KATHERINE KURTZ & DEBORAH T. HARRIS LA LOGGIA DELLA LINCE (The Adept, 1991) PROLOGO Era una notte d'autunno limpida e te...
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KATHERINE KURTZ & DEBORAH T. HARRIS LA LOGGIA DELLA LINCE (The Adept, 1991) PROLOGO Era una notte d'autunno limpida e tersa, e il freddo pungente dell'aria immobile prometteva un'alba vestita di uno strato di gelida brina. Non c'era luna ad ammorbidire il buio, ma un pallido spolverio di stelle spargeva un vago lucore sulla spoglia campagna scozzese. A metà del pendio d'una collina boscosa, un uomo vestito di nero attendeva nell'ombra di un antico faggio, stringendo i denti per il freddo e ogni tanto muovendo le mani, nei morbidi guanti neri, per tenere le dita pronte al lavoro che avrebbe dovuto fare. Già più volte nell'ultima mezz'ora aveva tirato indietro il polsino, per controllare l'ora su un orologio da polso militare in uso fra i soldati americani. Ora ripeté il gesto. Le lancette fosforescenti segnavano le due e mezzo. Le finestre posteriori di Mossiecairn House erano chiuse e buie. Al piano superiore, l'ultima luce era stata spenta da ore. Il vecchio guardiano aveva già fatto da un pezzo l'ultimo giro d'ispezione di quella notte, e non sarebbe uscito dalla sua casetta presso il cancello fin dopo l'alba. Il momento non avrebbe potuto essere migliore. Con un lieve sorriso, l'uomo in nero chiuse bene la lampo della blusa di pelle e sollevò i paraorecchi del berretto nero per non lasciarsi sfuggire alcun rumore. Poi, flettendo ancora le dita, s'avviò giù per il pendio. Coprì la distanza in pochi minuti, muovendosi con la tranquilla sicurezza di chi è abituato alle manovre notturne, sfruttando ogni ombra. Oltrepassò uno stagno poco profondo saltando agilmente da una pietra all'altra. Prima d'attraversare di corsa un prato aperto si fermò a controllare prudentemente la zona, e infine andò a fermarsi nell'oscurità di una tettoia sotto cui c'era la porta della cucina. Rendere innocuo il sistema d'allarme della casa non presentò alcuna difficoltà per l'uomo in nero. Agli occhi di un americano, il sistema che proteggeva Mossiecairn House era rozzo e antiquato. Inoltre, lui aveva già visitato quella dimora insieme a un gruppetto di turisti, il giorno prima, e aveva preso nota di tutto ciò che avrebbe potuto rappresentare un problema. Richiuse dietro di sé la porta di cucina e attraversò il locale, facendosi luce con una torcia elettrica che proiettava un raggio sottile come una ma-
tita. Non sprecò uno sguardo per gli eleganti candelabri, i secchielli da ghiaccio e le tazze da punch riccamente decorate, né aprì i cassetti dove riposava l'argenteria, mentre passava oltre la dispensa per entrare nel salone da pranzo. Nello stesso modo ignorò un bellissimo servizio da the in mostra sul lungo tavolo, e raggiunse a passi svelti una porta all'estremità opposta. Qui, il rapido uso di un grimaldello gli consentì di passare nell'adiacente biblioteca, evitando l'atrio e gli occhi elettronici che sorvegliavano le porte dall'interno. Anche qui non prestò molta attenzione agli oggetti preziosi esposti nelle bacheche, mentre muoveva attorno il raggio della torcia, evitando di proiettarlo sulle finestre. I ritratti appesi alle pareti erano di splendida fattura, e raffiguravano personaggi che andavano dal costruttore della ricca dimora, risalente all'epoca di Giacomo I, al suo attuale proprietario. Quello sopra l'elaborato caminetto marmoreo lo aveva già ammirato durante la visita guidata: un gentiluomo vestito in velluto e seta color del vino di Porto, con un ampio colletto di pizzo e una lunga parrucca di riccioli neri sotto il berretto piumato. Armi e armature antiche facevano bella mostra di sé lungo le pareti, e nelle cornici erano contenute pergamene ingiallite. Su un pesante tavolo al centro della stanza, cinto da un cordone per tener lontani i curiosi, erano disposti libri e manoscritti rari. L'intruso oltrepassò tutti quegli oggetti senza degnarli di un secondo sguardo, e si diresse verso le bacheche ai lati del caminetto. Gli articoli sotto vetro erano per la maggior parte medaglie e decorazioni meritate in battaglia dai precedenti proprietari della dimora, oggetti domestici usati dalle signore, come ventagli e borsette, e miniature dipinte o d'avorio cesellato. Non mancavano gli oggetti personali associati a personaggi famosi del passato, come Bonnie Dundee, la Regina Maria di Scozia, o Bonnie Prince Charlie. Notando una ciocca di capelli chiusa da un nastrino di seta, dentro un cofanetto d'oro appartenuto, a una dama, l'uomo in nero si chiese come avesse trovato il tempo, il Pretendente Stuart, di lasciare lì dei capelli durante il suo frettoloso passaggio in quella zona prima d'imbarcarsi per il suo triste esilio in terra di Francia. Questo gli fece pensare a tutti i frammenti della Vera Croce che aveva visto nel corso degli anni e che - se messi insieme - sarebbero bastati per crocifiggere contemporaneamente una dozzina di Re dei Giudei. Ma anche gli scozzesi avevano il diritto di avere le loro reliquie, si disse. A lui importava ben poco. E la reliquia per cui si trovava lì, quella riotte,
gli avrebbe procurato una bella somma di denaro. Sorrise, mentre si avvicinava alla bacheca e puntava la torcia sul vetro, ignorando il cavaliere che lo guardava dal dipinto sopra il caminetto. La micidiale lama d'acciaio e il suo fodero erano disposti separatamente su un letto di velluto blu, elegante tributo all'arte dei fabbricanti d'armi italiani del tardo sedicesimo secolo. L'oro dell'elsa e della guardia era finemente cesellato, e altre incisioni in oro scintillavano per tutta la lunghezza della lama azzurrina. Il fodero era un oggetto più modesto, di cuoio marocchino, ma alcune gemme semipreziose lo abbellivano, disposte con discrezione sulla cima e all'estremità. Fra la lama e il fodero, un cartellino appena ingiallito dal tempo recava un'iscrizione di tre righe in elegante corsivo: La Spada degli Hepburn un tempo posseduta da Sir Francis Hepburn il «Conte Stregone» di Bothwell, a.d. 1624 L'uomo in nero si permise un breve grugnito di soddisfazione. Stringendo la torcia fra i denti, estrasse un sottile grimaldello da una tasca interna e lavorò rapidamente sulla serratura della bacheca. Quando essa cedette, sollevò il coperchio e lo fermò con gli appositi ganci. L'elsa della spada si adattò alla sua mano guantata come se fosse stata fatta per lui, e negli occhi ebbe un lampo d'ammirazione quando sollevò l'arma dalla bacheca e ne provò il bilanciamento, guardando attraverso la lunghezza della lama alla luce della torcia. Perché, oh, perché non era nato Cavaliere? Dopo aver assaporato per qualche momento la sensazione eccitante che provava maneggiando la spada, l'uomo in nero la sollevò in un ironico saluto verso il ritratto sopra il caminetto marmoreo, quindi prese dalla bacheca anche il fodero e vi infilò la lama con brusca efficienza. La spada del Conte Stregone, nientemeno! Maneggiarla gli dava soddisfazione, ma lui non era nato Cavaliere, e se avesse perso tempo lì avrebbe potuto pentirsi d'essere nato comunque. Il suo datore di lavoro godeva fama d'essere un uomo molto puntuale, anche se dai gusti eccentrici. Di nuovo freddo ed efficiente, l'uomo in nero tirò fuori da una tasca interna un contenitore di nylon lungo e stretto, che quando fu svolto si rivelò della misura adatta. Infilò la spada e il fodero dentro di esso, ne chiuse con cura l'estremità e si mise il tutto a tracolla con una cinghia. Poi, prima di richiudere la bacheca, estrasse di tasca un cartellino simile
a quello che era già lì. Questo diceva: Articolo rimosso per operazioni di restauro. Fatto ciò, non gli rimase altro che tornare sui suoi passi. Mentre usciva non rivelò più interesse di prima per gli oggetti in mostra nella ricca dimora. Quando fu fuori dalla porta di cucina indugiò brevemente per rimettere in funzione il sistema d'allarme, quindi s'allontanò su per la collina, silenzioso come un sospiro, inoltrandosi nei boschi fino a una stradicciola sterrata. Il suo mezzo di trasporto lo aspettava lì. Non il cavallo da guerra che un antico Cavaliere avrebbe usato, bensì una potente motocicletta giapponese della quale s'era servito in precedenti lavoretti di fino da quando era stato assegnato oltremare. La sua immaginazione trasformò il casco da motociclista in un elmo da torneo mentre spingeva il veicolo a piedi fra i cespugli, fino alla discesa dove con un'ultima spinta poté balzare in sella. Lavorò con il freno per non accelerare troppo, nel buio della boscaglia, e soltanto ai piedi della collina, ormai ben lontano da Mossiecairn House, accese il motore. Pochi momenti dopo ruggiva via su una strada a due corsie, nella fredda notte scozzese. Verso le cinque di mattina, dopo un'esilarante corsa lungo la M8 Motorway, l'uomo in nero rallentò nella periferia addormentata di Glasgow. Seguendo istruzioni precise attraversò il centro e uscì dalla parte opposta, fra un dedalo di vecchi magazzini lungo i moli ancora deserti, a Clydebank. Il rombo del motore al minimo echeggiò fra muri di mattoni scrostati quando si fermò fuori dal cancello di un piccolo cantiere navale abbandonato, e una volta che lo ebbe spento restò solo il silenzio. L'uomo in nero si tolse il casco. Trascorsero cinque minuti. Guardò l'orologio, scese dalla sella della moto e cominciò a camminare avanti e indietro, tenendosi nell'ombra. Il suo respiro condensato si mescolava all'aria fredda, odorosa di salmastro, e quell'umidità gli strappò una smorfia. Infine, mentre tornava sui suoi passi per la quarta volta, il suo udito captò il rumore di un'auto in avvicinamento. Tornò accanto alla motocicletta. Pochi momenti dopo una Mercedes scura uscì da una traversa e venne a fermarsi lentamente sul lato opposto della strada. Mentre i fari venivano spenti, i due finestrini opacizzati sul lato destro si abbassarono all'unisono. Nella penombra biancheggiarono le facce del conducente in uniforme e del passeggero seduto sul sedile posteriore. Sollevato, l'uomo in nero depose il casco sul sedile della moto e si avvicinò alla macchina. Chinandosi a mezzo rivolse un sorrisetto al passeggero
seduto sul retro e lo salutò: «Buongiorno, Mr. Raeburn.» L'altro gli rispose con un freddo cenno del capo. «Buongiorno, sergente. Credo che lei abbia qualcosa per me.» L'uomo in nero scoprì i robusti denti in un sogghigno che riempì di rughe la sua faccia abbronzata dal sole del Texas. «Natale viene più presto tutti gli anni» rispose. «Quest'anno lei può chiamarmi Babbo Natale.» Con un movimento un po' esagerato prese l'oggetto che aveva a tracolla e lo mostrò. Il passeggero della Mercedes inarcò un sopracciglio. «Ha incontrato delle difficoltà?» L'uomo in nero ebbe un sorriso sarcastico. «Sta scherzando? Avrei avuto più difficoltà a rubare il lecca-lecca a un bambino. Quello che voialtri, da questa parte dell'Atlantico, non sapete sulle misure di sicurezza deve costare un occhio alle vostre società d'assicurazione.» Mentre l'uomo in nero cominciava a slacciare l'estremità del contenitore di nylon, il passeggero della Mercedes lo guardava con occhi attenti. «Voglio sperare» disse, «che lei non abbia cercato di esplorare la situazione oltre i termini del nostro contratto.» Il suo tono era stato cortese, ma in quella semplice domanda c'era un'allusione tagliente come l'acciaio. L'altro lo guardò stupito e scosse il capo, con aria leggermente offesa. «Ehi, perché avrei dovuto cercare altre offerte? Io ho una reputazione da difendere!» L'uomo seduto nell'auto sorrise, freddamente soddisfatto. «Lei mi rassicura. I professionisti affidabili non sono molti, al giorno d'oggi.» L'uomo in nero non si preoccupò di commentare quella frase. Mentre apriva il contenitore e ne tirava fuori la spada, la luce si accese nell'interno della vettura. Ci fu uno scintillio d'incisioni in oro quando lui passò l'arma entro il finestrino, a punta in avanti. «È un bel giocattolo, può starne certo» disse. «Ma suppongo che lei sappia che avrebbe potuto comprare una dozzina di spade, con metà della somma che mi ha offerto per rubare questa.» Il suo datore di lavoro sollevò la Spada degli Hepburn fra le mani guantate, estrasse la lama dal fodero per una ventina di centimetri, quindi la infilò di nuovo dentro e si appoggiò con cura l'arma sulle ginocchia. «Il valore di un oggetto non si misura sempre in termini di denaro» mormorò. L'uomo in nero scrollò le spalle. «Come preferisce, Mr. Raeburn. Lei è un collezionista, e adesso ha quello che voleva. Io, invece, sono un... agen-
te procuratore» disse, assaporando il suono di quel titolo. «E noi agenti lavoriamo per denaro.» «Naturalmente» disse il suo datore di lavoro con voce fredda. «Lei ha portato a termine la sua parte dell'accordo. Ora io porterò a termine la mia.» L'uomo fece un cenno col capo al conducente, che lo guardava nello specchietto posteriore. Questi s'infilò una mano nella giacca e ne estrasse un portafoglio di pelle, protendendolo fuori dal finestrino senza una parola. L'uomo in nero lo aprì, mettendo allo scoperto un congruo numero di banconote americane di grosso taglio, e sollevò le sopracciglia con espressione sorpresa e compiaciuta. «Come vede, ho aggiunto una piccola gratifica» disse il committente sul sedile posteriore. «Sì, signore» disse l'uomo in nero, sorridendo ampiamente. «È un piacere fare affari con lei, Mr. Raeburn.» «Penso di poter dire senz'altro lo stesso.» L'uomo sul sedile posteriore si tolse il guanto destro. Un anello a sigillo, con il castone formato da un rubino rosso sangue, scintillò al dito medio della sua mano quando la protese dal finestrino. L'uomo in nero accettò la stretta di mano con un sorriso, ma le sue dita non furono lasciate. Con un violento strattone verso il basso l'altro lo costrinse a chinarsi, e il ladro sì trovò a guardare il silenziatore di una grossa pistola di marca tedesca. Negli occhi dell'uomo in nero ci fu una luce di stupore, intanto che l'altro premeva il grilletto. Non poté udire il primo sparo, e meno ancora il secondo e il terzo. Allorché la sua mano fu lasciata, il corpo si afflosciò sull'asfalto in posa scomposta. Rimase lì, senza più muoversi. Il suo uccisore infilò la pistola sotto il sedile, e accennò al conducente che potevano andare. Il rombo del motore della Mercedes era molto più rumoroso degli spari, ma non destò la curiosità di nessuno quando l'auto svoltò in una traversa e accelerò, allontanandosi dai moli di Glasgow. CAPITOLO PRIMO Fu soltanto il lunedì successivo, mentre aspettava la colazione, che Sir Adam Sinclair lesse dell'avvenimento di Glasgow. Indossava ancora l'abito da equitazione, essendo appena rientrato da una breve cavalcata mattutina
nei terreni della sua residenza estiva, non lontano da Edimburgo. I raggi del sole ancora basso filtravano attraverso le tende del salotto chiamato «stanza delle api» per via della tappezzeria floreale giallo-oro gremita di api, così si tolse la giacca e la appoggiò sulla spalliera di una poltrona; poi andò a sedersi al tavolino davanti all'ampia finestra ricurva. Un vaso di crisantemi tagliati di fresco era poggiato su una base di fine porcellana cinese, al centro del tavolino, sulla tovaglietta di lino scozzese. Accanto alla sua agenda degli appuntamenti rilegata in pelle era stata deposta l'edizione mattutina dello Scotsman, e Adam la aprì con un secco gesto del polso per dare una rapida scorsa ai titoli, allentandosi distrattamente il nodo della cravatta con l'altra mano. Nel corso del fine settimana non era successo nulla di eccezionale. Il Parlamento Europeo stava pensando di ratificare un nuovo insieme di leggi per il controllo dell'inquinamento dell'aria; una ditta elettronica giapponese aveva annunciato l'intenzione di aprire una nuova fabbrica a Dundee; i membri del Partito Nazionale Scozzese avevano organizzato un'altra protesta contro la tassa comunale sugli immobili. Poi lo sguardo gli cadde per caso su un titolo nell'angolo inferiore sinistro della terza pagina: Rispedito negli USA il corpo dello spacciatore di droga. Inarcando un sopracciglio, Adam piegò in due il giornale e lesse l'articolo. Come medico, e talvolta consulente della polizia, cercava di tenersi aggiornato coi progressi - o coi fallimenti - della continua guerra contro la droga; ma quello sembrava il seguito di una storia già pubblicata giorni addietro e che lui s'era perso. Secondo l'articolo, il cadavere di un militare americano era stato trovato in una zona abbandonata dei moli di Glasgow. A giudicare dal denaro trovato accanto al corpo e dallo stile dell'esecuzione, la polizia ipotizzava un regolamento di conti o una trattativa fra spacciatori andata a finir male. Dal poco che si leggeva nell'articolo, Adam suppose che quella teoria era probabilmente giusta, dato che il traffico di droga era una delle attività criminali più remunerative nelle maggiori città scozzesi. Tuttavia, senza nessuna giustificazione razionale che lui potesse vedere, gli attraversò la mente il pensiero che quel caso poteva avere dei retroscena più profondi di quanto la polizia di Glasgow sembrava supporre. A strapparlo da quelle pigre speculazioni fu l'arrivo di Humphrey, suo maggiordomo e cameriere da una ventina d'anni, con un vassoio d'argento su cui c'era la colazione. «Buongiorno, signore. Spero che il signore abbia fatto una piacevole ca-
valcata.» «Sì, Humphrey, proprio così. Sono arrivato fino alle rovine del castello. Mi ha stupito vedere che ci sono degli alberelli che crescono sul tetto del primo piano. E l'edera ha ricoperto i muri oltre ogni immaginazione.» Humphrey ridacchiò brevemente, intanto che mesceva al padrone una tazza di the. «Ho sentito dire che la Regina Madre combatte una vera e propria guerra contro l'edera, signore» mormorò. «Odia a morte quella roba. Dicono che a volte perfino i suoi ospiti, nei weekend, vengono reclutati per aiutare a tirarla giù. Forse dovremmo considerare la stessa tattica, qui a Strathmourne.» «Mmh, già» annuì Adam, deponendo il giornale. «Be', non m'ero accorto che qui da noi avesse progredito tanto, quest'estate. Ho lasciato un messaggio a MacDonald, perché mandi qui alcuni uomini, oggi stesso se possibile, e comincino a toglierla di mezzo. Se lui telefona mentre non ci sono, tu confermagli la cosa. Non possiamo lasciar degradare l'edificio, proprio ora che ho deciso di farlo ristrutturare, la primavera prossima.» «No, signore, infatti» fu d'accordo Humphrey. «Ci penserò io.» Mentre il maggiordomo tornava in cucina, Adam mangiò un toast e riaprì il giornale alle pagine due e tre. Diede una scorsa ai titoli della pagina sinistra, senza prestare troppa attenzione a nessuno finché il suo sguardo fu di nuovo attratto da un articolo, nell'ultima colonna in basso a destra: Antica spada scomparsa. Inarcando le scure sopracciglia Adam avvicinò il foglio per leggere meglio. Come conoscitore, e a volte anche collezionista di armi antiche lui stesso, una notizia del genere non poteva mancare di risvegliare il suo interesse. Lesse l'articolo rapidamente una prima volta, poi piegò in due il giornale e, sorseggiando il the, lo lesse di nuovo daccapo, cercando d'immaginare ciò che il giornalista non aveva scritto. La Polizia Confinaria sta investigando sulla scomparsa di un'arma di notevole valore storico dal piccolo museo di Mossiecairn House, nella campagna di Edimburgo. Il prezioso oggetto, noto come «Spada degli Hepburn», opera di un armaiolo italiano del sedicesimo secolo, era appartenuto a Sir Francis Hepburn, il quinto Conte di Bothwell, morto nel 1624. La spada è stata presumibilmente rubata, ma la data effettiva del furto è incerta. La sua scomparsa non è stata notata per diversi giorni, a causa di un
equivoco in cui è caduto il personale della dimora-museo, il quale era convinto che l'arma fosse stata rimossa dalla sua bacheca per essere sottoposta a restauro. Il valore della spada si aggira intorno alle 2000 sterline. È stata offerta una ricompensa per informazioni che conducano al suo ritrovamento... Adam si appoggiò allo schienale della sedia, mordicchiandosi un labbro, le sopracciglia profondamente corrugate. Benché continuasse a dirsi che il suo interesse nella cosa era dovuto alla sua passione per gli oggetti di quel genere, un sesto senso gli stava sussurrando che dietro quella storia c'era quasi sicuramente più di quanto poteva sembrare. Estrasse la penna dalla costola dell'agenda degli appuntamenti e tracciò un circolo intorno all'articolo. Poi si voltò e inclinò la sedia per raggiungere il telefono, su un tavolino alle sue spalle. Il numero della Polizia Confinaria di Edimburgo gli era già noto. Lo compose rapidamente, disse il suo nome alla centralinista e chiese di parlare col Capo Detective Ispettore Noel McLeod. Ci fu una breve attesa mentre la centralinista trasferiva la chiamata all'Ufficio Stampa, quindi una familiare voce di basso gli rombò nell'orecchio. «Sei proprio tu, Adam? Buongiorno. Cosa posso fare per te?» «Buongiorno, Noel. Stavo leggendo il giornale, poco fa, quando mi è caduto lo sguardo su una cosa interessante. Se hai un momento di tempo, mi piacerebbe parlare con te di questo articolo, a pagina due dello Scotsman.» «A pagina due, eh?» La voce all'altro capo della linea non sembrava affatto sorpresa. «Sì, ci ho dato un'occhiata, arrivando in ufficio. Suppongo che si tratti del pezzo sulla Spada degli Hepburn.» «Tu sembri abbastanza sicuro che non sia la cronaca dell'ultimo avvistamento del Mostro di Loch Ness» disse Adam, sorridendo. «Quella occupa più di metà della pagina.» «Gli avvistamenti di mostri vanno a un soldo la dozzina» disse McLeod, «e tu non chiameresti me, in questo caso, ma il corpo di polizia di Inverness. D'altra parte, il furto di una spada appartenuta a Sir Francis Hepburn può ben interessare a te... data la reputazione di cui godeva il Conte.» «Quella d'essere uno stregone?» rispose Adam, dando accuratamente un tono scettico e ironico alle parole, nel caso che qualcuno stesse ascoltando. «Be', non vedo ragione di contraddire ciò che dice la tradizione, pur prendendola con un grano di sale.»
All'altro capo della linea ci fu appena una breve esitazione, prima che McLeod rispondesse: «Già, capisco.» «Poiché sono io stesso un appassionato collezionista d'armi» continuò Adam, «il fatto che sul giornale ci fossero così pochi particolari mi ha deluso. È una bellissima spada. Tu non potresti fornirmi qualche informazione supplementare?» McLeod fece un verso a metà fra un colpo di tosse e un grugnito, tornando su un terreno più neutrale. «Vorrei esserne in grado» disse. «Abbiamo due agenti che si occupano del caso, ma per ora non hanno trovato nulla di particolare. Una cosa è certa: non si tratta di un furto convenzionale. Non è stato trafugato nient'altro... neppure un cucchiaio d'argento.» «Il che significa» disse Adam, «che il ladro cercava la spada, e soltanto quella. Può essere l'opera di un dilettante?» «Senza dubbio no» rispose con decisione McLeod. «Anzi, il contrario. Il nostro abile ladro ha smontato il sistema d'allarme sul retro della casa, e ha evitato i sensori dell'atrio passando dal salone da pranzo e da una porta interna, aprendo le serrature con l'uso di ottimi grimaldelli. Non ci sono segni di scasso. È chiaro che aveva visitato la casa almeno una volta, così stiamo seguendo questa traccia, nel caso che i suoi modi abbiano insospettito qualcuno del personale.» L'uomo borbottò fra sé qualcosa in tono rassegnato. «Purtroppo» continuò, «dubito che questo porterà a un risultato. Non sappiamo neppure in che giorno sia avvenuto il furto, perché il nostro amico ha lasciato un bigliettino nella bacheca: Articolo rimosso per operazioni di restauro. Oh, è stato astuto, questo signore. Non abbiamo trovato neppure impronte digitali.» «In altre parole» disse Adam, «non avete nessuna traccia.» «Nessuna che valga un penny» grugnì McLeod. «Non ci resta che tenere gli occhi aperti e aspettare che succeda qualcos'altro. C'è il caso che la spada venga ritrovata in qualche deposito o stanza di sgombero della casa, ma ne dubito. Questo caso puzza lontano un miglio di ordinazione da parte di un collezionista senza scrupoli, uno coi soldi necessari per assoldare un professionista.» «Mmh, come collezionista, tendo a essere d'accordo con questa ipotesi» disse Adam. «Ma non farti venire strani sospetti» s'affrettò ad aggiungere. «Non sono stato io a rubare quella spada!» La risata dell'ispettore McLeod non lasciò dubbio sul fatto che lui non
aveva mai considerato quell'idea. «Ci sarebbe d'aiuto capire che genere di persona può interessarsi tanto alla Spada degli Hepburn» disse McLeod. «Poiché tu sei uno psichiatra, oltreché un collezionista, forse non ti dispiacerebbe darmi la tua opinione.» Era un modo ufficioso d'invitare Adam a collaborare con un parere professionale... e a mettere in parole chiare un'idea che molto probabilmente era già venuta all'astuto McLeod, anche se lui non si sarebbe mai sbilanciato ad ammetterlo ufficialmente. «Be'» disse Adam, scegliendo con cura le parole, «io penso che si possa scartare l'obiettivo del semplice guadagno. Una spada da duemila sterline non vale la spesa di un professionista capace di aggirare i sistemi d'allarme. Il fatto che non manchi nient'altro può convalidare questa teoria. Questo significa che il ladro è andato là in cerca di quella spada fin dall'inizio.» «Già» disse McLeod. «Così dobbiamo chiederci: che genere di persona può desiderare quella spada particolare?» continuò Adam. «Non è un'arma speciale, né unica nel suo genere. Io stesso ho diverse spade non troppo dissimili, nella mia collezione, alcune delle quali appartenute a personaggi storici più importanti del Conte di Bothwell. «Di conseguenza dev'esserci qualcos'altro, nel passato di quella spada. Noi cosa sappiamo? Apparteneva al Conte Stregone di Bothwell. Non voglio che tu mi fraintenda, Noel, ma non è inverosimile che il ladro... o meglio, la persona per la quale egli ha agito, sia qualcuno convinto che la spada sia impregnata in qualche misura dei poteri attribuiti al suo antico proprietario.» «Questa è una teoria interessante» disse McLeod. Il suo tono piatto confermò ad Adam che l'ispettore era ben conscio della leggendaria fama di negromante del Conte Stregone. «Limitandoci a moventi meno esoterici, comunque» continuò McLeod, «penso che chiederò ai miei uomini di tenere d'occhio le sale d'asta e i mercatini all'aperto dove si vendono anche pezzi d'antiquariato.» «Questo è proprio ciò che io farei, al tuo posto.» McLeod sbuffò. «Immaginavo che avresti detto così! Nel frattempo, se qualche povero cristo finisse impalato sulla spada di Sir Francis Hepburn durante qualche rito satanico, cercherò di avvertirti prima che la notizia finisca sui giornali.» «Grazie» disse pacatamente Adam. «Lo apprezzerò molto.» Riportò lo
sguardo sul giornale, pensosamente. «Ah, ci sarebbe un'altra piccola faccenda di cui vorrei chiederti, già che siamo al telefono. Suppongo che tu abbia formulato qualche teoria personale su quel militare americano trovato morto a Glasgow.» «No. Ma sono felice che non si sia fatto ammazzare nella mia giurisdizione» disse baldanzosamente McLeod. «La polizia di Glasgow è stata messa sotto pressione da quelli del Ministero dell'Interno, che a loro volta hanno ricevuto pressioni dall'ambasciata americana...» S'interruppe, bruscamente. «Pensi che potrebbe esserci un collegamento fra i due casi?» «Non lo so» disse Adam. «Me lo stavo solo domandando.» «Questo è rassicurante» borbottò McLeod. «Ogni volta che tu cominci a domandarti qualcosa, è solo questione di tempo prima che io mi trovi assillato da torme di giornalisti che vogliono spiegazioni.» Adam lo compatì con una risatina. «Mi dispiace che ogni tanto accada questo, Noel. Se questo caso rivelerà complicazioni insolite, tu potrai contare sul mio aiuto.» «Oh, sicuro» brontolò l'ispettore. «Ma come ha già detto qualcun altro, prima di arruolarmi nella polizia sapevo che questo mestiere ha i suoi inconvenienti. In ogni modo, ora l'altro telefono sulla mia scrivania sta suonando. Se ti viene in mente una teoria interessante chiamami, d'accordo?» «Lo farò senz'altro.» Detto questo, Adam riappese il ricevitore e continuò a fare colazione, pensando alla Spada degli Hepburn. Aveva appena finito la seconda tazza di the, e stava riesaminando gli appuntamenti di quel giorno, quando Humphrey fece ritorno con la posta su un vassoio d'argento. Adam prese la pila di buste mormorando un ringraziamento e le aprì, scorrendo in fretta il contenuto. Poi le mise da parte e consegnò al maggiordomo la copia dello Scotsman. «Ho contrassegnato un articolo a pagina due. Ti sarò grato se lo archivierai per me. Potrei avere bisogno di consultarlo ancora.» «Capisco, signore.» Humphrey piegò il giornale e se lo mise sotto un braccio, prima di spostare lo sguardo sul tavolino. «Qui ha finito, signore?» Adam annuì. Si alzò e diede un'occhiata al suo orologio. «Sì, ho finito. Santo cielo, come vola il tempo! Devo passare da Kintoul House, prima di andare a Edimburgo.» Mentre sbarazzava il tavolino, Humphrey s'interruppe. «Non è accaduto nulla di spiacevole a Lady Laura, signore, voglio sperare?»
Adam sogghignò. «Questo ancora non lo so, Humphrey. E non lo saprò finché non la vedo. Ah, un'altra cosa, tu ricordi che questa sera sarò a cena col vescovo di Saint Andrew?» «Naturalmente, signore. Le ho preparato il completo grigio scuro, e nella sua ventiquattr'ore c'è una camicia fresca di bucato.» «Perfetto!» esclamò Adam con un sorriso, e dirigendosi alle scale si aggiustò la cravatta. «Se qualcuno mi cerca, allora, tu sai dove sarò. Oh, e se l'ispettore McLeod dovesse telefonare qui dopo che avrò lasciato l'ospedale, digli dove sono a cena e che potrà chiamarmi direttamente là.» «Molto bene, signore» disse Humphrey. «Penserò io a ogni cosa.» CAPITOLO SECONDO Meno di venti minuti più tardi, dopo essersi sbarbato e fatto la doccia, Adam uscì dai suoi appartamenti privati indossando il completo grigio, con camicia bianca, gilè e cravatta a righe, che rappresentava l'uniforme di chi esercitava la professione medica. L'immagine che teneva il passo con lui sugli specchi allineati nel corridoio centrale di Strathmourne House era quella di un uomo alto e dai capelli scuri, sulla quarantina, che si muoveva col passo vigoroso di una persona il cui tempo è prezioso e che non ne ha mai abbastanza. In gioventù aveva esercitato la scherma ed era stato un buon cavaliere nei concorsi di dressage, prima che la medicina e altri interessi distogliessero le sue energie dallo sport. La buona forma fisica che si curava di mantenere contribuiva a dare al suo portamento un'eleganza naturale, che non poteva essere insegnata. E la spruzzata d'argento sulle tempie ammorbidiva un profilo patrizio che, in altri uomini, sarebbe stato considerato severo. Tuttavia la severità del suo carattere era quella di un uomo che si aspetta più da se stesso che dagli altri. E la comprensione per le debolezze umane temperava quell'aria brillante, intensa, che Adam Sinclair portava con la naturalezza con cui si porta un abito. Anche nei momenti di rilassatezza, c'era sempre una scintilla che poteva accendersi all'improvviso nei suoi occhi scuri... occhi capaci di una luce spesso calda e amichevole, ma anche, più raramente, di lampeggiare furenti in un'esplosione di rabbia. Quest'ultimo aspetto del suo temperamento era bilanciato da un senso dell'ironia che di solito gli consentiva di mantenere l'autocontrollo in ogni situazione. Mentre passava dal corridoio nello spazioso atrio, quel mattino, cominciò a sentirsi di umore più vivace. All'esterno, Humphrey aveva portato
fuori dalla rimessa la Range Rover blu d'aspetto conservatore che Adam usava più spesso per andare in città, e lo aspettava accanto allo sportello con l'impermeabile, il cappello e la ventiquattr'ore. Ma poiché si prospettava una giornata di sole, Adam scosse il capo e s'avviò verso la rimessa. «Ho cambiato idea, Humphrey» disse, mettendo la valigetta e le altre cose sul sedile posteriore di una XJ-S decappottabile, acquistata qualche mese addietro. «È una giornata perfetta per la Jaguar. Se riuscirò a sbrigarmi entro il solito orario, a Jordanburn, quando mi metterò in strada verso Perth dovrebbe esserci ancora abbastanza luce. Non credo che il vescovo abbia già visto questa bellezza. Se riuscisse a portarla col necessario rispetto, forse gliela lascerò guidare un poco, prima di cena.» Humphrey ridacchiò, mentre lo aiutava a tirare indietro la capote e chiuderla nello scomparto a cerniera dietro il sedile. «Il vescovo si divertirà a guidarla, signore.» «Credo anch'io. È una macchina che dà soddisfazione.» Con un sorriso Adam sedette al volante e s'infilò i guanti da guida. «Poi, dopo che avrò mangiato il suo cibo e bevuto il suo ottimo Porto, provvederò a tirarlo su di morale consegnandogli un sostanzioso assegno per il fondo della fabbrica della cattedrale. Credo che San Ninian si sia stancato di avere sopra la testa un tetto che fa passare l'acqua.» «Può nominarmi una cattedrale che non abbia un continuo bisogno di riparazioni, signore?» replicò Humphrey sorridendo ironicamente, mentre Adam girava la chiave d'accensione e il potente motore si svegliava con un ruggito. Da lì a poco Adam uscì dal cancello e proseguì sulla strada alberata, a testa nuda sotto il sole e godendosi il vento fra i capelli. I faggi color rame erano al meglio del loro aspetto in quella giornata d'ottobre, e alla prima curva la facciata gotica di Strathmourne scomparve sullo specchietto retrovisore dietro una muraglia di foglie fiammeggianti. Adam mantenne la velocità bassa mentre passava lungo una fila di case coloniche che facevano parte della tenuta. Dietro la casa, i campi erano una distesa bruna e gialla, punteggiati dai covoni circolari del fieno falciato da poco. Più oltre, su un pendio, uno dei tre mezzadri della tenuta stava arando il terreno per prepararlo alla semina del raccolto invernale d'orzo. Uno stormo di uccelli bianchi roteava nell'aria dietro l'aratro, alla caccia di larve e vermi fra le zolle appena smosse. A circa un miglio dalla casa, la strada attraversò un secondo cancello, solitamente lasciato aperto, e l'auto uscì su una strada secondaria ben asfal-
tata. Adam girò a sinistra invece di dirigersi a destra verso Edimburgo; quindi prese per una serie di strade di categoria B finché giunse all'ingresso principale della tenuta di Kintoul, contrassegnato dallo stemma bianco e blu raffigurante un castello stilizzato. La ghiaia crepitò sotto i pneumatici della Jaguar quando passò sotto l'arcata di pietra dell'ingresso e proseguì sul lungo viale. I colori dell'autunno, a Kintoul - i toni bruciati che piacevano tanto a Lady Laura - erano di bell'effetto come a Strathmourne, e nel guidare verso la casa Adam si domandò perché fosse stato convocato. Dal momento che conosceva Lady Laura fin da quand'era bambino c'erano diverse possibilità, naturalmente, sia professionali che personali. Aveva ricevuto un biglietto sintetico prima del weekend, con la richiesta di passare da Kintoul nella giornata di lunedì. Il tono di quelle poche righe era casuale e spensierato, com'era tipico di Laura, ma Adam era rimasto con l'impressione che dietro quell'invito ci fosse anche un altro scopo inespresso, non solo il semplice piacere della sua compagnia. Dopo aver letto il biglietto aveva subito telefonato a Kintoul, ma Lady Laura aveva declinato fermamente la sua proposta di venire a farle visita il sabato, o magari la domenica. Questo aveva incrementato in Adam il sospetto che lei avesse scelto il lunedì per un motivo particolare. I campi che si estendevano subito dopo l'ingresso lasciarono il posto a un pascolo ondulato, dando modo ad Adam di vedere per intero l'estensione dell'edificio che era Kintoul House. Da lontano la sua complessa silhouette si mostrava ricca di torri, torrette e mura merlate, costruite in prevalenza di pietra giallastra. I sostegni dei terrazzi, come l'intelaiatura delle finestre a due luci, erano in arenaria grigia, dello stesso colore delle lastre di pietra dei folkloristici tetti obliqui. L'azzurro e il bianco della bandiera scozzese - quella con la Croce di Sant'Andrea, detta più familiarmente «il lenzuolo azzurro» - sventolava da una delle torri più alte, ma quella dei Kintoul non era esposta, a indicare che il Conte di Kintoul, il figlio maggiore di Lady Laura, non era in casa. Questo non sorprese Adam, perché Kintoul House, come molte dimore storiche scozzesi, era diventata oltreché una residenza anche in buona parte un museo. In estate il Conte apriva al pubblico la proprietà e dodici delle ventotto stanze dell'edificio. Era una questione economica. Tutto era sempre ben tenuto, ma dei tavoli da picnic, un centro per i visitatori e un parco giochi per i bambini ora occupavano la striscia di prato un tempo riservata al croquet e al badminton. Questo rattristava Adam, ma era sempre meglio
che vedere dimore storiche come Kintoul trasformate in alberghi, o addirittura suddivise in appartamenti. Lui sperava di poter risparmiare a Strathmourne quel destino. Ripensando alle racchette da badminton e alle mazze da croquet dei caldi giorni d'estate di un'infanzia ormai lontana, Adam oltrepassò il posteggio delle auto dei visitatori, completamente deserto ora che la stagione turistica era terminata. Un tratto asfaltato della strada lo portò oltre un'arcata e intorno all'ala est della casa, nel piccolo parcheggio davanti all'ingresso privato della famiglia. Fermò la Jaguar accanto a un'auto che non ricordava di avere mai visto a Kintoul House: una Morris Minor Traveller verde, con la carrozzeria parzialmente in legno. Il sedile posteriore era stato abbassato per far posto a parecchie larghe tele da pittore, tutte ancora non dipinte, a quanto Adam poté vedere. Mentre si toglieva i guanti e si passava in fretta un pettine fra i capelli, si domandò chi fosse il proprietario, ma mise da parte la curiosità e si avviò su per gli scalini della porta laterale di Kintoul. Al suono del campanello, venne ad aprire un cameriere in livrea che Adam non aveva mai visto. Mentre questi lo scortava nel vestibolo, furono raggiunti da Anna Irvine, la cameriera personale e talvolta segretaria di Lady Laura. «Sir Adam, è un piacere vederla» disse la donna, accogliendolo con una robusta stretta di mano e un sorriso dietro il quale s'intuiva una certa preoccupazione. «Sua signoria è nella galleria lunga. La condurrò io da lei, se vuole seguirmi.» La galleria si estendeva per tutta la lunghezza dell'ala nord, più un corridoio che una stanza. Un bel tappeto persiano rallegrato da disegni rosa e celesti ricopriva l'intero pavimento, ma poiché il locale non era usato come zona di soggiorno il mobilio consisteva solo in una fila di sedie allineate lungo la parete interna, e qualche tavolino a muro. In altri tempi la galleria aveva avuto lo scopo di permettere agli abitanti della casa di passeggiare e fare esercizio fisico nelle giornate di cattivo tempo. Attualmente serviva come corridoio di collegamento fra varie stanze del pianterreno, fuorché d'estate, quando i visitatori vi passavano per vedere i ritratti di famiglia appesi al muro. Quel giorno, invece, l'estremità più lontana della galleria era stata trasformata in qualcosa di simile a un palcoscenico. Mentre si avvicinava, Adam riconobbe alcuni mobili provenienti da altre parti della casa - un tavolinetto, una sedia a due posti, un paravento ornamentale - messi insieme
per creare l'illusione di una piccola stanza. In posa, di profilo, nel mezzo di quella scena, regale come una bambola di porcellana in costume d'epoca, c'era una donna anziana dall'aria un po' insolente, vestita con un abito da ballo lungo fino ai piedi. Da una spalla al fianco opposto, attraverso il petto, aveva una fascia di tartan scozzese coi colori del clan, e una tiara di diamanti era poggiata come una corona sui suoi capelli candidi perfettamente acconciati. Seguendo la cameriera, Adam vide che una larga tela era stata montata su un cavalletto da pittore, a pochi metri dalla costruzione scenica. Sentì l'odore della trementina, e intravide qualcuno che si muoveva dietro la tela. Prima che lui potesse vedere meglio l'artista, la donna con la tiara si girò e lo vide, e il suo volto s'illuminò di un sorriso. «Adam, mio caro!» esclamò. «Resta lì dove sei. Verrò io da te.» Con un cenno di scusa in direzione dell'artista, la donna abbandonò la posa davanti al paravento e andò incontro ad Adam lungo la galleria. Osservandola col suo sguardo critico da medico Adam poté tranquillizzarsi, notando che nel portamento di lei non c'erano esitazioni o segni di debolezza. Mentre la distanza fra loro diminuiva, lei alzò entrambe le mani, sottili e percorse di vene blu. Adam le prese e si piegò verso di lei, per ricevere un bacio materno su una guancia. «Adam, non so dirti quanto sono felice di vederti» disse Lady Laura, mentre a sua volta lui le baciava le mani. «È così gentile da parte tua venire a farmi visita.» «Pensava forse che avrei potuto ignorare l'invito della mia lady preferita?» disse lui con un sorriso. Poi la sua espressione tornò seria. «Come sta, mia cara?» Lady Laura scartò la domanda con una scrollata di spalle, poi accennò alla cameriera che poteva andare. «Sto bene, per quanto ci si può aspettare da una persona della mia età» disse, in tono discorsivo. «Ma non parliamo di me. Tu, piuttosto, come te la passi, con la tua ultima covata di dottori-studenti?» «Non troppo male... anche se la vita sarebbe più semplice se potessi persuaderli a non progettare esperimenti sui degenti ogni volta che viene fuori una nuova teoria, o una nuova scoperta.» Adam ebbe un sogghigno triste. «Ci sono giorni in cui mi sento così simile a un cane da pastore che vorrei abbaiare alle pecore.» «Ah, e questa è una cosa che tu ami sopra ogni altra!» lo rimproverò lei, con un lampo divertito nello sguardo.
«Sì, suppongo che sia così, altrimenti non potrei farcela.» Adam fece un passo indietro per osservare da capo a piedi la sua ospite. «Ma lei... Laura, devo dire che è veramente splendida, addirittura regale! Dovrebbe farsi fare il ritratto tutti gli anni.» «Dio me ne guardi!» La Contessa Madre di Kintoul alzò al cielo gli occhi azzurro chiaro, con un sospiro disperato. «Questa è solo la mia seconda seduta, anzi, seconda posa, come suppongo si dica, e ti assicuro che l'eccitazione della novità è già andata a farsi benedire. Spero solo che Peregrine non insista per fare troppi particolari.» «Peregrine?» Adam inclinò il capo, interessato. «Non sarà per caso Peregrine Lovat?» «Be', sì» rispose Lady Laura, compiaciuta di se stessa. «Devo supporre che tu conosca già le sue opere?» «Sì, le conosco» annuì Adam. «Alcuni dei suoi ritratti erano esposti alla Royal Scottish Academy, l'ultima volta che sono stato là. Mi hanno fatto un'ottima impressione. C'è una luce nel suo stile, potrei dire un'intuizione artistica... uno ha quasi l'impressione che abbia dipinto anche qualcosa, dei suoi soggetti, che non era visibile a occhio nudo. Mi piacerebbe molto conoscerlo.» «Sono felice di sentirti dire questo» rispose la donna, «perché anche a me piacerebbe molto fartelo conoscere.» Quella candida ammissione le procurò uno sguardo penetrante da parte del suo visitatore. «Devo supporre che sia questa la ragione per cui mi ha chiesto di farle visita, oggi?» Lady Laura si mordicchiò un labbro ed evitò il suo sguardo, con un lungo sospiro. «Credo che lui abbia bisogno del tuo aiuto, Adam» disse sottovoce. Poi lo prese a braccetto per condurlo lontano dagli orecchi dell'artista. «Forse non dovrei occuparmi dei fatti di un'altra persona, ma... Peregrine non è una conoscenza occasionale. Tu probabilmente non lo ricordi, ma lui era un amico di Alasdair. Si conobbero a Cambridge. Alasdair lo portava spesso con sé a pescare salmoni, nella tenuta dei Ballater... prima dell'incidente.» Alasdair era stato il più giovane e il prediletto dei suoi figli. Incoraggiata dall'attento silenzio di Adam, Lady Laura continuò: «Peregrine stava dipingendo a Vienna, a quel tempo.» Si schiarì la voce e raddrizzò le spalle. «Ma tornò qui, per il funerale. Poi, per molto tempo, non lo rividi più, an-
che se ogni tanto mi scriveva per farmi sapere dov'era e cosa stava facendo. A volte mi accade di pensare a lui come a un altro figlio. «Così, puoi immaginare quanto sono stata felice quando mi ha fatto sapere di aver preso uno studio a Edimburgo» proseguì la donna, più vivacemente. «Appena si è sistemato, l'ho invitato qui per fare il ritratto ai ragazzi. La settimana dopo è venuto in macchina, e ha eseguito gli schizzi preliminari. Se non... se non lo avessi invitato io personalmente, forse non lo avrei neppure riconosciuto.» Lady Laura si fermò a studiare il bordo della sua fascia di tartan, come senza vederlo. «È sempre stato un ragazzo molto tranquillo» disse ancora, più lentamente. «Più riservato, forse, di quanto potrebbe convenirgli. Ma aveva un bellissimo sorriso, quando dimenticava di restare serio. E ora... ora sembra che in lui non sia rimasto alcuno spirito. È come se... volesse isolarsi da tutto il resto del mondo, e dalla vita. E se qualcuno non riuscirà in qualche modo a salvarlo, temo che gli succederà proprio questo» concluse, in tono fosco. Quando infine alzò lo sguardo a cercare quello di Adam, la sua espressione era di muta supplica. Lui le strinse con gentilezza una fragile mano. «Qualunque cosa si possa dire di questo suo giovane protetto» le rispose, con un sorriso, «è fortunato nella scelta dei suoi amici. E ora, perché non viene ad aiutarci a fare conoscenza?» Peregrine Lovat era dietro il cavalletto quando gli altri due si avvicinarono, e stava nervosamente pulendo una spatola con uno spazzolino alquanto consumato. Ogni linea del suo corpo lasciava intuire la tensione. Visto da vicino era un giovanotto attraente di altezza media, all'apparenza neppure trentenne o poco oltre la trentina, con un'ossatura fine, mani larghe e sensibili, pelle d'un biancore cereo e capelli castano chiari. Era elegantemente vestito con pantaloni di lana e un maglione di cashmere con il collo a V. I polsini della camicia bianca erano prudentemente ripiegati indietro. La sua cravatta di seta aveva i colori di Oxford, ed era stretta al colletto con precisione puntigliosa, come la negazione stessa della capacità di rilassarsi anche mentre lavorava. Il suo volto ovale avrebbe potuto fungere da modello per Leonardo da Vinci, se non fosse stato per gli occhiali dalla montatura in oro. Le lenti, spesse, rendevano difficile vedere il colore dei suoi occhi. Intanto che Lady Laura faceva le presentazioni, Adam cercò di definire meglio la sua impressione iniziale, andando oltre l'apparenza fisica. Ciò che vide a un secondo e più attento sguardo diede sostanza alle paure che
la Contessa aveva espresso sul comportamento di Lovat. Tutto, in quel giovane, suggeriva uno stato di repressione emozionale. I suoi folti capelli color bronzo erano pettinati lisci con estrema cura, e il freddo grigio dei suoi abiti sembrava risucchiare ogni residuo di colore dal volto, pallido e tirato, più magro di quel che avrebbe dovuto essere. Le labbra, incapaci di sorridere, erano strette in una linea esangue. La voce di Lady Laura distrasse Adam dal suo sommario esame. La donna, si accorse, stava parlando all'artista. «Adam è uno psichiatra, Peregrine, ma non lasciare che questo ti metta a disagio» gli disse. «È anche un mio caro vecchio amico... e ammira molto il tuo lavoro.» «È così, Mr. Lovat» disse Adam, cogliendo la palla al balzo. «Sono davvero lieto di poterla conoscere.» Sorrise e gli porse la mano, ma non fu sorpreso quando il giovane trovò il modo di evitarla. «Mi scusi, Sir Adam» disse Peregrine, mostrandogli nervosamente le dita sporche di colore. «Temo di non essere in grado di ricambiare la sua cortesia.» Con quella giustificazione mormorata a labbra strette, spostò il suo tavolino da lavoro accanto al cavalletto e cominciò a pulirsi le mani con uno straccio di lino. Le dita gli tremavano un poco. Quando Adam si avvicinò, come per dare uno sguardo al lavoro in corso sul cavalletto, Peregrine raccolse in fretta un drappo di juta color crema e coprì la tela parzialmente dipinta. «Non fa nulla, Mr. Lovat» disse Adam, fingendo di non notare quel gesto. «Le chiedo scusa, se ho interrotto il suo lavoro. A giudicare da ciò che ho avuto il privilegio di vedere in passato, lei ha un raro talento per il ritratto. Sono stato particolarmente colpito dal suo studio di Lady DouglasMcKay e dei suoi due figli. A mio avviso è uno dei più bei pezzi esposti quest'anno alla RSA.» Peregrine scoccò ad Adam un rapido, quasi furtivo sguardo da sotto le ciglia abbassate, poi dedicò tutta la sua attenzione a un pennello che aveva preso a pulire. «Le sono obbligato per il complimento, signore» mormorò rigidamente. «Il modo in cui lei ritrae i bambini è particolarmente pregevole» continuò Adam con calma. «La settimana scorsa ero in visita a casa dei Gordon-Scotts, e non ho potuto fare a meno di ammirare il suo recente ritratto dei loro due figli, un ragazzino e una fanciulla. L'ho riconosciuto come una
sua opera ancor prima di guardare la firma. La sua capacità di catturare lo spirito che c'è dietro un volto è davvero molto notevole.» Il giovanotto mormorò qualcosa d'incomprensibile con l'aria di schermirsi modestamente, e mise da parte lo straccio. Guardò di nuovo Adam, poi bruscamente si tolse gli occhiali e li scrutò come se non ne fosse soddisfatto. Non più nascosti dalle lenti i suoi occhi rivelarono le profonde occhiaie scure che li circondavano. «Adam, mio caro» intervenne Lady Laura, dietro di loro, «se tu e Peregrine volete parlare dei meriti della sua tecnica pittorica, sono certa che potremo farlo più comodamente altrove, piuttosto che in questa galleria piena di correnti d'aria. Se volete scusarmi un momento, dirò ad Anna di farci portare il caffè nel soggiorno.» La donna si allontanò prima che Peregrine potesse obiettare qualcosa, ma Adam non volle perdere l'opportunità che lei aveva creato. L'artista si rimise in fretta gli occhiali e seguì l'allontanarsi della Contessa con uno sguardo in cui c'era una luce di torpida disperazione. Adam se ne chiese il motivo. «Be', come al solito Lady Laura è una donna molto percettiva, e anche pratica» disse amabilmente Adam, fregandosi le mani un po' infreddolite. «Un caffè è proprio quel che ci vuole, in questo momento. È sorprendente che lei non abbia le dita troppo rigide per dipingere, con la temperatura che c'è qui dentro. Le spiace se do un'occhiata?» Prima che Peregrine potesse impedirglielo, Adam raggiunse il cavalletto con due rapidi passi e cominciò a sollevare un angolo del drappo che copriva la tela. Quel gesto improvviso colse Peregrine alla sprovvista, e istintivamente il giovane alzò una mano per afferrare il suo braccio, fermandosi all'ultimo momento. «No... per favore!» protestò, mentre la sua mano fluttuava impotente accanto al polso di Adam, che s'accingeva a scostare il drappo. «Io... sul serio, preferirei che lei non... voglio dire, non mi piace che qualcuno guardi il mio lavoro prima che sia del tutto finito...» Adam volse su di lui uno sguardo penetrante. Il suo effetto fu di far abbassare la mano del giovane, che non disse altro e tacque. Adam si girò di nuovo verso la tela. Con deliberata lentezza sollevò il drappo di juta che la copriva, esponendo completamente il dipinto alla vista. Sulla tela c'era una fusione quasi surrealistica di scene che avrebbero potuto appartenere a due quadri del tutto diversi. Adam conosceva i tre nipoti Kintoul. In primo piano Walter, Marjory e Peter Michael guardavano alle-
gramente il mondo con occhi divertiti e colmi di luce. La parte della tela occupata da loro era piena di vita, di luce e di colori. L'espressione ingenua del volto rotondo del giovane Peter strappò ad Adam un involontario sorriso, ma il sorriso si spense quando i suoi occhi si spostarono sull'altra metà della tela. La graziosa figura che dominava lo sfondo era quella di Lady Laura. La somiglianza era impeccabile, ma dove le forme dei bambini erano solide e luminose, quella di Lady Laura era pallida e insostanziale, come un'immagine dipinta sull'acqua. L'espressione del suo sguardo era dolce e triste, la bocca socchiusa come nell'atto di dire addio. La scena già parzialmente finita dietro di lei era quella di un bianco giardino d'inverno addormentato sotto una coltre di neve. Adam guardò il dipinto in silenzio per un lungo minuto. Poi abbassò il drappo di juta e lo coprì di nuovo, quasi dolcemente. «Ora capisco» disse sottovoce, senza ancora voltarsi. «Lei lo ha saputo, non è così?» Alle sue spalle, Peregrine ebbe un lieve ansito rauco. Sorpreso, Adam si girò a guardarlo in faccia. Dietro le lenti, gli occhi del giovane erano pieni di angoscia e di stupore. Era abbastanza chiaro che Peregrine Lovat non aveva nessuna idea del motivo che lo aveva spinto a dipingere ciò che aveva dipinto. «Mi dispiace» disse Adam, mentre un'ombra di compassione ammorbidiva lo sguardo dei suoi occhi scuri. «Ora comprendo che lei ancora non lo sa. Ma è così, la Contessa sta morendo, Mr. Lovat. Dubito che più di mezza dozzina di persone al mondo ne siano al corrente, e Lady Laura non vuole farlo sapere ad altri... però lei lo ha visto. O meglio» concluse, con calma, «non ha potuto fare a meno di vederlo.» Peregrine spalancò gli occhi. Fece due passi indietro, poi si fermò, visibilmente scosso. La sua bocca si mosse, ma non ne uscì un suono. «Mio caro ragazzo, non deve preoccuparsi» mormorò Adam. «Ci sono molti modi di vedere; alcuni sono semplicemente modi di conoscere. Questa facoltà che lei ha è un dono, non una maledizione. Lei può imparare a usarla, invece di lasciarsi usare da essa.» Peregrine ebbe un breve gesto difensivo con una mano tremante e deglutì saliva. «Non so di cosa sta parlando» disse, con voce rauca. «Sì, è evidente che non lo sa... almeno, non ancora» annuì Adam. «Ma per il suo bene, spero che lei rifletta su quel che le ho appena detto.» Un movimento all'estremità orientale della galleria impedì ai due di dire
qualcos'altro. La cameriera di Lady Laura venne verso di loro e annunciò che il caffè era già servito nel soggiorno, dove la Contessa li stava aspettando entrambi. Peregrine si scusò di non poter accompagnare Adam, dicendo che lo avrebbe seguito appena si fosse lavato le mani. Adam non fece obiezioni e si avviò da solo, lasciando al giovane il tempo di ricomporsi per quanto possibile. La stanza di soggiorno, in contrasto con la formalità della galleria, aveva una luminosa tappezzeria azzurra e oro ed era piena di colori allegri. Quando Adam fece il suo ingresso trovò Lady Laura comodamente seduta su un sofà coperto di chintz accanto al caminetto, dove due ciocchi ardevano scoppiettando. Davanti al sofà, dall'altra parte del tavolino su cui era servito il caffè, c'era una sedia imbottita. «Un giovanotto molto interessante» disse Adam in risposta allo sguardo interrogativo della donna, mentre sedeva accanto a lei. «Non aveva torto, nel voler farmelo conoscere.» «Ti sembra che stia bene?» domandò lei, preoccupata. «Adam, cosa c'è che non va in lui? Tu lo sai?» Adam le diede un colpetto rassicurante su una mano e sorrise. «Dopo un colloquio così breve posso soltanto fare delle prudenti ipotesi, ma credo di avergli dato qualcosa su cui pensare. Ora non resta che aspettare e vedere, d'accordo?» Peregrine sembrava a disagio e rigidamente controllato quando li raggiunse, pochi minuti dopo, anche se il grigiore del suo abito era adesso ravvivato da una giacca blu in stile marinaresco con tondi bottoni dorati. Accettò una tazzina di caffè da Lady Laura e sedette di fronte a loro, ma non volle mangiare niente. Rassicurata da uno sguardo di Adam, Lady Laura prese le redini della conversazione e si lanciò in alcuni divertenti aneddoti su un paio dei personaggi più eccentrici raffigurati nella galleria di ritratti di famiglia. Alla fine Adam depose la tazzina e consultò il suo vecchio orologio d'argento da tasca. «Ah, deve scusarmi, Lady Laura, ma temo di dover scappare» disse, rimettendo l'orologio nel taschino. «Fra mezz'ora sono atteso in corsia, e Dio solo sa quali assurde speculazioni inventeranno i miei dottori-studenti se non sarò là io a supervisionare. A volte vorrei che la psichiatria fosse una scienza esatta.» «Devo chiederti scusa, mio caro» disse Lady Laura con un sorriso. «Lungi da me monopolizzare il tuo tempo, a spese dei tuoi doveri.» Adam si alzò dal sofà. «La tentazione di lasciarmi monopolizzare da lei
è grande» disse, ridacchiando, «ma ahimè irrealizzabile. La ringrazio per il caffè. Se potrò, cercherò di approfittare di nuovo della sua ospitalità, diciamo mercoledì.» «Tu sai d'essere il benvenuto in qualsiasi momento» rispose lei, offrendogli la guancia da baciare. «Grazie per essere venuto, Adam.» «Il piacere è stato mio, cara Lady Laura.» Detto questo, Adam si volse a Peregrine, che sedeva in silenzio dall'altra parte del tavolino. «Ebbene, Mr. Lovat» continuò, «è stato un privilegio fare la sua conoscenza.» Si portò una mano alla tasca interna sinistra della giacca e ne estrasse un fine cartoncino bianco stampato in oro. «Questo è il mio biglietto da visita» disse a Peregrine, porgendoglielo. «La prego, se potrà, di chiamarmi in qualsiasi momento, nei prossimi giorni. Dopo ciò che ho visto oggi, gradirei molto parlare della possibilità di farmi fare il ritratto da lei.» CAPITOLO TERZO I due giorni successivi trascorsero senza che Adam avesse notizie da Peregrine Lovat. Il mercoledì pomeriggio fece ritorno a Kintoul per la visita che aveva promesso. Con sua sorpresa, Peregrine Lovat non c'era. Dopo essersi accertato che Lady Laura fosse serena e ragionevolmente su di morale, lui le domandò del giovane pittore. «Davvero non saprei dirti molto, Adam» mormorò la donna, sorseggiando il the con lui nel soggiorno. «Ieri non si è fatto vedere. E poi, questa mattina, mi ha telefonato per informarmi che aveva un impegno con l'agente di non so quale galleria di Londra. Se non ti conoscessi, potrei accusarti di averlo spaventato.» «Be', che sia spaventato è certo» disse sobriamente Adam. «Purtroppo non c'è molto che io possa fare per lui, se non comincerà ad avere più paura di se stesso di quanta ne abbia di me.» Detto questo, Adam spostò la conversazione su un altro argomento. Non voleva rivelare il motivo del suo interesse per Peregrine Lovat... non a Lady Laura Kintoul, sulla quale il pittore aveva sentito aleggiare l'ombra della morte. Dopo aver chiacchierato per un'oretta, e averle strappato la promessa che lo avrebbe chiamato se avesse avuto bisogno di lui come amico o come medico, si accomiatò affettuosamente. Se le cose si fossero svolte come al solito, Adam avrebbe telefonato a Lady Laura prima della fine della settimana, ma quel giovedì una violenta
tempesta autunnale spazzò il Mare del Nord, portando con sé trombe d'aria, una pioggia torrenziale e spettacolari raffiche di fulmini. Nel tempo di ventiquattr'ore, gli alberi sulle pendici nord-orientali delle colline furono spogliati d'ogni foglia, e i fossati d'irrigazione lungo i campi si trasformarono in lunghe paludi colme d'acqua. La tempesta saturò l'atmosfera di ioni negativi, e il risultato fu che alcuni pazienti di Adam a Jordanburn caddero in uno stato di depressione suicida. Lui ebbe da fare fin oltre il normale orario di lavoro, per aiutare il personale a calmarli, e di conseguenza Peregrine Lovat e Lady Laura Kintoul si allontanarono dai suoi pensieri. Il sabato mattina, le crisi professionali tornarono tuttavia sotto controllo, in tempo perché lui potesse occuparsi degli impegni sociali che aveva in programma per il weekend. Il tempo era ancora brutto, ma verso le dieci, quando Humphrey guidò la macchina fuori dal parcheggio di Jordanburn e si diresse a ovest, il cielo settentrionale lasciava intravedere una possibile schiarita. L'elegante vecchia Bentley che era la preferita di Adam, ancor più della Jaguar, confermò la sua reputazione di «silenziosa macchina sportiva» mentre percorrevano la M8 verso Glasgow e poi giravano in direzione di Ferniegair, a sud. Il suo appuntamento per il pranzo era a Chatelherault, un magnifico casotto da caccia costruito per il Duca di Hamilton ai primi del diciottesimo secolo, dove Adam aveva promesso di intervenire alla piccola festa di compleanno dell'attuale Duca. Dato che l'anziano individuo era stato un buon amico di suo padre, lui considerava quell'invito un piacere piuttosto che un dovere sociale. Andarci con la vecchia Bentley era un'altra piccola dimostrazione di stima, perché il Duca e suo padre erano stati degli entusiasti appassionati di auto d'epoca. Avrebbe preferito condurre la vettura lui stesso, ma delegare quel compito a Humphrey gli diede il tempo di rileggere il testo del discorso che aveva preparato. Durante il tragitto riesaminò anche i suoi appunti per un altro discorso che avrebbe dovuto tenere quel pomeriggio a Edimburgo, nella sala del teatro dove sì sarebbe svolto un concerto di beneficenza - era in programma Die Zauberflöte - e questa era un'altra ragione per lasciar guidare Humphrey. Adam detestava parcheggiare in città. Oltre a questo, dato che i fitti impegni della giornata gli impedivano di tornare a Strathmourne fra l'uno e l'altro, aveva incaricato Humphrey di raggiungerlo portando con sé un abito da sera completo di ogni accessorio, per potersi cambiare prima di andare a teatro. Quello era un tipico sabato di Sir Adam Sinclair, Baronetto.
Il pranzo dagli Hamilton si svolse serenamente, benché fuori imperversasse un tempo da cani. Durante una pausa nella pioggia, Adam condusse l'anziano Duca nel parcheggio e gli fece provare la Bentley, chiacchierando dei vecchi tempi quando il Duca e il padre di Adam guidavano automobili di quel genere a velocità molto maggiore di quella a cui Humphrey osasse portare quella dignitosa Mark VI. Quando rientrarono, Adam si lasciò persuadere a restare per un drink anche dopo che la maggior parte degli altri ospiti se n'erano andati, cosicché ebbe appena il tempo di cambiarsi prima di lasciare Chatelherault e passare a prendere la sua compagna di quella sera. La donna era già pronta e lo stava aspettando, quindi poterono arrivare al teatro con qualche minuto di anticipo. Janet, Lady Fraser, era la moglie di un medico collega di Adam che era stato chiamato a Parigi per un consulto. I Fraser abitavano poco a nord di Edimburgo, sull'altra sponda del Firth, e come Adam erano dei generosi patroni per le serate operistiche. Entrambi i Fraser, marito e moglie, erano amici di Adam fin da bambini. Janet Fraser era anche un'inguaribile romantica, che tormentava Adam senza pietà sul suo celibato e non cessava mai di tentare di organizzargli incontri mondani con giovani donne di buona famiglia. Quando Adam ebbe tenuto il suo discorso e fu tornato al loro palco, lei limitò le sue spiritose punzecchiature agli intervalli e gli lasciò godere la magia della musica del flauto, ma allorché furono di nuovo nell'intimità della Bentley e in viaggio verso casa, non gli risparmiò qualche altra frase mordace. «Oh, sei davvero impossibile, Adam» sospirò Janet, mentre Humphrey svoltava a nord sul Form Road Bridge. «È sempre bello averti come cavaliere, quando Mattew è via in uno dei suoi viaggi, ma tu hai bisogno di una compagna. Stasera avresti potuto avere al tuo braccio le più belle ragazze della città.» Adam sospirò e si appoggiò al comodo schienale della Bentley, un po' stanco di quelle insistenze. Non aveva abbandonato la speranza di arricchire la sua vita con una moglie e dei figli, ma la donna dei suoi sogni - sogni un po' troppo precisi, lo ammetteva lui stesso - continuava a non apparire all'orizzonte. Questa non era colpa di Janet, naturalmente. In ogni modo lui fu lieto che non potesse vedere come le sue continue esortazioni cominciassero a irritarlo. Benché il candore della sua sciarpa e della camicia risaltassero sul nero dell'abito da sera, lui sapeva che la sua faccia era solo una chiazza
vaga. Anche la donna vestiva di nero, ed era quasi invisibile nella profonda penombra del sedile posteriore, salvo il saltuario scintillio del collier di diamanti sullo sfondo della pallida colonna del suo collo. «Devo sempre ricordarti che mi sto risparmiando per la donna giusta? Inoltre, l'illustre candidata dev'essere nubile» replicò, nel tono faceto che lei si aspettava. «Tu, per esempio, avendo una fede al dito sei al sicuro dai miei bassi appetiti... o quasi.» «Oh, Adam! Sei proprio incorreggibile. Qualcuno potrebbe pensare che non hai affatto bassi, e normali, appetiti... anche se non ho dimenticato quel che mi hai fatto quando avevamo otto anni, nella vecchia soffitta di casa tua, al buio...» «Oh, vuoi dire che eri tu, quella sera? Diavolo, in tutti questi anni ho sempre creduto che fosse tua cugina Mary Rose.» «Oh, smettila, razza di sciocco!» ridacchiò Janet. «In ogni modo, io ti conosco bene e so che non sei diverso da ogni altro uomo. Da qualche anno, però, mi sembra che tu cominci a sentirti bene in questa tua esistenza da monaco.» Adam rifletté su quell'accusa. Nella parte della sua vita che lui condivideva soltanto con pochissimi amici intimi, alcuni aspetti del loro lavoro comune richiedevano in effetti una disciplina e una dedizione monacale; ma questo non era un argomento che potesse discutere con Janet, per quanto fosse una cara amica. «Mi giudicheresti meno monacale se ci fermassimo a Strathmourne per un drink, prima che io ti riaccompagni a casa?» le domandò, in tono leggero. «Mi affretto a precisarti che questo è soltanto un invito per un drink. Le amabili signore sposate sono sempre le benvenute nel refettorio nell'abbazia di Strathmourne, ma la mia cella monacale rimarrà vergine dal peccato.» «Oh, Adam!» sorrise ancora lei, scuotendo il capo. «Non so proprio perché me la prendo tanto a cuore, per te. Forse dovrei gettare la spugna.» Ma poi l'amica gli permise di passare a un altro argomento, e lui disse a Humphrey di cambiare strada. Quando presero la statale diretta a Strathmourne, c'era poco traffico, e aveva ricominciato a piovere. Janet gli appoggiò la testa su una spalla, iniziando ad appisolarsi. La Bentley oltrepassò il cancello esterno e si avviò verso l'arcata d'ingresso facendo frusciare la ghiaia bagnata sotto le ruote. Dopo l'ultima curva, Humphrey usò il telecomando per far aprire il cancello interno, ma subito dopo mandò un'esclamazione stupefatta e inchiodò i freni.
La Bentley si fermò sotto la pioggia. Adam si raddrizzò bruscamente e guardò avanti attraverso il parabrezza, mentre Janet sbatteva le palpebre insonnolita accanto a lui. Di fronte al cancello chiuso, che si stava aprendo solo allora, la strada era bloccata da una Morris Minor verde con le fiancate in legno. Sulla sinistra della macchina, una figura inzuppata di pioggia apparve nella luce dei fari della Bentley. «Buon Dio, ma quello non è Peregrine Lovat?» esclamò Adam, e subito spalancò lo sportello dell'auto. L'artista non portava cappello né sciarpa. La pioggia gli aveva inzuppato l'impermeabile, e i suoi capelli castano chiaro erano appiccicati alla testa. Evidentemente stava andando avanti e indietro da un po' di tempo, perché le sue scarpe avevano scavato un sentiero nel fango e nelle foglie morte a lato della strada. Per un momento si fermò a guardare, come ipnotizzato dai fari della Bentley; poi si mosse verso di loro, con l'andatura vacillante di un sonnambulo. Non portava gli occhiali. «Che sia ubriaco?» domandò Janet. «Non credo» disse lui. «Scusami, ma penso proprio che per quel drink dovremo rimandare a un'altra occasione. Ti dispiace?» «No, non preoccuparti per me» rispose Janet. «Del resto, sono un po' stanca. Forse è meglio che tu chieda a Humphrey di accompagnarmi a casa.» Adam si gettò il soprabito sulle spalle e uscì dalla vettura, giusto in tempo per afferrare il giovanotto prima che cadesse in ginocchio. Visto da vicino, nella luce spietata dei fari, Peregrine aveva una faccia che lo impressionò. I suoi occhi erano iniettati di sangue, cerchiati di scuro per la mancanza di sonno, e sulla tempia destra aveva una brutta escoriazione. «Peregrine, cosa diavolo le è successo?» domandò Adam. «Lei ha un aspetto che fa paura!» Peregrine mandò un gemito rauco e si aggrappò a una manica di Adam con dita bagnate di pioggia. «Mi aiuti» ansimò con voce rotta. «Per favore... lei deve aiutarmi.» «Naturalmente, farò tutto ciò che posso» gli assicurò Adam. «Ma innanzitutto togliamoci da questa pioggia. Venga.» Humphrey aveva lasciato il volante, e stava girando intorno alla Bentley per raggiungerli. La faccia di Janet era una chiazza pallida nello sportello posteriore sinistro, aperto. Con improvvisa decisione Adam condusse Peregrine verso la Morris Minor, gettando il soprabito sopra le spalle del giovane; poi, con l'aiuto di Humphrey, lo fece sedere sul sedile del passeg-
gero. «Questa la guido io» disse al maggiordomo, mentre chiudeva lo sportello dalla parte di Peregrine e girava intorno alla macchina per salire al volante. «Tu riporta Lady Fraser a casa sua. Dille che domani le telefonerò e le spiegherò tutto.» Intanto che Humphrey tornava alla Bentley e si chinava a parlare con Janet, prima di rimettersi al volante, Adam guardò Peregrine. Avvolto nel soprabito che lui gli aveva messo addosso, l'artista tirò fuori gli occhiali da una tasca interna, con mani tremanti, e se li mise sul naso. Adam fece per mettere in moto, perché voleva portare Peregrine in casa, ma la chiave d'accensione non c'era. «Ho bisogno delle chiavi della macchina, Peregrine» disse con calma, tendendo una mano. L'altro le tirò fuori goffamente da una tasca della giacca. Quando aprì le dita per lasciarle cadere nella mano di Adam, questi vide due o tre brevi graffi sul palmo del giovane, come se avesse stretto i pugni allo spasimo conficcandosi le unghie nella carne. Adam non fece commenti, limitandosi a identificare la chiave giusta alla luce dei fari della Bentley; poi mise in moto. Humphrey usò di nuovo il telecomando per aprire il cancello, che nel frattempo s'era richiuso, e Adam ingranò la marcia, gettando ogni tanto un'occhiata al suo silenzioso passeggero mentre percorrevano le ultime decine di metri fino alla rimessa. Le luci si accesero allorché passarono davanti a un interruttore a fotocellula, e Adam parcheggiò la Morris Minor. «Io... mi spiace darle questo disturbo» mormorò Peregrine, quando Adam ebbe messo il freno a mano e spento il motore. «Non avrei dovuto venire qui, ma non avevo nessun altro posto dove andare. Io credo... credo d'essere diventato pazzo.» Lo sguardo di Adam era accigliato, ma fermo. «Perché dice questo?» Peregrine ebbe un gesto rassegnato e impotente, senza osare guardarlo negli occhi. «Oggi ho avuto la tentazione di uccidermi» mormorò. «Se avessi avuto un'arma nello studio, probabilmente lo avrei fatto. Poi ho pensato di cavarmi gli occhi con un coltello. L'impulso di farlo era così bestiale che ho potuto fermarlo solo afferrandomi il polso con l'altra mano e sbattendo la testa nel muro.» Ebbe una mezza risata rauca, isterica. «Se questa non è pazzia, non so cosa sia.» «Perché questo non lo lascia giudicare a me?» disse Adam con calma.
«Può dirmi che cosa l'ha spinto così all'improvviso sulla strada dell'autodistruzione?» Un lungo brivido scosse il giovane da capo a piedi. «Lady Laura» disse, raucamente. «È morta. È morta oggi pomeriggio.» Quell'annuncio fece apparire una luce di comprensione, ma anche di dolore, nello sguardo fermo di Adam. «Ha fatto bene a venire da me, questa sera» disse, dopo un breve silenzio. «Mi dispiace solo che, per il suo bene, lei non sia venuto prima.» «Allora lei pensa di potermi aiutare?» domandò Peregrine, incredulo. «Io penso che lei possa essere aiutato» lo corresse prudentemente Adam. «Da parte mia, farò tutto ciò che è in mio potere. Nel frattempo, vediamo di farla uscire da questi vestiti bagnati.» Poiché Humphrey era altrove, fu Adam a occuparsi di tutti i dettagli domestici. Dopo aver mostrato a Peregrine dov'era la biblioteca, accompagnò il giovane su per le scale in una delle camere da letto per gli ospiti e tirò fuori vestiti e biancheria dal suo guardaroba, quindi tornò al pianterreno per fare una telefonata. La voce stanca e dolente che gli rispose da Kintoul House era quella di Anna, la cameriera di Lady Laura, e nel sentirla Adam ebbe la conferma, senza bisogno di far domande, di quanto gli aveva detto Peregrine. Si identificò, chiese scusa per aver chiamato a quell'ora, e domandò qualche particolare. La cameriera gli riferì con cupa rassegnazione che Lady Laura era deceduta quel pomeriggio poco prima delle quattro, spegnendosi durante il suo sonnellino pomeridiano. Il figlio più anziano e altri parenti stretti erano già riuniti a Kintoul House. La data del funerale non era stata ancora decisa. Era lo scenario che ci si poteva aspettare per un decesso, in una famiglia nobile. La dipartita di Lady Laura non coglieva certo impreparato Adam, che s'era prestato come amico e dal lato professionale quando la donna aveva saputo che le restavano pochi mesi di vita. Domandò di poter parlare brevemente col Conte per fargli le sue condoglianze, e si mise a sua disposizione per tutto ciò di cui la famiglia poteva aver bisogno. Poi riappese, dopo aver promesso che sarebbe passato da Kintoul il mattino dopo. Mentre poggiava il ricevitore sul telefono si accorse di non poter scacciare il senso di vuoto, di perdita, mescolato al vago dubbio di non aver fatto tutto ciò che avrebbe potuto. Sapevo che era solo questione di tempo pensò. Forse avrei dovuto esserle più vicino. A questo, un'altra parte di lui rispose: Tutto ciò che si poteva
fare, è stato fatto. Laura era pronta a lasciare questa terra. Tu stesso le hai aperto gli occhi sulla via... Un rumore nell'atrio fuori dalla biblioteca lo riportò a considerazioni più pratiche, e a quel che si poteva fare per uno che viveva ancora. Pochi momenti dopo Peregrine apparve, esitante, sulla soglia della biblioteca, ciabattando nelle pantofole troppo larghe ornate dallo stemma araldico di Adam e avvolto in una veste da camera di misure alquanto maggiori delle sue. Non disse niente, e andò a sedersi con aria torpida su una poltrona accanto al caminetto della biblioteca. Era ancora pallido per il freddo che aveva preso nella sua lunga attesa sotto l'acqua, al cancello. Ma soprattutto era spaventato. Mostrandosi perfettamente tranquillo, Adam andò all'armadietto dei drink, in un angolo, e versò una dose abbondante di whisky in due calici di cristallo tagliato. Mentre ne premeva uno fra le dita gelide di Peregrine, gli elargì un sorriso rassicurante. «Qui... butti giù questo. Ho appena chiamato Kintoul House. Mi lasci accendere un po' di fuoco, e poi parleremo.» Adam appoggiò il bicchiere sulla cornice del caminetto, sparse un po' di liquido apposito sulla legna da ardere già pronta e la accese con un lungo fiammifero. Quando ebbe ottenuto una fiamma più allegra riprese il bicchiere e sedette sulla poltrona di fronte a Peregrine. «Ho parlato con Anna, la cameriera di Lady Laura» disse pacatamente, in risposta allo sguardo interrogativo dell'artista. «Naturalmente mi ha confermato ciò che lei mi aveva detto. Ma non deve soffrire per Lady Laura. La Contessa ora viaggia in buona compagnia.» Negli occhi di Peregrine ci fu un lampo, a quella dichiarazione così calma e sicura. «Che cosa vuol dire?» domandò, scosso. «Lei parla come se lo sapesse.» «Lo so, infatti.» «Ma... come può saperlo. Cosa... chi è lei, dunque?» Adam esibì un'espressione di blanda neutralità, domandandosi solo cosa potesse vedere Peregrine. «Lei conosce il mio nome. Lei vede la mia faccia» disse. L'espressione di Peregrine si sfumò di confusione e di timore. «Sì» mormorò. «La vedo, e questo è parte di ciò che mi spaventa. Oh, Dio, se solo potessi smettere di vedere!» gemette, scuotendo il capo. «Se lei ha un potere di qualche genere... se lei... se lei è una specie di stregone o qualcosa di simile... per l'amor di Dio, mi liberi da questa maledizione!»
I suoi occhi brillavano, e stringeva la mano intorno al calice con tale forza che Adam ebbe paura di vederlo andare in pezzi. «Gliel'ho detto, non è una maledizione!» affermò con voce secca. «E io non ho il potere d'impedirle di vedere, anche se ne avessi la volontà. Prima che questa conversazione prosegua, però, lei deve cercare di rilassarsi.» Indicò il bicchiere che l'altro aveva fra le dita. «Non mi piacerebbe dover estrarre schegge di vetro dalla sua esperta mano di pittore, se quel calice si spezzasse.» Poi aggiunse, più gentilmente: «Se il whisky non le piace, posso darle un sedativo.» Peregrine scosse il capo, allarmato, ma la sua stretta intorno al bicchiere si allentò. «N-no, per favore. Niente sedativi. Non farebbero che peggiorare le cose. Quando prendo delle pillole, perdo anche quel poco controllo che ho sulle mie visioni.» «Allora lei ha un certo controllo.» Peregrine fece una risata incerta, priva d'allegria. «Lei mi sta placando come si fa con i matti, eh? Dunque pensa che io sia diventato pazzo.» «No, sono sinceramente interessato a quello che ha da dire» rispose Adam con onestà. «Ma se vuole che io la aiuti, lei deve decidere, qui e subito, di essere assolutamente franco con me... per quanto sgradevole questo possa sembrarle! Io le prometto di non giudicare... ma devo sapere. Questo richiede che lei abbia molta più fiducia in me di quanta sia disposto a darmi, lo capisco... lei mi conosce appena... ma io non posso aiutarla se lei non fa la sua parte.» Adam attese. Peregrine lo guardò per alcuni lunghi, rigidi secondi, del tutto immobile. Poi trasse un lungo sospiro e si passò una mano sulla faccia e fra i capelli, ancora un po' umidi, togliendosi gli occhiali. «Mi scusi. Io... non c'è mai stata una persona con la quale io abbia potuto parlare di questo. Da dove posso cominciare?» «Dal principio, solitamente è meglio» rispose Adam. «Quando è stata la prima volta che ricorda di avere... visto?» Peregrine deglutì penosamente, e si passò il dorso di una mano sugli occhi. Poi rimise gli occhiali e guardò nel suo bicchiere di whisky. «Io... mi riesce difficile ricordare un tempo in cui non potevo vedere» mormorò. «Quand'ero bambino vedevo cose di ogni genere... cose che non erano realmente lì. Di solito vedevo quadri alle pareti, che a un secondo sguardo risultavano vuote. Vedevo altre facce negli specchi, accanto alla mia. A volte vedevo accadere intorno a me delle scene che sembravano
appartenere a un'altra epoca...» La sua voce si spense. «Aveva paura di ciò che vedeva?» lo interrogò Adam. La domanda parve prendere di sorpresa Peregrine. Si accigliò, cercando di ricordare. «No, ora che me ne parla, non ne avevo» disse. «Ma la cosa spaventò molto mio padre, quando la scoprì. Pensava che in me ci fosse qualcosa di gravemente fuori posto.» Fece un profondo respiro e continuò: «Quando ero un bambino di pochi anni, avevo moltissimi amichetti che venivano da me e mi parlavano, di continuo... mi raccontavano storie, giocavano con me. Io so che molti bambini hanno amici immaginari, ma poi crescono e se li lasciano alle spalle. I miei sembravano fin troppo reali. Nei primi anni di scuola mi aiutavano a studiare, a imparare. A volte mi davano suggerimenti, durante gli esami, anche se in effetti non mi fornivano mai la risposta.» Peregrine lanciò uno sguardo obliquo ad Adam, e nel vedere che lui ascoltava in attento silenzio parve incoraggiato. «Mi sembrava tutto così... così naturale, che non mi facevo neppure domande sulla cosa» proseguì. «Ma poi cominciai a parlarne con gli altri ragazzi. Fu allora che compresi che... be', nessuno di loro era consapevole dell'esistenza dei miei amici. Alla fine feci lo sbaglio di parlarne con mio padre.» «Perché dice che fu uno sbaglio?» Peregrine si strinse nelle spalle e sogghignò. «Se lei avesse conosciuto mio padre, non me lo chiederebbe. Era un solido realista, che non tollerava i comportamenti bizzarri. Restò sbalordito nell'accorgersi che suo figlio aveva queste strane fantasie.» «Dunque parlò della cosa, con lui?» «Io non direi che ne parlammo» precisò Peregrine, con una smorfia amara. «Diciamo che lui mi informò del suo punto di vista. Mi fu spiegato che dovevo mettere un freno alla mia immaginazione iperattiva. Io ci provai. Sfortunatamente, questo non mi fu di molto aiuto, anzi peggiorò il problema. Sembrava che la tensione e la confusione mi rendessero ancor più proclive a vedere le cose...» Abbassò lo sguardo nel suo bicchiere. «Quanti anni aveva?» domandò Adam. «Undici, all'incirca» rispose Peregrine con voce piatta. «E suo padre non considerò mai l'idea di farla visitare da uno psichiatra?» L'altro scosse il capo, senza osare guardarlo negli occhi. «Lui pensava
che questo avrebbe compromesso la reputazione della nostra famiglia. Alla fine smise di cercare di farmi ragionare, e mi impose con durezza che, se volevo continuare a vivere in casa sua, dovevo mettere fine alle mie allucinazioni.» Adam annuì. Aveva già visto episodi simili, fin troppo spesso. «Vada avanti.» Peregrine chiuse un attimo gli occhi e continuò: «Come può immaginare, quella minaccia mi spaventò. Feci ogni sforzo per chiudere la mia mente a quelle visioni. E suppongo che la durezza di mio padre avesse una sua efficacia, perché quando ebbi tredici anni si può dire che fossi riuscito a mettere fine alla cosa.» Il suo tono era amaro, invece che trionfante. Dopo una pausa, Adam domandò pacatamente: «Lasciamo un momento da parte suo padre. Lei quando cominciò a disegnare e a dipingere?» Peregrine parve sollevato. «Questo lo ricordo bene» disse. «Fu alle scuole medie, nel terzo anno... circa nel periodo in cui misi fine alle mie visioni. C'era la possibilità di scegliere la classe, e io mi iscrissi a un corso d'istruzione artistica.» Ebbe un vago sorriso. «Fu una rivelazione per me. Non avevo mai pensato di avere un talento per il disegno. La conseguenza fu che mi si aprì dinanzi un mondo nuovo, per sostituire quello che avevo perduto.» «Cosa le piaceva disegnare?» domandò Adam, per allontanarlo dal campo minato delle sue visioni. «Oh, paesaggi e case, nel primo anno. Studiavamo in modo molto scientifico la prospettiva e gli effetti ottici.» La voce di Peregrine acquistò vita, ora che parlava della sua arte. «Molti miei compagni di classe odiavano gli aspetti tecnici, geometrici, dell'arte, ma per me il disegno era... non so, una specie di magia, suppongo. C'erano regole da seguire, ma le possibilità erano infinite. La mia insegnante d'arte mi fu molto d'aiuto, e così cominciai a rimettere insieme i pezzi della mia fiducia in me stesso.» Peregrine fece il tentativo di bere un sorsetto di whisky, poi riprese: «Andò ancora meglio quando passammo allo studio del corpo umano. Il ritratto fu il mio forte, fin dall'inizio. Alla fine dell'anno feci un ritratto a olio del preside, e il quadro vinse un premio di pittura fra i più importanti del Regno Unito. Mio padre aveva delle riserve sui miei sforzi artistici... avrebbe preferito che io mi facessi un nome nello sport, credo. Ma neppure lui poteva discutere con una foto in copertina sullo Scottish Field. Per fortuna i miei risultati, a scuola, furono abbastanza soddisfacenti anche per
lui. «Dopo gli esami, io avrei voluto iscrivermi a una scuola d'arte. Lui invece voleva che studiassi legge. Alla fine trovammo un compromesso su un istituto dove si studiavano anche arti figurative, e poi passai alla facoltà di storia dell'arte, a Oxford.» Peregrine fece una smorfia. «A volte mi pento di non essermi iscritto a legge, come voleva lui. Oggi sarei un solido avvocato... o un impiegato di banca, o di una società di assicurazioni.» «Lo vorrebbe davvero?» Adam non diede alcuna inflessione alle sue parole. «Sì!» affermò con veemenza Peregrine. «Oh, nei primi anni della mia carriera, dopo la fine degli studi, me la cavavo piuttosto bene. Avevo molte ordinazioni e ben pagate, grazie a Lady Laura e ad altri. Ero sul punto di farmi una reputazione a livello nazionale, quando all'improvviso le cose si volsero al peggio.» «In che senso?» «Le mie visioni... cambiarono» disse Peregrine. Bevve un altro sorso di whisky. «Ricominciai a vedere le cose. Cercai di metterci di nuovo termine, ma non sempre ci riuscivo. Sempre più spesso, quando cominciavo un nuovo ritratto, mi apparivano delle scene che non mi appartenevano e non avrei mai voluto vedere. A volte, quando guardavo in faccia il mio soggetto, mi sorprendevo a contemplare cose del suo futuro...» «Per esempio la sua morte?» domandò Adam. Peregrine storse la bocca. «Questo non accadeva ogni volta. Ma era un'esperienza molto spiacevole, e succedeva abbastanza spesso da convincermi che fare il ritratto a una persona adulta era come corteggiare la pazzia.» «E per questo motivo, negli ultimi anni lei ha ritratto soprattutto bambini o ragazzi giovani» concluse Adam, annuendo. «Cosa l'ha persuaso a dipingere Lady Laura?» «Lei ha mai provato a dire di no a Lady Laura?» rispose Peregrine, gettandogli uno sguardo quasi incredulo. «Inoltre, la commissione che ho avuto all'inizio era solo per il ritratto ai suoi tre nipoti. È stato solo in seguito che lei mi ha chiesto d'includerla nel quadro. Non potevo rifiutare. Era sempre stata una mecenate generosa... quasi una seconda madre, se devo dire la verità. Ecco perché, quando ho capito cosa stavo dipingendo...» Il giovane artista si schiarì la gola e continuò, con uno sforzo: «Ho cercato di dirmi che non poteva essere vero» mormorò. «Era tutto ciò che po-
tevo fare, se volevo continuare a lavorare. Ho cercato di scacciare quella consapevolezza, ma senza troppi risultati. Poi è arrivato lei... e continuare a negare la cosa è diventato impossibile. Ora Lady Laura è morta, come avevo previsto. E io... non riesco neppure a piangere per lei.» Si coprì la faccia con le mani, e fra le dita gli sfuggì un breve ansito secco. Adam si sporse verso di lui e gli poggiò una mano su una spalla magra, per confortarlo. «Peregrine» disse sottovoce. «Lady Laura Kintoul aveva un cancro allo stadio terminale. Le era stato diagnosticato sei mesi fa, molto prima che lei cominciasse a farle il ritratto. Prevedere la morte di qualcuno non è la stessa cosa che causarla.» Quando il giovane non rispose, Adam tentò un altro approccio. «La morte è la sola cosa che lei vede?» Peregrine scosse brevemente il capo. «Cos'altro vede?» lo interrogò Adam. L'altro rialzò la testa, sforzandosi di tenere le emozioni sotto controllo. «Be', è... difficile descriverlo» disse, esitante. «Vedo... il genere di cose che ricordo di aver visto da bambino. A volte è solo lo sfondo che cambia, come se stessi guardando in un altro tempo o in un altro luogo. A volte cambia anche la faccia che ho davanti, quando la osservo da un'altra angolazione, o sotto un'altra luce. È sempre la stessa persona... ma in qualche modo diversa.» Adam annuì. «Può farmi un esempio?» Peregrine si mordicchiò un labbro. «Be', prendiamo lei, per dirne uno. Anche ora, mentre sto seduto qui, non riesco a essere del tutto sicuro del suo vero aspetto. Qualcosa in lei continua a cambiare. Adesso la vedo diverso da come la vedevo un minuto fa.» Adam lo ascoltava con attenzione. «È la mia morte ciò che vede?» Peregrine piegò le spalle a quella domanda, poi si riebbe. «No. Non la sua morte...» Socchiuse le palpebre e inclinò il capo, come per cercare di stabilizzare la sua visuale. «È inutile» disse, dopo una pausa. «Non riesco a dirle cos'è esattamente ciò che vedo.» Per qualche secondo Adam tacque, soppesando con cura le parole che stava per pronunciare. «Credo che dovremo vedere se c'è un modo di rimediare alla cosa» disse infine, deponendo sul tavolino il suo bicchiere ancora intoccato. «Ci sono metodi per separare e chiarire le percezioni. Se lei vuole, le propongo di
fare un semplice esperimento.» «Un esperimento?» Uno sguardo obliquo, quasi selvaggio, sfuggì da sotto le palpebre di Peregrine. D'impulso bevve un altro sorso di whisky. «Perché no?» disse, con improvvisa audacia. «Io così non posso continuare, questo è certo. Se il suo esperimento mi offre una qualche speranza, tanto vale fare un tentativo.» CAPITOLO QUARTO «Bravo ragazzo!» approvò Adam. «Ora, tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono pochi semplici oggetti.» Si alzò e prese il tavolino da caffè in legno di rosa, spostandolo di fronte alla poltrona di Peregrine. Poi tornò all'armadietto dei liquori e aprì lo sportello più basso. Quando si riavvicinò al suo ospite aveva in mano un galleggiante per reti da pescatore, in vetro verde chiaro. Lo diede al giovane artista, il quale depose il bicchiere per prendere in consegna l'oggetto. «Una sfera di cristallo?» disse, con una nota scettica. «Se vuole chiamarla così» rispose Adam con un sorriso. «Fra un momento le spiegherò tutto. Poi lei potrà decidere se proseguire o no col nostro esperimento.» Da sopra il caminetto Adam prese uno dei due candelabri d'argento che fiancheggiavano una scena di caccia dipinta a olio; si chinò a sfiorare i ceppi con un lungo fiammifero e lo usò per accendere la candela. Poi depose il candelabro sul tavolino davanti a Peregrine, piazzandolo esattamente nel centro. Il giovane osservava tutti quei preparativi con un misto di fascino e incertezza. Alla luce della candela, l'intricata filigrana del legno di rosa del tavolino sembrava accendersi di piccoli bagliori. «Ora» disse Adam, tornando a sedersi sulla sua poltrona, di fronte a quella dell'ospite, «come lei forse sa, le chiavi per svegliare la psiche generalmente sono sepolte nell'inconscio dell'individuo. Prima di andare in cerca di queste chiavi, dobbiamo mettere la mente conscia in stato di riposo. Ci sono espedienti chimici per ottenere questo, naturalmente, ma hanno effetti collaterali. Inoltre, lei mi ha già detto che le droghe non fanno che peggiorare il suo problema. «Ciò che io propongo, dunque... e che preferisco, del resto, è di ricorrere a una delle tecniche di meditazione che ho spesso trovato utili in passato. Uno dei modi in cui l'inconscio sorveglia i suoi segreti è di proiettare una paura nella mente conscia. Perciò vorrei guidarla in un semplice esercizio
di rilassamento, per vedere se possiamo bypassare la paura e scendere fino a ciò che la sta tormentando davvero.» «Io so cosa mi sta tormentando» mugolò Peregrine. «Continuo a vedere cose che non dovrei vedere.» «Perché non mi mette di buon'umore fingendo di credere che io so quel che sto facendo?» disse Adam, pacatamente. «Io so che lei è un fascio di nervi, e capisco il perché, ma la cosa non migliorerà se lei non lascia che io la aiuti.» Riportato all'ordine da quel gentile rimprovero, Peregrine sbatté le palpebre dietro le lenti e fece un sospiro, annuendo. «Mi scusi» disse, pentito. «Cosa vuole che faccia?» «Prima di tutto» rispose vivacemente Adam, «voglio che lei prenda il galleggiante fra le mani e lo tenga sollevato, in modo da poter vedere la fiamma della candela attraverso il vetro.» «Va bene.» Peregrine si rigirò il globo fra le dita, guardandoci attraverso da diverse angolature. «Devo togliermi gli occhiali, prima?» domandò. «Può farlo, se questo la fa sentire più a suo agio. Fino a che punto ci vede, senza gli occhiali?» «Oh, vedo abbastanza bene, così da vicino» rispose Peregrine. «Sono lenti per la distanza. Ha qualche importanza nell'esperimento?» «No, non molta.» «In questo caso, li tengo.» Guardò Adam, incerto. «Vuole ipnotizzarmi?» «Allora lei conosce già i miei trucchetti.» Adam si appoggiò allo schienale della poltrona, con uno sguardo divertito. «Non deve preoccuparsi. Non sarà come essere ipnotizzato da Svengali o dal Conte Dracula, che risucchiavano alla vittima tutta la sua forza di volontà. Le prometto che manterrà il controllo della situazione per torto il tempo.» Quell'assicurazione ottenne in risposta il sorrisetto che lui desiderava, anche se un po' stentato. Peregrine riportò lo sguardo sul galleggiante, e sulla fiamma della candela. Vista attraverso le distorsioni di quella sfera di vetro soffiato, la fiammella sembrava prendere vita come uno strano animale, espandendosi e contraendosi in una successione di fulgide forme danzanti. Poco alla volta, mentre la voce di Adam lo esortava a rilassarsi e a restare concentrato sulla fiamma, Peregrine si sentì attratto sempre più vicino a quel caldo bagliore animato, che nell'emanare onde di luce riempiva tutto il suo campo visivo. Una crescente leggerezza gli permeava le membra,
come se il suo corpo stesse perdendo peso. Lungi dal sembrargli strana, quella sensazione era stranamente familiare, perfino confortevole. Peregrine chiuse gli occhi, cercando di ricordare quando e dove s'era già sentito così. Nello stesso tempo continuava a sentire la voce di Adam Sinclair, nitida e risonante, che gli rivolgeva parole comprensibili ma remote, come trasportate fin lì da una grande distanza. «Così va bene... vada avanti e chiuda gli occhi. Si rilassi e galleggi. Non c'è niente di cui aver paura, adesso. Lei è del tutto al sicuro. Si limiti a rilassarsi, con tutta calma...» Pian piano la tensione che restava sul volto del giovane artista lo abbandonò. I suoi lineamenti si ammorbidirono, il respiro si fece più lento, regolare come quello di una persona sul punto di scivolare nel sonno. Adam tacque per qualche secondo, controllando se il silenzio risollevava Peregrine dal suo stato, ma lui parve scivolare in trance ancora di più. «Così va bene, molto bene» disse Adam sottovoce. «Può sentirmi con chiarezza?» «Sì.» La risposta fu quasi inudibile. «Ottimo.» Adam mantenne un tono quieto e rassicurante. «In questo momento lei è del tutto consapevole di ciò che le accade attorno, ma prestare attenzione ad altre cose è troppo difficile. Lei è rilassato, al sicuro, e perfettamente in pace. Ora io vado a prendere una cosa dall'altra parte della stanza. Quando tornerò, le chiederò di fare un semplice lavoretto per me, uno che rientra benissimo nelle sue capacità. Questo va bene per lei?» «Sì.» Soddisfatto, Adam andò alla scrivania all'estremità opposta della stanza e quando fece ritorno aveva una matita e un blocco di fogli da disegno. Peregrine era ancora seduto come lui lo aveva lasciato, immobile e rilassato, con gli occhi chiusi. «Lei si sta comportando bene» lo tranquillizzò lui, nello stesso tono pacato usato fino a quel momento. «Ora abbiamo finito con il galleggiante, così lo prenderò dalle sue mani» disse, facendo seguire l'azione alle parole. «Al suo posto le consegno una penna e un blocco di carta bianca. Voglio che faccia ancora qualche lungo respiro, per lasciar uscire quel residuo di tensione e di ansia che può ancora esserci in lei. Poi, quando sarà pronto, voglio che apra le palpebre e mi guardi, con tutto il suo intuito psichico oltreché con gli occhi, e che disegni ciò che vede. Ha capito?» Peregrine annuì in silenzio, con gli occhi che si muovevano dietro le palpebre abbassate, e respirò a fondo. Adam indietreggiò senza rumore e
sedette sull'altra poltrona in posa casuale, accavallando le gambe. Quando l'artista aprì gli occhi, pochi secondi più tardi, le sue iridi azzurre erano illuminate da una luce interna che fino a quel momento non c'era stata. Adam non si mosse e non parlò, limitandosi a restituire uno sguardo tranquillo al giovane, il quale ora osservava il suo volto con pacata attenzione. Dopo averlo studiato per alcuni secondi, Peregrine abbassò la matita sulla carta e cominciò a disegnare rapidamente, quasi senza distogliere gli occhi dal suo soggetto. Dopo un poco, però, corrugò le sopracciglia e cancellò bruscamente ciò che aveva fatto con numerosi tratti di matita, cominciando subito a eseguire un secondo disegno. Prima di finirlo, tuttavia, cancellò anche questo e ricominciò daccapo su un terzo foglio, con aria sempre più confusa. A questo punto Adam si alzò e venne ad appoggiargli una mano su una spalla, mettendo fine a quell'attività. Poi, con l'altra, gli sfiorò leggermente la fronte. «Chiuda gli occhi e si rilassi, Peregrine» mormorò. «Si rilassi e lasci che il suo corpo si alleggerisca, lasci che galleggi. Sembra che io le abbia assegnato un lavoro più difficile di quel che credevo. Lei riposi e stia tranquillo per qualche minuto, intanto che io guardo cos'ha disegnato.» Peregrine gli consegnò il blocco di fogli e la matita senza fare resistenza, chiudendo gli occhi e abbassando le mani in grembo con un sospiro di sollievo. Adam lo guardò per un poco, quindi infilò la matita nella spirale che teneva uniti i fogli e volse la sua attenzione a ciò che l'artista aveva fatto. Per fortuna le cancellature a matita non avevano nascosto il disegno che in piccola parte. Quello sul primo foglio mostrava una faccia magra, barbuta, con un naso patrizio sopra una bocca appassionata ma dal taglio deciso. La testa era protetta da un elmo metallico, stile tredicesimo secolo, sotto al quale pendeva una cotta di maglia in cerchietti d'acciaio che circondava il volto. Sulla spalla sinistra, un mantello era trattenuto da un grosso fermaglio raffigurante una Croce di Malta, con le estremità biforcute, la croce dei Cavalieri Templari. Lui si mordicchiò un labbro annuendo fra sé quando comprese cos'aveva disegnato Peregrine: gli echi di una vita passata, i cui dettagli erano accessibili allo stesso Adam solo durante una trance profonda, mentre gli restavano molto vaghi ed elusivi in stato di veglia. Come psichiatra preferiva credere che le sue «memorie lontane» fossero costruzioni psichiche, trucchi che la mente giocava allo scopo di contemplare materiale più facilmente accettabile come fantasie di passate esistenze che come solidi e concreti frammenti di realtà. La sua parte mistica preferiva pensare che tutto questo
fosse vero, alla lettera, anche se vero in un modo che lui non poteva neppure cominciare a spiegare. In via di compromesso, consentiva a se stesso di fare come se fosse tutto vero, semplicemente accettando e usando le intuizioni che riceveva dai suoi «precedenti se stesso», perché di solito queste funzionavano, anche se i metodi che impiegava non corrispondevano all'educazione di un medico né al positivismo logico, e ancor meno s'inquadravano nella religione a cui soleva dare i suoi generosi contributi finanziari. Nello stesso tempo, altre e più tangibili prove confermavano che Sir Adam Sinclair, Baronetto, aveva dei collegamenti ancestrali con i Cavalieri del Tempio di Gerusalemme. La vecchia torre in attesa di restauro nel campo settentrionale era proprietà della famiglia Sinclair da almeno cinquecento anni: un luogo anticamente eretto e frequentato dai Templari, come non pochi posti della Scozia con la parola «temple» nel nome. Era Templemor, e non Strathmourne, il luogo in cui la famiglia Sinclair aveva ricevuto il titolo baronale. E si diceva che nella discendenza Sinclair ci fosse sangue Templare, sin dall'epoca oscura in cui l'Ordine era stato soppresso quasi dovunque fuorché in Scozia. In quell'ottica, alcune delle «prove» storiche erano piuttosto nebulose, naturalmente... non che questo importasse davvero. Alcune verità semplicemente erano. E la verità ultima sui Templari, che perfino i libri di storia tendevano a confermare - e di cui nel suo cuore Adam non aveva mai dubitato - era che i Cavalieri del Tempio di Gerusalemme avevano agito con fanatica devozione come difensori della Terra Santa e guardiani di verità segrete, sopportando a volte perfino il martirio piuttosto di tradire ciò che per l'Ordine era sacro. E anche se nel quattordicesimo secolo un Re di Francia s'era accollato la missione di distruggere l'Ordine - soprattutto nella speranza di impadronirsi delle sue leggendarie ricchezze - egli non aveva mai saputo che il più grande tesoro dei Templari non era fatto d'oro ma di conoscenza... Conoscenza. Peregrine Lovat sembrava averne... anche se chiaramente non sapeva ciò che aveva. Pensieroso, Adam riportò la sua attenzione sui disegni del giovanotto. Dietro le cancellature a matita, il secondo schizzo era stato tracciato con la stessa sicurezza del primo, ma la faccia era ben sbarbata e più scarna, di una magrezza che le dava lineamenti da falco, e racchiusa fra penduli drappi di lino. Il copricapo che Peregrine aveva disegnato sopra quella stoffa era la doppia corona dell'Alto e del Basso Egitto, e incorporava il disco solare chiuso fra alte piume di struzzo. Soltanto un
alto sacerdote dell'antico Egitto avrebbe potuto portare quel simbolo. Lo sguardo di Adam lasciò il foglio per spostarsi nel fuoco del camino, ma nella sua mente l'immagine restava. Quel secondo disegno era assai più stupefacente del Cavaliere Templare, per lui, perché raffigurava il più vivido dei suoi ricordi lontani. E si domandò quali altre facce Peregrine avrebbe disegnato, se lui non lo avesse fermato. Quel giovane aveva un talento arcano, comunque. Non c'era dubbio su questo. Si prospettava però un'altra domanda: chi era Peregrine Lovat, che possedeva il dono di penetrare oltre la maschera della materia e vedere l'anima di un altro, specialmente quella di una persona addestrata com'era addestrato Adam? La risposta a questo interrogativo aveva sicuramente delle conseguenze di vasta portata, non soltanto per Peregrine ma anche per Adam e i suoi compagni. Si volse a guardare il giovane artista per un lungo momento, cercando dentro di sé una guida su come avrebbe potuto procedere. Peregrine sedeva tranquillamente, con le mani unite in grembo, le palpebre abbassate dietro le lenti degli occhiali dalla montatura d'acciaio. Ma lui dubitava che il livello della sua trance fosse abbastanza profondo per ciò che aveva in mente di fare adesso. Depose la matita e il blocco sul caminetto, e decise di scoprire fino a che punto il suo ospite fosse un buon soggetto per l'ipnosi. «Peregrine» disse con calma. «Mi piacerebbe fare un passo più avanti, se possibile. Lei ha fiducia che quanto le chiederò sia solo per il suo bene?» Al sonnolento cenno affermativo del giovane, Adam prese gentilmente i suoi occhiali e glieli tolse, per poter monitorare meglio le sue condizioni osservandogli le palpebre. «Ora continui a tenere gli occhi chiusi» gli ordinò. «Le ho levato gli occhiali per farla stare più comodo. Per un poco, comunque, non avrà bisogno di guardare niente. Voglio che lei faccia un lungo respiro e si concentri sul battito del suo cuore. Io le conterò le pulsazioni, e lei dovrà contarle con me.» Detto questo prese il polso sinistro di Peregrine e col polpastrello del pollice gli cercò l'arteria. Il battito era forte e regolare. «Faccia un profondo respiro» ripeté, «e si concentri sul cuore. Senta le pulsazioni... esse sono il ritmo della sua vita, e lei si sentirà sempre più rilassato mentre tutti e due conteremo da dieci a uno. Conti le pulsazioni con me: dieci... nove... otto... sette... Poté vedere che la bocca di Peregrine si muoveva, proseguendo il conto alla rovescia, e si accorse che il suo stato si approfondiva, finché dalle labbra gli uscì appena l'ultimo vago sussurro:» Uno.
«Bene» disse Adam, anche lui in un mormorio basso. «Molto rilassato... profondamente rilassato. E ora, quando la mia mano le toccherà la fronte, voglio che lei scenda in uno stato ancora più profondo di... sonno.» Alla parola «sonno», Adam allungò una mano a toccarlo leggermente fra gli occhi. Sotto le palpebre ci fu un movimento riflesso, ma subito dopo Peregrine esalò un lungo sospiro e reclinò la testa all'indietro. Quella reazione era esattamente ciò che Adam sperava di ottenere. Si chinò a prendere una mano del giovane e gli sollevò il braccio all'altezza della spalla, tenendolo orizzontale; poi con la mano libera lo toccò più volte dalla spalla al polso. «Ora immagini che il suo braccio cominci a diventare rigido come una sbarra d'acciaio» disse, stringendolo all'articolazione del gomito per dare enfasi a quelle parole. «Sta diventando così rigido che né lei né io possiamo piegarlo, e fra poco non potrà più abbassarsi. Ci provi, se vuole, ma non riuscirà ad abbassarlo.» Peregrine sembrò provarci. Adam poté vedere la costernazione sul volto del giovane, quando il suo braccio non volle muoversi. In fretta, prima che Peregrine si allarmasse o muovesse il braccio, Adam lo toccò di nuovo dalla spalla al polso. «Così va bene, Peregrine. Ora il suo braccio tornerà normale. Non è più rigido. Può smetterla di cercare di muoverlo, e rilassarsi. Lasci che il braccio si abbassi lungo il fianco... così. Ora è del tutto normale, e lei non avrà postumi di alcun genere. Adesso dorma. Dorma profondamente.» In silenzio Adam rifletté a ciò che doveva fare. Avrebbe potuto semplicemente cercare di riportare Peregrine a una vita passata, nella speranza di trovare una soluzione ai suoi problemi attuali; ma c'era un sistema più rapido, e assai più sicuro. Non la si poteva certo considerare una normale procedura psichiatrica - la maggior parte dei suoi colleghi ne sarebbero rimasti scandalizzati - ma del resto non c'era molto di normale nelle condizioni di Peregrine Lovat. «Fin ora, Peregrine» gli disse, «lei ha reagito benissimo. Ha raggiunto un livello utilizzabile di trance profonda, e fra poco le chiederò di approfondirla ancora di più. «Per il momento, però, ho altre istruzioni per lei. Per motivi che le spiegherò in seguito, quando si risveglierà lei non potrà ricordare niente di ciò che sta per accadere. Ma se io dovessi ordinarle di ricordare tutto, in futuro, ogni cosa le tornerà alla mente nei più piccoli particolari. Ho le mie ragioni per chiederle questo, ma non è opportuno che ora lei le conosca. Così
non conserverà alcuna memoria cosciente di quei che udirà o vedrà nei prossimi minuti, per il suo stesso bene. Annuisca col capo, se ha capito quel che ho detto.» Quando Peregrine annuì, Adam avvicinò la poltrona al tavolino in legno di rosa, riducendo la distanza fra lui e il suo soggetto. «Grazie. Non tradirò la fiducia che lei mi offre. Ora voglio che vada a grande profondità dentro di lei, a una profondità doppia dell'attuale. Scenderà a una tale profondità che niente di ciò che sentirà con gli orecchi sarà registrato a livello conscio, fino a quando io le toccherò il polso a questo modo e le dirò di tornare indietro.» Adam strinse brevemente un polso di Peregrine fra i pollici e gli indici di entrambe le mani. «Solo se un reale pericolo fisico la minacciasse, come il fuoco o il gelo, lei ignorerà queste istruzioni e uscirà dalla trance. Ora appoggi la testa indietro e dorma. Dorma profondamente, senza ricordare niente. Scivoli nel sonno più profondo.» Quando fu certo che Peregrine era inconsapevole di ciò che aveva attorno, Adam andò dietro la poltrona e si tolse da una tasca interna della giacca un pesante anello d'oro con un sigillo di zaffiro. Se lo infilò al dito medio della mano destra, si toccò brevemente le labbra con il castone, quindi appoggiò le mani sul dorso della poltrona ai lati della testa di Peregrine, coi palmi aperti rivolti verso l'alto. Guardando la candela che ancora ardeva sul tavolino di fronte al giovane, fece un profondo respiro, esalò lentamente l'aria e pronunciò sottovoce le parole di un'invocazione, in greco ellenistico e latino del terzo secolo di Alessandria: «Ego prosphero epanion to photi...» Le sue labbra tacquero, ma il resto della formula echeggiò una parola dopo l'altra nel silenzio della sua mente, intanto che sollevava le mani in atto di supplica: Io offro lode alla Luce nella persona di Ra, Pantocrator, Deus de Deo... nella persona di Horus, Veritas Veritatis... e nella persona di Osiris, nous Lumen de lumine... Tu, o Signore, tu Luce Eterna, tu Alpha e Omega, tu Inizio e Fine. Preservaci oggi e sempre. Amen. Unì i palmi delle mani, portandosi un momento alle labbra le punte delle dita in riverente saluto a ciò che lui serviva. Poi trasse un lungo respiro e poggiò di nuovo le mani sullo schienale della poltrona ai lati della testa di Peregrine, chiudendo gli occhi ma senza smettere di vedere la candela davanti a lui. «Così in Alto come in Basso» mormorò. «E così all'Interno come all'Esterno...»
La luce della candela continuava a fluttuare nei suoi occhi attraverso le palpebre chiuse, stabilendo un punto di riferimento. Lui focalizzò quella luce escludendo ogni altra immagine interna. Nello stesso tempo due linee d'argento si allungarono da quel punto centrale, fini come tela di ragno. Una era il filo argenteo della sua vita. L'altra, come lui sapeva, il filo argenteo della vita di Peregrine Lovat. Le linee si curvarono a spirale quando lui si spinse verso di esse, non in caduta ma fluttuando verso l'alto. Nel religioso silenzio della sua mente, Adam volò avanti in quella spirale cosmica. Acquistò velocità, roteando in fretta e sempre più in fretta attraverso sciami di luci simili a stelle sparse. I punti di luce stellare si allungarono in altri fili d'argento, volando in lunghe spirali accanto a lui. Tutte quelle migliaia di filamenti ora convergevano verso un singolo punto lontano, simile al cuore di una nebulosa in condensazione. Senza rallentare, Adam si accostò alla spirale continua del filo argenteo di Peregrine e lo seguì nel centro della nebbia di luce. Poi fu pervaso da un brivido familiare, atteso ma sempre improvviso, di disorientamento, che lo lasciò paralizzato e senza fiato. Quando quella sensazione scomparve, si trovò di nuovo in possesso di un corpo, o meglio dell'illusione spirituale di un corpo, in piedi dinanzi a una porta a due battenti d'incommensurabile altezza. Era vestito di bianco, ed era scalzo su un terreno liscio e vibrante, un terreno santo. Lui conosceva quel suolo - l'occhio del ciclone, la calma al centro della tempesta, il mozzo della ruota - ma il sacro timore era ogni volta nuovo. Adam aveva la parola-chiave di un Adeptus Major. Quando l'ebbe pronunciata, i due battenti si aprirono con poderosa maestà. Dietro di essi apparve l'immensa cattedrale del silenzio fuori dal tempo, le insondate e insondabili Camere delle Registrazioni Akashic, gli indistruttibili archivi che contenevano tutte le vite di tutti i tempi. Nelle camere del futuro non poteva andare; ma guidandosi con il filo d'argento che era il collegamento di Peregrine col Sephiroth Adam penetrò nelle sale del passato, fluttuando avanti in percorsi a spirale lungo corridoi iridescenti come la madreperla. Nel cuore del labirinto c'era una camera dalle pareti ricurve e costolate come la conchiglia di un nautilus, e nel centro di essa, sopra un altare coperto da un baldacchino, era deposto un grande libro. Mentre Adam si avvicinava all'altare, il libro si aprì come di sua volontà. Con le mani giunte in segno di rispetto, Adam piegò la testa verso il libro, esprimendo le sue intenzioni in una richiesta senza parole. Come sotto
la spinta di un mistico vento, le pagine cominciarono a voltarsi e al suo sguardo si presentarono immagini, collegate dal filo argenteo che univa le molte vite della persona ora conosciuta come Peregrine Lovat. Adam esaminò le pagine più antiche alla ricerca della chiave: il momento di quel risveglio iniziale, il punto in cui l'anima aveva incontrato se stessa rispecchiandosi nella più grande anima della Luce Divina. Per Peregrine Lovat, tale rivelazione aveva avuto luogo a Delfo nell'epoca di Pericle. Quella che oggi lui chiamava capacità di avere visioni era la leggendaria facoltà dell'oracolo. A pochissimi veniva offerto quel dono supernaturale, e sopportarne il peso e dominarne l'uso - oppure abusarne - era cosa che poteva essere imparata. Questo era il compito di Peregrine Lovat, così come Adam s'era assunto il compito di insegnargli. Dunque, l'anima che adesso era Adam Sinclair aveva questo mandato: trasformare una potenziale maledizione in un dono, uno strumento per l'avanzamento spirituale del suo portatore al servizio della Luce... perché Peregrine s'era già dedicato senza riserve a quel servizio in passato. Non restava che risvegliarlo in lui anche in questa vita... opera che Adam, come curatore d'anime oltreché di menti, aveva già svolto in altre occasioni. Ma mentre chiudeva il libro e si preparava ad andare, una luce dardeggiò fra le pareti della sala in lampi multipli troppo rapidi per l'occhio, guizzante come una serie di fulmini. Si trattava di un simbolo chiaro, una sorta di firma, che preannunciava l'arrivo di Uno di coloro ai quali Adam rispondeva sul Piano Interno. Stupito e incuriosito, perché non aveva chiesto udienza a nessuno, Adam s'inchinò all'autorità di Uno che da lungo tempo aveva superato la necessità di manifestarsi in forma fisica, e allargò le mani in posizione di ricettività. L'altro si manifestò in un raggio pallido come l'alba, che nacque fra i piedi di Adam e subito si alzò, avvolgendolo in una colonna di luce multicolore e scintillante. «Forze ostinate allignano sul bordo dell'Abisso, Maestro della Caccia» fu l'inaspettato avvertimento. «Tu cerchi il nostro aiuto?» La domanda sbalordì Adam, perché lui non aveva percepito alcuna minaccia tale da svegliare la sua attenzione. Quella notte aveva operato nella sua veste di curatore di anime, non come cosmico difensore della pace. «No, Maestro, io sono venuto qui per aiutare un singolo individuo, come curatore di anime al suo servizio.» «Spiegati.» «È scritto che tutte le anime raminghe devono entrare nel mondo come
anime di bambini, e che finché la personalità è immatura, e l'intelletto non addestrato, perfino un Adepto può non riuscire a raggiungere il suo pieno potenziale. Una di queste persone è venuta da me... un Adepto, io credo, di raro talento... che è stato fermato e schiacciato nell'età infantile, prima che la sua mente fosse abbastanza forte e matura da proteggere lo spirito. Io credo che il suo destino rientri nel mio mandato. Ma il giovane falco dev'essere addestrato dal falconiere, prima d'essere pronto a unirsi alla Caccia. Io aiuterò Peregrine Lovat a imparare a volare di nuovo, affinché possa ritrovare l'uso del suo dono.» «È un intento meritevole» fu la risposta, «ma tu dovresti sapere che l'opposizione ti minaccia, e che in questo c'è un pericolo.» «Quale opposizione, e quale pericolo?» «Il Velo oscura i particolari anche a noi, ma una minaccia esiste. Tu sarai un centro d'attività, anche se l'opposizione non ne sarà consapevole ancora per qualche tempo.» «Io non ho paura di affrontare questa minaccia» rispose Adam. «Ma colui che deve imparare a volare diventerà un alleato, allora? In che modo, se io potrò neutralizzare i dubbi che lo schiacciano e far rinascere il suo potenziale? Quest'uomo potrà prendere il posto che gli spetta dinanzi alla Luce?» «Lui potrà. Se colui che deve imparare a volare si mostrerà deciso, tu hai l'autorità di riceverlo. Ma tutto ciò non è affatto certo e preordinato. Tu accetti la missione di riabilitare quest'anima?» A quella domanda poteva esserci soltanto una risposta. «Il mio dovere di medico sul Piano Esterno non può essere preso alla leggera, Maestro. Né io prendo alla leggera il mio voto sul Piano Interno, come sentinella della Luce. Io vedo la scintilla in Peregrine Lovat, una scintilla troppo lucente per andare sprecata in una vita inutile, quando può essere guidata al Servizio. Io accetto la missione.» «Così sia, allora, Maestro della Caccia. Ma agisci con cautela, altrimenti tu e lui potreste precipitare nell'Abisso.» «Farò così» rispose Adam, con un profondo inchino. Nello spazio di un battito di cuore l'avvolgente presenza non ci fu più. La Camera delle Registrazioni ondeggiò intorno ad Adam e scomparve, e lui sfrecciò indietro verso il mondo materiale. Quando riaprì gli occhi, vacillando un poco sulle gambe, era in piedi nella biblioteca di Strathmourne, con le mani sul dorso della poltrona sulla quale dormiva Peregrine Lovat. I particolari minuti della sua esperienza si
facevano di momento in momento più nebulosi, ma ora davanti a lui c'era un preciso piano d'azione. Con un gesto breve giunse le mani in un saluto alla Luce, e il tocco delle punte delle dita sulle labbra concluse il rituale da lui effettuato. Poi girò davanti alla poltrona di Peregrine, rientrando pienamente nel suo ruolo di medico e insegnante. Il giovane era ancora nella posizione in cui Adam lo aveva lasciato, con la testa reclinata sullo schienale e gli occhi chiusi. Lui si chinò a soffiare sulla candela, quindi gli toccò un polso nel segnale predisposto. «Peregrine, ascolti la mia voce» disse con fermezza, non più incerto su quello che doveva fare. «Può sentire ciò che le dico?» Le labbra del giovane si aprirono in una parola a malapena comprensibile: «Sì.» «Ottimo» disse Adam. «Fra un momento le chiederò di svegliarsi e tornare cosciente. Prima di questo, però, c'è qualcosa che deve sapere, anche se occorrerà del tempo perché lei giunga alla piena comprensione di ciò che sto per dirle.» Andò a sedersi nell'altra poltrona, scrutando il giovanotto con attenzione. «È un fatto certo, anche se non posso dimostrarglielo in alcun modo scientifico e razionale, che la storia di ogni individuo risale assai più indietro dei limiti della sua vita presente. Io ho motivo di pensare che le sue visioni, quelle che la tormentano e che si è dato tanta pena per sopprimere fin dall'infanzia, siano in realtà l'eredità preziosa che le giunge da uno stadio anteriore del suo sviluppo. E non c'è dubbio che lei possa controllarle... a patto che riconosca questo dono per ciò che è.» Una vaga speranza fece tremare le palpebre di Peregrine, mentre le sue labbra si muovevano per sussurrare una parola: «Come?» «Innanzitutto» disse Adam, «deve imparare a selezionare le diverse informazioni che, fin ora, l'hanno aggredita incontrollate. In altre parole, deve imparare a mettere a fuoco il suo talento, e ad attivarlo e disattivarlo quando vuole lei... non a lasciare che si attivi casualmente da solo. Le tecniche per ottenere questo esistono già nel suo subconscio, ma vi sono sepolte. Possono essere ritrovate attraverso i sogni. Mi piacerebbe inserirle una suggestione post-ipnotica per rafforzare la sua capacità di ricordare quei sogni. Ho il suo permesso di farlo?» Peregrine annuì per dirsi d'accordo. «Molto bene. Allora lei accetterà questa suggestione, e così saprà che nei
sogni c'è la conoscenza che la renderà libero. Lei la sognerà, e sarà pronto a riceverla, e ricorderà ciò che ha sognato.» «Sì» mormorò Peregrine, annuendo leggermente. Dopo una breve pausa, anche Adam annuì. «Ora, fra pochi minuti, lei si sveglierà spontaneamente. Subito dopo, non avrà alcun ricordo conscio della conversazione che c'è appena stata fra noi. Tuttavia, le idee di cui abbiamo parlato filtreranno in lei nel corso delle prossime notti, contenute nei sogni che lei ricorderà molto chiaramente. Voglio che registri ogni sogno che farà. Lo scriva, oppure lo disegni se questo le riuscirà meglio, e poi alla prima occasione noi ne parleremo. Farà questo per me?» «Sì» fu il mormorio di risposta. «Benissimo. Ora, oltre a questo, poiché guardare la gente coi suoi occhi di artista sembra innescare quelle visioni, devo ordinarle di non disegnare più nulla per parecchi giorni, fuorché quanto è legato ai suoi sogni. Darà a se stesso un po' di riposo, intanto che il suo subconscio comincia a riordinare le cose. La morte di Lady Laura è stata un brutto colpo, lo so, ma è stata anche il catalizzatore che ha portato al pettine questo nodo. Poi, fra qualche giorno, io le chiederò di disegnare molte cose. Se lei riuscirà a legare la sua facoltà di vedere all'intenzione di disegnare il risultato, questo sarà il primo passo per arrivare al controllo consapevole. «Ora, appena sarà pronto, lei si sveglierà fresco e rilassato, e ricorderà le mie istruzioni.» Adam si appoggiò allo schienale e attese, passandosi una mano sulla mandibola. Era stata una giornata lunga, e cominciava a essere stanco. Pochi momenti dopo, in ubbidienza alle sue istruzioni, Peregrine si schiarì la gola e aprì gli occhi. Quando vide Adam seduto lì con aria d'attesa si raddrizzò e si ricompose. «Per un momento mi è parso di risvegliarmi sul divano del mio studio» disse. «Quanto tempo ho dormito?» «Mmh, quasi un'ora» rispose Adam, gettando uno sguardo a un orologio di ceramica su un tavolino laterale. «Ma non importa. Ciò che conta è che abbiamo fatto un eccellente passo iniziale. Come si sente?» Peregrine riuscì a esibire un sorriso. «Non troppo male. Più stanco che altro... e questo è un grosso miglioramento.» Si massaggiò le spalle, poi guardò l'orologio da polso. «Santo cielo, non mi ero reso conto che fosse così tardi. Devo proprio recuperare i miei abiti e andarmene a casa, se voglio lasciarle il modo di farsi qualche ora di sonno.» «Il sonno è un lusso di cui posso fare anche a meno, ogni tanto» disse
Adam. «Piuttosto, lei non è in condizioni di guidare. La stanza in cui si è cambiato sarà sua, per la notte. Domani, Humphrey potrà fornirle tutto ciò di cui avrà bisogno.» «Be', non vorrei imporle la mia presenza...» cominciò Peregrine. «Nessuna imposizione, è solo questione di buonsenso. Anzi, quanto a questo» continuò Adam in tono discorsivo, mentre il giovane artista lo guardava con aria incerta, «credo che sarebbe una buona idea se lei restasse ospite qui a Strathmourne per alcuni giorni. Da quanto mi ha detto stanotte, è chiaro che lei deve rimettere ordine nella sua anima. E la mia esperienza dice che non è possibile imbarcarsi in un viaggio interiore di questo genere senza un luogo in cui riposare, e soprattutto l'assistenza di una persona pronta a intervenire, se lei sentirà il bisogno di un consiglio.» Peregrine arrossì un poco. «Questo è straordinariamente generoso da parte sua, Sir Adam. E io le sono molto grato, ma... come lei sa, non sono venuto esattamente preparato a una lunga visita.» «Questa dev'essere l'ultima delle sue preoccupazioni» disse Adam, con una risatina. «È uno dei buoni motivi che inducono qualcuno a pagare lo stipendio a un cameriere di fiducia. Daremo le sue chiavi di casa a Humphrey, e domattina di buon'ora lui farà un salto a Edimburgo, a prelevare tutto ciò che potrà servirle.» Un sorriso sollevato schiarì l'espressione stanca di Peregrine. «Lei pensa proprio a tutto, non è così? In questo caso, non mi resta che accettare il suo invito... almeno per pochi giorni. Non ho l'energia di discutere con lei.» «Scoprirà che discutere con me è difficile, quando mi metto in testa qualcosa» disse Adam, alzandosi. «In quanto alla durata della sua visita, ne parleremo quando sarà più riposato. Nel frattempo, prima di ritirarci le raccomando uno spuntino notturno. Poco fa ho sentito Humphrey rientrare. Sa fare degli ottimi toast al prosciutto, e non sono mai riuscito a fargli perdere l'abitudine di mettere un po' di brandy nella cioccolata calda.» CAPITOLO QUINTO Mezz'ora più tardi, rilassato e con l'impressione di aver mangiato a sazietà per quella che gli sembrava la prima volta da molti giorni, Peregrine augurò al suo ospite una sonnolenta buonanotte e salì al piano di sopra, nella camera che aveva usato per cambiarsi. Benché al suo arrivo non fosse stato in grado di apprezzarne l'aspetto, la stanza era elegante e spaziosa, come tutte quelle che aveva visto fino a
quel momento a Strathmourne. Le pareti erano tinte in una fresca sfumatura di azzurro Wedgewood, con infissi di legno e cornici bianche. La sezione centrale del soffitto a cassettoni era stata dipinta per somigliare al cielo notturno. Quando si fu tolto le pantofole e la veste da camera, e si fu stancamente disteso sotto le coltri protette da un copriletto di chintz, poggiò la testa sul guanciale di piume e guardò con occhi insonnoliti quella distesa di costellazioni per qualche minuto, prima di spegnere la lampadina da notte. Fu la serena immagine di un firmamento stellato quella che portò con sé, quando cedette al torpore e scivolò nel sonno. Sopraffatto dalla fatica, non ebbe sogni che potesse ricordare con chiarezza. Quando infine si svegliò, la camera era immersa in una penombra azzurra quasi sottomarina, e in distanza, molto lontano da lì, si udiva il suono della campana di una chiesa. Scostò le coltri e scese dal letto, a piedi nudi, andando ad aprire le lunghe tende di damasco blu. La luce del sole fiottò attraverso i vetri. Fuori era una bella giornata serena, molto luminosa. Ma il continuo suono della campana gli disse che doveva essere più tardi di quel che aveva pensato. Sbattendo le palpebre tornò al comodino da notte e raccolse il suo orologio. Stupito, constatò che erano passate le undici e mezzo. Possibile che avesse dormito fino a un'ora così tarda? Trovò gli abiti che aveva indosso il giorno prima, asciutti e ben stirati, ripiegati sulla spalliera di una sedia a destra della porta del bagno; opera di Humphrey, senza dubbio. Sulle mensole del bagno c'era il necessario per la barba e altri piccoli oggetti personali assortiti, ovviamente prelevati, come gli era stato promesso, dal suo appartamento a Edimburgo. Una rapida ispezione dei cassetti e degli armadi, in camera da letto, gli rivelò che era stata portata lì anche una vasta selezione dei suoi abiti e della sua biancheria. Meravigliato dell'efficienza del silenzioso cameriere-maggiordomo di Adam Sinclair, Peregrine fece la doccia e si vestì il più in fretta possibile, chiedendosi in che situazione si fosse messo. Non c'era segno di Humprey, quando Peregrine scese le scale. Né, dapprima, poté scorgere il padrone di casa o qualcun altro. Quando si fermò a guardarsi intorno nell'atrio, in fondo alle scale, notò tuttavia che la porta della biblioteca era socchiusa. Prendendo il coraggio a due mani, andò a bussare leggermente sul battente di lucida quercia. «Venga pure, prego» disse la voce di Adam dall'interno. Peregrine spinse la porta ed entrò, con qualche esitazione. Adam era seduto alla scrivania, dando le spalle alla finestra, in gilè e cravatta, con le
maniche della camicia così bianche che sembravano luccicare nel sole. La giacca del suo abito grigio da mattina era appesa alla spalliera di un'altra sedia. Peregrine fu sorpreso nel vedere il suo ospite abbigliato così formalmente, finché gli tornò a mente, con una fitta di pena, che Adam aveva promesso di passare da Kintoul House quella mattina, e probabilmente lo aveva già fatto. «Lei è già stato dai Kintoul, non è così?» disse Peregrine, sbattendo le palpebre quando Adam alzò lo sguardo. «Io... uh avevo idea di venire con lei. Forse avrebbe dovuto svegliarmi.» Con un sorriso Adam mise da parte il ritaglio di giornale che stava leggendo, deponendolo in una cartella di manila dove ce n'erano molti altri. «Mi è parso che lei avesse bisogno di dormire, più di quanto la famiglia Kintoul avesse bisogno di un altro visitatore, questa mattina» disse. «Ci sarà tutto il tempo per una visita più significativa, nei prossimi giorni della settimana. Inoltre» aggiunse, in tono discorsivo, «credo che possa star certo che Lady Laura non le terrà il broncio, per essersi fatto una buona nottata di sonno.» Peregrine aprì la bocca per protestare, poi la richiuse, rendendosi conto che Adam aveva detto la semplice verità. Mentre ancora cercava qualcosa da dire, il padrone di casa continuò: «Humphrey ha apparecchiato un tavolo per uno spuntino nella stanza di fronte a questa, dall'altra parte dell'atrio. Se lei è abbastanza sveglio da avere appetito, suonerò per fargli sapere che siamo pronti per mangiare qualcosa.» Visto che Peregrine non sollevava obiezioni, Adam allungò una mano a tirare il cordone ricamato presso la finestra ricurva, quindi rimise in ordine i ritagli di giornale della cartella. Quel gesto attrasse lo sguardo di Peregrine come un magnete, e le parole «antica spada» balzarono verso di lui da uno di quei titoli, proprio mentre l'altro chiudeva la cartella. «Lei scoprirà che io ho una varietà di interessi» disse Adam in tono casuale, apparentemente senza far caso all'espressione di sorpresa un po' colpevole con cui l'artista s'affrettò a rialzare lo sguardo. «Ogni tanto, vengo invitato ad aiutare la polizia in casi nei quali ci sono aspetti... diciamo, insoliti. Da qualche tempo, perciò, ho preso l'abitudine di archiviare tutti gli articoli di giornale in cui qualcosa mi sembra interessante. Già più di una volta questa mia precauzione un po' eccentrica mi ha avvertito in anticipo che ci sarebbe stato bisogno dei miei servizi.» Peregrine batté le palpebre e annuì, ma d'un tratto ebbe l'inesplicabile sensazione che qualcosa fosse accaduto a sua insaputa. I modi di Adam
sembravano rilassati come al solito, tuttavia lui fu improvvisamente sicuro di una cosa: la spiegazione apparentemente semplice e franca del suo ospite era una maschera dietro cui c'era qualcosa di assai meno semplice. Qualunque fosse la natura del caso in cui c'entrava quella misteriosa spada, in qualche modo questo era collegato anche a Sir Adam Sinclair. «Mi scusi, Sir Adam» disse Peregrine, rigidamente. «Non era mia intenzione ficcare il naso.» Adam inclinò la testa e lo guardò, divertito. «Sir Adam?» disse vivacemente. «Se dobbiamo lavorare insieme, Peregrine, penso che tu dovresti lasciar perdere il titolo di Sir, almeno in privato. Mi permetti questa confidenza?» «Naturalmente... uh, Adam» annuì lui. «Bene. Ma non stavi affatto ficcando il naso, credimi. Se questo fosse materiale che non dovevi vedere, credi che lo avrei letto qui, dove tu potevi entrare in qualsiasi momento? Del resto, è tutta roba apparsa sui giornali, in questi anni. Dai pure un'occhiata, se ti interessa.» Adam gli porse la cartella con un sorriso d'incoraggiamento, ma Peregrine scosse il capo, sentendosi un po' imbarazzato per aver creato un caso così goffamente, benché fosse certo che l'altro non stava ridendo di lui. «Non è necessario» mormorò. «Io... è solo che non voglio approfittare della tua gentilezza. E francamente, anche se leggessi queste cose» aggiunse, accennando col capo alla cartella, «dubito che poi mi sentirei più saggio.» «Forse no» fu d'accordo Adam con una risatina. Aprì un cassetto sulla destra della scrivania e vi mise la cartella. Poi si alzò e prese la giacca. «Vogliamo andare di là? Mi sembra che Humphrey abbia parlato anche di salmone fresco...» Più tardi, dopo aver mangiato il salmone, per non parlare delle uova alla Benedict con contorno di asparagi, Adam condusse Peregrine in un lungo giro per mostrargli la casa. Strathmourne House non era una dimora antica, essendo stata costruita sul luogo di un precedente edificio distrutto da un incendio alla metà del diciannovesimo secolo, edificio che a sua volta era sorto sulle rovine di un vecchio monastero. Nella sua forma attuale era un buon esempio di architettura vittoriana con influenze scozzesi, progettata e costruita, su ordinazione del bisnonno di Adam, da un rinomato architetto locale di nome Forbes, che aveva nette tendenze per gli interni neo-gotici. La sensibilità artistica di Peregrine fu attratta non solo dalla forma delle stanze e dei corridoi, ma dall'attenzione che Forbes aveva posto nei detta-
gli e nelle decorazioni. Gli intrecci di foglie di vite che adornavano tutte le pareti del pianterreno erano reminiscenze dei migliori disegni risalenti al periodo alto-gotico. E così anche i vetri dipinti della cappella privata, che raffiguravano il sogno di Giacobbe con una medievale ricchezza di colori brillanti. Peregrine fu particolarmente colpito da uno stemma araldico a rilievo, realizzato al centro del soffitto dell'atrio: una fenice che prendeva il volo da un nido in fiamme. «Questo è un piccolo capolavoro» dichiarò, facendosi ombra agli occhi con una mano per guardare in alto. «È uno stemma dei Sinclair?» «Sì, uno dei molti» rispose Adam. «Secondo Physiologus di Alessandria, la fenice conosce il segreto della sopravvivenza eterna. Quando raggiunge un'età molto avanzata si costruisce una pira di spezie arabiche e brucia su di essa, per emergere poi dalle fiamme sotto forma di una creatura giovane, rinata alla vita.» «Reincarnazione» mormorò Peregrine. «Tu pensi che sia possibile?» Adam inarcò le sopracciglia, osservandolo con sguardo penetrante. «È possibile che noi siamo nati più volte, lungo il percorso che ci consente di raggiungere il nostro personale destino spirituale? Non domandarlo a me. Domandalo a te stesso.» Fissando con stupore il volto del suo amico, Peregrine si trovò senza parole. Lasciarono l'atrio e salirono al piano di sopra, avviandosi negli appartamenti dell'ala nord. In due stanze attigue all'estremità del corridoio c'era una singolare collezione di giocattoli edwardiani. «Questa era la nursery, al tempo in cui mio padre e suo fratello erano bambini» disse Adam, osservando con indulgenza Peregrine che si chinava a esaminare cavalli meccanici e carretti decorati. «Mia sorella mi ha detto che quand'era bambina considerava un premio speciale avere il permesso di venire a giocare qui. Questo pony era uno dei suoi preferiti.» Il piccolo cavallo meccanico aveva una vera sella di cuoio e una criniera in autentico crine equino. Peregrine toccò la ringhiera d'ottone del carretto, inclinando il capo per guardare i disegni sulle sponde di legno. «Non sapevo che tu avessi una sorella» disse. Per qualche motivo, nonostante i suoi modi piacevoli e il suo bell'aspetto, Adam Sinclair sembrava stranamente un solitario, che frequentava poco perfino i suoi stessi amici. «Theodora è un poco più anziana di me» rispose. «In realtà è mia sorellastra. Non che questo importi. Sua madre era la prima moglie di mio pa-
dre. C'è un bel ritratto di lei nella stanza accanto alla tua. Vieni, che te lo mostro.» Il ritratto era a figura intera, e rappresentava una ragazza bruna e snella dagli occhi ridenti, con uno scialle di lana scozzese e un elegante abito da ballo bianco. «Questo è stato dipinto poco prima del venticinquesimo compleanno di Theo» disse Adam. «L'anno seguente sposò Sir Thomas MacAllan, che era nel servizio diplomatico. Hanno trascorso buona parte della loro vita coniugale in Estremo Oriente, anche se oggi vivono in patria. I loro tre figli sono nati all'estero. Mi piacerebbe che tu realizzassi un ritratto di famiglia, con loro.» «Dove abitano?» domandò Peregrine. «Nell'Argyllshire, non distante da Inveraray» rispose Adam. «È un bel posto, una casa piena di oggetti orientali che fanno pensare a una nostalgia per quei posti lontani. Ma credo che Theo fosse ansiosa di sistemarsi in patria, dopo tanti anni in quei climi caldi. Thomas è andato in pensione qualche anno fa. Theo mi ha detto che per suo marito questo non è stato un cambiamento spiacevole.» Durante il resto del giro Adam raccontò un paio di aneddoti di viaggio, e infine scesero di nuovo in biblioteca. Mentre aspettavano che Humphrey portasse il the, e intanto che Adam faceva una telefonata, Peregrine passeggiò pigramente davanti agli scaffali colmi di libri esaminando i titoli. Un volume rilegato in cuoio marocchino attrasse il suo sguardo. D'impulso lo tolse dallo scaffale e lo rigirò fra le dita, ammirando la perfezione della rilegatura fatta a mano. Aprendolo, scoprì che era la prima edizione di Psycologie und Alchemie di Carl Jung, datata 1944. Nella prima pagina interna, una dedica scritta a mano diceva «A Philippa Sinclair», ed era seguita da alcune righe in tedesco. La firma era quella di Carl Jung. Un'ombra cadde sulla spalla destra di Peregrine. «Mia madre è stata una studentessa di Jung» disse Adam, dietro di lui. «Anche lei è una psichiatra. Jung le mandò quel libro poco dopo il suo matrimonio con mio padre.» Peregrine si volse a guardare il suo ospite. «Tua madre è svizzera, allora?» «No, è americana» disse Adam. «Ma andò in Svizzera per studiare con Jung, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. All'entrata in guerra degli Stati Uniti s'era arruolata nell'U.S. Army Medical Corps. Lei e mio padre s'incontrarono in un ospedale da campo non lontano dal fronte, e il resto, come si suol dire, è storia.»
Peregrine chiuse il libro e lo rimise con cura al suo posto sullo scaffale. «È ancora viva, suppongo, no?» «Oh, sicuro» rispose Adam con una risata. «Attualmente si trova in America, a sorvegliare l'andamento della sua clinica, nel New Hampshire. Quello era il pomo della discordia con mio padre, quando era vivo, perché lui pensava che sua moglie dovesse stare qui tutto il tempo a svolgere i suoi doveri di lady della loro dimora. Dopo la morte di mio padre, è laggiù che trascorre la maggior parte del suo tempo. Afferma che il lavoro la mantiene giovane.» Adam avrebbe detto di più, ma in quel momento Humphrey bussò discretamente alla porta ed entrò, col vassoio del the e dei biscotti. Mentre seguiva Adam accanto al caminetto, Peregrine rifletté che nella famiglia Sinclair c'era una singolare capacità nel raggiungimento degli obiettivi personali. Trascorsero il pomeriggio a Strathmourne, tranquillamente. La cena, semplice ma gustosa, fu seguita da un bicchierino di brandy nell'ormai familiare ambiente della biblioteca. «Suggerisco di andare a letto presto, stasera» disse Adam. «Credo che tu sia d'accordo se dico che ieri non abbiamo avuto una nottata molto... uh, riposante. E domani, dopo che avrò fatto il mio solito giro delle corsie a Jordanburn, dovrò andare in auto a Gleneagles, nel pomeriggio. C'è la riunione trimestrale del Royal Scottish Preservation Trust, e io sono uno degli oratori. Forse ti piacerebbe venire con me?» «Be', io...» «Non farai la figura dell'intruso, se è questo che stai pensando» disse Adam con un sorriso. «Credo che ti svagherai... e questo mi darà il modo di presentarti ad alcuni miei buoni amici che sono membri del Trust... amici che saranno fonte di future commissioni artistiche» aggiunse, alzando il bicchiere in un allegro brindisi. «Questo, se la prospettiva della mia compagnia per tutta la giornata, e di alcuni discorsi probabilmente noiosi, non ti sembra abbastanza eccitante.» Rinfrancato dal brandy, e dal crescente calore della loro amicizia, Peregrine si trovò ad accettare. Solo molto più tardi, quando si fu ritirato nella sua stanza per la notte, mentre aspettava di addormentarsi, gli venne da pensare che quello era il primo impegno sociale che si fosse concesso da parecchi mesi. E in tutto il giorno non aveva ripensato ancora una volta alla disperazione che lo aveva condotto lì a Strathmourne, appena ventiquattr'ore addietro.
Il giorno successivo, lunedì, cominciò con una bella mattinata di sole. Dopo aver fatto colazione, alle sette e mezzo, Adam lasciò solo Peregrine per qualche ora e andò a Edimburgo per occuparsi dei suoi pazienti. Fece ritorno a Strathmourne dopo le undici, e i due ripartirono quasi subito. «Oggi c'era meno traffico di quanto mi aspettavo» disse Adam, allungando una mano a sbloccare lo sportello per far salire Peregrine sulla Jaguar. «Forse avremo il tempo di pranzare come si deve. Ho detto ad alcuni amici che cercheremo di unirci a loro, se riusciamo ad arrivare prima dell'una.» Giunsero al Gleneagle Hotel con un abbondante anticipo. Gli amici di cui Adam aveva parlato erano il Duca di Glendearn, presidente e principale finanziatore del Trust, e parecchi altri titolati, non pochi dei quali conoscevano già i dipinti di Peregrine. Il calore dei loro modi riuscì a sciogliere la timidezza iniziale del giovane artista, e ancor prima che il pranzo avesse termine lui si sentiva già come a casa sua. Mentre passavano nella sala da conferenze, Peregrine gettò uno sguardo all'opuscolo che Adam gli aveva consegnato. Il programma di quella mattina, scoprì, aveva incluso un esame finanziario della società e alcuni interventi riguardanti certi aspetti della storia scozzese. Fra gli eventi in programma per il pomeriggio c'erano parecchi discorsi, e alcuni argomenti sui quali ci sarebbe stata una libera discussione. Con suo stupore, Peregrine non si annoiò affatto. Il contributo di Adam, ultimo dei conferenzieri, fu un discorso su quella che lui chiamò «archeologia intuitiva». Peregrine lo trovò molto interessante, e nessuno dei presenti mostrò l'inclinazione ad andare via in anticipo. Anzi, parecchie persone che per tutto il pomeriggio erano entrate e uscite, tornarono nella sala quando il Duca introdusse Adam. Evidentemente Sir Adam Sinclair era uno dei conferenzieri più popolari. «Questo intende essere un esercizio di speculazione creativa» Adam avvertì i suoi ascoltatori, con un sorriso che solidificò la loro attenzione. «Ciò che io vi propongo è che, nei prossimi cinque minuti, mettiate da parte ogni considerazione sul metodo empirico, allo scopo di esaminare l'intuito come uno strumento basilare dell'indagine archeologica. «L'intuito» continuò, guardandosi attorno nella sala, «è una dote che alcuni pensano appartenga alle donne, e quindi che non si adatti onorevolmente a un uomo virile.» Quell'osservazione provocò alcuni sorrisetti. «Gli studiosi che si occupano delle cosiddette scienze esatte, tendono a considerarlo con sospetto, perché non può essere misurato e pesato secondo logi-
ca. Gli studiosi che lavorano nel campo delle scienze non esatte... e lapsicologia è una di queste... sanno però che l'intuito è uno strumento assai valido, e che la sua utilità è confermata dai risultati. Forse, dunque, il confine fra la logica e l'intuizione non è così invalicabile come i cultori delle scienze esatte vorrebbero farci credere.» Mentre Adam voltava pagina nei suoi appunti, Peregrine sedeva tranquillamente in una delle ultime file. Anche quell'argomento si rivelava più interessante di quanto aveva supposto. «In realtà anche i fisici e i matematici usano molto l'intuito» continuò Adam, «anche se alcuni di loro lo ammetterebbero solo se costretti con la forza. Dopotutto, non è un qualcosa di «logico». Tuttavia non è un segreto che alcuni ricercatori sono più propensi di altri a giungere alla formulazione di teorie corrette partendo da esperimenti fisici realizzabili solo in parte o addirittura impossibili da realizzare. Mettendo tutto ciò in una prospettiva archeologica, io vorrei affermare che l'intuito può, in effetti, giocare un ruolo importante nella ricostruzione storica, basata sugli artefatti ritrovati nel corso degli scavi...» Adam proseguì raccontando una serie di aneddoti, confermati da testimoni, su alcuni eminenti archeologi e sulle loro scoperte. Mentre Peregrine lo ascoltava, cominciò a farsi strada in lui il pensiero che la facoltà descritta da Adam fosse, sotto altro nome, una specie di percezione extrasensoria. Si guardò tranquillamente attorno, chiedendosi se qualcun altro dei presenti avesse capito dove voleva segretamente arrivare quel discorso. Prima però che potesse farsene un'idea, l'oratore fece una svolta ancor più radicale. «Se noi infatti accettiamo che l'intuito giochi un ruolo vitale nell'indagine archeologica» disse Adam con calma, «possiamo benissimo sentirci obbligati a modificare la nostra definizione di realtà fisica. A questo fine, sospenderò per il momento tutte le considerazioni di fisica newtoniana per allargare il concetto di "legge naturale" fino a includere l'elusivo campo in cui opera l'intuito.» Quella dichiarazione risvegliò un fremito d'interesse fra i presenti che ne avevano capito il significato. Senza indugiare a leggere i suoi appunti Adam continuò, sporgendosi in avanti sul podio con aria cospiratrice: «Tutta la realtà fisica è tradizionalmente quantificabile nei termini delle tre dimensioni: altezza, larghezza e profondità. Ma quest'affermazione non tiene conto del fatto che gli oggetti, e gli esseri viventi, quanto a questo, esistono anche nella dimensione del tempo. Il fattore temporale è una cosa che, per mancanza di una definizione migliore, io vorrei chiamare "risonanza".»
Peregrine si piegò in avanti sulla sedia. All'improvviso si sentiva come sul punto di udire qualcosa d'importanza vitale, personale. «Per tracciare un'analogia» proseguì Adam pacatamente, «la risonanza può essere vista come una specie di eco della nostra vita, una sottile ombra di ciò che le cose erano un tempo. Come psicologo teorico, voglio premettere che la capacità di percepire la risonanza è una rara funzione della psiche umana. Nei tempi antichi questa facoltà era il marchio di fabbrica dei sacerdoti, dei veggenti e dei mistici. Al giorno d'oggi, è ancora un elemento effettivo fra coloro la cui vita professionale dipende dallo sviluppo di questa capacità di vedere: archeologi, psichiatri, artisti...» Artisti? Sorpreso, Peregrine fu d'un tratto colpito da alcune implicazioni. Era questo il motivo per cui Adam aveva voluto portarlo con sé? Si stava ancora sforzando di districare la matassa di quei pensieri, quando ne fu distratto da un applauso. Rialzò lo sguardo e vide Adam scendere dal podio, mentre intorno a lui si affollavano persone che chiedevano maggiori delucidazioni. Occorse una buona mezz'ora prima che Adam potesse raggiungerlo. Per quel momento Peregrine aveva padroneggiato le sue speculazioni abbastanza da potersi abbandonare ai convenevoli, quando i presenti cominciarono a salutarsi e congratularsi nell'atrio dell'albergo. Le ombre erano già lunghe allorché la Jaguar uscì dal parcheggio. Peregrine tenne la bocca chiusa finché furono sulla strada per Strathmourne, poi, bruscamente, diede voce alla domanda che continuava ad assillarlo da oltre un'ora: «Questa faccenda della risonanza di cui hai parlato... è un altro modo per dire che gli oggetti possono, in qualche modo, generare immagini appartenenti al loro passato?» Gli angoli della lunga bocca di Adam si piegarono in un sorrisetto. «Stavi ascoltando con attenzione, non è vero? Sì, questa è l'idea di base. Lo stesso principio si applica agli esseri umani. Queste risonanze sono state talvolta descritte in termini psichici, come "l'aura". E possono risuonare in avanti nel tempo, come anche all'indietro.» «Ah» disse Peregrine. Per qualche momento fissò accigliato la strada davanti a loro. Poi disse, tutto d'un fiato: «Il problema che io ho... il fatto di vedere cose che l'altra gente non può vedere... può in qualche modo essere legato a questa nozione di risonanza?» «È, se non altro, una teoria» disse Adam. «Ma non posso darti una risposta in termini scientifici. Ti suggerisco di dormirci sopra.» Queste furono le ultime parole che Adam si lasciò strappare sull'argo-
mento. Quando i suoi ripetuti tentativi di convincere il suo ospite a dargli maggiori dettagli non giunsero a niente, Peregrine infine cedette e lasciò che la conversazione si spostasse su altre cose, altrettanto affascinanti ma che non lo riguardavano personalmente, a quanto lui poteva dire. Più tardi, quella notte, non più illuminato di quanto lo fosse prima, allorché andò a letto non aveva molto sonno e non si aspettava di addormentarsi subito, né tantomeno che avrebbe sognato molto. Ma mentre giaceva sotto le coltri, lo sguardo perso nel pulviscolo delle costellazioni dipinte sul soffitto, i suoi pensieri scivolarono così lentamente dal livello conscio a quello inconscio che non s'accorse d'essersi addormentato, finché non ebbe inizio il sogno. CAPITOLO SESTO Il sogno ebbe inizio come se Peregrine si stesse risvegliando da un pisolino. Lui si trovava ancora a letto nella Camera Azzurra, a Strathmourne, ma la porta era semiaperta, e da essa filtrava uno spiraglio di luce ultraterrena. Si alzò dal letto e andò ad aprirla del tutto. Quando guardò oltre i confini della stanza, comprese d'essere sulla soglia di un'altra realtà. Avrebbe dovuto vedere un'altra porta, in un corridoio tappezzato da pannelli di cipresso dipinti a motivi floreali da William Morris; invece davanti a lui c'era una stanza quadrata, completamente vuota, le cui pareti nude scintillavano come specchi d'argento. Su quella alla sua destra si apriva un'arcata, che dava accesso a una fila di altre camere. La luce che le saturava sembrava provenire da quella direzione, sul fondo, a molta distanza. Peregrine fu colto da un improvviso desiderio di vedere la sorgente di quella luce. Avanzò fino al centro della stanza quadrata, e la sua persona si rifletté in tre pareti, ma guardando prima se stesso e poi la figura riflessa vide che questa era diversa. La sua persona-di-sogno indossava gli abiti moderni che aveva la sera in cui era andato in cerca d'aiuto a casa di Adam Sinclair. Ma il Peregrine che lo guardava dallo specchio portava soltanto dei sandali e una tunichetta di lana grigia affibbiata sulla spalla sinistra, in uno stile che ricordava le figure dipinte sui vasi dell'antica Grecia. Aparte le differenze nel vestire e nella pettinatura, la figura riflessa ripeteva specularmente ogni gesto ed espressione di Peregrine. Gli venne da pensare, nel sogno, che l'immagine dello specchio fosse in effetti una parte reale, anche se profondamente nascosta,
di lui stesso. In fretta attraversò l'arcata e passò nella seconda stanza. Anche questa aveva le pareti a specchio, solo che in quel riflesso la sua immagine aveva il gonnellino e l'armatura di cuoio di un centurione romano. Nella terza stanza lo specchio lo accolse con una versione di lui stesso dai capelli molto lunghi, abbigliata in un ricco abito bizantino di seta ricamata. Nella quarta e nelle stanze successive poté vedere altre immagini sempre diverse, una lunga serie di figure a volte eleganti, a volte malmesse, che avrebbero potuto appartenere a un museo storico di costumi e acconciature d'epoca. Ma la faccia era sempre la sua. La strana galleria di specchi lo portò infine dinanzi a un'alta porta, ornata e scolpita come quella di una cattedrale, che cedette senza difficoltà quando lui spinse uno dei battenti. Peregrine non aveva la sensazione d'essere in pericolo, così oltrepassò la soglia e si fermò per guardarsi attorno. La camera in cui era entrato aveva il soffitto a volta, come una cappella greco-ortodossa, e pareti ricoperte fino a confondere lo sguardo di mosaici in marmo multicolore. La luce scendeva da un complicato lampadario in filigrana metallica, appeso alla volta con tre catene d'oro. Direttamente sotto il lampadario c'era un piedistallo marmoreo a più strati, di forma strana, che sosteneva un globo scintillante largo quanto un pallone da football. Consapevole che quello era soltanto un sogno, Peregrine osservò il globo, con un certo stupore. La sua luminosità era di un candore perlaceo, e c'era in esso una bellezza affascinante che lo attirava come un magnete. Senza fermarsi a riflettere sulle sue azioni attraversò la stanza e salì sul piedistallo, allungando con reverenza le mani a sfiorare il globo. Nell'istante del contatto esplose un lampo morbido e intenso, una radiazione che era insieme luce e calore. Peregrine alzò le braccia per ripararsi gli occhi, abbagliato. Quando scostò le mani, la cappella era scomparsa e lui si trovava sospeso a mezz'aria sopra un mare opalescente. Attanagliato dalla paura di cadere si agitò freneticamente alla ricerca di un appiglio. La violenza dei suoi movimenti mandò onde di riflessi attraverso la matrice iridescente che lo circondava. Le onde si spezzarono in una caleidoscopica nevicata di luci. Un momento dopo Peregrine fu inghiottito in una bufera policroma. Lui si mosse qua e là aprendosi la strada con le braccia, come un nuotatore in procinto di affogare, mentre una vertigine lo faceva vacillare stordito. In preda al panico e disorientato chiamò aiuto, ansimando. Un coro di voci gli rispose, voci rassicuranti che lo esortavano a farsi co-
raggio. Parlavano in molte lingue diverse, ma lui le comprese tutte. Poi si accorse che erano echi della sua voce, e che gli dicevano tutte la stessa cosa: Resta immobile. Resta immobile, e vedrai che tu sei il padrone di ogni cosa. Smise di agitarsi disordinatamente. Subito le fluttuazioni della luce diventarono meno confuse. Sforzandosi di restare fermo, ordinò alla tempesta di spegnersi. Pian piano quel turbine di colori si placò in una distesa di luce tranquilla, un lago perlaceo... e lui poteva camminarci sopra! Affascinato e stupito si mosse, in perfetto silenzio... Poi una morbida penombra azzurrina si fece sempre più solida intorno a lui, sopraffacendo ogni altra immagine. Peregrine cercò di mettere lo sguardo a fuoco e scoprì di avere gli occhi chiusi. Quando li aprì, un momento dopo, vide un soffitto a cassettoni dipinto di stelle. Era di nuovo nella sua camera, a Strathmourne. Peregrine sedette sul letto, perplesso, conscio di ricordare in ogni dettaglio il sogno che aveva appena fatto. Nello stesso tempo in lui c'era un certo impulso a mettere quei particolari su carta. Sul comodino da notte trovò una penna e un blocco per note, così accese la lampada e cominciò a buttare giù un resoconto scritto del sogno, raccontandone lo svolgimento e descrivendo le scene. Quando finì, erano le otto passate. Ricordando che il suo ospite era una persona che si alzava di buon'ora, Peregrine si fece la barba e si vestì in fretta; poi, col blocco da disegno sotto un braccio, scese al pianterreno e s'avviò verso il soggiorno dove Adam solitamente faceva colazione. Vi arrivò col fiato corto, e trovò il padrone di casa occupato a versarsi una tazza di the, col giornale aperto sul tavolo. Oltre la larga finestra ricurva, la giornata si annunciava piuttosto nebbiosa. «Buongiorno» disse Peregrine, con un sorriso melenso. «Spero di non essere caduto in disgrazia, presentandomi di nuovo in ritardo a colazione.» «Niente affatto» rise Adam, mettendo da parte il giornale. «Anch'io sono appena sceso. In ogni modo, unisciti a me.» Lo osservò con sguardo scrutatore e inarcò un sopracciglio. «Qualcosa è andato storto?» «No, va tutto bene.» Peregrine sedette dall'altra parte del tavolo. «Ho fatto un sogno abbastanza straordinario, poco prima di svegliarmi. Pensi che valga la pena di parlarne?» «Certamente» rispose Adam. «Ne hai preso nota?» Annuendo, Peregrine mostrò il blocco da disegno e glielo porse, attraverso il tavolo. «È tutto qui... tutto ciò che ho potuto ricordare. Non è ne-
cessario che tu lo legga adesso.» E aggiunse: «Se vuoi, potrai darci una scorsa dopo colazione.» Adam prese il notes e lo aprì, sorridendo. «Nulla mi impedisce di fare le due cose insieme» disse. «Ho scoperto che il materiale di questo genere è una buona lettura, a colazione, meglio del giornale. Nel frattempo, tu serviti pure.» Peregrine prese un toast e si versò una tazza di the, mentre Adam s'immergeva nella sua fine scrittura. Il resoconto occupava cinque pagine. Quando infine sollevò lo sguardo dal notes, si accorse che Peregrine lo fissava con una certa apprensione. «Ebbene?» disse il giovane, dimenticando l'appetito. «Cosa ne pensi?» «Ciò che dovrei chiederti, innanzitutto» disse Adam, «è: tu che cosa pensi di te stesso?» Peregrine ebbe una smorfia. «Temevo che mi avresti risposto così.» Dopo un momento, con qualche esitazione, continuò: «Basandomi su ciò che hai detto ieri, durante la tua conferenza, suppongo che tutto ruoti intorno alla storia... la storia, e la risonanza generata dalla storia. Quello che non capisco è il perché di quella galleria di immagini di me stesso.» Il giovane si grattò il mento, come invitando Adam a dargli una spiegazione. Quest'ultimo lo guardò inarcando un sopracciglio, e depose sul tavolo il notes, fra loro. «Non credo che tu abbia bisogno del mio aiuto per trovare un significato in questa esperienza. Ti sembra?» Peregrine continuò ad accarezzarsi la mandibola, riflettendo su quelle parole. «No, no, suppongo di no. Ma...» Scosse il capo, con impazienza. «Adam, io sono stato educato nella religione presbiteriana. Non è facile per me, come cristiano, accettare il concetto di reincarnazione.» «Tuttavia la cristianità abbraccia una moltitudine di diverse interpretazioni della stessa storia» rispose Adam. «In caso contrario non saremmo suddivisi nelle varie chiese cristiane, ognuna delle quali pensa che il suo modo di avvicinarsi a Dio sia quello giusto.» «Allora, tu credi che le due cose siano compatibili?» domandò Peregrine, dubbioso. Adam scrollò le spalle. «È una questione di coscienza. Spetta a te decidere. La mia sensazione... e dico questo da buon cristiano, uno che ha cenato col suo vescovo la settimana scorsa, è che la cristianità può benissimo abbracciare verità molto più grandi di quelle generalmente accettate e insegnate dalle varie chiese.»
Questa osservazione, abbastanza precisa, ridusse al silenzio Peregrine, che lo guardò a occhi spalancati. Dopo un lungo momento il giovane disse: «Questo è pazzesco. Tu sei uno psichiatra, eppure mi stai dicendo che credi che le mie visioni non siano affatto allucinazioni, bensì la pura verità.» «Io non ho detto questo» replicò Adam. «Ma se ti fa sentire meglio, puoi accettare l'idea che l'illusione di risonanze col passato... o con vite passate, se vuoi, è una buona metafora, la quale ti consente di usare il settimo senso, cioè quel senso per cui oggi la scienza non ha un'adeguata spiegazione. In altre parole, se funziona, adoperalo.» Peregrine lo guardava con occhi attoniti, cercando di digerire quelle parole. Dopo qualche secondo annuì, lentamente. «Credo di capire quel che stai dicendo» mormorò. «In un certo modo ha un senso... anche se non so quale.» «Un senso intuitivo?» sorrise Adam. «Può darsi. Ma in una cosa hai ragione: che sia reale, o che sembri soltanto reale, la spiegazione è migliore di tutte quelle che io abbia mai trovato per capire cosa mi sta succedendo.» Peregrine appoggiò la punta dell'indice sul notes. «Allora, supponiamo pure che io abbia vissuto altre vite prima di questa, tanto per amore di discussione. Se la stessa cosa è vera per te» continuò, in tono pensieroso, «allora ciò che ho visto mentre ti guardavo, l'altra notte, quando ho cercato di disegnarti, erano... risonanze del tuo passato.» E lo guardò in attesa di conferma. «Benché troppo semplificato» fu d'accordo Adam con un sorrisetto rigido, «questo è essenzialmente esatto, per quanto posso dire io.» Peregrine assimilò quel commento. Dopo una pausa, domandò: «Tu non ti sei mai accorto di vedere ombre delle mie vite passate?» «Non volutamente, se è questo che intendi.» «Perché no?» «Per dirne una» rispose Adam, «sospetto che sia perché ho imparato a mettere dei limiti alla mia prospettiva temporale, oltreché a espanderla. Inoltre, non è in questo che stanno le mie capacità più importanti.» Prima che Peregrine potesse chiedergli una spiegazione più esauriente, Adam raddrizzò le spalle e spinse da parte il piatto coi resti della sua colazione. «Tu vai a cavallo, per caso?» «Come, scusa?» «Sai stare in sella?» Peregrine sbatté le palpebre. «Me la cavavo abbastanza bene, quando andavo al college. Perché?»
«Come credo di averti accennato» disse Adam, «ho incaricato alcuni operai di fare un po' di pulizia sulle mura esterne di Templemor Tower, la settimana scorsa. C'è una persona che deve venire, oggi pomeriggio... un archeologo della Sovrintendenza alle Antichità. Prima di dargli il permesso di esplorare quelle rovine, vorrei dare una buona occhiata al lavoro che è stato fatto fin ora. Ho idea di recarmi laggiù a cavallo, nella tarda mattinata, e mi è venuto in mente che tu potresti venire con me, e fare magari qualche schizzo del posto. Penso che riusciremo a farti entrare nei pantaloni da cavallerizzo e negli stivali di mio nipote. Ha circa le tue misure... se credi che la cosa ti interessi.» Peregrine lo stava guardando con uno stupore che si sfumò di sospettosità. «Si tratta di un altro esperimento?» volle sapere. Adam gettò indietro la testa, con una risata. «Sì, sarà proprio un altro esperimento. Ce l'hai un blocco da disegno che possa entrarti in una tasca? Bene, allora portalo. Ti dirò quello che ho in mente quando saremo per strada.» John, l'ex sergente della Cavalleria Leggera che si occupava dei cavalli di Adam, aveva già sellato il suo stallone grigio quando Peregrine uscì di casa, dopo aver finito di vestirsi, e stava conducendo fuori la giumenta marrone destinata a lui. Nel veder arrivare Adam e Peregrine, la giumenta nitrì; il grigio ruotò gli orecchi e si voltò a guardare anch'egli. Dietro di loro, negli stalli della scuderia, altri due quadrupedi girarono la testa a scrutare i nuovi venuti con interesse equino. Lo stalliere sorrise e si portò un dito al berretto in un saluto quasi militare, mentre faceva voltare la giumenta per cominciare a sellarla. «Buongiorno, signore. Khalid è pronto, e anche Poppy lo sarà fra un minuto.» «Buongiorno, John. Grazie» disse Adam. Quando passò una mano sulla criniera satinata del grigio, l'animale sbuffò leggermente e girò la testa per farsi grattare il muso. «E buongiorno anche a te, Khalid» mormorò Adam, accontentandolo con indulgenza. «Ah, ti piace così, non è vero? Tu e Poppy avete voglia di fare una bella passeggiata?» «Oh, può star certo che ha voglia di galoppare un po', signore.» John allacciò i finimenti della giumenta e controllò le briglie. «Non che siano impazienti di fare follie, nessuno dei due» aggiunse, per tranquillizzare Peregrine. «Non si preoccupi, Mr. Lovat, non avrà problemi. Anche se è molto
che non va a cavallo.» «Ho partecipato a qualche caccia, quando andavo a scuola» disse Peregrine. «Be', allora se la caverà bene con questa signorina ben educata. E lei saprà tenere il passo del nostro purosangue, qui» esclamò lo stalliere, mollando una pacca sulla groppa del grigio mentre gli passava accanto. «Lei non le chieda troppo, e vedrà che oggi potrà fare una bella cavalcata.» Dopo che John gli ebbe dato una mano a montare e a sistemare gli stivali nelle staffe, Peregrine attese che anche Adam fosse in sella; poi si avviò al passo dietro di lui e portarono i cavalli fuori dal cortile. La giumenta reagiva con ubbidienza alle pressioni delle sue gambe, chiaramente pronta a passare al galoppo appena lui l'avesse spronata ma senza mostrarsi impaziente; una signorina ben educata, proprio come John aveva detto. Per una decina di minuti proseguirono al passo, per lasciar scaldare i cavalli... e per dar modo a Peregrine di riabituarsi alla sella. Poi, dopo una trottata lungo un fosso d'irrigazione fra due campi, cominciarono a galoppare attraverso un pascolo ondulato. Memore che Peregrine era fuori allenamento, Adam scelse il percorso più facile, invece di saltare muretti e recinti, e tirò le redini per tornare al trotto appena furono in vista del pendio boscoso di Templemor Hill. La sua intenzione era di fare in modo che Peregrine desse una buona occhiata al castello in rovina, per vedere se gli sarebbe apparsa qualche risonanza dal passato. Lo aveva preparato alla cosa con la sua conferenza del giorno prima, e aveva pensato che il giovane artista avrebbe trovato meno minaccioso vedere degli oggetti materiali che una persona, mentre cominciava a prendere sotto controllo la sua capacità di richiamare immagini del passato. Più avanti, oltre l'intreccio dei rami spogliati dal vento, si levavano i resti diroccati di Templemor, grigi e pallidi nella nebbia del mattino: una classica fortezza con pianta a Z, fornita di due torri smozzicate che si levavano ai lati opposti dell'edificio centrale, privo del tetto. Adam fece rallentare il cavallo fra gli alberi mentre si avvicinavano, e si domandò cos'avrebbe visto l'uomo che cavalcava al suo fianco quando lui gli avrebbe chiesto di guardare oltre il mero aspetto fisico delle rovine. Non cercava né si aspettava nulla per sé, accontentandosi d'essere presente come mediatore e guida per Peregrine, intanto che il giovane imparava a mettere le redini al suo talento. Distratto e rilassato, dunque, ebbe un sobbalzo allorché senza alcun preavviso un frammento del suo passato s'intrufolò nel presente. Come in un
paesaggio magico, le nubi si aprirono e un raggio di sole sbucò fra i rami nudi sopra di loro, avvolgendo le mura del castello in una sorprendente aura dorata. L'alchimia della luce sembrava sospendere lo scorrere del tempo e la realtà, e dinanzi alla porta in rovina di Templemor stava in piedi un uomo, alto e barbuto. Sul suo mantello bianco risaltava la rossa croce dalle punte bifide dei Cavalieri Templari, e le sue mani poggiavano sull'elsa di un lungo spadone a due tagli piantato in terra di fronte a lui. Quell'immagine apparve è scomparve nello spazio fra un battito di cuore e il successivo. Adam trattenne il fiato nel tentativo di richiamare quell'immagine, ma invece dello spettro del templare gli apparvero stralci di ricordi ancor più antichi: lui che sedeva a un tavolo coperto di rotoli di pergamena in un'antica biblioteca... e ancora lui, in piedi sulla prua di un'imbarcazione funeraria di papiri, in viaggio lungo la riva occidentale del fiume Nilo... Poi Khalid inciampò su una radice, il presente riprese concretezza, e lui fu di nuovo Sir Adam Sinclair di Strathmourne, diretto verso ciò che restava di un castello accarezzato dalla nebbia di un mattino scozzese. Più scosso di quanto sembrava, Adam guardò il giovane che cavalcava accanto a lui; ma Peregrine stava osservando le mura indorate dal sole e aveva l'aria di non essersi accorto di nulla. Sollevato - perché spaventare Peregrine era l'ultima cosa che voleva - Adam cercò di decifrare il significato della visione di poco prima. Non si trattava dell'avvertimento di un pericolo, anche se l'atteggiamento del cavaliere armato sembrava simbolizzare la necessità di stare in guardia, e forse un'occasione futura di dispensare la giustizia in qualche modo. In termini più generali, una simile intrusione del suo passato, non sollecitata e inattesa, di solito segnalava un cambiamento... una sottile oscillazione nell'equilibrio dei poteri che governavano la ruota dell'universo, del genere che talvolta richiedeva il suo intervento. L'avvertimento che lui aveva ricevuto sui Piani Interni era qualcosa di analogo. Ma il punto focale della minaccia incombente restava imprecisato, e finché non avesse capito la natura dello squilibrio che si preparava lui poteva soltanto stare in guardia, nell'attesa di qualche altra informazione. Nel frattempo le sue preoccupazioni più immediate dovevano essere per Peregrine... il quale, come lui cominciava a sospettare, s'era introdotto nella sua vita giusto in quel momento per ragioni nient'affatto casuali. Gettò un'altra occhiata all'amico, e si domandò se lui stesse davvero facendo i suoi interessi. Fino a quel momento la seconda vista di Peregrine
aveva occupato Adam solo marginalmente e sotto l'aspetto professionale. Il giovane era venuto a cercarlo come un paziente cerca lo psichiatra, chiedendo soltanto d'essere «curato». Adam, invece, comprendendo la natura del «problema» del giovane artista, s'era assunto il compito di dare a quel problema un assetto stabile... non di mettere fine alla sua singolare vista, ma di incanalarla. Non era questo che Peregrine gli aveva domandato. E non era troppo tardi per fare un passo indietro e limitarsi semplicemente a «curarlo», dome lui desiderava... benché il punto di non ritorno fosse vicino, se Peregrine era capace d'imparare in fretta come Adam ormai sospettava. Per il momento, tuttavia, Adam avrebbe ancora potuto allontanare il giovanotto dal suo talento; gli sarebbe bastato, a questo scopo, rientrare nel suo ruolo di psichiatra e riconoscere che la seconda vista era un'aberrazione mentale, per poi aiutarlo a bloccarla come lui stesso gli aveva chiesto. E ogni possibile domanda sulla professionalità di Adam - se Peregrine avesse parlato dei suoi metodi con qualcun altro - avrebbe trovato risposta nella necessità di stimolare i sintomi che il paziente aveva rivelato fin dall'inizio, allo scopo di studiarli. Ma tornare alla comune psichiatria non era un'opzione realmente possibile nel caso di Peregrine, naturalmente, anche se Adam aveva esaminato ogni ipotesi prima di prendere l'impegno che gli era stato chiesto nei Piani Interni. C'erano buone ragioni per fare quel passo indietro, ma la potenziale ricompensa valeva tutto il rischio: un altro Adepto rimesso in contatto col suo talento, in grado di riprendere il suo posto al servizio della Luce... e forse un valido alleato per lo stesso Adam. Più pressante di tutto c'era il fatto che Adam Sinclair, come medico praticante, curatore spirituale e guerriero della Luce, era costituzionalmente incapace di ignorare chi si rivolgeva a lui in stato di necessità, quando lui aveva il modo di aiutarlo. Dunque, ora non restava che vedere cos'aveva Templemor da offrire a Mr. Peregrine Lovat. Adam aveva già il presentimento che ci fossero energie in agitazione, altrimenti non avrebbe avuto una visione non richiesta soltanto per essersi avvicinato a quell'antico posto. Cercò di scacciare dalla mente ogni preoccupazione e spinse il cavallo nella radura che circondava il vecchio castello. Voltandosi verso Peregrine, richiamò la sua attenzione su una serie di fondamenta alte fino al ginocchio, poco fuori dalle mura in rovina, e su alcuni ordinati mucchi di pietre sulla sinistra. «Vedo che quei ragazzi si sono dati da fare» disse, tirando le redini. Scese di sella. «Quelle fondamenta appartengono a piccoli edifici esterni. I
mucchi di sassi sono detriti tolti dall'interno, dove il tetto e i muri erano crollati. Lasceremo i cavalli qui a pascolare, intanto che diamo un'occhiata in giro.» Mentre legavano i cavalli, Adam dimenticò le sue preoccupazioni per Peregrine, distratto dai cambiamenti avvenuti dalla sua ultima visita, una settimana prima. L'edera era stata tolta di mezzo, lasciando scoperte le mura, e così anche gli alberelli che erano cresciuti sopra i resti del tetto del primo piano, insieme ai cespugli e ai detriti. Compiaciuto, s'avviò verso l'ingresso principale del castello. «Quello sopra la porta era probabilmente uno stemma di famiglia» disse, indicando una serie di sporgenze nella pietra. «Ho sempre pensato che potrebbe essere la stessa fenice che tu hai visto nell'atrio, a casa, ma potrebbe essere qualcosa di completamente diverso, forse neppure uno stemma dei Sinclair. Purtroppo è così irriconoscibile che non lo sapremo mai.» Da Peregrine non ci fu alcuna risposta. Adam si voltò a guardarlo. Il giovane era fermo ai piedi degli scalini che salivano verso l'ingresso, col blocco da disegno stretto al petto e un'espressione rigida e sofferente sul volto. «Peregrine, che cosa succede?» gli domandò, seccamente. Nel sentir pronunciare il suo nome lui trasalì, con gli occhi stretti come fessure, e abbassò lo sguardo. «Non avrei mai dovuto venire qui» disse, accigliato. All'improvviso vacillò e fece un passo indietro. Adam si affrettò a sorreggerlo; poi lo condusse a sedere su un blocco di pietra al bordo della radura. «Perché dici questo?» gli domandò. «È la maledizione delle allucinazioni che mi perseguitano!» disse Peregrine a denti stretti. «Ah, se solo potessi liberarmene...» «No, questa è l'ultima cosa che devi tentare» lo esortò Adam con enfasi. «Non combattere le visioni. Per ora, non cercare neppure di controllarle. Solo rilassati, e lascia che l'esperienza faccia il suo corso.» «Ma...» «Ho detto rilassati» ripeté Adam. Nella sua voce c'era una secca nota di comando, mentre poggiava una mano sulla fronte di Peregrine e gli sosteneva la nuca con l'altra. «Rilassati, Peregrine» disse ancora, con calma. «Voglio che ora tu torni in trance per me, come hai fatto l'altra notte. Lottare non è la risposta. Rilassati. Ricorda il tuo sogno. Ricorda...» Sotto il tocco delle mani di Adam e la persuasione della sua voce, la ten-
sione cominciò ad abbandonare il corpo rigido del giovane. I suoi occhi restarono chiusi, e quando finalmente riuscì a fare un respiro lento e profondo Adam lo lasciò e fece un passo indietro. «Così va meglio» disse, guardando attentamente il soggetto. «Ora tieni gli occhi chiusi e ascoltami. Non capisci? È proprio questo il motivo per cui ti ho portato qui, oggi: per darti il modo di mettere alla prova i vari livelli della seconda vista. Ho pensato che con un edificio sarebbe stato più facile che con gli esseri umani. Prima di esplorare i metodi di controllo selettivo su ciò che vedi, dobbiamo scoprire cosa succede quando non fai alcun tentativo di controllo.» Peregrine scosse il capo, insonnolito. «Io capisco quello che dici, ma... è tutto così confuso. Io posso tagliare fuori un po' della confusione, se guardo solo ciò che ho davanti, ma le immagini della mia visione periferica...» Fece una pausa per deglutire saliva. «Anche con gli occhi chiusi, continuo a vedere delle cose. È come cercare di vedere attraverso molti strati di cose trasparenti, uno sopra l'altro.» «Una buona analogia» fu d'accordo Adam. «Ma se tu smetterai di lottare, la tempesta di immagini potrebbe placarsi da sola. Cosa ti hanno detto gli altri te stesso del sogno?» «Resta immobile» mormorò Peregrine. «Resta immobile, e vedrai che tu sei il padrone di ogni... buon Dio!» I suoi occhi si aprirono di colpo. «Tu pensi che sia io a causare questa turbolenza?» «C'è un solo modo di scoprirlo» disse Adam, sedendosi su un altro blocco di pietra. «Fai ciò che gli altri te stesso ti hanno detto di fare. Resta immobile. Rilassati e respira profondamente. Chiudi ancora gli occhi per un momento, finché ritroverai l'equilibrio. Concentrati su ogni respiro quando lo inali... così, e quando lo esali...» Peregrine ubbidì. Il suo petto si alzò e si abbassò. La tensione che gli irrigidiva i lineamenti si sciolse. Dopo qualche momento appoggiò il blocco da disegno sulle ginocchia. «Bene» disse Adam. «Ora disegna ciò che vedi, qualunque cosa tu veda, proprio come l'altra notte in biblioteca. Va tutto bene.» Peregrine contrasse la bocca in una smorfia cauta. Davanti a lui presero forma dei colori... verde, grigio, marrone. Trasse un lungo respiro e aprì gli occhi. La scena che aveva di fronte ondeggiava e fremeva, come una proiezione cinematografica attuale e una passata che lottassero fra loro per avere la meglio. Un momento prima lui vedeva una rovina abbandonata, con le vi-
scere aperte al cielo; un momento dopo al suo posto c'era un castello con porte e finestre, e il tetto ancora integro. «Non irrigidirti» lo esortò la voce di Adam, da qualche parte accanto a lui. «Ciò che ora vedi sta oltre il mondo fisico, e questo va bene. Lascia che le immagini arrivino.» Peregrine annuì docilmente. Mentre continuava a guardare il castello, e un po' perfino attraverso il castello, un diverso Templemor cominciò a stabilizzarsi come edificandosi strato su strato. Le due torri prima smozzicate ora terminavano con stanze quadrate, sporgenti, coperte da tetti molto inclinati in lastre di ardesia. Lo stemma araldico sopra il portale, che lui aveva visto così completamente consumato dalla pioggia, appariva adesso scolpito e dipinto di fresco: una croce di Malta sormontata da sette stelle non la fenice risorgente dalle fiamme che c'era nell'atrio di Adam - mentre il motto nella parte inferiore diceva: Morte nunquam reget, «La morte non regnerà». Peregrine chiuse un momento gli occhi, ma l'immagine non scomparve quando li riaprì. Ora più fiducioso, e trovando una certa soddisfazione nel riuscire a tenere a fuoco l'immagine, aprì il blocco di fogli e cominciò a disegnare rapidamente... Dopo alcuni minuti Adam si avvicinò per guardare da sopra una sua spalla. Sotto l'abile matita di Peregrine, sul foglio il vecchio edificio in rovina si stava trasformando in una robusta costruzione turrita, per metà dimora e per metà fortezza. Le finestre avevano massicce imposte di legno, e lungo i fianchi delle torri si aprivano strette feritoie per consentire ai difensori dell'edificio di contrastare gli eventuali assedianti. Sulla parte superiore c'erano merli a protezione dei camminamenti, e garitte di guardia per le vedette. Nell'ora seguente, Peregrine disegnò un foglio dopo l'altro, ogni tanto fermandosi per fare la punta alla matita e cambiando spesso posizione per passare a una diversa prospettiva. Quando infine consegnò il blocco di fogli ad Adam, aveva completato una dozzina di disegni. Adam li esaminò con attenzione, stupito della perfezione dei dettagli. La ricostruzione dello stemma era particolarmente notevole, perché si trattava probabilmente del più antico che i Sinclair avessero mai avuto, risalente al tempo in cui il nome della famiglia era Saint Clair. C'era un innegabile collegamento coi Templari fornito dalla croce di Malta, una variante già nota ad Adam che però non s'era aspettato di trovarla lì, e certo una cosa che Peregrine Lovat non avrebbe mai potuto conoscere. Data l'accuratezza dei
dettagli araldici, molto al di là di una semplice coincidenza, in Adam non ci fu alcun dubbio che l'amico avesse riprodotto con fedeltà l'antico aspetto dell'edificio, sia all'esterno che all'interno. Al pianterreno c'erano due vasti locali col soffitto a volta, ai lati di un atrio, e una cucina situata alla base della torre nordorientale. Il salone principale occupava il centro dell'edificio al primo piano, con le camere da letto della famiglia in entrambe le torri. C'era poi un secondo piano con altri locali, due camere da letto, una sala d'armi e un solarium. Le stanze superiori delle torri davano accesso ai camminamenti merlati, dove potevano appostarsi i difensori armati. Era uno schema costruttivo abbastanza tipico dei castelli di quell'epoca, ma la maggior parte dei dettagli interni non potevano esser stati dedotti da un esame delle rovine, e non certo nel breve tempo durante il quale Peregrine li aveva messi su carta. «Amico mio, questi disegni sono eccellenti» disse Adam, rialzando lo sguardo. «Posso mostrarli all'archeologo che verrà a esaminare Templemor oggi pomeriggio?» Il giovane artista s'era seduto sugli scalini dell'ingresso, con gli stivali allargati sull'erba. Appariva un po' stanco, ma non c'era segno di tensione sul suo volto. Alla domanda di Adam si strinse nelle spalle, con un sorriso. «Se pensi che gli saranno utili... certamente.» «Se desidera far bene il lavoro per cui verrà qui» rispose Adam, «credo che "utili" sia dir poco. Tu come ti senti?» Peregrine ci pensò. «È strano» disse. «Sono stanco, sai, ma anche molto rilassato, come se mi fossi tolto un grosso peso di dosso.» «E la tua vista?» «È tornata normale» disse Peregrine. Con una mezza risata, aggiunse: «Credo che il tuo esperimento abbia funzionato.» Questo sembrò sollevarlo. Adam annuì, convinto. Nell'ultima ora avevano oltrepassato il punto di non ritorno. «Anch'io credo che abbia funzionato» rispose. «Fra quanto tempo credi che potrai ricominciare a guardare la gente?» Peregrine spalancò gli occhi, ma stavolta in lui non c'era la paura che avrebbe accompagnato quell'idea solo poche ore prima. «Pensi davvero che potrò farlo?» domandò. «Perché no?» rispose Adam. «È stato terribile per te, dopo aver fatto l'abitudine all'esperienza?» «No.» «Bene.» Adam sorrise. «Allora, la gente sarà il prossimo passo. Ed è un
passo che dovrai fare, se vuoi realmente andare fino in fondo.» Peregrine trasse un lungo respiro e lo lasciò uscire, con determinazione. «D'accordo» disse. «Se tu credi che io debba provarci, farò un tentativo. Dimmi solo quando e dove.» Adam ci pensò sopra, annuendo. «Che te ne pare di domani? In mattinata dovrò andare a Edimburgo, per testimoniare su un caso davanti alla High Court. Fra i presenti ci sarà un uomo, che vorrei tu guardassi con molta attenzione...» CAPITOLO SETTIMO Il giorno seguente piovigginava e tirava vento. Peregrine e Adam lasciarono Strathmourne House poco prima delle nove, con Humphrey al volante dell'affidabile Range Rover che era un po' il cavallo da tiro fra le auto contenute nella rimessa di Adam. Quando giunsero al Forth Road Bridge, il traffico del primo mattino era già scemato, lasciando le strade del centro di Edimburgo relativamente sgombre. Humphrey fece scendere i due passeggeri ai piedi della scalinata della Parliament House, di fronte alla cattedrale di St. Giles. Peregrine si mise a tracolla la sua piccola borsa da artista, tirò su il colletto dell'impermeabile, e lui e Adam salirono per la scalinata. «Credo di capire ciò che stai cercando di ottenere, e ammetto che il caso è affascinante» disse il giovane. «Ma sono curioso di sapere perché vuoi che mi concentri sul ritratto dell'ufficiale di polizia che ha fatto l'arresto, invece che sull'imputato o uno dei testimoni.» Adam allungò una mano ad aprire la porta del tribunale, e accennò all'amico di entrare per primo. «Oh, se ci tieni puoi disegnare anche altri... benché, a questo stadio ancora iniziale del tuo addestramento, io eviterei di concentrarmi sull'imputato. Preferisco non entrare in particolari, perché non voglio che le tue reazioni siano influenzate da quel che potrei dirti. Lo capirai meglio, credo, quando avrai la possibilità di mettere utilmente all'opera il tuo talento.» «D'accordo» disse Peregrine, un po' dubbioso. «Mi fiderò ciecamente delle tue parole, e farò del mio meglio.» L'udienza si teneva in un'aula del terzo piano. Il caso era apparso sui giornali per diversi mesi: una graduale successione di eventi fuor del comune che comprendevano minacce di far uso letale della magia nera, una serie di bizzarre esecuzioni di animali, e da ultimo il tentativo d'incendiare
una casa appartenente a una donna anziana proprietaria di dozzine di gatti. Dapprima Adam era stato chiamato per costruire un ritratto psicologico del responsabile. Più tardi, dopo che la polizia aveva arrestato il figlio di un ricco uomo d'affari assai noto in città, ad Adam era stato chiesto di eseguire una perizia psichiatrica sull'imputato, e quel giorno avrebbe dovuto presentare alla corte la sua relazione. Per strada aveva riesaminato i suoi appunti, e messo Peregrine al corrente degli aspetti principali della vicenda. Ora, mentre aspettavano l'ascensore, Peregrine guardò pensosamente l'amico. «Quest'uomo... l'imputato, prende davvero sul serio tutte quelle sciocchezze di magia nera, secondo te?» «Quelle sciocchezze di magia nera, come tu eloquentemente le definisci, devono esser prese sul serio» replicò Adam, anche se poi addolcì con un sorrisetto quell'affermazione così lapidaria. «Una parte di ciò che i non informati chiamano "magia nera" può essere annoverata fra le aberrazioni psicologiche e le illusioni assurde, io sono il primo ad ammetterlo. Ma, come tu stesso hai dovuto toccare con mano, la linea di demarcazione fra le illusioni e i fatti può essere molto sottile.» Quel secco riferimento alla sua situazione personale ebbe l'effetto di lasciare Peregrine sorpreso e senza parole, intanto che un campanello annunciava l'arrivo dell'ascensore. La porta si aprì, lasciando uscire un terzetto di avvocati nelle loro toghe nere. Quando Adam entrò nella cabina vuota, Peregrine rimase indietro di qualche passo, ancora assorto nei suoi pensieri. «Lasciami capire se ho inteso bene» disse Peregrine, quando la porta si fu chiusa. «Tu stai dicendo che l'imputato ha realmente fatto uso della magia nera?» «Oh, c'è poco da dubitare che ci abbia provato» rispose Adam. Peregrine lo guardò, stupito. «E ci ha provato con successo?» «No.» Quella piatta negazione aleggiò nell'aria fra loro, mentre Adam guardava il pannello dell'ascensore come senza vederlo. «Questo tormentato individuo, non contento dei vantaggi materiali che già la vita gli offriva, agognava poteri ai quali non aveva alcun diritto di aspirare. Cominciò a praticare ciò che lui immaginava fosse una forma di magia nera. Sfortunatamente ciò si è risolto in torture indicibili per degli animali inermi, e una povera vecchia innocente ha perduto la sua casa, i suoi amati gatti, e per poco non ci ha rimesso anche la vita. Se in questo ci fosse stato qualcosa di più che una meschina e viziosa immaturità, le attività di costui avrebbero attirato prima la mia attenzione. Così stando le cose, invece, lui non ha fat-
to altro che illudersi di mettere in atto pratiche di magia nera... il che è meglio, suppongo, che praticarla realmente, salvo per il fatto che la vittima ha sofferto spiacevoli conseguenze.» «Tu stai dicendo che la magia nera è reale, allora» osservò Peregrine, che con ogni evidenza trovava difficile credere a ciò che sentiva. «Oh, certo che può esserlo» dichiarò Adam, guardandolo con l'aria di chi non sta scherzando affatto. «Le Vie Superiori sono molte, e le deviazioni in quelle Oscure sono sempre state allettanti per chi ha intenti malvagi e una reale affinità coi poteri spirituali. E quelli che scelgono di percorrere le Vie Oscure, spesso praticano attività ben peggiori che il sacrificio di poveri animali.» La pacata noncuranza del suo tono rese ancor più profondo l'impatto di quelle parole. Appoggiato alla parete dell'ascensore, Peregrine ebbe un fremito. Prima che potesse chiedere maggiori delucidazioni, la cabina si fermò con un tonfo e la porta si aprì su un corridoio pieno di gente in attesa d'essere ammessa in aula. «L'ispettore McLeod sarà seduto accanto a me, dietro l'avvocato della Corona, il pubblico ministero» mormorò Adam intanto che si avviavano nel corridoio, nel tono casuale di chi parla del campionato di calcio. «Se cercherai un posto a sedere sulla destra della galleria riservata al pubblico, dovresti vedere la sua faccia da una buona angolazione.» La galleria per il pubblico occupava la parte posteriore dell'aula, con due estensioni fino a metà delle pareti laterali. Peregrine si fece strada fra un gruppo di spettatori e giornalisti per assicurarsi il posto più avanzato, e vide che Adam era andato a sedersi su un banco accanto a un uomo dai capelli grigi, vestito di tweed marrone. I baffi e gli occhiali rotondi dalla montatura dorata corrispondevano alla descrizione che l'amico gli aveva fatto. Una volta certo di aver individuato il soggetto, Peregrine tirò fuori dalla borsa il blocco da disegno e cominciò a buttare giù il suo primo schizzo. Le due ore seguenti furono occupate dall'ascolto di una dozzina di testimoni. Adam s'era immerso nella procedura, e si concesse un breve sguardo verso la galleria del pubblico solo quando toccò a lui alzarsi e andare sul banco dei testimoni. Fu lieto di vedere che Peregrine era intento a disegnare, con espressione assorta. Mentre prendeva posto e giurava, si chiese cos'avrebbe detto McLeod sapendo d'essere oggetto di un esame così attento. Subito dopo, però, dedicò tutta la sua attenzione alle domande dell'avvocato della Corona, e quindi all'intervento di quelli della difesa.
La testimonianza di Adam ebbe termine e la corte dichiarò sospesa la seduta per il pranzo. Tirate le somme, l'udienza di quel mattino non era andata molto bene. Intanto che Adam e McLeod uscivano dall'aula, mescolandosi con la piccola folla di spettatori, avvocati e testimoni, l'ispettore fece udire uno dei suoi caratteristici grugniti di scontentezza. «A volte non so perché ci danniamo l'anima ad arrestare certa gente» borbottò fra i denti, sottovoce perché solo Adam potesse udire. «Quel piccolo sogghignante parassita finirà per cavarsela con la condizionale e verrà rimesso in libertà, mentre se ci fosse un po' di giustizia dovrebbero chiuderlo in un manicomio criminale, prima che faccia del male a qualcun altro. Scommetterei qualsiasi cosa che prima della fine dell'anno dovremo incarcerarlo di nuovo... e stavolta non solo per aver torturato degli animali.» «Dubito che qualcuno sarebbe disposto a raccogliere questa scommessa» disse Adam. «In ogni modo, discutere su quanto siano larghe le maglie della legge per chi può permettersi dei costosi avvocati, non serve. Per oggi tu non hai altro da fare? In questo caso, perché non vieni a pranzo con me? Sono qui con una persona che mi piacerebbe farti conoscere.» «Quel giovanotto che disegnava, su in galleria?» domandò McLeod. «L'avevo intuito che doveva essere venuto con te. Purtroppo, però, io non ho affatto finito per oggi.» Guardò l'orologio e fece una smorfia. «Sono già in ritardo per un impegno, e se non mi affretto avrò delle noie.» «Non mi dire che hanno affibbiato a te il servizio di scorta, oggi pomeriggio?» domandò Adam, sapendo però che questo solitamente non rientrava nei doveri di McLeod. «Ho saputo che il Duca di Edimburgo è in città.» McLeod alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Fare da bambinaia a un nobile personaggio inglese era cosa poco gradita a un poliziotto scozzese. Lui non aveva la pazienza necessaria per cose del genere. «Non augurarmelo neppure per scherzo, Adam. Lasciamo che siano i giovani ad apparire davanti alle telecamere, in modo che i vecchi cani poliziotto come me possano occuparsi del lavoro vero. No, subito dopo pranzo ho una riunione con un colonnello del S.A.S. venuto a insegnarci a usare tattiche antiterrorismo contro i baroni della droga della città. Mi sono già perso la conferenza di questa mattina.» «Allora sarà per un'altra volta» rispose Adam. «Credo che ti interesserà conoscere quel giovanotto.» «Mmh. Se sei tu a dirmi questo, ti prendo in parola. Chiamami in setti-
mana, d'accordo?» «Lo farò senz'altro» annuì Adam. Fuori dall'aula i due uomini si separarono. Adam trovò Peregrine davanti all'ascensore, che seguiva con lo sguardo McLeod mentre questi spariva fra la gente. Il giovane artista aveva in mano il blocco da disegno, e dietro gli occhiali le sue pupille brillavano d'impazienza. Accorgendosi che Peregrine voleva mostrargli subito i disegni, Adam si affrettò a fermarlo con un gesto e un sorriso. «No, non farmeli vedere qui» disse. «C'è un ottimo ristorante francese a pochi isolati da qui. Ho chiesto a Humphrey di prenotarci un tavolo, in un séparé della saletta posteriore, per avere un po' di intimità. Speravo che l'ispettore potesse unirsi a noi, ma sfortunatamente ha un altro impegno.» Il ristorante era in una piccola piazza isolata, dietro Grassmarket. Fra una portata e l'altra Adam chiese di guardare i disegni che Peregrine aveva fatto. Non aveva ritratto l'imputato. «Non sopportavo neppure di guardare quell'individuo, Adam» disse il giovane, porgendogli il blocco. «C'era una specie di vapore nero intorno a lui, come se qualcuno avesse acceso un fuoco di carbone sotto la sua sedia. Ma nello stesso tempo mi sembrava... scivoloso, è l'unica parola che mi viene in mente.» «Hmmm, sì» disse Adam, gettandogli uno sguardo te-l'avevo-detto, mentre apriva il blocco. «Ora forse capisci perché ti avevo suggerito di non cercare di ritrarlo. Essere selettivi è importante, a questo stadio del gioco.» Ma gli schizzi di Noel McLeod erano esattamente ciò che Adam s'era aspettato. Il primo lo raffigurava seduto sul banco dei testimoni, ed era una vivace immagine del suo volto baffuto contratto in un'espressione da bulldog, mentre gli occhiali rotondi gli conferivano insieme un'aria quasi professorale. Il secondo mostrava lui e Adam seduti dietro il tavolo dell'avvocato della Corona, in ascolto di una testimonianza, entrambi con l'aria attenta che altri avevano visto sulle loro facce nel corso di tutta l'udienza. I disegni successivi furono quelli che risvegliarono l'interesse di Adam. In una di quelle versioni, gli occhi di McLeod brillavano fieramente sotto un berretto da highlander, fornito di un nastro bianco che pendeva da un lato. In un altro l'uomo indossava il saio di un monaco medievale. In un altro ancora, l'ispettore di polizia era rappresentato come un barbuto capitano di mare col cappello a feluca. Quest'ultimo fece sorridere Adam. «Ho sempre pensato che McLeod avesse qualcosa del pirata Henry Martin» osservò, divertito. «Tu hai confermato questo sospetto.» Peregrine sollevò lo sguardo, sorseggiando il caffè. «Tu e lui avete più
cose in comune di quel che appare all'occhio» disse, d'impulso. «L'ispettore è molto simile a te, non è vero?» Adam confermò quell'impressione con un sorriso e un cenno del capo. «Anche se lui non lo ammetterebbe con queste parole» disse, pensosamente, «Noel McLeod deve la sua efficienza e il suo successo professionale ai suoi talenti nascosti. E lui non è il solo, in questo» aggiunse, guardandolo. Lo sguardo stupito di Peregrine gli disse che quella frase aveva colpito nel segno. «Se stai parlando di me» disse l'artista, «non so proprio come la facoltà di vedere le cose che vedo io possa essere di qualche aiuto al resto dell'umanità.» «Continua a lavorare per perfezionarla» disse Adam, «e forse sarai sorpreso dai risultati.» Così dicendo, fece segno al cameriere di portare il conto. Le parole un po' sibilline di Adam non abbandonarono la mente di Peregrine, continuando a ricomparire quando meno se lo aspettava. Lui le rigirò da tutte le parti, ma non gli parve di trovarci un significato. In effetti ebbe troppo da fare per pensarci ulteriormente, perché Adam continuò a dargli dei piccoli esercizi per sviluppare il controllo. Dopo pranzo il tempo si schiarì, così i due amici si avviarono a piedi lungo i giardini di Princess Street, dove Adam chiese a Peregrine di eseguire qualche schizzo, a volte aprendo la sua seconda vista a tutte le impressioni per avere risonanze profonde, a volte limitandosi deliberatamente a ciò che vedeva con la vista fisica. Il giorno successivo l'impegno di Peregrine si fece più intenso, quando Adam lo portò con sé a un consulto, all'ospedale di Jordanburn, dove due dei suoi pazienti avevano accettato di farsi fare il ritratto a matita. Questa volta, tuttavia, a Peregrine fu chiesto di ignorare tutte le risonanze psichiche che poteva captare, allo scopo di concentrarsi solo sull'apparenza esteriore. Quel compito si rivelò meno difficile di quanto lui s'era aspettato. Invece di lottare contro l'ormai familiare sovrapposizione delle immagini spettrali, lui riuscì a guardare al di là di esse, concentrando le sue doti di artista grazie all'uso della tecnica respiratoria che Adam gli aveva insegnato. In pochi istanti le immagini divennero evanescenti ai suoi occhi, lasciandolo libero di focalizzare gli aspetti puramente fisici del soggetto. La conseguenza fu che i ritratti eseguiti in quell'occasione avevano tutta la nitidezza di lineamenti e di espressione che Adam aveva così ammirato
nei quadri a olio di Peregrine. Nello stesso tempo, i disegni non erano più annebbiati dagli inquietanti fattori spirituali che avevano dominato il suo studio di Lady Laura. «Eccellente!» esclamò Adam quella sera, quando riesaminò i ritratti. «Come vedi, puoi chiudere fuori la tua seconda vista quando vuoi, impedendo che sia lei a controllarti. Credo che tu sia sulla buona strada per dominare questo tuo talento.» Il vero test per la nuova capacità di controllo di Peregrine, tuttavia, avvenne il venerdì pomeriggio, quando accompagnò Adam a Kintoul House per partecipare al funerale di Lady Laura. Il servizio fu tenuto nella chiesa episcopale del paese. Benché Humphrey li avesse condotti lì di buon'ora, Adam e Peregrine trovarono la chiesa già piena di gente venuta a portare l'ultimo saluto. Per fortuna loro due avevano il posto riservato in cima alla navata, in un inginocchiatoio direttamente dietro quello privato della famiglia Kintoul. Un usciere li scortò lungo il passaggio centrale e sulla sinistra, mentre l'organista improvvisava delle malinconiche melodie di sottofondo. Poiché Adam s'inginocchiò subito dopo essere scivolato al suo posto, chinando la testa in una breve preghiera, anche Peregrine fece lo stesso, benché non fosse abituato a inginocchiarsi in chiesa. Non fu però questo a metterlo a disagio. L'atmosfera era appesantita da emozioni non ancora scaricate, e d'improvviso la chiesa gli sembrava troppo piccola per contenere tutta quella gente. Benché l'impianto di riscaldamento fosse acceso, lui si sentiva addosso una sensazione di freddo e di umidità. Nervosamente Peregrine si passò un dito nel colletto inamidato, conscio di un crescente prurito in gola. Quando finalmente Adam si mise a sedere, aprendo con calma l'opuscolo del servizio che l'usciere gli aveva dato, il giovanotto seguì il suo esempio. Ma potersi sedere non lo fece sentire meglio. Tentando un'altra tattica, alzò lo sguardo a esaminare l'alto soffitto della vecchia chiesa, sperando che questo lo distraesse dal motivo per cui erano venuti lì. Non si aspettava che l'espediente funzionasse, e non funzionò. Il suo sguardo fu inesorabilmente attratto verso il recinto, oltre la balaustra marmorea della comunione. La bara di Lady Laura campeggiava di fronte all'altare, sorvegliata da sei alti candelabri, stranamente piccola sotto la corona di crisantemi rossi e bianchi. Quella vista lo innervosì, ma si sforzò di non guardare altrove. Con suo gran sollievo, nessuna spettrale apparizione si manifestò davanti a lui.
Chiedendosi perché si sentiva così intimorito, Peregrine chiuse gli occhi e trasse alcuni lunghi respiri per rilassarsi, come gli aveva insegnato Adam. Pian piano il prurito in gola scomparve. Stava ancora cercando nella memoria una preghiera appropriata a quella circostanza, quando l'organo riempì di note la navata col Preludio di Palestrina, annunciando l'inizio del servizio funebre. Poco dopo il vicario fece il suo ingresso, in tonaca bianca, preceduto da una piccola processione di portatori di croci e candelieri. Il familiare e ripetuto schema delle musiche aveva focalizzato la psiche di Peregrine. Il suo trambusto emozionale cominciò a placarsi. L'introduzione di Haendel che seguì fu cantata da una brava contralto. A un tratto a Peregrine parve di sentire, insieme a quella della cantante, la voce di Lady Laura che gli rivolgeva parole di conforto, con l'accompagnamento di quella che era una delle sue melodie preferite: Stai soffrendo? La musica ti placherà... Rinunciò al tentativo di pregare a parole, e lasciò riposare il suo spirito. Quella sensazione tranquillizzante proseguì con l'inno del coro, basato su una poesia del quindicesimo secolo di Bianco da Siena musicata da Waughan Williams: Discendi su di noi, o divino amore. Cerca le profondità della mia anima, e visitala col tuo splendore ardente... Ancorato alla stabilità del ritmo familiare, Peregrine si trovò capace di unirsi al coro del resto della congregazione. Accanto a lui la voce bassa e lenta di Adam risuonava con bell'effetto, e l'atteggiamento fra orgoglioso e reverente dell'amico ricordò a Peregrine la statua di un Cavaliere Crociato che aveva visto in una cappella della Provenza. Nei suoi profondi occhi scuri c'era una luce che sembrava provenire da quell'immagine. All'improvviso Peregrine ripensò al primo disegno di Adam che aveva fatto... era davvero stato solo una settimana prima? L'inno terminò, il momento passò, ma con sollievo di Peregrine tutte le letture e le preghiere che seguirono parlavano in modo eloquente di luce e di trascendenza. «Ascoltami, io ti mostrerò un mistero» proclamò il vicario, con le parole di San Paolo. «Tutti noi non moriremo, ma saremo cambiati...» Lungo la strada, Adam gli aveva detto che tutte le letture erano già state scelte dalla stessa Lady Laura. La donna sapeva d'essere vicina alla morte, e aveva avuto il tempo di prepararsi, scegliendo parole di conforto con la stessa cura che aveva sempre messo in tutte le sue cose, sensibile alle emozioni di coloro che aveva amato e che ora si lasciava dietro. Adam era stato uno dei pochi a sapere che lei stava morendo. Peregrine si domandò
quante delle sue conoscenze l'uomo aveva condiviso con lei, in quei giorni prima del trapasso. Poi si fece avanti il figlio più anziano di Lady Laura, che parlò brevemente ma con emotività della vita di sua madre e delle cose che aveva amato. Subito dopo, con sorpresa di Peregrine, fu Adam Sinclair ad alzarsi. L'amico andò dietro il leggio e tirò fuori di tasca un singolo foglio. «Io ho avuto il privilegio di godere della fiducia e dell'affetto di Lady Laura, per molti anni» disse, con semplicità. «Lord Kintoul mi ha chiesto di condividere con voi questa breve poesia, che era una delle preferite di lei. Fa parte di un racconto di Thomas Wolfe, intitolato Tu Non Potrai Fare Ritorno a Casa.» Abbassò lo sguardo sul foglio e cominciò a leggere, ma subito a Peregrine fu chiaro che l'amico non aveva bisogno di un testo scritto per recitare quei versi. Qualcuno mi ha parlato nella notte, Mentre si consumavano lente le candele Degli anni andati della vita mia. E la sua voce sospirante ha detto: Ciò che conosci lascerai, per una conoscenza più grande. Ciò che hai vissuto lascerai, per una vita più grande. Ciò che hai amato lascerai, per un amore più grande. E la tua terra lascerai, per una terra più grande. Una terra dove poggiano i pilastri di questo mondo, Dove la coscienza di tutte le creature è destinata, E scorrono dolci fiumi, e profumato è il vento. «Sentiremo la tua mancanza, Laura» concluse Adam pacatamente, nel silenzio della chiesa affollata. «Ma ti auguriamo buon viaggio, e ti lasciamo andare per la tua strada, con tutto il nostro amore.» Quelle parole commossero profondamente Peregrine, che seppe di non essere il solo ad avere gli occhi umidi. Ma intanto che Adam tornava al suo fianco lui scoprì che la sofferenza s'era sciolta, e con essa anche quei vaghi sensi di colpa che lo avevano accompagnato dal giorno della morte di Lady Laura. Si rese conto, anzi, che durante le settimane in cui aveva lavorato al ritratto nella galleria di Kintoul House, quell'attività era stata rasserenante per lei e l'aveva molto aiutata a distrarsi. Con questa consapevolezza, scoprì che riusciva a darle un affettuoso ad-
dio dal profondo del suo cuore, ora rasserenato come prima era stato ansioso. Avrebbe sentito la sua mancanza, ma sentiva che ogni tristezza sarebbe stata per lui stesso, e non per lei. Tuttavia, intanto che il vicario li faceva inginocchiare per la benedizione, Peregrine rifletté che lo sollevava il fatto che non ci sarebbe stata una sepoltura vera e propria. L'idea di una persona a lui cara che veniva messa sottoterra lo faceva ancora rabbrividire. Dopo che la congregazione fosse andata via, Lady Laura sarebbe stata portata nella volta medievale sotto la navata, per riposare accanto a molte generazioni di membri della famiglia Kintoul. Lei era stata orgogliosa dei suoi antenati e questo le sarebbe piaciuto. Le preghiere finirono, la congregazione si alzò in piedi per cantare l'inno di chiusura. Era un canto di Michael Praetorius, con parole di Sant'Ambrogio: Oh, splendida gloria lucente del Signore, Oh tu, che ci portasti luce dalla luce, Oh, primavera del nostro spirito divino, Oh, giorno da ogni altro giorno illuminato... Ormai libero dalla confusione e dal senso di colpa che avevano accompagnato le sue visioni negli ultimi giorni di vita di Lady Laura, Peregrine lasciò che le parole di quel vescovo del quarto secolo parlassero anche per lui, e permise che la sua seconda vista si svegliasse come voleva. Fu forse per questo che si accorse di sentire meglio alcune voci, facenti parte della congregazione ma che spiccavano fra le altre. Quasi senza pensarci si sporse ed esaminò con lo sguardo i parenti e i collaterali della famiglia Kintoul, che stavano cantando. L'acuta voce tenorile proveniente da qualche parte più a destra apparteneva, scoprì, a un giovanotto snello con una faccia astuta, volpina. Peregrine lo aveva già incontrato. Era un lontano nipote di Lady Laura, e si trovava lì solo perché sperava di ottenere qualcosa dal suo testamento. La voce rauca, baritonale, che sovrastava quella sul retro della navata, apparteneva invece all'anziano chauffeur di Lady Laura, il quale accettava stoicamente ciò che non aveva il potere di cambiare. Ma in quel momento per Peregrine fu come se tutte le altre voci si allontanassero fino a svanire, perché la sua attenzione era stata improvvisamente attanagliata da un'argentina voce di soprano che sembrava involarsi nel-
la navata con la leggerezza di un'allodola. Era la voce di una donna, ma chiara come quella di un bambino, colma di risonanza come un luminoso mattino d'estate eppure offuscata dalla tristezza nebbiosa dell'inverno. La donna a cui apparteneva doveva trovarsi da qualche parte sulla sinistra di Peregrine, più avanti, nelle vicinanze dell'inginocchiatoio della famiglia. Lui inclinò la testa per frugare con lo sguardo in quella direzione. Un momento dopo la vide, alquanto più lontano, quasi sotto la parete nord della navata. La ragazza era in piedi nel raggio di luce multicolore che scendeva obliquamente da una delle ampie finestre dipinte, quasi sopra di lei. Aveva capelli lisci, di una calda sfumatura d'oro scuro che mettevano in risalto il collo sottile, un profilo delicato come quello di una madonna del Botticelli, e lunghe ciglia abbassate sotto cui lucevano resti di lacrime. Il cuore di Peregrine fu preso da lei quasi all'istante, intenerito dalla sua aria così mesta. Benché non facesse parte della famiglia di Lady Laura, il suo dolore era intenso come quello di una figlia. Colpito dalla sua semplice bellezza la studiò più attentamente, e nell'espressione di lei intuì una commovente gentilezza d'animo. Chi è questa giovane donna? si domandò. L'inno salì di tono un'ultima volta e si spense in un lungo amen. Dopo un rispettoso momento di pausa, gli intervenuti cominciarono a prepararsi per lasciare la chiesa. La famiglia uscì da una porta laterale, e la ragazza col volto di una madonna dolente si unì a loro, senza che nessuno la accompagnasse. Peregrine seguì con lo sguardo la sua figura snella finché scomparve, e tornò coi piedi sulla terra solo quando Adam gli diede di gomito. «La ragazza è Julia Barret» gli mormorò l'amico in un orecchio, mentre lo esortava a muoversi verso il passaggio centrale. «Lady Laura era la sua madrina.» Peregrine lo guardò a bocca aperta, ma dopo averci pensato non fu sorpreso che Adam Sinclair potesse leggere in lui così chiaramente. «È lei, la figlioccia di Lady Laura?» domandò. «Strano, che non ci siamo mai incontrati prima.» «Il padre di lei era Sir Albert Barret» lo informò sottovoce Adam. «Aveva una tenuta nel meridione, nel Buckinghamshire.» Peregrine lo guardò, notando l'uso del passato. «È morto?» mormorò. Adam annuì appena, confermando con discrezione, e continuò a tenere la voce bassa intanto che uscivano fra la gente. «Alcuni anni fa, fu coinvolto in un'operazione finanziaria che finì piuttosto male. Quando la ditta di
cui era socio fece bancarotta, lui vendette le sue proprietà per poter pagare i debiti. Era una cosa onorevole da fare, anche se nessuno aveva mai elevato delle accuse contro di lui personalmente. D'altra parte, venne fuori che i suoi soci avevano commesso diverse irregolarità, e ciò lo fece sentire responsabile. La cosa lo distrusse, psicologicamente. Pochi mesi dopo la bancarotta fu trovato morto. Il verdetto ufficiale fu morte per cause naturali, ma qualcuno disse che si era tolto la vita. Non c'è bisogno di dire che questo gettò nella disperazione la sua famiglia, già tanto provata. Credo che le cose si sarebbero volte al peggio per Julia e per sua madre, se Lady Laura non le avesse prese sotto la sua protezione.» Giunsero alla porta della chiesa in tempo perché Peregrine potesse vedere Julia Barret salire su un'auto in attesa. Cercò di vederla ancora al ricevimento, a Kintoul House, ma senza successo. Poi non pensò più a lei perché fu distratto dal Conte di Kintoul, che lo chiamò cortesemente in disparte per domandargli se poteva finire il ritratto di sua madre, rimasto incompiuto. Con sorpresa, e con sollievo, scoprì che il pensiero di tornare a dipingere non lo riempiva più di ansia e d'allarme. «Sarò lieto di riprendere il lavoro in qualsiasi momento lei vuole, mio lord» rispose. «Al momento sto facendo un lavoro per Sir Adam Sinclair, ma so che anche lui desidera veder finito il ritratto della Contessa.» Quando il Conte s'allontanò per occuparsi dei suoi ospiti, Peregrine girò qua e là in cerca di Adam. Lo trovò presso una delle finestre del soggiorno, immerso in una conversazione con una snella bionda dagli occhi ridenti che anche lui conosceva bene, Lady Alyson MacBaird, la figlia più anziana del Conte di Kilrevan. Peregrine le aveva fatto il ritratto, alcuni anni addietro. Non volendo interrompere quello che sembrava un piacevole incontro per ognuno dei due, il giovanotto stava per ritirarsi allorché la scena che aveva davanti subì un improvviso e inquietante cambiamento. Nella stanza vivamente illuminata sembrò passare un'ombra, come una nuvola di temporale che coprisse del tutto il sole. Quella tenebra si condensò nell'angolo del locale dove c'era Adam, spiraleggiando lenta e oscura intorno a lui. Peregrine mandò un ansito e sbatté più volte le palpebre, ma la buia spirale restò dov'era, fluttuando nell'aria come un gas velenoso. Gettando da parte ogni discrezione Peregrine avanzò nella stanza, allarmato. «Adam!» L'amico girò la testa, con espressione interrogativa. Peregrine era ormai giunto al centro del locale, quando il vortice di tenebra sparì com'era com-
parso. Sentendosi sciocco e confuso, il giovane si fermò di colpo. «Che cosa c'è, Peregrine?» lo interrogò pacatamente Adam. Lui si schiarì la gola, esitante e a disagio, conscio dello sguardo divertito con cui lo scrutavano gli occhi azzurri di Lady Alyson. «La prego di scusarmi, signora» le disse. «Stavo cercando Sir Adam, ma posso aspettare... vi prego, non interrompete la conversazione per colpa mia.» Più tardi, però, quando lui e Adam furono in macchina diretti a Strathmourne, gli riferì quel che aveva visto. «Non ho la minima idea di cosa fosse» confessò. «Era diversa da qualunque altra cosa io abbia mai visto. Una... quasi una presenza intelligente, forse una specie di forza naturale, come l'energia che vibra dentro una tromba d'aria o un temporale. Era palesemente ostile. E tu eri al centro di essa.» Adam assimilò quelle parole senza parlare. Quando il suo silenzio si prolungò, infine, Peregrine domandò: «Adam, c'è un pericolo che ti minaccia?» Adam piegò la bocca in una smorfia poco allegra. «Se c'è, deve ancora assumere una forma riconoscibile.» «Tu hai dei nemici, che tu sappia?» insisté Peregrine. «Sì. Chi non ne ha?» dichiarò seccamente Adam. Poi la sua espressione si ammorbidì. «Ascolta, io non dubito neppure per un istante che tu abbia visto i sintomi di un qualche guaio che si avvicina. Ma mi sono fatto una regola di non preoccuparmi, finché non ho qualcosa di specifico di cui preoccuparmi. Fino a quel giorno, mi bastano i guai che posso vedere» concluse. «E va bene» disse Peregrine, in tono cupo. «Se non altro, sei stato avvertito.» E mentalmente aggiunse: In quanto a me, farò tutto ciò che posso per aiutarti, se questo basterà... CAPITOLO OTTAVO Sabato ventotto ottobre, al calar del sole, una nebbia fredda e umida scivolò giù dai tre colli di Eildon e dilagò nelle viuzze strette della cittadina scozzese di Melrose, sul confine inglese. Mentre la notte si faceva più scura, la nebbia s'infittì, riducendo le finestre illuminate e i lampioni stradali a pallidi fantasmi sospesi in un mondo irreale. Da lì a non molto, la foschia era così densa da ridurre la visibilità a pochi metri in ogni direzione. Alla
periferia orientale della cittadina, le rovine della famosa abbazia di Melrose scomparvero come inghiottite in un oceano di nebbia. Poco dopo le venti, un'autopattuglia bianca con l'emblema della Polizia Confinaria scese dalla collina lungo il corso tortuoso di Abbey Street, e rallentò davanti alla cancellata che recintava l'abbazia sul lato della strada. L'agente al volante spense il motore, quindi abbassò il finestrino e prestò orecchio a eventuali rumori, mentre il suo collega usciva dall'auto e puntava la torcia elettrica nell'oscurità oltre la cancellata. La nebbia era così densa che diffondeva il raggio senza illuminare niente, ma il silenzio era tranquillizzante. Sicuro che tutto era in ordine, l'agente tornò in macchina al caldo e il suo compagno rimise in moto. Le luci posteriori dell'autopattuglia si allontanarono nella foschia. Mentre il rumore del motore svaniva in distanza, cinque figure vestite di nero emersero dalle ombre del giardino recintato della St. Mary's School, di fronte all'abbazia. Silenziose come spettri attraversarono la strada e corsero su per Cloisters Road, una stradicciola a senso unico che girava intorno al terreno dell'abbazia, sul lato nord. Poco più avariti il primo uomo della fila accese una torcia elettrica schermata e precedette gli altri fino a una piccola porta di ferro, nel muro di cinta dell'abbazia. La porta era chiusa, ma uno degli uomini scardinò la serratura con un piede di porco in pochi momenti. In fretta la piccola processione attraversò il prato interno, immerso nella nebbia, e si diresse verso le rovine, scivolando attraverso quello che un tempo era stato l'ingresso della sacrestia su un lato della chiesa. Tre dei cinque avevano a tracolla un assortimento di attrezzi da lavoro, il quarto portava due lanterne alimentate a batteria. Il primo, il loro capo, aveva un voluminoso zaino di pelle e un involto, lungo e sottile come l'astuccio da viaggio di uno schermidore. Quando furono nella navata, priva del tetto, i cinque si diressero senza esitare verso una piccola cappella situata nell'angolo nord, fra una transenna e il presbiterio, riparata alla vista dalle spesse mura su due lati e dalla mole dell'abbazia sugli altri. Un uomo tornò oltre la transenna per guardare all'esterno da una porta nel muro meridionale, quindi si piazzò di guardia a un'estremità della navata, pavimentata in terra battuta. Due degli altri accesero le lanterne dirigendone la luce sul terreno della cappella, mentre il quarto tirava fuori una scopa e spazzava via il terriccio e i sassi dal tratto centrale, mettendo allo scoperto una pavimentazione in pietre consunte. Quando la zona fu ripulita, il capo appoggiò un ginocchio al suolo, si tolse i guanti e passò le mani nude sulle ruvide lastre di pietra. L'anello col sigil-
lo che portava all'indice della mano destra mandava bagliori rosso-sangue nella luce delle lanterne. Qualunque cosa stesse cercando, la trovò subito. Si rialzò in piedi, annuì verso i subordinati in segno di conferma e indietreggiò fin sulla soglia della cappella. Qui sedette su una pietra liscia e aprì il suo zaino. Uno degli uomini venne a chinarsi accanto a lui, intanto che gli altri due impugnavano pale e picconi e si accingevano a scavare nel punto indicato. «Io resto convinto che questa parte del lavoro avremmo dovuto farla prima di venire qui, Mr. Geddes» disse l'uomo accovacciato, mentre il capo estraeva dallo zaino una tazza di piombo e una sottile cinghia di gomma. La tazza di piombo fece un rumore sordo quando il capo la appoggiò fra le sue scarpe. Con un'occhiata di rimprovero a quello che aveva parlato, si tirò su la manica sinistra della giacca di pelle e poi ripiegò anche quella della camicia di lana nera, fin sopra il gomito. «Ho detto niente nomi, quando siamo all'aperto» sussurrò, in un tono che non ammetteva repliche. «Non potevamo fare altrove questa parte del lavoro. Sai bene che il sangue dev'essere il più fresco possibile. Datti da fare! Non abbiamo tempo da perdere.» Consegnò la striscia di gomma all'altro uomo e protese il braccio sinistro, mettendosi in grembo la tazza di piombo e appoggiando la schiena al mozzicone di colonna romanica dietro di lui. Il suo assistente non fece commenti; gli strinse la gomma al braccio, sopra il gomito, e tirò fuori dalle tasche interne della giacca alcuni piccoli oggetti sigillati entro sacchetti di plastica. Dal primo sacchetto estrasse un po' di cotone idrofilo, odoroso di alcool. Il capo aprì e chiuse il pugno per far gonfiare i vasi sanguigni, intanto che l'altro gli disinfettava la pelle sul lato interno del gomito e lo tastava, per essere certo di localizzare una vena nella scarsa luce. Dal secondo sacchetto venne fuori un tubicino di plastica trasparente, con una pinza per stringerlo a metà lunghezza e un beccuccio per collegarci l'ago sterile che l'uomo tolse dal terzo. «Tenga il braccio proteso, ora» mormorò, tastando ancora il gonfiore della vena e togliendo coi denti il cappuccio protettivo dell'ago. Il capo non batté ciglio quando l'ago gli fu infilato in vena. L'altro apri brevemente la pinza del tubicino e vide un po' di sangue risalire, a conferma che l'ago era stato piazzato bene. Soddisfatto, usò un pezzo di cerotto per fermare l'ago in vena, e cercò l'altra estremità del tubicino, che mise
dentro la tazza di piombo e lasciò reggere al capo. «Lei è pronto» disse l'uomo, sciogliendo la striscia di gomma. «Devo lasciarla solo per qualche minuto, intanto che il sangue riempie la tazza?» Al cenno d'assenso del capo, l'assistente aprì la pinza, guardò un momento il liquido rosso che sgocciolava nel contenitore di piombo e indietreggiò di un paio di passi. Il capo rovesciò la testa all'indietro, con gli occhi chiusi, e cominciò a mormorare sottovoce parole in latino, stringendosi la tazza al petto. Con una scrollata di spalle l'altro uomo si volse e andò a dare una mano ai colleghi, che stavano scalzando via le pietre dalla pavimentazione della cappella e le ammucchiavano contro il muro. Cinque minuti dopo l'uomo tornò accanto al capo. La tazza era piena per più di metà, all'incirca l'equivalente di un mezzo litro di sangue. Chinandosi, tirò fuori di tasca il rotolo di cerotto, un paio di forbici e un pacchetto di cotone idrofilo. Quei lievi rumori riscossero il capo, che aprì gli occhi, e nelle sue pupille brillò una luce disumana, quasi d'odio per le mani che stavano chiudendo la pinza e bloccavano il flusso del sangue dal tubicino. Ma quel momento passò, e dopo aver controllato il contenuto della tazza tenne fermo il tubicino perché non sgocciolasse, porgendo il braccio per lasciarsi togliere l'ago. Quando questo fu fatto, e un pezzetto di cotone gli fu fissato col cerotto sulla piccola ferita, si tirò giù la manica. L'assistente raccolse dal suolo tutti i rimasugli del lavoro e li mise in uno dei sacchetti, quindi cercò nello zaino un aspersorio in crine di cavallo nero e lo diede al capo. Poi prese in consegna la tazza di piombo. «Stia attento mentre si alza» lo avvertì, pur non facendo nulla per aiutarlo. «Dopo essersi tolto tanto sangue, potrebbe girarle la testa.» Il capo vacillò un momento quando fu in piedi, e si appoggiò alla colonna per non perdere l'equilibrio. Poi trasse alcuni lunghi respiri e protese una mano verso la tazza. «Dalla a me» ordinò, e con l'altra mano schioccò le dita verso i due che stavano ancora togliendo le pietre della pavimentazione. Questi interruppero subito la loro attività e si spostarono nel centro della cappella, insieme al collega che aveva assistito il capo. Quest'ultimo andò sul lato nord del tratto di terreno appena messo allo scoperto, e immerse nella tazza l'aspersorio in crine di cavallo nero. Allorché lo tirò fuori, il sangue sgocciolò sulle pietre ai suoi piedi. «Il sangue della vita» mormorò fieramente. Detto questo si voltò a sinistra e cominciò a camminare in cerchio lungo il perimetro interno della cappella, spargendo sangue senza economia lun-
go tutto il suo percorso e pronunciando ad alta voce i versi di un'evocazione rituale. Gli altri lo guardavano avidamente, inchinandosi ogni volta che lui si fermava, in corrispondenza dei quattro angoli della cappella, per spruzzare sangue anche contro i muri. Al termine del giro il capo chiuse il cerchio tracciando al suolo un simbolo con l'aspersorio. La tazza era ormai vuota, e lui la avvolse in un panno nero e la chiuse in una scatola di plastica, prima di rimetterla nello zaino. «Il temenos è sigillato» disse ai suoi uomini. «Ora potete cominciare.» I tre subordinati raccolsero le pale e attaccarono il suolo umido lasciato scoperto dalle pietre. All'interno della cappella, nel circolo del sangue, l'aria era piena di rumori e tonfi mentre gli utensili da scavo ammucchiavano la terra e i sassi sui lati della buca. Trascorse un'ora circa, senza che gli uomini facessero una pausa. A metà della seconda ora avevano scavato una fossa lunga tre metri, larga la metà e profonda quasi un metro. Fu allora che una delle pale urtò contro un ostacolo che risuonò come la roccia. «Dovremmo esserci» commentò uno di loro. Da quel momento lavorarono con più attenzione. In pochi minuti il loro scavo rivelò una pesante lastra di granito grigio, lunga poco meno di due metri. Il capo sparse sulla lastra una manciata di sale misto a zolfo e pronunciò una parola di comando. Una rete di linee sottili come tela di ragno nacque sul granito, scintillando alla luce delle lanterne. Le linee si unirono a formare un'intricata spirale di geroglifici. Il capo sorrise ai subordinati, soddisfatto. «Questa è una sepoltura ancora mai toccata» disse loro. «Sollevate la lapide.» Unendo i loro sforzi e facendo leva con gli utensili, la pesante lastra fu sollevata e rovesciata da un lato. Sotto di essa c'era un vano contenente un semplice sarcofago, anch'esso di pietra liscia. I tre uomini sollevarono il coperchio, e ciò che venne alla luce fu una salma mummificata, molto malridotta, avvolta nei resti ormai decomposti di un telo di lino. Il più anziano dei tre scavatori si chinò a esplorare lo spazio sui lati del corpo, con mani che tremavano per l'impazienza. Non trovando niente, girò cautamente la mummia e tastò ancora sotto la testa, la schiena e le gambe, mugolando un'imprecazione fra sé. Quando si voltò verso il capo, la sua faccia era contratta in una smorfia di delusione. «Qui non c'è!» esclamò, irosamente. «Dannazione, non c'è!» Il capo ridimensionò l'importanza di quell'accalorata dichiarazione con un gesto laconico.
«Un piccolo contrattempo, niente di più. Io sono venuto qui preparato a questa eventualità.» Accennò ai suoi uomini di uscire dalla fossa. Quando furono fuori, si chinò a frugare ancora nel suo zaino e ne estrasse quattro candele scarlatte e un pezzo di gesso nero. Consegnò le candele agli altri, ordinando che le piazzassero sul circolo tracciato al suolo col sangue, ciascuna a un quarto della circonferenza, quindi col gesso tracciò metodicamente un triangolo equilatero sul lato nord dello scavo, con un vertice puntato verso la testa della salma. Un bruciatore d'incenso in ceramica nera fu deposto al centro del triangolo. Dopo aver completato questi preparativi, il capo tornò allo zaino, e ne tolse fuori un rotolo di seta nera che quando fu svolto si rivelò per una corta mantellina, fornita di cappuccio. Se la mise sulle spalle, si tirò il cappuccio sulla testa e sistemò con cura il tessuto per farselo ricadere all'altezza dei gomiti. Sul lato sinistro del cappuccio, ricamata in argento, c'era la testa di un animale coi denti scoperti in un ringhio feroce. Da una tasca interna della giacca estrasse un ultimo pezzo di quei paramenti cerimoniali: una pesante collana in maglie d'argento, con un pendente anch'esso d'argento. I tre uomini che erano con lui avevano con sé mantelline simili, ricamate con la stessa testa di animale, ma in rosso. Mentre anch'essi si tiravano i cappucci sulla testa, il capo andò ad accendere le quattro candele e il bruciatore d'incenso. Il fumo che quest'ultimo produsse era pesante, grigiastro, e invece di sollevarsi nell'aria fluì al suolo come un liquido, scivolando giù dentro il sarcofago aperto. Intanto che il fumo ricopriva e oscurava la salma, il capo aprì l'involto lungo e sottile. Riflessi d'oro e d'argento si accesero nella luce delle lanterne, quando ne tolse fuori una spada la cui elsa era cesellata nello stile elegante dei fabbricanti d'armi italiani del tardo sedicesimo secolo, chiusa in un fodero di cuoio ingemmato. Con attenzione, il capo impugnò l'arma ed estrasse la lama dal fodero. Fiancheggiato dai tre uomini, due ai lati e uno alle sue spalle, prese posizione dietro il triangolo equilatero, coi piedi sopra due dei vertici. Allungando orizzontalmente la spada tracciò un simbolo nell'aria davanti a lui, sopra la tomba, quindi abbassò la punta dell'arma a toccare esattamente il terzo vertice del triangolo. Per un momento tacque, tenendo sotto fermo controllo la sua mente, il corpo e lo spirito. Poi, con lo sguardo fisso sulla salma, cominciò a recitare le parole arcane di un potente e pericoloso incantesimo.
Ruvide come la pietra per l'orecchio umano, quelle frasi latine costruirono un'energia che si fece sempre più intensa nell'interno del circolo di sangue. Dal regno delle ombre, oscure potenze si mossero e diedero risposta. I tre accoliti in piedi accanto al sarcofago fremevano intimoriti e affascinati, mentre il loro capo metteva in opera tutta la sua volontà per prendere il controllo delle energie che aveva risvegliato. Coi suoi stessi poteri ora amplificati da quelle forze, si protese finché avvertì il contatto di un altro spirito, un'anima, e con forza la strappò dalla sua orbita. Lo scontro di quelle due volontà opposte fece vibrare i confini del circolo di sangue, ma il rito che lo aveva chiuso era abbastanza forte da mantenerlo intatto. Con un ultimo sforzo il capo del gruppo pronunciò le parole finali dell'incantesimo, ed evocò la sua vittima chiamandola per nome. Per un lungo momento nulla accadde, nulla di visibile, ma la tensione sopra e attorno il sarcofago s'era fatta così forte da raggelare l'aria. Poi, all'improvviso, sopra lo scavo apparve una nebbiolina grigia pallida e fosforescente, diversa dal fumo d'incenso che riempiva la tomba. La nebbiolina si addensò, assumendo contorni umanoidi. Due ovali di luce si accesero brevemente su quella che poteva essere la forma di una faccia. Il capo del gruppo abbassò la punta della spada verso il sarcofago e la sua voce si alzò in un'imperiosa parola di comando. Riluttante, torcendosi come in preda all'angoscia e alla rabbia, la forma di nebbia discese nel sepolcro e si mescolò al fumo d'incenso. Pian piano, poi, fumo e nebbia si abbassarono ancora, e il cadavere rinsecchito tornò visibile. Ma quei miasmi spettrali non s'erano dissolti: stavano invece penetrando nelle cavità corporali della salma. E quando l'aria fu di nuovo chiara e sgombra, la mummia cominciò a sussultare spasmodicamente. CAPITOLO NONO La pesante nebbia che quel sabato sera avvolgeva Melrose si estendeva fino a nord del Firth of Forth, oltre il fiume Tay. Ma nella cittadina di Dunfermline, nel Fifeshire, quell'umidità non era riuscita a raffreddare lo spirito allegro di tutta la gente che era intervenuta al ceilidh in costume, la cena e la serata danzante, organizzato dalle chiese locali per procacciarsi fondi per un nuovo centro di assistenza sociale. Nel giardino botanico annesso all'abbazia di Dunfermline, numerosi grandi padiglioni di tela a strisce bianche e rosse erano stati eretti sul prato, fra le serre di vetro. Illuminati dall'interno come tante lanterne cinesi, i padiglioni risuonavano viva-
cemente di musiche da ballo, di voci e di risate. Adam e Peregrine erano fra i numerosi ospiti invitati da Janet e Matthew Fraser. Prevedendo una piacevole serata in cui avrebbero prevalso le tradizionali danze scozzesi, quasi tutti erano venuti abbigliati nei loro costumi da highlander. Adam, che non si lasciava mai scappare un'opportunità di esibire la sua discendenza, portava il kilt rosso dei Sinclair, con una collana e una giubba che erano appartenute a suo padre. Lo zaffiro che ornava il pendente della collana era stato regalato a sua nonna dalla Regina Vittoria. Subito dopo il suo arrivo Adam andò a salutare Janet, elegantissima in un completo azzurro con la fascia di tartan dei Fraser, rossa e blu, affibbiata alla spalla destra, e nastrini azzurri appuntati ai capelli biondi, pettinati all'insù. Peregrine era stato temporaneamente dirottato altrove da una sua vecchia fiamma. «Santo cielo, Adam! Nessuno, guardandoti, potrebbe più affermare che i romanzi cavallereschi sono passati di moda!» esclamò Janet, prendendolo per le mani ed esaminandolo da capo a piedi, nelle luci del prato. «Sembri il personaggio di un racconto di Robert Luis Stevenson!» Adam rise e si piegò a baciarle le mani, galantemente, accettando quel complimento. «E tu sembri l'eroina di un dramma di Sir Walter Scott!» le disse, lasciandole una mano per poggiarsi la destra sul cuore mentre declamava: Sono tutte fossette e ricciolini, La testa te la fan proprio girare Quelle belle ragazze a Dunfermline, Quelle belle ragazze in riva al mare. «Questi non sono precisamente versi di Sir Walter Scott, non è così, Mattew?» ridacchiò lei, voltandosi un momento verso il marito. «Ma non dovresti sprecare per me le tue poesie, mio caro Adam. Dovresti tenerle da parte, per corteggiare la donna dei tuoi sogni.» La donna dei tuoi sogni... Janet aveva tutta l'aria d'essere in vena di presentargli qualche sua conoscente. Quella serata era adatta alle sue solite manovre, del resto. Mentre salutava altri ospiti dei Fraser, lì accanto, provò un po' d'invidia per Peregrine, che stava facendo due chiacchiere con un vecchio amore e che avrebbe perfino potuto imbattersi nell'amabile Julia Barret prima che la serata terminasse. Forse un giorno anche lui avrebbe avuto quel genere di fortuna... benché, se avesse continuato a essere pi-
gnolo nella sua scelta delle donne come lo era nelle altre cose, quel giorno era ancora molto di là da venire. Le note vivaci di una giga scozzese lo richiamarono al presente... e alla constatazione che dinanzi a lui c'era una sorridente amica abbastanza affascinante da aspettarsi la sua attenzione. Adam offrì cavallerescamente il braccio a Janet. «Sento che la musica ci chiama» disse. «È l'ora che diamo il buon esempio, e mostriamo ai nostri simpatici orchestrali ceilidh che apprezziamo i loro sforzi. Se Matthew non ha obiezioni, per me sarebbe un onore insperato condurti nella prossima danza.» «Suppongo che tu possa sostituirmi» disse Sir Matthew dal retro del gruppetto, guardando la moglie e l'amico con un'espressione teatralmente austera. «Alcuni di noi sono venuti qui perché hanno dei doveri da compiere» ricordò loro. «Divertitevi con la necessaria moderazione. Io vi raggiungerò quando avrò parlato col vicario. Bisogna decidere quando dare inizio alla raccolta dei fondi.» Gli altri ospiti si spostarono sulla pista da ballo, dove numerose coppie stavano appena finendo un giro di Strip the Willow. L'orchestra chiuse la vivace danza con un crescendo improvviso, e i ballerini, ridenti e senza fiato, applaudirono. Mentre la pista cominciava a sgombrarsi, il capo degli orchestrali, un giovanotto alto in kilt verde, depose la cornamusa e andò al microfono. «Grazie, gentili signore e signori. E ora, quelli che vogliono divertirsi formino le file per Dashing White Sergeant, prego.» Janet s'impadronì di suo cognato e della moglie di lui, e al gruppetto si unì subito anche sua sorella, Lady Eloise McKendrick. «Abbiamo bisogno di un altro cavaliere!» esclamò Janet. «Adam, dov'è il tuo attraente Mr. Lovat?» Adam era qualche centimetro più alto della maggior parte dei presenti. Aiutato dalla sua statura esplorò con lo sguardo il padiglione finché scorse una figura snella, che indossava un kilt da caccia dei Fraser e si stava allontanando in solitudine lungo l'altro lato della pista. «Peregrine!» chiamò, alzando un braccio per farsi localizzare dal giovanotto. «Ci serve un altro uomo!» Quando Peregrine venne a raggiungerli, animato da tutta la sua buona volontà, Janet lo prese per mano con una risatina indulgente e lo fece spostare alla sua sinistra. «Temo che non possiamo permetterle di andare a caccia di fanciulle in-
difese, almeno per ora» disse Janet mentre prendevano posto, divisi in due file di tre persone una di fronte all'altra. Quasi subito l'orchestra suonò l'introduzione, alcune note di una Black Dance, e i cavalieri e le dame delle opposte file s'inchinarono, mentre i gruppetti di sei ballerini finivano di comporsi. Essendo agile e svelto, Peregrine non ebbe difficoltà a tenere il passo con Adam e Janet intanto che i membri del loro gruppo univano le mani e circolavano a destra e poi a sinistra, prima di separarsi in gruppetti di tre. Janet, al centro, si voltò dapprima verso Adam e poi verso Peregrine, lasciò le loro mani e quindi li guidò saltellando lungo la figura di un otto. Si presero di nuovo per mano, avanzando e ritirandosi all'unisono con l'altro terzetto, e balzarono avanti chinandosi per passare sotto le braccia sollevate dei loro compagni, ridendo. I gruppi si ricomposero brevemente, poi si separarono per formare altre combinazioni mentre facevano scattare le gambe e giravano in cerchio lungo la pista. Peregrine si accorse che si stava divertendo molto, e che gli veniva spontaneo scoppiare a ridere come gli altri quando doveva chinarsi per correre avanti sotto un arco di braccia sollevate. E d'un tratto, quando fu lui ad alzare le braccia, si trovò faccia a faccia con Julia Barret. Non s'era accorto che la ragazza fosse in quel padiglione, e la sorpresa lo immobilizzò per un momento. Quella non era la giovane donna in lacrime che lui aveva visto al servizio funebre di Lady Laura. Trascinata anch'ella dalla vivacità di quella musica così allegra, la madonna dolente del Botticelli s'era trasformata nell'immagine della Flora nella Primavera dello stesso artista. Invece di un abito in stile highlander, indossava un vestito bianco, fluttuante e leggero, ricamato di fiorellini e tralci di vite, e i suoi capelli biondo-miele erano sciolti, eccetto che per una cascata di nastrini di seta verde applicati sulla tempia sinistra. Intanto che Peregrine riprendeva il ritmo, saltellando di lato, i loro sguardi s'incontrarono per un breve istante e lui si sentì elettrizzato. Subito dopo, quando i loro gruppetti si unirono nel girotondo, lui ebbe l'occasione di prenderla per mano. Gli occhi della giovane donna erano di un colore azzurro acquamarina, e nella fisicità del ballo avevano lo sguardo innocente di una cerbiatta. Stringendo le sue dita, Peregrine cercò di pensare a qualcosa da dire ma, prima di poter escogitare una frase adatta a presentarsi all'attenzione di lei, le necessità della danza lo costrinsero a lasciarla. Con energica rapidità i due partner della ragazza la condussero verso l'altra estremità della pista, e pochi momenti dopo era di nuovo spa-
rita nella folla degli altri ballerini. Il suo gruppetto completò altri quattro schemi più o meno uguali, prima che un cambiamento nella musica segnalasse che la danza stava per finire. Quando la musica tacque, Peregrine si voltò subito verso Janet. «La prego di scusarmi, Lady Fraser!» le disse. «Ho appena visto una persona con la quale devo assolutamente parlare.» Prima che lei potesse fargli domande si allontanò, scivolando fra le coppie che si muovevano sulla pista, e dopo aver cambiato direzione due o tre volte vide finalmente una snella figura femminile dai capelli biondo-miele. La ragazza era sulla porta del padiglione, e si stava allacciando un soprabito da sera verde chiaro fornito di cappuccio, che aveva appena indossato sul vestito floreale. Peregrine accelerò il passo, intercettandola giusto mentre lei stava per uscire nella nebbia. «Ehilà, salve» le disse, un po' a corto di fiato. «Spero che lei non abbandoni le danze così presto. La serata è appena cominciata.» Lei si volse a guardarlo coi suoi occhi da cerbiatta, ed ebbe un breve sorriso cortese. «Oh, lo so. Ma la mia parte comincia fra appena un quarto d'ora, al conservatorio. Con l'aria umida che c'è questa sera, la mia arpa avrà urgente bisogno di essere accordata all'ultimo momento.» «La sua arpa!» Peregrine fu affascinato al pensiero. «Lei è una musicista di professione, allora?» Lei rise. «Non oserei dire questo. Una dilettante appassionata, al massimo. Solitamente non suono in pubblico» continuò. «Ma faccio parte della parrocchia di St. Margaret, dall'altra parte della strada, e quando il vicario mi ha chiesto di partecipare, questa sera, non ho potuto rifiutare. È per beneficenza.» «Sospetto che lei sia troppo modesta» disse Peregrine, con sincera convinzione. «Se suona bene la metà di come canta, la sua prestazione sarà la regina della serata.» Lei lo guardò inclinando la testa, educatamente incuriosita. «Noi non ci siamo mai incontrati prima. O mi sbaglio?» «No, non ci conosciamo.» Peregrine scosse il capo, con un sorriso rammaricato. «Mi scusi. Avrei dovuto presentarmi subito. Io sono Peregrine Lovat.» «E io Julia Barret» rispose lei. «Se non ci siamo mai incontrati, dove mi ha sentita cantare?» «Ecco... in chiesa» mormorò Peregrine, improvvisamente conscio che
quella rivelazione poteva metterla a disagio. «Io... io ero al servizio funebre di Lady Laura Kintoul, ieri.» Temeva di vedere l'ombra della sofferenza tornare sul volto di lei, ma con suo sollievo Julia si limitò ad annuire compostamente. «Ah, questo spiega tutto» disse la ragazza. Con un lieve sorriso gli porse una mano snella. «È un piacere conoscere un altro degli amici di Lady Laura. Era una persona molto speciale.» «Sì, davvero speciale» disse pacatamente Peregrine. Le dita di lei erano calde e vitali, fra le sue. Per un momento entrambi tacquero. Poi lui disse, d'impulso: «C'è qualche persona particolare che si accompagna con lei, questa sera?» Una luce di comprensione compiaciuta si mescolò alla timidezza negli occhi azzurri di Julia. «Be', sono certa che a mio zio piaccia pensare d'essere il mio zio particolarmente preferito» disse, con un sorriso. «Se vuole venire al conservatorio avrò il tempo di presentarglielo, prima di salire sul palco...» La loro uscita dal padiglione non passò inosservata. «Sul serio, Adam» disse Janet, in tono di cordiale rimprovero, «avresti dovuto avvertirmi che il tuo timido giovane amico aveva già messo gli occhi sulla nipote di Albert Barret.» Adam accettò il rimprovero stringendosi nelle spalle. «Mi spiace. Non ero sicuro che lei sarebbe stata qui, stasera.» Matthew Fraser sogghignò alla moglie. «Ti dispiace non essere stata tu a presentarli, dall'incorreggibile paraninfa che sei? Ma non preoccuparti, potrai sempre rifarti con Adam.» «Oh, Matthew, per il momento sono alquanto arrabbiata con Adam» disse Janet, fingendo di mettere il broncio. «Meriterebbe che lo presentassi a una garrula vedova di mezz'età in cerca di marito, chiocciante come una vecchia tacchina, e lo lasciassi con lei a difendersi da solo.» «Pietà!» esclamò Adam. «Come posso fare ammenda?» «Per il momento» rispose Janet, «puoi andare a prendermi un vermouth prima che lo finiscano. Non sono ancora riuscita ad avvicinarmi al tavolo dei rinfreschi...» Le danze e le musiche continuarono. Circa un'ora dopo Peregrine riapparve nel padiglione, a braccetto con Julia Barret. Rapida come sempre nel prendere sotto controllo una situazione promettente, Janet li intercettò e suggerì sorridendo che Julia e suo zio si unissero ai loro ospiti, per lo spuntino di chiusura che i Fraser avrebbero dato più tardi, in uno dei padi-
glioni. Esortata da Peregrine, che era balzato al volo su quell'invito, Julia accettò timidamente. Poi la giovane donna rimase con loro per il resto di quella che Peregrine giudicò una delle più belle serate a cui avesse partecipato da anni a quella parte. Verso le due di notte, il ceilidh cominciò a sciogliersi. Il vicario aveva in tasca assegni per alcune migliaia di sterline, grazie ai quali avrebbe potuto creare il centro d'assistenza per le ragazze madri, e nessuno poté dire di non avere avuto la sua dose di divertimento e di cibo caldo nello stomaco. Peregrine scortò con una certa riluttanza Julia all'auto di suo zio, rimpiangendo di non essere in grado di condurla a casa lui stesso. Poi seguì con sguardo sospiroso le luci posteriori della macchina di Albert Barret che si allontanavano nella nebbia. «Ha detto che sarà lieta di rivedermi» confidò ad Adam, mentre Humprey apriva loro lo sportello della Bentley. «È davvero una ragazza notevole!» Perduto nei ricordi piacevoli di quella serata, il giovanotto non si accorse dello sguardo fra triste e invidioso negli occhi scuri di Adam Sinclair. Mezz'ora più tardi, Humphrey li ricondusse a casa. Stanco e soddisfatto, Peregrine diede al suo ospite una cordiale buonanotte e si ritirò in camera sua. Quando s'infilò il pigiama e andò a letto era certo che si sarebbe addormentato appena la sua testa avesse toccato il cuscino. Ma nonostante la fatica e l'ora tarda, la sua mente eccitata e irrequieta restò attiva. Dapprima i suoi pensieri furono accentrati su Julia e sui piccoli fatti accaduti a Dunfermline, ma mentre i minuti ticchettavano via qualcosa li invase tingendoli di una sfumatura più cupa e strana. Ripensandoci, e muovendosi mentalmente fra i padiglioni e il giardino botanico, poté vedere che sebbene all'interno tutto fosse vita e calore, all'esterno, nei prati immersi nella fitta nebbia, si aggiravano ombre oscure che protendevano lunghe dita artigliate... Quella scena nata nella sua mente fu nascosta da un impenetrabile banco di nebbia. Quando la foschia si dissolse, Peregrine s'accorse che davanti a lui non c'era più il giardino botanico. Vecchie lapidi in pietra grigia, coperte di muschio, sporgevano dal terreno erboso di un cimitero medievale, e un'indistinta figura scheletrica stava barcollando verso una porticina in un alto muro di pietra... Con un sussulto Peregrine si alzò a sedere sul letto e cercò l'orologio da polso. Con sua sorpresa constatò che erano le sei e dieci. Scosse il capo, conscio che doveva essersi addormentato senza accorgersene. Stava per
sdraiarsi di nuovo quando sentì echeggiare, da qualche parte al pianterreno della casa, lo squillo insistente di un telefono. Prima che Humphrey venisse a bussare alla porta del suo appartamento, Adam era già sceso dal letto e si stava allacciando la cintura di una veste da camera di lana scozzese. Uno sguardo al volto del maggiordomo bastò a dirgli che c'era in ballo qualcosa d'importante. «Mi dispiace disturbarla così presto, signore» disse Humphrey. Anche lui portava una veste da camera, indossata in fretta sul pigiama a strisce. «È l'ispettore McLeod. Chiama da Melrose.» «Melrose?» Adam fu improvvisamente conscio di un prurito dietro la nuca. «Prenderò la chiamata qui» disse, andando alla derivazione telefonica sul tavolino della camera da letto. Sulla soglia, Humphrey esitò. «Devo aspettare, signore?» «Credo di sì.» Adam sollevò il ricevitore e disse, senza preamboli: «Sono qui, Noel. Che succede?» La voce dell'ispettore suonò rauca, e non solo per le statiche che in quel momento disturbavano la linea. «Ti chiedo scusa per aver chiamato a quest'ora indecente, Adam, ma è successo un fatto piuttosto strano qui a Melrose. Non entrerò in particolari, per telefono, ma è una cosa che richiede la tua attenzione particolare, come potrai notare anche tu quando vedrai di cosa si tratta.» Attenzione particolare? La scelta di parole di McLeod, insieme al tono della sua voce, diceva molte cose. «Davvero?» disse Adam, in tono accuratamente discorsivo. «In questo caso, sarò lieto di venire lì per farmene un'idea. C'è un posto dove preferisci che ci incontriamo?» Ci fu una breve pausa. «Tu vieni alle rovine dell'abbazia» disse poi la voce nel ricevitore. «Vedrai le auto della polizia, alla cancellata. Se non sarò lì quando tu arrivi, uno dei miei uomini saprà dove trovarmi.» Evidentemente McLeod stava prendendo precauzioni, nel caso che qualche ascoltatore non autorizzato si fosse inserito su quella linea... e ciò confermava che era successo qualcosa di abbastanza insolito dal punto di vista della polizia. «So dove si trova l'abbazia» rispose Adam, sempre in tono leggero e noncurante. «Ora sono le... uh, le sei e un quarto» proseguì, con un'occhiata all'orologio sopra il caminetto. «Dovrei metterci circa due ore. Per fortuna è domenica, e non ci sarà molto traffico. In ogni modo, sarò lì al più
presto possibile.» «Non potrei chiederti di più.» McLeod sembrava alquanto sollevato. «Grazie, Adam.» «Di niente.» Mentre McLeod riappendeva, Adam si voltò verso Humphrey, con gli occhi che scintillavano come quelli di un falco in vista della preda. «Credo che farò meglio a prendere la Jaguar» disse. «E vorrei uscire di casa entro mezz'ora al massimo. Da quel che mi sembra di capire, prima arriverò a Melrose e meglio sarà.» Humphrey annuì. «Le consiglio degli indumenti pesanti, allora, signore, e l'ombrello. Fuori fa freddo, e sta piovendo. Vuole che pensi io a tirare su la capote della macchina?» «Sì, per favore» rispose Adam, andando verso lo spogliatoio. «Gradirei anche un po' di the e dei toast, se ce la fai a prepararli in fretta. Ma prima di tutto, ti sarei obbligato se andassi a svegliare Mr. Lovat. Digli quello che sta succedendo, e che mi piacerebbe che lui venisse con me, se ne ha voglia. Ho lo spiacevole sospetto che non potrà restare fuori da questa faccenda, del resto.» CAPITOLO DECIMO Assai prima della mezz'ora che Adam aveva specificato, Peregrine si trovò in viaggio, seduto accanto a lui sul sedile anteriore della Jaguar blu. Le mani guantate del padrone di Strathmourne House erano ferme sul volante, mentre pilotava la potente macchina verso sud, in direzione di Edimburgo. Ancora un po' senza fiato per essersi dovuto vestire così in fretta, Peregrine appoggiò la sua borsa sul pavimento, fra le ginocchia. Adam lo aveva pregato di portare il necessario per disegnare, ma qualcosa nei modi dell'amico lo induceva a non chiedergliene ancora il motivo. Erano già quasi le sette, tuttavia la nebbia e il cielo coperto davano la sensazione che fosse appena l'alba. I fari della Jaguar non potevano fare molto in una nebbia così fitta, e quelli delle altre auto avevano una diffusione che abbagliava lo sguardo. La strada era quasi deserta, come Adam aveva previsto, ma con quella pioggerellina fine la guida richiedeva il massimo dell'attenzione a chi, come loro, doveva mantenere una certa media per non arrivare troppo in ritardo. Nonostante ciò, Adam veniva distratto da speculazioni d'ogni sorta, anche se la telefonata di McLeod non gli aveva dato nessun elemento su cui riflettere. Continuava ad avere la
sensazione che un mistero stava per condurre lui e i suoi amici nel cuore di un altro, ancor più pericoloso del primo. A dispetto dell'abile guida di Adam, erano già passate le nove quando finalmente giunsero alla periferia di Melrose. Il traffico della domenica era rimasto scarso, ma un paio di strade chiuse per lavori in corso li avevano costretti a fare delle noiose deviazioni. A meridione di Galashiels, la nebbia aveva lasciato il posto a una pioggia fredda e insistente. Mentre passavano davanti all'imponente facciata del Waverly Hotel Adam spense gli antinebbia e aumentò la velocità dei tergicristalli, quindi abbandonò Waverly Road per girare su High Street. La stazione di polizia, a metà di quella strada, sembrava in piena attività, ma Adam non rallentò e proseguì su Buccleuch Street, fino all'abbazia. Sulla parte anteriore delle antiche rovine, chiusa da una cancellata, c'era un largo spiazzo, e lui non fu sorpreso di vedere lì due macchine e un furgone della polizia, più sei o sette automobili prive di contrassegno ma probabilmente appartenenti anch'esse a funzionari pubblici. Alcune lunghe transenne metalliche erano state disposte davanti al cancello, sorvegliate da un giovane agente in impermeabile giallo con la scritta polizia sulla schiena. Accanto a lui c'era un uomo in borghese. Il cofano della Jaguar fumava quando Adam parcheggiò sulla destra del cancello. Venticinque o trenta curiosi stazionavano lì attorno, guardando l'antico edificio da sotto gli ombrelli gocciolanti di pioggia, e costoro spostarono la loro attenzione sui nuovi venuti. Oltre la cancellata, nel terreno dell'abbazia, Adam poté vedere strisce di nastro giallo disposte dalla polizia intorno alla vecchia chiesa diroccata. Altre figure anonime, in impermeabile, si muovevano qua e là fra le rovine. «C'è molta attività» commentò Peregrine. «Cosa pensi che sia successo? Un omicidio?» «Niente di così convenzionale, temo» disse Adam, spegnendo il motore. «Ma si direbbe una cosa piuttosto seria, non c'è dubbio.» Dopo aver preso il largo berretto dell'impermeabile dal sedile posteriore, Adam uscì dalla macchina. La fredda umidità dell'aria gli strappò una smorfia mentre chiudeva lo sportello. Peregrine, non più entusiasta di lui nell'affrontare quella pioggerellina insistente, si tirò su il colletto dell'impermeabile, guardando il cielo. «Vorrei aver avuto il buonsenso di portare un berretto largo, come il tuo» grugnì.
Adam si ficcò in una tasca i guanti da guida e accennò verso la Jaguar. «Sul sedile posteriore c'è un ombrello» gli disse. «E non dimenticare il tuo blocco da disegno.» Chiusa la macchina, i due si avviarono fra le pozzanghere verso l'ingresso della cancellata, ignorando gli sguardi dei curiosi che li esaminavano pigramente chiedendosi chi fossero. Alle transenne, l'agente in impermeabile giallo fece un passo avanti per intercettarli, ma si fermò quando l'uomo in borghese gli fece un cenno e aggiunse qualcosa a bassa voce. «Passi pure, Sir Adam» disse l'agente in borghese, con un sorrisetto. «Avrei dovuto capire prima che era lei, con quella bestia di macchina, ma col berretto tirato sulla faccia è quasi irriconoscibile.» «Be', non ci siamo incontrati spesso sotto la pioggia» rispose Adam, scambiando con lui una stretta di mano. «Lieto di rivederla, Hamish.» E intanto che l'altro accennava loro di passare oltre le transenne, aggiunse: «Questo è il mio collaboratore. Mr. Lovat. Peregrine, questo è il sergente detective Hamish Kerr, uno dei migliori uomini dell'ispettore McLeod.» «Piacere di fare la sua conoscenza» mormorò Kerr, stringendo la mano anche a Peregrine. «Ebbene, l'ispettore è ancora da queste parti?» domandò Adam, mentre oltrepassavano l'agente in giallo. «Non è qui, signore. È andato su all'Angler Hotel circa mezz'ora fa. Vuole che mandi uno dei miei ragazzi a chiedergli di venire qui?» Adam scosse il capo. «No. Se mai, andrò io da lui. Comunque, penso che anche l'ispettore preferirà se prima do un'occhiata al posto. Lei può dirmi brevemente cos'è successo?» Il sergente si grattò la mandibola, inarcando un sopracciglio. «È una faccenda strana, questa, signore. I ragazzi hanno chiuso con i nastri una zona delle rovine, sull'altro lato, e parte della chiesa, e quelli della scientifica si sono trattenuti là per più di un'ora. È la cosa più dannata che io abbia mai visto... scusi il linguaggio, signore.» Adam represse un sorriso. «Be', Hamish, devo proprio credere che sia un caso singolare, se un poliziotto della sua esperienza mi dice questo!» «C'è qualcosa di... contronatura, in questa storia» borbottò Kerr. «Non mi piace per niente.» «L'avevo immaginato.» Adam si guardò attorno, e notò che anche Peregrine aveva l'aria di chi ha annusato un odore sgradevole. «Be', lei e io abbiamo già lavorato ad altri casi fuori dall'ordinario, no, Hamish? Perché non comincia lasciandomi leggere il rapporto? E poi, Mr. Lovat e io dare-
mo un'occhiata sul posto.» «D'accordo.» Senza dir altro, il sergente Kerr li condusse nel chiosco della portineria, subito oltre il cancello. Il custode dell'abbazia era seduto su uno sgabello dietro il bancone, e parlava in tono lamentoso con un agente in uniforme. «Davanti a queste cose, la gente onesta e timorata di Dio si chiede in che razza di mondo viviamo, al giorno d'oggi» stava dicendo. «Io non ho mai visto una cosa simile.» L'agente si limitò a stringersi nelle spalle. Il sergente Kerr girò intorno al subordinato e prese un fascicolo chiuso in una copertina di plastica, sul bancone. «Questo è il rapporto, Sir Adam» disse, consegnandoglielo. E con una smorfia aggiunse: «Se vuole il mio parere, da queste parti c'è qualcuno che ha visto troppi film dell'orrore. Chi avrebbe pensato che ci saremmo trovati alle prese con dei ladri di tombe, in un posto tranquillo come questo?» Ladri di tombe? Di nuovo disturbato dal prurito dietro la nuca, Adam diede una rapida scorsa a quelle poche righe scritte a mano, inclinando il foglio in modo che anche Peregrine potesse leggere da sopra una sua spalla. Il resoconto era spoglio, nel solito linguaggio burocratico della polizia di tutti i paesi. Approfittando della nebbia, la notte precedente, una o più persone ancora ignote erano penetrate nei recinti dell'abbazia di Melrose, o scavalcando la cancellata e passando dal cimitero, oppure da una porticina trovata aperta nel muro di cinta, sul lato nord. Una volta dentro, gli sconosciuti avevano scavato nel pavimento della cappella annessa alla chiesa, mettendo allo scoperto un sarcofago da sepoltura risalente al dodicesimo secolo. Il sarcofago aveva subito dei danni, e gli agenti lo avevano trovato vuoto. «Il cadavere che a ogni apparenza era dentro quel sarcofago è stato ritrovato nel bar, su all'Hotel Angler» li informò Kerr. «È completamente decomposto, poco più che uno scheletro tenuto insieme da brandelli di stoffa e carne mummificata. Stiamo ancora cercando di capire come i bastardi che l'hanno tolto dalla bara siano riusciti a portarlo fuori, lungo la strada e fin lassù, senza farlo sbriciolare in pezzi.» L'uomo scosse il capo. «C'è da chiedersi chi diavolo possa voler fare una cosa simile. E perché.» «Già.» Adam gli restituì il rapporto, con espressione illeggibile. «La ringrazio, Hamish. E ora andiamo a dare un'occhiata a questa antica tomba.» Il sergente li guidò lungo le rovine, attraverso la navata e verso la cappella sconsacrata, sull'angolo nord-ovest oltre le transenne. Mentre si avvi-
cinavano alle strisce di plastica gialla distese dalla polizia, Adam cominciò a sentire nell'aria un freddo che non aveva niente a che fare con la temperatura, ma aveva qualcosa di subliminale. Un Sigillo Nero, più avanti, in evaporazione ma ancora potente! pensò. Per tutti i santi! Possibile che qualcuno fosse stato così incauto da abbandonare lì un incantesimo tanto pericoloso senza scioglierlo, dopo aver fatto qualunque cosa fosse venuto a fare? Adam si rimise i guanti; infilò le mani in tasca, trasse un lungo respiro ed eseguì con le dita un segno invisibile per acuire le sue facoltà. Poi si voltò a scrutare l'espressione di Peregrine, e prima di arrivare ai nastri rallentò il passo. «Scusa un momento, Peregrine» disse. «Lo vedi quel bassorilievo laggiù? Sì, quello su un lato dell'altare. Vorrei che tu ne facessi un rapido schizzo, prima di eseguire un disegno del luogo della sepoltura. Ti spiace?» Aveva fatto in modo di dare un tono noncurante alla sua richiesta. Intuendo che sotto c'era un altro motivo, Peregrine tornò docilmente indietro e fece quel che Adam gli aveva domandato. Adesso che l'attenzione del giovane artista era occupata altrove, e non correva rischi, Adam proseguì con Kerr fino alla cappella, circondata da un nastro giallo della polizia, e lasciò libere le sue percezioni. Come aveva già avvertito poco prima, al di sopra del sarcofago messo allo scoperto l'aria era satura di un'energia psichica simile a un'ombra, trattenuta lì da un legame occulto. La forza che i malfattori avevano lasciato dietro di loro si stava sciogliendo lentamente, ma era ancora abbastanza potente da infliggere un grave shock a chi fosse sensibile a quell'energia e non schermato, com'era appunto il caso di Peregrine. Kerr, per sua fortuna, non era sensibile, oppure era naturalmente schermato. Adam si chiese quale fosse stata la reazione iniziale di McLeod. «Io aspetto qui, signore» disse Kerr sulla soglia della cappella, alzando il nastro di plastica perché lui potesse chinarsi e passare oltre. «Devo lasciar passare anche Mr. Lovat, quando avrà finito?» «Sì, grazie» rispose Adam. Nello stesso tempo si mise in tasca la mano destra, guantata, e chiuse le dita intorno a una calamita la cui forma era quella di un dente di lupo. Mentre avanzava con cautela verso il Sigillo Nero che i ladri di tombe avevano lasciato attivo, tolse la mano di tasca tenendo la calamita in modo che il sergente Kerr non potesse vederla. Si fermò un paio di passi prima d'essere a contatto con l'oscura energia del-
l'incantesimo, per mormorare un'invocazione che era già antica quando la grande biblioteca dei Tolomei era andata in fiamme. Le parole investirono la calamita con una potenza spirituale che aumentò di mille volte la sua potenza attrattiva. Adam attese finché non sentì il piccolo oggetto scaldarsi nel palmo della sua mano, che senza il guanto ne sarebbe rimasto ustionato; poi la impugnò a punta in avanti, come un piccolo coltello, e allungò il braccio finché essa penetrò nel campo di forza davanti a lui. L'energia in esso contenuta esplose come una bolla di sapone, nel silenzio più assoluto, e lui poté sentire la calamita raffreddarsi mentre ne assorbiva gli ultimi rimasugli. Un momento dopo, ogni traccia del maligno incantesimo era scomparsa. Cupamente soddisfatto, ignorando lo sguardo perplesso di Kerr, Adam intascò la calamita e avanzò su un lato del sepolcro scoperchiato. Non fu sorpreso nel vedere che la fossa era stata racchiusa in un circolo di chiazze scure che potevano essere soltanto sangue raggrumato. I resti delle candele rosse e il triangolo tracciato col gesso nero presso uno dei lati più corti dello scavo testimoniavano che lì s'era svolto un rito profano, un'evocazione. Con un'espressione attenta e accigliata sul volto patrizio, Adam si chinò a guardare nel sarcofago. Il lastrone di granito che lo aveva ricoperto sembrava piuttosto pesante, e per spostarlo sull'orlo dello scavo dovevano essere occorsi due o tre uomini robusti. Il sarcofago in se stesso era rozzo, di forma trapezoidale come una bara, e una crepatura obliqua lo spaccava in due parti. Non era diverso da dozzine di altri che lui aveva visto in numerosi altri posti, alcuni dei quali proprio nel cimitero accanto all'abbazia di Melrose. Del suo occupante non si poteva dire nulla, per il momento, ma Adam avrebbe giurato che non era stato un uomo comune, e il luogo particolare in cui era stato sepolto lasciava aperta un'ipotesi più delle altre. Un rumore di passi che s'avvicinavano lo distrasse dalle sue riflessioni, e voltandosi vide Peregrine passare sotto il nastro di plastica. L'amico lo raggiunse accanto allo scavo. «Ecco lo schizzo del bassorilievo che mi hai chiesto» disse, mostrandogli il blocco da disegno. «Non so perché ti interessi. Non è neppure molto antico, e... ma cosa... cosa...» Peregrine tacque, con un'espressione che indusse Adam a rialzarsi, ammutolito. Il giovane artista s'era fermato di botto, e aveva risollevato il blocco da disegno e la matita. I suoi occhi, spalancati e attoniti dietro le
lenti degli occhiali, guardavano la cappella sconsacrata come in trance. Dopo qualche secondo cominciò a disegnare rapidamente. Adam si spostò dietro di lui e guardò cosa stava facendo. Sotto l'esperta matita dell'artista, una scena iniziava a prendere forma: un gruppetto di quattro figure senza volto riunite intorno a una tomba aperta. Rendendosi conto che il giovane aveva una delle sue visioni, Adam si trasse indietro e lo lasciò lavorare senza interruzioni; passò sotto il nastro di plastica e uscì nella navata, dove il sergente Kerr li stava aspettando. «Credo di aver visto tutto quel che dovevo vedere, qui» gli disse. «Appena Mr. Lovat avrà finito, ce ne andremo. Lei ha detto che potremo trovare l'ispettore McLeod all'Angler Hotel?» Kerr annuì. «Sì, signore. È ad appena un centinaio di metri verso nord. Io lascerei la macchina qui, se fossi lei. Prenda su per Abbey Street finché arriverà alla piazza. L'Angler è il grosso edificio bianco sulla destra, giusto di fronte a Mercat Cross.» Con la coda dell'occhio, Adam poté vedere che Peregrine aveva messo via la matita e stava chiudendo la copertina del blocco da disegno. «La ringrazio per averci fatto da guida» disse al sergente. «Mr. Lovat e io troveremo facilmente la strada...» L'Angler Hotel, a cui giunsero pochi minuti dopo, era un bel palazzo moderno che vantava un ristorante, una sala riunioni e un bar al pianterreno. Nel parcheggio recintato c'era una ventina di auto, e fra esse Adam riconobbe la Range Rover bianca con l'emblema della polizia che McLeod usava quando si recava per lavoro fuori Edimburgo. Trovarono l'ispettore nel vasto atrio dell'albergo, in mezzo a un gruppo di persone che dovevano essere consiglieri comunali e altre autorità cittadine. C'erano anche un paio di giornalisti, armati di registratori e telecamere, in attesa del permesso di fare qualche ripresa nell'abbazia. «Sì, è un caso che ha degli aspetti ripugnanti» stava dicendo McLeod. «E vi assicuro che faremo il possibile per impedire che fatti di questo genere si ripetano. È per questo che io sono venuto da Edimburgo ad assistere alle prime indagini.» L'ispettore vide che Adam era entrato, e fece un sospiro di sollievo. «Stiamo esaminando la possibilità che i responsabili di questo atto vandalico non siano elementi della criminalità locale, bensì una banda che ha già operato in altre località. Ma per ora questo è tutto ciò che posso dirvi. Avrete altre notizie non appena ci sarà il risultato delle analisi di laboratorio.»
McLeod alzò le mani per tagliare corto ad altre domande dei giornalisti, e uscì dal gruppo per raggiungere Adam e Peregrine all'ingresso principale dell'albergo. «Adam, mi fa piacere che tu sia arrivato» disse McLeod. «Spero che tu non avessi altri impegni per la mattinata.» Adam scosse il capo. «Niente che non potessi rimandare. Noel, voglio presentarti Peregrine Lovat, un giovane pittore già molto conosciuto come ritrattista negli ambienti dell'alta società. Mi auguro che non ti secchi se l'ho portato con me.» «Suppongo che tu abbia ottime ragioni per farlo» disse McLeod, scrutando con attenzione Peregrine mentre scambiava con lui una solida stretta di mano. «Ricordo di averla già vista, Mr. Lovat. Lei era nella galleria del pubblico alla High Court, la settimana scorsa, mentre si discuteva il caso Sherbourne. Avremmo dovuto andare a pranzo insieme, no?» Peregrine parve un po' sorpreso. «Proprio così, ispettore.» Gettò uno sguardo ad Adam e aggiunse, in tono neutro: «Ero lì per eseguire qualche schizzo, a scopo di studio.» «Be', spero che lei non sia stato influenzato da quel che ha sentito durante quell'udienza. Quanto a me, fra gli individui che praticano la magia nera e i ladri di tombe, ce n'è abbastanza per rovinarmi l'appetito.» Prima che Peregrine potesse rispondere a quella cupa osservazione, Adam intervenne: «Siamo già stati all'abbazia» disse. «C'è un posto dove si possa parlare in privato?» «C'è il bar» disse McLeod, indicando una porta. «Dopo ciò che è accaduto questa notte, l'ho dichiarato off limits per tutto il personale e gli ospiti dell'albergo, fino a nuovo ordine.» Nonostante l'atmosfera pesante, Adam sorrise. «Suppongo che sia un posto abbastanza sicuro, allora» disse a McLeod. «Facci strada.» Il bar era un locale spazioso, con alcuni tavolini, un bancone con sopra un barilotto di birra e una macchina per il caffè espresso, tende rosse alle finestre e un caminetto all'estremità opposta. Circa un metro oltre l'ingresso gli agenti della scientifica avevano disegnato la sagoma di un corpo umano, col gesso bianco sulla moquette rossa. «È qui che il cadavere ha deciso di venire a cadere» disse McLeod. Guardò Adam, accigliato. «Te l'avevo detto che secondo me era solo questione di tempo prima che succedesse qualcosa di difficile da spiegare alla stampa, ricordi? Be', non credo di aver convinto quei due giornalisti che questo è un semplice caso di profanazione di tombe. Quelli hanno già in-
tervistato i clienti del bar.» Adam prese una sedia di legno e sedette, invitando con un gesto gli altri due a fare lo stesso. «Cos'è successo, esattamente?» domandò. «Non ti piacerà sentirlo, come non è piaciuto a me.» McLeod sedette su uno sgabello del bar e appoggiò un gomito sul bancone. «Questo posto ha la licenza per stare aperto fino alle due di notte» riferì. «Intorno all'una e mezzo, a quanto dice il barman, lui e i clienti hanno sentito qualcuno raspare alla porta. Uno dei clienti si è alzato ed è andato ad aprire. Il cadavere era lì, in piedi, sulla soglia. Appena la porta è stata aperta è entrato, facendo due passi avanti, e subito è crollato sul posto segnato dal gesso, restando lì.» L'ispettore strinse i denti. «Inutile dire che i clienti sono rimasti sconvolti dalla cosa. Uno ha avuto un collasso. Il barman ha chiamato la direttrice dell'albergo, e lei ha fatto intervenire la polizia locale. Da qui, hanno avvertito Edimburgo. Uno dei miei uomini, del turno di notte, mi ha telefonato a casa per mettermi al corrente. In quel momento erano circa le tre, e ancora nessuno aveva capito da dove fosse sbucata quella salma.» «Così tu hai pensato di venire di persona» disse Adam. McLeod annuì. «Quando il mio uomo mi ha descritto il caso, ho sentito un campanello d'allarme nella testa. Tu conosci questa sensazione. In ogni modo, quando sono arrivato qui ho autorizzato la polizia locale a rimuovere la salma, che ora si trova nella camera mortuaria del Borders General Hospital. Un paio d'altri agenti del turno di notte erano già andati a dare un'occhiata al cimitero. Dapprima nessuno ha pensato di guardare nell'abbazia, perché lì non viene più sepolto nessuno da secoli, però verso l'alba hanno fatto un giro anche in quel piccolo cimitero, e non ci hanno messo molto a scoprire lo scavo fatto all'interno dell'edificio. Tutto fa pensare che il cadavere sia uscito da quel sarcofago, per arrivare fin qui.» Mentre l'ispettore faceva una pausa per respirare, Peregrine non poté trattenersi. «Di certo lei non dice sul serio, quando afferma che un cadavere è arrivato fin qui, come se ci fosse venuto con le sue gambe!» esclamò, incredulo. McLeod lo guardò da sotto le sopracciglia corrugate. «L'unica cosa certa è che questo non è quel che ho detto alla stampa. La versione ufficiale è che l'intera faccenda è opera di una banda di teppisti o dissacratori di tombe dai gusti macabri, i quali si sono divertiti a portare fin qui la salma per far prendere un dannato spavento alla gente.» Scrollò le spalle. «È una ver-
sione che può reggere, se la ripetiamo abbastanza spesso... specialmente se gli unici che possono darci torto sono alcuni frequentatori di un bar che facevano le ore piccole, e forse avevano bevuto abbastanza da non essere giudicati testimoni molto attendibili.» «La storia di un cadavere che cammina è un po' troppo spinta per essere creduta dal pubblico» fu d'accordo Adam. «Anche se almeno due persone in questa stanza sanno che potrebbe benissimo essere vera.» Peregrine ansimò. Aprì la bocca come per dire qualcosa, poi preferì tacere. «Questa faccenda è lontana dall'essere conclusa» continuò Adam con serietà. «Penso che farò meglio a dare un'occhiata a questa salma, il più presto possibile.» McLeod annuì con un borbottio e scivolò giù dallo sgabello del bar. «Molto bene. Prenderemo la mia macchina, per rendere la cosa più ufficiale.» CAPITOLO UNDICESIMO Venti minuti più tardi, un patologo del Borders General Hospital condusse l'ispettore Noel McLeod e i suoi accompagnatori nel gelido ambiente della camera mortuaria dell'ospedale. Peregrine seguiva Adam, col blocco da disegno fra le mani. Non aveva ancora osato riguardare i suoi ultimi disegni, tanto erano inquietanti, e Adam gli aveva accennato di tener chiuso il blocco dopo averci dato appena un rapido sguardo. Il dolciastro odore di decomposizione che stagnava in quella stanza gli faceva venire i brividi, specialmente dopo ciò che aveva visto fra le rovine dell'abbazia. «L'ispettore McLeod desidera esaminare il corpo che è stato portato dall'Hotel Angler questa mattina» disse il patologo all'inserviente. «Sir Adam Sinclair e Mr. Lovat sono con lui.» L'inserviente indicò una delle piccole stanze per l'autopsia che si aprivano sulla camera mortuaria. «È di là, dottore» disse. Andò ad accendere la luce. «Io non so cosa sia successo, ma direi che questo corpo è morto da qualche secolo.» Le fredde luci bianche illuminavano una forma coperta da un lenzuolo, su un tavolo d'acciaio cromato. L'inserviente li precedette nella stanza e fece l'atto di scostare il lenzuolo, ma McLeod gli batté un colpetto su una spalla e scosse il capo. «Vorremmo esaminare il corpo in privato, se non vi spiace. Sir Adam è
un medico. Non abbiamo bisogno di altro.» L'inserviente e il patologo si scambiarono un'occhiata, ma nessuno dei due fece obiezioni. Appena furono usciti, Adam s'avvicinò al tavolo e spostò il lenzuolo. McLeod non mostrò alcuna sorpresa, perché aveva già visto il corpo all'albergo, ma Adam emise un fischio fra i denti. Peregrine diede un'occhiata alla salma, quindi fece una smorfia e distolse lo sguardo. Strisce di tessuto marcio appartenuto a un saio monacale nero erano appiccicate e incorporate a una forma di cui restava poco più che lo scheletro, tenuto insieme da brani di carne secca dura come il cuoio. Le ossa che qua e là spuntavano da quella pelle marroncina lasciavano capire che in vita l'individuo doveva aver avuto all'incirca l'altezza di Peregrine, con spalle larghe e una struttura massiccia, alquanto robusta. Le mani, simili a lunghi artigli mummificati, erano riunite sulla cassa toracica. Le orbite annerite e profonde erano due fosse scure sopra una bocca scarnificata, piena di denti giallastri. Adam esaminò il corpo per alcuni minuti con estrema attenzione, silenzioso e immobile, concentrato nello studio di segni visibili soltanto al suo occhio esperto. Quando infine parlò, la sua voce era amareggiata e aspra. «È già abbastanza spiacevole pensare che i responsabili di questo crimine avessero il potere di richiamare lo spirito di un morto al luogo di sepoltura delle sue spoglie» disse con fredda rabbia. «Ma la cosa davvero terribile è che siano riusciti a costringere quello spirito a rientrare dentro i miseri resti del suo corpo mortale.» La violenza della sua ira parve far vibrare l'aria, benché avesse parlato con voce bassa e quieta. McLeod restò impassibile, ma non disse una parola. Peregrine ebbe un fremito. «Questa è una delle più sordide operazioni che io abbia avuto la sfortuna di vedere coi miei occhi negli ultimi anni» continuò Adam, nello stesso tono gelido. «È una cosa, inoltre, messa in atto da dei negromanti pericolosi. Soltanto un individuo così arrogante da oltrepassare certi limiti a suo stesso rischio può aver tentato un'evocazione di questo genere, vista l'identità del personaggio che stava cercando di piegare alla sua volontà.» Peregrine trovò finalmente il coraggio di guardare meglio il corpo mummificato, e un altro brivido gli scivolò lungo la schiena come un pezzo di ghiaccio. «Ma chi...» riuscì a dire, «chi era quest'uomo, allora?» Adam non aprì bocca. L'espressione della sua faccia era assorta e penso-
sa, come se stesse soppesando fra sé le varie possibili soluzioni a un problema difficile. Fu McLeod a rispondere, con un sorriso in cui non c'era la minima traccia di buon umore. «Lei dovrebbe tornare a scuola, ragazzo mio. L'abbazia di Melrose è nota per essere il luogo di sepoltura di Michael Scot, un uomo di cui si diceva che praticasse le arti magiche.» Peregrine sbatté le palpebre. «Michael Scot?» Stavolta la domanda penetrò nelle riflessioni di Adam, che annuì. «Proprio lui, il più famoso stregone dell'antica Scozia» disse a Peregrine. «Era un uomo che si occupava di molte cose: alchimista, medico, chiromante, demonologo... e lavorò anche come astrologo di corte al servizio dell'Imperatore Federico Secondo, del Sacro Romano Impero. In termini di cultura e capacità scientifiche, era sicuramente uno dei più illustri adepti del dodicesimo secolo.» «Il dodicesimo secolo!» Gli occhi di Peregrine si spalancarono per lo stupore. «Ma questo è... quanto tempo? Settecento, no, ottocento anni fa. Del suo corpo, oggi non dovrebbe restare neanche la polvere!» «Non necessariamente.» Lo sguardo di Adam riassunse il distacco dello studioso. «A parte il fatto che perfino in questo clima umido si verificano localmente condizioni particolari che consentono la conservazione, o la mummificazione, dei corpi, tu dovresti ricordare che secondo la tradizione cristiana (per citarti solo un esempio) non è affatto insolito che i corpi di santi e di mistici resistano alla decomposizione. In effetti, questo fenomeno è da molti secoli accettato come prova postuma della potenza spirituale dell'individuo. Scot era uno stregone d'incredibile potenza... e questo può spiegare la sopravvivenza delle sue spoglie mortali.» Mentre Peregrine cercava di digerire quell'informazione, lo sguardo di Adam si spostò sulla parete, come se stesse guardando oltre. «C'è però una cosa che mi disturba profondamente» proseguì, con calma. «Tutto ciò che ho letto di lui, non lascia dubbi sul fatto che Michael Scot fosse un uomo con cui non si poteva scherzare. Chiunque abbia evocato il suo spirito deve aver incontrato e superato una resistenza molto forte. Continuo a chiedermi come diavolo siano riusciti a farlo!» «Devono aver usato un catalizzatore assai potente» mormorò McLeod. «Forse un talismano di qualche genere. Forse perfino un oggetto un tempo appartenuto a Scot.» Adam annuì, pensosamente. «Un catalizzatore potente... sì. Questo certo spiegherebbe molte cose. Non posso dire di aver saputo che da qualche
parte esistano oggetti un tempo appartenuti a Scot, ma... buon Dio, una cosa ci sarebbe. La Spada degli Hepburn. Ecco perché qualcuno ha rubato quell'arma, un paio di settimane fa.» Il suo sguardo incontrò quello di McLeod, e quest'ultimo ebbe una smorfia. «All'inferno, è possibile» grugnì. Dopo un breve stupito silenzio, Peregrine mormorò: «La Spada degli Hepburn? Non è quella di cui parlava l'articolo del giornale che stavi leggendo la settimana scorsa?» «Sì.» «Ma, se non ricordo male, quella era un'arma del sedicesimo secolo, una spada da schermidore.» Peregrine si passò una mano sul mento. «Tu hai detto che Scot visse nel dodicesimo secolo.» «Proprio così» rispose Adam. «Tuttavia penso che questo non la squalifichi affatto come potenziale catalizzatore, anzi al contrario. Non è necessario che il collegamento con Scot sia di appartenenza. Pensa al proprietario della Spada degli Hepburn.» «Il Conte di Bothwell?» disse Peregrine. Adam annuì. «Giusto lui. Ai suoi tempi, Francis Hepburn, il Conte di Bothwell, era un noto adepto della magia nera. Si diceva che nei suoi riti avesse regolari rapporti coi defunti. Era uno stregone conosciuto anche all'estero. E alla fine, le forze riunite della Chiesa e della Legge radunarono abbastanza prove contro di lui da consentire il suo arresto. Fece appena in tempo a fuggire in Francia, lasciandosi dietro tutto ciò che gli apparteneva... compresa la sua spada.» Adam guardò pensosamente il giovane artista, inclinando la testa. «Peregrine, mi è appena venuta un'idea. Lasciami dare un'occhiata a quei disegni che hai fatto nell'abbazia.» Accigliato lui gli consegnò il blocco da disegno, e quando l'amico sollevò la copertina deglutì un groppo di saliva. Il primo schizzo raffigurava un bassorilievo, e questo Adam lo saltò. Il secondo, che lui aveva realizzato subito dopo il suo ingresso nella cappella, mostrava quattro uomini che indossavano corte mantelline nere col cappuccio, riuniti intorno allo scavo. Il capo era in piedi dietro la testa del sarcofago, dove un triangolo era stato tracciato al suolo. Dal collo gli pendeva un medaglione, e alla mano destra portava un anello. Con la stessa mano impugnava una spada dalla lama sottile, puntata obliquamente in basso verso la tomba aperta. Adam guardò la spada e la forma dell'elsa, poi voltò pagina ed esaminò gli altri disegni, che raffiguravano dettagli più ingranditi della stessa scena.
Fra questi ce n'era uno più particolareggiato della spada, un'arma elegante con un'elsa elaborata, in stile fiorentino. Per quanto lui ne sapeva, Peregrine non aveva mai visto coi suoi occhi la Spada degli Hepburn, tuttavia l'aveva disegnata con precisione. Tanto per esserne più sicuro mostrò il foglio a McLeod. «Che ne pensi, Noel? È questa la spada rubata dal museo di Mossiecairn House?» McLeod annuì senza esitazioni. «Ho visto un paio di fotografie di quell'arma. È questa.» Si voltò verso Peregrine. «Lei è bravo in questo lavoro, ragazzo mio. Ora capisco perché Sir Adam ha voluto portarla con sé.» Peregrine arrossì leggermente sotto lo sguardo acuto dell'ispettore. «Forse c'è anche qualcos'altro, allora, se ho visto bene la spada» disse. «C'era un simbolo... la testa di un animale di qualche genere, incisa sia sopra il medaglione che sopra l'anello dell'uomo che impugna l'arma. Ci ho provato, ma non sono riuscito a vedere che animale fosse. Mi spiace.» «Non c'è bisogno di scusarti» disse Adam, guardando di nuovo i disegni. «Il fatto che tu non abbia potuto vedere chiaramente può non aver nulla a che fare con te. Loro avevano steso un incantesimo di protezione molto forte intorno alla zona in cui lavoravano. La spada che hanno usato era quella di Francis Hepburn, però, su questo non c'è dubbio. E questo è sufficiente per confermare la nostra teoria.» «Già, bisogna riconoscere che hanno avuto una notevole inventiva, chiunque fossero» fu d'accordo McLeod. Contrasse la bocca in una smorfia e accennò verso il disegno. «Quale modo migliore di tenere sotto controllo uno stregone morto che usando la spada di un altro stregone morto?» Adam annuì. «Proprio quello che stavo pensando io. Quasi ogni oggetto usato in operazioni magiche dopo un po' s'impregna di poteri residui... e la spada di Francis Hepburn era evidentemente diventata uno strumento di particolare potenza. Quelli che l'hanno usata contavano su quell'energia per piegare Michael Scot alla loro volontà.» «Ma perché?» domandò Peregrine, scuotendo il capo. «Secondo te, cosa cercavano di ottenere?» «Be', per tutta la vita Scot ha collezionato rare e pericolose cognizioni, in tutti i campi del sapere» disse Adam. «Così di primo acchito, potrei ipotizzare che i nostri intrepidi dissacratori di tombe fossero alla ricerca del libro degli incantesimi di Michael Scot. Molte leggende comunemente note dicono che fu sepolto con lui. Tuttavia non poche di queste leggende affermano che la sua salma si trova all'abbazia di Glenluce, e non a Melrose»
aggiunse. «Il che ci può far pensare che non sempre si può dar credito alle antiche storie.» McLeod annuì pensosamente. «Questo è vero, in genere. Però io sono incline a supporre che quella gente cercasse proprio quel libro di incantesimi. La domanda allora è: lo hanno trovato?» «Io non credo» rispose Adam. «Se il libro fosse stato nel suo sepolcro, non avrebbero avuto alcun bisogno di riportare indietro il suo spirito. Si sarebbero limitati a prendere il libro e andarsene. La mia ipotesi è che, quando si sono accorti che il libro non era nel sarcofago, abbiano usato la spada per riportare Scot dentro il suo corpo, con l'intenzione di costringerlo a rivelare loro dove si trova attualmente il suo libro. «E penso, inoltre, che lui sia stato obbligato a rivelarglielo» continuò, mordicchiandosi un labbro. «Quelli che lo hanno interrogato se ne sono andati dalla cappella molto in fretta... così ansiosi di mettersi alla caccia di quell'oggetto che non si sono neppure preoccupati di annullare l'evocazione dello spirito richiamato dentro la salma.» «Il che spiega perché il corpo di Scot ha cominciato a camminare» finì McLeod. Scosse il capo, accigliato. «Possibile che non abbiano saputo che questo sarebbe accaduto?» «Secondo me, non gliene importava niente» disse Adam. Lo sguardo dei suoi occhi scuri era fermo. «Ma questa loro criminale negligenza potrebbe costargli cara, se io avrò la possibilità di fare quello che spero.» «Co... cosa avresti intenzione di fare?» mormorò Peregrine. «Be', prima di tutto dobbiamo finire ciò che loro hanno lasciato in sospeso, e liberare lo spirito di Scot.» McLeod emise un grugnito di stupore che suonò come un'imprecazione. «Buon Dio, Adam» esclamò. «Ci stai dicendo che lo spirito di Scot è ancora dentro... questa cosa?» Indicò il cadavere mummificato sul tavolo. «Anche in questo momento, mentre noi ce ne stiamo qui?» Adam si mise le mani in tasca, annuendo con calma. «Non sono venuto preparato a una cosa del genere, lo confesso» ammise. «Dovremo improvvisare, e sperare di riuscire a disfare quel che è stato fatto. Se saremo particolarmente fortunati, inoltre, Scot potrebbe essere in grado di dirci chi lo ha evocato, e dove sono andati da qui. In caso contrario...» La sua voce si spense, mentre rifletteva su come affrontare il compito che lo attendeva. Gli occhi di Peregrine, spalancati dietro gli occhiali, rivelavano un certo timore, ma Adam non pensava che il giovane artista avrebbe ceduto. McLeod era il solito pilastro di sostegno, incrollabile. Dopo
qualche momento un piano cominciò a prendere forma nella sua mente, e raddrizzò le spalle. «Va bene» disse ai due compagni. «Ora vedrò che genere di rapporto posso stabilire con Scot. Peregrine, vorrei che tu stessi pronto col tuo blocco da disegno. Ora ne sai abbastanza da accorgerti quando la tua seconda vista è sul punto di entrare in funzione. Disegna qualsiasi immagine tu veda, e col maggior numero di dettagli possibile. Questo potrebbe risultare d'importanza vitale.» Quando Peregrine gli ebbe dato il suo nervoso assenso, Adam si rivolse a McLeod. «Noel, più tardi potrei aver bisogno di chiamarti, ma per il momento ti sarei obbligato se ti limitassi a sorvegliare la porta. La cosa si prospetta abbastanza difficile senza bisogno di interruzioni, che potrebbero essere pericolose.» L'ispettore annuì. «Dici bene, Adam. Stai certo che, se quel patologo vorrà entrare qui, gli occorrerà un bulldozer e una squadra di assistenti molto robusti.» Adam accettò quella baldanzosa assicurazione con un sorriso esile, attese che i due amici avessero preso posto e tolse di tasca il suo anello col sigillo di zaffiro. Dopo averlo palpeggiato distrattamente per un paio di secondi lo infilò al dito medio della mano destra. Poi, protendendo il pollice e l'indice di quella stessa mano, tracciò un lungo ovale nell'aria intorno ai bordi del tavolo d'acciaio, partendo dalla testa della salma e muovendosi in senso orario. Quindi appoggiò entrambe le mani sulla superficie metallica, come se fosse un altare. Per un poco rimase in quella posizione, a testa alta, occhi chiusi, e trasse alcuni lenti e controllati respiri, immergendosi sotto la superficie della coscienza verso livelli di consapevolezza più profondi. Dall'isola di silenzio al centro del suo essere, innalzò la sua breve preghiera evocativa. «Stella del Mare, saggezza più potente, illumina il cammino davanti a me e dietro di me» sussurrò. «Assistimi coi tuoi raggi nelle tenebre, e sii l'astro fulgente che mi guida e mi protegge...» Dapprima non poté sentire niente, a parte l'ombrosa marea che era il suo stesso inconscio, che saliva e scendeva, percorso dalle torbide correnti degli istinti più primevi. Poi a un tratto l'alito di una brezza spirò in quel buio immobile, increspando la superficie della sua psiche e rinvigorendola col bacio dell'ispirazione. E quando lui pronunciò la Parola del suo rango, con la voce profon-
da del cuore, spuntò l'alba. Per qualche momento non poté vedere alcuna forma, nel bagliore che lo circondava. Poi, quando esso si dissolse, si trovò al centro di una stanza spoglia dalle pareti di pietra. Davanti a lui c'era una porta massiccia, rinforzata da listelli di ferro. E appesa a un gancio sulla sinistra della porta c'era una pesante chiave incrostata di ruggine. L'atmosfera della stanza era gravida di rabbia furibonda. Adam si sentiva fremere le estremità dei nervi come se l'aria fosse stata ionizzata da un fulmine. La sorgente di quella rabbia si trovava dall'altra parte di quella porta chiusa. Ciò che lui vedeva erano immagini-simbolo, ma non poteva avere dubbi sul fatto che l'entità da cui emanava l'ira un tempo aveva risposto al nome di Michael Scot. Adam studiò la scena per qualche momento, soppesando la realtà fisica nascosta sotto le immagini visuali. La logica simbolica esigeva che lui prendesse la chiave e aprisse la porta, per mettere Scot in libertà. Lui diffidava dell'apparente semplicità di quella soluzione, ma non poteva vedere le tracce di un'eventuale alternativa. Alla fine, cupamente consapevole che stava sfidando il pericolo, risolse di agire e prese la chiave. Venne via dal gancio senza opporre alcuna resistenza. Con un sospiro di sollievo Adam rigirò la chiave fra le mani, esaminandola con attenzione. Era solidamente costruita, con delle complicate incisioni sotto la ruggine, ma nonostante quell'esame ravvicinato la sua forma precisa era sfuggente e ingannava l'occhio. Conscio di un prurito d'avvertimento dietro la nuca, infilò la chiave nella serratura e diede un energico giro verso destra. Il meccanismo scattò e la porta si aprì di colpo. Nello stesso istante i riferimenti visivi di Adam esplosero in fiamme. Intorno a lui crepitavano e danzavano alte lingue di fuoco. Cercò di farsi indietro e scoprì d'essere incatenato a un alto palo. Davanti a lui troneggiavano le possenti guglie gemelle di una cattedrale gotica, seminascoste da una nuvola di fumo oleoso. La piazza in cui si trovava era gremita di una folla cenciosa che urlava feroci invettive nella lingua di un'altra epoca. Il dolore delle ustioni gli azzannò i piedi e le gambe, mentre la sua carne veniva bruciata fino all'osso. In pochi secondi la parte inferiore del suo corpo fu divorata orribilmente dal calore. Dalla sua gola scaturivano rauche grida di dolore, mentre le fiamme si facevano sempre più alte. Non c'era scampo... non c'era scampo...
NO! Tu non sei Jauffre de Saint Clair! Tu sei Adam! Sir Adam Sinclair... signore di Strathmourne... barone di Templemor... Maestro della Caccia! Aggrappandosi a quelle frasi che erano la sua identità attuale, lui recitò più volte il suo nome e il suo titolo come una litania, negando il passato che era passato e affermando il presente. Le fiamme indietreggiarono di fronte alla forza della sua convinzione, e lui approfittò di quella pausa di respiro per chiamare a sé i poteri che erano il dono della Luce. Nuova forza fluì dentro di lui, come una sorgente d'acqua viva. Le catene che lo trattenevano si sgretolarono in pezzi; il fuoco si abbassò con un furioso sibilo di energie che venivano spente. Come la fenice dello stemma dei Sinclair, il suo spirito liberato s'involò dalle ceneri della precedente esistenza. Poi quelle immagini scomparvero e lui tornò alla coscienza normale, di nuovo nel freddo della camera mortuaria del Borders General Hospital. Peregrine lo stava guardando con aria molto preoccupata. Appena vide che Adam aveva riaperto gli occhi, venne verso di lui. «Come ti senti?» gli domandò. «Tutto bene?» Mentre Adam annuiva, un po' stordito, la faccia di McLeod apparve accanto a quella di Peregrine. «Cosa diavolo è successo? Stavi gridando. Ho temuto che il personale dell'ospedale si sarebbe precipitato qui dentro.» Adam trasse un lungo respiro, lottando per ritrovare la calma. «Per un momento ho avuto paura che il passato stesse per ripetersi» disse con voce spessa. «Vuoi dire il tuo passato.» McLeod annuì seccamente. «Cos'era, allora, una specie di trappola?» «Non esattamente.» Adam si accigliò, ripensandoci. «Non tanto una trappola quanto un... un effetto collegato all'incantesimo di prigionia che i nostri arroganti amici hanno usato per trattenere Scot.» Allo sguardo interrogativo di McLeod, si sforzò di trovare una spiegazione più chiara. «Mettiamola così» tentò. «Diciamo che l'incantesimo è stato costruito per svegliare una risonanza dal passato. Chiunque entri nel suo campo d'energia, rischia di rivivere degli episodi della sua storia personale.» «Tu pensi che loro si aspettassero un'interferenza da parte di qualcuno come te, allora?» domandò McLeod. Adam scosse il capo, ancora pensoso. «Non a questo livello, di certo. Dubito che si aspettassero un'indagine consapevole. Se fosse stato così, sarebbe stato più semplice per loro richiudere l'incantesimo aperto sul luogo
della sepoltura, piuttosto che perdere tempo a montare una trappola. E infatti, quella che si sono lasciati alle spalle non intendeva essere una trappola. Io credo di essere stato assorbito nell'incantesimo fatto da loro per riportare indietro Scot. È proprio questo aspetto casuale e impreciso della loro azione che li rende difficili da prevedere e pericolosi da seguire. Dovremo stare in guardia, da ora in poi.» Peregrine annuì, con espressione fra incerta e intimorita, e McLeod grugnì un assenso. «E per quanto riguarda Scot?» «Io ho spezzato solo una parte dei suoi legami» rispose Adam. «C'è da sciogliere ancora la parte fisica. Non dovrebbe essere rischiosa come la prima, però. E inoltre, se posso, mi piacerebbe sapere cosa Scot ha detto loro.» McLeod lo scrutò con uno sguardo indagatore; poi si strinse nelle spalle, apparentemente soddisfatto. «Se è questo che vuoi, fai pure. Io sorveglierò la porta, come prima.» L'ispettore si spostò di qualche metro. Peregrine restò a osservare in rispettoso silenzio, mentre l'amico eseguiva una serie di gesti rituali che culminarono con la traccia di un pentagramma e poi di un circolo nell'aria, sopra il corpo di Scot. Fatto questo, Adam tracciò un terzo simbolo sulla fronte della salma, con un pollice, e infine chiuse gli occhi mormorando una parola di comando in una lingua che a Peregrine parve latino. Il corpo sul tavolo d'acciaio cominciò a fremere. La bocca priva di labbra si mosse, i denti ingialliti della mandibola batterono su quelli della mascella. I tremiti divennero un parossismo di sussulti che andò avanti per qualche momento. Poi, di colpo, il corpo cessò di muoversi, a parte un lieve movimento delle dita scarnificate. Adam restò immobile per una decina di battiti di cuore. Quindi riaprì gli occhi, scostò il pollice dalla fronte di Scot e si volse a McLeod. «Scusami, ma ho bisogno di te, Noel» disse. «Scot è d'accordo, anzi è ansioso, di comunicare con noi, ma il suo corpo è troppo malridotto. Tu te la senti di essere la sua voce?» McLeod ebbe una smorfia e sospirò rassegnato. «Temevo che si sarebbe arrivati a questo» disse. Aprì la porta per dare un'occhiata di controllo all'esterno, quindi la richiuse e accennò a Peregrine di prendere il suo posto. «È un bene che il pastore della mia parrocchia non sia qui a vedere cosa sto facendo, altrimenti rifiuterebbe di lasciarmi rimettere piede in chiesa.» L'ispettore si fece il segno della croce mentre s'avvicinava al tavolo che
era diventato il loro altare, e la sovrapposizione di quel gesto religioso ai segni magici strappò un sorrisetto ad Adam. «Non preoccuparti del pastore della tua chiesa» disse. «Auguriamoci piuttosto che il patologo, là fuori, non si faccia venire degli strani sospetti.» «Se l'autorità di un ufficiale di polizia conta ancora qualcosa, il patologo si farà gli affari suoi» disse McLeod. «Coraggio, proseguiamo.» Portandosi sull'altro lato del tavolo, l'ispettore si tolse gli occhiali e li mise in una tasca interna, quindi poggiò le mani sul tavolo come aveva fatto Adam e chiuse gli occhi. Quasi subito la sua respirazione rallentò al ritmo lento che Peregrine cominciava ad associare coi preliminari della trance. Sul volto di Adam c'era un'espressione rilassata, quasi sognante, anche se lui aveva invece gli occhi ben aperti. Nella camera mortuaria c'era il silenzio più completo. Dopo un lungo momento Adam si protese sul tavolo e toccò leggermente McLeod fra gli occhi. Poi appoggiò le mani sul tavolo e guardò la salma in mezzo a loro. «Michael Scot, la porta è aperta per riceverti» disse ad alta voce. «Entra in questo ricettacolo senza timore.» Un secondo o due d'intervallo. Poi il corpo massiccio di McLeod fu percorso da un fremito. L'uomo aspirò profondamente e aprì gli occhi. Dall'altra parte del locale Peregrine ebbe un ansito, perché l'espressione che il volto dell'ispettore stava assumendo gli deformava i lineamenti, rendendolo quasi irriconoscibile. Anche gli occhi, quando si aprirono, sembravano appartenere a una persona del tutto diversa. «Michael Scot... parlami, fratello» lo esortò con urgenza Adam. Le labbra di McLeod si aprirono. Dapprima ne uscirono solo alcuni mormorii incomprensibili, come di prova, poi una voce sconosciuta parlò, in un dialetto scozzese così antico da risultare comprensibile a stento. «Che posto è questo?» domandò l'entità che aveva preso possesso del corpo di McLeod. «Dove mi trovo, nello spazio e nel tempo?» «Tu sei nella città di Melrose» disse Adam, scandendo bene le parole. «Ma otto secoli sono trascorsi da quando le tue spoglie sono state sepolte qui, nell'abbazia.» «C'è stata un'evocazione profana. Quanto tempo è passato da questo fatto così indegno e biasimevole?» «Non lo sappiamo per certo» rispose Adam. «Almeno dodici ore... metà di una giornata, diresti tu. Ma potrebbe essere di più, forse i tre quarti di una giornata.»
«I tre quarti di una giornata!» Una luce di paura lampeggiò in quegli occhi spalancati. Il suo sguardo si spostò qua e là, come cercando qualcosa che si trovava fuori da quella stanza. «La corda... la corda d'argento si sta spezzando!» mormorò la voce dello stregone. «Il cuore della fanciulla sta per cedere!» «La fanciulla!» Adam trasalì, visibilmente sorpreso. La sua faccia rivelò una certa preoccupazione. «Dunque tu hai un'identità, in questa epoca attuale?» «Sì!» La presenza che era Michael Scot mandò fremiti inquieti nel corpo del suo ospite, e la voce si fece rauca per la paura. «È una fanciulletta... ancora una bambina. E la morte incombe su di lei, pericolosamente vicina!» Quelle parole fecero scorrere un brivido freddo nella schiena di Peregrine. Poi la sua visuale si annebbiò. Con gli occhi della mente vide l'immagine di una giovinetta appena pubere. Giaceva immobile su un letto d'ospedale, nella gelida morsa di un coma profondo. Sul suo morbido volto ovale, pallidissimo, risaltava una spolverata di lentiggini... «Il tempo stringe» mormorò la voce di Michael Scot. «Devo tornare subito a lei, o non mi resterà che attendere un altro giro della Ruota.» Il suo tono si fece urgente, un appello disperato: «Per tutto ciò che è sacro, se tu sei un mio fratello, ti chiedo di rilasciarmi. Rilasciami subito, finché ho ancora un corpo a cui tornare!» «E così farò, stanne certo» promise Adam con fermezza. «Ma prima ti prego di dirci, se tu lo sai, chi è stato a evocarti e perché lo ha fatto.» «Seguaci della Via Oscura...» La voce di Scot era sempre più angosciata. «Loro volevano il mio libro, il mio oro... l'oro del filosofo, che è il segreto per svelare tutti gli altri segreti. Mi hanno costretto con un incanto, e io non ho potuto impedire che mi fosse strappata la conoscenza del luogo dove giace il tesoro.» La voce di Scot si ruppe in un singhiozzo. Gli occhi azzurri di McLeod si chiusero, mentre uno spasmo doloroso lo faceva piegare in avanti. «Il libro e l'oro sono sorvegliati» continuò la voce contratta dello stregone. «Ma i Seguaci della Via Oscura possono prevalere, grazie al potere che hanno usurpato.» I suoi occhi tornarono su Adam. «Giurami che tu li perseguirai, e io ti svelerò liberamente ciò che essi mi hanno estorto con la forza.» «Sì, te lo giuro!» esclamò Adam. «Nel nome del mio Uffizio, come Maestro della Caccia, io giuro che farò tutto quel che è in mio potere perché
giustizia sia fatta.» Questa dichiarazione fu accettata con un fosco cenno del capo da Scot. Soddisfatto, lo stregone si volse e proiettò la sua compulsione su Peregrine. All'improvviso il giovane artista si trovò intrappolato da quello sguardo, incapace di distogliere gli occhi. Un dolore gli attraversò i globi oculari, portando con sé un flusso di immagini mentali, e quella forza lo costrinse a prendere carta e matita. Dimenticando tutto ciò che gli stava attorno cominciò febbrilmente a disegnare, dedicando ogni sua energia al tentativo di mettere nero su bianco le immagini che sfilavano dentro di lui. Un castello, su un basso colle... una distesa d'acqua sotto di esso... una spiaggia sassosa a forma di mezzaluna... una caverna nella roccia... Con la matita che volava sul blocco da disegno, Peregrine riempì parecchi fogli successivi a una velocità che non poteva controllare. Quando infine la compulsione di Scot lo lasciò libero, l'intera mano gli faceva male per lo sforzo. Per vincere il crampo che gli attanagliava la mano dovette aprire le dita, prive di forza. La matita cadde sul pavimento con un lieve rumore, che fece voltare Adam. Subito però il suo sguardo tornò su Scot. Per un istante i due si guardarono in silenzio, quindi Adam fece un triplo segno orizzontale fra loro, nell'aria. «Nel nome dell'autorità dei Sette io ti rilascio, fratello» disse, con voce risonante come una campana. «Vai in pace, e adempi il destino che ti è stato assegnato.» L'aria lasciò i polmoni di McLeod con un ansito, e l'uomo dovette aggrapparsi al tavolo da autopsia per non cadere. La salma che aveva davanti parve contrarsi su se stessa. Sotto lo sguardo incredulo di Peregrine, le membra mummificate si sgretolarono in pochi secondi finché di esse non restò che un mucchietto di polvere grigia. Nello stesso momento McLeod perse il suo già precario equilibrio e cadde in ginocchio, respirando affannosamente. Adam s'era subito precipitato intorno al tavolo al suo primo accenno di cedimento, e gli passò un braccio attorno prima che l'altro si rovesciasse all'indietro. Tenendolo stretto con l'aiuto di un ginocchio si frugò in una tasca interna e ne trasse fuori una fiala di ammoniaca, a cui spezzò l'estremità con un'esperta pressione del pollice. Poi la passò sotto il naso dell'ispettore. «Coraggio, amico mio» mormorò Adam, mentre l'uomo distoglieva il volto con una smorfia per sfuggire al pungente odore. Lui lo costrinse a re-
spirarne ancora un poco. Stavolta l'ispettore scosse il capo e riaprì gli occhi, benché il suo sguardo fosse ancora fuori fuoco. «Va tutto bene, vecchio mio» lo rassicurò Adam, poggiandogli un paio di dita sul collo per sentire le pulsazioni cardiache. «Fra poco starai meglio. Ma non cercare di muoverti troppo, per ora. Credo che Scot sia uscito da te più in fretta di quel che sarebbe stato opportuno.» «Ouch... già, è proprio quel che ha fatto» mugolò McLeod, sedendosi cautamente al suolo con l'aiuto di Adam. Trasse qualche profondo respiro per schiarirsi la mente. «Dio, come odio fare queste cose. La testa mi duole come se volesse esplodermi.» «Fra qualche minuto ti passerà» disse Adam. «Vuoi provare a metterti in piedi?» «D'accordo.» Sostenuto da Adam, l'ispettore si tirò in piedi e s'appoggiò al bordo del tavolo, apparentemente per nulla sorpreso che il corpo sopra di esso fosse ora ridotto in polvere. Quando Adam fu sicuro che l'amico fosse di nuovo ben saldo sulle gambe, si voltò verso il tavolo e con pochi gesti rituali sciolse l'incantesimo che ancora stagnava su di esso. Soltanto allora sembrò ricordarsi che lì c'era anche Peregrine. «Spero che questa faccenda non ti abbia sconvolto troppo» gli disse. «Allora, cos'hai fatto?» Il giovane artista si stringeva al petto il blocco da disegno come fosse un salvagente, e continuava a guardare McLeod come se non fosse del tutto sicuro che era tornato a essere se stesso. Sotto lo sguardo interrogativo di Adam tentò un sorriso. «Be', ho ricevuto qualcosa, da... ehm, da qualcuno» rispose, guardandoli entrambi. «Ispettore, quando lei ha cominciato a guardarmi, nella mia testa hanno preso forma delle immagini. Non riuscivo a scacciarle. E poi, senza che lo volessi la mia mano ha iniziato a disegnarle, una dopo l'altra, e... non riuscivo a fermare neanche la mano.» McLeod ridacchiò, scuotendo il capo. «Non ero io a farle questo, ragazzo mio» disse. «Lei sta suggerendo che era Michael Scot, allora» disse Peregrine, a disagio. «E suppongo che questa sia una risposta probabile, perché... be', certo non sono stato io a sognarmele.» Mostrò loro il blocco per appunti, con mano tremante. «In ogni modo, qualunque cosa sia questa roba, e chiunque me l'abbia trasmessa, è tutto qui sopra.» Li guardò, con aria di sfida. «Volete darci u-
n'occhiata?» Nel sentirgli spiegare così quel che gli era successo, Adam si permise un sospiro di sollievo. «Ben fatto» disse, in tono d'approvazione. «Hai messo da parte il come e il perché, e ti sei concentrato sul cosa. Ma credo che dovremo aspettare, finché avremo finito di sistemare le cose giù all'abbazia. Ci sono ancora degli influssi negativi sui quali qualche innocente troppo sensibile potrebbe inciampare, se non completassimo a dovere il nostro lavoro.» Adam guardò McLeod. «Te la senti di camminare?» L'ispettore si aggiustò il nodo della cravatta e inforcò di nuovo gli occhiali. «Sì. Ora sto bene, grazie. Avevo bisogno solo di riprendere fiato.» Osservò il lungo mucchietto di polvere sul tavolo e fece una smorfia pensosa. «Suppongo che questo dovesse accadere, una volta esposto il corpo all'aria... come qualsiasi archeologo potrà confermare.» Lui e Adam si scambiarono un'occhiata significativa. «Sarò lieto di confermare questa spiegazione al patologo dell'ospedale. Purtroppo non ci si poteva aspettare che una salma in quelle condizioni resistesse per molto» disse Adam. «Ma intanto, sarà meglio tornare subito all'abbazia.» «Molto bene» annuì McLeod. «E quando avremo finito là, farò riportare la polvere di Michael Scot nel suo sepolcro, affinché riposi in pace...» CAPITOLO DODICESIMO Una volta tornati alle rovine dell'abbazia, Peregrine fu lasciato a recitare il ruolo dell'osservatore affascinato mentre Adam e McLeod si aggiravano intorno al sepolcro scoperchiato di Scot, stavolta per eliminare con gli opportuni scongiuri ogni residuo degli incantesimi lasciati sul posto dai violatori di tombe. La maggior parte dei loro gesti erano troppo sottili e particolari perché l'occhio inesperto del giovanotto potesse individuarli, ma anche lui pian piano si accorse che l'atmosfera all'interno della cappella sconsacrata s'era alleggerita. Quando i due uomini ebbero finito, ogni traccia del lavoro dei loro avversari era stata efficacemente annullata. Mentre li seguiva in silenzio verso il posteggio delle auto, fuori dalla cancellata, Peregrine ebbe la netta percezione che un delicato equilibrio fosse stato ristabilito. Era ormai passata l'una. Quando Adam suggerì di provare il ristorante dell'Hotel Waverly, i tre si diressero da quella parte per un meritato pran-
zo. McLeod chiese al maitre una stanzetta privata adiacente alla sala principale, e quando la cameriera ebbe preso le loro ordinazioni Adam concesse finalmente a Peregrine di tirare fuori il suo blocco da disegno. «Se teniamo presente che ogni tanto la cameriera potrebbe entrare senza preavviso, credo che questo sia un posto abbastanza sicuro» disse, aprendo la copertina. «E ora vediamo cosa abbiamo ottenuto.» Peregrine aveva fatto in tutto cinque disegni. Il castello nel primo foglio era una costruzione d'aspetto semplice, più un fortilizio che un'abitazione, di forma quasi cubica, racchiuso entro un muraglione di pietra grigia. Il secondo disegno rappresentava lo stesso castello osservato da un punto più lontano, e lo mostrava sulla dorsale di un piccolo promontorio lungo e stretto, circondato da una vasta distesa di acque scure. Il terzo disegno mostrava ancora il castello ma visto dal mare, o lago che fosse, e in primo piano appariva una spiaggia sassosa a mezzaluna, racchiusa fra alte rocce e macigni spezzati. Il quarto forniva un dettaglio più ravvicinato dei macigni, mentre il quinto era la pianta di una caverna nella roccia, a forma di ferro di cavallo. Fu quest'ultimo disegno a tenere inchiodato più a lungo lo sguardo di Adam. «Questa non è una comune caverna» disse infine, battendo sul foglio la punta del dito indice. «Ora capisco il pieno significato di ciò che ha detto Scot, affermando che il suo libro e il suo oro erano protetti. Guardate qui.» Il suo dito stava indicando un punto sull'ingresso della caverna, dove la matita di Peregrine aveva disegnato un curioso simbolo, una specie di quadrifoglio fatto di linee sottili. McLeod si pulì gli occhiali per osservarlo meglio, e dopo qualche momento scosse il capo. «Se questo è uno stemma di qualche genere, devo confessare che per me non significa niente.» Guardò Adam. «Di cosa può trattarsi?» Lo sguardo di Adam aveva una luce che gli altri due ormai conoscevano bene. «È un seamrag... il segno dei Sidhe» disse, piegando un angolo della bocca in un sorrisetto. «Si direbbe, cari signori, che il libro degli incantesimi e l'oro di Scot siano custoditi dal "popolo delle colline", la magica corte degli elfi.» «Gli elfi?» Stupefatto, Peregrine lo guardò con tanto d'occhi, senza capire se scherzasse o meno. Gettò un'occhiata a McLeod, ma questi aveva un'aria imperscrutabile. Voltandosi di nuovo verso Adam, il giovane artista si accigliò. «Non stai dicendo sul serio, vero?» «Al contrario, sono serissimo.» La luce negli occhi di Adam s'indurì. «In ogni modo, se in te si fossero svegliate visioni di gentili spiritelli con ali di
farfalla e coroncine di fiori, ti suggerisco di scordartene una volta per tutte. I Sidhe, per usare il loro antico nome gaelico, sono esseri annoverati fra gli elementali, gli ordini basilari della creazione. Dispongono di poteri del tutto sproporzionati alle loro dimensioni. Sono tutti quanti capricciosi, imprevedibili. Molti di loro sono decisamente pericolosi, e alcuni hanno un ripugnante appetito per la carne e il sangue degli uomini.» Peregrine si agitò a disagio sulla sedia; non se la sentiva più di riderci sopra. «I Sidhe sono dei formidabili guardiani per ogni oggetto di valore» disse Adam. «Questo perché hanno un istinto territoriale molto forte, in alcuni casi omicida. E non possono essere corrotti, o convinti a farsi da parte.» Con un sospiro Adam continuò: «Tuttavia è possibile distrarli, o anche battersi con loro, a patto che uno abbia le opportune conoscenze e potere sufficiente. Visto ciò che i nostri ladri di tombe hanno fatto qui a Melrose, è molto probabile che il loro capo disponga delle risorse necessarie per riuscire nell'impresa. Questo è sicuramente ciò che Scot temeva. E noi non abbiamo altra scelta che procedere da questo presupposto.» «Io sarò lieto di procedere in qualsiasi modo, non appena sarai pronto» borbottò McLeod. «Purché tu mi dica dove.» «Il dove lo abbiamo qui» rispose Adam, tornando al disegno del castello. «La parte difficile sta nel determinare la località in cui si trova, e l'aspetto che ha in quest'epoca. L'intera zona potrebbe aver subito mutamenti notevoli.» McLeod non parve sorpreso di quella precisazione, ma Peregrine rimase ammutolito per qualche istante. «Non dirmelo» mormorò poi. «Quello che io ho visto erano risonanze del passato, e non immagini del presente. È così?» Adam si strinse nelle spalle. «Non è colpa tua. Le immagini che hai ricevuto venivano dai ricordi che Scot aveva di quel posto... ricordi vecchi ormai di ottocento anni. Il castello che lui conosceva è certo cambiato molto... sempre che esista ancora. Localizzare il luogo in cui sorge, o sorgeva, può essere una sfida non facile da affrontare.» Peregrine guardò cupamente i disegni che aveva fatto. «È un peccato che Scot non ci abbia semplicemente dato il nome di questo posto.» «Tu stai presumendo che nella sua epoca avesse un nome, oppure che quel nome fosse lo stesso di oggi» replicò Adam. «Da quelle parti, magari, può darsi che la gente lo chiamasse soltanto "il forte" o "il castello".» Fece una pausa, per lasciare che gli altri due assorbissero quel concetto,
poi continuò: «In ogni modo, il nome non lo abbiamo. E non bisogna biasimare Scot per questo. Lui ha fatto del suo meglio, date le condizioni in cui era al momento. Se la sua situazione fosse stata meno critica, ovvero se lui fosse stato in grado di sostenere una comunicazione verbale più prolungata, è possibile che ci avrebbe dato un maggior numero di dettagli e di indicazioni. Non dimenticate che era stato appena evocato dentro un corpo semidistrutto, dopo una lotta tormentosa, e che stava soffrendo pene che noi non possiamo immaginare. Se lo avessimo trattenuto oltre, ciò avrebbe prolungato ingiustamente questa tortura e aggravato le sue condizioni. Io mi ero impegnato a liberarlo, e non ho voluto approfittarmi di lui.» Peregrine mantenne un pensoso silenzio. McLeod raccolse il blocco da disegno ed esaminò ancora gli schizzi. «Sembra che dovremo arrivarci nel modo più difficile» disse infine l'ispettore, con un sospiro. «Se non altro, possiamo eliminare fin dall'inizio tutte le costruzioni medievali che non sono sulla riva di specchi d'acqua. Mi chiedo se si arriverebbe a qualcosa confrontando questi disegni con le fotografie dal cielo dei siti archeologici scozzesi.» «Se gli altri tentativi falliranno, certamente proveremo anche questo» fu d'accordo Adam, mentre McLeod spingeva il blocco da disegno verso di lui. «Tuttavia, potrebbe esserci un modo migliore.» I due compagni lo guardarono con aria d'attesa. «Per fortuna noi sappiamo che lo spirito di Scot si è reincarnato in quest'epoca, e che attualmente è una fanciulla» disse Adam. «Se potessimo trovare questa persona, è possibile che io riesca a estrarre dal suo subconscio informazioni sufficienti a metterci sulla buona strada.» «È in un letto d'ospedale...» disse Peregrine, prima di poterselo impedire. Gli altri due lo fissarono intensamente, e sotto i loro sguardi il giovane artista ebbe un sorrisetto nervoso, mentre cercava di ricatturare l'immagine che gli era apparsa sullo schermo della mente per qualche breve istante. L'esperienza era stata così fuggevole che non ci aveva fatto molto caso e se n'era quasi dimenticato. «Io... prima che Scot mi facesse fare questi disegni, ho ricevuto un'altra visione...» Peregrine si mordicchiò un labbro, incapace di frugare più a fondo nella memoria. «È tutto molto vago. A pensarci bene, non so neppure perché ho detto che era una stanza d'ospedale... capite, è stato appena un flash... soltanto un volto e...» Scosse il capo, frustrato, e guardò Adam come in cerca d'aiuto. Quest'ul-
timo si volse a controllare che la porta della saletta fosse chiusa, poi si sporse verso Peregrine e gli appoggiò una mano sulla fronte. «Chiudi gli occhi e rilassati, Peregrine. Fai un lungo respiro e lascialo uscire.» Adam attese che l'altro ubbidisse, poi tolse la mano, aprì il blocco per appunti a una pagina nuova e lo poggiò sul tavolo davanti a lui. «Ora lascia che la tua mente ritorni in quella stanza d'ospedale, e guarda l'immagine che Michael Scot ti ha mandato... l'immagine della fanciulla che è l'attuale incarnazione di Scot. Annuisci, non appena la vedi.» Dietro le palpebre di Peregrine i suoi occhi si mossero qua e là. Poi si fermarono, e la sua testa si mosse in un assenso. «Bene.» Senza distogliere lo sguardo dal giovane artista, Adam si fece consegnare una penna da McLeod e la mise fra le sue dita inerti. «Ora apri gli occhi e disegna ciò che vedi. Nulla ti deve distrarre finché avrai finito.» Con aria sognante Peregrine risollevò le palpebre, mentre la penna già si muoveva sul foglio. Con gli occhi spalancati in una totale concentrazione si dedicò a quel compito, senza alzare lo sguardo neppure quando la cameriera entrò nella saletta per portare l'acqua minerale. Appena ebbe finito, depose la penna sul tavolo. Adam gli poggiò una mano sul polso. «Molto bene. Ora, appena te lo chiederò, tornerai al tuo stato di veglia normale... risvegliati!» Mentre il giovanotto si schiariva la gola, sbattendo le palpebre, Adam girò il disegno in modo che McLeod potesse vederlo. Da lì a poco anche Peregrine inclinò la testa per vedere cos'aveva disegnato. Immersa nel biancore di un letto d'ospedale, una fanciulla giaceva a occhi chiusi. Poteva avere qualsiasi età fra i dieci e i quattordici o quindici anni; il suo volto era incorniciato da corti riccioli biondi, e una spolverata di lentiggini sugli zigomi avrebbe potuto darle un'aria sbarazzina, se non fosse stato per il suo pallore e l'impressione di rigidità che emanava dal suo corpo, vagamente visibile sotto le coltri. Su entrambi i lati alcuni colpi di penna a sfera suggerivano la presenza di diverse persone riunite intorno al letto, ma non si poteva dire se fossero parenti ansiosi oppure medici e infermiere, perché la penna non aveva delineato i dettagli che solitamente Peregrine catturava con la sua matita. «Questo è molto interessante, Peregrine» disse Adam, voltandosi verso di lui. «È l'immagine che hai visto quando eravamo nella camera mortuaria?» L'altro annuì. «L'avevo dimenticata, fino a poco fa. Suppongo che quelle visioni del castello mi avessero sopraffatto. Pensi che potrà essere utile?»
«Hmmm, può darsi. Noel, tu ci vedi qualcosa di particolare?» L'ispettore scosse il capo, rammaricato. «Temo di no. Potrebbe essere qualsiasi ospedale, e la ragazzina è come mille altre.» «Sì, ma le due spalliere del letto, che qui vediamo abbastanza bene, indicano che si tratta di un ospedale moderno. Inoltre la ragazzina ha delle caratteristiche» puntualizzò Adam. «Per esempio è evidentemente di razza bianca, sui dodici anni, e... cos'è questo rettangolo appeso ai piedi del letto, Peregrine? È una cartella clinica?» Perplesso, il giovanotto guardò di nuovo il disegno. Il rettangolo bianco era quasi in primo piano, e su di esso lui aveva accennato con due vaghi tratti di penna alla presenza di qualche riga di scrittura. Dunque avrebbe benissimo potuto essere una cartella clinica, che però lui non aveva messo a fuoco perché la sua attenzione era accentrata sul volto della giovanetta. «Adam, mettimi di nuovo in trance» disse, frugandosi in tasca alla ricerca della matita. McLeod inarcò un sopracciglio, e Adam gettò un'occhiata alla porta della saletta, ma poi poggiò una mano su un braccio dell'amico. «Peregrine, vedi qualcosa?» «Ancora non posso vedere niente. Ma tu mettimi ancora in trance, per favore. Subito. Trance profonda.» McLeod faticò a controllare un sorriso, perché nessuno poteva ordinare ad Adam Sinclair di fare niente. Ma quest'ultimo, dopo aver guardato l'espressione di Peregrine, gli mise di nuovo una mano sulla fronte. Dietro le lenti degli occhiali le palpebre di lui si chiusero immediatamente. Ogni tensione lo abbandonò, come una marionetta dai fili tagliati. «Così va bene» mormorò Adam. «Scendi nella trance. Tu puoi farlo anche da solo, se vuoi, ma per ora ti guiderò io con la mia voce. Rilassati e respira lentamente, così, e sentirai il tuo essere scivolare giù molto più in basso di prima. Ecco, ora puoi osservare cose che prima non avevi notato. Piccole cose ma molto importanti. «Fai ancora un lungo respiro e scendi più in profondità. Ora stai cominciando a mettere a fuoco l'immagine. Tienila ferma nella mente, guardane ogni particolare, e concentrati sul rettangolo bianco ai piedi del letto. Così. Ora, appena potrai vedere chiaramente quel rettangolo bianco... disegnalo.» Per alcuni lunghi secondi non accadde niente. Con gli occhi chiusi Peregrine abbassò la testa fino a poggiare la fronte sulla mano sinistra, col gomito puntellato sul tavolo. Trascorse un minuto e più, sull'orologio di
McLeod, mentre lui e Adam si scambiavano sguardi un po' incerti e tutto ciò che Peregrine faceva era respirare. I suoi movimenti oculari suggerivano una certa attività interiore, ma la sua mano destra ancora non si muoveva. Poi, all'improvviso, la matita fremette. Gli occhi si aprirono come due fessure e la mano cominciò a disegnare febbrilmente sul foglio bianco. I particolari della spalliera metallica ai piedi del letto erano molto nitidi, e così anche quella che appariva come una tipica cartella clinica appesa con un gancio alla spalliera. Sulla prima riga della cartella si leggeva chiaramente un nome: Gillian Talbot. Qualche istante dopo Peregrine si fermò. Adam gli toccò il braccio. «Hai finito?» gli domandò sottovoce. Al sonnolento cenno d'assenso di Peregrine, l'amico scambiò un'occhiata con McLeod. «Va bene. Ora, appena sarai pronto, tornerai alla piena coscienza. Lentamente, perché sei sceso molto in profondità e devi risalire. Risalirai da solo. Senza fretta.» Mentre attendevano che l'amico uscisse dalla trance, gli altri due guardarono il disegno, senza commenti. Dopo cinque o sei secondi il giovane artista si riscosse e aprì gli occhi. «Sei sicuro di aver visto bene?» gli domandò Adam indicando la scritta. Peregrine si passò le mani sulla faccia. Poi si strinse nelle spalle. «Sicuro per quanto posso esserlo con queste visioni. Se il resto è reale, suppongo che si possa considerare reale anche questo.» McLeod annuì, appoggiandosi alla spalliera della sedia. «Giusto. Be', almeno possiamo dire che Gillian Talbot è un buon nome inglese, non scozzese. Pensate che sarebbe troppo sperare che viva da qualche parte in Inghilterra, e non, che so, oltreoceano?» «Possiamo fare un tentativo, senza dubbio» rispose Adam. «Io non intendo provarci prima di aver fatto una buona nottata di sonno, ma domani dovrei essere in grado di restringere la ricerca a una località abbastanza precisa.» Peregrine restò a bocca aperta, rendendosi conto solo allora di cosa questo significava. «Non vorrai dire che pensi davvero di cercarla?» domandò, stupito. «Inoltre...» Scosse il capo. «Questa cosa non ha senso. Come può essere che Michael Scot sia una ragazzina?» Il sorrisetto di Adam lasciava capire che questa era una delle nozioni sulle quali Peregrine avrebbe dovuto ridimensionare il suo modo di pensa-
re. Ma in quel momento la porta si aprì. «Discuteremo degli aspetti psico-sessuali della reincarnazione mentre torniamo a casa» disse, brevemente. «Nel frattempo, ecco che arriva il pranzo... e tu, amico mio, hai certamente meritato un buon pasto caldo, col tuo lavoro di questa mattina.» Detto questo, Adam chiuse il blocco da disegno e dedicò la sua attenzione ai piatti che venivano deposti davanti a loro. Mentre mangiavano, lui e McLeod discussero su come disinnescare gli aspetti di un caso che in effetti non aveva nessuna spiegazione razionale, per quanto riguardava la polizia e i mezzi di comunicazione. Peregrine, al quale sarebbe interessato di più chiarire il mistero di quella reincarnazione, si limitò ad ascoltarli e fece onore alle pietanze, il che testimoniava quanto fosse progredita in quei giorni la sua capacità di autocontrollo. Verso le tre e un quarto, Adam e Peregrine salutarono McLeod e ripartirono per Strathmourne. La Jaguar procedeva da una decina di minuti quando il giovane artista radunò il suo coraggio e chiese ad Adam il permesso di spegnere la radio, quindi gli domandò come poteva essere femminile l'attuale corpo di Michael Scot. «Non capisco» disse. «Forse c'è stato un malinteso. Voglio dire, la presenza di Scot era inequivocabilmente una presenza maschile. Come potrebbe essersi reincarnato in una donna? L'identità sessuale non è forse parte vitale della personalità dell'individuo?» «Parlando come psichiatra, sì, naturalmente» disse Adam. «Ma quando entriamo nel regno dello spirito, forse dobbiamo applicare un diverso insieme di leggi fisiche. Io parto dal principio che lo spirito umano, contrariamente alla personalità, in sé non è maschio né femmina. Possiede però la capacità potenziale di essere entrambi. Tu sei d'accordo sul fatto che la perfezione spirituale vada vista come il processo che conduce alla completezza, con lo scopo ultimo di unirci infine alla Luce Divina?» La domanda prese un po' di contropiede Peregrine. «Io... suppongo di sì» disse, incerto. «La completezza implica molte cose, fra cui l'equilibrio» disse Adam. «Ora io ti chiedo: come può l'anima di una persona essere completa, se non ha sperimentato la vita nei suoi vari aspetti, comprese le esperienze diverse che vengono secondo natura associate ai diversi sessi?» Uno sguardo a Peregrine gli confermò che quel concetto lo capiva, ma il giovanotto scosse il capo ugualmente, troppo perplesso per avere una ri-
sposta. «Cerchiamo di vedere la cosa da un'altra angolazione» disse Adam. «Posso vedere che per te è difficile. È una cosa che devi ancora capire a livello conscio, ma ci sono aspetti della Luce che uno può osservare meglio se è uomo, e altri aspetti che arriva a conoscere soltanto se è donna. Mettersi questa maschera, maschile o femminile che sia, è necessario per entrare in ciascuna delle due camere del santuario.» Adam distolse ancora lo sguardo dalla strada per scrutare l'espressione dell'amico, e lo vide sospirare pensosamente. «Facciamo qualche passo indietro, e torniamo ai concetti di base» disse Peregrine. «Tu ti sei mai reincarnato come una donna?» «Ma certo.» «E io?» «Senza dubbio lo avrai fatto anche tu.» «Allora perché non ho mai visto nessuna reincarnazione femminile, quando ti ho guardato... o nella galleria dei miei ritratti del sogno?» domandò Peregrine, in tono trionfante. «Io sospetto» disse pacatamente Adam, «che sia perché tu non sei ancora pronto a trattare col tuo lato femminile, a questo livello. Il pensiero non ti è mai venuto, semplicemente. Mi affretto ad aggiungere che questo non significa niente in rapporto alla tua sessualità... io non te lo dico come psichiatra, questo... in ogni modo, per ora tu limitati a considerare la possibilità, data la tua scarsa esperienza in questo argomento... o almeno l'esperienza che tu hai in questa reincarnazione. Sei ancora giovane. Dai tempo a te stesso.» Peregrine ruminò su quelle parole per un paio di minuti, in silenzio. «Se quello che dici è vero» mormorò infine, con l'aria di non essere uscito dai suoi dubbi, «sembra che dovrò revisionare molto drasticamente tutte le mie idee sulla natura dell'esistenza umana.» Quando Adam glielo confermò con un cenno d'assenso e un sorrisetto, lui si passò una mano fra i pallidi capelli castani, con un sospiro. «E va bene, non voglio far finta di aver capito quello che hai detto. Per il momento, diciamo che ho assistito a dei fatti molto strani, e che l'interpretazione che ne dai tu è migliore della mia, visto che io non ne ho nessuna. Accetterò il fatto che lo stregone medievale Michael Scot si è reincarnato in una ragazzina di nome Gillian Talbot, perché questo può spiegare ciò che ho visto. Ma se il suo spirito è rinato in questo modo, perché a noi si è rivolto come Scot e come uomo, quando eravamo nella camera mortuaria?
Se adesso è Gillian, avrebbe dovuto presentarsi come donna. Insomma, che razza di persona è?» «È entrambi, naturalmente» disse Adam. «Devi capire che l'individuo non è soltanto mente, o soltanto spirito, o soltanto cervello fisico, bensì una complessa interazione di queste tre funzioni simultanee. Diciamo che il cervello è l'hardware di un computer, nel quale possiamo mettere un software che ne rappresenta la mente. Di conseguenza, se noi prendiamo un software e lo facciamo girare in un hardware "femmina", tutti i risultati che esso darà saranno tarati dall'hardware, cioè dal corpo femminile. Lo stesso software potremo poi andare a metterlo in un computer "maschio", e ci darà risultati tarati al maschile. In altre parole, il software di base resta quello che è: né maschio né femmina. Inoltre, l'unione del corpo e della mente proietta entrambe le cose in una terza dimensione, l'anima, che proprio dalla loro unione viene modificata. Perché è attraverso l'esperienza umana che l'anima progredisce nel suo cammino verso la Luce, una vita dopo l'altra.» «Tu hai chiamato "fratello" Michael Scot. Perché?» domandò Peregrine. «Anche questo si collega a quanto ti ho detto. Michael Scot era, anzi è, un Adepto. E un'anima come la sua, staccata dal corpo, può mettersi una maschera passata, maschile o femminile, per comunicare con gli esseri viventi. Ciò allo scopo di ritrovare gli attributi di una sua personalità precedente, se stabilisce che questo gli è necessario. È una cosa che potrai imparare anche tu. Sei già capace di vedere la maschera di altra gente. Proprio questo fa di te un artista particolarmente sensibile.» Peregrine annuì. Dalla sua espressione Adam capì che stava ruminando furiosamente quei concetti. «Tutti noi viviamo nei nostri corpi, e portiamo dunque una maschera esterna attraverso la quale ci esprimiamo e ci evolviamo. L'anima di Scot è stata estraniata dal suo corpo attuale, era priva di ogni maschera, e tuttavia per comunicare con noi doveva assumerne una. Quella di Gillian Talbot, una ragazzina ancora immatura, non gli sarebbe servita. La più adatta al caso, ovviamente, era quella dell'uomo vissuto ottocento anni fa.» «Dovrò pensare bene a tutto questo» disse Peregrine, dubbioso. «E non essere sorpreso se mi occorrerà del tempo per arrivare a qualche conclusione.» Detto ciò, entrambi tacquero. In quel momento stavano percorrendo la Edimburgh Ring Road, diretti al Forth Road Bridge. Adam era stanco, e quando ebbe smesso di lottare contro la logica di Peregrine, poté dedicare le sue riflessioni agli altri avvenimenti della mattinata. Nel caso della vio-
lazione del sepolcro di Michael Scot c'erano ancora troppe cose che lui non sapeva. Aparte l'aggressione all'anima di Michael Scot, e la necessità di verificare quelle che erano state le conseguenze su Gillian Talbot, le domande più importanti sugli avvenimenti dell'abbazia di Melrose erano quelle che riguardavano le persone dei responsabili, la loro identità, e il motivo per cui volevano impadronirsi del libro degli incantesimi di Scot. Dopo averci pensato un poco, Adam tornò alla sua prima ipotesi, ovvero che questi individui fossero dei neofiti. Il farraginoso metodo messo in pratica per l'attacco a Scot era una chiara testimonianza della loro relativa inesperienza. D'altra parte, in passato lui aveva incrociato la spada con membri di logge nere abbastanza spesso per sapere che i Maestri di Loggia di quei gruppi erano capaci di concedere ai loro gregari un notevole grado di autonomia (almeno in apparenza) se questo serviva ai loro scopi reconditi. L'evocazione di Michael Scot era dunque soltanto ciò che sembrava, il malaccorto atto di un apprendista troppo ambizioso? Oppure era una mossa fra altre mosse, parte di un gioco più complicato e più pericoloso? Adam era costretto ad ammettere che, in base alle informazioni fin'allora in suo possesso, non poteva capirlo. E finché non si fosse preso un po' di riposo, non sarebbe stato fisicamente in grado di modificare quella situazione. Mentre oltrepassavano il cancello di Strathmourne gli piombò addosso tutta la stanchezza che aveva accumulato lavorando per liberare Scot e ripulire il luogo della sepoltura. Uno sguardo a Peregrine, che riaprì gli occhi insonnolito quando lui fermò la Jaguar e spense il motore, gli confermò che il giovane artista era anch'egli esausto. «Grazie, Humphrey» disse al maggiordomo, subito accorso a farsi consegnare i loro impermeabili. «È stata una giornata pesante. Ti sarei grato se ci portassi un the in biblioteca... e ancor di più, se ci preparassi qualcosa di freddo da mangiare subito.» «Provvederò immediatamente, signore» disse Humphrey, richiudendo la porta «Ho acceso il fuoco in biblioteca un'ora fa. Dovrebbe esserci un gradevole calduccio, ormai.» Venti minuti più tardi, seduto in poltrona davanti al caminetto, Peregrine non riuscì a reprimere un lungo sbadiglio. Depose sul tavolino la tazza del the, con un'occhiata di scusa ad Adam. «Mi spiace che la mia conversazione sia così scarsa» disse. «Non riesco a capire perché io debba aver sonno, quando sono appena le cinque del pomeriggio. Certo, questa notte abbiamo dormito poco, ma non ho scuse
per essermi appisolato nel mezzo di una frase. Inoltre, anche se abbiamo pranzato poche ore fa, ho una fame da lupo! Qualcuno potrebbe pensare che io abbia scavato fossati e portato mattoni sulla schiena per ventiquattr'ore di fila.» Adam prese un altro sandwich dal vassoio. Stava cominciando a sentirsi più umano. «Questo è un errore assai comune. Molti non si rendono conto che il lavoro psichico può consumare le energie più dei lavori manuali.» «Lavoro psichico?» Peregrine represse un altro sbadiglio. «Ma io non ho fatto nessun lavoro, né manuale né intellettuale.» «L'attività intellettuale è alquanto diversa da quella psichica» lo corresse Adam. «Che genere di lavoro credi che stessi facendo, quando hai riempiti di disegni tutti quei fogli?» La precisazione fece apparire uno sguardo pensoso negli occhi un po' arrossati di Peregrine. «Nel caso che tu non l'abbia notato» continuò Adam, «oggi tu hai preso parte attiva in quello che si è rivelato un evento psichico piuttosto impegnativo. La stanchezza che ora provi ne è la diretta conseguenza. È un inconveniente a cui dovrai abituarti, se pensi di volerti coinvolgere ancor di più nel genere di attività alla quale stai già partecipando.» Peregrine rialzò la testa. «Mi sarà permesso di partecipare ancora, in futuro?» domandò, sorpreso. «Sì, ti sarà permesso... anzi, da parte mia intendo incoraggiarti il più possibile. Da come stanno andando le cose, non ti assicuro che troverò il tempo di spiegarti ciò che sta succedendo alla tua psiche, e forse non ci riuscirò prima che tutto sia finito, ma voglio che tu capisca la natura di ciò che hai visto oggi... e di ciò che potresti vedere in seguito.» Peregrine si passò una mano sulla mandibola e poi emise un fischio fra i denti, guardando il fuoco del camino come a cercare qualcosa di solido a cui ancorare i suoi pensieri. «Io non so se sono pronto per questo, Adam. Dimmi cos'è quello che fai... voglio dire, che fai realmente. Credo di essere un tantino spaventato.» Adam si appoggiò allo schienale della poltrona e cercò, con pazienza e comprensione, di scegliere con cura le sue parole. In tutto ciò che Peregrine aveva fatto quel giorno, s'era mostrato pronto a essere introdotto più profondamente nei misteri che facevano parte della sua vita, e dell'attività che lui svolgeva. Ma ciò che Adam poteva dirgli adesso doveva essere soppesato con attenzione, per non scrollare troppo bruscamente l'equilibrio
fra il mistico e il razionale, altrimenti Peregrine avrebbe potuto ritrarsi dal destino che si apriva davanti a lui. «Come suppongo che tu abbia capito, a quest'ora» cominciò Adam, «a volte io agisco come una specie di medico dell'anima, oltreché della mente umana. Ma soprattutto, in un certo senso si potrebbe anche dire che, come l'ispettore Noel McLeod, io svolgo il compito di far rispettare l'ordine e la pace sociale. Non voglio cercare di definire i limiti della mia giurisdizione, in questo momento, ma per farti capire dirò che essi riguardano il territorio dell'esperienza umana che io e altri, compreso lo stesso McLeod, chiamiamo i Piani Interni. Essi sono... una realtà separata, se così vogliamo dire, la quale giace fuori dal tempo e dallo spazio materiale ma è tuttavia accessibile alla mente dell'uomo, grazie al moto interiore dello spirito. I Piani Interni sono la fonte dei sogni, l'origine dell'ispirazione, la sorgente della visione profetica. I comuni esseri umani possono visitare i Piani Interni soltanto in seguito a casi che si verificano nel sogno, o in stato d'incoscienza, e trattengono poi frammenti di ricordi di ciò che hanno incontrato là. Un Iniziato, invece, può viaggiare laggiù in pieno stato di veglia, sapendo ciò che fa, e quello che ne riporta è conoscenza.» Peregrine lo ascoltava attentamente, con gli occhi ancora rivolti alle fiamme del caminetto, ma d'un tratto il suo sguardo fu quello di un uomo che avesse appena sentito suonare una tromba, in distanza. «Tu stai descrivendo ciò che io faccio quando disegno» disse a bassa voce. «Non la parte dell'Iniziato... l'altra. Quella è la parte che riguarda la mia seconda vista, no? Ed è da lì che viene la mia ispirazione artistica. È questo che stai cercando di dirmi. La mia galleria di ritratti del sogno mi ha detto la stessa cosa.» Adam sorrise. «Forse avrei dovuto usare il linguaggio dell'arte fin dall'inizio, per spiegarmi meglio con te. Penso che altre intuizioni salteranno fuori quando meno te le aspetti. In ogni modo non sei più spaventato di ciò che ti accade, vero?» Peregrine s'irrigidì per un istante, con l'espressione di chi sta tentando con la lingua un dente per vedere se gli duole ancora. Poi si rilassò, come se un peso gli fosse stato tolto dalle spalle, e finalmente si voltò a guardare l'amico negli occhi. «No, non più.» Adam annuì. «Lo supponevo. In questo caso, continueremo la nostra discussione domattina. Io sono ancor più curioso di te di sapere cosa ti suggeriranno i sogni.»
CAPITOLO TREDICESIMO Adam aveva dato istruzioni a Humphrey perché preparasse la colazione alle nove, ma quel mattino la sua sveglia era regolata per suonare alle sei. Alle sei e un quarto s'era già fatto la barba e una rapida doccia, con l'efficienza nata dalla lunga abitudine. Mentre scendeva in biblioteca, al pianterreno, lasciando che il suo giovane ospite e il maggiordomo si godessero qualche altra ora di sonno, la vasta dimora era tranquilla e silenziosa. Peregrine aveva lasciato il suo blocco da disegno sul tavolino davanti al caminetto della biblioteca. Adam lo aprì al secondo schizzo che raffigurava Gillian Talbot e andò a sedersi alla scrivania. Da uno dei cassetti tirò fuori una lente d'ingrandimento da gioielliere, col cilindro decorato e di antica fattura, che poggiò sul piano accanto al blocco da disegno. Poi fece girare la poltroncina e si diede una spinta, verso lo scaffale più vicino. Sul ripiano più basso dello scaffale c'era un assortimento di carte stradali e atlanti geografici. Adam scelse una larga carta delle isole britanniche e un atlante mondiale. Di quest'ultimo sperava che non avrebbe avuto bisogno. Si spinse di nuovo accanto alla scrivania e aprì la carta stradale, così larga che copriva tutto il piano. Tirò fuori da sotto di essa la lente da gioielliere e se la palleggiò fra le dita distrattamente, lasciando scorrere lo sguardo sulla carta. Poi fece un sospiro, riprese il blocco da disegno per fissarsi bene in mente il volto di Gillian Talbot, e infine mise l'oggetto sotto la carta stradale, esattamente al centro di essa. «Molto bene, Gillian, ragazza mia» mormorò, poggiando la mano destra sulla carta in corrispondenza del blocco da disegno. «Dovrai aiutarmi tu, in questa faccenda. Vediamo per il momento se ti trovi da qualche parte nelle isole britanniche...» Dopo aver chiuso gli occhi rallentò la respirazione fino a scendere in trance, focalizzando i sensi sul blocco di fogli che sentiva sotto la carta, e assorbì le risonanze dei disegni che Peregrine aveva eseguito. Dapprima cercò un collegamento con Michael Scot, perché questa era l'entità con la quale lui aveva avuto un contatto personale, ma quella sfaccettatura della sua anima non era presente in nessuna zona dei Piani Interni. Un po' deluso, lasciò perdere Scot e si concentrò sulla matrice di Gillian Talbot. Qui la ricerca era più difficile, perché con lei aveva avuto solo un contatto di seconda mano, attraverso il disegno di Peregrine. D'altra parte l'identità Gillian aveva il vantaggio di essere incarnata nell'epoca attuale, e
quindi ancorata fisicamente al pianeta. Le sue tracce astrali sarebbero state più nitide di quelle di Scot... purché lui avesse la fortuna di passarci sopra. Pazientemente, con gli occhi chiusi, cominciò a muovere la mano sulla carta stradale del Regno Unito, con la mente rilassata e ricettiva, seguendo ripetute volte un percorso a forma di otto che lo portava a sfiorare quasi ogni centimetro quadrato del foglio. Mentre spostava la mano a quel modo cercò di non vedere l'immagine mentale della mappa, sostituendola con quella di miriadi di puntini d'energia che rappresentavano gli esseri umani presenti su quel territorio. Subito cominciò a sentire una sorta di pressione proveniente dal basso e dai lati, che spingeva la sua mano verso zone di minore resistenza. Adam ammorbidì la muscolatura del braccio, lasciando che la sua mano fosse un oggetto inerte che veniva spinto, e sensibilizzò la pelle per individuare una regione di calma, un posto che attraesse invece di respingere. Ora stava seguendo percorsi a otto piuttosto piccoli, nella zona inferiore destra, e il movimento si restrinse sempre più. Quando la sua mano finalmente si fermò, aprì gli occhi e vide che il palmo era poggiato proprio sopra la città di Londra. «Ma guarda un po'.» Quella che gli aveva attratto la mano era la più alta concentrazione di energie umane del Regno Unito, e ciò lo indusse a sospettare della sua sensibilità. Per avere una conferma ruotò la carta stradale più volte, a occhi chiusi, finché non seppe più dov'erano l'alto e il basso, prima di rimetterla di nuovo sulla scrivania. Per la seconda volta tornò a passarci sopra la mano seguendo larghi percorsi a otto, lasciandosi spingere dalle fluttuazioni d'energia. Quando si fermò e riaprì gli occhi, il suo palmo era ancora poggiato sulla capitale inglese. «Be'» mormorò fra sé, «questo semplifica le cose. Vediamo se è possibile restringere ancora il raggio della ricerca.» Adam ripiegò la grossa carta stradale, si spinse di nuovo fino allo scaffale e la mise via, insieme all'atlante mondiale. Poi prelevò una mappa stradale della città di Londra, e un'edizione abbastanza recente della guida turistica di quella città, in cui c'era un indice completo delle strade. Tornato alla scrivania aprì la mappa di Londra, stendendo bene le pieghe con le mani, e la esaminò. Stavolta gli occorreva una metodologia d'altro genere, più precisa. Si rilassò contro lo schienale della poltroncina e chiuse gli occhi, con le
mani poggiate sui braccioli a palmo all'insù in posizione ricettiva. Un solo lungo respiro focalizzò la sua mente. Allargò i piedi e si spostò appena, finché il suo corpo fu allineato in perfetto equilibrio col piano del pavimento. Poi lasciò che il suo cuore pulsasse una decina di volte prima d'innalzare una silenziosa preghiera al Pantocrator, per ottenere stabilità e vista interiore. Quasi subito, in risposta, l'immagine di una piramide non finita apparve sullo schermo della sua mente. Tenne ferma quell'immagine e si dedicò con attenzione a edificarne l'apice, aggiungendo una pietra dopo l'altra finché ebbe terminato di costruirla. Mentre metteva al suo posto l'ultima pietra, la piramide in miniatura che ne costituiva il vertice, l'immagine si spezzò in due verticalmente, e si aprì a rivelare il centro: l'Occhio OnniVedente nel cuore della piramide. Una lingua di fiamma balenò dentro la pupilla dell'occhio. Lui lasciò svanire il resto dell'immagine, e attrasse quel fuoco oculare nell'interno del suo stesso spirito. Un punto di calore nacque al centro della sua fronte, esattamente dov'era situato il mitico Terzo Occhio della consapevolezza esoterica. Mentre esso s'ingrandiva e pulsava, lui si staccò da quella visione e aprì gli occhi. Fu quasi abbagliato da ciò che vide, perché la biblioteca appariva inondata da una luce fatta di ogni colore dell'arcobaleno. Non solo lui poteva vedere gli oggetti, ma anche le loro auree, proiettate in ogni lunghezza d'onda dello spettro, dagli infrarossi agli ultravioletti. Due sole cose nella stanza erano bianche: la mappa di Londra aperta sulla scrivania, e il blocco da disegno contenente l'immagine a cui era collegata l'anima da lui cercata. L'effetto arcobaleno scomparve non appena riportò la vista sotto il dominio della volontà. Raccolse la lente da gioielliere, rimise il blocco da disegno sotto la mappa, e s'incastrò nell'orbita destra il cilindretto, cominciando a guardare la zona in alto a sinistra della mappa, suddivisa in quartieri. Sotto la lente passarono uno dopo l'altro numerosi nomi: Edmonton, Walthamstow, High Gate. Proseguì: Hampstead, Islington, Hackney... e ancora nessun segno di quel che stava cercando. Tornò al lato sinistro della mappa, più in basso, e oltrepassò Stepney, Westminster e Kensington senza ottenere alcuna risposta. Poi il suo occhio scivolò sopra il quartiere di Hammersmith. Un punto di luce azzurra lampeggiò al centro della lente da gioielliere. Adam si fermò, se la aggiustò meglio nell'orbita e guardò ancora. Quando
ebbe conferma che il punto azzurro era dove lo aveva già visto, annuì soddisfatto. «Dunque, la nostra ragazza è ad Hammersmith» mormorò, raddrizzandosi. Era un quartiere vasto quanto una piccola città. «Vediamo se possiamo stringere ancora la rete...» Adam prese la guida di Londra, consultò l'indice e la aprì alla mappa stradale del quartiere, a sud-ovest di Hyde Park e di Kensington. Tenendo aperto il volume con un fermacarte d'argento, ripeté il processo di localizzazione con la lente da gioielliere. L'esame della pagina sinistra non gli diede alcuna risposta, ma quando passò alla pagina destra vide un puntino azzurro accendersi a sud della stazione della metropolitana di Hammersmith. Si tolse la lente dall'occhio e lesse quel che c'era scritto sulla mappa: Charing Cross Hospital. Accigliato, Adam ripiegò la mappa di Londra e si passò una mano sul mento. Non aveva alcun dubbio che Gillian si trovasse là. E nella sua qualità di medico psichiatra, ottenere il permesso di esaminare quella che si prospettava come una possibile paziente avrebbe dovuto essere facile. Se avesse avuto bisogno di assistenza, al Charing Cross Hospital lavoravano quattro o cinque suoi vecchi compagni di università. Ma non poteva negare che la sua speranza era stata quella di non trovare Gillian Talbot ancora là, ricoverata in un ospedale. Il fatto che non fosse stata dimessa lo preoccupava. La riunificazione fra il corpo e lo spirito, avvenuta il giorno prima, avrebbe dovuto riportare la ragazzina in perfetto stato di salute. Naturalmente, c'era la possibilità che il medico curante di Gillian l'avesse trattenuta in osservazione per pura e semplice cautela. Una giovinetta in buona salute non cadeva in coma così, senza nessuna causa patologica. Ma non sì poteva escludere che il tempo di separazione fra l'anima e il corpo fosse stato troppo lungo, provocando un esteso danno cerebrale. E se era successo questo, rifletté cupamente Adam - a parte le gravi conseguenze per la ragazzina - le sue possibilità di ristabilire il contatto con la personalità sommersa di Michael Scot si riducevano a zero. Ma, una cosa alla volta. Prima di recarsi a Londra gli occorreva la conferma che Gillian Talbot fosse veramente ricoverata al Charing Cross Hospital. Lui aveva fiducia nei suoi metodi, ma ogni volta che era possibile gli piaceva appoggiarsi anche a quelli convenzionali. Non avendo l'elenco telefonico di Londra cercò il numero sulla guida, e sotto l'elenco degli ospedali della città trovò anche quello del Charing Cross. Lo compose, e in-
tanto che aspettava la risposta dal centralino formulò il suo piano. «Charing Cross Hospital, buongiorno.» «Buongiorno» rispose Adam, omettendo deliberatamente di aggiungere il suo nome. «Per favore, sto cercando di localizzare una paziente, Gillian Talbot. Dovrebbe esser stata ricoverata l'altro ieri, oppure ieri mattina. Può essere così gentile da dirmi se lì avete qualcuno che risponde a questo nome?» «Quale nome ha detto, signore?» «Gillian Talbot.» «Attenda un momento, per favore. Controllo subito.» Mentre la centralinista chiamava i dati sullo schermo del suo computer, in linea entrò una registrazione del Big Ben che invece delle ore suonava un ritornello allegro. Con un sorrisetto, Adam scosse il capo. Dopo la terza ripetizione, la voce dell'operatrice si fece risentire. «Abbiamo una paziente con questo nome, signore. La paziente è stata ammessa in Pediatria alle dieci e mezzo di ieri mattina. Mi spiace ma non posso dirle altro, per regolamento.» «Naturalmente» rispose Adam. «È quella la persona che sto cercando. Senta, può dirmi almeno chi è il medico che la cura?» «Sì. Un momento, che controllo... È la dottoressa Ogilvy, signore.» La centralinista fece una pausa, e concesse: «È un po' presto per lei, ma se vuole, posso passarle il reparto Pediatria.» Adam aveva automaticamente cominciato a scriversi il nome, ma a quella domanda la sua penna si fermò. Lui non voleva parlare a questa sconosciuta dottoressa Ogilvy, né ad altri, non senza essersi prima inventato un plausibile motivo per il suo interesse verso Gillian Talbot. «No, per il momento questo non è necessario» disse, cercando di pensare in fretta. Controllò l'orologio. «So che nei reparti c'è piuttosto da fare, a quest'ora. Può dirmi a che ora la dottoressa Ogilvy finisce il giro delle corsie, solitamente?» «Un minuto.» Di nuovo la musichetta del Big Ben, intanto che la centralinista probabilmente telefonava in reparto. «Signore? La dottoressa Ogilvy finisce verso l'una. Vuole lasciarmi il suo numero, perché chieda alla dottoressa di telefonarle a quell'ora?» «No, non sono sicuro di dove sarò all'una. La chiamerò io stesso. Molte grazie per la sua gentilezza.» Prima che la centralinista potesse fargli qualche domanda, Adam riappese. Poi si appoggiò allo schienale, riflettendo su quella breve conversazio-
ne. Aveva evitato di lasciare il suo nome, e la domanda dell'operatrice faceva pensare che non avesse ricevuto il suo numero su un display. Questo non significava che non potesse procurarselo in pochi secondi, se avesse voluto, ma lui non credeva di aver sollevato la sua curiosità. Chiunque poteva chiedere notizie di un ricoverato e domandare chi lo avesse in cura. In ogni modo lui aveva saputo che Gillian si trovava in pediatria, e che a occuparsi di lei era una certa dottoressa Ogilvy, la quale a quell'ora non si trovava ancora in reparto. Se voleva procurarsi qualche altra informazione prima di andare personalmente a Londra, gli conveniva sbrigarsi. Controllò ancora la guida della città, sperando di trovare anche i numeri dei singoli reparti, ma non c'erano. Allora decise di rischiare di nuovo col numero del centralino, sapendo che le operatrici erano sicuramente più d'una. Fu fortunato, perché la voce che gli rispose era diversa dalla prima. «Buongiorno. Può passarmi la Pediatria, per favore?» «Un momento» fu la brusca risposta. Adam ingannò l'attesa tracciando circoli intorno al nome che aveva scritto, mentre il Big Ben suonava allegramente, finché una voce disse: «Pediatria. Capo-infermiera Farrel.» «Buongiorno, capo-infermiera. Io sono il dottor MacAdam» disse Adam, usando il nome che gli veniva più spontaneo dare quando gli conveniva nascondere la sua identità. «Lì da voi c'è una paziente, una ragazzina di nome Gillian Talbot. La dottoressa Ogilvy l'ha ammessa ieri mattina. Può dirmi in che condizioni è, oggi?» Aveva parlato con un tono fermo, ma non autoritario, come se avesse ogni diritto di sapere quel che stava domandando. Questo, più il suo titolo professionale, vinse la riluttanza della capo-infermiera Farrel a dare informazioni sui pazienti. «Ah, la ragazza Talbot. Sì, dottore. Ha ripreso conoscenza ieri pomeriggio, come lei probabilmente sa, ma è rimasta totalmente inconsapevole di ciò che le sta attorno, e anche stamattina è in questo stato. Il nostro psichiatra dovrà visitarla oggi, non so a che ora, e la dottoressa Ogilvy le ha prescritto degli altri esami, che saranno fatti in mattinata.» «Capisco. Va bene» disse Adam. «Ah, mi scusi, può dirmi quali esami ha ordinato, per favore?» aggiunse, come ripensandoci. «Un momento, dottore.» Ci fu un fruscio di documenti sfogliati. «Sì. Ha ordinato un esame del sangue, completo, e una TAC. C'è qualche controindicazione?»
«No, nessuna. Grazie per la sua gentilezza, capo-infermiera.» «Prego, dottore. Se vuole richiamare per saperne di più, la dottoressa Ogilvy sarà qui fra un'ora.» «Grazie, non importa» disse Adam. «Nelle prossime ore avrò da fare. Forse richiamerò più tardi, in giornata.» Quando ebbe deposto il ricevitore, Adam si appoggiò allo schienale e sospirò, pensosamente. Le due telefonate gli avevano consentito di avere un buon numero d'informazioni utili, ma erano soltanto informazioni di partenza, perché sembrava chiaro che con quel metodo non avrebbe ottenuto nient'altro. Non gli restava dunque che recarsi personalmente a visitare la ragazzina, se voleva cercare di ristabilire le comunicazioni con quella parte della sua anima che era stata Michael Scot. Che lui fosse in grado di portare a buon fine questo tentativo dipendeva in gran parte dalla fortuna. Se il danno era stato rilevante, integrare di nuovo quell'anima nel suo corpo attuale avrebbe potuto essere un procedimento lungo e tedioso. C'era un altro aspetto del viaggio a Londra che poteva non dipendere molto dalla fortuna, tuttavia. Mentre Adam ripiegava la mappa e rimetteva la lente da gioielliere nel cassetto, gli venne da pensare che se la sua linea d'indagine si fosse rivelata inutile forse il talento ancora in embrione di Peregrine avrebbe fornito un'altra via di approccio. Prima di rimediare al danno fatto alla ragazzina dagli aggressori di Scot, era più urgente prevenire il piano che li aveva condotti a cercare il libro d'incantesimi e l'oro di quello stregone medievale. Per arrivare a questo, Adam e i suoi collaboratori avevano bisogno di sapere dove erano diretti quegli individui, e questa informazione poteva essere ottenuta con metodi d'indagine più convenzionali, specialmente se a questi si aggiungeva la capacità di Peregrine di vedere su più livelli. Il giovane artista era già coinvolto in quella faccenda quanto lo erano lui e McLeod, se non altro perché Michael Scot lo aveva scelto come recipiente di quelle notizie che sperava avrebbero condotto i suoi salvatori a fare giustizia. Inoltre, ricordò Adam a se stesso, per quanto Peregrine fosse inesperto nella sua vita attuale, la sua anima era quella di un occultista addestrato. Iniziato una volta, Iniziato sempre pensò, e allontanò da sé ogni altro dubbio. Si alzò, massaggiandosi le reni, e guardò il suo orologio da tasca. Lui e Peregrine erano attesi da un'altra giornata impegnativa. Benché non fosse-
ro ancora le otto, sapeva che Humphrey era già in piedi, probabilmente in cucina a preparare la colazione. Prese il telefono interno e compose quel numero. Humphrey rispose al secondo squillo. «Oggi, Mr. Lovat e io dobbiamo andare a Londra» disse al maggiordomo, dopo avergli dato il buongiorno. «Ti sarei obbligato se telefonassi subito all'aeroporto, prima che chiudano le prenotazioni, e ci facessi riservare un posto su uno dei voli della tarda mattinata. Cercane uno che atterri a Heathrow, se possibile, e appena avrai i particolari fammeli sapere.» «Certamente, signore.» La voce di Humphrey era imperturbabile, come sempre. «Conta di stare a Londra anche per la notte?» «Credo di sì» rispose Adam. «Sarà meglio che tu mi prepari una valigia, nel caso che occorra. E riservaci due camere al Caledonian Club, se ne hanno di libere. In caso contrario, andrà bene uno degli altri miei club.» «Molto bene, signore. Devo prenotarle anche una vettura?» «No, ce la caveremo coi taxi, stavolta, suppongo.» Peregrine fece il suo ingresso nel tinello poco prima delle nove, vestito con la sua giacca da marina blu e pantaloni grigi. Humphrey lo aveva già messo sull'avviso per quanto riguardava l'imminente partenza per Londra. Trovò il suo ospite già seduto al tavolo, con indosso un completo blu da città e cravatta regimental, occupato a sfogliare la posta di quel mattino. Poggiata sul tavolo c'era anche una pila di libri. «Buongiorno» lo salutò Adam con un breve sorriso. «Mi auguro che ti senta in forma per una giornata attiva.» «Mai stato meglio» dichiarò Peregrine. Sedette di fronte all'amico e ripiegò con cura il fazzoletto, prima di metterselo in tasca. «Humphrey mi ha informato che abbiamo una prenotazione sul volo di mezzogiorno per Heathrow. Dice anche che mi converrà portare un cambio d'abiti.» «Proprio così» annuì Adam. E aggiunse: «Sono riuscito a localizzare con precisione Gillian Talbot.» «L'hai rintracciata?» Stupore e sollievo si mescolarono nel sorriso di Peregrine. «E dove si trova?» «È ricoverata al Charing Cross Hospital, ad Hammersmith» rispose Adam. «Poco fa ho telefonato là. Sembra che non ci siano dubbi che sia lei la ragazzina che stiamo cercando.» «Straordinario!» dichiarò Peregrine. Poi la sua espressione si fece preoccupata. «Ma... perché è ancora in ospedale? Credevo che non avrebbe avuto più problemi, dopo la liberazione di Scot.»
«Questo è ciò che speravo anch'io» disse Adam. «Purtroppo le notizie al riguardo non sono buone. Come tu avevi già visto, è rimasta in coma per molte ore. Ieri mattina si sono decisi a farla ricoverare, e nel pomeriggio ha ripreso conoscenza... possiamo indovinare a che ora. Ma sembra che non abbia ripreso contatto con l'ambiente circostante. So il nome della dottoressa che l'ha in cura, e quali esami le stanno facendo... ma non mi hanno detto altro. Il mio piano è di andare all'ospedale e cercare di vederla, senza destare un'indesiderata curiosità, per poi restare qualche minuto da solo con lei.» «Presumo che non avrai bisogno della mia presenza al suo capezzale» disse Peregrine. «Del resto io non so niente di ospedali. Non sono mai stato neppure ricoverato.» «Infatti, per te ho una diversa missione in un'altra zona di Londra» lo informò Adam. «Come te la cavi col latino?» Peregrine lo guardò perplesso. «A scuola non andavo male. Ma sono passati parecchi anni.» «Sarai sorpreso di come quei ricordi tornano. Prendi questo.» Adam consegnò a Peregrine il primo libro della pila, un bel volume rilegato in cuoio marocchino, con pagine di una pregiata carta color crema. Sul dorso era impresso a oro: Miscellanea del Maitland Club - Vol. N, Pt 1. Aprendolo alla pagina del titolo, lui scoprì che «miscellanea» significava: «Una collezione di documenti originali, che illustrano la storia e la letteratura della Scozia.» «Guarda il secondo capitolo» disse Adam. «A pagina ventuno.» «Brevis Descriptio Regni Scotiae» lesse Peregrine. «Una breve descrizione dei regni della Scozia.» «Questa Brevis Descriptio riguarda la Scozia del tredicesimo secolo, vista attraverso gli occhi di un viaggiatore inglese» spiegò Adam. «In assenza di mappe dell'epoca, è l'unico documento sopravvissuto ai secoli che descrive le località, in quel periodo. Il manoscritto originale è al British Museum. Vorrei che tu gli dessi un'occhiata. All'originale, intendo.» «Va bene» disse Peregrine. «Ma di preciso cosa dovrei cercare nell'originale, che non sia anche qui?» «Le corrispondenze psichiche, soprattutto» rispose Adam. «Mi riferisco a quelle fra la Brevis Descriptio e i tuoi disegni fatti nella camera mortuaria a Melrose. Se il castello che Scot ti ha mostrato esisteva al tempo in cui questa relazione fu compilata, tu dovresti essere in grado d'individuare una risonanza fra i tuoi disegni e il manoscritto, e questo ci darà un indizio sul-
la località in cui sorge quell'edificio.» All'espressione incerta e dubbiosa di Peregrine, l'amico tacque un momento e sorrise. «Non devi preoccuparti» gli disse. «Io non ti affiderei questo incarico, se non fossi certo che hai la capacità di condurlo a termine. Il procedimento non è diverso da ciò che fai quando colleghi due batterie con un filo elettrico: se entrambe sono cariche, scoccherà una scintilla. Ti suggerisco di usare questo metodo...» Peregrine ascoltò con attenzione mentre l'altro glielo spiegava, e la sua incertezza lasciò pian piano il posto a un'espressione più sicura. «Be', credo di poterlo fare» disse, quando Adam ebbe finito. «Non soltanto tu lo fai sembrare facile, ma l'idea non mi innervosisce affatto... e se una settimana fa qualcuno mi avesse detto che mi sarei accinto a fare una cosa del genere, lo avrei preso per matto.» Adam sorrise. «La vita è un continuo apprendimento... e ciò che apprendi in una vita si estende alla successiva.» «Sto cominciando a crederci anch'io» disse Peregrine. «Ma per tornare agli aspetti pratici di questa faccenda, c'è qualcosa che mi lascia perplesso. Una volta trovato il Miscellanea del Maitland Club, ora so cosa devo fare. Ma convincere il personale del museo a lasciarmi mettere le mani su quel manoscritto sarà un problema. Io non ho le credenziali accademiche per avere il permesso di fare una ricerca.» «Tu no» disse Adam. «Ma fortunatamente possiamo rimediare. Ti ho preparato una lettera di presentazione, qui fra le ultime pagine di questo libro, indirizzata a una persona che conosco, al Dipartimento delle Antichità Medievali. È uno specialista in geografia e cartografia medievale, e ti darà l'assistenza di cui avrai bisogno.» Il volo di mezzogiorno da Edimburgo toccò la pista dell' aeroporto di Heathrow con un quarto d'ora di ritardo sull'orario previsto, in un umido pomeriggio autunnale. Durante il viaggio, Adam aprì The Scotsman per mostrare all'amico l'articolo in terza pagina: Ladri di tombe all'opera nell'abbazia di Melrose. Una copia di quell'articolo si trovava già nella sua cartella di ritagli, a Strathmourne House. Dopo averla letta, Peregrine scambiò con lui uno sguardo significativo. In quel pezzo non c'era neppure un accenno a fatti soprannaturali. Noel McLeod aveva fatto bene il suo lavoro. Appesantiti soltanto dal bagaglio a mano, i due sbrigarono le formalità
del terminal in pochi minuti, anche se una volta fuori trovare un taxi si rivelò più difficile del solito. C'era molto traffico, e anche il tragitto fino al Caledonian Club fu lento. Il portiere del Caledonian però riconobbe subito Adam, e si prese cura del loro bagaglio con sorridente efficienza, cosa che consentì ai due di proseguire subito per le loro faccende. Il Caledonian Club era in Halkin Street, a poca distanza da Belgrave Square e da Hide Park Corner. Era il club londinese favorito di Adam, fra i vari ai quali era iscritto, e la sua posizione centrale lo rendeva adatto a ciò che lui e Peregrine dovevano fare. Se ci fosse stato più tempo Adam avrebbe lasciato il taxi all'amico, permettendogli di proseguire fino al British Museum, e per sé avrebbe chiamato un'altra vettura. Ma il portiere del club gli confermò che quel giorno il traffico era un caos e che far arrivare un altro taxi poteva essere una cosa lunga. Per fortuna, però, la destinazione di Adam era raggiungibile anche con la London Underground, che fra l'altro era più veloce del traffico di superficie. Decise così di farsi lasciare dal taxi al più vicino ingresso della metropolitana, a Hyde Park Corner; diede a Peregrine una busta con del denaro per ogni necessità, e disse al conducente di proseguire per il British Museum. Il giovane artista aveva sulle ginocchia una ventiquattr'ore, coi suoi disegni fatti a Melrose e la lettera di presentazione, e gli rivolse un OK con le dita prima che il taxi lo portasse via. Adam aveva dimenticato quanto fosse piena di gente indaffarata la metropolitana di Londra, anche in un'ora non di punta. Per sua fortuna il treno che gli serviva arrivò quasi subito. Sei fermate dopo lui scese, alla stazione di Hammersmith, e seguì i cartelli indicatori che lo portarono lungo un tunnel pedonale fino all'uscita sulla Fulham Palace Road, giusto sotto la mole dello Hammersmith Flyover. Fece una pausa per orizzontarsi e s'incamminò verso nord, tirandosi su il bavero del soprabito contro un vento che d'un tratto era diventato freddo. Cinque minuti dopo saliva la scalinata d'ingresso del Charing Cross Hospital. Nell'atrio dell'ospedale si tolse il soprabito. Senza di esso, nella sotterranea e per strada, il suo abito blu col gilè lo avrebbe fatto spiccare fra la gente, ma nell'ambiente ospedaliero quello stile era comune quanto un'uniforme. Anonimo come un qualsiasi medico andò a consultare la cartellonistica dell'atrio, e vide che il Reparto Pediatria era al primo piano dell'Ala Ovest, come gli sembrava di ricordare dall'ultima volta che era stato lì. Fermandosi un momento al bancone della reception ebbe la conferma che, come sperava, la dottoressa Ogilvy se n'era già andata.
«Mi spiace, dottore» disse l'impiegata. «Se fosse arrivato poco fa l'avrebbe trovata in reparto. Se è una cosa urgente, penso che possa raggiungerla all'Ospedale Pediatrico di Grand Ormond Street, a mezz'ora di strada a piedi da qui.» Rassicurato dal fatto di non dover trattare con la dottoressa che si occupava di Gillian Talbot, Adam ringraziò l'impiegata e attraversò l'atrio fino agli ascensori. L'orario delle visite era cominciato da poco, così si trovò mescolato alla gente che andava nei reparti. Al primo piano scese, insieme a una mezza dozzina di genitori dall'aria comprensibilmente preoccupata diretti in Pediatria, e li seguì fino al bancone delle infermiere. Sulla lavagna appesa al muro trovò il nome della ragazzina, TALBOT G. scritto insieme ad altri due nello spazio che indicava una camera a quattro letti, in fondo al corridoio centrale. A passi svelti si avviò da quella parte, augurandosi di poter esaminare la giovane ricoverata senza interferenze. La porta era aperta. Non ci volle molto a capire quale fosse il letto di Gillian. I due più vicini alla porta erano occupati da un bambino con una gamba ingessata in trazione, e una bambinetta con un braccio al collo, entrambi occupati a chiacchierare coi loro genitori. Il terzo letto era vuoto. La ragazzina del quarto letto, vicino alla finestra, doveva essere Gillian. Le infermiere avevano rialzato la parte superiore del suo letto, in modo che stesse quasi seduta. Era un poco più giovane che nel disegno di Peregrine: una fanciulla dai corti riccioli d'oro, snella e delicata, con gli zigomi spruzzati di lentiggini e una boccuccia rosea... ma i suoi grandi occhi azzurri erano fissi su un punto del muro a destra della porta, spalancati e immobili. Il volto ovale era privo di espressione, e le piccole mani giacevano inerti sul lenzuolo. Adam la osservò per quasi un minuto dalla soglia della stanza col suo esperto sguardo professionale, e fu con una certa preoccupazione che prese atto delle sue condizioni psichiche. Accanto alla ragazzina era seduta una donna che dalla sua posizione lui non poteva vedere bene. Quando finalmente decise di entrare e di avvicinarsi al letto, la donna che sedeva al capezzale di Gillian lo guardò e si alzò in piedi. Era una bionda molto attraente, sui trent'anni, e dalla sua notevole somiglianza con la ragazzina Adam non dubitò che fossero madre e figlia. «Buongiorno, signora. Io sono il dottor Sinclair» disse Adam, con un sorriso cortese. Poggiò il soprabito ai piedi del letto e prese una mano della donna. «Lei dev'essere la madre di Gillian.» Nello sguardo di lei c'era una luce di timore, ma quando Adam le trat-
tenne la mano lei non fece alcun tentativo di ritrarla, resa più fiduciosa dallo sguardo franco di lui. «Io... io sono Iris Talbot» disse, con un misto di apprensione e confusione. «Forse lei è... cioè, la dottoressa Ogilvy le ha chiesto di esaminare Gillian?» «Non esattamente» ammise Adam, con sincerità. «Ma ho sentito parlare del caso di Gillian, e ho pensato che potrei essere di qualche aiuto.» Non era il caso di rivelarle dove e da chi ne aveva sentito parlare. «Io sono specializzato in medicina psichiatrica. Ho già trattato casi simili, in passato.» «Allora non è un caso disperato!» sussurrò Iris Talbot. «Se ci fosse almeno una speranza...» «Una speranza c'è sempre, signora Talbot» la rassicurò Adam. «Devo esortarla a non aspettarsi miracoli... queste cose a volte richiedono molto tempo... ma stia sicura che io farò tutto quel che è in mio potere per riportare Gillian alla normalità.» «Oh, se solo lei potesse aiutarci!» mormorò la signora Talbot, con voce a metà fra il sollievo e la disperazione. «Gillian è la nostra unica figlia, e i dottori...» La donna era sull'orlo delle lacrime, e dava segni di una forte tensione nervosa, cosa per cui Adam non poteva biasimarla. Ma era anche ansiosa di ascoltare tutto ciò che lui avesse potuto dirle, avida di sentirsi assicurare che le cose non andavano così male come sembrava. Per scoprire se questo era vero, Adam aveva bisogno di stare qualche minuto con Gillian senza che nessuno lo disturbasse... dunque avrebbe dovuto distrarre per un poco l'attenzione della madre. Aveva già fatto il primo passo proiettando fiducia col suo atteggiamento medico professionale. Con un po' di abilità avrebbe potuto guidare la situazione nella direzione necessaria. «Perché non si siede e mi parla un po' di quel che è successo, Mrs. Talbot?» la invitò. La donna non fece resistenza quando lui la guidò verso la sedia, lasciandole la mano quando fu seduta. «In realtà» proseguì, tirando la tenda scorrevole intorno a due lati del letto per avere una certa intimità, «prima che lei me ne parli, forse sarà meglio che le assicuri che non trovo alcuna pecca in ciò che la dottoressa Ogilvy ha fatto per sua figlia, fino a ora. Al contrario, ha fatto ciò che avrei fatto anch'io, se fossi stato al suo posto. Nei casi psichiatrici, tuttavia, a volte ci sono dei limiti a ciò che la medicina convenzionale può fare. Io spero di oltrepassare quei limiti.» Mentre lasciava la tenda per girarsi verso di lei tolse dall'interno della
giacca il suo orologio da tasca, e lo lasciò oscillare appeso a una trentina di centimetri di antica catena d'oro, facendolo oscillare ritmicamente in modo che la luce del sole strappasse lenti barbagli dorati dalla lucida cassa. Lo sguardo della signora Talbot ne fu immediatamente attratto, come lui intendeva. «Mi dica cos'è successo, Mrs. Talbot» la esortò dolcemente. «Quando si è accorta per la prima volta che in Gillian c'era qualcosa che non andava?» «Ieri mattina» disse la donna, guardando l'orologio che andava avanti e indietro. «Suo padre e io abbiamo cercato di farla alzare dal letto, perché era ora di andare a scuola... ma lei non voleva svegliarsi.» «Così avete chiamato il dottore, no?» mormorò Adam. «E lui ha fatto subito portare Gillian qui, al pronto soccorso.» La signora Talbot annuì. Aveva lo sguardo fuori fuoco, e la sua voce era piatta come una cantilena quando continuò: «Ci hanno detto che era in coma. Neanche loro sono riusciti a svegliarla. Hanno fatto degli esami. E poi, nel pomeriggio, Gillian ha riaperto gli occhi. Ma non era più lei...» «In che modo non era più lei?» domandò Adam, sollevando un poco l'orologio oscillante per indurla a seguirlo con lo sguardo verso l'alto. «Stava distesa qui, e... guardava il soffitto. Era come se non sentisse quello che le dicevamo. Non siamo riusciti a farla uscire da quello stato. La dottoressa Ogilvy ha detto che era un comportamento au... autistico.» «Credo di capire» mormorò Adam, mettendole gentilmente una mano su una spalla e lasciando che l'orologio riflettesse scintille di luce. «Lei è stanca, molto stanca, non è così?» Mentre la donna annuiva con fare sonnolento, vacillando un poco sotto la sua mano, lui continuò: «Così stanca... e chi può biasimarla? Sono certo che la notte scorsa lei era troppo tesa per poter dormire. Perché non fa un pisolino, adesso? Non le farà alcun male, se chiude gli occhi per riposare qualche minuto. Io la sveglierò, se sua figlia avrà bisogno di lei. Può fare tranquillamente un pisolino...» Mentre Adam le parlava in tono suadente, le palpebre di lei si fecero pesanti e si abbassarono. Un paio di minuti più tardi, sotto la sua abile guida, la donna era scivolata in uno stato di rilassatezza ipnotica, con gli occhi chiusi. Adam guardò l'ora, quindi intascò l'orologio e tese gli orecchi ai rumori della camera, oltre la tenda che li circondava. Niente sembrava cambiato, ma forse non avrebbe avuto più di qualche minuto per fare ciò che era necessario. L'orario delle visite non sarebbe durato in eterno, e prima o poi
qualche infermiera curiosa sarebbe venuta a investigare. Voltando le spalle alla madre, e interponendosi in modo da bloccarle la vista della figlia se fosse uscita dalla trance prima che lui avesse finito, Adam si piegò a stringere una delle piccole mani di Gillian Talbot. Le poggiò l'altra mano sulla fronte, e si rese conto che la ragazzina non avvertiva il contatto. Gillian non fece resistenza quando lui le abbassò le palpebre con le dita, tenendole così finché gli occhi di lei restarono chiusi. Poiché aveva poco tempo, e non poteva dire quando qualcuno sarebbe venuto a interromperli, usò un metodo abbreviato per stendere intorno a sé e alla sua paziente un cerchio di guardia: un rapido movimento circolare in senso orario con l'indice della mano destra, accompagnato dall'appropriata richiesta interiore per ottenere un'intensificazione delle sue capacità. Fatto questo, preparò una scena per ingannare la vista di chi fosse eventualmente intervenuto, prendendo fra le dita un polso di Gillian come se le controllasse le pulsazioni, con lo sguardo chino sul suo orologio da tasca di nuovo aperto, e chiuse gli occhi. Ora poteva cominciare il suo vero lavoro. Un singolo profondo respiro bastò per farlo scivolare in uno stato di coscienza alterata. Con cautela, come un uomo che avanzasse su un ponte pericolante tastandolo coi piedi a ogni passo, il suo spirito si distaccò dal corpo e avanzò nel territorio sconosciuto che era la psiche della ragazzina in coma. Dopo aver fatto altre esperienze non troppo dissimili, s'era aspettato che il suo sguardo interiore si aprisse su panorama un po' anomalo, ma entrare nel mondo di Gillian fu come lasciare una casa ben ordinata per uscire in una terra da incubo. Il panorama mentale in cui il suo spirito mosse qualche passo incerto era lo scenario di una città rasa al suolo da uno spaventoso terremoto: strade spaccate da lunghi crepacci, cumuli di macerie e spirali di fumo che si levavano da quei resti. Adam aggirò un mucchio di alberi divelti e vide profili di strutture che avrebbero potuto essere edifici, ora caduti in rovina. Mentre cercava un percorso per avanzare in quella devastazione, un profondo rombo sotterraneo nacque intorno a lui. Un momento più tardi i cumuli di macerie tremarono e i crepacci si allargarono ancora. Il territorio che lo circondava cominciò a squarciarsi. Enormi slavine di fango e macerie precipitarono nei baratri che s'erano aperti, lasciandosi dietro il caos più completo. Lui si spostò alla ricerca di una zona più stabile, e nel guardarsi attorno non poté trattenere un sospiro di sconforto. Il li-
vello di distruzione psichica era impressionante. In tutti gli anni nei quali aveva visitato ogni regione dei Piani Interni, non aveva mai incontrato un tracollo di personalità così completo. Ciò che vedeva intorno a sé erano simboli, detriti psichici che rappresentavano pensieri, ricordi, frammenti della personalità. Era come se un ciclone avesse investito una sala piena di puzzle disposti ordinatamente, scaraventandone i pezzi a grande distanza in una confusione disperata. Tutti i diversi elementi che componevano l'identità di Gillian Talbot erano lì, da qualche parte, mescolati a quelli appartenenti a Michael Scot... e indubbiamente ad altri ancora, nati da chissà quali e quante diverse reincarnazioni. Con il tempo e la pazienza, un accorto restauratore avrebbe potuto rintracciare i pezzi, mettere di nuovo insieme i puzzle, ricostruire le maschere di quell'anima. Ma solo con molto tempo a disposizione. Per il momento, Adam fu costretto ad ammettere che riportare indietro Michael Scot, in modo almeno accettabile e nell'immediato futuro, era fuori questione... e questo significava che ogni sua speranza di avere qualche indizio sui fatti accaduti all'abbazia di Melrose dipendeva da Peregrine. Riparare i danni alla personalità di Gillian Talbot era una faccenda del tutto diversa e separata. Adam stava cominciando a rientrare nel suo corpo, quando il fruscio della tenda bruscamente tirata da parte lo fece sobbalzare, catapultandolo precipitosamente nello stato di normale consapevolezza. Con uno sforzo si costrinse a non mostrare nessun sintomo di squilibrio, ma gli occorsero due o tre secondi prima di ritrovare la compostezza. Poi raddrizzò le spalle e si volse; ad aprire la tenda era stata un'infermiera di mezz'età, bruna e robusta. La sua espressione era quella di chi non è affatto disposto a tollerare strane infrazioni al regolamento, soprattutto da parte di gente non autorizzata. «Be', insomma, posso sapere cosa sta succedendo, qui?» domandò, spostando lo sguardo da Adam alla signora Talbot. Quest'ultima aveva aperto gli occhi e per tutta risposta sbatté le palpebre, un po' stordita. Esibendo un'aria di perfetta naturalezza, Adam intascò l'orologio e tirò fuori la sottile scatoletta d'argento in cui teneva i biglietti da visita. «Non si allarmi, la prego» disse all'infermiera, consegnandole uno degli eleganti biglietti. «Mrs. Talbot mi ha chiesto di esaminare sua figlia. Io ho accettato di far trasferire Gillian in una clinica più vicina alla località in cui esercito la professione medica, se entro qualche settimana le sue condizioni non dovessero migliorare.» Tolse di tasca la penna stilografica d'oro e
scrisse un numero su un secondo biglietto da visita, che consegnò alla signora Talbot. «Questo che ho annotato qui è un secondo recapito telefonico, a cui potrà trovarmi a qualsiasi ora. Mrs. Talbot» disse, facendole chiudere le dita intorno al biglietto e tenendole così per un momento, a rafforzare la suggestione post-ipnotica che stava inserendo nella sua mente. «La prego, mi chiami, e sarò lieto di potermi occupare del caso di sua figlia.» Mentre la signora Talbot annuiva, ancora un tantino stordita, l'infermiera abbassò lo sguardo sul biglietto che Adam le aveva dato. La sua espressione si fece subito più rispettosa, mentre leggeva. «Sir Adam Sinclair, membro della Reale... oh, mi scusi, Sir Adam!» disse, un po' imbarazzata. «La dottoressa Ogilvy non mi ha detto che lei sarebbe venuto a visitare la paziente, e quando ho visto la tenda chiusa, io...» «Mi spiace, è colpa mia, avrei dovuto informarla prima di entrare in corsia, ma in quel momento al banco non ho visto nessuno.» Adam si piegò verso la madre di Gillian e le porse la mano. «Non si alzi, Mrs. Talbot. Io sono atteso altrove, e adesso devo andare. Ma prima di uscire darò un'occhiata alla cartella clinica di Gillian. In ogni modo, lei non dimentichi l'impegno che ho preso verso sua figlia. Se le sue condizioni non miglioreranno, la prego di non esitare a chiamarmi.» «Sì, dottore... lo farò» annuì la signora Talbot. «Bene. Non perda la speranza. Ricordi che solo questo potrà darle la pazienza e la forza d'animo necessarie» disse Adam, stringendole la mano con dolcezza, prima di lasciarla. Riprese il soprabito dai piedi del letto, e accennò all'infermiera di accompagnarlo verso la porta. «Le spiace lasciarmi dare uno sguardo alla cartella clinica della paziente?» Poco dopo, nel piccolo ufficio della capo-infermiera, poté esaminare la cartella clinica di Gillian, quella stessa che Peregrine aveva visto ai piedi del letto della ragazzina. Ma ciò che lesse non gli disse nulla che già non si fosse aspettato. Gli esami del sangue e della tiroide erano negativi, i test neurologici anche, e la TAC non aveva rivelato lesioni o masse anomale nell'interno del cranio. Tutto appariva entro i limiti della norma... salvo che non era affatto normale che una ragazzina di dodici anni fin'allora perfettamente sana fosse nelle condizioni in cui era caduta Gillian Talbot. Tutto ciò che Adam poteva fare, per il momento, era di concentrarsi sull'altra pista, quella dei ladri di tombe, prima che si raffreddasse troppo per
poter essere seguita con qualche possibilità di ristabilire la giustizia. Sperare in bene e affidarsi al Fato non era sufficiente. CAPITOLO QUATTORDICESIMO Peregrine s'era separato da Adam con la ferma intenzione di ottenere qualche risultato, per non deludere le aspettative del suo mentore. Intanto che il taxi avanzava lentamente nel traffico di Park Lane poi svoltava a destra in Oxford Street, tamburellò con dita impazienti sul bracciolo del sedile, guardando distrattamente fuori dai finestrini la gente che affollava i marciapiedi su entrambi i lati della strada. L'aria aveva un odore acido, poco salubre, appesantita dai gas di scarico delle automobili. Fu un sollievo quando voltarono nelle tranquille strade secondarie che fiancheggiavano l'antico museo. Non che il British Museum fosse un posto silenzioso e deserto. Peregrine scese dal taxi e si trovò subito immerso in uno sciame di visitatori che entravano e uscivano. Non appena fu dentro, nell'atrio dell'edificio, fu incorporato e come catturato da un nutrito gruppo di scolaretti in uniforme, che procedevano in fila e non sembravano affatto disposti a infrangere l'ordine di tenersi per mano soltanto per lasciar passare lui. Dovette aspettare in mezzo a loro, intanto che un insegnante consultava uno dei custodi per sapere dove fosse la Mostra delle Sculture Greche Classiche. Mentre gli scolari sfilavano via cicalando, Peregrine rifletté che se le sale di lettura nella Sezione Manoscritti erano frequentate come il resto del museo, lui avrebbe avuto non poche difficoltà a portare a termine la sua missione. Trovare un posto appartato dove potersi concentrare, lì dentro, sarebbe stato facile come su un autobus nell'ora di punta. Al banco della reception, allorché presentò a un'impiegata dall'aria severa la busta contenente la lettera di Adam e domandò da che parte doveva andare, si aspettava di dover mostrare i suoi documenti e rispondere a un interrogatorio. Invece la donna si limitò ad annuire cortesemente e allungò una mano verso il telefono accanto al suo computer. Dopo un breve scambio di frasi con qualcuno all'altra estremità della linea, si volse a Peregrine e lo informò in tono efficiente che Mr. Rowley sarebbe subito venuto a occuparsi di lui. Quando uscì dall'ascensore, Peter Rowley si rivelò un ometto quasi più largo che alto, con una foresta di capelli neri divisi da una scriminatura centrale in due voluminose ondulazioni rigonfie. I suoi occhi erano acuti e
sospettosi in modo sconcertante, dietro le lenti bifocali. Ma dopo che ebbe letto la lettera di presentazione di Adam Sinclair gli porse la mano, con un'improvvisa esibizione di cordialità. «Sa, lei non è la prima persona che viene a esaminare la Miscellanea del Maitland Club» lo informò, alzando un dito in modo vagamente ammonitore. «Tuttavia se lei è stato prescelto come assistente da Sir Adam, mi aspetto che avrà più cura degli altri di quel manoscritto. Venga, prego. Il mio ufficio è nei meandri del terzo piano.» Quando furono in ascensore e Rowley premette il terzo pulsante sotto lo zero, Peregrine capì meglio cosa intendeva. L'ufficio del Dipartimento delle Antichità Medievali era nelle labirintiche viscere sotterranee del museo. «Scusi, sa, questo posto è pieno di reperti che non hanno ancora trovato posto nelle sale di esposizione» disse Rowley, mentre lo precedeva lungo cinque o sei corridoi parzialmente ingombri di casse da imballaggio d'ogni forma. «D'altra parte, se lei vuole fare una ricerca in santa pace, la cosa migliore è allontanarsi il più possibile dalle sale frequentate dal pubblico. Ecco, siamo arrivati. Si accomodi, prego.» L'uomo aprì una porta e fece passare Peregrine in un'anticamera piena di scaffali e schedari. L'unico posto libero da registri e fascicoli accumulati era la scrivania della segretaria, dietro la quale una donna dai capelli grigi stava battendo sulla tastiera di un computer di modello molto recente. Accanto a lei una stampante sputava un foglio dopo l'altro. «Mrs. Trayle, questo è Mr. Lovat» la informò Rowley. «È qui per fare un lavoro di ricerca sul manoscritto Miscellanea del Maitland Club» Volume Quarto, Parte Seconda. Si trova nella Sezione 239, Cotton MS Nero D-2, se ricordo bene. Vuol essere così gentile da andarcelo a prendere? Ah... per favore, già che passa davanti al distributore, ci prenda anche due tazze di the. L'uomo aprì un'altra porta e introdusse Peregrine nel suo ufficio, ancor più stretto e ingombro dell'anticamera. «Suppongo che lei preferisca dare un'occhiata a quel manoscritto in un posto dove ci sia un minimo d'intimità» osservò Rowley, come dandolo per scontato. «Io ho una conferenza all'università, dall'altra parte della strada, fra una mezz'ora, perciò lei potrà senz'altro approfittare di questo ufficio, intanto che sono assente.» Il suo sguardo si fermò in quello di Peregrine. In quell'istante il giovane artista vide una rapida sovrapposizione di immagini sul volto rubicondo dell'esperto di cartografia medievale, e comprese che nel passato di quell'uomo c'era un gran numero di reincarna-
zioni. Evidentemente Adam aveva le sue buone ragioni, per averlo indirizzato da Peter Rowley. «Questo è straordinariamente gentile da parte sua, signore» si trovò a dire Peregrine, con un sollievo che non era affatto esagerato. «Io non ho molta dimestichezza col British Museum, e mi stavo proprio chiedendo dove avrei potuto trovare un angolo appartato per lavorare.» La segretaria entrò due minuti dopo con il manoscritto richiesto, poi uscì e andò al distributore, con un vassoio. Rowley si trattenne per il tempo di bere una tazza di the, e diede a Peregrine un breve elenco di raccomandazioni su come andavano maneggiati i documenti storici. Poi gettò un'occhiata all'orologio e si affrettò a ficcare alcuni appuntì in una cartella di pelle. «Buon Dio, come vola il tempo! Sono atteso nell'auditorium fra cinque minuti. Credo che sarò di ritorno fra un'ora o poco più» disse, infilandosi il soprabito appeso all'attaccapanni dietro la porta. «Se nel frattempo lei avrà bisogno di qualche altra cosa, si rivolga pure a Mrs. Trayle.» Quando fu solo, Peregrine aprì la ventiquattr'ore e ne tirò fuori i disegni che aveva fatto a Melrose. Li depose accuratamente a sinistra del manoscritto contenente la Brevis Descriptio, quindi sedette alla scrivania ripassando mentalmente le istruzioni che Adam gli aveva dato. All'improvviso il suo cuore batteva più veloce per l'eccitazione. Si sentiva, comprese, quasi come un criminale sul punto di commettere un'operazione illecita di qualche genere. Per l'amor di Dio, razza d'idiota! si disse, esasperato. Stai cercando delle informazioni, non rapinando una banca! Mise sotto controllo le sue emozioni e fece qualche lungo respiro per concentrarsi. Quando fu più tranquillo, anche il suo cuore rallentò le pulsazioni. Continuando a respirare con metodo, come Adam gli aveva insegnato, la situazione in cui si trovava cessò di apparirgli strana. A questo punto si sentì calmo e lucido di mente, padrone di sé come se percorresse una strada molto familiare. Quella sensazione di sicurezza portò con sé un corredo di altri piccoli regali. Era consapevole di possedere delle facoltà e di poterle dominare, come non gli era mai successo prima. Senza stare a pensarci appoggiò la mano sinistra sul blocco da disegno, a palmo in giù. Con l'altra aprì il volume «in folio» sulla scrivania e cominciò a studiarlo nei particolari. Usando il dito indice come un puntatore sfiorò tutte le righe di ogni pagina del manoscritto, dall'inizio alla fine. Dapprima quella scrittura medie-
vale gli apparve strana e quasi illeggibile, una caotica accozzaglia di lettere angolose che avevano poco a che fare con il corsivo moderno. Ma quando ebbe finito e tornò alla prima pagina scoprì che riusciva a separare una parola dall'altra senza difficoltà. Si concentrò ancora di più, e cominciò lentamente a leggere. Un'ora prima avrebbe potuto stupirsi del fatto che il latino del tredicesimo secolo fosse così ben decifrabile al suo occhio non addestrato. Ora quel problema gli era del tutto passato di mente, mentre traduceva senza nessuno sforzo le righe di scrittura che aveva davanti. L'autore della Brevis Descriptio parlava delle varie province scozzesi cominciando dalle più meridionali, che nella sua epoca erano quelle di Treviot e di Lothian. Peregrine oltrepassò quei paragrafi senza avvertire nessuna risposta, e continuò a leggere: Postea est terra de Fif in qua sunt burgus Sancti Andree et Castrum de Locres... Mentalmente lui tradusse: «Più oltre c'è la terra di Fife nella quale stanno la città di St. Andrews e il castello di Locres (Leuchars, al giorno d'oggi)...» Subito dopo l'autore passava alle province di Angus e ai Monti Grampiani, che lui nominava semplicemente come «Le Mounth». Dimentico del passare del tempo, Peregrine lesse le descrizioni di Aberdeen e di Elgin, città sulla costa orientale, finché trovò uno spazio in bianco nel testo. La frase successiva si conformava grammaticalmente a quella che la precedeva: Et postea est terra de Ros... Ma quando Peregrine lesse la parola «Ros» avvertì un forte prurito al palmo della mano sinistra, poggiata sui disegni che Michael Scot lo aveva indotto a fare. Ritornò con l'indice della destra su quel nome e lo tenne lì, fermo. Il prurito al palmo dell'altra mano divenne più forte, cessando del tutto quando lui spostò il dito più avanti o più indietro rispetto a quella parola. Ci siamo! pensò, trionfante. Il castello di Scot dev'essere da qualche parte nell'antico Regno di Ross! Corrugando le sopracciglia, Peregrine cercò di ricordare ciò che aveva studiato a scuola sulla storia medievale scozzese. Il Regno di Ross, ne era abbastanza sicuro, aveva occupato una regione alquanto vasta fra Loch Ness, a sud, e le Montagne del Sunderland a nord... ancora un bel po' di territorio da esplorare. Peregrine sospirò ,e scosse il capo, con un borbottio. Se solo avessi una carta geografica dell'epoca, oltre a questo manoscritto! pensò. L'autore non aveva unito alcuna mappa al testo, purtroppo. Ma quel ragionamento gliene suggeriva un altro.
«Chissà a che periodo risalgono le prime vere carte geografiche della Scozia giunte fino a noi?» si domandò ad alta voce. «Se lei vuole considerare la Gran Bretagna come un tutto unico» gli rispose la voce di Rowley, dalla porta, «le più antiche della nostra collezione sono state realizzate nel tredicesimo secolo. In realtà si tratta di disegni artistici... non di vere carte geografiche come le intendiamo noi.» Peregrine si voltò, con un sussulto. «Mi scusi. Credevo che lei mi avesse sentito entrare» disse il cartografo. Accennò verso la Miscellanea del Maitland Club. «Ha trovato quello che stava cercando?» «Sì, credo di sì» rispose Peregrine. «Almeno in parte. Ma ho ancora delle domande senza risposta.» Fece una pausa, per pulirsi gli occhiali. «Crede che mi sarebbe possibile dare uno sguardo a quelle carte che lei ha menzionato?» Rowley scrollò le spalle. «Non vedo perché no. Ma devo avvertirla: sono spaventosamente imprecise, quando passiamo alla Scozia. L'uomo che le disegnò, un certo Matthew Paris, era un inglese, un monaco di St. Albans. La sua conoscenza della geografia scozzese sembra limitata alle regioni a sud del fiume Tay.» «Mi piacerebbe vederle ugualmente, se posso» disse Peregrine. «Ne avete qualcun'altra qui, di una certa accuratezza?» «Vediamo...» Rowley si mordicchiò un labbro e il suo sguardo frugò nell'aria sopra la testa del giovanotto. «La più antica è la Landsdowne 204, una mappa senza titolo realizzata da John Harding, intorno all'anno 1457. Non è una carta geografica più di quanto lo sia quella di Paris... una mappa arricchita da disegni fantasiosi, ma su di essa sono tracciati almeno cinquanta nomi di località. Dopo questa ne abbiamo diverse risalenti al sedicesimo secolo, di vari autori. Le interessano le mappe stampate, oppure soltanto i disegni originali fatti a mano?» «Non ha troppa importanza. Mi basta esaminare tutto ciò che è anteriore al sedicesimo secolo» disse Peregrine. «A patto che questo non le faccia perdere troppo tempo, con tutto ciò che lei avrà da fare...» «Il tempo lo troverò» disse allegramente Rowley. «Qui siamo abituati agli imprevisti.» Inarcò un sopracciglio. «Come vuole esaminarle? In ordine cronologico?» «A meno che lei non sappia pensare a un modo migliore» disse Peregrine. «Così sia, allora.» Rowley aprì la porta e sporse la testa nell'anticamera.
«Mrs. Trayle, può interrompere un momento quel che sta facendo? Ho bisogno che lei vada nella prima sala delle mappe a cercare alcune cose per me...» Dopo che la segretaria ebbe portato con le necessarie cautele i preziosi fogli di cartapecora e pergamena, i due uomini si concentrarono per un paio d'ore sulla zona dov'era sorto l'antico Regno di Ross. Dapprima Peregrine era molto esitante a mostrare a Rowley il suo eccentrico metodo d'indagine; tuttavia, non vedendo altra soluzione, decise di procedere ugualmente. Fu lui a restare stupito allorché il cartografo del museo, invece di fargli domande, non disse parola e si comportò come se fosse abituato a trattare con persone che esaminavano quelle mappe con sistemi da occultista. La singolare noncuranza di Rowley mise Peregrine a suo agio, e rese più facile ciò che stava facendo. Ma nello stesso tempo il suo lavoro si rivelò del tutto improduttivo. Alcune delle mappe che il giovanotto esaminò erano carte marittime, che mostravano solo le regioni costiere. Altre erano tracciate in modo vago, senza dettagli sufficienti. Quando l'orologio appeso a una parete dell'ufficio segnò le sei, Peregrine fu costretto ad accettare il fatto che, per quanto la giornata fosse stata deludente, a insistere su quella strada non c'era altro da guadagnare. Bevve l'ultimo sorso ormai freddo della sua terza tazza di the e si alzò dalla sedia, con un sospiro rassegnato. Rowley lo guardò, annuendo con aria comprensiva. «So come si sente» disse, filosoficamente. «L'esperienza mi ha insegnato che, in questo genere di ricerche, solo il dieci per cento degli sforzi danno qualche risultato. Il resto è tempo perso.» Si voltò ad annuire verso la segretaria, che aveva messo dentro la testa per dirgli qualcosa. «Pensa di tornare anche domani?» Peregrine si massaggiò le reni indolenzite e scosse il capo. «La ringrazio per l'offerta ma non credo che sia il caso. Se fin ora non ho combinato niente, dubito che insistere su questa linea di ricerca servirebbe a qualcosa.» Ebbe un sogghigno di scusa. «Suppongo di averle rubato già troppo tempo. In ogni modo, grazie per il suo prezioso aiuto.» «Non ne parli neppure» disse Rowley. «Porti i miei saluti a Sir Adam.» Attese finché Peregrine ebbe rimesso le sue cose nella ventiquattr'ore e poi gli tese la mano. «Non esiti ad avvertirmi, se potrò esserle utile.» Mentre si stringevano la mano, il telefono squillò nell'ufficio esterno interrompendo i convenevoli di Peregrine, e un momento più tardi la segreta-
ria del cartografo bussò di nuovo alla porta. «È per lei, Mr. Rowley. Il Dr. Middleton.» «Ah.» Rowley si mosse verso il telefono sulla sua scrivania. «Mi scusi, Mr. Lovat.» «Prego, risponda pure alla chiamata, Mr. Rowley» disse Peregrine, alzando una mano in segno di saluto. «Provvedo io a portare queste mappe alla sua segretaria, e poi troverò l'uscita da solo. E grazie di nuovo.» Rowley annuì con un sorriso e sollevò il ricevitore. Frammenti della conversazione che seguì filtrarono fino nell'altra stanza, mentre Peregrine consegnava le mappe a Mrs. Trayle e attendeva che la donna controllasse il numero e lo stato dei preziosi documenti. «Hallo, William! Allora, com'è andata la Conferenza sulle Highlands e sulle Isole?... Oh! Ah, davvero? Mi spiace sentirtelo dire. In ogni modo, c'era anche Raeburn, non è così?... Già, be', dopotutto lui ha degli interessi finanziari a Inverness, a parte i suoi studi...» Peregrine si accorse che stava ascoltando una conversazione privata e si diede mentalmente uno scappellotto, un po' sorpreso di se stesso. Di qualsiasi cosa stiano parlando, non sono fatti tuoi si disse, mentre andava alla porta. Ma lo stupì accorgersi che quel frammento di conversazione continuasse a echeggiargli nella mente anche molto tempo dopo che ebbe lasciato il museo. Aveva completamente dimenticato la cosa, tuttavia, quando riuscì a fermare uno dei pochi taxi liberi a quell'ora e si fece portare al Caledonian Club. Appena fu entrato nell'atrio si accorse che Adam era già lì, sprofondato in una poltrona nell'angolo delle scale e intento a sorseggiare pensosamente un bicchiere di whisky. L'amico notò subito il suo arrivo e sollevò il bicchiere verso di lui in segno d'invito. «Eccomi qua» disse Peregrine, deponendo la ventiquattr'ore sulla poltrona accanto a quella di Adam e cominciando a sbottonarsi il soprabito. «Spero che tu non mi stia aspettando da troppo tempo. Credevi che mi fossi perso?» «A me succede sempre, quando mi aggiro per il British Museum» rispose Adam. «Ma non temere, non mi annoio quando resto solo con me stesso. Allora, hai ottenuto qualcosa con quel manoscritto?» Peregrine sedette accanto ad Adam e alzò un braccio per richiamare l'attenzione di un cameriere, accennandogli poi al bicchiere di Adam per comunicargli di portarne uno uguale anche a lui. «Temo che la Dea Bendata non sia riuscita a trovarmi, nelle viscere del
museo, se pure aveva idea di cercarmi» sospirò. «Ho esaminato la Brevis Descriptio, e sono riuscito a restringere la ricerca all'antico Regno di Ross. Ma questo è tutto ciò che ho potuto ottenere col materiale disponibile al museo.» Si strinse nelle spalle. «Poi ho deciso di usare anche delle antiche carte geografiche, però quelle che Mr. Rowley mi ha mostrato erano più che altro dei disegni artistici, senza contorni precisi. Alcune non abbiamo potuto toglierle dalla bacheca, e così ho dovuto lavorare su delle copie. Se avessi avuto gli originali, forse...» «Non sottovalutare i risultati che hai ottenuto» lo consolò Adam. «Il Regno di Ross restringe considerevolmente il campo di ricerca. Ci hai procurato un indizio che potrebbe rivelarsi vitale... e in ogni modo è l'unica traccia che abbiamo, al momento.» Nel vedere l'espressione perplessa di Peregrine, si affrettò a spiegare. «Ho visto la ragazza Talbot. Non c'è dubbio che sia lei la persona che cercavo. Sfortunatamente, l'informazione che volevo estrarre dalla sua mente è del tutto inaccessibile.» «Perché? Cos'è successo?» «L'evocazione che quegli individui hanno messo in atto a Melrose, ha avuto delle conseguenze più distruttive di quel che avrei supposto» disse Adam, con una smorfia. «C'è stato un collasso completo della personalità, a tutti i livelli.» «La ragazzina non è uscita dal coma, allora?» domandò Peregrine. Adam si concesse un sorriso stanco e scosse il capo. Poi chinò la fronte contro il vetro freddo del suo bicchiere. «Vorrei che fosse così semplice, Peregrine» mormorò. «Clinicamente, la ragazzina è in coma vigile, ma la sua mente è in stato catatonico. Le sue risposte neurologiche sono autistiche... o addirittura assenti. La sua personalità è stata frammentata a tutti i livelli. Sono certo di quello che dico. Io sono stato dentro il territorio della sua mente.» Peregrine corrugò le sopracciglia, confuso da quelle parole e preoccupato per l'evidente stanchezza che vedeva in Adam, ma prima che potesse fare altre domande arrivò il cameriere col drink. Lui lo ringraziò con un cenno del capo, bevve un sorso e la sua espressione si schiarì. «Hmmm!» approvò, alzando il bicchiere in controluce per guardare il colore del whisky. «Buono. È quello che bevi di solito?» Adam annuì. «Il MacAllen» disse. «Stavi per chiedermi qualche altra cosa?» Peregrine esitò un momento. «Tu hai detto che la personalità della ra-
gazzina è frammentata... ma quella di Michael Scot non è una personalità diversa e separata dalla sua?» «Sì, ma ricorda che io ho paragonato a maschere le personalità delle incarnazioni successive» rispose Adam, tenendo la voce bassa per non essere ascoltato da estranei. «Ciò che indossa la maschera di ogni incarnazione è lo spirito, il quale è l'essenza di tutto l'insieme, ed è immortale. Ma il puro spirito, a meno che sia estremamente evoluto, non può interagire con gli esseri umani di carne e ossa se non ha l'interfaccia di una maschera, vuoi passata, vuoi attuale. «Io oserei dire che tutte le maschere un tempo accessibili allo spirito che ora occupa il corpo chiamato Gillian Talbot sono state frammentate, compresa la maschera di Michael Scot. Finché questa, almeno questa, non sarà riassemblata, non avremo accesso ai ricordi e alle informazioni che sarebbero disponibili all'incarnazione di Michael Scot.» Dietro le lenti degli occhiali, Peregrine sbatté le palpebre. «Non c'è niente che tu possa fare per riparare il danno?» «A breve termine, no» rispose Adam. «Mi sono offerto di prendere Gillian sotto le mie cure, come paziente privata. Se i suoi genitori decideranno di valersi dei miei servizi, c'è qualche speranza per lei. In caso contrario...» Adam si strinse nelle spalle e bevve un altro sorso di whisky. Peregrine s'era scurito in faccia, e strinse i denti. «I responsabili delle condizioni di quella poverina» disse dopo un poco, «sono gli individui che hanno scavato nell'abbazia di Melrose, no? Quelli che io ho disegnato.» Quando Adam annuì, gravemente, l'artista poggiò il bicchiere sul tavolino, con espressione cupa. «Be', allora dobbiamo trovarli, Adam» mormorò. «È gente senza scrupoli, e qualcuno deve impedire che continuino a commettere azioni così efferate. Bisogna fermarli.» «È proprio quello che penso anch'io» disse Adam. «Ma cosa possiamo fare, adesso? Ogni traccia che avevamo ci è sfuggita dalle mani!» «Per questa sera» disse Adam, «non ci resta altro che cenare, qui al club, e andare a letto presto. Per domani mattina, propongo di fare una visita alla Scottish Geografical Society che, per quanto possa sembrare illogico, ha la sua sede qui a Londra.» Peregrine si mordicchiò un labbro. «Pensi che abbiano del materiale che Rowley non ha, al British Museum?» «Hanno senza dubbio del materiale diverso» rispose Adam. «E noi do-
vremo cercare ogni informazione disponibile sui luoghi fortificati dell'antico Regno di Ross.» CAPITOLO QUINDICESIMO Meno di ventiquattr'ore più tardi, sull'isola di Skye, in un castello che era stato la residenza dei Capi del clan MacLeod per oltre settecento anni, uno dei MacLeod dell'ultima generazione stava terminando di raccontare all'ennesimo gruppo di visitatori paganti la storia delle passate glorie del clan. Finlay MacLeod non era il Capo del suo clan, ma si vantava d'essere uno dei suoi principali collaboratori, quello che negli antichi giorni sarebbe stato definito un suo fedele scudiero. Dagli scudieri moderni non ci si aspettava che impugnassero le armi per il loro Capo in nessun modo, fuorché nelle cerimonie in costume, ma in effetti Finlay lo aveva fatto davvero, agli ordini del suo Capo, durante la Seconda Guerra Mondiale. Ora si portava ancora dietro dei frammenti di shrapnel tedesco in un ginocchio, e quando il tempo era molto umido camminava con una leggera zoppia. Finlay e sua moglie Margaret erano ormai in pensione, e avevano l'incarico di custodi a vita del castello, fungendo da personale extra quando il Capo dimorava lì. Inoltre, durante la stagione turistica, si occupavano spesso di fare da guida ai visitatori, in specie alla fine dell'estate, dopo che il giovanotto assoldato per svolgere quel compito se n'era tornato a casa, alla scadenza del suo contratto, e il flusso dei turisti cominciava a prosciugarsi, a fine ottobre, con l'arrivo delle prime fredde e piovose giornate autunnali. Quel giorno, mentre Finlay conduceva alle scale il gruppetto a cui aveva appena fatto da guida nelle sale del primo piano, sua moglie Margaret stava ancora vendendo biglietti d'ingresso alla cassa, giù nell'atrio principale. Il Capo era in America, a uno dei grandi raduni dei discendenti degli highlander, e il suo ritorno era atteso per la settimana successiva. Finlay gravitò verso il solito posto dove aspettava il passaggio dei visitatori, accanto a una larga finestra dai vetri dipinti del primo piano, mentre un altro gruppo di turisti entrava nel salone, e spazzolò via un immaginario granello di polvere da un elegante pianoforte a coda ottocentesco. L'ultimo gruppo, ora sceso di nuovo al pianterreno, era stato composto interamente di giapponesi, armati di telecamere e macchine fotografiche complicate come computer, uno solo dei quali capiva l'inglese e s'era assunto il compi-
to di fare da interprete per gli altri. Il gruppo appena arrivato sembrava invece composto dal solito miscuglio di giovani sposi dell'Europa Occidentale, famiglie scozzesi e britanniche con figli di varie età, e un buon numero di turisti americani in prevalenza anziani. A Finlay il suo lavoro piaceva. Gli piaceva la gente, e gli piaceva cercare d'indovinare il paese d'origine dei visitatori del castello, specialmente se riusciva a identificarli dall'aspetto, prima che il loro accento li tradisse. Col trascorrere degli anni, per esempio, aveva scoperto che gli americani erano riconoscibili dai vestiti: gli anziani perché appena arrivati in Inghilterra si affrettavano a comprare impermeabili London Fog, gilè di tartan e sciarpe Burberry; e i giovani perché invariabilmente avevano scarpe di gomma multicolori, zainetti da scolari sulla schiena, e bluse ultrasottili che ripiegate potevano stare dentro una tasca. Gli americani non dispiacevano affatto a Finlay, anche se molti di loro erano incolti e chiassosi secondo gli standard locali, e questo perché non pochi venivano lì a cercare le loro radici MacLeod... ragione, questa, per cui tutto il personale del castello indossava il tartan dei MacLeod sul lavoro. Margaret e le altre due donne che quel pomeriggio erano dislocate in vari posti del castello preferivano le fasce di tartan giallo e nero chiamato affezionatamente «Alto MacLeod», e avevano sciarpe e nastri fissate con spille di agata e tormalina incastonate in argento scozzese. Finlay prediligeva invece i gonnellini in cui predominava il verde, nello stile chiamato «MacLeod dei MacLeod», e notò che parecchi dei visitatori del gruppo appena arrivato nel salone del primo piano avevano sciarpe e cravatte di quel tartan. Quando alcuni cominciarono a guardare con aria d'attesa nella sua direzione, Finlay si schiarì rumorosamente la gola e unì le mani dietro la schiena, preparandosi a dare inizio al suo solito discorsetto introduttivo. «Buon pomeriggio, signore e signori. Col permesso del Capo del nostro clan, sono lieto di darvi il benvenuto nel castello di Dunvegan. Avete appena visitato le camere dell'ala est. Questa che vedete era un tempo la sala di soggiorno, che è una delle parti più antiche del castello. Il suo arredamento in stile Giorgio VII può non dare l'impressione che la sala sia molto antica, ma giusto oltre quella porta e dietro l'angolo, dall'altra parte di quel muro» e indicò la parete alla sua sinistra «potrete vedere le segrete del castello, un angoscioso luogo di detenzione, dove nel quindicesimo secolo fu rinchiuso per ben due anni Ulderico di Sassonia. Non voglio farvi perdere tempo con le notizie spicciole che avete già trovato sulla guida. A proposi-
to, chi si è dimenticato di farlo potrà acquistarne una copia per soli quattro scellini al pianterreno, da Lady Eunice MacCrimmon...» Finlay si riferiva al banco dietro cui stava la cugina di sua moglie, il cui diritto a portare il titolo di «lady» era in verità del tutto inesistente. «Ma ci tengo particolarmente a presentarvi il più grande tesoro del clan MacLeod, che potete ammirare in questa stessa sala: am Bratach Sith, lo Stendardo degli Elfi.» Finlay si volse a indicare il muro alle sue spalle, fra due finestre che si aprivano verso il mare, e tutti gli occhi si spostarono sulla bacheca di vetro appesa lì. Dentro di essa c'era una bandiera pesantemente ricamata, larga circa un metro e venti e alta novanta centimetri, fissata sopra uno sfondo di velluto color rosa salmone. Si trattava di un rettangolo di stoffa giallastra e lucente come vecchia pergamena, con diverse pezze rettangolari più scure o più chiare cucite nei punti dove il fragile tessuto aveva ceduto, nel corso dei secoli. Per conservarla meglio era stata montata sopra uno strato di lino non colorato, e messa sotto vetro in modo che la pressione la tenesse ben distesa. Due tende mobili di broccato arancione la incorniciavano sui lati, mentre nella parte superiore una fascia della stessa stoffa nascondeva il meccanismo delle tende. La rigida sensibilità presbiteriana di Finlay sarebbe stata offesa dall'insinuazione che lì si venerassero delle reliquie religiose tipo ex-voto, ma se davanti ad essa ci fosse stato un inginocchiatoio la sistemazione di quella bandiera avrebbe fatto pensare a qualcosa che si poteva vedere in una chiesa. «Ci sono parecchie versioni su come i MacLeod siano venuti in possesso dello Stendardo degli Elfi» continuò Finlay, abbassando la voce mentre i visitatori si facevano avanti in rispettoso silenzio per guardare più da vicino. «Alcuni storici pensano che fosse la bandiera di guerra di Harald Hardrada, perduta durante la tragica sconfitta di Stamford Bridge e poi riportata a Skye dai suoi discendenti. Altri invece affermano che si tratta in realtà di una bandiera saracena catturata dai crociati in Terra Santa, e portata qui dai Cavalieri del Santo Sepolcro.» Alcune persone annuirono con aria convinta, perché ciò che restava dei ricami visibili dietro il vetro faceva pensare a un lavoro orientale. «I MacLeod però giurano che lo Stendardo non ha un'origine terrena» disse Finlay, dando più risonanza alla sua voce, «ma fu il dono d'amore di una principessa degli elfi al Capo del clan MacLeod. E la leggenda dice che la principessa degli elfi gli promise che se uno dei futuri Capi l'avesse sventolata quando il clan fosse stato in pericolo, il popolo degli elfi, i Si-
dhe, sarebbe accorso in suo aiuto, e che questo sarebbe accaduto per tre volte. La tradizione narra che lo Stendardo sia già stato sventolato in due occasioni, e che entrambe le volte gli elfi sono venuti, così potete ben immaginare con quanta attenzione ogni nuovo Capo del clan consideri la possibilità di essere lui a sventolare lo Stendardo per la terza e ultima volta.» «Questo è ridicolo» borbottò una voce d'uomo dal retro del gruppo. E una voce femminile ribatté: «Chiudi la bocca, George. Voglio sentire com'è successo che gli elfi hanno regalato quella bandiera ai MacLeod.» Finlay sorrise con indulgenza. Dopo oltre un quarto di secolo che trattava col pubblico, era abituato ai commenti degli scettici. «Come la maggior parte delle storie antiche, ci sono parecchie versioni su come fu che gli elfi diedero questo magico Stendardo al nostro clan» continuò, senza scomporsi. «Quella che io preferisco è un'altra, e racconta di un Capo del clan, Rufus MacLeod detto Mano di Pietra, che durante una terribile bufera di neve fu salvato da una giovane dama degli elfi, di nome Freyla, che lo ospitò nell'interno della sua collina, e pur appartenendo a razze diverse i due s'innamorarono perdutamente. Benché entrambe le famiglie si opponessero al matrimonio, Rufus Mano di Pietra e Freyla riuscirono infine a convincerle, e il matrimonio si fece, ma col patto che la dama degli elfi sarebbe rimasta col suo sposo umano solo per un anno, oppure fino al momento della nascita di un erede, qualunque delle due cose fosse accaduta prima. E se avessero infranto il patto sarebbero stati condannati a morte. «Ebbene, la storia dice che Rufus e la sua sposa vissero felici, e che prima che fosse trascorso un anno, lei gli diede un figlio maschio. Ma poi dovette tornare dalla sua gente, oltre il Ponte degli Elfi, che si può ancor oggi vedere a nord del castello. Tuttavia, accadde che durante la festa per celebrare la nascita dell'erede, la sua nutrice lo lasciò nella sua culla, nella stanza della torre orientale, quella dove siete passati poco fa, accanto alla sala da pranzo. «Quando questo accadde, il neonato scalciò via la coperta, e cominciò a prendere freddo. La nutrice non udì i suoi vagiti... ma la madre sì. Spinta dal suo amore per il bambino, la dama Freyla attraversò di nuovo il Ponte degli Elfi per soccorrerlo, e quando fu accanto a lui lo avvolse nel suo scialle e lo salvò. Più tardi, prima che la nutrice facesse ritorno, lei si dileguò nella notte per non essere condannata a morte. Ma nessuno ebbe mai dubbi sulla provenienza di quello scialle. Ed è questo il modo in cui il clan
MacLeod ebbe lo Stendardo degli Elfi... o almeno, così dice questa leggenda.» Le parole di Finlay produssero sorrisi soddisfatti e risatine scettiche, proprio come lui si aspettava, e alcuni dei turisti americani si avvicinarono per guardare meglio l'antica reliquia, compresa una coppia di mezz'età con un ragazzino pre-adolescente. «Mi scusi, signore» disse il ragazzino, perplesso, «ma lei non crederà davvero che quella bandiera sia stata fatta dagli elfi, eh?» Finlay si chinò e gli accarezzò la testa con aria burbera. «Cosa, cosa, tu stai per caso dicendo che non credi negli elfi, figliolo?» Mentre il ragazzo scrollava le spalle, evitando di rispondere, Finlay annuì. «Capisco. Senti, non è da me dire a un uomo quello che deve o non deve credere, ma una cosa posso dirtela per certa» gli confidò. «Lo Stendardo degli Elfi porta fortuna ai MacLeod, qualunque sia la sua provenienza. Durante la Seconda Guerra Mondiale molti dei giovani del nostro clan che erano partiti per il fronte portarono con sé una fotografia dello Stendardo degli Elfi. E vuoi sapere cosa successe? Tutti loro tornarono a casa sani e salvi.» Il ragazzino spalancò gli occhi. Anche i suoi genitori avevano l'aria impressionata. «Questo che dice è vero, signore?» volle sapere il padre del ragazzo. «La mia fotografia ha riportato me a casa, caro signore. Eccola qui» disse Finlay, tirando fuori una vecchia foto in bianco e nero. Gliela mostrò. «Questa è la ragione per cui mi sento onorato, oggi, di fare la guardia allo Stendardo degli Elfi.» Accennò con il capo verso la bacheca, e rimise la fotografia nel portafoglio. «Voi potete credere quel che volete, su come lo Stendardo sia giunto in possesso dei MacLeod, ma io so che è stato donato dagli elfi ai miei antenati.» Quelle parole misero fine a ogni altra domanda, come sempre succedeva, e dopo aver guardato ancora lo Stendardo degli Elfi nella sua bacheca di vetro i tre turisti si avviarono dietro il resto del gruppo, che stava uscendo dalla sala, verso le scale. Dopo di loro ne entrarono altri, alla spicciolata, ma l'ora della chiusura si avvicinava e il loro numero s'era molto ridotto. Finlay guardò l'orologio e seppe che Margaret aveva venduto gli ultimi biglietti della giornata almeno un quarto d'ora prima. Il grande orologio a pendolo accanto al caminetto batté le cinque. Finlay sentì l'ultimo gruppo di visitatori che arrivava dalla sala da pranzo, lungo il corridoio, e andò loro incontro sulla porta. Poi li condusse attraverso il sa-
lone con cortesia, illustrandone brevemente il contenuto ma senza dilungarsi come aveva fatto coi gruppi precedenti. I visitatori diedero un'occhiata alle segrete, e alle bacheche che contenevano altri oggetti storici dei MacLeod, nelle due stanze successive, quindi scesero anch'essi al pianterreno dove li aspettava il bancone dei souvenir. Le magliette con il castello e lo stemma dei MacLeod stampato sul petto si vendevano bene, specialmente in fine stagione a prezzo scontato per dare via tutte le rimanenze. Dall'atrio in fondo alle scale giunsero le loro voci, un mormorio che pian piano s'allontanò e si spense. Poi ci fu il lieve tonfo del portone principale che veniva chiuso. Dopo essersi assicurato che nel castello non fosse rimasto nessun ritardatario, Finlay tornò nel salone del primo piano, controllò che ogni cosa fosse al suo posto, girò intorno al pianoforte a coda e chiuse le finestre sulla parete orientale. Circa cinquant'anni addietro, dopo un incendio che aveva provocato seri danni, una scala antincendio di metallo era stata montata su quel lato dell'edificio, dal cortile su fino al tetto dove quattro grossi cannoni avevano protetto il castello di Dunvegan dagli attacchi dal mare. Il regolamento antincendio prescriveva che quella via d'accesso fosse agibile durante il giorno, quando i visitatori si aggiravano dappertutto, ma di notte le imposte venivano sempre chiuse, affinché qualche ladro non si arrampicasse da quella parte ed entrasse spaccando un vetro. Sempreché, naturalmente, fosse riuscito a scavalcare prima il muro di cinta del castello... In ogni modo, controllare tutte le finestre era diventata una routine naturale per Finlay, dopo decenni di lavoro, cosicché chiuse le imposte coi soliti gesti automatici e tirò le tende. Lo Stendardo degli Elfi era però una cosa del tutto diversa, e da lui non aveva mai, mai ricevuto un indifferente trattamento di routine. Dopo esser venuto a fermarsi di fronte allo Stendardo, il vecchio Finlay scattò sull'attenti e si portò una mano alla fronte, in un perfetto saluto militaresco. Restò così un momento, ripensando alla foto che aveva nel portafoglio, prima di riabbassare la mano. Poi, prima di chiudere la tenda di broccato che copriva lo Stendardo di notte quando il castello non era aperto, si baciò la punta delle dita della mano destra e toccò l'angolo inferiore destro della cornice. La vernice era un po' scrostata in quel punto, a causa della devozione di Finlay, e nel ricoprirla lui sorrise. Diede al salone un'ultima occhiata circolare e andò a spegnere la luce. Poi si avviò giù per le scale, verso l'atrio. Margaret era ancora lì, seduta dietro il bancone dei biglietti, a contare gli
incassi della giornata. Accolse il suo arrivo con un sorrisetto e alzò una mano per avvertirlo di non interromperla. Finlay annuì e andò dietro il banco dei gadget. Fu mentre si sedeva che qualcuno bussò all'improvviso al portone, con energia. «Ehi, voi, c'è nessuno?» chiamò una voce femminile, all'esterno. «Per favore, potete aprirmi un momento?» La voce aveva un tono disperato. La moglie di Finlay gli gettò uno sguardo da sopra gli occhiali. «Sembra che qualcuno abbia dimenticato qualcosa» disse, un po' accigliata. «Meglio vedere cosa vuole.» «D'accordo.» Finlay attraversò l'atrio e aprì il portone. La figura solitaria in piedi sugli scalini era quella di una giovane donna che lui ricordava vagamente di aver visto nel castello circa un'ora addietro, vestita di un anonimo soprabito di tweed marrone. In effetti, non l'avrebbe mai notata se non fosse stato per il fatto che parlava inglese senza traccia di accento regionale. Lui aveva supposto che fosse canadese, o magari americana, forse una segretaria d'azienda o una commessa. Probabilmente una segretaria, decise ora, mentre scorgeva la sua espressione ansiosa e il modo in cui le sue mani stringevano nervosamente la cinghia della borsa di pelle che portava a tracolla. Dimostrava circa trent'anni, aveva i capelli castani racchiusi in un concio dietro la nuca e una faccia ovale né brutta né bella, e portava occhiali dalla spessa montatura nera. Dietro le lenti i suoi occhi chiari avevano una luce preoccupata. «Oh, grazie al cielo c'è ancora qualcuno» sospirò la ragazza. «Mi dispiace moltissimo darvi disturbo, ma sembra che io abbia perduto le chiavi della macchina. Quando sono entrata qui le avevo, perché ricordo di averle messe nella borsa quando ho pagato il biglietto d'ingresso, ma ora non riesco più a trovarle... e di certo non potrei andare lontano senza quelle chiavi. Ho pensato che forse potrebbero essermi cadute alla bancherella dove vendete i souvenir, oppure di sopra, nel salone. Ho aperto la borsa quando ero lì, per tirare fuori la guida del castello. Pensa che potremmo andare a dare un'occhiata?» Intanto che parlava, la ragazza s'era fatta avanti. Prima che Finlay se ne accorgesse era già oltre la soglia e nell'atrio. Questa sua iniziativa era un po' sconcertante, ma un gentiluomo scozzese non poteva certo ignorare la preghiera di una signora in difficoltà. «Be', sicuro, la accompagnerò di sopra e vedremo un po'» disse con indulgenza, gettando uno sguardo a sua moglie. «Nel salone non ricordo di aver visto chiavi per terra, ma forse Mrs. MacCrimmon le ha raccolte,
dabbasso. Se sono da qualche parte le troveremo, non abbia paura.» «Oh, le sono molto grata!» esclamò la visitatrice. «Mi spiace disturbarvi in questo modo, dopo l'ora di chiusura. Non so proprio come posso esser stata così sciocca da perderle! Di solito non sono tanto distratta.» «Non si preoccupi, mia cara» disse cortesemente Margaret. «Anche a me è capitato di perdere le chiavi, almeno mezza dozzina di volte. Ora accompagnala di sopra, Fin, e guarda bene per terra. Io ti aspetto qui. Non ho ancora finito.» Finlay precedette la ragazza bruna su per l'ampia scala di pietra. Sul pianerottolo accese di nuovo la luce e si fermò a sganciare il cordone che serviva a deviare il flusso dei visitatori a sinistra, verso la camera da pranzo, invece che a destra, verso il salone. Appena ebbe tolto il cordone, la ragazza lo aggirò e andò ad aprire la porta del salone. Un po' colto di sorpresa, Finlay le tenne dietro. «Ehi... mi dia un momento» la ammonì, e andò a premere l'interruttore della luce dietro la porta. Il salone tornò alla vita. Senza aspettare Finlay, la ragazza dai capelli scuri s'incamminò a passi svelti verso le finestre del lato sinistro, appoggiò la borsa sul pianoforte a coda e si guardò attorno. «Ricordo di aver messo la borsa qui sopra, mentre cercavo la guida» disse, voltandosi a mezzo verso Finlay. «Qui le chiavi non ci sono, però. Forse sono cadute in terra.» I due eseguirono insieme la ricerca attorno al pianoforte, chinati sulle mani e sulle ginocchia, ma senza trovare niente. La ragazza sedette sui talloni ed ebbe un gesto un po' di scusa e un po' di esasperazione. «Be', sembra che qui non ci siano» disse. «Forse le ho perdute davanti al bancone dei souvenir, anche se giurerei di aver tirato fuori il borsellino soltanto quand'ero qui.» Finlay represse l'impulso di fare un commento su quella noncuranza giovanile. «Mrs. MacCrimmon non è ancora andata a casa» disse. «La riaccompagnerò giù, e faremo due chiacchiere con lei.» «Questo è molto gentile da parte sua.» La ragazza bruna gli rivolse un sorriso grato e si voltò a prendere la borsa, mandando un gridolino quando inavvertitamente agganciò la tracolla con un dito e fece cadere giù dal pianoforte la borsa, che sparse tutto il suo contenuto sul pavimento di legno lucido. Cosmetici e oggetti da toeletta si sparsero attorno, mentre numerose monete rimbalzavano e rotolavano in ogni direzione. «Oh, no!» gemette. «Come posso essere così sventata?»
Finlay si stava chiedendo la stessa cosa, ma un gentiluomo non faceva osservazioni del genere a una donna in difficoltà. Mormorando che non stesse a preoccuparsi, la lasciò indaffarata a raccogliere i suoi oggetti personali e diede la caccia alla penna a sfera e alle monete che erano finite più lontano. Mentre le dava le spalle non si accorse che lei si voltava rapidamente verso la finestra e ruotava la manopola del catenaccio che la teneva chiusa. Quando Finlay tornò da lei la trovò ancora china a recuperare le sue cose. «Grazie, molto gentile» disse lei. «Non so proprio cosa mi stia succedendo. Ho rotto anche lo specchietto, guardi qui.» Gli mostrò uno specchietto da trucco incrinato, in un beauty case di plastica rosa. «Pare che avrò sette anni di guai, adesso. Come se non ne avessi abbastanza di quelli che ho già.» «Oh, non si dia pensiero per questo, signorina» la rassicurò Finlay. «Qui a Dunvegan, lei ha la fortuna dei MacLeod che la protegge dalla malasorte. Ora torneremo giù, e vedremo se Mrs. MacCrimmon ha trovato le sue chiavi.» Uscendo dal salone lo lasciarono come l'avevano trovato, immerso nel buio. Ignaro che fosse accaduto qualcosa di sospetto, Finlay scortò la visitatrice giù per le scale e poi nel corridoio in fondo al quale una donna dai capelli d'argento, piccola e magra, sedeva a un tavolino occupata a scrivere qualcosa su un registro consunto. «Salve, Mrs. MacCrimmon» disse Finlay. «Per caso non ha trovato delle chiavi, intorno al suo banco dei souvenir? Questa giovane signora le ha perdute da qualche parte, e pensa che forse...» La sua voce cordiale si affievolì, quando s'accorse che Eunice MacCrimmon aveva alzato la testa con un sussulto improvviso, sbarrando verso di loro due occhi colmi di spavento. La donna non stava fissando lui, bensì la ragazza bruna alle sue spalle. Perplesso Finlay si voltò a guardare cosa l'avesse spaventata... e si trovò davanti la canna di una pistola automatica dall'aria letale, puntata dritta contro il suo petto. Lo sbigottimento gli tolse la parola. Sulla canna dell'arma era avvitato un silenziatore, il che significava che quella ragazza non era una dilettante. Una parte di lui notò che si trattava di una pistola non dissimile da quelle che lui aveva sequestrato a ufficiali della Gestapo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Sembrava di piccolo calibro, ma questo era ancor più allarmante, perché significava che chi la impugnava non aveva bisogno di un cannone per uccidere. Il suo cuore palpitò, a ricordargli che il dottore gli
aveva raccomandato di evitare le emozioni forti. Con un secco movimento della pistola, la ragazza bruna comunicò a Mrs. MacCrimmon di avvicinarsi a loro. Pallida come un cencio, quest'ultima non riuscì ad alzarsi, paralizzata dalla paura. «Si muova!» sbottò l'altra. «Non ho tutta la notte da perdere.» Puntò l'arma verso Mrs. MacCrimmon, col dito sul grilletto. In fretta Finlay si avvicinò all'anziana donna, la prese per un braccio e la fece alzare dalla sedia, rivolgendosi poi alla ragazza con tutta la dignità di cui fu capace. «E va bene» disse, cupamente. «Possiamo vedere che lei ha una pistola. Se vuole andare nell'atrio e vuotare la cassa, nessuno di noi farà niente per impedirglielo.» La ragazza dai capelli scuri ebbe un sorrisetto sarcastico. «Un'altra volta, forse. Per adesso, quello che voi due dovete fare è mettere le mani sopra la testa e andare verso la porta.» Mrs. MacCrimmon aprì due o tre volte la bocca, come un pesce fuor d'acqua, e Finlay temette che si sarebbe afflosciata al suolo. «Do-dove vuole portarci?» balbettò la poveretta. «Al piano di sopra, nel salone» disse la bruna. «Se farete quello che vi dico, non vi succederà niente. Ora muovetevi, prima che perda la pazienza.» Non osando disubbidire, Finlay incitò l'anziana donna a incamminarsi verso le scale, conscio della pistola puntata alla sua schiena. Se avesse sparato, la pallottola avrebbe trapassato sia lui che Mrs. MacCrimmon. Una fredda corrente d'aria li accolse sulle scale, intanto che salivano. Quando furono sul pianerottolo e girarono a destra verso il salone, Finlay fu sorpreso nel vedere che la porta era aperta e le luci accese. Ancor più sorpreso fu nell'accorgersi che la finestra della scala antincendio era spalancata, con le tende che oscillavano al vento di mare. «Laggiù, accanto al pianoforte» ordinò la ragazza. Finlay ubbidì, conducendo avanti Mrs. MacCrimmon con una mano e tenendo l'altra sollevata. Guardando la finestra vide tracce di fango sul davanzale, evidentemente lasciate dall'intruso che era salito dalla scala antincendio. Nello stesso momento sentirono dei movimenti al piano di sotto, nell'atrio, e dei passi cominciarono a salire le scale. Una voce che Finlay riconobbe per quella di sua moglie esclamò, indignata: «Siete fortunati che il Capo non sia a casa, oggi, altrimenti non vi sarebbe andata tanto liscia!» Ah, la bellicosa Margaret. Fu lei la prima a entrare nel salone, ma se Fin-
lay sperava che quella gente si fosse dimenticata di Mrs. McBain, la bibliotecaria, la sua speranza si spense quando anche quest'ultima vacillò dentro alle spalle di sua moglie, con aria terrorizzata. Il secondo membro della banda di intrusi era un uomo con la faccia coperta da un passamontagna, vestito con una calzamaglia nera che Finlay aveva visto solo addosso alle spie e ai ladri di gioielli nei film d'azione. Ma per quanto teatrale fosse quella mascheratura, non c'era nulla di divertente nella pistola col silenziatore che anche costui impugnava. I suoi occhi scuri, molto ravvicinati, esaminarono brevemente Finlay e Mrs. MacCrimmon prima di cercare lo sguardo della sua complice. «Qualche difficoltà?» le domandò. La ragazza dai capelli scuri scosse il capo, con espressione fredda. «No. Hanno deciso che non gli va di farsi sparare.» L'uomo in nero annuì, apparentemente soddisfatto, e rivolse ai prigionieri un cenno con la pistola. «Muovetevi, voialtri. Da quella parte.» Con gran costernazione di Finlay, gli intrusi li condussero tutti e quattro nella piccola anticamera. Da lì, una pesante porta metallica dava accesso alle segrete del castello, risalenti al quattordicesimo secolo e costituite da tre fosse chiuse fra mura umide. L'uomo in nero prese Finlay per una spalla e lo spinse verso la porta. «Aprila» gli ordinò. Mrs. MacCrimmon emise un rumore a metà fra un ansito e un singhiozzo. «Oh, non dentro quelle fosse, per favore!» li supplicò. «Potrebbero esserci dei topi, e...» L'uomo in nero si voltò a guardarla con durezza, puntandole la pistola alla fronte. «Forse preferisce l'alternativa?» domandò. Mrs. MacCrimmon si rinchiuse in un tremante silenzio, stringendosi accanto a Margaret e a Mrs. McBain, mentre l'individuo riportava la sua attenzione su Finlay. «E tu, hai qualcosa da dire?» Il vecchio custode non osò proferir parola. Doversi calare in una di quelle fosse non sarebbe stato piacevole, ma era meglio che prendersi una pallottola. Tirò il catenaccio, aprì la porta e si voltò a guardare l'uomo. «Forza, mettile dentro. Tutte e tre.» Ubbidiente, Finlay calò le donne nella fredda oscurità della fossa. Prima Margaret, in modo che lei aiutasse le altre due ad atterrare, perché c'era ancora uno sgradevole salto da fare benché lui si protendesse il più possibile tenendola per i polsi. Le tre donne gemettero e gridarono, ma lui a-
vrebbe preferito che risparmiassero il fiato; lì non c'era nessuno che potesse sentirle. «Va bene, vecchio. Ora tocca a te» disse l'individuo quando le donne furono nella fossa, incitandolo con un cenno della pistola. Rigido per l'indignazione, e desiderando avere vent'anni di meno per balzargli addosso con qualche possibilità di successo, Finlay sedette sul bordo della fossa, con le gambe che oscillavano nel vuoto. Poi si girò, appoggiandosi sulle mani e sui gomiti, e cominciò a calarsi in basso. Con le articolazioni che protestavano restò appeso ciondoloni, agitando i piedi in cerca di un appiglio, ma in quel momento l'uomo gli diede un calcetto impaziente a una mano. Finlay perse la presa e precipitò addosso alle tre donne, che strillarono. Atterrò di traverso, e il dolore che gli esplose in una caviglia lo fece cadere di lato. Nell'oscurità della cella, Margaret MacLeod cercò a tentoni il marito e gli strinse una mano. L'intensità di quella stretta gli rivelò che la donna stava soffrendo. «Che Dio vi maledica, chiunque voi siate!» gridò all'uomo in nero, appena visibile nella penombra sopra le loro teste. «Nel nome di tutti i miei antenati MacLeod, spero che possiate avere ciò che meritate, per quello che ci avete fatto oggi!» La sola risposta dell'uomo fu una risata sprezzante. Poi ci fu il tonfo sordo della porta metallica che si chiudeva, e le segrete del castello restarono immerse nel buio più completo. Mentre il suo complice portava i quattro custodi fuori dal salone, la ragazza dai capelli scuri aveva appoggiato la pistola sul pianoforte per il tempo necessario a chiudere la finestra e tirare le tende, in modo che dall'esterno tutto apparisse normale. Poi infilò l'arma in uno scomparto a cerniera della borsa, e con cura ne tirò fuori un piccolo involto in seta cinese rosso sangue. Dentro di esso c'era un pesante medaglione d'argento, appeso a una catena dello stesso metallo. Lei se lo appese al collo e si girò verso le due finestre volte al mare, dove la tenda di broccato nascondeva lo Stendardo degli Elfi. Quando si avvicinò al muro, la luce strappò qualche riflesso al medaglione, rivelando un cammeo su cui era scolpita la testa di un animale predatore, dalle zanne scoperte in un ringhio feroce. Aprì la tenda e vide un distorto riflesso di se stessa nel vetro che copriva lo Stendardo degli Elfi. Quel lavoro non le piaceva troppo. Una delle storie che il vecchio custode aveva raccontato quel pomeriggio al suo gruppo di
visitatori diceva che chiunque - a parte il Capo del clan MacLeod - avesse toccato lo Stendardo si sarebbe dissolto in una nuvola di fumo. Questo ovviamente non riguardava la cornice e il vetro, perché li aveva toccati entrambi mentre il custode guardava da un'altra parte, ma lei diffidava di quelle antiche leggende. Uno non poteva mai dire se c'era un grano di verità in esse, e lei aveva rotto il suo specchietto... Ma questo era ridicolo, così come lo era immaginare che il medaglione la avrebbe protetta se quelle storie fossero state vere... anche se lei lo portava al collo perché loro le avevano detto di farlo. In ogni modo, quando alzò le mani ad afferrare il bordo ornato della cornice, sorrise come se nulla fosse. La mosse da una parte e dall'altra per saggiarne il peso, quindi la impugnò fermamente e la staccò dal muro. Era larga, ma non pesava più di tre o quattro chili, anche se le sue dimensioni la rendevano ingombrante da trasportare. Poggiandola qualche momento alla base del muro richiuse la tenda di broccato, così la sua assenza non sarebbe stata notata subito. Poi, tenendo l'oggetto davanti a sé, s'incamminò verso le scale e scese nell'atrio. Quando le luci al piano di sopra si spensero, seppe che il suo complice stava per raggiungerla. I due uscirono dal portone principale, e lo chiusero con la chiave che l'uomo aveva preso dal banco della biglietteria. All'esterno era quasi buio, così nessuno li vide allorché attraversarono il ponte levatoio e scesero sul piazzale, da cui partiva la stretta strada asfaltata normalmente usata dal personale del castello. La giovane donna aveva lasciato la sua macchina all'ombra degli alberi, un piccolo coupé grigio quasi invisibile nel crepuscolo. L'uomo in nero sedette al posto di guida e sbloccò il freno a mano, intanto che la ragazza deponeva con cura lo Stendardo degli Elfi sul sedile posteriore, coprendolo con un panno di tartan. Quando lei si fu seduta sull'altro sedile anteriore, l'uomo accese il motore e diresse l'auto a fari spenti verso la strada principale. Un paio di minuti più tardi, i due giunsero sulla riva del mare, in una piccola baia rocciosa. Ormeggiato a un molo di legno che si protendeva sulle acque scure e tranquille, c'era un cabinato bianco di piccole dimensioni. Il guidatore della macchina accese i fari tre volte. A bordo del cabinato qualcuno gli rispose usando una torcia elettrica con un segnale uguale. Subito dopo, due figure vestite di scuro uscirono sul ponte dell'imbarcazione.
I due ladri scesero dalla macchina. La ragazza tirò fuori la cornice dello Stendardo degli Elfi, e seguita dal suo complice percorse il molo fino alla passerella, dove i due scesi dal cabinato la stavano aspettando. Quando li raggiunse, il più basso dei due si chinò a osservare la cornice e il suo contenuto alla luce di una torcia elettrica sottile come una matita. Durante quel rapido esame, un riflesso nel vetro strappò un bagliore rossastro dal rubino incastonato nell'anello che portava al medio della mano destra. «Molto bene» disse infine, sollevando lo sguardo in quello di lei. «Un ottimo lavoro.» La ragazza inarcò un sopracciglio e annuì, sarcasticamente. «Grazie. Per essere un lavoro disonesto, è sempre più dignitoso che la lotta nel fango. E meglio pagato. Ora mi scusi, se mi libero di questa.» Portandosi una mano alla fronte, la ragazza uncinò le dita sotto il bordo della parrucca scura e se la tolse, scuotendo poi la testa per sciogliere i lunghi capelli biondi ripiegati sotto di essa. L'uomo dall'anello di cornalina la guardò, socchiudendo le palpebre pesanti, mentre lei intascava la parrucca e si pettinava con una mano. «Suppongo che ora lei voglia essere pagata, per poter andare via» le disse. Accennò all'uomo più alto di prendere la cornice, e da una tasca interna della giacca tirò fuori una busta marrone, rigonfia. «Penso che sarà soddisfatta. Ho aggiunto una piccola gratifica.» L'individuo che la ragazza aveva di fronte portava un medaglione uguale a quello che lei s'era appeso al collo. Lei lo guardò un momento, e intanto che allungava una mano verso la busta notò che l'uomo con cui era andata al castello l'aveva affiancata, alzando la pistola col silenziatore che teneva nascosta dietro un fianco. Nello stesso istante in cui la mano di lei toccò la busta, l'uomo in nero le appoggiò il silenziatore dietro l'orecchio sinistro e premette il grilletto. Il colpo soffocato non si udì sulla riva, e meno ancora sulla strada che portava al castello. E il secondo e il terzo colpo che lui le sparò al cuore, quando la ragazza fu rotolata sul molo, non furono più rumorosi. Il suo datore di lavoro non degnò la vittima di un secondo sguardo, e seguì quello che aveva la cornice su per la passerella del cabinato. L'uomo in nero si chinò per togliere il medaglione d'argento dal collo della ragazza, quindi la spinse oltre il bordo del molo, con la stessa indifferenza che avrebbe avuto per un sacco di spazzatura o un gatto morto. Poi, mentre il motore del cabinato si svegliava con un rombo sordo, l'uomo in nero sciolse la fune dell'ormeggio e salì a bordo. Dieci minuti
dopo, il cabinato, i passeggeri e il prezioso oggetto rubato al castello scomparvero nell'oscurità del mare, lasciandosi dietro solo una scia d'acqua agitata dove si riflettevano vagamente le prime stelle della sera. CAPITOLO SEDICESIMO Nel frattempo, come avevano deciso di fare nel secondo giorno della loro permanenza a Londra, Adam e Peregrine s'erano recati alla sede della Scottish Geografical Society, a Docklands. Al loro ingresso, Adam si presentò all'impiegata di servizio nell'atrio semplicemente come «Dr. Sinclair», dicendo che Peregrine era il suo assistente. Non precisò che il suo titolo era quello di un dottore in medicina. Un accenno alla conferenza che aveva tenuto la settimana addietro a Gleneagles lo aiutò a rafforzare l'impressione che lui fosse uno storico, intenzionato a raccogliere materiale per una serie di conferenze. «Mi spiace, Dr. Sinclair» disse l'impiegata, benché fosse stata favorevolmente impressionata dall'aspetto e dai modi di Adam, «ma temo proprio di non vedere il suo nome nella nostra agenda degli appuntamenti. In ogni modo forse qualcosa si potrà arrangiare... dal momento che lei è in città solo per oggi. Perché lei e Mr. Lovat non vi sedete un momento, intanto che io telefono di sopra per chiedere se qualcuno ha un po' di tempo da dedicarvi?» «Questo è molto gentile da parte sua» disse Adam con calore. «Naturalmente aspetteremo. La ringrazio.» Occorse un po' di pazienza, ma alla fine poterono assicurarsi i servizi di uno degli archivisti anziani, un robusto glasgowiano di mezz'età di nome Ronald McKay. Sotto la sua guida, Adam e Peregrine trascorsero la mattinata spulciando articoli microfilmati che riguardavano ricerche archeologiche eseguite nella zona dell'antico Regno di Ross. Dopo pranzo esaminarono il patrimonio di immagini accumulate dalla società - fotografie aeree e ricostruzioni realizzate al computer - confrontandole con i disegni fatti da Peregrine. Quella sera, dopo aver esaurito tutta la documentazione esistente su quel soggetto, furono in grado di compilare una lista di castelli situati nel territorio di Ross, che avrebbero meritato qualche ulteriore indagine: Foulis, Strome, Eilean Donan, e Urquhart. «Uhau! Spero di non dover vedere troppo presto un'altra giornata come questa!» esclamò Peregrine, mentre salivano in taxi per tornare al Caledonian Club. «Ancora un'ora di lavoro a quel dannato lettore di microfilm, e
la testa mi sarebbe scoppiata come una bomba.» Adam sorrise distrattamente, ripensando ai quattro nomi della lista. Ognuna di quelle località era sulla riva del mare o di un lago, e la loro esistenza risaliva all'epoca di Michael Scot, ma a parte questo non erano riusciti a sapere altro. «Be', avrebbe potuto andare peggio» mormorò, con un sospirò. «Ma devo confessare che avevo sperato di ottenere qualcosa di più.» Peregrine sogghignò. «So cosa vuoi dire. Il posto che stiamo cercando potrebbe essere ciascuno di quei quattro castelli... o anche nessuno. Va considerata la possibilità che con quei disegni io mi sia del tutto sbagliato.» «Pensi che la visione che hai avuto fosse ingannevole?» «No... ma se tu non riesci a pensare a qualche altra fonte di documenti storici che non abbiamo ancora considerato, non so come si possa fare per restringere a uno i nomi di quella lista.» Adam annuì. «Temo che tu abbia ragione. Ormai abbiamo fatto tutto il lavoro d'ufficio che si poteva fare. D'ora in poi non ci resta che esaminare quei posti coi nostri occhi.» Peregrine non parve entusiasta dell'idea. «Vuoi dire, andare là di persona?» «Già.» «Ma... questo richiederebbe del tempo, e rischieremmo di scoprire soltanto che quella gente è già stata lì e se n'è andata da un pezzo. E allora li avremmo perduti per sempre.» «Può darsi» ammise Adam. «D'altra parte, se non ci muoviamo in questa direzione dovremmo darli per persi fin da ora.» «Suppongo che questa sia la triste verità» disse Peregrine. «Allora torniamo in volo in Scozia stanotte stessa?» Una ruga apparve fra le scure sopracciglia di Adam. Quando appoggiò la testa sul coprisedile in finta pelle del taxi, la sua faccia era stanca e tirata. «No, è meglio partire domattina» disse. «Per oggi abbiamo fatto fin troppo. E niente rende la mente confusa come la fatica fisica. Voglio che siamo ben lucidi, quando arriveremo nelle Highlands.» Al Caledonian Club cenarono presto, quando la sala da pranzo era ancora praticamente vuota. Al termine del pasto Peregrine si accorse che l'unica buona idea era andarsene subito a letto in camera sua. Il collo gli doleva, dopo le lunghe ore trascorse chino sul lettore di microfilm, con le orbite
incollate agli oculari di gomma. Una doccia calda lo aiutò ad alleviare la rigidità muscolare, e scivolò nel sonno appena la sua testa toccò il cuscino. I sogni vennero e se ne andarono, per la maggior parte senza significato. Ma nel mezzo della notte si svegliò all'improvviso, convinto di aver sentito una tromba che suonava una specie di richiamo militare. Seduto sul letto ascoltò con attenzione, ma i suoi orecchi non udirono altro che l'onnipresente rumore del traffico che scorreva a tutte le ore nelle strade della capitale. Ho di nuovo le allucinazioni pensò, scrollando le spalle, e tornò a sdraiarsi. Ma un'eco dello strano allarmante richiamo continuò a riverberare nella sua mente, come un ricordo ancestrale dei corni da guerra che suonavano selvaggiamente sulle Highlands. Alla fine si addormentò, con una mezza idea di riferire la cosa ad Adam, l'indomani. Ma poi, nella fredda luce del mattino, gli parve che fosse una sciocchezza di cui non valeva la pena di parlare. Continua così, e un giorno ti troveranno nell'Angolo degli Oratori, a Hyde Park, in piedi su una cassetta, a gridare che la fine del mondo è vicina disse alla sua immagine con un sogghigno, mentre si aggiustava il nodo della cravatta e si passava il pettine fra i capelli. Adam ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi, senza bisogno che tu gliene dia delle altre. Con questa ammonizione a se stesso scese nell'atrio e qui incontrò l'amico, alle sette, come s'erano accordati la sera prima. Durante la colazione decise che il suo mentore doveva aver dormito poco quella notte, perché era insolitamente taciturno e un po' distratto. La scorsa che Adam diede ai titoli dei giornali del mattino fu più lenta e pensosa del solito, come se stesse cercando qualcosa di particolare; ma non diede alcuna spiegazione, e Peregrine non volle fargli pressione. Alle otto - in orario sul programma di viaggio, per quel che ne sapeva Peregrine - lasciarono il Caledonian Club coi loro bagagli a mano. Ma quando furono usciti su Halkin Street, mentre il portiere si preparava a fermare il primo taxi di passaggio, Adam diede uno sguardo al traffico intenso della gente che si stava recando al lavoro e disse a Peregrine di avviarsi verso l'angolo di Hyde Park. «Giuro che questo traffico è peggiore, ogni volta che vengo a Londra» osservò cupamente, consultando il suo orologio. «M'ero dimenticato quanto fosse intenso, anche a quest'ora. Dobbiamo prendere la metropolitana.
Probabilmente ci saranno solo posti in piedi, ma temo che sia l'unico modo per arrivare all'aeroporto in tempo.» In metropolitana anche i posti in piedi erano scarsi. Immersi nella folla, in un'atmosfera che odorava di vestiti umidi e dopobarba, salirono sul primo treno diretto a ovest e per quarantacinque minuti ondeggiarono precariamente aggrappati ai corrimano, con le loro valigie fra i piedi. Soltanto dopo Acton la ressa cominciò a sfoltirsi, ma anche allora non ci fu modo di mettersi a sedere. Arrivarono a Heathrow con appena un quarto d'ora d'anticipo sul volo delle 9:30 per Edimburgo. Per fortuna Adam aveva prenotato due posti la sera prima, e la procedura del controllo dei documenti e del bagaglio fu relativamente rapida. Mentre rimetteva in tasca la carta di credito Adam incaricò Peregrine di acquistare un giornale di Glasgow, intanto che lui telefonava a Strathmourne. Sull'aereo ci sarebbero state copie dello Scotsman, che avrebbe potuto leggere durante il volo. «Dopo aver pensato alla regione in cui dovremo recarci, non credo che prendere la Jaguar sarebbe una buona idea» disse a Humphrey, correggendo le istruzioni che gli aveva dato la sera prima. «Credo che sarà meglio che tu venga a prelevarci con la Range Rover. E per favore, mettici in una valigia un cambio di biancheria e abiti adatti a un territorio imprevedibile e con un tempo atmosferico altrettanto imprevedibile. Se i miei sospetti sono giusti, e il tempo stringe come penso, non possiamo permetterci neppure il più piccolo ritardo.» «Capisco, signore» rispose Humphrey. «Penserò io a tutto.» L'altoparlante annunciò che il loro volo era in partenza. Ora lui e Peregrine non avevano altro da fare che salire a bordo. Non furono gli ultimi a oltrepassare il cancello, anche se l'addetto al rivelatore di metalli li costrinse a perdere qualche minuto. Soltanto quando l'aereo cominciò a staccarsi dalla pista Adam si concesse di rilassarsi un poco, ma questo non ebbe altro effetto che alimentare la sua crescente apprensione. Sentiva che qualcosa di nuovo stava accadendo, senza dubbio un'altra sfaccettatura degli eventi che avevano preso inizio col furto della Spada degli Hepburn. Esaminò il quotidiano di Glasgow acquistato da Peregrine, e lo Scotsman, ma nessun articolo stuzzicò la sua percettività. Gli ostacoli che stavano incontrando erano parte di uno schema oscuro che veniva costruito pezzo per pezzo sui Piani Interni? O erano puramente casuali? Adam cercò di dirsi che si trattava di difficoltà inevitabili, naturali. Ma cominciava a temere che fossero parte di un sinistro disegno, ordito
da un nemico che lui doveva ancora incontrare faccia a faccia. Finché non ne avesse saputo di più, poteva soltanto affidarsi al suo istinto di sopravvivenza e augurarsi che i loro avversari lasciassero qualche indizio che gli consentisse di capire chi erano... o facessero qualche mossa sbagliata. Il volo fu senza storia, anche se più a nord aumentarono le turbolenze atmosferiche. Sulla Scozia meridionale il cielo era coperto da nuvole temporalesche, e l'aereo scese di quota fra raffiche di pioggia. A Edimburgo toccarono terra su una pista piena di pozzanghere, mentre il tempo peggiorava ancora. Quando l'aereo si fermò e i passeggeri si prepararono a scendere, Adam decise che appena fosse stato nel terminal avrebbe telefonato a Noel McLeod. Con una certa impazienza precedette Peregrine lungo il corridoio di sbarco, e alzò una mano quando vide Humphrey, in attesa oltre le transenne. Ma il suo maggiordomo non era solo. Adam sbatté le palpebre, perplesso, e quando riconobbe la figura baffuta, in impermeabile, tutte le apprensioni che lo avevano tormentato nelle ultime ore si cristallizzarono. «Che succede?» lo interrogò Peregrine. «Quello laggiù, con Humphrey... è Noel McLeod» rispose Adam. «E se non sbaglio di grosso, la sua presenza conferma che è successo qualcosa, anche se sui giornali di questa mattina non ho trovato niente. Vieni!» Lasciandosi indietro l'amico, Adam allungò il passo e si avviò fra la gente, facendosi strada nella ressa con una serie di dribbling che un giocatore di calcio gli avrebbe invidiato. Humphrey e McLeod gli vennero incontro. Il volto rude dell'ispettore era insolitamente fosco, quando gli strinse la mano. «Perché ho la netta sensazione che tu stia per darmi una notizia che non vorrei sentire?» disse Adam a McLeod, mentre consegnava la sua valigia a Humphrey. «Avevo già intenzione di chiamarti, appena avessi trovato un telefono. Ma aspettiamo che arrivi Peregrine, così anche lui potrà ascoltare.» Il giovane artista li raggiunse, un po' ansante e perplesso. McLeod lo salutò con un cenno del capo e li condusse entrambi in disparte, intanto che Humphrey costruiva una specie di sbarramento coi bagagli per deviare attorno a loro il traffico dei passeggeri. «Devo dire che questa non me l'aspettavo» esordì McLeod. «Ma ora diverse cose cominciano ad assumere un significato. Non più di due ore fa ho ricevuto una telefonata dal Capo del mio clan. In questo momento è a
New York. Era appena stato informato dal suo personale di servizio al castello di Dunvegan. Sembra che lo Stendardo degli Elfi sia stato rubato.» Nessuno dei suoi due ascoltatori aveva bisogno di sentirsi spiegare cosa fosse quell'oggetto. Lo Stendardo degli Elfi dei MacLeod era una delle più famose reliquie della Scozia, e le leggende che lo circondavano erano note a chiunque avesse una minima conoscenza del folklore scozzese. Adam, che in proposito ne sapeva più degli altri, ebbe una sensazione di vuoto allo stomaco. «Quando è successo?» domandò. «Ieri pomeriggio, sul tardi. Fra le cinque e le sei, a quanto mi è stato detto» rispose McLeod. «Per il momento siamo a corto di particolari, ma sappiamo che il ladro è una donna che si fingeva una turista. Aveva un complice, un uomo, che però portava un passamontagna, così di lui non abbiamo una descrizione. Entrambi erano armati.» «Qualcuno è rimasto ferito?» domandò Adam. «No, grazie al cielo. Almeno, niente di serio. Una caviglia lussata, qualche livido ed escoriazione. C'erano quattro persone al lavoro nel castello, e i ladri le hanno rinchiuse nelle segrete per tutta la notte. In una di quelle a fossa... un posto scomodo, soprattutto per l'umidità e il freddo. «Probabilmente sarebbero ancora là dentro, se non fosse arrivato un autobus pieno di pensionati, che avevano prenotato un giro del castello prima del solito orario d'apertura, e che si sono preoccupati nel vedere che le auto dei custodi erano nel parcheggio ma nessuno rispondeva dall'interno dell'edificio. La polizia locale sta indagando. Hanno messo posti di blocco sulle strade nel raggio di cinquanta miglia. Ma a quest'ora i responsabili sono già chissà dove. Hanno avuto tutta la notte per allontanarsi.» Peregrine s'era sentito sempre più incredulo intanto che McLeod riferiva i fatti, ma ora non poté più trattenere l'indignazione. «È una cosa incredibile! Come sono riusciti a entrare? In un castello, per l'amor del cielo! Non si può certo dire che sia un posto dove i ladri vadano abitualmente a rubare.» McLeod annuì verso il giovanotto, con una smorfia. «La donna ha finto d'essere una turista nei guai. È tornata al castello qualche minuto dopo la chiusura pomeridiana, raccontando di aver perso le chiavi della macchina da qualche parte. Il custode, un tipo poco sospettoso, l'ha accompagnata nell'interno... e lei ha fatto in modo di far entrare il suo complice. Il resto potete immaginarlo. I quattro erano tutti anziani, pensionati. Che resistenza potevano opporre contro dei ladri armati e decisi a tut-
to?» Durante il corso di quella conversazione, la maggior parte degli altri passeggeri appena arrivati s'erano dispersi, lasciando i tre uomini da soli in un angolo del salone. Humphrey aspettava pazientemente accanto al loro bagaglio, con l'aria di non ascoltare ciò che stavano dicendo. McLeod si guardò attorno brevemente, prima di continuare. «In ogni modo, il Capo dei MacLeod in persona mi ha incaricato di tutelare i suoi interessi» disse, con una luce decisa negli occhi azzurri. «Si augura vivamente che i responsabili siano rintracciati e lo Stendardo degli Elfi recuperato, prima che costoro riescano a farne un uso criminoso di qualche genere, o addirittura a distruggerlo. Così ho telefonato subito a Strathmourne, e quando Humphrey mi ha detto che stava uscendo per prelevarvi qui all'aeroporto ho pensato che avrei risparmiato tempo venendo di persona. In questa faccenda io agisco come privato cittadino, naturalmente, ma ho prenotato un volo charter per recarmi all'isola di Skye. L'aereo parte fra un'ora, e a bordo ci sarebbe posto anche per voi due, se pensate che vi interessa venire con me. Io ho la sensazione che questa faccenda possa collegarsi a ciò che è accaduto all'abbazia di Melrose sabato scorso.» «Verremo, naturalmente» disse Adam. «Anche se vorrei averlo saputo prima, così avrei avuto il tempo di avvertire Humphrey di portarmi qui alcune cose.» Sentendo menzionare il suo nome, Humphrey si schiarì la gola e fece un passo verso di loro. «Mi scusi, Sir Adam, ma penso di aver previsto questa eventualità. Dopo aver parlato con l'ispettore, mi sono preso la libertà di aggiungere diversi oggetti al bagaglio che lei mi ha specificamente richiesto. Lei sa a quali oggetti mi riferisco, signore... quella valigetta medica che lei spesso porta con sé, quando riceve chiamate a casa.» Un sorriso breve ma compiaciuto filtrò nell'atteggiamento composto di Adam. «Humphrey, in qualche modo tu riesci sempre a farmi sentire un po' meglio.» Si rivolse a McLeod. «Ebbene, Noel, sembra che verremo con te meglio preparati di quel che avevamo pensato.» «Questo "noi" è un plurale maiestatis, o Mr. Lovat si unirà alla spedizione?» s'informò blandamente l'ispettore. «Ma si capisce che vengo anch'io!» esclamò Peregrine, indignato. «Non abbia tanta fretta, ragazzo mio» lo avvertì McLeod. «Potrebbe essere pericoloso... probabilmente molto più pericoloso di quanto lei immagina.»
«Oh, all'inferno il pericolo» dichiarò Peregrine. «Pensate che resterò alla retroguardia, perdendomi così tutto il divertimento? Non ne posso più di starmene seduto ad annusare scartoffie polverose. Per favore, Adam, ci tengo a partecipare.» McLeod gettò uno sguardo ad Adam. «Tu sai quanto rischiosa possa rivelarsi questa faccenda, se il buon giorno si vede dal mattino. Credi che lui sia pronto per affrontarla?» «In effetti penso che avremo bisogno di lui» disse Adam, con gran sollievo di Peregrine. «D'accordo. Se tu credi che debba venire, per me va bene. Humphrey, le valigie sono tutte qui?» «Sì, ispettore.» «Allora le suggerisco di portarle nella sala d'attesa dell'Hangar B» continuò McLeod. «In questo momento stanno rifornendo l'aereo e facendo i controlli di pre-volo. Abbiamo appena il tempo per un sandwich e una tazza di caffè, prima del decollo... Dio sa quando avremo la possibilità di cenare, stasera. Nel frattempo, forse sarà meglio che Humphrey vi dia un cambio di abiti. Il nostro pilota mi ha detto che la temperatura sta scendendo, e che a Skye troveremo un tempo da cani.» Pochi minuti più tardi, e dopo una telefonata per avvertire la Sorveglianza Aeroportuale che Humphrey stava arrivando, i tre andarono a sedersi in un séparé nel bar del terminal, dove continuarono a parlare degli avvenimenti di Dunvegan sopra una tazza di caffè tiepido accompagnata da sandwich un po' stantii. Adam masticò volonterosamente il suo, accigliato e pensoso. «Sento che dietro questi fatti c'è un piano complicato e maligno» mormorò. «Il furto della Spada degli Hepburn, la violazione della tomba di Michael Scot, gli incantesimi messi in opera sulla sua salma, e ora questo. Tutto ciò è stato organizzato dalle stesse persone, e chiunque siano è chiaro che sono molto decise a ottenere quello che cercano.» «Ma cosa vogliono farsene dello Stendardo degli Elfi?» domandò Peregrine, guardando prima Adam e poi McLeod. «Sicuramente non sono gente del clan MacLeod. Nessun MacLeod farebbe mai una cosa simile. Ed escluderei che vogliano venderlo. Dunque quale uso possono aver escogitato per lo Stendardo... a meno che...» Nei suoi occhi ci fu un improvviso lampo di comprensione. «Ma certo! Non è affatto un uso materiale. Dev'essere collegato agli elfi. E il libro degli incantesimi e l'oro di Scot sono nascosti in una caverna de-
gli elfi!» «Precisamente!» annuì Adam. «E come ipotesi di lavoro, io suppongo che i nostri ladri pensino che lo Stendardo avrà il potere di proteggerli dai guardiani della caverna, contro i quali intendono usare anche la Spada degli Hepburn.» Guardò McLeod. «In questo l'esperto sei tu, Noel. Hanno la possibilità di riuscirci? Lo Stendardo potrà tenere a bada i Sidhe?» McLeod rivolse una smorfia al caffè che gli era rimasto nella tazza di plastica. «Questo dipende da come si propongono di maneggiarlo» disse lentamente. «Una delle nostre leggende più antiche dice che chiunque metterà le mani sullo Stendardo, se non è un MacLeod, si dissolverà in una nuvola di fumo. Dunque si dovrebbe pensare che i ladri abbiano lasciato lo Stendardo dentro la sua cornice, affinché la verità di questa leggenda non sia messa alla prova. Ma che possano utilizzarlo per i loro scopi senza neppure toccarlo... questa è una domanda a cui non so rispondere. Forse intendono tenerlo nella cornice, e usarlo letteralmente come uno scudo.» «E se cercassero di sventolarlo?» domandò Adam. McLeod scosse il capo. «La cosa non farebbe accorrere un esercito di elfi per dare la vittoria a chi li convoca, se è questo che stai pensando. Soltanto un Capo dei MacLeod potrebbe farlo, e soltanto allo scopo di salvare il clan.» Nel notare lo sguardo interrogativo di Peregrine, Adam mise da parte la tazza di caffè vuota. «Quando lo Stendardo degli Elfi venne in possesso del clan MacLeod» gli spiegò, «al Capo di quell'epoca fu detto che lo Stendardo avrebbe garantito la vittoria in battaglia a chiunque lo avesse sventolato. Tuttavia quel dono sarebbe stato concesso solo per tre volte. Da allora i MacLeod lo hanno sventolato due volte per salvare il clan dalla sconfitta e dalla distruzione: una volta alla battaglia di Glendale nel 1490, e una seconda volta alla battaglia di Trumpan Brig... nel 1530, mi sembra, vero, Noel?» «È così. Ciò che mi preoccupa, a livello puramente personale, è che lo Stendardo possa essere distrutto... qualunque cosa intendano farne. Se progettano di usarlo come uno scudo, e se la cornice si spaccasse durante l'operazione, sarebbe già un disastro. Quella reliquia è antica quanto fragile.» «Sfortunatamente, ciò che io penso è proprio che lo useranno come scudo» disse Adam. «Anche senza toglierlo dalla cornice, se questi individui sanno ciò che stanno facendo, potrebbero essere in grado d'imbrigliare il suo potere in un altro modo. È un talismano degli elfi, dopotutto... può essere usato per controllare gli elfi usando il loro stesso potere. Sospetto che
sia questo il loro piano.» L'espressione di Peregrine s'era fatta sempre più indignata. «Ma è sbalorditivo!» esclamò. «E dove potrebbero accadere tutti questi avvenimenti?» «Al castello dove Scot ha nascosto il suo libro e il suo oro» disse McLeod. «Sarà laggiù che coloro che stanno dando la caccia a questo tesoro faranno uso della Spada degli Hepburn, per sconfiggere gli elfi che lo sorvegliano. Dio, se solo sapessimo di che castello di tratta!» «Be', oggi ci siamo più vicini di quanto lo fossimo prima, grazie al lavoro che Peregrine ha fatto a Londra» disse Adam. «Pensiamo di aver ristretto la ricerca a quattro castelli, fra quelli che esistevano all'epoca di Scot. Forse l'ultimo indizio di cui abbiamo bisogno ci sta aspettando a Dunvegan.» Consultò l'orologio. «Il che mi ricorda che faremo meglio a muoverci, se tu pensi che l'aereo sia pronto. Se non sono del tutto fuori strada, la faccenda potrebbe giungere al suo culmine stanotte stessa.» «Perché stanotte?» volle sapere Peregrine. McLeod ebbe un sorriso privo di allegria quando si alzò, spazzolandosi di dosso le briciole del sandwich. «Nel caso che lei lo abbia dimenticato, ragazzo mio, stanotte è l'ultima notte di ottobre: Halloween, la notte prima del giorno di Ognissanti. Noi cristiani diciamo che è la Notte di Tutte le Anime. Ma i seguaci della Vecchia Religione preferiscono chiamarla Samhain.» «Samhain...» ripeté Peregrine. McLeod aveva pronunciato la parola nel dialetto delle Highlands: Sow-an, e il giovanotto assaporò quel suono melodioso e così poco familiare, esotico. «Samhain è il Sabba delle Streghe» disse Adam. «Forse la notte più pericolosa dell'anno. La notte in cui le porte che separano il mondo fisico dal mondo spirituale si spalancano, e tutti gli oggetti di potere sono al massimo delle loro capacità.» Lo sguardo di Adam parve spingersi oltre i confini di ciò che li circondava. «Sì, sarebbe il momento più adatto per azzardare un confronto col Popolo delle Colline. Gli elfi sono creature che per solito i negromanti non hanno alcun interesse a stuzzicare, ma le influenze della Spada e dello Stendardo degli Elfi potranno attingere a energie molto vibranti fin dal tramonto, quando sorgerà la luna...» Nella sala d'aspetto dell'Hangar B, Adam e Peregrine ebbero modo di indossare gli abiti che Humphrey aveva portato: pantaloni di tweed, pesanti scarpe da campagna, un robusto giaccone a prova di spine per Adam e
spessi soprabiti di panno blu. Mentre Peregrine s'infilava le grosse calze di lana alzò lo sguardo, e s'accorse che Adam si stava mettendo qualcosa di nero, lucido e sottile, in una tasca interna del giaccone. «Necessità della caccia» gli disse lui, in risposta al suo sguardo incuriosito; ma non fece alcun tentativo di mostrare l'oggetto a Peregrine, o di dargli qualche altra spiegazione. Fingendo che la cosa non lo interessasse, Peregrine distolse lo sguardo e s'infilò in fretta gli stivali, ma si chiese se fosse una delle cose contenute nella misteriosa borsa medica nera a cui aveva accennato Humphrey. Ora che ci pensava, notò che la borsa era deposta accanto ai piedi di Adam, chiusa ma con le fibbie slacciate. Qualunque fosse il suo contenuto, l'atteggiamento di Adam faceva pensare che volesse tenerlo segreto, almeno per il momento. Lasciarono il bagaglio extra a Humphrey, prendendo con sé solo il necessario per radersi, un blocco da disegno di Peregrine, e la borsa nera di Adam, quindi uscirono per raggiungere McLeod. L'ispettore camminava avanti e indietro sul tarmac, accanto a un Cessna a sei posti il cui motore di sinistra si stava già scaldando. Il pilota si occupò del loro bagaglio, che non prese molto posto nel piccolo scomparto di coda dell'aereo, poi McLeod accennò loro con impazienza di salire a bordo. Intanto che Adam sedeva dietro il pilota, Peregrine ripiegò i loro soprabiti su uno dei sedili alle loro spalle e quindi prese posto accanto a lui. McLeod chiuse lo sportello della cabina e andò a occupare il sedile del copilota, mentre anche il motore di destra si accendeva. I due propulsori gemelli crearono turbini nella pioggia fitta e sottile quando il velivolo si mosse sul raccordo che portava a una delle piste. Pochi minuti dopo erano in volo e salivano di quota, diretti verso le Isole Ebridi. Li attendeva un viaggio di un paio d'ore. A bordo di quel piccolo aereo, le turbolenze di cui Adam e Peregrine avevano già avuto un assaggio nel volo per Edimburgo erano più pronunciate, e aumentarono ancora mentre il Cessna si dirigeva a nord-ovest in un'atmosfera piena di raffiche di vento. Ben presto le verdi tondeggianti colline intorno al Firth of Forth lasciarono il posto ai dirupi più alti e scuri di Strathclyde. L'irregolare panorama delle Highlands che potevano vedere sotto di loro attraverso gli squarci delle nuvole era un fitto mosaico di chiazze marroni e grigioverdi. Proseguendo su quella rotta oltrepassarono gli specchi d'acqua lunghi e stretti del Loch Linnhe, del Loch Eil e del Loch Arkail. Superato il Firth of Lorne, che si addentrava nelle Highlands Occidentali come un fiordo,
giunsero in vista della grande e dirupata isola di Skye, le cui pendici rocciose piene di golfi e circondate da isolette minori erano velate dalla pioggia e da banchi di nuvole. Deviarono a destra, paralleli allo stretto che la separava dalla terraferma, e poi di nuovo a sinistra seguendone la costa settentrionale verso la cittadina di Portree. Guardando in basso Peregrine vide uno dei traghetti che partivano da Kyle of Lochalsh navigare lentamente, su un mare spazzato dal vento e irto di piccole onde schiumose. Da lì a poco il Cessna s'inclinò a sinistra e cominciò a scendere di quota. «La pista è là davanti a noi, gente» disse il pilota, voltandosi a mezzo. «Controllate le cinture e tenetevi saldi. I vuoti d'aria ci faranno ballare un po'.» L'aeroporto alla periferia di Portree, l'unico dell'isola, si rivelò come una semplice striscia di tarmac grigio, poco visibile sotto le raffiche di pioggia, a pochi metri dal mare agitato. Sul terreno non si vedeva nessun altro velivolo, e il posto appariva completamente deserto. Il pilota rallentò accanto a un hangar, sotto una larga pensilina di plastica bianca, e fece manovra per girare l'aereo in direzione opposta prima di fermare, sfiorando pericolosamente la leggera recinzione di filo spinato. I passeggeri poterono sentire il sibilo del vento, quando l'uomo scese e rimase lì aggrappato allo sportello, per dar loro una mano mentre uscivano. «Non è un granché di posto, eh, gente?» ridacchiò il pilota, alzando la voce per farsi sentire fra le raffiche. «La torre di controllo c'è, in quell'edificio laggiù, ma funziona solo nelle occasioni speciali, generalmente in estate. Venite, che tiro fuori il vostro bagaglio.» L'uomo aprì il piccolo scomparto del Cessna e consegnò ai tre le loro cose. Peregrine si abbottonò il soprabito e tirò su il colletto, calcandosi sulla testa il largo berretto impermeabile nero. Mentre intascava il necessario per la barba e il blocco da disegno notò che Adam e McLeod si stavano arrotolando intorno al collo grosse sciarpe di lana; poi s'avvide che Humphrey gli aveva messo in tasca dei mezzi-guanti privi di dita, e se li infilò. Il pilota chiuse lo scomparto dei bagagli e si aggiustò meglio il berretto di pelle, esaminando con una certa preoccupazione il cielo che a occidente scuriva sempre più. «Spero che voi abbiate in programma una permanenza molto breve oppure molto lunga, qui a Skye» disse, «perché io dovrò andarmene dall'isola entro quattro, cinque ore al massimo. Il servizio meteorologico dice che sta arrivando una brutta burrasca dall'Atlantico, e che occorrerà un paio di giorni prima che il tempo migliori abbastanza per volare.»
L'uomo indicò verso la pista, dove una manica a vento gialla e rossa stava sventolando selvaggiamente sotto la pioggia. «Potete vedere da soli che il vento rinforza. Se non mi sbrigo a portare vial'aereo, resterò inchiodato qui sull'isola fino a venerdì.» «Allora riparta subito, finché può ancora farlo» gli disse McLeod. «Lei è stato fin troppo disponibile, portandoci fin qui. Per tornare a Edimburgo provvederemo con altri mezzi.» «Se lo dice lei, d'accordo» annuì il pilota, con un sogghigno amabile. «Allora io riparto. Ci vediamo, gente.» L'uomo risalì a bordo del Cessna e chiuse lo sportello; attese che i tre si fossero allontanati e accese i motori. Mentre il piccolo aereo rullava sulla pista e prendeva il volo, inclinandosi da una parte e dall'altra nelle raffiche di vento, gli altri si avviarono verso il cancello dell'aeroporto tenendosi al riparo dell'hangar. Peregrine notò con preoccupazione che le prime case della periferia di Portree erano piuttosto lontane. «Sentite, detesto doverlo dire» borbottò, «ma da queste parti non vedo taxi, e sembra che non ci sia neppure l'ombra di un telefono pubblico.» «Infatti non ce n'è» confermò McLeod. «È per questo che ho portato il mio.» L'ispettore aprì la lampo della sua borsa e ne tirò fuori un cellulare. Stava per comporre il numero del castello di Dunvegan, quando una Volvo nera apparve sulla strada sterrata che collegava l'aeroporto alla carrozzabile, duecento metri più in là. «Forse non sarà necessario chiamare» disse Adam. «Sembra che qualcuno stia venendo a darci il benvenuto.» La Volvo arrivava rapidamente, sollevando spruzzi di fango dalle pozzanghere. Oltrepassò il cancello aperto e poi girò verso la pensilina dietro l'hangar dove i tre s'erano fermati ad aspettare. Il conducente, un giovanotto con un berretto impermeabile giallo, abbassò il finestrino e agitò una mano verso McLeod. «Ehilà, ispettore!» lo chiamò. «Sono venuto a darle un passaggio.» La faccia un po' scorbutica di McLeod si aprì nel primo sorriso che Peregrine avesse visto in tutto il giorno. «Sandy!» esclamò. «Come hai saputo che arrivavo a quest'ora? Stavo giusto per chiamare il castello, ed ecco che appari tu!» «Be', abbiamo visto passare l'aereo, così ho pensato di risparmiarle la spesa del taxi. Mio padre ha saputo dal Capo che lei si sarebbe occupato di tutelare i nostri interessi, così ci voleva poco a immaginare che su quell'ae-
reo ci fosse lei. Non arriva quasi nessuno qui all'aeroporto, di questa stagione.» Il giovanotto aprì lo sportello e uscì sulla pista, rivelando un'altezza superiore al metro e novanta. «Il Capo ha detto che dobbiamo darle tutta l'assistenza possibile. Mio padre ha interpretato questo come l'ordine di non lasciarla con le scarpe nel fango, finché abbiamo quattro ruote per portarla in giro. Posso darvi una mano coi bagagli?» McLeod ridacchiò divertito, scambiando un paio di pacche sulla schiena col giovanotto, e poi si volse agli altri due. «Come potete vedere, il buon senso e la voglia d'essere d'aiuto non mancano, nel clan MacLeod» disse. «Amici, voglio presentarvi Alexander MacLeod. Suo padre è il custode del castello. Sandy, ho il piacere di presentarti Sir Adam Sinclair, di Strathmourne, e il suo collaboratore Mr. Lovat. Sono venuti qui per darci una mano con le indagini.» Sandy si toccò con due dita la visiera del berretto. «È un onore conoscervi, signori. E se siete qui per aiutare l'ispettore a recuperare lo Stendardo per noi, potrete contare sull'eterna amicizia del clan MacLeod... perché da quell'oggetto dipende che il clan abbia la fortuna dalla sua, o vada in disgrazia.» CAPITOLO DICIASSETTESIMO Rinfrancati nel trovare riparo dal vento, Adam e Peregrine scivolarono sul sedile posteriore della Volvo, e sistemarono le loro poche cose dietro lo schienale, mentre McLeod sedeva davanti accanto al conducente. Sandy mise in moto, li avvertì di allacciare le cinture e con una rapida svolta a U l'auto lasciò il piccolo aeroporto, sobbalzando sulla carrareccia verso la strada carrozzabile. Pochi minuti più tardi, dopo aver aggirato Portree, erano sulla A850 diretti al castello di Dunvegan. La strada era stretta e piena di curve, ma fortunatamente deserta. Sandy guidava a tutta velocità, senza curarsi della segnaletica che metteva in guardia sulle cunette, sugli incroci, sui tratti di asfalto sdrucciolevole, e tagliando tutte le curve contromano. Quando oltrepassarono col rosso il semaforo al centro del paese di Sligachen, Peregrine chiuse gli occhi e si preparò al peggio, per nulla confortato dalla riflessione che Sandy doveva conoscere quella strada come il palmo della sua mano. Silenzioso e a denti stretti abbandonò ogni speranza di ammirare i panorami di Skye, mentre filavano a rotta di collo su per le colline nell'interno dell'isola. Stava smettendo di piovere, però il cielo era ancor più minaccioso di prima.
A nord del villaggio di Bracadale ci fu un improvviso acquazzone, ma subito dopo la pioggia cessò. Il vento invece continuò a ululare su quelle colline poco alberate, con una ferocia che sembrava voler strappare via dal suolo l'ingiallita erba autunnale. Quando furono alla biforcazione che sulla sinistra conduceva a Dunvegan, le nuvole erano basse e nell'aria si sentiva l'odore dell'ozono, come un avvertimento contro i fulmini che stavano per scatenarsi. «Non mi piace tutto questo» borbottò McLeod, voltandosi verso Adam e Peregrine. «C'è qualcosa di soprannaturale nel modo in cui il vento continua a cambiare.» «A cambiare?» Adam si accigliò, a quella parola. «Sì» disse l'ispettore. «Non l'hai notato? Gira in circolo, come se desse la caccia a se stesso. Qualunque cosa sia, non è naturale.» Aveva parlato con autorità. Peregrine ricordò in quel momento che McLeod aveva trascorso almeno una delle sue precedenti vite a lottare con gli elementi, sul mare. Adam guardò fuori dal finestrino e considerò il maltempo che imperversava sulla zona. Poi scosse il capo. «Vorrei poterti assicurare che non c'è niente di cui preoccuparsi» disse. «Ma sfortunatamente non posso. Se le cose stanno come sospetto, questa faccenda potrebbe essere più dura di quel che avevamo previsto. E non c'è niente che noi possiamo fare, in questo momento.» Dopo quelle enigmatiche parole, Adam tacque... col solo risultato che Peregrine si preoccupò ancor di più, perché non aveva la minima idea di cosa l'amico volesse dire. Per lui il vento era soltanto il vento. Guardò Sandy, nella speranza che facesse qualche commento, ma il giovanotto sembrava concentrarsi solo sulla guida, cosa per cui Peregrine ringraziò il cielo, perché la strada in quel tratto pieno di curve scorreva sull'orlo di ripide scarpate. Ma il suo silenzio era una sorta di conferma alla misteriosa osservazione sulla direzione del vento. La costa nord-occidentale dell'isola era ormai vicina, e l'auto scese dalle colline per aggirare la riva del Loch Dunvegan. A circa un miglio dalla loro destinazione, quando furono in vista della piccola baia in cui si protendeva il consunto molo di legno chiamato Dunvegan Pier, Sandy fece udire un grugnito di sorpresa e schiacciò il freno. Mentre la Volvo si fermava, gli altri tre passeggeri videro che la polizia dell'isola aveva chiuso la strada con un posto di blocco. Una figura corpulenta vestita con un macintosh fluorescente aggirò le due transenne di plastica e venne verso di loro. Su entrambe le maniche aveva i gradi da ser-
gente. Sandy abbassò il finestrino, intanto che l'agente girava dalla sua parte. «Che sta succedendo, Davie?» domandò. «Non erano già capitati abbastanza guai per un giorno solo?» «Già, suppongo di sì» rispose il sergente. «Ma come se non bastasse questa faccenda del furto al castello, Tam Dewar ha appena trovato un cadavere in mare, alla colonia delle foche. È successo un'ora fa, mentre lui e suo fratello tiravano su le nasse delle aragoste.» Dietro le transenne, due auto della polizia e un'ambulanza erano posteggiate sul lato interno della strada. La spiaggia sassosa semicircolare, più in basso, era punteggiata di figure anonime vestite con macintosh gialli e impermeabili lucidi di pioggia, e c'era una certa attività anche sul molo. McLeod gettò uno sguardo significativo ad Adam, prima di domandare: «La vittima è uno del posto?» Il poliziotto dell'isola lo guardò poco amichevolmente, senza nascondere la sua sorpresa. «E lei chi sarebbe, eh, signore?» «Ehi, Davie, non c'è bisogno di arruffare il pelo» disse Sandy, prima che McLeod potesse rispondere. «Questo è l'ispettore Noel McLeod, di Edimburgo. Lo ha invitato qui il Capo, dopo aver saputo del furto di ieri sera. Mostragli la tua tessera, ispettore.» «Io non sono qui in veste ufficiale, sia chiaro» disse McLeod, lasciandogli dare un'occhiata alla tessera. «È solo per fare un favore, da uomo del clan al suo clan, e al suo Capo. Sono sicuro che voialtri, qui, siete perfettamente in grado di occuparvi dell'indagine senza l'aiuto di nessuno.» Il sergente s'era un po' schiarito in faccia alla vista della tessera, e a quelle parole annuì. «Uh, sicuro. Allora tutto è a posto, no? Se è stato il Capo a chiamarla qui... be', per rispondere alla sua domanda, la vittima, una donna, non è di queste parti. Sul corpo non abbiamo trovato alcun documento, ma i suoi indumenti hanno etichette straniere. Pensiamo che sia tedesca, o magari scandinava. Ne sapremo di più, forse, quando avremo il responso sulle impronte digitali da Fort William.» «Qual è stata la causa della morte?» domandò Adam. «È affogata?» Il sergente si volse a guardare Adam, come se lo vedesse per la prima volta. «Questo è Sir Adam Sinclair» disse McLeod. «È un medico. Lui e il suo collaboratore, Mr. Lovat, sono qui per darmi una mano.» «Come dice lei, signore.» Il sergente accettò la spiegazione di McLeod
con un cenno del capo, prima di volgersi di nuovo ad Adam. «No, non è affogata. Le hanno sparato nella testa da dietro, a bruciapelo, e due volte al petto, in pieno cuore.» Mentre Adam mormorava un poco impegnativo: «Ah!» McLeod si scurì in faccia. «Sta dicendo che è stata un'esecuzione, sergente?» L'altro si strinse nelle spalle. «Be', io non arriverei a dire questo» rispose. «Il fatto è che non abbiamo spesso casi di questo genere, qui a Skye. In ogni modo..., sì, io direi che l'assassino ha fatto un lavoro da professionista. Se volete, potete dare un'occhiata al cadavere voi stessi, prima che l'ambulanza lo porti alla camera mortuaria dell'ospedale di Portree. La pallottola dell'assassino le ha conciato male la faccia, ma per il resto sembra che corrisponda alla descrizione della donna che ha preso parte al furto, al castello.» «Credo proprio che dovremo dare uno sguardo al cadavere» annuì McLeod, aprendo lo sportello dell'auto. Sandy restò sulla strada accanto alla Volvo, intanto che Adam e McLeod scendevano sulla spiaggia accompagnati dal sergente di polizia, curvi in avanti contro la forza del vento di mare. Peregrine indugiò solo per il tempo necessario a recuperare il suo blocco da disegno nel retro della macchina, poi li seguì. Qualcosa gli mandò un brivido giù per la schiena, ma disse a se stesso che era solo il freddo e s'affrettò fino all'imbarcadero. Raggiunse i due amici all'inizio del molo. Il cadavere era stato disteso sulle tavole intrise di salmastro, e appariva ancora in buone condizioni dopo quella breve permanenza in mare. Gli uomini dell'ambulanza stavano per trasferirlo dentro un sacco di plastica nera. «Aspetta un minuto, Geordie» disse il sergente. «Abbiamo qui due o tre esperti, che vorrebbero dare un'occhiata.» Gli uomini si scostarono per lasciare spazio ai nuovi venuti. McLeod rimase in piedi con le mani dietro la schiena, ma Adam si chinò a esaminare da vicino il corpo, mentre Peregrine restava indietro alitandosi sulle dita per scaldarle. La donna dimostrava una trentina d'anni ed era bionda, con i capelli tagliati corti. La notte trascorsa in mare aveva lavato via dalla pelle e dagli abiti ogni traccia di sangue, ma la causa della morte era evidente. La pallottola che le avevano sparato dietro l'orecchio sinistro era uscita sotto l'occhio destro. Dalle parole del sergente Adam s'era aspettato una maggiore distruzione facciale, ma il danno era minimo. In ogni modo i suoi line-
amenti non gli dissero nulla. Con un sospiro Adam esaminò il corpo. Oltre alle due ferite al petto e ad alcune lacerazioni alle gambe - risalenti probabilmente a dopo la morte non sembrava che ci fossero graffi o ematomi prodotti da mani umane, né altri segni di violenza. Le dita snelle avevano unghie ben curate. I polpastrelli erano anneriti dall'inchiostro con cui le avevano preso le impronte digitali. «Fisicamente è solida. Doveva fare molto esercizio fisico» osservò McLeod accanto a lui. «Se era una ladra professionista, è molto probabile che fosse schedata. Non necessariamente in Scozia.» «Una professionista, uccisa da dei professionisti» commentò Adam. «Pensi anche tu che sia la donna coinvolta nel furto dello Stendardo?» McLeod annuì. «Me lo sento nelle ossa. Non possiamo fare più di un'ipotesi sul perché l'abbiano uccisa, ma la ladra è questa, credimi pure.» Adam si voltò a guardare Peregrine. Il giovane artista s'era allontanato di qualche passo e stava guardando il mare, col vento che gli scompigliava i capelli e una smorfia sofferente sulla faccia. Era evidente che non gli riusciva facile guardare gli sgradevoli risultati di un omicidio premeditato. Adam si alzò e andò verso di lui. Vedendolo avvicinarsi, Peregrine si schiarì la gola, a disagio. «Pensavo che non sarebbe stato peggio di quel che ho visto a Melrose» disse, in tono di scusa, «ma mi ero sbagliato.» Un'onda più alta delle altre s'infranse contro il molo, alzando nel vento un ventaglio di spruzzi, e i due uomini furono investiti dal pulviscolo d'acqua. Adam mise una mano su una spalla di Peregrine. «Credo di sapere quello che provi» disse, a voce alta per farsi udire nel rumore dei frangenti. «La morte violenta ha qualcosa di disumano, che offende l'anima. È questo che ci spinge a opporci a chi uccide.» Continuando a guardare il giovane da vicino, aggiunse: «Noel e io non amiamo il lavoro che facciamo, Peregrine. Ma sentiamo che dev'essere fatto.» Lui abbassò la testa. «Scusami. Non credevo d'essere così sensibile a certe cose, tutto qui. Vuoi che faccia qualche disegno?» Adam ebbe un gesto verso il cielo tempestoso. «Puoi farlo, in queste condizioni?» «Me la caverò» disse Peregrine, raddrizzando le spalle. Facendo scudo al blocco da disegno col suo corpo, il giovane si avvicinò al cadavere e tirò fuori la matita. Nel vedere ciò che lui stava facendo, anche McLeod si accostò ad Adam per aiutare a schermarlo dal vento di mare.
Dapprima Peregrine era un po' pallido e rigido, e nel guardare la donna che giaceva davanti a lui la sua matita ebbe qualche esitazione. Poi all'improvviso sembrò rilassarsi, il suo sguardo si fece più freddo, e la mano con cui disegnava acquistò sicurezza. Adam e McLeod guardavano da sopra una sua spalla, interessati, mentre una figura finemente dettagliata prendeva forma. Il ritratto era quello della donna assassinata, ma non com'era in quel momento, bensì come doveva essere apparsa prima che la morte la ghermisse. La faccia e gli abiti erano uguali, però adesso portava i capelli lunghi, ed erano scuri, annodati in un concio dietro la nuca. Aveva anche un paio di occhiali dalla montatura spessa, che dovevano essere rimasti in fondo al mare. Il particolare più significativo era tuttavia il medaglione che aveva sul petto, appeso a una catenella. E come in risposta alla domanda che stava attraversando la mente di Adam, l'artista lo indicò con la matita. «Questo medaglione è uguale a quello che ho già disegnato a Melrose» disse in tono sognante. «Su di esso è incisa la testa di un animale... ma neanche oggi riesco a vedere quale.» Adam gli poggiò una mano su un braccio. Al suo tocco Peregrine si riscosse, chiuse il blocco da disegno e ostentando una calma noncurante se lo mise in tasca. Adam si volse pensosamente e si trovò davanti il poliziotto dell'isola, che li guardava senza celare la sua curiosità. «Mr. Lovat è un disegnatore della polizia scientifica» disse, stiracchiando alquanto la verità per tagliar corto a ogni bizzarra speculazione. «Mi dica, la donna portava dei gioielli quando l'hanno ripescata?» Apparentemente soddisfatto della spiegazione, il sergente scosse il capo. «Gioielli? No, signore. Né anelli, né bracciali. Neppure un orologio da polso. Io conosco i due uomini che l'hanno trovata» aggiunse, «e posso giurare sulla loro onestà. Tam è un anziano della nostra chiesa.» «Le credo. Non volevo metterlo in dubbio» disse Adam. «Solo, me lo domandavo.» McLeod scambiò un'occhiata con lui e gli accennò di seguirlo in disparte pochi passi più in là. «Suppongo che questo confermi ciò che già sospettavamo» disse a bassa voce. «La gente che ha organizzato questo furto è la stessa che ha violato la tomba di Scot a Melrose, e che ha rubato la Spada degli Hepburn.» Adam annuì. «Sono d'accordo. E devo osservare che questo omicidio ha qualcosa in comune con un altro delitto rimasto impunito. Mi chiedo se
quel sospetto trafficante di droga ucciso a Glasgow fosse stato, in realtà, incaricato di rubare la spada, e poi ammazzato in modo che sembrasse un regolamento di conti fra spacciatori. Anche questa donna si direbbe una straniera, una professionista part-time assoldata per questo particolare lavoro e poi eliminata per salvaguardare l'identità dei suoi mandanti.» Peregrine s'era avvicinato per sentire quel che stavano dicendo. «Ma se non era un membro della banda» obiettò, «perché le hanno dato un medaglione?» «Non si tratta di una banda» lo corresse Adam. «Comincio a pensare che questa sia l'azione di una loggia... una loggia di stregoni neri, a quanto pare. E per rispondere alla tua domanda, gliel'hanno dato per la sua protezione.» «Protezione dallo Stendardo?» domandò Peregrine. «Perché non era una MacLeod?» «Probabilmente sì» annuì Adam. «Lo Stendardo degli Elfi è un artefatto potente. Anche isolato dietro il vetro, che forse rende possibile maneggiarlo, rappresenta una sorgente di energia elementale potenzialmente pericolosa.» «Così i mandanti della donna hanno preso le precauzioni necessarie, per accertarsi che lei vivesse abbastanza da svolgere il suo incarico. Le hanno dato uno dei loro medaglioni. Il fatto che tu non lo abbia potuto vedere chiaramente, Peregrine, conferma che si tratta di un talismano di qualche genere carico di potere, forse il simbolo di questa loggia particolare.» McLeod sospirò pesantemente. «Temevo che si arrivasse a questo. Pensi che le abbiano sparato appena ha consegnato lo Stendardo?» Adam ci pensò un momento, poi annuì. «Direi di sì. E se il corpo è stato gettato in mare, la mia ipotesi è che l'omicidio sia avvenuto in un porticciolo non dissimile da questo, forse mentre lo Stendardo veniva trasferito a bordo di un'imbarcazione.» McLeod guardò il molo, sfortunatamente troppo spazzato dalle onde per conservare qualche traccia di sangue. «Giusto. Se avessero usato un'auto, forse non avrebbero fatto in tempo a prendere l'ultimo traghetto per Kyle of Lochalsh. Il che significa che a quest'ora possono essere chissà dove. Temo che li abbiamo persi.» «Non del tutto» disse Adam. «Se abbiamo visto giusto sui loro scopi, stanotte cercheranno di entrare in possesso del libro di incantesimi e dell'oro di Scot. Questi oggetti sono nascosti nelle Highlands, probabilmente in una delle quattro località che Peregrine e io abbiamo identificato. Suggeri-
sco di andare su al castello ed esaminare il posto dove lo Stendardo è stato rubato. Forse là troveremo qualche indizio su dove lo hanno portato.» Mentre parlavano era ricominciato a piovere, e i tre uomini si accomiatarono dal servizievole sergente di polizia, affrettandosi a tornare verso la Volvo. Sandy era sulla strada ad aspettarli, ansioso di rimettersi in viaggio. McLeod fu il primo a raggiungerlo. «Abbiamo fatto bene a fermarci qui» disse l'ispettore al giovanotto. «Sembra che qualcuno abbia sparato alla ladra. Credo che ora sarà meglio andare al castello.» Sandy non aveva bisogno di incoraggiamenti. Dopo aver aggirato le transenne della polizia accelerò su per la collina facendo rombare il motore a tutto gas, e dopo una pericolosa serie di curve infilò la stradicciola che portava all'antico maniero. Pochi momenti dopo la macchina si fermò nel parcheggio, accanto al ponte levatoio del portone principale. Un cartello appeso al batacchio a forma di pugno chiuso diceva: OGGI IL CASTELLO È CHIUSO. La polizia se n'era già andata, dopo aver finito tutti i rilevamenti del caso. Quando Adam e i suoi compagni seguirono Sandy MacLeod nell'atrio, furono accolti da un uomo anziano con le stampelle e una donna grassoccia della stessa età, con due occhi vivaci dietro gli spessi occhiali da presbite. «Oh, eccoti qua, Noel McLeod!» esclamò quest'ultima, e lo abbracciò con energia, impermeabile bagnato e tutto. «Cara Margaret. Salve, Finlay» rispose McLeod. Strinse la mano all'uomo anziano, intanto che Adam e Peregrine consegnavano i soprabiti umidi nelle mani volonterose di Sandy. «I miei genitori erano qui di servizio ieri notte, quando quei bastardi hanno rubato lo Stendardo» disse Sandy, dopo le presentazioni. «Mio padre si è slogato una caviglia, quando lo hanno fatto saltare giù nella cella. Vi daranno loro un resoconto di quel che è successo.» «No, non c'è molto da dire, e probabilmente Sandy vi ha già raccontato tutto» borbottò Finlay, con aria impacciata. «Quando quella donna ha bussato alla porta, quello che ha avuto la cattiva idea di farla entrare sono stato io.» Scosse il capo, sospirando. «Avrei dovuto lasciarla ad aspettare fuori, intanto che noi andavamo a cercare le sue dannate chiavi.» «Non fare così, Finlay. Chiunque, al tuo posto, l'avrebbe invitata a entrare» lo placò sua moglie, dandogli un colpetto su un braccio. «Può darsi» borbottò Finlay. «Ma preferirei aver perduto il braccio de-
stro che avere mancato al mio dovere verso il Capo, e il mio clan.» McLeod ebbe un sorriso aspro, togliendosi l'impermeabile bagnato. «Se tu avessi avuto la sfortuna d'incontrare la mente criminale che c'è dietro questo furto» disse, «avresti sicuramente perduto più di un braccio, Finlay. La tua persuasiva signora ladra è stata uccisa con una pallottola nella testa e gettata in mare, pochi minuti dopo essersene andata da qui... apparentemente dal suo datore di lavoro, che non sapeva più cosa farsene di lei. Abbiamo appena visto il suo corpo, giù al molo.» Finlay e sua moglie si guardarono, a occhi spalancati. «È stato quell'uomo col passamontagna ad ammazzarla!» dichiarò Margaret. «Era una vera carogna. L'ho capito fin da quando ho sentito la sua voce!» «Oh, lascia perdere questo» disse Finlay. «Ma dello Stendardo degli Elfi, cosa ne è stato?» «Pensiamo che sia nelle mani di chi aveva assoldato la donna per rubarlo» disse Adam. «C'è ancora una speranza di recuperarlo, ma non possiamo perdere tempo. Da che parte è la sala in cui era esposto al pubblico?» CAPITOLO DICIOTTESIMO Poiché Finlay aveva le stampelle, fu Margaret che li accompagnò di sopra, mugolando che non capiva a cosa questo sarebbe servito, dato che lo Stendardo non era più lì. Durante il tragitto dall'aeroporto Adam s'era messo il suo anello col castone a sigillo, e ora, mentre salivano l'ampia scala di pietra, lo accarezzò col pollice, cominciando a innescare l'alto livello di coscienza che gli sarebbe occorso durante la ricerca di indizi sulla scena del crimine. Quando lui e i suoi compagni entrarono nel salone fu subito assalito da un input extrasensoriale, che trascinò il suo sguardo sullo spazio vuoto del muro fra le due finestre volte al mare. Le tende di broccato erano aperte a rivelare un rettangolo leggermente più chiaro del resto della parete, color rosa salmone. Da tutto quel lato della sala Adam sentì che gli giungevano tracce residue di un potere super-elementale. «Lo Stendardo era là?» domandò, indicando lo spazio vuoto. Margaret lo guardò, sorpresa. «Sì.» «Lo supponevo.» La concentrazione di potere residuo s'intensificò quando Adam si avvicinò a un braccio di distanza dal muro, palpabile come il calore che rista-
gna in un caminetto anche dopo che le braci si sono spente. Sforzandosi di concentrarsi e aprirsi, lui guardò per un momento il punto in cui era stata appesa la cornice. Poi chiuse gli occhi. Sullo schermo della sua mente ondeggiarono dei colori, che subito si stabilizzarono nell'immagine di un rettangolo di seta color avorio, a chiazze, montata entro una cornice dorata. Dopo aver registrato quell'immagine nella memoria per ciò che avrebbe dovuto fare successivamente, aprì gli occhi e si rivolse a Margaret, che era rimasta presso la soglia del salone. «Mrs. MacLeod» le chiese, «ha per caso una fotografia dello Stendardo da mostrarmi?» «Sì. Abbiamo le cartoline, giù al banco» rispose lei. «Devo andare a prendergliene una?» «Gliene sarei grato» annuì lui. «Avete anche una carta stradale della regione? Magari una che comprenda tutte le Highlands occidentali, e più a nord fino a Inverness.» A quella richiesta Margaret esitò. «Posso cercarla, signore... a patto che non le abbiamo già vendute tutte. La stagione turistica è ormai finita, sa.» «Sono certo che lei farà del suo meglio» disse Adam. «Non le dispiacerebbe andare a cercarla adesso, per favore? E già che c'è, mi servirebbe anche un rotolo di spago... anzi, un cordoncino intrecciato andrebbe ancora meglio, se ne avete.» «Sì, signore, penso di sì.» «La ringrazio. Ah, Peregrine, ti sarei davvero grato se scendessi con Mrs. MacLeod, per riportare indietro tu quegli oggetti, in modo che lei non sia costretta a fare di nuovo le scale. Mi sembra un po' stanca. E credo proprio che abbia tutti i motivi di esserlo, dopo gli strapazzi delle ultime ventiquattr'ore.» Le parole di Adam avevano la forza di una compulsione ipnotica. Margaret sbatté le palpebre e sbadigliò, come se avesse appena avuto il permesso di soccombere alla fatica. Peregrine notò il suo cambiamento d'espressione con un certo stupore, ma un breve sguardo di Adam bastò a fargli mettere in disparte ogni domanda. Indossando il suo sorriso più accattivante, offrì il braccio all'anziana donna con un inchino galante. «La prego, si appoggi pure a me se è stanca, Mrs. MacLeod» disse. «E dopo aver trovato le cose che occorrono a Sir Adam, potrà mettersi a sedere e rinfrancarsi con una buona tazza di the.» «Sì, e anche un pisolino non guasterebbe» annuì docilmente Margaret, accostandosi a lui con aria insonnolita. «Possiamo scendere dalla scala po-
steriore.» Peregrine la condusse fuori dal salone senza guardarsi indietro, e oltrepassate le segrete scomparvero verso le scale di servizio. Quando furono fuori portata d'orecchio, McLeod guardò Adam. «L'hai fatto, eh?» «Ho fatto cosa?» «Non importa. Ci siamo liberati di quella brava donna, il che è evidentemente quel che volevi. E ora, cosa pensi di fare?» Adam ebbe un sorriso esile. «Niente che tu non abbia mai visto... anche se penso che avrebbe un po' allarmato la nostra ospite, se fosse rimasta. E dovrò fare qualche piccolo aggiustamento per non sorprendere troppo Peregrine. Il nostro problema principale è che le prove materiali possono dirci soltanto quel che è già accaduto. Se vogliamo avere una possibilità di recuperare lo Stendardo, prima che sia troppo tardi, dobbiamo esaminare le cose da un altro angolo...» Cinque minuti più tardi, uno scalpiccio di passi sulle scale annunciò il ritorno di Peregrine. Quando entrò, aveva in una mano diverse carte stradali e nell'altra alcuni rotoli di cordoncino. «Mrs. MacLeod non sapeva a cosa ti sarebbe servito il cordone, così me ne ha dato di tre diversi tipi. Uno è quello per i tappeti, credo di aver capito, e lei mi ha detto che quello verde lucido serve per le tende di broccato. E poiché io non ero sicuro di cosa tu intendessi con "le Highlands Occidentali", mi sono fatto dare quella delle Isole Ebridi e altre due nella stessa scala, con tutta la costa occidentale della Scozia. Queste comprendono i quattro castelli che abbiamo isolato. Ah, e qui c'è anche una foto dello Stendardo degli Elfi.» «Stai facendo onore al tuo addestramento» commentò Adam con un sorrisetto, mentre esaminava gli oggetti portati da Peregrine e cominciava ad aprire le mappe. «Sì, queste dovrebbero andar bene. Stendiamole sul pianoforte a coda... così, va bene. Per Highlands Occidentali intendiamo tutta la regione a ovest del Canale di Caledonia, e su fin quasi alle Orcadi. Allineale bene, Noel, per favore, in modo che il nord sia a nord in tutte e tre le carte. La foto e i rotoli di cordone appoggiamoli qui.» «È tutto ciò che ti serve?» domandò McLeod. «Sì, va benissimo. Ora, se voi signori avrete la gentilezza di stare attenti alle porte, vedremo cosa possiamo scoprire.» «È sufficiente tener d'occhio il pianerottolo e il corridoio» disse McLeod, in risposta all'occhiata interrogativa di Peregrine, mentre andava sulla
soglia delle scale. «Non vogliamo chiudere le porte; ci basta non essere interrotti. Dall'ingresso del corridoio potrete vedere tutto ciò che Adam fa. Credo che lo troverete interessante.» Interessante non era la parola che Adam avrebbe scelto, per descrivere ciò che stava per fare, ma si augurava almeno che non fosse spaventoso. «Ora mi accingo a eseguire un breve rito difensore» disse, soprattutto per Peregrine, «perché non so quanto sia potente l'opposizione che troverò, né quali sgradevoli sorprese quella gente si sia lasciata dietro. Un difensore è semplicemente una forma di protezione psichica. Mi occorreranno un paio di minuti, perciò abbiate pazienza.» Allontanando Peregrine dalla sua mente andò nel centro del salone e si girò verso oriente, dando le spalle al punto dov'era stato appeso lo Stendardo, e chinò un momento la testa per concentrarsi, con le punte delle dita di entrambe le mani premute leggermente sulle labbra. Poi, poggiandosi la sinistra sul petto, rialzò lo sguardo e sollevò verticalmente l'altro braccio. Con cura unì pollice e indice della mano destra, come se prendesse dall'aria qualcosa d'invisibile e se lo portasse a contatto della fronte. Le parole che risuonarono nella sua mente furono in ebraico «Ateh, Malkuth, Ve Geburah, Le Olahm» ma le disse a voce in inglese, a beneficio di Peregrine. «Verso di Te, o Signore Iddio...» Qualcosa nel suono di quelle parole approfondì il silenzio del salone, annullando tutti i rumori esterni, e quell'effetto si intensificò ancora quando abbassò la mano a toccarsi il plesso solare e disse: «Verso il Regno...» La sua mano si alzò a toccare la spalla sinistra con la punta delle dita, e quindi la destra. «Verso il Potere... e la Gloria...» Infine, mentre le mani tornavano a congiungersi, completò la formula: «Verso tutte le Epoche passate e future.» Detto questo chinò il capo e mormorò il conclusivo: «Amen.» Per qualche secondo Adam sentì il silenzio di cui era al centro farsi pesante come una cupola. E poteva anche avvertire lo sguardo di Peregrine fisso su di lui; uno sguardo incredulo, un po' timoroso, ma non spaventato. In un'altra situazione avrebbe tracciato al suolo quattro pentacoli coi vertici puntati verso i punti cardinali, caricando ciascuno con un diverso Nome e Aspetto della Divinità, ma decise che Peregrine non era ancora pronto per assistere a un rituale così complesso, che peraltro non gli sembrava strettamente necessario. Un semplice sigillo della sua aura sarebbe bastato, per il momento. La preghiera che scelse come veicolo per la procedura era un'antica for-
mula monacale, non troppo lunga ma potente, quand'era attivata. Gli sarebbe servita per qualunque genere di protezione fosse stata necessaria. Adam allargò le braccia in croce e alzò gli occhi al cielo, parlando a bassa voce ma con ferrea convinzione. «Per il potere di Gesù Cristo e del Signore Iddio dentro di me. Il Signore che io servo con tutte le mie forze, con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima» disse, mentre girava su se stesso verso destra tracciando una circonferenza con le punte delle dita protese. «Io racchiudo me stesso entro il Circolo Divino della Tua protezione, o Signore, attraverso il quale nessuna entità spirituale a me ostile oserà mettere piede.» Quando ebbe completato il giro di trecentosessanta gradi, sigillò il circolo tracciandosi una Croce Cabalistica sul petto con la mano destra. Lo zaffiro del suo anello aveva lasciato nell'aria una traccia azzurra, un circolo orizzontale luminescente largo quanto le sue braccia distese, che quando lui si mosse lo seguì nei suoi spostamenti, svanendo pian piano. Adam sapeva che McLeod lo aveva visto, e dall'espressione di Peregrine capì che anche quest'ultimo se n'era accorto. «Bene, allora, questo è fatto» disse, gettando al giovane artista uno sguardo noncurante mentre andava verso il pianoforte. «E ora vediamo se possiamo apprendere qualcosa di utile.» Quando fu accanto alla coda del grande strumento musicale, si voltò verso il punto dov'era stato appeso lo Stendardo degli Elfi, depose la foto dell'antica reliquia sulla carta geografica in corrispondenza dell'isola di Skye, e prese il rotolo di cordoncino più sottile, staccandone via un segmento lungo circa un metro. Fatto questo si tolse l'anello e vi infilò dentro il cordoncino, che piegò in due e annodò ai capi, ricavandone così un pendolo lungo mezzo metro. Prese il cordoncino per il nodo e con la mano destra lo sollevò sulla verticale della fotografia, lasciando che l'anello oscillasse lentamente su di essa a pochi centimetri di distanza. Ora doveva stabilire la giusta sequenza di domande per far sì che il pendolo fosse un utensile reattivo. Era una tecnica che aveva già usato spesso, con ottimi risultati. Respirò lentamente alcune volte per rilassarsi e concentrarsi, focalizzando tutta la sua attenzione sulla foto dello Stendardo e sulla realtà che essa rappresentava. Poi, visualizzandone ogni lettera, lasciò scorrere sullo schermo della mente la prima domanda, alla quale la risposta avrebbe dovuto essere sicuramente un «sì». Questa è un'immagine uguale allo Stendardo degli Elfi? Mantenne la domanda fissa dentro di sé e attese. Pian piano, senza nes-
suno sforzo consapevole da parte sua, il pendolo cominciò a oscillare su e giù, parallelamente al lato più lungo della foto. Molto bene, pensò. La risposta «sì» era rappresentata dal movimento dall'alto in basso. Annuendo, fermò il pendolo con l'altra mano e diede forma alla seconda domanda, alla quale la risposta avrebbe dovuto essere senza dubbio un «no». Lo Stendardo degli Elfi è ancora in questa stanza? Stavolta, dopo qualche secondo, l'anello cominciò a oscillare trasversalmente. Adam lo fermò di nuovo e si concentrò su una domanda alla quale avrebbe presumibilmente dovuto esserci un terzo genere di risposta. Riusciremo a recuperare lo Stendardo degli Elfi, prima che lo Stendardo subisca un danno irreparabile o sia distrutto? Era una domanda alla quale nessuno poteva ancora rispondere, così Adam non fu sorpreso quando l'anello prese a muoversi in cerchio sulla fotografia, in senso orario. Questo poteva significare tanto «non lo so» quanto «non voglio rispondere». «Molto bene» disse sottovoce Adam, guardando McLeod e Peregrine. «Ho stabilito il codice di risposta per "sì", "no" e "non so". Ora è il momento di passare alle domande delle quali non conosciamo la risposta.» Respirò ancora a fondo per avere concentrazione e tenne lo sguardo fisso sull'anello. «Lo Stendardo degli Elfi è ancora sull'isola di Skye?» domandò a voce alta. Dopo una decina di secondi il pendolo si mosse trasversalmente: No. «La risposta è stata un no» disse Adam, a uso dei due compagni, e proseguì: «La donna che è stata uccisa aveva preso lo Stendardo degli Elfi da questa stanza?» La risposta del pendolo fu: Sì. «Ha detto di sì» annuì Adam. «La donna ha portato lo Stendardo degli Elfi su un'imbarcazione?» Quando il pendolo rispose: No, lui si accigliò e gettò uno sguardo a McLeod, che lo osservava con grande interesse. «Ha detto di no» riferì. «Allora... la donna ha portato lo Stendardo degli Elfi su un'automobile?» La risposta del pendolo fu: Sì. «Ma non lo ha portato molto lontano» intervenne McLeod. «Non può
averlo fatto. Avrei giurato che i suoi complici la aspettavano su un'imbarcazione, e che le hanno sparato là.» «Anch'io ne ero convinto» disse Adam. «Ma il pendolo ha detto che... un momento... ah!» Guardò di nuovo l'anello e domandò: «La donna ha portato via lo Stendardo degli Elfi usando un'automobile?» Sì rispose il pendolo. «La donna ha portato lo Stendardo degli Elfi verso un'imbarcazione?» Sì rispose il pendolo. «Ah.» Adam indirizzò un sorriso a McLeod. «Ora penso che ci stiamo muovendo nella direzione giusta. Dobbiamo tenere presente che questa tecnica è letterale nelle risposte e deve perciò esserlo anche nelle domande. La donna se n'è andata da qui con una macchina, e giunta sulla riva ha consegnato la refurtiva a qualcuno che era venuto con un'imbarcazione, ma senza salire a bordo. È stato sulla riva che l'hanno pagata con tre proiettili.» Detto ciò, Adam riprese: «Lo Stendardo degli Elfi è stato portato via con un'imbarcazione?» Sì rispose il pendolo. «Affermativo» riferì Adam agli altri. «Lo Stendardo degli Elfi è ancora a bordo di un'imbarcazione?» Sì fu la risposta. «Sembra di sì» disse Adam. Fece una pausa. «Allora forse non è troppo lontano» intervenne ancora McLeod. «Col mare agitato che c'è stato tutto il giorno, fin dove può essere arrivata una piccola imbarcazione?» «Non aver fretta di fare ipotesi» lo avvertì Adam, e passò a una nuova domanda: «Lo Stendardo degli Elfi è rimasto su un'imbarcazione per tutta la notte e in seguito?» No rispose il pendolo. «No?» esclamò McLeod. «Lo hanno scaricato da qualche parte, e messo a bordo di un'auto?» Adam alzò una mano per chiedere il silenzio e abbassò di nuovo lo sguardo sull'anello. «Una domanda alla volta, per favore» disse. «Lo Stendardo degli Elfi è stato tolto dalla prima imbarcazione e messo... no, così è espressa male. La ripeto» disse. «Lo Stendardo degli Elfi è stato tolto dalla prima imbarcazione?» La risposta fu: Sì. «Lo Stendardo degli Elfi è stato spostato su un veicolo terrestre di qual-
che genere?» Di nuovo la risposta fu: Sì. «E adesso lo Stendardo degli Elfi è a bordo di una seconda imbarcazione?» Sì rispose il pendolo. Durante questo scambio di domande e risposte, Peregrine aveva assistito con stupore crescente. «Adam, tu credi davvero alle informazioni che ottieni in questo modo?» L'amico ebbe un sorriso sottile. «È un metodo che si è sempre dimostrato valido. Naturalmente ha i suoi limiti, e se cercassi di superarli otterrei soltanto una serie di "non so". Tu hai qualche altro suggerimento?» «Be', no, ma...» «Allora lasciami fare. Noel?» «Sì?» «Non abbiamo alcun indizio su chi ci sia dietro tutto questo, e potremmo giocare a domanda e risposta per tutta la notte senza fare un passo in avanti. Di conseguenza propongo di rivolgere la mia indagine sul luogo in cui si trova attualmente lo Stendardo.» «Capisco» disse McLeod, e alzò un dito verso Peregrine. «Non più interruzioni, per favore, Mr. Lovat. Adam avrà bisogno di tutta la sua concentrazione.» Mentre Peregrine annuiva solennemente, Adam tolse la foto dello Stendardo degli Elfi da sopra la carta geografica, e quindi lasciò penzolare l'anello appeso al cordoncino sopra la costa nord occidentale dell'isola di Skye, dove si trovava il castello di Dunvegan, tenendo il gomito destro appoggiato sul pianoforte. «E va bene, mio piccolo Stendardo» mormorò, rivolgendosi alla fotografia. «Dove sei adesso? Io so dov'eri fino a ieri sera, e so che sei stato asportato dal luogo a cui appartenevi a opera di individui senza scrupoli, per i loro scopi. Ma ora dovrai aiutarmi, se vuoi che io aiuti te. Fai uso di me attraverso il pendolo, per mostrarmi dove ti trovi. Io so che possiamo stabilire il contatto, se ci proviamo con la forza necessaria.» Per un momento rimase del tutto immobile, con gli occhi socchiusi e fuori fuoco, intensificando la sua concentrazione sul compito che s'era proposto. Invocando mentalmente l'immagine astrale dello Stendardo degli Elfi, alitò piano sull'anello per spingerlo a oscillare, e nello stesso tempo invitò le risonanze che impregnavano l'oggetto perduto a comunicare la sua posizione attuale.
Dapprima non ci fu risposta. Respirando con lentezza e regolarità, Adam chiuse gli occhi e spalancò le porte del suo spirito, supplicando la saggezza vivente della Luce di amplificare sia la sua ricettività che gli influssi magnetici dello Stendardo. Al centro del suo essere nacque un fremito d'energia simile a una treccia che si torceva e ondeggiava, un potere le cui dimensioni si gonfiavano fino a vibrargli nella spina dorsale e in tutte le membra. Un'energia complementare stava nascendo nell'anello, e pian piano risalì lungo il cordone. Le due opposte correnti s'incontrarono sulla punta delle sue dita e si mescolarono con la brusca violenza di un corto circuito. Quel contatto diede origine all'inattesa consapevolezza di un'altra cosa: una rabbia furiosa e crescente, incorporata nella tempesta che stava per scendere sull'isola di Skye. La fonte di quella rabbia era la roteante conflagrazione di presenze elementali che Adam riconobbe subito per ciò che erano: le schiere degli Elfi della terra, del mare e del cielo. La marea della loro rabbia precipitò ciecamente su di lui e roteò nell'intera sala, formando un maelstrom di fiamme dardeggianti e di ombre nere. Lui lo vide con la mente, come un gorgo che infuriava nello spazio fra il pianoforte e il muro dov'era stato appeso lo Stendardo. Quando aprì le palpebre lo vide anche con gli occhi... e uno sguardo ai suoi due compagni bastò a fargli capire che lo vedevano anch'essi. Mentre lui osservava di nuovo quel maelstrom, sorpreso, una faccia scheletrica cominciò a prendere forma dentro di esso, una faccia che si contorceva e cambiava forma, terribile nella sua bellezza. Lui poteva solo fare un'ipotesi sulla sua identità: forse era l'essenza degli elfi che aveva impregnato lo Stendardo... ma appariva come un ban-sidhe, i cui capelli verdi frustavano l'aria come serpenti impazziti, con un fuoco stregato che gli empiva le orbite cave, e artigli ricurvi simili a scimitarre velenose avide di colpire e uccidere. «Trattieni la tua ira, o Figlio della Natura!» esclamò Adam, con voce che riverberava a livello mentale oltreché materiale. «Io non sono tuo nemico. Io sono un amico, e voglio riparare il torto che è stato fatto qui.» Gli umani altro non sono che falsi amici dei Sidhe! replicò l'entità, con una voce stridente come seta strappata che gli mandò un involontario brivido di terrore lungo la spina dorsale. Dimmi perché io non dovrei ucciderti lì dove sei! Come osi convocarmi, quando la tua gente ha violato la mia sacra fiducia? Tremando nonostante l'autocontrollo, Adam si costrinse a spingere da
parte la paura e a guardare nei fuochi infernali che erano gli occhi di quell'essere. «Credi tu d'essere il solo ad avere ricevuto offesa?» gli disse in tono di sfida. «Coloro che hanno oltraggiato la tua fiducia hanno insultato anche me... io, un Consigliere dei Sette, incaricato dai miei superiori di salvaguardare la Luce e tutti i figli della natura che La servono, siano essi gli umani che il popolo degli elfi. Con l'evocazione avvenuta davanti alla tomba dello stregone Michael Scot, un uomo che un tempo era amico della tua gente, questi criminosi praticanti delle arti magiche hanno trasgredito la Legge immortale. Essi hanno fatto a brani la personalità dell'attuale veicolo di Scot: una fanciulla innocente, che potrebbe non ritrovare mai più ciò che le è stato strappato. Senza alcun diritto di farlo, questi aggressori cercano il tesoro di Scot, sorvegliato dalla tua gente. Sono costoro l'oggetto della tua ira... non io, che intendo fermarli, se posso.» Il maelstrom ruotava e infuriava, con una rabbia a malapena tenuta a freno dal fragile velo della logica presentata da Adam. Questi era consapevole che McLeod e Peregrine assistevano, paralizzati dal terrore, ma il potere che s'era scatenato nel centro del salone li congelava, non consentendo loro di muovere un muscolo. Mentre l'essere di fiamma e d'ombra torreggiava sopra di lui, minacciando di ingoiarlo, Adam alzò la testa e sostenne il suo sguardo senza batter ciglio, investendo tutte le sue speranze in un'ultima supplica. «Non sono io colui che tu cerchi» disse. «Gli individui che tu vuoi sono quelli che hanno rubato am Bratach Sith... quelli che oggi l'hanno in mano, e che intendono farne uso per impadronirsi anche del libro degli incantesimi di Scot e del vostro oro fatato! Mostrami dove si trovano questi oggetti, e io farò del mio meglio per fermarli. I miei compagni e io non recheremo alcun danno a ciò che appartiene a Faerie. Inoltre, se potrò farlo, giuro che riporterò am Bratach Sith al posto che gli compete.» Adam poteva sentire il potere aggressivo dell'entità graffiare i bordi della sua anima, minaccioso e mortale. Per un momento vacillò, incapace di mantenersi eretto, ma non volle distogliere lo sguardo dalla minaccia che lo sovrastava. Testardamente sollevò la fotografia e l'anello appeso al cordoncino. «Mostramelo!» comandò. A quella parola, l'entità mandò un orrido grido e si curvò su di lui, infuriando con gli artigli sul pianoforte a coda e sparpagliando attorno le carte geografiche e i rotoli di cordoncino.
«Mostramelo!» comandò ancora Adam, che aveva incassato la testa fra le spalle ma rifiutava di ritrarsi da quella sfida. Poi nella sua mente risuonò uno schiocco possente come un tuono, che gli fece perdere conoscenza. Non restò privo di sensi per più di pochi secondi, ma quando rinvenne giaceva sul pavimento accanto al pianoforte, con la testa sollevata fra le braccia di McLeod e Peregrine inginocchiato al suo fianco. La fotografia dello Stendardo degli Elfi era ancora stretta nella sua mano sinistra, ma l'anello appeso al cordoncino non si vedeva da nessuna parte. «Grazie a Dio, sei vivo!» mormorò McLeod, tornando al dialetto delle Highlands nella sua agitazione. «Santo cielo, uomo, non dovevi provocare quell'entità! Cosa ti ha preso?» Ancora un po' stordito, Adam si tirò a sedere con uno sforzo. «Va tutto bene, Noel. Sapevo quel che stavo facendo. E tu, Peregrine, non guardarmi come se avessi visto uno spettro. Era soltanto un banshee.» «Un banshee?» ansimò Peregrine. «Ma...» «Io credo, per la precisione, che fosse lo spirito dello Stendardo degli Elfi» continuò Adam, cercando di alzarsi in piedi. «Datemi una mano, voi due. Dal momento che sono ancora vivo, suppongo che la cosa abbia funzionato. Voglio vedere dov'è andato a finire il mio anello.» «Il tuo anello?» brontolò McLeod. «Non capisci che sei stato a un passo dalla morte, uomo? Cerca di non fare sforzi, o ti verrà un collasso. Dove tieni quelle capsule di ammoniaca? Penso che te ne serva una» aggiunse, tastando le tasche della giacca dell'amico. «Scommetto che non ne hai, proprio oggi che ti servono.» Adam placò la sua preoccupazione a gesti, reggendosi con le mani al bordo del pianoforte e girando lo sguardo sui risultati della furia del banshee. La mappa che era stata sullo sgabello giaceva in mezzo al pavimento coi rotoli di cordoncino, e coriandoli multicolori sparsi dappertutto rivelavano qual era stata la sorte di una delle mappe che si trovavano sul pianoforte. Il coperchio del grosso strumento musicale era stato profondamente sfregiato da sei lunghi graffi paralleli, ma questi terminavano accanto all'unica mappa rimasta su di esso. E su quella mappa brillava uno zaffiro azzurro incastonato in oro. «Ah, ecco qui il tuo dannato anello» disse McLeod, muovendosi per afferrarlo. «E guarda che guaio è successo al pianoforte!» Ma Adam fermò la sua mano. Perché l'anello, col cordoncino teso come una freccia in direzione del castello di Dunvegan, era poggiato sopra il
lungo specchio d'acqua di Loch Ness, e il suo cerchietto d'oro circondava le parole: Castello di Urquhart. CAPITOLO DICIANNOVESIMO Come storditi, i tre uomini intorno al pianoforte fissavano le parole racchiuse nel cerchietto dell'anello, poggiato sulla mappa. «Il castello di Urquhart?» mormorò McLeod. «Questo significa ciò che sto pensando?» domandò Peregrine, ultimo di loro a credere ai suoi occhi. Dopo aver guardato con una smorfia i solchi sul liscio coperchio nero, Adam raccolse l'anello, quasi che osasse toccarlo a stento, e lo staccò dal cordoncino. «Significa» rispose, infilandoselo di nuovo al dito, «che il castello di Urquhart è il posto dove Scot ha nascosto il suo tesoro... e che lo Stendardo degli Elfi è stato portato là per tenere a bada i suoi guardiani.» «Urquhart» ripeté distrattamente Peregrine, stringendo le palpebre. «Dunque eravamo sulla buona traccia, sospettando uno di quei quattro castelli.» Scosse il capo, meravigliato. «Questo ha senso, naturalmente. Se confrontiamo i disegni che ho fatto con le foto di quel castello, il modo in cui l'edificio è stato modificato nel corso dei secoli balza subito all'occhio. E inoltre, i dati di quella zona dicono che ci sono delle caverne... alcune delle quali sotto il livello dell'acqua.» «Già. E magari a guardia del tesoro c'è anche il mostro di Loch Ness, se esiste!» mugolò McLeod sottovoce. «Adam, sei sicuro che è Urquhart il posto dove dobbiamo andare?» Adam s'era chinato a esaminare più attentamente la carta geografica nei dintorni di Loch Ness. A quella domanda si girò verso McLeod, un po' spazientito. «Noel, io ho appena messo in gioco la vita e la mia stessa anima, per non parlare della mia parola di Adepto, per costringere un ban-sidhe a dirmi dov'è nascosto il tesoro di Scot. E aiutare i Sidhe a proteggere quel tesoro non è la sola cosa che c'è in ballo, in questa faccenda.» «Lo so» rispose McLeod. «No, non sono sicuro che tu lo sappia davvero» disse Adam. «Tu sei preoccupato per lo Stendardo degli Elfi dei MacLeod, il che è comprensibile. Ma fare un uso illecito di quello Stendardo è solo il principio. Se i ladri avessero successo, potrebbero mettere le mani sul libro degli incante-
simi di Michael Scot, il che è una prospettiva abbastanza spaventosa in se stessa... ma oltre a questo avrebbero anche l'oro degli elfi. Tu hai sentito il vento che c'è fuori di qui?» «Naturalmente.» «Be', avevi ragione quando hai detto che in esso c'è qualcosa di soprannaturale» proseguì Adam. «Questa non è semplicemente una delle tante tempeste stagionali. È stata generata con l'intervento dei Sidhe... e continuerà a peggiorare finché loro non saranno placati, in un modo o nell'altro.» «Che cosa stai dicendo, esattamente?» domandò McLeod, accigliato. La bocca di Adam si curvò in una smorfia amara. «Gli elfi hanno dato lo Stendardo ai MacLeod come un raro segno del loro favore. Il suo furto rappresenta un'offesa contro l'intero reame di Faerie. Gli elfi non hanno mai preso alla leggera offese del genere. E il furto del loro oro aggiungerebbe un insulto all'insulto. La loro rabbia ha già scatenato le forze degli elementi in modo tale che, senza più controllo, potrebbero devastare le Highlands.» Le sue ultime parole furono sottolineate da una raffica di vento che aggredì le finestre volte al mare, facendo tremare le imposte di legno con violenza. Peregrine ritrasse la testa fra le spalle e si guardò attorno, a disagio, accostandosi d'istinto agli altri due uomini. «Forse è meglio che vi parli degli strani sogni che ho fatto ieri notte» mormorò il giovanotto. «Avrei voluto parlartene stamattina, Adam, ma alla luce del giorno la cosa mi è sembrata assurda.» «Vai avanti» lo incitò l'amico. «Be', ho sognato di sentire dei corni che suonavano in distanza, come trombe che chiamassero alla battaglia. Alla luce di quel che è successo, penso che sia stato una specie di avvertimento... solo che non ne sapevo abbastanza per riconoscerlo come tale.» L'espressione di Adam s'era fatta più scura e preoccupata alle parole di Peregrine. Sospirò pesantemente e appoggiò le mani sul pianoforte, abbassando lo sguardo. «Vorrei che tu me lo avessi detto prima» mormorò. «Non che avrebbe fatto qualche differenza, per ciò che dobbiamo fare adesso.» «Perché? Che cosa significa quel sogno?» volle sapere Peregrine. «Be', non era proprio un avvertimento» disse Adam. «Era più una chiamata alle armi, forse addirittura la convocazione delle Orde di Faerie... la Caccia Selvaggia. Se si scatenasse una cosa del genere, le conseguenze po-
trebbero essere estremamente gravi.» McLeod sembrava colpito, e quando incontrò lo sguardo dell'amico aveva un'espressione imbarazzata. «Mi spiace, Adam. Non lo sapevo.» «Neppure io. Nessuno di noi lo sapeva. Ma questo rende il nostro intervento ancora più urgente.» Dopo aver tratto un lungo respiro, Adam scosse il capo e riprese il controllo di sé. «E va bene, signori. Ora dobbiamo formulare un piano d'azione. Sappiamo che l'oro degli elfi e il libro di Scot sono al castello di Urquhart. Dobbiamo presumere che anche i ladri lo sappiano, e che siano già diretti là, con lo Stendardo, pronti a fare... qualunque cosa intendano fare, non appena sarà scesa la notte e le forze del Samhain saranno al loro apice.» Riaprì una carta geografica ed esaminò il territorio fra Dunvegan e Urquhart, passando un dito sulle linee rosse delle strade che avrebbero dovuto prendere. «Dal pendolo, abbiamo saputo che lo Stendardo è su un'imbarcazione» continuò, alzando lo sguardo verso McLeod. «Questo significa che potrebbero raggiungere Loch Ness dal mare, sia entrando dall'estremità settentrionale del lago che da quella meridionale. Ma la loro destinazione è Urquhart, qualunque percorso scelgano. Tu quanto credi che noi possiamo impiegare ad arrivare là?» McLeod girò la carta verso di sé, si aggiustò gli occhiali e usando il pollice e l'indice come un calibro cercò di stimare le distanze. «Be', sono cinquanta chilometri da qui all'imbarcadero dei traghetti, a Kyleakin, e tu hai visto la strada...» «Sì.» «Poi, sulla terraferma... io non conosco bene la zona fra Kyle of Lochalsh e Inverness» proseguì McLeod, «ma sembra che ci siano cento o centoventi chilometri.» Scosse il capo, con una smorfia. «Se va bene, direi tre ore, compresa la traversata in traghetto. Sempre presumendo che il traghetto funzioni, il che, con questo mare, non è affatto certo.» Adam guardò l'orologio e cominciò a ripiegare la carta. «Ce ne preoccuperemo quando saremo a Kyleakin» disse. Nel frattempo sarà meglio muoverci, visto che sono già passate le cinque. Ciò vuol dire che non possiamo aspettarci di arrivare a Urquhart prima delle otto. «Questo è un problema?» domandò Peregrine. «Spero che non lo sarà» rispose Adam. «Il tempo è un fattore critico perché è collegato all'inizio del Samhain. Se io fossi al posto dei ladri, ri-
tarderei l'inizio della cosa a qualche ora dopo il tramonto, soprattutto se ci fosse da aspettare un po' per il sorgere della luna. Ma ormai non manca molto al tramonto. E se quelli sono impazienti potrebbero cercare di cominciare in anticipo... così è essenziale arrivare là al più presto. Noel, puoi procurarti una macchina?» McLeod annuì. «Mi farò prestare la Volvo. Dopotutto, il MacLeod mi ha autorizzato a prendere tutto ciò che mi serve. E prima di partire voglio telefonare al mio collega di Inverness e vedere se può metterci a disposizione dei rinforzi. La magia va bene, ma quella gente ha già usato le armi da fuoco e sicuramente non esiterà a farlo ancora. Chiederò che un'imbarcazione della polizia sia mandata giù per il lago.» L'ispettore abbassò lo sguardo sul coperchio rovinato del pianoforte a coda, e sospirò. «Se distruggessi l'auto del Capo non avrei difficoltà a spiegargli la cosa, ma quando mi chiederà come abbiamo fatto a ridurgli così il pianoforte mi chiedo cosa potrò dirgli.» Con quell'osservazione, McLeod si volse e andò alla porta delle scale, seguito da Adam e da Peregrine. Avevano fatto appena pochi passi, quando le luci nel castello di Dunvegan vacillarono e si spensero. «Dannazione, ci mancava anche questa!» mugolò McLeod, cercando il muro a tentoni, mentre gli altri si fermavano dietro di lui. Appena i loro occhi si furono abituati, poterono notare che l'oscurità non era assoluta, perché dalle finestre filtrava un lucore grigiastro. Ma era troppo buio per vederci bene. «Cosa diavolo è successo?» borbottò Peregrine. «Probabilmente la tempesta ha interrotto la linea, o fatto saltare un trasformatore» disse Adam. «Noel, qui hanno un generatore d'emergenza?» «Sì. Dovrebbe entrare in funzione automaticamente fra un minuto.» Stando lì fianco a fianco nell'oscurità potevano sentire le pietre vibrare sotto i loro piedi, mentre le onde del mare in tempesta s'infrangevano contro la roccia su cui era costruito il castello. Ma dopo pochi secondi, come aveva predetto McLeod, nelle viscere dell'edificio un motore a scoppio cominciò a girare e le luci si accesero. «Almeno qualcosa funziona» mugolò McLeod. «Ma potrebbe non durare. Scendete dietro di me, signori, e attenti agli scalini.» I tre scesero reggendosi prudentemente alla ringhiera, nel caso che il generatore si spegnesse, e infatti erano appena giunti in fondo alle scale che le luci palpitarono tre o quattro volte. Nell'atrio venne loro incontro Sandy MacLeod, con una lampada a kerosene in mano e uno sguardo preoccupato
sulla faccia. «Stavo giusto per venire su a farvi luce» disse. «Il generatore non funziona troppo bene. Mio padre è sceso nel seminterrato a vedere cosa si può fare.» «Lascia perdere il generatore» disse McLeod. «Il telefono funziona, piuttosto?» Sandy sbatté le palpebre. «Non lo so. Nessuno ha ancora cercato di telefonare.» «In questo caso, lascia l'onore a me» disse McLeod. «Ce n'è uno, qui nell'atrio?» Sandy indicò la bancherella dei souvenir. «Sì, nello scaffale di sotto.» Accigliato, l'ispettore raggiunse il telefono a lunghi passi e lo depose sul banco. Si portò all'orecchio il ricevitore e compose un numero. Subito ebbe una smorfia contrariata. Dopo un altro paio di tentativi scosse il capo. «Niente da fare. Non c'è la linea.» «E il cellulare che hai portato con te?» domandò Adam. «È ancora nella mia borsa, sulla Volvo» disse McLeod. «Vado a prenderla io» si offrì Sandy. «È quella borsa azzurra, con le tasche?» «Proprio quella.» Una raffica di pioggia entrò nell'andito quando il giovanotto aprì il portone, e il vento fece volare via alcune carte dal banco dei souvenir. Le luci continuavano a vacillare. Due minuti dopo, bagnato e coi capelli scompigliati, Sandy fece ritorno, stringendosi al petto la borsa di McLeod. Il giovanotto restò a guardare, asciugandosi la faccia con una mano, intanto che l'ispettore tirava fuori il cellulare. «Non ho idea se quest'affare funzioni, qui a Dunvegan» disse McLeod. «Le antenne più vicine devono essere a Portree, e ci sono di mezzo le colline.» Dopo essersi spostato davanti al portone, dove l'interferenza delle spesse mura era minore, cercò il numero della polizia di Inverness sull'agenda del cellulare e lo inserì. All'altra estremità della linea un telefono suonò due volte, ma prima che qualcuno rispondesse ci fu un lungo fruscio di statiche e tutto tacque. McLeod controllò la batteria del cellulare e l'intensità del segnale di ricezione, quindi provò ancora. Appena ebbe inserito il numero, gli rispose lo stesso crepitio di statiche. Lui alzò gli occhi al cielo, esasperato, e premette il pulsante di spegnimen-
to. «Forse Inverness è troppo lontana» disse Adam. «Perché non provi a chiamare Fort Augustus? È circa alla stessa distanza da Urquhart, ma si trova all'estremità sud del lago, una cinquantina di chilometri più vicino a noi. Hai il numero?» «Dovrei averlo, da qualche parte» disse McLeod. Stavolta, invece di guardare sull'agenda del cellulare, si frugò in tasca e ne tirò fuori un taccuino. «Sì, eccolo qui.» Compose il numero, si portò il cellulare all'orecchio e la sua espressione si schiarì sentendo che il segnale di risposta c'era. «Ah, sta suonando, almeno. Non sono sicuro che questa linea sia migliore, ma...» Si tappò l'altro orecchio con un dito. «Pronto? È il distretto di polizia? Molto bene. Qui è l'ispettore McLeod, di Edimburgo... pronto, mi sente? Vorrei il funzionario di turno...» Nei minuti successivi McLeod lottò contro le interferenze e la debolezza del segnale, riuscendo a scambiare due o tre frasi con l'interlocutore, poi sulla linea restò solo il silenzio. Grugnendo un'imprecazione l'uomo spense il cellulare e tornò accanto agli altri. «Be', le cose stanno così» commentò, cupamente. «Se siamo fortunati, l'agente con cui ho parlato ha capito quel che gli ho chiesto, e ha allertato le unità di servizio nella zona di Loch Ness. Ma non ci conterei... specialmente con la tempesta che si sposta in quella direzione.» «Così, dobbiamo pensarci noi?» disse Adam. «Temo di sì.» McLeod sospirò pesantemente. «È il destino. Quando vuoi che una cosa sia fatta bene, solitamente finisce che devi farla da solo.» Mentre l'ispettore rimetteva il cellulare nella borsa, Sandy non poté trattenere oltre la sua curiosità. «State sul serio andando a Urquhart? Ho capito bene?» «Già.» «Ma perché qualcuno dovrebbe portare lassù lo Stendardo degli Elfi?» McLeod gli diede una pacca su una spalla. «Se abbiamo visto giusto, poi ti spiegherò tutto» disse. «E ti racconterò anche perché è successo quel che è successo al pianoforte, di sopra. Per ora non chiedermi altro, ragazzo mio. Ci serve una macchina, e dannatamente alla svelta. La Volvo come sta, a benzina?» «Uh... ce n'è abbastanza per portarvi da quelle parti. Ma non so come farete a lasciare l'isola. Il traghetto sarà fermo, temo.»
«Di questo ci preoccuperemo quando saremo all'imbarcadero» replicò McLeod. «Le chiavi sono nel quadro?» Sandy annuì, dubbioso. «Sì. Ma se siete davvero decisi a viaggiare con questo tempo, almeno passate nello spogliatoio e prendete degli impermeabili come si deve. Altrimenti rischiate di arrivare lassù bagnati fino all'osso.» McLeod fu costretto ad ammettere che il giovanotto aveva ragione. Fino a quel momento non aveva pensato a cosa avrebbero fatto una volta giunti a Urquhart, preoccupato com'era sul modo di arrivarci, e la prospettiva di inzupparsi di pioggia, con quel freddo, era in effetti poco allegra. «Sandy dice bene, Noel» intervenne Adam, prima che McLeod rispondesse. «Non potremmo lavorare al meglio, se fossimo bagnati e intirizziti.» «Da questa parte, allora» disse Sandy. «Lo spogliatoio è qui, sotto le scale. Abbiamo un ampio assortimento, fra gli indumenti del personale e quelli lasciati qui dalla famiglia per quando vengono in visita. Prendete pure tutto quello che vi serve, intanto che io vado giù a dire a mio padre che state per andarvene...» Il giovanotto scomparve giù per le scale, lasciandoli occupati a scegliere fra il contenuto dello spogliatoio. Fra una dozzina di paia di stivali Wellington allineati contro il muro, fu facile trovarne tre paia della giusta misura, e gli impermeabili erano quelli da marina, che non lasciavano passare una goccia d'acqua. Quando Sandy tornò, seguito da sua madre, i tre s'erano rivestiti. Margaret aveva un cesto da picnic, e lo consegnò a McLeod. «Quando un uomo va a caccia pensa solo alla selvaggina, e non si accorge di avere lo stomaco vuoto finché è troppo tardi» disse l'anziana donna. «Ho messo qui dentro due thermos con del the caldo, e dei sandwich. Dovrebbero bastarvi finché troverete il tempo di cenare come si deve.» McLeod accettò il cestino con un sorriso di gratitudine, e lo passò a Peregrine senza commenti, prima di raccogliere la sua borsa azzurra e andare alla porta. Prima di aprire i tre si misero le sciarpe, tirarono su i cappucci e chiusero tutte le cerniere, e mentre si preparavano ad affrontare gli elementi McLeod si volse ad Adam. «Guido io, o preferisci farlo tu?» gli domandò. Adam scosse il capo. «Tu sei il professionista. Perché non mi lasci fare il navigatore? Un altro paio d'occhi ti farà comodo, con questo tempo. La visibilità continuerà a peggiorare, quando sarà davvero buio.» «Su questo non c'è discussione» annuì McLeod. «D'accordo. Andiamo!» Il vento ululava intorno al castello, e appena Sandy ebbe aperto la porta
una raffica di pioggia fece scappare Margaret al riparo. «Siete sicuri che un altro paio di mani non vi faccia comodo?» domandò il giovanotto, mentre Peregrine e McLeod s'affrettavano verso la macchina. Adam si voltò con un sorriso. «Non questa volta, credo. Ma apprezzo l'offerta. Quello che lei può fare è tenere la posizione qui al castello, e se il Capo chiama dirgli dove siamo andati. Se riusciremo a recuperare lo Stendardo, lui vorrà essere qui a riceverlo di persona.» «Credo anch'io, signore» annuì Sandy. Adam gli diede una pacca su una spalla e raggiunse la Volvo, mettendosi a sedere davanti accanto a McLeod. «Allacciate le cinture e tenetevi forte» disse l'ispettore, girando la chiave d'accensione. «Sarà un viaggio movimentato.» Gli alberi ai lati della stradicciola ondeggiavano furiosamente, e le fronde schiaffeggiarono la carrozzeria dell'auto mentre si allontanava. Le luci vacillanti del castello di Dunvegan sparirono nel buio ancor prima che fossero sulla strada principale. La grossa auto svoltò a destra e accelerò verso il paesetto di Dunvegan. Non filtravano luci dalle case e dai negozi sulla High Street, e le strade battute dalla pioggia erano deserte. Un camion era fermo per un guasto sulla biforcazione che portava a sud, ma McLeod non rallentò neppure, aggirandolo con un'abile manovra, e si lasciarono alle spalle l'abitato per addentrarsi nel territorio collinoso dell'interno. La strada faceva continue svolte, su e giù fra le alture deserte. Il vento che sibilava sulle scarpate aveva una nota che dava i brividi, simile ai gemiti di mille voci disumane. McLeod guidava senza concedersi distrazioni, infilando una curva dopo l'altra velocemente ma con calcolata precisione. Sul sedile posteriore Peregrine si reggeva con una mano a un bracciolo e con l'altra al sedile di Adam, e non osava pensare ai chilometri che mancavano all'imbarcadero dei traghetti, assai più lontano dell'aeroporto. Oltrepassarono senza quasi rallentare i piccoli centri di Struan e di Bracadale, e scesero sulla costa verso Drynoch. La pioggia aveva ripulito la strada e formava sull'asfalto uno strato sdrucciolevole come l'olio, ma McLeod continuava a dare gas con un'insistenza che Peregrine considerava maniacale e pericolosa. Seduto accanto al conducente Adam accarezzava il suo anello con lo zaffiro e non diceva niente. Quaranta minuti dopo la partenza da Dunvegan, entrarono in Kyleakin e si accorsero che sulla strada diretta al porto la polizia fermava le auto e le
rimandava indietro. Quando McLeod fu al posto di blocco, un agente in impermeabile munito di una lampada ad acetilene si avvicinò al finestrino. «Spiacente, gente, ma il traghetto non funziona. Le condizioni del mare non lo consentono» li informò. «Temo che dovrete tornare indietro.» Accigliato, McLeod si frugò in tasca e tirò fuori la sua tessera. «Non è così semplice, amico» disse. «Io sono in missione ufficiale, e devo andare sulla terraferma al più presto.» La faccia dell'agente espresse rammarico. «Be', signore, questo è un problema, mi spiace. In ogni modo, la decisione è del capitano del traghetto. Non possiamo dargli torto, se preferisce restare in porto, con questo mare. Ha fatto l'ultima corsa un'ora fa, e anche la biglietteria è chiusa.» «Be', forse io posso convincerlo a cambiare idea» disse McLeod. I suoi occhi azzurri scintillavano, dietro le lenti. «Dove posso trovare questo capitano del traghetto?» Sulla faccia dell'agente ci fu un'espressione incredula, ma la sapeva troppo lunga per mettersi a discutere con un superiore su qualcosa che dopotutto non riguardava lui. «Come preferisce, signore. Credo che sia ancora a bordo. Se è sbarcato, probabilmente troverete lui e il suo nostromo nel loro ufficio accanto alla biglietteria. È l'ultimo di quegli edifici laggiù, lungo il molo.» «Grazie» disse McLeod con aria aspramente risoluta. «Ora, se lei è così gentile da spostare quella transenna, vorremmo proseguire.» Una volta eliminato l'ostacolo, la Volvo scese sulla stradicciola che portava al molo. Sulla destra, una ventina di imbarcazioni beccheggiavano all'ancora nel porticciolo di Kyleakin, dietro la protezione del frangiflutti. Il traghetto era piccolo, solidamente ormeggiato alle bitte, all'estremità del molo, e nella dura luce delle lampade al sodio non si vedeva nessuno a bordo, né sopra il lungo pianale riservato alle automobili né in plancia. Accanto al molo c'era uno scivolo di cemento per il varo delle barche, e fermando la Volvo davanti ad esso McLeod vide che le onde risalivano da lì fin sull'asfalto della strada. «A parte la risacca sottocosta, il mare non sembra così male, al largo» osservò McLeod. «Il difficile sarà portare su la macchina, per la passerella... occorre una buona scelta di tempo, per non finire tutti quanti a mollo.» «Sempreché il capitano si lasci persuadere a prendere il largo» disse Adam. «Davvero il mare non ti sembra troppo agitato, Noel?» L'altro lo rassicurò con un sorrisetto. «Ho navigato in condizioni peggiori. Ora vediamo se lo ha fatto anche
lui. Mr. Lovat, se vuole può restare qui in macchina.» McLeod non attese la risposta di Peregrine; si tirò su il colletto e uscì dall'auto, dirigendosi a passi svelti lungo il molo. Adam gli tenne dietro, calcandosi il berretto sulla testa. Nella piccola plancia del traghetto c'era la luce accesa, e Adam e McLeod salirono su per l'oscillante scaletta laterale fino al ponte di coperta. La porta della cabina aveva un oblò rotondo, attraverso il quale i due poterono vedere un robusto individuo dai capelli grigi, con un pullover verde e un berretto nero da marinaio, che stava bevendo una tazza di caffè. Con lui c'era un giovanotto biondo, alto e magro, vestito all'incirca nello stesso modo. McLeod bussò alla porta con decisione, ma non aspettò di sapere se quelli all'interno lo avevano sentito. Con la sua tessera in mano aprì la porta ed entrò, seguito da Adam. I due uomini si voltarono, sorpresi. «Ehi, che succede...» cominciò a dire il più giovane. «Capo ispettore Noel McLeod» si presentò lui, mostrando il suo documento. Si rivolse all'uomo più anziano. «Scusi se disturbiamo. È lei il capitano di questo traghetto?» «Sì. Sono Archie MacDonald» disse l'uomo. Indicò il compagno. «Questo è il mio nostromo, Charlie Baird. In cosa posso esservi utile?» McLeod non si sprecò in convenevoli. «Abbiamo urgenza che lei ci traghetti sulla terraferma.» «Vuol dire adesso?» MacDonald lo guardò, incredulo. «Sì, adesso.» «Voi due dovete essere orbi, gente» li accusò il capitano, in tono deciso. «Nel caso che non abbiate guardato fuori, ultimamente, abbiamo un mare forza quattro. Se salpassimo, il vento potrebbe trascinarci su fino a Loch Duich, e con queste onde balleremmo tanto da vomitare anche l'anima.» «Non vogliamo fare una crociera di piacere» replicò McLeod. «C'è una faccenda di polizia in ballo, e un po' di mal di stomaco non ci spaventa.» Vedendo che i due gli opponevano un'espressione ferma come un muro di mattoni, aggiunse: «Senta, capitano, se ci sono costretto dovrò requisire questo traghetto. Ho l'autorità di farlo.» «Ah, sì?» disse MacDonald, facendosi bellicoso. «E chi lo piloterebbe, se posso chiederlo?» «Lo piloterò io stesso, se non ho altra scelta» disse McLeod. «Ho la licenza di navigazione, anche se non la uso da qualche anno, e posso portare il traghetto bene quanto lei...»
«Se non arriviamo dove dobbiamo andare» intervenne Adam, con voce calma, «alcune vite, oltre le nostre, potrebbero essere in grave pericolo. Se non fosse un'emergenza, non chiederemmo a lei e al suo nostromo di affrontare questo rischio, ma lo è, e non abbiamo altra scelta.» Il suo tono, come il suo atteggiamento, emanavano autorità e pacata fermezza. Il capitano lo scrutò con rispetto e si grattò il mento. «Un'emergenza, eh?» borbottò, leggermente ammorbidito. «Che genere di emergenza?» «Temo che non siamo autorizzati a parlarne, per il momento» disse Adam nello stesso modo ben modulato. «È una faccenda che non deve filtrare sui giornali, e così è necessario tenerla riservata. Dovete accettare la mia parola, se vi assicuro che c'è della gente in pericolo e che il nostro intervento è importante e urgente.» Li guardò, con calma. «Ve la sentite di fare ciò che ha chiesto l'ispettore McLeod?» Nella voce di Adam c'era il marchio inconfondibile della sincerità. Il capitano MacDonald lo guardò mordicchiandosi incerto il labbro inferiore, mentre evidentemente si chiedeva chi fosse quell'uomo, ma dopo un momento si voltò verso il suo nostromo. «Be'? Che ne pensi, Charlie?» Il nostromo scrollò le spalle. Anche lui stava guardando Adam. «Io posso anche salpare, capo, se tu mi dici di farlo.» Il capitano del traghetto accettò quel verdetto con un cenno del capo. Depose la tazza del caffè e si rivolse di nuovo ad Adam. «E va bene, faremo un tentativo» disse, gravemente. «Ma il mio traghetto lo piloto io» aggiunse, gettando un'occhiata a McLeod. «Questa vecchia bagnarola non è la tigre dei sette mari, ma le sono affezionato. E se qualcuno deve mandarla giù dove vanno a finire prima o poi tutte le barche, preferisco essere io.» L'uomo prese un grosso e consunto impermeabile nero da marina, lo indossò e si tirò il berretto sulla fronte. Il nostromo fece lo stesso. «Potete fare la traversata qui in plancia, se preferite. È più comodo che sul ponte. Basta che non vomitiate sul pavimento.» «Forse non ci siamo spiegati bene» disse Adam. «Abbiamo un terzo passeggero, oltre a noi... e una macchina.» «Una macchina.» MacDonald s'interruppe mentre si tirava su la cerniera, e scambiò uno sguardo accigliato e incredulo col nostromo. «E pensate di portare una macchina a bordo, con un mare come questo?» La risposta di McLeod fu lapidaria: «Sì.» MacDonald guardò duramente l'ispettore per qualche secondo, poi annuì
lentamente. «Be', su questo molo è possibile farla salire sul ponte-veicoli. Ma farla scendere, a Kyle of Lochalsh, sarà un'altra faccenda. Andrà a finire in mare, la vostra macchina.» «Correremo il rischio» ribatté McLeod. Con un grugnito di stupore, il capitano scrollò le spalle e sollevò le mani. «D'accordo, visto che siete tanto decisi a farlo. Ma io non mi prendo la responsabilità dei danni alla macchina.» «Questo è sottinteso» annuì Adam. «Andate a prendere la macchina, allora, e poi aspettate finché mi sentirete suonare la sirena, prima di portarla su per la rampa. Charlie e io faremo il possibile per ormeggiarla saldamente al ponte.» Adam e McLeod scesero di nuovo sul molo e tornarono alla Volvo. Non appena furono dentro, Peregrine si piegò ansiosamente in avanti. «Ha accettato di traghettarci, allora?» volle sapere. «Sì. Noi e la macchina... se riusciremo a portarla a bordo.» «Pensi di farcela?» domandò Adam. McLeod annuì, guardando le onde che facevano beccheggiare il traghetto all'ormeggio, e strinse le mani sul volante. «Sì. Ma non allacciatevi le cinture di sicurezza, e lasciate aperti gli sportelli. Se farò finire quest'auto in fondo al porto sarà già difficile spiegare la cosa al Capo. Ma non voglio rovinarmi l'appetito col pensiero di aver fatto affogare anche voi due.» Peregrine tenne la bocca chiusa, mentre cercava d'immaginare il pericolo che li attendeva nei prossimi minuti. Il tempo sembrò rallentare, imprigionato fra il monotono sibilo del vento e lo sciacquio delle onde contro la banchina. Poi McLeod accese il motore e mise in funzione i tergicristalli. Il traghetto era affiancato al molo di legno con la murata di destra, mentre la poppa distava un paio di metri dalla banchina di cemento, dove la macchina avrebbe dovuto portarsi per salire. La passerella di metallo, sulla poppa del traghetto, era ancora alzata verticalmente, e le luci rosse d'imbarco si muovevano su e giù. McLeod accese gli abbaglianti per vederci meglio quando furono a tre metri dall'orlo della banchina, illuminando la turbolenza che le eliche del traghetto creavano nelle acque nere quando la pesante imbarcazione cominciò a spostarsi all'indietro verso la banchina. Il nostromo era sceso sul molo e continuava a fare segni con un braccio al capitano, in plancia. Quando la poppa fu a mezzo metro dalla banchina, il capitano cominciò ad abbassare la rampa metallica e suonò la sirena. McLeod fece salire di giri
il motore, pronto a mollare il freno e dare gas al momento giusto. «Ci siamo... ora!» mormorò, e mise in movimento la Volvo verso l'orlo della banchina. La sua scelta di tempo fu impeccabile, e lo stesso si poté dire per quella del capitano. Proprio mentre la poppa del traghetto si fermava in un momento di calma fra due onde, la rampa di metallo si abbatté con un tonfo sul cemento; la grossa auto la superò con un sobbalzo e andò a fermarsi sul ponte del traghetto. Con perfetta coordinazione la rampa si alzò di nuovo verticalmente, alle sue spalle. Poi il nostromo saltò a bordo, e la grossa imbarcazione si spinse via dal molo, girando leggermente a babordo per fare rotta a nord-est attraverso il canale che separava l'isola di Skye da Kyle of Lochalsh. Appena le ruote della Volvo furono assicurate al ponte, McLeod tirò il freno a mano e spense il motore. Nessuno disse niente per parecchi secondi. «Quanto... quanto tempo occorre, solitamente, per la traversata?» domandò infine Peregrine, appena poté respirare normalmente. «Solitamente?» McLeod sbuffò, con un sogghigno. «Il canale non è più largo di due chilometri. Cinque minuti, dieci minuti. Stasera forse di più, ragazzo mio. Non saprei dire.» Nel silenzio che seguì, punteggiato dal gemito del vento e dai tonfi delle onde contro lo scafo, Adam guardò l'orologio, con un sospiro. «Sono le sei passate» disse, sottovoce. Poi: «Come sarà il mare, sull'altro lato del canale?» «Peggiore» rispose McLeod. «Il molo, laggiù, è più esposto, e mi sembra di ricordare che la banchina è più scomoda. Se la cosa si metterà male, dovremo scendere a piedi e cercare un altro mezzo di trasporto.» «Preferirei non doverlo fare, però» continuò, accigliato. «Credo che potrei condurre la situazione in modo ufficiale, come un normale caso di furto, ma se richiedessi un veicolo alla stazione di polizia locale dovrei dare delle spiegazioni. Inoltre, non si può mai dire che automobile ci troveremmo per le mani. Questa Volvo non è il veicolo che avrei preferito, ma ormai la conosco, e ha delle buone prestazioni su ogni terreno. Ci porterà a Urquhart in tempo... se riusciamo a farla scendere dal traghetto.» Quella precisazione produsse un silenzio ancor più profondo del precedente. Il traghetto avanzava fra le onde con la pesantezza di una vacca marina gravida, facendo lavorare le eliche al massimo. La pioggia e la schiuma del mare investivano i finestrini della Volvo e impegnavano i tergicri-
stalli, mentre lo scafo beccheggiava. La riva opposta era visibile come una massa nera collinosa, più scura del resto del cielo. Al centro del canale le onde erano lame irte di schiuma, che il vento spingeva trasversalmente verso nord I minuti trascorsero lenti; la terraferma si faceva più vicina. Poi le luci di prua rivelarono il molo di Kyle of Lochalsh, completamente deserto. Il traghetto cominciò a girarsi trasversalmente con estrema goffaggine, mentre il capitano cercava di allinearlo con la prua contro la banchina. Un ululato della sirena distrasse i tre passeggeri dalla vista poco tranquillizzante delle onde nere che si schiantavano alla base del molo. «Questo è il segnale per noi» diagnosticò Adam, con un lampo d'intuito. «Il capitano ci fa sapere che è il momento di sbarcare... se ci riusciamo.» Il vento sibilava come un banshee infuriato. McLeod accese il motore e avvicinò l'auto alla passerella metallica anteriore, sollevata verticalmente, intanto che il capitano MacDonald continuava a ridurre la distanza fra la prua e la banchina. Con un cigolio rugginoso, la pesante passerella si abbatté sul cemento. Ci fu una scossa di terremoto quando la chiglia del traghetto urtò contro un ostacolo invisibile, e i motori rombarono disperatamente nel tentativo di ridare l'allineamento allo scafo. La passerella di ferro rumoreggiava, spostandosi avanti e indietro, in alto e in basso, poi perse il contatto con la banchina. «Dannazione, il capitano dovrà fare qualcosa di meglio di questo» mugolò McLeod. Adam annuì, a denti stretti. Peregrine non ebbe la forza di fare commenti. Per ben tre volte il traghetto avanzò con la prua contro il cemento, ma sempre troppo girato di traverso. La quarta volta riuscì ad accostarsi orientato nel modo giusto, ma fra la passerella e la banchina restò un mezzo metro di spazio che non voleva restringersi. Quando il capitano tentò un quinto approccio, McLeod scosse il capo. «È quello che temevo» disse. «C'è bassa marea, e il traghetto non riesce ad avvicinarsi di più. Quando ci prova, la chiglia batte sul fondale.» «Non possiamo scendere a piedi?» esclamò Peregrine. «Non so voi due, però io potrei cercare di saltare sulla banchina.» «Forse» disse pensosamente Adam. «Ma mi chiedo se Noel potrebbe far saltare la macchina attraverso quel varco.» McLeod sbatté le palpebre, voltandosi a guardarlo con stupore. «Far saltare la macchina?»
Adam annuì. «La banchina è più in basso. Non ti hanno insegnato a saltare con l'auto giù da una rampa, quando hai fatto quel corso di guida nel programma anti-terrorismo?» «In effetti, sì. L'ho fatto parecchie volte, ma qui, uh...» Con occhio calcolatore McLeod scrutò il varco che separava la passerella dalla banchina, misurò la distanza fra la macchina e la prua del traghetto, poi si voltò a guardare il retro del ponte dal finestrino posteriore della Volvo. «Potrebbe funzionare» disse, pensosamente. «Se indietreggiassi fino a poppa, potrei prendere abbastanza abbrivo da buttarmi oltre il varco. L'attrito delle ruote porrebbe essere un problema, però, col ponte metallico così bagnato.» «Ho visto della sabbia in quei secchi, sulla passerella della plancia» disse Adam. «Potremmo spargerla sotto le ruote.» McLeod lo guardò in faccia, stringendo le palpebre. Sul sedile posteriore Peregrine tratteneva il respiro, incapace di capire se quei due stessero dicendo sul serio. «Vuoi davvero che ci provi, eh?» grugnì McLeod. «Adam, prima non scherzavo quando ho detto che quest'auto potrebbe finire in mare. Anche senza bisogno di gettarsi in manovre così azzardate. Cosa dirò al Capo, se dovremo fargliela recuperare dal fondo del porto, per colpa di un mio errore di calcolo?» «Gli dirai che hai fatto un errore di calcolo» replicò Adam. «Ma almeno ci avrai provato. E comunque, come hai accennato, porremmo sempre procurarci un altro veicolo. Però adesso stiamo perdendo del tempo prezioso.» «Ormai la questione potrebbe essere accademica» fece notare Peregrine. «Mi sembra che il capitano abbia rinunciato.» Gli altri due si voltarono di nuovo verso prua. A conferma delle parole di Peregrine, la passerella metallica tornò a sollevarsi verticalmente, e il traghetto si allontanò dalla banchina. «Sarà meglio che tu venga con me» disse McLeod, tirando il freno a mano. Aprì lo sportello. «Potrei aver bisogno della tua parlantina così persuasiva. Mr. Lovat, devo chiederle ancora una volta di aspettarci cortesemente in macchina.» Con le spalle curve sotto la pioggia, Adam e McLeod abbandonarono di corsa il ponte dei veicoli e salirono la scala che portava al ponte superiore, dove le figure di MacDonald e del suo nostromo erano visibili nella luce gialla della plancia.
CAPITOLO VENTESIMO «Voi volete cosa?» ansimò MacDonald, fronteggiando i due intrusi sulla sua plancia come se avessero annunciato di voler camminare sull'acqua. Dietro di lui, con le mani inchiodate alla ruota del timone, il nostromo li guardava a occhi spalancati. «So che si tratta di un rischio» ammise McLeod, «ma come vi ho detto, ci sono delle vite in gioco. Il peggio che può accadere è che io sbagli a valutare le distanze e l'auto finisca in due o tre metri d'acqua.» «Già, e se poi non riuscite a venirne fuori? Cosa diremo alla polizia quando ci domanderanno perché vi abbiamo lasciato annegare?» «Capitano, non ci aspettiamo di finire annegati» disse Adam in tono ragionevole. «In effetti, non ci aspettiamo neppure di danneggiare la macchina, se lei fa bene la sua parte.» «La mia parte? Io l'ho già fatta, uomo, fino in fondo! Con un mare come questo, nessuno riuscirebbe ad avvicinarsi alla banchina più di così.» «È proprio dopo aver visto quanto lei è riuscito ad avvicinarsi, che abbiamo deciso di tentare il salto» disse McLeod. «Cerchi di rifarlo, si avvicini come prima... soltanto tre tentativi, e noi ci proveremo oppure rinunceremo.» MacDonald lo esaminò da capo a piedi, poi soppesò nello stesso modo Adam, come se dalla loro robustezza dipendesse la capacità di farcela. «Voi mi giurate che dopo tre tentativi rinuncerete?» «Dopo tre tentativi» annuì gravemente McLeod. «E se arriveremo dall'altra parte» aggiunse Adam, tirando fuori il portafogli, «io manderò a ciascuno di voi un assegno di cento sterline. Ecco la mia carta d'identità. Prenda nota degli estremi, capitano.» MacDonald si girò sotto la luce, con la carta d'identità in mano. «Sir Adam Sinclair, Baronetto» lesse, strizzando le palpebre. «Membro del Collegio Reale di... lei è un dottore?» «Proprio così.» «Uno psichiatra, dice qui.» Adam annuì. «E quest'uomo non è pazzo?» domandò sospettosamente il capitano, accennando verso McLeod. «No, solo disperato e deciso a tutto. E mentre noi stiamo qui a discutere, ci sono delle vite in pericolo. Ora, volete il premio che vi ho promesso oppure no?»
Quando MacDonald interrogò con uno sguardo il suo nostromo, questi scrollò le spalle e annuì. A denti stretti il capitano tornò a voltarsi verso McLeod. «Tre tentativi, allora... e mi auguro che voialtri sappiate quel che state facendo. Quando è pronto ad andare, lampeggi con gli abbaglianti, e io porterò avanti il traghetto.» Mentre scendevano lungo la scaletta metallica, di nuovo a capo chino sotto la pioggia, McLeod si voltò a cercare Adam con lo sguardo. «Grazie, amico. Io non avrei saputo far altro che dargli degli ordini, ma tu sei riuscito ad ammorbidire la trattativa. Se non ce la faremo, non sarà perché quei due non hanno fatto del loro meglio.» «Non c'è niente come un assegno, per mettere a posto le cose» annuì Adam. Tornando alla macchina si portarono dietro due secchi di sabbia. Peregrine aiutò Adam a spargerla sul ponte, mentre McLeod faceva indietreggiare la Volvo fino a toccare col parafango posteriore la passerella metallica di poppa, sollevata verticalmente. «Stesse precauzioni di prima» li avvertì McLeod, mentre risalivano in macchina. «State pronti a saltare fuori, comunque, se io sbagliassi a calcolare le distanze.» «Non sbaglierai» lo rassicurò fiduciosamente Adam, mentre guardavano la passerella anteriore che tornava ad abbassarsi. «È solo questione di indovinare il momento giusto.» Per scaramanzia, McLeod non volle esprimere dubbi. Tenne il motore su di giri e si preparò a innestare la marcia, con gli occhi fissi sulla prua e sulla distesa di acqua agitata nera come l'inchiostro che la separava dalla banchina, mentre il traghetto si muoveva lentamente in avanti e abbassava la passerella anteriore. Il primo tentativo non andò bene. Un'onda investì la poppa dell'imbarcazione e la fece girare proprio al momento critico, cosicché un angolo della passerella d'acciaio colpì la banchina obliquamente, invece di arrivare a pieno contatto. L'urto fu così rude che vibrò attraverso tutto lo scafo, e i motori ruggirono per raddrizzare l'assetto. Ma tornando indietro, l'onda fece girare il traghetto ancor di più e lo trascinò verso il largo per cinque o sei metri, e il capitano dovette manovrare qualche minuto prima di poter tentare l'approccio successivo. Peregrine si aggrappò al sedile di Adam e guardò ansiosamente oltre il parabrezza. A malapena visibili sotto la pioggia e nei riflessi degli abba-
glianti, c'erano alcune figure umane che si muovevano sul molo di cemento. «Spero che quella gente abbia il buonsenso di togliersi di mezzo» mormorò Peregrine. «Se faremo il tentativo» precisò McLeod. «Lo faremo» disse fiduciosamente Adam. Il traghetto cominciò poderosamente il suo secondo approccio. Dapprima l'angolazione non parve quella buona, ma poi un'altra onda raddrizzò lo scafo e lo allineò con la banchina. «Preparatevi. Questa potrebbe essere la volta buona» li avvisò McLeod, mentre la distanza diminuiva. Il tempo sembrò rallentare fino a fermarsi. Il varco fra la prua e il molo si ridusse a tre metri, uno e mezzo, un metro, e continuò a restringersi. Con un sussurro rauco: «Ora!» McLeod ingranò la marcia e diede gas. La grossa auto schizzò avanti, slittando un po' lateralmente con le ruote motrici nonostante la sabbia che copriva il ponte, ma spostandosi a buona velocità. Poi ci fu il tonfo sordo dei pneumatici che passavano sopra la passerella metallica, un breve istante di intervallo mentre la vettura superava il metro di spazio vuoto, e un altro tonfo quando le ruote toccarono terra, facendo gemere le sospensioni. In quello stesso momento un'onda s'infranse contro la banchina, proiettando in alto un ventaglio di spuma che investì da sotto la parte posteriore della Volvo, con tale violenza da sollevarla di qualche centimetro. I pneumatici posteriori rimbalzarono sul cemento e girarono a vuoto per qualche secondo, mentre la vettura dava l'impressione di retrocedere oltre il bordo, pericolosamente vicino. «Reggetevi!» gridò McLeod. «Ancora non ce l'abbiamo fatta!» Lavorando col volante per tenere dritta la macchina che slittava facendo schizzare acqua dappertutto, McLeod tenne ingranata la prima e continuò a dare gas, finché, come il cielo volle, le ruote smisero di scivolare sulla banchina bagnata e l'auto si mosse in avanti, non prima di aver incassato rumorosamente un'altra ondata sotto il baule posteriore. Alcune figure umane corsero qua e là, e solo allora i tre passeggeri si accorsero che nel piazzale del porticciolo c'erano un'ambulanza e due auto dei vigili del fuoco, coi lampeggiatori azzurri accesi. McLeod aveva un sogghigno lupesco sulla faccia, quando premette il freno e fece arrestare la Volvo. Poi, ridacchiando, indicò col pollice il traghetto, dietro di loro. «Prendi la torcia elettrica dallo scomparto e segnala al nostro amico una
V per "vittoria", Adam!» esclamò, trionfante, senza prestare alcuna attenzione ai cinque o sei uomini in divisa che avevano lasciato le auto dei vigili del fuoco per venire verso di loro. Dopo che Adam ebbe eseguito allegramente, mandando tre lampi brevi e uno lungo attraverso il finestrino posteriore in direzione del traghetto, il capitano MacDonald gli rispose con la sirena di bordo: tre note brevi e una lunga, che echeggiarono in tutta la cittadina di Kyle of Lochalsh. I tre uomini risero. Adam ripeté il segnale, e il traghetto gli rispose ancora. Ma il vigile del fuoco dalle spalle larghe in impermeabile giallo che venne verso di loro a lunghi passi, facendo schizzare l'acqua delle pozzanghere, non stava affatto ridendo quando puntò una torcia elettrica sul finestrino del conducente. «Cosa diavolo state cercando di fare, voialtri, eh, mister?» latrò, chinandosi per vedere meglio attraverso il vetro bagnato. «Siete tutti quanti ubriachi, per caso? Se è così, vi avverto che non la passerete liscia. Per poco non mi avete investito, quando siete piombati sul molo in quel modo!» Ancora ridacchiando, McLeod abbassò il finestrino e gli mostrò la sua tessera. «Mi scusi, non stiamo ridendo di voi. È solo il sollievo di avercela fatta a scendere da quel dannato traghetto. Non volevamo farvi prendere uno spavento. Il fatto è che abbiamo per le mani una faccenda di polizia piuttosto urgente.» «Be', allora, se è così... capisco, ispettore» disse l'uomo, mentre la sua rabbia lasciava il posto a un tono rispettoso. «Come ho detto ai miei uomini, qui, non avevo mai visto guidare in quel modo, fuorché al cinema. In ogni modo, credevo che il traghetto fosse fuori servizio.» «È così, infatti» disse McLeod. «Ma abbiamo convinto il capitano che era suo dovere civico portarci sulla terraferma. Quali sono le condizioni della strada, fra qui e Fort Augustus?» Il vigile del fuoco era di natura allegra, perché davanti a quello che era evidentemente un dilemma comune gli tornò il sorriso. «Non ne ho la minima idea, ispettore. Abbiamo avuto fin troppo da fare qui in città. Questa bufera è davvero forte. Nemmeno i più vecchi ricordano di averne vista una simile. Il servizio meteorologico non ci ha dato nessun avviso... e il vento sta scoperchiando le case e buttando giù le linee elettriche. Quelle telefoniche le abbiamo perse qualche ora fa, e non c'è verso di riaverle.» Dietro di lui, le condizioni del porto davano muta testimonianza di quelle parole. Sulla sinistra, il vento aveva strappato via il tetto da un chiosco
per la vendita di giornali, facendone finire un pezzo dentro la vetrina di un bar, lì accanto. Pezzi di vetro e giornali bagnati ingombravano il piazzale. Due vigili del fuoco stavano staccando via le finestre mezzo fracassate di un magazzino, e rafforzavano le altre con assi di legno. Nell'aria c'era inoltre un forte odore di gas, proveniente da una falla delle tubature molto vicina. Parecchi vigili del fuoco stavano sgombrando le macerie di un piccolo cottage, per arrivare alla fonte del problema. McLeod annuì con aria comprensiva. «Non invidio il vostro lavoro, ragazzi. Avete una radio, per caso?» Il vigile del fuoco si asciugò la pioggia dalla faccia con una mano. «Sì, ma non posso garantirvi che funzionerà troppo bene. Questa bufera è piena di scariche elettriche... sulle colline, è un inferno di lampi e fulmini. In ogni modo, potete fare un tentativo.» «Lo apprezzo molto, grazie» disse McLeod. «Se riusciamo a chiamare Fort Augustus, forse qualcuno lassù potrà metterci in contatto con la polizia.» «D'accordo, ispettore» disse il vigile del fuoco. «È meglio che togliate la macchina da qui, però. Là in fondo c'è un distributore di benzina.» Indicò alle sue spalle. «È chiuso, però potete fermarvi al riparo sotto la tettoia. Vi raggiungerò là, accanto alla nostra autopompa...» Poco dopo, quando McLeod li lasciò soli in macchina, Peregrine ricordò il cestino che Margaret MacLeod aveva dato loro, e lo aprì. «Che ne dici di un sandwich, mentre aspettiamo, Adam?» domandò, cominciando a esaminarne il contenuto. «Forse non avremo la possibilità di fermarci a mangiare qualcosa, più tardi.» Adam, che stava studiando la carta stradale con l'aiuto di una torcia elettrica sottile come una matita, scosse il capo. «Per me niente, adesso, grazie. Questo genere di lavoro va fatto a stomaco vuoto.» «Sul serio?» Peregrine depose il sandwich che stava scartando e guardò l'amico, perplesso. «E perché?» Adam girò la testa a mezzo e sorrise. «Vuoi la spiegazione medica, o preferisci quella esoterica?» «Oh, vuoi dire che ce n'è più di una?» domandò Peregrine. L'amico ridacchiò divertito e si contorse sul sedile anteriore, per voltarsi di più verso di lui. «Le ragioni sono simili, in realtà. Fisiologicamente parlando, i processi digestivi attraggono il sangue dal cervello, e ciò significa che durante i pasti le funzioni intellettuali non sono all'optimum. È per questo che dopo
mangiato si sente sonnolenza.» Peregrine annuì. «Mi sembra logico. E la spiegazione esoterica?» «Ingerire del cibo è un procedimento animalesco, che abbassa il livello dello spirito... e perciò si raccomanda che uno mangi e beva solo dopo la meditazione o esperienze di trance. Ricordi che ti offersi da mangiare, la prima notte in cui ti presentasti a casa mia, bagnato fradicio ed esausto dopo le tue esperienze psichiche?» «Sì.» «Ma se uno deve lavorare sui Piani Superiori, non vuole affatto che il livello del suo spirito sia abbassato» continuò Adam. «Ciò che vuole è che il cervello funzioni con piena efficienza. Così resta a digiuno... o almeno, si limita a pasti molto leggeri. In ogni modo possiamo bere qualcosa, purché non contenga alcool.» Peregrine tirò fuori dal cestello un thermos e lo aprì, per annusare il contenuto. «The caldo» annunciò, mentre l'aroma si spargeva nell'abitacolo. «Questo può andare?» «Può andare» approvò Adam. Intanto che aspettavano il ritorno di McLeod, bevvero il the fumante. Era dolce e zuccherato, e tenendo in mano i sottili bicchieri di carta scaldava le dita infreddolite non meno dello stomaco. Adam appoggiò il suo sulla mensola e si voltò di nuovo verso Peregrine. «Ti dispiace darmi il cellulare di Noel, lì nella sua borsa? Non sono sicuro di ottenere la comunicazione, ma se ci riesco avremo un certo supporto per quello che ci aspetta a Urquhart.» Peregrine gli passò il cellulare e restò a guardare mentre Adam estendeva al massimo l'antenna e componeva una serie di numeri, uno dopo l'altro. Anche dal sedile posteriore poté udire che la sola risposta era il crepitio delle statiche o il silenzio assoluto. Quando l'amico continuò a insistere senza risultati lui perse interesse, ma d'un tratto vide la sua espressione illuminarsi. «Ah-ha!» esclamò Adam. «Qui abbiamo la linea, lo sento suonare. Cosa vuoi scommettere che a rispondere sarà una segreteria telefonica?» Quando una voce maschile snocciolò il solito invito registrato, Adam annuì verso Peregrine per confermargli la sua predizione. Subito dopo lasciò un messaggio, così poco comprensibile che il giovanotto sbatté le palpebre per lo stupore. «Qui è Adam. Sono le ore... diciotto e trentasette, del giorno trentuno» disse, guardando l'orologio. «Fra un'ora circa. Noel e io saremo impegnati
in una partita di caccia molto pericolosa. Se tu ricevi questo messaggio in tempo, vorrei che andassi al club e ti unissi a noi. Avverti gli altri, se puoi. Io sto chiamando da un cellulare, e al momento non posso raggiungere nessun altro. È una cosa molto importante. Fine del messaggio.» Quando Adam spense il telefono e riabbassò l'antenna, Peregrine lo stava guardando a bocca aperta. «Quanti altri di voi ci sono?» mormorò il giovanotto. Il sorriso di Adam, mentre gli restituiva il cellulare, fu enigmatico. «Abbastanza da dare del filo da torcere all'Opposizione, quando è necessario.» Il ritorno di McLeod impedì a Peregrine di fare altre domande. Intanto che l'ispettore si scrollava di dosso la pioggia ed entrava nell'auto, il giovanotto gli versò un bicchiere di the. McLeod ne bevve alcuni sorsi, grato, quindi lo mise in disparte per asciugarsi le lenti degli occhiali con un fazzoletto. «Poco fa ho usato il tuo cellulare per attivare gli altri» lo informò Adam. «Non ho avuto la linea con nessuno, fuorché con la segreteria telefonica di Lindsay. Gli ho lasciato un messaggio, ma dubito che lo ascolterà in tempo per esaudire le mie richieste.» «Sembra che la cosa ricada sulle nostre spalle, allora» disse McLeod, riprendendo il bicchiere di the. «In effetti, mi sorprende che tu abbia potuto usare il cellulare. La radio dei vigili del fuoco non mi è servita a molto. Sembra che questa dannata bufera interferisca con tutte le comunicazioni più a est di Loch Cluanie.» «E cos'hai saputo della strada?» domandò Adam. McLeod bevve il resto del the e scosse il capo. «Nessuno ne sa niente. Dovremo correre i nostri rischi.» Su quella nota deludente, l'ispettore restituì il bicchiere a Peregrine e girò la chiave d'avviamento. Prima di partire accese il riscaldamento, perché la pioggia aveva molto raffreddato l'aria, e intanto che gli altri allacciavano doverosamente le cinture di sicurezza lui controllò il livello della benzina. Rimettendo il thermos nel cestino, Peregrine occhieggiò con un certo appetito i sandwich, ma dopo che McLeod ebbe messo la grossa auto in movimento il pensiero del cibo fu presto dimenticato: quando uscirono da sotto la protezione della tettoia, furono investiti da una raffica di vento così forte che la Volvo ondeggiò come una barca, e il giovanotto dovette aggrapparsi allo schienale del sedile davanti. «È una fortuna che questa non sia una Mini» borbottò McLeod, tenendo saldamente il volante fra le mani.
Dopo essersi fatti strada fra i veicoli parcheggiati nella zona portuale, uscirono dal paese e si diressero a est sulla statale. La tempesta infuriava fra le colline, le raffiche di vento ululavano come torme di lupi scatenati. Sulla destra, le acque di Loch Alsh stavano minacciando di uscire dagli argini. Quando scesero lungo la costa verso Dornie, il mare aggrediva le scarpate sassose delle spiagge strappandone bocconi come se fosse affamato di terra. Subito prima di Dornie trovarono la strada sommersa da un palmo d'acqua e per un lungo tratto furono costretti a proseguire a passo d'uomo. Più all'interno avrebbero dovuto vedere la mole grigia di Eilean Donan, distante poche centinaia di metri, ma c'era solo un fitto sipario di pioggia. «Un'altra ora, e saremmo rimasti bloccati in paese» osservò cupamente McLeod, vedendo come saliva il livello dell'acqua. «Mi chiedo fino a che punto peggiorerà questa situazione.» Nonostante le condizioni del tempo mantennero una buona media lungo i sette chilometri di lunghezza del Loch Duin, anche se il buio in quella zona era assoluto. A nord del lago la pioggia s'intensificò ancora. Poi davanti a loro apparve Glen Shiel, un canyon nero e ventoso scavato in senso est-ovest nelle montagne di Kintail, dove gli abbaglianti della macchina riuscivano a penetrare nella pioggia battente per appena una dozzina di metri. McLeod aveva i denti stretti come una morsa, mentre guidava la Volvo lungo una serie di curve a zig-zag che lo costrinsero a rallentare sempre più. «È inutile... riesco appena a vedere oltre il muso della macchina» disse ad Adam, mentre girava lungo un'ennesima curva a non più di venticinque chilometri all'ora. «Se vogliamo continuare, avrò bisogno di un aiuto.» Adam annuì in silenzio, appuntando la sua torcia-matita sul bordo della carta stradale per avere le mani libere. La strada davanti a loro era appena visibile attraverso il lavoro disperato dei tergicristalli. Appoggiandosi saldamente allo schienale, coi piedi allargati sul tappetino della Volvo, Adam girò la mano sinistra chiusa a coppa sopra l'anello con lo zaffiro che aveva alla mano destra, e dopo aver inalato un lungo respiro chiuse gli occhi. Mentre esalava l'aria, concentrato sul suo desiderio, mormorò un'invocazione al Creatore della Luce: Domine noster, Lumen semper ardens, Ubi sunt tenebrae,
Fiat lux In risposta a quella preghiera poté sentire la luce che si effondeva dentro di lui, irradiando dalla mente che era il suo centro e scivolando lungo i sentieri dei nervi finché ogni sua fibra ne fu permeata. Il calore scaturiva all'interno, toccandogli il cuore, e si rifletteva nel suo cervello con lenta dolcezza. Quel momento d'illuminazione interiore gli portò il dono di vedere il mondo esterno alla luce di una nuova capacità visiva, non aumentando la vista dei suoi occhi bensì potenziando le informazioni che giungevano a lui da altri sensi. Quando rialzò la testa per guardare la strada, si scoprì in grado d'interpretare i grigi dettagli dell'asfalto e delle curve, filtrando via il caos del vento e della pioggia. Non era una differenza obiettiva che lui potesse quantificare con gli strumenti o descrivere a parole, ma era tuttavia reale. Dove prima la strada era nascosta dal buio e dalla pioggia, ora la sua visuale si estendeva come se la pioggia non ci fosse, e i rischi potenziali, nascosti qualche momento addietro, erano adesso vagamente visibili. McLeod aveva rallentato a passo d'uomo mentre Adam si preparava, tenendo lo sguardo fisso sulla strada e cercando di non distrarsi, finché vide che l'amico rialzava la testa. «Pronto?» domandò Adam. «Sì.» Adam poggiò una mano sul volante e lo afferrò, accanto alla mano destra di McLeod, mentre Peregrine li guardava in un silenzio perplesso chiedendosi cosa stessero cercando di fare. «La strada è sgombra» mormorò Adam, «e hai un buon margine di spazio sui due lati. Per fortuna è molto improbabile trovare del traffico. Guida sulla linea di mezzeria e continua ad accelerare. Ti dirò io quando togliere il piede dal gas.» Con Adam che teneva il volante insieme a McLeod, la Volvo prese velocità. Il contachilometri risalì fino a cinquanta, poi a settanta. «Così va bene... possiamo accontentarci di questo» continuò Adam con la stessa voce bassa e monotona. «Ora c'è una curva, dieci gradi sulla sinistra... ora un'altra, venti gradi a destra... ancora un'altra quindici gradi a sinistra... ora vai dritto...» Sotto la guida dell'amico, McLeod portò la velocità della Volvo fino a novanta all'ora. La mantennero per una ventina di minuti, mentre Adam continuava ad avvertire sulla presenza di cunette, curve e altri ostacoli.
Come un pilota che volasse alla cieca, coi soli strumenti di bordo, McLeod accettava le istruzioni di Adam senza mostrare dubbi o incertezze, rispondendo con prontezza alle piccole correzioni suggerite dalla mano di lui. Peregrine, che sul sedile posteriore ogni tanto chiudeva gli occhi sussurrando una preghiera, cominciò a sospettare che non fosse la prima volta che quei due lavoravano in coppia. Non che questo lo tranquillizzasse molto. Si lasciarono alle spalle il Glen Shiel e costeggiarono Loch Cluanie. Anche lì il lago stava straripando, e in molti punti la strada era invasa dall'acqua. Per due volte furono costretti a deviare su carrarecce che scorrevano su un terreno più elevato, col rischio di impantanarsi, ma ogni volta la visione di Adam li riportò in salvo sulla strada, e non persero più di pochi minuti. Quando il lago fu dietro di loro, Adam passò la carta stradale a Peregrine, senza distogliere lo sguardo dalla strada. «Controlla la nostra posizione, Peregrine» gli chiese. «Più avanti dovrebbe esserci una biforcazione, e non vorrei perderla.» Alla luce della torcia il giovanotto confermò che erano in rotta. «All'incrocio dovrebbero esserci due cartelli, quello della A887 per Dingwall, a sinistra, e quello per Inverness, sulla destra... se il vento non li ha abbattuti.» Da lì a poco, infatti, Peregrine vide passare via i due cartelli. Consultò di nuovo la carta, ma ora Loch Ness era vicino e la strada scorreva con poche curve fra le colline, oltrepassando piccoli centri abitati. Davanti a loro il cielo si accendeva di lampi continui, lo scroscio della pioggia e il brontolio dei suoni erano un sottofondo costante, e ogni tanto scoccavano fulmini abbaglianti. Pochi chilometri dopo il villaggio di Dundreggan, subito dopo una curva, per poco non finirono dentro un gregge di pecore, che occupavano tutta la strada. McLeod inchiodò i freni non appena Adam gli ebbe gridato un avvertimento, riuscendo a bloccare la macchina a poche spanne dalla pecora più vicina. «Stupide bestie della malora!» grugnì McLeod. «Se gli andavamo addosso, il nostro viaggio poteva finire qui. Vediamo se riesco a farle togliere di mezzo.» L'ispettore suonò il clacson, ma senza risultato, allora rimise in movimento la Volvo. Inzuppate di pioggia e istupidite dai fari della macchina, le pecore si scostavano nervosamente non appena venivano toccate dalla
carrozzeria. Dovevano essere qualche centinaio, e non c'era nessuno a sorvegliarle, neppure un cane da pastore. Quando finalmente uscirono dall'altra parte del gregge, McLeod diede di nuovo gas. Più avanti videro un cartello stradale rovesciato al suolo e illeggibile. «Qui dovremmo essere a Invermoriston» diagnosticò Peregrine, mentre rallentavano fra le case di una piccola frazione. «Da un momento all'altro arriveremo all'incrocio con la A82. Se volete passare da...» «Attento!» disse all'improvviso Adam. «C'è un incidente stradale, più avanti!» Con un fischio fra i denti, McLeod premette il freno. I fari della Volvo illuminarono un uomo che stava disponendo delle luci rosse d'emergenza sulla strada. Dietro di lui un grosso camion col rimorchio era rovesciato su un fianco, per metà fuori strada, e più oltre era ferma un'auto coi lampeggiatori accesi. «Spero che nessuno si sia fatto male» mormorò Adam, mentre si avvicinavano. «Come medico, è mio dovere prestare soccorso.» Mentre passavano accanto all'uomo che metteva le luci, Adam tolse la mano dal volante e McLeod tirò giù il finestrino. «Ci sono dei feriti?» L'uomo sollevò una torcia elettrica. Sotto il cappuccio dell'impermeabile la sua faccia si torse in un sogghigno. «Solo il mio orgoglio» disse. «Stavo andando a Fort Augustus, ma in questa zona aperta il vento è molto più forte. Dopo l'ultima curva una folata di vento mi ha preso in pieno, e ha rovesciato il camion su un fianco.» McLeod annuì con comprensione. «Dubito che troverà un carro attrezzi, con questo tempo. Com'è la strada, più a nord?» L'uomo scosse il capo. «Io non ci andrei, se fossi in voi. La strada è percorribile, ma il vento è forte e la visibilità è minima. C'è anche una dannata quantità di fulmini, più a nord, e il lago è molto mosso. Potrebbe straripare.» «Staremo attenti» disse McLeod. Alzò una mano. «Buona fortuna a lei.» «Altrettanto a voi.» Aggirarono il camion rovesciato, e mentre riprendevano la strada Adam mise di nuovo la mano sul volante, accanto a quella di McLeod. Quest'ultimo annuì e diede gas. «Come ti senti?» Sulla faccia di Adam c'era qualche segno di fatica, ma i suoi occhi restarono sulla strada e sorrise leggermente. «Non possono esserci più di venti
chilometri da qui a Urquhart. Ce la farò.» L'auto tremò come sotto la scoppola di un gigante quando furono in vista del Loch Ness. La strada lo seguiva sulla riva sinistra, verso Inverness. Il vento, incanalato fra le montagne che chiudevano il lago, acquistava forza e infuriava sullo specchio d'acqua, stretto e lungo come un fiordo, sollevando onde veloci e incappucciate di schiuma. Qui il traffico era molto più intenso che sulla strada del Glen Shiel. C'erano veicoli d'ogni genere, che mantenevano la distanza di sicurezza come coccinelle spaventate e procedevano lenti, nelle due direzioni, fra molte difficoltà. Alcuni conducenti avevano dei problemi d'assetto con quelle raffiche di vento, e non pochi s'erano fermati fuori strada, nei posti più riparati che avevano potuto trovare. Con la guida di Adam, McLeod condusse la Volvo a buona velocità lungo quindici chilometri di strada, sorpassando dozzine di auto che procedevano a passo d'uomo o continuavano a fermarsi, incapaci di procedere in quella bufera infernale. Sulla loro destra le acque nere di Loch Ness aggredivano la riva come se il lago fosse un animale inquieto alla ricerca di un varco per uscire dalla sua gabbia. Ma il punto focale della furia degli elementi era più avanti. Mentre si avvicinavano a Glen Urquhart, anche Peregrine divenne conscio di una fantomatica luminosità che palpitava, bianco-azzurra, entrando e uscendo dai limiti del suo campo visivo. Era diversa dai lampi che si accendevano ogni pochi secondi fra le nubi: un bagliore lento, che si avvertiva più con la percezione psichica che con gli occhi. Il giovanotto poté accorgersi che questo fatto preoccupava anche Adam e McLeod. Anche se il primo si concentrava sulla strada davanti a loro, l'ispettore continuava a gettare occhiate nervose a destra e a sinistra. A livello del lago, le onde che si infrangevano sulle spiagge sassose sembravano prolungarsi su per le scarpate come una sorta di ectoplasma nebuloso, quasi che il lago allungasse dita fatte di spuma per unirsi ai poteri della terra e del cielo. E sopra le colline venivano così a formarsi strane nebbie di vapori, refoli di energie elementali, cariche di oscura minaccia. Adam guardò ancora il cielo. Nello stesso momento, a metà di una svolta, un'ombra oscura e massiccia sbucò sulla sinistra della strada e si precipitò davanti alla macchina. McLeod imprecò sbalordito, e sterzò con violenza a sinistra. Qualunque cosa avesse attraversato, non la urtarono, ma la Volvo slittò in una pozzanghera e uscì di strada sollevando alti schizzi di fango, sobbalzò pesan-
temente su quel che restava di un basso muretto e si girò di traverso, sfondando alcuni cespugli e scivolando giù per un paio di metri lungo un breve pendio. Per qualche secondo gli unici rumori furono il ticchettio della pioggia sulla carrozzeria e il rombo del motore che girava al minimo. Poi McLeod lasciò uscire il fiato e tolse le mani dal volante. «Tutto bene, voi?» domandò ai compagni. Mentre Adam rispondeva di sì, accigliato, Peregrine cercò di guardare fuori dal finestrino. «Cos'è successo?» domandò il giovanotto. «Per poco non abbiamo investito qualcosa» disse McLeod. Peregrine guardò Adam. «Tu hai visto cos'era?» «Non molto bene» rispose Adam. «Dalla forma generale, suppongo che fosse un cervo.» O almeno, l'immagine che riverberava ancora nella sua mente era quella di una forma cornuta al galoppo. Per il momento preferì non fare altre ipotesi su cosa potesse essere. McLeod colse qualcosa nel tono con cui aveva detto «suppongo», ma non volle indagare oltre. «Be', qualunque cosa fosse, se n'è andato» borbottò l'ispettore. «E così anche, temo, il nostro mezzo di trasporto.» Ingranò la retromarcia e diede gas, prima cautamente e poi con più insistenza, ma le ruote girarono a vuoto nella fanghiglia. La grossa macchina restò ancorata dov'era finita. Scuro in faccia McLeod spense il motore e scese, scendendo giù lungo il pendio per ispezionare i danni sulla parte anteriore della vettura. Tornò indietro dalla parte opposta, appoggiandosi alla carrozzeria. Mentre passava davanti allo sportello di Adam, questi tirò giù il finestrino e gli diede la torcia elettrica. McLeod girò sul retro della macchina, e quando rientrò nell'abitacolo aveva un'espressione piuttosto ingrugnita. «Be', non andremo da nessuna parte, se un carro attrezzi non ci riporta sulla strada. La macchina è troppo pesante per spostarla a mano, e le ruote sono bloccate nella melma. Mi spiace, Adam.» «Non importa» mormorò Adam. «Nessuno avrebbe potuto fare di meglio. Io non sono riuscito ad avvertirti in tempo. Comunque, nessuno si è fatto male. Vuol dire che proseguiremo a piedi. Diamo un'occhiata a quella carta stradale, Peregrine.» Il giovane gli consegnò la carta, e lui la consultò brevemente illuminandola con la torcia elettrica. Poi si voltò a guardare fuori dal finestrino po-
steriore, alla luce dei fari ancora accesi. «Non vedo come potremmo essere a più di un chilometro e mezzo dal castello di Urquhart» calcolò infine, grattandosi il mento. «Non è una grande distanza, a piedi, anche sotto questa bufera. In effetti, fare il resto della strada a piedi potrebbe darci un vantaggio... quello di arrivare inosservati, e di sorpresa. È un tempo da cani, per andare in giro... ma non è più divertente per quei signori, a Urquhart.» Il breve sogghigno che gli scoprì i denti fu quasi predatorio, e McLeod gli rispose con un'aspra risatina. «Già, questo è vero» annuì l'ispettore. «Mr. Lovat, se lei è così gentile da passarmi la mia borsa, ci metteremo in caccia, e che Dio ci assista. Adam, vuoi prendere anche la tua?» «No, ho già quello che mi serve» rispose Adam, mentre Peregrine consegnava la borsa all'ispettore senza dir verbo. «Credo però che nella mia ci sia un'altra torcia elettrica. Potresti prenderla tu, Peregrine.» Quest'ultimo fece come gli era stato chiesto e aprì la borsa nera da dottore. Stava sbirciando nelle sue oscure profondità, quando Adam allungò l'altra torcia e ne illuminò l'interno, tirandone poi fuori l'altra lampadina a pile, che consegnò a Peregrine. Durante quei pochi secondi di luce il giovanotto poté vedere una quantità di piccole scatole, fiale, siringhe sterili chiuse nella plastica - i soliti attrezzi che uno potrebbe aspettarsi nella borsa di un medico - ma anche alcuni piccoli oggetti di forma strana, avvolti in quella che sembrava seta bianca. Alzò su di lui uno sguardo interrogativo, intanto che l'altro spostava la torcia. «Utensili che mi servono per varie cose» disse Adam, come tutta spiegazione. «Ma di questi non avrò bisogno, stasera. Metti pure la borsa dietro il sedile.» Peregrine sbatté le palpebre e ubbidì. Era curioso, ma il tono secco dell'amico precludeva ogni ulteriore discussione. D'altra parte, McLeod aveva tolto dalla sua borsa una pistola automatica dall'aria micidiale. L'ispettore infilò un caricatore nel calcio, poi tirò avanti e indietro il percussore per mandare un colpo in canna, con un clicchettio metallico. «È una Browning ad alto potenziale» disse, inserendo la sicura prima d'infilarsi l'arma nella cintura. «Una calibro nove, con proiettili standard della NATO. Nel caricatore ci sono quattordici colpi.» Intanto che l'ispettore tirava fuori altri due caricatori dalla borsa e se li metteva in tasca, Peregrine lo guardò allarmato. «Pensa davvero che ne avremo bisogno?» domandò.
«Mi auguro di no» rispose McLeod. «Ma meglio essere pronti a ogni eventualità. Sappiamo che quella gente ha già ucciso. Anche lei ha visto il corpo di quella donna, sul molo.» Con un senso di vuoto allo stomaco, Peregrine annuì. Fino a quel momento, anche durante l'ordalia per scendere dal traghetto, non s'era reso conto di quanto potesse essere pericolosa la loro situazione. Il banshee li aveva messi di fronte a una minaccia, naturalmente, ma in qualche modo non gli era parsa solida e brutale quanto una pallottola. «Fatti coraggio» gli disse Adam. «Se la mia ipotesi è giusta, i nostri ladri capaci di uccidere hanno tutt'altre cose in mente che preoccuparsi di noi.» Con quell'assicurazione baldanzosa, aprì lo sportello dell'auto. McLeod fece lo stesso. Mentre i due uscivano sotto la pioggia battente, Peregrine slacciò la cintura di sicurezza e li seguì. CAPITOLO VENTUNESIMO Da quando avevano lasciato il traghetto a Kyle of Lochalsh, la temperatura s'era abbassata ancora di più. Dapprima poterono restare ragionevolmente asciutti, negli impermeabili presi a Dunvegan, ma quando risalirono dal pendio ed emersero sulla strada la forza del vento li investì in pieno, raggelandoli fino all'osso, e le gocce di pioggia colpivano loro la faccia e le mani come aghi di ghiaccio. Con un brivido Peregrine si tirò su il colletto e immerse la parte inferiore del viso nella sciarpa per proteggerla dalla pioggia, rimpiangendo di non aver preso con sé dei guanti veri e propri, invece che dei mezzi guanti. Le sue dita, bagnate e intirizzite, erano già rigide come pezzi di legno. Neppure Adam aveva i guanti, benché Peregrine sapesse che non ne era privo, perché ricordava che Humphrey aveva detto di averne messo un paio nelle tasche della giacca impermeabile verde, all'aeroporto. Portava una torcia elettrica in una mano, teneva l'altra ficcata in tasca, e quando la mano esposta cominciava a raggelarsi troppo passava la torcia nell'altra. Anche McLeod non aveva i guanti, ma la sua torcia era abbastanza lunga da poterla mettere sotto un braccio, e ciò gli consentiva di tenere in tasca entrambe le mani. Per quanto goffa fosse la cosa, l'espediente gli dava modo di avere le mani pronte a impugnare la pistola, se ce ne fosse stato bisogno. Quella riflessione condusse Peregrine a domandarsi cos'avrebbe potuto usare Adam come arma, quando fossero giunti al castello di Urquhart. A-
veva la sensazione che l'oggetto nero lungo un palmo che Adam s'era messo in una tasca interna della giacca, all'aeroporto, fosse un'arma di qualche genere; ma sicuramente non si trattava di una pistola. Qualunque cosa fosse, Peregrine dubitava che sarebbe stato in grado di difenderli dalle strane energie degli elfi. Adam non lo aveva tirato fuori nel salone del castello, quando era stato aggredito dal banshee. E adesso non sembrava avere altro con sé, a parte la piccola torcia elettrica. Non che le torce fossero di molta utilità, con quella pioggia. Mentre camminavano in fila indiana lungo il bordo destro della strada, con Adam in testa e McLeod alla retroguardia, Peregrine decise che uno dei peggiori inconvenienti in quelle condizioni atmosferiche, a parte il freddo e l'umidità, era il fatto di avere gli occhiali bagnati e annebbiati. McLeod stava certo lottando contro lo stesso fastidio, anche se lui sospettava che l'ispettore avesse bisogno delle lenti solo per leggere. Per un momento considerò l'idea di levarseli e metterseli in tasca, dato che al momento gli bastava vedere la schiena di Adam, ma poi decise che era preferibile vedere qualcosa attraverso le lenti bagnate - se prima o poi ci fosse stato qualcosa da vedere - che togliersi gli occhiali e non vedere niente. Non che lui fosse ansioso di vedere nuovamente quel dannato banshee... La pioggia continuava a ruscellare giù da un cielo di piombo. Come automi i tre uomini marciarono per circa un quarto d'ora, mentre davanti a loro non cessava di balenare quella luce ultraterrena visibile solo con la coda dell'occhio, e i tuoni rimbalzavano fra le colline spoglie. Sulla strada adesso non c'era più traffico. A un certo punto si accorsero che sulle loro teste stava cadendo qualcosa di più duro e pesante delle gocce d'acqua. «Adam» chiamò raucamente McLeod, da dietro, «è la mia immaginazione, o il tempo sta ancora peggiorando?» «Be', se ti riferisci al fatto che ha cominciato a grandinare, sì, lo si può chiamare un peggioramento» disse Adam. Prima che Peregrine aggiungesse un suo commento, un rombo cupo esplose sul sottofondo dei tuoni e degli schianti secchi dei fulmini, così intenso che lo sentirono risalire dal terreno attraverso le suole delle scarpe. Nello stesso momento una luce verdastra nacque al livello del lago, davanti a loro e sulla destra, consentendo ai tre uomini di vedere una distesa d'acqua nera e la mole in rovina di un massiccio castello medievale. A una ventina di metri da loro si apriva un moderno parcheggio per le auto, ampio e ben asfaltato, dal quale si poteva osservare l'antico edificio, più in basso.
«Guardate! Siamo arrivati!» esclamò Peregrine, indicando il castello. Eccitato, il giovanotto accelerò il passo, ma subito McLeod lo afferrò per una manica. «Calma, ragazzo mio» lo avvertì l'ispettore, spegnendo la torcia. «Questo sarà anche il castello di Urquhart, sicuro, ma lei stesso può vedere che sta succedendo qualcosa di strano, laggiù. Non sarebbe una buona tattica precipitarsi avanti di corsa, senza aver prima fatto mente locale.» Accanto a loro anche Adam aveva spento la sua torcia, e distrattamente fece cenno ai due compagni di stare indietro. La sua attenzione era concentrata sul lucore che si vedeva più in basso, sulla riva. «Noel dice bene» mormorò. «Vediamo se dal bordo del parcheggio si può scorgere qualcosa di più. E niente torce, se possiamo farne a meno» aggiunse, intascando la sua. «Con la luce dei lampi, e di quello che sta succedendo laggiù, penso che possiamo vederci abbastanza anche da qui. Non sarebbe prudente annunciare il nostro arrivo, prima d'essere pronti ad agire.» Con la testa abbassata contro il vento, i tre percorsero senza incidenti i pochi metri che li separavano dall'estremità più vicina del parcheggio. Una balaustra metallica lo circondava, sul bordo dell'altura, e Peregrine si appoggiò ad essa, sporgendosi per guardare in basso. L'ultraterrena luce verdastra continuava a baluginare in freddi lampi lungo le scarpate che costeggiavano il lago, ma guardando meglio il giovane artista poté vedere che si trattava di un riflesso, la cui fonte sembrava trovarsi da qualche parte dietro il lato meridionale del castello. «Be', qualunque cosa sia, certo non è un fulmine» commentò Adam. «Già» annuì McLeod. «A parte quella strana luce, che non riesco a identificare, i boati di poco fa mi hanno fatto pensare a delle mine.» «Sfortunatamente» replicò Adam, «potrebbe essere benissimo qualcosa del genere. Quando scenderemo verso la riva, sarà meglio essere pronti a rispondere al fuoco.» Adam aveva appena finito di parlare, che un forte rimbombo scosse l'aria, echeggiando su dal bordo del lago come l'eco di un'esplosione. I tre incassarono istintivamente la testa fra le spalle, e con stupore videro fontane di scintille verdi sollevarsi sulle onde, presso la riva, crepitando e roteando come uno sciame di api incandescenti. Il bagliore era abbastanza intenso da illuminare con chiarezza la stradicciola in discesa che conduceva al castello. «Credo che siamo arrivati giusto in tempo» mormorò Adam. «Se non ho
le traveggole, direi che qualcuno ha appena aperto con modi alquanto spicci la caverna degli elfi di Scot! Andiamo a dare un'occhiata da vicino.» La balaustra intorno al parcheggio era un tubolare d'acciaio spesso quanto il polso di un uomo. Adam la scavalcò e s'incamminò lungo il sentiero asfaltato che scendeva verso l'antico edificio, conscio che McLeod e Peregrine lo seguivano a pochi passi di distanza. Per evitare di far cigolare una rampa di gradini di legno uscirono dal sentiero, tenendosi sull'altro lato del corrimano metallico messo lì per aiutare i turisti, e poi scavalcarono anche la transenna chiusa, all'altezza del chiosco dove si vendevano i biglietti d'ingresso. Tenendo prudentemente la testa bassa trottarono giù per un lungo pendio, all'altezza delle mura del castello, sempre guidandosi con la balaustra che scorreva sui due lati della stradicciola. Sul fondo, c'era una brusca discesa superata da due rampe di gradini, la prima in legno e la seconda in cemento, fino al piazzale da cui una robusta passerella di legno conduceva al ponte levatoio del castello, ora abbassato in permanenza sul fossato protettivo. Adam li condusse però sulla destra dell'antico edificio, e poi giù per un'altra rampa di scale, dirigendosi a una piccola costruzione che sorgeva giusto alla base della rampa meridionale. Qui si fermarono nell'ombra per sbirciare più avanti, perché a una ventina di metri da lì un sentiero fangoso serpeggiava giù, fra alcuni alberi tartassati dal vento, in direzione di una piccola spiaggia a mezzaluna. Al largo della spiaggia, le acque nere del lago erano irte di onde che venivano a frustare obliquamente la riva. Fra un lampo e l'altro, l'intera area della spiaggia pulsava di una luce malata, verdastra, che stagnava nell'aria come una nebbia ed era pervasa da crepitii d'elettricità statica. «Ascoltate» sussurrò McLeod. Il vento portava fino a loro il rumore inconfondibile di un motore diesel acceso al minimo di giri. «Lo sentite?» In silenzio i tre scivolarono lungo un lato dell'edificio e si fermarono sull'angolo, in cerca della fonte di quel rumore. Da quel punto riuscirono a vedere un grosso motoscafo, ormeggiato molto vicino alla spiaggetta a mezzaluna. A bordo c'era un uomo vestito con un pesante impermeabile nero, che impugnando una pertica badava a impedire che le onde facessero sbattere l'imbarcazione sulle rocce. A un tiro di sasso davanti alla prua del motoscafo si apriva l'imboccatura semicircolare di una caverna, alta un paio di metri. Adam diede di gomito a Peregrine e precedette cautamente i compagni giù per il sentiero, fino ad alcuni cespugli, e riparandosi dietro di essi pote-
rono osservare la caverna da un'angolazione migliore. L'ingresso era pietroso, scabro, e dava l'idea d'essere appena stato scavato nella roccia viva. I grossi macigni sparsi al suolo ai due lati e di fronte, sulla spiaggia, sembravano anch'essi spaccati di fresco e rotolati lì dove si trovavano da pochi minuti. L'aria era densa di puntolini verdi che roteavano follemente dappertutto, come scintille dalla forgia di un fabbro ultraterreno. «La documentazione che abbiamo letto non parlava di una caverna, qui a Urquhart» sussurrò Peregrine. «Credi davvero che l'abbiano appena aperta?» «Sì, non c'è dubbio» rispose Adam. L'uomo sul motoscafo guardava l'ingresso della grotta con aria d'attesa. «Gli altri devono essere dentro» borbottò McLeod scrutando con attenzione la zona, nel caso che quella fosse un'ipotesi sbagliata. «Secondo te, quanti possono essere?» Adam guardò il motoscafo e poi la caverna, cercando d'immaginarlo. «Suppongo cinque o sei, al massimo, se sono venuti tutti con quell'imbarcazione... e mi sembra probabile, visto che su al parcheggio non ci sono macchine. Se poi pensiamo che uomini come questi non amano troppo dividere il bottino, c'è da credere che abbiano tenuto il loro numero al minimo. Se sono cinque o sei, pensi che riusciremo a farcela?» McLeod sbuffò, senza entusiasmo. «Abbiamo un'altra scelta?» «No» disse Adam. «In ogni modo, noi abbiamo il fattore sorpresa.» «Per ora, certo, ma tenete giù la testa» li ammonì McLeod. L'ispettore si mise la torcia nella tasca sinistra e s'avviò giù per il pendio, tallonato da Adam e da Peregrine. Nel punto in cui il sentiero girava a destra, lui prese a sinistra fra un ammasso di cespugli battuti dalla pioggia. Qui avanzò piegato in due per una dozzina di metri, e giunse alla base di un macigno piatto, grosso la metà di un'automobile. Più avanti il terreno scendeva fino alla spiaggia sassosa e all'imboccatura della caverna appena aperta. Lì al riparo della scarpata e del castello non c'era vento, e la pioggia cadeva in un'aria fredda e immobile satura di nebbia. Quella improvvisa tranquillità aveva qualcosa di spiacevolmente irreale, come l'occhio al centro dell'uragano. Mentre Adam si appiattiva contro il macigno al fianco di McLeod, si chiese quanto sarebbe durata quella calma. Un fruscio fra il fogliame dei cespugli avvertì gli altri due dell'arrivo di Peregrine. Il giovane artista si chinò accanto ad Adam, con occhi che brillavano d'eccitazione.
«Avete visto qualcosa?» sussurrò, sporgendosi prudentemente per gettare uno sguardo dentro rimboccatura della grotta. Adam lo prese per un braccio, tirandolo giù. «Stai attento!» lo esortò. «Ma cosa sono tutte quelle scintille verdoline?» si meravigliò Peregrine. «Sciamano attorno quasi come se fossero vive.» «Sono vive» mormorò Adam. «Non l'avevi ancora capito? Quelli sono gli abitanti della caverna.» «Vuoi dire... gli elfi?» Peregrine sbirciò ancora, col fiato mozzo. «Proprio così» mugolò McLeod, dall'altra parte di Adam. «E quelli ci strappano la carne dalle ossa, se soltanto ci vedono qui. Sto parlando sul serio, ragazzo mio... non mi guardi così!» Mentre Peregrine fissava i due compagni, ammutolito, Adam si tolse dal dito l'anello con lo zaffiro e glielo consegnò. «Qui, prendi questo e infilatelo al medio della mano destra» disse. «Qualunque cosa succeda d'ora in poi, tu avrai bisogno di protezione. Se ci troveremo sotto attacco da parte dei guardiani di Faerie, il che è probabile, prima che tutto finisca, il potere di questo zaffiro dovrebbe tenerli a bada... almeno per un poco.» «Ma tu... non ne avrai bisogno?» domandò Peregrine, prendendolo automaticamente con la mano guantata. «No. Io ho altre armi.» Adam abbassò in parte la lampo dell'impermeabile, e s'infilò una mano in una tasca interna. Quello che ne tirò fuori era un piccolo pugnale chiuso in un fodero nero. Dopo averlo guardato meglio, però, Peregrine si accorse che non era un semplice pugnale. Si trattava di uno skean dubh, la caratteristica lama delle Highlands, che di solito si portava col kilt, fissata alla cima della calza. Ma anche in quella luce anomala Peregrine poté accorgersi che quello non era un comune skean dubh. Il fodero aveva l'aspetto di un autentico pezzo d'arte, ricoperto per tutti i suoi sette pollici di lunghezza con una squisita filigrana d'argento. Non poté vedere i dettagli dell'elsa perché era chiusa nella mano di Adam, ma il pomo era formato da una pietra azzurra grossa come un uovo di piccione. Quando l'amico snudò la lama, rimettendosi il fodero in tasca, il metallo scintillò come argento purissimo sotto quel cielo nero, e una pallida luce azzurra scivolò lungo il taglio affilato come il riflesso di un raggio di luna... o l'emanazione di un potere nato dallo spirito di chi lo impugnava. Nello stesso tempo McLeod sfilò la grossa Browning automatica dalla
cintura e con un movimento del pollice tolse la sicura, alzandola accanto all'orecchio. Non fu però la vista dell'arma ad attrarre lo sguardo di Peregrine, che l'aveva già osservata in macchina, bensì l'inaspettato barlume azzurro che scintillò al dito medio della mano che la impugnava. Stupito, il giovanotto si rese conto che McLeod portava adesso un anello con lo zaffiro, quasi identico a quello di Adam. Entrambi gli uomini avevano lo sguardo intento e preoccupato di cacciatori giunti ormai vicini a una preda molto pericolosa. Mentre li scrutava in un silenzio da gufo, Peregrine comprese con un'ombra di disagio che in quel momento li vedeva in una luce del tutto diversa e inaspettata, come due sconosciuti. Negli ultimi giorni, anzi nelle ultime ore, era arrivato ad accettare con stupefacente naturalezza il fatto che Adam e McLeod avessero capacità e poteri insoliti, facoltà che lui non poteva neppure cominciare a capire. Ora che si stavano avvicinando alla preda di cui avevano con tanto accanimento seguito la pista, il giovanotto s'accorse di non avere la minima idea di ciò che avrebbero fatto. Quanto a questo, non aveva la minima idea neppure di ciò che avrebbe fatto lui stesso. Era una riflessione poco rassicurante. Abbassò lo sguardo sull'anello di Adam che aveva in mano, poi si tolse il guanto destro e lo infilò al dito medio, come l'amico gli aveva detto di fare. Gli stava un po' largo, ma in qualche modo quel contatto lo fece sentire meno vulnerabile. Mentre tornava a voltarsi verso l'imboccatura della caverna chiuse il pugno, così l'anello non gli sarebbe scivolato via, augurandosi che si dimostrasse più una precauzione che un aiuto effettivo. Intanto che quel pensiero gli attraversava la mente, dalla spiaggetta provenne un rumore stridente come di metallo squarciato. All'improvviso la rabbiosa danza delle lucciole di smeraldo accelerò in una tarantella febbrile, e nelle profondità della grotta nacque una luce che dilagò verso l'imboccatura. Un momento più tardi alcune figure vestite di nero sbucarono lentamente dall'interno, a malapena visibili in quella luce fantasmagorica. L'uomo che precedeva gli altri era alto e snello, e si muoveva con arrogante sicurezza, tenendo le braccia sollevate sopra la testa. I tre che lo seguivano sembravano corpulenti, al confronto. Due di loro vacillavano sotto il peso di una cassetta metallica che dava l'idea d'essere singolarmente pesante per le sue dimensioni. Quello che li seguiva portava con sé una larga cornice rettangolare che teneva sollevata come uno scudo fra sé e lo sciame di luci verdi, roteanti e minacciose sopra di loro.
«Lo Stendardo degli Elfi?» mormorò Adam a McLeod. «Sì, e l'uomo che li precede dev'essere quello che lo controlla. Guarda! Ha una spada fra le mani. Si riesce a vederla solo quando gira la lama verticalmente.» Peregrine allungò il collo per vederci meglio, sporgendosi al punto che Adam dovette afferrarlo di nuovo per un braccio. «Credo che quella sia la Spada degli Hepburn!» sussurrò, emozionato. «Se potessi avvicinarmi a guardare meglio... ma sono certo che è lei!» «Credo che ci siano pochi dubbi» annuì Adam. «Ma se non tieni la testa bassa, potresti trovarti a guardarla più da vicino di quel che vorresti.» Mentre il gruppo usciva dall'imboccatura della caverna, sotto il vorticante sciame dei guardiani di Faerie, fu possibile vedere altri particolari. Tutti gli uomini indossavano mantelline nere col cappuccio, ma il capo laveva anche una maschera sugli occhi, e al collo una catenella argentea, alla quale Peregrine avrebbe giurato fosse appeso un medaglione come quello che aveva già avuto occasione di disegnare un paio di volte. L'uomo teneva sollevata la spada sopra la testa orizzontalmente, impugnandone con una mano l'elsa ingioiellata e con l'altra la lama nuda, a pochi centimetri dalla punta. Sulla spada intarsiata lampeggiava un bagliore violaceo, ma la sua fonte non era l'arma, bensì il fragile tessuto dello Stendardo degli Elfi, tenuto alto nella sua cornice dall'ultimo uomo del gruppo. La spada sembrava attrarre quell'energia luminosa risucchiandola via dallo Stendardo, in una rete di filamenti simili a tela di ragno che ondeggiavano come un baldacchino attorno alla piccola processione. Folate di lucciole verdi si gettavano contro i quattro individui da tutti i lati, col solo risultato d'essere deviate e respinte da un invisibile campo di forza. «È lo Stendardo degli Elfi a fare questo?» sussurrò Peregrine. «Sì, quello e la Spada degli Hepburn» rispose Adam. «La spada è un elemento di richiamo e di controllo. Il loro capo la sta usando per chiamare e dirigere l'energia protettiva dello Stendardo, ai danni delle stesse creature che hanno dato allo Stendardo questo suo potere.» «Ma quell'uomo come riesce a fare questo?» volle sapere Peregrine. McLeod stava guardando il capo del gruppetto, con un misto di ribrezzo e d'incredulità. Fu lui a rispondere. «Non con mezzi onesti, di sicuro» disse. «Ma puoi star certo che gli costa molta energia.» Guardò Adam. «Quanto tempo ancora credi che riuscirà a mantenere il legame del potere?»
«Probabilmente abbastanza a lungo da consentire ai suoi uomini di raggiungere l'imbarcazione col loro bottino» disse Adam. «A meno che, naturalmente, noi provvediamo a mettere in atto un'opportuna diversione. Noel, tu credi di poter arrivare dall'altra parte della caverna senza farti vedere?» McLeod si voltò a esaminare il terreno sopra la scarpata quasi verticale in cui si apriva la grotta. «Farò del mio meglio» disse, e si avviò a sinistra, nel buio fra i cespugli. «Io cosa devo fare?» si offrì volonterosamente Peregrine. Adam gli elargì un'occhiata penetrante, decisa. «Tu stai qui e tieni gli occhi aperti... e cerca di non farti mangiare vivo.» Prima che il giovane artista potesse reagire, Adam scivolò giù per il versante terroso e sparì nel buio, verso i macigni che orlavano la spiaggetta. Giunto alla base della scarpata si fermò, puntellandosi con un piede contro una roccia, e sollevò la punta del suo skean dubh verso il gruppetto degli uomini faticosamente impegnati ad attraversare la spiaggia sassosa in direzione del motoscafo. Poi si alzò in piedi. Un'energia invisibile si torceva intorno all'impugnatura e alla lama del coltello, fremendo nella stretta della sua mano, ma lui trattenne quel potere e gridò, con voce forte e controllata: «Basta così, signori. Fermatevi dove siete!» Sorpresi da quelle parole gli uomini si voltarono di scatto, e qualcuno ringhiò un'imprecazione quando lo videro, scrutando nel buio. Il capo lo guardò e fece tacere i suoi uomini con un ordine secco, ma non abbassò le braccia. La sua mano sinistra si aprì, lasciando l'estremità della spada, e poi si richiuse, come se fosse tentato di rivolgere l'arma contro chi lo stava sfidando. Ma Adam sapeva che non avrebbe osato, per non perdere il controllo dello Stendardo degli Elfi. «E tu chi diavolo sei?» domandò l'uomo mascherato in tono duro e freddo, mentre intorno a lui continuava a ronzare il coro delle voci degli elfi. «Si può sapere cosa pensi di fare, qui?» «Tu puoi chiamarmi Maestro della Caccia» rispose Adam, tenendo d'occhio anche l'individuo a bordo del motoscafo. «In quanto a ciò che voglio... io sono qui per fare giustizia.» Questa dichiarazione destò un mormorio di commenti perplessi fra i subordinati, che parvero incerti, ma il capo piegò le labbra in un sorriso sprezzante. «Giustizia, dici? E di quali delitti saremmo incolpati?» «Essi includono, non ultime, le offese fatte all'uomo un tempo conosciuto come Michael Scot, di Melrose, allo scopo d'impossessarvi illecitamente
delle sue proprietà, ovvero di ciò che avete in mano in questo momento» disse Adam con fermezza, puntando il pugnale verso il petto dell'uomo. «Inoltre c'è la faccenda dello Stendardo degli Elfi dei MacLeod» continuò, «che avete trafugato senza alcuno scrupolo e gravemente profanato. La spada che stai impugnando è anch'essa rubata. Se avete un po' di buonsenso, ora restituirete gli oggetti dei quali vi siete appropriati, e vi sottometterete alle autorità temporali, finché siete ancora in tempo a far ammenda per i crimini che avete compiuto contro le leggi dei Piani Interni.» L'aria sopra i quattro uomini vibrava della luce intensa emanata dallo sciame degli elfi, il cui ronzio furioso aumentava come quello di un generatore elettronico sovraccarico. Sbirciando la scena dal riparo del suo macigno, impotente, Peregrine gettava sguardi ansiosi nella direzione in cui era scomparso McLeod. La testa e le spalle dell'ispettore apparvero brevemente fra le rocce sopra l'imboccatura della caverna, nell'ombra, e poi un movimento delle frasche rivelò il suo procedere fra i cespugli in direzione di una breve spianata qualche metro più in là. Giù sulla spiaggia, l'uomo mascherato squadrava Adam fulminandolo con lo sguardo, per niente impressionato dalle sue parole. «Credo che tu sopravvaluti la tua importanza, Maestro della Caccia o qualunque sia il tuo nome. I miei compagni e io non riconosciamo la tua autorità. E non tolleriamo che tu venga a giudicare le nostre azioni.» «Tu non hai capito» replicò Adam. «Le vostre azioni vi hanno già condannati. Io sono qui per chiedervi di arrendervi... e per costringervi a farlo, se sarà necessario.» In quel momento McLeod uscì sul tratto pianeggiante della scarpata, sulla destra della caverna. Da quella posizione vide l'uomo che comandava il gruppetto degli incappucciati rivolgere nascostamente un gesto all'individuo rimasto a bordo del motoscafo. Questi annuì impercettibilmente e si chinò a raccogliere qualcosa dietro la ruota del timone. Mentre si rialzava, McLeod vide che aveva fra le mani l'inconfondibile forma di un Uzi. «Adam, attento! Quell'uomo ha un mitra!» gridò. CAPITOLO VENTIDUESIMO Adam aveva già visto il movimento dell'uomo sul motoscafo, e si gettò disteso al suolo nello stesso momento in cui una raffica di piombo squarciava l'aria proprio sopra di lui. Subito dopo l'individuo si girò, rivolgendo l'arma verso McLeod. Frammenti di roccia e di vegetazione schizzarono
dappertutto, sotto la grandine di proiettili, ma l'ispettore s'era già messo al riparo dietro un macigno e si sporse di lato, rispondendo al fuoco con la sua automatica. Un'altra raffica si perse fra i rachitici cipressi alla sua sinistra. L'uomo armato di mitra fece una breve pausa per esaminare il terreno della scarpata in cerca del bersaglio, e McLeod approfittò di quell'intervallo per prendere la mira e sparare rapidamente tre colpi uno dietro l'altro. Il primo rimbalzò sulla ringhiera metallica del motoscafo; il secondo e il terzo spaccarono il parabrezza. L'uomo col mitra s'era gettato di lato; si rialzò e sparò un'altra raffica, che però non ottenne alcun risultato perché McLeod era di nuovo chino dietro la roccia. I proiettili tempestarono inutilmente i sassi e i cespugli della scarpata, ma d'un tratto questo nuovo genere di pioggia innescò una frana, che investì le gambe dell'ispettore e lo seppellì a mezzo sotto la fanghiglia. Adam imprecò allarmato, chiedendosi se McLeod fosse stato colpito, ma non ebbe tempo di guardare meglio perché il mitra sgranò una dozzina di colpi nella sua direzione, costringendolo a tenere giù la testa. Nel frattempo la slavina che aveva investito McLeod stava facendo franare una gran quantità di sassi, che ora crollavano con fragore sulla destra della caverna. Pietre d'ogni dimensione precipitarono sulla spiaggetta e rimbalzarono avanti. L'uomo che sorreggeva lo Stendardo, alla retroguardia del gruppetto, fu colpito da alcuni sassi e indietreggiò con un grido, finendo addosso ai suoi compagni. Nell'urto una delle sue mani perse la presa sulla cornice di legno dorato, che roteò in un largo semicerchio, e uno degli angoli colpì il terreno con violenza. La cornice si spaccò all'istante, e ci fu il rumore secco del vetro che andava in schegge. Nello stesso momento, il baldacchino protettivo sopra le teste del gruppetto collassò. Il capo mandò un grido. Ronzando con trionfante ferocia, lo sciame degli elfi si abbatté sui quattro esseri umani. L'uomo che portava la cassetta metallica la lasciò andare, urlando e percuotendo l'aria con le braccia mentre i difensori della caverna li aggredivano con gli artigli e coi denti affilati, come migliaia di affamati piranha fatti di luce. Lo Stendardo degli Elfi giaceva sulla spiaggia sassosa, sotto la pioggia, fra i rottami e i pezzi di vetro della cornice. Impazzito di paura, con la faccia e le mani rosse di sangue, l'uomo che aveva sorretto lo Stendardo si gettò verso di esso, alla ricerca dell'unica protezione a cui poteva pensare. Ma appena le sue mani profanataci toccarono la sacra reliquia, ci
fu un'improvvisa esplosione solforosa e nell'aria si sparse una nuvola di fumo nero. Quando la nuvola maleodorante si disperse, dell'uomo che aveva toccato lo Stendardo non c'era più traccia. Un po' stordito da quella scena, Adam rialzò cautamente la testa e vide le orde di Faerie scendere con la violenza di una grandinata su un altro uomo. Mentre costui si abbatteva al suolo urlando, coperto da uno strato di minuscole forme verdi che affondavano le zanne nel suo corpo, il capo del gruppetto spinse il terzo uomo verso la cassetta metallica e lo incitò a raccoglierla, sempre brandendo la Spada degli Hepburn e agitandola sopra la sua testa. «Aiutami a portarla a bordo!» gridò, con voce stentorea. «Gli elfi non possono seguirci sull'acqua!» Le mani e la faccia del subordinato erano una massa irriconoscibile di piccole ferite sanguinolente, ma in qualche modo capì quel che gli veniva ordinato e annuì. Gli elfi sembravano per il momento occupati a fare a pezzi l'altro individuo, e la spada dell'uomo mascherato riusciva a tenere alla larga quelli che sciamavano in cerca di altre vittime. Unendo le loro forze i due trascinarono la pesante cassetta giù per la spiaggia sassosa, fino alla riva. L'uomo sul motoscafo, non più esposto al fuoco di McLeod e incapace di vedere dove fosse finito Adam, spinse avanti l'imbarcazione e corse sulla prua, sporgendosi per dare una mano ai compagni. «Mettete a bordo la cassetta!» gridò il loro capo. «Io tengo a bada gli elfi!» Lasciando agli altri due il compito di portare al sicuro il prezioso oggetto, l'uomo mascherato si volse a fronteggiare la famelica orda di Faerie frustando l'aria con la Spada degli Hepburn. Decine, forse centinaia di piccole forme verdi lampeggiavano sulla sua testa ronzando come vespe inferocite, ma i loro attacchi venivano rintuzzati, perché ogni volta che la spada ne sfiorava una esplodeva una scintilla e la piccola luce verde si spegneva, precipitando in una spirale di fumo. Un lampo di trionfo cominciava a brillare negli occhi dell'individuo, quando s'accorse che sulla spiaggia, oltre la nuvola luminosa dello sciame degli elfi, una figura uscita dal buio veniva direttamente verso di lui. Adam teneva il suo skean dubh alzato davanti a sé come una sacra reliquia, col pomo in alto e la lama puntata in basso. Dalla pietra azzurra incastonata nell'elsa si diffondeva una luce morbida, un alone chiaro come l'alba di un mattino d'estate. Al suo avanzare gli elfi s'erano subito scostati, aprendogli un corridoio libero nel loro sciame, e lui si fermò a pochi passi
dall'uomo mascherato. «Due dei tuoi compagni sono già morti, senza che fosse necessario» gli disse con fermezza. «Rinunciate a quella cassetta e mettetevi sotto la mia protezione, prima di pagare con la vita la vostra ostinazione.» A quelle parole, l'altro rise come una iena. «Vai all'inferno!» gridò. «Questa cassetta mi è costata molto lavoro e molto denaro, non immagini neanche quanto! E che io sia dannato se me la lascerò rubare da te!» L'uomo fece qualche passo avanti, e con un improvviso fendente dall'alto in basso avventò la Spada degli Hepburn verso Adam. D'istinto quest'ultimo alzò lo skean dubh per parare il colpo. Peregrine, che mentre gli avversari erano distratti aveva continuato ad avvicinarsi, mandò un grido di protesta e d'orrore quando le due lame si scontrarono in un lampo di luce crepitante, azzurrina. In quell'istante, tutte le premonizioni del pericolo mortale che aveva visto incombere su Adam in quei giorni gli tornarono in mente. Senza pensare a cos'avrebbe potuto fare quando fosse stato là, il giovanotto uscì sulla spiaggia e prese la corsa nel tratto di dieci o dodici metri che lo separavano da Adam e dal suo avversario - e dallo sciame degli elfi - pregando che l'anello di zaffiro lo proteggesse dall'assalto di questi ultimi. Alcune dozzine di lucciole verdi assetate di sangue gli rotearono intorno, ma lui le allontanò a mani nude e continuò a correre, mezzo accecato dalle lenti bagnate, verso l'ultimo posto dove aveva visto Adam. D'improvviso due forme scure furono davanti a lui. Una aveva un ginocchio a terra, immersa in una pallida luce azzurrina, e appoggiandosi al suolo con una mano protendeva l'altra, armata di pugnale, verso la figura del suo aggressore. La Spada degli Hepburn mandò un bagliore verde mentre si abbatteva verticalmente. Senza pensare alle possibili conseguenze Peregrine protese entrambe le mani ad afferrarla. Con la sinistra colpì l'elsa intarsiata, rallentando il fendente ma non con forza sufficiente a fermarlo del tutto, e a sostenere l'impatto della lama fu il palmo della mano destra. Un dolore cocente lo mandò a barcollare indietro, addosso ad Adam, e lo fece piegare in due con la mano stretta al petto, mentre la sofferenza gli serpeggiava lungo l'avambraccio. Tutto ciò che riuscì a pensare, in quell'infinito istante di agonia, fu che forse non avrebbe dipinto mai più. Ma prima ancora che il giovanotto trovasse il fiato per gridare, uno stivale pesante lo colpì fra le costole, con tanta forza da farlo rotolare al suo-
lo. In qualche modo riuscì a proteggersi la testa da un secondo calcio, e a non perdere gli occhiali, ma ciò che vide quando girò la testa non gli fu di alcun conforto, perché l'individuo s'era voltato ad attaccare Adam, ancora chino sui sassi della spiaggia. Con un grido feroce, i denti scoperti in una smorfia quasi felina, l'uomo mascherato alzò la spada per colpire ancora. Ma mentre l'arma stava per abbattersi su di lui Adam aveva già sollevato lo skean dubh, stavolta tenendolo per l'impugnatura, e con la punta del pugnale tracciò rapidamente un simbolo arcano nell'aria, fra di loro. Un fuoco azzurro lasciò una traccia visibile lungo il percorso dello skean dubh. Il pugnale era lontano dall'arma che si stava avventando sul corpo di Adam, ma prima di colpirlo la lama fu spostata di lato, come attratta da un potente magnete. Incredulo, l'uomo mascherato cercò di correggerne la traiettoria, e non ci riuscì. Ciò che vide fu la sua spada arrestarsi a mezz'aria contro una luce invisibile che serpeggiava intorno alla lama. Poi Adam diede una secca torsione semicircolare allo skean dubh. Il suo avversario mandò un grido di stupore quando l'elsa si ribellò alla sua presa, scrollandosi fra le dita che la impugnavano. Dopo qualche istante di lotta, incapace di tenere ferma l'arma, lui imprecò fra i denti e la gettò via, poi volse le spalle e corse disperatamente verso il motoscafo in attesa. Era destino che non lo raggiungesse mai. Pronto ad approfittare di ogni attimo di debolezza, lo sciame degli elfi lo raggiunse con un ronzio furioso, e il sangue sgocciolò sui sassi quando miriadi di minuscoli esseri abbatterono la preda sotto l'assalto delle loro frenetiche zanne. L'uomo cadde, contorcendosi selvaggiamente. Adam s'affrettò ad avvicinarsi a Peregrine per proteggerlo, dopo essersi chinato a raccogliere la Spada degli Hepburn. I due uomini saliti sul motoscafo non avevano intenzione di stare a guardare cosa sarebbe successo. Avevano già caricato a bordo la cassetta di metallo. Con aria terrorizzata uno di loro girò la ruota del timone e diede gas, facendo voltare l'imbarcazione in un turbine d'acqua agitata. Peregrine vide il motoscafo allontanarsi dalla riva, ma in quel momento riusciva solo a pensare al dolore della ferita alla mano, che lo stordiva. A una decina di metri da lì, le piccole creature verdi s'alzarono dall'orribile massa sanguinolenta che giaceva sui sassi, ormai priva di ogni fattezza umana, e ronzarono con rabbia e con sgomento nel vedere che i ladri fuggivano col loro bottino. Alcuni elfi cercarono d'inseguire la barca sull'acqua del lago, ma l'energia che dava loro il sostentamento si spense ed essi caddero nella schiuma della risacca, dove perirono fra gemiti striduli e
sbuffi di vapore. Peregrine ansimò qualcosa, con la mano chiusa a pugno e stretta al petto, senza osare aprirla per paura di ciò che avrebbe visto. Aveva ancora l'anello di Adam, ma il sangue che sgocciolava fra le sue dita lo aveva coperto. «Dov'è Noel?» gli domandò Adam, mentre lo aiutava a tirarsi in piedi. Si guardò attorno, preoccupato. «Hai visto Noel, da qualche parte?» «No, io...» «Qui, prendi questo e restami accanto, schiena contro schiena!» ordinò, Adam, mettendogli nella mano sinistra lo skean dubh. «Ora si rivolgeranno contro di noi. Usa la lama per proteggerti.» Lo sciame di Faerie si rialzò come una nuvola di smeraldo e lasciò la riva del lago, tornando verso di loro. Il coro stridulo di quelle piccole voci era più acuto e .inferocito che mai. Storditamente Peregrine alzò lo skean dubh come aveva visto fare ad Adam, anche se ogni fibra del suo essere gridava che era tutto inutile... Nel frattempo, sulla scarpata battuta dalla pioggia a destra della caverna, McLeod si stava contorcendo sotto la massa di fanghiglia e sassi che lo aveva sepolto a mezzo. Aveva ancora in mano la pistola, però i suoi occhiali erano andati persi. L'ispettore rivolse la sua attenzione alla spiaggia. Gli uomini usciti dalla caverna non si vedevano più, ma uno sciame di lucciole verdastre ronzava furiosamente poco distante dalla riva... e cinque o sei metri più al largo il motoscafo stava facendo manovra per allontanarsi nell'oscurità del lago. Poté vedere che a bordo c'erano due uomini incappucciati di nero. Dopo essersi alzato in ginocchio, McLeod appoggiò il braccio destro su una roccia e sparò una mezza dozzina di colpi verso gli uomini sull'imbarcazione, pur sapendo che probabilmente erano troppo lontani per una pistola. Infatti i proiettili non andarono a segno, ma mentre imprecava fra i denti il suo sguardo fu attratto da un movimento nella nuvola degli elfi, che ora stava roteando intorno a due figure familiari a qualche metro dalla sponda. Con un ansito McLeod si lasciò scivolare giù per il pendio, seduto nella fanghiglia molle, e quando fu sulla spiaggia si tirò in piedi, sgocciolando melma, per poi barcollare in tutta fretta verso i due compagni... finché quasi inciampò sullo Stendardo degli Elfi, fra i rottami della sua cornice. Per un momento si fermò a guardarlo. Poi, colto da un'intuizione, s'infilò la pistola nella cintura dei pantaloni e si chinò verso l'antica reliquia, scostando le schegge di vetro. Nella sua mente non c'era alcun dubbio... forse
perché lui non aveva visto il primo degli incappucciati consumarsi e bruciare all'istante, vittima della sua presunzione. Ma Adam aveva visto, e quando capì cosa lui stava per fare ebbe un sussulto. «Noel, non toccarlo!» gridò, cercando di tenere alla larga gli elfi inferociti e nello stesso tempo guardando l'amico. «La leggenda è vera! L'uomo che portava lo Stendardo si è dissolto in una nuvola di fumo!» «Vuol dire che lui non era un MacLeod» fu la risposta baldanzosa dell'ispettore, nella cui voce non c'era alcuna incertezza. Con reverenza l'uomo si chinò a estrarre lo Stendardo degli Elfi dai resti della cornice dorata, lo sollevò fra le mani con un grugnito soddisfatto... e non gli accadde nulla. Mentre il sangue dei MacLeod cantava nelle sue vene quasi al ritmo di un'antica musica di guerra, si mise lo Stendardo sulle spalle come una mantellina e andò verso i due compagni, agitando bellicosamente un pugno e gridando con tutto il fiato che aveva in corpo il motto dei MacLeod: «Tieni duro!» Senza badare affatto agli elfi inferociti, attraversò il loro sciame e raggiunse Adam e Peregrine, che lo guardavano stupefatti. Una mano robusta prese con fermezza per una spalla ciascuno di loro, intanto che l'uomo alzava la voce per sovrastare impavidamente il ronzio dello sciame. «Fatevi avanti, Figli della Terra, dell'Aria e del Fuoco! Nel nome del primo antenato dei MacLeod, capo e fondatore del nostro clan, io, Noel Gordon McLeod, prendo questi uomini sotto la protezione dello Stendardo degli Elfi di Dunvegan. E voi non farete loro alcuna offesa, perché altrimenti infrangereste l'antico patto fra il clan dei MacLeod e il Popolo di Faerie!» Subito il coro di voci stridenti e disumane si abbassò in un ronzio meno aggressivo, e la nuvola verdolina si alzò di qualche spanna, anche se le strane lucciole non cessarono di roteare sopra le loro teste, inquiete e affamate. «Abbassate le lame» mormorò McLeod ai due compagni, in fretta. «Devo ancora convincerli che non siamo noi il nemico. La vista dell'acciaio li rende poco amichevoli nei confronti degli uomini.» Senza esitazione Adam abbassò la Spada degli Hepburn. Peregrine, con maggiore riluttanza, puntò verso il suolo la lama dello skean dubh. Mentre il ronzio delle acutissime voci degli elfi saliva e scendeva, McLeod alzò la faccia verso di loro. «Voi siete stati gravemente offesi, o Popolo di Faerie» disse ancora.
«Ma non rivolgete la vostra giusta ira contro coloro che sono vostri alleati. Non siamo stati noi a rubare i vostri tesori! Laggiù su quella barca, ecco dove stanno i vostri nemici!» L'ispettore indicò il lago, togliendo un momento la mano dalla spalla di Adam. «Noi, qui, sotto la protezione dello Stendardo degli Elfi, siamo vostri amici, venuti a punire i malvagi!» Per alcuni lunghissimi secondi i tre uomini attesero, osando appena respirare, Adam e Peregrine con le loro lame abbassate e McLeod fieramente eretto con lo Stendardo bagnato sulle spalle. Poi, con loro immenso sollievo, il vortice degli esseri fatati si sollevò e prese ad allontanarsi. Tuttavia non si disperse. Anzi, la nuvola di lucciole verdastre si allungò su tutto l'arco della spiaggia come un nastro di smeraldo che separava la terra dal cielo, continuando a ronzare con una furia tutt'altro che placata. Il vento cadde, la superficie del lago si appiattì in pochi momenti, e sulla buia distesa d'acqua piombò un silenzio ultraterreno carico di aspettativa. «Sembra che siano in attesa di qualcosa» borbottò McLeod, ripulendosi il fango dalla faccia con una mano. «Ma in nome del cielo, cosa possono volere ancora?» Sopra il lago si accendevano a tratti i pallidi bagliori dei lampi, che esplodevano fra le nuvole basse. Alla loro luce era possibile scorgere il motoscafo che accelerava verso sud. Il rombo del suo motore diesel era chiaramente udibile sopra il rumore della pioggia, e dalla parte opposta erano adesso visibili le luci di altre due imbarcazioni in avvicinamento. Non si trattava della polizia di Fort Augustus, ma di due piccoli motoscafi privati, probabilmente attratti dai fuochi pirotecnici di poco prima. I loro fari di prua inquadrarono e seguirono il motoscafo, che però era molto più veloce e stava filando via nella notte. A un tratto però accadde una cosa inaspettata. Quello che sembrava un fulmine globulare verdolino colpì le acque proprio davanti alla prua del motoscafo in fuga, accompagnato dal crepitio di un tuono. Per un istante l'acqua del lago in un raggio di una dozzina di metri attorno all'imbarcazione s'illuminò di una misteriosa fluorescenza smeraldina. Subito il motore del motoscafo perse potenza, come mandato in stallo dal fulmine. Sulla sinistra, a circa duecento metri di distanza, anche le altre due barche restarono simultaneamente in avaria, e i raggi dei loro fari di prua smisero di muoversi, intanto che i loro occupanti si dedicavano al guasto. Ma qualcos'altro stava accadendo al motoscafo, che s'era fermato e ora galleggiava inerte, perché i due uomini stavano urlando parole incompren-
sibili in tono spaventato, mentre cercavano freneticamente di avviare il motore. All'apparenza ciò che li aveva allarmati non erano le due barche, ma qualcosa che si trovava fra loro e la riva. E fu là che, illuminata sporadicamente dalle luci delle imbarcazioni e dai lampi, una grossa testa triangolare sbucò dall'acqua e si alzò, sostenuta da un poderoso collo ricurvo, girando attorno due fosforescenti occhi giallastri larghi come piatti. «Per tutti i diavoli dell'inferno!» ansimò McLeod. «Vedete anche voi quello che vedo io?» Né Adam né Peregrine gli risposero, ma le orde di Faerie accolsero la comparsa del mostro acquatico con strida crudelmente soddisfatte. Per qualche momento la creatura sembrò esitare, in ascolto di voci che soltanto lei poteva udire. Poi la grande testa si abbassò, come in atto d'ubbidienza, e il suo sguardo da basilisco si volse verso il motoscafo in stallo. Il grande collo crestato si curvò maestosamente, e dall'acqua emersero nere spire serpentine che sembravano non avere fine. Poi, con un languido ondeggiare della lunghissima coda, la creatura si mosse avanti verso la sua preda, nuotando con velocità crescente. «Oh, mio Dio!» mormorò Peregrine. «Sono stati loro... lo hanno mandato contro la barca!» Il motoscafo ondeggiava e girava su se stesso, intanto che i due uomini rinnovavano i loro sforzi per accendere il motore. I fari delle altre due barche spazzavano l'acqua in direzioni a caso, e i loro occupanti non sembravano aver capito cosa stava succedendo. Alzando un ventaglio di schiuma, la creatura acquatica abbassò la testa e si avvicinò al bersaglio. Uno degli uomini impugnò l'Uzi e cominciò a sparare selvaggiamente, ma la grande testa s'immerse e il suo avvicinamento continuò. Non azzannò l'imbarcazione, tuttavia. Quando le fu arrivata sotto furono le spire del suo corpo a sollevarsi e ad avvolgerla, per risucchiarla in pochi istanti sotto la superficie dell'acqua. L'uomo con l'Uzi scomparve senza lasciar traccia, ma si udirono alcune grida quando l'altro riemerse e cercò di nuotare via, agitandosi in preda a un terrore folle, finché l'acqua biancheggiò tutto attorno e anche lui scomparve alla vista. Mentre i tre uomini rimasti sulla spiaggia guardavano la scena, affascinati e inorriditi nello stesso tempo, la grande testa riapparve fra le onde, con un corpo umano che si agitava debolmente fra le sue zanne. Poi l'uomo, il mostro e i rottami del motoscafo scomparvero in un vortice di schiuma quando il collo ricurvo s'immerse di nuovo, trascinando la sua preda nelle profondità insondabili del Loch Ness.
Pian piano le acque agitate si placarono, e sulla superficie del lago tutto tornò tranquillo. Ma il silenzio non durò molto, perché un paio di minuti dopo i motori delle altre due imbarcazioni si riaccesero, e i loro fari cominciarono a frugare le onde scure alla ricerca di sopravvissuti. Non trovarono nessuno. Gli elfi, frattanto, sembravano finalmente appagati. Sollevandosi in un coro di strida gioiose, le lucciole verdi dello sciame di Faerie presero a girare in cerchio sopra la testa dei tre uomini rimasti sulla spiaggia, col risultato che invece di rasserenarsi Peregrine cominciò a temere che avessero ancora intenzioni ostili. Ma da lì a poco l'avanguardia degli elfi deviò bruscamente verso l'apertura della caverna, e il resto dello sciame la seguì. Il vortice di lucciole verdi rientrò nella collina, trascinandosi dietro sassi e terra come un uragano al suo passaggio. Alla fine le ultime creature fatate sparirono nella grotta, e l'imboccatura si chiuse dietro di loro con un rumore tonante. Nel silenzio che seguì, il cielo sopra il lago cominciò a schiarirsi un poco, smise di piovere, e in uno squarcio fra le nuvole apparve una falce di luna. McLeod sedette pesantemente su un macigno e si passò una mano sulla faccia, con aria sfinita; poi cominciò lentamente e con attenzione a togliersi dalle spalle lo Stendardo degli Elfi. Peregrine era caduto in ginocchio per la reazione nervosa, stringendosi al petto la mano ferita e lo skean dubh. Adam, dopo uno sguardo alla spada che aveva in pugno, si voltò verso la caverna degli elfi, ora visibile solo come una depressione sulla scarpata dell'altura. Per un momento restò immobile, offrendo il suo silenzioso tributo ai poteri che li avevano risparmiati; poi sollevò la spada in un breve saluto, prima di conficcarla di punta fra i sassi della spiaggia. Quando la lasciò, l'artistica elsa oscillò avanti e indietro come un pendolo. Più oltre, le onde di Loch Ness s'erano già placate, sotto un cielo illuminato dalla luna. Gli occupanti delle due barche dovevano aver capito che il motoscafo era affondato, perché stavano girando in cerchio alla ricerca dei superstiti; ma a galla c'era soltanto qualche piccolo oggetto. Da sud si avvicinava intanto la luce di una terza imbarcazione. «Sta per arrivare altra compagnia» disse Adam, chinandosi stancamente a prendere lo skean dubh dalla mano inerte di Peregrine. «Saranno i rinforzi che hai chiesto alla polizia?» McLeod si voltò a guardare a meridione e si alzò dal macigno, mentre il rumore di un diesel si faceva sempre più intenso e un potente faro illumi-
nava la superficie del lago. «Adesso si decidono a farsi vedere!» brontolò. Si tolse l'impermeabile e lo usò per avvolgervi dentro il fragile e malconcio rettangolo dello Stendardo degli Elfi. «Non che faccia qualche differenza. Anzi, probabilmente è meglio che non siano arrivati prima.» Adam tirò fuori il fodero dello skean dubh, vi infilò il pugnale e rimise il tutto in tasca, continuando a guardare le luci che si avvicinavano. La luce della luna rivelò alla fine un grosso cabinato bianco lungo una quindicina di metri, col ponte di poppa coperto da un telone. «Si direbbe un'imbarcazione da diporto» constatò Peregrine, cercando di non pensare alla mano ferita. «Già, così pare.» McLeod strinse le palpebre per aguzzare la vista, poi tornò accanto a loro e scosse il capo. «Conosco quella barca. È la Queen of Alba. Durante la stagione turistica la usano per scarrozzare la gente su e giù per il lago, ma d'inverno viene adibita a guardacoste, se la polizia ne ha bisogno. Oh, Cristo!» Sedette di nuovo sul macigno, con aria preoccupata. «Che razza di rapporto posso scrivere su questa faccenda? Se scrivessi quello che ho visto, mi proporrebbero una lunga vacanza... in una clinica psichiatrica. Ma non so cosa potrò inventare.» «Ti capisco» sorrise Adam. Tirò fuori di tasca la torcia elettrica e si chinò accanto a Peregrine. «Ti dispiacerebbe reggermi questa?» domandò a McLeod. «Vorrei vedere in che stato è la mano di Peregrine, prima di essere sommerso dalle domande di quella gente.» Il cuore di Peregrine stava ancora galoppando in reazione a ciò che aveva visto accadere sul lago, ma una nuova paura gli strappò una smorfia quando Adam gli prese a mano e cominciò a fargli aprire le dita. «Dannazione, io faccio il pittore» bofonchiò, strizzando le palpebre nella luce della torcia tenuta da McLeod. «E non riesco più a sentirmi le dita.» «Meglio, così non ti farà male quando te le raddrizzerò. Uh, sì, vedo...» «Adam, sto per svenire» riuscì a mormorare il giovanotto. «No, non farlo.» Adam esaminò la mano e annuì. «Seguimi là vicino all'acqua, e lasciami lavare via un po' di sangue» disse, aiutandolo a muoversi. «Te la caverai, non temere. Fai un lungo respiro per schiarirti la mente, così non perderai i sensi. L'acqua è gelata, e non ti farà male quanto pensi. Coraggio.» Dopo avergli sciacquato la mano nella risacca, gli annodò un fazzoletto intorno all'avambraccio per fermare il sangue e la guardò meglio. Poi sfilò via con cautela l'anello col castone di zaffiro dal dito medio, leggermente
lacerato, e lo passò a McLeod. «Be', l'anello dovrà essere portato a riparare» diagnosticò in tono leggero, tastando le ossa intorno alla ferita sul palmo. «E non dire che non ti ha protetto, perché probabilmente ti ha salvato due dita. Guarda com'è ridotto.» Un po' stordito, Peregrine guardò l'anello che McLeod gli mostrava sul palmo della mano. Lo spesso cerchietto d'oro aveva una profonda intaccatura, là dove la Spada degli Hepburn lo aveva colpito. «Sei fortunato, le ossa non sono fratturate» disse ancora Adam, usando il fazzoletto di McLeod per improvvisargli una fasciatura. «Avrai bisogno di otto o dieci punti, ma non ti resterà una cicatrice molto evidente. Vorrei che il resto fosse altrettanto facile da spiegare...» Sul lago, il suono di una sirena della polizia annunciò che la Queen of Alba ce l'aveva con loro. Il faro da ricerca dell'imbarcazione s'era fermato sui tre uomini accovacciati sulla piccola spiaggia. «Ehi, voialtri laggiù!» li interpellò una voce autoritaria. «Qui è la polizia. Restate dove siete, e preparatevi a fornire le vostre generalità!» CAPITOLO VENTITREESIMO La scoperta che McLeod era un funzionario di polizia fuori dalla sua giurisdizione produsse dapprima più confusione che chiarificazioni, finché il sergente a bordo della Queen of Alba capì che era lui l'autore della disturbatissima telefonata che li aveva convocati nella zona di Urquhart. Dopo aver ordinato alle due barche di restare nelle vicinanze, la Queen of Alba approdò al molo turistico a nord del castello, trattenendosi il tempo necessario per sbarcare alcuni agenti di polizia, quindi raggiunse le due imbarcazioni che ancora perlustravano le acque in cerca dei superstiti di quello che venne definito uno strano incidente. Durante l'ora che seguì, da Inverness sopraggiunsero altri rinforzi: mezza dozzina di auto della polizia, un furgone della scientifica e un'ambulanza. La dichiarazione di McLeod sul fatto che stava inseguendo i ladri che s'erano impossessati dello Stendardo degli Elfi non sorprese molto i suoi colleghi. Avevano già sentito parlare del furto tramite i normali canali della polizia, e nessuno sembrò trovare strano che McLeod avesse rintracciato i responsabili lì a Urquhart, seguendo «la sua intuizione». La ricostruzione del furto, così come la presentò McLeod, fu che un gruppo di malfattori non meglio identificati avesse trafugato lo Stendardo
degli Elfi dei MacLeod per ragioni ancora da determinare. Poiché nessuno dei colleghi accennò all'omicidio della donna rinvenuta sulla costa di Skye, lui non ne parlò affatto. In quanto agli effetti pirotecnici e alla luce verdastra di cui riferirono gli occupanti delle due piccole imbarcazioni, costoro fecero delle ipotesi che la polizia si annotò, ma non furono in grado di speculare sul motivo per cui il motoscafo fosse affondato. McLeod disse che non ne sapeva di più, perché in quel momento era mezzo sepolto da una slavina verificatasi sulla scarpata durante una sparatoria coi responsabili, che avevano trovato riparo sulla spiaggetta nel corso della tempesta. Questa versione fu confermata dal medico della polizia che esaminò le condizioni di McLeod, e dal ritrovamento di vari bossoli nel punto in cui questi disse di essere caduto. In base alle scarse prove emerse in quelle ore antelucane, la teoria prevalente fu che i responsabili del furto dello Stendardo degli Elfi - delinquenti evidentemente disposti anche a ricorrere all'uso delle armi - avevano fatto sosta a Urquhart per motivi noti soltanto a loro. Qualcuno ipotizzò che durante la sparatoria un proiettile avesse colpito l'impianto elettrico del motoscafo, danneggiandolo. «Sembra qualcosa di più grave della solita banda di ubriachi venuti a celebrare la notte di Halloween al castello» commentò uno degli agenti. Tuttavia fu riscontrata la mancanza di risposte soddisfacenti sul «come» e sul «perché». E c'era un limite alle informazioni che Adam era disposto a dare allo scopo di chiarire lo svolgimento dei fatti. «A me risulta che l'ispettore McLeod sia stato convocato in via privata dal Capo dei MacLeod, dopo il furto dello Stendardo degli Elfi» disse Adam al sergente che si stava annotando le sue dichiarazioni, nell'interno del furgone della scientifica. «L'ispettore conosceva il mio interesse nella preservazione dei tesori artistici della Scozia, grazie alla nostra amicizia di vecchia data, così mi ha invitato a seguirlo.» «E questo signore... uh... questo Mr. Lovat?» domandò il sergente, consultando i suoi appunti. A pochi passi da loro, Peregrine sedeva sul pianale posteriore dell'ambulanza, dove la mano gli era stata curata. I tre uomini s'erano accordati sugli elementi essenziali della versione da riferire alla polizia, poco prima che gli agenti sbarcassero dalla Queen of Alba. «Oh, Mr. Lovat è un pittore» rispose Adam con serietà. «Stava eseguendo una serie di disegni, per illustrare degli articoli folkloristici che intendo scrivere sui tesori d'arte meno conosciu-»
ti della Scozia. C'era il progetto di recarci nelle Highlands, a Skye, qui a Inverness e in altri posti, quando l'ispettore mi ha telefonato. Così, naturalmente, ha chiesto di venire anche lui. «Mmh, giusto» annuì il sergente, prendendo nota sul suo taccuino. «E lei dice che si è tagliato la mano su un pezzo di vetro?» «Proprio così. Nella loro fretta di risalire a bordo e fuggire, i ladri hanno lasciato cadere lo Stendardo degli Elfi, spaccando la cornice e mandando in pezzi il vetro. Ovviamente la nostra prima preoccupazione era che quella delicatissima reliquia non fosse rovinata dalla pioggia, così ci siamo precipitati a raccoglierla. Sfortunatamente la destrezza di Mr. Lovat non è stata pari al suo zelo. Mentre ci aiutava a recuperare lo Stendardo e metterlo al riparo, è inciampato, finendo con la mano sui cocci di vetro.» «Sì, capisco» disse il sergente, accigliandosi pensosamente ma convinto che il suo interlocutore, benché sembrasse un tipo eccentrico, dicesse soltanto la pura verità. Dopotutto era un baronetto, e un rispettato membro della professione medica. «Ora, prima stavamo parlando di quel motoscafo, Sir Adam» continuò il sergente. «Uno degli agenti ha fatto l'ipotesi che il serbatoio sia scoppiato, ma questo non sembra confermato dagli occupanti delle altre due barche, i quali non hanno notato alcuna esplosione. Uno di loro afferma anzi di aver visto un oggetto scuro nell'acqua. Dunque si potrebbe presumere una collisione. Lei può confermare questa versione?» «Be', Suppongo che il motoscafo debba aver urtato in un ostacolo. Un tronco sommerso, forse, o qualcosa del genere.» Il sergente lo guardò, con la penna sollevata. «Un tronco, lei dice. Non qualcosa che si muoveva nell'acqua?» Adam inarcò un sopracciglio, e lasciò che le sue labbra si curvassero in un sorrisetto scettico, derisorio. «Avanti, mio caro signore! Io sono uno psichiatra. Non si aspetterà che dichiari di aver visto il Mostro di Loch Ness mentre avvolgeva una barca nelle sue spire per trascinarla giù nelle profondità del lago!» Il sergente ridacchiò, scuotendo il capo. «Lei sarebbe sorpreso dalle storie che io sento raccontare quasi ogni giorno, Sir Adam. Lavoro a Inverness da vent'anni, e navigo sul lago in continuazione. A volte penso che tutte le teste balzane d'Europa debbano venire almeno una volta da queste parti, come in pellegrinaggio.» «Mmmh, certi posti hanno questa caratteristica» fu d'accordo Adam. «Già. Dunque lei ha visto quell'imbarcazione urtare in un tronco som-
merso?» chiese il sergente, riprendendo a scrivere. «Onestamente non posso dire questo, no. Che abbia urtato in un tronco è solo una mia ipotesi. In quel momento stavo soccorrendo Mr. Lovat, che sanguinava copiosamente. Ha riportato un brutto taglio alla mano destra, sa, e per un pittore questo può essere grave.» «Sì, be', la ringrazio, Sir Adam» rispose il sergente, chiudendo il taccuino con un sospiro. «Forse più tardi dovremo rivolgerle qualche altra domanda, ma per il momento credo che i ragazzi dell'ambulanza abbiano un thermos di caffè caldo. Lei ha l'aria di averne bisogno.» L'indagine vera e propria non avrebbe potuto cominciare fino alle prime luci del giorno, naturalmente, anche se la Queen of Alba e le altre barche continuarono a perlustrare il lago in cerca di resti del motoscafo e di eventuali cadaveri. La polizia chiuse con nastri di plastica gialla l'accesso al castello. Quando sorse il sole, gli agenti della scientifica cominciarono a esaminare la spiaggia, per avere qualche indizio concreto di ciò che era accaduto. Verso mezzogiorno, la somma totale dei reperti era minima, per quanto preoccupante: i bossoli della pistola di McLeod, i frammenti di legno dorato e vetro della cornice, pezzi di indumenti laceri, resti di carne molto martoriata e chiazze di sangue raggrumato. Fu la depressione alla base della scarpata, sotto il castello, che diede più da pensare agli investigatori. Appariva chiaro che lì s'era verificata un'esplosione di qualche genere, forse una granata a mano. «Suppongo che quell'incavatura possa passare per il cratere di un'esplosione» disse Peregrine ad Adam, dubbioso. «Ma ora la polizia sta pensando a un complotto di terroristi. Cosa c'è da terrorizzare qui, in un vecchio castello abbandonato? Non si può certo dire che Urquhart sia un simbolo nazionale scozzese, o qualcosa del genere.» I due stavano bevendo caffè seduti sul sedile posteriore di una delle auto della polizia venute da Inverness, dopo che il medico dell'ambulanza aveva cucito con otto punti la mano di Peregrine. L'uomo aveva fatto un ottimo lavoro, a giudizio di Adam, forse stimolato anche dalla sua presenza; ma l'effetto dell' anestesia locale risalente a un'ora prima era cessato, e ogni volta che il giovanotto muoveva la mano aveva delle fitte di dolore. Il parcheggio delle auto era pieno di veicoli, e anche sulla strada c'era un certo traffico. Guardando il capo della polizia di Inverness che andava avanti e indietro, di fronte all'ingresso, Adam bevve un sorso di caffè e disse a Peregri-
ne: «Non c'è dubbio che l'ipotesi della granata sembri abbastanza assurda a noi. Ma per quanto improbabile, è la versione che meglio si adatta ai fatti conosciuti dalla polizia. La gente si è adattata all'idea che ogni tanto debbano avvenire atti di terrorismo, ed è questo che oggi corrisponde all'idea di normalità. Come pensi che reagirebbe il pubblico, se noi dicessimo la verità?» Peregrine alzò lo sguardo dal bendaggio e sogghignò, conscio che la verità su come s'era procurato quella ferita avrebbe sollevato interrogativi ai quali nessuno di loro era preparato a rispondere. «Suppongo che tu abbia ragione» disse, dopo un momento. «Però non avrebbero dovuto dare tanto credito alla teoria del tronco sommerso. Qui a Inverness sono talmente stanchi delle storie sul Mostro che si arriva all'estremo opposto, al punto che Nessie potrebbe andarsene tranquillamente in giro per il lago e tutti direbbero: "No, quello è un tronco sommerso".» «Ah, ma questo paradosso è già accaduto» disse Adam. «Negli anni Cinquanta, qui sul lago, uno sportivo di nome Campbell urtò un tronco, mentre cercava di battere un record di velocità con un motoscafo di nome Bluebell. O almeno, tutti dichiararono che era un tronco. Ma quando i giornalisti se ne furono andati, i testimoni oculari cambiarono versione, e in privato parlarono di una turbolenza improvvisa nell'acqua davanti al motoscafo, subito prima che questo capotasse ed esplodesse.» E rivolse a Peregrine un sogghigno ironico. «Proprio qui davanti a Urquhart» continuò Adam, «durante la Seconda Guerra Mondiale, una motosilurante della Royal Navy che faceva delle prove di velocità impattò contro un ostacolo che, secondo il capitano "era morbido, ed emise un verso stridulo". Sulla prua di legno dell'imbarcazione furono riscontrate incavature lasciate da una larga chiostra di denti. Difficile pensare che fosse un tronco... ciò nonostante, succede che le barche urtino dei tronchi. Almeno, succede abbastanza spesso da giustificare l'ipotesi fatta per questo incidente.» Mentre Peregrine considerava quegli avvenimenti, Adam si voltò ancora a guardare il parcheggio del castello. La Volvo dei MacLeod di Dunvegan era là. Ce l'aveva portata un carro attrezzi dopo averla recuperata, un paio d'ore prima. A parte il fango, i resti di erbacce incastrati dappertutto e qualche ammaccatura sulla parte anteriore della carrozzeria, sembrava che non ci fossero guasti d'altro genere. Dietro la macchina, McLeod era tutto preso da una conversazione con un uomo alto dall'aspetto distinto, che indossava un elegante impermeabile
bianco. Un'auto della polizia lo aveva portato lì mezz'ora addietro. Seguendo lo sguardo di Adam, Peregrine notò che l'interlocutore di McLeod aveva un berretto Balmoral, con le tre piume d'aquila fissate al nastro orizzontale, simbolo che poteva essere esibito solo da un capoclan delle Highlands. «Adam» domandò il giovanotto, «quell'uomo è chi io penso che sia?» Adam annuì, piegando gli angoli della bocca in un sorrisetto. Mentre i due guardavano, McLeod prelevò da un'auto della polizia un involto largo e piatto e lo consegnò con molta cura al capo-clan. Al vederlo era semplicemente un pacco di stoffa marrone, chiuso con del nastro adesivo rosso, ma per la seconda vista di Peregrine, anche in piena luce solare, l'oggetto era circondato da un'aura luminosa verdolina che parlava di strane energie ultraterrene. L'uomo alto lo prese in consegna con la stessa reverenza mostrata dall'ispettore quella notte, quando - a Peregrine sembrava trascorsa una vita - lo aveva sollevato fuori dai resti della cornice. Poi, dopo aver stretto calorosamente la mano a McLeod, l'uomo si scostò, dando modo a quest'ultimo di aprirgli lo sportello della macchina, scivolò al posto di guida e depose dolcemente l'involto sul sedile accanto al suo, intanto che l'ispettore richiudeva lo sportello. McLeod si fece indietro, mentre l'uomo col berretto da highlander metteva in moto la Volvo e la portava fuori dal parcheggio, oltre la transenna della polizia, e dopo aver alzato una mano in segno di saluto accelerava verso sud, sulla strada che lo avrebbe riportato al castello di Dunvegan. Subito dopo l'ispettore raggiunse i due amici e si mise a sedere sul sedile anteriore dell'auto, con aria stanca e soddisfatta. «A quanto pare, hai appena dato via una delle poche prove che qui è stato commesso un crimine» scherzò Adam, intanto che l'ispettore prendeva il thermos dal sedile e si versava un bicchiere di caffè. McLeod annuì, bevve un sorso e la sua faccia si contrasse in una smorfia. «Per la miseria! Come siete riusciti a bere questa roba, voi due?» grugnì, aspramente. «Di quale prova stai parlando? L'oggetto da noi recuperato avrebbe potuto riportare altri danni, se non fosse stato rimesso subito in mani esperte. Ho firmato io, per la consegna. Inoltre, non possiamo certo rischiare che spariscano in una nuvola di fumo tutti gli agenti della polizia di Inverness... a parte i MacLeod, ovviamente.» «Potrebbe succedere?» domandò Peregrine. «Voglio dire, quell'uomo è
davvero scomparso in una nuvola di fumo quando ha toccato lo Stendardo degli Elfi?» McLeod appoggiò languidamente un braccio sullo schienale del sedile ed elargì a Peregrine uno sguardo angelico. «Lo domandi a me? Sulla spiaggia in quel momento c'eravate voi, signori miei. Io mi stavo opponendo al demonio, che aveva odiosamente cercato di seppellirmi prima del tempo stabilito. Naturalmente, la versione ufficiale è che la frana sia stata prodotta da una granata.» L'ispettore fece per bere un altro sorso di caffè, poi ci ripensò, aprì lo sportello dell'auto e gettò fuori il contenuto del bicchiere. «Oh, a proposito, Peregrine» aggiunse, voltandosi verso il giovanotto mentre richiudeva lo sportello. «Questa notte non ti sei comportato male. Solo, cerca di rispettare meglio le istruzioni, la prossima volta.» «La prossima volta, Noel?» Mentre Peregrine spalancava gli occhi, dietro gli occhiali, Adam fece udire una risatina d'approvazione. «Noel ti stava prendendo in giro, Peregrine» osservò, allegramente. «Voleva dire che hai passato l'esame d'ammissione.» «Scusa, ma ho capito bene?» «Come forse ricorderai, giorni fa ti ho detto che io avevo altre funzioni, a parte quella di psichiatra. Noel e io facciamo parte di un gruppetto di... possiamo chiamarli "specialisti", che si occupano di faccende di questo genere: casi di crimini nei quali siano coinvolti elementi di quello che i profani chiamerebbero "il soprannaturale". Suppongo che noi potremmo essere definiti una specie di... uh, polizia dell'occulto.» Peregrine lo guardava in silenzio, continuando a fissarlo con aria fra preoccupata e timorosa. «Tu... non è che stai scherzando, vero?» sussurrò. «Credo che tu sappia già la risposta» disse Adam, con un sorriso. «Il nostro compito è di fare in modo che progetti come quello a cui ci siamo opposti questa notte non vadano a compimento. E poiché la conoscenza di certe cose è troppo soggetta a malintesi, cerchiamo di camuffare questi casi con vesti meno esoteriche, per la tranquillità mentale del resto della popolazione.» «Considera questo particolare caso» disse McLeod. «Per quanto riguarda l'uomo della strada, gli avvenimenti della notte scorsa sono soltanto una serie di incidenti, cose forse bizzarre ma sempre spiegabili secondo la logica più materialistica. Anche se noi abbiamo stiracchiato la nostra versione dei fatti al punto che faceva acqua da tutti i buchi, gli esseri umani cre-
dono a quello che si aspettano di dover credere... e questo ci offre il modo di inventare l'opportuno camuffamento, senza neppure doverci sforzare troppo.» McLeod guardò Adam, che confermò quelle parole annuendo. «Tutto questo, comunque, è un invito» disse Adam. «Il tuo talento nel vedere oltre le cose fa di te uno di noi, in spirito. Ci piacerebbe che tu fossi uno di noi anche nella pratica... un membro della squadra. Se tu pensi che sia quello che vuoi.» Peregrine poteva sentire il sangue che gli pulsava nelle tempie. Per un lungo momento guardò Adam e McLeod, cercando di capire a fondo la portata di ciò che i due uomini gli stavano proponendo, ma nella sua mente non apparivano risposte... soltanto nuove domande. «Io... credo di capire quello che mi chiedete» cominciò a dire, misurando le parole. «Ma io... sì!» esclamò infine, gettando da parte ogni esitazione. «Voglio partecipare anch'io! Non ho ancora per niente chiaro cosa potrei fare, ma...» «Per fortuna, non è tanto questione di fare qualcosa» intervenne Adam, «quanto di diventare qualcosa di più di ciò che sei al presente. Tu hai un enorme potenziale, come credo che tu stesso abbia capito nell'ultima settimana. Per me sarebbe un piacere e un onore aiutarti a sviluppare questo potenziale per consentirti di farne un uso pratico, effettivo. Ma la decisione deve...» «Aspetta un momento, Adam» disse McLeod, alzando una mano. «C'è un agente che viene da questa parte, con l'aria di volere qualcosa.» Mentre l'uomo si avvicinava alla macchina, l'ispettore abbassò il finestrino. «Sta cercando me?» gli domandò. «Sì, signore. Il supervisore vorrebbe parlarle. È là, nel furgone.» «Scusatemi, tornerò appena possibile» mormorò McLeod. Scese dall'auto e seguì l'agente. Rimasto solo con Peregrine, Adam rifletté qualche momento prima di riprendere il discorso. «Come stavo dicendo, la decisione dev'essere tua» lo avvertì. «L'offerta che ti abbiamo fatto non è buttata lì alla leggera, e io non voglio che tu prenda un vero impegno senza le considerazioni necessarie. Ci hai fatto notare che non sai di preciso cosa fare, e io ti ho risposto che non è questione di fare quanto di essere. D'altra parte c'è una cosa che puoi fare, per aiutarci a chiarire le cose, se vuoi procedere con serietà.» «Sì?»
«Rientra nelle tue capacità, te lo assicuro» lo tranquillizzò Adam, notando l'espressione un po' ansiosa di Peregrine. «Immagino che fra un'ora al massimo qui non avranno più bisogno di noi. Da Inverness dovremmo poter prendere un aereo... o un treno, almeno. E con un po' di fortuna saremo a Strathmourne per l'ora di cena. Domattina, quando sarai più riposato, ti suggerirei di farti un autoritratto. Io credo che questo ti darà il genere di guida della quale hai bisogno, per capire quale sia la tua strada.» «Un autoritratto...» mormorò Peregrine. «Proprio così. Pensa agli schizzi che hai eseguito, il mio e quello di Noel, e poi chiediti se sei pronto a disegnare il Peregrine Lovat che c'è dentro di te. Pensaci.» Adam poté quasi sentire il tumulto delle riflessioni che s'accavallavano nella mente del giovane. E quando Peregrine annuì brevemente, con un sospiro, Adam sorrise e uscì dall'auto, lieto di aver dato al suo nuovo collega qualcosa che avrebbe distratto i suoi pensieri dagli orrori visti quella notte. Andò ad appoggiarsi alla ringhiera tubolare del posteggio e lasciò vagare pigramente lo sguardo sul pendio sottostante, dove si aggiravano ancora alcuni agenti di polizia. Più oltre, il Loch Ness si estendeva liscio e grigio sotto il sole pomeridiano, uno specchio d'acqua così profondo che nessuno era ancora riuscito a realizzare una mappa soddisfacente del suo fondale. La misteriosa cassetta metallica di Scot era finita laggiù... «Adam, ti dispiace venire un momento al furgone?» disse la voce di McLeod, distraendolo dai suoi pensieri. Voltandosi, vide che l'amico aveva una strana espressione. «Che c'è?» «Gli agenti della scientifica hanno appena trovato una cosa che credo dovresti vedere anche tu.» Il furgone della polizia si trovava all'ingresso del parcheggio. Lo sportello posteriore era aperto. Nell'interno, sul pavimento, Adam vide la Spada degli Hepburn, chiusa in un contenitore di plastica trasparente a cui era applicato un cartellino. McLeod fece cenno all'agente di guardia di scostarsi, e allungò una mano oltre la spada a prendere un'altra busta di plastica, fra le tante deposte nelle scatole di metallo. La consegnò ad Adam. «È un reperto che parla da sé, direi» borbottò, a disagio. La busta conteneva un dito umano incrostato di sangue. Ancora fissato intorno alla falange maggiore c'era un anello, il cui castone formato da un prezioso rubino orientale era un sigillo. Premendo il sigillo contro la plastica, Adam vide che la figura incisa sul rubino rappresentava il profilo di
un felino, col muso e gli orecchi irti di setole, le zanne scoperte in un feroce ringhio di sfida. La guardò per un momento, poi restituì la busta a McLeod. «Il Segno della Lince» mormorò, in tono piatto. McLeod ebbe un sospiro pesante, gettò il macabro reperto nella scatola di metallo da cui l'aveva preso, sedette sul bordo del pianale e si passò stancamente una mano sulla faccia. «Pensavo che fosse quello, sì» disse, «ma non potevo esserne sicuro, senza gli occhiali. È passato molto tempo dall'ultima volta che ho visto un sigillo come questo, e per dire la verità speravo di non vederlo mai più. Significa che la Loggia della Lince è tornata in azione?» «Temo proprio» disse Adam, «che non possa significare altro.» Per un momento tacque, perso nei suoi pensieri. Il ritrovamento di quell'anello gettava una luce più fosca sulle premonizioni di Peregrine e sulla sua impressione che eventi oscuri si fossero messi in movimento. Ora sapeva cos'era ciò che il giovane artista aveva cercato invano di disegnare, su quei medaglioni impossibili da mettere a fuoco. Adam aveva già avuto a che fare coi Signori della Lince. Che la Loggia fosse tornata in attività era una cosa che non prometteva niente di buono. Per il momento, comunque, la situazione era sotto controllo. Lui e McLeod erano ormai sull'avviso, con una nuova recluta da addestrare alla Caccia... e con tutta probabilità l'Opposizione non sapeva chi era stato a intralciare i suoi progetti. Naturalmente i Signori della Lince avrebbero svolto indagini, una volta appreso cos'era successo ai loro colleghi. Ma anche Adam avrebbe fatto le sue ricerche, quella stessa notte, appena avesse riposato un poco, dopo il suo rientro a Strathmourne. I Capi Interni dovevano essere informati... e c'era da comunicare loro anche il reclutamento di Peregrine Lovat. Dunque le cose stavano così. La Caccia avrebbe dovuto continuare. Ma quando fosse venuto il momento di un ulteriore confronto, un confronto inevitabile, lui e i suoi compagni non sarebbero stati colti impreparati. Nelle migliori tradizioni dei Templari non avrebbero evitato la battaglia, per quanto avverse fossero le circostanze. E c'erano anche altri pronti a fare la loro parte, se le linee telefoniche avevano finalmente ricominciato a funzionare! Adam scosse il capo, sorridendo per la dannata idiozia di tutta quella faccenda, e guardò McLeod. «Dobbiamo avvertire gli altri» disse pacatamente, con una mano in tasca
e le dita chiuse intorno al simbolo della sua Loggia. «È necessario mettere al lavoro dei segugi, e prendere precauzioni. Se la Loggia della Lince è di nuovo attiva, nessuno di noi sarà al sicuro dai suoi attacchi, appena scopriranno che gli stiamo alle costole.» McLeod grugnì un assenso, alzandosi in piedi. Poi si voltò verso il vento, che si rinfrescava, e raddrizzò le spalle. «Tu non sei preoccupato, spero.» «Preoccupato? No, affatto. Stimolato, diciamo.» Adam sorrise. «Se ricordo bene i romanzi di Sir Conan Doyle, Sherlock Holmes aveva una frase adatta per occasioni come questa.» McLeod lo guardò con un lieve sogghigno. «È vero» annuì. «Le circostanze non sono uguali, ma l'avversario non è poi tanto diverso. E come diceva Sherlock Holmes, "La partita è appena cominciata".» EPILOGO Due giorni più tardi, quando i fatti accaduti al castello di Urquhart fecero la loro comparsa sui quotidiani, una donna seduta alla scrivania del suo ufficio in un grattacielo di Glasgow scorreva i titoli di un giornale del mattino, sorseggiando una tazzina di caffè. L'articolo che parlava di quell'avvenimento attrasse il suo sguardo appena voltò pagina, e lo lesse due volte prima di allungare una mano verso uno dei tre telefoni sulla scrivania. «Mi passi Mr. Raeburn» disse. RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento sincero è dovuto alle seguenti persone, che hanno contribuito materialmente alla realizzazione di questo libro: il dottor Richard Oram, per i suoi autoritari consigli circa questioni di storia medievale scozzese e archeologia, specialmente per quanto riguarda la primitiva cartografia della Scozia. Mr. Kenneth Fraser, della St. Andrews University Research Library, per la sua valida assistenza nel reperire materiale di ricerca raro e difficile da trovare. Il Dr. William Such, per il suo aiuto nel tradurre la terminologia greca usata in questo libro. Robert Harris, per il suo aiuto con la terminologia latina. Mr. G.H. Forsyth, curatore dell'abbazia di Melrose, per le sue utili in-
formazioni circa la tomba di Michael Scot. E infine, il personale del St. Andrews Tourist Information Bureau, specialmente Mrs. Maggie Pitkethly e Mr. Andrew Purvis, per aver fornito una preziosa miscellanea di informazioni non reperibili nei libri di storia. FINE