Carlo A. Martigli
LA PIÙ GRAVE CRISI FINANZIARIA DI TUTTI I TEMPI, LE DIRETTE CONSEGUENZE SUL NOSTRO MODELLO DI VITA, PERCHÉ È ACCADUTO, DI CHI È LA COLPA E COME DIFENDERSI
C A S T E L V E C C H I
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T A Z E B A O
ISBN: 978-88-7615-288-7
© 2009 Carlo A. Martigli I edizione: gennaio 2009 © Alberto Castelvecchi Editore srl Via Isonzo, 34 00198 Roma Tel. 06.8412007 - fax 06.85865742 www.castelvecchieditore.com
[email protected] Editing e impaginazione: Alessandro Carusi Copertina. Progetto grafico. Logo design: IFIX I project
Premessa
Questo non è un libro per addetti ai lavori, ma è dedicato a tutti c o l o r o che non intendono chiudere gli occhi di fronte al più grave tracollo finanziario che abbia colpito il m o n d o occidentale da cento anni a questa parte: una crisi che produrrà conseguenze concrete e devastanti a livello e c o n o m i c o sulla vita di tutti i giorni. Lo stile non è tecnico, anche se si dovranno capire, soprattutto con esempi pratici, alcuni meccanismi. È un libro dedicato anche alla nostra Italia, facile preda dei mostri della finanza mondiale, così assetati di profitti che sono andati a scavare anche nelle nostre tasche. È importante rendersene conto, capire che cosa veramente sia successo, e da lì partire per ricostruire il nostro futuro.
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U n a storia vera
Questa è una storia vera. Sembra uscita dalla penna di uno dei più audaci e coraggiosi scrittori americani, ma ciò che leggerete nelle pagine seguenti è la storia della più grave crisi che abbia mai colpito il mondo occidentale. C o m e una guerra, ha destabilizzato l'intero sistema e c o n o m i c o e finanziario, mettendone a nudo tutte le contraddizioni e le incoerenze, e, quello che è peggio, ha messo in discussione il nostro stesso m o dello di vita. Il pericolo che abbiamo corso e che ancora stiamo correndo non è quello di perdere dei soldi, c o m e è avvenuto nei casi, pure drammatici, dell'Argentina, della Cirio o della Parmalat, ma quello di rinunciare a vivere così c o m e siamo stati abituati dal dopoguerra in avanti. Durante la crisi di Cuba, nel 1962, il m o n d o è stato sull'orlo della Terza Guerra Mondiale, anche se pochi se ne accorsero in quei momenti. Nelle settimane passate, mentre gli addetti al settore cercavano di mantenere la calma, la gente comune ha invece percepito chiaramente che stava accadendo qualcosa di grave, di gravissimo anzi, anche se non capiva del tutto. 7
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E più si sprecavano le dichiarazioni secondo cui tutto era sotto controllo e che tutto si sarebbe risolto, più i fantasmi della grande recessione, della vera depressione, quella che ti porta via il lavoro e i risparmi, si levavano inquieti dagli stessi sepolcri da cui si erano alzati nel 1929. Con la differenza che grazie alla globalizzazione stavano entrando nelle nostre case, e forse sono ancora qui, tra di noi. E sono ancora più cattivi di prima. Secondo la W o r l d Federation of Exchange, l'organismo composto dalle principali borse del m o n d o (www.world-exchanges.org), nei primi nove mesi del 2008 sono andate in fumo ricchezze per oltre tredicimila miliardi di dollari. In numeri si scrive così, 13.000.000.000.000, pari a circa diecimila miliardi di euro, più o m e n o tutta la ricchezza di Wall Street, il tempio della finanza mondiale. Altre crisi sono avvenute negli ultimi anni, in seguito allo scoppio delle cosiddette bolle. N e l 1999 quella legata a Internet, nel 2002 quella legata alle banche, nel 2004 quella legata al settore immobiliare, ed è da lì che d o b b i a m o partire per capire che cosa è successo, perché è successo, se si poteva evitare e se p o t r e m o evitare che succeda ancora. E c o m e poterci difendere, o g g i , a due passi, non di più, dal baratro.
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Mutui subprime, effetto farfalla Ovvero: come il signor John Smith ha smesso di pagare un mutuo di cinquantamila dollari per l'acquisto della sua prima casa nel Montana
Subprime, quante volte lo abbiamo sentito evocare in questi ultimi mesi. E un n o m e inventato dai guru della finanza per nascondere una realtà molto banale, ovvero c o m e fare per poter prestare i soldi anche a chi non se li merita, ai cosiddetti cattivi pagatori, reali o potenziali. Sub-prime in realtà significherebbe 'sotto il livello primario', c o m e dire che un cliente non è proprio oro colato. Invece è un eufemismo bello e buono: sarebbe c o m e definire un cittadino non del tutto m o dello un efferato assassino o un rapinatore, tanto per essere chiari. Pertanto l'attività subprime si rivolge a chi normalmente, secondo i classici parametri definit i anche dalla legge del buon padre di famiglia o del buon banchiere, non sarebbe in condizioni di avere U n prestito. E per legge di mercato il subprimer è pertanto una persona disposta ad accollarsi un debito a un tasso più elevato rispetto a quello standard. Gente senza lavoro, o che vive al di sopra delle proprie possibilità. Gente che ha alle spalle una storia di pignoramenti, di debiti pagati in ritardo o insoluti del tutto, di fallimenti. Ma non si è sempre detto che le banche prestano i soldi solo a quelli che già ce l'hanno e li ri9
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fiutano a chi ne ha davvero bisogno? Sì, ma è falso, о m e g l i o era v e r o fino a qualche anno fa. E già, perché
quando raccogliere denaro a un certo tasso e prestarne a uno superiore non basta più, ovvero quando l'intermediazione non fa guadagnare più di tanto, allora si devono trovare m o d i per fare nuovi soldi, aumentando ovviamente la componente di rischio. Facciamo un esempio banale. Se il vostro salumiere vi chiede del denaro in prestito senza darvi in garanzia n e m m e n o un prosciutto о una forma di for maggio, v o i glielo date? Difficile. E se lui vi dice che ve lo remunera a un tasso d o p p i o rispetto a quello dei вот? Glielo date? M o l t o difficile. E il m o t i v o è perché
avete paura che non ve lo restituisca più, a prescindere dagli interessi che è disposto a pagarvi. E se vi dice che entro quindici giorni vi restituisce il doppio della somma che gli avete prestato? Magari ci fate un pensierino. In pratica non avete fatto altro che mettere sulla bilancia il rischio che non vi restituisca più i soldi con gli interessi che vi può dare. È quello che hanno fatto i banchieri per generazioni e generazioni. Quando nel Cinquecento una nave partiva per andare a prendere la seta in Cina, il banchiere veneziano о fio rentino che prestava il denaro voleva guadagnarci al
m e n o il doppio, perché il rischio era altissimo, mentre se prestava i soldi al Re di Francia, gli bastava un interesse m i n i m o . Poi succedeva anche che il Re di Francia Filippo IV, indebitato fino al collo con i cavalieri templari, nel 1312 preferiva farli fuori tutti e così risolvere il problema, ma questa è un'altra storia. Ma torniamo a noi. Perché è nata questa voglia di rischiare? Perché abbiamo cominciato a prestare i soldi al salumiere insolvente? A n d i a m o con ordine. 10
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Quando l'inflazione era alta e il costo del denaro elevatissimo, e una banca raccoglieva un miliardo delle vecchie lire a un tasso del 10%, era in grado di prestare quel miliardo al doppio, ovvero a un tasso del 20%. Quindi ci guadagnava almeno dieci punti percentuali, pari nel nostro caso a cento milioni. In più, per un effetto dannato chiamato «moltiplicatore monetar i o » , in realtà il sistema bancario non prestava il suo miliardo al doppio, ma ne prestava a ben dieci volte tanto. In termini tecnici il moltiplicatore monetario serve ad aumentare la cosiddetta base monetaria. Ovvero la quantità di moneta nel sistema. Un tempo la quantità di moneta era rappresentata dalle monete e dalle banconote, ma oggi, si sa, non è più così, perché ormai la moneta è diventata elettronica. E questa massa monetaria dipende da una percentuale che attualmente è del 2% ed è chiamata «riserva obbligator i a » . Quindi, io banca non posso superare di cinquanta volte la mia riserva a fronte dei depositi. Avete letto bene, non più di cinquanta volte. Cioè posso prestare denaro cinquanta volte di più rispetto alla mia riserva. A fronte di un miliardo di euro di depositi posso quindi prestare a imprese e privati cinquanta miliardi di euro. Un bel guadagno, ed è tutto legale. Ma chi se ne frega, potrebbe dire qualcuno. E qui si sbaglia, perché se siamo in questa situazione, e in special m o d o in Italia, m o l t o lo d o b b i a m o a questa regola, che se da un lato serve per far circolare il denaro, dall'altro può rappresentare un'arma molto pericolosa per l'intero sistema finanziario. Ma per essere ancora più chiari facciamo un altro esempio. Un tizio possiede cento euro e li deposita nella banca Alfa: per la legge della riserva la banca A l 11
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fa mette a riserva il 2% e presta il restante 98%. Chi riceve in prestito questo 98% compra beni e servizi da un altro che quindi versa nella sua banca, la banca Beta, questo 98% pari a 98 euro. La Banca Beta prende i 98 euro, trattiene il 2% pari a 1,96 euro e presta ai propri clienti la differenza, ovvero (98 m e n o 1,6) 96,4 euro. Quando qualcuno incasserà i 96,4 euro li poterà alla Banca G a m m a che tratterrà il 2% a riserva e così via, quasi all'infinito... In pratica, più è alto il coefficiente di riserva m e n o denaro si può prestare, mentre più è basso più denaro entra in circolazione per essere prestato (o c o m e dicono gli economisti intelligenti: tanto più è basso il coefficiente di riserva tanta più ricchezza verrà creata). Pensate ora a una banca che presta il denaro a un cliente che compra da una persona che a sua volta riversa i soldi ricevuti sulla stessa banca. Questa banca aumenterà la propria capacità di prestare denaro (c'è una noiosissima formula a p r o p o s i t o ) fino a cinquanta volte tanto. E quando i tassi sono alti, la pacchia è assicurata. Succede però che con l'avvento dell'euro e la stabilizzazione dei mercati finanziari i tassi sono scesi, e quel famoso miliardo (che è diventato di euro) di cui abbiamo parlato all'inizio viene pagato dalla banca al 3%. Sempre raddoppiando il tasso di interesse, la banca lo poteva prestare al 6%, non certo al 20%. A questo punto la banca incassava trenta milioni a fronte dei cento di prima, a prescindere dalla leva monetaria o moltiplicatore monetario che dir si voglia. Occorreva rimediare. Ma dato che non si poteva andare casa per casa a tirar fuori nuovi risparmi dai materassi della gente e la concorrenza diventava sempre più aggressiva, ecco che, come fa il baro quando non 12
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riesce a giocare in m o d o trasparente e onesto, qualcuno comincia a mescolare le carte. Qualcuno deve trovare il m e t o d o per guadagnare di più, non importa in che m o d o . Sono ormai nati i grandi manager, quelli cresciuti all'ombra dei vecchi banchieri. Geni della finanza, strapagati e coccolati, che trovano il sistema per far quadrare il cerchio. Mandano a casa i banchieri prudenti, qualcuno protesta, qualcuno si adegua, qualcuno è così vecchio che alla f ine muore, c o m e Cuccia. La nuova parola d'ordine è dare denaro a tutti e, udite udite, diminuire il rischio. Il sistema c'è, lo v e d r e m o più avanti. L'importante è fare bella figura con gli azionisti alla fine dell'anno, mostrare bilanci apparentemente solidi e intascare bonus miliardari. Se ne infischiano allegramente delle conseguenze a lungo termine delle l o r o azioni. Quando sarà il m o m e n t o , se mai dovesse arrivare, i manager saranno ormai ricchissimi e quindi al di sopra di ogni rischio (per l o r o ) . Siamo agli inizi del Terzo Millennio, e i cosiddetti «prestatori di servizio» (banche e finanziarie) cominciano a dare i soldi anche a chi si trova nella condizione di non essere considerato un buon pagatore. I famosi subprimer. In Italia non gli abbiamo nemmeno dato un nome. E i manager che ormai comandano danno soldi per ogni genere di esigenza, sotto forma di carte di credito, di finanziamenti per acquistare l'auto o per fare un v i a g g i o , e soprattutto per c o m pi arsi una casa. Ma chi lo dice se uno è un buon debitore o meno? Come si fa a sapere se una persona è un primer o un subprimer? Se è solvibile o meno? Ogni Paese ha il suo sistema. In Italia è stato creato il cai, che non è il Club 13
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Alpino Italiano, ma la Centrale d'Allarme Interbancaria, e non è nemmeno parente della società omonima, che è una start-up company nata per rilevare Alitalia e AirOne. A onor del vero uno degli azionisti (anzi dei quotisti, perché la CAI che vorrebbe volare è ancora una SRL e non una SPA) è il gruppo Intesa San Paolo, che come vedremo più avanti sembra proprio il classico prezzemolo che si trova dappertutto. CAI c o m e Centrale d'Allarme Interbancaria, quindi. Una società che raccoglie tutte le informazioni sul nostro stato di salute economica e a cui tutte le banche e le finanziarie si rivolgono per sapere se siamo o meno solvibili. Fa parte del gruppo SIA-SSB. Di noi sa praticamente tutto, almeno sul piano finanziario. Ma possiamo stare tranquilli, gli azionisti sono il gruppo Intesa San Paolo con il 26,8%, il gruppo Unicredit con il 24% e poi, scendendo, il gruppo MPS ( M o n t e dei Paschi di Siena) con il 5,2%, l'Istituto Centrale delle Banche P o polari Italiane con il 4,3% e la Telecom Italia con il 4,1%. La B N L con il 3,6%, il gruppo UBI Banca con il 3,6%, il gruppo Banca Popolare e la Deutsche Bank con il 2,6% e la Popolare di Milano con il 2,4%, più altri soggetti residuali (vedi w w w . a g c m . i t ) . Torniamo un attimo indietro. Chi ha il 4,1%? La Telecom Italia? E che cosa c'entra con le banche, con le informazioni riservate sulla nostra salute economica, con il nostro stato di buoni o cattivi pagatori? Sono informazioni preziosissime, sia a livello privato sia a livello generale. Probabilmente la Telecom fornisce in qualche m o do un supporto tecnico nella cattura delle informazioni e per questo entra a far parte del capitale. Ritorniamo però terra terra, ai nostri benedetti subprime, con un p o ' di storia, che non guasta mai e ci 14
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aiuta a capire tante cose. All'inizio questi finanziamenti avevano altri nomi, più onesti, che rendevano molto meglio l'idea, tipo second chance, 'seconda scelta', come la frutta di scarto. Ma subprime sembra molto più nobile e anche il marketing ha le sue leggi. Io posso accettare di essere un subprime ma una seconda scelta mai. Diceva Trilussa, il famoso poeta romano, che bisogna essere un p o ' diplomatici e lo spiegava così, nel 1911 : Naturarmente, la Dipromazzia è una cosa che serve a la nazzione pe' conserva le bone relazzione, co' quarche imbrojo e quarche furberia. Se dice dipromatico pe' via che frega co' 'na certa educazzione, cercanno de nasconne l'opinione dietro un giochetto de fisionomia. Presempio, s'io te dico chiaramente ch'ho incontrato tu' moje con un tale, sarò sincero, sì, ma so' imprudente. S'invece dico: Abbada co' chi pratica... Tu resti co' le corna tale e quale, ma te l'avviso in forma dipromatica. Con la diplomazia i grandi manager ci hanno consegnato il termine subprimer al posto di debitore pericoloso, e il gioco è iniziato. Naturalmente il mercato più interessante per i prestiti è la casa, senza trascurare quelli per l'auto e quelli derivanti dai pagamenti revolving delle carte di credito. Per intenderci i revolving sono quelli per cui non si paga con l'addebito totale a scadenze mensili, ma un p o c o alla volta, pagandovi sopra gli interessi. Revolving, c o m e revolver, un revol15
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ver che uno si punta spesso alla tempia senza rendersene conto. Negli Stati Uniti sono al primo posto per i prestiti, ma l'Europa e l'Italia si stanno allineando. I cinesi invece, al giorno d'oggi, sembra siano rimasti l'unico p o p o l o con una decisa propensione al risparmio, circa il 40% del proprio reddito. Sembra che quando ci siano pochi soldi si tenda a risparmiare il più possibile, ma quando si comincia ad averne non bastano mai. Bene, che cosa succede? Che all'inizio del Terzo Millennio il valore delle case sta crescendo in tutto il m o n d o e c'è una corsa affannosa a comprarle, i prezzi aumentano di anno in anno e tutti le v o gliono, anche quelli che non hanno un euro o un dollaro bucato. Di fronte a tale grande richiesta, o c o m e si dice adesso, a un mercato tanto ricco, le banche si buttano a pesce. P o c o importa se il rischio aumenta, perché i grandi manager, i nuovi acrobati, hanno trovato il sistema di scrollarselo di dosso. Ma per capire c o m e hanno fatto bisogna avere ancora un p o ' di pazienza. Fiumi di denaro iniziano a rovesciarsi su coloro che prendono denaro, i debitori. I tassi sono bassi, l'occasione è ghiotta anche per loro, ma le banche si premuniscono anche in questo caso. Tutte spingono per mutui a lunghissimo tempo per tenere la rata più bassa. Mutui che arrivano a quarantanni, tutta una vita lavorativa e anche di più. Ma soprattutto, le banche spingono per i mutui a tasso indicizzato. Quali vantaggi offrono? Nessuno. È un discolpo elementare: se oggi sono in grado di pagare una rata a tasso fisso, nel corso degli anni, soprattutto se ho un reddito fisso, c o m e un impiegato o un operaio, lo sarò sempre di più. La rata resterà fissa ma il m i o stipendio, non fos16
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se altro per anzianità o qualche piccola p r o m o z i o n e , aumenterà costantemente, e la fatica che farò a pagarlo sarà sempre di meno. Invece i mutuatari continuano a indebitarsi a tasso indicizzato, perché? Forse qualcuno solletica la loro avidità ipotizzando scenari sempre più favorevoli dove la rata si abbasserà sempre di più, glissando invece abilmente sugli scenari negativi, qualora il costo del denaro dovesse alzarsi? Mah, non lo sappiamo. Qui vale la pena di soffermarsi un attimo su questa stortura che in Italia sta facendo più vittime dell'AiDS. Sì, il mutuo a tasso variabile è proprio c o m e L'aids, se lo conosci lo eviti. Vediamo perché. I p o t i z z i a m o che abbia fatto un prestito indicizzato al 3% e che la mia rata sia inizialmente di 500 euro. Se nel corso di un anno ( c o m e è avvenuto in realtà) il costo del denaro sale solo di un misero punto, l'immaginazione mi porta a pensare che la rata aumenti di poco. In realtà, un punto dì aumento significa il 25% di incremento del tasso, dal 3 al 4%, e la rata, conseguentemente, passa da 500 a (25% di 500) a 625 euro. N o n è poco. I mutui sono indicizzati al cosiddetto EURIBOR, che è la media ponderata dei tassi di interesse a cui avvengono le transazioni finanziarie in euro tra le grandi banche europee. Chi ha fatto un mutuo quattro anni fa, nell'ottobre 2004, ai tempi delle vacche grasse e della bolla immobiliare aveva come parametro di riferimento il 2,2 (EURIBOR sei mesi). Oggi ha il 5,4, cioè più del doppio. E anche tenuto conto che ha già pagato otto rate (semestrali) significa, c o m e sanno in tanti, che se pagava 500 euro di rata, oggi ne paga forse 1.200. Ma c'è di più. Se un tempo veniva dato il 70, massimo l'80% del valore della casa, negli anni immediata-
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mente precedenti al 2008, causa la concorrenza e la voglia da parte di banche e finanziarie di guadagnare sempre di più, si è arrivati a dare il 100% e oltre, aggiungendo anche del denaro in più per ristrutturarla. E chi è che ha osato rifiutare una proposta del genere? Quando mai sarebbe ricapitata una tale manna? Ma c o m e per Lucignolo e Pinocchio, Mangiafuoco era dietro l'angolo e il Paese dei Balocchi stava diventando lentamente l'anticamera dell'Inferno. Riassumiamo, per avvicinarci a capire che cosa ha realmente voluto dire la concessione a piene mani dei finanziamenti subprime. La bolla immobiliare inizia a espandersi nei primi anni del Terzo Millennio. La domanda aumenta e i prestatori di denaro trovano un m o d o per aumentare i loro guadagni. Allargano la concessione di mutui di tutti i generi anche a quei debitori con alto tasso di insolvenza. Si cautelano su eventuali aumenti di tasso spingendo i debitori verso finanziamenti indicizzati. Ed ecco il colpo di genio. Quello che li dovrebbe cautelare in m o d o totale. Ma il tocco di M i d a si trasformerà nel tocco del Diavolo.
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La magia nera dei manager
Li chiamano i maghi della finanza. Un tempo chi esercitava la magia nera veniva arso sul r o g o . Oggi gli viene aumentato lo stipendio. Oggi gli vengono dati bonus che i comuni mortali neanche si possono immaginare, bonus che sono correlati ai risultati economici. Quindi l'interesse del m a g o è riuscire a ottenere bilanci sempre più brillanti. Anni fa una pubblicità di una nota azienda produttrice di televisori annunciava: « P o t e v a m o stupirvi con effetti speciali, ma la nostra filosofia è qualità-costante-nel t e m p o » . Quei tempi sono finiti. Se oggi in un televisore si r o m p e una parte di plastica, non esistono pezzi di ricambio, si butta via tutto e se ne deve comprare uno nuovo. Al manager m a g o non interessa una qualità costante nel tempo, perché lui, nel tempo, non ci sarà. A lui interessa solo il risultato nel breve termine: fra un anno o due, o tre al massimo, passerà a un altro lavoro o alla concorrenza. Finché le aziende sono governate dai proprietari, questi ne hanno cura e cercano di guardare lontano, per loro e per i figli e per i figli dei figli. Quando un'azienda è invece in mano a una marea di azionisti, questi sono e saranno sempre in balìa dei manager, che hanno un interesse m i n i m o nel futuro 19
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dell'azienda stessa. Ed è ciò che è successo. Il m a g o , nel suo furore alchemico, ha trasformato il p i o m b o in oro, il rischio derivante dalla concessione dei finanziamenti subprime in un utile certo e immediato. Sicuramente qualcuno prima o poi si ritroverà con il classico cerino in mano. Indovinate chi. Se tutto fosse andato secondo le previsioni dei grandi maghi, questo sarebbe accaduto un p o ' alla volta, lontano nel tempo, ci avrebbero rimesso i soliti ( n o i ) , ma senza tanto clamore. Ma la goccia ha scavato e la diga è crollata. Vediamo cosa è successo, seguendo passo passo il meccanismo degli apprendisti stregoni. D o v r e m o però fare un piccolo sforzo per comprendere la natura di certe parole. Parole magiche. La prima è securitisation, ovvero 'cartolarizzazione dei crediti'. L'uomo della strada e la famosa casalinga di Voghera ne sanno quanto prima, ma sarebbe bene invece che ne capissero il significato, perché probabilmente nei loro fondi pensione o nei loro pur minimi prodotti di investimento hanno qualcosa che riguarda la securitisation. Vediamo c o m e funziona. La banca ha concesso una marea di finanziamenti ed è quindi creditrice di molta gente. Abbiamo visto in precedenza che per guadagnare ha concesso prestiti a destra e a manca, senza preoccuparsi se il potenziale debitore fosse o m e n o in grado di pagare le rate. Quindi è in una situazione di rischio, perché se la gente inizierà a smettere di pagare la banca non sarà a sua volta capace di rispettare i suoi impegni. Allora che cosa si inventano i maghi? Cominciano a mettere insieme tutti questi crediti in alcune categorie, c o m e se fossero scatoloni. N e l p r i m o i crediti dei migliori clienti e delle operazioni più sicure, e via via fino all'ultimo con i clienti meno solvibili e con le operazioni più a rischio 20
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(vedi subprime). Danno un valore a questi scatoloni, soprattutto i peggiori, e li trasformano in strumenti finanziari, una sorta di obbligazione. E li piazzano sul mercato, ovvero trovano altre banche, società finanziarie e fondi che li comprano, spesso a un prezzo che fissano loro, del tutto spropositato rispetto al rischio sottostante. In questo m o d o non solo si liberano di un credito rischioso, ma incassano pure dei soldi immediatamente, con cui possono fare ancora degli altri prestiti e così via, in una sorta di ciclo infinito. Insomma è il sistema di moltiplicare il denaro. Ma chi compra è fesso? N o , assolutamente, infatti i fattucchieri della banca compratrice non hanno fatto altro che acquistare un semplice strumento finanziario, come una qualsiasi obbligazione, un вот, un cст о un BTP. Con il suo bravo codice internazionale, chia mato I S I N . L ' I S I N è la carta d'identità di ogni titolo nel
mondo, ma non vuol dire nulla sulla sua solvibilità о sicurezza. La carta d'identità è un diritto anche dei peggiori mafiosi, stupratori о assassini. Solo che il debitore di questa o b b l i g a z i o n e non è lo Stato о una so lida banca о una grande azienda, ma un insieme di piccoli debitori probabilmente insolventi. Allora è fessa о no la parte acquirente? N o , perché
questa banca non fa altro che prendere tutti questi strumenti e metterli all'interno dei fondi di investimento e dei fondi pensione dell'uomo della strada e della casalinga di Voghera. Ovvero gli ha venduto lo scatolone, il pacco, oltretutto guadagnandoci nell'intermediazione. In pratica ha venduto il rischio. Questi due signori, che mi auguro per loro non si sposino per evitare di raddoppiare il loro rischio economico, credono di avere un fondo bello solido, ma se andassero a guardare al suo interno si accorgerebbero che è pieno 21
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di robaccia. Ma se anche fossero così abili da guardare all'interno dei loro fondi che cosa troverebbero? Troverebbero un titolo, emesso da una banca rispettabilissima (la prima, quella che ha concesso i mutui a tutti e che ha fatto gli scatoloni) e scoprirebbero che quel titolo ha per sottostante dei mutui, cioè dei prestiti garantiti dal cosiddetto mattone. Più sicuri di così. Un consulente ha scritto: « L a securitisation può inoltre favorire, in particolar m o d o in un Paese quale l'Italia ancora caratterizzato da un mercato finanziario relativamente ristretto, una più ampia scelta nell'offerta di prodotti finanziari, tale da favorire una maggior opportunità di allocazione dei risparmio da parte degli investitori». Cioè abbiamo trovato un m o do in più per incasinare il risparmio della gente. N o i italiani, ha detto bene l'illustre consulente, siamo molto più ruspanti. Le securitisations vengono dall'estero, soprattutto, da Londra e da N e w York. N o i ci proviam o , è vero. In m o d o molto più casereccio, ma il principio è sempre lo stesso. Qualche anno fa, una nota banca di respiro nazionale aveva concesso crediti a una società per circa cento milioni di euro. Poi la banca si accorse che questa società vacillava e correva quindi il rischio di perdere i suoi soldi. Che cosa va a inventarsi, allora, questa banca? Trasforma il suo credito in obbligazioni emesse dalla società stessa. In sostanza è c o m e se col denaro prestato comprasse tutte le obbligazioni (che sono un debito della società) e con quelle, come se fosse denaro contante, coprisse il proprio credito nei confronti della società. Fino a questo m o m e n t o non ha fatto altro che scambiare un credito con un altro, sempre a carico della società in crisi. Ma ecco il colpo di genio all'italiana, più della scuola di Totò che dei 22
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maghi della finanza. Prende le obbligazioni e le vende a tutti suoi clienti, incassando il loro denaro. Stupendo. Solo che le cose precipitano, la società sta sempre peggio e alla fine fallisce. Il curatore fallimentare chiamato al capezzale di questa società scopre l'inghippo e obbliga la banca, di fatto, a ricomprarsi tutte le obbligazioni vendute ai suoi clienti ignari. Ma torniamo alla securìtisation. Perché il meccanismo si è inceppato? Ancora un m i n i m o di storia. N e l 2000, i tassi americani sono al loro livello più alto, in primavera raggiungono il 6,5%. Ma nel giro di m e n o di tre anni arrivano ai livelli giapponesi: nel gennaio 2003 sono infatti all'1%, mai successo prima. È anche questo a spingere il buon operaio e il bravo impiegato a indebitarsi. Sembra di essere davvero nel paese della cuccagna. Ma i grandi manager sanno che, come in tutti gli andamenti ciclici, il costo del denaro crescerà nel tempo. E giù a consigliare i tassi indicizzati. N e l frattempo cresce, c o m e abbiamo visto, il valore delle case, in m o d o inversamente proporzionale. In pratica più i tassi vanno giù, più la casa va su. E quando i tassi cominciano ad andare su, è inevitabile pensare che prima o poi le case andranno giù, sempre secondo le antiche leggi cicliche, che i contadini conoscono benissimo e che riguardano le coltivazioni come le economie. Così, alla fine del 2006 i tassi sono ritornati al 5,25%. N o n è un aumento di 4,25 punti: se i tassi passano dall'1 al 5% significa che sono quintuplicati. Esatto, quintuplicati. Il valore delle case intanto inizia a scendere. La bolla comincia a sgonfiarsi. È l'andamento ciclico di tutte le cose. Così, il famoso piccolo mutuatario che aveva ottenuto il 120% del valore della casa e che si è trovato, con il rialzo dei tassi, obbligato a una rata spro23
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positata al suo già basso reddito, ha deciso di smettere di pagare. Tanto, prima che lo buttino fuori da dove abita, passeranno almeno due anni. Inoltre la casa dove abita è scesa di valore, ma chi glielo fa fare di pagare? Così lo scatolone, lo strumento finanziario, comincia a perdere di valore. È come un assegno a vuoto composto da tante girate, tutti lo hanno dato in pagamento e ognuno ci ha ricavato un bene o un servizio, ma quando alla fine viene presentato all'incasso, l'ultimo prenditore scopre che il conto del primo traente era senza fondi. Si rivolge allora a chi glielo ha dato, e questo a sua volta a quello da cui lo ha ricevuto e così via, indietro fino appunto a chi ha fatto il furbo. Il fatto è che mentre per un assegno la catena si scopre nel giro di quindici giorni al massimo, nel caso dei mutui la cosa è molto più lunga e complessa. Ancora nel 2006, i bilanci delle società bancarie, soprattutto i giganti americani, sono forti e solidi, ma già cominciano a puzzare, anche se nessuno ancora se ne accorge. In effetti il bilancio 2006 viene presentato non prima dell'aprile 2007 e prima che venga analizzato passano dei mesi. Inoltre il meccanismo che hanno studiato i nostri maghi o stregoni della finanza non è facile da capire. Ne abbiamo parlato prima, ma vediamo di capirlo meglio attraverso lo schema a fianco. N o n è semplice, ma vale la pena di soffermarcisi sopra. Insomma i cattivi maghi, credo sia chiaro a questo punto, hanno preso il loro rischio a lungo termine (i mutui dati ai clienti subprimer) e lo hanno trasformato in liquidità, vendendolo a pezzetti sul mercato come obbligazioni, e trasferendo quindi il rischio stesso all'uomo della strada con il suo fondo obbligazionario e alla casalinga di Voghera con il suo fondo pensione. 24
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Poca roba? N o , i mutui in America sono arrivati a dodicimila miliardi di dollari, al cambio attuale a p o c o meno di diecimila miliardi di euro. Sì, ma è negli Stati Uniti, a noi che ci frega? A b b i a m o l'euro. N o , non è così. Immaginate un'enorme centrale atomica a sei25
CARLO A. MARTIGLI
mila miglia di distanza, ma più potente di tutte quelle che esistono in Europa messe insieme. Pensate che se esplodesse noi ne potremmo rimanere fuori? È una Chernobyl, diecimila volte più potente. Ma chi ha dato il via a tutto questo? È successo che i maghi hanno cominciato a non fidarsi più l'uno dell'altro. Se fossero stati zitti forse tutto questo non sarebbe successo. Anche qui è necessario un esempio. La banca Alfa che opera nel settore dei crediti a breve termine, e ha numerosi depositi della sua clientela, presta alla banca Beta del denaro a breve termine. Si chiama ovenight, un prestito di cui in qualunque m o mento la banca Alfa può chiedere la restituzione. La banca Beta opera nel medio termine, diciamo da uno a cinque anni, e quando ha eccedenza di denaro lo presta a sua volta alla banca Gamma, che lo usa per i mutui a lungo termine. Poi la banca Gamma abbiamo visto che trasforma il suo credito a lungo termine in liquidità (vedi lo schema precedente) e a sua volta può dare avvio a un nuovo ciclo di prestiti: ma il denaro che gira, pur moltiplicandosi, è sempre lo stesso. Altro che il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci! A un certo punto la banca Alfa, subodorando qualche rischio (lo sa bene e si guarda dal dirlo in giro per evitare l'effetto d o m i n o ) , chiede alla Beta di restituirle il denaro. Ma quest'ultima l'ha dato alla Gamma e questa, a sua volta, non è in grado di restituire il denaro. Perché ha debitori insolventi. Ed ecco che in tutta questa catena a ritroso scoppia allora il bubbone, inizia a circolare la peste nera, e questa si chiama Mancanza di Fiducia. È la crisi del sistema, si scopre che i grattacieli sono stati costruiti su delle palafitte. L'11 settembre il nemico veniva da fuori, ma questa volta il nemico è al nostro interno. 26
Chi giudica i giudici. Le agenzie di rating
To rate in inglese significa tante cose. Meritare, stimare, valutare, giudicare, tassare e classificare. A quest'ultimo significato si riferisce l'attività delle cosiddette «agenzie di rating», che hanno scompaginato letteralmente le regole degli investimenti e fatto scappare a gambe levate i risparmi di tantissima gente. Sono davvero colpevoli? Difficile dirlo. L o r o sono i giudici, non è responsabilità loro, fino a un accusa di dolo o colpa grave, se un colpevole è stato assolto o un innocente è stato condannato. Le agenzie di rating sono esattamente delle società private specializzate nell'analisi di titoli azionari e obbligazionari delle attività commerciali della solidità e in generale di tutti gli aspetti economici e finanziari di società private, enti sovranazionali e Stati sovrani. Le più importanti società al m o n d o in questo settore, che si dividono oltre il 95% del mercato, sono Fitch, Moody's e Standard & Poor's, rispettivamente con il 16% la prima e il 40% circa ciascuna delle altre due. Queste agenzie classificano quindi più o meno la totalità delle emissioni di azioni e di obbligazioni e giudica no se l'emittente, ovvero il debitore, è in grado di adempiere ai suoi impegni, e con quale sicurezza per 27
CARLO A. MARTIGLI
l'investitore. ha elaborato metodi sono guali. Prima Moody's
Per fare questo, ciascuna delle tre società un proprio metodo di classificazione. I m o l t o simili tra loro, ma non proprio udi andare avanti è opportuno presentarli: Fitch Ratings rating
Descrizione
rating
Standard & Poor's rating
AAA
AAA
AAA
Massima sicurezza del capitale
AA1
AA+
AA+
AA2
AA
AA
AA3
AA-
AA-
Al
A+
A+
A2
A
A
A3
A-
A-
BAA1
BBB+
BBB+
BAA2
BBB
BBB
BAA3
BBB-
BBB-
BA1
BB+
BB+
BA2
BB
BB
BA3
BB-
BB-
B1
B+
B+
B2
B
B
B3
BCCC+
B-
c
ccc ccc-
ccc ccc ccc
/
D
DDD
CAA CA
Qualità medio alta
Qualità media
Qualità medio-bassa
Area speculativa Area altamente speculativa Rischio elevato Rischio elevatissimo Rischio di perdere il capitale Default
C o m e si può vedere, Standard & Poor's e Fitch attuano un sistema di classificazione pressoché identi28
LA RESA DEI CONTI
co. A ben guardare si può stare più che tranquilli se si prendono in considerazione investimenti che offrono standard di qualità almeno sopra la A. Possiamo quindi fidarci? Certo, sono agenzie serissime. Peccato che qualche volta possano sbagliare. Per esempio Freddie Mac e Fanny M a e , le due più importanti agenzie statali americane che avevano assicurato mutui per seimila miliardi di dollari, fino a poco tempo fa erano valutate con AAA da parte di tutte e tre le agenzie di rating, e guarda caso, fino a qualche giorno prima della dichiarazione di fallimento della quarta banca americana, la Lehman Brothers, la stessa aveva un rating A. Ma allora a che cosa servono tutte queste A? Ci sono delle cose che l'uomo della strada, il risparmiatole, non può e non sa spiegarsi. L'Italia, per esempio, nel 1996 aveva un rating AAA, eppure eravamo appena usciti da una profonda crisi e i nostri BOT avevano un tasso che oscillava tra il 6,55% ( m i n i m o ) e il 9,41% (massimo), segno di un'inflazione altissima. Nel 2006 siamo calati di ben cinque punti, con appena un A+ secondo S&P. È difficile capire i rating. Una nota banca privata italiana molto diffusa al N o r d ha un rating A2, appena un gradino sotto l'Italia. Il gruppo Unicredit, quello che è ed è rimasto maggiormente sotto pressione, un A + . La Telecom Italia ha BBB da S&P, più della Fiat con appena BAA3. UBS, che ha beneficiato per prima dell'iniezione di liquidità da parte del Fondo Sovrano (si chiamano così i fondi di diretta derivazioi le statale) di Singapore è data per un AA2 da Moody's. Un rating superiore allo Stato italiano. Ma come, UBS non era nell'occhio del ciclone? Insomma ci si può e ci si deve chiedere: sono attendibili i rating emessi da queste agenzie che hanno di fatto il m o n o p o l i o del mercato? 29
CARLO A. MARTIGLI
Certo, se si pensa che sono aziende private e che, per esempio, il gruppo editoriale Hearst (quello del padre di Patricia, la ragazza sequestrata dall'Esercito di Liberazione Simbionese e di cui diventò poi adepta) ne possiede il 20%, e che poi magari si fa fare il rating dalla sua stessa consociata... ma honi soit qui maly pense, sia maledetto chi pensa male, come recita l'Ordine della Giarrettiera, il più antico e prestigioso ordine cavalleresco del R e g n o Unito. C'è da dire che il nostro sistema ruspante, come diceva quel consulente che di fatto vedeva nell'Italia una specie di terra di conquista a proposito delle securitisation, ci sta probabilmente salvando. Essere un po' ignoranti, nel senso di usare il BUONSENSO anziché l'intelligenza e la (presunta) competenza, ci ha tenuti abbastanza al di fuori delle singole catastrofi. Il nostro sistema è sano, ma ricordiamoci di Chernobyl. In quei giorni, era l'aprile del 1986, ci venne detto che era m e g l i o non mangiare la verdura e la frutta, che la nube stava contaminando anche noi che eravamo pure a migliaia di chilometri di distanza. Oggi non è solo la globalizzazione finanziaria a doverci fare paura, ma sono soprattutto le conseguenze economiche del raffreddamento globale del m o n d o . L'Era glaciale è in arrivo e raffredderà, c o m e già sta facendo, l'economia. Le banche non potranno più dare credito c o m e prima, le aziende avranno maggiori difficoltà a produrre e ci sarà un ulteriore rallentamento dell'occupazione. Ciò significherà che girerà m e n o denaro, nei negozi, nelle concessionarie di automobili, in tutti i consumi. Il freddo, questa volta, arriva da Ovest, non da Est, e non abbiamo cappotti abbastanza caldi per non patirne le conseguenze.
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I derivati e la leva
Se abbiamo imparato il termine securitìsation, siamo pronti per un termine più facile, i prodotti derivati. E con essi i prodotti strutturati. Che sono parenti ! i a loro. C o m e v e d r e m o , i derivati sono delle katane, le affilatissime spade dei samurai giapponesi, che spesso sono state messe in m a n o a dei bambini. E grazie a loro se in queste settimane v e d i a m o le borse guadagnare il dieci per cento in un giorno e perdere altrettanto il giorno dopo, è sempre grazie a loro che i in battito d'ali di una farfalla a Taipei provoca un terremoto a L o s Angeles, ed è infine grazie a loro che nessun risparmiatore può veramente fidarsi di che cosa ha nel portafoglio. Per capire i motivi è prima di I urto necessario intendersi sui termini, e già qui siamo nei pasticci. Prendiamo i prodotti derivati. N e l glossario finanziario del sito Internet del M o n t e dei Paschi di Siena, i derivati finanziari sono definiti « g l i strumenti che coprono dai rischi di mercato: derivati sui tassi di cambio, tassi d'interesse, azioni e indici azionari, m e r c i » . Wikipedia, la nota enciclopedia on line, li definisce in questo m o d o , dando informazioni interessanti: 31
CARLO A. MARTIGLI
In finanza, uno strumento derivato è considerato ogni titolo il cui valore è basato sul valore di mercato di altri beni (azioni, indici, valute, tassi, ecc.). I titoli derivati hanno raggiunto solo recentemente una diffusione enorme nel mondo grazie alla globalizzazione dei mercati e alla contestuale introduzione dei computer per la trasmissione degli ordini. Esistono derivati strutturati per ogni esigenza e basati su qualsiasi variabile, perfino la quantità di neve caduta in una determinata zona. Gli utilizzi principali sono: arbitraggio, speculazione e copertura (detta hedging). Le variabili alla base dei titoli derivati sono dette attività sottostanti e possono avere diversa natura: possono essere un'azione, un'obbligazione, un indice, una commodity come il petrolio o anche un altro derivato. I derivati sono oggetto di contrattazione in molti mercati ma soprattutto all'over the counter, mercati alternativi alle borse vere e proprie creati da istituzioni finanziarie e da professionisti tramite reti telefoniche. Tali mercati di solito non sono regolamentati. Per Patti Chiari il derivato è invece «un nome genericamente usato per indicare uno strumento finanziario, il cui prezzo/rendimento deriva dai parametri di prezzo/rendimento di altri strumenti finanziari principali detti sottostanti, che possono essere strumenti finanziari, indici, tassi di interesse, valute, materie p r i m e » . Patti Chiari per intenderci è il consorzio di 167 banche italiane promosso dall'Associazione Bancaria Italiana nel 2003, con lo scopo di migliorare le relazioni tra banche e clienti. Speriamo che ci riescano. Con tutte queste definizioni intanto è chiara una cosa. E cioè che non è chiaro che cosa sia un derivato. O meglio, abbiamo capito che un derivato può essere tante cose. Il suo uso è proprio come quello di una ka32
LA RESA DEI CONTI
luna: un'arma terribile, efficacissima nella difesa perI male, ma che in mano a chi non la sa usare può diVi -111 are estremamente pericolosa. Troviamo a sintetizzare: i derivati sono uno strumento finanziario il cui valore dipende da un altro ini mento finanziario. Vediamo di chiarire con un esi'inpio al di fuori della finanza. In campo editoriale u n o scrittore vale nella misura in cui i suoi libri sono PENDUTI, quindi il suo valore (al di là di ogni valutazioni t litica) dipende da quanti libri vende. Ipotizziamo THE io possa comprare un p e z z o di quello scrittore, un . i libbra ( c o m e Shylock ne II mercante di Venezia di Shakespeare). Se lo scrittore pesa cento libbre, e quetalibbra oggi vale 100 euro, vuole dire che possiedo l'I % di questo scrittore. Se vende mille libri, che cosi ano 20 euro ciascuno, vuol dire che io guadagnerò I' I % di ventimila euro. Questo scrittore però qualche i n ose d o p o scrive un libro bellissimo, vince il p r e m i o Si I ega e tutti cominciano a comprare il suo libro. La mia libbra comincia ad aumentare di valore e mano a mano che lo scrittore diventa famoso, e quindi si sa già che venderà ancora altri libri di successo, la mia I i bbra varrà sempre di più. Ma se lo scrittore non ven( le più un libro, il valore del m i o p e z z o di carne scende ili pari passo con il suo insuccesso e se addirittura il povero scrittore muore, quella libbra che possiedo non varrà più niente. Ciò che conta non è il p e z z o di i arne in sé quindi, ma cosa rappresenta. Prendiamo ora un derivato tra i più semplici, un'opzione. Mettiamo che io voglia comprare delle azioni Fiat perché credo che il loro valore nel tempo aumenterà. Oggi le Fiat valgono, per esempio, 6 euro, ma io sono convinto che arriveranno a 10 euro. Purtroppo ho risparmi per soli 1.200 euro. Il che significa che 33
CARLO A. MARTIGLI
posso permettermi di comprarne solo duecento. Se arriveranno a 10 euro vuol dire che varranno 2.000 euro. Totale del m i o guadagno: 800 euro. Ma io non mi accontento di questo guadagno. V o g l i o di più, ed ecco che uso lo strumento derivato detto « o p z i o n e » . Ovvero, con l'opzione io pago una certa cifra che mi darà tra uno, due, tre o sei mesi il diritto di comprare le Fiat a 6 euro, anche se in quel m o m e n t o ne varranno 10. Questo diritto, per esempio a sei mesi, mettiamo che costi 100 euro per diecimila azioni. Decido quindi di investire 1.000 euro, ovvero acquisto il diritto di comprare fra tre mesi a 6 euro ben centomila azioni Fiat. Se avrò ragione fra tre mesi io comprerò centomila azioni Fiat a 6 euro rivendendole nello stesso momento sul mercato a 10 euro, con un guadagno secco di 40.000 euro. Questa opzione si chiama cali. Ma io posso fare anche il contrario. Immaginando che le Fiat crollino, io posso fare l'operazione alla rovescia, ovvero acquistare il diritto di vendere centomila azioni Fiat fra tre mesi a 6 euro, se penso che a tale data ne varranno solo 3. Se avrò ragione, quel giorno fatidico, con il m i o diritto, che in questo caso si chiamaput, io potrò vendere azioni Fiat a 6 euro, comprandole a 3 euro, con un guadagno netto di 30.000 euro. Questo si chiama, in entrambi i casi, effetto leva, la stessa di Archimede, quando disse «Datemi una leva e solleverò il m o n d o » . Aveva ragione, teoricamente, lo possono confermare tutti gli insegnanti di geometria e di fisica, ma Archimede non poteva immaginare le conseguenze di questa sua intuizione. Con l'opzione io posso comprare e vendere azioni che non possiedo e non possiederò mai e muoverne quantitativi enormi, sproporzionati all'investimento diretto che faccio. I m m a g i n i a m o c i questa operazio34
LA RESA DEI CONTI
ne moltiplicata per centinaia di migliaia di volte da migliaia di operatori finanziari. In questo m o n d o globalizzato, dove ci si può parlare da H o n g K o n g a Londra e da N e w York a Milano nello stesso momento e dove si può comprare e vendere tutto nello stesso identico istante, questo significa che pochi operatori che si mettano d'accordo tra di loro possono decretare il successo o il fallimento di un'azienda quotata, a prescindere dal suo reale valore. Perché se tutti, ad esempio, vogliono comprare put, cioè il diritto a vendere qualcosa che non hanno, il valore dell'azione della Fiat sottostante il put, che ne è il derivato, crollerà verticalmente. È la legge del mercato: se tutti hanno intenzione di vendere, il p r e z z o scende. P o c o importa se la Fiat ha modelli che hanno successo in tutto il m o n d o : qualcuno, magari dietro una scrivania di bambù in Indocina, ha deciso di mandarla a gambe all'aria, e ha gli strumenti per poterlo fare. Si chiama semplicemente speculazione, ed è del tutto legittima, ovvero è uno dei tanti strumenti che nel corso degli anni sono diventati strumenti di morte anche se erano nati c o m e strumenti di difesa. Già, perché la prima opzione (in realtà si trattava di un contratto detto future, ma cambia di p o c o la sostanza) risale addirittura alla metà del secolo X I X , a Chicago, quando, proprio per evitare speculazioni sul prezzo della lana, qualcuno si inventò il diritto, l'opzione, di acquistare la lana di stagione appena tosata a un determinato prezzo, un p r e z z o equo, un prezzo che non favorisse né i produttori di lana né i mercanti. Mercanti e allevatori avevano capito che in questo modo, questi contratti detti futures li avrebbero protetti dalle future fluttuazioni dei prezzi delle merci acquistate o «vendute a p r o n t i » , cioè sul momento. In 35
CARLO A. MARTIGLI
sostanza, entrambe le parti avevano trovato il m o d o di proteggersi proprio dal rischio della speculazione. N o n ho usato a caso il termine proteggersi, perché in questo m o d o abbiamo la possibilità di scoprire un'altra katana: i cosiddetti «fondi hedge», quelli che la L e g g e italiana chiama «fondi speculativi» e che per questo hanno forti limitazioni di investimento da parte dei risparmiatori, a loro esclusiva difesa. L i m i ti che fino a p o c o tempo fa banche e società finanziarie chiedevano a gran voce di eliminare. Ora un p o ' meno. Perché in realtà il significato della parola hedge è 'siepe', c o m e le siepi che proteggono i campi dal vento. To hedge significa infatti 'proteggere, custodire'. È straordinario c o m e i maghi riescano a trasformare il p i o m b o in oro, ma in realtà non fanno altro che prendere il vostro oro e dare a v o i il loro p i o m b o . È così che si fa, è così che facevano gli alchimisti alle corti dei nobili babbei che li ricoprivano di ricchezze. Infatti il fondo hedge nasce proprio c o m e copertura dai rischi, ma diventa nel tempo speculazione pura. Il p r i m o hedge nasce nel 1949 per iniziativa di un certo signor Jones che scoprì l'acqua calda. Gabbando le limitazioni imposte dalla legge sui fondi (la Company Act del 1940) con uno stratagemma giuridico, iniziò a comprare a debito titoli di aziende sane e a vendere allo scoperto i titoli di quelle in difficoltà. «Vendere allo scoperto», per intendersi, significa vendere titoli che al m o m e n t o non si possiedono, salvo impegnarsi ad acquistarli e consegnarli al compratore entro una certa scadenza. Di fatto è un'operazione che si effettua quando si crede che il prezzo d'acquisto dei titoli sarà inferiore a quello a cui si vendono. Tornando al signor Jones, in questo m o d o si copriva sul 36
LA RESA DEI CONTI
rischio, se sbagliava nell'acquisto si rifaceva sulla vendita. Per dieci anni ebbe la palma di miglior fondo del mondo. Perché in realtà faceva esattamente il contrario di quello che facevano gli altri, o meglio ancora anticipava di gran lunga quello che avrebbero fatto gli altri. Certo, utilizzava un metodo non proprio ortodosso, ma poi altri, tanti, gli sono andati dietro. Dieci anni fa un fondo hedge, l'LTCM (Long Term Capital Management), guidato da uno che era p o c o più che un ragazzino, provocò un buco di 125 miliardi di dollari, facendo per la prima volta vedere che il Re era nudo, come nella favola di Andersen. Questo non è servito a niente. Giorni fa si sono riuniti a Londra, al convegno Hedge 2008, i rappresentanti dei fondi hedge, ma questa volta, invece di rallegrarsi reciprocamente, si sono messi a piangere. L o r o ! Ma siamo noi a trovarci i loro pasticci nei nostri portafogli. Che cosa è venuto fuori? Che il valore nozionale dei contratti derivati all'interno dei circa settemila hedge funds che operano nel mondo era di seicentomila miliardi di dollari. «Valore nozionale» significa quello che è scritto nel contratto, non quello che potrebbe accadere, che è molto, molto peggio. E in termini monetari, cioè in valore di mercato, cioè in valore dei contratti derivati che come abbiamo visto si nascondono c o m e serpi nel cespuglio intricato dei nostri investimenti, si tratta di 14.500 miliardi di dollari, più del PIL stesso degli Stati Uniti! E fra rischi e controrischi e garanzie, le banche americane sono esposte a un rischio complessivo di 1.239 miliardi, mentre hanno un patrimonio complessivo di 1.155 miliardi. Se avessi debiti per centomila euro e ne possedessi solo novantottomila, quanto varrei?
CARLO A. MARTIGLI
M e n o di zero. È quanto valgono oggi, aritmetica alla mano, le banche americane. Ma per fortuna (o per disgrazia) la finanza non si basa solo sull'aritmetica. Lo strumento hedge, la copertura, non è sbagliata di per sé, tutt'altro, e lo sanno bene i nostri imprenditori che lavorano con l'estero. È stato Mr Jones a sparigliare le carte, c o m e lo scienziato che ha utilizzato le ricerche nucleari per creare la bomba atomica. Facciamo un esempio ancora. Sono un'azienda che compra sul mercato statunitense, quindi devo pagare in dollari. Faccio un contratto in base al quale Ira sei mesi, quando mi consegneranno la merce, dovrò dare al m i o fornitore 100.000 dollari, che oggi (un dollaro vale 0,75 euro) corrispondono a 75.000 euro circa. Ma se tra sei mesi il dollaro si è apprezzato nei confronti dell'euro e vale magari 1,20 euro, significa che di fatto dovrò sborsare 120.000 euro. E se avessi stabilito che il p r e z z o a cui a mia volta posso vendere quel bene in Italia è di 100.000 euro, non avrò un guadagno di 25.000 euro, ma una perdita di 20.000 euro. Ma esiste la possibilità di coprire questo rischio attraverso un premio, un contratto che mi permette di pagare tra sei mesi il corrispettivo di 100.000 dollari con 75.000 euro, a prescindere da quale sarà il cambio. Questo contratto è uno strumento derivato, perché ha un valore che dipende da quello che è l'ipotesi del cambio tra dollaro e euro tra sei mesi. E se lo faccio per dare tranquillità alle mie operazioni aziendali si chiama copertura del rischio. Ma queste operazioni vengono fatte anche a scommessa, solo per speculare, senza che sotto via sia alcuna operazione commerciale. E se tutti puntano sull'apprezzamento del dollaro nei confronti dell'euro, ecco che di fatto l'euro diminuirà di valore, perché 38
LA RESA DEI CONTI
tutti scommettono contro di lui. La povera azienda, quando dovrà pagare, si ritroverà ad aver fatto un'operazione in perdita. Ho fatto solo esempi banali e semplicissimi. I fondi hedge non hanno dietro nessuna azienda, comprano e vendono di tutto, ogni giorno, facendo enormi leve, a volte basta un milione di euro per muovere decine di miliardi di euro, così per scommessa, per speculazione. Mettiamo ora dentro uno di quegli scatoloni un'opzione azionaria, un'altra finanziaria e poi un'opzione sull'opzione, ovvero il diritto di comprare un'opzione che è sua volta il diritto di comprare un'altra cosa ancora. Mettiamo in questo scatolone tutte le scommesse possibili e immaginabili, sul petrolio, sull'oro, sulle cipolle, sulle azioni, sulle obbligazioni, sul caffè, sui risultati di calcio, sui valori fra trent'anni di una casa a N e w York, e sulle probabilità di precipitazioni nel Vietnam. Si può fare, si può fare di tutto. Ora mescoliamo tutto questo in un vortice, lo scaldiamo e poi, magicamente, da un alambicco, uscirà magari fuori una bella obbligazione. Oppure un finanziamento. Oppure qualunque altro strumento finanziario. E se non esiste gli daremo un nome. Corridor, un'obbligazione legata a un tasso che deve rimanere tra due confini, se esce fuori hai perso tutto, ma non lo sai. Asiatica ( c o m e l'influenza), un'opzione inventata durante un viaggio in Giappone da dei finanzieri americani. Eonia (non è un fiore), Fra (non è un m o n a c o ) , Esotico (non è un bordello), contrapposto al Plain Vanila, che invece è proprio un gelato, c o m e il più semplice, che è appunto tutto vaniglia. Ma questo, che serve veramente a proteggersi dal rischio di cambio, proprio perché è uno strumento estremamente semplice, di facile comprensione e p o c o elaborato, viene offerto 39
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p o c o . Perché? Perché ci si guadagna poco, da un min i m o dello 0,2% a un massimo dello 0,4% sull'ammontare complessivo della copertura. Troppo poco. Il Plain Vanilla, il gelato semplice (i maghi della finanza sanno anche essere m o l t o spiritosi), interessa solo al cliente. Tanto agli stregoni va bene comunque, perché in effetti chi guadagna in tutto questo bailamme sono gli intermediari, che continuano a vendersi tra loro le operazioni e a guadagnare commissioni su ogni compravendita e non sull'aumento di valore del portafoglio in mano ai clienti. Insomma più operazioni si fanno, e tanto più su strumenti più complicati e complessi, che a loro volta contengono operazioni frutto di compravendita, più gli operatori guadagnano, a prescindere dai risultati. Ma prima di chiudere con uno sguardo sulla dimensione di questo fenomeno dei derivati, vale la pena di spendere due parole sul loro cugino, nominato in apertura di paragrafo. Il prodotto strutturato. Più o meno è sempre lo stesso, e la sua vendita avviene solitamente così: « Questo è il prodotto adatto a lei che non vuole rischiare: il capitale è garantito a scadenza, quindi non può perderci, e la parte variabile è il 50% del rialzo della media delle borse mondiali di qui ai prossimi tre ann i » . Detto così è perfetto, appare come una lucente armatura che siete invogliati a indossare. Prima di mettersela addosso, però, è meglio farle una TAC. Intanto esaminiamo i protagonisti, che di solito sono due o tre. Chi costruisce il prodotto, chi lo garantisce e chi lo vende. D i c i a m o che la banca d'affari A l fa costruisce il prodotto e gli dà il suo bel codice I S I N . A b b i a m o visto che con il sistema degli scatoloni si può mettere dentro di tutto e con le formule finanziario-matematiche si può scommettere su tutto. E 40
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usare derivati su derivati costruisce il più bel prodotto che ci sia. Poi c'è la banca Beta la quale, solitamente molto solida, ovvero con un elevato rating, dà la garanzia che il capitale versato dal cliente, se proprio le cose dovessero andare male, verrà restituito alla pari. Infine c'è la banca Gamma, quella che si occupa direttamente della vendita, della commercializzazione del prodotto. Chi vende ha un p r e m i o , solitamente nell'ordine del 2-3% dell'ammontare del prestito stesso, sicuramente non di meno. Ovvero se viene creato un prodotto per un totale di cento milioni, alla parte venditrice spetteranno due-tre milioni. Ma alla parte venditrice spetta un ulteriore premio, chiamiamolo « c o m m i s s i o n e » , che le sarà riconosciuto per tutto il periodo in cui l'investimento sarà mantenuto. Questa commissione è m o l t o variabile e dipende dalla complessità del prodotto strutturato. In genere oscilla da uno 0,5% fino al 1,5%. Perché con questi soldi bisogna pagare gli impiegati che lo vend o n o o remunerare professionalmente i promotori. C o m e è giusto che sia. E questo è un costo che ovviamente va detratto dall'eventuale risultato positivo per il cliente. La banca Beta ha prestato la sua garanzia, e quindi avrà diritto anch'essa alla sua brava commissione. Praticamente non fa nulla, ci mette però la firma, si assume un rischio e certamente non lo fa gratis. Se un imprenditore chiede a una banca di firmare una fideiussione a suo favore, la banca prende intorno al 2,4% all'anno dell'importo da garantire. E infine, sempre andando a ritroso, c'è la banca Alfa che ha fatto tutto il lavoro: i maghi che hanno perso tempo per costruire il prodotto strutturato, e il loro tempo, si sa, vale oro. Dovrebbero guadagnare m e n o della banca che vende o di quella che presta la garan41
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zia? È impensabile anche usando il buonsenso di una capra. Se s o m m i a m o i costi delle tre banche che partecipano all'affare, ci rendiamo conto che il nostro prodotto strutturato ha un costo endemico, interno, implicito che dir si voglia, di diversi punti percentuali, c o m e m i n i m o un 6-7% all'anno. A questo punto c'è da chiedersi come farà il cliente a guadagnarci e la risposta è molto semplice, ce lo dice la storia dei prodotti strutturati. Solo in caso di grandi, improbabili e del tutto impreviste performance degli indici di Borsa, di valute, di materie prime, insomma della parte variabile del prodotto, il cliente guadagnerà veramente in misura proporzionale al rischio che assume. Certo, intanto avrebbe la sua garanzia di restituzione del capitale al 100%. Ma chi gliela dà? Una banca? E quale rating ha questa banca? Ammesso che sia tra i migliori, ci possiamo fidare? N o n è per caso vero che banche con tripla A hanno rischiato di saltare (le già citate Freddie M a c e Fanny Mae)? E allora? Forse se la garanzia venisse data da chi vende il prodotto ci sarebbe maggiormente da fidarsi, o no? E se fra tre anni il capitale viene restituito al 100% non ci ho rimesso almeno l'inflazione e il mancato guadagno che avrei avuto se li avessi semplicemente tenuti sul conto corrente o investiti con il più semplice dei BOT? Ai dati attuali tra inflazione e mancato guadagno siamo a non meno del 5% all'anno, che per tre anni fa 15% in meno. E anche ammesso che capiti che la scommessa è stata azzeccata in pieno, dell'incremento di questo strutturato godremo solo del 50%. Cioè noi paghiamo, se va male ci ridanno (speriamo) i nostri soldi, ma se va bene la metà della scommessa va agli altri. N o n c'è che dire, i bookmaker della finanza hanno davvero trovato un bel metodo. Sicuramente chi ha 42
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inventato questo strutturato, c o m e mille altri che gli sono parenti, ci ha impiegato del tempo, chi lo ha commercializzato deve pagare i suoi venditori e chi lo ha garantito deve essere remunerato per il suo rischio. Ma chi lo ha comprato per che cosa lo ha fatto? Quali sono le motivazioni dell'acquirente? Tre, principalmente: avere la garanzia di non perdere il suo capitale, essere disponibile a rinunciare a degli interessi sicuri, sperare che la scommessa sulla parte variabile gli procuri alla fine dei tre anni un guadagno extra. Bene, tutta quella grande minestra che vi hanno servito, frutto dell'esperienza dei più grandi chef del m o n d o , è uguale alla più semplice minestra di fagioli che anche il più incallito single maschio è in grado di prepararsi. Soffriggere un po' di cipolla con del pom o d o r o e un rametto di rosmarino, frullare i fagioli, buttarli nella pentola e aspettare. Alla fine servire con un p o ' di olio crudo. Infatti creare uno strutturato che risponda a quelle motivazioni è m o l t o semplice. Si può fare tranquillamente in casa, senza spendere in costi espliciti o impliciti, e ottenerlo sicuramente più buono e più saporito, ovvero più redditizio nel caso che, ovviamente, si vinca la scommessa. Ecco la ricetta: si compra un'obbligazione zero coupon, magari un CTZ, ovvero un certificato del Tesoro (titolo di Stato) zero coupon. Costo di commissione della banca 0,2 centesimi massimo, una tantum. Il CTZ non è altro che un titolo che si paga con una cifra rotta e alla scadenza viene rimborsato con una cifra piena. Approssimata per eccesso, insomma. Per esempio pago 95.874,61 euro per ottenere tra due anni la cifra esatta di 100.000 euro. Uguale al meccanismo dei BOT, quindi attenzione, non sono interessi anticipati. Si prende poi la differenza tra i 100.000 43
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euro e i 95.874,61 che abbiamo versato per l'acquisto del CTZ, ovvero 4.125,39 euro. Investiamo questa cifra nella maniera più assurda, se vogliamo, cioè la investiamo con il massimo del rischio. Per esempio, se crediamo che nei prossimi due anni le materie prime cresceranno in via esponenziale, compreremo il fondo ETF legato proprio a questi indici. I fondi ETF (exchange trade funds) sono dei fondi di investimento che hanno la caratteristica di costare pochissimo com e commissione annua. A d esempio l'iShares DJ-AIG Commodity Swap è un fondo di diritto tedesco gestito. L'indice di riferimento è composto da contratti futures (derivati) su diciannove materie prime, tra cui molte energetiche. La commissione totale annua è dello 0,31%, quando i fondi azionari hanno commissioni minime intorno al 2%. Attenzione però, la componente di rischio è elevatissima. Abbiamo deciso di fare una scommessa, solo che in questa scommessa il rapporto costo/rischio è molto più favorevole per il cliente. N o n chiedete per quale m o t i v o le banche non propongono i fondi ETF, la risposta è nella commissione annuale. Questa scommessa mi costa quindi lo 0,2 una tantum e lo 0,31 all'anno per due anni. Ma se la vincerò, ovvero se le materie prime cresceranno del dieci, venti o trenta per cento all'anno, il guadagno sarà tutto m i o , del sottoscrittore e non dovrò dividerlo con nessuno. Se perderò, pazienza, ero consapevole che stavo facendo una scommessa azzardata, ma almeno so che il m i o capitale è garantito da uno Stato, dal mio, quello in cui vivo.
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Prime conclusioni
Siamo partiti da lontano, dal significato di katana, il derivato: da strumento di difesa nella metà del secolo X I X a strumento di morte (di un'azienda) ai nostri tempi. Così è successo nei giorni più caldi nei confronti di Unicredit, una tra le più solide banche italiane che, a suon di speculazioni, put e company, al ribasso, ha visto crollare la fiducia dei risparmiatori, e con essa salire a dismisura la preoccupazione di centinaia di migliaia di risparmiatori e di alcune migliaia di dipendenti. Il 1 ottobre, proprio Alessandro Profum o , amministratore delegato di Unicredit ha dichiarato secondo l'agenzia di stampa Reuters: «C'è grande turbolenza e nervosismo, noi siamo presenti a livello internazionale e si pensa che siamo coinvolti, e questo genera opportunità speculativa». Sta di fatto che nel giro di un mese il titolo ha più che dimezzato il proprio valore. Chi aveva diecimila euro al 22 di settembre, un mese dopo ne aveva meno di cinquemila. E accaduto a Unicredit, ma poteva accadere a qualunque altra banca: questo è il gioco della speculazione, e leva, derivati ed hedge possono permettersi di fare sbandare qualunque operatore, anche il più solido. 45
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I prodotti derivati, ovvero quelli il cui valore deriva da altri strumenti finanziari quali materie prime, azioni, obbligazioni e valute, hanno infatti un potenziale enorme e si nascondono sotto le più varie forme da ogni parte, trasformati, rigenerati e geneticamente modificati. Anche i l o r o cugini, i prodotti strutturati, hanno provocato guai a centinaia di enti istituzionali italiani, che si sono affidati agli stregoni per ripianare i loro bilanci. Ma per capire ancora m e g l i o su che razza di Chernobyl siamo seduti è opportuno ricordare che il valore degli strumenti derivati nel m o n d o , o meglio ancora la massa degli strumenti derivati circolante, è attualmente di oltre trecento miliardi di miliardi di dollari. Circa un terzo di questa immane cifra pare si trovi presso le banche americane: si comincia a capire qualcosa dello tsunami che ci ha travolto. Per dare un'idea di questa cifra mostruosa, è bene sapere che nel 2005 il totale delle attività finanziarie in tutto il mondo era intorno ai centoventi miliardi di miliardi. Forse si arriverà a duecento nel 2010. Per intendersi, ciò significa che il totale della ricchezza prodotta in un anno dal m o n d o intero (una sorta di Prodotto Interno L o r d o globale) è inferiore di quasi tre volte alla massa dei derivati. Questo grazie all'effetto leva, ovvero a quel tragico e perverso meccanismo in base al quale con soli mille euro posso per assurdo arrivare a spostarne anche un miliardo. Prestiamo attenzione, non fidiamoci di questo tsunami. Potrebbe non avere perso la sua forza distruttiva ma essersi solo ritirato per qualche chilometro. Quella che ha portato a questi dati potrebbe essere solo la prima onda. Anche perché, c o m e v e d r e m o più avanti, se della cri46
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si finanziaria ce ne possiamo anche sbattere, pensando che sia soprattutto un affare tra Paperone e Rockerduck, quella che ci sta arrivando alle spalle è la recessione economica. Questo non è più uno spettro, il babau che ogni tanto qualcuno tirava fuori, la recessione ha già bussato alla nostra porta e sta per entrare, ed è c o m e l'ufficiale giudiziario quando entra per pignorare i mobili.
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La banca e il banco. Ci possono cascare tutti, Comuni compresi
C'è una giornalista italiana alla quale andrebbe dato il premio Pulitzer. Questa giornalista è Milena Gabanelli. N e l programma RAI Report, qualche tempo fa la Gabanelli tirò fuori una storia straordinaria che è passata c o m e l'acqua sotto i ponti, ma che oggi è di un'utilità formidabile per capire una parte di quello che è successo. In realtà le storie sono due e ancora si possono andare a vedere sul sito www.report.rai.it. Una, dal titolo Il banco vince sempre, è del 14 ottobre 2007, l'altra, Speculando s'impara, dell'8 aprile 2008. Entrambi i servizi sono a cura di Stefania Rimini, altra candidata a un Pulitzer da condividere. Ormai abbiamo capito cosa sono i derivati: Gabanelli e R i m i n i ci avvisano che nel giro d'affari a loro legato sono coinvolte ben trentamila aziende italiane, ma anche novecento enti istituzionali, di cui 317 sono Comuni. Alcune delle aziende potranno aver fatto i derivati per coprirsi, c o m e abbiamo visto prima, dal rischio di cambio, ma ascoltando le interviste pare che non sia così. Artigiani del mattone, commercianti e industriali lattonieri, spinti dalla voglia di speculare o piuttosto spinti da qualcuno, rischiano di perdere l'a49
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zienda costruita in tanti anni di lavoro per avere giocato con la katana del samurai. Come fa un imprenditore che guida il suo muletto all'interno dell'azienda ad essersela giocata con strumenti derivati? Un tempo - un classico della letteratura - l'imprenditore con la pancetta veniva circuito da qualche bella ballerina che piano piano si trasformava da lucciola in mantide religiosa, e prima di staccargli la testa gli portava via l'azienda. Ma almeno, per la miseria, l'imprenditore aveva vissuto un anno da leone spendendo e spandendo i suoi capitali in un'orgia di sesso e di divertimento. Ma con i derivati si gode? N o , i derivati fanno godere solo chi li vende, perché la loro complessità è tale che anche un medio venditore appena istruito a dovere è capace di venderli. Ripeterà a pappagallo la solfa che gli è stata insegnata dal famoso manager stregone e dirà all'incauto acquirente: «Tutto a posto, firmi qua, firmi l à » . Dieci fogli scritti magari in inglese con una scrittura minuscola e una serie di avvertenze nella quali si attesta che chi firma è in grado di sapere tutto sui mercati e gli strumenti finanziari e che quindi garantisce la controparte (ovvero chi fa firmare, o meglio, la banca proponente) che sa perfettamente quello che fa. In realtà non capisce una parola, ma si fida, diciamo così, del solerte funzionario che conosce da anni o del n o m e altisonante della banca proponente. Chi li vende, è opportuno osservare, non rischia un ghello o uno sgheo per dirla alla lombarda, perché, ricordiamoci, in tutte queste operazioni, in quelle viste precedentemente o in quelle che vedremo ancora, la banca non corre alcun pericolo: la scommessa è solo a carico del cliente. La banca fa solo da intermediario, da sensale, come si diceva un tempo: fa sposare l'ope50
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razione al cliente e ci guadagna, fregandosene altamente se il matrimonio abbia o m e n o un m i n i m o di possibilità di funzionare. In questo inferno ci sono cascati tanti di quei Comuni, dal piccolo paese di montagna alla grande amministrazione, che viene da pensare, c o m e si dice in legalese, a «un unico disegno criminoso». Se ne parla quando l'imputato commette più volte a danno di diverse persone lo stesso reato. Report ci racconta c o m e alcuni - pochi, per la verità, ma sempre gli stessi - operatori finanziari, qualcuno italiano ma per lo più stranieri, abbiano letteralmente battuto campagne e città per offrire un particolare strumento finanziario della famiglia dei derivati che sembrava la panacea, l'unguento miracoloso che avrebbe guarito i dolori, gli annosi debiti, dei nostri Comuni. Per evitare di cascarci sarebbe bastato leggere Pinocchio e ricordarsi come facevano il Gatto e la Volpe a fare affari, ma evidentemente i poveri burattini di legno sono ancora più numerosi al giorno d'oggi che ai tempi di Collodi, e credono ancora che basti piantare degli zecchini d'oro nel Campo dei Miracoli per fare crescere l'albero dei soldi. Tutto nasce in pratica nel 2001, quando con una legge viene affidata ai Comuni la libera gestione dei loro debiti con la Cassa depositi e prestiti, la CDDPP, un ente statale trasformato in SPA (cioè privatizzato) alla fine del 2003. L a CDDPP appartiene ancora per il 70% al Ministero dell'Economia e delle Finanze, ma per il 30% è in mano, tra gli altri, a diverse fondazioni bancarie. Tra le sue missioni storiche, detto in maniera molto pedestre ma presumibilmente chiara, c'è quella di prestare soldi ai Comuni per consentir loro di a5:
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vere la liquidità necessaria per provvedere alle opere utili alla cittadinanza. Quindi, una volta liberalizzata la gestione dei loro debiti, alcune banche scoprono che c'è una grande opportunità di business. In che modo? Utilizzando uno strumento derivato che abbia c o m e sottostante i tassi di interesse. « C a r o sindaco, caro assessore del Comune di Pinco P a l i o » , dice la banca, « c o n questo strumento, firma qua firma là, tu non solo ti copri dal rischio dell'aumento dei tassi di interesse e quindi di maggiori rate che dovresti pagare alla Cassa Depositi e Prestiti, ma attraverso questo meccanismo, bla bla bla, riusciamo ad anticiparti pure dei soldi che potrai utilizzare facendo il bene dei tuoi concittadini. In più i cittadini ti saranno grati e vedrai che alle prossime elezioni ti rieleggeranno e con te la tua parte politica qualunque essa sia». Di che cosa si tratta in sostanza? Tutti i comuni italiani, salvo rare eccezioni, sono indebitati, e se lo Stato continuamente toglie loro risorse ( c o m e con l'ici), dall'altro offre la possibilità di finanziare le loro necessità più impellenti (strade, scuole, ospedali, stipendi, ecc.) con dei mutui, proprio c o m e se fossero delle aziende. Fino al 2001, l'unico ente che ha potuto fare prestiti a un altro ente statale c o m e i Comuni è stato solo la Cassa Depositi e Prestiti. Le rate spesso sono pesanti, e nel corso degli anni i mutui con la CDDPP si sono accavallati gli uni sugli altri. Grazie a questi finanziamenti, il Comune riesce a eseguire le opere e a realizzare i servizi promessi in campagna elettorale, ma riversa poi la massa del prestito sulle future amministrazioni. Anche questa è una catena e, negli ultimi anni, mutui su mutui e rate su rate hanno messo 52
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molte amministrazioni comunali in seria difficoltà, al punto che qualche Comune ha dichiarato di non essere più in grado di onorare i suoi impegni, c o m e è recentemente successo a quello di Catania, per il quale è intervenuto il Governo. I cittadini, che ogni amministrazione vede soprattutto (absit iniuria) come elettori, vedono così diminuire i servizi e i malumori aumentano. Così, quando arriva qualcuno che offre al Comune stesso di ristrutturare il debito, magari sostituendosi alla CDDPP, di allungare i termini degli stessi mutui consentendo quindi al Comune di pagare una rata minore e in più gli offre anche del denaro gratis, un up-front come si chiama in gergo, come si fa a dire di no? Oppure è un mutuo del tutto nuovo, sempre apparentemente vantaggioso. È un affare troppo grande e interessante per essere rifiutato, ma anche il povero burattino di legno all'inizio è sospettoso con il Gatto e la Volpe. E chiede loro: « M a quanto costa?». I maghi della finanza hanno istruito ben bene il loro portavoce e la risposta è sempre la stessa: « N o n costa niente». Potrebbero anche aggiungere: « S i a m o solo dei benefattori», ma questo forse sarebbe troppo. Il sindaco e l'assessore firmano qua e firmano là, e di lì a giorni ricevono effettivamente un bel bonifico di decine o centinaia di migliaia di euro, se non milioni. Ma che cosa hanno firmato veramente? Che cosa hanno comprato? Hanno di fatto acquistato uno strumento derivato travestito da mutuo, talmente complesso che, al di fuori dei grandi esperti del settore, è quasi impossibile districarsi all'interno delle sue regole. La sostanza, detta in m o d o pedestre, è questa: la banca anticipa dei soldi, la cui restituzione, soprattutto in tema di interessi, è legata a una scommessa 53
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sul verificarsi di certe condizioni di mercato, ovvero deriva da fattori slegati dal mutuo stesso. I mutui si sa, comportano per x anni una rata fissa o indicizzata al costo del denaro e finisce lì. Questi no. Prevedono, ad esempio, che se l'EURIBOR rimane fermo la rata sarà fissa, ma non appena cambia, sia salendo sia scendendo, ovvero non appena esce da una sorta di corridoio ben determinato, scatta un meccanismo in base al quale il debitore (il Comune) si troverà a pagare, avendo perso la scommessa, cifre enormi. Si trova quindi il sistema di coprire tutto questo con un'assicurazione, sempre all'interno del mutuo. Tutto a posto? N o , perché a un certo punto arriva una rata altissima, una mazzata. C'è l'assicurazione? N o , perché anche questa è costruita su una scommessa, su un derivato. Tutto questo però non è spiegato, è scritto tra le righe, in un linguaggio finanziario talmente oscuro, che in confronto il linguaggio alchemico diventa un testo da prima elementare. In più, scusate, spesso scritto tutto in inglese, a complicarne, se possibile, la comprensione. Però abbiamo visto che i derivati sono quotati, e allora il Comune potrebbe andare sul mercato a provare a vendere il suo, rimetterci il dovuto e rifarsi un bel mutuo tranquillo. N o , non è possibile, perché quello strano miscuglio di mutuo, assicurazione, up-front, eccetera eccetera che gli hanno venduto è stato costruito appositamente per quel Comune, quindi a differenza degli altri derivati questo non si trova sul mercato da nessuna parte. Che differenza fa? Che cosa vuol dire? È molto importante capirlo. Vuol dire semplicemente che non ha mercato, cioè non si trova nessuno che lo possa o lo voglia compra54
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re, e che il suo p r e z z o è determinato dalla semplice contrattazione tra chi lo vende e chi lo compra. Come quelle obbligazioni che la banca emette e che non sono quotate sui mercati. N o n che non siano sicure, se la banca è solida, ma non hanno un prezzo. E la banca che stabilisce il loro p r e z z o . Le vendono a cento lire, c o m e si diceva una volta, e se un cliente le volesse rivendere alla banca sarebbe questa a stabilire in prezz o . C'era un tale che tempo fa aveva acquistato delle obbligazioni di una grande banca italiana, comprate alla pari. Voleva disinvestirne un po' per acquistare un garage. Il prezzo che la banca gli ha offerto è stato dell'80% del valore cui gliele avevano vendute solo pochi mesi prima. Ma facciamo un esempio al di fuori della finanza, per essere ancora più chiari. Se c o m p r o una Fiat Punto usata, so benissimo qual è il suo valore, non tanto perché lo trovo scritto da tutte le parti, quanto perché ce ne sono talmente tante in giro che si acquistano e si vendono che è il mercato a stabilire di fatto il suo valore medio. Io posso sapere che una Fiat Punto 5P 1,2 active del 2005, tenuta in condizioni soddisfacenti, da Trieste a Catania la posso trovare tra i 6.000 e i 6.200 euro. Questo è un dato certo che mi viene detto dal mercato, ovvero dagli scambi di Fiat Punto che avvengono quotidianamente in tutta la penisola. Ma se un pur bravo meccanico mi costruisce una macchina su misura, c o m e posso sapere quale è il suo valore? Lui mi può chiedere anche un milione e io posso anche darglielo, oppure mi può chiedere con la stessa indifferenza diecimila euro. Il fatto è che quella macchina non ha un mercato, il suo valore è dato solo dalla contrattazione tra due parti. 55
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Così è con i derivati offerti ai Comuni. In realtà la ripianificazione del debito si basa su algoritmi e parametri che sono meno trasparenti di un'alba dicembrina nella Pianura Padana. Il Comune firma un contratto che a sua volta si basa (derivato = deriva da) su complesse operazioni, queste sì, che appartengono a un mercato in cui il loro valore è dato dalle migliaia di contrattazioni giornaliere. Quindi la banca prende da una parte un Fiat Punto, la modifica in m o d o tale che nessuno capisca bene che cosa sia e poi la rivende al Comune c o m e se si trattasse di una Rolls R o y c e . È quello che si chiama in gergo un «costo i m p l i c i t o » , o per dirla tutta e meglio un «costo nascosto». Quello che i Comuni hanno firmato è però m o l t o peggio. Lo dice Stefania R i m i n i in m o d o tecnico ma molto chiaro nella trasmissione dell'8 aprile 2008: L'inghippo dei derivati è tutto qui, nel fatto che gli enti vanno dalle banche per farsi assicurare e invece si ritrovano a fare loro gli assicuratori delle banche, perché con la scusa di non fargli pagare niente per il derivato, la banca induce il Comune a emettere un'opzione che assicura la banca in caso di perdite future sui tassi d'interesse. Cioè: il Comune e la banca si assicurano a vicenda, ognuno paga un premio all'altro e il saldo dovrebbe essere zero, il famoso costo zero. In realtà non è così, nei contratti c'è sempre una postilla nella quale, alla fine, è solo il Comune a garantire la banca. Subito d o p o Stefania R i m i n i aggiunge anche: Quindi la fregatura per il Comune non sta tanto nei costi impliciti - che ci sono - ma sta nel fatto che si era ri56
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volto alla banca per coprirsi da un rischio di rialzo dei tassi e invece con questo gioco di opzioni che vanno e che vengono alla fine è la banca che si sta facendo assicurare dal Comune. Questo spiega lo scandalo e spiega perché le perdite sono state così grosse, ma spiega anche la responsabilità delle banche. Come dimostri al giudice che è nell'interesse di un piccolo Comune italiano fare l'assicuratore di una grande banca? Intanto però puoi fare bella figura con gli azionisti perché con i derivati si possono scrivere in bilancio utili immediati. In soldoni, il fatto è che i Comuni non solo hanno acquistato un'utilitaria per una macchina di lusso, ma hanno firmato un tale meccanismo perverso e una tale scommessa finanziaria che le loro possibilità di vincere si avvicinano a quelle della cinquina al g i o c o del lotto. In pratica: hanno posticipato il debito, in m o d o che gli interessi maggiori saranno a carico delle future amministrazioni, magari tra dieci o quindici o anche vent'anni. Fin qui, se consapevoli, potrebbe perfino essere un bieco g i o c o politico legittimo, anche se del tutto immorale, perché alla fine ricadrà sulla schiena dei nostri figli. Ma questa miccia che credevano lunga si è improvvisamente accorciata a seguito del verificarsi proprio di alcune variabili, possibili e probabili, quali l'aumento dei tassi oltre una certa misura. Cioè quello che è successo negli Stati Uniti, quel battito d'ali di quella farfalla verificatosi la prima volta che un mutuatario si è accorto di non essere più in grado di pagare il suo debito, è diventato un terremoto nel nostro ignaro Comune, che a questo punto prova a «rivendere» questo contratto, a rinegoziarlo, quando si accorge che d'improvviso deve pagare subito de57
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gli interessi spropositati: lo dice il contratto. Ma il suo è un vestito su misura, non ha un mercato dell'usato. L'unico che può proporgli di riacquistare quel vestito è lo stesso sarto che glielo ha confezionato. Basta comprarne un altro e quello vecchio te lo ricompro io. Un altro vestito, ancora più costoso e personalizzato del primo. E così via, fino alla dichiarazione di insolvenza da parte del Comune, perché anche il Comune può dire che non è più in grado di pagare i suoi debiti. Di recente è successo proprio a quello di Catania e prima ancora a quello di Taranto. A quel punto sorge quasi spontanea la domanda. Ma se il Comune non riesce più a pagare chi ci rimette a quel punto è la banca creditrice? N o , perché rimandando a quanto scritto in precedenza, questi derivati sono a loro volta stati spezzettati, inscatolati e messi in commercio. Figuriamoci, un debito comunale, il Comune è lo Stato e lo Stato ( c o m e quello italiano) ha un valore elevato (rating A + , abbiamo visto). E poi i debiti del Comune di Castelvecchio di Sotto (nome preso a caso) sono stati mescolati magari con quelli di Comuni più grandi e importanti, quali potrebbero essere quelli di Milano, Torino e via dicendo. Tutti mescolati insieme e venduti - sì, questa volta sul mercato - una volta cartolarizzati, come abbiamo visto nei precedenti capitoli, attraverso la ormai famosa parola securitisation. E acquistati da noi, dall'uomo della strada e dalla casalinga di Voghera: la banca ha fatto solo da intermediario. Il cerino, alla fine, si sta spegnendo tra i nostri pollice e indice. Ancora una volta la katana ha colpito, quello che doveva essere un semplice strumento di ristrutturazione di un mutuo, per consentire al Comune di pagare meno interessi spostando avanti nel tempo una rata e ma58
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gari trasformandola in un momento favorevole in una rata a tasso fisso, si è strasformato in un cappio stretto, alla fin fine, come abbiamo visto, intorno al collo di ciascuno di noi. Per concludere, quanto vale oggi questa bomba piazzata sotto le sedie dei nostri amministratori locali? È un problema che riguarda tutti, perché se un Comune diventa insolvente, o comunque paga degli interessi e dei debiti esorbitanti frutto di operazioni speculative, sarà obbligato a dare meno servizi ai suoi cittadini. Bene, la cifra non esiste... N e l senso che queste operazioni, mentre hanno solitamente un tetto massimo di guadagno, non hanno un tetto similare per quanto riguarda le perdite. Possono essere centinaia di milioni di euro o anche miliardi. Nessuno lo può sapere. E questa enorme ondata che sta spazzando via certezze granitiche come fossero ramoscelli secchi non farà che aggravare il rischio che deriva dai derivati... Lo sanno bene le banche quando concedono a un operatore privato di operare sui derivati. Se io verso centomila euro sul m i o conto e su questo opero allegramente, posso guadagnare milioni ma posso anche perdere non solo tutta la cifra che ho versato, ma anche dieci o cento volte i centomila euro iniziali. Le banche, giustamente, sono molto guardinghe e caute nel concedere agli operatori la possibilità di andare allo scoperto sulle operazioni su derivati. Voce della banca: puoi perdere tutto quello che hai messo, ma non oltre, altrimenti è la volta che ci rimetto per davvero. Già anni fa è stata effettuata un'operazione del genere, anche se molto più ruspante, questa volta postata, come si dice in gergo, direttamente nelle tasche dei risparmiatori. All'inizi del nuovo secolo oltre novan59
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tamila famiglie (c'è chi dice anche il d o p p i o ) avevano sottoscritto dei piani di investimento così perfetti che sembravano davvero piovuti dal cielo. Si chiamavano M y W a y (povero Frank Sinatra) e 4YOU. Tutti nomi angloamericani, tanto per confondere le idee. Li avessero chiamati A M o d o M i o e Per Te forse ne avrebbero venduti di meno? In realtà, più che investimenti, erano dei finanziamenti travestiti. Come ha ben definito l'Adusbef. « [ . . . ] il risparmiatore, a sua insaputa, prendeva soldi in prestito dalla banca (nonostante in molti casi avesse grandi possibilità economiche) per investire in strumenti altamente speculativi. [ . . . ] veniva piazzato come un prodotto tranquillo, e precisamente un piano di accumulo che poteva essere smesso in qualsiasi momento, con la restituzione del capitale». In breve, non per fare storia, ma per ricordarsi di stare attenti, il cliente riceveva un finanziamento costante a rate mensili che durava dai quindici a trent'anni: con gli stessi soldi era obbligato a comprare delle obbligazioni e delle quote di un fondo azionario, che a sua volta metteva a garanzia dello stesso prestito che aveva ricevuto e alla fine apriva un conto corrente a lui intestato dove venivano regolate le partite in dare e in avere. Con la crisi della Borsa americana, che è ovviamente arrivata fino a noi, con la fine della bolla speculativa di Internet, dei grandi illusionisti della Silicon Valley (la culla di Internet e della multimedialità), i clienti, che credevano di aver sottoscritto un piano pensionistico, si sono trovati ad essere in debito con la banca. La magia dei maghi. Cambiano a volte i soggetti proponenti, cambiano i destinatari, ma la musica rimane sempre la stessa.
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La crisi della finanza
Proprio alla fine del capitolo La magia nera dei manager concludevamo dicendo che era stata la mancanza di fiducia a determinare l'inizio della crisi. N e l momento in cui viene scritto questo libro le cose stanno andando m e g l i o . N e l senso che i titoli che hanno perso il 50% in pochi giorni stanno recuperando, non con altrettanta velocità, ma quasi. Ed è ovvio che siamo tutti contenti. Ma la prossima settimana scenderanno nuovamente e poi si rialzeranno ancora. C'è da fidarsi? Occorre spiegarsi m e g l i o . Quello di cui un'economia sana ha bisogno sono queste gigantesche oscillazioni di valore? Vi fidereste di una persona che oggi vi viene a piangere sulla spalla raccontandovi tutti i suoi guai e il giorno d o p o si mette a raccontarvi barzellette spinte e a sganasciarsi dalle risate? E il giorno dopo ancora viene da v o i mostrandovi una pistola con la quale dichiara di volersi suicidare e il giorno successivo ancora vi confessa che ha trovato l'amore della sua vita e vuole sposarsi e avere cinque figli? N o , è immaginabile che non vi fidereste affatto. Ma questo è quello che è accaduto e che sta accadendo. C'è sta61
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to un lieve recupero. Ma di che cosa? Dei corsi azionari: e questo che cosa vuol dire? Praticamente niente, al p r i m o scivolone l'intero sistema avrà paura di una nuova ondata più forte della precedente e correrà ai ripari cercando di salvare il salvabile, con il rischio che l'equipaggio abbandoni la nave e lasci noi passeggeri sul Titanic che esso stesso ha creato. N o n è pessimismo, sono solo considerazioni m o l t o semplici ( c o m e il non aver fiducia del nostro amico di prim a ) basate sul vecchio buonsenso unito a un m i n i m o di conoscenza dei fatti. A questo punto ci sono due riflessioni importanti da fare, che riguardano la differenza tra « f i n a n z a » ed « e c o n o m i a reale». La prima è che abbiamo detto e dimostrato che siamo seduti su una Chernobyl, il sistema bancario internazionale ha mostrato tutte le sue debolezze e le sue contraddizioni. I salvataggi effettuati dalle banche centrali, ovvero dagli Stati, non hanno dimostrato nulla, se non che senza il l o r o intervento la crisi avrebbe travolto l'intero sistema mondiale in una reazione a catena senza precedenti. E quelli effettuati da banche più grandi nei confronti di quelle più piccole o in m a g g i o r i difficoltà m o strano solo che quando uno squalo è ferito gli altri che cacciavano con lui sono pronti a sbranarlo. La seconda è che, ammesso che l'onda dello tsunami sia passata, ciò che ancora deve arrivare e che si sta già stagliando all'orizzonte è una crisi senza precedenti della cosiddetta « e c o n o m i a r e a l e » , quella che riguarda le piccole imprese, quelle che non riescono nemm e n o a finire sui giornali, quella che riguarda i c o m mercianti e gli artigiani, quella che andrà a colpire direttamente le nostre tasche e che ci renderà sicura62
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mente più poveri. Se tutto va bene, perché gli scenari prossimi venturi sono due, ma di questo parleremo alla fine del libro, confortati anche da chi queste cose le aveva in parte viste e previste. Partiamo dalla finanza, con un caso pratico, in cui la mancanza di fiducia ha provocato un minicrac. « M i n i » relativamente alle migliaia di miliardi di euro che sono stati bruciati in questo mese e m e z z o e « m i n i » in confronto alla perdita di fiducia globale. Un caso che ci riguarda da vicino perché è accaduto in Italia. La banca Italease nel 2005 sbarca in Borsa e sembra una gallina dalle uova d'oro, il valore si quintuplica, ma qualcosa si spezza, e nel luglio 2007 scoppia il bubbone. Ce lo racconta bene Fabio Pavesi sul « S o l e 24 O r e » il 17 luglio 2007: Dopo il danno la beffa. Dopo aver piazzato a oltre duemila clienti derivati-boomerang, che anziché coprire i rischi ne amplificavano gli effetti, ora Italease batte disperatamente cassa. E a chi si rivolge? Non a chi, all'interno della banca, ha permesso la vendita a pioggia di questi strumenti, ma proprio agli sfortunati possessori di quei «miracoli» di ingegneria finanziaria che il più delle volte tutelavano la banca, mentre esponevano i sottoscrittori a perdite esponenziali in caso di rialzo dei tassi. Quei derivati, però, c o m e ha affermato Vittorio Malaguttu sull'«Espresso» del 31 gennaio 2008, fornivano il 40% dei profitti a tutto il gruppo. Ma che cosa è successo? La banca si era esposta troppo nei confronti delle altre banche che le fornivano il denaro per le operazioni di leasing e per le operazioni sui benedetti derivati. A un certo punto hanno richiesto il 63
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conto, è mancata la fiducia e Banca Italease, continua Fabio Pavesi nell'articolo citato, «ha chiuso tutte le posizioni pagando a oggi almeno 600 milioni alle banche d'affari che hanno costruito i derivati». Crisi di fiducia, quindi, forse nata dalla paura di un'ispezione che la Banca d'Italia aveva mandato nel gennaio dello stesso anno. Qualcuno è finito anche in galera. Ma tanto, si diceva, a un certo punto interverrà anche lo Stato, c o m e ha fatto con Alitalia. Può darsi, ma anche lo Stato ha una sua credibilità, c o m e ce l'avevano quelle aziende americane che si meritavano una tripla A, c o m e dire che al m o n d o non esisteva niente di più sicuro c o m e sicurezza e solvibilità. Sì, perché anche gli Stati possono fallire. Probabilmente, con il nostro debito pubblico, se non fossimo all'interno dell'euro, saremmo falliti anche noi. L'Argentina lo ha già fatto e ora ci sono altri Stati pronti a seguirla. Forse lo stesso Paese sudamericano lo farà una seconda volta, raggirando ancora chi è già stato scottato una prima volta, con quella ristrutturazione del debito, seguita alla dichiarazione di default ('bancarotta'), che ha fatto andare in fumo i risparmi di duecentomila persone. Ma se l'Argentina appare lontana, molto più vicine sono l'Ungheria e l'Islanda, l'isola mitica dove i ( p o chi) abitanti fino a qualche tempo fa vivevano (o pensavano di vivere) in un'oasi felice. La Banca Centrale Europea ha prestato cinque miliardi di euro all'Ungheria, che dal 2004 fa parte dell'Unione Europea ( E U ) ma non dell'Unione Monetaria Europea ( U M E ) , ovvero non ha l'euro. Tutti speriamo che lo tsunami non faccia vittime così importanti, e forse l'Ungheria ce la farà, in fin dei conti il rapporto tra debito e pro64
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dotto interno lordo è intorno al 60%, la soglia massima ammessa all'interno dell'uME. E l'Italia? L'Italia è al 104,1%, ovvero il suo debito è superiore perfino a tutto il prodotto interno lordo, che è la somma di tutti i beni e servizi prodotti in un anno. In pratica a tutta la ricchezza. Per fortuna, il trattato dell'Unione Monetaria Europea prevede che uno Stato possa essere multato ma non possa essere sbattuto fuori, per nessuna ragione. U n o Stato può uscire, liberamente e autonomamente, ma gli altri non possono spingerlo fuori. M e n o male, per noi. Nell'Unione Europea siamo il fanalino di coda, d o p o la Grecia con il 94,8% e il B e l g i o con l'83,9%. Ma siamo stati anche oltre il 120%, non c'è da preoccuparsi, o m e g l i o , c'è da chiedersi c o m e facciamo ad andare avanti da tanti anni. Una domanda m o l t o pertinente rispetto a quanto ci stiamo dicendo sulla crisi di fiducia. È proprio perché il sistema mondiale ha ancora fiducia nell'Italia, grazie soprattutto al fatto che il fallimento di uno Stato da sempre m e m b r o del tanto vituperato sistema-euro provocherebbe probabilmente la fine dell'euro stesso e, c o m e in un effetto d o m i n o , il fallimento di altri Stati europei. Sarebbe il caos sociale, ma anche di quello parleremo più avanti, quando analizzeremo gli scenari che si pongono davanti a noi. L'Italia non fallisce anche perché la gente, il p o p o l o italiano dei risparmiatori, ha ancora fiducia nel proprio Stato. Se tutti insieme i risparmiatori decidessero di non rinnovare più i titoli di Stato, le riserve statali non sarebbero in grado di rifondere il debito. È quello che capita quando tutti i clienti si rivolgono alla banca per ritirare i loro risparmi. È quello che è invece successo all'intero sistema bancario islandese e 65
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che sta portando l'Islanda alla bancarotta. Un'isola alla deriva. Con i suoi 320mila abitanti l'Islanda è una sineddoche del m o n d o . La sineddoche è una figura retorica della lingua italiana, che viene utilizzata per identificare il tutto con una sola parte, ad esemp i o « l a v e l a » per intendere «la barca a v e l a » . Prendiamo quindi una parte (l'Islanda) per il tutto (il mond o ) . Negli ultimi anni ha visto crescere a dismisura la bolla immobiliare ( c o m e nel resto del m o n d o , Stati Uniti in testa), le banche si sono esposte nel concedere prestiti per guadagnare di più ( c o m e nel m o n d o ) , la gente per rincorrere il benessere si è indebitata ancora di più con prestiti personali e il ricorso alle carte di credito revolving, e il rapporto deficit/piL è arrivato - pare - fino al 400%. Risultato? Il P r i m o Ministro si è trovato di fronte a una scelta: fare fallire lo Stato intervenendo a sostegno delle banche, o lasciare le banche, e con esse decine e decine di migliaia di risparmiatori, al proprio destino. Ci vorrebbe un intervento esterno, che forse ci sarà, da parte dei Paesi baltici (che hanno forti interessi economici nell'isola e hanno paura di perdere i l o r o investimenti) e/o da parte della Russia (che ha invece una convenienza di tipo politico-strategico), o ancora, più probabilmente, dal F o n d o Monetario Internazionale. Più o m e n o servono 6 miliardi di dollari. M e n o dei 41 miliardi dati al Brasile nel 1998, degli 11 alla Turchia nel 2000 e dei 21,6 all'Argentina nel 2001 (con i risultati che abbiamo visto e sofferto). Insomma, siamo sempre alla catena: qualcuno più in alto prova a salvare per convenienza qualcun altro che sta sotto, ma facendo in questo m o d o si indebolisce anche lui. Se la catena non si ferma, quello che 66
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oggi ha colpito l'Islanda colpirà m a n o a m a n o Paesi sempre più grandi. E c c o allora che il rialzo della Borsa di pochi o tanti punti non può essere il segnale che tutto è passato. Anzi, i grandi rialzi, così c o m e i grandi ribassi, mostrano solo che il sistema è instabile, e c'è chi ovviamente cerca di specularci sopra. In questi giorni non è difficile incontrare il gestore di un piccolo fondo hedge che si dichiari tranquillamente felicissimo, perché non aveva mai guadagnato così tanto c o m e ha fatto grazie a tutte queste oscillazioni. D'altra parte sono i fatti a dimostrare che è avvenuto qualcosa di grosso, il « q u a l c o s a » più grave che si sia mai verificato dagli anni Venti, più della tristemente celeberrima Crisi del '29. Senza andare a scomodare gli indici internazionali, basta osservare il Mibtel, l'indice generale delle società quotate alla Borsa di Milano, che all'inizio dell'anno era a quota trentamila e che oggi risulta dimezzato. Con l'aggravante che il tutto è precipitato nel giro di poche settimane: da settembre alla metà di ottobre ha perso quasi il 35%. E se ci fosse ancora bisogno di fare paragoni con le crisi degli ultimi anni, basta osservare il grafico che segue e vedere quali sono stati gli avvenimenti più disastrosi e gli effetti che hanno avuto sulle borse. Solo nel 1987 si ebbe un contraccolpo così devastante, con la differenza però che allora il sistema finanziario resse senza contraccolpi, e permise in pochi mesi un discreto recupero.
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La vera crisi: l'economia reale
N e l luglio del 2007 il non ancora Ministro Giulio Tremonti in un'intervista concessa al «Corriere della sera» diceva: « L e dirò tre cose, due negative, una positiva. La crisi dell'economia finanziaria diventa sempre crisi dell'economia reale. La crisi dell'America diventa sempre crisi del m o n d o . La cosa positiva è che governi e autorità monetarie, se lo capiscono e se lo vogliono, possono ancora intervenire». Antipatie o simpatie a parte, quello che ha detto Giulio Tremonti, in particolare la prima « c o s a » negativa, non solo è drammaticamente vera, ma è anche quella che più ci riguarda da vicino. Ma che cosa vuol dire che la crisi dell'economia finanziaria diventa sempre crisi dell'ec o n o m i a reale? Seguiamo l'iter di questo circolo vizioso, semplificando al massimo. Le banche sono in difetto di liquidità, nonostante i recenti provvedimenti tesi a diminuire il costo del denaro, e hanno iniziato a stringere i cordoni delle borse. Perché, mancando la fiducia, il sistema dei finanziamenti tra banche è venuto in parte a mancare. Quindi non solo tenderanno a prestare meno denaro alle imprese, ma cercheranno di rientrare da quei fi69
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nanziamenti, concessi sotto varie forme alle aziende che più ne hanno bisogno. A questo punto sarà più difficile per le aziende sviluppare i propri affari, sarà più difficile sia che nascano nuove imprese sia che quelle esistenti aumentino la propria produzione. In questo m o d o non solo non ci sarà nuova occupazione, ma non saranno sostituiti i vecchi posti di lavoro e in molti casi si procederà al licenziamento e, ove possibile, alla messa in cassa integrazione. Significa che ci saranno m e n o consumatori in giro e quelli rimasti vedranno il loro futuro più incerto. Il passo successivo al rallentamento dei consumi è l o g i c o e breve, e commercianti e artigiani e tutti c o l o r o che offrono beni e/o servizi non di prima necessità vedranno subito diminuire il proprio volume d'affari. A l o r o volta questi esercenti si troveranno in crisi, avranno m e n o soldi da spendere in altri settori e a volte saranno costretti a chiudere le loro attività. Chi aveva affittato i negozi si troverà a non incassare più le rate di affitto, e si avrà in breve da parte di tutti m e n o risparmi da portare in banca. Banca che, incassando meno denaro e vedendo assottigliarsi i depositi, a sua volta si troverà nella necessità di stringere ancora di più il credito, che a sua volta produrrà m e n o produzione, meno lavoro, m e n o spesa, più fallimenti. È un circolo vizioso, una spirale, o ancora m e g l i o un g o r g o nel quale stiamo finendo tutti. Ed è già cominciato. Ma se questo è un aspetto puramente fisiol o g i c o degli effetti della crisi finanziaria su quella economica, c'è un altro aspetto di cui tenere conto. N e gli Stati Uniti si chiama indice di fiducia, una statistica che in Italia non viene mai fatta, forse per paura. È un indicatore che non tiene conto di c o m e effettiva70
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mente vadano le cose, se ci sono più o meno disoccupati, se c'è più o meno consumo, ma che tiene conto di c o m e la gente percepisce la realtà che sta vivendo. La crescita o il calo di questo indice della fiducia dei consumatori USA è un anticipatore della spesa per i consumi a livello mondiale. Dato che la spesa dei consumatori incide per due terzi del prodotto interno lordo americano, e di conseguenza su quello mondiale, è normale aspettarsi una correlazione molto stretta, positiva o negativa, tra l'andamento degli indici di fiducia, quello dei consumi e quello della produzione. E, se vogliamo, un indice psicologico, ma più importante ancora di tanti indici basati sui prezzi o sulla stessa produzione. N o i viviamo in un'epoca in cui la diffusione dell'informazione e la sua globalizzazione sono tali che un avvenimento, dicono i sociologi, è tanto più importante quanto più viene percepito dalla gente. Quando muoiono mille persone sotto un terremoto è certamente un dramma, ma la percezione della gravità di un terremoto è che se questo avviene a Los Angeles ha valenza mille, se avviene in uno sperduto villaggio del Pakistan ha valenza dieci. Si può dire anche di più: se un certo avvenimento viene trasmesso in televisione allora è vero, anche se non lo è, mentre se viene ignorato è come se non fosse mai accaduto. Pertanto il modo in cui percepiamo la realtà, di fatto diventa la realtà stessa. Quando negli Stati Uniti viene elaborato mensilmente, attraverso rigorose statistiche, il cosiddetto indice di fiducia, che mostra come l'americano medio vede il proprio futuro, tutte le aziende si comportano di conseguenza. Se la fiducia è in rialzo i consumi allora saliranno, se è in ribasso scenderanno. In pratica 71
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la fiducia è a monte dei consumi. Conoscere l'andamento di questi ultimi è c o m e guardare la fotografia di un m o m e n t o appena passato. Questo ragionamento è necessario per capire che da un lato la crisi finanziaria sta per mettere in ginocchio l'economia reale e dall'altro la percezione della realtà porta a prefigurare un futuro oscuro e difficile. Se v o g l i a m o è un serpente che si morde la coda. Politici e banchieri queste cose le sanno benissimo: dire che tutto andrà a posto, che la parte peggiore è passata, che ci risolleveremo a breve, significa spingere la gente a pensare più positivamente. In questo m o d o , dando più fiducia le cose potranno andare realmente meglio, anche se i puri dati economici appaiono tragici. È la stessa dolce bugia che il m e d i c o dice al paziente in pericolo di vita. Se gli dice che c'è poco da fare e serve solo pregare e sperare, è facile che il paziente si abbandoni alla disperazione e non lotti più. Ma se gli viene detto che con un p o ' di sforzo e qualche sacrificio in più può farcela, combatterà con tutte le sue forze per la sua vita. N o n sono quindi da biasimare coloro che fanno di tutto per tranquillizzarci. Generalmente in Italia chi è al Governo tende a dare un'immagine positiva del futuro e chi è all'opposizione tende a drammatizzarla. Se Barack Obama ha vinto negli Stati Uniti, lo deve soprattutto al fatto di aver fatto la campagna elettorale dall'opposizione, accusando il partito che era al potere di avere trascinato l'America sull'orlo del baratro. Perché Oltreoceano l'onda della recessione economica è già arrivata. American On L i n e M o n e y & Finance, una sussidiaria dell'AOL, la più grande società di distribuzione di contenuti multimediali del m o n d o , ha stilato una 72
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lista delle più importanti catene di negozi che, in vista della recessione economica che già devasta gli Stati Uniti, hanno annunciato la chiusura di molti dei loro centri commerciali: Antiques ' N ' Things: chiusi 120 negozi su 589. Per undici chiesto il fallimento. Disney Stores: 98 negozi in chiusura. Foot Locker: chiusura di 140 dei 3.785 negozi in aggiunta ai 274 negozi chiusi lo scorso anno. Wilsons Leather: chiusura di 160 negozi. H o m e Depot: chiusura di 15 negozi. Ann Taylor: 117 negozi in chiusura. PacSun ' D e m o ' Stores: chiusura di 154 negozi in aggiunta ai 74 negozi chiusi lo scorso maggio. Lonestar Steakhouse: 27 locali in chiusura. Zales: chiusura di 105 negozi su 2145. Pier 1 Imports: chiusura di 25 negozi, oltre ai 79 del 2007. Friedman gioiellerie: 120 negozi chiusi, dipendenti licenziati e avvio della procedura fallimentare. Dell: 140 negozi in chiusura. 84 Lumber: 140 n e g o z i in chiusura per la crisi immobiliare. Sharper Image: chiusura di 90 negozi e avviata la procedura di fallimento. Pep Boys: chiusura di 31 negozi. Ethan Alien: chiusura di 12 su 300 negozi. Rite Aid: chiusura di 28 negozi. Sprint/Nextel Corp: 125 negozi in chiusura con 9.500 persone licenziate tra il 2007 e il 2008. M o v i e Gallery: 400 centri chiusi su 3.500. CompUSA: 103 negozi saranno chiusi o venduti. 73
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Kirkland's: chiusura di 30 sul30 negozi. Fashion Bug, Lane Bryant e Catherine's: 150 negozi in chiusura. B o m b a y Company: chiude tutti i 384 negozi negli USA.
Dillard's Inc.: chiude altri sei negozi quest'anno. A b b i a m o voluto fare anche delle verifiche a campione rispetto ai dati forniti da A O L , e siamo andati a spulciare anche i comunicati stampa delle stesse aziende coinvolte. N e g l i Stati Uniti, in effetti, Foot L o c k e r sembra avere chiuso 250 punti vendita nel 2007 e ne sta chiudendo altri 140. Purtroppo nella rassegna stampa della società non si fa riferimento a nulla di tutto questo. Quanto m e n o una smentita sarebbe stata opportuna, ma forse è v e r o che ciò che non viene annunciato ai media è c o m e se non fosse mai successo. Grazie a questa cura dimagrante, però, il titolo ha tenuto bene ed è rimasto fermo ai 14 dollari di inizio anno. Il mercato crede nei licenziamenti. E v e r o che Macy's, la catena di grandi magazzini per eccellenza, ha chiuso nove negozi in sei Stati diversi. A gennaio valeva più di 30 dollari, ora ne vale 12,5. Pacific Sunwear, catena di abbigliamento sportivo, che valeva 16 dollari per azione un anno fa, ora ne vale m e n o di 4, e ha dichiarato di voler chiudere 154 punti vendita d o p o avere già p r o g r a m m a t o la chiusura di 74 nel 2007. La chiusura di tutta l'intera catena americana della B o m b a y Company ha gettato sul lastrico migliaia di dipendenti. Il titolo ovviamente è stato depennato dal listino a valore zero. Dall'esame generale di tutte queste notizie, che sono ovviamente solo una goccia nel mare magnum del 7.4
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mercato, si evince però che non c'è un solo settore che non sia in recessione. Grandi magazzini, antiquari, alimentari, abbigliamento, senza distinzione. M e n o occupazione, meno denaro e m e n o consumi generano ancora disoccupazione, il solito serpente che si morde la coda. E in questi giorni il colosso delle automobili, la leggendaria General Motors, già da tempo in difficoltà, ha annunciato per bocca del suo presidente Rick Wagoner che è stata costretta a chiedere al Governo un aiuto straordinario di 50 miliardi di dollari. Altrimenti la società subirebbe «una bancarotta devastante». Per dare un'idea delle conseguenze di una simile catastrofe, un analista della Deutsche Bank dal sito on line dell'autorevole «Financial T i m e s » ha scritto che in caso di default, questo scenario comporterebbe «l'immediata perdita di oltre 2,5 milioni di posti di lavoro, e 125 miliardi di dollari di calo di reddit i » . Può succedere? Se lo ha detto il suo presidente, tem i a m o di sì. E gli obbligazionisti italiani di General Motors andrebbero ad accodarsi a quelli delle già nominate Cirio, Parmalat e company. Per quanto ci riguarda, la contrazione dei consumi negli USA, il nostro più grande mercato estero, farà diminuire l'export dei prodotti italiani e a p o c o servirà il rafforzamento della valuta americana. Le aziende italiane sono già in allarme. E, c o m e abbiamo visto in questa circolarità economica, la grande onda della recessione non potrà non arrivare anche da noi. La situazione, insomma, è delle peggiori. Sapere che dobbiamo prepararci ad affrontare una crisi economica senza precedenti, che seguirà quella finanziaria come il tuono segue il lampo, forse ci potrà aiutare a combatterla meglio, a resistere al suo impatto. 75
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N e l 1940 Winston Churchill disse: « V i prometto lacrime, sudore e sangue», ma indicò ai cittadini di Sua Maestà la strada per poter resistere contro quello che sembrava lo strapotere tedesco. Sicuramente sopravv i v r e m o , ma d o v r e m o smetterla, c o m e diceva una vecchia contadina piacentina, di «mangiare il vitello in pancia alla v a c c a » . Un t e m p o noi italiani eravamo c o m e i cinesi oggi, tendevamo più al risparmio che alla spesa. D o v r e m o forse fare un buco alla cinghia, ma è v e r o anche che siamo messi meglio, c o m e risparmio, dei cittadini americani. La crisi ha colpito la Cina solo marginalmente perché, c o m e abbiamo accennato all'inizio, la propensione al risparmio è ancora del 40%, e la crisi dell'export che la sta già colpendo è vista c o m e un'occasione per stimolare maggiormente il consumo interno. Ma è anche un'occasione per prendere forse in mano le redini dell'economia mondiale, al posto degli Stati Uniti. H a n n o i numeri per poterlo fare, in tutti i sensi. E questo comporterà anche per noi un nuovo m o d e l l o di vita, non certo basato sui consumi, ma su altri valori un p o ' più solidi, c o m e la solidarietà, il mutuo soccorso e la ricerca di ricchezze più stabili. Questi però sono solo auspici. La recessione non potrà essere fermata, imporrà comunque un nuovo stile di vita. Ci saranno più poveri e più ricchi. Quella che segue è la rappresentazione grafica di quello che comporterà. L'uovo (fig.1) rappresenta l'economia reale. Nel mezzo c'è il ceto m e d i o , a sinistra la fascia povera e a destra quella ricca. Durante i periodi recessivi la pressione m a g g i o r e si esercita proprio sulla fascia cen76
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trale, il cosiddetto ceto medio, dal m o m e n t o che i poveri sono già in ristrettezze e la l o r o condizione è già disagiata di per sé, mentre i grandi ricchi trovano sempre il m o d o di approfittare delle debolezze altrui per guadagnare di più. Le frecce rappresentano invece gli effetti della recessione, che abbiamo indicato prima: m e n o produzione, m e n o consumi, più disoccupazione.
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Pressato nella parte centrale l'uovo tende a deformarsi, ovvero al suo interno si formano delle spinte che portano la quasi totalità della fascia media a spostarsi a sinistra, verso quella povera. Più o m e n o l'economia reale diventa così ( f i g . 2 ) . Aumentano quindi in via esponenziale i poveri, diminuisce drasticamente il ceto m e d i o . All'interno della zona della p o vertà ci sarà comunque chi sarà spinto verso le zone 77
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estreme, quella della mera sopravvivenza o anche p e g g i o . Quella dei senzatetto, per intenderci, quelli che o g g i vanno alle mense della Caritas. I m e n o p o veri saranno quelli provenienti dal ceto m e d i o , coloro che oggi appartengono a famiglie monoreddito. I ricchi, quelli che hanno il potere, saranno una cerchia sempre più ristretta, perché alcuni di c o l o r o che appartenevano a quella casta, soprattutto i proprietari delle piccole e medie imprese, si saranno spostati gradatamente verso la fascia centrale e poi verso quella della povertà. Questo fenomeno, in mancanza di interventi volti a ripristinare lo status quo, rischia di trasformarsi in quest'ultimo disegno (fig. 3 ) , dove la cellula iniziale, l'uovo, si è ormai spezzata in due parti. A questo punto, la grande massa della gente ha poco da perdere e il virus o il germe della violenza sociale troverà un fertile terreno su cui crescere e m o l tiplicarsi. Quando in una società, c o m e in alcune realtà sudamericane, il 98% della popolazione detie78
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ne il 2% della ricchezza, e il 2% della popolazione il 98% della ricchezza, può accadere di tutto. La storia dell'Argentina, del Brasile o del Sudafrica di qualche anno fa, dei grandi latifondisti e della favelas, non è così lontana c o m e si può credere. In questa situazione di pericolo il potere tende a conservare i privilegi e ad allearsi con la ricchezza, anche questo lo insegna la Storia. In breve, la recessione è uno dei grandi rischi per la democrazia. Lo ha capito bene in Russia Vladimir Putin, che ha visto negli anni passati il rischio che stava correndo il suo Paese all'indomani della recessione della fine degli anni Novanta, quando salì al potere. La situazione era esplosiva. Pochi oligarchi, nel caos creatosi con il dissolvimento dell'Impero sovietico, avevano tutta l'economia e la finanza nelle loro mani e la gente della strada soffriva la fame più di quando era sotto il tallone del comunismo. Il grande merito di Putin è stato di aprire la strada al ceto medio, rompendo le grandi oligarchie e facendo in m o d o che la ricchezza iniziasse ad essere distribuita in m o d o più equo. E questo ha aperto la strada al new deal russo, che con tutte le contraddizioni di un Paese enorme sta producendo benefiche conseguenze sulla gente. Anche per quello che è 79
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l'effetto fiducia. La gente della strada, la casalinga di Togliattigrad, per paragonarla alla nostra di Voghera, ama a suo m o d o Putin perché è quello che sta ricompattando la Russia e sta cercando di portare alla forma di uovo l'economia reale russa. La stessa cosa, tenuto conto che gli abitanti sono quasi dieci volte tanti, sta accadendo in Cina. Hu Jintao ne sta facendo un Paese ricco, sta accumulando risorse per quello che sarà il nuovo ceto medio, che oggi, secondo gli ultimi dati, è intorno al 5% della popolazione. Un p o ' p o c o , ma sono pur sempre settanta milioni di persone. Quanto meno, se finiremo con il sedere per terra, fra qualche anno potremo sempre andare a fare i camerieri a San Pietroburgo o a Pechino.
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Qualcuno l'aveva previsto
C'è qualcuno che aveva previsto la crisi già un paio di anni fa, con una tale dovizia di particolari che la sua analisi sembra più frutto di un'esperienza paranormale che di studi approfonditi. Si tratta del professor Nouriel Roubini, della N e w York University, conosciuto e schernito ( o g g i non più e volato alla ribalta) c o m e « d o c t o r D o o m » , il 'dottor Rovina'. Il 7 settembre del 2006, come riportato dal « N e w York Times» il 15 agosto 2008 in un corsivo a firma di Stephen M i h m , parlando a un folto pubblico di economisti del Fondo Monetario Internazionale, il professor Roubini disse chiaramente che gli Stati Uniti si sarebbero a breve dovuti aspettare un rovesciamento del mercato immobiliare, uno shock petrolifero, un aumento delle insolvenze nel settore dei mutui e dei finanziamenti, una crisi finanziaria senza precedenti, con il tracollo di molti hedge funds e di banche, comprese le già nominate Freddie M a c e Fanny M a e . Sarebbe quindi crollato l'indice di fiducia e sarebbe iniziato un periodo di grande e grave recessione. Alla fine del suo intervento il moderatore prese la parola e m o l t o maleducatamente disse al pubblico che per tirare su gli a81
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nimi sarebbe stato servito un bel drink. Il pubblico si mise a ridere: secondo loro erano tutte fandonie, e dato che il professore non aveva usato modelli matematici a sostegno della sua tesi, chi parlò dopo di lui lo bollò di fatto c o m e uno che aveva parlato a vanvera. L'anno successivo, d o p o che le prime avvisaglie di crisi si erano già verificate - con la fine della bolla immobiliare, le insolvenze sui mutui, la crescita del prezzo del petrolio e l'aumento della disoccupazione - tutti lo stettero a sentire con maggiore attenzione e preoccupazione. Ora tutte le istituzioni lo cercano e pendono dalle sue labbra nella speranza di sentirgli dire qualcosa di positivo: l'oscuro professore di N e w York, nato in Turchia da genitori iraniani, si è preso la sua rivincita. Quello che ha sostenuto recentemente è che non vede la luce in fondo a questo tunnel prima della fine del 2010, e che ancora per molto tempo disoccupazione e fallimenti saranno all'ordine del giorno. Questa crisi, a suo parere, potrebbe essere «la fine dell'Impero a m e r i c a n o » . Ventanni prima un artista, il regista canadese di origine francese Denys Arcand ( p r e m i o Oscar per Le invasioni barbariche), aveva intitolato un suo film proprio Il declino dell'Impero americano. N e l film si parlava di cose vacue, mentre tutto intorno il m o n d o crollava. Intuizione di artisti? Guarda caso il film uscì proprio a ridosso della peggiore crisi (prima dell'attuale) che avesse visto il m o n d o occidentale, era lunedì 19 ottobre 1987. Ancora un'altra intuizione, questa molto recente. Tra i più giovani lettori qualcuno conosce senza dubbio i Baustelle, un gruppo rock italiano che lo scorso anno ha scritto una bellissima canzone dal titolo Il li82
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berismo ha i giorni contati. Le parole: « A n n a . . . vede la fine in metropolitana, nella puttana che le si siede a fianco / Nel tizio stanco / Nella sua borsa di Dior / Legge la Fine nei sacchi dei cinesi / N e i giorni spesi al centro commerciale... È difficile resistere al Mercato, Anna lo sa... Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe». Sembra dunque che gli artisti riescano ad anticipare la realtà, e l'intervista che segue è fatta a quello che potrebbe essere considerato un artista dell'economia, uno che ha portato avanti le sue scelte da imprenditore senza il supporto dell'apparato finanziario. Un uomo che è andato all'estero per riuscire a non soccombere di fronte ad avversari una volta m o l t o potenti, e che ora vede però avverarsi molte delle sue previsioni. D i c i a m o solo che è un imprenditore del mattone, un capitalista di frontiera da un lato e di vecchio stampo dall'altro. Perché unisce una spaventosa intuizione e una capacità di anticipare i tempi a una visione di un m o d o di fare imprenditoria che sembra rifarsi a un'epoca lontana. Certo più sana di quella attuale, pur se con le sue belle storture, ma più vera, quella dove il capitalista quantomeno ci metteva del suo. Anni fa quest'imprenditore iniziò a sparare a zero sulle contraddizioni del m o n d o della finanza e su chi aveva le maggiori responsabilità. In questa intervista ci spiega perché subiremo le conseguenze della crisi sul piano dell'economia reale e quale futuro ci aspetta. Quando si è reso conto che sarebbe arrivata questa crisi e soprattutto come? « N o n sono certo un esperto in tecniche finanziarie e bancarie, ma mi sono reso conto venti anni fa che 83
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c'era una forte caduta di moralità. E ho ritenuto che la finanza facile avrebbe portato a quelle conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Mi stupiva anche la facilità con cui il sistema bancario non elargiva mai denari a imprenditori che davvero lo meritavano, ma in m o d o per così dire sempliciotto». Secondo lui la causa prima non sono quindi né i mutui subprime né i derivati, ma tutto nasce da una crisi di moralità. Forse ha davvero ragione, perché a monte di un certo tipo di menefreghismo e di rincorsa del guadagno facile c'è proprio un discorso morale. Perdita di moralità che si traduce in perdita di credibilità, dunque. « S o n o anni che io dico che i titoli bancari, non solo quelli americani ma anche quelli italiani, sono vicini allo zero. Se si potessero infatti iscrivere a bilancio le perdite derivanti dal fatto che i denari che hanno prestato non saranno probabilmente mai restituiti, la situazione apparirebbe m o l t o più preoccupante. N e l 1989 feci fare una ricerca per vedere come incidevano le sofferenze di una banca che ero interessato ad acquisire. Dicevano che fosse ben gestita, ma io avevo qualche dubbio. E in effetti le indagini mi dettero ragione. Dove la banca agiva in zone di alta moralità ( o v v e r o dove c'era gente che lavorava sodo) le sofferenze erano minime. Ma quando il denaro veniva dato solo per migliorare la qualità di vita della clientela, purtroppo le cose erano diverse e le sofferenze elevatissime».
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Quindi lei dice che non era la banca ad essere gestita bene, ma ciò dipendeva unicamente dalla moralità? «Certo, la buona gestione esisteva nelle zone in cui l'imprenditoria era moralmente più sana. Ora negli ultimi venti anni la moralità è scesa verticalmente e quindi era evidente che prima o poi il sistema bancario sarebbe esploso». Insiste su questo fatto della moralità. Detto da un imprenditore di questo livello, che ha vissuto e lottato in un ambiente che non rappresenta certo il massimo della trasparenza e dell'etica, assume un significato speciale. In effetti la sua è una storia di lotta, anche dura, contro alcuni eminenti personaggi della finanza italiana, finiti poi sulle prime pagine di tutti i giornali per vicende p o c o trasparenti. Cosa succederà ora che le contraddizioni sono venute al pettine? « M e n o male che sono intervenuti i governi centrali, senza il loro sostegno e quello delle banche centrali con le iniezioni di liquidità il sistema bancario sarebbero collassato, sarebbe andato a catafascio. È ovvio che avrebbe trascinato l'economia non tanto in recessione, perché ormai è lì che stiamo andando, quanto verso una forte depressione o una deflazione». Già, la depressione. Se quella del 1929 fu chiamata la Grande Depressione, speriamo che la Storia fra qualche anno dica solo che abbiamo rischiato una seconda Grande Depressione. Avviene quando a un periodo di recessione, o v v e r o di grave crisi economica in cui manca il credito e diminuiscono sia la produ85
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zione sia i consumi, si accompagna una drastica diminuzione dei prezzi, o v v e r o una deflazione. La domanda di beni e servizi crolla e le imprese cercano di vendere a prezzi sempre più bassi, gli utili tendono ad azzerarsi e questo crea di conseguenza riduzione dei salari e disoccupazione. I tassi tendono a scendere vicino allo zero ( c o m e in Giappone alla fine degli anni N o v a n t a ) e lo Stato non riesce più a emettere moneta per favorire la circolazione del denaro e dare impulso all'economia. Ovvero con tali tassi alle banche centrali viene a mancare un fondamentale strumento di controllo della politica monetaria. L'economia diventa anoressica e per assurdo, per stimolarla, i tassi dovrebbero scendere sotto lo zero, cosa che evidentemente non è possibile. Sarebbe c o m e dire che chi presta denaro deve dare anche gli interessi a chi glielo chiede. Il nostro imprenditore incalza e lancia l'ennesimo sasso. «Depressione e deflazione sarebbero mortali per l'economia. Il pericolo però non è ancora terminato, mi fa paura il mercato dell'euro diviso. La gente pensa ancora che un titolo con una garanzia bancaria sia sicuro, ma se poi legge bene il contratto si rende conto che la banca non è responsabile della restituzione del denaro, ma solo di far conoscere il n o m e dell'ultimo prenditore del d e n a r o » . Come per gli assegni? « P u r non essendo uno che può definirsi un addetto ai lavori qualche nozione ritengo di averla. Io non sono mai riuscito a capire alla fine chi è l'ultimo garante di tutti questi contratti che si fanno con l'euro/divi86
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sa. Se succede qualcosa lì, se si inceppa il meccanismo, la depressione e la deflazione sono assicurate». Torniamo alla moralità. Qual è la responsabilità dei manager delle società, per intenderci quelli che hanno sostituito i vecchi banchieri? « I l fatto è che il capitalismo di un certo genere non è più dominato da quelli che un tempo erano chiamati i padroni. Una parola che tanto fastidio dà a un certo tipo di cultura». È vero, chi sono i padroni oggi? Quelli che hanno la maggior parte del capitale azionario o quelli che governano di fatto le società? Certo è che la parola padrone sembra uscita da un vecchio libro di Marx, e oggi questa parola la sentiamo solo in alcuni rari cortei. Però rende bene l'idea, molto più di manager o imprenditore. « U n a volta il padrone si identificava con la società che dirigeva, pensava a quella società in termini di future generazioni, e quello era per me un tipo di capitalismo da invidiare. Speriamo che torni. Mentre il capitalismo del manager che rimane sei mesi o un anno in un posto e p o i se ne va è un capitalismo destinato ad essere perdente. Spero che l'influsso di questo tipo di capitalismo vada a diminuire sempre di più in questi anni. Mi spiego meglio: questo è il capitalismo del manager che dice: « " I o adesso presenterò un bilancio come si deve perché presto i miei soldi a 3/4 di punto di più di quello del mercato, e quindi avrò un utile fortissimo. Se poi non riavrò più i soldi indietro questo sarà un problema di chi verrà dopo di me". Ecco, questo è però un tipo di capitalismo che è stato anche molto pompato dai g i o r n a l i » . 87
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N o n è un mistero che i media siano spesso e volentieri proni di fronte a c o l o r o che hanno il potere. Di fatto la stampa indipendente da noi non esiste, almeno secondo il modello anglosassone. Perché la gente non legge e i giornali senza pubblicità e sostegni vari non sono aziende che rendono. Questo è il guaio dell'Italia. I lettori dei due maggiori quotidiani italiani non superano il 3% della popolazione. Il più importante quotidiano e c o n o m i c o è letto dallo 0,6%. Se non leggiamo non abbiamo n e m m e n o tanto il diritto di lamentarci. Ma andiamo avanti. « Per fortuna il nostro è ancora un capitalismo molto familiare, speriamo rimanga così. Mentre i giornali, dicevo, continuano a pompare i nomi di manager che hanno provocato perdite colossali alle aziende che hanno diretto, perché evidentemente questa gente passa il proprio tempo non a dirigere la società, ma solo a crearsi un'immagine. Ne ho visto qualcuno ospite in televisione proprio in questi giorni, ed era lì a pontificare sulla crisi d o p o aver creato lui stesso perdite esagerate alla società che dirigeva». Lei prima ha parlato di recessione e poi ancora di depressione. Quali sono gli scenari che si aprono davanti a noi? « S p e r i a m o innanzitutto che non sia una depressione, o v v e r o una recessione accompagnata da deflazione. Il problema è che la mancanza di fiducia terrà la gente sempre più lontana dal consumo, di conseguenza anche i beni reali correranno il rischio di scendere di prezzo. Però farei un'eccezione. E riguarda il settore immobiliare».
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È un imprenditore del mattone, e sembra giustamente tirare l'acqua al suo mulino. P e r ò i dati dei rendimenti dei suoi investimenti degli ultimi dieci anni, presi direttamente dai bilanci delle società, sono m o l t o eloquenti, e i risultati sono del tutto slegati dall'andamento delle borse e della finanza. Questo è un imprenditore vero, che rischia del suo e che è orgoglioso di quello che ha fatto. Continui. « V e d e , a differenza del 1929, questa immissione di liquidità può darsi che non faccia un grande effetto sui beni di consumo, perché la mancanza di fiducia induce la gente a consumare di m e n o . . . e questo è pericoloso. P e r ò chi ha delle riserve avrà comunque il problema di c o m e investire questo denaro. Che non può essere tenuto semplicemente in liquidità per un lungo periodo di t e m p o perché i tassi si avvicineranno allo zero. Il problema di chi ha della liquidità sarà c o m e investire questo denaro, e allora io dico che forse qualcuno si riavvicinerà alla Borsa, sì. Ma c o m e , d o p o quello che è successo? Ai fondi di investimento? Sicuramente m o l t o m o l t o di m e n o . È più facile invece che si avvicineranno al mattone, magari scegliendo in quale Paese ci possano essere le migliori opportunità. Credo davvero che il denaro si indirizzerà verso il settore immobiliare. Il fatto è che il mattone non ha mai tradito nel lungo p e r i o d o » . La sua difesa del mattone è legittima, perché questo self made man vi ha costruito sopra il suo impero e c o n o m i c o . A sostegno delle sue tesi aggiunge qualcosa che comunque fa riflettere: « I o credo che succe89
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derà qualche cosa di strano, ovvero che tra un po', nell'ambito del mattone, non ci sarà più offerta. Credo che il p r e z z o salirà non tanto per la crescita della domanda, quanto per l'assenza dell'offerta, cioè la gente non venderà se non in caso di effettiva necessità. In effetti per capire questo basta dare un'occhiata ad alcuni titoli della Borsa italiana. Lo sa quali sono i titoli che hanno retto m e g l i o in questo periodo? Bene, Generali è uno dei titoli che si difende m e g l i o . Forse perché Generali è gestita m e g l i o di altre? N o , è soprattutto perché la società è piena di i m m o b i l i che negli anni si sono rivalutati moltissimo. Però allora tanto vale che, se può, uno si compri gli immobili per conto p r o p r i o » . E la bolla immobiliare? La sua stoccata parte da lontano. « L a prima bolla è la bolla dei tulipani nel 1600, ma la gente non imparerà mai niente». Ha ragione, la prima bolla riguarda proprio il tulipano, il fiore. Siamo nel 1634. Da molti anni il tulipano è diventato un oggetto ricercatissimo. La gente vende le case e i terreni per comprare fiori e bulbi e quando può lascia tutto per mettersi a produrli. Come riporta il Dizionario di Politica e Commercio di Girolamo Boccardo, del 1857: « M o l t i capitalisti si diedero a farne c o m m e r c i o , accaparrarono tutte le cipolle e le radiche esistenti nel Paese e produssero, per via del monopolio, un artificiale incarimento [ . . . ] tutte le utili industrie furono abbandonate, vogliosi di fare pronta fortuna senza sudori [ . . . ] molti si arricchirono ma molti altri caddero quando [ . . . ] i più a90
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stuti giocando al ribasso, quando avevano già all'aumento giuocato, fecero scemare il prezzo di una merce di cui gli stolti avevano fatto costosi approvvigion a m e n t i » . Il ponderoso manuale va avanti raccontando la storia di un marinaio che aspettando l'armatore vide un tulipano e staccò il fiore dalla pianta mettendoselo all'occhiello. Quando l'armatore lo vide, gridò: « M i s e r o me, tu m'hai rovinato... struggesti un valore di più di migliaia di f i o r i n i . . . » . Da tenere presente che con m e n o di trenta fiorini si comprava un maiale. Il p r i m o future, insomma, non è stato fatto c o m e dicono i libri alla Borsa di Chicago nella metà dell'Ottocento, ma al mercato di Rotterdam più di duecento anni prima. Ma seguiamo il suo ragionamento. «Queste bolle hanno una ciclicità, l'ultima grande bolla è stata solo sei o sette anni fa, quella di Internet. Attenzione, tutti parlano di bolla immobiliare, ma non è vero, perché la bolla non è stata sul mercato immobiliare bensì sulla parte finanziaria del mercato immobiliare. E soprattutto in America dove il mercato immobiliare non era più immobiliare ma finanziario. Quando io finanzio l'immobile al 100% non faccio più immobiliare, ma finanza. Se i prezzi salgono, la rata di mutuo me la pagheranno, ma se i prezzi scendono, c o m e è stato, è l o g i c o che non la paghino più, anche se hanno i soldi. E c c o perché le case in America sono scese decisamente. Mentre in Italia no. Ho visto le ultime statistiche e a M i l a n o il mercato è sceso dell'1,6%, e dato che questo è un prezzo medio, se le periferie sono scese di più, nel centro il prezzo ha tenuto tranquillamente e in alcuni casi è salito. La 91
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gente non si deve lasciare abbindolare da queste invenzioni giornalistiche sulla bolla immobiliare. Oggi se lei vuol comprare una casa a Milano la paga lo stesso prezzo di sei mesi f a » . Lei vuol dire che è stata la finanza ad andare a danneggiare il mercato immobiliare? È da lì che è partito tutto, allora? «Facciamo un'analisi tenendo un attimo da parte i momenti di panico c o m e questi, e ricordiamoci che parliamo di edilizia residenziale. Guardiamo invece gli shopping center. Fino a ieri mi dovevano rendere il 6 o il 7%, questo perché il costo del denaro era al 3,54%. Supponiamo che il reddito fisso scenda e dal 4% si arrivi vicino allo zero, c o m e sta accadendo. Il m i o immobile che mi rende ancora il 6% ha quindi un valore ancora maggiore. E quindi tendenzialmente salirà e non scenderà di prezzo. Certo, sempre a condizione che lo shopping center funzioni e che gli spazi siano affittati allo stesso prezzo di prima. L'importante, è ovvio, è che passi il momento e che io riesca a conservare gli inquilini. Il fatto è che la gente guarda troppo vicino per gli investimenti. Il m i o orizzonte temporale è un po' più lungo degli altri, diciamo cinque o sei anni forse un po' di p i ù » . Quest'imprenditore è stato coerente con le sue idee. Infischiandosene della Borsa che saliva, negli anni d'oro si è dedicato al mattone. Ora si sta prendendo la sua rivincita, anche contro quelli che sono stati chiamati furboni e furbetti, ma solo quando sono caduti. Adesso difende giustamente le sue scelte. Il problema è che se davvero questa recessione do92
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vesse sfociare in una depressione, saranno in pochi quelli che si salveranno, altro che investire. In coda all'intervista, però, concede una ventata di ottimismo. «Finirà b e n e » , dice a registratore spento, « c i vorrà del tempo ma finirà b e n e » . Finora le ha sempre indovinate.
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I primi scotti da pagare in Italia e l'effetto O b a m a
A b b i a m o visto la malattia, e abbiamo cercato di fare una diagnosi. Ma senza individuare una terapia è una ben magra soddisfazione avere anche solo intravisto le cause che ci stanno rapidamente portando verso una fase depressiva dell'economia, con tutto quello che abbiamo visto ne conseguirà. Ciò che segue sarà da una parte l'analisi di quello che stanno facendo «gli altri», cioè le grandi banche e i governi, e dall'altra quello che possiamo fare noi. Ed è m e g l i o ricordare che le continue altalene delle borse non devono indurci in inganno. N e l corso degli anni la finanza ha preso possesso dell'economia. Lo abbiamo accennato all'inizio del libro: quando si è arrivati a prestare il denaro anche a chi non era assolutamente in grado di ripagare il debito, ci si illudeva che la finanza avrebbe in qualche m o d o trovato il sistema di cavarsela da sola. Quando negli Stati Uniti le società finanziarie offrivano mutui la cui rata mensile superava anche del doppio lo stipendio, non si facevano più operazioni immobiliari, non erano più operazioni legate all'economia reale, ma era solo finanza creativa, e della peggior specie. Qualcuna del95
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le società finanziarie suggeriva addirittura di pagare le rate del mutuo addebitandolo sulle carte di credito, debito su debito, rata su rata. Lo stesso in Italia, quando non si chiedeva più a tecnici seri di periziare l'immobile oggetto di mutuo, ma ciascuno si faceva una sorta di autocertificazione del valore della casa, ottenendo anche più del suo stesso valore. Il risultato di tutto questo, c o m e delle continue e paurose oscillazioni, lo possiamo oggi identificare nella prima vera grande sconfitta della finanza e dei finanzieri. E non solo di quelli d'assalto: ormai da tempo più o meno tutti hanno cavalcato la tigre della finanza facile, per non essere spazzati via da una concorrenza sempre più aggressiva e folle. Come se la finanza, ovvero il denaro, fosse più importante dell'economia, cioè del lavoro, della produzione. La finanza è stata una grande mentitrice, un'ammaliatrice e un'illusionista, ma ora il velo è caduto e quella che sembrava una splendida donna si è rivelata una vecchia strega. Ora si cerca di correre ai ripari. V e d i a m o « c h i fa che cosa» e se questi provvedimenti possano essere utili all'economia più che alla finanza stessa. Se spesso parliamo degli Stati Uniti non è per piaggeria o esterofilia, ma solo perché quello che accade Oltreoceano, nel bene e nel male, arriva prima o poi anche da noi e dobbiamo essere pronti. Perfino la vittoria di Barack Obama non deve darci troppe speranze, a noi che stiamo da quest'altra parte dell'Atlantico. È auspicabile che diminuisca l'impegno bellico. La guerra in Iraq, secondo fonti ufficiali, è costata fino a oggi settecento miliardi di dollari, ma secondo altre fonti, considerato anche tutte le spese indirette, tremila miliardi di dollari. Oltre naturalmen96
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te alle quattromilacinquecento vite umane americane e a oltre centomila degli « a l t r i » , che non sono per questo meno importanti, ma dei quali spesso ci si dimentica, « b u o n i » o «cattivi» che siano. Probabilmente, in politica estera Barack Obama farà un gran bene a tutto il m o n d o , ma è da ricordarsi che generalmente la posizione dei democratici americani è più isolazionista, più protettiva, più rivolta al benessere interno piuttosto che al potere esterno. N e l p r i m o discorso di insediamento da Presidente eletto, Obama ha detto testualmente: « M o l t i s s i m i americani sono senza lavoro. Stiamo affrontando la sfida economica più importante della nostra v i t a » . Al discorso dell'accettazione della candidatura aveva già annunciato di voler punire sotto l'aspetto fiscale quelle aziende che avevano delocalizzato, ovvero che avevano spostato all'estero alcune o la totalità delle l o r o linee di produzione. Tutto ciò significa, è vero, cercare di ridare lavoro ai disoccupati americani: ma significa pure togliere il lavoro negli altri Paesi, anche in Italia. È di questi giorni il caso della Eaton di Massa Carrara, una multinazionale americana specializzata nella produzione di componenti per auto. Trecentocinquanta persone hanno saputo improvvisamente che la fabbrica avrebbe chiuso i battenti. Trecentocinquanta persone che saranno presumibilmente inserite in cassa integrazione straordinaria, e poche di loro saranno in grado di riciclarsi in aziende similari. In zone limitrofe, poi, è quantomeno improbabile. Trecentocinquanta famiglie per la strada. Era pure un'azienda che andava bene, che fino al mese prima della chiusura aveva gratificato i propri dipendenti 97
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con un p r e m i o di produzione. Ed è anche il caso de La Perla di Bologna, la famosa azienda conosciuta in tutto il m o n d o per la qualità della sua lingerie. La Perla una volta era un'azienda italiana: fondata nel 1954 da Ada Masotti, è sempre stata gestita dalla famiglia. P o i nel 2007, la vendita del 70% - chiamiamola partnership, c o m e si legge nel sito ufficiale della società - a un'azienda di capitali americana, di private equità, c o m e si dice in gergo, la JH Partners. Azienda di capitali, non una fabbrica, non una concorrente, non una che investe in produzione. N o , proprio un'azienda di quelle che vive esclusivamente di finanza. Il 19 ottobre è arrivato l'annuncio di Jerry Hansen, partner di JH Partners (probabilmente JH è proprio lui) e amministratore delegato de La Perla, di aver acquisito il restante 30%. N e l sito di Atena-Mode si legge il suo comunicato: «L'acquisizione del 30% ancora nelle mani della famiglia Masotti è la conferma del nostro entusiasmo per La Perla, dimostra la fiducia che riponiamo nelle sue prospettive di crescit a » . Sei giorni dopo, arriva l'annuncio dello stesso signor amministratore delegato che oltre la metà dei lavoratori de La Perla se ne devono andare. Altre 365 persone. Di fronte a queste cose, di fronte a quella che sarà ed è già una minaccia non tanto alla nostra ricchezza, quanto al nostro futuro, alla nostra pace sociale, si dovrebbe rispondere con una legge che requisisca le società che licenziano acquisite da società estere da m e n o di dieci anni. Una norma antispeculazione che favorisca il lavoro interno. Se gli USA lo possono fare perché noi no? Purtroppo questi sono solo due casi, non siamo che all'inizio, ma già l'elenco sarebbe lungo. Quattrocen98
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tocinquanta alla H 3 G , quella dei telefonini, un quarto dei dipendenti della Roland Europe (multinazionale nipponica di strumenti musicali), che va a « d e l o c a l i z z a r e » in Cina, dove la manodopera costa meno. Queste sono solo delle onde, tra le prime, di cui sentiremo purtroppo parlare sempre più spesso. Perché quando una grande azienda chiude, o riduce drasticamente la produzione, inizia una reazione a catena, c o m e quella dei derivati che abbiamo già visto. Tutte le aziende più piccole, totalmente italiane, di piccoli imprenditori o artigiani, che forniscono beni e servizi, che vanno dalla mensa aziendale, ai trasporti, all'assistenza tecnica, all'arredamento fino alla pulizia, ne saranno immediatamente coinvolte. Avranno m e n o lavoro, quando non lo perderanno del tutto, e questo significherà minore occupazione, con tutte le conseguenze sui consumi e sulla circolazione di ricchezza. M i n o r e spesa e m a g g i o r e difficoltà per i commercianti e così via. Questo è quanto ci aspetta. D o b b i a m o saperlo per essere pronti.
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Le terapie dei governi
Vediamo allora quali sono stati, in questi ultimi tempi, i provvedimenti a salvaguardia del nostro futuro, compresi quelli previsti dagli USA, compresi i pieni poteri dati al segretario al Tesoro Henry Paulson, perché è da lì che potrebbe ripartire l'economia, anche la nostra. N e g l i Stati Uniti, il Governo si è impegnato a garantire tutte le emissioni bancarie di debito privilegiato per i prossimi tre anni. Lo stesso fa la Gran Bretagna con 250 miliardi di sterline. In Usa hanno aumentato da 100.000 a 250.000 dollari per depositante la garanzia sui depositi bancari (in Italia è di 103.000 euro), in Gran Bretagna fino a 50.000 sterline. Dei 700 miliardi di dollari previsti dal piano Paulson per aiutare le banche americane in difficoltà, 100 miliardi saranno utilizzati per acquistare titoli da quelle in difficoltà. Era anche stato fatto un provvedimento per proibire le vendite allo scoperto (vedi i capitoli precedenti), ma inspiegabilmente il provvedimento è stato ritirato l'8 ottobre scorso. In Giappone hanno abolito il divieto alle aziende di riacquistare i propri titoli - era un m o d o per evitare la speculazione ai dan101
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ni dei piccoli risparmiatori - ma al tempo stesso il Governo si è autoimposto di non vendere le azioni delle società private in suo possesso. Una misura protezionistica o un'azione a tenaglia, c o m e si usa dire, per frenare la discesa di valore dei corsi azionari. Da un lato le aziende comprano le proprie azioni e dall'altro il Tesoro non può vendere quelle che ha. Per le vendite allo scoperto esiste già un divieto da molti anni. Francia e Germania hanno deciso un intervento rispettivamente di 320 e 400 miliardi di euro a favore del settore bancario e hanno bloccato temporaneamente le vendite di titoli allo scoperto. In Russia (che nonostante le sue dimensioni è un Paese che produce solo il 3% della ricchezza mondiale) lo Stato è intervenuto con un sostegno alle banche di 100 miliardi di dollari. In Cina hanno fatto una cosa interessante: hanno diminuito la riserva (vedi il p r i m o capit o l o ) obbligatoria per le banche, quindi hanno dato l o r o un p o ' di fiato, ma hanno al tempo stesso abolito la tassa sui redditi da deposito, quella che da noi è ancora del 27%. In pratica in questo m o d o hanno invitato la gente a risparmiare di più, perché il denaro depositato in banca non è più tassato. Saggezza cinese. Ovviamente, proprio per la loro antica saggezza, la vendita dei titoli allo scoperto non è mai stata consentita. E in Italia? Il G o v e r n o ha stabilito un'emissione straordinaria di 40 miliardi di euro per fare fronte a eventuali perdite delle banche, si è dato delle regole che gli permettono di prendere partecipazioni azionarie nelle banche in difficoltà, ma senza diritto di v o t o . La vendita allo scoperto è stata sospesa fino al 31 dicembre 2009. 102
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Questi i dati. Ma i dati, si sa, sono freddi e a volte non dicono nulla. Qualcosa però stavolta lo dicono: ovvero che tutti gli interventi, a parte forse quello cinese, sono volti alla salvaguardia delle banche, cioè di una parte consistente della finanza, cioè, alla fine della fiera, a quella che da carnefice è diventata vittima. Probabilmente non si poteva fare altro, perché se il sistema bancario andasse a catafascio, i depositi dei clienti non fossero più garantiti, il credito non fosse più erogato, si tornerebbe a un'epoca dove forse solo il baratto troverebbe spazio nell'economia reale. Il caos, in breve. Il sistema bancario italiano, c o m e detto, è ancora ruspante rispetto a quello americano. N o n è un demerito, ma un grande merito. Qui ci sono ancora dei banchieri, qui le banche cosiddette d'affari sono poche, e la maggior parte di quelli che sono i nostri colossi appaiono sostanzialmente sani. Forse nel settore strettamente privato, quello più piccolo, quello che si defila, possono nascondersi delle mele marce, quelle che nei momenti della finanza creativa apparivano c o m e p o m i d'oro. Lo sapremo tra qualche mese. Ma allora questi interventi, e parlo soprattutto dell'Italia, saranno riservati solo alle banche? O i nostri governanti hanno previsto qualcosa a favore di quella che sarà la crisi vera, quella dei licenziamenti, quella dei fallimenti, quella della recessione, quella della depressione? È giusto proteggere le banche, lì dentro ci sono i nostri risparmi, senza di loro il denaro non circolerebbe, ma poi? Alla gente, all'economia reale, quella che negli Stati Uniti è già a livelli asfittici e che ci aspetta dietro l'angolo, qualcuno ci sta pensando?
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Senza santi in Paradiso
Vediamo ora che cosa possiamo fare noi, con il classico «aiutati che Dio t'aiuta», anche perché forse avremo bisogno anche di Lui. Nel capitolo La vera crisi: l'economia reale, abbiamo visto come i maggiori effetti della crisi economica ricadano sul ceto medio. Le fasce più disagiate lo saranno ancora di più, e questa è una tragedia, ma in termini assoluti la fascia media sarà quella che vedrà maggiormente abbassarsi il proprio livello di qualità della vita. Ceto m e d i o non è solo il professionista, ma anche l'impiegato e l'operaio, magari di una famiglia dove si lavora in due e dove si riesce a risparmiare qualche cosa. E questo è il primo punto da esaminare. In una crisi che vede coinvolte anche tutte le maggiori società finanziarie del mondo, e che ha visto e vede i governi centrali intervenire in loro sostegno per evitare il fallimento, viene spontaneo chiedersi se quei pochi risparmi messi da parte sono al sicuro. Sotto l'aspetto tecnico, in Italia i depositi bancari sono garantiti da Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Il FITD è stato fondato nel 1987 e nel corso della sua storia è intervenuto sei volte, la prima con 105
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un intervento di sostegno di ottocento miliardi di vecchie lire alla C.R. Prato, e l'ultima nel 1997 con mille miliardi per la liquidazione della Sicilcassa. Il FITD garantisce fino a 103.291,38 euro per depositante. C'è anche la vostra banca, aderiscono tutte, e potrete controllarlo per scrupolo sul sito del fondo stesso andando a cliccare sulla pagina www.fitd.it/banche_cons/ banche_consorziate/consorziate_elenco.pdf. Potete quindi stare abbastanza sicuri nel caso di conti correnti, depositi (anche vincolati), assegni circolari e certificati di deposito nominativi. E basta. Fondi, obbligazioni, gestioni patrimoniali, titoli di Stato e tutto quanto non compreso nella lista precedente è escluso. Fanno eccezione la Banche di Credito Cooperativo, che hanno un loro fondo e che garantiscono anche le obbligazioni emesse dalle вcс che a deriscono (tutte) al fondo stesso. Possono stare tran quilli anche i clienti delle вcс, dunque. A n z i , il 25 lu
g l i o 2008 è stato costituito il nuovo F o n d o di Garanzia Istituzionale ( F G I ) del Credito Cooperativo che diventerà operativo nel 2009. Il cui scopo, testualmente ripreso dal sito ufficiale www.federcasse.it, è « q u e l l o di tutelare la clientela delle oltre 400 Banche di Credito Cooperativo, Casse Rurali, Casse Raiffeisen altoatesine salvaguardando la "liquidità e la solvibilità" delle banche aderenti attraverso azioni correttive e interventi di sostegno e prevenzione delle crisi. Il FGI offre, in questo m o d o , una tutela "globale" per i risparmiatori clienti delle вcс in relazione a tut ti i crediti che questi vantano nei confronti della pro pria banca. Tutela aggiuntiva a quella, obbligatoria per legge per tutte le banche, che limita la tutela dei depositanti alla s o m m a di centotremila e u r o » .
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Attenzione invece alle banche straniere, andate a ricontrollare l'elenco: per quelle che aderiscono al FITD non c'è problema, ma per chi non aderisce valgono le regole del Paese dove la banca ha la sede. Per esempio, per una banca inglese che non aderisce al FITD è previsto un rimborso fino a 50.000 sterline, pari a oggi a circa 62.000 euro. Se poi avete i risparmi alle P o ste e non trovate nell'elenco BancoPosta, non allarmatevi. È vero, il BancoPosta non aderisce al FITD, ma perché il suo azionista di maggioranza è il Tesoro, e quindi lo Stato. La buona notizia è che la garanzia vale per depositante, quindi se siete in due e avete duecentomila euro depositati a doppio nome, sarete rimborsati entrambi. L'altra buona notizia è che la garanzia vale per ogni banca, quindi se siete dei paperoni e avete centomila euro in dieci banche, alla fine siete garantiti per un milione di euro. La notizia non rassicurante è che andando a leggere la relazione 2008 dell'ultimo bilancio del FITD, a pagina 10 si evince che il totale dei Fondi Rimborsabili ammonta al giugno 2007 a 395,2 miliardi (rispetto ai 402,1 del dicembre 2006). Si legge anche che rispetto all'anno precedente, seguendo un ordine crescente di pericolosità, le banche « i n attenzione» passano da 14 a 16, quelle « i n osservazione» da 2 a 1, mentre quelle « i n penalizzaz i o n e » da 16 a 24. Una sola era, ed è rimasta, in «grave squilibrio». A pagina 15 tiriamo un sospiro di sollievo: le sofferenze nette sono sempre più basse e il patrim o n i o è sempre più alto. Però in Italia, alla fine del 2007, il totale dei depositi, secondo la Banca d'Italia, era di circa 750 miliardi di euro, oltre la metà degli asset totali del Fondo. N e l caso deprecabile di un crac che coinvolga la metà delle banche, i fondi ovviamen-
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te non basterebbero. Ma c'è un altro punto: il fatto è che questi fondi non esistono materialmente, ma sono presso le stesse banche. In pratica la somma di tutte garantisce le singole, ma i soldi di fatto sono presso le banche stesse. Insomma, per i singoli casi c'è da stare tranquilli, ma se il patatrac dovesse coinvolgere il sistema saremmo punto e daccapo: o interviene lo Stato o sono guai per tutti. L'ideale sarebbe forse che il Fondo fosse «materialm e n t e » dotato degli asset, ma si sa che gli ideali il più delle volte rimangono tali. A d ogni m o d o il FITD è comunque una garanzia, e non piccola, gli interventi « s p o t » ci sono stati e sono stati efficaci. Per singole operazioni di salvataggio ha dimostrato di sapere intervenire, ma per una reazione a catena che coinvolgesse l'intero sistema non ci sono santi che tengano. A b b i a m o sant'Isidoro protettore dei programmatori per computer, san Faustino protettore dei single e san Martino dei cornuti. A b b i a m o san Basilide protettore della Polizia Penitenziaria e san P i o da Pietrelcina protettore della Protezione (Civile), il grande Matteo evangelista protettore di banche, banchieri, bancari ed esattori. Ma tra tutti i santi non ce n'è uno che sia protettore dei risparmiatori e del loro denaro, forse perché è ancora considerato lo sterco del Diavolo.
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I nostri soldi: cosa farne?
Che fare dei nostri soldi? A b b i a m o detto che fondi, obbligazioni e gestioni sono al di fuori di qualunque garanzia. Come si fa per capire se sono «abbastanza» al sicuro? Al di là del tipo di rischio legato all'investimento, ci sono fondi e fondi, obbligazioni e obbligazioni. La buona notizia è che un fondo non può fallire, nel senso che i proprietari di un fondo comune o di una SICAV (Società di Investimento a Capitale Variabile, paragonabile a un fondo comune) sono gli stessi sottoscrittori. Qualcuno in questo periodo teme però che possa fallire chi materialmente gestisce il denaro all'interno dei fondi, che, secondo il Testo Unico della Finanza, può essere solo una SGR (Società di Gestione del Risparmio, in Italia ce ne sono oltre centosessanta e meno della metà sono di diretta emanazione bancaria). La legge è chiara a proposito: anche se la SGR dovesse fare bancarotta, il suo eventuale fallimento non coinvolgerebbe il patrimonio del fondo stesso. In pratica, un gestore può ugualmente portarvi alla rovina se è incapace di gestire bene i vostri soldi, ma se fallisce i creditori non possono aggredire il patrimonio del fondo, i vostri soldi. Per L e g g e sono patrimoni se109
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parati come quelli di marito e moglie che hanno scelto la separazione dei beni. I debiti del marito non coinvolgono i beni della moglie. E lo stesso vale per quanto riguarda la banca depositaria, ovvero quella che di fatto detiene i soldi del fondo, i vostri soldi. La L e g g e stabilisce che i patrimoni della banca depositaria e del gestore siano separati da quello del fondo stesso. Per capirci, chi compra le quote di un fondo, non è creditore del fondo, è lui stesso un proprietario, che ha dato a un altro la delega di gestire i suoi soldi in un certo m o d o (cioè c o m e indicato nel prospetto del fondo stesso). Discorso diverso per le obbligazioni: chi le compra diventa invece creditore diretto della società che le emette, e quindi se questa va a ramengo, vanno in malora anche i debiti della società stessa. Ne sanno qualcosa i risparmiatori Cirio, Parmalat, Argentina e tanti altri, ultimi quelli (pare siano quarantamila) della L e h m a n Brothers. C'è cascata anche la SIAE, ma sull'ammontare dell'importo circolano solo voci. In data 26 aprile 2008, aprendo i lavori del CDA, il suo presidente Franco Migliacci ha voluto lasciare sul sito della società (www.siae.it) questa dichiarazione: «Gli investimenti effettuati con la L e h m a n Brothers non ammontano a 200 miliardi di vecchie lire, e non sono stati effettuati in bond s v i z z e r i » . Una dichiarazione al negativo, che non chiariva nulla. Scoppiato il bubbone alla metà di settembre, è venuto fuori che l'investimento in titoli della Lehman Brothers a m m o n terebbe (forse) a 40 milioni di euro, comprati in epoca non sospetta, nel 2003. La notizia è stata riportata su tutti i giornali, soprattutto a seguito dell'intervento della Codacons, l'associazione a difesa dei consu110
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matori, in un altro comunicato stampa datato 15 settembre e presente sul sito www.codacons.it, in cui, tra l'altro, si legge: « P r o p r i o alla Procura di R o m a il Codacons e il suo presidente Carlo Rienzi - socio SIAE - chiedono di sequestrare presso la filiale italiana della L e h m a n Brothers i 40 milioni di euro investiti, c o m e forma di garanzia per i soci SIAE». Sicuramente preferivo il Franco Migliacci paroliere, quello di Nel blu dipinto di blu e di Israel, di Un mondo d'amore e di tanti altri successi mondiali. Ma torniamo ai fondi, perché accanto alla buona c'è anche una notizia cattiva, di quelle che si conoscono p o c o . La cattiva notizia è che ogni volta che il gestore di un fondo compra e vende un titolo (che entra poi a far parte del patrimonio del f o n d o ) , paga una commissione al broker con cui ha concluso l'affare, spesso guadagnandoci sopra, soprattutto se il broker fa parte dello stesso gruppo bancario cui appartiene il fondo. E questa spesa non si vede da nessuna parte, ma va aggiunta alla commissione di gestione. In sintesi: diversamente dalle obbligazioni, che seguono il destino della società emittente, se comprate un fondo questo non può fallire, ma se all'interno del fondo vi comprano titoli (azioni o obblig a z i o n i ) di società che poi falliscono, il vostro fondo andrà davvero «a f o n d o » . E ora un g i o c o . Prendete la classifica Morningstar ( i o l'ho presa al 9 novembre 2008) su w w w . m o r n i n g star.it, un ottimo sito di consultazione di fondi del tutto gratuito. Scegliete tra i fondi quelli che il sito classifica come «monetari stabili», quelli che dovrebbero essere i più tranquilli di tutti. Fate la media dei 108 fondi: il risultato che ho avuto io è il 2,16% di renlli
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d i m e n t o dall'inizio dell'anno, m e n o di quanto avreb b e r o potuto rendere i вот. Naturalmente, essendo questa una media, ci sono fondi che nell'ultimo anno
hanno reso di più e altri di meno. Ed ecco il gioco: prendiamo i tre migliori e i tre peggiori per rendimento. Prima una premessa: ricordo a tutti che questo non è un invito a comprare о a vendere, né una raccomandazione di investimento né un'offerta, che i risultati precedenti non sono suscettibili di essere replicati nel futuro, che le opinioni espresse, in questa parte c o m e in tutto il libro, sono personali e tratte da fonti ritenute affidabili e che nel futuro l'opinione di chi scrive potrebbe anche cambiare. Tutta questa pappardella è doverosa e richiesta dalla L e g g e per evitare, c o m e potrebbe succedere, che qualche lettore, preso dalla foga, sia tentato, al di là di riflettere sui contenuti, di operare materialmente sul proprio portafoglio. E c c o quindi nella pagina a fianco la classifica, che, c o m e ripeto, può anche non volere dire nulla, e può anche essere ribaltata in qualunque momento, ma è solo un esempio di c o m e i rendimenti, all'interno della stessa categoria di fondi monetari, ovvero di quella detta « d e l breve termine» (cioè generalmente con all'interno titoli con scadenza massima diciotto mesi), possano essere così diversi tra loro. Le stellette rappresentano il giudizio di Morningstar. N o , non è che la copia del vostro libro sia farlocca, è solo che questa classifica non si può pubblicare, è pericolosa. Dovete scriverla voi, nella vostra copia. Perché pur mostrando una semplice verità, potrebbe pure scapparci una denuncia. La L e g g e a volte è strana, colpisce nel mucchio. Però in questo m o d o si può dire qualcosa di più. Andate su quel sito e prendete i 112
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fondi monetari peggiori, nella categoria di quelli stabili, che dovrebbero essere i più tranquilli. Cliccate uno per volta sugli ultimi tre, per esempio. E andate a vedere il grafico: la linea rossa equivale all'andamento del fondo, in contrapposizione a quella verde che è l'indice di riferimento (sempre la m i g l i o r e ) e a quella arancione che è la media della categoria. Troverete che sì, bene non andavano, ma poi, improvvisamente, sono crollati, proprio nel 2008, quando sono cominciati a scoppiare i bubboni delle peste finanziaria. Che cosa vuol dire? Andate a rileggere il capitolo sui subprime, sui derivati, sulla securitisation, su tutte le porcherie che ci sono arrivate da Oltreoceano e che sono andate a finire in quegli scatoloni che poi alla fine ci siamo ritrovati nei fondi che dovevano essere quelli da «soldi sotto il materasso», c o m e quelli monetari. I topi si sono infilati nel materasso e si sono mangiati i soldi.
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Passiamo dai fondi alle gestioni patrimoniali, che non sono altro che una delega data alla banca affinché compri e venda, in n o m e e per conto vostro, secondo un'indicazione di rischio basso, m e d i o o alto, quello che la stessa banca ritiene più opportuno. R i spetto ai fondi, le gestioni patrimoniali hanno il vantaggio di una m a g g i o r e trasparenza. Ogni operazione che viene fatta ha un suo costo, che nell'estratto conto (solitamente trimestrale) viene perfettamente evidenziato. Ma a volte le operazioni hanno un costo commissionale elevato, a volte m a g g i o r e di quello che riuscireste a negoziare se compraste voi i titoli. In più è una vera balla quando le gestioni sono chiamate «personalizzate», c o m e se fossero cucite apposta per le vostre esigenze. La banca amministra le gestioni tutte insieme. Ad esempio: il gestore compra un milione di euro di un titolo e poi lo spalma pro quota su tutte le gestioni. Ventimila su quella del signor X, diecimila su quella della signora Y e così via, cioè proporzionalmente all'investimento di ciascun risparmiatore. Altro che vestito cucito addosso: qui siamo nel pieno prêt à porter, nei grandi magazzini. Tempo fa, in un convegno di addetti al settore, non aperto ai clienti, veniva detto esplicitamente che per avere una gestione veramente specializzata e personalizzata si doveva avere un capitale di almeno trequattro milioni di euro. N o n è a costoro che è rivolto questo libretto. E per le obbligazioni? C o m e fare a sapere se sono buone o m e n o quelle che abbiamo in portafoglio? Con un solo metodo: controllandone il valore. Il valore dipende dal tasso dell'obbligazione, in relazione a quello che è attualmente il costo del denaro e alla 114
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durata dell'obbligazione stessa, e dalla valutazione che ne dà il mercato. V e d i a m o di chiarire. Quando si compra un titolo in emissione solitamente il suo valore è detto «alla p a r i » . Ovvero io spendo diecimila euro per comprare un titolo che ha un valore « n o m i n a l e » di diecimila euro. M e t t i a m o che abbia un rendimento fisso del 2%. Se i tassi si alzano e vanno al 3%, la mia obbligazione scende di valore. Perché in quel m o m e n t o con diecimila euro potrei acquistare un titolo che rende il 3%, e che quindi ha « m a g g i o r v a l o r e » del m i o che rende solo il 2%. In pratica scende il valore nominale della mia obbligazione al 2% e se la dovessi vendere non otterrei i diecimila euro che ho pagato, ma qualcosa meno. Ma quanto meno? Tanto di m e n o quanto più lunga sarà la sua scadenza, perché chi compra si troverebbe sul groppone per più lungo t e m p o un'obbligazione che rende il 2% quando potrebbe comprarne una «alla p a r i » che rende il 3. Quando poi l'obbligazione sta per scadere, visto che sarà rimborsata per il suo valore nominale, il suo valore crescerà fino ad arrivare «alla p a r i » . Ma perché a volte un'obbligazione scende di valore anche se rende più delle altre? Il caso più clamoroso è stato quello della L e h m a n Brothers. Era la quarta banca americana, aveva un ottimo rating, eppure già un anno prima che facesse « s b o o m » le obbligazioni della banca continuavano a perdere di valore, e già nella primavera 2008 perdevano oltre 20 punti. A l z i la m a n o chi ha avuto sentore di tale notizia dal proprio consulente, bancario o p r o m o t o r e che fosse, il quale abbia poi avuto il coraggio (o la p r e m o n i z i o n e ) di dirvi che era m e g l i o vendere il titolo perché c'erano delle misteriose pressioni sul mercato. In breve, 115
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per stare un p o ' più tranquilli, andate a controllare sempre, con cadenza almeno mensile, il valore delle vostre obbligazioni. Fatelo voi, nessuno lo potrà fare m e g l i o . Controllare il valore del titolo è facile: o si chiede alla propria banca pregando l'impiegato di turno di mostravi la quotazione, oppure si va su dei siti specializzati sul genere di www.borsaitaliana.it o anche sul sito del tanto vituperato Unicredit direttamente alla pagina investimenti.unicreditmib.it. Insomma, a volte bastano un mal di testa o un dolore muscolare per spingerci a correre dal medico. Perché appena c'è qualcosa che non ci convince non andiamo dal consulente di fiducia per vedere se quel dolorino che leggiamo sul nostro portafoglio è segno di un malessere grave o solo di uno passeggero? E se riteniamo che il nostro consulente non sia in grado di risponderci, allora cambiamo banca e consulente, altrimenti è inutile lamentarsi. Attenzione, nessuno è onnisciente, anche i più bravi e/o più onesti possono sbagliare, ma soprattutto diffidate di chi, in questi momenti in particolare, è certo di avere la ricetta giusta per sistemare il vostro portafoglio, dicendo che tutti quelli che vi hanno seguito fino ad oggi sono degli scalzacani. Questi, che siano bancari o promotori, sono i subprimer, la seconda scelta di quelli, più furbi, che sono diventati gli stregoni della finanza. Sono della stessa razza, solo più r o z z i . Sono c o m e gli imbonitori dei vecchi film western che nelle piazze vendevano elisir miracolosi e che ancora oggi appaiono nelle televisioni private vendendo numeri al lotto o parlando con i vostri morti. Ad ogni m o d o , se vedete che la discesa del titolo non dipende dal fatto che i tassi si alzano c o m e nell'esempio precedente, fateci 116
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un pensierino e vendete. M e g l i o piangere per aver venduto in leggera perdita piuttosto che restare con il cerino in mano. Quello sì che fa male. Nessuno, al m o m e n t o , può permettersi di stabilire in quale m o d o mettere al sicuro i sudati risparmi. Quello che è certo è che o g g i ci troviamo in m e z z o a una tempesta ed è inutile, oltre che pericoloso, allontanarci troppo da casa. Se non v o g l i a m o rischiare (è una scelta anche questa, basta esserne consapevoli) d o b b i a m o restarcene al chiuso, e se proprio dobbiamo uscire, è bene non allontanarsi dal quartiere. In sintesi, restiamo nel breve termine. Titoli sicuri, per quel tanto che possono essere, e che abbiano una breve scadenza. Se un titolo scade e vi viene rimborsato, grazie a Dio, restate nel breve termine. È l'unico vero consiglio che nei m o m e n t i di grave turbamento come questo può essere dato. Ma se proprio non volete accontentarvi dei tassi a breve termine di titoli di Stato o dei pronti contro termine e volete assumervi il rischio di qualche obbligazione che renda di più e che sia di più lunga scadenza, comprate almeno qualcosa che conoscete, qualcosa che abbia della sostanza, dentro. Un'azienda italiana di produzione di beni e servizi con migliaia e migliaia di dipendenti, anche se valutata meno di qualche colosso estero, per esempio. Intanto controllerete meglio il suo andamento, non manderete di fatto i vostri soldi all'estero, e prima che lo Stato permetta che quell'azienda fallisca, con le conseguenze sociali del caso, dovrebbe forse accadere che lo Stato si dichiari prima lui stesso insolvente. E comunque, anche quando firmate per delle obbligazioni, chiedete sempre il prospetto informativo relativo all'emissione stessa 117
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delle obbligazioni, affinché non vi ritroviate nello strano caso delle obbligazioni Alitalia, un caso unico e al m o m e n t o senza precedenti. Quando la Cirio ha dichiarato bancarotta, tanto per fare un esempio, è successo che ha smesso di pagare sia le cedole sia, a scadenza dell'obbligazione stessa, il capitale. N e l caso Alitalia è invece successo che le obbligazioni che dovevano scadere nel 2007 sono state prorogate unilateralmente al 2010, senza che gli obbligazionisti, cioè i clienti creditori, potessero in alcun m o d o opporsi. Ciò è stato possibile grazie a una clausola nascosta all'interno dell'emissione stessa che permetteva di modificare a piacimento le condizioni del prestito obbligazionario. Al momento sembra che non vengano pagate e che i risparmiatori possano solo accedere allo stato di creditori impagati, ovvero, come si dice in gergo, insinuarsi nel fallimento. Per chi invece non ha risparmi ma mutui, si sta prospettando una situazione particolare. Innanzitutto c'è una legge che obbliga le banche a rinegoziare i mutui, ma c o m e visto più volte in tante inchieste televisive e giornalistiche questa disposizione è di difficilissima applicazione, a volte anche più onerosa. Passare dal variabile al fisso delle volte è purtroppo estremamente oneroso. Comunque va fatto. Forse però converrebbe aspettare ancora qualche mese perché i tassi, secondo quelle che sono le previsioni, dovrebbero scendere e scendere (ricordiamoci che l'America oggi è all'1%), e allora potrebbe valere la pena rinegoziarli quando magari il tasso è al 2% ( o g g i è 3,25%). Lascio per ultimo il problema più grande, che riguarda chi invece oggi non solo non ha risparmi, ma n e m m e n o un mutuo, perché non ha i soldi per arri118
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vare a fine mese. Perché purtroppo la crisi vera non è ancora arrivata. N e l 1929 gli effetti della grande crisi finanziaria si ebbero soprattutto nei due anni successivi. Con centinaia di migliaia di senzatetto, con milioni di senzalavoro, con la delinquenza che approfittò dello stato di disagio per imporre la sua legge di prevaricazioni. Forse solo la mafia, la camorra o la 'ndrangheta beneficeranno della depressione prossima ventura. Sarà più facile trovare accoliti disposti a tutto nella massa di povertà che inevitabilmente aumenterà nei prossimi anni. D'altra parte un'azienda c o m e il crimine organizzato, che fattura 130 miliardi di euro all'anno e ha un utile annuale di 70 miliardi al netto delle spese, non avrà problemi a trovare forzalavoro e a incrementare la propria produzione. Due più due hanno sempre fatto quattro. Gli Stati Uniti, gli esperti sono concordi nel dirlo, si risollevarono definitivamente solo con la corsa al riarmo, con la produzione di armamenti che risollevò l'intero sistema industriale e, a catena, tutta la filiera commerciale e dei consumi. N o n credo che oggi, fortunatamente, sia replicabile un simile scenario, ma è un dato di fatto che l'industria delle armi (come insegna l'Iraq) sia un potente vettore di produzione. In questo contesto di crisi economica l'Italia parte già da una posizione svantaggiata. Secondo i dati ISTAT (www.istat.it) usciti il 4 novembre 2008, in Italia « l e famiglie che nel 2007 si trovano in condizioni di povertà relativa sono 2 milioni 653 mila e rappresentano l'1,1% delle famiglie residenti. N e l complesso sono 7 milioni 542 mila gli individui poveri, il 12,8% dell'intera popolazione». Purtroppo il doctor D o o m non c'entra niente. Questa è una tabella ISTAT a disposizione di tutti. 119
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L'OCSE, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ha pubblicato nell'ottobre 2008 un rapporto intitolato Crescita disuguale: distribuzione del reddito e povertà nei Paesi dell'ocsE. In poche pagine viene mostrato il profilo dell'Italia. Dall'inizio degli anni Novanta la disparità di reddito e la povertà all'interno del nostro Paese hanno continuato a crescere (vedi l'economia a uovo nel capitolo La vera crisi: l'economia reale), al punto da passare dai livelli medi al sesto posto fra i trenta Paesi aderenti per divario tra ricchi e poveri. S i a m o m e g l i o di Messico, Turchia, Portogallo, Stati Uniti e Polonia, ma peggio di Australia, Corea del Sud, Giappone, Islanda, Svizzera e Portogallo. Il 10% degli italiani ha un reddito inferiore ai 5.000 dollari (circa 3.900 euro ai cambi attuali), quando la media OCSE è di 7.000 dollari (circa 5.500 euro), mentre il reddito m e d i o degli italiani più ricchi è di 55.000 dollari (circa 43.000 euro), al di sopra della media OCSE. Inoltre il 10% degli italiani detiene il 42% della ricchezza globale. Le indicazioni dell'OCSE per migliorare questo stato di cose sono rivolte all'aumento dell'edilizia sociale, all'istruzione e alla salute pubblica: l'insieme di questi provvedimenti è ciò che riduce maggiormente le disparità economiche. E anche se appare di una banalità sconcertante, nel rapporto si legge che in Italia «i figli di genitori poveri hanno m e n o probabilità di diventare ricchi rispetto ai figli di genitori r i c c h i » : questa semplice verità è più reale nel nostro che nella m a g g i o r parte dei Paesi OCSE. La cosa che però deve far riflettere è che questo rapporto evidenzia i dati relativi al 2007, e ciò significa che quando l'onda arriverà, nei prossimi due anni, 122
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purtroppo questa disparità non farà altro che allargarsi. Forse, alla luce di tutto questo, la teoria dell'uovo appare più chiara e mostra quanto sia pericoloso, oltre che ingiusto, non pensare in tempo ad arginare quest'onda, che mano a mano che si avvicina assume sempre più le proporzioni di uno tsunami. Due più due fa sempre quattro. In Italia aumenterà la povertà, aumenteranno i licenziamenti e il ricorso alla cassa integrazione, diminuirà l'occupazione e quando i prezzi inizieranno a scendere questo processo subirà un'ulteriore accelerazione. E se non diminuiranno di pari passo le spese relative ai bisogni primari, c o m e la luce e il gas, ma anche benzina e pasta (soggetta in questo periodo alle solite speculazioni degli avvoltoi), lo squilibrio sociale arriverà a livelli tali da poter c o m promettere la stessa pace interna.
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La prossima bolla
Bisogna credere nella perfettibilità dell'uomo, ma anche nella sua malvagità e stupidità. E temere più la seconda della prima, perché da un malvagio sai che cosa aspettarti, ma da uno stupido non lo potrai mai sapere. C'è da attendersi che d o p o le bolle degli anni passati, quelle di Internet, delle banche e del mercato immobiliare, la finanza creativa e i suoi stregoni troveranno nuovi metodi per ingannarci. La crisi della finanza dovrebbe essere la crisi dei finanzieri, ma questi sembrano ancora ben saldi sulle loro poltrone. N e g l i ultimi tempi, non un solo stregone sembra essere stato cacciato via. In un articolo del « S o l e 24 O r e » intitolato Gli hedge funds (ora) chiedono regole, a firma di Bruno Perini, e riportato testualmente da Assinews (fonte attendibile e inesauribile di rassegna stampa) il 5 novembre 2008, sono leggibili (o illeggibili?) le dichiarazioni di Fabrice Cuchet, operatore nel settore degli hedge funds del gruppo Dexia, gruppo salvato dall'intervento congiunto dei governi francese, belga e lussemburghese. Cuchet dice in sostanza che «quando la crisi è iniziata tutti hanno accusato la grande speculazione, e in parti123
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colare gli hedge funds, ma poi è venuto a galla in m o d o evidente che la responsabilità è delle banche e della loro gestione. Tutti abbiamo delle responsabilità in questa crisi, ma in questo caso mi pare che le banche e la loro gestione siano i principali responsabili di quanto è accaduto nel corso di questo terribile 2008». Siamo al palleggiamento delle responsabilità, ma Cuchet aggiunge anche che « l e vendite sono state originate dalla pressione dei clienti sui gestori di hedge funds, di fondi d'investimento e di altre realtà del m o n d o finanziario». Quindi imprenditori, risparmiatori, enti comunali, associazioni e clienti tutti, sappiate che la colpa è vostra. Quando cominceranno a cicatrizzarsi le ferite, arriverà qualcuno che dirà di aver trovato la pietra filosofale, quella che cambia il p i o m b o in o r o . E lo farà in m o d o subdolo, stimolando non più la nostra avidità, ma il nostro senso etico e morale. Perché se il m o n d o dovrà andare avanti avrà bisogno di energia e questa, nel pieno rispetto dell'ambiente, dovrà essere pulita e sicura. Partiranno articoli da tutte le parti e grafici e modelli matematici pronti e proni a d i m o strare che la nuova ricchezza verrà dall'energia. E i vecchi stregoni, con un nuovo mantello addosso di colore verde, ci diranno che chi investirà nell'energia probabilmente nel giro di breve tempo riuscirà a recuperare quello che ha perduto a seguito della grave crisi del 2008, un anno vicino ma già lontano. E i fondi di investimento si reinvestiranno su tutte le aziende energetiche del mondo, nella nuova Silicon Valley. Questa, o qualche altra valle m e n o soggetta ai terremoti, sfornerà giorno d o p o giorno nuove aziende che inventeranno sistemi sempre più avanzati, sicuri e 124
LA RESA DEI CONTI
puliti per produrre energia, l'oro del secondo decennio del 2000. E noi ci ricascheremo: chi salirà subito sulla tigre probabilmente ci guadagnerà, ma quando tutto il m o n d o ci crederà, qualcuno comincerà a levarci il tappeto da sotto i piedi, qualche meccanismo si incepperà e scopriremo che è scoppiata una nuova ennesima bolla. Magari quella d o p o ancora riguarderà la conquista dello spazio. N o n serve essere N o stradamus per capirlo: la Storia insegna che i cicli si ripetono e che l'avidità è difficile da estirpare.
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Un nuovo modello
Forse abbiamo bisogno di un nuovo modello di vita. Probabilmente la paura ci può aiutare, come quando uno smette improvvisamente di rumare quaranta sigarette al giorno perché gli hanno diagnosticato un tumore. Questa crisi non è m o l t o dissimile: un cancro ha attecchito sulla nostra struttura, e il sistema immunitario non è più in grado di sostenere questo attacco. Davanti a noi ci sono due scenari possibili. Il più devastante è quello che ci aleggia sopra c o m e un avvoltoio. È quello che t e m i a m o di più, è la paura di aver oltrepassato il punto di non ritorno, quello in cui quando anche le banche più grandi non riusciranno a far quadrare i conti e lo stesso a catena accadrà con i governi centrali. A quel punto ci aspetterà solo un nuovo M e d i o e v o , ma senza le tensioni spirituali di quell'epoca. Pochi privilegiati avranno il d o m i n i o su tutti gli altri. Sembra la scena di un film apocalittico, e si spera che rimanga tale, ma all'inizio di questo lib r o abbiamo detto che in effetti tutta questa storia sembra nascere dalla fantasia di un coraggioso e visionario scrittore. Il secondo scenario è quello in cui le grandi istituzioni finanziarie reggeranno e con es127
CARLO A. MARTIGLI
se i governi centrali, magari non di tutti i Paesi, ma il nostro sì. Sant'Euro ci protegge. L'economia soffrirà, saremo tutti un p o ' più poveri, ma lentamente recupereremo, non attraverso il trauma di una corsa al riarmo, c o m e successe per la crisi del 1929, ma attraverso un costante recupero di produzione, lavoro e consumi. Il nostro Governo ha dichiarato che entro la fine dell'anno presenterà una serie di provvedimenti atti proprio a tutelare l'economia reale. Ma al di là di ogni aiuto, non solo doveroso ma anche necessario, dobbiamo tutti ripensare al nostro m o d o di vivere. Perché tutto questo non si ripeta, non basteranno norme imposte dall'alto per regolarizzare i comportamenti nocivi del Far West della finanza, ma anche alcune nostre abitudini dovranno cessare. Vivere a credito, soprattutto, non sarà permesso. Il lav o r o , alla base dell'economia, dovrà essere così forte da recuperare il suo primato sulla finanza. Se questa lezione del 2008 e degli anni seguenti non sarà mortale, dovremo almeno fare in m o d o che serva a qualcosa. Qualcuno ha già tirato fuori la teoria maya secondo cui questi non sono altro che i prodromi, i segnali di quanto accadrà esattamente il 21 dicembre del 2012, quando finirà la quinta e ultima Età della Terra, quella dell'Oro, appunto. Ma N e a l e D o nald Walsh, uno dei più importanti studiosi di questa profezia, dice, a prescindere da ogni atteggiamento credulone o fideistico, che « c i ò che succede su questo pianeta è frutto della Coscienza Collettiva» e che « s o no i nostri pensieri, le nostre idee, le nostre decisioni, le nostre scelte, le nostre determinazioni che creeranno, e che creano ora, la nostra R e a l t à » . È una saggezza spicciola, ma che può aiutarci a capire. Forse do128
LA RESA DEI CONTI
vranno crearsi nuovi stili di vita, magari non più per scelta consapevole ma per necessità di sopravvivenza, legati a strutture simili a comunità basate sulla solidarietà, anche di tipo economico: una sorta di rivoluzione del buonsenso e del coraggio di sapere che si può cambiare. Chi scrive si dichiara gnostico, nel senso che crede nella conoscenza, quanto meno nell'interminabile percorso che la stessa comporta. Ma questo nuovo m o dello, forse necessario sia alla nostra sopravvivenza sia per evitare di ricaderci un'altra volta, è in realtà antico quanto il m o n d o ed è alla base delle principali religioni di tutto il m o n d o , da quella ebraica a quella cristiana, da quella islamica a quella buddhista. Gli archetipi di questo cambiamento sono dentro di noi. E chi pensa che sia solo un'utopia, vada a leggersi che cosa dice a proposito uno dei geni misconosciuti dell'Ottocento, Alphonse de Lamartine, poeta, filosofo, politico, scrittore e storico: « L e utopie spesso non sono altro che delle verità premature». Di solito si scrive la parola fine, ma qui non siamo che all'inizio.
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Pillole dell'ultima ora ( p r i m a edizione, novembre 2008)
1. Con la pubblicazione dei dati relativi al 30 settembre 2008, la Germania si presenta per la prima volta dal 1990 con due trimestri di P I L negativo: ufficialmente è entrata in recessione. 2. La Borsa di Tokio è ormai sugli stessi livelli di venticinque anni fa. Chi aveva investito 100 yen in Borsa diciannove anni fa, ore ne ha solo 21. 3. Dal settembre 1929 l'indice D o w Jones è sceso ininterrottamente e gradatamente per due anni e nove mesi da 380,32 fino a 42,83 nel giugno del 1932. Per ritrovare gli stessi livelli del 1929 bisognò aspettare il 1954. 4. Il piano Paulson per l'acquisto dei cosiddetti «asset tossici» delle banche americane è saltato. Con i 700 miliardi a disposizione, il Tesoro entrerà direttamente nel capitale delle banche. 5. Il Ministro Tremonti ha dichiarato al Senato che gli interventi non sono fatti a favore delle banche ma per tutelare il risparmio, e che « s e la banca fallisce i banchieri vanno a casa, o vanno in galera». 6. Continua l'altalena. Tre giorni fa il D o w Jones ha perso lo 0,82%, due giorni fa l'I,99%, ieri il 4,73%, oggi (13 novembre 2008) ha guadagnato il 7,03%. 131
CARLO A. MARTIGLI
7. N e g l i ultimi dodici mesi il petrolio ha toccato il p r e z z o record di 147,96 dollari per scendere fino a 54,67, la discesa più ripida degli ultimi venticinque anni, d o p o un'altrettanto folle corsa al rialzo. 8. Cinque tra i più importanti gestori di fondi hedge del m o n d o , il 12 novembre 2008, hanno testimoniato di fronte a una commissione senatoriale americana e hanno detto che il l o r o settore necessita di alcune restrizioni. Ma va'? 9. La Banca Centrale Europea vede il 2009 a crescita zero per i Paesi europei. Il Fondo Monetario Internazionale prevede per l'Italia un meno 0,6%. Il Governatore della Banca Centrale cinese stima per il suo Paese un obiettivo di crescita per non più dell'8-9%. 10. D o p o tante batoste, Unicredit si presenta il 13 novembre 2008 con un utile di 551 milioni, alla faccia degli esperti che gliene attribuivano 400 e degli speculatori che ora forse faranno più fatica a colpire il gruppo italiano.
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Pillole dell'ultima ora (decima edizione, giovedì 3 gennaio 2013)
1. Il calendario maya che prevedeva la fine dell'Età dell'Oro con il 21 dicembre dello scorso anno si sbagliava. Ma forse intendevano il corso di valore del metallo giallo, sceso ancora a 302 euro l'oncia. 2. La Cina ha chiuso ieri le frontiere agli extra-asiatici. Purtroppo migliaia di lavoratori italiani, tedeschi, francesi e inglesi, arrivati al confine russo-cinese tra mille difficoltà, non riescono a entrare. Molti di l o r o hanno iniziato uno sciopero della fame, e alle autorità cinesi chiedono solo di poter lavorare onestamente, a differenza di molti altri entrati clandestinamente con un visto turistico e mai usciti. 3. Il Presidente della Repubblica italiana Silvio Berlusconi ha presenziato ieri alla cerimonia di apertura del nuovo palazzo che ospiterà la sede del N u o v o Parlamento, la Camera Unica, di soli trecento rappresentanti del popolo. Palazzo Madama e Palazzo Montecitorio, un tempo sede rispettivamente del Senato e della Camera, troppo grandi per le nuove esigenze, saranno finalmente aperti al turismo. La Camera Unica è stata costruita grazie al finanziamento della Energy Bank di San Pietroburgo che l'ha dotata di pannelli 133
CARLO A. MARTIGLI
solari. Se le giornate di sole saranno superiori a quelle di pioggia oltre il 32,3%, il rimborso del finanziamento sarà inferiore dello 0,1% del tasso di riferimento interbancario. In caso contrario la Energy Bank avrà diritto a dieci deputati. 4. Uscirà domani il Rapporto del Fondo Monetario Internazionale sulla crisi dei mercati che hanno coinvolto il m o n d o arabo, fino a pochi anni fa dominatore incontrastato dell'economia grazie al petrol i o . L'uso dell'energia solare per trasporti e industria ha fatto crollare il p r e z z o del petrolio fino a 9 euro al barile. A questi prezzi qualcuno alla General Motors sta già pensando di riciclare le auto a benzina, visto che il sole costa già oltre 1,5 euro per uso/orario. 5. L'indice D o w Jones sembra avere superato definitivamente la soglia critica di 10.000, riportandosi sui livelli di dieci anni fa e smentendo tutti i modelli matematici dello scorso anno che vedevano l'indice in calo. 6. In Italia, la disoccupazione, che due anni fa aveva superato il 25%, è finalmente in calo, soprattutto al Sud, dove il ritorno forzato di nostri emigranti che si sono nuovamente dedicati alla coltivazione di terreni ormai incolti ha prodotto un aumento della produzione agricola e nuovi posti di lavoro. 7. La N u o v a Mafia, associazione senza scopo di lucro recentemente costituitasi, ha annunciato che metterà a disposizione le risorse economiche dei suoi associati a favore della collettività, soprattutto in progetti dedicati alla « p r o t e z i o n e » delle giovani.
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Glossario di economia e finanza 52 termini da imparare, uno alla settimana Più che un glossario un manuale di sopravvivenza
1.
AAA
Valutazione di massima affidabilità (rating) assegnata in genere alle obbligazioni, per premiare la miglior qualità di credito. Lo stesso criterio è utilizzato per valutare il grado di rischio di un Paese o di un'attività finanziaria. I nostri complimenti vanno soprattutto a chi fino a pochi giorni prima della bancarotta di L e h m a n Brothers dava alla società un rating A + . Niente a che fare con gli annunci di massaggi o di relazioni personali in calce ai maggiori quotidiani.
2. ABI Associazione Bancaria Italiana. È l'associazione che raggruppa tutti gli operatori bancari e finanziari italiani. Ha inventato Patti Chiari, chissà se sarà amicizia lunga con i risparmiatori.
3. Aggiotaggio È un reato che si commette diffondendo « n o t i z i e false, esagerate o tendenziose» o adoperando «altri artifici»: provoca il rialzo o la discesa di merci o di valori, azionari in special m o d o . Se poi questa differenza di p r e z z o si realizza, le pene sono aumentate e ol135
CARLO A. MARTIGLI
tre alla galera fino a sei anni è prevista l'interdizione dai pubblici uffici. Già in certi casi è difficile stabilire se la notizia sia falsa. Per valutare se sia esagerata o tendenziosa non ci sono parametri. Quanto agli « a l tri artifici», p o i . . . Insomma è una norma detta «tiram o l l a » : quando fa c o m o d o si stringe, per cui non c'è reato, in altri casi si allunga fino a dare la colpa a chi ha detto « p i o v e , Governo l a d r o » , dato che la pioggia rovinerà il raccolto dell'uva e il p r e z z o dei future sul vino (sì, c'è anche q u e l l o ) salirà. Chi ha parlato ha commesso aggiotaggio. In galera.
4. Analisi fondamentale M e t o d o analitico che studia i dati fondamentali delle aziende quotate in Borsa, ne analizza i profitti potenziali, la qualità del management, l'andamento dei diversi settori produttivi e il posizionamento delle società anche rispetto agli indicatori macroeconomici delle aree in cui operano. In pratica fa le pulci ai bilanci e al settore cui appartiene l'azienda. Ma se l'azienda mette nei bilanci dati fasulli non serve assolutamente a niente. 5. B e n c h m a r k Indice che focalizza l'andamento dei rendimenti o delle quotazioni di un paniere di titoli in un determinato mercato in un ancora determinato lasso di tempo. È il metro di riferimento, il termometro che misura il rendimento di attività finanziarie (fondi comuni, azioni, e c c . ) . In pratica se il tuo fondo ha perso il 25% e il benchmark di riferimento ha perso il 30%, il tuo consulente bancario sarà tutto soddisfatto, tu un po' meno. N o n poteva suggerirti di cambiare?
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LA RESA DEI CONTI
6. BOT e BTP BOT: Buono Ordinario del Tesoro. Titolo emesso dal Ministero del Tesoro a durata variabile: non vengono pagate cedole periodiche ma solo la differenza tra capitale iniziale versato e capitale finale incassato dal risparmiatore. Quindi non dà interessi anticipati, ma almeno li dà. Il BTP è il B u o n o del Tesoro Poliennale. Titolo emesso dal Ministero del Tesoro con scadenza variabile (tra i due e trentanni) a tasso fisso. Quelli più lunghi, a trentanni, hanno oscillazioni di valore elevate c o m e fossero un'azione.
7. Carte di credito Tutti le usano, sembra che in Italia ce ne siano circa 27 milioni, di cui 14 milioni usate regolarmente. Per pagare gli acquisti ci sono due sistemi. Il primo è l'addebito a fine mese sul conto corrente. In questo m o do si ottiene una piccola dilazione di spesa e non si pagano interessi. In questo caso è solo uno strumento di servizio. Quando invece ci facciamo addebitare anche solo una rata ( m i n i m a solitamente) si pagano interessi sesquipedali, anche oltre il 15%. Per questo si chiamano carte di credito revolving. Sì, da revolver, puntato alle nostre tempie.
8. CDO (Collateralized Debt Obligations) Sono i famosi scatoloni che si ottengono trasferendo interi portafogli di rischi diversi, secondo le tecniche tipiche della securitisation. Quindi più che pacchetti di altri bond o debiti, condensati in un'unica obbligazione, sono dei veri e propri pacchi, come abbiamo visto. Per essere più chiari ancora, sono dei derivati travestiti da obbligazioni per sembrare meno pericolosi. 137
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9. CCT Certificati di Credito del Tesoro: titoli emessi dal Ministero del Tesoro con scadenza compresa tra i cinque e i dieci anni a tasso variabile. Si trovano sul mercato anche con scadenze più brevi. Il loro valore è sempre intorno a quello nominale, e sono quanto di più vicino all'inflazione si possa trovare sul mercato senza correre rischi.
10. Commissioni I m p o r t o percentuale applicato dagli intermediari nella compravendita dei prodotti finanziari. È sommato al p r e z z o d'acquisto o sottratto a quello di vendita. Andate in banca e controllate quanto pagate. Qualunque compravendita di titoli non può superare lo 0,20%, siano esse obbligazioni o titoli esteri. E per i titoli di Stato chiedete che vi sia applicato non più dello 0,10%.
11. Commodity Termine inglese utilizzato nel gergo finanziario per definire materie prime c o m e oro, petrolio o cereali trattati sui mercati spot future. Quelle che mancano all'Italia.
12. CTZ Certificato del Tesoro a Z e r o coupon. Ottimi per crearsi dei titoli strutturati fai-da-te.
13. Default - Bancarotta Il rischio di default è il rischio a carico di un prenditore di fondi (società, banca, Stato) che non appaia più in grado di ripagare i propri debiti. Quando il creditore se ne accorge è però troppo tardi. Il caso di Ci138
LA RESA DEI CONTI
rio, Argentina, Parmalat e L e h m a n Brothers ne è la prova. Il consulente bancario dovrebbe sempre controllare le improvvise variazioni di valore dei titoli in carico al cliente e in caso di performance negative avvisarlo immediatamente per decidere il da farsi.
14. Denaro (prezzo) Il p r e z z o denaro è il p r e z z o massimo di acquisto che gli operatori di mercato sono disposti a pagare per uno strumento finanziario negoziato. La differenza con la lettera ( v e d i ) è inversamente proporzionale alla diffusione di mercato del titolo stesso. Chiedere le quantità trattate del titolo e la sua massa presente sul mercato è una garanzia di prezzo equo.
15. Derivati Strumenti finanziari il cui p r e z z o deriva dal valore di mercato dell'attività sottostante. Tra i derivati ci sono titoli quotati in mercati specializzati e regolamentati (future e o p z i o n i ) e anche in mercati non regolamentati (i cosiddetti over the counter). Quest'ultima frase mostra come i derivati possano essere trattati al di fuori di ogni controllo e di ogni regola. È come la spada affilata del samurai, la katana, che in mano ai non esperti diventa estremamente pericolosa per se stessi e per gli altri. Salvo che gli esperti non la usino contro di noi...
16. Dow Jones Indice della Borsa valori di N e w York: viene calcolato giornalmente sulla media dei trenta principali titoli quotati a Wall Street. Purtroppo molti giornalisti italiani (fateci caso) lo chiamano D o w n ('giù') Jones. Forse è per questo che alla fine è andato davvero giù. 139
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17.
EONIA
European Overnight Index Average: parametro cre ato dall'associazione bancaria delle banche europee e dalla Federazione Bancaria Europea. Rappresenta la media dei tassi di finanziamento overnight comuni cati dalla ВСЕ da un p o o l di cinquantasette banche. Con l'EONIA, tra le tante invenzioni degli stregoni della finanza, ci sono il Corridor, l'Esotico, l'Asiatica, il Fra, ecc. L'EONIA è divertente, perché ha un parametro as-
surdo che cambia ogni notte. Ma non profuma c o m e la P E O N I A .
18. Enron Insieme alla W o r l d c o m (e alla nostra Parmalat) è stata oggetto del più grande scandalo finanziario di tutti i tempi. Aveva società fantasma dappertutto, trasformava i debiti in crediti con ardite - e truffaldine - operazioni di bilancio e aveva dalla sua la connivenza di alcuni tra i capi della Arthur Andersen, la più grande società di revisione contabile del m o n d o . A seguito di questo scandalo la Andersen fu costretta a chiudere i battenti, ma ventimila dipendenti della Enron, oltre al lavoro, hanno perso pure la pensione. Il capo della banda, l'amministratore delegato della società, Jeff Skilling, che aveva uno stipendio di 130 milioni di dollari l'anno, è stato condannato a ventiquattro anni di carcere. I suoi accoliti a pene da due a dieci anni. Più о m e n o quello che accade in Italia, no?
19. EURIBOR (Euro Interbank Offered Rate) Indice di riferimento del mercato interbancario dei Paesi aderenti alla U E M . Ha sostituto gli indici nazio
nali dal 30 dicembre 1998. È rilevato giornalmente 140
LA RESA DEI CONTI
alle ore 11 a cura del Comitato di gestione dell'EURiB O R e diffuso sui principali mercati telematici. Quando si alza sono sempre guai per tutti, per le industrie che pagano il denaro più caro e per chi ha un mutuo a tasso variabile. I mutui migliori a tasso variabile non superano I'EURIBOR di più di 0 , 7 5 punti, ma quelli veramente buoni sono solo quelli a tasso fisso.
20. Fed Abbreviativo per Federai Reserve, la banca centrale statunitense, che corrisponde a quella che era una volta la Banca d'Italia prima della creazione dell'Unione Monetaria e la costituzione della ВСЕ, la Banca Centrale Europea. La Federai Reserve governa la po litica monetaria USA e quindi dell'intero pianeta. È lei
che stabilisce, tra l'altro, se alzare о abbassare il costo del denaro. Il suo obbiettivo, dichiarato costituzio
nalmente, è la massima occupazione e la stabilità dei prezzi. Quello che molti non sanno è che un tempo la Fed poteva battere moneta a suo piacimento, anche senza alcuna copertura finanziaria, e aveva, per questo, un potere ancora più grande di quello attuale. Ma il 4 giugno 1 9 6 3 il Presidente John Fitzgerald Kennedy (con l'atto esecutivo passato alla Storia con il n. 1 1 1 1 0 ) restituì al Governo USA il potere di emettere moneta senza passare dalla Federai Reserve. K e n nedy m i n ò alla base il potere della Fed, le cui azioni sono per la m a g g i o r parte possedute da banche nazionali americane, suddivise in distretti, le cui azioni, a loro volta, possono essere detenute da banche sia americane sia straniere, comprese quelle private. A Dallas, i l 2 2 novembre 1 9 6 3 , cinque mesi dopo, K e n nedy fu assassinato, non sappiamo ancora da chi e soni
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prattutto perché. Forse tutto risale a quel giorno di giugno, ma in tanti anni nessuno ha mai indagato in quella direzione.
21. Fondi Comuni di Investimento e SICAV Si chiamano in Europa OICVM, parolaccia che significa Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari. I fondi comuni più comuni sono in sostanza una società (divisa in quote) a capitale variabile, nel senso che ogni volta che investiamo dei soldi, non facciamo altro che comprare nuove quote di quel fondo. Infatti le l o r o alter ego lussemburghesi sono chiamate SICAV, cioè Società di Investimento a Capitale Variabile (espresse in a z i o n i ) . La differenza con queste ultime è semplice: i fondi pagano il 12,5% di tasse su tutti gli incrementi di valore della quota, ovvero si dice che hanno una «tassazione a m o n t e » , quindi il valore della quota è già al netto della tassazione stessa. L e SICAV invece pagano il 12,5% solo alla fine, quando si disinveste. Quindi, a parità di gestione, le SICAV rendono un pochino di più. Prima di firmare per l'acquisto è obbligatoria da parte dell'intermediario finanziario la consegna del cosiddetto « p r o spetto informativo». Ma è molto più importante, nella sostanza: 1. vedere c o m e è andato il fondo negli ultimi anni; 2. sapere quanto si paga di commissione di gestione. Se un fondo obbligazionario ha una c o m missione di gestione dell' 1 % e i tassi dei ест sono al 3%, il gestore dovrà fare i salti mortali per farvi guadagnare c o m e m i n i m o più del 3%, altrimenti tanto vale che teniate i vostri ест. La differenza rappresen ta il v a l o r e aggiunto del fondo, la professionalità del
gestore. Purtroppo il più delle volte non ci riesce. E se 142
LA RESA DEI CONTI
ci riesce, attenzione, potrebbe aver preso dei rischi che voi, per la vostra visuale di investimento, non avevate alcuna intenzione di prendere. E allora? Tirate voi le conseguenze.
22. Fondi pensione Dovrebbero essere quelli che garantiscono, appunto, la pensione. Sono quelli che hanno sparato a zero (anche a ragione) sulla gestione dell'iNPS. Sono quelli che con il decreto legislativo del 5 dicembre 2005 possono sostituire il vecchio TFR aziendale gestito dall'INPS. Sono quelli su cui viene esercitato un controllo estremamente accurato da parte delle Autorità. Sono quelli che, se gestiti male (il controllore lo vede dopo, non può saperlo prima), non daranno la pensione a chi ha lavorato una vita. Con il decreto 5 dicembre 2005 è stato privatizzato anche il nostro futuro.
23. Future È un contratto di Borsa attraverso il quale le parti si scambiano, a un prezzo stabilito, una determinata quantità di attività reali o finanziarie con consegna posticipata. Si differenziano dai contratti a p r e m i o perché in questi ultimi il compratore acquisisce il diritto ad acquistare o a vendere, mentre in questo caso si impegna proprio a farlo. È uno dei tanti m o d i per perdere il proprio denaro.
24. Garanzia Una garanzia è di fatto un i m p e g n o formale che una persona o una società offre a un creditore a fronte del debito di un terzo. Quando un titolo, uno strumento finanziario, viene venduto con la formula « g a 143
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rantito al 100%» si crea nel creditore (cioè il risparmiatore-sottoscrittore) l'illusione che il suo denaro sia perfettamente al sicuro. È una formula m o l t o usata nei cosiddetti prodotti strutturati in cui il capitale si dice « g a r a n t i t o » . In realtà è sin troppo facile immaginarsi che se il garante non è solvibile la garanzia va a farsi benedire. È il caso, ad esempio, di alcune polizze finanziarie che sono state vendute con la « g a r a n z i a » Lehman Brothers. Quindi attenti a chi vende tali prodotti. In certi casi è solo un intermediario, ovvero non si assume alcuna responsabilità per quello che vi propone, e in secondo luogo attenti al chi garantisce il vostro denaro.
25. Hedge fund Sono fondi comuni specializzati in investimenti finanziari con un elevato leverage (l'effetto leva). Sono contraddistinti da un numero ristretto di soci partecipanti e dall'elevato investimento m i n i m o richiesto. Questo regolamento ha salvato centinaia di migliaia di investitori italiani. Altrimenti il sistema li avrebbe offerti anche alla casalinga di Voghera. Ma tanti hedge fund sono del tutto deregolamentati e v i v o n o nei cosiddetti paradisi fiscali e chiunque dotato di scarso buonsenso li può acquistare.
26. Indici borsistici Indicatori che esprimono in forma sintetica l'andamento del mercato borsistico. In Italia i più comuni sono Mib30, il Mibtel e il Midex. In un m o n d o globalizzato la Borsa non si ferma mai, quando quelle europee sono in chiusura, si apre quella statunitense, che è la più grande del mondo, e quando quella chiude si a144
LA RESA DEI CONTI
prono quelle asiatiche, la più importante delle quali è quella giapponese, il Nikkei. Alla chiusura di questa si riaprono quelle europee, e ciascuna influenza l'altra.
27. Insider trading È un reato, ma lo commettono in tanti ed è difficilissimo scoprirlo. Si tratta della compravendita di titoli (azioni, obbligazioni, i benedetti derivati, ecc.) effettuata da chi è in possesso di informazioni riservate che determineranno l'aumento o la diminuzione di prezzo degli stessi titoli. È come giocare a poker con le carte segnate. In pratica, io funzionario del Ministero dove si sta preparando un provvedimento in gran segreto, che ne so, sulle concessioni televisive, compro azioni Mediaset, perché quando il provvedimento vedrà la luce, Mediaset ne trarrà un gran beneficio. O ancora, io faccio parte del consiglio di amministrazione di una società che sta per annunciare un bilancio terrificante. Prima che la notizia venga fuori vendo le mie azioni e poi magari le ricompro al 30% in meno, a prezzi stracciati, una volta che la notizia diventi pubblica. E se invece di farlo in prima persona lo dico a un amico, a un nipote, a una testa di legno, a chicchessia? Sempre reato di insider trading è.
28. Interest rate swap Contratto mediante il quale due parti si impegnano a corrispondersi reciprocamente le differenze fra due tassi di interesse (generalmente fra un tasso fisso e uno variabile) calcolati su un determinato ammontare. È la base di quel tipo di contratto in cui sono incappati una marea di Comuni italiani e di altre istituzioni, anche private (sembra perfino un paio di conventi). 145
CARLO A. MARTIGLI
29. Junk bond Locuzione inglese che significa obbligazione spazzatura'. Indica obbligazioni emesse da società o enti p o c o affidabili o m o l t o allegri che compensano con maggiori rendimenti il rischio che l'investitore si assume. A tali titoli le società di valutazione attribuiscono un rating BB o inferiore. Dovrebbe esserne impedita la vendita al pubblico, ma non è così. Prima di acquistare delle obbligazioni fatevi dire il rating, anche se, c o m e abbiamo visto, non ci si può davvero fare affidamento.
30. Lettera Il prezzo lettera è il p r e z z o m i n i m o di vendita che gli operatori di mercato sono disposti ad accettare per uno strumento finanziario negoziato. Più grande è la differenza con il denaro ( v e d i ) m a g g i o r e è la fregatura quando si acquista o si vende.
31. Leva (finanziaria) Con la leva si acquisisce la possibilità di controllare un elevato ammontare finanziario enormemente superiore al capitale di cui si dispone. È quanto accade nel contratto di opzione dove il pagamento di un prem i o dà il diritto di acquistare o vendere un lotto di titoli di entità molto superiore. Con la leva Archimede disse di potere sollevare il mondo, i maghi hanno cercato di distruggerlo.
32. Management fee (commissione di gestione) Compenso pagato dal fondo comune alla propria società di gestione per la professionalità (speriamo) dimostrata nelle scelte di investimento operate. In 146
LA RESA DEI CONTI
pratica il fondo ha un costo, una commissione di gestione. Quello che però non si vede in un fondo sono le commissioni di negoziazione che sono pagate ogni volta che viene fatta un'operazione. In pratica anche se il fondo costa il 2% ma v e n g o n o fatte dieci operazioni di compravendita di titoli in un anno a una commissione dello 0,2% su tutto il capitale investito, il costo reale del fondo è in realtà del 4%. E se un fondo è di tipo obbligazionario, c o m e fa a rendere? Ma se non v e n g o n o fatte operazioni sul capitale perché devo pagare una commissione sul fondo stesso? Ma il management fee identifica anche il compenso che il contraente di un prestito paga alla banca capofila che lo ha organizzato. In pratica la banca Alfa organizza l'emissione di obbligazioni e si fa pagare dall'azienda debitrice. P o i fa vendere queste obbligazioni a un gruppo di banche che per piazzarle ai clienti chiedono una commissione. Chi paga tutto questo alla fine è evidentemente il cliente creditore dell'azienda. R e sponsabilità della banca uguale zero.
33. Mutui subprime Il mutuo subprime, per chi non ha voglia di leggere il libro, è quella particolare forma di finanziamento concessa a chi non se la meriterebbe. Ma un mercato drogato dalla voglia di guadagnare tutto e subito se ne frega altamente di chi verrà d o p o e di chi pagherà le conseguenze. La definizione non è tecnica ma rispecchia la realtà.
34. New York Stock of Exchange (NYSE) È il maggiore mercato azionario del m o n d o con una capitalizzazione totale di circa 12.000 miliardi di 147
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dollari e la presenza di cinquecento società straniere, per le quali l'ammissione alle quotazioni ufficiali di N e w York rappresenta un ambito riconoscimento. Qualche aziende italiana, c o m e la Luxottica, a suo tempo sdegnò l'Italia e si quotò direttamente a N e w York. Potenza del marchio italiano! Nonostante l'importanza del mercato, il sistema di contrattazione usato dal N Y S E è pur sempre quello tradizionale «alle g r i d a » . Cioè la gente urla a più non posso cercando compratori e venditori. Durante i giorni peggiori della crisi, molti agenti di Borsa hanno perso la voce.
35. Obbligazioni Titoli di credito rappresentativi di prestiti contratti presso il pubblico da enti ( c o m e lo Stato) o da persone giuridiche ( c o m e banche e società per a z i o n i ) . Si chiama obbligazione perché contiene due obblighi (per una parte e due diritti per l'altra): la restituzione del valore nominale a scadenza e il pagamento degli interessi periodici stabiliti sull'importo. Magari fosse sempre così. Quando l'obbligazione va in default, in bancarotta, il cliente rimane semplicemente un creditore. E attenzione a quando vi p r o p o n g o n o delle obbligazioni cosiddette «subordinate». In questo caso se l'azienda va verso il fallimento, prima verranno pagati i creditori delle obbligazioni ordinarie e dopo, solo se è avanzato qualcosa, quelli delle subordinate.
36. Obbligazioni Convertibili Un p o ' più interessanti sono le obbligazioni convertibili. Sono una piccola scommessa, come quella della massaia che va a giocare il resto della spesa alla slot machine, ma non di più. Le obbligazioni di questo ge148
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nere si chiamano «convertibili» in quanto hanno al loro interno non solo la cedola degli interessi e la restituzione del capitale a scadenza, ma anche una variabile, che è il diritto (non l'obbligo) di convertire le obbligazioni in azioni, a un prezzo che viene determinato in partenza. Quindi se un'azione scende non succede nulla, è o v v i o che non eserciterò il m i o diritto, ma se un'azione sale potrebbe convenirmi convertire, cioè scambiare, la mia obbligazione con quell'azione, guadagnandoci sopra. Oppure, ancora meglio, vendere le obbligazioni che saranno salite di prezzo proporzionalmente all'aumento di valore dell'azione. È chiaro che questo diritto comporta il fatto che un'obbligazione convertibile rende un po' meno di una senza diritto di conversione.
37. Opzioni Contratti di Borsa standardizzati con cui il compratore acquisisce il diritto acquistare (cali) o vendere (put) a un p r e z z o convenuto (detto prezzo di esercizio o strike, c o m e quando si gioca a b o w l i n g ) attività reali o finanziarie entro o a una determinata data. Simili al contratto a premio, le opzioni si differenziano sotto l'aspetto della standardizzazione. N e l senso che ci sono quelle che hanno un largo mercato e sono pericolosissime e quelle che sono fatte ad hoc e sono mortali.
38.
PIL
È il grande mentitore. Il P I L viene tirato in ballo ogni momento, da economisti e politici, ora per giustificare certe scelte, ora per portare l'acqua al proprio mulino, ora per gloriarsi ora per condannare o per 149
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piangere miseria. Il P I L , Prodotto Interno L o r d o , corrisponde alla somma di tutti i beni e servizi prodotti in un anno, insomma è un misuratore di ricchezza. Ma quello che dovrebbe interessare alla gente comune è c o m e viene misurato il P I L . Un incidente stradale con morti e feriti, un incendio di cisterne, la distruzione di strade e un inquinamento galoppante producono ricchezza e aumenta il PIL, lo scoppio di un'epidemia produce ricchezza e aumenta il P I L . Anche un incidente termonucleare e una petroliera che affonda e uccide i pesci e distrugge la fauna costiera produce ricchezza e aumenta il P I L . Perché ognuno di questi disastri fa muovere milioni e miliardi, tra risarcimenti, ripristini, interventi dello Stato, acquisto di farmaci, ricostituzione dei beni, eccetera eccetera. In una società sana, in tutti i sensi, dovrebbe essere più importante c o m e si crea il P I L , non il suo valore intrinseco.
39. Pronti Contro Termine (PCT) Con i Pronti Contro Termine il risparmiatore acquista da una banca «a p r o n t i » , cioè pagando subito in contanti, un certo importo di titoli, che la banca si impegna a riacquistare entro una certa data ravvicinata o, c o m e si dice, « c o n t r o t e r m i n e » , a un p r e z z o già prefissato. La differenza tra quanto pago e quanto incasserò è il rendimento. La banca in questo m o do si libera di un titolo che ha in portafoglio e si crea liquidità, che a questo punto può investire in maniera più redditizia rispetto al titolo stesso, per esempio prestando lo stesso denaro ricavato dall'operazione. Ma solo fino al m o m e n t o in cui è riobbligata ad acquistare quel titolo. Ma che cosa succederebbe se la 150
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banca о l'intermediario finanziario non riacquistas se il titolo? Il risparmiatore avrebbe lo stesso titolo in m a n o (generalmente un ест о un B T P ) e un'azione le gale contro la banca stessa. Sono operazioni interes santi, per questo n o n m o l t o gradite alle banche, che servono per investire nel breve termine. N o n ci sono commissioni di acquisto ma il costo di due fissati bol lati (una tassa che si paga allo Stato, ma sono pochi
e u r o ) . Quindi sì al PCT, ma chiedere sempre prima con quale titolo la banca intende fare l'operazione. Perché se dietro c'è un'obbligazione tipo Argentina о Parmalat è bene lasciar perdere. E se il titolo va in default? Ci sono banche che garantiscono e altre no. Chiedere e scegliere le prime.
40. Rating Esprime la valutazione che un'agenzia privata specializzata dà a favore di un soggetto che emette obbligazioni sui mercati finanziari internazionali, ovv e r o esprime un parere sulla probabilità che questi faccia fronte puntualmente ai propri debiti. Il rating fornisce agli operatori finanziari un'informazione sul grado di rischio degli emittenti e riveste una grande importanza per gli investitori che non sono adeguatamente attrezzati per un'analisi autonoma del rischio di credito. In pratica le agenzie si fanno pagare fior di soldi per fare queste analisi e se li fanno pagare direttamente dalle aziende che glielo hanno richiesto. L'assegnazione di un rating agevola per gli emittenti il processo di fissazione del p r e z z o e di collocamento dei titoli emessi. Per questi motivi, i soggetti che desiderano collocare titoli sui mercati finanziari internazionali sono indotti a richiedere una 151
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valutazione del loro merito di credito alle società di rating. Le agenzie definiscono una graduatoria (vedi lo schema a p . 2 8 ) . Le principali agenzie di rating sono circa una decina e sono dislocate soprattutto negli Stati Uniti. Le più rappresentative sono Standard and Poor's e Moody's. In Italia al m o m e n t o sono due.
41. Rialzista Investitore che acquista titoli, beni o valuta con la previsione che il loro valore di mercato aumenti, così da rivenderli a un p r e z z o superiore a quello di acquisto. È il contrario di ribassista.
42. Ribassista È il contrario di rialzista. Investitore che vende titoli, beni o valuta senza possederli con la previsione che il loro valore di mercato diminuisca. Al m o m e n t o di consegnarli potrà comperarli a un prezzo inferiore rispetto a quello a cui li ha venduti. Quando più ribassisti o più rialzisti si mettono d'accordo fra di loro per far scendere o salire un titolo, si ha il reato di aggiotaggio.
43. Securitisation Per dare una parvenza tecnica alla definizione si può dire che la securitisation sia una speciale emissione di obbligazioni con tanto di pagamento delle cedole e rimborso del capitale a scadenza, pagati però con gli introiti generati da un portafoglio di attività finanziarie come mutui, carte di credito, leasing, ecc. In genere ogni securitisation è divisa in classi di rischio, dalle AAA che rendono di meno fino alle c, dove la certezza del pagamento è affidata unicamente alla preghiera. 152
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44.
SIM
Società di Intermediazione Mobiliare che può: negoziare azioni, obbligazioni, quote di fondi comuni, prodotti derivati, collocare e distribuire presso il pubblico strumenti finanziari per conto dell'emittente, gestire patrimoni privati. La m a g g i o r parte di queste società è sostenuta da una rete di promotori finanziari. Prima di aderire è opportuno informarsi sulla solvibilità e sull'immagine della S I M , perché ce ne sono di tutti i colori.
45. Speculazione Attività tesa a massimizzare il guadagno a breve termine attraverso continue operazioni di compravendita di titoli, valute o beni. Il confine tra il reato e la liceità è m o l t o sfumato dal punto di vista legale, ma è chiarissimo e ben definito sul piano etico. A voi la scelta.
46. Standard & Poor's index (o indice S&P) Indici statistici che descrivono l'andamento di un paniere di titoli quotati nelle Borse americane e prendono il n o m e dalla stessa società che li ha creati. Fra i più noti: S&P100, S&P00, SP MIB. Sono indici statistici, per cui ricordate che non hanno nessun effetto per il futuro.
47. Strumenti finanziari Espressione che include: azioni, obbligazioni, titoli di Stato e altri titoli di debito negoziabili sul mercato, quote di fondi comuni di investimento, qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permetta di acquisire gli strumenti precedenti, derivati, le combinazio153
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ni di contratti о di titoli precedentemente indicati. Di
solito la loro carta d'identità è il cosiddetto codice IS I N , ma avere un codice non significa niente sul loro valore intrinseco о sulla l o r o bontà.
48. Swap Termine che si riferisce allo scambio di due beni diversi che non avviene sul mercato ma tramite un mediatore, che quindi non ha alcuna responsabilità. Generalmente le parti sono due imprese che si scambiano beni di investimento di diversa natura, ma anche obbligazioni con caratteristiche di durata о rendi m e n t o diverse. Gli swap più usati sono quelli su tassi di interesse e quelli su valuta. S o n o c o m e i virus, fateli toccare solo da chi ha una mascherina, il camice bianco e opera in una camera chiusa ermeticamente.
49. Titoli di Stato Obbligazioni emesse dal Tesoro per provvedere alla copertura del fabbisogno statale. Possono avere diverse scadenze: da breve ( в о т ) a m e d i o e lungo termi ne (BTP, CCT e C T Z ) . I miei preferiti, gli unici che, alme no fino a oggi, non hanno m a i tradito.
50. TUS e altri tassi Il Tasso Ufficiale di Sconto era stabilito dalla Banca d'Italia e rappresentava il tasso di interesse c o n cui la stessa banca prestava denaro alle banche. Il suo zenit lo ha raggiunto il 23 m a r z o 1981 con il 19%, il suo op posto, si chiama nadir, il 6 giugno 2003 con il 2%. Con la politica monetaria gestita o r m a i dalla ВСЕ, il
T U S è stato sostituito dal T U R (Tasso Ufficiale di Riferimento), anche se alla televisione mezzibusti e busti 154
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interi di politici ed economisti parlano ancora di T U S . Il T U R è il termometro della finanza perché su di esso si basa il Tasso Interbancario, ovvero quello che viene applicato ai prestiti tra banche.
51. Wall Street Strada di N e w Y o r k dove ha sede la Borsa più importante del m o d o , il N e w York Stock of Exchange. Per estensione il termine viene impiegato per indicare l'insieme delle società finanziarie e bancarie che vi ruotano intorno. Se andate a N e w York, passate da Wall Street e annusate l'aria che vi si respira. Sa di hot dog, 'cane caldo', non profuma di denaro. A meno che questo non sia il vero odore del denaro.
52. Zero coupon bond Titolo obbligazionario privo di cedola il cui rendimento è determinato dalla differenza fra il p r e z z o di emissione e il valore del rimborso. È il m i o preferito per fare i titoli strutturati fai-da-te, i migliori, e costano anche pochissimo. Continua il prossimo anno, se saremo sempre qui...
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Indice
La resa dei conti La più grave crisi finanziaria di tutti i tempi, le dirette conseguenze sul nostro modello di vita, perché è accaduto, di chi è la colpa e come difendersi
Premessa Una storia vera Mutui subprime, effetto farfalla La magia nera dei manager Chi giudica i giudici. Le agenzie di rating I derivati e la leva Prime conclusioni La banca e il banco. Ci possono cascare tutti, Comuni compresi La crisi della finanza La vera crisi: l'economia reale Qualcuno l'aveva previsto I primi scotti da pagare in Italia e l'effetto Obama
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Le terapie dei governi Senza santi in Paradiso I nostri soldi: cosa farne? La prossima bolla Un nuovo modello Pillole dell'ultima ora (prima edizione, novembre 2008) Pillole dell'ultima ora (decima edizione, giovedì 3 gennaio 2013) Glossario di economia e finanza
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