ROGER ZELAZNY IL PRINCIPE DEL CAOS (Prince Of Chaos, 1991) CAPITOLO I Vista un'incoronazione le hai viste tutte. Sembrer...
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ROGER ZELAZNY IL PRINCIPE DEL CAOS (Prince Of Chaos, 1991) CAPITOLO I Vista un'incoronazione le hai viste tutte. Sembrerà cinico e probabilmente lo è, specie quando il protagonista è il tuo migliore amico e la regina che è con lui la tua involontaria amante. Comunque in genere c'è una processione, con una musica lenta e dei costumi scomodi e colorati, incenso, discorsi, preghiere, il tintinnio delle campane. Sono noiose, in genere fa molto caldo, e pretendono dalla gente una falsa attenzione, come i matrimoni, le lauree e le iniziazioni segrete. E così Luke e Coral divennero i sovrani di Kashfa, nella stessa chiesa dove soltanto poche ore prima avevamo combattuto contro Jurt, il mio folle fratello, fin quasi — ma, disgraziatamente, soltanto quasi — ad ucciderlo. Quale unico rappresentante di Ambra presente all'evento — sebbene, da un punto di vista tecnico, non avessi alcun titolo ufficiale — mi fu assegnato un posto in piedi in prima fila e gli occhi degli spettatori si posavano spesso su di me. Così dovevo stare attento a pronunciare sempre le risposte giuste. Sebbene Random non avesse accordato alcun titolo formale alla mia presenza alla cerimonia, sapevo che si sarebbe innervosito se fosse venuto a conoscenza del fatto che non mi ero comportato in modo come minimo diplomatico. Così finì per venirmi un gran mal di piedi, il torcicollo e le vesti colorate che indossavo si inzupparono di sudore. Questo è il mondo dello spettacolo. Eppure non avrei potuto fare altrimenti. Luke e io venivamo da uno dei periodi peggiori della nostra vita, e non potevo fare a meno di pensare a tutto ciò che ci era successo — dai duelli di spada ai meeting di atletica leggera, dalle gallerie d'arte fino a dentro l'Ombra — mentre me ne stavo là in piedi, soffocando per l'afa e chiedendomi cosa sarebbe stato di lui ora che aveva una corona sul capo. Un avvenimento come quello aveva trasformato mio zio Random da uno spensierato musicista qual era, libero e degenerato, in un sovrano saggio e responsabile — anche se in effetti le mie conoscenze sul suo primo periodo si basano soltanto sui racconti dei miei parenti. Mi sorpresi a sperare che la nuova condizione non facesse invecchiare d'un colpo anche Luke. Eppure, ripensandoci, Luke era una persona completamente diversa da Random, senza contare il fatto che era
molto più giovane. È sorprendente cosa possano fare gli anni, però — o dipende soltanto dalla natura degli eventi? Mi resi conto di essere molto diverso da quello che ero fino a non molto tempo prima dopo tutto quello che mi è successo nell'ultimo periodo. Molto diverso da quello che ero fino a ieri, pensandoci bene. Durante l'inno, Coral riuscì a passarmi un messaggio, nel quale diceva che doveva vedermi e indicava l'ora e il luogo, aggiungendovi persino una piccola mappa. Si trattava di un appartamento sul retro del palazzo. Ci incontrammo là quella stessa sera e vi rimanemmo per tutta la notte. Seppi poi che lei e Luke si erano sposati per procura da bambini e che quel matrimonio aveva fatto parte di un accordo diplomatico fra Jasra e i Begman. Non aveva funzionato però — la parte diplomatica, intendo — e anche il resto della storia era stato accantonato. Perfino gli stessi protagonisti avevano in un certo qual senso dimenticato il matrimonio, finché gli ultimi eventi non li avevano costretti a ricordare tutta la storia. Non si vedevano più da anni. Eppure, i documenti dimostravano che il principe era sposato. Malgrado fosse un matrimonio da annullare, la donna avrebbe potuto ugualmente essere incoronata insieme a lui. Se ne fosse venuto un tornaconto utile per Kashfa. E c'era: l'Eregnor. Una regina Begman sul trono di Kashfa avrebbe contribuito a risolvere i problemi riguardanti l'effettivo controllo di quella regione. Almeno, questo era quanto aveva pensato Jasra, mi spiegò Coral. E Luke si era lasciato influenzare da tutto questo, specie a causa dell'assenza di garanti da Ambra e dal Cerchio Dorato, ormai sciolto, che era stato istituito dal Trattato. La tenevo fra le braccia. Non stava bene, malgrado quello che sembrava essere un sorprendente recupero post-operatorio. Aveva una benda nera sull'occhio destro e diventava decisamente nervosa ogni qual volta la mia mano vi si avvicinava o anche se la fissavo troppo a lungo. Cosa poteva aver spinto Dworkin a sostituirle l'occhio ferito con il Gioiello del Giudizio, non riuscivo minimamente ad immaginarlo. A meno che egli non avesse preso in considerazione la prova da lei dimostrata nell'affrontare le forze del Disegno e del Logrus quando avevano tentato di riprendersi il Gioiello. La mia esperienza in questo campo, però, era praticamente inesistente. Il mio tanto sospirato incontro con il mago nano mi aveva rassicurato circa la sua sanità mentale, anche se una tale consapevolezza non serviva certo a penetrare quelle enigmatiche qualità che sono soliti possedere questi uomini vecchi e saggi.
«Cosa si sente?» le chiesi. «È molto strano,» replicò lei. «Non dolore, non proprio. È più simile a ciò che si avverte nel contatto via Trionfo. Solo che è sempre con me e io non vado da nessuna parte né parlo con nessuno. È come se stessi in una specie di ingresso. Le forze si muovono intorno a me, attraverso me.» In un attimo mi trovai al centro di quell'anello grigio con la sua ruota di metallo rossastro dai molti raggi. Dall'interno, dove io mi trovavo, sembrava simile a una gigantesca ragnatela. Un filo scintillante vibrò, catturando la mia attenzione. Sì, era una linea tesa verso una forza estremamente potente di un'Ombra lontana e avrebbe potuto essere usata per esplorare. Con estrema cautela, la estesi verso il gioiello nascosto che lei portava inserito nella cavità oculare. Non vi fu alcuna resistenza immediata. Difatti, mentre estendevo la linea di potere, non sentii nulla. Mi venne però incontro l'immagine di una cortina di fiamme. Passando a fatica il velo incandescente, sentii la mia estensione di ricerca rallentare, rallentare, bloccata. E là rimasi sospeso, dove stava, sull'orlo di un vuoto. Non era questo il modo per raggiungere la sintonia, come capii subito, e, anche se avessi dovuto impiegare altre forze, ero restio ad evocare il Disegno, che sapevo essere parte di esso. Mi spinsi ancora più avanti e sentii un freddo terribile che prosciugava le energie da me evocate. Eppure non stava succhiando le energie direttamente da me, ma soltanto da una delle forze che io dirigevo. Lo spinsi lontano e vidi una debole macchia di luce simile a una qualche distante nebulosa. Si distingueva su uno sfondo rosso cupo come il Porto. Mi feci più vicino ed essa assunse una forma — una struttura complessa, tridimensionale, quasi familiare — che deveva essere il sentiero che si prende quando ci si accorda al Gioiello, secondo la descrizione di mio padre. Bene, mi trovavo all'interno del Gioiello. Dovevo tentare l'iniziazione? «Non andare oltre,» disse una voce sconosciuta, sebbene mi rendessi conto che era Coral ad emettere i suoni. Sembrava fosse scivolata in uno stato di trance. «Non ti è permesso l'accesso all'iniziazione superiore.» Abbandonai l'esplorazione, non sentendomi troppo desideroso di sperimentare le manifestazioni che questa avrebbe potuto procurarmi. La mia visione del Logrus, che era rimasta sempre con me fin dagli ultimi avvenimenti ad Ambra, mi mostrò una visione di Coral completamente avvolta e penetrata dalla versione superiore del Disegno. «Perché?» gli domandai.
Ma non fui degnato di risposta. Coral ebbe un piccolo sussulto, si scosse e mi fissò. «Cosa è successo?» domandò. «Ti sei assopita,» risposi. «Non c'è da meravigliarsi. Quello che ti ha fatto Dworkin, qualunque cosa sia, più lo stress di questa giornata...» Lei sbadigliò e ricadde sul letto. «Sì,» disse in un sospiro, poi si addormentò sul serio. Mi sfilai gli stivali e mi tolsi i pesanti abiti. Mi allungai accanto a lei e stesi una coperta sopra di noi. Anch'io ero stanco e avevo proprio bisogno di qualcuno da abbracciare. Non so quanto dormii. Mi ossessionarono incubi scuri e vorticosi. Volti — umani, animali e demoniaci, — si muovevano attorno a me, tutti con delle espressioni tutt'altro che allegre. Le foreste cadevano al suolo avvolte dalle fiamme, la terra tremava e si squarciava, le acque del mare si alzavano fino a formare onde gigantesche che si abbattevano sulla terraferma, la luna grondava sangue e sentii levarsi un grande lamento. Qualcuno mi chiamava per nome... Un vento potente scosse le imposte finché non si spalancarono all'interno, sbattendo violentemente. Nel mio sogno entrò poi una creatura e venne ad accovacciarsi ai piedi del letto, ripetendo piano il mio nome, più e più volte. La stanza sembrò scuotersi, e la mia mente tornò alla California. Sembrava si stesse verificando un terremoto. Da un debole sibilo, il rumore del vento divenne un vero e proprio ruggito e sentii un frastuono provenire dall'esterno, come di alberi che cadevano, torri che crollavano... «Merlin, Principe della Casa di Sawall, Principe del Caos, alzati,» sembrava dire. Poi digrignò i denti e cominciò di nuovo. Dopo la quarta o quinta volta che sentivo ripetere quella frase mi venne improvvisamente in mente che forse poteva non trattarsi di un sogno. Da un punto imprecisato all'esterno si levavano delle grida, e continue scariche di fulmini andavano e venivano sullo sfondo quasi musicale del rullare dei tuoni. Prima di muovermi, di aprire gli occhi, alzai uno scudo protettivo. I suoni erano reali, come lo era l'imposta rotta. Come lo era la creatura ai piedi del letto. «Merlin, Merlin. Alzati, Merlin,» mi disse; era un essere con il muso allungato e le orecchie a punta, dotato di artigli appuntiti, con una carnagione sul verde argentato, gli occhi grandi e lucenti e delle umide ali di pelle ripiegate sui fianchi asciutti. «Svegliati, Signore del Caos.»
«Gryll,» dissi, pronunciando il nome di un vecchio servo di famiglia delle Corti. «Già, Signore,» replicò. «Lo stesso che ti insegnò il gioco della danza delle ossa.» «Che io sia dannato!» «Il dovere prima del piacere, Signore. Ho seguito il filo nero per un tragitto lungo e terribile per venirti a chiamare.» «I fili non arrivano così lontano,» dissi io, «senza una considerevole spinta. E forse neanche in quel caso. È così anche ora?» «Ora è più facile,» replicò lui. «Come mai?» «Sua Maestà Swayvill, Re del Caos, da stanotte dorme con gli avi delle tenebre. Mi hanno incaricato di riportarti indietro, in modo che tu possa partecipare alle cerimonie.» «Adesso?» «Adesso.» «Già. Beh, okay. Certo. Lasciami solo prendere la mia roba. Com'è successo, ad ogni modo?» Mi infilai gli stivali, indossai il resto degli abiti, cinsi la spada. «Non sono a conoscenza dei dettagli. Naturalmente tutti sanno quanto fosse cagionevole di salute.» «Voglio lasciare un messaggio,» dissi. Annuì. «Breve, spero.» «Sì.» Usai un pezzo di pergamena che trovai sul tavolo da scrittura, Coral, richiamato da un affare di famiglia. Mi terrò in contatto, e lo lasciai accanto alla sua mano. «A posto,» dissi. «Come facciamo?» «Ti porterò sulla schiena, Principe Merlin, come facevo tanto tempo fa.» Annuii, mentre nella mia mente riaffiorava un flusso di ricordi infantili. Gryll era immensamente forte, come lo sono la maggior parte dei demoni. Mi tornarono alla mente i nostri giochi, sui bordi dell'Abisso e fuori, nell'oscurità, nelle stanze sepolcrali, nelle caverne, nei campi di battaglia ancora fumanti, nei templi in rovina, nelle abitazioni degli stregoni morti, negli inferni segreti. Mi era sempre sembrato di provare maggior divertimento nel giocare con i demoni piuttosto che con i parenti, di sangue o di matrimonio, di mia madre. Persino la mia principale forma di Caos l'avevo
basata su una delle loro. Assorbì una sedia dall'angolo della stanza come massa aggiuntiva, mutando di forma per adattarsi alla mia stazza da adulto. Mentre salivo sul suo dorso allungato, tenendomi saldamente aggrappato, esclamò, «Ah, Merlin! Quali magie stai impiegando, ultimamente?» «Riesco a controllarle, ma non ho ancora una piena conoscenza della loro essenza,» risposi. «Sono un acquisto molto recente. Tu cosa senti?» «Caldo, freddo, una musica strana,» replicò lui. «Da tutte le direzioni. Sei cambiato.» «Tutti cambiano,» dissi mentre si dirigeva verso la finestra. «È la vita.» Sull'ampia soglia era disteso un filo nero. Si allungò e lo toccò, lanciandosi contemporaneamente in avanti. Ci raggiunse una forte raffica di vento e intanto precipitavamo verso il basso, poi ci muovevamo in avanti, sollevandoci. Le torri sfrecciarono in un attimo sotto di noi, tremule e ondeggianti. Le stelle brillavano, un quarto di luna era appena sorto e illuminava la bassa linea rigonfia delle nuvole. Spiccammo il volo, il castello e la città rimpicciolirono in un batter d'occhio. Una parte di oscurità, assoluta e ondulata, ci avvolse, ampliandosi sempre più. La Strada Nera, pensai subito. E come una versione temporanea della Strada Nera, nel cielo. Mi voltai indietro. Non c'era più. Era come se la assorbivamo man mano che avanzavamo. O stava assorbendo noi? La campagna passò sotto di noi come un film proiettato a velocità tripla. Foreste, colline e vette di montagne fuggivano via. Il sentiero nero era un grande nastro sospeso davanti a noi, mentre chiazze di luce e di ombra scivolavano accanto a noi come ombre di nubi nella luce del giorno. Poi il ritmo si fece più incalzante, come in uno staccato. D'un tratto mi accorsi che non c'era più vento. Improvvisamente la luna era alta sopra di noi e sotto di noi si allungava sinuosa una tortuosa catena di montagne. L'immobilità conferiva al paesaggio un aspetto da sogno e un attimo dopo la luna era scesa più in basso. Una linea di luce fendette lo spazio alla mia destra e iniziarono a spuntare le stelle. Il corpo di Gryll non dava segni di fatica mentre ci immergevamo in quel sentiero nero; poi la luna svanì e la luce, proiettandosi su di un ammasso di nubi, si fece burrosa e giallognola, assumendo una sfumatura rosa proprio mentre ero intento a guardare. «Il potere del Caos aumenta,» osservai. «L'energia del disordine,» replicò lui. «Dev'esserci più di quanto mi hai detto,» dissi.
«Io non sono che un servo,» rispose Gryll, «e non ho accesso ai Consigli dei potenti.» Lo spazio continuava a risplendere di luce e davanti a noi, fino a dove poteva spingersi il mio sguardo, il nastro nero ondeggiava. Stavamo sorvolando una zona montuosa. Non appena le nuvole venivano spinte lontano, subito nuove nubi si formavano al loro posto. Era chiaro che il nostro passaggio attraverso l'Ombra era ormai iniziato. Dopo un certo tempo, le montagne si fecero più basse e cominciarono a passare distese di pianure ondulate. Improvvisamente in mezzo al cielo apparve il sole. Sembrava stessimo passando proprio sopra la nostra strada nera, e i piedi di Gryll davano l'impressione di sfiorarla mentre ci muovevamo. A volte le sue ali distese davanti a me si agitavano a malapena, altre volte tamburellavano come quelle di un colibrì, facendosi invisibili. Alla mia sinistra il sole divenne rosso come una ciliegia. Il deserto rosa si stendeva sotto di noi... Poi fu di nuovo buio e le stelle girarono come una ruota gigantesca. Ora eravamo bassi, quasi sfioravamo le cime degli alberi... Irrompemmo sopra un'affollata strada del centro, le luci dei lampioni e dei fari delle auto, il neon delle vetrine. L'odore caldo, soffocante, pieno di polvere e di gas della città saliva fino a noi. Pochi passanti guardarono in alto, quasi senza accorgersi del nostro passaggio. Mentre attraversavamo velocemente un fiume, sfiorando le cime delle case della periferia, il panorama vacillò e ci ritrovammo a sorvolare un paesaggio primordiale fatto di roccia, lava, frane e un terreno pieno di vibrazioni, due vulcani attivi, uno vicino l'altro più lontano, che vomitavano fumo contro un cielo di un colore blu-verde. «Questa dovrebbe essere una scorciatoia?» dissi. «È la scorciatoia più breve,» replicò Gryll. Entrammo in una lunga notte e a un certo punto sembrò che il nostro sentiero ci conducesse sotto una distesa di acque profonde, dove si aggiravano, sia vicino a noi che ad una media distanza, delle lucenti creature marine che ogni tanto si lanciavano pericolosamente in avanti. Asciutta e inavvicinabile, la strada nera ci proteggeva. «È uno sconvolgimento simile a quello che seguì la morte di Oberon,» disse d'un tratto Gryll. «I suoi effetti si diffondono perfino nell'Ombra.» «Ma la morte di Oberon concise con la rigenerazione del Disegno,» dissi. «In quel fatto c'era qualcosa di più che la semplice morte di un sovrano di uno degli estremi.»
«Vero,» replicò Gryll, «ma ci troviamo in un periodo di squilibrio fra le forze. E a questo va ad aggiungersi la morte del Re. Sarà uno sconvolgimento ancora più violento.» Ci spingemmo nell'apertura che fendeva uno scuro masso di pietra. Ci sfiorarono delle veloci linee di luce. In un pallido azzurro erano miniate sagome irregolari. Più tardi, non so dopo quanto, ci trovammo in un cielo color porpora, senza nessun passaggio che io riesca a ricordare dal fondo marino. Un'unica stella brillava lontano sopra di noi. Ci dirigemmo veloci verso di essa. «Perché?» domandai. «Perché il Disegno si è fatto più forte del Logrus,» rispose. «Com'è successo?» «Il Principe Corwin tracciò un secondo Disegno al tempo del confronto fra le Corti e Ambra.» «Sì, me ne parlò. L'ho anche visto. Temeva che Oberon non fosse in grado di riparare l'originale.» «Invece ci riuscì, così ora ce ne sono due.» «Sì?» «Il Disegno di tuo padre è anche un manufatto di ordine. Serviva a inclinare l'antica bilancia in favore di Ambra.» «Come fai a essere a conoscenza di tutto questo, Gryll, quando nessun altro ad Ambra sembra saperlo o perlomeno non credeva fosse opportuno parlarmene?» «Tuo fratello il Principe Mandor e la Principessa Fiona nutrivano dei sospetti e cercavano le prove. Mostrarono le loro scoperte a tuo zio, Lord Suhuy. Lui fece diversi viaggi nell'Ombra e si persuase che le cose stavano proprio così. Si stava preparando a mostrare le sue scoperte al re quando la malattia sferrò il suo attacco finale contro Swayvill. Se so queste cose è perché è stato Suhuy a mandarmi da te, e mi ha incaricato di raccontarti tutto questo.» «Credevo fosse stata mia madre ad averti mandato a me.» «Suhuy era certo che lei sarebbe stata d'accordo — ed è per questo che decise di rintracciarti. Quanto ti ho detto riguardo il Disegno di tuo padre non lo sa ancora nessun altro.» «Cosa vuole che faccia?» «Questa informazione non mi è stata affidata.» La stella si fece più luminosa. Il cielo era pieno di schizzi di arancione e di rosa. In breve tempo ad essi si aggiunsero linee di luce verde, e presero
a girare come stelle filanti attorno a noi. Avanzammo veloci, e le configurazioni arrivarono a dominare completamente il cielo, simili a un ombrello psichedelico che ruotava lentamente. Il paesaggio si tramutò in una macchia enorme. Ebbi l'impressione che una parte di me si assopisse, sebbene sono certo che non persi conoscenza. Il tempo sembrava giocare con il mio metabolismo. Mi venne una fame terribile e gli occhi iniziarono a farmi male. La stella brillava. Le ali di Gryll emanavano un bagliore prismatico. Ora sembravamo procedere ad una velocità incredibile. Il nostro sentiero si piegava verso l'alto sui suoi brodi esterni. Questo processo continuò mentre avanzavamo, finché non sembrò che ci stessimo muovendo in un canale. Poi i bordi si incontrarono sopra le nostre teste, ed allora fu come se stessimo precipitando nella canna di un fucile, puntati verso la stella azzurra e bianca. «Non devi dirmi nient'altro?» «Non che io sappia.» Mi sfregai il polso sinistro, come sentendo che in quel punto avrebbe dovuto pulsare qualcosa. Oh, sì. Frakir. Dov'era Frakir, a proposito? Poi mi ricordai di averlo lasciato nell'appartamento di Brand. Perché l'avevo fatto? Io... la mia mente era offuscata, il ricordo confuso come in un sogno. Era la prima volta da quando era successo il fatto che esaminavo quel ricordo. Se avessi provato a farlo prima avrei subito capito cosa significava. Era l'effetto offuscante della magia. Mentre mi trovavo nell'appartamento di Brand ero caduto in un incantesimo. Non avevo modo di sapere se era stato predisposto appositamente per me o se l'avevo semplicemente attivato rovistando nelle stanze. Poteva anche essere stato, immaginai, qualcosa di più generico, rimesso in funzione dal disastro, magari anche l'effetto secondario e casuale di qualcosa che era stato disturbato. Ad ogni modo, però, nutrivo seri dubbi riguardo quest'ultima spiegazione. Anzi, a ben guardare, dubitavo di qualsiasi genericità riguardo tutta la faccenda. Era tutto troppo perfetto, e non potevo fare a meno di pensare che fosse una trappola esplosiva lasciata in giro da Brand. Era riuscita ad ingannare un mago esperto come me. Forse soltanto il mio allontanarmi dal luogo dell'avvenimento aveva permesso alla mia mente di liberarsi da quella confusione. Ripensando alle mie azioni dal momento dell'esposizione vidi che da allora in poi mi ero mosso in una specie di foschia. E più ci ripensavo più avvertivo netta la sensazione che l'incantesimo era stato intessuto appositamente per avvilupparmi. Finché non lo avessi compreso,
neanche la consapevolezza di ciò che era avvenuto mi avrebbe permesso di considerarmi libero. Qualunque cosa fosse, mi aveva spinto ad abbandonare Frakir senza pensarci due volte, ed era stata la causa di quel mio sentirmi — beh — strano. Non sapevo dire con esattezza come avesse fatto ad influenzare, come facesse ad influenzare ancora, i miei pensieri e i miei sentimenti, il solito problema che si presenta ogni qual volta si è catturati da un incantesimo. E non capivo come potesse essere stato lo stesso defunto Brand, che avrebbe dovuto allestire ogni cosa basandosi su un evento così imprevedibile come il fatto che, tanti anni dopo la sua morte, le mie stanze si sarebbero trovate vicino a quelle un tempo abitate da lui e che questo fatto mi avrebbe poi spinto ad entrare nei suoi appartamenti, nel disastroso momento che sarebbe seguito ad un improbabile confronto fra il Logrus e il Disegno, in una sala superiore del Castello di Ambra. No, dietro tutto ciò doveva esserci qualcun altro. Jurt? Julia? Non sembrava molto probabile che avessero potuto agire indisturbati nel bel mezzo del Castello di Ambra. Chi, allora? E poteva aver qualcosa a che fare con l'episodio del Corridoio degli Specchi? Mi arresi. Mi fossi trovato laggiù ora, avrei potuto lanciare uno dei miei incantesimi per scovare il vero responsabile. Ma non ero là, e qualsiasi indagine su quella estremità del mondo avrebbe dovuto aspettare. La luce davanti a noi ora brillava di un maggiore splendore, passando da un azzurro cielo a un rosso accecante. «Gyll,» dissi. «Riesci a percepire la presenza di un incantesimo sopra di me?» «Sì, mio signore,» replicò lui. «Perché non me ne hai parlato?» «Pensavo fosse uno dei tuoi, di difesa, magari.» «Puoi togliermelo? Io, trovandomici dentro, sono in una posizione svantaggiata.» «È troppo aggrovigliato alla tua persona. Non saprei da dove cominciare.» «Sai dirmi qualcosa riguardo ad esso?» «Solo che c'è, mio signore. Ad ogni modo sembra gravare più che altro attorno alla testa.» «Potrebbe star colorando in un certo modo i miei pensieri, dunque?» «Già, di un blu pallido.» «Non mi riferivo al tuo modo di percepirlo. Solo alla possibilità che potesse influenzare la mia mente.»
Le sue ali si illuminarono di azzurro, poi di rosso. Il tunnel nel quale ci trovavamo improvvisamente si allargò e il cielo si illuminò dei folli colori del Caos. La stella che seguivamo aveva ora assunto le proporzioni di una piccola luce — intensificata per mezzo della magia, ovviamente — proveniente dall'interno dell'alta torre di un castello sepolcrale, tutto grigio e verde oliva, sulla cima di una montagna la cui base e la cui porzione di mezzo erano state rimosse. L'isola di pietra fluttuava sopra una foresta pietrificata. Gli alberi erano incendiati da fuochi opalescenti, arancioni, porpora e verdi. «Credo che potrebbe essere districato,» osservò Gryll. «Ma l'operazione sarebbe troppo difficile per un povero demone come me.» Grugnii. Per qualche attimo mi soffermai ad osservare lo spettacolo dei mille colori. Poi, «A proposito di demoni...» dissi. «Sì?» «Cosa sai dirmi di quel genere di demoni conosciuti come ty'iga?» domandai. «Abitano molto al di là del Cerchio» replicò lui, «e forse fra tutte le creature sono le più vicine al Caos originale. Credo che neanche possiedano dei veri e propri corpi fatti di materia. Hanno poco in comune con gli altri demoni, tantomeno con il resto degli esseri viventi.» «Non ne hai mai conosciuto uno, uh, personalmente?» «Ne ho incontrati alcuni, di tanto in tanto» rispose lui. Ci portammo più in alto. Il castello aveva fatto altrettanto. Una cascata incandescente di meteore precipitò, lucente e silenziosa, dietro di esso. «Possono impossessarsi di un corpo umano, prenderne il controllo.» «Non mi sorprende.» «So per certo di uno che l'ha fatto e più di una volta. Ma è sorto un problema inaspettato. Si è incarnato in un essere umano in punto di morte. Il trapasso di quest'ultimo sembra abbia imprigionato la ty'iga in quel corpo. Conosci qualche metodo al quale potrebbe ricorrere per uscirne?» Gryll ridacchiò. «Potrebbe buttarsi giù da una montagna, immagino. O gettarsi su una spada.» «E se il suo legame con il corpo ospitante è così stretto che neanche una cosa del genere può liberarla?» Ridacchiò di nuovo. «Questi sono rischi che si corrono, quando si ha a che fare con il furto di corpi.»
«Io sono in debito, con questo demone» dissi. «Mi farebbe piacere aiutarla — aiutarlo.» Rimase in silenzio per un po', poi replicò, «Una ty'iga più anziana e più saggia potrebbe saperti dire qualcosa riguardo a questo tipo di faccende. E tu sai dove si trovano.» «Già.» «Mi dispiace di non poterti essere di maggior aiuto. Sono brave persone, le ty'iga.» E a quel punto avanzò velocemente verso la torre. La strada che percorrevamo, sotto il mutevole caleidoscopio che era il cielo, si restrinse davanti a noi fino a divenire una riga sottilissima. Gryll puntava diritto verso la luce all'interno della finestra, mentre io sbirciavo da dietro le sue ali. Guardai in basso. La vista dava le vertigini. Da qualche luogo lontano ci raggiunse il rumore di un grugnito, come se le diverse parti della terra si stessero sfregando l'una contro l'altra, un evento piuttosto comune da queste parti. I venti mi facevano sbattere gli abiti. Una collana di nubi color mandarino imperlò il cielo alla mia sinistra. Riuscivo a distinguere le decorazioni sulle pareti del castello. Intravidi una sagoma all'interno della stanza. Poi ci avvicinammo, passammo in un attimo attraverso la finestra e ci trovammo dentro. Una grande figura demoniaca grigia e rossa, con la schiena ricurva, due coma sul capo e il corpo semiricoperto di squame, mi osservò con i suoi occhi gialli dalle pupille a forma di ellissi. Le zanne erano aperte in un sorriso. «Zio!» gridai mentre scendevo dal dorso di Gryll. «Salve!» Gryll si stiracchiò e si scosse, mentre Suhuy correva verso di me e mi abbracciava, con estrema cautela. «Merlin,» disse infine, «bentornato a casa. L'occasione mi rattrista, ma sono felice di averti qua. Gryll ti ha detto...» «Del decesso di Sua Altezza? Sì. Mi dispiace.» Si staccò da me e fece un passo indietro. «Non che non ce l'aspettassimo,» disse. «Al contrario. Lo sapevamo fin troppo bene. Eppure per eventi come questo il momento non sembra mai quello giusto.» «Davvero,» replicai io, massaggiandomi la spalla sinistra intorpidita e tastandomi la tasca sul fianco alla ricerca di un pettine. «Stava male da così tanto tempo che avevo iniziato ad abituarmi,» dissi. «Era come se avesse fatto un patto con la malattia.»
Suhuy annuì. Poi, «Hai intenzione di trasformarti?» domandò. «È stata una giornata faticosa,» gli dissi. «Vorrei prima riprendermi un po', a meno che non ci sia qualche particolare richiesta di protocollo.» «Nessuna, per il momento,» rispose lui. «Hai mangiato?» «Non nelle ultime ore.» «Allora vieni,» disse. «Vediamo di procurarti qualcosa da mettere sotto i denti.» Si voltò e si incamminò verso la parete opposta. Lo seguii. Non c'erano porte nella stanza, e lui doveva conoscere tutti i punti di forza dell'Ombra di quel posto, dal momento che sotto questo aspetto le Corti sono l'opposto di Ambra. Mentre ad Ambra è tremendamente difficile passare attraverso l'Ombra, nelle Corti le ombre non sono che delle tende sfilacciate, spesso si può addirittura penetrarle con lo sguardo senza alcuna fatica e vedere così direttamente un'altra realtà. E, a volte, qualcosa dell'altra realtà può guardare noi. Bisogna fare attenzione, però, ai punti in cui si attraversa, in modo da non finire in mezzo al vuoto o sott'acqua o nel letto di un torrente impetuoso. Le Corti non sono mai state un posto adatto per il turismo di massa. Fortunatamente, in questa estremità della realtà la materia dell'Ombra è così malleabile che può essere manipolata con estrema facilità da un signore delle ombre, il quale è in grado di unire insieme le loro strutture e creare così un sentiero. I signori delle ombre sono dei tecnici estremamente abili, perlomeno nell'ambito dei loro confini, che ricevono la loro capacità direttamente dal Logrus, sebbene non abbiano bisogno di essere iniziati. Sono in pochi ad esserlo, malgrado il fatto che tutti gli iniziati siano automaticamente membri della Corporazione dei Signori delle Ombre. Sono come degli idraulici o degli elettricisti che girano per le Corti, e le loro abilità variano come variano le capacità dei loro corrispondenti sull'Ombra Terra, una combinazione di abilità innata e di esperienza. Come membro della corporazione preferisco osservare da vicino qualcuno che sa come si fanno le cose piuttosto che cercare di scoprire tutto da solo. Immagino che dovrei occuparmi un po' meglio di questa faccenda. Può darsi che un giorno lo farò. Quando raggiungemmo la parete, ovviamente, questa non c'era più. Si fece improvvisamente vaga e indistinta, poi scomparve; attraversammo lo spazio che aveva occupato fino ad un attimo prima o, piuttosto, uno spazio analogo differente, e scendemmo per una scala verdognola. Beh, a dire il vero non era proprio una scala. Erano una serie di dischi verdi sconnessi
che scendevano seguendo un movimento a spirale, ogni gradino diviso dall'altro quasi fluttuassero nell'aria della notte. Scendevano lungo la parte esterna del castello, per fermarsi poi davanti a un muro vuoto. Prima di raggiungere quel muro, passammo attraverso diversi sprazzi di luce sfolgorante, una breve raffica di neve azzurra e l'abside di qualcosa simile ad una cattedrale priva di altare, con i banchi pieni di scheletri. Quando alla fine giungemmo al muro vi passammo attraverso, sbucando in un'ampia cucina. Suhuy mi condusse alla dispensa e mi fece segno di servirmi. Trovai un po' di carne fredda e mi feci un panino, annaffiandolo con una birra tiepida. Anche lui addentò un pezzo di pane e sorseggiò un po' della stessa birra da un altro boccale. Sopra di noi comparve d'un tratto un uccello che volava ad ali spiegate, gracchiando con voce rauca, poi svanì di nuovo, prima di percorrere l'intera lunghezza della stanza. «Quando avranno luogo le cerimonie?» domandai. «Al prossimo cielo rosso, fra poco meno di una rotazione,» rispose. «Dunque hai il tempo di dormire e di riprenderti prima di allora, forse.» «Cosa vuoi dire con quel "forse"?» «Come uno dei tre, tu sei sotto la Sorveglianza Nera. È per questo che ti ho fatto venire qui, in uno dei miei luoghi di ritiro.» Si voltò e passò attraverso la parete. Lo seguii, portandomi dietro il mio boccale e ci sedemmo accanto ad una immobile pozza di acqua verde sotto uno sperone roccioso, con il cielo plumbeo sopra di noi. Il suo castello conteneva al suo interno luoghi provenienti da tutto il Caos e l'Ombra, cuciti insieme in un folle disegno di vie racchiuse l'una dentro l'altra. «E dal momento che possiedi lo spikard hai molte più possibilità di salvarti,» osservò. Si allungò per toccare la ruota dai molti raggi del mio anello. Subito dopo avvertii un debole prurito nel dito, nella mano e nel braccio. «Zio, quando eri mio maestro, avevi l'abitudine di esprimerti spesso in modo enigmatico,» dissi. «Ma ora mi sono laureato e immagino che questo mi dia il diritto di dirti che non so di cosa diavolo tu stia parlando.» Sogghignò e bevve un sorso della sua birra. «Con la riflessione, diventa sempre tutto chiaro,» disse. «La riflessione...» dissi e iniziai a fissare la pozza d'acqua. Tra le strisce nere sotto la superfice fluttuarono delle immagini — Swayvill disteso con la sua uniforme, gli abiti gialli e neri che camuffavano il suo corpo raggrinzito, mia madre, mio padre, sagome di demoni, tutto passava e svaniva, Jurt, io stesso, Jasra e Julia, Random e Fiona, Mandor e Dworkin, Bill Roth e molti volti che non conoscevo...
Scossi il capo. «La riflessione non mi chiarisce nulla,» dissi. «Non basta un solo istante,» replicò lui. Così rivolsi di nuovo la mia attenzione al caos di volti e di forme. Tornò Jurt e rimase per parecchio tempo. Si stava vestendo in modo molto raffinato e sembrava essere completo in ogni sua parte. Quando infine svanì il suo posto fu preso da uno di quei volti relativamente familiari che avevo visto poco prima. Sapevo che si trattava di un nobile delle Corti, e cercai di sondare la mia memoria. Ma certo. Era passato molto tempo ma ora lo riconoscevo. Era Tmer, della Casa di Jesby, il primogenito del defunto Principe Rolovians e ora lui stesso signore delle Vie di Jesby — pizzetto, fronte cupa, costituzione robusta, non bello, modi piuttosto burberi; a detta di tutti un uomo coraggioso e forse anche permaloso. Poi fu il turno del Principe Tubble delle Vie di Chanicut, il quale si muoveva piano, avanti e indietro, fra altre sagome umane e quelle turbolente dei demoni. Placido, severo e misterioso; con secoli e secoli sulle spalle e molto astuto; aveva una barba piuttosto lunga e degli occhi grandi, pallidi e innocenti, era un maestro in molti giochi. Aspettai, Tmer seguì Jurt, lo stesso fece Tubble e tutti svanirono nella spirale delle striarure. Apettai ancora, ma non successe nulla di nuovo. «Fine della riflessione,» annunciai infine. «Ma ancora non so cosa significhi.» «Cosa hai visto?» «Mio fratello Jurt,» risposi, «e il Principe Tmer di Jesby. E Tubble di Chanicut, per nominare alcune delle attrazioni.» «Perfetto,» rispose. «Davvero perfetto.» «E allora?» «Come te, Tmer e Tubble si trovano entrambe sotto la Sorveglianza Nera. Ne deduco che Tmer si trovi a Jesby, ma ho motivo di credere che Jurt sia andato a rintanarsi in qualche luogo che non ha niente a che fare con Dalgarry.» «Jurt è tornato?» Annuì. «Potrebbe trovarsi nella Fortezza di mia madre a Gnatu,» tirai ad indovinare. «O forse Sawal aveva un'altra residenza, le Vie di Anch, al confine del Cerchio.» Suhuy scrollò le spalle. «Non lo so,» disse.
«Ma perché la Sorveglianza Nera è su ognuno di noi?» «Tu sei andato in una buona università dell'Ombra» disse, «e sei vissuto nella Corte di Ambra, che considero un luogo estremamente educativo. Perciò, ti prego di pensarci meglio. Di certo, una mente così raffinata...» «Mi rendo conto che la Sorveglianza Nera implichi il fatto che ci troviamo di fronte a un qualche tipo di pericolo...» «Ovviamente.» «...ma non riesco a comprenderne la natura. A meno che...» «Sì.» «Ha a che fare con la morte di Swayvill. Dunque deve implicare qualche problema di assestamento politico. Ma io sono stato lontano. Non so quali siano le questioni più calde al momento.» Mi mostrò le due file di denti, consumati ma ancora minacciosi. «Prova con la questione della successione,» disse. «Okay. Supponiamo che le Vie di Sawall stiano sostenendo un possibile successore, Jesby l'altro, Chanicut l'altro ancora. Supponiamo che vi sia una terribile contesa per questa faccenda. Supponiamo che io sia tornato proprio nel bel mezzo di una faida. Allora chiunque sia che dà gli ordini in questo momento ci ha messi sotto sorveglianza per fare in modo che le cose non si complichino ulteriormente. Lo apprezzo davvero.» «Ci sei vicino,» disse, «ma la faccenda è andata già oltre quel punto.» Scossi il capo. «Mi arrendo,» dissi. Ci raggiunse un suono simile a un lamento. «Pensaci,» rispose lui, «mentre io faccio entrare un ospite.» Si alzò ed entrò nella pozza, svanendo immediatamente. Finii di bere la mia birra. CAPITOLO II Non sembrarono passare che pochi attimi e una roccia alla mia sinistra scintillò emettendo un suono simile a quello di un campanello. La mia attenzione si rivolse istintivamente al mio anello, che Suhuy aveva chiamato spikard. In quel momento mi resi conto che mi stavo preparando ad usarlo come difesa. Era strano ora quanto lo trovassi familiare, quanto mi fossi adeguato ad esso in così poco tempo. Stavo in piedi, con il viso rivolto verso la roccia, la mano sinistra tesa verso di essa, quando vidi Suhuy attraversare quel luogo splendente di luce con dietro una figura più alta e più
scura. Un attimo dopo anche quella figura lo seguì, facendosi concreta e passando dalla forma iniziale di una scimmia dalle lunghe zampe a quella di mio fratello Mandor, nella sua versione umana, vestito di nero come quando l'avevo visto l'ultima volta, anche se i vestiti erano nuovi e di una foggia leggermente diversa, e i capelli bianchi meno arruffati del solito. Diede una rapida occhiata alla zona attorno a noi e mi sorrise. «Vedo che va tutto bene,» osservò. Sogghignai mentre indicavo il braccio che portava al collo. «Non potevo sperare di meglio,» replicai. «Cosa è successo ad Ambra dopo che me ne sono andato?» «Nessun altro disastro,» rispose lui. «Sono rimasto soltanto il tempo necessario per vedere se potevo essere utile in qualcosa. In conclusione si trattava di fare una piccola pulizia dei dintorni, per mezzo della magia, e di recuperare alcune tavole per ricoprire i buchi. Poi ho chiesto a Random il permesso di partire, lui me lo ha concesso e sono tornato a casa.» «Un disastro? Ad Ambra?» domandò Suhuy. Annuii. «Nelle sale del Palazzo di Ambra c'è stato uno scontro fra l'Unicorno e il Serpente e i danni che ne sono risultati sono stati notevoli.» «Cosa ha potuto spingere il Serpente ad avventurarsi fino nel cuore del regno dell'Ordine?» «C'entra quello che ad Ambra viene chiamato il Gioiello del Giudizio, che il Serpente considera il suo occhio mancante.» «Devi raccontarmi l'intera storia.» Continuai raccontandogli del complesso scontro tra le due forze, senza fare parola di quanto mi era poi successo nel Corridoio degli Specchi e negli appartamenti di Brand. Mentre parlavo, lo sguardo di Mandor si spostava continuamente dallo spikard a Suhuy. Quando si accorse che l'avevo notato sorrise. «E così Dworkin è di nuovo tornato in sé...?» disse Suhuy. «Non lo avevo mai incontrato prima,» risposi. «Ma sembrava sapere quello che faceva.» «...E la Regina di Kashfa vede con l'Occhio del Serpente.» «Non so se potrà vederci,» dissi io. «Si sta ancora riprendendo dall'operazione. Ma è un'idea interessante. Se così fosse, cosa potrebbe vedere?» «Le linee nitide e gelide dell'eternità, oserei dire. Al di sotto di tutte le Ombre. Nessun mortale potrebbe sopportare quella vista troppo a lungo.» «Lei ha il sangue di Ambra nelle vene,» dissi.
«Davvero? Di Oberon?» Annuii. «Il tuo defunto sovrano si dava parecchio da fare,» osservò. «Eppure, il vedere potrebbe rivelarsi un grave peso, anche se parlo soltanto per supposizione e per una discreta conoscenza dei princìpi. Non ho idea di ciò che potrebbe venire da tutto questo. Soltanto Dworkin saprebbe dirlo. Se ora è in sé, allora dev'esserci una ragione per tutto questo. Riconosco la sua abilità, anche se non sono mai stato in grado di anticiparlo.» «Lo conosci personalmente?» domandai. «Lo conoscevo,» disse, «molto tempo fa, prima che avesse tutti quei problemi. E non so se rallegrarmi per ciò che sta avvenendo. Ora che si è ripreso, la sua opera potrebbe portare davvero del bene. Eppure, i suoi interessi potrebbero rivelarsi completamente di parte.» «Mi dispiace non poterti illuminare,» dissi. «Anch'io trovo il suo modo di agire davvero misterioso.» «Un'altra cosa che mi turba,» disse Mandor, «è la disposizione dell'Occhio. Ma per il momento sembra una faccenda piuttosto marginale, nella quale sono implicate le relazioni di Ambra con Kashfa e Begma. A questo punto della situazione non credo si possa ricavare nulla con delle semplici congetture. Faremmo meglio a concentrare la nostra attenzione su faccende più urgenti e limitate.» Mi sentii sospirare. «Come la successione?» suggerii. Mandor sollevò un sopracciglio. «Oh, Lord Suhuy ti ha già messo al corrente?» «No» risposi io. «No, ma ho sentito così tante cose da mio padre riguardo la successione ad Ambra, tutte le congiure, gli intrighi e i doppi giochi, che mi sento quasi un'autorità in materia. Suppongo che anche qui le cose potrebbero andare nello stesso modo fra i discendenti delle Case di Swayvill, a giudicare dalle molte generazioni coinvolte.» «La tua supposizione è giusta,» disse, «anche se credo che qui la situazione potrebbe rivelarsi leggermente più tranquilla di quanto non fu laggiù.» «È sempre molto confusa, ad ogni modo,» dissi. «Per quanto mi riguarda, intendo porgere i miei ossequi e mandare tutti al diavolo. Mandami una cartolina per dirmi come andrà a finire.» Rise. Ride piuttosto di rado. Sentii un solletico al polso, nel punto in cui in genere si avvolge Frakir.
«Davvero non sa nulla,» disse, rivolgendo lo sguardo verso Suhuy. «È appena arrivato,» rispose Suhuy. «Non ho avuto il tempo di dirgli nulla.» Frugai nella tasca, trovai una moneta, la estrassi e la lanciai. «Testa,» annunciai, dopo aver controllato. «Dimmelo tu, Mandor. Cosa sta succedendo?» «Tu non sei il prossimo in lista di successione per il trono,» disse. Era il mio turno di ridere, e lo feci. «Questo già lo sapevo,» dissi. «Tu stesso, non molto tempo fa, durante una cena, mi spiegasti quanto fosse lunga la lista di quelli che mi precedevano — ammesso che un sangue misto come me possa essere davvero preso in considerazione.» «Due,» disse. «Ce ne sono due prima di te.» «Non capisco,» dissi. «Cosa è successo a tutti gli altri?» «Morti,» replicò. «Una brutta influenza, quella di quest'anno?» Mi rivolse un sorriso maligno. «Ultimamente c'è stato un numero mai visto di duelli mortali e di assassinii politici.» «Quale delle due cose ha dominato il campo?» «Gli assassinii.» «Avvincente.» «E così voi tre vi trovate sotto la protezione della Sorveglianza Nera della Corona e siete stati affidati alla tutela delle vostre rispettive Case.» «Stai parlando sul serio.» «Infatti.» «Questo improvviso assottigliamento delle file si è avuto perché molte persone volevano quel posto allo stesso tempo? O forse i numerosi ostacoli hanno ristretto il numero?» «La Corona non ne è sicura.» «Quando dici "la Corona" a chi ti riferisci precisamente, in questo momento? Chi prende le decisioni in questo intervallo di tempo?» «Lord Bances di Amblerash,» rispose, «un lontano parente nonché amico di vecchia data del defunto monarca.» «Mi pare di ricordarlo. Non potrebbe mirare lui stesso al trono, e magari essere l'occulto responsabile di alcune delle... soppressioni?» «È un sacerdote del Serpente. I loro voti impediscono loro di regnare, da qualsiasi parte.»
«Di solito ci sono parecchi modi per aggirare i voti.» «È vero, ma quell'uomo sembra sinceramente disinteressato a questo genere di cose.» «Questo non gli impedirebbe di avere un prediletto, e magari di aiutarlo in qualche modo. Non c'è nessuno vicino al trono che sia particolarmente legato al suo Ordine?» «Non che io sappia.» «Il che non significa che qualcuno non potrebbe essersi messo d'accordo con lui.» «No, anche se Bances non è il genere di uomo facile da convincere.» «In altre parole, credi che non abbia niente a che fare con tutto ciò che sta avvenendo.» «Finché non c'è nulla che mi dimostri il contrario.» «Chi è il prossimo in linea di successione?» «Tubble di Chanicut.» «Chi è il secondo?» «Tmer di Jesby.» «Ottima cosuccia, la tua pozza,» dissi a Suhuy. Mi mostrò di nuovo i suoi denti. Sembrava che ruotassero. «Siamo in lotta con Chanicut o con Jesby?» domandai. «Non proprio.» «Stiamo soltanto tenendo gli occhi aperti, eh?» «Sì.» «Come siamo arrivati a questo punto? Voglio dire, c'era un mucchio di gente coinvolta, se non ricordo male. C'è stata una notte dei lunghi coltelli o cosa?» «No, le morti si sono succedute con una certa regolarità per un certo tempo. La morte di Swayvill non è stata seguita da alcun bagno di sangue — anche se in effetti alcune delle morti sono avvenute molto di recente.» «Beh, sarà stata fatta qualche indagine. È stato arrestato qualcuno dei colpevoli?» «No, quelli che non sono stati uccisi sono fuggiti.» «E cosa mi dici di quelli uccisi? La loro identità potrebbe indicare qualche parentela politica.» «Non proprio. La maggior parte erano dei professionisti. Un altro paio erano soltanto dei ribelli qualsiasi, probabilmente gente malata di mente.» «Stai dicendo che non esistono indizi che ci dicano chi possa esserci dietro tutto questo?»
«Proprio così.» «Cosa mi dici allora dei sospetti?» «Lo stesso Tubble, ovviamente, è fra i sospetti, anche se non è prudente dirlo in giro. È quello che avrebbe più da guadagnare da tutta questa situazione e per il momento sembra che le cose si stiano mettendo proprio a suo favore. E poi la sua carriera è piena di complicità politiche, doppi giochi, assassinii. Ma questo risale a molto tempo fa. Tutti abbiamo i nostri scheletri negli armadi. Negli ultimi anni si è mostrato come un tradizionalista integerrimo.» «Tmer, allora — È in una situazione tale da generare sospetto. Non c'è niente che possa collegarlo con questo bagno di sangue?» «No davvero. Dei suoi affari non si sa nulla. È un tipo molto riservato. Ma in passato il suo nome non è stato mai associato a simili degenerazioni. Non lo conosco proprio bene, ma mi è sempre sembrata una persona più semplice e diretta di Tubble. Mi pare il tipo d'uomo che ricorrerebbe semplicemente a un colpo di stato, se davvero volesse a tutti i costi il trono, piuttosto che sprecare tutto questo tempo in congiure e intrighi.» «Ovviamente potrebbero essere coinvolte chissà quante persone, ognuna delle quali agirebbe per un proprio tornaconto personale.» «E ora che la faccenda si fa imminente dovranno venire allo scoperto?» «Così sembrerebbe, non credi?» Un sorriso. Un'alzata di spalle. «Niente ci assicura che un'incoronazione porrebbe fine a tutto questo,» disse. «Una corona non rende automaticamente una persona a prova di spada.» «Ma il successore salirebbe al potere portandosi dietro un bagaglio terribilmente gravoso.» «Non sarebbe la prima volta nel corso della storia. Se ci rifletti un attimo, degli ottimi sovrani hanno preso il potere sotto il peso di un sospetto simile a questo. Ad ogni modo, ti è venuto in mente che gli altri potrebbero pensare queste stesse cose di te?» «Sì e la cosa mi fa sentire molto a disagio. Mio padre desiderò il trono di Ambra per molto tempo e questo non fece che complicargli la vita. Fu davvero felice soltanto quando mandò al diavolo tutta la faccenda. Se la sua storia mi ha insegnato qualcosa, è proprio questo. Non ho questo genere di ambizioni.» Ma per un attimo me lo domandai. Cosa si provava ad avere il controllo di uno stato così grande? Ogni volta che mi lamentavo della politica, qui,
ad Ambra, o quando mi trovavo negli Stati Uniti, nell'Ombra Terra, c'era sempre l'istintivo corollario di pensare al modo in cui io mi sarei comportato in quelle situazioni qualora avessi avuto l'incarico di amministrarle. «Allora?» ripeté Mandor. Abbassai lo sguardo. «Forse in questo momento gli altri staranno scrutando le loro pozze d'acqua rivelatrici,» dissi, «sperando di trovare degli indizi.» «Senza dubbio,» rispose lui. «Cosa succederebbe se Tubble e Tmer morissero improvvisamente? Cosa faresti?» «Non pensarci neanche,» dissi. «Non succederà.» «Fai conto che succeda.» «Non lo so.» «Dovresti davvero prendere una decisione, almeno per tenerti pronto. Quando si conoscono le intenzioni della propria mente non si è mai a corto di parole.» «Grazie. Me ne ricorderò.» «Raccontami cos'altro ti è successo da quando ci siamo visti l'ultima volta.» E così feci, raccontandogli dei fantasmi del Disegno e di tutto il resto. Il suono simile al lamento riprese, proveniente da qualche punto nei pressi della roccia. Suhuy si diresse verso di essa. «Scusatemi,» disse, e la roccia si spaccò in due e lui vi passò attraverso. Immediatamente, sentii lo sguardo di Mandor posarsi sopra di me. «Probabilmente abbiamo soltanto un attimo,» disse. «Non c'è abbastanza tempo per parlare di tutto ciò di cui volevo discutere con te.» «Molto riservato, eh?» «Sì. Perciò dobbiamo fare in modo di cenare insieme prima del funerale. Diciamo al prossimo quarto di rotazione, quando il cielo è azzurro.» «D'accordo. Da te o nelle Vie di Sawall?» «Vieni da me alle Vie di Mandor.» Mentre annuivo, la roccia si aprì di nuovo, lentamente, e ne fuoriuscì una sottile figura demoniaca, scintillante di azzurro dentro un velo di vapore. Fui in piedi in un attimo, poi mi chinai per baciare la mano che lei mi aveva teso. «Madre,» dissi. «Non credevo di vederti così presto.» Sorrise, poi tutto sparì in un turbine. Le squame svanirono, i contorni del suo volto e della sua figura si alterarono. L'azzurro lasciò il posto a un colore di carne normale, anche se pallido. I fianchi e le spalle di allargarono
mentre si abbassava leggermente di statura, pur rimanendo sempre alta. Gli occhi marroni si fecero più belli, mentre le arcuate e folte sopracciglia si assottigliavano. Sul suo naso umano e leggermente all'insù apparvero delle piccole lentiggini. I capelli castani erano più lunghi di quando l'avevo vista l'ultima volta in forma umana. E non aveva smesso di sorridere. La sua tunica rossa l'avvolgeva, tenuta da una cintura; dal fianco sinistro pendeva uno stocco. «Mio caro Merlin,» disse, prendendomi la mano fra le sue e baciandomi sulle labbra. «Sono felice di vedere che stai bene. È passato molto tempo dalla tua ultima visita.» «Ultimamente la mia vita è stata particolarmente intensa.» «Lo so bene,» disse. «Ho sentito parlare di alcune delle tue numerose disavventure.» «Lo immaginavo. Non tutti hanno una ty'iga che li segue dappertutto, che periodicamente li seduce assumendo forme sempre diverse e, nel complesso, rendendogli la vita estremamente complicata con le sue attenzioni non richieste.» «Questo dimostra che mi preoccupo per te, mio caro.» «Dimostra anche che non hai alcun rispetto per la mia privacy né alcuna fiducia nel mio giudizio.» Mandor si schiarì la gola. «Salve, Dara,» disse poi. «Immagino che ai tuoi occhi le cose debbano sembrare così,» affermò lei. Poi, «Salve, Mandor,» continuò. «Cosa ti è successo al braccio?» «Un malinteso riguardo alcune architetture,» replicò lui. «Sei sparita dalla circolazione, anche se non dai nostri pensieri, per diverso tempo.» «Grazie, se devo intenderlo come un complimento,» disse. «Sì, di tanto in tanto mi dò un po' alla vita solitaria, quando il peso della società diventa eccessivo. Anche se tu in fondo saresti l'ultimo a dover parlare, signore, dal momento che per lunghi periodi di tempo ti dilegui nei labirinti delle Vie di Mandor — se è davvero là che ti rinchiudi.» L'uomo chinò il capo. «Come dici tu stessa, mia signora, sembriamo fatti della stessa pasta.» Gli occhi di lei si restrinsero, sebbene la sua voce rimanesse immutata, mentre diceva, «La cosa mi stupisce. Sì, talvolta può capitarmi di considerare i nostri spiriti come affini, soprattutto nei nostri cicli di attività più semplici. Ultimamente ne abbiamo passate parecchie, però, vero?» «Ma io sono stato un po' troppo sconsiderato,» disse Mandor, indicando
il braccio ferito. «Lo stesso non vale per te, ovviamente.» «Io non mi metto mai a discutere con le architetture,» disse. «Neanche con altre forze imponderabili?» domandò lui. «Io cerco sempre di avere a che fare con cose che sono a posto,» gli disse. «Anch'io, di solito.» «E se non puoi?» domandò lei. Mandor scrollò le spalle. «A volte si verificano delle... collisioni.» «Sei sopravvissuto a parecchie collisioni nella tua vita, vero?» «Non posso negarlo, ma è stato molto tempo fa. Anche tu sembri avere una fibra piuttosto resistente.» «Finora,» rispose lei. «Un giorno dovremo davvero provare a confrontare la nostra esperienza sulle forze imponderabili e sulle collisioni. Non sarebbe strano se scoprissimo di essere simili sotto ogni punto di vista?» «Ne sarei davvero sorpreso,» rispose Mandor. Rimasi affascinato e anche leggermente impaurito da quel rapido scambio di battute, sebbene a guidarmi fossero soltanto delle impressioni generiche non potendo io disporre di nessuna conoscenza sui particolari specifici. Erano in qualche modo simili e prima di allora non avevo mai sentito dire tante banalità in modo così preciso e in tono così enfatico al di fuori dei confini di Ambra, dove spesso si divertono a parlare in quel modo. «Perdonatemi,» disse poi Mandor, rivolgendosi a tutta la compagnia, «ma debbo assentarmi per fare in modo di accelerare la guarigione. Grazie per la tua ospitalità, signore.» Si inchinò davanti a Suhuy. «E per il piacere che mi ha arrecato l'incrociare la mia strada con la tua» — stavolta rivolgendosi a Dara. «Sei appena arrivato,» disse Suhuy, «e non hai mangiato nulla. Così facendo mi renderai davvero un misero ospite» «Stai pur certo, amico mio, che nessuno sarebbe in grado di effettuare una simile trasformazione,» affermò. Mentre indietreggiava verso la via che si stava aprendo alle sue spalle rivolse lo sguardo verso di me. «A dopo,» disse, e io annuii. Passò attraverso l'apertura e la roccia si solidificò subito dopo, mentre la sua figura svaniva nel nulla. «Il suo modo di parlare è sbalorditivo,» disse mia madre, «e sempre improvvisato, almeno così sembra.» «Grazia,» commentò Suhuy. «Ne ha avuta in abbondanza fin dalla nasci-
ta.» «Chi morirà oggi, mi domando?» disse lei. «Non sono così sicuro che l'implicazione sia giustificata,» replicò Suhuy. Lei scoppiò a ridere. «E se lo è,» disse lei, «moriranno con eleganza.» «È il biasimo o l'invidia che ti spinge a parlare?» domandò Suhuy. «Nessuna delle due cose,» replicò lei. «Perché anch'io sono un'ammiratrice della grazia — e degli scherzi ben riusciti.» «Madre,» dissi, «che sta succedendo?» «Cosa intendi dire, Merlin?» replicò lei. «Me ne andai da questo posto molto tempo fa. Tu mi mandasti dietro un demone perché mi cercasse e mi proteggesse. Probabilmente era predisposto per individuare una persona che avesse il sangue di Ambra. Così decise di proteggere sia Luke che me finché Luke non diede inizio ai suoi periodici tentativi di uccidermi. Quindi cominciò a proteggere me da Luke e cercò di determinare chi di noi due fosse la persona giusta. Visse perfino con Luke per un certo tempo, poi prese a perseguitare me. Avrei dovuto immaginare qualcosa del genere perché era sempre ansioso di sapere quale fosse il nome di mia madre. A quanto pareva Luke non parlava molto volentieri dei suoi parenti.» Lei rise. «Fanno proprio un bel quadretto,» cominciò a dire. «La piccola Jasra e il Principe delle Tenebre...» «Non cercare di cambiare argomento. Pensa a quanto può essere imbarazzante per un uomo adulto che sua madre gli mandi dietro dei demoni come balie.» «Usa il singolare. Era soltanto un demone, caro.» «Che vuol dire? Il principio è lo stesso. Quando la finirai con queste tue manie di protezione? Non sopporto...» «La ty'iga probabilmente ti ha salvato la vita in più di un'occasione, Merlin.» «Beh, sì. Ma...» «Avresti preferito morire piuttosto che essere protetto? E soltanto perché veniva da me?» «Non è questo il punto!» «Allora qual è il punto?» «Sembra che tu abbia dato per certo che non sarei stato in grado di bada-
re a me stesso e...» «Beh, infatti non lo sei stato.» «Ma tu non potevi saperlo. Quel che mi ha dato fastidio è che tu fin dall'inizio fossi sicura che nell'Ombra avrei avuto bisogno di uno chaperon, che mi tu mi abbia considerato un ingenuo sempliciotto, un incosciente...» «Immagino che ferirei i tuoi sentimenti se dicessi che in effetti lo eri davvero, trovandoti in un posto come l'Ombra, un luogo così diverso dalle Corti.» «Infatti, ma sono in grado di badare a me stesso!» «Non ci stavi riuscendo molto bene. Ma anche tu stai dando un mucchio di cose per scontate. Cosa ti fa credere che i motivi ai quali hai accennato fossero gli unici che potessero spingermi ad agire in questo modo?» «Okay. Dimmi che sapevi che ogni trenta di aprile Luke avrebbe tentato di uccidermi. E se la risposta è sì, perché non mi hai detto nulla?» «Non sapevo che ogni trenta di aprile Luke avrebbe tentato di ucciderti.» Mi voltai dall'altra parte. Chiusi rabbiosamente i pugni e poi tornai a rilassarli. «Dunque lo hai fatto soltanto per quel motivo?» «Merlin, perché trovi così difficile ammettere che qualche volta gli altri potrebbero sapere cose che tu non sai?» «Tanto per cominciare per la loro riluttanza a raccontarmi queste cose.» Rimase in silenzio per un lungo istante. Poi, «Temo ci sia qualcosa di vero in ciò che dici,» replicò lei. «Ma dei seri motivi mi impedivano di metterti al corrente di questi problemi.» «Allora comincia col parlarmi di questa impossibilità di dirmi tutto. Dimmi perché allora non ti fidavi di me.» «Non era una questione di fiducia.» «Allora puoi dirmi di cosa si trattava, almeno adesso?» Seguì un altro, più lungo, silenzio. «No,» disse infine. «Non ancora.» Mi voltai verso di lei, cercando di mantenermi impassibile e di controllare il tono della voce. «Allora non è cambiato nulla,» dissi, «né cambierà mai. Continui a non fidarti di me.» «Questo non è vero,» rispose lei, lanciando un'occhiata a Suhuy. «È solo che non è né il momento né il luogo adatto per approfondire questa faccenda.» «Potrei portarti un drink o qualcosa da mangiare, Dara?» disse d'un trat-
to Suhuy. «No, grazie,» rispose lei. «Non posso fermarmi oltre.» «Madre, allora dimmi qualcosa riguardo la ty'iga.» «Cosa vuoi sapere?» «L'hai richiamata da qualche luogo al di là del Cerchio.» «Esatto.» «Questi esseri sono di per se stessi incorporei, ma sono in grado di incarnarsi in corpi viventi per raggiungere i propri scopi.» «Sì.» «E se una di queste creature prendesse il corpo di una persona in punto di morte, o comunque prossima al trapasso, divenendo l'unico spirito vitale e l'unica intelligenza cosciente di quel corpo?» «Interessante. È una domanda puramente ipotetica?» «No. È veramente successo al demone che mi hai messo alle calcagna. Ora sembra non sia più in grado di abbandonare quel corpo. Perché?» «Non ne sono assolutamente certa,» disse lei. «Ora si trova intrappolato,» suggerì Suhuy. «Può andare e venire soltanto quando interagisce con un'intelligenza residente.» «Il corpo, sotto il controllo della ty'iga, si è ripreso dalla malattia che ha ucciso la sua coscienza,» dissi. «Vuoi dire che ora il demone vi rimarrà imprigionato per tutta la vita?» «Sì. Per quanto ne so.» «Allora dimmi questo: quando il corpo morirà verrà liberato o morirà insieme ad esso?» «Potrebbero verificarsi entrambe le possibilità,» replicò Suhuy. «Ma più tempo rimane nel corpo, più aumentano le probabilità che possa perire con esso.» Mi voltai verso mia madre. «Ecco la fine che farà,» dissi in tono lapidario. Lei alzò le spalle. «Ormai con lei ho finito e l'ho lasciata libera,» disse, «se dovesse servire si potrebbe sempre evocarne un'altra.» «Non farlo,» le dissi. «Non lo farò,» replicò lei. «Non serve, per il momento.» «Ma se lo ritenessi necessario, lo faresti?» «Una madre è sempre incline a pensare innanzitutto alla salvezza del figlio, che a lui piaccia o no.» Alzai la mano sinistra, tesi il dito indice in un gesto di rabbia, e in quel
mentre mi accorsi di avere al polso un braccialetto brillante — sembrava quasi un quasi ologramma di una corda intrecciata. Abbassai la mano, mi trattenni dal pronunciare la prima risposta che mi era venuta in mente, e dissi, «Ora sai quali sono i miei sentimenti.» «Li conosco da molto tempo ormai,» disse. «Vediamoci a cena alle Vie di Sawall, fra mezza rotazione, quando il cielo è color porpora. D'accordo?» «D'accordo,» dissi. «A dopo. Buona sera, Suhuy.» «Buona sera, Dara.» Fece tre passi e sparì, come prescriveva l'etichetta, dallo stesso punto da dove era entrata. Mi voltai e mi diressi a grandi passi verso il bordo della pozza e fissando lo sguardo nei suoi abissi sentii i muscoli delle spalle sciogliersi lentamente. Là sotto ora c'erano Jasra e Julia, nel laboratorio della rocca della Fortezza, intente a fare qualcosa di misterioso. Poi i fili le sommersero, qualche crudele verità celata dietro tutto quell'ordine e quella bellezza, iniziando a trasformarsi loro stessi in una maschera dalle proporzioni affascinanti e spaventose. Sentii una mano posarsi sulla mia spalla. «La famiglia,» disse Suhuy, «intrighi e pazzia. In questo momento stai avvertendo la tirannia degli affetti, vero?» Annuii. «Mark Twain una volta disse qualcosa riguardo la possibilità di scegliersi gli amici ma non i parenti,» risposi. «Non so cosa stiano combinando, anche se ho dei sospetti,» disse. «Non c'è altro da fare che stare ad aspettare. Mi piacerebbe sentire qualcos'altro sulle vicende che ti sono successe.» «Grazie, zio. Già,» dissi. «Perché no?» Così gli raccontai il resto della mia storia. Quando ero a metà del racconto, ci spostammo in cucina per mangiare qualcos'altro, poi prendemmo un'altra via che ci portò ad una terrazza galleggiante sopra un oceano color cemento, le cui onde andavano ad infrangersi contro una spiaggia e degli scogli rosa, sotto un cielo senza stelle, in alcuni punti rosso in altri color indaco. Là terminai il mio racconto. «È qualcosa di più che semplicemente interessante,» disse quando ebbi finito di parlare. «Oh? Vedi qualcosa in tutto questo, qualcosa che io non riesco a vede-
re?» domandai. «Mi hai fornito troppi elementi su cui riflettere per poterti dare un giudizio affrettato,» disse. «Non parliamone più, per ora.» «Molto bene.» Mi appoggiai sull'inferriata e presi a fissare l'acqua. «Hai bisogno di riposare,» disse dopo un po'. «Immagino di sì.» «Vieni, ti mostrerò la tua stanza.» Allungò una mano e io l'afferrai. Insieme affondammo nel pavimento. E così mi addormentai, attorniato da arazzi e da pesanti tendaggi, in una sala priva di porte nelle Vie di Suhuy. Doveva trovarsi all'interno di una torre, perché sentivo i venti fischiare dietro le pareti. Dormendo, cominciai a sognare... Mi trovavo di nuovo nel castello di Ambra, e percorrevo la scintillante lunghezza del Corridoio degli Specchi. Le fiammelle delle candele tremolavano negli alti candelabri. Camminando, non facevo alcun rumore. C'erano specchi di tutte le fogge. Ricoprivano le pareti sia a destra che a sinistra, grandi e piccoli. Mi vedevo passare nei loro abissi, riflesso, distorto, a volte rispecchiato nel riflesso stesso... Mi fermai davanti ad uno specchio sulla mia sinistra, alto e infranto, con una cornice di latta. Mentre mi voltavo verso di esso già sapevo che stavolta non sarebbe stata la mia figura quella che avrei contemplato. Non mi sbagliavo. Nello specchio vidi Coral che mi guardava. Indossava una blusa color pesca e non aveva la benda sull'occhio. La crepa del vetro rotto le divideva il volto a metà. L'occhio sinistro era verde come io stesso lo ricordavo, quello destro era il Gioiello del Giudizio. Entrambi sembravano fissi su di me. «Merlin,» disse. «Aiutami. Questo lo sento troppo strano. Ridammi indietro il mio occhio.» «Non so come fare,» dissi. «Non capisco cosa sia stato fatto.» «Il mio occhio,» continuò lei, come se non avesse udito le mie parole. «Nell'Occhio del Giudizio il mondo non è che un brulicare di forze, è freddo — così freddo! — e non è un luogo familiare. Aiutami!» «Troverò il modo,» dissi. «Il mio occhio...» continuò. Fuggii via. In uno specchio rettangolare con una cornice di legno, la cui base scolpi-
ta raffigurava una fenice, c'era Luke che mi fissava. «Ehi, vecchio mio,» disse, con un'aria vagamente trasandata, «mi piacerebbe proprio riavere indietro la spada di mio padre. Tu non l'hai vista, vero?» «Temo di no,» mormorai io. «È un peccato che si debba tenere un regalo per così poco tempo. Darai un'occhiata in giro, vero? Ho il presentimento che prima o poi ti capiterà fra le mani.» «Lo farò,» dissi. «Dopo tutto, sei in un certo senso responsabile di quanto è accaduto,» continuò. «Giusto,» assentii. «...E davvero mi piacerebbe riaverla indietro.» «Già,» dissi, passando oltre. Da un'ellisse incorniciata sulla mia destra si sprigionò una risata arcigna. Voltandomi, mi trovai di fronte al volto di Victor Melman, l'occultista dell'Ombra Terra che avevo affrontato molto tempo prima, quando avevano avuto inizio tutti i miei guai. «Figlio della perdizione!» sibilò. «È un piacere vederti vagare alla cieca nel Limbo. Che il mio sangue, di cui sono sporche le tue mani, possa bruciarti la pelle.» «Sono le tue stesse mani ad essersi sporcate col tuo sangue,» dissi. «Per me tu non sei che un suicida.» «Non è vero!» ribatté seccamente. «Mi uccidesti tu, e ingiustamente.» «Sciocchezze,» risposi. «Posso considerarmi colpevole di un mucchio di cose, ma la tua morte non è fra queste.» Ripresi a camminare, e dallo specchio spuntò la sua mano, che mi afferrò la spalla. «Assassino!» gridò. Mi liberai dalla sua stretta. «Va' al diavolo!» dissi, e andai avanti. Poi alla mia sinistra, in un ampio specchio incorniciato di verde con il vetro offuscato da una foschia verdognola, vidi Random che, scuotendo il capo, mi chiamava. «Merlin! Merlin! Cosa stai combinando?» domandò. «Ho saputo che per qualche tempo non mi hai tenuto al corrente di ciò che succedeva.» «Beh,» replicai, fissando quella figura con indosso un paio di Levi's e una maglietta arancione, «è vero, signore. Ci sono cose che non ho avuto il
tempo di approfondire.» «Cose da cui dipende la salvezza del regno, e tu non ne hai avuto il tempo?» «Beh, credo che dipenda anche da un certo fattore decisionale.» «Se ha a che fare con la salvezza di tutti noi, io sono l'unico che possa prendere decisioni.» «Sì, signore. Mi rendo conto che...» «Dobbiamo fare una chiacchierata, Merlin. Non è che per caso anche la tua vita privata è invischiata in qualche modo in tutto questo?» «Suppongo sia proprio così...» «Non importa. Il regno è più importante. Dobbiamo parlare.» «Sì, signore. Lo faremo non appena...» «"Non appena" un corno! Ora! Smetti di giocare e porta il tuo culo qui! Dobbiamo parlale!» «Lo farò, non appena...» «Finiscila! Se mi stai nascondendo delle informazioni importanti, il tuo comportamento sfiora il tradimento! Ho bisogno di vederti ora! Torna a casa!» «Lo farò,» dissi, e fuggii via di corsa, mentre la sua voce andava ad unirsi all'incessante coro delle altre, che continuavano a ripetere le loro domande, le loro suppliche, le loro accuse. Nello specchio successivo — circolare, con un'intricata cornice azzurra — c'era Julia che mi guardava. «Rieccoti,» disse, con voce quasi triste. «Sapevi che ti amavo.» «Anch'io ti amavo,» ammisi. «Mi ci è voluto molto tempo per capirlo. Credo di aver sbagliato tutto, però.» «Non mi amavi abbastanza,» disse. «Non al punto di fidarti di me. E così perdesti la mia fiducia.» Distolsi lo sguardo. «Mi dispiace,» dissi. «Non basta,» rispose lei. «Così siamo diventati nemici.» «Non doveva succedere.» «Troppo tardi,» disse. «Troppo tardi.» «Mi dispiace,» ripetei, e fuggii via. Così mi diressi verso Jasra, racchiusa in una cornice di diamante rossa. La sua mano dalle unghie scintillanti si protese fuori dello specchio e mi accarezzò la guancia. «Vai da qualche parte, mio caro ragazzo?» domandò.
«Spero di sì,» dissi. Accennò una smorfia di sorriso e strinse le labbra. «Ho notato che hai influito negativamente su mio figlio,» disse. «Da quando siete diventati amici ha perso il lato più aspro del suo carattere.» «Mi rincresce,» dissi. «...Il che potrebbe renderlo inadeguato al comando.» «Inadeguato o riluttante?» domandai. «Qualunque cosa fosse, sarebbe comunque colpa tua.» «Ormai è un uomo, Jasra. È in grado di prendere da sé le proprie decisioni.» «Temo che tu gli abbia insegnato a prendere quelle sbagliate.» «È responsabile delle proprie azioni, signora. Non prendetevela con me se fa cose che non vi garbano.» «E se Kashfa finisse per crollare soltanto perché tu l'hai ammorbidito troppo?» «Io rinuncio alla candidatura,» dissi, facendo un passo avanti. Fu un bene che mi fossi mosso, perché la sua mano sferrò un colpo, e le pericolose unghie mi mancarono di poco. Mi lanciò dietro delle bestemmie mentre mi allontanavo. Fortunatamente, si persero fra le grida degli altri. «Merlin?» Voltandomi di nuovo a destra riconobbi il volto di Nadya dentro uno specchio d'argento, la cui superfice e la cui cornice intarsiata formavano un unico pezzo. «Nadya! Perché mi segui dappertutto?» «Oh no,» rispose la ty'iga racchiusa dentro il corpo della donna. «Stavo giusto passando di qui, e ho bisogno di alcune informazioni.» «Non mi odi? Che piacere!» «Odiarti? Non essere sciocco. Non potrei mai.» «Tutti gli altri in questa galleria sembrano avercela con me.» «È soltanto un sogno, Merlin. Tu sei vero, io sono vera, e non so che dirti degli altri.» «Mi dispiace che per proteggermi, mia madre ti abbia tenuto sotto quell'incantesimo per tutti questi anni. Ora sei davvero libera? Se non lo sei, forse posso...» «Sono libera.» «Mi dispiace che assolvere al tuo compito ti abbia procurato così tanti problemi, non sapendo poi se ero io o Luke colui che avevi l'incarico di difendere. Chi avrebbe potuto sapere che nello stesso quartiere di Berkley
c'erano due Amberiti?» «A me non dispiace.» «Cosa vuoi dire?» «Sono venuta per avere delle informazioni. Voglio sapere dove posso trovare Luke.» «A Kashfa. È stato incoronato re giusto l'altro giorno. Cosa vuoi da lui?» «Non lo immagini proprio?» «No.» «Sono innamorata di lui. Lo sono sempre stata. Ora che sono libera dalla geas e che ho un corpo mio, voglio fargli sapere che Gail ero io e cosa provo per lui. Grazie, Merlin. Addio.» «Aspetta!» «Sì?» «Non ti ho mai ringraziato per avermi protetto per tutti questi anni, anche se per te era soltanto un obbligo, anche se per me si è rivelata una grossa seccatura. Grazie, e buona fortuna.» Lei sorrise e svanì nel nulla. Allungai il braccio e sfiorai lo specchio. «Fortuna,» credetti di sentirla dire. Strano. Era un sogno. Eppure non riuscivo a svegliarmi, e mi sembrava che fosse tutto vero. Io... «Sei tornato alle Corti appena in tempo per ordire i tuoi piani, a quanto vedo» — veniva da uno specchio tre passi avanti, stretto e bordato di nero. Mi diressi verso di esso. Mio fratello Jurt mi fissava con disprezzo. «Cosa vuoi?» domandai. Il suo volto infuriato era una brutta copia del mio. «Vorrei che tu non fossi mai esistito,» disse. «Dal momento che ormai non si può più rimediare, mi piacerebbe vederti morto.» «Qual è la terza possibilità?» domandai. «Che tu venga confinato in un inferno segreto, immagino.» «Perché?» «Tu ti interponi sempre fra me e ciò che desidero.» «Sarò ben felice di farmi da parte. Dimmi come.» «Da solo non potresti farlo, anche se volessi.» «Dunque mi odii?» «Sì.» «Credevo che il bagno nella Fontana avesse annientato ogni tuo sentimento.» «Non ho subito l'intero trattamento, così non ha fatto altro che rendermi
più forte.» «Non c'è modo di dimenticare tutta la storia e ricominciare da capo, da amici?» «Mai.» «Non credevo che le cose fossero così.» «Lei si è sempre interessata più a te che a me, e ora avrai il trono.» «Non essere ridicolo. Io non lo voglio.» «I tuoi desideri non hanno alcuna voce in capitolo nella faccenda.» «Non lo avrò.» «Sì, lo avrai — a meno che io non ti uccida prima.» «Non essere stupido. Non ne vale la pena.» «Un giorno, fra non molto, quando meno te l'aspetti, ti girerai e mi troverai davanti a te. Sarà troppo tardi.» Lo specchio si fece completamente nero. «Jurt!» Niente. Davvero seccante, doverlo sopportare in sogno oltre che da sveglio. Mi voltai verso uno specchio attorniato dal fuoco che si trovava diversi passi avanti a me sulla sinistra, sapendo — chissà come — che sarebbe stato il prossimo della serie. Mi diressi dalla sua parte. La donna sorrideva. «Eccoti qua,» disse. «Zia, cosa sta succedendo?» «Sembra quel tipo di conflitto comunemente definito come "irriducibile"» replicò Fiona. «Non è il tipo di risposta di cui ho bisogno.» «C'è troppo in gioco per poterti dare una risposta migliore.» «Ci sei in mezzo anche tu?» «Il mio è soltanto un piccolissimo ruolo. E non può certo esserti di alcun aiuto per il momento.» «Cosa devo fare?» «Informati bene su quali siano le tue opzioni e scegli la migliore.» «Migliore per chi? Migliore per cosa?» «Tu sei l'unico che possa stabilirlo.» «Puoi darmi un consiglio?» «Saresti stato in grado di percorrere il Disegno di Corwin quel giorno in cui ti ci portai?» «Sì.»
«Lo immaginavo. Fu tracciato in circostanze inusuali. Non potrà mai essere duplicato. Il nostro Disegno non avrebbe mai permesso la sua costruzione se lui stesso non si fosse trovato danneggiato e quindi troppo debole per impedire la sua creazione.» «Così?» «Il nostro Disegno sta cercando di assorbirlo, di incorporarlo. Se vi riuscirà, sarà lo stesso disastro che ci sarebbe stato se il Disegno di Ambra fosse stato distrutto al tempo della guerra. L'equilibrio con il Caos ne sarà completamente sconvolto.» «Il Caos non è abbastanza forte per impedire tutto questo? Credevo possedessero la stessa potenza.» «E così era, finché tu non riparasti il Disegno dell'Ombra. Allora quello di Ambra fu in grado di assorbirlo e questi aumentò la sua forza rispetto a quella del Caos. Ora è in grado di estendersi fino a comprendere quello di tuo padre contro il potere del Logrus.» «Non capisco cosa si possa fare.» «Neanch'io, ancora. Ma ti raccomando di non dimenticare quanto ti ho appena detto. Quando verrà il tempo dovrai prendere una decisione. Non ho idea di cosa questa potrà implicare, ma sarà estremamente importante.» «Ha ragione,» disse una voce proveniente da dietro le mie spalle. Voltandomi, dentro una scintillante cornice nera con una rosa d'argento sulla sommità, vidi mio padre. «Corwin!» sentii che diceva Fiona. «Dove sei?» «In un luogo privo di luce,» disse lui. «Credevo che ti trovassi ad Ambra, Padre, insieme a Deirdre,» dissi. «I fantasmi giocano a fare i fantasmi,» rispose lui. «Non ho molto tempo, perché sono troppo debole. Posso dirti soltanto questo: Non fidarti del Disegno, e neanche del Logrus, né di nessuno della loro progenie, finché questa faccenda non sarà risolta.» Cominciò a svanire. «Cosa posso fare per aiutarti?» Le parole «...nelle Corti» mi raggiunsero un attimo prima che lui svanisse del tutto. Mi voltai di nuovo. «Fi, cosa voleva dire con quelle parole?» le domandai. Sembrava preoccupata. «Ho l'impressione che la risposta si trovi da qualche parte nelle Corti,» rispose lentamente.
«Dove? Dove dovrei cercare?» Scosse il capo e distolse lo sguardo. «Chi lo sa?» disse. Poi se ne andò anche lei. Le voci continuavano a chiamarmi, da dietro, da davanti. Si sentivano pianti e risate e l'ossessiva ripetizione del mio nome. Corsi avanti. «Qualunque cosa avvenga,» disse Bill Roth, «se dovessi aver bisogno di un buon avvocato, ci penserò io, anche nel Caos.» Poi apparve Dworkin, che mi lanciava occhiate di traverso da un minuscolo specchio con una cornice tutta contorta. «Non per allarmarti,» osservò, «ma solo tipi di imponderabilità sono ora attorno a te.» «Cosa devo fare?» gridai. «Devi trasformarti in qualcosa di più grande di te stesso.» «Non capisco.» «Fuggi dalla gabbia che è la tua vita.» «Quale gabbia?» Se n'era andato. Presi a correre, e le loro parole risuonavano tutt'intorno a me. Quasi sul finire del corridoio vi era uno specchio simile a un pezzo di seta gialla disteso su di una cornice. Dentro di esso, il Gatto del Cheshire mi guardava ridacchiando. «Non ne vale la pena. Che vadano tutti al diavolo,» disse. «Andiamo al cabaret, vecchio mio. Ci faremo qualche birra e guarderemo il tizio che dipinge.» «No!» gridai. «No!» Poi rimase soltanto il sogghigno. Stavolta svanii anch'io. Vennero in mio soccorso l'oscuro oblio e il suono del vento che, chissà dove, soffiava. CAPITOLO III Non so quanto dormii. Fui svegliato dalla voce di Suhuy che ripeteva il mio nome. «Merlin, Merlin,» diceva. «Il cielo è bianco.» «E sarà una giornata faticosa,» risposi. «Lo so. Anche la notte lo è stata.» «È arrivato, allora.» «Cosa?»
«Il piccolo incantesimo che ho inviato su di te, per aprirti la mente a un'eventuale illuminazione. Speravo di indurti a trovare le risposte dentro di te, invece di angosciarti con tutte le mie congetture e i miei sospetti.» «Sono tornato al Corridoio degli Specchi.» «Non sapevo quale forma avrebbe assunto l'incantesimo.» «Era tutto vero?» «A giudicare da come funzionano di solito questo genere di cose, avrebbe dovuto esserlo.» «Beh, grazie, almeno credo. Questo mi fa venire in mente quello che mi ha detto Gryll riguardo il fatto che tu volessi vedermi prima che lo facesse mia madre.» «Volevo vedere cosa sapevi prima di incontrarla. Volevo proteggere la tua libertà di scelta.» «Cosa stai dicendo?» «Sono certo che lei voglia vederti sul trono.» Mi sedetti e mi sfregai gli occhi. «Credo sia impossibile,» dissi. «Non so fino a che punto sia disposta ad arrivare per veder realizzato il suo desiderio. Volevo darti la possibilità di conoscere la tua mente prima di trovarti esposto ai suoi piani. Ti andrebbe una tazza di tè?» «Sì, grazie.» Accettai il boccale che mi offrì e lo portai alle labbra. «Cosa mi dici del complotto che potrebbe aver messo in moto?» domandai. Scosse il capo. «Non so a che punto possa essersi spinta nella realizzazione dei suoi piani,» disse, «se è questo che intendi. E, anche se fosse o meno opera sua l'incantesimo nel quale eri avvolto, ora è svanito.» «Sei stato tu?» Annuì. Bevvi un altro sorso. «Non mi ero mai reso conto di quanto fossi vicino al vertice della linea di successione,» aggiunsi. «Jurt è il quarto o quinto della lista, non è vero?» Annuì. «Ho la sensazione che sarà una giornata molto faticosa,» dissi. «Finisci il tè,» mi disse, «e poi seguimi.» Si allontanò passando attraverso l'arazzo di un drago che ricopriva la pa-
rete opposta della stanza. Mentre sollevavo di nuovo il boccale, il brillante braccialetto sul mio polso sinistro si sciolse e fluttuò davanti a me, perdendo il suo contorno sfrangiato e divenendo un cerchio di luce pura. Rimase sospeso sopra la bevanda fumante, quasi gustando il suo aroma di cannella. «Ciao, Fantasma,» dissi. «Perché ti sei avvolto in quel modo attorno al mio polso?» «Per somigliare a quel pezzo di corda che porti di solito,» fu la risposta. «Pensavo che il trucco ti sarebbe piaciuto.» «Voglio dire, cosa hai fatto tutto questo tempo?» «Ho solo ascoltato, Papà. Cercando di capire cosa potessi fare per aiutarti. Anche queste persone sono tutti tuoi parenti?» «Quelle che ho incontrato finora, sì.» «È necessario tornare ad Ambra per parlar male di loro?» «No, funziona anche qui nelle Corti.» Bevvi un altro sorso di tè. «Hai in mente qualcosa di particolare? O è una domanda generica?» «Non mi fido né di tua madre né di tuo fratello Mandor, anche se mi sono nonna e zio. Credo ti stiano incastrando in qualcosa.» «Mandor è sempre stato buono con me.» «...E tuo zio Suhuy — sembra un tipo piuttosto assennato, ma mi ricorda molto Dworkin. Potrebbe covare dentro di sé chissà quali disordini mentali e magari manifestarli in qualsiasi momento, non credi?» «Spero di no,» dissi. «Non l'ha mai fatto.» «Oh-oh, sono cambiate un mucchio di cose, e questo è un periodo di forte tensione.» «Insomma, dove vuoi arrivare con questa psicologia da strapazzo?» «Ho studiato tutti i più grandi psicologi dell'Ombra Terra. Fa parte del mio perenne tentativo di comprendere la condizione umana. Mi sono reso conto che era il momento di imparare qualcosa di più riguardo le categorie irrazionali.» «Cosa ti ha spinto a farlo?» «La versione di ordine superiore del Disegno che ho trovato nel Gioiello. In essa c'erano degli aspetti che non riuscivo assolutamente a comprendere. Questo mi portò a delle considerazioni sulla teoria del caos, poi a Menninger e a tutti gli altri riguardo le sue manifestazioni nella coscienza.» «Qualche conclusione?» «So molte più cose.»
«Riguardante il Disegno, intendo.» «Sì. O possiede esso stesso un elemento di irrazionalità, com'è per gli esseri viventi, oppure è un'intelligenza di un ordine tale che alcuni dei suoi processi sembrano irrazionali soltanto agli esseri ad essa inferiori. Da un punto di vista pratico le due spiegazioni si equivalgono.» «Non ho mai avuto l'opportunità di applicare alcune delle verifiche che avevo progettato, ma sai dirmi, in base alla tua autocoscienza, se anche tu appartieni a questo tipo di categoria?» «Io? Irrazionale? L'idea non mi è mai passata per la mente. Non vedo come possa essere possibile.» Terminai il mio tè e spostai le gambe sopra la sponda del letto. «Molto male,» dissi. «Credo che una certa quantità di irrazionalità sia ciò che ci rende realmente umani, e il saperla riconoscere in noi stessi, ovviamente.» «Davvero?» Mi alzai e cominciai a vestirmi. «Sì, e la capacità di controllarla deve avere una qualche influenza anche sull'intelligenza e sulla creatività.» «Dovrò studiare tutto questo molto attentamente.» «Fallo,» dissi, infilandomi gli stivali, «e fammi sapere cosa scoprirai.» Mentre continuavo a vestirmi, mi domandò, «Quando il cielo diventerà azzurro andrai a far colazione con tuo fratello Mandor?» «Sì,» dissi. «E poi cenerai con tua madre?» «Esatto.» «E dopo ancora, parteciperai ai funerali del defunto sovrano?» «Lo farò.» «Avrai bisogno della mia protezione?» «Fra i miei parenti sarò al sicuro, Fantasma. Anche se non tu ti fidi di loro.» «All'ultimo funerale al quale partecipasti ci fu un attentato.» «È vero. Ma era Luke il responsabile e ora non fa più di queste cose. Non mi succederà nulla. Se vuoi puoi andare a farti un giro turistico.» «D'accordo,» disse. «Farò così.» Mi alzai e attraversai la stanza, fermandomi davanti al drago. «Sai indicarmi la strada per il Logrus?» domandò il Fantasma. «Stai scherzando?» «No,» rispose. «Ho visto il Disegno, ma non ho mai visto il luogo dove
si trova il Logrus. Dove lo tengono?» «Credevo di averti dato delle funzioni di memoria migliori. Nel tuo ultimo incontro con lui, l'hai fatto infuriare davvero molto.» «Credo tu abbia ragione. Pensi che mi terrà il broncio?» «Al momento, sì. Ripensandoci, pure. Stanne lontano.» «Ma tu mi hai appena detto di analizzare il fattore caos, l'irrazionale.» «Non ti ho detto di suicidarti però. Ho lavorato molto su di te.» «Anch'io mi stimo parecchio. E sai bene che dentro di me ho un imperativo di sopravvivenza, proprio come gli esseri organici.» «È sulla tua capacità di giudizio che nutro dei seri dubbi.» «Tu sai bene di cosa sono capace.» «Infatti, sei molto bravo a farti mandare al diavolo.» «E tu mi devi ancora dare un'educazione come si deve.» «Lascia che ci pensi io.» «Sarebbe solo una perdita di tempo. Credo di poterlo trovare da solo.» «Va bene. Vai pure.» «È così difficile da localizzare?» «Hai rinunciato all'onniscienza, ricordi?» «Papà, credo di doverlo vedere.» «Non ho tempo di portartici.» «Indicami soltanto la strada. Sono bravo a nascondermi.» «Ti accontento. D'accordo. Suhuy è il Guardiano del Logrus. Si trova in una caverna — da qualche parte. L'unica strada che conosco per arrivare fin là ha inizio in questo posto.» «Dove?» «Vi sono coinvolte qualcosa come nove rotazioni. Stenderò su di te un incantesimo visivo perché possa guidarti laggiù.» «Non so se i tuoi incantesimi funzioneranno su un essere come me...» Mi allungai attraverso l'anello — scusate, lo spikard — sovrapposi una serie di asterischi neri su una mappa delle vie che avrebbe dovuto seguire, la appesi davanti a lui, nello spazio della mia Visione del Logrus e dissi, «Io ho progettato te e ho progettato questo incantesimo.» «Uh, sì,» rispose Fantasma. «D'un tratto mi sento come se possedessi dei dati a cui non posso accedere.» «Ti sarà tutto rivelato al momento opportuno. Assumi la forma di un anello e avvolgiti attorno al mio indice sinistro. Abbandoneremo questa stanza in un attimo e ne attraverseremo delle altre. Quando saremo vicini alla via giusta te lo farò capire indicandotela. Procedendo in quella dire-
zione il cammino stesso ti porterà ad attraversare qualcosa che ti condurrà in un altro luogo. Là vicino troverai una stella nera che ti indicherà la successiva direzione da prendere, la quale ti porterà in un altro luogo e ad un'altra stella e così via. Ad un certo punto sbucherai nella caverna che ospita il Logrus. Trovati un nascondiglio sicuro e fai pure le tue considerazioni. Quando vorrai ritornare, ti basterà ripetere lo stesso processo all'inverso.» Si restrinse e volò sopra il mio dito. «Poi torna da me e fammi sapere com'è andata.» «Ci stavo pensando,» rispose la debolissima voce. «Non vorrei peggiorare ancora di più il tuo attuale stato di probabile paranoia.» «Coraggio» dissi. Attraversai la stanza ed entrai nel drago. Sbucai in un piccolo salotto in cui una finestra guardava verso le montagne, l'altra verso il deserto. Non c'era nessuno in giro e mi immisi in un lungo corridoio. Sì, era proprio come lo ricordavo. Mi incamminai passando davanti a numerose altre stanze, finché non giunsi all'altezza di una sala sulla mia sinistra e, aprendola, la scoprii piena di ramazze, scope, secchi, spazzole, un mucchio di panni da spolvero, una bacinella. Sì, era proprio come la ricordavo. Puntai il dito verso gli scaffali sulla mia destra. «Cerca la stella nera,» dissi. «Dici sul serio?» replicò la vocina sottile. «Va' e vedi.» Dal mio indice sinistro partì un raggio di luce, che, avvicinandosi verso gli scaffali, si distorse, ripiegandosi in una linea così sottile da non essere più visibile. «Buona fortuna,» dissi sottovoce, poi mi voltai dall'altra parte. Chiusi la porta, domandandomi se avevo fatto davvero la cosa giusta, consolandomi col pensiero che in un modo o nell'altro avrebbe finito senza dubbio per trovare il Logrus. Sarebbe successo quel che doveva succedere. E poi ero curioso di sapere cosa avrebbe potuto scoprire. Mi voltai e percorsi a ritroso il corridoio fino al salottino. Poteva essere l'ultima possibilità che avevo di rimanere per un po' da solo e avevo intenzione di approfittarne. Mi sedetti su una pila di cuscini ed estrassi i miei Trionfi. Una veloce scorsa del mazzo e subito mi saltò agli occhi il veloce schizzo che avevo fatto di Coral poco tempo fa, durante quella movimenta-
tissima giornata trascorsa ad Ambra. Osservai attentamente i suoi lineamenti finché la carta non divenne fredda. L'immagine si fece tridimensionale, poi la sua figura scomparve e io vidi me stesso che passeggiavo per le strade di Ambra in un assolato pomeriggio, tenendola per mano e conducendola in mezzo a un gruppo di mercanti. Un attimo dopo stavamo discendendo la parete del Kolvir, la distesa luccicante del mare davanti a noi, il volo basso dei gabbiani. Poi eravamo di nuovo al caffè, il tavolo che volava contro la parete... Coprii la carta con la mano. Stava dormendo, sognava. Che strano, entrare in quel modo nei sogni di un'altra persona. Ancora più strano trovarvi me stesso — a meno che, ovviamente, il contatto della mia mente non avesse provocato una reminiscenza inconscia... Uno dei dilemmi della vita, fra i più insignificanti. Non c'era bisogno di svegliare la povera ragazza solo per chiederle come si sentiva. Mi venne in mente che avrei potuto chiamare Luke e domandare a lui come stesse Coral. Iniziai a cercare la sua carta, poi ebbi un attimo d'esitazione. Doveva essere parecchio impegnato, dato che erano i suoi primi giorni da re. E sapevo già che lei stava riposando. Mentre giocherellavo con la carta di Luke, però, decidendo di metterla definitivamente da parte, mi comparve davanti agli occhi quella sottostante. Grigio, argento e nero... Il suo volto era una versione più vecchia e sotto certi aspetti più severa, del mio. Corwin, mio padre, era voltato verso di me e mi guardava. Quante volte avevo sudato su quella carta, nello sforzo di raggiungerlo, finché la mia mente non finiva per aggrovigliarsi in nodi dolorosi, senza ottenere alcun risultato? Mi avevano detto che voleva dire che era morto, o che stava impedendo il contatto. E allora fui preso da una strana sensazione. Ripensai alla sua storia, in particolare a quando mi aveva raccontato delle volte in cui avevano cercato di raggiungere Brand tramite il suo Trionfo, senza riuscirvi, all'inizio, poiché lui si trovava imprigionato in un'Ombra troppo lontana. Poi mi ricordai dei suoi tentativi di estendersi fino alle Corti, e delle difficoltà incontrate per la grande distanza. E se, invece di essere morto o di volermi bloccare, si fosse trovato molto distante dai luoghi nei quali mi ero trovato io, ogni qual volta che avevo cercato di mettermi in contatto con lui? Ma allora, chi era stato a venirmi in aiuto quella notte nell'Ombra, portandomi in quello strano luogo, fra le Ombre, dove mi erano successe tutte quelle bizzarre avventure? E, sebbene fossi molto incerto riguardo la natura della sua apparizione nel Corridoio degli Specchi, in seguito avevo avu-
to segni della sua presenza all'interno dello stesso Castello di Ambra. Se era stato anche in uno solo di questi posti, era chiaro che non avrebbe potuto contemporaneamente trovarsi troppo lontano. Questo voleva dire che mi stava semplicemente bloccando, e che un altro tentativo di raggiungerlo con ogni probabilità si sarebbe rivelato ugualmente infruttuoso. Ciò nonostante, se ci fosse stata qualche altra spiegazione per tutti questi avvenimenti e... La carta sembrava divenire fredda a contatto con la mia mano. Era soltanto la mia immaginazione, o la forza del mio desiderio stava cominciando ad attivarla? Sforzai la mia mente, concentrandomi. Mentre facevo così, la carta sembrò raffreddarsi ancora di più. «Papà?» dissi. «Corwin?» Ancora più fredda, e un senso di solletico sui polpastrelli che la toccavano. Sembrava l'inizio di un contatto via Trionfo. Poteva darsi che si trovasse molto più vicino alle Corti che ad Ambra e quindi ad una distanza più facilmente raggiungibile in quel momento... «Corwin,» ripetei. «Sono io, Merlin. Ciao.» L'immagine si spostò, sembrò muoversi. Poi la carta divenne completamente nera. Eppure era rimasta fredda e si avvertiva una sensazione simile a una versione silenziosa del contatto, come una lunga pausa durante una telefonata. «Papà? Ci sei?» La superfice nera della carta assunse un'improvvisa profondità. E negli abissi di quello spazio sembrò agitarsi qualcosa. «Merlin?» Il suono era debole, eppure ero sicuro che fosse sua la voce che stava pronunciando il mio nome. «Merlin?» Il movimento all'interno dell'abisso era reale. Qualcosa stava puntando velocemente verso di me. Sbucando con improvvisa violenza dalla carta si abbatté sul mio volto, accompagnato da uno sbattere di ali nere e da un gracchiare, corvo o cornacchia, nero, nero. «Proibito!» gridò. «Proibito! Torna indietro! Vattene!» Svolazzò attorno alla mia testa mentre le carte mi scivolavano dalle mani. «Stai lontano!» strillò, sorvolando con ampi cerchi la stanza. «Luogo proibito!» Oltrepassò il vano della porta e io lo inseguii. Ma sembrò che avesse approfittato di quegli attimi in cui l'avevo perso di vista per svanire nel nulla.
«Uccello!» gridai. «Torna indietro!» Ma non vi fu alcuna risposta, né alcuno sbattere di ali. Controllai nelle altre stanze, ma non trovai nessuna traccia della creatura. «Uccello...?» «Merlin! Che succede?» — la voce veniva dall'alto. Alzai lo sguardo e vidi Suhuy che scendeva una scala di cristallo dietro un tremulo velo di luce e alle sue spalle un cielo pieno di stelle. «Cercavo un uccello,» risposi. «Oh,» disse, raggiungendo il pavimento e attraversando il velo che un attimo dopo svanì nel nulla, portando via con sé anche la scala. «Un uccello in particolare?» «Un grosso uccello nero,» dissi. «Di quelli parlanti.» Scosse il capo. «Posso procurartene uno,» disse. «Questo era un uccello speciale,» dissi. «Mi dispiace che tu l'abbia perduto.» Uscimmo nel corridoio, girammo a destra e ci dirigemmo di nuovo verso il salotto. «Trionfi sparsi dappertutto,» osservò mio zio. «Mentre cercavo di usarne uno, è divenuto improvvisamente nero e ne è uscito fuori l'uccello che gridava, "Proibito"! e a quel punto mi sono cadute tutte in terra.» «A quanto pare il destinatario dev'essere un vero burlone,» disse, «o forse si trova sotto un incantesimo.» Ci inginocchiammo in terra e mi aiutò a raccoglierle. «Credo sia più probabile la seconda eventualità,» dissi. «Era la carta di mio padre. È molto tempo che cerco di localizzarlo e stavolta c'ero andato proprio vicino. Prima che l'uccello interrompesse il contatto, ho sentito davvero la sua voce provenire dall'interno del corto circuito.» «A quanto pare deve trovarsi confinato in un luogo scuro, magari anche sorvegliato tramite la magia.» «Sicuro!» dissi, pareggiando i bordi del mazzo e riponendolo nella custodia. In un luogo completamente buio non è possibile spostare la materia dell'Ombra. L'impedire la fuga a uno del nostro sangue ha la stessa efficacia di una assoluta cecità. Questo aggiungeva un elemento di sensatezza a quanto mi era appena successo. Qualcuno che voleva che Corwin rimanesse fuori del gioco doveva averlo relegato di proposito in un luogo estre-
mamente buio. «Hai mai conosciuto mio padre?» domandai. «No,» rispose Suhuy. «So che fece una breve visita alle Corti sul finire della guerra. Ma non ho mai avuto il piacere.» «Non sai nulla di quello che fece mentre si trovava qui?» «Credo abbia partecipato, insieme a Random e agli altri Amberiti, ad un incontro preliminare al trattato di pace con Swayvill e i suoi consiglieri. Dopo ciò, suppongo se ne sia andato per i fatti suoi e non ho idea di dove questi possano averlo portato.» «Lo stesso mi hanno detto ad Ambra,» dissi. «Mi domando... Aveva ucciso un nobile — un certo Lord Borel — sul finire dell'ultima battaglia. Non potrebbe essere che i parenti di questo Borel lo abbiano seguito per vendicarsi?» Strinse per due volte le zanne, producendo un suono secco, poi contrasse le labbra. «La Casa di Hendrake...» disse con aria meditabonda. «Non credo. Tua nonna era una Hendrake...» «Lo so,» dissi. «Ma non è mai corso molto buon sangue fra noi. Un certo dissapore con Helgram...» «Le Vie Hendrake sono molto legate ai canoni militari,» continuò. «La gloria del combattimento. L'onore delle armi, e roba del genere. Non credo siano i tipi che in tempo di pace continuino a covare rancore per un evento risalente al periodo della guerra.» Ripensando alla storia narratami da mio padre, dissi, «Anche se considerano l'uccisione disonorevole?» «Non so,» disse, rispondendo alla mia domanda. «È difficile immaginare come possano reagire a fatti specifici.» «Chi è a capo della Casa di Hendrake, attualmente?» «La Duchessa Belissa Minobee.» «Il duca, suo marito — Larsus... Cosa gli è successo?» «È morto a Patternfall. Credo lo abbia ucciso il Principe Julian di Ambra.» «E Borel era loro figlio?» «Sì.» «Ahi. Due della stessa famiglia. Non lo sapevo.» «Borel aveva due fratelli, un fratellastro e una sorellastra, molti zii, zie e cugini. Sì, è una grande casata. E le donne di Hendrake sono valorose quanto gli uomini.»
«Certo, è naturale. Ci sono canzoni come "Non Sposare mai una Ragazza Hendrake." Non c'è modo di scoprire se Corwin abbia avuto a che fare con gli Hendrake mentre si trovava qui?» «Si potrebbe chiedere un po' in giro, anche se è passato molto tempo. I ricordi si fanno confusi, le tracce si raffreddano. Non sarà facile.» Scosse il capo. «Quanto manca al cielo azzurro?» gli domandai. «Molto poco,» rispose. «Allora sarà meglio che mi metta in cammino per le Vie di Mandor. Ho promesso a mio fratello che avremmo fatto colazione insieme.» «Ci vediamo presto,» disse. «Al funerale, se non prima.» «Sì,» dissi. «Credo farei meglio a darmi una ripulita e a cambiarmi.» Mi diressi di nuovo verso la mia stanza, dove feci apparire una bacinella d'acqua, del sapone, uno spazzolino da denti, un rasoio, poi un paio di pantaloni grigi, degli stivali e una cinta neri, una camicia e un paio di guanti viola, un mantello nero carbone, una spada e un fodero nuovi. Quando mi fui reso più presentabile, presi una via che, passando attraverso una radura, portava nel soggiorno. Da là, uscii in una strada a scorrimento veloce. Dopo un quarto di miglio di sentiero di montagna, che si interrompeva bruscamente con un dirupo, feci apparire un sottile strato di nebbia e vi passai sopra. Quindi puntai diritto verso le Vie di Mandor, percorrendo un centinaio di metri di una spiaggia azzurra sotto un doppio sole. Girai a destra, attraversando un arco di pietra che ricordavo bene, costeggiando per qualche breve attimo un campo di lava ribollente e passando attraverso una parete di nera ossidiana, che mi condusse all'interno di una piacevole caverna, poi su di un piccolo ponticello e attraverso un angolo di cimitero e, dopo aver costeggiato per qualche metro il Cerchio, finii nel soggiorno delle sue Vie. L'intera parete alla mia sinistra era costituita da un fuoco lento e continuo; quella sulla destra, invece, era una via senza ritorno, tranne che per la luce, che illuminava una fossa sul fondo del mare dove si aggiravano creature lucenti che si mangiavano l'un l'altra. Mandor, in forma umana, era seduto davanti a me di fronte a una libreria, vestito in bianco e nero, i piedi poggiati su un divano alla turca, con in mano una copia di Praise di Robert Hass che gli avevo dato io. Alzando gli occhi, sorrise. «"I segugi della morte hanno avuto paura di me",» disse. «Un bel verso, questo. Come ti trova questo nuovo ciclo?»
«Riposato, finalmente,» dissi. «E tu?» Poggiò il libro su di un tavolino privo di gambe che volteggiava accanto a lui proprio in quel momento, e si alzò in piedi. Il fatto che fosse chiaro che lo stava leggendo soltanto perché sapeva che sarei venuto da un momento all'altro, non limitava in alcun modo la cortesia che aveva dimostrato nei miei confronti. Era fatto così. «Molto bene, grazie,» rispose. «Vieni, lascia che ti procuri qualcosa da mangiare.» Mi prese per il braccio e mi condusse verso la parete di fuoco. Non appena ci avvicinammo questa scomparve e il rumore dei nostri passi risuonò in un luogo di temporanea oscurità, a cui un istante dopo succedette un piccolo viottolo, con la luce del sole che giungeva filtrata dai rami arcuati sovrastanti e i cui lati erano costellati da violette in fiore. Il viottolo ci portò in un patio inaridito, alla cui estrema sinistra si trovava un gazebo verde e bianco. Salimmo una piccola rampa di scale che ci condusse al tavolo che si trovava all'interno; qui c'erano due brocche di succo di frutta gelato e alcuni cesti pieni di panini caldi. Mi fece segno di accomodarmi ed io mi sedetti. A un suo gesto accanto a me apparve d'un tratto una caraffa di caffè. «Vedo che non hai dimenticato quali erano i miei gusti per la colazione,» dissi, «quando vivevo nell'Ombra Terra. Grazie.» Annuendo, sorrise debolmente, venendo a sedersi accanto a me. Dagli alberi si levavano canti di uccelli che non riuscii a identificare. Una leggera brezza faceva stormire le foglie. «Cosa stai combinando, ultimamente?» gli domandai mentre mi versavo una tazza di caffè e spezzavo un panino. «Osservo il panorama, principalmente,» rispose. «Il panorama politico?» «Come sempre. Anche se gli ultimi fatti che mi sono capitati ad Ambra mi hanno portato a considerarlo come facente parte di un quadro ancora più ampio.» Annuii. «E le tue indagini con Fiona?» «Anche quelle,» rispose. «Si stanno risolvendo in tempi davvero inaspettati.» «L'ho notato.» «Sembrerebbe quasi che il conflitto Disegno-Logrus si stia rendendo manifesto negli affari mondani, come anche su scala cosmica.»
«Ho anch'io la stessa sensazione. Ma in questo sono prevenuto. Mi sono trovato coinvolto fin dall'inizio nella lotta cosmica, senza neanche averne alcun tornaconto. Ultimamente mi hanno fatto correre a destra e a sinistra e sono stato manipolato in ogni modo, fino al punto che tutte le mie vicende personali sembravano far parte di un quadro più vasto da loro predisposto. Tutto questo non mi piace neanche un po' e se conoscessi il modo per far tornare tutto com'era al principio vi ricorrerei di certo.» «Mh,» disse. «E se la tua vita fosse tutta un perfetto esempio di manipolazione?» «La cosa non mi farebbe sentire per niente meglio,» dissi. «Credo che proverei le stesse sensazioni che provo adesso, solo forse un po' più intense.» Fece un gesto e davanti a me apparve una meravigliosa frittata, seguita, pochi attimi dopo, da una mezza porzione di patate fritte, mischiate a quello che sembrava essere del chili verde con cipolle. «È soltanto un'ipotesi,» dissi mentre cominciavo a mangiare, «vero?» Seguì una lunga pausa, durante la quale ingoiò il suo primo boccone, poi, «Credo di no,» disse. «Credo che le Potenze si stiano agitando furiosamente da molto tempo, ormai,» continuò, «e che ormai siamo vicini alla fine della partita.» «Come fai a sapere tutto questo?» «Ho iniziato come prima cosa con un'attenta considerazione degli eventi,» disse. «Poi sono passato alla formulazione e alla verifica delle ipotesi.» «Risparmiami una conferenza sull'impiego del metodo scientifico in teologia e nella politica umana,» dissi. «Sei stato tu a chiedermelo.» «È vero. Vai avanti.» «Non ti sembra in un certo qual modo strano che Swayvill sia morto proprio adesso, quando così tante cose sono sul punto di realizzarsi contemporaneamente, dopo essere state in sospeso per tanto tempo?» «Prima o poi doveva succedere,» dissi, «e tutto lo stress di quest'ultimo periodo dev'essergli stato fatale.» «Tempismo,» disse Mandor. «Piazzamento strategico. Tempismo.» «Per cosa?» «Per mettere te sul trono del Caos, ovviamente,» rispose. CAPITOLO IV
A volte ti capita di sentire qualcosa di strano e così finisce. Altre volte senti qualcosa di improbabile e questo provoca un'eco. Hai l'immediata sensazione di averlo saputo da sempre, o perlomeno di aver saputo qualcosa di molto simile e di non esserti mai preoccupato di soffermarti ad analizzarlo. Per la verità, alle parole di Mandor, avrei dovuto come minimo rimanere senza fiato e poi sbuffare e dire qualcosa come «Ridicolo!» E invece avvertii una strana sensazione riguardo tutta questa faccenda, indipendentemente dal fatto che le sue conclusioni potessero o meno essere giuste, come se vi fosse implicato qualcosa di più che una semplice congettura, come se potesse esserci davvero un complesso piano che mi stava spingendo verso il cerchio di potere interno alle Corti. Lentamente, bevvi un'abbondante sorsata di caffè. Poi dissi, «Davvero?» Mentre lui scrutava l'espressione dei miei occhi e del mio volto, mi resi conto che stavo sorridendo. «Sei consapevole di far parte del complotto?» Sollevai di nuovo la mia tazza di caffè. Ero stato sul punto di dire, «No, naturalmente no. È la prima volta che ne sento parlare.» Ma poi ripensai a ciò che mi aveva raccontato mio padre, di come aveva ingannato la zia Flora, inducendola a fornirgli le vitali informazioni che l'amnesia gli aveva cancellato dalla mente. Non era stata tanto l'astuzia con cui l'aveva fatto a colpirmi, quanto il fatto che la sua mancanza di fiducia nei parenti trascendesse il livello di coscienza, esistendo come puro riflesso esistenziale. Non avendo vissuto in prima persona tutte le rivalità familiari che aveva sperimentato Corwin, non sapevo reagire con la sua stessa prontezza. E Mandor e io eravamo sempre andati particolarmente d'accordo, anche se lui aveva qualche secolo più di me e dei gusti decisamente differenti, in molti campi. Ma d'un tratto, trovandomi a discutere con lui di faccende così importanti, la vocina che Corwin definiva come la parte peggiore e più saggia del suo inconscio mi suggerì, «Perché no? Potresti cominciare a far pratica, amico,» e mentre abbassavo di nuovo la tazza decisi di provarci, tanto per vedere come ci si sentiva, giusto per qualche minuto. «Non so se abbiamo in mente la stessa cosa,» dissi. «Perché non mi racconti qualcosa riguardo la fase intermedia di questa partita, o magari anche quella iniziale, la cui conclusione tu credi sia ormai prossima?» «Il Disegno e il Logrus sono entrambi senzienti,» disse. «Sia io che te ne abbiamo avuto la prova. Che poi siano manifestazioni dell'Unicorno o del Serpente non fa alcuna differenza effettiva. In entrambi i casi stiamo parlando di intelligenze sovrumane che dispongono di poteri enormi. Doman-
darsi quale delle due sia più antica è un'altra questione teologica assolutamenete priva di utilità. Dobbiamo preoccuparci soltanto della situazione presente, dal momento che è questa che ci tocca da vicino.» Annuii. «Una giusta considerazione,» assentii. «Dai tempi dei tempi le forze che esse rappresentano si sono sempre opposte ma anche confrontate in modo sufficientemente equo,» continuò, «e così si è mantenuto una specie di equilibrio. Hanno costantemente cercato di riportare delle piccole vittorie l'una sull'altra, ognuna con lo scopo di allargare il proprio dominio a spese dell'altra. Era come una partita in perenne stato di parità. Oberon e Swayvill furono loro agenti per molto tempo, usando Dworkin e Suhuy come intermediari con le potenze stesse.» «Così?» domandai mentre bevevo un sorso di succo di frutta. «Credo che Dworkin si fosse avvicinato troppo al Disegno,» continuò, «e così fu manipolato. Ma era sufficientemente evoluto, tanto da accorgersene e opporre resistenza. Questo lo portò alla pazzia, ed ebbe un effetto altrettanto dannoso sullo stesso Disegno, a causa della loro stretta connessione. A sua volta ciò spinse il Disegno ad abbandonarlo, in modo da non rischiare un ulteriore trauma. Il danno era stato fatto, però, e il Logrus guadagnò un po' di terreno. Questo gli permise di agire nel regno dell'ordine mentre il Principe Bran dava inizio ai suoi esperimenti per aumentare le sue doti personali. Credo che si espose al controllo e divenne così un involontario agente del Logrus.» «Non è che una supposizione,» dissi. «Non dimenticare,» rispose, «che le sue intenzioni sembrarono divenire quelle di un pazzo. Assumono invece un senso se considerate lo scopo di qualcosa che aveva intenzione di distruggere tutto l'ordine, per restituire l'universo al caos.» «Continua,» dissi. «A un certo punto, il Disegno scoprì — o forse l'aveva sempre avuta in sé — la capacità di creare "fantasmi", dei simulacri di breve durata di persone che lo avevano attraversato. Un concetto davvero affascinante, questo. Ero realmente interessato a sapere qualcosa di più in proposito. Esso forniva un meccanismo superiore, avvalorando la mia tesi riguardo l'azione diretta del Disegno e probabilmente anche del Logrus, sul verificarsi degli eventi del mondo fisico. Non avrebbero potuto intervenire nel costituire tuo padre quale difensore del Disegno contro Brand?» «Non ti seguo,» dissi. «Costituirlo, hai detto?»
«Ho la sensazione che in realtà lui fosse la persona scelta dal Disegno per essere il nuovo Re di Ambra, un candidato facile da appoggiare, oltretutto, dal momento che questa scelta sembrava coincidere con i suoi stessi desideri. Mi ha incuriosito il suo improvviso ricovero in quella clinica dell'Ombra Terra e in particolare le circostanze riguardanti l'incidente che lo aveva portato là quando, anche ricorrendo a differenti linee di tempo, sembrava che Brand avesse dovuto trovarsi in due luoghi contemporaneamente — in prigione e con gli occhi fissi nel mirino di un fucile. Ovviamente, non si può più interpellare Brand per chiarire la vicenda.» «Altre supposizioni,» dissi, terminando la frittata. «Interessanti, ad ogni modo. Ti prego, vai avanti.» «Riguardo la faccenda del trono, però, tuo padre cambiò idea. Eppure lui era sempre il difensore di Ambra. Ambra vinse la guerra. Il Disegno fu riparato. L'equilibrio fu ristabilito. Random fu prescelto per salire al trono al posto suo — un uomo abile nel mantenere lo status quo — e la scelta fu fatta dall'Unicorno, non dagli Amberiti seguendo una delle versioni delle loro Regole di Successione.» «Non avevo mai esaminato la questione da questo punto di vista,» dissi. «E tuo padre — involontariamente, credo — aggiunse a tutto questo anche dell'altro. Temendo che il Disegno non fosse stato riparato, ne tracciò un altro. Solo che già era stato riparato. Così finirono per esserci due manufatti di ordine, invece di uno. Anche se, in quanto entità separata, non poté probabilmente sommare la sua forza a quella del Disegno, si aggiunse però all'ordine in quanto tale, diminuendo così la forza del Logrus. Perciò tuo padre, dopo aver ristabilito l'equilibrio, fece in modo di sconvolgerlo di nuovo — nella direzione opposta.» «Queste sono le conclusioni delle indagini che tu e Fiona avete fatto riguardo il nuovo Disegno?» Annuì lentamente, bevendo un sorso di succo di frutta. «Da allora, quali effetti più immediati, si sono avuti molti più cicloni d'Ombra del solito,» disse, «fino ad arrivare ai giorni nostri.» «Sì, i giorni nostri,» dissi, versandomi dell'altro caffè. «Da quanto abbiamo visto si sono fatti davvero interessanti.» «Infatti. La storia che mi hai raccontato di quella ragazza di nome Coral che chiese al Disegno di essere mandata in un luogo adatto, è un caso davvero illuminante. Cosa fece subito il Disegno? La mandò in un Disegno dell'Ombra e spense le luci. Poi inviò te a liberarla, servendosi della tua azione per riparare quella copia di sé. Una volta riparato, non era più un Di-
segno dell'Ombra, ma un'altra versione di se stesso che poi fu in grado di assorbire. Probabilmente assorbì anche quell'intera ombra, aumentando in modo considerevole le proprie energie. I suoi confini nei confronti del Logrus avanzarono ancora di più. Dopo quanto era successo il Logrus aveva bisogno di una grossa conquista per riuscire a ristabilire l'equilibrio. Così tentò un'incursione nel dominio del Disegno, in un disperato tentativo di prendere l'Occhio del Caos. Finì in un nulla di fatto, però, a causa dell'intervento di quella strana entità che tu chiami Timone Fantasma. Così la bilancia continua a pendere ancora adesso in favore del Disegno, uno stato di cose davvero pericoloso.» «Per il Logrus.» «Per tutti, direi. Finché le cose non verranno sistemate, le Potenze continueranno a essere in disaccordo e le ombre di entrambe i regni rimarranno agitate e sconvolte.» «Dunque si dovrebbe fare qualcosa a vantaggio del Logrus?» «Già lo sai.» «Immagino di sì.» «Si è messo direttamente in comunicazione con te, vero?» Ripensai alla notte nella cappella in quella terra fra le ombre, quando mi ero trovato a dover scegliere fra il Serpente e l'Unicorno, il Logrus e il Disegno. Risentito per il senso così perentorio del comando, mi ero rifiutato di scegliere. «Sì, lo ha fatto.» «Voleva fare di te il suo difensore, vero?» «Credo di sì,» dissi. «E...?» «...Ed eccoci qua,» risposi. «Non mostrò nulla che potrebbe avvalorare la mia tesi?» Ripensai a quel percorso attraverso la zona sottostante l'Ombra, e nella mia mente si affollarono ricordi di fantasmi e di minacce, il Disegno, il Logrus, o entrambi. «Credo di sì,» ripetei. Ma, in ultima analisi, al termine del viaggio era stato il Disegno che avevo finito per servire, anche se involontariamente. «Sei disposto a mettere in atto il suo progetto per il bene delle Corti?» «Sono disposto a cercare una soluzione a questa faccenda, per la pace di tutti.» Sorrise.
«È una condizione o un modo per dire di sì?» «È una dichiarazione delle mie intenzioni,» dissi. «Se il Logrus ha scelto te, avrà i suoi motivi.» «Direi di sì.» «Non c'è bisogno di dire che avere te sul trono rafforzerebbe immensamente la Casa di Sawall.» «L'avevo già immaginato e ora tu me lo confermi.» «Per uno con le tue origini, ovviamente, assumerebbe un'importanza prioritaria stabilire dov'è riposta la tua fondamentale lealtà, se con la Ambra o con le Corti.» «Prevedi un'altra guerra?» «No, naturalmente no. Ma qualsiasi cosa tu faccia per rafforzare il Logrus disturberà il Disegno e provocherà delle reazioni ad Ambra. Difficilmente si arriverà al punto di far scoppiare una guerra, ma è possibile che ne possa derivare una rappresaglia.» «Potresti essere più preciso su ciò che hai in mente?» «Per il momento sto facendo soltanto considerazioni generali, per darti l'opportunità di valutare le tue reazioni.» Annuii. «Dal momento che stiamo facendo delle considerazioni generali, ti ripeterò le mie intenzioni: sono disposto a cercare una soluzione» «Va bene,» disse. «Su questo ci siamo capiti. Nell'eventualità che tu riesca a salire sul trono, vorrai le stesse cose che vogliamo noi...» «Noi?» lo interruppi. «La Casa di Sawall, naturalmente. Ma non vorrai sentirti dire da nessuno quello che devi fare.» «Proprio così,» replicai. «Ma è chiaro che queste sono soltanto delle ipotesi, dal momento che ci sono ancora altre due persone che rivendicano dei diritti ancora più forti del tuo.» «E allora perché perdere tempo a parlare?» «Se la Casa riuscisse a farti incoronare, però, ti rendi conto che dovresti considerarti riconoscente verso di essa?» «Fratello,» dissi, «la Casa sei tu, a tutti gli effetti. Se mi stai chiedendo di impegnarmi ufficialmente prima di mettere fuori gioco Tmer e Tubble, scordatelo, non ho alcuna voglia di sedermi su di un trono.» «I tuoi desideri non contano molto in tutto questo,» disse. «Non c'è ragione di fare gli schizzinosi se si pensa al fatto che siamo stati per molto
tempo in disaccordo con i Jesby e che Chanicut è sempre stata una fonte di guai per noi.» «Non è questione di fare gli schizzinosi,» dissi. «Non ho mai detto di volere il trono. E, francamente, credo che sia Tmer che Tubble sarebbero dei sovrani molto più capaci di me.» «Non sono loro i prescelti dal Logrus.» «Allora, se io lo sono, dovrei riuscire ad ottenere il potere senza bisogno di aiuto.» «Fratello, un abisso divide il suo mondo di princìpi dal nostro di carne, pietra e acciaio.» «E se ti dicessi che ho dei programmi miei e che fra questi non c'è spazio per il vostro piano?» «Cos'altro devi fare?» «Stiamo parlando per ipotesi, ricordi?» «Merlin. Stai facendo troppo il difficile. Hai dei doveri in tutto questo, verso la Casa come anche verso le Corti e il Logrus.» «So bene quali sono i miei doveri, Mandor, e li ho sempre rispettati, finora.» «Se hai un piano per sistemare le cose ed è buono, ti aiuteremo a metterlo in atto. Cos'hai in mente?» «Per il momento non ho bisogno d'aiuto,» dissi, «ma me ne ricorderò.» «Di cosa hai bisogno, allora?» «Di alcune informazioni,» dissi. «Chiedi a me. Io ne ho molte.» «Bene. Cosa sai dirmi dei parenti di mia madre da parte di madre, la Casa di Hendrake?» Strinse le labbra. «Sono nella milizia, come professionisti,» disse. «Sai che sono sempre andati a combattere nelle guerre dell'Ombra. È una vera passione. Belissa Minobee ha preso il comando dalla morte del Generale Larsus. Mm.» Si fermò un attimo. Poi, «Me lo domandi per via di quella loro strana fissazione riguardo Ambra?» «Ambra?» dissi. «Cosa vuoi dire?» «Mi ricordo di una visita di circostanza fatta una volta nelle Vie di Hendrake,» disse, «quando finii per caso in una stanzetta simile a una cappella. In una nicchia nel muro era appeso un ritratto del Generale Benedict, con le alte insegne da combattimento. Sotto di esso, vi era uno scaffale simile a un altare sul quale erano poggiate diverse armi e dove ardevano alcune
candele. C'era anche il ritratto di tua madre.» «Davvero?» dissi. «Mi domando se Benedict ne sia a conoscenza. Una volta Dara raccontò a mio padre di discendere da Benedict. In seguito, lui la considerò una delle tante bugie... Pensi che quella gente potrebbe nutrire qualche rancore nei confronti di mio padre?» «Per cosa?» «Ai tempi della Guerra di Patternfall, Corwin uccise Borel di Hendrake.» «In genere queste cose le prendono con filosofia.» «Però, dal modo in cui lui me lo raccontò, ho motivo di credere che non si trattò di un combattimento proprio leale — anche se non credo vi sia stato alcun testimone.» «Se i draghi dormono, lasciali dormire.» «Non ho intenzione di svegliarli. Ma quello che mi domandavo era se non sia possibile che, venendo in qualche modo a conoscenza di alcuni particolari della vicenda, questo li abbia spinti a cercare di lavare il debito di onore nei confronti del defunto. Credi che potrebbero essere loro i responsabili della sua sparizione?» «Non so proprio,» rispose, «fino a che punto un'azione del genere risponderebbe al loro codice. Immagino che potresti chiederlo direttamente a loro.» «Sì, vado e gli domando, "Ehi, siete voi i responsabili di quanto è successo a mio padre?"» «Esistono modi più delicati per venire a sapere qualcosa riguardo le intenzioni di una persona,» rispose. «Se non ricordo male, quando eri più giovane ricevesti anche tu delle lezioni sull'argomento.» «Ma io questa gente non la conosco neanche. Voglio dire, avrò incontrato una delle sorelle a una festa, ora che ci penso — e mi ricordo di aver visto qualche volta di sfuggita Larsus e sua moglie — ma questo è tutto.» «Hendrake manderà un suo rappresentante al funerale,» disse. «Se dovessi presentartelo, magari potresti ricorrere alle tue doti ammaliatrici per ottenere un'udienza informale.» «Sai, potrebbe essere una soluzione» gli dissi. «Forse l'unica soluzione. Sì, fallo, te ne prego.» «Molto bene.» Con un gesto liberò il tavolo e lo riempì con dell'altro cibo. Stavolta davanti a noi apparvero delle sottilissime crêpe dai ripieni più vari e guarnite in modo diverso l'una dall'altra e degli altri panini, conditi in modi diffe-
renti. Per un po' mangiammo in silenzio, godendoci il gusto di quel cibo, il cinguettio degli uccelli e la brezza. «Avrei voluto vedere qualcosa di Ambra,» disse alla fine, «in circostanze meno problematiche.» «Sono sicuro che si potrà organizzare,» replicai. «Mi piacerebbe farti da guida. Conosco un grande ristorante nel Vicolo della Morte.» «Non sarà mica Eddie il Sanguinario, vero?» «Sì, anche se il nome cambia spesso.» «Ne ho sentito parlare, e mi ha sempre incuriosito molto.» «Ci andremo prima o poi.» «Ottimo.» Batté le mani e apparvero dei piatti di frutta. Mi versai dell'altro caffè e feci roteare un fico Kadota in una ciotola piena di panna montata. «Più tardi andrò a cena con mia madre,» dissi. «Sì. Ho sentito.» «L'hai vista spesso ultimamente? Com'è stata?» «Come ha detto lei, ha fatto una vita piuttosto ritirata,» rispose. «Credi stia combinando qualcosa?» «È probabile,» disse. «Non mi ricordo di un solo momento della sua vita in cui non sia stata intenta ad architettare qualcosa.» «Qualche idea sul cosa?» «Perché dovrei provare ad immaginarlo quando probabilmente ci penserà lei a dirti ogni cosa di persona?» «Credi davvero che lo farà?» «Essendo suo figlio, sei avvantaggiato rispetto agli altri.» «Anche svantaggiato, per la stessa ragione.» «Comunque, è più probabile che le cose le dica a te piuttosto che a qualcun altro.» «Tranne, forse, che a Jurt.» «Perché dici così?» «Lo ha sempre preferito a me.» «Strano, l'ho sentito dire la stessa cosa di te.» «Lo vedi spesso?» «Spesso? No.» «Quand'è stato l'ultima volta?» «Circa due cicli fa.» «Dove si trova?» «Qui, nelle Corti.»
«A Sawall?» Mi immaginai la scena di lui che si univa al nostro pranzo. Non mi sarei sorpreso se Dara avesse organizzato una cosa del genere. «In una delle vie secondarie, credo. È piuttosto restio a parlare dei suoi arrivi, delle sue partenze... e delle sue permanenze.» Dal momento che a Sawall c'erano qualcosa come otto dimore nelle vie traverse, per contare soltanto quelle di cui ero a conoscenza, sarebbe stato difficile rintracciarlo fra le vie secondarie che avrebbero potuto benissimo condurmi nell'Ombra. Non che poi desiderassi particolarmente trovarlo, per il momento. «Cosa l'ha spinto a tornare a casa?» domandai. «La stessa cosa che ha spinto te, il funerale,» disse, «e tutto ciò che l'accompagna.» Tutto ciò che l'accompagna, infatti! Se esisteva davvero un piano per mettermi sul trono, non avrei mai dovuto dimenticare, che fossi consenziente o meno, che il piano riuscisse o meno, che Jurt mi sarebbe stato alle calcagna per tutto il tempo. «Può darsi che dovrò ucciderlo,» dissi. «Non voglio. Ma non mi sta dando molta scelta. Prima o poi, ci costringerà in una posizione nella quale non ci sarà più posto per tutti e due.» «Perché mi dici questo?» «Perché tu sappia come la penso, così potrai usare quella poca influenza che forse ancora hai su di lui per convincerlo a darsi a un altro passatempo.» Scosse il capo. «Jurt risentiva della mia influenza molto tempo fa,» disse. «Dara è l'unica persona a cui presterebbe ascolto — anche se ho l'impressione che abbia ancora paura di Suhuy. Potresti parlare con lei della faccenda.» «È l'unica cosa della quale nessuno dei due può parlare con lei. «Perché no?» «È così e basta. Fraintende sempre.» «Sono sicuro che non vuole che i suoi due figli si ammazzino l'un l'altro.» «Naturalmente no, ma non so come spiegarle la situazione.» «Ti consiglio di cercare di trovare il modo. Nel frattempo, farei in modo di non rimanere solo con Jurt, se per caso le vostre strade dovessero incontrarsi. E, al posto tuo, in presenza di testimoni, mi assicurerei che il primo colpo non fosse il mio.» «Ti ringrazio, Mandor,» dissi.
Rimanemmo seduti in silenzio per un po'. Poi disse, «Ripensa alla mia proposta.» «Non appena l'avrò capita,» replicai. Aggrottò la fronte. «Se hai qualche domanda...» «No. Ci penserò.» Si alzò. Anch'io mi misi in piedi. Con un gesto ripulì il tavolo. Poi si girò e io lo seguii fuori del gazebo e attraverso il cortile fino al sentiero. Dopo aver camminato un po' sbucammo nel suo studio-soggiorno esterno. Mentre ci dirigevamo verso l'uscita mi strinse la spalla. «Ci vediamo al funerale, allora,» osservò. «Sì,» dissi. «Grazie per la colazione.» «Ora che ci penso, ti piace molto quella ragazza, Coral?» domandò. «Oh, davvero molto,» dissi. «È molto... carina. Perché?» Si strinse nelle spalle. «Pura curiosità. Ero preoccupato per lei, avendo assistito al suo incidente, e mi domandavo quanto significasse per te.» «Quanto basta perché la cosa mi angusti molto,» dissi. «Vedo. Beh, falle i miei auguri se dovessi parlare con lei.» «Grazie, lo farò.» «Parleremo più tardi.» «Sì.» Mi incamminai lungo la strada, senza affrettarmi troppo. Avevo ancora molto tempo prima dell'appuntamento alle Vie di Sawall. Quando raggiunsi un albero simile ad un albero di Giuda mi fermai un attimo. Un momento di riflessione e girai a sinistra, seguendo un sentiero che saliva in mezzo a delle rocce scure. Quando ero quasi sulla sua sommità, mi diressi verso un masso coperto di muschio, che spuntava da un banco di sabbia fra la pioggerellina leggera. Attraversai di corsa il campo di fronte a me, finché non raggiunsi il cerchio fatato sotto il vecchio albero. Mi portai in mezzo, inventai un distico con il mio nome come rima e sprofondai nel terreno. Quando riuscii a fermarmi e la momentanea oscurità scomparve, mi ritrovai accanto ad un'umida parete di roccia, dalla quale, guardando verso il fondovalle, si vedeva una distesa di lapidi e di monumenti funebri. Il cielo era completamente coperto e soffiava una brezza gelida. Sembrava uno dei due momenti estremi del giorno, ma non saprei dire se si fosse vicini alla prima mattina o al crepuscolo. Il posto era esattamente come lo ricordavo — i mausolei pieni di crepe ricoperti di edera, i
muri di cinta di pietra in rovina, i sentieri tortuosi sotto gli alberi alti e scuri. Iniziai a discendere il familiare viottolo. Da bambino, questo era stato uno dei miei luoghi di gioco preferiti, per un certo tempo. Qui, quasi ogni giorno e per dozzine di cicli, mi ero incontrato con una ragazzina dell'ombra di nome Rhanda. Scalciando da parte mucchi di ossa, oltrepassando velocemente gli umidi boschetti, arrivai al mausoleo semidistrutto che nel gioco avevamo adibito a nostra dimora. Spingendo da parte il cancello scardinato, entrai. Nulla era cambiatore mi sorpresi a ridere fra me e me. Le tazze e i piattini mezzi rotti, gli utensili ossidati, erano ancora ammassati nell'angolo, pieni di polvere e macchiati di umidità. Spazzolai il catafalco che avevamo usato come tavolo e mi ci sedetti sopra. Un giorno Rhanda aveva improvvisamente smesso di venire, e dopo un po' l'avevo fatto anch'io. Mi ero spesso domandato che genere di donna fosse diventata. Le avevo lasciato un messaggio nel nostro posto segreto, sotto una pietra staccata del pavimento, mi ricordai. Mi domandai se l'avesse mai trovato. Sollevai la pietra. La mia sudicia busta era ancora là, aperta. La tirai fuori, la scossi ben bene, e feci scivolare fuori il mio foglio piegato. Lo aprii e lessi il mio scarabocchio scritto con un'esitante calligrafia infantile: Cos'è successo, Rhanda? Ti ho aspettato e non sei venuta. Sotto, con una calligrafia molto più chiara, c'era scritto: Non potrò più venire perché la mia gente dice che sei un demone o un vampiro. Mi dispiace perché sei il più simpatico demone o vampiro che conosco. Non avevo mai pensato a quella possibilità. È sorprendente la quantità di modi con cui si può essere fraintesi. Rimasi seduto là per un po', ripensando al passato. Là dentro avevo insegnato a Rhanda la danza delle ossa. Allora schioccai le dita, e il nostro mucchietto di ossa stregate sparse sul pavimento emise un rumore simile a uno stormire di foglie agitate dal vento. Il mio incantesimo di gioventù era ancora in funzione; le ossa rotolarono in avanti, si sistemarono le une sulle altre fino a formare due manichini, e iniziarono la loro piccola e goffa danza. Giravano l'uno attorno all'altro, mantenendosi insieme a malapena, lasciando cadere qualche pezzo qua e là e trascinandosi dietro le ragnatele; i pezzi liberi, quelli in sovrappiù, cominciarono a saltellare accanto a loro. Toccandosi, producevano un debole suono metallico. Li feci muovere più velocemente. Un'ombra attraversò l'entrata, e udii una risata soffocata. «Che io sia dannato! Ti manca solo un tetto di latta. Dunque è così che
passate il tempo nel Caos.» «Luke!» esclamai vedendolo entrare, e, non appena distolsi la mia attenzione, i miei manichini crollarono a terra, riducendosi a dei piccoli mucchietti di bastoncini grigi. «Cosa ci fai qui?» «Diciamo che stavo vendendo alcuni lotti del cimitero,» osservò. «Non te ne interesserebbe uno?» Indossava una camicia rossa e dei pantaloni cachi infilati negli stivali marroni di pelle scamosciata. Dalle spalle scendeva un mantello rossiccio. Sorrideva. «Come mai non sei al posto di comando?» Per un attimo il sorriso svanì, e il suo posto fu preso da un'espressione di perplessità, ma dopo un attimo riapparve. «Oh, sentivo di aver bisogno di una pausa. E te, invece? Presto ci sarà un funerale, vero?» Annuii. «Più tardi,» dissi. «Anch'io stavo prendendomi una pausa. Ad ogni modo, come mai sei venuto quaggiù?» «Ho seguito il mio fiuto,» disse. «Sentivo il bisogno di tare una chiacchierata intelligente.» «Sii serio. Nessuno sapeva che stavo venendo qui. Io stesso non l'ho saputo fino all'ultimo minuto. Io...» Mi frugai nelle tasche. «Non mi avrai messo addosso un'altra di quelle pietre blu, eh?» «No, niente di così banale,» rispose. «Mi sembra di avere una specie di messaggio per te.» Mi misi in piedi e, avvicinandomi, controllai l'espressione del suo volto. «Stai bene, Luke?» «Certo. Cioè, come al solito.» «Non è una stupidaggine trovare una via che conduca così vicino alle Corti Specie se non ci è mai stati prima. Come hai fatto?» «Beh, le Corti e io ci conosciamo da parecchio tempo, vecchio mio. Potremmo dire che ce l'ho nel sangue.» Si scansò dalla soglia e io uscii all'esterno. Quasi senza rendercene conto, cominciammo a camminare. «Non capisco di cosa stai parlando,» gli dissi. «Beh, mio padre passò un po' di tempo qui, anni fa, ai tempi dei suoi complotti,» disse. «È qui che incontrò mia madre.» «Non lo sapevo.»
«Non ho mai avuto l'occasione di dirtelo. Non parlavamo mai delle nostre famiglie, ricordi?» «Già» dissi, «e fra tutti quelli a cui lo chiedevo, nessuno sapeva dirmi da dove venisse Jasra. Però, le Corti... Ora si trova molto lontana dalla sua patria d'origine.» «In realtà lei verme reclutata da un'ombra vicina,» spiegò, «simile a questa.» «Reclutata?» «Sì, lavorò come domestica per un certo numero di anni, credo che fosse piuttosto giovane quando cominciò, nelle Vie di Helgram.» «Helgram! Ma è la Casa di mia madre!» «Infatti. Lei era la dama di compagnia di Lady Dara. Fu lì che imparò le Arti.» «Jasra ricevette gli insegnamenti di stregoneria da mia madre? E incontrò Brand a Helgram? Da quanto mi dici sembrerebbe che Helgram avesse qualcosa a che fare con il complotto di Brand, con la Strada Nera, la guerra...» «...e con il desiderio di Lady Dara di trovare tuo padre? Suppongo di sì.» «Perché voleva essere un'iniziata del Disegno oltre che del Logrus?» «Può darsi,» disse. «Io non ero presente.» Scendemmo per un sentiero ghiaioso, svoltammo in prossimità di un vasto bosco scuro, passando attraverso una foresta di pietra e sopra un ponte che oltrepassava un ruscello dalle acque calme e nere nelle quali si riflettevano i rami alti e il cielo, dello stesso colore. Le poche foglie tremarono sotto un improvviso soffio di brezza. «Come mai non me ne avevi mai parlato prima d'ora?» domandai. «Volevo farlo, ma non mi sembrava mai così urgente,» disse, «mentre lo erano molte altre cose.» «È vero,» dissi. «Ogni volta che le nostre strade si incontravano sembrava che dovessimo accelerare il passo. Ma ora... Stai cercando di dirmi che ora è urgente, che d'un tratto è necessario che io sappia queste cose?» «Oh, non esattamente.» Si fermò. Si allungò e si chinò su di una lapide. Le sue mani cominciarono a stringerla, divenendo bianche sulle nocche e sulla parte frontale. Sotto la pressione delle sue dita, la pietra si ridusse in polvere, e si sparse in terra come neve. «Non esattamente,» ripeté. «È stata un'idea mia, volevo soltanto fartelo sapere. Forse ti farà del bene, forse no. Le informazioni sono così. Non si può mai saperlo con certezza.» Con lo scricchiolante rumore di un cigolio, la sommità della lapide si ruppe improvvisamente. Luke sembrò quasi non accorgersene, e la sua mano conti-
nuò a stringere la pietra. Dal pezzo che ora teneva nella morsa delle sue dita si staccavano frammenti più piccoli. «Così sei venuto fin qui per dirmi questo?» «No,» rispose, voltandosi e cominciando a ripercorrere il sentiero nel senso opposto. «Mi hanno mandato a dirti qualcos'altro, e non ho potuto in alcun modo rifiutarmi. Ma ho pensato che se prima ti avessi parlato di questo, sarei stato trattenuto dall'andarmene, e avrei avuto la forza necessaria per riferirti il messaggio.» Si udì un forte cigolio, e la pietra che aveva in mano si trasformò in un mucchio di ghiaia, che, cadendo, andò a confondersi con quella sparsa sul sentiero. «Fammi vedere la mano.» La tirò dietro, nascondendola. Una flebile fiamma si alzava guizzando dall'attaccatura del suo indice. Vi portò sopra il pollice ed essa si spense. Accelerai il passo, e lui mi raggiunse. «Luke, sai cosa sei?» «Qualcosa dentro di me sembra saperlo, ma io no, non lo so, amico. Io sento soltanto di non stare bene. Ora farò meglio a dirti quello che sento di doverti dire, e presto.» «No. Stammi lontano,» dissi, camminando ancora più in fretta. Qualcosa di scuro ci passò sopra, troppo velocemente perché potessi distinguerne la sagoma, dileguandosi fra gli alberi. Fummo colpiti da un'improvvisa raffica di vento. «Tu sai cosa sta succedendo, Merle?» domandò. «Credo di sì,» dissi, «e voglio che tu faccia esattamente quello che ti dirò, per quanto strano possa sembrarti. Okay?» «Sicuro. Se non posso fidarmi del Signore del Caos, di chi posso fidarmi, eh?» Oltrepassammo in fretta il gruppo di alberi. Dritto davanti a noi si vedeva il mio mausoleo. «Sai, però c'è davvero qualcosa che sento che dovrei dirti subito,» disse. «Non ancora. Ti prego.» «Ma è importante.» Corsi avanti. Anche lui prese a correre per starmi dietro. «Riguarda il tuo attuale soggiorno qui alle Corti.» Misi avanti le mani, usandole per fermarmi quando raggiunsi il muro della costruzione di pietra. Girando su me stesso attraversai la soglia e fui dentro. Tre grandi passi, poi mi inginocchiai nell'angolo, raccolsi in fretta
una vecchia tazza, usando l'angolo del mio mantello per pulirla. «Merle, cosa diavolo stai facendo?» domandò Luke, entrando dietro di me. «Solo un minuto e te lo mostrerò,» gli dissi, sfoderando il pugnale. Poggiata la tazza sulla pietra su cui mi ero seduto poco prima, tenni la mano sopra di essa e usai il pugnale per tagliarmi il polso. Invece di sangue, dal taglio si sprigionò una fiamma. «No! Maledizione!» gridai. Quindi mi allungai nello spikard, individuai la linea giusta e, trovato il canale fluido di un raggelante incantesimo, lo stesi sulla ferita. Immediatamente, le fiamme si spensero e dalla mia carne iniziò a sgorgare del sangue. Ma, cadendo nella tazza, cominciò a fumare. Imprecando, estesi l'incantesimo per controllare la sua liquidità anche all'interno del recipiente. «Già, è strano, Merle. Devo ammetterlo,» osservò Luke. Poggiai il pugnale da una parte e usai la mano destra per stringermi il braccio sopra la ferita. Il sangue sgorgò più velocemente. Lo spikard pulsava. Alzai lo sguardo verso Luke. Aveva un'espressione tesa. Strinsi ritmicamente il pugno. La tazza era piena oltre la metà. «Dicevi di fidarti dime,» osservai. «Temo che sia così,» rispose. Tre quarti... «Devi berlo, Luke,» dissi. «Voglio dire, questo.» «Chissà perché avevo il sospetto che sarebbe finita in questo modo,» disse, «e, davvero, non mi sembra un'idea così cattiva. Ho la sensazione di aver bisogno di molto aiuto in questo momento.» Allungò il braccio e presa la tazza la portò alle labbra. Spinsi il palmo della mano contro la ferita. Fuori, le raffiche di vento si susseguivano con un ritmo regolare. «Quando hai finito, rimettila dov'era,» dissi. «Te ne servirà dell'altro.» «Meglio di un bicchiere di Jameson,» disse poi. «Non so perché.» Rimise la tazza sulla pietra. «Un po' salato, però,» aggiunse. Tolsi la mano dalla ferita, rimisi il polso sopra la tazza e ricominciai a chiudere ritmicamente il pugno. «Ehi, amico. Stai perdendo un bel po' di sangue. Ora mi sento bene. Ero soltanto un po' stordito. Non me ne serve più.» «Sì, invece,» dissi. «Credimi. Una volta, per una trasfusione di sangue, ne donai molto più di questo e il giorno dopo corsi in una gara. È tutto sotto controllo.»
Il vento ora era divenuto una tempesta, e lo sentivamo gemere accanto a noi. «Ti dispiacerebbe dirmi cosa sta succedendo?» domandò. «Luke, tu sei un fantasma del Disegno,» gli dissi. «Cosa vuol dire?» «Il Disegno è in grado di fare un doppione di chiunque sia passato attraverso di esso. E tu hai tutti i sintomi. Li conosco bene.» «Ehi, io mi sento vero. Non ho neanche mai percorso il Disegno ad Ambra. Lo feci a Tirna Nog'th.» «A quanto pare è in grado di controllare le immagini di entrambi, dal momento che sono perfettamente identici. Ti ricordi nulla della tua incoronazione a Kashfa?» «Incoronazione? Diavolo, no! Vuoi dire che sono salito sul trono?» «Sì. Rinaldo Primo.» «Maledizione! Scommetto che mamma sarà felice.» «Ne sono certo.» «Tutto questo è un po' imbarazzante, questo fatto che ci siano due copie di me. Tu sembri molto informato sul fenomeno. In che modo lo controlla il Disegno?» «Voi fantasmi in genere non durate molto a lungo. Ad ogni modo, sembra che più siate vicini al Disegno stesso più siete forti. Deve aver assorbito un mucchio di energia per proiettarti così lontano. Qui, bevi questo.» «Certo.» Bevve d'un fiato la mezza tazza di sangue, poi la rimise a posto. «Allora a cosa servono questi preziosi fluidi corporei?» domandò. «Il sangue di Ambra sembra avere un effetto di sostentamento sui fantasmi del Disegno.» «Vuoi dire che sono una specie di vampiro?» «Immagino che potresti metterla così, considerando il tutto da un punto di vista puramente tecnico.» «Non credo che mi piaccia, specie tenendo presente le caratteristiche di questo tipo di vampiro.» «Sembra che ci siano anche alcuni svantaggi. Ma una cosa alla volta. Vediamo di renderti stabile prima di soffermarci sui particolari.» «Bene. Hai un pubblico involontario.» Dall'esterno ci raggiunse un acciottolio, come di una pietra che rotolasse, seguito da un flebile rumore metallico. Luke si voltò.
«Non credo sia soltanto il vento,» affermò. «Bevi l'ultimo sorso,» dissi, allontanandomi dalla tazza e tastando il terreno in cerca del coltello. Lo bevve tutto d'un fiato mentre mi bendavo il polso. Mi aiutò a fare il nodo. «Andiamo via di qui,» dissi. «La situazione si sta mettendo male.» «Lo penso anch'io,» replicò, vedendo una figura apparire nel vano della porta. La luce la illuminava da dietro, e i lineamenti si perdevano nell'ombra. «Non andrai da nessuna parte, fantasma del Disegno,» disse una voce quasi familiare. Costrinsi lo spikard a produrre un'illuminazione di circa 150 watt. Era Borel, che mostrava i denti in un'espressione tutt'altro che amichevole. «Ti sbagli, Borel!» dissi, alzando lo spikard. Improvvisamente, vidi fluttuare fra di noi il Segno del Logrus. «Borel? Il maestro di scherma?» esclamò pieno di stupore Luke. «Proprio lui,» risposi. «Oh, merda!» disse Luke. CAPITOLO V Quando tentai l'esplorazione usando due delle molteplici energie letali dello spikard, l'immagine del Logrus le intercettò e le annientò. «Non l'ho salvato per fartelo portare via così facilmente,» dissi e in quello stesso istante là accanto apparve qualcosa di simile all'immagine del Disegno, anche se non completamente identico ad essa. Il Segno del Logrus si portò alla mia sinistra. La nuova forza, qualunque cosa fosse, lo raggiunse, ed entrambe attraversarono in silenzio la parete. Quasi contemporaneamente, l'edificio fu scosso dal boato di un tuono. Persino Borel, che stava portando la mano verso la spada, si bloccò, poi spostò la mano per appoggiarsi al vano della porta. Mentre così faceva, alle sue spalle comparve un'altra figura, e una voce familiare si rivolse a lui dicendo: «Vi prego di scusarmi. Mi state bloccando il passaggio.» «Corwin!» gridai. «Papà!» Borel si voltò. «Corwin, il Principe di Ambra?» disse. «Infatti,» fu la risposta, «anche se temo di non aver avuto il piacere.»
«Io sono Borel, Duca di Hendrake, Maestro d'Armi delle Vie di Hendrake.» «Parlate con molte maiuscole, signore, e sono felice di fare la vostra conoscenza,» disse Corwin. «Ora, se non vi dispiace, vorrei passare per vedere mio figlio.» Voltandosi, Borel portò la mano sull'elsa della spada. In quel mentre, io mi stavo già muovendo in avanti e così anche Luke. Ma ci fu un movimento alle spalle di Borel — un calcio, così sembrò, inferro in basso — che gli fece espellere una gran quantità di aria costringendolo a piegarsi su se stesso. Poi un pugno lo colpì dietro al collo e lui cadde a terra. «Avanti,» ci incitò Corwin, gesticolando. «Credo faremmo meglio ad andarcene di qui.» Io e Luke uscimmo fuori, passando sul corpo svenuto del Maestro d'Armi delle Vie di Hendrake. A una certa distanza, sulla sinistra, il terreno appariva annerito, come per un fuoco recente, ed era cominciata a cadere una pioggia leggera. Ora si intravedevano in lontananza altre figure umane che venivano verso di noi. «Non so se la forza che mi ha portato qui sarà in grado di riportarmi via,» disse Corwin, guardandosi attorno. «Può darsi che sia occupata in altre cose.» Passò qualche attimo, poi, «Credo sia proprio così,» disse. «Okay, sta a te. Come facciamo a fuggire?» «Così,» gli dissi, voltandomi e mettendomi a correre. Mi seguirono su per i sentieri che mi avevano condotto in quel posto. Mi voltai e vidi sei sagome nere che ci inseguivano. Mi diressi verso la cima della collina, passando davanti alle lapidi e ai monumenti funebri, giungendo infine nel posto accanto al vecchio muro di pietra. In quel mentre, dietro di noi si levarono delle grida. Ignorandole, trassi a me i miei compagni e me ne uscii con un distico improvvisato che, in un metro non proprio perfetto, descriveva la situazione e i miei desideri. Eppure l'incantesimo funzionò e se un sasso lanciato da qualcuno mi mancò fu soltanto perché in quel momento cominciammo a sprofondare nel terreno. Uscimmo nell'anello fatato, spuntando come funghi e, correndo piano, condussi i miei compagni attraverso il campo verso il banco di sabbia. Mentre vi entravamo udii un altro grido. Uscimmo dal masso e scendemmo il sentiero roccioso fino all'albero di Giuda. Girando a sinistra sul sentiero, cominciai a correre. «Fermati!» gridò Corwin. «Sento che si trova da qualche parte qui vici-
no. Là!» Abbandonò il sentiero piegando a destra e cominciò a correre dirigendosi verso i piedi di una piccola collinetta. Luke ed io gli andammo dietro. Da dietro, sentivamo giungere i rumori degli inseguitori che erano appena usciti dal sentiero del masso. Davanti vidi qualcosa guizzare tra gli alberi. Sembrava ci stessimo dirigendo proprio da quella parte. Quando fummo più vicini, la sagoma si fece più chiara e mi resi conto che aveva il profilo di quell'immagine simile al Disegno che avevo visto all'interno del mausoleo. Mentre ci avvicinavamo, papà non rallentava l'andatura, ma puntava diritto verso di essa. E svanì. Dalle nostre spalle si levò un altro grido. Luke fu il secondo a passare attraverso lo schermo scintillante e io gli andai subito dietro. Ora correvamo attraverso un tunnel diritto, lucente e perlaceo e quando mi voltai vidi che sembrava si stesse chiudendo dietro di me. «Non possono seguirci,» gridò Corwin. «Quell'estremità si è già chiusa.» «Allora perché continuiamo a correre?» domandai. «Non siamo ancora in salvo,» rispose. «Stiamo tagliando attraverso il dominio del Logrus. Se venissimo scoperti potrebbero esserci altri guai.» Continuammo a correre attraverso quello strano tunnel e, «Stiamo passando attraverso l'Ombra?» domandai. «Sì.» «Allora dovrebbe funzionare così, che più ci allontaniamo, meglio...» L'intero tunnel tremò e io dovetti mettere avanti un braccio per evitare di essere scaraventato a terra. «Oh-oh,» disse Luke. «Sì,» assentii mentre il tunnel cominciava a cadere a pezzi. Dalle pareti e dal pavimento sembravano staccarsi grossi frammenti. Dietro le spaccature non c'era che oscurità. Continuammo ad avanzare, saltando le voragini che si aprivano sotto di noi. Poi ci fu un nuovo colpo, privo di suono, che distrusse completamente l'intero passaggio, intorno, dietro e davanti a noi. Cademmo a terra. Beh, non cademmo proprio. Piuttosto, precipitammo in una nebbia buia. Non sembrava esserci nulla sotto i nostri piedi, né in nessun'altra direzione. Era una sensazione simile alla caduta libera, con nessun punto di riferimento che ci permettesse di valutare il possibile movimento. «Dannazione!» sentii che diceva Corwin. Rimanemmo sospesi, fluttuammo, precipitammo, quel che fosse, per un
po', poi, «Manca poco,» lo udii mormorare. «Qualcosa da quella parte,» annunciò d'un tratto Luke, indicando alla sua destra. Un'enorme sagoma grigiastra apparve in lontananza. Spostai la mia mente nello spikard e controllai quella direzione. Qualunque cosa fosse, era inanimata e comandai allo spikard, che l'aveva toccata, di guidarci verso di essa. Non mi accorsi di muovermi, ma la cosa divenne più grande, assunse dei tratti familiari, iniziò a mostrare un colorito rossastro. Quando apparirono anche le alette, non ebbi più dubbi. «Somiglia alla tua Polly Jackson,» notò Luke. «È anche coperta di neve.» Sì, era la mia Chevy rossa e bianca del '57 la cosa alla quale ci stavamo avvicinando, là, dentro il Limbo. «È un concetto. Mi è stato tolto dalla mente prima,» gli dissi. «Se mi ci sono soffermato così spesso, forse era proprio perché è così realistico. E poi sembra davvero adatto al momento.» Mi sporsi verso la maniglia della portiera. Ci trovavamo dalla parte del conducente. Afferrai la presa e spinsi il bottone. Era aperta, naturalmente. Gli altri sfiorarono l'auto in diversi punti fino a portarsi lungo l'altra fiancata. Aprii la porta, scivolai dietro al volante, la richiusi. Intanto erano entrati anche Luke e Corwin. Le chiavi erano nell'accensione, come avevo immaginato. Quando fummo tutti a bordo, provai a metterla in moto. Il motore partì immediatamente. Guardai davanti a me, nel nulla che si apriva aldilà del cofano lucido. Accesi i fari ma non servì a nulla. «E adesso?» domandò Luke. Misi la prima, tolsi il freno a mano e lasciai la frizione. Mentre davo gas, sembrò che le ruote cominciassero a girare. Dopo qualche attimo misi la seconda. Aspettai un momento, poi passai in terza. Era una lievissima sensazione di trazione, quella, o soltanto il potere della suggestione? Diedi più gas. Il nebbioso panorama sembrò illuminarsi leggermente, in lontananza davanti a me, anche se immaginai che doveva trattarsi soltanto di una conseguenza del fatto che continuavo a fissare in quella direzione. Il volante non sembrava produrre alcun ritorno meccanico. Spinsi più a fondo sull'acceleratore. D'un tratto Luke allungò il braccio e accese la radio.
«...condizioni di guida pericolose,» disse la voce dell'annunciatore. «Perciò si consiglia di moderare la velocità.» Subito dopo seguì «Caravan» suonata da Wynton Marsalis. Interpretandolo come un messaggio personale, lasciai il gas. Ne derivò la netta sensazione di una leggera trazione, come se stessimo scivolando sul ghiaccio. Subito dopo avemmo l'impressione di muoverci in avanti e in lontananza mi parve di intravedere un po' di luce. Inoltre, mi sembrava di aver acquistato un certo peso, dal momento che ora affondavo di più nel sedile. Qualche attimo dopo la sensazione della presenza di una vera e propria superfice sotto le ruote della macchina si fece più pronunciata. Mi domandai cosa sarebbe successo se avessi girato il volante. Decisi di non provarci. Il rumore proveniente dalle gomme si fece più ghiaioso. Contorni indistinti apparvero a destra e a sinistra, accrescendo la sensazione di movimento e di direzione man mano che li oltrepassavamo. Il mondo davanti a noi, infatti, ora era diventato più luminoso. Rallentai ancora di più, perché ora mi sembrava di percorrere una strada vera e propria, dove la visibilità era molto bassa. Pochi attimi dopo la luce dei fari sembrò ottenere qualche effetto, illuminando alcune delle figure davanti cui passavamo e dando loro la momentanea fisionomia di alberi e terrapieni, ammassi di boscaglia e rocce. Lo specchietto retrovisore, però, continuava a non riflettere nulla. «Proprio come ai vecchi tempi,» disse Luke. «Quando uscivamo in quelle seratacce per andarci a mangiare una pizza.» «Già,» assentii. «Spero che l'altro me stesso abbia qualcuno che gli apra una pizzeria a Kashfa. Ce ne sarebbe bisogno, sai?» «Se così sarà, andrò ad assaggiarla.» «Ad ogni modo, dove credi mi porterà tutta questa faccenda?» «Non lo so, Luke.» «Voglio dire, non posso continuare a bere il tuo sangue in eterno. E che dire dell'altro me stesso?» «Credo di potervi offrire un compito che risolverà il vostro problema,» gli disse Corwin. «Almeno per un certo tempo.» Ora non c'erano più dubbi che gli alberi fossero davvero degli alberi, e la nebbia una nebbia reale — leggermente fluttuante. Sul parabrezza cominciavano a formarsi le prime goccioline di umidità. «Cosa volete dire?» domandò Luke.
«Lo saprete fra poco.» Nella nebbia c'erano ora delle fenditure, attraverso le quali si rendeva visibile il paesaggio. Improvvisamente, divenni conscio del fatto che non era una normale strada quella su cui stavo guidando, ma piuttosto un pezzo di terra discretamente piano. Provvedei subito rallentando ancora di più. Allora un vasto tratto di foschia si dissolse, o fu spazzato via dal vento, rivelando la presenza di un enorme albero. Una sezione di terreno, poi, sembrò brillare. Questa parte del quadro aveva un che di familiare... «Questo è il posto del tuo Disegno, vero?» domandai, mentre la strada si apriva ancora più alla vista. «Fiona mi ci portò una volta.» «Sì,» fu la risposta. «E la sua immagine... È la cosa che ho visto affrontare il Segno del Logrus mentre eravamo al cimitero, la stessa cosa che ci ha condotti nel tunnel.» «Sì.» «E poi... anche questo è senziente. Come quello di Ambra, come il Logrus.» «Vero. Parcheggia là sopra, in quello spazio libero accanto all'albero.» Sterzai e mi diressi verso il luogo pianeggiante che mi aveva indicato. Sulla zona aleggiava ancora un velo di nebbia, ma in nessun punto era così fitta e avviluppante come sul sentiero che avevamo appena percorso. Dovevamo essere vicini al crepuscolo, a giudicare dall'oscurità della foschia, ma il riverbero proveniente dallo strano Disegno illuminava il nostro mondo a forma di cupola con una luce molto superiore alla vaga oscurità di un giorno prossimo alla fine. Mentre uscivamo dall'auto, Corwin disse a Luke, «I fantasmi del Disegno in genere non durano molto a lungo.» «L'ho capito,» replicò Luke. «Conoscete qualche stratagemma per uno nelle mie condizioni?» «Li conosco rutti, signore. Debbo conoscerli per forza, così dicono.» «Oh?» «Papà...?» dissi. «Vuoi dire...» «Sì,» rispose lui. «Non ho idea di dove possa essere la versione originale di me stesso.» «Sei tu quello che ho incontrato poco tempo fa? E anche quello che negli ultimi giorni doveva trovarsi ad Ambra?» «Sì.» «Io... vedo. Eppure, non sembri perfettamente identico agli altri che ho
incontrato.» Allungò la mano e mi strinse la spalla. «Non lo sono,» disse, e rivolse lo sguardo verso il Disegno. «Sono io che l'ho tracciato,» continuò dopo un attimo di pausa, «e io sono l'unica persona ad averlo percorso. Di conseguenza, sono l'unico fantasma che possa richiamare. Esso, inoltre, sembra considerarmi con qualcosa di più di una semplice attenzione utilitaristica. Possiamo comunicare, in un certo senso e sembra che abbia deciso di concedermi l'energia necessaria perché io possa rimanere stabile, già da un bel po' di tempo. Abbiamo dei nostri piani e il rapporto che ci unisce sembra quasi simbiotico. Da quanto ne so, invece, i fantasmi del Disegno di Ambra e quelli del Logrus sono di natura molto più effimera.» «Questo l'ho sperimentato di persona,» dissi. «...tranne uno, al quale tu portasti aiuto, cosa ti sono grato. Lei si trova sotto la mia protezione, ora, e vi rimarrà per tutto il tempo della durata del Disegno stesso.» Mi tolse la mano dalla spalla. «Non sono stato ancora adeguatamente presentato al tuo amico,» disse poi. «Scusami. C'è stato qualche piccolo imprevisto che me l'ha impedito,» dissi. «Luke, ho il piacere di presentarti mio padre, Corwin di Ambra. Signore, Luke è propriamente conosciuto come Rinaldo, figlio di tuo fratello Brand.» Gli occhi di Corwin si spalancarono per un istante, poi si restrinsero mentre allungava la mano, studiando il volto di Luke. «È un piacere conoscere un amico di mio figlio, nonché mio parente,» disse. «Anch'io sono felice di conoscervi, signore.» «Mi domandavo cosa fosse quell'aria familiare che mi sembrava di riconoscere in te.» «Il che vi farà soffermare sulle apparenze, se è a questo che volete arrivare. E forse vi indurrà anche a fermarvi solo ad esse.» Papà rise. «Dove vi siete conosciuti?» «A scuola,» rispose Luke. «A Berkley.» «Dove altro potrebbero incontrarsi due come voi? Certo non ad Ambra,» disse, voltandosi poi completamente verso il suo Disegno. «Mi racconterete la vostra storia. Ma ora venite con me. Voglio fare anch'io una presenta-
zione.» Si diresse verso lo scintillante Disegno e noi lo seguimmo, mentre qualche ultimo strascico di nebbia aleggiava attorno a noi, oltrepassandoci. Tranne che per il flebile rumore dei nostri passi, il luogo era immerso nel silenzio. Quando giungemmo al margine del suo Disegno ci fermammo e fissammo intensamente lo spazio aldilà di esso. Era un disegno grazioso, troppo vasto per essere racchiuso in una sola occhiata; da esso sembrava sprigionarsi una vibrante sensazione di potere. «Ciao,» disse Corwin. «Voglio farti conoscere mio figlio e mio nipote, Merlin e Rinaldo — anche se credo che Merlin tu l'abbia già visto una volta. Rinaldo ha un problema.» Seguì un lungo silenzio. Poi disse, «Sì, è giusto,» e dopo un po', «Lo credi davvero?» e, «Okay. Certo, glielo dirò.» Si stirò, tirò un sospiro e si allontanò di qualche passo dal margine del Disegno. Poi allungò le braccia e le cinse attorno alle spalle dei due ragazzi. «Amici,» disse poi, «mi ha dato una risposta piuttosto buona. Ma implica il fatto che dovremo percorrere tutti quanti questo Disegno, per diverse ragioni.» «Sono pronto,» disse Luke. «Ma qual è il motivo?» «Ha intenzione di adottarti,» disse Corwin, «e di sostenerti come fa con me. C'è un prezzo, però. Si sta avvicinando il momento in cui avrà bisogno di essere sorvegliato giorno e notte. Potremo farlo un po' per uno.» «Non sembra male,» disse Luke. «Il posto è abbastanza tranquillo. E di certo non avevo intenzione di tornare a Kashfa per cercare di deporre me stesso.» «Okay. Andrò avanti io e tu mi verrai dietro rimanendo aggrappato alla mia spalla in caso dovessimo incontrare delle vibrazioni. Merlin, tu verrai per ultimo e manterrai un contatto con Luke, per la stessa ragione. D'accordo?» «Sicuro,» dissi. «Andiamo.» Si staccò da noi e si diresse verso il punto in cui aveva inizio la linea del disegno. Lo seguimmo e mentre faceva il primo passo la mano di Luke era già sulla sua spalla. Un attimo dopo eravamo tutti sul Disegno, pronti a combattere il combattimento di sempre. Anche quando iniziarono a sollevarsi le scintille, però, questo continuò a sembrarmi leggermente più facile, rispetto a quanto ricordavo dei percorsi del Disegno fatti in passato, forse perché c'era qualcun altro ad aprirmi la strada.
Immagini di viali delimitati da castagni si affollavano nella mia mente mentre avanzavamo faticosamente aprendoci il passaggio attraverso il Primo Velo. Poi le scintille si alzarono più in alto attorno a noi e avvertii le forze del Disegno pulsare intorno a me, penetrarmi, nel corpo e nella mente. Mi tornarono in mente i tempi della scuola, ripensai agli sforzi più grandi cui mi ero sottoposto nei campi di atletica. La resistenza continuava ad innalzarsi e noi ci piegavamo passando al suo interno. Muovere i piedi divenne uno sforzo enorme e mi resi conto che, in un certo senso, lo sforzo era più importante del movimento. Sentii i capelli cominciare a drizzarsi sulla mia testa mentre tutto il mio corpo veniva attraversato da una scarica elettrica. Eppure tutto questo non aveva in sé nulla dell'esasperante forza dimostrata dal Logrus quella volta in cui l'avevo attraversato, né il senso di avversità che avevo avvertito passando sul Disegno di Ambra. Era quasi come se stessi percorrendo l'interno di una mente, una mente che non aveva inclinazioni malvagie nei miei confronti. Avvertivo una sensazione — di incoraggiamento, quasi — ogni volta che mi sforzavo cercando di oltrepassare una curva o che effettuavo un cambiamento di direzione. La resistenza aveva la stessa forza dell'altro Disegno al medesimo punto e le scintille arrivavano alla stessa altezza, eppure non so bene perché ma sapevo che questo Disegno cercava di trattenermi in un modo diverso. Ci spingevamo lungo le linee. Giravamo, bruciavamo... Penetrare il Secondo Velo fu un esercizio al rallentatore di resistenza e volontà. Dopo di ciò, il cammino per un po' si fece più facile e ad impaurirmi e a consolarmi giunsero immagini riguardanti tutta la mia vita. Camminare. Uno, due... tre. Sentivo che se fossi riuscito a fare altri dieci passi avrei avuto una possibilità di salvezza. Quattro... Ero fradicio di sudore. Cinque... La resistenza era terribile. Per portare il mio piede avanti di qualche centimetro serviva uno sforzo pari a quello necessario per correre i cento metri. I miei polmoni funzionavano come un soffietto. Sei. Le scintille mi arrivarono al viso, mi oltrepassarono gli occhi, mi avvolsero completamente. Mi sentivo come se fossi stato trasformato in un'immortale fiamma blu che doveva in qualche modo aprirsi un passaggio attraverso un blocco di marmo. Io bruciavo e bruciavo, ma la pietra rimaneva immutata. Avrei potuto passare l'eternità in questo modo. Forse l'avevo già fatto. Sette. E le immagini se n'erano andate. Ogni ricordo era fuggito via. Anche la mia identità era assente. Ero ridotto a una cosa fatta di volontà pura. Ero un'azione, l'azione di lottare contro la resistenza. Otto... Non sentivo più il mio corpo. Il tempo era un concetto a me sconosciuto. Il lottare non era più
un lottare, adesso, ma una forma di movimento elementare, al cui confronto quello dei ghiacciai appariva come una folle corsa. Nove. Ora ero soltanto movimento — infinitesimale, costante... Dieci. Ci fu un attimo di pace. Si sarebbe fatto di nuovo difficile nel centro, ma sapevo che per il resto del cammino la tensione sarebbe stata minore. Qualcosa di simile a una musica bassa e lenta mi sosteneva, mentre, faticosamente, avanzavo, giravo ad una svolta, avanzavo. Era con me anche quando attraversavo l'Ultimo Velo e mentre oltrepassavo la metà dell'ultimo passo, divenne qualcosa di simile a «Caravan». Stavamo in piedi nel centro, rimanendo in silenzio per un po', respirando affannosamente. Cosa avessi ottenuto di preciso, non lo sapevo. Sentivo, però, che, in qualche modo, come prima cosa conoscevo meglio mio padre. Strascichi di foschia si aggiravano ancora lungo il Disegno, lungo la pianura. «Mi sento più forte,» annunciò qualche attimo dopo Luke. «Sì, vi aiuterò a sorvegliare questo luogo. Sembra un bel modo per passare il tempo.» «Ora che ci penso, Luke, qual era il messaggio che dovevi riferirmi?» domandai. «Oh, dovevo dirti di andartene dalle Corti,» replicò, «perché le cose si stavano facendo pericolose.» «Sapevo già del pericolo,» dissi. «Ma ci sono ancora delle cose che devo fare.» Si strinse nelle spalle. «Beh, il messaggio è questo,» disse. «Al momento nessun posto sembra realmente sicuro.» «Qui per ora non succederà nulla,» disse Corwin. «Nessuno dei due Poteri sa esattamente come fare per avvicinarsi a questo posto né come comportarsi con esso. È troppo forte perché il Disegno di Ambra lo possa assorbire e il Logrus non è in grado di distruggerlo.» «Sembra tutto abbastanza facile, allora.» «È probabile però che verrà il momento, in futuro, in cui cercheranno di attaccarlo.» «Fino ad allora, aspettiamo e teniamo gli occhi aperti. Okay. Se dovesse venire qualcosa, cosa potrebbe essere?» «Probabilmente dei fantasmi, come noi, che cercheranno di sapere qualcosa di più su di esso, di provarlo. Sei bravo a maneggiare quella spada?» «Modestamente, sì. Se non dovesse bastare, ho studiato anche le Arti.» «Basterà il ferro per farli cadere, anche se sarà fuoco ciò che verseranno le loro ferite, non sangue. Ora, se vuoi, puoi farti trasportare fuori dal Di-
segno. Ti raggiungerò fra qualche attimo per mostrarti dove sono nascoste le armi e le altre provviste. Vorrei fare un piccolo viaggio e lasciare a te l'incarico per qualche tempo.» «Perfetto,» disse Luke. «E tu, Merle?» «Io devo tornare nelle Corti. Ho un appuntamento a pranzo con mia madre, poi devo partecipare ai funerali di Swayvill.» «Forse non sarà in grado di mandarti fino alle Corti,» disse Corwin. «Si stanno avvicinando terribilmente al Logrus. Ma saprai certamente risolvere il problema in qualche modo, o lo farà lui. Come sta Dara?» «È passato molto tempo dall'ultima volta che ho avuto modo di vederla per più di qualche attimo,» risposi. «È sempre autoritaria, arrogante ed esageratamente sollecita quando si tratta di me. Ho anche l'impressione che possa essere implicata nei complotti politici del regno come anche in alcuni aspetti delle più vaste relazioni sociali esistenti fra le Corti ed Ambra.» Luke chiuse gli occhi per un attimo e svanì. Passò un attimo, e lo vidi accanto alla Polly Jackson. Aprì la portiera, scivolò sul sedile accanto alla guida, si piegò e giocherellò con qualcosa all'interno. Poco dopo, in lontananza, sentii la musica trasmessa dalla radio. «È probabile,» disse Corwin. «Non l'ho mai capita, lo sai. Spuntò fuori dal nulla in uno strano periodo della mia vita, mi mentì, divenimmo amanti, lei percorse il Disegno ad Ambra, e poi svanì. Fu come un sogno privo di senso. Era chiaro che mi aveva usato. Per anni credetti che lo avesse fatto soltanto per acquisire una conoscenza del Disegno e avervi accesso. Ma ultimamente ho avuto molto tempo per riflettere e non sono più sicuro che fosse quello il vero motivo.» «Oh?» dissi. «Cosa, allora?» «Tu,» rispose. «Ci sto pensando con sempre maggiore convinzione, quello che davvero voleva era avere un figlio o una figlia di Ambra.» Mi sentii raggelare. Possibile che la ragione della mia esistenza si riducesse a qualcosa di così calcolato? Che non ci fosse alla base alcun tipo di affetto? Che fossi stato concepito intenzionalmente per essere utilizzato per uno scopo preciso? L'idea non mi piaceva affatto. Capii quello che doveva provare il Timone Fantasma, un prodotto accuratamente strutturato della mia immaginazione e del mio intelletto, costruito per verificare progetti che sarebbero potuti venire in mente soltanto ad un Amberita. Eppure lui mi chiamava «Papà.» Sembrava davvero importargli di me. Stranamente, anch'io avevo cominciato a provare un affetto innaturale nei suoi confronti. Non era forse anche perché eravamo più simili di quanto io stesso
mi rendessi conto? «Perché?» domandai. «Perché la mia nascita sarebbe stata così importante per lei?» «Riesco soltanto a ricordare le sue ultime parole dopo che aveva completato il Disegno, mentre riassumeva il suo aspetto di demone. "Ambra," disse, "sarà distrutta" Poi sparì.» Stavo tremando, adesso. Le implicazioni erano così sconvolgenti che desideravo piangere, dormire o ubriacarmi. Qualsiasi cosa, pur di avere in cambio un momento di sollievo. «Credi che la mia esistenza possa far parte di un piano a lungo termine mirato alla distruzione di Ambra?» domandai. «Potrebbe,» disse. «Potrei sbagliarmi, figliolo. Potrei sbagliarmi di grosso e se così fosse ti chiedo scusa per averti causato tanta angoscia. D'altra parte, sarebbe ugualmente sbagliato da parte mia non metterti al corrente della possibilità che sia tutto vero.» Mi massaggiai le tempie, le sopracciglia, gli occhi. «Cosa dovrei fare?» dissi poi. «Io non voglio contribuire alla distruzione di Ambra.» Mi strinse per un attimo al petto e disse, «Non importa cosa sei né cosa ti è stato fatto, prima o poi dovrà esserci anche per te una possibilità di scelta. Tu sei molto di più che una semplice somma delle parti, Merlin. Non importa cosa influenzò la tua nascita né quello che ti è successo finora, tu hai due occhi, un cervello e dei precisi valori. Non farti prendere in giro da nessuno, neanche da me. E quando verrà il momento, se verrà, fai in modo di essere maledettamente sicuro che la scelta che farai sia solo tua. Allora niente di ciò che è successo prima avrà più alcuna importanza.» Le sue parole, vaghe come era indispensabile che fossero, mi trassero fuori da quel luogo del mio spirito in cui mi ero nascosto. «Grazie,» dissi. Annuì. Poi, «Malgrado il tuo primo impulso possa essere quello di pretendere un riscontro riguardo questa faccenda,» disse, «io te lo sconsiglio. Non otterrebbe altro risultato che quello di metterla al corrente di tuoi sospetti. Sarebbe prudente invece giocare una partita più accorta e vedere cosa riesci a scoprire.» Sospirai. «Hai ragione, naturalmente,» dissi. «Mi hai seguito per dirmi questo, oltre che per aiutarmi nella fuga, vero?» Sorrise.
«Preoccupati soltanto delle cose importanti,» disse. «Ci vedremo di nuovo.» E un attimo dopo era sparito. Lo vidi, improvvisamente, accanto all'auto, intento a parlare con Luke. Continuai a guardarlo mentre gli mostrava dove si trovavano i nascondigli. Mi domandai che ora fosse alle Corti. Dopo un po', mi fecero un gesto di saluto. Poi Corwin strinse la mano a Luke e, voltatosi, si allontanò camminando nella nebbia. Sentivo la radio che trasmetteva «Lili Marlene.» Mi concentrai sul desiderio che il Disegno mi trasportasse nelle Vie di Sawall. Ci fu un momentaneo turbinio di tenebra. Quando finì, mi trovavo ancora al centro del Disegno. Provai di nuovo, stavolta scegliendo come punto di arrivo il castello di Suhuy. Ancora una volta si rifiutò di obliterarmi il biglietto. «Fino a dove puoi mandarmi?» Ci fu un altro turbinio, stavolta scintillante di luce. Mi recapitò su un alto promontorio di roccia bianca sotto un cielo nero, accanto ad un mare ugualmente nero. Due pallide fiamme a forma di semicerchio chiudevano in una parentesi il punto in cui mi trovavo. Okay, poteva starmi bene. Mi trovavo alla Porta di Fuoco, una via di scambio dell'Ombra vicina alle Corti. Mi voltai verso il mare e contai. Quando ebbi individuato la quattordicesima torre guizzante di luce alla mia sinistra, mi incamminai verso di essa. Emersi dinanzi a una torre diroccata sotto un cielo rosa. Dirigendomi verso di essa, fui trasportato in una caverna di vetro attraverso la quale scorreva un fiume verde. Camminai lungo la riva del fiume finché non trovai il guado di pietre che mi portò in un sentiero immerso in mezzo a una foresta autunnale. Lo seguii per quasi un miglio finché non avvertii la presenza di una via accanto alle radici di un sempreverde. Questa mi condusse sul fianco di una montagna, da dove altre tre vie e due viottoli mi portarono sul sentiero giusto per recarmi a pranzo da mia madre. A giudicare dal cielo, non avevo tempo per cambiarmi d'abito. Mi fermai in prossimità di un incrocio per togliermi la polvere di dosso, sistemarmi, pettinarmi i capelli. Mentre così facevo, mi domandai chi avrebbe potuto ricevere la mia chiamata in caso avessi cercato di raggiungere Luke via Trionfo — Luke in persona, il suo fantasma, entrambi? E i fantasmi erano in grado di ricevere le chiamate dei Trionfi? Mi sorpresi a domandarmi anche cosa stesse succedendo ad Ambra. E pensai a Coral e a Nadya... All'inferno.
Avrei voluto essere da qualche altra parte. Avrei voluto essere lontano. L'avvertimento che il Disegno mi aveva mandato per mezzo di Luke, era fondato. Corwin mi aveva dato troppe cose a cui pensare e io non avevo avuto il tempo di ordinarle bene nella mia mente. Non volevo essere coinvolto in niente di tutto ciò che stava avvenendo qui alle Corti. Non mi piacevano tutte quelle implicazioni riguardanti mia madre. Non avevo nessuna voglia di partecipare al funerale. E poi mi sentivo, in un certo senso, disinformato. Veniva naturale pensare che se qualcuno avesse voluto qualcosa da me, qualcosa di veramente importante, come minimo avrebbe dovuto perdere un po' di tempo per mettermi al corrente della situazione e chiedere la mia collaborazione. Se poi fosse stato un parente, con molta probabilità sarei stato d'accordo nel fare ciò che mi chiedeva. Ottenere la mia collaborazione mi sembrava molto meno pericoloso di qualsiasi stratagemma finalizzato al controllo delle mie azioni. Avrei voluto tenermi lontano da tutti quelli che volevano controllarmi, come anche dai complotti che stavano architettando. Avrei potuto voltarmi e tornare di nuovo verso l'Ombra, magari perdermi laggiù. Avrei potuto tornare ad Ambra, raccontare a Random tutto ciò che sapevo, tutti i miei sospetti e lui mi avrebbe protetto dalle Corti. Avrei potuto ritornare nell'Ombra Terra, prendere una nuova identità, rimettermi a fare progetti di computer... Allora, naturalmente, non avrei più saputo nulla di ciò che stava succedendo né di ciò che era successo prima. Per quanto riguardava la reale dimora di mio padre, ero riuscito a raggiungerlo dalle Corti e solo da là. Quindi, doveva trovarsi nelle vicinanze. E da queste parti non c'era nessun altro che fosse disposto ad aiutarlo. Andai dritto e girai a destra. Mi diressi verso un cielo viola. Dovevo essere in orario. E così mi ritrovai di nuovo nelle Vie di Sawall. Ero uscito da un disegno raffigurante un'esplosione di stelle rosse e gialle dipinto in alto, sopra il muro principale della facciata del cortile, avevo disceso la Scala Invisibile e mi ero soffermato per dei lunghi attimi con lo sguardo fisso nel grande abisso centrale, nel quale era visibile la nera turbolenza del mondo al di là del Cerchio. Una stella cadente incendiò con la sua scia il cielo color porpora e intanto io mi allontanavo, diretto verso la porta dagli stipiti di rame e verso il basso Labirinto dell'Arte che si apriva dietro di essa. Una volta dentro, mi tornarono alla mente le molte volte che da bambino
mi ero perso in quel labirinto. La Casa di Sawall aveva collezionato arte dai tempi dei tempi e la collezione era così vasta che erano numerose le vie, percorrendo le quali si poteva venire proiettati nel labirinto, passando attraverso i tunnel, un'enorme spirale e quella che sembrava una vecchia stazione ferroviaria, prima di essere smistati indietro e perdere così la svolta successiva. Una volta vi ero rimasto intrappolato per giorni e giorni, e alla fine mi avevano trovato che piangevo davanti a un mucchio di scarpe blu inchiodate a un'asse. Ora lo stavo percorrendo, lentamente, osservando antiche mostruosità, e altre più recenti. Mischiati con esse, c'erano anche dei pezzi decisamente belli, come un enorme vaso che sembrava fosse stato scolpito da un unico opale di fuoco e una serie di strane tavolette smaltate provenienti da un'ombra lontana il cui significato e la cui funzione nessuno della famiglia avrebbe saputo ricordare. Doverti fermarmi a rivederle, invece che tagliare diritto per la galleria, perché le tavolette erano sempre state l'oggetto che preferivo in assoluto. Canticchiando una vecchia canzoncina che mi aveva insegnato Gryll, mi avvicinai al vaso igneo e lo osservai. Mi sembrò di udire come il rumore di uno strusciare, ma, guardando nel corridoio a destra e sinistra, non notai nessun altro nelle vicinanze. Le curve quasi sensuali del vaso sembravano implorare di essere toccate. Mi ricordavo di tutte le volte in cui, da bambino, mi era stato proibito farlo. Portai lentamente avanti la mano e la poggiai su di esso. Era più caldo di quanto immaginassi. Feci scivolare la mano lungo il suo fianco. Era simile a una fiamma congelata. «Ciao,» mormorai, ripensando a un'avventura che avevamo vissuto insieme. «È passato molto tempo...» «Merlin?» disse una vocina. Ritirai immediatamente la mano. L'impressione era che fosse stato il vaso a parlare. «Sì,» dissi poi. «Sì.» Di nuovo il rumore di quello strusciare, e nella morbida apertura sopra il fuoco vidi passare una breve ombra. «Ss,» disse l'ombra, alzandosi. «Glait?» chiesi. «Ssì.» «Non può essere. Sei morta da anni.» «Non ero morta. Dormivo.» «Non ti vedo da quando ero un bambino. Ti offesero. Sparisti. Pensavo fossi morta.»
«Dormo. Dormo per guarire. Dormo per dimenticare. Dormo per rinnovare me sstessa.» Allungai il braccio. La vellutata testa del serpente si alzò, si allungò, si posò sul mio avambraccio, si arrampicò, avvinghiandosi. «Certo, hai scelto degli appartamenti davvero eleganti per riposare.» «Ssapevo che la brocca era uno dei tuoi oggetti preferiti. Sse avessi ssaputo asspettare abbasstanza a lungo, ssapevo che ssaresti ripassato di qui e che ti ssaressti fermato per ammirarlo. E io me ne ssarei accorta e mi ssarei innalzata in tutto il mio ssplendore per ssalutarti. Mio caro, quanto ssei cresciuto!» «Tu sei rimasta quasi uguale. Un po' più magra, forse...» Le diedi un affettuoso buffetto sul capo. «È bello ssapere che ssei di nuovo fra noi, quale sspirito di una famiglia onorata. Tu, Gryll e Kergma rendesste la mia infanzia più felice di quel che avrebbe potuto essere.» Alzò la testa, colpendomi la guancia con il naso. «Rivederti risscalda il mio ssangue freddo, ragazzo mio. I tuoi viaggi ti hanno portato lontano?» «Sì. Davvero molto.» «Una di quesste notti dobbiamo trasscorrerla a mangiare topi ssdraiati vicino al fuoco. Tu mi risscalderai un piattino di latte e mi racconterai le avventure che ti ssono capitate da quando ssei partito dalle Vie di Ssawall. Ci procureremo qualche osso col midollo per Gryll, sse gira ancora da quesste parti.» «Attualmente sembra sia a servizio di mio zio Suhuy. E di Kergma, che mi dici?» «Non sso. È passato cossi tanto tempo.» La avvicinai a me per scaldarla. «Grazie per essere rimasta qui ad aspettarmi durante il tuo lungo sonno, per salutarmi» «Non l'ho fatto ssolo per amicizia, c'è dell'altro.» «Dell'altro? Cosa dunque, Glait? Cos'è?» «Una cossa che devo mosstrarti. Vai da quella parte.» Mi fece cenno con la testa. Mi mossi nella direzione che mi aveva indicato, che comunque era la stessa verso la quale mi sarei diretto, là dove i corridoi si allargavano. La sentivo vibrare sul mio braccio, e avvertivo quel suono quasi impercettibile di fusa che faceva di tanto in tanto. D'un tratto si irrigidì e drizzò la testa, oscillando leggermente.
«Cosa succede?» domandai. «To-pi,» disse. «To-pi qui vicino. Dovrò andare a caccia — dopo averti mosstrato — la cossa. Colazione...» «Se vuoi mangiare prima, posso aspettare.» «No, Merlin. Non devi arrivare in ritardo a quel qualcossa che ti ha portato qui. Ssento che è importante. A dopo la fessta, i topi...» Giungemmo in una zona ampia, alta e illuminata della galleria. Accanto a noi si ergevano quattro enormi pezzi di una scultura in metallo — perlopiù bronzo e rame — disposti in modo asimmetrico. «Avanti,» disse Glait. «Non è qui.» All'angolo successivo girai a destra e andai avanti. Dopo breve tempo giungemmo davanti a un'altra scultura raffigurante, questa, una foresta di metallo. «Piano adesso. Piano, caro demonietto.» Mi fermai e osservai attentamente gli alberi lucenti, scuri, scintillanti, opachi. Ferro, alluminio, ottone, era davvero impressionante. L'ultima volta che ero passato di là, anni prima, questa scultura non c'era ancora. La qual cosa non era certo strana, naturalmente. Anche nelle altre aree che avevo percorso avevo notato dei cambiamenti. «Adesso. Qui. Vai dentro. Torna indietro.» Mi incamminai dentro la foresta. «Ssulla desstra. Quello alto.» Mi fermai quando arrivai davanti al tronco ricurvo dell'albero più alto sulla mia destra. «Questo?» «Ssì. Ssaltaci ssu, in alto, ti prego.» «Vuoi dire che mi ci devo arrampicare?» «Ssì.» «Va bene.» L'aspetto positivo di un albero stilizzato, o perlomeno di questo albero stilizzato, era che si avvolgeva a spirale, si allargava e si contorceva in modo tale da fornire molti più appigli per le mani e per i piedi di quanto apparisse a prima vista. Mi aggrappai, mi tirai su, trovai un punto dove poggiare il piede, tirai di nuovo, spinsi. Più in alto. Ancora più in alto. Quando ero arrivato a circa tre metri da terra mi fermai. «Uh, cosa devo fare ora che sono arrivato quassù?» domandai. «Arrampicati ancora più in alto.» «Perché?»
«Pressto. Pressto. Pressto lo ssaprai.» Mi arrampicai per un altro mezzo metro e allora lo sentii. Non si tratta di un semplice prurito, quanto invece di un senso di attrazione. Il prurito, invece, lo avverto soltanto, qualche volta, quando mi portano in un posto pericoloso. «Dev'esserci una via quassù,» dissi. «Ssì. Me ne sstavo avvolta attorno a un ramo dell'albero blu quando un maesstro dell'ombra la aprì. Un attimo dopo lo uccissero.» «Deve portare a qualcosa di molto importante.» «Ssuppongo di sì. Non ssono brava a giudicare... le cosse umane.» «L'hai attraversata?» «Ssì.» «Dunque è sicura.» «Ssì.» «Perfetto.» Mi arrampicai ancora più in alto, opponendo resistenza alla forza della via finché non ebbi portato tutti e due i piedi allo stesso livello. Quindi mi lasciai andare, facendomi trasportare da quella forza. Misi avanti ambedue le mani, per timore che la superfice fosse irregolare. Ma non lo era. Il suolo era perfettamente pavimentato con mattonelle nere, argentee, grigie e bianche. Sulla destra vi era un disegno geometrico, sulla sinistra una rappresentazione dell'Abisso del Caos. I miei occhi, però, rimasero rivolti verso il basso soltanto per qualche attimo. «Buon Dio!» esclamai. «Avevo ragione? È importante?» disse Glait. «È importante,» risposi. CAPITOLO VI C'erano candele tutt'intorno alla cappella, molte delle quali alte quanto me e larghe quasi altrettanto. Alcune erano argentee, alcune grigie; altre bianche, altre nere. Erano messe a diversa altezza, disposte in modo artistico, su banchi, ripiani, su alcuni punti del disegno del pavimento. Non costituivano però l'illuminazione principale. Questa veniva dall'alto; e in un primo momento crederti che a generarla fosse un lucernaio. Quando alzai lo sguardo per misurare l'altezza della volta, mi accorsi che la luce proveniva da una sfera blu e bianca relegata dietro una grata di metallo scuro.
Feci un passo avanti. La fiamma della candela più vicina tremò. Mi trovai davanti ad un altare di pietra che riempiva una nicchia dall'altra parte della via. Di fronte ad esso, a destra e a sinistra, ardevano delle candele nere, mentre quelle poste sopra di esso erano più piccole e color argento. Rimasi a guardarlo per un attimo. «Ti ssomiglia,» osservò Glait. «Credevo che i tuoi occhi non fossero in grado di percepire le rappresentazioni bidimensionali.» «Ho vissuto per molto tempo in un musseo. Perché nasscondere un tuo ritratto in una via ssegreta?» Feci qualche passo avanti, tenendo lo sguardo fisso sul quadro. «Non sono io,» dissi. «È mio padre, Corwin di Ambra.» Davanti al ritratto, in un vaso di fiori, c'era una rosa d'argento. Se fosse un fiore vero o il frutto dell'arte o della magia, non sapevo dirlo. E là di fronte era adagiata Grayswandir, sfilata di qualche centimetro dal fodero. Ebbi l'impressione che si trattasse di quella autentica e che la copia fosse invece l'oggetto in mano al fantasma di mio padre creato dal Disegno. Mi portai avanti, la sollevai, la sguainai. Avvertivo una sensazione di potere mentre la tenevo, la facevo ruotare, mi mettevo in guardia, davo una stoccata, avanzavo. Lo spikard si ravvivò, divenendo il centro di una rete di forze. Abbassai lo sguardo, improvvisamente sicuro di me. «...E questa è la spada di mio padre,» dissi, dirigendomi di nuovo verso l'altare, poi la rinfilai nel fodero. Con una certa riluttanza la rimisi dove l'avevo trovata. Mentre indietreggiavo, Glait mi domandò, «È importante?» «Molto,» dissi, e intanto la via mi catturava dentro di sé rimandandomi sulla cima dell'albero. «E adesso, padron Merlin?» «Devo andare a pranzo con mia madre.» «In tal casso, ssarà meglio che io sscenda qui.» «Potrei riportarti al vaso.» «No. È molto tempo che non me ne ssto acquattata ssu un albero. Ssarà piacevole.» Allungai il braccio. Il serpente si sciolse dalla morsa e scivolò via sui rami scintillanti. «Buona fortuna, Merlin. Torna a trovarmi.»
Io scesi dall'albero, rimanendo impigliato con i pantaloni soltanto una volta, poi ripercorsi con passo svelto il corridoio. Dopo due svolte mi trovai di fronte ad una via che conduceva alla sala principale e pensai che avrei fatto meglio a prenderla. Passai velocemente davanti a un gigantesco camino, al cui interno si intrecciavano alte fiamme e mi voltai lentamente per ispezionare la sala, cercando di dare l'impressione di trovarmi là in attesa da molto tempo. Sembrava fossi l'unica persona presente. La qual cosa, ripensandoci, mi sembrò piuttosto strana, con il fuoco che scoppiettava in quel modo. Mi sistemai lo sparato della camicia, mi spazzolai gli abiti e mi passai il pettine fra i capelli. Stavo controllandomi le unghie quando percepii un flebile movimento provenire dalla cima della rampa di scale alla mia sinistra. Lei era una tormenta all'interno di una torre alta tre metri. Al suo centro danzavano i fulmini, scoppiettando; particelle di ghiaccio tintinnavano picchiettavano sulle scale; dove passava il corrimano si ricopriva di brina. Mia madre. Sembrò vedermi quasi nello stesso momento in cui la vidi io, poiché si bloccò. Poi si girò verso le scale e iniziò a scendere. Scendendo, mutava continuamente, cambiando di aspetto quasi da uno scalino all'altro. Non appena mi resi conto di ciò che stava facendo, diminuii i miei sforzi e capovolsi i loro limitati effetti. Avevo cominciato a trasformarmi nel momento stesso in cui l'avevo vista, e probabilmente anche a lei era successa la stessa cosa nel vedermi. Non avrei mai pensato che sarebbe giunta a tanto pur di assecondarmi, una seconda volta, qui, sul suo territorio. La mutazione si completò nel momento stesso in cui raggiunse l'ultimo scalino, e a quel punto era diventata una bellissima donna con indosso dei pantaloni neri e una camicia rossa con delle maniche di fuoco. Mi guardò di nuovo e sorrise, si avvicinò e mi abbracciò. Sarebbe stato scortese dire che avevo pensato di trasformarmi ma che poi me n'ero dimenticato. Come anche qualsiasi altra osservazione sull'argomento. Mi allontanò da sé allungando le braccia, abbassò lo sguardo e lo alzò di nuovo, poi scosse il capo. «Dormi sempre vestito, prima o dopo qualche attività movimentata?» mi domandò. «Questo non è gentile,» dissi. «Mi sono fermato a visitare la via qui sopra e ho avuto qualche problema.» «È per questo che hai fatto tardi?»
«No. Ho fatto tardi perché mi sono fermato nella nostra galleria e ci sono rimasto più tempo di quanto pensassi. E poi non sono molto in ritardo.» Mi afferrò il braccio facendomi voltare. «Ti perdono,» disse, conducendomi verso la colonna di vie rosa, verde e striata d'oro, posta nell'alcova degli specchi, dall'altra parte della stanza sulla destra. Non mi sembrava che quella frase pretendesse una risposta, così non ne diedi nessuna. Mentre entravamo nell'alcova, stetti ben attento a vedere se mi avesse fatto girare attorno alla colonna in senso orario o antiorario. Antioraio, come ebbi modo di vedere subito. Interessante. Eravamo riflessi, noi e le nostre stesse immagini, da tutte e tre le parti. Lo stesso valeva per la stanza che ci eravamo appena lasciati alle spalle. E ad ogni giro che facevamo attorno alla colonna la stanza si trasformava. La guardavo che mutava, in modo caleidoscopico, finché lei non mi fece fermare davanti alla grotta di cristallo accanto al mare sotterraneo. «È molto tempo che non pensavo a questo posto,» dissi, facendo un passo avanti e poggiando il piede sulla sabbia bianca cristallina, nella luce emanata dal cristallo, che ricordava vagamente i falò, i riflessi del sole, i candelabri e i visualizzatori LED, forse funzioni di grandezza e di distanza e che ogni tanto allungava frammenti di arcobaleno sulla spiaggia, sulle mura e sull'acqua nera. Mi prese per mano e mi condusse verso una piattaforma sopraelevata circondata da una ringhiera, che si trovava non molto distante sulla destra. Su di essa era sistemato un tavolo imbandito. Più all'interno, su di un tavolo da portata più grande, c'era una gran quantità di vassoi coperti. Salimmo una piccola rampa di scale, la feci sedere, poi andai a dare un'occhiata alle pietanze poste sul tavolo vicino. «Mettiti seduto, Merlin,» disse. «Ti servirò io.» «D'accordo,» risposi, sollevando un coperchio. «Ormai ci sono. Farò il primo giro.» Lei si era messa in piedi. «Stile buffet, allora,» disse. «Certo.» Riempimmo i piatti e tornammo al tavolo. Qualche attimo dopo che ci eravamo seduti, ci raggiunse uno scintillante raggio di luce attraverso l'acqua, che illuminò la cupola della volta della caverna, rendendola simile all'inarcata cavità interna di un enorme animale che ci stesse digerendo. «Non è il caso di stare così in apprensione. Sai bene che non possono
raggiungerci quaggiù.» «Questo stare continuamente in attesa di qualche fulmine a ciel sereno mi toglie l'appetito,» dissi. Lei scoppiò a ridere e proprio in quel momento ci raggiunse il lontano boato di un tuono. «Ora va meglio?» domandò «Sì,» risposi, sollevando la forchetta. «È strano quanti parenti ci dia la vita,» osservò. La guardai, cercando di capire l'espressione del suo volto, non vi riuscii. Così, «Sì,» dissi soltanto. Mi scrutò per un istante, ma neanche il mio volto tradiva i miei pensieri. Così, «Da bambino rispondevi a monosillabi quando volevi protestare contro qualcosa.» «Sì,» dissi. Cominciammo a mangiare. Fuori, sul mare immobile e scuro, si inseguirono nuovi sprazzi di luce. Durante l'ultimo di questi ebbi l'impressione di intravedere in lontananza una nave, con le vele nere gonfie e perfettamente attrezzate. «Sei andato all'appuntamento con Mandor?» «Sì.» «Come sta?» «Bene.» «Qualcosa ti angustia, Merlin?» «Molte cose.» «Vuoi dirlo a tua madre?» «E a che scopo se anche lei ne fa parte?» «Rimarrei delusa se così non fosse. Ad ogni modo, per quanto tempo continuerai ad avercela con me per quella storia della ty'iga? Ho fatto quel che pensavo fosse giusto. E lo penso ancora.» Annuii e continuai a masticare. Dopo un po', «Mi hai già spiegato tutto nell'ultimo ciclo,» dissi. Le acque emisero un vago gorgoglio. Uno spettro aleggiò sopra il tavolo, quello del suo volto. «C'è dell'altro?» domandò. «Perché non lo dici tu a me?» Sentii il suo sguardo. Lo affrontai. «Non so a cosa ti riferisci,» rispose. «Sei a conoscenza del fatto che il Logrus è senziente? E anche il Dise-
gno?» dissi. «Te l'ha detto Mandor?» chiese. «Sì. Ma già lo sapevo.» «Come facevi a saperlo?» «Abbiamo avuto un contatto.» «Tu e il Disegno? Oppure tu e il Logrus?» «Con entrambi.» «A quale scopo?» «Manipolazione, direi. Sono impegnati in una lotta per il potere. Volevano che scegliessi una delle due parti.» «Quale hai scelto?» «Nessuna delle due. Perché?» «Per darti un consiglio. O magari un aiuto.» «Contro le Potenze dell'universo? Che appoggi hai, Madre?» Sorrise. «Forse una come me potrebbe sapere qualcosa in più degli altri riguardo il loro operato.» «Una come te...?» «Una maga abile come me.» «E quanto sei brava, Madre?» «Non credo che potrei esserlo di più di quanto già lo sono, Merlin.» «I familiari sono sempre gli ultimi a sapere le cose, immagino. Allora, perché non mi hai addestrato tu personalmente, invece di mandarmi da Suhuy?» «Non sono una brava maestra. Non mi piace addestrare le persone.» «Hai addestrato Jasra, però.» Piegò il capo a destra e strinse gli occhi. «Ti ha detto anche questo, Mandor?» domandò. «No.» «Chi, allora?» «Che differenza fa?» «Molta,» replicò. «Perché non credo che l'ultima volta che ci siamo visti fossi già a conoscenza di questo.» D'un tratto mi ricordai che aveva detto qualcosa su Jasra quando eravamo da Suhuy, qualcosa che sottìndendeva una certa familiarità con lei, qualcosa che solo nel sentirlo normalmente, io avrei avuto un sobbalzo, senonché in quel momento il peso dei miei pensieri era diretto altrove, anzi stava precipitando giù da una montagna in mezzo a una tempesta di fulmi-
ni con i freni che facevano un rumore strano. Stavo per domandarle perché per lei fosse così importante sapere quando l'avevo scoperto, quando mi resi conto che in realtà quello che voleva sapere era chi fosse stato a dirmelo, perché ciò che la preoccupava era sapere con chi avessi parlato di questi argomenti da quando ci eravamo visti l'ultima volta. Parlare del fantasma di Luke non sembrava troppo prudente, così, «Okay, Mandor se l'è lasciato scappare,» dissi, «e subito dopo mi ha chiesto di dimenticarlo.» «In altre parole,» disse, «sperava che io lo venissi a sapere. Ma perché ha scelto questa maniera? Quell'uomo è maledettamente astuto.» «Forse se l'è davvero lasciato scappare.» «Mandor non si lascia scappare nulla. Non fartelo mai nemico, figlio mio.» «Stiamo parlando della stessa persona?» Schioccò le dita. «È naturale,» disse. «Quando tu lo conoscesti eri soltanto un bambino. Te ne andasti subito dopo. Da allora non l'hai visto che poche volte. Sì, è astuto, insidioso, pericoloso.» «Siamo sempre andati molto d'accordo.» «È naturale. Lui non si fa mai un nemico senza una buona ragione.» Mi strinsi nelle spalle e continuai a mangiare. Dopo un po' disse, «Immagino che abbia detto le stesse cose di me.» «Non mi sembra di ricordare niente del genere,» risposi. «Si è messo a darti anche lezioni di prudenza?» «No, anche se ultimamente ho sentito il bisogno di istruirmi da solo in materia.» «Sicuramente dovrai averne ricevuta qualcuna mentre ti trovavi ad Ambra.» «Se così è stato, erano così sottili che non me ne sono neanche accorto.» «Bene, bene. Sarà vero che non devo più disperarmi per te?» «Ne dubito.» «Così, cosa potrebbero volere da te il Disegno e il Logrus?» «Te l'ho già detto... una scelta di parte.» «È tanto difficile decidere quale delle due preferisci?» «È tanto difficile decidere quale odio di meno.» «Perché loro, come dici, manipolano le persone usandole nella loro lotta per il potere?» «Proprio così.» Si mise a ridere. Poi, «Se questo dimostra che gli dei non sono migliori
di noi,» disse, «almeno, dimostra anche che non sono peggiori. Riconosci in questo le origini della morale umana. È sempre meglio che non averne nessuna. Se queste ragioni non sono sufficienti per scegliere una delle due parti, allora lasciati guidare da altre considerazioni. Dopotutto, tu sei un figlio del Caos.» «E di Ambra,» aggiunsi. «Sei cresciuto alle Corti.» «E sono vissuto ad Ambra. I miei parenti di laggiù sono numerosi quanto questi di qui.» «Ti è così difficile scegliere, dunque?» «Se così non fosse, sarebbe tutto più semplice.» «In tal caso,» disse, «devi guardarti attorno.» «Cosa vuoi dire?» «Non chiederti quale delle due parti senti più vicina, ma quale potrebbe fare di più per te.» Sorseggiai un delicato tè verde e intanto la tempesta si avvicinava sempre più. Si udì un tonfo fra le acque della nostra insenatura. «D'accordo,» dissi, «lo farò.» Si chinò in avanti, sorrise e i suoi occhi si fecero più scuri. Ha sempre avuto un perfetto controllo sul suo volto e sulla forma del suo corpo, trasformando entrambi per adeguarli all'umore del momento. Ovviamente è sempre la stessa persona, ma a volte può scegliere di apparire poco più che una ragazzina, mentre in altre occasioni può trasformarsi in una donna matura e affascinante. Di solito preferisce mostrarsi in un modo che è una via di mezzo fra le due. Ma in quel momento i suoi lineamenti assunsero un aspetto atemporale — non esprimendo tanto un'età particolare quanto la vera e propria essenza del Tempo — e d'un tratto mi resi conto di non aver mai saputo quale fosse la sua vera età. Fissavo il suo volto e intanto qualcosa simile al velo di un antico potere si posava su di esso. «Il Logrus,» disse, «ti condurrà alla grandezza.» Continuavo a fissarla. «Che genere di grandezza?» domandai. «Quale desideri?» «Non so se ho mai desiderato la grandezza in sé. Mi sembrerebbe come desiderare di essere un ingegnere, piuttosto che desiderare di progettare qualcosa o desiderare di essere uno scrittore, piuttosto che desiderare di scrivere. Dovrebbe essere un risultato, non la cosa in sé. Altrimenti, sarebbe soltanto una gratificazione del mio ego.»
«Ma se la ottenessi, meritandola, non la vorresti?» «Forse sì. Ma al momento non ho fatto nulla,» lo sguardo mi cadde su un brillante cerchio di luce sotto la superfice scura dell'acqua, che si muoveva come se stesse cercando di fuggire da una tempesta, «tranne forse una strana apparecchiatura, che potrebbe essere racchiusa in quella categoria.» «Sei giovane, naturalmente,» disse, «e i tempi per cui tu eri destinato a venire riconosciuto come impareggiabile sono giunti prima di quanto pensassi.» Se la sarebbe presa se avessi usato la magia per far apparire una tazza di caffè? Sì, pensai. Se la sarebbe presa. Così optai per un bicchiere di vino. Mentre lo versavo e ne bevevo un sorso, dissi, «Temo di non capire di cosa tu stia parlando.» Annuì. «Non è certo qualcosa che potresti scoprire tramite l'introspezione,» disse, parlando lentamente, «e nessuno sarebbe così sconsiderato da parlarti di questa eventualità.» «Di cosa stai parlando, Madre?» «Del trono. Per regnare nelle Corti del Caos.» «Mandor mi ha in un certo senso consigliato di pensarci su,» dissi. «Perfetto. Nessuno, eccetto Mandor, sarebbe così sconsiderato da parlartene.» «Presumo che le madri si sentano soddisfatte nel vedere i propri figli far bene qualcosa, ma disgraziatamente tu hai scelto per me un compito per il quale non solo mi mancano le capacità, l'attitudine e la preparazione, ma anche il benché minimo desiderio.» Poggiò le dita sul tavolo quasi a formare una piccola torre e mi scrutò dall'alto di essa. «Hai più qualità di quanto tu stesso immagini e i tuoi desideri non contano nulla.» «Quale parte interessata, non posso fare a meno di dissentire.» «Anche se fosse l'unico modo per proteggere gli amici e i parenti che hai qui e ad Ambra?» Bevvi un altro sorso di vino. «Proteggerli? Da cosa?» «Il Disegno sta per tentare di ridefinire a sua immagine le regioni centrali dell'Ombra. Ora ha abbastanza forza per farlo.» «Tu stavi parlando di Ambra e delle Corti, non dell'Ombra.» «Il Logrus dovrà opporre resistenza a questa incursione. Dal momento
che in un confronto diretto con il suo avversario probabilmente perderebbe, sarà costretto a impiegare i suoi agenti in modo strategico, in un attacco contro Ambra. Gli agenti più capaci, ovviamente, sarebbero i campioni delle Corti...» «È una pazzia!» esclamai. «Dev'esserci un altro modo!» «Forse,» replicò. «Accetta il trono e sarai tu a dare gli ordini.» «Non so nulla a riguardo.» «Ti sarà spiegato tutto, naturalmente.» «E l'ordine regolare per la successione?» «Questo non è un problema che ti riguarda.» «Credo invece che mi interesserebbe sapere come si è arrivati a questo, cioè, se debbo ringraziare te o Mandor per la maggior parte dei morti che ci sono stati.» «In questo siamo entrambe dei Sawall, la questione si fa puramente accademica.» «Vuoi dire che state collaborando in tutto questo?» «Abbiamo scopi comuni,» disse, «ma quando si discute sui metodi io prendo sempre le distanze da lui.» Sospirai e presi un altro po' di vino. Sulle acque scure la tempesta infuriava sempre di più. Se quello strano effetto di luce sotto la superficie del mare era davvero il Timone Fantasma, mi domandavo cosa avesse intenzione di fare. I lampi stavano diventando un fondale fisso, i tuoni una colonna sonora sempre uguale. «Cosa volevi dire,» dissi, «quando hai parlato dei tempi in cui ero destinato a venire riconosciuto come impareggiabile?» «Il presente e l'immediato futuro,» disse, «con il conflitto che verrà.» «No,» risposi. «Mi riferivo al fatto che io ero "destinato a venire riconosciuto come impareggiabile." In che senso?» Doveva essere stato il lampo, poiché non l'avevo mai vista arrossire prima. «Tu unisci in te due grandi stirpe,» disse. «In pratica, tuo padre è stato re di Ambra, anche se per breve tempo, tra il regno di Oberon e quello di Eric.» «Dal momento che Oberon era ancora vivo a quel tempo e non aveva ancora abdicato, nessuno dei due regni dovrebbe essere considerato valido,» risposi. «Il vero successore di Oberon è Random.» «Si potrebbe considerare come un caso di abdicazione implicita,» disse. «Preferisci questa interpretazione, vero?»
«Naturalmente.» Guardai verso la tempesta. Trangugiai un altro po' di vino. «È per questo che desiderasti avere un figlio da Corwin?» domandai. «Il Logrus mi assicurò che un tale bambino sarebbe stato riconosciuto come impareggiabile nel regnare sulle Corti.» «Ma papà non ha mai significato nulla per te, vero?» Allontanò lo sguardo, dirigendolo verso il cerchio di luce che ora stava correndo verso di noi, mentre dietro cadevano i fulmini. «Non hai alcun diritto di farmi questa domanda,» disse. «Lo so. Ma è vero, no?» «Ti sbagli. Lui significava molto per me.» «Certo, non nel senso convenzionale, però.» «Io non sono una persona convenzionale.» «Io sono il risultato di un esperimento di accoppiamento. Il Logrus si incaricò di selezionare il compagno che ti avrebbe dato... cosa?» Il cerchio di luce si faceva sempre più vicino. La tempesta lo seguiva, approssimandosi alla spiaggia in modo così esagerato come non avevo mai visto succedere da queste parti. «Un ideale Signore del Caos,» disse, «perfetto per il comando.» «Chissà perché ho la sensazione che ci sia dell'altro,» dissi. Schivando i colpi dei fulmini, il cerchio splendente spuntò fuori dall'acqua e, brillando, attraversò la distesa di sabbia diretto verso di noi. Se anche lei rispose alla mia osservazione, non potei udirla. I tuoni che seguirono produssero un boato assordante. La luce salì sul ponteggio, fermandosi accanto al mio piede. «Papà, puoi proteggermi?» domandò Fantasma, approfittando di un attimo di quiete fra il fragore dei tuoni. «Sali sul mio polso sinistro,» gli dissi. Dara lo fissava mentre si sistemava, assumendo l'aspetto di Frakir. Nel frattempo, l'ultimo bagliore del fulmine non scomparve, ma rimase per un certo tempo come uno stelo fremente sulla superfice dell'acqua. Poi si condensò in una sfera che fluttuò a mezz'aria per qualche attimo prima di dirigersi volteggiando verso di noi. Mentre si avvicinava, la sua struttura cominciava gradualmente a mutare. Quando giunse accanto al nostro tavolo era divenuta un Segno del Logrus, lucente e pulsante. «Principessa Dara, Principe Merlin,» disse quella terribile voce che avevo udito il giorno del confronto nel Castello di Ambra, «non avrei voluto
disturbare il vostro pranzo, ma quella cosa che voi ora proteggete mi ha costretto a farlo.» Una protuberanza dentellata dell'immagine fu lanciata verso il mio polso sinistro. «Sta bloccando le mie capacità di trasferimento,» disse Fantasma. «Dammelo!» «Perché?» domandai. «Quella cosa ha attraversato il Logrus,» fu la risposta della voce, che, in modo apparentemente casuale, mutò di tono, volume e accento. Mi venne in mente che se ero davvero prezioso per il Logrus come aveva detto Dara, allora avrei potuto sfidarlo. Così, «Teoricamente è aperto a tutti,» risposi. «La mia legge sono io, Merlin, e il tuo Timone Fantasma prima mi ha attraversato. Ora sarà mio.» «No,» dissi, trasferendo la mia coscienza nello spikard, cercando e individuando un mezzo di trasporto istantaneo che mi portasse in un'area governata dal Disegno. «Non rinuncerò così facilmente alla mia creazione.» La luce del Segno aumentò di intensità. A questo punto Dara si alzò in piedi, venendo a porsi fra me e il Logrus. «Non muoverti,» disse. «Abbiamo cose più importanti a cui pensare che una stupida vendetta su un giocattolo. Ho inviato i miei cugini Hendrake alla ricerca della sposa del Caos. Se vuoi che questo piano riesca, ti consiglio di assisterli.» «Mi ricordo del tuo piano per il Principe Brand, quando incaricasti lady Jasra di prenderlo in trappola. Non avrebbe potuto fallire, mi dicesti.» «Quel piano, vecchio Serpente, ti portò maledettamente vicino al potere che tanto desideri, più di quanto tu sia mai riuscito a fare da solo.» «Questo è vero,» ammise. «E la donna che ora possiede l'Occhio è una creatura molto più ingenua di Jasra.» Il Segno le scivolò accanto, un minuscolo sole che si trasformava in un succedersi di ideogrammi. «Merlin, salirai sul trono e mi servirai per il tempo a venire?» «Io farò quanto è necessario per ristabilire l'equilibrio del potere,» replicai. «Non è questo che ti ho chiesto! Salirai sul trono nei termini che ho stabilito?» «Se è quel che bisogna fare per rimettere in ordine le cose,» risposi. «Questo mi soddisfa,» disse. «Tieniti il tuo giocattolo.»
Dara si fece da parte, ed esso le passò accanto prima di svanire nel nulla. «Chiedigli di Luke, di Corwin e del nuovo Disegno,» disse, poi sparì. Lei si voltò verso di me e mi fissò. «Versami un bicchiere di vino,» disse. Lo feci. Lo portò alle labbra e ne bevve un sorso. «Allora, raccontami di Luke, di Corwin e del nuovo Disegno,» disse. «Raccontami di Jasra e di Brand,» replicai. «No. Comincia tu,» disse. «Molto bene,» dissi. «Ha dimenticato di dire che erano dei fantasmi del Disegno. Luke mi apparve sulla via qui sopra, mandato dal Disegno per convincermi a partire da questo regno. Il Logrus, dal canto suo, mandò Lord Borel per eliminare Luke.» «Luke sarebbe Rinaldo, il figlio di Jasra e di Brand, marito di Coral e Re di Kashfa?» «Complimenti. Ora dimmi tutto quello che sai su quella faccenda. Tu incaricasti Jasra di trarre in trappola Brand, per fargli intraprendere la strada che poi prese?» «L'avrebbe presa in ogni caso. Venne alle Corti alla ricerca del potere necessario per portare a termine i suoi piani. Lei si limitò a facilitargli le cose.» «A me non sembrava che fosse andata proprio così. Ma questo vorrebbe dire che la maledizione di mio padre non ebbe alcuna influenza effettiva?» «No, diede il suo contributo, in un senso metafisico, facilitando l'estensione della Strada Nera verso Ambra. Come mai sei ancora qui, se Re Rinaldo ti consigliò di andartene? È per fedeltà alle Corti?» «Avevo un appuntamento a pranzo con te e non mancava molto. Non avevo intenzione di rinunciarvi.» Sorrise appena e bevve un altro piccolo sorso di vino. «Sei abile nel cambiare argomento,» notò. «Ora torniamo a quello che stavamo dicendo. Il fantasma di Borel cacciò quello di Rinaldo, dico bene?» «Non esattamente.» «Cosa intendi?» «Proprio in quel momento comparve il fantasma di mio padre che affrontò Borel, permettendoci di fuggire.» «Ancora una volta? Corwin ha superato Borel ancora una volta?» Annuii. «Nessuno dei due ricordava nulla del loro primo scontro, ovviamente. I
loro ricordi si fermavano al tempo della loro registrazione, e...» «Ho afferrato il concetto. Poi cosa successe?» «Siamo fuggiti,» risposi, «e poi io sono venuto qui.» «A cosa si riferiva il Logrus quando ha parlato del nuovo Disegno?» «A quanto pare il fantasma di mio padre è stato generato da quello, invece che dal vecchio.» Si irrigidì, spalancando improvvisamente gli occhi. «Come fai a saperlo?» domandò. «Me lo ha detto lui,» risposi. Allora prese a fissare il mare ormai silenzioso alle mie spalle. «Così la terza potenza sta davvero cominciando a prendere parte alla lotta,» disse fra sé e sé. «È affascinante, e al tempo stesso sconcertante. Maledetto l'uomo che l'ha tracciato!» «Lo odi sul serio, vero?» dissi. I suoi occhi tornarono a concentrarsi sui miei. «Non parliamone più!» ordinò. «Dimmi soltanto questo,» aggiunse un attimo dopo, ripensandoci. «Non ti ha dato nessuna informazione riguardo la fedeltà del nuovo Disegno, o i suoi piani? Il fatto che abbia inviato lui per proteggere Luke potrebbe essere visto come un tentativo di assecondare l'azione del vecchio Disegno. D'altra parte, sia perché fu tuo padre a crearlo, o perché tu gli servi realmente, può essere considerato semplicemente come un tentativo di protezione nei tuoi confronti. Cosa ti ha detto?» «Che voleva portarmi via da dove mi trovavo.» Annuì. «Cosa che evidentemente ha poi fatto,» disse. «Ti ha detto qualcos'altro? Non è successo altro d'importante?» «Mi ha chiesto notizie di te.» «Davvero? E poi?» «Non aveva nessun messaggio particolare. Se è questo che intendi.» «Capisco.» Voltò lo sguardo dall'altra parte, rimanendo in silenzio per un po'. Poi, «Quei fantasmi non durano molto a lungo, vero?» disse. «No,» risposi. «Divento furiosa,» disse alla fine, «se penso che, malgrado tutto, è ancora in grado di dire la sua in tutto questo.» «È ancora vivo, vero, Madre?» dissi. «E tu sai dove si trova.» «Non sono il suo guardiano, Merlin.»
«Io credo di sì, invece.» «È davvero irrispettoso da parte tua contraddirmi così.» «Eppure non posso farne a meno,» risposi. «Quando lo vidi l'ultima volta stava venendo alle Corti. Senza dubbio voleva ritrovarsi qui con gli altri per stabilire l'accordo di pace. E poi, probabilmente, aveva intenzione di vederti. Erano così tante le domande prive di risposta che aveva nella mente... quale fosse la tua provenienza, perché lo avevi cercato, perché te n'eri andata in quel modo...» «Basta!» gridò. «Finiscila!» La ignorai. «E so che arrivò qui alle Corti. Qualcuno lo vide. E dovette venirti a trovare. Cosa successe allora? Che genere di risposte gli hai dato?» Si alzò in piedi, guardandomi con disprezzo. «Ora basta, Merlin,» disse. «A quanto pare è impossibile fare una conversazione civile con te.» «È tuo prigioniero, Madre? Lo hai rinchiuso da qualche parte, in qualche luogo in cui non possa nuocerti, non possa interferire con i tuoi piani?» Si allontanò frettolosamente dal tavolo, quasi barcollando. «Maledetto ragazzo!» disse. «Sei proprio come lui! Perché devi somigliargli così tanto?» «Hai paura di lui, vero?» dissi, rendendomi improvvisamente conto che le cose potevano davvero stare in questi termini. «Ti fa paura uccidere un Principe di Ambra, pur avendo il Logrus dalla tua parte. Lo tieni rinchiuso da qualche parte e hai paura che lui riesca a liberarsi e a mandare in fumo i tuoi ultimi complotti. È molto tempo ormai che ti sgomenta il pensiero di ciò che hai dovuto fare per tenerlo fuori dal gioco.» «Ridicolo!» disse, indietreggiando, mentre io passavo dall'altra parte del tavolo. Nel suo volto c'era ora un'espressione di autentico terrore. «Sono solo delle fantasticherie!» continuò. «È morto, Merlin! Arrenditi! Lasciami sola! Non pronunciare più il suo nome in mia presenza! Sì, lo odio! Ci avrebbe distrutti tutti! E lo farebbe ancora, se potesse!» «Non è morto,» ribattei. «Come fai a dirlo?» Avrei voluto dirle che avevo parlato con lui, ma mi trattenni. «Solo i colpevoli protestano con tanta veemenza,» dissi. «È vivo. Dove si trova?» Alzò le mani, tenendo le palme rivolte verso l'interno, e le incrociò sul petto, con i gomiti bassi. Il terrore era sparito, la rabbia anche. Quando ri-
prese a parlare, qualcosa di simile allo scherno sembrò definire il suo nuovo stato d'animo: «Allora cercalo, Merlin. Datti da fare, cercalo.» «Dove?» domandai. «Cercalo nell'Abisso del Caos.» Accanto al suo piede sinistro comparve una fiamma, che iniziò a descrivere un'orbita attorno al suo corpo, procedendo in senso antiorario, salendo a spirale e lasciando dietro di sé un'ardente e rossa striscia di fuoco. Quando questa raggiunse la corona che aveva sul capo, lei era già sparita del tutto. Allora, con un debole sibilo, la fiamma uscì, portandola via con sé. Feci qualche passo avanti e mi inginocchiai, controllando il punto in cui era stata prima di sparire. L'aria era leggermente calda, tutto qui. Un bell'incantesimo. Non me l'aveva mai insegnato nessuno. Ripensandoci, mi resi conto che mamma era sempre stata molto brava nel rendere plateali le sue entrate e uscite di scena. «Fantasma?» Si staccò danzando dal mio polso, iniziando a volteggiare nell'aria davanti a me. «Sì?» «Ti è ancora proibito il transito attraverso l'Ombra?» «No,» rispose. «Il divieto è stato abolito non appena il Segno del Logrus si è allontanato. Posso viaggiare dove voglio, dentro o fuori l'Ombra. Posso farti da mezzo di trasporto. Ti piacerebbe venire con me?» «Sì. Portami nella galleria al piano di sopra.» «Galleria? Io mi sono tuffato dal luogo del Logrus direttamente nel mare scuro, Papà. Non so molto circa le cose di qui.» «Non preoccuparti,» dissi. «Ci penso io.» Attivai lo spikard. Da sei dei suoi denti si sprigionarono delle energie che ingabbiarono me e Fantasma, avvolgendoci in un turbine e portandoci nel punto del Labirinto dell'Arte che avevo in mente. Mentre ci muovevamo, provai a emettere un lampo di fuoco, ma non ebbi modo di sapere se vi fossi riuscito o meno. Mi domando come facciano quelli davvero bravi a tenersi in esercizio. CAPITOLO VII Arrivammo in quella strana sala che per il vecchio Sawall era sempre stata la parte preferita del labirinto. Era un giardino di sculture, privo di fonti di luce esterne e con una esigua illuminazione attorno alle basi degli
enormi elementi, che rendeva l'ambiente parecchio più scuro di quanto avrebbe potuto essere il mio salottino preferito. Il pavimento era irregolare — concavo, convesso, a scalini, spigoloso — ma era la forma concava a costituire il tipo di curva dominante. Era difficile calcolarne a occhio le dimensioni, poiché la grandezza e il perimetro apparivano differenti a seconda del punto in cui ci si trovava. Gramble, Lord Sawall, lo aveva fatto costruire privo di superfici piane e credo che l'impresa dovette richiedere una padronanza delle ombre davvero fuori dal comune. Mi trovavo accanto a quello che sembrava essere un complesso sartiame privo della sua nave, oppure un elaborato strumento musicale che solo uno dei Titani avrebbe potuto suonare e la luce rendeva argentei i profili correndo, simile a un alito di vita, da un'oscurità all'altra all'interno di qualche cornice appena intravista. Altre sculture sporgevano dalle pareti, pendendo come stalattiti. Mentre mi aggiravo per la sala, quelle che mi erano apparse come le pareti divennero il pavimento. Le sculture che mi erano apparse posate al suolo ora sporgevano o pendevano. Mentre camminavo, la stanza cambiò forma e il soffio di una brezza l'attraversò, provocando sospiri, ronzii, brusii, tintinnii. A Gramble, il mio patrigno, era sempre piaciuta questa sala, mentre per me avventurarmi oltre la sua soglia aveva sempre costituito una prova di coraggio. Crescendo, però, anch'io avevo imparato ad apprezzarla, in parte anche grazie a quel brivido di eccitazione che ogni tanto mi procurava nell'adolescenza. Ma ora... Ora desideravo soltanto perdermi per qualche attimo in essa, in nome dei vecchi tempi, mentre cercavo di riorganizzare i miei pensieri. Ne avevo così tanti in mente. Cose che mi avevano tormentato per gran parte della mia vita da adulto ora sembravano prossime ad una spiegazione. Delle numerose possibilità che si agitavano nella mia mente, non tutte mi rallegravano. Eppure, qualunque fosse stata ad avere la meglio, sarebbe stato sempre un passo avanti rispetto alla completa ignoranza. «Papà?» «Sì?» «Che posto è questo?» domandò Fantasma. «È una parte della grande collezione di opere d'arte che c'è qui alle Vie di Sawall,» gli spiegai. «La gente viene da tutte le Corti e anche dalle Ombre vicine per vederla. Era una passione del mio patrigno. Da bambino, passavo un mucchio di tempo girovagando per queste sale. C'erano molte vie nascoste qui dentro.» «E questa stanza? Qui c'è qualcosa di sbagliato.»
«Sì e no,» dissi. «Suppongo dipenda da cosa intendi dire per "sbagliato".» «Qui dentro, le mie capacità di percezione subiscono una strana influenza.» «È perché qui lo spazio stesso si presenta ripiegato, come una specie di strana figura origami. La sala è molto più ampia di quanto sembri a prima vista. Puoi percorrerla più volte, e in ogni occasione contemplare un differente assortimento di installazione. Può darsi che vi sia anche qualche movimento interno. Non ne ho mai avuto la certezza. Soltanto Sawall non aveva dubbi in proposito.» «Avevo ragione. C'era qualcosa di sbagliato.» «A me piace così.» Mi misi a sedere su un ceppo d'argento accanto a un contorto albero ugualmente argentato. «Voglio vedere come si ripiega,» disse alla fine. «Vai pure.» Mentre lo guardavo allontanarsi, ripensai alla recente conversazione avuta con mia madre. Mi tornò alla mente tutto ciò che Mandor aveva detto o lasciato intendere, riguardo il conflitto tra il Disegno e il Logrus, come il fatto che mio padre fosse il campione del Disegno e colui che era stato prescelto per divenire re di Ambra. E lei era venuta a sapere tutto questo, cioè, lo sapeva davvero o le sue erano soltanto delle congetture? Immaginai che avrebbe potuto saperlo davvero, dal momento che sembrava godere di un rapporto privilegiato con il Logrus ed esso non poteva non essere a conoscenza delle più importanti decisioni del suo avversario. Aveva ammesso di non amare quell'uomo. Sembrava quasi che lo avesse cercato per via di quel materiale genetico, di qualunque cosa si trattasse, che tanto aveva impressionato il Disegno. Aveva davvero cercato di mettere al mondo un campione del Logrus? Pensando al risultato, sorrisi. Aveva fatto in modo che ricevessi un buon addestramento alle armi, ma ero ben lontano dalla classe di mio padre. Avevo preferito la magia, ma nelle Corti i maghi non contavano molto. Infine, mi aveva spedito in un college di quell'Ombra Terra tanto amata dagli Amberiti. Ma una laurea a Berkley in Scienza dei Computer non mi abilitava certo a reggere lo scettro del Caos contro le forze dell'Ordine. Dovevo essere stato una delusione per lei. Ripensai alla mia infanzia, ad alcune delle strane avventure che in questo posto avevano avuto inizio. Io e Gryll venivamo spesso qui, con Glait
che strisciava ai nostri piedi, si avvolgeva attorno alle gambe o si arrampicava passando sotto i vestiti. Io emettevo quel grido stranamente simile a un ululato che avevo imparato in un sogno e qualche volta a noi si univa Kergma, che, svolazzando, scendeva dalle pieghe del buio, proveniente da qualche consunta area di spazio distorto. Non avevo mai saputo con certezza cosa fosse Kergma, né a quale specie appartenesse, poiché Kergma mutava continuamente di aspetto e volava, strisciava e cavalcava in un sorprendente susseguirsi di forme. D'impulso, emisi il richiamo di un tempo. Non successe nulla, ovviamente, e un attimo dopo lo vidi per ciò che era in realtà: il richiamo di un'infanzia svanita, un periodo in cui almeno mi ero sentito desiderato. Adesso non ero niente — né un Amberita né un Caosita e certamente una delusione per i parenti di ambedue le parti. Ero un esperimento fallito. Nessuno mi aveva mai desiderato per quello che ero, ma come un mezzo che avrebbe permesso di raggiungere un certo scopo. D'un tratto gli occhi mi si appannarono, e trattenni un singhiozzo. E non saprò mai a che genere di stato d'animo avrei potuto abbandonarmi perché in quel momento fui distratto da qualcosa. Mi raggiunse una fiamma di luce rossa proveniente da un punto alto della parete alla mia sinistra. Aveva la forma di un piccolo cerchio e si trovava quasi ad altezza d'uomo. «Merlin!» gridò una voce da quella direzione, e le fiamme si fecero più alte. La loro luce mi permise di vedere quel volto familiare, che mi ricordava vagamente il mio, e lo scopo che ora la sua presenza dava alla mia vita mi rese felice, anche se era uno scopo di morte. Alzai la mano sinistra sopra la testa e inviai dallo spikard un lampo di luce blu. «Vieni qui, Jurt!» gridai, alzandomi in piedi. Cominciai a forgiare la sfera di luce che avrebbe dovuto distrarre la sua attenzione e intanto preparavo il colpo che lo avrebbe fulminato. Pensandoci bene, mi era sembrato il sistema più sicuro per eliminarlo. Avevo perso il conto delle volte in cui aveva tentato di uccidermi e avevo deciso che la prossima volta che mi avesse cercato sarei stato io a prendere l'iniziativa. Bruciargli il sistema nervoso sembrava il sistema più sicuro per bloccarlo, malgrado i poteri conferitigli dalla Fontana. «Vieni qui, Jurt!» «Merlin! Voglio solo parlare!» «Io no. Ci ho provato troppe volte, e non ho più niente da dirti. Vieni qui e facciamola finita — armi, mani, magia. Non mi importa.»
Alzò le mani, con le palme rivolte verso l'esterno. «Una tregua!» gridò. «Non sarebbe giusto farlo qui a Sawall.» «Non m'incanti con questi scrupoli di merda, fratello!» gridai, ma nel momento stesso in cui lo dicevo mi resi conto che poteva esserci qualcosa di vero. Mi ricordai di quanto avesse sempre contato per lui l'approvazione del vecchio, e mi resi conto che in questo posto non avrebbe mai osato fare nulla contro la volontà di Dara. «Cosa vuoi allora?» «Parlare. Sul serio,» disse. «Cosa devo fare?» «Vienimi incontro,» dissi, inviando la mia sfera di luce sopra un oggetto dall'aspetto familiare, somigliante a un gigantesco castello di carte fatto di vetro e alluminio, dalla cui sommità la luce discese, rimbalzando per centinaia di piani. «D'accordo,» fu la risposta. Iniziai a camminare in quella direzione. Lo vidi avvicinarsi e deviai leggermente per evitare che le nostre strade si incrociassero. Accelerai anche il passo in modo tale da oltrepassarlo. «Niente trucchi,» gridò. «E se vogliamo farla finita, facciamolo fuori di qui.» «Okay.» Entrai nella struttura da un ingresso che si trovava dietro l'angolo rispetto al punto verso cui lui si stava dirigendo. Immediatamente, mi trovai di fronte a sei immagini di me stesso. «Perché qui?» disse la sua voce, proveniente da qualche punto a me vicino. «Immagino che tu non abbia mai visto un film intitolato La Signora di Shangai, vero?» «No.» «Mi è venuto in mente che potremmo vagare per queste stanze e contemporaneamente parlare, questo posto ci impedirebbe di farci del male a vicenda.» Girai dietro un angolo. In altri punti apparvero nuove immagini di me. Qualche attimo dopo, da un punto imprecisato ma abbastanza vicino a me, udii provenire il suono di un respiro bruscamente interrotto. Fu seguito quasi subito da una risata soffocata. «Comincio a capire,» lo sentii dire. Tre passi e un'altra svolta. Mi fermai. C'erano due sue immagini e due mie. Lui non guardava verso di me, però. Lentamente, mi diressi verso una delle immagini. Si voltò, mi vide. La sua bocca si aprì e intanto, indietreg-
giando, sparì. «Di cosa volevi parlare?» domandai, fermandomi. «Non è facile cominciare.» «È la vita.» «Dara è rimasta leggermente turbata dalle tue parole...» «Che velocità. L'ho lasciata soltanto dieci, quìndici minuti fa. Risiedi qui a Sawall, attualmente?» «Sì. E sapevo che stavate pranzando insieme. L'ho vista per un attimo poco fa.» «Beh, neanche lei mi ha fatto sentire troppo bene.» Girai dietro un altro angolo e oltrepassai la soglia di una porta giusto in tempo per vederlo abbozzare un vago sorriso. «Si comporta così ogni tanto. Lo so,» disse. «Dice che al momento del dessert è apparso il Logrus.» «Già.» «Mi ha detto che sembra che abbia scelto te per il trono.» Sperai che si accorgesse della mia alzata di spalle. «Così sembra. Io però non lo voglio.» «Ma hai detto che l'avresti accettato.» «Solo se fosse l'unico modo per ristabilire un sicuro equilibrio di forze. È una specie di ultima spiaggia. Non arriverò a questo, ne sono certo.» «Ma sei stato scelto.» Un'altra alzata di spalle. «Prima di me ci sono Tmer e Tubble.» «Non conta nulla. Lo avevo desiderato anch'io, sai.» «Lo so. Come scelta di carriera mi sembra piuttosto stupida.» Improvvisamente, mi circondò. «Ora sì,» ammise. «Però, già prima che tu venissi designato, le cose cominciarono ad andarmi male. Ogni volta che ci incontravamo credevo di essere in vantaggio, e ogni volta tu arrivavi più vicino ad uccidermi.» «E continuarono a complicarsi sempre più.» «L'ultima volta, nella chiesa a Kashfa, ero sicuro che avrei potuto eliminarti definitivamente. Invece fosti tu che riuscisti quasi a farlo.» «Tu dici che Dara o Mandor hanno tolto di mezzo Tmer e Tubble. Sapevi che a fare fuori me avresti dovuto pensarci tu in persona, ma che mi dici di Despil?» «Si sarebbe fatto da parte.» «Glielo hai chiesto?»
«No. Ma ne sono sicuro.» Mi feci avanti. «Hai dato troppe cose per scontate, Jurt.» «Può darsi che tu abbia ragione,» disse, apparendo e scomparendo di nuovo. «Ad ogni modo, non ha più alcuna importanza.» «Perché no?» «Mi ritiro. Sono fuori della corsa. All'inferno tutti quanti.» «Come mai?» «Anche se il Logrus non avesse manifestato chiaramente le sue intenzioni, la situazione stava comunque iniziando a innervosirmi. Non era neanche tanto per il fatto che avevo paura che tu mi avresti ucciso. Mi trovai a pensare a me stesso e alla successione. E se fossi riuscito a salire sul trono? Non sono più certo come un tempo che sarei in grado di assolvere al mio compito.» Girai di nuovo ed ebbi una fugace visione di lui che, aggrottando la fronte, si leccava i baffi. «Rischierei di provocare un serio disordine all'interno del regno,» continuò, «a meno che non mi avvalessi del consiglio di qualcuno. E tu sai bene che, alla fine, questo mi arriverebbe sempre da Mandor o da Dara. Finirei per diventare un burattino, non credi?» «È probabile. Ma mi hai incuriosito. Quando hai cominciato a pensarla così? Potrebbe coincidere con il trattamento che hai subito nella Fontana? E se la mia interruzione laggiù ti avesse avvicinato alla cura giusta?» «Potrebbe essere andata così,» disse. «Ora sono felice di non essere andato fino in fondo. Ho il sospetto che mi avrebbe potuto far impazzire, come successe a Brand. Ma non può essere stato quello. O... non so.» Ci fu un attimo di silenzio durante il quale io camminai furtivamente lungo il corridoio, mentre le perplesse immagini di me stesso si muovevano di pari passo con me su entrambe i lati. «Lei non voleva che io ti uccidessi,» sbottò infine, passando da qualche parte alla mia destra. «Julia?» «Sì.» «Come sta?» «Si sta riprendendo. Abbastanza rapidamente, adesso.» «Si trova qui a Sawall?» «Sì.» «Ascolta, mi farebbe piacere vederla. Ma se lei non vuole, la capisco. Non sapevo che lei fosse Maschera, quando lo pugnalai, e mi dispiace
davvero.» «Lei non ha mai realmente voluto farti del male. La lotta che combatteva era contro Jasra. Quello con te era un rapporto più complesso. Voleva dimostrare di essere brava quanto te, o forse anche di più. Voleva mostrarti cosa avevi perso rinunciando a lei.» «Mi dispiace,» mormorai. «Dimmi una cosa, per favore,» disse. «L'amavi? L'hai mai amata davvero?» Non gli risposi subito. Dopotutto, mi ero fatto quella domanda molte volte, e anch'io avevo dovuto aspettare per avere una risposta. «Sì,» dissi infine. «Però non me ne sono reso conto se non quand'era troppo tardi. Ho sbagliato i tempi.» Dopo un po' domandai, «E tu?» «Io non ho intenzione di commettere il tuo stesso errore,» rispose. «È stata lei a farmi riflettere su tutte queste cose...» «Capisco. Se non vuole vedermi, riferiscile che ti ho detto che mi dispiace, per tutto.» Non ci fu alcuna risposta. Rimasi fermo per un po', sperando che lui venisse a prendermi, ma non lo fece. Poi, «Okay,» gridai. «La nostra lotta è finita, almeno per quanto mi riguarda.» Ricominciai a muovermi. Dopo un po' giunsi ad un'uscita e l'attraversai. Stava fuori, fermo, con lo sguardo rivolto in alto verso un'enorme faccia di porcellana. «Non male,» disse. Mi feci più vicino. «C'è dell'altro,» disse, sempre senza guardarmi. «Oh?» «Credo che stiano imbrogliando le carte,» affermò. «Chi? Come? Per cosa?» «Mamma e il Logrus,» mi disse. «Per mettere te sul trono. Chi è la sposa del Gioiello?» «Suppongo debba trattarsi di Coral. A un certo punto mi pare di aver sentito Dara usare quell'espressione. Perché?» «Il ciclo scorso la sentii mentre impartiva degli ordini ad alcuni dei suoi parenti Hendrake. Stava inviando una pattuglia speciale a rapire questa donna e portarla qui. Ebbi l'impressione che fosse stata destinata a divenire la tua regina.»
«Tutto questo è ridicolo,» dissi. «Lei è sposata con il mio amico Luke. È la regina di Kashfa...» Si strinse nelle spalle. «Ti sto solo dicendo quello che ho sentito,» disse. «Aveva a che fare con questa storia di ristabilire l'equilibrio delle forze.» Infatti. Non avevo pensato a questa possibilità, ma era un piano perfetto. Con Coral, le Corti avrebbero automaticamente ottenuto il Gioiello del Giudizio, o Occhio del Serpente come lo chiamavano da queste parti, e l'equilibrio ne avrebbe sicuramente risentito. Una perdita per Ambra, una vittoria per le Corti. Poteva bastare a farmi ottenere quello che volevo, l'armonia che avrebbe potuto rimandare la catastrofe a tempo indeterminato. Putroppo non potevo permetterlo. Quella povera ragazza era stata sbattuta da una parte all'altra fin troppe volte, perché aveva avuto la sfortuna di trovarsi ad Ambra nel momento sbagliato e perché aveva avuto la sfortuna di prendersi una cotta per me. Mi ricordo di un tempo in cui, da bravo filosofo teorico quale mi sentivo, avevo deciso che sì, sarebbe stato giusto sacrificare un innocente per il bene di molti. Questo era successo al college e aveva qualcosa a che fare con una questione di principio. Ma Coral era una mia amica, mia cugina e, guardando i fatti, anche la mia amante, sebbene questo fosse successo a causa di una serie di circostanze che avrebbero dovuto essere prese in una certa considerazione; una rapida analisi dei miei sentimenti, quanto bastava per non farmi sentire già coinvolto nella cosa, lasciava pensare che avrei potuto innamorarmi di lei. Tutto questo significava che la filosofia aveva perso un altro round con il mondo reale. «Quanto tempo è passato da quando ha inviato questa gente, Jurt?» «Non ho idea di quando siano partiti — né se siano ancora partiti,» replicò. «E con il differenziale temporale, potrebbero già essere andati e tornati e aver compiuto la missione.» «È vero,» dissi, «Merda!» Si voltò e mi guardò. «È importante anche per altri motivi, dico bene?» osservò. «Lo è per lei e lei lo è per me,» risposi. Il suo volto assunse un'aria perplessa. «In quel caso,» disse, «perché non lasci che te la portino? Se dovrai salire sul trono, ti addolcirà la cosa. Se non lo farai, avrai comunque lei con te.» «Non è facile tenere segreti i propri sentimenti, perfino trovandosi in mezzo a persone che non sono maghi,» dissi. «Potrebbero usarla come o-
staggio per costringermi a fare quello che non voglio.» «Oh. Non voglio dire che questo mi fa piacere. Quello che intendo è... Mi fa piacere sapere che tu ti preoccupi di qualcun altro.» Chinai il capo. Desideravo andargli incontro e toccarlo, ma lui non me l'avrebbe permesso. Jurt borbottò in modo sommesso, come faceva da bambino quando rifletteva sulle cose. Poi, «Dobbiamo raggiungerla prima che lo facciano loro e portarla in un posto sicuro,» disse. «O liberarla, se già l'hanno rapita.» «"Dobbiamo"?» Sorrise, un fatto eccezionale. «Sai cosa sono diventato. Sono forte.» «Lo spero davvero,» dissi. «Ma sai cosa succederebbe se qualche testimone dovesse riferire che dietro tutto questo ci sono due dei fratelli Sawall? È altamente probabile che gli Hendrake darebbero inizio a una faida.» «Anche se Dara cercasse di persuaderli a non farlo?» «Equivarrebbe ad accendere la miccia.» «Okay,» disse. «Niente testimoni.» Avrei potuto aggiungere che quella faida, con la sua opera di distrazione, avrebbe salvato molte altre vite, ma sarebbe stato ipocrita, anche se in realtà non sarebbe stato quello il senso in cui l'avrei detto. Invece, «Quel potere che hai acquistato nella Fontana,» dissi, «ti dà qualcosa di cui ho sentito parlare come di una specie di effetto da "Trionfo vivente". Mi sembra che con esso fosti in grado di trasportare sia te stesso che Julia.» Annuì. «Potrebbe portarci da qui a Kashfa in brevissimo tempo?» L'aria fu riempita dal suono distante di un enorme gong. «Posso fare tutto ciò che possono fare le carte,» disse, «e posso portare qualcuno insieme a me. L'unico problema è che i Trionfi non riescono a coprire una simile distanza. Potremmo arrivarci con una serie di salti.» Il gong suonò di nuovo. «Cosa sta succedendo?» domandai. «Questo rumore?» disse. «Indica che il funerale sta per avere inizio. È udibile in tutte le Corti.» «Un tempismo davvero pessimo.» «Forse, o forse no. Mi ha dato un'idea.» «Parla.» «Sarà il nostro alibi per ingannare gli Hendrake.»
«Come?» «Il differenziale temporale. Andiamo al funerale e ci facciamo vedere. Sgattaioliamo fuori, facciamo quello che dobbiamo fare, torniamo e assistiamo al resto della cerimonia.» «Credi che il flusso ce lo permetterà?» «Credo ci siano buone probabilità. Ne ho fatti parecchi di salti. Sto cominciando ad avere un vero fiuto per il flusso.» «Allora vale la pena provarci. Più confusione creiamo, meglio è.» Di nuovo il gong. Il rosso, il colore del fuoco della vita che pervade, è il colore del lutto alle Corti. Invece del Logrus, usai lo spikard per evocare degli abiti adatti all'occasione. Per il momento desideravo evitare ogni tipo di relazione, anche la più banale, con quel Potere. Poi Jurt ci trasferì via Trionfo nei suoi appartamenti, dove aveva per sé gli abiti smessi dall'ultimo funerale cui aveva assistito. Non avevo molta voglia di rivedere la mia vecchia stanza. Un'altra volta, magari, quando non avessi avuto tutta questa fretta... Ci lavammo, ci pettinammo, ci sistemammo e ci vestimmo rapidamente. Io poi assunsi un'altra forma, e lo stesso fece Jurt, e ripetemmo il rito da capo nella nuova condizione, prima di vestirci per l'occasione. Camicia, calzoni, giacca, mantello, calzini, braccialetti, sciarpa e fazzoletto di seta, sembravamo dei piromani. Le armi dovevano essere lasciate a casa. Decidemmo di tornare a prenderle prima di partire. «Pronto?» mi domandò Jurt. «Sì.» Mi afferrò saldamente per il braccio e ci lasciammo trasportare, giungendo così nel margine interno della Piazza alla Fine del Mondo, dove un cielo azzurro si oscurava sopra una conflagrazione di demoni in lutto che si accalcavano lungo la strada che sarebbe stata percorsa dalla processione. Passammo in mezzo alla folla, nella speranza di essere visti da più persone possibili. Molti vecchi conoscenti mi salutarono. Disgraziatamente, la maggior parte volevano fermarsi a parlare, non avendomi visto da molto tempo. Anche Jurt aveva lo stesso tipo di problema. La maggior parte si domandava anche come mai ci trovassimo là, invece che a Thelbane, l'imponente e vitreo obelisco del Caos nelle lontane retrovie. Di tanto in tanto l'aria vibrava mentre il gong ripeteva il suo lento rintocco. Man mano che ci avvicinavamo al luogo da cui proveniva il suono, sentivo le vibrazioni anche nel terreno. Ci facemmo largo a fatica attraverso la Piazza, diretti
verso il maestoso cumulo di pietra nera che si ergeva proprio sul margine dell'Abisso, il cui ingresso era un arco di fuoco ghiacciato, materiale del quale era fatta anche la scala che scendeva al piano sottostante, scala in cui ogni gradino, come ogni corrimano, appariva come una fiamma bloccata nel tempo. Anche il mobilio del rudimentale anfiteatro che si apriva sotto di noi era fatto di fuoco e, brillante di luce propria, era posto di fronte al blocco nero alla fine di tutte le cose, dietro al quale non c'erano pareti, nulla tranne il vuoto aperto dell'Abisso e la sua singolarità da cui provenivano tutte le cose. Non entrava ancora nessuno, noi stavamo in piedi accanto alle porte di fuoco e guardavamo verso la strada che la processione avrebbe percorso. Rivolgevamo cenni di saluto a delle amichevoli facce di demoni, tremavamo a ogni nota del gong, guardavamo il cielo oscurarsi sempre di più. D'un tratto la mia testa fu riempita da una potente presenza. «Merlin!» Immediatamente, ebbi davanti agli occhi l'immagine di Mandor in una forma mutata, con lo sguardo abbassato verso il suo braccio ricoperto di stoffa rossa, la cui mano rimaneva invisibile, mentre probabilmente mi osservava attraverso un mio Trionfo, con dipinta sul volto un'espressione che mi sembrava la più irritata che avessi avuto modo di vedere da molto tempo a quella parte. «Sì?» dissi. Il suo sguardo mi oltrepassò. L'espressione mutò improvvisamente, le sopracciglia si alzarono, le labbra si staccarono l'una dall'altra. «Sei con Jurt?» domandò. «Esatto.» «Non credevo che foste in così buoni rapporti,» disse con voce pacata, «perlomeno in base alla nostra ultima conversazione.» «Abbiamo deciso di mettere da parte le nostre controversie durante il funerale.» «Sebbene sembri molto civile non so fino a che punto sia saggio,» disse. Sorrisi. «So quel che faccio,» lo rassicurai. «Davvero?» disse. «Allora perché ti trovi nella cattedrale invece che qui a Thelbane?» «Nessuno mi ha detto che sarei dovuto andare a Thelbane.» «Strano,» rispose. «Vostra madre avrebbe dovuto informare sia te che Jurt che dovevate partecipare alla processione.»
Scossi il capo e mi voltai. «Jurt, sapevi che avremmo dovuto partecipare alla processione?» domandai. «No,» disse. «Non mi sorprende, ad ogni modo. D'altra parte, c'è sempre la Sorveglianza Nera, che potrebbe preferire che non ci facciamo vedere troppo in giro. Chi è che te lo sta dicendo?» «Mandor. Dice che Dara avrebbe dovuto dircelo.» «A me non ha detto nulla.» «Ci capisci qualcosa?», chiesi a Mandor. «Sì. Ma ora non importa. Venite, su, tutti e due.» Allungò l'altra mano. «Ci vuole, ora,» dissi a Jurt. «Dannazione!» mugugnò Jurt, poi venne avanti. Allungai il braccio e afferrai la mano di Mandor proprio mentre Jurt, venendomi accanto, si aggrappava alla mia spalla. Poi ci muovemmo tutti e due in avanti... ...verso l'interno levigato e splendente della sala principale al pianterreno di Thelbane, un gioiello nero, grigio, verde muschio, rosso cupo, con lampadari come stalattiti, sculture di fuoco accanto alle pareti, pelli squamose appese dietro di esse, sfere d'acqua volteggianti a mezz'aria con delle creature che vi nuotavano dentro. Il posto era pieno di nobili, parenti, cortigiani che, simili a un mare di fiamme, si agitavano attorno al catafalco posto al centro della sala. Il gong suonò di nuovo proprio nel momento in cui Mandor ci stava dicendo qualcosa. Aspettò finché le vibrazioni non si furono acquietate, poi riprese a parlare: «Ho detto che Dara non è ancora arrivata. Andate a rendere i vostri omaggi, e fatevi assegnare i posti nella processione da Bances.» Guardando verso il catafalco, notai la presenza di Tmer e Tubble nelle vicinanze. Tmer stava parlando con Bances, Tubble con qualcuno che mi voltava le spalle. D'un tratto mi venne in mente un pensiero orribile. «Com'è,» domandai, «la situazione della sicurezza per quanto riguarda la processione?» Mandor sorrise. «Nel gruppo di persone qui presente sono mimetizzate numerose guardie,» disse, «altre si trovano sparse lungo il percorso. Sarete sorvegliati sempre, in ogni secondo.» Guardai verso Jurt per vedere se aveva sentito. Annuì. «Grazie.»
Borbottando sottovoce la mia litania di improperi, mi diressi verso la cassa, con Jurt dietro di me. L'unico modo che mi veniva in mente per poter produrre un mio sosia sarebbe stato quello di dire al Disegno di mandare un fantasma di me stesso perché prendesse il mio posto. Ma il Logrus avrebbe subito individuato le energie proiettate dal sosia. E se me ne fossi andato non solo la mia assenza sarebbe stata notata ma probabilmente sarei stato rintracciato, quasi sicuramente dal Logrus stesso una volta che Dara avesse sparso la voce. A quel punto tutti sarebbero venuti a sapere che mi ero allontanato per ostacolare il tentativo del Logrus di ristabilire l'ordine, e le sorgenti del Torrente di Merda sono crudeli e pericolosamente ampie. Non avrei commesso l'errore di credermi indispensabile. «Come faremo, Merlin?» disse piano Jurt mentre ci facevamo strada verso la fine della lentissima coda. Il gong suonò di nuovo, facendo tremare i lampadari. «Non vedo cosa potremmo fare,» risposi. «Credo che la cosa migliore che posso sperare di riuscire a fare è quella di cercare di inviare un messaggio mentre mi muovo.» «Da quaggiù non si può fare via Trionfo,» rispose. «Beh, forse in condizioni perfette,» si corresse, «ma non con tutta questa confusione.» Provai a pensare a qualche incantesimo, qualche invio, qualche agente che potesse servirmi a questo scopo. Fantasma sarebbe stato perfetto. Ma sapevo bene che si era dileguato per andare ad esplorare le asimmetrie spaziali della Sala delle Sculture. Questo lo avrebbe tenuto occupato per parecchio tempo. «Io potrei arrivare laggiù abbastanza in fretta,» si offrì Jurt, «e grazie al differenziale temporale sarei di ritorno prima che qualcuno potesse notare la mia assenza.» «E tu conosci proprio i due abitanti di Kashfa che dovresti informare,» dissi. «Luke e Coral. Li hai incontrati entrambi nella chiesa, mentre cercavamo di ucciderci a vicenda e hai rubato la spada del padre di Luke. A dire la verità, credo che lui cercherebbe di ucciderti, mentre lei chiamerebbe aiuto.» La fila avanzò leggermente. «Allora non mi serve aiuto,» disse. «Uh-uh,» gli dissi. «So che sei forte, ma gli Hendrake sono tipi pericolosi. E poi, con Coral, ti troveresti ad aver a che fare con una vittima che non cercherà minimamente di collaborare con il proprio salvatore.» «Tu sei un mago,» disse Jurt. «Se scopriamo chi sono le guardie, non
potresti mandare su di loro un incantesimo che gli faccia credere di continuare a vederci per tutto il tempo che staremo via? A quel punto potremmo sparire senza che nessuno si accorga di nulla.» «Ho il sospetto che Mamma o il nostro fratello maggiore abbiano steso degli incantesimi di protezione sulle guardie. In un momento così propizio per un assassinio, io l'avrei fatto. Se fossi io a dirigere la sicurezza di questo posto, di certo non permetterei a nessuno di confondere la mente della mia gente.» Ci muovemmo leggermente più in avanti. Piegandomi su un fianco e allungando il collo riuscii a dare una fugace occhiata alla smunta figura demoniaca del vecchio Swayvill, vestito in abiti risplendenti, con il serpente d'oro rosso adagiato sul petto, là, nella bara di fiamme l'antica nemesi di Oberon ormai prossima a raggiungerlo. Mentre mi avvicinavo, mi venne in mente che il problema poteva essere affrontato in diversi modi. Forse avevo vissuto troppo a lungo in mezzo a gente ignorante di magia. Avevo perso l'abitudine di pensare ad una magia contro la magia, ad incantesimi molteplici e misti. Allora, cosa sarebbe successo se le guardie fossero state protette contro qualsiasi intromissione nelle loro capacità di percezione? Lascia stare. Trova un modo per aggirare il problema. Il gong suonò di nuovo. Quando anche l'ultima eco si fu dissolta, Jurt si chinò verso di me. «C'è più di quanto ti ho detto,» sussurrò. «Cosa vuoi dire?» domandai. «Un altro motivo per il quale sono tornato da te a Sawall era perché ero terrorizzato,» rispose. «Da cosa?» «Almeno uno di loro, Mandor o Dara, vuole qualcosa di più di un semplice ristabilirsi dell'equilibrio, vuole una vittoria totale per il Logrus, per il Caos. Ne sono certo. Non solo non voglio averci niente a che fare, non voglio che succeda. Non voglio veder distruggere l'Ombra proprio ora che posso visitarla. Non voglio che vinca nessuna delle due parti. Un controllo assoluto da parte del Disegno sarebbe altrettanto pericoloso.» «Come fai ad essere sicuro che uno di loro voglia davvero tutto questo?» «Ci provarono già con Brand, non è vero? Era deciso a distruggere tutto l'ordine.» «No,» dissi. «Aveva intenzione di distruggere il vecchio ordine per poi rimpiazzarlo con uno suo. Era un rivoluzionario, non un anarchico. Voleva
creare un nuovo Disegno all'interno del Caos che lui stesso aveva generato, un Disegno suo, ma identico a quello originario.» «Si ingannava. Non avrebbe potuto controllare una cosa simile.» «Non avrebbe potuto saperlo finché non ci avesse provato, ma non ne ebbe l'occasione.» «Ad ogni modo, temo che qualcuno abbia intenzione di mettere in atto tutto questo. Se questo rapimento riesce, avranno fatto un grosso passo in quella direzione. Se tu non sei in grado di fare nulla per coprire la nostra assenza, credo che dovremmo andarcene lo stesso e affrontare il rischio.» «Non ancora,» dissi. «Aspetta. Sto escogitando qualcosa. Cosa ne dici? Io non individuerò le guardie e non provocherò loro allucinazioni. Opererò invece una trasformazione. Farò in modo che altre due persone assumano il nostro aspetto. Non appena lo farò, tu ci trasferirai via Trionfo. Questa non sarà un'allucinazione rivolta a qualcuno in particolare. Tutti vedranno in loro noi due; potremo quindi andarcene per i fatti nostri e anche tornare, se sarà necessario.» «Tu fallo e io penserò a farci andare via di qui.» «Okay, lo farò a questi due ragazzi davanti a noi. Quando avrò finito ti farò un gesto così,» dissi, abbassando la mano sinistra dall'altezza della spalla a quella della vita, «allora tutti e due ci piegheremo come se a uno di noi fosse caduto qualcosa. A quel punto tu ci porterai via.» «Sarò pronto.» Lo spikard rese l'operazione più semplice di quanto sarebbe stato ricorrere a un incantesimo di trasformazione. Era una specie di processore d'incantesimi. Io pensai a fornirgli il risultato finale ed esso, in un batter d'occhio, elaborò migliaia di variazioni e mi consegnò i prodotti finiti, un paio di incantesimi per creare i quali, seguendo le linee classiche, avrei impiegato un mucchio di tempo. Non appena li ricevetti, alzai la mano e accedetti a una delle molte fonti di potere che governavano l'Ombra. Rifornii i costrutti di energia, controllai di persona l'inizio del cambiamento, lasciai cadere la mano e mi chinai in avanti. Seguì qualche attimo di vertigine e quando mi tirai su eravamo di nuovo negli appartamenti di Jurt. Scoppiai a ridere e lui mi diede una pacca sulla spalla. Subito dopo stavamo di nuovo assumendo il nostro aspetto e i nostri abiti umani. Non appena finimmo, mi afferrò ancora una volta per il braccio e ci trasferì via Trionfo alla Porta di Fuoco. Un attimo e ci aveva già fatti saltare di nuovo, stavolta fino alla vetta di una montagna sovrastante una
valle azzurra sotto un cielo verde. E poi ancora, verso un alto ponte sopra una profonda gola, mentre nel cielo le stelle scomparivano o cominciavano ad accendersi. «Okay, adesso,» disse e ci ritrovammo in cima a un muro di pietra grigio umido di rugiada, forse anche degli ultimi rimasugli di una tempesta. Le nubi fiammeggiavano ad est. Da sud soffiava una leggere brezza. Era il muro che circondava la parte più nascosta di Jidrash, la capitale di Luke a Kashfa. Sotto di noi si innalzavano quattro enormi edifici, compresi il palazzo e il Tempio dell'Unicorno che si trovavano esattamente dalla parte opposta della Piazza e un certo numero di edifici più piccoli. Dall'altra parte rispetto al punto in cui ci trovavamo noi, seguendo una linea diagonale, si trovava l'ala del palazzo da cui Gryll era venuto a prendermi (quanto tempo fa?), sottraendomi al mio piacevole incontro con la regina. Riuscivo perfino a intravedere la persiana rotta della nostra finestra in mezzo a un ammasso di edera. «Lassù,» dissi, indicando. «È là che l'ho vista l'ultima volta.» In un batter d'occhio ci ritrovammo all'interno della stanza, unici presenti. Il luogo era stato messo in ordine, il letto rifatto. Estrassi i miei Trionfi e pescai quello di Coral. Fissandolo finché non divenne freddo, avvertii la sua presenza e mi allungai verso di lei. C'era eppure non c'era. Era quell'incoerente senso di presenza che si avverte in sogno o in stato d'incoscienza. Passai la mano sopra la carta e posi fine al nostro flebile contatto. «Cosa è successo?» domandò Jurt. «Credo sia sotto l'effetto di qualche droga,» risposi. «Allora vuol dire che l'hanno già trovata,» disse. «Ad ogni modo, sei in grado di rintracciarla mentre si trova in questo stato?» «Potrebbe anche essere nell'edificio qua accanto, per farsi curare,» dissi. «Non stava bene quando la lasciai.» «Ed ora?» «In ogni caso, dobbiamo prima parlare con Luke,» dissi, cercando la sua carta. Lo raggiunsi subito, nell'attimo stesso in cui scoprii la carta. «Merlin! Dove diavolo sei?» domandò. «Se ti trovi nel palazzo, sono nella stanza accanto,» disse. Si alzò in piedi da quella che ora mi resi conto era la sponda del letto, e prese una camicia a maniche lunghe verde e la indossò, nascondendo così la sua collezione di cicatrici. Credetti di vedere qualcuno nel letto dietro di
lui. Borbottò qualcosa rivolgendosi da quella parte, ma non riuscii a capire cosa dicesse. «Dobbiamo parlare,» disse, passandosi la mano fra i capelli color ruggine. «Fammi venire da te.» «Okay,» dissi. «Ma prima sarà meglio che tu sappia che mio fratello Jurt è qui con me.» «Ha con sé la spada di mio padre?» «Uh — No.» «Non credo che lo ucciderò, per ora,» disse, infilandosi la camicia nella cintura. Improvvisamente, stese la mano. L'afferrai. Fece un passo avanti e si unì a noi. CAPITOLO VIII Luke mi fece un ampio sorriso, a Jurt, invece, rivolse un'occhiata malefica. «Insomma, dove sei stato?» domandò. «Alle Corti del Caos,» risposi. «Mi hanno convocato laggiù in occasione della morte di Swayvill. Stanno officiando il funerale proprio in questo momento. Noi ce la siamo svignata non appena abbiamo saputo che Coral era in pericolo.» «Ora lo so,» disse Luke. «È sparita. Rapita, credo.» «Quando è successo?» «Due notti fa, direi. Cosa sapete al riguardo?» Lanciai un'occhiata a Jurt. «Il differenziale temporale,» disse. «Lei rappresentava un'occasione per guadagnare qualche punto,» spiegai, «nella partita in corso fra il Disegno e il Logrus. Così sono stati inviati alcuni agenti del Caos a rapirla. Gli serviva viva, però. Dovrebbe: stare bene.» «A cosa gli serve?» «Sembra che la ritengano particolarmente adatta a divenire regina di Thelbane, per via del fatto che il Gioiello del Giudizio è parte integrante della sua anatomia, con tutto quello che ne consegue.» «Chi dovrebbe essere il nuovo re?» Improvvisamente, sentii caldo al volto. «Beh, le persone che sono venute a prenderla avevano intenzione di mettere me sul trono,» risposi.
«Ehi, congratulazioni!» esclamò. «Adesso non sarò più. l'unico a divertirmi.» «Cosa vuoi dire?» «Fare il re è una vera schifezza, amico. Non avrei dovuto lasciarmi incastrare in questa storia. Ognuno di quelli che ti stanno intorno ha diritto a una parte del tuo tempo, e anche quando non è così, c'è sempre qualcuno che deve sapere dove ti trovi.» «Diavolo, tu sei stato appena incoronato. Hai bisogno di tempo per adattarti.» «"Appena"? È passato più di un mese!» «Il differenziale temporale,» ripeté Jurt. «Andiamo. Vi offro una tazza di caffè,» disse Luke. «Hai del caffè qui?» «Lo ordino, amico. In questo modo.» Ci condusse fuori della porta, girò a sinistra e si diresse verso una rampa di scale. «Mi è venuta in mente un'idea curiosa,» disse, «mentre prima parlavi del tuo diventare re e di Coral prescelta come regina. Dal momento che qui comando io, potrei far annullare il matrimonio in un batter d'occhio. Ora, tu vuoi avere lei come regina e io voglio quel Trattato del Cerchio Dorato con Ambra. Credo che potremmo trovare la maniera di farci felici a vicenda.» «La situazione è molto più complessa, Luke. Io non voglio quell'incarico e sarebbe molto pericoloso per tutti noi se i miei parenti delle Corti riuscissero ad avere Coral. Ultimamente sono venuto a sapere parecchie cose.» «Per esempio?» disse Luke, aprendo una porta posteriore che immetteva in un vialetto sul retro del palazzo. Mi voltai a guardare Jurt. «Anche lui ha paura,» dissi. «È per questo che ora siamo in rapporti più amichevoli.» Jurt annuì. «È possibile che Brand, almeno in parte, possa essere stato vittima di un piano architettato nelle Corti,» disse, «il quale faceva parte di un progetto più ampio ancora attuale laggiù.» «Sarà meglio che facciamo una colazione completa,» disse Luke. «Torniamo indietro e andiamo in cucina.» Lo seguimmo giù per un viottolo del giardino. E così mangiammo e parlammo mentre intorno a noi la luce del giorno
si faceva sempre più intensa. Luke insistette perché io riprovassi con il Trionfo di Coral, cosa che feci, ottenendo lo stesso risultato. Allora lui imprecò, annuì e disse, «Non è ancora troppo tardi. Mi è stato riferito che i tizi che l'hanno rapita sono fuggiti per una pista nera diretti verso ovest.» «I conti tornano,» dissi. «Ho ragione di credere che non avessero intenzione di rientrare alle Corti con lei.» «Oh?» «Mi rendo conto che queste vie nere di grande traffico che voi usate sono pericolose per gli estranei,» osservò. «Ma posso mostrarvi cosa è rimasto di questa, al momento si tratta di un sentiero nero. Mi piacerebbe seguirlo, ma so che non posso stare via troppo a lungo. E poi, ci sarebbe un modo per proteggermi dalla pista stessa?» «Se lo percorressimo insieme, il solo fatto di trovarti in nostra compagnia ti proteggerebbe da qualsiasi pericolo,» disse Jiirt. Mi fermai. Il cuoco e due lavapiatti guardavano verso di noi. «C'è qualcuno che devi incontrare, Luke,» gli dissi. «Adesso.» «Perché no?» disse, facendo per alzarsi. «Dov'è?» «Andiamo a fare una passeggiata,» dissi. «D'accordo.» Ci alzammo in piedi e ci dirigemmo di nuovo verso la porta di servizio. «Così, sia che fosse una complice consenziente o una bomba magica a tempo, mia Madre avrebbe potuto aver raggirato mio Padre, persuadendolo a cercare di prendere il controllo di Ambra e, in definitiva, a capovolgere le sorti del mondo,» disse Luke. «Beh, ad ogni modo credo che neanche lui si presentò da lei completamente privo di colpe,» osservai. «È vero ma, tanto per cominciare, mi domando quanto potessero essere realmente elaborati i suoi piani,» rifletté Luke. «Questa è la notizia più felice che abbia sentito nell'ultimo mese.» Uscimmo nel piccolo viottolo coperto che costeggiava il fianco del palazzo. Luke si fermò e si guardò attorno. «Dov'è?» domandò. «Non qui,» dissi. «Avevo soltanto bisogno di un luogo da cui partire nel quale non ci fossero testimoni che potessero dire in giro che avevo rapito il re.» «Dove stiamo andando, Merlin?» domandò Jurt, mentre io generavo un vortice a spirale dal centro dello spikard, evocando sedici differenti fonti
di potere. «Buona idea. Rapiscimi,» stava dicendo Luke quando venne portato via con Jurt. Utilizzai il mio strumento come avevo fatto per trasportare me stesso da Ambra a Kashfa, ricreando l'obiettivo tramite la memoria, invece che per mezzo di un'esplicita visione. Solo che questa volta eravamo in tre e la distanza da percorrere era molto, molto più lunga. «Ho un bel programmino per voi,» dissi. Fu come entrare in un caleidoscopio e passare attraverso circa 120 gradi di frammentazione e riassemblamento cubista, prima di sbucare dall'altra parte sotto un albero maestoso, la cui cima si perdeva fra la nebbia, vicino a una Chevy bianca e rossa del '57, la cui radio trasmetteva «Nine Maidens» di Renbourn. Il fantasma di Luke si sporse dal sedile anteriore e prese a fissare il suo originale. Luke lo fissava a sua volta. «Ciao,» dissi. «Vi presento. Ad ogni modo, non credo che abbiate bisogno di presentazioni. Avete davvero molto in comune.» Jurt fissava il Disegno. «È la versione di mio padre,» dissi. «Avrei dovuto immaginarlo,» mi disse Jurt. «Ma cosa ci facciamo qui?» «Un'idea che mi era venuta. Ma credevo di trovare Corwin, così avrei potuto discuterne con lui.» «È tornato ed è ripartito di nuovo,» disse il Luke che risiedeva lì, udendo le mie parole. «Ha lasciato un recapito, o ha detto quando sarebbe potuto tornare?» «No.» «Maledizione! Ascolta, qualcosa di cui si è parlato poco fa mi ha fatto venire un'idea, e cioè che voi due Luke potreste scambiarvi di posto per un po' — sempre che riuscissimo a convincere questo Disegno ad acconsentire alla partenza.» Il volto di Luke, che avevo deciso di continuare a chiamare Luke finché il suo fantasma fosse rimasto nei paraggi, si illuminò improvvisamente. Decisi inoltre di considerare il suo doppio come Rinaldo, in modo da tenere separate le cose. «È un'esperienza che tutti gli uomini dovrebbero vivere,» disse. «Allora perché sei così desideroso di abbandonare il tuo trono?» replicò Rinaldo. «Per aiutare Merle a trovare Coral,» disse Luke. «È stata rapita.»
«Davvero? Da chi?» «Agenti del Caos.» «Mm.» Rinaldo cominciò a passeggiare con aria pensierosa. «Okay, tu sai più cose di me sull'argomento,» disse infine. «Se Corwin tornerà presto e il Disegno sarà disposto a dispensarmi, farò tutto ciò che mi è possibile per aiutarvi.» «Mentre aspettiamo, la pista potrebbe raffreddarsi ulteriormente,» osservò Luke. «Non capisci,» disse Rinaldo. «Qui io ho un compito da assolvere e non posso mollare tutto improvvisamente, neanche per andare a fare il re da qualche parte. Quello che faccio è più importante.» Luke mi lanciò un'occhiata. «Ha ragione,» dissi. «Lui è il guardiano del Disegno. D'altra parte, per il momento nessuno farà del male a Coral. Perché io e Jurt non ne approfittiamo per fare una puntatina alle Corti per qualche minuto, tanto per controllare lo svolgimento del funerale? Mentre saremo via, potrebbe comparire Corwin. Sono sicuro che voi due troverete di che parlare.» «Andate pure,» mi disse Luke. «Già,» disse Rinaldo. «Mi piacerebbe sapere quello che abbiamo fatto.» Guardai Jurt, che annuì. Andai verso di lui e mi fermai al suo fianco. «Ora tocca a te condurre,» dissi. «Facciamo in un attimo,» disse mentre sparivamo nel primo salto. ...E così ci trovammo di nuovo nelle Vie di Sawall, indossammo di nuovo i nostri abiti rossastri coprendo così i nostri corpi demoniaci. Prima che Jurt ci riconducesse nel gruppo del funerale, trasformai anche i nostri volti in quelli di due persone qualunque, per evitare che si venissero a creare due coppie di gemelli che procedevano fianco a fianco. Il Thelbane si rivelò deserto. Un rapido controllo all'esterno, comunque, ci permise di individuare la processione, più o meno a un quarto della Piazza, bloccata e in preda alla confusione. «Uh-oh,» esclamò Jurt. «Cosa dovrei fare?» «Portaci laggiù,» gli dissi. Qualche attimo dopo ci trovavamo ai lati della folla. La fiammeggiante cassa di Swayvill era stata poggiata in terra, e accanto ad essa era stata messa una guardia. La mia attenzione fu immediatamente attratta da un gruppo di persone a una decina di metri a destra della bara. Da quel punto sembravano levarsi delle grida, qualcosa era riverso in terra e due figure demoniache erano tenute immobilizzate da altre sagome a loro simili. Lo
stomaco mi si chiuse in una morsa non appena vidi che quei due altri non erano che la coppia che avevamo stregato in modo tale da farli assomigliare a Jurt e a me. Entrambi protestavano vivamente. Mentre mi facevo largo verso di loro, ritirai gli incantesimi, cosicché i due riacquistarono le loro sembianze naturali. Quando questo avvenne, le grida si fecero ancora più numerose, e fra di esse si levò un «Ve l'avevo detto!» da un punto non troppo lontano. La riposta a questa frase fu un «Sì, sono loro!» pronunciato da qualcuno che subito individuai come Mandor. Stava fra loro e la cosa sul terreno. «Era un trucco!» disse Mandor. «Un modo per confonderci! Liberateli!» Decisi che era il momento propizio per lasciar cadere gli incantesimi sotto cui ci nascondevamo io e Jurt. Meravigliosa confusione! Qualche attimo dopo Mandor mi vide e mi fece segno di avvicinarmi. Vidi Jurt alla mia destra che era stato fermato da qualche conoscente. «Merlin!» disse non appena fui abbastanza vicino. «Cosa ne sai tu?» «Niente,» dissi. «Io mi trovavo in fondo alla processione, con Jurt. Non so neanche cosa sia successo.» «Qualcuno ha dato a due delle guardie di sicurezza l'aspetto tuo e di Jurt. Era chiaro che mirava a creare confusione nel momento in cui l'assassino avrebbe colpito. Sono venuti avanti insistendo che erano delle guardie. Ovviamente, non lo erano. Ingegnoso, specie per il fatto che te e Jurt siete nella lista della Sorveglianza Nera.» «Capisco,» assentii, domandandomi se avevo davvero facilitato la fuga di un assassino. «Chi è stato colpito?» «Tmer, con un colpo di pugnale inferto da un vero professionista,» spiegò, mentre il sopracciglio sinistro tremava leggermente. Un fugace occhietto? Ma cosa voleva dire? «Che è sparito in un attimo.» Quattro demoni a lutto, fatta una barella con dei mantelli, sollevarono il corpo steso a terra. Quando non si erano allontanati che di pochi passi, vidi un altro gruppo di persone venire dietro di loro. Notando la mia espressione perplessa, Mandor si voltò a guardare. «Altre guardie,» disse. «Stanno circondando Tubble. Credo che lo farò allontanare da qui, almeno per il momento. Lo stesso vale per te e Jurt. Potrete raggiungerci al tempio più tardi. Farò in modo di raddoppiare la sicurezza anche là.» «Okay,» dissi. «Dara è qui?» Si guardò attorno. «Non l'ho vista. Non ora, comunque. È meglio che andiate.»
Annuii. Quando mi voltai, alla mia destra vidi una faccia piuttosto familiare. Era alta e aveva gli occhi scuri, il suo aspetto un continuo passare da un vortice di gioielli multicolori a un'oscillante sagoma floreale, e mi stava fissando. Altre volte, prima di allora, avevo cercato di ricordare il suo nome, senza riuscirvi. Il vederla, però, me lo fece tornare in mente. Mi avvicinai a lei. «Debbo andare via per un po',» dissi. «Ma volevo salutarti, Gilva.» «Ti ricordi. Non ne ero sicura.» «Ma certo.» «Come stai, Merlin?» Sospirai. Lei sorrise, esprimendo una calda, quasi umana solidarietà. «Anch'io,» disse. «Sarò davvero felice quando tutto questo sarà passato.» «Sì. Ascolta, ho bisogno di vederti, per diversi motivi. Quale sarebbe il momento migliore?» «Mah, qualsiasi momento dopo il funerale, immagino. Cosa devi dirmi?» «Non c'è tempo ora. Mandor mi sta lanciando delle occhiate furiose. Ci vediamo dopo.» «Sì. A dopo, Merlin.» Mi affrettai a raggiungere Jurt e lo presi per il gomito. «Ci ha ordinato di andarcene,» dissi. «Motivi di sicurezza.» «Perfetto.» Si voltò verso l'uomo con cui stava parlando. «Grazie. Ci vediamo dopo,» gli disse. Il mondo si eclissò. Ne apparve un altro: l'appartamento di Jurt, i nostri vestiti sparsi dappertutto. «Ottimo tempismo, per quanto ci riguarda. Pessimo per Tmer,» osservò. «Proprio vero.» «Cosa si prova a essere il numero due?» domandò mentre ci cambiavamo ancora una volta sia di vestito che di aspetto. «Anche la tua posizione ne risulta migliorata,» dissi. «Ho l'impressione che sia morto per te, fratello, non per me.» «Spero che non sia così,» dissi. Rise. «Ora la lotta è fra Tubble e te.» «Se così fosse, sarei già morto,» dissi. «Se è come dici, allora in realtà la lotta è fra Sawall e Chanicut.» «Non sarebbe curioso, Merlin, se ora io me ne stessi appiccicato a te sol-
tanto perché al momento è il posto più sicuro?» domandò. «Sono certo che le nostre guardie e i nostri assassini sono migliori di quelli di Chanicut. Mettiamo che io stia semplicemente aspettando, tenendomi l'ultima mossa per quando anche Tubble sarà messo fuori gioco. A quel punto tu, fidandoti di me, mi volteresti le spalle... Incoronazione!» Lo guardai. Stava sorridendo, ma sembrava anche che mi stesse studiando. Fui sul punto di dire, «Puoi prendertela, non c'è problema,» usando un tono scherzoso. Ma subito dopo mi domandai: Anche nello scherzo, se avessi dovuto scegliere fra noi due... Mi resi conto che se noi fossimo state le uniche opzioni possibili, allora in questo caso avrei accettato di salire sul trono. Avevo deciso di dargli il beneficio del dubbio, di andargli incontro più che a metà strada. Ma non potevo farci nulla. Malgrado il suo modo di parlare conciliante e la sua apparente collaborazione, un'abitudine di tutta una vita non è una cosa facile da troncare. Non potevo convincermi a fidarmi di lui più di quanto fosse necessario. «Dillo al Logrus,» dissi. Uno sguardo impaurito, lo spalancarsi degli occhi, l'improvviso abbassarsi dello sguardo, un impercettibile irrigidirsi delle spalle protese in avanti, poi, «Tu hai realmente un accordo con lui, vero?» domandò. «Sembra che esista un accordo, ma funziona solo a senso unico,» dissi. «Cosa vuoi dire?» «Non ho intenzione di aiutare nessuna delle due parti a distruggere il nostro mondo.» «Sembra quasi che tu abbia intenzione di ingannare il Logrus.» Portai un dito alle labbra. «Dev'essere il tuo Sangue di Ambra,» disse poi. «Mi hanno detto che sono tutti un po' pazzi.» «Forse è vero,» dissi. «Sembra quasi la stessa cosa che faceva tuo padre.» «Cosa sai di lui?» «Sai, tutti hanno una storia di Ambra che preferiscono.» «A me nessuno le ha mai raccontate.» «Certo che no, date le circostanze.» «Il fatto che sono un mezzo sangue e via di seguito?» dissi. Si strinse nelle spalle. Poi, «Beh, sì.» Mi infilai gli stivali. «Qualsiasi cosa tu stia facendo con quel nuovo Disegno,» disse, «è pro-
babile che non piacerà troppo a quello vecchio.» «Su questo hai sicuramente ragione,» assentii. «Dunque se il Logrus dovesse avercela con te non potrai più correre da lui in cerca di protezione.» «Immagino di no.» «...E se tutti e due dovessero avercela con te, quello nuovo non sarebbe in grado di fronteggiarli entrambi.» «Credi davvero che riuscirebbero ad accordarsi su qualcosa?» «Difficile da dirsi. Stai giocando una partita pericolosa. Spero che tu sappia quel che fai.» «Lo spero anch'io,» dissi, alzandomi. «Ora tocca a me.» Distesi lo spikard a un livello cui non ero mai giunto prima di allora, e trasportai entrambi laggiù con un solo salto. Luke e Rinaldo stavano ancora parlando. Potevo distinguerli grazie ai vestiti. Non sembrava esserci traccia di Corwin. Quando comparimmo, ci fecero cenni di saluto. «Come vanno le cose alle Corti?» domandò Luke. «Caotiche,» replicò Jurt. «Quanto tempo siamo stati via?» «Sei ore, credo,» rispose Rinaldo. «Nessuna traccia di Corwin?» domandai. «No,» rispose Luke. «Ma ne abbiamo approfittato per raccontarci parecchie cose e Rinaldo si è messo in contatto con questo Disegno. Non appena ritornerà Corwin lo lascerà andare, pur continuando a sostenerlo.» «A questo proposito...» disse Jurt. «Sì?» domandò Rinaldo. «Io rimarrò qui al posto di Rinaldo mentre voi andrete a cercare la signora con l'occhio di vetro.» «Perché?» domandò Rinaldo. «Perché, insieme, voi avreste più probabilità di successo e io mi sentirò molto più al sicuro qui di quanto mi sentirei in qualsiasi altro posto.» «Devo vedere se la proposta può essere accettata,» disse Rinaldo. «Fai pure,» disse Jurt. Si diresse verso il Disegno. Io scrutavo la nebbia in ogni direzione nella speranza di veder tornare mio padre. Jurt osservava attentamente l'automobile, la cui radio ora stava ritrasmettendo un pezzo di Brace Dunlap tratto da «Los Animales». «Se, una volta tornato tuo padre, verrò sollevato dal mio incarico,» disse Jurt, «farò ritorno al funerale e dirò a tutti che ti scusi per la tua assenza. E
tu, se quando tornerai non mi troverai là, non preoccuparti. D'accordo?» «Sì,» dissi, mentre fili di foschia, simili a fumo, si alzavano fra di noi. «E il primo di noi che è libero di muoversi e ha qualche notizia degna di nota...» «Sì,» assentì. «Se non ti vedo verrò a cercarti.» «Non ti sei per caso ricordato di prendere la mia spada mentre eravate alle Corti?» domandò Luke. «Non ne abbiamo avuto il tempo,» rispose Jurt. «La prossima volta che ci torni, vorrei che lo trovassi, il tempo.» «Lo farò, lo farò,» disse Jurt. Rinaldo si allontanò dal Disegno, tornando verso di noi. «Sei assunto,» disse a Jurt. «Vieni con me. Voglio mostrarti una sorgente, e un magazzino con alcune provviste e delle armi.» Luke si voltò e li guardò allontanarsi alla nostra sinistra. «Mi dispiace,» disse piano, «Ma ancora non mi fido di lui.» «Non dispiacerti. Neanch'io mi fido. Lo conosco da troppo tempo. Ma ora abbiamo più motivi per fidarci l'uno dell'altro di quanti non ne abbiamo mai avuti in passato.» «Mi domando se sia stato prudente fargli conoscere dove si trova questo Disegno e ora lasciarlo qui da solo.» «Sono abbastanza sicuro che il Disegno sappia quel che fa e che sia in grado di badare a se stesso.» Alzò due dita incrociate. «Avrei parecchio da dire al riguardo,» disse, «ma purtroppo ho bisogno del mio doppio.» Quando tornarono, rimbombò improvvisa la voce baritonale di un deejay, che diceva, «Si rivelerà ogni cosa, il tempismo fondamentale. Le condizioni delle strade sono buone. È una giornata perfetta per viaggiare.» Subito dopo seguì un assolo di batteria che avrei giurato fosse lo stesso pezzo che una volta avevo sentito suonare a Random. «D'ora in poi sei tu di servizio,» disse Rinaldo a Jurt. Poi annuì verso di noi. «Quando volete.» Feci in modo che lo spikard ci afferrasse e ci portasse in un vortice fino a Kashfa, conducendoci all'interno di Jidrash poco prima del crepuscolo, nella stessa vantaggiosa posizione sulla cima del muro di cui avevo goduto poco prima in compagnia di mio fratello. «Così ci siamo, alla fine,» disse Rinaldo, guardando verso la città. «Sì,» rispose Luke. «Ed è tutta tua, almeno per un po'.» Poi, «Merle, co-
sa ne diresti di fare un salto nel mio appartamento?» Mi voltai verso ovest, dove le nuvole si erano fatte arancioni, alzando lo sguardo verso il punto in cui alcune cominciavano a tingersi di porpora. «Prima di farlo, Luke,» dissi, «preferirei sfrattare l'ultima luce del giorno per dare un'occhiata alla pista nera.» Annuì. «Buona idea. Okay, portaci laggiù.» Il suo gesto indicò una zona collinosa a sudovest. Feci in modo che il mio strumento ci afferrasse e ci portasse via spikard in quella direzione, creando quindi nello stesso momento dell'atto un verbo di cui avvertivo la necessità. Questo è il potere del Caos. Giunti sulla sommità di una collinetta, seguendo Luke, ci dirigemmo verso il pendio più distante. «Da questa parte,» disse. Lunghe ombre si stendevano attorno a noi, ma c'è una differenza fra il loro grado di oscurità e il nero assoluto di una linea di viaggio proveniente dalle Corti. «Era proprio qui,» disse infine Luke non appena giungemmo in un punto tra due massi. Mi feci avanti verso quel punto ma non avvertii niente di particolare. «Sei sicuro che sia questo il posto?» «Sì.» Avanzai di altri dieci passi, venti. «Se era davvero qui, ora non c'è più,» gli dissi. «Naturalmente... Mi domando, quanto tempo saremo stati via?» Luke schioccò le dita. «Il tempismo,» osservò. «Riportaci nei miei appartamenti.» Mentre davamo l'addio al giorno, io inviavo davanti a me un indicatore di direzione che ci aprì la strada attraverso il muro del buio. Entrammo così nella stanza che qualche tempo prima avevo condiviso con Coral. «Abbastanza vicini?» domandai. «Non so con precisione dove si trovino le tue stanze.» «Andiamo,» disse, facendoci uscire, girare a sinistra e scendere le scale. «Basta chiedere all'esperto residente. Merle, fa' qualcosa per l'aspetto di questo ragazzo. Basterebbe poco per scatenare i commenti.» Fu facile e fu anche la prima volta che trasformai qualcuno facendolo somigliare al grande ritratto di Oberon che avevo a casa.
Prima di entrare, Luke bussò alla porta. Al di là di essa, una voce conosciuta pronunciò il suo nome. «Ci sono alcuni amici con me,» disse. «Falli entrare,» fu la risposta della voe femminile. Aprì la porta e ci fece entrare. «Entrambi conoscete Nadya,» annunciò Luke. «Nadya, questo è il mio doppio. Chiamalo Rinaldo finché siamo insieme. Manderà avanti le cose qui al posto mio mentre io e Merle andremo in cerca di tua sorella.» Io allora, notando il suo sguardo perplesso, tramutai di nuovo Rinaldo in se stesso. Nadya indossava dei pantaloni neri e una blusa color smeraldo, i capelli erano legati con un foulard dello stesso verde. Mentre la salutavamo, sorrideva e quando mi salutò si toccò leggermente le labbra con la punta di un dito, quasi senza accorgersene. Io annuii immediatamente. «Spero vi siate ripresa dalle disavventure di Ambra,» dissi. «Ovviamente, non eravate al meglio della forma, laggiù.» «Ovviamente,» rispose. «Completamente ripresa, grazie. Siete gentile a informarvi. Grazie anche per le direttive più recenti. Siete stato voi, immagino, a portar via Luke negli ultimi due giorni?» «È passato davvero così tanto tempo?» dissi. «Proprio così, signore.» «Mi dispiace, mia cara,» disse Luke, stringendole la mano e guardandola a lungo negli occhi. «Questo spiega perché la pista sia sparita,» dissi. Rinaldo le prese la mano e la baciò, eseguendo contemporaneamente un complicato inchino. «È sorprendente quanto siate cambiata dalla ragazza che conoscevo,» affermò. «Oh?» «Oltre che l'aspetto, condivido con Luke anche i ricordi,» spiegò. «Oserei dire che c'è qualcosa di non propriamente umano in voi,» osservò lei. «Vi vedo come un uomo il cui sangue è di fuoco.» «E come fareste a vederlo?» domandò. «Ha i suoi metodi,» disse Luke, «anche se pensavo che si trattasse soltanto di un legame psichico con la sorella. A quanto pare, invece, va ben oltre questo.» Lei annuì. «A proposito, spero che tu possa usarlo per aiutarci a rintracciarla,» con-
tinuò lui. «Con la pista sparita e le chiamate via Trionfo bloccate da qualche droga o incantesimo, avremo bisogno del tuo aiuto.» «Sì,» rispose, «anche se per al momento non corre alcun pericolo.» «Bene,» disse lui. «In tal caso, ordinerò che ci portino da mangiare e cercherò di riassumere a questo affascinante amico cosa sta succedendo in questo periodo a Kashfa.» «Luke,» dissi. «Mi sembra il momento migliore per tornare alle Corti e assistere al resto del funerale.» «Quanto tempo dovresti stare via, Merle?» «Non lo so,» risposi. «Sarai di ritorno per domattina, spero?» «Lo spero anch'io. Ad ogni modo, cosa succederà se non dovessi tornare?» «Ho l'impressione che dovrei cominciare le ricerche senza di te.» «Prova prima a raggiungermi, però.» «Certo. A presto.» Mi avvolsi nel mio mantello di spazio, scrollandomi di dosso Kashfa. Quando lo riaprii, ero di nuovo negli appartamenti di Jurt a Sawall. Mi stiracchiai, sbadigliai. Feci un rapido giro della stanza, assicurandomi di essere solo. Slacciai il mantello e lo gettai sul letto. Mentre mi sbottonavo la camicia, camminavo in su e in giù. Alt. Cos'era? E poi, dove? Ripercorsi gli ultimi passi. Non avevo mai trascorso molto tempo nella stanza del mio fratello minore, ma quella sensazione non avrei potuto dimenticarla. C'erano una sedia e un tavolo nell'angolo formato dalla parete e da un armadio di legno scuro, quasi nero. Inginocchiandomi sulla sedia e sporgendomi sul tavolo, riuscii a sentirla, la presenza di una via, non abbastanza forte da riuscire a catturarmi però. Quindi... Mi spostai sulla destra, aprii l'armadio. Era chiaro che doveva essere là dentro. Mi domandai quanto tempo prima l'avesse installata. Mi sentivo anche leggermente ridicolo a perquisire il suo appartamento in quel modo. D'altronde lui mi aveva procurato guai e fastidi a non finire. Qualche confidenza e un po' di collaborazione avevano cancellato il passato. Non avevo ancora imparato a fidarmi di lui ed era possibile che stesse architettando qualcosa. Le buone maniere, decisi, avrebbero dovuto venire sacrificate a vantaggio della prudenza. Spinsi gli indumenti da una parte, liberando la parte posteriore del mobi-
le. La sentivo chiaramente, adesso. Un ultimo spintone agli abiti, un veloce insinuarmi nell'armadio e mi trovai nel suo centro. Mi lasciai trasportare. Una volta abbandonatomi in avanti, gli abiti compressi alle mie spalle mi diedero una piccola spinta. Questo, più il fatto che qualcuno (Jurt stesso?) aveva estremamente trascurato il lavoro di controllo dell'ombra, fecero in modo che raggiungessi la destinazione con le gambe all'aria. Almeno non ero atterrato in un pozzo pieno di pioli appuntiti o di acido. Né nella tana di qualche bestia affamata. No, era un pavimento di mattonelle verdi e riuscii a frenare la caduta. E dalla tremula luce che mi circondava immaginai che dovesse esserci una gran quantità di candele accese. Anche prima di alzare gli occhi già sapevo con certezza che sarebbero state tutte verdi. Non mi sbagliavo, né in quello come nel resto. La disposizione era simile a quella della cappella di mio padre, con una volta contenente una fonte di luce più forte di quella delle candele. Solo che sopra questo altare non c'era alcun ritratto. Questo presentava invece una teca dai vetri sporchi, con dentro molto verde e un po' di rosso. Era dedicata a Brand. Mi alzai e mi avvicinai. Adagiata sull'altare, sguainata di qualche centimetro dal suo fodero, c'era Werewindle. Mi allungai e la impugnai e il mio primo impulso fu quello di portarla via con me per un'eventuale restituzione a Luke. Poi esitai. Non era qualcosa che avrei potuto avere con me al funerale. Se l'avessi presa ora avrei dovuto nasconderla da qualche parte e questo era già un nascondiglio perfetto. Mentre riflettevo, però, vi lasciai la mano poggiata sopra. Sprigionava una sensazione di potere simile a quella che emanava Grayswandir, solo un po' più vivida, meno contaminata da tragedie e meno triste. Ironia della sorte. Sembrava la spada ideale per un eroe. Mi guardai attorno. Sul leggìo alla mia sinistra era adagiato un libro, sul pavimento dietro di me un pentagramma, in differenti toni di verde e nell'aria c'era uno strano odore, come di legna bruciata di recente. Senza troppo interesse, mi domandai cosa avrei potuto scoprire se avessi dovuto fare un buco nel muro. Questa cappella si trovava sulla cima di una montagna? Sotto un lago? Sottoterra? Volava da qualche parte nei cieli? Cosa rappresentava? Sembrava avere una natura religiosa. E a Benedict, Corwin e Brand erano dedicate le tre cappelle che avevo visitato. Erano forse ammirati, rispettati, venerati, da alcuni dei miei compatrioti e parenti? O queste cappelle nascoste avevano un'origine più sinistra?
Spostai la mano da Werewindle e mi avvicinai al pentagramma. La mia visione del Logras non rivelò la presenza di nulla di pericoloso, ma un'esplorazione più intensa con lo spikard individuò i residui di un'operazione magica da lungo tempo rimossa. Le tracce, però, erano troppo deboli per potermi dire qualcosa circa la sua natura. Mentre riflettevo sull'eventualità di approfondire l'esplorazione ed arrivare così a un quadro più chiaro della cosa, mi resi anche conto di non disporre di tutto il tempo che un'operazione del genere avrebbe richiesto. A malincuore, mi riavvicinai alla via. Questi posti avrebbero potuto essere usati per cercare di influenzare le persone cui erano dedicati? Scossi il capo. Era un'indagine che dovevo rimandare a un altro momento. Individuai la via e mi abbandonai ad essa. Inciampai anche al ritorno. Aggrappandomi con una mano alla cornice, afferrai con l'altra un indumento e riuscii a rimanere in piedi, mi tirai su e uscii fuori. Poi rimisi a posto i vestiti e chiusi le ante. Mi spogliai velocemente, mutando contemporaneamente d'aspetto, poi indossai ancora una volta gli abiti da lutto. Avvertii una certa attività intorno allo spikard, e per la prima volta lo sorpresi a indugiare su una delle molte fonti dominando le quali poteva alterare la propria forma, mentre si adattava alla mutata grandezza del mio dito. Era chiaro che l'aveva fatto molte altre volte, ma questa era la prima volta che avevo notato l'operazione. Era interessante, poiché mostrava come il dispositivo fosse in grado di agire indipendentemente dalla mia volontà. In realtà non sapevo cosa fosse quella cosa, né quale potesse essere stata la sua origine. La tenevo perché rappresentava una fonte considerevole di potere, un sostituto soddisfacente all'uso del Logrus, del quale ora avevo paura. Ma mentre la guardavo cambiare forma per rimanere infilata al mio dito mutato, rimasi sorpreso. E se fosse stata una specie di trappola esplosiva pronta a rivoltarsi contro di me proprio nel momento meno adatto? Lo rigirai un paio di volte attorno al dito. Vi entrai dentro con la mente, ben sapendo che sarebbe stato un esercizio inutile. Mi ci sarebbero voluti secoli per estendermi lungo ogni linea fino alla sua fonte, per controllare tutti gli incantesimi nascosti che avrei trovato lungo la via. Era come intraprendere un viaggio attraverso un orologio svizzero, uno di quelli fatti su misura. Mi impressionava sia la bellezza del disegno che l'enorme quantità di lavoro che aveva contribuito alla sua creazione. Probabilmente possedeva degli imperativi nascosti a cui avrebbe obbedito soltanto in particolari
circostanze. Eppure... Non aveva fatto nulla di sconveniente, ancora. E l'unica alternativa era il Logrus. Mi colpì come un classico esempio del fatto che si preferisce sempre il male che non si conosce. Brontolando, mi sistemai gli abiti, concentrai la mia attenzione sul Tempio del Serpente, e ordinai allo spikard di lasciarmi accanto al suo ingresso. Eseguì i miei ordini con delicatezza e gentilezza, come se non avessi mai dubitato di lui, come se non avessi appena scoperto in lui un ulteriore motivo di paranoia. E per un po' mi limitai a rimanere fuori dalle porte di fuoco congelato, là, vicino alla grande Cattedrale del Serpente sul limite esterno della Piazza alla Fine del Mondo, situata proprio sul Cerchio, aperta verso l'Abisso, da dove, in una bella giornata, si può assistere alla creazione dell'universo, o alla sua fine, e io guardavo le stelle brulicare nello spazio che si piegava e sbocciava come i petali dei fiori; e, come se la mia vita fosse ad una svolta, i miei pensieri tornarono alla California e alla scuola, alle traversate con il Sunburst in compagnia di Luke e Gail e Julia, a quando, poco prima della fine della guerra, me ne ero stato seduto a chiacchierare con mio padre, alle cavalcate con Vinta Bayle attraverso la regione dei vigneti ad est di Ambra, a un lungo, frizzante pomeriggio passato a far visitare la città a Coral, agli strani incontri di quel giorno; poi mi voltai e alzai la mia mano squamosa, e dietro di essa fissai la guglia di Thelbane, «non smettono di combattere, oriente e occidente, sulle frontiere del mio cuore,» pensai. Per quanto tempo, quanto...? — l'ironia, come al solito, era una favorita da tre a uno ogni volta che il sentimentalismo tenta la sua mossa. Voltandomi di nuovo, entrai a vedere l'ultimo dei Re del Caos. CAPITOLO IX Giù, nel profondo del rogo, nel grande cumulo di scorie, una finestra aperta sui confini dello spazio e del tempo, dove alla fine non si vede che il nulla, andavo là, tra le mura eternamente in fiamme, ma mai bruciate, in uno dei miei corpi mi dirigevo verso il suono di una voce che leggeva un brano dal Libro del Serpente Avvinghiato all'Albero della Materia e alla fine giunsi nella grotta aperta sul buio, tra ampi semicerchi di demoni in lutto vestiti di rosso, gli sguardi fissi sul lettore e sul grande catafalco accanto al quale si trovava, dentro di esso Swayvill chiaramente visibile, semicoperto dei fiori rossi lasciati cadere dai demoni, la luce tremula dei lu-
micini rossi stagliava contro l'Abisso a pochi passi dietro di loro; poi attraversai il retro della camera, ascoltando Bances di Amblerash, Sommo Sacerdote del Serpente, le cui parole risuonavano come se fossero state pronunciate da qualcuno accanto a me, grazie alla buona acustica del Caos; trovai un posto libero in un arco stranamente vuoto, dove chiunque, voltandosi, avrebbe potuto notarmi; cercando in giro delle facce conosciute, vidi Dara, Tubble e Mandor seduti in posizione frontale, la qual cosa indicava che, quando fosse venuto il momento, avrebbero dovuto aiutare Bances a far scivolare la bara oltre il ciglio dell'eternità e nel mio cuore diviso ricordai l'ultimo funerale al quale avevo partecipato; quello di Caine, ad Ambra, sulla riva del mare, e ripensai a Bloom e a come in queste occasioni la mente tenda a vagare. Mi guardai attorno. In giro non c'era traccia di Jurt. Gilva di Hendrake non era che a un paio di file davanti a me. Spostai lo sguardo verso i neri abissi aldilà del Cerchio. Avevo come l'impressione di guardare in basso, invece che fuori, se termini simili avevano un reale significato in quel posto. Di tanto in tanto intravedevo dei saettanti punti di luce e delle masse roteanti. Per un po' mi divertii a usarlo come una specie di metodo Rorschach e arrivai quasi ad appisolarmi mentre contemplavo farfalle nere, nuvole, coppie di volti... Mi raddrizzai sulla sedia con un piccolo sussulto, domandandomi cosa fosse stato a interrompere le mie fantasticherie. Il silenzio, era stato il silenzio. Bances aveva smesso di leggere. Stavo per chinarmi in avanti e sussurrare qualcosa a Gilva, quando Bances diede inizio alla cerimonia della Consegna. Ebbi un sussulto di stupore nello scoprire che ricordavo a memoria tutte le risposte del rito. Mentre il canto si faceva più forte ed intenso, vidi Mandor alzarsi in piedi e con lui Dara e Tubble. Avanzarono, raggiungendo Bances accanto alla bara, Dara e Mandor ai piedi del feretro, Tubble e Bances alla sua testa. Gli assistenti della liturgia si alzarono dalla loro sezione e cominciarono a spegnere le candele, finché non ne rimase accesa solo una, quella più grande, sul Cerchio, alle spalle di Bances. A questo punto ci alzammo tutti. La luce sempre lugubre dei mosaici di fiamme, presenti nelle pareti di destra e di sinistra, assicurava un'ulteriore illuminazione, al punto che, quando il canto cessò, riuscii persino a intravedere il movimento che si svolse sotto di me. Le quattro figure si chinarono appena, presumibilmente per impugnare le maniglie della bara. Poi si tirarono su e si incamminarono verso il Cer-
chio. Un assistente avanzò e rimase in piedi vicino alla candela proprio mentre loro vi passavano davanti, pronto a spegnere l'ultima fiamma nel momento in cui i resti di Swayvill sarebbero stati consegnati al Caos. Mancavano una mezza dozzina di passi... Tre. Due... Bances e Tubble si inginocchiarono sul ciglio, collocando la bara in una scanalatura del pavimento, mentre Bances intonava l'ultimo brano del rituale; intanto Dara e Mandor rimanevano in piedi. Terminata la preghiera, sentii un'imprecazione. Mandor sembrò scattare in avanti. Accanto a lui, Dara si allontanò barcollando. Udii un clunk mentre la bara colpiva il pavimento. La mano dell'assistente si era già messa in movimento, e in quel preciso momento la candela si spense. Seguì il rumore di uno scivolare mentre la bara si muoveva in avanti, altre imprecazioni, una figura indistinta che si allontava dal Cerchio... Poi si levò un lamento. Qualcosa di ingombrante cadde e sparì. Il lamento si affievolì, si affievolì, si affievolì... Alzai il pugno sinistro, in modo che lo spikard creasse una sfera di luce bianca, proprio come quando si fanno le bolle di sapone con i bastoncini. Aveva raggiunto un diametro di circa un metro quando lo lasciai libero di volteggiare sopra l'assemblea. Improvvisamente, la sala si riempì di mormorii. Poiché altri maghi seduti sul fondo si erano esercitati nei loro incantesimi d'illuminazione quasi nello stesso momento in cui l'avevo fatto io; ora il tempio era illuminato da dozzine di minuscole luci. Tenendo gli occhi socchiusi, vidi Bances, Mandor e Dara che parlottavano vicino al Cerchio. Tubble e i resti di Swayvill non erano più con noi. Gli altri partecipanti alla cerimonia si stavano già muovendo. Lo stesso feci io, conscio del fatto che, dati i fatti, il mio tempo di permanenza in questo posto si sarebbe notevolmente accorciato. Feci qualche passo verso il basso e imboccai la fila vuota, mi girai sulla destra e toccai la spalla ancora umana di Gilva. «Merlin!» disse, voltandosi di scatto. «Tubble... è finito al di là del Cerchio, vero?» «Sembra sia andata proprio così.» «Cosa succederà adesso?» «Io devo andarmene,» dissi, «e in fretta.» «Perché?» «Tra qualche attimo qualcuno comincerà a pensare alla successione e sicuramente mi soffocheranno con la loro protezione,» le dissi. «Non posso
permetterlo, non ora.» «Perché no?» «Non c'è tempo per spiegarti. Ma avrei voluto parlarti. Posso prenderti in prestito per un po', adesso?» Tutt'intorno a noi era un accalcarsi di corpi. «Naturalmente, signore,» disse, essendosi evidentemente resa conto della successione ormai prossima. «Finiscila,» dissi, mentre lo spikard emetteva una spirale di energie che, afferrandoci, ci trasportava lontano. Feci in modo che ci portasse fino alla foresta dagli alberi di metallo e Gilva, tenendosi aggrappata al mio braccio, si guardò attorno. «Signore, che posto è mai questo?» domandò. «Preferisco non dirtelo,» risposi, «per delle ragioni che ti saranno subito chiare. L'ultima volta che parlai con te avevo soltanto una domanda da farti. Ora invece ne ho due e questo posto ha a che fare con una di esse, in un certo senso, oltre a essere praticamente deserto per la maggior parte del tempo.» «Domandate pure,» disse, ponendosi di fronte a me. «Proverò ad aiutarvi. Se è importante, però, io potrei non essere la persona più adatta...» «Sì, è importante. Ma non ho abbastanza tempo per fissare un appuntamento con Belissa. Riguarda mio padre, Corwin.» «Sì.» «Fu lui ad uccidere Borel di Hendrake a Patternfall, durante la guerra.» «Capisco,» disse. «Dopo la guerra, lui raggiunse la delegazione reale che era venuta qui alle Corti per preparare il Trattato.» «Sì,» disse. «Questo lo so.» «Scomparve subito dopo e nessuno sembrò sapere dove fosse finito. Per un un certo tempo pensai che doveva essere morto. In seguito, però, ricevetti dei segni grazie ai quali mi convinsi che non lo era ma che invece si trovava imprigionato da qualche parte. Sai dirmi nulla al riguardo?» Si voltò di scatto. «Mi offende,» disse, «quello che penso voi stiate insinuando.» «Mi dispiace,» dissi, «ma dovevo chiedertelo.» «La nostra è una Casa onorata,» disse. «Accettiamo le vicende della guerra. Una volta che il combattimento è concluso, ci gettiamo tutto dietro le spalle.» «Ti faccio le mie scuse,» dissi. «Tu mi sei anche parente, sai, per parte
di madre.» «Sì, lo so,» disse, girandosi dall'altra parte. «È tutto, Principe Merlin?» «Sì,» risposi. «Dove vuoi essere mandata?» Rimase in silenzio per un attimo, poi, «Avevate detto che le domande erano due,» osservò. «Dimenticalo. Ho cambiato idea riguardo la seconda.» Si voltò di nuovo verso di me. «Perché? Perché dovrei dimenticarlo? Perché non rinnego l'onore della mia famiglia?» «No, perché ti credo.» «E allora?» «Disturberò qualcun altro per avere un parere sull'argomento.» «Volete dire che è pericoloso, e che per questo avete deciso di non chiederlo a me?» «Non lo so, forse potrebbe essere pericoloso.» «Volete offendermi di nuovo?» «Dio me ne guardi!» «Fatemi questa domanda.» «Dovrò mostrarti qualcosa.» «Fatelo.» «Anche se significa arrampicarsi su un albero?» «Qualunque cosa significhi.» «Seguimi.» Così la guidai fino all'albero e iniziai ad arrampicarmi, un'impresa enormemente semplice dato il mio aspetto attuale. Lei fu subito dietro di me. «C'è una via quassù,» dissi. «Sono quasi arrivato al punto in cui può prendermi. Dammi qualche secondo di distacco per farmi da parte.» Salii ancora un po' e mi lasciai trasportare. Scansandomi da un lato, esaminai rapidamente la cappella. Sembrava non fosse cambiato nulla. Poi Gilva mi fu accanto. La sentii trattenere bruscamente il respiro. «Accidenti!» esclamò. «Io so cosa sto guardando,» dissi, «ma non so cosa sto vedendo, se riesci a seguirmi.» «È un santuario,» disse, «dedicato allo spirito di un membro della casa reale di Ambra.» «Sì, si tratta di mio padre Corwin,» confermai. «Questo è ciò che sto guardando. Ma cosa sto vedendo? Perché poi qui alle Corti dovrebbe es-
serci una cosa simile?» Avanzò lentamente, osservando attentamente l'altare di mio Padre. «Potrei anche dirti,» aggiunsi, «che questo non è l'unico santuario nel quale mi sono imbattuto da quando sono tornato.» Si sporse e toccò l'elsa di Grayswandir. Cercando sotto l'altare, trovò una scorta di candele. Prendendone una argentata e infilandola nel foro di uno dei numerosi candelieri, la accese da una delle altre e la sistemò vicino a Grayswandir. Mentre si trovava là accanto, mormorò qualcosa, ma non mi fu possibile distinguere le parole. Quando tornò a voltarsi verso di me stava sorridendo. «Siamo cresciuti tutti e due qui alle Corti,» dissi. «Come mai tu, a differenza di me, sembri conoscere tutto di questo posto?» «La risposta è piuttosto semplice, Signore,» mi disse. «Voi siete partito subito dopo la guerra per ricevere un'educazione in altre terre. Questo è qualcosa che avvenne durante la vostra assenza.» Si allungò, mi prese per un braccio e mi condusse verso una panchina. «Nessuno credeva che avremmo davvero perso la guerra,» disse, «sebbene fosse chiaro da molto tempo che Ambra si sarebbe rivelata un avversario formidabile.» Ci mettemmo seduti. «Seguì un periodo di grande agitazione,» continuò, «per le linee politiche che avevano condotto alla guerra e per il trattato che l'aveva seguita. Nessuna singola casa od organizzazione, però, poteva sperare di deporre la coalizione reale. Conoscete bene lo spirito conservatore dei Lord del Cerchio. Ci sarebbe voluto molto, molto di più per riuscire a formare una maggioranza che contrastasse la Corona. Quindi il loro malcontento assunse un'altra forma. Si sviluppò un fiorente commercio dei ricordi di Ambra e della guerra. La gente rimase affascinata dai propri conquistatori. Gli studi biografici sulla famiglia reale di Ambra vendevano molto bene. Iniziò a prendere forma qualcosa di simile a un vero e proprio culto. Iniziarono a sorgere cappelle come questa, dedicate a un particolare Amberita le cui virtù avevano colpito qualcuno.» Si fermò un attimo, osservando attentamente il mio volto. «Somigliava troppo a una religione,» riprese poi, «e da tempo immemorabile la Via del Serpente era stata l'unica religione di un certo peso qui alle Corti. Così Swayvill bandì come eretico il culto di Ambra, per ovvi motivi politici. Si rivelò un errore. Se non avesse fatto nulla, forse tutto sarebbe finito in fretta. In realtà non posso saperlo, naturalmente. Ma il bando favorì la clandestinità, e indusse la gente a considerare il culto con maggiore serietà, come una forma di ribellione. Non ho idea di quante cappelle ci siano fra le varie
Case, ma è evidente che questa è una di esse.» «Affascinante fenomeno sociologico,» dissi, «e la figura che voi venerate è quella di Benedict.» Rise. «Non dev'essere stato difficile capirlo,» disse. «In realtà, è stato mio fratello Mandor a fornirmi una descrizione della cappella. Sosteneva di averla visitata durante una festa a Hendrake, non sapendo di cosa si trattasse.» Ridacchiò. «Deve averlo detto per mettervi alla prova,» disse. «La pratica è stata di pubblico dominio per parecchio tempo. E da quanto ne so anche lui deve far parte della setta.» «Davvero? Come fai a saperlo?» «Non ne faceva segreto un tempo, prima della proscrizione generale.» «E chi sarebbe il suo patrono personale?» domandai. «La Principessa Fiona,» rispose. Sempre più curioso... «Hai davvero visto la cappella che lui ha costruito in suo onore?» domandai. «Sì. Prima del bando non era raro invitare i propri amici a una cerimonia ogniqualvolta che ci si sentiva particolarmente scontenti della politica reale.» «E dopo il bando?» «Tutti affermarono pubblicamente di aver demolito i propri santuari. Molti furono semplicemente trasferiti, credo, in vie più sicure.» «E l'abitudine di invitare gli amici alle cerimonie?» «Direi che dipende da quanto questi siano realmente amici. In realtà io non so come sia organizzato il culto di Ambra.» Accompagnò le parole con dei gesti vaghi. «Un posto come questo è illegale, ad ogni modo. È un bene che io non sappia dove ci troviamo.» «Immagino di sì,» dissi. «Cosa sai dirmi dei rapporti fra le figure venerate e quelle reali? Da quanto ne so, Mandor è realmente ossessionato da Fiona. Si sono incontrati, sai, e io ero presente e ho visto tutto. Qualcun altro di mia conoscenza ha rubato qualcosa appartenente al suo... patrono?... e la conserva nel suo santuario. E questa», mi alzai, andai fino all'altare e afferrai la spada di Corwin, «è l'originale. Ho visto da vicino Grayswandir, l'ho toccata, l'ho impugnata. È questa. Ma il punto a cui voglio arrivare è che mio padre è sparito e l'ultima volta che l'ho visto aveva questa spada
con sé. Sarebbe in sintonia con i principi di questo culto tenere prigioniero il proprio patrono?» «Non ho mai sentito niente del genere,» disse. «Ma non vedo perché non potrebbe essere. In realtà è lo spirito della persona ciò che viene venerato. Non c'è motivo per cui la persona non potrebbe essere imprigionata.» «O morta?» «O morta,» assentì. «Allora, per quanto affascinante possa essere,» dissi, dando le spalle all'altare, «in realtà questo non mi aiuterà in alcun modo a trovare mio padre.» Tornai verso di lei, attraversando quella che doveva essere una rappresentazione di Ambra, stilizzata come il disegno di un tappeto del Caucaso, là, in quel mosaico scuro e sottile, mentre quella del Caos occupava lo spazio alla mia destra. «Dovreste chiederlo alla persona che ha portato qui la spada,» disse, alzandosi. «L'ho già chiesto alla persona che credevo responsabile di questo. La risposta non è stata soddisfacente.» La presi per un braccio per riportala verso la via che ci avrebbe ricondotti all'albero, e d'un tratto ci ritrovammo molto vicini. «Desidero servire il nostro futuro re in tutto ciò che è nelle mie possibilità,» disse. «Sebbene di solito non mi sia concesso di parlare a nome della Casa, sono sicura che gli Hendrake sarebbero disposti ad aiutarvi a fare pressione sulla persona responsabile.» «Grazie,» dissi mentre ci abbracciavamo. Le sue scaglie erano fredde. Le sue zanne avrebbero ridotto a brandelli il mio orecchio umano, ma nella mia attuale forma demoniaca non fu che un semplice morso. «Tornerò a cercarti, in caso mi trovassi ad aver bisogno di aiuto su queste linee.» «Torna a cercarmi, comunque.» Fu piacevole abbracciare ed essere abbracciato per un po', e fu ciò che facemmo, finché non vidi un'ombra muoversi nei pressi della via. «Padron Merlin.» «Glait!» «Ssì. Ti ho vissto venire lungo la via. In forma umana, in forma demoniaca, adulto o bambino, ti riconossco ssempre.» «Merlin, cos'è?» domandò Gilva. «Una vecchia amica,» le dissi. «Glait, ti presento Gilva. E viceversa.» «Molto lieta. Ssono venuta ad avvertirvi che ssi ssta avvicinando qual-
cuno.» «Chi?» «La Principessa Dara.» «Oh, cielo!» esclamò Gilva. «Ora avrai capito dove siamo,» le dissi. «Tienilo per te.» «Ci tengo alla mia testa, Signore. Cosa faremo adesso?» «Glait, vieni da me,» dissi, inginocchiandomi e allungando un braccio. Vi salì sopra e si mise comoda. Mi alzai e con l'altro braccio abbracciai stretta Gilva. Inviai la mia volontà nello spikard. Poi ebbi un attimo d'esitazione. Non sapevo dove diavolo fossimo — voglio dire nella realtà, fisicamente, in termini geografici. Una via può portarti nella stanza vicina o in un luogo a migliaia di miglia di distanza dal suo punto d'origine, o in qualche posto nell'Ombra. Ci sarebbe voluto del tempo prima che lo spikard riuscisse a capire dove ci trovassimo e poi ad elaborare la via per il ritorno, se avevamo intenzione di evitare la via dell'andata. Troppo tempo, ne ero sicuro. Avrei potuto usarlo soltanto per renderci invisibili. Ma temevo che la sensibilità magica di mia madre sarebbe riuscita a individuare la nostra presenza anche a dei livelli non visibili. Mi misi di fronte alla parete più vicina ed estesi i miei sensi al di là di essa su una linea di forza dello spikard. Non ci trovavamo sott'acqua né galleggiavamo su un mare di lava o di sabbie mobili. Sembrava che fossimo in un luogo alberato. Così camminai verso il muro e, quando vi fummo davanti, feci in modo che vi passassimo attraverso. Fatti alcuni passi, quando ormai ci trovavamo al centro della radura ombreggiata, mi voltai a guardare e vidi l'erboso fianco di una collina, dai cui pendii non veniva alcun rumore. Il cielo sopra di noi era azzurro, e il sole arancione stava per raggiungere il suo zenit. Eravamo circondati da canti di uccelli e ronzii di insetti. «Vermi!» esclamò Glait, sciogliendosi dal mio braccio e svanendo fra l'erba alta. «Non stare via molto!» dissi in un sibilo, cercando di non alzare la voce; e condussi Gilva via dalla collina. «Merlin,» disse, «ho paura di ciò che ho scoperto.» «Non lo dirò a nessuno se non vuoi,» dissi. «Se lo desideri, posso anche cancellare in te questi ricordi, prima di rimandarti al funerale.»
«No, lasciameli. Vorrei anche che ce ne fossero degli altri.» «Ora mi concentrerò sulla tua posizione e ti riporterò indietro prima che si accorgano della tua assenza.» «Aspetterò qui con te finché la tua amica non terminerà la sua caccia.» Quasi mi aspettavo che continuasse, «...in caso non dovessi vederti mai più,» vuoi per il recente scivolamento oltre il margine di Tmer, vuoi per il fatto che Tubble era stato strappato dalla sua corazza mortale. E invece no, era una soldatessa riservata e ben educata, con più di trenta intaccature sul suo spadone, scoprii in seguito, e si guardava bene dal lasciarsi sfuggire spiacevoli banalità in presenza del suo possibile futuro sovrano. Quando, dopo un certo tempo, Glait fece ritorno, dissi, «Grazie, Gilva. Ora ti rimanderò al funerale. Se qualcuno ci avesse visti insieme e volesse sapere da te dove mi trovo, riferisci loro che ti ho detto che sono andato a nascondermi.» «Se hai bisogno di un posto in cui nasconderti...» «Può darsi che presto ci rivedremo,» dissi, e la rimandai nel tempio situato sul confine dell'eternità. «Ottimi inssetti,» osservò Glait, mentre davo inizio alla mia mutazione umana. (Mi riesce sempre più facile di quella demoniaca.) «Desidero rimandarti nel giardino delle sculture di Sawall,» dissi. «Cossa dovrei fare laggiù, Padron Merlin?» «Rimanere in attesa per un certo tempo e vedere se incontri un circolo di luce senziente. E, se così fosse, chiamarlo Timone Fantasma e dirgli di venire da me.» «Dove dovrò dirgli di cercarti?» «Questo non lo so, ma lui è in grado di farlo da solo.» «Allora mandami laggiù. E sse non verrai divorato da qualcossa più grande di te, vieni a raccontarmi la tua sstoria, una di quesste ssere.» «Lo farò.» Fu questione di un attimo rimandare il serpente sull'albero. Non sono mai riuscito a capire quand'è che scherza, essendo l'umorismo dei rettili decisamente strano. Evocai degli abiti nuovi e mi vestii di grigio e di viola. Poi mi procurai anche una spada lunga e una corta. Mi domandai cosa stesse facendo mia madre nella cappella, ma decisi che non avrei cercato di spiarla. Alzai lo spikard e lo osservai per un attimo, poi lo abbassai. Mi sembrava decisamente controproducente farmi trasportare a Kashfa quando non sapevo con certezza quanto tempo fosse pas-
sato e, se in quel momento Luke si trovasse ancora là. Tirai fuori i miei Trionfi, che avevo tolto dal mio abito da lutto, e li sfilai dalla custodia. Trovai quello di Luke, mi concentrai su di esso. In breve tempo divenne freddo e io avvertii la presenza di Luke. «Sì?» disse. «Sei tu, Merle?» quasi nello stesso attimo in cui la sua immagine vacillò e si trasformò, fino a mostrarmelo in sella a un cavallo mentre attraversava una campagna per metà arida. «Già,» risposi. «Mi pare di capire che non ti trovi più a Kashfa.» «Esatto,» disse. «Dove sei?» «Da qualche parte nell'Ombra. E tu?» «Che io sia dannato se lo so,» rispose. «Sono giorni che seguiamo questa pista nera e anch'io non posso risponderti altro che "da qualche parte nell'Ombra".» «Oh, dunque l'hai trovata?» «È stata Nadya. Io non vedevo nulla, ma lei mi ci ha portato. Poi l'ho vista anch'io. Un segugio infernale, quella ragazza.» «È con te ora?» «Proprio così. E dice anche che stiamo guadagnando terreno rispetto a loro.» «Allora sarà meglio che tu mi faccia venire da voi.» «Vieni pure.» Stese una mano. Io mi allungai verso di essa, l'afferrai, feci un passo in avanti, la lasciai, e iniziai a camminare accanto a lui, quasi fossi un cavallo da soma delle retrovie. «Salve, Nadya!» esclamai, rivolgendomi verso di lei, che cavalcava dall'altro lato. Più avanti, sulla sua destra, vidi una lugubre figura in groppa a un cavallo nero. Nadya mi sorrise. «Merlin,» disse. «Ciao.» «Cosa ne diresti di Merle?» dissi. «Se ti fa piacere.» La figura sul cavallo scuro si voltò e mi osservò. Bloccai un colpo mortale che di riflesso scaturì dallo spikard ad una tale velocità che ne fui spaventato. L'aria tra noi era contaminata e piena di una nota stridente, come di un'auto che consumasse il terreno per evitare uno scontro. Era un figlio di puttana grosso e biondo, aveva una camicia gialla e dei pantaloni neri, degli stivali neri e una gran quantità di ferraglia. Sull'ampio petto rimbalzava il medaglione del Leone che lotta contro l'Unicorno. Ogni
volta che avevo incontrato quell'uomo o che ne avevo sentito parlare, era sempre stato mentre si trovava in procinto di commettere qualche azione malvagia, come quella volta che era arrivato maledettamente vicino a uccidere Luke. Era un mercenario, un Robin Hood dell'Eregnor e un nemico giurato di Ambra, figlio illegittimo del suo ultimo sovrano, Oberon. Mi sembrava di ricordare che ci fosse una taglia sulla sua testa all'interno del Cerchio Dorato. D'altra parte, lui e Luke erano stati amici per anni e Luke era convinto che non fosse poi così cattivo come sembrava. Era mio zio Dalt e avevo l'impressione che se si fosse mosso troppo in fretta la flessione dei suoi muscoli avrebbe lacerato la camicia. «... E ti ricordi del mio consigliere militare, Dalt,» disse Luke. «Mi ricordo,» confermai. Dalt fissò le linee nere nell'aria fra noi, che, simili a strisce di fumo, si dissolsero. Poi sorrise perfino, leggermente. «Merlin,» disse, «figlio di Ambra, Principe del Caos, l'uomo che mi scavò la tomba.» «Cos'è questa?» domandò Luke. «Un piccolo abbozzo di conversazione,» risposi. «Hai una buona memoria, Dalt, per il viso delle persone.» Ridacchiò. «Difficile dimenticare una tomba che ti si apre davanti,» disse. «Ma non ce l'ho con te, Merlin.» «Neanch'io con te, ora,» replicai. Poi emise un grugnito e io feci altrettanto e ci considerammo presentati. Tornai a voltarmi verso Luke. «La pista ti sta creando qualche problema?» domandai. «No,» rispose. «Non ha niente che mi ricordi tutte quelle storie che mi hanno raccontato sulla Strada Nera. A volte sembra un po' lugubre, ma niente di realmente minaccioso.» Guardò in basso e ridacchiò. «Ovviamente è larga soltanto pochi metri,» aggiunse, «e questa è la massima ampiezza che ha raggiunto finora.» «Eppure,» dissi, ampliando i miei sensi e osservando le sue emanazioni con la mia visione del Logrus, «Secondo me qualcosa avrebbe potuto minacciarvi.» «Immagino che siamo stati fortunati,» disse. Ancora una volta Nadya rise e io mi sentii uno sciocco. La presenza di una ty'iga doveva contare quanto la mia nel fronteggiare i disastrosi effetti di un sentiero del Caos in un regno dell'Ordine.
«Più che altro avete un pizzico di fortuna che vi accompagna,» dissi. «Ti servirà un cavallo, Merle,» disse poi. «Credo che tu abbia ragione.» Avevo paura che, usando la magia del Logrus, avrei richiamato la sua attenzione sul luogo dove mi trovavo. E poi, avevo appena scoperto che lo spikard poteva essere usato nello stesso modo, così lo penetrai con la mia volontà, mi estesi, mi estesi, trovai il contatto, evocai... «Sarà qui fra un attimo,» dissi. «Hai detto qualcosa sul fatto che stavamo guadagnando terreno?» «È quanto mi ha detto Nadya,» precisò. «Ha una comunicazione strabiliante con la sorella, per non parlare della sua profonda sensibilità riguardo questo sentiero. «Sa anche parecchie cose riguardo i demoni,» aggiunse. «Oh, potremmo incontrarne qualcuno?» le domandai. «Furono dei guerrieri in forma demoniaca provenienti dalle Corti a rapire Coral,» disse lei. «Sembrano diretti verso una torre situata in alto, più avanti.» «Quanto più avanti?» domandai. «Difficile a dirsi, dal momento che stiamo tagliando attraverso l'Ombra,» rispose. La pista, che era fatta da steli d'erba anneriti e che produceva lo stesso effetto sugli alberi e sugli arbusti nelle parti in cui la sovrastavano, ora si allungava serpeggiando attraverso una zona collinosa; camminando un po' dentro un po' fuori di essa, mi accorsi che, ogni volta che mi allontanavo, la vedevo più calda e lucente. Aveva raggiunto questa condizione ora, dopo essere apparsa praticamente invisibile nei dintorni di Kashfa, un segno di quanta strada avessimo percorso nel regno del Logrus. Dopo aver da poco oltrepassato l'ultima curva della pista, udii un nitrito provenire dalla mia destra. «Scusatemi,» dissi. «È il momento della consegna,» e, allontanandomi dalla pista, entrai in un boschetto di alberi dalle foglie ovali. Davanti a me si udiva uno sbuffare e un pestare di zoccoli e seguii quei rumori lungo dei sentieri ombreggiati. «Aspetta là!» esclamò Luke. «Non dobbiamo separarci.» Ma la foresta era abbastanza fitta, e non era facile attraversarla in groppa a un cavallo, così gridai di rimando, «Non preoccuparti!» e mi lanciai in avanti. ... E quello, ovviamente, era il motivo per cui era rimasto lì.
Completo di sella e di briglie, con le redini aggrovigliate fra la fitta vegetazione, stava imprecando nel suo linguaggio equino, scuotendo la testa da una parte all'altra e scalciando in terra. Mi fermai, fissandolo. Devo dare l'impressione di un tipo che preferirebbe infilarsi un paio di Adidas e fare jogging attraverso l'Ombra, piuttosto che lanciarsi in groppa a una bestia resa quasi idrofoba dalle trasformazioni in atto nel mondo che la circonda. O andare in bicicletta. O procedere saltellando su un «canguro». Nemmeno questa impressione sarebbe sbagliata. Non è che non sappia fare queste cose. È solo che non mi è mai piaciuto farlo. È anche vero, però, che non ho mai avuto a mia disposizione uno di quei cavalli fatati, come Morgenstem di Julian, Stella di Papà, o Glemdenning di Benedict, che, in termini di longevità, forza e resistenza, stavano ai cavalli mortali come gli Ambenti stanno agli abitanti della maggior parte delle ombre. Mi guardai attorno in ogni direzione, ma non riuscii a vedere nessun fantino ferito... «Merlin!» sentii Luke gridare, ma la mia attenzione ora era concentrata su qualcosa più vicino a me. Avanzai lentamente, non volendolo spaventare ulteriormente. «Tutto bene?» Mi ero limitato a ordinare un cavallo. Un qualsiasi vecchio cavallo di razza sarebbe servito allo scopo di tenermi al passo con i miei compagni. Quello che avevo dinanzi a me era un animale assolutamente splendido, nero e striato d'arancione come una tigre. In questo somigliava a Glemdenning, famoso per le sue striature rosse e nere. Dal momento che non sapevo da dove venisse la cavalcatura di Benedict, mi contentai di pensare che venisse dal mondo della magia. Avanzai lentamente. «Merle! C'è qualcosa che non va?» Non volli rispondere per non spaventare la povera bestia. Gli poggiai delicatamente la mano sul collo. «Va tutto bene,» dissi. «Mi piaci. Ti slegherò e saremo amici, d'accordo?» Mi ci volle del tempo per districare le redini, dal momento che dovevo usare l'altra mano per massaggiargli il collo e la schiena. Una volta libero non si allontanò, ma sembrò osservarmi con attenzione. «Avanti,» dissi, prendendo le redini, «da questa parte.» Lo condussi lungo la strada percorsa all'andata e intanto gli parlavo. Quando uscimmo dalla foresta, avevo ormai capito che mi piaceva sul se-
rio. Subito dopo incontrai Luke, con in mano una spada sguainata. «Mio Dio!» esclamò. «Non credevo che ci mettessi tanto! Ti sei fermato a dipingerlo?» «Ti piace, eh?» «Se mai vorrai darlo via, ti farò una buona offerta.» «Non credo che lo darò via,» dissi. «Come si chiama?» «Tigre,» dissi senza rifletterci, poi montai in groppa. Tornammo verso la pista, e là anche Dalt guardò la mia cavalcatura con un'espressione simile al piacere. Nadya si sporse e accarezzò la criniera arancione e nera. «Ora potremo arrivare in tempo,» disse, «se ci sbrighiamo.» Salii in groppa e portai Tigre sulla pista. Mi aspettavo ogni genere di reazione, una volta che fosse venuto a contatto con la pista, perché, dal racconto di mio padre, ricordavo l'effetto intimidatorio che quella cosa poteva avere sugli animali. Non sembrava infastidito, però, così diedi libero corso a quel respiro che non mi ero accorto di trattenere. «In tempo per cosa?» domandai quando riuscimmo a trovare una formazione, Luke in testa, Dalt dietro di lui a destra, Nadya alla sinistra della pista, dietro, io alla sua destra e leggermente più indietro. «Non posso dirlo con certezza,» disse lei, «perché è ancora sotto l'effetto dei sedativi. Ad ogni modo, so che non è più in movimento; e ho l'impressione che i suoi rapitori abbiano trovato rifugio nella torre, dove la pista è molto più larga.» «Hm,» dissi. «Non avrai per caso rilevato il tasso di alterazione di larghezza per unità di distanza percorsa su questa pista, vero?» «Io ero nel ramo umanistico,» disse, sorridendo. «Ricordi?» Poi si voltò di scatto, guardando verso Luke. Si trovava ancora a un cavallo di distanza da lei, con lo sguardo diritto davanti a sé, sebbene si fosse voltato verso di noi qualche attimo prima. «Accidenti a te!» disse piano. «Stare insieme a voi in questo modo mi fa tornare in mente il college. Allora comincio a parlare in quel modo...» «In inglese,» dissi. «L'ho detto in inglese?» «Sì.» «Merda! Se mi sorprendi a farlo di nuovo avvisami, lo farai?» «Certamente,» dissi. «Sembrerebbe che un po' ti sia piaciuto, pur trattandosi di un compito affidatoti da Dara. E probabilmente sei l'unica ty'iga
ad avere una laurea di Berkley.» «Sì, mi è piaciuto, malgrado non avessi ben chiaro chi di voi due fosse colui che cercavo. Quelli sono stati i giorni più belli della mia vita, con te e Luke, al college. Per anni cercai di scoprire i nomi delle vostre madri così da sapere chi di voi avrei dovuto proteggere. Eravate così riluttanti, però.» «È qualcosa che abbiamo dentro, credo,» osservai. «Mi sono divertito con te quando eri Vinta Bayle, comunque ho apprezzato anche la protezione che mi hai offerto negli altri corpi.» «Soffrii molto,» disse, «quando Luke diede inizio ai suoi annuali attentati alla tua vita. Se era lui il figlio di Dara che avevo il compito di proteggere, quei fatti non avrebbero dovuto avere alcuna importanza per me. E invece l'avevano. Mi ero già affezionata molto ad entrambi. L'unica cosa di cui ero certa, era che eravate entrambe della stirpe di Ambra. Non volevo che a nessuno dei due succedesse nulla di male. Il momento più brutto fu quando te ne andasti via, ed io ero sicura che Luke ti avesse adescato nelle montagne del Nuovo Messico per ucciderti. Allora, avevo dei forti sospetti che fossi tu colui che cercavo, ma non ne ero certa. Ero innamorata di Luke, avevo preso il corpo di Dan Martinez e avevo una pistola con me. Ti seguivo dovunque mi fosse possibile, ben sapendo che se lui avesse provato a farti del male il geas che mi governava mi avrebbe costretto a spaiare all'uomo che amavo.» «Fosti tu a sparare per prima, però. Noi stavamo fermi a parlare, lungo il margine della strada. Lui sparò per difendersi.» «Lo so. Ma tutto lasciava pensare che tu fossi in pericolo. Ti aveva portato in un posto ideale per un'esecuzione, all'ora giusta...» «No,» replicai. «Il tuo colpo andò a vuoto, e tu facesti in modo di essere scoperta prevedendo ciò che sarebbe successo.» «Non capisco cosa tu voglia dire.» «Tu risolvesti il problema dell'eventualità di dover sparare a Luke creando una situazione nella quale fu lui a sparare a te.» «Non avrei potuto farlo, sotto l'influsso di un geas.» «Forse non consciamente,» dissi. «Dunque qualcosa di più forte del geas ebbe il sopravvento.» «Lo credi davvero?» «Sì, e ora puoi ammetterlo. Ora sei libera dal geas. Me l'ha detto mia madre. Me lo dicesti tu, credo.» Annuì. «Non so con precisione quando mi abbandonò, né come,» disse. «Ma non c'è più, e cercherei ugualmente di proteggerti qualora qualcosa ti
minacciasse. È un bene che tu e Luke siate realmente amici, e...» «Allora perché il segreto?» la interruppi. «Perché non dirgli che tu eri Gail? Fagli questa maledetta sorpresa magari usando un po' di tatto.» «Tu non capisci,» disse. «Lui mi lasciò, ricordi? Ora ho un'altra occasione. È tornato tutto com'era una volta. A lui... piaccio molto. Ho paura di dirgli, "In realtà io sono la ragazza che tu lasciasti." Questo potrebbe fargli ripensare a tutti i motivi che l'avevano portato a quella decisione, e fargli credere che aveva fatto la scelta giusta.» «Tutto questo è molto stupido,» dissi. «Io non so quali furono i motivi che tirò fuori. Non me ne ha mai parlato. Disse soltanto che c'era stata una discussione. Ma sono sicuro che erano delle scuse. So che tu gli piacevi. Sono sicuro che in realtà se ti lasciò fu perché, quale figlio di Ambra, era in procinto di tornare a casa per qualche odiosissima missione, e nel quadro non c'era posto per quella che lui credeva essere una normale ragazza dell'ombra. Avevi recitato la tua parte troppo bene.» «È per questo che tu lasciasti Julia?» domandò. «No,» dissi. «Mi dispiace.» Mi accorsi che la pista nera si era allargata di circa mezzo metro da quando avevamo cominciato a parlare. Era il momento migliore per cercare di risolvere un problema matematico. CAPITOLO X E così continuammo a cavalcare, sei passi al galoppo lungo una strada cittadina, tra lo squillo dei corni, la nostra via nera fiancheggiata da segni di smottamento; un quarto di miglio lungo una spiaggia dalla sabbia nera, accanto ad un placido mare verde, l'agitarsi delle palme sulla sinistra; attraverso una sporca distesa di neve; sotto un ponte di pietra, la nostra via nel letto di un ruscello, annerito e inaridito; poi nella prateria; di nuovo la strada alberata — e Tigre non indietreggiò mai, neanche quando Dalt diede un calcio ad un parabrezza e staccò un'antenna. La via continuò ad allargarsi, fino a divenire quasi il doppio di com'era nel punto in cui avevo iniziato a percorrerla. Dentro di essa, ora, gli alberi spogli erano sempre più frequenti, simili ai negativi fotografici dei loro più luminosi compagni, cresciuti soltanto a qualche metro di distanza dalla pista. Mentre le foglie e i rami di questi ultimi si agitavano in modo naturale, noi non avvertivamo un solo soffio di vento. Ora anche i suoni delle nostre
voci, degli zoccoli dei nostri cavalli ci giungevano leggermente attutiti. Tutta la via era circondata da una costante, vaga atmosfera crepuscolare, indipendentemente dal fatto che a pochi metri di distanza, e lo provammo facendovi diverse brevi escursioni, fosse giorno pieno o notte fonda. Fra gli alberi anneriti erano appollaiati degli uccelli apparentemente morti, che però di tanto in tanto sembravano muoversi, e che probabilmente erano i responsabili di quei versi stridenti e gracchianti che sentivamo nell'aria. Una volta sulla nostra destra si scatenò un incendio; in un'altra occasione, guardando a sinistra, avemmo l'impressione di passare vicino ai piedi di un ghiacciaio. La pista continuava ad allargarsi, niente a che vedere con la grande Strada Nera che Corwin mi aveva descritto fin dai tempi della guerra, ma grande abbastanza per permetterci di cavalcare tutti fianco a fianco. «Luke,» dissi dopo un po'. «Sì?» rispose, da sinistra. Nadya ora cavalcava alla mia destra, e Dalt alla sua destra. «Cosa c'è?» «Non voglio essere re.» «Neanch'io,» disse. «Stanno insistendo molto?» «Ho paura che non aspettino altro che il mio ritorno per vestirmi e incoronarmi. Tutti quelli che mi precedevano all'improvviso sono morti. In realtà hanno in mente di mettermi sul trono, farmi sposare Coral...» «Uh-huh,» disse, «e io ho due domande al riguardo. Primo, funzionerà?» «Il Logrus sembra credere di sì, almeno per un certo tempo e comunque la politica non spera mai in qualcosa di meglio.» «Secondo,» disse, «se tu tieni a quel luogo come io tengo a Kashfa, non manderai tutto al diavolo se hai la possibilità di fare qualcosa per esso, anche se questo implicherà dei sacrifici. Tu non vuoi accettare il trono, quindi devi aver escogitato qualche soluzione alternativa. Di che si tratta?» Annuii e intanto la pista girava bruscamente a sinistra e si dirigeva verso la cima della collina. Qualcosa di piccolo e scuro attraversò di corsa il sentiero. «Ho un'intuizione, non proprio un'idea vera e propria,» dissi, «e ne voglio discutere con mio padre.» «Piuttosto difficile,» disse. «Sei almeno sicuro che sia vivo?» «Ho parlato con lui non molto tempo fa, anche se per poco. È prigioniero da qualche parte. L'unica cosa di cui sono sicuro è che si trova da qualche parte nelle vicinanze delle Corti perché da laggiù posso raggiungerlo via Trionfo, ma non so altro.»
«Raccontami di questo contatto,» disse. E così feci, parlandogli dell'uccello nero e di tutto il resto. «A quanto pare non sarà troppo facile farlo fuggire,» disse. «E pensi che ci sia tua madre dietro tutto questo?» «Sì.» «Credevo di essere l'unico ad avere questo tipo di problemi materni. Ma i conti tornano, se pensi che la mia è stata addestrata dalla tua.» «Come abbiamo fatto a crescere così normali?» dissi. Si limitò a fissarmi per alcuni secondi. Poi cominciò a ridere. «Beh, io mi sento normale,» dissi. «Certamente,» replicò quindi senza alcun indugio, «ed è questo che conta. Dimmi, se si giungesse a uno scontro finale di poteri, credi che saresti in grado di sconfiggere Dara?» «Difficile a dirsi, ora sono più forte di quanto non sia mai stato prima, grazie allo spikard. Ma sto iniziando a convincermi che lei sia davvero molto brava.» «Cosa diavolo è uno spikard?» Così gli raccontai anche quella storia. «È per questo che sei stato così brillante nel combattere nella chiesa contro Jurt?» domandò. «Infatti.» «Vediamolo.» Provai a sfilarlo, ma non riuscii a farlo passare oltre la nocca. Così mi limitai a stendere la mano. Luke si allungò verso di essa. Le sue dita si fermarono a qualche centimetro dalle mie. «Mi tiene lontano, Merle. Piccolo diavolo malfidato.» «Diavolo,» esclamai, «non per niente sono un muratore di forma.» Quindi lo afferrai saldamente, assottigliai improvvisamente il mio dito e lo sfilai. «Ecco qui.» Lo adagiò nel palmo della mano sinistra, mentre procedevamo in avanti sobbalzando, osservandolo attraverso gli occhi socchiusi. Improvvisamente, mi sentii stordito. Sindrome da astinenza da quell'oggetto? Mi sforzai di tenermi dritto, mutai il ritmo del respiro, non volli darlo a vedere. «Forte,» disse Luke alla fine. «Avverto il potere che racchiude. Anche altre cose. Non mi permetterà di infilarlo, però» Mi sporsi per riprenderlo e lui allontanò la propria mano. «Lo avverto nell'aria che ci circonda,» disse. «Merle, questo oggetto
stende un incantesimo su chiunque lo porti.» Mi strinsi nelle spalle. «Sì,» dissi. «Benigno, però. Non mi ha mai fatto del male, e mi ha aiutato in molte occasioni.» «Ma come puoi fidarti di qualcosa che hai trovato in un modo così strano, quasi cadendo in un tranello, che ti ha convinto ad abbandonare Frakir proprio mentre cercava di metterti in guardia da quest'oggetto e che per quanto ne sai da quando l'hai infilato al dito non ha fatto che condizionare il tuo comportamento?» «Ammetto di aver avuto un certo disorientamento all'inizio,» dissi, «ma credo si trattasse soltanto del fatto che dovevo adattarmi ai livelli di voltaggio che emana. Adesso mi sento di nuovo normale.» «Come fai ad esserne sicuro? Può darsi che ti abbia fatto il lavaggio del cervello.» «Ti sembro uno che abbia subito il lavaggio del cervello?» «No. Stavo solo cercando di dirti che al tuo posto non mi fiderei ciecamente di qualcosa che ha delle credenziali così discutibili.» «Ottima obiezione,» assentii, protendendo in avanti la mano. «Ma fino ad ora i benefici hanno superato gli ipotetici pericoli. Considerami avvisato e io correrò i miei rischi.» Me lo restituì. «Se dovessi vedere che ti comporti in modo strano, però, ti darò una botta in testa e te lo sfilerò.» «D'accordo,» dissi, infilandolo di nuovo al dito. Immediatamente, le linee di controllo vennero ristabilite e io sentii una scarica di energia attraversarmi tutto il corpo. «Se non sei sicuro di poter strappare l'informazione a tua madre,» disse, «come credi che riuscirai a trovare Corwin e a liberarlo?» «Ho pensato a diverse soluzioni,» dissi. «Il modo più semplice può essere quello di ricorrere alla tecnica del piede nella porta. In pratica, dopo aver aperto tutti i canali sullo spikard, andrei in cerca di un altro contatto via Trionfo. Al minimo segno di apertura, mi limiterei a spingere con tutte le mie forze, bloccando così qualsiasi incantesimo che cercasse di fermarmi, fino ad annientarlo.» «Sembra piuttosto pericoloso.» «Non mi viene in mente nulla di relativo all'argomento che non lo sarebbe.» «Allora perché non ci hai provato?»
«Ci ho pensato solo da poco e da allora non ne ho avuto il tempo.» «Qualunque sia il modo in cui l'affronterai, avrai bisogno d'aiuto,» disse. «Perciò, conta pure su di me.» «Grazie, Luke. Io...» «Ora, a proposito della faccenda del re,» disse. «Cosa succede se tu decidi di rinunciare al trono? Chi è il prossimo in linea di successione?» «A Sawall la situazione è leggermente intricata,» dissi. «Come regola, fra i membri della nostra Casa, Mandor dovrebbe essere il primo in linea di successione. Lui, però, si era tolto dalla lista anni fa.» «Perché?» «Credo affermasse di non essere adatto per il governo.» «Nessuna offesa, Merle. Ma a me sembra l'unico fra voi ad essere adatto a ricoprire quell'incarico.» «Oh, senza dubbio,» risposi. «Quasi tutte le Case hanno qualcuno come lui. Solitamente esiste un capo nominale e uno di fatto, uno ufficiale e uno che organizza i complotti. Mandor preferisce rimanere dietro le quinte.» «Sembra che la vostra Casa ne abbia due,» disse. «In realtà non ho le idee molto chiare su questo,» dissi. «Non conosco l'attuale posizione di Dara nella Casa di suo padre, Helgram, o di sua madre, Hendrake. Ma potrebbe portare a una lotta per il potere all'interno di Sawall, se è da là che verrà il futuro re. E poi, più cose scopro sul conto di Mandor, più minacciosa mi sembra che potrebbe rivelarsi questa lotta. Credo ci siano dentro tutti e due.» «Immagino che il prossimo in linea di successione sia tu e poi Jurt?» «A dire il vero, subito dopo di me c'è nostro fratello Despil. Jurt diceva che probabilmente Despil si sarebbe fatto da parte, ma credo che fosse una vana illusione. Non sono affatto sicuro che sarebbe disposto a farlo. Ad ogni modo, ora Jurt afferma di non essere interessato alla cosa.» «Ah! Credo invece che stia soltanto aggirando l'ostacolo. L'hai battuto troppe volte e ora sta cercando di entrare in buoni rapporti con te. Spera solo che quello spikard sappia proteggerti le spalle.» «Non so,» dissi. «Vorrei potergli credere. Ma per troppo tempo ha cercato di convincermi che non sarebbe stato facile.» «Supponiamo che rinunciate entrambi. Chi viene dopo?» «Non ne sono sicuro,» dissi, «ma credo che a quel punto passerebbe ad Hendrake.» «Dannazione,» disse Luke. «È un posto contorto come Ambra, vero?» «Nessuno dei due è contorto, in realtà. Possono apparire soltanto leg-
germente complicati, finché non si imparano a riconoscere i fili dell'intreccio.» «Cosa ne dici se io mi limitassi ad ascoltare e tu mi mettessi al corrente di tutto ciò che non mi hai mai raccontato finora?» «Buona idea.» Così parlai per un bel po' di tempo, interrompendomi soltanto per evocare del cibo e dell'acqua. Durante il mio racconto ci fermammo due volte e io ebbi modo di rendermi conto di quanto mi fossi stancato. Luke mi ricordò ancora una volta che avrei dovuto dire tutte queste cose a Random. Ma se mi fossi messo in contatto con lui e avessi provato a dirgliele, ero certo che mi avrebbe ordinato di fare ritorno ad Ambra. E io non avrei potuto disobbedire a un ordine diretto del re, pur essendo quasi la sua controparte. «Ci stiamo avvicinando,» avvertì dopo un po' Nadya e notai che la strada si era allargata ancora di più, raggiungendo quasi l'ampiezza che lei ci aveva preannunciato. Inviai una scossa di energia nel mio corpo, la assimilai e continuai a cavalcare. Dopo breve tempo, ripeté, «Sempre più vicini.» «Del tipo, appena dietro l'angolo?» domandò Luke. «Potrebbe essere,» rispose Nadya. «Non posso essere più precisa, date le condizioni in cui lei si trova.» Ma qualche attimo dopo sentimmo delle grida in lontananza. Luke tirò a sé le redini. «Qualcosa a proposito di una torre,» disse. Lei annuì. «Vi si stavano dirigendo, vi si stavano nascondendo dentro o si stavano difendendo?» «Tutt'e tre le cose,» replicò lei. «Ora l'ho capito. I suoi rapitori erano inseguiti, si sono diretti verso un luogo in cui rifugiarsi, vi sono arrivati e ora sono là.» «Come fai ad essere d'un tratto così precisa?» Lei mi lanciò una fugace occhiata, e io la interpretai come una richiesta affinché trovassi una spiegazione alternativa a quella legata ai suoi poteri di ty'iga. «Ho usato lo spikard,» inventai, «per cercare di vedere se potevo aiutarla ad avere una visione più chiara.» «Bravo,» disse Luke. «Non potresti aumentare ancora di più il suo potere per farci vedere cosa dobbiamo affrontare?» «Posso provare,» dissi, stringendo gli occhi verso di lei in segno di ri-
chiesta. Lei rispose con un quasi impercettibile cenno di assenso. Ero indeciso sii come comportarmi con i suoi poteri, così mi limitai ad alimentare la sua energia con quella stessa scossa che avevo dato a me stesso poco prima. «Sì,» disse dopo pochi attimi, «Coral e i suoi rapitori, sei di loro credo, hanno trovato rifugio in una torre qui vicino. Stanno subendo un attacco.» «Quanto è grande il grappo degli aggressori?» domandò Luke. «Piccolo,» rispose lei. «Molto piccolo. Non so dirvi il numero preciso.» «Andiamo a vedere,» disse Luke e si mise in testa al gruppo, con Dalt subito dietro di lui. «Tre o quattro,» mi sussurrò Nadya, «ma sono dei fantasmi del Disegno. Probabilmente, data la notevole distanza, non può sostenerne di più su una Strada Nera.» «Ahi,» dissi. «Questo complica le cose.» «In che senso?» «Significa che ho dei parenti su entrambe gli schieramenti.» «Sembrerebbe anche che i fantasmi di Ambra e i demoni delle Corti siano soltanto degli agenti e che in realtà si tratti di una sfida fra il Logrus e il Disegno.» «Accidenti! Ma certo!» dissi. «Potrebbe facilmente trasformarsi in un'altra delle loro sfide. Dovrò mettere in guardia Luke su ciò che stiamo per affrontare.» «Non puoi farlo! Non senza dirgli cosa sono!» «Gli dirò che l'ho scoperto da me, che ho avuto un'improvvisa intuizione su un nuovo incantesimo.» «E poi? Da che parte stai tu? E noi cosa facciamo?» «Da nessuna,» dissi. «Noi stiamo per conto nostro e contro tutti loro.» «Tu sei pazzo! Non c'è posto in cui ci si possa nascondere, Merle! Le Potenze si spartiscono l'universo!» «Luke!» gridai. «Ho appena esplorato lo spazio davanti a noi e ho scoperto che gli aggressori sono fantasmi del Disegno!» «Non mi dire!» gridò. «Credi che dovremmo metterci dalla loro parte? È probabile che sia meglio che l'abbia il Disegno, piuttosto che le Corti, non credi?» «Non è giusto che venga trattata in questo modo,» dissi. «Portiamola via a tutti e due.» «Concordo con i tuoi sentimenti,» affermò. «Ma, anche ammesso che ci riuscissimo, non ci tengo particolarmente a essere colpito da una meteora o
scaraventato nel fondo dell'oceano più vicino.» «Per quanto ne so, lo spikard non riceve il suo potere né dal Logrus né dal Disegno. Le sue fonti di energia si trovano sparse fra le Ombre.» «E allora? Sono sicuro che non sarebbe un degno avversario di nessuno dei due, neanche affrontandoli uno alla volta.» «No, ma posso usarlo per creare una linea d'evasione. Se decideranno d'inseguirci, si troveranno costretti a percorrere la stessa strada.» «Ma, alla fine ci troverebbero, vero?» «Forse, o forse no,» dissi. «Ho alcune idee, ma abbiamo poco tempo.» «Dalt, hai sentito tutto?» domandò Luke. «Sì,» replicò Dalt. «Se vuoi restarne fuori, questo è il momento.» «E rinunciare all'opportunità di torcere la coda all'Unicorno?» disse. «Continuiamo a cavalcare!» Così facemmo e le grida si facevano sempre più alte man mano che, galoppando, ci avvicinavamo alla meta. Si aveva come l'impressione di essere fuori del tempo, però, con i rumori attutiti e la luce soffusa, come se in questo posto stessimo cavalcando da sempre e per sempre... Poi girammo per una curva e in lontananza vidi la cima della torre e udii altre grida. Avvicinandoci alla curva successiva, rallentammo l'andatura, procedendo con maggiore cautela, facendoci largo in mezzo a un piccolo boschetto di giovani arbusti neri. Infine ci fermammo, scendemmo da cavallo e continuammo ad avanzare a piedi. Spingemmo da una parte l'ultima barriera di rami e guardammo in basso, verso i piedi di un leggero pendio, dove c'era una piana di sabbia annerita, e accanto ad essa una torre grigia a tre piani con delle fessure come finestre e un'angusta entrata. Ci volle un po' per riuscire a distinguere la scena che si presentava ai piedi dell'edificio. C'erano due individui in forma demoniaca in piedi su ogni lato dell'entrata della torre. Erano armati e la loro attenzione sembrava concentrata sulla lotta che stava avendo luogo sulla sabbia davanti a loro. Delle figure familiari stavano in piedi alle due estremità di questa improvvisata arena: Benedict si lisciò il mento, con il volto privo d'espressione; Eric si accovacciò e sorrise; Caine giocherellò con un pugnale, lo lanciò, lo nascose e lo passò, con aria assorta, quasi stesse svolgendo un esercizio per lui abituale, con un'espressione di divertito incanto sul volto. Dalla cima della torre, notai d'un tratto, erano affacciati due demoni con delle corna, e i loro sguardi erano fissi come quelli dei fantasmi del Disegno di Ambra.
Al centro del cerchio, Gérard aveva di fronte a sé un figlio di Hendrake in forma demoniaca, alto quanto lui ma molto più possente. Sembrava essere Chinaway in persona, il quale si diceva possedesse una collezione di più di duecento teste di nemici uccisi. Personalmente preferivo la collezione di Gérard, che comprendeva circa un migliaio di tazze, boccali e corni per bere, ma il tuo fantasma passeggerà, amante degli alberi, in un vicolo inglese, se sai cosa intendo. Erano entrambi nudi fino alla cintola e dall'aspetto scomposto della sabbia attorno a loro, compresi che dovevano trovarsi là già da parecchio tempo. Proprio in quel momento Chinaway cercò di far inciampare Gérard, il quale, mentre l'avversario gli passava alle spalle, lo afferrò per il braccio e per la testa e lo fece rotolare a terra. Il lord demone si rialzò in piedi, ad ogni modo e subito avanzò di nuovo, le braccia allungate, le mani che tracciavano un sinuoso disegno davanti a sé. Gérard si limitò ad aspettarlo in una posizione di guardia. Chinaway protese le dita dotate di artigli verso gli occhi di Gérard e sferrò un gancio contro la cassa toracica dell'avversario. Gérard lo prese per la spalla, però, mentre Chinaway, chinandosi, l'afferrava per la coscia. «Aspettiamo,» disse piano Dalt. «Voglio godermi lo spettacolo.» Io e Luke annuimmo e intanto Gérard chiudeva in una morsa la testa di Chinaway mentre questi stringeva l'altro braccio attorno alla vita di Gérard. Quindi rimasero fermi in questa posizione, i muscoli sporgenti sotto la pelle, pallida e liscia quella dell'uno, rossa e squamosa quella dell'altro. I polmoni si gonfiavano e si sgonfiavano come dei soffietti. «Immagino che la cosa stesse andando per le lunghe,» sussurrò Luke, «così hanno deciso di sistemare la questione mettendo un campione contro l'altro.» «Così sembra,» dissi. «Quindi Coral deve essere dentro, non pensi?» «Aspetta un attimo.» Inviai una sonda d'esplorazione all'interno dell'edificio e individuai la presenza di due persone. Quindi annuii. «Lei e una sola guardia, direi.» Gérard e Chinaway stavano ancora fermi come statue. «Questo potrebbe essere il momento migliore per prendere Coral,» disse Luke, «mentre tutti sono presi dal combattimento.» «Probabilmente hai ragione,» gli dissi. «Fammi vedere se riesco a rendermi invisibile. Potrebbe rendere le cose molto più semplici.»
«Okay,» disse, quando non fu passato più un quarto di minuto. «Qualunque cosa tu abbia fatto, ha funzionato. Non ci sei più.» «Infatti,» dissi. «Sarò di ritorno in un attimo.» «Come farai a portarla fuori?» «Ci penserò dopo che l'avrò trovata. Tieniti pronto.» Mi allontanai piano, attento a non smuovere la sabbia. Girai attorno al circolo, passando alle spalle di Caine. Mi avvicinai alla torre, silenzioso, guardandomi continuamente attorno. Gérard e Chinaway erano ancora nella stessa posizione di prima, avvinghiati, spingendo con forza l'uno contro l'altro. Passai fra le guardie, penetrando nello scuro interno della torre. Questo era costituito da un'unica stanza circolare con la nuda terra come pavimento e dei piedistalli di pietra sotto ognuna delle finestre a fessura. Attraverso un buco nei soffitto, una scala conduceva al secondo piano. Coral era distesa su una coperta alla mia sinistra; l'individuo che avrebbe dovuto sorvegliarla, stava in piedi su un piedistallo, intento a osservare il combattimento dalla finestra più vicina. Mi avvicinai, mi inginocchiai, le afferrai il polso sinistro e sentii il battito. Era forte e regolare. Decisi di non svegliarla, però. Invece, la avvolsi nella coperta, la presi in braccio e mi rialzai. Stavo per provare ad estendere l'incantesimo d'invisibilità in modo che potesse includere anche lei, quando la sentinella alla finestra si voltò. Dovevo aver fatto qualche rumore nel muoverla. Per un attimo, la guardia rimase a fissare la propria prigioniera volteggiare nell'aria sotto di sé. Poi aprì la bocca, come per dare l'allarme, non lasciandomi altra scelta se non quella di colpire con una carica del mio anello il suo sistema nervoso, rendendolo insensibile. Sfortunatamente, mentre cadeva dal piedistallo al pavimento, le sue armi fecero un fracasso infernale. Quasi immediatamente, udii un grido provenire dal piano superiore, seguito dai rumori di un movimento affrettato. Voltandomi, mi diressi velocemente verso la porta. La strettezza del passaggio, però, mi costrinse a rallentare e a girarmi. Non sapevo cosa avrebbero pensato le guardie all'esterno quando una Coral in stato comatoso gli fosse volteggiata davanti, ma non volevo rimanere intrappolato nella torre. Guardando attentamente davanti a me, vidi che Gérard e Chinaway sembravano essere nella stessa posizione di prima. Qualche secondo dopo, mentre facevo il mio primo passo di fianco, dalla parte di Gérard venne un movimento di contorsione improvviso e secco, immediatamente seguito da
un rumore simile a quello prodotto dallo spezzarsi di un bastone. Gérard lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e raddrizzò la schiena. Il corpo di Chinaway colpì il terreno accanto a lui, il collo piegato in una posizione innaturale. Eric e Caine applaudirono. Le due guardie ai lati della porta fecero qualche passo avanti. Udii un grido provenire da quella direzione. Altri due passi e mi voltai, la fronte rivolta verso sinistra. Le guardie all'esterno della torre stavano correndo verso il loro campione sconfitto. Una mezza dozzina di passi, e dietro di me si levarono altre grida, mentre i miei inseguitori uscivano dalla torre; a loro si unirono anche delle grida umane, provenienti dal cerchio dei vincitori. Sapevo che, con Coral in braccio, non avrei potuto correre più veloce di loro e tutta quell'attività motoria disturbava la mia concentrazione a tal punto che non ero più in grado di effettuare alcuna operazione magica. Così mi abbassai sulle ginocchia, adagiando Coral sul terreno davanti a me, mi voltai senza neanche alzarmi in piedi e allungai il pugno sinistro, immergendo la mente negli abissi dell'anello, domandando provvedimenti estremi per fermare i due membri di Hendrake che si trovavano a pochi passi da me, con le loro armi affilate pronte a trafiggere o a squarciare. ...E allora vennero avvolti da un nugolo di fiamme. Credo che gridarono, ma in quel momento c'era molto frastuono. Altri due passi, forse, poi caddero, anneriti e in preda agli spasmi della morte, davanti a me. La mano mi tremava per la vicinanza dei poteri che avevano provocato tutto questo; non ebbi neanche il tempo per pensare o per sentire nulla, mentre mi voltavo verso il luogo sabbioso del recente combattimento per controllare se da quella parte qualcosa si stesse dirigendo verso di me. Una delle due guardie che si erano fatte avanti giaceva in terra ai piedi di Eric, in un vortice di fiamme. Un'altra, che a quanto pareva doveva aver attaccato Caine, aveva la mano stretta attorno al coltello conficcato in gola e intanto dalla gola il fuoco si diffondeva all'esterno, verso il basso, verso l'alto, mentre lui si abbassava lentamente e poi cadeva all'indietro. Immediatamente, Caine, Eric e Benedict si voltarono verso di me e mi fissarono. Gérard, che aveva appena indossato una camicia blu, si stava affibbiando il cinturone della spada. Anche lui si voltò, proprio mentre Caine diceva, «E voi, signore, chi siete?» «Merlin,» risposi, «figlio di Corwin.» Caine sembrò sinceramente stupito. «Ha un figlio Corwin?» domandò agli altri.
Eric si strinse nelle spalle e Gérard disse, «Non lo so.» Ma Benedict prese a studiarmi con aria attenta. «C'è una certa somiglianza,» disse. «È vero,» confermò Caine. «Bene, ragazzo. Anche se sei il figlio di Corwin, la donna che stai portando via appartiene a noi. L'abbiamo appena vinta onestamente a questi Caositi dalla pelle troppo cotta.» Detto questo, cominciò a camminare verso di me. Un attimo dopo, Eric si unì a lui. Poi Gérard si mise al passo subito dietro di loro. Non volevo fare loro del male, anche se sapevo che erano soltanto dei fantasmi, così feci un gesto, e nella sabbia davanti a loro apparve una linea. In un attimo prese fuoco. Si fermarono. D'un tratto alla mia sinistra comparve una gigantesca figura. Era Dalt, con una spada sguainata in mano, Un attimo dopo arrivò anche Luke. Poi Nadya. Noi quattro di fronte agli altri quattro, dall'altra parte del fuoco. «Ora è nostra,» disse Dalt e fece un passo avanti. «Vi sbagliate,» fu la risposta ed Eric attraversò la linea, estraendo la sua arma. Dalt era di qualche centimetro più alto di Eric, e aveva un allungo di maggiore portata. Si fece avanti immediatamente. Mi aspettavo qualche fendente, data la grossa lama che aveva in mano, invece preferì lanciarsi in un attacco di punta. Eric, avendo a disposizione una spada più leggera, si scansò da una parte e gli entrò sotto il braccio. Dalt abbassò la punta della spada, si spostò sulla sua sinistra e schivò il colpo. Le due armi erano fatte per stili completamente diversi; quella di Eric era il modello più pesante per lo stile dello stocco, e quella di Dalt quello più leggero per lo stile dello spadone. Solo un uomo molto grosso e forte avrebbe potuto impugnare la spada di Dalt con una mano sola. Io stesso avrei dovuto usarle entrambe. In quel momento Dalt tentò un fendente verso l'alto, del genere che uno spadaccino giapponese avrebbe definito kiriage. Eric si limitò a indietreggiare e, mentre il colpo cadeva a vuoto, provò con un fendente di polso. Dalt, d'un tratto, spostò la mano sinistra sull'impugnatura ed eseguì un accecante fendente a due mani del genere conosciuto come namane giri. Eric continuò a girargli attorno, riprovando di nuovo con il colpo di polso. Improvvisamente, Dalt aprì la mano destra e la mise dietro, mentre il piede destro eseguiva un ampio passo semicircolare all'indietro e il braccio sinistro veniva avanti, lasciandolo nella posizione mancina dell'europea en garde, dalla quale il braccio possente e la ben proporzionata lama subito si
allungavano, andando a colpire la parte interna della spada di Eric ed eseguendo poi una stoccata. Eric parò il colpo, mentre il suo piede destro si incrociava dietro al sinistro e lui si faceva indietro con un balzo. Nonostante ciò, vidi una scintilla, prova che aveva abbassato troppo la guardia. Ad ogni modo, finse di sesta, abbassò la punta della lama al di sotto della parata che seguì, allungò il braccio in quarta, alzò se stesso e la propria spada in qualcosa che ricordava una ferma puntata, mirando alla spalla sinistra e parando d'incrocio girò il polso e colpì Dalt all'avambraccio sinistro. Caine applaudì, ma Dalt si limitò a unire le mani e poi a dividerle di nuovo, eseguendo contemporaneamente un piccolo balzo in avanti che lo portò ad assumere una perfetta posizione en garde. Eric tracciò dei cerchi in aria con la punta della lama e sorrise. «Che grazioso balletto usate fare dalle vostre parti,» disse. Poi Eric diede una stoccata, il suo colpo fu parato, si ritirò, si scansò da una parte, sferrò un calcio frontale alla rotula di Dalt, lo mancò, quindi si mosse con perfetto tempismo mentre Dalt tentava di centrarlo sul capo. Convertendosi anche lui allo stile giapponese, girando su se stesso passò alla destra dell'uomo più possente, una mossa che avevo visto fare in un esercizio di kumatchi, mentre la sua lama si alzava e si abbassava nel parare i colpi di Dalt. L'avambraccio destro di Dalt d'un tratto si coprì di sangue, cosa della quale in realtà non mi accorsi finché Eric non fece ruotare la propria lama, puntandola all'esterno e verso l'alto e, proteggendosi le nocche, colpì con un pugno la mandibola destra di Dalt. Poi gli diede un calcio sotto il ginocchio e lo colpì con la spalla destra. Dalt barcollò e cadde. Quindi Eric lo prese a calci, sul rene, sul gomito, sulla coscia, quest'ultima solo perché mancò il ginocchio, mise il piede sulla spada di Dalt e ruotò la propria fino a portare la punta in linea con il cuore dell'uomo. Per tutto il tempo avevo sperato, mi resi conto d'un tratto, che alla fine sarebbe stato Dalt a prendere a calci in culo Eric, non solo perché lui era dalla mia parte ed Eric no, ma per tutti i guai che Eric aveva procurato a mio padre. D'altra parte, dubitavo del fatto che là intorno ci fossero così tante persone esperte nel prendere a calci in culo la gente. Sfortunatamente, due di loro si trovavano dall'altra parte della linea che io avevo tracciato. Gérard avrebbe potuto sconfiggerlo nella lotta. Benedict, Maestro d'Armi di Ambra, avrebbe potuto batterlo con qualsiasi arma. Quindi mi resi conto che non avremmo avuto molte probabilità contro di loro, ora che anche Caine si era ripreso, neanche con una ty'iga dalla nostra parte. E se anche avessi deciso di rivelare a Eric che Dalt era il suo fratellastro, questi,
ammesso che mi credesse, non avrebbe rallentato neanche di un secondo la discesa della lama nel cuore dell'uomo. Così presi l'unica decisione che potevo prendere. Dopotutto, erano soltanto dei fantasmi del Disegno. I veri Benedict e Gérard erano altrove in questo momento e, qualsiasi cosa avessi fatto a questi loro doppioni, loro non ne avrebbero avuto alcun danno. Eric e Caine, ovviamente, erano morti da molto tempo, Caine, l'eroe fratricida della guerra di Patternfall e il soggetto della statua recentemente posta sul Grand Concourse, era stato ucciso da Luke per vendicare suo padre. Ed Eric, naturalmente, aveva trovato una morte da eroe sui pendii di Kolvir, salvandosi così, immagino, da un'altra morte per mano di mio padre. La storia sanguinaria della mia famiglia mi ondeggiava nel cervello mentre, alzando lo spikard, vi aggiungevo una nota a piè di pagina, richiamando l'onda d'incenerimento con la quale avevo eliminato i miei due parenti della Casa di Hendrake. Sentii un dolore al braccio, come se qualcuno mi avesse colpito con una palla da baseball. Un filo di fumo si alzò dallo spikard. Per un attimo, i miei quattro zii stettero immobili davanti a me. E il quinto rimase supino. Poi, lentamente, Eric sollevò la sua spada. E continuò a sollevarla, mentre Benedict, Caine e Gérard estraevano le loro. Tenendo la lama di fronte al volto, raddrizzò le spalle. Gli altri fecero lo stesso. Somigliava stranamente a un saluto; gli occhi di Eric incontrarono i miei. «Io ti conosco,» disse. Poi tutti completarono il gesto, e si affievolirono, si affievolirono, divennero fumo e furono spazzati via. Dalt perdeva sangue, il braccio mi doleva e io stavo cercando di capire cosa stesse succedendo quando Luke, con aria affannata, disse, «Laggiù.» La mia linea di fuoco era svanita da un po', ma al di là del segno che aveva lasciato, dove fino a poco prima erano stati i miei parenti ormai dissolti, l'aria cominciava a luccicare. «Dev'essere il Disegno,» dissi a Luke, «che viene a richiamarli.» Un attimo dopo il Disegno volteggiò davanti a noi. «Merlin,» disse, «certo che sei sempre in giro.» «Ho una vita molto movimentata, ultimamente,» dissi. «Hai accettato il mio consiglio di lasciare le Corti.» «Sì, mi è sembrato prudente.» «Ma non capisco cosa tu stia cercando di fare qui.» «Cosa c'è da capire?» «Hai strappato lady Coral agli agenti del Logrus.»
«Esatto.» «Ma poi hai anche tentato di sottrarla ai miei agenti.» «Esatto anche questo.» «Ora, però, devi renderti conto che lei custodisce qualcosa che è molto importante per l'equilibrio dei nostri poteri.» «Sì.» «Perciò uno di noi deve averla. E invece tu la neghi ad entrambi.» «Sì.» «Perché?» «Lo faccio per lei. Ha dei diritti e dei sentimenti. Voi la state trattando come una pedina della vostra partita.» «È vero. Mi rendo conto che è un essere umano, ma disgraziatamente ora è necessaria ad entrambi.» «Allora la negherò ad entrambi. Non cambierà nulla, ad ogni modo, perché nessuno di voi due l'avrà. Io la tirerò fuori dal gioco.» «Merlin, tu sei una pedina più importante di lei, ma sei sempre e soltanto una pedina e non puoi dare ordini a me. Te ne rendi conto?» «Ciò di cui mi rendo conto è quanto valgo per te,» dissi. «Io non credo,» rispose. Proprio in quel momento mi stavo domandando quanto fosse grande la forza del Disegno in quel luogo. Mi sembrava chiaro che in termini di consumo d'energia, era stato costretto a rinunciare ai suoi quattro fantasmi per essere in grado di manifestarsi quaggiù. Avrei corso il rischio di oppormi ad esso aprendo tutti i canali dello spikard? Non avevo mai provato ad accedere contemporaneamente a tutte le fonti dell'Ombra che esso controllava. Se lo avessi fatto e se mi fossi mosso con estrema rapidità, sarei riuscito a portarci tutti via di qui prima che il Disegno tentasse una reazione? E se non vi fossi riuscito, sarei stato in grado di perforare quel che avrebbe innalzato per cercare di fermarci? E se vi fossi riuscito dove avremmo potuto fuggire? E infine, in che modo questo avrebbe potuto influenzare l'atteggiamento del Disegno nei miei confronti? ...se non sarai divorato da qualcosa di più grande di te, vieni a raccontarmi la tua storia, una di queste sere. All'inferno, decisi. È un buon giorno per essere messi sul menù. Aprii tutti i canali. Mi sentii come se, mentre stavo correndo ad una buona andatura, un muro di mattoni fosse comparso improvvisamente a dieci centimetri da me.
Avvertii l'urto e svenni. Giacevo sdraiato su una liscia e gelida superficie di pietra. Una terribile scarica di energie attraversò la mia mente e il mio corpo. Mi estesi fino a raggiungere la loro origine e ne presi il controllo, soffocandole in qualcosa che non minacciasse di staccarmi la calotta cranica. Poi aprii gli occhi, leggermente. Il cielo era azzurrissimo. Vidi un paio di stivali, ritti a pochi metri da me. Li riconobbi come quelli di Nadya, e girando appena il capo, vidi che infatti si trattava di lei. Poi vidi anche Dalt, sdraiato in modo scomposto a diversi metri sulla mia sinistra. Nadya respirava in modo affannato e la mia visione del Logrus mi mostrò una pallida luce rossastra aleggiare minacciosamente attorno alle sue mani tremanti. Appoggiandomi al gomito sinistro e sforzandomi di guardare verso di lei, vidi che stava fra me e il Disegno che volteggiava a mezz'aria a circa tre metri di distanza. Quando questi parlò, per la prima volta lo udii esprimere qualcosa di simile a una battuta: «Tu vorresti proteggerlo, da me?» «Sì,» rispose lei. «Perché?» «L'ho fatto per così tanto tempo che sarebbe vergognoso abbandonarlo proprio quando ha più bisogno del mio aiuto.» «Creatura dell'Abisso, hai idea di dove ti trovi?» domandò. «No,» rispose Nadya. Guardai il cielo perfettamente azzurro e limpido dietro di loro. La superfice sulla quale ero sdraiato era un piano roccioso, forse dalla forma ovale, che si apriva sul nulla. Guardandomi rapidamente attorno, però, mi resi conto che in realtà sembrava essere il risultato dell'erosione di un fianco della montagna, mentre le numerose nicchie alle mie spalle indicavano la probabile presenza di caverne. Notai anche che Coral era sdraiata dietro di me. Il nostro palco di roccia era largo diverse centinaia di metri. Dietro Nadya e il Disegno, qualcosa si mosse. Luke si era appena tirato su, mettendosi in ginocchio. Avrei potuto rispondere io alla domanda posta a Nadya, ma non ne avrei avuto alcun vantaggio. Non mentre lei si stava prodigando così splendidamente nel compito di distrarre l'attenzione del nostro rapitore, permettendoci di godere di un fondamentale attimo di tregua.
Alla mia sinistra, all'interno della roccia, intravidi dei vortici di un color rosa dorato e sebbene non fossi mai stato qui, mi ricordai della descrizione che mio padre mi aveva fatto raccontandomi la storia della sua vita e seppi con certezza che si trattava del luogo nel quale si trovava il Disegno originale, il livello più profondo di realtà situato sotto la stessa Ambra. Quindi, barcollando, mi misi a quattro zampe e feci qualche qualche passo, dirigendomi verso il mare, verso il Disegno. «Ti trovi all'altro estremo dell'universo, ty'iga, nel luogo del mio più grande potere.» Dalt brontolò e si girò dall'altra parte, poi, messosi seduto, si massaggiò gli occhi con le mani. Ora avvertivo qualcosa di simile a una vibrazione appena percettibile provenire da Nadya e quel bagliore rossastro aveva avvolto la sua intera persona. Sapevo che se avesse attaccato il Disegno, sarebbe morta, e mi resi conto che, se il Disegno l'avesse uccisa, lo avrei attaccato anch'io. Sentii Coral gemere. «Non farai del male ai miei amici,» disse Nadya. Poi ripensai al fatto che esso mi aveva colpito prima che potessi usare lo spikard, trasportandoci immediatamente nella sua roccaforte. Voleva forse dire che avrei avuto realmente una possibilità di sconfiggerlo, laggiù nel territorio del Logrus dove la sua forza era minore? «Creatura dell'Abisso,» le disse, «questo tuo inutile, patetico gesto ha dell'eroico. Sento una certa ammirazione nei tuoi confronti. Vorrei avere amici come te. No, non farò del male ai tuoi compagni. Ma debbo trattenere Merlin e Coral come misuratori di energia e il resto di voi per motivi politici, finché questa disputa con il mio avversario non verrà sistemata.» «Trattenere?» disse lei. «Qui?» «Ci sono degli alloggi molto confortevoli dentro la montagna,» disse. Mi alzai lentamente in piedi, tastandomi la cintura alla ricerca del pugnale. Luke si alzò e andò verso Coral, inginocchiandosi accanto a lei. «Sei sveglia?» domandò. «In un certo senso,» rispose. «Riesci a metterti in piedi?» «Forse.» «Lascia che ti aiuti.» Mentre Luke la sosteneva, Dalt si alzò anche lui in piedi. Io continuai ad avvicinarmi furtivamente al disegno. Dov'era Dworkin ora che avevo dav-
vero bisogno di lui? «Potete entrare nelle caverne dietro di voi e vedere i vostri alloggi,» disse il Disegno. «Prima, però, dovrai toglierti quell'anello, Merlin.» «No, non è certo il momento di disfare le valigie e mettersi comodi,» risposi, tagliandomi il palmo sinistro con il pugnale e facendo l'ultimo passo. «Non resteremo a lungo.» Un rumore simile al rombo di un tuono si levò dal Disegno, ma non ci fu nessun fulmine, né pensai che ci sarebbe stato. Non quando si rese conto di ciò che stringevo nella mano e di dove mi trovavo. «Una cosa che ho imparato dal padre di Luke,» spiegai. «Discutiamone pure.» «Sì,» disse il Disegno, «da esseri ragionevoli quali siamo. Gradiresti qualche cuscino?» Immediatamente, accanto a me apparvero tre cuscini. «Grazie,» dissi, prendendone uno verde. «Avrei anche bisogno di un tè freddo.» «Ci vuoi lo zucchero?» CAPITOLO XI Seduto su un cuscino, con il pugnale al fianco, tenevo la mano sinistra protesa sopra il Disegno, con il palmo a coppa pieno del mio sangue. Il Disegno volteggiava nell'aria davanti a me, quasi che avesse improvvisamente dimenticato Coral, Nadya, Dalt e Luke. Bevvi un sorso dal bicchiere ghiacciato che avevo nella mano destra, notando il rametto di menta fresca che si intravedeva tra il ghiaccio. «Principe Merlin,» si informò il Disegno, «dimmi cos'è che desideri e risolviamo velocemente questa faccenda. Sicuro che non vuoi che ti vada a cercare un fazzoletto per tamponare la ferita? Se ci pensi bene, non toglierebbe nulla alle tue capacità di contrattazione. Ma servirebbe ad evitare spiacevoli incidenti.» «No, è a posto così,» dissi, accennando un gesto con la mano colma di sangue, in modo tale che il suo contenuto si increspò, e una sottile strisciolina rossa mi colò lungo il polso. «Grazie, comunque.» Il Disegno tremò, bloccandosi a mezz'aria. «Principe Merlin, hai raggiunto il tuo scopo,» disse. «Ma non credo che tu ti renda pienamente conto delle conseguenze della tua minaccia. Poche gocce del tuo sangue sul mio disegno fisico potrebbero alterare il funzio-
namento dell'intero universo.» Annuii. «Lo so,» dissi. «Molto bene,» rispose. «Fa' pure le tue richieste.» «La nostra libertà,» dissi. «Lasciaci andare e rimarrai intatto.» «Non mi lasci molta scelta, ma questo vale anche per i tuoi amici.» «Cosa intendi?» «Tu puoi mandare Dalt dove vuoi,» disse. «E per quanto riguarda la donna demone, vi rinuncio con grande rammarico, poiché immagino che sarebbe stata una compagnia piacevole.» Luke osservò Nadya. «Cos'è questa storia della "creatura dell'Abisso," e della "donna demone"?» domandò. «Beh, ci sono delle cose di me che non sai...» rispose lei. «È una storia lunga?» domandò. «Sì.» «Ti sono stato assegnato? O mi ami davvero?» «Non mi sei stato assegnato e ti amo davvero.» «Allora sentiremo la storia più tardi,» disse Luke. «Come dicevo, puoi mandar via lei,» continuò il Disegno. «E Dalt. E Luke. Sarò felice di inviarli dovunque tu voglia. Ma non ti è venuto in mente che tu e Coral probabilmente siete più al sicuro qui che da qualsiasi altra parte?» «Forse. O forse no,» risposi. «Coral, tu cosa ne dici?» «Portami via di qui,» disse. «Non c'è altro da aggiungere,» gli dissi. «Ora...» «Aspetta. Vuoi essere onesto con i tuoi amici, vero?» «Certo.» «Allora lascia che faccia notare loro delle cose che probabilmente non hanno preso in considerazione.» «Vai avanti.» «Signora,» disse, «nelle Corti del Caos vogliono il vostro occhio. I vostri sentimenti in proposito non contano nulla. E se per ottenere questo dovranno farvi prigioniera, non esiteranno a farlo.» Coral scoppiò in una flebile risata. «L'alternativa sarebbe quella di rimanere vostra prigioniera?» domandò. «Consideratevi un'ospite. Vi assicurerò ogni tipo di comodità. Ovviamente, anch'io ricaverò qualcosa da questa situazione, oltre a privare l'av-
versario della vostra presenza. Lo ammetto. Ma dovete scegliere uno di noi, altrimenti l'altro vi avrà comunque.» Guardai verso Coral, che scosse leggermente il capo. «Allora cosa hai deciso?» le domandai. Coral venne verso di me e mi poggiò la mano sulla spalla. «Portami via di qui,» ripeté. «Hai sentito,» dissi, rivolgendomi al Disegno. «Ce ne andremo tutti.» «Imploro ancora un attimo della vostra pazienza,» disse. «Per quale motivo?» domandai. «Rifletti. Scegliere fra me e il Logrus non è una semplice questione politica, o selezionare questa o quella persona adatta ad un particolare compito. Il mio avversario e io rappresentiamo i due princìpi fondamentali su cui si poggia l'organizzazione dell'universo. Potete etichettarci con nomi e aggettivi presi in prestito da lingue e discipline diverse, ma, essenzialmente, noi rappresentiamo l'Ordine e il Caos, l'Apollineo e il Dionisiaco, se vuoi; la ragione e il sentimento, se preferisci; la follia e l'equilibrio; la luce e l'oscurità; il segnale e il rumore. Come da ciò appare evidente, però, nessuno dei due desidera l'estinzione dell'altro. Morte termica o stella cadente, classicismo o anarchia, ognuno di noi segue una traiettoria distinta, che in assenza dell'altra condurrebbe a un vicolo cieco. Lo sappiamo entrambi e la partita nella quale ci impegnamo fin dagli inizi dell'universo è qualcosa di estremamente sottile, tanto che forse, in definitiva, potrebbe essere giudicata soltanto secondo un punto di vista estetico. «Ora io, per la prima volta, ho ottenuto un significativo vantaggio sul mio antico avversario. Ora mi trovo in una posizione che mi permetterebbe di attuare un sogno da sempre vagheggiato in tutta l'Ombra, un'era di somma civiltà e cultura tale da non dover essere mai dimenticata. Se la bilancia si inclinasse dall'altra parte, assisteremmo a un periodo di sconvolgimenti che come minimo potrà essere considerato alla pari con l'era glaciale. Quando parlavo di voi come pedine della partita non era per ridurre il vostro ruolo in tutto questo. Perché questo è un tempo di grande fluidità, un tempo in cui il Gioiello e l'uomo che dovrebbe divenire re faranno la differenza. Rimanete con me e vi garantisco che ci sarà l'Età dell'Oro di cui parlavo e che voi avrete parte in essa. Andatevene, e sarà l'altro ad avervi. Seguiranno tenebre e disordini. Cosa preferite fra i due?» Luke sorrise. «So riconoscere un buon venditore da come parla,» disse. «Hai ridotto tutto a una banale scelta. E gli hai fatto credere che siano loro a doverla
prendere.» Coral mi strinse la spalla. «Ce ne andremo,» dissi. «Molto bene,» disse il Disegno, «Ditemi dove volete andare, e vi manderò tutti laggiù.» «Non tutti,» intervenne improvvisamente Luke. «Solo loro.» «Non capisco. E tu?» Estrasse un pugnale e si tagliò il palmo della mano. Avanzò e si fermò accanto a me, allungando anche lui la mano sopra il Disegno. «Se ce ne andassimo tutti, soltanto tre di noi arriverebbero a destinazione,» disse, «Io resterò qui a tenerti compagnia mentre i miei amici verranno liberati.» «Come farai a sapere che l'ho fatto davvero e in modo soddisfacente?» «Ottima domanda,» disse. «Merle, tu avevi con te un mazzo di Trionfi, vero?» «Sì.» Li estrassi e glieli mostrai. «C'è n'è ancora uno mio?» «L'ultima volta che ho guardato c'era.» «Allora tiralo fuori e tienilo pronto. Prima di trasferirti, evoca nella tua mente il luogo dove sei diretto. E rimani in contatto con me fin quando non vi sarai giunto.» «E tu, Luke? Non puoi rimanertene seduto qui in eterno minacciando l'Ordine con il tuo sangue. È solo uno stratagemma temporaneo. Presto o tardi dovrai abbandonare la tua posizione, e quando lo farai...» «Hai ancora quelle carte strane nel mazzo?» «A cosa ti riferisci?» «A quelli che una volta chiamasti i Trionfi del Destino.» Cercai nel mazzo. Erano quasi in fondo. «Sì,» dissi. «Sono fatti davvero bene. Non vorrei doverli buttare via.» «Lo pensi davvero?» «Già. Metti insieme un po' di roba su questo genere, e ti farò fare una mostra ad Ambra.» «Sul serio? Non è che lo dici soltanto perché...» Il Disegno emise un vago brontolio. «In ogni persona c'è un critico,» osservò Luke. «Okay. Tira fuori tutti i Trionfi del Destino.» Lo feci.
«Mischiali un po'. Ora tienili coperti, per favore.» «Va bene.» «Aprili a ventaglio.» Si chinò in avanti e prese una carta. «Okay,» disse. «Ci sono dentro, ormai. Quando sei pronto, digli pure dove vuoi essere portato. Rimani in contatto. Ehi, Disegno, anch'io voglio un tè freddo.» Accanto al suo piede destro comparve un bicchiere ghiacciato. Si inchinò e lo prese, quindi bevve un sorso. «Grazie.» «Luke,» disse Nadya, «non capisco cosa stia succedendo. Cosa ti succederà?» «Niente di particolare,» rispose. «Non piangere per me, donna demone. Ci vedremo presto.» Guardò verso di me e inarcò le sopracciglia. «Mandaci a Jidrash,» dissi, «nel regno di Kashfa, nello spazio aperto fra il palazzo e la chiesa.» Tenevo il Trionfo di Luke nella mia umida mano sinistra, accanto al pulsante spikard. Sentii la carta raffreddarsi, mentre Luke diceva, «L'hai sentito.» E il mondo si avvolse su se stesso e si sciolse, e ci trovammo a Jidrash, in una mattina frizzante e ventosa. Guardai Luke attraverso il suo Trionfo. Aprii uno alla volta i canali dell'anello. «Dalt, potrei anche lasciarti qui,» dissi. «Vale anche per te, Nadya.» «No,» disse il possente uomo, e intanto Nadya aggiungeva, «Aspetta un momento.» «Ora siete entrambi fuori dal gioco.» spiegai. «Non servite a nessuna delle due parti. Ma io devo portare Coral in un luogo sicuro. E anch'io debbo nascondermi.» «Tu sei uno dei centri dell'azione,» disse Nadya, «e aiutando te potrò aiutare Luke. Portami con te.» «Io la penso come lei,» disse Dalt. «Devo ancora un grosso favore a Luke.» «Okay,» dissi. «Ehi, Luke! Hai sentito tutto?» «Sì,» disse. «Ora sarà meglio che ve ne andiate per i fatti vostri. Merda! Mi si è versato...» Il suo Trionfo divenne nero. Non rimasi ad aspettare angeli vendicatori, lingue di fuoco, fulmini o
voragini nella terra. Preferii uscire dalla giurisdizione dell'Ordine il più velocemente possibile. Mi buttai sull'erba verde sotto il grande albero. Fili di nebbia mi passavano davanti. Sotto di me scintillava il Disegno di mio padre. Jurt era seduto a gambe incrociate sulla cappotta della macchina, con la spada poggiata sulle ginocchia. Scese a terra di scatto non appena ci vide comparire. In giro non c'era traccia di Corwin. «Cosa succede?» mi domandò Jurt. «Sono stanco morto, a pezzi e distrutto. Ho intenzione di rimanere qui a fissare la nebbia e a non pensare più a niente,» dissi. «Ti presento Coral, Nadya e Dalt. Ascolta da loro le loro storie e raccontagli la tua, Jurt. Non svegliatemi neanche quando ci sarà la fine del mondo, a meno non ci siano degli effetti speciali davvero eccezionali.» Procedetti quindi a fare quanto avevo promesso, lasciandomi cullare dalla melodia di una flebile chitarra e dalla voce lontana di Sara K. L'erba era meravigliosamente soffice. La nebbia mi offuscava il cervello. Tutto divenne nero. E poi, e poi... E poi, signore... Camminando. Stavo camminando, quasi volando, attraverso un centro commerciale della California dove andavo di frequente. Gruppi di ragazzi, coppie con bambini piccoli, donne piene di pacchi, passavano e le loro parole erano soffocate dalla voce dello speaker di un negozio di dischi. Le oasi di piante offrivano riparo, si diffondevano dolci profumi, le insegne dei saldi lanciavano le loro promesse. Camminando. Davanti al drugstore. Davanti al negozio di scarpe. Davanti alla pasticceria... Uno stretto corridoio sulla sinistra. Non l'avevo mai notato. Devo girare... Strano, avrebbe dovuto esserci un tappeto e candele infilate in alti anelli, e candelabri a muro e altri poggiati su strette cassapanche. Le pareti scintillavano nei loro... Mi voltai indietro. Non c'era nessun dietro. Il centro commerciale era sparito. Da quella parte il corridoio terminava con un muro. Su di esso era appeso un piccolo arazzo, con raffigurate nove figure che erano voltate verso di me e mi fissavano. Scrollai le spalle e mi voltai di nuovo. «È rimasto ancora qualcosa del tuo incantesimo, Zio,» osservai. «Diamo
un'occhiata, allora.» Camminando. In silenzio adesso. Avanti. Fino al luogo pieno di specchi scintillanti. Avevo visto questo luogo molto tempo fa, ricordai, sebbene la disposizione, mi resi conto improvvisamente, non era quella caratteristica del Castello di Ambra. Era proprio là, da qualche parte nella mia testa, io stesso più giovane che percorrevo questa via, non da solo, ma se avessi ricordato meglio avrei perso il controllo su questo luogo, lo sapevo. A malincuore, abbandonai l'immagine del passato e rivolsi la mia attenzione al piccolo specchio ovale sulla mia sinistra. Sorrisi. Lo stesso fece la mia immagine. Tirai fuori la lingua e il saluto mi fu ricambiato nello stesso modo. Passai oltre. Solo dopo aver fatto diversi metri mi resi conto che l'immagine aveva riflesso la mia forma demomaca, mentre in realtà il mio aspetto al momento era umano. Un flebile rumore, come di qualcuno che si stesse schiarendo la voce, mi raggiunse dalla destra. Voltandomi da quella parte, vidi mio fratello Mandor dentro uno specchio a forma di rombo bordato di nero. «Ragazzo caro,» cominciò, «il re è morto. Lunga vita alla vostra augusta altezza dal momento in cui prenderà il trono. Sarà meglio che ti affretti a tornare alla Fine del Mondo per essere incoronato, con o senza la sposa del Gioiello.» «Abbiamo avuto qualche piccolo problema,» dissi. «Niente che necessiti una soluzione immediata. La tua presenza alle Corti è di gran lunga più importante.» «No, lo sono i miei amici,» dissi. Un momentaneo sorriso gli sfiorò le labbra. «Sarai in una posizione ideale per proteggere i tuoi amici,» disse, «e per fare ciò che vorrai dei tuoi nemici.» «Tornerò,» dissi, «e presto. Ma non per farmi incoronare.» «Come vuoi, Merlin. È la tua presenza che vogliamo.» «Non prometto nulla,» dissi. Ridacchiò e lo specchio tornò vuoto. Mi voltai dall'altra parte. Ripresi a camminare. Un'altra risata. Dalla sinistra. Di mia madre. Mi fissava da dentro una cornice rossa di fiori scolpiti, con un'espressione che sembrava immensamente divertita. «Cercalo nell'Abisso!» disse. «Cercalo nell'Abisso!» Passai oltre e per un po' continuai a sentirmi la sua risata alle spalle.
«Hsst!» Sulla mia destra, uno specchio lungo e stretto bordato di marrone. «Padron Merlin,» disse. «Ho guardato bene, ma la luce-fantassma non è passsata.» «Grazie, Glait. Continua a guardare, per favore.» «Ssì. Una di quesste ssere dobbiamo sstarcene inssieme sseduti in un possto caldo a bere latte e a parlare dei bei tempi.» «Sarebbe bello. Sì, dobbiamo farlo. Se non saremo divorati da qualcosa di più grande.» «S-s-s-s-s!» Era forse una risata? «Buona caccia, Glait.» «Ssì. S-s-s!» E avanti. Camminando. «Figlio di Ambra. Possessore dello spikard» questo da una nicchia scura alla mia sinistra. Mi fermai e guardai. La cornice era bianca, il vetro grigio. Al suo interno c'era un uomo che non avevo mai visto prima. La camicia era nera e aperta sul collo. Indossava un panciotto di pelle marrone, i capelli erano biondi, gli occhi forse verdi. «Sì?» «Ad Ambra era stato nascosto uno spìkard,» affermò, «perché tu lo trovassi. Trasmette poteri enormi. Contiene anche una serie di incantesimi che indurranno chi lo possiede, in determinate circostanze, ad agire in un determinato modo.» «Questo lo sospettavo,» dissi. «Cosa potrebbe fare?» «Essendo stato posseduto in precedenza da Swayvill, Re del Caos, costringerà il successore designato a salire sul trono, a comportarsi in un certo modo e ad essere soggetto ai consigli di alcune persone.» «Che sarebbero?» «La donna che rideva e gridava, "Cercalo nell'Abisso." L'uomo vestito di nero che attende il tuo ritorno.» «Dara e Mandor. Sono stati loro a intessere questi incantesimi dentro di esso?» «Naturalmente. Ma questo non dovrebbe riguardarti.» «Perché no?» «L'anello che tu hai non è quello di cui parlo.» «Non capisco.»
«Ma capirai. Non aver paura.» «Chi siete voi, signore?» «Il mio nome è Delwin, e nella realtà non potremo mai incontrarci, perlomeno non finché non si scioglieranno alcuni antichi poteri.» Alzò la mano e io vidi che anche lui aveva uno spikard. Lo mosse verso di me. «Avvicina il tuo anello al mio,» ordinò. «Quindi esso riceverà l'ordine di portarti da me.» Alzai la mano e mi avvicinai al vetro, Quando sembravano essere sul punto di toccarsi, ci fu un lampo di luce e Delwin svanì. Lasciai cadere il braccio. Ripresi a camminare. Istintivamente, mi fermai davanti a una cassapanca e aprii il cassetto. Guardai. A quanto pareva non c'era modo di sapere qualcosa di più in questo posto. Il cassetto conteneva una miniatura, una raffigurazione in scala ridotta della cappella di mio padre, i minuscoli mosaici colorati, i lumicini accesi rimpiccioliti, perfino una Grayswandir da bambini poggiata sull'altare. «La risposta è davanti a te, caro amico,» disse una voce gutturale che sapevo di non conoscere. Alzai gli occhi verso uno specchio bordato di lavanda appeso sopra la cassapanca, che non avevo notato prima. La ragazza riflessa dentro di esso aveva dei lunghi capelli neri come il carbone e degli occhi così scuri che non avrei saputo dire dove finivano le pupille e dove cominciava l'iride. La carnagione era molto chiara, accentuata forse dall'ombretto rosa e dal colore del rossetto. Quegli occhi... «Rhanda!» dissi. «Ti ricordi! Ti ricordi di me!» «...E dei bei tempi in cui giocavamo alla danza delle ossa,» dissi. «Una donna fatta, ormai e bella. Proprio poco tempo fa mi è capitato di pensare a te.» «E io, mentre dormivo, mi sono sentita sfiorare dai tuoi pensieri. Mi dispiace che dovemmo separarci così, ma i miei genitori...» «Capisco,» dissi. «Mi credevano un demone o un vampiro.» «Sì.» Allungò la sua pallida mano attraverso lo specchio, afferrò la mia e la portò verso di sé. Una volta dentro il vetro, la strinse alle labbra. Erano fredde. «Preferivano che stringessi amicizia con i figli e le figlie degli umani, piuttosto che con quelli della nostra specie.» Quando sorrise, vidi le sue zanne. Durante la sua fanciullezza non le a-
vevo mai notate. «Cielo! Tu sembri umano!» disse. «Uno di questi giorni vieni a farmi visita a Wildwood!» Istintivamente, mi piegai in avanti. Le nostre labbra si incontrarono all'interno dello specchio. Qualunque cosa lei fosse, eravamo stati grandi amici. «La risposta,» ripeté, «la risposta è davanti a te. Vieni a trovarmi!» Lo specchio divenne rosso e lei svanì. Dentro il cassetto, c'era ancora, identica a prima, la raffigurazione della cappella. Lo chiusi e mi voltai dall'altra parte. Camminando. Specchi a sinistra. Specchi a destra. E dentro di essi solo la mia immagine. Poi... «Bene, bene, nipote. Confuso?» «Come al solito.» «Non so dirti quanto ti biasimo.» I suoi occhi erano beffardi e saggi, i capelli rossi come quelli di sua sorella Fiona o del suo fratello minore Brand. O di Luke, a proposito di quest'ultimo. «Bleys,» dissi, «cosa diavolo sta succedendo?» «Io ho il resto del messaggio di Delwin,» disse, affondando la mano nella tasca e allungandola verso di me. «Eccolo.» Mi protesi fin dentro lo specchio e lo presi. Era un altro spikard, simile a quello che portavo al dito. «È quello di cui parlava Delwin,» disse. «Non dovrai mai metterlo.» Lo osservai attentamente per diversi secondi. «Cosa debbo farci?» domandai. «Mettilo in tasca. Prima o poi verrà il momento di usarlo.» «Come hai fatto a venirne in possesso?» «Dopo che Mandor lo nascose, lo scambiai con quello che ora porti tu..» «Quanti ce ne sono, ad ogni modo?» «Nove,» rispose. «Immagino che tu sappia tutto di essi.» «Praticamente sì.» «Non ti dovrebbe essere difficile. Immagino che tu non sappia dove si trova mio padre, vero?» «No. Ma tu sì. Te lo ha detto la tua amica dai gusti sanguinari.» «Indovinelli,» dissi.
«Sempre meglio di non rispondere affatto,» replicò. Poi svanì e io ripresi a camminare. Dopo un po' anche tutto il resto era svanito. Galleggiare. Nero. Bene. Così bene... Un raggio di luce si fece strada fra le mie ciglia. Non lo lasciai passare neanche stavolta. Ma udii il rimbombo di un tuono e dopo qualche attimo la luce tornò ad insinuarsi. Scuri contorni marroni, grandi creste a forma di corno, foreste di felci... Dopo un po' la facoltà che determina il valore delle percezioni si risvegliò e potei rendermi conto che, sdraiato su un fianco, stavo fissando una crepa nella terra fra due radici di un albero, mentre ciuffi d'erba sparsi qua e là animavano il resto del panorama. E continuai a fissare e ci fu un improvviso bagliore, come di un lampo, seguito quasi immediatamente dal rombo di un tuono. La terra sembrò tremare al boato. Sentii il picchiettare delle gocce sulle foglie di un albero, sulla cappotta di un'auto. Continuai a fissare la più grande spaccatura che attraversava la vallata del mio campo visivo. E mi resi conto che lo sapevo. Era l'intontita consapevolezza del risveglio. I centri emotivi erano ancora assopiti. In lontananza, sentivo un parlottare sommesso di voci conosciute. Sentivo anche i rumori delle posate contro le scodelle. Il mio stomaco si sarebbe risvegliato di lì a poco, lo sapevo e mi sarei unito a loro. Per ora, era così piacevole starmene sdraiato qui, avvolto nel mio mantello, ascoltando la pioggia cadere dolcemente e sapendo... Tornai al mio micro-universo e al suo scuro canyon... Il terreno tremò di nuovo, stavolta senza il beneficio di un lampo o di un tuono. E non smise di tremare. Questo mi irritò, perché disturbò i miei amici e parenti, facendo in modo che alzassero le voci in un tono che sembrava allarmato. E venne a risvegliare anche un riflesso californiano in letargo, proprio in un momento in cui l'unica cosa che desideravo era starmene in panciolle ad assaporare la conoscenza appena acquisita. «Merlin, sei sveglio?» «Sì,» dissi, alzandomi a sedere di scatto, sfregandomi rapidamente gli occhi e passandomi le mani fra i capelli. Inginocchiato accanto a me c'era il fantasma di mio padre, che mi aveva appena scosso la spalla. «Sembra che abbiamo un problema,» disse, «con delle implicazione piuttosto serie.»
Jurt, in piedi accanto a lui, annuì più volte. Il terreno tremò di nuovo, ramoscelli e foglie ci caddero attorno, i ciottoli saltellarono, la polvere si alzò, la nebbia si mosse. Sentii il rumore di un piatto che si rompeva accanto al pesante telo bianco e rosso vicino al quale erano seduti a mangiare Luke, Dalt, Coral e Nadya. Scostai il mantello e mi alzai in piedi, accorgendomi solo in quel momento che mentre dormivo qualcuno mi aveva tolto gli stivali. Li infilai di nuovo. Arrivò una nuova scossa, e mi appoggiai all'albero per non cadere. «È questo il problema?» dissi. «O qualcosa di più grande di lui sta per divorarlo?» Mi guardò con aria perplessa. Poi, «Quando tracciai il Disegno,» disse, «non potevo sapere che qui sotto passava una faglia, né che un giorno sarebbe potuto succedere qualcosa del genere. Se queste scosse dovessero rompere il Disegno, saremmo nei guai, guai seri. Da quanto mi sembra di capire, lo spikard che hai con te è in grado di attingere ad enormi fonti d'energia. Non potresti usarlo in modo da disinnescare tutto questo?» «Non lo so,» gli dissi. «Non ho mai tentato niente del genere.» «Cerca di scoprirlo in fretta, okay?» disse. Ma già la mia mente stava girando fra il cerchio di raggi, toccandoli uno alla volta nel loro punto vitale. Poi mi appigliai a quello che racchiudeva la carica maggiore, succhiai con forza, mi saziai, nel corpo e nella mente, della sua energia. Completata l'operazione di accensione e tenendo il motore al minimo, con me al posto di guida, ingranai la marcia, estendendo una linea di forza dallo spikard verso le profondità della terra. Continuai ad allungarmi per molto tempo, cercando una metafora di conversione per qualunque cosa avessi potuto scoprire. Avanzando dalla spiaggia fin dentro l'oceano, le onde che mi sfioravano lo stomaco, il petto, sentendo con le dita le rocce, i sottili tentacoli delle alghe... Di tanto in tanto una roccia si girava, scivolava, urtava contro un'altra, slittava... I miei occhi non riuscivano a vedere il fondo. Ma vedevo le rocce, le alghe, nella loro disposizione e nel loro movimento, che erano un tutt'uno, lo vedevo chiaramente, come se il fondale fosse stato illuminato a giorno. Sentendo la mia via ora giù fra gli strati, un dito del piede come il raggio di una luce intermittente percorre le superfici rocciose, verificando la pressione delle une sulle altre, baci isostatici di montagne sotto la crosta terrestre, erogena orogenesi di lenti movimenti, dolci e morbide carezze di minerali nelle tenebre di luoghi segreti...
Scivola! La roccia scivola via. Il mio corpo la segue... Mi tuffo verso di essa, seguendo il passaggio scorrevole. Corro avanti, sprigionando calore, fendendo la roccia, aprendo nuovi passaggi, fuori, fuori... Stava venendo da questa parte. Passai attraverso un muro di pietra, frantumandolo, poi un altro. Un altro. Non sapevo se fosse davvero questo il modo per deviarla, ma era l'unico che conoscevo. Vai da quella parte! Maledetta! Da quella parte! Entrai in altri due canali, un terzo, un quarto... Ci fu una leggera vibrazione nel terreno. Aprii un altro canale. Nella mia metafora le rocce sotto le acque tornarono stabili. Poco dopo, la terra smise di tremare. Tornai nel punto in cui avevo sentito iniziare lo slittamento, ora era stabile, eppure ancora in tensione. Sentilo, sentilo attentamente. Descrivi un vettore. Seguilo. Seguilo fino al punto dove ha origine la pressione. Ma no. Questo punto non è che una confluenza di vettori. Tracciali. Ancora. Altre confluenze. Tracciale. Accedi ad altri canali. Dev'essere descritta l'intera struttura della pressione, complessa come un sistema nervoso. Il suo albero deve entrarmi nella mente. Un altro strato. Non può essere possibile. Posso stare un'eternità a cercare le mie diramazioni topografiche. Fermo immagine. Semplifica il problema. Ignora tutto ciò che c'è aldilà del terziario. Traccia fino alla prossima confluenza. Ci sono delle maglie chiuse. Bene. E ora è coinvolta una zolla. Meglio. Tenta un altro salto. Non va bene. Un disegno troppo grande da contenere. Lascia perdere il terziario. Sì. Così linee generali abbozzate. Vettori di trasmissione tracciati in modo sommario, quasi di nuovo alla zolla. Pressione esercitata minore della pressione totale estesa. Perché? Punto supplementare di input sul secondo vettore, indirizzare di nuovo le forze di taglio verso questa valle. «Merlin? Stai bene?» «Lasciami stare,» sentii che rispondeva la mia voce. Poi estendi, sorgente dell'input, dentro, sentire, indicazione della trasmissione... È un Logras questo che vedo davanti a me? Aprii altri tre canali, mi concentrai sulla zona, iniziai a riscaldarla. Bene presto le rocce cominciarono a spezzarsi, ma poco dopo si fusero. Il magma che avevo appena creato fluì lungo le linee della faglia. Nel punto in cui aveva avuto origine la forza precipitante si venne a creare una ca-
vità. Indietro. Ritirai le sonde, chiusi lo spikard. «Cosa hai fatto?» mi domandò. «Ho trovato il luogo in cui il Logrus stava agendo con delle forze sotterranee,» dissi, «e l'ho trasferito altrove. Ora laggiù c'è una piccola grotta artificiale. Se dovesse cedere allevierebbe ancora di più la pressione.» «Così l'hai stabilizzato?» «Almeno per il momento. Non conosco i limiti del Logrus, ma ora dovrà elaborare una nuova rotta per raggiungere questo luogo. Poi dovrà verificarla. E se attualmente è impegnato a sorvegliare il Disegno, questo potrebbe rallentare le sue reazioni.» «Dunque hai guadagnato un po' di tempo,» disse. «Naturalmente, ora potrà essere il Disegno ad attaccarci.» «Potrebbe farlo,» dissi. «Ho portato tutti qui perché pensavo che sarebbero stati al sicuro da entrambe le Potenze.» «A quanto pare hai reso il guadagno proporzionato al rischio.» «Okay,» dissi. «Immagino che sia ora di dare loro altre cose a cui pensare.» «Tipo?» Lo guardai, il fantasma del Disegno di mio padre, guardiano di questo luogo. «So dove si trova la tua controparte in carne ed ossa,» dissi, «e sto per andare a liberarlo.» Ci raggiunse il bagliore di un lampo. Un'improvvisa raffica di vento sollevò le foglie cadute e smosse la nebbia. «Devo venire con te,» disse. «Perché?» «Ho un interesse particolare per lui, ovviamente.» «D'accordo.» Un tuono rimbombò attorno a noi e il velo di nebbia fu squarciato in due da un nuovo assalto del vento. Allora Jurt salì verso di noi. «Credo che sia iniziato,» disse. «Cosa?» domandai. «Il duello delle Potenze,» disse. «Per un lungo periodo di tempo fu il Disegno a trovarsi in vantaggio. Ma da quando Luke l'ha danneggiato e tu gli ha strappato la sposa del Gioiello, dev'essere divenuto più debole, rispetto
al Logrus, di quanto non sia mai stato prima. Così il Logrus ha deciso di attaccare, fermandosi solo il tempo necessario per tentare di danneggiare questo Disegno.» «A meno che il Logrus non ci stesse solo mettendo alla prova,» dissi, «e in tal caso questo sarebbe soltanto un primo assalto.» Mentre parlavo, era iniziata a scendere una leggera pioggerellina. «Io sono venuto qui perché credevo che fosse l'unico luogo dove nessuna delle due potenze avrebbe messo piede in caso di lotta,» continuò. «Avevo pensato che nessuna di loro avrebbe voluto deviare l'energia dalla propria posizione di attacco o di difesa per sferrare un colpo in questa direzione.» «Questo ragionamento può ancora essere valido,» dissi. «Almeno per una volta vorrei trovarmi dalla parte dei vincenti,» affermò. «Non credo mi interessi sapere da quale parte sta la ragione e da quale il torto. Sono dei valori piuttosto discutibili. Per una volta almeno, mi piacerebbe stare con chi vince. Cosa ne pensi, Merle? Cosa intendi fare?» «Io e il qui presente Corwin siamo diretti alle Corti, dove libereremo mio padre,» dissi. «Poi risolveremo tutto ciò che c'è da risolvere e vivremo felici e contenti. Sai come vanno a finire queste cose.» Scosse il capo. «Non riesco mai a capire se sei pazzo o se la tua sicurezza è giustificata. Ogni volta che ti ho creduto pazzo, però, l'ho pagata cara.» Alzò gli occhi verso il cielo scuro, asciugandosi le gocce di pioggia dalla fronte. «Sono davvero indeciso,» disse, «ma tu potresti ancora diventare il Re del Caos.» «No,» dissi. «...E poi godi di un rapporto particolare con le Potenze.» «Se è così, non lo capisco neanch'io.» «Non importa,» disse. «Io resto con te.» Passai in mezzo agli altri e abbracciai Coral. «Devo tornare alle Corti,» dissi. «Sorveglia il Disegno. Tornerò presto.» Il cielo fu illuminato da tre lampi abbaglianti. Il vento scosse l'albero. Mi girai dall'altra parte e creai una porta nell'aria. Il fantasma di Corwin e io vi passammo attraverso. CAPITOLO XII Così tornai alle Corti del Caos, arrivando nello spazio deformato del giardino delle sculture di Sawall.
«Dove siamo?» domandò il fantasma di mio padre. «In una specie di museo,» risposi, «nella casa del mio patrigno. Ho scelto questo posto perché l'illuminazione è scarsa e ci sono molti posti in cui nascondersi.» Osservò attentamente alcune delle sculture, come anche la loro disposizione sulle pareti e sul soffitto. «Questo sarebbe un posto infernale per fare un duello di scherma,» osservò. «Immagino di sì.» «Sei cresciuto qui, eh?» «Sì.» «Come è stato?» «Oh, non lo so. Non ho altri termini di paragone. Ho passato dei momenti belli, solo e con i miei amici — e qualche momento brutto. La vita di un normale bambino.» «Questo posto...?» «Le Vie di Sawall. Mi piacerebbe avere il tempo di mostrarti tutto, di farti visitare tutte le vie.» «Un giorno, magari.» «Sì.» Cominciai a camminare, sperando di veder apparire il Timone Fantasma o Kergma. Ma non si vide nessuno. Infine sbucammo in un corridoio che ci portò in una sala piena di arazzi, dalla quale partiva una via che ci condusse nella stanza che volevo, poiché questa immetteva nel corridoio che passava accanto alla galleria degli alberi di metallo. Prima che potessimo muoverci, però, udii delle voci provenire da quel corridoio. Così rimanemmo ad aspettare nella stanza, che ospitava lo scheletro di un Jabberwock dipinto di arancione, blu e giallo, Primitiva Arte Psichedelica, mentre gli sconosciuti si avvicinavano. Uno di loro lo riconobbi come mio fratello Mandor; l'altro non mi fu possibile identificarlo soltanto dalla voce, ma, riuscendo a dare una sbirciatina mentre passavano, vidi che si trattava di Lord Bances di Amberlash, Sommo Sacerdote del Serpente Che Manifesta il Logrus (tanto per citare almeno una volta l'intero titolo). In un racconto scadente, si sarebbero fermati di fronte alla porta, e io avrei potuto origliare una conversazione che mi avrebbe rivelato tutto ciò che avevo bisogno di sapere su tutto. Passando, rallentarono. «Sarà questo il modo, dunque?» disse Bances.
«Sì,» replicò Mandor. «Presto.» Passarono oltre e io non riuscii a sentire nient'altro. Rimasi ad ascoltare il rumore dei passi che si affievoliva finché non scomparve del tutto. Poi aspettai un altro po'. Avrei giurato di aver udito una vocina che mi diceva, «Seguili. Seguili.» «Non senti niente adesso?» sussurrai. «No.» Così uscimmo nel corridoio e girammo a destra, muovendoci nella direzione opposta a quella presa da Mandor e da Bances. Mentre così facevamo, avvertii un senso di calore in un punto appena sotto il fianco sinistro. «Credi che si trovi da qualche parte qui vicino?» domandò il fantasma di Corwin. «Prigioniero di Dara?» «Sì e no,» dissi. «Ouch!» Era come se avessi un pezzo di carbone incandescente premuto contro la coscia. Spinsi la mano nella tasca mentre scivolavo nella nicchia più vicina, dove mi ritrovai in compagnia di una signora mummificata dentro un'urna di ambra. Proprio mentre la mia mano si avvicinava al punto del calore, capii cos'era e mi vennero in mente tutte le speculazioni filosofiche possibili, che in quel momento non avevo né il tempo né la voglia di approfondire, così le trattai nel modo più classico, quando si ha a che fare con questo genere di cose: le accantonai. Era uno spikard ciò che tirai fuori, l'oggetto bollente che vidi poggiato sul palmo della mia mano. Quasi immediatamente, fra quello e l'anello che avevo al dito si sviluppò una piccola scintilla. Seguì una comunicazione priva di parole, una sequenza di immagini, idee, sensazioni, che mi spingevano a cercare Mandor e ad affidarmi a lui per i preparativi alla mia incoronazione come prossimo Re delle Corti. Capivo perché Bleys mi aveva detto di non infilare l'anello. Senza la mediazione del mio spikard, probabilmente, i suoi ordini avrebbero avuto il sopravvento. Usai l'anello che avevo al dito per bloccare le sue energie, costruendogli attorno una piccola barriera isolante. «Ne hai due di quei maledetti cosi!» osservò il fantasma di Corwin. Annuii. «Sai qualcosa riguardo ad essi che io non so?» domandai. «Mi riferisco praticamente a qualsiasi tipo di informazione.» Scosse il capo. «Soltanto che si diceva che fossero degli oggetti con dei poteri molto an-
tichi, risalenti al tempo in cui l'universo era ancora un luogo tenebroso e i regni dell'Ombra dei posti dalla delimitazione molto confusa. Quando giunse il tempo, coloro che li possedevano si addormentarono o si dissolsero o qualunque sia la fine che fanno questo tipo di figure e gli spikard vennero ritirati, o nascosti o trasformati, o qualunque sia il destino di questi oggetti una volta finita la loro storia. Ci sono molte versioni, ovviamente. Ce ne sono sempre. Ma portandone due alle Corti potresti facilmente attirare l'attenzione, per non parlare della possibilità di incrementare il potere generale del Caos solo in virtù della loro presenza in questo polo dell'esistenza.» «Oh, mio Dio,» dissi. «Farò in modo di nascondere anche quello che porto al dito.» «Non credo che funzionerà,» disse, «sebbene non possa esserne certo. Credo che debbano mantenere un costante scambio di flusso con ognuna delle sorgenti di potere e naturalmente questa loro natura di trasmissione basterebbe a fornire indicazioni sulla loro presenza.» «Allora gli dirò di sintonizzarsi sulla frequenza più bassa possibile.» Annuì. «Non credo di danneggiarlo indicandogli cosa fare,» dissi, «sebbene io sia convinto che probabilmente lo farebbe comunque, automaticamente.» Rimisi l'altro anello in tasca, uscii dalla nicchia e mi incamminai con passo svelto per il corridoio. Rallentai quando fummo vicini a quello che credevo essere il punto giusto. Ma sembrava che mi fossi sbagliato. La foresta di metallo non c'era. Oltrepassammo questa sezione. Poco dopo giungemmo a una mostra dall'aspetto familiare — quella che, se fossimo venuti dalla parte opposta, avrebbe dovuto precedere la foresta di metallo. Mentre mi voltavo, capii. Capii cosa era successo. Tornati a quella che avrebbe dovuto essere l'area della scultura, mi fermai e l'osservai attentamente. «Cos'è?» domandò il fantasma di mio padre. «Sembra una mostra di tutto l'assortimento immaginabile di armi e oggetti taglienti mai rigettati dal Caos,» dissi, «tutti esibiti con le punte rivolte verso l'alto, come avrai notato.» «E allora?» domandò. «È questo il posto,» risposi, «il posto nel quale avremmo dovuto trovare un albero di metallo sul quale arrampicarci.» «Merle,» disse, «può darsi che questo luogo influenzi in qualche modo i
miei processi mentali, o forse i tuoi. Fatto sta che non capisco.» «È lassù, vicino al soffitto,» spiegai, indicando il punto con la mano. «Mi ricordo approssimativamente qual è la zona, credo. Sembra leggermente diversa ora...» «Cosa c'è lassù, figliolo?» «Una via, un'area di trasporto, simile a quella che abbiamo attraversato per giungere nel luogo in cui si trovava lo scheletro di Jabberwock. Solo che questa ci condurrebbe alla tua cappella.» «Ed è lì che siamo diretti?» «Proprio così.» Si grattò il mento. «Beh, in alcune delle installazioni davanti alle quali siamo passati c'erano delle sculture piuttosto alte,» osservò, «e non tutte erano di metallo o di pietra. Potremmo tirare fuori quel totem o cosa diavolo sia, trasportarlo attraverso il corridoio, togliere di mezzo tutte queste armi appuntite, innalzarlo...» «No,» dissi. «È chiaro che Dara deve essersi accorta che qualcuno ha visitato la mostra, probabilmente l'ultima volta, quando per poco non mi sorprese. Per questo la scultura è cambiata. Ci sono solo due modi possibili per salire lassù, trasportare qualcosa di sufficientemente alto, come suggerisci tu, e togliere di mezzo un bel po' di ferraglia prima di usarlo per arrampicarsi fin lassù. Oppure mandare su di giri lo spikard e levitare fino al punto in cui dobbiamo arrivare. Per il primo ci vorrebbe troppo tempo e probabilmente finiremmo col farci scoprire. Il secondo richiederebbe un potere così grande, che senza dubbio farebbe saltare tutte le difese magiche che lei ha installato intorno a quest'area.» Mi afferrò per il braccio e mi portò avanti, allontanandomi dalla scultura. «Dobbiamo parlare,» disse, facendomi entrare in una nicchia dove c'era una piccola panchina. Si sedette e incrociò le braccia. «Devo sapere cosa diavolo sta succedendo,» disse. «Non potrò essere di aiuto se non verrò informato adeguatamente. Qual è la connessione fra lui e la cappella?» «Credo di aver capito quel che mia madre intendesse veramente quando mi ha detto, "Cercalo nell'Abisso,"» spiegai. «Il pavimento della cappella presenta delle rappresentazioni stilizzate delle Corti e di Ambra elaborate in mosaici. All'estremità del margine del mosaico raffigurante le Corti c'è
una rappresentazione dell'Abisso. Quando visitai la cappella non misi piede in quel punto. Sono pronto a scommettere che là è situata una via e che questa conduce al luogo dove è imprigionato mio padre.» Mentre parlavo lui aveva iniziato ad annuire, poi, «Quindi avevi intenzione di passare attraverso quella via e di liberarlo?» domandò. «Proprio così.» «Dimmi, queste vie devono funzionare in entrambi i sensi?» disse. «Beh, no... Oh, capisco dove vuoi arrivare.» «Fammi una descrizione più precisa della cappella,» disse. Feci quanto mi aveva chiesto. «Il cerchio magico sul pavimento mi affascina,» disse. «Potrebbe essere un mezzo per comunicare con lui senza correre il rischio di una pericolosa presenza fisica. Una specie di scambio di immagini, forse.» «Credo che dovrei perdere molto tempo per riuscire a capirlo,» dissi, «a meno di non avere un colpo di fortuna. Quel che propongo di fare è levitare, entrare, usare la via nell'Abisso per raggiungerlo, liberarlo e che vadano tutti al diavolo. Nessuna astuzia. Nessuna finezza. Se qualcosa non va come previsto, ci facciamo avanti a forza usando lo spikard. Dovremo fare in fretta, perché si lanceranno al nostro inseguimento non appena inizieremo.» Fissò lo spazio alle mie spalle per un bel po', assorto in qualche profonda riflessione. Alla fine domandò, «Non si potrebbe verificare un caso in cui le sue difese potrebbero essere azionate accidentalmente?» «Mm. Il passaggio di una corrente magica vagante proveniente dal vero Abisso, immagino. Qualche volta capita che vengano rigettate fuori dalle sue profondità.» «Quali sarebbero le caratteristiche di tale passaggio?» «Un deposito o una trasformazione magica,» dissi. «Saresti in grado di simulare un fenomeno di questo tipo?» «Immagino di sì. Ma a cosa servirebbe? Farebbero ugualmente dei controlli, e una volta scoperta la fuga di Corwin si renderebbero conto che era soltanto un trucco. Sarebbe fatica sprecata.» Ridacchiò. «Ma lui non mancherà all'appello,» disse. «Prenderò io il suo posto.» «Non posso permetterlo!» «È una decisione mia,» disse. «E poi lui avrà bisogno di tempo se vorrà aiutarti a impedire a Dara e Mandor di portare il conflitto fra le Potenze a
uno scontro superiore a quello di Patternfall.» Sospirai. «È l'unico modo,» disse. «Immagino che tu abbia ragione.» Allungò le braccia, si stiracchiò e si alzò in piedi. «Andiamo, allora,» disse. Dovetti elaborare un incantesimo, una cosa che non facevo da parecchio, beh, un mezzo incantesimo, e metà dei suoi effetti, dal momento che c'era lo spikard a rifornirlo di energia. Poi lo lanciai verso una sezione longitudinale della scultura, trasformando parti di lame in fiori, mantenendoli uniti a livello molecolare. Mentre così facevo, avvertii un prurito che, ne fui certo, doveva essere l'allarme psichico che prendeva nota dell'iniziativa e ne informava la centrale. Poi evocai una grande quantità di energia e ci sollevammo. Mentre ci avvicinavamo, avvertii l'attrazione della via. Ero stato abbastanza preciso. Lasciai che ci trascinasse dentro di sé. Nel contemplare la cappella emise un fischio leggero. «Dovresti esserne contento,» dissi. «È un trattamento da dio.» «Già. Prigioniero nel suo stesso tempio.» Attraversò la stanza con passi lenti e misurati, slacciandosi la cintura mentre camminava. La sostituì con quella sull'altare. «Una buona imitazione,» disse, «ma neanche il Disegno è in grado di duplicare Grayswandir.» «Credevo che sulla lama fosse riprodotta una sezione del Disegno.» «Può darsi che ci sia l'altra via qui attorno,» disse. «Cosa intendi?» «Domandalo all'altro Corwin appena ne avrai l'occasione,» disse. «Ha a che fare con qualcosa di cui abbiamo parlato recentemente.» Mi porse e mi passò il pericoloso pacchetto, l'arma, il fodero, la cintura. «Sarebbe carino da parte tua portarglielo,» disse. La affibbiai e me la misi a tracolla, passandola sul capo e sulla spalla. «Okay,» gli dissi. «Sarà meglio che ci muoviamo.» Mi diressi verso l'angolo più lontano della cappella. Mentre mi avvicinavo al punto in cui era rappresentato l'Abisso avvertii l'inconfondibile attrazione di una via. «Eureka!» esclamai, attivando i canali sullo spikard. «Seguimi.» Feci un passo avanti ed essa mi portò via.
Giungemmo in una camera di circa cinque metri quadrati. Al centro c'era un palo di legno, mentre il pavimento era di pietra con qualche filo 'di paglia sparso qua e là. Sparse tutt'intorno, c'erano numerose grosse candele, uguali a quelle della cappella. Due delle pareti, una di fronte all'altra, erano di pietra, le altre due di legno. In quelle di legno c'erano delle porte, anch'esse di legno, alle quali era stato tolto il paletto. In una delle pareti di pietra c'era invece una porta di metallo priva di finestra, con un buco per la chiave sulla parte sinistra. Una chiave, che sembrava apparentemente della misura giusta, era appesa a un chiodo conficcato nel palo. Presi la chiave e diedi una rapida occhiata dietro la porta di legno sulla mia destra e vidi un grande barile pieno d'acqua, un grosso mestolo e una grande varietà di piatti, tazze e utensili. Dietro l'altra porta erano riposte alcune coperte e mucchi di quella che doveva probabilmente essere carta igienica. Passai quindi alla porta di metallo e vi bussai con la chiave. Non ci fu alcuna risposta. Inserii la chiave nella serratura e sentii il mio compagno che mi afferrava per il braccio. «Sarà meglio lasciarlo fare a me,» disse. «Io penso come lui, credo che sarà più sicuro.» Non potei non concordare con la sua osservazione, così mi feci da parte. «Corwin!» gridò. «Stiamo per liberarti! Siamo tuo figlio Merlin e io, il tuo doppio. Non saltarmi addosso quando aprirò, okay? Noi rimarremo fermi così potrai controllare da te.» «Apri,» disse una voce dall'interno. Così fece e rimanemmo dove ci trovavamo. «Chi l'avrebbe detto?» disse la voce dei miei ricordi, finalmente. «Sembrate veri, ragazzi.» «Lo siamo,» disse il fantasma, «e, come al solito in questi casi, faresti meglio a sbrigarti.» «Già.» Dall'interno si sentì un lento rumore di passi, e quando infine uscì si faceva schermo agli occhi con la mano sinistra. «Nessuno di voi ha un paio di occhiali da sole? La luce mi fa male.» «Maledizione!» dissi, rimproverandomi per non averci pensato. «No, e se li ordinassi ora il Logrus potrebbe individuarmi.» «Più tardi, più tardi. Per ora terrò gli occhi socchiusi e andrò a tentoni. Al diavolo.» Il fantasma entrò nella cella.
«Ora fammi crescere la barba, rendimi più magro e sporco. Allungami i capelli e stracciami i vestiti,» disse. «Poi chiudimi dentro.» «Cosa sta succedendo?» domandò mio padre. «Il tuo fantasma prenderà per un po' il tuo posto nella cella.» «Il piano è tuo,» affermò Corwin. «Fa' quanto ti ha chiesto il fantasma.» E così feci. Poi lui si voltò e allungò di nuovo la mano nella cella. «Grazie, amico.» «È un piacere,» replicò l'altro, afferrando la mano e scuotendola. «Buona fortuna.» «Ci vediamo.» Chiusi a chiave la porta della cella. Appesi la chiave al suo chiodo e lo guidai verso la via. Ci afferrò. Quando fummo nella cappella, lui abbassò la mano. Ora la penombra di quel posto doveva risultargli sopportabile. Si allontanò da me dirigendosi verso l'altare. «Sarà meglio che andiamo, Papà.» Ridacchiando, si avvicinò all'altare, alzò una delle candele accese, e la usò per accendere una delle altre che sembravano essersi spente per qualche corrente improvvisa. «Ho pisciato sulla mia tomba,» annunciò. «Non potevo rinunciare al piacere di accendere una candela a me stesso nel mio tempio.» Senza guardarmi, allungò la mano sinistra verso di me. «Dammi Grayswandir,» disse. Me la tolsi e gliela passai. La slacciò e se la legò attorno alla vita, smuovendo la lama nel fodero. «Perfetto. E adesso?» domandò. Riflettei rapidamente. Se Dara si era accorta che l'ultima volta ero uscito passando attraverso la parete, un possibilità piuttosto verosimile, pensandoci bene, allora le mura avrebbero potuto essere state protette con delle trappole esplosive di qualche tipo. D'altra parte, se fossimo usciti per la via da dove ero entrato, avremmo corso il rischio di imbatterci in qualcuno che correva da questa parte per rispondere all'allarme. Diavolo. «Andiamo,» dissi, attivando lo spikard, pronto a farci sparire in fretta non appena avessi visto l'ombra di qualcuno. «Non sarà facile perché comporta una levitazione all'uscita della via.» Lo afferrai saldamente e ci avvicinavamo alla via. Mentre essa ci afferrava, avvolsi entrambi di energie, e, non appena uscimmo, feci in modo
che rimanessimo sollevati sulla distesa di lame e di fiori. Si sentirono dei rumori di passi provenire dal corridoio. Un vortice ci avvolse, trasportandoci altrove. Gli ordinai di portarci nell'appartamento di Jurt, un posto dove nessuno sarebbe venuto a cercare un uomo che si trovava ancora nella sua cella; e poi sapevo che al momento a Jurt non serviva. Corwin si sdraiò sul letto e mi guardò tenendo gli occhi socchiusi. «Grazie di tutto,» disse. «A tua disposizione,» replicai. «Conosci abbastanza bene la zona qui attorno, vero?» disse. «Non sembra che sia cambiata molto,» gli dissi. «Allora cosa ne diresti di svaligiare un frigorifero per me, mentre io prendo in prestito le forbici e il rasoio di tuo fratello per farmi rapidamente la barba e darmi una scorciatina ai capelli?» «Cosa vuoi che ti porti?» «Carne, pane, formaggio, vino, magari anche un pezzo di torta,» disse. «Roba fresca e abbondante. Poi credo che avrai parecchie cose da raccontarmi.» «Immagino di sì,» dissi. E così mi diressi verso la cucina, passando per sale e vie che avevo spesso attraversato da ragazzo. La stanza era illuminata da poche candele, i fuochi coperti. Non c'era nessuno in giro. Procedetti a ripulire la dispensa, riempendo un vassoio con le varie vivande richieste, aggiungendovi anche della frutta che avevo trovato. Feci quasi cadere in terra la bottiglia di vino quando sentii qualcuno che, vicino alla porta da cui ero entrato, tratteneva bruscamente il respiro per lo spavento. Era Julia, avvolta in uno scialle di seta azzurro. «Merlin!» Andai verso di lei. «Ti devo parecchie scuse,» dissi. «E sono pronto a fartele.» «Ho sentito dire che eri tornato. Che avresti dovuto essere incoronato re.» «Strano, l'ho sentito dire anch'io.» «Non sarebbe patriottico da parte mia continuare ad essere infuriata con te, non credi?» «Non ho mai avuto intenzione di farti del male,» dissi. «Né fisicamente
né in altri sensi.» Improvvisamente, ci stavamo abbracciando. Passò molto tempo prima che mi dicesse, «Jurt dice che ora siete amici.» «Immagino che sia vero, in un certo senso.» La baciai. «Se tornassimo insieme,» disse, «probabilmente cercherebbe di ucciderti di nuovo.» «Lo so. E stavolta le conseguenze potrebbero essere davvero disastrose.» «Dove sei diretto ora?» «Sto facendo una commissione e mi porterà via parecchie ore.» «Perché non ti fermi un po' da me dopo che avrai finito? Abbiamo parecchie cose di cui parlare. Attualmente risiedo in un posto chiamato Stanza del Glicine. Sai dove si trova?» «Sì,» dissi. «È una pazzia.» «Ci vediamo più tardi?» «Forse.» Il giorno dopo mi recai al Cerchio, perché avevo sentito dire che i sommozzatori dell'Abisso, coloro che cercano manufatti di creazione al di là del Cerchio, avevano sospeso le operazioni per la prima volta nel corso di una generazione. Quando li interrogai, mi parlarono di attività pericolose negli abissi, trombe d'aria, ondate di fuoco, bufere di materia appena creata. Sedendomi in un luogo appartato e abbassando lo sguardo, usai lo spikard che avevo al dito per interrogare quello che tenevo in tasca. Quando tolsi lo scudo nel quale l'avevo ingabbiato, cominciò a ripetere una monotona litania, «Vai da Mandor. Fatti incoronare. Va' da tuo fratello. Va' da tua madre. Dai inizio ai preparativi.» Lo riavvolsi nell'incantesimo e lo misi via. Se non avessi fatto subito qualcosa avrebbe sospettato che non ero sotto il suo controllo. Me ne importava? Avrei potuto semplicemente sparire, magari andarmene con mio padre per aiutarlo ad ottenere qualche chiarificazione riguardo al suo Disegno. Avrei anche potuto lasciarli tutti e due gli spikard laggiù, incrementando così le forze di quel luogo. Avrei potuto sempre contare sulla mia magia personale, in fondo. Ma... Il mio problema era in questo posto. Ero stato allevato e condizionato per divenire un perfetto valletto reale, sotto il controllo di mia madre e forse di mio fratello Mandor.
Amavo Ambra, ma amavo anche le Corti. Scappare ad Ambra, pur assicurandomi la salvezza, non avrebbe risolto i miei problemi personali più di quanto avrebbe fatto una fuga con mio padre, o un ritorno all'Ombra Terra che tanto mi piaceva, con o senza Coral. No. Il problema era qui e dentro di me. Evocai una nuvola perché mi portasse su una via elevata da dove avrei potuto fare ritorno a Sawall. Durante il viaggio pensai a cosa avrei dovuto fare e mi accorsi di avere paura. Se le cose si fossero spinte fin dove era possibile che si spingessero, avrei rischiato seriamente di morire. Come alternativa, avrei potuto trovarmi nella necessità di uccidere chi non volevo. Comunque andasse, però, dovevo mostrarmi risoluto, oppure questo polo della mia esistenza non avrebbe più conosciuto pace. Camminai lungo un ruscello color porpora sotto un sole verde sulla sommità di un cielo perlaceo. Evocai un uccello porpora e grigio, che arrivò e si venne a posare sul mio polso. Avevo pensato di inviarlo ad Ambra con un messaggio per Random. Pur provandoci, però, non mi fu possibile formulare neanche un accenno di spiegazione. Troppe cose dipendevano da altre cose. Ridendo, lo lasciai libero e saltai giù dall'argine, dove mi imbattei in un'altra via che passava sopra l'acqua. Giunto a Sawall, mi avviai verso la sala delle sculture. Ormai, sapevo cosa avrei dovuto cercare di fare e come mi sarei dovuto muovere. Mi fermai dove mi ero fermato, quanto tempo fa?, contemplando le enormi strutture, le figure semplici, quelle più intricate. «Fantasma?» dissi. «Sei qui vicino?» Non ci fu alcuna risposta. «Fantasma!» ripetei con voce più alta. «Mi senti?» Niente. Tirai fuori i miei Trionfi, individuai quello che avevo fatto per il Timone Fantasma, un cerchio lucente. Lo guardai intensamente, ma tardava a raffreddarsi. Era comprensibile, considerando alcune delle strane aree di spazio a cui questa sala dava accesso. Eppure era irritante. Alzai lo spikard. Usarlo in questo posto e al livello che avevo in mente avrebbe voluto dire far scattare l'allarme antifurto. Amen. Sfiorai il Trionfo con una sottile linea di forza, cercando di aumentare la sensibilità dello strumento. Mantenni la concentrazione. Ancora niente. Lo rifeci con una forza maggiore. Ottenni un raffreddamento per-
cettibile. Ma il contatto non c'era. «Fantasma,» dissi tenendo i denti stretti. «È importante. Vieni da me.» Nessuna risposta. Così riempii il Trionfo di potere. La carta cominciò a brillare e su di essa si formarono dei cristalli di ghiaccio. Accanto ad essa si produssero dei piccoli scoppiettìi. «Fantasma,» ripetei. Allora avvertii una debole sensazione di presenza, e riversai più energia nella carta. Questa mi si frantumò in mano, quindi io la racchiusi in una ragnatela di forze e riuscii a tenere uniti tutti i pezzi, rendendola simile a una piccola finestra dal vetro sporco. «Papà! Sono nei guai!» giunse infine la risposta. «Dove ti trovi? Cosa succede?» domandai. «Ho seguito questa entità che ho incontrato. L'ho inseguita o inseguito. Quasi un'astrazione matematica. Chiamata Kergma. Sono rimasto catturato in questa interfaccia extradimensionale, dove sto girando a spirale. Mi stavo divertendo un mondo, poi, all'improvviso...» «Conosco bene Kergma. Kergma è un'imbrogliona. Riesco a percepire la tua situazione spaziale. Ora manderò delle raffiche di energia per contrastare la tua rotazione. Fammi sapere se ci sono dei problemi. Non appena sei in grado di passare via Trionfo, dimmelo e vieni verso di me.» Feci pulsare le energie fuori dallo spikard e l'effetto frenata ebbe inizio. Qualche attimo dopo, mi informò. «Credo di poter fuggire, ora.» «Avanti, allora.» Improvvisamente, Fantasma era là, che mi girava attorno come un cerchio magico. «Grazie, Papà. Lo apprezzo davvero. Fammi sapere se c'è qualcosa...» «C'è,» dissi. «Cosa?» «Restringiti e nasconditi da qualche parte addosso a me.» «Intorno al polso di nuovo, va bene?» «Certo.» Lo fece. Poi, «Perché?» domandò. «Potrei aver improvvisamente bisogno di un alleato,» replicai. «Contro cosa?» «Qualsiasi cosa,» dissi. «È il momento della chiarificazione.» «Non mi piace il suono di questa parola.» «Allora lasciami ora. Non te ne farò una colpa.» «Non potrei farlo.»
«Ascolta, Fantasma. La cosa si è aggravata, ed è giunto il momento di porre un limite. Io...» Sulla mia destra, l'aria cominciò a brillare. Sapevo cosa volesse dire. «Dopo,» dissi. «Stai fermo.» ...E c'era una porta, e si aprì per far entrare una torre di luce verde: occhi, orecchie, naso, bocca, arti si ciclizzavano attorno al suo spazio aperto simile al mare — una delle forme demoniache più ispirate che avessi visto negli ultimi tempi. E, ovviamente, riconobbi la fisionomia. «Merlin,» disse. «Ho sentito che usavi lo spikard.» «Immaginavo che te ne saresti accorto,» replicai, «e sono qui per servirti, Mandor.» «Davvero?» «In tutti i sensi, fratello.» «Compresa quella certa faccenda riguardante la successione?» «Quella in particolare.» «Ottimo! E cosa stai facendo qui?» «Stavo semplicemente cercando qualcosa che avevo perduto.» «Per questo puoi aspettare un altro giorno, Merlin. Ora abbiamo molto da fare.» «Sì, è vero.» «Allora assumi una forma più consona e vieni con me. Dobbiamo discutere dei provvedimenti che dovrai prendere salendo sul trono, quali Case dovranno essere soppresse, quali bandite...» «Debbo parlare immediatamente con Dara.» «Prima preferirei buttare giù le cose essenziali. Vieni! Trasformati e andiamocene!» «Mi sapresti dire dove si trova ora?» «A Gantu, credo. Ma ci consulteremo con lei più tardi.» «Non avresti per caso il suo Trionfo a portata di mano, vero?» «Temo di no. Credevo che ti portassi sempre dietro il tuo mazzo personale.» «Infatti. Ma la sua carta è andata distrutta. Successe una sera mentre bevevo, non lo feci apposta.» «Non importa,» disse. «La vedremo più tardi, come ti ho già spiegato.» Mentre parlavamo, avevo iniziato ad aprire i canali sullo spikard. Lo sorpresi nel centro di un vortice di forze. Riuscii a vedere il procedimento di trasformazione in atto dentro di lui, e fu un'operazione semplice invertirlo, facendo crollare la torre verde e roteante nella forma di un uomo dai
capelli bianchi, vestito di bianco e di nero e con un'espressione molto irritata sul volto. «Merlin!» gridò. «Perché mi hai trasformato?» «Questo oggetto mi affascina,» dissi, agitando lo spikard. «Volevo soltanto vedere se ci riuscivo.» «Ora l'hai visto,» disse. «E adesso, gentilmente, permettimi di assumere di nuovo l'aspetto di prima, e trova una forma più adatta anche per te.» «Un momento,» dissi, mentre lui cercava di sciogliersi e di fluire. «Mi servi con questo aspetto.» Gli impedii di continuare e tracciai un rettangolo di fuoco nell'aria. Una serie di veloci movimenti riempirono quello spazio con una figura vagamente somigliante a mia madre. «Merlin! Cosa stai facendo!» gridò. Soffocai i suoi sforzi di liberarsi per mezzo di un incantesimo di trasporto. «È il momento della riunione,» annunciai. «Abbi pazienza.» Non mi limitai a meditare su quell'improvvisato Trionfo che avevo sospeso nell'aria di fronte a me, ma praticamente lo attaccai con una carica delle energie che stavo ciclizzando attraverso il mio corpo e lo spazio attorno a me. Improvvisamente, all'interno della cornice da me creata apparve Dara alta, capelli neri come il carbone, occhi verde fiamma. «Merlin! Cosa sta succedendo?» gridò. Prima d'ora non avevo mai sentito di un Trionfo creato in un simile modo, ma mantenni il contatto, desiderai la sua presenza e feci volar via la cornice. Allora me la ritrovai di fronte, alta più di due metri, vibrante di indignazione. «Cosa significa tutto questo?» domandò. La catturai come avevo fatto con Mandor e la ridussi a una misura umana. «Democrazia,» dissi. «Mostriamoci tutti uguali almeno per un minuto.» «Non è divertente,» rispose lei, e iniziò a ritrasformarsi. Annullai il suo tentativo. «No, non lo è,» risposi. «Ma sono stato io a indire questo incontro, e si svolgerà alle mie condizioni.» «Molto bene,» disse, scrollando le spalle. «Cosa c'è di così terribilmente urgente?» «La successione.»
«La questione è stata sistemata. Il trono è tuo.» «E io di chi dovrei essere lo strumento?» alzai la mano sinistra, sperando che essi non sapessero distinguere uno spikard dall'altro. «Questo oggetto conferisce grandi poteri. Ma pretende anche qualcosa in cambio. Con un incantesimo è in grado di controllare colui che lo possiede.» «Era di Swayvill,» disse Mandor. «Quando te lo diedi, lo feci per abituarti alla forza della sua presenza. E sì, c'è un prezzo. Chi lo porta deve accettare di pagarlo.» «Ho lottato contro di esso,» mentii, «e ora sono io il suo padrone. Ma i problemi principali non erano cosmici. Erano costrizioni che avevi installato personalmente.» «Non lo nego,» disse. «Ma c'era una ragione molto valida che ne motivava la presenza. Tu eri riluttante a salire sul trono. Sentii la necessità di aggiungere un elemento di costrizione.» Scossi il capo. «Non era questa l'unica ragione,» dissi. «C'era dell'altro. Era un oggetto ideato in modo da rendermi soggetto a te.» «Era necessario,» replicò. «Tu sei stato lontano molto tempo. Non hai un'intima conoscenza della scena politica locale. Non potevamo lasciarti prendere le redini e andare nella direzione che volevi — non in tempi come questi, in cui gli errori si potrebbero pagare a caro prezzo. La casa aveva bisogno di un mezzo per controllarti. Ma questo solo finché la tua educazione non fosse stata completa.» «Permettimi di dubitare di te, fratello,» dissi. Lanciò un'occhiata a Dara, che annuì leggermente. «Ha ragione,» disse, «e io non ci trovo nulla di sbagliato in un controllo temporaneo finché tu non impari a svolgere le tue mansioni. C'è troppo in gioco per potersi permettere di agire diversamente.» «Era un incantesimo di schiavitù,» dissi. «Mi avrebbe costretto a salire sul trono, ad obbedire ai suoi ordini.» Mandor si inumidì le labbra. Era la prima volta che lo vedevo tradire un segno di nervosismo. Subito il suo gesto mi rese diffidente — anche se qualche attimo dopo mi resi conto che doveva essere stata una distrazione calcolata. Immediatamente mi portò a stare in guardia da lui; e, ovviamente, l'attacco venne da Dara. Un'ondata di calore si riversò su di me. Spostai subito l'attenzione, cercando di sollevare una barriera. Non era un attacco contro la mia persona. Era qualcosa di calmante, di coercitivo. Mostrai i denti e intanto lottavo
per tenerlo lontano da me. «Madre...» grugnii. «Dobbiamo ristabilire le priorità,» disse con voce piatta, rivolgendosi più a Mandor che a me. «Perché?» domandai. «Stai ottenendo quel che vuoi.» «Il trono non è abbastanza,» rispose. «In questo non mi fido di te e la fiducia è indispensabile.» «Tu non ti sei mai fidata di me,» dissi, respingendo ciò che rimaneva del suo incantesimo. «Questo non è vero,» mi disse, «e questa è una questione tecnica, non personale.» «Di qualunque questione si tratti,» dissi, «non mi lascerò convincere.» Mandor mi lanciò contro un incantesimo paralizzante e io lo respinsi, pronto a tutto, ormai. Mentre così facevo, Dara mi colpì con una complessa elaborazione che riconobbi come una Tempesta di Confusione. Non avevo intenzione di affrontarli entrambi, rispondendo ad incantesimo con incantesimo. Un bravo mago può tenere sospesi una mezza dozzina di incantesimi maggiori. L'impiego assennato di questi, in genere, è sufficiente a fronteggiare la maggior parte delle situazioni. In un duello fra maghi la strategia implicante l'uso di questi incantesimi costituisce l'elemento fondamentale della sfida. Se, una volta esauriti gli incantesimi, entrambe le parti sono ancora in piedi, allora debbono ridursi a combattere ricorrendo alle energie naturali. Quindi di solito ha la meglio chi dei due controlla una quantità più grande di incantesimi. Alzando un ombrello, mi protessi dalla Tempesta di Confusione, poi parai la Mazza Astrale di Mandor, uscii intero dalla Frattura dello Spirito ordita da mia Madre, mantenni i sensi attraverso l'Abisso delle Tenebre di Mandor. I miei incantesimi più importanti si erano tutti esauriti, e non ne avevo più creati di nuovi da quando avevo cominciato a fare uso dello spikard. Ero già ridotto al punto da poter far affidamento soltanto sui miei poteri naturali. Fortunatamente, lo spikard mi concesse più possibilità di controllo su di loro di quanto non avessi mai potuto fare prima. Tutto ciò che dovevo fare era costringerli a consumare tutti i loro incantesimi, poi lo scontro sarebbe stato sgombro da ogni trucco magico. Li avrei indeboliti, privati di ogni energia. Mandor riuscì a insinuarsi da una parte, ferendomi di striscio con un Riccio Elettrico. Io lo colpii con un muro di forza, però, sbattendolo in un sistema di dischi rotanti che lampeggiavano in tutte le direzioni. Dara si
trasformò in una fiamma liquida, avvolgendosi, ondeggiando, scorrendo attraverso cerchi e nodi ad otto, mentre avanzava e si ritirava, lanciando bolle di euforia e di dolore in orbita attorno a me. Provai a farle volare via, a guisa di uragano, mandando in pezzi la grande faccia di porcellana, sradicando torri, gruppi familiari rintanati al loro interno, abbaglianti geometrie. Mandor si trasformò in sabbia, che filtrò in basso, attraverso la struttura sulla quale era sdraiato, divenne un tappeto giallo, strisciò verso di me. Ignorai gli effetti e continuai a colpirli con tutte le forze. Scagliai il tappeto sulla fiamma e scaricai su di essi una fontana scrosciante. Spegnendo i piccoli focherelli che mi si erano sviluppati addosso, sui capelli e sui vestiti, costrinsi la mia coscienza ad attraversare le zone paralizzate della spalla e della gamba sinistre. Mi disgregai, ma poi tornai di nuovo intero controllando l'incantesimo del Disfacimento lanciato da Dara. Mandai in frantumi la Bolla di Diamante di Mandor e assimilai le Catene della Liberazione. Per tre volte rinunciai all'aspetto umano per assumere forme più adatte all'occasione, ma poi vi feci sempre ritorno. Non mi allenavo così dai tempi degli esami finali con Suhuy. Ma l'ultimo vantaggio naturalmente fu mio. La loro unica reale possibilità era stata quella della sorpresa e ora era passata. Aprii tutti i canali sullo spikard, una cosa che avrebbe potuto intimorire perfino il Disegno, sebbene, ora che ci pensavo, esso mi avesse preso mentre ero privo di sensi. Imprigionai Mandor in un cono di forza che lo ridusse a uno scheletro e lo ricostruì in un istante. Dara era più difficile da bloccare, ma quando la feci esplodere con tutti i canali, mi colpì con un incantesimo Abbagliante che si era tenuto di riserva, l'unica cosa che la salvò dall'essere trasformata in una statua, come avevo deciso inizialmente. Invece, la lasciò in una forma mortale, costringendola ad una lentezza nei movimenti. Scossi il capo e mi sfregai gli occhi. Delle luci mi danzavano davanti. «Congratulazioni,» disse lei, impiegando un tempo di circa dieci secondi per parlare. «Sei più bravo di quanto credessi.» «E non ho ancora finito,» replicai, respirando profondamente. «Perché è ora di fare a voi quel che voi avete fatto a me.» Cominciai ad elaborare l'incantesimo che li avrebbe posti entrambi sotto il mio controllo. Fu allora che notai il suo piccolo, lento sorriso. «Avevo pensato... che avremmo potuto... tenerti a bada... da... soli,» disse mentre l'aria davanti a lei cominciava a brillare. «Mi... sbagliavo.» Il segno del Logrus prese forma davanti a lei. Immediatamente sembrò più animata.
Poi avvertii il suo terribile sguardo. Quando mi parlò, quella voce rischiò di fare a pezzi il mio sistema nervoso. «Sono stato evocato,» disse, «per tenere a bada la tua ostinata opposizione, oh uomo che dovrebbe essere re.» Dai piedi della collina arrivò un improvviso frastuono, come se la casa di specchi fosse crollata al suolo. Guardai in quella direzione. Lo stesso fece Dara. E anche Mandor, che al momento stava cercando di mettersi in piedi. I pannelli riflettenti si innalzarono nell'aria e vennero verso di noi. Vennero rapidamente schierati tutt'intorno a noi, riflettendo i nostri corpi e la loro stessa immagine riflessa da innumerevoli angolazioni diverse. Era uno spettacolo stupefacente, poiché ora lo spazio stesso sembrava curvarsi, avvolgersi tutt'intorno a noi. E in ogni immagine apparivamo circondati da un cerchio di luce, sebbene io non riuscissi a individuare la sua origine reale. «Io sto dalla parte di Merlin,» disse Fantasma, da qualche parte. «Macchina!» esclamò il Segno del Logrus. «Tu ti mettesti contro di me ad Ambra!» «E anche un po' contro il Disegno,» osservò Fantasma. «In un certo senso siete pari.» «Cosa vuoi adesso?» «Lascia in pace Merlin,» disse Fantasma. «Oltre a regnare, comanderà anche su questo luogo. Nessuno dovrà manovrarlo.» Le luci di Fantasma cominciarono a ciclizzare. Feci pulsare lo spikard, aprii tutti i canali, sperando di localizzare Fantasma, gli diedi accesso alle energie dell'anello. Non sembrava che riuscissi a stabilire un contatto, però. «Non ne ho bisogno, Papà,» affermò Fantasma. «Io ho accesso alle fonti nell'Ombra.» «Cos'è che desideri per te, macchina?» si informò il Segno. «Proteggere chi mi vuole bene.» «Posso offrirti la grandezza cosmica.» «Già l'hai fatto. Anche allora ho rifiutato. Ricordi?» «Ricordo. E ricorderò sempre.» Un tentacolo dentellato della figura in perenne mutamento si mosse verso uno dei cerchi di luce. Quando si incontrarono vi fu un'accecante ondata di fuoco. Quando la vista mi si schiarì, però, nulla era cambiato. «Molto bene,» ammise il Segno. «Sei venuto preparato. Ora non posso permettermi di indebolirmi per distruggerti. Non
quando c'è qualcuno che non aspetta altro che di vedermi fare un passo falso. «Signora del Caos,» disse, «devi rispettare i desideri di Merlin. Se il suo regno non funzionerà, lui si distruggerà con le sue stesse mani. Se invece governerà in modo appropriato, tu, senza interferire, avrai ottenuto quel che volevi.» L'espressione che si delineò sul volto di mia madre fu di assoluta incredulità. «Ti arrenderesti davanti a un figlio di Ambra e al suo giocattolo?» domandò. «Dobbiamo dargli ciò che vuole,» ammise, «per ora. Per ora...» Svanì, e nell'aria intorno a noi rimase l'eco della sua voce stridula. Mandor abbozzò il più piccolo dei sorrisi, riflesso all'infinito. «Non posso crederci,» disse lei, mutandosi in un gatto col volto da fiore e poi in un albero di fiamme verdi. «Credi quel che vuoi,» le disse Mandor. «Ha vinto lui.» L'albero arse fino al suo autunno, poi svanì. Mandor annuì verso di me. «Spero solo che tu sappia quel che fai,» disse. «So quel che faccio.» «Fa' come vuoi,» disse, «ma se ti servisse un consiglio sappi che sarò disposto ad aiutarti.» «Grazie.» «Ti andrebbe di discuterne a pranzo?» «Non ora.» Si strinse nelle spalle e divenne un vortice blu. «Ci vediamo più tardi, allora,» disse la voce nel vortice, prima di volare via. «Grazie, Fantasma,» dissi. «Il tuo tempismo è decisamente migliorato.» «Il Caos ha un sinistro debole,» replicò. Trovai degli abiti puliti color argento, nero, grigio, e bianco. Li portai con me negli appartamenti di Jurt. Avevo una storia molto lunga da raccontare. Passeggiammo per vie fuori mano, passando attraverso l'Ombra, giungendo infine nel campo di battaglia dove si era svolto l'ultimo combattimento della Guerra di Patternfall. Con gli anni il posto si era rimesso in sesto e ora non c'era più alcun segno di ciò che era accaduto. Corwin rimase
ad osservarlo in silenzio per molto tempo. Poi si voltò verso di me e disse, «Bisognerà darsi da fare per chiarire ogni cosa, per ottenere un equilibrio permanente, per assicurare la sua stabilità.» «Sì.» «Credi che sarai in grado di mantenere la pace in questa estremità dell'universo per un certo tempo?» «L'idea è questa,» dissi. «Farò del mio meglio.» «È ciò che dovremo fare tutti,» disse. «Okay, Random deve sapere cosa è successo, naturalmente. Non so come la prenderà quando verrà a sapere che ora avrà te come controparte, ma è andata così.» «Portagli i miei saluti, e anche a Bill Roth.» Annuì. «E buona fortuna,» dissi. «Ci sono ancora misteri dentro misteri,» mi disse. «Ti farò sapere cosa ho scoperto, non appena avrò scoperto qualcosa.» Si avvicinò e mi abbracciò. Poi, «Manda su di giri quell'anello e fammi tornare ad Ambra.» «È già su di giri,» dissi. «Addio.» «...E ciao,» rispose, dall'estremità di un arcobaleno. Poi mi voltai dall'altra parte, per ripercorrere la lunga strada verso il Caos. FINE