bardesane, nel quale gli orientamenti della pietà giudaica avrebbero avuto un accento particolarmente marcato 89•
Barnaba ed Erma Con la Lettera di Barnaba rimaniamo tra le testimo nianze sulla Chiesa giudeo-cristiana. Si tratta infatti di un manuale catechetico comprendente una parte dogmatica e una parte morale. La seconda è un trattato delle due vie, parallelo a quello della Didachè. La prima è una raccolta di Testimonia accompagnata da un commento e raggrup pata secondo il piano della catechesi. Il carattere giudeo cristiano dell'opera generalmente non è ammesso. In par ticolare ci si fonda sul tono di polemica antigiudaica del testo. Ma abbiamo visto, a proposito del Vangelo di Pie tro, che ciò non escludeva in alcun modo il carattere giu deo-cristiano di un'opera. In entrambi gli scritti il Cristo è messo a morte dai Giudei 90, ma ciò non impedisce che il Vangelo di Pietro sia giudeo-cristiano. Lo stesso è per la Lettera 91 • Dopotutto i tratti giudeo-cristiani sono evidenti : anzi tutto il genere letterario. I manoscritti di Qumràn, come per le due opere precedenti, ci offrono ancora una volta un elemento decisivo. Ora sappiamo, in primo luogo, che 89 Allo stesso milieu appartiene il Canto della perla, conservato negli Atti di Tommaso ( 108- 1 1 3 ), ma che è un'antica composizione liturgica giudeo-cristiana. Cfr. A. Adam, Dic Psalmcn der Thomas und das Per lenlied, Berlin, 1959, pp. 57-75. 90 G. Schille, Zur urchristlichen Tauflchre Stilistische Beochbachtun gen zur Barnabasbrief, in « ZNW >>, XL IX ( 1958), pp. 31-52 ; L. W. Barnard, T be Epistle of Barnabas and tbe Tanna/tic Catechism, in « ATR >>, XLI ( 1959), pp. 177-190. 91 S. G. F. Brandon, The Fall of Jerusalem and the Christian Church, cit., p. 236.
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i Giudei avevano delle raccolte di Testimonia messiamc1 e che i cristiani le hanno utilizzate. Ma soprattutto la scoperta del Midrash d'Abacuc e dei frammenti dei midra shim degli altri Profeti minori ci mostra l'esistenza presso gli Esseni di un genere letterario che è precisamente quello a cui appartiene la Lettera di Barnaba e che costituisce l 'applicazione delle profezie agli avvenimenti contempo ranei, considerati come realizzanti le promesse escatolo giche. La sola differenza è che la Lettera applica il me todo non a un testo con sviluppo logico e coerente, ma ad una raccolta di Testimonia. L'accento posto dalla Lettera sulla yvwcnc; ( II, 3 ) è diretto nello stesso senso. Un tempo vi si vedeva un'in fluenza ellenistica; noi ora sappiamo che la yvwcnc; è pure un aspetto dello Spatjudentum. Essa è conoscenza delle realtà escatologiche 92• Piu precisamente ancora, per il Midrash di Abacuc la gnosi è la conoscenza del mistero, e questo mistero è che sono arrivati gli ultimi tempi an nunciati dai Profeti (DSH, VII , 1-8) 93• Tale è precisa mente il senso della yvwcnc; nella Lettera di Barnaba. Que sto tipo di esegesi è ricorrente nel Nuovo Testamento, ma è notevole il fatto che la Lettera lo consideri come una gnosi, al pari dei midrashim di Qumran. Ciò non vuoi dire, d'altra parte, che la Lettera di Bar naba non presenti se non questo tipo di esegesi che si può chiamare figurativa o tipologica. Ma gli altri tipi rap presentati sono pure d'origine giudaica. Da una parte s'in contrano allegorie morali, ma di tipo rabbinico: in parti colare è il caso dell'interpretazione delle interdizioni ali mentari (X). Questo tipo è presente nella Lettera di Ari steo e in Filone, ma per quest'ultimo si tratta di un'ere dità della tradizione e non ha niente a che vedere col suo allegorismo ellenizzante, di cui non si trova traccia nella
92 ]. Dupont, Gnosis. La connaissance religieuse dans les Epitres de Saint Paul, Louvain, 1949, p. 198.
93 J. Daniélou, Eschatologie chrétienne et eschatologie sadocite, in
/ .n Manuscrits de la Mer Morte (Colloque de Strasbourg, 25-27 mai
/ '! 5 5 ), 1957, pp. 1 18-125.
Le fonti
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Leuera. Dall'al tra s'incontra una speculazione sulla crea zione in sette giorni - figura della settimana cosmica (XV ) - che deriva dalle speculazioni sui primi capitoli della Genesi. Ora, queste speculazioni giocheranno un ruolo capit ale nella teologia giudeo-cristiana: le ritro viamo in Papia, in Teofilo d'Antiochia, nel Pastore di Er ma. Esse si fondano, come dimostreremo, su speculazioni gi ud aiche 94• L'esegesi della Lettera è di tipo giudeo-cristiano. Nu merosi altri aspetti confermano tale origine: si notino le citazioni delle Apocalissi giudaiche, di I Henoch ( IV, 3 ), di IV Esdra (XII, l ). Compaiono numerose peculiarità della teologia giudeo-cristiana: la designazione del Cristo come Diletto ( III, 6 ), come nell'Ascensione d'Isaia; la espressione specificamente giudaica di otxcx.tw!J.tx:tcx. ( I , 2 ; II, l ); l'importanza delle speculazioni sulla croce (XI XII ). L'allusione al latte e al miele ( VI , 8- 1 3 ) 95 ricorda le Odi di Salomone e suggerisce l'esistenza di un pasto che accompagna l'Eucaristia. L'atteggiamento nei confronti del sabato, dei sacrifici, del Tempio, testimonia parimenti l 'appartenenza dell'autore ad u n milieu giudaico. Tutta la Lettera esprime lo sforzo di un giudeo-cristiano per disto gliere i Giudei dalle osserva nze rituali e mostrare loro che il cristianesimo è l'autentica realizzazione dd giudae simo. I l che evidentemente prova che l 'autore non appar tiene ai giudeo-cristiani del gruppo d i Giacomo, i quali conservavano le cons uetud ini giudaiche. Abbiamo detto che questo gruppo non era ru ppresc nt a t iv o di tutto il giudeo-cristianesimo cos f come noi lo intendiamo. Piu precisamente molti elementi richiamano l'ambiente esseno e appaiono come persis t enzc dd giudeo-cristiane simo originale. Ciò è ch ia ro per il 'J'rattato dei due spiriti, in cui i tratti esseni sono piu marcati che nella Didachè. 94 P. Prigent, L'Epitrc dc llarnabt1 l XV l et ses sources, Paris, J::pistle of Barnahu.l, ltJ Quotations and Th eir
1 96 1 ; R . A. Kraft, Thc SourccJ, diss., l larvard, "s Cfr. N . A . Dahl, sou rces dc la Tradition pp. 62-70.
1 96 1 . l-a terre o ù mulcnl le luit et chrétienn.: ( Mél. M. C:oguel ) ,
le mie!, i n Aux Neuchatel, 1950,
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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I due spiriti sono personificati; il demonio è chiamato il Nero ( XX, l ) e si oppone all'angelo della luce ( XVIII, 1 ). L'espressione « il Nero » riapparirà presso gli Ebioniti, di cui è certa l 'ascendenza essena. La comunione dei beni ( XIX, 8 ) è un altro aspetto della comunità giudeo-cristiana primitiva che riprende una consuetudine essena. Analo gamente, la polemica contro i sacrifici cruenti a vantaggio del culto delle labbra e contro il Tempio di Gerusalemme a favore del Tempio cosmico e dell'abitazione di Dio nel cuore, non è priva di precedenti nell'essenismo 96; non troviamo traccia del tema propriamente cristiano del Cri sto come Nuovo Tempio. La Lettera presenta dunque dei punti di contatto con gli scritti di Qumran m, ma queste tangenze sono analoghe a quelle che troviamo nei Testamenti, nella Didachè e nelle Odi. Esse sono semplicemente l'espressione del fatto che il giudaesimo esseno è l'ambiente nel quale il cristia nesimo primitivo ha tratto ispirazione per le sue strutture liturgiche e ascetiche. Qui non si tratta dell'influsso di un gruppo locale, ma degli aspetti comuni che si trova vano nel milieu siriaco, che ritroveremo a Roma, e che qui devono essere collocati in Egitto. La Lettera si rial laccia infatti all'Egitto. Le testimonianze di Clemente Ales sandrino ( Strom., II, 7 , 3 5 ) 98 e di Origene ( Contra Cels., I, 6 3) ne sono un indizio. Si constatano comunque ana logie con gli Oracoli sibillini giudeo-cristiani, in partico lare il tema dell'ogdoade come ultimo periodo della set timana cosmica (XV ). Quanto alla datazione, il riferimento di Clemente alla Lettera permette già di attribuirle una notevole antichità. Ciò suppone in effetti che egli la faccia risalire - come l'Apocalisse di Pietro - ai tempi apostolici. Una indica96 ]. H. Baumgartner, Sacri/ice and Worship among the ]ewish Se ctarians of DSS, in « HTR », XLVI ( 1 953 ), pp. 141-161 . 97 L. W. Barnard, The Epistle of Barnabas and the Dead Sea Scrolls, in « SJT » , XIII ( 1 960), pp. 45-60. 98 Cfr. la discussione di K. Weugst, Tradition und Theologie des !3arnabasbriefs, Berlin, 197 1 , pp. 1 1 3-120.
Le fonti zione può permet t ere una determinazione pm precisa: la Lei/era deve essere collocata dopo la caduta del Tem pio, alla quale si fa allusione, ma in un'epoca in cui si parla della sua ricostruzione ( XVI, 7). È certamente una allusione al regno di Adriano. Il nostro testo può quindi essere collocato verso il 1 30. Esso riflette un momento della storia del giudeo-cristianesimo d'Egitto, posteriore a quello attestato dagli Oracoli sibillini; la persecuzione
romana del tempo di Traiano sembra placata e il conflitto
è soprattutto con i Giudei. A questo proposito lo scritto è contemporaneo al Kerygma di Pietro, citato da Cle
mente Alessandrino ( Strom. , VI, 5, 3 1 ). Alle opere che testimoniano la gnosi della Chiesa giu dea-cristiana colleghiamo pure il Pastore di Erma. L'og getto preciso dell'opera è la disciplina della penitenza, i\ suo contesto la comunità ecclesiale. La sua origine giudeo cristiana è stata contestata. Reitzenstein nel suo Poiman dres, Dibelius nel suo commento e Peterson in un arti colo 99 hanno sottolineato i punti di contatto del libro con la letteratura ellenistica delle visioni e in particolare con i Libri Ermetisti. Ma, a parte il fatto che il problema dell e influenze giud aiche su tali Libri è legittimo, è chiaro che le componenti giudeo c ri s ti ane sono ben piu consi derevoli , come ha dimostrato l 'Audet 100• Vi sono influenze letterarie ellenistiche, ma il fond o è giudeo-cristiano. Ciò appa re anzitutto dal genere letterario delle di verse parti di cui s i compone l 'opera . Vi t roviamo visioni del tutto analoghe a quelle delle apoc a l issi con i cieli aperti e il ruolo dell'angelo. L'unica d iffere nza sta nel fatto che il visionario è un con temporaneo e che le vi sioni riguardano la vita della Chiesn . In ciò l'opera si apparenta con l Ap ocalisse di G iov n nn i . Erma è uno di quei profeti di cui la Didachè affermava l'esistenza, la -
,
'
99 E. Peterson , Beitriige zur l ntrrprrtution der Visionen im Pastor l lmnae, in << OCP >> , X I I I ( 1947 ), pp. 624 �s . ; ripreso in Friihkirche, ]udentum tmd Gnosis, cit . , pp. 2'4-27 1 . 100 Affinités littéraires el doclri nalrs ''" Munuel de discipline, in " RB >>, LX ( 1 95 3 ), pp. 41-82.
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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Ascensione d'Isaia lamentava la sparizione, il montanismo mostrerà la sopravvivenza, e che appaiono caratteristici non dell'esistenza dei carismi dello Spirito nella Chiesa come ritiene H. V. Campenhausen 101 - ma della forma propria che tali carismi assumevano nella comunità giu deo-cristiana e in particolare nel settore esseno. Le altre parti del libro portano ugualmente l'impronta giudeo-cristiana. I Precetti sono in gran parte un trattato sul discernimento degli spiriti che sviluppa le due vie, cosi come le troviamo nella Didachè e nella Lettera di Barnaba. I punti di contatto con queste due opere e con i Testamenti sono molteplici: l'insieme costituisce una summa della teologia morale e dell'ascetica giudeo-cri stiana. Quanto alle Parabole, esse dipendono dalle visioni simboliche di cui la letteratura giudaica presenta nume rosi esempi: in particolare in I Henoch e in IV Esdra. Il confronto con quest'ultima opera, contemporanea al Pa store, ha un'importanza tutta particolare. D'altra parte la dipendenza rispetto all'apocalittica giu daica risulta da molti aspetti, segnatamente per quanto concerne l'angelologia. L'angelo della penitenza era no minato in I Henoch ( XL, 9 ). Gli angeli sono incaricati della creazione ( Vis. III, 4, l ). Si noti in particolare la dottrina dell'angelo buono e dell'angelo cattivo ( Prec. VI, 2, l ) che si collega alla dottrina delle due vie di cui ab biamo notato l'origine giudaica. Piu decisiva è la dottrina degli angeli dei vizi ( Prec. II, 3 ; V, 2 ) che appartiene al fondo comune della teologia giudeo-cristiana. La si ritrova nel Testamento di Ruben e nelle Omelie Clementine ( IX, 1 0 ). Da notare pure la statura gigantesca degli angeli ( Sim. VIII, 1 , 2 ), e il tema degli angeli che fungono da troni durante le ascensioni ( Vis. III, 10, l ), che osser viamo anche nel Vangelo di Pietro. Tutta questa angelo logia proviene direttamente dall'apocalittica giudaica e dalla spiritualità essena. Wl Kirchliches Amt und geistliche Vollmacht in den ersten drei Jahrhunderten, Tiibingen, 1953, p. 210.
Le fonti Le componenti propriamente giudeo-cristiane sono nu
merose. La discesa agli inferi è legata al problema della
aalvezza dei santi dell'Antico Testamento, che è la forma afudeo-cristiana della dottrina che ritroviamo nel Vangelo
ili Pietro e nella Lettera degli Apostoli ( Sim. IX, 16, 2 ). La teologia trinitaria prende a prestito le sue categorie dall'angelologia, ma sotto una forma diversa da quella che vedemmo nell'Ascensione d'Isaia : il Verbo è il capo dei sei Arcangeli, ed egli stesso è il settimo. Come dimo streremo, questa teologia angelomorfica - peraltro orto dossa - è tipicamente giudeo-cristiana. Ugualmente lo è l'espressione « il Nome » per designare il Verbo : la si ri trova nel Vangelo di Verità, che la prende a prestito dalla teologia giudeo-cristiana. Audet ha riconosciuto il carat tere giudeo-cristiano della teologia di Erma, ma ne ha misconosciuto la portata, contestandone la natura trini taria. Parimenti caratteristica del giudeo-cristianesimo è la disciplina ecclesiastica, la quale manifesta una volta di piu, in questo contesto, la forte impronta dell'essenismo sulle forme d'organizzazione. Citerò due esempi. Il primo ri guarda la disciplina della penitenza che costituisce l'og getto principale del libro. La disciplina della scomunica temporanea, o a vita, vi appare come l'espressione, nel l'ambiente giudeo-cristiano, del potere apostolico di rimet tere i peccati o di ritenerli 102 • Un altro aspetto è stato segnalato da A. Adam 10·\ È noto lo strano passo in cui Erma racconta come ha passato una notte con delle ver gini sante (Sim. IX, 1 1 ) . Adam accosta questo brano a Taziano (XV, l ) e alla Didachè (XI, 1 1 ) . Può darsi che pure Paolo alluda a queste unioni spirituali ( I Cor. 7 , 3 6-38 ) . Ora ciò sembra collocarsi nel contesto dell'ideale esseno, cosi come è descritto da Filone nel De vita con templativa. Per lungo tempo se ne troverà la traccia nelll•2 Cf r. L. Pcrnvcdcn, The
tJ/ l lrrmas, Lund, 1966. 1u1
( 19,7 ),
l:·rwliJ(.IIfl/l.l'fl pp. 2 1-23.
Coflet•pt o/
z11r Herkrmft
tbc Church
in the Shepherd
«
ZKG » , LXVIII
dt·t· lJìdachc\ in
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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l'istituzione delle vergini a'uvwtiXX't'ot M a erano usanze, come del resto molte altre ( l'unione dell'Eucaristia col pasto, ad es. ) legate ad una mentalità giudaica; e non v'era alcun motivo di mantenerle nel milieu dei cristiani venuti dal paganesimo . Sembra cosi che i l Pastore sia una delle opere essen ziali per la conoscenza del milieu teologico e spirituale giudeo-cristiano. Il problema della sua datazione è com plesso 1()4. Gli elementi-base sono conosciuti. Da una parte Erma sostiene di aver ricevuto da papa Clemente l'ordine di scrivere il suo libro; il che ci colloca nel 90. Dall'altra il Canone Muratoriano dice che il Pastore è stato scritto verso il 140. La soluzione sembra quella che l'opera pre senti piu stadi di redazione, dei quali il primo risalirebbe al 90 cir<.:a. Questo spiega il valore che assume il testo, il quale, nella sua prima stesura, c'informa sulla condi zione molto arcaica della comunità romana. Le indicazioni riguardanti la gerarchia, e che si congiungono a quelle della Didachè, sembrano confermarlo. Ciò corrisponde del resto allo stato del testo, il quale presenta varianti che rivelano dei rimaneggiamenti. La piu importante, come dimostreremo, è la sostituzione dell'espressione « il No me », tipicamente giudeo-cristiana e che non era piu ca pita, con l'altra « il Nome del Signore » 105• La localizzazione del libro a Roma è testimoniata dallo stesso testo: non v'è alcun dubbio. Rimane il pro blema del milieu. Gl'influssi esseni sono assai marcati. Si tratta, come nei tre testi che abbiamo visto precedente mente, di quell'impronta essena che tutto il giudeo-cri stianesimo arcaico presenta nell'ambito della morale e delle istituzioni? Esiste un'influenza piu precisa e si deve ve dere in Erma, come propone l' Audet, il figlio di un es-
104
Cfr. S. Giet, J:lermas et les Pasteurs, Paris, 1963, e la mia cri « RSR », LII ( 1 964), pp. 103-107. 105 L'autorità che Origene riconosceva particolarmente all'opera è un argomento a favore della sua origine all'epoca apostolica. In questo -.cnso è notevole il fatto che il Pastore venga subito dopo il Nuovo Tc,tamento nel Codex Sinaiticus. tica in
Le fonti eeno convertito, venuto da Gerusalemme a Roma dopo il 70? La differenza di atmosfera tra il Pastore e la Lettera di Oemen te Romano, che gli è contemporanea, permette di pensare che è maggiore in Erma la persistenza di carat teristiche essene primitive e di concordare con l'Audet
quando
vede nel Pastore l'impronta di influenze essene
Ignazio
e
posteriori al 70. In ciò l'opera dovrebbe essere accostata alle Odi di Salomone, cui l'apparenta l'ascetismo mistico.
Clemente
Ci resta da parlare di due opere che appartengono ad un genere particolare; sono lettere inviate da vescovi: le Lettere d'Ignazio d'Antiochia e la Lettera di Clemente Romano. Si tratta peraltro di scritti con caratteristiche molto diverse. Le Lettere d'Ignazio rappresentano l'opera piu importante dell'epoca che stiamo studiando e, per molti aspetti, esse non rientrano nel nostro studio. Da una parte ci troviamo di fronte non a speculazioni teo logiche o a tradizioni private, ma alla fede stessa della Chiesa, trasmessa mediante la successione dei vescovi. Sono opera di un grande santo, illuminato dallo Spirito Santo, in cui l'ideale del cristianesimo prim itivo si espri me con splendore i negu agli abi le . Ma l 'unico aspetto che qui esaminiamo d I gnazio è quello di testimone del giudeo-cristianesimo. Di primo acchito si potrebbe esitare nel col lega r l o all'ambiente di quegli autori che abbiamo sinora studiato. La sua opera manifesta un carattere accentuatamente antigiudaico : « È assurdo avere Gesu Cristo sulle labbra e vivere co me Giudei » ( Ad Magn. , X, 3 ) . Gli avversari che egli ac cusa di corrompere la comun i t à c che combatte senza sosta sono i cristiani influenzat i da una forma di giu d,lcsimo gnostico, i quali negano la realtà dell'Incarna zione fondandosi sull 'Antico Testamento 106 • Ritorniamo '
11111
E. Mollnnd, Thc
1 /at•fic.f Comhattt·d
by l gnatius
of Antioch, in
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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necessariamente alla gnosi giudaizzante. Ora, abbiamo vi sto che la lotta contro le tendenze giudaizzanti carat terizzava i giudeo-cristiani, particolarmente nella Lettera di Barnaba. D'altra parte gli sviluppi teologici presenti in Ignazio manifestano indubbie somiglianze con certe opere di cui abbiamo parlato, in particolare con l 'Ascensione d'Isaia e con le Odi di Salomone, che ci sono sembrate riallac ciarsi al cristianesimo siriaco. Orbene, Ignazio è vescovo di Antiochia e la sua opera presenta tracce dell'influenza di questa teologia siriaca imparentata ad un giudaesimo di carattere gnostico, che conosce forme tanto ortodosse, quanto eterodosse. Ad H. Schlier spetta il grande merito di aver accertato questo punto con una minuzia che non può non convincere 107• Osserviamo anzitutto un certo numero di componenti tipicamente giudeo-cristiane. Cristo viene indicato con l'espressione « il Nome » : « Avete udito che venivo dalla Siria, incatenato per il Nome » (Ad Eph. , I , 2 ) . Questa espressione si ritroverà nel Pastore. Da notare che il termine « il Diletto » ( 1ÌY0.1t1J(J.Évoc;), usato per designare il Cristo (Ad Smyrn. , Inscript. ), è abituale nell'Ascensione d'Isaia e presenta un carattere arcaico. L'immagine di Cristo giardiniere e della Chiesa « piantagione » ( cpuyda.) ( Ad Phil. , III, l ; Ad Trall., XI, l ) è tipicamente giu deo-cristiana. La troviamo nell'Ascensione d'Isaia ( IV, 3 ) : « La Chiesa è la piantagione che i Dodici Apostoli del Diletto hanno piantata », ed è presente anche nelle Odi di Salomone (XXXVIII, 1 7 ) 108• Ignazio espone la discesa agli inferi nella sua forma arcaica, correlativa al problema della salvezza dei santi dell'Antico Testamento : « Gli stessi profeti, suoi disce«
TEH », V ( 1952), pp. 1-6; ripreso in Opuscula patristica, Oslo, 1970, pp. 17-23. Cfr. pure L. W. Barnard, The Background of Ignatius of Antioch, in « VC », XVII ( 1 963), pp. 193-206. 107 H. Schlier, Religionsgeschichtliche Untersuchungen zu den !gna tiusbriefen, Giessen, 1929, pp. 175-186. 108 I bidem, p. 50. L'espressione è familiare alla comunità di Qumran ( D.\D, VIII, 5).
60
Le fonti
poli in spmto , lo aspettavano come loro maestro. Per questo, colui che essi attendevano, vivendo nella santità, quando venne li risuscitò dai morti » ( Ad Magn. , IX, 2 ). Bieder rileva che il tema non appartiene al pensiero di Ignazio, m a sembra un frammento ricevuto dalla tradi zione giudeo-cristiana 109• È possibile che qui Ignazio di penda da un midrash di Geremia di cui parleremo in seguito .
A proposito delle gerarchie celesti troviamo un passo curioso: « Non potrei forse scrivervi celesti dottrine? Ma temo di danneggiarvi perché siete bambini ( v1)1not). Per donatemi ! Forse non le potreste inghiottire restando ne cosf soffocati. Io stesso, quantunque sia incatenato e possa intendere le cose celesti, le gerarchie angeliche ( -co1to8EO"�ac;), le schiere dei principati, le cose visibili e le cose invisibili, non per questo sono un vero disce polo » (Ad Trall. , V, 2 ). Gli si accosti Ebr. 5, 1 1 - 1 2 : « S u questo soggetto avremmo d a dire molte cose e dif ficili a spiegarsi, perché siete diventati lenti a capire ( ... ) avete di nuovo bi sogno che vi si insegni quali sono i primi rudimenti ( 0"-cotxEi:a ) » no. Questi due testi sono dello stesso ordine. In ess i si stabilisce un 'opposizione tra la catechesi elementare, cibo dei neofiti ( cfr. I Pie t. 2, 2 ), tradizionalmente assimilati a dei v1)mot , e gli inse gnamenti superiori . La nostra gnosi , come abbiamo vi sto, cor rispo nde a questi insegnamenti piu elevati. Ora, Ignazio dichiara di volersi attenere all 'insegnamento ele mentare; per questo motivo la gnosi compare nei suoi scritti tutt'al piu per allusioni, anche se egli afferma di conoscerla. Fra queste allu sio ni ve n 'è una particolarmente no tevole. Si tratta del celebre passo di Ad Eph., XIX, su cui ritorneremo frequentemente : « Al principe di questo mondo rimase nascosta la verginità di Maria, ed anche il
109 W . Bieder, Dit· Vorstelluftg vo11 de'l' I IW!.'nfahrt ]. C. , cit., p . 1 42. 110 Trad. it. a cura di G. Bonsirvt"n, Roma, 1 962, p. 231 .
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suo parto; e cosi pure la morte del Signore. Sono questi i tre misteri strepitosi che si compirono nel silenzio di Dio. Brillò nel cielo un astro piu splendente di tutti gli altri. Il suo fulgore era indescrivibile e la sua novità riempi tutti di stupore. Tutte le altre stelle, il sole e la luna, facevano corona a questo nuovo astro che, con il suo splendore, le offuscava tutte. Tutte rimasero tur bate chiedendosi da dove potesse venire quella nuova stella cosf differente dalle altre. Allora si sciolse ogni magia, si ruppe ogni legame iniquo » ( 1-3 ). Esamineremo dettagliatamente questo brano straordi nario. In ogni modo sembra certo il suo rapporto con l'Ascensione d'Isaia indicato da H. Schlier. Si tratta di un descensus del Verbo celato agli angeli. Si osservi l'allusione al silenzio di Dio : « V'è un solo Dio, mani festato per mezzo di Gesu Cristo, suo Figlio, il quale è il suo verbo uscito dal silenzio » (Ad Magn. , VIII, 2 ). Ma questo silenzio è anche quello del vescovo, rappre sentante di Dio: « Quanto piu ci si accorge che il ve scovo tace, tanto piu bisogna rispettarlo . Infatti, chiun que il padre di famiglia abbia mandato ad amministrare la sua casa deve essere accolto come colui stesso che lo invia. Perciò è evidente che dobbiamo venerare il vescovo come il Signore in persona » (Ad Epb. , VI, l ) 111 • Qui cogliamo una componente propriamente siriaca e antiochena del giudeo-cristianesimo. Vi troviamo questo senso del mistero di Dio e l'accento posto sulla trascen denza. Tutto ciò verrà espresso in modo eterodosso dallo gnosticismo che svilupperà la teologia negativa, ma persisterà nella teologia siriaca, e lo ritroviamo in un altro grande antiocheno, Giovanni Crisostomo, precisa mente nelle sue Omelie sull'Incomprensibilità di Dio. Questa caratteristica è pure presente nella liturgia siriaca, che manifesta la separazione dei santi misteri dal mondo profano. La gerarchia, affidando nel santuario, è l'im1 11
Cfr. H. Chadwick, The Silence of Bishops in Ignatius, in », XLIII ( 1950), pp. 169-172; P. Meinhold, Schweigende Bischofe, in Festgabe J. Lortz, Baden-Baden, 1957, pp. 467-490.
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HTR
Le fonti
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E
vitibile del Dio nascosto. n una costante del rellgioso antiocheno, sotto la vernice superficiale enismo. Aggiu ngerei , infine, che una delle caratteristiche delle Ulltrt d'Ignazio è data dall'organizzazione gerarchica in tre grad i della comunità : « Sforzatevi di compiere tutto in quella concordia, che Dio vuole sotto la direzione del
vescovo che tiene il luogo di Dio, e dei presbiteri in luogo del collegio apostolico ( awÉopto'V) e dei diaconi miei dolcissimi, ai quali è affidato il servizio di Gesu Cristo » (Ad Magn. , VI, 1 ). Questa rigida divisione tri partita non può non richiamare, come vedremo, la strut tura della comunità essena e affonda in tal modo le sue radici nel giudeo-cristianesimo. Essa sembra strut turata sul modello della primitiva comunità monarchica di Gerusalemme, alla quale Antiochia è cosi vicina. Occorre aggiungere che gli echi della vita liturgica, presenti in Ignazio, hanno dei punti di contatto con le Odi di Salomone. È noto il celebre passo : « In me non vi è che un'acqua viva che mormora : Vieni al Padre! » (Ad Rom., VII, 2). Esso ricorda Odi XI , 6 : « Acque parlanti hanno toccato le mie labbra, zampillanti dalla fontana del Signore » . L 'u no e l'altro dei brani citati evocano l'acqua viva del battesimo giudeo-cristiano 112 • Le numerose allusioni all'unzione profumata, ad es. : « Il Si gnore accettò il profumo versato sul suo capo per in fondere l'immortalità alla su a Chiesa » (Ad Eph. , XVII , 1 ), s i ritrovano in Odi : « Le mie narici s i sono rallegrate per il buon odore del Signore » ( X I , 1 3 ) e sottolineano l'importanza dei riti d ' unzione in Siria. Infine un ultimo aspe tto del tutto specifico di Ignazio trova un parallelo giuda ico notevole. Le Lettere d'Igna zio sono colme del pensiero del martirio. Un'espressione ricorrente è quella in cui dice di offrire la sua vita « in riscatto » ( &.v-.(\jluxov ) per i su oi fratelli (Ad Eph. , XXI, 1 1 2 Cfr. V. Corwin, 1 960, pp. 204-207.
St. Iwwtiu.r
and C:brùtianity in Antioch, Yale,
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l ; Ad Smyrn., X, 2). Orbene, siamo in possesso di una omelia giudaica scritta in greco e sicuramente ad Antio chia stessa all'epoca di Ignazio : è intitolata IV Libro dei Maccabei ed è un elogio degli eroi della rivolta giu daica contro Antioco. Dupont-Sommer ha notato nella 3 sua edizione 1 1 che l'omelia contiene un'espressione iden tica a quella ignaziana: « Ricevi la mia anima come ri scatto ( à.vtl.\jJuxov) delle loro anime », dice il vecchio Eleazar ( VI, 29 ), e ancora: « La loro vita è servita, per cosi dire, di riscatto per i peccati del nostro popolo » ( XVII, 22). La Lettera di Clemente Romano pone un problema analogo a quello delle Lettere d'Ignazio. La presenza di elementi ellenistici è evidente. Sanders ha rilevato l'uso 11 di espressioni tipicamente stoiche \ come O'uyxpa.O'tç e O'U{J:ltVEi:v per indicare l'unione dei membri della Chiesa, e otol.x'r}O'Lç per designare la disposizione del x60'J..I..o ç. Si notano pure certe allusioni ellenistiche : la storia della Fenice quale simbolo della Resurrezione (XXV, 2-3 ), oppure quella dell'alternanza del giorno e della notte (XXIV, 3 ) che si trova in Seneca (Epist. , XXXVI, 10- 1 1 ). Tuttavia bisogna tener presente che l'allusione alle Danaidi e a Dirce, che era considerata come la piu sorprendente, è senza dubbio frutto di un errore di lettura 115• Ma, detto ciò, il milieu teologico di Clemente, come hanno giustamente sottolineato Harnack e Wrede 116, è 11 3 A. Dupont-Sommer, Le quatrième Livre des Macchabées, Paris, 1 939, pp. 67-85. Cfr. pure O. Perler, Das vierte Makkabaerbuch, Igna tius von Antiochien und die alteste Martyrerberichtung, in « RivAC », xxv ( 1949), pp. 47-72. 114 L. Sanders, L'hellénisme de Clément de Rome et le Paulinisme, Louvain, 1943, pp. 199-240; cfr. pure G. Bardy, Vocabulaire stolcien dans la Prima Clementis, in « RSR », XII ( 1922), pp. 73 ss. ; O. Knoch, Eigenart und Bedeutung der Eschatologie in theologischen Aufriss des ersten Clemensbriefes, Bonn, 1964. 1 15 A. Dain, Note sur le texte de Clément de Rome, in Mél. Lébre ton, I ( apparso in « RSR », XXXIX [ 1951 ] ), pp. 353-362. 116 E. Peterson ha dimostrato che il genere letterario della Lettera era giudaico, piu di quello delle Lettere paoline (Das Praescriptum des l Clemens-Briefes, in Pro Regno Pro Sanctuario, pp. 351-354; ripreso in Friihkirche, ]udentum und Gnosis, cit., pp. 129-137). 9
Le fonti
atiano . Su questo punto il libro di Sanders è Lle. Soltanto che questo giudeo-cristianesimo è
E
diverso da quello antiocheno e non si collega in llcun modo ad un giudaesimo esoterico o gnostico. Gop Delt ha osservato, e con ragione, l'assenza totale di specu lazioni di questo genere 117 • L'opera si riallaccia alla lette ratura giudaica di edificazione, a tendenza morale, del giudaesimo palestinese e che continuerà nei midrashim. L'osservazione di Goppelt, secondo il quale tale caratte ristica s'accorda maggiormente con lo stoicismo latino 118 , è esatta. Le Lettere si sviluppano su uno sfondo giudeo stoico. Possiamo anzitutto osservare alcuni aspetti della teo logia arcaica. Il Cristo è designato come « il Nome » in quanto Verbo creatore ( LIX, 3 ) . L'espressione « il Di letto » compare a piu riprese ( LIX, 2 e 3 ). La Lettera usa dei midrashim, in particolare un midrash di Geremia che circolava nella comunità romana e che appartiene ad un genere specificamente giudaico. Clemente sembra cosi essere in contatto con la letteratura della comunità arcaica , di cui egli rappresenterebbe un secondo momento. Le con siderazioni del capitolo XX sull'ordine della creazione come espressione della volontà di Dio si ritrovano in II Henoch e nei Testamenti m . Ma, fatto piu importante, la Lettera presenta molte plici esempi di un genere tipicamente giudeo-cristiano : l'haggada omiletica, che presenta una serie di personaggi dell'Antico Testamento come modelli dì virtu 1 20 • Questo genere compariva già nella Sapienza �reca , con l 'elogio dei Padri, e lo troviamo nella Lettera agli J:'hrci ( 1 1 , 1-4 0) a proposito dell'elogio della fede, c nel IV Lihro dei Macca-
1 17 L. Coppcl t , Chri.! ll'nlum 11nJ Judrnlum . ri t . , p . 224. I hidcm, p . 240. I l'> Cfr. W. C. van Unnik, fs l Clt'/1/t'lll , 20 Purcly Stoic?, in " VC » , I V ( 1 950 ), pp. 1 8 1 - 1 90; A .lauhcrt , 'J'hèmcs l"vitiques dam lu l'rima Clt•mt·ntis, in ve XVI I I ( 1 964 ), pp. 1 93-203. I lO Cf r. I l . Thycn, Da Stil tlrr Jiitlllt ·h ht-l!cnistischen Homilie, G
..
...
.
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
65
bei ( 1 6, 20-2 1 ). I Testamenti dei XII Patriarchi dipen dono da un genere analogo, parimenti attestato nella litur gia delle Costituzioni apostoliche (VIII, l , 1 3- 1 7 ) e certa mente coiiegato a fonti giudaiche. L'iconografia giudaica infìne, quella di Dura Europos, al pari delle pitture cata combali rivela l'esistenza di queste serie di personaggi che risalgono ad antichi prototipi 121 • La Lettera di Clemente ce ne offre parecchi esempi. Vi è una haggada degli effetti della gelosia ( IV, 1 - 1 2 ), i cui esempi sono Caino, Esau, i fratelli di Giuseppe, Aronne e Maria, Datan e Abiron, i nemici di Davide 122 • Viene poi un elogio dei santi dell'Antico Testamento : Henoch, modello d'obbedienza ( IX, 3 ); Noè, di fedeltà ( IX, 4 ) ; Abramo, di fede (X, 1-7 ); Lot, di ospitalità (XI, 1 -3 ) ; Raab, pure di ospitalità (XII, 1-7 ). La scelta di questi esempi può sembrare strana ; essa appartiene certa mente alla tradizione, perché tali personaggi ricorrono nei testi e nei monumenti antichi. Si noti l'importanza data a dei non-giudei, da cui traspare l'intenzione apologetica, come in II Henoch. Piu oltre si legge un elogio dell'umiltà. I primi ad essere nominati sono i penitenti : Eliseo, Elia, Ezechiele, vestiti con pelle di capra (ciò ricorda Ebr. 1 1 , 3 7 ) ( XVII, l ). Abramo ha riconosciuto di essere cenere e polvere (XVII, 2 ), Giobbe confessa che nessuno è esente da macchia (XVII, 4 ) . A Mosè Clemente attribuisce queste parole che forse provengono da un apocrifo: « Io sono solo vapore ( &.·q.J.lç) che esce da una pentola » (XVII, 6 ) 123 • David ha pronunciato il Miserere (XVIII, l ); Abramo, !sacco e Giacobbe sono presentati come modelli di coloro che camminano nelle vie di Dio (XXXI, 2-4 ).
121 Cfr. A . G . Martimort, L'iconographie des catacombes e t la caté chèse antique, in « RivAC », XXV ( 1949), pp. 1-12. 122 K. Beyschlag, Clemens Romanus und der Friihkatholizismus, Tii bingen, 1966, pp. 48-135. 123 Trad. it. in I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
Le fonti
66
Tradizioni dei presbiteri Sin qui abbiamo passato in rassegna i principali monu
menti che ci rimangono del periodo giudeo-cristiano della storia della teologia. Ma accanto ai documenti scritti si pone il problema di sapere se non siano rimaste e succes
sivamente non ci siano state tramandate determinate tra dizioni orali provenienti da questo stesso ambiente. Dispo niamo, a questo proposito, di due testimonianze fonda mentali: la prima appartiene a Papia, la seconda a Cle mente Alessandrino. Entrambi dichiarano di aver messo per iscritto tradizioni pervenute dagli Apostoli. Non ci si deve riferire agli Apostoli stessi, bensi al milieu aposto lico, cioè alla comunità giudeo-cristiana primitiva. Lo stu dio di tali tradizioni ci permetterà di approdare, per una strada diversa, alle medesime dottrine che abbiamo tro vato nei testi scritti e servirà cosi a confermare il loro carattere giudeo-cristiano. Conosciamo Papia principalmente per mezzo d'Ireneo e d'Eusebio. La testimonianza del primo è tanto piu pre ziosa perché proviene dallo stesso ambiente di Papia e gli è di poco posteriore. Scrive Ireneo: « Papi a discepolo di Giovanni c com pagno di Po li carpo, uomo an tico , atte sta queste cose per iscritto nel quarto dei suoi l ibr i . Ne aveva scritti cinque » ( Ad v. hacr. , V, 3 3 , 4 ). I reneo ha co n osciuto Policarpo; quindi la sua tes t i monianza su Papia è d i prima mano. I reneo asserisce che Pa p i a è appartenuto ad una generazione contempornnca de�l i Apostoli 124 • Dice pure che Papia era d'origine asiuticn . D ' a l t ra parte Ireneo ha conosciuto l o pera di Papia ed è noto i l senso della tradizione che egli possedeva . f.: proprio per questo suo senso della t rad i zi one che egli a nn e t t eva grande impor tanza all'opera di Papia, i n quanto essa l o poneva in con tatto con i tempi apostolici . Ne sorge immedi a ta mente un p roblema che domina ,
'
«
1 24 Cfr. E. Gu twcngcr, Papiar, ZKT » , LXIX ( 1 947), p. 4 1 6.
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chmnologirche Studien, in
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
67
lo studio che stiamo iniziando. All'epoca d'Ireneo si pos sono intendere per tradizione due cose diverse. Da una parte esiste una trasmissione ufficiale della fede ( cosi come è espressa dalla « Regola di fede » ) il cui organo è la successione dei vescovi. Essa riguarda le verità princi pali. Dall'altra esistono in questo periodo tradizioni orali, relative agli argomenti piu disparati, e che non risalgono agli stessi Apostoli, ma alla generazione apostolica, cioè alla prima comunità. Per questa ragione hanno goduto di una grande autorità nel secondo secolo. Esse non ci fanno cogliere la tradizione nel senso dogmatico del termine, ma soltanto delle tradizioni antiche. Orbene, il contenuto di tali tradizioni costituirà l'oggetto specifico del nostro stu dio, vale a dire la teologia della comunità cristiana dei tempi apostolici. È quindi evidente la loro importanza per noi. Una conferma ci viene dalla seconda testimonianza in nostro possesso su Papia : quella di Eusebio, il quale ci ha tramandato il titolo ( Esegesi delle parole del Signore) c la prefazione dell'opera di Papia. « Non esito ad aggiun gere ciò che ho appreso bene dai presbiteri ed ho conser vato nella memoria ( . . . ). Se mi imbattevo in chi avesse avuto consuetudine coi presbiteri, cercavo di conoscere le sentenze dei presbiteri, ciò che avevano detto Andrea, o Pietro, o Filippo, o Giacomo, o Giovanni, o Matteo, o qualche altro dei discepoli del Signore; ciò che dicono Aristione e il presbitero Giovanni, discepoli del Signore. Io ero persuaso che il profitto tratto dalle letture non poteva stare a confronto con quello che ottenevo dalh� parola viva e durevole » ( Hist. eccl. , III, 3 9 , 3 -4 ) 125 • Il testo è esplicito. Per presbiteri Papia sembra desi gnare globalmente l'ambiente della prima comunità: sia gli Apostoli, sia gli altri. Non è quindi l'insegnamento degli Apostoli in quanto tale che lo interessa. Peraltro egli distingue nettamente i libri delle Scritture canoniche 1 25 I n Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica
e
I martiri della Pa
;, stina, testo greco con trad. a fronte di G. Del Ton, Roma, 1964.
Le fonti
68
dalle tradizioni orali, che sono un'altra cosa e che lo atti rano in modo particolare. Non sapremmo collocare meglio quanto Papia ci trasmette : sono dottrine provenienti dalla comunità giudeo-cristiana, ma che non appartengono alla tradizione ufficiale della Chiesa, vale a dire propriamente alla teologia della prima comunità. Non manca d'altronde l'apporto personale di Papia : lui stesso ha fatto delle Ép�TJve:Lcu, è stato esegeta e teologo. Da questo punto di vista rappresenta una fonte distinta e posteriore, ma che dipende anche dalla teologia giudeo-cristiana. Lasciando da parte le tradizioni puramente storiche, restano molti altri punti importanti. Andrea di Cesarea riferisce che Papia insegnava che Dio aveva affidato a certi angeli l'amministrazione della terra e che essi tradirono questa missione 126• La dottrina, di evidente origine giu deo-cristiana, ricomparirà in Atenagora, Ireneo e Gre gorio di Nissa, che la presenteranno come una 1tcx:pli oocnç 127 • Il tipo di queste speculazioni giudeo-cristiane con il loro carattere arcaico le ha fatte considerare tradizioni venerabili . Piu volte abbiamo notato che l'importanza data all'angelologia è uno degli aspetti della teologia giu deo-cristiana. Il millenarismo è la seconda e la piu importante dot trina che Papia dichiara di ricevere dalla tradizione. Essa è contenuta nell'Apocalisse di Giovanni , ma in Papia assume sviluppi che risentono degli influssi dell'apoca littica giudaica, in particolare dell'Apocalisse di Baruch. Ireneo espone questi sviluppi dottrinali e, rispettoso com'è della tradizione, li fa propri ( Ad v. haer. , V, 33, 3 ). Eusebio, altrettanto esplicito, è piu intransigente : parla di 1tcx:pcioo!;ci ·nvcx: che Papia insegna come « apprese dalla tra dizione » ( Hist. eccl. , III, 39, 8 ), e di "i.vcx: �ue�xw"':e:pcx: ( III, 39, 1 1 ). Ancora una volta è l 'autorità dell'antichità ad assicurare a queste speculazioni giudeo-cristiane la for tuna che esse manterranno fino al quarto secolo. Eusebio 126 E . Preuschen, Antilegomena, cit., p. 96. Cfr. ]. Daniélou, Les anges et leur mission, 1953 2, pp. 62-67. 127
Chevetogne,
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69
parla del resto di certe strane parabole ( l;Évcx:ç) del Salva tore e di altri suoi insegnamenti, ma non precisa di che cosa si tratti. Altri dati interessanti sono attribuiti da Ireneo « ai presbiteri, discepoli degli Apostoli », riferendosi evidente mente allo stesso ambiente del quale Papia riporta le tradizioni. Uno riguarda il trasferimento in Paradiso di Enoch e di Elia, dopo la morte, con i loro corpi, « primi zie della resurrezione » (Adv. haer. , V, 5, 1 ). Questo aspetto, già incontrato in II Henoch, è in relazione con la dottrina giudeo-cristiana della resurrezione anticipata dei santi dell'Antico Testamento. Un altro riguarda la diversità delle dimore paradisiache, « cieli, paradiso e città », posto in relazione con Mt. 1 3 , 8, sulla semente che rende cento, sessanta, oppure trenta (V, 36, l ). Que sto testo di Matteo è oggetto di speculazioni parallele nel trattato pseudo-ciprianeo De centesima sexagesima trice sima, che contiene molti elementi giudeo-cristiani 128 • Cosi la critica interna conferma i dati esterni per farci vedere nelle tradizioni riferite da Papia una forma di teologia giudeo-cristiana. È chiaro che queste tradizioni ci fanno risalire ad una data molto alta. Alcune possono venire dalla comunità palestinese del periodo precedente il 70; altre risalgono intorno all'SO e si collegano ad un ambiente asiatico. D'altra parte è in Asia che il millena rismo prende tutto il suo sviluppo e precisamente nella comunità fondata da Giovanni. Si tratta, come vedremo, di un giudeo-cristianesimo a colorazione messianica non privo, forse, di elementi zeloti. In Asia Minore, infatti, il nazionalismo giudaico sembra essersi mantenuto molto vivace per la maggiore tolleranza che vi regnava. Per mezzo di Papia è venuto dunque alla luce un aspetto del tutto nuovo del giudeo-cristianesimo. Queste sono alcune delle tradizioni tramandate da Papia. Anastasio il Sinaita scrive che « egli aveva com!28
Edito da R. Reitzenstein, in
ci"r·. pure Ree. Clem. , IV, .36.
«
ZNW
»,
XV ( 1914), pp. 74-88;
Le fonti
70
mentato l 'Esamerone interpretandolo [ in riferimento] a alla Chiesa » 129 e che aveva « interpretato il Para diso applicandol o alla Chiesa di Cristo » . Con ogni pro babilità qui si tratta delle Èp�TJVE�«�, i lavori esegetici per sonali di Papia dei quali parla Eusebio, che attesta l'esi stenza nel giudeo-cristianesimo di un'esegesi teologica dei primi capitoli della Genesi. Abbiamo incontrato questa eseges i nella Lettera di Barnaba. Avremo modo di consta tare l'importanza di simili speculazioni sulla Genesi per la teologia trinitaria e per la teologia ecclesiale giudeo
Cristo e
cristiana: esse appaiono uno dei punti essenziali dell'atti vità teologica giudeo-cristiana e una delle forme principali della sua gnosi. Tutto ciò si pone evidentemente sul pro lungamento di speculazioni giudaiche esoteriche intorno a questi capitoli, la cui spiegazione, com'è noto, presso i Giudei era riservata. Infine è possibile che noi abbiamo l'eco delle tradi zioni dei presbiteri asiatici nell'interpretazione di molte parabole evangeliche che troviamo in Origene. Ecco infatti quanto scrive a proposito della parabola del Buon Sama rita no : « Secondo l 'antico commento di un presbitero che voleva spiegare questa para bola, l 'uomo che d iscendeva rappresenta Adamo, Gerusalemme il Para diso , Gerico il mondo, i briganti le potenze nem i che ( . . . ), il samaritano il Cristo » ( Hom. in Luc., XXXIV, 3 ; GCS , 20 1-202) 130• La stessa esegesi si t rova già in lrcneo ; poiché è poco verosimile che Origene chiami Irenco « u n o dei presbi teri » , resta che la fonte comune è data d a ll a tradizione dei presbiteri. È quindi possibile che esegesi analoghe con tenute nel Commento a Ma/leo di Origene provengano dalla stessa fonte, fo rse Papia. Probabilmente sono queste le esegesi che E u sebi o indica col termine di 1tcx:pcx:�oÀ.!Xç sÉvw;.
Allo stesso milieu possono essere riallacciate certe tra12Y E. Prcuschen, Antilcgomentl, l"it .. p. 96. n o In Origene, Commento al VtlfiJI.t'lo di Luca, trad. it. d i C. Ali gnò, introd. e note di C. Foillt·, Roma, 1 969: dr. ]. Daniélou, Le 13on Samaritain, in Mél. Robert, Paris-Ton rnai, 1 9 5 7 , pp. 457-465.
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71
dizioni che Ireneo attribuisce a degli « anziani » o a dei « predecessori », ma che non sono poste direttamente in relazione con Papia e l'ambiente apostolico : devono quindi costituire una fonte diversa. Una di esse rinvia certamente ad un'opera antimarcionita, attribuita ad un presbitero: vi si parla della discesa agli inferi, quale sal vezza portata ai santi dell'Antico Testamento (Adv. haer., IV, 27, 1 ). Vedremo che la dottrina ha un carattere giu deo-cristiano. Un'altra, che rimanda a un « predecessore » , parla dell'estensione delle mani di Cristo sulla croce, sim bolo della riconciliazione dei Giudei e dei Gentili ( V, l 7 , 4 ). Il che dipende da una teologia della croce in cui coglieremo una delle caratteristiche salienti del giudeo cristianesimo e che può essere collegata all'ambiente gio vanneo 131 • Ci siamo occupati sinora delle tradizioni orali risalenti ai presbiteri asiatici tramite Papia e Ireneo. Ma c'è un altro autore, di ambiente diverso, che asserisce ugualmente di aver trascritto antiche tradizioni orali: Clemente Ales sandrino. All'inizio degli Stromata racconta come abbia raccolto dalla tradizione orale insegnamenti misteriosi e come si sia deciso a trascriverli dopo qualche esitazione ( I, 1 3 , 57). Da chi le ha ricevute e qual era il contenuto di queste tradizioni orali? Bousset ha tentato di dimostrare che esse provenivano essenzialmente da Panteno, al quale Clemente si riferisce frequentemente dichiarando di averlo avuto come maestro. Ess(; rappresenterebbero le prime tradizioni della Scuola di Alessandria 132 : non c'è dubbio che ciò sia vero, almeno per una parte di esse. Bousset cerca allora di stabilire ciò che nell'opera di Clemente risale a queste tradizioni scolastiche: in particolare cita le Eclogae propheticae, le Adumbrationes e una parte degli Stromata. Questo insieme di scritti è costituito soprattutto da esegesi dell'Antico e del Nuovo Testa mento. Le Eclogae comprendono dei commenti dei primi 131
A. Orbe, Las primeros herejes ante la persecuci6n, cit., p. 228. 132 W. Bousset, ]iidisch-christlicher Schulbetrieb in Alexandria und Rom, Gottingen, 1915, pp. 190-198.
Le fonti
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capitoli della Genesi e una lunga interpretazione del Salmo
1 8 . Le Adumbrationes riguardano le Lettere cattoliche;
gli Stromata, a detta di Clemente, partono « dalla genesi del mondo » ( I , l , 1 5 ). Le Eclogae sono caratteristiche del tipo di esegesi di cui qui si parla. I cieli vengono inter pretati come angeli protoctisti: sono gli intermediari di cui Di o si è servito per suscitare le alleanze successive. Ad essi sono subordinati altri ordini angelici. L'anima nella sua ascesa verso Dio riveste successivamente le
loro forme (Eclog. , 5 1 -57 ). Bousset sottolinea che in questi passi si parla di tra dizioni orali ricevute 133 : il paragrafo 50 delle Eclogae, che precede quelli da noi citati, parla di un 1tpe:crSU"t'TJ<:;. Peraltro il paragrafo 56, il piu importante tra quelli che parlano dei Protoctisti, cita Panteno. Sappiamo peraltro che Panteno interpretava le Scritture. Ed Eusebio ci dice esplicitamente che Clemente si è ispirato alla sua esegesi: « Ci sono poi gli altrettanti libri dal titolo Ipotiposi (Raf fìgurazioni ), dove egli menziona nominatamente Panteno suo maestro ed espone le spiegazioni delle Scritture e le tradizioni da lui ri cevute » (Hist. ecc!. , VI , 1 3 , 2 ). Bousset ne conclude che l 'insieme delle esegesi di cui parliamo rappresenta la trascrizione che Clemente ha fatto dell'in
segnamento orale di Panteno. L'ipotesi è attraente, ma non ha resistito all'analisi. Casey •-'-' e Munck m hanno dimostrato contemporanea mente che essa non aveva basi solide . L'allusione a Pan teno in Eclogae, -'0 si trova in mezzo aJ altre e non riguarda l'argomento esatto del passo. Peraltro l'inciso indica che l'insieme non è una ci t azione di Panteno. Quindi sarebbe vano voler ricostruire il pensiero di Pan teno partendo da questi passi . Ma il problema delle fonti rimane aperto. Di certo si può dire che questi passi presen tano dottrine troppo caratteristiche per essere state inte1 1.• Thidem, p. 1 17- 1 7 � . L'-4 R . P . Cascy, The Exccrpta
Ili
_1 .
�:x 'fhc·odoto , London, 1934, pp. 1 1-14. Munck, Untcrsuchun[l.en iihc•r K.lnncns von Alexandrie, Stutt-
gar t , 1 93 3 , pp. 151-205.
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
73
ramente inventate da Clemente, dal momento che non si pongono sulla linea del suoi pensieri abituali. Di tali dottrine è possibile stabilire la collocazione. Lo sviluppo dell'angelologia caratterizza la letteratura giu daica apocalittica; piu precisamente la dottrina dei Pro toctisti - degli angeli primogeniti - si collega alle tra dizioni giudaiche 136• La dottrina delle anime che rive stono le forme successive delle gerarchie angeliche si trova nell'Ascensione d'Isaia. Questi passi contengono peraltro un certo numero di teorie strane : quella delle alleanze successive e della loro relazione con gli angeli; la conce zione secondo cui Dio è dotato di un corpo, il che è in contraddizione con il resto dell'opera di Clemente; l'oppo sizione tra l'elemento maschile - principio di ciò che è valido nel mondo - e l'elemento femminile, che sta all'origine di ogni debolezza. Ora, P. Collomp ha osser vato tempo fa che queste dottrine si ritrovavano negli scritti pseudo-dementini 137, che sono giudeo-cristiani e contengono numerosi elementi di teologia giudaica. Ciò ci induce perciò a riconoscere che l'aspetto prin cipale dei passi in questione è la loro colorazione giudaica e ci permette di scartare la teoria di Bousset che in essi vedeva l'insegnamento orale della scuola alessandrina prima di Clemente. Non si tratta della tradizione scola stica alessandrina, che esisteva già presso i Giudei elle nizzati, in Filone, e che rappresenta una corrente del tutto diversa. Qui siamo in contatto con un insegna mento giudaico palestinese. C'è chi ha proposto di consi derarlo il risultato di un passaggio di Clemente in Pale stina dove avrebbe incontrato dei rabbini ebrei. Ma un'al tra osservazione ci orienterà altrove. Vedremo che Cle mente insiste sul carattere tradizionale di questo insegna mento. Egli ha inteso mettere per iscritto delle tradizioni orali perché esse non vadano perdute. Secondo lui, tali 136 F. Sagnard, Clément d'Alexandrie, Extraits de Théodote, Paris, 1 9-18, p. 77. 137 P. Collomp, Vne source de Clément d'Alexandrie et des Ho n•,:/ics pseudo-clémentines, in « RPh », XXXVII ( 1913), pp. 19 ss.
74
Le fonti
tradizioni
orali risalivano ai tempi apostolici. Nel passo che segue la citazione dei suoi maestri, si legge infatti : « Questi custodiscono la vera tradizione ("Rctpci8oo-Lc; ) del beato insegnamento venuto direttamente dai santi apostoli Pietro, Giacomo, Giovanni e Paolo,
trasmesso di padre in figlio ( sono rari i figli che assomi gliano ai loro padri) e, grazie a Dio, giunto sino a noi
per deporvi fecondi germi apostolici. E io so che i lettori si rallegrano non per l'attuale sviluppo letterario, ma sol
tanto per la conservazione delle tradizioni mediante queste note. In realtà questo saggio è opera di un'anima che non desidera altro che conservare intatto il beato inse gnamento » ( Strom. , I, l , 1 1- 1 2 ). Eusebio, da parte sua, scrive : « Nel libro primo ( degli Stromata, Clemente) atte sta che egli fu vicinissimo alla prima successione degli Apostoli e promette di comporre un commento alla Genesi. Nel trattato Sulla Pasqua afferma di essere stato indotto dai suoi amici a tramandare ai posteri, fissandole nello scritto, le tradizioni udite e ricevute dagli antichi presbi teri » ( Hist. ecc!. , VI, 1 3 , 8-9 ). Siamo d unq ue qui in una situazione del tutto paral lela a quella che abbiamo t rovato i n lreneo. Anche Cle mente Alessandrino ha co nosc i u t o delle tradizioni orali provenienti non dagli stessi A pos t ol i , ma dall 'ambiente a pos toli co e che dipendono quindi d a l l a teologia giudeo cristiana. Questo carattere orale viene da l u i ricordato in altri passi : « I presbiteri non sc rivev a no » ( Eclog. , 27 ) ; « Questa do ttrin a c i è pervenuta ma lmente ( ciypticpwç) dagli Apostoli » ( Strom. , VI , 7 , 6 1 ). I l re!ai di tali dot trine per lui sono stati gli nnziani d ' A l l's-;andria che costi tuivano un trai! d'union con i tempi a po s t o l ici, forse Pan teno in particolare, ma soltanto in q u a n to intermediario. Si tratta dunque di una tradizione giudeo-cristiana, ma distinta da quella asi ati ca dei presbiteri di Papia e che fa risalire la comunità di Alessandria n l la fine dei tempi apo stolici. Il contenuto di queste tradizioni, comprendenti in massima parte esegesi della GeneJi, conferma tale conclu-
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
75
sione. Si è visto che essa vale pure per Papia e, d'altra parte, abbiamo detto che ad Alessandria anche lo Pseudo Barnaba portava l'eco di esegesi di questo tipo. Sappiamo inoltre che nell'ambiente giudaico e giudeo-cristiano l'ese gesi della Genesi offriva l'occasione di speculazioni esote riche che dovevano, per conseguenza, non essere tra scritte, allo scopo di impedirne un'imprudente divulga zione 138 • Clemente ne ha redatta qualcuna, ma non senza esitazione. Constatiamo pure che le esegesi della Genesi hanno occupato un posto importante nella teologia degli Gnostici alessandrini, particolarmente degli Ofìti e dei Valentiniani; e poiché sappiamo quanto gli Gnostici di pendano dai giudeo-cristiani nel materiale utilizzato, si può concludere che nel giudeo-cristianesimo in generale e ad Alessandria in particolare, la teologia dotta, cioè la gnosi, in gran parte era composta di commenti della Genesi, di cui le Eclogae ci offrono importanti frammenti. Si osservi peraltro che Clemente parla di un insegna mento pervenuto dagli Apostoli; Papia ha detto la stessa cosa a proposito dell'insegnamento ricevuto dai presbiteri. Si rende necessaria una spiegazione. Abbiamo visto che uno degli aspetti della teologia giudeo-cristiana consisteva in sedicenti rivelazioni fatte da Gesu ai suoi Apostoli al momento della Trasfìgurazione (Apocalisse di Pietro) oppure dopo la Resurrezione ( Lettera degli Apostoli). Gli Gnostici egiziani dedicheranno largo spazio a queste tradi zioni e pretenderanno di opporle a quella della succes sione degli Apostoli. Ora Clemente non nega l'esistenza di tradizioni orali distinte dall'insegnamento ufficiale e riguardanti dottrine piu alte. Ci si può chiedere se egli non alluda a rivelazioni di questo tipo, che dipendereb bero pure da un genere letterario giudeo-cristiano e che gli Gnostici avrebbero deformato nel senso del loro sistema. 1 38 Intorno a queste speculazioni nel tardo giudaesimo dr. E. Pe tcorson, La délivrance d'Adam de l'Anankè, in « RB », LV ( 1948), pp. 1 99-2 14; ripreso in Fruhkirche, Judentum und Gnosis, cit., pp. 107-129; ,\ _ Dupont-Sommer, Adam père du monde, in « RHR », CXIX ( 1939), p p . 18-36.
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Resta da stabilire l'ambiente a cui appartenevano que
lti presbiteri di Clemente. Sembra molto diverso da quello
dei presbi teri asiatici in quanto non v'è traccia di millena riamo . Poiché invece abbiamo notato dei punti di con tatto con l'ebionismo, siamo indotti a pensare ad un ambiente esseno-cristiano. Si osservi che Clemente, alla
fine del Pedagogo, ci dà una versione delle due vie deri vata dalla catechesi essena. Ricordiamo che le due opere
che sinora abbiamo riconosciuto collegarsi al giudeo-cristia
nesimo egiziano - gli Oracoli sibillini e la Lettera di Barnaba presentavano ugualmente caratteristiche essene ben marcate. Inoltre la prima delle due era imparentata con l'ebionismo. Ciò permette di completare quanto abbiamo detto sopra riguardo le origini piuttosto oscure della Chiesa d'Alessandria, che avrebbe dovuto essere costituita, almeno in parte, da Esseni convertiti al cristianesimo e giunti dalla Palestina dopo il 7 0 139• Questa circostanza permetterebbe di chiarire il carattere della loro teologia, piu vicina all'e bionismo di quella dei giudeo-cristiani della Siria o di Roma. Mescolati alla colonia ebraica, senza grandi contatti con l'ambiente piu ellenizzato degli Erodiani e dei disce poli di Filone, essi sarebbero stati persegu itati assieme ai Giudei d'Alessandria. La loro esistenza sarebbe rimasta precaria e clandestina sino a qua ndo diventata piu tran quilla l'atmosfera, il cristianesimo avrebbe avuto la pos sibilità di espandersi negl i ambien t i ma ggi o rmente elle nizzati e sarebbe apparso l 'alessandrin ismo propriamente detto, con Panteno e Clemente. -
,
Con le tradizioni dei presbiteri abbiamo terminato lo studio delle fonti dirette della teologia giudeo-cristiana. Nello stesso tempo ne abbiamo precisato i caratteri essen zia l i c distinto le diverse corrent i . R i mane da dire che a queste fonti dirette devono essere unite quelle indirette; 1 141 I n tJIIl'Sto senso si osservi l'csistl"llln in ! ·: gitto
Fhrt·i ( Cicmcnte Alcss . , Strom. , I l , 9, -l 'S I .
del Vangelo degli
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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ciò significa a nostro avviso che è possibile riconoscere la presenza di dottrine giudeo-cristiane in autori posteriori, grazie alla determinazione che ci è stato possibile operare. È chiaro che in questo caso l'opera d'individuazione è piu delicata e che l'utilizzazione dei dati richiederà maggiore prudenza. Comunque ci fornirà utili informazioni, una volta provata l'origine giudeo-cristiana delle singole dot trine. Queste fonti indirette sono soprattutto di tre tipi. Vi sono i Padri della Chiesa del secondo e del terzo secolo, nei cui scritti è possibile osservare le molteplici tracce lasciate dalla teologia giudeo-cristiana. Ciò è vero soprat tutto per il secondo secolo che è l'immediato prolunga mento dei tempi apostolici e mantiene contatti attivi con il giudeo-cristianesimo. Teofilo d'Antiochia, Giustino, Ire neo e Clemente Alessandrino sotto questo profilo costi tuiscono fonti preziose. Kretschmar l'ha dimostrato per Teofìlo 140• Con Origene - dice l'Hanson 141 la tradi zione orale perde il suo prestigio; ma ciò non toglie che autori come Ippolito di Roma e Metodio d'Olimpia, senza parlare dello stesso Origene, ci offrano ancora parecchi elementi tratti dalla tradizione orale. La seconda fonte è costituita dagli apocrifi tardivi del Nuovo Testamento. Abbiamo considerato giudeo-cristiani soltanto quelli databili ad epoche antiche e la cui forma dipende dai generi letterari giudeo-cristiani. Ma è chiaro che tutta questa letteratura comprende degli elementi con siderevoli provenienti dal giudeo-cristianesimo, dato che il suo carattere si apparenta allo stile immaginoso delle opere giudeo-cristiane. L'ultima fonte è la letteratura eterodossa arcaica. Essa è assai importante nella misura in cui il materiale di cui disponiamo qui è considerevole soprattutto dopo le sco perte di Nag Hammàdi. Non è sempre facile delimitare -
1 40 G. Kretschmar, Stttdien zur friihchristlichen Trini!iitstbeologie, Tubingen, 1956, pp. 27-52. 141 Cfr. R. Hanson, Origen's Doctrine of Tradition, London, 1954, p . 1 92.
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i confini tra ciò che dipende dalla Grande Chiesa e ciò che dipende dalle grandi correnti laterali. Talvolta essa non si delinea che a poco a poco. Ma le divergenze dottrinali sono nette. Ciò non toglie che quanto troviamo in questa letteratura - per il fatto di essere l'eco deformata del giudeo-cristianesimo - costituisca una testimonianza su quest'ultimo. Ciò è vero per le dottrine, ma lo è pure per le usanze culturali, come ha mostrato Sagnard, o per le tendenze ascetiche. È necessario quindi esporre un saggio di questa letteratura, cui dobbiamo appellarci non per il suo contenuto proprio, ma per ciò che ci insegna intorno al giudeo-cristianesimo.
Capitolo secondo
Il giudeo-cristianesimo eterodosso
Accanto ad una gnosi giudeo-cristiana ortodossa, di cui nel capitolo precedente abbiamo esaminato l'eredità letteraria, i documenti antichi attestano l'esistenza di sette giudeo-cristiane eterodosse. I rapporti tra i due gruppi sono stati oggetto di diverse ipotesi. L'opinione di Schoeps, le cui tesi sono state di recente riprese da Wolf son, è che il giudeo-cristianesimo s'identifichi con l'ebio nismo e che in esso l'eterodossia prevalga nettamente 1 • Bauer pensa piuttosto ad un fiorire di tendenze tra le quali emergerà progressivamente l'ortodossia come tendenza dominante 2• In tempi recenti la questione è stata ripresa da Turner in una prospettiva a nostro parere piu esatta, dimostrando che sin dall'origine vi è una tradizione della Grande Chiesa intorno alla quale proliferano le sette ete rodosse 3 • Occorre intanto premettere che il problema dell'ete rodossia si pone qui in un modo diverso da come essa si presenterà piu tardi. Lo sfondo comune è costituito dal giudaesimo delle apocalissi, che a sua volta presenta una tradizione ortodossa ed eresie varie. Il giudeo-cristianesimo speculativo condivide le rappresentazioni di questo am biente, ma si diversifica nel suo sviluppo. Esiste un giu deo-cristianesimo ortodosso, di cui abbiamo già parlato. l
H. ]. Schoeps, Theologie und Geschicbte des ]udenchristentums, 5-13. 2 W. Bauer, Rechtgliiubigkeit und Ketzerei im iiltesten Christentum, Ti.ibingen, 1934, pp. 6-48. 3 H.E.W. Turner, The Pattern of Christian Truth, London, 1954, pp. 97-143. cit., pp.
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Ma accanto ad esso, sul prolungamento dell'eterodossia giudaica, si sviluppano varie correnti giudeo-cristiane ete rodosse \ che non è nostro compito esporre dettagliata mente nei loro sistemi, perché l'oggetto di questo libro è
la teologia cristiana arcaica. Tuttavia le utilizzeremo nella misura in cui conservano elementi giudeo-cristiani comuni. Per questo dobbiamo tracciarne un rapido elenco. Gli Ebioniti
Il primo gruppo da ricordare è quello degli Ebioniti. Il termine non deriva da un personaggio di nome Ebion, come pensava Epifania, ma dall'ebraico « ebion », che significa povero. Questo gruppo, citato da Ireneo (Adv. haer. , I, 26, 2 ) e da Origene (Contra Cels. , II, l ), è for mato da Giudei convertiti a Cristo, che hanno visto in Lui non il Figlio di Dio, ma soltanto il piu grande tra i Profeti. È la concezione ancora oggi professata dai Musul mani, con i quali è possibile che gli Ebioniti abbiano avuto dei contatti in Transgiordania. Nel cristianesimo primitivo, quindi , gli Ebioniti si presentano come un gruppo nettamente delineato : la pre cisazione è necessaria perché il termine è spesso usato in modo improprio. Essi non si confondono semplicemente, come sostiene H. ]. Schoeps, con gli eredi dei primi cri stiani di lingua aramaica rifugiatisi in Transgiordania dopo la caduta di Gerusalemme nel 70, perché questi giudeo cristiani erano perfettamente ortodossi. Tanto meno si confondono con i loro successori, i Nazareni, nominati da Epifania ( Pan. XXIX), i quali si separavano dal resto della Chiesa solo in quanto consideravano sempre obbligatorie le osservanze giudaiche : sabato e circoncisione. Girolamo, nel quarto secolo, li ha incontrati a Berea, città della Siria, (De viris ill. , 3 ) . Abbiamo già parlato del Vangelo degli 4
1959.
Cfr. R. M. Grant, Gnosticism and Early Christianity, New York,
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Ebrei, scritto in aramaico, ma con caratteri ebraici : era l'unico Vangelo degli Ebioniti e presenta degli sviluppi originali, ma che non hanno niente di eterodosso. Conosciamo gli Ebioniti soprattutto attraverso le noti zie degli eresiologi. Le piti precise sono quelle dedicate loro da Epifania: « Oltre al quotidiano bagno rituale, essi hanno un battesimo d'iniziazione e celebrano annualmente certi misteri imitando la Chiesa e i cristiani. In questi misteri usano pane azzimo e acqua pura. Asseriscono che Dio ha stabilito due esseri : Cristo e il diavolo, ai quali ha rimesso il potere rispettivamente sul secolo futuro e su quello presente. Dicono che Gesti è stato generato da seme umano ed eletto, e cosf chiamato per elezione :figlio di Dio dopo che il Cristo è sceso su di lui dall'alto sotto forma di colomba. Essi dicono che Gesti non è stato gene rato da Dio Padre, bensi che è stato creato come uno degli arcangeli, ma piti grande di loro. È venuto nel mondo ed ha insegnato, come sta scritto nel loro Vangelo : Io sono venuto nel mondo per distruggere i sacrifici e se non smettete di sacrificare, la collera di Dio non cesserà » ( Pan. , XXX, 1 6 ). Molti particolari richiamano qui l'essenismo : anzitutto H bagno rituale quotidiano, che, com'è noto, era uno dei riti esseni fondamentali. Si osservi che Epifania precisa che gli Ebioniti hanno in piti un battesimo d'iniziazione. È una caratteristica cristiana ed è importante per confer mare che il battesimo cristiano non può essere assimilato ai bagni degli Esseni, ma possiede un'impronta del tutto diversa. L'allusione ai misteri si riallaccia evidentemente all'Eucaristia. Qui notiamo qualcosa di particolare: l'esclu sione dell'uso del vino. Non è una peculiarità essena : si collega a tendenze encratistiche che caratterizzavano certi ambienti giudaici per poi passare ad ambienti cristiani. Ed ora la dottrina propriamente detta. Dio ha stabilito sin dalle origini un principio buono e un principio cattivo : questa è pura dottrina essena (DSD, III, 2 0 ) . Anche l'op posizione dei due secoli : quello futuro che appartiene a ( :risto e quello presente che appartiene al diavolo, è di
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Le fonti
derivazione essena (DSD, IV, 1 6-20 ). La ritroviamo nella
Lettera di Barnaba (XVIII, 2 ). Gesti è un uomo come gli altri, nato da un comune matrimonio, sul quale Cristo - che è il principio buono esistente sin dalle origini si è posato al momento del battesimo sotto forma di una colomba. Questo Cristo d'altra parte non è Figlio di Dio, ma un arcangelo superiore, quello che il Manuale di disci plina chiamava principe della luce (DSD, III, 20). Gesti è un profeta assistito da quell'angelo del bene che, come vedremo, prima si era posato su Adamo (Pan. XXX, 3 ), su Mosé e sugli altri Profeti. L'ultimo aspetto della narrazione d'Epifania è note vole : si tratta di una condanna dei sacrifici che potrebbe sembrare strana da parte di un giudeo. Ma dobbiamo ricordare che precisamente una delle caratteristiche degli Esseni, a causa della loro rottura col sacerdozio ufficiale, era l'astensione dai sacrifici cruenti nel Tempio, ai quali sostituivano la lode delle labbra (DSD, IX, 5 ). La posi zione degli Ebioniti è piti radicale ma si pone sulla stessa linea. Sarà opportuno accostare a questo aspetto un altro indicato da Epifania : « Essi non ammettono integralmente il Pentateuco di Mosè, ma vi sopprimono alcuni passi. Per esempio: che Abramo ha offerto un capretto con del latte agli Angeli, oppure che ha offerto sacrifici » ( Pan., XXX , 1 8 ). Ritroviamo qui la condanna dci sacrifici . V i si aggiunge un particolare : il rifiuto, nel Pentateuco, di tutto quanto riguarda questo aspetto del l a Legge . Vedremo poi quale giustificazione daranno gli Ebioniti di tale esclusione. Le informazioni degli eresiologi possono essere com pletate grazie alla ricostituzione di una parte della lette ratura ebionita, dovuta a recenti ricerche . Gli Ebioniti ave vano un'edizione particolare del Vangelo; le indicazioni d'Epifania a questo proposito sono interessanti : « Essi ammettono il Vangelo di Matteo, l'unico di cui si servono e che chiamano degli Ebrei. Questo Vangelo di Matteo in loro possesso non è completo, ma falsificato e mutilato » ( Pan. , XXX, 3 , 1 3 ). Poiché nella notizia sui Nazareni, Epi fania affermava che il Vangelo secondo Matteo che questi -
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usavano era completo, qui abbiamo a che fare con un Vangelo diverso. Schoeps ha dimostrato che non si tratta realmente di un altro Vangelo 5 : gli Ebioniti possedevano senza dubbio lo stesso testo dei Nazareni e, in piu, un rimaneggiamento di esso in senso eterodosso che forse era soltanto un commento di certe parti. È questo il testo noto col nome di Vangelo degli Ebioniti. Alcuni frammenti di questo secondo testo ci sono stati conservati da Epifania e sono stati pubblicati dal Preuschen 6 • Ne sottolineeremo alcuni aspetti caratteristici. Di Giovanni Battista si dice che « il suo cibo era miele selvatico, che aveva il sapore della manna, come focaccia ( Éyxplc;) con l'olio » ( Pan . , XXX, 1 3 , 4 ) 7• L'informazione è destinata a eliminare la locusta ( t:bcplc;) ed è legata al rifiuto della carne da parte degli Ebioniti. Il racconto del battesimo di Gesu ha notevoli caratteristiche : dello Spi rito Santo che scende sotto forma di colomba si dice che « discende ed entra in Gesu », il che si riallaccia ad una teologia adozionista. Peraltro incontriamo il particolare « di una grande luce che illumina quel luogo », che non è specificamente ebionita, ma si ritrova nel Diatasseron di Taziano e in Giustino (Dia!., XXXVIII, 3 ). Il racconto dell'elezione degli Apostoli che sembra posto prima del battesimo si presenta cosi: « E venuto a Cafarnao, ( Gesu ) entrò nella casa di Simone, e aperta la bocca disse: Passando lungo il lago di Tiberiade ho scelto Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, e Simone e An drea » ( Pan. , XXX, 1 3 , 2 ). La precedenza data a Giovanni e Giacomo rispetto a Pietro è un aspetto giudeo-cristiano. Abbiamo citato la frase : « Sono venuto per abolire i sacri fici; se voi continuate a sacrificare la collera di Dio su di voi non si placherà » (Pan. , XXX, 1 6 3 ). Altrettanto curiosa la deformazione della risposta del Signore alla domanda degli Apostoli : « Dove vuoi che prepariamo la Pasqua? » (Mt., 26, 1 7 ). Gesu risponde : « Ho forse ,
s H. J. Schoeps, Theologie und Geschichte, cit., pp. 25-33. 6 Antilegomena, cit., pp. 10-12. 7 In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit.
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manifestato i l desiderio di mangiare carne come Pasqua con voi ? » ( Pan. , XXX, 22, 4 ), il che conduce a scartare l'idea che Cristo abbia potuto mangiare l'agnello pasquale.
Epifania poneva pure tra i libri santi degli Ebioniti i Viaggi di Pietro, scritti da Clemente. Del resto è stata constatata la concordanza delle citazioni del Vangelo ebio nita con gli scritti pseudo-clementini, le Omelie e le Reco gnitiones , che descrivono i viaggi di Pietro nel corso delle &ue missioni. Queste e molte altre indicazioni hanno per messo di cogliere una relazione tra gli scritti pseudo-cle mentini e l'ebionismo. Siamo cosi entrati d'un colpo in possesso di una fonte assai considerevole per la cono scenza dell'ebionismo, che concorda con la descrizione fattane da Epifania. Tutti gli autori, con divergenze di dettaglio, oggi lo riconoscono 8 • Gli scritti pseudo-clementini sono due : le Omelie e le Recognitiones, di ugual argomento e che presentano parti identiche. Il tema generale è il racconto dei viaggi di Pietro e del suo discepolo Clemente, nel corso dei quali Pietro pronuncia numerosi discorsi. La redazione delle due opere che possedi amo risale al quarto secolo ed è difficile stabilire quale delle due sia stata scritta per prima. Ma l 'analisi mostra che esse sono il risul tato del l a fusione di elemen ti composi t i che è stato po ss i bi l e i nd i v iduare con facil i t à . Un primo blocco, il piu n n t ko , è formato dalle Prediche di Pietro 9, un t ra t t a t o ehion i t a tk-1 secondo secolo c che ci dà l a teologia dell 'cbionismo. Le Prediche di Pit·tro sono s t a te i nn>rporate all'inizio del terzo secolo i n un racconto dci v i aggi d i Pietro e del 8 IL Waitz, Dic Pscudo l\lrmr,tùu·fl . l .l· ip;ig. 1 904, pp. 161-162; H . J. Schoeps, ThcoloJ!.ie rmd Gruhicbtc-, l i l .. pp. l7- 6 1 ; O. Cullmann,
Le
problème litlérairc cl hisloriq ur: Ju rom,m pwudo-clémentin, Paris, 1 930, pp. 220-257 ; L Mollnnd, La rirrtmciHIIII, le haptéme e l'autorité du décrct apostoliquc dt111S Ics milic-ux !Udt:o-chn:ticns des Pseudo-clé 'llentincs, in << S'l' >>, JX ( 1 9 5 5 ), pp. t -9 ; ( ; , Streckcr, Das ] udench ri J!en/u/11 in dcn Pscudo-Kicffl<'flliflrfl , lkrli n , 1 ')51-\, pp. 213-220. � Quest 'opera è del t u t to divena da un KcryJ.(ma di Pietro, citato da Clemente A l essandrino c che è il primo t rattato ortodosso di apolo get ica '' noi noto (dr. J N RcUIIIIn, 1'hl" l'rt·achill.� of Peter, Chicago,
1 92 3 )
.
-
.
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suoi incontri con Simon Mago. La narrazione dei viaggi di Pietro rientra nel genere degli Atti apocrifi degli Apostoli, assai coltivato alla fine del secondo secolo, e assomiglia ai contemporanei Atti di Pietro. Pietro compie numerosi miracoli e conversioni a non finire; è pure un apologista sottile che discute con Simone e lo confuta. Combinata con i Kerygmi, quest'opera ha dato luogo ai IlEpCoooL IIÉ -.pou, i Viaggi di Pietro. Origene ne parla e d fornisce cosi un terminus ante quem per la sua datazione 10• Anche Epifania lo pone, col titolo di IlEpCoooL, tra i libri santi degli Ebioniti. I Kerygmi di Pietro comprendono anzitutto la lettera di Pietro a Giacomo in cui Pietro spiega al destinatario che gli manda un'esposizione della sua dottrina che dovrà servire alla formazione di « coloro che vogliono abbrac ciare la carriera dell'insegnamento » in modo da assicu rare l 'ortodossia del loro pensiero. Infatti « alcuni pro venienti dai pagani - continua Pietro - hanno rigettato il mio insegnamento conforme alla Legge per adottare l'in segnamento contrario alla Legge e le frivole chiacchiere dell'uomo nemico ». Pietro sottolinea cosi la fedeltà del suo insegnamento alla Legge giudaica. Peraltro l'« uomo nemico » indica Paolo, considerato come responsabile del rifiuto delle osservanze. Ricordiamoci che Ireneo ed Epi fanio consideravano questo rigetto di Paolo una delle caratteristiche dell'ebionismo. Quanto ai Kerygmi propriamente detti, il contenuto è ripartito nelle diverse prediche di Pietro che riempiono le Omelie e le Recognitiones. Avremmo avuto molte diffi coltà a ricostruire il piano di queste prediche se nelle Recognitiones ( III, 7 5 ) Pietro, decidendo di inviare a Giacomo il riassunto dei suoi insegnamenti, non avesse inserito l'indice degli argomenti. L'autore dello scritto ha avuto la preoccupazione, distribuendo i Kerigmi attraverso tutta l'opera, di fornirci un filo conduttore che ci per1 0 O. Cullmann, Le problème littéraire et historique du roman pseu do-clémentin, cit. pp. 32-33.
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metta di ricostruirla. H. J. Schoeps 1 1 dà l'elenco dei brani corrispondenti a ciascun capitolo. Il primo libro tratta del vero profeta e dell'autentica intelligenza della Legge, in conformità all'insegnamento della tradizione di Mosè . .S uno dei piu importanti. Vi troviamo anzitutto l'idea di Cristo vero Profeta (Hom. Clem. , I , 1 9 ), poi quella di
Adamo prima incarnazione del vero Profeta e immune da peccato (Hom. Clem. , III, 1 7-28 ). Altrettanto importante è la seconda parte del libro, che contiene la dottrina delle false pericopi. Cito il testo : « Un gran numero di errori contro Dio sono stati aggiunti alle Scritture. Ecco come il Profeta Mosè, secondo la volontà di Dio, aveva trasmesso ai settanta eletti la Legge con le necessarie spiegazioni, affinché per mezzo loro ne approfittassero coloro che lo desideravano ; poco tempo dopo, messa per iscritto la Legge, questa fu integrata da un certo numero di aggiunte che comprendevano gli errori contro l'unico Dio » (Hom. Clem. , II, 38). Questa teoria si ritrova nella Lettera a Flora dello gnostico Tolomeo, che l'ha presa a prestito dal giudeo-cristianesimo. Essa corrisponde alla preoccupazione, già presente negli scritti esseni quale il Libro dei Giubilei, di scartare tutto ciò che nell 'Antico Testamento poteva scandalizzare. Epifania dà la stessa in formaz i o ne : « Essi non accettano in blocco il Pentateuco di Mosè , mn sopp r i mono certe parole. Se tu fai loro dell e obiezioni n p ro pos i t o del cibarsi di carne, 2 essi rispondono che non ci credono » ( Pan . , X X X , 1 8 ) 1 • Il libro sesto ci presenta l a fondamentale dottrina dei due spiriti, già citata da Epifani o : « Delimitando due regni, Dio ha pure costitui to due periodi . l l a deciso di dare al Malvagio il mondo presente e 11l Buono i l mondo futuro. Ecco perché sono state proposte all 'uomo due vie, quella della Legge e quella del l 'iniqu i hì ; c sono stati delimitati due regni, quello che viene chiamato dei cieli e quello Il
20).
12
Thcologie
und Geschichtc, d t . , pp. 40- 52.
Ritroviamo questa concezion� n�lln Cfr. H. J. Schoeps, TheoloJI,it· tiiJtl
/Jidascalia (Const. Apost. , VI, (,"nchichte, cit., pp. 179-187.
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di coloro che ora regnano sulla terra. Sono stati legittima mente posti due re : l'uno è stato eletto signore legittimo del mondo presente ed effimero; l'altro pure è re, ma del mondo futuro. Ciascuno dei due cerca di superare l'altro e ogni uomo ha il potere di obbedire al re che vuole » ( Hom. Clem. , XX, 2-3 ) . La concezione dei due regni s 'esprime attraverso tutta la storia con la teoria delle sizigie ( coppie), secondo la quale ad ogni vero profeta corrisponde un falso profeta che lo precede. Si tratta di una dottrina caratteristica del l 'ebionismo: « Per insegnare agli uomini la realtà degli esseri, Dio, che è uno solo, ha distinto tutti gli estremi in coppie opposte. Nello stesso ordine ha distribuito i prin cipi della Profezia. E cosi, immediatamente dopo Adamo, che aveva creato ad immagine di Dio, il primo a nascere fu un uomo ingiusto, Caino, e il secondo un uomo giusto, Abele. E cosi piu tardi colui che voi chiamate Deucalione lascia andare prima il corvo nero e poi la bianca colomba. Analogamente per i due primi figli di Abramo, il padre della nostra stirpe; prima nacque Ismaele, poi Isacco, pre diletto di Dio. Parimenti il primo fu il gran sacerdote, in seguito venne il legislatore » (Hom. Clem. ,. II, 1 5 , 1 6 ). Si nota nell'ultima parte la critica del sacerdozio e del culto. Questa opposizione continua nel Nuovo Testamento : « Cosi è venuto per primo colui che è tra i nati di donna ( Giovanni Battista) e come secondo chi appartiene ai figli dell'uomo (Gesu) . . . ( Paolo) che è venuto per primo, prima di me, verso le nazioni, dal quale io dipendo, io che sono venuto dopo di lui, come la luce segue le tenebre. Poi verso la fine, bisognerà che prima venga l'Anticristo; solo allora apparirà il vero Cristo Gesu » (Hom. C!em. , II, 1 7 ). Si noterà la polemica antigiovannea che trae origine dal conflitto tra i discepoli di Giovanni e quelli di Gesu nel l'ambiente giudeo-cristiano 13 • Peraltro Paolo, assimilato a Simon Mago, viene opposto a Pietro. 1 3 Cfr. O. Cullmann, 'O émLO"W !J.OV Èpx6!J.EVO ç, in Conjectanea Neo tcstamentica, XI, 1947, pp. 26-32.
Le fonti
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La somi gl ianza di questa dottrina con quella del Ma nuale di disciplina è sorprendente. I due principi sono isti tuiti da Dio sin dall'origine : l 'uno corrisponde al mondo presente; l 'altro al mondo futuro. Il loro conflitto s'estende per tutto il corso della storia, esprimendosi ad ogni generazione nell'opposizione tra un profeta buono e un profeta malvagio. Questo tema è presente nel Docu mento Sadocita (CDC, V, 1 7-2 1 ). D'altra parte tale lotta esiste pure nell'anima di ogni uomo, la quale contiene un miscuglio di disposizioni buone e cattive : è la dottrina delle due « yesers » (vie), giustamente notata da Schoeps, con il suo duplice aspetto cosmologico e psicologico 14 • Due vie si offrono cosi all'uomo. Tutto ciò è puro essenismo, tutt'al piu con una colorazione cristiana, dal momento che il Cristo diventa l'ultimo dei veri Profeti. Un'ultima fonte per la conoscenza della teologia ebio nita è costituita dalla traduzione greca della Bibbia fatta da Simmaco, utilizzata da Origene negli Hexapla e parti colarmente apprezzata da Girolamo, il quale loda Sim maco « per non aver tradotto soltanto letteralmente, come Aquila, ma per aver cercato il movimento del pensiero » (Comm. in Amos, III, 1 1 ) . I n tal modo Simmaco ha avuto u n in fl uen za sulla Volgat a . D'altra parte sappiamo da Eu sebio •·� che egli era cbioni t a : « Conviene sapere che uno di questi traduttori , e precisamente Simmaco, era ebionita. Ali e res i a det ta ebionita aderiscono coloro che insegnano che il Cristo nacque da Giuseppe c da M
'
14 l L J . Schoeps, il m /riibcl>ri.rtlid,.,. l l'il , TUbingen, 1950, pp. 48--l':l. 15 G l i Ebioniti talvolta son() chiumnti Simmacheni (Ambrosiaste, (olllf/1. in Gal. , Pro! . ; PL, 1 7 , 3'57).
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rate da Simmaco sopra le Sacre Scritture da una certa Giuliana, la quale ebbe tali libri in eredità da Simmaco stesso » (Hist. eccl. , VI, 1 7 ) 16 • La questione è stata stu diata in modo particolare da H. J. Schoeps 17• L'insieme delle testimonianze dei Padri e dei docu menti ebioniti ci permette di farci un'idea della dottrina di questa setta. Il primo punto è la loro cristologia: gli Ebioniti credono in Cristo e questo li distingue radical mente dai Giudei. Ma, secondo loro, Gesu è soltanto un uomo eletto da Dio, di cui viene esclusa la nascita vergi nale. È uno dei punti piu chiaramente affermati. La potenza di Dio è scesa su Gesu al momento del Battesimo. Occorre riallacciare a questo punto l'accento posto sul monoteismo nei Kerygmi di Pietro e l'eliminazione dei passi dell'Antico Testamento che possono suggerire una pluralità in Dio e che i cristiani utilizzavano in un senso trinitario. Gli Ebioniti sono radicalmente antitrinitari. Parimenti essi contestano tutta la componente soterio logica del cristianesimo. Per loro Gesu non ha avuto altra missione che quella di insegnare. Secondo l'espressione dei Kerygmi, egli è il vero Profeta. Si delinea cosi la prospet tiva ebionita, che enumera una serie di Profeti dei quali i principali sono Adamo, Mosé e Gesu, che mantengono la tradizione della vera religione. È tipica in questo senso la concezione di Adamo come profeta immune dal peccato ; e cosi pure l'importanza attribuita a Mosé. Gesu appare come colui che viene dopo di loro per riformare il giu daesimo e riportarlo alla sua purezza. Qui d troviamo in una prospettiva essena, caratterizzata soltanto dal rilievo che vi assume la figura di Gesu. D'altra parte. gli Ebioniti sono fedeli osservanti della Legge, come tutti i giudeo-cristiani. Osservano la circon cisione e il sabato. Per loro Gesu non è venuto a soppri mere la Legge : tale soppressione è opera di Paolo, il loro 16 In Eusebio, Storia Ecclesiastica e I Martiri della Palestina, a cura di G. Del Ton, cit. 17 Theologie und Geschichte, cit., pp. 350-366; Aus friihchristlicher /.,·il, cit., pp. 82-1 19.
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grande avversario, « l'uomo nemico » dei Kerygmi. Essi pretendono di difendere il vero pensiero di Gesu contro la deformazione imposta dal sistema di Paolo. Gesu è per loro un riformatore della Legge, che la riconduce all'au tentico pensiero di Mosé. La Legge cosi come è nel giudae simo, appare ai loro occhi mescolata ad elementi posteriori a Mosé, che sono di origine diabolica. Tali elementi da
scartare sono anzitutto le prescrizioni relative al culto del Tempio ed in particolare i sacrifici cruenti. Ciò sembra derivare da un'eterodossia giudaica che spinge alle sue ultime conseguenze la rottura degli Esseni con il culto ufficiale. Secondo Cullmann sembra che si possano vedere negli Ebioniti degli Esseni congiuntisi alla persona di Cri sto dopo la caduta del Tempio 18 •
Elcasai e i suoi discepoli L'elcesaismo, uno dei piu interessanti gruppi giudeo cristiani eterodossi, deve essere collocato accanto all'ebio n i smo . Questa setta ci è n o t a grazie alle informazioni di O rige n e , d Ippoli to e di Epifani a : i primi due l'hanno conosciuta d i re t tamen te perché essa si espanse all'inizio del terzo secolo. Ma un'indicazione d ' l ppo l i to , interamente co n fe r m a t a dal carattere arcaico della dot t rina , colloca la rivelazione fatta ad Elcasai nel tcr�:o a n n o dd regno di Tra i a no (lilench. , IX, 1 6 ). Pcrnl t ro Epifanio precisa che Elcasai « veniva dal giudaesimo c pensava da giudeo » ( Pan . , XIX, l , 5 ) . I nfine i suoi c:lcmcnt i cristiani, come giustamente ha visto Wnitz, sono ccrt arm: n tc primitivi. Si noteranno soprat t u t t o i numcr·osi pu nti di contatto tra gli Elcesai t i c g l i Ebionit i . Dn un;t parte gli Elcesaiti '
1 8 Cfr. O. Cullmann, Di c lll"llt'llldn ktcll Qumrantexte und das l udcnchristentum dt•.r Pscudo-f.:ll'lf/C'III/IIt"/1 , in Nmtestamcntliche Studien /iir R. Bultmann, Bcrlin, 1954, pp. n., J . Cfr. pure ]. L. Teicher, The
/)cad Sea Scrolls.
lhl" }I"WI.Ih-Chrislian Sect of Ebionites, sa . ; I l . .l . Schocps, Handelt es sich u•irklich um cbioniliscbe Dokuml·ntd, in « ZI\GG », III ( 1951 ), pp. 322 ss. in
<<
.J.J S >> ,
TI
Docunrents of
( 1 951 ), pp. 6'5
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rimangono fedeli a delle consuetudini giudaiche. « Elcasai propone uno stile di vita secondo la Legge - scrive Ippo lito - ripetendo che i fedeli sono tenuti a farsi circon cidere e a vivere secondo la Legge » ( Elench. , IX, 1 4 ). Secondo Epifanio (Pan. , XIX, 3, 6-7 ) egli obbligava i suoi discepoli a pregare in direzione di Gerusalemme. Del resto gli Elcesaiti condannano i sacrifici e prescrivono l'uso delle carni ( ibid. ). Siamo cosi davanti a un gruppo giudeo scismatico, vicino agli Esseni. Altri aspetti avvicinano gli Elcesaiti agli Ebioniti: « ( La setta) - scrive Origene - rigetta certe parti della Scrittura, ma si serve di passi dell'Antico Testamento e del Vangelo; essa ripudia integralmente l'Apostolo » (Hist. ecc!. , VI, 3 8 ). È veramente il metodo ebionita, con la sua teoria delle false pericopi. Il carattere giudeo-cristiano appare poi chiaramente nel ripudio di Paolo. Anche la cristologia è ebionita : « Secondo Elcasai il Cristo è stato un uomo come tutti gli altri; non è la prima volta ora che egli è nato da una vergine; il fatto è già accaduto nel passato. Sono molte volte che Cristo è nato e nasce » ( Elench. , IX, 1 4 ). Qui abbiamo contemporaneamente la dottrina del Cristo semplice profeta e quella delle reincar nazioni del vero profeta come nell'ebionismo. Stando ad Epifanio ( Pan. , LIII, l , 8 ), Adamo, per gli Elcesaiti, è la prima di queste incarnazioni. Ma su questa base comune con l'ebionismo si stacca, elemento essenziale, la rivelazione propria di Elcasai. Ecco come Ippolito ne narra le circostanze e il contenuto : Elca sai durante una visione aveva ricevuto un libro da un angelo gigantesco, alto 96 miglia, il quale « era accompa gnato da un essere femminile le cui dimensioni erano pure quelle che abbiamo descritto. L'essere maschile era il Figlio di Dio e l'essere femminile si chiamava Spirito Santo » ( Elench ., IX, 1 3 ). Il libro conteneva il felice annuncio di una remissione dei peccati commessi dopo il battesimo, concessa nel nome del Dio grandissimo e altissimo, invo cando la testimonianza di sette testimoni designati in tale l i bro : « il cielo, l'acqua, gli spiriti santi, gli angeli della
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preghiera, l 'olio, il sale e la terra » (Elench. , IX, 1 5 ) 1 9 •
Qui ci troviamo direttamente nel contesto della teo
logia giudeo-cristiana, in prossimità del Vangelo di Pietro o del Pastore. Abbiamo infatti già incontrato la maggior
parte degli elementi che qui vediamo: la statura gigantesca degl i angeli, il Figlio di Dio e lo Spirito Santo considerati sotto la forma di due angeli, il carattere femminile dello Spirito. Del resto il contesto della visione è quello che normalmente s'incontra alla fine del primo secolo : appa rizione di un angelo, consegna di un libro da parte di esso. Ciò ricorda direttamente le visioni di Erma. Elcasai appare come un profeta, alla maniera di Erma, ma un profeta ete rodosso. Non v'è alcun motivo di vedere con Thomas in questi temi cristiani una colorazione particolare sovrap posta 20 • Al contrario, essi costituiscono il materiale della visione originale. Ma la somiglianza con Erma va ancora piu oltre, per ché non riguarda soltanto la forma, ma lo stesso conte nuto della rivelazione. Si tratta in realtà deli 'annuncio della remissione dei peccati commessi dopo i l battesimo, di una seconda penitenza. Ora , questo è anche i l contenuto del libro consegnato a Erma dal la donna anziana che gli è appa rsa Se la pri ma parte di Erma risale ,d i a fine del p ri mo secolo o all 'inizio del secondo , essa è contempo ranea alla v isione di Elcas u i . Si t ra t t a dunque di un pro blema che ha svolto in quel momento un ruolo particolar mente importante nella com u n i t à giudeo-cri s t iana. Erma sembra provenire d al l esse n ism o come Elcasai dall'ebio nismo, ma entrambi possiedo no u n a t eologia trinitaria. Da questo punto di vista Elcasai è pit'i v ic i no degli Ebioniti al giudeo-cristianesimo ortodosso . Elcasai rappresenta una scissione all'interno della comu n i t à giudeo-cristiana orto dossa. .
'
1 9 Si osservi che prima del hattc�imo l-hi o n i t a il candidato invoca la testimonianza dei quattro elementi ginrnndo che non tradirà i segreti ( Hom. Clem. , Diamart . 1 ). 20 J. Thomas, Le mouvem('ll/ hc�pthlt m Palestine et en Syrie, Gcmhloux , 1 93 5 , p. 1 55. ,
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Allo stesso tempo è indubbiamente legittimo ritenere che i riti della seconda penitenza siano presi dalle usanze della Chiesa giudeo-cristiana, il che c'induce a fare due considerazioni : la prima riguarda i sette testimoni che sono invocati; il primo e l'ultimo sono rispettivamente il cielo e la terra. Si può pensare a Is. l , 2 : « Cieli ascol tate, e tu, terra, tendi l 'orecchio » 2 1 • Si noti che nello Pseudo-Barnaba ( IX, 3 ) il testo porta l'aggiunta « in testi monianza ». In Filone (Adv. Flacc. , 1 2 3 ) si trova un'invo cazione analoga. Gli altri testimoni sono senza dubbio gli elementi utilizzati nel battesimo; se ne dedurrebbe che, oltre all'acqua, vi era l 'unzione con l'olio e una mandu cazione di sale. L'unzione con l'olio si collega a quanto già sappiamo del rituale giudeo-cristiano. Il sale lo abbiamo negli Ebioniti (Hom. C!em. , XI, 34, l ). Gli altri due testimoni d offrono dati ancor piu pre cisi. « Gli spiriti santi » sono nominati dopo l'acqua. Evi dentemente è un'allusione al battesimo nell'acqua e nello Spirito. Ma il plurale ci ricorda che nel giudeo-cristiane simo vi è continuamente il passaggio dallo Spirito agli spiriti, sia che si tratti dei sette spiriti, come nell'Apoca lisse di Giovanni - i quali sono l'espressione dell'effu sione dello Spirito - sia che si tratti, ad es. in Erma, degli « spiriti santi » in quanto virtu soprannaturali comu nicate al momento del battesimo. Tuttavia, in Erma gene ralmente lo Spirito Santo è opposto agli « spiriti cattivi » . I l testo d i Elcasai presenterebbe qui una formula piu arca1ca. Quanto agli « angeli della preghiera », la loro presenza al battesimo si collega pure alle speculazioni giudeo-cri stiane. Quispel ha notato che « le speculazioni sul Nome e sull'Angelo del battesimo hanno una base cristiana assai arcaica » 22 • L 'angelo del battesimo è presente nel De bapti smo di Tertulliano( 6 ); in Erma sono gli angeli che costituì21 Questo testo è spesso citato dagli gnostici Simone (Elench. , VI, 1 3 ) e Giustino ( Elench. , V, 26). 22 G. Quispel, L'inscription de Flavia Sophè, in Mèl. de Ghellinck, Cembloux, 1951, I, p. 214.
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scono la Chiesa sull'acqua, cioè che presiedono al batte simo ( Vis. , III, 4, 1-2 ). È possibile che anche nelle Odi di Salomone (VI, 8 ) 23 si alluda alla presenza degli angeli al momento del battesimo. In ogni modo si ritroverà tale concezione in Origene e nel quarto secolo, come eredità della teologia arcaica 24 • A proposito del nostro testo Kretschmar osserva che « la concezione degli angeli come testimoni del battesimo è diffusa sin dai tempi piu anti chi » 25 • Essa può risalire agli Esseni: infatti il Giuseppe Slavo accenna al fatto che il giuramento d'ingresso nella comunità comprende un'invocazione a testimonio degli Angeli 26 • Il secondo aspetto importante, dal punto di vista sacramentario, è la consuetudine dei riti battesimali e d'un zione al di fuori del primo battesimo : Elcasai l'attesta come rito di riconciliazione. Peraltro si allude a dei batte simi conferiti per liberare gli ossessi (Elench. , IX, 1 6 ) 27 • Caratteri analoghi si riscontrano negli Gnostici : A. Orbe ha segnalato l'esistenza presso i Valentiniani di una specie di battesimo in preparazione della morte 2l!, mentre Epi fania osserva che gli Elcesaiti « venerano l'acqua » (Pan. , LIII, l , 7 ). Ciò fa supporre che nel giudeo-cristianesimo, influenzato dal battesimo esseno, i riti battesimali pote vano avere impieghi diversi, come le unzioni e le impo sizioni delle mani. Cosi il battesimo poteva essere un sem plice rito di riconciliazione, e a questo titolo si è mante nuto a lungo anche nella Grande Chiesa. Senonché m 23 Cfr. J. H. Bernard, The Odes o/ Solomon, pp. 51-52. 24 J. Daniélou, Les anges et leur mi.I'Jion, cit., pp. 79-83.
25 G. Kretschmar, Studien zur /ruhchristlichen Trinitatstheologie, Tubingen, 1956, p. 2 1 3. 26 M. Philonenko, La notice du ]osèphe slave sur !es Esseniens, in « SE », VI ( 1956), p. 71. Il testo cita anche un'invocazione allo « Spi rito divino ». 27 Cfr. E. Peterson, Le traitement de la rage par les Elkasa'ites, in << RSR » ( 1947), pp. 232 ss., ripreso in Friihkirche, ]udentum und Gno sis, cit., pp. 221-236. 28 A. Orbe, Los primeros herejes ante la persecuci6n, cit., p. 134. Per gli Ebioniti il battesimo era un rito di ordinazione, accompagnato dall'invocazione dei quattro elementi (Diamart., l ).
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seguito ha finito per essere eliminato, data l 'ambiguità che presentava rispetto al battesimo iniziale. Il volto dell'elcesaismo comincia cosi lentamente a delinearsi. Schoeps lo giudica una forma tardiva di ebio nismo, deformata da influssi gnostici 29• Goppelt insiste giustamente sul suo carattere arcaico pur ritenendo di riscontrarvi degli elementi gnostici; osserva comunque che manca la componente specifica dello gnosticismo simo niano, cioè il dualismo antropologico e cosmico 30 • Noi pensiamo che non si tratti di gnosticismo, ma di teologia giudeo-cristiana. L'elcesaismo ci appare cosi un ebionismo influenzato dalla Grande Chiesa; è assai vicino a quanto ci mostrano l'Ascensione d'Isaia o il Vangelo di Pietro, e costituisce quindi un documento essenziale per la teologia giudeo-cristiana e per la sua liturgia. Ciononostante l'el cesaismo rimane eterodosso, dal momento che considera Gesu un semplice profeta.
Cerinto e lo zelotismo cristiano Molti autori hanno recentemente sottolineato l'impor tanza avuta nel mondo giudaico, tra il 30 e il 70, dal movimento zelota col suo messianismo ad un tempo poli tico e religioso, ed hanno mostrato come non si debba sottovalutare il fatto che tali tendenze siano emerse presso le comunità giudeo-cristiane 3 1 • Si pone ora il problema di sapere se incontriamo accanto al giudeo-cristianesimo ebio nita un giudeo-cristianesimo che sembri coinvolto in questa corrente giudaica nazionalista e nelle sue aspirazioni ter rene. Lo studio dei cataloghi degli eresiologi ci mostra l 'esistenza di questi gruppi. Il rappresentante piu caratteristico di tale tendenza è 29 H. ]. Schoeps, Theologie und Geschichte, cit., pp. 325-334. 30 L. Goppelt, Christentum und ]udentum, cit., p. 170. 31 S. G. F. Brandon, The Fall o/ ]erusalem and the Christian Church, cit., pp. 88-154; Bo Reicke, Diakonie, Festfreude und Zelos, cit., pp. 2 3 3·397.
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96 Cerinto ·12 , il quale presenta punti
di contatto con le cor
renti che abbiamo sinora studiato. Come gli Ebioniti, egli vede in Gesu un uomo qualsiasi sul quale Cristo è sceso al momento del battesimo e da cui è stato abbandonato prima della Passione. Peraltro Cerinto si apparenta al dua
lismo del giudaesimo pregnostico quando afferma che il mondo materiale è creato dagli angeli e non da Dio 33 • Qui siamo con certezza in presenza di un giudeo-cristianesimo eterodosso dell'Asia combattuto da Giovanni. Eusebio riferisce che Cerinto era sostenitore di un mil lenarismo materialista assai marcato : « Il punto centrale del suo insegnamento era la credenza nel futuro regno terreno di Cristo; e poiché egli stesso amava il proprio corpo ed era totalmente carnale, s 'immaginava questo regno consistesse in quelle cose che desiderava, ossia nel mangiare, nel bere e nei piaceri della carne » (Hist. ecc!. , III, 2 , 4 ) . Cerinto credeva inoltre alla restaurazione mate riale del Tempio di Gerusalemme e dei sacrifici. Tutto ciò si trova sul prolungamento di un giudaesimo politico e di un messianismo temporale appena colorato di cristia nesimo. Il giudaesimo di Cerinto si rivela d'altra parte nel fatto che egli mantiene la circoncisione e il sabato e riconosce esclusivamente il Vangelo di Matteo 34• Cerinto è quindi caratterizzato da questa concezione materialistico-messianica. Possiamo assegnargli una radice nel giudaesimo del tempo? Come abbiamo detto, egli si riallaccia ad un messianismo carnale che sembra essersi particolarmente sviluppato in Asia Minore . Bo Reicke pensa di trovarne l'eco nelle condanne contro le orge con tenute nelle Lettere paoline. Non si trattava semplicemente di peccati di gola o di ubriachezza, ma di manifestazioni 32 Cfr. G. Bardy, Cérinthe, in « RB » , XXX ( 1921 ), p. 371 . 33 Giustino presenta questo aspetto come un'eresia giudaica ( Dial.,
LXII, 3 ); analogamente il Trattato delle Tre Nature (G. Quispel, Chri stliche Gnosis und jiidische Heterodoxie, in « ET », XIV [ 1954 ] , p. 2); cfr. R. MeL. Wilson, The Early History of Exegesis of Gen. I, 26, in Studia Patristica, Oxford, 1963, I , pp. 420-432. 34 Epifania, Pan., XXVIII, 5, l .
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di messianismo religioso 35• Reicke ha notato che molti
aspetti avvicinano Cerinto alle tendenze condannate da Paolo nel passo della I Co r. , in cui è il problema dei ban chetti religiosi, e particolarmente della negazione della Resurrezione di Cristo ( 15, 1 2 ss.) e del battesimo per i morti. Con questi particolari, la fisionomia del gruppo si deli nea lentamente. Si tratta di una setta propriamente giu daica, il che spiega i suoi contatti con gli Ebioniti e i pregnostici. Punto centrale del loro pensiero è la Parusia, la venuta dei tempi messianici concepita come un avve nimento essenzialmente terrestre. Tutto ciò li oppone pro fondamente agli Ebioniti. Questa attesa per loro si cristal lizza nella dottrina millenarista; essi rappresentano cosi l'aspetto eterodosso di tutta una corrente asiatica che d'al tronde s'intravvede nell 'Apocalisse e in Papia. La loro speranza è ancorata alla terra. Alcuni di loro ritengono infine che questi tempi messianici siano già arrivati, il che si esprime nel carattere orgiastico dei loro banchetti, mani festazione della festività messianica 36 •
Carpocr,lte Egesippo, Ireneo ed Eusebio citano Carpocrate ( che sembra essere stato contemporaneo di Satornilo e di Basi lide ) come fondatore di una setta particolare. Sua è l'idea che il mondo, e tutto ciò che in esso si trova, è opera di angeli inferiori al Padre increato (Adv. haer. , I , 25, 1 ). Abbiamo già incontrato con una certa frequenza questo tema in Cerinto 37 e in tutti gli Gnostici ; ma secondo Quispel 38 , prima che nello gnosticismo lo si trova nell'ete rodossia giudaica: ne abbiamo la testimonianza in Giu stino ( Dia!. , LXII, 3 ) ed anche nel Trattato delle Tre Nature ( col. 1 12 ) . Bo Reicke, Diakonie, Festfreude und Zelos, cit., pp. 283-287. Ibidem, p. 281. 37 Ireneo, Adv. haer., I, 26, l . 38 Christliche Gnosis und iiidische Heterodoxie, cit., pp. 2-14.
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D'altra parte Carpocrate è un giudeo-cristiano con una sfumatura ebionita quando afferma che Gesu è nato da Giuseppe e in tutto simile agli altri uomini . Ma « gli è stata inviata una potenza per permettergli di sfuggire ai costruttori del mondo, di attraversarli tutti e di giungere al Padre » 39 • Troviamo qui il classico tema giudeo-cri stiano dell'ascensione dell'anima attraverso le sfere ange liche e della possibilità di evitarle durante l 'ascesa, grazie a una forza che le viene data. Abbiamo visto che l 'idea non ha nulla di gnostico e costituisce un motivo comune al giudeo-cristianesimo. Gesti non è in alcun modo un Salvatore: quanto Egli ha ricevuto e compiuto, altri lo possono fare altrettanto bene. Un punto è sottolineato particolarmente da Ireneo: « L'anima che può, come quella di Gesti, disprezzare gli arconti costruttori del mondo, riceve le stesse potenze per compiere opere simili. Per questo essi si innalzano a tale eccesso d'orgoglio da definirsi simili a Cristo, anzi, qual cuno persino superiore a lui in alcune cose » (Ad v. haer. , I , 2 5 , 2 ) . Essi pongono Pietro e Paolo sullo stesso piano di Gesu, il quale appare cosi un modello. Tutto ciò sembra molto diverso dallo gnosticismo : in Carpocrate non c'è traccia di una discesa di Cristo dall'alto per salvare gli uomini prigionieri degli arconti. Ultimo aspetto caratteristico dei Carpocraziani è l'in differentismo morale ( l , 2.5 , 4 ; I , 28, 2 ). È possibile che esso sia collegato al messianismo terreno dei giudeo-cri stiani millenaristi, ma in loro prende una giustificazione speciale : l 'uomo non può esser liberato dagli arconti se non dopo essere stato schiavo di tutti i vizi ai quali essi presiedono e aver pagato loro in tal modo il suo debito. Altrimenti per terminarne il pagamento dovrà reincar narsi dopo la morte 40• Qui sembra evidenziarsi un aspetto del sincretismo pitagorico oppure indiano : dopotutto si ricorderà che i discepoli di Carpocrate veneravano l 'im-
39
Ireneo, Adv. haer. , I, 25, l. Ciò è avversato da Tertulliano, De anima, XXXV, 5; cfr. ]. H. Waszing, Tertullianus. De Anima, Amsterdam, 1947 , p. 4 16. 4Q
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magine di Pitagora accanto a quella di Gesu ( I , 25, 6). Ma può darsi che la dottrina sia già esistita nell'etero dossia giudaica: Origene infatti racconta che certi Giu dei credevano alla reincarnazione (Comm. in ]oh . , VI, 7 ). Il caso di Carpocrate è notevolissimo : egli sembra dipendere essenzialmente da una gnosi giudaica eterodossa che ammette la creazione del mondo da parte degli angeli e la metempsicosi. D'altro canto Carpocrate è estraneo allo gnosticismo samaritano. Si tratta di uno gnosticismo propriamente giudaico. Carpocrate è un giudeo eterodosso convertito a Cristo, ma alla maniera degli Ebioniti, cioè non vedendo in Lui altro che un profeta e un modello. Sembra infine che egli non sia stato estraneo al messia nismo zelota. Suo figlio Epifanio ellenizzerà questo gnosticismo giu daico come Valentino farà, nella stessa epoca, per lo gno sticismo samaritano e Giustino per la gnosi ortodossa.
Lo gnosticismo samaritano La complessità del milieu giudaico e delle sette al tempo di Cristo, di cui abbiamo visto il riflesso nelle diverse correnti del giudeo-cristianesimo della Grande Chiesa, si riflette pure nella diversità delle forme del giu deo-cristianesimo eterodosso. Se gli Ebioniti si pongono sul prolungamento della comunità essena e i Cerintiani su quello dei messianisti zeloti, le sette che dobbiamo prendere in considerazione si collegano soprattutto a gruppi giudaici eterodossi e principalmente samaritani. Infatti, secondo le testimonianze di tutti gli antichi autori, le origini del movimento gnostico all'interno del cristia nesimo devono farsi risalire ad una gnosi giudaica, come aveva notato M. Friedlander 41 e come confermano oggi i progressi compiuti dalla storia dello gnosticismo 42 • 4 1 Der vorchristliche iiidische Gnosticismus, GOttingen, 1898, pp. c •.: ì � . 4 ! C ; . Quispel, Christliche Gnosis und iiidische Heterodoxie, cit., l'l'· l l l '
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Dobbiamo precisare ancora una volta che cosa inten diamo per gnosi, perché su questo punto Friedlander non è sufficientemente rigoroso. Due, infatti, sono le compo
nenti caratteristiche della gnosi giudaica precristiana. Da una parte vi si trovano speculazioni cosmologiche e teolo giche basate per lo piu su un'esegesi esoterica della Ge nesi 43, il che deriva dalla gnosi in quanto atteggiamento e non in quanto sistema. In questo senso la continuazione della gnosi giudaica è presente in autori sia ortodossi che eterodossi 44• L'Ascensione d'Isaia o la Lettera degli Apo stoli ne dipendono quanto le speculazioni di Simone o di Carpocrate; le une e le altre si rifanno a speculazioni analoghe. Da questo punto di vista gli autori eterodossi ci offrono un fondo di pensieri che dipendono da una mentalità giudeo-cristiana comune che abbiamo il diritto di utilizzare. Sembra proprio che presso certe sette giudaiche si sia verificato, a partire da quest'epoca, uno sviluppo degli elementi caratteristici della gnosi giudaica, particolarmente del suo dualismo, in un senso eterodosso anche dal punto di vista dell'ortodossia giudaica. Si pone allora il pro blema dell'origine di queste tendenze eterodosse, rappre sentate dallo gnosticismo in quanto sistema. Si tratta di un'evoluzione all'interno dello stesso giudaesimo o del l'influsso sul giuda esimo del dualismo iranico? Oppure si tratta di una contaminazione da parte dell'ellenismo? Questo è il problema delle origini dello gnosticismo . Qui non possiamo affrontarlo : a noi interessa soltanto sotto lineare che, come ha ben osservato Quispel, lo gnosti cismo è un sistema radicalmente estraneo nella sua strut tura al giudaesimo e al cristianesimo. In segui to - tra mite gli ambienti giudei eterodossi è diventato un'ere sia cristiana. Questa filiazione è confermata da numerose testimo-
43 H. J. Schoeps, Urgemeinde, ]udenchristentum, Gnosis, Tiibingen,
1956, pp. 44-61.
44 Cfr. la buona messa a punto di R. MeL. Wilson, Gnostic Origins again, in « VC », XI ( 1957), pp. 93-1 10.
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nianze che fanno dell'eterodossia giudaica i l milieu ongl nario dello gnosticismo cristiano : è l'unico punto che c'in teressa. La piu antica testimonianza è quella di Egesippo, riportata da Eusebio ( Hist. eccl., IV, 22, 4-7 ). È di un interesse eccezionale perché Egesippo « è venuto alla fede cristiana dal giudaesimo » ( Hist. eccl. , IV, 22, 8 ) . Egli conosce la tradizione giudaica non-scritta e dispone, d'altra parte, di fonti preziose relative alla Chiesa di Gerusa lemme. È per mezzo suo che si conoscono certi dettagli su Giacomo e che possediamo una lista dei suoi succes sori alla testa della Chiesa giudeo-cristiana (Hist. ecc!. , IV, 22, 4 ). Nessun testimonio è quindi piu qualificato di lui per quanto concerne il giudeo-cristianesimo palestinese. Egesippo scrive che sotto l'episcopato di Simeone, suc cessore di Giacomo, « la Chiesa non era ancora corrotta da vane opinioni. L'iniziatore ne fu Tebutis, perché non era stato eletto vescovo. Egli stesso proveniva dall'am biente delle sette eresie che esistevano nel popolo (giu daico ). Pure da tale ambiente vennero Simone, capostipite dei Simoniani; Cleobio, dei Cleobiani; Dositeo, dei Dosi teani; Gorteo, dei Gorteani; e i Masbotei. Da costoro hanno avuto origine i Menandrianisti, i Carpocraziani, i Valentiniani, i Basilidiani, i Satorniliani » ( Hist. eccl. , IV, 22, 5). Non mi pare che l'importanza di questa notizia di Ege sippo generalmente sia stata riconosciuta. Osserveremo anzitutto che l'autore afferma la provenienza �ell'etero dossia cristiana da 7 sette giudaiche. Rimane da chiederci di quali sette si tratti. Fortunatamente Eusebio ci ha con servato un altro frammento di Egesippo in cui esse sono elencate: « Nella circoncisione, tra i figli di Israele circo lavano opinioni diverse, ostili a Cristo e alla tribu di Giuda : gli Esseni, i Galilei, gli Emerobattisti, i Masbotei, i S am a r ita n i , i Sadducei, i Farisei » ( Hist. eccl. , IV, 22, 7 ). Lo si può completare con una lista riportata da Giustino c che l o ricopre parzialmente (Dia!. , LXXX, 4 ) 45 • n Cfr. M. Simon, Les scctcs juivt'S au temps de Christ, Paris, 1960, l'P· M·' H .
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Questa lista merita qualche osservazione. Anzitutto vi sono elencate le tre grandi sette citate da Filone e da Giuseppe Flavio: Farisei, Sadducei ed Esseni. Galilei qui sembra proprio un nome diverso degli Zeloti: sono pre
senti anche nella lista di Giustino (Dial. , LXXX, 4 ). Cull mann nota che « anche i Galilei, menzionati in Le. 1 3 , l , vanno identificati con gli Zeloti » 46• La Galilea sembra essere stata uno dei principali focolai dello zelotismo ; uno dei capi del movimento fu Giuda il Galileo 47 • I Sa maritani peraltro formavano uno scisma all'interno della comunità d'Israele. Abbiamo cosi i cinque principali gruppi esistenti al tempo di Cristo. Anche gli Emerobat tisti sono conosciuti: Epifania li cita tra le sette giu daiche, diverse d'altro canto da quelle nominate da Ege sippo, che egli elenca in Pan. XVII, 1-2. Sembra che si differenziassero dal resto dei Giudei per l'obbligo delle abluzioni quotidiane 48• Sono chiamati pure Masbotei. Veniamo ora alla questione che c'interessa: quella delle origini dello gnosticismo. Due nomi sono noti : quelli di Dositeo e di Simone. Epifania collega il primo alle eresie sorte tra i Samaritani (Pan. , XIII, 1-2 } 4q. Le Recogni tiones clementine ne fanno un sadduceo, che significa cer tamente figlio di Sadoc, un esseno ( l , 54 ). Egli applicava a se stesso la profezia del Deut. 18, 18 cara agli Esseni ( 4Q Testimonia), secondo Origene ( Contra Cels. , I, 57). Osservava il sabato ( De princ. , I V, 3 , 2) c d era un asceta (Contra Cels., VI, 1 1 ; Pan. , XI I I , l , 2 ). Si pensa ad una sorta di essenismo samaritano lo. Dopotutto non si trovano in lui degli aspetti propriamente cri stiani . Epifania lo
46 O. Cullmann, Dieu et César, Puris, 1 ':1 �6 ; t ra d . i t . , Dio e Cesare, Milano, 1957, p. 22. 47 Da notare l'accenno ai « Galilei , in u n a ddk lettere di Bar Kokeba trovate nell'Dadi Murahahat . 48 J. Thomas, Le mouvement bapti ., tc CII P,dcstille et en Syrie, cit., pp. 34-37. 49 H. J. Schoeps, Theologie und Gt•.rchichte, cit., pp. 392-395. so Cfr. R. MeL. Wilson, Simon, Do.rithcu.r and the DSS, in « RGG », IX ( 1 957 ), pp. 21-30. Circa i conta tti tra Dosi tco e la comunità sado cita di Damasco cfr. B. Lurie, Histoin· de la communauté juive de Damas, in Eretz Jsrael, IV, Jerusalem , 1 956, pp. 1 1 1-1 18.
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pone tra i fondatori di sette giudaiche. L'unico elemento che lo collega con l'ambiente cristiano sembra essere costi tuito dal fatto che egli ha cominciato a predicare la sua dottrina dopo la morte di Giovanni Battista, in concor renza con la predicazione di Gesu 51 • Con Simone ci troviamo invece per la prima volta in presenza di una speculazione specificamente gnostica. Stando agli scritti clementini, egli si riallaccia a Dositeo, il che sottolinea ad un tempo affinità essene e un ambiente samaritano 52 • Ma in lui si trovano speculazioni dualistiche che segnalano influssi estranei al giudaesimo ( iranici, come indica il suo nome di Mago), influssi che hanno conferito un aspetto piu radicale al dualismo che gli proveniva dal l'ambiente esseno. Secondo un passo degli Atti degli Apo stoli ( 8 , 1 0 ) Simone ha conosciuto il cristianesimo. Epi fania ha quindi ragione quando, sulle orme di Egesippo, ne fa un eretico cristiano. Se lasciamo da parte Tebutis, che sembra soprattutto uno scismatico e i Masbotei, che sono degli Ebioniti, le sette cristiane citate da Ippolito si collegano alla medesima corrente di Simone. Ciò è vero simile per Cleobio, posto tra Simone e Dositeo 53• Peraltro Epifania accosta i Geroteniani ai Dositeani. Cosi la prima eterodossia cristiana si situa al confine del giudaesimo ete rodosso samaritano e del cristianesimo . È proprio questo milieu che si presenta, dunque, come il focolaio originario dello gnosticismo. E quando Egesippo vi riallaccia Basi lide, Satornilo, Menandro, Carpocrate e Valentino, traccia la genealogia che, dalla gnosi giudeo-samaritana precri stiana, conduce, attraverso Simone, allo gnosticismo cri stiano. SI Ree. Clem., II, 8, 1 1 ; Hom. Clem. , II, 23-24.
52
Cfr. L. Goppelt, Christentum und Judentum, cit., pp. 132-134. Tra gli scritti sethiani trovati a Nag Harnmadi è stata scoperta un'Apo ralisse di Dositeo che attesta il collegamento di questo personaggio con le origini dello gnosticismo. Cfr. H. Ch. Puech, Découverte d'une biblio thèque gnostique en Haute-Egypte, in Encyclopédie française, XIX, .J 2 , p . 9. " La Corrispondenza tra i Corinti e Paolo, apocrifa, unisce Cleobio • t Si mone ( Papyrus Bodmer, X-XVII, p. 31).
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Lo ltudio delle notizie giunte sino a noi e riguardanti lt forme arcaiche di gnosticismo cristiano conferma 9*tl genealogia, mostrando che si tratta dell'evoluzione ti uno gnosticismo giudaico precristiano. Ciò vale per la pai simoniana in cui incontriamo una speculazione sulla creazione e la salvezza. La creazione comprende tre mo menti : produzione di Ennoia, creazione di questo mondo da parte degli angeli che sono stati anche gli ispiratori dei Profeti dell'Antico Testamento. Ma, a causa del mal governo del mondo dovuto alla rivalità tra gli angeli per ottenere il primato, è venuta la Potenza « assimilandosi alle Virtu, alle Potenze e agli Angeli » per liberare gli uomini ( Adv. haer. , I , 2 3 , 3 ) 54• Incontriamo qui un certo numero di elementi che appartengono al giudaesimo contemporaneo e che abbiamo già incontrato presso gli autori ortodossi: creazione degli angeli che precede quella del mondo ; ruolo degli angeli nel governo del mondo e nell'economia della storia; con flitto tra loro per la conquista del primato e designazione degli angeli con i nomi di Potenze e di Virtu ; l'aspetto degli ordini angelici rivestito dal Salvatore nella sua di scesa attraverso i cieli. Tutto ciò deriva da una concezione del mondo comune alla gnosi g iudaica alla gnosi cristiana ortodossa e allo gnosticismo . Ma quest'ul timo vi intro duce una sua visione propria: opposizione radicale tra il mondo degli angeli e quello del Salvatore, caduta del l 'Ennoia generata dal Padre c sua liberazione per mezzo della gnosi. L'elemento propriamente gnos t ico è dunque il dua lismo radicale e non le rappresentazioni con le quali esso si esprime. Questo dualismo a ntolog i co è estraneo al giu daesimo e al giudeo-cristianesimo. Tut t avia anche qui si può porre il problema di una origine g i ud aica. In effetti un certo dualismo contrassegna il pe ns i e ro del tardo giu,
R.
Sulla prima dottrina di SimonC' C' �ui s uo i ultimi sviluppi, cfr. M . ( ; mnt, Gnosticism and F.11rly Chrirtianity, cit., pp. 70-97 ; Frkkrl. Dit• Apophasis Mtgalt in 1 /iPf'o/yt's Refutatio (VI 9-18) , '14
l. Rom•, 1 %H.
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daesimo. Esso è presente nel Manuale di disciplina con la dottrina dei due spiriti, che ha lasciato una forte impronta nel giudeo-cristianesimo, come si vede nella Didachè o in Erma. D'altra parte il problema del male si trova nel cuore del pensiero giudaico della metà del primo secolo, alle prese con la dominazione romana. I mi gliori si chiedono se Dio non li abbia abbandonati, come si vede nel IV Esdra. L'elemento proprio dello gnosticismo consiste nel forzare questa tendenza sino ad un dualismo antologico per il quale il mondo degli angeli, del cosmo e dell'Antico Testamento è non soltanto secondario, ma estraneo al Padre. Tale concezione ha potuto formarsi grazie a influssi non giudaici, ma si manifesta pure come lo sviluppo di tendenze caratteristiche dello Spatjudentum. Simone ebbe per discepolo il samaritano Menandro 5S, a partire dal quale lo gnosticismo si divide in due filoni. Menandro introduce lo gnosticismo in Siria. Il suo succes sore, Satornilo, è antiocheno e ciò corrisponde esattamente al fatto che Antiochia, alla fine del primo secolo, dopo la caduta di Gerusalemme, è il grande focolaio della specu lazione nata in seno al giudaesimo. In Satornilo sono pre senti alcune componenti dello gnosticismo simoniano . Ire neo scrive di lui che è stato il primo a sostenere l'esi stenza di due stirpi umane : l'una buona e l'altra cattiva (Adv. haer. , I , 24, 2). Il sottofondo giudaico è comunque evidentissimo : dottrina dei sette angeli, menzione degli Arcangeli e dei demoni malvagi. In particolare possediamo un commento del racconto della creazione contenuto nella Genesi e della frase : « Facciamo l'uomo a nostra imma gine », attribuita agli angeli. Il paragone tra l'uomo e un verme, prima di aver ricevuto lo spirito, forse deriva da Sal. 2 1 : lo si ritrova presso i Naasseni 56 , ed è noto quanto il Salmo sia stato utilizzato dalla comunità giudeo-cri stiana 57• 55 lreneo, x x v r , 4.
Adv. baer., I, 23, 5 ; Cfr. pure Giustino, I Apol.,
"' [ppolito , Elench., V, 818.
'7 Cfr. pp. 2R-4 1 .
J. Daniélou, Etudes d'exégèse judéo-chrétienne, Paris, 1966,
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l Satorniliani praticavano peraltro un encratismo che li apparenta alle tendenze delle sette giudaiche del tempo e c:he riscontriamo nel giudeo-cristianesimo. Essi insegna vano che « il matrimonio e la generazione erano opera di Satana » ( Adv. haer. , I, 24, 2 ), pensiero che troviamo in Taziano e in Giulio Cassiano e che riflette l'ascesi del milieu giudeo-cristiano della Siria. Molti di loro si aste nevano pure dalla carne degli animali, ma Ireneo attri buiva tale comportamento ad un falso ascetismo ( continen tes ) . È comunque evidente la tendenza ad interpretare in senso rigoristico i precetti giudaici. Ritroviamo questa astinenza dalla carne nei giudeo-cristiani ortodossi del gruppo di Giacomo, negli Ebioniti degli scritti clementini e altrove. Basilide, anch'egli discepolo di Menandro, porta ad Alessandria la dottrina del maestro, ampliandola notevol mente. Non dobbiamo esporla; vi notiamo soltanto la presenza di elementi caratteristici di un'influenza giu daica 58• Basilide insegna che il cielo inferiore, quello che noi vediamo, è la dimora degli angeli, che hanno fatto il (nostro) mondo e si sono spartiti il dominio della terra. Uno di loro ha ottenuto la direzione del po polo giudaico e volendo sottomettere le altre nazioni alla sua, ha trovato l'opposizione degl i altri arconti (Adv. hacr. , I , 24, 4 ). Abbiamo qui la dottrina degl i a ngel i del le nazion i , cosi come appare negl i apocrifi giudaici, presso i gi u deo-cri stiani e gli Ebioniti �9 • No t i amo in p
fP·
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visti. Tutto ciò appare come uno sviluppo delle categorie comuni della gnosi giudaica e soprattutto di quella giudeo cristiana, che abbiamo piu volte incontrato. La conoscenza dei nomi degli angeli era già in Giuseppe una componente essenziale dell'insegnamento esoterico degli Esseni. Dopo tutto, a detta d'Ireneo, i Basilidiani si dichiaravano inter mediari tra i Giudei e i cristiani (Adv. haer. , I, 24, 6 ), confessando in tal modo la comunanza delle loro rappre sentazioni con quelle dei Giudei e dei giudeo-cristiani e, nello stesso tempo, la loro originalità dottrinale. La concezione dei vizi come demoni personali che abi tano nell'anima costituisce un altro aspetto che collega Basilide ai giudeo-cristiani : « Le passioni - scrive Cle mente Alessandrino - hanno per lui una sussistenza pro pria, quasi fossero una sorta di spiriti ( 1tVEu(J.a-ra) attaccati all'anima ragionevole » (Strom. , II, 20, 1 12 ; GCS, 174 ). Questa dottrina è tipica del giudeo-cristianesimo e occupa un posto importante nei Testamenti dei XII Patriarchi ( Test. Rub. , III, 3-6 ), dai quali passerà in Origene. È presente nelle Omelie pseudo-clementine ( IX, 1 0 ) e in Erma ( Prec. II, 3 ; V, 2 ) . Qui ritroviamo ancora il mede simo retroterra comune all'ebionismo, al giudeo-cristia nesimo e allo gnosticismo, rappresentato evidentemente dalla speculazione giudaica dell'epoca delle apocalissi 60•
Gli Gnostici Sethiani Un'altra setta si collega al giudaesimo eterodosso, quella degli Gnostici Sethiani. Veramente, piu che di una setta, bisognerebbe parlare qui di un brulichio di sette. Ireneo ci dice che « sono spuntate come funghi » (Adv. haer. , I, 29, l ). Si tratta dei Sethiani, degli Ofiti, dei Bar bclognostici. Ma tutti questi gruppi hanno tanti elementi
"' ( Jr. T. Daniélou, Démons, in Dictionnaire de Spiritualité, III, co l i . I oR- 174.
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in comune che possono essere considerati come ramifica zioni diverse di uno stesso movimento. Finora li conosce vamo tramite le notizie degli eresiologi e specialmente dai capp. 29 e 30 del libro I dell'Adversus haereses d'Ireneo, m a le scoperte dei manoscritti copti, in particolare a Nag Hammadi, ci mettono a disposizione gli stessi testi. Gli scritti piu antichi in nostro possesso, come l'Apo cryphon di Giovanni, devono essere della metà del secondo secolo, ma siamo autorizzati a vedere in essi la trasmis sione di dottrine piu antiche. Molte di queste opere infatti contengono dottrine esoteriche che risalgono al tempo degli Apostoli : è uno degli aspetti della letteratura giudeo cristiana in genere. Certo, qui occorre tener conto della invenzione, ma si può comunque supporre un fondo di speculazioni arcaiche. Noi siamo autorizzati a vedere in questa opera l'espressione di un'antica gnosi giudeo-cristia na, anche se l'abbiamo solamente sotto una forma evoluta. La conoscenza di questi testi permette fin d'ora una constatazione fondamentale. Si tratta essenzialmente di uno gnosticismo giudaico, che si situa sul prolungamento dell'apocalittica giudaica dalla quale trae i suoi temi. Que sto gnosticismo è stato cristianizzato assai superficialmente, tanto nei testi piu a ntich i , come I 'Apocryphon di Giovanni ( inizio del primo secolo ), quanto nei piu recenti, come lo Zostrianos ( inizio del terzo secolo ). La s i t uazione è del tutto pa ra l le l a a q uell a che nhhiamo in co n t ra to per i Tertamenti dei XII Patriarchi o per il I I E-Ienoch nel giudeo-cristianesimo or todosso . I l testo pi t'l i mportante è l 'Apocryphon di Giovanni. Esso dom in a tutta una serie di altri scritti che costituiscono In scuol a di Eugnosto. Altri scritti pure antichi si ri al l acci n no alla stessa corrente, marcati dal ruolo svolto da Seth, come l 'Apocalisse di Adamo e l'Ipostasi degli Arconti. Il primo esempio sul qua le d sofTermiamo è l'Apocry phon di Giovanni. L i m port a nza d i q u esto libro per il gruppo di cui parliamo appare dal f:t t to che a Nag Ham madi ne sono state trov ate tre copie . Ne possedevano già una nel Papyrus Berolinensis 8'502, edito recentemente '
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dal Till 61 • Ponendo a confronto il testo con le notizie di Ireneo si è notato che il cap. 29 del libro I, dedicato ai Barbelognostici, è un riassunto fedelissimo della prima parte dell'Apocryphon. Infine l'opera riassunta da Ireneo al cap. 3 0 , in cui viene esposta la dottrina degli Ofiti, nella seconda parte è influenzata dall'Apocryphon. Forse per questo Ireneo ne ha trascurato il riassunto della parte finale, allo scopo di evitare ripetizioni. Tutto ciò dimo stra che l'opera è il testo-base della setta. I punti di con tatto con la Lettera di Eugnosto, pure ritrovata a Nag Hammàdi, permettono forse di attribuirla a Eugnosto, che sarebbe il fondatore della setta. L'opera si colloche rebbe nella prima metà del secondo secolo. In quanto al genere letterario essa dipende dal giudeo cristianesimo : si tratta di una sedicente rivelazione fatta dal Cristo risorto a Giovanni sul Monte degli Olivi ( 2 0 , 5-6). Cosi l'Apocryphon è presentato i n modo fittizio come derivante da quelle tradizioni apostoliche esoteriche che formano la teologia giudeo-cristiana. Il suo contenuto ci conduce alla stessa conclusione : esso è specificamente gnostico; ma questo gnosticismo s'esprime nella forma di un commento della Genesi, come nelle altre opere di cui ci occuperemo. Abbiamo già avuto occasione di sottoli neare che l'esegesi speculativa della Genesi era una delle caratteristiche del giudaesimo contemporaneo di Cristo, ereditata dal giudeo-cristianesimo. L'opera si situa quindi nel contesto di questi commenti, ma si oppone a quelli della Grande Chiesa per il suo evidente contenuto gno stico 62 • Tralasceremo la prima parte, quella riassunta da Ire neo (20, 7-45, 5 ), contenente una genealogia di eoni del Pleroma che non si riferisce direttamente al testo della Genesi. Ma a partire da 45,5 le allusioni sono molteplici. Innanzitutto si parla della Madre ( crocptcx.) che comincia a muoversi ( bttq>ÉpEcrecx.t) nelle tenebre al di sopra delle òt
TU, LX, Berlin, 1955.
t>Z Cfr. G. Quispel, Der gnostische Anthropos und die jiidische Tra
dition, i n
<<
EJ », XXII ( 1953), pp. 195-234.
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acque (4.5, .5- 1 9 ) : il riferimento è a Gen. l , 2 . Piu oltre i sette Arconti dicono tra loro : Facciamo un uomo a immagine e somiglianza di Dio e plasmiamo ( 1tÀ.ticrcmv ) una forma (1tÀ.aav cx.) con le nostre potenze ( 4 8 , 1 0- 1 7 ) . ..
Abbiamo q u i u n tema giudeo-cristiano eterodosso della formazione dell'uomo da parte degli angeli, già incontrato in Cerinto e in Satornilo e di cui gli Gnostici si sono appropriati . Ma qui non si tratta degli Arconti, degli angeli planetari. Ritroviamo pure l'idea, già presente in Satornilo, che l'uomo è incapace di muoversi ( 40, 1 5 ) e che ha bisogno di essere animato da Sofia. D'altra parte, Adamo è piu intelligente degli Arconti perché ha ricevuto una forza da Sofia (52 , 14 ) Incorre cosi nella gelosia di essi e in particolare del loro capo J al dabaoth ( 52 , 1 ). È ancora un tema della teologia giudeo cristiana. Gli angeli del cosmo sono gelosi degli uomini 63, ma ovviamente il tema è trasposto in una prospettiva gnostica. Piu oltre incontriamo delle esegesi curiose: il sonno mandato da Dio ad Adamo significa l'indurimento del suo cuore, con rinvio a Is. 6, 1 0 ( 58 , 1 7-59 , 5 ) ; la costola con cui viene formata Eva è un simbolo dell'im magine di lui stesso che ) '(mvot:cx. della luce suscita in Adamo ( .59, 1 7-60, 1 2 ). Si notino prima i commenti sui due alberi del Paradiso e sul serpente. Il seguito dell'Apocryphon continua a commentare il racconto biblico : nascita di Caino e Abele e successiva mente di Seth ; diluvio provocato da Jaldabaoth; episodio degli angeli che si uniscono alle figl ie delle donne e rive lano loro l'uso de i metalli ( 7 4 , 1 -7 5 , 3 ) . È una deriva zione da I Henoch che appartiene alla tradizione giudeo cristiana ereditata dal giud1tesimo apocalittico. Infine l'o pera termina con l'invio del Salvatore ( 77, 5 ). Si tratta dunque di un commento della Genesi basato su un com mento giudaico o giudeo-cristiano e al quale è conferita una colorazione propriamente gnostica. Va notato il con tatto con Satornilo . Sembra che qui abbiamo uno sviluppo .
6]
Irenco, Dem. ,
1 1-16.
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dello gnosticismo giudeo-cristiano siriaco 64 emigrato in Egitto, parallelo al filone piu dotto che va da Basilide a Valentino. L'Apocryphon di Giovanni e il cap. 29 di Ireneo vanno accostati al documento che Ireneo riassume nel cap. 30 come costituente la dottrina dei Sethiani e degli Ofìti. In realtà la seconda parte di questa esposizione pre senta numerosi punti di contatto con la seconda parte dell'Apocryphon di Giovanni: si tratta ugualmente di un commento del racconto del Paradiso e della storia suc cessiva dell'umanità secondo la Genesi. Certamente Ireneo ha omesso di analizzare la seconda parte dell'Apocryphon a causa di queste somiglianze e per evitare ripetizioni. Il secondo documento ha un carattere giudeo-cristiano piu accentuato, che compare sia nella descrizione iniziale del Pleroma che negli sviluppi dati alla storia di Cristo. L'in teresse di questo confronto sta nel fatto che mostra la progressiva cristianizzazione di uno gnosticismo pressoché integralmente giudaico . L'esposizione inizia con una speculazione sugli eoni del Pleroma. Questo comprende prima il Padre, poi la coppia Figlio e Spirito Santo, infine la coppia Cristo e Chiesa. È chiaro che qui abbiamo la trasposizione gnostica di spe culazioni presenti pure nel giudeo-cristianesimo ortodosso. Da notare, in particolare, il carattere femminile dello Spi rito e soprattutto il tema di Cristo e della Chiesa, consi derati eoni preesistenti. Del resto il legame tra lo Spirito e la Chiesa si ritrova nel Trattato delle Tre Nature 65 ; ricordiamo poi che Papia riferiva il racconto dell'Esame rane al Cristo e alla Chiesa. Il seguito della narrazione ci introduce nel contesto dell'Esamerone. Gli eoni del Pleroma producono Sofia che scende nel mondo inferiore (Adv. haer . I , 30, 3 ) , dove riceve un corpo dalle acque. Ma la luce superiore che sussiste in lei tende verso il Pleroma e, per effetto di ,
64
Cfr. L. Coppd t , Christcntum :md }udcnlum, cit., pp. 193-194. I l . Ch. Pucch - G. Quispcl, Le quatrième écrit du Codex Jung, in ,, yc ,,, IX ( 1 95�). pp. 94-97. 65
12
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questa dila tazione, essa genera il cielo con il suo corpo. D'altra pa rte dalla sua unione con le acque inferiori essa genera sette figli : « Cosi si realizza l'ebdomade ». I nomi dei sette figli sono Jaldabaoth, Iao, Sabaoth, Adonai, Elohim, Astaphaios, Horaios ( I, 3 0 , 5; Apocryph. , 4 1 , 1 8 ss. ). Questi figli sono i sette cieli e i loro sette angeli.
g evidente che si tratta del tema della creazione del cielo dei sette giorni della Genesi, trasposto nella cosmologia giudeo-cristiana dei sette cieli e interpretato in una pro spettiva gnostica. Il seguito ci conduce ai successivi capitoli della Genesi. I suoi fratelli sono gelosi di Jaldabaoth e combattono con lui per il primato : questo particolare si trova nell'Ascen sione d 'Isaia e in Simone. Jaldabaoth genera un nuovo figlio, il serpente, da cui procedono il soffio e l'anima ( Gen. 2, 7 ) ; quindi dice : « Facciamo l'uomo a nostra immagine » . A questo appello rispondono sei Virtu, le quali formano un uomo di lunghezza e larghezza immense ( I, 30, 6). Poi Jaldabaoth crea Eva, della quale le Potenze am mirano la bellezza; si uniscono a lei e generano gli angeli . Ev a e Adamo sono tentati dal serpente e violano il precetto di .J a l d abao th , che li espelle dal Paradiso ( l , 30 , 8 ). L'analisi d'Ireneo descrive poi la n a sc i t a di Caino, il diluvio, la stori a dei Profe t i , c quindi la discesa di Cristo dall'alto ( Adv. haer. , l , 30, 1 1 ) fra lo s t u pore delle Po tenze e senza che J aldabaoth se ne accorga . Cristo scende attraverso i sette cieli , prendendo la forma degli angeli di ogni cielo. Tutta la luce si concen t ra i n lui, che innanzi tutto indossa Sofia, e scende unito a lei. Quest'ultima parte dipende tutta dai temi principal i della teologia giu deo-cristiana: il Figlio discende a t t raverso i sette cieli; la sua discesa è celata agli angeli. l n modo particolare il fatto che Cristo nella sua d iscesa si rivesta con i doni dello Spirito, e soprattutto della Sapienza, si ritrova nella Lettera degli Apostoli e nella Dimostrazione di Ireneo, come vedremo. Considerando l 'insieme formato dai due capitoli di e
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Ireneo e dall'Apocryphon di Giovanni, giungiamo alla conclusione che la forma piu evoluta presentata dal cap. 30, è basata su due fonti principali: da una parte l'Apo cryphon di Giovanni ispira la parte centrale del capitolo, vale a dire tutto quanto riguarda Jaldabaoth; il sottofondo è costituito da un commento giudaico di Gen. 1-3, di carattere speculativo, ripreso nel giudeo-cristianesimo e al quale l'Apocryphon conferisce un significato gnostico; dall'altra l'inizio e la fine del capitolo costituiscono un'espo sizione dei temi essenziali della teologia giudeo-cristiana, cosf come la presentano l'Ascensione d'Isaia oppure la Lettera degli Apostoli, ma ugualmente interpretati in senso gnostico. L'Apocalisse di Adamo si apparenta all 'Apocrypho n di Giovanni. Esso presenta peraltro un legame con altre opere di Nag Hammadi, in cui il personaggio di Seth svolge un ruolo importante 66• L'aspetto essenziale qui è che si tratta di speculazioni a partire dall'Antico Testa mento. Il nostro trattato comincia col racconto, fatto da Adamo a Seth, della creazione. Lui ed Eva erano stati creati nella gloria. Eva insegna ad Adamo la gnosi. Essi erano superiori al Demiurgo che li aveva creati, ma costui li « separa » ed essi perdono la loro gloria. Qui vi è un'al lusione all'androgino. Si parla poi di una visione in cui Adamo vede tutto il seguito della storia. Questa è costi tuita essenzialmente dal conflitto tra i discendenti di Seth, che sono gli Gnostici, e i discendenti di Cam e Jafet. Costoro cercano di annientare gli Gnostici prima col Di luvio, poi col fuoco . Essi costruiscono tredici regni . Ma l a storia termina con la manifestazione di Foster e l a conversione dei popoli. Il tema fondamentale è evidentemente di origine giu daica : esso ricorda il Libro dei Giubilei. L'opposizione tra le due stirpi evoca i testi di Qumran. Le speculazioni sulla c;enesi sono un aspetto caratteristico del giudaesimo del '"' 1\optisch Gnostische Apokalypsen aus Codex V von Nag Hammadi, pp. X(,. J J 8 .
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tempo. Peral tro questo giudaesimo presenta dei caratteri esoterici : si tratta essenzialmente di una gnosi nascosta,
comunicata attraverso una tradizione. Vi si notano delle allusioni a Noè e a Salomone, ma anche a degli angeli che si chiamano Abrasax, Sablo, Gamaliele. Siamo in pieno esoterismo. Si parla di Deucalione, delle Pieridi, di Pan teone, ma questi elementi sono secondari. Si pongono due problemi : quelli della relazione del trattato con lo gnosticismo e col cristianesimo. Per quanto riguarda la prima, esso presenta l'aspetto caratteristico dell'opposizione tra il Demiurgo creatore e l'altro Dio. Questo dualismo è l'elemento caratteristico dello gnosti cismo. Peraltro, come l'Apocryphon di Giovanni, il trat tato non presenta alcun contatto con le dottrine valenti niane. Esso rappresenta uno stadio precedente dello gno sticismo, tale da poter intravedere che è stato quello di un Satornilo. Si congiunge alle dottrine dei Sethiani o dei Naasseni di Ireneo e di Ippolito. Questo gnosticismo appare come sviluppantesi a partire da un esoterismo giu daico, che diventa un dualismo cosmologico alla fine del primo secolo. Come ha fatto giustamente rilevare G. W. Mac Rae, Bohlig sembra esagerare la parte di mitolog ia i ranica 67 • I dati giu d aici sono p re pon d e rant i Piu difficile è il problem a di sapere se vi sono degli elementi cristiani. Ness una allusione esplicita è f a t t a ad un personaggio cristiano. Numerosi aspe t t i t u t tavia trovano nel cristianesimo il loro contesto più verosim ile : la mis sione dell'Illuminatore e l a conversione dci popoli, la sua designazione come Logos, la sua origine divina e la sua incarnazione; le allu sioni ad una matern i t à verginale; il fatto che egli compie « dci segni c dci miracoli » ; egli soffre nella sua carne ; sono fatte numerose allusioni al battesimo ; i discepoli dell'Illuminatore « ricevono il suo nome sull'acqua ». Mac Rae ha rilevato parecchi di questi indizi (p. 3 2 ) . Tuttavia conclude, come Bohlig, che questi .
t>7
Tlw Coptic-Gnoslic
pp. 3 1 - 3 5 .
Apocalypse o/ Adam,
in
«
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»,
VI ( 1965},
ll giudeo-cristianesimo eterodosso
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aspetti non sono cristiani, ma, a differenza di quello, ne cerca l'origine nell'Antico Testamento, in particolare nei capitoli di Isaia sul Servitore. È certo che, a rigore, ciascuno di questi tratti può trovare delle spiegazioni fuori dal cristianesimo. Bohlig riallaccia l'importanza data al battesimo alle sette battiste giudaiche premandee. Ma è pure certo che soltanto nel cristianesimo si trovano riuniti i diversi temi che ci pre senta l'Ap ocalisse . Peraltro l'Apocryphon di Giovanni, con cui essa presenta dei contatti, è un'opera essenzial mente giudeo-gnostica, ma ripresa da dei cristiani. Sa remmo tentati di pensare che qui c'è un fenomeno inverso. Si tratterebbe di uno gnosticismo giudaico, ma che non ignora la predicazione cristiana. È certo che lo gnosti cismo è nato in un milieu in cui Giudei e cristiani erano in contatto. Le influenze reciproche tra gnosticismo giu daico e gnosticismo cristiano sono sicure. Esse hanno potuto svolgersi sotto forme diverse; ne avremo qui un esempio. L'I postasi degli Arconti è il quarto trattato del Codice 11 di Nag Hammàdi. H. M. Schenke ne ha già dato una traduzione tedesca ed R. G. Bullard una traduzione inglese accompagnata da un commentario. Il termine Ù1t6cr'"t"acnç che si trova nel testo copto sembra significare « natura » piuttosto che << origine » . È cosi che esso è interpretato nell'edizione preparata da J. M. Robinson. Gli Arconti sono le sette potenze planetarie, benché soltanto il loro capo, Samael o Jaldabaoth, sia nominato. Il tema del trattato è la natura degli Arconti, il loro ruolo nella crea zione dell'uomo, il loro castigo. L'opera è tipica dello gnosticismo giudaico. A questo proposito può essere accostata al trattato Sull'origine del mondo (chiamato talvolta Trattato senza titolo) che la segue immediatamente nel Codice II, ma anche all'Apo cryphon di Giovanni e all 'Apocalisse di Adamo. Come in questi ultimi due trattati, gli elementi cristiani non
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I dati sono tratti dalla Genesi, essenzialmente dal rac conto della creazione del mondo, della creazione e della caduta dell'uomo, del Diluvio, ma reinterpretati in un militu giudaico eterodosso. È una nuova testimonianza
delPimportanza delle speculazioni sulla Genesi nel milieu gi udaico del primo e del secondo secolo. Questa vicinanza del milieu giudaico, l'assenza di ele menti cristiani o greci, stanno a favore del carattere arcaico del trattato. Esso è certamente anteriore alla Pistis Sopbia: l'espressione compare per la prima volta nel nostro testo e nel trattato Sull'origine del mondo che ne costituisce una rielaborazione ed al quale Bullard fa numerose allu sioni. Potrebbe essere contemporaneo dell 'Apo cryphon di Giovanni, cioè della metà del secondo secolo, per lo meno nei suoi elementi principali. Il milieu originario sarebbe piuttosto l'Egitto, secondo l'autore. Ma nume rosi aspetti ricordano lo gnosticismo siriaco arcaico, quello di Satornilo in particolare, come ha notato van Unnik. L'I postasi degli Arconti è caratteristica della dottrina fondamentale dello gnosticismo, che vede nel Dio creatore dell'Antico Testamento un Demiurgo ignorante e malde stro. Questo Demiurgo, che è capo degli Arconti, è desi gnato da molteplici espressioni. È il « G rande Uno », il « Grande Arconte ». Ma porta altri nomi : è chiamato Samael, che è il nome dell ' ange lo della morte nella tradi zione giudaica. Ma Bullard mostra che il termine è tal volta derivato da som, « cieco » . Senza dubbio è in questo senso che esso è riferito al Demiurgo, che ignora la gnosi. I l nostro testo è l ' un i co , col trattato Sull'origine del :1zondo, a identificare Samael col Dem iurgo . Il Demiurgo è pure chiamato Jaldabaoth, designazione frequente presso gli Gnostici. I l testo suppone che l'etimologia del termine sia « figlio del caos ». Jaldabaoth sembra essere il nome segreto, « quello che ha un'efficacia magica » . Il nome r ivel ato è Samael, ma c'è anche Sak l a s , nome demoniaco che si r i trov a altrove e che significa « folle » . Si può osser vare ancora , a proposito del Demiu rgo, che egli corri sponde alla sfera planeta r ia piu esterna. Di qui l'identifì-
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cazione di Jaldabaoth con Saturno. L'immagine del leone per designarlo è ugualmente conosciuta. Si vede che siamo in presenza di tradizioni giudaiche sul demonio, il cui carattere gnostico appare nell'identi ficazione del Dio creatore con queste figure demoniache. Lo stesso carattere compare nella seconda parte del trat tato, La creazione dell'uomo. Questo è plasmato dagli Arconti, il che riprende una tradizione giudaica su Adamo plasmato dagli angeli, con la differenza che gli Arconti cattivi sono sostituiti agli angeli. È il Demiurgo che insuffia la sua psuché all'Adamo plasmato. Ma questo Adamo, come presso Satornilo, striscia sul suolo. Per questo è chiamato Adamo, da adama, terra. Infine lo Spirito viene su Adamo per soccorrere la sua debolezza. Il tema della creazione della donna è uno dei piu complessi di questo insieme. Da una parte c'è l'Eva ter rena, che è complementare di Adamo, per il fatto che gli Arconti, che plasmano l'uomo a loro immagine, sono bisessuati. D'altra parte c'è un'Eva spirituale che è iden tica allo Spirito, alla ruah. È lei che gli Arconti tolgono ad Adamo, quando la traggono dal suo fianco. Essa è peraltro identica al serpente che viene ad insegnare all'A damo terreno e all'Eva terrena la gnosi. Il serpente è istruttore. Esso ha un significato positivo, cosi come l'al bero della gnosi, come in numerosi trattati gnostici. L'ultimo tema è in relazione col Diluvio. Esso si presenta sotto la forma di una rivelazione fatta a Norea od Orea, la moglie di Noè. Qui ancora siamo in presenza di una tradizione giudaica. Bullard studia a lungo le eti mologie proposte da questo nome. Norea riceve la sua rivelazione dall'angelo Eleleth, che è identificato alla Sa pienza. Questa rivelazione riguarda il castigo di Jaldabaoth e degli Arconti. Ma Sabaoth, il figlio di Jaldabaoth, si pente. Egli è esaltato sul carro dei Cherubini al di sopra del settimo cielo, nella sfera delle stelle, l 'ogdoade. Questa figura di Sabaoth si ritrova nel giudaesimo apocalittico e nel giudeo-cristianesimo, identificata a Michele, il capo degli angeli buoni.
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8 evidente il grande interesse dell'Ipostasi degli Ar Questo trattato è una conferma di piu dell'esistenza cii UDO snosticismo giudaico anteriore allo gnosticismo cri tdaDo. L'insieme degli elementi che lo costituiscono pro viene dalle speculazioni giudaiche esoteriche che continue nnno nella Cabala. Si potrebbero aggiungere, ai dati che ho menzionato, altri dati studiati da Bullard nel suo ricco commentario, come la fìgura di Barbelo, lo Spirito vergi nale. Ma questi dati giudaici sono interpretati in funzione del dualismo gnostico che capovolge la prospettiva giu daica, facendo del Dio dell'Antico Testamento un Dio mancato, e della creazione un'opera difettosa. Nessun trat tato pone piu in luce le origini giudaiche dello gnosti cismo. È a questo gnosticismo sethiano che si riallacciano numerosi altri trattati ritrovati a Nag Hammàdi e carat terizzati dall'importanza in essi rivestita dai personaggi di Seth e di Barbelo. Uno dei piu importanti è il Libro del Grande Spirito invisibile, chiamato pure Vangelo degli Egi ziani. Esso è stato edito e commentato da J. Doresse, che lo fìssa alla fìne del secondo secolo 68• È pure a questo gruppo che si ricollegano il trattato del Codex Brescianus pubblicato da C. Schmidt e le Tre stelle di Seth del Co dice V di Nag Hammadi . Infine lo lostrianos e l'Allogeno, menzionati da Porfirio nella Vita di Plotùro e pure ritro vati a Nag Hammadi, rappresentano alla metà del terzo secolo uno sviluppo gnostico della gnosi scthiana. Tutti questi trattati sembrano dipendere dalla Apocalisse di Giovanni.
t:OIIH.
I Naasseni I Naasseni rappresentano un'altra corrente che sembra riallacciarsi alla gnosi di Satornilo. l nomi sono noti dalla notizia dedicata da Ippolito alla setta ( Elench. , V, 1 - 1 1 ) 68
« )A >>, CMLIV ( 1 966) , pp. 3 1 7-437; CCLVI ( 1 968), pp. 289-387
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Lo stadio della dottrina che Ippolito d presenta è molto evoluto. I Naasseni, all'epoca di Ippolito, si tro vavano a Roma: Carcopino ha dimostrato che il cimitero trovato in via Manzoni doveva appartenere certamente a loro 69 • In quel momento elementi diversi conferivano alla setta un accentuato carattere sincretistico; ma la sua ori gine giudeo-cristiana arcaica non è meno certa ed ha un grande interesse per il nostro studio. Si notino soprat tutto i rapporti di filiazione rivendicati dalla setta, che si presenta come la dottrina di Giacomo, fratello del Signore ( Elench., V, 7 ). Il collegamento con Giacomo indica sem pre un'origine giudeo-cristiana. Si aggiunga che i mano scritti non ancora pubblicati di Nag Hammàdi contengono due Apocalisse di Giacomo, da cui bisogna distinguere l'Apocrifo di Giacomo, che appartiene al Codex Jung 70• Peraltro i Naasseni si ispiravano al Vangelo degli Egiziani ( Elench., V, 7 ) : di questo vangelo gnostico, distinto da quello citato da Clemente Alessandrino, abbiamo due esemplari a Nag Hammàdi. I Naasseni citano pure un Vangelo di Tommaso ( Elench., V, 7 ) anch'esso ritrovato a Nag Hammàdi. Tutto ciò ci mostra che la dottrina naassena, cosi come la espone Ippolito all'inizio del terzo secolo, è basata su opere anteriori che devono perciò risalire per lo meno alla seconda metà del secondo secolo. Ed è pure a questo primo fondo piu arcaico che probabilmente risalgono certi componimenti liturgici della setta, in particolare l'inno col quale termina la descrizione d'Ippolito : « Per questo, Padre, manda me. Io scenderò portando i sigilli, attra verserò tutti gli eoni e svelerò tutti i misteri » ( Elench. , V, 1 1 ). Ricompare qui il tema giudeo-cristiano arcaico, già incontrato piu volte della discesa del Salvatore attraverso le sfere angeliche. Della dottrina naassena prenderemo in considerazione soltanto quegli aspetti che c'interessano maggiormente. "'' .T. Carcopino, De Pythagore aux Apotres, Paris, 1956, pp. 99-132. 70 Cfr. supra.
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Anzitutto il nome della setta, che risale all'ebraico nash ( serpente ): esso costituisce un punto di contatto con i Sethiani di cu i abbiamo avuto modo di conoscere una speculazione sul serpente della Genesi. Anche i Perati tratteranno lo stesso tema (Elench. , V, 1 6 ) con un riferi mento ancora piu netto al racconto della Genesi. Ci tro viamo qu indi sempre in quel contesto primitivo - all'in terno di questa gnosi giudaica sulla Genesi la cui importanza si è rivelata cosi grande in quanto retroterra -
comune delle rappresentazioni tanto giudeo-cristiane che gnostiche. Ireneo vi coglie la caratteristica principale degli Ofìti che egli collega ai Sethiani (Adv. haer. , I, 30, 1 5 ), ai quali accennerà anche Ippolito ( Elench., VIII, 20). Ancora una volta i l nome evoca qui i l serpente. Nei Naasseni due aspetti ci sembrano notevoli. Il primo è, di nuovo, l'importanza attribuita alle specula zioni sulla Genesi. Questo appare in particolare nel rac conto della creazione dell'uomo che ricorda Satornilo e Carpocrate: « Adamo è l'unico uomo che la terra abbia prodotto: egli giaceva inanimato e immobile come una statua. I m magi ne di quest 'uomo celeste, cantato sotto il nome di Adamas, è opera di n u me rose potenze. I Naasseni cercano pure che cos'è l 'anim a , perché essa, venendo ad animare l 'uoma, possa correggere e asservire l'opera del l 'uomo perfetto l'i ( V , 7 ) . Si notino p u re le speculazioni sui quat tro fiumi del Paradiso, considemti come le potenze dell' uomo ( V, 9 ). Oltre che da questa gnosi gi ud aica sulla Genesi, i N a as se n i di pendono dal giudeo-cristianesimo. Ma ciò che sorprende in loro non �. come ne i Sethiani, la presenza dei quadri della teologia giudeo-cristiana, ma l'uso delle figure dell 'Antico Testamento, cosf co m e le utilizzavano i cristiani, e delle raccolte dei Testimonia. Per quanto rigua rda le prime, si notino le s pecul az i oni sulla traversata del Mar Rosso - figura dell 'uscita dalla materia - e sul Grande Giordano in cui Gesu-Giosuè dona la nascita spiri tuale, introducendo nella Terra Promessa mediante la sua traversata. Questa è una rip resa dei temi arcaici della
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tipologia cristiana del battesimo e costituisce per noi una testimonianza preziosa. Clemente Alessandrino collega questa speculazione sulla traversata del Mar Rosso come uscita dalla materia alle tradizioni dei presbiteri (Eclog., VI, l ; CGS, 1 3 8 ). Si ritrova la stessa speculazione presso i Perati (Elench. , V, 1 6 ). I Naasseni, d'altra parte, utilizzano le raccolte dei Testimonia; in loro troviamo alcuni dei testi piu classici ai quali conferiscono un significato esoterico ed etero dosso. Quello della pietra, ad esempio : Adamo è « la pietra angolare, divenuta pietra d 'angolo » ( Sal. 1 1 7, 22 ) ( Elench. , V, 7, 35); da quest'uomo celeste è caduto l'uomo terrestre « estratto senza il concorso di nessuna mano » ( Dan . 2 , 3 4 ) (Elench . , V, 7 , 36). Abbiamo qui un gruppo classico appartenente alla teologia arcaica 71 • Analogamente incontriamo un notevole raggruppamento di due dei Salmi piu usati nei Testimonia, i Salmi 2 1 e 2 3 : « Apritevi porte eterne ( 2 3, 7 ) : queste parole della Serittura si applicano all'ascensione dell'uomo perfetto. Perché, dice il Naasseno ( 2 3 , 1 0 ), chi è il re di gloria? Un verme della terra e non un uomo ( 2 1 , 7 ) . T ale è il re di gloria, il re potente alla guerra ( 2 3 , 8 ) » (Elench. , V, 8 , 1 8 ). L'esame di questa notizia ci porta cosi alla stessa con clusione di Ireneo a proposito dei Sethiani. Vi distinguia mo due aspetti. In primo luogo vi è uno strato antico di gnosticismo giudaico, imparentato con la gnosi simoniana e, come questa, con qualche sprazzo cristiano: è questo che si ricava propriamente dal nostro studio. In secondo luogo incontriamo l'uso da parte di questa corrente gno stica di temi della teologia, dell'esegesi e della liturgia giu deo-cristiana. Ciò è caratteristico di un secondo momento dello gnosticismo, quello illustrato da Valentino, in cui i documenti gnostici sono particolarmente preziosi per il materiale preso a prestito dalla Grande Chiesa che essi ci permettono di ritrovare, ma che ad essi non deve nulla. 71
Cfr.
J. Daniélou , Sacramentum futuri, Paris, 1950, pp. 210-2 1 1 ;
R. l !arris, Testimonies, Cambridge, 1 9 1 6 , I , pp. 18-3 1 .
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Z.. leNola va/entiniana Lo gnosticismo ha trovato la sua forma piu elaborata Della scuola valentiniana. Valentino è una fìgura storica mente assai nota. Discepolo di Basilide ad Alessandria, viene a Roma verso il 50. Egli si situa sulla scia della gnosi simoniana e basilidiana, ma segna la dottrina col proprio genio e le dà una forma piu fìlosofìca. Avrà una considerevole influenza. I suoi principali discepoli saranno in Oriente Teodoto e Marco il Mago, in Occidente Tolo meo ed Eradeone. È la gnosi valentiniana che sarà essen zi almente conosciuta dai Padri della Chiesa. Essa è mar cata dal cristianesimo assai piu profondamente dei gruppi precedenti : è lo gnosticismo giudeo-cristiano. Non è certo che noi conosciamo delle opere stesse di Valentino, ma possediamo un'abbondante documentazione sulla scuola valentiniana. Essa consiste soprattutto nelle notizie che Ireneo ci ha dato su Tolomeo e su Marco il Mago, nelle citazioni di Eracleone in Origene, nella Let tera a Flora di Tolomeo, conservata da Epifanio, nei fram menti di Teodoto conservati da Clemente Alessandrino. Ma questa documentazione è stata considerevolmente au mentata dalle scoperte di Nag Hammad i . Alla gnosi va lentiniana si riallacciano t re test i impo r t an ti del Codex ] ung, il Vangelo di Verità, il Trattato sulla Resurrezione, il Trattato delle Tre Nature. r primi due sono stati mira bilmente editi da u n gruppo di st udios i t ra cui H. Ch. Puech e G. Quispel . Ma sembra proprio che sia a ques t o gruppo che de vono essere riallacciati altri scri t t i di carat tere meno spe culativo, ma che ci fanno conoscere di più la vita morale c culturale gnostica. È, i n particolare, il caso del Vangelo di Filippo, col quale siamo in p rese n za di un'interpreta zione del Nuovo Testamento nel se n s o del dualismo gno st ico . Ed è proprio qu el l o che sembra caratterizzare il milicu v a len ti n i an o, mentre p res so i Sethiani l'influenza cristiana è assai superficiale c si tratta soprattutto di uno gnosticismo giudaico. Diremo qualcosa dei due testi che
fl giudeo-cristianesimo eterodosso
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piu concernono il nostro argomento. Dopo la sua pubblicazione nel 1 956, il Vangelo di Ve rità, che è uno dei documenti piu importanti scoperti a Nag Hammadi, è stato oggetto di molteplici studi. H. Ch. Puech e G. Quispel vi hanno colto degli aspetti che l'ap parentano allo gnosticismo di Valentino. E. Schencke ha notato invece la sua analogia con le Odi di Salomone 12• E. Segelberg ne ha sottolineato le risonanze liturgiche 73 • Per alcuni aspetti il carattere gnostico del trattato sembra evidente. Esso appare da una parte nel motivo centrale che è quello della conoscenza del vero io, di cui Cristo è il rivelatore, e dall'altra nel dualismo cosmico che vede nel mondo materiale un risultato del peccato. Peraltro il Vangelo di Verità presenta dei caratteri che l'apparentano alla teologia giudeo-cristiana: in primo luo go la designazione del Figlio con l'espressione « il Nome » . Essa appare in Teodoto, il che orienta verso l'ambiente alessandrino. Cosi pure la dottrina del Libro celeste, che contiene il disegno di Dio sul mondo . La cristologia del V angelo di Verità non è doceta, ma presenta il tema giu deo-cristiano della discesa nascosta 74 • La Passione occupa molto piu posto. Tuttavia non è interpretata né come espiazione, né come manifestazione dell'amore, ma come spoliazione dal mondo generato dal traviamento ( 1tÀ.av11). Che cosa concludere da questa duplice serie di osser vazioni? Si tratta di una variante del valentinianesimo, ma in cui il sistema è semplificato ed in cui sono presenti degli elementi di teologia ortodossa. Contrariamente ad H . Ch. Puech, Arai pensa che questo possa difficilmente rappresentare una forma primitiva della dottrina di Valen tino. Questo impegno di semplificazione, invece - e pure di avvicinamento rispetto all'ortodossia - sembra carat72 H. M. Schenke, Die Herkunft des sogennantes Evangelium veri tc�tis, GOttingen, 1959 , pp. 26-30. 73 C. E. Segelberg, Evangelium veritatis - a Confirmation Homily ,,:d his Relations to the Odes of Solomon, in « OS », VII ( 1969),
pp. 1 -42. H
1%4 .
Sasage
Arai, Des Christologie des Evangelium Veritatis, Leyden,
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terizzare alcuni discepoli di Valentino. Il Vangelo di Ve
ril� presenta dei punti di contatto con Teodoto; sembra
dunque che occorra vedervi un'opera della scuola valenti niana di origine alessandrina e della seconda metà del se condo secolo. Ma se bisogna riconoscere nel Vangelo di Verità una opera gnosticizzante, ciò non toglie che essa incorpori nu merosi elementi che vengono dalla tradizione ecclesiale comune. È il caso di alcuni temi teologici giudeo-cristiani. È pure il caso dei dati liturgici che Segelberg ha messo in risalto. Abbiamo delle allusioni all'unzione, all'Euca restia. Sagnard aveva fatto la stessa osservazione per Teo doto. Il Vangelo di Verità è dunque con ciò un testimone prezioso del cristianesimo alessandrino anteriore a Cle mente, sul quale sono cosi pochi i dati in nostro possesso. Esso ci pone in presenza di uno sviluppo della teologia giudeo-cristiana, diverso da quello della Siria e da quello dell'Asia Minore, e che corrisponde al milieu dei predeces sori di Clemente, in particolare di Panteno. Di ciò vorrei dare un esempio. Si trova nel Vangelo di Verità un passo in cui il Cristo « inchio&1to sulla cro ce » è presentato come diveniente « un fru tto della gnosi del Padre » ( 18, 24-27 ). Ora, troviamo un passo del tutto parallelo in Clemente, dove la croce, paragonata all'al bero della vita, dà il frutto della gnosi (Strom. , V, 1 1 , 72, 2 ). Si tratta di una speculazione sulla croce come albero della vita e sul suo frutto, dove i n terferiscono Sal. 3 , 1 8 ; Gen. 2, 9 ; Sal. l , 3 . M a l 'aspe t t o pit'i notevole è l'iden Li ficazione dell'albero dell!t vita con l 'albero della gnosi. Ora, è curioso che noi ritroviamo la stessa identificazione nella Lettera a Diogneto ( X I I I , 3-8 ) che si riallaccia pre ci samente a questo stesso milicu aless.mdrino precedente a Clemente e che Marrou propone pure di attribuire a Panteno. Cosi, mentre aggi u n ge un elemento al dossier del lo gnosticismo, il Vangelo di Verità è un prezioso do cu mento sulle origini del cristianesimo in Egitto. Il Vangelo di Filippo è uno dei trattati piu affasci nanti di Nag Hammadi. Un'edizione fotografica del testo
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copto è stata pubblicata da P. Labib. J. Leipold e H. M. Schenke hanno pubblicato una traduzione tedesca. Una traduzione inglese è stata pubblicata da C. J. de Catan zaro 75 • R. M. Grant 76 ed E. Segelberg 77 hanno studiato gli aspetti sacramentali del testo. R. Mc L. Wilson ha edito una traduzione inglese, fatta indipendentemente da quella di C. J. de Catanzaro, accompagnata da una intro duzione e da un commentario 78• Lo stesso ha fatto J. E. Ménard in francese 79 • L'interesse del Vangelo di Filippo sta nel fatto che esso utilizza, in una prospettiva sicura mente valentiniana, tutto un insieme di temi esegetici, teo logici, liturgici che fanno parte del fondo comune del pen siero cristiano del secondo secolo . È quindi interessante ad un tempo per la nostra conoscenza dello gnosticismo, ma anche per quella del cristianesimo dell'epoca. L'opera è forse d'origine asiatica. I contatti della sua teologia con la teologia di Ireneo sono notevoli, in parti colare per quanto concerne dei temi cosi precisi come quello di Adamo e della terra vergine, e di Gesu nato dalla Vergine ( 83 , 49, 1 6 ; Ireneo, Dem . , 32). Si sa d'altra parte che Eusebio collega Filippo all'Asia. È notevole in fine che il solo passo che presenta certamente una tradi zione apostolica non canonica sia il loghion attribuito a Filippo, il quale riferisce che il legno della croce è stato preso da un albero piantato dal carpentiere Giuseppe ( 9 1 ; 1 2 1 , 8 , 1 5 ). Questo aspetto non è certamente inventato dall'autore del trattato. Ora, il frigio Papia riferisce che egli ricercava i propositi attribuiti agli Apostoli e tra di essi nomina Filippo (Hist. eccl. , III, 39, 4 ). Abbiamo per duto le esegesi di Papia, ma il particolare dell'albero pian tato da Giuseppe assomiglia molto al genere di aneddoti che troviamo in ciò che è conservato di quest'opera, il che costituirebbe un'indicazione in piu per un'origine asiatica. 7s
«
JTS », XIII ( 1962), pp. 35-72.
76 After the New Testament, Philadelphia, 1967, pp. 185-194. The Coptic-Gnostic Gospel According to Philip and its « NU », VII ( 1 960), pp. 1 89-200. 7K R. MeL. Wilson, The Gospel of Philip, London, 1962. 7" f.'Hvangile selan Philippe, Paris, 1967. 77
menta! System, in
Sacra
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Come Doresse vede nel Vangelo di Tommaso l'eco della scuola valentiniana di Edessa che è il centro del ciclo di Tommaso, si può vedere nel Vangelo di Filippo l'espres sione della scuola valentiniana d'Asia. Per ciò che concerne la gnosi valentiniana, l'interesse principale del Vangelo di Filippo risiede nelle informa zioni che ci dà sulla sua dottrina sacramentaria. Non si possiedono dati simili che per la gnosi di Marco il Mago, lui pure asiatico, quale Ireneo ce l 'ha riassunta. E questo sviluppo del sacramentalismo potrebbe essere un aspetto del valentinismo asiatico. Questa struttura sacramentaria nella nostra opera è stata assai studiata da Segelberg. I sa cramenti sono in numero di cinque. Il piu importante è il chrisma. Questo è un aspetto valentiniano comune; è il sacramento gnostico in opposizione al Battesimo, che è quello dei semplici cristiani. Ai tre sacramenti classici del l'iniziazione cristiana, il Vangelo di Filippo ne aggiunge due. L'uno è l' rinoÀ.u'tpwcnc;. Esso comprende un'unzione d 'olio. Sembra che si tratti di un sacramento che compor terebbe ad un tempo la remissione dei peccati e la guari gione del corpo. Sarebbe amministrato in particolare ai moribondi, come ha dimostrato A. Orbe 80• Quale che sia il suo significato per i Valentiniani, sembra proprio che si trattasse dell'olio degli ammalat i , attestato nella Grande Chiesa dalla Tradizione Apostolica di I ppolito. I l Vangelo di Filippo ne costituirebbe la piu antica attestazione . Piu misterioso è il sacramento chiamato matrimonio ( VU(J.<pov ) , che è il rito supremo . Né le spiegazioni di Se gelberg, né quelle di G rant , né q uel le di R. Mc L. Wilson mi sembrano del tutto soddisfacent i . Nella simbolica della nostra opera, l'entrata nella camera nuziale è la espres sione della perfezione piu al ta. Peml t ro l a sposa e Io sposo sono dei simboli dell 'anima c del suo angelo. È in questa linea che bisognerebbe cercare. I l segno visibile del sacra mento è senza dubbio il bacio ( 3 l ; l 07, 4 ), il che spiega che I reneo interpreti il rito in senso immorale. Ma i pa80
Los
primeros hercies ante la pascmcùin, cit., pp.
126-159.
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gani facevano altrettanto per il bacio di pace cristiano. Peraltro non vi sarebbe un parallelismo con la corona zione delle vergini come rito supremo nel giudeo-cristia nesimo. Può darsi anche che questo sacramento avesse una relazione con la coabitazione di una vergine con un asceta, che appare nel giudeo-cristianesimo. Un altro aspetto notevole del Vangelo di Filippo è il posto che vi occupano le speculazioni sui primi capitoli della Genesi. Anche con ciò esso è apparentato al giudeo cristianesimo. Gli alberi del Paradiso sono il nutrimento degli uomini ( = gnostici), gli alberi di questo mondo quello degli animali ( = psichici) ( 1 5, 1 0 3 , 5- 1 4 ); l'adul terio di Eva col serpente ( 42 ; 1 03 , 5- 1 2 ) è giustamente accostato da R. Mc L . Wilson a II C or. 1 1 , 3 ; si può aggiungere pure la Lettera a Diogneto, XII, 8 ; ho già menzionato il passo sulla nascita di Adamo dalla terra ver gine accostata a quella di Gesu e della Vergine. La tipo logia adamica è frequentemente evocata: l 'albero della vita sembra essere un ulivo, il che ricorda le speculazioni sull'olio dell'albero della vita ( 9 2 ; 1 2 1 , 1 5- 1 8 ) ; l'albero del bene e del male è il simbolo della Legge. Noto che ciò si ritrova in Ippolito, Comm. in Dan . , l , 1 7 , in Teo fìlo d'Antiochia, Ad. Autol. 1 1 , 25; e il p. Lyonnet 81 pensa che questa speculazione sia alla base di Rom. 7 , 7. Queste speculazioni sulla Genesi sono assai prossime a ciò che si trova nel retroterra di Paolo. Si noti d'altra parte la presenza nel nostro testo di temi teologici giudeo-cristiani: quello del Nome, come nel \1angelo di Verità ( 1 2 ; 102, 5-1 3 ); quello della croce come potenza ( 67, 1 15- 1 26 ), come frontiera ( 125; 1 32, 3 3 ); quello della discesa nascosta ( 20; l 04, 1 3- 1 4 ) . Infine alcune allusioni evangeliche possono riaLlacciarsi a delle tradizioni giudeo-cristiane apocrife. Ho menzionato la sto ria di Giuseppe che pianta degli alberi. Si noteranno delle osservazioni sui nomi di Cristo: nazareno ( 1 9 ; 1 04, 1 2 ), Xl
<< Tu non desidererai » (Rom. 7,7). Neotestamentica et Patristica
( Frnmdesgabe Cullmann) , Leiden, 1962, p. 1 63.
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farisata ( ' .3 ; 1 1 1 , 1 2 ). La rivelazione gnostica è fatta su una montagna ( 2 6 , 1 06, 7 ). Si parla delle tre Marie ( 32 ; l 07 , 6- 1 1 ) . Maria Maddalena riceve dal Cristo un bacio ( ,, 1 1 1 , 36). Gli Encratiti Ireneo, che ci fornisce un elenco notevolmente com pleto ed esatto delle diverse correnti eterodosse alla fine del secondo secolo, menziona gli Encratiti (Adv. haer. , I , 28 ) . Abbiamo avuto occasione d i osservare in piu riprese che le tendenze ascetiche erano assai vive nel giudeo-cri stianesimo. Cosi in Siria orientale, dove i catecumeni che si impegnavano al celibato erano battezzati per primi; a Creta, dove vediamo disprezzato il matrimonio 82 ; a Roma, col Pastore di Erma. Ma l 'encratismo è altra cosa. Esso comportava una condanna formale del matrimonio e un appello agli sposi a separarsi. E ciò in relazione con una condanna della sessualità, imparentata al dualismo gno stico, ma senza le speculazioni di questo. La testimonianza piu antica di questa corrente è il Vangelo degli Egiziani, citato da Clemente Alessandrino e la cui influenza è stata grande, dal momento che lo tro viamo citato nel Vangelo di Tommaso, nella II Cle m . , dai Naasseni &J. Il suo tema essenziale è che la generazione e la morte, che sono legate, hanno t rovato i l loro termine col Cristo e che ormai non c'è piu né uomo, né donna; la sessualità non ha piu posto. I l matrimonio era « l'erba amara », estranea al Paradiso 14• La stessa espressione si ritrova nelle Odi di Salomone. La sparizione dei sessi si esprime in particolare con la formula « Quando i due non saranno che uno, e l es terno come l'interno, e non vi sarà '
82 Cfr. P. Nautin, Lellrt'S et �au•aim dn 2" et 3e siècles, Paris, 1 96 1 , pp. 1 3-32. 8·1 Per altre menzioni dr. R. A . Kraf t , Oxyrincb Papyrus 655 Re 1 53 , 262. conside�ed, in « HTR » ( 1961 ), 84 Clemente Alcss., Strom. , I l , 9, 66.
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piu né uomo né donna » , citata da Clemente (Strom. , III, 1 3 , 92 ) e ripresa dalla II Clem. (XII, 2 ), dai Naasseni 85 dal Vangelo di Tommaso, 63, e dal Vangelo di Filippo, 69. Il Vangelo di Tommaso, sino alla scoperta di Nag Hammadi, non era conosciuto che per la menzione che ne fanno i Naasseni e Origene ( Hom. in Luc. , I, 2 ). La sua scoperta a Nag Hammadi ha suscitato un interesse consi derevole. Dopo i numerosi studi che ha provocato, è pos sibile situarlo. Sembra che esso presenti come sfondo una tradizione aramaica dei loghia di Cristo, prossima a ciò che troviamo nel Vangelo degli Ebrei 86 • Esso presenta pe raltro un carattere encratita, che sembra in dipendenza dal Vangelo degli Egiziani, il quale è d'altronde citato . Infine il suo Sitz im Le ben sembra essere Edessa 87• Infatti è a Edessa che si riallaccia tutta la letteratura riunita intorno a Tommaso, Salmi di Tommaso) Atti di Tommaso) Van
gelo di Tommaso.
Il carattere encratita del testo è certo, ma esso ci inte ressa qui per ciò che conserva della tradizione giudeo-cri stiana. Ciò riguarda anzitutto la presenza di una tradi zione dei periodi di Gesu, distinta da quella dei Sinottici e imparentata al Vangelo degli Ebrei 88• Il Vangelo di Tom maso è cosi una delle nostre fonti per la ricostituzione di questo vangelo aramaico, che è quello della missione giu deo-cristiana verso l'Oriente. Le altre fonti sono i fram menti del Vangelo degli Ebrei ed il Diapente di Taziano. Costui, originario dell'Abiadene e lui stesso encratita, ha utilizzato questo quinto vangelo per la sua sinossi. Un secondo aspetto è il carattere giudeo-cristiano di alcuni temi. Si noti in particolare l'importanza del perso naggio di Giacomo. Si legge al pgf. 1 3 : « Dovunque anR5 lppolito, Elench., 8, 7 . M Cfr. G . Quispel, The Gospel o f Thomas and the Gospel o f the l il'hrcws, cit., pp. 371-382. �7 Von B. Ehlers, Kaner das Thomas Evangelium aus Edessa stam m m . in « NT », XII ( 1970), pp. 284-317. �<�< Cfr. W. Schrage, Das Verhaltes des Thomas Evangelium zen synoptiJchcn Tradition und zu den Koptichen Evangelien iibersetzung,
lkrl in, 1 %4 .
,
1 30
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drete seguirete Giacomo il Giusto, colui a motivo del quale sono stati creati il cielo e la terra » 89• Ora noi ab biamo già osservato sovente che il ruolo preminente di Giacomo contrassegna sempre un milieu giudeo-cristiano. Alcuni altri aspetti si riallacciano a delle tradizioni giudeo cristiane: cosi quello dei cinque alberi del Paradiso ( pgf. 22 ) . Si rileverà anche l'importanza dell'esegesi esoterica delle parabole. Questo è un aspetto della gnosi giudeo cristiana attestato da Papia e che sarà ripreso dallo gno sticismo, come testimoniano il Vangelo di Verità e Ireneo per i Valentiniani. È pure ad una corrente encratita, ma senza dualismo speculativo, che si riallacciano gli Atti apocrifi di Pietro, di Andrea, di Giovanni, di Tommaso. Essi derivano dallo stesso genere letterario, che è quello della vita romanzata. Non è escluso che contengano alcuni dati storici, come il personaggio di Tecla negli Atti di Paolo. In comune essi hanno lo scopo principale di esaltare la continenza e in particolare di spingere gli sposi a separarsi 90• Infine si situano pressappoco nella stessa epoca - tra il 1 80 e il 200 -, salvo gli Atti di Tommaso, di poco posteriori . Questi aspetti comuni non impediscono a ciascuno dei nostri Atti di presentare delle particolarità. Gli Atti di Giovanni conservano nei capitoli XCIV-CI le tracce di una rivelazione esoterica collegata alla apparizione di Gesu risuscitato a Giovanni nell'Orto degli Ulivi. Il loro milieu sembra essere quello del modalismo dell'Asia Minore alla fine del secondo secolo. Gli Atti di Andrea presentano dei contatti col platonismo medio di Albino e con Ta ziano. La loro origine deve essere in Acaia verso la stessa epoca. Gli Atti di Pietro sono u n po' anteriori. Schneemel cher pensa all'Asia Minore, ma i poli del ciclo petrino sono Antiochia e Roma. Vi sono incorporati degli ele menti di gnosi giudeo-cristiana, prossimi alle Odi di Salo89 In I Vangeli Apocrifi, a cura di
M. Craveri, cit. Per gli Atti di Tommaso (44 ) , gli Atti di Pietro (8), gli Atti di Giovanni (Lipsius-Bonnet, p. 192, 19-21 ), il matrimonio è l'erba amara del Paradiso, il che viene dal Vangelo degli Egiziani. 90
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131.
mone. Propenderei quindi per la Siria occidentale. Gli Atti di Paolo sono certamente originari dell'Asia
Minore, stando alla testimonianza di Tertulliano. Non vi si trovano elementi gnostici, ma uno slancio profetico prossimo al montanesimo asiatico. Il ruolo di Tecla ci av vicina a questo milieu. Infine gli Atti di Tommaso rappre sentano il giudeo-cristianesimo gnostico di Edessa alla metà del terzo secolo. Essi sono assai prossimi a Barde sane, con un dualismo piu accentuato . È il milieu in cui comparirà il manicheismo, che da essi prenderà molto. Ma qui ancora, come ricorda Dester Georgi, ispirandosi a Klijn e correggendo Bornkamm, si tratta di gnosi giudeo cristiana, non di gnosticismo. Gli Atti apocrifi sono una fonte preziosa per la teo logia e la liturgia giudeo-cristiana. È principalmente in essi che si trova la teologia cosmica della croce sulla quale insisteremo. Gli Atti di Pietro contengono un gruppo di Testimonia i quali, accanto a citazioni dell'Antico Testa mento che ·fanno parte di dati arcaici, in particolare sulla pietra, contengono delle citazioni di testi giudeo-cristiani:
Apocrifo di Ezechiele, Ascensione d'Isaia, Protovangelo di Giacomo ( 29 ). Gli Atti di Tommaso presentano dei passi
caratteristici della teologia giudeo-cristiana sul Nome per designare il Verbo ( 2 7 ), sul carattere femminile dello Spi rito Santo ( 2 7 ), sull'Ascensione di Cristo su un carro 91 • Ciò è l'eco della tradizione giudeo-cristiana di Edessa.
fl/
''1 ( Jr. su questi diversi passi i commenti di A. F. J. Klijn, The Acts 'fhuii/III, Leiden, 1962.
Parte seconda
L'am bi e n te intellettuale
Capitolo terzo
L'esegesi giudeo-cristiana
Il giudaesimo, nelle sue concezioni, dipende total mente dall'Antico Testamento. Se il cristianesimo è un avvenimento nuovo e una nuova rivelazione, resta il fatto che esso è apparso in ambiente giudaico e che si è espresso mediante le forme di tale ambiente, cioè come interpreta zione della Bibbia. Qui non dobbiamo affrontare il pro blema dell'atteggiamento cristiano nei riguardi dell'Antico Testamento: esso dipende dall'esegesi neotestamentaria e costituisce un problema essenziale per il cristianesimo pri mitivo che, ad un tempo, si afferma come una rivelazione nuova e tuttavia considera l'Antico Testamento Parola di Dio. Questo è il punto di partenza dell'esegesi cristiana dell'Antico Testamento, che indica nel Cristo la realizza zione delle figure e delle profezie. Il problema che intendiamo affrontare è un altro : si tratta di sapere se il giudeo-cristianesimo per interpretare l'Antico Testamento ha utilizzato gli stessi metodi che erano propri del giudaesimo del tempo. Sappiamo infatti che il giudaesimo contemporaneo a Cristo conosceva di versi tipi di esegesi. L'opera di Filone rappresenta il primo tentativo di applicare alb Scrittura i metodi ese getici dell'ellenismo. Perciò lo lasciamo qui da parte. Ma sappiamo che esisteva pure una esegesi palestinese. Il Codex Neofiti testimonia di un'esegesi targuminica prece dente l'era cristiana 1• Abbiamo ritrovato a Qumran dei pcscherim come quelli di Abacuc, di Nahum, di Osea e 1 Cfr. R . Le Déaut, La nuit pascale, Roma, 1963, pp. 19-64.
1 36
L'ambiente intellettuale
di Michea 2• Possediamo anche un'esegesi midrashica nei e nel Liber Antiquitatum judaicarum 3• Incon triamo infi ne un'esegesi gnostica concernente la Genesi. Questi metodi esegetici sono stati praticati anche dai giu deo-cristiani, e costituiscono una delle forme piu arcaiche della l oro letteratura.
Giubilei
Targumim giudeo-cristiani Il testo ebraico della Bibbia è stato tradotto circa agli inizi dell'era cristiana. Vi furono traduzioni aramaiche che costituiscono propriamente i targumim. Inoltre vi furono traduzioni greche la cui storia è nota anche in recenti trat tazioni 4• La piu importante è quella dei Settanta. Ma abbiamo pure dei frammenti delle traduzioni di Aquila e di Teodozione. Quella di Simmaco sembra opera di un giudeo-cristiano, forse ebionita. Altri frammenti, scoperti in particolare nella Genizah del Cairo e nel deserto di Gi uda S, h anno indotto P. Kahle a porsi il problema di sapere se non vi siano state molte traduzioni, di cui quella dei Settanta non sarebbe che un tipo 6• Ma il punto che c'interessa è sapere se queste tradu z ion i sono contemporaneamente delle interpretazioni. Cosi è per i Settanta, in cui si vede comp ari re la dottrina della R esu rrezione ( ls. 26, 1 9 ; Dan. 12,2; Giob. 42, 1 7 ). L'ange2 .J . Vcrmès, A propm dr.r Commrnlaircs bib/iques découverts à in La Bihle ,. /'Oric•nf P1ris, 19��. pp. 95-104; J. T. Milik, I'ra!l,ments d'un midrash de Mirh�l dan.! lt·s llltJIJ IIscrits de Qumrdn, in << RB », LIX ( 1 952), pp. 4 1 2·4 1 9 ; J. M . Alkgro, Further Messianic Re /erences in Qu mrdn Literalure in « .J BL " ( 1 957), pp. 174-188; J. M. Allegro, Furthcr Lif!.hl on tht• l listory of thc Qumrdn Sect., in « JBL » , LXXIV ( 1 956 ), pp. 89-96. Qumrdn,
3 H. Thyen, Der Stil dN judisch-bd/,•ni l tiJchcn Homilie, Gottingen, 1 955, p. 25. 4 B. J. Roberts, T h e 0/d Trslamrnt '[',·xt and Versions, Cardiff, 1 95 1 , pp. 101-188. 5 D. Barthelcmy, Redécouvcrte d'un cbaìnon manquant de l'Histoire dcs LXX, in << RB >> , LX ( 1 9 5 3 ) , p p . H l- 30. 6 P. Kahk, Die bebriiischcn l lalld.H·hri/tl'll tJUJ der Hohle, Stuttgart, 1 95 1 , pp. 30 ss.
L'esegesi giudeo-cristiana
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lologia occupa un posto importante. In Deut. 32,8, « gli angeli di Dio » precisano béni El, che sembra il testo ebraico primitivo. In Sal. 8,6: « Tu l'hai fatto di poco inferiore a Dio » è interpretato : « Tu l'hai fatto di poco inferiore agli angeli » . È normale che lo stesso accada altrove. H. ]. Schoeps 7 ha dimostrato che la traduzione di Simmaco corrispondeva alla teologia ebionita. In Is. 7 , 14, vEctvi:c; sta al posto d i 7tctpeÉvoc; dei Settanta. Ger. 4 ,4 : « Siate circoncisi nel cuore » è tradotto con « Purificate i vostri cuori ». Osservazioni analoghe potrebbero essere fatte su Teodozione o Aquila. Si pone allora per noi il problema di sapere se vi sono state delle traduzioni giudeo-cristiane dell'Antico Testa mento. Sembra che il testo dei Settanta sia utilizzato comunemente. Vi sono però delle eccezioni; la piu celebre riguarda le citazioni di Isaia e dei Profeti minori nella prima parte di Matteo. Il testo differisce completamente dai Settanta: basta confrontare Mt. 4 , 1 5 con Is. 8,23, o, ancor meglio, Mt. 1 2 , 1 7 con Is. 42. I l fatto è stato oggetto d i diverse interpretazioni. G . D. Kilpatrick si accontenta di segnalarlo 8 • S . Kahle lo giudica una prova dell'esistenza di una traduzione greca indipendente dai Settanta 9• Baumsterk giunge ad una con clusione analoga 10, ma sono possibili altre ipotesi. Lo studio piu importante è quello di K. Stendhal, The School of St. Matthew n, che vede in queste traduzioni l'espres sione della teologia di un gruppo di didascali giudeo cristiani. Questa interpretazione sembra la migliore. Non v'è motivo di supporre che i cristiani abbiano sentito la neces sità di una traduzione greca dell'Antico Testamento che fosse loro propria. Essi hanno utilizzato i Settanta verso 7
Theologie und Geschichte des Judenchristentums, cit., pp. 350-366.
8 The Origin of the Gospel According to Matthew, Oxford, 1946,
p. 56. 9 Die Hebriiischen Handschriften, cit., p. 32. 1" Dic Zitate des Mt. - Evangeliums aus dem Zwolfprophetenbucb, in " BL », XXXVII ( 1956), pp. 296-313. I l l lppsa l a, 1 954.
1 38
L'ambiente intellettuale
i quali professano una grande venerazione e in cui vedono l'espressione di un'ispirazione dello Spirito Santo. Tutta via non hanno esitato a rimaneggiare certi testi che ave vano per loro un'importanza teologica maggiore. Questi ri maneggiamenti costituiscono qualcosa di piu che semplici traduzioni : sono autentiche esegesi. Si presentano sotto la forma differenziata di fusioni, modifiche, aggiunte e sop pressioni. Tali modifiche possono essere state collegate a preoccupazioni apologetiche, ma anche liturgiche, e carat 2 terizzano un periodo assai arcaico del cristianesimo 1 • D'altra parte lo stesso metodo dipende da un milieu giu deo-cristiano, non avvezzo ai metodi letterari ellenistici 13• Il procedimento non è estraneo al Nuovo Testa mento 14 • Vediamo infatti che vi sono utilizzati testi del l 'Antico Testamento che hanno subito un'elaborazione. Si ha un esempio di fusione nel raggruppamento di piu Testi mania sul Cristo « pietra » che si trova in I Piet. 2, 6 ; Ef. 2, 20 ; Mt. 2 1 , 4 2 ; Le. 20, 1 7- 1 8 ; Atti 4, 1 1 ; Rom. 9, 32. Vi si trovano fusi Is. 28 , 1 6 , Sal. 1 17 , 22 e I s. 8, 1 4 , che finiscono col costituire un testo omogeneo.
Vedremo lo Pseudo-Barnaba alludere a questo conglome rato quando scrive : « Il profeta parla del tempo in cui sarà stato posto come una solida pietra da frantumare ( EL<; O'VVTpt�T)v ). Ecco, io poserò in Si o n una scelta, pre ziosa pietra angolare » ( ls. 28, 1 6) ( V I , 2). Ora, il termine Etç O'VVTPL�TJ'II è un'allusione evidente a Is. 8, 14, dove si parla della « pietra di scandalo » , che nella mente del l 'autore era associata alla « pietra angolare » 1 5 • Lo stesso Barnaba arricchisce il gruppo di un nuovo testo, Is. 50, 7 , di cui riparleremo. 12 B. Fisher, Le Christ dans In l'satwm , in << MD », XXVII ( 1951 ), p. 1 00. 13 Proviene dal giudacsimo e lo si t rova i n particolare nei DSS, come ha dimostrato .J . M . AlleRTO ( Tht· Dead Sea Scrolls, London, 1 956, pp. 1 38-139); cfr., per es., « 4Q Tf'stimonia >> che fonde Deut. 5, 28, con Deut. 18, 18. 14 Per Paolo cfr. E. Earle Ellis, Pau/'.1 U.rc of tbe Old Testament, Edimburgh, 1957, pp. 59-6 1 . 15 Cfr. R . Harris, Testimonies, cit . , l , pp. 26-32; V . Taylor, Tbe Namcs of ]csu.r, London, 1953, pp. 9 �- 100 .
L'esegesi giudeo-cristiana
1 39
D'altra parte il Nuovo Testamento ci presenta anche degli esempi di rielaborazione di testi. Uno dei piu note voli è la modificazione della citazione del Sal. 6 7, 1 9 : « Ascendendo in alto, ha condotto schiava la schiavitu, ha dato doni ( EO<ùXE) agli uomini » che si trova in Ef. 4 , 8 . Ora, il testo dei Settanta porta « ha ricevuto ( EÀ�X�E) dei doni ». La prima traduzione forse è di origine giu daica 16, ma può anche darsi che Paolo - ovvero la con suetudine liturgica che applicava questo testo all'Ascen sione di Cristo 17 - abbia adattato il testo al mistero che gli si faceva esprimere. È soprattutto questo procedimento che sarà oggetto del nostro studio . Esso è un'espressione della teologia cristiana mediante un raggruppamento e una rifusione di testi dell'Antico Testamento, in modo che ci si trova realmente in presenza di un dato nuovo. La Lettera di Barnaba ci offre numerosi esempi di una esegesi di questo tipo. Si legge nel cap . Il : « Egli ( Dio) ci ripete: Sacrificio a Dio è un cuore contrito, profumo soave per il Signore è il cuore che glorifica colui che l'ha plasmato » ( Il, 9 ) 18• La prima parte della citazione pro viene da Sal. 50, 1 9 , mentre la seconda parte è stata tal volta considerata la citazione di un apocrifo. Ma si osservi la sua struttura strettamente parallela a quella del versetto del Salmo. I termini -c-Q Kupttp X�X(JOt�X sono comuni; d'al tra parte l'espressione o
I Lettera di Clemente viene
Sulle origini giudaiche di questa interpretazione cfr. G. Kretsch Tlimmelfahrt und Pfingsten, in « ZKG », LXV ( 1956), pp. 216-218. 1 7 ( :iò sembra confermato dal fatto che incontriamo la medesima l .ma;ìonc i n Test. Dan. , V, 1 1 . 1 ' I n l Padri Apostolici, a cura di G . Corti, cit.
l l l. J r .
L'ambiente intellettuale
1 40 citato,
sotto
una forma diversa, in cui 7t'II EUIJ.�X CTV'Vt'E'tpL!J.
� sostitu isce xtXpol.tX crvvt'E'tPL!J.!J.É'IITJ . D'altra parte que sta volta esso è preceduto dal Sal. 49, 1 4 : « Offri a Dio il ucrificio di lode ( Ovcrl.tX �XÌ.vÉcrEwç) » ( 52 , 3 ). Qui abbiamo
un al tro tipo di esegesi, quello che consiste nell'accostare testi biblici saldandoli sino a costituire un nuovo insieme. Troveremo altri esempi. Va notato che il testo del Sal. 49, 14 appartiene anch'esso ai Testimonia primitivi 19• Incontriamo un caso notevole in Barn. V, 1 3 . Si tratta dei Testimonia della Passione: « Infatti il profeta dice di lui : Risparmia l'anima dalla spada, e : Trafiggi con chiodi le mie carni, perché le combutte dei malvagi si sono innal zate contro di me ». La prima citazione è del Sal. 2 1 , 21 ; la seconda del Sal. 1 1 8 , 1 20, la terza del Sal. 2 1 , 1 7 . Questo raggruppamento è in Ireneo (Dem . , 7 9 ) che l'espone tutto come se si trattasse di un'unica citazione: « Libera la mia anima dalla spada e il mio corpo dai chiodi, perché una banda di scellerati si è levata contro di me » . Qui siamo dunque in presenza di un raggruppa men to che era diven tato tradizionale e il cui carattere composito non appariva piu. Ecco una delle caratteristiche dell'uso dell'Antico Testamento nel giudeo-cristianesimo. Ma il passo si presta ad altri rilievi . In realtà il secondo venetto non � citato esattamente. Il testo com pl et o è: « Trafiggi le mie carni col timore ( Èx 't OV cp6�ov) », con un signi fica to puramente morale. Ma i cristiani hanno mantenuto il testo per la sua allusione ai chiodi (x�Xel} À.wcrov); per q uesto hanno soppresso il riferimento al « timore » modificandone cosr radicalmente il senso, in modo che esso assume un significato diverso. D'altra parte la citazione della Dìmostrazìo11e della Predicazione Apo stolica aggiunge un 'altra modifica . Al posto di « Trafiggi con chiodi le mie carni ,. , si legge : « Risparmia i chiodi al mio corpo » . Sembra tuttavia che questa versione sia un errore del tradu t tore armeno, come ha dimostrato l•l Giustino, Dia/. , X X I I , 9 ; Cipriano, 'l't'SI., I, 16.
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141
L . Froidevaux 'J!J. Dopotutto la Lettera di Barnaba ne dà il testo corretto. Si noti che nei Testimonia di Cipriano il Sal. 1 1 8 , 120 è citato accanto al Sal. 2 1 , 7-10, ma nella forma esatta : « Confige clavis de metu tuo carnes meas » 21• Si trovano altre modifiche altrettanto significative. Barnaba cita innanzitutto Is. 50, 7 nella forma esatta: « Ho preparato il mio volto come una dura pietra » (V, 1 4 ) ma piu oltre egli raffronta il testo di un insieme di Testimonia sul Cristo come pietra e lo cita sotto la forma: « Egli mi pose come una dura pietra », sopprimendo 7tpoow7tov (VI, 3 ) . Il testo si trova con la stessa forma nelle Odi Salom. , XXXI, 9, ove è associato a Sal. 2 1 , 1 8 . Nello stesso capitolo Barnaba cita come profezia: « Que sto è il Giorno grande e meraviglioso ( SaviJ.acr-.1}) che ha fatto il Signore » ( VI , 4 ) . I commenti a ragione citano Sal. 1 1 7 , 24, ma si tratta soltanto del « Giorno che ha fatto il Signore » . Vi è una contaminazione con un altro testo, quello di Mal. 3 , 23, ove si parla del « giorno del Signore grande e mirabile ( Èmcpavfj ) » 22 . Si noti la variante SaviJ.aCT"tT). Giustino ( Dial., XLIX, 2 ) cita il testo di Mala chia con una terza variante: cpo�Epti. Qui, ancora una volta, cogliamo bene il procedimento. Esisteva una rac colta di Testimonia sul Giorno, alla quale appartenevano in particolare Sal. 1 1 7 , 24 e Mal. 3 , 2 3 : questi testi ebbero la tendenza a confondersi gli uni con gli altri. Un raggruppamento molto antico è quello del serpente di bronzo e della preghiera di Mosè. Esso si collega ai Testimonia relativi alla croce, ma, come ha mostrato T. W. Manson 23, sembra anteriore al cristianesimo. La Lettera di Barnaba ce ne offre la prima testimonianza cri stiana; ma ciò che a noi interessa nel passo di Barnaba è il discorso che egli pone sulle labbra di Mosè: « Quando qualcuno di voi verrà morsicato venga qui presso il ser20 Sur trois textes cités par Saint Irenée, in pp. 408-414. 21 Cfr. R. Harris, Testimonies, cit., I , p. 74. 2z Cfr. Odi Salom., XLI, 4.
«
RSR », XLIV ( 1956),
2.\ The Argument of Prophecy, in �< JTS », XLVI ( 1945 ), pp. 1351 37 ; cfr. ]. Daniélou, Sacramentum futuri, cit., pp. 144-151.
142
L'ambiente intellettuale
pente innalzato sopra questo legno (;vÀ.ov ), creda con ferma fiducia che esso pur non avendo la vita può dare la vita. Chi farà cosi sarà salvato » (XII, 7 ). È una para frasi di Num. 2 1 , 8-9 . Nel testo di Num. non si parla di �v>..ov bensi di CTT)(J.Ei:ov. L'applicazione al Cristo croci fisso è sottolineata dalla scelta della parola. Di piu: Num. dice soltanto : « Si diriga verso il serpente e vivrà ». Il commento sul morto che può rivivere è una glossa che sottolinea la virtu vivificante della morte di Cristo. Ma questa rielaborazione non è opera di Barnaba. In effetti in Giustino ritroviamo un testo parallelo nel quale Mosè dice: « Se fissate questa figura e avete fede, per essa sarete salvi » (I Apol. LX, 3 ) 24 • Come in Barnaba, tro viamo l'allusione alla fede necessaria e la espressione « essere salvato », mentre il serpente di bronzo è desi gnato col termine -c-u1t6ç. È notevole il fatto che ancora una volta troviamo uno sviluppo parallelo in due autori diversi. È possibile che Barnaba abbia influenzato Giu stino, ma sembra piu verosimile l'esistenza di un racconto dell'episodio a colorazione cristiana inserito nei Testi
monia.
Nello stesso capitolo XII , Barnaba fa allusione a Es. « Mosè disse al figlio di Nave, che era profeta, dopo che gli ebbe imposto il nome di Gesu ( . . ): Prendi un libro nelle tue mani e scrivi ciò che il Signore dice, cioè che il Figlio di Dio, negli ultimi giorni, strapperà dalle radici tutta la stirpe di Amalec » (XII, 9 ). Il testo dell'Esodo, invece, è del tutto diverso : « E il Signore disse a Mosè : ( . . . ) fai comprendere a Gesu ( = Giosuè) che io cancellerò la memoria di Amalec di sotto il cielo » ( 1 7 , 1 4 ), e : « Con una mano segreta ( LXX) il Signore combatterà di generazione in generazione contro Amalec » ( 1 7, 1 6 ) . Il procedimento è molto simile a quello che abbiamo creduto di riconoscere per Num. 2 1 , 8 : si tratta di un riassunto che cristianizza il testo. Cosi la citazione
17, 14:
14 l n Giustino, Le Apologie, a l·ura di I. Giordani, Roma, 1962, p. 1 1 9 .
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del Figlio di Dio è estranea all'Esodo quanto l'espres sione: « Negli ultimi giorni ». D'altra parte questo rias sunto non proviene da Barnaba, il quale lo cita. Ne abbiamo la prova nel fatto che egli vede qui una atte stazione che Gesu è Figlio di Dio. D'altronde il testo dell'Esodo appartiene ai Testimonia arcaici ed è citato da Giustino ( Dia!., XLIX, 8 ) nel testo dei Settanta, tutt'al piu con una variante. Sempre nello stesso capitolo, Is. 45, l : « Il Signore dice al mio unto Ciro », è letto : « Disse il Signore Dio al Cristo mio Signore » ( XII, 1 1 ). Il cambiamento di Kup� con Kvpl.� era facile 25 • Di colpo il testo è accostato al Sal. 1 09, l e serve a dimostrare che il Cristo è Kyrios, cioè Dio. Il cambiamento può essere raffrontato ad un altro in Lam., IV, 20, il cui testo ebraico legge: « Il soffio della nostra faccia è l 'unto del Signore (XpLa-tòç Kvpl.ov) ». Ma l'insieme dei manoscritti dei Settanta porta: KpLCT't'Òç KupLoç. Rahlfs spiega la confusione con il fatto che KupLoç e Kvpl.ov sono entrambi abbreviati sotto la forma xv. Resta comunque che la preferenza accordata a Kvpl.ov è notevole. Questo testo è uno dei Testimonia piu antichi 26: sembra dunque assai verosimile che la scelta di KupLoç sia di origine cristiana. Una preoccupazione di questo genere deve avere certamente indotto Luca a scrivere KpLCT't'Òç KupLoç in 2, 1 1 al posto della classica espressione KpLa-tÒç Kvpl.ov, « l'unto del Signore » v . Nel cap. XIII della Lettera s i trova una citazione di Ce n. l 7, 5 : « Ecco, io ho posto te Abramo come padre dei popoli che pur non essendo circoncisi crederanno » ( XIII, 7 ). Ma Gen. 1 7 , 5 parla soltanto di « padre di una moltitudine di nazioni » . Il riferimento preciso alla con versione degli incirconcisi ed alla necessità della fede è di evidente origine cristiana. Nel cap. XIV si parla di « Mosè ( che) ricevette le due tavole scritte in spirito ( Év 7t'IIEV!J.�X't'L) Cfr. R. Harris, Testimonies, cit., I, p. 37. Giustino, I Apol., LV, 5 ; Ireneo, Dem., 7 1 . 1 7 Cfr. J. Daniélou, Etudes d'exégèse ]udéo-chrétienne, Paris, 1966, p)J . 76-99. 25 26
14.
L'ambiente intellettuale
1 44
dii dito della mano del Signore » ( XIV, 2). Il riferimento IYidentemente è a Es. 3 1 , 1 8, dove però non si parla dello
Spirito.
L'interpretazione del dito di Dio per mezzo dello Spirito si trova in Le. 1 1, 20 ( =Mt. 1 2 , 2 8 ). Il termine Jv 1NEVJ.I.rl.'tL è dunque una glossa cristiana in rapporto alla dottrina della « legge spirituale » scolpita nei cuori. La stessa citazione si trova nella Dimostrazione d'Ire neo. Il testo è oscuro : « Nel deserto Mosè ricevette da Dio la Legge, i dieci comandamenti scritti col dito di Dio sulle Tavole di pietra. Per dito di Dio bisogna intendere ciò che è inteso ( ? ) dal Padre nello Spirito Santo ( Èv 7tVEVJ.I.rl.'tL) » (26; PO XII, 769 ). Barthoulot nella lunga nota dedicata al testo non rimanda alla Lettera di Barnaba; tuttavia sembra evidente che in entrambi i casi si tratti della stessa citazione modificata. Ciò non vuol dire, d'altra parte, che Ireneo l'abbia presa a prestito da Barnaba: sarei incline a considerarlo piuttosto un testo cristianiz zato integrato ai Testimonia. La Lettera di Barnaba contiene una notevole quantità di testi cosi adattati all'uso cristiano; ma anche gli altri scritti giudeo-cristiani ne contengono molti. Nella Lettera di Clemente si legge: « Dice in un luogo la Sacra Scrit tura: lo Spirito del Signore ( IlvEv!J.a. Kvptov ) è una lucerna che esplora le viscere profonde » ( XXI , 2 ) 28• Il testo dei Settanta dice: « L 'anima dell'uomo è una lampada del Signore (cpwç Kvptov 7tVoi} à.v6pw1twv ) » ( Prov. 20, 27). Dietro la citazione vi è certamente una traduzione diversa dai Settanta : 7tVEu!J.a. sta al posto di 1tvoi} e Àvxv6ç sosti tuisce cpwç. Ma il collegamento di 7tVEVJ.I.a. a Kvpf.ov, che permette di vedervi lo Spirito Santo, sembra proprio una rielaborazione cristiana. Ancora piu caratteristica è I Clem. XLII, 5 : « Dice la Scrittura : Stabilirò i loro sovrinten denti ( Èmcrx67tovç) nella giustizia e i loro inservienti ( oLa. x6vovç) nella fede » . Ora Is. 60, 1 7, da cui è tratta la citazione, dà al posto del secondo membro : « e i loro u
In
l
Padri Apostolici,
a cura
Ji G . Cor t i , cit.
L'esegesi giudeo-cristiana
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capi » ( lipxov't�Xç) nella pace » . I diaconi sono una corre zione cristiana 29 • Ma l'aspetto piu interessante nella I Clem. è la pre senza di un dossier di testi in cui la Resurrezione è sugge rita dalla introduzione del verbo àvtcr'tci'II�X t. Cosi : « La Scrittura dice: Tu mi risusciterai ( È;�X'II�XCT'ti}crEtç) ed io ti loderò » ( XXVI, 2), che sembra una citazione del Sal. 27, 7 : « La mia carne è fiorita ( àvÉe�XÀEv) ed io lo loderò ». Ma l'allusione alla Resurrezione sembra proprio giudeo cristiana 30• D'altronde una prova di queste trasformazioni la troviamo nel versetto successivo del Sal. 3, 6 che questa volta è citato da Clemente d'accordo con i Settanta: « Mi coricai e mi addormentai, poi mi svegliai ( È;T}yÉpeT)v) per ché tu sei con me » . L'unica singolarità sta nel fatto che l'ultimo membro della frase viene dal Sal. 22, 4 che è uno dei luoghi classici della Resurrezione. Ma se si riprende Giustino ( I Apol. , XXXVIII, 5 ) si legge: « E ancora ( ... ): Mi posi a dormire e dormii e mi levai ( àvÉ CT't"T)'II ) , perché il Signore mi ricevette » 31. Qui abbiamo unicamente una citazione del Sal. 3, 6, ma àvÉCT'tT)'II sosti tuisce È;T}yÉpeT)v. Peraltro in Giustino il testo è fuso col Sal. 2 1 , 1 7-1 9 : « Hanno tirato a sorte le mie vesti ed hanno trafitto le mie mani e i miei piedi ». Questi versetti sono invertiti e accorciati. Tutto ciò dà un gruppo sulla Passione e la Resurrezione la cui complessità è palese. Ritornando alla I Clem., incontriamo successivamente la citazione di Giob. 19, 26. Ma là il verbo àvtcr'tci'II�Xt e l 'idea di resurrezione erano già stati introdotti dal tradut tore ebraico dei Settanta: il che dimostra che i giudeo cristiani si pongono sul prolungamento dei traduttori giu daici. Un'altra citazione di Clemente è la seguente: « Sta scritto : Entrate nelle vostre stanze ('t"�X(-mi:�X) un poco solo finché passi la mia ira e il mio furore e io mi ricorderò del giorno buono e vi farò uscire dal sepolcro » (L, 4 ) . L'inizio viene da Is. 26, 20; la parte finale da Ez. l'1
1" 11
Cf r. A. Resch, Agrapha, cit., p. 3 15.
lhidem, p. 307. La ci tazione si trova pure in Ireneo, Dem., 73; PO, XII, 791.
146
L'ambiente intellettuale
37, 12. Ma Ezechiele porta à:vci;w e il nostro testo civtX cr'f'i)croJl(l�. Si tratta di un'interpretazione targumica che si ritrova in V Esd. , II, 16. In secondo luogo la dimora dei
morti nelle 't�XIJ.LEL�X sino alla resurrezione è totalmente estranea ai testi di Isaia. Ma la nostra sorpresa si attenua se consideriamo ciò che precede Is. 26, 20. In realtà in Is. 26, 1 9 si legge: « I morti rivivranno ( civ�Xcr't"i}cro'\l't�XL) e coloro che sono nelle tombe si risveglieranno » . Questo testo, in cui ci"V�X a"ti}cro"V't�XL è presente nei Settanta, è precisamente un testimonium della resurrezione. Lo troviamo in un curioso passo di Giustino, anch'esso un amalgama : « Sentite ancora il vaticinio secondo cui il nostro Cristo guarirebbe ogni malattia e risusciterebbe i morti. Eccolo: alla venuta di lui ( 7t�XpovcrttX) lo zoppo salterà come un cervo e la lingua dei muti sarà sciolta, i ciechi vedranno; i lebbrosi saranno purificati; i morti risorgeranno ( ci'V�Xa"ti}cro'll't �XL) e cammineranno » (I Apol. XLVIII, 2 ). Questo testo è composto da Is. 35, 5-6 ; 6 1 , l ; 26, 1 9 , e presenta ana logie con Mt. 1 1 , 5 e Le. 7 , 22 che pure sono testi com positi e dai quali ha tratto l 'allusione ai lebbrosi. Ma la tradizione di Giustino è indipendente 32, e precisamente presenta à.vaa"ti)CTO'II't tlL, mentre Matteo e Luca hanno iyE(pO'II't tlL, Da Ireneo abbiamo la prova che questa sostituzione è proprio una allusione a ls. 26, 1 9 ; infatti nelle Dem., 67, invece di dare un testo composito come gli autori che abbiamo citato, cita separatamente due profezie: Is. 35, 3-6 e Is. 26, 19. Non solo: quest'ultima è riportata inte gralmente con l'allusione ai sepolcri . È chiaro quindi che qui ci troviamo dinnanzi a un gruppo di testi d'Isaia la cui fusione appare già a livello di Nuovo Testamento, per il quale essa è acquisita ; testi peraltro raggruppati in modo diverso 33 • E ciò spiega - era questo il nostro punto di partenza - l'applicazione di Is. 26, 20 alla Resurre.12 Cfr. E. Massaux, lnfluence de l'l?t,angile de St. Matthieu, Lou vain, 1 950, pp. 498-499 . .H Cfr. R. Harris, Testimonies, cit., I, pp. 8-1 0 .
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zione da parte di Clemente . Potremmo trovare molti altri esempi 34• Un passo di Giustino dimostra in modo decisivo che questi targumim cristiani non sono opera degli scrit tori che li citano, ma rappresentano un'esegesi anteriore, di carattere arcaico. Nella controversia con i Giudei doveva porsi il problema dell'autenticità di questi Testi monia; in effetti lo vediamo posto da Trifone a Giustino. Ma, fatto notevole, Giustino ribatte dicendo che sono stati i Giudei a falsificare la Scrittura. Egli è quindi inti mamente convinto che i Testimonia che cita rappresentino il testo autentico; il che non può essere spiegato se non col fatto che ai suoi tempi queste rielaborazioni erano già del tutto tradizionali. Egli ne offre un esempio che, fra l'altro, è uno dei casi piu notevoli di « cristologizzazione » di un testo. È quello del Sal. 95 : « Dal Sal. 95 essi [ = i Giudei ] hanno tratto questa breve espressione : dall'alto del legno ( !i1tò "ov �vÀov ) . Era detto : Dite tra le nazioni : Il Signore ha regnato dall'alto del legno » ( LXXIII, l ). Ora, nessun manoscritto antico porta le parole !i1tò 't'OV �vÀov, che, del resto, sono presenti in altri testi cristiani. Giustino stesso le cita nella I Apol., XLI, 4 , e Tertulliano nell'Adv. Mare. , III, 1 9 . È chiaro che si tratta di un'interpolazione cristiana che si collega ad un gruppo importante, quello di �vÀov. Abbiamo un caso simile nel testimonium: « La tua vita sarà sospesa al legno ( È7tL �vÀoL) davanti ai tuoi occhi » , che compare in Tertulliano (Adv. ]ud. XI, 9 ), ma è assai antico. Si tratta di Deut. 28, 66 con l'aggiunta « sul legno » 35 • B. Fischer cita un esempio del tutto paral lelo : « Tu mi aspergerai con l'issopo col sangue del legno », in cui le ultime parole sono estranee al testo autentico del Sal. 50, 9 e sono citate soltanto nei mano scritti dell'Alto Egitto, nel quarto secolo 36• 14
Cfr. R. M. Grant, Bible of T. o/ A., in
«
JBL
»,
LXVI ( 1947 ),
pp. 1 78-179; T. Schneider, Das prophetische Agraphon der Epistola AptHtolorum, in « ZNW », XXVI ( 1925), pp. 151-154. ·� Cfr. ]. Daniélou, Etudes d'exégèse ]udéo-chrétienne, cit., pp. H-7 �. ·"' B . Fischer, Le Christ dans les Psaumes, cit., p. 100.
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Al�rabim cristiani I testi di cui abbiamo finora parlato ci mettevano dannti a passi dell'Antico Testamento leggermente modi
&cati
per essere meglio adattati all'uso cristiano. C'è un eecondo tipo di esegesi che ora affronteremo. Gli scritti cristiani piu antichi, particolarmente la Lettera di Barnaba e la I Lettera di Clemente, presentano passi citati come Scritture e attribuiti ad autori dell'Antico Testamento, ma che non compaiono negli scritti canonici. Si tratta di parafrasi dell'Antico Testamento, dei tipi di midrashim. L'interpretazione di questi testi pone dei problemi difficili. Queste glosse sono giudaiche o cristiane? Pren deremo in considerazione quelle il cui carattere cristiano sembra accertato. D'altra parte queste citazioni sono indi cate sotto lemmi diversi che rendono difficile sapere a quale testo dell'Antico Testamento si riferiscano. Sembra che ci sia la possibilità di riconoscere soprattutto dei midrashim del Levitico , di Esdra, di Geremia, di Eze chiele. Ma queste attribuzioni mantengono complessiva mente un carattere ipotetico. Per lo meno sembra che tali citazioni si possano riu nire in un certo numero d'insiemi che tenteremo di determinare. La Lettera di Barnaba contiene una serie di citazioni che sembrano provenire da un midrash cristiano sul Levi tico e i Numeri. I riti giudaici vi sono descritti in modo da mettere in rilievo i punti di conta tto con il cristiane simo. In un primo passo si parla del sacrificio di un capro nel Giorno dell'Espiazione. « Vigeva il comandamento: Chi non osserverà il digiuno ( V1'JO""tELcx. ) nel giorno stabi lito, verrà condannato a morte » (VI I , .3 ) . Questa è una prima citazione. Un po' piu oltre si legge: « Che sog giunge il Signore in questo scritto profetico? Mangino del capro ( "tp&.yov ) offerto durante il digiuno per tutti i peccati ( 7tcx.O"wv -.wv «ÌJ.tcx.p·nwv ) . E prosegue, notate!o bene: Solo i sacerdoti mangino le viscere, e le mangino insieme ad aceto ( 5�oç) » ( VI I , 4).
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Questi testi sviluppano ciò che è detto in Lev. 23, 29 e Num. 29, 1 1 . Ma innanzitutto la traduzione differisce dai Settanta dove si parla di XLJJ.cx.poc:; e non di -.p&.yoc:; ( Num. 29, 1 1 ). Il digiuno (YlJO"""tEVELV) sta al posto di umi liazione (-.cx.7tEwoucr8cx.t) ( Lev. 23, 29). Si osservi d'altra parte l'espressione « per tutti i peccati » che conferisce un valore piu universale all'offerta, laddove Num. 29, 1 1 dice soltanto « per il peccato » . Infine l'ultima parte della citazione contiene dettagli estranei alla Scrittura: proba bilmente si riferisce alla Mishnah, alle tradizioni rituali. Comunque è da tener presente che l'allusione all'aceto ( o�oc:;) nella Scrittura si trova associata al Sal. 68, 22, citato da Mt. 27, 34. Considerando tutti questi elementi, il contesto al quale siamo piu prossimi è quello della Lettera agli Ebrei, in cui incontriamo ugualmente il paragone tra i sacrifici del l' Antico Testamento e quelli del Nuovo Testamento. Piu ancora i l termine ""tp&.yoc:; è caro alla Lettera agli Ebrei ( 9, 12-13, ecc. ). Questa Lettera contiene una descrizione del culto dell'Antico Testamento che s 'ispira liberamente alla Scrittura e alle tradizioni. Orbene, qui sembra che sia la stessa cosa. La Lettera di Barnaba proviene dallo stesso milieu alessandrino della Lettera agli Ebrei. Il frammento che abbiamo citato rappresenta dunque un resto di un midrash cristiano sulla festa del Digiuno ( 1 0 settembre) che s i riallaccia ai presbiteri d i Alessandria 37 • Il carattere cristiano appare ancor di piu in un secondo frammento che questa volta si collega non al capro immo lato nel giorno del Digiuno, bens1 al capro espiatorio, cacciato nel deserto lo stesso giorno. Sembra, d'altra parte, che l'autore confonda i due capri : « Ora badate a questa prescrizione : Prendete due capri ( ... p&.yovc:;) belli e uguali, e offriteli; il sacerdote ne prenda uno e l'offra come olo causto per i peccati. Dell'altro che cosa si farà? Maledetto ( tmxcx.-.&.pcx.-.oc:;) sia quell'altro. E tutti sputate ( ÈJJ.1t""tVO"a.""tE) su quel capro, trafiggetelo ( xcx.-.cx.XE"V""t1)crcx.-.E ), ponetegli 17 Cfr. P. Prigent, L'épitre de Barnabé I-XVI et ses sources, Paris, 196 1 ' pp. 99-110.
L'ambiente intellettuale intorno al capo un pezzo di lana rossa e poi cacciatelo nel deserto » (Barn., VII, 6-8 ). Qui, ancora una volta, la Lettera cita un testo piu antico, che è un midrash relativo a Num. 1 6 , 7-8. I riti ai quali allude la finale della citazione possono si essere tradizionali, ma il modo col quale sono presentati e la scelta delle parole attestano certamente un'origine cri stiana, come ha dimostrato A. Resch 38 • Si è già visto che XL!J.apoc:; sostituisce '"C'pciyoc:; nella Lettera agli Ebrei, mentre il termine È1ttXa'"t'cipa'"t'oc:; si riferisce a Gal. 3, 1 0 . Soprat tutto il particolare degli « sputi » ( È!J.1t'"t'VO"a'"t'E) richiama la scena della derisione del pretorio, in cui Matteo usa lo stesso verbo ( È!J.1t'"t'VO"av'"t'Ec:;, 26, 6 7 ) ; la trafittura ( xa'"t'a XEV'"t'lJO"IX't'E) fa pensare a Giov. 1 9, 37 che porta È�ExÉv '"t'YJO"av; infine la lana scarlatta ( x6xxwoc:;) che cinge la testa è un'allusione evidente aHa corona insanguinata che cir conda la testa di Gesu. Per mezzo del capro espiatorio viene descritto Gesu al pretorio. La Lettera cita ancora la stessa fonte quando aggiunge: « E allora uno lo conduceva nel deserto, gli toglieva la lana rossa da1 capo, e la poneva sopra il cespuglio che chiamiamo rovo » (VII, 8 ). L'accostamento della lana rossa ( xoxxwo<;) alle spine sembra proprio in relazione con la tunica scarlatta ( x6xxwoc:;) e la corona di spine nella scena del pretorio. Il testo parla soltanto di paxl] ( rovi) ma un po' piu in là la Lettera sostituisce il termine con &xav9av, che è accostato a x6xxt\loc:; ( VII, 1 1 ) . Lo stesso accostamento si trova nell O melia pasquale di Melitone : « Tu hai posto la tunica scarlatta ( xoxxwoc:;) sul suo corpo e la spina ( &xav9av ) sulla sua testa » ( 1 .3, 3-4 ) Non si dimentichi però che il sacrificio d'I sacco appartiene all'ideologia della festa dell 'Espiazione 39, che la Lettera accosta il sacrificio del capro a quello d'Isacco (VII, 3 ) e che in questo episodio il montone, sospeso ad u n cespu glio di spine, è immolato al posto d'Isacco : tutto ciò fu '
.
38 Agrapha, cit., p. 299.
39 H. Riesenfeld, ]ésus transfiguré, Copenhagen, 1947, pp. 86 ss.
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considerato una figura di Cristo a partire da una data molto alta 40• Il passo comprende aUa fine una citazione precisa che ne dà il significato spirituale: « Cosi, è detto ( Cfl'rJO'L ), coloro che desiderano vedenni e raggiungere il mio regno devono attenermi per mezzo delle tribolazioni e delle sofferenze » (VII, 1 1 ). La lana scarlatta rappresenta dun que il beneficio della Passione di Cristo che può essere colto soltanto passando attraverso il cespuglio di spine, ma i cui frutti sono allora piu dolci di tutti gli altri (VII, 8 ). Qui abbiamo un'eco arcaica del simbolismo delle spine ( &xcx.v9cx.t ) che ha i punti salienti nella Scrittura in Gen. 3, 1 8 , nel roveto ardente 41 e nella coronazione di spine. Le spine indicano sia la punizione dei Giudei, sia i peccati del mondo, sia le tentazioni della vita spirituale. La Lettera infine fa riferimento ad un terzo episodio, quello della vacca rossa in Num. 1 9 . Senza essere una cita zione vera e propria, H passo è simmetrico ai precedenti e si riallaccia senza dubbio alla medesima fonte: « A Israele fu prescritto ( ev-.É-ccx.À.-ccx.t) un altro rito : gli uomini colpevoli di peccati gravissimi offrano una vacca ( Oci�-tcx.À.tc;), la sgozzino e la brucino. Poi alcuni fanciulli ( 1tcx.totcx.) ne raccolgano le ceneri, le versino in vasi e pongano intorno ad un legno ( �vÀ.ov) d 'issopo della lana scarlatta ( x6xxwoc;) - ecco ancora l'immagine ( -cv1toc;) della croce e la lana scarlatta -; cosi dunque i fanciulli aspergano ad uno ad uno tutto il popolo per purifìcarlo dai suoi peccati » (VIII, l ). Successivamente il testo parla prima di dodici fanciulli (VIII, 3 ), poi di tre (VIII, 4 ) . Gli elementi tratti dal testo biblico sono molti, in particolare il legno avvolto di lana scarlatta (Num . 1 9 , 6). Il raffronto della lana scarlatta in questo passo e nel precedente fa supporre che sia esistita una raccolta di Testimonia, canonici e apocrifi, contenenti il termine xéx40
Tertulliano, Adv. ]ud., XIII, 2 1 ; cfr. J. Daniélou, Sacramentum
fut uri, cit., pp. 106-108. Tertulliano utilizza la stessa fonte della Lettera sul capro espiàtorio nel capitolo successivo di Adv. ]ud. (XIV, 9). 41 Clemente Aless., Paed., Il, 8, 75.
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xwoc;. Essa comprendeva, oltre ai due testi menzionati, Gen. 38, 28 (il filo scarlatto che servi a riconoscere Zara figlio di Tamar); Gios. 2 , 1 8 ( il cordone scarlatto che Rahab mette come O"'l'J(J.Ei:ov alla sua finestra); Cant. 4, 3 ( le labbra della sposa che sono come due nastri scarlatti). L'antichità di questi Testimonia appare dal fatto che già la I Lettera di Clemente vede nel cordone scarlatto di Rahab « il sangue del Signore » ( XII, 7 ) . M a il testo comprende un'elaborazione del passo di Numeri. Da una parte la giovenca è offerta per i grandi peccatori; la Lettera spiega che questi sono coloro che hanno messo a morte Cristo ( VIII, 2 ). Ora Numeri parla soltanto del sacerdote e d'impurità legale. Vi è un pas saggio dal rito giudaico alla realtà cristiana. Numeri ignora peraltro i "Jtcx.to�cx. : non si parla che del sacerdote. D'altra parte i numeri 1 2 o 3 , nei quali la Lettera vede un sim bolo degli Apostoli, sono anch'essi una glossa cristiana. L'aspersione viene fatta non col sangue, ma con le ceneri mescolate ad acqua, su ciascun membro del popolo . Tutto ciò è completamente estraneo a Numeri ed evoca il batte simo. Sembra dunque che anche qui si abbia uno sviluppo giudeo-cristiano di Num. 1 9 , che faceva parte dei Testi monia, ad un tempo per !;vÀ.ov e per x6xxwoç. Ciò indi cherebbe che questi midrashim si formano intorno a dei
Testimonia.
Un secondo gruppo di midrashim giudeo-cristiani si riferisce al I Esdra. Particolarmente interessante è il primo esempio : un passo in cui Giustino rimprovera ai Giudei di aver soppresso dall'Antico Testamento passi che conte nevano allusioni cristiane. In realtà questi passi sono cristiani. Il primo è l'aggiunta che çuÀ.ov al Sal. 95, di cui abbiamo parlato, il secondo è un midrash di Esdra. Ecco come Giustino presenta la cosa: « Dai commenti ( ÈçTJy1Jo-nç) che Esdra ha fatto sulla Pasqua, essi hanno soppresso il brano seguente: Esdra dice al popolo : Questa Pasqua è il nostro Salvatore ( O"W""tljp) e il nostro rifugio. Se voi riflettete in cuor vostro sul pensiero che noi dob biamo umiliar!o su una croce ( O"'l'J(J.Ei:ov ) e che poi spere-
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remo in lui, questo luogo non sarà mai piu deserto, dice il Signore delle Potenze . Ma se non credete in lui e se non ascoltate il suo messaggio ( x1)puy(J.a ), voi sarete la derisione delle nazioni » (Dia!. LXXII, l ). Lattanzio dà lo stesso testo con alcune varianti che dimostrano che non gli giunge da Giustino. Il brano è uno sviluppo di I Esdra 6, 29-3 1 ; il suo carattere cri stiano, peraltro evidente, è stato stabilito da A . Resch 42 • L 'espressione : « La Pasqua è il nostro Salvatore » ricorda I Cor. 5, 7 : « Cristo nostra Pasqua è stato immolato » . L a parola -ca'ltEWovv s i trova nel vocabolario cristiano della Passione ( Fil. 2, 8 ); soprattutto la parola O'TJ(J.Etov è un'espressione usuale per la croce e sta al posto di 0'-cavpoc:;. Il contesto sembra mostrare che questo midrash apparte neva ad un gruppo di Testimonia sulla croce di cui ripar leremo, perché è il piu importante di tutti. È notevole il fatto che anche il secondo midrash di Esdra si riferisce alla croce. Lo troviamo nelle Benedizioni di Mosè di Ippolito. Dopo altre profezie sulla croce Ippo lito prosegue : « Benedetto è il Signore che ha teso le mani e fatto rivivere Gerusalemme » (P.O. XXVII, 1 3 1 ). La nota rinvia erroneamente al II Esdra; si tratta invece di un midrash di I Esdra 7 , 2 7 . Siamo dunque nel medesimo contesto del passo prece dente; il suo carattere cristiano è ugualmente certo. I giudeo-cristiani avevano dato risalto ai brani in cui si par lava dell'« estensione delle mani » ( ls. 66, 2 ; la preghiera di Mosè con le braccia tese, ecc . ) . Per indicare la croci fissione, il verbo Éx-cEL\IEL\1 assume cosi un significato quasi tecnico nel linguaggio dei giudeo-cristiani. La sua introdu zione è quindi dovuta ad una mano cristiana. Il testo appartiene, come il p recedente, ai Testimonia sulla croce. Per questi midrashim di Esdra si penserebbe piu volen t i eri ad un'origine palestinese. Accanto ai midrashim di Esdra, Giustino cita come proveniente da Geremia un passo che non appartiene 4.1 A11.rupb.;, cit., p. 305.
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aifatto al Geremia canonico e che è certamente un midrash aistiano: « Essi hanno soppresso ancora delle parole del profeta Geremia: Il Signore Dio si è ricordato di Israele e dei morti che dormono ( xExoL�TJ�Évwv ) nella terra del sepolcro ed è disceso ( xa"tÉ�TJ ) verso di loro per annun ciare la buona novella ( EÙayyEÀLO'ao-8at) della salvezza » (Dial. LXXI I, 4 ) . Questo stesso testo è citato cinque volte da Ireneo, che l'attribuisce una volta a Isaia ( III, 20, 4 ), una volta a Geremia ( IV , 22, l ), tre volte alla Scrittura in genere ( IV, 3 3 , l e 3 3 , 1 2 ; V, 3 1 , 1 ). Il suo carattere cristiano è certo, in particolare per il tema del « vangelo » . Questo testo è di grande importanza perché è indub biamente la piu antica testimonianza giudeo-cristiana della discesa agli inferi ; le parole &.1tò '!O'pa1}). ne sottolineano il carattere giudeo-cristiano. Bieder ha dimostrato che esso corrisponde all'ansia per il destino dei santi dell'Antico Testamento, che ha trovato la sua risposta nella discesa agli inferi 43• Il testo sembra anteriore al Vangelo di Pietro , che presenta la medesima dottrina con la stessa espres sione « i dormienti » e di cui, come vedremo, è indubbia mente la fonte. Studieremo questo testo a proposito della discesa agli inferi. Sin d'ora, però, conviene sottolineare la sua importanza dottrinale per la dottrina giudeo-cri stiana arcaica. Si noti che Ireneo scrive « sanctus Israel » , il che suppone éiytoc; 'IO"pai)). a l posto &.1tò 'IO"pa:rJÀ, il che sembra una correzione ulteriore, destinata ad allargare la prospettiva strettamente giudeo-cristiana del testo pri mitivo. Col Resch facciamo due osservazioni. La prima è che Ireneo, ricordando la stessa dottrina, la riferisce « ad un certo presbitero » ( IV, 27, 1-2), identificando quindi l'au tore del midrash con tale presbitero. Cosi i midrashim che noi studiamo sembrano proprio risalire ai presbiteri e co stituire una parte della loro tradizione . Ora questi presbi teri sono precisamente i teologi giudeo-cristiani primitivi. Resch osserva poi la parentela esistente tra il nostro testo 4 l W. Biedcr, Die Vorstellung von der Hollenfahrt ]esu Christi, cit., pp. 1 3 5-1 53 .
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e Mt. 27, 52 in cui si legge XEXOL(J.TJ(J.Évwv cx.yLwv. È pos sibile che sia Matteo a dipendere dal midrash. Sappiamo che gli autori del Nuovo Testamento hanno utilizzato i Testimonia. Si avrebbe quindi una testimonianza in piu sulla notevole antichità del testo. Ad un midrash di Isaia occorre indubbiamente colle gare un altro testo prezioso, genericamente attribuito, nella Lettera di Barnaba, ad « un profeta » : « La Croce viene designata anche nello scritto di un altro profeta che dice: Quando si adempirà tutto ciò? Dice il Signore: quando il legno (�vÀo\1 ) verrà steso (xÀL9ù ) a terra e poi sollevato ( &.vcx.O"-.fj ), e quando dal legno ( �vÀo\1 ) stillerà ( O"""t cx.�fi ) sangue » (XII, l ). Ma lo stesso testo è citato nei Testimonia adversus ]udaeos di Gregorio di Nissa e attri buito a Geremia 44• Resch lo riallaccia ai midrash di Ge remia. Faremo qualche obiezione. Il testo comprende in effetti due citazioni. La prima parla del legno disteso e rialzato. Siamo nei Testimonia sulla croce, il che sottolinea già il suo carattere cristiano. Ma il termine &.vcx.O"-.fj, come ha notato Resch 45, è di grande importanza. Abbiamo detto che esso significava la resurrezione e che è stato spesso introdotto nei Testimo nia. Il legno sembra dunque designare il Cristo stesso. Ora, un passo di Ireneo (Adv. haer. , V, 2, 3 ) ci mostra che l'espressione « essere steso » è un termine tecnico per il legno della vigna deposta nella terra. Il ceppo di vite è peraltro una figura del Cristo. È quindi proprio del Cristo morto e risuscitato che si tratta, e si penserà da allora ad un midrash di Isaia, 6 46• La seconda parte della citazione pone un altro pro blema. Dobbiamo anzitutto osservare che troviamo il passo anche in un'interpolazione cristiana di IV Esdra ( I , I l , l ); il che attest'a l a sua esistenza indipendente. Inol t re l'espressione cx.Ì:[J.cx. O"""tà.�w" compare in una variante 44 hl. Zacagni, p. 309; cfr. A. Resch, Agrapha, cit., p. 320. •1 A!!.rapha, cit., p. 320.
4t1
107.
Cfr. J. Daniélou, Etudes d'exégèse iudéo-chrétienne, cit., pp. 99-
1 56
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della Vita di Mosè di Gregorio di Nissa: si tratta del grappolo d'uva sospeso ad una pertica di Num. 1 3 , 2 3 . Gregorio parla del grappolo « sospeso ( xpE(J.CXo1lÉv't'a ) e che lascia stiUare il sangue ( at[J.a IT'tti�av't'a ) » ( II , 270). Si noti che le due espressioni si ritrovano nei Testimonia adversus Judaeos. Ma ciò che qui c'interessa è il legame che l'espressione « lasciando stillare il sangue » ha nella Vita di Mosè con Num. 1 3 , 2 3 . Ci si può chiedere infatti se non sia quello il contesto del brano. In effetti vediamo che il grappolo d'uva sospeso al le gno e da cui cola il succo è un'antica figura del Cristo sulla croce. Nelle Benedizioni d'Isacco, di lppolito, che contengono tanti elementi giudeo-cristiani, leggiamo : « Poi ché Egli stesso, sospeso ( = xpE(J.ao1lEI.c:;) al legno, era uva e grappolo, lui che, ferito al costato, fece zampillare san gue ( at(J.a cn&.�ac:;) e acqua » ( 1 8 ; PO, XXVII, col. 83 ). Abbiamo qui un gruppo di Testimonia in cui il vino è figura del sangue di Cristo e che contiene soprattutto Gen. 49, 1 1 ; è citato da Giustino (Dial. LIII, 2; LIV, l ; LXIII, 2 ; LXXXVI, 2 ) e da Ippolito (Ben. Isaac, 1 8 ), Deut. 32, 1 4 : « Tu hai bevuto il vino, sangue del grap polo » , e Is. 25, l O 47 • Senza escludere l'appartenenza del frammento al midrash di Isaia, esso sembra tuttavia con tenere nello stesso tempo un'allusione a Num. 1 3 , 2 3 . È possibile che a l midrash di Geremia si debbano col legare certi agrapha attribuiti a questo profeta. Cosf la Lettera di Barnaba, dopo una citazione di Geremia ( 7 , 2 ), continua: « E ancora lo Spirito del Signore dice in pro fezia: Chi è colui che vuole vivere in eterno? ( Ei.c:; 't'Òv ai.wva)? Ascolti attentamente la voce del mio Figlio ( 7tato6c:;) » ( IX, 2 ) . È noto che 1tai:c:; è una delle designa zioni privilegiate di Cristo nella comunità primitiva 48• Tut tavia, poiché questa designazione si riferisce al servitore di Jahweh d'Isaia (52, 1 3 - 1 4 ) , potremmo pensare piut tosto ad un midrash dello stesso Isaia. Questo agraphon 47
Cfr. C. Leonardi, Ampelos, Roma, 1947, pp. 25-5 1 . 4R Cfr. L . Cerfaux, La première communauté chrétienne
i n Ree. L. Cerfaux, Il, Gembloux, 1954, p. 141.
à Jérusalem,
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157
n e ricorda un altro della stessa Lettera di Barnaba : « Che cosa dice poi? Chi spera in lui vivrà per tutti i secoli (Etc; -ròv a.twva.) » (VI , 3 ). Qui Resch accosta Is. 2 8 , 1 6 49. In questi due passi si vedranno dunque piuttosto dei midra
shim d'Isaia.
A questo midrash occorre pure collegare una citazione della II Lettera di Clemente, che ci fa cogliere bene il pro cedimento: « Dice infatti il Signore: In ogni tempo il mio nome è bestemmiato fra tutte le genti. E un'altra volta: Guai a colui per colpa del quale è bestemmiato il mio nome. Perché viene bestemmiato? Perché non fate quello che io voglio » (XIII , 3 ) 50• La prima citazione proviene da Is. 52, 50, mentre la seconda ne costituisce uno svi luppo midrashico. Il carattere cristiano non è evidente, ma si sa che la comunità primitiva aveva raccolto testi del l'Antico Testamento riguardanti il Nome 51 • Qui abbiamo a che fare con un gruppo di Testimonia di questo genere, il che è una indicazione per l'origine giudeo-cristiana. Una volta di piu constatiamo che i midrashim si sviluppano in torno a testi isolati che facevano parte dei Testimonia. Assieme ai midrashim di Geremia e di Isaia, il piu importante è quello di Ezechiele 52• La Lettera di Clemente presenta infatti un certo numero di agrapha che sembrano riferirsi ad esso. Innanzitutto leggiamo: « Il Signore di tutte le creature parlò del pentimento quando fece que sto giuramento : Vivo io - dice il Signore - non voglio la morte del peccatore, ma il suo pentimento ( Ez. 23 , 1 1 ) . E aggiunse anche un'esortazione piena di bontà : Pentiti, o casa d'Israele, della tua iniquità. Di ai figli del mio po polo : Anche se i vostri peccati arrivassero dalla terra al cielo, se fossero piu rossi dello scarlatto o piu neri del sacco, se voi vi rivolgerete ( Èma--rpa.cpfj-rE) a me con tutto 49 A. Resch, Agrapba, cit., p. 313.
In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 5 1 Cfr. L. Cerfaux, La première communauté cbrétienne à férusalem,
'\0
l"Ì I . , p. 149. �2 Cfr. K. Holl, Gesammelte Aufsiitze zur Kircbengescbicbte, Tii blnt�c:n , 1.92�, Il, pp. 33-43; J. Daniélou, Etudes d'exégèse ;udéo (brlllrnm , ci t . , pp. 1 18-121.
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il cuore e mi chiamerete padre, io vi esaudirò perché siete il popolo santo » ( VIII, 2-3 ). L'appartenenza ad un midrash d'Ezechiele è certa : il testo infatti sembra quasi aggiunto ( 1tpocr·n8El.ç) ad una citazione del profeta. D'altra parte Clemente Alessandrino cita l'ultima frase attribuendola a Ezechiele (Paed. I , 1 0 , 9 1 ) . Il carattere cristiano, senza essere accentuato, appare ugualmente. Il termine 1ta."t'1}p, applicato a Dio, pur tro vandosi nell'Antico Testamento (Ger. 3 , 1 9 ), ha una riso nanza cristiana; l'espressione « nero come un sacco » ap partiene al linguaggio dell'apocalittica, ma fa pensare ad Apoc. 6, 1 2 . Il testo presenta allusioni ad altri profeti, in particolare a Is. l , 1 8 : « Se i vostri peccati sono come lo scarlatto » . Si tratta di un agglomerato di elementi pa leotestamentari diversi, ma sembra veramente composto da una mano cristiana. La I Lettera di Clemente presenta altri agrapha che Resch riferisce allo stesso midrash : « Infelici coloro che sono incerti, hanno l'anima oppressa dal dubbio ( o�cr'taso 'V'tE<; ) e dicono: Queste cose le udimmo già al tempo dei nostri padri; ecco, siamo diventati vecchi ed esse non si sono ancora avverate. O sciocchi, paragonatevi ad un al bero, osservate l'esempio della vite: prima perde le foglie, poi mette i germogli, nascono le nuove foglie, i fiori, poi il grappolo e finalmente l'uva matura. In poco tempo, lo vedete, il frutto dell'albero giunge a maturazione » (XXIII, 3 ) . Lo stesso testo, con qualche variante, si ritrova nella II Cle m . , XI, 2-4, con una finale in piu: « Cosf il mio popolo ha sopportato devastazioni e afflizioni, ma alla fine avrà il bene » (XI, 4 ) . Questo testo presenta punti di contatto con l'Ezechiele canonico ( 1 2 , 22 e 1 7 , 5 ) , rilevati da A. Resch 53 ; ma sembra piuttosto far parte della collezione dei loghia. In ogni modo il suo carattere cristiano è certo. Soprattutto il termine oLI)Juxoc; è tipico della spiritualità cristiana arcaica : esso compare in particolare nella Didachè, nella Lettera di 53
Agrapba, cìt., p. 326.
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Barnaba e in Erma 54 • Particolarmente evidente è il paral lelismo con Giac. 4 , 8 ove si trova l'espressione: « Guai
a coloro la cui anima è doppia » . Il verbo Ò�O"'t'asEw è pure in Erma (Prec. IX, 5 ). D'altra parte il tema ha una notevole rassomiglianza con II Piet. 3 , 4 , con la stessa allusione ai « fratelli » ; i oLijJuxo� vi sono chiamati È(J.'7tcii:x 'ta.�. Infine la crescita dell'albero è un simbolo ricorrente, nei sinottici. Si notino i punti di contatto di questo testo con Erma e la sua presenza in Clemente; tutto ciò conduce ad un milieu romano. Abbiamo visto però gli antecedenti esseni di Erma. Il nostro testo presenta caratteristiche dello stesso tipo: la o�ljJuxLa. è in relazione con la dottrina dei due spiriti, mentre il tema dell'albero è frequente nelle Hodayoth. È quindi verosimile che questo brano si colle ghi all'ambiente esseno cristianizzato, il che spiegherebbe il carattere accentuatamente giudaico del linguaggio e pari menti l'orientamento escatologico. Da questo punto di vista esso appare assai diverso dal midrash di Geremia, di un milìeu piu alessandrino. Questi sono i principali midrashim giudeo-cristiani giunti sino a noi. Se si prende il testo degli agrapha di Resch si incontrano numerosi altri testi citati come Scrit tura e che non si trovano letteralmente nell'Antico Testa mento. Per lo piu si tratta semplicemente di citazioni con il cambio di una o due espressioni: è quanto troviamo, in particolare, per I Clem. , XXIX, 3 e L, 4 . Resch rial laccia questi testi al midrash di Ezechiele, ma in realtà essi dipendono dalla categoria che sopra abbiamo analiz zata: sono piu dei targumim che dei midrashim. Resta comunque il fatto che i testi da noi citati costituiscono u n gruppo importante sia per la conoscenza dell'esegesi giudeo-cristiana, sia per il loro contenuto dottrinale.
" ( :fr.
IWNxoç,
O. J. Seitz, Antecedents and Signification i n- << JBL », LXVI ( 1947), pp. 21 1-219.
of the Term
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Esegesi apocalittica Accanto alle forme comuni d'esegesi qui esaminate, sembra che il giudaesimo abbia conosciuto interpretazioni piu esoteriche, concernenti soprattutto la Genesi. I dati attestanti il posto importante occupato dall'esegesi della Genesi nel giudaesimo sono molti 55: anzitutto gli scritti di Filone, che non intendiamo utilizzare nel corso del libro, data la loro appartenenza al giudaes1mo ellenizzato e la loro dipendenza dalla filosofia greca. Resta vero, come è stato dimostrato, che Filone non è privo di contatti col giudaesimo palestinese. Egli riferisce frequentemente ese gesi che gli sono anteriori. Ora, l'esegesi dei primi capi toli della Genesi occupa nella sua opera un posto consi derevole; il che attesta l'importanza che a tale esegesi attribuiva la speculazione giudaica del tempo. Un secondo testimone è il giudaesimo posteriore: le speculazioni della Cabala sono in gran parte una cosmologia sacra che rap presenta degli sviluppi sull'inizio della Genesi. Si sa quale posto vi occupi il bereshrth. Ciò lascia supporre un retro terra che risale alla nostra epoca 56• Infine gli Scritti Erme listi, e particolarmente il Poimandres, presentano specula zioni pagane sulla Genesi che attestano un sottofondo giu daico di cui C. H. Dodd ha mostrato i contatti con Filone �7 • Sembra che l'interesse per le speculazioni sulla Genesi sia continuato nel cristianesimo primitivo. Kretschmar scrive : « Il primo libro di Mosè ha svolto un ruolo im-
55 Cfr. soprattutto G. Lindeskog, Studien zum neutestamentlichen Schiipfungsgedanken, Uppsala, 1952, pp. 85-159. 56 Gli apocrifi del Nuovo Testamento Giubilei e IV Esdra lasciano intravvedere qualcosa. Cfr. L. Gry, La création en sept jours d'après /es Apocryphes de l'Ancien Testament, in « RSPT », VI ( 1908), pp. 276-293 . 57 The Bible and tbe Greeks, London, 1935, pp. 99-147 . Grant os serva che « nell'epoca imperiale l'interesse per la cosmogonia era diffuso c il lihro della Genesi era molto ammirato e discusso ». E cita Nume nio, Gallicno, Longino (Theophilus of Antioch to Autolycus, in " HTR >>, XL [ 1947 ] , p. 234).
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menso durante i primi secoli della storia della Chiesa » 58• Effettivamente sappiamo da Eusebio che molti autori ne avevano scritto dei commentari; ad es. Rodone (Hist. eccl. , V, 1 3 , 8 ), Apione e Candido (V, 27 ). In particolare sembra che l'argomento abbia avuto un'importanza gran dissima per gli Gnostici. L'Apophasis, attribuita da Ippo lito a Simone, è in gran parte un'esegesi di Gen. 1-3 (Elench., VI, 1 2- 1 8 ). Ireneo dedica un capitolo all'esegesi che Marco dava dell'Esamerone (Adv. haer. , I , 1 8, l ) 59• Ma soprattutto le opere dei primi scrittori ecclesiastici contengono numerosi passi che sono esegesi speculative della Genesi, nei quali gl'influssi giudaici sono facilmente discernibili. Possiamo osservare che già gli autori del Nuovo Testa mento attestano l'esistenza di simili speculazioni. Il Pro logo del Vangelo di Giovanni ha dei riferimenti evidenti all'inizio della Genesi. E le parole Èv àpxn testimoniano chiaramente questa analogia. Nella Lettera agli Efesini Paolo presenta l'unione dell'uomo con la donna come una figura di Cristo e della Chiesa e designa quest'unione come un (..tuo-·dJp�ov, vale a dire un segreto nascosto che sarà svelato soltanto negli ultimi tempi. Questi due esempi ci introducono a due tipi di speculazioni sulla Genesi : l'uno riguarda le realtà preesistenti, mentre l'altro annuncia le realtà escatologiche. Li ritroviamo presso i giudeo-cristiani. Queste speculazioni sono testimoniate anzitutto nelle tradizioni dei presbiteri . Scrive il Preuschen : « Papia riferisce Anastasio il Sinaita - interpretava tutto l'Esa merone [ come se si riferisse ] al Cristo e alla Chiesa », e cosf Panteno 60• Forse abbiamo l'eco di queste speculazioni di Panteno nelle Eclogae propheticae di Clemente Alessan drino, che rappresentano tradizioni esegetiche giudeo-cri stiane trasmesse oralmente. I primi estratti sono in gran parte dedicati alla Genesi. « In principio Dio creò il cielo ��
Studien zur Friibcbristlicben Trinitatstbeologie, cit., p. 3 1 . Per gli Ebioniti, dr. H . J . Schoeps, Urgemeinde, ]udencbristen lllm , (,'nosis, cit., pp. 44-61 . IlO E . Preuschen, Antilegomena, cit., p . 96. �·1
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e la terra, le cose terrestri e le cose celesti » ( II I, l ) . Cielo e terra qui rappresentano non delle realtà materiali, bensf, come dimostra il seguito, due categorie di spiriti. D'altra parte « le Scritture, per designare delle pure po tenze, usano i termini " cieli " e " acque " , come si vede anche nella Genesi » ( I , 2 ). Analogamente « i cieli » e « le acque » superiori designano la creazione angelica. Si osservi che la creazione degli angeli è anteriore a quella del mondo materiale. Tale concezione non è quella del giudaesimo tradizionale, per il quale gli angeli hanno corpi di fuoco e sono creati dopo il fuoco, come i pesci dopo il mare o i quadrupedi dopo la terra. È la conce zione che incontriamo ancora in II Henoch, XVI , 3, in cui la creazione degli angeli , degli animali e dei pesci viene dopo quella del mondo. In questa prospettiva gli angeli erano creati solo nel quarto giorno della creazione 61 • Ma il testo di Clemente parla di un'altra corrente che inter preta allegoricamente il testo della Genesi e che sembra proprio sia esistita entro lo stesso giudaesimo 62• Troviamo un'affermazione uguale in Teofilo d'Antiochia (Ad Autol., I I , 3) e nelle Recognitiones clementine. Un'altra esegesi di Clemente, nelle Eclogae, VII , l , ci mette in una prospettiva diversa : « Ugualmente è per mezzo dell'acqua e dello Spirito che si opera la rigenera zione, come pure l'intera genesi perché : Lo Spirito di Dio sull'acqua planava » (Gen. l , 2 ). Questo versetto è og getto di commenti diversissimi. Teofilo interpreta il passo in senso letterale : « Quanto allo Spirito che stava al di sopra dell'acqua, è quello che Dio ha dato come principio vitale alla creazione » (Ad Autol. , II, 1 3 ; cfr. I , 5 ). Ma l'esegesi di cui Clemente è un esempio si ritrova altrove. Tertulliano, nel De baptismo, riprenderà questo paralle lismo tra la prima creazione e il battesimo: « È questa 61 H. B. Kuhn, The Angelology of the Non-Canonica! ]ewish Apo c lllipJes, in << JBL >>, LXVII ( 1948), p. 214. 61 La traduzione dei Settanta suggerisce questo significato per Gen. l , l ; cfr. R . M. Grant , Theopbilus of Antioch to Autolycus, cit., p. 237, rhc rinvia pure ai rahbini Tannaiti.
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prima acqua che genera il vivente, perché non vi sia occa sione di stupirsi che nel battesimo le acque producano ancora la vita » ( II I , 4 ). E piu oltre: « Lo Spirito, che già col suo comportamento prefìgurava il battesimo, era portato sull'acqua santa » ( IV, l ). Clemente presenta un'esegesi parallela a proposito delle « acque che sono al di sopra del cielo » ( Gen. l , 7 ) : « Poiché il battesimo è prodotto dall'acqua e dallo Spirito, giacché è un rimedio contro il duplice fuoco, quello che colpisce le cose visibili e quello che colpisce le cose invi sibili, è necessario che nell'acqua vi sia l'elemento spiri tuale e l'elemento sensibile, rimedio contro la duplice na tura del fuoco. E l'acqua che sta sulla terra lava il corpo, mentre l'acqua che sta al di sopra dei cieli, perché spiri tuale e invisibile, significa lo Spirito Santo, purificatore delle cose invisibili » (Eclog., VIII, 1-2). In questo testo le acque al di sopra del cielo sono un simbolo dello Spi rito Santo. Nell'esegesi di questi versetti della Genesi si noterà la presenza dei riferimenti alle persone divine. Abbiamo già parlato di Teofìlo d'Antioch1a. La sua esegesi della Genesi è ad un tempo letterale e speculativa. Sotto entrambi gli aspetti - come ha osservato giusta mente Kretschmar - essa è contrassegnata da influssi giu daici 63• Fisseremo soltanto gli elementi speculativi, che sono numerosi e strani. Abbiamo parlato dell'interpreta zione di Èv à.pxn e del cielo spirituale. La vita diffusa sulla terra ( Gen. l , 1 1 ) è una prefìgurazione della Resurre zione : ecco un tema che troviamo frequentemente nei testi arcaici. Esso è già in I Cor. 1 5 , 42 e Gio v . 12, 24 e lo abb1amo anche in I Clem. XXIV, 4-5 . Il mare ( Gen. l , l O ) rappresenta il mondo: un mondo senza legge di Dio si sarebbe disseccato come un mondo senza fiumi 64• 63
Studien zur friihchristlicben Trinitlitstbeologie, cit., pp. 58-59. Cfr. « HTR », XLIII ( 1 950), pp. 1 88-196 e soprattutto: Tbeopbilus of Antiocb to Autolycus, c i t pp. 234-242, ripreso in Alter tbe New Testament, cit., pp. 126-158. t>4 Cfr. H. Rahner, Das Meer der Welt, in « ZKT », LXVI ( 1949), pp. IN- 1 18, ripreso in Symbole der Kircbe, Salzburg, 1964, pp. 272-303; pure R. M. Grant, Tbe problem of Tbeopbilus, in . .
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Qui ent riamo in un'esegesi propriamente profetica in cui le realtà descritte nella Genesi sono interpretate in modo figurato.
Da questo punto di vista è curioso lo sviluppo riguar dante le isole: « Nel mare vi sono le isole: è cosi che Dio ha dato al mondo, scosso dalla tempesta dei peccati, delle comunità ( avvaywyaL) - vogliamo dire le Chiese (ÈxxÀ.T) cnaL) sante - dove si trovano, quali porti delle isole, facilmente raggiungibili, le dottrine di verità. Ma vi sono anche altre isole, rocciose, prive di acqua, contro le quali le navi si spezzano: sono le dottrine dell'errore ( at OLoa O"xaÀ.LaL 't'ijç 7tÀ.civT)c;), cioè le eresie » (Ad Autol. , II, 1 4 ; SC. 1 37 ). Kretschmar osserva che tutto questo brano si colloca « in dipendenza dalla letteratura sapienziale del tardo giudaesimo » 65 • Si noti la trasposizione dalle sina goghe alle chiese e dalle « dottrine d'errore » alle eresie, che ci dà l'impressione dell'utiHzzazione di un commento giudaico. Anche il paragone fra la Legge e un fiume deve essere posto nel medesimo contesto (Eccli. 24, 22-3 1 ). Quanto segue è ancor piu sorprendente : « Gli astri racchiudono il segno e il tipo di un grande mistero. Il sole è il tipo di Dio, la luna quello dell'uomo » ( Ad Autol. , II, 15 ) . E Teofìlo sviluppa poi il suo pensiero : il sole, come Dio, è immutabile, mentre la luna, come l'uomo, diminuisce e aumenta. La sua crescita è figura della re surrezione. Qui siamo in presenza di una forma arcaica dell'esegesi di Gen. l , 1 4 . Piu tardi Anastasio il Sinaita ( PG, XXXIX, 5 1 3 C-D) dirà che il sole e la luna sono i simboli del Cristo e della Chiesa 66 • Giacché ricorda che Panteno e Papia hanno interpretato l'Esamerone per mezzo del Cristo e della Chiesa, ci si può chiedere se Anastasio non abbia utilizzato elementi della simbolica giudeo-criE. Peterson, Das Scbif} als Symbol der Kircbe, in « TZ », VI ( 1 950), pp. 77-79. 65 Studien zur friihcbristlicben Trinitatstheologie, cit., p. 36. 66 Cfr. H. Rahner, Griecbische Mytben in christlicber Deutung,
Zurich, 1945; trad. it., Miti greci nell'interpretazione cristiana, Bologna, 1 97 1 , pp. 184 ss.
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stiana. Ma l 'esegesi di Teofilo è diversa. Si ricordi che per Apoc. 2 1 , 23 « la gloria di Dio » nella nuova crea zione occupa il posto che nella prima creazione era del sole. D'altra parte, già per Eccli. 27, 1 1 la luna è figura dell'uomo mutevole. Rimaniamo nel quadro della lettera tura sapienziale. « Cosi - continua Teofilo - i tre giorni che prece dono la comparsa degli astri sono i tipi della Trinità ( "tfjc; "tp�aooc;) : di Dio, del suo Verbo e della sua Sapienza. Dal quarto tipo dipende l'uomo, che ha bisogno della luce » ( II, 1 5 ). L'esegesi che nei giorni vede delle desi gnazioni di Persone divine è molto importante. La stu dieremo a lungo. Per ora è sufficiente ricordare che accanto all'assimilazione dei Tre Giorni alle Tre Persone - tipica dell'esegesi antiochena di Teofilo - incontriamo quella che mette in rapporto i sette giorni ai sette arcangeli pro toctisti, il primo dei quali è il Figlio di Dio: è l'esegesi di Erma. « Giorno » è peraltro uno dei nomi del Verbo secondo Giustino, Ippolito e Marcello di Ancira, che cita un antico agraphon : « Io sono il Giorno » . Ora, una delle fonti di questa designazione sembra essere Gen. l , 5 : « Iddio chiamò la luce Giorno » . È interessante notare che l'esegesi dei Tre Giorni si ritrova altrove. Negli Gnostici, anzitutto. Cosi, secondo Ippolito, i Sethiani insegnano che « i tre giorni prima del sole e della luna » sono i tre « Verbi costitutivi di tutta la realtà » ( Elench. V, 20). Piu curioso è il testo della G rande Apophasis attribuito da Ippolito a Simone: « Quando i Simoniani dicono che vi sono stati Tre Giorni prima della creazione del sole e della luna, lasciano inten dere che questi Tre Giorni rappresentano lo Spirito e il Pensiero, cioè il cielo e la terra, e la settima Potenza, la Potenza infinita, perché queste Tre Potenze sono nate pri ma delle altre » (VI, 1 4 ) . In una prospettiva del tutto d i versa Origene chiamerà le Tre Persone divine « i Tre G iorni eternamente sussistenti insieme » (Comm. in Mt. , X I I , 2 0 ; cfr. pure Comm. in Rom. , V, 8 ), riferendosi eaprcssamente al triduo pasquale. Ma sullo sfondo sono
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senza dubbio evocati i tre giorni primordiali 67• Ci soffermeremo soltanto sul testo di Teofilo, sotto lineandone in primo luogo l'assimilazione della Terza Per sona alla Sapienza. È un aspetto particolare della teologia trinitaria di Teofilo, che sarà poi ripreso da Ireneo. Krets chmar ha mostrato che si basava su un'influenza giu daica 68• In ogni modo è notevole il fatto che tale aspetto ci riconduce ancora una volta ad un contesto sapienziale. Il tema della preesistenza della Sapienza è tema essen ziale nelle opere sapienziali. Uaffermarsi di Cristo è visto in quanto Egli era l'incarnazione escatologica di questa sapienza preesistente 69• Ma Teofilo rappresenta un'altra tradizione che si collega a speculazioni giudaiche imper niate sull'esegesi della creazione. Ha quindi ragione Krets chmar nel cogliervi l'eco di un'esegesi sapienziale dell'Esa merone, nel tardo giudaesimo. Nel quarto giorno sono creati gli astri : « La disposi zione degli astri presenta l'economia e l'ordine degli uo mini giusti e religiosi che osservano la Legge ( 'tlJpOU'\I'tW'\1 'tÒ'\1 v6�-tov ) e i comandamenti di Dio. Gli astri luminosi e brillanti sono ad immagine dei Profeti : essi si manten gono senza deviare e non cambiano funzione per andare da un posto all'altro. Gli astri di un rango inferiore quan to allo splendore sono tipi del popolo dei giusti. Quanto a coloro che cambiano di posizione e che si chiamano pianeti, sono i tipi degli uomini che si allontanano da Dio e che trascurano la Legge ( v6(.1o'\l) e i suoi profeti » (Ad Antol. , II, 1 5 ). Si osservi che il contesto di questo brano
67 I tre giorni compaiono pure nel frammento conservato nel papiro Egerton (89-90: ldriss Beli - Skeat, Fragments of an Unknown Gospel, p. 47). Lo stato del papiro rende tuttavia difficile l'interpretazione. Cfr. Chadwick, The Authorship of Papyrus Egerton no 3, in « HTR », XLIX ( 1956), p. 150, che riconosce un'allusione alla Trinità. Per Cle mente Alessandrino « i tre Giorni possono anche essere il mistero del sigillo ( crcppayLç battesimo), per il quale si crede al vero Dio » (Strom., V, I l , 73): il che evidentemente designa la Trinità. Nl Studien zur /riihcbristlicben Trinitatstbeologie, cit., pp. 27-62. 69 Cfr. A. Feuillet, L'Église pler6me du Crist d'après Epb. I, 23, in " NRT >>, LXXVIII ( 1956), p. 462. =
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non include un'allusione cnsttana. Si tratta della Legge, dei Profeti e dell'Antico Testamento 70 • Il quinto giorno ci riporta ad un tema che abbiamo già incontrato: quello delle acque e del battesimo. « In piu gli esseri nati dall'acqua furono benedetti da Dio per ché ciò mostrasse che un giorno gli uomini avrebbero rice vuto 1a penitenza e il perdono dei loro peccati per mezzo dell'acqua e il bagno di rigenerazione » ( II , 1 6 ). Il testo di Teofilo aggiunge l'allusione agli esseri nati dall'acqua, cioè ai pesci. Ben presto Tertulliano scriverà : « Ma noi, piccoli pesci, che dobbiamo il nostro nome al nostro txeuc;, Gesu Cristo, nasciamo nell'acqua » (De bapt. , I , 3 ) . È un tema antichissimo che risale al giudaesimo 71 ; compare nei monumenti figurati 72 e si riallaccia ad un'esegesi figurativa di Gen . l , 20 a cui Ambrogio farà un riferimento espli cito (De sacr. , III, 3 ) . Infine Teofilo paragona a lungo le differenti specie di animali alle diverse categorie di uomini: i mostri marini e gli uccelli carnivori raffigurano gli ambiziosi ( 1tÀ.EOVEX"t'WV ) e i trasgressori ( 1tCXpcx�cx..wv ) ; i quadrupedi e le bestie selvagge sono « il tipo di certi uomini che ignorano Dio; ma coloro che si allontanano dalle iniquità si elevano nella loro anima come gli uccelli » ( II , 1 7 ). Qui troviamo un tipo d'allegoria che risale al giudaesimo primitivo: lo vediamo ad esempio nella Lettera di Aristeo a proposito delle interdizioni alimenvari ( 145-1 52 ). È pure sviluppato nella Lettera di Barnaba (X, 1 - 1 2). Per il giudaesimo costi tuisce una tradizione molto radicata. Abbiamo insistito su questo brano di Teofilo perché esso costituisce la piu lunga esegesi dell'Esamerone di questo periodo. Non è l'unica, ma è la piu caratteristica. Il suo carattere giudeo-cristiano è palese. Grant, dopo un 7° Cfr. R. M. Grant, The Problem of Theophilus, cit., pp. 188-189. 7 1 Cfr. E. Goodenough, ]ewish Symbols in Greco-Roman Period, 6 vol i . , New York, 1956, vol. V, pp. 30-6 1 ; A. Allgeier, Vidi aquam, in " RQ >>, XXXIX ( 1931 ), pp. 23-43. 7 � Cfr. F.
J. Doelger, "Ixeuç Das Fisch-Symbol in fruhchristlicher
Ztil, Miinster, 1925, pp. 3-19.
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attento studio, ha tuttl 1 motivi per scrivere che « vi si trova una nota carica di letteralismo e una chiara relazione all'esegesi giudaica » 73• Ed anche : « Per questa esegesi
Teofilo si rivolge ordinariamente ai suoi maestri giudei e giudeo-cristiani. In essa quasi tutto può essere messo a confronto con l'esegesi giudaica haggadica » 74 • Clemente Alessandrino e Teofilo d'Antiochia ci hanno trasmesso dati preziosi sulle speculazioni giudeo-cristiane relative all'Esamerone, ma elementi di tali speculazioni sono presenti anche in molti altri autori. Ne parleremo in seguito. Per il momento ci limitiamo ad alcuni cenni. Erma presenta elementi di una speculazione sulla Chiesa preesistente, in relazione con il racconto della creazione (Vis. I , 3 , 4). Il tema dei sette giorni è stato peraltro l 'oggetto di speculazioni diversissime. Abbiamo ricordato la tradizione che vi vede i sette Arcangeli. Un'altra testimoniata dalla Lettera di Barnaba - gli dà un signifi cato escatologico e individua in esso i sei periodi cosmici seguiti dal sabato eterno: « E Dio compf in sei giorni le opere delle sue mani ( . . . ) Vuoi dire che il Signore con durrà a termine l'universo in 6000 anni » (XV, 4 ) 75• Abbiamo lasciato da parte quanto riguarda la creazione dell'uomo e della donna. Filone c'informa sulle specula zioni di cui erano oggetto i due racconti della creazione. Ritroviamo tali speculazioni nel Poimandres. Esse occu pano un posto considerevole nello gnosticismo. L'ele mento che qui piu c'interessa è il tema d'Adamo ed Eva riferito a Cristo e alla Chiesa. Vi ritorneremo sopra a lungo. Esso compare in Paolo ( E/. 5 , 25-3 3 ) e nell'Apo calisse di Giovanni ( 2 1 , 1-3 ). Certi testi hanno un signi ficato tipologico, altri invece - in particolare la II Let tera di Clemente - parlano proprio di una creazione della Chiesa preesistente . Qui si tratta ancora una volta di spe culazioni giudeo-cristiane di cui lo gnosticismo è una tra71 Theophilus of Antioch to Autolycus, cit., p. 235. 74 Ibidem, p. 327. «
75
VC
Cfr. ].
»,
Daniélou, La typologie millénariste de la semaine, in
II ( 1 948), pp. 1-16. Ritorneremo sul problema al cap. Xl.
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sposizione 76• Nell'ebionismo assumono un carattere parti colare con l'opposizione tra l'elemento maschile e l'ele mento femminile in quanto principi del bene e del male 77• Dopo l'opera dei sei giorni sarebbe opportuno accen nare alle speculazioni riguardanti il racconto del Paradiso. Sono diversissime, ma tutte ugualmente immerse nella gnosi giudaica. Esse si riferiscono ai diversi aspetti dei capp. 2 e 3 della Genesi e non possiamo darne che degli esempi. Tali speculazioni riguardano anzitutto il Paradiso. Accanto ad esegesi di tipo puramente letterale (per esem pio in Teofilo d'Antiochia, Ad Antol. , II, 24) si trovano anche speculazioni di due tipi diversi. Le une mostrano nel Paradiso l'espressione di realtà spirituali preesistenti : ne abbiamo l'eco in particolare presso certi Gnostici come questo Giustino citato da Ippolito : « Tutti gli angeli riu niti formano il Paradiso, di cui Mosè ha detto : Dio piantò un Paradiso nell'Eden. Gli angeli sono chiamati alberi del Paradiso per allegoria » (Elench., V, 26, 5-6 ). Ma le speculazioni riguardano principalmente la Chiesa. Ancora una volta abbiamo la testimonianza di Papia, di cui Anastasio il Sinaita dice che « interpretava spiritualmente il Paradiso per mezzo della Chiesa di Cri sto » 78• Papia rappresenta indubbiamente una tradizione asiatica testimoniata peraltro dall'Apocalisse giovannea, in cui le immagini della Fidanzata, della Città e del Paradiso designano la Chiesa escatologica (Apoc. 2 1 , 2 ) . Per Ire neo il Paradiso talora indica la Chiesa presente. « Gli uo mini che hanno fatto progressi nella fede ed hanno rice vuto lo Spirito di Dio sono spirituali, come [ fossero ] piantati nel Paradiso » (Adv. haer. , V, 1 0 , 1 ). La stessa interpretazione è attestata per Alessandria. Anastasio rin via a Panteno ( op. cit. ) ; la ritroviamo nella Lettera a Dio gneto (XII, 2 ). Le Odi di Salomone la testimoniano per 76 Cfr. A. Orbe, Cristo y la lglesia en su matrimonio anterior à las H!l.ios, in « EE », XXIX ( 1955), pp. 299-344. 77 l I. ]. Schoeps, Urgemeinde, Judenchristentum, Gnosis, ci t., pp. '6- '59. 7� E. Preuschen, Antilegomena, cit., p. 96.
170
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la Siria (Xl, 14 ) . Anastasio cita Giustino. Essa è presente pure in Tertulliano ( Adv. Mare. , II, 4 ) Tutto ciò risale ad una comune tradizione giudeo-cristiana certamente primitiva. .
Capitolo quarto
L'apocalittica giudeo-..cristiana
Lo studio della visione del mondo del giudeo-cristia nesimo è indispensabile. Essa infatti costituisce l'insieme di rappresentazioni attraverso le quali si dispiegherà il dramma cristiano. H. Bietenhard ha ben visto che non è la cosmologia in quanto tale che interessa i nostri autori : essi traggono la maggior parte dei loro elementi dall'apo calittica giudaica 1• Il loro interesse è direttamente cristo logico, ma i dati cosmologici servono come mezzi di espressione e costituiscono le loro categorie teologiche. Bisogna aggiungere che in certi punti la cosmologia giudeo cristiana presenta aspetti originali . In particolare va osser vato che alcune caratteristiche concernenti la demonologia e l'angelolog1a sono passate nella tradizione cristiana tra mite la cosmologia giudeo-cristiana. Lo stesso termine « apocalisse » indica lo svelamento grazie al quale il velo che copre le realtà superiori o infe riori viene tolto per il veggente, cosicché egli possa con templare i segreti del cosmo e della storia. Questo aspetto è presente nell'apocalittica giudeo-cristiana; anch'essa è costituita da ascensioni e da visioni celesti. Nell'Ascen sione d'Isaia, Isaia attraversa le sfere successive. Ed Erma scrive : « Uno spirito mi prese e mi trasportò attraverso un luogo impraticabile, inaccessibile ( . . . ) . Mentre pregavo ecco il cielo aprirsi » (Vis. I , l , 3-4 ) 2• Ricordiamo che p,,olo afferma di essere stato innalzato al terzo cielo (H 1 Cfr. H. H . Rowley, The Relevance of Apocalyptic, London, 19472, f'll· 9 ! - 1 50. 1 l n I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
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Cor. 12, 2-3 ) e che Giovanni riferisce di essere stato « ra pito in spirito » e di aver visto i cieli aperti (Apoc. 4, 1 -2 ). La
scala cosmica Questo mondo nascosto comprende anzitutto i cieli.
Il giudaesimo tradizionale ne conosce soltanto tre : il cielo
delle meteore, il cielo degli astri e il cielo di Dio. È quanto troviamo nell'antica apocalittica giudaica. A tale divisione allude Paolo, in cui però non vi è motivo di vedere la dottrina dei sette cieli. Certi testi giudeo-cristiani la con servano, mentre gli scritti pseudo-clementini, che rappre sentano una tendenza tradizionalista e antisincretistica, la riducono a due (Ree. Clem. , IX, 3 ). Il Testamento di Levi secondo la recensione a menziona soltanto tre cieli ( III, 1 -6 ) . Ma nella nostra epoca questa teoria si affianca a quella dei sette cieli, che è assente dal giudaesimo del tempo. Nel IV Esdra e nell'Apocalisse di Baruch non ve n'è traccia 3; la troviamo soltanto nei testi giudeo-cristiani, causata sicuramente da influenze orientali e iranico-babi lonesi . Essa dunque appare come caratteristica del giudeo cristianesimo siriaco. È notevole il fatto che la dottrina dei sette cieli , apparsa col giudeo-cristianesimo, sparirà con esso. lreneo e Clemente la mantengono per rispetto alla tradizione, mentre Origene la rigetterà esplicitamente ( Contra Cels. , VI , 2 1 ) . Le testimonianze sono numerose, innanzitutto quelle dirette. Tre opere sono particolarmente importanti e ca ratteristiche del giudeo-crist ianesi mo 4 • L'Ascensione d'Isaia presenta la dottrina in tre fasi , a proposito dell'ascensione d'Isaia, dell'Incarnazione di Cristo c della sua Ascensione. L'autore distingue sette cieli abitati dagli angeli, e il piu elevato è quello di Dio. Sotto l ul t i mo cielo si trova il '
3 Cfr. L. Gry, Séiours et habitats divins d 'ttprès !es apocryphes de l'Ancien Testament, in « RSPT », IV ( 1910), p. 708. 4 Cfr. H. Bietenhard, Die himmlische Wt'lt im Urchristentum und Spatjudentum, Tiibingen, 1 95 1 , pp. 3·8.
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firmamento che è il carcere degli angeli apostati in attesa di essere gettati nella geenna, nell'ultimo giudizio. Poi viene l'aria, dominio dei demoni. Su quest'ultimo punto l 'autore si fa testimone di un'opinione comune, indipen dente dalla speculazione sui sette cieli e che ritroviamo in Paolo ( E/. 2, l ; 6 , 1 2 ) 5• II Henoch espone con maggior precisione il contenuto dei sette cieli ( III-IX). I l primo cielo, a partire dal basso, comprende le acque superiori, i serbatoi delle nevi e delle piogge con i rispettivi angeli ad essi preposti, le stelle e gli angeli che ne regolano il cammino. Il secondo è la prigione degli angeli apostati, caduti dal quinto cielo. Il terzo contiene il Paradiso nel quale le anime dei giusti attendono la resurrezione e lo scheol, in cui le anime degli empi attendono il castigo. Il quarto è quello del sole, della luna e degli angeli ad essi preposti. Il quinto è quello dei Vigilanti. Il sesto contiene gli angeli superiori: 7 Arcangeli, 7 Cherubini, 7 Serafini e 7 Fenici. Il settimo è quello di Dio . Si osservi che nulla è detto di ciò che sta sotto il firmamento: non è questa la prigione degli angeli apostati, bensi il secondo cielo. L'autore vede i cieli so prattutto in relazione ai misteri delle dimore delle anime e dei segreti del cosmo piu che a quello degli angeli. Per questo motivo sembra maggiormente inserito nella tradi zione dell'apocalittica giudaica. Anche il Testamento di Levi, nella sua recensione �. presenta i sette cieli, il che sembra proprio una prova della sua provenienza cristiana. La disposizione è vicina a quella dell'Ascensione d'Isaia. Il primo cielo è triste perché vede i peccati degli uomini. Il secondo e il terzo contengono gli angeli destinati a punire angeli e uomini macchiati dalla colpa; il quarto e il quinto contengono gli angeli che inter cedono per gli uomini; il sesto è quello dei Troni e delle Potenze; nel settimo risiede la gloria di Dio. Nulla si -' Cfr. H. Schlier, Christus und die Kirche im Epheserbrief, Tiibin gen, 1930, pp. 9-1 3 ; J. Daniélou, Les démons de l'air dans la vie d'Antoine, in Antonius Magnus Eremita ( Studia Anselmiana XXXV III), Roma, 1956, pp. 136-147.
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dice di ciò che sta sotto il firmamento. Si osservi che, come nell'Ascensione d'Isaia, i cieli sono esclusivamente la dimora degli angeli e non vi si trovano né le anime dei morti, né i demoni . De Jonge ha notato giustamente che per l'autore l'essenziale è la descrizione della liturgia ce leste nel settimo cielo, destinata a far vedere il carattere spirituale del culto celeste che deve imitare il culto ter restre 6 • Questo accento posto sul culto spirituale ci rial laccia all'essenismo cristiano. Questi i testi giudeo-cristiani nei quali la dottrina dei sette cieli compare allo stato puro 7• Ma è certo che il suo influsso, mescolato ad altri elementi, è visibile nei testi che costituiscono le testimonianze indirette. Ireneo, descrivendo la struttura del mondo all'inizio della Dimo strazione della Predicazione Apostolica, scrive : « Il mon do si compone di sette cieli in cui abitano le Virtu, gli Angeli, e gli Arcangeli che compiono le funzioni del culto verso il Dio buono e creatore di tutte le cose » ( 9 ; PO, XII , 761 ) . Egli poi confronta - forse influenzato da Fi lone - i sette cieli al candelabro dalle sette braccia. Ma la gerarchia degli angeli secondo i sette cieli proviene di rettamente dalla tradizione giudeo-cristiana dalla quale è nota la dipendenza d'Ireneo . Si osservi però che per Ire neo il settimo cielo è la dimora degli angeli e non quella di Dio, lasciando supporre che al di fuori dei sette cieli egli ammetta non soltanto il cielo inferiore dell'aria, ma anche una sfera superiore che sarebbe propriamente la dimora di Dio 8• Vediamo questa concezione in un autore giudeo-cri stiano che si riallaccia precisamente alla tradizione ,asiatica. La Lettera degli Apostoli parla due volte dei cieli. Da una parte al cap. 24 è detto che durante la sua ascensione 6 R. de Jonge, The Testaments of the XII Patriarchs, cit., pp. 46-49.
7 Bisognerà aggiungere la testimonianza di Aristone di Pella, nel Dialogo di Giasone e Papisco, che parla di sette cieli (É1t'tà oùpav6uc;). Cfr. Massimo, Schol. Myst. Theol., I, 17. 8 Si constati che tale dottrina si collega con quella dei tre cieli principali, perché i sette cieli costituiscono la suddivisione del secondo cielo principale.
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Cristo riveste la forma degli angeli sino al quinto cielo. Nell'Ascensione d'Isaia (Xl, 2 9 ) è scritto che a partire dal sesto cielo Cristo non riveste piu la forma degli angeli. Evidentemente si tratta della medesima concezione. La Lettera degli Apostoli conosce quindi la dottrina dei sette cieli e dipende dall'Ascensione. Ma in un altro brano Cristo dichiara: « Io sono stato nell'Ogdoade, che è la Kyriakè » ( 29). C. Schmidt ha notato che non si tratta di una dottrina gnostica, ma di una concezione della Grande Chiesa. In questa concezione i sette cieli rappresentano le dimore degli angeli, mentre l'ottavo è la dimora del Signore (xup�ax1}): notiamo l'influsso della concezione elle nistica delle sette sfere planetarie opposte alle sfere delle stelle fisse, e un'allusione alla designazione cristiana del l'ottavo giorno col termine xupw.x1) che qui è trasposto all'ottava sfera 9 • Una peculiarità rilevabile anche in Clemente Alessan drino, che scrive : « Per prato bisogna intendere ( Platone, Rep. , X, 61 b) la sfera delle stelle fisse in quanto costi tuente la regione tranquilla e accogliente e la terra dei santi. Per i sette giorni [ bisogna intendere ] il movimento dei sette [ pianeti ] ed ogni attività operativa che si affretti verso il termine del riposo ( ètvcbtcx.uo-L�): il viaggio dopo i pianeti conduce al cielo, cioè al movimento e all'ottavo giorno » ( Strom., V, 1 4 , 1 06 ). Qui vediamo la trasposi zione del tema temporale dei sette giorni e dell'ottavo al tema spaziale delle sette sfere planetarie e della sfera delle fisse. D'altronde Clemente se lo spiega cosi: « Che si tratti del tempo che, attraverso i sette periodi enumerati, si risolve nel riposo terminale, o dei sette cieli, che certuni contano s,alendo, e della sfera fissa, vicina al mondo in telleggibile e che è chiamata ogdoade, tutto ciò vuol dire che lo gnostico deve spogliarsi dal divenire e dal pec cato » ( Strom. , IV, 25, 1 5 9 ). Tuttavia Clemente, pur conoscendo l'opposizione tra i set t e cieli e l'ogdoade, non collega i sette cieli alle gerar9 C Schmidt, 1967. pp. 275-28 1 .
Ul
Gespriiche Jesu mit seinen Jiingern, Mildesheine,
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chie angeliche. Conosce però una teoria delle gerarchie, ma che non corrisponde ai sette cieli. Scrive negli Stro mata: « Ad un principio unico operante dall'Alto sono sospesi i primi, i secondi e i terzi. All'altra estremità si trovano gli angeli felici » (VII, 2, 9 ). Vi è dunque qui una gerarchia formata soltanto di quattro gradi. Dopo tutto Clemente considera i sette cieli come un insieme che corrisponde al mondo del cambiamento, in opposi zione all'ogdoade del riposo. Questa prospettiva non è quella degli autori giudeo-cristiani, per i quali i sette cieli costituiscono il regno celeste. Sembra dunque che ci tro viamo in presenza di una concezione diversa, di origine direttamente ellenistica e influenzata particolarmente da Filone. I sette cieli non sono il mistero del mondo celeste rivelato ai veggenti, ma semplicemente le sfere planetarie del cosmo. La concezione dei sette cieli s'incontra pure nella let teratura gnostica e costituisce uno degli elementi essen ziali del sistema. Scrive Ireneo nel suo cenno su Tolomeo: « Essi pensano che vi siano sette cieli, al di sopra dei quali dicono che c'è il Demiurgo. Per questo lo chiamano Ebdo made e sua madre Achamoth Ogdoade . Essi sostengono che i sette cieli sono degli angeli e che lo stesso Demiurgo è un angelo » (Adv. Haer. , I , 5 , 2 ). Vediamo la medesima opposizione presente in Clemente tra i sette cieli e l'ogdoa de, esattamente nei termini della Lettera degli Apostoli: « Il riposo degli spirituali ha luogo nel giorno del Signore ( xup�aJt{j), nell'Ogdoade detta Giorno del Signore. Le altre anime fedeli sono presso il Demiurgo ( = nell'Ebdo made) » 10• Qui la struttura è tratta dal giudeo-cristiane simo : in eff·etti essa comporta una gerarchia di angeli che manca in Clemente. Ma tale struttura è interpretata nella prospettiva gnostica: i sette cieli sono le sfere planetarie dei cosmocrati malvagi, a cui si oppone l'ogdoade, non le dimore degli angeli. D'altra parte la struttura dei cieli valentiniani qui non to
Clemente Aless., Excerpt. et Theol., LIII, l .
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è completa. Un altro passo ce la dà completamente : « Essi elencano pure le dieci Virtu : sette corpi sferici che chia� mano cieli, poi un cerchio che li contiene ( che chiamano ottavo cielo), infine il sole e la luna. Poiché il numero di tali cose è dieci, essi affermano che sono l'immagine della Decade invisibile » (Adv. Haer. , I , 1 7 , 1 ). Il testo pre senta una difficoltà, perché il sole e la luna sono contati due volte 11 • Ciononostante sembra che vi sia la possibilità di conservare la concezione dei dieci cieli, interpretandola diversamente. Orbe propone ragionevolmente di vedervi l 'eco della concezione stoica che distingue il cielo dell'aria, i sette cieli planetari, il cielo delle stelle fisse, il cielo del l 'etere. Questo schema che forma dieci cieli in realtà è quello che sembra supporre la concezione che comprende l 'aria inferiore, l'ebdomade, l 'ogdoade e il Pleroma 12• La concezione gnostica comprende dati tratti da siste mi diversi. Ma è facile scoprirvi un primo fondo giudeo cristiano. Effettivamente la concezione degli angeli mal vagi dei sette pianeti sembra proprio una deformazione della dottrina giudeo-cristiana degli angeli dei sette cieli. Abbiamo visto Ireneo affermare che per i Valentiniani i cieli erano assimilati a degli angeli. Questo lo dice anche Tertulliano (Adv. Valent. , 20 ), ma Clemente Alessandrino attribuisce tale opinione ad una tradizione giudeo-cristiana (Eclog. , III, 1 ). È quindi la persistente concezione dei sette cieli e dei loro angeli che viene utilizzata dagli Gno stici in una diversa sistemazione. Del resto Ireneo scrive: « Essi [ i Valentiniani ] dicono che il Paradiso - virtu esistente ,al di sopra del terzo cielo - è il quarto 'arcan gelo dal quale Adamo ha ricevuto qualcosa quando vi si trovava » (Adv. haer. , l, 5, 2 ). Qui abbiamo una chiara eco della tradizione giudeo-cristiana del Paradiso situato in uno dei cieli. Gli Gnostici lo pongono al quarto, senza 11
Uno sdoppiamento analogo è presente in un affresco della Sina
�o�a Ji Dura-Europos. Cfr. C. H. Kraeling, The Excavations of Doura l:'uropns. Final Report, New Haven, 1956, VIII, l, p. 235. 12 A. Orbe, Las primeros herejes ante la persecuci6n, cit., pp. 1 10l l ol . l due cieli si trovano nell'Apocalisse di Paolo (XXIV, 7 ) che non � anostica.
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dubbio perché si tratta del cielo centrale, quello del sole secondo l'ordine caldeo 13 • Siamo cosi portati a riconoscere parecchie strutture del cosmo celeste : l 'una, del giudeo-cristianesimo palestinese, comprende l'aria e i sette cieli; una seconda, del giudeo cristianesimo asiatico, comprende l'aria, i sette cieli e l 'ogdoade; gli Gnostici ne presentano una terza, influen zata dallo stoicismo, che aggiunge un cielo igneo. Però il contenuto di questi cieli presenta delle varianti : dimore angeliche, ambito del mutamento. Molti di questi elementi non sono giudeo-cristiani e provengono dall'ellenismo o dallo gnosticismo, ma sembra proprio che si inseriscano tutti in una matrice giudeo-cristiana. Infatti è nel giudeo crisdanesimo che compare la concezione dei sette cieli, dimore delle gerarchie angeliche. Occorre aggiungere che abbiamo insistito su questa struttura del cosmo celeste perché nella dogmatica giudeo cristiana essa svolge un ruolo importante: i dogmi essen ziali saranno infatti formulati in termini cosmologici. L'In carnazione apparirà una discesa del Verbo attraverso le sfere angeliche; la Passione sarà considerata la lotta di Cristo con gli angeli dell'aria, cui seguirà la discesa agli inferi . La Resurrezione sarà un'esaltazione dell'umanità del Cristo al di sopra di tutte le sfere angeliche ; l'anima, dopo la morte, dovrà superare le diverse sfere e incon trerà sul suo cammino i loro guardiani, ai quali dovrà ren dere conto di varie cose . Tutte queste concezioni sono basate su una visione delle sfere celesti che costituisce uno degli elementi strutturali del giudeo-cristianesimo. Ho citato la discesa agli inferi. Accanto alle dimore celesti il cosmo sacrale contiene anche i luoghi infernali. A questo proposito il testo piu preciso è quello dell'Ascen sion e d'Isaia in cui si parla soprattutto dello scheol, di mora delle anime dei morti sorvegliate dall'angelo della morte. Quest'angelo non è un malvagio perché Cvisto scen dendo prende la sua forma ( X, 8-10). Si osservi che II 13 A.
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Orbe, Las primeros here;es ante la persecuci6n, cit., pp. 105-
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Henoch poneva lo scheol al primo cielo. La concezione
della Ascensione invece è la piu comune: lo scheol con tiene dimore felici per le anime dei giusti e dimore infe lici per quelle dei peccatori. Si tratta di abitazioni prov visorie in cui gli uni e gli altri attendono la resurrezione, come, dopotutto, è la dimora dei Vigilanti decaduti nel firmamento o al secondo cielo. Dopo la resurrezione vi sono infatti dimore definitive. Sotto lo scheol si trova il grande abisso, luogo di perdi zione nel quale saranno gettati gli angeli malvagi e i dan nati dopo il Giudizio : è l'equivalente del nostro inferno (Asc. Is. , X, 8 ; II Hen . , V, 2- 1 6 ). Si noti che la distin zione tra scheol e abisso è presente nella successiva tradi zione siriaca, in Efrem e in !sacco d'Antiochia 14 • Cristo non scende nella geenna (Asc. Is. , X, 8), mentre i giusti verranno introdotti nel luogo definitivo della beatitudine. Questo è designato talvolta come cielo (Asc. Is. , IX, 9 : è il settimo cielo), talvolta come Paradiso, talvolta come città. Ireneo ci ha conservato una tradizione giudeo-cri stiana che distingue queste diverse dimore : « I presbiteri sostengono che, allora, coloro che ne sono degni 'andranno nei cieli, mentre altri godranno le delizie del Paradiso e altri ancora possederanno lo splendore della città » (Adv. haer. , V, 36, 1 ). Tuttavia questa attesa dei giusti prima d'entrare nella beatitudine ha un'eccezione : per alcuni tale ingresso è in fatti anticipato. Questa dottrina sembra propriamente giu deo-cristiana. Nell'Ascensione d'Isaia il visionario vede già al settimo cielo « Sant'Abele ed Henoch » ( IX, 8-9 ; cfr. pure IX, 28, dove l'autore aggiunge Adamo): essi hanno i loro vestiti di gloria ( IX, 9 ), cioè sono risuscitati. D'al tra parte la resurrezione è la condizione per entrare in questo luogo. II Henoch descrive l'ascensione di Henoch come un'entrata definitiva nel sesto cielo, luogo della defi nitiva beatitudine ( XVIII, 12-13 ), mentre I Henoch non conosce che una ascensione provvisoria. Ireneo attribuisce 14 P. Kriiger, Gehenna und Scheol in dem Schriftum unter dem NtJmcn des Isaak von Antiochien, in « OS », Il ( 1953), pp. 270-279.
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questa dottrina ai presbiteri : « Unà volta Henoch, essen do piaciuto a Dio, fu innalzato col suo corpo » (Ad v. haer. ; V, 5, l ). Dove è stato innalzato? « I presbiteri, discepoli degli Apostoli, dicono che si trova in Paradiso: là egli dimora sino alla consumazione, inaugurando l'incorrutti bilità » (v' 5 l ) 15 • ' Questa condizione riguarda soltanto alcuni santi del l'Antico Testamento. Ne parla un altro testo giudeo-cri stiano, le Recognitiones clementine, in cui leggiamo: « Cer tuni, sull'esempio di Henoch, sono stati trasferiti al Para diso in attesa del regno perché sono piaciuti a Dio. Quanto a coloro che non hanno compiuto pienamente la giustizia, i loro corpi sono dissolti, ma le loro anime sono custo dite nelle regioni felici, cosicché alla resurrezione, puri ficate dalla dissoluzione dei loro corpi, ottengano la ricom pensa » ( 1 , 52). Qui è chiarissima la distinzione tra la condizione eccezionale di coloro che sono già risuscitati e la condizione comune delle anime dei giusti che atten dono nello scheol - ma in un luogo di felicità - il tempo della resurrezione.
Gli angeli L'apocalittica giudeo-cristiana ci ha fatto conoscere le dimensioni del cosmo in tutta la sua estensione; ugual mente essa ha per oggetto la descrizione di tutti gli esseri che lo popolano. Questa conoscenza riguarda in partico lare il mondo degli angeli. L'angelologia è una delle com ponenti caratteristiche della teologia giudeo-cristiana. Ne vedremo l'importanza per la teologia trinitaria. L'angelo logia comunque ha lasciato un'impronta anche su tutti gli altri dogmi. Questa importanza conferita all'angelologia viene dall',apocalittica giudaica. È noto il posto che essa occupa in I Henoch. Secondo Giuseppe Flavio la cono scenza dei nomi degli angeli è una delle caratteristiche 15 Cfr. ]. Daniélou, Les saints paiens de l'A.T., Paris, 1956, pp. 69-7 1 .
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della gnosi essena e rimane un aspetto della gnosi giudeo cristiana. Da questa tradizione numerose dottrine passe ranno nella tradizione cristiana. Qui non ne sottolineiamo tutti gli aspetti : molti provengono dal giudaesimo 16 ; al cuni saranno trattati a parte. Basterà offrire un'idea gene rale della creazione degli angeli nel giudeo-cristianesimo, sottolineandone gli aspetti che le sono peculiari. Gli angeli costituiscono la prima creazione , anteriore a quella delle altre creature, allorquando Dio ordinò il cosmo e in particolare i cieli : « Dalle pietre ho fatto sprizzare un gran fuoco e col fuoco ho fatto tutta la mi lizia incorporea e tutta la schiera delle stelle, i Cherubini, i Serafini e gli OJianim » ( II Hen., XVI, 2-4 ). Si noti che gli angeli non sono immateriali, ma che la loro sostanza è il fuoco 17• Essi sono i 7tpW'tO� X't�O"OEV"t"Eç, « i primi creati » , secondo l'espressione di Erma ( Vis. III, 4, l ; Sim. V, 5, 3 ) ripresa da Clemente Alessandrino ( Eclog. , 56-57). Uno degli oggetti delle speculazioni sulla Genesi che, come abbiamo detto, è uno dei temi della gnosi giu deo-cristiana, consiste nel ritrovare delle allusioni celate alla loro creazione. Nell'espressione: Dio creò il cielo e la terra, per cieli si intendono gli angeli. Altri li identificano con le « acque superiori » 18 , ma in ogni caso essi sono creati prima degli altri esseri viventi. Per quanto riguarda la loro apparenza, accanto alla natura ignea, un aspetto tipico dell'angelologia giudeo cristiana è la loro statura gigantesca. Il particolare, estra neo all'apocalittica antica, si trova in parecchi testi. II H enoch ci mostra « due uomini altissimi come mai se n'erano visti sulla terra » ( Il , 1 ). Nel Vangelo di Pietro la testa dei due angeli che portano il Cristo risuscitato « giunge sino al cielo » ( 40 ). Nel Testamento di Ruben 16 Paolo nelle Lettere dalla cattività e Giovanni nell'Apocalisse hanno già incorporato gran parte dell'angelologia giudaica del Nuovo Tl·stamento. 17 Cfr. H. B. Kuhn, The Angelology of the Non-Canonica! Jewish ltpocalìpses, cit., pp. 21 1-219. la Cl e mente Aless., Eclog. , l, 2 e III, l .
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gli angeli sono alti come il cielo (V, 7 ). Gli Egregori di II Henoch sono grandi « piu dei grandi giganti » ( IX, 3 ) Negli Atti di Giovanni la testa degli angeli tocca il cielo .
(90). Gli Elcesaiti parlano di due angeli
« alti 96 mi Il particolare è verifìcabile anche nell'ermetismo ( Poimandres, I, l ). Festugière pensa ad un'origine greca 20, ma ciò si trova già negli scritti di Qumran (CDC, II, 1 9 ) e rimarrà nella letteratura popolare e nelle immagini arti stiche. Gli angeli comprendono molteplici categorie. Gli or dini piu elevati costituiscono la corte celeste, mentre gli spiriti inferiori amministrano le realtà terrestri. Uno degli aspetti dell'apocalittica giudeo-cristiana consiste nel l'abbozzare una gerarchia in relazione con la dottrina dei sette cieli. Al vertice - al settimo cielo secondo l'Ascen sione d'Isaia, al sesto secondo II Henoch che riserva il settimo alla Grande Gloria - ci sono beninteso i sette Arcangeli. II Henoch cita sette Cherubini, sette Serafìni e sette Fenici. Per gli altri ordini le disposizioni sono di verse : II Henoch pone gli Egregori al quinto cielo, quello che precede immed,iatamente il cielo degli Arcangeli. Il Testamento di Levi ci mostra nel quinto cielo gli « an geli della faccia », nel sesto « i Principati e i Troni » . In ogni caso viene tracciata una frontiera precisa tra i cieli superiori - il settimo, il sesto e talvolta il quinto, che sono quelli degli angeli che attorniano il santuario di Dio - e i cieli inferiori , riservati agli angeli che svolgono funzioni terrestri. Ciò è particolarmente evidente nella Ascensione d'Isaia e nella Lettera degli Apostoli, dove Cristo non cambia forma che a partire dal quinto cielo. I cieli superiori sono perciò il san tuario nel quale gli angeli compiono la liturgia celeste 21 • Cosi II Henoch ci mostra nel settimo cielo « le delizie, suddivise per gradi, farsi avanti, inchinarsi davanti al Signore e poi ritirarsi e tornare al loro posto nella gioia e nell'allegrezza » (Xl,
glia
»
19•
19 Ippolito, Elench., IX, 13.
20
Révelations d'Hermès Trismégiste, Paris, 1 944, I, p. 8. W elt, ci t., pp. 123-137.
21 Cfr. H. Bietenhard, Die himmlische
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6-8 ). Analogamente « i Gloriosi lo servono non scostan dosi di notte, né ritirandosi di giorno, ma tenendosi da vanti al volto del Signore » ( Xl , 9-1 0 ). Infine « tutta la milizia dei Cherubini intorno al suo trono, che canta di fronte al Signore » ( Xl , 1 1- 1 2 ). Un'ideologia che si col loca in continuazione con l'apocalittica giudaica. Una com ponente cristiana compare nell'Ascensione d'Isaia con la adorazione delle Tre Persone: « E cosi mi trasportò nel sesto cielo . Colà ( . . . ) tutti avevano aspetto uguale e la loro lode era pari ( . . . ). Colà tutti invocavano all'unisono il primo Padre, il suo Diletto, Cristo, e lo Spirito Santo » 22 ( VIII, 1 6- 1 8 ). Ma c'è di piu. L'Apocalisse di Giovanni ci mostra l'immolazione dell'Agnello come centro della liturgia cele ste. Ora, de Jonge ha giustamente attirato l 'attenzione su un passo del Testamento di Levi nel quale s 'incontra una idea analoga, ma espressa in una chiave del tutto diversa, il che attesta uno sviluppo indipendente : « Nel quinto cielo stanno gli angeli del volto del Signore; essi compiono la liturgia ( ).E�1:oupyouv-t'Ec;) ed intercedono presso il Si gnore per i giusti che ignorano. Essi offrono ( 7tpoO"q>Ep6!J.E\Io� ) al Signore il profumo dal buon odore ( ÒO"!J.TJ\1 Evwol.txc; ), l'ablazione ragionevole (Àoy�xi)v 11:poo-cpopav) e non cruenta ( avtxl.X!J.tx1:0\I) » ( II I , 5-6 ). Di primo acchito si potrebbe pensare che si tratti del culto spirituale oppo sto alle vittime cruente, cosi come lo troviamo, in parti colare negli Esseni, con « la lode delle labbra ». Questa polemica contro i sacrifici è presente anche in II Henoch ( XXIV, 6-8 ) : infatti è possibile che il nostro passo s'ispiri alla spiritualizzazione essena del culto. Ma d'altra parte il carattere giudeo-cristiano del bl'ano è incontestabile. La Lettera di Barnaba, in polemica con tro i sacrifici cruenti, dopo aver citato il Salmo 50, 1 9 , ag giunge un'altra citazione : « Profumo soave ( ÒO"!J.TJ EÙwol.txc; ) per il Signore è il cuore che glorifica colui che l'ha pla22 I n Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III : Lettere c Apocalissi, cit.
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smato » ( Il , 1 0 ). La citazione non è biblica: forse viene da un apocrifo. Abbiamo visto che essa è piuttosto uno di quei targumim che incontriamo frequentemente nel giu deo-cristianesimo. In ogni modo Ef. 5 , 2 attesta l'esistenza dell'espressione òcr�-tiJ Èuwoi.txc; per designare il sacrificio della Nuova Alleanza in opposizione ai sacrifici giudaici. L'eapressione À.oyLxi) 1tpocrcpopa richiama evidentemente la Àoyt.Xi! 8uo-ta. di Rom. 1 2 , l . Ma il termine 1tpocrcpopa ha una risonanza maggiormente liturgica 23• Infine la parola cl'Va.��o�, che designa il sacrificio, deriva dal linguaggio tecnico cristiano 24• È dunque possibile che ci troviamo in una liDet essena . Ma l'autore cristiano dei Testamenti vuoi dimottrare che il vero sacrificio spirituale, che sostituisce i IICrifid cruenti , è la 1tpocrcpopa, l'offerta liturgica del sa crificio di Cristo. Sembra quindi che nel giudeo-cristiane simo airiaco si trovi l'equivalente del tema asiatico del l 'agnello immolato. Se sJ:i qeli superiori sono adibiti, alla liturgia celeste, gli anaeu inferiori sono incaricati dell amministrazione del cosmo e dell'umanitl. Qui, ancora una volta, l'angelologia giudeo-cristiana dipende notevolmente dall'angelologia giu daica. Gli angeli sono preposti ai diversi elementi e alla vita della natura. Essi preaiedono ai movimenti degli astri (Asc. Is. , IV, 1 8 ; Il Htnoch, X, 8 ); custodiscono i ser batoi della pioggia, della neve e della grandine ( T est. Levi, III, 2 ; II Henoch, III, 1 1 , 1 3 ); vegliano sui fiumi e sui mari; proteggono le messi e i frutti ( Or. sib., VII, 34; II Henoch, X, 13, 14) 25, Questi aspetti non sono speci ficamente cristiani ; ma � interessante notare che allor quando Celso accuserà i cristiani di mancare di pietà per i otxi.�-tovEc; che presiedono alla vita della natura e distri buiscono agli uomini i loro favori , Origene sarà felice di ritorcergli che anche i cristiani credono a questi protettori 23 È associato a 60'1-J.TJ EÙw5(a� in E/ ,,2. Lo si trova pure in Barn., II, 6. 24 R. de Jonge, The Testaments o/ lhe XII Patriarchs, cit., pp. 48-49. 25 In Erma si trova l'angelo Tegri incaricato per gli animali (Vis. IV, 2, 4).
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misteriosi, ma non li venerano come divinità� E in ciò egli sarà l'erede dei giudeo-cristiani. Gli angeli non presiedono soltanto ai fenomeni della natura, ma anche alle collettività umane. Il giudeo-cristia nesimo ha ereditato dall',apocalittica giudaica la dottrina degli angeli delle nazioni ( II Hen . , X, 1 4 ; Or. sib. , VII, 35 ) u. La troviamo in Ireneo (Adv. haer. , III, 1 2 , 9) e in Clemente Alessandrino (Strom. , VI , 1 7 , 159): « Le presideMe degli angeli sono ripartite secondo le città e le nazioni », indubbiamente tramite il giudeo-cristianesi mo. La dottrina è particolarmente sviluppata negli scritti pseudo-clementini . Le Recognitiones ( II , 4 2 ) conoscono la ripartizione tra gli angeli dei 7 O ( o 72 ) popoli. Sembra che Origene abbia ricevuto tale concezione o, per lo meno, certi suoi sviluppi - da questi scritti 27 • Si legge infatti nelle Hom. Clem. : « Tenendo conto del numero dei figli, che erano 70 quando entrarono in Egitto ( Gen. 46, 27 ), il Padre defini con 70 lingue le frontiere tra le nazioni » ( XVIII, 4 ) . In questo passo è evidente il tentativo di armonizzare la tmduzione dei Settanta di Deut. 32, 8 : « Quando l'Altissimo consegnò alle genti la loro eredità, fissò i confini dei popoli secondo il numero degli angeli di Dio », col testo ebraico tradotto da Sim maco che non parla degli angeli di Dio, bensi dei figli d'Israele. Origene ne riporta la spiegazione: « Potrà allora apparire che questa discesa dei ( settanta) Padri ( d'Israele) in Egitto, cioè in questo mondo, sia stata permessa dalla provvidenza divina per l 'illuminazione degli altri e per l'educazione del genere umano » (De princ. , IV, 3 , 1 2 ) 28• Rimane il fatto che tutto ciò è un'eredità dell'haggada giudaica. C'è una traccia di cristianizzazione? Si osservi 26
H. Bietenhard, Die himmlische Welt, cit., pp. 108-116.
27 Cfr. J. Daniélou, Les sources ;uives de la doctrine des anges des
11ations chez Origène, cit., pp. 132-137 ; R. Cadiou,' Origène et !es écrits pseudo-clémentins, in « RSR », XX ( 1930), pp. 506:515. 28 In Origene, I Principi, a cura di M. Simonetti, Torino, 1968. D'altra parte il problema non poteva porsi che a· proposito dei Giudei ellenizzati. L'origine quindi non sarebbe in questo caso l'apocalittica giudaica palestinese.
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che le Hom. Clem. nel passo di cui abbiamo citato l'inizio proseguono: « A suo Figlio, chiamato Signore, Dio asse gnò, quale sua parte, gli Ebrei, dichiarando che egli sa rebbe stato il dio degli dèi, cioè delle divinità che avevano ricevuto, quale loro parte, le altre nazioni. Questi dèi por tarono delle leggi, ma il Figlio diede la Legge che vige presso gli Ebrei » ( XVIII, 4 ) . Ora, nei testi giudaici, se Dio è la parte di Israele, a Michele è affidata la prote zione degli Ebrei. È lui che insegna loro la lingua e che dona loro la Legge sul Sinai 29• D'altra parte se ci sono 70 popoli e 70 angeli e ogni angelo corrisponde a un po polo, sarebbe normale che anche Israele avesse un angelo. Per questo sembra veramente che qui gli scritti clemen tini identifichino Michele col Figlio di Dio 30 : è Lui i] capo dei 69 angeli, come, secondo Erma, è il capo dei sei Arcangeli. Tuttavia conviene aggiungere che per gli scritti clementini, come vedremo, la dottrina non ha un senso ortodosso, perché Cristo non è veramente Figlio di Dio 3 1 • Oltre gli angeli incaricati delle collettività vi sono gli angeli ai quali vengono affidati gli individui. La dottrina ha dei precedenti nell'Antico Testamento ( Tob. 3, 2 5 ) , nel giudaesimo ( Giub. , XXXV, 1 7 ) e nel Nuovo Testa mento ( Mt. 1 8, 1 0 ) . Ha pure degli antecedenti nel paga nesimo, particolarmente nel medio-platonismo di Plutar co 32 • È comunque vero che il giudeo-cristianesimo le ha conferito un'importanza particolare : la troviamo nei Te stamenti ( Test. Gius. , VI , 6-7 ). Compare pure in Erma dove l'angelo che gli appare gli dice : « Io sono il Pastore al quale sei stato affidato » ( Vis. V, 3 ) . Nella Lettera di Barnaba ( XVIII, l ) e in Erma (Prec. VI, 2 , 2-5 ) la dot trina dell'angelo custode si combina con quella del demo29 Giuseppe Flavio, Ant. ]ud., XV, 5, 3; Gal. 3, 19.
30 Si osservi che Basilide insegna che il principe degli angeli ( Mi chele) è stato preposto al popolo giudaico ed è lui che i Giudei pren dono per Dio (lreneo, Adv. haer. , l, 24). 3 1 Sui paralleli ellenistici dr. G. Andresen, Logos und Nomos, pp. 195-197. 32 G. Soury, La démonologie de Plutarque, Paris, 1942, p. 131. =
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nio custode, il che appare come uno svilupp� della dottrina essena dei due spiriti. Un punto notevole è il fatto che qui abbi ì:l. tezza che la teologia successiva ha tratto tale �o la cer da! giudeo-cristianesimo. Abbiamo due testim� �oncezione ziose. La prima è di Origene. Per la dottrina �ianze pre geli egli si basa sull'autorità del Pastore di E ei due an Lettera di Barna ba ( De Princ. , III, 2 , 4 ). �.lna e della quella di Clemente Alessandrino, il quale n� \j estesa è propheticae scrive : « La Scrittura dice che i b� le Eclogae esposti sono affidati ad un angelo custode che l �bi piccoli fa crescere. Essi saranno come i fedeli di quj � alleva e li cent'anni » ( XLI , l ). Per Scrittura Clemente d� the hanno mente un'opera giudeo-cristiana, forse l'Apoca(�igna certa tra, che egli cita immediatamente dopo . Ciò �.s-se di Pie una prova dell'autorità di cui, per la loro antj costituisce � vano in Clemente le opere giudeo-cristiane. f:l.�ità, gode abbiamo la conferma quando Clemente cita u u oltre ne che dipende dallo stesso contesto, attribuendoli:\.'l. dottrina, lisse di Pietro : « La Provvidenza divina no!)_ all'Apoca solo a coloro che sono nella carne. Pietro, i:\. si estende nella sua Apocalisse dice : I bambini abortiti � � esempio, ad un angelo custode affinché, dopo aver �no affidati � alla gnosi, ottengano un destino miglior(\ teso parte •> (Eclog. , XLVIII, 1 ). Tra le funzioni dell'angelo dell'anima ne \ due che la teolog1a cristiana erediterà dal giuq �dicheremo simo. Da una parte Erma parla frequenteme \l-cristiane gelo della penitenza che viene mandato a lui ��e dell'An gario di convertirsi, sia per affidargli un messa. la per pre dono (Vis. V, 7 ; Prec. XII, 4, 7 ; Sim. IX, 14, �gio di per riprenderà questa idea riferendosi esplicitam � ). Origene � stare (Sel. in Psalm. , XII, 3 7 ; PG, XII, 1 372 tl.te al Fa gelo della penitenza appariva in I Henoch ( )\ �-C ). L'an � è Erma che gli dà un posto importante ed è q , 7-9 ), ma Origene l 'ha eredi tato. Con ogni probabilità il. Erma che mente Alessandrino l 'ha ricevuto da queste fo <�nche Cie � che ha accolto il messaggero del pentimento ti : « Colui non dovrà
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pentirsi » ( Quis div. salv. , XLII, 1 8 ) 33 • D'altra parte nella teologia giudeo-cristiana vediamo comparire l'angelo della pace, incaricato di accogliere l'ani ma alla sua uscita dal corpo e di condurla in Paradiso. Si legge in Test. Aser: « Se l'uomo muore in pace, va in contro all'angelo della pace che lo conduce alla vita eterna » ( VI, 5-6; cfr. pure Test. Ben . , VI, l ; Test. Dan. , VI, 5 ) 34• La dottrina non si trova nell'apocalittica ante riore, in cui gli angeli hanno il compito di vegliare sul corpo dei santi (Vita di Adamo, 46-4 7 ; Giuda 9 secondo l'Assunzione di .Mosè); vediamo un richiamo alla dottrina ellenistica degli angeli psicopompi 35 , però senza una dipen denza diretta. Ora è noto il posto che tale dottrina terrà nella liturgia cristiana: « In Paradisum deducant te an geli » 36 • È una delle piu antiche eredità del giudeo-cri stianesimo. Altre indicazioni sull'azione degli angeli compaiono fre quentemente nei nostri testi: intercessori della preghiera 3\ messaggeri delle rivelazioni e strumenti dei castighi di vini 38• Ma questi aspetti provengono dall'apocalittica co mune: resta il fatto che la teologia cristiana li ha ricevuti tramite il giudeo-cristianesimo. L'eredità giudeo-cristiana nella teologia, nella liturgia e nella spiritualità è conside revole. Resta il fatto che questa angelologia ha potuto occupare una posizione esorbitante: vediamo infatti Paolo polemizzare contro il culto degli angeli nei giudeo-cristiani dell'Asia Minore, in Galazia ( Gal. l , 8 ) e a Colossi ( Col. 2 , 1 8 ). Una parte di tale angelologia, come s'è visto, verrà assorbita nella cristologia. Il Cristo assumerà le funzioni attribuite dal giudaesimo agli angeli e che il giudeo-cri stianesimo aveva parzialmente conservato : la teologia 33 In C'è salvezza per il ricco?, a cura di A. Pieri, Alba, 1965.
34
L'Apocalisse di Paolo, 13-14 darà un ulteriore e grande sviluppo alla dottrina. 35 F. Cumont, Les vents et les anges psycopompes, in Pisciculi (Mél. F. ]. Volger), Miinster, 1939, pp. 70-75. 36 ]. Daniélou, I.es anges et leur mission, cit., pp. 129-143. 37 Test. Levi, III, 5-7. 38 Erma, Sim. VI, 2-5; Apocalisse di Pietro, passim.
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esprimerà l'idea parlando dello spossessamento degli angeli da parte di Cristo. Resta vero, come mostra l'Apologia di Aristide, che l'angelologia è una componente del giudae simo cui si oppone la cristologia cristiana. Ma, anche ri dotta alla sua posizione esatta, la dottrina degli angeli ereditata dal giudeo-cristianesimo conserverà nel cristiane simo la propria funzione.
I demoni e il problema del male Come l'angelologia, la demonologia occupa un posto di rilievo nella teologia giudeo-crisdana, sempre in dipen denza dall'apocalittica giudaica. I demoni sono comune mente considerati angeli decaduti e la spiegazione stan dard della loro origine è quella dat'a da I Henoch : angeli di un ordine superiore, i Vigilanti Egregori, attratti dalle figlie delle donne, sono scesi nel mondo guidati dal loro capo. Per punizione ora sono chiusi in una prigione, in attesa di essere gettati, dopo il Giudizio, nel grande abisso. Il Testamento di Ruben allude a questa tradizione (V, 6-7 ; cfr. pure Test. Nepftali, III, 5 ). L'Ascensione d'Isaia ci mostra la prigione di Sammael nel firmamento, tra il cielo delle meteore e la sfera lunare. II Henoch colloca nel se condo cielo gli Egregori decaduti. È tuttavia interessante notare un',altra tradizione, par ticolarmente sviluppata nel giudeo-cristianesimo, che i Pa dri riceveranno da esso come tradizione 39 : l'idea di un angelo preposto alla terra. Stando ad Andrea di Cesarea, Papia insegnava che « Dio aveva incaricato certi angeli di presiedere al governo della terra » 40 • II Henoch scrive che « Dio ha posto due angeli, Arioch e Marioch, a custo dire la terra e a governare le cose temporali » (XVII, 1 1 ): i l che deve essere collegato alla dottrina generale dell'apo cal i tt ica 41 • Peraltro l'apocalittica giudaica della fine del 1N l . Daniélou, Les anges et leur mission, cit., 411 L Preuschen, Antilegomena, cit., p. 96.
41 Cfr. pure, in
pp. 61-66.
III Baruch, la Fenice custode della terra (VI, 4-7).
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primo secolo conosce il tema della gelosia di Satana nei confronti di Adamo che Dio gli ha chiesto di adorare (Vita di Adamo, 1 2 , 1 7 ; II Bar. , LVI, 1 0 ). La dottrina giudeo-cristiana di cui stiamo parlando si sviluppa alla convergenza di queste due concezioni. Papia, dopo aver ricordato che la terra era st,ata affidata a degli angeli, continua dicendo che « questo ordine angelico finf malamente » e che « colui che aveva sconvolto tutto l'uni verso fu gettato a terra con i suoi angeli » 42• Il testo di Andrea di Cesarea identifica quest'angelo decaduto con Satana, con il grande dragone e col serpente antico; il che proviene forse da Papia. Ireneo ha ricevuto da Papia la dottrina che sviluppa a lungo nella Dimostrazione della Predicazione Apostolica 43 • Un chiliarca amministratore « era stato posto da Dio alla testa degli angeli incaricati della terra: era un arcangelo », senonché, vedendo i nu merosi favori che l'uomo aveva ricevuto da Dio, ne diventò geloso. « Egli causò la rovina dell'uomo rendendolo pec catore. Per questo fu punito; e a causa della sua rivolta, fu chiamato in ebraico Satana, in greco diavolo » ( 1 1- 1 6 ; PO, XII, 762-764). Ritroviamo questa concezione nel secondo secolo in Atenagora (Suppl. , 24 ) che l'ha ricevuta dai giudeo-cri stiani. Tramite Atenagora essa passerà poi a Metodio d'Olimpia (De res. , I, 37 ; GCS, 278 ) e da quest'ultimo a Gregorio di Nissa ( Orat. catech. , VI, 5 ): abbiamo una trafila sicura seguita che ci fa risalire al giudeo-cristiane simo. Ci si può chiedere se le frequenti espressioni del Nuovo Testamento e degli autori giudeo-cristiani, che in dicano il capo degli angeli malvagi con l'espressione « prin cipe di questo mondo » (Asc. Is. , I, 3 ; Giov. 1 2 , 3 1 ; Ignazio, Ad Eph., XVII, l ; XIX, 1 ), « re di questo mon do » (Asc. Is. , IV, 2 ), « dio di questo mondo » ( II Cor. 4 ; 4 ; Asc. Is. , IX, 1 4 ), non si colleghino appunto all'idea 42 E. Preuschen, Antilegomena, cit.,
p. 96.
43 Tale dottrina sembra appartenere anche a Giustino, per il quale
Satana era uno dei capi (èi.pxov·w;), caduto per aver traviato Eva (Dial., CXXIV, 3 ).
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dell'arcangelo incaricato di presiedere a questo mondo, che è caduto 44• In ogni caso, che il firmamento costituisca la sua naturale sfera d'influenza 45 o che egli vi sia preci pitato (Asc. Is. ; II Henoch ), resta il fatto che il demonio agisce e domina nel mondo terrestre. Accanto alle diverse concezioni che collegano ad una caduta l'esistenza degli angeli malvagi, gli scritti pseudo clementini ci presentano un'altra concezione che si riallac cia all'essenismo. È noto che nel Manuale di disciplina lo spirito di verità e lo spirito di cattiveria sono stati isti tuiti da Dio stesso sin dall'origine: « Egli creò gli spiriti della luce e della tenebra e gli spiriti della luce e su di essi fondò ogni azione » (DSD, III, 25) 46• Cosi Mastema, il Sat,ana di Qumran, chiamato anche Beliar, non è un an gelo buono divenuto malvagio. Tale dottrina sembra porsi sul prolungamento del Satana del Libro di Giobbe che non è un angelo decaduto, ma uno spirito cattivo; lo spi rito del male appare quindi un elemento della stessa crea zione. Esso è mescoltato allo spirito del bene durante tutto l'eone presente. Saranno separati al tempo della visita
(DSD, IV, 1 5-25 ). Le Omelie Clementine presentano una teoria dell'ori
gine del demonio imparentata con la dottrina essena, ma che ne costituisce un'elaborazione piu spinta 47• Dio non ha creato direttamente il Maligno, ma ha creato elementi diversi. Il Maligno è nato dalla mescolanza di questi ele menti ( Hom. Clem. , XIX, 1 2 ); non ha il suo principio in una rivolta contro Dio, ma in una tendenza cattiva che lo spinge a tentare gli uomini e a punire i ribelli. In ciò è lo strumento dei disegni divini. D'altra parte è impossi bile che al mondo sorgesse qualcosa contro la volontà di Dio (VIII, 1 2 ). Se il Maligno abita i luoghi inferiori non 44 H. Bietenhard, Die himmlische Welt, cit., p. 119, vi vede sol
lnnlo il tiranno del mondo. 4� Atcnagora, Suppl., 24 . ., I n l Manoscritti del Mar Morto, a cura di F. Michelini Tocci, Berl 1'>67 .
4'7 Cfr. I I. ]. Schoeps, Aus fruhchristlicher Zeit, cit., pp. 38·�2.
17.
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è in seguito ad un castigo, ma a causa del suo gusto innato per le tenebre ( IX). Per questa ragione alla fine anche il Maligno potrà essere salvato ( IX, 9 ). Sul piano personale esso appare come l'equivalente psicologico della tendenza al male, lo yeser ha-ra, che è pure una tendenza innata nell'uomo 48• Non sembra che questa concezione sia pre sente negli scritti giudeo-cristiani ortodossi, ma essa ha potuto influire sul pensiero d'Origene di cui è nota la conoscenza degli scritti clementini. Quali che siano le diverse opinioni sull'origine dei de moni, gli ,autori giudeo-cristiani concordano nel suddivi derli in due categorie, seguendo quindi l'apocalittica giu daica. Da una parte vi sono i demoni superiori. Per coloro che seguono I Henoch sono i Vigilanti decaduti, che ven gono chiamati Potenze ( E/. 6, 1 2 ; Asc. Is. I, 3 ; X, 1 5 ), Dominazioni (E/. 6, 1 2 ; Asc. Is. I, 3 ), Arconti (Asc. Is. , X, 1 2 ; Epist. Ap. 28 ; Ef. 6, 1 2 ); il loro capo è detto Beliar ( Giub. , I, 20; II Cor. 6, 1 5 ; Asc. Is. , IV, 1 4 ), Satan, Sammael, Principe delle tenebre, Principe di questo mondo, o s�a.�oì.oc;, ò '7tOV1Jpoc;. Sovente è confrontato col capo degli angeli buoni, il Principe delle luci esseno o ar cangelo Michele (Apoc. 1 2 , 7 ). Nel giudeo-cristianesimo a questa opposizione giudaica tende a sostituirsi quella tra Cristo e lo Spirito Santo e l'angelo cattivo. E qui, ancora una volta potremmo rilevare un punto di partenza per la cristologizzazione di temi angelici. Satana e gli altri angeli decaduti sono chiusi, come s'è visto in un carcere che, secondo l'Ascensione d'Isaia, si trova nel firmamento e per II Henoch nel secondo cielo. L'idea che la dimora attuale di Satana sia nel cielo infe riore è già la rappresentazione corrente nel Nuovo Testa mento: per questo Cristo lo vede « precipitare dal cielo come folgore » (Le. 10, 1 8 ). Paolo colloca gli spiriti ma ligni Év "t'Oi:ç É1toupa.vCoLç (E/. 6, 1 2 ); Michele, in Apoc. 12, 8-9, fa precipitare Satana sulla terra. H. Bietenhard ha giustamente sottolineato il fatto che Gesti, con la sua azio-
48 Ibidem,
p. 49.
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ne salvifìca, toglie a Satana i suoi poteri e lo caccia dal cielo 49• Ma questa azione è escatologica: soltanto alla Pa rusia Satana sarà gettato nell'Abbadon, il grande abisso. Per questo i testi giudei-cristiani lo presentano sempre nei cieli inferiori. Accanto a Satana e ai suoi angeli ci sono i demoni inferiori, i 'ltVEUJJ4'tlX, I Henoch vi vedeva le anime dei giganti nati dall'unione dei Vigilanti con le figlie delle donne. Questa spiegazione sarà ripresa da Giustino ( II Apol. , V, 2-6 ), da Atenagora (Suppl. , 24); la troviamo an che nelle Omelie Clementine ( VIII, 1 8 ). Qualunque sia la loro origine, questi demoni abitano nell'atmosfera che circonda la terra: Paolo parla di « esseri spirituali della malvagità che abitano gli spazi celesti » ( Ef. 6, 1 2 ). È esat tamente quanto ci mostra l'Ascensione d'Isaia, in cui gli angeli dell'aria sono distinti in modo esplicito da Sammael e dai suoi angeli (X, 30). L'opera aggiunge che « si deru bavano e s'opprimevano reciprocamente » (X, 3 1 ); il che si ritrova in Atenagora, il quale, parlando degli « angeli caduti intorno all'aria e alla terra » dice che « suscitano attacchi disordinati, interni ed esterni » (25; SC, I, 9 ) . Ciò è in relazione con l'agitazione perpetua a cui è sottoposta l 'atmosfera, in contrasto con la serenità del mondo delle stelle. Anche nel mondo ellenistico si trova la dottrina dei demoni dell'aria, ma la caratteristica tipica del giudeo cristianesimo sta nel vedervi delle forze malefiche. Il giudeo-cristianesimo insisterà soprattutto sul ruolo svolto da questi demoni inferiori riguardo la tentazione 50• Individuiamo parecchie dottrine importanti. Ad ogni vizio sarà attribuito un demone particolare; è l'idea del Testa mento di Ruben ( II I , 3-6 ), sviluppata da Erma, per il quale « la maldicenza è un demone turbolento » (P ree. I I , 3 ) e « la collera è uno spirito ( 'ltVEVJ.l.a) cattivissimo » (P"'· V, 2, 8 ). Origene riceverà questa dottrina da Erma ' dal Tlllllll,nli e la incorporerà nella tradizione cri'
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cit.,
1 94
L'ambiente intellettuale
stiana 5 1• I demoni sono presentati come istallantisi nei corpi che sono oggetto di un'autentica possessione. Il Van gelo suppone tale dottrina: i sette demonì cacciati dalla peccatrice sembrano proprio i sette demoni dei vizi del Testamento di Ruben ( Le. 8 , 2 ). La Lettera di Barnaba ( XVI, 7), le Omelie Clementine ( IX, 1 0 ) e Valentino (Strom., II, 20, 1 1 4) svilupperanno tale dottrina. Ritor neremo su tutto ciò a proposito della spiritualità giudeo cristiana. Un'ultima osservazione. Che si tratti di Satana e degli Egregori decaduti o dei demoni dell'aria, la dimora degli angeli cattivi si trova nelle zone inferiori del cielo, quelle che sono a contatto diretto con la terra. Ne deriva una conseguenza importante per la rappresentazione giudeo cristiana delle cose : le anime, nella loro ascesa al cielo dopo la morte, devono attraversare le sfere demoniache 52• Il che implicherà anzitutto - secondo un'esatta osserva zione di H. Schlier 53 - che, secondo il giudeo-cristiane simo, Cristo incontrerà i demoni e trionferà su di loro nel corso della sua Ascensione e non durante la sua discesa nello scheol, che ha soltanto lo scopo di ,liberare le anime. Secondo Col. 2 , 14-15, già l'esaltazione di Cristo sulla croce lo pone alle prese con le potenze dell'aria. Si tratta di una concezione, spesso ripresa , propriamente giudeo cristiana e che diventerà di difficile comprensione quando si sarà abituati a fare dell'inferno la dimora di Satana. L'idea è ugualmente importante per l'ascensione di ogni anima, che dovrà sfuggire dalle grinfie dei demoni che tenteranno di trattenerla. Ed essa potrà scampare sol tanto se in essa non v'è nulla che dia loro un pretesto. Questa idea va distinta da quella della traversata delle sfere angeliche da parte dell'anima nell'Ascensione d'Isaia, e che gli Gnostici interpreteranno mediante i cosmocra51 E. Bettencourt, Doctrina ascetica Ori�t.enis, Roma, 1945, pp. 133143. 52 A. Orbe, Los primcros hcrejes ante la persecuci6n, cit., pp. 1 171 18. 53 Christus und die Kirchc i m Epheserbricf, cit., pp. 17-18.
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tori planetari. Le due concezioni possono, d'altra parte, anche giustapporsi . A. Orbe l'ha dimostrato per i Valen tiniani, ma ciò è vero anche per certi autori ortodossi 54• Sarà il caso allora di distinguere i tentativi dei demoni di opporsi all'ascensione dell'anima e le garanzie chieste dagli angeli, custodi deHe porte dei cieli, prima di !asciarvela en trare. Le due concezioni si equilibreranno finalmente nella concezione del processo, del giudizio dell'anima, nel quale i due angeli svolgono ciascuno la sua funzione. Resta il fatto che queste concezioni non trovano una spiegazione se non mediante la teoria giudeo-cristiana della dimora dei demoni nelle sfere inferiori dell'aria che sembra uno degli elementi portanti della Weltanschaaung che stiamo cer cando di descrivere. Ecco alcuni aspetti della visione del cosmo nella teo logia giudeo-cristiana. Certo, tale concezione dipende in gran parte dall'apocalittica giudaica. Tuttavia vi abbiamo trovato numerose altre componenti - i sette cieli, i due angeli, i demoni ddl'aria, gli angeli delle nazioni - che presentano dei paralleli nel mondo ellenistico. Ciò sembra tipico di un'epoca in cui l'apocalittica giudaica subisce l'in fluenza dell'ambiente greco, e in cui i giudeo-cristiani della Siria o dell'Asia Minore sono in con�atto con le religioni orientali. Ma pure in questa coloritura particolare, che le conferisce una fisionomia propria, distinta da quella del l'antica apocalittica, tale strutture rimane fondamental mente giudeo-cristiana e le vestigia che vi troviamo piu tardi si collegheranno proprio a questa fonte. D'altra parte il suo interesse sta soprattutto nel fatto che essa fornisce le sue categorie alla teologia dell'Incarnazione e della redenzione. I
libri celesti
Insieme ai segreti del cosmo, l'elemento pm tmpor tante di ciò che è mostrato al visionario durante il suo
�4
Lo.r primeros herejes ante la persecuci6n, cit., pp. 1 17-1 18.
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viaggio è costituito dai libri celesti, che contengono i se greti della storia. La dottrina delle « tavolette celesti » o del « libro del destino » , in cui i destini umani sono iscritti in anticipo nel cielo, è un'antica concezione, atte stata particolarmente dalla religione babilonese. Essa è as sociata all'idea di rivelazione. Il profeta è un eletto da Dio, al quale, nel corso di un'ascensione celeste, sono mo strate queste tavolette affinché possa annunciare agli uo mini i disegni di Dio. L'idea è estranea al giudaesimo an tico . Essa compare in Ezech. 2, 9 . Avrà uno sviluppo stra ordinario nell'apocalittica giudaica, di cui esprime l'idea essenziale di una storia interamente costituita in anticipo, di cui basta attendere lo svolgimento 55• È chiaro che una simile concezione, come quella dei sette cieli, è suscettibile di interpretazioni diverse. Può associarsi ad uno stretto predestinazionismo, ed è il senso che sembra presentare in certe apocalissi giudaiche ( se condo la testimonianza di Giuseppe Flavio ), nello gnosti cismo e nel Corano. Può indicare semplicemente il pro getto di Dio nel suo complesso. Ciò appare ugualmente a proposito di una concezione connessa, quella del « libro della vita » , che può designare la lista di coloro che sono iscritti dall'eternità sui registri celesti, o di coloro che lo saranno se se ne renderanno degni. Dopotutto, ciò che a noi interessa qui non è la struttura mitica in se stessa, che il giudeo-cristianesimo ha ereditato dal giudaesimo apoca littico, ma la concezione che essa gli serve ad esprimere. È opportuno distinguere daUa concezione del « libro del destino » e del « libro della vita » una terza conce zione, che sarà ripresa anche nel giudeo-cristianesimo, ma che si riferisce ad un ordine distinto di considerazioni, quella del « libro delle opere » . Si tratta qui del fatto che le azioni degli uomini, buone o cattive, sono scritte su dei ss G. Widengren, The Ascension of the Apostle and the Heavenly Book, Uppsala, 1950; L. Koep, Das himmlische Buch in Antike und Christentum, Bonn, 1952; H. Bietenhard, Die himmlische Welt,- cit., pp. 231-255; R. Eppel, Les tables de la Loi et les tables célestes, in Recherches Théologiques, Paris, 1937, pp. 1-12; J. Daniélou, Bultetin d'histoire des origines chrétiennes, in « RSR », XLII ( 1954), pp. 610-614.
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libri celesti che saranno presentati nel giorno del Giu dizio. Tale concezione sottolinea l'importanza delle azioni umane ed è in relazione con quella del Giudizio. Ha pure degli antecedenti nella religione babilonese e, attraverso il giudaesimo e il giudeo-cristianesimo, passerà nella tradi zione cristiana. Tuttavia non dovremo occuparcene in que sto capitolo. La letteratura giudeo-cristiana riprende la concezione propda dell'apocalittica giudaica del disegno segreto di Dio iscritto sulle tavolette celesti e rivelato ad un profeta al momento di una ascensione . Tale concezione era in particoJare quella di I Henoch ( LXXXI, 1-3 ; CIII, 1 -3 ; CVI, 1 9 ) e si trova in I I Henoch ( che è giudeo-cristiano) : « I l Signore chiamò Vrevil, uno degli arcangeli, che era abile, perché scrivesse tutte le opere del Signore . E il Signore disse a Vrevil : Prendi dei libri dai depositi, porgi una penna a Henoch e dettagli . . . Ed egli mi raccontava tutte le opere del cielo, della terra e del mare » (XIII, 4-1 O). Piu sopra si parlava degli angeli che « regolano tutta la vita e la scrivono davanti al volto del Signore » (X, 1 1- 1 3 ). Il seguito del testo mostra che il contenuto dei libri è l'insieme del disegno di Dio nella natura e nella storia : c'è proprio una scena di « rivelazione » nel senso proprio del termine . Tutto è scritto in anticipo nei libri celesti, e sono essi ad essere mostrati o comunicati, oppure, come qui, dettati. Le apocalissi sono cosi la copia dei libri ce lesti. Ministro di questa rivelazione è un angelo. Si noti peraltro che sono pure angeli che scrivono i libri celesti. Queste diverse concezioni hanno degli antecedenti nella apocalittica giudaica. Le stesse vedute si ritrovano nell 'Ascension e d'Isaia. Quando Isaia è introdotto nel settimo cielo « uno degli angeli che stanno là mi mostrò dei libri. Li apri : non erano scritti come libri di questo mondo. Me li diede, io li lessi ed ecco: vi erano registrate le opere dei figli di Israele e pure gli atti di coloro che non conosci. lo dissi: Davvero nulla è nascosto nel settimo cielo di ciò che ac-
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cade nel mondo! » ( IX, 22-23 ) Il tema viene presentato pure dai Testamenti dei XII Patriarchi. Cosi nel Testa� mento di Aser si legge : « Ho saputo infatti dalle tavole del cielo che voi sarete empi e disobbedienti » ( VII, 5 ); e nel Testamento di Levi: « Ho compiuto a suo tempo la vendetta sui figli di Emmor, secondo quanto è scritto nelle tavolette del cielo » (V, 4 ) 56 • Cosi i xcupot sono fis sati in anticipo sulle tavole celesti. L'idea di determina zione e di rivelazione sono le due componenti della con cezione. La comunicazione di un libro non significa soltanto la conoscenza degli avvenimenti futuri, ma anche la rivela zione di una dottrina nascosta. Ciò appare nel Pastore dove, neHa Prima Visione, Erma scorge una donna an ziana, vestita con abiti sfolgoranti e con « un libro in ma no » ( I, 2, 2 ) che gli propone di leggere il libro (V is. I , 3 , 3 ) . Questo termina con u n racconto della creazione del mondo e di quella della Chiesa ( I , 3, 4 ); il che ricorda il contenuto dei libri che Vrevil legge�a a Henoch. Nella Se conda Visione Erma vede di nuovo la vecchia signora « che stava passeggiando e leggeva un libriccino » ( II , l, 3) e con essa intraprende i l dialogo seguente : « Mi chiese : Tutte queste cose le puoi annunciare agli eletti di Dio? Signora - risposi - tante cose mi è impossibile ricordarle. Dammi il libretto che le possa copiare. Pren dilo - mi disse - poi me Io renderai » (Vis. Il, l , 3 ). Erma prende allora il libro: « Lo presi e, ritiratomi in un angolo del campo, lo copiai tutto intero, lettera per let tera, perché non riuscivo a distinguere le sillabe . Quando ebbi finito la trascrizione di tutte le lettere, il libretto mi fu strappato all'improvviso dalle mani e non vidi da chi » ( II, l , 4 ) . Infine « passati 1 5 giorni, dopo molti digiuni e preghiere, mi fu rivelato il senso di questo scritto » ( II , 2, l ). Esso contiene u n messaggio di penitenza. Rappresentazioni analoghe le incontriamo presso il .
56 Cfr. pure la Preghiera di Giuseppe: << Ho letto sulle tavole celesti tutto quanto capiterà a voi e ai vostri figli » (Origene, Comm. in Gen., PG, XII, 73 B}.
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giudeo-cristianesimo eterodosso degli Elcesaiti : Eusebio ci informa che essi ricevevano la loro rivelazione da un libro caduto dal cielo (Hist. ecci., VI, 38). In modo piu espli cito Ippolito scrive che Elcasai possedeva un libro « rive latogli da un angelo » (Elench. , IX, 1 3 ). La consegna del libro da parte dell'angelo - che è il Figlio di Dio, come abbiamo visto - ricorda l'Ascensione d'Isaia in cui i libri celesti contenenti le rivelazioni erano comunicati da Mi chele, che vedremo designare il Figlio di Dio . Le rappre sentazioni restano quelle dell'apocalittica giudaica, ma ap plicate a nuove rivelazioni. Si noti che in un passo dell'Apocalisse il libro non ha un senso diverso da quello che ha nei testi che abbiamo visto piu sopra: « Poi vidi un altro angelo potente che scendeva dal cielo. Egli aveva in mano un libretto aperto e gridò con voce possente come il ruggito del leone. A questo grido i sette tuoni fecero udire le loro voci. E quando i sette tuoni ebbero parlato io mi accinsi a scri vere, ma sentii una voce dal cielo che diceva: SigHla le cose che hanno detto i sette tuoni e non le scrivere » ( 1 0, 1-4; cfr. pure Apoc. l , 1 1 ). L'episodio ricorda molto il Pastore: in entvambi i casi si parla di un piccolo libro ( ���À.�Mp�ov ) . È importante notare che il « libro delle rivelazioni » è pure presente nelle antiche rappresentazioni figurate. Si tratta talvolta di un libro aperto oppure di un rotolo svolto che il Cristo tiene in mano e mostra ai suoi Apo stoli 57 • In certi casi - ciò si riferisce alla comunicazione della legge a Mosè 58 una tavoletta è mostrata da una mano che viene dal cielo ; talvolta un rotolo viene presen tato come discendente dal cielo sugli Apostoli. In tutte queste rappresentazioni si tratta della rivelazione fatta dal Cristo: ne riparleremo piu oltre. Peraltro il volumen, ge-
57 Questa è la trasposizione di un tema pagano. Cfr. J. Villette, La résurrection du Christ dans l'art chrétien du Ier au VI• siècle, Paris, 1 957 pp. 22-24. ' 58 Cfr. G. Wilpert, I sarcofagi cristiani antichi, Roma, 1932, Il, tav. 8 1 .
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neralmente arrotolato, è l'attributo frequente degli Apo stoli e dei Profeti : si tratta dunque di un tema assai comune. Mi soffermerò su di un solo esempio perché si collega piu da vicino a quelli che abbiamo sinora citato e perché appartiene pure allo stesso milieu. È noto il tempio di via Manzoni a Roma : si tratta di un santuario gnostico del terzo secolo 59• Vi è un aspetto che c'interessa qui : nella stanza a sud del piano superiore è raffigurato un uomo seduto con un volumen aperto sulle ginocchia, sul quale scrive con una penna. Di fronte a lui vi è un altro personaggio in piedi che tiene un volumen ,arrotolato , al zato nella mano destra. Analoga scena è raffigurata su un'altra parete. M. Carcopino ritiene giustamente che si tratti della comunicazione della gnosi a un discepolo da parte di un iniziato. Il rotolo tenuto dal maestro è quello contenente la rivelazione 60 • Ciò sembra come un'illustra zione di quanto ci hanno mostrato Erma e gli Elcesaiti. Accanto al « libro del destino » abbiamo citato il « li bro della vita ». L'espressione è di origine biblica e sem bra anzitutto aver designato la vita terrestre : essere can cellato dal libro di vita significa morire (Es. 32, 32; Sal. 69 , 29 ). Nell'epoca giudeo-cristiana essa si riferisce invece alla vita eterna: essere iscritto nel libro della vita vuol dire essere annoverato tra gli eletti 61 • In ambiente greco romano l'idea sarà modificata da quella del libro dove sono iscritti i cittadini e si collegherà al tema della città celeste 62 • Ma in ambiente giudeo-cristiano il « libro della vita » tende ad assimilarsi con il « libro del destino » : gli eletti sono stati iscritti nel libro della vita prima della creazione del mondo. È il tema dell'elezione che qui viene posto iri evidenza. Esso compare nel Nuovo Testamento. Si legge in Le. 59 J. Carcopino, De Pythagore aux Apotres, cit., pp. 85-225.
60 Ibidem, p. 109. Già nell'apocalittica giudaica: Dan. 12, l . 62 Cfr. L . Koep, Das himmlische Buch in Antike und Christentum, 61
cit., pp. 68-124.
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1 0 , 20: « Rallegratevi perché i vostri nomi sono scr1tt1 nei cieli » . La stessa idea, con riferimento ,specifico al libro della vita, è in Paolo, dove si parla di Clemente e degli altri « i cui nomi sono nel libro della vita » (Fil. 4, 3 ). Anche l'Apocalisse di Giovanni conosce questa concezione : vi si parla in due riprese in testi sui quali ritorneremo - di « coloro i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita dell'Agnello fin dalla creazione del mondo » . L'allusione alla creazione sottolinea che s i tratta di una elezione divina. In un passo parallelo, dove si parla di co loro che « sono iscritti nel libro della vita dell'Agnello » ( 2 1 , 27), la citazione dell'Agnello sottolinea la cristianiz zazione dell'espressione giudaica. I testi giudeo-cristiani, a loro volta, presentano il tema. Leggiamo nelle Omelie Clementine che riprendono l'espressione di Luca: « Rallegratevi che per la bontà di Dio i vostri nomi sono scritti nel cielo per la vita eterna » ( Hom. Clem. , IX, 22 ). Qui la gratuità dell'elezione viene sottolineata dall'espressione eùapecr·da. L'Apocalisse di Pie tro porta l'espressione « libro della vita » nel seguente contesto : « Noi pregammo e discendemmo dal monte glo rificando Dio che aveva scritto i nomi dei giusti in cielo nel Libro della Vita » ( « ROC » [ 1 9 1 0 ] , p. 3 1 7 ) 63• L'e spressione sarà ripresa da tutta la tradizione e susciterà nell'epoca di Agostino discussioni intorno alla predesti nazione 64 • Ma abbiamo detto che « il libro della vita » può avere un significato diverso e designare il libro sul quale ver ranno iscritti i giusti dopo che se ne saranno resi degni. Ciò appare già neB'apocalittica giudaica: « Se essi violano l 'alleanza - dice il Libro dei Giubilei - i Giudei saranno iscritti come nemici sulle tavole celesti, cancellati dal libro della vita e iscritti nel Hbro dei colpevoli » (XXX, 22; cfr. XXXVI, 1 0 ). Ciò compare anche in un passo dell'Apoca-
63 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III : Lettere e Apocalissi, cit. 64 L. Koep, Das himmlische Buch, cit., pp. 83-85.
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lisse di Giovanni, a proposito del Giudizio : « Dei libri
furono aperti ; un altro libro fu aperto ancora, che è quello della vita; e i morti furono giudicati da ciò che stava scritto in questi libri, secondo le opere loro » ( 2 0 , 1 2 ). E piu oltre : « E chi non fu trovato scritto nel libro della vita, venne gettato nello stagno di fuoco » ( 2 0 , 1 5 ). Si vede la diversità dei significati del « libro della vita » nell'Apocalisse di Giovanni: esso può designare « il libro delia rivelazione », « il libro della predestinazione » , e qui « il libro delle opere » e « il libro dei salvati » . M a ciò che c'interessa è la presenza dell'espressione nella maggior parte delle opere giudeo-cristiane di epoca giudeo-cristiana. Cosi, per esempio, in Erma si legge : « Non smettere perciò di riprendere i tuoi figli : so infatti che se essi si convertiranno di tutto cuore, saranno scritti nel libro della vita insieme con tutti i santi » (Vis. I, 3 , 2 ) . Peraltro le espressioni sono variabili: « Tientine lon tano dunque ( dai v.izi) perché tu possa vivere in Dio e il tuo nome si�a scritto tra coloro che evitano questi mali » (Prec. VIII, 6 ) 65 • Altrove si parla di « libri dei viventi » sui quali « il giusto vedrà scritto il proprio nome » ( Sim. II, 9 ). Le Odi di Salomone presentano la stessa idea: « Tutti coloro che vinceranno saranno scritti sul Libro, perché il loro libro è la vittoria che è vostra >> ( IX, 1 2- 1 3 ), il che ricorda l'espressione dell'Apocalisse 3 , 5 : « Di colui che vincerà io non cancellerò il nome dal libro della vita » . Si osservi in questo passo } ',allusione all'antica frase biblica: « cancellare dal libro della vita ». Peraltro è notevole il fatto che in tutti questi passi l'iscrizione sul libro della vita sia considerata come il risultato della fedeltà dell'uo mo. La linea predestinazionistica che caratterizzava la con cezione del « libro della vita » nell'apocalittica giudaica e che persiste in certi passi di Paolo (E f. l , 1 8 ) e di Gio vanni (Apoc. 1 3 , 8 ) sembra qui del tutto accantonata. La si ritroverà nello gnosticismo . 65
Cfr. pure Sini. V, 3, 2.
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Il libro della vita, nel senso che noi stiamo studiando ora, può portare altri nomi : prenderemo in considerazione quello di « libro del memoriale » . Esso compare in Cle mente Romano : « I giusti che sopportarono tutto, fidenti in Dio ebbero gloria e onore ; furono esaltati e furono scritti da Dio nel memoriale ( !J.Vt')!J.ocruvtp ) per tutti i secoli dei secoli » (l Clem. , XLV, 8). Si tratta di un'espressione biblica presente in Malachia: « Jahweh ha udito coloro che lo temono e un libro del ricordo ( !J.Vt')!J.OCTuvou) è stato scritto davanti a lui, contenente coloro che temono Jahweh. Nel giorno che si prepara, dice Jahweh, essi sa ranno per me un bene particolare » ( 3 , 1 6-1 7 ). Si noti che questo passo di Malachia è ci�ato nel Documento di Damasco (XX, 1 9 ) : era dunque in uso negli ambienti es seni. D'altra parte lo ritroviamo nel Testamento giudaico di Levi: « La tua discendenza sarà iscritta per tutti i se coli nel libro del memoriale ( IJ.Vt')!J.OCTuvou ) della vita » 66. Si osserverà che « il libro della vita » e « libro del memo riale » qui vengono accostati. Questi diversi esempi ci hanno dimostrato che la con cezione del « libro del destino » e del « libro della vita » era familiare al giudeo-cristianesimo; tuttavia essi non ave vano niente di originale rispetto alla tradizione delle apo calissi giudaiche. Qui non . ci interessano le rappresenta zioni, ma i dati cristiani che si sono espressi per mezzo di esse : ciò si verifica in particolare a proposito dei temi che stiamo trattando. Nel suo capitolo sul libro celeste H. Bietenhard l'ha giustamente notato; ormai « Gesti stes so è la Rivelazione ; le visioni, le estasi e i sogni sono superflui » 67• Non c'è piti bisogno di ascensione celeste per essere iniziato ai libri del destino : « La rivelazione che porta Gesti scende dal cielo sulla terra » 68• Cosi « sono la sua parola, le sue azioni, le sue sofferenze e la sua persona che costituiscono la rivelazione autorizzata di M• R. H. Charles, Apocrypha and Pseudepigrapha of the Old Testa '"""' Oxford, 1913, I I , p. 252. �>7 Die himmlische Welt, cit., p. 251 oK l bidem, p. 251 . .
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Dio : Dio Padre si rivela nel suo Figlio Gesu Cristo » 69 • Tale è, infatti, il mutamento radicale operato dalla venuta del Cristo. Ma il problema è di sapere se ciò ha avuto dei riflessi sulla concezione del libro celeste, se questo dato è stato utilizzato dal giudeo-cristianesimo per esprimere il carattere proprio della rivelazione cristiana. È curioso il fatto che Bietenhard, dopo aver formulato il principio, non ne abbia dato degli esempi. Vedremo che le espressioni da lui usate sono rigorosamente verifi cate in un gruppo di testi che, a dire il vero, non sono mai stati sinora raffrontati e che costituiscono l'espressione giudeo-cristiana specifica del libro celeste. Bisogna dire che la carenza da noi constatata si spiega se notiamo che tra i testi, di cui parleremo, uno era sinora sconosciuto, un secondo era ritenuto incomprensibile, mentre soltanto il terzo aveva un senso riconosciuto. Il loro accostamento chiarisce un aspetto importante della cristologia giudeo cristiana e forse ci fornisce la chiave di rappresentazioni figurate rimaste sinora oscure. Il primo testo è quello dell'Apocalisse giovannea, in cui si legge : « Poi vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente che gridava : Chi è degno di aprire il libro e di rompere i suoi sigilli? Ma né in cielo, né in terra, nessuno poteva aprire o guardare il libro » ( 5 , 1 - 3 ). Il libro sigillato è qui , evidentemente, colui che contiene il segreto dei destini umani 70: è sigil lato perché la sua conoscenza è interdetta ad ogni sguardo creato. Si trova nella mano destra di Dio, di cui rappre senta i decreti. Ancora una volta il compito di renderlo manifesto è affidato ad un angelo, ma l'angelo attesta che né lui, né alcun'altra creatura ne sono capaci; il che sottolinea la trascendenza assoluta del « mistero » nascosto 69 Ibidem,
p. 250.
Schrenk, ���).tov, in TWNT, I, pp. 615-619 ( trad. it., Grande lessico del Nuovo Testamento, 1 1 , Brescia, 1966, coli. 268-280, N.d.T. ). 70 Cfr. G.
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in Dio e ricorda Ef. 3 , 9-1 1 . I sette sigilli designano forse le sette età del mondo. Allora uno dei vegliardi esclama: « Non piangere: ecco che il leone della tribu di Giuda, il rampollo di Da vid, ha vinto in modo da poter aprire il libro e i suoi sette sigilli » ( Apoc. 5, 5). Vediamo poi comparire « l'Agnello immolato ». « Venne e ricevette il libro dalla mano destra di Colui che era assiso sul trono » ( 5, 6-7 ). Ciò ricorda le scene delle apocalissi in cui il libro è consegnato da un angelo al veggente. Ma qui è Dio stesso a consegnare il libro : si tratta, dunque, di una rivelazione piu alta. Dopo tutto, « quando Egli ebbe ricevuto il libro, i 4 animali e i 24 vegliardi si prosternarono davanti all'Agnello » ( 5, 8 ). Il confronto con le apocalissi giudaiche rivela il carattere inaudito di questa nuova rivelazione, il cui contenuto era nascosto agli angeli stessi : ciò ricorda I Piet. l , 1 2 ; Ebr. l,
1 - 1 4 ; Gal. 3, 20 71 •
Ma un altro aspetto, nuovo rispetto alle apocalissi, consiste nel fatto che l'Agnello non è soltanto colui che rivela i destini ultimi del mondo ma è anche quello che li compie. È l'oggetto stesso della Rivelazione . Apre il libro perché è Lui a costituirne il contenuto. Questa appli cazione alla persona di Cristo della dottrina apocalittica del disegno nascosto di Cristo si trova già in Paolo ( Ef. l , 3-12 ) , ma senza un esplicito riferimento ai libri celesti, sebbene si parli del Padre « il quale ci ha benedetti in Cristo di ogni sorta di benedizioni spirituali nei cieli e ci ha eletti in lui prima della creazione del mondo » ( Ef. l , 3-4 ). La I Lettera di Pietro parla dell'« Agnello irre prensibile e immacolato, predestinato avanti la costitu zione del mondo » ( 1 , 19-20 ) 72• Ma soltanto l'Apocalisse allude al libro celeste. Si noti che nella Lettera agli Efesini l'elezione divina riguarda ad un tempo il Cristo e coloro che egli ha scelto dall'eternità. Questa seconda idea si ritroverà pure 71 Cfr. ]. Daniélou, Les anges et leur mission, cit., pp. 1 1-35. 72 In Le lettere cattoliche, a cura di J. Miche, Brescia, 1968.
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nell'Apocalisse. Essa fa intervenire la nozione del « libro della vita » che sarà identificata con il « libro dell'Agnel lo » . Cosi la nozione del « libro della vita » a sua volta è trasformata: essa viene introdotta nella nuova concezione dell'Agnello come costituente il contenuto del disegno di Dio, il cui oggetto è l'Agnello e coloro che Egli ha scelto in lui. Si legge : « E l'adoreranno [ = la Bestia ] tutti gli abitanti della terra, coloro il cui nome non è stato scritto, ancor prima della creazione del mondo, nel libro della vita dell'Agnello immolato » (Apoc. 1 3 , 8 ). E un altro passo conferma il senso della frase : « Gli abitanti della terra, i cui nomi non sono stati scritti nel libro deUa vita sin dalla fondazione del mondo, stupiranno vedendo la bestia »
( 1 7, 8 ). Nell'Apocalisse il Cristo immolato appare dunque
come colui che rivela e compie il disegno di Dio conte nuto nel « libro » sigillato. Restava un ultimo passo da compiere, quello in cui egli sarebbe stato identificato col libro stesso, dal momento che la sua venuta nel mondo costituisce la rivelazione. Bietenhard ha intravisto che ciò sembra espresso in due testi i quali si basano su delle speculazioni giudeo-cristiane riguardanti il « libro celeste » . I l primo è l' Ode di Salomone XXIII, di cui Rendel Harris diceva che era la piu difficile della raccolta 73 • Ecco le parti che ci interessano : « Il pensiero [ dell'Altissimo ] fu come una lettera, la sua volontà discese dall'Altissimo e fu inviata come una freccia da un arco teso con forza. Molte mani si sono precipitate su questa lettera, per prenderla e leggerla ; ma essa sfuggi alle loro dita ed essi ebbero paura di lei e del sigillo che le stava sopra, perché essi non erano capaci di spezzarlo, perché tale sigillo era piu forte di loro . Allora quelli che l'avevano vista, corsero dietro alla lettera, per sapere dove si trovava e chi l'avrebbe letta e capita » ( Odi Salom. XXIII, 5-9 ). R. Harris h a mostrato una notevole perspicacia acco stando questo testo oscuro all'Apocalisse: « La descrizione
73 The Odes and Psalms of Solomon, cit.,
p. 120.
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è in parte come quella del piccolo libro sigillato nell'Apo calisse che nessuno può aprire ad eccezione dell'Agnello
trionfante » 74 • Ma è un peccato che non abbia sviluppato questa intuizione. Si noti innanzitutto, infatti, a qual punto la descrizione ricorda quella dell'Apocalisse : si tratta di un libro - o di una lettera 75 - che contiene « la volontà » dell'Altissimo e che era nella sua mano. Uomini e angeli cercano di leggerla, ma non ci riescono perché è sigillata. Nessuno osa nemmeno guardarla; tut tavia tutti cercano di afferrarne il contenuto e sono in attesa di sapere in qual modo sarà decifrata. L'analogia, pressappoco, è certa; la differenza essenziale sta nel fatto che nelle Odi il libro è inviato e diventa una lettera. Ma ciò si spiega con precisione: il senso del testo è di mostrarci che la rivelazione è fatta nel mondo e non piu nel corso di una ascensione celeste. Di piu, questa rivelazione è il Verbo stesso, ma che è dapprima scono sciuto: per questa ragione la lettera è sigillata. Batiffol ricorda l'I nno naasseno: « Scenderò portando dei sigilli » 76 , che, come abbiamo visto, è un tema giudeo-cristiano. Quanto all'immagine della lettera, la si ritrova nel Canto della perla, esso pure di origine siriaca ( 40-55). Di piu, in questo testo si legge che il Padre dice al Verbo : « Il tuo nome è citato nel libro di vita » ( 4 7 ). Abbiamo cosi l'equivalenza tra « libro » e « 'lettera » . Oltretutto questa equivalenza viene esplicitamente affermata dagli ultimi versetti che ci danno la chiave di tutta l'Ode : « La lettera era una grande tavoletta scritta interamente dal dito di Dio; essa conteneva il nome del Padre con quello del Figlio e dello Spirito Santo, per regnare nei secoli dei secoli » ( 1 9-20 ) . Abbiamo qui un ultimo elemento prezioso : la tavoletta scritta col dito 74 Ibidem, p. 121. 75 O. Roller mostra che in Apoc.
l , 11, ���),(o\1 designa una lettera (Das Buch mit sieben Siegeln, in « ZNW », XXXVII I [ 1937 ] , p. 99) e E. Lohmeyer ritiene che sia lo stesso in 5,1 con riferimento alla nostra Ode ( Komment. Apok., p. 49). 7 6 Ippolito, Elench., V, 10.
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di Dio si riferisce evidentemente alle tavole date da Mosè sul Sinai. Ora, queste sono identificate con le tavole celesti neHa speculazione giudaica delle apocalissi. La tavoletta quindi è la novella rivelazione del Nuovo Testamento, paragonata a quella del Sinai. Tale rivelazione è quella del Padre 77, il che conferma l'ultimo tratto del suggeri mento di Bietenhard. « La rivelazione autorizzata sono le parole, le azioni, le sofferenze e la persona di Gesu : Dio Padre si rivela nel suo Figlio Gesu Cristo » . Cosi l'enigma dell'Ode XXIII sembra risolversi nella prospettiva di una speculazione giudeo-cristiana sul « libro celeste », identificato col Cristo rivelatore e il cui conte nuto è la Croce. Tuttavia sinora questa concezione rima neva isolata e ciò contribuiva a mantenere una certa esita zione quanto all'interpretazione dell'Ode. Ma queste esita zioni sono oggi dissipate per la scoperta di una analoga speculazione del Vangelo di Verità ritrovato a Nag Ham madi. Abbiamo detto che quest'opera gnostica molto antica (già Ireneo ne fa menzione), forse è da attribuirsi a Valen tino. Come tutti i testi gnostici essa si basa su dei dati della gnosi giudeo-cristiana, tra i quali il « Libro della vita » occupa, con il Nome, un posto eminente. Le aliusioni cominciano alla linea 3 5 di p. 1 9 , in cui si parla della rivelazione della gnosi ai discepoli: « Si è rivelato nel loro cuore il Libro della vita dei vivi 78, che è scritto nel pensiero e nella mente del Padre e che, ancor prima della fondazione del Tutto, era nella parte di Lui che è incomprensibile, e che nessuno aveva possibilità di prendere, poiché era decretato che chi lo avrebbe preso sarebbe stato immolato. Nessuno poteva essere manife stato, di coloro che credevano nella Salvezza, finché quel Libro non avesse fatto la sua apparizione. Per questo motivo il fedele e misericordioso Gesu ebbe compassione 77 Concordo con la tesi di P. Batiffol (Les Odes de Salomon, cit., p. 85) secondo cui la menzione del Figlio e dello Spirito è una dosso logia posteriore. 78 Si noti che l'espressione « libro dei vivi » si trova in Erma (Sim. v, 2, 9 ).
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e accettò le sofferenze, perché sapeva che la sua morte era vita per molti » ( 19 , 35 - 20, 1 4 ) 79 • È impossibile leggere questo passo senza rimanere col piti dal suo parallelismo con l'Apocalisse e l'Ode, e nello stesso tempo, per i suoi tratti specificamente gnostici. Il « libro della vita » è il decreto nascosto in Dio che con tiene il nome dei vivi. Come nell'Apocalisse questi nomi sono stati scritti nel libro ancor prima della creazione del mondo. Il libro è presente nel mondo, come la lettera dell ' Ode, ma nessuno lo può afferrare . Nella prospettiva gnostica ciò significa la rigorosa predestinazione dei viventi : gli spirituali, e , nello stesso tempo, il fatto che essi sono sconosciuti, finché non sono stati manifestati dalla comunicazione della gnosi che è la manifestazione del libro. Cristo se ne impadronisce, ma non può farlo prima di essere stato sacrificato e di aver preso su di sé il carico delle sofferenze. Ciò evidentemente è un'allusione all'agnello invisibile dell'Apocalisse che apre il libro sigillato. W. C. van Unnik, che già aveva posto in evidenza queste somiglianze 80, sottolinea altri accostamenti, parti colarmente con la Lettera agli Ebrei 81• Ma il piu sorpren dente è evidentemente quello con l'Apocalisse, con riferi mento ad Apoc. 1 3 , 8 dove si parla del libro della vita dell'Agnello, nel quale i nomi dei vivi sono scritti ancor prima della creazione del mondo. Ciò è di capitale impor tanza - lo ha mostrato van Unnik - per attestarci l'uso dell'Apocalisse sin dalla metà del secondo secolo. In effetti qui Valentino dipende sicuramente dall'Apocalisse, e tale dipendenza è molto piu letterale che nell'Ode. Qui abbiamo il testo stesso dell'Apocalisse e non una generica
79 Seguo pressappoco la traduzione di H . Ch. Puech ( tvad. it. in I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit. Il brano è ivi collocato al pgf. 7, N.d.T.). 80 Het kortgeleden ontdekte Evangelie der Waarheid, in « NR », XVI I ( 1 954), pp. 71-101, riedito in The ]ung Codex, cit., pp. 79-130. 8 1 Ebr. 2, 17 parla di Gesu « misericordioso e fedele », il che è giudeo-cristiano con il riferimento a emet e a hesed.
L'ambiente intellettuale
210
speculazione del giudeo-cristianesimo. Comunque il tema è specificamente giudeo-cristiano.
Il seguito del testo non è meno significativo : « Allo stesso modo che, fin quando un testamento non è ancora stato aperto, i beni del padrone defunto rimangono nascosti, cosi rimaneva nascosto il Tutto, finché era invi sibile il Padre del Tutto, essendo un essere unico, esi stente per se stesso, dal quale vengono tutti gli Spazi. Perciò è apparso Gesu e ha preso quel Libro. Egli è stato inchiodato ad un Legno : ha affisso alla croce l'editto del Padre. Oh, quale grande insegnamento! » (Van. Ver. 20, 1 5-25). Ma soprattutto abbiamo un'esegesi capitale di Col. 2, 1 4 : il XE�p6ypcx.q>ov è la prescrizione del Padre, vale a dire il libro stesso. Quest'ordinanza è promulgata sulla croce: è allora che Cristo acquista il diritto di renderla manifesta. Il suo contenuto è la rivelazione del Padre, sino a quel momento segreta. Qui ritroviamo il tema dell'Apocalisse, con il diritto acquisito dall'Agnello sulla croce di dispiegare il libro. Ma soprattutto ritroviamo i temi dell'Ode: in quest'ultima, infatti, il rotolo, lettera o libro, viene ugualmente simbo lizzato sulla croce da una ruota ( XXIII, 1 0 ). Là esso viene aperto, e il suo contenuto è la rivelazione del Padre. Vi sono dunque degli elementi comuni all'Ode e al Van gelo e che sono estranei all'Apocalisse : il legame tra la lettera e la croce, la rivelazione del Padre, il che ci auto rizza perciò a riconoscere una speculazione giudeo-cristiana in senso specifico. D'altra parte l'accostamento suggerito da Batiffol tra Col. 2, 1 4 e l'Ode, e che non era giustifi cato se il XELp6ypcx.q>ov era un decreto di condanna, qui diventa certo e attesta un'imprevista esegesi giudeo-cri stiana di Col. 2, 1 4 . Restano da citare nel Vangelo di Verità alcune allu sioni al « Libro dei viventi » . Anzitutto l'iscrizione nel libro della vita: « Quelli che ricevono l'insegnamento sono i vivi, iscritti nel libro dei vivi. Essi ricevono l'insegna mento per se stessi » ( 2 1 , 3 ) 82• Questa è un'allusione ad 82
Nella trad. it. ci t., al pgf. 9 (N.d.T. ).
L'apocalittica giudeo-cristiana
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Apoc. 1 3, 8 . Piu oltre leggiamo: « Essa è la conoscenza del libro vivo, che egli alla fine ha rivelato agli Eoni » ( 22 , 35) 83• Cosi viene sottolineato il carattere di rivela zione del libro e, nello stesso tempo, appare la trasposi zione gnostica del tema. Essa si rivela in ciò che segue dove si parla di vocali e consonanti del libro, inesprimibili per coloro che non le conoscono ( 2 3 , 1-5 ). Ciò ricorda Erma Vis. II, l e 2 ma lascia pure il posto alla speculazione sulle lettere, quale si trova in Marco il Mago. Ci appare cosi l'importanza della concezione dei libri celesti. Come l'apocalittica era uno svelamento del cosmo sacro, essa è una rivelazione della storia sacra. Questa è un disegno celato in Dio, un �VC"'tTJpto\1 rivelato al visio nario e la cui conoscenza costituisce la gnosi. Tutte queste rappresentazioni provengono dall'apocalittica giudaica, ma il cristianesimo conferisce loro un contenuto nuovo. Già elaborate in Paolo e Giovanni esse costituiscono, assieme alla cosmologia sacra, le categorie fondamentali della teoria giudeo-cristiana. Abbiamo visto che esse lasciano un'im pronta suHa sua esegesi ; le ritroveremo nella teologia. Questo insieme di rappresentazioni ne costituisce la strut tura generale. -
Ml
-
Ibidem, al pgf. 13 (N.d.T. ).
Parte terza
Le dottrine
Capitolo quinto
Trinità
e
angelologia
Un primo aspetto della teologia arcaica e propriamente giudeo-cristiana è l'utilizzazione di categorie tratte dal voca bolario dell'angelologia per designare il Verbo e lo Spirito. La storia di questa forma della teologia trinitaria è stata scritta da J. Barbel e da G. Kretschmar 1 • « Angelo » è uno dei nomi dati al Cristo sino al quarto secolo; l'uso tende quindi a sparire per l'ambiguità dell'espressione e per l'uti lizzazione che ne avevano fatto gli Ariani. Ma a partire dal secondo secolo l'impiego del termine viene limitato, men tre, al contrario, costituisce la forma ordinaria della teologia trinitaria giudeo-cristiana. A questa consuetudine si possono attribuire parecchie fonti, tra le quali la principale - e la sola che si manterrà perché la meglio fondata - è l'espressione malak ]ahweh, « angelo di Jahweh », con la quale l'Antico Testamento designa frequentemente le manifestazioni di Dio. I cristiani adottarono queste teofanie al Verbo. L'espressione non implicava affatto che non si trattasse di Dio stesso, anzi, per certi passi, come quello del roveto ardente, era evidente il contrario: l'applicazione al Verbo del termine angelo era perfettamente corretta. Ma questa concezione, cara agli Apologisti, non ha nulla di specificamente giudeo-cristiano. Una seconda fonte è data dallo sviluppo dell'angelo logia propriamente detta nel tardo giudaesimo. Come abbiamo visto, gli angeli costituiscono un mondo di inter mediari tra Dio e gli uomini . Molte funzioni attribuite a 1 J. Barbe!, Christos Angelos, Bonn, 1941 ; G. Kretschmar, Studien znr fnihchristlichen Trinitiitstheologie, cit.
216
Le dottrine
Dio dal giudaesimo vengono ora concesse anche a loro. Tra di essi emergono figure eminenti, come Gabriele che compare in Tobia, Michele citato in Daniele, Uriel che guida Henoch nella sua ascensione. L'insieme forma il gruppo dei sette Arcangeli tra i quali Michele è il prin cipale e il capo delle milizie celesti. Peraltro gli Esseni avevano, stando a Giuseppe Flavio, delle speculazioni sugli angeli, la piu importante delle quali è, per noi, la dottrina dell'angelo della luce, preposto da Dio a condurre tutta la storia e al quale si oppone il Principe delle tenebre. Ci occuperemo principalmente dell'uso di tali specula zioni da parte della teologia trinitaria giudeo-cristiana. Possiamo notare che già nel giudaesimo possono esservi stati dei contatti tra l'angelologia e la dottrina del Verbo. Sono attestati per Filone che assegna agli angeli il Logos come capo, il quale è « il piu anziano degli angeli, cosi da essere chiamato arcangelo » ( Conf., 1 4 6 ). D 'altra parte il Logos è il malak ]ahweh che si manifesta nelle teofanie: cosi in Filone si sviluppa l'idea di una certa parentela tra il Logos, che è il TCpw-.oc; iiyyEÀ.oc;, e gli angeli, che sono i À.6yoL. Ma speculazioni analoghe possono essere esistite anche nel giudaesimo palestinese 2 • Come interpretare questa teologia angelica? Il punto ha suscitato una viva discussione. M. Werner ha preteso che per i teologi giudeo-cristiani il Cristo fosse un angelo nel senso proprio del termine, cioè una creatura celeste, mandata da Dio nel mondo 3• Questa tesi è stata forte mente avversata da W. Michaelis, che ha dimostrato in modo decisivo che l'applicazione dell'appellativo angelo a Cristo non implicava affatto che egli fosse considerato come una creatura 4• Non solo, ma ha scartato le conside2 G. Dix, (The Seven Archangds and the Seven Spirits, in « JTS », XXVII I [ 1926] , pp. 233-28' ) ha dimostrato come « l'angelo della pre senza >> sia stato identificato con uno dci sette Arcangeli, ora Uriel, ora Michele, senza tuttavia che si perdesse l'idea della sua superiorità sugli altri. 3 Die Entstehung des christlichen Dogmas, Leipzig, 1941, pp. 302-389. 4 Zur Engelchristologie im Urchristentum, Baie, 1942; dr. pure
Trinità e angelologia
217
razioni di Werner sul Figlio dell'uomo che confondevano la questione mescolando due problemi distinti. Sembra dunque un fatto acquisito che l'impiego del vocabolario dell'angelologia non implica affatto che Cristo sia per natura un angelo. Werner ha avuto il torto di considerare le categorie semitiche, che costituiscono il retroterra dell'espressione, come dei concetti ellenistici. In realtà la parola angelo ha un valore essenzialmente con creto e designa un essere soprannaturale che si manifesta. Tuttavia la natura di questo essere soprannaturale non è determinata dall'espressione, bensf dal contesto. Il ter mine rappresenta la forma semitica della designazione del Verbo e dello Spirito come sostanze spirituali, come « per sone ». Ma questi ultimi termini non verranno introdotti nella teologia che molto piu tardi; angelo è il loro equiva lente arcaico. Resta evidente - lo vedremo - che in realtà l'uso di espressioni tratte dalle speculazioni apocalittiche era, in questo ambito, carico d'ambiguità. Talvolta è impossi bile distinguere se si tratti di persone divine oppure di angeli. D'altra parte è incontestabile che una tendenza subordinazionista è implicata in molti casi da questo vocabolario. Infine, presso certi eterodossi, il Verbo e lo Spirito sono chiaramente assimilati a degli angeli, nel senso proprio del termine. Tutte queste ragioni avrebbero poi determinato il declino assai rapido di questa prima forma della teologia trinitaria. L'angelo glorioso
La designazione del Verbo come « angelo glorioso » ( ltvoo;oç), oppure come « angelo molto venerabile » ( C'q-�.v6-ccx.-coç) costituisce un aspetto caratteristico della teologia d i Erma, il quale compie una netta distinzione tra l'angelo G. Krctschmar, Studien zur fruhchristlichen Trinitatstheologie, dt., pp.
220-223.
Le dottrine
218
che lo visita, lo assiste ed è da lui designato con i nomi diversi di « pastore », « angelo della penitenza », e l'essere superiore, che chiama pure col nome di angelo, ma che è del tutto diverso dal precedente, poiché è quello che invia questa e i cui attributi sono del tutto diversi. Poiché questo punto è stato oggetto di numerose discussioni, daremo i testi piu importanti. Nella Quinta Visione il Pastore appare ad Erma e gli dice: « Sono stato mandato dall'angelo santissimo » ( C"EIJ.VO '!(x:ro<;) (Vis. V, 2 ) 5 . Questo è dunque colui che manda ( &.1tocr-rÉ)...)... Ew ) gli angeli. Nel Quinto Precetto incontriamo un altro aspetto. È ancora il Pastore che parla. Si tratta di coloro che fanno penitenza: « Io sono con loro per salvarli tutti, infatti furono giustificati dall'angelo venera bilissimo » (Prec. V , l , 7 ). Qui il testo è ancora piu deci sivo, perché la giustificazione è un'opera propriamente divina. La sua attribuzione all'angelo assai venerabile è una palese dichiarazione della divinità di quest'ultimo. Dice il Pastore nella Quinta Similitudine : « Tu dunque, che sei stato rinvigorito dall'angelo santo ( &yLo<;) e che da lui hai ricevuto un cosi grande spirito di preghiera e non sei pigro, perché non domandi al Signore ( xupLo<;) l'intel letto? » (Sim. V, 44). L'Angelo santo e il Kyrios sono posti sullo stesso piano, mentre il Pastore appartiene ad un'altra sfera, come dimostra il seguito del passo. Si noti che l'espressione « angelo santo » equivale a quella di angelo venerabile. Nella Settima Similitudine lo stesso essere è chiamato « angelo glorioso » ( ltvoo;o<;). A Erma che si lamenta di essere stato lasciato in balia dell'angelo punitore, il Pastore risponde: « È necessario che tu sia tribolato, perché cosi ha ordinato l'angelo glo rioso » ( Sim. VII , l ). La stessa espressione ritorna nel medesimo contesto in Sim. VI I , 2 e 3 . Ma in VII, 4 lo stesso è chiamato « angelo del Signore » : « Tu devi sof frire come ha disposto quell 'angelo del Signore che ti ha affidato a me ». Tale espressione ricomparirà a piu riprese s
In l Padri Apostolici,
a cura
di ( ; . Corr i , cit.
Trinità e angelologia
219
in questo capitolo, sotto forme peraltro diverse. L'espres sione di angelo glorioso ritornerà ancora in Sim. IX, l , 3. Leggiamo infìne nell 'Ottava Similitudine: « Mi mostrò un grande salice che copriva piani e monti ( . . . ) . Vicino al salice stava in piedi un angelo glorioso ( ìt'\looçoç) del Signore, molto alto di statura; egli con una grande falce tagliava i rami del salice e li distribuiva al popolo raccolto all'ombra » ( Sim. VIII, 1-2 ). L'angelo si fa poi restituire i rami e li esamina. « In seguito l'angelo del Signore comandò di andare a cercare delle corone; ne furono portate alcune che sembravano fatte con foglie di palma. Egli incoronò gli uomini che avevano restituito le verghe con germogli e frutti, e li mandò nella Torre. Poi mandò nella Torre anche quegli altri che avevano consegnato le verghe verdi e con germogli, ma senza frutti, inoltre dette loro un segno ( O"q>pt:Lyi.ç) distintivo. Coloro che entravano nella Torre avevano tutti lo stesso abito, candido come la neve » (Sim. VIII, 2, 1-3 ). Il testo presenta un considerevole interesse per la liturgia giudeo-cristiana: esso riguarda indubbiamente la disdplina della penitenza che, come sembra, veniva eserci tata in occasione di una assemblea della comunità. Ciò ricorda la cerimonia annuale di riabilitazione dei membri cosi come la incontriamo a Qumran, secondo il Manuale di disciplina ( X, 1 6 - XI, 1 9 ). D'altra parte l'insieme delle immagini presenta un contesto sacramentale che è identico a quello del battesimo giudeo-cristiano, quale si trova nelle Odi di Salomone, con la corona, l'abito bianco e il sigillo 6 • Infìne sembra proprio che vi sia un contesto biblico - che è quello de1la Festa dei Tabernacoli - con l'allusione ai rami di salice e di palma. Stando alla tradi zione rabbinica, questi rami, che dovevano essere presen tati ed esaminati il primo giorno della Festa, sono in realtà, come in Erma, il simbolo delle buone opere. Ciò si ritrova presso Metodio d'Olimpia ( Symp. IX, 3 ; GCS, 1 1 6, 23-27 ). 6
Cfr. G. W. Lampe, The Seal of the Spirit, London, 195 1 , p. 1 12.
Le dottrine
220
Ma dal punto di vista che qm c1 occupa, due sono i punti interessanti. Il primo è la funzione attribuita « al l'angelo glorioso del Signore » : egli distribuisce i rami, discerne i giusti e i peccatori; incorona i giusti; confe risce il sigillo; introduce nella Totre che è la Chiesa dei santi. Si tratta di funzioni divine, quali il giudizio delle anime, la ricompensa dei giusti, l'attribuzione della grazia e l'aggregazione al1a Chiesa dei santi. Secondo la tradi zione giudeo-cristiana esse dipendono dalla missione pro pria del Figlio di Dio, cui è stato rimesso il giudizio. Questo è nel prolungamento dell'apocalittica e in parti colare dell'Apocalisse in cui si ritrova peraltro la corona ( 2 , 1 0 ), il sigillo ( 7 , 3 ), la veste bianca ( 7 , 9 ) e le palme ( 7, 9 ). Tutto ciò è applicato da Erma a quell'anticipa zione del Giudizio che per lui è la penitenza. Il secondo aspetto è la statura colossale dell'« angelo glorioso » . Si tratta ancora di un aspetto specifico del giudeo-cristianesimo che costituisce una componente della sua rappresentazione degli angeli. Ma precisamente serve a stabilire la trascendenza dell'« angelo glorioso » mo strando che esso supera infinitamente gli angeli. Il tratto compare nel Vangelo di Pietro: « La testa dei due [ = gli angeli che sostengono il Cristo nella sua ascensione] giun geva fìno al cielo, mentre quella di colui che era condotto per mano da loro oltrepassava i cieli » ( 40) 7• Esso si ritrova anche in altri apocrifi (Atti di Pietro, Giacomo e An drea, PG CIII, 389) e negli Atti di Perpetua e Felicita ( 4, l O ). Gli Elcesaiti ne fecero l'oggetto di speculazioni stravaganti 8• Ma soprattutto esso ricompare altrove con Erma: « Vidi un uomo di una statura talmente colossale,. che dominava la torre » (Sim. IX, 6, 1 ). Questa rappre sentazione è passata nell'archeologia primitiva nella quale il Cristo è spesso raffigurato piu alto dei personaggi che lo circondano 9• 7 In I Vangeli Apocrifi,
a cura
8 Ippolito, Elench., IX, 13, 2.
di
M. Craveri, cit.
9 Cfr. A. Grillmeier, Der Logos am Kreuz, Miinchen, 1956, PP56-62.
Trinità e angelologia
22 1
Il Verbo e Michele
Sembra cosi certo che l'« angelo glorioso » di Erma indica il Verbo stesso: su questo punto la maggioranza degli studiosi è d'accordo. Ma un certo numero di testi giudeo-cristiani ci pone in presenza di rappresen tazioni piu strane: la prima è quella che mostra il Verbo nel contesto dei sette Arcangeli. Il tema è stato studiato a lungo da J. Barbel 10, che ci introduce ad un nuovo pro blema. Qui non si tratta piu soltanto di una semplice analogia di parole, in cui liyyEÀ.oc; era utilizzato per desi gnare il Verbo : questo è espressamente designato nella sua relazione agli angeli. Siamo in presenza di una trasfor mazione del tema dei sette Arcangeli, cosi come appariva nel tardo giudaesimo {Tobia). Ma esso interferisce con quello dei sei angeli che circondano il Verbo di Dio 1 1 • Ancora una volta partiremo da Erma, che scrive nella Nona Similitudine: « Hai visto i sei uomini e, tra loro, quell'uomo alto e distinto ( E'\IOO�oc;) che camminando intorno alla Torre, ha esaminato le pietre della costru zione? Ebbene: egli è il Figlio di Dio e quei sei angeli stanno alla sua destra e alla sua sinistra. Nessuno di quegli angeli gloriosi può avvicinarsi a Dio senza di lui, perché chi non prende il suo nome non può entrare nel Regno di Dio » ( Sim. IX, 12, 7 ; cfr. pure IX, 6, 1 ). Qui l'iden tificazione dell'essere glorioso e colossale, che abbiamo già visto citato, con il Figlio di Dio è esplicita, cosi come perfettamente delineata è la sua trascendenza rispetto agli angeli. Egli è l'unico mediatore. Il testo appare pure come una polemica contro il culto degli angeli; sarebbe quindi escluso che il Verbo venga in esso considerato come un angelo. Abbiamo la prova che si tratta di una concezione to
Christos Angelos, cit., pp. 192-223.
1 1 Cfr. Ezech. 9, 2. Colui che siede sui sei Arcangeli
è interpretato come il Verbo da lppolito, Comm. in Dan., IV, 57; Giustino, Dial., CXXVI, l; CXXVIII, l. Cfr. E. Peterson, Fruhkirche, ]udentum und Gnosis, cit., pp. 346-356.
Le dottrine
222
abituale in Erma, per il fatto che presso di lui, contro la consuetudine generale, non vi sono mai che sei Arcangeli. Cosi nella Terza Visione la donna anziana, che è la Chiesa, è accompagnata da sei giovani uomini (Vis. III, l , 6 ) : sono i « santi angeli protoctisti » cui è affidata l'economia della creazione e ai quali gli altri sono subordinati ( III, 4, 1-2 ). Ciò si ritrova piu oltre ( III, 10, 1 ). Ora, in Cle mente Alessandrino gli angeli protoctisti sono in numero di sette e il Logos, che talvolta è chiamato pure protocti sta, non è connumerato con loro. La rappresentazione di Erma sembra quindi dipendere meno dal tema dei sette Arcangeli che da quello dei sei Arcangeli del Trono 12 • Si ritrovano tracce di queste concezioni in seguito sotto diverse forme; J. Leclercq ha segnalato un'ametista su cui è incisa l'iscrizione : « Raffaele, Renel, Uriel, Ictys, Michele, Gabriele, Azael » 13 • Ora, l'ametista rappresenta il Cristo col � : è chiaro che è lui ad essere designato con « Ictys » e attorniato da ogni parte da tre Arcangeli, quelli della destra e quelli della sinistra, come in Erma. Ma il documento piu antico è il trattato pseudo-ciprianeo De centesima sexagesima tricesima, edito da Reitzenstein 1\ in cui ritroviamo la medesima rappresentazione in un contesto eterodosso e in relazione col tema dei sei giorni e del settimo. Il testo che c'interessa è il seguente: « Quando il Signore ha creato gli angeli di fuoco, nel numero di sette, stabili di fare di uno di essi il proprio Figlio. È lui che Isaia dice essere il Signore Sabaoth. Vediamo quindi che rimanevano sei angeli creati col Figlio » ( 2 1 6 ; p. 82). L'autore ricorda allora il racconto della creazione e come Dio al sesto giorno si sia fermato e abbia benedetto il settimo ; poi continua: « Questo settimo giorno, l'asceta lo imita senza saperlo, quando pone termine alle opere di malizia ». 12 Cfr. C. A. M. Oeyen, Bine fruhchristliche Bngelpneumatologie
bei Klemens von Alexandrien, Bonn, 1 966. 1 3 Anges, in DACL, I, 2088. xv
14 Bine fruhchristliche Schrift von der dreierlei Fruchten, in
( 1914),
pp. 74-88.
« ZNW »,
Trinità e angelologia
223
Pur essendo chiaramente di ispirazione giudeo-cri stiana, in questo testo interferiscono parecchi temi. Anzi tutto quello di Erma, ma con un carattere subordinazio nista che presso questi non compare. Vi è poi la tradi zione giudaica che fa di Sabaoth un nome d'angelo, atte stato in particolare dai papiri magici 15• L'autore anonimo identifica quest'angelo con il Verbo. Infine vi è il tema interessante della creazione dei sei giorni come quella dei sei arcangeli, e quella del settimo giorno come quella del Figlio di Dio. Forse si basa sui testi in cui Cristo si auto definisce il sabato, il riposo dell'anima 16 • D'altra parte ci si ricorderà che Giorno è uno dei nomi di Cristo per Giustino 17• Questa esegesi del racconto della creazione sarà poi continuata nell'iconografia bizantina. Alla designazione di Cristo come settimo angelo se ne può accostare un'altra che compare in Erma, dove Cristo è identificato con l'arcangelo Michele. Abbiamo commentato la parabola del salice, in cui si diceva che « un angelo glorioso ( t:voo�oc;) del Signore di statura colos sale, stava alla sua ombra » ( Sim. VIII, 1 2 ) e abbiamo dimostrato che esso era con ogni evidenza il Verbo. Ecco come Erma spiega la parabola: « L'angelo grande e glo rioso ( E'\IOo�oc;) è Michele, Colui che ha potestà di governi:} su questo popolo. Egli infatti dà la Legge nel cuore dei credenti e poi ne esamina l'osservanza » (Sim. VIII, 3 , 3). Il confronto tra i due testi conferma che è proprio il Verbo ad essere chiamato Michele, come hanno ricono sciuto Hamack, Seeberg, e la maggior parte dei critici 18 • La cosa non sorprende: in effetti per la tradizione 1 5 ]. Barbel, Christos Angelos, cit., p. 193. Origene (Comm. in ]oh. , I, 3 1 ) narra che un giudeo gli ha detto essere Sabaoth un nome di
Dio. Cfr. per gli Gnostici Ipostasi degli Arconti, 143, 19-144, 3 . 16 Cfr. ]. Daniélou, Bible e t liturgie, Paris, 1950, pp. 304-314. 1 7 Dia!., C, 4. Marcello d'Ancira cita un loghion in cui Cristo dice di se stesso: « Io sono il Giorno » (Eusebio, Adv. Marcel. , I , 2). Cfr. W. Bauer, Das Leben ]esu im Zeitalter der neutestamentlichen Apocry phen, cit., p. 384. Gemente Alessandtino scrive che « H Cristo è chia mato frequentemente Giorno » (Eclog., LIII, 1). 18 J. Barbel, Christos Angelos, cit., pp. 230-231 ; dr. pure A. Bakker, Christ an Angel?, in « ZNW », XXXI I ( 1 933), p. 257. 19.
. Le dottrine
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giudaica Michele è il capo degli Arcangeli e il principe di tutte le milizie celesti. Dal momento che si riteneva che gli Arcangeli non fossero sei e che il loro capo fosse il Verbo, era normale che il nome di Michele - titolo di questo capo - fosse attribuito al Verbo. A ciò si può accostare il fatto che il titolo àpxta'tpà·t"I')YOc;, che è quello di Michele in molti testi 19, è applicato al Verbo dai cri stiani. E mentre il nome di Michele, che in realtà si pre stava a confusioni, non gli è attribuito che dalla teologia arcaica, quello di archistratega persisterà nella tradizione, particolarmente presso Metodio ed Eusebio 20 • È interessante notare i due attributi applicati nel nostro testo a Michele. Egli è colui che governa il popolo : tale è infatti la funzione di Michele di fronte al popolo di Israele (Dan. 1 0 , 1 3 ). Ma con la Nuova Alleanza il Verbo di Dio si sostituisce agli angeli la cui missione non era che una preparazione 21 • Ed è lui che diventa il capo del popolo di Dio: ciò appare ancor di piu se ci si rife risce al secondo aspetto dato da Erma. Nell'Antico Te stamento la Legge era stata data dagli angeli 22; piu parti colarmente il Libro dei Giubilei attribuisce a Michele la sua promulgazione ( 1 , 27). Ma ad essa Paolo oppone la Legge nuova che è comunicata dal Verbo stesso (Gal. 3 , 20 ; Ebr. 2, 3 ) . Ora nel testo di Erma è Michele che svolge questa funzione; occorre perciò considerarlo un nome del Verbo. L'assimilazione di Michele al Verbo non è d'altronde propria di Erma, ma la ritroviamo in altri testi giudeo cristiani in cui si coglie ancor meglio la cristianizzazione maldestra del tema giudaico. Compare nel II Henoch: « Il Signore mi chiamò con la sua bocca: Coraggio He noch, non aver paura e tienti sempre davanti al mio volto. E Michele, il grande ( 1-LÉYClc;) arcangelo (o archi19 J. Barbel, Christos Angelos, cit . , p. 227.
20
Ibidem, p. 236.
21 Cfr. J. Daniélou, Les anges et leur mission, cit., p. 19. 22 Gal. 3, 19; Atti 7, 53; Ebr. 2, 2-3; Giuseppe Flavio, Ant. Jud.,
xv, 5, 3.
Trinità e angelologia
225
stratega, secondo certi manoscritti) del Signore, mi prese e mi portò davanti alla faccia del Signore. I Gloriosi sì inchinarono e dissero: Che salga. E il Signore disse a Mi chele: Prendi Henoch, spogliato dagli abiti terrestri, un gilo còn buon olio, e rives tilo con gli abiti di gloria » ( XII, 1 1 - 1 6 ). Due aspetti ci permettono di cogliere qui un'allusione al Verbo. Il primo è il raffronto con l'Ascensione d'Isaia, in cui troviamo una scena analoga. Ma è « il Signore », cioè il Figlio di Dio che svolge il ruolo che è di Michele nel II Henoch, cioè quello di confortare il visionario e di condurlo davanti al volto di Dio ( IX, 39; cfr. pure IX, 4-5 ). Peraltro la descrizione di Michele ricorda singolar mente quella del Figlio di Dio in Erma, il quale è pari menti chiamato « angelo del Signore » , « angelo colos sale », « Michele »; le sue funzioni consistono pure nel l'introdurre nel luogo santo, che è la Chiesa o il Para diso, nel consegnare le vesti di gloria e nel compiere l'un zione o la sphragis. La differenza principale sta nel fatto che, nel II Henoch, la cristianizzazione del tema giudaico è ad uno stadio meno avanzato. Analogo esempio si trova nel Testamento di Dan. , in cui l'autore cristiano scrive: « Avvicinatevi a Dio e all'an gelo che intercede per voi, perché egli è il mediatore tra Dio e gli uomini » (VI, 2). Ora, come osserva de Jonge, il tema dell'angelo che intercede per Israele lo incontria mo altrove nei Testamenti (Test. Levi, V, 6 ) 23 • Questo angelo evidentemente è Michele, ma qui l'angelo non in tercede piu soltanto per Israele : egli è « il mediatore tra Dio e gli uomini ». Questa è un'espressione cristiana che si ritrova nella I Tim. 2, 5. Di piu, l'angelo non difende Israele contro i suoi nemici, ma combatte « contro il Re gno del Nemico » (VI, 2). Sembra proprio che anche qui si abbia un passaggio dal tema giudaico di Michele al tema cristiano del Verbo. Tuttavia l'idea è già presente in un testo di Qumran (DSW, XVII, 5-7 ). 23
R. de Jonge, The Testaments of the
XII Patriarchs, cit.,
p. 93.
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Ritroviamo una concezione analoga nel giudeo-cristia nesimo eterodosso degli Ebioniti. Di loro aveva già detto Tertulliano : « Essi fanno di lui un semplice uomo, tut tavia piu glorioso dei profeti, tant'è vero che affermano che in lui c'era un angelo � (De carne Christi, XIV, 5 ). Ma Epifanio va piu in là: « Essi negano che il Verbo sia stato generato dal Padre, ma sostengono che fu creato come uno degli Arcangeli e che regna sugli angeli e su tutto ciò che è stato fatto dall'Onnipotente » ( Pan. XXX, 1 6 ) 24 • Qui ritroviamo la dottrina del trattato da cui siamo partiti. Abbiamo la forma eretica del pensiero, quella che riduce il Cristo ad essere il primo tra gli Arcangeli, che lo identifica, cioè, con Michele. Ma del tutto diversa era la concezione di Erma, che lo definiva con termini tratti dalle speculazioni giudaiche su Michele. Si noti che la concezione ebionita si riferisce ad un tema che non è quello dei sette Arcangeli, bens1 quello dei settanta angeli dei popoli 25• Lo provano gli scritti cle mentini ; si legge infatti nelle Recognitiones: « C'è un an gelo per ogni nazione, al quale Dio ha affidato la cura di questa nazione. Infatti Dio ha suddiviso in 72 parti le nazioni e tutta la terra, ed ha loro assegnato gli angeli per principi. Ma ad uno di loro, che era il primo tra gli Arcangeli [ = Michele ] , è stata affidata la cura di coloro che, prima di tutti gli altri, hanno ricevuto il culto e la scienza di Dio. I prlncipi di ogni nazione sono chiamati dèi, ma il dio dei prlncipi è Cristo, che è giudice di ogni cosa » ( II, 42). Peraltro l'autore spiega che in tutti que 2 sti casi, la parola « dio » non è presa in senso proprio 6 • Nelle Omelie, l'assimilazione di Michele, l'angelo pro tettore di Israele, al Figlio di Dio è ancora piu formale : 4
2 Cfr. H. J. Schoeps, Thcologie und Geschichte des ]udenchristen tums, cit., pp. 80-82. 25 Cfr. J. Daniélou, Les sourcrs juives de la doctrine des anges des nations chez Origéne, cit., pp. 132-137. 26 Si confronti con DSW, XVI I , 7-8 in cui è detto che « Dio esal terà tra gli dei l 'impero di Michele c la dominazione di Israele su ogni carne ». ·
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« Tenendo conto del numero dei figli di Israele, che erano 70 quando entrarono in Egitto, il Padre suddivise con 70 lingue le frontiere delle nazioni. A suo Figlio, chiamato Signore, affidò, quale sua parte, gli Ebrei e dichiarò che egli sarebbe stato il dio degli dèi, voglio dire gli dèi cui erano state affidate le altre nazioni. Questi dèi portarono tutti delle leggi per la loro parte, cioè per le altre nazioni. Ma il Figlio diede la Legge, che è in vigore per Israele » ( XVIII, 4 ) . Il raffronto di questo testo col precedente di mostra che per l'autore il Figlio di Dio è Michele, il pri mo tra gli angeli, come notava Epifania. Questo è lo sviluppo della tradizione giudaica 27 se condo cui, al momento della separazione delle lingue, Mi chele fu preposto al popolo di Israele e gli altri angeli ai popoli rimanenti. Lo sviluppo di questa tradizione da parte degli Ebioniti e della Grande Chiesa mostra pro prio la diversità delle prospettive. Per i primi il Cristo non è che una nuova manifestazione dell'angelo di Israele; per la Grande Chiesa, al contrario, H Cristo è il Verbo di Dio, che spossessa tutti gli angeli dalle loro funzioni ed unisce tutte le nazioni sotto un'unica sovranità 28 • Mentre per le Omelie l 'angelo che ha dato la legge a Israele, che è Michele, ricompare nel Cristo, il Nuovo Testamento opporrà il Vangelo del Verbo alla Legge data dagli angeli ( Gal. 3, 1 9 ; Atti 7, 5 3 ; Ebr. 2, 2-3 ). Lo Spirito Santo e Gabriele
L'assimilazione di Michele al Verbo ha per contro partita e conferma quella di Gabriele allo Spirito Santo. L'Ascensione d'Isaia è qui il testo essenziale: vi si vede frequentemente citato l'« angelo dello Spirito Santo » che è identico a Gabriele. Si tratta semplicemente di un nome dato a Gabriele oppure dello Spirito Santo rappresentato 7:7
Cfr. W. Luecken, Michael, Gottingen, 1898, pp. 13-14. 28 Cfr. J. Daniélou, Les anges et leur mission, cit., pp. 1 1-50.
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sotto forma dell'angelo Gabriele? Il problema rimane di scusso. Il card. E. Tisserant, nella prefazione alla sua tra duzione, scriveva: « L'autore dell'Ascensione usa volen tieri il termine " angelo dello Spirito Santo", e non si capisce troppo se si tratta della terza persona della Tri nità o di un angelo » . È peraltro possibile che il pensiero dell'autore sia esso stesso esitante. Egli cristianizza dei temi apocalittici anteriori a questa cristianizzazione, come abbiamo visto per l'analogia - forse piu o meno spinta - tra il Verbo e Michele nel II Henoch. Un primo passo riguarda la Resurrezione di Cristo, tra le cui circostanze l'autore descrive « la discesa dell'angelo della Chiesa che è nei cieli - che egli chiamerà negli ultimi giorni - e l'apertura della tomba, il terzo giorno, da parte dell'angelo dello Spirito Santo e di Michele il capo degli angeli santi » ( III, 1 5-16) 29• Il testo ricorda il Vangelo di Pietro , 39, in cui due angeli - e qui si tratta sicuramente di angeli - sollevano il Cristo che esce dalla tomba. Ma ci sono parecchie difficoltà, prima tra le quali è la sorprendente menzione di « tre » angeli. Ma sembra proprio che la menzione dell'angelo della Chiesa cristiana sia legata ad un primo episodio, distinto dall'apertura del sepolcro. Siamo allora ricondotti a due angeli 30 • Abbiamo precedentemente notato che per Erma Michele, il capo del popolo di Dio, è uno dei nomi che designano il Figlio di Dio : è dunque possibile che questo testo sia da aggiun gere a quelli in cui il Verbo è chiamato Michele. Ciò sarebbe confermato se fossimo autorizzati a ve dere nell'angelo dello Spirito Santo lo Spirito Santo stesso. Ora, gli altri usi dell'espressione nell'opera impongono questa interpretazione. Si legge al cap. VII, 2 3 : « Gioii assai, per il fatto che coloro i quali amano l'Altissimo e il suo Diletto, alla fine saliranno là [ = nel settimo cielo] , con l'aiuto dell'angelo dello Spirito Santo ». La funzione 29 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III : Lettere e Apocalissi, cit. 30 È quanto ammette G. Kretschmar, Studien zur fruhchristlichen Trinitiitstheologie, cit., p. 74.
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di introdurre nel mondo celeste sovente spetta a Michele, ma nell'apocalittica giudaica appartiene pure a Gabriele (dr. II Henoch, XII, 2). Ma qui si tratta dell'entrata nel santuario della Trinità. L'autore ha detto poco prima che « il trono, le vesti e le corone » che simbolizzano questa vocazione divina dell'uomo, « sono al di sopra di tutti i cieli e dei loro angeli » (VII, 22). È dunque proprio lo Spirito Santo che occorre senza dubbio vedere in questo angelo 31• Due ultimi passi ci portano una conferma definitiva. Isaia è ammesso a contemplare il settimo cielo: « Vidi là un tale in piedi, la cui gloria era a tutti superiore. La sua gloria era imponente e meravigliosa. Dopo che l'ebbi os servato, giunsero tutti i giusti, adorarono e lo lodarono con una sola voce. Anch'io lodai con loro. La mia lode era come la loro. Dopo si accostarono tutti gli angeli, ado rarono e lodarono. Egli si trasformò e divenne come un angelo. Allora l'angelo che mi conduceva mi disse: Ado ralo! Adorai e lodai. L'angelo soggiunse: È il Signore di ogni gloria che hai visto! Mentre l'angelo parlava ancora, vidi un altro essere glorioso, che gli somigliava. I giusti si accostarono, adorarono e lodarono. Anch'io lodai con loro; la sua gloria non si trasformò però conformemente al loro aspetto. Si accostarono quindi gli angeli e adora rono. Io vidi il Signore e il secondo angelo. Essi erano in ·piedi. Il secondo però che avevo visto era alla sinistra del mio Signore. Chiesi : Chi è costui? E lui a me : Adoralo, questi è l'angelo dello Spirito Santo, il quale parla in te e negli altri giusti » ( IX, 27-36). Il Signore è il Verbo e l'angelo dello Spirito Santo è simile a lui. Non può quindi esserci dubbio che si tratti della Terza Persona della Trinità . Il primo siede alla de stra di Dio, il secondo alla sua sinistra: si vedrà che que sto è uno degli aspetti che sono trasposti da Gabriele. Entrambi trascendono tutti gli angeli e sono oggetto del31 E. Tisserant, (Ascension d'Isaie, Paris, 1909, p. 156) ammette che la cosa è possibile. ·
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l'adorazione di tutte le creature. Peraltro è l'angelo dello Spirito Santo che ha parlato per mezzo dei Profeti. Si osservi tuttavia un particolare che non pone in questione ciò che stiamo dicendo, ma che attesta un certo subordi nazionismo : H Signore e l'angelo dello Spirito adorano e lodano Dio ( IX, 40). Questo è uno degli aspetti con i quali la teologia giudeo-cristiana angelomorfì<:a influirà in modo spiacevole sulla teologia di Origene e degli Ariani. In un testo parallelo Isaia contempla la gloriosa Ascen sione del Cristo : « Lo vidi salire al settimo cielo, mentre i giusti e gli angeli tutti lo lodavano. Subito lo vidi assi dersi alla destra di quella Grande Gloria, la cui maestà, come vi ho detto, non ero capace di contemplare. Vidi ancora che l'angelo dello Spirito Santo si sedette alla sini stra. Questi mi disse : Isaia, figlio di Amos, basta per te! Si tratta di cose grandiose. Tu hai contemplato ciò che nessun nato da carne ha mai contemplato. Tu farai ritorno al tuo abito finché siano compiti i tuoi giorni. In seguito verrai qui » (XI, 32-35). Il parallelismo tra il Diletto e l'angelo dello Spirito Santo qui è rigoroso : ·entrambi par tecipano alla medesima gloria divina. Questi testi sono tra i piu antichi scritti trinitari cristiani. Ma la Trinità vi è concepita in termini angelomorfìci. L'Ascensione d'Isaia ci permette di far luce su un altro testo giudeo-cristiano che presenta con essa un pa rallelismo perfetto e, nello stesso tempo, di mostrare piu esplicitamente che l'angelo dello Spirito Santo è proprio una trasposizione del tema giudaico di Gabriele. In realtà vi vediamo Gabriele esercitare tutte le funzioni che nel l'Ascensione d'Isaia sono quelle dell'angelo dello Spirito Santo, il che ci permette di concludere ad un tempo che l'angelo dello Spirito Santo nell'Ascensione è una cristia nizzazione del tema giudaico di Gabriele e, inversamente, che è proprio lo Spirito Santo che bisogna riconoscere nel Gabriele di II Henoch, cosi come era il Verbo che si do veva riconoscere in Michele. In un primo passo Gabriele introduce Henoch al co spetto di Dio: « Il Signore inviò uno dei suoi Gloriosi,
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Gabriele, che mi disse: Coraggio Henoch, non aver paura, alzati, vieni con me e tienti sempre di fronte al Signore. Ed io gli risposi: Ahimé, mio Signore; la mia anima si è ritirata da me per il timore; chiamami gli uomini che mi hanno portato sino a questo luogo. E Gabriele mi prese e mi pose davanti alla faccia del Signore. E io vidi il Signore, e la sua faccia gloriosa e terribile. . . E il Si gnore con la sua bocca mi chiamò e mi disse: Coraggio Henoch, non aver paura, alzati e tienti sempre al mio co spetto » ( XI, 1 5 - XII, 1 3 ). Gabriele compie qui la stessa funzione di conforto e di introduzione dell'angelo dello Spirito Santo nell 'Ascensione : è un ruolo di Paraclito. Si noti peraltro che gli angeli che hanno sinora accompa gnato Henoch non possono piu niente per lui qui, come nell 'Ascensione d)Isaia. Infine si osservi che le parole di Gabriele sono riprese testualmente dal Signore: ciò ri corda l'osservazione del card. Tisserant a proposito del l'angelo dello Spirito Santo nell'Ascensione d)Isaia : « Egli congeda H profeta con la stessa autorità di Dio » (p. 2 1 1 ). Il secondo passo è ancor piu sorprendente. Ci ricor diamo che nell'Ascensio n e d'Isaia l'angelo dello Spirito Santo siede a sinistra del Signore. Ora nel nostro testo si legge: « Il Signore mi chiamò e mi pose alla sua sinistra, vicino a Gabriele, e io adorai il Signore » (XIV; 3-4 ) 32• Cosi Gabriele è l'angelo che siede a sinistra. Il paralleli smo qui è rigoroso e ci permette di concludere con cer tezza che l'angelo dello Spirito Santo nell'Ascensione è una trasposizione di Gabriele. Esso rende verosimile se il II Henoch è proprio un'opera giudeo-cristiana che sia lo Spidto Santo ad esservi rappresentato sotto la categoria di Gabriele. Rimane un ultimo testo il quale ci introduce in un aspetto nuovo dell'assimilazione dello Spirito Santo a Ga briele. Si legge nell'Ascensione, XI, 4, a proposito di ciò che segue l'Incarnazione: « L'angelo dello Spirito apparve 32 A. Vaillant cita la variante « piu vicino di Gabriele » e la prefe risce (Le livre des secrets d'Hénocb, cit., p. 29), ma essa sembra, da tutti i punti di vista, meno verosimile.
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però in questo mondo e in - seguito Giuseppe non lasciava Maria, ma la teneva con sé ». È chiaro - nota il card.
Tisserant - che qui si tratta dell'angelo Gabriele, mes saggero ordinario di tutto quanto riguarda l'Incarnazione. L'angelo dello Spirito Santo è dunque Gabriele, ma, poi ché abbiamo stabilito che l'angelo dello Spirito Santo è lo Spirito Santo, abbiamo qui un'assimilazione dell'angelo Gabriele allo Spirito Santo negli episodi della nascita di Cristo. Il
Verbo e Gabriele
A questo tema possiamo accostare un'altra tradizione giudeo-cristiana che assimila l'angelo Gabriele nella scena dell'Annunciazione non piu allo Spirito Santo, ma alla Se conda Persona 33 • In realtà qui non si tratta della mede sima concezione: il Verbo non è definito in termini d'an gelo, ma si manifesta sotto la forma di un angelo. Rag giungiamo un altro filone, quello che vede negli angeli dell'Antico e del Nuovo Testamento delle manifestazioni del Logos, nel senso di malak Jahweh. Questa è la gene rale interpret-azione delle teofanie all'inizio dell'era cri stiana, estesa qui al Nuovo Testamento. L'assimilazione del Verbo a Gabriele ha quindi un diverso fondamento; tuttavia, come mostra l'Ascensione d'Isaia, i due temi non sono senza relazioni. Due sono i testi giudeo-cristiani che qui ci interessano soprattutto. Il primo è la Lettera degli Apostoli, in cui si legge ( è Cristo che parla): « In quel giorno, quando presi l'aspetto dell'angelo Gabriele, apparvi a Maria e parlai con Lei. Il suo cuore mi accolse e credette. Io mi diedi forma ed entrai nel suo seno e divenni carne. lo solo in fatti fui ministro di me stesso, per quanto riguarda Maria e fui percepito sotto l'aspetto di un angelo. E cosf io agirò, dopo che avrò fatto ritorno al Padre mio » ( 14; PO, IX, 33 Cfr. J. Barbe!, Christos Angelos, cit.,
pp. 235-262.
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1 98 ). Il testo è perfettamente chiaro: è il Verbo stesso che è apparso a Maria per annunciarle la sua Incarna zione prima di compierla. Ma per apparirle ha preso la forma di un angelo, quella di Gabriele. Un parallelo a questo tema si trova negli Oracoli si billini: « Negli ultimi tempi [il Verbo ] è venuto sulla terra ed essendosi abbassato ha suscitato dal seno della Vergine Maria una luce nuova. Venuto dal cielo si è rive stito di una forma mortale. Dapprima si è manifestato in Gabriele in una forma pura e potente; poi, arcangelo, ha rivolto queste parole alla giovane fanciulla: Ricevi Dio nel tuo seno immacolato, o Vergine » (VIII, 456-46 1 ). Qui ancora è il Verbo stesso che appare a Maria sotto l'apparenza dell'arcangelo per annunciarle la sua Incarna zione prima di compierla. Siamo sempre nel tema tradi zionale dell'apparizione di Dio in forma d'angelo e non nel tema dell'assimilazione di Dio ad un angelo. Esso sarà ripreso dagli Gnostici, ma, come giusta mente ha notato C. Schmidt, deformandolo nel senso della loro dottrina, Gabriele non è piu il Verbo che appartiene al Pleroma di In-Alto, ma un arconte, che è la sua proie zione nel mondo in-basso e che suscita l'uomo Gesu dal seno di Maria. Cosf Ireneo descrive la dottrina di Marco il Mago: « Nella Tetrade vi erano Antropos, Ecclesia, Logos e Zoè. Da questi sono emanate delle potenze che hanno generato il Gesu visibile sulla terra. Il posto del Logos è occupato dall'angelo Gabriele, quello di Zoè dallo Spirito Santo, quello di Antropos dalla potenza dell'Altis simo e quello dell'Ecclesia da Maria » (Adv. haer. , I , 15, 3) 34 • Riscontriamo qui una volta di piu l'utilizzazione dei temi giudeo-cristiani da parte degli Gnostici, che li tra spongono nei loro sistemi 35•
34 Cfr. pure Pistis Sophia, VII, 12; LXII, 124.
35 Circa le ulteriori forme di queste deformazioni, dr. F. J. Dolger,
Die eigenartige . Marienverehrung der Philomarianiten oder Kollyridianer in Arabien, in Antike und Christentum, l, 1 12-118.
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L'angelo Israele
Oltre a Michele e a Gabriele si incontrano nel giudeo cristianesimo altre vestigia di titoli angelici applicati al Verbo. Nella lista dei nomi del Verbo, che Giustino ci dà in piu riprese, si legge: « [ Il Verbo ] si chiamava ancora Israele e impose questo nome a Giacobbe » (Dial. , LXXV, 2 ; cfr. pure CXIV, 2 ; CXXX, 3 ; CXXXIV, 6 ; CXXXV, l , 3 ) 36 • Giustino ne fa il commento in diverse occasioni: « Vorrei - chiede Trifone - che m'insegnaste la potenza ( ouva.!J.�<; ) del nome di Israele » ( CXXV, l ) . Giustino ri sponde che l'angelo che apparve a Giacobbe « in quanto primogenito fra tutte le creature era Dio . . . Egli aveva Israele per nome da molto tempo e ne soprannominò il beato Giacobbe » (CXXV, 3-5 ). Cosi l'angelo che apparve a Giacobbe si chiama Israe le 37 • Peraltro non è un angelo, bensf il primogenito, cioè il Verbo stesso. Siamo qui nella linea classica della teo logia di Giustino, che vede il Logos nelle apparizioni di angeli dell'Antico Testamento : Israele è semplicemente un nome del Logos 311 • Qui Giustino sembra dipendere da Hlone, il quale scrive: « Il Logos primogenito è il piu anziano ( 'ltpEcr�u-ra.-roc;) degli angeli ; è arcangelo e porta parecchi nomi ; infatti è chiamato principe, nome di Dio, verbo, uomo dall'immagine, veggente, Israele » (Conf. , 146-147). In Filone, come in Giustino, si tratta del pri mogenito, del Logos, di cui Israele è uno dei nomi. Os serveremo soltanto che l'etimologia di Israele è diversa nell'uno e nell'altro: per Giustino è « quello che vince Dio », per Filone è « quello che vede Dio » . Ma Giustino non ignora quest'ultima. D'altra parte per Filone Israele non designa l'angelo che incontra Giacobbe, ma Giacobbe stesso, che è un'allegoria del Logos. 36
Cfr. pure Ippolito, Adv. baer., V; Ben. Moise, PO, XXVII, 132.
37 Israele come nome d'angelo si trova nei papiri magici (J. Barbe!,
Christos Angelos, cit., pp. 207, 263) e nella Cabala ( G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Milano, 1965). 38 È in questo senso che Giustino (Dia!., XXXIV, 6) interpreta l 'espressione 6Eòç 'lapa'l'}).. del Sal. 7 1 , 1 8 .
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Ciò si ritrova nel curioso apocrifo che ci è noto per mezzo di Origene e che si chiama la Preghiera di Giu seppe (Comm. in ]oh., I, 3 1 ; II, 3 1 ; Comm. in Gen., PG, XII, 73 B, 81 B; Hom. in Num . , XVII, 4). Dice Gia cobbe : « Colui che vi parla, io Giacobbe e Israele, sono un angelo di Dio e uno spirito principale ( &.px�x6v ) Io, Giacobbe, chiamato Gi acobbe dagli uomini, porto il nome d'Israele, sono chiamato Israele da Dio, l'uomo che vede Dio perché sono il primogenito (1tpw,;6yovoc;) di ogni vi vente che riceve la vita da Dio » (Comm. in ]oh., II, 25). È notevole il fatto di riurovare qui le stesse espressioni presenti in Filone e in Giustino. Israele è il primogenito, il principe, colui che vede Dio. È difficile non vedere qui piu che un angelo. Israele ha gli stessi attributi del Logos fìloniano. Il seguito della citazione di Origene lo conferma : « Quando - dice Giacobbe - arrivai dalla Mesopotamia siriaca, l'angelo di Dio Uriel apparve e disse che era sceso sulla terna, che aveva stabilito il tabernacolo tra gli uo mini e che era chiamato col nome di Giacobbe. Egli entrò in rivalità con me e mi fece la guerra, e lottò contro di me dicendo che il suo nome, che è il nome di chi è prima di ogni angelo, avr·ebbe vinto il mio. Io gli dissi il suo nome e quale è la sua grandezza tra i figli di Dio. Non sei tu Uriel l'ottavo dopo di me, ed io Israele, l'arcangelo della potenza del Signore e l'archistratega tra i figli di Dio? Non sono io Israele il primo servitore al cospetto del Signore? Io invocherò il mio Dio col suo nome eterno » (id. II, 25). Non intendo insistere sulla stranezza del passo 39 • Il nome dell'angelo che lotta contro Giacobbe è Uriel. Il vero nome di Giacobbe è Israele. Ma ciò che c'importa sono gli epiteti che lo qualificano: è l'arcangelo della po tenza del Signore. Ora l'espressione panallela: « archistra tega della potenza del Signore » designa correntemente il .
39 Circa la sua influenza successiva dr. T. Schneider, Der Engel fakob bei Mani, in « ZNW », XXXIII ( 1934), pp. .218-220.
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Verbo in Eusebio ( Hist. eccl., I, 2, 1 1 ; Dem. Ev. , V, 19, 3; Praep. Ev. , VII , 1 5 , 2}. Si aggiunga che il parallelismo con l'angelo dello Spirito Santo nell'Ascensione d'Isaia
pennette di supporre che l'espressione equivalga alla « po tenza del Signore ». Egli è colui che serve ,al cospetto del Signore e l'archistratega: ciò potrebbe convenire all'arcan gelo Michele, ma cosi pure, come abbiamo visto, costui designa talvolta il Logos; egli è il primo (1tpw-roç) angelo. Ora, in un'iscrizione novaziana questa espressione designa il Verbo 40 • Ma soprattutto, se Uriel è soltanto l'ottavo dopo di lui, si trova fuori della serie dei sette Arcangeli. Abbiamo lo stesso schema che si trova in Clemente Ales sandrino, ma non quello di Erma 41 • I due Serafini
NeHe rappresentazioni sinora esaminate abbiamo in contrato due diverse strutture. Prima si trattava del solo Logos, il quale era quindi considerato sia come circondato da sei Arcangeli e sostituentesi al settimo, sia come fuori dai sette Arcangeli, come ottavo : era il caso dell'angelo Israele. Ma abbiamo pure un altro tipo, in cui il Figlio e lo Spirito sono considerati come i due angeli della faccia, che trascendono tutti gli angeli . È quanto ci mostrava l'Ascensione di Isaia: in questo testo e nel II Henoch essi appaiono perciò come una trasposizione di Michele e di Gabriele. Spesso capita, infatti, che questi due Arcangeli siano posti a parte degli altri e collocati sullo stesso piano. La forma corrente piu tardi sarà quella in cui il Cristo è nominato tra Joro due 42• 40 W. M. Calder, Epigraphy o/ Anatolian Heresies, in Anatol ian Studies (Mél. Ramsay), 1923, pp. 76-77. Cfr. pure H. Grégoire, Un nom mystique du Christ, in « BY ,., II ( 1925), pp. 449-453. 41 Sull'ambiente al quale si ricollega il testo, cfr. supra, p. 28. Il fatto che Origene dichiari di riceverlo dagli « Ebrei » (1ta.p' 'E�pai:oLç) non è un'obiezione all'origine giudeo-cristiana in cui il termine « Ebreo » designa spesso presso di lui i giudeo-cristiani (Hom. in Jer., XX, 2 ; Hom. i n Num., XII I ; Sel. i n Er.ech., 9 ) . 42 J . Barbe!, Christos Angelos, cit., pp. 262-269.
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Ma esistono altre rappresentazioni di questo tipo che non si riferiscono a Michele e a Gabriele. La prima è quella che Origene dice provenirgli da un ebreo e che assimila i due Serafìni di Isaia 6 rispettivamente al Figlio e allo Spirito Santo: « L'Ebreo diceva che i due Serafìni con le sette ali che in Isaia gridano l'uno all'altro dicendo: Santo, Santo, Santo è il Signore Sabaoth, sono il Figlio uni co di Dio e lo Spirito Santo. Per parte nostra riteniamo che l'espressione dell Ode di Abacuc: " Nel mezzo dei due vi venti ", si riferisca al Cristo e allo Spirito Santo » (De princ. , I, 3, 4; GCS 42, 1 7-53 , 5; cfr. pure IV, 3, 1 4 ; GCS 3 4 6 ) . Nelle Omelie s u Isaia Origene riprende per due volte la interpretazione trinitaria dei Serafìni e la giu stifica (Hom. in Is. , I , 2 ; IV, 1 ). Questa interpretazione doveva suscitare l'indignazione di Girolamo: « Qualcuno interpreta in modo iniquo i due Serafìni mediante il Figlio e lo Spirito Santo » ( Comm. in Is. III, 6, 2 ; PL XXIV, 94 ). Ma già prima di Girolamo essa aveva provocato una confutazione da parte di Teofìlo di Alessandria se è a lui che va attribuito il Tractatus contra Origenem de visione Isaiae, pubblicato da Amelli nel 1901 e che costui aveva erroneamente attri buito a Girolamo, il quale non ne è che il traduttore 43• W . Dietsch ha proposto di vedervi un'opera di Didimo 44, ma l'attribuzione a Teofìlo è meglio fondata 45• Tale con futazione era tanto piu necessaria per il fatto che l'esegesi di Origene era utilizzata dagli Ariani e dai Pneumatoma chi per sostenere che il Figlio e lo Spirito erano delle creature. Questo passo c'interessa perché Origene riferisce tale esegesi ad un ebreo; si tratta quindi proprio di un'inter pretazione di tipo giudeo-cristiano. Tuttavia qui si pone '
43 Riedito da D. Morin in Anecdota Maredsolana, Oxford, 1903, III, 3, pp. 103-121. 44 Didymus von Alexandrien, als Verfasser der Schrift uber die Seraphenvision, Freiburg, 1942. Il fatto è contestato da B. Altaner in « TRev ,. , XLII ( 1943), pp. 147-151. 45 Cfr. L. Chavoutier, Querelle origéniste et controverses trinitaires, in « ve ,., XIV ( 1960), pp. 9-14.
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il problema di sapere una volta di piu se questo « doctar Hebraeus » (De princ., IV, 3 , 1 4 ) è un giudeo e se la trasposizione cristiana proviene da Origene o se si tratta di un giudeo-cristiano. A favore della prima ipotesi gioca il raffronto con Filone, il quale, nel De Deo, dopo aver citato Isaia 6, continua dicendo che questo nome « con viene direttamente alle potenze ( ouv&.p.w;) » 46• Orbene, il contesto mostra che queste potenze sono « la potenza crea trice a cui si attribuisce a buon diritto l'appellativo di Dio, e l'altra - l'egemonica o la reale - quella del Si gnore » ( 6; 412). Il raffronto che fa J. Barbe! 47 è certamente interes sante : ci troviamo sicuramente in presenza di speculazioni parallele. Tuttavia ci sono consistenti obiezioni a che la fonte di Origene sia Filone. La pdma è che Origene non designa mai Filone, che utilizza sovente, con il termine « ebreo », da lui generalmente riservato a dei Giudei o giudeo-crisdani contemporanei. In secondo luogo Origene ci dice esplicitamente che l'ebreo assimilava i due Sera· fini al Monogeno e allo Spirito Santo. Ora Filone dice tutt'altra cosa: per lui i due Serafini sono due potenze divine che circondano il Logos Monogeno. Noi riteniamo perciò che la fonte di Origene sia un giudeo-cristiano che ha utilizzato delle speculazioni giudaiche sui Serafini, note anche a Filone, ma indipendentemente da quest'ultimo 48• Abbiamo osservato che Origene interpretava « i due viventi » del Cantico di Abacuc in modo simile ai due Serafini d'Isaia. Ma c'è un altro caso, piu interessante, in cui offre la stessa esegesi e che ci pone di nuovo il pro blema dell'origine filoniana : è quello dei due Cherubini del Tabernacolo. Origene infatti , nel suo Commento alla Lettera ai Romani, li assimila al Figlio e allo Spirito Santo, e comincia, secondo Rom. 3, 25, col mostrare nel propi ziatorio l'umanità di Cristo. Poi giunge ai Cherubini : « Di 46 9; Aucher, VII, 413.
47 Christos Angelos, cit., p. 27 >. 48 G. Kretschmar (Studicn ::. u r fruhchristlichen Trinitatstheologie,
cit., p. 65), giunge alla stessa conclusione.
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che cos'a bisogna pensare che essi sono il simbolo? Che rubino significa pienezza di scienza. Dove troviamo la pie nezza della scienza se non in colui di cui l'Apostolo dice che possiede in sé tutti i tesori della saggezza e della scienza ( Col. 2, 3 )? L'Apostolo dice questo del Verbo. Dello Spirito Santo scrive le stesse cose dicendo: Lo Spi rito scruta tutto, anche le profondità di Dio ( I Cor. 2, 1 0 ) » ( Comm. in Rom., III, 8; PG, XIV, 948 A-B). Nel seguito del passo Origene spiega che la presenza dei due serafini sul propiziatodo simbolizza l'inabitazione, nell'anima di Cristo, del Verbo e dello Spirito Santo. A questo proposito cita il Cantico di Abacuc in cui sono menzionati i « due viventi » 49• Quanto all'arca che si trova sotto il propiziatorio « essa può significare il corpo di Cristo, o ancora le potenze angeliche, che sono ugual mente in grado di ricevere il Verbo e lo Spirito, ma per il tramite dell'umanità di Cristo » ( Comm. in Rom., III, 8 ; PG, XIV, 949 B-C). Cosi la trascendenza del Verbo e dello Spirito sugli angeli è ben sottolineata. Il testo greco di questo passo è stato ritrovato a Tura e pubblicato da R. Scherer. La sostanza è la stessa che nella traduzione di Rufino, mentre assai diverso è il det taglio: « La traduzione di Cherubini è pienezza di cono scenza e questi Cherubini sono scolpiti per rappresentare, con questa minuziosa cesellaturo, la natura divina. Che pot·rebbe proprio essere l'arca, posta sotto il propiziatorio e i Cherubini se non, come penso, le sante beate potenze, assimilate a dei corpi, capaci di ricevere la divinità del Figlio e dello Spirito Santo, e l'anima di Gesu, che con tiene i due Cherubini e che è H propiziatorio, posto al di sopva di ciò che in modo figurato è chiamato arca » ( 1 60, 1 5 - 1 6 1 , 1 ). È difficile decidere quale testo sia il migliore. R. Sche rer pensa - giustamente, a mio parere - che l'assimi lazione dell'arca al corpo di Cristo, presenre soltanto in 49
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Ibidem, pp. 91-92.
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Rufina, sia un'aggiunta di quest'ultimo 50 • Peraltro Rufino ha omesso il dettaglio importante sulla cesellatura dei Cherubini, simbolo della divinità, che è sicuramente origi nale. Ma Scherer osserva che il copista greco ha certamente abbreviato il commento di Origene sui Cherubini; perciò il testo di Rufino su questo punto è piu completo : per questo l'abbiamo citato per primo. Il passo sulle potenze che sono capaci di ricevere ( xwpl)"t'Lxa.L) il Verbo e lo Spirito Santo è citato da Basilio (Trattato sullo Spirito Santo, 29; PG, XXXII, 204 B ), il che dimostra proprio che esso poteva essere inteso in un senso perfettamente ortodosso 51 • Ha avuto Origene una fonte per questa esegesi? Il problema si pone in modo diverso da quello dei due Serafini: l'esegesi dei Cherubini appartiene infatti ad un'esegesi del tabernacolo che è un tema frequente in Filone, mentre non abbiamo trovato che una allusione ai due Serafini. E. Lanne ha esaminato i principali testi di Filone 52 • Nella Vita di Mosè ( II, 99) i due Cherubini sono la potenza creatrice e la potenza regale. Altrettanto nelle Questioni sull'Esodo ( II, 62): la voce di Dio che riecheggia tra i Cherubini e il Logos ( II, 68); nel De Cherubim si tratta dei Cherubini del Paradiso, ma l'esegesi è la stessa ( 27-30) la spada di fuoco è il Logos ; il De Deo ( 4-9) a sua volta ritorna alla potenza creatrice e ,alla potenza regale. Le dipendenze di Origene in rapporto a Filone in questi passi, particolarmente in relazione alle Questioni sull'Esodo, sono numerose. Il nome di « Cherubino » è interpretato similmente: tmCT"t'TJfl.ll 1toÀÀ:r1 (Vita Mosè, III, 8 ; Comm. in Rom., III, 8 ) e il fatto che i due Che rubini si trovino faccia a faccia significa la piena comuni-
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50 Le Commentaire d'Origène sur Romains, Le Caire, 1957, p. 54. 51 In Hom. in Num., X, 3 Origene interpreta i Cherubini e il propiziatorio come « scienza della Trinità », il che può essere una corre zione di Rufino ispirata da Didimo e che annuncia Evagro. 52 Cherubim e Seraphim, in « RSR », XLII I ( 1955), pp. 527-530. Cfr. pure E. Goodenough, By Light Light, London, 1935, pp. 25-28.
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cazione che essi hanno l'uno in rapporto all'altro ( Quaest. Ex. , II, 68; Comm. in Rom., III, 8 ); altrettanto comune è l'assimilazione dell'oro, di cui sono fatti, alla natura divina ( Quaest. Ex. , II, 67 ; Comm. in Rom. ; Scherer, 1 60, 15-16). Perciò Origene qui dipende sicuramente da Filone, ma in Filone « le potenze » non sono « il Logos » e Io Spirito. Siamo dunque in presenza della trasposizione di una allegoria fìloniana in una prospettiva trinitaria: il caso è perciò diverso dal precedente. In quest'ultimo Origene si riferiva ad un ebreo che interpretava in modo trinitario i due Serafini; qui Origene non indica alcuna fonte di questo genere. Il fatto è che, in realtà, egli utilizza l'allegoria di Filone, come spesso gli accade di fare, ma la trasposizione trinitaria è sua. E vi è stato senza dubbio condotto dal precedente giudeo-cristiano del sim bolismo trinitario dei due Serafìni. Si osservi, d'altra parte, che per un esempio parallelo Origene non compie la stessa trasposizione del tema fìlo niano. Nel De Deo Filone assimila l'apparizione dei tre angeli ad Abramo ( Gen. 1 8 , 1-2 ) a quella del Logos cir condato dalle due Potenze principali ( 4 ; Aucher, VII, p. 4 1 1 ). Questo è un tema che ritorna con frequenza in lui ( De Abrah. , 12 1-122 ; Sacr. , 5 9 ). Origene, dovendone trattare nelle Omelie sulla Genesi, vede nell'apparizione il Verbo circondato da due angeli ( IV, 1-2 ). Qui esisteva una tradizione nel cristianesimo che interpretava il tema in questo modo: Giustino in particolare ne è testimone ( Dial. , LVI, 10; LVIII , 3 ; CXXVI, 4 ). Noi rimaniamo nella linea dell'attribuzione al Logos dei passi de11 'Antico Testamento in cui si parla dell'angelo di Jahweh. Quanto abbiamo detto finora ci permette di interpre tare nello stesso senso un testo piu difficile, in cui i Sera fini e i Cherubini sono citati simultaneamente come desi gnanti il Verbo e lo Spirito. Si tratta della Dimostrazione della Predicazione Apostolica di Ireneo in cui si legge, secondo la traduzione dall'aramaico di p. Barthoulot: « Questo Dio è glorificato dal suo Verbo, che è il suo eterno Figlio, e dallo Spirito Santo, che è la Sapienza e
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il Padre di tutti. Questi due, il Verbo e la Sapienza, hanno al loro servizio un'armata [ di spiriti angelici ] chia mata i cherubini e i serafini, i quali glorificano Dio con il loro canto perpetuo » ( 1 0 ; PO, XII, col. 76 1 ). In questa interpretazione i Cherubini e i Serafini designano dei cori angelici e non si riferiscono alle Persone divine : è cosi che Lebreton interpreta il testo 53 • Ma questa traduzione non sembra fedele. Smith tra duce diversamente: « E le loro potenze [ lett . : la loro potenza ] , quella del Verbo e della Sapienza, che sono chiamate Cherubini e Serafini, con una voce incessante glorificano Iddio » 54• E. Lanne commenta cosi il testo : « Non può trattarsi, come ha compreso 1a versione fran cese, di potenze angeliche diverse che dipenderebbero dal Verbo e dallo Spirito Santo e sarebbero chiamate Cheru bini e Serafini. Occorre intendere necessariamente che il Verbo e la Sapienza, che sono le potenze del Padre, chia mate pure Cherubim e Serafim, rendono gloda a Dio con la loro voce incessante » 55• Cosi in questo testo vediamo i due Cherubini e i due Serafini designare le potenze del Figlio e dello Spirito, cioè il Figlio e lo Spirito. Questo testo, anteriore a Ori gene, ci permette di precisare l'origine di tali temi ? E. Lanne opta decisamente per Filone portando argomenti che non sono da trascurare. I Cherubini designano in Filone le due potenze superiori, la creatrice e la regale . Anche Ireneo parla di potenze. I Cherubini e i Serafini designerebbero il Figlio e lo Spirito nella loro azione nel mondo (p. 533 ) Di piu i Cherubini e i Serafìni sono acco stati in questo senso nel testo del De Deo che abbiamo citato. Infine in molti scritti di Filone ,}'allegoria dei Che rubini è raffrontata con quella del candeliere dalle sette braccia raffigurante i sette cieli . Ora, in Ireneo il passò è preceduto da un altro sui sette cieli. .
53 Histoire du dogme de la Trinité, Paris, 1937, II, p. 632. Gr. pure J. Barbel, Christos Angelos, cit., p. 275. 54 Proof of the Apostolic Preaching, London, 1952, p. 54. 55 Cherubim e Serapbim, cit., p. 530.
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Tuttavia ciò va incontro a numerose difficoltà. In primo luogo le speculazioni sui sette cieli e sugli angeli della faccia, cosi come l'allegoria degli oggetti del taberna colo, erano stati notevolmente sviluppati dal giudaesimo dell'epoca : di ciò ci si può rendere conto osservando l'im portanza che tutto ciò ha conservato nella mistica giudaica ulteriore. Soltanto l'assenza di documenti ci impedisce di rendercene conto. È quindi perfettamente verosimile che Filone e Ireneo si riferiscano a fonti comuni, come già abbiamo detto per i Serafìni di Origene 56• Come si è già osservato per quest'ultimo, occorre aggiungere che la struttura dello schema filoniano e dello schema ireniano sono diverse : nell'un caso il Logos appariva al di sopra dei Serafìni o dei Cherubini; nell'altro il Logos e lo Spirito sono identificati ai due cherubini o ai due serafìni. Ma c'è di piu . Se il passo di Ireneo - come hanno notato Lebreton e Barbe! - presenta un sorprendente accostamento con Filone, esso richiama ugualmente l'A scensione d'Isaia. In quest'opera il tema dei sette cieli e quello dei due angeli superiori, l'angelo del Signore e l'angelo dello Spirito ritornano costantemente. La strut tura è assai piu prossima a Ireneo che a Filone; la sola difficoltà è che l'angelo del Signore e l'angelo dello Spirito non sono identificati esplicitamente con i Serafìni e i Che rubini. Ma questi non compaiono altrove. Ora, i due angeli svolgono esattamente la funzione dei Serafìni, il che ci conduce a precisare ciò che abbiamo detto a loro proposito, aggiungendo che li si può identificare coi due Serafini, nello stesso tempo che a Michele e a Gabriele. Un'influenza dell'Ascensione d'Isaia è molto piu vero simile, in Ireneo, che un'influenza fìloniana, di cui sarebbe l'unico esempio. La sola altra ipotesi verosimile sarebbe l a ripresa e la trasformazione di un tema proprio agli Gnostici cui è indubbiamente cara l 'opposizione fra i sette cieli, l'ebdomade, e l'ottavo, l'ogdoade. Ma l'accostamento
56 Cfr. G. Kretschmar, Studien zur fruhchristlichen Trinitiitstheologie, cit., p. 93.
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con l'Ascensione d'Isaia è piu probabile. Ora, quest'opera è giudeo-cristiana : ci sembra perciò che Ireneo riceva la tradizione da lui utilizzata nel brano in questione da un milieu giudeo-cristiano, e che quindi noi siamo in diritto di assegnare ancora questo passo al dossier della teologia giudeo-cristiana. D'altra parte l'origine giudeo-cristiana del tema sotto la sua forma generale è confermata da un'importante testi monianza : quella dell'elcesaismo . Ippolito collega la pre tesa rivelazione di Elcasai al regno di Traiano e non c'è ragione di sospettare della sua testimonianza . Abbiamo là infatti un giudeo-cristianesimo gnostico in cui l'in fluenza apocalittica è assai palese. Abbiamo già notato il particolare della statura gigantesca attribuita al Figlio di Dio considerato sotto forma d'angelo. Ma Ippolito parla pure dello Spirito Santo : « Elcasai considerava il suo mes saggio come rivelato da un angelo alto 96 miglia. Quest'an gelo era accompagnato da un essere femminile le cui dimensioni erano come quelle che abbiamo detto . L'essere maschile era il Figlio di Dio e l'essere femminile si chia mava Spirito Santo » (Elench . , IX, 1 3 ) . Tutto in questo testo porta un'impronta semitica: lo Spirito è considerato come un essere femminile, perché ruah in ebraico è femminile; ciò si rhrova nel Vangelo degli Ebrei, che è giudeo-cristiano 57 ; gli angeli sono descritti come uomini dalla statura gigantesca. È evidente che l'ultimo aspetto - l'assimilazione del Figlio e dello Spirito a due angeli immensi - è pure giudeo-cristiano. Non viene fatto qui alcun riferimento preciso ad alcuno dei gruppi che abbiamo citati. Ma questi diversi gruppi - Michele, Gabriele, i due Serafini e i due Cherubini non sono che varianti di uno stesso tema fondamentale. Ne abbiamo qui senza dubbio la testimonianza piu antica 58 • 57 Citato da Origene, Comm. in Job., II, 12; GCS, 67. Cfr. pure Valentino secondo lppolito, Elench., VI, 31. 58 Cfr. G. Kretschmar, Studien zur friihchristlichen Trinitiitstheologie, ci t . , p. 99.
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Spirito Santo e Principe delle luci Affronteremo ora un tema completamente diverso da quelli sinora toccati, trattando della teologia dello Spirito Santo, espressa per mezzo della dottrina essena dei due Spiriti. Conosciamo, dalla scoperta del Manuale di disci plina, l'importanza di questa dottrina presso la comunità di Qumran; d'altra parte essa occupa ugualmente un posto considerevole nella letteratura giudeo-cristiana, in Bar naba, in Erma e presso gli Ebioniti. Qui la filiazione è certa 59• Il problema che si pone è di sapere qual è stata l'utilizzazione di questa dottrina nella teologia trinitaria, in altri termini se il « Principe delle luci » esseno è ser vito per designare la Terza Persona della Trinità. Ciò richiedeva una trasformazione dello schema esseno, nella cui prospettiva, in effetti, i due Spiriti si trovano sullo stesso piano e sono entrambi creati da Dio. È chiaro che in una prospettiva cristiana lo Spirito del male è una creatura decaduta; il problema che si pone è di sapere se lo Spirito del bene che gli sta di fronte è mantenuto sullo stesso piano oppure se diventa una Persona divina. In tal caso tra i due si introdurrebbe uno scarto, ma ciò non ha mai impedito ai cristiani di parlare in modo paral lelo del conflitto tra Cristo e Satana senza che ciò com portasse che essi fossero sullo stesso piano . J.P. Audet ha contestato che in Erma lo Spirito Santo sia una persona divina 60• Ci occuperemo subito di questo problema, poi vedremo gli altri testi giudeo-cristiani. Citeremo innanzitutto alcuni brani del Manuale di disciplina: « Egli creò l'uomo perché dominasse il mondo e gli impose due spiriti coi quali procedere fino al tempo da lui stabilito, cioè gli spiriti di verità e di vanità » ( III, 1 8- 1 9 ) 61 • « In mano al Principe delle luci è il governo 59 Cfr. J. Daniélou, Une source de la spiritualité judéo-chrétienne: la doctrine des deux esprits, in « DV », XXV ( 1953), pp. 127-136. 60 Affinités littéraires et doctrinales du Manuel de discipline, in « RB », LX ( 1953), p. 63. 61 In I manoscritti del Mar Morto, a cura di F. Michelini Tocci, Bari, 1967.
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di tutti i figli della giustizia che procedono nelle vie della luce; e in mano all'Angelo delle tenebre è tutto il governo dei figli di vanità » ( III, 20-2 1 ) . Il Principe delle luci è chiamato « angelo di verità » ( III, 24 ), « Spirito Santo » ( IV, 2 1 ), « È la sorgente di ogni intelligenza e di ogni bontà » ( IV, 2-6 ). Alla fine dei tempi lo Spirito di malizia sarà distrutto e lo Spirito di verità regnerà solo nella vita futura. Questo Spirito è stato creato da Dio all'origine. Questa dottrina è passata nella teolog�a giudeo-cri stiana. Ne abbiamo parecchi esempi : il Testamento di Giuda dice che « due Spiriti si occupano dell'uomo, lo Spi rito di verità e lo Spirito di menzogna » ( XX, l ). Lo Pseudo-Barnaba parla di angeli al plurale : « Vi sono due vie sia nell'insegnamento che nell'azione : la via della luce e quella delle tenebre ( . . . ) . Alla prima sono preposti gli angeli luminosi di Dio, all'altra invece gli angeli di Satana » (XVIII, l ). Il testo greco della Didachè parla delle due vie senza accennare ai due angeli. Ma il Trattato delle due vie, edito da Schecht, dice : « Nel mondo ci sono due vie, alle quali sono preposti due angeli, uno di giustizia e l'altro di iniquità » 62• È chiaro che, in tutti questi passi, si tratta di due angeli ; non abbiamo una tra sposizione trinitaria della dottrina essena . Ma ciò sarà diverso per Erma. Nei Precetti egli svi luppa la sua dottrina dei due Spiriti. Si tratta anzitutto « di non far coabitare una coscienza cattiva con lo Spirito di verità ( nvs:v(J.a. àÀ.T}eda.c;) e di non contristare questo Spirito augusto ( <1EIJ.v6ç) e verace » ( III, 4 ) . Il termine « Spirito di verità » era nel Manuale di disciplina; ma peraltro designa la Terza Persona della Trinità in Giov. 16, 1 3 ; la espressione « contristare lo Spirito Santo » evoca Ef. 4, 30. Piu oltre si parla dello « Spirito S'
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L'equivale112!a Spirito Santo = Signore, contestata dal l' Audet, è qui evidente. Le espressioni che si riferiscono all'« angelo di giusti zia » confermano questa espressione nel seguito del passo. Bisogna « credere all'angelo di giustizia » ( Prec. , VI , 2, 6 ) . Piu importante è l'espressione : « È bello seguire ( à.xoÀovee�\1 ) questo angelo giusto e rimanere lontano ( &.1to't&.ça.cr8a.t) dall'angelo iniquo » (VI, 2, 9 ). La seconda espressione è quella usata nella rinuncia battesimale a Satana. Ora la contropartita di tale rinuncia era l'adesione al Cristo, come in Erma è l'adesione allo Spirito. Questo passo ci lascia intravedere che questo rito cristiano potrebbe avere un'origine essena. L'iniziazione essena comprendeva dei giuramenti di rottura col mondo del peccato e di impegno verso la comunità, che sono l'espres sione della dottrina dei due Spiriti. Su questo come su alcuni altri punti il rito cristiano sembrerebbe dipendere dal rito esseno 63, il che sarebbe un'indicazione nella tradi zione liturgica stessa della trasposizione al Verbo o allo Spirito della concezione essena del Principe della luce. Un ultimo testo è importante per mostrare la distin zione stabilita da Erma tra lo Spirito Santo come Persona divina, e gli spiriti, cioè le mozioni interiori che esso produce nell'anima. Egli ha parlato di « coloro che il dia volo riempie del suo spirito ( 1t\IEVIJ.a.) » ( Prec. XI, 3 ). Al contrario « nessuno spirito ( 1t\IEVIJ.a.) che viene da Dio si presta a farsi interrogare, ma, possedendo una divina virtu, parla di propria iniziativa . poiché scende dall'alto, dalla potenza dello Spirito divino ( 'tÒ ee�0\1 1t\IEV(J.(l.) ( . . . ) . Quando dunque l'uomo che h a lo spirito divino giunge in un'assemblea di giusti che credono nello spirito, e in quel l'assemblea si sta facendo la supplica a Dio, allora l'an gelo dello sp1rito profetico - che gli è vicino - lo invade, ed egli, pieno di Spirito Santo, parla alla molti tudine, come vuole il Signore. Cosi si manifesta lo spirito 63 Cfr. J. Daniélou, La communauté de Qumran et l'organisation de l'Église ancienne, cit., p. 105.
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della divinità, e da ciò puoi vedere quanto grande è in esso la potenza del Signore » ( Prec. XI, 5-10). Questo testo distingue nettamente due piani di realtà: da una parre c'è il movimento dell'anima, « che viene da Dio », che possiede « una divina virtu » e che « scende dall'alto, dalla potenza dello Spirito divino » ; è lo spirito ispirato dalla divinità, il cui carattere divino è discernibile dai suoi frutti. D'altro canto vi è colui che dà questa mozione e che è indifferentemente chiamato « Dio », « Spi rito divino », « angelo dello Spirito profetico », « Si gnore » . Questo Spirito è quindi una realtà divina, poiché è chiamato Kyrios e Dio, ed è pure una persona distinta, senza di che non sarebbe chiamato angelo. Una volta di piu il termine angelo ci appare come l'espressione tecnica tratta dal giudaesimo per designare le Persone divine. D'altra parte l'espressione « angelo dello Spirito » ci è già nota: abbiamo visto che nell'Ascensione d'Isaia essa indicava certamente la Seconda Persona della Trinità. L'obiezione dell'Audet, secondo cui Erma dice che lo Spirito Santo « serve » { ÀE�'toupyd) Dio (Prec. V, l , 2 ), non è valida perché si ritrova esattamente la stessa idea nell'Ascensione d'Isaia. Peraltro Dio designa corrente mente nella letteratura giudeo-cristiana la Persona del Padre. Ci sembra dunque che, per Erma, la dottrina essena dei due angeli sia stata ripresa, in una prospettiva cri stiana, come opposizione tra lo Spirito Santo e il Demo nio. D'altronde tale trasposizione è facilitata da alcune espressioni del Manuale di disciplina ( rilevate dall'Audet ), in cui il Principe delle luci è chiamato Spirito Santo (DSD, IX, 3 ) . Ma ciò non significa che, come dice Audet, si tratti in Erma della stessa concezione. La cosa è importante per la teologia trinitaria di Erma, la cui caratteristica mi sembra consista nel fatto di aver attinto la teologia del Verbo e quella dello Spirito da due diversi schemi . Mentre quella del Verbo si trova sulla linea del settimo angelo dell'apocalittica, circondato dai sei Arcangeli, quella dello Spirito è nella linea del Principe delle luci opposto all'angelo delle tenebre, che
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proviene dal Manuale di disciplina. Il che spiega l'appa rente incoerenza della sua teologia. C'è una teologia del Verbo e una teologia dello Spirito, entrambe giudeo-cri stiane, ma non c'è una teologia del Verbo e dello Spirito. E quando Erma parla ad un tempo dell'una e dell'altra, come nella Quinta Similitudine, il suo pensiero è confuso. È interessante notare che il tema dei due angeli e delle due vie è stato ripreso e trasposto in un'altra cor rente del giudeo-cristianesimo - l'ebionismo - ma in una linea del tutto diversa. In primo luogo il Principe delle luci non è identificato con lo Spirito Santo, ma con il Cristo; e peraltro non si tratta di una dottrina trinitaria, ma, al contrario, di un'assimilazione del Cristo a un angelo 64 • Epifanio descrive cosi la dottrina ebionita : « Essi dicono che il Cristo ha ottenuto per parte sua il secolo futuro e il diavolo il secolo presente » (Pan. , XXX, 1 6 , 2 ). Ora, in un testo che ,abbiamo già citato Epi fanio aggiunge che per loro il Cristo « non è generato da Dio Padre, ma creato, e che egli è uno degli arcangeli che regnano sugli angeli e su tutte le opere dell'Onnipo tente » (Pan., XXX, 1 6 , 4 ). Taie dourina si ritrova sotto i suoi diversi aspetti negli scritti pseudo-clementini. Avendo pensato che gli uomini avrebbero costituito due categorie, Dio « ha stabi lito per ciascuna un luogo e un re: al buon re spettano i buoni, al cattivo i malvagi » ( Ree. Clem. , III, 52). Il primo è il re delle realtà future, il secondo delle presenti ( Rom. Clem., À'X, 2 ). Il mondo è cosi « diviso in due città i cui regnanti sono in contrasto » ( Ree. , II, 24 ). Lo scontro tra Cristo e Satana è « lo scontro tra il re della pietà e il re effimero » (Hom. , VIII, 2 1 ). Ma peraltro Cristo non è che un angelo ( Hom. , VIII, 42 ). È già a questa dottrina che la Lettera agli Ebrei rispondeva di cendo che « non a degli angeli Iddio ha sottomesso il mondo futuro » (2, 5 ). 64 Cfr. H. J. Schoeps, Urgemeinde, ]udenchristentum, Gnosis, cit.,
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La dottrina ebionita fonde cosi la tradizione apocalit tica con la tradizione essena. Per essa Cristo è « il primo degli arcangeli » ( Ree. , II, 42 ), cioè è identificato con Michele; peraltro egli è « il re della pietà » ed è iden tificato col « Principe delle luci » . Le categorie dell'e bionismo sono le stesse del giudeo-cristianesimo orto dosso, ma la teologia è diversa. La dottrina ebionita rimane puramente e semplicemente la dottrina giudaica con una verniciatura cristiana; non è affatto trinitaria e per essa Cristo non è Dio. La dottrina di Erma e dell'A scensione d'Isaia, al contrario, è una dottrina cristiana che utilizza delle categorie giudaiche. Il problema non diffe risce da quello che opporrà in ambiente greco gli Ariani e gli ortodossi. Eunomio sarà un neoplatonico che utilizza termini cristiani, mentre Gregorio di Nissa sarà un cri stiano che utilizza le categorie neoplatoniche. In entrambi i casi, se ci si ferma alle analogie di vocabolario, si falsano radicalmente le prospettive.
Il custode del Te mpio Il « Principe delle luci » esseno non è, assieme a Gabriele, la sola figura angelica che i giudeo-cristiani abbiano assimilato allo Spiri to Santo. È nota la tradizione del tardo-giudaesimo, secondo cui un angelo custodiva il Tempio e l'abbandonò quando fu distrutto da Tito 65• Essa fu ripresa dai cristiani che la accostarono al tema della rottura del velo del Tempio al momento della morte di Cristo : fu allora, secondo loro, che l'angelo abbandonò il Tempio 66• La presenza dell'angelo era legata a quella di Jahweh, alla shekinah. Quando il Tempio è distrutto l'angelo se ne allontana. 65 II Bar., VI, 7; VIII, l ; Giuseppe Flavio, Bel!. ]ud., VI, 5, 3 ; Tacito, Hist., V , 3 . 66 Cfr. J. Daniélou, Les anges e t leur mission, cit., pp. 18-19. I piu antichi testimoni sono Pseudo-Cipriano, Adv. ]ud., 4; Melitone, Hom. Pascb. , 98; Tertulliano, Adv. Mare., IV, 42, 5.
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Ora, i Testamenti dei XII Patriarchi presentano una versione di questa tradizione in cui l'angelo è sostituito dallo Spirito Santo. Essa compare nel Test amento di Be niamino : « Il velo {ii1tÀ.wp.a.) del Tempio sarà strappato e lo Spirito Santo scenderà sulle nazioni come un fuoco che si espande » ( IX). Si noti il termine a1tÀ.wp.tx., che non si trova che qui per designare il velo del Tempio 67 • Questo velo è stato considerato come la veste dell'angelo del Tempio 68 • Lo si apprende da una espressione di Melitone: « Mentre il popolo non era straziato, l'angelo fu strap pato ( 1tEPtEO"XLO"tx.'t'o) » ( Rom. Pasch. , 98 ). R. de Jonge nota giustamente che « Melitone vede nel velo del Tempio la veste dell'angelo che vi dimora » 69 e osserva che « questo parallelo spiega l'uso di itvoviJ.tx. nel Test . Levi, X, 3 , in cui l'autore dei Testamenti allude alla veste dell'angelo o del Tempio personificato » 70• Ma non è questo il punto che ci interessa; ciò che è notevole è che nel Test amento di Beniamino non si tratta dell'angelo, ma dello Spirito Santo. L'espressione mostra che siamo certamente in presenza della concezione cri stiana dello Spirito Santo, poiché l'idea che lo Spirito Santo abbandoni il Tempio di Gerusalemme per espan dersi come un fuoco sulle nazioni è un'allusione evi dente alla Pentecoste. Questo testo è uno di quelli che possono essere portati come testimonianza del carattere cristiano dell'opera. Ritroviamo qui un filone dell'angelo logia del tardo giudaesimo - a cui abbiamo già fatto allusione - quella che mostra la protezione degli angeli su Israele. Come Michele gli dava la Legge, un angelo, forse pure Michele, dimorava nel Tempio. In entrambi i casi il giudeo-cristianesimo ha utilizzato la dottrina cri stianizzandola 71 • 67 Cosi pure Vita Proph., Habacuc, 12. Nel senso di « tovaglia d'altare » Èvou-ri) è sinonimo di &.7tÀ.WIJ.CX. 69 The Testaments of the XII Patriarchs, testo greco a cura di
68
R. H. Charles, Oxford, 1908, p. 124. 70 Ibidem, p. 124. 71 In Ree. Clem. , I, 41 si legge: « Il velo del Tempio si strappò
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D'altronde il Testamento di Beniamino non è l'unico testo in cui compaia l'idea. De Jonge ne dà un altro 72 che si riallaccia ad una opera imbevuta di rappresentazioni giudaiche, la Didascalia cattolica degli Apostoli: « Quando abbandonò il popolo, lasciò il Tempio deserto, strappò il velo, ritirò il suo Spirito Santo e lo diffuse su coloro che credettero tra i Gentili, perché è detto in Gioele: " Io diffonderò il mio Spirito su ogni carne " . Egli ritirò da que sto popolo il suo Spirito Santo, il potere del suo Verbo e tutto il ministero e lo stabili nella sua Chiesa » (Dida scalia, XXIII, 5 , 7 ) . Lo stesso tema compare in Efrem (Diatess., 2 1 , 6 ). Tali sono i temi strettamente giudeo-cristiani della cri stologia angelomorfica, cioè quelli tratti dall'angelologia del tardo giudaesimo, in cui il Cristo e lo Spirito Santo sono designati con termini presi dall'angelologia nella loro natura eterna e non nella loro missione. Tralasciamo tutto quanto riguarda l'applicazione al Cristo del termine a:yy E À.oc;, in quanto egli è l'inviato del Padre. Questo uso, che si fonda sull'Antico Testamento, sarà frequente sino al quinto secolo. Esso presentava dei pericoli di subordina zionismo e in effetti fu usato in questo senso dagli Ariani . Ciò porterà alla sua sparizione. Questa lunga storia è stata riferita da Barbe!, ma essa non riguarda piu il nostro argomento.
come se si lamentasse sull'imminente catastrofe ». L'allusione alla veste e all'angelo sembra chiara. 72 The Testaments of the XII Patriarchs, a curà di R. N. Charles, cit., p. 124. ·
Capitolo sesto
I titoli del Figlio di Dio
Uno degli aspetti della teologia giudeo-cristiana è rap presentato dalla grande varietà di espressioni con le quali essa designa il Figlio di Dio. Nel libro The Names o/ Jesus, Vincent Taylor ha potuto enumerare 42 titoli o nomi nel Nuovo Testamento. Giustino in numerose occa sioni dà delle liste di questi titoli, dimostrandosi, in que sto, erede dei Testimonia che risalgono alla comunità giu deo-cristiana. Molti fra questi titoli si riferiscono al Verbo nella sua missione terrena. Li lasceremo da parte per pren dere in considerazione soltanto quelli che indicano il Verbo preesistente. Già il Nuovo Testamento ne utilizza parec chi, quali: Figlio di Dio, Verbo, Sapienza. Essi saranno ripresi dai giudeo-cristiani, ma noi li lasceremo da parte, in quanto dipendenti dalla teologia neotestamentaria. Ci occuperemo soltanto di alcune espressioni semitiche, che in seguito sono state abbandonate, le quali ci fanno cono scere la ricchezza della teologia propriamente giudeo-cri stiana del Verbo.
Il Nome La prima di tali espressioni, e una di quelle che sono state piu rapidamente abbandonate perché incomprensi bile e pericolosa nel milieu greco, è quella che indica il Cristo come « Nome » di Dio. L'importanza di questa de signazione nella comunità giudeo-cristiana primitiva è stata
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segnalata da L. Cerfaux 1 e, in particolare, da E. Peterson 2• Essa è stata contestata dall'Audet per quanto riguarda
Erma, ma la scoperta dei manoscritti gnostici di Nag Hammadi e, in particolare, del Vangelo di Verità, l'ha confermata in modo clamoroso 3 • Dobbiamo ormai consi derare che si tratta di un aspetto essenziale della teologia giudeo-cristiana. Le origini di questa cristologia si trovano, beninteso, nell'Antico Testamento, in cui il Nome (schem ) designa frequentemente Jahweh in quanto si manifesta. Il termine è in particolar modo associato alla rivelazione che Dio fa di se stesso (Es. 23, 2 1 ) e alla sua inabitazione nel Tempio (Deut. 1 2 , 1 1 ) ; ha gli stessi attributi di Jahweh, la santità e la gloria ( Tob. 8 , 5 ) 4 • Ma quest'uso del termine nell'An tico Testamento non basta per spiegarne l'impiego cristo logico, il quale suppone una evoluzione della teologia del Nome nel tardo giudaesimo. Ques�o sviluppo sembra so prattutto in relazione al carattere sacro conferito al tetra gramma 5 • Il Nome designa Jahweh nella sua realtà ineffa bile ed è cosi un equivalente semitico di ciò che sarà l'oùCT!tx. divina per i Greci. Ma sembra che vi sia di piu. Nel prolungamento della teologia dell'Antico Testamento, che vedeva nel Nome la manifestazione di Jahweh, l'espressione viene a designare la potenza con cui Dio compie le sue opere. Quispel ha segnalato un passo di I Henoch in cui si parla del « Nome segreto citato nel giuramento » (LXIX, 14 ) . Ora, « i se greti del giuramento » sono che « per mezzo suo il cielo fu sospeso prima che il mondo fosse creato e sino alla eternità. E per questo giuramento gli abissi sono stati con solidati » (LXIX, 1 6- 1 9 ). Peraltro « tale giuramento è rafl La première communauté chrétienne, in Ree. L. Cerfaux, cit., II, pp. 148-149. 2 Didaché cap. 9 e 1 0, cit., pp. 4-5, 1 1 . 3 G . Quispel, The ]ung Codex, London, 1955, pp. 68-78. 4 Cfr. P. van Imschoot, Théologie de l'Ancien Testament, Paris, 1954, I, pp. 207-212. 5 Cfr. H. Bietenhard, art. OVOIJ.CX, in TWNT, V, 242-269; Ree. L. Cerfaux, cit., I, pp. 1 1 2-172.
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forzato sugli spiriti » ( LXIX, 25). Qui il Nome e il giu ramento appaiono proprio come strumenti di Dio nella creazione 6• Il Nome ha la stessa funzione del À.éyoc; filo niano. Ma precisamente, per Filone o'Vo!J.tx. è uno dei nomi del Logos (Conf. 146). Qui dunque abbiamo uno sviluppo parallelo a Filone, ma incentrato sul Nome. Questo sviluppo si riallaccia alla corrente dell'apoca littica giudaica. Occorre tuttavia notare che i documenti in cui il Nome assume il carattere di un'autentica ipostasi sono abbastanza tardivi, particolarmente III Henoch e l'Apocalisse d'Abramo 7• Nei testi di Qumran un posto di rilievo è occupato dal Nome come espressione della po tenza di Jahweh, ma senza le speculazioni delle apocalissi tardive (CDC, XV, 3 ; XX, 34; DSW, XI, 2 ; XI, 4 ; XVIII, 6, 8; DST, XI, 6; XII, 4 ). Sembra quindi difficile spie gare mediante la gnosi giudaica la teologia giudeo-cristiana del Nome, come designazione di Cristo. Questa teologia appare come uno sviluppo originale, che, a partire dai dati dell'Antico Testamento, ripresi ed estesi nel milieu apocalittico ed esseno, costituisce una cristologia in cui il Nome è una Persona distinta dal Padre. Ma rimane che il suo contesto è proprio il giudaesimo del tempo. Questa cristologia del Nome sembra già abbozzata nel Nuovo Testamento. Da una parte Cerfaux ha osservato che s'incontrano frequentemente nel Nuovo Testamento le citazioni dell'Antico, nelle quali è menzionato il Nome. Cosi. gli Atti 1 5 , 1 6 citano Amos 9, 1 2 : « Il mio Nome è stato invocato (ÈmxÉxÀ.1)'t'tx.L) tra le nazioni » . Paolo cita Is. 52, 5 : « Il Nome del Signore è bestemmiato per causa vostra, tra le nazioni » (Rom. 2, 24 ). La stessa lettera cita Es. 9, 1 6 : « Che il mio nome sia annunciato per tutta la terra » (Rom. 9, 1 7 ). « Tutto accade - scrive Cerfaux come se tra i passi messianici fossero stati annotati con cura quelli in cui il Nome è posto in evidenza. Ci si chiede 6 I Giubilei parlano del « giuramento per mezzo del Nome glorioso, grande e potente, che ha fatto il cielo e la terra » (XXXVI, 7). 7 G. Quispel, The ]ung Codex, cit., pp. 69-71 . 21.
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se in questi testi il Nome non sia un'eco affievolita del l'ipostasi del Verbo » 8 • Certamente in queste diverse citazioni il Nome non può rappresentare altri che Jahweh, ma sarebbe strano che questi testi fossero stati riuniti nei dossiers messianici se il Nome non fosse apparso in relazione col Cristo. Vi sono dei passi in cui tale relazione è esplicita. Cosi vedia mo Gioe!. 3, 5 : « Chiunque invocherà il Nome del Signore sarà salvo » , citato in Atti 2 , 2 1 e 4, 1 2 in un senso che rimane indeterminato. Ma lo stesso testo è ripreso in Rom. 1 0 , 1 2-1 3 in cui leggiamo: « Il Cristo è il Signore ( xvp�oç) di tutti, essendo ricco verso tutti coloro che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il Nome del Signore sarà salvo », dove è chiaro che il Nome è quello di Cristo. D'altronde la citazione di Is. 52, 5 è ripresa nella Lettera di Policarpo con un significato nettamente cristologico : « Siate saldi in questi principi e seguite l'esempio del Si gnore ( . . . ) Guai a colui per colpa del quale il Nome del Signore viene bestemmiato » (Pol. 1 0 , 1-3 ) 9• Peraltro C. H. Dodd 10 ha dimostrato che nel Vangelo di Giovanni eravamo in presenza di un'elaborazione teolo gica in cui il Nome sta a designare il Cristo. Il Cristo manifesta il Nome del Padre ( Giov. 1 7 , 6 ), ma questa manifestazione è la sua propria persona. Scrive Dodd : « Se questo Nome di Dio è il simbolo della sua vera na tura, la rivelazione del Nome fatta dal Cristo è questa unità del Padre col Figlio a cui egli rende testimonian za » 11• Di conseguenza, quando il Padre glorifica il Figlio, glorifica il suo Nome. Abbiamo l'equivalenza delle due formule: « Padre, glorifica il tuo Nome » ( Giov. 1 2 , 2 8 ) e « Padre, glorifica me » ( Giov. 1 7 , 5 ) . Qui è affermata essenzialmente l'unità di natura tra il Padre e il Figlio, ma pure il fatto che la Persona del Figlio è la rivelazione, cioè il Nome del Padre. Dodd osserva che una teologia B
Ree. L. Cerfaux, cit., II, pp. 148-149.
9 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. to
The Gospel of fohn, London, 1955, pp. 95-%.
Il Ibidem, p. 96.
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analoga è sottesa alla citazione di Sal. 2 1 , 23 in Ebr. 2, 12: « Annuncerò il tuo Nome ai miei fratelli » . Tuttavia Giovanni ha preferito a 'Myoc; 15"Vo!J.a., perché piu accessi bile ai Greci. Il Nome presso di lui è un vestigio arcaico 12• Si osservi infine che incontriamo l'espressione « il No me », presa in assoluto, in un testo del Nuovo Testa mento il cui carattere giudeo-cristiano è certo: si tratta della Lettera di Giacomo. Da una parte vi troviamo la espressione: « Non bestemmiano forse il bel Nome che è stato invocato su di loro? » (2, 7). Qui il Nome è preso in un contesto di espressioni che abbiamo già incontrato nelle citazioni dei Testimonia, Èmxa.À.Ei:'V, �À.Mq>'rJ!J.EL'V . D'al tra parte sembra proprio che vi sia un'allusione al batte simo e all'invocazione ( epiclesi) delle Tre Persone 13 • Il Nome non indica perciò qui la sola Persona del Verbo. Ma il passo è importante per il contesto battesimale in cui il Nome si trova inserito. Ora, è pure in un contesto cultuale che si trova l'altra citazione della Lettera di Gia como dove si parla di una unzione fatta con l'olio « nel Nome » ( 5, 14). Tale è, almeno, la lezione di alcuni ma noscritti, che il suo carattere arcaico può fare preferire alla lezione piu comune « nel Nome del Signore » . Cosi il Nuovo Testamento c i permette già parecchie osservazioni. Mentre da una parte il Nome o il Nome del Signore lo troviamo utilizzato in un contesto cultuale a partire da un certo numero di espressioni dell'Antico Te stamento appartenenti ai Testimonia, dall'altra l'espres sione è applicata al Figlio e abbiamo già l'abbozzo di una speculazione in questa linea. Resta comunque il fatto che in· Paolo e Giovanni « il Nome » sembra indicare la na tura divina di Cristo - che gli è comune col Padre e lo Spirito - piu che la Persona del Verbo nella sua pro prietà. Quest'ultimo aspetto, che ci interessa qui, sarà svi12 Ci si può chiedere se l'espressione: « Il Verbo ha abitato tra noi » non si basi su una forma piu arcaica: « Il Nome ha abitato tra noi ». L'abitazione conviene infatti piu al Nome che alla Parola. 13 Sull'origine giudaica dell'epiclesi, dr. W. O. Oesterley, The ]ewish Background of the Christian Liturgy, Oxford, 1925, pp. 220 ss.
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luppato nella teologia giudeo-cristiana, in quanto ne di pende direttamente. Esso vi appare come il prolunga mento di una teologia giudeo-cristiana arcaica, anteriore a Paolo e a Giovanni. Il primo testo che dobbiamo citare è la I Lettera di Clemente, dove le allusioni al Nome compaiono soltanto nell'ultima parte, che ha un carattere liturgico. Ciò è im portante, perché le formule liturgiche sono eminentemente conservatrici. Siamo in continuità con quanto mostrava il Nuovo Testamento. Anzitutto si parla di assoggettarsi « a ciò che esige il Nome cristiano, santo ( 1ttx.Vtx.yi.�.J:.� ) e glo rioso ( Èvoéç!.J:.l) » (LVIII, l ) 14• L'espressione ritorna nella preghiera liturgica finale: « Concedi a noi di essere sog getti al tuo Nome onnipotente ( 1ttx.'V"t'oxp6."t'opt) ed eccel lentissimo ( 1t(X.vtx.pÉ"t'!.J:.l) » (LX, 4 ) La preghiera è rivolta al Padre e il Nome indica il Figlio. Il tes to dice poi « di confidare ( 1tE1tot96"t'Ec;) nel Nome santo e glorioso di Dio » ( LXVIII, l ): questa è certa mente una citazione di Is. 50, 1 0. La cosa è tanto piu verosimile per il fatto che questa influenza ricompare in seguito dove si dice che « ci chiamò dalle tenebre alla luce e dall'ignoranza alla conoscenza del suo Nome glorioso » ( LIX, 2 ). Il testo continua immediatamente passando allo stile diretto e parla della « speranza nel nome tuo, princi pio vitale ( &.pxÉyovov ) di ogni creatura » (LIX, 3 ) Sinora si poteva esitare a vedere nel Nome l'ipostasi del Figlio, ma qui questo ovo(J.tx. &.pxÉyovov, questo Nome che è l'&.px'i) della creazione, sembra proprio il Myoc; che è il principio ( &.pxl] ), secondo Giovanni. Si noti peraltro che in Cle mente non v'è alcuna allusione al À.6yoc; designante la Persona divina del Cristo 15• Siamo cosi condotti a considerare che nell'ambiente giudeo-cristiano vi è una certa diffidenza nei confronti del .
.
14
In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
1 5 Si può accostare pure Did., X, 3 : « Hai creato l'universo a causa
( EVEXEv) del tuo Nome ». Peterson vede qui il Cristo (Didachè cap. 'J e 1 0 , cit., p. 6). Cfr. pure Ignazio d'Antiochia, Ad Eph., III, l ; l1d Phil. , X, 2.
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Myoç giovanneo, o, piu esattamente, che ci troviamo in presenza di uno stadio piu arcaico della teologia, in cui la Persona divina di Cristo si preferisce designarla con l'ebrai smo èivo!J.a.. Lo sviluppo di tale espressione nel giudaesimo contemporaneo prepara simile utilizzazione. Per gli autori giudeo-cristiani la teologia del Nome non si colloca sol tanto sul prolungamento dell'Antico Testamento, nel quale esso indica la realtà divina nel suo insieme, ma anche in quello del tardo giudaesimo. Questa concezione del « Nome » come potenza per sonale di Dio che porta la creazione si ritroverà nel testi� mone capitale per la teologia del Nome : il Pastore di Er ma. Nella Terza Visione ( 3 , 5 ) si legge : « le vere fonda menta ( 9s:(J.ÉÀ.toç) della Torre [ = la Chiesa] sono la pa rola ( Pfi!J.a.) del Nome onnipotente e glorioso ( �vooçoç), e l'invisibile possanza del Padrone » . Si noti la similitu dine di espressioni con i testi che abbiamo citato della Lettera di Clemente. Il Nome è Evooçoç, 7ta.noxpa:twp. Tuttavia nell'espressione « parola del Nome » potrebbe sembrare che il Nome indichi la divinità stessa che agisce per mezzo della sua Parola. Ora, il confronto con altri testi di Erma sembra esclu dere questa ipotesi e ci autorizza a vedere nel « Nome » ]a Persona del Verbo. Si legge infatti in un altro passo: « Il Nome del Figlio di Dio è grande, infinito ( axwpT)"t OV ) e sorregge ( �a.cr'tass:t) il mondo intero » (Sim. IX, 14, 5). Il seguito è piu sorprendente : « Se dunque ogni creatura è sorretta dal Figlio di Dio, non ti pare che lo debbano essere anche i fedeli da lui chiamati che portano ( cpopovv 'ta.ç) il suo Nome e osservano i suoi comandamenti? Le pietre che egli sostiene ( �a.cr'tass:t) simboleggiano infatti i fedeli che portano ( cpopovv'ta.ç) il suo Nome con intima gioia : egli è il loro fondamento ( 9s:(J.ÉÀ.toç), li sorregge con letizia, e questo perché non si vergognano di portare il suo Nome » (Sim. IX, 14, 5-6). Questo testo evidentemente è parallelo al precedente. L'espressione es:!J.ÉÀtoç per designare il ruolo del Nome come fondamento della creazione è particolarmente carat-
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tertstlca. Siamo perciò autorizzati a interpretare « il No me » allo stesso modo in entrambi i casi. Ora, nel secondo caso l'espressione « Il Nome del Figlio di Dio » designa evidentemente il Verbo. È pure lui che « il Nome » desi gna nel primo caso. Ciò è essenziale; infatti nell'espres sione « il Nome dd Figlio di Dio », « il Nome » potrebbe
designare soltanto la potenza divina e non la Persona. Ma si noti che il secondo passo proviene dalla Nona Similitu dine, l'unica parte dell'opera in cui si trovi l'espressione « il Nome del Figlio di Dio » . Ora, essa appartiene allo strato piu recente del Pastore; è perciò testimone di un ambiente in cui l'espressione « il Nome » non era piu compresa e se ne vede sostituire un'altra di un carattere assai piu banale. J. P. Audet vede con ragione nel « Nome del Figlio di Dio » un'espressione secondaria 16, ma erra quando non riconosce che nell'espressione « il Nome di Dio » , il Nome è il Figlio. Un'altra ragione autorizza a vedere nel Nome la desi gnazione del Verbo stesso nei due passi che abbiamo visto citati : è l'oscillazione d'espressione, cosi caratteristica tra il tema del Nome che sorregge il mondo o il cristiano e quello del Nome che è portato dal cristiano. Assai inte ressante da rilevare è l'impiego dei termini �a.cr't'ass:w, cpops:Lv poiché si riallaccia a due contesti diversi : l'uno è cosmologico, quello dell'azione di Dio che sorregge la crea zione per mezzo del Verbo e l'altro, come vedremo, un contesto cultuale, quello del ricevimento del Nome per mezzo del battesimo. Cosi la duplice origine della teologia del Nome che abbiamo incontrato : l'origine cultuale, che proviene dalla comunità neo-testamentaria, e l'origine co smologica, proveniente dal tardo giudaesimo, si trovano qui a convergere. Ma ciò che a noi interessa soprattutto è sottolineare che l'oscillazione da noi rilevata si ritrova altrove e in un contesto dove si tratta evidentemente del Verbo. È noto ,
t6 Alfinités littéraires et doctrinales du Manuel de discipline, cit.,
p. 54.
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che Ireneo ama molto i termini �a.cr-.&.sml ( bajulare ), cpops:'i:v (portare) per esprimere l'impadronirsi di Dio da parte del cristiano : « Paiesemente - egli scrive - ve nendo il Signore presso i suoi e sorreggendolo ( bajulante) la sua crea�ione, essa che è portata ( bajulatur) da Lui » ( Adv. haes., V, 19, 1 ). Ciò è in rapporto col simbolismo della croce e si vedrà che la cosa non è priva di impor tanza. In ogni modo il parallelismo con Erma è rigoroso. Il Nome che porta il cristiano e da cui è portato è lo stesso del Verbo che porta la creazione e dalla quale è portato ( cfr. Ireneo, Adv. haer. , IV, 1 7 , 6). Ciò permette allora di interpretare nello stesso senso una serie di testi che parlano di coloro che « portano » il Nome. Questa notevole espressione la incontriamo in Erma a piu riprese: cosf nella Sim. IX, 14, 5 si parla di coloro « che portano ( �a.cr-.&.ss:w) il suo Nome » ; in Sim. IX, 1 3 , 2 , 3, ritroviamo l'espressione « portare » ( cpops:'i:v ) il Nome, come sinonimo di « ricevere » il Nome. La Sim. VIII stabilisce un legame tra « portare il Nome » e « con fessare il Nome » : « Non hanno mai apostatato, hanno portato ( Éf3acr-.a.cra.v) volentieri il Nome » (Sim. VIII, 10, 3 ). La Sim. IX identifica « portare il Nome » e « essere battezzato » : « Se porti ( cpops:'i:v) il suo Nome ma non hai le sue virtu, a nulla ciò ti gioverà : infatti le pietre che hai visto scartare avevano il Nome, ma non indossavano l'abito delle vergini » ( IX, 1 3 , 2-3 ; cfr. pure Orac. sib., VIII, 33 1 ). È interessante accostare questi passi ad un altro testo battesimale in cui interviene il Nome. Clemente Alessan drino, negli Estratti di Teodoto, ispirandosi all'uso che quest'ultimo fa del Nome ( su cui ritorneremo), scrive : « Il fedele per mezzo di Cristo porta come iscrizione il Nome di Dio e come effigie lo Spirito » ( 86, 2 ). L'imma gine è quella di una moneta : il fedele col battesimo è segnato con un'impronta ( crcppa.yiç). H parallelismo tra il Nome di Dio e lo Spirito ci induce a vedere nell'espres sione « il Nome di Dio » l'equivalente del Verbo di Dio. In effetti per Teodoto, al quale qui si ispira Clemente, il
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Nome è « la parte invisibile di Gesu, il Figlio Monogeno » ( 26, 1 ). D'altra parte Clemente continua dicendo che « colui che ha ricevuto il sigillo ( a-cppay�CT!J.a.) della Verità porta i segni ( a-'t'Cy(J.a.'t'a.) di Cristo » ( 86, 2 ). Sembra proprio che in tutti questi passi « il Nome » sia in relazione con un aspetto rituale, il che ci porta ad un risultato importante in cui la storia liturgica con fermerà forse i dati letterari sulla designazione del Verbo con « il Nome » . Dinkler ha infatti dimostrato che s'in contra una questione parallela a proposito dell'espressione « portare la croce » . Mentre i Sinottici danno per « por tare » Àa.!J.�avEw oppure a.tpEw, Luca dà �a.O"t'asEw ( 14, 27 ). L'espressione ha una risonanza liturgica : Dinkler ri tiene che possa trattarsi della signatio sulla fronte con il segno + oppure X 17 • Ad ogni modo questa usanza è at testata ad una data molto antica 18 • Ora, sembra proprio che questo marchio non sia che la ripresa del segno tau nella sua forma arcaica, che era il marchio di Jahweh, segnato, secondo Ezechiele 19 sulla fronte degli eletti : è ad esso che fa allusione Apoc. 7, 2 . Ma il tau, segno del No me divino 20, ormai non indica piu Jahweh, bensf il Cristo. Perciò nei testi di Erma, dove si parla di « portare il Nome » , si tratta di una signatio col segno che indicava il Nome per i Giudei, cioè il tau. Ma questo ormai rin viava a Cristo, la cui designazione era « il Nome » . Quan do il significato di questo segno, comprensibile soltanto ai Semiti, andò perduto in ambiente greco, il tau venne interpretato sia come indicante XP�O''t'oç, sotto forma di X, 17
fesus Wort vom Kreuztragen, in Neutestamentliche Studien fiir
R. Bultmann, cit., pp. 1 10-129; ripreso in Signum Crucis, Tiibingen,
1967, pp. 77-99. I B ]. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 76-96. 19 Cfr. ]. L. Teicher, Christian lnterpretation of the Sign X in tbe lsaiah Scroll, in « VT », V ( 1955), pp. 196-198; H. Rahner, Das mystiscbe Tau, in « ZKT », LXXV ( 1 953), pp. 385-410; ripreso in Symbole der Kircbe, Salzburg, 1964, pp. 406-432. 20 Il valore del tau era dovuto al fatto che era l 'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, come l'omega lo era per i Greci. Questo significato era noto ai giudeo-cristiani, come attesta Origene, Sel. in Ezecb., 9; PG, XIII, 801 A.
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sia come simboleggiante la croce, sotto forma di + . È in questo momento che l'espressione « portare la croce » so stituisce l'espressione « portare il Nome » . Ma dò non toglie che il segno tau sarebbe associato, nella sua prima origine, al Nome di Jahweh in quanto designa il Cristo. Esso sarebbe la traduzione, a livello rituale, dell'espres sione « portare il Nome » e, sul piano delle istituzioni, costituirebbe una testimonianza dell'importanza del Nome come designazione del Cristo presso la comunità giudeo cristiana. Allusioni al Nome le troviamo in Erma ancora in un contesto battesimale, ma questa volta in rapporto con l'epiclesi. Egli parla degli « apostati e i traditori della Chiesa che si vergognano del Nome invocato ( ÈmXÀTJ9Év) sopra di loro » (Sim. VIII, 6 , 4 ). Piu oltre Erma parla di « quelli che sono nominati ( È7ttxa.Àou(J.s:vot) col suo Nome » ( IX, 14, 3 ) Piu sopra abbiamo un'espressione equiva lente : « tutti coloro che vengono chiamati ( xs:xÀTJ!J.ÉVot) col Nome » (VIII, l , 1 ). Audet ha certamente ragione di vedere in queste formule la ripresa di formule dell'Antico Testamento. Cosi in Is. 43, 7 si parla di « tutti coloro che sono nominati ( Èmxa.ÀoU!J.EVot) col Nome del Signore » , e in Ger. 1 4, 9 di « coloro sui quali il Nome del Signore è invocato » 21 • Il Nome non è soltanto legato alle formule battesi mali, ma anche alla liturgia eucaristica. Il testo capitale si trova nella Didachè: E. Peterson ha mostrato che il ruolo svolto dal Nome in quest'opera è indice del suo carattere giudeo-cristiano 22• « Ti ringraziamo, o Padre santo, per il tuo santo Nome, che hai fatto abitare (xa.'ts:crxl}vwcra.c;) nei nostri cuori » (X, 2-3 ) 23 • Il legame del Nome con la Dimora ( crxT)vl} ) è conforme all'Antico Testamento. Cosi .
21
p. 5 1 .
Affinités littéraires et doctrinales du Manuel de discipline, cit.,
22 Didachè cap. 9 e 1 0 , cit., p. 5 ; dr. pure s u questo testo A. Greff, Das alteste Pascharituale der Kirche Did. 1-10 und das Johannesevange lium, Paderborn, 1929, pp. 90-104. 23 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
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si legge in Geremia: « Là ho stabilito la dimora (xa:ts:crx'l') vwcra.) del mio Nome » ( 7, 1 2 ; cfr. pure Ez. 43, 7 ; I Esdra 6, 1 2 }. Ancora una volta ci troviamo perciò di
fronte all'adattamento giudeo-cristiano al Cristo di una formula che l'Antico Testamento applica a Jahweh 24 • Scrive E. Peterson : « Il Nome di Dio è un'espressione perfettamente adattata, in un inno giudeo-cristiano, per il mistero di Cristo » 25• D'altra parte è difficile non collegare l'espressione a un'invocazione liturgica del Nome. Possiamo quindi con dudere con Peterson che « la menzione del Nome aveva probabilmente la funzione di un'epiclesi nella piu antica Fractio panis » 26• Osserviamo peraltro che la dimora è la categoria semitica piu appropriata per designare l'Incarna zione. È quella utilizzata dall'evangelista Giovanni : « Ed abitò ( Ècrx1}vwcrs:) fra ( Èv ) noi » ( 1 , 14). La similitudine con la nostra espressione dimostra che la locuzione « fra ( Èv) i nostri cuori » può indicare perfettamente la dimora eucaristica. Gli Estratti di T eodoto presentano un esempio paral lelo: « Il pane e l'olio sono santificati ( à.ytà.ss:'ta.t) dalla potenza ( ouva.IJ.tc;) del Nome » ( 82 , 1 ). Qui il pane è quello eucaristico. È l'invocazione del Nome la cui potenza consacra .il pane. Qui abbiamo ancora a che fare con un'epiclesi 27 • Si osservi l'allusione all'olio : converrà certa mente vedervi con Sagnard quella dell'unzione battesi male (Ex Theod. , p. 207 ). Il legame tra il Nome e l'olio - l'abbiamo notato piu sopra - è presente nella Lettera di Giacomo. In tutti questi testi l'uso del Nome sembra collegato all'epiclesi come poco fa lo era alla
signatio.
Vi è infine un ultimo gruppo di testi in cui « il Nome »
24
67-68.
Cfr. R. M. Grant, Gnosticism and Early Cbristianity, cit., pp.
Didacbè cap. 9 e 10, cit., p. 1 1 . Ibidem, p. 5. 27 Cfr. G. Dix, Tbe Sbape of tbe Liturgy, London, 1946, pp. 218224. 25 26
·
·
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sembra designare il Cristo e che sono in rapporto con la persecuzione: « il Nome » è la Persona di Cristo, in quanto è « confessato ». Gli Atti parlano già di « soffrire a causa del Nome » ( 5 , 4 1 ) 28• Ora, si legge in Ignazio: « Voi avete appreso che io venivo in Siria incatenato per il Nome » (Ad Eph., I , 2 ), e piu oltre : « Sono incatenato per il Nome » ( III, l ). Il Nome è pure l'oggetto del mes saggio: Ignazio parla di uomini « che portano ovunque il Nome » (VII, l ; cfr. Policarpo, Lett. , VI, 3 ). Espressioni analoghe si ritrovano nel Pastore di Erma. Cosi nella Terza Visione si parla di « coloro che si sono già resi accetti a Dio, ed hanno sofferto per il Nome » ( l , 9 ) . L'espressione ritornerà altre due volte in seguito ( 2 , 1 ). J. P. Audet, per quest'ultimo passo, opta per la lezione 't'CV òv6(.M:X.'t'Cç 't'CV eEcv al posto di 't'CV ÒV6(J.t:x.'t'cc; 'l9. Sembra che sia da preferire la seconda lezione, che è la lectio difficilior 30• Peraltro il suo significato cristologico si rivela qui ancora nel fatto che nella Nona Similitudine essa è in concorrenza con la lezione «il Nome del Figlio di Dio» . Cosi in Sim. IX, 28 si parla innanzitutto di « coloro che hanno sofferto per il Nome del Figlio dì Dio » ( IX, 28, 2) ; il versetto successivo parla di « coloro che hanno sofferto per il Nome » ( IX, 28, 3 ); lo stesso paragrafo cita di nuovo « coloro che hanno sofferto per il Nome del Figlio di Dio » ( IX, 28, 3 ) . Infine, un po' piu oltre incontriamo l'alternanza: « coloro che hanno sofferto per il Nome » ( IX, 28, 5 ) e « soffrire per il Nome del Signore » ( IX, 2 8 , 6 ) 31• Questa teologia del Nome come designazione della Persona divina di Cristo ci è testimoniata peraltro me diante le forme che essa riveste nelle correnti eterodosse, che suppongono la dottrina giudeo-cristiana. Per compren·
28 Stessa espressione di Basilide, secondo Ireneo, Adv. haer., I, 24, 6. du Manuel de discipline, cit., 29 Affinités littéraires et doctrinales .
pp. 50-58. 30 È quella che dà Whittaker {GCS, 8, 24). 31 J. P. Audet ha notato giustamente (Affinités littéraires et doctri nales du Manuel de discipline, cit., p. 54) che in queste espressioni Kyrios designa proprio il Padre, mentre il Nome designa il Figlio.
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dere le forme che la teologia del Nome assumerà in queste correnti occorre tener presente l'importanza della pro nuncia materiale o della struttura alfabetica del Nome. Già nella teologia giudaica « il Nome » esprime la natura nascosta di Dio, Jahweh. Particolarmente sotto la forma Jao la pronuncia del Nome costituisce essa stessa un potere. È nota l'importanza di questo nome nei papiri magici. Cosi le lettere che compongono Jao sono oggetto di speculazioni. È noto il posto che, nella Cabala, avranno tali speculazioni sulle lettere dei nomi divini identificate con gli O"'t'o�xs:�a. dell'universo. Ma esse compaiono già nello gnosticismo, particolarmente in Marco. Tuttavia non compaiono ancora nel piu antico e importante fra i testi gnostici, dove si trova la teologia del Nome, il Vangelo di Verità, ritrovato a Nag Hammadi e che è da attribuirsi probabilmente a Valentino stesso. Il Nome è la virtu efficace di Dio, che si oppone al prin cipio primo inaccessibile. Per il nostro argomento il Van gelo di Verità è di un interesse del tutto eccezionale. Da una parte esso contiene una cristologia del Nome piu espli cita e piu evoluta di qualsiasi altra; d'altro canto la colo razione gnostica è appena accennata. Esso testimonia cosi una teologia giudeo-cristiana assai pura. G. Quispel ha potuto scrivere di aver stabilito che « le speculazioni rela tive al Nome risalivano in ultima analisi a concezioni giu daiche piu o meno eterodosse che erano state introdotte nella Gnosi dall'inizio del secondo secolo » 32 • Se, come riteniamo, queste speculazioni giudaiche sono state utiliz zate da Valentino tramite una prima elaborazione giudeo cristiana, ciò permette di far risalire tale elaborazione alla fine del primo secolo. Malgrado la lunghezza del passo la sua importanza esige che ne venga riportata la traduzione per intero. Esso comincia cosi: « Ora la fine consiste nel prendere conoscenza ( yvwo-�ç) di chi è nascosto. E questi è il Padre : colui dal quale è uscito l'Inizio e al quale ritorneranno .12 Tbe ]ung Codex, cit., p. 72.
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tutti quelli che sono usciti da Lui, perché essi sono stati manifestati per la Gloria e la Gioia del suo Nome. Ora, il Nome del Padre è il Figlio. È Lui [ = il Padre] che all'inizio ha dato nome a quello che è uscito da Lui, e che era Lui stesso, e che Egli ha generato come Figlio. Gli ha dato il suo Nome, che apparteneva a Lui, poiché è Lui, il Padre, colui al quale appartengono tutte le cose che sono con Lui. Egli possiede il Nome. Egli possiede il Figlio: questo è possibile che sia visto, il Nome invece è invisibile, poiché esso solo è il mistero dell'Invisibile, il quale giunge a orecchie che ne sono tutte piene. Il Nome del Padre, invero, non si può pronunciare, ma Egli si è rivelato per mezzo del Figlio. Cosi grande è dunque il Nome » (Vang. Ver. , 3 3 , 34, 3 5 ) 33• Si vede la ricchezza della dottrina contenuta già in questo passo. Da una parte il Nome designa l'essenza divina, che è invisibile e ineffabile. Quispel ritiene giusta mente che questo si riferisca alla dottrina giudaica del carattere nascosto del Nome divino, che non deve essere pronunciato. Ma ciò si sviluppa in una teologia apofatica dell'incomprensibilità divina. Questo punto è già di grande interesse : è noto infatti quale sia l'importanza nello gno sticismo della dottrina del Dio sconosciuto. Si è voluto trovarle delle origini sia nel platonismo, sia nel mazdei smo; ma il nostro testo riallaccia direttamente tale dottrina alle speculazioni giudaiche dei primi tempi cristiani. Cosi il Nome del Padre è inaccessibile. Si notino i contatti di tale dottrina con Giov. l , 1 8 : « Nessuno ha mai veduto Dio » . M a questa essenza ineffabile del Padre è manifestata agli uomini dal Figlio, cui il Padre ha dato il Nome. Ciò significa che il Figlio ha la stessa natura del Padre. Cosi pure di lui è detto che « procede dal Padre >> e che « è il Padre » . Non c'è dunque differenza di natura tra il Padre e il Figlio. Non soltanto il Figlio possiede il Nome ma è il Nome : abbiamo fatto un passo avanti. Il Nome " In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit.
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non designa solamente Dio in sé, ma in quanto si mani festa : questo è il senso dell'espressione nell'Antico Testa mento. E questo Nome è una persona : designa il Figlio; i l che costituisce un terzo aspetto del Nome. Esso è iden tico alla Persona. Cosi il Nome designa il Figlio contem poraneamente sotto tre aspetti: in quanto possiede la natura divina, in quanto la natura divina è manifestata in lui, e in quanto è una Persona distinta dal Padre. Un punto interessante da notare è l'opposizione tra il Padre, che è invisibile, e il Figlio che è visibile. In effetti si tratta di un aspetto della teologia arcaica. Esso costi tuisce il fondo della dottrina di Giustino: « Non si può dare un nome al Padre dell'Universo », scrive nella II Apol. VI, l 34• Questa è la ragione per cui tutte le teofanie dell'Antico Testamento sono attribuite da Ireneo al Verbo. Il testo di Valentino riflette perciò qui assai esattamente la teologia del suo tempo; ci aiuta pure a coglierne le origini nel giudeo-cristianesimo, poiché la designazione del Figlio per mezzo del Nome conferisce a questa teologia un carattere arcaico. In Giustino essa è piu ellenizzata, il che induce a porre il problema di sapere se lo gnosticismo non si basi, in ultima analisi, su di una teologia arcaica di carattere giudeo-cristiano, segnata dalla speculazione giudaica. Il seguito del passo sviluppa le stesse vedute: « Poiché il Padre non è venuto nell'esistenza, ma di sé ha generato lui solo come Nome, prima di produrre gli eoni, affinché a loro capo, quale signore, vi fosse il Nome del Padre, cioè il Nome vero, saldo nella sua autorità e nella sua perfetta potenza. Questo Nome non si trova tra i vocaboli, né il suo Nome compare tra gli appellativi (À.É�s:tc;). Esso è invisibile. Egli ha dato un nome a se stesso, perché vede se stesso ed Egli solo è in grado di darsi un nome. Colui che non esiste non ha un nome. Quale nome si può dare a colui che non esiste? Invece chi esiste, esiste pure 34 Cfr. pure I Apol., LXI, 1 1 : « Non è possibile nominare il Dio ineffabile ». Ih Giustino, Le Apologie, a cura di I. Giordani, Roma, 1962.
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il suo Nome e conosce se stesso. Dare un Nome a se stesso significa essere il Padre. Il suo Nome è il Figlio. Egli non l'ha dunque nascosto nell'agire : ma il Nome esisteva, ed Egli lo dava al Figlio, a lui solo. Il Nome quindi è quello del Padre, cosi come il Nome del Padre è il Figlio »
( Vang. Ver. , 36-37 ).
Si osservi qui anzitutto la netta distinzione tra i nomi, nel senso ordinario del termine, che sono delle designa zioni date dagli uomini e il Nome di cui si parla qui, che è una realtà nascosta. In secondo luogo Valentino nota che, propriamente parlando, il Padre non ha Nome, ma il Figlio è il suo Nome. Il seguito precisa questo punto: « Che cos'è il Nome ? Poiché esso è il nome autentico, è senza dubbio il Nome che proviene dal Padre, perché è Lui il Signore del Nome. Non è uno pseudonimo che egli abbia ricevuto, come altri, secondo la maniera in cui cia scuno ne viene fornito. Ma è Lui il Signore del Nome. Non c'è nessun altro a cui Egli lo abbia concesso, ed Egli stesso, che è perfetto, lo ha pronunciato, ed è Lui che ha il potere di pronunciare il suo Nome e di vederlo. Quando dunque gli piacque che il suo Figlio diletto divenisse il suo Nome, Egli gli diede il suo Nome . Uscito dalla Pro fondità, questi ha parlato dei segreti di Lui » (Vang.
Ver. , 3 8 ).
Qui abbiamo proprio lo sviluppo di una teologia del Nome notevolmente elaborata. Da una parte il Nome è quello del Padre : è il Nome proprio ( xupLoc;). È quindi di un altro ordine rispetto a tutti gli Eoni. Esprime perfet tamente il Padre, ma, peraltro, è distinto da lui, perché il Padre è ineffabile. Dal momento in cui egli si esprime, tale espressione, il Nome, è un'ipostasi sussistente 35 • Tut tavia ciò che caratterizza il pensiero del testo è il fatto che il Nome vi appare non come strumento di creazione, ma come mediatore di rivelazione. Ciò è nella linea della gnosi, 35 « Il Nome è in questo testo una manifestazione di Dio, un'ipo stasi sussistente che svolge il ruolo di mediatore della Rivelazione » (G. Quispel, Christliche Gnosis und ;udische Heterodoxie, in « ET », XIV [ 1954 ] , p. 1 1 ).
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ma di una gnosi che non ha niente di eterodosso, poiché si trovano espressioni parallele in Giustino e perfino nel Vangelo giovanneo. Nel Vangelo di Verità la teologia del Nome si basa perciò su una teologia giudeo-cristiana già elaborata, di cui abbiamo trovato l'eco in Erma e nella I Clem. Ma nello stesso tempo essa presenta dei dati propri. G. Qui spel ha mostrato i suoi rapporti particolarmente con l'Apo calisse d'Abramo. Siamo perciò dell'avviso che, oltre che della teologia giudeo-cristiana, il Vangelo di Verità pre senti degli influssi diretti del giudaesimo contemporaneo, che non troviamo nella teologia del Nome del giudeo cristianesimo ortodosso. Queste speculazioni si riallacciano all'esoterismo giudaico del secondo secolo, in cui vengono elaborate le dottrine che ritroveremo nel Talmud e che preparano la Cabala. L'eco di tali speculazioni apparirà ancora piu netta nelle opere gnostiche posteriori . Ora, questa dottrina subirà sviluppi in sensi diversi da parte dei discepoli del Maestro. Presso Marco il Dia cono essa assume la strana forma di una simbolica delle lettere: le lettere ( cr-roLxEi:a) sono identiche agli elementi ( cr-roLxEi:a ) del tutto; di conseguenza i nomi che le lettere compongono diventano significativi della natura delle cose. La generazione del Verbo è « !'·enunciazione del nome » ( ÈxcpwvT)CTLc; -roti òv6[.J.,a-roc;) (Adv. haer. I, 14, 1 ). Questo no me stesso è composto di lettere che formano altri nomi. Cosi si dispiega il Pleroma degli esseri: il Nome del Logos , che contiene il Pleroma degli esseri, è necessariamente il Nome che contiene il Pleroma di lettere. Lo si indica o con A e n, la prima e l'ultima lettera, oppure con 7tEpLcr-rEpa, la cui somma numerica forma 8 0 1 , cioè il numero designato con A + il numero designato con n. Quanto al nome di 'ITJcrouc;, esso è il nome inesprimibile del Salvatore. È com posto di sei lettere, il che, beninteso, è simbolico 36• Esso designa il Gesu terreno ( l, 15, 2 ), ma costui è la manifesta·16 Cfr. A. Dupont-Sommer, La doctrine mystique de la lettre waw, Paris, 1 946, pp. 40-55.
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zione a livello terrestre del Logos, il che si esprime me diante la discesa della colomba, la 7tEpt.cr-rEpa espressione del Logos, su Gesu al momento del Battesimo 37• In questa dottrina occorre distinguere parecchi stadi di pensiero. All'inizio vi sono degli elementi giudeo-cri stiani e singolarmente la dottrina del Cristo come il Nome nella sua realtà di Logos enunciata dal Padre 38• Peraltro ritroviamo le vedute sul nome del Padre designante il Verbo nel suo rivestimento carnale. In secondo luogo siamo in presenza di una speculazione sulle lettere e i numeri che costituisce una tecnica propria dell 'epoca e che si ritrova altrove. Essa persisterà nella Cabala, di cui &holem ha mostrato i legami con l'apocalittica giu daica. Questi sono perciò ancora elementi giudeo-cristiani, ma di carattere aberrante. Infine tutto ciò è trasposto da Marco in una dottrina gnostica in cui le lettere stanno ad indicare la struttura valentiniana del mondo: il Pie roma, la nascita del mondo in basso, la discesa del Salva tore, la distinzione tra il Logos e il Gesu terrestre. Que st'ultimo aspetto non c'interessa, ma i primi rientrano nel nostro studio e vi apportano un complemento. Lo stesso è per gli Estratti di Teodoto, dove leggiamo: « All'inizio gli angeli sono stati battezzati nella redenzione del Nome, che è disceso su Gesti sotto forma di colomba e l'ha riscattato. Perché anche Gesu aveva bisogno di redenzione » ( 22 , 6-7 ; SC, 102). Conosciamo già l'identi ficazione del Nome con la colomba; peraltro il Nome è qui chiaramente il Riglio stesso. Piu sopra era detto che « noi possediamo anche il Nome », necessario per entrare nel Pleroma ( 22, 4 ): si osservi il contesto battesimale. Piti oltre incontriamo ancora le espressioni di Marco: « La parte visibile di Gesti era la Sapienza e la Chiesa, di cui 37 Cfr. l 'analisi di F. M. Sagnard in Clem. Aless., Extraits de Théo dote, Paris, 1948, pp. 217-219. Ma egli semplifica eccessivamente i dati di Marco. 38 Cfr. pure la formula di « redenzione »: « il Nome, celato ad ogni d!!ità e Signoria, che Gesu di Nazareth ha rivestito nei cerchi di luce > (Adv. haer., l, 21, 3). 22.
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si è rivestito mediante l'elemento carnale. La parte invi sibile è il Nome, che è Figlio Monogeno » ( 26, l ). Si noti che Gesu qui è ancora il nome del Figlio, in quanto si manifesta fuori del Pleroma. Il seguito porta un elemento importante: « Il gran sacerdote, entrando all'interno del Secondo Velo, lasciò la lamina d'oro vicino all'altare dei profumi: lui stesso entrava in silenzio, avendo il Nome scolpito nel suo cuore» (27, 1 ). Il tema è di Clemente, ma ispirato da Teodoto. Ora, qui il nome è il tetragramma sacro, cioè Jahweh, o Jao. Abbiamo l'identificazione del Nome nel senso dell'Antico Testamento e della Persona del Figlio. La teologia del Nome è qui resa pienamente esplicita, e lo è da Clemente. Non siamo nello gnosticismo, ma in uno sviluppo del giudeo-cristianesimo ortodos,so. « Con ciò - prosegue Clemente - esso indicava l'abbandono del corpo che, simile alla lamina d'oro, è diventato puro e leggero, di questo corpo su cui si è impresso lo splen dore della pietà, grazie al quale il gran sacerdote, rivestito del Nome, è stato conosciuto dagli Angeli e dagli Arcan geli » ( 27, l ). Il Nome qui è la virtu del Logos da cui il sommo sacerdote, cioè l'anima del pneumatico, è avvolta. Il contesto battesimale è sempre sotteso. Viene quindi portato un nuovo elemento : « Supe rando l'insegnamento angelico e il Nome insegnato dalla Scrittura, l'anima perviene alla conoscenza e al possesso delle realtà » ( 2 7 , 5). Abbiamo qui una relazione tra il Nome nella sua materialità e la realtà che esso significa, cioè il Figlio. Sembra in tal modo che H legame sia tra la pronuncia materiale del Nome e la conoscenza del Nome in se stesso. Ciò viene a completare quanto osservammo piu sopra a proposito del contesto cultuale del Nome. La pronuncia del Nome ha un'efficacia nel sacramento; il Nome è ad un tempo conoscenza e potere. Ma questo valore del Nome scritto è semplicemente il riflesso del Nome reale, che è il Figlio stes,so. Come si vede, il Nome si prestava a contrassegnare un complesso di rela zioni assai ricche. Questa dottrina si ritrova altrove in
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Clemente. Si noti in particolare il passo seguente, a pro posito del tetragramma del gran sacerdote: « Il Nome inciso sulla lamina d 'oro è giudicato degno di stare al di sopra di ogni potenza e prindpato (Fil. 2, 9 ). Esso è inciso a causa della sua venuta visibile ed è chiamato Nome di Dio perché è contemplando la bontà del Padre che il Figlio agisce, chiamato Dio Salvatore, immagine del Dio invisibile anteriore ai secoli e che ha impresso il suo segno su tutto ciò che è stato fatto dopo di lui » (Strom. , V, 6, 38; GCS, 352-353 ) . Qui il Nome è palesemente il Figlio, perfetta espressione del Padre, e che è impresso su tutte le cose. Ma torniamo a Teodoto e alla concezione gnostica: « Gli Eoni riconobbero che ciò che essi sono, lo sono per grazia del Padre: Nome Innominabile ( ovoiJ.a à.vov6IJ.a cr-rov ), Forma e Gnosi. Ma l'Eone che voleva sapere ciò che sta al di sopra della conoscenza . . . ha operato un vuoto di conoscenza che è l'ombra del Nome, cioè del Figlio, forma degli Eoni. Cosi il Nome parziale di ciascuno degli Eoni è la perdita del Nome » (Excerpta ex Theod. , 3 1 , 3-4 ). Qui ritroviamo Marco: il Nome è il Figlio, forma del Pie roma. Ma il Nome ( l'A-!l) si sbriciola nella moltitudine delle lettere che sono i diversi eoni. È notevole vedere come Clemente operi lui stesso ciò che è l'oggetto del nostro lavoro e distingua nel suo studio su Teodoto gli elementi della teologia tradizionale - che riprende per conto suo e che costituiscono la dottrina giudeo-cristiana del Nome - e, peraltro, la dottrina specHìcamente gno stica della caduta dal Pleroma e della suddivisione del N ome nella varietà degli eoni 39 •
La Legge e l'Alleanza Il Nome non è la sola espressione d'origine semltlca che il giudeo-cristianesimo abbia applicato al Verbo. Stu39 Nell'Apophasis « il Nome » appare come uno degli eoni ( lppolito,
Elench. , VI, 9, 12, 13).
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dieremo qui un certo numero di termini che sono serv1t1 •Jgualmente a designare il Figlio di Dio. La prima di queste espressioni è v6�oc;, la Legge, che traduce l'ebraico thora. Non si deve d1menticare che la Thora per i Giudei è meno la raccolta stessa delle prescrizioni divine che l'atto con cui Dio prescrive. Il termine è cosi abbastanza vicino alla Parola, dabar. Nel giudaesimo contemporaneo a Cristo la Thora è considerata come una realtà divina, preesistente al mondo 40• Il rotolo che la conteneva ·sarà oggetto nella Sinagoga di un autentico culto: è come il sacramento visi bile della presenza della Parola divina. Per il giudeo la Thora è l'autentica Incarnazione, cosi come lo sarà il Co rano per i Musulmani 41• Occorre aggiungere che l'identità tra il Logos e il Nomos era già stata affermata prima del cristianesimo da Filone. E. Goodenough, che ha dedicato qualche pagina al problema, scrive che « l'identificazione dd Verbo con la Legge è completa » 42 • Cosi nel De ]osepho, 174, si legge : « Colui che cerca non è un uomo, ma Dio, Verbo o Legge divina ( 8Ei:oc; v6�oc;) » . Lo stesso altrove: . « Legge divina e Parola divina » sono identificate come presenza attuale di Dio ( Quest. Gen., IV, 140). Particolarmente interes sante è il De Plant. , 8 , il cui testo accettato porta: « È il Verbo ( Àéyoc;) di Dio eterno che costituisce il sostegno assai forte e solido deLl'Universo ». Questo testo si trova in una citazione di Eusebio (Praep. Ev. , VII, 1 3 ), ma tutti i manoscritti di Filone danno v6�oc; al posto di Àéyoc;. Goodenough - con ragione, a quanto pare - preferisce questa lezione. In ogni modo l'eshazione stessa indica la sinonimia delle due espressioni in un contesto peraltro assai forte. Ed è probabile che Eusebio abbia corretto l'arcaismo v6�oc; con Àéyoc;. Non c'è quindi da stupirsi se v6�oc; serve a designare
40 Giub., III, 10; Test. As., II, 10. Cfr. J. Bonsirven, ]uda'isme palestinien, I, p. 250; Strak-Billerbeck, Il, 353-356. 4 1 E. Goodenough, ]ewish Symbols in Greco-Roman Period, New York, 1954, IV, pp. 99-144. 42 By Light Light, cit., p. 58.
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il Figlio di Dio nella teologia giudeo-cristiana 43 • Ciò, peral tro, non dipende da Filone, ma costituisce uno sviluppo parallelo, a partire dalle speculazioni delle apocalissi sulla Thora. J. Lebreton ha raccolto qualcuno dei passi in cui si trova questa identificazione 44 e la loro origine stessa indica proprio il suo carattere giudeo-cristiano. Un primo passo si trova in Erma. Si tratta della visione di un salice immenso: « Quest'albero grande, che ricopre con la sua ombra pianure, montagne, anzi tutta la terra, è la legge di Dio ( VOIJ.Oc; eEou) data al mondo intero. Essa si idendfìca con il Figlio di Dio che è stato annunziato fino alle terre piu lontane » (Sim. VIII, 3 , 2 ). Il testo non potrebbe es,sere piu esplicito : la Legge è il nome del Figlio di Dio. È chiaro che ci troviamo in presenza di un arcaismo, in cui vé!J.oc; sta al posto di Àéyoc;, che non compare mai nel
Pastore.
Un secondo testo di carattere arcaico presenta la stessa assimilazione: è il Kerygma di Pietro, citato da Clemente Alessandrino, il quale scrive : « Nel Kerygma di Pietro tu t roverai il Signore chiamato Legge e Verbo ( vé!J.oc; xaL Àéyoc;) » (Strom. , I, 29 ; GCS, 1 12, 3 ). E in un altro passo: « Il Signore è chiamato lui stesso Legge e Verbo, secondo Pietro nel Kerygma, e pure secondo il Profeta che scrive: Da Sion uscirà la Legge ( véiJ.oc;) e la Parola di Dio da Gerusalemme ( fs. 2, 3 ) » ( Eclog., 58 ). Il testo di Isaia è interessante : infatti appartiene ai Testimonia pri mitivi . In realtà in Giustino si ritrova il Signore chiamato véiJ.oc; con riferimento allo stesso testo 45 • Cosi in Dia!. , XXIV, l : « Vi è ora un'altra Alleanza; un'altra Legge è uscita da Sion, Gesu Cristo » . Termino qui conforme mente al manoscritto C. Gli altri collegano « Gesti Cri sto » alla frase successiva, ma questa sembra una lectio 43
Ibidem, p. 57. 44 Essa si trova già, ma non esplicitamente, in Paolo. Scrive W.-D. Davies: « Paolo considera Gesti come la Thora di Dio, non soltanto nel senso che le sue parole sarebbero un v6[J.oc; ma in quanto lui stesso nella sua totalità è una rivelazione di Dio e della sua volontà all'uomo » ( Paul and Rabbinic Judazsm, London, 1948, p. 149). 45 Cfr. C. Andresen, Logos und Nomos, cit., pp. 325-329.
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facilior. Piu oltre Giustino si riferisce allo stesso passo:
« Era annunciato che il Cristo, Figlio di Dio, doveva venire, Legge (v6[l.oç) eterna e nuova Alleanza, per il mondo intero » (Dial. , XLIII, 1 ). Si noti che qui il Cristo è chiamato ad un tempo legge e alleanza ( oLa81pt'rJ ), il che si troverà già in Dial. , XI, 2 : « Il Cristo è stato dato per noi, Legge eterna e definitiva ( ·n:Àw-rai:oç), alleanza indistruttibile dopo la quale non vi sono piu né legge, né precetti, né comandamenti » 46• Questa concezione di Cristo come alleanza si ritrova a piu riprese in Giustino : « La nuova alleanza (xaw1) oLa81}ltll), la cui instaurazione era annunciata da Dio da lungo tempo, era ormai presenza, cioè Cristo stesso » (Dia!. , LI, 3 ) . È interessante osservare che l'espressione è già applicata alla persona di Cristo dalla Lettera di Barnaba, che cita Is. 42, 6 : « Ho fatto di te l'alleanza dei popoli » (XIV, 7 ) . Il testo di Isaia applicando alla persona del servo il ter mine Alleanza, giustificava la sua applicazione al Cristo. A proposito dello stesso testo di Isaia, scrive Giustino : « Che cos'è l'alleanza di Dio? Non è il Cristo? » (Dia!. , CXXII, 5 ; cfr. pure CXVIII, 3 ; CXXII, 3 ) . Si è notato che la concezione di Cristo che introduce un'alleanza nuova e che porta la Legge definitiva era corrente nel Nuovo Testamento 47• Ma l'interesse dei testi che abbiamo citato sta nel fatto che essi presentano un elemento in piu, cioè l'identificazione di Dio con la Legge e l' AUeanza. Ora, ciò può difficilmente spiegarsi senza un'influenza diversa da quella dell'Antico Testamento e che è quella del giudaesimo apocalittico, in cui la Legge diventava una sorta di ipostasi. Questo non vuol dire che i testi di Isaia non stiano alla base delle nostre cita zioni, ma esse sono precisamente una speculazione cri stiana sulla Bibbia a partire da categorie del giudaesimo 46 Cfr. pure XI, 4. Filone vede in OLa6rptTJ un nome del Logos (Somn. , II, 237). 47 C. A. Bugge, Das Gesetz und Christus, in « ZNW », IV ( 1903 ), pp. 89-1 10.
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post-biblico. Orbene, quella è precisamente la definizione stessa della teologia giudeo-cristiana. La designazione di Cristo come Legge continuerà presso gli scrittori del secondo secolo, in dipendenza dal medesimo contesto. Scrive Melitone nella sua Omelia Pasquale : « Quando giudica, è Legge » ( 9 ). Ireneo applica alla generazione del Verbo il Salmo 77, 5-6 : « Ha susci tato una testimonianza ( �ap-rupLov) in Giacobbe ed ha stabilito una legge (v6�oc;) in Israele » (Adv. haer. , III, 1 6, 3; cfr. III, 10, 5 ). Non solo, ma Ireneo rinvia a Is. 2, 3 e mostra nella Legge « il Verbo di Dio annunciato a tutta la terra » (Adv. haer. , IV, 34, 4). Quest'ultimo passo di Ireneo è particolarmente interessante, perché il tema della Legge designante il Verbo accompagna quello dell'aratro, figura della croce secondo Is. 2 , 4 48• Abbiamo là una nuova testimonianza del posto importante occupato da questo capitolo di Isaia nei Testimonia della Chiesa antica. Infine Clemente Alessandrino scriverà negli Stro mata: « Chi governa tutto ed è realmente Legge ( v6�oc;), Destino ( 8Ecr�6c;) e Verbo eterno, costui è in realtà il Figlio unico » (VII, 3 , 1 6 ; dr. pure Protr. , I, 3 ).
Il Principio e il Giorno Altri titoli del Verbo si riallacciano nella teologia giu deo-cristiana alle speculazioni sull'Esamerone. Abbiamo già avuto piu volte l 'occasione di segnalare l'importanza di queste speculazioni per l'epoca di cui ci stiamo occu pand9 : esse costituiscono uno dei luoghi essenziali della teologia del Verbo. Due espressioni int,eressano in questa sede. La prima - che compare nelle Eclogae propheticae di Clemente Alessandrino ( di cui abbiamo detto che con tenevano una tradizione giudeo-cristiana) - è quella che designa il Verbo come apxl). Clemente intende dimostmre 48 Cfr. J. Daniélou, Les symboles cbrétiens primitifs, Paris, 1961,
pp. �5·107.
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che « il Figlio è apx1} » ( IV, l ). Non insisto sulla compli cata argomentazione che egli espone a partire da un testo di Osea. Ciò che a noi interessa è che l'iniz�o delle Eclogae contiene dei frammenti di esegesi dell'Esamerone e che è dunque in questo contesto che certamente occorre inter pretare il testo 49• Peraltro una conferma ci è data da un altro passo di Clemente in cui si legge : « Unico è realmente Dio, che ha stabilito un principio ( apx1}) per tutte le cose, come scrive Pietro, designando il Figlio primogenito e riferendosi evi dentemente a: In principio ( Èv apxfi) Dio creò il cielo e la terra » (Strom. , VI, 7 , 5 8 ; GCS, 4 6 1 ) : Clemente si riferisce qui al Kerygma di Pietro a cui riferiva piu sopra la citazione ( VI, 5, 3 9 ; 45 1 ). 011a, il Kerygma di Pietro è un'opera giudeo-cristiana dell'inizio del secondo secolo, nella quale abbiamo già trovato il titolo v61J..oc; dato al Figlio. Abbiamo d'altronde un altro testo le cui origini giu deo-cristiane sembrano certe e in cui il Verbo è chiamato apx1}. È quello di Teofilo d'Antiochia: « Dio generò il suo Verbo e lo creò mediante la sua Sapienza prima di tutte le cose. Lo si chiama apx1} perché è il Principio e il Maestro di tutto ciò che è stato da lui crea�o » (Ad. Antol. , II, 10 ). Il senso è assai prossimo a Clemente, in cui apx1} evoca l'idea di principato. Ora, Teofìlo si riferisce a Gen. l , l : « Mosé, che viveva molti anni prima di Salomone - o piuttosto il Verbo di Dio che si servi di lui come strumento - dice : In Principio ( Èv apxii) Dio creò il cielo e la terra. Le sue prime parole sono per il Principio e la creazione. . . Affinché il vero Dio sia conosciuto per mezzo delle sue opere, perché si sappia che, nel suo Verbo, Dio ha fatto il cielo e la terra, egli dice : Nel Principio Dio creò il cielo e la terra » ( II, 1 0 , cfr. pure I , 3 ). Qui abbiamo dunque una tradizione anteriore a Clemente, che si riallaccia al giudeo49 Si ricordi che X"tLO'EWc;.
il
Cristo in Apoc. 3, 14 è chiamato lipxi) "tijc;
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cristianesimo siri-aco e nella quale s i incontra gta questa esegesi dell'inizio della Genesi. Essa interferirà con Prov. 8, 22 : « Dio mi ha creato ali 'inizio ( tipx1) ) delle sue vie », a cui si riferisce Giustino (Dial. , LXI, l ; LXII, 4 ). Queste speculazioni saranno riprese a loro volta dagli Gnostici ; ma essi pretendono, mediante questa esegesi, di ritrovare dei dati del loro sis·tema. Cosi Ireneo ci offre un esempio della esegesi di Marco del versetto della Genesi che abbiamo visto prima interpretato da Clemente e da Teofìlo: « Mosè - dicono loro - affrontando il problema della creazione fa vedere subito nel Principio ( &.px1) ) la Madre dell'Universo. All'inizio Dio ha fatto il cielo e la terra. Avendo nominato queste quattro cose: Dio, il Principio, il cielo e la terra, ha visto in esse la tetractys, come essi dicono » (Ad v. haer. , I, 1 8 , l ). Si vede che qui anche l'&.px1) viene considerata come una categoria personale: è un aspetto che lo gnosticismo riprende dall'esegesi giudaica e giudeo-cristiana 50• Questa interpretazione del bereshith come designante un'ipostasi divina è evidentemente di origine giudaica: essa è già in Prov. 8, 22, dove la Sapienza è chiamata tipx1). Il Targum di Gerusalemme riferisce ugualmente bereshith alla hokma, la Sapienza preesistente. Ma v'è qualcosa di piu curioso. Aristone di Pella, nel Dialogo tra Giasone e Papisco dichiara, secondo Girolamo ( Quaest. heb. in Gen., I, l ; PL, XXII I , 937), che in ebraico il primo versetto della Genesi è letto : In filio Deus fecit coelum et terram. Aristone - lo sappiamo da Origene è un giudeo-cristiano. Ireneo da parte sua traduce lo stesso versetto nel modo seguente : « Il figlio all'inizio; poi Dio cJ:IeÒ il cielo e la terra » (Dem. , 43 ). Recentemente J. Smith ha proposto di leggere: « All'inizio Dio creò un Figlio, poi il cielo e la terra » 51 • Scrive Tertulliano per parte sua: « Certi dicono che la Genesi in ebraico cominso Cfr. pure l'esposizione che Ippolito fa della dottrina di Simone (Elench., VI, 13). 51 Hebrew Christian Midrash in Irenaeus, in « BI », XXXVIII ( 1957), pp. 24-34.
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eia cosi: All'inizio Dio si è fatto un figlio » (Adv. Prax. , 5) 52• Infine Ilario : « Bresith verbum hebraicum est.
Id tres significantias habet, id est in principio, in capite et in filio » (Tract. in Psalm. , I I , 2 ). Donde proviene questa traduzione di reshith con « Fi glio » ? È curioso il raffronto del testo di Ilario con l'inter pretazione che C. F. Bumey 53 ha dato di Col. l , 1 5- 1 8 e che è stata ricordata da W . D. Davies 54 • Burney vede nel testo di Paolo una esegesi dei diversi significati di reshith. Essi sono : inizio ( 7tpÒ 7t(i"V"tW"V ), testa ( xecpa.ÀdJ ), primizie ( 7tPW"t6"toxoç). Si osservi che anche il Cristo è chiamato tipx1). Si vede che i tre significati dati da Paolo sono gli stessi che trovammo in Ilario. È impossibile che dietro ad entrambi i passi non vi sia una medesima tradi zione rabbinica. L'equivalenza tra tipx1) e Figlio si spiega immediatamente: qui figlio è l'equivalente di primogenito, che è uno dei significati di reshith. In ogni caso questa interpretazione di tipx1) come designante il Figlio primogenito si trova, in dipendenza dal giudeo-cristianesimo, nel corso di tutta la patristica successiva. Per attenerci al periodo antico notiamo che la si trova in Giustino: « Come principio ( tipx1J ) prima di ogni creatura, Dio generò da se stesso una certa virtu logica ( À.oy�x1} ) che lo Spirito Santo chiama pure la gloria del Signore, o Figlio, oppure Sapienza » (Dia!., LXI , l ; cfr. , pure LXV, 5 ) . E Taziano, analogamente: « Il prin cipio ( tipx1) ) è la potenza del Logos » ( Oratio ad Grae cos, 5 ). Origene riassumerà questa dottrina : « All'inizio Dio fece il cielo e la terra. Qual è l'origine ( tipx1) ) di tutto se non il nostro Salvatore e Signore Gesu Cristo, primogenito fra tutte le creature? Ora, è in questo prin cipio, cioè nel suo Verbo, che Dio fece il cielo e la terra » (Hom. in Gen., I, 1 ). Cfr. pure: « Egli è chiamato prin cipio ( tipx1) ) in quanto Sapienza » (Comm. in ]oh., I, 1 9 ; GCS, 2 3 ). 52 E. Evans, Tertullian's Treatise Adv. Praxean, London, 1948, p. 209. 53 Christ as the APXH, in « JTS », XXVII ( 1926), pp. 175-176. 54 Paul and Rabbinic ]uda"ism, cit.,
pp. 150-153.
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Ad &.pxi) può essere accostato un altro titolo, meno frequente, e che sembra pure dovere la sua origine all'Esa merone: è quello di Giorno ( i)�Épa. ) È dato da Giustino accanto a Figlio e a Sapienza ( Dial. , C, 4) . Clemente Ales sandrino dichiara che « il Cristo è frequentemente chia mato Giorno » (Eclog. proph. , LIII, l ; GCS, 1 5 1 ). Ippo lito scrive che « Giorno, Sole e Anno erano il Cristo » (Ben. Mo'ise; PO, XVII, 1 7 1 ) 55 • Qual è l'origine di questo titolo singolare? Tutti i termini citati nelle liste di Giustino sono tratti dalla Scrittura. Clemente, d'altra parte, dicendo che « il Cristo è spesso chiamato Giorno », vuol dire evidentemente che egli è di frequente designato con questo titolo nella Scrittura. Per questo titolo, come per gli altri, abbiamo dunque come contesto una raccolta di Testimonia in cui il termine « Giorno » si trovava menzionato e che giustificavano tale designazione con que sto vocabolo. Dobbiamo perciò chiederci qual è il contesto scritturistico di tale appellativo. Si pone anzitutto il problema di sapere se l'espres sione compare nel Nuovo Testamento, al che bisogna ri spondere negativamente. Tuttavia essa si trova in un lo ghion attribuito a Cristo da Marcello di Ancira e che è assai singolare. Ecco il testo in cui Eusebio di Cesarea cita il passo di Marcello d'Ancira: « (Marcello) continuando la sua esposizione, sostiene che il Signore abbia detto: Io sono il Giorno ( 'Eyw d�� i) i)�Épa. ), esprimendosi in que sto modo: Quando prima esistevano le tenebre ( crx6'toç) a causa dell'ignoranza degli empi; allorché il giorno è sul punto di comparire - Io sono il Giorno, dice infatti egli cita a giusto titolo la stella del mattino ( Éwcrq>6pov ) ; e altrove dice: Dopo essersi incarnato egli è proclamato Cristo e Gesu, Vita, Via e Giorno (i)�Épa. ) » ( Contra Mar cel!. , I, 2 ; GCS, 1 2 ) 56• .
55 Cfr. pure Origene, Comm. in Job., fr. 137; GCS, 573 ; Cipriano, Orat., 35; Ad Vigil., 5; De Zelo et livore, 10; Ambrogio, Tract. in Luc., VII , 222; Gregorio di Nissa, Trid. ; GNO, 274, 20. 56 Cfr. Die Fragmente Marcells, 32 e 43, in appendice a Contra Marcellum, in GCS, 189-190 e 192.
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Non c'è alcuna ragione di supporre che Marcello sia l'autore di questo loghion : deve perciò averlo ricevuto da una tradizione antica. Molteplici sono le possibili ipotesi sulla sua origine. Può trattarsi di un loghion indipendente; tuttavia è stata rilevata l'analogia della formula con quella che si incontra nel Vangelo di Giovanni. « Io sono il Giorno » sembra proprio una variante di « Io sono la Luce » 57 • Ma sembra eccessivo vedervi, con W. Bauer, sol tanto un semplice errore di citazione 58• Poiché, come pe raltro sappiamo, « Giorno » era un titolo del Verbo nella comunità primitiva, sarebbe piu verosimile vedervi una formula arcaica imparentata con quelle del Vangelo gio vanneo. Infine, l'allusione contemporaneamente al Giorno e alla Stella del mattino fa pensare a II Piet. l , 1 9 . Mar cello ha potuto vedervi un À6ytov, perché il testo parla di npoqnynxòc; À6yoc;. Rimane il fatto che il contesto a cui si riallaccia il loghion sembra proprio l'Antico Testamento. L'espressione « il Giorno » ivi ha soprattutto un senso tecnico per de signare l'epoca escatologica che è quella della venuta del Signore : questa potrebbe essere una prima origine 59 • È in questo senso che la intende Marcello d'Ancira che vede nel « Giorno » il nome del Verbo nella sua manifestazione terrena ro. Peraltro l'equivalenza tra
T. Zahn, Marcellus von Ancyra, p. 1 12.
58 W. Bauer, Das Leben ]esu im Zeitalter der neutestamentlichen
Apocryphen, Ti.ibingen, 1909, p. 384. 59 G. Dellink, art. 'H!J,Épa. in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia, 1965 ss., IV [ 1968 ] , coll. 105-134. 60 Fg. 42; GCS, 190.
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è terminata, il giorno si avvtcma » . Clemente interpreta allegoricamente ( Ò'.À.À.T)yopEL) i termini Giorno e Luce, rife rendoli al Figlio (Strom. , IV, 22, 14 1 ; GCS, 3 1 0 ) 61 • Il passo è importante come testimonianza della designazione del Figlio col termine Giorno e per l'accostamento di
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ché il passo è un luogo cristologico importante, si com prende che il versetto sul « giorno » sia stato applicato al Cristo. Si noti che nelle Eclogae propheticae, nel passo ci tato piu sopra, Clemente indica un altro versetto del Sal mo in cui 'ÌJIJ.É.pa. designa il Cristo. Si tratta del versetto Sal. 1 8 , 3 : « Il giorno l'annuncia al giorno » (Eclog. , III, l ; GCS, 1 5 1 ). Ma queste esegesi non sono decisive. Diverso è invece il caso del rinvio al versetto Gen. 2 , 4, di cui Clemente dà un'esegesi assai interessante. Da una parte si noterà il parallelismo tra Gen. l , l , e Gen. 2 , 4 . Ora, nel primo caso É.v tipxft designa per Clemente il Logos; qui 'ÌJIJ.É.pa. gioca un ruolo equivalente. Si comprende allora che l'in terpretazione sia parallela. D'altra parte Clemente si rife risce esplicitamente al Prologo giovanneo. Il « Giorno » è il Logos, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale nulla è stato fatto. Si tratta, dice al termine del passo, del principio di ogni creazione ( yÉ.vEcrLc;) e di ogni conoscenza ( yvwcrLc; ). Questa interpretazione è una creazione di Clemente? È certo il contrario: prima di lui infatti questo stesso passo della Genesi era già stato riferito al Logos da parte di Filone. Si legge infatti nelle Leggi allegoriche : « È il libro della Genesi del cielo e della terra ( Gen. 2, 4 ) . . . Mosè ha chiamato Libro ( �L�ÀLov) il Verbo di Dio, sul quale sono scritte e incise le costituzioni degli altri esseri ... In questo giorno egli fece il cielo e la terra ( Gen. 2, 4 ) Si tratta del giorno ( 'IÌIJ.É.pa.) che piu sopra egli ha chiamato il libro, poiché nell'uno come nell'altro caso esso indica la genesi del cielo e della terra. Infatti Dio ha creato en trambi per mezzo del suo Verbo assai brillante e assai splendente » (Leggi Alt., I, 1 9-2 1 ). Filone ci presenta cosi un'esegesi di Gen. 2, 4 in cui .
si parla del « Giorno del Signore grande e temibile (�J.Eycl.ì TJ xa.t Émq>a.vi]<;) » . Quest'ultimo testo è citato da Giustino e applicato al Cristo: « Elia verrà· prima del Giorno grande e temibile (JJ.Eycl.ì TJ xa.t q>O�Epa) » (Dial., XLIX, 2; cfr. pure C:XVIII, 1). Tutto ciò si basa su dei Testimonia. ..
..
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già 'Ì)[J.Épa. designa i l Verbo per mezzo del quale Dio crea il cielo e la terra. La dipendenza di Clemente nei suoi confronti appare evidente. Si osservi la curiosa esegesi che fa ugualmente di f3�f3À�o'll un nome del Verbo. Abbiamo visto piu sopra che questo è un aspetto della teologia giu deo-cristiana, attestato dalle Odi di Salomone ( XXII I, 19) e soprattutto dal Vangelo d i Verità (XIX, 35 XX, 14 ) , i n_ cui si parla del « Libro dei vivi che è scritto nel Pen siero e nell'Intelligenza del Padre » . Cosi ci appare il contesto principale in cui il termine 1}[J.Épa. è stato applicato al Cristo. Si tratta fondamental mente di un riferimento all'inizio della Genesi, ma, per il momento, incontriamo speculazioni giudaiche su tale inizio della Genesi. Filone ce ne dà un esempio, ma non è il solo. La teologia giudeo-cristiana ha continuato queste speculazioni che, come s'è visto, hanno costituito il punto di partenza di una parte della sua dottrina trinitaria. Cosi, il riferimento a Giovanni presente nel loghion : « Io sono il Giorno » si rifà esso pure, in ultima analisi, a questo stesso inizio della Genesi, ma, certamente, al versetto 2 , 4 . Ora, ciò è confermato da altre speculazioni parallele sul « Giorno » in quanto designante il Cristo e riallaccian tesi al medesimo contesto. Da una parte troviamo degli sviluppi sui sette giorni della creazione. Clemente attesta tali speculazioni in ambiente cristiano : « Il settimo Giorno è il Riposo, che prepara per mezzo della cessazione del peccato il Giorno primordiale ( tipxf.yovov ) il quale è real mente il nostro riposo, che è anche la creazione della vera luce, dove tutto è contemplato insieme e distribuito. È da questo Giorno che la sapienza primitiva e la gnosi irra diano su di noi » (Strom. , VI, 1 6, 1 3 8 ; GCS, 50 1-502 ). Il confronto con i testi che abbiamo visto in precedenza non lascia alcun dubbio che questo « Giorno primordiale » è il Logos. La nota cristiana traspare dal fatto che l'imma gine del Logos non è il settimo giorno, bensi l'ottavo, il giorno domenicale, che è pure il primo 64 • -
64 Cfr. su questo tema J. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 329-
387.
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Ma il fondo giudaico di queste speculazioni è certo. Aristobulo, citato da Eusebio, parla « del settimo giorno che, essendo pure il primo, può essere detto propriamente la genesi della luce, in cui tutte le cose sono contemplate insieme ( cruv9ewpe�-.a.�); lo si può intendere simbolicamente come la Sapienza ( crocp�a.) : ogni luce viene infatti da essa » ( Praep. Ev. , XIII, 12, 9- 1 2 ). La rdazione con Clemente è certa. Peraltro in Filone il settimo giorno, identico al pri mo, significa il mondo intelligibile, superiore al mondo sensibile e di cui il Logos è l'unità. Egli parla anche del « santo logos conforme all'ebdomade » ( Leg. all. , I, 6, 1 6 ). Questa speculazione andrebbe accostata a quella dei sette giorni corrispondenti ai sette angeli, il primo dei quali è Cristo 65• È ancora nel quadro di speculazioni relative all'inizio della Genesi, ma in una linea del tutto diversa, che le tre Persone divine sono rappresentate dai primi Tre giorni del racconto della Genesi. Tale speculazione, come abbiamo visto, compare in Teofìlo d'Antiochia. Si tratta di un sim bolismo radicalmente diverso dal precedente. Di piu : lo è pure la linea teologica. L'accento è posto sulla Trinità, non sul Verbo. Peraltro, mentre le speculazioni sul set timo giorno come settimo angelo conducevano ad una teo logia subordinazionista, G. Kretschmar ha dimostrato co me questa teologia trinitaria antiochena presentata da Teo filo, assai marcata da influssi giudaici, preludesse al moda lismo 66•
65 Si osservi che in entrambi i casi nel primitivo tema giudeo-cri stiano Cristo è settimo angelo o settimo giorno, e che Clemente, facen done l'ottavo, sottolinea la sua trascendenza. 66 Studien zur friihchristlichen Trinitiitstheologie, cit., pp. 27-33.
Capitolo settimo
L'incarnazione
In un precedente capitolo abbiamo tracciato la strut tura del cosmo spirituale secondo il giudeo-cristianesimo. Riferendosi a questa struttura i giudeo-cristiani elabore ranno il primo abbozzo dell'« economia », cioè la prima strutturazione teologica del dato del Nuovo Testamento. Ciò costituirà una cristologia di un tipo particolare che non trae le proprie categorie dalla visione storica dell'An tico Testamento e che sarà ripresa da Ireneo. Neppure le ricava dalla metafisica ellenistica, come faranno Origene e la teologia greca dopo di lui, ma le riprende dalle conce zioni dell'apocalittica del tardo giudaesimo. Si può chiamare tale struttura « mitica » oppure « gno stica », ma occorre precisare il significato di tali parole. Essa è mitica nel senso che il mito costituisce un sistema di rappresentazioni, non nel senso che esso è una visione mitologica del mondo 1 • Ne consegue che il « mito » non falsa .il contenuto originale della rivelazione, ma ne costi tuisce soltanto un modo d'espressione, altrettanto valido che un modo metafìsico o esistenziale. Bultmann cade in errore quando afferma che il mito altera il contenuto del messaggio e di essere riuscito a liberare questo da quello; egli non ha fatto altro che passare da un modo di espres sione ad un altro. Ma un modo di espressione è sempre l « Il termine mito, usato in senso tecnico dai fenomenologi della religione, non ha piu il significato di favola, ma con esso si intende una rappresentazione di struttura immaginativa ( non immaginaria) con assunzione di valori » (H. Duméry, Philosophie de la religion, Paris, 1 957, I, p. VI).
23.
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necessario, e questo modo normalmente è quello dell'am biente culturale in cui si esprime il messaggio. La teologia giudeo-cristiana rappresenta perciò uno dei modi dì espres sione del cristianesimo. Questa visione può pure essere definita « gnqstica » , ma qui ancora una volta bisogna intendersi sul termine. Qui gnosi non viene intesa né nel senso generico di cono scenza superiore, né nel senso ristretto del dualismo di Valentino, ma nel senso intermedio secondo cui la gnosi costituisce la forma particolare assunta dalla conoscenza religiosa tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo. Tale gnosi è d'origine giudaica con elementi tratti dall'Iran e dalla Grecia. Essa costituisce un fondo di rappresentazioni comune all'apocalittica giudaica, allo gnosticismo egiziano, alla teologia giudeo-cristiana e all'ermetismo ellenistico. Ma ciascuno di questi gruppi l'interpreta in funzione della propria dottrina. Cosi il fatto di incontrare i sette cieli e l'ogdoade non significa - come giustamente ha osservato C. Schmidt - che uno scritto sia influenzato dallo gno sticismo valentiniano, ma, al contrario, che lo gnosticismo valentiniano appartiene all'ambiente culturale in cui que sta rappresentazione era comune. L'utilizzazione di tali rappresentazioni nella cristologia compare già in Giovanni e in Paolo. Le Lettere della cat tività contengono numerose rappresentazioni gnostiche, in particolare quella della discesa di Cristo {E/. 4, 9 ), della lotta di Cristo sulla croce contro i Principati e le Potenze ( Col. 2, 1 5 ), dell'esaltazione del Cristo al di sopra di tutti i cieli (Ef. l , 2 1 ; 4, 1 0 ; Fil. 2, 1 0 ). H. Schlier ha posto in luce la parentela che l'immagine del mondo di Paolo presenta con quelle delle Lettere d'Ignazio, della II Let tera di Clemente e del Pastore di Erma 2• Egli osserva che questa rappresentazione non si trova né nei testi pura mente giudaici, né nei testi puramente greci e la chiama ellenistica orientale. Non dobbiamo parlare qui delle Let tere paoline, ma sarebbe interessante mostrare che i nostri 2 Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit., p. 75.
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teologi giudeo-cristiani appartengono allo stesso milieu di pensiero delle Lettere della cattività.
La discesa nascosta Un primo aspetto della cristologia giudeo-cristiana è che il mistero delia discesa del Figlio è stato nascosto agli angeli. La forma piu primitiv a di tale concezione si trova indubbiamente conservata, secondo E. Peterson, nel Phy siologos, la cui ultima elaborazione sembra risalga alla fine del quarto secolo, ma che ha utilizzato elementi tratti dali'antica letteratura giudaica e giudeo-cristiana 3 • Peter son ha mostrato la sua dipendenza dalia Vita di Adamo ed Eva e dagli Atti di Paolo. Ora, esso presenta pure una tradizione giudeo-cristiana sul carattere nascosto dell'In carnazione che ritroveremo nell'Ascensione d'Isaia, ma di cui abbiamo qui e senza dubbio la forma piu arcaica. Il testo è il seguente : « Cosi il nostro Salvatore, il leone spirituale, inviato dal Padre eterno, ha nascosto le sue tracce spirituali, cioè la sua divinità. Con gli angeli si è fatto angelo, con i Troni trono, con le Potenze potenza, con gli uomini uomo, durante la sua discesa ( xa'tti�cunç). Egli è disceso infatti nel seno di Maria, per salvare la stirpe traviata delle anime umane. Perciò essi non lo rico nobbero nella sua discesa dall'Alto e dissero : Chi è questo re di gloria? Allora lo Spirito Santo rispose : Il Signore delle potenze, ecco il re di gloria » 4 • Questo testo è interessante perché raccoglie i temi pre senti presso i diversi autori in cui compare tale conce zione. Noteremo anzitutto l 'idea che il Verbo discendendo sulla terra per incarnarsi attraversa successivamente tutti gli ordini angelici : ciò situa l'Incarnazione nel quadro « mitico » del giudeo-cristianesimo e si ritroverà nella 3 E. BZ », Gnosis, 4 J.
«
Peterson, Die Spiritualitat des griechischen Physiologos, in XLVII ( 1954), pp. 70-7 1 ; ripreso in Fruhkirche, ]udentum und cit. , pp. 236-254. B. Pitra, Spicilegium Solesmense, Graz, 1963 , ' III, p. 339.
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Ascensione d'Isaia. Avremo una prospettiva analoga, ma in senso inverso, quando si tratterà dell'Ascensione. Ve dremo allora il Cristo attraversare i diversi mondi angelici nel corso della sua salita. Ciò appartiene semplicemente al quadro di rappresentazione e non possiede ancora un contenuto teologico. L 'idea essenziale, invece, è quella dell'Incarnazione che r:imane nascosta agli angeli, il che appare un aspetto caratteristico della teologia giudeo-cristiana. Si trova già in Paolo ( I Cor. 2, 8 ; Ef. 3, 1 0 - 1 2 ), e in un celebre passo d'Ignazio d'Antiochia: « Il principe di questo mondo ha ignorato la verginità di Maria e il suo parto; e cosi pure la Passione del Signore : tre misteri strepitosi che si com pirono nel silenzio di Dio » (Ad Eph. XIX, l ) 5• Ireneo, fac·endo allusione agli angeli, dirà analogamente: « Inv.isi bile nella sua natura il Verbo non poteva essere scorto dalle creature quando è disceso sulla terra » (Dem. 34 ; PO, XII, 794 ). La fonte di questi due passi sembra essere l'Ascensione d'Isaia (XI, 1 6 ) : « Il fatto è rimasto nascosto ai cieli e ai principi tutti, a ogni dio di questo mondo » 6 • Ma questo tema e il precedente giungono insieme a ciò che costituisce il punto piu singolare del passo del Physiologos, vale a dire che il Verbo è assimilato succes sivamente, nel corso della sua discesa, alle diverse cate gorie di angeli che attraversa. Il significato di questa assi milazione deve essere compreso bene. In Origene incon triamo una concezione secondo la quale il Verbo si è in carnato in tutte le categorie delle creature, allo scopo di salvarle tutte : si è fatto pure angelo con gli angeli. Que sta concezione non è quella che incontriamo qui. Essa non è giudeo-cristiana, ma si riallaccia al sistema di Ori gene. Qui l'unica ragione che spinge il Verbo ad assus Cfr. H. Schlier, Religiongeschichtliche Untersuchungen zur den Ignatiusbriefen, Giessen, 1929, pp. 5-32. 6 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III : Lettere e apocalissi, cit. Il tema passerà nella tradizione. Cfr. Origene, llom. in Luc. , 6; GCS, 37 (con rinvio a Ignazio); Ambrogio, Exp. in Luc. , II, 2; SC, 72 ; Zenone, Tract. , II, 29; PL, XI, 472.
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mere la forma dei mondi angelici che attraversa, è quella di non essere riconosciuto: nel testo del Physiologos ciò appare chiaramente. Lo si ritrova negli altri testi giudeo cristiani che presentano lo stesso tema. Il piu importante di questi è l'Ascensione d'Isaia, una opera dalla quale certamente dipendono tutte le altre. Se abbiamo cominciato col Physiologos è perché, secondo il suggerimento di Peterson , esso riflette certamente una versione dell'Ascensione d'Isaia piu antica di quella che possediamo. Si legge nell'Ascensione: « Udii le parole del l'Altissimo, del Padre del mi o Signore, l 'udii di re al mio Signore Cristo, il quale sarà chiamato Gesu: Va' e scendi attraverso tutti i cieli, scendi nel firmamento e nel mondo laggiu, fino all'angelo nel regno dei morti. Non andare però fino all'inferno. Tu devi divenire simile alla figura di quanti si trovano nei cinque cieli. Cercherai di assomi gliare alla figura degli angeli nel firmamento e parimenti agli angeli nel regno dei morti. Nessuno degli angeli di laggiu capirà che tu sei con me il Signore dei sette cieli e dei loro angeli. Essi non capiranno che tu mi appartieni, finché, con voce potente, non avrò convocato i cieli, i loro angeli e i loro luminari fino al sesto cielo, perché tu giu dichi e annienti i1 principe, i suoi angeli e gli dei del mondo laggiu con il mondo stesso, che da loro è domi nato » ( X, 7-12). L'opera descrive poi la discesa del Verbo, il quale scende prima nel sesto cielo dove mantiene la sua forma e viene adorato dagli angeli. « Lo vidi quindi scendere nel quinto cielo e assumere l'aspetto degli angeli del luogo. Questi non lo lodarono perché il suo aspetto era come il loro » ( X, 20). Cosf pure per i cieli successivi. Per il terzo cielo si precisa che « i custodi della porta del cielo ( gli ) chiesero la parola d'ordine. Il Signore gliela diede per non essere riconosciuto » (X, 2 4 ) . Finalmente arrivò al firmamento « dove dimora il principe di questo mondo. Diede la parola d'ordine a quelli a sinistra e il suo aspetto era come il loro, ma essi non lo lodarono, ma si invidia vano e si combattevano a vicenda » (X, 29).
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Questo passo è fondamentale. Si osservi ché il Verbo non prende soltanto la forma degli angeli buoni, ma anche quella degli angeli decaduti del firmamento. Vedremo pure che egli prende la forma degli angeli dello scheol, il che attesta che si tratta essenzialmente di un'apparenza e che l 'accento è posto sull'indivisibilità che deve mantenere il Verbo in modo da non essere riconosciuto . Questo aspetto compare qui anche nell'allusione alla parola d'ordine, che si riallaccia alla concezione degli angeli che custodiscono le porte, portieri o doganieri ( 'tEÀW'Vcxt ), e il cui ruolo è importante nella dottrina della salita delle anime verso il Paradiso. Qui essi manifestano che il Verbo non è uno straniero, perché conosce la parola d'ordine. Un altro testo giudeo-cristiano un po' tardivo riprende gli stessi temi. È la Lettera degli Apostoli, dove si legge: « Mentre stavo per venire quaggiu e lasciare il Padre di ogni cosa, passando dinnanzi ai cieli, mi r:ivestii della sua sapienza e della forza del suo potere. Mi trovai nei cieli e passai dinnanzi agli arcangeli e agli angeli nella loro somiglianza, come se fossi uno di loro, tra le signorie e le potestà. Io passai loro traverso, perché possedevo la sapienza di chi mi aveva inviato. Ora Michele è duce degli angeli, insieme a Gabriele, Uriele e Raffaele. Essi mi se guirono, fino al quinto firmamento, pensando nel loro cuore che fossi uno di loro. Tale potere grandioso l'ebbi dal Padre! In quel giorno armai gli arcangeli di una voce meravigliosa, in modo che potessero andare all'altare del Padre per servire e compiere il ministero sino al mio ri torno da Lui. E cosi io ho agito con la sapienza della so miglianza, sono divenuto tutto in ciascuno per celebrare l 'economia paterna . . . e realizzare la gloria di chi mi inviò e cosi fare a Lui ritorno » ( 1 3 ; PO, IX, coll. 1 96-1 97 ) 7• Si osservi che, come nell'Ascensione, gli Arcangeli non oltrepassano il sesto cielo e che il Verbo li rimanda al Padre allorché continua la sua discesa. Si noti pure che il 7
In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, cit.
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gruppo dei quattro Arcangeli s i ritrova a Qumran (DSW, IX, 1 5 ). Abbiamo tralasciato un u ltimo tratto del Physiologos, che sembra molto arcaico e che non compare nel testo attuale dell'Ascensione d'Isaia: « Gli angeli non riconob bero il Verbo durante la sua discesa e dissero: Chi è questo re di gloria? Al che lo Spirito Santo risponde: Il Signore delle potenze, ecco il re di gloria » . Due cose sono qui notevoli. La prima è l 'uso del Sal. 2 3 , l O, che sembra sia stato ben presto associato alla traversata delle sfere angeliche da parte del Verbo. Ma in tu tti gli altri casi si tratta della salita e non della discesa del Verbo 8• D'altra parte il fatto che sia lo Spirito Santo a rispondere è del tutto conforme alla consuetudine dell'Ascensione d'Isaia, ed E. Peterson sembra aver ragione nel vedervi un aspetto primitivo 9 • Ciò che fa pensare che siamo in presenza di una tra dizione dell'Ascensione d'Isaia diversa dal nostro testo è che il particolare si ritrova nel quarto secolo prèsso Gre gorio di Nissa in un passo notevole in cui lo Spirito Santo è sostituito dagli angeli che ·accompagnano il Cristo: « Quando le potenze ipercosmiche accompagnano il Si gnore nella sua discesa, esse ordinano agli angeli che cir condano la terra e a cui è affidata la cuva della vita umana di alzare le loro porte dicendo : Alzatevi, porte eterne, e il re di gloria entrerà. Ma come colui che contiene tutto in sé e dovunque vada si adatta a coloro che lo ricevono, egli non diventa sohanto uomo con gli uomini, ma, ve nendo tra gli angeli, si assimila alla loro natuva. Anche i portieri interrogano quelli che parlano chiedendo: Chi è questo re di gloria? » ( Orat. in Asc. ; PG, XLVI, 693 A). Il brano è colorato di influenze origeniste, particolar8 Salvo tuttavia nel Vangelo di Nicodemo dove è riferito alla di scesa agli inferi (V, 1-3). Si avrebbe un altro esempio di grande im portanza se fosse possibile riconoscere in Kupto� .,;Tj� 06!;1]� di I Cor. 2, 8 un'allusione al nostro Salmo. Cfr. A. Cabaniss, Liturgy and Lite rature, Alabama, 1970, pp. 62-7 1 . 9 Die Spiritualitat des griechischen Physiologos, cit., pp. 73-74.
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mente nel tema delle molteplici È1tL'Votcxt del Verbo e delle sue attitudini ad adattarsi alla capacità di coloro che lo ricevono. Ma il fondo giudeo-cristiano traspare. Gli angeli non riconoscono il Verbo perché ha preso una forma d'an gelo. I portieri sono quelli dell'Ascensione d'Isaia e l'uso del Sal. 23, 4 indica non tanto l'influenza del Physiologos, quanto l'utilizzazione di una fonte comune che, probabil mente, è una versione greca, oggi perduta, dell'Ascensione d'Isaia, la cui esistenza ci è nota da un frammento citato da Epifanie ( Pan., LXVII, 3 , 4 ; GCS, 1 35-6 ). Tutti i testi sinora citati appartengono alla Grande Chiesa, ma il tema è stato ripreso pure dagli Gnostici. E qui ancora esso appare assai arcaico perché lo troviamo nella gnosi simoniana, della quale scrive Ireneo: « Poiché gli angeli governavano male il mondo, desiderando cia scuno di essi la supremazia, egli è venuto per mettere a posto le cose ed è disceso modificando la sua apparenza e rendendosi simile alle Virtu, alle Potenze e agli An geli » 10• Ed Epifanio : « lo cambio di forma ogni cielo secondo l'aspetto di coloro che vi si trovano, per non essere conosciuto dalle mie potenze » (Pan., XXI, 2 , 4 ; GCS, 240 ). Tertulliano dice che Simone pretendeva di « essere disceso per liberare l'uomo dalle potenze ange liche, rendendosi lui stesso simile a loro per ingannarle, e di essersi pure fatto passare falsamente per uomo presso gli uomini » 1 1 • Ma si vede immediatamente che il contesto di pen siero è del tutto diverso. Qui le Potenze sono quelle pla netarie, i cosmocrati, che dominano il mondo inferiore, opera del Demiurgo, alle quali la Potenza venuta dal Pie roma viene a stmppare le anime. Tale concezione pessi mista degli angeli è propriamente gnostica ed è notevole il fatto di averla trovata soltanto in un testo: quello di !O Adv. baer. , l, 23, 3 . Cfr. i testi raccolti da J. Barbe!, Christos Angelos, cit., pp. 299-300. Si aggiunga Vang. Ver., 24, 3-5; Vang. Fil., 26. Il De anima, XXXIV, 4. Cfr. ]. H. Waszing, Tertullianus De Anima, Amsterdam, 1947, pp. 401-410.
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Ignazio d'Antiochia. Ma in quest'ultimo essa si apparenta ben di piu alla dottrina paolina delle Potenze. Una con cezione analoga piu sviluppata, assai prossima nella forma alla Lettera degli Apostoli, ma riferentesi al dualismo gno stico, compare nella Pistis Sophia, dove il Salvatore prende la forma dell'angelo Gabriele per non essere riconosciuto dagli Arconti (VII, 1 2 ). Abbiamo cosi una utilizzazione del tema del Cristo che appare sotto l'aspetto di Gabriele. Esso è presente in contesti diversi 1 2 e si riallaccia alla concezione biblica del Verbo che appare sotto forma d'an gelo e non all'utilizzazione delle categorie angeliche per designare il Verbo. Ma qui questo tema è collegato a quello della dissimulazione della propria identità da parte del Verbo. Rimane infìne da sottolineare un particolare nel testo di Tertulliano: il Verbo prende pure l'aspetto di un uomo quando viene tra gli uomini per non essere riconosciuto da loro. Questo tema si trovava nei testi ortodossi. È nel Physiologos e l'Ascensione d'Isaia scrive pure: « Il fatto è rimasto sconosciuto ai cieli e ai principi tutti, a ogni dio di questo mondo. Io ho visto: egli succhiava a Naza reth il petto come pargolo e seguiva la legge comune, per non essere riconosciuto » (XI , 1 6- 1 7 ). V'è dunque una linea comune di pensiero nella quale il Verbo si fa uomo con gli uomini, come angelo con gli angeli, per non essere riconosciuto. Ma nello gnosticismo ciò corrisponde ad una tendenza docetista e ad una negazione dell'Incarnazione, mentre per l'Ascensione d'Isaia si accompagna ad un'affer mazione dell'Incarnazione, sottolineando soltanto che que sta Incarnazione è nascosta agli uomini come agli angeli 13 • Queste concezioni gnostiche sono state particolarmente sviluppate presso gli Ofiti. Origene ha avuto tra le mani un testo di questa setta che descrive la discesa attraverso le sette sfere planetarie, ciascuna delle quali è identificata 12 J. Barbe!, Christos Angelos, cit., pp. 235-262. 13 Cfr. pure Orac. sib., XII, 32-33: « Allora avrà luogo la venuta nascosta (xpuq>�.oc;) del Verbo dell'Altissimo, simile ai mortali quanto ali a carne » .
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con un arcangelo giudaico, assimilato cosf agli Arconti. Per attraversare la sfera occorre dire la parola d'ordine a chi ne custodisce la porta 14 • Peraltro Ireneo descrive gli Ofiti che parlano della « discesa di Cristo il quale getta gli Arconti nello stupore e nella meraviglia per la sua no vità » (Ad v. haer., I , 30, 1 1 ) . E piu oltre dice che secondo loro « il Cristo è disceso attraverso i sette cieli prendendo la forma ( assimilatum) dei figli di questi » ( I , 30, 1 2 ), e aggiunge che « molti discepoli di Gesu non hanno saputo riconoscere la discesa di Cristo su di lui » ( I, 30, 1 3 ). È ancora facile riconoscere qui il tema giudeo-cristiano dell'assimilazione del Verbo agli angeli nel corso della sua discesa. Come in Ignazio, gli angeli sono le potenze astrali. Questo complesso che dipende dalla teologia cristiana ar caica, è trasferito in un sistema gnostico con l'assimila zione degli Arcangeli giudaici a delle potenze malvage. E, soprattutto, non si tratta qui del Verbo di Giovanni, ma del Cristo, che è un',emissione del Pleroma e che discende nell'uomo Gesu al momento del battesimo. Cosi il quadro delle rappresentazioni è comune ai giudeo-cristiani e agli Gnostici. Esso non è gnostico, ma attraverso tali rappre sentazioni comuni si esprimono due teologie radicalmente diverse . Una terza testimonianza della presenza del tema presso gli Ofiti è l'Inno naasseno conservato da Ippolito, in cui vediamo Cristo dichiarare: Portando i sigilli io discenderò, Attraverserò tutti gli eoni ( 20-2 1 )
L'aspetto piu interessante qui è quello dei « sigilli » ( O'cppr�.. yLoeç) che introduce una idea nuova. Non si tratta piu del fatto che il Verbo è invisibile, ma del fatto che è invul nerabile. Le O'cppr�..y toeç infatti costituiscono per lui una protezione: ciò pone ancor piu in rilievo il carattere ma lefico degli Arconti che il Verbo deve attraversare nella sua discesa. Senza dubbio l'idea si trova già nelle Odi di 14 Origene, Contra Cels. , VI, 30-31 . Cfr. H. Chadwick, Origen Con tra Celsum, Cambridge, 1954, pp. 345-348. Cfr. anche VI, 34.
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Salomone ( XXIII, 5-9 ): « Il suo pensiero [ = il Verbo]
fu come una lettera, la sua volontà scendeva d'In-Alto. Molte mani [ = gli angeli ] si sono precipitate per affer rarla, prenderla e legger1a; ma essa sfuggi dalle loro dita ed essi ebbero paura di lei e del sigillo che le stava sopra, perché non avevano il potere di spezzarlo, essendo la forza che stava su questo sigillo piu potente di loro » . Anche nella gnosi di Basilide s i trova un'eco della di scesa nascosta: il Cristo « si trasforma come vuole » (Adv. haer. , I, 24, 4 ). Cosi, prima della Passione, egli assume l 'aspetto di Simone e costui viene crocifisso al posto suo, mentre lui « sa1e verso colui che l'ha mandato, beffandosi di coloro che potevano impadronirsi di lui, essendo invi sibile a tutti » ( I , 24, 4 ) . Qui si tratta del Cristo invisi bile agli uomini, ma piu oltre si parla delle sfere angeliche il cui numero, secondo Basilide, è di 365. Il Cristo « scende e sale » attraverso di esse ( I, 24, 5 ). « Colui che conosce gli angeli si rende invisibile e inafferrabile dagli angeli e dalle Potenze. E come il Figlio è sconosciuto a tutti [ = gli angeli e le potenze] , cosi lui [ = lo gno stico] non può essere conosciuto da nessuno. Ma come egli conosce tutti e passa attraverso tutti, lui stesso è in visibile e sconosciuto da tutti » ( I, 24, 6 ) 15 • È chiaro che vi è qui un parallelismo tra Cristo e lo gnostico e che ciò che è vero dell'uno lo è anche dell'altro; il che per un verso ci permette di ritrovare la concezione del Cristo che prende l'aspetto che vuole e quindi pure quello degli angeli, in modo che si dissimula a tutti, sia nella discesa che nella salita. Inversamente ciò giustifica per lo gnostico il diritto di dissimularsi « rendendosi simile a tutti » ( I, 24, 6 ), cioè negando la sua identità in modo da non essere perseguitato. Qui ancora la dottrina giudeo-cristiana della dissimulazione del Verbo di fronte !5 Cfr. anche Apelle: << Egli è vissuto in un corpo all'insaputa delle potenze cosmiche » (Elench. , VII, 38; cfr. pure VIII, 10); Apocryphon di Giovanni, LI, 10-15 (W. C. Till, Die gnostischen Schriften des Kop tischen Papyrus Berolinensis 8502, Berlin, 1955, p. 143).
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agli angeli porta, presso gli Gnostici, ad una trasposizione che ne modifica intrinsecamente il senso. C'è da rilevare un ultimo aspetto della dottrina arcaica della discesa. Abbiamo piu volte sottolineato che lo Spi rito Santo vi è associato. Nel testo del Physiologos egli risponde alla domanda degli angeli ; nella Lettera degli Apostoli il Verbo discende rivestito della Sapienza del Padre. G. Kretschmar ha ragione di vedere nella Sapienza la Terza Persona della Trinità, come in Teofìlo d'Antio chia 16 • Sembra che si ritrovi un residuo di tale concezione nella dottrina degli Ofìti, per i quali « il Cristo, unito alla Sapienza (perplexum Sophiae ), è disceso e in tal modo è stato costituito Gesu Cristo » ( Adv. haer. , l, 30, 1 2 ). Si noti che nei due ultimi casi si tratta di una discesa attraverso i sette cieli. Nella dottrina ofìta questa discesa di Cristo (dall'alto) ha luogo al momento del battesimo, ma ciò qui non c'interessa. È curioso raffrontare questi testi con un passo di Ireneo : « Il mondo si compone di sette cieli dove abitano le Virtu, gli Angeli e gli Arcangeli che svolgono le fun zioni di culto nei riguardi di Dio onnipotente. Per questo è grande l'abitazione dello Spirito di Dio. Il profeta Isaia enumera sette forme del suo culto che si sono posate sul Figlio di Dio, cioè sul Verbo al momento dell'Incarna zione ( ls. 1 1 , 2). Ora, la prima è la Sapienza che con tiene tutte le altre : Mosè ne ha dato il modello nel can delabro a sette braccia » (Dem., 9 ; PO, XII, 761 ). Kretschmar osserva che questo passo deve provenire a Ireneo da una fonte anteriore: senza dubbio Teofìlo d'An tiochia 17 in cui si ritrova l 'idea di una relazione dello Spi rito o della Sapienza, con il Verbo al momento dell'Incar nazione . Ma questa volta la relazione con i sette cieli si fa piu precisa: questi sono posti in relazione con i sette doni dello Spirito. Kretschmar osserva che quelle sono 16 Studien zur /riihchristlichen Trinitatstheologie, cit., p. 50. Ibidem, pp. 48-49.
17
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rappresentazioni espressamente apocalittiche » 18• In realtà si ha proprio l'impressione che qui conver gano due temi . Da una parte la relazione dei sette cieli con le potenze dello Spirito si riallaccia, come nota giusta mente Ireneo, all'esegesi del candeliere a sette braccia, che è un'immagine del culto cosmico, in cui i sette spi riti brillano come « sette lampade ardenti davanti al trono di Dio al di sopra del mare di cristallo » (Apoc. 4, 5-6 ). Sono questi sette spiriti che, sempre secondo l'Apocalisse, vengono dati all'Agnello immolato ( 5-7 ). La prospettiva di Ireneo si situa qui sulla linea di una teologia asiatica, senza, con ciò, che sia necessario appellarsi a Teofilo d'Antiochia. Questi doni dello Spirito sono comunicati al Verbo al momento della sua discesa, in modo che egli è « unto della pienezza dello Spirito » 19 • Questo è l'ele mento nuovo che si riallacda alla dottrina della discesa attraverso i sette cieli, la quale sembra piu specificamente siriaca. «
La
stella dei magi
Il primo aspetto della teologia giudeo-cristiana dell'In carnazione è costituito dall'accento posto sul suo carattere nascosto. Il secondo consiste nel sottolineare il suo carat tere soprannaturale. Ciò si esprime essenzialmente me diante gli sviluppi dati alle tradizioni evangeliche nel senso del meraviglioso. Si sa infatti che ciò caratterizza i Van geli apocrifi. L'interesse per noi sta nel significato teolo gico attribuito agli avvenimenti della vita di Cristo, mo strandoci in essi dei misteri. Ignazio d'Antiochia definisce la verginità ( 1tap0EvLa) di Maria e il suo parto dei « misteri strepitosi » (Ad Eph ., XIX, 1 ). Analogamente Giustino 18 Ibidem, p. 48. Cfr. pure Vittorino di Pettau, De fabrica mundi, 7-8 ; CSEL, 6-8. 19 G. Kretschmar, Studien zur friihchristlichen Trinitiitstheologie, cit., p. 48. Cfr. pure C. Oeyen, Eine friihchristliche Engelpneumatologie bei Klemens von Alexandrien, in « TKZ », I ( 1966), pp. 33-40.
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Le dottrine
definisce un mistero la nascita di Cristo (Dia!. , XLIII, 3 ) Studieremo qui tre di questi misteri : la natività, l'adora zione dei magi e il Battesimo. Per quanto riguarda il primo, osserviamo che il parto di Maria è presentato come un mistero alla stregua della concezione verginale. Per questo la teologia giudeo-cri stiana non segna alcuno sviluppo rispetto a Luca e a Matteo. L'affermazione che Maria ha concepito dallo Spi rito Santo è infatti assai esplicita nel Nuovo Testamento, e gli autori che studiamo non fanno altro che riprendere su questo punto quell'affermazione. I soli elementi nuovi sono dei Testimonia in piti di Is. 7, 1 0- 16. Si osservi in particolare quello della pietra staccata dalla montagna (Dan. 2, 34 ) presente negli Atti di Pietro ( 24) e in Ireneo (Adv. haer. , III, 2 1 , 7 ) e che risale ad un dossier molto antico sul Cristo come pietra 20• Al contrario il carattere soprannaturale della nascita di Gesti non è sottolineato dal Nuovo Testamento. Ora, questo è un tema che occupa un posto importante nella teologia giudeo-cristiana 21 • Si noti innanzitutto l'Apocrifo di Ezechiele: « Ella ha partorito ('tÉ'toxE) e non ha parto rito » che è citato negli Orac. sibil. , I , 323 a-b, negli Atti di Pietro, 24, in Clemente Alessandrino (Strom. ,22VII, 1 6 ) e in Tertulliano ( De Carne Christi, XXIII, 1 - 3 ) • È pure da osservare che in molti testi antichi viene citato, a pro posito della maternità verginale, il versetto d'Isaia 7, 1 3 : « Non è una disputa che ci è proposta a tuo riguardo ». Lo si trova esplicitamente riferito ad essa in Prot. Giac. , XX, l e in Atti Piet. 24. È pure citato da Giustino in Dia!. , XLIII, 5 e LXVI, 2 . Ma, soprattutto, l a nascita di Gesti è presentata come un fatto accaduto in modo miracoloso. Cosf nell'Ascen.
2°
Cfr. V. Taylor, The Names o/ Jesus, cit., pp. 93-100. Cfr. H. E. Plumpe, Some Little-known Early Witnesses to Mary's Virginitas in partu, in « TS », IX ( 1 948), pp. 567-577. 22 Cfr. pure Epifania, Pan., XXX, 30, che sembra riferirsi all'Ascen sione d'Isaia, presentando questo testo sotto forma di dialogo. Cfr. A . Resch, Agrapha, cit., pp. 305-306; cfr. anche A. De Aldama, Maria en la patristica de los siglos I y II, Madrid, 1970, pp. 122-128. 21
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sione d'Isaia: « Due mesi dopo, stando Giuseppe a casa
sua con Maria, sua moglie, accadde che, trovandosi cosi, Maria improvvisamente guardò con i suoi occhi e vide un bambinello. Ne rimase turbata. Cessato il turbamento, il suo seno compariva come prima della gravidanza. Quando il marito, Giuseppe, le chiese: Che cosa ti sconvolge? , i suoi occhi si aprivano, egli vedeva il bimbo e lodava Dio che il Signore fosse giunto nella sua eredità. Una voce li raggiunse: Non raccontate a nessuno la visione. Ma la fama del bambino si spargeva a Betlemme. Alcuni dice vano: La vergine Maria ha partorito, prima che siano passati due mesi dal matrimonio. Molti invece : Ella non ha partorito. Nessuna levatrice è stata da lei e non abbiamo inteso grido di lamento » (Xl, 7- 1 4 ). L'ultima fràse è citata negli Atti Piet. 24, come testimonianza « di un profeta » sulla maternità verginale. Una testimonianza dell'antichità del racconto dell'A scensione d'Isaia l'abbiamo dal fatto che esso è imita'to in II Henoch, di cui abbiamo già dimostrato la dipendenza dall'opera precedente e l'origine cristiana. Non si tratta della nascita di Gesti, ma di quella di Melchisedech. Ma, come scrive A. Vaillant, « ciò risponde ad una volontà di suggerire un accostamento tra la nascita miracolosa di Melchisedech e quella di Cristo » 23• Ed è uno dei princi pali argomenti di Vaillant per l'origine cristiana dell'opera. È detto anzitutto che Sofonim, moglie di Nir, concepf senza aver dormito con suo marito. Poi essa mette al mondo Melchisedech in circostanze meravigliose. << Noè e Nir entrarono e videro il bambino seduto; era completo nel corpo, parlava e benediceva il Signore. Noè e Nir lo esaminarono dicendo: Questo è del Signore » (XXXVIII, 19 - XXXIX, 5 ). Per H. Sahlin la dipendenza del passo dal racconto di Luca sembra certa 24• Vi è un'altra testimonianza che unisce concezione e maternità verginale: è quella delle Odi di Salomone. Leg23 Le livre des secrets d'Hénoch, cit., p. 7 5, n. 17.
24 Der Messias und das Gottesvolk, Uppsala, 1945, pp. 370-372.
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giamo nell'Ode XIX : « Lo Spirito distese le sue ali sul seno della Vergine ed ella concepi, partor1 e divenne Ver gine-madre con molta misericordia. Ella divenne incinta e partor1 un figlio senza dolore. E affinché non accadesse niente di inutile, non chiamò nemmeno la levatrice ad assisterla » (XIX, 6-8 ). Si osservi che i due aspetti : la non-sofferenza e l'assenza della levatrice si trovano nell'Ascensione d'Isaia ed erano citati dagli Atti di Pietro. Qui vi è, dunque, una tradizione comune. Essa è raccolta e sviluppata nel Protovangelo di Gia como. Il testo descrive anzitutto lo stupore di tutta la natura al momento in cui la Natività sta per aver luogo. Giuseppe vede « l'aria ( . . . ) come attonita, ( . . . ) la volta del cielo ( . . . ) immobile e gli uccelli del cielo ( . . . ) fermi » (XVIII, 2 ) 25• Giuseppe e la levatrice che era andato a cercare «si fermarono nel luogo dov'era la grotta, ed ecco che una nuvola luminosa adombrava la grotta ( . . . ) . E subito la nuvola di dissipò dalla grotta e apparve una grande luce nella grotta, tanto che i nostri occhi non la potevano sopportare. Ma a poco a poco quella luce si attenuò, finché non apparve il bambino » (XIX, 2 ). Altri apocrifi riprenderanno e svilupperanno questo racconto : essi derivano dal genere letterario dell'haggada, che sotto linea con particolari mirabili il significato teologico degli episodi storici 26 • Un aspetto particolarmente interessante è quello del silenzio di tutta la creazione, la cui attività è come sospesa. In Ignazio, Ad Eph. , XIX, l, « il parto di Maria » è uno dei misteri che si compi nel silenzio. Il tema del silenzio cosmico, quando Dio si manifesta, appartiene alla tradi zione midrashica, come ha mostrato A . di Nola Z7. Ma vi si accosterà pure il tema arcaico della cessazione dell'atti25 In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit. 26 Talvolta in questa teologia della natività si è vista un'impronta di docetismo. Ma allora è la stessa natività miracolosa che rischia di essere posta in dubbio. È quanto farà Tertulliano (Adv. Mare., IV, 21 ) per timore del docetismo. Ma cosi egli esce dall'ortodossia. 27 Il motivo della sospensione della vita cosmica, Roma, 1970. Si può aggiungere Apoc. 8, l.
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vità della natura, nel mezzo della notte, per lodare Dio: « Gli antichi ci hanno riferito la tradizione che a quest'ora tutta la creazione si riposa un istante per lodare il Signore : gli astri, gli alberi, le acque si arrestano per un istante » 28• È notevole il fatto che i due temi sono uniti in Sap. 1 8 , 1 4 - 1 5 : « Dum medium silentium teneret omnia » . Essendo stabilito il carattere giudeo-cristiano dei due temi, è possi bilissimo che l'applicazione fatta dalla liturgia di questo testo alla nascita di Cristo nel mezzo della notte risalga al giudeo-cristianesimo e che noi possediamo qui un anti chissimo testimonium 29• Il secondo tema che vediamo sviluppare teologica mente nel giudeo-cristianesimo è quello dei Magi e della stella. La piu antica, e, nello stesso tempo, una delle piu caratteristiche testimonianze che noi abbiamo di tale svi luppo, è quella di Ignazio d'Antiochia. Essa si colloca nello stesso contesto del passo sui « misteri nascosti » e attesta cosi una stessa origine giudeo-cristiana: « E allora come furono rivelati ( questi misteri ) ai secoli? Brillò nel cielo un astro ( &.crTI)p ) piu splendente di tutti gli altri : il suo fulgore era indescrivibile e la sua novità riempi tutti di stupore . Tutte le altre stelle, il sole e la luna, facevano corona a questo nuovo astro che, con il suo splendore, le offuscava tutte. Tutti rimasero turbati chie dendosi da dove potesse venire quella nuova stella, cosi differente dalle altre. Allora si sciolse ogni magia ( lJ.etYELet ), si ruppe ogni legame iniquo, spari l'ignoranza, l'antico impero crollò, perché Dio era apparso in forma umana a recare la novità di vita eterna » (Ad Eph . , XIX, 2-3 ) Molteplici sono gli elementi che compaiono in questo passo. Il primo è quello dell'apparizione di un astro di uno splendore superiore a tutti gli altri al momento della nascita di Cristo. Come riconoscono i commentatori 30, si .
28 lppolito, Trad. Apost., 41. 29 Cfr. A. Cabaniss, Liturgy and Literature, cit., pp. 53-61.
30 Cfr. P. Camelot, Saint Ignace d'Antioche, Lettres, Paris, 1954, p. 88, n. 2. H. Koster contesta tuttavia questa relazione e vede nel testo d'Ignazio un simbolo dell'Ascensione (op. cit., pp. 31-32). 24.
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tratta di uno sviluppo del racconto di Matteo sulla stella dei magi: esso riguarda la grandezza e lo splendore del l'astro. Ciò si ritrova anche nel Protovangelo di Giacomo
con un esplicito riferimento a Matteo: « Dissero i magi : abbiamo visto una stella grandissima, che brillava tra queste altre stelle (Àci[li.,Jt:t\l't'(t È\1 't'oi:c; aO""t'po�c;) e le oscu rava, cosicché le stelle non si vedevano » (XXI, 2 ). Ritro viamo qui le stesse espressioni presenti in Ignazio e il confronto tra il nuovo astro e le altre stelle. Analoga mente negli Oracoli sibillini: « Quando apparirà un astro simile al sole per il suo splendore (Àet[-t7tp6c;) venendo dal cielo in mezzo ai nostri giorni, allora avrà luogo la venuta nascosta del Verbo dall'Altissimo, portando una carne si mile ai mortali » (XII, 30-3 3 ) . L'accostamento con Ignazio è qui particolarmente notevole con l'allusione alla venuta nascosta. Cosi l'accento è posto sul carattere eccezionale del l'astro che appare, ma la sua eccezionalità non è dovuta soltanto alla sua grandezza bensi al significato che sembra consistere soprattutto nel simbolizzare la luce messianica che dissipa le tenebre. Questo aspetto compare nel Testa mento di Levi dove, in un passo in cui si parla della ve nuta del nuovo sacerdote ( xetw6c;), l'autore continua : « La sua stella ( aO''t'pov) si alzerà ( civet't'EÀEi:) nel cielo come quella di un re, irraggiando la luce della gnosi ( cpwc; yvwO'Ewc;) come il sole il giorno . . . Essa brillerà ( civetÀci[l ljJn) come il sole sulla terra e caccerà ( È!;et�pEi:} ogni oscu rità di sotto il cielo » ( XVIII, 3-4 ) . Qui è notevole il fatto che l'astro diventa il simbolo del Messia stesso, come segno della luce che si espande sul mondo 31 • Ora, ciò sottolinea il legame tra il tema della stella dei magi e quello della stella come simbolo del Messia. R. De Jonge lo dice esplicitamente a proposito del nostro passo : « Deve riferirsi a Mt. 2, 2 » 32 • D'altra parte esso
31 Cfr. pure Test. Giuda, XXIV, l : « Dopo di ciò una stella (&cr't'pov) spunterà per voi nella pace e un uomo uscirà dalla mia discendenza ». 32 The Testaments of the XII Patriarchs, cit., p. 154.
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comporta un'allusione a Num. 24, 1 7 : « Una stella spun terà ( O:.vet'tEÀEt &rnpov) da Giacobbe » 33 . Il legame tra i due testi si trova d'altronde in modo esplicito in Giustino, che aggiunge un riferimento a Zacc. 6, 1 2 34 secondo i Settanta: « Mosè stesso ha fatto capire che egli doveva levarsi come un astro dalla stirpe di Abramo. Ecco le sue parole : Spunterà un astro da Giacobbe e un capo da Israele. Un'altra Scrittura dice: Ecco un uomo: Oriente ( O:.vet-.oÀ'i) ) è il suo nome. Cosi quando un astro spuntò nel cielo al tempo della sua nascita - com'è scritto nelle Memorie degli Apostoli - i magi d'Arabia, riconoscendo l'avvenimento, vennero e l'adorarono » (Dial. , CVI, 4 ). L'intervento di Num. 24, 1 7 è particolarmente inte ressante: si tratta infatti di uno dei testi piu anticamente attestati nei dossiers messianici. Esso apparteneva già al dossier della comunità di Qumran: 'appartiene infatti alla raccolta dei Testimonia scoperta nella Grotta 4 e non an cora edha 35• Il Documento di Damasco (VII, 1 9 ) l'applica a « Colui che scruta la Legge nel paese di Damasco ». Lurie pensa che esso non sia senza una relazione con Kòkba, l'habitat di Dositeo nella regione di Damasco 36• È utilizzato per tre volte nella Regola della Guerra (VI, 6 ; XI, 6 ; XVI, l) e compare nel Libro delle Benedizioni ( V, 7 ). Secondo E. Peterson è in rela2ione col costume esseno di rivolgersi a oriente per pregare 37• Infine ispi33 D'altronde Mt. 2, 2 contiene già un'allusione a Num. 24, 17, come prova il termine
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rerà piu tardi, nel movimento zelota, il soprannome del suo ultimo capo, Bar Kokba, « il figlio della Stella » 38• Dalla raccolta essena il testo è passato nei Testimonia cristiani 39 • Oltre al Testamento di Levi, si trovano delle allusioni in Le. l , 78 e in Apoc. 2, 28 e 22, 1 6 . Giustino, oltre al passo che abbiamo citato, rinvia ad esso, facendo di &rrtpov uno dei titoli di Cristo : « Egli è chiamato astro dalla bocca di Mosè, oriente da quella di Zaccaria » ( Dial. , CXXVI, l ). I due testi sono accostati come piu sopra. Giustino cita di nuovo Num. 24, 1 7 nella I Apologia: « E Isaia un altro profeta, annuncia con termini diversi la stessa cosa. Sorgerà un astro da Giacobbe e un fiore cre scerà dalla radice ( PLsnç) di lesse, e le nazioni spereranno nel suo braccio. Questo astro radioso che sorge, questo fiore che germoglia dalla radice di lesse è Cristo » (XXXII , 1 2- 1 3 ) . Si osservi che Giustino accosta Num. 24, 17 e Is. 1 1 , l e li fonde in un'unica citazione che attribuisce a Isaia 40• Ciò dipende da queste citazioni composite di cui abbiamo già parlato e che testimoniano un rifevimento a dei dossiers costituiti e non al testo stesso. Il legame di Mt. 2, 2 con Num. 24, 1 7 si ritrova in Ireneo : « Di questo Emanuele Balaam ha profetizzato pure la Stella : una stella spunterà da Giacobbe; un capo sorgerà in Israele. Ora, Matteo ci viferisce cosi le parole dei magi venuti dall'Oriente: Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo » (Adv. haer. , III, 9, 2 ) . La Dimostrazione della Predicazione Apostolica ag giunge altri particolari ( 58 ; PO, XII, 784 ). Il fatto che la stella appaia nel cielo indica che colui che viene da Gia cobbe viene dal cielo; il che ricorda Ignazio. Peraltro - lo si ritrova nel Vangelo di Giacomo la stella si -
38 Sul ruolo della stella nell'arte giudaica arcaica, dr. E. Good enough, Jewish Symbols, cit., I, pp. 61, 187; II, pp. 29, 216. 39 Cfr. J. Daniélou, Les symboles chrétiens primitifs, cit., pp. 109-130. 40 L'antichità di questo raggruppamento è confermata dal fatto che sembra supposta da Apoc. 22, 16: « Io sono la radice (pl.�a.) e la pro genie di David, la fulgida stella ( &.cr·t"DP) del mattino ». Nestle rinvia a Num. 24, 17 e a Is. 1 1 , l. Essi sono pure associati in Test. Giuda, XXIV, 1-6.
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posa sul capo d.i Gesti. Infine il testo è seguito, al para grafo successivo, da Is. 1 1 , l , attestando cosi che Ireneo utilizza i Testimonia. Origene erediterà da questa tradizione : « Riguardo alla stessa (cometa) che apparve alla nascita di Gesti, bi sogna dire che Balaam predisse il suo sorgere » ( Contra Cels. , I, 59) 41 • Ad essa dedicherà un notevole sviluppo in Hom. in Num. , XVIII, 4, osservando che la stella, dopo essersi posata sopra Gesti, « si è fermata per non !asciarlo piti », come lo Spirito all'atto del battesimo . E ne con clude che essa è « un simbolo della divinità » . In un'altra Omelia ( XIII, 7 ) egli testimonia la tradizione secondo cui i magi sono gli eredi di Balaam di cui conoscono la pro fezia : « Perciò quando nacque Gesti essi riconobbero la stella » 42• Si osservi che il testo di Ignazio d'Antiochia, oltre all'allusione all'astro sfolgorante che annuncia la nascita di Cristo ai mondi celestJi ( ettwcrw ), aggiunge che « tutte le altre stelle, il sole e la luna facevano corona a questo nuovo astro che, col suo splendore, le offuscava tutte » (Ad Eph. , XIX, 2 ) . È stata avanzata la proposta di inter pretare questo strano testo in funzione delle concezioni astrologiche ellenistiche 43 , ma l'insieme del passo ci sem bra giudeo-cristiano e sembra avere come retroterra un dosSiier di Testimonia 44 • Ci si può chiedere se l'ultimo aspetto non potrebbe spiegarsi pure in questo modo. Ora nell'Antico Testamento c'è un testo che presenta nella stessa maniera il sole, la luna e le stelle che rendono omaggio ad un astro piti splendente. È il sogno di Giu seppe: « Ho fatto un altro sogno in cui vedevo il sole, la luna e le undici stelle che mi adoravano » ( Gen. 3 7, 9 ) .
41 In Origene, Contro Celso, a cura di A. Colonna, Torino, 197 1 . 42 Cfr. Bidez-Cumont, Les mages hellénisés, Paris, 1938, I, pp. 48-49. 43 Cfr. H. Schlier, Religiongeschichtliche Untersuchungcn zur den
Ignatiusbriefen, cit., pp. 14-15. 44 A. Cabaniss crede di riconoscervi in particolare l'influsso di Sap. 18, 14-16 ( Wisdom 18: 1 4 /:an Early Christmas Text, in « VC », X [ 1 956 ] , pp. 100-101).
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Questo testo è stato infatti interpretato 1in riferimento al Cristo . Nelle Benedizioni d'Isacco e di Giacobbe lppolito commenta le visioni di Giuseppe il quale, è detto, « ve deva il Verbo in anticipo » (PO, XXVII , 3 ) . E commen tando il nostro testo : « Perché vi indignate se il sole, la luna e undici stelle lo adoravano? Nei tempi antichi essi sono come prefiguratori. Dove dunque è compiuto ciò che è stato detto, cioè: È necessario che io, tua madre e i tuoi fratelli veniamo ad adorarti inginocchiandoci a terra, cosi come i beati Apostoli, con Maria e Giuseppe, una volta giunti al Monte degli Olivi, adorarono il Cristo » ( 5-7). Si osservi che Giuseppe è presentato come ancora vivente al momento dell'Ascensione che avviene sul Monte degli Olivi. Le undici stelle sono spiegate dall'assenza di Giuda. L'interpretazione di Ignazio non è la stessa, ma ci si può chiedere se non si tratti di due interpretazioni parallele del medesimo testo. Bisogna aggiungere che qui ancora i Testamenti dei XII Patriarchi sembrano confermare l'uso del testo presso la comunità giudeo-cristiana primitiva e con un dettaglio che permette di pensare che ad esso si ispiri lppolito, come accade in piu riprese . Si legge nel Testamento di Ne/tali: « lo ebbi una visione sul Monte degli Olivi a oriente di Gerusalemme: il sole e la luna si erano arre stati. Mio padre !sacco ci disse: correte e afferrateli tutti come vi sarà possibile. Il sole e la luna apparterranno a colui che se ne impadronirà. Noi corremmo tutti insieme: Levi si impadroni del sole e Giuda della luna. Essi furono cosi esaltati al di sopra degli altri. E poiché Levi era come il sole, un giovane gli di·ede dodici rami di palma. E Giuda divenne brillante come la luna e aveva dodici raggi sotto i suoi piedi » (V, 1 -4 ) 45, Le differenze col testo di lppolito e quello di Ignazio sono evidenti, in particolare nel fatto che i due Messia, 45 Ci si può chiedere se Apoc. 12, l non si ispiri al nostro testo: Nel cielo apparve un gran segno: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sulla sua testa ». «
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che attestano l'origine essena dello scritto, sono identifi cati l'uno col sole e l'altro con la luna. Tuttavia è note vole veder citare questa interpretazione messianica dei due astri esaltati al di sopra degli altri dodici. E una remi niscenza di Gen. 37, 9 sembra proprio verosimile 46• Si osservi peraltro l'allusione al Monte degli Olivi, cosi pre cisa che sembra evidente che Ippolito l'abbia tratta dal Testamento. La notazione dell'oriente ( àwx."t'oÀ:iJ) di Geru salemme è parimenti interessante e ricorda Zacc. 6 , 1 2 ; Mt. 2, 2 ; Le. l , 78. Ma con d ò la teologia del testo di Ignazio non è stata esaurita. L'apparizione del nuovo astro getta lo scompi glio tra le potenze astrali: essa infatti annuncia « la distru zione di ogni magia ( (..llJ."( ELet), la rottura di ogni legame ini quo, il crollo dell'antico impero » (Ad Eph. , XIX, 3 ). Sem bra proprio che in questo passo sia un'allusione alla domi nazione che gli astri esercitavano sul mondo e alle pratiche magiche e astrologiche che ne erano l 'espressione. D'altra parte nel contesto l'allusione alla magia sembra proprio riferirsi ai magi. Parrebbe perciò che siano, ad un tempo, le potenze astrali e i magi, loro servitori, a trovarsi stu pefatti di fronte all'apparizione dell'astro nuovo che segna la fine del loro regno. Questa interpretazione è confermata da altre testimo nianze, la prima delle quali è di Giustino, che scrive: « La parola di Isaia: Prenderà la potenza di Damasco e le spoglie di Samaria ( Is. 8 , 4 ) , significava che la potenza del demonio malvagio che dimorava a Damasco sarà vinta dal Cristo al momento stesso della sua nascita; il che è quanto manifestamente è accaduto. Infatti i magi, come degli spogliati ( ÈO"XUÀ.EU(J.É\IOL) erano stati trascinati ad ogni sorta di cattive azioni cui li aveva spinti questo demone malvagio; essi vennero, adorarono il Cristo e apparvero liberati da questa potenza che li aveva conquistati come si
«
46 Cfr. M. D. Goulder - M. N. Sanderson, St Luke's Genesis, in ]TS », NS, VIII (1957), p. 26.
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conquista del bottino » (Dial., LXXVIII, 9 ) 47• Questo testo richiede parecchi rilievi. In primo luogo si noterà che Is. 8, 4 è citato altre due volte da Giustino, intercalato all'interno di Is. 7 tra il versetto 1 6 e il ver setto 1 6b (XLIII, 6 ; LXVI, 3 ). Questi agglomerati sono tipici dei passi anticamente raggruppati in dossiers e mo stra cosi che Is. 8, 4 è stato messo ben presto in rela zione con le profezie dell'infanzia di Cristo. D'altra parte l'episodio dei magi, in relazione con questo testo, assume un significato teologico. I magi erano di Damasco 48, cioè dipendevano dal principe delle tenebre ivi localizzato, in dubbiamente in opposizione a Gerusalemme 4'). La venuta di Cristo provoca la loro conversione, cioè li strappa dalle potenze malefiche che essi servivano con la magia e la astrologia. Due aspetti appaiono qui chiaramente. Da una parte i magi del Vangelo sono assimilati ai sacerdoti degli idoli e particolarmente ai magi siriaci. Ora, noi sappiamo che allora effettivamente frequentavano la Siria dei magusei ( missionavi iraniani). Si raffronti pure la storia di Simone il Mago : H. ]. Schoeps ha dimostrato che Balaam in Apoc. 2, 1 4 poteva designare costui 50 • D'altra parte, come abbiamo visto, Balaam, identificato talvolta con Zoroa stro 51 , era considerato come l 'antenato dei magi del Van gelo. Tutto ciò indica un contatto degli ambienti giudaici e giudeo-cristiani con i magi venuti dalla Siria 52 • Si osservi 47 Cfr. pure LXXVII, 2-4; LXXXVIII, l . Il tema è ripreso da Ter tulliano, Adv. Mare., II, 13; CSEL, 396-397. 48 Si ricorderà il legame stabilito da CDC, VII, 19 tra la profezia di Num. 24, 17 sulla stella e il soggiorno della comunità a Damasco. 49 La Lettera degli Apostoli (44; PO, IX, 215), alludendo allo stesso passo di Is. 8, 4, mostra la predicazione di Paolo a Damasco come inizio della nuova Gerusalemme e dell'entrata dei Gentili nella Chiesa (T. Schneider, Das prophetische Agraphon der Epistula Apostolorum, cit., pp. 151-154). so Aus fruhchristlicher Zeit, cit., pp. 249-254. 51 Bidez-Cumont, Les mages hellénisés, cit., pp. 47-48. 52 Dositeo, il maestro di Simone, ha avuto dei contatti con i Sado citi rifugiati nel paese di Damasco (R. North, Verbum Domini, ci t., p. 49).
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tuttavia che il passo di Giustino non allude alle potenze astrali come quello di Ignazio. Ma !',aspetto teologicamente piu importante è quello della « vittoria di Cristo sul demonio malvagio al mo mento stesso della sua nascita », vittoria che appare alla conversione dei magi. Ciò anticipa il conflitto di Cristo contro le potenze del male all'episodio della natività e dell'adorazione dei magi, proprio come diceva pure il testo di Ignazio in relazione all'episodio dei magi. 011igene, che svilupperà questo punto nel Contra Celsum ( 1 , 60), dichiara che « i magi sono in contatto coi demoni » . Essi riescono nelle loro pratiche fino a che non sopraggiunga un'influenza piu forte . Ma con la nascita di Gesu i de moni perdettero la loro forza: « Essi non furono distrutti sohanto dagli angeli che scesero sulle regioni terrene per la nascita di Gesu, ma anche dallo stesso spirito di Gesu e dalla divinità che era in lui. Pertanto i magi quando vollero compiere le loro pratiche abituali, e non ci riusci rono - quelle pratiche che prima operavano con formule e sortilegi - ne cercarono la causa, ritenendo che dovesse essere straordinaria, e scorgendo quel segno divino nel cielo vollero indagame il significato. Ed a me pare che essi, avendo le stesse profezie di Balaam (che anche Mosè riferi nei suoi scritti), esperto pure lui nell'arte dei magi, trovarono H la profezia della stella e della frase ( Num. 24, 1 7 ): " Io mostrerò a lui, ma non ora; io lo chiamo beato, ma non si accosterà " . Quindi congetturarono che quest'uomo, la cui nascita era predetta dall'apparizione della stella, doveva essere venuto al mondo, e ritenendolo piu potente di tutti demoni, e degH esseri che di solito apparivano a loro ed avevano un certo potere magico, essi vollero adorarlo » . Qui siamo molto prossimi alla prospettiva di Ignazio circa il Cristo che distrugge la potenza della magia dal momento della sua venuta. Tuttavia manca l'allus'ione alle potenze astrali, presente invece, con riferimento alla stella dei magi, presso lo gnostico Teodoto, come Clemente ce lo fa conoscere (Excerpta, ex Theod. , 69-75). Il testo de-
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scrive innanzitutto la natura del destino, che risulta dal l'azione delle Potenze agenti per mezzo degli astri ( Ex cerpta, ex Theod. , 69 ). Gli uomini sono sottomessi alla sua dominazione dalla quale ci strappa il Signore: « Per questa ragione un astro nuovo e strano ( çÈ\Ioc; lÌO"'t'IÌP xrx.t xrx.w6c;) è spuntato ( lÌ\IÉ'tEtÀ.E\1 ), distruggendo l'antico or dine astrale, brillando di una luce nuova che non è di questo mondo, come l'ha fatto il Signore stesso » ( Ex cerpta, ex Theod. , 7 4 ) . L'accostamento dei termin� con Ignazio è sorprendente, tuttavia il pensiero di Teodoto sottolinea maggiormente la potenza dei cosmocratores e svela cosi il suo orientamento gnostico. D'altra parte come precisa il paragrafo successivo degli Excerpta egli vede nei magi degli astrologi cui la loro scienza ha permesso di conoscere la nascita di Cristo : « Non soltanto i magi videro la stella del Signore, ma seppero anche che un re era nato » ( 75). L'insieme di questi testi c i pone dunque in presenza di una tradizione che collega all'episodio dei magi il tema dell'abolizione operata dalla venuta di Cristo delle pra tiche magiche e astrologiche considerate come un culto reso al demonio. Ora, la teoria che collega queste pratiche alle potenze del male è specificamente giudeo-cristiana e proviene dalle apocalissi giudaiche. Il testo piu impor tante è I Henoch, VIII, 3 , che mostra gli angeli malvagi che rivelano agli uomini le pratichè magiche. Questo testo è frequentemente usato nelle Omelie Clementine (VIII, 12-24; IX, 1 3-19, ecc . ). L'interpretazione della storia dei magi, cosi come ci è riportata da Giustino e Origene, ap pare dunque in un milieu giudeo-cristiano influenzato dal l'apocalittica 53• Quanto all'allusione all'astrologia, che sembra conte nuta nel testo di Ignazio e che suppone una dominazione sull'uomo da parte delle potenze astrali, essa sembra rial lacciarsi in modo particolare all'ambiente siriaco. Questa 53 Cfr. J. Daniélou, Démons, in Dictionnaire de spiritualité, IV, coll. 155-159.
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credenza nell'astrologia la ritroviamo infatti presso altri autori siriaci, come Taziano e Bardesane, ed è in questo ambiente che l'apparizione della stella dei magi appare come il segnale della distruzione della dominazione eser citata dalle potenze malvagie per mezzo degli astri e della loro influenza 54 • Da questo ambiente siriaco sarebbe allora sorto il dualismo radicale che riveste tale teoria nello gno sticismo e l'importanza assunta in seguito dall'episodio della stella come attestante la fine del potere delle potenze planetarie.
Il battesimo di Gesu Un altro aspetto importante della teologia giudeo-cri stiana è dato dal posto che vi occupa il battesimo di Cristo: sembrerebbe, sotto certi aspetti, che esso sia piu importante della Natività. Il Vangelo di Marco comincia con il battesimo, il che sembra proprio derivare da una forma primitiva. Ho mostrato altrove che ciò potrebbe corrispondere alle letture liturgiche di un anno, le quali cominciavano in settembre con il racconto del battesimo e terminavano in settembre con l'entrata delle Palme 55 • La letteratura eterodossa, ebionita e gnostica, sembra sup porre questa consuetudine, interpretandola in modo del tutto eterodosso, quando vede nel battesimo la discesa della divinità sull'uomo Gesti 56• Giò suppone l'importanza conferita nella tradizione al battesimo ST . Che sia cosi nell'ambiente giudeo-cristiano non stupi-
54 La teologia della stella appare cosi riallacciantesi originariamente ai giudeo-cristiani di Damasco. Ad essi si possono attribuire il Vangelo di Matteo, i Testamenti, le Lettere d'Ignazio. Cfr. L. Goppelt, Christen tum und ]udentum, cit., pp. 178-199; J. Daniélou, Les manuscrits de Qumran et les origines du christianisme, Paris, 1957, pp. 91 ss. 55 J. Daniélou, Les Quatre-temps de septembre et la Féte des Ta bernacles, in « MD », XVLI ( 1956), pp. 1 14-137. 56 A proposito di Cerinto dr. Ireneo, Adv. haer., I, 26; l; per gli Ebioniti, Epifanio, Pan., XXX, 16. 57 Cfr. E. Fabbri, El bautismo de Jesus y la unci6n del Espiritu, in « CF », XII ( 1956), pp. 8-9.
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sce: il battesimo di Cristo doveva occupare un posto im portante per il fatto dei contatti tra gli Esseni e Giovanni Battista. Come immersione nell'acqua viva, esso si situa nel quadro del movimento battista al quale si riallaccia l'essenismo. L'effusione dello Spirito Santo appare la rea lizzazione dell'effusione escatologica, che occupa un posto importante nei documenti di Qumran. Ritorneremo su tutto ciò a proposito del sacramento del Battesimo. Peral tro non dobbiamo occuparci qui del battesimo di Cristo cosi com'è narrato dai Sinottici e da Giovanni, né, tanto meno, dobbiamo studiare tutte le particolarità presentate, a questo proposito, dalla letteratura apocrifa. Per questo si può fare riferimento al considerevole capitolo di \VI. Bauer 58 • Non dovremo soffermarci che sui dati teologici portati dai giudeo-cristiani. Il primo aspetto del battesimo è la discesa di Gesti nel Giordano, cui i nostri testi attribuiscono significati molteplici. Anzitutto essa è considerata come una discesa nelle acque della morte in cui dimora il dragone. Cosi nel Testamento di Aser: « Quando il Signore visiterà ( ÈmO'XÉI)JTJ'tCx.L) la terra, essendo lui stesso venuto come uomo tra gli uomini, mangiando e bevendo, e nella tran quillità ( TjO"uxl.rx) schiacciando con l'acqua ( o L ' vorx"toc;) la testa del dragone, allora salverà Israele ,e tutte le nazioni, portando Dio una figura ( tmoxpw6�E\Ioc;) d'uomo » (VII, 3 ) . Questo passo è evidentemente cristiano, come osserva R. de Jonge 59, e comporta un'allusione al Sal. 73, 1 3 . Peraltro l'espressione & ' vorx'toc; è un riferimento certo al battesimo. Cosi pure la stessa citazione del Sal. 73, 1 3 si troverà esplicitamente applicata al battesimo in un testo poste riore. Scriverà infatti Cirillo di Gerusalemme nelle sue Catechesi: « Poiché bisognava schiacciare le teste del dra gone, egli, dopo essersi immerso neHe acque, legò il vioss
Das Leben ]esu im Zeitalter der neutestamentlichen Apocryphen,
Ti.ibingen, 1909, pp. 1 1 0-114. S'i
The Testaments of the
XII
Patriarchs, cit., p. 152, n . 222.
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lento » ( III, 1 1 ; PG, 3 3 , 441B). Questo tema del dra gone nascosto nelle acque della morte e del battesimo di Cristo come discesa nel suo dominio persisterà nella tra dizione. P. Lundberg ne ha mostrato le origini e ne ha dato degli esempi nella liturgia 60• O. Rousseau ha dimo strato che era un'anticipazione simbolica della discesa di Cristo agli inferi e della sua vittoria su Satana 61 • A sua volta A. Baumstark ne ha rilevato la persistenza nella pre ghiera greca di consacrazione dell'acqua battesimale 62 • Ciò che qui è importante è !il legame stabilito tra il battesimo di Cristo e la sua Passione. Infatti Paolo ha collegato la morte e la resurrezione di Cristo al battesimo cristiano. Ma qui abbiamo un simbolismo sicuro: è il bat tes,imo di Cristo che prefìgura la sua Passione. In questo senso l'episodio sarebbe da accostare a quello delle nozze di Gana nel Vangelo di Giovanni, in cui l'allusione alla Passione sembra certa 63 • Il battesimo di Cristo sarebbe una prefìgurazione del battesimo cristiano non solo in quanto consacra il cito dell'acqua, ma, come ha dimostrato H . Riesenfeld 64, in quanto associa la discesa nell'acqua al mistero della morte e della resurrezione. Ciò si oppor rebbe alla tesi di A . Benoit 65 che rifiuta di vedere una traccia della teologia paolina del battesimo nei milieux giudeo-cristiani. Ora questo legame tra il battesimo di Cristo e la Pas sione sembra comparire in molti testi giudeo-cristiani. In un passo curioso le Odi di Salomone accostano la discesa dello Spirito su Cristo nel battesimo e la discesa agl'inferi, il che può difficilmente interpretarsi in modo diverso che come una allusione al battesimo come discesa nel mondo 60 La typologie baptismale dans l'ancienne Église, cit., pp. 64-166.
61 La descente aux enfers figure du bapteme chrétien, in Mél. Le breton, II (apparso in « RSR », XL [ 1952 ] ), p. 286. 62 Liturgie comparée, Chevetogne, 1939, p. 147. 63 O. Cullmann, Les sacraments dans l'Évangile johannique, Paris, 1951, p. 37. 64 La signification sacramentaire du bapteme johannique, in « DV », XIII ( 1 949), pp. 29-37. 65 Le baptéme chrétien au Second Siècle, Paris, 1953, p. 228.
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della morte. Ecco il testo: « La colomba volò sul Messia ed essa cantò su di lui e si senti la sua voce . . . Gli abissi si apersero ed essi furono nascosti » ( XXIV, 1-3 ) . R. Har ris osserva a proposito di questo testo : « È possibile che il Salmo si riferisca al Battesimo e alla discesa agli Inferi come a degli avvenimenti compiuti in stretta connessione ... Nei primi tempi il battesimo d i Cristo era l'occasione della sua vittoria sull'Ade » 66 • Sembra che una associazione analoga la si ritrovi in un passo di Ignazio d'Antiochia che precede immediata mente quello sul carattere nascosto dell'Incarnazione : « [ Il nostro Dio Gesti Cristo ] nacque e poi si fece bat tezzare per rendere pura l'acqua con la sua passione » (Ad Eph. , XVIII, 2 ). Camelot osserva giustamente che « con il battesimo di Gesti, dmmagine e ·annuncio della sua morte e della sua resurrezione, l'acqua partecipa alla virtu della Passione » 67 • Ora, la spiegazione piti naturale è che il Cristo, scendendo nell'acqua, distrugge le forze demoniache che vi dimorano, purificando cosi le acque con la sua Passione, cioè con questa morte, che è discesa nel mondo della morte. Scrive A. Benoit: « Troviamo dunque in Ignazio la prima formulazione di quella concezione che sarà corrente in seguito e che affonda le sue radici nella cosmologia giudaica: il battesimo di Cristo purifica le ac que infestate dai demoni » 68 • Una concezione analoga a quella di Ignazio l'incon triamo nelle Eclogae propheticae di Clemente Alessan drino, nelle quali l'autore ha conservato dei frammenti di esegesi giudeo-cristiane trasmessi nella tradizione dei pre66 The Odes and Psalms of Solomon, Cambridge, 1909, p. 123. Cfr. pure Odi, XXII, 5, in cui si parla di « colui che distrusse il drago dalle sette teste ». Ora, l'ode sembra avere un legame con il Battesimo di Cristo (C. M. Edsman, Le bapteme de feu, Uppsala, 1940, p. 47 ; J. H. Bernard, The Odes of Solomon, London, 1912, pp. 32-39). 67 Ignace d'Antioche, Lettres, cit., p. 87, n. 2. Cfr. P. Lundberg, La typologie baptismale dans l'ancienne Église, cit., p. 226; H. Schlier, Religiongeschichtliche Untersuchungen zur den Ignatiusbriefen, cit., pp. 44-45. 68 Le bapteme chrétien au Second Siècle, cit., p. 69.
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sbiteri: « Il Salvatore - scrive Clemente - si fece bat tezzare senza averne lui stesso bisogno, allo scopo di san tificare tutta l'acqua, per coloro che vi sono rigenerati. In tal modo noi non siamo purificati soltanto quanto al corpo. ma anche quanto all'anima. E che le parti invisibili del nostro essere sono santificate significa che anche gli spiriti impuri abbarbicati alla nostra anima sono eliminati a par tire dalla nuova nascita spirituale » ( 7 ; GCS, 1 38, 26-32 ). Ancora una volta la discesa di Cristo nelle acque ha qui lo scopo di purificarle dalle presenze demoniache e di ren derle cosi atte a purificare i battezzati dalle potenze. Un'altra linea di sviluppo è in relazione con il carat tere escatologico del battesimo di Cristo: è il tema del legame tra il battesimo d'acqua e il battesimo di fuoco 69 • Nella sua origine esso risale alla pericope di Mt . 3, 1 1 : « Io vi ho battezzato nell'acqua; lui vi battezza nel fuoco e nello Spirito ». Van Imschoot ha mostrato il carattere escatologico della perkope 70• Sembra proprio che vi sia un'allusione al giudizio finale per mezzo del fuoco ed al carattere giudiziario della venuta del Messia. Tuttavia, sin dal Nuovo Testamento questo carattere sembra che sia stato cancellato a favore di una concezione sacramentale e che, di conseguenza, l'allusione al fuoco sia stata elimi nata ( Mc. l , 8). Ma essa è rimasta e si è sviluppata nella tradizione giudeo-cristiana, la quale ci mostra la profezia di Giovanni realizzata nel battesimo di Cristo, mediante il fuoco asso ciato all'acqua sul Giordano. È noto che parecchi testi ar caici, il Vangelo degli Ebioniti 11, il Diatasseron e certi manoscritti latini del Nuovo Testamento citano la pre senza di un fuoco o di una luce sul Giordano 72• Di solito non si distinguono abbastanza le due forme di questa tra dizione. Qui ci occuperemo della prima, in cui il fuoco 69 C. M. Edsman, Le bapteme de feu, cit., pp. 182-190. 70 Bapteme de feu et bapteme d'eau, in « ETL », XIII ( 1936), pp. 653 ss. 71 Epifanio, Pan., XXX , 13. 72 Cfr. W. Bauer, Das Leben ]esu, cit., pp. 134-136.
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appare al momento della discesa di Gesu e che è atte stata da Giustino: « Mentre Gesu scendeva nell'acqua si accese un fuoco sul Giordano e, mentre risaliva, lo Sp1rito Santo volteggiò sopra di lui come una colomba » ( Dia!. , LXXXVIII, 3 ) 73 • In effetti in questa tradizione il fuoco sembra un'allu sione al fuoco distruttore del Giudizio: molti testi lo ci tano. Cosi si legge negli Oracoli sibillini: « [ Il Figlio di Dio ] dopo aver ricevuto una seconda nascita secondo la carne, essendosi lavato nella corrente del Giordano che avanza col suo passo azzurro, trascinando le sue onde, ed essendo sfuggito al fuoco, vedrà per primo un Dio pro pizio venire per mezzo dello Spirito, sulle ali di una bianca colomba » ( VI, 3-7 ). Il testo sembra proprio sottolineare che il Cristo è stato liberato dal fuoco per mezzo del bat tesimo e che allora lo Spirito è sceso. Ciò si pone proprio sulla linea del testo di Giustino, in cui il fuoco compare sull'acqua al momento del descensus 14• L'idea di una libe razione di Cristo al battesimo in rapporto al fuoco ricom pare altrove negli Oracoli, quando si parla del « Padre che ha asperso il tuo battesimo di acque pure, per mezzo del quale tu [ il Verbo ] sei apparso us�endo dal fuoco » (VII, 83-84 ) 75 • Negli Estratti di T eodoto troviamo la stessa conce zione. Clemente riportando la dottrina del discepolo di Valentino, scrive: « Cosi come la nascita del Salvatore ci ha fatto uscire dal divenire e dalla fatalità, allo stesso modo il suo battesimo ci salva dal fuoco e la sua Pas sione dalla passione » ( 76, l ). Il grande interesse di que sto brano sta nel pamllelo che esso isdtuisce fra i tre mi steri della liberazione: quello dei magi che libera dal fatum, quello del battesimo che libera dal fuoco e quello della Passione che libera dalla passione. Qui, dietro l'inter73 A. Orbe pensa che Clemente Alessandrino conoscesse questa tra dizione (Theologia bautismal de Clemente Alexandrino, in « GR », XXXVI [ 1955 ] , pp. 434-439). 74 Cfr. J. Daniélou, Sacramentum futuri, eit., pp. 63, 77-78. 75 Per il senso di èsecp�av8'1)c;,, dr. Odissea, XII, 441 .
L'incarnazione
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pretazione gnostica, vi è una teologia delle tappe deHa redenzione nella vita di Cristo. Se ne ha una prova osservando il parallelismo che col nostro testo presenta quello in cui anche Giustino parla del fuoco al momento del battesimo. Giustino vuole di mostrare che la potenza òUva(.l.tc; di Cristo si è manifesMta anzitutto sino dalla nascita nell'episodio dei magi (Dial. , LXXXVIII, 2 ); poi, una seconda volta, al battesimo, in cui « si accese un fuoco sul Giordano » . E, aggiunge, « se è sceso nel fiume non è perché avesse bisogno di essere battezzato, cosi come non aveva bisogno di essere gene rato o di essere crocifisso. Ha sopportato di esserlo per la stirpe degli uomini caduti in potere della morte » (Dia!. , LXXXVIII, 4 ) . Cosi, come in Teodoto, i tre mistel'i sono in relazione con la teologia della redenzione: essi costituiscono tre tappe nella lotta del Figlio di Dio incar nato contro le potenze. In questo senso i temi della di scesa nel Giordano, come lotta contro il dragone del mare o come traversata del fuoco del giudizio, hanno un signi ficato teologico parallelo . L'origine giudeo-cristiana di questa opposizione tra il giudizio per mezzo ddl'acqua e il giudizio col fuoco de riva da due fatti. Anzitutto tale opposizione, sul piano escatologico, compare propriamente in ambiente giudaico e in ambiente cristiano nella seconda metà del primo se colo. La dottrina di un giudizio con il fuoco non è estra nea all'Antico Testamento ( Is . l , 7 ; Dan. 7, 1 0 ; Sap. 5, 21 ) , ma essa è sviluppata nei manoscritti di Qumran, par ticolarmente nelle Hodayoth (VI, 38-44 ) , in cui si vede il fuoco consumare l'acqua. Anche gli Oracoli sibillini giu daici la presentano ( IV, 125- 1 60 ). Ma piu precisamente l'opposizione dei due giudizi, con l'acqua e col fuoco, com pare nella seconda metà del primo secolo. La si trova nella Vita di Adamo ed Eva ( L, 1 -2 ), nella II Lettera di Pietro ( 3 , 5-7 ) e in Flavio Giuseppe (Ant. Jud. , I, 3, 7 ) 76 • Il 76 Cfr. G. Vermès, La secte iuive de la Nouvelle Alliance, in (sett. 1950}, pp. 18-21. 25.
«
CS »,
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Le dottrine
testo di Giovanni Battista in Mt. 3 , 1 1 , si colloca nel me desimo contesto, in quanto applica questa opposizione al battesimo, e risalirebbe ad un'origine essena, forse di ispi razione iranica. Ma v'è qualcosa di piti preciso. Abbiamo sinora lasciato da parte un testo che si ricollega al giudeo-cristianesimo eterodosso degli Ebioniti e in cui l'opposizione tra il fuoco e l'acqua compare a proposito del battesimo di Cristo. Si tratta di un passo che appartiene allo strato piti antico delle Recognitiones clementine, quello dei Kerygmi di Pie tro, in cui si legge: « Dopo Aaron, gran sacerdote, un altro è preso, tratto dalle acque; non intendo parlare di Mosè, ma di colui che nelle acque del battesimo è stato chiamato Figlio di Dio. Avete compreso che parlo di Gesti, il quale con la grazia del battesimo ha spento il fuoco ac ceso dai grandi sacerdoti per i sacrifici » ( Ree. Clem. , I , 48). Il testo è l'espressione della polemica ebionita contro i sacrifici cruenti compiuti col fuoco 77 ; rappresenta perciò una interpretazione teologica diversa da quella dei passi che abbiamo sinora citato . Ma è chiaro che esso riposa su una stessa concezione originaria del conflitto tra l'acqua e il fuoco al momento del battesimo di 'Gesti e di una affermazione del trionfo con l'acqua sulla forza distrut trice del fuoco. H. J. Schoeps ha notato che ciò si rial laccia ad una concezione pessimista del fuoco , correlativa ad un'esaltazione dell'acqua nell'ebionismo 78 • Egli cita un altro passo: « Fuggite verso l'acqua che, sola, può estin guere la forza del fuoco » (Hom. clem. , XI, 26). Ma sem bra che originariamente questa opposizione appartenesse al giudeo-cristianesimo in generale. Forse, come suggerisce Schoeps, essa presenta una punta di anti-iranismo 79 • 77 Cfr. H. J. Schoeps, Theologie und Geschichte des Judenchristen tums, cit., p. 210. 78 Ibidem, pp. 206-207. Cfr. pure gli Elcesaiti (Epifania, Pan., XIX, 3 ). Il tema sembra di provenienza essena (H. J. Schoeps, Urgemeinde, Judenchristentum, Gnosis, cit., p. 8 1 ). 79 Theologie und Geschichte des ]udenchristentums, cit., p. 207; cfr. H. Schlier, Religiongeschichtliche Untersuchungen zur den Ignatius-
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Ma questa interpretazione, come ha osservato W. Bauer in contrasto con Zahn 80, non è la piti comune. An zitutto si noterà che nell'insieme delle testimonianze arcai che la manifestazione del fuoco non è legata alla discesa di Gesti nel Giordano. Nella maggior parte dei casi si dice soltanto che essa accompagna il battesimo. Cosf nella Pre dicatio Pauli, citata dallo Pseudo-Cipriano, oppure nelle varianti dei codices latini 81• Nel Vangelo degli Ebioniti, l O, la manifestazione della luce ha pure luogo dopo il battesimo : « E allorché (Gesti) usd dall'acqua, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito Santo che discendeva e pene trava in lui. E dai cieli venne una voce che disse: Tu sei il mio figlio diletto : in te mi sono compiaciuto. E poi an cora: Io oggi ti ho generato. E in quel momento una gran luce illuminò (7tEPLÉÀ.a(.l.�E) tutt 'intorno il luogo » 82• Peraltro nella maggior parte dei test:i non si tratta di un fuoco ( 1tup ), ma di una luce ( cpwc;): è il caso del Van gelo degli Ebioniti. I codices latini traducono lumen ma gnum e lumen ingens. È pure ciò che leggiamo nel Dia" tasseron. Ora tutto ciò ci orient·a su tutt'altra linea. Evi dentemente si tratta di una luce di gloria che accompagna la manifestazione, l'epifania divina di Gesti e che deve essere associata non con H battesimo, ma con la voce dal cielo e la discesa dello Spirito. Il parallelismo con la Tra sfigurazione appare qui sorprendente: in entrambi i casi si trova la voce del Padre che attesta la filialità di Gesti. La luce che irradia appare nel battesimo un equivalente dello splendore che emana da Gesti trasfigurato. È possibile giungere ad una determinazione piti pre cisa? Mi stupisce che W. Bauer, il quale rinvia ad un certo numero di luoghi biblici sulla luce 83, non abbia fatto briefen, cit., pp. 146-147 ; E. Molland, La circoncision, le bapteme et l'autorité du décret apostolique dans les milieux iudéo-chrétiens, in « ST », IX ( 1 955), pp. 16-21. 80 Das Leben Jesu, cit., p. 136. 81 Ibidem, p. 137. 82 In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit. 83 Das Leben Jesu, cit., p. 138.
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un rafFronto letterariamente piu preciso. Il Vangelo degli Ebioniti dice che una « grande luce irradiò ( 'ltEptÉÀcx.(.l.�E) su tutto il luogo ». Orbene, a proposito della natività si legge in Le. 2, 9 che << la gloria del Signore irradiò ( 'ltEptÉ Àcx.(.l.�E) su di loro [ = i pastori ] , ed essi furono presi da un grande timore » . Il tema del timore non compare nel Vangelo degli Ebioniti, mentre si vrova nei codices latini che sono strettamente paralleli a Luca. Cosi nel Codex Vercellensis si legge: « Una gran luce emanò (circumfulsit = 'ltEptÉÀCX.(.l.�E) dall'acqua, cosicché tutti coloro che erano presenti furono presi dalla paura » . In Luca, come nei no stri testi, l'apparizione della luce è collegata allo spalan carsi del cielo : è la luce celeste che irradia sulla terra, sottolineando il carattere divino dell'azione che si compie. Non c'è alcuna ragione di pensare che il tema sia stato trasferito dalla natività al battesimo ; anzi, è proba bile piuttosto il contrario . Come abbiamo detto, infatti, sembra che l'episodio del battesimo abbia occupato presso il giudeo-cristianesimo originario un posto eccezionale. Ma l 'insieme degli autori eterodossi, tanto ebioniti che gno stici - Cerinto come Carpocrate - ne traflvano una con seguenza eterodossa, e precisamente che la divinità sarebbe discesa sull'uomo Gesu in tale momento. Ciò appare chia ramente nel passo prima citato del Vangelo degli Ebioniti, in cui si dice che lo Spirito Santo è entrato in ( dc; ) Gesti 84• Si comprende perciò come la tradizione della Grande Chiesa abbia cercato di minimizzare il battesimo a pro fitto del Vangelo dell'infanzia e di cogliere in quest'ultimo l'aspetto divino: l'abbiamo constatato a proposito dell'epi sodio dei magi. Ciò appare ugualmente in quello dei pastori. Sembra dunque ragionevole pensare che la presenza della luce di gloria al battesimo sia un dato primitivo . Ma in quale contesto si colloca? I riferimenti biblici indi cati da Bauer rimangono piuttosto vaghi. Egli attira, al 84
Cfr. E. Fabbri, El bautismo de ]esus en el evangelio de las
flcbrcos, in
«
RTh », VI ( 1956), pp. 49-50.
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contrario, l'attenzione su di un fatto da cui non mi sem bra che tragga tutte le conseguenze, cioè la designazione, sino da antica data, del battesimo cristiano con i termini q>W"t'�CftJ-1'1. 85 e q>W"t'LCftJ,oç 86• Si tratta di una designazione molto antica perché già in Ebr. 6, 4 e 10 , 32 i battezzati sono chiamati q>tJl"t'Lcr8évuc;. Le spiegazioni date di questa designazione del battesimo rimangono oscure '"'. Quella proposta da Giustino, cioè che il battesimo è un'illumina zione dell'intelligenza, sembra secondaria e dipendente da influssi ellenistici (Dia!., CXXII, 4-5 ). Ci si può chiedere se non occorra cercare in un'altra direzione e se la tradizione liturgiCa del battesimo cri stiano non abbia conservato qui la traccia di un tema che sarebbe stato originariamente legato al battesimo di Cristo, ma che si sarebbe estinto in questo 88, il che ci oriente rebbe in un senso liturgico. Ora, bisogna riconoscere che la liturgia ha mantenuto il ricordo persistente di un le game tra il battesimo di Cristo e il tema della luce. Al trove abbiamo dimostrato che ciò può essere collegato al legame tra il battesimo di Cristo e la Festa dei Tabernacoli nella liturgia giudeo-cristiana 89 • In questa infatti il tema della luce svolge un ruolo importante, assieme a quello dell'effusione dell'acqua : esso sarebbe cosi legato meno all'avvenimento del battesimo di Cristo che alla sua cele brazione liturgica e sarebbe rimasto anche quando la data della festa liturgica del battesimo passò da settembre a gennaio. Peraltro l'apparizione del tema nelle tradizioni evangeliche costituirebbe un riflesso su di esse del suo ruolo nella celebrazione liturgica. Ed è infine da questa celebrazione liturgica che sarebbe rimasta la consuetudine di designare il battesimo come q>W"t'�CftJ,6c; 90 • 85
Clemente Aless., Paed., I, 6, 26. Giustino, I Apol., LXI, 12. 87 Cfr. A. Benoit, Le bapteme chrétien au Second Siècle, cit., p. 168. 88 Cfr. A. Orbe, Theologia bautismal de Clemente Alexandrino, cit., p. 440. 89 J, Daniélou, Les Quatre-temps de septembre et la Féte des Ta bernacles, cit., pp. 125-130. 90 Nel Vangelo di Filippo l'opposizione dell'acqua con la luce corri86
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Le dottrine
Se raffrontiamo i tratti che caratterizzano la teologia giudeo-cristiana nei diversi episodi che abbiamo studiato, constatiamo innanzitutto la preoccupazione di conferire agLi avvenimenti della vita di Cristo la loro dimensione cosmica: Cristo nella sua 'incarnazione attraversa il mondo angelico, con la sua natività spodesta le potenze demo niache e, nel battesimo, affronta il principe dell'abisso. In un senso piu profondo questi episodi diventano cos1 dei misteri, delle azioni divine, come testimoniano la stella dei magi e la luce del battesimo : in esse si manifesta la glori'a di Dio. Questi aspetti li ritroveremo in un grado eminente nel modo con cui il giudeo-cristianesimo ha compreso il mistero della redenzione.
sponde alla successione liturgica del battesimo e dell'unzione (25; 66; 77).
Capitolo ottavo
La Redenzione
La discesa agli inferi La questione della discesa agli inferi interessa diretta mente il giudeo-cristianesimo, ma occorre innanzitutto cir coscriverla con esattezza. Ess,a infatti si riferisce ad un pro blema preciso: quello della sorte dei giusti morti prima di Cristo. Stando alla rappresentazione antica piu corrente, sia nel mondo giudaico ( scheol) che nel mondo greco (Ade), i morti dimorano nelle regioni poste sotto la terra e che sono propriamente « gli inferi », ciò che sta in basso. In senso stretto deve essere chiamata « discesa agli in feri » la dottrina secondo cui il Cristo, dopo la sua morte, è sceso in queste regioni sotterranee per annunciare la libe ra2ione ai giusti che vi si trovavano rinchiusi. Come hanno mostrato W. Bieder 1 , H. Schlier 2 e Bo Reicke 3, questa dottrina sembra estranea al Nuovo Testamento. Essa è pro priamente giudeo-cristiana e costituisce uno sviluppo dog matico che sarà accettato dalla tradizione comune e inte grato finalmente nel Simbolo 4 • Ma questa dottrina ha interferito con altri temi. Da una parte essa è stata integrata nel tema generale della discesa di Cristo, della catabasi. Secondo il Nuovo Testamento il Verbo di Dio discende dal cielo sulla terra: tale sembra proprio il modo in cui dovrebbero essere interpretat,i 1 Die Vorstellung von der Hollenfahrt Jesu Christi,
cit., p. 128.
2 Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit., pp. 3-18.
3 The Disobedient Spirits and Christian Baptism, Copenhagen, 1945,
pp. 115-118.
4 ]. N. D. Kelly, The Early Christian Creeds, London, 1950, pp. 378-383.
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Le dottrine
testi che parlano della sua discesa, in particolare E/. 4, 9 e I Piet. 3, 18-22 . Bieder e Schlier hanno dimostrato che qui
non si tratta degli inferi. Lo schema è quello che abbiamo incontrato piu sopra. Il Verbo attraversa i mondi angelici e discende sino all'uomo. Il fine della sua discesa, come mostra in particolare il Physiologos, è l'Incarnazione. Ciò è chiaro in Fil. 2, 7 in cui la Kenosi per il Verbo consiste nel rendersi « simile agli uomini » . C i si trovava cosi, come h a osservato giustamente Schlier, in presenza di due temi distinti: la discesa del Verbo dal cielo sulla terra e la discesa del Cristo dalla terra agli inferi. Peraltro una cosmologia totale, quale si trova in Fil. 2, 9, comprende « coelestia, terrestria et infe riora » : di qui la tentazione d'inglobare i due temi in un'unica visione. È quanto ci mostra l'Ascensione d'Isaia, in cui vediamo il Verbo che, dopo aver attraversato tutti i cieli, il firmamento e questo mondo, scende sino in pros simità dell'angelo che si trova nello scheol e si trasforma secondo la forma degli angeli che stanno nello scheol (X, 8-1 O ), senza tuttavia spingersi sino ad Hagal, il grande abisso in cui gli angeli malvagi saranno rinchiusi dopo l'ultimo Giudizio. D'altra parte il tema ha interferito con il combatti mento tra il Cristo e gli angeli dopo la Passione. Questo conflitto è citato dalla Lettera ai Colossesi: « Ha spogliato i principati e le potestà trionfando di loro per mezzo della croce » ( 2 , 1 5 ). Per il milieu giudeo-cristiano la dimora degli angeli decaduti - il luogo in cui essi sono rinchiusi - è l'atmosfera. È là quindi, come ha dimostrato H. Schlier 5, che ha luogo il loro conflitto con Cristo. Ciò è ancora assai evidente nell ' Omelia pasquale dello Pseudo lppolito ( 5 1-52 ; SC, 177 ). Ma la discesa agli inferi ha tra scinato con sé tale tema, sostituendogli alla fine del se condo secolo, quello di un conflitto tra Cristo e gli angeli malvagi negli inferi, teoria che era destinata ad avere la meglio. s Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit.,
pp. 3-18.
La Redenzione
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Dovremo quindi distinguere qui due temi. Parleremo piu oltre del conflitto tra il Cristo e le potenze dell'aria, che costituisce uno schema particolare. Ma questo con flitto si è espresso pure sotto la forma di una discesa di Gristo nel regno del dragone che dimora nel cuore della terra: costituirà uno degli aspetti e non dei meno impor tanti, delta discesa agli inferi. Ma, come ha mostrato Bie der, esso è secondario. Dovremo quindi esaminare anzi tutto il contenuto piu ·antico della discesa agli inferi presso i giudeo-cristiani. Alla fine ritroviamo l'altro che ne costi tuisce la forma piu recente e, nello stesso tempo, q;uella destinata alla piu gDande fortuna. Il primo testo che incontriamo è quello del Vangelo di Pietro, in cui, dopo il racconto della Resurrezione, si legge: « E udirono una voce dai cieli che diceva: L'hai annunziato ai dormienti? » ( 4 1 ; Vaganay, 301-303 } 6• W. Bieder ha studiato da vicino questo passo 7 • L'espressione « coloro che dormono » compare, in un contesto analogo, in Mt. 27, 52, in cui si parla dell'uscita dalle loro tombe dei giusti dell'Antico Testamento al momento della Pas sione. Lo stesso significato si ritroverà nell'Apocrifo di Ge remia. Si tratta dunque anche nel nostro testo dei giusti dell'Antico Testamento che erano rinchiusi nello scheol. Il raffronto con questi due testi ci permette pure di determinare il senso della predicazione ( XTJPUC'C'EW ) di Cri sto: si tratta dell'annuncio della liberazione fatto dal Cristo ai santi dell'Antico Testamento. Siamo qui in pre senza del tema primitivo che rimarrà quello essenziale della discesa agli inferi. Il problema teologico al quale esso risponde è quello della sorte dei giusti morti prima di Cristo; è perciò comprensibile che esso dovesse preoc cupare l'ambiente giudeo-cristiano. Il caso sembra assai diverso da quello della predicazione ( XTJPUC'C'EW ) di Cristo agli spiriti ·in carcere, di cui parlava la I Lettera di Pietro ( 3, 1 8-20). In essa si tratta della proclamazione, da parte 6 In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit.
7
Die Vorstellung von der Hollenfahrt ]esu Christi, cit., pp. 129-135.
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di Cristo, deHa sua vittoria sui demoni, fatta a questi nella loro prigione che è l'aria; il che ci riconduce a Col. 2, 15 8 • L'·interesse è rivolto ai cristiani, cui viene proposto l'esempio di Cristo : essi devono rinunciare a Satana e pro fessare la loro fede. Il quadro del pensiero è sacramentale. Nel Vangelo di Pietro si tratta di un contesto teologico. Ci troviamo di fronte ad un primo sforzo di riflessione - di s�ruttura mitica - sul problema dell'estensione della salvezza operata da Cristo. Occorre accostare al Vangelo di Pietro una testimo nianza parallela e che rappresenta pure una dottrina molto arcaica: quella del presbitero citato da Ireneo. Si tratta, infatti, di un personaggio che è appartenuto all'ambiente apostolico: questo è il senso del termine in Ireneo (Adv. haer. , IV, 27, 1 ). Ora, ril presbitero insegnava che « il Signore è disceso nei luoghi che stanno sotto terra, per annunciare ( evangelizantem ) anche ad essi la sua venuta: la remissione dei peccati è concessa ·a coloro che credono » ( IV, 27, 2 ). Qui abbiamo ancora un annuncio di salvezza ai morti. L'allusione a coloro che credono potrebbe far pensare ad una possibilità di conversione, ma il testo precisa che coloro che credono sono soltanto « quelli che avevano sperato in lui », cioè i giusti dell'Antico Testa mento. La discesa agli inferi compare in un altro testo giudeo cristiano molto antico, il frammento chiamato Apocrifo di Geremia che è citato da Giustino (Dial., LXXII, 4 ) e da Ireneo (Adv. haer. , III, 20, 4; IV, 22, l e 33, 1 2 ; V, 3 1 , l ; Dem., 78). Il testo si presenta cosf: « Il Signore Iddio si è ricordato dei morti che sono i suoi, i santi di Israele, che erano addormentati ( xExoq.J.'l'J!-lÉVW'V) nel fango della terra. È disceso ( xa-tÉB'l'J) verso di loro per annun ciare la buona novella ( EvayyEMcracrea�) della salvezza che ha portato loro ». L'origine cristiana del testo è certa. W. Bieder sarebbe incline a vedervi un'interpolazione cri8 È la posizione di H. Schlier e di Bo Reicke alla quale si allinea R. Bultmann, Bekenntnis und Liedfragmente im I Pt., in Con;ectanea Neotestamentica, II, p. 5 .
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stiana introdotta nel Geremia canonico 9• Noi invece - come abbiamo esposto piu sopra - la giudicheremmo piuttosto una sorta di midrash del profeta. Questo testo conferma il precedente, col quale presenta peraltro letteralmente dei punti di contatto, particolar mente il termine xExo��'l'J�Évwv. Osserveremo in partico lare che si tratta espressamente dei « morti d'Israele » �, L 'appartenenza al giudeo-cristianesimo è qui evidente, trat tandosi del problema, che i giudeo-cristiani inevitabil mente dovevano porsi, della sorte dei santi di Israele, Pa triarchi e Profeti. D'altra parte la localizzazione della dimora dei morti in un luogo situato nelle profondità della terra è esplicita. L'espressione xw�cx., tomba, ricorda il �V'l'J�Ei:ov di Mt. 2 7 , 5 3 , in cui si tratta parimenti dei « dormienti ». I tre testi Mt. 27, 5 3 ; Vang. Piet. e Apoc. Ger. costituiscono perciò uno sviluppo della stessa idea. L 'interesse del nostro Apocrifo consiste innanzitutto nel fatto che l'idea della discesa ( xcx.'tÉf31l ) è esplicita. Qui abbiamo propriamente la discesa agli inferi. Peraltro lo scopo di tale discesa è precisato. Da una parte è un annun cio ( EÙcx.yyEÀ.LiiCX.Iiecx.�), il che si ricollega al Vangelo di Pie tro ( Èx-i)pù�E) e ricorda pure I Piet. 4 , 6 . Tale annuncio è quello dell'avvenimento della salvezza. Tuttavia la tradu zione Latina di Ireneo dà una versione diversa : « Egli è disceso verso di loro, per liberarli e salvarli » (Adv. haer. , IV, 3 3 , l ). Le altre traduzioni del passo in Ireneo uni scono l'idea di annuncio a quella di liberazione. Questa seconda idea può rappresentare un altro stato dell'Apo crifo. Si tratterebbe allova non soltanto dell'annuncio fatto ai santi dell'Antico Testamento della salvezza acquistata per opera del Cristo e che avrà il suo compimento alla resurrezione dei morti, ma di una liberazione, cioè di una resurrezione già operata. Quest'ultima idea si trova in Mt. 2 7 , 5 3 . Il nostro testo perciò combinerebbe la discesa agli inferi con la resurrezione già compiuta dei santi dell'Antico Testamento. 9 Die Vorstellung von der Hollenfahrt fesu Christi, cit., p. 140.
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Il testo perciò assume una grande importanza dogma tica. Da una parte è il primo in cui lo scopo della discesa di Cristo agli inferi sembra essere la liberazione attuale dei giusti e non soltanto l'annuncio di quella futura. È sotto questo aspetto che la dottrina persisterà nella tradi zione. Peraltro è chiaro che qui si tratta, con tutta evi denza - quale che sia l'opinione di Bieder - di una resur rezione dei corpi e non di una liberazione delle anime. Ciò attesta dunque l'esistenza nella tradizione giudeo-cristiana della dottrina di una resurrezione dei corpi compiuta per i santi a partire dalla Resurrezione di Cristo e che anticipa per loro la resurrezione escatologica 10 ; il che è di grande importanza per il dogma dell'Assunzione della Vergine, il quale sembra cosi collocarsi nel contesto della tradizione primitiva. Il fatto che li vi sia un'antica tradizione è attestato dalla presenza di questa dottrina presso Ignazio d'Antio chia. In realtà, come ha visto bene W. Bieder 1 1, l'idea si trova in lui soltanto in un passo (Ad Magn. , IX, 2); il che dimostra che non si tratta di una dottrina che gli è propria, ma di un elemento estraneo che egli integra. Il caso è lo stesso di quello della discesa nascosta agli Angeli. Ignazio è un testimone delle sopravvivenze giudeo cristiane. Il testo è il seguente : « Come possiamo noi vivere senza di lui, se gli stessi profeti, suoi discepoli in spirito, lo aspettavano come loro maestro? Per questo colui che essi anelavano vivendo nella santità, con la sua presenza ( 1tcx.pwv ) li risuscitò ( i)yELpEv ) dai morti » 12 . Qui l'evoluzione accennata con l'Apocrifo di Geremia è compiuta. Non si parla piu di annuncio; sussistono sol tanto due elementi. Il primo è quello della discesa agli inferi ( 1tcx.pwv ), che è propriamente giudeo-cristiano e proviene forse dal Vangelo di Pietro; il secondo è quello della resurrezione dei morti per il quale la relazione con IO
Cfr. H. Zeller, Corpora sanctorum, in
pp. 385-465.
«
ZKT
»,
LXXI ( 1949),
II Die Vorstellung von der Hollenfahrt Jesu Christi, cit., pp. 142-143. 1 2 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
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Mt. 27, 5 2 sembra certa 13• I l tema della discesa agli inferi
e quello della resurrezione dei morti hanno trovato qui la loro saldatura. Lo scopo della discesa agli inferi è la resurrezione dei santi dell'Antico Testamento. La data delle Lettere d'Ignazio ci offre un importante terminus ante quem. Questa dottrina, per essere stata da lui incor porata, doveva essere comune nel giudeo-cristianesimo alla fine del primo secolo. Qui, ancora una volta, il Pastore di Erma ci offre ele menti preziosi e ci mostra sviluppi nuovi della stessa dot trina. Nella Nona Similitudine si parla di pietre che sono salite dal fondo dell'acqua benché avessero ricevuto il sigillo ( cr
13 E. Massaux, Influence de l'Évangile de Matthieu sur la littérature cbrétienne avant Irénée, Louvain, 1950, pp. 101-103. 14 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
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Le dottrine
del battesimo; successivamente gli uni e gli altri risalgono dalle acque, cioè risuscitano. In effetti si tratta qui ancora di una riflessione sulla salvezza dei santi dell'Antico Testamento : siamo sempre in un contesto strettamente giudeo-cristiano. Ma si pone un nuovo problema. Il battesimo è assolutamente neces sario per la salvezza , ma i santi dell'Antico Testamento non erano battezzati, dunque è necessario che essi rice vano il battesimo. Nel passo che precede ciò è affermato con chiarezza: « Era necessario che passassero attraverso l'acqua per poter essere vivificate, perché non vi è altra possibilità di entare nel Regno di Dio. Prima bisogna deporre la morte della vita vecchia; sai infatti che prima di ricevere il nome e il sigillo ( O'
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gione sotterranea. Quest'ultima interpretazione è certa mente quella esatta, poiché la sorte dei giusti dell'Antico Testamento è la stessa di quella degli Apostoli, i quali non sono sicuramente risuscitati. Non si tratta piu quindi di resurrezione, ma di entrata dell'anima nel Regno, il che suppone due dimore diverse per le anime. Ma soprattutto si osservi in questa prospettiva il legame esistente tra la discesa agli inferi e il battesimo. L'acqua è ad un tempo acqua battesimale e acqua della morte. La discesa e la risalita sono delle allusioni al rito battesimale. Qui siamo molto prossimi al tema del battesimo come imitazione della discesa di Cristo agli inferi, che assumerà una grande importanza in seguito 15• Uno degli aspetti piu singolari del testo del Pastore è quello della discesa degli Apostoli agli inferi per battez zare i santi dell'Antico Testamento. Ma altrove troviamo questo battesimo agli inferi attribuito al Cristo stesso. È il caso della Lettera degli Apostoli, dove si legge: « Egli inoltre mi ha concesso di compiere ciò che voglio e di dare ciò che ho promesso e deciso di dare e regalare. Per questo sono sceso al luogo di Lazzaro e ho predicato ai giusti e ai profeti, perché potessero uscire dalla quiete di laggiu e venire a quella di lassu. Ho steso su loro la mia destra con l'acqua del battesimo di vita, perdono e sal vezza da ogni male, come ho fatto con voi e con quelli che credono in me » (26-27 ; PO , IX, 2 0 9 ) 16• Si osservi che il testo presenta dei punti di contatto con quello dei presbiteri di Ireneo. Lo scopo della discesa agli inferi è la visita di Cristo « a coloro che hanno spe rato », dunque esclusivamente ai giusti dell'Antico Testa mento. Tale visita comporta un colloquio di Cristo con loro, nel corso del quale egli « gli annuncia » la buona novella della salvezza, cioè della loro entrata nel riposo. 15 Cfr. P. Lundberg, La typologie baptismale dans l'ancienne Église, cit., pp. 64-74; O. Rousseau, La descente aux enfers fondement soté riologique du bapteme chrétien, in Mél. Lebreton, II, cit., pp. 277-297. !6 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III: Lettere e Apocalissi, cit.
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Ma non c'è traccia di una resurrezione immediata col Cristo. D'altra parte si parla di « remissione dei peccati » . Tuttavia nel testo del presbitero tale remissione è soltanto proclamata; qui essa è operata mediante il rito del batte simo. Questo è un punto di contatto con Erma; non do vrebbe, comunque, trattarsi di una relazione tra il Pastore e la Lettera. Il battesimo dato ai Patriarchi negli inferi appartiene quindi alla dottrina giudeo-cristiana comune. Si può supporre che essa ne presenti un primo sviluppo e che in ciò la Lettera, che appartiene allo stesso ambiente asia tico dei presbiteri, segni una tappa in rapporto a questi. Con i Testamenti dei XII Patriarchi compare un nuovo aspetto della discesa agli inferi, quello del conflitto con il demone che tiene le anime sotto il suo potere. Cristo discende agli inferi per trionfare su di lui e strappargli le anime. Ciò segna uno sviluppo importante. In effetti, secondo Paolo questa lotta col demonio ha luogo per il Cristo sulla croce: è là che « egli spoglia i Principati e le Potestà » (Col. 2 , 1 5 ). Ciò era collegato alla concezione giudeo-cristiana antica della dimora del demonio nell'aria. Essa non scompare nei Testamenti, ma le si giustappone quella della presenza degli angeli malvagi negli inferi. E il conflitto con Satana non è piu associato alla croce, bensf alla discesa agli inferi. Il Testamento di Levi cosi descrive le circostanze della morte di Cristo: « Le rocce si spaccano, il sole si oscura, le acque si disseccano , gli spiriti invisibili sono in lutto, l'inferno ( &oi)ç) è spogliato ( crxuÀ.EUO!J.Évou) al momento della Passione dell'Altissimo » ( VI , l ). Il testo è eviden temente cristiano. H. De Jonge ha sottolineato la cristo logia arcaica attestata dal termine u\jM-roç applicato a Cristo 17 • Ma il contesto è evidentemente quello di Mt. 27, 5 1 -52 : si tratta dei segni cosmici che accompagnano la Passione di Cristo, la quale è il compimento del Giudi zio escatologico. All'inizio il testo parla di « giudizio » ( xpLcr�ç) sui figli degli uomini ( IV, l a). 1 7 Tbe Testaments of tbe X I I Patriarchs, cit., p. 126.
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In queste condizioni l'espressione « l'inferno è spo gliato » è evidentemente in relazione con « la resurrezione dei santi » di Mt. 27, 52 . Ma, da una parte, l'accento non è piu posto sui santi che sono liberati, bensi sulla morte che è vinta e alla quale i santi sono strappati. Si tratta di una liberazione e non di una resurrezione, e la disfatta del demonio trattiene l'attenzione piu che la salvezza dei santi. Perciò non siamo piu in presenza del problema teo logico della salvezza dei santi dell'Antico Testamento: all'autore importa dimostrare che la Passione di Cristo realizza il giudizio escatologico. Ciò si trova assai piu nella prospettiva del Nuovo Testamento : « Ora il Principe di questo mondo sarà cacciato fuori » (Giov. 12, 3 1 ), che era pure la prospettiva di Mt. 27, 52. La resurrezione dei morti era menzionata in quanto segno escatologico. Ma l'interesse dei Testamenti sta nel fatto che essi riprendono il tema neotestamentario della vittoria di Cristo sulle potenze per mezzo della sua Passione, associandolo al tema specificamente giudeo-cristiano della discesa agli . inferi. Il Testamento di Dan precisa ancor piu l'idea del combattimento con il demonio : « Dalle tribu di Giuda e di Levi si leverà per voi la salvezza del Signore. Lui stesso darà battaglia a Belial e otterrà per voi padri la decisione vittoriosa. Toglierà la prigionia a Belial, le anime dei santi, convertirà al Signore i cuori indocili e concederà la pace eterna a coloro che lo invocheranno » (V, 1 0-1 1 ) . La discesa agli inferi non è espressamente citata 18 , ma, come nota W. Bieder 19 , l'accostamento dei Testamenti con gli altri testi mostra che si tratta indubbiamente del combat timento nell'Ade. La vittoria su Belial, infatti, è associata alla liberazione dei santi Patriarchi ( 'lt!X:tpticnv ) . L'idea principale qui è quella dell'universalità della vittoria di Cristo che si estende ai vivi e ai morti. Si osservi l'allusione alla prigionia ( cx.�xiJ.cx.Àwcricx.v ) !8 Ibidem, p. 91.
19 Die Vorstellung von der Hollenfahrt Jesu Christi, cit., 26 .
p. 164.
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seguita da quella del dono ( owO"E�) della vita eterna e della conversione dei ribelli ( à.'lte:�8Ei:ç). Queste tre idee sono associate nel Sal. 6 7, 1 9 : « Salendo nelle altezze, hai fatto prigioniera la prigionia ( CX.LX!J.CX.À.wO"la:v ), hai ricevuto dei doni ( o6(J.cx.-rcx.) dall'uomo, anche quelli che erano indocili ( IÌ.'ltE�eouv-re:ç) alla tua dimora » 20• Ora, questo Salmo era già stato utilizzato da Paolo per descrivere la vittoria di Cristo sul demonio : « Perciò dice: È salito nelle altezze, ha condotto con sé i prigionieri, ha fatto doni agli uomini. Ora, che cosa significa: È salito, se non che egli era sceso innanzitutto nelle regioni inferiori della terra? » (Ef. 84, 89). Ponendo a confronto i tre testi, si vede che quello dei Testamenti ha un punto di contatto con quello della Let tera agli Efesini, il mutamento di « ricevere dei doni » in « fare dei doni ». D'altra parte l'allusione all'« indocilità » non compare in Paolo e il significato del testo è diverso nei Testamenti e in Paolo. Quest'ultimo pone l'accento sull'effusione dei doni nella Chiesa e non sembra alludere alla discesa agli inferi: le regioni inferiori sono la terra stessa 21 • Al contrario il Testamento di Dan insiste sulla liberazione delle anime dei morti e perciò evoca la discesa agli inferi. Ci sembra dunque che i Testamenti non dipen dano da Paolo. Il testo apparteneva alla raccolta dei Testi monia nei quali è frequentemente attestato 22 • Indubbia mente esso era stato modificato in senso cristologico nella comunità primitiva 23 • Paolo e i Testamenti l'hanno utiliz zato parallelamente. È interessante osservare che Origene sintetizzerà in seguito la duplice interpretazione: quella del combatti mento di Cristo con le potenze sulla croce da una parte e quella della discesa agli inferi per liberare i prigionieri zo
ar. pure Test. Zab., IX, 8, dove è citato il salmo.
21 W. Bieder, Die Vorstellung von der Hollenfahrt Jesu Christi, cit.,
p. 87; H. Schlier, Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit., p. 13. 22 ]. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 420-424. 23 B. Fisher, Le Christ dans les Psaumes, in « MD », XXVII ( 1951 ), p. 100.
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dall'altra. Scrive infatti: « Egli h a cominciato legando il demonio sulla croce, ed essendo entrato nella sua dimora, cioè nell'inferno, ed essendosi levato di là verso le al tezze, ha condotto con sé i prigionieri, cioè coloro che sono risuscitati ed entrati con lui nella Gerusalemme celeste » (Comm. in Rom. , V, 10; PG, XIV, 1 052 A). Questo testo conferma l'esistenza nella tradizione di un legame tra il Salmo e la discesa agli inferi. Ora, il primo testo in cui compare questo legame è quello del Testa
mento di Dan.
D'altra parte la presenza della dottrina della discesa agli inferi come luogo della vittoria di Cristo su Satana, nei Testamenti, trova la sua conferma questa volta assolutamente esplicita - nell'ultimo testo, quello del Testamento di Beniamino. Si tratta di un testo che abbiamo già utilizzato e che descrive i segni che accom pagnano la morte di Cristo. Ci troviamo nello stesso con testo del Testamento di Levi e sul prolungamento di Mt. 27, 5 1 . L'autore descrive innanzitutto la lacerazione del velo del Tempio, poi continua : « E dopo essere risalito dall'Ade, sarà trasferito ( IJ.E"t'cx.f3cx.i.vwv) ( oppure: salirà [ &.vcx.f3cx.i.vwv ] ) dalla terra al cielo » ( IX, 5 ). L'espressione à.vEÀ.9wv indica nel modo piu sicuro che il Cristo prima è disceso nell'Ade. La discesa agli inferi è dunque qui del tutto esplicita, piu di quanto non lo fosse nei testi precedenti. Ma l'Ade era citato nel Testamento di Levi: si trattava quindi proprio già di un Ade infernale. Peraltro è importante notare che il tema della discesa agli inferi è distinto in modo esplicito da quello della discesa del Verbo sulla terra. In effetti l'Ascensione di Cristo ha luogo dalla terra al cielo, e suppone che la sua discesa sia avvenuta dal cielo alla terra. Questo è il tema paolino dell'ascensus e del descensus. Il tema della discesa agli inferi è diverso : non è paolino e non appartiene allo schema primitivo dell'ascensus-descensus, ma compare, come abbiamo visto, in un contesto cultuale. Rimane che i due temi potevano interferire: è quanto troviamo nel -
l'Ascensione d'Isaia.
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Un primo passo parla soltanto della « discesa del Di letto nello scheol » ( IV, 2 1 ), per designare la morte di Cristo con riferimento a Is. 52-53 . Ciò dipende da un'in terpretazione che ritroveremo negli Oracoli sibillini e in cui la discesa agli inferi significava soltanto la realtà della morte di Cristo 24 • Un secondo passo invece ci pone in presenza del tema del conflitto tra Cristo e l'angelo della morte nello scheol. Dopo aver descritto la crocefissione che « il Dio di questo mondo » ha compiuto « senza sapere chi è », l'autore continua : « Quando avrà spogliato l'angelo della morte, risalirà il terzo giorno portando con sé alcuni giusti, e manderà i suoi predicatori in tutto il globo terrestre e quindi salirà nei cieli » ( IX, 1 6-17 ). La dottrina di questo passo ricalca esattamente quella dei Testamenti di Levi e di Beniamino. Vi troviamo l'idea dello spogliamento dell'angelo della morte, come nel primo, cioè di un conflitto con quello che tiene i morti prigionieri negli inferi 25 • Il tema della risalita attesta che questo « spogliamento » ha avuto luogo proprio negli inferi. Peraltro, come nel Testamento di Beniamino, la risa lita dagli inferi è accuratamente distinta dall'Ascensione propriamente detta, che è salita dalla terra al cielo. La resurrezione è sempre quella dei santi dell'Antico Testa· mento. Viene precisato che essa ha luogo nel giorno di Pasqua, il che non era menzionato da Mt. 27 , 5 1 che l'associava alla Passione propriamente detta. Quanto all'an gelo della morte, non sembra che sia il caso di vedervi il demonio. La dimora del principe dei demoni è il fir mamento. Si può osservare che la versione etiope dell'Ascen sione dà un testo un po' diverso : « Salirà il terzo giorno e dimorerà in questo mondo 54 5 giorni. Quindi saliranno con lui molti giusti le cui anime non hanno ricevuto le loro vesti sino a che sia salito il Signore Gesti Cristo ed essi con lui » ( IX, 1 6- 1 7 ). Qui siamo in presenza di una 24 Cfr. pure Xl, 9. 25 W. Bieder, Die Vorstellung von der Hollenfahrt ]esu Christi, cit.,
p . 168.
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interpretazione posteriore in cui l a resurrezione dei santi, cioè il recupero dei Corpi, simbolizzato dalle vesti, è ritardato sino all'Ascensione di Cristo, la quale, secondo una speculazione che ritroveremo presso gli Gnostici 26, ha luogo soltanto 54 5 giorni dopo la Resurrezione. I testi dell'Ascensione sinora esaminati formano un unico complesso con quelli dei Testamenti. Un ultimo passo porta un elemento nuovo che introduce la discesa agli inferi nella dottrina, che abbiamo già incontrato, della discesa di Cristo attraverso i mondi successivi e del rive stimento che egli assume della loro forma per rimanere nascosto. In questa prospettiva si nota ancor meglio che nei testi precedenti che l'angelo della morte non è il demonio. In effetti è nel firmamento e nell'aria che Cristo attraversa la sfera degli angeli malvagi. Lo scheol appare soltanto come la dimora dei morti, dove a custodirli c'è un angelo, meschino forse, ma non malvagio. Il Padre disse al Diletto: « Va' e scendi attraverso tutti i cieli, scendi nel firmamento e nel mondo laggiu, fino all'angelo nel regno dei morti. Non andare però fino all'inferno. Tu devi divenire simile alla figura di quanti si trovano nei cinque cieli. Cercherai di assomigliare alla figura degli angeli nel firmamento e parimenti agli angeli nel regno dei morti. Nessuno degli angeli di laggiu capirà che tu sei con me il Signore dei sette cieli e dei loro angeli. Essi non capiranno che tu mi appartieni, finché, con voce potente, non avrò convocato i cieli, i loro angeli e i loro luminari fino al sesto cielo , perché tu giudichi e annienti il principe, i suoi angeli e gli dei del mondo laggiu con il mondo stesso, che da loro è dominato. Essi mi hanno rinnegato e hanno detto : Noi siamo soli, fuori di noi non c'è nessuno ! Quindi tu, lasciando gli angeli della morte, salirai al tuo posto né ti trasformerai in ogni cielo, ma salirai con gloria e siederai alla mia destra » (X, 8-1 4 ). La discesa agli inferi non è ravvisata qui né come signifi cante la morte di Cristo, né come rispondente al problema 26
Ireneo, Adv. haer., I, 3, 2.
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della salvezza dei Patriarchi, né, soprattutto, come vittoria su Satana (il che è formalmente escluso), ma soltanto in re lazione con il carattere segreto della venuta di Cristo. Il tema del descensus integra qui la discesa agli inferi, di cui costituisce l'ultimo momento. L'autore infatti esclude Hagual, cioè il grande abisso di cui parla I Henoch e nel quale alla fine dei tempi saranno gettati gli angeli malvagi. Gli Oracoli sibillini giudeo-cristiani portano un nuovo sviluppo. Nel libro VIII si legge: « Egli andrà nell'Ade ad annunciare la speranza a tutti i santi, la fine dei secoli e il giorno eterno: Compirà la legge ( IJ.oi:prt.v) della morte dormendo per tre giorni » ( VI II , 3 1 0-3 1 2 ). I due primi versi ci riconducono al Vangelo di Pietro e riducono la discesa agli inferi all'annuncio della salvezza. Il piu inte ressante è l'ultimo. W . Bieder nota giustamente che in esso si vede apparire l'idea della discesa agli inferi « come compimento della legge comune dell'umanità » 27• Ciò si ritroverà in Tertulliano (De anima , LV, 2 ), ma il tema è puramente greco: esula quindi dal nostro studio. Con le Odi di Salomone superiamo un'ultima tappa: il tema della vittoria di Cristo sulla morte negli inferi si congiunge con il tema cultuale del battesimo, il quale diverrà la vittoria del battezzato sul demonio nella vasca battesimale. Questo tema chiamato a svolgere un ruolo notevole nella liturgia orientale e particolarmente in quella siriaca, compare qui per la prima volta. Lo stile proprio delle Odi, in cui si ha il continuo passaggio dal cristiano a Cristo, favorisce tale identificazione. Si noti che la sco perta dei Salmi di Qumràn, in cui si ritrova lo stesso stile personale e lo stesso passaggio dal Maestro di giustizia alla comunità, ci assicura circa l'origine giudeo-cristiana e, forse, esseno-cristiana delle Odi. Nell'Ode XVII il battezzato celebra innanzitutto « la sua liberazione dalla vanità » e la nuova nascita che ne è seguita. Poi Cristo prende la parola: « Ho aperto le porte che erano chiuse ed ho spezzato i catenacci di ferro ; e il 27 Die Vorstellung von der Hollenfahrt ]esu Christi, cit., p. 164.
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ferro è diventato rosso e s i è liquefatto davanti a me; e piu niente mi è parso chiuso, perché io ero la Porta per tutte le cose. Mi sono recato presso tutti i miei prigionieri per liberarli » (XVII , 8-1 1 ). Qui c'è una citazione di Is. 45, 2 o del Sal. 1 06, 1 6 che ricorrerà continuamente a proposito della discesa agli inferi e che ha fatto parte del piu antico dossier di Testimonia. Precisamente troviamo tale citazione in una lista di Testimonia dello Pseudo Barnaba sul battesimo : « Camminerò davanti a te, spez zerò le porte di bronzo e forzerò catenacci di ferro » (XI, 4 ) 28 • Qui si tratta del battesimo cristiano, ma i temi teologici di questo sono in comunicazione con quelli del battesimo di Cristo. D'altronde nelle Odi di Salomone l 'uno e l'altro sono suggeriti contemporaneamente. Compare qui un aspetto nuovo della discesa agli inferi : il Cristo è stato prigioniero della morte, ne ha spezzato la potenza ed ha liberato cosi tutti i morti. Si noti che i due temi della discesa agli inferi come morte di Cristo e della discesa agli inferi come liberazione dei morti , sono asso ciati come due momenti successivi, quando il primo sinora era stato pressoché assente. Scopo del combattimento contro Satana è dunque soprattutto la propria liberazione da parte di Cristo nella resurrezione. Il tema del conflitto negli inferi tra Cristo e Satana si precisa: è già il mors et vita duello conflixere mirando. Infine i liberati qui non sono piu i santi dell'Antico Testamento. Non siarrio piu nel passato: si tratta della liberazione dagli inferi operata attualmente dal Cristo per tutti coloro che sono battezzati. L'avvenimento dell'uscita di Cristo dagli inferi continua sacramentalmente nel battesimo che libera il cristiano dagli inferi facendolo partecipare alla liberazione di Cristo. La discesa e la salita sono un'imitazione sacramentale della discesa e della salita di Cristo e ne operano l'effetto reale. Qui il tema teologale e il tema cultuale coincidono infine perfettamente. 28
Cfr. P. Lundberg, La typologie baptismale dans l'ancienne Église,
cit., p. 179.
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Il tema della discesa era suggerito nell'Ode XVII sol tanto dalla prigione. Al contrario, esso è esplicito nell'Ode XXII, in cui la discesa di Cristo agl'inferi e la sua vittoria sulle potenze, la discesa del battezzato nella piscina e la sua liberazione, e la resurrezione dei morti sono infine strettamente associati: « È lui che mi ha fatto scendere e mi ha fatto salire dalle regioni inferiori. È pure lui che raccoglie ciò che sta nel mezzo, che ha disperso i miei nemici e i miei avversari, che mi ha dato potere sui legami perché io li sciolga, che ha ucciso con le mie mani il drago dalle sette teste e che mi ha fatto calpestare le sue radici perché ne distrugga il seme. Tu eri al mio fianco e mi hai protetto. Dovunque il tuo nome mi circondava come un baluardo. La tua destra ha disperso il veleno del calunnia tore. La tua mano ha spianato la strada per i fedeli » ( XXII, 1-7 ). Qui, ancora, il testo comincia con un'allusione del battezzato ai riti battesimali. Non sono piu le corone, come nell'Ode XVII, ma la discesa nella piscina e la risa lita . Il testo descrive poi il conflitto tra Cristo e Satana. Qui abbiamo un'interessante indicazione: sembra che la triplice allusione a ciò che sta in alto, nel mezzo e in basso, si ritrovi nel combattimento di Cristo. Cristo di sperde i nemici, uccide il dragone con le sue mani e ne calpesta le radici. Sembrerebbe che il combattimento di Cristo avvenga contemporaneamente in aria, sulla terra e agli inferi: si avrebbe cosi una sintesi della concezione del combattimento contro le potenze sulla croce e della lotta contro la morte negli inferi. Il tema paolino e il tema giudeo-cristiano sarebbero infine sintetizzati. L'espressione: « Tu eri al mio fianco e mi hai pro tetto » sembra alludere all'immersione battesimale conce pita come discesa agl'inferi e scontro col demonio. Qui ha origine il rito dell'unzione battesimale, destinata a fortifi care il battezzato in vista di questo conflitto con il dra gone delle acque 29• Peraltro sembra proprio che vi sia 2� J. Daniélou, Bible et liturgie, cit.,
pp. 58-60.
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un'eco del Sal. 22, 4: « Anche se cammino in una valle dalle ombre di morte, non temo alcun male, perché tu sei con me » . Si avrebbe pure la prima testimonianza dell'uso battesimale di questo Salmo, che avrebbe poi occupato un posto cosi importante nella liturgia dell'ini ziazione cristiana 30 • Si osservi infine il carattere arcaico e giudeo-cristiano della designazione del battesimo come nome : è un'allusione alla cnppayLç e alla sua efficacia protettrice 31 • Il seguito dell'Ode riguarda la resurrezione : « Tu H hai scelti tra le tombe e li hai separati dai morti; tu hai preso delle ossa morte e le hai rivestite di corpi; essi diventarono solidi e tu desti loro delle energie vitali. La strada era immortale, ma tu hai introdotto il tuo volto nel mondo che ti apparteneva perché fosse sottomesso alla corruzione e l'universo fosse annientato e successivamente rinnovato » ( 8-1 1 ). Qui la resurrezione è quella escato logica, promessa ai battezzati e già virtualmente compiuta con l'uscita dalla vasca battesimale. La fine ritorna all'idea della discesa dal cielo negli inferi; il che costituisce la sintesi del tema paolina della discesa sulla terra col tema giudeo-cristiano della discesa agl'inferi. Il soggiorno sulla terra non viene nemmeno menzionato. Infine l 'Ode XLII, ultima della raccolta, porta un testo notevole per il nostro dossier : « Lo scheol mi ha visto ed è stato vinto ; la morte mi ha lasciato ritornare e molti con me. Per lei sono stato fiele e aceto, e sono sceso con lei per tutta la profondità dello scheol. Ho tenuto un'assemblea di vivi tra i morti ed a loro ho par lato con le labbra sante: Abbi pietà di noi, Figlio di Dio, e agisci con noi secondo la tua grazia; facci uscire dalle tenebre e aprici la porta affinché possiamo uscire verso di te. Noi vediamo infatti che la nostra morte non si è avvi cinata a te. Per me, io intesi le loro voci e tracciai il mio 30
Ibidem, p. 246, sull'interpretazione battesimale di questo versetto. 31 Ibidem, pp. 76-89; E. Dinkler, ]esu Wort vom Kreuztragen, in Neutestamentliche Studien fur R. Bultmann, cit., pp. 1 17-1 19.
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nome sulla loro testa; per questo essi sono liberi e mi appartengono » (XLII, 1 3-2 6). Questo testo notevole riprende e riassume innanzi tutto il tema generale: discesa nello scheol, vittoria sulla morte, uscita dallo scheol e liberazione di molti. Ma poi le diverse azioni di Cristo nello scheol sono dettagliate per la prima volta. Anzitutto , come ha notato W. Bieder 32 , Cristo non scende soltanto nello scheol, ma nel luogo piu profondo di esso, dove dimora la morte. È la prima volta che incontriamo questa idea, il che prova che la morte è identificata con Satana stesso; e, peraltro, che costui non risiede piu nel firmamento ma nel cuore della terra; e infine che Cristo scende sin nel luogo piu profondo, men tre l'Ascensione d'Isaia lo negava. Questa localizzazione di Satana nel centro della terra diventerà la rappresentazione corrente. In secondo luogo gli atti compiuti da Cristo nello scheol propriamente detto sono descritti in modo detta gliato. Anzitutto ritroviamo la predicazione di Cristo ai morti, che si trovava nei nostri primi testi, ma che finora non era mai stata associata al tema del conflitto con la morte. Peraltro, per la prima volta vediamo i nostri rivol gersi a Cristo, il che sarà ripreso nel Vangelo di Nicodemo e diventerà un tema frequente. D'altra parte abbiamo pure il battesimo dei morti, dato mediante l'imposizione del nome, che ci riconduce a quanto abbiamo trovato nel Pastore. Cosi il Cristo costituisce durante il suo soggiorno agli inferi un'assemblea, un'ecclesia formata da coloro che sono già suoi e sono già dei viventi. Essi risusciteranno con lui il terzo giorno. Un punto particolarmente interessante è che, anche nello scheol, la condizione di Cristo non è quella dei morti. La loro morte non gli si è avvicinata; per questo i morti gli chiedono di uscire verso di lui. Il Cristo risponde a questo desiderio e ne fa dei viventi. Vi è quindi una prima liberazione all'interno stesso dello scheol. Nel 32 Die Vorstellung von der Hollenfahrt ]esu Christi, cit., p. 179.
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Pastore ne abbiamo un parallelo notevole. A proposito
degli Apostoli vi si dice infatti che « discendono vivi » nello scheol, mentre gli altri vi erano « discesi morti » ( Sim. , IX, 1 6, 6). E un po' piu sopra si leggeva : « Prima di ricevere il nome e il sigillo del Figlio di Dio, l'uomo è morto, ma quando ha ricevuto questo sigillo depone la mortalità e ottiene la vita » ( IX, 16, 3 ) . La situazione è esattamente la stessa, soltanto che in un caso si tratta del Cristo e nell'altro degli Apostoli. L'allusione al nome, designante il battesimo, che rende vivi anche se si è ancora nello scheol, è ugualmente comune ad entrambi i testi.
L'Ascensione Abbiamo visto che, come l'Incarnazione di Cristo si esprimeva nel quadro della cosmologia sacra giudeo-cri stiana come una discesa ( xa"t'&:�acnc;) del Diletto attraverso le sfere angeliche, altrettanto è della glorificazione, che appare come un'ascensione ( &:v&:�acnc;). Il contrasto tra questi due momenti - quello che inaugura e quello che chiude l'esistenza terrena di Cristo - è già presente nel Nuovo Testamento. Esso è particolarmente sottolineato nella Lettera agli Efesini: « Che cosa significa : Ascese, se non che era prima disceso nelle regioni inferiori della terra ? » ( 4 , 9 ; cfr. pure Fil. 2, 5-1 0 ). Analogamente leg giamo in Giov. 16, 29 : « Uscito dal Padre , sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e torno al Padre ». È il secondo momento che dobbiamo ora studiare. Ciò che a noi importa qui è l'Ascensione in quanto categoria teologica, cioè l'esaltazione dell'umanità che il Verbo di Dio ha unito a sé al di sopra di ogni creatura. È stato fatto notare giustamente che è questo l'aspetto che interessa soprattutto la tradizione primitiva : « È chiaro che l'accesso invisibile, trascendente del Cristo risuscitato al mondo divino costituisce la parte essenziale del mistero. La sua partenza visibile da questa terra non ne rappre senta che un aspetto secondario. Ciò spiega perché la tra-
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dizione cnstlana pnmltlva insista tanto sull'affermazione essenziale del trionfo celeste di Cristo » 33 • Ciò è vero per quanto riguarda i teologi giudeo-cristiani. Rimane, nondi meno, che questa esaltazione del Cristo presenta momenti e aspetti diversi 34 : li studieremo per primi. Successiva mente individueremo gli sviluppi propriamente giudeo-cri stiani dei temi dell'àv&:�acrtc; . Fra i testi giudeo-cristiani che trattano dell'esaltazione gloriosa di Cristo, un primo gruppo la collega diretta mente alla Resurrezione, di cui essa esprime il contenuto teologico. Ciò non significa tuttavia che gli autori non credano ad un soggiorno sulla terra del Cristo risuscitato e alla sua partenza al termine di tale soggiorno, ma signi fica che l'esaltazione di Cristo non è legata a quest'ultimo avvenimento, bensi esiste sin dalla Resurrezione. Al con trario della teologia successiva il giudeo-cristianesimo esprime la glorificazione di Cristo sotto le categorie d' ascen sione, piu che sotto quelle di resurrezione ; il che è con forme alla struttura piu cosmologica che antropologica della sua visione delle cose. Tale prospettiva compare soprattutto nei testi in cui la Resurrezione non è citata, e dove l'esaltazione celeste ne è l'espressione. È il caso del Test amento di Beniamino : << Dopo essere salito dall'Ade, egli passerà ( IJ.E"t'a�atvwv) 35 dalla terra al cielo. Ho conosciuto quanto umile ("t't"L'lmv6c;) sarà sulla terra e quanto glorioso ( !tvoo!;oc;) nel cielo » ( IX, 5 ) . Abbiamo qui una formulazione assai prossima a quella delle Lettere paoline della cattività. Il contrasto è fra l 'abbassamento dell'Incarnazione e l'esaltazione della Re surrezione, che appare come entrata nel cielo. Si osservi la menzione della discesa agli inferi che precede immedia tamente l'esaltazione. Ritroveremo questo aspetto in altri passi. Il Vangelo di Pietro dipende dalla medesima conce-
33 P.
Benoit, L'Ascension, in « RB », XLVI ( 1949), p. 195. L'Ascension de Notre Seigneur, Roma, 1938,
34 Cfr. V . Larranaga,
pp. 492-566.
'5 0 e S danno O:va:�aLVWV.
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zione. Nel racconto della Resurrezione vediamo « i cieli spalancarsi e due uomini scendere di là avvolti in una grande luce » e poi « uscire dal sepolcro tre uomini: due sostenevano l'altro e una croce li seguiva. La testa ( . . . ) di colui che era condotto oltrepassava i cieli » ( 3 6-40). Ritor neremo sui dettagli di questa scena. Ma lo spalancarsi dei cieli, l'elevazione del Cristo risuscitato sul trono angelico - la merkaba giudaica - il fatto che la sua testa oltre passi i cieli, tutto ciò descrive la Resurrezione in termini di ascensione celeste. D'altronde il seguito del Vangelo conferma proprio che la Resurrezione è già l'entrata di Cristo nel cielo. Infatti gli angeli cosi rispondono alle donne venute a cercare il corpo di Cristo nel sepolcro: « Non c'è piu, perché è risuscitato ed è tornato là, di dove era stato mandato » (56). Osserviamo che l'Ascensione segue imme diatamente la discesa agli inferi. Accanto a questa linea, che è vicina alla teologia pao lina, ne incontriamo un'altra che possiamo chiamare gio vannea: è quella che distingue Resurrezione e Ascensione, ma colloca quest'ultima nel giorno di Pasqua. Nota infatti P. Benoit: « Il quarto Vangelo parla certamente di un'esal tazione celeste del Signore nel giorno stesso di Pasqua. Le parole: Non sono ancora risalito al Padre, non possono avere altro senso » 36• In questo caso, dopo la Resurre zione Cristo si manifesta prima della sua esaltazione. È quanto troviamo nello Pseudo-Barnaba: « Noi celebriamo con gioia l'ottavo giorno in cui Gesu è risuscitato e in cui, dopo essersi manifestato, è salito ai cieli » (À'V, 9 ). Indub biamente è pure a questa linea che si collega un passo dell'Apologia di Aristide : « Dopo tre giorni risuscitò e sali al cielo » ( 1 5 ) . Ma di fatto nel giudeo-cristianesimo il filone piu impor tante associa l'esaltazione di Cristo alla sua partenza defi nitiva. E non solo l'associa, ma attribuisce al soggiorno di Cristo sulla terra, tra la Resurrezione e l'Ascensione, un'importanza e una durata considerevoli. Dovremo chie36
L'Ascension, cit., pp. 169-170.
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derci il perché. Ciò è vero innanzitutto nella Ascensione d'Isaia, dove l'esaltazione è uno dei temi principali e ritorna a piu riprese. In un primo passo si parla successi vamente della Resurrezione e dell'Ascensione: « per mezzo suo ( di Isaia) era stato manifestato : ( ... ) la discesa dell'angelo della Chiesa, che è nei cieli , che egli chiamerà negli ultimi di, l'apertura della tomba, il terzo giorno da parte dell'angelo dello Spirito santo, il capo degli angeli santi, l'uscita del Diletto, seduto sulle loro spalle, il quale avrebbe inviato i suoi dodici discepoli; inoltre il fatto che costoro avrebbero insegnato a tutti i popoli e a tutte le lingue la resurrezione del Diletto, che tutti i credenti nella sua croce sarebbero salvi, la sua salita al settimo cielo, donde era venuto » ( III, 1 6-20). Il testo, distinguendo due esaltazioni del Signore, è di un grande interesse per noi. Anzitutto descrive la Resur rezione, in termini che ricordano il Vangelo di Pietro, come una salita di Cristo risuscitato sulle spalle degli angeli. Ma l'autore distingue questa prima esaltazione dalla salita attraverso i sette cieli , 'che ne è separata dalla mis sione degli Apostoli. L'allusione a Mt. 2 8 qui è certa. Cosi i temi d'esaltazione sono ripartiti tra la Resurrezione e l'Ascensione, ma il tema principale è riservato a quest'ul tima. In linea generale possiamo peraltro dire che il testo dell'Ascensione d'Isaia mostra che il fatto di associare alla Resurrezione i temi d'esaltazione non implica la negazione dell'avvenimento storico della partenza di Gesu : si tratta di due questioni distinte. L'affermazione di un soggiorno di Gesu sulla terra dopo la Resurrezione, e quindi di una partenza al termine di esso, è un dato di tutta la tra dizione. Caratteristica della teologia giudeo-cristiana è di pro lungare tale soggiorno. Ciò appare in un secondo passo dell'Ascensione d'Isaia : « Quando avrà rapito all'angelo della morte il bottino, risorgerà il terzo giorno e rimarrà nel mondo laggiu 54 5 giorni. Quindi saliranno con lui molti giusti, i cui spiriti non hanno ricevuto le vesti, nel l'attesa che il Signore Cristo salga ad essi con lui. Allora . . .
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dunque riceveranno le loro vesti, i loro troni e le corone loro proprie, quando egli sarà salito al settimo cielo » ( IX, 16-18). Qui troviamo la sequenza della discesa agli inferi e della risalita, ma questa designa evidentemente la Resurrezione; 545 giorni, infatti, separano tale salita dall'Ascensione al settimo cielo. Ritroveremo questa lunga durata in testi ulteriori che devono dipendere dall'Ascen sione d'Isaia 37 • Un ultimo passo dell'opera ci presenta una prospettiva analoga: « L'ho visto risorgere tre giorni dopo e rimanere ancora per un certo tempo. L'angelo che mi conduceva mi disse : Osserva Isaia! Vidi quando inviò i suoi dodici discepoli e saH in alto ( . . . ) Lo vidi salire al settimo cielo, mentre i giusti e gli angeli lo lodavano. Subito lo vidi assidersi alla destra di quella Grande Gloria, la cui maestà, come vi ho detto , non ero capace di contemplare » (XI, 2 1-32). Qui l'esaltazione di Cristo con qualcuno dei suoi aspetti principali: l'assidersi alla destra, l'elevazione al di sopra dei sette cieli, la lode degli angeli, è di nuovo espli citamente riferita a questa partenza definitiva del Cristo risuscitato. Una concezione simile la troviamo nella Lettera degli Apostoli. L'intera opera è costituita da rivelazioni fatte da Gesu nel periodo compreso tra la Resurrezione e l'A scensione. Un primo passo distingue chiaramente i due avvenimenti: « Quando fu crocifisso, morto e risuscitato, quando [ fu consumata ] l'opera compiuta nel suo corpo mentre era crocifisso, quando ebbe luogo la sua ascen sione, cioè alla fine di pochi giorni, ecco che cosa ci disse: Ora che me ne vado al Padre del cielo, vi dò un coman damento nuovo, cioè che vi amiate gli uni gli altri » ( 29; P O, IX, 200-20 1 ) 38 • I l tempo del soggiorno di Cristo non 37 In particolare è il caso dell'Apocryphon ]acobi, scoperto a Nag Hammadi e di cui W. C. van Unnik ha mostrato i punti di contatto con l'Ascensione d'Isaia (The Origin of the Recently Discovered Apo cryphon ]acobi, in « ve », x [ 1956], p. 155). 38 Il brano citato non esiste nella traduzione dell'Erbetta al pgf. 29. Nel pgf. 1 8 della stessa si legge: « Ma ecco: io vi dò un precetto
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è qui precisato, ma si tratta di « pochi giorni ». L'aspetto piu importante è che l'insegnamento di Cristo sulla carità fraterna sia collocato prima dell'Ascensione e non prima della Passione come in Giovanni, il che darebbe ad inten dere che sia esistita una tradizione che ha posto prima dell'Ascensione i discorsi che Giovanni, per ragioni non chiare, ha situato dopo la Cena. D'altra parte la Lettera degli Apostoli ci dà una narra zione dell'Ascensione di Cristo al termine del suo sog giorno : « Detto questo e finito di parlare con noi , sog giunse : Ecco : il terzo giorno e la terza ora verrà colui che mi ha inviato per andarmene con lui. Ci furono quindi un tuono, un lampo e un terremoto. I cieli si squarciarono e apparve una nube luminosa che lo trasportò in alto. Riecheggiarono numerose voci angeliche, festanti e osan nanti: Raccoglici, o sacerdote, nella luce della gloria. Quando fu vicino al firmamento del cielo, lo udimmo dire : Andatevene in pace! » ( 5 1 ; PO, IX, 239). Il particolare dei tre giorni sembra una reminiscenza letteraria dei testi in cui l'Ascensione era collocata nel giorno di Pasqua 39 • Piu oltre esamineremo dei temi d'Ascensione che com paiono qui: la nube luminosa, il dialogo con gli angeli . Sinora abbiamo esaminato i testi della Grande Chiesa, ma sul nostro argomento incontriamo nello gnosticismo degli elementi giudeo-cristiani che completano quelli che abbiamo citato. Un tema ricorrente presso gli Gnostici, infatti, è quello di un insegnamento di Cristo risuscitato, terminato con un'Ascensione. I discepoli di Tolomeo (Adv. haer. , I, 3, 2) e gli Ofiti ( ibidem, I , 30, 1 4 ) assegnano a questa proroga una durata di 1 8 mesi, il che si ricollega ai 545 giorni dell'Ascensione d'Isaia. Sembra quindi pro prio che si tratti di una tradizione giudeo-cristiana che gli Gnostici hanno soltanto ripreso 40• La Pistis Sophia, nel nuovo : amatevi l'un l'altro, obbeditevi a vicenda, la pace sia continua fra voi » [N.d.T.]. 39 Cfr. C. Schmidt, Gespriiche ]esu mit seinen ]iingern, Leipzig, 1 919, p. 301 . 40 Si osservi che gli Ofiti distinguono due ascensioni: un ritorno di
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terzo secolo, assegnerà una durata di dodici anni a questo insegnamento del Cristo ( I , l ; GCS, l ) e lo terminerà con un racconto d'Ascensione. Questa lunga dilazione è in relazione col fatto che è durante il periodo compreso tra la Resurrezione e l'Ascensione che si suppone che Cristo dia la vera gnosi ai suoi discepoli. Sembrerebbe proprio che fosse questo fatto a giustificare il prolungamento del suo soggiorno dopo la Resurrezione. Ma pure ciò può venire dal giudeo-cristianesimo, se, come abbiamo detto, le speculazioni giudeo-cristiane sono presentate come costi tuenti un insegnamento piu elevato che si riallaccia ai tempi apostolici ed è cosi attribuito fittiziamente a Cristo. Abbiamo mostrato come l'esaltazione di Cristo potesse essere collegata ai diversi momenti della sua glorificazione; il che costituisce l'Ascensione nel senso teologico del ter mine. L'ascensione infatti, cioè l'elevazione al di sopra dei cieli, è una categoria dell'apocalittica giudaica e giudeo cristiana. Essa è suscettibile di varie applicazioni 41 , la piu antica delle quali serve a designare l'elevazione di un visio nario - « col suo corpo o senza il suo corpo, non lo so » ( II Cor. 1 2 , 2-3 ) - in modo che contempli il mondo celeste ordinariamente nascosto ai suoi occhi. È cosi che I Henoch ci presenta un'ascensione di Henoch. L'Ascen sione d'Isaia mostra Isaia che, nel corso della sua visione, attraversa i sette cieli. Nell'Apocalisse di Pietro vi è un'ascensione di Cristo al momento della Trasfigurazione. Paolo ci descrive il suo rapimento al terzo cielo. Nel Pa store uno spirito afferra Erma e lo trasporta in una regione inaccessibile (Vis. I, l , 3-4 ). Peraltro, l'abbiamo notato, incontriamo - ma sembra soltanto nel caso di Henoch - il tema di un giusto por tato dopo la sua morte nel cielo piu alto : è quanto ci Cristo al Padre prima della Passione (lfvoooc;) e un innalzamento (àva. ÀT)q>Bdc;) del Gesu psichico al termine dei 18 mesi (Adv. haer., I , 30, 14. Cfr. A. Houssiau, La christologie de St. Irénée, Louvain, 1950, p. 155). G. Bertram, Der religiongeschichtliche Hintergrund der 4 1 Cfr. Erhohung, in « ZNW », LXVII ( 1956), pp. 63-68; G. Kretschmar, Himmelfahrt und Pfingsten, in « ZKG », LXV ( 1956), pp. 220-224. 27.
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nell 'Ascen sione d'Isaia Isaia vede Adamo, Abele ed Henoch al set timo cielo. Non dobbiamo ora occuparci del senso di tali ascensioni ; ciò che ci importa è mostrare che esse sono dello stesso tipo delle precedenti, benché il loro significato sia del tutto diverso. Qui l'Ascensione designa la glorifi cazione dopo la morte. Nei testi giudeo-cristiani tale esal tazione sarà estesa ad un certo numero di santi dell'Antico Testamento, ma soltanto dopo la Resurrezione di Cristo, che essi accompagnano nella sua ascensione, come abbiamo visto piu sopra. Nei nostri testi è questa categoria che viene applicata al Cristo e serve a designare la sua glorificazione. Formal mente, infatti, essa non differisce dalle altre ascensioni che abbiamo citato : il che è sorprendente nell'Ascensione d'Isaia, dove la traversata dei sette cieli è descritta allo stesso modo, sia che si tratti della visione di Isaia oppure dell'Ascensione del Diletto. Analogamente, nell'Apocalisse di Pietro il racconto della visione di Cristo al momento della Trasfigurazione assomiglia talmente a quello dell'A scensione nella Lettera degli Apostoli che i due potrebbero essere intercambiabili. Ciò che importa , quindi, nei rac conti di ascensioni di Cristo - come ha osservato giusta mente Bietenhard - non è l'espressione cosmologica, ma essenzialmente il contenuto significativo. Tuttavia poiché questa espressione cosmologica serve come mezzo di pre sentazione alla dottrina, dobbiamo esaminarla. Perciò qui studieremo queste strutture di ascensioni. Una delle forme piu antiche è quella che abbiamo rile vato contemporaneamente nel Vangelo di Pietro e nell'A scensione d'Isaia. Si tratta dell'innalzamento delle som mità su un trono formato di angeli. Cosi nel Vangelo di Pietro : « Due uomini [ = gli angeli ] sostenevano l'altro [ = il Cristo risuscitato ] e una Croce li seguiva » ( 39); e nell'Ascensione d'Isaia: « Per mezzo suo [ di Isaia] era stato manifestata ( . . . ) l'uscita del Diletto seduto sulle loro spalle, il quale avrebbe inviato i dodici Apostoli » ( III, 1 7 ). È chiaro che, contrariamente a quanto è stato detto
riferisce II Henoch. Osserviamo tuttavia che
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sovente a proposito del primo di questi testi, qui siamo in presenza di scene di ascensioni. E. Peterson 42 ha giu stamente accostato questi passi al testo del Pastore di Erma : quando la donna, che rappresenta la Chiesa, ha ter minato d'istruire Erma, « due uomini [ = due angeli ] , la prendono con le braccia e la portano verso l'Oriente » ( Vis. I, 4, 3 ). Il tema è analogo, con la differenza che nel secondo caso si tratta di una visione. Ma abbiamo visto che lo schema poteva servire sia a delle visioni che a delle esaltazioni 43• In realtà qui abbiamo il tema della merkaba, del carro celeste formato di angeli. È noto il posto occupato da questo tema in Ezechiele. Esso non sembra applicato al Cristo nel Nuovo Testamento ed è tanto piu interessante trovarlo nei nostri testi. Il suo carattere giudaico è evi dente; siamo qui in presenza di un dato che si riallaccia allo strato piu antico del giudeo-cristianesimo, cioè a quello palestinese. Non c'è quindi da meravigliarsi se lo troviamo anzitutto in testi di carattere particolarmente arcaico. Non va dimenticato peraltro che la merkaba rien trava, con l'inizio della Genesi, tra i libri sacri che, presso i Giudei, erano oggetto di interpretazioni piu esoteriche. L'esaltazione del Cristo sui due angeli appare quindi come una manifestazione della sua gloria straordinaria e come un mistero nascosto, la cui conoscenza è riservata. Del resto non è notevole che i nostri autori pretendano in tal modo di supplire alla discrezione del Nuovo Testa mento dando un insegnamento piu elevato? Un secondo tema è quello della traversata dei cieli e delle gerarchie angeliche. Nell'Ascensione d'Isaia esso rive ste la forma della traversata dei sette cieli. Non solo, ma 42 Beitriige zur Interpretation der Visionen in Pastor Hermae, in OCP », XIII ( 1947), p. 63 1. 43 Si osservi la forma particolare dell'ascensione nell Apocryphon facobi: Cristo s'innalza su un carro di nubi ( merkaba); due disce poli l'accompagnano attraverso i due primi cieli, ma si fermano alla soglia del terzo (Cfr. W. C. van Unnik, The Origin of the Recently Discovered Apocryphon ]acobi, cit., p. 152 ) . È da notare il fatto che si tratta di due discepoli e non di due angeli. <<
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l'anabasi è la contropartita della catabasi : in questa gli angeli non avevano riconosciuto il Verbo di Dio che nascondeva la sua gloria prendendo la loro forma; in quella, al contrario, la sua gloria si manifesta e gli angeli l'adorano. Abbiamo il dispiegamento, sul piano della visione cosmologica dei sette cieli, del contrasto tra il descensus e l'ascensus che già si trovava in Paolo. L'Ascen sione appare qui pienamente nel suo significato di esalta zione gloriosa. Peraltro, come si vedrà, l'influenza del testo sarà grande. Cristo attraversa innanzitutto il firmamento che è, come si ricorderà, la dimora dei Vigilanti decaduti. Ciò attesta una concezione di Satana che ricorda l'Antico Te stamento e gli scritti clementini. Gli angeli sono presi da una grande tristezza per non aver riconosciuto la gloria del Signore al momento della sua discesa (XI, 24 ) : è quanto si ritroverà per tutto il corso dell'Ascensione : « Egli [ Cristo] salf al secondo cielo e non si trasformò. Tutti gli angeli alla destra e alla sinistra con il trono nel mezzo lo adorarono e lo lodarono dicendo : Come mai il Signore nostro ci è rimasto nascosto, mentre discendeva, e non ce ne siamo accorti? » (XI , 25-26). E cosi, sino al sesto cielo, « In ogni cielo però la lode cresceva » (XI, 3 1 ). Infine il Cristo risuscitato penetra nel settimo cielo : « Su bito lo vidi assidersi alla destra di quella Grande Gloria » (XI, 32). Il tema caratteristico del rammarico degli angeli per non aver riconosciuto il Cristo durante la sua discesa si ritrova esattamente nella Pistis Sophia, che dipende evi dentemente dall'Ascensione, con la differenza che le sfere successive attraversate dal Salvatore nella sua Ascensione sono ormai le sette sfere planetarie con i loro Arconti, che costituiscono il mondo del Demiurgo: « Quando vidi l'abito [ di luce] che [ la Potenza ] mi aveva mandato, lo indossai e divenni cosi una luce immensa; volai verso le regioni superiori e arrivai alle porte del firmamento. E le porte del firmamento si mossero e si aprirono. Dopo aver lasciato questo posto, salii sulla prima sfera e brillai di una
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luce immensa, 49 volte piu splendente di quella che irra diavo nel firmamento. E quando venni alle porte della prima, tutte le porte si mossero e si aprirono contempo raneamente. Entrai nella dimora delle sfere e tutti gli Arconti si stupirono e caddero in agitazione vedendo la luce che mi apparteneva. E guardando la mia veste, videro in essa il mistero del mio nome. Provarono un grande spavento e dissero : Com'è che il Signore dell'universo è passato in mezzo a noi a nostra insaputa? » (Xl, 20-2 1 ; GCS, 1 2 - 1 3 ). L'Ascensione prosegue poi nelle altre sfere. Nella Lettera degli Apostoli incontriamo una rappre sentazione un po' diversa: è quella del corteo degli angeli che accompagna il Verbo. Al momento della discesa di quest'ultimo, si tratta delle Potenze superiori che l'accom pagnano sino al quinto cielo : « Ora Michele è duce degli angeli, insieme a Gabriele, Uriele e Raffaele. Essi mi segui rono sino al quinto firmamento » ( 1 3 ; PO, 197). Ma, arrivato a questo cielo, il Diletto li rimanda: « In quel giorno armai gli arcangeli di una voce meravigliosa, in modo che potessero andare all'altare del Padre per servire e compiere il ministero fino al mio ritorno da lui » (ibi dem). Ora, al momento dell'Ascensione c'è un movimento inverso : sono gli angeli inferiori che fanno corteo al Cristo risuscitato durante la sua salita sino a quando egli li rimanda: « Riecheggiarono numerose voci angeliche, festanti e osannanti : Raccoglici, o sacerdote, nella luce della gloria. Quando fu vicino al firmamento del cielo, lo udimmo dire : Andatevene in pace » ( 5 1 ; PO, IX, 232). Abbiamo sin qui posto in rilievo alcune strutture cosmologiche giudeo-cristiane che sono servite ad espri mere la glorificazione di Cristo. Ma la teologia giudeo cristiana dell'Ascensione ha anche un'altra fonte : quella dei Testimonia. L'abbiamo già osservato a proposito della teologia della croce. I Testimonia come tali dipendono dalla tradizione primitiva e dalla teologia biblica, ma l'am biente giudeo-cristiano da una parte li ha arricchiti, ana lizzando la Scrittura antica, dall'altra a partire da essi, ha sviluppato delle speculazioni teologiche. Ciò è particolar-
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mente notevole a proposito del tema che stiamo studiando.
I Testimonia vi apporteranno sviluppi nuovi degli schemi
che abbiamo sin qui incontrato. Questi Testimonia deri
vano essenzialmente dai Salmi ed esprimono l'instaurazione regale del Messia: applicati, da questo punto di vista, all'Ascensione, ne pongono bene in luce il significato teo
logico 44•
Il primo Salmo che abbia un'influenza nella teologia dell'Ascensione è il l 09, la cui utilizzazione risale alla pri missima redazione dei Testimonia perché il Nuovo Testa mento lo cita a diverse riprese per designare la glorifica zione di Cristo 45• Esso fa parte della piu antica professione di fede cristiana, quella di Pietro nel giorno della Pente coste: « Poiché David era profeta e sapeva che Dio, con giuramento, gli aveva promesso di far sedere sul suo trono un figlio del suo sangue, vedendo ciò in anticipo, ha par lato della Resurrezione di Cristo. È questo Gesu che Iddio ha risuscitato: noi tutti ne siamo testimoni. Essendo dun que stato elevato alla destra di Dio ed avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo, ha diffuso dò che voi vedete. David, infatti, non sali al cielo, ma lui stesso ha detto: Il Signore ha detto al mio Signore : Siedi alla mia destra, affinché io faccia dei tuoi nemici uno sgabello per i tuoi piedi » (Atti 2, 30-35). Lo stesso Salmo è citato nei passi essenziali del Nuovo Testamento che riguardano l'Ascensione. Cosf in Ef. , 2022: « Dio ha dispiegato la sua forza nel Cristo, risusci tandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra, al di sopra di ogni Principato, di ogni autorità e di tutto ciò che si può nominare. Egli ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi ». Due sono qui le allusioni al Salmo : l'insediamento alla destra e lo scabellum pedis. Quest'ultimo aspetto ricompare in I Cor. 15, 25-27 : « È necessario che il Cri sto regni fino a che abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico che sarà distrutto è la morte; poiché Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi ». Si 44 �5
Cfr. _T. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 402-409. Cfr. _T. Daniélou, Etudes d'exégèse judéo-chrétienne, cit.
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osservi che qui lo scabellum pedis designa il termine esca tologico di ciò che è inaugurato dalla sessio a dextris. Le due espressioni sono di nuovo unite in Ebr. 10, 12- 1 3 : « Cristo, dopo aver offerto u n solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici diventino sgabello dei suoi piedi ». Il Sal. l 09 ci offre cosi u n esempio eminente del l'utilizzazione dei Testimonia per la formulazione della teo logia nel cristianesimo primitivo. Le sue formule sono pas sate nella Regola di fede, dove si parla dell'« insediamento alla destra » . Tale utilizzazione risale a tutta la prima gene razione apostolica. In questo senso la teologia dei giudeo cristiani si è trovata già di fronte a dei dati acquisiti. Cosi l'espressione dell'« insediamento alla destra » vi ritorna di frequente per designare la glorificazione di Cristo, accanto all'esaltazione al di sopra degli angeli . È quanto troviamo nell'Ascensione d'Isaia : « Lo vidi assidersi alla destra della Grande Gloria » (XI, 32). Giustino è semplicemente erede della tradizione quando scrive: « Ascoltate la profe zia di David, secondo cui Dio, padre di tutti, avrebbe tratto al cielo Cristo, dopo la sua resurrezione dai morti e ve l'avrebbe tenuto sino a che non avesse colpito i demoni avversi e fosse compiuto il novero dei precono sciuti buoni e virtuosi in grazia dei quali non ha ancora attuato la conflagrazione. Ecco le parole: Disse il Signore al Signore mio : Siedi alla mia destra sino a che abbia messi i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi » (I Apol. , XLV, 1-2 ; cfr. pure Ireneo, Adv. haer. , IV, 33, 1 3 ) 46 • Il secondo Salmo applicato dai Testimonia all'Ascen sione è il Sal. 67, il cui uso è molto antico, poiché lo troviamo in Paolo : « A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto : Ascendendo in alto, condusse schiava la schiavitu, dette doni agli uomini. Ma ascese, che cosa significa se non che egli prima è disceso nelle profondità della terra? » ( Ef. , 4 , 7-9). Abbiamo già avuto occasione di dimostrare 46
In S. Giustino, Le Apologie, a cura di l. Giordani, cit.
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l'appartenenza di questo testo ai Testimonia a proposito della discesa agli inferi. Ma nel testo di Paolo e in quelli che studiamo qui non si parla di questa. La liberazione del
prigioniero vi designa la conversione dei pagani. Tale è il senso che troviamo in tutta una serie di testi. Si può, ad esempio, citare Odi Sal. X, 1 - 3 : « ( Il Signore mi ha dato) di convertire le anime di coloro che inten dono andare verso di lui e di imprigionarle con una dolce prigionia, in vista della libertà » . Le idee sono le stesse: la conversione dei popoli viene dal versetto 6 . Si osservi l'interpretazione di atx1.ux.À.waùx:v come accusativo d'og getto interno. Analogamente si legge in Giustino: « È stato profetizzato che dopo che Cristo sarà salito al cielo ci farà suoi prigioneri conquistati sull'errore (1tÀ.&.vllc; ) e ci farà dei doni » (Dial. , XXXIX, 4 ), che cita il Sal. 6 7, 18. La liberazione è quindi posteriore all'Ascensione. Lo schema è lo stesso che nell'interpretazione del Sal. 109: in entrambi i casi la missione segue immediatamente l'A scensione. Piu oltre Giustino torna sulla questione e, dopo aver scritto: « Un profeta annunciava che [ l'effu sione dei carismi ] doveva arrivare per mezzo di lui dopo la sua ascensione al cielo » ( LXXXVII , 6 ), cita di nuovo il nostro versetto. Particolarmente importante è Ireneo, sia perché è un testimone privilegiato delle tradizioni giudeo-cristiane, sia perché sviluppa un po' piu a lungo l'esegesi del Salmo : « Risuscitato da morte, il Cristo doveva salire al cielo, come dice David: Il carro di Dio sono migliaia e migliaia di angeli : il Signore è tra di loro, al Sinai, nel Santuario. Egli sale nelle altezze, conducendo la folla dei prigionieri; ha fatto dei regali agli uomini (Sal. 67, 1 8- 1 9 ). Il profeta chiama prigionia l'abolizione della potenza degli angeli ribelli » (Dem . , 83; PO, 793 ). Nel seguito del passo Ire neo precisa che « dopo essere risuscitato dai morti , Cristo raduna i suoi discepoli e davanti ai loro occhi ebbe luogo la sua Ascensione, e i cieli si aprirono per riceverlo » (ibidem ). Rimane tuttavia che in entrambi i casi che abbiamo
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studiato l'impiego dei Salmi nel giudeo-cristianesimo di pende strettamente dal Nuovo Testamento e non apporta sviluppi teologici nuovi. Diverso è il caso di un ultimo Salmo, la cui applicazione all'Ascensione compare soltanto con la teologia giudeo-cristiana e che si presterà a impor tanti sviluppi teologici : si tratta del Salmo 23 . La piu anti ca testimonianza in nostro possesso si trova nell'Apocalisse di Pietro 47 , dove si legge: « Grande spavento e commo zione ci furono in cielo e gli angeli si schierarono compatti perché si adempisse la parola della Scrittura : Aprite le porte o principi. Quindi fu chiuso il cielo, che era stato aperto » 48 • Il contesto della scena è chiaro. Il Cristo arriva alle porte del cielo e la sua vista getta nello stupore gli angeli. Questi si accalcano per aprirgli le porte e le chiu dono dopo il suo passaggio. Il tema è quello che abbiamo incontrato nell'Ascen sione d'Isaia e nella Pistis Sophia. Si trova in particolare lo spavento degli angeli - comune a tutti questi testi davanti alla gloria del Cristo glorificato. Ugualmente, le porte del cielo custodite dagli angeli compaiono in Asc. Is. X, 24-26. L'unico elemento nuovo è l'applicazione dei Sal. 23, 7 all'Ascensione, alla quale si adattava mirabil mente perché vi si parlava dei pr1ncipi e delle porte. La trasposizione dell'instaurazione del Messia nel Tempio di Gerusalemme all'insediamento sul trono del Cristo glo rioso nel Tempio celeste era del tutto naturale. Peraltro ci si può chiedere se non vi sia influenza reciproca e se l'Ascensione d'Isaia e la Pistis Sophia non comportino implicite allusioni al Salmo. L'antichità dell'appartenenza del Salmo ai Testimonia dell'Ascensione è testimoniata dalla frequenza del suo uso nei testi successivi. Esso è frequentemente associato al Sal. 1 09. Cosi in Giustino : « Fu ordinato ai principi di aprire le loro porte perché Colui che è il re di gloria entri e salga a sedersi alla destra del Padre suo, sino a che dei
47 In << ROC », XV ( 1910), p. 317. 48 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, cit.
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nemici abbia fatto lo sgabello per i suoi piedi » (Dial. , XXXVI, 5 ; cfr. pure CXXVII, 5 ). Ma questo raggruppa mento doveva essere frequente, perché lo si ritrova presso lo gnostico Giustino applicato all'ascensione di Elohim, il Demiurgo , presso il Buono : « Elohim volle salire nelle regioni elevate del cielo. Arrivato all'estremità superiore, gridò : Apritemi le porte perché io entri e renda gloria al Signore. Subito la porta si apri e il Buono gli disse: Siediti alla mia destra » ( Ippolito, Elench. , V, 26, 1 4- 1 7 ) . Un primo sviluppo del tema lo troviamo in Ireneo, sulla linea dell'Apocalisse di Pietro : « David ripete pure : Principi, aprite le vostre porte; alzatevi, porte eterne e i] re di gloria entrerà. Le porte eterne sono i cieli. Invisibile nella sua natura, il Verbo non poteva essere scorto dalle creature quando è disceso sulla terra. Reso visibile dalla sua incarnazione, è stato visto sollevarsi nei cieli. Nel vederlo, le Potenze e gli angeli che stavano sotto grida rono a quelli che erano sopra: Aprite le vostre porte; alzatevi, porte eterne, e il re di gloria entrerà. E poiché gli angeli d'In-Alto nel loro stupore si chiedevano: Chi è costui? , tutti quelli che lo vedevano l'acclamavano una seconda volta gridando : È il Signore forte e potente, è lui il re di gloria » (Dem. , 84; PO , XII, 794 ). Si osservi che in questo passo il carattere nascosto della discesa di Cristo, contrariamente a quanto mostravano i testi visti piu sopra, è dovuto alla sua natura divina. All'Ascensione, invece, il Cristo è reso visibile dal suo corpo. E la vista di questo corpo glorificato getta gli angeli nello stupore. L'Omelia pasquale, attribuita a Ippolito, esprime ciò in modo ancora piu esplicito : « Alla vista di questo grande mistero di un uomo che sale ora con Dio, le Potenze gridarono con gioia quest'ordine agli eserciti d'In Alto : Aprite, principi, le vostre porte. Alzatevi, porte eterne, e il re di gloria entrerà. Queste , vedendo il pro digio inaudito di un uomo unito con Dio, risposero gri dando : Chi è questo re di gloria? E, di nuovo, quelle stesse che erano interrogate rispondono: Il Signore delle potenze, è lui il re di gloria » ( 6 1 ; se, 1 8 8 ). È la mera-
suoi
La Redenzione
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viglia inaudita dell'Uomo-Dio che turba le potenze : si osservi il dialogo degli angeli in basso che si rivolgono alle Potenze celesti. Ma l'applicazione del Sal. 23 all'Ascensione conduce ad uno sviluppo nuovo e singolare. Il Salmo infatti com porta un dialogo tra gli angeli che accompagnano Cristo e quelli che custodiscono le « porte eterne » . Questi inter rogano i primi per chiedere loro chi è colui che accompa gnano, il che parrebbe supporre che essi non lo ricono scano. Ora, abbiamo visto che questo tema era applicato alla discesa di Cristo rivestito con la forma degli angeli per non essere riconosciuto da loro. Effettivamente nel Physiologos gli angeli chiedono durante la discesa di Cri sto: « Chi è questo re di gloria? » . Ed è lo Spirito Santo che risponde: « Il Signore delle potenze, ecco il re di gloria » ( IV, 5 ). Ma, dal momento che il Salmo era collegato all'ascen sus, è sorta una difficoltà: se la gloria di Dio era mani festa non si vede a che cosa corrisponderebbe la domanda degli angeli. Bisognava dunque che il Verbo fosse nascosto durante la sua salita come lo era durante la sua discesa. Ora, questo è quanto troveremo in tutta una tradizione che appare come uno sviluppo del tema giudeo-cristiano. Soltanto che ciò che nasconderà il Verbo agli angeli non è piu il fatto che egli rivesta la loro forma attraversando le loro regioni, ma il fatto di essere ormai unito alla natura umana, e che il Verbo incarnato è una realtà asso lutamente nuova che li getta nello stupore. L'accento è posto sulla novità dell'Incarnazione , come mistero nasco sto agli angeli e che li getta nello stupore. Si noti che qui troviamo la ripresa di un tema paolino (Ef. 3 , 9-1 0 ). Il primo testo che presenta il tema è in Giustino : « Quando il Cristo risuscitato dai morti sali al cielo, fu ordinato ai primi stabiliti da Dio nei cieli di aprire le porte del cielo, affinché colui che era il re di gloria entri e salga per sedersi alla destra del Padre sino a che abbia fatto dei suoi nemici lo sgabello per i suoi piedi. Ma quando i principi dei cieli lo videro senza bellezza, né
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Le dottrine
onore, né gloria nella sua forma, non lo riconobbero e si chiesero: Chi è questo re di gloria? Lo Spirito Santo allora rispose loro, sia a nome del Padre che a nome pro prio: Il Signore delle potenze, ecco il re di gloria » (Dial. , XXXVI, 5-6 ). E. Peterson ha giustamente sottolineato la parentela di questo testo con quello del Physiologos 49 : vi si trova lo stesso uso del Sal. 23 . Soprattutto, nell'uno e nell'altro caso, è lo Spirito Santo che risponde ai principi. Questo è un aspetto arcaico che sparirà totalmente in seguito e che rappresenta un argomento a favore dell'an tichità della tradizione riportata dal Physiologos. La grande differenza col Physiologos consiste nel fatto che l'episodio è collocato nel contesto dell'ascensus e non del descensus. Ritroviamo il tema di Giustino in un passo di Ori gene: « Quando egli viene avanti vincitore e trionfante con il suo corpo risuscitato dai morti, allora alcune potenze dicono : Chi è costui, che viene da Edom con abiti arros sati di Bosra, in un tale splendore? Ma quelli che lo accompagnano dicono a coloro che sono preposti alle porte del cielo : Aprite le vostre porte o principi , apritevi porte eterne, e il re di gloria entrerà. Ma essi si informano ancora, per cosi dire, vedendo la sua destra insanguinata e tutto il suo corpo coperto dai segni delle sue imprese » (Comm. in ]oh. , VI, 56 ; GCS, 1 64-1 65). Si osservi che al Sal. 23 si aggiunge Is. 63 , l , il quale introduce l'idea delle ferite della Passione che il Cristo risuscitato continua a portare. Ma se si eccettua questo aspetto nuovo, siamo ancora nella linea del testo di Giustino 50• Il tema passerà nella tradizione comune nel quarto secolo sotto la forma che gli aveva dato Origene. Cosi in Gregorio Nazianzeno : « Unisciti agli angeli che lo scor tano e l'accolgono. Ordina alle porte di alzare i loro archi travi per ricevere colui che è divenuto grande per la Pas49 Die Spiritualitiit des griechischen Physiologos, in « BZ », XLVII ( 1 954), pp. 70-71 . 50 I l tema s i trova presso i Naasseni. Alla domanda « Chi è questo re di gloria? » (Sal. 23, 10) si risponde: « Un verme della terra e non un uomo » (Sal. 21, 7 ). Cfr. lppolito, Elench., V, 8; GCS, 992.
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sione. Rispondi a coloro che dubitano a causa del suo corpo e dei segni della Passione, che non aveva discen dendo e che porta salendo, e che chiedono a causa di ciò : Chi è questo re di gloria? Rispondi loro che è il Signore forte e potente » ( Or. , XLV, 25; PG, XXXVI, 657 B-C). Analogamente Ambrogio : « Gli angeli , pure loro, dubita rono quando il Cristo risuscitò, vedendo la sua carne salire dalla terra al cielo. Essi dissero allora: Chi è questo re di gloria? E pure, mentre gli uni dicevano : Alzate le vostre porte, o principi, e il re di gloria entrerà, altri dubitavano e rispondevano : Chi è costui che sale da Edom? » (De Myst. , 3 6 ; SC, 1 1 9 ). Il caso piu interessante è quello di Gregorio di Nissa. Abbiamo visto infatti che egli riproduceva il tema dell'A scensione d'Isaia sul Verbo nascosto durante la sua discesa, perché riveste forme angeliche. Orbene, nello stesso passo egli mostra il Verbo ugualmente nascosto agli angeli nel suo ritorno, ma questa volta perché ha un corpo umano. Qui per la prima volta la discesa nascosta e la salita nascosta sono unite. Quando Cristo sale, « i nostri guar diani formano il suo corteo e ordinano aile potenze iper cosmiche di aprire i cieli perché egli vi sia di nuovo ado rato. Ma esse non lo riconoscono perché ha indossato la povera tunica della natura umana e le sue vesti si sono arrossate sotto il peso dei nostri mali. E sono loro che questa volta si chiedono : Chi è questo re di gloria? » ( Orat. in Asc. ; PG, XLVI, 693 B).
Capitolo nono
Mysterium cructs
La teologia giudeo-cristiana è una theologia gloriae in quanto pone l'accento sulla vittoria di Cristo e sulla sua efficacia cosmica. Ciò appare particolarmente dal ruolo che in essa svolge la croce, il cui posto nel cristianesimo pri mitivo si collega a due filoni. Da una parte Cristo è stato crocifisso e la croce appartiene cosi al dato storico della sua vita terrena. Dall'altra, come abbiamo visto, la croce, sotto la duplice forma di + e di X , è stata sin dall'ori gine un segno cultuale per i cristiani. Il suo uso è ante riore al cristianesimo, ma in questo ha preso - in rela zione alla croce di Cristo - un valore decisivo. La O"q>pa:ytç come signatio del cristiano con il segno cruciforme ha fatto parte dei riti primitivi dell'iniziazione 1 • Ma ciò che a noi interessa qui è l'uso della croce come categoria teologica. Qui siamo ancora in presenza di uno schema mitico, di una rappresentazione simbolica: abbia mo detto che tale struttura mitica era caratteristica del giudeo-cristianesimo. La croce quindi non è considerata né come strumento di supplizio, né come segno cultuale, ma come categoria teologica. A questo riguardo essa appare sotto diversi aspetti : come virtu di Cristo nella sua Re surrezione, come segno dell'estensione cosmica della re denzione, come oggetto dell'attesa escatologica. Tenteremo 1 Cfr. E. Dinkler, ]esu Wort vom Kreuztragen, cit., pp. 1 1 0-129 e Zur Geschichte des Kreuzsymbols, in « ZTK », XLVIII ( 1951 ), pp. 148172; W. Michaelis, Zeichen, Siegel, Kreuz, in « TZ », XII ( 1946), pp. 505-526; A. Grillmeier, Der Logos am Kreuz, cit., pp. 67-80; H. Rahner, Das mystische Tau, cit., pp. 385-410; J. L. Teicher, The Christian Inter pretation of the Sign X in the Isaiah Scroll, in « VT », V ( 1955), pp. 189-198.
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Le dottrine
di chiarire questi diversi aspetti utilizzando i testi giudeo cristiani, ma anche i trattati gnostici che hanno ripreso il tema sviluppandolo nella loro prospettiva .
La croce di gloria Il primo testo in cui la croce appare come caricata di un significato teologico è il Vangelo di Pietro. Al mo mento della Resurrezione le guardie « vedono uscire da] sepolcro tre uomini: due sostenevano l'altro e una croce li seguiva. La testa dei due giungeva al cielo, mentre quella di colui che era condotto per mano da loro, oltre passava i cieli. E udirono una voce dai cieli che diceva: L'hai annunciato ai dormienti? E si udi rispondere dalla croce: Si » ( 3 9-42 ) 2 • Abbiamo già incontrato questo testo a proposi to della Resurrezione e della discesa agli inferi: si tratta di un'ascensione e di un dialogo nel corso di tale ascensione. La voce dal cielo evidentemente è quella del Padre. La croce è discesa agli inferi con il Cristo e ne esce con lui. Ed è essa che risponde alla domanda del Padre. Questo primo testo ci offre già un insieme di ele menti. In primo luogo la croce viene associata alla gloria di Cristo : essa esce con lui dal sepolcro 3 • È evidente che qui non siamo piu in presenza soltanto del patibolo a cui Cristo è stato appeso. La croce è glorificata assieme a lui ed è ora associata alla sua vittoria. Ved11emo che altri testi la mostrano raggiante di gloria. Non soltanto la croce è gloriosa, ma vive: essa accompagna Cristo risuscitato alla sua uscita dagli inferi, si innalza con lui nella gloria e ri sponde alla domanda posta dal Padre. Come ha giusta mente osservato L. Vaganay - e lo vedremo - « alla croce si fa giocare spesso un ruolo attivo, come se fosse 2 In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit.
3 Il particolare si ritrova in un apocrifo conservato in sahidico (Fg.,
5; F. Robinson, Coptic Apocryphal Gospels, p. 185). Forse si trova pure in Odi Salom., XXIII, 14.
Mysterium crucis
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un essere animato » 4• Qui abbiamo perciò di pm di un semplice segno, ma una realtà di cui occorre definire il contenuto. I diversi dati di cui testimonia il Vangelo di Pietro si ritrovano in seguito. Il primo è quello dell'ascensione della croce che accompagna quella di Cristo : ciò si ritrova negli Oracoli sibillini giudeo-cristiani. Il canto sesto ter mina con un inno alla croce come ne incontreremo molti nella letteratura giudeo-cristiana: « O legno fortunato, su cui Dio fu steso, la terra non ti custodirà, ma vedrai la di mora celeste quando, o Dio, farai scintillare il tuo occhio di fuoco » (VI, 26-2 8 ; GCS, 1 3 2 ). Questo tema rimarrà nella tradizione liturgica e omiletica: è stato rilevato negli Atti di Pionio ( 1 3 ) e nello Pseudo-Crisostomo (De cruce et latrone, II, 4 ) . Gli Gnostici hanno ripreso questo tema della croce luminosa e vivente. Lo si trova in particolare nel gruppo degli Atti apocrifi, molti dei quali contengono inni alla croce in cui compare in particolare tale aspetto. Cosi negli Atti di Giovanni: « Detto questo (il Signore) mi mostrò una croce di luce eretta ed attomo alla croce una folla numerosa, ma non di un solo aspetto. La forma però e la somiglian2'la della croce erano uniche. Sulla croce vidi lo stesso Signore; non aveva alcuna forma, ma solo una voce e non quella voce a noi familiare, ma una voce dolce, gen tile e veramente di Dio. Essa diceva: Giovanni, bisogna che uno senta da me queste cose. Ho bisogno di uno che stia a sentire. Questa croce di luce talvolta viene detta da m e Verbo per causa vostra; altre volte, Mente; altre volte Gesti, o Cristo, o porta, o via, o pane, o seme, o resurre zione, o Figlio, o Padre, o Spirito, o vita, o verità, o fede, o grazia » ( 98; Bonnet, pp. 1 99-200) 5 • Qui è chiaro che non si tratta piu del patibolo di legno. Questo era un segno di una realtà misteriosa che è 4 Evangile de Pierre, texte grec et traduction française par L. Vaga nay, Paris, 1930, p. 303. 5 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, II : Atti e leggende, cit. 28.
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il Cristo stesso nella sua natura nascosta. Perciò gli si attri buiscono tutti i nomi che sono quelli di Cristo nella Scrit tura. In particolare è da notare - ciò appariva nel Vangelo
di Pietro
-
Ja voce che viene dalla croce e che è una
voce divina. Negli Atti di Giovanni questa concezione della croce ha un camttere gnostico. Cristo è la croce di
luce e non è lui che era sulla croce di legno 6: « Questa non è la croce di legno che tu vedrai quando discenderai di qui. Né quello sulla croce sono io, che ora tu non vedi, ma di cui odi solo la voce. Fui creduto quello che non sono , non ess·endo quello che ero per molti altri » ( 99 ; Bonnet, p . 200) 7 • Ritroviamo il tema gnostico della di stinzione tra il Cristo in alto e il Gesti terrestre e della dissimulazione del Cristo che non è riconosciuto. Come la croce ha accompagnato Cristo in cielo, cosf lo precederà al momento della Parusia. Questo significato escatologico della croce è particolarmente importante. Gli autori lo riallacciano a Mt. 24, 3 0 : « Allora apparirà nel cielo il segno ( ITll!J.E'i:ov ) del Figlio dell'uomo » . È questa apparizione che la Didachè designa con O"'rJ!J.E'i:ov Éx'ltE"ta O'Ewç come il primo segno della Parusia (XVI, 6 ) 8• Ana logamente l'Apocalisse di Pietro : « Come il fulmine si mostra da oriente a occidente, cosi arriverò sulle nubi del cielo, con grande esercito, nella mia maestà. Arriverò nella mia maestà, preceduto dalla mia croce » ( « ROC », XV [ 1 9 1 0 ] , p. 209) 9• Si noti che, come nel Vangelo di Pie tro, la croce è presentata come un essere animato; ma qui essa precede Cristo, mentre là la seguiva. Cosi la Lettera degli Apostoli: « Tornerò e il mio splendore sarà sette volte superiore a quello del sole. Le ali delle nuvole mi
6 Cfr. pure Atti di Pietro, 38 e lo studio di A. Orbe, Las primeros herejes ante la persecuci6n, cit., pp. 176-212. 7 Sul testo, cfr. lo studio di A. Orbe, Las primeros herejes ante la persecuci6n, cit., pp. 205-209. s Cfr. E. Stommel, l:1J[lE�ov Éx'ltE't'acnw.;, in « RQ », XLVIII ( 1953), pp. 21-42. 9 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III: Lettere e Apocalissi, cit.
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sorreggeranno nella mia gloria, mentre la croce mi prece derà » ( 27 ; PO, IX, 1 99) 1(). Questi testi hanno un interesse particolare dal punto di vista liturgico. Si noti infatti che la venuta di Cristo che porta la sua croce gloriosa è attesa « a oriente » . E. Peterson ha dimostrato che la preghiera ad orientem al l'origine doveva essere collegata a questo atteggiamento escatologico del Cristo che ritornerà « a oriente » . D'altra parte egli ha attirato l'attenzione su un testo degli Atti di Tpparco e Filotea, in cui si legge : « Nella casa di Ipparco c'era una stanza ben sistemata sulla cui parete orientale era stata dipinta una croce. Là, davanti all'immagine della croce, egli pregava sette volte al giorno col viso rivolto 1 ad oriente » 1 • C'è dunque qui una relazione tra l'usanza di dipingere una croce sul muro di una casa e quello della preghiera « a oriente » 12: la croce ha lo scopo di segnare il muro orientale 13 • L'accento è dunque posto anzitutto sulla preghiera verso l'oriente; perciò l'origine del croci fisso nelle case è legata alla preghiera rivolta verso l'orien te e all'attesa escatologica. Ma allora diventa evidente che la croce di cui si tratta non è l'immagine del Cristo sofferente, ma la croce gloriosa che precederà Cristo alla Parusia. Sarà la suc cessiva ascesi cristiana che ne modificherà il significato ve dendovi un memoriale della Passione e non una profezia della Parusia. Peraltro la relazione con il muro orientale sarà dimenticata e il crocifisso verrà appeso ad una parete qualsiasi. Da ciò deriva che l'usanza del crocifisso nelle case è un vestigio della dottrina giudeo-cristiana della 10 Gli Oracoli sibillini mostrano la croce che compare al momento del Giudizio come « segno » ( rri'j[.ta) per tutti gli uomini (VIII, 244). Cfr. pure Apoc. Eli., TU, n.s., II ( 1899), 3o, p. 87 . Cfr. F. J. Dolger, Sol salutis, Miinster, 19252, pp. 215-217. 1 1 A. Assemani, Act. Mart., 1748, II, 125. 12 E. Peterson, La croce e la preghiera verso l'Oriente, in « EL », LIX ( 1945), pp. 52 ss e Die geschichtliche Bedeutung der iiidischen Gebetsrichtung, in « TZ », III ( 1947), pp. 1-15; ripreso in Friihkirche, Judentum und Gnosis, cit., pp. 1-36. 13 Cfr. pure gli Atti di Santippe e Polissena, 15; M. R. James, Apo crypha anecdota, pp. 68-69 .
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croce escatologica e appare qui come risalente, almeno nelle sue radici, alla comunità primitiva, di cui esprime la spiritualità. Un altro aspetto non privo di relazione con la teologia giudeo-cristiana della manifestazione escatologica della cro ce è il dato delle apparizioni della croce in cielo nel quarto secolo. Tralascio il problema ancora oscuro della apparizione al Ponte Milvio 14 per attenermi a quella nar rata da Cirillo di Gerusalemme, presso il quale da una parte abbiamo la teologia della croce escatologica: « Il tro feo salvatore di Gesu, la croce, un giomo comparirà di nuovo e verrà dal cielo. Il trofeo del re procederà davanti a lui, affinché, vedendo colui che hanno trafitto e ricono scendo dalla sua croce colui che hanno coperto di obbro brio, i Giudei si convertano nella tristezza, mentre noi ci glorificheremo esaltando la croce » ( Cat. , XIII, 4 1 ; PG, XXXIII, 8 2 1 A-B). Cirillo descrive altrove questa croce escatologica con maggior precisione : « Quale sarà il segno ( CiTJ!J.E�ov) della sua Parusia, in modo che la potenza non possa arrestarlo? Allora, è stato detto, apparirà nel cielo il segno del Figlio dell'Uomo. La croce è veramente il s·egno autentico e pro prio di Cristo. Il segno della croce luminosa ( q>w"t'oEL8nc;) procede davanti al re » (XV, 22; col. 900 B). Ora , nella sua Lettera a Costanzo, cosi Cirillo descrive l'apparizione della croce a Gerusalemme : « Nei giorni della Santa Pen tecoste, alle None di maggio, verso l'ora terza, una croce immensa, fatta di luce ( cpwc;), apparve dispiegata nel cielo, al di sopra del sacro Golgota ed estendentesi sino al sacro monte degli Ulivi. E ciò non a due o tre persone, ma a tutta la città. E non si trattava di un'immagine dissipa tasi rapidamente, ma si poté contemplarla per molte ore al di sopra della terra, ed era talmente abbagliante da oscurare i raggi solari » ( 4 ; PG, XXXIII, 1 1 69 B-C) 15 • Si 14 Rufino descrive cosf il sogno di Costantino prima della visione: Durante il sonno egli vede nell'oriente del cielo il segno della croce che brilla di uno splendore di fuoco » (Hist. eccl., IX, 8, 15). 15 Sulla croce luminosa nella cupola celeste, cfr. L. Hautecoeur,
«
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noti l'allusione al monte degli Ulivi, che si trova a oriente di Gerusalemme. Ora, Cirillo pone espressamente questa apparizione in relazione con quella della croce escatologica, di cui essa presenta un'anticipazione : « Ora questo prodigio, o re, conformemente alle testimonianze dei Profeti e alle sante parole di Cristo conservate nei Vangeli, è stato compiuto ora e lo sarà in modo piu perfetto un giorno. In effetti nel Vangelo di Matteo, il Salvatore, nel dare ai suoi di scepoli la conoscenza delle realtà future, in una predizione luminosa dice loro : Allora apparirà il segno del Figlio dell'uomo nei cieli » ( 6 ; 1 172 C ). Abbiamo qui lo svi luppo non piu cultuale, ma mistico, nella tradizione, della croce escatologica giudeo-cristiana. Si osservi che Cirillo rinvia ad un dossier di testimonia ( !J.ap"t'VpLcn) dell'Antico e del Nuovo Testamento relatìvo all'apparizione della croce gloriosa a oriente.
La tipologia della croce Per il giudeo-cristianesimo, dunque, la croce è tutt'al tra cosa che il legno su cui è stato crocifisso Gesu : è una realtà spirituale, misterios·a e vivente che accompagna i] Cristo risuscitato. Se tentiamo di precisare tale realtà, ve diamo che, in alcuni casi, essa è identificata col Cristo stesso. È quanto ci hanno mostrato gli Atti di Giovanni e il Vangelo di Pietro. Ma non è quello il senso ordinario. In effetti sin dagli inizi la predicazione giudeo-cristiana ha cercato di sottrarre il legno della croce alla sua fattualità materiale, per conferirgli un significato teologico. La croce non è soltanto il patibolo di Cristo, pur essendo soprat tutto quello. Essa è pure una categoria teologica che espri me il contenuto salvifico, la ovva(J.tc;, della Passione di Cristo. Come scrive Giustino « essa è il segno ( crv(J.�oÀ.ov) maggiore della potenza e dell'autorità di lui » ( l Apol. , Mystique et architecture. Symbolisme du cercle et de la coupole, Paris, 1954, p. 209.
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LV, 2) 16 • Ora questo contenuto salvifìco la croce lo espri me per mezzo di ciò che essa è visibilmente, con la sua materia, la sua forma, la sua posizione. Siamo cosi m pre senza di una specuLazione estremamente ricca e varia sui diversi s imbolismi della croce, in quanto esprimono il suo contenuto nascosto e la sua misteriosa efficacia. Questi simbolismi sono stati tratti sia da figure dell'Antico Testa mento, sia da simboliche naturali. Essi sviluppano la teo logia giudeo-cristiana della redenzione. L'utilizzazione dell'Antico Testamento è qui particolar mente interessante dal punto di vista metodologico. I Te stimonia, come tali, non dipendono dal giudeo-cristiane simo : rappresentano semplicemente l'argomento profetico della continuità dei due Testamenti. Ma la teologia giudeo cristiana separa i Testimonia dal loro dato storico e ne ricava le immagini per trasformarle in categorie mitiche per mezzo delle quali essa esprime le sue concezioni. Si tratta di una trasformazione analoga a quella operata da Filone sulla Scrittura, le cui immagini gli servivano per esprimere la propria teologia. Vi è in ciò una mitologiz zazione dell'Antico Testamento da parte della teologia, che è uno degli aspetti del giudeo-cristianesimo che ritro veremo particolarmente nel caso della croce. Un primo gruppo è costituito dalle figure della croce nell'Antico Testamento. L'antichità di tali figure è atte stata dal fatto che esse compaiono a partire dal Nuovo Testamento: è il caso del serpente di bronzo che si trova nel Vangelo di Giovanni. Lo si ritrova tra i Testimonia della croce presso lo Pseudo-Bamaba : « Un'altra volta che Israele stava per soccombere, Mosè fece un'immagine di Gesu per dimostrare che doveva soffrire e che dà la vita, lui di cui si pensava che fosse perito sulla croce » (XII, 5 ). Questa figura si ritrova in tutte le raccolte, è nel Dialogo di Giustino (XCIV, 3 ; CXXXI, 4 ; cfr. pure CXII, l ), nel l'Adversus Marcionem di Tertulliano ( III, 1 8 ; dr. De ida!. , V, 3 ). 16 In S. Giustino, Le Apologie, a cura di L Giordani, cit.
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Ma ovunque le si trova associata un'altra figura, quella di Mosè che prega con le braccia incrociate assicurando cosi la vittoria ai Giudei. Questa figuva, come ha osser vato T. W. Manson, è parallela alla precedente: non è, quindi, da escludere che appartenesse ai Testimonia apo stolici 17 • Soltanto il caso ha fatto si che una faccia parte del Vangelo e l'altra no. Essa è pure nella Lettera di Bar naba: « Lo Spirito allora ispirò al cuore di Mosè di rap presentare una figura della croce e di colui che vi avrebbe sofferto sopra » (XII, 2 ) 18 • L'accento è posto sulla virtu vittoriosa della croce. La si trova negli Oracoli sibillini, e precisamente in un testo che enumera le virtu della croce: « Sei tu che Mosè ha figurato ( È'tu1tWCTE) quando stese le sue sante mani, trionfando su Amalec con la fede, affinché il popolo si rendesse conto che la verga ( p&.�oo;) di David era stata eletta da Dio Padre e onorata » (VIII, 250-25 3 ) . Giustino cita a piu riprese il rema : « Il popolo era in vantaggio non perché Mosè pregava, ma perché lui stesso rappresentava il segno della croce » (XC, 5 ; dr. pure CXI, l ; CXII, 2 ; CXXXI, 4 ). Cosi ancora Ireneo (Dem. , 46) e Tertulliano (Adv. Mare. , III, 1 8 ). Cipriano cita il passo nei suoi Testimonia e aggiunge : « Grazie a Mosè, Amaléc fu vinto da Giosuè [ = Gesu] con questo segno della croce » ( II, 2 1 ) 19 • Accanto a questi Testimonia maggiori relativi alla forma della croce, il dossier paleo-testamentario ne con tiene altri. Barnaba cita Is. 65, 2 : « Tutti i giorni ho steso le mani verso un popolo ribelle » (XII, 4). La stessa cita zione si ritrova in Rom. 10, 2 1 , presso Ireneo (Adv. haer. , IV, 33, 1 2 ; Dem., 7 9 ; PO, XII, 792), Cipriano ( Test. , II, 2 0 ), Giustino ( Dia!. , XXIV, 4 ; CXIV, 2 ) 20• Peraltro si 17 T. W. Manson, The Argument from Prophecy, in « JTS », XLVI ( 1945), p. 135. 18 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 19 Cfr. J. Daniélou, Sacramentum futuri, cit., pp. 144-147. 20 Cfr. pure Tertulliano, Adv. Jud., XIII, 10 e lppolito, Ben. Moise; PO, XXVII, 131, che aggiunge Deut. 33, 3 : « Tutti i santificati sono sotto le tue mani »; dr. pure PO, XXVII, 142. Analogamente Ben. Isaac, 16 aggiunge Gen. 49, 8: « Le tue mani saranno sul collo dei tuoi nemici », con allusione alla vittoria di Cristo in croce sulle Potenze.
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Le dottrine
legge negli Estratti di Teodoto : « La croce è il segno del limite nel Pleroma. Perciò Gesu, avendo portato con que sto segno ( CTTJ!J.ELOV) i semi sulle sue spalle, li introduce nel Pleroma. Gesu infatti è chiamato le spalle della semen za e Cristo è la testa. Ma (gli Psichici) non conoscono la
virtu ( ouva!J.tç} del segno » (42; SC, 149- 1 5 1 ). Ora, l'ori gine di questo tema ci è data da Ireneo che commenta Is. 9, 5 21 ( « La potenza è sulle sue spalle » ) : « Si tratta - egli scrive - di una figura per indicare la croce sulla quale sono state inchiodate le sue braccia. La croce, infatti, sottolinea la sua potenza, cioè che essa è il segno della sua regalità » (Dem., 56; cfr. Tertulliano, Adv. Mare. , III, 1 9 ) 22 • Tra le figure primitive della croce sono pure da rile vare i montanti e gli architravi delle case dei Giudei, i quali, cosparsi col sangue dell'agnello, allontanano l'angelo sterminatore al tempo dell'Esodo. La si trova in Giustino (Dial. , CXI ) 23• Questo è il punto di partenza di tutto un simbolismo liturgico che vede nelle case dei Giudei mar cate da un segno cruciforme col sangue dell'agnello, la figura dell'anima dei cristiani segnati al battesimo col segno della croce 24• Gli si potrebbe accostare l'agnello arrostito su due spiedi in forma di croce (Dia!. , XL, 3 ). Un altro tema è quello delle corna. La parola signifi cava ad un tempo le corna di un animale e le braccia trasversali della croce 25 • Cosi Giustino vede in Deut. 33, 1 3- 1 7 una figura del1a croce : « Le corna di colui che non ha che un corno non potrebbe essere interpretato come 21 Cfr. pure Ippolito, Ben. Mo'ise, PO, XXVII, 165-167, che aggiunge Deut. 33, 12: « Dimorerà fra le sue spalle ». Già in Giustino, I Apol., xxxv, 2. 22 Cosi pure le mani incrociate di Giacobbe (Gen. 48, 14) in Ter tulliano, De bapt., VIII, 2; Novaziano, De Trin., XIX, 16. 23 Cfr. pure Ippolito, Ben. Mozse, 191. La forma disegnata è quella di un T, ma M. Sulzberger ricorda che certe croci erano costituite da una traversa appoggiata su due montanti (Le symbole de la croix, in « BY », II [ 1925] , pp. 364-365). 24 Cfr. J. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 219-227. 25 H. Rahner, Griechische Mythen in christlicher Deutung, cit., p. 415.
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avente contenuto e forma diversi dalla figura che la croce ci presenta. Il corno unico è il trave verticale di legno la cui parte superiore si innalza come un corno, mentre l'altra trave di legno vi è attaccata; e da ogni parte, come corni aggiunti ad un corno unico, appaiono le estremità. Sul mezzo gli è pure fissata una sporgenza, come un corno, su cui vengono appoggiati i crocefissi: essa appare ancora come un corno, sagomata e fissata come gli altri corni » ( Dial. , XCI, 2 ) 2é. Si osservi che in questo testo, oltre alle quattro dimen sioni della croce, si fa allusione ad un corno che è la protuberanza presentata in avanti dalla croce, corrispon dente all'appoggio su cui veniva posto il condannato. Ter tulliano allude a questo dettaglio (Ad nat., I, 1 2 ; CSEL, 8 2 ) e Ireneo parla di tale corno mediano, in quo requiescit qui clauis affigitur (Adv. haer. , II, 24, 4 ) 27• Ma ciò che qui interessa è che il testo del Deuteronomio fa allusione alla potenza del bufalo o del rinoceronte e che è proprio cosi che Giustino l'intende. La croce è pure manifestazione di una potenza irresistibile. Infatti Giustino fa precedere la citazione con queste parole: « Per rivelare in un altro modo la forza ( Lcrxvc;) della croce » (XCI, 1 ). Il tema ricom pare in Tertulliano (Adv. Mare. , III, 1 9 ) 28 • A queste figure tratte dall'Antico Testamento e che risalgono al giudeo-cristianesimo si aggiungono dei sim boli presi dal mondo della natura e dell'uomo. Giustino ce ne offre un elenco interessante: « La croce è il grande segno della forza e della potenza di Cristo. I pagani non potevano averne un'idea e tutto ciò che essi hanno detto a questo proposito è simbolico. Voi ne avete la prova negli 26 Cfr. pure CV, 2. Gli Oracoli sibillini (VIII, 245) chiamano la croce « corno ( xÉpa.ç) desiderato ». Ippolito, Ben. Mozse, 173-174, riprende lo sviluppo di Giustino, e cosi pure Apollinare di Ierapoli (M. J. Routh, Reliquiae Sacrae, Oxford, 1814 n., I, p. 1 6 1 ). 27 Tale forma di croce sembra quella che si trova nella catacomba di san Callisto con la forma di + . Cfr. M. Sulzberger, Le symbole de la croix, cit., p. 383. 28 Cfr. un'allusione a Deut. 33, 17 a proposito dei Naasseni in Ippo lito, Elench. , IX, 9.
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che cadono sotto i nostri occhi. Riflettete e vedete possa esistere niente al mondo senza questo segno. solcare il mare se questo trofeo ( "t'po'ltcuov) chi'
oggetti se non Si può
29 Das Kreuz als Mastbaum und Antenne, in « ZKT », LXXV ( 1953), pp. 129-173. 30 L. Doignon, Le salut par le fer et le bois chez Irénée, in « RSR » ( 1955), pp. 535-545. 31 Le mystère d'un symbole cbrétien, Paris, 1955, pp. 69-76. 32 I due temi sono uniti in un graffito della tomba di via Manzoni. Cfr. J. Carcopino, De Pythagore aux Apotres, cit., p. 94. 33 Cfr. Pseudo-Cipriano, Adv. Jud., 6; Metodio, Adv. Porph., l .
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con il labarum costantiniano 34• Si osservi che l'immagine evocata da questi simboli diversi non è né il tau, né la croce greca, bens1 la croce latina 35 • Queste immagini non hanno nulla in sé di giudeo cristiano ed è pure notevole che Giustino le proponga nell'Apologia in cui si rivolge ai pagani. Egli vuoi dimo strare che anche per loro la croce non è priva di prece denti. Ma risulta da ciò che quelle immagini non sono di origine giudeo-cristiana? Lo studio dei diversi temi sembra suggerire che si tratti delta trasposizione in ambiente ellenistico di temi preesistenti nel giudeo-cristia nesimo. L'abbiamo notato per l'estensione delle braccia che è una trasposizione profana del tema della preghiera di Mosè. Il carattere giudeo-cristiano del tema è peraltro attestato dalle Odi di Salomone. Si legge nell'Ode XXVI I : « Ho steso le mie mani ed ho santificato il Signore, poiché l'estensione delle mani è il suo segno e la mia estensione è il legno che sta eretto » ( 1 -2 ). Le stesse espressioni ritor nano nell'Ode XLI I : « Ho steso le mie mani e mi sono consacrato al Signore. L'estensione delle mani ne è il segno, l'estensione del trave disteso su cui è stato sospeso il Giusto sulla strada » ( 1-3 ) La stessa cosa sembra essere per l'aratro : Ireneo ne riallaccia il simbolismo a Is. 2, 3-4, che era un testo essen ziale dei Testimonia. Cosi pure Giustino lo cita a piu riprese; è quindi assai verosimile che pensi ad esso quando vede nell'aratro la figura della croce. Le Odi di Salomone sembrano pure contenere un'allusione al tema nello strano passo in cui la croce viene paragonata ad una ruota che « falcia, taglia, sradica » (XXIII, 1 2 ). In effetti Isaia, de scrivendo la funzione della croce come aratro, dice che « essa ha sarchiato la terra incolta » (Adv. haer. , IV, 34, 4 ). .
34 Il Physiologos, 42 (Pitra, Spicilegium solesmense, cit., III, p. 364) aggiunge i raggi del sole, i corni della luna e le ali distese dell'uccello. Quest'ultimo si trova in Tertulliano, De orat. , XXIX, 4 e in Ippolito, De Antichr., 6 1 ; GCS, 42; in Metodio, Adv. Porph., l; GCS, 504-505; in Vang. Fil., 125. 35 M. Sulzberger, Le symbole de la croix, cit., p. 356.
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D'altra parte anche l'ascia ( a�Lvn) ha degli antecedenti biblici. L'ascia di Eliseo, caduta nell'acqua e che ne rie merge, è un'antica figura della croce, che si trova precisa mente in Giustino (Dial. , LXXXVI, 6 ) e che è stat,a ripresa e sviluppata da Ireneo (Adv. haer. , V, 1 7 , 4 ). Costui, peraltro, commenta Mt. 3, 1 0 - la scure posta alla radice dell'albero - osservando che « il Verbo di Dio assomiglia all'ascia » ( ibidem ). Ora, Giuseppe Flavio ricorda che al momento della loro ammissione alla comunità « gli Esseni ricevevano una veste bianca con una piccola ascia ( &;wa pLov ) » (Bell. ]ud. , II, 8, 7 ), il che è interessante da acco stare al testo di Giovanni Battista di cui sono noti i colle gamenti con l'essenismo. Non solo, ma ciò significa che neWambiente esseno l'ascia aveva già un valore simbolico. Non c'è ragione di vedervi, come fa J. Carcopino, un influsso pitagorico 36 • I simboli della croce che abbiamo rilevato sin qui allu devano alla sua forma. Ve n'è un gruppo di altri che fanno allusione alla sua materia e in cui il simbolismo è quello del legno. Essi ci interessano qui ancora in quanto il legno è l'espressione della virtu della croce. Si osservi che in questo ciclo il legno di solito è associato all'acqua: il con testo sembra cosi sacramentale. L'acqua costituisce la materia del sacramento, mentre il legno simbolizza la virtu divina che le viene comunicata 37• È la virtu della croce che agisce per mezzo dell'acqua e le comunica la potenza di compiere opere divine. Per questo gli autori porranno soprattutto in rilievo i casi in cui il legno sembra dotato di una particolare efficacia. Qui ancora è l'Antico Testamento che offre un primo dossier di Testimoniq. Si legge nella Lettera di Barnaba: « Om ricerchiamo se il Signore si è preoccupato di svelare in anticipo l'acqua e la croce » (XI, l ). Egli dà come esem pio il Sal. l , 3 : « l'albero piantato su un corso d'acqua » , e continua: « Osservate come descrive ad un tempo Le mystère d'un symbole chrétien, cit., p. 55. La typologie baptismale dans l'ancienne Église, cit., pp. 167-228.
36
37 Cfr. P. Lundberg,
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l'acqua e la croce. Felice colui che, avendo sperato nella croce, è sceso nell'acqua » (XI, 8 ) . La stessa citazione è data da Giustino (Dia!. , LXXXVI, 4 ), in mezzo ad un gruppo di Testimonia. Qui abbiamo l'accostamento del l'acqua con la croce; non si parla della virtu del legno che vivifica l'acqua, ma ciò apparirà ugualmente in altri passi. Giustino dà una raccolta di Testimonia relativi al legno : l'albero di vita del Paradiso; H bastone di Mosè che separa le acque del Mar Rosso (cfr. pure Dial. , CXXXVIII, 2 ), fa scaturire l'acqua dalla roccia, addolcisce il sapore amaro delle acque di Marra; i bastoni gettati da Giacobbe nelle vasche; la scala di Giacobbe 38 ; la verga di Aronne che fiorisce; lo stelo di ]esse; la quercia di Mabre; i 70 salici che il popolo trova dopo la traversata del Giordano vicino alle dodici sorgenti; il vincastro e il bastone che « consolano » David nel Sal. 22, 4 ; il bastone che serve per designare Giuda; il manico dell'ascia gettata nel Giordano. Giustino fa seguire l'ultimo esempio da un'allusione alla « crocifissione con il legno e alla purifica zione con l'acqua » (Dial. , CXXXVIII, 1 -6 ) 39 • Infine, piu oltre aggiunge il legno dell'arca e il diluvio : « I cr,istiani sono stati rigenerati per mezzo dell'acqua, della fede e del legno, che contenevano il mistero della croce, cosi come Noè fu salvato dal legno dell'arca portato sulle acque » ( Dial. , CXXXVIII, 2 ) . Questo elenco richiede parecchie osservazioni. Innan zitutto è chiaro che esso non fa che riprodurre un dossier piu antico 40 , come ne esistevano su altri temi : quello sulla 38 « La scala è immagine della croce; è per mezzo della croce che quelli che credono in lui vanno in cielo » ( lreneo, Dem., 45; PO, XII, 778). Cfr. pure Pseudo-lppolìto, Hom. Pasch., LI, 8 ; SC, 177 ; Metodio, Adv. Porph., l . Sulla storia successiva del tema dr. C. M. Edsman, Le bapteme de feu, cit., pp. 5 1-57; P. Lundberg, La typologie baptismale dans l'acienne Église, cit., pp. 192-197. 39 La scala di Giacobbe, il bastone e il vincastro del Sal. 22, 4 sono accostati in Zenone dì Verona, Tract., Il, 13, 3 ; PL, XI, 43 1 . Cfr. pure Tract. , II, 14, 3; PL, XI, 438 A-B. 4ll La stessa lista si trova in Tertulliano, Adv. Jud. , XIII, 1 1-19. Il paragone con l'albero della vita si trova in Ignazio, Ad Tra/l., XI, 2.
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« pietra �. per esempio. In secondo luogo molti di questi temi assumeranno piu tardi altri significati: l'albero di vita raffigurerà Cristo stesso, e cosf lo stelo di }esse 41 ; il bastone che consola sarà una figura dello Spirito Santo ; l'arca di Noè sarà la Chiesa 42• Ciò che qui è caratteristico, quindi, è che questi simboli sono collegati di preferenza alla croce, il che attesta l'importanza privilegiata di questa e, dunque, uno stadio arcaico della teologia. Peraltro per parecchie, almeno, di queste testimo nianze, constatiamo che esse sottolineano la virtu del legno in relazione con l'acqua, e che è pure questo l'aspetto sottolineato da Giustino. Giò è vero per il bastone di Mosè che separa le acque, addolcisce lo stagno di Marra e fa scaturire l'acqua dalla roccia; ma lo è pure per l'arca e il diluvio, per il manico dell'ascia nel Giordano, per i salici e le sorgenti, per i bastoni e le vasche. Tutto ciò d orienta verso una ricerca dei passi che potevano raffigurare l'azione presente della croce come ouva!J.�ç che agisce nel · battesimo. E ciò che a noi importa qui non sono le figure come tali, le quali, appunto, sono contestabili, ma questa volontà di orientare le figure nel senso dell'azione vivifi cante della croce, perché è questo che ci sembra giudeo cristiano. Dopotutto ne abbiamo degli esempi. Cosf gli Oracoli sibillini giudeo-cristiani, nel fare l'elogio della croce, pre sentano questo notevole brano in cui si ritrovano i temi di Giustino: « Allora segno ( afi!J.a) per tutti gli uomini, sfragis eminente ( É7tLO"'l'J!J.Oç) 43 sarà il legno per i credenti,
41 Deve esserci stato un dossier in cui pa�oo.; designava il Cristo e non la croce. Giustino ne fa un titolo di Cristo (Dia!., CXXVI, 1 ). Ireneo accosta la verga di Mosè, lo scettro reale e il bastone di }esse come figure dell'Incarnazione (Dem., 59; PO, XII, 785). Origene fa la stessa cosa per la verga di Aronne e il bastone di Jesse (Hom. in Num., IX, 9). 42 Cfr. J. Daniélou, Sacramentum Futuri, cit., pp. 80-85. 43 Si osservi che btCO'TJ!J.O<; indica pure il numero 6 nell'alfabeto greco. Questo numero era notato con il segno waw, che era un simbolo di Cristo (A. Dupont-Sommer, La doctrine gnostique de la lettre waw, cit., pp. 51-68) e in cui Girolamo vede una figura della croce (De Monogramma/e, in « RBe », XX [ 1903 ] , pp. 226-237).
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il como desiderato, vita degli uomini pii, scandalo per il mondo, che illumina ( q>W.. �sov) gli eletti nelle acque con le dodici sorgenti, verga di ferro che farà pascolare e domi nerà » (VIII, 244-247 ). Piu oltre si parla del bastone ( p&.�ooç ) di David (VIII, 254 ) . Si notino le virtu della croce: essa vivifica e illumina; i:n modo particolare agisce nel battesimo ( q>W.. �sov ) per mezzo delle sorgenti che sono i dodici Apostoli. Si osserverà un tema nuovo, quello dello scettro di ferro, che proviene dall'Apocalisse ( 2 , 2 7 ; 1 2 , 5 ). Gli scritti gnostici contengono altre figure della croce che senza dubbio sono state tratte dai Testimonia giudeo cristiani. La prima è quella del ventilabro ( Le. 3 , 1 7 ). Ireneo, riassumendo la gnosi valentiniana , scrive che per essa « il ventilabro è la croce che consuma tutti gli ele menti ilici, come il fuoco consuma la paglia, che, d'altra parte, purifica i salvati come il ventilabro purifica il grano » (Adv. haer. , I , 3 , 5 ). Peraltro nella frusta che caccia i mercanti dal Tempio, Eracleone distingue le cor regge « che sono la dynamis dello Spirito » e il legno « che è la figura della Croce; con questo legno sono stati debellati e distrutti i mercanti e l'universale malizia » ( Fram., 1 3 ; Brooke, p . 69). Il legame tra la croce e la dynamis spirituale qui è ancora caratteristico. Un tema analogo è presente in un curioso passo di Ignazio d'Antiochia: « Siete davvero le pietre del Padre, preparate per la costruzione che egli compie, elevate con l'argano di Gesu Cristo, che è la croce, e con la corda dello Spirito Santo » (Ad Eph. , IX, 1 ). Qui ancora la croce è associata alla virtu dello Spirito: l'argano e la corda sono le due ouv&.p,E�ç divine che operano l'esaltazione dei credenti. Ciò appare presso Ignazio come uno sviluppo originale in ambiente pagano, ma il punto di partenza è il simbolismo giudeo-cristiano della croce come potenza efficace 4�. Ha torto P. Lebreton quando scrive: « Senza lo Spirito , la croce non è che una macchina inerte, ritta 44 Cfr. H. Schlier, Religiongeschichtliche Untersuchungen zur den lgnatiusbriefen, cit., pp. 122-123.
Le dottrine
382 davanti ai anime � 45•
La
nostri occhi, ma senza presa sulle nostre
croce cosmica
I testi che abbiamo visto sinora ci hanno mostrato nel la croce, ad un tempo per la sua forma e per la sua materia, un segno della virtu divinizzatrice del Cristo risuscitato, operante nella Chiesa con lo Spirito. Verso la metà del secondo secolo vediamo questi simboli svilupparsi in una speculazione sulla croce che compare tanto presso gli orto dossi che presso gli Gnostici e in cui le dimensioni della croce diventano l'espressione dell'universalità dell'azione di Cristo risuscitato, considerata nel suo carattere cosmico. Sono qui le dimensioni della croce che vengono conside rate. Queste tuttavia possono essere osservate sotto forme diverse che susciteranno simbolismi diversi. Possiamo cominciare da Ireneo che in un passo sui simbolismi della croce abbozza il nostro tema. Dopo aver mostrato che il legno raffigura l'Incarnazione del Verbo, egli continua: « In effetti, come l'avevamo perduto a causa del legno, è per mezzo del legno che è stato di nuovo manifestato a tutti, mostrando in lui la lunghezza, l'altezza, la profondità e la larghezza e, come ha detto uno dei nostri predecessori, riunendo i due popoli sotto un unico Dio con l'estensione delle sue mani: infatti ci sono due mani, perché i due popoli erano disseminati sino all'estremità della terra; e c'è una sola testa perché c 'è un unico Dio » (Adv. haer. , V, 1 7 , 4). Il brano è assai interessante per il fatto che mostra l'origine delle speculazioni sulla croce come segno della virtu vivificante di Cristo. Da una parte esso riallaccia questo tema al Nuovo Testamento con due allusioni: la prima si riferisce a E/. 3 , 1 8 , che parla della « lunghezza
da
45 Histoire du dogme de la Trinité, II, cit., p. 327. Il tema è ripreso Ippo!ito, De Antichr. , 59; GCS, 50.
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e la larghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cri sto » . Quale che sia il senso letterale del testo, è certo che esso sarà interpretato dalla tradizione come un simbolo della croce 46• La seconda si collega a Ef. 2, 1 4- 1 6 : « Ha abbattuto il muro di separazione (
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mente che orizzontalmente, tracciando in effetti una croce. Vi è cosf come una duplice croce: la croce di separazione che esisteva prima della venuta di Cristo, e la croce di unificazione che è la venuta di Cristo. Tale distinzione sarà utile per le trasposizioni del tema che incontreremo presso gli Gnostici. Peraltro il testo di Ireneo ci pone in presenza di un primo sviluppo del tema, che proviene « da uno dei suoi predecessori » e che ci riconduce perciò abbastanza indie tro nella storia della teologia. Questo autore, precisando l'immagine paolina, riallaccia esplicitamente all'estensione delle mani di Cristo sulla croce l'avvicinamento dei due popoli, e alla testa la loro unione so. L'immagine è quella della testa e delle braccia distese. Ma, come abbiamo visto, ciò era l'equivalente della croce. Ireneo ha dunque rice vuto dalla tradizione giudeo-cristiana il simbolismo della croce come designante la riunione dei due popoli in uno 51 • D'altra parte egli ha accostato questo simbolismo al passo di Efesini sulle dimensioni dell'amore di Cristo. Abbiamo perciò qui tutti gli elementi per un simbolismo della croce che sottolinea esplicitamente la riunione di tutte le cose tra di loro e con Dio. Questo sviluppo, che l'abbia ricevuto dalla tradizione - com'è, generalmente, il suo caso - o che sia dovuto a lui, si trova nella Dimostrazione : « Grazie all'obbedienza praticata sino alla morte essendo appeso al legno, Cristo ha espiato l'antica disobbedienza che ha avuto origine dal legno. Ed essendo il Verbo di Dio onnipotente, la cui presenza invisibile è diffusa in noi e riempie il mondo intero, egli continua la sua influenza nel mondo in tutta la sua lunghezza, larghezza, altezza e profondità. Per mezzo del Verbo di Dio, infatti, tutto è sotto l'influenza dell'economia redentrice e il Figlio di Dio è stato crociso L'estensione delle mani si trova in un Apocrifo di Esdra ( lppolito, Ben. Morse; PO, XXVII, 1 3 1 ). 51 Lo si trova negli Oracoli sibillini giudeo-cristiani: « Stenderà le sue mani e misurerà il mondo intero » (I, 372, GCS, 24; VIII, 302; CGS, 161). Cfr. Ippolito, De Antichr., 61; GCS, 42.
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fisso per tutti, avendo tracciato questo segno di croce su tutte le cose. Perché era giusto e necessario che colui che si è reso visibile conducesse tutte le cose visibili a parte cipare alla sua croce; ed è cosi che, sotto una forma sensi bile, la sua influenza si è fatta sentire sulle stesse cose visibili; perché è lui che illumina le altezze, cioè i cieli, è lui che penetra nei luoghi inferiori, che percorre la lunga distanza dall'Oriente all'Occidente, che copre lo spazio immenso che va dal Nord al Sud, chiamando a conoscere il Padre suo gli uomini dispersi in tutti i luoghi » ( 34 ; PO, 773 ) 52 • Questo testo si riferisce a Ef. 3 , 1 8, ma vi si trova pure un'allusione a Ef. 2 , 1 5 - 1 6 . Vi compare invece l'in fluenza di un altro testo paolina: Col. l , 1 5-20, la quale si mostra soprattutto nel parallelismo con l'azione univer sale di Cristo redentore. Peraltro l'altezza qui non indica Dio, bens1 gli angeli, come in Col. l , 2 0 : « Ha voluto, per mezzo suo, riconciliare tutte le cose in lui, quelle che sono sulla terra e quelle che sono nel cielo, facendo la pace per mezzo del sangue della sua croce » . Qui abbiamo perciò l'accostamento di Ef. 2 , 1 5 con Col. l , 2 0 : il Cristo raduna ad un tempo coloro che sono separati dal muro verticale, cioè i popoli del mondo, e coloro che sono separati dal muro longitudinale, cioè gli uomini e gli angeli. D'altra parte il passo introduce un elemento partico lare. Da una parte, infatti, abbiamo una croce verticale, poiché Cristo raduna sia coloro che stanno in basso, sia coloro che si trovano in alto, quelli che sono a Oriente e quelli che sono a Occidente; ma abbiamo pure una croce orizzontale che si riferisce ai quattro punti cardinali. V'è qui l'introduzione di un'immagine nuova, che è quella della « croce dei venti » . Non si tratta piu della riconcilia zione dei Giudei e dei gentili, ma dell'evangelizzazione 52 Vi si accosterà Vang. Fil., 53: « L'eucaristia è Gesu ; infatti in siriaco è chiamato Pharisatha, cioè colui che è steso. Infatti Gesu è venuto a crocifiggere il mondo » ( In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit.).
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universale. Non è escluso che siamo in presenza di una simbolica asiatica della croce, sul prolungamento di Giov. 1 1 , 32 53• Ora questa simbolica della croce in Ireneo sembra proprio venire di nuovo da una tradizione giudeo-cristiana. Sembra infatti che la si trovi nelle Odi di Salomone. Leg giamo nell'Ode XXI I : « È lui che mi fa discendere dalle altezze e mi fa salire dai luoghi che stanno in basso; è lui pure che raduna ciò che sta nel mezzo » ( 1-2 ). Ciò ricorda in modo singolare la Dimostrazione della Predicazione Apostolica. Tuttavia vi è un'idea diversa: la dimensione verticale della croce compare come designante il descensus e l'ascensus del Verbo. Il simbolismo cosmico della croce è lo stesso, ma l'applicazione è diversa. Questo ci permette senza dubbio di spiegare l'Ode seguente dove il Verbo - l'abbiamo già visto - viene paragonato ad una lettera : « Una ruota la ricevette ed essa venne su di lei. E con ( la ruota) era un segno di regalità e di direzione. Tutto ciò che scuoteva la ruota, essa lo falciava e lo tagliava. La testa discese sino ai piedi perché sino ai piedi corse la ruota e tutto ciò che era segno su di lei. La lettera era una lettera di comando. Cosi furono riunite in un unico luogo tutte le regioni ; e sulla sua sommità apparve la testa che fu svelata, il Figlio vero, generato dall'Altissimo; egli ereditò l'universo » ( XXIII,
1 0- 1 7 ).
Il confronto con l'Ode precedente può difficilmente lasciare dei dubbi. La lettera è il Verbo, chiamato pure testa. La ruota che la riceve sembra designare la sua azione redentrice, la quale comporta una discesa nascosta: la testa scende sino ai piedi; un'ascensione gloriosa: la testa è svelata alla sommità; una riunione di quanto sta nel mezzo: la lettera raduna tutte le regioni. La ruota sembra quindi proprio un simbolo della croce, in quanto esprime l'universalità dell'azione redentrice. Come si ricor53 Cfr. A. Orbe, Las primeros herejes ante la persecuci6n, cit., p. 227.
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derà, il legame tra la lettera e la croce si trova nel Van gelo di Verità. Ci si può chiedere, d'altra parte, se il termine rotas nel quadrato magico, di cui tutta la simbo
lica si riferisce alla croce, non debba perciò essere inter pretato pure in questo senso. D'altronde sembra che una conferma di ciò sia data da un testo che è, in modo esplicito, un commento sim bolico del mistero della croce: quello degli Atti di Pietro ( 3 8 ; Lipsius, 94-97 ) dove troviamo il tema della testa che scende sino ai piedi. Qui la croce significa innanzitutto la caduta del primo uomo che provoca il rovesciamento dei valori, spostando a destra ciò che è a sinistra. A ciò deve opporsi un movimento in senso inverso ( É7ta.va.opa.p,E�v ) che costituisce una conversione ( P.E'ta.voLa.). Ora, questo movimento è quello operato da Cristo e simbolizza la croce, la cui dimensione verticale designa il movimento verso l'alto, e la dimensione orizzontale l'estensione uni versale ( u-.a.p,Évoc; À.éyoc;) 54 • Un ultimo testo di Ireneo interessa il nostro argo mento, benché in modo meno esplicito: « H Verbo di Dio è il creatore del mondo. È lui che negli ultimi tempi si è fatto uomo, venendo ad esistere in questo mondo, e che secondo la sua natura invisibile contiene tutta la creazione, essendo piantato (infixus) nella creazione intera, come Verbo di Dio che governa e dispone tutto. Per questo è venuto tra i suoi in forma visibile, si è fatto carne ed è stato sospeso al legno per ricapitolare tutto in sé, in modo che la sua propria creatura l'ha portato, essa che è portata da lui » (Adv. haèr. , V, 1 8 , 3 ). Qui c'è un'allusione certa alla croce; essa è confermata da un testo parallelo di Meli tane: « Colui che sostiene l'universo è sostenuto dal legno » (Hom. Pasch. , XVI, 1 2 - 1 5 ; Campbell-Bonner, 1 57 ). Nel testo di Ireneo la croce simbolizza la ricapitola zione di tutte le cose operata dal Verbo. Ma tale ricapito lazione non è possibile se non per il fatto che il Verbo 54 A. Orbe, che ha analizzato a lungo questa pagina, vi vede una simbolica gnostica, il che non mi sembra certo (ibidem, pp. 176-204) .
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contiene tutte le cose. Qui siamo sulla linea di Col. I, 20. Si noterà peraltro che nell'espressione: « Colui che è portato dalla croce è colui che porta tutte le cose », la croce assume un altro significato. Essa sottolinea, piu del fatto che il Verbo creatore contiene e unisce, il fatto che egli sostiene e porta. La croce è qui ancora simbolo del Logos stesso nella sua azione nel cosmo. Si ricorderà infatti che abbiamo incontrato delle espressioni analoghe in cui la croce è sostituita dal Nome: « Il Nome del Figlio di Dio - si legge in Erma - è grande, infinito e sorregge (�cx.cr-.&.�E�) il mondo intero. Se dunque ogni crea tura è sorretta dal Figlio di Dio, non ti pare che lo deb bano essere anche i fedeli da lui chiamati che portano il suo nome e osservano i suoi comandamenti? Le pietre che egli sostiene simboleggiano infatti i fedeli che portano il suo nome » (Sim . IX, 14, 5 ). Si ritrova la stessa oppo sizione fra portare ed essere portato presente in Ireneo, benché il secondo termine sia diverso. Ciò mostra da una parte che qui abbiamo un tema giudeo-cristiano. Peraltro l'equivalenza tra il Nome e la croce esprime che la croce designa pure il Verbo stesso nella sua azione unificatrice e di consolidazione. Ciò si ritrova negli Atti di Pietro, dove la croce è il Logos stesso nella sua estensione cosmica ( 'tE'tCX.!J.Évoc; À.6yoc;) ( 38 ; Lipsius, 96) 55• Non c'è motivo di scorgervi, come fa Orbe, una concezione gnostica, ma si tratta sempre dello stesso tema cristiano. Parallelamente agli sviluppi che ci presenta Ireneo, si incontra nello gnosticismo una speculazione sulla croce che, attraverso la trasposizione che subisce, ci permette di ritrovare gli elementi di quello che F. M. Sagnard ha definito « un sermone cristiano sulla croce del secondo secolo » 56• Se ne trovano gli elementi innanzi tutto in Ireneo (Adv. haer. , I, 2 ss. ) dove leggiamo che « poiché Sofia, l'ultimo degli eoni del Pleroma, rischia di dissol-
55
Ibidem, pp. 196-199; A. Grillmeier, Der Logos am Kreuz, cit.,
56
La gnose valentinienne et le témoignage de St. Irénée, cit.,
pp. 79-80. p. 253.
Mysterit4m crucis
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versi a causa della sua passione per il Padre, costui emette un nuovo eone, Horos [ limite] , cioè una potenza che consolida ( ÈO"'tTJpLx8a.L) l'insieme degli eoni e li custodisce fuori della grandezza inesprimibile del Padre » ( I , 2 , 2 ). Ora, questa potenza si chiama pure Croce ( O"'ta.up6c;), Re dentore ( Àu'tpw'ti}c;), Mietitore ( xa.pmcr'ti}c;), Guida verso il ritorno ( P.E'ta.ywyEuc;) ( I , 2, 4 ) 57 • Un po' piu oltre Ireneo spiega come gli Gnostici dimo strino, a proposito di tale potenza, che essa compie due operazioni, consolidare ( Èopa.O"'tLxi} ) e purificare ( p,EpLO"'tLxi} ) : « Se essa consolida e sostiene, si chiama Croce : se separa, Limite. Il Salvatore ha manifestato cosi le sue operazioni; innanzitutto quella che consolida, quando dice: " Colui che non prende la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo ( Le. 1 4, 27 ) " ; poi quella che separa, quando dice: " Non sono venuto a portare la pace ma la spada ", oppure: " Il ventilabro è nella sua mano ". Essi dicono pure che Paolo parla di questa funzione della croce quando dice: " La parola della croce è follia per coloro che si perdono e potenza ( ouva.p,L<;) di Dio per i salvati ", e quando parla della " croce di Cristo per il quale io sono crocifisso per il mondo e il mondo per me " ( Gal. 6, 1 4 ) » (Adv. haer. , I, 3 , 5 ). Non starò qui a sviluppare il significato di questa dot trina gnostica: l'hanno già fatto, e bene, F. M. Sagnard e A. Orbe 58 • Si noti che la stessa dottrina si ritrova negli Estratti di Teodoto : « Coloro che possiedono il Nome non vengono fermati dal Limite e dalla Croce e impediti di entrare nel Pleroma » ( 22 ; se, 1 03 ) e piu oltre: « La croce è il segno ( O"TJP.E�ov) del limite del Pleroma, poiché essa separa i fedeli dagli infedeli, come il Limite separa il mondo dal Pleroma » ( 4 2 ; se, 149 ; cfr. pure Ippolito, 57 Sull'insieme di questi nomi fr. H. Schlier, Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit., pp. 102-105; A. Orbe, Los primeros herejes ante la persecuci6n, cit., p. 167. 58 F . M. Sagnard, La gnose valentinienne et le témoignage de St. lrénée, cit., pp. 244-255; A. Orbe, Los primeros herejes ante la per secuci6n, cit., pp. 160-213.
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Elench. VI, 3 1 , 5 ). Cosi la croce-Limite si presenta ad un tempo come separazione del Pleroma dal Kenoma e
come separazione tra fedeli e infedeli 59• Gli Atti di Giovanni presentano un testo sulla croce che raggiunge i testi valentiniani. Si tratta di una croce luminosa piantata in terra e che richiama la croce gloriosa. Questa croce porta nomi diversi, che manifestano le diverse potenze di Cristo: essa è « il limite di separazione ( OLopLap.6ç) di tutte le cose » ( 98 ; Bonnet, 200 ). Siamo ricondotti in pieno gnosticismo. « Essa ha tutto fissato ( OLa.7tT#t.�Evoç) per mezzo della Parola » ( 99 ; Bonnet, 200 ). L'espressione richiama la consolidazione gnostica. D'altra parte la dottrina esposta è quella stessa di Ireneo. Lo stato di deterioramento del testo non permette di trarre altro. Sagnard gli fa dire molto di piu di quanto non contenga. Il testo non porta alcun elemento nuovo, salvo il legame della croce gloriosa con la o{rva.�Lç della croce. Si sottolinea che la croce della crocifissione non è che un simbolo della croce reale ( 99; Bonnet, 200 ), il che conferma proprio che questa è una potenza divina. Se cerchiamo gli elementi della simbolica della croce che sottostanno a questa dottrina, constatiamo che siamo in presenza di uno sviluppo dei dati che rilevammo poco fa a proposito di Paolo, ma in una linea diversa, anche prima di ogni deformazione gnostica. Da una parte la croce è ciò che separa : è uno dei nomi di Horos. Ora, come ha visto bene N. Schlier 60, ciò l'identifica al cppa.y�6ç, il muro che separa il mondo in alto da quello in basso. Ma in tutti i modi siamo all'opposto del tema paolina in cui la croce è ciò che unisce e non ciò che separa. Possiamo precisare meglio l'origine di questo tema della Croce-Limite? Non sembra che si debba evocare, con Harvey e Schlier, la immagine di un palo rizzato o di una palizzata; cosi pure il simbolismo sarebbe delu59 ]. Carcopino ha proposto di identificare in una pittura tombale di viale Manzoni questa croce gnostica che separa il Pleroma dal Kenoma (De Pythagore aux Ap6tres, cit., pp. 1 18, 95). fiO Cbristus und die Kirche im Epheserbrief, cit., pp. 25-28.
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39 1
dente. Mi sembra che F. M. Sagnard 61 - dopo W. Bous set 62 - abbia qui ragione quando evoca, a proposito dello Stauros gnostico, la X platonica del Timeo e quando vi vede una grande croce di luce tracciata nel cielo. Effetti vamente per Platone la X cosmica è costituita dall'incro cio sull'eclittica della sfera dei pianeti con la sfera delle stelle fisse. Questa croce segna perciò il confìne tra il mondo planetario e il cielo delle stelle. È noto che per gli Gnostici il mondo planetario, o ebdomade, è la sfera del Demiurgo, estraneo al Pleroma ; si comprende quindi perché la croce sia cosi ciò che separa il mondo inferiore da quello superiore. Il riferimento al testo del Timeo appare quindi la miglior spiegazione della definizione della croce come limite. Ma siamo noi autorizzati a fare appello a tale acco stamento? In realtà i testi gnostici non alludono alla X platonica. D'altra parte sappiamo che questa, nel secondo secolo, era assimilata alla croce di Cristo da autori della Grande Chiesa. Si legge infatti nella Dimostrazione di Ireneo: « Egli ha tracciato questo segno della croce su tutte le cose » . In effetti questa espressione è una cita zione appena modificata del Timeo di Platone ( 2 6 B-C) in cui Giustino, nella I Apologia, aveva visto una prefi gurazione della croce : « La frase di Platone nel Timeo, là dove tratta delle proprietà naturali del Figlio di Dio: Lo dispone a X nell'universo, era appunto attinta da Mosè » ( LX, l ). Giustino spiega poi che Platone ha tratto questo simbolismo dall'episodio del serpente di bronzo e continua : « Platone lesse ciò e, senza capire esattamente e por mente che si trattava di una forma di croce, suppo nendo invece che fosse un incrocio a X, espresse la teoria che la seconda virtu, dopo Dio come principio fosse disposta a X nell'universo » ( LX, 5-6). 61 La gnose valentinienne et le témoignage de St. Irénée, cit., pp. 245-246, 252. 62 Platos Weltseele und das Kreuz Christi, in « ZNW », XIV ( 1913), pp. 273-285.
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Un altro aspetto del testo del Timeo permette, peral tro, di trarre una conclusione ancora piu decisiva. Platone spiega infatti che la sfera delle stelle fisse ha il compito di frenare ( m::o éiv) il movimento dei pianeti. Ebbene, nel Martirio di Andrea c'è un elogio della croce in cui si legge: « O croce che freni (nEo'i}cra.ç) la sfera mobile del mondo » ( 1 4 ; Bonnet, 55). È impossibile non riconoscere qui una allusione al passo del Timeo. Cosi pure ne abbiamo la certezza grazie ad un passo di Ippolito sui discepoli di Marco : « L'ottavo cielo è stato sovrapposto alla sfera planetaria per frenare il suo rapido movimento . . . È pure l'immagine d i Horos » ( Elench ., VI, 54, GCS, 1 8 8 ; cfr. anche Ireneo, Adv. haer. , I , 1 7 , 1 ). I n questo testo decisivo, che né Sagnard, né Orbe hanno indicato, lo Stauros-Horos gnostico è esplicitamente identificato con la X platonica. Per quanto riguarda il tema della croce come Limite possiamo trarre da ciò una conclusione. Questo tema appare come uno sviluppo gnostico di un tema che esi steva nella Grande Chiesa, quello della X platonica come simbolo della croce. Ma i cristiani vi vedevano l'espres sione dell'unificazione di tutte le cose per mezzo della croce, la quale costituiva come la forma dell'intera crea zione e segnava perciò la presenza del Verbo in tutte le cose. Gli Gnostici hanno sviato questa immagine nel senso del loro radicale dualismo. Abbiamo perciò ancora un esempio della trasposizione gnostica di un tema ante riore . Rimane un'altra domanda : questo tema non è esso stesso ellenistico? E, se lo è, con quale diritto farlo com parire qui? Daremo tra poco la risposta 63• Dobbiamo anzitutto parlare dell'altra funzione della croce: quella di consolidare. Qui si vede comparire un simbolismo nuovo in cui la croce è considerata come un pilastro che sostiene il mondo in alto. Ora, l'immagine si
63 Già in un'esposizione catechetica notiamo queste parole di Cle mente Alessandrino: « Abbiamo come limite ( 5poc;) la croce ( cr"t'o.up6c;) del Signore » (Paed., III, 12).
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ritrova presso autori ortodossi del secondo secolo. Cosi nell'Omelia pasquale di Melitone di Sardi, che abbiamo citato, vediamo un contrasto tra il ruolo cosmico del Verbo e il Cristo crocifisso : « Colui che ha sospeso la terra è sospeso al legno; colui che sostiene ( CT"t"l'Jptçac;) l'universo è sostenuto dal legno » (XVI, 1 2- 1 5 ; Campbell Bonner, 1 57). Ricompare qui il verbo CT't11Ptsw che si tro vava presso i Valentiniani. Ciò è ancora piu netto nell' Omelia pasquale ispirata da Ippolito e pubblicata da Nautino: « La croce è la scala di Giacobbe e il cammino degli angeli alla cui sommità il Signore è veramente appoggiato. Quest'albero dalle dimen sioni celesti si è alzato dalla terra ai cieli, fissandosi ( CT't1) pianta eterna - in mezzo tra cielo e terra, pl!;ac;) sostegno dell'universo, sostegno ( eopacr�a) di tutte le cose , appoggio ( cr't'll pty�a) dell'universo, sostegno ( EpEtcr�a) di tutta la terra abitata, giuntura del mondo, che tiene riu nita la varietà della natura umana e inchiodata dai cavicchi invisibili dello Spirito, affinché, applicata al divino, non ne sia piu staccata. Toccando con il suo vertice la sommità del cielo, rafforzando ( CT't1)Ptswv) la terra con i suoi piedi, stringendo da ogni parte con le sue mani immense il mol teplice spirito dell'aria tra cielo e terra, esso era tutto intero in tutto e dappertutto » ( 5 1 ; se, 177- 1 7 9 ). Gli Atti di Andrea, che sono un'opera ortodossa, svi luppano il tema della croce cosmica sulla linea di Ireneo e di lppolito, cioè sottolineando il simbolismo delle quat tro dimensioni e quello del pilastro cosmico, l'unificazione e il consolidamento. Gli Atti di Andrea presentano il tema nelle loro diverse recensioni. Cosi nel Martirio di Andrea: « Sono venuto da te ( o croce) che mi hai desi derato e voglio far conoscere il mistero per cui fosti pian tata. Sei stata innalzata nel mondo per dare consistenza ( CT't1)plçnc;) alle cose instabili. Parte di te si volge al cielo per annunciare il Logos celeste; parte si stende a destra e a sinistra per sbaragliare la tremenda forza avversaria e ricondurre il mondo all'unità; parte di te è ficcata in terra -
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per raccogliere insieme con le creature celesti le terrestri e quelle dell'ade » ( 1 4 ; Bonnet, 54-55) 64 • Si osservi la grande parentela di questo testo con quello di Ippolito. Essa risulta ancor piu nel paragone della croce con un albero : « O croce, invenzione salutare dell'Altissimo ! O croce, trofeo di vittoria di Cristo contro i nemici ! O croce, piantata sulla terra e che produci il frutto nei cieli ! O nome della croce, che tutto comprende ! O croce, che incatenasti l'orbe tutto quanto ! Evviva la forma ( �opqn1 ) intelligente che ha formato la tua forma informe ! Evviva la punizione occulta che tremendamente colpisce l'essere della gnosi idolatrica e scaccia dall'uma nità il suo inventore ! Salve, o croce, che vestisti il Signore, producesti il ladro, chiamasti a penitenza l'apostolo e noi non disdegnasti di accoglierci » ( 14 ; Bonnet, 55 ). Qui ritroviamo ad un tempo il tema del �nxrivn�a. di Ignazio d'Antiochia, quello del 'tp6na.tov di Giustino, quello del l'albero di Ippolito e, infine, quello del freno. Rimane da chiederci come spiegare l'equivalenza Stau ros-Sterigma. Si noti innanzitutto che essa allude senza dubbio ad una falsa etimologia che collega le due parole alla stessa radice. Ma è possibile stabilire con precisione il contesto in cui si situa il verbo O""t'1JpLsEw? È interessante osservare, con Orbe, che esso compare nella I Clem. : « ( Il Creatore ) con la sua immensa potenza fissò ( ÈO""t'1} PLO"E) i cieli, e li ordinò ( otEx60"�"t'JO"E) con la sua incom prensibile intelligenza; separò ( o LEXWPLO"E) la terra dali' ac qua che la circonda » ( XXXIII, 3 ) 65• Su questo testo si noteranno due cose . La prima è che il verbo O""t'"t'JPLsEw viene posto in relazione con l'azione creatrice . Ora, noi abbiamo piu volte notato che l'azione della croce era pre sentata come la ripresa da parte del Verbo della sua azione nella creazione 66, il che ci riconduce all'importanza, in quell'epoca, della speculazione sulla Genesi.
64 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, I l : Atti e leggende, cit. 65 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 66 Il termine si trova presso Ignazio d'Antiochia per indicare la
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La seconda osservazione è che il testo accosta nell'a zione creatrice il tema del consolidamento e quello della separazione ( OLE)CWptcrEw ) . Ora, noi sappiamo che per il Nuovo Testamento uno degli aspetti caratteristici del Logos è di essere colui che divide : il tema è presente in particolare in Ebr. 4, 1 2 e nell 'Apoc. 1 9 , 1 5 . D'altra parte abbiamo visto che nei nostri testi il Logos è identificato con la croce, il che ci induce a pensare che vi sia stata una simbolica della croce che divide e discerne, che sarebbe appartenuta alla tradizione giudeo-cristiana co mune. Cosi anche questo aspetto comune della simbolica della croce dipenderebbe dal giudeo-cristianesimo. Giu stino l'avrebbe assimilato a quello della X platonica, men tre gli Gnostici avrebbero interpretato la separazione nel senso del loro dualismo. Le diverse funzioni che gli Gno stici attribuiscono alla croce riposerebbero infine su dei simboli giudeo-cristiani della Grande Chiesa. Questa simbolica della croce, originata dal giudeo-cri stianesimo, continuerà in seguito. Le Catechesi di Cirillo di Gerusalemme danno un grande spazio alla croce, forse in relazione con il ritrovamento di questa da parte dell'im peratrice Elena. Vi si trovano elementi speculativi sulla linea di Ireneo : « Ha steso le mani sulla croce per affer rare le estremità della terra. Infatti il Golgota è il cen tro della terra. Ha steso delle mani d 'uomo, lui che ha consolidato il cielo con le sue mani spirituali » ( XIII, 28; PG, XXXIII, 805 B ). Due sono gli aspetti prove nienti da Ireneo che si ritrovano qui: da una parte la estensione delle mani segna le estremità della terra e non le potenze dell'aria; peraltro si noti il parallelo tra l'azione cosmica del Verbo creatore e l'estensione del Cristo sulla croce, che era un tema dei Sermones de cruce, come testimonia il testo di Melitone che abbiamo citato. Atanasio invece nella sua simbolica della croce unisce il tema dell'unione dei due popoli e quello del combatticonfermazione da parte dello Spirito Santo (Ad Philad. , Prol.; SC, 140; Ad Epb., XII, l; SC, 80). Cfr. H. Schlier, Religiongeschichtliche Unter sucbungen zur den Ignatiusbriefen, cit., p. 87.
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mento contro le potenze dell'aria : « Se la morte del Sal vatore è una redenzione per tutti e abbatte il muro di separazione ( cpprxyp,6ç), come ci avrebbe chiamati se non fosse stato crocifisso? Perché non è che sulla croce che si muore con le braccia distese. Era pure necessario che il Signore subisse questa morte e stendesse le mani : con l'una egli avrebbe attirato il popolo antico, con l'altra i Gentili, e li avrebbe riuniti entrambi in sé. Lui stesso l'ha detto facendo intendere con quale morte avrebbe riscat tato gli uomini. Quando sarò stato innalzato, trarrò tutti a me (Giov. 1 2 , 3 2 ). Di piu, se il nemico del genere umano, il diavolo, erra nelle regioni inferiori dell'aria e se il Signore è venuto ad abbattere la sua potenza, per quale altra morte ciò doveva farsi se non mediante quella che arriva nell'aria, cioè la croce? » (De inc. , 25; SC, 254-255) 67 • Ma il testo di maggior rilievo è indubbiamente quello di Gregorio di Nissa, che raccoglie parecchi dei temi che abbiamo incontrato sin qui. Gregorio dichiara anzitutto che « è impossibile esporre tutti i significati contenuti dalla croce » ( Oratio in Res. , I ; PG, XLVI, 6 2 1 C). Dopo Ata nasio egli ripete che la morte sulla croce aveva una ragione nascosta. Questa ragione la chiede a Ef. 3 , 1 8 : « Paolo, infatti, sa che la croce, divisa in quattro braccia a partire dalla giuntura centrale, significa la potenza ( ovvrxp,Lç) e la provvidenza che tutto penetrano di colui che compare su di essa, ed è per questo che egli dà ad ogni braccio un nome particolare » ( 62 1 D-624 A ). Qui l'idea di potenza e quella di universalità sono strettamente connesse come presso Ireneo. Gregorio descrive poi le quattro dimensioni : « Egli chiama profondità il braccio che scende a partire dal cen tro, altezza quello che sale, lunghezza e larghezza quelli che si stendono trasversalmente da ogni parte della giun tura, in modo che quello che si trova da una parte del 67 Cfr . .T. Daniélou, Les démons de l'air dans la Vie d'Antoine, cit.,
pp. 136-138.
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centro è chiamato lunghezza, e quello che è dall'altra larghezza » ( 624 A). Questa lunga spiegazione dimostra che il testo di Paolo è ricondotto allo schema classico della croce. Ora « ciò significa che non c'è niente che non sia sotto l'influenza della potenza divina, né ciò che si trova al di sopra del cielo, né ciò che sta sotto la terra, né ciò che si estende da ogni parte trasversalmente sino alle estre mità dell'essere » ( 624 A-B). Questo è lo schema di Ireneo. Il simbolismo della croce sembra qui designare soprat tutto la provvidenza universale del Logos, il che risulta ancor meglio nel seguito, dove Gregorio si esprime in un linguaggio stoico: la croce è « come il legame (cruvoEcr�oç) dell'universo » ; « essa penetra ( f)xwv ) tutte le cose » ( 624 C). Riferendosi a Fil. 2, 10, Gregorio mostra nella parte superiore della croce « la parte super-celeste », nella parte mediana il mondo e in quella inferiore gli inferna ( 624 D). Cosi la forma della croce designa « colui nel quale tutto sussiste » ( Col. l , 1 7 ), « colui che preesiste a tutto quanto sta sotto la sua influenza » , « colui la cui potenza conserva ( cruv-r"t')p1J't'�x1) ) tutti gli esseri » ( 625 A). « La croce diventa teologa ( 0E6Àoyoç) per coloro che hanno uno sguardo penetrante e proclama con la sua forma la potenza sovrana di colui che compare su di lei e che è tutto in tutti » . La croce è cosi il segno della divinità del Verbo. Ci appare cosi nella sua ricca varietà la teologia della croce nel giudeo-cristianesimo. Da una parte questa è con siderata come il segno della vittoria di Cristo: è una croce di gloria. È come un essere vivente che accompagna il Cristo nelle sue opere di potenza, agl'inferi, alla Parusia. Certi testi l'identificano con il Cristo stesso. I Testimonia dell'Antico Testamento mostrano la croce prefigurata in molteplici simboli che specificano le diverse forme della sua efficacia. Essa è lo strumento col quale il Verbo incar nato compie le sue opere di salvezza. Infin e la sua forma suggerisce un simbolismo C<;>smico in cui essa esprime l'universalità dell'azione redentrice, che ad un tempo uni·
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fica tutte le cose, dà consistenza alla nuova creazione e discerne ciò che appartiene a Cristo da ciò che gli è estraneo. Questa teologia della croce sembra pure attinta alle diverse fonti del giudeo-cristianesimo. Come croce lumi nosa si pone nella continuazione dell'apocalittica. Essa richiama la stella dei magi e il fuoco sul Giordano con i quali è talvolta identificata 68• Come ovva.p.tç di Cristo essa si ricollega alle raccolte dei Testimonia, di cui costituisce uno dei dossiers privilegiati. La teologia appare qui come speculazione sui Testimonia. Infine come croce cosmica ha gli attributi che sono quelli del Dio creatore : consolida mento, distinzione, unificazione. Nella teologia di Filone raggiunge le funzioni del Logos (f}. Essa appare qui nella linea delle speculazioni esoteriche sulla Genesi, di cui abbiamo già piu volte constatato l'importanza nella teo logia giudeo-cristiana.
68
C. M. Edsman, Le bapteme de feu, cit., pp. 166 ss. Heres, 235 (distinzione) ; Plant., 8 (�pELCTJ-1.!1 'tWV oÀ.wv) ; Fug., 1 12 ( oECTJJ.6 c;); Somn., I, 158 ( cr-.i}pLy(,la xaL �PELCTJ-1.!1). 69
Capitolo decimo
La Chiesa
Uno degli aspetti piu notevoli della teologia giudeo cristiana è dato dal posto in essa occupato dalla dottrina della Chiesa. Si sarebbe potuto credere che in un'epoca in cui la Chiesa era ancora in formazione, la riflessione su di essa sia stata poco sviluppata. I fatti ci mostrano il contrario : la Chiesa appare ben presto consapevole della propria esistenza in quanto entità teologica. Sembra pure che questo posto sia assai piu grande di quanto sarà nella teologia patristica o medievale. Si vedrà che quest'ultima trasferisce sulla mariologia una parte dell'attenzione prima prestata all'ecclesiologia. È il nostro tempo che si trova a riprendere il disegno della teologia arcaica e a cercare di svilupparne i temi. Ciò è meno sorprendente se ci si ricorda del ruolo fon damentale già svolto nel pensiero biblico dal popolo di Dio in quanto realtà teologica. In particolare i Profeti avevano elaborato tutta una teologia di Israele come sposa di Jahweh, come vigna del Signore e città dell'Altissimo. L'apocalittica aveva arricchito questi simboli. Per il IV Esdra Israele è « una colomba », « una stella » , « un agnello )> ( II, 2, 1-5 ) . Peraltro i manoscritti di Qumran ci hanno mostrato come la comunità essena fosse consa pevole del proprio significato teologico: essa è « una pianta eterna )> (DSD, VIII, 5 ), un « santuario per Israele )> (VIII, 5 ; IX, 6 ) . Queste espressioni si ritroveranno nel giudeo-cristianesimo per designare la Chiesa. La Chiesa è « la piantagione che i dodici Apostoli del Diletto hanno piantata )> (Asc. Is. , IV, 3 ; cfr. pure Odi Sal. , XXXVIII, 1 7 - 1 8 ). La Lettera agli Efesini mostra in essa il santuario 30.
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« stabilito sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti » (2, 20 ). Tutto ciò offriva gli elementi di una teologia biblica della Chiesa che troviamo sin dalle origini e che persiste ranno in tutta la tradizione. La Chiesa sarà « la nuova Gerusalemme », « la vigna autentica », « la colomba per fetta », « l'unica dimora » . Ma ciò non è specifico della speculazione giudeo-cristiana. Ciò su cui ci fermeremo qui è un aspetto piu particolare. Parecchi testi arcaici parlano della Chiesa come realtà preesistente 1• Erma dice che essa « fu creata prima di tutto: per questo è vecchia. Per lei fu preparato il mondo » ( Vis. II, 4, l ) 2 • A sua volta II Clem. parla della « Chiesa prima, quella spirituale, creata prima del sole e della luna » ( XIV, l ) 3 • A propo sito di questi testi si è parlato di speculazioni gnostiche 4• Se si tratta di influenze ellenistiche e dualiste ciò è falso, ma si tratta effettivamente di speculazioni che si riallac ciano alla gnosi giudaica, cioè all'apocalittica e alle sue concezioni 5 • Siamo dunque proprio in presenza della teo logia giudeo-cristiana nel senso rigoroso del termine, cioè di una teologia che ricava le sue categorie dal pensiero giudaico contemporaneo.
La donna anziana Un primo filone teologico è quello che troviamo in Erma. Esso si collega direttamente, come vedremo, all'apo calittica giudaica palestinese. Anzitutto osserveremo che per Erma Dio ha creato tutti gli esseri « in vista della 1 Cfr. J. Beumer, Die altchristliche Idee einer praexisiierenden Kirche und ihre theologische Auswertung, in « WW », IX ( 1942), pp. 13-22. 2 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 3 Ibidem. 4 H. Schlier, Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit., pp. 66-68. 5 Ciò è già vero per Paolo. Cfr. L. Cerfaux, La théologie de l'Église suivant Saint Paul, Paris, 1942, pp. 276-282 ( trad. it., La teologia della Chiesa secondo S. Paolo, Roma, 1967).
La Chiesa
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Chiesa » (Vis. I , l , 6 ) . Questa è già un'attestazione della preesistenza della Chiesa nel pensiero divino. Non solo, ma un'idea cara all'apocalittica giudaica è che tutto sia stato creato in vista di Israele. Cosi nel IV Esdra Dio dice: « Ho creato il mondo a causa di Israele » ( III, 3, 1 1 ). Parecchi aspetti sono giA qui notevoli. La Chiesa è il ter mine della creazione, a cui tutto il resto è subordinato: essa è quindi preesistita nel pensiero divino. È l'idea che troviamo in Paolo: « Il mistero celato in Dio, il Creatore di tutte le cose, sin dall'inizio è manifestato » nella Chiesa ( E/. 3, 9-1 0 ). Ignazio d'Antiochia parla della Chiesa « pre destinata prima dei secoli ( atwvwv) ad una gloria eterna » (Ad Eph. , I, l ) 6 • Infine la Chiesa è posta in connessione con il racconto della creazione. Questa Chiesa, considerata come la prima tra le crea ture, appare a Erma sotto molti aspetti, primo dei quali è quello di una donna anziana. In un primo momento questa donna compare senza che la sua identità sia rive lata (Vis. I , 2, 2 ; II, 4, 1 ). Ma tale identità è rivelata da un angelo: « Quella signora anziana, da cui ricevesti il libretto, chi tu credi che sia? Gli risposi : La Sibilla. Ti sbagli; non lo è. Chi è dunque? È la Chiesa. Perché allora appare cosi vecchia? Perché fu creata prima di tutto: per questo è vecchia. Per lei fu preparato il mondo » ( Vis. II, 4, l ). Si noti il legame di questo passo con quelli che abbiamo studiato prima e che l'ultima frase sottolinea. Ma l'immagine sotto la quale compare la Chiesa pre cisa assai il pensiero. Se la Chiesa appare come una donna anziana, è perché è stata creata per prima ( 'ltpW't'1) Èx-.i.cre1) ) Di primo acchito sembra che l'affermazione vada al di là di una semplice preesistenza intenzionale e attribuisca alla Chiesa una esistenza reale anteriore a quella del resto della creazione. In effetti l'espressione dei « protoctisti », « creati per primi », è applicata da Erma ai sei Arcangeli ( Vis. III, 4, l ; Sim. V, 5 , 3 ). Ma una distinzione del .
6 In J Padri Apostolici, a cura di G. Corti, dt. Cfr. H. Schlier, Religiongeschichtliche Untersuchungen zur den lgnatiusbriefen, cit., pp. 82-88.
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genere è estranea al realismo semitico. Come nel caso del Figlio dell'uomo, si tratta di una realtà escatologica, ma presente sin dalle origini nel disegno di Dio 7 • Si noti pure che per Erma la Chiesa e gli angeli sono paragonati come strumenti di rivelazione dello Spirito ( Sim. IX, l , 1-3 ) Osserveremo peraltro il legame esistente tra la Chiesa e il tema della creazione: il milieu letterario di tutte queste espressioni sembra proprio quello del racconto della creazione. Ma all'immagine della donna anziana se ne aggiunge una seconda, quella dell'edificio. La donna mostra a Erma una grande torre in costruzione; Erma le chiede che cosa significhi ed ella risponde: « La torre che vedi edificare sono io, la Chiesa, apparsa a te prima e ora. Ascolta dun que perché mai la torre viene edificata sulle acque : la vostra vita fu salvata e sarà salvata con l'acqua. Tuttavia le vere fondamenta ( -.EeE!J.EÀ.Lw'taL) della torre sono la parola ( Pii�:ta) del Nome onnipotente, e l'invisibile pos sanza ( ouvap.Lc; à.6pa-.oc; ) del Padrone. Ma i sei giovanetti che costruiscono, chi sono, signora? Essi sono quegli angeli di Dio che furono creati per primi. A loro il Signore ha affidato tutta la sua creazione » (Vis. III, 3, 3-4, l ). Il contesto rimane quello della creazione; ritroviamo i sei angeli incaricati dell'amministrazione di essa. Ma c'è qual cosa di piu importante. La torre è fondata sulla Parola e costruita sull'acqua. Quando Erma ne chiede la ragione, la donna risponde che gli è stata spiegata precedente mente. Ora, ciò si riferisce alla Prima Visione in cui leg giamo: « Iddio tanto potente, che con virtu invisibile ( ouva(J.Lc; à.épa-.oc;) e grande, possente sapienza ha creato il mondo, ( . . . ) e con parola ( pf\!J.a) onnipossente ha fissato la volta del cielo e posto le fondamenta ( eE(J.EÀ.LWCTac;) della terra sopra le acque, con sapienza e provvidenza ha isti tuito la sua Chiesa e l'ha benedetta » ( I, 3, 4 ). .
7 Su queste diverse forme di preesistenza cfr. N. A. Dahl, Christ, Creation and the Church, in The Background of the New Testament and its Eschatology (Studies in honour of C. H. Dodd), Cambridge, 1956, pp. 425-431 .
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È certo dunque che i due aspetti mistenos1 della Chiesa fondata sulla Parola e costruita sull'acqua devono essere spiegati a partire dal racconto della creazione. Il testo si basa sopra un'analogia, da una parte tra le acque primordiali e le acque battesimali, dall'altra tra la Parola creatrice e il Verbo incarnato. Qui abbiamo dunque il primo esempio dell'accostamento esplicito tra le acque della creazione e quelle della rigenerazione, alle quali la tipologia battesimale riserverà poi un posto cosi grande, particolarmente a partire da Tertulliano (De bapt. , III, l ). D'altronde è possibile che tale analogia si trovi già sullo sfondo di Giov. 3, 5 . Tutto ciò ci lascia nel medesimo contesto che abbiamo trovato sinora. L'unico aspetto nuovo è dato dalla sosti tuzione dell'immagine della donna anziana con quella della torre. Si osservi che non si tratta della costruzione di una città o di un tempio, ma di una torre. Non è impossibile che l'immagine si riferisca essa pure ad un contesto di creazione, essendo la terra considerata come un edificio a forma di piramide che è costruito al di sopra delle acque inferiori. Quest'immagine della torre o della montagna cosmica è familiare alla mentalità semitica: lo testimo niano le zikkurath babilonesi. E, piu tardi, gli Inni di Efrem ci mostrano la terra come la montagna paradisiaca. Se riassumiamo gli elementi di questa visione della Chiesa, essi si riducono a tre : comparazione della Chiesa ad una donna e ad una torre ; preesistenza della Chiesa al resto della creazione; relazione tra questa simbolica e il racconto della Genesi. Possiamo cogliere il contesto di tali elementi? Quanto al primo, esso richiama evidente mente due testi importanti della letteratura apocalittica piu prossima ad Erma, in cui incontriamo lo stesso acco stamento tra l'immagine di una donna e quella di una costruzione. Uno è una visione del IV Esdra. In un quadro assai prossimo a quello del Pastore, Esdra « alzando gli occhi vede una donna alla sua destra » ( IV, 3 , l ). Questa donna è anziana ( IV, 4 , l ) e rappresenta Sion ( IV, 9, 4). Piu oltre si legge: « E non vidi piu una donna, ma una
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città costruita su fondamenta imponenti » ( IV, 7 , 4). Il secondo testo è l 'Apocalisse giovannea in cui tro viamo, ad un tempo, la donna, la città e il contesto della creazione : « E vidi la città santa, una nuova Gerusa lemme, che scendeva dal cielo, da presso Dio, vestita come una sposa novella preparata per il suo sposo » ( 2 1 , 1-2 ). Si potrebbe obiettare che qui non si tratta di una donna anziana. Rimarrebbe tuttavia l'essenziale, dal mo mento che l'immagine resta quella di una donna. Ma Erma presenta pure la Chiesa in una simbolica piu pros sima a quella dell'Apocalisse. Già un primo passo nota che la donna appare innanzitutto « molto anziana », poi « col viso piu giovane », infine « estremamente giovane » (Vis. III, 1 0, 3-5 ). Ma soprattutto un altro passo la pre senta come una donna sposata : « Passato oltre, feci una trentina di passi. ed ecco farmisi incontro una giovane, splendidamente adorna, come se uscisse dalla camera nuziale: aveva un vestito tutto bianco, e anche le sue scarpette erano bianche; era ricoperta fino alla fronte da un velo candido, e portava una corona in capo. Ma aveva i capelli canuti. Comprendendo, per le visioni precedenti, che si trattava della Chiesa, mi sentii inebriare di gioia » (Vis. IV, 2 , 1 -2 ). In questa visione Erma accoppia l'an tichità della Chiesa, sottolineata dai capelli bianchi, al suo carattere di giovane sposa, che richiama l'Apocalisse di Giovanni. Il secondo aspetto di questa ecclesiologia è l'afferma zione della preesistenza della Chiesa: essa è la prima delle creature. Tale affermazione è la piu importante di tutte e costituisce il tratto caratteristico della teologia che stu diamo. Essa è comune a Erma e allo Pseudo-Clemente, ma occupa un posto eminente nello gnosticismo, in cui Ecclesia è uno degli eoni del Pleroma. Il Trattato delle Tre Nature, ritrovato a Nag Hammadi, parla della Chiesa « che pree siste agli eoni » 8 , Teodoto della « Chiesa eletta prima che 8 H. Ch. Puech G. Quispel, Le quatrième écrit du Codex ]ung, in « ve », IX ( 1955), p. 96. -
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fossero gettate le fondamenta del mondo » (Excerpta ex Tbeod. , 41 , 2 ; SC, 147 ; cfr. pure Sophia ].C. , 1 10, 5-1 0 ; Till, 26 1 ) . Ritorneremo su questi testi gnostici . M a il
problema che si pone fin da ora è di sapere in quale con testo di pensiero situare tale concezione. Sovente vi si vede una dottrina gnostica che sarebbe stata adottata dai primi teologi cristiani, in particolare da Paolo 9 • Ma non abbiamo ragione di supporre l'esistenza di influenze gno stiche in Erma: il contesto di pensiero è quello del giu daesimo palestinese. Si trovano in questo delle analogie con l'idea della Chiesa preesistente? Effettivamente quest'idea è molto prossima ad una delle concezioni essenziali dell'apocalittica, quella della preesistenza nascosta presso Dio delle realtà escatologiche. Uno dei casi piu importanti è quello della figura del « Figlio dell'uomo » in Daniele e in I Henoch, che è una figura escatologica, e di cui I Henoch dice: « Prima che il sole o i segni fossero creati, il suo Nome fu pronun ciato davanti al Signore degli Spiriti » ( XLVIII, 3 ). Lo stesso è per la Chiesa : l'Apocalisse di Giovanni ci mo strava la Gerusalemme nuova « che scende dal cielo, dove era vicino a Dio ». La stessa rappresentazione sembra pro prio implicata nel passo di I Henoch in cui si vede il Signore delle pecore - dopo aver sottomesso la vecchia casa, che è la prima Gerusalemme - « apprestare una nuova casa, piu grande e piu bella della prima » ( XC, 2 9 ). Piu esplicitamente ancora II Baruch parla della costru zione « che fu preparata in anticipo, sin dai tempi in cui Dio meditava di fare il Paradiso, e che fu mostrata ad Adamo prima del suo peccato, ma che gli fu tolta, come il Paradiso, quando peccò. Ed ora essa è conservata vicino a me, come il Paradiso » ( IV, 3-6 ). Cosf la città santa, al pari del Paradiso, appartiene alle realtà create per prime, ma che Dio tiene riservate presso di sé. Tale era, precisamente, il caso del Paradiso in I Henoch. L'albero di vita, che è vicino alla montagna 9 H. Schlier, Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit., pp. 60-75.
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paradisiaca, « non può venire toccato da nessun essere di carne prima del grande giudizio. Allora esso sarà dato ai
giusti e agli umili. Allora io benedii il Dio di gloria perché aveva preparato simili ricompense agli uomini giusti e creato tali cose » ( XXV, 4-7 ). Cosi il Figlio dell'uomo, il Paradiso, la città santa, fanno parte di un insieme di realtà create per prime. La tradizione giudaica ne conserverà il ricordo: « Sette cose sono state create prima della crea zione del mondo : la Legge, la Penitenza, il Paradiso, l'Inferno, il Trono di gloria, il Santuario e il Nome del Messia » (B. Pesakhim, 53a). La preesistenza del santuario sembra dunque proprio un tema apocalittico giudaico che l'apocalittica cristiana applica alla Chiesa. D'altra parte prima di Erma l'apocalittica cristiana ce ne offre degli esempi. Abbiamo citato l'Apocalisse di Gio vanni, ma accanto ad essa si può cit-are la Lettera agli Ebrei, dove si parla della « Gerusalemme celeste, dell'as semblea dei primogeniti iscritti nei cieli » ( 1 2 , 22-23 ). Sembra proprio che qui si tratti degli eletti, iscritti sulle tavolette celesti, vale a dire predestinati nel disegno di Dio. Peraltro l'idea della preesistenza in Dio della comu nità escatologica compare in I Henoch. Nel giudeo-cristia nesimo propriamente detto si può citare il testo assai arcaico dell Ascen sione d'Isaia, in cui si parla della « di , scesa dell'Angelo della Chiesa che è nei cieli » ( II I , 1 5 ) 10 discesa che si colloca tra la Passione e la Resurrezione. Ora, per l'autore l'angelo della Chiesa è la Chiesa stessa, nella sua realtà preesistente, cioè l'immagine è parallela a quella della donna anziana di Erma ( cfr. pure Odi Salom. , IV, 3 ). Come interpretare questo tema passato dall'apocalit tica giudaica a quella cristiana? Siamo in presenza della concezione gnostica di un mondo superiore di cui il mondo inferiore è la degradazione? Questa concezione sembra radicalmente estranea all'apocalittica giudaica, per la quale '
10 In I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Erbetta, III: Lettere e Apo calissi, cit.
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s i tratta di una preesistenza delle realtà escatologiche, nascoste in Dio prima dei tempi, ma che non saranno manifestate che alla fine. Tale è la concezione di Paolo in E/. 3, 9-10. Le espressioni « cu stodite » , « conservate », che accompagnano sempre queste realtà, manifestano che esse non sono ancora compiute, ma che sussistono nel consiglio di Dio. Solt anto il realismo del pensiero semitico designa questo modo di esistenza come una prima crea zione. Di ciò si può cogliere la prova nel fatto che pure i nomi dei giusti fanno parte per I Henoch delle realtà preesistenti. Ora ciò non significa evidentemente una pree sistenza delle anime nel senso platonico, ma una predesti nazione nel senso paolina 11• Cosi la teologia della Chiesa preesistente nel Pastore ci sembra dipendere da un insieme di speculazioni comuni all'apocalittica giudaica e all'apocalittica giudeo-cristiana 12• È in seguito che queste speculazioni sono stat·e riprese secondo prospettive che erano loro estranee. Ciò apparirà da una parte nello gnosticismo, in cui la concezione della Chiesa escatologica preesistente diventa quella dell'eone Ecdesia, uno dei piu importanti del Pleroma. In un'altra linea, incontriamo in Filone una trasposizione dei temi della gnosi giudaica in una prospettiva platonica: il Para diso è identificato con la Sapienza preesistente. Ci sareb bero cosi da determinare le diverse componenti della con cezione origenista della preesistenza delle anime. Queste diverse concezioni non c'interessano qui in quanto tali, ma dovremo ritrovarle nella misura in cui ci hanno conservato dei dati ricavati dall'apocalittica giudeo-cristiana. Rimane tuttavia che un ultimo elemento aveva attirato la nostra attenzione nelle dottrine di Erma sulla Chiesa preesistente: si tratta della loro relazione con il racconto della creazione nella Genesi. Sembra che qui raggiungiamo un'ultima determinazione. In effetti i riferimenti all'apo calittica non permettevano di definire completamente il 1 1 Cfr. N. A. Dahl, Christ, Creation and the Church, cit., pp. 428429, che distingue preesistenza, prefigurazione e predestinazione. 12 Cfr. anche Clemente Aless., Strom., VII, 17; GCS, 107, 3-6.
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milieu del pensiero di Erma. Questi riferimenti alla Genesi sembrerebbero implicare un elemento in piu, quello di un'esegesi dell'Esamerone in cui gli elementi del rac conto della creazione non sono interpretati in senso lette rale, bensi in un senso nascosto in cui designano delle realtà misteriose preesistenti al mondo materiale. Specula zioni di questo genere, come abbiamo visto, sembrano pre supposte nel mondo giudaico del tempo. Esse stanno sullo sfondo delle Questioni sulla Genesi di Filone, che cita delle interpretazioni anteriori, e sono passate dal milieu giudaico a quello giudeo-cristiano. Ora, in questo ambiente tali speculazioni interessano particolarmente l'ecclesiologia. Anastasio il Sinaita, al momento di imerpretare l'Esamerone nel senso di una profezia sulla Chiesa futura, desidera mostrare che ha dei precedenti sui quali appoggiarsi e scrive : « Prendendo il nostro punto di partenza in Papia, il celebre vescovo di Ierapolis che frequentò il discepolo diletto, in Clemente, in Panteno, il prete della chiesa di Alessandria, nel dottis simo Ammonio, negli esegeti antichi, anteriori ai primi concili, che hanno interpretato l'Esamerone per mezzo del Cristo e della Chiesa » 13 • Non si poteva essere piu espli citi. A meno di respingere in blocco le testimonianze di Anastasio, dobbiamo ammettere che l'ambiente asiatico dei presbiteri ha conosciuto un'esegesi della creazione interpretata per mezzo della Chiesa: ciò ricorda strana mente l'inizio del Pastore. Tuttavia non possediamo dei testi di Papia che confermino tale esegesi. Ma Anastasio cita peraltro Panteno, Clemente ( Alessandrino), Ammonio Sacca. La tradizione alessandrina ci dà una conferma di questa affermazione? Una notevole testimonianza è presente nelle Eclogae propheticae di Clemente Alessandrino. Abbiamo visto che in quest'opera l'autore ci trasmetteva tradizioni risalenti ai presbiteri, cioè alla comunità palestinese primitiva (Strom. , I, l , 1 1 ; GCS, 9 ). Eusebio di Cesarea ne dà la . . .
13 E. Preuschen, Antilegomena, cit.,
p. 96.
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conferma: « Nel libro primo ( degli Stromata, Clemente) attesta che egli fu vicinissimo alla prima successione degli Apostoli e promette di comporre un commento alla Genesi. Nel Trattato sulla Pasqua afferma di essere stato indotto dai suoi amici a tramandare ai posteri, fissandole per iscritto, le tradizioni udite e ricevute dagli antichi presbi teri » ( Hist. Eccl. , VI, 1 3 , 8 ) 14 • La citazione dei commenti della Genesi in questo contesto li pone direttamente in relazione con le tradizioni dei presbiteri, cioè del milieu apostolico e della comunità giudeo-cristiana. Ma soprattutto, come abbiamo visto, le Eclogae sono composte in buona parte di commenti della Genesi. I cieli e le acque, menzionati nel racconto della creazione, desi gnano le potenze pure ( I, l ; GCS, 1 3 7 ). Il cielo e la terra di Gen. l , l significano le cose terrestri e le cose celesti, cioè le realtà carnali e quelle spirituali ( III, 1-3 ; 1 37-1 3 8 ). Il principio ( àpx-1] ) è il Figlio ( IV, 1 ). A proposito di Gen. l , 2 è detto che « è per mezzo dell'acqua e dello Spirito che si produce la rigenerazione ( àvrx.yÉV'II1J CTLc;), come pure tutta la creazione ( yÉVECTLc;) » ( VII, l ; 1 3 8 ). Le acque celesti designano lo Spirito Santo (VIII, l ; 1 3 8 ). Peraltro gli angeli protoctisti vengono nominati a piu riprese (LI, 2 ; LVI, 7; LVII, l ; 1 5 3 ) . Due sono i punti i n cui i contatti tra questo testo e il Pastore sono notevoli. Da una parte troviamo la tipo logia battesimale delle acque primordiali, con allusione a Giov. 3 , 5 ; dall'altra il testo è l'unico, assieme al Pastore, nel quale siano nominati i Protoctisti. Non è indifferente che ciò accada in un commento dell'Esamerone. Ci ricor diamo, infatti, che nel trattato pseudo-ciprianeo De cente sima sexagesima tricesima, in cui abbiamo riconosciuto un materiale giudeo-cristiano, la creazione dei sei giorni signi fica quella dei sei Arcangeli. Ora, in Erma si tratta dei sei Protoctisti. Il settimo è il Verbo per Erma come per l'autore anonimo. Peraltro Clemente, nel contesto stesso 14 In Eusebio, Storia ecclesiastica e I martiri della Palestina, a cura di G. Del Ton, cit.
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in cui parla dei Protoctisti, dice che « gli angeli sono chia mati giorni » ( LVI, 6 ; 1 5 3 ). La dottrina dei Protoctisti sembra dunque riallacciarsi essa pure ad un'int·erpretazione
anagogica della Genesi. D'altra parte è chiaro che qui Clemente non dipende da Erma. La sua interpretazione, benché abbia elementi materiali in comune, è d'un'ispirazione del tutto diversa, piu platonica e meno escatologica. E non c'è alcuna ragione di supporre che Erma dipenda da Papia. La sola spiega zione perciò è quella dell'esistenza di un'esegesi della Genesi nella comunità primitiva - presso i presbiteri che costituisca la fonte comune dei nostri autori. Questa esegesi era caratterizzata dal fatto che gli episodi dell'Esa merone non venivano interpretati mediante la creazione del mondo materiale, ma per mezzo di realtà spirituali preesistenti. Tali realtà sono per Erma - in una prospet tiva escatologica - la Chiesa preesistente nel pensiero divino. Clemente vi coglie, nel senso di un realismo plato nico, la creazione spirituale, angelica, anteriore a quella degli uomini.
La sposa di Cristo La seconda forma sotto la quale si presenta il tema della Chiesa preesistente è quella che troviamo in II Clem. : « O fratelli, solo compiendo la volontà di Dio Padre nostro apparteniamo alla Chiesa prima ('f) 'ExxÀ.TJ O'La. 'h 1tPW1:TJ), quella spirituale, creata prima del sole e della luna; ma se non faremo la volontà del Signore, si verificherà per noi quel detto della Scrittura: La mia casa è diventata una spelonca di ladri. Scegliamo perciò di appartenere alla Chiesa vivente, per potere cosi salvarci. Non credo che voi ignoriate che la Chiesa vivente ( swO'a.) è il corpo di Cristo. Infatti la Scrittura dice: Dio creò l'uomo maschio e femmina. Ebbene: il maschio è Cristo, la femmina è la Chiesa. Anche i libri dei Profeti e degli Apostoli ci insegnano che la Chiesa non è solo dei nostri
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giorni, ma esiste già da tempo : essa era solo spirituale, come anche il nostro Gesu, ma si è resa visibile ( ÈcpavE pw6'!') ) in questi ultimi tempi, per la nostra salvezza » ( XIV, 1-2). I contatti tra questo testo e quelli che abbiamo prece dentemente studiato sono evidenti. Ritroviamo infatti la stessa espressione di Erma, che parlava ugualmente della Chiesa « la quale fu creata per prima » ( 1tpw1:T) ÈX1:L0'6'!')). Una volta di piu, dunque, è la Chiesa « protoctista » che compare qui, il che costituisce una prima ind icazione per orientarci verso lo stesso contesto dell'apocalittica giudeo cristiana. Peraltro è difficile non riconoscere un'influenza paolina - e piu in particolare della Lettera agli Efesini nella concezione della Chiesa « corpo di Cristo » e nella tipologia di Adamo ed Eva come figura dell'unione di Cristo con la Chiesa. Infine, come abbiamo visto, il tema stesso della Chiesa sposa di Cristo si trovava nell'Apoca lisse di Giovanni e si collega alle immagini nuziali con cui i Profeti avevano descritto l'unione di J ahweh con I sraele. La II Lettera di Clemente vuole dare senza dubbio questo riferimento a Paolo e all'Antico Testamento quando parla dei « libri dei Profeti e degli Apostoli » . Ma rimane che qui vi è un elemento nuovo, quello dell'unione preesistente del Cristo con la Chiesa 15 • Questo tema merita uno studio particolare. Infatti, abbastanza raro presso gli ortodossi, esso occupa un posto di assoluta preminenza nelle dottrine gnostiche. Si tratta qui di un tema giudeo-cristiano trasposto nello gnosticismo o, al contrario, siamo in presenza di un tema specificamente gnostico? Siamo condotti al famoso problema: all'origine di questo tema c'è un mito ellenistico ( come ha supposto Schlier sulla traccia di Reitzenstein ), oppure siamo in pre senza dell'elaborazione di una speculazione giudeo-cristiana 1 5 Cfr. H. Schlier, Christus und die Kirche im Ephesebrief, cit., pp. 60-75; L. Cerfaux, La théologie de l'Église suivant Saint Paul, cit., pp. 275-287 ; A. Orbe, Cristo y la Iglesia en su matrimonio anterior a los siglos, cit., pp. 299-344.
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d'origine biblica? Questo è il primo problema che ci porremo. Un fatto notevole è dato dall'importanza di Ecclesia nella gnosi valentiniana tra gli eoni del Pleroma preesi stente. E tale fatto singolare non può essere spiegat.o se non con speculazioni anteriori sulla Chiesa preesistente. Poiché il materiale utilizzato dal valentinianesimo è giu deo-cristiano, questi sviluppi ci permettono di utilizzare la dottrina valentiniana come un documento sulla teologia giudeo-cristiana. Le notizie di Ireneo e di Ippolito atte stavano già la cosa, confermata in modo decisivo dai manoscritti del Codex Jung. Tali speculazioni hanno tut tavia forme diverse 16 che dobbiamo esaminare, perché la loro analisi dettagliata potrà fornirci degli elementi per ricostruire la dottrina giudeo-cristiana soggiacente. La Grande Notizia, con cui si apre l'Adversus haereses di Ireneo, riassume con verosimiglianza la dottrina della scuola valentiniana occidentale alla fine del secondo secolo e piu precisamente quella di Tolomeo 17 • In questa dottrina incontriamo la sizigia Anthropos-Ecclesia, che è la quarta ogdoade primordiale (à.pxÉyovov) (Adv. haer. , I, l , 1 ), ma essa è preceduta immediatamente dalla coppia Logos-Zoè. D'altra parte sono queste due coppie che genereranno i ventidue eoni che completeranno il Pleroma. Sembra dunque che ci sia qui uno sdoppiamento della coppia Christus-Ecclesia 18 , che pare d'altronde confermato dalla notizia stessa in cui si legge un po' piu oltre: « Essi dicono che le coppie che sono nel Pleroma sono state annunciate da Paolo in uno solo. Egli infatti dice a pro posito della coppia terrestre: Quello è un grande mistero, voglio dire relativamente a Cristo e alla Chiesa » ( I, 8 , 4 }. Già qui noteremo diversi riferimenti preziosi. Da una parte la coppia Cristo-Chiesa è riferita alla dottrina della
16 Cfr. H. Ch. Puech G. Quispel, Le quatrième écrit du Codex ]ung, cit. 17 F. M. Sagnard, La gnose valentinienne et le témoignage de St. Irénée, cit., pp. 140-198. 18 A. Orbe, Cristo y la lglesia, cit., p. 3 12. -
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Lettera agli Efesini, che appare cosi come una delle sue fonti. Peraltro, attraverso questa, essa viene collegata alla tipologia di Adamo ed Eva. Tutto ciò indica già un con testo giudeo-cristiano. D'altra parte parecchie espressioni richiamano già lo Pseudo-Clemente. n termine à.px,ÉyO'\IO'V sembra proprio una trasposizione del « protoctista » delle apocalissi, soprattutto il parallelismo Ecclesia-Zoè ha la sua eco nella Lettera in cui la Chiesa è chiamata Chiesa vivente ( swO"a} o Chiesa della vita ( .,;fiç swfiç) 19• Un gruppo di discepoli di Tolomeo fa di Anthropos-Ecclesia la terza sizigia e di Logos-Zoè la quarta (Adv. haer. , I, 1 2 , 3 ). La notizia di Ireneo su Marco il Mago mostra che costui ha la stessa concezione presente in Tolomeo: Anthropos-Ecclesia è la quarta sizigia dell'ogdoade ( I, 1 4 , 5 ). Tuttavia Marco presenta due curiose esegesi. Nel l'una vede nella scena dell'Annunciazione una figura della nostra tetrade: Gabriele corrisponde a Logos, lo Spirito Santo a Zoè, la virtu dell'Altissimo ad Anthropos, la Ver gine all'Ecclesia ( I, 1 5 , 3 ). Ora, queste assimilazioni si basano su speculazioni giudeo-cristiane : l'abbiamo visto per l'identificazione della Chiesa con lo Spirito, che ritro veremo. Infine è frequente il tema della Chiesa come Ver gine: è già in Paolo ( II Cor. 1 1 , 2 ), e una testimonianza di Egesippo dimostra che esso è giudeo-cristiano 20 • L'aspetto singolare è che qui la vergine è la Vergine Maria: si ha cosi il primo esempio dell'identificazione di Maria con la Chiesa 2 1 • L'altra esegesi di Marco è piu interessante per il nostro discorso, in quanto ci conduce di nuovo all'Esame rane. Si tratta del commento di Gen. 1 , 2 : « Le tenebre coprivano l'abisso e lo Spirito di Dio planava sulle acque » . 19 S i osservi inoltre che l'espressione « la Chiesa viene da In-Alto » (avw6Ev) trova il suo equivalente in Tolomeo che parla della « Chiesa d'In-Alto » (avw), (1, 5, 6). 20 Eusebio, Hist. eccl., IV, 22, 4. 21 A. Muller, Ecclesia-Maria. Die Einheit Marias und der Kirche, 1951, p. 34.
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La notizia vede in ciò la seconda tetrade, ma non è detto se la Chiesa è identificata con lo Spirito o con le acque primordiali. Le due interpretazioni sono possibili e interessanti: la prima approderebbe all'assimilazione dello Spirito con la Chiesa di cui abbiamo prima parlato; la seconda richiamerebbe quanto abbiamo incontrato in Erma e in Clemente Alessandrino. Eccoci, una volta di piu e per una via diversa, ricondotti all'esegesi ecclesio logica della cosmogonia e quindi alla gnosi giudeo-cri stiana. Un'altra tradizione della scuola valentiniana occiden tale è quella di Eracleone. Gli estratti che possediamo di lui tramite Origene non contengono speculazioni sulla Chiesa preesistente, tuttavia vi si incontra l'espressione « Chiesa spirituale » (1tVEUiJ.tX1:�x1} ) (Comm. in ]oh. , XIII, 5 1 ; GCS, 279 ) che si trovava nella II Clem. come sino nimo della Chiesa creata per prima. È dunque proprio questa che possiamo riconoscere qui, ma tale lacuna ri guardante Eracleone è oggi colmata se riconosciamo come suo il Trattato delle Tre Nature scoperto a Nag Hammadi. Dopo la dimostrazione di Puech e Quispel, la cosa sembra verosimile 22 • In effetti si tratta di una gnosi valentiniana occidentale che, peraltro, differisce da quella di Tolomeo. L'attribuzione a Eracleone è quindi naturale. Questo testo presenta una teologia della Chiesa preesistente molto piu prossima a quella di II Clem. di quanto abbiamo visto si nora, perché la Chiesa non sembra un eone tra gli altri, ma come associata al solo Figlio nella preesistenza. Leggiamo infatti in un primo passo : « Non soltanto il Figlio esiste dall'inizio, ma ancora la Chiesa esiste, essa pure dall'inizio » ( pp. 57, 3 5 ) 23• E poco piu oltre si parla della « Chiesa che esiste prima degli Eoni » (pp. 58, 30). Come scrivono Puech e Quispel : « Se ben compren diamo, la Chiesa sarebbe nata da sempre, nella perma nenza che non ha né inizio né fine, dell'atto con cui il 22 H. Ch. Puech cit., pp. 100-102. 23 Ibidem, p. 94.
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Figlio si concepisce come tale, dell'abbraccio che unisce il Figlio al Padre . . . In ogni modo, sembra proprio che la generazione della Chiesa, come quella del Figlio, sia ante riore alla generazione degli Eoni e distinta da essa. Consi derata probabilmente come la Sposa del Figlio, questa 'ExxÀ.T)o-La è senza dubbio la Chiesa preesistente, la Chiesa prima o primordiale che, verso la stessa epoca, l'omelia detta II Lettera di Clemente concepiva dal canto suo come " spirituale " , " originata dall'Alto " , " creata prima del sole e della luna " » 24 • Il Trattato delle Tre Nature presenta cosi una conce zione della Chiesa preesistente assai prossima a quella della Lettera, ma nello stesso tempo la introduce in uno schema nuovo: mettendo la sua generazione sullo stesso piano di quella del Figlio ne fa cosf la terza persona di una Trinità. « Tutto si svolge come se l'autore del Trat tato avesse deliberatamente rimaneggiato lo schema esi stente e, congiungendo la Chiesa col Figlio - innalzan dola cosf al secondo posto immediatamente dopo il Padre - l'avesse semplificato e modificato nel senso di una Triade, di una Trinità, l'ogdoade del valentinianesimo clas sico. D'altra parte, quando afferma che il Figlio e la Chiesa esistono " sin dall'inizio" , cioè da tutta l'eternità, potrebbe darsi che egli fosse assai prossimo a concepire la sua Triade sotto l'aspetto di una Trinità ontologica » 25• Siamo dunque in presenza di una nuova linea di con siderazioni. Abbiamo già notato le relazioni della Chiesa con il Pneuma, lo Spirito Santo. Abbiamo pure constatato le sue relazioni con la Sapienza, Sofia: siamo dunque qui in presenza di una concezione in cui la Chiesa appare in relazione con la Terza Persona della Trinità. Ciò nella prospettiva di Eracleone si riferisce ad una concezione gno stica degli eoni che è estranea alla Grande Chiesa ma qui ancora egli non fa che riprendere uno schema di questa. G. Kretschmar in effetti ha dimostrato che esiste una linea p . 97. Ibidem, p. 96.
24 Ibidem, 25
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teologica trinitaria in cui la Terza Persona è la Sapienza, piu o meno identificata con la Chiesa 26• Tale linea è quella di Teofilo d'Antiochia e presenta un indubbio carattere giudeo-cristiano; ma ciò corrisponde ad un'altra linea di ricerca riguardante la Chiesa e la Sapienza, che sarà l'og getto dell'ultima parte del capitolo. Speculazioni sulla Chiesa preesistente, analoghe a quel le che abbiamo sinora incontrato nella gnosi valentiniana, si ritrovano presso altre sette gnostiche. Cosi nella notizia di Ireneo sugli Ofiti, la quale ci mostra il Padre identifi cato col Primo Uomo che genera il Secondo Uomo e lo Spirito Santo. Questi, a loro volta, generano il Cristo e « la santa e autentica Chiesa » che è « un eone incorrut tibile » ( Adv. haer. , I, 30, 2 ). È notevole il fatto che qui abbiamo il binomio paolina Christus-Ecclesia. Peraltro questa genealogia si colloca nel contesto di una esegesi dei primi versetti della Genesi ( l , 30, l ). Cosi incontriamo ad un tempo nella II Clem. e nella speculazione valentiniana una dottrina della Chiesa preesi stente caratterizzata dal fatto che la Chiesa è presentata come sposa di Cristo. Possiamo determinare il milieu di origine di questa rappresentazione? Vi è stata vista so vente una trasposizione cristiana del mito dell'anthropos androgino. A proposito dello Pseudo-Clemente, H. Schlier scrive che egli « mostra chiaramente che il mito dell'an thropos androgino non gli era sconosciuto » 27 • Ma i pochi riferimenti dati a questo proposito circa l'esistenza del mito nel pensiero ellenistico del tempo non sembrano de cisivi. Che questo influsso compaia nei testi gnostici, in cui l'opposizione maschile-femminile appartiene alla strut tura stessa del Pleroma, è certo. Esso deve collegarsi ad un elemento essenziale del paganesimo, quello della cop pia degli dèi e delle dee, ma ciò sembra profondamente estraneo al pensiero giudaico e cristiano. Sembrerebbe che noi vediamo presso gli Gnostici, una volta di piu, una tra26
Studien zur friihchristlichen Trinitatstheologie, cit., pp. 27-62. p. 67.
27 Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit.,
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sposizione di un tema ante riore del giudeo-cristianesimo. Possiamo determinare il milieu di questo tema? Occorre ritornare sul testo dello Pseudo-Olemente e completarlo. Effettivamente esso non sottolinea soltanto la coppia Cristo-Chiesa, ma anche il fatto della Chiesa come « corpo di Cris to ». « Non credo che voi ignoriate che la Chiesa vivente è il corpo di Cristo. Infatti la Scrit tura dice: Dio creò l'uomo maschio e femmina. Ebbene: il maschio è Cristo, la femmina � la Chiesa » ( Il Clem. , XIV, 2 ). Piu oltre il testo prosegue con ques to difficile passo: « La Chiesa dunque, che era spirituale, si mani festò nella carne di Cristo, facendoci cosf comprendere chiaramente che chi la rispetta nella carne e non la cor rompe potrà poi riceverla nello Spirito Santo. Di fatto questa carne è la copia dello Spirito, e chi corrompe la copia, non potrà certo partecipare all'originale. In altre parole, o fratelli, tutto ciò significa : Custodite la vostra carne per aver parte allo Spirito. Se diciamo che la Chiesa è la carne, e Cristo lo Spirito, ne consegue che chi diso nora la carne, disonora la Chiesa » (XIV, 3-4 ). Come ha notato A. Orbe 28 , qui ci sono due opposizioni : una è quella tra il Cristo spirituale e la Chiesa spirituale che è il suo corpo; l'altra è quella tra il Cristo-Spirito e la Chie sa carnale. Di questo duplice tema dovremo stabilire l'origine. Il contesto immediato della prima opposizione è chiaro: è quello delle Lettere paoline e particolarmente di Efesini, dove leggiamo : « [ Dio ] ha fatto [ il Cristo] capo emi nente della Chiesa che è il suo corpo ( O"w�a) » ( l , 23 ) . Osserveremo tuttavia che in Paolo l'opposizione è tra la testa e il corpo. La si ritrova in Col. l , 1 8 : « [ Cristo ] è la testa del corpo della Chiesa » . Ora, il nostro passo non fa alcuna allusione al Cristo come testa. La Chiesa è il corpo non in quanto si oppone al Cristo, che sarebbe la testa, ma in quanto essa è l'elemento femminile che si op pone all'elemento maschile. Abbiamo perciò una strana 28
Cristo y la Iglesia, cit., pp. 336-340.
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equazione : donna = corpo, che è l'unica sulla quale si basa l'intero passo della II Lettera di Clemente. Questa equivalenza non è tuttavia senza corrispon dente in Paolo. Nella Lettera agli Efesini, infatti, lo ve diamo passare dall'equazione testa-corpo a quella di uomo donna: « E voi mariti amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa . . . Cosi i mariti devono amare le loro mogli come i loro propri corpi. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, ma la nutre e la circonda di cure, come Cristo fa per la Chiesa, perché noi siamo membra del suo corpo, formati dalla sua carne e dalle sue ossa: per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne ( Gen. 2, 24 ) . Grande mistero è questo, voglio dire in rapporto al Cristo e alla Chiesa » ( 5 , 25-32 ). Si accosterà pure quest'altro passo: « Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò io dunque le membra di Cristo per farne membra di una prostituta? Dice infatti la Scrittura che i due formeranno una sola carne ( Gen. 2, 24 ) » (l Cor. 6, 15-16 ) . Qui siamo esattamente nello stesso contesto di II Clem. Ma ciò non fa che spostare indietro il problema, perché il problema delle fonti si pone allora a livello della Lettera agli Efesini. Scnlier pensa di risolvere questo pro blema riferendosi all'&:v8pw1toç androgino. Questo è un unico corpo di cui l'uomo e la donna sono due aspetti 29• L'€v cn7.l�a qui non è l'unione della testa con le membra, ma dell'elemento maschile con l'elemento femminile. Tale spiegazione è certamente possibile. Orbe vi aderisce per la IJ Clem. , ma la scarta per la Lettera agli Efesini. Tale distinzione ci sembra del tutto arbitraria. Il contesto di pensiero è evidentemente lo stesso, ma non è possibile un altro contesto? L. Cerfaux lo suggerisce quando parla del « ruolo certamente esagerato attribuito al mito dell'An thropos nella spiegazione della teologia del corpo mi29 Cfr. pure D. Daube, The New Testament and Rabbinic Juda'ism, London, 1956, pp. 71-86.
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stico » 30• Ma si ferma H e non indica ciò che potrebbe rappresentare il punto di partenza del tema. I due testi di Paolo e quello della II Lettera di Cle mente, che abbiamo citato, hanno in comune un aspetto notevole: è il riferimento ai capp. l e 2 deHa Genesi rela tivi alla creazione della donna. La Lettera cita Gen. l , 27 sulla distinzione tra l'uomo e la donna , ma ricordando che la Chiesa è il corpo di Cristo, essa rinvia implicita mente a 2, 24 : « Essi saranno una sola carne », ed è que sto versetto che Paolo cita . Altri tratti della Lettera rin viano a questi capitoli. Abbiamo già notato che le espres sioni : « Chiesa di vita », « Chiesa vivente » sono delle allusioni a Gen. 3, 20 in cui Eva è chiamata « madre dei viventi » 31 • Tutto ciò costituisce un contesto in cui la espressione dell'unità di corpo tra Cristo e la Chiesa trova la sua giustificazione senza ricorrere all'intervento proble matico del mito dell'Anthropos. Ora, tale contesto è quel lo del racconto biblico della creazione della donna. Siamo quindi di nuovo ricondotti ai primi capitoli della Genesi come punto di partenza della teologia della Chiesa. Ora, è notevole il fatto che su questo Ev O"WIJ.a il giu deo-cristianesimo offra una testimonianza importante: quella di Erma, giustamente segnalata da H. Schlier 32 • Erma dunque appare qui testimone del secondo tema della speculazione ecclesiale della Genesi. Qui si tratta proprio della Chiesa preesistente. « Come vedi - si legge - la torre viene a formare un solo blocco con la roccia; in questo modo anche coloro che hanno creduto al Signore per mezzo del suo Figlio ( . . . ) formeranno un solo spiri to e un solo corpo ( Ev 7t'\IEUIJ.a, EV O"WIJ.a ) » (Sim. IX, 1 3 , 5). Piu sopra l a torre è stata identificata con l a donna anziana, che è la Chiesa preesistente. L'unità della roccia con la torre è perciò una versione di quella dell'uomo con la donna. E l '€v O"WiJ.tX ha dunque lo stesso significato che .10 La théologie de l'Église suivant Saint Pau!, cit., p. 285 . A. Orbe, Cristo y la Iglesia, cit., p. 3 17. J 2 Cbristus und die Kirche im Epheserbrief, cit., pp. 53-56. .Il
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nella Lettera agli Efesini. D'altronde l'espressione « uno spirito, un corpo », viene da Ef. 4, 4. Tutto ciò ci riconduce all'esegesi ecclesiale di Gen. 2, 4 nel giudeo-cristianesimo, la quale comporta da una parte una linea tipologica che non è specificamente giudeo-cri stiana e che possiamo lasciare da parte 33• Peraltro incon triamo un'altra linea in cui la creazione di Adamo ed Eva non è considerata come la figura di Cristo e della Chiesa a venire, ma come l 'espressione della preesistenza di Cristo e della Chiesa, che è un'esegesi analoga a quella che ab biamo incontrato per i sei giorni. Essa è affermata, ad un tempo, da Papia, da Erma, dalla Lettera agli Efesini e dalla II Lettera di Clemente. Ha degli antecedenti nel giudaesimo ? Qui dobbiamo ritornare ad una strana affermazione di Anastasio il Si naita, il quale accostava a Papia Filone d'Alessanària, come se avesse lui stesso conosciuto una speculazione ( 6EwpCa) d'ordine spirituale ( 'ltVEVIJ.a'ttxwc;) in cui le cose del Paradiso erano interpretate anagogicamente ( &.vaq>É pEw) 34• Questa indicazione comporta una parte di verità. Filone infatti ci presenta un'esegesi della creazione di Ada mo ed Eva in cui essi sono presentati non come il Cristo e la Chiesa preesistente, ma come l'intelletto e la sensa zione costitutivi dell'uomo archetipo, preesistente nel mon do sensibile (Leg. Al!. , I, 2 3 ) . È chiaro, come riconosce A. Orbe 35, che ciò costitui sce l'analogia piu prossima alla concezione che stiamo studiando. Peraltro sembra poco verosimile che Filone ab bia influenzato Paolo ed Erma, dal momento che il tema è interpretato in una linea filosofica estranea a Paolo. Si pone allora il problema di stabilire se vi sarebbe una fonte comune, cioè delle speculazioni nel tardo giudaesimo sul racconto della creazione dell'uomo e della donna. Ora W. D. Davies ha dimostrato che queste speculazioni m 33
Cfr. J. Daniélou, Sacramentum futuri, cit., pp. 37-44. p. 96.
34 E. Preuschen, Antilegomena, cit., 35 Cristo y la !glesia, cit., p. 321 .
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effetti esistono 36• Da una parte nella Vita di Adamo ed Eva, nel IV Esdra, nel II Baruch, negli Oracoli sibillini giudaici ( III, 24-26) si constata un'importanza crescente data al personaggio Adamo. Queste opere vanno dalla metà del primo secolo d.C. alla metà del secondo e sono perciò contemporanee alla letteratura giudeo-cristiana. Ed è pure possibile collegare a quest'epoca numerose specu lazioni che troviamo nel Talmud. Rimane che in questi testi non si parla di un Adamo preesistente, ma soltanto della grandezza di Adamo prima della caduta. Ma vi è un'altra linea da cui si ricavano i tratti di un Adamo celeste preesistente, distinto dall'Ada mo terrestre che ha peccato . Tale concezione compare in I Henoch: il Figlio dell'uomo preesiste presso Dio, con l'insieme delle realtà escatologiche di cui fa parte. Il suo nome è « nominato prima del sole » ( XLVIII, 3 ). Dati analoghi si trovano nella Sapienza, specialmente in un passo notevole di cui M. Dupont-Sommer ha dimostrato l'importanza 37 : « La Sapienza ha custodito il Primoge nito, il Padre del mondo ( 'lta:d)p x60'j.l.ov ) , creato unico, e l'ha preservato da un peccato personale e gli ha dato la potenza per reggere tutte le cose » ( 10, 1-2). Sembra pro prio che vi sia là una speculazione sulla Genesi che ci mo stra un uomo archetipo, unico, estraneo al peccato. È notevole che simili concezioni compaiano contempo raneamente in ambiente ellenistico e in ambiente palesti nese. In effetti ciò spiega come esse si sviluppino su una triplice linea. Da una parte, in Filone, esse incontrano il pensiero platonico. Nella prospettiva del suo realismo il primo Adamo diventa l'archetipo dell'umanità, implicante ad un tempo l'idea di uomo e l'idea di donna, identificati con il vovc; e l'ai:CTlh}CT�c;. Ma lo sviluppo filoniano non è il solo. E. Peterson 38 ha attirato l'attenzione su dei papiri 36 Paul and Rabbinic ]uda'ism, cit., pp. 36-37. Cfr. pure D. Daube, The New Testament and Rabbinic ]uda"ism, cit., pp. 172 ss. 37 Adam père du monde, in « RHR », CXII ( 1939), pp. 182-196. 38 La libération d'Adam de l'Ananké, in « RB », LV ( 1948), pp. 210-2 1 1 .
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magici giudeo-cristiani in cui Adamo è chiamato 1trl:'t"1)p x6a(J.ou come nella Sapienza e dove non si parla neppure di un 1tapa1t't'WIJ.a personale 39• D'altra parte incontriamo una linea palestinese che si esprime in primo luogo negli scritti pseudo-clementini : H. J. Schoeps ha sottolineato l'importanza che vi assume Adamo. Costui è la prima incarnazione del vero profeta, è estraneo al peccato; ricomparirà nel Cristo 40• In se condo luogo si ritrova questa linea nelle speculazioni gno stiche : qui av6pw'ltoc; diventa, come abbiamo visto, uno degli eoni preesistenti del Pleroma. Rimane infine la terza linea che è quella paolina. Essa si mantiene in stretta con tinuità con I Henoch : l'Adamo celeste preesistente fa parte delle realtà escatologiche la cui esistenza è esistenza nel IJ.UO''t'TJptov, nel disegno nascosto di Dio, e non esi stenza reale. In ciò, come ha notato Davies, essa si op pone tanto a Filone, quanto agli scritti clementini. Ciò appare assai chiaramente nel passo notevole della I Lettera ai Corinti, in cui Paolo commenta Gen. 2, 7 : « Il primo uomo, Adamo, è stato fatto anima vivente; il secondo, spirito ( 'Tt'VEVIJ.a) vivificante. Ma non è lo spiri tuale ( 'Tt'VEUIJ.rl.'t'tx6c;) che viene per primo, bensi lo psichico : lo spirituale viene dopo. Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo viene dal cielo » ( 1 5, 45-4 7 ) . Ab biamo qui il tema di I Henoch : la venuta escatologica del Figlio dell'uomo, preesistente presso Dio, ma manifestato per secondo. Ma ciò che Paolo aggiunge è che questa con cezione si iscrive nel quadro di un'esegesi della Genesi e di un'esegesi polemica che si riferisce perciò a delle discus sioni relative a questi testi e che suppongono delle spe culazioni sul primo Adamo spirituale esistente realmente per primo. 39 Esiste ugualmente una speculazione pagana sulla Genesi, quella del Poimandres (C. H. Dodd, Bible and the Greeks, cit., pp. 145-170; E. Haenchen, Aufbau und Theologie des Poimandres, in « ZTK », LUI [ 1956 ] , pp. 170-175). 40 H. ]. Schoeps, Theologie und Geschichte des Judenchristentum, cit., pp. 100-106.
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Ci si dirà tuttavia che tutto ciò si riferisce ad Adamo e non ad Eva. Ma, come ha visto bene Orbe, per Paolo rlv6pw1toc:; designa l'uomo totale, Adamo col suo corpo ( O"W(.l.a), che è l'insieme degli uomini e che è pure desi gnato da lui come la donna in Ef. 5, 28-3 1 . Ora, anche questo dipende dalla problematica giudaica. Davies ha mo strato che nella prospettiva apocalittica l'Eletto, il Figlio dell'uomo, è inseparabile dalla comunità dei santi, dal l'hx).'r)crta. L'uno e l'altra sono nascosti in Dio e l'uno e l'altro sono manifestati escatologicamente 41• Di conseguen za Paolo non farà che sviluppare questa prospettiva esca tologica in un'esegesi della Genesi. Allo stesso modo che Adamo appare come il Figlio dell'uomo preesistente, cosi Eva appare come la comunità escatologica, la Chiesa, creata essa pure per prima e manifestata per ultima. Sembra dunque chiaro che il testo della II Lettera di Clemente è puramente lo sviluppo piu ecclesiologico di questa prospettiva. Come in Paolo, essa è un'esegesi apo calittica della Genesi. Ciò che Paolo diceva del Cristo, che egli è l'Adamo spirituale, preesistente e manifestato alla fine, la Lettera lo dice della Chiesa : essa è l'Eva spirituale ( 1t\IEU(.l.a'ttx1} ), nominata prima del sole, come il Figlio del l'uomo di I Henoch, tra i « beni preparati » . Essa è mani festata negli ultimi ( Ècrxchwv) giorni ( XIV, 2 ), come l'A damo della I Lettera ai Corinti. Questa manifestazione si fa nella carne, come quella di Cristo, ma, a differenza di Cristo che per la Resurrezione è Spirito, la Chiesa è an cora carne sino alla Parusia. Per questo la Lettera può scrivere che « la carne è la Chiesa e lo Spirito è Cristo » ( XIV, 4 ) 42 • Cosi per lo Pseudo-Clemente approderemo alla stessa conclusione che per Erma. Il contesto della sua specula zione sulla Chiesa preesistente è proprio quello dell'apoca littica giudeo-cristiana. È quindi inutile, come fa Orbe, appellarsi ad un milieu gnostico: si tratta si di una gnosi, 41 W. D. Davies, Paul und Rabbinic Juda"ism, cit., p. 56. 42 Su quest'ultimo punto si leggano le giuste osservazioni di A. Orbe,
Cristo y la lglesia, cit., p . 329.
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di u na gnosi nel senso paolina del termine . Qui fac ciamo nostre le conclusioni di Cerfaux sulla teologia della Chiesa celeste in Paolo. Allo stesso contesto si riallaccia
ma
lo Pseudo-Clemente, con una indubbia dipendenza diretta in rapporto a Paolo, che pure Orbe misconosce. Ciò che caratterizza questa speculazione apocalittica nella II Let tera di Clemente come nel Pastore, è che essa si basa su un'esegesi anagogica della Genesi. È questa esegesi anago gica, distinta dalla tipologia, che caratterizza il pensiero che studiamo e che è giudeo-cristiana . La differenza con Erma sta nel fatto che costui commentava l'Esamerone mentre lo Pseudo-Clemente commenta il racconto della creazione dell'uomo e della donna.
Chiesa e Sapienza Le speculazioni sulla Chiesa preesistente sinora esami nate ci portano, in conclusione, a ritornare su una que stione che abbiamo già incontrato : quella delle relazioni tra Chiesa e Sofia, la Sapienza di Dio. Diversi autori in fatti hanno recentemente affermato l'esistenza nel cristia nesimo primitivo di una identificazione tra la Chiesa e la Sapienza preesistente . H. Schlier la giudica una specula zione gnostica che avrebbe influenzato Paolo 43 • G. Kret schmar rifiuta questa opinione e ritiene che tale assimila zione risalga alle speculazioni giudeo-cristiane sulla Sa pienza, influenzate dal giudaesimo ellenistico 44• Entrambi comunque ammettono l'esistenza di questa assimilazione nel cristianesimo primitivo. Ora, ciò a noi sembra senza fondamento. Infatti i testi allegati non sono in alcun modo decisivi. Schlier si basa principalmente su Ef. 3, 1 0-1 1 , in cui Paolo scrive che « la Sapienza varia (Tto�xO..oç) di Dio è nota ai Principati e alle Potestà per mezzo della Chiesa » . È evidente che 43 Christus und die Kirche im Epheserbrief, cit., p. 62. 44 Studien zur fruhchristlichen Trinitiitstheologie, cit. , pp. 36-37.
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qui c'è una relazione tra la Sapienza e la Chiesa. Ma è detto soltanto che la Chiesa manifesta la Sapienza di Dio, senza fare alcuna allusione alla preesistenza. Ci si ricor derà peraltro che è al Verbo che Paolo applica gli attri buti che la Sapienza di Salomone applicava alla Sapienza. Non c'è quindi ragione di supporre in Paolo una dottrina della Chiesa-Sapienza. Abbiamo cosi avuto la conferma della nostra opinione secondo cui la preesistenza della Chiesa nel giudeo-cristia nesimo non è quella della Sapienza ipostatica, ma la pree sistenza intenzionale nel disegno di Dio. Esiste tuttavia un'assimilazione della Chiesa con la Sapienza, ma questa è una dottrina propriamente gnostica che non è, come ritiene lo Schlier, la fonte del pensiero cristiano primitivo, ma, al contrario, è una deformazione della dottrina giudeo cristiana che fa della Chiesa un eone preesistente nel Pie roma e la pone sullo stesso piano del Logos, Pneuma o Sofia. Questa dottrina gnostica si incontra tanto in Teodoto che in Tolomeo. Per il primo abbiamo la testimonianza di Clemente: « La parte visibile di Gesu era la Sapienza e la Chiesa dei semi . . . , come dice Teodoto » ( Excerpta ex Theod. , 26, l ; SC, 1 1 1 ). Orbe ha mostrato come la Chiesa fosse considerata l'insieme dei « semi » spirituali che costituisce Sofia, mentre il Salvatore è costituito dal l'insieme degli angeli 45 • Peraltro la Grande Notizia di Ire neo ci mostra Tolomeo che identifica allo stesso modo la Chiesa con Sofia. La Chiesa quaggiu è perciò la Chiesa Sapienza preesistente decaduta dal Pleroma. Abbiamo visto peraltro che il Trattato delle Tre Na ture conteneva una dottrina ancora piu notevole, in cui l'Ecclesia veniva identificata con la Terza Persona della Triade primordiale. Ciò si basa evidentemente sulle con cezioni giudeo-cristiane, di cui abbiamo l'eco in Teofilo e in Ireneo e nelle quali lo Spirito Santo è identificato con Sofia. Ciò permetteva di passare all'assimilazione radicale 45 A. Orbe, Cristo
y la lglesia, cit., pp.
336-339.
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della Chiesa con lo Spirito Santo. Ma la concezione stessa è estranea al giudeo-cristianesimo; e ne rappresenta una spe culazione puramente gnostica. Possiamo dunque conside rare la sofìologia come una dottrina esclusivamente gno stica, estranea al giudeo-cristianesimo. Possiamo concludere questo studio sull'ecclesiologia giudeo-cristiana secondo le linee seguenti. Attestata prin cipalmente da Erma, dallo Pseudo-Clemente e da Papia, questa ecclesiologia, nella sua sostanza, dipende dall'apo calittica, in quanto scopo di quest'ultima è la dimostrazione deHa preesistenza delle realtà escatologiche nel disegno di Dio. Tale ispirazione aveva già improntato le Lettere della cattività. Ciò che caratterizza i teologi giudeo-cristiani è il fatto che questa dottrina apocalittica si inserisce in un'esegesi anagogica dei primi capitoli della Genesi, la quale sembra essere stata tipica della gnosi giudaica del primo secolo d.C.
Capitolo undicesime
I l millenarismo
Il millenarismo, cioè l'esistenza di un regno terreno del Messia prima della fine dei tempi, tra le dottrine giu deo-cristiane è quella che indubbiamente ha suscitato e continua a suscitare il maggior numero di discussioni. Ma ciò è dovuto certamente alla mancata distinzione di mol teplici elementi. Anzitutto sembra difficile negare che essa contenga dei dati che appartengono al Nuovo Testamento. Dopotutto essa si trova nella I Tess. ( 4, 17 ), nella I Cor. ( 1 5 , 23 ) e nell'Apocalisse di Giovanni ( 20, 1 -6 ) . Il suo nucleo è che Cristo ritornerà su questa terra alla fine dei tempi per ristabilire il suo regno al momento della consu mazione delle cose. Questo è il dato che Marcione conte stava e che Tertulliano aveva ragione di difendere contro di lui ( Adv. Mare. , III, 24) 1• Esso significa soltanto che vi è un intervallo, la cui durata ci è ignota, e che com prende, negli ultimi tempi, il ritorno di Cristo, la resur rezione dei santi, il Giudizio generale e l'instaurazione della nuova creazione 2 • Questa dottrina si trova espressa, nell'Apocalisse e nella teologia giudeo-cristiana, mediante categorie tratte dall'apocalittica giudaica. La concezione di un regno mes sianico che precede l'ultimo Giudizio e la nuova crea zione compare già in Ezechiele. Essa permetteva di ripar tire in due momenti successivi le due serie di profezie escatologiche presenti nella tradizione, le une essendo rifel Cfr. H. Bietenhard, The Millenial Hope in the Early Church, in SJT », VI ( 1953), pp. 15-17. 2 Cfr. O. Cullmann, Konigsberrschaft Cbristi und Kirche im N.T., Baie, 1941, p. 14. «
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rite ad un trionfo terreno del Messia, le altre all'appari zione di una nuova creazione. Tale concezione si precisa nelle apocalissi non canoniche: è presente in I Henoch e in IV Esdra ( III, 5, 3 ) . L'Apocalisse di Baruch descrive questo regno messianico con colori paradisiaci (XXIX, 4 ): sono questi i dati che l'Apocalisse di Giovanni riprenderà per descrivere i tempi della Parusia. Ma occorre aggiungere che gli autori giudeo-cristiani, sulla base di influssi giudaici, inserirono degli elementi piu contestabili. Al regno messianico si applicavano le profezie dell'Antico Testamento o di Cristo riguardanti il mondo futuro. Peraltro le promesse fatte a Israele veni vano prese alla lettera e il millennio appariva come un trionfo del popolo eletto. Si comprende perciò come i cri stiani provenienti dall'ellenismo abbiano trovato queste concezioni « mitiche » , oppure « giudaiche ». Ma non sa pendo distinguere ciò che ricoprivano di valido, essi fini rono per rifiutare in blocco la dottrina del millennio, sia come Gaio che contestò la canonicità dell'Apocalisse, sia come Origene che condannò l'interpretazione letterale del testo, sia come Ticonio e molti moderni che nel millen nio vedevano il tempo della Chiesa.
L'escatologia giudeo-cristiana Il millenarismo è cosf l'espressione giudeo-cristiana del dogma della Parusia. Ne troviamo una testimonianza an tica nell'Ascensione d'Isaia, che, dopo aver descritto il re gno dell'Anticristo, identificato con Beliar, continua: « Quindi, dopo 1 3 32 giorni, il Signore verrà dal settimo cielo con i suoi angeli e le schiere dei santi nella maestà del settimo cielo. Beliar sarà da lui trascinato con le sue tarme nella geenna. Egli darà requie ai pii, che troverà qui nel corpo, tuttora in vita - il sole intanto diverrà rosso di vergogna - e cosf a tutti quelli che, a causa della fede in lui, hanno maledetto Beliar e i suoi re. I santi giunge ranno col Signore nei loro abiti, deposti lassu nel settimo
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cielo. Verranno con il Signore coloro i cui spmu sono rivestiti; scenderanno e si presenteranno nel mondo. Egli infonderà coraggio a quelli trovati nel corpo con i santi, rivestiti dell'abito dei santi. Il Signore servirà coloro che sono stati vigilanti quaggiu. Questi poi si trasformeranno, coprendosi in alto dei loro abiti; il loro corpo però ri marrà nel mondo » ( IV, 1 4- 1 7 ) 3• Questo testo ci pone a contatto con uno stadio assai primitivo della rappresentazione. Il contesto è lo stesso di quello delle Lettere ai Tessalonicesi e ai Corinti, e la dot trina appare qui nella sua forma comune con riferimento alle immagini dell'apocalittica. La Parusia di Cristo com porta anzitutto la vittoria sull'Anticristo (Apoc. 1 9, 19). Beliar è gettato nello stagno di fuoco (Apoc. 1 9, 20; 20, 3; II Tess. l, 9). Allora i santi già morti risuscitano (Apoc. 20, 4 ; I Cor. 15. 23 ; I Tess. 4, 1 6 ). I santi ancora viventi vengono poi trasfigurati ( I Tess. 4, 1 7 ). Gli uni e gli altri regnano sulla terra con il Cristo (Apoc. 20, 4 ) . Questo tempo è chiamato tempo del riposo (II Tess. l , 7 ) o mille anni (Apoc. 20, 4 ) . Poi viene il Giudizio finale, la resur rezione dei cattivi per il castigo e la trasfigurazione dei giusti, che è una seconda resurrezione, e l'entrata nella vita incorruttibile (I Cor. 15, 25; I Tess. 4, 1 7 ; Apoc. 20, 1 3 ) . Siamo qui in presenza di una prima forma di mille narismo, quella che rappresenta la dottrina comune. Essa non si riallaccia ad un gruppo particolare. L'Ascensione d'Isaia l'attesta per l'ambiente siro-palestinese. Le Lettere ai Tessalonicesi ci mostrano quale fosse la fede dei cri stiani di Grecia, poiché Paolo si limita ad apportare delle precisazioni e suppone che tra i suoi corrispondenti sia diffusa l'attesa di questo regno terreno di Cristo 4 • Peral tro la dottrina è sottesa agli sviluppi che dà ad essa l'Apo calisse giovannea. L'affermazione essenziale è quella di uno stato intermedio in cui i santi risuscitati sono ancora 3 In Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III: Lettere e Apocalissi, cit. 4 Cfr. J. Dupont, 'Ev Xp�cr"t"(ii, Louvain, 1952, pp. 40-45.
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sulla terra e non ancora entrati nella loro condizione ul tima. Ma nulla viene detto della natura e della durata di questo stato: si tratta di uno degli aspetti del mistero degli ultimi tempi. All'estremo opposto della corrente rappresentata dal l'Ascensione d'Isaia abbiamo il messianismo ebionita 5 cbe si colloca sul prolungamento del messianismo temporale giudaico e corrisponde a quella tendenza « giudaica » cbe sarà condannata dai Padri della Chiesa. Esso si distingue per il carattere assai materiale del regno messianico at teso. È a questo millenarismo che Girolamo allude quan do scrive: « I Giudei e gli Ebioniti, eredi dell'errore giu daico, che hanno assunto il nome di poveri per umiltà, in tendono in senso letterale tutte le delizie dei mille anni » (Comm. in Jer. , LXVI, 2 0 ; PL, XXIV, 823). Girolamo sot tolinea qui due aspetti importanti : il primo è l'influenza esercitata dal messianismo giudaico su questa corrente ( dovremo ritornarci ); il secondo è il carattere letterale con il quale saranno intese le profezie. La testimonianza di Girolamo sembra confermata da un'altra piu antica e che non ho visto segnalata, quella delle Recognitiones clementine. In essa vediamo Caifa che fa il processo al cristianesimo ortodosso (cioè all'ebioni smo, per l'autore): « Egli tentava di attaccare la dottrina di Gesu, sostenendo che costui aveva affermato delle cose inconsistenti ( uana ): aveva detto che i poveri erano beati, aveva promesso delle ricompense terrene e costituito in eredità terrena la fonte delle ricompense, e promesso che coloro che avrebbero compiuto la giustizia sarebbero stati saziati con cibo e bevanda » (Ree. Clem. , I, 6 1 ). La somiglianza di questo testo con quello di Girolamo è sorprendente. In entrambi si parla dei poveri, che sono gli Ebioniti. L'accento qui non è posto sul ritorno di Cri sto e sul suo regno, ma essenzialmente sulle ricompense materiali dei giusti. Da una parte nei due casi tale spe ranza è fondata su un'esegesi letterale. Ma a questo pro5 Cfr. H. J. Schoeps, Theologie und Geschichte des Judenchristen tums, cit., pp. 82-87.
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posito il testo delle Recognitiones offre una precisazione importante. È evidente che vi si fa allusione alle Beatitu dini: i giusti e i poveri sono « beati » . Si può pme pen sare a Mc. 1 0, 29-30: « Colui che avrà abbandonato casa, o fratelli, o sorelle, o madre , o padre, per causa mia, pos siederà il centuplo in questo mondo » . Ciò dimostra che presso gli Ebioniti esisteva un'esegesi millenarista del Nuovo Testamento, che ritroveremo presso autori orto dossi come Ireneo. L'autentico millenarismo si colloca tra queste due cor renti. Ciò che lo caratterizza è lo sviluppo che esso confe risce alla dottrina comune del ritorno e del regno di Cris to grazie alle categorie dell ' apocalittica giudaica. Esso cos ti tuisce propriamente la teologia giudeo-cristi ana del mille narismo. Se ne trova già traccia nell 'Apocalisse giovannea. Non dobbiamo studiare qui dettagliatamente i versetti 1 12 1 del cap. 1 9 ; noteremo soltanto che vi si rilevano tre elementi. Da una parte vi sono i temi ordinari della Patu sia, della resurrezione dei santi, del regno di Cristo che, come abbiamo visto, si trovano in Paolo 6 • In secondo luogo Giovanni si ispira a Ezech. 36-40, come appare in modo decisivo nell'allusione a Gag e Magog (Ezech. 38, 2 ; Ap o c. 20, 7 ). Infine incontriamo l'allusione ai mille anni ripetuta quattro volte ( 20, 2-6 ) e che si riallaccia all'apo calittica giudaica. Dovremo interrogarci sulla sua origine e sul suo significato. La testimonianza piu arcaica e piu decisiva su questo millenarismo si collega allo stesso milieu asiatico dell'Apo calisse. È quello di Papia, contemporaneo di Policarpo, ma che riporta tradizioni piu antiche che si riallacciano ai tempi apostolici . Eusebio, nella notizia che gli dedica, al lude a questa dottrina nel modo piu esplicito: « Lo stesso Papia espone, come se fossero pervenute sino a lui tra mite una tradizione non scritta, certe strane parabole del Signore, insegnamenti ed altre cose piu fantastiche. In 6 Cfr. I l. Bietenhard, Das Tausendiiihrige Reich, Ziirich, 1955, pp. 60-62; A . Wickenhauser, Das Problem des tausendiiihrige Reiches in der ]ohannt·s-Apocalypse, in « RQ •, XL ( 1 932), pp. 13-27.
32.
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particolare, dice che ci sarà un millennio ( XLÀ.Ltiç) dopo la resurrezione dei morti, dovendo la sovranità di Cristo es sere stabilita corporalmente su questa terra » (Hist. eccl., III, 39, 1 2 ). Ritroviamo qui il tema asiatico del millen nio: ci ritorneremo. Peraltro il testo coincide con quello dell'Ascensione d'Isaia. Si tratta di un regno terreno di Cristo in mezzo ai giusti risuscitati e che precede il Giu dizio. Questi dati di Papia saranno sviluppati assai di piu da Ireneo: « [ La benedizione d '!sacco ] si riallaccia senza dubbio ai tempi del regno [ messianico ] quando i giusti risuscitati regneranno e la creazione rinnovata e liberata produrrà abbondantemente ogni sorta di cibo per mezzo della [ sola ] rugiada del cielo e della fertilità della terra. I presbiteri infatti, che hanno visto Giovanni il discepolo del Signore, raccontano di aver udito da lui che il Signore dava un insegnamento a proposito di questi tempi dicen do: Verranno dei giorni in cui spunteranno delle vigne con 1 0.000 rami ciascuna, e su ogni ramo 1 0 .000 ramo scelli, e su ogni ramoscello 1 0.000 tralci, e su ogni tralcio 1 0 .000 grappoli, e su ogni grappolo 1 0.000 acini, e ogni acino darà 25 misure di vino. E quando uno dei santi prenderà un grappolo, un altro grappolo griderà : Io sono migliore, prendi me, benedici il Signore per mezzo mio » (Adv. haer. , V, 33, 3 ). Ireneo continua mostrando che lo stesso sarà del fru mento e degli altri frutti della terra. E aggiunge: « Tutti gli animali che usano questo cibo ricevuto dalla terra, vi vranno insieme in tranquillo accordo, completamente sot tomessi all'uomo. Queste cose sono pure attestate per iscritto da Papia, discepolo di Giovanni, compagno di Po licarpo, uomo antico, nella quarta delle sue opere. Egli infatti ha scritto cinque libri. E aggiunge queste parole: queste cose sono credibili per coloro che credono. E a Giuda il traditore che non credeva e chiedeva come tali predizioni sarebbero state compiute dal Signore, il Signore avrebbe risposto: Coloro che perverranno a queste cose, le vedranno » (V, 33, 3-4 ).
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L'elemento nuovo che qui compare è quello del rinno vamen to della terra. Essa produrrà senza bisogno di semi nare , né di lavorare: presenterà una fecondità straordi naria. Ciò attesta che durante il regno messianico terreno i risuscitati continueranno a nu trirsi materialmente. Si osservi che Massimo il Confessore, citando Papia, sotto linea questo particolare : « Papia nel suo quarto volume ha parlato dei piaceri del cibo al tempo della resurre zione » (Schol. in Eccl. Hier. 7 ). Ora, ciò corrisponde pro prio a quanto notava l'Ascensione d'Isaia quando sotto lineava che dopo il regno terrestre gli uomini si libere ranno della carne. Vi sarà quindi una prima resurrezione in cui i giusti avranno un corpo trasfigurato, ma ancora terreno e che precederà una seconda trasformazione piu totale. D'altra parte ciò è esplicitamente sviluppato da un au tore posteriore, ma che è un testimone essenziale, assieme ad Ireneo, della tradizione asiatica del millenarismo. Scri ve infatti Metodio d'Olimpia : « Come i Giudei dopo il riposo della festa dei tabernacoli pervennero alla terra della promessa, cosi seguendo Gesu che è penetrato nei cieli, io pure arriverò ai cieli, cessando di abitare nei taber nacoli ( cioè il mio tabernacolo non sarà piu lo stesso) ma essendo trasformato dopo il millennio ( XLÀ.LovtaE'IT}pLç) dalla forma umana corruttibile ad una grandezza e ad una bellezza angelica » ( Conv. , IX, 5 ; GCS, 120). Metodio vede qui nel tempo passato dai Giudei nei « tabernacoli » del deserto prima di entrare nella terra promessa, una figura di ciò che egli piu sopra chiama « il millennio del riposo » e « la resurrezione ». E i « tabernacoli » designa no i corpi dei risuscitati che conservano ancora la loro forma terrena durante il millennio 7• Papia associa all'idea della fecondità spontanea e me7 Si noti che il corpo rimane incorruttibile. In effetti durante il millennio vi è soltanto una longevità eccezionale, quella di Adamo in Paradiso, che era precisamente di mille anni. Soltanto dopo i mille anni viene dato il dono dell'incorruttibilità, come vedremo che Tertul liano dichiarerà piu oltre.
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ravigliosa della natura quella della riconciliazione degli ani mali tra loro e della loro sottomissione all'uomo. Questo è un aspetto antico della descrizione dei tempi messianici che si trova già in Isaia ( 65, 25). Ireneo stesso lo osserva commentando Papia ( V, 33, 4 ). Esso si ritrova nelle apo calissi ( Il Baruch, LXXIII , 6). D'altra parte l'idea che nei tempi messianici la terra produrrà frutti senza il lavoro dell'uomo e che la sua fecondità sarà inaudita ha la sua origine ugualmente nei Profeti (Amos 9 , 1 4 ) ed ha nella apocalittica la forma ripresa da Papia : « Ogni seme semi nato produrrà in essa mille misure per una » ( I Hen., X, 1 9 ) . Ma presso i Profeti e nell'apocalittica queste descri zioni si riferiscono al mondo futuro in generale, conce pito come una trasfìgurazione della terra. L'originalità della tradizione testimoniata da Papia consiste nell'applicare queste descrizioni paradisiache al regno terrestre del Mes sia. Il solo parallelo giudaico è quello di II Baruch, ma esso concerne soltanto la fecondità della terra e non la pace degli animali (XXIX, 3 XXX, 2 ) 8• Si osservi che nell'Apocalisse l'inaudita fecondità degli alberi non è un aspetto del millennio, bens1 della nuova creazione 9, il che ci pone in presenza di una delle componenti caratteristiche del millenarismo asiatico. Esso applica al regno messianico certe profezie dell'Antico Testamento che si riferiscono al mondo futuro. È vero che nei Profeti questi due tipi di profezie non sono distinti. Riconciliazione degli animali ( Is. 65, 25 ), accresciuto splendore del sole e della luna (ls. 30, 26 ), eccezionale fecondità della natura (Amos 9, 13 ): sono queste le profezie che daranno al millenarismo quel carattere « mitico » che colpiva Eusebio, ma che è assente dall'Apocalisse di Giovanni. Rimane da osservare che tali concezioni sembrereb bero essere state quelle di un ambiente abbastanza esteso. In realtà Ireneo le attribuisce anzitutto ai presbiteri, e ag-
s
Lo stesso è di Orac. sib., VII, 146-149.
9 Cfr. pure Visio Pauli, 21-22; M. R. James, Apocrypha Anecdota,
cit., pp. 22-23.
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giunge poi che si trovano anche in Papia: esse non sono quindi proprie di quest'ultimo. Peraltro gli stessi presbi teri, stando a Papia, pre tendevano di averle ricevute da Giovanni che, a sua volta, diceva di averle avute dal Si gnore. Questa attribuzione costituisce un enigma non an cora risolto . È chiaro che non è questione di riferire tali insegnamenti a Cristo. Si tratta almeno di dati che si col legano a tutta la prima comunità cristiana, il che spiega il rispetto con cui un uomo della levatura di Ireneo li ha presi in considerazione. Accanto alla testimonianza di Papia abbiamo altre in dicazioni sulla presenza delle concezioni millenaristiche nel milieu asiatico: quelle degli autori eterodossi. Si tro vano infatti in Cerinto che, secondo Ireneo, fu conosciuto dall'apostolo Giovanni ( Adv. haer. , III, 3 , 4 ) 10• Caio, ci tato da Eusebio, cosi riassume la sua dottrina : « Dice che dopo la resurrezione il regno di Cristo sarà terreno, e che la carne, vivendo di nuovo a Gerusalemme, sarà schiava delle passioni e dei piaceri. Nemico delle Scritture di Dio, sostiene che ci sarà un millennio ( x�À.�ov-.aE"t"La) di feste nuziali » (Hist. ecc!., III, 28, 3 ; Se, 1 37-1 3 8 ). Dionigi di Alessandria attribuiva a Cerinto le stesse vedute (Hist. eccl. , III, 28, 3; se, 1 38 ). Egli precisa in particolare che costui credeva in un ripristino dei sacrifici a Geru salemme, il che si ritroverà nel millenarismo di Apolli nare nel quarto secolo. È curioso come Ireneo, parlando di Cerinto, non facci� allusione al suo millenarismo. Senza dubbio su questo punto non lo considerava affatto eretico. La testimonianza di Cerinto è interessante da un du plice punto di vista. Da una parte essa costituisce infatti un documento sul millenarismo asiatico che viene a com pletare quello di Papia e attesta il carattere arcaico dei temi che ritroveremo presso Ireneo. Ne abbiamo già in contrati parecchi : cosi l'affermazione dei mille anni, che lo \VI. Bauer collega esplicitamente il suo millenarismo a influenze
giudeo-cristiane (art. Chiliasmus, in
«
RAC », I l , col. 1076).
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appare come l'aspetto pm t1p1co della corrente as1at1ca. Per quanto riguarda il cibo materiale durante il millennio, dal momento che lo stato intermedio era uno stato del corpo risuscitato, ma non trasfigurato, il problema doveva porsi. Infine incontriamo un aspetto nuovo, quello della restaurazione della Gerusalemme terrestt:e; esso era estra neo all'Apocalisse che non conosceva che la Gerusalemme celeste secondo la nuova creazione. Lo ritroveremo presso Ireneo. Ma se, per questi aspetti, Cerinto si riallaccia al grup po asiatico di Papia e di Giovanni, per altro verso li inter preta in un senso materialista che denuncia influenze giu daiche e lo avvicina agli Ebioniti. L'accento è posto sui piaceri sensibili durante il millennio. Anche se Eusebio sottolinea questo tratto, rimane che esso si colloca nella linea generale di Cerinto. In secondo luogo si noti l'affer mazione, che si ritroverà in Commodiano ( Inst. , II, 3 ) 11 , secondo cui il matrimonio sussisterà durante il millennio: essa costituirà uno dei punti essenziali delle ulteriori di scussioni sul millenarismo. Infine la restaurazione della Gerusalemme terrestre è accompagnata dalla restaurazione dei sacrifici del Tempio. Questo è un aspetto tipicamente giudaico 12 ed è senza dubbio ad un millenarismo di que sto genere che si riferisce Marcione quando, a detta di Tertulliano ( Adv. Mare. , III, 24), critica coloro che atten dono una restaurazione dei Giudei in Palestina durante i mille anni. Non si dimentichi che Marcione era pure lui asiatico. Questi dati sono particolarmente interessanti per aiu tarci a collocare Cerinto. Essi infatti testimoniano di cor renti giudeo-cristiane asiatiche in cui il messianismo giu daico era particolarmente violento, poiché giungeva al punto di attendere la restaurazione della potenza di Ge rusalemme e del culto del Tempio. Ciò deve essere raf frontato col fatto, notato da Bo Reicke, dell'esistenza di Il
Cfr. H. Bietenhard, The Millenial Hope in the Early Church, cit.,
pp. 24-25.
12 Cfr. qui ancora Commodiano, Carm. apol., 941-946.
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una corrente giudaica assai forte i n Asia, che influiva sulle comunità cristiane e manteneva viva, anche tra i Giudei convertiti al cristianesimo, la speranza di un regno tempo rale del Messia 13 • In nessun momento questa fede messia nica è stata cosi vivace come tra il 50 e il 70, l'epoca, cioè, in cui si situano le correnti da cui dipende Cerinto. La presenza in Asia di queste correnti, altrove meno forti, è senza dubbio legata al fatto che, ad Alessandria e a Roma, il giudaesimo era obbligato ad una maggior pru denza, mentre in Asia esso era meno minacciato e poteva essere piu violento 14•
La prima resurrezione Sembra stabilito che la dottrina del regno terreno di Cristo ha persistito soprattutto nella comunità giudeo-cri stiana asiatica. Non sembra, infatti, che sia continuata nel l'insieme del giudeo-cristianesimo ortodosso. Già in Asia Ireneo, dopo aver esposto l'interpretazione millenaristica della profezia d'Isaia sulla pace tra gli animali, aggiunge: « Non ignoro, d'altronde, che taluni si sforzano di trasfe rire questa profezia, relativa agli animali, ai credenti ve nuti da diverse nazioni e consuetudini e che, dopo aver creduto, non hanno piu avuto che un unico sentimento coi giusti » (Adv. haer. , V, 33, 4 ) . La profezia d'Isaia viene perciò applicata qui al tempo della Chiesa. Tale sembra essere stata in particolare la posizione della comunità giudeo-cristiana di Roma. Le Lettere di Pietro, che danno grande rilievo all'escatologia, non fanno alcuna allusione al millenarismo. La II Piet. 3 , 8, al con trario, citando il testo classico dei millenaristi : « Un gior no del Signore è come mille anni » (Sal. 89, 4 ), l'applica all'intervallo che separa la venuta di Cristo dalla cata strofe finale. Essa sembra dunque intendere il regno dei mille anni come il tempo della Chiesa. Si nota, d'altra 11
Diakonie, Festfreude und Zelos, cit., pp. 283-287. 14 Cfr. G. Dix, Jew and Greek, cit., pp. 53-62.
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parte, come questa concezione, posta ulteriormente come vedremo - in relazione con la dottrina dei sette -
millenni, ha potuto fondare l'attesa della fine del mondo per l'anno 1 000 d.C., avendo la venuta di Cristo inaugu rato il settimo e ultimo millennio. Peraltro è notevole il fatto che né Clemente Romano, né Erma alludono al mil lenarismo. Anzi, per quest'ultimo l'accento è posto sul tempo della Chiesa che precede immediatamente il Giu dizio finale. Ireneo non esclude questa esegesi ecclesiale e ricono sce la legittimità di applicare la profezia della riconcilia zione degli animali all'unione delle nazioni nella Chiesa (V, 3 3 , 4 ; cfr. pure Giustino, Dial., LXXX, 4). Ma da una parte egli afferma che questa interpretazione allegorica non potrebbe esaurire il senso della profezia. Effettivamente Dio è ricco in tutto (V, 3 3, 4 ) . Questa interpretazione ec clesiale non potrebbe rendere conto in modo migliore di tutta la profezia ( V, 35, l ). Soprattutto ciò a cui Ireneo guarda non è questa tipologia ecclesiale, ma l'allegorismo degli Gnostici che svuota tutto il contenuto storico della profezia, trasferendola nel mondo intemporale del Piero ma. Quando Paolo parla della Gerusalemme che è nostra madre, « non parla pensando ad un eone smarrito, né ad una virtu che si è separata dal Pleroma » (V, 35, 2 ). Ireneo dedica al problema i capitoli dell'Advers us hae reses in cui riprende e conferma la tradizione asiatica del millenarismo essenzialmente per combattere questa ese gesi gnostica e in un secondo luogo per difendere il mil lenarismo asiatico. Vi sono in queste pagine degli elementi che dipendono dalla teologia propria di Ireneo e che a questo titolo non c'interessano qui. Ma egli ha raccolto ugualmente tutto un insieme di dati tradizionali che fanno di questo capitolo la grande fonte sul millenarismo asia tico. È da essi che abbiamo già tratto le citazioni di Papia e dei presbiteri. Peraltro queste pagine contengono tutto un dossier biblico che arricchisce le nostre conoscenze del millenarismo giudeo-cristiano e di cui i mporta fare il bi lancio.
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Ireneo dice anzitutto che è necessario che « i giusti in questa creazione rinnovata, risuscitando al momento della apparizione di Dio, ricevano, prima del Giudizio, l'eredità promessa ai Padri e vi regnino » (Adv. haer. , V, 32, 1 ). La prima ragione è che « è necessario che la creazione, re staurata nel suo stato primitivo, sia posta senza impedi menti al servizio dei giusti » : ciò si basa su Rom. 8 , 192 1 . In secondo luogo è soltanto cosi che le promesse fatte ai Patriarchi sono compiute 15• A questo proposito Ireneo dà una lista di testi relativi a tali promesse. Vengono poi delle testimonianze del Nuovo Testamento. Il Cristo, al momento della Cena, dice ai suoi Apostoli che « non berrà piu di questo frutto della vite, fino a che non ne beva di nuovo con loro, nel regno del Padre suo » (Mt. 26, 27-28). Ora, commenta Ireneo, « non si può concepire che il Cri sto, una volta insediato nel luogo superceleste, beva il frutto della vigna con i suoi, né che coloro che lo bevono non abbiano nemmeno il corpo » ( V, 3 3 , 1 ). Ireneo applica pure « ai tempi del regno » la parola sul centuplo promesso « in questo secolo » (Mt. 1 9 , 29). Ecco il suo commento: « Qual è il centuplo promesso in questo secolo e il pranzo al quale sono invitati i poveri e i banchetti dati in ricompensa? Queste cose si compiono nel tempo del regno, cioè nel settimo giorno, il giorno santo in cui Dio si è riposato di tutte le sue opere, che è il vero sabato dei giusti in cui essi non compiono piu opere terrene. Ma essi avranno una tavola tutta servita, preparata da Dio, che li nutrirà con ogni cibo » ( V, 33, 2 ). È a questo proposito che Ireneo porta le testimonianze di Papia e dei presbiteri sull'abbondanza meravigliosa della terra, al di fuori di ogni lavoro. Lascio da parte l'allu sione al settimo giorno e al riposo sabbatico, sui quali ritorneremo e che non sembrano appartenere al millena rismo asiatico originario. Ireneo viene quindi ai testi profetici (V, 34, l ). Il piu
pp.
!5 Cfr. A. Houssiau, La christologie de Saint lrénée, Louvain, 1954, 129-135.
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importante è Is. 65, 2 1-25 che cita due volte e che, come abbiamo visto, è il testo base del millenarismo asiatico. Si noti che questo testo nella versione dei Settanta con tiene il versetto: « Come i giorni dell'albero di vita sa ranno i giorni del mio popolo ». Ireneo non ne fa un commento particolare, ma non si dimentichi che piu so pra ha ricordato che i giorni dell'albero di vita erano di mille anni (V, 23, 2 ). Ritorneremo su questo aspetto. Ire neo invece insiste sulla riconciliazione degli animali. Il ri torno al Paradiso suppone il ritorno degli animali al nutri mento paradisiaco, che era vegetale. Ora, ciò presuppone una vegetazione lussureggiante : « Se il leone avrà soltanto del fieno da mangiare, quale sarà il frumento il cui fieno basterà a nutrire dei leoni? » (V, 3 3 , 4 ). Si osservi, d'altra parte, un importante gruppo di pro fezie dedicate alla nuova Gerusalemme : esso comprende ls. 3 1 , 9 ; 54, 1 1 ; 65, 1 8 ; Bar. 5. A proposito di quest'ul timo testo scrive Ireneo: « Tali cose non possono essere riferite al mondo celeste. Sta scritto infatti che Dio mo strerà il suo splendore in ogni regione che si trova sotto il cielo (Bar. 5 , 3 ). Ma esse accadranno nel tempo del re gno, dopo che la terra sarà stata rinnovata dal Signore e Gerusalemme ricostruita sull'immagine della Gerusalem me celeste » (V, 35, 2 ) . Allora, citando Apoc. 2 1 , l , Ire neo mostra che l'apostolo Giovanni parla della Geru salemme celeste, quella che non apparirà se non dopo la nuova terra e i nuovi cieli: « Giovanni, l'apostolo del Signore, dice che la Gerusalemme nuova, quella che sta in alto, scenderà dopo che saranno accadute queste cose sulla terra. L'immagine di questa Gerusalemme era quella che si trovava nella terra in cui i giusti si esercitavano all'incorruttibilità » (V, 35, 2 ). Cosi Ireneo distingue esplicitamente la ricostruzione terrena di Gerusalemme durante il regno millenario e la manifestazione della Gerusalemme celeste dopo il Giudi zio e la nuova creazione. A questo proposito la sua ese gesi dell'Apocalisse è coerente. La menzione della ricostru zione di Gerusalemme è importante, poiché mostra come
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il pensiero espresso qui da Ireneo sia proprio quello del millenarismo asiatico di Cerinto e di Montano, per il quale il tema Gerusalemme era centrale. Nello stesso tempo ci dà le fonti di questo tema, mostrando che esso pure si riallaccia alle profezie di Isaia intese in senso letterale. L'aspetto, tipico di Ireneo, nel passo è quello del millen nio come assuefazione all'incorruttibilità. Ireneo vi ritorna piu oltre: « L'uomo risusciterà realmente, si eserciterà realmente all'incorruttibilità, diventerà grande e si fortifi cherà durante i tempi del regno per rendersi capace della gloria di Dio » ( V, 35, 2 ). Un ultimo aspetto con cui Ireneo si riallaccia qui al millenarismo originario è l'accento posto su coloro che l'avvento del regno millenario troverà viventi e che conti nueranno a vivere sulla terra : « Tutte queste cose si ap plicano senza dubbio alla resurrezione dei giusti che ha luogo dopo la venuta dell'Anticristo e a coloro che il Si gnore troverà nella carne, in attesa della sua venuta dal cielo, dopo aver subito la tribolazione » ( V, 35, 1 ). È là in effetti che il millenarismo si collega all'attesa messianica originaria, la quale presso i Giudei era quella di un inter vento terrestre di Dio, a trionfare sui suoi nemici e a libe rare i giusti perseguitati. La resurrezione non appare che come il mezzo di associare i giusti già morti a questo trionfo. Propriamente essa è una rianimazione , una restau razione dei morti ad una condizione terrena semplicemente migliore, ma non ancora il trasferimento nella città di Dio. Ireneo attesta la persistenza del millenarismo nella Grande Chiesa alla fine del secondo secolo (gli si può ac costare, in ciò, Melitone di Sardi 16 ) . Ma esiste pure una corrente eterodossa che denuncia la presenza del millena rismo in Asia in quest'epoca. Si tratta del montanismo, le cui relazioni con l'ambiente giovanneo e con Ireneo sono chiare, particolarmente per l'importanza che in esso ha il Paraclito. Il montanismo appare come un movimento con servatore che, alla fine del secondo secolo, ritorna al fer16 L. Gry, Le millénarisme, Paris, 1 904,
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81-82.
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dell'attesa escatologica che era quella della comunità asiatica primitiva e, in particolare, al suo millenarismo. A questo riguardo esso è testimone di dottrine arcaiche e la sua testimonianza ci mette al corrente di uno stato di cose che è precisamente quello del milieu asiatico di Papia e di Cerinto, al quale può essere avvicinato, benché la data sia posteriore 17• Sul miUenarismo di Montano siamo informati da Ter tulliano. T. H. Waszing ha raccolto i testi principali nella sua edizione del De Anima (pp. 59 1-593 ) . In uno di que sti si legge: « Confessiamo che un regno ci è stato pro messo sulla terra, prima del cielo e in uno stato diverso, ma dopo la resurrezione, per mille anni in Gerusalemme, la città costruita da Dio, regno disceso dal cielo. Questa Gerusalemme è attestata dalla parola della nuova profezia [ = il montanismo ] che è nella nostra fede, in modo che essa annuncia pure che un'immagine della città prima della sua venuta effettiva apparirà in segno » (Adv. Mare., III, 24; CSEL, 4 1 9). Si osservi come Tertulliano nel suo stile conciso rac colga tutti gli aspetti del millenarismo asiatico: regno ter reno di mille anni, successivo alla resurrezione e ante riore al cielo, implicante uno stato dei corpi diverso da quello del cielo 18 • Ciò concorda con l'Ascensione d'I saia e con Metodio d'Olimpia ( cfr. De resurr. , 25; CSEL, 6 1 ) 19 • L'aspetto piu interessante è il posto assunto da Gerusalemme. Mentre il millenarismo di Papia si colloca nella linea delle profezie del nuovo Paradiso, quello di Montano si allinea con le profezie della nuova Gerusa lemme, la quale non è la Gerusalemme celeste di cui parla l'Apocalisse di Giovanni, ma la Gerusalemme terrestre vore
17 Cfr. K. Aland, Der Montanismus und die Kleinasiatische Theolo gie, in « ZNW », LIV ( 1955}, pp. 1 13-1 14. 1 8 « Dopo il regno dei mille anni che, una volta compiuto il giudizio finale, comprende la resurrezione dei santi, istantaneamente trasformati in una natura angelica mediante il rivestimento dell'incorruttibilità, noi saremo trasfigurati nel regno celeste » ( III, 24; 420). 1 9 Cfr. nella stessa linea Ippolito, De Antichr. , 6; GCS, 8; Gommo diano, Instr. , II, 3.
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restaurata. Abbiamo visto Ireneo distinguere tra le due. Questo aspetto avvicina il millenarismo di Montano a quello di Cerinto e annuncia quello di Apollinare.
Il simbolismo dei mille anni A piu riprese abbiamo incontrato l'espressione « mil lennio » applicata al regno del Messia. Essa non gli è sempre associata e non si trova nei testi giudaici in cui si parla del regno intermedio. Sembra pure estranea allo strato cristiano piu antico, quello testimoniato dall'Ascen sione d'Isaia. La si vede comparire in un gruppo determi nato, quello di Papia e dei presbiteri, di Gerinto e dell'A pocalisse. Sulla sua origine sono state avanzate varie ipo tesi; in particolare è stata posta in relazione con la dot trina della settimana cosmica, costituita da sette millenni. In effetti, come vedremo, essa è stata fusa con questa dottrina, ma non è là che occorre cercare la sua origine. Cosi pure la dottrina dei sette millenni compare nella Let tera di Barnaba che deriva dalla gnosi giudeo-cristiana d'E gitto e ci pone in tutt'altro milieu rispetto a quello del messianismo asiatico. Esaminando le cose da vicino, si constata che la con cezione dei mille anni appare in Papia collegata con la colorazione paradisiaca data al millenarismo 20• Esiste un legame tra la fecondità della terra, la riconciliazione degli animali e i mille anni? È sufficiente riportarci ai testi dei Profeti e delle apocalissi per rendersi conto che uno degli aspetti del regno messianico è la straordinaria longevità. Cosi leggiamo in Is. 65, che abbiamo già citato a propo sito della riconciliazione degli animali: « Non vi saranno piu bambini che vivano solo pochi giorni l né vecchio che non compia il suo tempo. l Morire centenario sarà come morire giovane. . . l perché i giorni del mio popolo
20 È pure il caso della Visio Pauli, 21-22; M. R. James, Apocrypha anecdota, cit., pp. 22-23.
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uguaglieranno quelli degli alberi » ( 65, 20-22 ). Analoga mente in I Henoch la longevità è associata alla fecondità della terra come un aspetto dei tempi messianici (X, 17 ) Ma c'è di piu. Il Libro dei Giubilei, in un testo per noi capitale, ci informa infatti che nei tempi paradisiaci l'uomo doveva vivere mille anni e che, a causa del suo peccato, il tempo è stato abbreviato per Adamo, il quale mori a 930 anni, secondo la Genesi: « Adamo mori 70 anni prima di aver raggiunto il millennio. Perché mille anni sono come un giorno (Sal. 89, 4 ) nel cielo. Ed è per tale ragione che, a proposito dell'albero della conoscenza, è scritto: Nel giorno in cui ne mangerai, morrai. Per questo Adamo è morto prima di aver compiuto gli anni di tale giorno » ( Giub. , IV, 29). Abbiamo qui una esegesi di Gen. 2, 17 per mezzo del Sal. 89, 4 : Adamo muore il giorno in cui mangia il frutto proibito; ma giorno qui significa mille anni: Adamo muore quindi prima del com pimento dei mille anni ( cfr. Ree. Clem., IV, 9). In Ireneo abbiamo la testimonianza formale del fatto che questa tradizione dei Giubilei era conosciuta nell'am biente asiatico: « Ricapitolando questo giorno in se stesso - scrive, commentando Gen. 2, 17 - il Signore è giunto alla sua Passione la vigilia del sabato, che è il sesto giorno della creazione, quello in cui l'uomo è stato creato. Alcuni tuttavia riallacciano la morte di Adamo al millennio: poiché - essi dicono - un giorno del Signore è come mille anni, egli non ha superato i mille anni, ma è morto nel corso di essi, compiendo il giudizio dato sulla sua trasgressione » (Adv. haer. , V, 23, 2 ). Ireneo dunque con stata che esiste in Asia prima di lui una tradizione, che è quella stessa dei Giubilei, e nella quale la durata della vita paradisiaca è di mille anni. È dunque normale, dal momento che gli Asiatici, in dipendenza dall'apocalittica, consideravano il regno mes sianico come un ritorno al Paradiso, che la durata della vita in esso sia quella che avrebbe dovuto vivere Adamo 21 • .
21 Ciò è già in Giub., XXIII,
23.
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Questo sviluppo, con esplicito riferimento al testo dei Giubilei, è precisamente opera di Giustino, in un testo in cui egli difende il millenarismo in nome della tradizione primitiva contro le interpretazioni spirituali degli Gnostici sia ortodossi che eterodossi. Ci ricorderemo che il Dialogo con Trifone, in cui si trova questo passo, si situa ad Efeso: il suo contesto è quindi il giudaesimo asiatico. Non v'è dubbio che su questo punto Giustino si riallaccia all'am biente millenaristico asiatico, di cui non è che l'eco. Ciò sembra evidente se si osserva che gli stessi sviluppi si ritroveranno in Ireneo, senza che essi implichino dipen denza in rapporto a Giustino. Riportiamo questo testo essenziale : « Per me e per i cristiani di ortodossia integrale, per quanti ve ne sono, sappiamo che una resurrezione della carne arriverà entro mille anni in Gerusalemme ricostruita, decorata e ingran dita, come affermano i Profeti Ezechiele, Isaia ed altri » ( Dial. , LXXX, 4 ) . Questo è esattamente il millenarismo di Cerinto e di Montano, con l'allusione a Gerusalemme. Giustino continua: « Ecco come Isaia parla del periodo di mille anni (XtÀ.tovtaE"t'Y)ptc;) » e cita Is. 65, 1 7-25 . Sot tolineo soltanto alcuni passi : « Ecco, io faccio Gerusa lemme per la gioia. . . Non ci saranno piu bambini che vivano solo pochi giorni, né vecchio che non compia il suo tempo . . . Come i giorni dell'albero di vita saranno i giorni del mio popolo. . . Lupi e agnelli pascoleranno insieme » . L'interesse di questa citazione sta nel fatto che ci fa constatare a che punto i temi del millenarismo asiatico vi si ritrovino. Sono presenti infatti quello della Gerusa lemme rinnovata, quello della riconciliazione degli animali, quello della longevità. Sembra che il millenarismo asiatico sia consistito nell'applicare alla dottrina della prima resur rezione le prospettive di questo capitolo di Isaia. L'unico elemento che non vi si trova esplicitamente è il loghion sulla fecondità della vigna che costituisce una tradizione apocalittica giudaica. È possibile che tale tradizione sia stata accostata al capitolo di Isaia in un milieu giudaico
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messianista dell'Asia e che i cnstlani abbiano applicato l'insieme al regno intermedio. Ma il millennio propria mente detto non vi si trova; nondimeno Giustino dichiara che Isaia ha predetto il regno di mille anni, il che si collega al versetto 22 in cui leggiamo, nella versione dei Settanta: « Come i giorni dell'albero di vita saranno i giorni del mio popolo » . L'introduzione dell'albero di vita è qui un'interpretazione dei Settanta, estranea all'ebraico e che, a partire da questo momento, forse costituisce una allusione al millennio paradisiaco. Questi accostamenti sono esplicitati da Giustino, che qui è testimone di una tradizione anteriore: « Abbiamo compreso che questo passo: come i giorni dell'albero saranno i giorni del mio popolo, rivela in mistero i mille anni. Sappiamo che, secondo quanto era stato detto ad Adamo, il giorno stesso in cui avesse mangiato del frutto dell'albero sarebbe morto ( Gen. 2, 1 7 ), egli non raggiunse i mille anni. Comprendiamo pure che questa parola : il giorno del Signore è come mille anni, si riferisce a quel passo. D'altra parte da noi un uomo di nome Gio vanni, uno degli apostoli di Cristo, ha profetizzato nell'A pocalisse che coloro che avranno creduto al nostro Cristo passeranno mille anni a Gerusalemme, dopo di che arri verà la resurrezione generale e, in una parola, eterna per tutti, senza eccezione, e poi il Giudizio. È quanto Nostro Signore stesso ha detto: non prenderanno moglie, né saranno dati in matrimonio, ma saranno come degli angeli, essendo figli del Dio della resurrezione » (Dial. , LXXXI, 3 -4 ) 22 •
Questo testo raccoglie ad un tempo tutta la docu mentazione e tutta l'argomentazione del millennio. Infatti raggruppa Sal. 89, 4 , che si trova nei Giubilei e in II Piet. 3 , 8 ; Gen. 2, 17 e Is. 65, 22 ( secondo i Settanta). Facendo eco ai Giubilei esso mostra che la vita paradisiaca era di
22
Sul testo di quest'ultimo versetto dr. R. Reitzenstein, Bine /riih christliche Schrift von den dreierlei Friichten, in « ZNW », XV ( 1914), pp. 70-71 .
Il
millenarìsmo
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mille anni. Ora, Isaia identifica la durata della vita nei tempi messianici con quella della vita paradisiaca. È chiaro quindi che la durata della vita nei tempi messianici sarà di mille anni, e ciò è esplicitamente accostato al millennio dell'Apocalisse. Ma il millennio qui sembra meno un computo cronologico che una designazione dello stato paradisiaco. Il millenarismo asiatico ci sembra cosf proce dere esclusivamente da una speculazione sul carattere para disiaco dei tempi messianici. Ciò significa precisamente che dopo la prima resurrezione i giusti vivranno in una terra rinnovata, ma di una vita terrena, prima di essere trasferiti nel cielo dopo il Giudizio e di divenire simili agli angeli. Quest'ultimo punto permette forse di chiarire un aspetto importante del millenarismo e di distinguere in esso due tendenze. Una delle pietre d'inciampo del mille narismo è stata infatti la licenza sessuale che esso sem brava ammettere durante i tempi messianici. La tradizione giudaica delle apocalissi poneva tra le caratteristiche dei tempi messianici l'eccezionale fecondità degli uomini unita a quella della natura : « I giusti rimarranno vivi sino a quando avranno generato mille figli », si legge in I Henoch, X, 1 7 . Secondo Dionigi d'Alessandria, Cerinto interpre tava i tempi messianici come un tempo di godimenti di ogni genere e, stando a Caio, ne faceva « una festa nu ziale ». Questa concezione assai materiale ha persistito nel cri stianesimo successivo. La troviamo in Commodiano e in Lattanzio che si riferisce direttamente a Isaia e alle Apo calissi: « Dopo la resurrezione il Figlio di Dio regnerà mille anni tra gli uomini e li governerà con un governo assai giusto. Coloro che vivranno allora non moriranno, ma nel corso di mille anni genereranno una moltitudine innumerevole; quanto ai risuscitati, essi presiederanno ai viventi come dei giudici. Il sole diventerà allora sette volte piu splendente di adesso. La terra manifesterà la sua fecondità e produrrà messi abbondanti. Le bestie non si nutriranno piu di sangue » (Div. Inst. , 24 ; PL, VI, 33.
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Le dottrine
8 1 0-8 1 1 ). Cosi la generazione di numerosi figli appare
uno degli aspetti del regno millenario. Giustino sembra escludere tale concezione, in quanto collega soltanto al regno millenario la frase di Cristo: « Non si sposeranno, né saranno presi in matrimonio ». Ma si noti che né i presbiteri, né Papia, né Ireneo, né Montano alludono alla persistenza della generazione durante il regno messianico. Se quanto abbiamo detto è esatto, la loro concezione sarebbe la sola coerente con l'applicazione ai tempi messianici del millennio adamico. Questo infatti non sarebbe applicabile che ad una sola generazione, la quale coprirebbe la totalità di mille anni e non ammetterebbe perciò la nascita di bambini. Del resto tale concezione è rappresentata nel terzo secolo da Metodio d'Olimpia di fronte alla concezione materialistica di Lattanzio: « Adesso, in questo stesso mo mento, la terra produce ancora i suoi frutti, le acque si raccolgono, la luce è ancora separata, il numero degli uomini è ancora completato dalla creazione. Ma quando i tempi saranno arrivati al loro termine e il Signore cesserà di lavorare a questa creazione, il settimo mese, nel grande giorno della resurrezione, la Festa dei nostri Tabernacoli sarà proclamata dal Signore . . . Allora, in questo settimo millennio, i frutti della terra saranno tutti alla loro fine, gli uomini non genereranno piu e non saranno generati, e Dio si riposerà della creazione del mondo » (Conv. , IX, l ; GCS, 1 14 ) . Lascio da parte in questo testo ciò che riguarda la concezione del settimo millennio e il suo paral lelismo con il settimo giorno: vi ritorneremo. Prendo in considerazione soltanto la chiara affermazione della cessa zione della generazione durante i tempi messianici. Si noti che Metodio nega pure la fecondità della terra in quest'epoca, spingendosi in ciò ben piu lontano di Ireneo. È possibile che si tratti di una reazione e di uno sforzo per salvare il millenarismo spiritualizzandolo, ma non è nemmeno escluso che si tratti di uno sviluppo della tradizione millenaristica antica, nel senso di una tipologia del riposo del settimo giorno, non contaminata dall'apcome
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porto apocalittico che interviene in Papia, che è stato ri preso da Ireneo e che Lattanzio ha portato alle sue estreme conseguenze. Metodio infatti precisa che egli qui combatte i Giudei « i quali credono che la Legge e i Profeti abbiano spiegato tutto in modo materiale e non aspirano che ai beni di questo mondo ,. (Xl, 3 ; GCS, 1 14). In Girolamo si troverà una polemica analoga contro i Giudei a propo sito del millenarismo (Comm. in Zach., III, 1 4 ). Ora, si dà il caso che abbiamo una testimonianza antica che ricalca esattamente la concezione di Metodio: è quella degli Oracoli sibillini giudeo-cristiani. Dice il testo, descrivendo l'ultimo periodo del mondo: « Allora la tua stirpe cesserà di essere com'era prima; nessuno spezzerà piu il solco con l'aratro arrotondato; non vi saranno piu né tralci, né spighe, ma tutti allo stesso modo mangeranno la manna venuta dal cielo con i loro bianchi denti » (VII, 145-149). Ora, siamo proprio qui in pre senza della stessa idea che si trova in Metodio di una cessazione della produzione della vita e di una sorta di riposo della creazione. Peraltro il testo sembra proprio designare il regno terrestre e non il mondo dell'aldilà. Si noti che il tema del riposo è pure quello che presentavano I Tess. e l'Ascensione d'Isaia. Metodio pone in relazione questo dato primitivo con il tema della settimana cosmica e del settimo giorno; il che ci condurrebbe cosi a distin guere nel millenarismo asiatico tre correnti distinte : la piu radicale - quella di Cerinto - concepisce il regno millenario come un tempo di delizie materiali, in cui la generazione degli uomini continua, come la fecondità della terra; la corrente media - quella di Papia e Ireneo ammette le gioie materiali e la fecondità della terra, ma non la continuazione della generazione umana : sembra la piu conseguente con la nozione dei mille anni adamici. La terza - quella di Metodio - suppone una cessazione non soltanto della generazione umana, ma della fecondità della terra. Ciò sembra in relazione con un nuovo tema, quello del millennio come settimo giorno della settimana cosmica, durante il quale Dio cessa di compiere le opere
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della creazione; il che ci conduce ad un ultimo aspetto del problema.
Il settimo millennio Abbiamo già avuto occasione di incontrare in Ireneo e in Metodio delle allusioni al millennio come settimo giorno. Questa designazione si riallaccia a speculazioni sulla settimana cosmica nelle quali certi autori vedono l'origine del millenarismo 23 • Ciò sembra a noi del tutto discutibile: in realtà il millenarismo asiatico si collega ad un ambiente giudeo-cristiano messianista. Ora, gli ambienti giudaici tradizionali ignoravano la divisione della storia del mondo in millenni. Le concezioni delle età del mondo quali si trovano in I Henoch o nei Giubilei sono tutte diverse 24 • La concezione della settimana di millenni è nata in ambienti giudaici esoterici, come quella dei sette cieli 25 • Essa non appartiene al millenarismo asiatico pri mitivo 26; del resto è altrove che la troviamo soprattutto attestata. Il primo testo infatti in cui incontriamo la dottrina del settimo millennio è la Lettera di Barnaba, in cui è scritto : « Il sabato è menzionato sin dall'inizio della creazione: Dio fece in sei giorni le opere con le sue mani; le terminò nel settimo giorno e si riposò in esso. Fate attenzione, o figli, a queste parole: Dio compi la sua opera in sei giorni. Ciò significa che il Signore condurrà al loro fine tutte le cose in sei giorni, poiché per lui : Un giorno è come mille anni [ Sal. 89, 4 ] , come egli stesso attesta. 23 M. Werner, Die Entstebung des cbristlicben Dogmas, Leipzig, 1949, pp. 83-84. 24 Cfr. A. Luneau, L'histoire du salut chez !es Pères de l'Eglise, Paris, 1964, pp. 35-78. 25 Essa è attestata presso i Samaritani, compresa la concezione mes sianica del settimo millennio ( W. Bauer, art. Cbiliasmus, in RAC, II, 1075). 26 Cfr. K. H . Schwarte, Die Vorgeschicbte der augustiniscben W elt alterlebre, Bonn, 1966, pp. 62-118.
ll millenarismo
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Ecco: Un giorno del Signore sarà come mille anni. Dun que, figli miei, in sei giorni, cioè in 6000 anni, l'universo sarà consu mato E si riposerà nel settimo giorno, secondo il seguente significato. Quando il Figlio sarà venuto a por fine alla dilazione accordata ai peccatori, a giudicare gli empi, a trasformare il cielo, la luna e le stelle; allora egli riposerà gloriosamente il settimo giorno. Infatti disse ai Giudei : Non mi piacciono i vostri sabati, ma quello che ho fatto io e nel quale, ponendo fine all'universo, inaugurerò l'ottavo giorno, cioè un altro mondo » ( XV, 3-8 ). Tentiamo di porre in evidenza i dati essenziali del testo. Innanzitutto vi incontreremo la relazione stabilita tra il riposo escatologico e il sabato, il che, peraltro, non implica ancora alcun millenarismo. Siamo in presenza di una tipologia della settimana, nella quale i sei giorni della creazione rappresentano il tempo di questo mondo, e il settimo giorno il mondo futuro. Ciò si collega alla tra dizione giudaica ed è stato trasposto da Filone -n . Il tema delle età del mondo considerate come una serie di mil lenni, è, al contrario, un elemento estraneo al giudaesimo : Cumont vi vede una concezione d'origine iranica. Questa serie non è necessariamente settenaria, ma assume tale forma nell'ambiente dei « magi ellenizzati », combinandosi con la concezione planetaria d'origine babi lonese che vede i sette periodi cosmici dominati ciascuno da un pianeta. Si giunge cosi alla concezione dei sette millenni costituenti il tempo totale del mondo. Essa è del tutto estranea al giudaesimo, per il quale la durata del mondo è di sei giorni, il settimo rappresentando la vita eterna. Cosi essa non è attestata presso i Giudei in data antica 28 ; è estranea allo Pseudo-Barnaba, il quale non conosce che sei millenni. Sinora dunque abbiamo un dato giudaico tradizionale : .
27 Cfr. J. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 326-328. 28 La si trova nella Preghiera di Mosè (M. R. James, Apocrypha
anecdota, cit., p. 172), nella Visione di Cenez (ibidem, p. 179) e nel revisore di II Henoch (LII, l ).
Le dottrine
n riposo del settimo giorno 29, e un dato che viene dall'apo calittica: i sei millenni. Nel passo di Barnaba interviene
terzo elemento, che è l'ottavo giorno. Di questo ele mento si sono cercate delle origini ellenistiche; ed è certo che l'ogdoade svolge un ruolo nella mistica pitagorica del numero, di cui Filone è tributario. Tale ruolo però non è evidente, mentre è fondamentale nello gnosticismo, ma, come la maggior parte dei dati utilizzati dagli Gnostici, è preso a prestito da altrove. C. Schmidt ha dimostrato che è il cristianesimo che conferisce all'ottavo giorno la sua importanza 30• Cristo, infatti, è risuscitato all'indomani del sabato. L'ottavo giorno è il giorno della Resurrezione, la domenica, che distingue i cristiani dai Giudei 31 • Si vede come l'originalità della Lettera di Barnaba con sista nel porre in relazione il dato primitivo del riposo escatologico con le speculazioni sulla settimana cosmica, ereditate ad un tempo dal giudaesimo, dall'apocalittica e dal cristianesimo. Barnaba conserverà dall'apocalittica la nozione dei sei millenni come costituenti la storia totale; dal giudaesimo il carattere privilegiato del settimo giorno come tempo di riposo; dal cristianesimo la concezione dell'ottavo giorno come vita eterna. Ciò porta alla conce zione dei sei millenni, che rappresentano il tempo totale del mondo e sono seguiti dalla vita eterna chiamata set timo giorno o ogdoade. A. Hermans ha mostrato che qui non c'era nessun millenarismo, né alcuna articolazione dei sette giorni e dell'ogdoade 32• La presenza di speculazioni sul settenario e sull'otto natio compare invece nel milieu alessandrino. È qui che si sviluppa il tema dei sette giorni come tempo totale del mondo, seguito dall'ottavo giorno che è la vita eterna. A partire da Clemente Alessandrino questa dottrina sarà un
29 Cfr. O. Hofius, Katapausis. Die Vorstellung von endzeitlicben Rubeort im Hebraerbie/, Tiibingen, 1970. 30 C. Schmidt, Gespriicbe ]esu mit seinen ]ungern, Leipzig, 1919, p. 279. 31 J. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 329-354. 32 Le pseudo-Barnabé est-il millénariste?, in « ETL », XXXV (1959), pp. 849-876.
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quella di Origene e dei Cappadoci. Clemente Alessandrino parla del « tempo che, attraverso le sette età del mondo, conduce alla restaurazione ( IÌ1toxcx.S�CT"t'&.ç) del riposo supremo [ = ogdoade] » (Strom. , IV, 25, 159; GCS, 3 1 8 ). Ma la gnosi alessandrina, sia ortodossa che etero dossa, conosce pure una prospettiva cosmologica in cui l'ebdomade significherà il mondo terrestre retto dai sette pianeti, e l'ogdoade la città celeste. :B quanto troviamo ad un tempo presso i Valentiniani 33 e in Clemente (Strom. , VI, 14, 108; GCS, 486). Ma la speculazione della Lettera di Barnaba sarà posta in relazione con il millenarismo asiatico e precisa mente da parte di Ireneo, il quale compie la sintesi della tradizione asiatica del millennio paradisiaco con la tradi zione dei sei millenni seguiti dal giorno del riposo. Su quest'ultimo punto egli appare come tributario della Let tera: « Tanti sono i giorni in cui il mondo è stato creato, altrettanti sono i millenni in cui sarà portato a termine. Per questo la Scrittura dice: Dio terminò le sue opere il sesto giorno e il settimo giorno si riposò di tutte le sue opere. Ciò è ad un tempo racconto di cose passate e pro fezia delle cose future. Se, infatti, " i giorni del Signore sono come mille anni " e " in sei giorni è terminato ciò che è stato fatto" , è evidente che questo compimento è di 6000 anni » (Adv. haer. , V, 28, 3 ) . Abbiamo qui gli stessi elementi e le stesse citazioni presenti nel passo di Barnaba: è difficile non ammettere una dipendenza letterale. Ciò conferma la nostra opinione secondo cui la concezione dei sette millenni è estranea alla tradizione asiatica antica ed è Ireneo che ve l'associa. D'al tronde questa concezione della settimana cosmica conve niva proprio alla teologia di Ireneo. Presso di lui si tro vano pure altre allusioni; particolarmente interessante è un passo che identifica esattamente il settimo giorno e il regno messianico: « Quando l'Anticristo avrà devastato
63,
33 Ireneo, Adv. haer., l, 5, 3; Oemente Aless., Excerpta ex Tbeod.,
l.
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ogni cosa in questo mondo, durante il suo regno di tre anni e sei mesi, allora il Signore verrà dal cielo nelle nubi, cacciando l'Anticristo e quanti gli obbediscono nello stagno di fuoco e portando ai giusti il tempo del regno, cioè il riposo, il settimo giorno santificato » (Adv. haer. , V, 30, 4 ) . Questa linea sarà continuata da Lattanzio. Si costituisce cosi a partire da Ireneo la concezione del tempo totale del mondo, costituito dai sette millenni, l'ul timo dei quali è l'età messianica, cui segue la vita eterna. È questa speculazione sui sette millenni, in relazione con il millenarismo apocalittico asiatico, che troviamo alla fine del terzo secolo in Metodio d'Olimpia e Vittorino di Pettau. Il primo l'abbiamo già citato; il secondo scrive : « Isaia e i suoi colleghi hanno infranto il sabato, affinché sia il vero e giusto sabato ad essere osservato nel settimo millennio, poiché il Signore ha fatto corrispondere a questi sette giorni sette migliaia di anni. Sta scritto infatti : Ai tuoi occchi, Signore, mille anni sono come un giorno. Per questo, come ho ricordato, il vero sabato è quello in cui il Cristo regnerà con i suoi eletti » (De fabrica mundi, 6 ; CSEL, 6 ) . Questo millenarismo, meno materiale di quello di Ireneo, è quello che persisterà in occidente presso Ilario, Gregorio d'Elvira ed altri sino ad Agostino. Rimane tuttavia che possiamo chiederci se la dottrina dei sette millenni non abbia altre fonti. In effetti essa appare come estranea alla gnosi egiziana e alla Lettera di Barnaba. Cosi pure la fonte primitiva deve essere cercata altrove, in ambiente siriaco : è là che vediamo infatti com parire nel secondo secolo, in relazione con le speculazioni iranico-babilonesi dei « magusei » sugli anni cosmici, i calcoli dei cronografi cristiani per determinare il tempo della Parusia 34• Lo schema dei sette millenni, inteso in senso letterale, forniva un quadro comodo per la storia del mondo. Queste speculazioni sembrano proprie dell'am biente giudeo-cristiano di Siria, in cui il problema della Parusia era importante. 34 J. Daniélou, La typologie millénariste de la semaine, in II ( 1948), pp. 1-5.
«
VC »,
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Il primo testo notevole è in Teofilo d'Antiochia, uno dei primi autori cristiani che si sia interessato alla teologia della storia , influendo, in questo senso, su Ireneo. Ora, nella sua ricapitolazione della cronologia della storia del mondo, egli fissa la nascita di Cris to nell'anno 5500 (Ad Auto!. , III, 28; SC, 20.5 ) 35 • Non allude direttamente ai sette millenni, né al millenarismo, ma questa cifra dimo stra in modo certo che per lui Cristo è nato alla metà del sesto millennio. Ciò presuppone che l'anno 60 00 inaugu rerà il regno messi anico, il quale riempirà il settimo mil lennio e che l'anno 7000 sarà quello della fine del mondo e dell'inaugurazione della città celeste. D'altra parte il valore di queste deduzioni trova un nuovo argomento nella testimonianza di un autore il cui millenarismo si riallaccia all'ambiente siriaco, anche se continuiamo a vedere in lui il prete romano Ippolito 36• Si legge nel Commento a Daniele : « Occorre necessaria mente che siano trascorsi 6000 anni prima che venga il sabato, il riposo, il giorno consacrato in cui il Signore si è riposato di tutte le sue opere. Il sabato è il tipo e la figura del regno futuro dei santi, quando regneranno con il Cristo, quando egli discenderà dal cielo, come narra Giovanni nell'Apocalisse. Infatti il giorno del Signore è come mille anni. Poiché dunque il Signore ha fatto l'uni verso in sei giorni, bisogna che si compiano i 6000 anni. Essi non sono compiuti, secondo le parole di Giovanni : I primi cinque sono trascorsi, l'uno sussiste e l'altro non è ancora venuto (Apoc. 1 7 , 1 0 ). Con l'altro egli designa il settimo, in cui vi sarà il riposo » (Comm. in Dan . , IV, 2 3 ). Siamo qui in presenza della tradizione dei sette mil lenni con la tipologia del sabato come riposo messianico e la citazione del Sal. 89, 4. Ma Ippolito aggiunge delle ·
35 Cfr. le osservazioni di R. M. Grant, Notes an tbe Text of Ad Autolycum III, in « VC », XII ( 1958), pp. 136-144. 36 P. Nautin suppone che si tratti di un vescovo siriaco e non di un prete romano (Hippolyte et ]osippe, Paris, 1947, pp. 87 ss.).
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precisazioni cronologiche che si collegano a Teofìlo. La citazione dell'Apocalisse sottolinea infatti che cinque mil lenni sono trascorsi, che il sesto è in corso e il settimo è atteso. Ora, ciò è precisato da un'allegoria: « Ciò che è stato mostrato a Mosè nel deserto relativamente all'arca è figura e immagine dei misteri spirituali, affinché, dopo la venuta della verità alla fine dei tempi, si possa vedere che queste cose avevano il loro compimento. Ora, l'arca ha cinque cubiti e mezzo: sono i 5500 anni al termine dei quali il Signore è venuto. A partire dalla sua nascita devono trascorrere ancora 500 anni per il completamento dei 6000 anni. E allora sarà la fine » ( Comm. in Dan.
IV, 24 ).
L'importanza di queste speculazioni nell'ambiente si riaco del secondo secolo è attestata, oltre che da Teofìlo, da Bardesane, il quale, secondo la testimonianza di Gior gio l'Arabo, sosteneva che la durata del mondo era di 6000 anni e lo giustificava con dei calcoli sulle rivoluzioni planetarie ( PS, II, 6 1 3-6 1 4 ) . Ora, ciò suppone l'esistenza di un settimo millennio. La cosa è tanto piu chiara per il fatto che Giorgio alla sua testimonianza aggiunge quella di lppolito. La Didascalia degli Apostoli, di cui la nostra redazione è del terzo secolo, ma che contiene elementi antichi e si ricollega alla Siria, attesta le medesime idee: « Il sabato è un simbolo che fu dato per un tempo. È il simbolo del riposo. Annuncia il settimo millennio » (VI, 18, 1 5- 1 8 ). Si noti la sobrietà di tutti questi testi sul regno millenario che è associato semplicemente all'idea del riposo. Alla stessa corrente occorre riallacciare nel terzo secolo il palestinese Giulio Africano, il principale cronografo dell'epoca, di cui A. Bauer scrive che dei sette millenni fa la base della sua cronaca universale. Egli distingue sei periodi di 1 000 anni: tre sino alla morte di Faleg, al tempo del quale ebbero luogo la torre di Babele e la dispersione dei popoli, e tre sino alla fine del mondo. Giulio Africano poneva l'incarnazione di Cristo nella metà
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del sesto millennio, cioè nell'anno 5500 del mondo 37 • Questa èra di .5.500 anni, d'origine millenarista, come sottolinea M. Richard, oltre alla testimonianza di Ippolito e di Giulio Mricano, è attestata dagli sforzi dei compu tisti per avvicinarvisi il piu possibile 38 • Questa analisi ci permette di determinare i primi svi luppi del millenarismo giudeo-cristiano. L'elemento piu antico è la concezione di un regno terreno del Messia prima della nuova creazione, che costituisce il « riposo dei santi » . Questo dato è sviluppato in modo distinto in Asia e in Siria. In Asia, n ell'ambiente in cui è stata scritta l'Apocalisse di Giovanni e di cui Papia è testimone, qùesto regno terrestre è stato caricato dei colori paradisiaci con i quali l'Antico Testamento e le apocalissi descrivono i tempi messianici : riconciliazione degli animali, eccezio nale fecondità della terra, longevità millenaria degli uomini. Quello è il millenarismo asiatico di Papia, di Cerinto, di Montano e di Tertulliano. In una linea diversa, in Siria e in Egitto, il regno messianico è stato posto in relazione con i calcoli degli astrologi sulla settimana cosmica formata di sette millenni. Il settimo millennio, corrispondente al settimo giorno della creazione in cui Dio si è riposato, è stato posto in relazione col regno messianico considerato come « il riposo dei santi ». Questa concezione differisce da quella asiatica nel fatto che essa implica la cessazione dell'azione creatrice di Dio, mentre quella degli asiatici implicava la sua inten sificazione. Tale concezione è quella di Bardesane, di Teo filo d'Antiochia, di Ippolito e degli Oracoli sibillini. Tra mite Teofilo essa è stata conosciuta da Ireneo che l'ha fusa con la concezione asiatica 39 • Ponendo a confronto queste due concezioni, notiamo 37 A. Bauer, Ursprung und Fortwirken der cbristlicben Weltcbronik, Graz, 1910, p. 14. 38 Comput et cbronograpbie cbez Saint Hippolyte, in « RSR », XXXVIII ( 1950), p. 329. 39 Cfr. V. Ermoni, Les pbases successives de l'erreur millénaire, in « RQH », LXX ( 1901), p. 369.
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che esse si riallacciano a due linee diverse. La prima è basata su un'esegesi del racconto del Paradiso in Gen. 2-3 ; la seconda costituisce una speculazione sull'Esame rane, cioè su Gen. l . Nel precedente capitolo abbiamo constatato che per la teologia della Chiesa si ritrovano le due stesse linee. Ciò ci conduce una volta di piu ad una conclusione che ci si è imposta per tutto il corso del nostro studio sulla teologia giudeo-cristiana, vale a dire che questa si sviluppa in gran parte a partire da una gnosi giudaica sull'inizio della Genesi.
Parte quarta
Le istituzioni
Capitolo dodicesimo
Battesimo ed Eucaristia
L'ambito dell'organizzazione del culto è senza dubbio quello in cui piu profondamente è rimasta l'impronta giudeo-cristiana nella Chiesa cristiana. L'origine giudaica del quadro generale della vita cultuale cristiana era ordi nariamente contestata mezzo secolo fa: nei sacramenti si vedeva un'influenza dei misteri ellenistici. La situazione appare oggi a noi completamente diversa, particolarmente alla luce delle scoperte di Qumran. Il Sitz im Leben della prima liturgia cristiana è da cercarsi soprattutto negli usi cultuali delle comunità giudaiche di obbedienza essena 1• È là che le usanze dell'iniziazione battesimale, il quadro dell'istituzione eucaristica, le ore della preghiera e il rituale delle feste trovano delle analogie. Fra questi usi, molti sono rimasti nella Chiesa elleni stica, a costo, per alcuni, di essere interpretati in una simbolica diversa. Ma il passaggio dal mondo semitico al mondo greco ha portato profonde modifìcazioni. L'acqua viva ha cessato di essere richiesta per il battesimo, l'Euca ristia è stata separata dal pasto, l'ordine dell'anno litur gico è stato sconvolto dal calendario greco-romano, il costume del matrimonio spirituale è diventato sospetto. È dunque possibile, per mezzo dei documenti o di certe sopravvivenze - particolarmente in ambiente siriaco ritrovare taluni aspetti scomparsi che conferiscono alla liturgia giudeo-cristiana il suo carattere proprio. Porremo l'accento su tali aspetti, indicando pure l'origine giudeo cristiana di usi che hanno persistito. l ]. Daniélou, La communauté de Qumran et l'organisation de l'Église ancienne, cit., pp. 1 04-115.
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È chiaro che bisognerebbe parlare di « liturgie » giu deo-cristiane, piu che di una « liturgia » . Baumstark infatti ha dimostrato che lo sviluppo liturgico procedeva dalla diversità all'unità. Vi sono perciò delle usanze che hanno potuto essere di un gruppo giudeo-cristiano e non di un altro. Ciò è evidente quando si tratta di opposizione, come accade per ciò che riguarda l'obbligo, la tolleranza oppure il rifìuto di usanze giudaiche quali il sabato e la circonci sione. Ci guarderemo perciò dal generalizzare al giudeo cristianesimo nel suo complesso quanto verrà testimoniato da alcuni testi. Rimane tuttavia che i molteplici controlli di concordanza tra testimonianze permettono di raggiun gere il fondo primitivo della liturgia palestinese di Geru salemme attraverso i suoi sviluppi ulteriori. Il nostro stu dio verterà innanzitutto sulla teologia dei sacramenti cosi come i testi giudeo-cristiani ce la lasciano intravedere. L'iniziazione cristiana Che il battesimo cristiano sia in relazione con costumi giudaici è un dato certo. Esso si collega direttamente al battesimo di Giovanni Battista il quale, a sua volta, dipende dal milieu giudaico. Ma, detto ciò, molteplici sono gli antecedenti giudaici possibili, e non si escludono a vicenda, poiché hanno potuto agire in momenti storici diversi. Sembra infatti che il battesimo di Giovanni Bat tista sia soprattutto in relazione con le profezie escatolo giche riguardanti l'effusione delle acque vive, come ha mostrato G. W. H. Lampe 2 • Ma ciò non esclude che esso presenti dei contatti con l'iniziazione essena, la quale comportava la prima partecipazione al bagno rituale della comunità. Esiste dunque una relazione tra le origini del battesimo cristiano e il movimento battista nella Palestina del primo secolo. Peraltro non è escluso che il battesimo . cristiano abbia utilizzato alcune usanze del battesimo dei 2 The Seal o/ the Spiri!, pp. 25-27.
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proseliti. Anche se non ne è stato influenzato ongmaria mente, può darsi, come suppone A. Benoit, che il rituale battesimale della Didachè abbia imitato il rituale giudaico del battesimo dei proseliti 3• Cosf pure il problema che poniamo qui non è tanto quello dell'origine giudaica del battesimo sulla quale sono tutti d'accordo, quanto quello delle usanze che in seguito può aver conservato o perduto - presentate dal battesimo in ambiente giudeo cristiano. Un primo aspetto sembra essere resistenza di un'istru zione preparatoria 4 che può essere stata assai breve all'ini zio. Negli Atti, Filippo si accontenta di spiegare il capi tolo d'Isaia all'eunuco della regina Candace prima di bat tezzarlo nell'acqua corrente del fiume (8, 3.5-36). Cosi pure l'influsso delle usanze giudaiche non ci sembra che abbia agito sulla pratica primitiva, ma che sia apparso quando si è voluta conferire una prima organizzazione ai sacramenti istituiti da Cristo. Questa organizzazione com pare nella Didachè, la quale si apre con un trattato delle due vie che è una catechesi preparatoria al battesimo. Essa peraltro termina con queste parole: « Quanto al batte simo, datelo nel modo seguente, dopo aver insegnato tutto ciò che precede » (VI I , 1 ). Le Recognitiones clementine ce ne precisano l'organiz zazione: « Chi intende essere battezzato si avvicini a Zac cheo, gli dia il proprio nome e ascolti da lui i misteri del regno. Si applichi a frequenti digiuni e metta se stesso alla prova. Al termine di tre mesi sarà battezzato » ( III, 67 ). Questo testo porta dei dati nuovi : l'iscrizione prima della catechesi, la durata trimestrale di questa, i digiuni che l'accompagnano e l'esame delle disposizioni. Si tratta di uno stadio di sviluppo posteriore a quello della Didachè, ma che rimane giudeo-cristiano. D'altronde i tre mesi -
3 Le baptéme chrétien au Second Siècle, Paris, 1953, p. 3 1 . 4 Cfr. A. Seeberg, Der Katechismus der Urchristenheit, Miinchen, 1966 2; P. Carrington, The Primitive Christian Catechism, Cambridge, 1940; ]. Daniélou, La catéchèse aux premiers siècles, Paris, 1968 (trad. it., Torino, 1970).
_34 .
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attestano / uno stadio arcaico della catechesi. Le Odi di Salomone contengono un'esortazione ai catecumeni che si
deve collegare all'inaugurazione della catechesi (VIII ; Bernard, 62-69 ) Certamente questa catechesi preparatoria si imponeva da sola senza che fosse necessario per questo ricorrere al giudaesimo. Ma era peraltro normale che, dal momento che esisteva, ci si ispirasse ad istituzioni analoghe che il giudaesimo poteva presentare. Due sono qui i riferimenti possibili. A. Benoit rinvia alle usanze del battesimo dei proseliti 5, il quale comportava un'istruzione preparatoria, ma occorre riconoscere che siamo assai poco informati a questo proposito. L'altro riferimento è quello dell'inizia zione della comunità sadocita, cosi come ce lo fa conoscere il Manuale di disciplina. Qui i particolari sono precisi : colui che desidera entrare a far parte della comunità deve anzitutto essere istruito per la durata di un anno; se è accettato viene ammesso al bagno rituale (VI, 1 3-23 ) Certamente parecchi tratti differiscono: in particolare la iscrizione, l'impegno solenne e l'ammissione al pasto hanno luogo soltanto dopo un secondo anno di probazione a Qumran. Nondimeno i tre aspetti si ritrovano: ci ritor neremo. D'altra parte la Tradizione Apostolica, che testi monia all'inizio del terzo secolo istituzioni piu antiche, conosce, come a Qumran, un esame prima dell'ammissione al catecumenato. Ma piu importante è il contenuto stesso della catechesi che è soprattutto la catechesi dottrinale, il cui oggetto sono i misteri del Cristo. Ne troviamo le testimonianze piu autentiche nelle Lettere paoline, in particolare nella I Cor. ( 15 , 1-7 ). È questa catechesi che si esprimerà nei Simboli della fede: il Simbolo romano è lo sviluppo della catechesi romana del secondo secolo. Nella letteratura giudeo-cri stiana la catechesi dottrinale è meno rappresentata della catechesi morale. La Didachè non conosce che quest'ul tima. Abbiamo tuttavia un'eccezione nella Lettera degli .
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Le bapt&me chrétien au Second Siècle, cit., pp. 13-14.
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Apostoli, una sezione della quale riguarda direttamente
la catechesi dottrinale. Un primo passo ne offre un riassunto : « (La) nostra fede circa il grande cristianesimo ( è ) nel Padre, signore del mondo tutto, in Gesu Cristo nostro Salvatore, nello Spirito santo il Paraclito, nella santa Chiesa e nella remis sione dei peccati » 6 • Qui constatiamo anzitutto la strut tura trinitaria della catechesi, che è direttamente in rela zione con la formula trinitaria del battesimo 7• Si notino le due aggiunte - la Chiesa e la remissione dei peccati che si ritrovano nell'antico Simbolo romano. La resurre zione dei morti non è menzionata: essa costituisce un inse gnamento separato, come si vede nella Didachè e nella
Lettera di Barnaba.
Ma l'interesse della Lettera degli Apostoli sta nel fatto che essa presenta uno sviluppo specificamente giudeo cristiano di questa catechesi, riguardante in modo specifico il Cristo. Dapprima si parla della sua preesistenza e del suo ruolo nella creazione e nell'Antico Testamento. Si parla poi della concezione verginale e dell'infanzia di Cristo, con aspetti di carattere apocrifo. Vengono poi degli episodi della vita pubblica. Successivamente si tratta della Passione e della sepoltura al Calvario. Le tre donne che vengono al sepolcro sono Sara, Marta e Maria Maddalena: è a loro che Cristo appare per prime. Si parla pure di Andrea nell'apparizione al Cenacolo. L'importanza data alle apparizioni ricorda I Cor. 1 5 e costituisce un aspetto arcaico. Infine abbiamo un racconto di ascensione come traversata dei cori angelici. La catechesi dottrinale non comportava soltanto un'esposizione, ma comprendeva anche una dimostrazione ( &.7t60EL!;Lc;), che era tratta essenzialmente dall'Antico Testa mento. Ne abbiamo numerosi esempi nei Vangeli canonici che, da questo punto di vista, sono testimoni della cate chesi primitiva. È in vista di questa dimostrazione che 6 In Gli Apocrifi deol Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III: ullere e Apocalissi, cit. 7 ar. pure I reneo, Dem., 67.
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sono state costttmte le raccolte di Testimonia, le quali trovano qui il loro Sitz im Leben. Questi Testimonia erano delle raccolte di testi dell'Antico Testamento, ma questi testi, come abbiamo visto, venivano assai liberamente abbreviati, completati e agglomerati. In questo senso essi costituiscono un genere letterario specificamente giudeo cristiano. Sembra che queste raccolte siano state dapprima costi tuite anzitutto in vista della polemica con i Giudei. Sono raggruppate intorno a due punti principali: la messianicità di Gesu e la condanna delle osservanze. È ciò che tro viamo nella Lettera di Barnaba, ma già in questa notiamo il passaggio all'uso catechetico, che raggruppa i Testimonia intorno ai misteri di Cristo. Ed è ciò che troviamo piena mente sviluppato nella Dimostrazione di Ireneo, ma essa è l'eco di una tradizione precedente, che è quella della catechesi giudeo-cristiana. Il secondo aspetto della catechesi è quello della morale. Un insieme di documenti ci permette di ricostruirne gli elementi principali e di stabilirne l'origine giudaica. Il primo, evidentemente, è la Didachè, la quale inizia espo nendo l'esistenza di due vie: « Vi sono due vie, una della vita e l'altra della morte » ( l, l ) 8 • Poi viene l'enunciato della via della vita: « In primo luogo ama Dio che ti ha creato, in secondo luogo ama il prossimo tuo come te stesso » 9 • La seconda regola è : « Non farai ad altri ciò che non vuoi che sia fatto a te » ( 1, 2 ). Lo Pseudo-Bar naba, nella seconda parte della Lettera, espone un trattato delle due vie che è del tutto parallelo. Egli precisa che « alla prima sono preposti gli angeli luminosi di Dio, all'altra invece gli angeli di Satana » (XVIII, l ) 10• Il primo comandamento è: « Ama colui che ti ha creato » (XIX, 2). La Lettera di Clemente presenta al cap. XIII un insegna8 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 9 Per Ireneo il duplice comandamento costituisce il Myoç o-uv
"'tE"'t!J.1][J.Évoç annunciato da Is. 10, 23 (Dem., 87 ; PO, XII, 795). IO In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. Cfr. pure la Lettera degli Apostoli, 29; Orac. sib., VIII, 399.
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mento attribuito al Signore: « Siate miserkordiosi per ottenere misericordia ; come agirete, cosi si agirà con voi; come darete, cosi sarà dato a voi; la misura di cui vi servirete, servirà per voi » (XIII, 2 ). D'altra parte Clemente Alessandrino , al termine del Pedagogo, dà un riassunto della morale cristiana. Tale riassunto ( xtcpcxÀcx�wS11� bnSpoJ,J.i) ) comincia con una cita zione di I Piet. l , 17-19 e 4, 3 ( III, 1 2 ; GCS, 2 83 ); viene poi un'allusione al battesimo (avcxyEW1}9Év'ttc;). Si tratta di un insegnamento dato a coloro che spiri tualmente sono ancora dei fanciulli ( 283, 33 ). Ora, questo insegna mento comincia con l'affermazione dell'esistenza delle due vie: « lo ti condurrò nella via ( òS6c;) della salvezza ; libe rati ( cbt60"1:cx) dalle vie ( òoot) della menzogna » ( 284, 9 ) . Viene poi l'esposizione della buona via. Ora, c'è un'espres sione che la riassume ( xEcpcxÀcxLwOlJc;) e che abbraccia tutto: « Ciò che vuoi che gli uomini ti facciano, fallo tu stesso » ( 284, 20-2 1 ). Poi « si possono pure riassumere in due i comandamenti : Amerai il Signore con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze ; e il tuo prossimo come te stesso » ( 284, 2 1-23 ). Infine Clemente espone dettagliatamente i comandamenti secondo la Legge e il Vangelo 11• Infine le Omelie Clementine portano un ultimo esem pio. Si tratta di una catechesi battesimale di Pietro agli abitanti di Tiro, la quale comporta anzitutto un'esposi zione della dottrina dei due spiriti : « Il Dio che ha creato ogni cosa, sin dall'inizio ha imposto infatti questa legge ai due principi opposti, a destra e a sinistra . . . » (VII, 3 ). I cittadini di Tiro hanno sinora seguito la via della morte, ma ora possono riscoprire la vita. Pietro allora ne detta le condizioni : « Pregare Iddio; astenersi dalla tavola dei demoni; non gustare carne morta; non toccare il sangue ; purificarsi con delle abluzioni. Il resto si riassume in una frase : i beni che ciascuno desidera per sé, li auguri anche al prossimo. Tu non vuoi che nessuno ti uccida: a tua volta non uccidere; non vuoi che alcuno ti derubi : non 1 1 Sul Decalogo nella catechesi cristiana primitiva cfr. G. Bourgeault, Décalogue et morale chrétienne, Paris, 197 1 .
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rubare » (VII, 4 ; GCS, 1 1 8- 1 1 9). Segue una seconda catechesi agli abitanti di Sidone, che inizia con un trat tato delle due vie (VII, 7 ) ; poi vengono alcuni precetti (VII, 8 ). E. Molland ha notato che il contenuto dei precetti del primo passo corrisponde con un certo rigore al decreto apostolico. Questo decreto è stato utilizzato almeno in alcuni gruppi come istruzione catechetica. Ma ben presto il carattere rituale delle prescrizioni che lo costituivano non è stato piu compreso e gli è stato dato un carattere piu morale 12 • È quanto troviamo in altri passi degli scritti clementini (Ree. Clem. , IV, 36 ). Noteremo tuttavia che sono rimaste delle tracce del primitivo aspetto rituale. È cosi che la Didaehè parla di astensione dagli idolotiti (VI, 3 ) , il che è un vestigio arcaico. Peraltro E. Molland osserva che « a questo piccolo trattato di morale si aggiunge ben presto la regola d'oro » 13 , la quale si ritrova altrove negli scritti clementini (Hom. Clem. , I I , 6; XII, 32; Ree. Clem. , VIII, 56 ). È chiaro che tutti questi documenti si riallacciano ad un tipo comune di insegnamento, in relazione con il batte simo. Tutti i loro elementi sono giudeo-cristiani, come il decreto apostolico, oppure giudaici. La dottrina delle due vie porta direttamente l'impronta della catechesi di Qum riìn. Ma gli altri elementi sono pure importanti; anzi tutto la regola d'oro: « Ciò che non vuoi che venga fatto a te, non farlo ad altri ». Questa formula si trova già nel Nuovo Testamento. Non si trovava nell'Antico Testa mento, ma era stata insegnata da Hillel e rappresentava la norma di tutta la morale per l'insegnamento catechetico giudaico 14• Infine la formula sui due comandamenti, cosi 12 La circoncision, le baptéme et l'autorité du décret apostolique, cit., pp. 25-33. Da completare con B. Hemmerdinger, Trois nouveaux fragments du Livre III de Saint Irénée, in « SCr », X ( 1956), pp. 268-269. 13 La circoncision, le baptéme et l'autorité du décret apostolique, cit., p. 28. 14 Cfr. D. Daube, The New Testament and Rabbinic Judatsm, cit., pp. 109, 124; A. Dihle, Die Goldene Regel, pp. 106-107.
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come si trova in Mt. 22, 37-39, è l'unione di Deut. 6, 5 con Lev. 19, 18. Ora, questa unione era stata fatta nel giudaesimo e faceva parte dello « Schema ». È un ele mento di catechesi giudaica ripreso nel Nuovo Testa mento 15• Beninteso gli elementi che seguiranno conterranno dei dati specificamente cristiani, tratti in particolare dal di scorso della montagna. Ma essi contengono pure dei dati di origine giudaica, come le allusioni alla semplicità ( Ò.7tÀ6't1'Jc;), cara agli Esseni (Barn. , XIX, 2 ). E, soprattutto, i dati evangelici sono integrati in uno schema giudaico. Tipico, a questo riguardo, il testo di Clemente Romano. In effetti le formule sono ispirate al Vangelo, ma sono raggruppate secondo la regola di Hillel. E. Massaux può
scrivere: « Queste ragioni ci fanno supporre che Clemente abbia attinto ad una fonte i cui redattori si ispirano a Matteo. In concreto pensiamo ad una sorta di catechismo che riassumeva l'insegnamento di Cristo » 16 • Analogamente Clemente Alessandrino comincia citando I Piet., che è una catechesi tipicamente cristiana 17• Ma in seguito egli pre senta il « riassunto » sotto forma di schema delle due vie. Questo insieme di osservazioni ci portano a concludere che è esistita una catechesi morale puramente cristiana nei tempi apostolici, di cui il Nuovo Testamento ci offre degli elementi nelle Lettere paoline. Ma successivamente, in ambiente giudeo-cristiano ( e già senza dubbio in Pale stina), si è voluta organizzare questa catechesi secondo una norma comune e semplice. Perciò i giudeo-cristiani hanno utilizzato il quadro della catechesi giudaica, cioè l'insegnamento delle due vie. Ciò non significa che non vi 15 Esso compare di frequente nei Testamenti ( lss. , V, 2; VII, 6 ; Dan. , 5, 3 ; Ben., III, 3). Cfr. P . Winter, Sadocite Fragments IV, 20-2 1 , in « ZNW » , LXVIII ( 1956 ), p. 72. I Testamenti rappresentano la transizione tra la catechesi giudaica e quella cristiana. 16 Influence de l'Evangile de Saint Mathieu sur la littérature chré tienne avant Irénée, cit., p. 13. 17 E. G. Selwyn, The First Epistle of St. Peter, London, 1947, pp. 363-467 ; E. Boismard, Une liturgie baptismale dans la Prima Petri, in « RB », LXIII ( 19.56), pp. 182-208.
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siano stati degli influssi anteriori della dottrina delle due vie sul Nuovo Testamento, ma vuol dire che, come quadro dell'insegnamento catechetico, l'utilizzazione dello schema giudaico con le due vie, la regola d'oro e i due comanda menti, è un'istituzione non apostolica, ma specificamente giudeo-cristiana. La preparazione al battesimo comportava dunque una istruzione preparatoria il cui carattere giudaico è chiaro. Ma essa aveva pure un aspetto ascetico: parecchi testi affermano che essa comportava un digiuno. La Didachè è molto esplicita: « Prima del battesimo, digiunino il bat tezzante e il battezzando e tutti gli altri che potranno farlo; ma in ogni modo dal battezzato esigerai il digiuno di almeno uno o due giorni » (VII, 4 ) . La I Apologia di Giustino attesta la stessa usanza: « A quanti si siano convinti e credano alla verità degli insegnamenti da noi esposti, e promettano di vivere secondo queste massime, viene insegnato a pregare e chiedere con digiuni a Dio la remissione dei peccati commessi; e con loro preghiamo e digiuniamo anche noi » ( LXI, 2 ) 18• Oltre al digiuno il testo di Giustino conferma l'esistenza della catechesi pre battesimale che sembra terminasse con una promessa. Pare che si trattasse dell'insegnamento generale e non della preparazione immediata; di questo primo insegnamento si parla pure nelle Ree. Clem. , III, 67 . La promessa sarebbe allora l'inizio della preparazione immediata. Tale usanza è rimasta nella Chiesa siriaca, in cui la rinuncia a Satana e la promessa a Cristo hanno luogo all'inizio della Quare sima, all'inaugurazione della preparazione immediata. Essa coinciderebbe con l 'iscrizione dei nomi di cui parla Ree. Clem. , III, 67 e che rimane ugualmente associata nella 18 In S. Giustino, Le Apologie, a cura di I. Giordani, cit. Cfr. pure l'usanza dei Valentiniani: « È per questa ragione [ per scacciare i demoni] che vi sono dei digiuni, delle suppliche, delle preghiere, delle [imposizioni di] mani e delle genuflessioni » (Clemente Aless., Excerpta ex Theod. , 84, l ; SC, 208; dr. pure p. 234, dove F. M. Sagnard dimo stra che il testo permette di giudicare quali erano le consuetudini cri stiane alla metà del secondo secolo). =
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Chiesa siriaca all 'inizio della Quaresima 19 • Secondo Giu stino la preparazione immediata sarebbe costituita essen zialmente dai digiuni e dalle preghiere. L'origine giudaica dell'usanza del digiuno è evidente, ma l 'origine giudaica del digiuno prebattesimale ci è con fermata dalla sua presenza negli scritti pseudo-clementini: qui ancora siamo proprio in presenza di un costume giu deo-cristiano. Abbiamo già citato Ree. Clem. , III, 67 : « Dopo aver dato il proprio nome, ascolti i misteri del regno. Si applichi a frequenti digiuni e metta se stesso alla prova. Al termine di tre mesi... » (cfr. pure VI, 1 5 ; Odi Sal. , IX, 1 2- 1 .3 ). Un altro passo delle Recognitiones è singolare. La madre dei due giovani chiede di essere imme diatamente battezzata, al che Pietro risponde: « � neces
sario che essa digiuni almeno un giorno prima di essere battezzata, e ciò perché ho udito da lei una parola che mi asskura della sua fede. Altrimenti essa dovrebbe essere prima istruita per molti giorni » (VII, 34 ). Cosi normal mente la preparazione doveva durare tre mesi. Pietro con sente a ridurla, ma è necessario almeno un giorno di digiuno. Orbene, questo era pure quanto la Didachè esi geva come minimo (VII, 4 ) 20• Quale significato attribuire a questo digiuno? Giustino gli dà come scopo la « remissione dei peccati » ( I Apol. , LXI, 2 ) . È chiaro che il digiuno è collegato ad una purifì cazione. Ora, per il giudaesimo del tempo la purifìcazione non riguarda soltanto la conversione interiore, ma anche la liberazione dai demoni. Ciò è soprattutto vero per i pagani. Scrive lo Pseudo-Barnaba: « Prima che noi credes simo in lui, il nostro cuore era ( . . . ) un'abitazione di demoni » (XVI, 7). Si può quindi essere d'accordo con A . Benoit quando scrive: « Il giudaesimo attribuiva al digiuno il potere di scacciare i demoni . Saremmo qui alle origini dell'esorcismo battesimale posteriore » 21 • Giustino 19 A. Benoi t , Le bapteme chrétien au Second Siècle, cit., pp. 145-146. 20 Si osservi che il tempo della prohazione a Qumran comporta l 'esercizio « alla temperanza » (Giuseppe Flavio, Bel!. ]ud., Il, 8, 7)_ 21 Le bapt�me chrétien au Second Siècle, cit., p. 1 L
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associa digiuno e preghiera, il che richiama M t. 1 7 , 2 1 : Questo demone non si scaccia che per mezzo della pre ghiera e del digiuno » 22 • Rimane un ultimo elemento di questa preparazione al battesimo che i nostri testi sembrano suggerire 23 • Abbiamo visto Clemente Alessandrino scrivere a proposito delle due vie: « Io ti conduco sulla buona strada; rinuncia ( &:7toCT't'a) alle vie dell'errore ». D'altra parte Giustino parla di un impegno a osservare i precetti, assunto prima della prepa razione immediata al battesimo. Altrove mostra i conver titi che rinunciano ( &:7tE't'à!;a'V'to) agli idoli e aderiscono ( &:vÉOT}xav) al Cristo 24• Il Pastore di Erma, dopo aver par lato dei due spiriti, conclude : « È bene seguire ( &:xoÀ.ou0Ei:v) l'angelo di giustizia e rinunciare ( &:7to't'&:!;a.cr0aL) all'an gelo del male » (Prec. VI, 2, 9 ). Ora l'espressione di Erma diverrà il termine tecnico per la rinuncia ( &:n6't'a.!;Lc;) a Satana e ai suoi angeli: la si trova già attestata da Tertulliano ( De spect. , 4 ) nei riti prebattesimali. Sembra proprio che v'i sia un'allusione ad un rito di rinuncia a Satana e di adesione a Cristo. Questo rito infatti, come abbiamo detto, è attestato alla fine del secondo secolo come una tradizione già antica 25• Bernard ritiene di riconoscere nell'inizio di una delle Odi di Salo mone: « Ho alzato il braccio in alto, verso la grazia del Signore » (XXXI, l ), l'estensione della mano che, secondo Cirillo di Gerusalemme, accompagnava il rito nella Chiesa siriaca (Cat. , I, 2 ; PG, XXXIII, 1 068 B). Il gesto, infatti, non è lo stesso di quello della preghiera con le braccia tese di cui si parla altrove nel testo. Si noti inoltre che «
22 Ciò sembra confermato da Clemente Aless., Excerpta ex Theod., 84, in cui il digiuno prebattesimale, unito alla preghiera, ha espressa mente lo scopo di cacciare i demoni (SC, 209). Circa il legame tra il digiuno e l'esorcismo dr. H. Musurillo, The Problem of Ascetica! Fasting in the Greek Patristic Writers, in « TRa », XII ( 1956), pp. 19-23. 23 Si notino pure le imposizioni delle mani (Hom. Clem., III, 73; Clemente Aless., Excerpta ex Theod., 84, 1). 24 l Apol., XLIX, 5; dr. pure II Clem., VI , 4-5 con &.7to't'acrcmrl�a.�. 25 Bo Reicke lo vede già menzionato in l Piet. 3, 21 (Diakonie, Festfreude und Zelos, cit., p. 185). Cfr. pure E. G. Selwyn, The First Epistle of St. Peter, cit., pp. 205-6.
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Basilio cita la rinuncia a Satana tra le -r;apa.o6crEt.ç (De Spir. Sancto, 27; SC, 234). Ora, sembra che -r;apaoocrt.c; abbia presso i Padri lo stesso significato, che si tratti di credenze o di costumi , e designi dei dati provenienti dal periodo apostolico. D'altra parte è quest 'ultimo punto che c'interessa qui. Due sono gli elementi che sembrano proprio mostrare che l'usanza è in relazione con la comunità di Qumran. In primo luogo si legge nel Mantlllel di disciplina che l'aggre gazione alla comunità era preceduta da un duplice giu ra mento : « Egli si impegnerà sull'anima sua mediante un vincolante giuramento di tornare alla legge di Mosè » (DSD, V, 8), e: « Si impegnerà nel Patto a separarsi da tutti gli uomini vani » ( V, l O ) 26• Ciò è confermato da Giuseppe Flavio (Bel!. ]ud. , Il, 8 , 7 ) e costituisce l'ana logia piu prossima che noi conosciamo alla rinuncia a Satana e all'adesione a Cristo. Peraltro abbiamo visto Erma porre il termine tecnico ano't'aa'O'EW in relazione con la dottrina essena dei due angeli. Sembra dunque che la formula stessa della rinuncia venga dal rituale esseno n . Solo il contenuto della promessa è mutato: essa non ha piu per oggetto « la legge di Mosè », bensf « i precetti insegnati » . Tutto ciò c i porta a concludere anzitutto che i testi giudeo-cristiani ci pongono in presenza di un insieme di preparazioni al battesimo contenenti: un insegnamento morale costruito secondo lo schema delle due vie; un periodo di digiuno; un impegno a osservare i precetti inse gnati e a rompere con la vita passata. In secondo luogo questo insieme si ritrova nelle sue linee essenziali e in certi dettagli precisi nel Manuale di disciplina di Qumran, con la differenza di uno sdoppiamento tra due gradi di iniZiiazione. Ci sembra quindi legittimo concludere che questo insieme è stato utilizzato e adattato dai giudeo cristiani palestinesi quando fu necessario organizzare la 26 In I manoscritti del Mar Morto, a cura di F. Michelini Focci, cit. 27 Cfr. E. Peterson, Fruhkirche, ]udentum und Gnosis, cit., p. 223.
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Le istituzioni
preparazione al battesimo, senza che c1o implichi che il battesimo stesso sia in relazione con la setta di Qumran. I
riti battesimali
Veniamo al battesimo. Non dobbiamo occuparci qui dell'origine stessa del sacramento : esso si collega all'isti tuzione diretta di Cristo. Abbiamo detto che il battesimo di Giovanni ne costituiva il punto di partenza; e questo battesimo ha indubbiamente un significato ,escatologico 28 • Ciò che qui importa sono le modalità giudeo-cristiane del rito. Si può partire dal testo della Didachè : « Venendo poi al battesimo, battezzate cosi: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, in acqua corrente. Se non hai acqua corrente, battezza con altra acqua; se non puoi farlo con acqua fredda, fallo con acqua calda. Se l'acqua non è abbondante, versala sul capo tre volte nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo » (VII , 1-3 ). La formula battesimale e la triplice effusione sono semplicemente cristiane e non _ hanno alcun carattere giu daico. Tra gli elementi che ci interessano è prima di tutto il fatto che il battesimo sia dato per immersione. È quanto presentano i battesimi giudaici, tanto quello dei proseliti che la purificazione di Qumran. Ma si tratta di un aspetto generale che caratterizzerà pure il battesimo in ambiente pagano. Il tratto piu interessante è l'allusione all'acqua viva, che presuppone che il battesimo sia dato in un fiume o in acqua corrente: è quanto si legge in Atti 8 , 36. Questa appare come l'usanza primitiva e pveferibile 29• Tuttavia si ammette che ogni acqua possa servire e, se ce n'è poca, che l'effusione sostituisca l'immersione. Ciò è confermato da altri testi. Ree. Clem. III, 67 descrive cosi il battesimo : « Ciascuno di voi sarà battez28 G. W. H. Lampe, The Seal of the Spirit, cit., p. 26. Cfr. T. Klauser, Taufet in lebendigen Wasser! Zum religions-und kulturgeschichtlichen Verstandnis von Didache, l, 1-3, in Pisciculi (A1.él. F. ]. Dolger), Miinster, 1939, pp. 157-165.
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zato nelle acque correnti ( perennibus) e il nome della Triplice Beatitudine sarà invocato su di lui » . Il testo pvesuppone, come la Didachè, una formula dichiarativa, un'epiclesi sul battezzato; la formula interrogativa non è quindi primitiva, come sembra supporre J. N. D. Kelly 30• La stessa indicazione sull'acqua viva ricompare a diverse riprese nelle Recognitiones clementinae ( VI, 1 5 ) . S i osservi che i l battesimo viene conferito anche in mare ( IV, 3 2 ; VII ; cfr. pure Atti Piet. 6; Lipsius, 50). Oltre a queste allusioni dirette, vi è indubbiamente un'allusione a questo aspetto nel fatto che il battesimo è designato con l'espressione « acque vive » in numerosi testi. Odi Sal. , XXX, ad esempio, che è, secondo Bernard, un invito al battesimo, comincia cosf: « Riempitevi con le acque della sorgente viva del Signore » ( XXX, l ; Bernard, 1 1 4 ). Il rito d'immersione nell'acqua corrente sembra accom pagnato, sin dall'epoca giudeo-cristiana, da cerimonie com plementari. Da una parte troviamo citata un'unzione d'olio prebattesimale, la quale è espressamente menzionata in Ree. Clem., III, 67 : « Ciascuno sarà battezzato . . . dopo essere stato unto (perunctus) prima con olio consacrato dalla preghiera, in modo che, santificato infine da tutte queste cose, egli possa partecipare alle cose sante ( sanctis) » ( III, 67 ). Ma l'incontriamo in un testo piu antico, cioè in un passo del Testamento di Levi che descrive !',insedia mento del gran sacerdote. Ma T. W. Manson ha dimo strato che si tratta di una descrizione simbolica dell'inizia zione battesimale 31 e R. De Jonge ha ripreso l'ipotesi 32 : « Il primo mi ha unto con l'olio santo; il secondo mi ha lavato ( eÀovcrE) nell'acqua pura e mi ha dato il pane e il vino consacrato ( &ytov ) e mi ha rivestito con un abito santo e glorioso » (VIII, 5 ). Certi tratti potrebbero far pensare ad un pasto messia nico descritto in un frammento di Qumran ( Qumran Cave, 30 Early Christian Creeds, London, 1950, pp. 30 ss. 31 Miscellanea apocalyptica, III, in « JTS » , XLVIII ( 1947), pp. 59-61 . 32 The Testaments of the XII Patriarchs, cit., p. 128.
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I, p. 1 17 ) , ma l'insieme sembra decisamente non poter convenire che all'iniziazione cristiana. Il punto interes sante per noi sta nel fatto che ritroviamo l'unzione batte simale con l'olio santo la quale, singolarmente, precede il
battesimo. Si tratta peraltro con certezza di un'unzione con olio consacrato che noi siamo abituati a situare dopo il battesimo. Ma R. de Jonge osserva che questa unzione si ritrova prima del battesimo nella liturgia siriaca 33 • Qui ancora la liturgia siriaca attesterebbe un vestigio di usanze arcaiche e avrebbe conservato degli aspetti giudeo-cri stiani 34 • Queste due testimonianze sono le piu precise sull'un zione nel rituale giudeo-cristiano, ma ve ne sono altre che confermano la sua esistenza. Da una parte il testo copto della Didachè offre, dopo l'Eucaristia, il testo di una pre ghiera di consacrazione dell'olio ( �vpov ) (X, 7 ) 35 • Un'indi cazione di questo genere si ritrova pure presso gli Gno stici : « Il pane e l'olio sono santificati ( lkyL
Ibidem, p . 128. Cfr. G. Kretschmar, Die Geschichte des Taufgottesdienstes in der altenkirche, in Liturgia, 1964, pp. 23-24. 35 Cfr. E. Peterson, Ueber einige Probleme der Didache.Ueberlie ferung, in « RivAC », XXVII ( 1952), ' pp. 46-54.
34
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Scrive Teofilo d'Antiochia: « Tu non vuoi ricevere l'un zione dell'olio di Dio. Per me è la spiegazione del nostro nome di cristiani: siamo unti con l'olio di Dio » (Ad. Autol. , I, 1 2 ). Peraltro le unzioni occupano un posto importante nei rituali gnostici. Ireneo le cita a piu riprese. Dopo il battesimo alcuni « ungono l'iniziato con balsamo. Essi dicono che questo profumo è il simbolo del buon odore che è al di là di tutte le cose » (Adv. haer. , I, 2 1 , 3 ) . Altri sostituiscono il battesimo con un'unzione di « olio mescolato con acqua sulla testa » ( I , 2 1 , 5 ) 36• Come nota giustamente A. Benoit, citando Duchesne, « tutti questi aspetti appaiono come delle copie di riti in uso presso la Chiesa » 37• Tuttavia essi pongono un pro blema interessante. Si è preteso che l'unzione, di cui si parla nei testi giudeo-cristiani, fosse un rito speciale, cui era associata l'effusione dello Spirito Santo, avendo il battesimo lo scopo di cancellare i peccati. Ora, questo è certamente estraneo al giudeo-cristianesimo, presso il quale l'unzione svolge un ruolo sussidiario il cui significato non è chiaro. Ma è il battesimo che dà lo Spirito Santo, mentre è vero che la distinzione di cui abbiamo parlato si trova presso gli Gnostici ed è collegata ad una sottovalutazione del battesimo. È l'unzione il sacramento dei perfetti (Adv. haer. , I, 2 1 , 2 ) : tale concezione influenzerà gli autori del terzo secolo, in particolare Tertulliano, come ha dimostrato G.W.H. Lampe. Ma Clemente Alessandrino la condannava come un errore gnostico 38, e cosf pure Ireneo. A. Benoit ha ragione di scrivere, a proposito dell'unzione e dell'impo sizione delle mani: « Ireneo, d'accordo in ciò con tutti gli altri Padri del secondo secolo, non accorda alcuna
36 Per i Naasseni, secondo lppolito, l'uomo al battesimo « è lavato con acqua viva e unto con olio ineffabile » ( Elench., V, 7 ; GCS, 83, 7-8). Cfr. pure l'iscrizione di Flavia Sofè: « Unti nei bagni di Cristo con l'unzione sacra ». Sul carattere gnostico del testo cfr. G. Quispel, L'inscription de Flavia Sophè, cit., pp. 205-214. 37 Le bapteme chrétien au Second Siècle, cit., p. 203. Cfr. pure G. Quispel, L'inscription de Flavia Sophè, cit., pp. 212-213. Il Vangelo di Filippo è particolarmente importante a questo proposito. 38 A. Orbe, Teologia bautismal de Clemente Alexandrino, cit., pp. 410-448.
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importanza a questi riti nella sua dottrina battesimale » 39 • Piu oltre parleremo della sphragis. Ciò lascia aperti due problemi : quello del significato dell'unzione battesimale e quello dell'esistenza di un sacramento della confermazione distinto dal battesimo. Abbiamo visto che il testo dei Testamento di Levi parlava della rivestizione di un abito 40• Il battesimo per immersione implicava evidentemente la spoliazione dalla tunica, seguita da una rivestizione. Ma sembra che sin dall'epoca giudeo-cristiana questo rito avesse un signifi cato rituale, in relazione con la simbolica della vestizione; in particolare con la rivestizione di una tunica bianca dopo il battesimo. Oltre che dal Testamento di Levi ciò sembra presupposto da parecchie allusioni contenute nelle Odi di Salomone: « Mi spogliai della follia e la gettai lon tano da me. E il Signore mi rinnovò con la sua veste » (XI, 9-1 0 ; Bernard, 72); « Mi sono rivestito dell'incorrut tibilità grazie al Nome ed ho abbandonato la corruzione mediante la sua grazia » (XV, 8 ; Bernard, 7 8 ) ; « Mi sono spogliato dell'oscurità e mi sono 'rivestito con la luce » (XXI, 2 ; Bernard, 90) 41 • Questi testi pongono un problema. Essi possono avere soltanto un significato simbolico e designare lo spolia mento dal peccato e il rivestimento con la grazia. È note vole il fatto che negli scritti pseudo-clementini il battesimo è chiamato abito (itvov�cx:) (Hom. clem. , VIII, 22 ; Ree. clem. , IV, 3 5 ). Ciò si ritrova in seguito (Cost. Apost., VIII, 22 ) : « abito » sarà uno dei nomi del battesimo 42 • Ma non è questa l'espressione di un rito reale, quello della rivestizione di una veste bianca e dell'abbandono dei 39 A. Benoit, Le baptéme chrétien au Second Siècle, cit., p. 206. 40 II Henoch forse si ispira ad un rituale battesimale quando scrive, a propooito dell'entrata di Henoch nel settimo cielo: « E Michele mi spogliò dei miei abiti e mi unse con buon olio » (XII, 21-22). 41 Cfr. anche XXV, 8: « Sono stato coperto con gli abiti dello Spi rito buono e tu mi hai spogliato dalle tuniche di pelli ». Il tema dello spogliamento dalle tuniche di pelle al battesimo di Gen. 3, 21 avrà' una notevole fortuna. Cfr. ]. Daniélou, Bible et liturgie, cit., pp. 53-57. 42 Cfr. J. Daniélou, Catéchèse pascale et retour au Paradis, in « MD », XLV ( 1 956), p. 1 15.
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vecchi abiti? 43 Il testo del Testamento di Levi sembra supporlo: in tal caso avremmo forse ancora un influsso esseno. In effetti Giuseppe Flavio racconta che a colui cui era permesso di accedere alla prima probazione veniva con segnato un abito bianco (Beli. ]ud . , II, 8 , 7 ). Peraltro, in un contesto battesimale, Erma parla di una veste bianca (Sim. VIII, 2 , 3-4 ), la quale viene associata alla crcppa:yLc;
(VIII, 2 , 4 ) 44• Il rito dell'abito bianco è quindi sicuramente di origine giudeo-cristiana . Esso è rimasto in seguito e sem bra sia stato accompagnato nella liturgia giudeo-cristiana da un altro rito che non è stato possibile mantenere nel l'ambiente pagano: quello dell'incoronazione. Le Odi di Salomone sembrano proprio indicarlo : « Il Signore è sulla mia testa come una corona ed io non sarei senza di lui. Un'autentica corona è stata intrecciata sulla mia testa » ( 1 , 1-2). J.H. Bernard rimanda qui di nuovo ad un rito siria co, in cui il neofita è coronato di fiori 45• G.W.H. Lampe accetta l'ipotesi: « Il neofita ( per l'autore delle Odi) riceve apparentemente una corona, la quale simbolizza la pre senza di Cristo, che è come una corona sulla testa del credente » 46• Si osservi che l'abito e la corona compaiono accostati altrove nel milieu giudeo-cristiano. Cosi nell 'Ascensione d'Isaia « gli abiti e la corona » sono deposti al settimo cielo per essere indossati da Isaia quando arriverà; essi simbolizzano la gloria degli eletti ( VII, 2 2 ; cfr. pure VIII, 2 6 ; IX, 2 5 ). La corona rappresenta una beatitudine supe riore all'abito ( IX, 1 2 ). Quest'associazione deve essere 43 G. p. 112).
W. H. Lampe lo ammette (The Seal o/ the Spirit, cit.,
44 Si veda pure l'allusione a l vestito bianco nel Tempio di Geru salemme dopo le purificazioni rituali in Pap. Oxyr. V, 840, l . 27. Il testo è commentato da J . Jeremias, in Coniectanea Neotestamentica, XI , cit., pp. J QJ. J 04 e in Unbekannte Worte Jesu, Ziirich, 1948, pp. 42-44. 4·� The Odes of Solomon , Cambridj!c, 1912, p. 45. 46 The Seal o/ tht Spiri/, cit., p. 1 1 2. Cfr. A. Voobus, History of Ascelism in Jbt Syrian Orient, I, Louvain, 1 958, p. 91 : « Crown in the Syriac tradition rders to Baptism ».
35.
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espressione di usanze rituali : in effetti il Testamento di Levi associa la veste e la corona in un passo battesimale (VIII, 3-9 ) 47 • R. Harris cita pure un brano di Erma in cui l'angelo del Signore dà ad alcuni delle corone di palme, ad altri delle vesti ed un sigillo ( crcppcx:yic;) ( Sim. VIII, 2, 1-4 ) prima di introdurli nella torre che è la Chiesa 48 : si tratta della Chiesa celeste. Ma l'allusione alla crcppcx:yic; , che in Erma designa il battesimo, sembra indicare una traspo sizione del rituale battesimale. Il simbolismo della veste e della corona per designare i beni escatologici ci riconduce all'apocalittica giudaica (DSD, IV, 7-8 ). Ma il passo di Erma forse precisa l'origine del rito. Il contesto è quello della Festa dei Tabernacoli, con le effusioni d'acqua ( Sim. VIII, 2, 8 ) e i rami di salice presentati ai sacerdoti (VIII, 3 , 4 ). Ora, l'uso delle corone di palma si collega pure alle consuetudini della festa 49, il che spiegherebbe il posto da esse occupato nell'Apocalisse giovannea che si ispira alla Festa dei Tabernacoli e in cui si ritrovano gli abiti bianchi, i rami (di palma), l'acqua viva . . . Si comprende cosi il carattere escatologico della corona nell'Ascensione d'Isaia. La Festa dei Tabernacoli svolgeva un grande ruolo nel giudaesimo e sembra peral tro, come si vedrà, che essa occupi un certo posto nel giudeo-cristianesimo. Non v'è dubbio che essa è stata una festa battesimale. L'uso di incoronare i neofiti poteva 47 Cfr. pure Apoc. Piet., in « ROC », XV ( 1910), pp. 317, 319. Per il rituale mandeo, cfr. E. Segelberg, Masbùtii, Uppsala, 1962, pp. 60-61 . 48 Origene parla di u n libro in cui « tutti i credenti ricevono una corona di salice » (Hom. in Ez., I, 5; PG, XIII, 674 B). 49 Cfr. Giub., XVI, 30: « Fu stabilito che essi celebrino la Festa (dei Tabernacoli) dimorando nelle capanne, portando delle corone sulle loro teste e tenendo delle frasche piene di foglie e dei rami di salice »; Tacito, Hist., V, 10: « I preti giudei portano delle corone di edera ». E. Goodenough cita l'espressione di Berenikè (]ewish Symbols, cit., II, pp. 143-144). Lo stesso autore (Jewish Symbols, cit., III, p. 471 ; IV, p. 157 ) osserva che la corona è di frequente unita al lulab sui monu menti giudaici. Sull'uso delle corone nel giudaesimo si può aggiungere Giudit. 1 5, 13 (LXX); III Macc., VII, 16. Cfr. I . Abrahams, Studies on Pharisaism and the Gospels, Cambridge, 1917, I , pp. 169-170; H. Riesenfeld, Jésus Transfiguré, 1947, pp. 48-51 ; C. H. Kra�ng, The Excavations of Dura-Europos, Final Report, cit., VIII, l, pp. 1 14-115.
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qL,indi costituire la traspos izione giudeo-cristiana di una consuetudine giudaica della Festa dei Tabernacoli 50• Quest'usanza appare come tipica di ciò che il cristiane simo ha dovuto abbandonare passando nei milieux pagani presso i quali, infatti, il portare la corona aveva un carat tere idolatrico. La portavano i sacerdoti pagani e la sua consegna al soldato aveva il significato di un atto cultuale. Per questo Tertulliano ne condanna l'uso nel De corona militis. In tali condizioni è chiaro che il fatto di portarla presentava per i battezzati un aspetto equivoco: poteva sembrare un'assimilazione del battesimo ai culti degli idoli . Per questo la consuetudine è completamente sparita 51 • Problemi analoghi li ritroveremo per altri riti ; d'altronde ne sono spariti anche dal giudaesimo per le stesse ragioni 52• Si pone un ultimo problema riguardante i riti post battesimali: quello della sphragis, che è stato assai dibat tuto in questi ultimi anni. Molti punti sembrano acquisiti: in primo luogo nei testi arcaici il termine O'cppa:ytç non indica un atto particolare distinto dal battesimo e al quale sarebbe collegata l'effusione dello Spirito. In particolare non si dà un parallelismo circoncisione-battesimo presso i Giudei e sphragis-battesimo presso i cristiani, ma è il battesimo stesso che viene indicato col termine sphragis e che è l'effusione dello Spirito 53 • L'insieme dei testi arcaici è decisivo a questo proposito. Il termine sphragis compare con questo significato in Paolo (E/. l , 1 3 ; II Cor. l , 2 2 ); lo si trova presso gli autori giudeo-cristiani : in II Clem. 54, nel Pastore di Erma 55 che scrive : « L'acqua è la sphragis » (Sim. IX, 16, 4 ). Le Odi di Salomone vi SO Odi Salom., XX, 7, indica che si tratta di una cowna di foglie : Vieni al Paradiso, fatti una corona con il suo albe ro c mettila in testa ». 5! Quanto all'origine dell'usanza, Blichler vede in essa un influsso greco (La Féte des Tabemacles cha: Tacite et Plutarque, in « REJ », XXXVII [ 1 898 ] , p. 1 96 ). Ma ciò scmhra difiicilmente conciliabile con la loro menzione nei Giubilei. 52 E. Goodenoujlh, ]ewish $ymbo ls , cit., IV, p. 157. l.ampe, The Seal of the Spirit, cit., pp. 97-149. 53 Or. 54 A. lknoit, Le bapltme chrétirn au Srcond Siècle, cit., pp. 97·1 12. 55 Ibidem, pp. J 3 J . J 32. «
G. W. Il.
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alludono di frequente ( IV, 8 ; VIII, 1 6); è pure citato dalla Lettera degli Apostoli ( 5 2 ; PO, IX, 224 ) 56 . Cosi la sphragis è uno dei nomi del battesimo nella comunità giudeo-cristiana. L'origine di tale designazione, d'altronde, sembra che debba proprio essere rintracciata nel giudaesimo. Il termine sphragis compare infatti in molti testi antichi come des1gnante la circoncisione : cosi in Rom. 4, 1 1 e nella Lettera di Barnaba, IX, 6-8 . Il batte simo è sphragis in quanto è il segno che aggrega al popolo di Dio, come lo era la circoncisione. G. Dix ha avuto ragione ad accostare circoncisione e sphragis, ma ha avuto torto di vedere nella sphragis altra cosa che il battesimo 57 • Anche presso le comunità giudeo-cristiane, che conserva vano l'usanza della circoncisione, come quella del sabato, l'autentico equivalente era infatti rappresentato dal batte simo 58 • Questa assimilazione del battesimo alla circonci sione, in ambiente giudeo-cristiano, autorizza Cullmann a pensare che il battesimo dei bambini è un'usanza giudeo cristiana che sembrava normale dal momento che i bimbi giudei venivano circoncisi l'ottavo giorno 59 • La consuetu dine sparirà in ambiente pagano per non ricomparire che successivamente. Ma, detto ciò, resta da sapere se il termine sphragis non sia ugualmente servito a des1gnare un rito particolare del battesimo. Il problema è parallelo a quello che incon trammo per l'abito, il quale è un nome del battesimo nel suo insieme, ma in relazione con un gesto particolare. È la stessa cosa per la sphragis? Questa è servita successiva mente a designare il segno di croce che veniva fatto in fronte ai cristiani, cerimonia che faceva parte, e ne fa tuttora, dei riti battesimali. Ora, il problema che dob biamo porci è quello di sapere se questa consuetudine crcppayL!;EcrSaL) 56 Cfr. pure l 'espressione baptismo consignari ( in Ree. Clem. , VI, 8. 57 The Seal in tbe Second Century, in « TH », LI ( 1 948), p. 7 . 58 E. Molland h a dimostrato, contro H . ]. Schoeps, che era il caso dei giudeo-cristiani degli scritti pseudo-clementini (La circoncision, le bapteme et l'autorité du décret apostolique, cit., pp. 8-14). 59 Die Tauflebre des Neuen Testaments, Ziirich, 1948, p. 51. =
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risale al giudeo-cristianesimo. Molti testi sembrano anzi tutto suggerire che la sphragis è realmente un segno impresso sulla fronte. Cos( in Odi Sal. , VIII, 1 6 : « Ho posto il mio sigillo sul loro viso ». A proposito di questo testo G. W. H. Lampe scrive: « Sembra che vi sia un riferimento all'uso del segno della croce nel rituale del battesimo, e questo segno imposto al nuovo battezzato è in relazione con la concezione , che abbiamo rilevato nell'Apocalisse, dell'eletto visibilmente segnato sulla fronte dal sigillo del possesso divino » 60• Il raffronto istituito qui da Lampe ci sembra fondamentale . Abbiamo visto infatti che il segno impresso sugli eletti per Ezechiele è il segno tau che si scrive + o X. E questo il segno di cui si parla nell'Apocalisse. Si tratta ora di sapere se non fosse questo segno, che marcava col segno di Dio i membri della comunità escatologica, quello che usarono i giudeo-cristiani. Ciò che rende piu verosimile la cosa è che il testo di Ezechiele viene citato nel Documento di Damasco (XIX, 1 2 ) 61 e, perciò, che il segno con il tau rappresentava nel milieu esseno come il sigillo dei membri della comunità escatologica. A questo occorre accostare, come abbiamo visto in un capitolo precedente, l'espressione « portare il nome » , che si trova in Erma e designa il battesimo (Sim. IX, 1 3 , 2-3 ) . I n tale espressione infatti il nome è la persona di Cristo. « Portare il nome » può quindi significare portare il segno della divinità, il tau. È chiaro che in ambiente greco questo significato del tau si era perduto. Il segno fu perciò interpretato sia come la croce di Cristo, cui corrispondeva la forma di + , sia come la prima lettera del nome di XptO"'"t6c;, cui assomigliava la forma X. L'espres sione « portare la croce » si sarebbe allora sostituita all'espressione piu arcaica e giudaica « portare il nome » , se accettiamo almeno l'opinione di E. Dinkler 62 • In tal 60 The Seal af the Spirit, oit., p. 1 13.
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Cfr. ]. L. Teicher, The Christian Interpretatian af the Sign X in the Isaiah Sera!!, cit., pp. 196-198. 62 Jesu Wart vam Kreuztragen, in Neutestamentliche Studien fur
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caso il fatto di segnare in fronte il battezzato, senza dubbio dopo il battesimo, sarebbe un'usanza giudeo-cri stiana in relazione con la concezione del battesimo inteso come aggregazione alla comunità messianica, che è precisa mente la concezione arcaica nella linea essena. Questo segno era il segno ebraico tau. La sua interpretazione come segno della croce proviene dalla mistica della croce quale esisteva nella comunità giudeo-cristiana. L'origine prima del rito e il suo sviluppo dipendono dunque da due momenti della storia del giudeo-cristianesimo: il primo della comunità escatologica della Palestina, il secondo del giudeo-cristianesimo siriaco dopo il 70. Troviamo una conferma di queste vedute nei dati pro venienti dai Valentiniani. Presso costoro, infatti, si trova una trasposizione del battesimo cristiano che ne conserva numerosi elementi, i quali sono di carattere arcaico. F. M. Sagnard ha studiato da vicino la dottrina della O"cppr.xYtç negli Estratti di Teodoto (SC, 2 34-2 3 9 ; cfr. pure Vangelo di Filippo, 49). Ne risulta che il sigillo è dato nel battesimo mediante « l'invocazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo » ( 80, 3 ) ; il battezzato riceve il sigillo scendendo nell'acqua. È chiaro perciò che il sigillo designa il battesimo stesso. Peraltro, « il fedele porta, come iscri zione, il Nome di Dio per mezzo di Cristo. Anche gli ani mali irragionevoli, col marchio ( O"cppa:yCç) che portano, mo strano a chi appartengono » ( 86 , 2; SC, 2 1 1 ). Cosi il nome di Dio è come la sphragis, il marchio di proprietà portato dagli animali. Ciò sembra proprio un'indicazione decisiva del fatto che nel battesimo il fedele era marcato con il nome di Dio. Ora, il segno non può essere che il tau, il quale conserva ancora, in Teodoto, il suo antico significato 63•
R. Bultmann, cit., pp. 1 10-129; cfr. le riserve di E. Goodenough in Jewish Symbols, cit., pp. 131-132. 63 Per l'uso presso i Mandei, cfr. E. Segelberg, Masbiitii, cit., p. 53.
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L'Eucaristia I testi giudeo-cristiani ci mostrano l'iniziazione cri stiana che termina con U pasto eucaristico. Cosf. nel Testa mento di Levi: « Il secondo mi lavò con l'acqua pura e mi diede ( ltj�WJJ,�.a�V ) del pane e del vino consacrato ( &yLO'V) » (VIII, , ), Allo stesso modo, la descrizione delle Recognitiones clementine termina cosf: « Che cosf. consa crato egli possa in6ne aver parte (percipere) alle cose sante » ( III, 67 ). I l testo della Didachè intercala, dopo il racconto del battesimo, un'osservazione sul digiuno pre battesimale, ma il cu i scopo - qu ale Io troviamo pure nelle Ree. Clem. VII, 36 - è quello di distinguere il d1giuno prebattesimale dagli altri digiuni . Poi viene l'inse gnamento del Padre Nostro, ma ciò sembra rientrare pre cisamente nell'iniziazione. Sappiamo infatti dalle successive catechesi siriache che il Padre Nostro era comunicato sol tanto dopo il battesimo. Esso costituiva la prima preghiera del battezzato, seguita immediatamente dall'Eucaristia ( IX, l ). Questa perciò si colloca proprio nel quadro dell'ini ziazione. Questo primo aspetto forse è in relazione con il bat tesimo giudaico dei proseliti, ma non è una cosa certa. Ciò che invece appare certo è che la struttura fondamen tale dell'Eucaristia, la preghiera di rendimento di grazie, la benedizione prima sul pane e poi sul vino, si collegano ai berakoth giudaici 64• Si osservi che in Matteo e in Marco le due benedizioni precedono il pasto come nella comunità di Qumran. Si rilegga il testo del Manuale di disciplina : « Quando apparecchieranno il tavolo per mangiare o il mosto per bere, il sacerdote stenderà la sua mano per primo per benedire il pane e il mosto » (VI, 4-6 ) 65 • 64 Cfr. G. Dix, The Shape o/ the Liturgy, Westminster, 1945, pp. 60-120. 65 Cfr. K. G. Ku hn , Repas eu/tue/ essénien el Cène chrétienne, in I.es Manuscrits de la Mer Morte (Co/loque de Strasbourg), cit., pp. 8587. H. Kosmnla pensa piuttosto per la benedizione del vino, a quella che segue il pasto pasquale, ma che ne è separata ( Hebraer, Essener, Christm, pp. 1 74-192).
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Ma qui ancora, come per il battesimo, ciò che ci inte ressa non è la struttura fondamentale dell'Eucaristia, quale ad un tempo si iscrive nell'ambiente giudaico originario e persiste sino ai nostri giorni, ma gli aspetti particolari che l'Eucaristia ha presentato in ambiente giudeo-cristiano e che successivamente ha perduto, o che si sono trasformati. Ora, il punto piu chiaro è il legame tra l'Eucaristia e il pasto, il quale compare nel rituale della Didachè e com porta anzitutto una prima eucaristia sul vino ( IX, l ), poi un'altra sul pane spezzato (xÀ&.a-a.c;) ( IX, 3 ) Il carattere sacramentale di questa è ben sottolineato: « Nessuno mangi o beva della vostra eucaristia, se non i soli battez zati nel nome del Signore, poiché egli ha detto: Non date le cose sacre ai cani » ( IX, 5 ). Poi viene un ultimo rendi mento di grazie, preceduto dalle parole: « Dopo esservi saziati » (X, l ). Il rituale è stato giudicato in modi diversi. È questo l'ordine stesso dell'Eucaristia? È un adattamento di pre ghiere eucaristiche a un pasto? In ogni caso sembra che le preghiere siano eucaristiche : vi ritorneremo. Quanto alla struttura, essa corrisponde a quella del pasto: bene dizione di una coppa prima del pasto, poi l'eucaristia sul pane e infine l'eucaristia sul vino. Questo sembra l'ordine dell'istituzione in Luca. In ogni modo il legame tra pasto ed eucaristia è ben definito. Ben presto esso è stato abban donato; nell'ambiente greco è facile spiegarsene il perché, leggendo in Paolo gli abusi cui dava luogo a Corinto. Bo Reicke ha mosttato peraltro come questi pasti diven tassero nel milieu giudeo-cristiano dei focolai di esalta zione messianica 66• Ma si pone il problema di sapere se ne ritroviamo delle vestigia ulteriori. Il dato piu interessante qui è ciò che ci dice la Tradi zione apostolica di Ippolito di Roma, la quale riferisce che con il pane e il vino, sacramenti del corpo di Cristo, il vescovo benediceva durante la messa « il latte e il miele .
66 Diakonie, Festfreude und Zelos, cit., p. 49; G. Dix ha perciò ragione di pensare che l'usanza sia stata abbandonata dai giudeo-cri stiani dopo il 70 (Jew and Greek, cit., pp. 103-104).
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mescolati insieme » ( 2 3 ; se, 57 ) 67 • Ciò che qui ci inte ressa non è il significato simbolico che Ippolito dà a questo rito e che è secondario ( cfr. pure Tertulliano, De cor. , III, 3 }; ma tale significato simbolico attesta che si è voluta dare un'interpretazione ad un gesto il cui senso naturale era andato perduto. Ora, tale senso naturale con siste nell'essere il vestigio di un pasto che era associato all'Eucarisda o, piuttosto, nel corso del quale l'Eucaristia veniva consacrata. Nello stesso tempo il testo di Ippolito ci autorizza a vedere un'allusione a questo pasto nei diversi passi in cui i testi giudeo-cristiani parlano simbo licamente del latte e del miele. Tali allusioni sono numerose. La Lettera di Barnaba offre la ·stessa interpretazione allegorica della Tradizione Apostolica (VI, 8- 1 7 ), il che può lasciar supporre un rito reale 68, dal momento che la Lettera tende ad allegorizzare tutto. Piu preziose sono le allusioni contenute nelle Odi di Salomone, se ammettiamo, con Bernard e Lampe, il loro carattere battesimale. Cosi IV, 1 0 : « Apri le tue sor genti opulente da cui sgorgano il latte e il miele » . J. H. Bernard scrive a questo proposito : « Nella lettera tura cristiana primitiva vi sono numerose tracce di un rito di somministrazione del latte e del miele al nuovo battezzato » 69• Nell' Ode XIX si parla soltanto di latte: << Una coppa di latte mi è stata offerta » ( XIX, l ). Ci si ricorderà che nella I Piet. , che è una catechesi battesimale, si legge: « Come bambini appena nati, desiderate arden temente il puro latte spirituale » ( 2 , 2 ) Ora, nella Tradi zione Apostolica, in cui è certa la presenza dell'offerta del latte, compare pure il tema dei « bimbi piccoli » ( 2 3 ; se, 54), accanto a quello della « terra della promessa » . Cle mente Alessandrino unisce i due temi ( Paed., I, 6, 3 4 ; GeS, 1 1 0, 26-3 1 ). .
67 Cfr. N. A. Dahl, La terre où caule le lait et le miel, cit.,
pp. 62, 70.
68 Cfr. L. W. Barnard, A Note an Barn. VI, 8-1 7, in ( 1 96 1 ), pp. 261-268. tJJ The Odes of Solomon, cit., p. 53. ,
«
ST » , IV
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Possiamo ancora portare la testimonianza di autori estranei alla Grande Chiesa dal momento che, come abbiamo detto, essi conservano spesso consuetudini arcai che. Tertulliano attesta che il rito era praticato dai Marcio niti, il che ci conduce alla prima metà del secondo secolo (Adv. lvlarc. , I, 14 ). Peraltro Ippolito narra che i Naasseni fanno del latte e del miele il simbolo del nutrimento dei perfetti. Dopo aver citato il passo di Deut. 3 1 , 20 sulla « terra su cui scorrono il latte e il miele », aggiunge: « Gustando questo latte e questo miele i perfetti si affran cano da ogni dominazione e partecipano alla pienezza » (Elench. , V, 8; GCS, 94 ) 70• I Naasseni interpretano il rito come il nutrimento dei perfetti, ma ciò presuppone vero similmente che essi ne conoscano l'esistenza. L'insieme di queste testimonianze ci conduce quindi a considerare che l'Eucaristia, originariamente associata al pasto della comu nità primitiva, ha continuato in tutta l'epoca giudeo-cri stiana a comportare almeno una partecipazione al latte e al miele 71 • Un secondo problema è quello della struttura stessa delle preghiere eucaristiche. Se prendiamo quelle della Didachè, il loro carattere giudeo-cristiano è certo: esso è stato stabilito da E. Peterson 72 e ]. P. Audet. Peterson riassume lui stesso la sua tesi: « Questi sono frammenti di un antico inno cristologico, in uso un tempo presso i giu deo-cristiani della Palestina. Vi si trova un'antichissima formula di epiclesi giudeo-cristiana » (p. l ). In effetti i tratti giudeo-cristiani sono numerosi: ne riveleremo alcuni. Il testo comincia con queste parole: « Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servitore, che ci hai fatto conoscere per mezw del servo tuo Gesu » 70
Cfr. K. Usener, Kleine Schri/ten, IV, pp. 398 ss. R. de Jonge vede pure una traccia di consumazione dei frutti in Test. Is., V, 3 (The Testaments of the XII Patriarchs, cit., p. 80). Per i Mandei cfr. E. Segelberg, Masbiitii. .. , cit., pp. 166-167. Si noti inoltre che l'uso rituale del sale, mantenutosi nei riti battesimali, ha dei corrispondenti esseni. Si trova presso i Terapeuti (Filone, Cont. , 37) e presso gli Ebioniti (Diamart., 1 ). 72 Didachè capp. 9 e 10, cit., pp. 3-13.
71
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( IX, 2 ). La vigna ci rimanda a Isaia ( 5, l , ecc.). La conce zione di Israele come vigna del Signore è eminentemente biblica, mentre per il mondo pagano la vigna è simbolo di immortalità 73• L'allusione a David rivela pure l'ambiente giudaico (cfr. Salmi di Salomone, 1 7 e 1 8 ). L'espressione 1ta.i:ç per designare Gesu come servo è parimenti giudeo-cristiana e si riallaccia all'applicazione del testo del servo di Jahweh al Cristo, assai importante nella liturgia primitiva. Scrive L. Cerfaux a questo propo sito: « La connessione di Isaia 52, 1 3 con le origini della liturgia cristiana appare dalla fortuna dell'appellativo 1ta.i:ç es:ov che ritroviamo nei contesti liturgici » 74• Si può citare Atti 4 , 27 e I Clem. , LIX, 2 . È notevole come nel testo degli Atti l'espressione 1ta.i:ç 8Eov sia applicata ad un tempo a David (4, 2 5 ) e a Gesu, come nella Didachè. La prima preghiera termina con la dossologia sotto una forma molto antica che dimostra trattarsi di una risposta del popolo: « A te la gloria nei secoli » 75• La seconda preghiera comincia cosi: « Ti ringraziamo, o Padre Nostro, per la vita e per la scienza (swn xa.t yvwcnc:; ) che ci hai fatto conoscere per mezzo del tuo servo Gesu » ( IX, 3 ) J. Dupont ha stabilito che questo è un tema giudeo-cristiano: « Il rendimento di grazie per aver ottenuto la conoscenza è un tema di cui l'eucologia cri stiana è debitrice a quella giudaica; questa osservazione permette di cogliere in un punto preciso la continuità esi stita tra la preghiera della Chiesa e quella della Sinagoga. Il grande posto occupato dalla gnosis nelle parti liturgiche della Lettera di Clemente lo spieghiamo con l'ispirazione giudaica dell'antica preghiera cristiana. Il tema della gnosis entra cosi nell'anafora eucaristica Didachè, IX, 3 » 76 • Viene poi il celebre passo: « Come questo pane spez.
73 C. Leonardi, Ampelos, Roma, 1937, pp. 60
74
ss.
La première communauté chrétienne à Jerusalem, in Ree. L. Cer· faux, II, cit., p. 141. 75 E. Peterson, Didachè capp. 9 e 10, cit , pp. 6-8. 76 Gnosis. La connaissance religieuse dans !es Epitres de Saint Paul, .
Louvain, 1949, pp. 33-34.
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uto ('t� xÀ.ciCT(.la) era sparso sui colli e, raccolto, è diven tato una cosa sola, cosi si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno, perché tua è la gloria e la potenza per mezzo di Gesu Cristo nei secoli » ( IX, 4 ) . La preghiera per il « raduno » che si collega a Is. 18, 3 ,
faceva parte del Schemoneh Esreh - l e 1 8 benedizioni recitate ogni sabato. H. J. Gibbins 77 osserva che il ter mine :x:Àb.cr(.la, che indica un pezzo di pane, è un'espres sione che si ritrova nel Nuovo Testamento (Giov. 6, 1 2 ; Mc. 8, 1 4 ) e che h a u n carattere arcaico. Ma soprattutto l'immagine del grano sulle montagne sembra convenire in modo del tutto particolare al paese di Giuda, costituito di colline coperte di frumento 78• Gibbins conclude : « Le pre ghiere della Didachè possono essere considerate come frammenti sopravvissuti della pietà eucaristica dei cristiani della Chiesa-Madre di Gerusalemme » (p. 386). La terza preghiera comincia con queste parole : « Ti ringrazio, o Padre santo, per il tuo santo Nome, che hai fatto abitare nei nostri cuori ( . . . ). Tu, Signore onnipo tente, hai creato tutte le cose a gloria del tuo Nome » (X, 2-3 ). Questo brano è forse il piu decisivo : vi incon triamo infatti due volte il « Nome » divino 79 che, come si è visto, è un'espressione specificamente giudaica. La sola osservazione da aggiungere è che qui abbiamo certamente l'origine dell'epiclesi eucaristica. L'espressione significa in fatti « invocare il nome » : è un appello al Nome perché venga a prendere dimora, il che non si comprende se non in quanto il Nome indica Dio stesso. Ciò è stato visto bene da W. O. E. Oesterley 80 e da G. Dix 81 • E. Peterson va piu in là e ritiene che il Nome qui designi il Cristo : « Il Nome di Dio, pronunciato sul pane, ha un valore di 77 The Problems of the Liturgica! Section of the Didachè, in JTS », XXXV ( 1 935), p. 377. Ciò è contestato da H. Riesenfeld, Das Brot von den Bergen, in « ER », LIV ( 1957), pp. 142-150. 78 Ibidem, p. 380. 79 Cfr. pure I Clem., LIX, 2, 3. 80 The ]ewish Background of the Christian Liturgy, Oxford, 1925, «
pp. 204-230. Rl
The Shape o/ the Liturgy, cit., pp. 219-220.
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santificazione. Qui vedrei l'origine dell'epiclesi nella litur gia orientale » 82 • Infine la preghiera termina cosf: « Venga la grazia e passi questo mondo! Osanna al Dio di David! Chi è santo si avvicini, chi non lo è si converta. Maranathà. Amen » . Tre espressioni di questo passo sono vestigia della litur gia aramaica della Chiesa primitiva. La prima, Hosannah, è un'acclamazione liturgica proveniente dal culto giudaico del Tempio. Si trova nel Sal. 1 17 , 24, che è il Salmo della Festa solenne dei Tabernacoli: « Ecco il giorno che ha fatto il Signore, trascorriamolo nell'allegria e nella gioia. Oh! Jahweh, concedi la salvezza (hosannah ). Benedetto colui che viene nel nome del Signore » . L'espressione si trova nel Vangelo, all'entrata delle Palme, a testimoniare il carattere messianico di questa scena. La seconda espressione è il Maranatha. Si tratta di una espressione aramaica il cui significato è stato discusso. Teo doreto, tagliando Maran atha, traduce: il Signore è ve nuto. Sarebbe l'affermazione della venuta del Messia. Ma sembra piuttosto che sia opportuno scindere Marana tha e tradurre: Vieni, Signore. In effetti nell'Apocalisse ( 22, 2 0 ) troviamo l'espressione 'Epxov, Kup�E 'lr}O'ou che sembra proprio costituirne la traduzione greca 83 • La forma ara maica si trova in I Cor. 1 6, 2 2 : essa traduce l'atteggia mento escatologico della comunità giudeo-cristiana. Ma ciò che a noi interessa in modo piu specifico è il suo significato liturgico. A tale titolo la sua presenza nella Didachè è preziosa. A questo proposito non posso fare altro che citare una pagina di O. Cullmann: « La Didachè ci informa che al momento della Cena, nel quadro della liturgia eucaristica, si pronunciava pure il Maranatha. Esso deve quindi aver svolto un ruolo di primaria importanza nel culto primitivo, poiché Paolo lo cita in aramaico in una Lettera scritta in greco. Contrariamente ad altre pre ghiere eucaristiche contenute nella Didachè e che spesso 82
Didachè capp. 9 e 1 0, cit., p. 13. 83 Cfr. F. J. Doelger, Sol Salutis, Miinster, 19252, pp. 198-2 1 1 .
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richiamano persino nei loro termini le preghiere giudaiche, nel Maranatha abbiamo l'elemento specificamente cristiano delle preghiere liturgiche primitive, cioè un legame assai stretto con la Resurrezione di Cristo che veniva festeg giata ogni domenica. Poiché era in un giorno simile che Gesu era apparso ai discepoli durante un pasto, gli si chiedeva di riapparire al momento della Cena. . . E come questa presenza spirituale di Cristo nella sua Chiesa è la garanzia del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi, que sta antica preghiera è ad un tempo il ricordo della sua ap parizione nel giorno della Resurrezione, un appello perché essa si rinnovi nel momento della Santa Cena e un annun cio della parusia finale che deve, essa pure, compiersi nel quadro del pasto messianico » 84• L'ultima espressione è l'Amen. Il termine è ebraico e sottolinea « l'affermazione della fede nella verità e nella fedeltà divine » 85 • È l'espressione del compimento della promessa: esso era atteso dai Giudei, ma si è realizzato per i cristiani 86 • Per questo il termine è uno dei nomi di Cristo in due passi notevoli. Il primo è Apoc. 3 , 1 4 : « Ecco ciò che dice l'Amen, il testimone fedele e verace » . Si osservi che l'espressione che segue l'Amen è propria mente una traduzione. Peraltro leggiamo in II Cor. l , 20 : « Per quante promesse vi sono in Dio, esse sono si in Gesu; anche per questo, grazie a lui, l'Amen è pronun ciato dal nostro ministero » . Nella liturgia giudaica l'Amen era l a risposta del po polo alle benedizioni. L'usanza risale alla liturgia del Tem pio: per questo troviamo l'Amen nei Salmi ( 4 1 , 1 3 ecc.). Ma era utilizzato pure nella liturgia sinagogale 87• Lo stesso ruolo svolgeva nella liturgia eucaristica cristiana 88• Senza 84
O.
pp. 12-13.
Cullmann, Le culte dans l'Eglise primitive, Paris,
1945,
85 H. Sclùier, art. 'AIJ.i}V, in TWNT, I, p. 341 ; trad. it., Grande lessico del Nuovo Testamento, l, Brescia, 1965, coli. 913-916. 86 G. Dix, The Shape of the Liturgy, cit., p. 341. 87 W. O. E. Oesterley, The ]ewish Background of the Christian Liturgy, cit., p. 7 1 . 88 Maranatha e Amen sono uniti in Apoc. 22, 20.
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dubbio occorre vedere nella preghiera della Didachè un dialogo. Dice l 'officiante: « Se qualcuno è santo si avvi cini, se non lo è si penta. Marana tha » . E il popolo ri sponde : « Amen » (X, 6). Su questo Amen abbiamo delle testimonianze antiche. Cosi in Giustino: « Quando le pre ghiere sono terminate, ci scambiamo il bacio della pace. Quindi a colui che presiede l'assemblea dei fratelli, viene portato del pane e una coppa d'acqua e di vino tempe rato. Egli li prende e glorifica il Padre dell'Universo in nome del Figlio e dello Spirito Santo, poi compie una lunga eucaristia per tutti i beni che abbiamo ricevuto da lui. Quando ha terminato le preghiere e l'Eucaristia, tutto il popolo presente esclama: " Amen " » (I Apol . , LXV, 3-4 ).
Capitolo tredicesimo
La comunità cristiana
Il capitolo precedente ci ha posto di fronte all'inizia zione cristiana cosf come ci sembra che sia stata realizzata nelle comunità giudeo-cristiane. Prenderemo ora in con siderazione i quadri della vita della comunità. Si pongono tre problemi. In primo luogo la struttura liturgica della giornata, della settimana e dell'anno: sappiamo infatti quale posto occupino i « tempi », i xa.tpot, nel giudaesimo contemporaneo a Cristo. La definizione di questi tempi è uno degli scopi principali di I Henoch e del Manuale di disciplina: è prevedibile quindi che un posto importante l'abbiano pure occupato nel giudeo-cristianesimo 1 • Trat teremo poi dell'organizzazione gerarchica e, infine, nel l'ultimo capitolo, della vita spirituale della comunità. Un tempo si è avuta spesso la tendenza a rappresen tare il cristianesimo primitivo come un movimento spiri tuale, mistico o escatologico, che soltanto secondariamente avrebbe preso una forma organica. Ma la conoscenza che possediamo attualmente del milieu giudaico ci mostra la inattendibilità di questa rappresentazione. Sembra, al con trario, che il cristianesimo abbia assunto sin all'origine le forme che erano quelle del giudaesimo contemporaneo. È in un secondo momento, all'impatto col milieu greco, che incontriamo un arretramento e una esitazione. Parecchie di queste forme infatti non corrispondevano alla nuova società in cui il cristianesimo si esprimeva e ciò ha com portato l'abbandono di alcune usanze, mentre altre si mantenevano. Tenteremo di ritrovare la struttura di que1 Cfr. I Clem., XL, 2: « Ci ha prescritto di compiere offerte (1tpo O'q>opcic;) e servizi divini in tempi (xatporc;) ed epoche (wpatc;) fissate ». 36.
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sto primo cristianesimo sia in ciò che è sopravvissuto, sia in ciò che è scomparso.
Le usanze della pteghiera Il rituale della Didachè prescrive di « pregare tre volte al giorno » ( VIII, 3 ) , ma non precisa quali siano queste ore di preghiera. Si potrebbe pensare alle tre ore in cui si saliva al Tempio, cioè la terza, la sesta e la nona, se condo quanto propone W. O. E . Oesterley 2• Ma un'altra ipotesi è piu verosimile 3 : leggiamo infatti nel Manuale di disciplina che gli Esseni pregavano tre volte al giorno, « all'inizio della luce, quando essa è a metà del suo corso e quando si ritira nell'abitazione che le è stata assegnata » (X, l ). Non è escluso che i cristiani abbiano conservato quest'usanza giudaica, ciò peraltro, si trova esplicitamente in II Henoch : « Il mattino, a mezzogiorno e alla sera del giorno è buona cosa recarsi nella Casa del Signore per glorificarlo di tutte le cose » ( XXVI, 1-3 ). Il contenuto di questa triplice preghiera quotidiana per la Didachè è l'orazione domenicale. Ma si osservi che essa aggiunge la clausola: « Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli » ( VIII, 2 ). Quest'aggiunta è certamente giudeo-cristiana. Un altro aspetto relativo alla preghiera merita che ci si soffermi : è la preghiera ad orientem. Non è citata nella Didachè, ma il suo uso è assai antico e Ba silio la annovera fra le tradizioni apostoliche ( De Spir. Sancto ; SC, 2 3 3 ), il che, l'abbiamo detto, designa le tra dizioni risalenti alla comunità giudeo-cristiana della Pale stina. Di primo acchito la cosa potrebbe stupire: pregare verso l'oriente non è infatti un'usanza giudaica, ed è pure condannato da Ezechiele ( 8 , 1 6 ) come un costume pagano. Ma si dà il caso che sia anche un'usanza essena, che è menzionata da Giuseppe Flavio (Bell. Jud. , II, 6, 5 ). È The ]ewish Background of the Christian Liturgy, cit., p. 125. Cfr. J. Jungmann, Altchristliche Gebetsordnung im Lichte des Regelbuches von En Feshka, in « ZKT », LXXV ( 1953), pp. 315-316.
2 3
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497
possibile quindi, come già notava F. J. Dolger, che vi sia un'origine essena 4• E. Peterson, tuttavia, ha proposto un'altra interpreta zione 5 : egli pensa che l'usanza cristiana costituisca una replica all'usanza giudaica di pregare rivolti a Gerusa lemme. Ora, questa consuetudine sarebbe apparsa dopo la caduta di Gerusalemme e sarebbe in rapporto con l'attesa giudaica della restaurazione messianica di Gerusalemme. La si trova presso gli Ebioniti, cioè alla fine del primo se colo 6 • Ciò sarebbe, presso questi giudeo-cristiani etero dossi, un'impronta del giudaesimo, come li accusa Ireneo. La consuetudine cristiana di pregare verso l'oriente sa rebbe una replica a questa usanza giudaica e sarebbe ap parsa perciò nella stessa epoca 7 • Questo legame tra la pre ghiera rivolta a oriente e l'attesa della Parusia sembra fondato. Esso fa risalire la preghiera a oriente ad una data notevolmente antica, situandola proprio nel quadro della polemica contro il millenarismo giudaico e giudeo-cristiano che caratterizza la fine del primo secolo, e contro la sua attesa di una restaurazione della Gerusalemme terrestre. Ma ciò non spiega perché i cristiani attendessero il ri torno di Cristo a oriente. Le motivazioni addotte dai Padri : allusione a Zacc. 6, 1 2 o al Sal. 67, 5, sono secon darie. Piu decisive sono le parole di Cristo : « Come il chiarore viene dall'oriente, cosi apparirà il Figlio dell'uo mo » ( Mt. 24, 27 ). Ma queste parole stesse si collegano ad un contesto che è quello giudaico. In tal modo siamo condotti agli Esseni. Tuttavia la frase di Giuseppe Flavio non implica che la preghiera ad orientem abbia avuto presso costoro un significato escatologico. Ma bisogna dif fidare di Giuseppe : egli si rivolge a dei Greci ed eccelle nel trasporre nelle loro immagini le usanze giudaiche. Ora, 4
Sol Salutis, cit., p. 44.
s Die geschichtliche Bedeutung der judischen Gebetsrichtung, in
<< TZ », III ( 1947), pp. 1-15; La croce e la preghiera verso l'oriente, in « EL », LIX ( 1945), pp. 52-61; ripreso in Friihkirche, Judentum und Gnosis, cit., pp. 1-36. 6 Ireneo, Adv. haer., I, 26, 2. 7 E. Peterson , Die geschichtliche Bedeutung, cit., p. 7 .
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c'è qui un particolare che ci stupisce. Peterson ha sottoli neato il legame tra la preghiera giudaica verso Gerusa lemme e la stella di Num. 24, 1 7 . Ma Num. 24, 1 7 è un tema caro agli Esseni : viene da chiedersi allora se la pre ghiera ad orientem non abbia presso di loro un significato messianico 8 • D'altra parte occorre notare che questo tema della stella si ripresenta nel cristianesimo primitivo: la stella dei magi compare « a oriente » (Mt. 2, 2 ) . Sembra perciò che la prima origine della preghiera cristiana verso l'oriente non sia soltanto una reazione contro l 'usanza della qibla giudaica verso Gerusalemme, ma trovi la sua spiegazione in una consuetudine precedente: quella dell'attesa della venuta del Messia dall'oriente, in relazione con il sole, la stella o il chiarore. Sì concorderà tuttavia di buon grado con Peterson sul fatto che questi dati costituiscono sol tanto una base immaginativa e che l'usanza cultuale della preghiera a oriente risale soltanto all'inizio del secondo secolo. Ma in questo momento essa dipende ancora da un milieu giudeo-cristiano e da controversie tra giudeo-cristia ni di tendenza millenarista e giudeo-cristiani di tradizione essena. Seguendo Peterson c'è da rilevare un ultimo aspetto, vale a dire il legame esistente tra la preghiera a oriente e un altro tema giudeo-cristiano, quello della croce di gloria. Sembra proprio, infatti, che nella simbolica giudeo-cri stiana la stella di Num. si sia trasformata in croce lumi nosa 9 • Questa croce, l'abbiamo detto, è il segno che pre cederà la v·enuta del Figlio dell'uomo. Questo legame tra la preghiera a oriente e la croce di gloria forse ha origine, come ha proposto E. Peterson 10, dalla consuetudine di 8 Questo senso messianico era già quello degli Esseni, secondo Brownlee, Messianic motifs of Qumran and the N. T., in « NTS », III ( 1957), p. 20.
9 « Questa stella non era una stella come tutte le altre, ma era una grande stella dalla forma di ruota: la sua figura era come quella di una croce (O'"t'a.vpoc;) » (F. Robinson, Coptic Apocryphal Gospels, cit.,
p. 165).
IO Die geschichtliche Bedeutung, cit.,
pp. 9-10.
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segnare una croce sul muro orientale. Ci troviamo quindi, in occasione della preghiera rivolta a oriente, di fronte ad un complesso di rappresentazioni - croce di gloria, attesa della Parusia - che sono specificamente giudeo cristiane e confermano l'origine giudeo-cristiana del tema che stiamo studiando. Accanto alle ore di preghiera durante la giornata, il cristianesimo presenta sin dall'origine l'usanza di una pre ghiera notturna, sotto forma di una veglia che si prolun gava sino all'alba. Ciò appare negli Atti degli Apostoli ( 20, 7 ) e si ritrova negli scritti pseudo-clementini. Cosi nelle Recognitiones : « Pietro, alzatosi al canto del gallo con l'intenzione di svegliarci, ci trovò che stavamo ve gliando con la lampada della sera ancora accesa » ( III, l ; cfr. pure Il, l ; IV, 3 ). Forse questo proviene dagli Es seni: sappiamo infatti che nella comunità di Qumran ogni notte alcuni membri della comunità dovevano leggere la Scrittura e benedire insieme Iddio ( DSD, VI, 7 ). In nes suno dei due casi si tratta di veglie eccezionali, ma, per certuni, di un costume ordinario 1 1 • Si osservi pure che la Tradizione Apostolica cita l'usanza di alzarsi « nel mezzo della notte » per pregare, e aggiunge : « Gli Anziani ci hanno tramandato questo costume » ( 35 ; SC, 72}. La men zione degli Anziani sembra qui un'allusione alla 7tiX.pcHìoc-tc;, cioè alle usanze giudeo-cristiane 12• La liturgia della settimana pone pochi problemi. L'isti tuzione domenicale risale alla primissima comunità e co 3 stituisce una creazione puramente cristiana 1 • Essa è atte stata dalla Didachè: « Il giorno del Signore, riunitevi per spezzare il pane e rendere grazie » (XIV, l ). Cosi pure la 11 Clemente Alessandrino, citando questa usanza, aggiunge che « co loro che vegliano la notte si rendono simili agli angeli che vengono chiamati Vigilanti » (Paed., Il, 9). Ora, i Vigilanti sono uno dei nomi caratteristici degli angeli nel giudeo-cristianesimo (II Hen., IX, 2). La veglia associa alla lode e alla natura degli angeli: tutto ciò lascia intravvedere un contesto giudeo-cristiano. 12 Cfr. A. Baumstark, Nocturna laus, Miinster, 1957, pp. 18-2 1 . 13 Cfr. W. Rordorf, Der Sonntag, Ziirich, 1962; C . S. Mosna, Sto ria della domenica dalle origini fino agli inizi del V secolo, Roma, 1969.
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Lettera di Bamaba : « Noi trascorriamo nella gioia l'ottavo giorno della settimana, in cui Gesu risorse dai morti » (XV, 9 ) 14• Nel milieu giudaico ciò coesisteva all'origine con l'usanza del sabato, la quale era stata conservata dai Nazareni, secondo la testimonianza di Epifanio, con la cir concisione ( Pan., XXIX, 8-9). E, beninteso, la si trova presso gli Ebioniti, mentre è respinta nel cristianesimo si riaco, secondo la testimonianza di Ignazio d'Antiochia : « Coloro che vivevano nell'antico ordine di cose si sono rivolti alla nuova speranza, non piu guardando al sabato, ma vivendo secondo la domenica » (Ad Magn. , IX, l ) 1 5 • Tuttavia un altro aspetto della liturgia ebdomadaria deve trattenere la nostra attenzione. La Didachè infatti oppone i giorni di digiuno cristiani ( mercoledi e venerdl) ai giorni di digiuno giudaici ( lunedi e giovedi) (VIII, l ). La scelta di questi giorni non si giustifica, come nel caso della domenica, per un legame con una realtà specifica mente cristiana, benché in seguito siano state cercate per essi delle giustificazioni in questo senso. Si pone perciò il problema della loro origine. È stato osservato che questi due giorni avevano una particolare importanza nel calen dario sacerdotale utilizzato a Qumran 16 • Sappiamo d'altra parte - ci ritorneremo quanto prima - che questo calen dario è stato certamente seguito dalla comunità cristiana primitiva. È quindi assai verosimile che la scelta di questi due giorni, come giorni di digiuno e di sinassi, sia di ori gine essena. Scrive giustamente la Jaubert : « Si com prende come il piccolo gruppo dei discepoli sia stato pre disposto ad adottare questi giorni liturgici già venerabili, attribuendo loro un significato nuovo » 17• Arriviamo quindi alla liturgia annuale: qui i problemi si fanno assai piu complessi. Ma il giudaesimo ci pone in presenza di un quadro liturgico notevolmente costruito, 14
In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
15 Ibidem.
16 A. Jaubert, La date de la dernière Cène, in ( 1954), pp. 168-169. 17 Ibidem, p . 169.
«
RHR �' CXLVI
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con le feste principali di Pasqua, delle Settimane, dei Ta bernacoli. Di fronte a ciò i piu antichi documenti cristiani non fanno allusione alcuna ad un dato liturgico o, piu esattamente, alludono soltanto alla festa di Pasqua, preci samente in relazione con la data della Pasqua giudaica. È chiaro, d'altra parte, che l'anno liturgico ha occupato ai loro occhi un posto importante. Il Nuovo Testamento iscrive la vita di Cristo nel quadro delle feste giudaiche e l'importanza attribuita a tale quadro lascia supporre che esso avesse ancora un significato per le comunità alle quali si rivolgevano i Vangeli. Qui sorgono varie domande. I giudeo-cristiani hanno conservato le feste giudaiche, a costo di attribuire ad esse un significato nuovo, oppure le hanno abolite, come il sabato e la circoncisione? D'altra parte, se le hanno osservate, quale calendario seguivano? La prima domanda riguarda la Pasqua. Un primo dato è certo: la celebrazione, da parte dei cristiani d'Asia, del 14 Nizan, cioè della Pasqua giudaica. Questa era per loro l'anniversario della Passione di Cristo. L'usanza si ritrova in Palestina, in Siria e a Roma. Coloro che la osservavano venivano chiamati Quartodecimani. Peraltro troviamo la usanza di celebrare la domenica successiva al 14 Nizan. La sua origine è dovuta al fatto che Cristo era risuscitato all'indomani del sabato. Ma abbiamo visto che questo an niversario era celebrato ogni domenica. Il costume di fe steggiare specialmente la domenica dopo il 1 4 Nizan può derivare dal fatto che presso gli Esseni la Festa delle Set timane, dei 50 giorni, cominciava proprio la domenica suc cessiva al 14 Nizan. La vigilia di tale festa era dedicata a ricordare il passaggio del Mar Rosso, che presso i cristiani rimarrà il tema della vigilia pasquale 18• La reazione contro il giudeo-cristianesimo condurrà a rifiutare la festa del 14 Nizan 19 e a mantenere l'altra che diventerà la festa cristiana di Pasqua. La seconda festa giudaica era la Pentecoste. La parola 18
Cfr. V. Goudoever, Fétes et calendriers bibliques, Paris, 1967,
pp. 227-239.
19 B. Lohse, Das Passahfest der Quartodecimaner, Giitersloh, 1953.
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designa il periodo di 50 giorni, che costituisce la Festa delle Settimane. Tutto questo periodo era considerato come festivo e ciò è persistito nel cristianesimo antico. Sin dalla fine del secondo secolo abbiamo una testimo nianza dell'uso di non piegare le ginocchia durante que sto periodo (Atti di Paolo, I, 30-32). Peraltro presso gli Esseni il cinquantesimo giorno era celebrato in modo par ticolave, come annivevsario del dono della Legge sul Sinai. Gli Atti degli Apostoli alludono già a questo significato quando descrivono l'effusione dello Spirito con delle im magini tratte dalla teofania del Sinai. Sembra perciò vero simile che, almeno negli ambienti giudeo-cristiani influen zati dagli Esseni, o presso degli Esseni convertiti, si sia celebrato il dono dello Spirito la domenica del cinquante simo giorno della Festa delle Settimane, come si celebrava la Resurrezione la domenica primo giorno della Festa 20 • Ma, in queste condizioni, nasce il pmblema di sapere che cosa ne è stato della Festa dei Tabernacoli. Nei docu menti non compare alcuna traccia della sua celebrazione, a meno che non vi si possa vedere un'allusione in un passo di Erma che accenna a usanze della festa ( Sim., VIII, 2, 1 -4 ). Sembra tuttavia difficile ammettere che essa, allo stesso titolo della Pentecoste, non abbia lasciato tracce. Si trovano tracce della Festa dei Tabernacoli, ma colle gate ad altri momenti dell'anno 21 • Da una parte la dome nica delle Palme, come ha mostrato T. W . Manson 22 , sembra pvoprio un'anticipazione della Festa al tempo pa squale; dall'altra - secondo E. C. Selwyn - l'Epifania presenta molti aspetti tratti dalla Festa 23• Ora, sembra che prima di essere cosi spostata - di remo il perché - la Festa dei Tabernacoli sia stata cele20 Cfr. V. Goudoever, Fétes et calendriers bibliques, cit., pp. 246261 .
21 J. Daniélou, Les Quatre-temps de septembre et la Féte des Ta bernacles, cit., pp. 1 1 4-136. 22 The Cleaning of the Temple, in « Bulletin of John Rylands Li brery », XXXV ( 1 951 }, pp. 271-282. 23 The Feast o/ Tabernacles. Epiphany and Baptism, in « JTS », XII ( 19 1 1 ), pp. 225-236.
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brata dai giudeo-cristiani in settembre, come facevano i Giudei 24• Ciò può aver lasciato una traccia nel Vangelo di Ma rc o se ammettiamo che esso sia costituito dalle letture di un anno liturgico - da settembre a settembre - e che termini col racconto dell'entrata delle Palme ( le letture della Passione sono a parte) 25• In tal caso la Festa dei Ta bernacoli sarebbe apparsa in relazione con il battesimo di Cristo. Si osservi peraltro che nel Vangelo di Giovanni essa è posta espressamente in relazione col battesimo ( Giov. 7 , 37-39). Si può anche supporre che, Festa del l'inizio dell'anno e anniversario del battesimo di Cristo, essa abbia comportato la celebrazione di battesimi cristiani. Questo legame è persistito nel giudeo-cristianesimo: E. C. Selwyn ha dimostrato che le Odi di Salomone, il cui carat tere battesimale è rilevante, sono piene di allusioni alla Festa dei Tabernacoli. Rimane da chiederci perché la Festa non sia sparita, ma sia stata trasferita. La situazione sembra diversa nel caso della relazione con le Palme e in quello del trasferi mento all'Epifania. Il primo sembra caratteristico del Van gelo di Giovanni : esso si collega perciò al milieu asiatico. Ora, in tale milieu c'erano due ragioni a favore del trasfe rimento dei Tabernacoli a Pasqua. La prima è che l'inizio dell'anno, che era al principio del Tisri per il calendario sacerdotale, per il calendario giudaico ufficiale era all'inizio di Nisan. Ora, abbiamo visto che Giovanni seguiva que st'ultimo per la Pasqua: certamente lo seguiva pure per l'inizio dell'anno. Perciò le lezioni riguardanti il battesimo di Gesu che inaugurano l'anno e le lezioni concernenti le Palme, che lo terminano, dovevano cadere intorno a Pa squa. Ciò è precisamente quanto ci confermano le usanze orientali. A. Baumstark osserva che « la domenica dopo 24 V. Goudoever non l'ammette (Fetes et calendriers bibliques, cit., p. 216), ma io non condivido la sua opinione. A. Cabaniss invece è d'accordo ( Liturgy and Literature, Alabama, 1970, p. 23) e cita II Cor. 4, 6. 25 Cfr. P. Carrington, The Primitive Christian Calendar, Cambridge, 1952, pp. 32-41 .
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Pasqua svolgeva il ruolo di inizio dell'anno e si comincia vano allora le letture del V angelo di Giovanni sul batte simo di Cristo » 26• Peraltro è in oriente che la Festa delle Palme compare per la prima volta nella domenica che precede la Pasqua. I 1 5 giorni d'intervallo erano riempiti dal lezionario speciale della Passione. Un altro problema può aver contribuito nell'ambiente asiatico, alla fine del primo secolo, a troncare la celebra zione della Festa dei Tabernacoli in settembre, ed è che la Festa era assodata nel giudaesimo contemporaneo alle spe ranze messianiche sotto le loro forme temporali. Ora, noi sappiamo che questo messianismo temporale agiva forte mente sui cristiani sotto forma di millenarismo. Precisa mente il focolaio del millenarismo si trovava nel milieu asiatico, cui appartenevano Papia 27 e Cerinto. Bo Reicke ha dimostrato che questa agitazione messianica era in rap porto con la mistica festiva 28, la quale, essenzialmente, era quella dei Tabernacoli. Si può pure vedere quindi nella soppressione totale della Festa di settembre nel Vangelo di Giovanni un segno di polemica antimillenaristica. La Festa dei Tabernacoli occupa un grande posto nell'Apoca lisse, ma è trasposta sul piano escatologico e confusa con la liturgia pasquale dell'Agnello. Rimane peraltro la relazione tra i Tabernacoli e l'Epi fania. La precedente dipendeva dai conflitti all'interno del giudeo-cristianesimo, di cui abbiamo già incontrato degli esempi. Questa dipende dal passaggio del cristianesimo al milieu greco, nel quale era impossibile non adattarsi al ca lendario ufficiale. Ora, il calendario giuliano cominciava il l o gennaio: era perciò naturale che si facesse comin ciare in tal giorno l'anno liturgico e che vi si collocasse il racconto del battesimo. Ma tale narrazione costituiva nel giudeo-cristianesimo un insieme cosf stretto con la Festa 26
Liturgie comparée, cit., pp. 133-134. Si osservi che il testo essenziale sul millenarismo dei presbiteri riferito da Papia riguarda la fecondità della vigna, il che ci colloca nel mese di settembre (E. Preuschen, Antilegomena, cit., p. 96). 28 Diakonie, Festfreude und Zelos, cit., pp. 17 4-227. 27
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dei Tabernacoli che una parte dei temi di quest'ultima sono stati trasferiti con esso all'inizio di gennaio. Sembra che sia questa l'origine dell'Epifania, la quale è dunque un'usanza pagano-cristiana che ha ·ereditato un certo numero di elementi dalla festa giudeo-cristiana dei Taber nacoli 29 •
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Sacerdozio locale e sacerdozio missionario La questione della gerarchia nella comunità crtsttana primitiva è una delle piu oscure nella storia delle origini cristiane. Non la esponiamo qui nel suo insieme 30 , ma porremo in rilievo quanto, secondo i nostri documenti, sembra dipendere dal giudeo-cristianesimo. Le scoperte di Qumràn hanno portato su questo punto elementi preziosi. Mentre si vedeva sovente nella gerarchia un secondo stadio del cristianesimo, che sarebbe stato dapprima una corrente puramente mistica, questi testi, mostrandoci, nell'epoca stessa in cui compariva il cristianesimo, delle comunità giudaiche fortemente organizzate, rendono molto piu probabile il carattere assai primitivo della gerarchia nella comunità cristiana 31 • Questa organizzazione gerar chica, come l'istituzione dei sacramenti, risale nella sua origine al Cristo stesso. Non è quindi tale origine che dob biamo studiare qui, bens! le determinazioni peculiari del l'epoca giudeo-cristiana. Un primo aspetto da sottolineare è l'istituzione degli È1tCcrxo1to�. Il termine compare già nel Nuovo Testamento (I Tim. 3 , l ) ed ha 7tpe:cr�u-.e:po� come sinonimo ( Tito l , 5). Esso designa colui che ha la responsabilità di una comu29 Cfr. J. Daniélou, Le Quatre-temps de septembre et la Fete des Tabernacles, cit., pp. 123-124. 30 H. von Campenhausen, Kirchliches Amt und geistliche Vollmacht in den erstern drei ]ahrhunderten, Tiibingen, 1953; G. Dix, Le mini stère dans l'Église ancìenne, Paris, 1955; ]. Colson, Les fonctìons ecclé siales aux deux premiers siècles, Paris, 1956. 31 Cfr. J. Daniélou, La communauté de Qumran et l'organisation de l'Église ancienne, cit., pp. 1 10-1 13 .
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nità locale. Paolo raccomanda a Tito « di stabilire degli Anziani ( 'TtpECT�trtEPOL) in ogni città. . . Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, in qualità di amministratore della casa di Dio » ( Tito l , 5-7 ). La descrizione di I Tim. è parallela : questi presbiteri o episcopi hanno la respon sabilità di una comunità determinata. Si osservi che essi si trovano su di un piano del tutto diverso da quello su cui si collocano Tito e Timoteo, i quali sono seccessori e mandatari di Paolo, muniti di pieni poteri. A loro spetta di insediare i capi delle comunità locali 32 • Tale è la situazione che ci presentano i documenti giudeo-cristiani: essa riflette un aspetto certo della siste mazione delle comunità primitive. Scrive la Didachè : « Eleggetevi sovrintendenti ( È'TtLCTXO'ltOL ) e inservienti degni del Signore: siano uomini mansueti, disinteressati, veri tieri e sicuri ( 8EooxL!.llXO'!J.ÉVoL). Essi compiono tra di voi l'ufficio dei profeti e dei maestri » (XV, l ) .n . Si osservino in questo testo i tratti che descrivono il vescovo: in parti colare deve essere un uomo provato. Ritroveremo questa espressione. Peraltro egli compie le funzioni di profeta e di dottore, il che sembra sottolineare che tali funzioni non sono direttamente quelle che costituiscono l'episco pato. Questo ha soprattutto una funzione di governo 34• Accanto ad esso sembra che esista un altro tipo di sacer dozio, quello dei profeti e dei dottori: vi ritorneremo. Ma l'episcopato può assumerne ugualmente la funzione. La I Lettera di Clemente ci descrive le origini dell'isti tuzione in un modo del tutto parallelo alla Lettera a Tito : « Gli Apostoli ( . . . ) andarono ad annunziare la buona novella dell'avvento del regno di Dio, confermando la parola divina con la convinzione donata dallo Spirito Santo. Inoltre, mentre predicavano per le campagne e le città, esaminavano a fondo i fedeli migliori e li costi tuivano sovrintendenti e inservienti per i futuri fedeli » 32 Cfr. G. Dix, The Shape of the Liturgy, cit., pp. 72-73. 33 In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 34 Cfr. H. von Campenhausen, Kirchliches. Amt und geistliche Vollmacht, cit., p. 99.
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( XLII, 4 ) 35• E piu oltre: « Gli Apostoli ( ... ) istituirono i sacri ministri di cui abbiamo parlato, e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero al loro ministero altri uomini sicuri ( odìoxt!J.C101J.Évot ). Questi uomini, dunque, eletti dagli Apostoli, oppure, piu tardi, dai personaggi esimi (ÈÀÀ.éyt!J.ot) con l'approvazione di tutta la Chiesa ( . . . ) non è giusto scacciarli dal loro ministero » (XLIV, 2-3 ). Si noti particolarmente in questo testo che gli Apo stoli hanno degli uomini eminenti ( O.Myt!J.ot) che succe dono loro col mandato di stabilire i vescovi delle comunità locali. Ciò corrisponde a quanto Paolo ci mostrava per Tito e Timoteo e distingue chiaramente i successori degli Apostoli dai capi delle comunità locali. Il Pastore di Erma offre una descrizione concordante. Esso distingue chiaramente « gli apostoli e i maestri » ( Sim. IX, 25, 2 ) dai « sovrintendenti » ( IX, 27, 2 ) 36 • La descrizione che d fa di questi ultimi concorda con quelle delle Lettere pastorali. I vescovi sono lodati principal mente per la loro ospitalità, per il loro ministero presso gli indigenti e le vedove; il che concorda con I Tim. 3, 2 . Si tratta quindi sicuramente d i funzioni analoghe. Un altro passo associa le tre forme di funzioni che d presenta la comunità giudeo-cristiana : « Le pietre squadrate e bianche che combaciano tra di loro rappresentano gli apostoli, i sovrintendenti, i maestri e gli inservienti che vivono nella santità voluta da Dio » ( Vis. III, 5, l ). L'esistenza dei diaconi è testimoniata da tutti i testi. Le altre due fun zioni sono quella dell'episcopo e quella, su cui ritorne remo, dell'apostolo-dottore-profeta. L'istituzione dei presbiteri o episcopi, capi della comu nità localé, è dunque uno dei dati piu netti dello stadio piu antico del cristianesimo. Essa sembra di origine apo stolica, come testimoniano le Lettere pastorali. Ma il punto importante è che pare che per questa strutturazione delle comunità gli Apostoli si siano ispirati all'organizza35
36
In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. Ibidem.
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zione essena. Questa infatti conosce dei mebaqqer ( ispet tori), che presiedono alle riunioni e vigilano sull'ammini strazione dei beni (DSD, VI, 1 2- 1 3 ). Il loro titolo greco è bti.!J.EÀ.E'tTJc;, che ricorda btta-xo'ltoç. Gli accostamenti sono tali che equivalgono ad una certezza. Reicke, Jeremias, Benoit e Kuhn in ciò sono d'accordo. Scrive Schmitt: « L'istituzione qumràniana dei mebaqqer è manifestamente parallela all'istituzione cristiana dell'È'ltLO"Xo'ltoc;. Questo parallelismo è totale ed esclusivo. Non soltanto non ci sono altri esempi nelle correnti del giudaesimo contem poraneo, ma presenta tutti gli aspetti delle cariche in que stione » 37 • L'istituzione degli È'ltLO"XO'ltot, sull'esempio della comu nità di Qumràn, ha portato indubbiamente con sé alcuni degli elementi che essa implicava a Qumràn. In partico lare le si possono collegare certi aspetti della disciplina della penitenza, con l'esclusione temporanea o definitiva, che svolgeva un grande ruolo a Qumràn e di cui Erma attesta l'importanza nel giudeo-cristianesimo. Una seconda caratteristica era l'amministrazione dei beni della comunità. Infine sembra che si possa, con Campenhausen, collegare pure all'È'ltLaxo'ltoc; l'organizzazione del battesimo, col novi ziato preparatorio, la catechesi, i digiuni 38• Tutto ciò, come abbiamo visto, sembra ispirarsi a Qumràn. Peraltro il ruolo preponderante è riservato da tutta la tradizione all'È7tt
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diversi, ma che sembrerebbero avere le stesse cariche. La Didachè parla di profeti (XIII, 4 ), di profeti e dottori (XV, 2 ) , di apostoli e profeti (XI, 3 ) e li assimila gli uni agli altri (XI, 6 ). Erma parla degli « apostoli e dottori che hanno predicato nel mondo intero » (Sim. IX, 25, l ; cfr. pure Vis. III, 5, 2 ; Sim. IX, 15, 4 ) ; peraltro parla dei Profeti in termini prossimi alla Didachè ( Prec. XI, 7, 12, 1 5, 16). Tutto ciò costituisce un insieme coerente, ma di cui occorre determinare il senso. Si conoscono tutte le teorie che sono state proposte a questo riguardo. Harnack aveva visto bene che si trat tava di missionari itineranti, ma egli opponeva l'origine carismatica del loro ministero all'istituzione presbiteriale 40• G. Dix rifiuta agli Apostoli, dottori e profeti ogni carat tere ministeriale, considerandoli delle persone private che agivano sotto la mozione dello Spirito, in opposizione al sacerdozio istituzionale dei presbiteri e degli episcopi. J. Col son deve riconoscere che i didascali designano in certi casi la stessa realtà dei presbiteri 41 , ma ciò non toglie che egli dedichi un capitolo agli apostoli e profeti consi derati come puri carismatici 42 • Bisogna riconoscere con Colson che è impossibile in certi casi negare all'apostolato e alla didascalia il carat tere di un vèro ministero. Per far questo bisognerebbe scartare l'autorità della Didachè. Ora, per quanto ci riguarda, essa è il documento essenziale, e ci obbliga ad ammettere nel milieu giudeo-cristiano il carattere istitu zionale di queste funzioni. Questo aspetto arcaico è conser vato nell'ebionismo, in cui i didascali sono ordinati dagli Apostoli e dai loro successori ( Diamart. , l ; CGS, 3 ) . C'è dunque modo di distinguere due problemi. Da una parte c'è il problema dei carismi, cioè delle ispirazioni private, che riguarda tutti i cristiani e che è sottomesso al con trollo della gerarchia, come dimostra l'importanza della 40 Cfr. H. von Campenhausen, Kirchliches. Amt und geistliche Vollmacht, cit., p. 195. 4 1 Les fonctions ecclésiales aux deux premiers siècles, cit., p. 130. 42 Ibidem, pp. 354-367 .
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questione del discernimento dei veri e dei falsi profetismi nella Didachè o in Erma. Ma d'altra parte vi sono dei didascali, dei profeti che sono investiti di una missione ufficiale 43 • A questo proposito Cothenet distingue giusta mente la profezia costitutiva della Chiesa che deriva dal suo insegnamento ufficiale e i doni particolari dello Spi rito 44 • Questi didascali o questi apostoli sono sullo stesso piano dei presbiteri e degli episcopi. Qual è allora la distinzione tra questi due gruppi? Pensiamo che l'opposizione che incontriamo qui sia quella tra un sacerdozio stabile - quello dei presbiteri e degli episcopi - e un sacerdozio missionario, quello degli ci1té CT'toÀot. Le attribuzioni di questi ci1téCT'toÀot sono relative a questa fondamentale destinazione. Sono essenzialmente dei predicatori. I termini di profeti e di didascali desi gnano questo carattere del loro ministero. In quanto pro feti annunciano il Kerygma; in quanto didascali preparano i convertiti decisi a ricevere il battesimo 45 • Si comprende quindi, in tale prospettiva, la frase della Didachè sugli episcopi « che compiono l'ufficio dei profeti e dei maestri » (XV, l ) : essa esprime semplicemente la sostituzione di una gerarchia locale a dei missionari itine ranti. Vi ritroviamo la legge stessa di sviluppo della Chiesa. Si comprende pure la raccomandazione: « Non disprezzateli » (XV, 2 ). In effetti gli episcopi vengono dalla comunità che li elegge ( XV, l ) : sono un clero « in digeno ». I profeti, al contrario, sono stranieri: hanno il privilegio dell'inusitato. Bisogna dunque insegnare ai mem bri della comunità a rispettare quello tra di loro che avranno designato. Questo clero missionario presenta altri aspetti caratte ristici. La Didachè ed Erma ci danno indicazioni numerose 43 Cfr. J. Dauvillier, Les Temps apostoliques, Jer siècle, Paris, 1970, pp. 332·333. 44 Art. Prophétisme dans le N.T., SDB, 197 1 , col. 1355. 45 Si constati che essi compiono l'Eucaristia allo stesso titolo degli episcopi ( Didachè, X, 7 ). Cosi pure sono chiamati « gran sacerdoti » (XIII, 3 ). Tutto ciò indica bene il loro carattere sacerdotale.
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e assai curiose: « Ogni apostolo deve essere ricevuto come il Signore ». Non deve rimanere piu di tre giorni e alla sua partenza gli si dà soltanto del pane ( Didachè, XI, 4-6 ) . Il profeta parla nello spirito, ma si scopre dalla sua condotta se è vero profeta. Se ordina di apparecchiare una tavola deve astenersi dal mangiarne (XI, 9 ). Ogni vero profeta, che si stabilisce in un paese, merita il suo cibo, « essi infatti sono per voi come sommi sacerdoti ( cipxLe:pe:t:c; ) » ( XIII, 3 ) . Erma conferma questi dati. L'au tentico profeta si riconosce dalla sua vita. Egli parla in spirito e compie il rendimento di grazie nelle assemblee ( Prec. XI , 7-10 ). Se lasciamo da parte il carattere itinerante e la mis sione di insegnamento, ciò che qui sorprende è la pratica dei consigli evangelici. I profeti e i dottori appaiono come i successori dei « discepoli », cioè dei missionari inviati da Cristo. Questi univano al loro ministero la pratica dei consigli evangelici. È il caso del profeta della Didachè che non possiede alcun bene, ma vive di elemosine. Piu ancora egli sembra conservare la verginità: è quanto signi ficherebbe un passo della Didachè che abbiamo lasciato da parte: « Ogni profeta che insegna la verità, ma non mette in pratica ciò che insegna, è un falso profeta. Invece se un profeta autentico e veritiero si dedica al mistero cosmko della Chiesa, senza domandare che si faccia ciò che egli fa, non giudicatelo voi » (XI, 1 1 ). Questo passo sul « mistero cosmico della Chiesa » è enigmatico. Ma un insieme di dati sembra doverlo chiarire. L'espressione « mistero cosmico della Chiesa » sembra proprio opporsi ad un « mistero celeste della Chiesa ». Tale mistero celeste è quello dello sposalizio celeste di Cristo con la Chiesa. Esso presenta un'espressione nel mondo. Ora, ciò sembra proprio alludere a delle unioni spirituali, che esistevano nel giudeo-cristianesimo, tra i profeti-apostoli e una sorella 4<> . Sembra che Erma faccia 4<> A. Adam, Erwagungen zur Herkunft der Didachè, in « ZKG » , LXVIII ( 1957), pp. 1-47 ; H. Schlier, Religiongeschichtliche Untersuch ungen zur den lgnatiusbriefen, cit., p. 92.
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allusione a questo costume (Sim. IX, 10, 6- 1 1 , 8 ), e forse allude ad esso I Cor. 7, 27. Esso persisterà nelle vergini « syneisactes » . Il rapporto tra queste unioni e il loro ideale celeste è esplicito presso gli Gnostici: « Certuni costruiscono una camera nuziale e celebrano un mistero ( p.ucr't'a.ywyi.a.) affermando che ciò che essi compiono è un matrimonio spirituale a immagine dei matrimoni ( crusu YLWV) d'In-Alto » (Adv. haer. , I, 2 1 , 3 ) 47 • La menzione di Erma e della Didachè ci orienta verso il giudeo-cristianesimo. Ma se vogliamo cercare qual è il contesto piu remoto, sembra proprio che dobbiamo risalire agli Esseni e ai Terapeuti. Questo infatti è l'unico milieu in cui incontriamo a d un tempo l'ideale della verginità e la presenza di asceti e di vergini nelle comunità vicine. D'altra parte sappiamo pure che gli asceti di Qumran pra ticavano una povertà totale e che in viaggio non portavano niente con sé, in modo che erano a carico di coloro che li ricevevano 48 • Tutto ciò ricorda i precetti di Cristo che manda i discepoli in missione. L'ideale ascetico di Qum ran si è continuato per loro tramite nella comunità giudeo cristiana. Aggiungiamo infine che l'ambiente di Qumran presenta degli episodi di profetismo. Cosi i profeti della Didachè ci appaiono sul prolunga mento degli spirituali di Qumran. Tuttavia c'è una diffe renza essenziale : i profeti di Qumran sono dei solitari, mentre quelli della Didachè sono degli apostoli. Questo è l'aspetto propriamente cristiano: esso sembra risalire all'istituzione stessa di Cristo che manda i discepoli. Questo mandato li investe di una funzione. Peraltro il genere di vita di questi profeti continua quello degli asceti di Qumran. Non sembra dunque che ci sia un monache simo cristiano originario che continua il monachesimo di Qumran, ma tale continuità è da cercarsi nei profeti mis47 Ciò che qui espone Ireneo è esplicitato a lungo nel Vangelo di Filippo (76, 102, ecc.). Si incontra pure l'espressione « mistero del matrimonio cosmico » che ricorda Didachè, XI, 1 1 . Cfr. R. M. Grant, 4/ter the New Testament, New York, 1964, pp. 183-194. 48 Giuseppe Flavio, Bell. _Tud., II, 8, 4.
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sionari 49• � successivamente e letterariamente che l'ideale esseno influirà sulla costituzione del monachesimo cri stiano attraverso i testi di Filone e di Giuseppe Flavio. Sembra cos{ che questa istituzione di asceti missio nari fosse troppo profondamen te inserita nel giudeo cristianesimo per poter sussistere autonoma Essa si pro lungherà nell'ebionismo, il cui carattere conservatore è assai accentuato, ma. tali caratteristiche dovevano renderla impossibile nel milieu ellenistico. L'unione spirituale con le sorelle, possibile presso i pii Esseni, comportava degli abusi, cosi come i pasti sacri. Si noti peraltro che uno dei ruoli dei profeti era di far « apparecchiare le tavole » , cioè di organizzare i pasti ad un tempo di preghie ra e di carità. Saremmo tentati di pensare che questa usanza è caduta e .
che sono state mantenute soltanto delle agapi di pura carità. Il profetismo portava ugualmente a tali abusi in ambiente greco (I Cor. 1 2 , 1-3 1 ), che anch'esso doveva sparire. L'Ascensione d'Isaia se ne rammarica 50• Ciò non significava la fine dei carismi, ma la crisi di un'istituzione. Anche la povertà totale non era possibile nel milieu greco e non sarebbe stata compresa. Paolo, quando è a Corinto, deve rinunciare sia alla mendicità, sia all'accompagna mento di una sorella : è una concessione ai greci 51• Ci resta da parlare infine dell'esistenza, accanto alle forme diverse dei ministeri ordinari, di un grado superiore di sacerdozio. Abbiamo notato a piu riprese le menzioni 49 Eusebio era rimas to cosi sorpreso da que'te analogil! chl! nel quadro che Filone dà degli Essen i vede u n a descrizione dell a prima comunità crhtiana . Avendo ricordato le funzioni dci diaconi c dei vescovi, egl i con cl ude : « Ma a ognuno è chiaro che Filone nel suo scritto volle con i n t enzi o ne riferirsi ai p r i mi araldi della dottrina cri stiana c alle prime istituzioni di origine apostolica » (Hist. ecc!. , I l , 17, 24; SC, 77; ed. i t . a cura d i G . Del Ton, Roma, 1 964). 50 III, 27. Si noti la severi tà dell'opera per i « presbiteri », cioè gli episcopi. Ciò co r rispon de proprio alla raccomandazione della Dida cbè, ch e invita a non << disprezzarl i » . È l'espressione della nostalgia del sacerdozio profetico di fronte al s acerdozio episcopale. SI I nd u bbiam en te è pu re cosi per l i n terdizione alle donne di par lare nelle assemblee. In ambiente giudeo-cristiano è possibile che esse lo abbiano fatto: cosi le figl ie di Filippo (Eusebio, Hist. eccl., III, 3 1 , 4). Se ne può vedere l a persistenza in Tecla e nel montanismo. '
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Le istituzioni
fatte di un grado superiore ad un tempo agli episcopi e ai profeti : sono gli ÈÀ.À.oyL!J.OL &vope:ç di I Clem . , Tito e Ti meteo in Paolo. Sono loro che istituiscono gli episcopi. È evidente che in essi bisogna vedere gli eredi dei dodici, il che d pone in presenza di un gruppo diverso da coloro di cui abbiamo parlato sin qui. L'istituzione si collega evi dentemente a Cristo. Può comunque porsi il problema, come per l'Eucaristia, di un quadro tratto dal giudaesimo. Ora, è stato giustamente rilevato che la comunità di Qum ràn, accanto ai « sorveglianti » delle comunità locali, cono sce un consiglio che sembra proprio composto da dodici membri e che presiede all'intera comunità 52• I tratti con cui il Manuale di disciplina descrive il loro ruolo, richia mano certi aspetti dei dodici : essi sono il fondamento su cui è edificata la comunità 53• Qui può esserci un contesto esseno. Tuttavia ciò dipende dal Nuovo Testamento. Ciò che a noi interessa riguarda le ulteriori sistemazioni dell'istitu zione dei dodici all'epoca giudeo-cristiana. Il loro ruolo sembra eminentemente missionario, nel senso piu ampio del termine. Sono fondatori di chiese, ma non paiono le gati ad una chiesa particolare. La gerarchia locale sembra essere di un solo grado : è rappresentata o dai vescovi o presbiteri . Tale è la situazione che ci presentano tutti i testi che abbiamo visto sinora. Vi è tuttavia un'importante eccezione, che è la Chiesa di Gerusalemme. Qui siamo ben presto in presenza della figura di Giacomo, capo della Chiesa di Gerusalemme e che occupa un posto eminente, a questo titolo, nel giudeo-cristianesimo. Peraltro si sa da Egesippo che Giacomo - cugino del Signore - ebbe per successori altri membri della famiglia di Cristo. È ciò che E. Stauffer ha potuto definire un califfato 54 • Questa situazione di Giacomo e dei suoi successori ap52 Bo Reicke, Die Verfassung der Urgemeinde im Lichte jiidischer Dokumente, in « TZ », X ( 1954), pp. 106-107. 53 ]. Daniélou, Les manuscrits de la Mer Morte et !es origines du cbristianisme, Paris, 1957, pp. 29-30. 54 Zum Kalifat des ]acobus, in « ZRGG », IV ( 1952), pp. 193 ss.
La comunità cristiana
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pare come qualcosa di particolare, che è legato a Gerusa lemme e al suo carattere di Chiesa-Madre. Sembra proprio che là vi sia una trasformazione dell'istituzione dell'apo stolato. Al di sopra dei molteplici episcopi o presbiteri, in caricati ciascuno di un gruppo della comunità, sembra che sia stabilita un'autorità superiore, dello stesso rango degli Apostoli. La Chiesa di Gerusalemme ha peraltro presen tato un carattere unico durante il periodo che va fino al 70. Tale carattere spiega in particolare la colletta di Paolo per Gerusalemme, destinata a sottolineare la sua comu nione con la Chiesa-Madre . Numerosi autori - e in par ticolare S. G. F. Brandon 55 - hanno sottolineato questa preponderanza della Chiesa di Gerusalemme durante tutto il primo periodo della vita della Chiesa. Ma nel 70 questa preponderanza cessa. I giudeo-cri stiani sono dispersi come i Giudei. Un piccolo gruppo ri mane fino - certamente in Giordania - intorno al suc cessore di Giacomo, che è forse Simeone (Hist. ecc!. , IV, 22, 4 ) : saranno i Nazareni. Ma la maggior parte se ne va altrove, alcuni ad Alessandria, altri in Siria. Antiochia diventa allora il centro del giudeo-cristianesimo : è là che si ricostituisce questo cristianesimo giudeo-siriaco che rap presenta la parte piu importante del giudeo-cristianesimo. Ciò è vero sul piano della creazione teologica. Ad Antio chia - l'abbiamo visto - si forma la teologia dell'ascen sus e del descenstts. Ma ciò è vero anche sul piano dell'au torità. Ad Antiochia si costituisce una gerarchia ad imma gine di quella che c'era a Gerusalemme e con la pretesa di succederle. È possibile che essa, sulla base dell'auto rità di Pietro e del soggiorno che egli vi ha fatto, si senta autorizzata a rivendicare un primato d'autorità. In ogni modo essa appare come la prima Chiesa locale che pre senti una gerarchia a due gradi, dopo quella di Geru salemme. Tale è la situazione che riscontriamo al tempo di Igna zio d'Antiochia. Egli presenta una gerarchia rigidamente 55 The Fall o/ ]erusalem and the Christian Church,
cit., pp. 127-215.
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ordinata: il vescovo, il presbiterio, i diaconi. I testi sono troppo numerosi e troppo noti perché possa essere utile citarli. Questa organizzazione appare tipicamente giudeo cristiana, in quanto si ispira a quanto prima era esistito unicamente a Gerusalemme. È a partire da Antiochia che tale tipo di organizzazione si svilupperà e che, progressi vamente, questa gerarchia locale a due gradi si espanderà. Essa sembra, in particolare, essere stata estranea alle co munità di fondazione paolina. In ciò ha ragione von Cam penhausen quando oppone questo tipo al tipo palestinese, ma si sbaglia se vi vede l'opposizione tra una Chiesa cari smatica e una Chiesa istituzionale. Si tratta soltanto di due organizzazioni istituzionali diverse. Il quadro della gerarchia giudeo-cristiana al quale giungiamo si delinea perciò nel modo seguente. Essa pre senta un grado superiore, quello dei successori degli Apo stoli, non ancora chiamati vescovi e che sono dei fonda tori di Chiese; dapprima itineranti, a poco a poco si sta biliscono. Il grado inferiore del ministero comprende due gruppi. Da una parte abbiamo un sacerdozio missionario: apostoli, profeti, dottori, che continua il gruppo dei disce poli inviati dal Signore. Dall'altra abbiamo un sacerdozio locale, quello dei presbiteri e degli episcopi, che sostitui scono i missionari quando le Chiese sono organizzate.
Capitolo quattordicesimo
La santità personale
Abbiamo già incontrato a piu riprese in questo libro alcuni tratti di spiritualità che appartengono al giudeo cristianesimo. La dottrina della preparazione al battesimo ci ha posto in presenza della concezione dei due spiriti. Lo studio della gerarchia ha mostrato l'importanza nel milieu giudeo-cristiano delle tendenze ascetiche e, in particolare, della verginità. D'altra parte il tema della gnosi, di cui ab biamo studiato il contenuto nella maggior parte di que st'opera, comporta un aspetto spiritude a lato del suo con tenuto speculativo. Sono dunque i grandi temi affrontati sinora che dobbiamo riprendere, ma raccogliendo quanto riguarda il loro aspetto spirituale, che abbiamo lasciato da parte.
I due spiriti Spesso si oppone una spiritualità evangelica che sa rebbe la pura espressione dell'insegnamento di Cristo ad una spiritualità piu ascetica o speculativa che sarebbe do vuta, nel cristianesimo ellenistico posteriore, ad influenze stoiche o platoniche. Ed è esatto che in ambiente greco il cristianesimo riprenderà molteplici espressioni che erano quelle della q>LÀ.ocrocpta. ellenistica. L'à.7t&.Oe:La., la Oe:wpta. sono espressioni greche cristianizzate. Ma sarebbe un er rore quello di credere - come per la teologia o la gerar chia - che questa espressione ellenistica abbia sostituito un'attitudine puramente evangelica. In realtà, sin dagli inizi il cristianesimo ha utilizzato, pure qui, le concezioni
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Le istituzioni
ascetiche proprie del giudaesimo. E ciò ha lasciato un'im pronta nel giudeo-cristianesimo, tanto piu che le tendenze ascetiche erano piu pronunciate nel milieu in cui esso è apparso. Un primo aspetto che il giudeo-cristianesimo riceve dal giudaesimo - e piu particolarmente dai milieux esseni è la dottrina dei due spiriti. L'abbiamo già esaminata sotto il suo profilo cosmologico e abbiamo pure visto il suo posto nella catechesi. Ci rimane ora da studiarla dal punto di vista della dottrina spirituale. Essa esprime essenzial mente l'esistenza di un duplice orientamento all'interno dell'anima umana, che talvolta viene considerato come l'opposizione di due tendenze : è la dottrina dei due yeser che esisteva nel giudaesimo contemporaneo a Cristo e che persisterà nel rabbinismo 1 • In particolare tale dottrina oc cupa un posto considerevole nel IV Esdra. Il luogo dello yeser è il cuore. Il cattivo yeser era nel cuore di Adamo sin dall'inizio. Esso non è peccato, ma predisposizione al peccato: per questo si può attribuirne a Dio l'origine (III, 26, 1 7 ). Il consenso che Adamo gli ha dato ha stabilito il suo dominio su di lui e sui suoi discendenti. W. D. Davies pensa che questa dottrina dei due yeser sia già in Paolo 2• In ogni modo essa si trova sviluppata presso gli autori giudeo-cristiani. La troviamo nei Testa menti dei XII Patriarchi: « Dio ha dato due vie ( òooL) ai figli dell'uomo e due inclinazioni ( oLa.�ouÀ.La. ) , due maniere d'agire e due fini » (Test. Aser, I , 3-4). Si osservi che l'ebraico veser è tradotto con il termine oLa.�ouÀ.Lov. Lo si . trova di frequente nei Testamenti ( Test. Rub., IV, 9; Test. Simeone, IV, 8 , ecc.). Questo termine, che compa riva già nei Settanta, sarà piu tardi sostituito col termine À.oyLcr(J.6ç, che è d'origine stoica. Lo si troverà già nelle Omelie Clementine ( IX, 1 2 ) e lo riprenderanno Origene, Gregorio di Nissa ed Evagrio nella loro psicologia della tentazione. -
l
z
G. Foot Moore, Judazsm, I, pp. 479-492. W. D. Davies, Paul and Rabbinic ]ttdalsm, London, 1948, p. 27.
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Ma l'aspetto specifico del giudeo-cristianesimo consiste nel collegare tali inclinazioni all'azione dei due spiriti, del l'angelo della luce e dell'angelo delle tenebre: è un tratto caratteristico dell'essenismo . . Esso è a lungo sviluppato nel Manuale di disciplina. Dal Principe delle luci vengono tutte le buone ispirazioni ( IV, 2-8 ), ma « lo spirito di va nità comporta voracità e negligenza nel perseguimento della giustizia, malvagità e menzogna, orgoglio e alterigia di cuor·e, falsità e inganno, crudeltà e grande pravità, ipo condria e grande follia, bruciante insolenza invidiosa, azioni abominevoli dovute a spirito lussurioso . . . » ( IV, 9-1 0 ) 3 • Questo aspetto, l'abbiamo visto, si ritrova nella catechesi delle due vie (Barn., XVIII, 1-2 ). È pure nei Te stamenti: « Due spiriti si occupano dell'uomo : lo spirito di verità e lo spirito di menzogna » (Test. Giuda, XX, l ); in Erma : « Vi sono nell'uomo due spiriti: uno di giustizia e l'altro di iniquità » ( Prec. , VI, 2 , l ) 4 • Lo si ritrova negli scritti pseudo-clementini (Rom. Clem. , XX, 2-3 ). Grego rio di Nissa lo citerà come una 1ta.p&.oocnç, cioè come una dottrina risalente ai tempi apostolici 5 • Un altro aspetto che si collega sicuramente al giudeo cristianesimo è la dottrina di un demonio particolare pre posto a ciascun vizio e di un angelo a ciascuna virtu. La dottrina si trova nei Testamenti, senza che si possa dire con certezza se essa derivi dal fondo giudaico o se sia giudeo-cristiana. Vi si parla dello spirito di collera ( m�e:GIJ.a. 't'CV eu(.l.ou ) (Dan., I , 8 ), dello spirito di gelosia ( 1tVEU(.1<X 't'CV cp96vou ) (Simeone, IV, 7 ), dello spirito di invidia e di iattanza (Dan., I, 7 ), dello spirito di lussuria (1tVEUIJ.a. È'ltL9u(.1La.ç) ( Giuda, XVI, 1 ). Soprattutto il Testamento di Ruben mette in relazione sette vizi principali con sette demoni ( III, 3-6): sono i sette spiriti di menzogna ( III, 2-7 ). Questo passo eserciterà un'influenza considerevole su Origene. Peraltro è difficile non vedere delle allusioni a J
In I manoscritti del Mar Morto, a cura di F. Michelini Tocci, cit. In I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 5 Vita di Mosé, Il, 45 ; SC, 43. Sui paralleli ellenistici, dr. P. Boyancé, Les deux démons personnels, in « RPh », LIX ( 1935), pp. 8 ss. 4
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questa dottrina nei sette demoni cacciati dalla peccatrice di Magdala (Le. 8, 2 ) e piu ancora nei sette spiriti ( 7tve:u p.a.-.a.) che lo spirito di lussuria, cacciato da un uomo, con duce con sé (Mt. 1 2 , 4 5 ). Non v'è dubbio che là si trovi l'origine della dottrina dei sette peccati capitali. Ma per il giudeo-cristianesimo vi presiedono sette demoni 6 • Ma, prima di Origene, questa dottrina si trova in un altro testo giudeo-cristiano, in Erma. Cosi « la maldicenza è detestabile, è un demone ( oa.Lp.6VLO"II ) inquieto » ( Pree. II, 3 ) , « È un grande demonio ( oa.Lp.6VLOV) la presunzione, l'arroganza » ( Sim. IX, 22, 3 ), « la collera ( . . . ) ( è uno) spi rito ( nve:up.a.) cattivo » ( Pree. V, 2, 8 ), « il dubbio ( oL\j;u xl.a.) è uno spirito terreno che viene dal diavolo » ( Prec. IX, 1 1 ), « la tristezza ( À.u1tTJ ) è il piu malefico di tutti gli spiriti » ( Prec. X, l , 2 ) 7• La Sim. IX contrappone dodici vergini, che sono i dodici spiriti ( 7tve:up.a.-.a.) delle virtu, e dodici donne vestite di nero, che sono i dodici demoni dei vizi. Tra questi si ritrovano la tristezza, la maldicenza, la collera ( IX, 15, 1 -3 ). Si noterà piu sopra ( Vis. III, 8, 3-5 ) una lista di sette vergini raffiguranti gli spiriti delle virtu. Si osservi la presenza in Erma del termine oa.Lp.6VLOV accanto a 1tve:up.a.. L'espression� designava, presso il giu daesimo del tempo, gli spiriti del male. La si trova nei Settanta ( Deut. 32, 1 7 ), nel Nuovo Testamento (Mt. 7, 22; 9, 33, ecc. ) . È interessante u n passo di Giuseppe: « Delle sorta di passioni ( 1t(X&rj ) e di demoni ( oa.Lp.6vLa.) opprimevano Saul, infliggendogli soffocamenti e affanni » (Ant. Jud. , VI, 8 , 2 ). Si noti l'equivalenza tra 1t&.Soç e oa.Lp.6vLov. Peraltro si ritrova il numero dodici che è quello dei demoni dei vizi in Erma; in ciò si' distacca dai Testa menti. Il numero si ritrova negli Hermetica ( XIII, 7 ; Nock-Festugière, II, 203 ) . 6 Cfr. J. Daniélou, Démons, in Dictionnaire de Spiritualité, coll. 169-170. 7 Cfr. pure « l'angelo (liyyEÀ.oç) della voluttà e dell'impostura » (Sim. VI, 2, 1 ).
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Abbiamo notato che nei testi del Nuovo Testamento in cui si parla dei sette demoni, questi sono presentati come insedianti la loro dimora nell'uomo, che è cosi og· getto di un'autentica possessione. Questa è una dottrina frequente nel giudeo-crJstianesimo. Già il Testamento di Ruben, nel passo che abbiamo citato, presentava i sette demoni che stabilivano ciascuno la loro dimora in un or gano del corpo ( III, 3-6 ). Lo Pseudo-Barnaba mostra l'anima, prima del battesimo, come abitata dai demoni: « Prima che noi credessimo in lui, l'abitacolo del nostro cuore era ( . . . ) pieno di idoli, un'abitazione dei demoni » ( XVI, 7-8 ) 8• Lo stesso aspetto si ritrova in Erma, perfino per l'uomo battezzato che cede alla tentazione: « Quando gli spiriti di tutti i vizi si trovano ad abitare in uno stesso vaso, ove abita pure lo Spirito Santo, tale vaso non può contenerli e trabocca ( . . . ) Quando poi esso si è riti rato l'uomo in cui abitava è ( . . . ) spinto qua e là da tali spiriti » ( Prec. V, 2, 5-7 ). Questa concezione dell'inabitazione dei demoni nel l'uomo prenderà strani sviluppi nelle correnti eterodosse. Le Omelie Clementine mostrano « i demoni che ardono dal desiderio di entrare nei corpi, perché - malgrado siano degli spirit,i - desiderano mangiare, bere, accop piarsi » ( IX, 1 0 ). Una volta che gli uomini li hanno la sciati introdursi in loro « essi si mescolano pure all'ani ma » ( IX, 9 ) . Imboscatisi in questa, le suggeriscono cattivi pensieri, che « gli uomini, ignorando chi li ispiri, pren dono per impulsi ( À.oyLCT(l.ol.) » ( IX, 1 2 ) 9 • L'ultimo aspetto è una polemica contro coloro che non vedono nelle tenta zioni che un dato psicologico, uno yeser. Gli Gnostici in segnano una dottrina parallela 10• Per Basilide « l'uomo contiene in un sol corpo un'armata di spiriti diversi » 1 1 • Per Valentino, « fintanto che il cuore rimane impuro, serve 8 In l Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit. 9 Cfr. H. J. Schoeps, Aus fruhchristlicher Zeit, cit., 1° li
Cfr. J. Daniélou, Démons, cit., coli. 170-172. Clemente Aless., Strom. , I I , 20; GCS, 174.
pp. 56-68.
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da abitacolo ( otxT).,;i)pLov ) a numerosi demoni ( oa.i.(J.OVEç) » (Strom. , II, 20; GCS, 17 5) 12 • Si osservi un punto interessante sviluppato da Erma: « Se sei paziente, lo Spirito Santo che abita in te brillerà nella sua purezza, non oscurato dall'ombra di alcuno spi rito cattivo; standosene comodo, vivrà con te, quello Spi rito Santo che abita in te resta puro, non ottenebrato da nessuno spirito cattivo. Anzi, per la comodità della sua abitazione gioisce e si rallegra con il vaso in cui abita, e serve Dio in grande letizia, nel possesso della piena feli cità. Ma appena sopraggiunge un po ' di collera, subito quello Spirito Santo, cosi delicato, resta angustiato, per ché non è piu mondo il luogo dove egli abita; cerca perciò di allontanarsene. Infatti si sente soffocare dalla presenza dello spirito cattivo; non ha lo spazio che desidera per ser vire Dio, ma sua abitazione è insozzata dalla collera » (Prec. V, l , 2-4 ; cfr. pure 2 , 5 ). Si noti che al diavolo, principe degli spiriti malvagi, viene qui opposto non piu un altro principe, ma lo Spirito Santo, nel quale bisogna riconoscere, malgrado quanto dice Audet, la Terza Persona della Trinità 13 • Infatti esso è identificato al Signore : l'ab biamo notato nel nostro capitolo sulla Trinità. Un altro punto assai notevole della dottrina del Pa store è la distinzione ( oLtixpLcrLç) degli spiriti a seconda dei loro effetti nell'anima. « Ascolta ancora ! - soggiunse. Per ciò che riguarda la fede vi sono nell'uomo due spiriti : uno di giustizia e l'altro di iniquità. Signore, come potrò allora comprendere se si tratta delle operazioni dell'uno o dell'altro, dato che tutti e due abitano in me? Ascolta, e impara a distinguerli. L'angelo di giustizia è delicato, verecondo, mite e tranquillo; quando egli entra nel tuo cuore subito ti parla di santità, di purezza, di modestia, di frugalità, di opere buone e di virtu meritorie. Quando tutte queste operazioni ti entrano ifi cuore, sappi che è 1 2 Cfr. pure Eracleone; A. E. Brooke, p. 77; Ippolito, Elench., VI, 34; GCS, 163, in cui si ritrova il termine o�Xl]"ti)pLov. 1 3 Affinités littéraires et doctrinales du Manuel de discipline, cit., p. 63.
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con te l'angelo di giustizia. A costui presta fede, e alle sue opere. Guarda ora le operazioni dell'angelo di mt quità : anzitutto è impaziente, amaro, sciocco, e le sue opere cattive pervertono i servi di Dio. Quando egli ti pe netra in cuore, conoscilo dalle sue opere. Non so come riconoscerlo, Signore ! Ascoltami ! Quando ti sopravviene un moto d'ira o un sentimento di amarezza, sappi che egli è in te » ( Prec. VI, 2, 1-5 ). Abbiamo qui la prima espres sione di una dottrina che Atanasio riprenderà nel quarto secolo nella sua Vita di Antonio e che rimarrà classica nella teologia spirituale. La vita spirituale comparirà dunque sotto un primo aspetto come una lotta contro i demoni. Certo, questi sono cacciati col battesimo : la Lettera di Barnaba (XVI, 7-8 ) e le Omelie Clementine ( lX, 1 9 ) lo affermano. L'abbiamo visto a proposito degli effetti del battesimo. Ma essi pos sono rientrare nell'anima, se essa si lascia convincere dalle loro suggestioni, dai OLa.[1ouÀ.La. ( Prec. VI, 2, 7 ). È perciò necessario lottare contro di essi. Gli strumenti di questa lotta sono principalmente la preghiera ( Hom. Clem. , IX, 22 ) e il digiuno ( Hom. Clem. , IX, 1 0 ). Si noti l'impor tanza che il digiuno ha nel Pastore ( Vis. II, 2, l ; III, l , 2 , ecc.). Abbiamo osservato che il digiuno prebattesimale aveva, in questo senso, valore di esorcismo. D'altronde non bisogna spaventarsi davanti al demo nio, perché egli è impotente dove incontra una fede au tentica. Erma insiste spesso su questo aspetto : « Non te mere il demonio, perché col timore del Signore lo signa reggerai non essendoci in lui vera potenza » ( Prec. VII , 2 ). E ancora : « Tu pertanto presta fede allo spirito che viene da Dio ed è perciò potente; non credere allo spirito ter reno e vano, che, procedendo dal demonio, non ha nessun potere » ( Prec. XI, 1 7 ). In effetti « l'angelo della peni tenza » lo tiene sotto la sua potenza ( Prec. XII, 4, 7 ). Perciò « egli non può che spaventare, ma il timore che ispira è vano » ( XII, 4 , 7 ). Si osservi la differenza con il pessimismo di IV Esdra, per il quale il dominio dello yeser-ha-ra era ineluttabile. Nella dottrina giudeo-cristiana
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tutto è cambiato perché
il
diavolo è stato vinto da Cristo.
Il contesto delle idee viene proprio dal giudaesimo, ma le
prospettive sono tutte diverse. Sincerità e scienza
Una seconda caratteristica della spiritualità giudeo-cri stiana è l'ideale che essa propone, il quale, tutto ispirato dal Vangelo, sembra fortemente colorato dall'ascesi giu daica contemporanea e in particolare dall'essenismo. Que sta colorazione compare già in certi passi del Nuovo Te stamento, ma è piu accentuata nei testi giudeo-cristiani. Qui ancora i principali sono i Testamenti ed Erma. Ab biamo detto, d'altra parte, che questi testi erano quelli in cui l'influenza essena era piu marcata. Qui, perciò, è soprattutto di tale influenza che si tratta. Peraltro sono ugualmente dei testi che hanno esercitato senza dubbio una grande influenza sulla storia della spiritualità cristiana . E ciò in particolare per mezzo di Origene, che li utilizza frequentemente e in modo esplicito. Siamo perciò in pre senza di uno dei filoni in cui l 'importanza del giudeo-cri stianesimo appare piu sicura. Uno degli aspetti piu sorprendenti di questi testi è il posto che vi occupa l'&.7tÀ6-tT)ç. È la disposizione fonda mentale del cristiano fedele, che si oppone alla o��uxt.a.. La nozione è stata recentemente studiata da C. Edlund 14 e da J. Amstulz 1\ la cui ricerca mostra che il termine è raro nei Settanta. Assume importanza con i deutero-canonici ( I Macc. 2, 37; Sap. l , 1 ). Lo si trova frequentemente in Aquila e Simmaco 16• Appare nel Nuovo Testamento, in particolare in Paolo, presso il quale esso indica l'assenza di un secondo fine nel servizio del prossimo. 'A7tÀouç è sinonimo di -tÉÀE�oç; in Mt. 6, 22 e Le. 1 1 , 34 designa la '
14
Das Auge der Einfalt, Uppsala, 1952. Haplotès. Ein begriffsgeschichtliche Studie zum judisch-christli chen Griechisch, Bonn, 1968. 16 C. Edlund, Das Auge der Einfalt, cit. 15
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sincerità della volontà che cerca di compiere ciò che Dio vuole. In E/. 6, 5 e Col. 3, 22 designa l'obbedienza ai maestri per il solo motivo della volontà di Dio. Si osservi l'importante espressione i) a7tÀO"tT)ç 'i) Ei.ç XpLC1"tOV (II Cor. 1 1 , 3 ) che traspone al Cristo ciò che l'Antico Testamento dice della Legge. Risulta da ciò che Ò:7tÀ.é"tT)ç si sviluppa nel greco bi blico contemporaneo alle origini cristiane. Vi designa una intenzione che cerca la sola volontà di Dio. Traduce l'e braico tam. Ma è nel giudeo-cristianesimo che assumerà ad un tempo un posto piu importante e un senso piu tecnico: ciò appare nei Testamenti 17• Occorre camminare nella « semplicità del cuore )> ( Èv &7tÀ.6"t'T)"t� "ti'j� xa.p8��) ( Rub. , IV, 1 ). L'à:7tÀ6"tTJ� è associata al timor di Dio (Si meone, IV, 5 ), all'amore di Dio (Levi, XIII, l ). Designa « l'intierezza )> , la rettitudine. Si oppone alla doppiezza: « Le opere di Beliar sono doppie (omÀéi); non hanno la semplicità (a7tÀ.6"tTJç) » (Ben., VI, 7 ) . In questo senso l'a7tÀ6"tT)ç è in relazione con la dottrina dei due spiriti. L'uomo doppio è quello che rimane diviso tra Dio e Beliar (Ben. , VI, 7, secondo il manoscritto A). Il Testamento d'Issachar è interamente dedicato al l'elogio dell'à7tÀé"tT)ç. « Mio padre mi benedice perché cammino nella rettitudine ( a7tÀO"tTJç) davanti a lui )> ( III, l ). L'a7tÀ.é"t'T)ç designa ad un tempo l 'amore di Dio e quello del prossimo : « Ho dato tutti i miei beni ai poveri ed ai miserabili nella semplicità del mio cuore )> ( III, 8 ). L 'a7tÀO"tT)ç è associata all'innocenza ( àxa.xt:a.) (V, l ). Essa non tiene conto dell'opinione del mondo ( IV, 6) e carat terizza l'atteggiamento dell'uomo che conforma la sua con dotta alla sola Legge di Dio, senza curarsi del giudizio del mondo, e che cerca di piacere a Dio soltanto, senza cer care vantaggi personali. Si osservi che l'a7tÀ6'tT)ç è accostata ad un tempo alla dottrina delle due vie ed ai comandamenti fondamentali 17 Cfr. A. Causse, L'idéal ébionitique dans les Testaments des Patriarches, in ]ub. Al/. Loisy, l, pp. 54 ss.
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della retta via, l'amore di Dio e quello del prossimo. Que sto ci ricorda che la catechesi cominciava precisamente con questi due tratti. Ora, nella Lettera di Barnaba vedia mo l'&.7tÀ.6"tTJC, menzionata subito dopo: « Sii semplice ( à.7tÀouc;) di cuore, ma ricco di spirito ( 7tVEU!J.a. ). Non unirti a chi cammina nella strada ( òo6c;) della morte » ( XIX, 2 ). L'à.7tÀ.6"tTJc; ritorna un'altra volta nella Lettera ( XVII , l ). Vi si trova peraltro la condanna della OL4JuxLa., che ne è l'opposto (XIX, 5 ); questa condanna si ritrova testual mente nella Didachè ( IV, 4 ). Ma qui ancora la colorazione essena è piu accentuata in Barnaba. La I Lettera di Clemente oppone l'à.7tÀ6"tTJc; alla OL4Ju xLa. in un passo notevole: « (Dio) elargisce le sue grazie con dolcezza e soavità a chi lo cerca con retta intenzione ( cX7tÀfj OLa.vof.� ). Perciò non siamo doppi ( OL4JUXW!J.EV ) » (XXIII , 1-2 ). Per giustificare quest'affermazione, l'autore cita un testo che presenta come Scrittura : « Guai a coloro che sono incerti ( ol.4JuxoL }, oppressi dal dubbio ( OLcncisov "t'Ec;) e dicono: Queste cose le udimmo già al tempo dei nostri padri ( . . . ) e non si sono ancora avverate » (XXIII, 3) 18• Qui si tratta certamente di un apocrifo giudeo-cri stiano. Esso ricorda II Piet. 3 , 4, la cui colorazione giudeo cristiana è accentuata e che può dipendere dallo stesso apocrifo. Si osservi peraltro che il solo testo del Nuovo Testamento in cui compaia oL4Juxoc; è Giac. l , 8 il cui ca rattere è accentuatamente giudeo-cristiano e che presenta pure à.1t'ì..wc; ( 1 , 5 ). Non ci si stupirà quindi di ritrovare questi tem1 m Erma, che però non mantiene apparentemente dell'à.7tÀ6"tTJc; che l'aspetto riguardante il prossimo. L'à.7tÀ.6"tT)c; ritorna frequentemente presso di lui. È associata all'innocenza ( &.xa.xl.a.) (Vis. l, 2, 4 ). Rientra nelle sette virtu principali, con l'innocenza, la continenza e la santità (crE!J.V6"tTJc;) ( Vis. III, 8, 5). Le è dedicato il Secondo Precetto, che l'associa 1s Cfr. pure I Clem., XI, 2 ( lilljivxoL); II Clem. , II, 2 (à7t)..w ç) per la preghiera dalle rette intenzioni; XIX, 2 (lilljivxoL) in cui la oLl)ivxla è unita all'&.7tLI1't'L!X.
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all'innocenza e alla santità ( l e 4 ). Riguarda principal mente l'elemosina: « Compi opere buone ( . .. ) fanne parte a tutti i bisognosi con semplicità, senza chiederti a chi dare e a chi non dare » . Nella Nona Similitudine, essa è associata allo spirito d'infanzia (vTJmO-tTJc;) ( IX, 24, 3 ). Cosf in Erma la semplicità concerne soprattutto la sincerità di una carità che non cerca che il bene. Essa annuncia Cle mente Alessandrino: « L'innocenza ( &.xa.x(a.) è la dolcezza nei rapporti umani e la rettitudine ( &.7tÀ.6'tTJC,) dell'inten zione » (Paed. l, 5 ; GCS, 98 ). Quanto all'aspetto dell'ti7tÀ.6-tTJC, che riguarda la fedeltà alla Legge di Dio, esso è frequente in Erma, ma sotto for ma negativa, come condanna della OL4Jvxl.a. 19• La OL4Jvxta. esprime la mancanza di fermezza nell'adesione alla volontà di Dio ( Vis. IV, 2, 6 ; cfr. II, 2, 4 ; III, 2, 2 ), la man canza di fede nella parola rivelatrice ( Vis. III, 3, 4; 4, 3 ), l'assenza di resistenza alle smentite e alle contraddizioni ( Vis. III, 7, 1 ), l'impressionabilità di fronte agli attacchi del demonio ( Vis. IV, l , 4 ), la mancanza di confidenza nell'efficacia della preghiera ( Prec. IX, l ; 5 ; 7-12 ). In que sto Precetto, che le è interamente dedicato, la OL4Jvxl.a. è presentata come un demone; il suo opposto è la 7tLO''tLC, . Sembra che questa rimpiazzi l'&.7tÀ.6'tTJC, in Erma nel senso di confidenza in Dio e come contrario della OL4Jvxi.a. 20 • Un secondo aspetto caratteristico del giudeo-cristiane simo è l'importanza della yvwcrLc;. L'espressione compare in Paolo e in questo fatto si è voluto vedere presso di lui un elemento « gnostico ». Ma bisogna intendersi sul ter mine. Come ha dimostrato J. Dupont 21 , la gnosi in Paolo è la conoscenza dei segreti escatologici, del (J.VO'-tTJpLov, che è rivelato nel Cristo. Ora, questa è una concezione speci ficamente giudaica ed è pure l'essenziale dell'apocalittica, 19 Sulla 8L\)iVXL!X cfr. O. ] . Seitz, Antecedents and Signification of the Term 8Ll)ivxoc;, in « JBL >> , LXVI ( 1947), pp. 21 1-219. L'autore la pone in rdazione con i due yescr. 20 Cfr. pure Hom. Clem., Epist. Clcm. , XI, 1-2 ; GCS, 14. 21 Gnosis. La connaissance religicuse dans Ics Epìtres de Saint Pau!, ci t. p. 38. ,
38.
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che è rivelazione dei segreti escatologici e del mondo cele ste. Questa gnosi, l'abbiamo detto, svolgeva un ruolo im portante nel giudaesimo contemporaneo a Cristo: ne co stituiva propriamente la teologia. Lungi dall'apparire qui un segno dell'influenza dello « gnosticismo », sembra pro prio, al contrario, che sia stato lo gnosticismo a riprendere l'espressione e ad interpretarla ad un tempo nel contenuto e nel suo significato in modo eterodosso, unendola a con cezioni ·estranee, orientali o ellenistiche. Non c'è quindi da stupirsi che la gnosi svolga un ruolo importante nei testi giudeo-cristiani. Le scoperte di Qumràn hanno portato a questo punto di vista una conferma decisiva. In effetti la gnosi, come conoscenza dei segreti divini, vi occupa un posto assai importante, come è stato notato 22• Cosi il Manuale di di sciplina parla dei « segreti della conoscenza » (DSD, IV, 6 ). Questa « conoscenza della verità » ( DSD, IX, 1 7 ) non deve essere comunicata che a coloro « che furono prescelti per la ( retta) via » (cfr. pure DSD, X, 24 ). Essi saranno istruiti nei « misteri meravigliosi e veri » (DSD, IX, 1 8 ). Questa gnosi ha la sua fonte in Dio solo (DSD, XI, 3 ). È « una sapienza nascosta all'uomo, (una) conoscenza e (una) cauta sagacia ( celata) ai figli dell'uomo » (DSD, XI, 6). È Dio che apre « alla conoscenza il cuore del ( suo) servo » (DSD, XI, 15-16 ). Sono evidenti i rapporti di que sta gnosi con « la via » : è comunicata soltanto a coloro che scelgono questa. Infine il contenuto di tale gnosi è l'imminenza degli avvenimenti escatologici annunciati dai Profeti (DSH, VII, 1 -7 ). La concezione della gnosi negli scritti giudeo-cristiani si colloca su questa linea: essa è la conoscenza dei segreti escatologici e costituisce in particolare, l'abbiamo visto, l'esegesi escatologica della Genesi. Essa è la conoscenza del compimento di questi avvenimenti escatologici nel Cristo; il che prolunga il Midrash d'Abacuc. Ma questo «
22 W. D. Davies, Knowledge in the DSS and Mt., 1 1, 25-30, in HTR », XLVI ( 1953), pp. 1 13-141.
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compimento è terminato : nel Cristo gli avvenimenti esca tologici sono compiuti. La gnosi d'un colpo assume un carattere nuovo, fa parte dei beni escatologici. È ritorno già attuale al Paradiso, realizzazione del regno. Da profe tica, diviene mistica. Ed è per questo che apre talvolta la strada alle deformazioni che saranno dello gnosticismo e che faranno della gnosi la salvezza stessa e non la cono scenza dell'avvenimento salvifìco I Testamenti, che costituiscono una cerniera tra esse nismo e giudeo-cristianesimo, presentano la gnosi come comunicata dal Messia: « La luce della gnosi (� yW.. cnwç) brillerà di te (il Messia figlio di Levi ) e tu 111'11 un sole per ogni rampollo d'Israele » ( Levi, IV, .3). Q� ap pare in particolare nel grande passo cristologico: « Un astro si alzerà, come quello di un re, nel cielo, irradiando ( cpw-tLswv) la luce della gnosi, come il sole il giorno • ( Levi, XVIII, 3 ). Si noti il legame tra la gnosi e l'illumi nazione ; esso appariva nel Manuale di disciplina e si ritro verà nell'interpretazione del battesimo come cpw·n01J,6ç. Questa gnosi irraggerà su tutti i popoli: « Le nazioni sa ranno riempite della gnosi sulla terra dal sacerdozio del Messia, e saranno illuminate dalla grazia del Signore » ( Levi, XVIII, 9 ). Il carattere cristiano della dottrina ap pare in un ultimo passo: « Negli ultimi giorni il Diletto del Signore risusciterà, generato da Giuda e da Levi, illu minando tutti i popoli con una gnosi nuova ( xa.waì yvwcnç) » (Ben., XI, 2 ). La Didachè contiene delle allusioni alla gnosi tanto piu preziose per il fatto che esse si trovano nelle antiche pre ghiere eucaristiche. « Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la vita e per la conoscenza che ci hai fatto svelare da Gesu Cristo tuo servo » ( IX, 3 ) 23 • Si noti la somiglianza con Test. Ben. in cui la gnosi è comunicata dal Diletto. È il Cristo soltanto la sorgente della vera gnosi : tale è l'affer mazione cristiana. Piu oltre leggiamo : « Ti ringraziamo, o Padre santo ( . . . ), per la sapienza, la fede e l'immortalità 2.1
In I Padri Apostolici, a cnra di G. Corti, cit.
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che ci hai fatto svelare da Gesu Cristo tuo servo » (X, 2 ). ]. Dupont scrive a questo proposito: « Il rendimento di grazie per aver ottenuto la conoscenza è un tema di cui l'eucologia cristiana è debitrice a quella giudaica: questa osservazione permette di cogliere in un punto preciso la continuità esistita tra la preghiera della Chiesa e quella della Sinagoga » 24 • La I Lettera di Clemente presenta una dottrina della gnosi che deriva dalla stessa fonte 25 • La gnosi è lodata presso i Corinti ( l , 2 ). È per mezzo di Cristo che « il Pa drone sovrano volle farci gustare la scienza immortale » (XXXVI, 2 ) 26 • Ciò si collega alle eucaristie della Didachè. La gnosi riguarda le profondità ( �li6TJ ) di Dio ( XL, l ): sarà un punto ripreso dagli Gnostici 27 • Questa conoscenza implica delle responsabilità (XLI, 4 ). La gnosi appare come un carisma « capace di pronunciare una parola di cono scenza » (XLVIII, 4 ). Si aggiunga che il verbo ywwcnmv occupa un posto importante nella preghiera liturgica con cui termina la Lettera: vi si parla della gnosi ( È7tf.yvwcnc;) della gloria del Nome ( LIX, 2 ). Poi il testo continua : « Tu apristi gli occhi del nostro cuore, perché conoscessimo ( ywwcnmv ) te » ( LIX, 3 ) . Per la Lettera di Barnaba la gnosi è la conoscenza del compimento delle profezie nel Cristo e del culto spirituale che in Lui sostituirà il culto esteriore. Ciò si riallaccia di rettamente alla gnosi del Midrash di Abacuc, la quale mo strava le profezie realizzate nella fondazione della comu nità di Qumràn e la missione del Maestro di giustizia. Ma per la Lettera questo compimento è la venuta di Cristo e la fondazione della Chiesa. Lo scopo della Lettera è pre cisamente quello di spiegare il vero senso dell'Antico TeLa connaissance religieuse dans les Epitres de Saint 24 Gnosis. Pau!, cit., pp. 38-39. 25 Ibidem, p. 39. 26 Questo passo sembra proprio collegarsi al q>W't'L01J.6c; battesimale, come nota A. Benoit (Le bapteme chrétien au Second Siècle, cit., p. 85), ma ciò non implica un'influenza ellenistica, come afferma l'au tore (p. 94). 27 Ireneo, Adv. haer. , Il, 22, 3 .
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stamento che, nella sua totalità, non era che una profezia. Ma il senso di tale profezia restava nascosto sino a che non si fosse manifestato nel Cristo. Dichiara infatti l'autore : « Mi preme mandarvi que sto breve scritto perché cosi voi, insieme con la fede ( 1ticr·nc;), possiate anche avere una perfetta conoscenza » ( I, 5 ). La fede introduce alla comunità; è ai fedeli che la gnosi, conoscenza perfetta dei segreti del regno, sarà data. La gnosi è accostata alla sapienza ( crocpl.a ), all'intelligenza ( cruvEcrLc;), alla scienza ( Èmcr-t'h�11) ( II, 3 ; cfr. pure XXI, 5). Essa è in rapporto con le due vie, come abbiamo visto nei Testamenti: « Se un uomo, pur avendo conoscenza ( yvwcrLc;) del cammino della via della giustizia ( òoòc; OLXaLw crvv1)c;) si inoltra per propria colpa nella via delle tenebre, . non è ingiusto che vada perduto » (V, 4; cfr. pure XVIII, l; XIX, l ). Piu precisamente la conoscenza della gnosi è il senso nascosto della promessa della terra in cui scorrono il latte e il miele, che è il corpo del Signore (VI, 9 ). È la conoscenza (yvwcrLc;) del simbolismo dei 3 1 8 servi di Abra mo ( IX, 8 ) . È l'intelligenza del senso figurato degli inter detti alimentari (X, l O ). Con le Odi di Salomone ritorniamo al rendimento di grazie liturgico per la gnosi, quale lo troviamo nella Dida chè. Il tema della gnosi ritorna in ogni istante : « Il Signore ha moltiplicato la sua conoscenza e s'impegna con zelo affinché siano conosciute le cose che ci sono state date per mezzo della sua grazia » (VI, 5 ). Cosi la gnosi è la co noscenza dei beni escatologici dati nel Cristo, ed è il Cristo stesso che ne è il rivelatore. « L'ignoranza è sparita ed è venuta la scienza del Signore » (VII , 24 ) La gnosi si op pone all'ignoranza precedente : è essa che permette la vera lode (VII, 28 ) Ciò ricorda il Manuale di disciplina. Que sta « scienza dell'Altissimo » è un segreto che non è dato se non a coloro che riconoscono il Cristo (VIII, 9-1 1 ) 28• Cosi la gnosi è il compimento della fede. Si osservi che la gnosi è posta in relazione col batte.
.
28
Ciì> caratterizzava la gnosi essena comunicata ai soli iniz�ati.
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simo. « Ho ricevuto la sua scienza » è detto all'inizio del l'inno battesimale (XI, 4 ) . Questa scienza conduce ad « ab bandonare la follia che è diffusa sulla terra » (XI, 9 ). Essa è conoscenza della via della luce: « Grazie a lui, ho avuto la rivelazione della scienza. . . Ho abbandonato la strada dell'errore, sono andato verso di lui » ( XV, 5-6 ) 29• Ma questa scienza, data « con abbondanza » (XII, 3 ) , è fatta per essere comunicata: « Il Signore ha diretto la mia bocca con la sua parola e aperto il mio cuore con la sua luce. Mi ha concesso di raccontare i frutti della pace per convertire le anime di coloro che vogliono venire verso di lui » (X, 1-3 ). Questo legame tra la gnosi e la lode ricorda molto le Hodayoth di Qumran e soprattutto il finale del Manuale di disciplina (DSD, X, 1 2- 1 5). Le Odi non sono che una azione di grazie per la vera gnosi, che è conoscenza dei beni della salvezza. Da questa indagine si traggono due conclusioni impor tanti. Da una parte i testi giudeo-cristiani ci fanno ritro vare i due sensi principali della gnosi nei manoscritti di Qumran : la scienza del compimento delle Scritture, che è l'aspetto scritturistico; la conoscenza dei segreti del regno, che viene dall'apocalisse. Peraltro le Odi di Salomone ci mostrano nel possesso della gnosi un triplice aspetto di scienza, di insegnamento e di entusiasmo. Ora, sono que sti tre aspetti che caratterizzeranno lo gnostico secondo Clemente e Origene : sarà un teologo, un didascalo e un mistico. Questa gnosi peraltro è legata al battesimo; essa è l'entrata in possesso dei beni escatologici già presenti. Tutti questi aspetti mostrano nella gnosi cristiana uno svi luppo della gnosi giudaica per il tramite del giudeo-cri stianesimo. Questa gnosi giudeo-cristiana sarà ripresa dallo gno sticismo che ne sarà ispirato, ma modifìcandola profonda mente. La separerà dal battesimo legandola ad una dve lazione nuova; ne trasformerà il carattere riservato ai cri29 Bernard accosta Clemente Aless., Paed., I, 6, 29: « L 'illumina zione che noi riceviamo è conoscenza ( yvwO'�ç) che fa sparire l'igno ranza » (Tbe Odes of Solomon, cit., p. 62).
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stiam m esoterismo; le conferirà un senso piu speculativo e meno escatologico; farà della conoscenza come tale la realizzazione della salvezza. Soprattutto ne modificherà profondamente il contenuto : le darà un senso dualistico e pretenderà di ritrovare questa dottrina mediante un'ese gesi allegorica dell'Antico Testamento. Si vede come tutti questi tratti ad un tempo richiamino e deformino la gnosi giudeo-cristiana. Si potrebbero studiare gli Gnostici in questo senso, ma sarebbe un lavoro immenso. A noi basta aver indicato il legame che vediamo tra gnosi giudeo-cri stiana e gnosi gnostica e aver contestato l'influenza che si è preteso di attribuire a questa su quella. Tendenze ascetiche Un ultimo aspetto del giudeo-cristianesimo è dato da un certo encratismo. Con ciò non intendiamo né la co mune ascesi che ogni religione comporta e che il cristia nesimo esige, né tanto meno, all'estremo opposto, una condanna della carne che proviene da una metafisica dua listica, bensf tutto un insieme di restrizioni nell'uso dei beni materiali che appaiono come legati non all'essenza del cristianesimo, né ad un'influenza gnostica, ma all'ap partenenza dei primi cristiani ad ambienti giudaici. Sem bra qui ancora che il giudeo-cristianesimo sia debitore di questi orientamenti alle correnti pietiste. Li troviamo ad un tempo presso i giudeo-cristiani ortodossi e presso gli altri, che spingono tali tendenze all'estremo e le basano su speculazioni discutibili 30 • Qui si pongono parecchi interrogativi . Il primo riguar da gli alimenti. Abbiamo un testo prezioso di Egesippo che ci parla di Giacomo, il capo della Chiesa giudeo-cri stiana di Gerusalemme : « Egli fu santo fin dal grembo materno; non bevve vino, né altro liquore inebriante; non .lO Cfr. E. Pcterson, L'origine dell'ascesi cristiana, in « ED », I ( 1948 ), pp. 195-204 ( ristampato e completato in Friihkirche, ]udentum und Gnosis, cit., pp. 209-220).
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mangiò carni di animali; la forbice non scese sulla sua testa; non si spalmò di olio, e non fece mai uso di ba gni » 31• L'interpretazione di questo testo è discussa. Rap presenta un quadro storico? O piuttosto è una rappresen tazione ideale? Ed in tal caso la descrizione è emanazione di un gruppo eterodosso? Ma allora a quale collegarla, dal momento che l'insieme dei dati che presenta non corri sponde ad alcun gruppo? Sembra dunque che non ci sia ragione di sospettarne il valore storico. Ci fermeremo soltanto agli aspetti relativi agli ali menti. L'astensione dal vino e da bevande inebrianti ri corda evidentemente il testo di Luca su Giovanni Battista: « Non berrà né vino, né liquore inebriante » ( l , 1 5 ) Ciò doveva far parte dell'ascetismo di certi Giudei. Gli Esseni non escludevano l'uso del vino, poiché si parla della bene dizione di una coppa (DSD, VI, 4-5 ). Si noti tuttavia che si usa del vino non fermentato, come indica la parola ebrea tirosh. È l'espressione ordinaria negli scritti di Qumran. Questo uso dunque non contraddice l'ascetismo esseno. Giuseppe Flavio nel suo racconto del pasto esseno parla soltanto del pane e di un solo piatto (Bell. ]ud. , II, 8 , 5) 33 • Ci si ricorderà pure che egli presenta il tempo del noviziato come un'« esperienza d'ascesi » ( 1tEi:prx. Éyxprx. 'tE(rx.c;) (Bell. ]ud. , II, 8 , 7 ) 34• Tutto ciò sottolinea pro prio le tendenze ascetiche della comunhà essena. Si può anche vedere un argomento in favore dell'asti nenza dal vino presso i Giudei piu pii nel fatto che Cristo suscita meraviglia bevendo del vino ( otvo1tO'tTJ<;) ( Le. 7, 34 ). Ma ciò è assai interessante per porre in rilievo il fatto che Cristo rompe con gli interdetti alimentari. E non è piu sorprendente ritrovarli in Giacomo. L'astinenza dal .
3 1 Eusebio, Hist. eccl., I I , 23, 5 (ed. it. a cura di G. Del Ton, Roma, 1964). 32 Cfr. H. Kosmala, Hebraer, Essener, Christen, Leiden, 1959, p. 394. Si noti che Girolamo loda gli Esseni per il fatto che si astengono dal vino (Adv. ]ov., I I , 14). 33 Invece Filone cita espressamente l'astinenza dal vino presso i Terapeuti (Cont., 37, 73). 34 Cfr. anche per i Terapeuti (Cont., 34).
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vino mostra dunque non un aspetto cr1st1ano, ma la per sistenza dell'ideale pietista giudaico. Essa si accompagna peraltro in Giacomo ad altri aspetti d'origine giudaica, come quello di non « lasciare che il rasoio » tocchi la sua testa. Ciò era pure un carattere dei Nazorim, di coloro che facevano un voto. L'astensione dal bagno, cosi contra ria alle consuetudini essene, qui orienterebbe piuttosto verso l'usanza del nazireato che verso un milieu propria mente esseno. Quale che ne sia l'origine, la proscrizione del vino re sterà un aspetto di alcuni gruppi giudeo-cristiani di ten denze eterodosse. Ippolito la dà come caratteristica degli Encratiti ( VIII, 20). Essa sarà pure tipica degli Ebioniti che non useranno neppure il vino per l'Eucaristia e non conosceranno che una coppa d'acqua: « Gli Ebioniti con dannano la mescolanza del vino celeste e vogliono soltanto dell'acqua di questo secolo » 35• I termini « celeste » e « secolare » fanno qui allusione al fatto che Ireneo vede nella mescolanza il simbolo dell'unione della divinità e del l'umanità nel Cristo 36• Lo stesso costume si ritroverà pres so gli Gnostici. Cosf negli Atti di Tommaso, l'apostolo ri fiuta il vino che Mygdonia gli porta per l'Eucaristia: « Dopo aver spezzato il pane e aver preso una coppa di acqua comune . . . » ( 1 20-12 1 ; Lipsius, 230-23 1 ) 37• È stato notato che, secondo Egesippo, Giacomo si asteneva pure da ogni carne di animali : qui siamo ancora in presenza di tendenze rigoriste. La Legge giudaica proi biva di mangiare il sangue degli animali e proscriveva con seguentemente le carni « soffocate ( 7t'll �x-r&.) » . Dagli Atti degli Apostoli vediamo l'insistenza di Giacomo perché questo precetto fosse conservato nella Chiesa ( 1 5, 29). Questa perciò è stata certamente la consuetudine comune 35 Ireneo, Adv. haer., V, l, 3 . H. J. Schoeps, Theologie und Geschichte des ]udenchristentums, cit., p. 194. 37 Clemente Alessandrino parla degli « eretici che utilizzano il pane e l'acqua nell'ablazione, fuori della regola della Chiesa. Perché ve ne sono pure di quelli che celebrano l'Eucarestia con acqua pura » (Strom., I , 19; GCS, 61. Cfr. pure Atti Piet., 2 ; Lipsius, 46).
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dei giudeo-cristiani e non soltanto dei Nazareni di stretta osservanza che conservavano pure la circoncisione e il sa bato. Nell'ambiente ebionita si arriva sino all'interdizione di ogni carne e ad un vegetarianesimo rigoroso 38 • Le Ome lie Clementine ci mostrano Pietro che « non fa uso che di pane e di olive, raramente di legumi » (XII, 6 ). Clemente riferisce una tradizione, che è certamente giudeo-cristiana, secondo cui Matteo « si nutriva di granaglie, di frutti e di legumi, con l'esclusione delle carni » ( Paed. , II, l , 1 6 ; GCS, 1 65). Questo condusse gli Ebioniti a modificare la Scrittura nel senso della loro teoria, secondo la dottrina delle « false pericopi ». Epifanio ci informa cosi che essi consideravano come interpolato il passo in cui è detto che « Abramo offri un capretto con del latte agli angeli » ( Pan., XXX, 1 8 ) Allo stesso modo modificano la storia evangelica. Gio vanni non si nutriva di cavallette ( &.xpLorx.ç) - eppure questo cibo rappresentava già, per Clemente Alessandrino, « un rilancio d'ascetismo {tntEP't'Etvrx.c; 't'TJ'II Èyxpà.'t'E�rx.v) » (Paed. , II, l , 1 6 ; 165) - ma di focacce ( ÈyxpLoa.ç) ( XXX, 1 3 ). Alla domanda degli Apostoli : « Dove vuoi che man giamo la pasqua? », Gesu risponde : « Pensate voi che io abbia desiderato mangiare della carne con voi? » (XXX, 22 ), il che è destinato a scartare l'idea che Cristo abbia potuto mangiare l'Agnello pasquale. Epifanio dichiara « che gli Ebioniti si astengono da ogni carne e da tutto ciò che è carne » (XXX, 1 5 ). Qui ancora abbiamo dei pre cedenti nell'essenismo 39• Un ultimo aspetto caratteristico dell'ebionismo è l'uso reiterato dei bagni di purificazione. L'aspetto è rilevato da Epifanio (XXX, 1 6 ). Lo si ritrova negli scritti pseudo clementini. Sembra che Pietro, che rappresenta l'ideale .
38 E. Molland ha mostrato la distinzione tra l'obbligo generale di astenersi dai 1t'\I�X't'&. e l'ideale di « vegetarianesimo » che è quello degli asceti (La circoncision, le bapteme et l'autorité du décret aposto lique, cit., p. 32). 39 Giuseppe Flavio, Bell. ]ud., II, 8, 5; Filone, Cont., 37; 73. Sa tornilo « si asteneva dalla carne per un falso ascetismo » (continentiam: Éyxp&.-mo:v) ( Ireneo, Adv. haer., I, 24, 2).
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dell'asceta, prenda un bagno ogni sera (Hom. Clem . , IX, 23 ; X, l ; X, 26). Come ha notato E. Molland 40 , sembra che questi scritti distinguano due forme di bagni di puri ficazione, oltre al battesimo. I./uno è il bagno richiesto dopo l'atto sessuale e che è l'espressione degli obblighi ri guardanti la vita sessuale : esso è obbligatorio. L'altro è costituito da queste abluzioni quotidiane. Il primo dipende dagli elementi di tradizione giudaica mantenuti dal Con cilio di Gerusalemme e riguarda la vita di ogni giudeo cristiano. L'altro caratterizza gli uomini pii, gli asceti. Ora questo costume del bagno quotidiano era una caratteristica di Qumran. Vi si può vedere pure un aspetto d'origine essena. L'insieme di questi aspetti ci lascia intravedere la per sistenza nel giudeo-cristianesimo, qualunque cosa accada delle prescrizioni legali obbligatorie, di un ideale di « en cratismo » implicante l'astensione dal vino, dalla carne, e molteplici purificazioni. Questo ideale sembra in relazione con un milieu pietista giudaico e in particolare esseno. Sembra che sia stato quello di Giovanni Battista. Benché respinto da Cristo, pare che sia rimasto nella comunità di Gerusalemme e, particolarmente, presso il vescovo Giaco mo. In seguito ]o si ritrova nell'ebionismo, con dei tratti specificamente eterodossi, come la soppressione del vino nell'Eucaristia. I giudeo-cristiani degli scritti pseudo-cle mentini, senza fare di queste pratiche un obbligo, le pre sentano tuttavia come accompagnanti la vita del perfetto asceta. Problemi analoghi li incontriamo per quanto riguarda la verginità. Abbiamo visto nel capitolo precedente che le vergini sembra che abbiano occupato in certi casi un posto particolare nella comunità. È certo che la verginità stessa, in quanto ideale proposto ad alcuni, appartiene al messaggio cristiano: Paolo è esplicito a questo proposito. Ma ciò non significa che il modo in cui essa è stata con43 La circoncision, le baptéme et l'autorité du décret apostolique, cit., p. 33. Cfr. pure E. Peterson, Friihkirche, Judentum und Gnosis, cit., pp. 235, 288.
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siderata nel giudeo-cristianesimo non debba qualcosa al milieu giudaico. Ora, questo sembra proprio essere il caso. Se la tradizione giudaica comune esalta il matrimonio, è certo che vediamo apparire l'ideale della verginità nel giu daesimo contemporaneo a Cristo, e in un caso detenni nato : quello degli Esseni 41 • Il problema, tuttavia, è com plesso. Filone sembra affermare che il celibato è la condi zione normale degli Esseni. Giuseppe, pur dicendo la stessa cosa, indica che alcuni sono sposati. I documenti di Qumràn sembrano supporre il matrimonio come la con dizione dei Sadociti 42 • Del resto sono state ritrovate delle ossa di donne nel cimitero di Qumran . Non si può negare una certa contraddizione. Può es serci stata una evoluzione storica, ma sembra possibile un'altra soluzione. Filone ci descrive la vita dei monaci di Qumriìn, ma questi, indubbiamente, non sono tutti gli Es seni. Rappresentano un'élite nella comunità; il che lascia intravedere due categorie di Esseni : i perfetti, votati alla contemplazione e che mantengono il celibato, e l'insieme della comunità che conduce una vita normale, non prati cando una particolare ascesi. Ora, è notevole il fatto · che il giudeo-cristianesimo ci lasci intravedere qualcosa di ana logo. Il matrimonio non è condannato, ma appare un po' disprezzato. Questa differenza sul piano dell'ascesi sembra corrispondere ad un'iniziazione piu elevata nella cono scenza dei misteri. È già l'unione della gnosi e dell'apa theia cosi come la troviamo presso gli « gnostici » di Cle mente Alessandrino. E, lungi dall'apparire un'innovazione greca è, al contrario, un tratto tradizionale. Abbiamo detto che è quella la tradizione che la comu nità siriaca conserverà a lungo 4\ ma è pure quanto intra41 M. Black ha mostrato che bisognerebbe cercarne l'origine nella astinenza sessuale richiesta prima della guerra santa presso i Nassidi (Hasidean-Essene Ascetism, in Aspects du ]udéo-Christianisme, Paris, 1965, pp. 19-35). 42 Cfr. G. Vermès, Quelques traditions de la communauté de Qum rdn, in « CS » , VIII ( 1955 ), pp. 42-44. 43 A. Voobus, Celibacy a Requirement for Admission to Baptism in the Early Christian Church, cit., pp. 20·25.
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vediamo presso gli Ebioniti. E. Molland ha giustamente sottolineato che presso di loro vi erano dei gradi di inizia zione 44 • L'insieme dei fedeli doveva attenersi ai precetti noachici, ma certuni praticavano un'ascesi piu alta. Ora il Diamartyrion mostra che questi erano ugualmente ammes si, dopo una lunga iniziazione, a ricevere le dottrine riser vate, che dovevano conservare segrete ( l ; GCS, 3 ). Ciò si ritrova nel loro atteggiamento nei confronti della vergi nità. Le Omelie Clementine non condannano il matrimo nio, ma esortano i giovani a sposarsi per evitare i disor dini della fornicazione ( III, 68 ). Peraltro « il vero profeta ha fatto del matrimonio una legge, ma ha permesso la continenza » ( III, 26). La notizia di Epifania, che descrive uno stadio successivo della comunità, osserva : « Oggi la verginità e la continenza sono proibite presso di loro, come presso le altre sette che sono simili a loro. Ma un tempo essi veneravano la verginità, senza dubbio a causa di Giacomo, fratello del Signore, cui attribuiscono degli scritti ai presbiteri e alle vergini » ( XXX, 2, 6 ). Questa esaltazione del celibato e questo carattere pri vilegiato delle vergini nella comunità sembrano essere sfo ciati, indubbiamente sotto influenze esterne, in due tipi di esagerazioni, le quali testimoniano della forza di tali tendenze nel giudeo-cristianesimo. Sono queste esagera zioni che caratterizzano in particolare certi gruppi gnostici. La prima consiste nel disprezzare l'appartenenza alla co munità generale e il battesimo che introduce in essa e nel considerare che la vera comunità è quella dei fedeli di se condo grado, che si chiamano gnostici. Ma ancora piu im portante per noi qui è l'altra esagerazione, cioè la con danna del matrimonio. Essa compare presso dei siriaci, come ci si poteva attendere. Satornilo considerava diabo lico il matrimonio 45• T aziano lo condanna e fonda la setta degli « Encratiti » 46• Ma questi eccessi si trovano altrove: 44 La circoncision, le bapteme et l'autorité du décret apostolique, cit., pp. 20-25. 45 Ireneo, Adv. haer., I, 24, 1 . 46 Ibidem, I . 28, l .
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Le istituzioni
Marcione è ostile al matrimonio. In Egitto la stessa ten denza si trova nel Vangelo degli Egiziani, citato da Cle mente Alessandrino (Strom., II, 5; GCS, 2 1 7 ; 9 ; GCS, 226 ). Alla fine del secondo secolo Giulio Cassiano pubbli cherà il suo trattato Sulla continenza ( 7tEpt Èyxprx:m:ac;) o Sulla vita d'eunuco che condanna totalmente la sessualità (Strom. , III, 1 3 ; GCS, 2 3 8 ) 47 • Un aspetto particolare dell'atteggiamento verso il ma trimonio compare in alcuni Atti apocrifi : è l'invito rivolto agli sposi a separarsi. Questo, come ha notato E. Peterson , è un tratto del giudeo-cristianesimo. Cosi negli Atti di Gio vanni, Giovanni invita Andronico a vivere d'ora in poi con Drusiana come fratello e sorella ( 6 3 ; Bonnet, 1 8 1 ) �. Ci si può chiedere se tendenze analoghe non siano emerse altrove. Nel Pastore vediamo l'angelo consigliare a Erma di vivere d'ora in avanti con sua moglie come con una sorella ( &.oEÀ.
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giustamente rilevata da E. Peterson 50 • Si noterà infine, in certi gruppi giudaizzanti, come gli Elcesaiti, la condanna della verginità e l'obbligo del matrimonio 51 • Ci sembra cosi che il cristianesimo primitivo abbia espresso lo slancio spirituale che gli era proprio attraverso le forme che esso ha tratto dalle usanze del milieu giudaico e, in modo particolare, esseno. Alcuni di questi aspetti sembrano come una deformazione, ma, in generale, sono un modo di espressione. In ambiente ellenistico, sarà l'ideale del saggio a fornire elementi analoghi. In entrambi i casi si tratta di quella legge generale che porta il mes saggio evangelico ad assumere come punto d'inserzione le forme correnti di ascesi del milieu in cui esso si sviluppa.
50 L'origine dell'ascesi cristiana, cit., pp. 198-200. Cfr. pure A. Voo bus, History of Ascetism in the Syrian Orient, I, Stockolm, 1958, pp. 30-62. 51 Epifania, Pan. , XIX, l.
Conclusione
Ci eravamo proposti, all'inizio di questo libro, di con durre un'indagine attraverso i documenti che rimangono del periodo giudeo-cristiano della Chiesa Antica, al fine di vedere se i dati che essi presentano hanno abbastanza dei tratti comuni da permettere di parlare di una teologia giudeo-cristiana. Alcuni punti erano evidenti sin dal primo momento: l'esistenza di una speculazione a partire dai dati della rivelazione ; l'uso delle categorie dell'apocalittica. Ma nel corso del nostro esame si sono manifestati degli aspetti piu precisi, che permettono di giungere a delle conclusioni positive. Constatiamo infatti che la teologia giudeo-cristiana è una teologia nel senso proprio del termine, cioè un tenta tivo di costruire una visione d'insieme, a partire dai dati che costituiscono gli avvenimenti divini dell'Incarnazione e della Resurrezione del Verbo. Questa teologia compare già in certe opere del Nuovo Testamento, particolarmente in Paolo e in Giovanni. Ma le analogie che presentano le nostre opere con i temi teologici di questi due autori, il fatto che da molti punti di vista gli scritti giudeo-cristiani non canonici attestino uno stadio piu arcaico di questa teologia - se non quanto alla data di tali opere, almeno quanto allo spirito che esse attestano - ci fanno pensare che la teologia di Paolo e di Giovanni è per molti aspetti l'espressione di una speculazione comune che le è anteriore e di cui gli scritti giudeo-cristiani costituiscono un'altra testimonianza. Ma possiamo andare piu lontano e precisare la strut tura di questa visione d'insieme. Man mano che procede-
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Conclusione
vamo ci si è imposta infatti l'importanza del parallelismo stabilito dai nostri autori tra creazione ed escatologia. Abbiamo visto la predilezione per i titoli del Figlio come Principio che erano tratti dall'inizio della Genesi; abbiamo visto il parallelismo tra la funzione del Nome che porta la prima creazione e quella della Croce che porta la seconda, il che poteva avere la sua ultima origine nel fatto che il segno della croce significava innanzitutto il Nome. Abbiamo visto la Chiesa preesistente agli eoni, prima di essere manifestata alla fine dei tempi, e le acque santificate alle origini del mondo prima di esserlo dallo Spirito al battesimo; abbiamo infine constatato l'im portanza del tema della restaurazione del Paradiso alla fine dei tempi, come ripresa del Paradiso originale. Alla luce di questa corrispondenza, che i vecchi lavori di Gunkel avevano chiarito e quelli di Dahl hanno di recente sottolineato, molti aspetti sembrano illuminarsi. La preoccupazione essenziale dei teologi giudeo-cristiani è infatti di mostrare che gli avvenimenti della vita di Cristo e della Chiesa sono la realizzazione del disegno eterno di Dio. È ciò a cui corrisponde l'idea di preesistenza in Dio delle realtà escatologiche. Questo è il tema fondamentale dell'apocalittica. Il libro celeste ha contenuto prima del tempo le realtà che sono state manifestate alla fine dei tempi. Cosi il disegno di Dio si presenta nella sua logica e nella sua coerenza e dissipa il sentimento di abbandono e di contingenza mediante la certezza che costituisce e la visione coerente che esso dà della storia del mondo. Ma nello stesso tempo che all'apocalittica, questa sin tesi ci è parsa riferirsi continuamente ad un'esegesi specu lativa dei primi capitoli della Genesi. Quasi tutti i temi che abbiamo incontrato sono tratti da essa. La teologia trinitaria si ispira al simbolismo dei tre giorni e dei sette giorni, quella del Verbo al bereshith e al Giorno, quella della Chiesa alla creazione del cosmo e a quella della donna, quella dell'escatologia al racconto del Paradiso . Queste esegesi della Genesi hanno differenti applicazioni, ma sono di una medesima ispirazione. L'aver messo in luce
Conclusione
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questa gnosi ci è parso uno dei risultati essenziali del nostro lavoro. La teologia giudeo-cristiana ci è apparsa cosi come una teologia della storia, ma con un carattere cosmico: l'ac cento è posto piu sul parallelismo tra la prima e la seconda creazione che sulla prefigurazione del Cristo nella storia d'Israele. La tipologia sotto questo profilo appare come dipendente piu dalla catechesi destinata agli iniziati che dalla speculazione piu elevata, la quale si collega maggior mente all'« archeologia » e all'escatologia, alla conoscenza delle cose prime e ultime e la cui preoccupazione sembra cosi quella di collocare i dati biblici in una visione totale. Questo carattere cosmico è complementare alla visione storica. Esso si esprime innanzitutto con l'importanza data all'angelologia nella teologia dell'Incarnazione e della redenzione. L'azione del Verbo riempie tutti gli spazi spirituali, si estende dal settimo cielo agli inferi; riguarda cosi la totalità delle creature. Ciò è espresso in modo particolare dalla simbolica della croce, che, accanto alla sua relazione con l'azione creatrice, in quanto cardine della storia, ha un simbolismo d'universalità e contras segna l'estensione cosmica dell'azione del V:erbo. Ci sembra cosi verificata l'ipotesi da cui eravamo par titi. Il raffronto delle diverse opere che abbiamo pensato si potessero collegare al giudeo-cristianesimo mostra chia ramente l'esistenza di una teologia giudeo-cristiana. Lo studio della Chiesa giudeo-cristiana che abbiamo fatto al termine ci ha confermato questa ipotesi mostrando, accanto alla speculazione teologica, una catechesi, legata all'inizia zione cristiana, la cui struttura è parimenti giudeo-cri stiana, ma di un carattere del tutto diverso e che presenta un aspetto elementare. Ritroveremo entrambi gli aspetti nelle strutture piu ellenizzate delle epoche successive.
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Indici
Indice delle citazioni
Antico Testamento Genesi 1-3 l, l, l, l, l, l, l, l, l, 2-3 2, 2, 2, 2, 2, 3, 3, 3, 17, 18, 37, 38, 46, 48, 49, 49,
l
2 5 7 10 11 14 20 27 4 7 9 17 24 18 20 21 5 1-2 9 28 27 14 8 11
1 13, 162, 278, 284, 1 10, 162, 409, 165,
283, 284, 1 12, 444, 418,
307,
161. 409. 413. 282. 163. 163. 163. 164. 167. 419. 458. 420. 422. 124. 446. 419. 151. 419. 478. 143. 241. 309. 152. 185. 374. 373. 156.
Esodo
9, 16 1 7 , 14 17, 16
255. 142. 142.
Esodo 23, 21 3 1 , 18 32, 32
2,4. 144.
200.
Numeri 13, 16, 19 19, 21, 21, 24,
23 7-8 6 8 8-9 17
29, 11
156. 150. 151. 151. 142. 142. 26, 305, 306, 310, 3 1 1 , 498. 149.
Levitico 19, 18 23, 29
469. 149.
Deuteronomio 5, 6, 12, 18, 28, 31, 32,
28 5 11 18 66 20 8
138. 469. 254. 102, 138. 147. 488. 137, 185.
Indice delle citazioni
566 Deuteronomio 32, 14 32, 17 33, 3 33, 12 33, 13-17 33, 17
156. 520. 373. 374. 374. 375.
Giosuè 2, 18
152.
I Esdra 6, 12 6, 29-3 1 7, 27
264. 153. 153.
Tobia 3, 25 8, 5
186. 254.
Giuditta 15, 13
480.
I Maccabei 2, 37
524.
Giobbe 19, 26 42, 17
145. 136.
3 6 18 6 3
95 106, 109 109, 1 17, 1 17, 1 17, 1 18,
16 l 21 22 24 120
145, 359,
121,
437, 444,
356, 357,
141,
124, 378. 145. 124. 137. 284. 105.
121, 362. 141. 140. 145. 141. 140. 256. 343, 379. 361, 362. 294. 121, 359. 121. 293, 362. 145. 492. 140. 147. 139, 183. 357. 497. 358. 358. 139, 336. 149. 200. 234. 3 14. 277. 446, 450, 455. 146, 152. 341. 358, 359. 143. 283. 121, 138. 283, 491. 140, 141.
Proverbi 8, 22 20, 27
Salmi l, 3, 3, 8, 18, 21
Salmi 21, 7 21, 7-10 21, 17 21, 17-19 21, 18 21, 21 21, 23 22, 4 23 23, 4 23, 7 23, s 23, 10 27, 7 41, 13 n. 49, 14 50, 9 50, 19 67 67, 5 67, 18 67, 18-19 67, 19 68, 22 69, 29 7 1 , 18 73, 13 77, 5-6 89, 4
279. 144.
Cantico dei Cantici 4, 3
152.
l ndice delle citazioni
567
Ecclesiastico 164.
24, 22-31 27, 1 1 44, 15
165. 27.
Sapienza l, 4, 5, 10, 18, 18,
l 2 21 1-2 14-15 14-16
524. 27.
3 19. 421 . 303. 307.
Isaia l, l, l, 2, 2, 2, 5, 6 7, 7, 7, 8, 8, 8, 9, 10, 11, 11, 18, 25, 26, 26, 28, 30, 31, 35, 35, 42 42, 43, 45, 45, 50, 50,
2 7 18 3 3-4 4 l ss. 10-16 13 14 4 14 23 5 23 l 2 3 10 19 20 16 26 9 3-6 5-6 6 7 l 2 7 10
275,
155, 237,
309,
306,
136, 145, 138,
1 38,
93. 3 19. 158. 277. 377. 277. 489. 238. 300. 300. 137. 3 10. 138. 137. 374. 466. 307. 298. 490. 156. 146. 146. 157. 434. 440. 146. 146. 137. 276. 263. 143. 341. 141. 258.
Isaia 52, 5 52, 13-14 52, 50 52-53 54, 1 1 60, 17 61, 6.3, 65, 65, 65, 65, 65, 65, 65, 66,
l l 2 17-25 18 20-22 21-25 22
25 2
255, 256. 156. 157. 338. 440. 144. 146. 362. 373. 445. 440. 443, 444. 440. 446. 4.34. 15.3.
Geremia 3, 4, 7, 7, 14, 23,
19 4 2 12 9 5
158. 137. 156. 264. 263. 305.
Lamentazioni 4, 20
143, 376.
Baruc 5 5, 3
440. 440.
Ezechiele 2, 9 8, 16 9, 2 12, 12 12, 22 17, 5 23, 1 1 36-40 37, 12 38, 2 43, 7
196. 496. 221 . 221 . 158. 158. 157. 431. 145, 146. 431. 264.
Indice delle citazioni
568 Gioele 3, 4 3, 5
283. 256.
Daniele 4, 1 4 7, 10 10, 1 3 12, 2
27. 319. 221. 136.
Amos 9, 12 9, 13 9, 14
255. 434. 434.
Daniele 2, 34 4, 10
Zaccaria 3, 8 6, 12
305. 305, 309, 497.
Malachia 121, 300. 27.
3, 16-17 3, 23
203. 141.
Nuovo Testamento Matteo 2, 2 3, 3, 4, 6, 7, 9, 11, 12, 12, 12, 13, 17, 18, 19, 21, 22, 24, 24, 25, 26, 26, 26, 27, 27, 27, 27,
10 11 15 22 22 33 5 17 28 .45 8 21 10 29 42 37-39 27 30 34 17 27-28 67 34 51 51-52 52
304, 305, 306, 309, 498. 378. 317, 320. 137. 524. 520. 520. 146. 137. 144. 520. 69. 472. 186. 439. 138. 469. 497. 368. 27. 83. 439. 150. 149. 25, 337, 338. 334. 155, 327, 331, 335.
Matteo 27, 53 28
329. 348.
1\f.arco l, 8 8, 14 10, 29-30
317. 490. 431.
Luca l, l, 2, 2, 3, 7, 7, 8, 10, 10, 11, 11, 13, 14, 20,
15 78 9 11 17 22 34 2 18 20 20 34 l 27 17-18
534. 306, 309. 322. 143. 381. 146. 534. 194, 520. 192. 200, 201. 144. 524. 102. 262, 389. 138.
Indice delle citazioni
569 I Corinti
Giovanni l, l, l, 3,
6, 7, 12, 12, 12, 12, 14, 16, 16, 17, 17, 19,
3
14 18 5 12 37-39 24 28 31 32 2-3 13 29 5 6 37
283. 264. 267 . 403. 490. 503. 163. 256. 190, 335.
396. 2 7. 246 . 345. 256. 256. 150.
2, 8
2, 10
5, 7 6, 15-16
7, 7, 1 2, 15, 15, 15, 15,
27 36-38 1 -3 1 1-7 1 2 ss. 23 25 15, 25-27 15, 42
15, 45-47 16, 22
290, 293.
239. 153 .
418. 512. 56. 513. 464. 97 .
427, 429. 429. 356. 1 63 . 422. 49 1 .
II Corinti Atti 2, 2, 4, 4, 4, 4, 5, 7, 8, 8, 8, 15, 15, 20,
21 30-35 11 12 25 27 41 53 10 35-36 36 16 29 7
256. 356. 138. 256. 489. 489. 265. 224, 227. 103. 463. 474. 255. 535 499.
9,
9, 10, 10, 12, 13,
24 25 11 7 19-21 17 32 12-13 21 l 12
20 22 4 15 2 3 2-3
492. 481. 190. 1 92 . 41 3 . 127, 525. 171, 172, 351.
Galati l, 3, 3, 3, 6,
8 10
19
20 14
188. 150. 186, 224, 227. 205, 224. 389.
Efesini
Romani 2, 3, 4, 7, 8,
l, l, 4, 6, 11, 11, 12,
255. 238. 482. 127. 439. 255. 138. 256. 373. 184. 282.
l, l, l, l, l, l, l, 2, 2, 2, 2, 3,
3-4 3-12 13 18 20-22 21 23 l 14-16 15-16 20 9-10
205. 205. 481 . 202. 356. 288. 417. 173. 383. 385. 138, 399, 400. 361 , 401, 407.
Indice delle citazioni
570 Efesini 3, 9- 11 3, 10- 1 1 3 , 10-12 3, 1 8 4, 4 4, 7-9 4, 3 4, 8-10 4, 9 4, 10 4, 30 5, 2 5, 25-32 5, 25-33 5, 28-3 1 6, 5 6, 12
II Tessalonicesi
382, 385,
288, 326, 139,
1 15, 173, 192,
205. 424. 290. 396. 420. 357. 139. 336. 345. 283. 246. 184. 418. 168. 423. 525. 193.
l, 7 l, 9
429. 429.
I Timoteo 2, 5 3, l 3, 2
225. 505. 507.
Tito l, 5 l, 5-7
505. 506.
Ebrei Filippesi 2, 2, 2, 2, 2, 4,
345. 326. 153 . 273, 326. 283, 397. 201 .
5-10 7 8 9 IO
3
Colossesi l, l, l, l,
l,
2, 2, 2, 2, 2, 3,
15-18 1 5-20 17 18 20 3 14 14-15 15 18 22
IO,
280. 385. 397. 417. 385, 338. 239. 210. 194. 288, 326, 328, 334. 188. 525.
11, 11, 12,
1-14 2-3 3 5 12 17 12 1 1-12 1 1-14 4 3 12-13 12-13 32 1-40 37 22-23
205.
224, 227. 224. 249. 257. 209. 395. 60. 3. 323. 28. 149. 357. 323. 64. 65. 406.
Giacomo l, l, 2, 4, 5,
5 8 7 8 14
526. 526. 257. 159. 257.
I Pietro
I Tessalonicesi 4, 17
l, 2, 2, 2, 2, 2, 4, 5, 5, 6, 7, 9, 10,
427, 429.
l , 12 l, 17-19
205. 467.
Indice delle citazioni I Pietro l, 19-20 2, 2 2, 6 3, 18-20 3, 18-22 3, 21 4, 3 4, 6
57 1 205. 60, 487. 138. 327. 326. 472. 467. 329.
II Pietro l, 3, 3, 3,
19 4 5-7 8
282. 159, 526. 319. 437, 446.
Giuda 9
188.
Apocalisse l, 2, 2, 2, 2, 3, 3, 4, 4, 4, 5, 5,
11 10 14 27 28 5 14 1-2 5-6 5-7 1-3 5
199, 207. 220. 310. 381. 306. 202. 278, 492. 172. 299. 299. 204. 205.
Apocalisse 5, 6-7 5, 8 6, 12 7, 2 7, 3 7, 9 8, l 10, 1-4 12, l 12, 5 12, 6 12, 7 12, 8-9 13, 3 13, 8 17, 8 17, 10 19, 1 1-21 19, 15 19, 19 19, 20 20, 1-6 20, 2-6 20, 3 20, 4 20, 7 20, 12 20, 13 20, 15 21, l 21, 1-2 21, 1-3 21, 2 21, 23 21, 27 22, 16 22, 20
205. 205. 158. 262. 220. 220. 302. 199. 308. 381 . 27. 192. 192. 22. 202, 206, 209, 211. 22, 206. 455. 43 1. 395. 429. 429. 427. 431. 429. 429. 431 . 202. 429. 202. 420. 404. 168. 169 165. 201 . 306. 491 , 492.
Giudaesimo Apocrifo della Genesi
I I Baruch
II, l
VI, 7 VIII. l XXIX, 3 - XXX, 2 LVI, 1 0 LXXIII, 6
27.
II Bamch IV, 3-6
405.
250. 250. 434. 190. 434.
I ndice delle citazioni
572 JJJ
Baruch
VI, 4-7
Filone 189.
Apocalisse di Baruch
XXIX, 4
Leg. I, I, I,
All. 6, 16 19-21 23
Sacr.
428.
59
De plant.
8
Combattimento tra i figli delle tenebre e i figli della luce (DSW) IX, 15 XI, 2 XI, 4 XVII, 5-7 XVII, 7-S XVIII, 6, 8
293. 255. 255. 225. 226. 255.
Documento di Damasco ( CDC) II, 1 9 V, 17-21 VII, 19 VIII, 19 XV, 3 XIX, 12 XX, 19 xx, 34
35, 182. 88. 305, 310. 26. 255. 483. 203. 255.
286. 284. 420. 241 . 274, 398.
Co11j. 60
146 147-147
305. 216, 255. 234.
Heres
235
398.
1 12
398.
Fu�.
Somn.
I, 158 II, 237
398. 276.
De Abrah.
17 1 21-122
27. 241.
Dc Tosepb o
174
274.
Vita di Mosè
II, 99 III, 8
Quaest. Gen.
IV, 140
240. 240. 274.
De Dea
IV Esdra I, 1 1 , l
II, 2, 1-5 III, 3, 1 1 III, 5, 3 III, 26, 17 IV, 3, l IV, 4, l IV, 7, 4 IV, 9, 4
155. 399. 401. 428. 518. 403. 403. 403, 404. 403.
241. 240. 238. 238.
CO.'l!.
34 37 73
Adv. Flacc.
123
Quaest. Ex .
II, 62 II, 67 I I, 68
V Esdra II, 1 6
4 4-9 6 9
534. 488, 534, 536. 534, 536. 93. 240. 241. 240, 241.
De Cberubim
146.
27-30
240.
Indice delle citazioni
573
Libro delle Benedizioni V, 7
305.
Libro dei Giubilei I, 20 I , 27 III, 10 IV, 29 XVI, 23 XVI, 30 xxx, 22 XXXV, 17 XXXV I, 7 XXXVI, 10
192. 224.
274. 444 . 444.
480. 201.
186.
255. 201.
Inni di rendimento di grazie (DST) VI, 38-44 XI , 6 XII, 4
319. 255. 255.
Lettera di Aristeo 145-152
167.
III Maccabei VII, 16
480.
IV Maccabei
Ant. ]ud. I, 3,7 VI, 8, 2 xv, 5, 3 Bell. ]ud. II, 6, 5 II, 8, 4 II, 8, 5 II, 8, 7 VI, 5, 3
3 19. 520. 186, 224. 496. 512. 534, 536. 378, 471, 473, 479, 534. 25, 250.
I Henoch VIII, 3 x, 17 X, 19 XXV, 4-7 XL, 7-9 XL, 9 XLVIII, 3 LXIX, 14 LXIX, 16-19 LXIX, 25 LXXXI , 1-3 XC, 29 cm, 1-3 CVI, 19
63. 65. 63.
VI, 29 XVI, 20-21 XVII, 22
Giuseppe Flavio
312. 444, 447. 434. 406. 187. 55. 405, 421 . 254. 254. 254, 255. 197. 405. 197. 197.
Manuale di disciplina (DSD) I li,18-19 III, 20 III, 20-21 III, 24 III, 25 IV, 2-6 IV, 2-8 IV, 6 IV, 7-8 IV, 9-10 IV, 15-25 IV, 16-20 IV, 21 V, 8 V, 10 VI, 3-4 VI, 4-5 VI, 4-6 VI, 7 VI, 12- 13 Vl, 13-23 VIII, 5 IX, 3 IX, 5 IX, 6 IX, 17
245. 8 1 , 82. 246. 246. 191. 246. 519. 528. 480. 519. 191. 82. 246. 473. 473. 534. 534. 485. 499. 508. 464. 59, 399. 248. 82. 399. 528.
Indice delle citazioni
574 Manuale di disciplina (DSD) IX, 18 528. x, l 496. X, 12-15 532. X, 16 - XI, 19 219. X, 24 528. XI, 3 528. XI, 6 528. Xl, 15-16 528.
305. 305.
Salmi di Salomone 17 18
489. 489.
Vita proph., Abacuc
Midrash di Abacuc (DSH) VII, 1-7 VII, 1-8
XI, 6 XVI, l
528. 51.
12
251 .
Vita d i Adamo e d Eva Regola della Guerra VI, 6
305.
12-17 46-47 50, 1-2
190. 188. 319.
Giudeo-cristianesimo Apocalisse di Paolo XXXIV, 7 13-14
l77. 188.
Ascensione d'Isaia I-XI I, 3 III, 15 III, 15-16 III, 16-20 III, 17 III, 27 IV, 2 IV, 3 IV, 14 IV, 14-17 IV, 16 IV, 1 8 IV, 2 1 VII, 22 VII, 23 VIII, 14 VIII, 1 6-18
190, 192. 406. 228. 348. 352. 22, 46, 513. 22, 23, 190. 59, 399. 192. 428, 429. 23. 184. 337. 229, 479. 29, 228. 29. 1 83.
Ascensione d'Isaia VIII, 26 IX, 1-2 IX, 2 IX, 4-5 IX, 6 IX, 8-9 IX, 9 IX, 12 IX, 14 IX, 16-17 IX, 1 6-18 IX, 21-22 IX, 22-23 IX, 25 IX, 27-36 IX, 28 IX, 35 IX, 39 IX, 40 x, 7-12 X, 8 X, 8-10 X, 8-14 X, 12
348, 197, 28, 28,
178,
479. 28. 28. 225. 28. 179. 179. 479. 190. 338. 349. 28. 198. 479. 229. 179. 29. 225. 230. 291 . 179. 326. 339. 192.
Indice delle citazioni Ascensione d'Isaia X, 15 X, 20 x, 24 X, 24-26 X, 29 X, 30 X, 31 XI, 4 XI, 7-14 XI, 8 XI, 16 XI, 16-17 XI, 2 1-32 XI, 25-26 XI, 24 XI, 29 XI, 31-32 XI, 32
575 192. 291 . 291 . 359. 291. 193. 193.
231. 30 1 . 28. 22, 290. 295. 349. 354 . 354 . 175 . 354.
357.
Barnaba Lettera I, 2 I, 5 II, l II, 3 II, 6 II, 9 II, 10 III, 6 IV, 3 v, 4 v, 13 V, 14 VI, 2 VI, 3 VI, 4 VI, 8-13 VI, 8-17 VI, 9 VII, 3 VII, 4 VII, 6-8 VII, 8 VII, l l VIII, 1-4 VIII, 2 IX, 2 IX, 3 IX, 6-8
41 .
52. 531. 52. 51, 531 . 184. 139. 183, 184. 52. 52. 531. 140. 141. 138. 141, 157 . 141, 283. 52. 487 . 53 1 . 148, 150. 148. 149-150. 150, 151. 150, 151. 151. 152. 156. 93. 482.
Lettera IX, 8 x
X,l-12 X, 10 Xl-XII Xl , l Xl, 4
Xl, 8 XII , l XII, 2 XII, 4 XII, 5 XII, 7 XII, 9 XII, 1 1 XIII, 7 XIV, 2 XIV, 7 xv xv, 3-8 xv, 4 XV, 9
XVI, 7 XVI, 7-8 XVII, l XVIII, l XVII I, 1-2 XVIII, 2 XIX, l XIX, 2 XIX, 5 XIX, 8 xx, l XXI, 3 XXI, 5
53 1. 51. 167. 531. 52. 378. 341. 378, 379. 52, 155. 373. 373. 37 2.
142. 142. 143. 143. 143, 144. 276. 52, 53. 450, 451 . 168. 357, 500. 54, 194, 47 1 .
521, 523. 525. 53, 186, 246, 466, 531. 519. 82. 531. 466, 469, 526. 526. 53. 53. 283. 53 1 .
Clemente Romano I Lettera I, 2 IV, 1-12 VIII, 2-3 IX, 3 IX, 4 X, 1-7 Xl, 1-3 XI, 2 XIII, 2 XVII, l
530. 65. 157, 158. 65. 65. 65. 65. 526. 467. 65.
Indice delle citazioni
576 I Lettera
XVII, 2 65. XVII, 4 65. XVII, 6 65. XVIII, l 65. XXI, 2 144. XXIII, 1-2 526. XXIII, 1-2 526. XXIII, 3 158, 526. XXIV, 3 63. XXIV, 4-5 163. xxv, 2-3 63. XXVI, 2 145. XXIX, 3 159. XXXI, 2-4 65. XXXIII, 3 394. XXXVI, 2 530. XL, l 530. XL, 2 495. XLI, 4 530. XLII, 4 506, 507. XLII, 5 144. XLIV, 2-3 507. XLV, 8 203. XLVIII, 4 530. L, 4 145, 159. LVIII, l 258. LIX, 2 64, 258, 489, 530. LIX, 3 64, 258, 530. LX, 4 258. LXVIII, l 258. II Clem. Il, 2 VI, 4-5 XI, 1-2 XI, 2-4 XII, 2 XII, 2-5 XIII, 3 XIV, l XIV, 1-2 XIV, 2 XIV, 3-4 XIV, 4
526. 472. 527. 158. 129. 540. 157. 400. 410, 4 1 1 . 417, 423. 417. 423.
Diamart. 92, 94, 488, 509, 539. Epist. Clem. XI, 1-2
527.
Hom. l, 19 86. II, 6 468. II, 15 87. II, 16 87. II 17 87. Il, 23-24 103. II, 38 86. III, 17-28 86. III, 26 539. III, 68 539. III, 73 472. VII, 3 467. VII, 4 468. VII, 7 468. VII, 8 468. VIII, 12 191. VIII, 12-24 312. VIII, 18 193. VIII, 21 249. VIII, 22 478. VIII, 42 249. IX, 9 192, 521. IX, 10 55, 107, 194, 521 , 523. IX, 12 518, 521. IX, 13-19 312. IX, 19 523. IX, 22 201, 523. IX, 23 537. X, l 537. X, 26 537. XI, 26 320. XI, 34, l 93. XII, 6 535. XII, 32 468. XVIII, 4 185, 186, 227. XIX, 12 191. xx, 2 249. XX, 2-3 87, 519. ,
Ree. clem. I-IX I, 41 I, 48 I, 52 I, 54 I, 61 II, l II, 8 II, l l II, 24 II, 42
251 . 320. 28, 180. 102. 430. 499. 103. 103. 249. 185, 226, 250.
l ndice delle citazioni
577 Erma
Ree. clem. III, l
III, 52 III, 67
III, 75 IV, 3 IV, 9 IV, 32 IV, 35 IV, 36 VI, 8 VI, 15 VII, 34 VII, 36 VIII, 56 IX, 3
499. 249.
463, 470, 47 1, 474, 475, 485. 85. 499. 444. 475. 478. 69, 468. 482. 475. 471. 485. 468.
172.
Didachè I, l I, 2 IV, 4 VI, 3 VII, l VII, 1-3 VII, 4 VIII, l VIII, 2 VIII, 3 IX, l IX, 2 IX, 3 IX, 4 IX, 5 X, l X, 2 X, 2-3 X, 3 X, 6 X, 7 XI, 3 XI, 4-6 XI, 6 XI, 9 XI, 1 1 XIII, 3 XIII, 4 XIV, l XV, I XV, 2 XVI, 6
470, 45, 488, 486, 489,
263, 476,
5 6 , 51 1 , 5 10, 506, 509,
466. 466. 526. 468. 463. 474. 471. 500. 496. 496. 485. 489. 529. 490. 486. 486. 530. 490. 258. 493 . 510. 509. 511. 509. 5 10. 512. 511. 509. 499. 510. 510. 368.
Visioni l, l , l, l, I, 2, I, 2, I, 3, I, 3, I, 3,
3-4 6 2
4
2 3
4 4, 3 li• l II , l, 3 11, l, 4 li, 2 Il, 2, l
I
171, 351. 401. 198, 401. 526. 202. 198. 168, 198, 402. 353. 211. 1 98.
198. 211. 198, 523. 540.
Il, 2, 3 Il, 2, 4 527. I l , 4, l 400, 401 . Ili, l , 2 523. III, l, 6 222. III, l, 9 265. III, 2, l 265. III, 2, 2 527. III, 3, 3 - 4, l 402. III, 3, 4 527. III, 3, 5 259. III, 4, 1-2 94, 222. III, 4, l 55, 181, 401. III, 4, 3 527. III, 5, l 507. III, 5, 2 509. III, 7, l 527. III, 8, 3-5 520. III, 8, 5 526. III, 1 0, l 55, 222. Ili, 1 0, 3-5 404. IV, l , 4 527. I V , 2, 1-2 404. l V, 2, 4 1 84. lV, 2, 6 527. V, 2 218. v, 3 1 86. V, 7 1 87. Prt•cetli Il, l II, 3 TI, 4 Ili, 4 v. l , 2 V, l , 2-4 V, l , 3
527. 55. 1 07 , 193, 520. 527. 246. 246 248. 522. 246. ,
Indice delle citazioni
578 Precetti v, v, v, v,
l, 7
2 2 , 5-7 2, 8 VI, 2, l VI, 2, 1-5 VI, 2, 2-5 VI, 2, 6 VI, 2, 7 VI, 2, 9 VII, 2 VIII, 6 IX, l IX, 5 IX, 7-12 IX, 1 1 X, l, 2 XI, 3 XI, 5-10 XI, 7 XI, 7-10 XI, 9 XI, 12 XI, 15 XI, 16 XI, 17 XII, 4 XII, 4, 7 Similitudini II, 9 v, 2, 9 V, 3, 2 V, 4, 4 V, 5, 3 VI, 2, l VI, 2, 5 VII, l VII, 2 VII, 3 VII, 4 VIII, 1-2 VIII, l, l VIII, l, 2 VIII, 2, 1-3 VIII, 2, 1-4 VIII, 2, 3-4 VIII, 2, 4 VIII, 2, 8 VIII, 3, 2 VIII, 3, 3 VIII, 3 , 4
55, 193, 55,
247,
149,
247,
218. 107. 521. 520. 519. 523. 186. 247. 247. 472. 523. 202. 527. 527. 527. 520. 520. 247. 248. 509. 511. 46. 509. 509. 509. 523. 187. 523.
202. 208. 202. 218. 181, 401 . 520. 188. 218. 218. 218. 218. 219. 263. 55. 219. 480, 502. 479. 479. 480. 275. 223. 480.
Similitudini VIII, 6, 4 VIII, 10, 3 VIII, 12 IX, l, 1-3 IX, l, 3 IX, 6, l IX, 1 0, 6 - 1 1 , 8 IX, 1 1 IX, 12, 7 IX, 13, 2-3 IX, 13, 5 IX, 14, 3 IX, 14, 5 258, IX, 14, 5-6 IX, 15, 1-3 IX, 15, 4 IX, 16, 2 IX, 16, 2-3 IX, 16, 3 IX, 16, 4 IX, 1 6 , 5-7 IX, 16, 6 IX, 22, 3 IX, 24, 3 IX, 25, l IX, 25, 2 IX, 27, 2 IX, 28, 2 IX, 28, 3 IX, 28, 6
220,
261, 187, 261,
263. 261 . 223. 402. 219. 221. 512. 56. 221. 483. 419. 263. 388. 258. 520. 509. 56. 332. 345. 481 . 331. 345. 520. 527. 509. 507. 507. 265. 265. 265.
II Henoch II, l III-IX III, 1 1-13 IV, 19 V, 2-16 IX, 2 IX, 3 X, 8 X, 1 1-13 X, 13-14 X, 14 Xl, 1-2 XI, 6-8 XI, 9-10 XI, 1 1-12 XI, 15 XI, 1 5 XII, 13 XII, 2 -
35, 181. 173. 184. 27. 179. 499. 35, 182. 184. 197. 184. 185. 28. 182, 183 . 183 . 183. 28, 29. 231 . 229.
I ndice delle citazioni
579
Il Henoch XII, 4 XII, 1 1-16 224, XII, 1 2 XII, 15-16 XII, 2 1-22 XIII, 4-7 XIII, 4-10 XIV, 3-4 XVI, 2-4 XVI, 3 XVII, 1 1 XVIII, 12-13 XXII, 6-16 XXIII, 18 XXIV, 6-8 XXVI, 1-3 XXXIV, 1 0- 1 1 XXXVIII, 19 - XXXIX, 5 XXXIX, l XLI, 3-4 XLI, 22
28. 225. 29. 28. 478. 28. 197. 231. 181. 162. 189. 179. 27. 28. 183. 496. 27. 301 . 28. 28. 27.
Ignazio Ad Eph. I, l I, 2 III, l VI, l VII, l IX, l XII, l XVII, l XVIII, 2 XIX, l 1-3 2 2-3 3 l
401 . 59, 265. 258, 265. 61, 62. 265. 381. 395. 62, 190. 3 16, 476. 22, 190, 290, 299, 302, 381 . 61. 307. 303. 309. 62-63.
Ad Magn. VIII, 2 IX, l IX, 2 X, 3
61 . 500. 60, 330. 58.
XIX, XIX, XIX, XIX, XXI,
Ad Trall. V, 2 IX, 4
3, 23, 60. 383.
Ad Tra/l. XI, l XI, 2
59. 379.
Ad Smyrn. lnscript. III, 2 X, 2
59. 38. 63.
Ad Rom. VII, 2
48, 62.
Ad Phil. Prol. III, l x, 2
395. 59. 258.
Lettera degli Apostoli 1-12 13 13-22, 14 23-62 24 26-27 27 29 44 51 52
41. 292, 355. 41. 232. 41. 41, 174. 333. 368, 369. 42, 175, 349, 466. 310. 350, 355. 482.
Odi di Salomone I-XLII I, 1-2 I I I , 4·9 TV, 3 IV, 8 IV, 10 VI, 5 VI, 8 V I I, 24 VII, 28 VTIT VIII, 9-1 1 VIII, 16 IX, 12-13 X , 1-3 XI, 4 Xl, 6
479. 48. 406. 482. 487. 531 . 94. 53 1. 531. 464. 531 . 482, 483. 202, 471 . 358, 532. 532. 62.
Indice delle citazioni
580 Odi di Salomone XI, 9 Xl, 9-10 Xl, 13 XI, 14 XI, 15-16 XI, 18 XII, 3 xv, 5-6 xv. 8 XVII, 8-1 1 XIX, l XIX, 6-8 xx, 7 XXI, l XXI, 2 XXII, 1-2 XXII, 1-7 XXII, 5 XXII, 8-11 XXIII, 5-9 XXIII, 10 XXIII, 10-17 XXIII, 12 XXIII, 14 XXIII, 19 XXIII, 19-20 XXIV, 1-3 xxv, 8 XXVII, 1-2 xxx. l XXXI, 9 XXXVI, 5 XXXVIII, 1 7 XXXVIII, 17-18 XLI, 4 XLII, 1-3 XLII, 13-26
532. 478. 62. 170. 48. 49. 532. 532. 478. 341 . 487. 302. 481. 472. 478. 386. 342. 316. 343. 206, 297 . 210. 386. 377. 366. 285. 207. 316. 478. 37ì . 475. 141. 476. 59. 399. 141. 377 . 343, 344.
Oracoli sibillini I, 323 a-b I, 372 III, 24-26 IV, 121 IV, 125-160 V, 256-269 VI, 1-8 VI, 3-7 VI, 26-28 VII, 32,35
300. 384. 421 . 22. 319. 30. 31. 318. 367. 32.
Oracoli sibillini VII , 34
VII, 35 VII, 83-84 VII, 139 VII, 145-149 VII, 146-149 VIII, 244 VIII, 244-247 VIII, 245 VIII, 250-253 VIII, 254 VIII, 256-263 VIII, 3 10-312 VIII, 319-323 VIII, 320 VIII, 331 VIII, 367 VIII, 399 VIII, 456-461 XII, 30-33 XII, 32-33
184. 185. 318. 32. 449. 434. 369. 381. 375. 373 . 381. 33. 340. 33. 33. 261 . 33. 466 .
233. 304. 295.
Testamenti dei XII Patriarchi Rube n III, 2-7 III, 3-6 IV, l IV, 9 V, 6-7 V, 7
519. 107, 193, 519, 521 . 525. 518. 189. 35, 181, 182.
Sim.
IV, 5 IV, 7 IV, 8 Levi III, 1-6 III, 2 III, 5-6 III, 5-7 IV, l a IV, 3 V, 4 V, 6 VI, l VIII, 3-9 VIII, 5 X, 3
525. 519. 518. 172. 27, 184. 139, 183. 188. 334. 529. 198. 225. 334. 480. 475, 485. 251.
Indice delle citazioni Levi
XIII, 1 XVIII, 3 XVIII, 3-4 XVIII , 9
Giuda XVI, l XX, l XXIV, l XXIV, 1-6
581 ' 25. 529. 304. ,29.
'19. 246, '19. 304. .306.
Iss.
III, l III, 8 IV, 6 V, l V, 2 V, 3 VII, 6
525. ,2,. 525 525 . 469. .
488. 469.
Zab. IX, 8
336.
Dan. I, 7 I, 8
519. 519.
Dan. v, 3 v, 10- 1 1 V, l l VI, 2 VI, 5
469. 335. 139. 225. 189 .
Nt/1.
III, '
v. 1-4
Asn' 1 3-4 Ii 10 vi . 5-6 VII, 3
VII, '
Giuseppe
VI, 6-7
189. 308. '18. 274.
188.
314. 198. 186.
Ben.
III, 3 VI, l VI, 7 IX IX, 5 XI, 2
469.
188. 525. 251. 337, 346. 529.
Scritti apocrifi Vangelo degli Ebioniti 10
321 .
Vangelo di Filippo 102 121, 8, 15 125
512 . 125. 377.
Vangelo di Filippo 15, 103, 5-14 25 26 31, 107 4 49 53 ,
66
76 77 83, 49, 16 91
127. 324. 294. 126 . 484. 385. 324. 512 . 324. 125. 125.
Vangelo di Giacomo XVIII, 2 XIX, 2
xx, l
XXI, 2
302 . 302. 300. 304.
Vangelo di Nicodemo v, 1-3
293.
Indice delle citazioni
582 Vangelo di Pietro 15-17 36-40 39 39-42 40 41 56
Atti di Pietro 22. 347. 228, 352. 366. 35, 181, 220. 327. 347.
Vangelo di Tommaso 13 22 63 Visione di Paolo 434, 443.
392, 393, 394.
Atti di Giovanni 63 90 94-101 98 99
13
367.
Atti di Tommaso 27 44 120-121
131. 130. 535.
Epistula ]acobi Apocrypba
Atti di Andrea 14
535. 475. 130. 300, 301. 131. 540. 49, 368, 387, 388.
Atti di Pionio 129, 130. 130. 129.
21-22
2 6 8 24 29 34 38
540. 182. 130. 367, 390. 368, 390.
2, 6, 7-9 3, 6, 20 5, 10, 37, 3 7, 14, 39 4, 8, 5-10 7, 14, 34 25-36 8, 15-25 8, 15, 20 8, 15-20
43. 43. 43. 43. 43. 44. 44. 44. 44. 4.
Atti di Paolo I, 30-32
502.
Gnosticismo Apocrypbon di Giovanni 20, 20, 40, 41, 45,
5-6 7 45, 5 15 18 ss. 5-19 •
109. 109. 1 10. 1 12. 109, 1 10.
Apocrypbon di Giovanni 48, 10-17 5 1 10-15 ' 52, l 5'1, 14 58, 17 . 59, 5 59, 17 . 60, 12
1 10. 297. 110. 1 10. 1 10. 1 10.
Indice delle citazioni Apocryphon di Giovanni 74, l 7'5, 3 77, 5 -
583 1 10. 1 10.
269. 269.
Pistis Sophia
Vangelo di Verità 18, 24-27 19, 35 - 20, 14 20, 15-25 21, 3 22, 35 23, 1-5 24, 3-5 33-35
Vangelo di Verità 36-37 38
124. 285. 210. 210. 211. 211. 294. 267.
J, l VH, 12 XI, 20-21 LXH, 124
351. 233, 295. 355. 233.
Sophiu ]. C. 1 10, 5-10
405.
Padri della Chiesa Atenagora
Ambrogio De Myst. 36
363.
Exp. in Luc. II, 2
290.
De sacr. III, 3
167.
Suppl. 24 25
190, 191, 193. 193.
Basilio De Spir. Saneto 27 29
473. 240.
Aristide Apologia 15
Cipriano 347.
Ambrosiaste Comm. in Gal. Prol.
88.
Atanasio De inc. 25
Orat. 35
281.
Ad Vigil. 5
281.
Testimonia I, 16 II, 16 II, 20 II, 21
140. 283. 373. 373.
De zelo et livore 396.
lO
281 .
Indice delle citazioni
584 Pseudo-Cipriano De centesima sexagesima tricesima 216 222. Adv. ]ud. 4 6
250. 376.
Cirillo di Gerusalemme Catechesi I, 2 III, 1 1 XIII, 28 XIII, 41 xv, 22 Lettera a Costanzo 4 6
472. 314, 315. 395. 370. 370.
370. 371.
Clemente Alessandrino Paed. I, 5 I, 6, 26 I, 6, 29 I, 6, 34 I, 1 0, 91 II, l , 1 6 II, 8, 75 II, 9 III, 12 Protrept. I, 3 Stromata I, l, 1 1 I, l, 1 1-12 I, l, 15 I, 13, 57 I, 19 I, 29 II, 5 II, 7, 35 II, 9, 43 II, 9, 45 II, 9, 63-66
527. 323. 532. 487. 158. 536. 151.
499.
392, 467. 277. 408. 74. 72. 71. 535. 275. 540. 53. 332. 36, 76. 33.
Stromata II, 20 II, 20, 1 12 II, 20, 114 III, 9, 66 III, 13 III, 13, 92 IV, 22, 141 IV, 25, 159 v, 6, 38 V, 1 1 , 72, 2 V, 1 1 , 73 V, 14, % V, 14, 106 VI, 5, 3 1 VI, 5, 39 VI, 6, 45 VI, 7, 58 VI, 7, 61 VI, 14, 108 VI, 16, 138 VI, 16, 145 VI, 17, 159 VII, 2, 9 VII, 3, 16 VII, 7, 43 VII, 16 VII, 17 VII, 17, 106
521, 522. 107. 194. 128. 540.
129. 283. 175, 453. 273. 124 . 166. 36. 175. 54. 278. 332. 278. 74 . 453 . 285. 283. 185. 176. 277. 283. 300. 407. 39.
Excerpta ex Theodoto 22 389. 22, 4 271. 22, 6-7 271. 262, 272, 425. 26, l 27, l 272. 27,. 5 272. 273. 31, 3-4 41, 2 404, 405. 374, 389. 42 176. 53, l 63, l 453. 69 312. 69-75 311. 311. 74 311. 75 318. 76, l 80, 3 484. 81 476. 264. 82, l 472. 84 84, l 470, 472. 261, 262, 484. 86, 2
Indice delle citazioni Ecl. proph. I, l I, 2 III, l
585 Diogneto
162, 161, 162, 177,
III, 1-3 IV, l VI, l VII, l VIII, l VIII, 1-2 XXVII XLI, l XLVIII, l LI-LVII LI, 2 LIII, l LVI LVI-LVII LVI, 6 LVI, 7 LVII, l LVIII Quis div. salv. XLII, 18
278, 162,
223,
409. 181 . 181, 284. 409. 409. 121. 409. 409. 163. 74. 187. 187. 72. 409. 281 . 72. 181. 410. 409. 409. 275. 188.
Costituzioni apostoliche VI, 20 VIII, l, 13-17 VIII, 22
Panarion XIII, 1-2 XVII, 1-2 XIX, l XIX, l, 5 XIX, 3 XIX, 3, 6-7 XXI, 2 XXVIII, 5, l XXIX XXIX, 1-3 XXIX, 8-9 xxx 2, 6 XXX, 3 XXX , 3 , 13 XXX, 13 xxx, 13, 2 XXX, 13, 4 XXX, 16 xxx 16, 2 XXX, 16, 3 XXX, 16, 4 xxx, 18 xxx, 22, 4 xxx, 30 XL, 2 LIII, l, 7 LIII, l, 8 LXVII, 3 LXVII, 4 ,
436, 442.
86.
65. 478.
169. 127. 124.
Epifanio
,
Commodiano Imt. I l, 3
Lettera XII, 2 XII, 8 XIII, 3-8
102. 102. 541. 90. 320. 91. 294. %.
80. 37. 500. 539. 82. 82. 317. 83. 83. 81, 226, 313. 249. 83. 249. 82, 86, 536. 84. 300. 29. 94. 91 . 294. 294.
Pseudo-Crisostomo De cruce et latrone II, 4
Eusebio 367.
Didascalia VI, 18, 15-18 XXIII, 5, 7
456. 252.
Hist. ecc!. I, 2, 1 1 II, 23, 5 III, 2, 4 III, 28, 3 III, 31, 4 III, 39, 3-4
236. 534. 96. 435. 513. 67.
Indice delle citazioni
586 Hist. eccl. III, 39, 4 III, 39, 8 III, 39, 1 1 III, 39, 12 IV, 7, 7 IV, 22, 4 lV, 22, 4-7 IV, 22, 5 IV, 22, 7 IV, 22, 8 V, 13, 8 V, 18, 2 V, 27 VI, 12, 2 VI, 13, 2 VI, 13, 8 VI, 13, 8-9 VI, 17 VI, 38 IX, 8, 15
125. 68. 68. 432. 106. 101, 413, 515. 101. 101. 101. 101. 161. 540. 161. 36. 72. 409. 74. 89. 91, 199. 370.
Praep. evang. VII, 13 VII, 15, 2 XIII, 12, 9-12
274. 236. 286.
Dem. evang. v, 19, 3
236.
Adv. Marcel!. I, 2
223, 281.
Girolamo De vir. ill. 3 16
80. 38.
Quaest heb. in Gen. I, l
279.
Comm. in Is. III, 6, 2 XI, 2
237. 37.
Comm. in Amos III, 1 1 Comm. in ]er. LXVI, 20
88. 430.
Comm. in Zach. III, 14
449.
Adv. ]ov. II, 14
534.
Comm. in Mieh. VII, 7
37.
Adv. Pelag. III, 2
37.
Giustino I Apologia XXVI, 4 XXXII, 12-13 xxxv, 2 XXXVIII, 5 XLI, 4 XLV, 1-2 XLVIII, 2 XLIX, 5 LV, 1-6 LV, 2 LV, 5 LX, l LX, 3 LX, 5-6 LXI, 2 LXI, 1 1 LXV, 3-4
105. 306. 374. 145. 147. 357. 146. 472. 376. 371, 372. 143. 391. 142. 391. 323, 470, 471. 268. 493.
II Apologia V, 2-6 VI, l
193. 268.
Dial. XI, 2 X I, 4 XXII, 9 XXIV, l XXIV, 4 XXXIV, 6 XXXVI, 5 XXXVI, 5-6 XXXVIII, 3 XXXIX, 4 XL, 3 XLIII, l XLIII, 3 XLIII, 5
276. 276. 140. 275. 373. 234. 360. 362. 83. 358. 374. 276. 300. 300.
Indice delle citazioni Dia!. XLIII, 6 XLIX, 2 XLIX, 8 LI, 3 LIII, 2 LIV, l LVI, 10 LVIII, 3 LXI, l LXII, 3 LXII, 4 LXIII, 2 LXV, 5 LXVI, 2 LXVI, 3 LXXII, l LXXII, 4 LXXIII, l LXXV, 2 LXXVII , 2-4 LXXVIII, 9 LXXX, 4 LXXXI, 3-4 LXXXVI, 2 LXXXVI, 4 LXXXVI, 6 LXXXVII, 6 LXXXVIII, l LXXXVIII, 2 LXXXVIII, 3 LXXXVIII, 4 XC, 5 XCI, l XCI, 2 XCIV, 3 C, 4 CV, 2 CVI, 4 CXI CXI, l CXII, l CXII, 2 CXIV, 2 CXVIII, l CXVIII, 3 CXXII, 3 CXXII, 4-5 cxxn, 5 CXXIV, 3 cxxv, l cxxv, 3-5
3 10. 141, 284. 143. 276. 156 . 156. 241. 241 . 279, 280. 96, 97. 279. 156. 280. 300. 310. 153. 154, 328. 147. 234. 310. 309, 310. 101, 102, 438, 445. 446. 156. 379 . 378. 358. 3 10. 3 19. 3 18. 3 19. 373. 375. 374, 375. 372. 223, 281. 375. 305. 374. 373 . 372. 373. 234, 373. 284. 276. 276. 323. 276. 190. 234. 234 .
587 Dial. 221, 306, CXXVI, l CXXVI, 4 CXXVII, 5 CXXVIII, l cxxx, 3 372, CXXXI, 4 CXXX IV, 6 cxxxv, l, 3 CXXXVIII, 1-6 CXXXVIII, 2
380. 241. 360. 221. 234. 373. 234. 234. 379. 379.
Gregorio di Nazianzo Or. XLV, 25
362-3.
Gregorio di Nissa Vita di Mosè II, 45 II, 270
519. 156.
Orat. chatech. VI, 5
190.
Oratio in Res. I
396, 397.
Orat. in Ascens.
293, 363.
Ilario Tract. in Psalm. II, 2
280.
Ippolito Elenchos V, 1-1 1 V, 7 V, 7, 35 V, 7, 36 V, 8 v, 8, 18
1 18. 1 19, 120, 477. 121. 121 . 362, 488. 121.
Indice delle citazioni
588 Elenchos V, 9 V, 10 v, 11 v, 16 V, 20 v, 26 V, 26, 5-6 V, 26, 14-17 VI, 9 VI, 12-18 VI, 12 VI , 13 93, VI, 14 VI, 31 VI, 31, 5 VI, 34 VI, 54 VII, 38 VIII, 10 VIli, 20 IX, 9 lX, 13 91, 182, IX, 13, 2 IX, 14 IX, 15 IX, 16 Comm. in Dan. l, 17 IV, 23 IV, 24 IV, 57 De Anticbr. 4 6 59 61
Pseudo-lppolito 120. 207. 119. 120, 121. 165. 93. 169. 360. 273. 161. 273. 273, 279. 165. 244. 390. 383, 522. 392. 38, 297. 297. 120, 535. 375. 199, 244. 220. 91. 92. 90, 94. 127. 455. 456. 221. 376. 442. 382. 377, 384.
Ben. Moise 153, 234, 281, 373, 374, 375, 381. Ben. lsaac 5-7 16 18 Trad. Apost. 23 35 41
308. 373. 156. 486-7. 499. 303.
Hom. Pasch. 51 51-52 51, 8 61
393. 326. 379. 360.
lreneo Adv. haer. I, l, l I, 2, 2 I, 2, 4 I, 3, 2 I, 3, 5 I , 5, 2 I, 5, 3 I , 5, 6 I, 8, 4 l, 1 1 , l l, 12, 3 I, 14, l I, 14, 5 I, 15, 2 l, 15, 3 I, 1 7 , l I, 18, l l, 21, 2 J , 21 , 3 l, 21, 5 l , 23, 3 I, 23, 5 I, 24 I, 24, l I, 24, 2 I, 24, 4 I, 24, 5 I, 24, 6 I, 25, l I, 25, l I, 25, 2 l, 25, 4 l, 25, 6 I, 26, l l , 26, 2 I, 28 I, 28, l I, 28, 2 I , 29 I, 29-30 I, 29, l
412. 388-9. 339. 339, 350. 381, 389. 176, 177. 453. 413. 412. 283. 413. 270. 413. 270. 233, 413. 177, 392. 161, 279. 477. 27 1, 477' 512. 477. 104, 294. 105. 186. 539. 105, 106, 536. 106, 297. 297. 107, 265, 297. XXXIV. 97, 98. 98. 98. 99. 97, 313. 80, 497. 128. 49. 98.
109, 111. 103. 107.
Indice delle citazioni Adv. haer.
I, 30 I, 30, 2 I, 30, 3 I, 30, 5 I, 30, 6 I, 30, 8 I, 30, 1 1 I, 30, 1 1 I, 30, 12 I, 30, 13 I, 30, 14 I, 30, 15 I I , 22, 3 II, 24, 4 I II, 3, 4 III, 9, 2 III, 10, 5 III, 12, 9 III, 16, 3 III, 20, 4 III, 21, 7 IV, 17, 6 IV, 22, l IV, 27, l IV, 27, 1-2 IV, 27, 2 IV, 33, l IV, 33, 12 IV, 33, 13 IV, 34, 4 v, l, 3 V, 2, 3 V, 5, l V, 10, l v, 17, 4 v, 18, 3 v, 19, l v, 23, 2 V, 28, 3 v, 30, 4 V, 31, l V, 32, l V, 33, l V, 33, 2 V, 33, 3 V, 33, 3-4 V, 33, 4
V, V, V, v,
34, 35, 35, 36,
l l 2 l
589 Dem.
109, 1 1 1 . 416. 111. 111. 111. 111. 111. 296. 296, 298. 296. 350, 351. 120. 530. 375. 435. 306. 277. 185. 277. 154, 328. 300. 261. 154, 328. 7 1 , 328. 154. 328. 154, 329. 154, 328, 373. 357. 277, 376, 377. 535. 155. 28, 69, 180. 169. 71, 378, 382. 387. 261 . 440, 444. 453. 454. 154, 328. 439. 439. 439. 68, 432. 432. 66, 434, 437 438, 440.' 439. 438, 441 . 438, 440, 441 . 69, 179.
9
174, 298. 242. 1 10, 190. 144. 125. 290, 384-5. 279. 379. 373. 374. 396. 380. 465. 143. 145. 328. 140, 373. 358. 360. 466.
lO
1 1-16 26 32 34 43 45 46 56 58 59 67 71 73 78 79 83 84 87 Lattanzio Div. Inst. 24
447.
Massimo Confessore Schol. in Eccl. I-Iier. 7
433.
Schol. Myst. Theol. I, 17
174.
Melitone Hom. Pascb. 9 13, 3-4 16, 12-15 98
277. 150. 387, 393. 25, 250, 251.
Metodio d'Olimpia De res. 25 37
442. 190.
Indice delle citazioni
590 Conv. IX, l IX, 3 IX, 5 Adv. Porph. l
448. 219, 449. 433. 376, 377, 379.
Novaziano De Trin. XIX, 16
374.
Origene De principiis I, 3, 4 III , 2, 4 IV, 3, 2 IV, 3, 8 IV, 3, 12 IV, 3, 14 IV, 14
237. 187. 102. XXXVII. 185. 238. 237.
Contra Celsum I, 57 I, 59 I, 60 I, 63 II, l VI, 1 1 VI, 21 VI, 30-31 VI, 34
102. 307. 311. 53. 80. 102. 172. 296. 296.
Comm. in Mt. X , 17 XII, 20 xv, 14
34. 165. 36.
Comm. in ]oh. I, 1 9 I, 3 1 II, 12 II, 25 II, 3 1 VI, 7 VI, 56 XIII, 51
280. 29, 223, 235. 36, 37, 244. 235. 29, 235. 99. 362. 414.
Comm. in Rom. III, 8 V, 8 V, 10 Hom. in Gen. I, l IV, 1-2 Hom. i n Num. IX, 9 X, 3 XIII XIII, 7 XVII, 4 XVIII, 4
239, 240, 241. 165. 337. 280. 241 . 380. 240. 236. 307. 29, 235. 307.
Hom. in Is. I, 2 IV, l
237. 237.
Hom. in ] er. xx, 2
236.
Sel. in Ezech. 9 l, 5 9
262. 236.
Hom. in Luc. I, 2 XXXIV, 3
129. 70.
Sel. i n Psalm. XII, 37
187.
Physiologos 42 IV, 5
377. 361 .
Policarpo Lettera VI, 3 x, 1-3
265. 256.
Taziano Oratio ad Graecos V, l xv, l
280. 56.
Indice delle citazioni
591
Teofilo Ad Autolycum I, 3 I, 5 I , 12 II, 3 II, 10 Il, 13 I I , 14 II, 15 II, 16 Il, 17 Il, 24 Il, 25 III, 23
278. 162. 477. 162. 278. 162. 164. 164, 165, 166. 167. 167. 169. 127. 455.
Tertulliano Ad nationes I, 12
375.
De baptismo I, 3 III, l III, 4 IV, l VIII, 2
167. 403. 162, 163. 163. 374.
Adv. Mare. I, 14 II, 4 11, 1 3 III, 18 III, 19 III, 24 IV, 21 IV, 42, 5
488. 170. 310. 372, 373. 147' 374, 375. 427, 436, 442. 302. 250.
De spectaculis 4
472.
Adv. ]ud. XI, 9 XIII, 10 XIII, 1 1-19 XIII, 2 1 XIV, 9
147. 373. 379. 151. 151.
Adv. Prax. 5
280.
Adv. Valent. 20
177.
De ora!. XXIX, 4
377.
Vittorino di Pettau
De cor. III, 3
487.
De idol. v, 3
De fabrica mundi 6 7-8
372.
De carne Christi XIV, 5 XXIII, 1-3
226. 300.
De anima XXXIV, 4
42
98. 340.
xxxv, 5 LV, 2
294.
454. 299.
Zenone Trae!. Il, 13, 3 II, 14, 3 II, 29
379. 379. 290.
Indice delle citazioni
5 92
Altre fonti Omero Odissea XII, 441
Seneca
3 18.
Epist. XXXVI, 10-11
63.
Tacito
Platone Timeo 26, B-C
391 .
Rep. x, 61 b
175.
Hist. v, 3 v, 10
25, 250. 480.
Indice del volume
Introduzione all'edizione italiana, Luigi Cirillo
di
p. VII
Prefazione
3
Premessa all'edizione italiana
7
PARTE PRIMA: LE FONTI
I.
II.
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
15
Il giudeo-cristianesimo Apocrifi dell'Antico Testamento Apocrifi del Nuovo Testamento Scritti liturgici Barnaba ed Erma Ignazio ,e Clemente Tradizioni dei presbiteri
15 20
50 58 66
Il giudeo-cristianesimo eterodosso
79
Gli Ebioniti Elcasai e i suoi discepoli Cerinto e lo zelotismo cristiano Carpocrate Lo gnosticismo samaritano Gli Gnostici Sethiani I Naasseni La scuola valentiniana Gli Encratiti
33 44
80 90 95 97 99 1 07 1 18 122 128
Indice del volume
594
PARTE SECONDA: L'AMBIENTE INTELLETTUALE
III.
IV.
L'esegesi giudeo-cristiana
p. 1 35
Targumim giudeo-crislliani Midrashim cristiani Esegesi apocaLittica
1 36 148 1 60
L'apocalittica giudeo-cristiana
171
La scala cosmica GLi angeli I demoni e il problema del male I libri celesti
172 1 80 189 195
PARTE TERZA: LE DOTTRINE
v.
VI.
VII .
Trinità e angelologia
215
L'angelo glorioso Il Verbo e Michele Lo Spirito Santo e Gabriele Il Verbo e Gabriele L'Angelo Israele I due Serafuri Spirito Santo e Principe delle luci Il Custode del Tempio
217 221 227 232 234 236 245 250
I titoli del figlio di Dio
253
II Nome
La Legge e l'Alleanza II Principio e il Giorno
253 273 277
L'incarnazione
287
La discesa nascosta La stella dei magi II Battesimo di Gesu
289 299 313
VIII. La Redenzione La discesa agli inferi L'Ascensione
325 325 345
Indice del volume
IX.
x.
XI.
Mysterium Crucis
,9, p. 36,
La croce di gloria La tipologia della croce La croce cosmica
366 371 382
La Chiesa
399
La donna anziana La sposa di Cristo Chiesa e sapienza
400 410 424
Il millenarismo
427
L'escatologia giudeo-cristiana La prima resurrezione Il simbolismo dei mille anni Il settimo millennio
428 437 443 4,0
PARTE QUARTA: LE ISTITUZIONI
XII.
Battesimo ed Eucaristia
461
L'iniziazione cristiana I riti battesimali L'Eucaristia
462 474 485
XIII. La comunità cristiana I .e usanze della preghiera Sacerdozio locale e sacerdozio missionario
XIV. La santità personale I due spiriti Sincerità e scienza Tendenze ascetiche
495 496 505 517 517 524 533
Conclusione
543
Bibliografia
549
Indice dei passi biblici
565
Le scoperte dei manosc ritti del Mar Morto e dei testi d eg l i g n ostici eg iziani a Nag Hammad i hanno permesso una svolta de c i s iva nella conoscenza deg l i svi l u p pi della dottr i n a nelle prime com u n ità c r i stia n e . Alla ricostruzione d i q uesto periodo arcaico e poco conosci uto della storia della ch iesa è dedicato i l vol u me d i Jean Daniélou , ap parso per la prima volta i n Francia n e l 1 958 e d espressamente ag g iornato e rived uto dall 'autore i n vista del l 'edizione ital iana. In esso l ' autore descri ve e organ izza, raccog liendone gli ele menti spars i , la com plessa realtà etn ica, soc iologica e c u lturale, d i origine g i udai co-pagana, del cristianesimo prim itivo e mette in l uce come prima di esprimersi nelle forme d e l l ' e l lenismo i l cristianesimo abbia conosci uto una prima espressione d i struttura semitica. Questo passagg i o dal m o n d o semitico al mondo e l len istico ha rappresentato per l a c h iesa nascente una crisi d i cui og gi poss iamo ap pena av vertire tutta la g ravità: ne cog l i amo l 'eco nelle « Lettere .. d e l l 'apostolo Paolo. Per q ueste rag ioni lo stu d io d i Daniélou costi tu isce una delle acq u isizion i fondamenta l i nello stud i o d e l l a teologia orientale p r i m iti va e u n p unto d i partenza per u lteriori ri cerche i n materia. J EAN DAN it:LOu , nato a N e u i l l y-sur-Seine nel 1 903 e morto nel 1 97 4 , è stato una delle fi g u re più i m portanti nel movimento di « ri torno alle fonti .. che è sfociato n e l Vatica no I l . Gesuita, p rofessore alla facoltà di Teologia d i Parig i , card i nale dal 1 969, ac cademico di Francia, uno d eg l i I m mortal i , dal 1 972, fonda con Henri d e Lu bac l a p restig iosa collana Sources chrétiennes. Tra la sua vasta p roduzione scientifica ri cord iamo soltanto la trilogia Storia delle dottrine cristiane prima di Nicea com po sta dal p resente vol u m e u n itamente a
Messaggio evangelico e cultura ellenisti ca e a Le origini del cristianesimo latino. Storia delle dottrine cristiane prima di Ni cea p u b b l icato postumo.