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Progetto K.A.S.A. (Koinè Archeologica, Sapiente Antichità) : - Capofila responsabile delle informazioni qui pubblicate, prof. Pietro Militello, Università di Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali, Siracusa. - Autorità di Gestione per il programma Italia – Malta: Ufficio speciale per la Cooperazione Decentrata allo Sviluppo e alla Solidarietà Internazionale – Presidenza della Regione Siciliana.
In copertina: il petrolchimico di Augusta-Priolo dalla collina. Foto di Francesco Mannino.
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IL PAESAGGIO DELLA STORIA Per un approccio paesistico territoriale alla valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso Melania Nucifora
K.A.S.A. è l’acronimo di Koiné archeologica, sapiente antichità. E’ un progetto realizzato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, dalla University of Malta e dalla Officina di Studi Medievali di Palermo e finanziato nell’ambito del programma Interreg IIIA Italia-Malta, anno 2004-2006, proposto dalla Regione Siciliana con contributi della Comunità Europea (European Regional Development Fund). L’obiettivo strategico del progetto è la valorizzazione del patrimonio culturale (sia monumentale sia immateriale) che accomuna le province di Siracusa e Ragusa e l’arcipelago maltese, per rafforzare le identità delle comunità locali e la reciproca conoscenza, riqualificare in senso culturale i flussi turistici già esistenti, inserire siti minori finora poco conosciuti all’interno dei circuiti, incrementare il turismo di qualità proveniente da altre aree italiane ed europee. K.A.S.A. is the acronym of Koiné archeologica, sapiente antichità (Archaeological community, wise antiquity). It is a project realized by the Facoltà di Lettere e Filosofia of the University of Catania, by the University of Malta and by the Officina di Studi Medievali of Palermo, funded by the European Regional Development Fund (20042006) within the Interreg IIIA Programme, Italy-Malta, years 2004-2006, a Community initiative which aims to stimulate co-operation between regions throughout the European Union. The strategic goal of the project is the valorisation of a shared cultural (both tangible and intangible) heritage between the provinces of Syracusa and Ragusa and the Maltese archipelago, in order to reinforce local identities and reciprocal knowledge, to upgrade the already existent touristic flows with a cultural direction; to introduce minor, less known sites in established touristic networks, and to promote cultural tourism coming from other areas of Italy and Europe.
Nucifora, Melania <1973 - > Il paesaggio della storia : per un approccio paesistico territoriale alla valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso / Melani Nucifora. – Palermo . Officina di Studi Medievali, 2008. – (KASA ; 8) I. Nucifora, Melania 1. Archeologia del paesaggio 930.1 CDD-21 ISBN 88-88615-81-4 CIP – Biblioteca Francescana di Palermo
Copyright © 2008 by Officina di Studi Medievali - Università di Catania - Facoltà di Lettere e Filosofia - University of Malta Via del Parlamento, 32 – 90133 Palermo e-mail:
[email protected] www.officinastudimedievali.it www.medioevo-shop.com
www.um.edu.mt www.flett.unict.it ISBN 88-88615-81-4 Prima edizione, Palermo, giugno 2008 Stampa: FOTOGRAF – Palermo Editing: Alberto Musco Questa pubblicazione è fuori commercio. E’ disponibile on-line sul sito www.progettokasa.net This book is not for sale and it is available on the website www.progettokasa.net
Questo era ieri. Ed oggi? Lasciamo le ciminiere e vediamo quello che si può fare Georges Vallet e Giuseppe Voza A Elisa e a Graziella, custodi del passato e del futuro
INDICE Ringraziamenti .............................................................................. Introduzione ..................................................................................
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PARTE I LA TUTELA DEL PATRIMONIO. PER UN APPROCCIO PAESISTICO-TERRITORIALE NELLA VALORIZZAZIONE DEI SITI ARCHEOLOGICI
I.1. Tutelare il patrimonio............................................................. p. I.1.1. Valori e limiti del modello Italia ...................................... p. I.1.2. L’approccio paesistico alla valorizzazione del patrimonio diffuso......................................................................................... p.
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I.2. Patrimonio, specialismi, comunità ......................................... p. I.2.1. I principi della conservazione integrata........................... p. I.2.2. Quale turismo culturale? La difficile dialettica fra salvaguardia e sviluppo ............................................................. p. I.2.3. Valori culturali, valori ambientali. Il concetto di “paesaggio” come sintesi e principio ispiratore di politiche integrate ......... p. I.2.4. Rete ecologica, rete “culturale”. Verso la permeabilità ecoculturale del territorio ............................................................... p. I.2.5. Le connessioni lineari. Opportunità e rischi del progetto integrato .................................................................................... p.
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PARTE II PROCESSI DI PATRIMONIALIZZAZIONE E RETORICHE DELLO SVILUPPO. IL CONTRIBUTO DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO ALLA COSTRUZIONE DELLE IDENTITÀ LOCALI
II.1. Identità e stereotipo. Il territorio ibleo nella programmazione per lo sviluppo............................................................................... II.1.1. Premessa ........................................................................ II.1.2. La messa in scena incompiuta del Val di Noto .............. II.1.3. Il turismo culturale nella programmazione dei fondi strutturali 2000-2006. Aspirazioni locali e limiti della progettazione integrata .............................................................
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Indice
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II.1.4. Settorialità e retoriche dell’approccio regionale allo sviluppo turistico. Il prodotto Sicilia ....................................................... p. 52 II.1.5. Verso un nuovo modello di turismo. Il ruolo della pianificazione di area vasta............................................................................... p. 56 II.2. Paesaggio e patrimonio nello sviluppo locale. Statuto e rappresentazioni a confronto ........................................................ p. II.2.1. Il territorio K.A.S.A. Due diverse declinazioni dello sviluppo turistico ..................................................................................... p. II.2.2. Il paesaggio dell’archeologia. Rappresentazioni a confronto p. II.2.3. Il paesaggio degli Iblei occidentali: un racconto identitario compiuto.................................................................................... p. II.2.4. Gli Iblei orientali. Identità in movimento........................ p.
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PARTE III UN PROGETTO STRATEGICO PER LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO DIFFUSO
III.1. Il patrimonio archeologico K.A.S.A. Condizioni, classificazioni, inquadramento paesistico ............................................................ p. III.1.1. L’insieme dei siti K.A.S.A. Accessibilità e stato............ p. III.1.2. Il patrimonio K.A.S.A. Un’articolazione per sistemi omogenei .................................................................................... p. III.1.3. Il sistema ionico ibleo settentrionale. Paesaggio, identità locali, modelli di sviluppo.......................................................... p. III.2. Il Parco lineare di Thapsos –Megara. Un progetto per la fruizione ........................................................................................ III.2.1. Identità e partecipazione nelle politiche per il patrimonio culturale ..................................................................................... III.2.2. Passato e futuro della regione megarese. Note per una descrizione fondativa del territorio............................................ III.2.3. Investire sulla valorizzazione: se e perché .................... III.2.4. Il Parco lineare di Thapsos-Megara. Scenario strategico e schema di articolazione territoriale........................................ III.3. Programmazione, territorio, attori. Il Parco come processo decisionale condiviso ....................................................................
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Indice
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III.3.1. Il paesaggio agrario come connettivo denso ................. p. III.3.2. Il parco come metodo. Procedure, finanziabilità, gestione p. III.3.3. La programmazione 2007-2013 come orizzonte attuativo del Parco .................................................................................... p. Conclusioni ................................................................................ Bibliografia ................................................................................ Tavole fuori testo e schede paesistiche (a cura di Francesco Mannino) ................................................. Indice dei luoghi ........................................................................ Abstract, Curricula e Parole chiave ..........................................
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Ringraziamenti Questo libro è principalmente frutto di due esperienze importanti che hanno scandito il mio percorso di ricerca: la pluriennale e intensa frequentazione del Master in Storia e Analisi del Territorio (quasi dieci anni fa come allieva, poi come tutor, infine come docente e coordinatrice dei Laboratori di Storia, Analisi e Progetto) e il più recente coinvolgimento nel gruppo di lavoro del progetto K.A.S.A.. Devo queste opportunità, e molte altre che hanno segnato il mio cammino di studio, alla fiducia che Enrico Iachello ha avuto nelle mie capacità e nel mio lavoro. Il dato che accomuna questi due momenti è l’approccio “aperto” della ricerca, fondato sullo scambio fra i saperi, sulla contaminazione, sulla costruzione di un linguaggio comune. Molte delle riflessioni qui proposte sviluppano spunti scaturiti dal confronto e dalle discussioni che hanno avuto luogo nel gruppo di giovani studiosi –e amici – che ruota intorno a questi poli. Desidero quindi ringraziare innanzitutto chi di queste occasioni è stato tenace artefice, invitando incessantemente me e la mia generazione al confronto serrato e condividendo generosamente un patrimonio prezioso di esperienze e conoscenze: Giuseppe Giarrizzo, la cui attenzione e fiducia, accordatemi in molte occasioni, sono state per me guida, incoraggiamento e stimolo fondamentali; Maurice Aymard e Giancarlo De Carlo (il cui ricordo è un perenne richiamo all’impegno professionale e civile); Marcel Roncayolo, Massimo Quaini, Giuseppe Dato, Connie Occhialini e i molti docenti che hanno contribuito, con la continuità e il valore della loro presenza nel Master, a farne terreno stabile di incontro e di dialogo interdisciplinare; i numerosi allievi che nel corso degli anni, con le loro osservazioni, ne hanno arricchito e ampliato l’orizzonte culturale. Il mio ringraziamento va inoltre a Pietro Militello, infaticabile coordinatore del progetto K.A.S.A., a Francesca Buscemi e Davide Tanasi, che hanno condiviso con me le loro ricerche, aiutandomi nell’interpretazione dei significati e dei valori del patrimonio archeologico ibleo. Ringrazio Federica Santagati, Salvo Adorno, Paolo Militello e Giuseppe Baldacci per la stima e l’affetto che mi hanno in più occasioni dimostrato, per i consigli e per le riflessioni di cui mi hanno resa partecipe; Daniela Cannavò e Nati Patania, per la preziosa collaborazione. Ai colleghi e agli amici del Dipartimento di Architettura e Urbanistica, in particolare a Francesco Martinico e Luca Barbarossa, va il mio grazie per l’aiuto nel reperimento del mate-
riale cartografico. Sono grata, inoltre, agli ingegneri Angelo Di Pace e Domenico Morello della Provincia di Siracusa, per la loro disponibilità e cortesia. A Ciccio Mannino, che ha curato con professionalità e competenza la stesura delle schede di rilevamento paesistico dei siti K.A.S.A., il reperimento delle immagini, la redazione delle carte, sono debitrice anche per la pazienza e la disponibilità con cui ha supportato la fase finale della redazione del lavoro. Non potrò mai ringraziare abbastanza la mia famiglia, per il sostegno solido e discreto al mio lavoro e per la comprensiva tolleranza delle inevitabili assenze, di cui chiedo scusa a Melo, Giulia e Andrea soprattutto.
Premessa La valorizzazione del patrimonio culturale, e in particolare quella del patrimonio diffuso, hanno rappresentato uno dei temi dominanti degli ultimi decenni nel discorso politico, culturale ed accademico (dove l’istituzione dei corsi di laurea in Valorizzazione, con le diverse declinazioni, ne costituisce uno degli esiti più appariscenti). Proprio la centralità del tema ne ha determinato però una frammentazione che non è solo frutto della inevitabile pluralità di opinioni quanto del costruirsi di una retorica della valorizzazione che ha portato anche ad una perdita di fuoco di metodi ed obiettivi. Parole come “patrimonio culturale”, “identità”, “passato” sono diventate espressioni abusate, pass-partout da utilizzare in progetti, relazioni e descrizioni che in buona o cattiva fede mistificano il significato del bene culturale, relegandolo in una aura astorica di purezza primitiva e intoccabile ovvero, all’opposto, mercificandolo e, con orribile neologismo, marketizzandolo. In questo processo sono coinvolti attori esterni (operatori turistici, politici, uomini di cultura, enti internazionali e nazionali) e comunità locali, non sempre queste ultime più consapevoli o meno pronte ad una appropriazione del bene stesso. Di questo fenomeno, delle sue cause, ma anche delle possibili soluzioni, Melania Nucifora offre una lucida analisi in un volume che rappresenta l’anello di collegamento tra la fase conoscitiva e quella attuativa del progetto KASA. Esso offre nel contempo una approfondita analisi critica del modo con cui i programmi regionali e attori locali hanno finora affrontato il tema nel caso specifico della Sicilia, ed una elaborazione dei presupposti metodologici che dovrebbero essere alla base di qualsiasi, futura, attività. L’approccio paesistico offre, secondo l’autrice, lo strumento più efficace per la valorizzazione del patrimonio archeologico, strumento che può essere operativo solo tramite l’attivo coinvolgimento delle comunità locali. Approccio paesistico significa superamento della concezione puntuale del singolo bene monumentale e integrazione nel paesaggio, cioè nel palinsesto di segni creato dallo storico operare dell’uomo. Approccio paesistico significa anche superamento degli steccati e integrazione tra piani di azione sul patrimonio archeologico, agricolo, ambientale. La logica degli itinerari turistici tradizionali, intesi come semplice spostamento tra luoghi considerati come deputati ad offrire il meglio del prodotto di una regione, viene sostituita da una idea di turismo auto-organizzato in cui il fruitore, divenuto
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Premessa
viaggiatore, entri in rapporto profondo di comprensione con la realtà visitata. Il concetto di rafforzamento della identità locale, già ampiamente usato (ed abusato) nei piani di sviluppo finora elaborati, è effettivamente centrale per il tema trattato, ma va sottratto ai miti di purezza originaria, che tendono a recuperare solo i lacerti del passato trascurando o cancellando le sovrapposizioni recenti. In questa prospettiva, il Sistema Ionico Ibleo Nord, tra i sei identificati dal progetto KASA, è quello che meglio rappresenta la sfida. A fronte della natura più omogenea degli altri sei comprensori, l’area a Nord del Siracusano, che si concentra attorno alla zona di Augusta, presenta una accentuata urbanizzazione, una forte frammentazione e una attività industriale che ha cancellato ampi tratti del paesaggio agrario precedente. La tentazione di tutti i progetti finora proposti è stata quella di dimettere il polo industriale, laddove il progetto proposto dall’autrice tende invece a un processo di riconversione. La proposta di un Parco lineare di ThapsosMegara, per la quale vengono discussi anche i dettagli di procedura, finanziabilità e gestione, rappresenta un notevole salto di qualità: la storia e i suoi effetti sul territorio non vengono manipolati e alterati, ma rivissuti e rivitalizzati; il passato recente non diventa un peso, ma una esperienza da utilizzare. Esso costituisce anche la prova di una maturazione e di un ampliamento rispetto agli originari obiettivi di KASA (creazione di itinerari integrati), un dinamismo del quale siamo fieri, perché prova della vitalità e della fecondità della collaborazione creatasi tra architetti, archeologi, storici. Elemento non secondario di pregio è infatti la base filologica sulla quale la proposta si basa. Partendo dal censimento dei siti archeologici effettuato dai ricercatori di KASA, ed arricchendosi della analisi paesistica di Francesco Mannino, la proposta di Melania Nucifora costituisce un esempio di quella stretta interazione tra aspetti metodologici e conoscenza dei dati che costituisce il presupposto ineliminabile di qualsiasi progetto di valorizzazione.
Introduzione
La proposta di valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso elaborata nell’ambito del progetto K.A.S.A. si colloca entro l’obiettivo della “valorizzazione delle identità culturali” enunciato dal programma Interreg III Italia Malta. Essa affronta il difficile compito di elaborare una riflessione coerente e produttiva sulle prospettive future di un insieme ampio e, per molti versi, eterogeneo di siti archeologici, diffuso su un territorio assai vasto. Un territorio mosso, oggi, da tensioni e conflitti intorno alla questione del modello di sviluppo che questa regione, pressappoco coincidente con il territorio dello storico Val di Noto, intende perseguire nei prossimi anni per collocarsi in modo competitivo nel panorama euromediterraneo, tensioni e conflitti che si sviluppano più o meno esplicitamente intorno al tema controverso e fluido dell’identità. Uno dei presupposti principali della ricerca, dunque, è stato quello di ancorare strettamente la riflessione sulla valorizzazione dei siti al problema più generale delle prospettive del territorio, spesso in riferimento a scale di analisi che non coincidevano affatto con l’area intera, ma al contrario riguardavano unità territoriali locali, connotate da caratteri storici, sociali, economici e urbanistici diversi. Peraltro è apparso impossibile perseguire una logica “generalista” fondata su un approccio “tecnico” al problema, piuttosto, sembrava indispensabile definire un metodo in grado di cogliere le specificità dei luoghi e di adattare l’opzione di valorizzazione alle esigenze dei diversi contesti, tenendo conto delle problematiche emerse durante gli incontri con i soggetti locali organizzati nell’ambito del progetto come momenti focali di confronto fra gruppo di ricerca e territorio. Risolutiva, nella definizione di un percorso metodologico, è apparsa la nozione di paesaggio così come essa discende dal recente dibattito nazionale ed internazionale, quale concetto in grado di costruire una relazione chiara fra bene isolato e territorio, fra sito archeologico e ambiente, fra comunità scientifica e comunità locale, attraverso un progetto di “ri-significazione”. L’individuazione dei sistemi locali nell’ambito del territorio dei siti K.A.S.A. è stata, dunque operata non già sulla base di valori intrinseci ai beni, ma piuttosto sulla base del peculiare rapporto che i gruppi di beni stabiliscono con il contesto territoriale, in particolar modo con il paesaggio antropico e con il paesaggio naturale. Di qui la definizione di
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Introduzione
“approccio paesistico alla valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso”, che sintetizza il ragionamento che segue e la proposta metodologica che ne deriva. Da alcuni decenni il problema del patrimonio culturale “diffuso” trova ampio spazio nei documenti di indirizzo – soprattutto nei documenti internazionali – attraverso l’azione di orientamento determinante dell’UNESCO e dell’ICOMOS. Essa ha contribuito a un mutamento di prospettiva che apre nuove strade alla valorizzazione di un patrimonio che un tempo, significativamente, veniva denominato “minore”, in opposizione ai grandi insiemi o ai beni monumentali. In realtà proprio l’esempio del “territorio K.A.S.A.” dimostra con evidenza come il dato della marginalità attuale di alcuni siti, la condizione di separatezza e di degrado in cui essi, in molti casi, versano, in nessun modo coincida con una marginalità storica. Restituire leggibilità e coerenza a questi spazi diviene così un passaggio necessario per la comprensione delle vicende storiche che hanno interessato l’intero territorio provinciale in prima battuta, ma anche regionale e nazionale. La rivoluzione concettuale fotografata e al tempo stesso promossa dalle carte dell’ICOMOS muove polemicamente da una prassi ancora diffusa che vede prevalere le istanze di studio e conservazione sulla logica della fruizione. In nome di un malinteso rapporto con il contesto storico il bene viene isolato dal suo contesto territoriale, se possibile musealizzato, dunque trasferito altrove, in ogni caso trattato come un’insula il cui intorno – ove possibile – deve filologicamente riprodurre le condizioni originali. Le carte internazionali sembrano riconoscere come, in particolar modo nel caso del bene archeologico, l’alta valenza scientifica del bene rischi di porlo spesso come “ostaggio” dello specialista, che raramente si preoccupa di restituire alla comunità i risultati delle proprie ricerche, destinati esclusivamente ad un pubblico di esperti. Con grande lucidità, in questa abitudine si riconosce il limite più grande all’opera di “valorizzazione” (termine, questo, ch’è esso stesso entrato nel linguaggio istituzionale solo di recente) proprio per l’estraneità percepita dalle popolazioni locali nei confronti dei beni oggetto di ricerca specialistica. Una riflessione fondamentale, questa, nella misura in cui oggi alla base della definizione di bene culturale poniamo non più soltanto l’individuazione di valori storici, artistici, culturali da parte di una ristretta comunità di studiosi, ma un più profondo riconoscimento del bene da parte delle comunità locali (dove il concetto di “comunità locale” va dalla scala strettamente locale a quella nazionale). Si tratta di una riflessione che assume un’importanza ancora maggiore alla luce del tentativo in atto a livello internazionale di costruire, attraverso il patrimonio culturale, una sorta di coscienza planetaria basata sull’idea di Umanità, una vera e propria rivoluzione copernicana che punta ad affrontare dall’interno, in modo radicale, il problema dell’incuria, del degrado, spesso della vandalizzazione dei siti, attraverso un processo di responsabilizzazione delle comunità, custodi principali dei beni culturali “contenuti” nel territorio, che passi attraverso la ricostruzione del legame fondativo tra il bene e il territorio stes-
Introduzione
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so. Siamo qui al secondo aspetto metodologico significativo, sottolineato dalle carte internazionali e assunto quale cardine del nostro progetto di valorizzazione: il recupero del rapporto con la storia, non già attraverso la semplice restituzione filologica del contesto originario, ma attraverso la piena integrazione del bene nel flusso continuo della storia stessa, attraverso la piena accettazione delle alterne vicende che l’hanno riguardato, fatte di momenti di riconoscimento e di marginalità, di rappresentazioni e descrizioni letterarie, di un’alternanza di paesaggi materiali e immateriali che variamente hanno stabilito col bene un rapporto di ora coerenza, ora oblio, ora persino di conflitto. Proprio la lettura del paesaggio come un tutto è alla base della ricostruzione del rapporto fra il bene e la storia fino alla contemporaneità. Attraverso lettura diacronica di questo rapporto si possono trovare le basi per una sostanziale trasformazione da bene “culturale” a bene “identitario”, riconosciuto, cioè, dalla comunità locale come parte integrante di un proprio “patrimonio”. Il rapporto fra comunità locale e fruizione turistica del patrimonio (culturale, storico o naturale che sia) è al centro di questa visione dei beni diffusi come “patrimonio” che si oppone all’idea del bene culturale come “semplice risorsa”, bersaglio polemico di molta letteratura ma anche cavallo di battaglia del linguaggio politico regionale e nazionale. È ormai chiaro, infatti, che – pur costituendo potenzialmente una strada sostenibile verso lo sviluppo locale – anche il turismo rappresenta un’attività potenzialmente distruttiva, più che sul piano territoriale (ma anche questo è evidentemente possibile, Venezia docet) sul piano culturale. La sostenibilità dell’attività turistica dipende dalla capacità che essa ha di aumentare – in senso equo, ampio e non esclusivamente economico – il benessere delle comunità locale. È necessario che il turismo culturale, in particolare, si fondi su uno scambio paritetico fra le comunità locali e i visitatori, che devono essere messi nelle condizioni di cogliere l’identità dei luoghi come valore aggiunto del proprio percorso culturale. Nel caso dei beni archeologici ciò significa moltiplicare, esplicitare, ricostruire una serie di legami materiali e immateriali fra il sito e il territorio nella sua complessità, con particolare attenzione a quel patrimonio immenso e ancora scarsamente considerato che è il paesaggio rurale, ovunque in Sicilia tessuto connettivo ricco di valenze identitarie, non solo in senso strettamente fisico ma anche in senso più ampiamente diacronico. Il paesaggio, infatti, se leggibile, è testimonianza materiale immediata del rapporto che le popolazioni hanno intessuto con il territorio, con gli habitat naturali e con il paesaggio fisico attraverso l’uso dei materiali locali, l’intervento sulla vegetazione, le diverse modalità di sfruttamento delle acque. Sulla base, dunque, dell’analisi paesistica dei diversi contesti territoriali, dei sistemi insediativi, della morfologia del paesaggio naturale, dei caratteri del paesaggio agrario, i siti K.A.S.A. sono stati suddivisi in sistemi omogenei trasversali rispetto alla distinzione cronologica fra siti preistorici e siti post-classici che era
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Introduzione
stata invece alla base dell’analisi e della prima schedatura dei siti. Ciò perché, nella logica sopra enunciata, la compresenza di siti archeologici di epoche diverse aumenta l’interesse culturale del progetto di valorizzazione, favorendo – se opportunamente esplicitata – la comprensione dell’evoluzione storica del territorio e il mutato rapporto fra insediamenti umani e ambiente naturale (rapporto che già dalla denominazione dei sistemi si mostra come fondamentale). Nell’impossibilità di sviluppare caso per caso su un territorio così ampio i presupposti metodologici generali del progetto, si è scelto come terreno di approfondimento il sistema definito del nell’ambito del progetto stesso come “Parco lineare nord”, che interessa la fascia ionica del territorio K.A.S.A., compresa fra la penisola di Brucoli e l’Epipoli, che gravita intorno a siti di Megara Hyblaea e di Thapsos. Si tratta di una regione che si distingue per la complessità del paesaggio antropico costiero, caratterizzato dalla presenza di un continuum urbanizzato, da una forte frammentazione, dal carattere residuale del paesaggio agrario, da usi antropici intensivi, da gravi condizioni di marginalità e separatezza dei siti archeologici presenti sul territorio. Le problematiche poste da questo territorio rappresentano per il valorizzatore una sfida: esse richiedono una rigorosa verifica delle ipotesi che devono qui misurarsi con condizioni di contesto che non è esagerato definire “estreme”. La natura dei siti archeologici che scelte passate, dettate da logiche di sfruttamento del territorio ormai obsolete, hanno relegato in condizioni marginali, è peraltro caratterizzata da una centralità organizzativa rispetto all’assetto storico dell’intera regione che li impone quali priorità a scala provinciale e regionale, soprattutto se si presuppone che il progetto di valorizzazione del patrimonio archeologico debba passare attraverso una rigorosa restituzione di senso. Le parole chiave selezionate per il progetto di valorizzazione dei siti K.A.S.A. sono: accessibilità, gestione, integrazione. In termini di accessibilità le condizioni dei siti inclusi nel progetto K.A.S.A. (anche di quelli compresi nell’area considerata) appaiono molto disomogenee: si passa da condizioni di relativa facilità di accesso a condizioni di marginalità, a situazioni in cui il sito pur trovandosi in un contesto altamente antropizzato, occupa uno spazio residuale, versando paradossalmente in uno stato di separatezza e al tempo stesso di assedio. Spesso i siti archeologici non sono conosciuti e non appartengono all’immaginario delle popolazioni locali, dominato da altri elementi incombenti del paesaggio. Per accessibilità, però, non si intende esclusivamente la possibilità fisica di raggiungere un sito, ma, naturalmente, la possibilità di accedervi interamente sul piano culturale ed estetico. Questa opportunità non può essere vincolata ad una logica di mera fruizione turistica, ma deve essere considerata prioritariamente un diritto delle comunità locali. Occorre, però, che tale diritto venga esercitato nella tutela dei valori dei beni, tutela che, è giusto dirlo, talvolta è stata assicurata proprio
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dalla marginalità e dalla inaccessibilità stesse dei luoghi. È per questa ragione che la questione della gestione si pone al centro del nostro progetto: lo scenario possibile del Parco lineare ionico ibleo sottrae il nostro territorio alla tentazione imperante della valorizzazione “virtuale” dei luoghi, cioè a quella mentalità diffusa secondo cui basterebbe “promuovere” i beni culturali attraverso siti internet, più o meno istituzionali, e affidarsi all’iniziativa dei touroperator per ottenere presenze turistiche sul territorio, quasi indipendentemente dalle condizioni reali dei luoghi, che sono spesso di vero e proprio degrado. Quello che è stato definito l’approccio paesistico alla valorizzazione dei beni presuppone lo sforzo di un miglioramento concreto del contesto paesistico attraverso una progettazione minuziosa dei circuiti di accesso ai beni, il controllo dell’assetto del paesaggio ed il recupero dei complessi e degli immobili di supporto ai percorsi progettati, sulla base di un solido partenariato istituzionale e nella prospettiva di disporre di una struttura unitaria di gestione. Il contesto locale analizzato è connotato in modo traumatico – sul piano territoriale quanto su quello sociale – dal recente passato industriale e dall’attuale crisi del settore petrolchimico, che fa del tema dell’ambiente la questione per eccellenza, di fronte alla quale il recupero dei siti archeologici “diffusi” potrebbe, a rigore, sembrare un obiettivo del tutto marginale. Tuttavia solo apparentemente i due temi sono distinti, anche in riferimento agli orientamenti del nuovo periodo di programmazione dei fondi strutturali, che costituisce l’orizzonte operativo entro il quale si colloca la nostra proposta. A cominciare dal documento di indirizzo nazionale (il QSN, Quadro Strategico Nazionale), infatti, per il periodo 2007-2013 sono previste, rispetto alla precedente Agenda 2000, alcune importanti novità. Nel precedente periodo di programmazione uno dei principali ostacoli alla realizzazione di progetti complessi per il recupero dei beni culturali era la sostanziale assenza di una prospettiva paesistica, che si traduceva nella separazione netta delle azioni per il recupero del patrimonio culturale da quelle indirizzate alla tutela del paesaggio o alla valorizzazione delle risorse naturali e al recupero dell’ambiente. Ciò determinava la possibilità di ottenere più facilmente finanziamenti mirati al recupero di un singolo immobile o sito archeologico (cosa che è diffusamente avvenuta anche in presenza di progetti di fruizione estremamente deboli e pretestuosi) e, per contro, la sostanziale impossibilità di finanziare circuiti o itinerari complessi che prevedessero l’inserimento del bene in un contesto paesaggistico di area vasta o la realizzazione di percorsi di mobilità lenta a scala intercomunale. Per la prima volta nel Quadro Strategico Nazionale si enuncia l’intento di raggiungere la piena integrazione fra politiche di valorizzazione e tutela delle risorse naturali, culturali e del paesaggio e fra queste e la pianificazione territoriale e le politiche per lo sviluppo rurale attraverso forme di concertazione per favorire il partenariato istituzionale e il coinvolgimento delle comunità locali. I tempi sem-
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brano maturi per la realizzazione di progetti fortemente integrati sul piano tematico, istituzionale e procedurale. Il rischio che si corre altrimenti è che – come è avvenuto nel precedente periodo di programmazione – gli interventi isolati di recupero, miglioramento, restauro, non raggiungano la massa critica necessaria alla creazione dei presupposti concreti per la fruizione e lo sviluppo del territorio. Attraverso la riqualificazione ampia del paesaggio, invece, si mira a trasformare lo spazio entro il quale l’insieme dei siti si colloca da mero sfondo, territorio “attraversato”, a spazio “qualificato”, racconto identitario entro il quale si rappresenta la storia del territorio stesso attraverso la costruzione di rapporti percettivi, fruitivi e funzionali, di supporto alla presentazione del sito stesso. Gli interventi di recupero del paesaggio proposti sono mirati a costituire nell’insieme una sorta di “infrastrutturazione leggera” del territorio attraverso la quale si possa articolare un sistema paesaggistico-culturale organico, con l’obiettivo di riequilibrare l’assetto del territorio, migliorare la qualità della vita degli abitanti e costruire un progetto di sviluppo sostenibile condiviso, in cui le azioni di recupero e miglioramento dell’ambiente naturale convergano con l’obiettivo di potenziare l’accessibilità e le fruizione dei siti archeologici diffusi. L’orizzonte ancora indefinito – ma probabilmente inevitabile – della dismissione degli impianti industriali che caratterizzano l’area del Parco lineare nord, è uno scenario che non può essere assunto tout court come termine di riferimento del progetto. Esso dipende da variabili scarsamente controllabili a livello locale e non può costituire una condizione vincolante. Per questa ragione il progetto si configura come vera e propria “strategia di convivenza” con le strutture industriali, mirando a creare una rete pervasiva di mobilità sostenibile, che assicuri ad abitanti e viaggiatori la possibilità di spostarsi in un territorio permeabile e in uno spazio gradevole e sicuro, e l’opportunità di raggiungere i luoghi storici, ivi compresi i siti archeologici, attraverso un paesaggio leggibile e ricco di valenze identitarie, di cui i maestosi impianti industriali e le imponenti strutture militari costituiscono iconemi dominanti che, seppur in modo problematico, confermano il ruolo plurisecolare di questi luoghi nello spazio dei traffici mediterranei e internazionali. Al di là delle soluzioni progettuali cui approda, la domanda da cui muove il lavoro proposto, scaturita dal dialogo fra i punti di vista assai diversi di cui sono portatori i componenti del gruppo di lavoro, è: quale contributo può dare al processo di costruzione delle identità locali, l’accesso al “territorio dell’archeologia” attraverso la riqualificazione dei paesaggi archeologici della Sicilia sud-orientale? Nella sua riflessione su Il futuro del classico Salvatore Settis auspica il moltiplicarsi di progetti culturali che, rendendo il “classico” più comparabile con altre culture, contribuiscano a incrinare, e in ultimo distruggere, quella rotonda astorica classicità a cui pure si ancorano tanti discorsi e tanti progetti della storia e della cultura moderna. Ciò consentirebbe alla storia e alle civiltà “classiche” di entra-
Introduzione
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re in un più ampio e arioso paesaggio, che includa, con le culture “altre” con cui esse furono in contatto, quelle (tutte) che costituiscono il nostro mondo di oggi. È nostra speranza che la restituzione al pubblico dei tanti siti preistorici e post-classici proposta dal progetto K.A.S.A. contribuisca alla costruzione di un’identità locale fondata sulla consapevolezza della diversità culturale, sulla molteplicità, sulla contaminazione, contro l’oleografico e fuorviante tentativo di riproporre antichi stereotipi e di favorire, ad uso e consumo di dubbi progetti di sviluppo, l’immagine immobile di una koiné mediterranea al centro della quale vi sarebbe, per privilegio geografico, proprio la Sicilia.
Parte I La tutela del patrimonio. Per un approccio paesistico-territoriale nella valorizzazione dei siti archeologici
I.1. Tutelare il patrimonio. I.1.1. Valori e limiti del “modello Italia”
Con coloriture e accenti diversi, su cui torneremo nel prossimo capitolo, la metafora dei beni culturali “petrolio d’Italia” è stata negli ultimi anni più volte evocata da tutte le parti politiche nel territorio del Val di Noto, dove, come si sa, l’orizzonte dello “scavo” archeologico si confronta, fuor di metafora, con quello, tornato incombente, delle “trivellazioni”. Non distante dall’idea del petrolio d’Italia è il ritornello infelice dei “gioielli di famiglia”, bersaglio polemico di Salvatore Settis per la logica “stracciona” che vi è sottesa che «evoca case polverose e cadenti, famiglie in rovina che provano fino all’ultimo a “tenere la facciata”, finché si decidono ad aprire i forzieri, a vendere i gioielli della nonna, i ritratti degli avi, le ville in campagna»1. La metafora ha, però, anche un’altra – più grave – implicazione che è quella di spostare i termini della questione su una visione del patrimonio culturale di carattere esclusivamente economico, facendo coincidere i beni culturali con il loro valore economico, identificandoli, cioè, quali “risorse”, importanti ma pur sempre mere risorse. Questa preoccupazione e la strenua difesa di un modello italiano di tutela che trova le sue ragioni nei valori intrinseci del bene e non nelle sue potenzialità di sfruttamento economico, può essere letta come estrema e ad essa è lecito contrapporre le mille ragioni dello “sviluppo” che, soprattutto nel Mezzogiorno, difficilmente possono essere eluse. Tuttavia è inevitabile osservare come, nel dibattito politico e mediatico intorno alla questione degli investimenti nel settore dei beni culturali, l’inscindibilità di fatto della problematica del patrimonio da quella del turismo – che è conseguenza diretta della reductio del bene culturale a risorsa economica – abbia costituito e costituisca il principale ostacolo all’attuazione di progetti di valorizzazione realmente innovativi, costringendo la riflessione dei beni culturali intorno ad abusati ritornelli come quello della “ricettività”, della “promozione”, del “marketing”2 ed assegnando un ruolo di primo piano a operatori turistici, privati e 1
S. Settis, Italia S.P.A. L’assalto al patrimonio culturale, Einaudi, Torino 2002, p.7 Riguardo alla questione del “marketing” dei beni culturali lo stesso Settis evidenzia il rischio
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analisti del mercato. La tendenza a trasformare il tema del patrimonio in questione specialistica che si consuma nel confronto/conflitto fra operatori, ha caratterizzato il dibattito intorno alla spesa a valere sui fondi europei per il periodo di programmazione 2000-2006, dai tavoli di concertazione alla proposta delle idee-forza dei progetti integrati territoriali. È interessante osservare come, nella logica dei soggetti locali promotori dei PIT3, la presenza di piccole aree archeologiche, così come di qualche chiesa o palazzo storico inseriti in contesti gravemente degradati da abusivismo o abbandono, sostenesse ambiziosi progetti di sviluppo turistico, anche in località tradizionalmente estranee a questo tipo di attività e caratterizzate da un’economia rurale spesso piuttosto arretrata. Lo slogan del “turismo culturale”, che ha attraversato la Sicilia negli anni di Agenda 2000, ha sostenuto progetti di nuove strutture alberghiere, porti turistici, parchi dei divertimenti, in una sostanziale confusione di modelli e di scenari. Non sono mancate tuttavia le esperienze positive, alcune delle quali di grande interesse. Un ruolo di primo piano nella elaborazione di modelli coerenti di sviluppo hanno avuto le aree protette della Sicilia come luogo di sperimentazione di modelli innovativi di relazione fra pubblico e privato in grado di coagulare consensi e adesione diffusa e di costruire una relazione convincente fra azioni di miglioramento e riconversione del contesto agroambientale e recupero del patrimonio culturale. I progetti più densi sono stati quelli elaborati a partire da una riflessione condivisa sui caratteri del territorio, sulle sue vocazioni, sulle sue specificità, dal prodotto agricolo e zootecnico alle tradizionali feste sacre. In alcuni casi la lettura dei caratteri del patrimonio culturale ha contribuito a evidenziare l’omogeneità di alcuni paesaggi storici, creando nuove unità territoriali e contribuendo a costruire reti fra gli enti locali al di là delle tradizionali partizioni amministrative. È emblematico l’esempio della Valle dell’Alcantara, dove la riflessione promossa dai comuni sulla storia del territorio e sui suoi caratteri culturali e ambientali nell’ambito di Agenda 20004 ha portato al riconoscimento, attraverso l’istituzione del Parco Naturale, di una omogeneità negata non solo dal disegno amministrativo, ma anche dalle scelte della pianificazione paesistica. Le Linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale5, infatti, lungi dal riconoscere nel paesaggio costruito della che le strategie di marketing diventino obiettivo finale dei progetti di valorizzazione «piuttosto che, come dovrebbero essere, strumento intermedio per il conseguimento di un fine che obbedisca ad una strategia lungimirante» (S. Settis, ibidem, p.68). 3 Progettazione Integrata Territoriale (PIT) http://grillo.imedia.ca.it/osservatorio/osservatoriopit/regioni/index.php?idregione=19®ione =Sicilia 4 Cfr. http://ec.europa.eu/agenda2000/index_it.htm 5 Linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale, approvate dal Comitato TecnicoScientifico ex Art. 24 del R.D. 1357/40 nella seduta del 13/04/1996, Regione Siciliana – Assessorato
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Valle un contesto unitario – caratterizzato da un secolare ruolo di canale di penetrazione dal mare alle regioni interne, da una comune relazione fra insediamenti d’altura e fiume, dalla diffusa presenza monastica e dai molti peculiari caratteri dell’architettura sacra e civile – individuavano nel fiume, sulla base di un criterio strettamente geologico, lo spartiacque fra l’ambito paesistico dei monti Peloritani e quello del cono vulcanico etneo. La riflessione comune “dal basso” sul valore del patrimonio culturale, secondo traiettorie complesse che spesso hanno trovato spazio nelle procedure della programmazione negoziata, ha contribuito in modo fondativo alla definizione dell’identità locale ma ha trovato, paradossalmente, numerosi ostacoli istituzionali al proprio riconoscimento formale, avvenuto soltanto attraverso la costituzione del Parco fluviale dell’Alcantara come punto di partenza per una programmazione comune dei percorsi di sviluppo locale. Si è trattato di uno dei casi più emblematici di come la relazione patrimonio culturale/sviluppo locale sia una relazione feconda e al tempo stesso mai scontata e di come il patrimonio culturale sia certamente una “risorsa” centrale per lo sviluppo, ma attivabile solo fuori da ogni automatismo o scorciatoia, attraverso il percorso obbligato della riflessione identitaria fondata sulla lettura diacronica del territorio. Sul tema del rapporto fra patrimonio e identità riflette a lungo Settis, che si concentra però, quasi esclusivamente, sulla definizione di una specifica identità nazionale, a partire dalla enunciazione di un “modello Italia” su cui impernia tutto il suo ragionamento. Nella definizione proposta, il “modello Italia” è un schema peculiare di gestione e tutela maturato nell’ambito della cultura nazionale, culminato nella legge 1089 del 1939, le cui caratteristiche essenziali sono la concezione del patrimonio culturale come insieme organico (di opere monumenti musei, case, paesaggi, città); l’idea che questo patrimonio nel suo complesso costituisce un elemento portante, irrinunciabile, della società civile e dell’identità civica […]; […] la centralità del patrimonio artistico nelle strategie di gestione dello Stato, e l’impegno a proteggerlo o assicurandosene la proprietà o stabilendo norme di tutela applicabili anche a quanto resta in mani private.6 La scelta consapevole e sofferta dei padri fondatori del Paese trae la sua forza dalla presenza, diffusa capillare, viva, di un patrimonio solo in piccola parte condei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione, cfr. “Articolazione degli ambiti”, p.22. Http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/bca/ptpr/lineeguida.htm 6 S. Settis, Italia S.P.A. L’assalto al patrimonio culturale, cit., p. 21.
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servato nei musei, e che incontriamo invece, anche senza volerlo e senza pensarci, nelle strade delle nostre città, nei palazzi in cui hanno sede abitazioni, scuole e uffici, nelle chiese aperte al culto; che fa tutt’uno con la nostra lingua, la nostra musica e letteratura, la nostra cultura. […] Contiguità e continuità sono qui le parole-chiave: quello che costituisce la nostra identità, la rete che ci avvolge e che ci identifica, è che il nostro patrimonio culturale sono le città nelle quali viviamo, le chiese in cui entriamo, le case e i palazzi in cui abitiamo o che visitiamo, le nostre coste e le nostre montagne. […] Il nostro bene culturale più prezioso è il contesto, il continuum fra i monumenti, le città, i cittadini; e del contesto fanno parte integrante non solo musei e monumenti, ma anche la cultura della conservazione che li ha fatti arrivare sino a noi.7 Il ragionamento intorno al “modello Italia”, che conduce Settis all’elogio e alla difesa della legislazione italiana sui beni culturali, è in linea di principio condivisibile ma trova un punto di debolezza nella prevalente accezione immateriale che l’autore sembra, nel corso del suo ragionamento, conferire al “contesto”, al “tessuto connettivo” che avvolge i singoli beni e li collega ridando loro senso. Purtroppo, anche senza ricorrere alla sconfinata letteratura che ha affrontato il problema, è innegabile come tale cultura della conservazione, così attenta a tutelare anche i beni “minori” preferendo giustamente la loro “tutela in situ”, non sia stata in grado di garantire altrettanto efficacemente la salvaguardia dei contesti paesaggistici e urbanistici che, insieme a quelli sociali e culturali, ben lungi dall’essere meri contenitori, avevano contribuito a determinarne i caratteri e le ragioni8. Già dalla relazione di apertura della Prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio9, Luca Odevaine, coordinatore scientifico e consulente del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ammette che «è mancata una pari attenzione verso la tutela del nostro paesaggio
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S. Settis, Italia S.P.A. L’assalto al patrimonio culturale, cit., p. 11. La letteratura che si propone di descrivere e indagare le ragioni del progressivo, fatale deterioramento dei paesaggi italiani nell’ultimo secolo è sconfinata e sarebbe fuori luogo cercare di fornirne in questa sede i principali riferimenti. Vogliamo citare, però, una considerazione di Leonardo Benevolo nella sua riflessione sulle trasformazioni urbanistiche e territoriali nell’Italia postunitaria, che sembra quasi una risposta al tema della cultura nazionale caro a Settis: «se una nuova identità italiana si è formata in questo periodo, essa sembra aver perduto i rapporti con lo scenario spaziale» (L. Benevolo, L’architettura nell’Italia contemporanea. Ovvero il tramonto del paesaggio, Laterza, Bari 1998, 2006, p. 3). 9 L. Odevaine, Gli obiettivi della Prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio, in AAVV, Conferenza Nazionale per il Paesaggio. Lavori preparatori, Gangemi, Roma 2000, p. 11. http://www.parc.beniculturali.it/ita/paesaggio/Prima_conf_naz_paesaggio.pdf 8
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con le sue valenze di tipo storico e culturale, ed oggi la situazione è quanto mai compromessa»10. Il riconoscimento formale dei valori del patrimonio è spesso avvenuto attraverso un conflitto tra i livelli istituzionali che la semplice applicazione del principio di sussidiarietà era ben lungi dal comporre mentre la dicotomia tutela, conservazione e sviluppo ha lacerato in modo profondo il territorio così come il tessuto sociale creando sacche di crescente illegalità anche in aree protette e vincolate11. Cercando a ritroso le ragioni di quello che si configura a tutti gli effetti come un fallimento, dobbiamo probabilmente ammettere con Antonia Pasqua Recchia che se guardiamo all’attività svolta nel passato dalle Soprintendenze […] una certa frustrazione derivante dall’impossibilità di entrare al momento giusto nei processi decisionali riguardanti il paesaggio si è fatalmente trasformata nella sottovalutazione della rilevanza sociale e culturale della tutela paesaggistica, in una sorta di declassamento nei confronti delle ben più gratificanti attività di tutela monumentale e di restauro12. Il punto debole della legislazione italiana sembra essere stata l’incapacità di trarre fino in fondo la conseguenza estrema del riconoscimento del “modello Italia” come modello diffuso fatto di realtà di eccellenza e realtà “minori”, di tessuti omogenei e di eventi isolati: la necessità di una stretta integrazione alla scala locale tra le politiche culturali e quelle urbanistiche, paesistiche, agricole e ambientali attraverso percorsi decisionali se non “condivisi” almeno “aperti” alle comunità, come unica concreta garanzia di salvaguardia del patrimonio culturale, delle sue valenze artistiche e storiche, e, soprattutto, di quelle identitarie, che almeno formalmente ne sostengono le ragioni della tutela.
I.1.2. L’approccio paesistico alla valorizzazione del patrimonio diffuso L’approccio che definiamo “paesistico” alla valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso nasce dalla presa di coscienza che il tessuto connettivo unico e pervasivo che collega i singoli beni culturali in sistemi dotati di senso non consi10
Ivi Cfr. A. Pasqua Recchia, Le strutture centrali e periferiche del Ministero nel confronto della Prima Conferenza Nazionale del Paesaggio, in AAVV, Conferenza Nazionale per il Paesaggio. Lavori preparatori, cit, p. 15. 12 Ivi. 11
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sta esclusivamente nella cultura e nella storia del territorio italiano, ma si sedimenti e si manifesti nei suoi paesaggi, la cui complessiva riqualificazione è condizione necessaria per la restituzione dei significati storici e identitari del patrimonio. Un tessuto connettivo “ovunque denso” perché pregno di significato anche nelle sue parti più degradate che esprimono le debolezze della nostra storia recente e, probabilmente, la sopravvenuta marginalità politica e sociale dei valori culturali storici e artistici che avevano ispirato i padri fondatori della Repubblica. I paesaggi italiani della contemporaneità, frammentati, incompiuti, degradati, testimoniano il prevalere, negli ultimi decenni, di istanze fortemente antagoniste a quelle della conservazione che hanno trovato larghi spazi di affermazione nelle pieghe della legislazione nazionale e che – a meno che non si ammetta una deriva antidemocratica – hanno goduto di un diffuso consenso e di un’adesione collettiva sui quali bisogna interrogarsi. «La “cultura del paesaggio” come sistema complesso è stata a lungo sottostimata, con la conseguente affermazione del principio riduttivo di una valutazione di compatibilità strettamente confinata all’ambito visivo-percettivo delle componenti del paesaggio»13, limitato e inutile ad arginare il fenomeno di crescita tumultuosa dell’urbanizzazione che ha caratterizzato il secondo dopoguerra, assumendo dimensioni tali da suscitare immagini forti come quella dell’alluvione che sommerge il paesaggio italiano evocata da Eugenio Turri14 e ripresa di recente da Alberto Asor Rosa15. Oggi il discorso del paesaggio italiano bruscamente interrotto nel secondo Novecento da qualcosa di estraneo e incoerente16 va ricucito, non più nella logica della mera conservazione, ma attraverso un forte e deciso riferimento alla pianificazione e soprattutto al progetto integrato come unico strumento possibile per una restituzione della leggibilità del patrimonio culturale come insieme. Solo questo passaggio consentirebbe di “attivare il modello Italia” che al momento appare più una possibilità che un fatto. Ad oltre mezzo secolo di distanza dalle leggi del ’39, il Testo Unico sulla Tutela dei Beni Culturali e del Paesaggio17 non sembra riconoscere pienamente lo scarto conoscitivo che separa il panorama attuale dagli indirizzi di quegli anni, la13
Ibidem, p.12. Cfr. E. Turri, Il paesaggio tra persistenza e trasformazione, in Touring Club Italiano, Il paesaggio italiano. Idee, contributi , immagini, Touring Editore, Milano 2000, pp. 72-75. 15 A. Asor Rosa, Questa Italia di cemento, in “La Repubblica”, mercoledì 4 luglio 2007, pp. 54-55. 16 Cfr. R. Gambino, A. Segre, Quadri ambientali e patrimonio culturale, in P. Coppola (a cura di), Geografia politica delle regioni italiane, Einaudi, Torino 1997, p.105. 17 Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 – Supplemento Ordinario n. 8 14
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sciando troppo spesso la composizione delle molte contraddizioni aperte alla sensibilità del pianificatore. Di fatto il tentativo di integrazione della legge 1089/3918, della legge Galasso19, dei principi della Convenzione Europea del Paesaggio, appare a volte sgraziato e non muove da una presa di posizione aperta di carattere preliminare sul rapporto fra “bene culturale” e “paesaggio” e, ancor di più, fra “paesaggio” e “ambiente”, sul piano concettuale e su quello operativo. È proprio del nuovo Codice dei Beni culturali e del Paesaggio un dissimulato ma paradossale oscillare del legislatore tra una definizione di paesaggio fondata sulla tradizionale accezione estetizzante che sta alla base dell’individuazione dei beni paesaggistici, dettagliatamente elencati all’articolo 13620 (che restituisce un’immagine del patrimonio quale “arcipelago” di isole di eccellenza), una parziale apertura a criteri “altri” di ordine storico, culturale ma anche vagamente ambientale (in particolare nella definizione delle motivazioni della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico all’articolo 13821) e una adesione più decisa del concetto di “paesaggio” a quello di “ambiente”, propria della legge Galasso, che informa la scelta delle aree tutelate per legge (art. 142). Ben più coerente e lineare appare la definizione proposta dalla Convenzione Europea del Paesaggio, all’articolo 1: Landscape means an area, as perceived by people, whose character is the result of the action and interaction of natural and/or human factors22. Se confrontato con i due commi dell’articolo 131 che il TU dedica alla definizione di “paesaggio”23, il concetto che emerge dalla ELC appare assai più sem18
Legge 1 giugno 1939 n. 1089 “Tutela delle cose di interesse artistico o storico”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 184 dell’8 agosto 1939 19 Legge 8 agosto 1985 n. 431: “Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 27 giugno 1985, n.312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 197 del 22 agosto 1985. 20 «cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica», «ville, giardini e parchi […] che si distinguono per la loro bellezza non comune», «complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale», «bellezze panoramiche considerate come quadri […] punti di vista o belvedere accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze» (ivi). 21 «caratteristiche storiche, culturali, naturali, morfologiche ed estetiche» (ivi). 22 Council of Europe, European Landscape Convention, Firenze 2000, Articolo 1. A. http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/Conventions/Landscape/default_en.asp 23 Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio…”, cit., Comma 1. «Ai fini del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interazioni»; Comma 2. “La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili”
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plice e incisivo, soprattutto in merito all’intricato tema del paesaggio come frutto di percezione. Nella prima definizione, infatti, il paesaggio esiste solo in quanto percepito, nella seconda esso esprime valori che costituiscono manifestazioni identitarie percepibili. Coerentemente con tali presupposti, la Europea del Paesaggio, nella definizione dei landscape quality objectives, invita esplicitamente le autorità pubbliche competenti a farsi interpreti «of the aspirations of the public with regard to the landscape features of their surroundings»24, riconoscendo «landscapes in law as an essential component of people’s surroundings, an expression of their shared cultural and natural heritage, and a foundation of their identity»25, fino all’invito «to establish procedures for the participation of the general public”26 e “to increase awareness among the civil society, private organisations and public authorities of the value of landscapes, their role and changes to them»27. A fronte di tale reiterato ed esplicito richiamo a forme di coinvolgimento della cittadinanza nei processi decisionali relativi alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, le disposizioni dell’articolo 144 (“Pubblicità e partecipazione”) parlano genericamente di «concertazione istituzionale, partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi, individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349» che – vale la pena di ricordarlo – «sono individuate con decreto del Ministro dell’Ambiente»28. Nessuna concessione esplicita è fatta, dunque, alla dimensione locale del problema né al concetto di cittadinanza, mentre nel tradizionale iter delle osservazioni al piano proposto dal Testo Unico, all’articolo 145 e successivi, il rapporto fra decisore e “cittadini” (in quanto proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree) si configura già nei termini di un possibile contenzioso. Al di là del citato obbligo alla “concertazione istituzionale”, il rapporto tra Stato/Regione e comuni, città metropolitane e province, si definisce in maniera del tutto analoga. È proprio in relazione alle “valenze identitarie” del patrimonio culturale e in particolare del paesaggio anche in quanto tessuto connettivo del patrimonio diffuso, che il riferimento alla letteratura internazionale appare più significativo e, in definitiva, indispensabile non certo per quella xenofilia acritica che secondo Settis è
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E.L.C., cit., Articolo 1. c Ibidem, Articolo 5. a 26 Ibidem, Articolo 5. c 27 Ibidem, Articolo 6. A 28 Legge 8 luglio 1986 n. 349: “Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 1986, Supplemento Ordinario n. 59, Art. 13. 25
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caratteristica del dibattito sui beni culturali in Italia. Si tratta, piuttosto, di comprendere alcuni limiti ormai storici della prassi pianificatoria nazionale, il rovescio della medaglia di un atteggiamento spesso troppo paternalistico e verticista nelle politiche statali, che si realizza non senza conflitti e che è certamente una delle cause del distacco, denunciato dallo stesso Settis, fra società civile e patrimonio. L’«unicità italiana» caratterizzata per Settis da «una cultura della conservazione integrata e “territoriale” che concepisce come un tutto unico il paesaggio, le città, i villaggi gli edifici, i quadri, i manoscritti, i musei»29, si può tradurre in reale azione di tutela e recupero del patrimonio culturale e paesaggistico solo passando attraverso la previsione di forme di coinvolgimento attivo delle comunità locali, la cui sensibilità – sollecitata da una recente stagione di protagonismo che sembra purtroppo essersi chiusa sul piano istituzionale, eccitata dal dilagare della questione ambientale e sostenuta, secondo Asor Rosa, da una crescente sfiducia nella politica – appare un fatto nuovo e interessante nel panorama nazionale. Questo fenomeno si concretizza nella nascita di una miriade di comitati per la difesa del territorio e dell’ambiente, una fenomenologia nuova per la modalità di costituzione spontanea, dal basso, e per la tendenza dei singoli nuclei a federarsi dal Val di Noto alla Val d’Orcia”30. Vista in questi termini, la procedura prevista dal T.U. sembra rimandare al pianificatore la scelta o meno dell’opzione partecipativa che, se svincolata dalla logica delle “osservazioni”, assumerebbe necessariamente la dimensione di una riflessione a tutto campo sul modello di sviluppo che la comunità locale intende perseguire. Questa dimensione latente della pianificazione paesistica è la ragione dei conflitti che agitano i territori le cui dinamiche sfuggono alle rappresentazioni istituzionali. A poco giova invocare il ruolo di “custodi del patrimonio” per cittadini che – è questo il caso tipico del patrimonio archeologico – sono stati a lungo esclusi non solo dai processi decisionali ma anche dal puro e semplice accesso alle conoscenze. La scarsa propensione all’adozione di processi decisionali condivisi è peraltro un carattere nazionale tipico, testimoniato dalla scarsa fortuna della Carta di Aalborg31 e dalla poca attenzione di cui hanno goduto le Agende 21 Locali32 avviate nel nostro paese, presto divenute, anziché parte centrale del programma dei sindaci, 29
S. Settis, Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, cit., p.59. Cfr. A. Asor Rosa, Questa Italia di cemento, cit., p.54. 31 Carta di Aalborg, approvata dalla Conferenza europea sulle città sostenibili tenutasi ad Aalborg, Danimarca, il 27 maggio 1994. Http://ec.europa.eu/environment/urban/pdf/aalborg_charter.pdf 32 La Carta di Aalborg ha dato avvio alla Campagna delle Città europee sostenibili. Ogni autorità locale, o associazione di autorità locali, può partecipare alla Campagna sottoscrivendo la Carta di Aalborg e impegnandosi ad avviare un processo di Agenda 21 Locale. Tale processo è finalizzato alla definizione e all’attuazione di un piano d’azione locale che ha come obiettivo la sostenibilità ambientale. Http://ambiente.formez.it/agenda_21_locale.html 30
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retaggio esclusivo di qualche assessorato all’ambiente, mentre molti dei percorsi locali condivisi rivolti a soggetti locali non istituzionali venivano frettolosamente bollati con l’etichetta di “progetti di educazione ambientale”, la cui importanza e le cui risorse, neanche a dirlo, erano assai ridotte. La marginalità dei temi della formazione e dell’educazione nel T.U. fa d’altra parte rimpiangere i tempi in cui beni culturali e paesaggio erano materia che riguardava la “Pubblica Istruzione”.
I.2. Patrimonio, specialismi, comunità I.2.1. I principi della “conservazione integrata”
Oltre a supportare un ragionamento teorico su patrimonio e cittadinanza il riferimento al panorama internazionale dei documenti di indirizzo può fornire, soprattutto in merito alla valorizzazione del patrimonio archeologico, alcune indicazioni metodologiche utili alla costruzione di un percorso di mediazione fra gruppi di ricerca e di lavoro a carattere specialistico, istituzioni competenti e comunità locale, a cominciare dalle indicazioni contenute nella Carta internazionale per la gestione del patrimonio archeologico, preparata dal Comitato Internazionale per la gestione del patrimonio archeologico e adottata dalla IX Assemblea Generale dell’ICOMOS nel 1990, nota come “Carta di Losanna”1 che pone al centro il tema della “conservazione integrata” del patrimonio archeologico. La Carta internazionale di Losanna pone, infatti, con forza l’accento sui due aspetti fondamentali della gestione del patrimonio archeologico: 1) l’integrazione disciplinare, la collaborazione fra specialisti e l’ampliamento dello spettro dei soggetti coinvolti nel processo di valorizzazione attraverso la collaborazione fra il settore pubblico, del mondo della ricerca, delle imprese private e il coinvolgimento del grande pubblico. 2) il diritto alla partecipazione ai processi decisionali delle popolazioni locali, vere protagoniste dei progetti di valorizzazione, la cui adesione è condizione essenziale per la protezione e la conservazione dei monumenti e dei siti. Il patrimonio archeologico, definito come «la parte del nostro patrimonio materiale per la quale i metodi dell’archeologia forniscono le conoscenze di base” che “ingloba tutte le tracce dell’esistenza umana e riguarda i luoghi in cui si sono esercitate le attività umane (…), le strutture e le vestigia abbandonate di ogni sorta, in superficie, nel sottosuolo o sottacqua, così come il materiale che è loro associa1 Carta internazionale per la gestione del patrimonio archeologico (Carta di Losanna, 1990) http://www.international.icomos.org/e_archae.htm
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to»2, è subito individuato come «ricchezza culturale fragile e non rinnovabile»3 la cui conservazione richiede una integrazione sistematica fra «le politiche di protezione del patrimonio archeologico e quelle relative all’agricoltura, all’uso del suolo, all’ambiente, all’istruzione», secondo scale della pianificazione che interessano i livelli, nazionale, regionale e locale4. Il coinvolgimento della comunità locale, passo obbligato delle politiche di conservazione, deve fondarsi sull’accesso alle conoscenze, come condizione necessaria ad ogni decisione. Secondo lo schema tipico dei documenti ICOMOS sul patrimonio, la carta invoca una legislazione adeguata5 che riconosca nel patrimonio archeologico un bene identitario a una duplice scala, quella locale/nazionale e quella planetaria, per impedirne in quanto tale la distruzione, il degrado o l’alterazione per trasformazioni di ogni monumento, di ogni sito archeologico o del contesto circostante (environment) senza l’approvazione dei servizi archeologici competenti. Naturalmente è proprio la questione della salvaguardia del contesto paesaggistico e ambientale dei siti a costituire il problema principale in termini sia di scelte progettuali sia di gestione ed è proprio su questo aspetto che il richiamo all’obbligo della “presentazione” (presentation) del sito, secondo la carta già durante i lavori – richiamo largamente disatteso in Italia – potrebbe essere un terreno decisivo di mediazione tra gli specialisti e le popolazioni locali così come il “grande pubblico”. L’articolo 7 individua, appunto, nella presentazione dei siti al grande pubblico un mezzo fondamentale sul piano anzitutto educativo «per accedere alla conoscenza delle origini e dello sviluppo delle società moderne» ma anche «il mezzo più importante per far comprendere la necessità di proteggere questo patrimonio»”. Sulla natura di questa presentazione si sofferma Maria Clara Ruggieri Tricoli, individuando un precedente importante, già dal 1972, nella Raccomandation Concerning the Protection at National Level of the Cultural and Natural Heritage che propone la sequenza protezione, conservazione e presentazione6 e per «meglio delineare il senso di quest’ultima [introduce] un’appropriata aggettivazione (effective presentation, art. 8), segno di una diffidenza per le “aperture al pubblico” o le “fruizioni” che poco somigliano a vere presentazioni o a vere musealizzazioni. La effective presentation è, innanzitutto, una presentazione concreta e “in situ”»7. 2
Articolo 1 Articolo 2 4 Articolo 2 5 Articolo 3 6 UNESCO, Raccomandation Concerning the Protection at National Level of the Cultural and Natural Heritage Parigi, 1972, art. 4 7 M.C. Ruggieri Tricoli, I siti archeologici. Dalla definizione del valore alla protezione della materia, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2004, cit., p.15. 3
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È opportuno soffermarsi sul portato della carta secondo cui la divulgazione delle conoscenze, intesa come leggibilità del sito nel suo contesto, anticipata alla fase iniziale del progetto di tutela, assume un ruolo fondamentale non solo nel processo che si suole definire di “valorizzazione” ma come strumento stesso di “conservazione”8, per la riconoscibilità che può conferire al bene archeologico, stimolando attraverso processi di significazione/identificazione il sostegno delle comunità alla tutela e alla gestione, come peraltro auspicato all’articolo 69. Resta da definire, e non è poco, in quali termini debba essere concepita la presentazione del sito e quali competenze debbano contribuire alla sua interpretazione.10 Una idea di presentazione dei siti che si fondi su strumenti di carattere esclusivamente museologico, in particolare nel caso del patrimonio diffuso, appare del tutto inadeguata. In questo caso il territorio stesso diviene bene culturale e il
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Del resto questo concetto, sotto varie forme, è presente in modo ormai molto esplicito nella letteratura internazionale. La Carta di Burra (Carta di ICOMOS Australia per la conservazione dei luoghi e dei beni patrimoniali di valore culturale, 1979 con modifiche del 1981, 1988, 1999) alla domanda Perché conservare? risponde con chiarezza nel Preambolo che le ragioni della conservazione derivano dal valore “culturale” del patrimonio e dalla sua valenza di testimonianza storica in grado di «arricchire la vita delle persone» offrendo «una relazione profonda e ispiratrice con la collettività, il paesaggio, il passato e le esperienze vissute». Si precisa poi che «per valore culturale si intende valore estetico, storico, scientifico, sociale o spirituale». Le note esplicative chiariscono, infine, che il valore culturale può evolversi in ragione della storia dei luoghi e che la nostra comprensione del valore culturale dipende dalle informazioni di cui disponiamo. Cfr. http://www.icomos.org/australia/images/pdf/BURRA_CHARTER.pdf 9 UNESCO, Raccomandation, cit., art. 4: «L’impegno e la partecipazione della popolazione locale, devono essere incoraggiati in quanto strumento d’azione per la manutenzione del patrimonio archeologico. In certi casi può essere consigliabile affidare la responsabilità della gestione e della protezione dei monumenti e dei siti alle popolazioni autoctone». 10 Nella versione definitiva della Carta di Ename di ICOMOS per la Interpretazione e Presentazione dei Siti di Patrimonio Culturale (2007) si danno le seguenti definizioni: «Interpretation refers to the full range of potential activities intended to heighten public awareness and enhance understanding of cultural heritage site. These can include print and electronic publications, public lectures, onsite and directly related off-site installations, educational programmes, community activities, and ongoing research, training, and evaluation of the interpretation process itself. Presentation more specifically denotes the carefully planned communication of interpretive content through the arrangement of interpretive information, physical access, and interpretive infrastructure at a cultural heritage site. It can be conveyed through a variety of technical means, including, yet not requiring, such elements as informational panels, museum-type displays, formalized walking tours, lectures and guided tours, and multimedia applications and websites». Cfr. The ICOMOS Charter for the Interpretation and Presentation of Cullturall Heritage Sites (The Ename Charter) Proposed final draft Revised under the Auspices of the ICOMOS International Scientific Committee on Interpretation and Presentation - 10 April 2007., Definitions. http://www.enamecharter.org/downloads/ICOMOS_Interpretation_Charter_EN_10-0407.pdf.
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progetto di “presentazione” deve misurarsi con livelli elevati di complessità che investono la questione dell’accessibilità dei singoli elementi del “sistema diffuso”, dell’esplicitazione immateriale e materiale di relazioni “grattate via” dal palinsesto del territorio ma fondamentali per la comprensione dei valori storici, della riqualificazione complessiva dello spazio in cui si dipanano queste relazioni, della ricucitura dei rapporti fra i luoghi e l’insieme delle stratificazioni storiche che testimoniano lo sguardo diacronico delle comunità locali sui siti, di inclusione, rispetto, negazione.
I.2.2. Quale “turismo culturale”? La difficile dialettica fra salvaguardia e sviluppo Se il sito archeologico è pensato come bene inscindibile dal suo “contesto” il richiamo alla conservazione integrata delle aree archeologiche, così come del patrimonio culturale diffuso in generale, deve dunque concretizzarsi in un dialogo paritetico fra le competenze diverse che entrano in gioco secondo una definizione inclusiva di patrimonio come «concetto vasto» che «riunisce allo stesso modo l’ambiente naturale e quello culturale». Tale è la definizione proposta nell’ambito della Carta Internazionale del Turismo Culturale, sulla gestione del Turismo ai Siti di Patrimonio Significativo, adottata dall’ICOMOS alla XII Assemblea Generale in Messico nell’ottobre 1999. Essa ingloba le nozioni di paesaggio, insiemi storici, siti naturali e costruiti, così come le nozioni di biodiversità, collezioni, pratiche culturali tradizionali o presenti, conoscenza e sperimentazione. Il patrimonio, dunque, «ricorda ed esprime il lungo percorso di sviluppo storico che costituisce l’essenza delle diverse identità nazionali, regionali, indigene e locali, e fa parte integrante della vita moderna»11. In questa continuità del processo materiale e immateriale di “costruzione del patrimonio”, leggibile attraverso l’insieme delle sue percezioni e rappresentazioni, consiste principalmente la sua potenziale vitalità, la sua capacità di esprimere l’identità locale e le diversità culturali come bagaglio delle popolazioni, terreno di confronto e massa d’inerzia di fronte al potenziale distruttivo dei processi di globalizzazione in atto. La carta ribadisce, infatti, con grande chiarezza l’importanza della protezione, conservazione, interpretazione (concetto che sarà poi meglio specificato da ICOMOS attraverso la Carta di Ename) e presentazione delle diversità culturali come occasione di nuovo protagonismo delle comunità locali. Prima ancora 11
Cfr. ICOMOS, International Charter on Cultural Tourism 1999 http://www.icomos.org/tourism/charter.html. Cfr. http://www.icomos.org/tourism/index.html; Carta Internazionale del Turismo Culturale, sulla gestione del Turismo ai Siti di Patrimonio Significativo, Assemblea Generale Messico 1999
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dei visitatori sono proprio queste i soggetti centrali nei programmi di conservazione, ancorché finalizzati allo sviluppo del turismo culturale, poiché ogni progetto di valorizzazione dovrà passare attraverso il loro riconoscimento dei valori del patrimonio e la loro responsabilità nel perpetuarli. Se la carta riconosce nel turismo uno dei principali veicoli di scambio culturale e potenzialmente «una forza positiva che favorisce la conservazione del patrimonio naturale e culturale» oltre che un «fenomeno complesso, in pieno sviluppo», tuttavia non si nascondono i rischi correlati a un turismo eccessivo o mal gestito che può al pari di altre attività antropiche intensive «nuocere all’integrità fisica e al significato del patrimonio» conducendo «al degrado degli spazi naturali, così come delle culture e dei modi di vita delle comunità locali»12. La carta individua nella partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel processo di sviluppo turistico del territorio, il principale strumento per evitare questo rischio. I tecnici, gli specialisti della conservazione, il livello politico, «trarranno i principali spunti per il progetto di sviluppo dall’incontro con i rappresentanti delle comunità locali e con gli attori pubblici e privati interessati»13. Nella logica di sostenibilità del turismo a questo tavolo di concertazione sono naturalmente simbolicamente invitate le generazioni future i cui diritti dovranno essere considerati in ogni decisione. Fra gli obiettivi della carta il primo, posto con grande lucidità, è quello della accessibilità del patrimonio. Occorre infatti «incoraggiare e facilitare il lavoro di coloro che partecipano alla conservazione e alla gestione del patrimonio al fine di renderlo più accessibile alle comunità locali e ai visitatori»14. Gli obiettivi successivi sembrano in qualche modo discendere da questo primo enunciato. Occorrerà, infatti, incoraggiare un rapporto di scambio e di dialogo fra i responsabili della ricerca e della conservazione e gli operatori turistici affinché la mera fruizione turistica possa tradursi in un gradevole ed efficace accesso non solo al bene nella sua consistenza materiale, ma anche al suo contesto ambientale e culturale e soprattutto ai significati culturali e identitari di cui esso è portatore. A questo punto la carta individua nel livello politico-amministrativo il promotore di quelle che si potrebbero definire vere e proprie strategie per la lettura (presentazione ed interpretazione) del patrimonio, incoraggiando da parte dei soggetti pubblici ed istituzionali ai vari livelli il proseguimento dell’iter aperto dalla carta, attraverso l’emanazione di linee guida che possano facilitare l’applicazione di questi principi ai contesti specifici. Come sottolineato nella seconda parte della Carta, che elenca i principi di riferimento, alla base di ogni processo virtuoso di sviluppo turistico, specie se fonda12
Ibidem Ibidem 14 Ibidem 13
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to sul patrimonio culturale, deve esserci «una profonda comprensione del significato del patrimonio e delle relazioni che corrono fra siti, contesto culturale e sociale, ambiente naturale, da parte sia delle popolazioni locali sia dei visitatori». Per tale ragione si rendono necessari veri e propri programmi di interpretazione in grado di affrontare la restituzione dei significati in chiave comparativa, ponendo l’accento sulle specificità e gli elementi di diversità culturale e adottando registri e strumenti comunicativi diversi a seconda che siano rivolti alla comunità o ai visitatori. «I programmi di interpretazione [1.3] devono facilitare e incoraggiare una presa di coscienza profonda da parte del pubblico, quale base essenziale per assicurare la tutela nel tempo del patrimonio naturale e culturale»15. La salvaguardia del patrimonio, fondandosi su una tutela inclusiva dei suoi valori, ivi compresi quelli ambientali, ed essendo parte integrante delle politiche di sviluppo economico, sociale e turistico, richiede che decisioni e strategie mirate allo sviluppo turistico siano regolarmente accompagnate da una costante attività di ricerca. Il ruolo dei gruppi di ricerca si rivela essenziale non soltanto nella fase progettuale dell’intervento di tutela e valorizzazione ma anche e soprattutto nella fase di gestione, la cui centralità nei documenti di indirizzo è pari alla marginalità e indeterminatezza nella prassi corrente. I piani di gestione citati al principio 2 sono chiamati a definire e verificare una pluralità, di aspetti fra cui: l’impatto della fruizione turistica sulle caratteristiche fisiche, l’integrità, l’ecologia e la biodiversità degli spazi, le modalità di accesso, i sistemi di trasporto, il benessere sociale, economico e culturale delle comunità locali. Ai piani di gestione devono essere sempre associati, infine, dei programmi di valutazione che permettano di «stimare gli impatti progressivi delle attività turistiche e dello sviluppo su certi spazi e certe comunità». Il quarto principio è quello che, nei contenuti, presenta le maggiori affinità con la Carta Europea del Turismo Sostenibile16, ponendo al centro delle finalità dello sviluppo turistico una ripartizione il più possibile equa ed ampia dei benefici, nel rispetto dei diritti e degli interessi delle comunità di riferimento. L’interesse turistico del patrimonio deve trasformarsi, dunque, in «risorsa per la valorizzazione di altri valori espressi dal territorio, delle tradizioni, delle pratiche, dei saperi locali». Ciò può avvenire se l’obiettivo del turismo culturale è, 15
Ibidem EUROPARC, The European Charter for Sustainable Tourism, 2005. www.europarc.org/european-charter.org/Documents/Hannover%20Networkmeeting.pdf EUROPARC è un’organizzazione non governativa che raggruppa le strutture di gestione delle aree protette europee. 16
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come dev’essere, quello di una profonda comprensione del contesto. La ricaduta economica del turismo poi, deve essere essa stessa una fonte importante per il finanziamento delle opere di salvaguardia e per l’avvio di progetti di miglioramento del contesto, anche sociale, primi fra tutti quelli mirati all’acculturamento e alla formazione dei soggetti locali, per sviluppare nella comunità professionalità sempre più adeguate alla domanda turistica. Si raccomanda, infine, la correttezza nella costruzione dei programmi di promozione turistica, che devono «suscitare attese realistiche»17 e informare in modo responsabile i potenziali visitatori sulle caratteristiche dei siti e delle comunità, incoraggiandoli «a comportarsi in maniera adeguata». Questo principio si traduce, in sostanza, in un invito, rivolto non soltanto ai responsabili della conservazione e presentazione del patrimonio, ma, soprattutto, agli operatori turistici che vogliano aprire i loro interessi al segmento specifico del turismo culturale, ad assumersi un ruolo di mediatori culturali assai più complesso e significativo del tradizionale compito, essenzialmente di supporto logistico. Questa nuova “eticità” dei programmi di promozione deve tradursi in prima battuta nel fare dell’organizzazione dei flussi turistici uno strumento virtuoso di «redistribuzione dei benefici» in grado di «alleggerire la pressione sui siti più famosi» e «incoraggiare i visitatori a sperimentare in modo più ampio i diversi elementi del patrimonio naturale e culturale di una regione o di una località», privilegiando il prodotto locale, artigianale, agricolo, gastronomico. Peraltro il richiamo a un giusto bilancio fra i molti valori espressi dal territorio era già contenuto nella cosiddetta Carta di Burra18, che precede le carte sin qui esaminate e contiene in embrione molti dei concetti ampliati nei successivi documenti, ma anche alcune specificità interessanti e certi concetti originali e significativi, quale ad esempio il concetto di luoghi associati come «l’insieme di quei luoghi e beni che, ancorché localizzati altrove, partecipano e contribuiscono al valore culturale di un altro luogo o di un altro bene patrimoniale». In questo senso l’insieme dei siti K.A.S.A. è scomponibile in una serie di gruppi di luoghi associati che traggono forza e importanza dalla reciproca esistenza e il cui valore culturale potenziale deve essere posto in atto da un’azione di ricostruzione materiale e immateriale delle relazioni perdute. Tale azione di ri-significazione del territorio storico o archeologico, in coerenza col portato centrale della Carta di Burra, deve avvenire nel rispetto dei valori culturali e naturali di cui ogni luogo è portatore, «senza accordare preferenze ingiustificate ad uno a detrimento dell’altro».
17
Principio 6 18 ICOMOS Australia, Carta di Burra per la conservazione dei luoghi e dei beni patrimoniali di valore culturale, 1979 con modifiche del 1981, 1988, 1999, cit.
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I.2.3. Valori culturali, valori ambientali. Il concetto di “paesaggio” come sintesi e principio ispiratore di politiche integrate L’equilibrio fra i valori naturalistici ed ecosistemici dei luoghi e i valori storici e culturali, sulla base del riconoscimento reciproco fra le discipline che si occupano di patrimonio e territorio è principio ispiratore di molti documenti internazionali. Conseguenza inevitabile di tale riconoscimento è una maggiore articolazione dei processi decisionali, che però solo apparentemente complica la fase operativa dei programmi di valorizzazione. Di fatto l’integrazione disciplinare a monte del processo anticipa e previene i conflitti che spesso, nell’approccio settoriale, sono solo aggirati in fase decisionale, per poi esplodere, in tutta la loro gravità, nel corso della fase attuativa, traducendosi in una sostanziale paralisi dei progetti, a tutto discapito della tutela dei siti. Per questo è necessario che il processo che conduce ad un intervento concreto sui luoghi si fondi sulla sequenza conoscenza/decisioni/azioni, in realtà spesso gravemente sovvertita nelle politiche per i beni culturali, con particolare riferimento al tema del “recupero dei contenitori” storici o a quello della “sistemazione dei siti”. Nell’ambito del periodo di programmazione dei Fondi Strutturali 2000-2006 della Regione Sicilia si possono citare numerosissimi casi in cui è invalsa la prassi scellerata del recupero del patrimonio a fronte di piani di gestione/fruizione inesistenti o del tutto pretestuosi. Tale prassi rende impraticabile un passaggio delicato e fondamentale del programma di valorizzazione del sito, che la Carta di Burra non manca di sottolineare in particolare all’articolo 7: la valutazione della compatibilità dei nuovi usi. Il processo propugnato dalla Carta di Burra è sintetizzato in uno schema allegato alla carta stessa che riporta la sequenza analisi/decisioni/interventi definita all’articolo 6, di seguito riportata. Comprendere il significato
Conoscere il luogo o il bene e le sue associazioni19 Proteggere e rendere sicuro il luogo o il bene
Ricerche e consultazioni più approfondite possono rendersi necessarie
Raccogliere e registrare una quantità di informazioni sul luogo o sul bene sufficienti a 19
ICOMOS Australia, Carta di Burra, cit., note esplicative all’articolo 8.
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Preparare una politica e degli orientamenti strategici
Gestire
comprenderne il significato documenti testimonianze orali tracce fisiche Valutare il valore e il significato Preparare una “dichiarazione di valore” Identificare gli obblighi che discendono dal valore Raccogliere informazioni su altri fattori che condizionano il futuro del luogo o del bene risorse dei proprietari o dei gestori fattori esterni condizione fisica Elaborare la politica o gli orientamenti fondamentali Stabilire le scelte e valutare gli impatti eventuali sul valore del luogo o del bene Produrre un programma (una dichiarazione) di politica Gestire il luogo o il bene conformemente alla politica prescelta elaborare delle strategie metterle in opera nel piano di gestione documentare il luogo o il bene prima di ogni intervento che lo modificherà
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Alcune di queste tappe devono essere ripetute
L’insieme del processo è iterativo
Un dato forte della Carta di Burra è l’attenzione in essa attribuita al contesto paesaggistico dei luoghi, non solo come parte del valore intrinseco da salvaguardare, ma anche in relazione alla concezione del nuovo intervento di sistemazione e degli interventi programmati nell’intorno del luogo o del bene. In particolare, è la qualità del contesto percepibile che costituisce un obiettivo importante del progetto di tutela e valorizzazione, il quale deve tenere conto non solo dei caratteri del sito o del bene in sé ma anche delle relazioni che esso instaura con il paesaggio intorno in termini di forme, masse, scala, carattere, colore e persino di tessitura dei materiali.
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Dalla scala della programmazione, dunque, a quella della pianificazione, a quella della progettazione paesaggistica e architettonica, il tema del paesaggio si pone come argomento centrale il cui valore aggiunto è dato dalla sua natura intrinseca di opera collettiva e dunque, più di ogni altro bene, di patrimonio identitario dal quale nessuno può essere escluso, non già in termini di principio ma anche solo per motivi puramente pratici. Nella nostra riflessione sui possibili percorsi di valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso nel territorio ibleo, diventa fondamentale il tema del paesaggio agrario, la cui problematica esemplifica in modo lampante le questioni sopra esposte. Il paesaggio agrario ibleo, infatti, con i suoi specifici caratteri formali e strutturali, costituisce il tessuto connettivo entro cui si collocano in modo prevalente i siti che articolano il sistema culturale oggetto di studio. Esso ne rappresenta, spesso, l’orizzonte visivo e lo spazio di accesso, in molti casi addirittura sotto un regime di proprietà privata, in una varietà di situazioni che vanno da contesti altamente qualificanti a paesaggi “problematici” in condizioni di degrado e abbandono. Si tratta di un tessuto connettivo “denso” perché carico di valori storici e ambientali, i quali vanno considerati come variabili da integrare nel progetto e come potenziali moltiplicatori delle ricadute sociali ed economiche del progetto di valorizzazione del patrimonio culturale diffuso. Che la questione del paesaggio agrario, seppur complessa, non possa essere elusa nei processi di valorizzazione del patrimonio culturale, specialmente di quello archeologico, oltre che dalla citata Carta di Losanna, è testimoniato dal recente orientamento dei documenti nazionali e dei programmi operativi regionali che governano la spesa a valere sui fondi europei. Dal Quadro Strategico Nazionale (QSN 2007-2013)20 al Programma Operativo Regionale (POR Sicilia 2007-2013)21 al Piano di Sviluppo Rurale (PSR Sicilia)22 il tema dell’integrazione fra politiche agricole e politiche culturali e paesistico-ambientali è centrale e trova nuovi importanti strumenti e orizzonti attuativi.
20
Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione, Quadro Strategico Nazionale (QSN 2007-2013), http://www.dps.mef.gov.it/QSN/qsn.asp, dicembre 2006 21 Regione Siciliana, Programma Operativo Regionale FESR 2007-2013, adottato con decisione N. C(2007) 4249 del 7 settembre 2007. http://www.euroinfosicilia.it/sicilia/POFESR_07_13/PO%20FESR%2020072013%20Invio%20Commissione.pdf 22 Regione Siciliana – Assessorato Agricoltura e Foreste, Programma di Sviluppo Rurale Sicilia 2007-2013, Palermo, gennaio 2008 Cfr. http://db.formez.it/storicofontinor.nsf/0/64843FDF027D3ABAC1256C0F00390DA8/$file/PSR_Sicili a.doc http://www.regione.sicilia.it/Agricolturaeforeste/Assessorato/psr.htm
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Uno dei più significativi è quello che riguarda la riconversione e la diversificazione delle attività agricole e la reintepretazione dello spazio dell’agricoltura non più esclusivamente sulla base del suo valore economico ma in relazione ai valori culturali e ambientali di cui esso è portatore e al contributo che un suo rinnovamento potrebbe dare alla costruzione di progetti di sviluppo locale sostenibile. Non è un caso che la riflessione intorno al tema del futuro dei paesaggi agrari italiani sia al centro del dibattito nel corso della Conferenza Nazionale per il Paesaggio promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a partire da una riflessione di carattere storico intorno alle trasformazioni che hanno investito il paesaggio agrario italiano non solo in senso materiale ma anche nella sua concezione e valutazione. Maurizio Boriani osserva, ad esempio, che «nella storia del paesaggio italiano utile e diletto sono costantemente presenti nei giudizi degli scrittori di agraria e nelle descrizioni dei viaggiatori»23 ed è indubbio che nelle esperienze più avanzate di riconversione e rilancio dell’attività agricola la qualità estetica e ambientale dei contesti paesaggistici sia elemento propulsivo nella promozione del prodotto agricolo di qualità. Nell’ambito nazionale e regionale, ancora una volta, l’esperienza delle aree protette è pioniera. Qui, attraverso l’ampio ricorso ai molti strumenti finanziari a sostegno della diversificazione delle attività agricole e alla creazione di un sistema di accoglienza e ricettività diffusa fondato sul recupero del patrimonio rurale, l’arcipelago variegato delle fattorie didattiche, degli agriturismi, dei villaggi-albergo e dei B&B – organizzato, nei casi più avanzati, in consorzi – è spesso divenuto il principale sistema di accesso alle informazioni sul patrimonio culturale diffuso, ancor prima e ancor meglio delle apposite “reti museali”. Di qui l’invito a riflettere su un nuovo possibile statuto dell’agricoltura a partire da una revisione figura professionale sociale dell’agricoltore che gli riconosca nuovamente il ruolo storico di manutentore del territorio. Tale invito sembra convergere con le disposizioni dell’Asse III del POR Sicilia e con le indicazioni dell’Asse II del Piano di Sviluppo Rurale contenente le misure mirate a incentivare il miglioramento paesaggistico e ambientale dello spazio rurale24 e a trovare nuovi margini di discussione intorno agli usi di un paesaggio agrario che nell’area iblea è ancora estesamente classificabile come “storico”, anche in riferimento alla qualità e ai caratteri tipologici del patrimonio costruito. La natura estensiva della questione, nel caso del paesaggio, rende obbligatorio quel processo di costruzione di un consenso diffuso intorno al progetto di valorizzazione del patrimonio che nel caso dei beni culturali rischia di restare ancora a lungo un’aspirazione vaga. Massimo Quaini sottolinea e chiarisce questo punto, quando afferma che 23
M. Boriani, Il paesaggio “storico”: alcune questioni di tutela, manutenzione e uso, in AAVV, Conferenza Nazionale per il Paesaggio. Lavori preparatori, cit, p. 53. 24 Programma di Sviluppo Rurale Sicilia 2007-2013, cit., p.261 e sgg.
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possiamo ritenere che la pianificazione paesistica, lungi dall’essere subordinata a quella territoriale e ambientale, la ricomprenda e possa costituire la via per rinsaldarne la scarsa legittimazione sociale di cui gode oggi la pianificazione urbanistica. È attraverso il paesaggio infatti che possiamo ri-inventare il piano come “racconto identitario” basato non solo sulla valorizzazione dell’ascolto e della memoria storica dei destinatari ma anche su nuovi processi di patrimonializzazione che riguardando ambiti tradizionalmente fuori della percezione paesaggistica come quelli del campo etno-botanico e dei produits du terroir che più direttamente coinvolgono il discorso che intende coniugare paesaggio e convivialità.25
Quaini definisce il suo concetto di convivialità ispirato all’utopia di Ivan Illich negli anni Settanta del Novecento come «il contrario della produttività industriale, una produttività che per quanto ipertrofica non riesce a soddisfare il i bisogni creati e moltiplicati a gara».26 Nella sua riscoperta dei fattori rimossi o degradati dalla crescita industrialista e del potere esclusivo del mercato l’approccio territorialista promosso da Alberto Magnaghi e fondato sulla riscoperta delle identità territoriali e urbane, propone, secondo Quaini un modo molto convincente di trattare “gli scarti” della storia. Magnaghi riecheggia certo la contrapposizione individuata da Lewis Mumford fra due diversi tipi di relazione con l’ambiente, uno (“maschile”) fondato sullo sfruttamento, l’altro (“femminile”) basato sulla cura dei luoghi. E, pur riconducendo le osservazioni di Mumford al loro contesto storico e alle influenze del pensiero di Reclus, Kropotkin e –naturalmente – di Patrick Geddes,27 Quaini riconosce che oggi, nel dibattito intorno allo sviluppo locale, permane l’alternativa fra due forme di territorialità che non hanno cessato di scontrarsi e che ci riportano alla dialettica dentro-fuori, interno-esterno, inclusioneesclusione che [...] continueremo a scoprire anche dentro il paesaggio che ci avvolge.28
Il tema della valorizzazione del vulnerabile e spesso ferito patrimonio archeologico diffuso in area iblea, infatti, non può essere separato dalla questione complessa ma centrale del riconoscimento e della valorizzazione del sistema debole che Cesare De Seta, già nel 1985, nel programmatico saggio introduttivo al volume del-
25
M. Quaini, L’ombra del paesaggio. L’orizzonte di un’utopia conviviale, Diabasis, Reggio Emilia, 2006, p.18. 26 Ibidem, p.19 27 Cfr. Ibidem, p. 48 28 Ivi
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la Storia di Italia Einaudi dal titolo Insediamenti e territorio definisce «risorsa preziosa di un’Italia che aspira a darsi un ordine territoriale meno convulso e squilibrato di quello che s’è dato»29. Se si guarda, ad esempio, al territorio della costa orientale, che costituisce l’ambito più palesemente compromesso, appare chiara la contrapposizione fra l’evidenza del “sistema forte” (la polpa) e il paesaggio dell’abbandono (l’osso)30 entro il quale si collocano molti dei siti oggetto di questa ricerca. La logica di sfruttamento del territorio attraverso meccanismi di zonizzazione e separazione funzionale e la scala enormemente dilatata delle relazioni funzionali che la città contemporanea intesse con luoghi remoti attraverso reti sempre più complesse hanno avuto come conseguenza importante l’interruzione del rapporto fondativo città-contado che nel nostro territorio si era in qualche modo perpetuato fino alle soglie del processo di industrializzazione forzosa. Al tempo stesso, però, la campagna che circonda i centri urbani di Augusta, Priolo, Melilli resta visibilmente uno spazio stratificato in cui i valori di naturalità si intrecciano con le tracce di secoli di trasformazioni umane. Il paesaggio extraurbano nel suo complesso è espressione di quella temporalità insieme lineare (della storia) e ciclica (della natura)31, che consente all’uomo di definire nel rapporto con il luogo la propria identità, ricavandone benessere e qualità della vita. Queste potenzialità del territorio – piuttosto latenti che in atto – devono divenire materia di progetto paesistico, essere cioè esplicitate attraverso la costruzione di relazioni armoniose e leggibili fra valori ambientali e valori culturali, così come fra i valori di cui il territorio extraurbano è portatore e quelli espressi dalle centralità urbane – archeologiche o contemporanee che siano – che sole possono restituire senso reale all’insieme frammentato dei siti diffusi, al di là di ogni banalizzazione. La ricucitura del rapporto città-campagna in termini di accesso, fruizione e scambio è un obiettivo desiderabile per gli abitanti prima ancora che un intervento a beneficio del turista. La riqualificazione del paesaggio, intesa come costruzione di un percorso di sviluppo territoriale alternativo ai modelli tradizionali basati sullo sfruttamento delle risorse e sul conflitto conservazione/crescita economica, si presenta come l’unica occasione possibile per ricollocare il dibattito intorno alle ricadute dell’azione di tutela del patrimonio, sottraendo “l’utilità” di quest’ultima al ruolo di mero supporto di un indefinito “sviluppo turistico”. L’asse della riflessione si sposta infatti dal
29 C. De Seta, Resistenze e permanenze delle strutture territoriali, in Storia d’Italia - Annali 8. Insediamenti e territorio, Einaudi, Torino 1985, p.XXVI 30 Quella della polpa e dell’osso è una nota metafora di Manlio Rossi Doria., Fra gli altri cfr. M. Gorgoni (a cura di), Manlio Rossi-Doria. La polpa e l'osso : scritti su agricoltura risorse naturali e ambiente, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2005 31 Cfr. R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Giannini, Napoli 1973, Novecento, Palermo 2005, pp. 45-108
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tema settoriale delle ricadute economiche dell’investimento sul patrimonio, al tema più ampio del benessere sociale che il patrimonio paesaggistico e culturale è in grado di produrre, ponendo in atto un sacrosanto diritto del cittadino a godere del territorio.
I.2.4. Rete ecologica, rete “culturale”. Verso la permeabilità eco-culturale del territorio Il diritto al godimento del patrimonio in coerenza con l’obiettivo della sua conservazione si concretizza in prima battuta nell’obiettivo di una accessibilità del patrimonio stesso da perseguirsi secondo il duplice tracciato dell’accesso alle conoscenze – attraverso la sequenza ricerca/interpretazione/presentazione – e dell’accesso ai beni. Quando il “bene” poi coincide con un “sito”, l’intervento sul paesaggio diviene lo strumento indispensabile per garantire l’accessibilità del patrimonio, non solo attraverso la costruzione di relazioni di natura funzionale, ma anche attraverso un processo di restituzione di senso che, solo, può trasformare il “sito” in “luogo”, ricollocandolo nel flusso della storia locale dal quale esso era stato “cancellato”. Ciò significa rivedere i rapporti (in termini procedurali e operativi) fra i diversi soggetti preposti alla tutela del patrimonio culturale e di quello paesaggistico. La costruzione di questo raccordo tra “beni culturali” e “paesaggio”, auspicata dalla Conferenza Nazionale sul Paesaggio – la cui sessione tematica 4, presieduta da Adriano La Regina, era dedicata a Archeologia e caratteri storici del paesaggio italiano – non è peraltro divenuta oggetto esplicito del T.U. che ancora una volta non riesce ad affrontare la questione del rapporto fra “oggetti” e “territorio” oltre il tradizionale riferimento al vincolo. Annota Anna Maria Reggiani che mentre «il parco naturalistico si avvale di un sistema classificatorio e normativo, nato in ambito internazionale e recepito nelle definizioni in uso nella legislazione italiana nazionale e regionale», i parchi archeologici «laddove esistenti, sono regolamentati da leggi regionali»32 di carattere assai disomogeneo. Il caso del parco archeologico dell’Appia Antica, istituito grazie a una legge che lo classifica come parco regionale a valenza naturalisticoambientale, è emblematica dei limiti che incontra oggi la concezione territoriale del patrimonio archeologico. La stessa Reggiani osserva, inoltre, come nella definizione di area archeologica, «quale si è andata costituendo sulla scia della riscoperta dell’antichità e a seguito dei grandi scavi, che a partire dal Rinascimento hanno ri-
32 A. Reggiani, Archeologia e paesaggio, in AAVV, Conferenza Nazionale per il Paesaggio. Lavori preparatori, cit., p. 197.
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portato alla luce le più importanti aree archeologiche italiane»,33 il rapporto col territorio sia di mera giustapposizione, non esistendo una formale riflessione sui caratteri dello spazio “di relazione” fra il sito, modificato in modo sostanziale dall’attività di scavo, e il suo intorno, la cui qualità è determinata da logiche del tutto estranee alle finalità dell’area archeologica. Al loro interno, le aree archeologiche “storicizzate” sono il frutto di decenni di scavo e di manutenzione che hanno alterato il rapporto con l’ambiente; rispetto all’intorno soprattutto nel centro-sud dell’Italia, l’area archeologica si presenta il più delle volte come una sorta di “isola felice” circondata da zone altamente degradate a livello ambientale e archeologico. In ultima analisi si può dire che il processo di costituzione delle aree archeologiche demaniali custodite non ha finora preso in considerazione l’ipotesi di aree tampone come ulteriore protezione dell’area stessa.34
Il concetto di “area tampone”35 appare qui del tutto affine a quello, con valenze ecologica, di “buffer zone” nella articolazione della “rete ecologica”36.
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Ivi. Ibidem, pp. 197-198 35 Nella legislazione regionale della Sicilia, la questione delle “aree tampone” trova soluzione attraverso le disposizioni della l.r. 78/76 (art.15 lett.e) che prevede una fascia di inedificabilità assoluta profonda 200 m. tutto intorno ai confini dei parchi archeologici. A tal proposito le linee guida emanate dalla regione così si esprimono in merito «Il fatto che la norma sia rimasta sino ad oggi inapplicata, per la decisiva ragione che non si erano ancora istituiti parchi archeologici di sorta, non significa che la disposizione non sia vigente. Essa entrerà in vigore non appena la Regione siciliana istituirà il primo parco archeologico (…). Resta intuitivo che l’area in questione coincide con quella segnata di lettera B nell’elencazione contenuta all’art. 21 della l. r. 20/2000 e che la fascia in questione è strettamente collegata, per finalità e conformazione, alla “zona omogenea” A. Ciò vuole significare che al momento di perimetrare il parco archeologico occorrerà tenere conto, da un lato, della consistenza archeologica e del regime proprietario dei terreni che vi insistono, e, dall’altro, anche dello strumento di tutela offerto dalla legge del 1976, che introduce un’area di inedificabilità di 200 metri tutto intorno alla zona A dei Parchi.» S. Gelardi (a cura di), Linee guida dei parchi archeologici siciliani, Regione Siciliana - Assessorato Regionale dei Beni Culturali Ambientali e della Pubblica Istruzione, Palermo 2001, II B4. http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/bca/L_Parchi/II_B_2.html 36 Cfr. Consiglio d’Europa, Direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. La direttiva istituisce (articolo 3) la rete ecologica europea denominata Natura 2000. Nella letteratura sul concetto di rete ecologica si individuano, in genere, alcune tipologie di elementi strutturali: le core areas (zone interne ad alta naturalità), buffer zones o “zone cuscinetto” (finalizzate alla protezione delle aree vulnerabili), ecological corridors (blueways e greenways, a seconda della natura specifica, che costituiscono le connessioni lineari), stepping zones (aree puntiformi che fungono da “appoggio” per le specie migratorie), restoration areas (aree di ripristino ambientale). Cfr. http://www2.minambiente.it/sito/settori_azione/scn/rete_natura2000/rete_natura2000.asp 34
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Il riconoscimento della natura reticolare delle relazioni ecosistemiche ha costituito un enorme passo avanti nella pianificazione paesistica verso la salvaguardia dei valori dell’ambiente inteso come sistema integrato, in grado di contrastare quel fenomeno di “insularizzazione” delle aree protette che la letteratura specialistica ha presto individuato37. Le cosiddette “zone cuscinetto” si configurano in questa prospettiva come spazi di relazione fra i “nodi”, i “nuclei” (core zone) del sistema, la cui protezione integrale è obiettivo prioritario, e il contesto territoriale ampio con i suoi elementi strutturanti “forti” (reti infrastrutturali, aree industriali, sistemi insediativi intensivi), caratterizzato dalla presenza di fattori di pressione rilevanti. Proprio questo spazio, che nel caso delle aree protette coincide, in genere, con il paesaggio antropico dell’agricoltura, diventa il terreno di sperimentazione di percorsi concreti di tutela attiva. La prospettiva della tutela attiva, infatti, al di là delle sue teorizzazioni, si confronta quotidianamente, per esempio nell’esperienza dei parchi e delle riserve naturali, con il difficile obbligo della mediazione fra gli interessi degli abitanti e le istanze naturalistiche (o storico-culturali, dal momento che sempre più il concetto di parco naturale è venuto aprendosi a queste ultime38). Il portato principale dell’idea di tutela attiva consiste nell’obbligo della gestione che si sostituisce a quello del controllo. Il soggetto gestore è il vero protagonista del progetto di mediazione, il promotore di una visione condivisa dello sviluppo, il capofila dei programmi negoziati e dei progetti locali (Progetti Integrati, patti territoriali, contratti d’area, programmi Leader) che, attraverso meccanismi concertativi, promuovono politiche di sviluppo locale. L’urbanistica tradizionale ha visto con giusta preoccupazione il moltiplicarsi su tutto il territorio nazionale degli strumenti attivi di programmazione negoziata. Vezio De Lucia in particolare, ne ha, in più occasioni, messo in luce il potenziale effetto di deregulation, legato all’allentarsi del controllo pubblico sotto la sollecitazione forte degli interessi privati in gioco. Tuttavia occorre riconoscere che la stagione di concertazione aperta dalla cosiddetta “territorializzazione” dei fondi di Agenda 2000 in Sicilia – i cui esiti nel territorio K.A.S.A. saranno analizzati nel capitolo successivo – è stata un potente stimolo alla riflessione, a scala intercomunale, intorno alle traiettorie di sviluppo possibile ed è stata caratterizzata da un dibattito pubblico e da un coinvolgimento di soggetti “non istituzionali” senza precedenti. Lo strumento degli incentivi finanziari ai privati, fondato sul meccanismo del co-finanziamento, sottoposto a regole comuni attraverso una negoziazione a più scale, vincolato al principio generale dell’integrazione della componente ambientale e sottoposto a valutazione, ha funzionato, certo, non senza distorsioni, ma rimane 37
Cfr. R. Gambino, Conservare. Innovare, UTET, Torino 1997, pp. 111 e ss. Cfr. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, AP. Il sistema delle Aree Protette, Alinea, Firenze 2003, pp. 185 e sgg. 38
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un motore di trasformazione formidabile soprattutto se attivo entro il quadro “sano” di una efficace pianificazione ordinaria. Gli effetti negativi dei programmi negoziati, infatti, si sono moltiplicati laddove mancavano gli strumenti urbanistici, o dove, sulla base di scelte politiche precise, più vasto e ingiustificato è stato il ricorso al meccanismo delle “varianti” e degli interventi “in deroga”. Ma ove il quadro normativo e di indirizzo fosse chiaro – con particolare riferimento alla pianificazione paesistica – e definito l’obbligo della “valutazione di coerenza”, la programmazione negoziata costituirebbe un orizzonte operativo importante per l’attuazione di programmi di tutela attiva ad alto livello di “sostenibilità sociale” e una leva fondamentale per l’orientamento delle dinamiche di trasformazione del paesaggio in aree “sensibili” come le “zone tampone” che circondano biotopi, ma anche siti ad alta valenza culturale. L’analogia con il tema ambientale non si limita alla questione delle zone cuscinetto, essa investe anche il tema importante delle connessioni lineari. La questione paesistica della bio-permeabilità del territorio, che trova il proprio terreno di misura nella individuazione e riqualificazione di corridoi ecologici, dovrebbe essere declinata nei termini più ampi di permeabilità ambientale e culturale del territorio, la cui frammentazione costituisce probabilmente il principale ostacolo alla costruzione di ambiti estesi di qualità. Proprio nella frammentazione del paesaggio si può riconoscere una delle cause principali della sua perdita di figurabilità39. Il fenomeno è conseguenza di quella «crisi della leggibilità»40 che è stata giustamente ricondotta ad una più vasta «crisi della territorialità»41 caratteristica del nostro tempo. La rappresentazione del “paesaggio archeologico” della Sicilia orientale è un obiettivo imprescindibile dalla ricostruzione di relazioni paesistiche leggibili, a scala locale e di area vasta, tra i molti, diversi, siti che articolano questo sistema, complesso ma unitario, del quale i grandi poli museali costituiscono i cardini. Relazioni, dunque, fra territorio urbano e territorio rurale, relazioni “attraverso” il territorio, anche quello industriale.
I.2.5. Le connessioni “lineari”. Opportunità e rischi del progetto 39
Il termine è stato a lungo utilizzato per tradurre dall’inglese imageability, usato da Kevin Lynch (K. Lynch, The image of the city, Mit Press, Cambridge, 1960) per poi assumere significati più estesi. Possiamo definire la figurabilità di un paesaggio come la sua capacità di imprimersi in quanto immagine-forma nella nostra memoria. Questa definizione potrebbe ulteriormente essere ampliata con il riferimento alla capacità di un paesaggio di evocare significati, e quindi, oltre che di restare impresso, di venire in qualche modo riconosciuto ed interpretato. 40 Cfr. L. Mondada, F. Panese, O. Soderstrom (a cura di), Paysage et crise de la lisibilité, Université de Losanne, Institut de Géographie, 1992 41 Cfr. M. Roncayolo, Voce “Territorio” dell’Enciclopedia Einaudi, Vol 14, Einaudi, Torino 1981, pp. 218-243.
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integrato La prospettiva della connessione lineare, che si concretizza nell’individuazione di corridoi paesaggistico-culturali che colleghino i siti di interesse archeologico in un sistema organico di natura reticolare, riveste un grandissimo interesse sotto un duplice profilo: da un lato, infatti, essa aderisce pienamente alla logica di costruzione di itinerari, percorsi e circuiti di accesso al patrimonio diffuso, dall’altro arricchisce la prospettiva meramente ecologica, consentendo la definizione di ipotesi progettuali integrate. In questo senso, il territorio della Sicilia orientale – iblea, etnea, peloritana – caratterizzato da morfologie “potenti” del paesaggio fisico, storicamente assai rilevanti nella costruzione dei sistemi insediativi, può divenire terreno privilegiato di sperimentazione di politiche culturali e ambientali. In un saggio che affrontava il tema del rapporto monte/costa nell’area ionico etnea osservavamo come praticabili per buona parte dell’anno per via del regime fortemente stagionale delle acque, le incisioni etnee hanno rappresentato, fino alla metà del secolo scorso, un’importante sistema naturale di comunicazione dal monte alla costa e dalla costa all’interno, divenendo parte strutturante del sistema antropico non soltanto rispetto alla localizzazione dei nuclei abitati ma anche all’organizzazione del sistema sparso delle ville padronali. Le ville etnee stabilivano con gli alvei un peculiare rapporto di prossimità, secondo una modalità che si ripete con diverse varianti in tutto il territorio costituendo un tratto formale del paesaggio di grande bellezza. […] I rilievi, [...] hanno messo in luce il ricorrere di una situazione tipo. La villa padronale si colloca, infatti, in un rapporto di dominio visivo sul letto del torrente, dal quale a sua volta si gode di una prospettiva unica di questi beni architettonici a volte eccezionali – per il momento in molti casi pressoché inaccessibile.42
Il già citato esempio della Valle dell’Alcantara, o la struttura dei sistemi insediativi che presidiano le fiumare peloritane del versante ionico messinese dimostrano come, in molti casi, sia impossibile decidere se il valore degli ambiti fluviali sia prevalentemente storico-culturale o naturalistico, per quanto la normativa tenda decisamente verso una considerazione delle incisioni a partire dal loro ruolo idrogeologico, e le disposizioni di tutela muovano principalmente da istanze di difesa del suolo e, solo in seconda battuta, di connettività ecologica, mentre del tutto as42
M. Nucifora, Naturale, rurale, urbano. Monte e costa nel territorio ionico etneo, in G. Corona, S. Neri Serneri (a cura di), Storia e ambiente. Città risorse e territori nell’Italia contemporanea, Carocci, Roma 2007, pp. 44-45
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sente è ogni riflessione sui caratteri di omogeneità del patrimonio culturale che vi si attesta. La questione dei valori prioritari (geomorfologici, idrologici, ecologici o culturali) diviene, però, del tutto futile quando si parli di valori paesistici in riferimento a un’idea di paesaggio come ambito “i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”. Il sistema peculiare delle cave che incidono l’altopiano ibleo diventa, in questa ottica, un dato progettuale significativo per il carattere di corridoi di penetrazione che questi straordinari ambiti di naturalità, assai meno compromessi di molti altri ambiti fluviali della Sicilia, hanno avuto sin dalla preistoria. I legami forti fra insediamenti interni e siti costieri, che caratterizzano l’intera storia dell’altopiano, sono stati tuttavia compromessi, in età contemporanea, dall’accentuarsi degli squilibri territoriali, dovuti a un progressivo scivolamento dell’insediamento umano verso la costa. Il secondo dopoguerra ha visto prevalere, in generale, un andamento lineare dell’urbanizzazione, lungo il perimetro costiero, sotto la spinta di processi di terziarizzazione, abbandono agricolo, sviluppo di grandi poli industriali e portuali, nascita di insediamenti balneari o di vere e proprie conurbazioni lineari di carattere stagionale. Il paesaggio storico del territorio K.A.S.A. è stato investito in varia forma e misura da queste dinamiche, secondo livelli differenti di tenuta e una diversa dialettica fra fattori di trasformazione e sistema delle permanenze. Analogamente le comunità locali hanno elaborato molteplici forme di rappresentazione dell’identità locale, di interpretazione delle risorse e dei percorsi di sviluppo possibili, entro cui si colloca variamente lo statuto del patrimonio archeologico. Di qui il ruolo assegnato ai processi di patrimonializzazione, alle rappresentazioni che la società locale offre di sé e del territorio, alle retoriche che hanno sostenuto e sostengono progetti di sviluppo, a volte drasticamente alternativi, nonostante gli sforzi istituzionali di conciliare di modelli eterogenei, di volta in volta funzionali a interessi politici o economici diversi. Il tentativo di costruire un metodo integrato di analisi e progetto del patrimonio culturale e di quello ambientale, infatti, oltre alle grandi difficoltà che derivano dall’attuale assetto normativo, caratterizzato dalla sovrapposizione e dal conflitto di competenze43, che agevola l’approccio vincolistico scoraggiando quello 43
Basti pensare alla problematica del rischio idrogeologico o quella degli usi e della qualità delle acque: inevitabilmente connaturati all’ipotesi della riqualificazione delle aste fluviali come percorsi, questi temi richiedono il coinvolgimento di una serie di soggetti istituzionali di natura fortemente settoriale (genio civile, autorità di bacino, ARPA, ATO, ecc.), nonché quel bilancio delle necessità legate alla salvaguardia dei valori culturali, naturalistici e sociali, sottolineato dagli indirizzi internazionali e connaturato all’idea di sviluppo sostenibile. Alberto Magnaghi, ampliando il tradizionale riferimento ai tre pilastri dello sviluppo sostenibile come emergono dal “Rapporto Brundtland” su ambiente e sviluppo, Our Common Future – 1987 (sostenibilità ambientale, sostenibilità economica, sostenibilità sociale), introduce le categorie della sostenibilità politica e della sostenibilità territo-
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progettuale, se slegato dal riferimento alle pratiche e agli attori che costruiscono lo spazio attraverso azioni e rappresentazioni, presenta un rischio ulteriore: esso può facilmente concretizzarsi in nuovi automatismi derivanti dalla mera giustapposizione di due approcci “tecnici” fortemente strutturati da una prassi pluriennale di interventi settoriali. Ed è innegabile che, per certi versi, questa deriva sia propria di certa pianificazione paesistica che ha sostituito al paradigma estetizzante e formalista i valori assoluti dell’ambiente, giustapponendo alla lettura ecosistemica l’acquisizione del quadro vincolistico relativo al sistema dei beni culturali, con una chiara predominanza dell’obiettivo conservativo. Se è vero che la netta separazione fra il livello della pianificazione – nel quale sintesi più ampie sono possibili – e quello della gestione – assai più segmentato – non consente mai al pianificatore di trarre dalla propria analisi le estreme conseguenze, la difficoltà di applicazione del principio di sussidiarietà nell’attuazione delle disposizioni di piano e di integrazione verticale oltre che settoriale degli interventi, non deriva unicamente dal ritardo che i piani sovraordinati accumulano nei confronti della pianificazione a scala locale (e più ancora della programmazione negoziata). Essa dipende, in larga misura, anche dalla scarsa adesione delle comunità locali e delle loro rappresentanze politiche a una visione zenitale del territorio che non riconoscono come espressione dei propri bisogni.
riale. La praticabilità di progetti complessi di sviluppo sostenibile del territorio è legata, in questa prospettiva, alla capacità delle popolazioni locali di costruire “patti” di cooperazione intorno ad un progetto largamente condiviso, che diventi lo scenario forte di riferimento – e di pressione - entro il quale gli attori istituzionali devono trovare modalità efficaci di integrazione e coordinamento delle azioni settoriali, mirate alla qualificazione del territorio in quanto spazio e società. In genere, il fallimento dei progetti complessi si attribuisce all’assetto burocratico-istituzionale che ne rende quasi impossibile la concezione e la gestione. In realtà la legge fornisce molti strumenti per la semplificazione delle procedure (a cominciare dalla Conferenza dei Servizi) ma la vera difficoltà del progetto complesso è insita nella definizione dello scenario progettuale a monte dell’iter attuativo. Essa afferisce, non soltanto al quadro burocratico-istituzionale, ma alla natura “chiusa” dei saperi disciplinari e dei percorsi formativi orientati alle professioni per il territorio e investe proprio la fase della definizione dei valori prioritari del progetto, descritti, a volte, come radicalmente conflittuali, più per incapacità di dialogo fra gli specialisti che per oggettiva inconciliabilità. Di fondo, incide ancora pesantemente la diversa concezione del rapporto uomo/ natura che anima le scienze umane e le scienze naturali e la concezione tradizionale dei curricula universitari -al di là delle incessanti, alterne “riforme”- che, nel caso del patrimonio culturale diffuso, non sono ancora in grado di accogliere pienamente la prospettiva della conservazione integrata.
Parte II Processi di patrimonializzazione e retoriche dello sviluppo. Il contributo del patrimonio archeologico alla costruzione delle identità locali
II.1. Identità e stereotipo. Il territorio ibleo nella programmazione per lo sviluppo II.1.1. Premessa Da tempo ormai – da quando il fenomeno di crescente globalizzazione, producendo attriti e tensioni nei territori, ha determinato la nascita di movimenti antagonisti, quindi l’avvio di processi costruttivi di recupero della dimensione “locale” dell’analisi e delle politiche territoriali – il concetto di identità locale è al centro del dibattito in materia di patrimonio, di paesaggio, di sviluppo. Abbiamo già messo in evidenza come i documenti internazionali considerino l’attivazione di processi locali di identificazione una leva potente nelle politiche di sviluppo basate sulla valorizzazione del patrimonio. A partire dagli anni Settanta anche in Italia il tema dell’identità, variamente declinato, è al centro della questione dello sviluppo, la cui dimensione locale è oggetto di attenzione nell’ambito della ricerca storica, geografica, economica, e della pianificazione territoriale. Intorno alla questione dell’identità si costruiscono, oggi, retoriche politiche e rappresentazioni – più o meno coerenti, più o meno raffinate – che giocano un ruolo centrale nella creazione del consenso ai progetti di trasformazione del territorio. Le riflessioni qui proposte sui processi di patrimonializzazione e sulle retoriche dello sviluppo in area iblea hanno trovato conforto nel confronto con gli attori locali durante i seminari svolti sul territorio siracusano e ragusano dal gruppo di lavoro del progetto K.A.S.A.. Esse si fondano, però, principalmente, su una lettura sinottica dei molti documenti prodotti negli ultimi decenni da una molteplicità di soggetti organizzati (enti locali, assessorati, associazioni, imprese) che hanno trovato nella stagione della programmazione negoziata nuove, inedite occasioni di protagonismo. Dietro l’immagine oleografica del “paesaggio ibleo” o del “Val di Noto” si celano conflitti e differenze rilevanti nella percezione/presentazione dei valori del territorio: diversa è, a livello locale, la valutazione del patrimonio archeologico diffuso come “risorsa”, diverso il contributo del paesaggio dell’archeologia all’identità e alla progettualità delle comunità locali.
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Le retoriche dello sviluppo, al livello locale, si dipanano sullo sfondo del tentativo pluriennale, al livello regionale, di costruire un’immagine turistica “forte” della Sicilia, fondata in primis sul concetto di “cultura” come strumento di sviluppo sostenibile. Gli obiettivi enunciati, però, nel quadro delle retoriche regionali, trovano il limite di una progettualità dello sviluppo turistico “monca”, troppo spesso priva di una visione territoriale di riferimento.
II.1.2. La messa in scena incompiuta del “Val di Noto” Il territorio nel quale si colloca il patrimonio archeologico diffuso analizzato nel progetto K.A.S.A. interessa le due province di Siracusa e Ragusa, e pressappoco coincide con l’ambito paesistico n. 17, definito nelle Linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale “Area dei rilievi del tavolato ibleo”1. Il piano paesistico nella descrizione dei caratteri peculiari così individua gli elementi che ne articolano l’immagine: […] Due elementi sono facilmente leggibili nei rapporti fra l’ambiente e la storia: uno è l’alternarsi della civiltà fra l’altopiano e la fascia costiera. La cultura rurale medievale succede a quella prevalentemente costiera e più urbana che è dell’antichità classica, a sua volta preceduta da civiltà collinari sicule e preistoriche. La ricostruzione del Val di Noto conferisce nuovi tratti comuni ai paesaggi urbani e una nuova unità a una cultura collinare che accusa sintomi di crisi, mentre l’attuale intenso sviluppo urbano costiero determina rischi di congestione e degrado. L’altro elemento costante nel paesaggio, il continuo e multiforme rapporto fra l’uomo e la pietra: le tracce delle civiltà passate sono affidate alla roccia calcarea, che gli uomini hanno scavato, intagliato, scolpito, abitato custodendo i morti e gli dei, ricavando cave e templi, edificando dimore e palazzi nobiliari e chiese.2
Ambiente e storia, dialettica fra territorio costiero e interno, paesaggio rurale e paesaggio urbano, architettura, ricostruzione e pietra: sono questi gli elementi caratteristici di una delle immagini territoriali più forti e omogenee dello spazio regionale, che tende a riassumere in modo netto e “rotondo” un ambito articolato, in realtà attraversato, oggi più che mai, da lacerazioni, conflitti, tensioni. Il territorio ibleo contemporaneo vede forme di competizione fra i maggiori centri urbani e il coesistere di modelli di sviluppo – desiderati o perseguiti – e risposte di1
Cfr. Linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale, cit., p. 22 e pp. 195-200. L’ambito paesistico n. 17 comprende in realtà anche una porzione del territorio della provincia di Catania. 2 Linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale, cit., p.195.
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verse alla questione centrale del rapporto fra centralità e marginalità storica e territoriale. Le diverse rappresentazioni di questo territorio si sovrappongono e si integrano nella progettualità locale dell’ultimo decennio, sollecitata ed eccitata dall’azione di un’istituzione internazionale, l’UNESCO, attraverso l’avvio di un processo di costruzione locale della WHL. Esito macroscopico di questo processo è l’invenzione, o meglio la reinvenzione del “Val di Noto” che fa coincidere in modo forzoso l’unità storica con il territorio, per certi versi disomogeneo, degli otto comuni entrati nella lista UNESCO. Una declinazione diversa di questa stessa rappresentazione, che sostituisce alla legittimazione storica un’analogia con l’immagine dinamica e vincente del Nord Est d’Italia, è quella sottesa alla creazione del Distretto culturale del Sud Est, nato per porre in atto le potenzialità di sviluppo del “Val di Noto”, fondato essenzialmente sull’appartenenza dei luoghi al WHL o sull’aspirazione/eleggibilità ad appartenervi e terreno di scontro fra i comuni del “Vallum”, sulla base della presenza/assenza di caratteri identitari comuni3. Nel suo Il vento del sud-est4, Berardino Palumbo studia le politiche del patrimonio nell’area e il loro ruolo nella dialettica politica, analizzando in particolare la retorica che sostiene il progetto di rappresentazione del territorio come “Val di
3
Assai interessanti sono i commenti, apparsi a seguito della firma del protocollo di intesa del Distretto, sui siti, istituzionali e non, delle comunità locali. Si riporta per tutti questo brano tratto dal “Giornale di Scicli on line”: «La Sovrintendenza di Siracusa ha candidato presso il Ministero dei Beni Culturali, perché trasmetta la documentazione all’UNESCO, Mazzarino, Acireale e Ispica a entrare a far parte del Val di Noto. Grazie a tale candidatura anche questi Comuni entreranno a far parte dell’associazione del Distretto Culturale del SudEst, in attesa del riconoscimento UNESCO. E dell’associazione entrerà a far parte anche Piazza Armerina, che sito UNESCO, grazie ai mosaici, lo è già, ma non ha ancora fatto richiesta di ingresso, per quanto lo abbia annunciato, nell’associazione. Alle perplessità di quanti hanno obiettato che in questo modo il sito UNESCO del Val di Noto (con l’ingresso di Mazzarino, Acireale e Ispica) ne uscirebbe annacquato, l’assessore Lino Leanza e l’architetto Mariella Muti, Sovrintendente di Siracusa, hanno obiettato che non solo tali territori erano ricompresi nel “Vallum”, ma che nel 1997 la proposta di candidatura fu offerta a 72 comuni. Solo 8 infine entrarono. Altre perplessità in ordine all’estensione dell’Associazione del Distretto, che è sì un’entità più vasta del sito propriamente detto, ma una volta estesa a Piazza Armerina (che, come detto, è già UNESCO) e alle candidate UNESCO Mazzarino, Acireale e Ispica, rischierebbe di avere seri problemi di identità» [sottolineature nostre]. Da Scicli nel Distretto culturale del Sud Est, in “Il giornale di Scicli on line”, 30 gennaio 2007, n. 1695. Cfr. http://www.comune.scicli.rg.it/comunicati_stampa/200701.htm 4 B. Palumbo, Il vento del Sud Est Regionalismo, neosicilianismo e politiche del patrimonio nella Sicilia inizio millennio, in «Antropologia», 7 (2006), pp. 43-92.
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Noto” e che si esplicita nel Piano di gestione5 che accompagna la candidatura dei siti attraverso il reiterato riferimento alla riscoperta di un’identità perduta, oggettivata nell’elenco dei “beni culturali materiali e immateriali”. Palumbo osserva come nell’approccio degli estensori del piano di gestione vi sia una costante riduzione di identità, località, autenticità, tipicità, diversità a prodotto omogeneo, in modo tale che esse stesse si trasformino in forme particolari universalizzate all’interno di una gerarchia globale dei valori6. Il piano di gestione col suo apparato di analisi architettoniche urbanistiche ed economiche finisce così per trasformare il “Val di Noto” «da immaginazione burocratico-patrimoniale a contesto storico-urbanisticoculturale, a prodotto-territorio che si propone come icona di una identità-merce», che riceve dall’Unesco «una certificazione di qualità” e […] un’illocutoria attestazione di esistenza».7 Il reiterato riferimento all’identità (di volta in volta “riscoperta”, “ritrovata” o “da accrescere”8) a supporto di un progetto politico, economico, urbanistico, non può essere oggetto di scandalo. Da sempre le retoriche di sostegno ai progetti di trasformazione (o restaurazione) hanno cercato argomenti di carattere storico o geografico, presunte “vocazioni” territoriali, per trovare consenso presso il pubblico. Né ci sembra veritiero attribuire ai documenti di indirizzo internazionali in materia di patrimonio e turismo culturale un incoraggiamento anche velato alla costruzione di stereotipi. Nella dialettica tra livello globale e risposte degli attori locali a livello regionale, caratterizzata da una complessiva banalizzazione e semplificazione di progetti di sviluppo ci sembra determinante, invece, una incapacità complessiva del livello locale, al di là delle singole personalità, di elaborare un progetto articolato di valorizzazione del patrimonio culturale, fondato su interventi coordinati di tipo intersettoriale. Occorre infatti rilevare, in generale, a fronte di una adesione pressoché plebiscitaria delle realtà locali alla prospettiva dello sviluppo turistico, la povertà degli strumenti posti in atto la sua realizzazione, inadeguati e insufficienti a produrre nuova qualità territoriale9.
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AA.VV. Le città tardo barocche del Val di Noto (Sicilia sud-orientale). Piano di gestione. Cfr. www.distrettoculturalesudest.it/ita/piano1gestione.htm 6 B. Palumbo, Il vento del Sud Est, cit., p.60. 7 Ibidem, p.61. 8 Vedi il riferimento alla necessità di una crescita di identità, operato dagli estensori del piano. 9 Un chiaro esempio di questo orientamento è molta parte delle politiche regionali a supporto dello sviluppo turistico mirate alla “internazionalizzazione” del “prodotto siciliano” attraverso la creazione di “portali”, la redazione di “calendari unici” (delle feste, delle sagre…), l’organizzazione di spedizioni istituzionali a fiere ed esposizioni, la creazione di costose “vetrine” nelle capitali europee.
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II.1.3. Il turismo culturale nella programmazione dei fondi strutturali 2000-2006. Aspirazioni locali e limiti della progettazione integrata La messa in scena del Barocco del Val di Noto rappresenta per certi versi l’esempio meglio formalizzato e più avanzato10 di una generale tendenza all’avvio di progetti di sviluppo turistico, fondati su modelli alternativi al tradizionale turismo balneare, che ha caratterizzato la stagione di programmazione dei Fondi Strutturali nel periodo 2000-2006. Un quadro abbastanza chiaro a livello regionale è dato dagli esiti della cosiddetta “progettazione integrata territoriale”: vera novità delle politiche strutturali per il Mezzogiorno nel periodo di programmazione 2000-2006, essa si fondava sulla possibilità che gli enti locali si aggregassero in unità territoriali sovracomunali su base provinciale, costruendo, intorno ad una “idea forza” condivisa, un pacchetto di azioni ed interventi integrati coerenti con gli obiettivi individuati, e accedendo ad una quota di risorse dedicata (le cosiddette risorse “territorializzate”)11. La progettazione integrata ha finito così per raccogliere e riorganizzare gli esiti della concertazione istituzionale (già avviata su tutto il territorio regionale attraverso gli strumenti della programmazione negoziata) fornendo un quadro piuttosto completo e di grande interesse dei “sistemi locali di sviluppo”, intesi come aggregazioni formali
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Nel bene o nel male gli sforzi compiuti in questa direzione hanno effettivamente determinato un rinnovato interesse nei confronti del patrimonio culturale e mirano a mostrare l’immagine di “una Sicilia colta, dalle profonde sedimentazioni storiche, meta privilegiata dei viaggiatori del Grand Tour” (B. Palumbo, Il vento del Sud Est, cit., p.66). 11 L’interesse di questo nuovo strumento è già stato evidenziato nel precedente capitolo. Occorre però precisare che non sempre il progetto elaborato dalle unità territoriali locali, al di là delle intenzioni manifestate nella redazione dell’idea forza, appariva in grado di perseguire gli obiettivi enunciati. Ciò non soltanto in ragione dei limiti della progettualità espressa dai territori ma anche – e forse soprattutto – per la natura dello strumento, che incoraggiava la coerenza delle azioni proposte su scala territoriale, ma finiva con il ridursi ad un elenco di interventi sparsi – che ancora una volta vedeva i comuni aderenti in competizione fra loro per le risorse – la cui efficacia doveva essere accresciuta da un ampio ricorso ai regimi d’aiuto per i privati operanti nell’area PIT i cui intenti fossero coerenti con il progetto di sviluppo. Altro limite forte al manifestarsi di una progettualità innovativa era il criterio di assegnazione delle risorse ai progetti, anche nell’ambito dello stesso PIT. Venivano infatti privilegiati nel finanziamento i progetti la cui cantierabilità fosse immediata, rispetto a quelli che, pur mostrando alti livelli di innovazione e coerenza con l’idea forza fossero presentati a livello di studio di fattibilità o progetto di massima. L’esito disastroso di questo criterio – per certi versi assolutamente prevedibile – è stato il finanziamento di progetti esecutivi assai datati, commissionati in un passato non troppo recente dalle amministrazioni e mai realizzati per mancanza di fondi, o in certi casi per l’opposizione di larghi strati della popolazione. Tali progetti di fronte alla prospettiva di un ingente ed immediato finanziamento ritornavano immediatamente appetibili e scarsamente contrastabili con argomenti altrettanto efficaci.
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o informali di soggetti pubblici e privati organizzati in reti locali finalizzate alla costruzione di progetti di sviluppo condivisi12, secondo la definizione che ne dà Giuseppe Dematteis13. Su 35 proposte di PIT (Progetti Integrati Territoriali) che coprivano pressappoco l’intero territorio siciliano la maggioranza fondava la propria idea forza sullo sviluppo turistico e quasi tutti i PIT si basavano sull’idea di integrazione delle politiche rurali, ambientali e culturali.14 L’area K.A.S.A. non fa eccezione. Dei sei PIT presentati – tre ricadenti nella provincia di Siracusa e altrettanti in quella di Ragusa – la totalità punta a un modello di “sviluppo sostenibile” fondato su una combinazione, variamente articolata e dimensionata, di turismo rurale/ambientale/culturale ed altre attività ad esso correlate (ad esempio agricoltura e artigianato tipici), in cui la chiave progettuale è data proprio dalla specificità del territorio, dalla sua identità15. 12 Oggi la più parte dei PIT siciliani è divenuta la base per l’elaborazione dei “piani strategici” in fase di elaborazione, esplicitamente mirati alla definizione di una “visione condivisa” del territorio anche attraverso l’avvio di politiche partecipative, che costituiscono nell’insieme il mosaico delle immagini territoriali elaborate dalle comunità locali, l’espressione più articolata della loro capacità autorappresentativa 13 G. Dematteis, Individuazione dei sistemi locali territoriali. Studi per la redazione del Piano Territoriale Urbanistico Regionale della Sicilia, http://www.artasicilia.it/web/servizio_1/scarica.php?id=slot.pdf 14 Un quadro molto esaustivo del peso del turismo nello progettazione integrata territoriale delle regioni dell’Obiettivo 1, per la stagione dei fondi strutturali 2000-2006 è fornito dal Dossier Turismo e Sviluppo Locale realizzato dal Formez nell’ambito del progetto Reti per lo sviluppo locale (AAVV, Dossier Turismo e Sviluppo Locale, Formez, maggio 2006). Il turismo è subito definito come attività trainante all’interno di uno scenario problematico. Si basano sul tematismo “Sviluppo turistico, valorizzazione risorse culturali” quasi la metà (43%) del totale dei PIT delle regioni Obiettivo 1, con «una forte caratterizzazione della progettazione integrata delle regioni Sicilia e Campania. In queste regioni, rispettivamente il 59% e il 49% dei PIT sono costruiti intorno ad idee forza che puntano alla valorizzazione ed alla messa a sistema delle risorse ambientali, rurali, storico-culturali, ecc. presenti sul territorio, al fine di accrescere il grado di competitività e di attrattività del “prodotto” turismo» (p.12). Il documento rileva il rischio di «una sorta di sopravvalutazione delle potenzialità del turismo quale leva di crescita dell’area» (p.6). 15 Le sei proposte di PIT citate sono: PIT n. 2 “Quattro città e un parco” (RG) promosso dai comuni di Ragusa, Chiaramente Gulfi, Giarratana, Monterosso Almo; PIT n. 4 “Vie del Barocco” (RG) promosso dai comuni di Modica, Scicli, Pozzallo, Ispica; PIT n. 9 “Ecomuseo del Mediterraneo” (SR) promosso dai comuni di Siracusa, Avola, Noto, Rosolini, Pachino, Portopalo; PIT n. 20 “Valle dell’Ippari” (RG) promosso dai comuni di Acate, Comiso, S. Croce Camerina, Vittoria; PIT n. 27 Thapsos – Megara (SR) promosso dai comuni di Augusta, Melilli, Priolo Gargallo; PIT n. 28 Hyblon Tukles (SR) promosso dai comuni di Buccheri, Buscemi, Canicattini Bagni, Carlentini, Cassaro, Floridia, Ferla, Francofonte, Lentini, Palazzolo Acreide, Solarino, Sortino. Di queste sei proposte di PIT soltanto i PIT n. 2, 9, 28 hanno superato la selezione iniziale. Le altre proposte sono state però “recuperate” nell’ambito del PIR Sviluppo Locale (Progetto Integrato Regionale) come “PIOS” (Pacchetti Integrati di Operazioni Strategiche), oppure nell’ambito dei piani strategici in fase di redazione.
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Così, ad esempio, se il PIT Ecomuseo del Mediterraneo si propone di perseguire la valorizzazione delle risorse storiche e culturali e il riconoscimento della cultura legata ai luoghi, ai mestieri, alle tradizioni
l’idea forza del PIT Hyblon Tukles è di riconquistare culturalmente le genti di Hyblon e Tukles”, per consentire loro di riappropriarsi dell’antica dignità derivante dalle radici storiche e culturali perché le stesse sentano il bisogno di “riallocarsi nell’eco-villaggio ibleo
mentre addirittura attraverso il PIT “le vie del Barocco” il programma di riqualificazione del patrimonio modicano tende a recuperare la logica creativa dell’approccio culturale di cui ha ereditato le forme storiche […].
Patrimonio culturale, in particolare patrimonio archeologico e “barocco” sono proposti come punto di partenza per il recupero della “dignità” o della “creatività” perdute attraverso lo sviluppo turistico. In area siracusana la stagione siciliana dei PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio) aveva già visto l’elaborazione del PRUSST Economie del Turismo. I PIT iblei raccoglievano, inoltre, anche l’eredità dei programmi Leader e Leader Plus16, strumenti comunitari mirati allo sviluppo rurale, che in entrambe le province hanno visto il protagonismo dei territori interni e sono stati decisamente mirati alla riconversione dell’attività agricola tradizionale in chiave turistica. L’enorme attrattività che il patrimonio culturale (troppo spesso rappresentato e trattato come un insieme omogeneo di manufatti, tutti potenzialmente ugualmente attrattivi) esercita sulle comunità iblee, attraverso le retoriche dello sviluppo turistico, però, determina, nell’ambito del territorio K.A.S.A., esiti progettuali assai difformi e, in generale, un divario fra gli obiettivi enucleati nella costruzione dell’idea forza, le azioni individuate per perseguirli e l’impatto di tali azioni sullo sviluppo del territorio.
16
Programmi Leader e Leader Plus: http://ec.europa.eu/agriculture/rur/leaderplus/index_it.htm; http://leaderplus.ec.europa.eu/cpdb/public/lag/lagsearchfs.aspx?language=it; http://www.carrefoursicilia.it/leader+/.
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Nell’ambito della progettazione integrata le misure rivolte alla valorizzazione a fini di fruizione turistica del patrimonio, escludendo gli interventi indirizzati alla formazione, si possono suddividere in tre grandi categorie: quelle mirate agli operatori privati attraverso i regimi di aiuto alle imprese, destinate a finanziare la nascita di nuove imprese turistiche, gli interventi di miglioramento dell’offerta turistica, la riconversione delle imprese agricole, ecc.; quelle mirate alla promozione del prodotto; infine, quelle, con carattere potenzialmente “strutturale”, gestite dai comuni e mirate al recupero del patrimonio. Queste ultime, nella quasi totalità, sono state indirizzate ad interventi puntuali di restauro dei beni o “sistemazione” dei siti, in una logica di competizione fra i comuni dell’area PIT per l’acquisizione delle risorse disponibili. Rarissimi nel panorama regionale sono stati gli interventi per la creazione di connessioni o per la sistemazione di percorsi, o per la costruzione di ambiti paesaggistici qualificati come spazio di relazione fra i beni, interventi quasi tutti concentrati nei territori delle aree protette, le uniche aree PIT in grado di attivare logiche reali di sistema con carattere territoriale. Questa tendenza alla frammentazione degli interventi sul patrimonio culturale e per la sua “fruibilità a scopo turistico”, però non è imputabile esclusivamente ai soggetti locali, che anzi presentano spesso un livello elevato di conoscenza/valutazione delle risorse e dei valori del territorio. Essa è frutto, piuttosto, di almeno due fattori di scala regionale, concomitanti. La struttura stessa del POR 2000-2006,17 in primis, si basa su una visione settoriale della problematica del patrimonio culturale, con la quasi totale assenza di una prospettiva “paesistica”, che avrebbe perlomeno obbligato ad una integrazione delle politiche culturali con le ambientali, in particolare con quelle orientate alla rete ecologica, e con quelle agricole, in termini di fruizione del paesaggio rurale18. Peraltro, la possibilità, non esclusa anzi incoraggiata, di ricorrere nell’ambito dei PIT a più misure di natura differente per sostenere progetti articolati, è stata scar17
POR Sicilia 2000-2006 approvato con Decisione CE (2006) n.7291, Palermo 2006 Questo dato emerge in modo abbastanza evidente quando si osservi l’articolazione dell’Asse 2 – Risorse culturali del POR. La misura 2.1, in particolare, pur mirata al recupero e alla fruizione del patrimonio culturale ed ambientale, non incoraggia l’integrazione degli interventi. Nell’articolazione per azioni, infatti, la misura, oltre a procedere ad una tematizzazione dei “circuiti” fondata su un criterio tipologico (Azione A – Circuiti museali, Azione B – Circuiti delle aree archeologiche, Azione C – Circuiti monumentali), relega la questione del paesaggio al punto C3 dei circuiti monumentali relativo all’Itinerario del verde storico e del paesaggio. Pur avendo, nel tempo, integrato le disposizioni della Convenzione Europea del Paesaggio, con particolare riferimento alla necessità di azioni di riqualificazione di contesti ampi al di là della valorizzazione delle eccellenze, la misura non costruisce una relazione esplicita fra tali azioni di riqualificazione e i progetti di sistemazione dei siti. La misura, al punto B1, relativo alla valorizzazione delle aree archeologiche, così specifica la natura degli interventi ammissibili: «campagne di scavi archeologici, restauro, manutenzione, conservazione del patrimonio archeologico e interventi interni all’area, finalizzati alla valorizzazione, fruizione e alla messa in sicurezza». 18
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samente sfruttata dai comuni, anche per i ritardi che il finanziamento di un progetto complesso poteva comportare in termini, ad esempio, di acquisizione di pareri da parte di soggetti diversi, a fronte della necessità di una tempestiva rendicontazione della spesa. Un’anomalia tutta siciliana ha, inoltre, caratterizzato la stagione di Agenda 2000: la lentezza del livello regionale nella produzione di piani e documenti di riferimento e di indirizzo alle trasformazioni territoriali, ove le realtà locali potessero trovare riferimenti di area vasta e interventi di sistema a supporto dei processi locali. Il dinamismo dimostrato da molte realtà locali siciliane nella stagione dei PIT, quanto a costruzione dei partenariati ed elaborazione delle proposte, non si è inscritto, infatti, in un orizzonte di sviluppo dello spazio regionale chiaro. Ciò non soltanto in relazione all’assenza di un Piano Urbanistico Regionale19 o agli enormi ritardi nella pianificazione paesistica d’ambito che avrebbe dovuto concretizzare gli indirizzi dell’unico documento regionale di riferimento (le già citate Linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale) ma anche nell’attivazione di strumenti di coordinamento di livello regionale nell’ambito della stessa programmazione dei fondi strutturali. È il caso, ad esempio, del PIR “Rete ecologica” (Progetto Integrato Regionale20), che avrebbe dovuto costituire il progetto di area vasta entro il quale i comuni potessero collocare le iniziative di scala locale. La logica di sussidiarietà ha finito per essere paradossalmente sovvertita nella tempistica, delineando, nei fatti, un processo opposto di “composizione del quadro regionale dal basso” quale risultato di una serie di interventi e di azioni già promossi a scala locale nell’ambito dei PIT. Né la modalità degli Accordi di Programma Quadro21, adottata dalla Regione per supplire alla carenza pianificatoria, è stata utile a delineare un quadro regionale in materia di sviluppo territoriale, trattandosi spesso di documenti concepiti come elenchi di opere e privi di un apparato analitico sufficiente. Di fatto, il più organico documento di riferimento, espressione delle politiche regionali in materia di ambiente, beni culturali e turismo è stato proprio il POR Sicilia (Programma Operativo Regionale, 2000-2006), e tale pericolosa condizione
19
Il Piano Territoriale Urbanistico Regionale è attualmente in fase di redazione, a cura del Servizio 1 – Pianificazione Territoriale Regionale dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente – Dipartimento Urbanistica. Cfr. Pianificazione Territoriale Regionale www.artasicilia.it/web/arta/menu.htm 20 Progetto Integrato Regionale (PIR) Sviluppo Locale Http://www.regione.sicilia.it/Cooperazione/pmi/gicmi/PIR%20SL%20scheda%20progetto.pd f Http://www.euroinfosicilia.it/sicilia/pir.htm 21 Accordi di Programma Quadro (APQ) Http://www.euroinfosicilia.it/sicilia/apq.htm
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di autoreferenzialità dello strumento di programmazione delle politiche strutturali sembra destinata a riprodursi per il periodo 2007-2013, in fase di avvio.
II.1.4. Settorialità e retoriche dell’approccio regionale allo sviluppo turistico. Il “prodotto Sicilia” Un’analisi dei documenti prodotti a livello regionale in materia di turismo ed in particolare di turismo culturale confermano la netta autonomia del tema (e della straripante retorica ad esso legata) dalla prospettiva territoriale e paesistica. L’impostazione del Primo rapporto sul turismo in Sicilia22 curato dalla regione Sicilia con il supporto della Mercury Srl e pubblicato nel 2004, può considerarsi emblematica di un orientamento generale del dibattito sul turismo nell’isola che vede prevalere una concezione economicistica della problematica dello sviluppo turistico, orientata alla individuazione di un’immagine vincente della Sicilia. Questo approccio tende a sottovalutare, se non ad ignorare del tutto, le questioni di natura “territoriale” in senso ampio, che costituiscono il principale impedimento allo sviluppo turistico del territorio. Tale visione, che domina le retoriche della politica intorno alla questione della valorizzazione delle “risorse culturali”23, riflette perfettamente l’affermarsi di un approccio “settoriale” e non “territoriale” al tema della valorizzazione dei beni culturali già denunciato da Massimo Quaini, peraltro, come tipico dei nuovi corsi di laurea in Beni Culturali. Fondati su rigide separazioni disciplinari – destinate a produrre nuovi, paralizzanti conflitti – questi corsi di laurea presentano una profonda debolezza delle discipline storico-territoriali e letterarie24, in realtà le sole in grado di ricondurre la questione dei “beni culturali” alla dimensione del territorio e di contribuire positivamente a dipanare in modo innovativo e coerente il nodo conservazione/fruizione. 22
Http://www.regione.sicilia.it/TURISMO/Web_turismo/dipartimento/download/Studi_ricerc he/primo_rapporto_integrale.zip 23 Nel linguaggio della politica le “risorse culturali” sono sempre annoverate con posizione di privilegio nella rosa delle “risorse” insieme a quelle “ambientali” e “umane”. 24 Sul “triste fallimento” dei Corsi di Laurea in Beni Culturali, Massimo Quaini, citando le parole di Salvatore Settis, scrive: Sulla base della mia esperienza posso confermare che la causa di tale fallimento è lo strapotere di storici dell’arte e archeologi (alleati quando conviene con gli architetti del paesaggio) che non sanno guardare al di là del perimetro corporativo delle loro discipline, difese in nome di «una retorica perversa dei Beni Culturali come un dominio separato (quasi che specificità dovesse essere sinonimo di separatezza)», la quale, proprio a causa dell’assenza delle discipline storico-territoriali e letterarie, sta producendo quel «crescente analfabetismo» che fa quasi rimpiangere le vecchie facoltà di Lettere (M. Quaini, L’ombra del paesaggio, cit, pp.120-121)
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Il titolo di uno dei capitoli più interessanti del documento regionale25 ha registro programmatico: «L’immagine della Sicilia e delle sue città come concetto di prodotto e come marca». Sin dalle prime battute dell’introduzione si afferma chiaramente che «è ormai pacificamente accettato che una determinata area può, sotto determinati aspetti, essere “marketizzata” alla stregua di qualsiasi altro bene da collocare sul mercato»26. Con riferimento ad un’indagine condotta dal Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato - Dipartimento del Turismo e del Touring Club Italiano, il documento evidenzia quindi come la Sicilia, unica regione insieme alla Toscana, goda di un’immagine unitaria collocandosi al quarto posto per notorietà, dopo Roma, Venezia e Milano, sottolineando la capacità di queste due regioni «di evocare su larga scala un qualcosa di più definito, riconducibile allo stereotipo di prodotto-territorio»27. È dichiarata, dunque, l’intenzione di un uso strumentale dell’immaginestereotipo, di cui si esaltano le valenze: Il fatto che i potenziali turisti abbiano questa percezione unitaria dell’isola dovrebbe contribuire a trasmettere quel senso comune di appartenenza, che già esiste, anche in sede di pianificazione strategica nel settore del turismo.28
Per definire, inoltre, i contenuti del “prodotto Sicilia” il rapporto regionale riporta i risultati di un’ulteriore indagine condotta dalla Mercury Srl29 dalla quale emerge che tra i fattori che determinano l’immagine complessiva dell’isola l’archeologia con il 31% si colloca al primo posto, distanziando di ben sei punti percentuali il secondo elemento rappresentato dal mare30. Nel complesso l’insieme archeologia/arte/storia costituiscono il 54% dell’immagine della Sicilia. Il censimento del patrimonio in Sicilia conferma la preminenza del patrimonio archeologico che costituisce il 38% dell’offerta regionale, seguito dal patrimonio architettonico (25%), dal patrimonio storico artistico (22%), ambientale (9%)
25
Primo rapporto sul turismo in Sicilia, Regione Siciliana- Assessorato del turismo, delle comunicazioni e dei trasporti, Mercury Srl, 2001 http://www.regione.sicilia.it/TURISMO/Web_turismo/dipartimento/download/Studi_ricerche/ primo_rapporto_integrale.zip 26 Ibidem, p.111 27 Ibidem, p.112 28 Ibidem, p.113 29 Indagine a cura della Mercury Srl su due panel group costituiti da studenti del Corso di Laurea in Economia e gestione dei servizi turistici dell’Università di Firenze e studenti del corso di formazione post laurea in Marketing territoriale organizzato dalla regione Toscana a Pistoia. 30 Seguono l’arte (18%), la sicilianità, intesa come immagine che deriva dalle rappresentazioni letterarie dell’isola (8%), il sole (6%), la storia (5%), la mafia (4%), altro (3%).
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ed etnoantropologico (6%)31. Il settore culturale è dunque individuato come “prodotto leader” che la Regione Sicilia si impegna a rivalutare, valorizzare e gestire «tanto da pensare [sic!] di ideare un sistema organico di itinerari e percorsi turistici integrati (in cui si crea un collegamento tra arte, storia, ambiente, tradizioni, folklore, mare, sport e benessere) con l’obiettivo di offrire un sistema turistico diversificato e al tempo stesso appetibile e di qualità»32. Il riconoscimento della natura diffusa di buona parte del patrimonio siciliano e l’importanza strategica dei beni definiti “minori” conducono i redattori ad una rappresentazione finale della Sicilia come (potenziale) museo all’aperto33. Tuttavia le strategie regionali in questa direzione sembrano non sottrarsi alla visione dello sviluppo turistico fondata sulla logica degli “itinerari” in cui sembra risolversi tutta la progettualità sul patrimonio culturale sia a livello regionale, sia, inevitabilmente, quasi ovunque a livello locale. Il limite principale di questo orizzonte operativo è dato dalla natura di tali “itinerari”. Proposti di volta in volta da enti locali, o sempre più frequentemente dall’iniziativa di soggetti privati, e promossi attraverso siti internet, istituzionali e non, gli itinerari turistici siciliani hanno qualità assai eterogenea ma sono ispirati a un modello comune. Essi ricalcano, infatti, la logica del “pacchetto turistico” e tendono a riproporre a scala locale gli elementi che costituiscono il “prodotto Sicilia”, organizzati secondo un criterio di prossimità che il più delle volte non travalica lo spazio del campanile. Siti archeologici, beni architettonici, prodotti enogastronomici, strutture ricettive, sagre e feste di paese vengono così aggregati – nel tentativo di riprodurre in loco il modello vincente che la retorica regionale sostiene come volano di crescita economica – e virtualmente collegati in un inesistente circuito la cui praticabilità, in alcuni casi, non regge la verifica né in merito a condizioni d’accesso, né a leggibilità e stato complessivo dei beni promossi. Ben lungi dal rappresentare percorsi realmente praticabili di accesso al patrimonio, questi itinerari si risolvono spesso, infatti, in un’arbitraria selezione di “oggetti” più o meno appetibili, di maggiore o minore interesse, variamente collocati entro territori caratterizzati da forti elementi di degrado paesaggistico, urbanistico e ambientale. La facilità impressionante con cui ambiti territoriali marginali e degradati possono divenire paradisi culturali e ambientali appetibili, attraverso l’uso di strumenti accessibili come quelli offerti delle tecnologie dell’informazione, spiega sicuramente l’irresistibile appeal del marketing turistico presso sindaci, assessori e operatori, e l’investimento consistente (in termini di risorse e aspettative) nella realizzazione di portali e siti volti a restituire una rappresentazione del territorio “virtuale” a tutti gli effetti. 31
Elaborazione dati ENIT 2000 Primo rapporto sul turismo in Sicilia, cit., p.91 33 Ibidem, p.97 32
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Questo fenomeno, che si è manifestato con evidenza in Sicilia nel periodo della programmazione dei Fondi Strutturali 2000-2006, non è certamente un dato esclusivamente regionale. Nella sua riflessione su Tessuto storico-ambientale e valorizzazione del Mezzogiorno per vie interne 34 Bruno Vecchio, nel sottoscrivere le obiezioni avanzate da Pasquale Coppola ai progetti di valorizzazione del tessuto storico-ambientale, fondate innanzitutto sul carattere velleitario di questi progetti, la mancanza di immaginazione, il carattere stereotipato delle ipotesi, mette in guardia dai semplicismi e, con riferimento alla Toscana (o al “prodotto Toscana”, come vorrebbe l’indagine riportata dal documento della Regione Sicilia), evidenzia i limiti del “modello chiantigiano”, basato appunto sulla riconoscibilità dell’immagine del territorio e da una forte stereotipizzazione dell’offerta centrata in particolare sulla coppia paesaggio/prodotto locale: […] occorre far presente che il turismo rurale (…) se lasciato evolvere esclusivamente in base agli impulsi finanziari che lo governano, tende a promettere al visitatore di più di quanto poi non mantenga. Più precisamente esso ha come segmento elettivo di clientela quello caratterizzato da cultura medio-alta, le cui aspettative sono però in parte frustrate dalla difficoltà –pur dopo avere pagato per abitare nel luogo (alloggio rurale, agriturismo, campeggio, ecc.) – di entrare effettivamente in contatto con quelle peculiarità culturali e ambientali che sono proprie del luogo stesso, che sono il movente della sua attrazione (…) Va da sé che molto peggiori in questo senso sono le escursioni brevi, del tipo di quelle in partenza da Firenze in cui “la scoperta del Chianti” (regione) si traduce nel passaggio in fattoria con degustazione e vendita di Chianti (vino), con annessa sosta del pullman in punto opportuno dell’itinerario, da cui si scopra una vista su paesaggio atto a essere garantito come “tipico toscano”. È di fronte a questa impasse dei possibili itinerari di valorizzazione culturale che occorre considerare forme innovative.35
Il carattere velleitario dei progetti di valorizzazione fondati esclusivamente sulla logica dell’itinerario deriva anche dalla natura autoreferenziale del modello turistico a cui essi fanno riferimento: quello, cioè, praticato tradizionalmente dai tour operator e basato sul concetto di all inclusive, in cui il turista è guidato attraverso il territorio del quale si propone una sintesi attraverso una selezione di eventi. Questo modello, che ancora domina l’immaginario, è però basato sul concreto “trasporto” del turista nel territorio, ed è l’operatore turistico a scegliere percorsi e
34
B. Vecchio, Tessuto storico-ambientale e valorizzazione del Mezzogiorno per vie interne, in Le vie interne allo sviluppo del Mezzogiorno, a cura di Luigi Stanzione, Istituto Universitario Orientale, Dipartimento di Scienze Sociali, Working Papers, Napoli, 2001. 35 B. Vecchio, Tessuto storico-ambientale e valorizzazione del Mezzogiorno per vie interne, cit., pp. 94-105
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“oggetti” sulla base di logiche interne che prescindono dagli “itinerari” elaborati dalle realtà locali, quand’anche istituzionali.
II.1.5 Verso un nuovo modello di turismo. Il ruolo della pianificazione di area vasta Lo sviluppo di un turismo auto-organizzato in Sicilia potrebbe costituire lo scenario desiderabile per molte delle realtà regionali oggi marginali rispetto ai grandi flussi del turismo organizzato. Si tratta di un modello in crescita basato sull’idea di turista-viaggiatore, consapevole e smaliziato nei confronti delle rappresentazioni stereotipate delle realtà locali, il cui obiettivo, per molti versi in sintonia con i principi promossi dalla carta del turismo culturale, sia una profonda comprensione del contesto attraverso la scoperta di luoghi “minori” e lo scambio con le popolazioni locali, con una buona dose di serendipity come valore aggiunto del viaggio. Questa nuova figura di visitatore “responsabile” e informato tende a costruire autonomamente il proprio progetto di soggiorno nel territorio, preferendo prolungare la permanenza in un luogo-base dal quale esplorare nei suoi diversi aspetti la realtà locale prescelta, anziché spostarsi – per brevi o brevissime permanenze – tra le mete tradizionali del turismo isolano. In questa prospettiva l’opportunità offerta dalle tecnologie dell’informazione sarebbe davvero rilevante, in termini di supporto al viaggiatore nella articolazione di un proprio percorso di scoperta dei luoghi. L’utile alternativa alla logica degli “itinerari” virtuali è, ad esempio, il portale delle aziende turistiche siciliane realizzato a cura dell’Assessorato regionale al turismo, una sorta di “anagrafe” delle strutture turistiche siciliane, un database accessibile, esaustivo e costruito secondo principi di comparabilità dell’offerta.36 Il modello di turismo auto-organizzato – di cui un segmento importante è il turismo culturale e ambientale dei giovani stranieri che, seppur meno remunerativo nell’immediato, costituisce un’importante investimento sul futuro – si contrappone alla logica accentratrice e selettiva del turismo tradizionale, concentrato sul piano stagionale così come su quello territoriale, tendente a determinare forti squilibri fra zone congestionate e zone marginalizzate. Esso richiede, però, ampi investimenti nella riqualificazione dei contesti locali, sul piano ambientale, paesaggistico, urbanistico, esprimendo una domanda di alti livelli di qualità, permeabilità, leggibilità dei paesaggi locali: la predisposizione, cioè, di un territorio non solo “accessibile” ma “accogliente”. La questione dell’accessibilità, infatti, nella retorica imperante dello sviluppo turistico, tende ad essere risolta con un meccanico riferimento alla 36
http://www.regione.sicilia.it/turismo/web_turismo/sicilia/it/ricettivita/index.html
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questione abusata dei “trasporti”, spesso strumentale al sostegno di progetti infrastrutturali ad alto impatto, destinati piuttosto ad accrescere vecchi squilibri e a crearne di nuovi. Nel concetto di territorio accogliente, invece, trova spazio quell’idea di convivialità su cui si fonda l’utopia di Quaini, la chiave per «ricondurre lo spazio dei flussi, alla logica locale, lo spazio dei luoghi»37. Per uscire dalla gabbia della valorizzazione “virtuale” e delle reti forti e selettive del turismo globalizzato, il progetto locale deve fondarsi su una lettura del territorio mirata alla identificazione di nuovi valori territoriali, alla scoperta di luoghi marginalizzati dalla storia recente ma significanti, alla inclusione di beni, siti e soggetti, attraverso il progetto paesistico di respiro subregionale fondato non già su uno stereotipo, ma su una visione, il più possibile condivisa, del territorio, che si esprima in una rappresentazione coerente, dettagliata ed efficace dei paesaggi locali: una vera e propria descrizione fondativa38 che funga da riferimento per la definizione di concrete norme di trasformazione. Nell’ambito del territorio ibleo il ruolo centrale di un quadro di riferimento di area vasta emerge dal confronto fra le due province: la prima significativa differenza, infatti, è stabilita dal quadro pianificatorio provinciale. L’esperienza del Piano Territoriale Provinciale di Ragusa39, approvato nel 2001, marca, nella stagione di Agenda 2000, la distanza fra i due territori in termini di coerenza delle rappresentazioni territoriali locali che trovano nell’apparato analitico del piano e nelle sue previsioni strategiche un termine di confronto fondamentale. Anzitutto, nell’ambito delle strategie del piano, la questione del modello di sviluppo turistico è posta lucidamente e ricondotta alla sua dimensione territoriale. Si evidenzia, in primis, come l’accesso ai grandi circuiti del turismo internazionale dipenda da una molteplicità di fattori indispensabili scarsamente controllabili a livello locale sia istituzionale, sia a maggior ragione del singolo privato. Accedere a questi circuiti vuol dire delegare a parti terze operanti al di fuori e lontano dal territorio, l’onere della commercializzazione del turismo. Perché questo possa avvenire è necessario che il prodotto offerto sia di qualità, abbia standard strutturali e di servizio di livello internazionale, goda di un’immagine positiva, sia vendibile in quantitativi che giustifichino l’investimento promozionale (…), sia raggiungibile facilmente e con mezzi di trasporto che operino in condizioni di totale affidabilità. Se viene a manca-
37
M. Quaini, L’ombra del paesaggio, cit., p.165. Cfr. G. Cinà (a cura di), Descrizione fondativa e statuto dei luoghi, Alinea, Firenze 2000. La legge regionale della Liguria n.36/1997, all’art. 18 introduce la descrizione fondativa come parte integrante del Piano Territoriale di Coordinamento e dei Piani Urbanistici Comunali. 39 Piano Territoriale Provinciale (PTP) di Ragusa, http://82.191.215.42:900/piano.asp 38
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re anche una sola di queste condizioni, il tour operator non inserisce il prodotto turistico nel suo pacchetto di offerte.40
L’alternativa individuata dal piano è attuare strategie tendenti a sollecitare un interessamento diretto dei potenziali clienti finali.41
Dunque obiettivo dell’offerta turistica locale in area iblea ragusana, tenuto conto degli attuali limiti al perseguimento di un modello tradizionale di turismo, è un turismo «autonomo, lo sviluppo del quale, però, dipende dalla qualità del territorio nell’ambito del quale i servizi vengono offerti (…)».42 L’approccio territoriale al tema della fruizione turistica del patrimonio, sia esso culturale o ambientale, rispetto alla visione riduttiva del marketing, su cui si incentra l’intero ragionamento del rapporto regionale sul turismo, è ben evidente quando si torni a parlare di “itinerari”. Il piano prevede infatti che gli “itinerari archeologici” siano articolati come struttura di percorsi, non, o solo occasionalmente, interferenti con la viabilità principale, che possa guidare il visitatore, sia esso turista, semplice studente o conoscitore dei luoghi e della materia, attraverso un territorio ed un paesaggio di grande fascino e silenziosità che gli consenta non solo una visita ai reperti ma anche l’intuizione di un possibile rapporto tra le ragioni di questi e la forma dei luoghi.43
Si prevede inoltre che gli itinerari archeologici siano accompagnati da un apparato didattico che ne consenta la leggibilità. Il riferimento alla necessità di sedi “dedicate” presuppone la realizzazione di circuiti di “mobilità lenta” che si appoggino alla rete delle trazzere, alla viabilità interpoderale, alla sentieristica naturale, sgombrando il campo da ogni dubbio sulla “materialità” di questi itinerari e prospettando finalmente, sulla base di una adeguata restituzione cartografica, modalità di fruizione dei siti parzialmente o totalmente alternative all’accesso privato su gomma. Un limite nella concezione di questi percorsi è dato dall’intento di tematizzare i circuiti secondo un criterio cronologico (itinerari di epoca preistorica, sicula, greca, romana, rupestre) che contraddice il carattere stratificato del paesaggio ibleo 40
Cfr. Piano Territoriale Provinciale di Ragusa, Strategie, par. 2.8 Turismo Ibidem 42 Ibidem. Il PTP di Ragusa sottolinea, in particolare, la difficoltà legata alla attuale debolezza dei collegamenti locali con il sistema di trasporto aereo. 43 Piano Territoriale Provinciale di Ragusa, Strategie, par. 2.2 Beni culturali 41
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e dalla mancata previsione di una integrazione di tali percorsi con i previsti “itinerari rurali” che hanno invece carattere architettonico ed enogastronomico, per i quali è esplicitamente prevista «l’individuazione degli insediamenti rurali vicini che possano svolgere ruolo ricettivo convenzionato (ristoro, informazione, noleggio biciclette, vendita prodotti, ecc…)».44 A supporto di questa rete il piano prevede l’istituzione nel territorio del comune di Scicli di un “museo del paesaggio” la cui struttura, non tradizionale, costituisca un osservatorio/laboratorio sulle dinamiche del paesaggio ibleo e sulle sue prospettive di valorizzazione.
44
Ibidem
II.2. Paesaggio e patrimonio nello sviluppo locale. Statuto e rappresentazioni a confronto II.2.1. Il territorio K.A.S.A.. Due diverse declinazioni dello “sviluppo turistico” La lettura del PTP di Ragusa coglie una reale potenzialità del territorio ragusano, già parzialmente in atto, che emerge da una lettura attenta dei dati sui flussi dell’incoming in Sicilia, pubblicata a cura della Mercury Srl.1. I flussi turistici della provincia appaiono in crescita e il dato relativo alle permanenze medie (oltre i quattro giorni) è il più alto di tutta l’isola. Tale dato aumenta ancora (5,44 giorni) qualora si guardi alle sole presenze straniere, con una netta superiorità rispetto al dato generale della Sicilia (3,31 giorni). Anche se il settore alberghiero rimane primario, il territorio ragusano mostra una forte crescita del settore ricettivo complementare, preferito dai turisti italiani ma sempre più scelto anche dagli stranieri (+8,17%). Questi dati, se confrontati con i dati relativi alla provincia di Siracusa, delineano una prima differenza importante nella struttura del settore turistico all’interno del territorio K.A.S.A.. La provincia di Siracusa infatti, pur essendo la prima in Sicilia quanto a crescita complessiva, mostra un dato superiore in termini di presenze ma inferiore in termini di permanenze medie, mentre il settore in maggiore espansione è senz’altro il turismo di tipo alberghiero, preferito a quello complementare nella misura dell’83% circa. I dati sembrano, in generale, confermare le due diverse rappresentazioni territoriali che i programmi di promozione del territorio tendono a proporre. Sul versante ragusano emerge l’immagine di un territorio policentrico la cui offerta ambientale e culturale è omogenea e al tempo stesso ricca e articolata, integrata da un sistema ricettivo che tende a sviluppare una struttura diffusa e a riequilibrare l’offerta città/campagna, come dimostra la crescita del comparto extralberghiero 1
Rapporto sul turismo in Sicilia 2004-2005. I flussi dell’incoming nazionali ed internazionali, Regione Siciliana – Assessorato Turismo, Comunicazioni e Trasporti – Dipartimento Turismo, Sport e Spettacolo. Area 3 “Osservatorio Turistico” - U.O.B. “Analisi e Statistica”
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con particolare riferimento alla tipologia dell’agriturismo. Fortemente incentivato dalle politiche strutturali di Agenda 2000, il modello della ricettività complementare ha la caratteristica, in genere, di accogliere permanenze superiori alla media. Sul versante siracusano, invece, sembra affermarsi un modello di turismo più tradizionale, imperniato sulla centralità urbana di Siracusa – città che si conferma tra le prime mete turistiche della Sicilia – con un forte incremento delle presenze straniere, basato su una crescita del settore alberghiero, con una qualità della ricettività alberghiera che tende ad elevarsi per l’aumento degli esercizi a quattro e cinque stelle. Si abbassa invece, rispetto al dato medio regionale, la durata delle permanenze, fattore che, inserito nel quadro complessivo, denota sicuramente una forte integrazione dell’offerta siracusana nel “pacchetto Sicilia” e inquadra gli arrivi in un tipo di soggiorno nell’isola organizzato “per grandi poli attrattivi”, che tende a creare squilibri sul territorio per un forte accentramento dei flussi nel territorio urbano e per la tendenza a distribuire i benefici economici dell’attività turistica entro reti di attori forti. Viceversa, il sorprendente dato sulla durata delle permanenze in provincia di Ragusa denota la crescita di un turismo, ancora prevalentemente nazionale, che potremmo definire “dedicato”. Il soggiorno è, cioè, interamente rivolto alla conoscenza del contesto territoriale nei suoi molteplici aspetti a partire da un luogo ove il turista soggiorna e dal quale si sposta quotidianamente per esplorare la realtà locale. Per certi versi si tratta del risvolto positivo di un oggettivo isolamento infrastrutturale.
II.2.2. Il paesaggio dell’archeologia. Rappresentazioni a confronto La natura duplice dell’immagine turistica del territorio ibleo si riproduce quando si ponga specifica attenzione al paesaggio archeologico ed alle sue rappresentazioni. Essa costituisce un discrimine fondamentale nella impostazione della problematica del patrimonio archeologico diffuso e trova le sue ragioni nell’evoluzione storica del territorio e nel suo assetto paesistico attuale. A partire dal dato storico, Pietro Militello stabilisce una prima sintetica distinzione sotto il profilo culturale, tra un’area nord orientale, costituita dai versanti catanese e siracusano dell’altopiano, e un’area sud corrispondente al settore ragusano. La prima partecipa attivamente ai movimenti culturali, soprattutto quando gli Iblei diventano zona di frontiera tra gruppi, etnie, culture diverse, dalla prima occupazione alla neolitizzazione, dalla diffusione della civiltà del rame alla colonizzazione greca. La seconda, quella meridionale, mantiene in-
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vece per lo più caratteri retrogradi e periferici conoscendo i caratteri di maggiore floridezza solo quando gli Iblei entrano a far parte di un sistema più ampio, sia esso la uniforme diffusione della cultura castellucciana, sia il controllo geroniano o quello romano.2
Da queste diverse traiettorie deriva nei due territori la diversa natura del paesaggio archeologico, il diverso bilancio fra le “due facce” che Militello individua: il costruito, cioè, prevalentemente greco, caratterizzato da imponenti evidenze urbane e vaste aree monumentali ben delimitate e protette, e lo scavato delle tombe a forno castellucciane, dei tholoi dell’età del Bronzo, delle tombe a camera di età protostorica, ma anche degli insediamenti rupestri, il cui carattere è inscindibile dal contesto naturale che lo accoglie. Il “paesaggio della grotta” si integra e definisce l’ambiente delle cave al punto da esserne anch’esso elemento quasi “naturale” e simbolo stesso della primitiva dialettica fra uomo e natura. Se, come osserva Militello, ancora oggi lo scavato degli Iblei evoca una “mitologia delle origini” che ignora il carattere stratificato del paesaggio a favore della rappresentazione di «un mondo primitivo e selvaggio, particolarmente favorito oggi in un momento di crisi del modello classico»3, ed in questa natura continua a consistere la sua attrattività “turistica”, è pur vero che il costruito ibleo, concentrato in territorio siracusano, costituisce uno dei nuclei forti dell’offerta turistica siciliana. Siracusa: greca come la Grecia, recitava qualche anno fa uno slogan dell’APT siracusana. La rappresentazione di Siracusa come icona della Sicilia greca è stata rafforzata in questi ultimi anni dal rinnovato interesse nei confronti delle rappresentazioni classiche, con l’intensificarsi dell’attività pluriennale dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico. Fortissima è, inoltre, la polarizzazione della rappresentazione museale del patrimonio archeologico ibleo in area Siracusana, che il museo Paolo Orsi sintetizza e racconta attraverso una struttura articolata in tre settori su base cronologica4 L’approccio topografico, la molteplicità, la qualità e la varietà dei reperti disegnano, nel percorso museale, la mappa vivida del paesaggio archeologico ibleo con particolare riferimento all’area orientale. La ricognizione effettuata nell’ambito del progetto K.A.S.A. mostra il contrasto fra l’organizzazione museale dei materiali – e la leggibilità della successione delle culture di cui tali materiali sono la testimo-
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A. Petralia (a cura di), L’uomo negli Iblei, Atti del Convegno su “L’uomo negli Iblei”. Sortino, 10-12 ottobre 2003, pp.153-154 3 Ibidem, p.156 4 Settore A – Preistoria e protostoria, Settore B – Colonie calcidesi, Megara Hyblaea e Siracusa, Settore C – Sottocolonie di Siracusa, centri indigeni, Gela ed Agrigento.
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nianza – e le condizioni di illeggibilità, assedio, oblio, in cui versano i luoghi di rinvenimento di tali materiali, diffusi sul territorio, che oggi si vorrebbe valorizzare.5 L’immagine organica dell’articolato sistema urbano dei musei siracusani finisce con l’offuscare l’offerta frammentata della provincia, la quale nel complesso eguaglia numericamente l’offerta del solo capoluogo. L’effetto di sovrapposizione fra l’immagine della città greca e le successive stratificazioni storiche, con particolare riferimento al processo di riqualificazione e valorizzazione dell’isola di Ortigia, determina la rappresentazione monumentale del patrimonio archeologico siracusano, rafforzata dalla accessibilità e dalla ricchezza dei parchi archeologici urbani e dalla prossimità di questi alle principali strutture museali. Assai diverso è il sistema museale della provincia di Ragusa, che presenta una struttura più equilibrata, sia per distribuzione dei musei sul territorio, sia per dimensione delle strutture museali. La relazione fra paesaggio archeologico locale e museo è assai più stretta, così come più omogenea è l’immagine del patrimonio architettonico urbano, resa ancora più riconoscibile –e per certi versi stereotipata – dalle recenti rappresentazioni televisive. Peraltro, la natura reticolare del sistema insediativo ibleo ragusano, un carattere di lunga durata ampiamente indagato dalla ricerca storica, spiega l’immagine “corale” dei centri storici di questo territorio. Diverso è, certamente, nelle due province, lo statuto del patrimonio archeologico diffuso, con particolare riferimento allo scavato, che sembra giocare nel territorio ragusano un ruolo di primo piano nella costruzione dell’immagine turistica del territorio.
II.2.3. Il concetto di paesaggio come sintesi identitaria Una delle rappresentazioni più coerenti del patrimonio paesistico ragusano, inteso come miscuglio inestricabile di valori culturali e naturali, è data dal volume “Il parco degli Iblei in provincia di Ragusa” curato da C.A.I Ragusa, Fondo Siciliano per la Natura di Comiso, Legambiente Ragusa, a sostegno della proposta di istituzione di un Parco nazionale degli Iblei, proposta che ha trovato nella Legge finanziaria 2008 la copertura finanziaria da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Il testo, insieme al corpus documentario del piano provinciale costituisce una delle letture del paesaggio degli iblei occidentali più dense di intenzionalità e riferimenti identitari e, al tempo stesso, un significativo quadro di riferimento per la 5
Parafrasando l’immagine di Quaini, questi luoghi sono «scarti della storia» ma anche «scarti della ricerca e dell’archeologia tradizionale» (M. Quaini, L’ombra del paesaggio. L’orizzonte di un’utopia conviviale, Diabasis, Reggio Emilia 2006, p. 48).
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progettualità locale. Vi si afferma da subito, infatti, che «le popolazioni iblee hanno ritrovato la fierezza di vivere in questo lembo speciale di Sicilia»6 e si sostiene l’utilità dell’istituzione di un parco, che lungi dal rappresentare un freno allo sviluppo del territorio, «crea una “consapevolezza collettiva nuova” »7. Il capitolo introduttivo nel rispondere alla domanda “perchè un parco negli Iblei?” afferma in modo programmatico: Se i parchi dovranno esserci in un futuro più rispettoso dell’ambiente, essi dovranno al contrario e paradossalmente, essere parchi urbani o industriali, ovvero parchi intesi come eccezione a una norma di tutela generalizzata dell’ambiente e degli ecosistemi naturali. (…) Non limitare i parchi alle vie impervie o di grande eccezionalità (…) ma estenderli ad aree collinari di grande valore paesaggistico ed antropico oltre che naturalistico (il parco “dolce”), non è altro che un modo per anticipare una diversa impostazione del rapporto uomo-territorio (..).8
Il patrimonio archeologico diffuso diviene parte costitutiva fondamentale di questo paesaggio ove l’azione antropica si rappresenta sempre come coerente e complementare al disegno naturale, ad esempio attraverso l’uso della pietra locale nelle architetture, che – scavate o costruite – diventano simbolo di una “sapienza ambientale” delle genti iblee9. Segno di una “sapienza ambientale delle origini” – di cui, in una interpretazione continuista del processo di costruzione del paesaggio, i centri storici della ricostruzione post terremoto rappresentano l’apice creativo – lo scavato ibleo è presentato col fascinoso epiteto di “parco nascosto”, «un mondo sotterraneo di rara bellezza [… fatto di] cavità grandi e piccole, naturali o artificiali, (che) testimoniano la storia della terra e dei suoi abitanti»10. Nella retorica del paesaggio ibleo ragusano un ruolo centrale è assegnato al paesaggio rurale quale tessuto connettivo che raccoglie e sintetizza i valori storici del paesaggio ibleo.
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L. Lo Presti, Perché un parco negli Iblei, in AAVV, Il parco degli Iblei in provincia di Ragusa, EdiARGO, Ragusa 2006, p. 14 7 Ibidem, p.15 8 Ibidem, p.16 9 Cfr. P. Tiralongo, Il paesaggio di Pietra negli Iblei, in AAVV, Il parco degli Iblei in provincia di Ragusa, cit., pp. 157-176 10 Cfr. P. Moncada, Ambienti ipogei dell’altopiano ibleo, in AAVV, Il parco degli Iblei in provincia di Ragusa, cit., pp. 145-150.
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L’agricoltura iblea risulta così ben inserita nel territorio dal punto di vista ecologico e paesaggistico, presentando un’intrinseca eco-compatibilità e sostenibilità; in questo modo essa assolve alla funzione di salvaguardia e valorizzazione delle risorse naturali e culturali della zona. Nelle aziende gli appezzamenti sono delimitati in modo caratteristico da muri di pietra a secco. Questo ingente patrimonio di architettura rurale è il risultato di un faticoso e sapiente lavoro delle maestranze locali.11
Questa rappresentazione, che tralascia ogni riferimento alle trasformazioni colturali più recenti – per esempio la coltura orto-florovivaistica in serra, ad alto impatto paesaggistico ed ecologico, sempre più diffusa oltre che in pianura anche in ambito collinare –, fa propria l’immagine storica di un territorio fortemente connotato dall’integrazione funzionale urbano-rurale. Il cuore storico geografico di questa narrazione identitaria è la Contea di Modica, da cui si staccarono i territori di Acate, Comiso, Santa Croce Camerina e Ispica, «ma a cui rimasero legati da sostanziali unità culturali»12. Il muro a secco – «opera davvero ciclopica»13 – oltre ogni qualificazione formale, è sempre rappresentato come il segno visibile di una diversità virtuosa dell’area iblea nel panorama arretrato dell’agricoltura isolana. Il paesaggio rurale «esprime la pacifica eversione del sistema feudale», ed è «testimonianza dell’affermazione nel nostro territorio della moderna concezione dell’economia come mercato europeo a partire dal XV secolo».14 Grazie alla suddivisione della proprietà che ha caratterizzato il territorio ibleo, in questa zona della Sicilia nacque da parte del contadino un interesse particolare nei confronti della sua terra.15
L’agricoltura di oggi, erede di quella del passato, alla quale si riconosce una « propensione all’internazionalizzazione»,16 è chiamata, nei documenti di programmazione ad un orientamento evolutivo, attraverso l’attivazione di processi di certificazione della qualità e l’istituzione di marchi I.G.P., D.O.C. e D.O.P. a ga11
S. Giunta, Agricoltura e paesaggio, in AAVV, Il parco degli Iblei in provincia di Ragusa, cit., p.179 12 Provincia Regionale di Ragusa, Progetto Passiblei, Itinerari storici. Paesaggio rurale http://82.191.215.42:900/passiblei/IL%20PAESAGGIO%20RURALE.htm 13 Ibidem 14 Ibidem 15 S. Giunta, Agricoltura e paesaggio, in AAVV, Il parco degli Iblei in provincia di Ragusa, cit., p.177 16 Piano strategico Valle dell’Ippari www.comune.vittoria.rg.it/piano%20strategico%20valle%20ippari/Agricoltura%20e%20turis mo-prime%20evidenze.pdf
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ranzia del prodotto locale. Essa, inoltre, è individuata come risorsa prioritaria per lo sviluppo di un turismo diffuso. Al di là delle misure proposte dai Gruppi di Azione Locale17 – che ricalcano gli orientamenti regionali per lo sviluppo del comparto agricolo – il dato realmente interessante della programmazione negoziata di ultimo periodo in questo territorio è il riconoscimento collettivo del paesaggio quale narrazione identitaria stratificata e coerente al punto che le diverse componenti che lo articolano (patrimonio urbano monumentale, patrimonio rurale, patrimonio ambientale e patrimonio archeologico diffuso) non sono più distinguibili l’una dall’altra ma concorrono alla visione del territorio come un unicum: concetto – questo – che ritorna in tutte le descrizioni paesistiche. Non fa eccezione la rappresentazione del paesaggio naturale quale emerge, ad esempio dal recente testo di Francesco Alaimo Sicilia. Natura e Paesaggio, che si propone come sintesi delle valenze naturalistiche del territorio siciliano. Pur nella rappresentazione omogenea del paesaggio naturale dei Monti Iblei, l’autore riserva alla provincia di Ragusa una notazione a parte (…) per i suoi diversi e preziosi elementi antropici che (…) in maniera discreta ma significativa hanno segnato multiformi scenari iblei in un rapporto intimo tra l’uomo e la pietra, scavata, intagliata, scolpita, abitata sin dalla notte dei tempi. Muri a secco, masserie, tombe, santuari rupestri, templi, palazzi nobiliari, chiese, città: figli, tutti, della roccia calcarea. Un patrimonio di inestimabile valore che va ad aggiungersi a quello naturalistico e paesaggistico, facendo di questo particolarissimo ambito un unicum culturale di non comune valore.18
L’esempio del territorio ibleo occidentale è emblematico di come la questione sfuggente dell’identità dei luoghi, al centro della quale vi sono patrimonio e paesaggio, si riveli cruciale nel progetto locale. La lettura delle immagini prodotte dagli attori locali deve essere oggetto, tanto quanto la “struttura” storica ed ecologica dei paesaggi, dell’analisi paesistica. Quest’ultima, quando non tenga conto delle percezioni dei valori, tradendo l’idea stessa di paesaggio, rischia di trasformare la pianificazione paesistica in una mera sommatoria di vincoli, tanto legittimi sul piano scientifico, quanto impraticabili perchè non condivisi. Siamo infatti convinti con Massimo Quaini del fatto che il paesaggio non è interessante come categoria analitica per leggere l’ambiente in termini scientifici, ma lo è in quanto contenitore di miti, sogni 17
Cordate di soggetti locali mirate all’attuazione dei programmi di iniziativa comunitaria (PIC) Leader e Leader +, orientati specificamente allo sviluppo rurale. 18 F. Alaimo, Sicilia. Natura e paesaggio, Fabio Orlando Editore, Palermo 2005, p.274
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ed emozioni, in quanto accumulatore di metafore per capire le contraddizioni e i problemi del nostro tempo. Proprio per queste sue qualità nel campo delle rappresentazioni e nel territorio dell’estetica diventa una componente necessaria per riprogettare il mondo in cui viviamo.19
Se il paesaggio è produzione, allora, come osserva Isabelle Backouche20, dobbiamo porci il problema fondamentale della sua ricezione, rifiutando l’idea di una leggibilità immediata del paesaggio, che è erede, più o meno consapevole, dell’approccio funzionalista ancora prevalente nella pianificazione territoriale. Il gioco dialettico fra la lettura “colta” dell’outsider (il pianificatore, lo storico, lo studioso) e quella degli insider21 (quale emerge non solo dalle autorappresentazioni, ma anche dalle “pratiche”, dagli “usi”, attuati o desiderati, del paesaggio) produce sistemi di coerenze oppure attriti che misurano la distanza fra la norma e la sua efficacia. Il riconoscimento diffuso dei valori paesistici, determina, ad esempio, la relazione fra il territorio protetto e il suo contesto. L’analisi della struttura del territorio protetto nelle due province mostra sul versante ragusano un minor numero di aree protette istituite (cinque riserve e nove Siti di Importanza Comunitaria, ai sensi della Direttiva 92/43/CEE – Habitat) rispetto al versante siracusano (dieci riserve naturali, tre aree marine protette, sedici Siti di Importanza Comunitaria e sei Zone di Protezione Speciale ai sensi della Direttiva 79/409/CEE – Uccelli). Questo dato dipende solo in parte dall’effettiva distribuzione dei siti ad elevato valore ecosistemico. In realtà esso riflette la condizione di frammentazione del paesaggio naturale degli Iblei orientali e una “insularizzazione” del territorio protetto, determinata da una maggiore competizione per l’uso alternativo del territorio. Se, infatti, le rappresentazioni del paesaggio ibleo occidentale tendono a convergere sull’immagine – fin troppo coerente – di uno spazio “armonioso”, i cui valori concorrono a costruire un modello di sviluppo “sostenibile” confermato/affermato nei programmi locali, viceversa, le rappresentazioni degli Iblei orientali esprimono, tanto quanto i paesaggi materiali, uno spazio diversificato, polarizzato, caratterizzato da elementi palesi di conflitto fra gli attori locali22. Ciò emerge
19
M. Quaini, Op. cit. p.12 Cfr, I. Backouche, Les usages du paysage, in E. Iachello, (a cura di) I saperi della città: storia e città nell'età moderna. Atti del Colloquio internazionale di storia urbana, Catania, 19-21 settembre 2003, L'epos, Palermo 2006, pp. 161-171. 21 Cfr. R. Gambino, Conservare. Innovare, UTET, Torino 1997, p.29 22 Occorre precisare che la distinzione fra i due ambiti basata sui confini amministrativi è scaturita essenzialmente dalla rilevanza del quadro pianificatorio e dell’aggregazione dei dati sul turismo, ma, al tempo stesso non è possibile rappresentare i due territori provinciali, come ambiti del tutto separati. Il territorio sud della provincia di Siracusa presenta, ad esempio una maggiore omogeneità paesaggistica con i caratteri attribuiti al contesto ragusano a partire dalla struttura fondiaria e dalla 20
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dalla diversa lettura, che questi ultimi danno, del rapporto fra territorio protetto (sistema delle aree vincolate di carattere storico-culturale ed ambientale) e contesto. In territorio ragusano, la Cava d’Ispica, parco archeologico e Sito di Importanza Comunitaria, finisce con il costituire l’eccellenza di un territorio, approdo compiuto di una percezione/rappresentazione organica del paesaggio locale. I siti in essa tutelati sono raggiungibili attraverso uno spazio leggibile, portatore di ulteriori significati storici e ambientali. L’apparato interpretativo di tali significati, accessibile a tutti i livelli (pubblicazioni scientifiche, pubblicazioni divulgative, siti istituzionali, siti privati), offre una chiave di lettura “forte” e sintetica (la dialettica fondativa uomo-natura) e trova nel piano provinciale e nella zonizzazione del parco naturale un orizzonte progettuale di indirizzo. La percezione delle aree protette del versante orientale è, invece,chiaramente delineata nei Piani di Sviluppo Locale (PSL)23 di area siracusana, tanto settentrionale (PSL Hyblon Tukles24) quanto meridionale (PSL Eloro25), quando si sottolinea «un non completo loro inserimento nelle strategie di sviluppo comprensoriale»26 e si denuncia l’«inadeguatezza degli enti preposti alla gestione»27. Tuttavia tale percezione di separatezza è limitata alle modalità di gestione, giacchè si riconosce che tali tipologie di siti [siti di interesse culturale, paesaggistico ed ambientale] sono estremamente ed intimamente connesse, senza rilevanti soluzioni di continuità.28
Nel versante orientale degli Iblei la città di Siracusa costituisce un caso a sè per la forza della sua immagine di città d’arte e storia, vocata al turismo culturale. Le retoriche identitarie urbane, cui si è brevemente accennato a proposito dell’immagine turistica degli iblei, sostenute da un corpus scientifico pluridisciplinare, raggiungono elevati livelli di complessità e si costruiscono intorno all’idea di una secolare centralità di Siracusa nello spazio siciliano e mediterraneo. Negli altri casi qui indagati non è riscontrabile una rappresentazione fondata su un’idea condivisa di paesaggio locale paragonabile a quella espressa dal conte-
definizione del rapporto città/campagna. 23 Piani di Sviluppo Locale (PSL), http://www.carrefoursicilia.it/leader+/pagine/elencopsl.htm 24 Il PSL interessa i comuni di Buccheri, Buscemi, Canicattini Bagni, Carlentini, Cassaro, Ferla, Francofonte, Lentini, Palazzolo Acreide, Sortino. Esso è documento attuativo del programma Leader+ che unifica i territori del precedente Leader II (GAL Leontinoi e GAL Val d’Anapo) 25 Il PSL interessa i comuni di Avola, Noto, Pachino, Portopalo di Capo Passero, Rosolini 26 GAL Eloro, Piano di Sviluppo Locale Eloro, p.17 http://www.galeloro.it/export/sites/galeloro/GalDownload/gal/PSL_ELORO.zip 27 Gal Hyblon Tukles, Piano di Sviluppo Locale Hyblon Tukles p.53 http://www.leaderht.com/hyblontukles/progetto/PSL_hyblontukles.zip 28 GAL Eloro, Piano di Sviluppo Locale Eloro, cit., p.36
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sto ragusano. Piuttosto, lo sforzo di elaborazione di una visione del territorio tende a fondarsi su retoriche identitarie “deboli”, di stampo economicistico, prima fra tutte quella del patrimonio come sommatoria di “risorse”, il cui livello di coerenza ed efficacia è disomogeneo.
II.2.4. Gli Iblei orientali. Identità in movimento I molti programmi complessi che insistono sul territorio della provincia di Siracusa – capoluogo di provincia a parte – sembrano delineare l’esistenza di almeno tre comprensori di carattere sovracomunale che esprimono rappresentazioni e progetti identitari differenti. Un primo comprensorio coincide col territorio del GAL Eloro, aggregazione che si estende al comune di Siracusa nel PIT Ecomuseo del Mediterraneo, interamente ricadente nella prima delle quattro zone individuate dal Complemento di Programmazione del Leader + (“Zona 1 ad attività economica diversificata con economia ricca e diffuso benessere”). I documenti di programmazione descrivono il territorio come «un tessuto di notevole ricchezze e complessità» caratterizzato da una «forte concentrazione di emergenze archeologiche architettoniche e naturalistiche».29 La progettualità espressa da questo territorio è decisamente mirata allo sviluppo del turismo rurale e culturale (al quale ad esempio il Piano di Azione Locale – PAL Eloro30 – dedica la quota più consistente delle risorse) e delle produzioni locali di qualità. I quattro settori prioritari (agroalimentare, artigianale, culturale e ambientale) che più fortemente caratterizzano il patrimonio identitario […] potranno raggiungere quel livello di sviluppo locale sostenibile, realizzato in chiave turistica, che il territorio continua, negli ultimi anni a proporre come unico modello di sviluppo realmente deciso e condiviso a partire dal basso e verso cui il territorio stesso punta con oramai sempre maggior determinazione in tutte le occasioni di pianificazione e progettazione del proprio assetto socioeconomico e culturale […].31
Il quadro progettuale analizzato mostra un territorio piuttosto coeso, lucidamente proiettato verso un modello di sviluppo coerente, protagonista nella elaborazione della proposta di istituzione di un parco naturale e, per molti versi, omogeneo
29
Gal Eloro, Piano di Sviluppo Locale Eloro, cit. pp. 16-17 Piano di Azione Locale (PAL) Eloro, http://www.galeloro.it/it/galeloro/ 31 Gal Eloro, Piano di Sviluppo Locale Eloro, cit. p.35 30
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col versante ragusano e verso di esso proiettato, come dimostra l’articolazione della nuova compagine territoriale, oggi in fase di redazione del piano strategico Città per lo sviluppo32 (capofila il comune di Avola), che oltre ai comuni del Gal Eloro, include i comuni di Ispica e Pozzallo. Il nuovo piano conferma il modello di sviluppo agricolo/turistico ed individua alcune importanti criticità di natura paesistica fra cui il degrado della fascia costiera, nella quale si concentra la maggior parte dei siti archeologici, in generale, e dei siti K.A.S.A. in particolare. Dato non trascurabile è l’inclusione, fra le risorse territoriali dei “porti” di Pozzallo e Portopalo, porti pescherecci già esistenti, e del previsto porto turistico di Avola, a sostegno della vocazione mediterranea di questi luoghi. Rispetto a questo territorio, il secondo comprensorio, costituito dai comuni ricadenti nei Territori Leader II Leontinoi e Val d’Anapo poi aggregatisi nel GAL Hyblon Tukles, presenta una maggiore articolazione: i comuni di Lentini e Francofonte sono, infatti, classificati come zone ad attività economica diversificata con agricoltura ricca e diffuso benessere; i comuni di Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla e Sortino, come zone ad agricoltura povera ed estensiva e in degrado demografico; i comuni di Carlentini, Canicattini Bagni e Palazzolo Acreide, come zone ad agricoltura diversificata ed in potenziale sviluppo. Mirando esplicitamente a “riconquistare culturalmente le Genti locali”, i documenti di programmazione di ultimo periodo adottano un’enfasi retorica marcata, che riduce la storia a serbatoio di miti, rievocati a stimolare sentimenti di appartenenza, stabilendo una continuità fra le eroiche genti del passato e gli abitanti del territorio. Così si apre, ad esempio il capitolo del PSL mirato a definire gli “aspetti ritenuti rilevanti nella messa a punto degli obiettivi e delle strategie”: L’Unità territoriale delle Valli dell’Anapo e del Cassibile in cui sorge la meravigliosa area di Pantalica, è un concentrato straordinario di bellezze ambientali, storico-artistiche e archeologiche che (…) rievoca l’antico splendore del più importante centro abitato della Sicilia orientale pre-ellenica: la leggendaria Hybla (…) governata secondo Diodoro, dagli ”uomini più valorosi del popolo siculo”, primo fra questi il re Hyblon (…). La storia del re autoctono (…) si collega strettamente con le vicende dell’attuale area lentinese, fondata dal calcidese Tukles. Le meravigliose terre, intrise di acque sorgive e ricche di vegetazione ripariale, che da monte Lauro scendono a raggiera verso il mare, da allora furono delle genti di Hyblon e Tukles. 33
32
Piano strategico Città per lo http://www.euroinfosicilia.it/sicilia/PianiStrategici/news_PS.htm 33 Gal Hyblon Tukles, Piano di Sviluppo Locale Hyblon Tukles , cit., p.41
sviluppo,
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L’iperbole caratterizza la descrizione delle risorse del territorio: “elevatissima ricchezza ambientale”, “testimonianze fondamentali dell’evoluzione storica dell’umanità mediterranea”. Persino la “Gente dell’area” è dotata di “eccezionali qualità umane”. Essa, consapevole delle reali potenzialità locali, per ritrovare la giusta via dello sviluppo fin dal 1986 ha abbandonato il lamento ed “ha adottato la cultura del progetto”; ha infatti attivato un processo di programmazione pubblica democraticamente partecipata dal basso (…) la cui massa critica (…) non ha eguali in Sicilia.34
Nella traiettoria di sviluppo locale di questo comprensorio, di fatto caratterizzato per larga parte da abbandono agricolo e calo demografico, il piano strategico in fase di redazione sembra costituire una svolta. La nuova compagine territoriale, infatti, include i comuni di quello che abbiamo individuato come il terzo comprensorio di area ragusana: Augusta (comune capofila), Melilli e Priolo Gargallo, territori connotati dalla presenza ingombrante del polo industriale e del porto commerciale che avevano prodotto, nella stagione dei PIT, la proposta Thapsos Megara, non ammessa a finanziamento e poi “recuperata” come PIOS. L’analisi del contesto che accompagna la proposta del piano strategico Thapsos Megara - Hyblon Tukles, che delle due proposte di PIT che lo precedono sembra evocare solo la denominazione, definisce un nuovo quadro di valori, meno stereotipato, in cui si evidenzia il ruolo centrale del “porto naturale” augustese nei processi di antropizzazione del territorio interno. Pur puntando su un modello di sviluppo diversificato, incentrato sulla produzione industriale e manifatturiera, l’analisi mette in rilievo come l’insieme delle risorse storico-artistiche ed archeologiche «dovranno certamente essere valorizzate, sfruttando anche la facilità di accesso nell’area, dovuta al potenziamento delle infrastrutture viarie previste nell’intero sistema locale».35 Al di là di questo cenno, fugace e peraltro poco credibile, al potenziamento infrastrutturale come supporto alla valorizzazione del patrimonio, è la portualità l’orizzonte concreto entro il quale il progetto si inscrive. L’analisi del contesto sembra suggerire che il ruolo secolare della rada di Augusta rispetto al territorio dell’interno si confermi come dato di permanenza. L’area interna ha sviluppato nel corso dei secoli un’agricoltura di qualità con la coltivazione di prodotti tipici e specifici dell’area che oggi necessitano politiche di
34
Ivi Proposta per la promozione del piano www.comune.augusta.sr.it/documentazioni/2008/febbraio/Allegato%20A.pdf 35
strategico.
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internazionalizzazione che la vicinanza del Sistema Portuale può certamente assicurare.[…]. L’attività agricola diffusa all’interno del sistema territoriale (…) in prospettiva di un porto commerciale di rilievo internazionale, di un sistema di servizi dedicati alle imprese e di un’amministrazione più efficiente, creerà le condizioni per un incremento dell’esportazione del prodotto agricolo locale oltre che dell’intera Sicilia Orientale. Questo comporterà anche un potenziamento ed una riorganizzazione delle imprese del settore agricolo locale al fine di rendere tale economia una risorsa strategica.
Abbandonati l’obiettivo del potenziamento dell’offerta culturale, incentrato sulla vaorizzazione dei siti di Thapsos e Megara Hyblaea, cui mirava l’dea forza del PIT, e la prospettiva di diversificazione dell’attività agricola in chiave turistica, che era invece finalità dei GAL, il comprensorio guarda ora alla posizione baricentrica dell’area rispetto ai flussi internazionali e alla presenza di uno dei Sistemi Portuali più rilevanti dell’isola in grado di candidarsi a divenire un HUB in funzione della Piattaforma Logistica dell’Euromediterraneo36.
Questa rappresentazione, più o meno consapevolmente, trova le sue radici nelle retoriche che nel secondo dopoguerra avevano sostenuto il progetto di industrializzazione di questo territorio, fondate sull’idea di centralità mediterranea, ampiamente indagata da Salvatore Adorno. Essa. per la sua forza storica e per la sua rispondenza all’attualità geopolitica, rappresentò dunque un forte strumento di legittimazione retorica per la localizzazione del polo petrolchimico in grado di dotare di senso la strutturazione del territorio e l’utilizzo delle sue risorse naturali in funzione dello sviluppo industriale.37
Il mosaico delle rappresentazioni identitarie espresse dal comprensorio nord della provincia di Siracusa mostra una percezione conflittuale dei valori territoriali, che si esprime a molti livelli: dalla rappresentazione “salvifica” del patrimonio archeologico – che ricorre spesso al medesimo concetto di centralità mediterranea, con riferimento, ad esempio, alla facies culturale di Thapsos –, alla persistente retorica dello sviluppo industriale e della portualità euromediterranea, all’emergere di
36
Ibidem S. Adorno, Il polo industriale di Augusta – Siracusa. Risorse e crisi ambientale (1949 – 2000), in G. Corona, S. Neri Serneri (a cura di), Storia e ambiente. Città risorse e territori nell’Italia contemporanea, Carocci, Roma 2007, p. 201. 37
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una coscienza ambientale. Quest’ultima si manifesta sia nell’attivismo di movimenti antagonisti, sia come diffuso “effetto NIMBY”, per una esasperata sensibilità alla questione della salute pubblica, sia secondo forme più mature di azione collettiva o istituzionale. In quest’ultima categoria si inscrivono, ad esempio, l’attivazione di procedure di Valutazione Ambientale Strategica o l’avvio di processi di Agenda 21 Locale, come quello condotto da comune di Melilli38 che ha portato alla redazione di un Rapporto sullo Stato dell’Ambiente e all’adozione di un Piano di Azione Ambientale. La prospettiva di potenziamento del porto commerciale di Augusta trova una ferma opposizione a livello locale da parte di diversi soggetti organizzati che denunciano l’idea, ad essa sottesa, di questo territorio come “territorio a perdere”, ormai compromesso irreversibilmente sul piano paesaggistico ed ambientale e, dunque, destinato a usi “pesanti”. La società locale, pur caratterizzata, soprattutto nei centri costieri, da una dimensione associazionistica e culturale di tutto rispetto e da un livello elevato di consapevolezza dei valori espressi dal patrimonio storico, non è, però, ancora in grado di esprimere un modello di sviluppo convincente, alternativo a quello fondato sull’industria e la portualità o ad esso complementare.
38
Agenda 21 Locale - Melilli, http://nuke.agenda21melilli.it/. Anche il comune di Augusta ha avviato un processo di Agenda 21 Locale, ancora in fase embrionale; http://www.comune.augusta.sr.it/agenda21.html
Parte III Un progetto strategico per la valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso
III.1. Il patrimonio archeologico K.A.S.A. Condizioni, classificazioni, inquadramento paesistico III.1.1. L’insieme dei siti K.A.S.A. Accessibilità e stato Il territorio ibleo esprime livelli diversi di potenziale efficacia e complessità delle politiche di valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso che stabiliscono una differenza sostanziale fra ambito sud occidentale ed ambito nord orientale, sotto un duplice profilo. Da un lato, questi ambiti si distinguono quanto a una serie di fattori “oggettivi” di natura paesistica: livello di conservazione ed omogeneità del contesto paesaggistico, localizzazione dei siti (prevalentemente interna nel primo, costiera nel secondo), tenuta dell’attività agricola in generale e dell’agricoltura tradizionale in particolare, articolazione del sistema insediativo, articolazione del sistema museale, natura dei flussi turistici, squilibri territoriali più o meno accentuati. Dall’altro, gli ambiti individuati si differenziano anche per una diversa percezione del paesaggio archeologico come risorsa per lo sviluppo locale, un diverso statuto del patrimonio diffuso nell’attuazione delle “vocazioni” territoriali, rappresentazioni identitarie più o meno organicamente costruite e condivise dalle comunità locali. Le ragioni di questa duplice distanza sono di certo da cercarsi, per larga parte, nei processi storici che hanno segnato le trasformazioni dei territori iblei occidentale ed orientale. Il primo è segnato dalle vicende della Contea di Modica che, per tutta l’età moderna, è teatro di scambi, contesto caratterizzato dal progressivo manifestarsi di fattori di evoluzione produttiva e sociale, entro cui i processi di sviluppo ottocentesco si innestano con ruolo dinamizzante e strutturante. Il secondo è segnato da una lunga durata, dominata dai tempi dell’agricoltura, e sconvolto, alla metà del Novecento, da un improvviso e accelerato processo di industrializzazione forzosa, che attrae una serie di usi “pesanti” in un territorio costiero di precoce infrastrutturazione, determinando al tempo stesso la crisi delle attività produttive tradizionali che avevano garantito il presidio dei paesaggi dell’interno. Questa differente natura del contesto territoriale, entro cui la costellazione dei siti K.A.S.A. si colloca, determina le potenzialità del patrimonio archeologico ma anche le sue attuali condizioni.
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L’insieme degli oltre centro siti analizzati nell’ambito del progetto K.A.S.A. è stato censito attraverso sopralluoghi mirati a rappresentarne lo stato attuale. I dati raccolti hanno contribuito alla costruzione di un data base in formato Access, destinato ad una restituzione dei valori storici e culturali dei siti, attraverso una dettagliata descrizione di ciascun sito, la documentazione fotografica delle evidenze archeologiche, il rilievo (laddove disponibile), la bibliografia di riferimento. Per tutti i siti sono state riportate, inoltre, informazioni in merito alla accessibilità (in termini di raggiungibilità) e alle condizioni. I dati raccolti evidenziano una situazione composita. Il 46% dei siti schedati presenta accessibilità “discreta”, il 21% accessibilità “buona”, il 21% di accessibilità “pessima”. Solo il 6% gode di un’accessibilità “ottima”, mentre un analogo 6% si trova momentaneamente in condizioni di accessibilità “speciale” (si tratta di aree archeologiche di nuova scoperta, raggiungibili solo con l’ausilio di guide specializzate)1. Quanto a condizioni, la maggior parte dei siti versa in condizione “buona” (38%) o “discreta” (31%). A fronte del 7% dei siti in condizione “ottima”, il 23% versa in condizione “pessima”. Si registra inoltre l’1% di siti, di recente scoperta, in condizione “speciale”, caratterizzati dalla presenza di resti apprezzabili solo con l’ausilio di una guida specializzata2. Confrontando, poi, le condizioni di accessibilità di ciascun sito con le condizioni di stato, è emerso uno scenario più articolato. La ricerca ha evidenziato un gruppo di luoghi, prevalentemente dislocati nell’area centrale dell’altopiano ibleo, caratterizzato da condizioni di marginalità rispetto ai recenti fenomeni di addensamento costiero sui versanti orientale e, in misura minore, sul versante meridionale. Questi siti mostrano, in generale, livelli di accessibilità medio-bassi ma condizioni di contesto e leggibilità migliori. Viceversa, i siti localizzati nella fascia litoranea del territorio K.A.S.A., soprattutto lungo la costa ionica, presentano condizioni di più facile raggiungibilità e peggiori condizioni intrinseche e di contesto, per la presenza di fattori di degrado dovuti non tanto all’abbandono, quanto piutto-
1 I livelli di accessibilità sono stati attribuiti ai siti sulla base della seguente classificazione: il livello ottimo contraddistingue un’area archeologica recintata e custodita, opportunamente indicata da segnaletica, raggiungibile attraverso la rete stradale; il livello buono, un’area soggetta a vincolo, non recintata, vigilata da assuntori di custodia e raggiungibile attraverso la rete stradale; il livello discreto, un’area soggetta a vincolo, recintata o aperta, non soggetta ad alcun controllo, raggiungibile attraverso la rete stradale o strade carraie o a piedi; il livello pessimo designa, infine, un’area archeologica nota alle autorità, recintata o aperta, non soggetta ad alcun controllo, raggiungibile attraverso strade carraie o a piedi. 2 Lo stato di conservazione ottimo indica un’area archeologica soggetta a manutenzione e pulitura, con resti in evidenza e adeguato supporto didascalico; lo stato buono, un’area non soggetta a manutenzione e pulitura ma con resti in evidenza; lo stato discreto, un’area non soggetta a manutenzione e pulitura e con resti appena apprezzabili per stato di conservazione e vegetazione; per stato pessimo si intende, infine, lo stato di un’area archeologica non soggetta a manutenzione e pulitura con resti non apprezzabili per stato di conservazione e vegetazione.
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sto all’azione dell’uomo.
III.1.2. Il patrimonio K.A.S.A.. Un’articolazione per sistemi omogenei Nell’insieme dei siti K.A.S.A.3 sono possibili e utili, naturalmente, ulteriori
3
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articolazioni per gruppi accomunati da simili condizioni di contesto e analogo potenziale di valorizzazione. Nell’ambito della ricerca sono stati individuati sei sistemi di siti, sulla base della morfologia del paesaggio naturale, fattore storicamente determinante nella localizzazione – dei siti preistorici in particolare –, ma anche della struttura del sistema insediativo e delle relazioni fruitive che è possibile stabiGUZZARDI L., 1996, ed., Civiltà indigene e città greche nella regione iblea, (Distretto scolastico 52) Ragusa 1996. LA ROSA V., 1989, Sicani, Siculi, Elimi, in G. PUGLIESE CARRATELLI ed., Italia. Omnium Terrarum Parens, Verona 1989, pp. 1-103. LEIGHTON R., 1999, Sicily before History, London. MANGANARO G., 1972, Per una storia della Sicilia romana, in Aufstieg und Niedergang der roemischen Welt, I.1, Berlin, pp. 442-461. MANGANARO G., 1988, La Sicilia da Sesto Pompeo a Diocleziano, in Aufstieg und Niedergang der roemischen Welt II.11.1, Berlin- New York, pp. 3-89. MANNI E., 1981, Geografia fisica e politica della Sicilia antica, Roma 1981. MESSINA A., 1994, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo. MESSINA A., 1979, Le chiese rupestri del Siracusano, Palermo. MESSINA A., 2002, Il popolamento rurale nell'area iblea in età bizantina, in Byzantino-Sicula IV (Atti I Congresso Internazionale di archeologia della Sicilia bizantina), Palermo 2002, pp. 167172. MOLÈ C., 1997-1998, Dinamiche di trasformazione nelle città della Sicilia orientale e tardoantica, in Kokalos, XLIII-XLIV, 1997-1998, pp. 153-190. NICOLETTI F., 1997, Il campignano della Sicilia, in TUSA 1997, PP. 395-403. POTTER T.W., 1985, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale, Roma (ed. or. 1979). PUGLISI G., 1986, Aspetti della trasmissione della proprietà fondiaria in Sicilia, in Società romana e impero tardoantico. III. Le merci e gli insediamenti, Bari 1986, pp. 521-529. PUGLISI G., 1996, Per una morfologia del paesaggio agrario siciliano. Orto di guerra e casa colonica, in Aitna 2, 1996, pp. 91-108. RIZZONE V., SAMMITO A.M., 2001, Modica e il suo territorio nella tarda antichità, (= Archivum historicum mutycense 7), Modica 2001. Sicilia orientale e isole Eolie, (Guide archeologiche: Preistoria e protostoria, 12), Forlì 1995. Storia dell'agricoltura italiana, AA.VV., Storia dell'agricoltura italiana, (Accademia dei georgofili), I. La preistoria; II. L'Italia antica, Firenze 2001-2002. TAGLIACOZZO A., 1997, Dalla caccia alla pastorizia. La domesticazione animale, in TUSA 1997, PP. 227-248. TUSA S., 1992, Sicilia preistorica, Palermo (1 ed. 1982, ultima edizione 2002). TUSA S., 1994, Sicilia preistorica, Palermo. TUSA S., 1997 (a cura di), Prima Sicilia. Alle origini della società siciliana, Palermo (disponibile anche nella edizione, con identico impaginato, Preistoria, Siracusa 2001). UGGERI G., s.d., Gli insediamenti rupestri medievali: Problemi di metodo e prospettive di ricerche, sito web: www.192.167.112.135/NewPages/testiam/am74/10.pdf. VITA FINZI, 1969, The Mediterranaean Valleys, Cambridge. WILSON R.J.A., 1990, Sicily under the Roman Empire. The Archaeology of a Roman Province 36B.C.-A.D. 535, Warminster. WILSON R.J.A., 1993, La Sicilia, in Storia di Roma Einaudi, (III,2), Torino 1993, pp. 279-298.
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lire con l’insieme dei centri storici iblei. Nell’area centrale dell’altopiano ibleo sono stati individuati quattro sistemi omogenei, che si trovano in condizione di vantaggio, quanto ad opportunità di valorizzazione: Il gruppo I - Alto corso del Tellaro, che comprende i siti di Cava dei Servi, Ex feudo Gisira, Castelluccio, Grotta delle Monete. Il gruppo II - Affluenti del Tellaro, che è il gruppo più numeroso, definito a sud dal semicerchio della statale 115 che collega, procedendo da est, Noto, Rosolini, Ispica, Modica, Ragusa. Si tratta di una porzione di territorio connotata da una morfologia molto decisa del paesaggio fisico, dominata dalla presenza di un fascio di incisioni parallele che si snodano da Nord Ovest a Sud Est. Procedendo da nord l’Asinaro lambisce Noto Antica e Noto Barocca e sfocia presso Cala Bernardo; il breve torrente Gioi sfocia presso il Lido di Noto a nord di Eloro e del Tellaro; quindi il Tellaro si sviluppa dal Monte Lauro nel cuore dell’altopiano ibleo, fino allo Ionio presso Eloro, segnando per un lungo tratto il confine fra le province di Ragusa e Siracusa. Esso rappresenta di gran lunga l’incisione principale e potrebbe costituire la cerniera fra i siti appartenenti al gruppo I e quelli appartenenti al gruppo II. La presenza della Villa romana di età tardo imperiale costituisce per questo insieme di siti un elemento determinante nel progetto di valorizzazione. A sud del Tellaro si sviluppano in direzione ovest-est gli affluenti Tellesimo, Prainito, Cava Palombieri e Cava Grande che confluiscono prima nella Saia Rondeci. Considerati in funzione di un percorso escursionistico, questi siti sono accessibili dal sistema “Tellaro” attraverso percorsi di almeno 15 Km. Essi, però sono tagliati dalla SS 115. Il centro più prossimo è quello di Rosolini. Dalla SS 115 si partono, in direzione Modica tre strade provinciali di un certo interesse: una a nord di Cava Prainito, passante per Cozzo Rose; una a nord di Cava Palombiere che costeggia da vicino la cava; una a sud di Cava Grande che passa per la contrada Castellana e raggiunge l’area dei siti appartenenti al gruppo III. Il gruppo III - Area cerniera dell’interno, così denominato in quanto costituisce uno snodo fra il sistema degli affluenti del Tellaro e il quarto gruppo. I siti che ne fanno parte sono il sito preistorico di Baravitalla (“testata” nord del sistema “Cava d’Ispica”) ed una serie di siti tardo antichi fra cui la famosa Grotta dei Santi. L’area risulta collegata al sistema del Tellaro attraverso la già citata strada provinciale che Rosolini raggiunge la Cava d’Ispica passando per contrada Castellano. Essa è facilmente raggiungibile anche da Modica attraverso un breve tratto di strada provinciale che la Carta della Sicilia redatta dal Touring Club descrive come “panoramico”. Il punto-base per raggiungere questo gruppo di siti potrebbe essere proprio la città di Modica attraverso la Cava d’Ispica con un percorso escursionistico di circa 10 Km. Esiste, inoltre, una strada provinciale che collega la SS 115 nel tratto fra Ispica e Rosolini, con percorso parallelo alla Cava. Il gruppo IV – Sistema della Cava d’Ispica – Area del Parco Ar-
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cheologico, tutto compreso fra Modica e Ispica, che comprende i siti preistorici di Cava Lavinaro, Calicantone e Grotticelle, in stretta relazione con i siti del gruppo III. I quattro gruppi individuati ricadono quasi interamente nelle Zone A (Zona di Riserva Integrale) e B (Zona di Riserva Generale Orientata) individuate attraverso la proposta di perimetrazione del Parco degli Iblei. Si tratta quindi di un territorio piuttosto conservato, destinato ad essere tutelato da vincolo, le cui trasformazioni saranno regolate attraverso il piano di gestione del Parco. In generale, gli interventi ammissibili nell’intorno della più parte dei siti appartenenti ai quattro gruppi avranno carattere ambientale e saranno finalizzati all’incremento della biodiversità (Zona A) o mirati a usi produttivi tradizionali (Zona B). È prevedibile che la progettazione della sentieristica e dei percorsi escursionistici sia una delle prime azioni poste in atto dal nuovo Parco Nazionale, in coerenza con gli indirizzi del Piano Territoriale Provinciale di Ragusa e con la rete sentieristica in esso prevista. Ricadendo nel territorio di Progetti Integrati Territoriali con idea forza orientata al turismo ambientale e culturale (Quattro città e un parco, Vie del Barocco, Ecomuseo del Mediterraneo) i siti di questi quattro gruppi godono, seppur indirettamente, degli effetti degli interventi previsti dai progetti integrati per il miglioramento del contesto e per il potenziamento del settore turistico. Il rischio di una eccessiva frammentazione del quadro progettuale, insito nella natura degli strumenti di programmazione a valere sui fondi strutturali, potrà, nel periodo 2007-2013, essere ridimensionato per l’avvio di un processo di pianificazione strategica nell’area sud degli Iblei. Oggi, attraverso i piani strategici di Ragusa, Modica, Avola in fase di avvio4, i territori dei PIT esprimono un elevato livello di coerenza delle strategie rispetto al modello di sviluppo locale “equilibrato” individuato e perseguito negli ultimi decenni, basato su un equo bilancio delle produzioni locali sostenibili (artigianali, manifatturiere o agroalimentari) e un turismo ecoculturale diffuso. Nel prossimo decennio tali strumenti dovrebbero essere in grado di: definire il disegno politico dello sviluppo sostenibile nell’area, individuare meccanismi di raccordo fra piani e programmi alle diverse scale, dare le linee 4
Gli orientamenti del Tavolo Interistituzionale per la Riserva Aree Urbane del F.A.S. confermano l’intento proprio della programmazione negoziata e della progettazione integrata di stimolare un processo continuo, flessibile e duraturo di costruzione ed esplicitazione di una visione condivisa della città/territorio che si concretizza in un documento (il Piano Strategico) capace di orientare e facilitare gli attori locali nell’individuazione dell’identità e della missione locale, nella individuazione della corretta dimensione territoriale, delle azioni, delle risorse, dei partners necessari al perseguimento della visione proposta (Del. CIPE n.35/2005 – Avviso pubblico di invito a manifestazioni di interesse da parte dei comuni della Regione Siciliana per la promozione di Piani Strategici) http://www.comune.augusta.sr.it/documentazioni/2008/febbraio/Allegato%20B%20protocollo %203.pdf
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strategiche di sviluppo del territorio e attuare un processo continuo di comunicazione mirato al coinvolgimento degli attori locali5. La presenza del Parco potrà essere elemento di raccordo e coordinamento degli interventi di carattere interprovinciale, quali, ad esempio quelli necessari alla valorizzazione del sistema del Tellaro. Nell’area della costa ionica sono stati individuati due gruppi di siti K.A.S.A.: Il gruppo V – Sistema Ionico Ibleo Sud Il gruppo VI – Sistema Ionico Ibleo Nord I siti appartenenti a questi due insiemi sono localizzati nel vasto territorio costiero che vede la città di Siracusa in posizione baricentrica. Del primo gruppo fanno parte i siti preistorici di Ognina, Avola, Vendicari, Grotta di Calafarina, Cugni di Calafarina, Vulpiglia, e i siti postclassici di Cuba di Santa Teresa, Favorita, Tonnara di Vendicari, Trigona di Cittadella di Vendicari, Basilica di Cittadella di Vendicari, Cittadella dei Maccari, Castelluccio I, Portopalo. I siti sono per la quasi totalità raggiungibili dalla strada provinciale litoranea che si snoda tra Siracusa e Pachino. Essi ricadono interamente nel comprensorio del PIT Ecomuseo del Mediterraneo e nel comprensorio del GAL Eloro e sono caratterizzati per lo più da condizioni di accessibilità discrete e buone. Più complessa è la condizione dei siti appartenenti all’ultimo gruppo, su cui si è concentrata l’ipotesi di valorizzazione. Nella omogeneità di assetto morfologico del paesaggio naturale, ciò che principalmente distingue il sistema orientale nord dal sistema sud, sono i caratteri del paesaggio antropico, connotato nel settore meridionale da una sostanziale tenuta del paesaggio agrario tradizionale che costituisce per larga parte il tessuto connettivo dominante.
III.1.3. Il sistema ionico ibleo settentrionale. Paesaggio, identità locali, modelli di sviluppo Il settore settentrionale del Sistema Ionico Ibleo si distingue per la complessità del paesaggio antropico costiero, caratterizzato dalla presenza di un continuum urbanizzato, da un forte frammentazione, dal carattere residuale del paesaggio agrario, da usi antropici intensivi, da condizioni drammatiche di marginalità e separatezza dei siti archeologici presenti sul territorio. I siti appartenenti all’insieme K.A.S.A. che ne fanno parte, procedendo da nord verso sud sono: Campolato di Augusta, Cozzo Telegrafo, Petraro, Timpa Ddieri, Contrada Tabbaccheddu (siti 5
CIPE
Questi, in sintesi, sono i caratteri fondativi del Piano Strategico individuati nella delibera del
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preistorici); Mulinello, Cava Baratta, Riuzzo, Monachella, Cava delle Porcherie, Manomozza (siti postclassici). Questo gruppo specifico di siti è stato sottoposto ad un’ulteriore censimento, finalizzato non più a descriverne i caratteri intrinseci, quanto a definirne le condizioni di contesto. Oggetto della nuova campagna di sopralluoghi è stato, infatti, il rilievo dello stato del paesaggio circostante ciascun sito, per il quale è stata predisposta una scheda ad hoc. Le schede compilate, riportate in appendice, non hanno pretesa di rigore scientifico. Esse sono state, nel loro complesso, un valido strumento di analisi e restituzione sintetica del paesaggio della regione megarese di supporto alla redazione della proposta progettuale. Le schede contengono l’inquadramento cartografico dei siti e rivelano le condizioni del paesaggio visivo percepibile da ciascun sito attraverso la restituzione delle viste di insieme o di elementi formalmente rilevanti tramite l’inserimento di fotografie e relativi coni ottici. Oltre alle informazioni di carattere generale (base cartografica, riferimenti geodetici, localizzazione, accessibilità, leggibilità del sito in termini sia di condizioni delle strutture archeologiche, sia di coerenza del paesaggio circostante, descrizione del paesaggio visivo), la scheda prevede una seconda parte finalizzata a definire la natura e i caratteri del paesaggio circostante, che prevede i seguenti campi: descrizione di sintesi, paesaggio agrario (incolto, seminativo misto, seminativo arborato, pascolo, ecc.), paesaggio industriale (insediamenti di grandi dimensioni, insediamenti di piccole dimensioni, archeologia industriale, ecc.), paesaggio insediativo (natura urbana o rurale, tessuti compatti o sparsi, fenomeni di dispersione), Paesaggio naturale (caratteri della vegetazione, presenza di habitat di pregio, ecc.). La scheda mira, infine, a censire la presenza di strutture (anche potenzialmente) qualificanti del paesaggio, come i complessi rurali, le architetture sacre, le architetture difensive, ecc.. L’ultima sezione è destinata a rilevare la presenza di strutture di servizio al visitatore, di carattere sia pubblico che privato, l’esistenza e la disponibilità di materiale informativo. Dalla lettura d’insieme delle schede, il patrimonio diffuso K.A.S.A. presenta decisamente i tratti tipici del patrimonio definito “minore”. I siti, spesso collocati entro proprietà private, sono di difficile localizzazione e accesso, nel migliore dei casi protetti da recinzioni che li separano dall’intorno, generalmente molto degradato, in netto contrasto con la qualità, spesso eccellente del paesaggio visivo ad ampio raggio. Il paesaggio agrario della regione analizzata presenta, laddove conservato, tratti formali di grande bellezza, con particolare riferimento all’ampia presenza dell’agrumeto e delle colture arboree, ma è diffusamente interessato da vaste sacche di abbandono. Spesso, dunque, l’incolto agricolo rappresenta la matrice entro la quale i siti K.A.S.A. si collocano. Molti piccoli complessi rurali abbandonati, conferiscono al paesaggio agrario, specie nell’area della pianura con riferimento agli insediamenti della riforma fondiaria oppressi dagli impianti industriali, l’aspetto di un mondo improvvisamente “sommerso”, i cui tratti a sprazzi riemer-
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gono come testimonianze dolorose di un passato recente, frettolosamente cancellato. Ma non sono soltanto i monumentali impianti industriali a costituire un elemento di degrado del contesto. Infatti, sul piano dell’impatto delle attività produttive sul paesaggio, la regione versa in una condizione che possiamo definire “stazionaria”, nella quale si rilevano, semmai, diffusi fenomeni di dismissione, che andrebbero seriamente considerati, come problema e in certi casi anche come opportunità6; le schede mostrano, per contro, la rilevanza crescente dei fenomeni di dispersione urbana, le frequenti pratiche di lottizzazione del paesaggio agrario per la realizzazione di quartieri periferici a ridosso dei siti archeologici (spesso a distanza di pochi metri), la diffusione nell’area di modelli abitativi ad alto consumo di suolo, la scarsa qualità architettonica e urbanistica dei nuovi contesti urbanizzati e, in certi casi, fenomeni di abusivismo. Non mancano i segni di atti vandalici ad alto impatto sulla qualità delle strutture archeologiche. Più della metà dei siti censiti si colloca, infine, in ambiti utilizzati a discarica abusiva di materiali inerti e deposito di rifiuti ingombranti. Al di là delle oggettive condizioni di degrado del paesaggio della regione megarese, ciò che sembra costituire un ostacolo alla realizzazione di progetti organici di valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso nel territorio dei comuni raggruppati nel piano strategico Thapsos Megara – Hyblon Tukles, è quella sorta di spaesamento identitario, che, in parte, emerge dalle rappresentazioni “dal basso” della programmazione negoziata e dalla variabilità delle configurazioni che il comprensorio ha assunto di volta in volta nella promozione di programmi e progetti integrati. In generale il quadro delle aggregazioni che fanno capo a questo sistema locale tende a spostarsi da uno scenario di maggiore frammentazione (nel caso del Programma di Iniziativa Comunitaria Leader II e della Progettazione Integrata Territoriale) al tentativo di produrre un’immagine di sintesi del comprensorio (Leader Plus e piano strategico) che tenga conto delle relazioni storiche e funzionali fra territorio interno e territorio costiero. Come osservato in precedenza, malgrado questo ampliamento della compagine territoriale, la progettualità degli ultimi programmi esprime istanze ancora differenti e contraddittorie che riflettono la compresenza di almeno tre anime delle po6
Sulla dismissione degli impianti industriali come opportunità si veda G. Campeol (a cura di), Area a rischio di crisi ambientale di Priolo-Augusta. Analisi e progetti pilota, Provincia Regionale di Siracusa, s.d.; sulla problematica delle riuso delle arre dimesse, si veda in particolare: F. Santalucia, La Sicilia sud-orientale e il combinato petrolchimico industriale di Priolo Augusta, pp.51-74, specialmente p.61 e sgg. Nella introduzione metodologica al testo, fra le otto macro-azioni necessarie alla ricostruzione paesaggistica dell’area, Campeol segnala quella di «attuare una contrazione spaziale delle attuali aree industriali, trasformandole in enclave territoriali, cogliendo l’occasione posta dalla chiusura di attività ormai obsolete dall’introduzione dell’innovazione tecnologica per ridurre le dimensioni delle attività produttive e migliorarne l’efficienza ecologico-economica», p.18.
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litiche di sviluppo ancora percepite come antagoniste: da un lato vi sono i bisogni espressi dai territori settentrionali ad economia agricola ricca, da un altro quelli legati alle funzioni “pesanti” del polo petrolchimico e del suo indotto e della portualità commerciale, infine, quelli di territori ad agricoltura povera, in forte crisi demografica. Se nel nuovo piano strategico il primo e il secondo tipo di esigenze sembrano comporsi, almeno sulla carta, in una visione del futuro legata al potenziamento della portualità, il modello espresso nell’ambito del Gal Val d’Anapo di sviluppo rurale “sostenibile” fondato sulla riqualificazione in chiave turistica dell’impresa agricola, sembra essere ormai minoritario. Sulla carta era proprio in questo modello di sviluppo che il patrimonio archeologico diffuso godeva dello statuto di “risorsa” prioritaria. I territori di Lentini/Francofonte e di Augusta sembrano, invece, tornare oggi a vocazioni produttive intensive. Le retoriche fondate sul concetto di ambiente o di patrimonio culturale non si integrano in una visione strategica dello sviluppo del comprensorio con esse coerente, come dimostra l’incapacità di questi territori di esprimere un’immagine condivisa e articolata del patrimonio, ancorata a una descrizione organica del paesaggio e un’interpretazione delle relazioni che intercorrono fra emergenze archeologiche e ambiente naturale “fondativa” per le politiche di recupero e valorizzazione. Destinato, forse dall’antichità, ad essere immerso nelle reti globali, il territorio della Megaride vive oggi una condizione estrema di crisi ambientale e al tempo stesso identitaria. Palesi, ormai del tutto, gli impatti delle attività industriali non solo sull’ambiente ma, in modo altamente drammatico, sulle esistenze stesse dei singoli individui7, la comunità locale appare scissa fra la volontà di prendere consapevolezza del processo di industrializzazione come “fatto” storicizzato, inaggirabile in quanto problema ma al tempo stesso ancora possibile risorsa, e il bisogno –nato anche dal nuovo benessere creato dal polo industriale – di riappropriarsi del territorio in quanto habitat. Su questo bisogno di ricostruzione di un equilibrio fra uomini e luoghi fa leva la retorica incompiuta del patrimonio. Un esempio chiaro dei limiti delle retoriche del patrimonio nelle le rappresentazioni istituzionali delle risorse per lo sviluppo è la evidente incapacità di fare emergere la centralità storica del sito di Thapsos, al di là riferimento superficiale alla “cultura di Thapsos”, nei termini di apertura del territorio al mare e di costruzione di nuovi rapporti fra interno e costa. I siti archeologici sparsi appaiono paratatticamente segni di un passato remoto, tanto nobile, quanto – ci sia consentito – inutile a contribuire alla costruzione di un progetto identitario convincente. La scelta di affrontare il tema della valorizzazione dei siti K.A.S.A. proprio nel territorio della Megaride deriva dall’importanza di quest’area nelle vicende storiche della Sicilia e dalla constatazione che la centralità del seno augustese, ricono7 Il dramma delle malformazioni neonatali non è che l’aspetto più drammatico dell’inquinamento ambientale di questa regione.
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sciuta in sede scientifica, pur avendone le potenzialità, non riesce a divenire pienamente parte dell’immagine turistica della provincia di Siracusa e della Sicilia in generale, né ad essere vero patrimonio delle comunità locali, non solo in termini di fruizione ma ancor prima, di consapevolezza.
III.2. Il Parco lineare di Thapsos –Megara. Un progetto per l’integrazione III.2.1. “Identità” e “partecipazione” nelle politiche per il patrimonio culturale
La complessità del caso oggetto di studio impone, una riflessione di carattere preliminare sugli strumenti e sui metodi di un progetto di fruizione del patrimonio archeologico diffuso delle regione megarese di respiro strategico. È utile ribadire, anzitutto, che la difesa del patrimonio non è più il solo obiettivo possibile: occorre piuttosto costruire scenari organici di valorizzazione, attraverso lo sforzo congiunto, da parte di studiosi di aree disciplinari differenti, di definire insieme, nel dettaglio, un orizzonte operativo integrato interistituzionale della tutela attiva, fondato sull’idea di conservazione integrata quale emerge dalla citata Carta di Losanna. Troppo a lungo, infatti, l’approccio meramente vincolistico, perseguito dalle istituzioni preposte alla tutela, è stato per la pianificazione territoriale e urbanistica un comodo alibi. Il ricorso al vincolo, insieme alla pratica della zonizzazione, oltre a permettere la frammentazione del territorio e la compromissione del paesaggio come sistema di coerenze, ha costituito, di fatto, una facile opzione “a costo zero”. Quest’ultimo aspetto si è, nel tempo, rivelato esiziale: la perimetrazione/recinzione dei siti e la loro difesa passiva hanno giustificato la sostanziale inesistenza di investimenti (di tempo, competenze, risorse economiche) nella riqualificazione concreta dei contesti. A fare le spese di questa pratica è stata anche la logica di gestione del patrimonio archeologico, che, ancorata al modello “difficile” del parco archeologico e limitata alle aree demaniali, è stata sostanzialmente accantonata nel caso del patrimonio diffuso1. In assenza di una lettura evidente e condivisa dei paesaggi
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Le citate Linee guida dei parchi archeologici siciliani, emanate dall’Assessorato ragionale dei Beni Culturali Ambientali e della Pubblica Istruzione nel 2000, affrontano ampiamente la questione dei caratteri del Parco Archeologico a cominciare dalla mutata accezione del concetto di “parco” come istituto capace di dare prospettive nuove alle attività dell’uomo (…), non sacrificato in rigide normative standardizzate, in armonia con le esigenze della popolazione locale e inserito in una cor-
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archeologici locali, persino i siti di maggiore valore storico e scientifico si sono, in molte aree ridotti a “curiosità per gitanti della domenica”. Il vincolo assoluto sul patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale, inoltre, ha costituito una isolata anomalia nella legislazione urbanistica italiana, per lungo tempo fermamente garantista nei confronti dei diritti della proprietà privata e avara nella costruzione di strumenti efficaci di mediazione pubblico/privato nella pratica della pianificazione. Ciò non ha contribuito certamente alla creazione di una coscienza condivisa della salvaguardia, ma piuttosto ha determinato negli abitanti dei territori archeologici una percezione della tutela come pratica vessatoria, i cui vantaggi sulle comunità stentano a manifestarsi. Da tempo sosteniamo che la chiave per la costruzione di un nuovo statuto del patrimonio culturale come patrimonio identitario debba fondarsi piuttosto che sulla fragile retorica dello sviluppo turistico, su una concezione del territorio come bene culturale che concretizzi l’obiettivo di massimizzare le ricadute della valorizzazione, non tanto in termini di vantaggio economico ma, soprattutto, di benessere sociale. Come il riconoscimento identitario, attraverso l’accettazione della propria storia, è, infatti, fonte di benessere individuale, così la costruzione condivisa di riferimenti identitari forti agevola, nelle comunità locali, la coerenza dei progetti di sviluppo aumentando la coesione e costruendo consenso intorno ai programmi di trasformazione del territorio. Tuttavia è stato già evidenziato, quanto questo riconoscimento della centralità della questione identitaria nei processi di sviluppo sia oggetto di facili manipolazioni, attraverso la costruzione di retoriche deboli e di
nice “sistemica”. Il documento evidenzia l’assenza, nel Testo Unico nazionale di ogni riferimento al “Parco Archeologico” come soggetto istituzionale e, viceversa, sottolinea l’accento posto dalla legislazione regionale sull’autonomia dei nuovi Enti di Gestione, dotati di una Direzione e di un Comitato tecnico-scientifico. Secondo la norma regionale(l.r. 3 novembre 2000, n.20), il direttore ha il compito di predisporre lo schema di regolamento del parco che stabilisce modalità d’uso, vincoli e divieti, anche in variante agli strumenti urbanistici comunali. Il programma triennale delle attività del parco sembra essere lo strumento in grado di farsi carico delle attività di interpretazione e presentazione del patrimonio archeologico, ruolo fondamentale per superare la prospettiva del “museo all’aperto” […] e per collegare il parco archeologico alle problematiche dello sviluppo e della promozione del sito. Le Linee guida esaminano diffusamente il tema dei rapporti fra archeologia urbanistica che investe la questione della fattibilità stessa dei parchi. Rimandando al densissimo testo le problematiche specifiche individuate, ci preme sottolineare la difficile applicabilità del modello del parco archeologico al patrimonio diffuso della Megaride, per la natura frammentata e sparsa di questo patrimonio e al tempo stesso per l’ampia estensione del territorio interessato. L’acquisizione al demanio pubblico di quante più aree possibile rimane un obiettivo da perseguire prioritariamente, nella prospettiva di costruire uno scenario di continuità territoriale non solo dell’ambito fruibile ma anche di quello tutelato. Tuttavia la praticabilità totale del modello urbanistico del parco archeologico non può essere, essa stessa, di ostacolo all’avvio di politiche di valorizzazione. Rimane, invece, interamente valido il modello di gestione e programmazione, attraverso cui la struttura flessibile del Parco lineare tenderà trasformarsi progressivamente in “parco archeologico”.
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immagini stereotipate dei territori, piattamente attestate su un’offerta (ambientale, culturale, gastronomica) oleografica ed orientata esclusivamente al “turista”. Paradossalmente, oggi più di ieri, a fronte di questa generale omologazione dei territori al “prodotto Sicilia”, la strada per l’individuazione, la condivisione, la salvaguardia e la fruizione dei valori territoriali appare in salita, perché complessa e faticosa a fronte delle comode (ed economiche) scorciatoie offerte dal marketing. L’altra questione rilevante riguarda il coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali che investono ambiente e patrimonio culturale, divenuta centrale in Italia dopo la riforma delle autonomie locali, sulla scia del dibattito internazionale su government e governance. La “partecipazione”, nata negli anni Settanta come istanza “nobile” di democrazia, rischia di divenire pratica “di scuola” o, peggio ancora “tecnica” (si pensi alla nuova, inquietante, professione di “facilitatore” dei processi partecipativi) in definitiva, inevitabilmente, al servizio docile della politica. L’alternativa a una “partecipazione” e a una “autorappresentazione identitaria” intese come meri esercizi di retorica è costituita dalla ri-territorializzazione dei modi di vita delle comunità locali attraverso il recupero della dimensione territoriale locale come spazio di identificazione e la fruizione del paesaggio come narrazione identitaria e luogo del progetto futuro. La restituzione di senso necessaria a raggiungere questi obiettivi non può che fondarsi su una ritrovata coerenza fra lettura diacronica degli assetti territoriali e pianificazione paesistica, attraverso, cioè, l’interpretazione innovativa e “sensibile” delle immagini restituite dalla storia, grazie all’attivazione del patrimonio ri-significato come potente sistema di “ancoraggio spaziale”. La ricostruzione dell’identità avviene, dunque, attraverso la pratica della storia, anche di quella più recente, attraverso la restituzione delle luci e delle ombre, delle continuità e discontinuità, delle alterne centralità e marginalità frutto della dialettica fra uomo e ambiente, che lo storico deve sforzarsi di esplicitare e il pianificatore di interpretare in modo organico e innovativo. L’integrazione dei diversi saperi afferenti alle pratiche della lettura diacronica, della pianificazione, della gestione e della promozione deve segnare la strada per una effettivo coinvolgimento delle popolazioni, obiettivo che da populista diviene democratico solo se garantisce l’accesso ai luoghi ed alle conoscenze. Non esiste per noi altra alternativa per attivare dinamiche di “partecipazione”, meno che mai l’ambiguo ricorso a momenti partecipativi codificati e guidati da “esperti”.
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III.2.2. Passato e futuro della regione megarese. Note per una “descrizione fondativa” del territorio Più di vent’anni or sono, nel 1984, un saggio illuminante di Giuseppe Voza e Georges Vallet2 sulla evoluzione storica del territorio delle Megaride dal Neolitico all’età industriale, aveva fornito una potente lettura del paesaggio dell’area, riconducendo con chiarezza le evidenze archeologiche diffuse alle reti di luoghi e pratiche che le avevano originate, e fornendo – contro ogni visione nostalgica – una rappresentazione vivida del territorio. L’interpretazione e la rappresentazione dei valori e dei significati espressi dal paesaggio storico della regione megarese era già un progetto paesistico implicito, volto a controbilanciare l’immagine di uno spazio compromesso irreparabilmente con quella di un territorio stratificato, da sempre immerso nella rete degli scambi mediterranei. Appariva chiaro ai due studiosi come nessun progetto di “valorizzazione” dei siti archeologici fosse possibile senza ripetere,«senza vanità e senza retorica», che i due punti di maggior rilievo della zona che va da Augusta a Siracusa, cioè Megara Hyblaea e Thapsos, […] hanno un’eccezionale importanza per la storia del Mediterraneo occidentale. Thapsos rappresenta la più rilevante testimonianza di questi contatti che la Sicilia ha avuto con il mondo egeo nella seconda metà del secondo millennio a.C, cioè il ruolo di terra d’incontro e di scambio che l’isola ha sempre avuto nella storia. Per quanto riguarda Megara, essa è una delle prime colonie fondate dai Greci in Occidente3.
Di fronte alle condizioni di assedio dei due principali siti del territorio, e alle domande che le evidenze archeologiche lasciavano ancora aperte, l’applicazione del vincolo appariva ai due studiosi necessaria ma di gran lunga insufficiente, in quanto pratica che separa e protegge, ma al tempo stesso frammenta e disarticola lo spazio, accentuando il conflitto senza suggerire connessioni. Il risultato è che queste due “isole” considerate salvate – e in un senso lo sono – rischiano in un altro senso di apparire, dietro la loro alta cortina di protezione, come un fatto assolutamente episodico di un altro mondo, di un mondo che non ha più niente a che fare con il nostro. Questi siti, vivi e attivi per secoli, che hanno fatto la storia e la nostra storia possono sembrare resti 2
G. VALLET, G. VOZA, Dal Neolitico all’era industriale: riflessioni sulla storia di un territorio (la costa siciliana da Augusta a Siracusa), Siracusa, Assessorato regionale beni culturali e ambientali e pubblica istruzione, Soprintendenza alle antichità per la Sicilia orientale, 1984. 3 Ibidem, pp. 11-12.
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fossili immobili e morti.4
In quella che ci piace definire la descrizione fondativa di Vallet e Voza, la morfologia imponente e vivida del territorio ibleo settentrionale è il punto di partenza di questa rappresentazione. La struttura del paesaggio fisico, restituita nel rapporto dialettico con i processi di antropizzazione che da essa furono, qui più che altrove, fortemente condizionati, ne emerge come robusta massa d’inerzia all’azione dell’uomo e sistema fondamentale di “ancoraggio spaziale”5. Una sequenza ininterrotta di incisioni da nord a sud disegna il paesaggio fisico di questa regione. Lasciamo che siano le parole evocative dei due studiosi a condurci lungo questa teoria di valli e foci che ancora oggi, nonostante il progressivo degrado, costituisce il tratto più immediatamente leggibile del paesaggio locale. Da nord verso sud, dopo il fiume di San Leonardo, il Terias degli antichi, ancora nel territorio di Lentini, troviamo il Porcaria (il Pantagia di cui parlano i poeti, fra gli altri Virgilio nelle Bucoliche) che sfocia nella meravigliosa vallata di Brucoli, dove probabilmente va collocata l’antica Trotilon, il luogo dove i Megaresi, prima di fondare Megara Hyblaea, si erano provvisoriamente fermati, come lo faranno ancora una volta a Thapsos. Brucoli è quello straordinario porto-canale dove ieri ancora si gettavano nel mare le acque pure e abbondanti del Bruca (è il nome che prende alla foce il Porcaria) fra pareti di roccia bucate di grotte che servivano da riparo e da “officina” per la manutenzione e la riparazione delle barche. Poi, dopo il Capo Santa Croce, seguono a sud, i fiumi del sinus megarensis propriamente detto: sono, da nord a sud, il Mulinello, che nasce nei pressi di Carlentini, l’antico Damryas che vide, a detta di Plutarco, una bella vittoria di Timoleonte e il cui tratto finale nella piana di Augusta dava vita, acora in data recente, ad un paesaggio veramente idilliaco; il Marcellino, identificato giustamente da Holm con il Mylas di cui parla Livio, ed è nell’alto canyon di questo piccolo fiume, vicino a Villasmundo, che fu trovata l’interessante necropoli indigena di recente scavata; poi il Cantera che, malgrado diverse riserve fatte dalla fine del secolo scorso, è probabilmente l’Alabon, alla cui sorgente, secondo le indicazioni di Diodoro, Dedalo avrebbe costruito la famosa Colimbetra, cioè la mitica piscina o serbatoio ubicato sulle colline; infine il San Gusmano, ancora più piccolo del Cantera. Continuando verso sud non vi sono più corsi d’acqua prima dell’Anapo che si getta nel mare a sud di Siracusa, dunque fuori del nostro territorio, ma il cui corso superiore ci interessa […]6.
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Ibidem, p. 15 Cfr. R. Gambino, A. Segre, Quadri ambientali e patrimonio culturale, cit, p.96 6 G. Vallet, G. Voza, Dal Neolitico all’era industriale, cit., pp. 27-28 5
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Questo sistema naturale disegna i percorsi che, dagli approdi costieri si snodano nella piana megarese fin dentro il territorio collinare, vie naturali lungo le quali sin dall’antichità popolazioni ed eserciti si mossero in un’alterna incessante dialettica tra terra e acqua, fra interno e costa. Uno degli obiettivi prioritari del progetto di ricucitura e valorizzazione del paesaggio della piana megarese è rappresentato, dunque, dal recupero della dialettica mare/piana/collina, attraverso la rottura della cortina continua di urbanizzazione e impianti, che costituisce una barriera invalicabile fra la costa e la regione collinare, grazie alla ricognizione, alla riqualificazione e alla “centralizzazione” dei punti di accesso ancora fruibili, fra i quali le foci dei fiumi megaresi.7 Lo spazio riqualificato che abbiamo denominato del Parco lineare di Thapsos-Megara tende a ricostruire (o a costruire) relazioni di accesso fra le centralità storiche che, nella regione orientale iblea, hanno rappresentato i poli dei processi storici di antropizzazione, divenendo, attraverso la ricerca archeologica, icone dell’evoluzione delle forme della territorialità nel Mediterraneo, sin dalle epoche più remote. I siti archeologici censiti nell’ambito del progetto K.A.S.A. non sono, infatti, che una piccola parte del patrimonio archeologico diffuso nell’area, della cui distribuzione la carta pubblicata da Vallet e Voza, con i suoi cinquantasei siti individuati, fornisce una efficace sintesi8. Essi si configurano come insiemi di siti associati, nell’accezione della citata Carta di Burra, che traggono significato, leggibilità e valore gli uni dagli altri, in quanto insieme. Nell’ambito di questo densissimo arcipelago alcuni luoghi si impongono sul piano storico e scientifico per la rilevanza nella lettura ed interpretazione dei processi e delle relazioni di area mediterranea. Questi luoghi si candidano naturalmente a divenire fulcri di un progetto di valorizzazione del patrimonio archeologico, a costo di imponenti azioni di recupero, peraltro ampiamente giustificate dall’importanza intrinseca dei siti. Al di là della consistenza delle tracce, infatti, è la loro stessa collocazione topografica, per l’evidenza del paesaggio visivo della regione megarese, a consentire una prima immediata percezione delle logiche e delle dinamiche insediative. Il primo di questi siti è senz’altro Stentinello, che dà il nome a quella che Paolo Orsi definì la “cultura di Stentinello”, luogo di testimonianze «che rendevano per la prima volta chiari e tangibili i segni di ciò che rappresentava la cosiddetta “rivoluzione neolitica»9. Da decenni il sito versa in penose condizioni di assedio, 7
Per “centralizzazione” si intende qui un processo di “infrastrutturazione leggera” della costa e degli accessi al mare, attraverso la realizzazione di progetti urbanistici coordinati, con l’obiettivo di creare e collegare, fra loro e con i centri urbani, una serie di “nodi” costieri di respiro urbano o comprensoriale (parchi suburbani e aree attrezzate) in grado di ospitare servizi “leggeri” (ad esempio strutture sportive con valenza ambientale). 8 Ibidem, p. 40, Fig. 12 - Carta con i siti archeologici individuati nel territorio fra Augusta e Siracusa 9 Ibidem, p. 43
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ridotto com’è a lacerto illeggibile di un paesaggio archeologico frammentato su cui incombono capannoni e impianti produttivi. La seconda centralità è quella di Castelluccio, topograficamente estranea al territorio del Parco lineare nord, in senso stretto, ma ad esso relazionabile attraverso opportuni interventi di riconnessione. Villaggio nei pressi di Noto esplorato da Paolo Orsi, Castelluccio dà il nome alla civiltà, ascrivibile ai secoli XVIII-XV a.C., le cui tracce sono presenti in modo massiccio nella regione megarese. Gli insediamenti di tipo castellucciano sono caratterizzati da facilità di accesso e da prossimità alla costa, lungo le incisioni e, in genere, i percorsi di penetrazione verso il territorio interno. Tra i siti K.A.S.A. di rilievo ai fini della “presentazione” in situ della facies di Castelluccio, riveste notevole interesse il villaggio di Timpa Ddieri presso Villasmundo, lungo il corso del Mulinello, in una posizione di controllo delle vie d’accesso. Esso si caratterizza per la sua connotazione strategico difensiva, dislocato com’è su un ampio terrazzo che domina la piana e dotato di una cinta muraria rinforzata da torri semicircolari. La recinzione, che impedisce oggi l’accesso al sito, non basta a proteggerlo dai fenomeni di degrado dell’intorno, che, nonostante l’ampia visione della cava, di grande effetto paesaggistico, è luogo di abbandono abusivo di rifiuti ingombranti. Se il paesaggio agrario, visibile lungo l’ampio corso del Mulinello, è ancora piuttosto ben conservato, il pianoro sovrastante è invece interessato da fenomeni di dispersione insediativa, probabilmente destinati ad intensificarsi, che rischiano di compromettere la qualità del contesto del sito. I segni degli insediamenti di tipo castellucciano visibili nel paesaggio di questa regione si contraddistinguono per la loro diffusa e pervasiva dislocazione in territorio che testimonia come in età preistorica esso fu diffusamente e omogeneamente interessato da insediamenti umani (…) intimamente legati alle condizioni del suolo e alle possibilità di sfruttamento richiesta da una economia agricolo-pastorale di tradizione neolitica.10
Un quadro radicalmente nuovo, che si configura a partire dal XV secolo connotandosi per un’economia basata su un rapporto attivo con il mare, è testimoniato dal sito di Thapsos, «di gran lunga il più importante sito archeologico della Sicilia di questo periodo caratterizzato da una facies culturale che proprio da Thapsos prende il nome»11. Il sito, nell’attuale condizione di marginalità, determinata dall’addensarsi, nella seconda metà del Novecento, di impianti produttivi a ridosso dell’istmo che collega la penisola Magnisi alla terraferma, è in condizioni di leggibilità, in una po10
Ibidem, pp. 45-46 Ivi
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sizione – straordinaria in termini di paesaggio percettivo – di dominio visivo e strategico del mare e dello spazio costiero12. Questo piccolo spazio, così importante per la lettura del paesaggio storico della Sicilia orientale, come perno dello sguardo sulla rada di Augusta (con lo sfondo imponente dell’Etna) fino alla balza dell’Epipoli, esprime anche, con i suoi fondali, rilevanti valori naturalistici, e si integra nel sistema ecologico costiero come stazione biologica di avifauna migratoria oltre che habitat di fauna selvatica stanziale. Alla facies di Thapsos è riconducibile un altro luogo, appartenente all’insieme K.A.S.A.- di importanza strategica nella articolazione di un progetto di ricucitura e fruizione del patrimonio archeologico: il sito di Cozzo del Monaco, già oggetto di una proposta di valorizzazione,13 luogo chiave per l’evidenza della compenetrazione fra insediamento antropico e paesaggio naturale e, al tempo stesso, testimonianza immediata del carattere stratificato del paesaggio, dal complesso preistorico, posto sul versante nord orientale dello sperone roccioso14, alla catacomba del IV secolo d.C. fino alla masseria abbandonata, nella posizione dominante tipica, in questo territorio dei complessi rurali. Il sito di maggiore rilievo nell’ambito del Parco lineare è senz’altro quello di Megara Hyblaea, dal quale si è scelto di fare discendere la denominazione stessa del parco. Situato in posizione baricentrica tra Siracusa e l’antica Leontinoi, il sito è testimonianza dell’insediamento dei megaresi di Grecia nel territorio, insieme alle altre due poleis rispettivamente di origine corinzia e calcidese. La struttura del territorio megarese è poco nota. Voza e Vallet presuppongono che il limite nord fosse segnato dal Porcaria che ne stabiliva il confine con il territorio della vicina Leontinoi. A sud, invece, lo spazio di pertinenza della polis si estendeva per tutta la piana costiera fino alla scala greca, probabilmente fino alle porte di Siracusa, laddove si erge la balza della cinta dionigiana15. Verso l’interno è il corso dell’Anapo a segnare il limite della regione megarese. Proprio con il territorio così definito ci sembra opportuno fare coincidere lo spazio del Parco lineare di Thapsos Megara, del quale in un’ottica di fruizione integrata del paesaggio naturale e culturale extraurbano della provincia di Siracusa,
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A poca distanza dal sito archeologico si erge la torre Magnisi, traccia di una plurisecolare funzione difensiva degli insediamenti in questo tratto di costa, che attraversa la storia della regione megarese e i cui segni più monumentali sono il castello federiciano, i forti spagnoli e –ultimo solo in senso cronologico- il magnifico hangar per dirigibili della prima guerra mondiale. 13 Il PIOS Thapsos-Megara prevede la realizzazione di un Parco suburbano del Fiume Mulinello, intervento approvato con il decreto n. 617 del 13 luglio 2007 14 L’importanza di questo insediamento dipende anche dall’ipotesi accreditata di un insediamento sulla spianata. 15 G. VALLET, G. VOZA, Dal Neolitico all’era industriale, cit., pp. 52-59
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l’Anapo dovrebbe essere naturale prosecuzione e il trait d’union con un ipotetico Parco lineare sud, nonché con il sistema del patrimonio urbano di Siracusa. Non è questa la sede opportuna per approfondire il tema a sé dei valori storici e scientifici di cui il sito archeologico di Megara Hyblaea è portatore. Ci preme, piuttosto, evidenziare come i resti visibili di questa antica città versino oggi in una condizione marginale, entro un contesto duramente connotato da usi industriali pesanti e invasivi sul piano del consumo di suolo, della rilevanza nel paesaggio visivo, dell’emissioni di sostanze inquinanti in acqua e in aria. Nel territorio industriale di Augusta Priolo Melilli, il sito archeologico di Megara costituisce oggi un’enclave, un’isola assediata, scarsamente fruita, nascosta allo sguardo e al tempo stesso all’immaginario delle popolazioni residenti e dei visitatori. Le testimonianze fin qui riportate alla luce danno importanti indicazioni sull’organizzazione dello spazio urbano ma lasciano aperti molti interrogativi sull’assetto del territorio extraurbano. Questo dato ci riporta alla necessità di condurre ulteriori campagne di scavo in tutto il territorio oggetto di analisi che facciano luce sui molti aspetti, ancora oscuri, dell’assetto storico della regione. È evidente, peraltro, la difficile praticabilità di questa ipotesi allo stato attuale.
III.2.3. Investire sulla valorizzazione: “se” e “perché” Nella millenaria storia di questo territorio, la vicenda industriale si colloca come una ferita tipica della logica di sfruttamento che nel secondo dopoguerra ha caratterizzato la modernizzazione incompiuta del Mezzogiorno. A partire dalla consapevolezza del carattere di lunga durata del processo di costruzione del paesaggio storico della regione megarese, la vicenda ancora in corso dell’industria appare un fatto gravido di conseguenze e impatti e, tuttavia, nel quadro di un processo globale di delocalizzazione delle produzioni pesanti e di costruzione di una nuova coscienza ambientale, una vicenda destinata ad esaurirsi. Ciò impone di rispondere alla domanda non retorica sulla opportunità di perseguire, oggi, politiche orientate alla “fruizione” del patrimonio archeologico in quest’area attraverso la sua “valorizzazione”. Ci siamo chiesti – in sostanza – se, nell’incertezza dei futuri sviluppi nell’assetto del territorio, non sia più logico perseguire obiettivi di mera e radicale difesa, di tutela passiva dei siti, in attesa di condizioni future più propizie non solo alla fruizione ma anche alla conduzione di nuove, più estese campagne di indagine, volte definire più compiutamente ed organicamente il paesaggio archeologico della regione megarese. Così come la domanda non è retorica, la risposta non è scontata. Riteniamo infatti che la scommessa sulla valorizzazione del patrimonio diffuso in questo territorio così compromesso non possa risolversi in una sommatoria di interventi puntiformi di “sistemazione” dei siti, come quelli sinora previsti (nel migliore dei casi). Il progetto di “valorizzazione” – termine ancor oggi troppo vago,
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che nella prassi associa misure di natura assai diversa – é qui preferibile ad uno scenario di salvaguardia e “silenziosa attesa” solo se è orientato con forza alla riqualificazione del contesto paesaggistico e ambientale. Occorre quindi che l’azione di risignificazione del paesaggio megarese sia supportata da azioni di sistema, perseguita attraverso l’inclusione della comunità e da questa ampiamente sostenuta. Il bisogno di ricostruire un rapporto col proprio passato rende le comunità dei luoghi “feriti” più vulnerabili nei confronti di facili retoriche dello sviluppo sostenibile a supporto di progetti di valorizzazione e promozione utili a captare finanziamenti, a distribuire benefici a progettisti e imprese, a coronare il capo di qualche amministratore, ma il patrimonio culturale della regione megarese – immenso sotto il profilo scientifico – potrà contribuire allo sviluppo locale autocentrato solo rinunciando alla politica degli interventi isolati, inutili e costosi, per accedere ad una dimensione strategica dello sviluppo.
III.2.4. Il Parco lineare di Thapsos-Megara. Scenario strategico e schema di articolazione territoriale Il primo punto di questa strategia di sostenibilità futura non può che essere l’inscindibilità della questione del patrimonio da quella dell’ambiente, attraverso un’assunzione della dialettica fondativa tra uomo e ambiente quale elemento ispiratore del progetto. Certo, la prospettiva di integrazione della problematica archeologica e di quella naturalistica/ambientale aumenta la complessità del progetto, costringendo a superare i conflitti di competenze che, un po’ ovunque, hanno fatto da limite ma anche da ennesimo alibi all’inefficacia dei piani. Tuttavia se non si vuol concepire la pianificazione a tutti i livelli (urbanistico, territoriale, paesistico e ambientale) come tecnica ma come processo, occorre accettare l’inclusione nel percorso di redazione del piano – e del progetto che ne costituisce il naturale prosieguo – di una molteplicità di nuovi attori, e prevedere espliciti percorsi di coerenza fra progetto e strumenti finanziari e attuativi diversi, mirati ad affrontare i tradizionali ostacoli della pianificazione: il dualismo conflittuale pubblico/privato; il prevalere di ragioni economiche di livello sovralocale; la necessità di integrare il progetto dei luoghi con interventi sul tessuto culturale e sociale. Riteniamo che l’investimento sul patrimonio in termini strategici possa costituire un valido scenario, alternativo all’opzione ancora salda di un uso “pesante” del territorio della megaride, se sarà in grado di esplicitare, rafforzare e proporre i sistemi di coerenze, oggi latenti, come solido layout del progetto di fruizione. Occorre che la costruzione di un quadro di recupero e interpretazione/presentazione/accesso ai valori culturali e ambientali del territorio miri a raggiungere – in termini di coerenza degli interventi, fattibilità economica e finanzia-
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ria, consenso sociale e istituzionale – una massa critica tale da configurarsi come possibilità concreta e attendibile. Ciò che in questa sede si propone è la progettazione di un Parco lineare ionico ibleo come scenario organico di progressivo potenziamento della fruibilità culturale, ambientale e turistica del patrimonio archeologico diffuso degli Iblei Orientali, entro cui si colloca, come parte integrante, l’insieme dei siti di influenza maltese oggetto del progetto K.A.S.A.. Il sistema, potenzialmente estendibile fino al territorio di Portopalo di Capo Passero, sarà nel seguito analizzato in dettaglio solo per l’area settentrionale, qui denominata Parco lineare nord o Parco lineare di Thapsos-Megara. Il parco definisce l’ambito privilegiato di progettazione di una “presentazione” in situ del patrimonio archeologico della Megaride, frutto di un percorso interpretativo organico e fondata sulla creazione di una serie di percorsi escursionistici integrati di carattere plurimodale. La rete dei percorsi è destinata a “sostenere” l’accesso al patrimonio diffuso, infrastrutturando in forma leggera il territorio attraverso un insieme organico e flessibile –cioè fruibile anche “per segmenti” – di interventi mirati alla creazione di itinerari museali all’aperto, finalizzati alla restituzione della leggibilità del paesaggio storico. Un ulteriore sistema di supporto alla “presentazione” del patrimonio archeologico è individuato nel patrimonio rurale, attraverso la definizione degli ambiti e degli immobili – significativi per qualità e localizzazione strategica rispetto ai siti o agli snodi dei percorsi – il cui recupero si presta alla ri-funzionalizzazione a fini didattici o ricettivi. Lo schema di assetto territoriale del parco è caratterizzato da una concezione “a pettine” che articola uno spazio caratterizzato da tre fasce territoriali con caratteri e problematiche diverse: la fascia montana/interna, la piana megarese e la costa. Esso nasce dalla integrazione di una struttura portante occidentale in direzione nord-sud, destinata a garantire l’organicità e la continuità dello spazio fruitivo del parco e di un sistema di percorsi ad essa trasversali. L’asse della struttura si sviluppa lungo il segmento montano del territorio, a ridosso dell’ambito tutelato in futuro –sulla base della proposta di perimetrazione avanzata – dal parco naturale degli Iblei, e trova nella strada provinciale che collega Lentini a Sortino, quindi a Floridia, il percorso su gomma principale. Da questa spina si articolano in direzione ovest-est una serie di direttrici parallele con funzioni di ricucitura-interno costa, che raggiungono il tratto costiero che va da Brucoli alla contrada Targia. Questo sistema di penetrazione, orientato da est a ovest, pensato come sequenza di percorsi di mobilità lenta, completa la struttura a pettine del Parco. Procedendo da Nord a Sud, gli assi di penetrazione coincidono con le principali incisioni fluviali (il torrente Porcaria, il fiume Mulinello, il torrente Marcellino, il torrente Cantera e Cava dei Mulini, Cava Sorciaro, due incisioni minori a sud
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di cava Sorciaro), lungo e nei pressi delle quali si attesta la parte più significativa del patrimonio archeologico diffuso. Il sistema costiero, fortemente degradato, nella logica di connessione degli ambiti culturali ed ambientali di pregio sottesa all’idea del Parco di ThapsosMegara, è anch’esso oggetto di intervento, attraverso la ricognizione e il recupero integrato di tutti gli spazi interstiziali di paesaggio agrario residuo, spazi attualmente marginali che costituiscono delle formidabili risorse per la ricucitura del frammentato paesaggio costiero. Questi spazi vanno dal ramo ferroviario augustese, per il quale si prevede uno scenario di dismissione, alla viabilità interpoderale, a fasce ricavate al margine di strade poco battute. L’obiettivo finale è creare una connessione ininterrotta, plurimodale, a carattere di alta sostenibilità che costituisca un percorso paesaggistico gradevole per la fruizione dei siti archeologici, ma che al tempo stesso crei condizioni di biopermeabilità finalizzate al rafforzamento della rete ecologica provinciale caratterizzata da una sequenza, in direzione nord sud, di zone umide sensibili spesso individuate come Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS), ai sensi delle direttive comunitarie Uccelli e Habitat, che vanno Il Parco lineare ionico ibleo è qui inteso, più che come “isola” perimetrata, come struttura organica di gestione e coordinamento, fortemente integrata con le realtà museali esistenti. La denominazione parco non intende evocare analogie organizzative con i parchi naturali o con i parchi archeologici. Il carattere diffuso del patrimonio oggetto d’esame, la prossimità o la localizzazione entro tessuti urbani o produttivi, per molti versi, ne impedisce l’inclusione in un’area omogenea distinguibile dal contesto. Abbiamo scelto, tuttavia, di parlare di “parco”, piuttosto che di “museo all’aperto” o “ecomuseo”, per sottolineare la necessità di una struttura unitaria di gestione e la dimensione territoriale, paesistica e urbanistica degli interventi necessari alla fruizione integrata del patrimonio archeologico diffuso, utile a non incappare nell’equivoco degli “itinerari virtuali”. Il parco lineare, dunque, più che una “superficie” è una rete fisica di percorsi, e di relazioni fra luoghi associati, omogeneamente infrastrutturata da sistemi di presentazione e comunicazione del patrimonio che ne rendano riconoscibile la unicità, articolata da nodi sparsi, di supporto ai percorsi, entro i quali la narrazione del paesaggio storico megarese si “condensi” attraverso una concezione museologica unitaria, innovativa e fortemente legata, quanto a contenuti specifici, ai percorsi e ai siti più prossimi. Il sistema di gestione unitario di questa rete deve nascere dall’intesa fra i molti attori territoriali, istituzionali e non, coinvolti a vario titolo nello scenario di attuazione, a cominciare dagli enti preposti alla tutela e alla pianificazione di area vasta, dai musei dai comuni, dal GAL e dai soggetti privati il cui ruolo è fondamentale, dato il carattere “diffuso” del patrimonio. Il parco vuole costituire il punto di partenza per quella che, durante gli incontri realizzati nell’ambito del progetto K.A.S.A. con gli attori locali, è stata defi-
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nita una strategia di convivenza con il polo industriale, volta ad affrontare in chiave operativa la questione del recupero ambientale, creando al tempo stesso le precondizioni di qualità territoriale e urbanistica necessarie più che alla “dismissione” del polo industriale a un processo di riconversione che valorizzi il complesso di esperienze e conoscenze che la vicenda industriale ha contribuito a creare16. L’investimento consistente sul recupero del paesaggio storico e archeologico della regione megarese, potrà, inoltre, essere d’impulso ad una più chiara percezione dei valori identitari del territorio, a partire dai quali la comunità locale potrà, forse, aprire un’interlocuzione meno subalterna con i soggetti e le reti sovralocali, fin qui determinanti negli assetti del territorio. L’emergenza ambientale potrebbe essere di stimolo al progetto di ricucitura e recupero del paesaggio megarese se le istanze locali sapranno spostare il fulcro delle rivendicazioni dalla mobilitazione “contro” il polo industriale alla mobilitazione “per” la costruzione di un orizzonte operativo integrato di ricostruzione della qualità territoriale. Il punto d’avvio di tale processo è senz’altro la riqualificazione delle incisioni fluviali come corridoi ecologici, in forza di una nuova opportunità legata alla istituzione del parco naturale degli Iblei. La proposta di perimetrazione avanzata dal comitato promotore del parco, infatti, comprende l’intero territorio montano a ovest della piana megarese del quale il sistema delle cave, che scandisce la piana, costituisce la naturale propaggine. Tanto in area siracusana, quanto in area ragusana, la proposta di perimetrazione del parco degli Iblei ricalca la tradizionale separazione tra ambito interno/montano, oggetto di tutela, e ambito costiero, escluso dal territorio del parco17. 16
La vicenda industriale di questo territorio comincia nel 1949 con l’insediamento nell’area della RaSiOM (Raffineria Siciliana Oli Minerali), seguito dalla cementeria e dalla centrale termoelettrica a ridosso del sito dell’antica Megara. Presso Thapsos, a ridosso della penisola Magnesi, si insediano successivamente una serie di società (la Petrolchimica Augusta, la Sincat, l’Espesi, la Saccs) in un continuum costiero pressoché ininterrotto. Tra gli anni Sessanta e Settanta vengono redatti due strumenti di pianificazione e programmazione territoriale: il Piano ASI (1963) e il Progetto Speciale 2 della Cassa per il Mezzogiorno (1971). Sempre nei primi anni Settanta, presso Marina di Melilli, sorge l’ISAB, che entra in funzione nel 1975. Nel 1990 l’area è dichiarata “a elevato rischio di crisi ambientale” e nel 1995 è approvato con DPR 17/1/95 il Piano di Risanamento ambientale. Per una lettura della vicenda della nascita del polo industriale di Augusta-Melilli-Priolo e del dibattito che la accompagnò, si veda S. Adorno, Il polo industriale di Augusta-Siracusa. Risorse e crisi ambientale (1949-2000), in G. Corona, S. Neri Serneri, Storia e Ambiente. Città, risorse e territori nell’Italia contemporanea, cit, pp.195-217. 17 La deliberazione n. 1 del 25 dicembre 2005 del Consiglio direttivo del Comitato promotore del Parco degli Iblei, recante la proposta di perimetrazione del Parco degli Iblei, fra le note sottolineava: fanno parte del perimetro del Parco i seguenti corsi d’acqua: S. Leonardo, S. Calogero, Porcaria, Mulinello, Marcellino, Cantera, Cava Canniolo, Mostringiano, Anapo, Ciane, Asinaro, Tellaro, Per un’ampiezza di 150 metri a destra e a sinistra dell’alveo fluviale fino alla foce. Si rileva però dalla
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Abbiamo più volte, in altra sede, osservato come questa scelta contraddica la struttura morfologica e storica del territorio ionico (ma ciò vale per l’Appennino intero) caratterizzata da un vitale rapporto monte/costa costitutivo dell’assetto del paesaggio storico18. In questa logica –oltre al prevedibile assetto del parco – anche il già citato PTP di Ragusa brucia l’occasione di agevolare una progettazione integrata dei “percorsi” (rurali, culturali, ambientali) all’interno dei piani d’ambito (strumenti, per loro natura, idonei a questo tipo di intervento) per una definizione degli stessi pigramente attestata sulla distinzione fra territorio “interno” e territorio “costiero”. Solo una radicale rimessa in discussione della prassi di perimetrazione consolidata dei parchi naturali (che dovrebbe in realtà essere promossa a livello nazionale) può porre pienamente in atto il nuovo statuto delle aree protette come motori di sviluppo “sostenibile”. Da tempo, infatti, la letteratura scientifica e i documenti di indirizzo internazionali e nazionale sottolineano con forza due punti focali delle nuove politiche di tutela dell’ambiente. Il primo punto riguarda il carattere lato del concetto di ambiente, che include l’azione storica dell’uomo sugli ecosistemi19, in quanto opera di manutenzione e – nei suoi assetti tradizionali più riusciti – di salvaguardia della biodiversità. In questa prospettiva il parco si apre al territorio antropizzato per tutelarne i valori ecosistemici, facendosi, inoltre, promotore di politiche di tutela della diversità culturale come valore dell’ambiente e di nuove traiettorie di coevoluzione uomo ambiente, e rappresentandosi come opportunità per le popolazioni insediate. Il secondo punto riguarda il carattere “debole” degli strumenti finora messi in campo per l’attuazione della direttiva Habitat20 e per la costruzione della Rete
Tavola n.1 – Carta delle emergenze ambientali, prodotta dal Comitato promotore del Parco degli Iblei, che l’unico fiume interamente incluso nel perimetro del Parco è il Cassibile. Ne risultano, inoltre, totalmente esclusi, nell’ambito dell’area oggetto di analisi, il Porcaria e il Mulinello. Ad ogni modo la perimetrazione dell’ambito fluviale come area protetta non può automaticamente coincidere con l’area di vincolo paesaggistico. Il fiume, in quanto corridoio ecologico, va tutelato piuttosto in una logica analoga a quella delle riserve orientate, con la definizione spazi omologhi a quelli di “preriserva”, aventi funzione di “cuscinetto” nei confronti di quelli con valenza ecologica di corridoio o di habitat. 18 Cfr. M. Nucifora, Valori paesistici e fattori di criticità. Una riflessione sul possibile sviluppo turistico del comprensorio ionico peloritano. In “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”. vol. I., 2003, Atti del Convegno internazionale di studi La Valle d’Agrò: un territorio, una storia, un destino Forza d’Agrò – Messina 20-22 febbraio 2004; M. Nucifora, Il territorio ionico etneo come sistema territoriale locale, in G. Giarrizzo, E. Iachello, Il territorio come bene culturale, L’epos, Palermo 2002, pp. 187-216. 19 Fra gli altri Cfr. R. Gambino, Conservare.Innovare, cit., p.111 e sgg., e Ministero dell’Ambiente, AP. Il sistema delle aree protette, Alinea, Firenze 2003, pp. 64-97 20 Direttiva n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla "Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche", comunemente denominata Di-
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Natura 200021, con particolare riferimento alla individuazione dei corridoi ecologici e alle modalità di gestione di questi ultimi. All’interno della composita matrice agricola del territorio della piana megarese, fino alla fascia costiera, altamente antropizzata, il sistema delle cave si dipana –malgrado le notevoli trasformazioni di natura antropica, avvenute nel corso della storia – quale serbatoio di habitat ad elevato grado di naturalità con formazioni ancora complesse e ben strutturate. Questo sistema, oltre a recare i segni della penetrazione dell’uomo e del suo insediamento nel territorio interno, costituisce la rete che garantisce la permeabilità della regione costiera orientale e la connessione fra il sistema esteso del parco naturale (e le aree montane in generale, con particolare riferimento ai Monti Climiti, come stazione biologica e territorio di rilievo geologico e speleologico) e la ininterrotta teoria di aree umide costiere (oggi perimetrate come aree SIC e ZPS) che da nord a sud caratterizza la costa della provincia di Siracusa e che costituisce, nel susseguirsi delle stazioni, una infrastruttura ecologica di rilievo internazionale22. L’elemento progettuale portante del Parco lineare di Thapsos-Megara è la riqualificazione degli ambiti fluviali della regione come percorsi di accesso al patrimonio diffuso attraverso il riconoscimento della loro valenza di corridoi ecoculturali. La morfologia decisa di questo sistema di incisioni garantisce, spesso sino al mare una profondità significativa dell’alveo rispetto al livello della piana costiera, trasformando il letto dei fiumi in canale “protetto” in grado di tutelare non soltanto la sopravvivenza di habitat di pregio o la mobilità delle specie ma anche l’accesso ai siti archeologici costieri in condizione di frammentazione e di degrado. L’intervento di costruzione attiva di corridoi eco-culturali nell’area della Megaride costituisce un’opportunità di valorizzazione del patrimonio sotto diversi profili.
rettiva "Habitat"., http://www2.minambiente.it/sito/settori_azione/scn/rete_natura2000/natura_2000/direttiva_habitat.as p 21 «Natura 2000 è il nome che il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente (una "rete") di aree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione stessa ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della Direttiva "Habitat" e delle specie di cui all'allegato I della Direttiva "Uccelli" e delle altre specie migratrici che tornano regolarmente in Italia» http://www2.minambiente.it/sito/settori_azione/scn/rete_natura2000/rete_natura2000.asp 22 Linsieme di aree cui si fa riferimento va dalle Saline Regina alle Saline dei Pantanelli a sud di Siracusa, e comprendono aree “forti” in quanto vere e proprie aree naturali protette (la RNO Valle dell’Anapo; la RNO Saline di Priolo; la RNO Fiume Ciane e Saline di Siracusa; l’AMP Penisola della Maddalena e Capo Murro di Porco). Vale la pena di notare come, nella regione della megaride, le principali stazioni biologiche della rete Natura 2000 –le saline- siano habitat di origine antropica a sottolineare il permanere dei segni della stretta e costruttiva relazione storica fra uomo e ambiente in questo territorio, fino alle soglie della vicenda industriale.
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Essa consente, anzitutto, se opportunamente condotta attraverso procedimenti di interpretazione e presentazione, di restituire al patrimonio una dimensione territoriale organica e identificabile. La nuova prospettiva relazionale sarebbe, finalmente, in grado di conferire una leggibilità immediata a gran parte dei siti archeologici della regione megarese, aumentandone di gran lunga l’attrattività e la valenza identitaria e ponendo nuovamente, al centro dell’assetto del territorio, il rapporto interrotto interno/costa, grazie al recupero dei bacini fluviali come percorsi di veicolazione culturale. Proprio a proposito del sistema del sinus megarensis (Mulinello/Marcellino/Cantera), nell’ambito del progetto K.A.S.A., Davide Tanasi ha sottolineato la forte uniformità culturale ed il comune carattere di sostanziale apertura verso l’esterno che accomuna diversi siti fluviali con altri costieri, primo fra tutti quello di Thapsos,[che] dimostrano la forte coesione tra costa ed entroterra per tramite del corso dei fiumi.23
Attraverso l’intervento ecologico – sostenuto da opportuni interventi strutturali di carattere ambientale di vera e propria bonifica, peraltro già da tempo invocati e in parte previsti – i corridoi naturali delle cave potrebbero di fatto costituire le infrastrutture qualificate e protette dalle quali cominci il progressivo recupero del paesaggio storico, con grandi vantaggi immediati, come, ad esempio, il miglioramento del paesaggio percettivo (non soltanto visivo, ma anche olfattivo) il cui degrado attuale costituisce un ostacolo quasi insormontabile ad ogni progetto di valorizzazione e fruizione. Al di là della valenza ecologica attuale e potenziale, il sistema delle incisioni presenta caratteristiche significativamente utili al progetto di fruizione del patrimonio diffuso della regione megarese: in primis, la già citata organizzazione dei siti archeologici attestati “a grappoli” lungo le cave; quindi il sistema dei “cozzi”, luogo di insediamento storico delle masserie. Esso costituisce un arcipelago puntuale di manufatti di vario valore architettonico e grado di complessità, accomunati da una posizione paesaggistica vantaggiosa, in quanto dominante sul piano visivo, spesso panoramica, e da una condizione prevalente di abbandono e dismissione, che ne fa luoghi privilegiati per la localizzazione di servizi pubblici e privati di supporto ai percorsi di accesso al patrimonio. Attraverso interventi di recupero, questa struttura di presidio del paesaggio agrario storico potrebbe, infatti, ospitare i
23
D. Tanasi, L’antropizzazione della Megaride tra l’età del Bronzo e del Ferro: il caso degli insediamenti fluviali. Relazione tenuta al Convegno “Il patrimonio culturale diffuso come opportunità di sviluppo locale”, Augusta, 9 giugno 2007 nell’ambito delle attività del progetto K.A.S.A. http://www.progettokasa.net/index.php?option=com_content&task=view&id=17&Itemid=35
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nodi della rete di accesso alle conoscenze in cui si articolino più organicamente i momenti di effective presentation del patrimonio, secondo un criterio di forte correlazione e complementarità con i percorsi escursionistici più prossimi. Altri punti strategici del progetto di riqualificazione dovrebbero essere le “testate” dei corridoi ecologici, a ovest coincidenti con ambiti paesaggistici di grande pregio, a est con siti di valenza culturale o ambientale in condizioni problematiche di degrado e separatezza. Su questi luoghi costieri è necessario concentrare gli sforzi di ricucitura a partire da una serie di interventi di carattere puntuale già in atto, che costituiscono un ulteriore punto di forza del progetto di parco lineare, quali ad esempio il progetto di parco della foce del Mulinello, il progetto di parco dell’Hangar di Augusta, i progetti di riqualificazione e fruizione delle saline, fino al progetto di parco delle mura dionigiane. Tra le aree di interesse ci sono le numerose intersezioni fra i tracciati estovest delle cave e i molti percorsi della viabilità secondaria, spesso a carattere panoramico. Tali intersezioni si prestano a divenire aree di scambio modale fra il sistema della mobilità su gomma e il sistema della mobilità lenta costituito dalla rete degli itinerari pedonali e – ove possibile – ciclabili, lungo e fra le cave, in piena coerenza con gli indirizzi del nuovo PTP di Siracusa. Il documento programmatico preliminare, nella definizione dell’obiettivo generale di “tutela e riqualificazione integrate dei nodi strategici dell’offerta di risorse territoriali”, sottolineando l’importanza del patrimonio diffuso ai fini dello sviluppo turistico, collega tale questione a quella della costruzione di «un sistema di mobilità “a rete” e alla promozione di forme di mobilità “dolce” (a piedi, in bicicletta e a cavallo) da svolgere in percorsi a valenza paesaggistica»24. Un ulteriore vantaggio collegato alla realizzazione di questi percorsi è la prossimità ai centri collinari, così come il ruolo di potenziale collegamento con i sistemi insediativi ed ambientali più prossimi. In questa prospettiva, procedendo da nord verso sud, il torrente Porcaria è il primo dei sub sistemi fruitivi lineari di ricucitura del rapporto interno/costa. Esso si presta a collegare fra loro i siti K.A.S.A. più settentrionali: Campolato di Augusta, nella parte nord ovest del promontorio di Augusta –sito degradato e in stato di abbandono, ma in posizione splendidamente panoramica – e Cozzo Telegrafo – sito interno in posizione strategica di dominio visivo. Risalendo il corso del Porcaria si traguarda, infine, il territorio intorno a Villasmundo, al confine del futuro parco naturale, raggiungendo, per il tramite della strada provinciale 95, lo snodo tra il sistema ecoculturale megarese e il territorio di Lentini con il suo sistema fruitivo e museale. Poco più a sud il corso del Mulinello, tra Augusta e Villasmundo “aggancia almeno sei siti archeologici, tra i quali quello di Cozzo del Monaco, e quello di 24 Provincia Regionale di Siracusa, Piano Territoriale Provinciale - Documento programmatico preliminare, p.13
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Timpa Ddieri, già segnalati per la loro centralità, assai significativi sul piano storico e paesaggistico. Analogamente, il Marcellino accoglie, con il suo lungo corso e le sue sponde scoscese, siti archeologici significativi, tra cui la necropoli a grotticelle artificiali, segnalata da Voza e Vallet25, i cui corredi testimoniarono la continuità delle importazioni greche. Dal paesaggio suggestivo dell’alto corso, il Marcellino approda al mare attraverso un paesaggio costiero incolto, dal quale affiorano, come relitti i segni ancora recenti della civiltà contadina. Eppure, questo brandello desolato di paesaggio agrario costituisce una risorsa ecologica fondamentale ed è sicuramente uno spazio strategico per “la riconquista della costa” sul quale dovranno concentrarsi azioni significative di bonifica e rinaturalizzazione. La sequenza Cava dei Mulini/Cantera, presenta i medesimi caratteri e lo stesso climax discendente del contesto paesaggistico. Al di là della presenza di patrimonio archeologico diffuso (che comprende il sito K.A.S.A. di Cava Baratta), il tratto costiero del Cantera, col suo strano miscuglio di fattori di degrado e elementi di pregio (si pensi all’ordinato paesaggio agrario a ridosso del polo industriale) costituisce una risorsa importante per la riqualificazione dell’intorno del sito di Megara Hyblaea. Attraverso il recupero dell’alveo e delle sponde del Cantera e la realizzazione di un percorso “dolce” è possibile la costruzione di un accesso privilegiato all’area archeologica nonché di una relazione fra il sito – isolato presso la costa – i centri urbani della piana e l’area interna del parco. Appena a nord dell’abitato di Priolo, Cava Sorciaro/Cava Canniolo rappresenta uno dei tracciati più interessanti di questa regione. Nell’ultima parte del suo corso, prima di penetrare nell’area industriale fino al mare, l’incisione costeggia un’area agricola che la separa dal centro urbano, in relazione di contiguità/continuità con una fascia di paesaggio agrario che si sviluppa alle spalle dell’insediamento industriale, lungo il margine est del centro urbano, fino al punto di accesso alla penisola Magnisi. Per un progetto che intenda costruire relazioni paesistiche evidenti fra i siti archeologici sparsi nel territorio, questo spazio “interstiziale” costituisce una straordinaria risorsa, dalla cui bonifica e riqualificazione occorre muovere, nell’ottica integrata della valorizzazione del patrimonio archeologico, della riqualificazione del paesaggio urbano periferico, della mitigazione degli impatti paesaggistici ed ambientali dell’insediamento industriale sul territorio. L’intervento, però, va inserito nella rete territoriale più ampia del Parco lineare, affinché non si collochi nel paesaggio come un’isola, ma tragga senso dalla continuità dello spazio riqualificato che trova il suo corridoio est ovest proprio lungo il corso della cava. Ambito qualitativamente privilegiato, luogo di naturalità residua, la cava, attraverso una matrice caratterizzata da fattori di pressione antropica ad alto impatto si snoda, risalendone il corso verso ovest, in un paesaggio di crescente in-
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G. VALLET, G. VOZA, Dal Neolitico all’era industriale, cit., p. 44
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teresse naturalistico e in un contesto progressivamente meglio conservato, fino al luogo di origine sui Monti Climiti presso la strada panoramica che collega Floridia a Solarino. Questo percorso e il paesaggio che lo circonda si prestano a costituire – come, peraltro, furono nell’antichità – lo snodo fra il sistema insediativi della regione megarese e la Valle dell’Anapo col sito di Pantalica. Lungo il corso di Cava Sorciaro, dal cui tratto intermedio, attraverso Cava Canniolo, è raggiungibile il centro di Melilli, si attestano articolati complessi rurali, in un paesaggio agrario dai tratti sempre più leggibili. Il settore più meridionale del Parco lineare di Thapsos-Megara, a sud dell’abitato di Priolo, nel quale si collocano (sempre lungo brevi incisioni) i siti di Cava delle Porcherie, Monachella, Manomozza, mostra più marcatamente l’avanzare di nuovi fattori di degrado, legati a processi di urbanizzazione del territorio agricolo suburbano, dal carattere frammentato e residuale, con il proliferare di insediamenti ad alto impatto visivo con funzione residenziale e commerciale. È il preludio al paesaggio della periferia nord di Siracusa, un paesaggio in rapida evoluzione, disorganico e contraddittorio ma caratterizzato da funzioni “pesanti” (quella portuale e produttiva e quella della grande distribuzione commerciale) che minacciano di soffocare le testimonianze archeologiche (si veda il caso di Stentinello) in un dedalo di svincoli, capannoni e raccordi. In questa regione, salvaguardare la continuità del percorso fruitivi è difficile ma importante: uno dei vantaggi di questa ipotesi di valorizzazione del patrimonio megarese attraverso il parco lineare è quella di proporsi come spazio a valenza ambientale e culturale di raccordo fra i poli attrattivi del territorio lentinese (museo e parco archeologico) e l’offerta siracusana, con particolare riferimento all’orizzonte di valorizzazione del patrimonio suburbano che la prospettiva di creazione di un Parco delle mura dionigiane sembra voler aprire. Presso l’Epipoli (ultimo sito K.A.S.A. compreso nell’ipotesi di Parco come snodo fra la regione megarese e quella siracusana) si arresta il pettine del Parco lineare di Thapsos Megara, offrendo un duplice possibile accesso. A ovest un primo itinerario del parco potrebbe snodarsi attraverso il sistema ad alta valenza ambientale del corso dell’Anapo, fino allo snodo già citato col sistema di Cava Sorciaro sui Monti Climiti. Individuato fra i corridoi ecologici principali nell’ambito della Carta della Natura, questo ambito potrà, in quanto parte integrante della RES, godere del sostegno finanziario previsto, nell’ambito del POR, per un’ampia gamma di interventi finalizzati alla riduzione del rischio idrogeologico, alla piantumazione di specie vegetali idonee, ad azioni mirate al riequilibrio degli ecosistemi e in genere a forme di ripristino o miglioramento della funzione ecologica, ma anche a interventi per la fruizione sostenibile, come la creazione di sentieri, piste ciclabili, ippovie. Più complesso, ma non insolubile, è il problema dell’accesso a Siracusa attraverso la piana. La creazione di un percorso di alta qualità ambientale dovrebbe
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qui costituire l’occasione per la creazione di un parco suburbano di Siracusa, il cui obiettivo – al di là del recupero dei siti archeologici della Targia – dovrebbe essere quello di ricucire la relazione fra il tessuto urbano di Siracusa e gli “areali” della zona nord, cresciuti in modo irregolare, secondo tipologie ad alto consumo di suolo o in base a una logica di zonizzazione (è il caso dei centri commerciali). La creazione di un parco e la realizzazione di un percorso di mobilità “dolce” a valenza paesaggistico-culturale di collegamento con la città, richiederebbe qui un progetto urbanistico forte, in grado di creare anche attraverso la previsione di attrezzature, quelle centralità necessarie a conferire a questi luoghi un carattere di urbanità che essi non hanno mai avuto sin dalla loro concezione.
III.3. Programmazione, territorio, attori. Il Parco come processo decisionale condiviso III.3.1. Il paesaggio agrario come “connettivo denso”
In conclusione al loro testo, Voza e Vallet sottolineano la loro opposizione, pienamente condivisibile, ad una vocazione museografica del Mediterraneo che ne farebbe il conservatoire per gli altri delle forme immobili di un passato ormai remoto.1 È invece auspicabile che il Mezzogiorno d’Europa, per larghi tratti spazio caratterizzato da una economia prevalentemente agricola di lunga durata che ha prodotto nei luoghi un patrimonio aggiuntivo e diversificato di sapienze ambientali “a largo spettro” (dalle capacità costruttive e di utilizzo dei materiali locali, all’uso “sostenibile” delle acque, alle produzioni tipiche, alla cultura gastronomica), si proponga l’obiettivo di divenire terreno di sperimentazione di politiche innovative di sostenibilità, proprio a partire dal paesaggio agrario tradizionale come tessuto connettivo denso di valori. Il rinnovamento dell’agricoltura in una prospettiva di coevoluzione uomoambiente, se coniugata con il recupero del patrimonio culturale, rappresenta in questo momento in Italia e in Europa, con particolare riferimento allo spazio Mediterraneo, una questione potenzialmente decisiva per lo sviluppo. La costruzione di un nuovo statuto del mondo agricolo nel Mezzogiorno comincia dal riconoscimento di nuove finalità e funzioni dell’agricoltura, tradizionalmente assenti o marginali rispetto alla produzione tout court: la finalità estetica, in varie epoche connaturata all’attività agricola, divenuta definitivamente marginale in età contemporanea, per il prevalere di logiche produttivistiche, oggi nuovamente centrale per l’attuazione di progetti di sviluppo turistico diffuso, che il degrado dei contesti rende altrimenti piuttosto improbabili; la finalità di integrazione dell’offerta locale, attraverso il potenziamento delle colture tradizionali, la salvaguardia della biodiversità del prodotto agricolo, il potenziamento del settore biologico, l’integrazione con i 1
Ibidem, p. 75
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settori zootecnico e agroalimentare, l’accorciamento delle filiere produttive, il recupero dei saperi locali nella trasformazione del prodotto, dall’uso gastronomico a quello fitofarmaceutico; la finalità didattica, che fa dei presidi agricoli i punti di accesso privilegiati al paesaggio storico e naturale, spazio di mediazione fra una “cultura urbana” progressivamente sempre più povera e degradata e una “cultura rurale” che le rappresentazione degli ultimi due secoli hanno descritto come “minore” e “arretrata”. Dall’incontro virtuoso fra questi due mondi può scaturire quell’innesto di creatività e innovazione che occorre alla campagna meridionale per compiere un definitivo salto di qualità verso il futuro; la finalità di ambito di accesso al patrimonio diffuso, che presuppone un ruolo attivo dell’imprenditore agricolo nella presentazione/interpretazione/offerta del patrimonio sulla base di protocolli promossi e indirizzati dalle istituzioni culturali e condivisi a livello diffuso attraverso programmi di formazione mirata; la finalità dell’accoglienza, in grado di porre in atto i principi contenuti nelle carte internazionali che caratterizzano il turismo culturale anzitutto come “incontro” fra persone; la finalità ricreativa, che può trasformare la campagna in luogo del loisir, spazio di respiro a servizio dei sistemi urbani e con essi strettamente integrato, attraverso la costruzione di un sistema di verde suburbano di connessione, integrazione e mediazione con gli ambiti rurali, che serva da elemento di qualificazione e ricucitura dei margini urbani la finalità ambientale, che si concretizza attraverso un recupero del ruolo degli agricoltori di manutentori del territorio e della pratica agricola come “cura” dell’ambiente; la finalità ecologica, legata al ruolo ecosistemico che la matrice agricola spesso riveste, garantendo la permeabilità del territorio e la connessione fra habitat montani e costieri; A prescindere da quelle che saranno le scelte definitive di perimetrazione del futuro Parco degli Iblei, una visione progettuale mirata al recupero della regione megarese, dovrebbe considerare l’intera fascia di territorio compresa tra l’area montana e gli insediamenti costieri, quale potenziale “buffer zone”. Come abbiamo osservato nella prima parte di questo lavoro, l’idea di “zona cuscinetto” va qui declinata in chiave non esclusivamente ecologica. Da spazio di mediazione e filtro, ai sensi della direttiva Habitat, il paesaggio agrario, connettivo entro il quale si colloca la costellazione dei siti archeologici K.A.S.A., deve divenire ambito di sperimentazione di progetti di trasformazione condivisi. Esso è il vero terreno entro il quale si “testa” l’efficacia delle politiche di concertazione istituzionale e di partecipazione, nonché la capacità di ricondurre una pluralità di strumenti di
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programmazione e finanziamento di singoli interventi, entro il quadro più ampio di un progetto organico di sviluppo territoriale. Se, infatti, la riqualificazione del sistema lineare delle cave della regione di Thapsos-Megara può trovare il suo punto di forza nel regime demaniale dei suoli, essa deve, però, essere considerata l’ossatura di un più ampio spazio di fruibilità del patrimonio che accoglie e “attiva” il sistema delle eccellenze. L’obiettivo finale di una visione strategica non può infatti che essere quello di una piena permeabilità ecologica e culturale. La questione del ruolo del settore privato nella direzione della tutela e fruizione del patrimonio come valore comune e risorsa concreta, diventa, a questo punto, fondamentale. Essa investe il tema della reale efficacia della pianificazione territoriale e paesistica. Il progetto di riqualificazione e gestione del paesaggio della regione megarese presuppone, infatti, inevitabilmente, un ruolo attivo della proprietà privata nella riconversione dell’agricoltura e nella trasformazione del fondo agricolo. Lo strumento ormai tradizionale dell’incentivo all’impresa agricola attraverso i regimi di aiuto e il sistema del cofinanziamento, che caratterizza, ad esempio, la spesa sui fondi strutturali – strumento che tanto ruolo ha avuto nello sviluppo della ricettività extra alberghiera in Sicilia – deve essere più coraggiosamente e più rigorosamente mirato a orientare in senso paesaggistico e ambientale l’azione dei proprietari sui fondi. Questo obiettivo può realizzarsi solo attraverso una concezione fortemente selettiva (in senso “progettuale” e non “restrittivo”) dei criteri di accesso ai contributi. Al di là di questo ruolo “passivo” di valutatore dei progetti, il settore pubblico, con particolare riferimento al ruolo della Provincia e della Soprintendenza, deve impegnarsi a definire, nei piani, un quadro d’insieme chiaro ed efficace – ad esempio, attraverso specifici programmi d’area – e a produrre documenti di indirizzo che contengano non solo “orientamenti” ma anche “specifiche tecniche”.
III.3.2. Il parco come “metodo”. Procedure, finanziabilità, gestione La scelta di proporre uno scenario di sintesi come quello del Parco lineare di Thapsos Megara, non rappresenta la volontà di sovrapporre l’ennesima unità territoriale alle molte che già insistono su questa regione (PIT, GAL, sottoambiti paesistici,…) quanto piuttosto l’accento sulla necessità di una concezione integrata, organica, sovracomunale e riconoscibile (anche in termini di immediata identificazione) degli interventi per la valorizzazione del patrimonio diffuso in area ionico iblea. Non siamo affezionati a questa denominazione, quanto piuttosto al metodo che dovrebbe accompagnarne il processo di attuazione e gestione. Il primo passo per la creazione del Parco lineare nord deve essere l’apertura di un tavolo interistituzionale di confronto al quale siedano gli attori privilegiati di
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questo processo a cominciare dai tre principali soggetti sovralocali, deputati a garantire la sostenibilità dello sviluppo in questo territorio – la Provincia Regionale, la Soprintendenza ai Beni Culturali, l’Ente Parco – e dai rappresentanti dei comuni interessati. L’applicabilità del principio di sussidiarietà – a garanzia della fattibilità di un progetto così complesso – dipende, infatti, dal livello di integrazione, complementarità e coerenza che Piano Territoriale Provinciale, Piano Paesistico d’Ambito e Piano di Gestione del Parco sapranno esprimere, nonché dalla capacità degli enti preposti alla pianificazione d’area vasta di non porsi in modo verticistico e meramente prescrittivo nei confronti dei livelli ad essi sotto ordinati. Occorre, infatti, tenere conto dei processi di dinamizzazione delle realtà locali che la ventennale stagione di programmazione negoziata ha sollecitato. La presenza pluriennale di partenariati e compagini sub provinciali a geografia variabile, più o meno coese, è un dato di fatto importante di cui i piani in fase di redazione dovranno prendere pienamente atto, cominciando dalla riflessione attenta sulle rappresentazioni che i documenti di programmazione prodotti in questi ambiti offrono del territorio e delle sue “risorse”. Questo per una duplice ragione: se questo processo di “ascolto” non avverrà compiutamente, la pianificazione ordinaria del territorio, colpevolmente tardiva, non potrà che configurarsi come fattore scatenante di conflitti fra istituzioni, attori e livelli di governo del territorio; inoltre, soggetti quali i GAL, i distretti, le agenzie di sviluppo, i partenariati locali per i piani strategici, confermandosi beneficiari di risorse economiche per il prossimo periodo di programmazione, saranno attori potenzialmente strategici del processo di attuazione dei piani. Il paradosso che ci consegna, infatti, l’attuale assetto del sistema di governo del territorio è la contrapposizione fra piani, quali strumenti complessi dotati di un compiuto apparato di analisi ma pressoché privi di risorse finanziare destinate all’attuazione degli indirizzi previsti, e una molteplicità di programmi il cui apparato analitico è assai povero ma nei quali il quadro degli interventi è strettamente ancorato alla loro fattibilità economica. È necessario, dunque, che una parte consistente del processo pianificatorio in atto sia dedicata al confronto fra attori e livelli istituzionali, per la individuazione condivisa delle linee strategiche dell’assetto futuro del territorio in termini di priorità degli interventi, integrazione settoriale, definizione degli ambiti di riferimento e orientamento dell’accesso alle risorse finanziarie, anche da parte del settore privato. Presupposto di questo dialogo deve essere – anche nel settore degli interventi sul patrimonio – una valutazione attenta degli impatti dei programmi complessi sul territorio, non già in merito alle ricadute economiche, oggetto privilegiato del monitoraggio, quanto piuttosto in termini di rilevamento di fattori
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di coerenza o al contrario di impatti negativi sull’assetto del territorio e sulla qualità del paesaggio2. È, infatti, evidente – allo stato attuale – che lo spettro variegato delle misure accessibili a livello privato previste nell’ambito dei programmi per lo sviluppo locale, può dare luogo, nell’insieme, ad una molteplicità di configurazioni, più o meno coerenti con gli obiettivi generali di qualità di territorio, ambiente e paesaggio previsti dai piani. La pianificazione deve rivendicare a sé la centralità nella definizione del quadro di riferimento generale entro cui si collochino i programmi complessi, come pratica in grado di garantire la sostenibilità delle trasformazioni non solo attraverso il disegno del territorio e la definizione delle norme, ma anche attraverso la costruzione di scenari progettuali intersettoriali nei quali il settore privato trovi una collocazione vantaggiosa, entro un sistema chiaro di regole e di opportunità. La prima tappa di un percorso gestionale-amministrativo nella direzione di un’integrazione del progetto di valorizzazione nel processo pianificatorio e programmatorio dell’area, potrebbe essere la costituzione di un Comitato di Promozione del Parco lineare nord al quale partecipino i rappresentanti della Soprintendenza e della Provincia e i rappresentanti degli enti locali quali portavoce non solo delle amministrazioni comunali ma anche delle compagini territoriali e dei partenariato sottesi alla programmazione negoziata, alla progettazione integrata e alla pianificazione strategica. Compito prioritario del Comitato dovrebbe essere quello di effettuare una valutazione –di carattere preliminare – della coerenza delle politiche fin qui condotte nell’ambito dei piani comunali e dei programmi complessi con lo schema di sviluppo del territorio proposto dallo scenario del parco, al fine di evidenziare gli elementi di opportunità e i fattori di conflitto. In seconda battuta, sulla base dei risultati di tale indagine, il Comitato, dotato di un supporto tecnico adeguato (ad esempio attraverso la costituzione di un tavolo tecnico interistituzionale al quale dovrebbero sedere anche università, genio civile, ARPA) sarebbe chiamato a definire, attraverso la stesura di un documento preliminare, la natura e i ruoli dei soggetti coinvolti in un programma così complesso e le procedure necessarie alla sua realizzazione (conferenza dei servizi, protocolli d’intesa) nonché le forme più opportune per il coinvolgimento attivo del settore privato nel processo di costruzione del Parco, anche in relazione alle modalità privilegiate di accesso ai fondi comunitari destinati al periodo di programmazione 2007-2013 (dalla semplice costituzione di ATS, alla creazione di un Consorzio o di una Agenzia di Sviluppo a partecipazione mista). Il secondo passo, sotto la supervisione di un Comitato tecnico-scientifico e attraverso la costituzione di gruppi di ricerca “finalizzati”, dovrebbe essere la 2
Le analisi degli effetti di sistema degli interventi sui fondi strutturali operate dal nucleo di valutazione, dal valutatore indipendente o dal Formez hanno un taglio prevalentemente macroeconomico.
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redazione di un programma di lavoro che, al primo posto in assoluto, dovrebbe avere la definizione multidisciplinare dei valori della regione megarese e la costruzione di una lettura del territorio, quale base di un processo –politico nel senso più alto – di condivisione dello scenario del Parco. Parte fondamentale di questo processo dovrebbe essere l’articolazione del quadro interpretativo dei significati espressi dal patrimonio archeologico megarese e l’avvio di un programma di presentazione che coinvolga da subito la comunità locale, attraverso il supporto indispensabile delle istituzioni culturali e scolastiche locali. Questa fase prevede l’organizzazione di momenti di accesso alle conoscenze attraverso la “restituzione” dei risultati dei gruppi di ricerca e di accesso al patrimonio attraverso visite ai siti più facilmente raggiungibili. La struttura del Parco potrebbe, sin dalle sue prime mosse, presentarsi come “parco didattico” in cui parte dell’attività, compatibilmente con le priorità di ricerca, progettazione e realizzazione degli interventi valorizzativi, venga aperta a scuole, associazioni, gruppi, con la guida di esperti. Le ingenti risorse previste nell’ambito della programmazione a valere sui fondi strutturali, per il sostegno alla formazione di professionalità nel settore della valorizzazione dei beni culturali e ambientali, dovrebbero essere sfruttate per creare – con il supporto di Università ed enti di ricerca e formazione – iniziative a livello locale fortemente mirate a supportare il progetto di fruizione in una logica stringente di integrazione. I progetti formativi dovrebbero essere concepiti come fattori di stimolo e incubatori di iniziative concrete, attraverso la costituzione o la qualificazione di cooperative e associazioni che si candidino a gestire alcuni segmenti dell’attività di promozione prevista dal Parco3. Il piano degli interventi necessari alla riqualificazione paesaggistica e ambientale del territorio del Parco, nonché alla infrastrutturazione del sistema dei siti – fortemente ancorato alla finalità della interpretazione e restituzione dei valori attraverso una restituzione di leggibilità del paesaggio – dovrebbe essere pensato come scenario articolato da livelli di priorità coerenti con il quadro della pianificazione di area vasta e scandito da scadenze temporali di breve, medio e lungo termine. Esso dovrebbe essere corredato da un piano di fattibilità economica, mirato ad individuare le fonti e le modalità di accesso alle risorse pubbliche e 3
Una delle questioni più discusse, oggetto di attacchi alle politiche regionali,nell’ambito di Agenda 2000, è stata quella dell’uso delle risorse del Fondo Sociale Europeo, attraverso le misure del POR orientate alla formazione. In effetti, attraverso l’Asse 3 – Risorse umane, negli anni passati, è stata finanziate una pluralità eterogenea di iniziative, senza che un sistema di valutazione attendibile ne verificasse i risultati prodotti. Il settore della formazione per lo sviluppo turistico è stato quello su cui si concentrata buana parte delle risorse del FSE in Sicilia. Sarebbe utile verificare, in modo strutturato, cosa questi investimenti hanno prodotto in termini di miglioramento delle più basilari condizioni di contesto (ad esempio, nell’ambito delle conoscenze linguistiche degli addetti al settore turistico, con particolare riferimento al segmento extralberghiero).
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private, costantemente aggiornato.
III.3.3. La programmazione 2007-2013 come orizzonte attuativo del Parco Gli strumenti di maggiore interesse per l’attuazione del programma del Parco nei prossimi anni, saranno senz’altro quelli offerti dalla programmazione dei fondi comunitari nell’ambito del Programma Operativo Regionale 2007-2013 e del Programma di Sviluppo Rurale per lo stesso periodo di programmazione. Nell’ambito del POR Sicilia, parecchie delle misure previste possono concorrere in modo sostanziale all’attuazione dello scenario di valorizzazione del patrimonio diffuso qui proposto. In questa sede ci limiteremo a suggerire gli aspetti del quadro programmatorio rispetto ai quali il progetto di Parco lineare presenta livelli di coerenza più significativi. Articolato secondo sette assi prioritari, il nuovo POR così individua i principali settori di intervento: Asse 1: Reti e collegamenti per la mobilità; Asse 2: Uso efficiente delle risorse naturali; Asse 3: Valorizzazione delle identità culturali e delle risorse paesaggistico-ambientali per l’attrattività turistica e lo sviluppo; Asse 4: Diffusione della ricerca, dell’innovazione e della società dell’informazione; Asse 5: Sviluppo territoriale e competitività dei sistemi produttivi locali; Asse 6: Sviluppo urbano sostenibile; Asse 7: Governance, capacità istituzionali e assistenza tecnica. In tutti questi capitoli sono previsti obiettivi operativi il cui perseguimento, a livello locale, può concorrere alla creazione di uno scenario di riqualificazione del contesto paesistico della regione megarese4. Ci soffermeremo, però, esclusivamente sui contenuti dell’Asse 3, più esplicitamente collegati alla natura della proposta qui avanzata. Coerentemente con le disposizioni del QSN citate nell’introduzione a questo lavoro, il POR Sicilia 2007-2013 integra in un unico asse le questioni della valorizzazione del patrimonio culturale, della valorizzazione del patrimonio ambientale, del potenziamento dell’attività turistica, stabilendo in questo una distanza dall’approccio più rigidamente settoriale del documento regionale di programmazione nel periodo di Agenda 2000. Gli obiettivi specifici che articolano l’Asse riguardano da vicino i nodi del progetto di Parco lineare: il recupero del patrimonio, il potenziamento della rete ecologica, la gestione dei beni. Il secondo dei due modelli di sviluppo perseguiti attraverso la strategia di asse, riguarda da vicino la questione della valorizzazione del patrimonio 4 L’Asse 2, in particolare, consente interventi significativi di recupero ambientale e prevenzione del rischio idrogeologico e industriale.
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archeologico diffuso: La strategia per il periodo 2007-2013 tenderà verso due principali modelli di attuazione sul territorio delle politiche culturali: “poli culturali” con interventi di restauro e valorizzazione dei poli di eccellenza del patrimonio culturale, per attivare un processo di “integrazione verticale” (piena fruibilità, sviluppo dell’imprenditoria e adeguamento infrastrutturale, nonché qualificazione di risorse professionali in sinergia con il POR FSE). Gli interventi in questione non riguarderanno i grandi attrattori di valenza sovra-regionale di competenza del POI5; progetti - anche di valenza territoriale e integrati - finalizzati a promuovere “beni minori” attraverso azioni volte a valorizzare le risorse offerte dai sistemi minori, al fine di attrarre flussi turistici durante l’intero anno solare e di equilibrare la dicotomia esistente tra le aree interne e le zone costiere, tra le città d’arte ed i borghi storici. Si promuoverà quindi la realizzazione di sistemi locali caratterizzati da una gestione “unitaria” e identificati da un comune tematismo culturale, che integrano le componenti di offerta culturali con altre componenti come quella turistica, all’interno di politiche e azioni di marketing convergenti verso lo sviluppo delle attività collegate alla valorizzazione delle risorse culturali.6
È evidente come lo schema di articolazione del Parco lineare sia coerente con i caratteri del modello individuato dal POR e si candidi, in quanto tale, a godere dei finanziamenti previsti nell’ambito dell’asse 3. Il primo obiettivo di asse (3.1 – Valorizzare i beni e le attività culturali per aumentare l’attrattività dei territori, per rafforzare la coesione sociale e migliorare la qualità della vita) orienta – assai più decisamente rispetto ad Agenda 2000 – il tema del recupero del territorio alla creazione di benessere sociale diffuso, smorzando il peso delle ragioni del turismo e sottolineando la centralità della questione della gestione, come chiave del coinvolgimento delle comunità nella pratica della valorizzazione dei beni. È esplicitamente denunciata la volontà di rompere il tradizionale circuito “restauro, museificazione – degrado – intervento pubblico – degrado”, tipico della spesa per il patrimonio culturale.7
5
Programma Operativo Interregionale, http://www.dps.mef.gov.it/qsn/qsn_programmioperativi.asp 6 Regione Siciliana, Programma Operativo Regionale FESR 2007-2013, cit., p. 102, 7 Ibidem, p.169
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L’Asse si prefigge, inoltre, lo scopo di promuovere la creazione di “filiere dei beni culturali”, al fine di attrarre gli investimenti e le capacità privati nella fruizione e gestione del patrimonio. Fra i criteri di selezione degli interventi, il documento prevede: la piena integrazione delle politiche di tutela e valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del paesaggio e fra queste e la pianificazione territoriale e le politiche per lo sviluppo rurale; la stringente identificazione delle priorità territoriali; la creazione di forme di concertazione per favorire il partenariato locale; l’integrazione fra diverse scale di programmazione locale e di area vasta; la valutazione diffusa e partecipata delle politiche. Tra gli obiettivi operativi previsti, i primi due (3.1.1 e 3.1.2) sono i più significativi per le opportunità che offrono di riqualificare il patrimonio (azioni di restauro, recupero e promozione dei siti), di attivare meccanismi di filiera, di sviluppare forme di partenariato pubblico-privato. L’obiettivo operativo 3.1.4 affronta invece il tema del ruolo del patrimonio culturale nelle aree marginali, con particolare riferimento ai territori rurali, e della attivazione dei cosiddetti “sistemi minori”. Si mira, infatti, alla predisposizione di condizioni favorevoli alla progressiva attenuazione di situazioni di degrado territoriale e sociale, attraverso azioni incardinate sulla valorizzazione della dotazione esistente di luoghi e memorie di forte valenza storica e culturale.
Tra le azioni previste nell’ambito di questo obiettivo vi è la creazione di infrastrutture culturali, il recupero di immobili, la creazione di sistemi culturali locali, la promozione di sistemi di ospitalità diffusa, la realizzazione di interventi di riqualificazione di contesti rurali di pregio e l’attivazione di piani integrati per la valorizzazione e la gestione. Un discorso a parte merita la questione dei finanziamenti destinati alla “rete ecologica”, avendo sempre, nell’ambito dei documenti di programmazione, questo concetto una valenza non tanto “paesistica” quanto “istituzionale” e “burocratica” che fa coincidere la rete ecologica con la RES (Rete Ecologica Siciliana), intesa come insieme dei siti regionali appartenenti alla rete Natura 2000. La breve premessa contenuta a tal proposito nel POR lascia intravedere la problematicità della questione in Sicilia, caratterizzata da ampi ritardi, il cui punto più grave è la mancanza di strumenti di pianificazione dei siti, ma anche il carattere “puntuale”
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della Rete Ecologica Siciliana che manca di una precisa individuazione delle connessioni lineari attraverso la definizione e la perimetrazione dei corridoi ecologici. Si precisa che nel prossimo periodo di programmazione il POR potrà, secondo le disposizioni del QSN, concedere finanziamenti per interventi ricadenti esclusivamente nell’ambito di siti Natura 2000 dotati di piani di gestione. Ciò implica che il primo passo per l’utilizzo delle risorse destinate alla rete ecologica, a scala locale, dovrà essere la redazione dei piani di gestione delle aree SIC e ZPS di ambito costiero. Tuttavia riteniamo che un altro impegno, altrettanto prioritario, con riferimento al PTP e al Piano Paesistico d’Ambito, debba essere quello di individuare gli elementi che assicurano la connettività ecologica nel territorio megarese, definendo l’assetto della rete ecologica a scala locale, non solo in termini di indicazione delle blueways e greenways esistenti, ma anche della previsione di nuove significative connessioni possibili, al fine di includere, prima possibile, le incisioni fluviali iblee (il cui ruolo di connettori – oltre che di habitat – è generalmente accertato in sede scientifica) nel territorio Natura 2000. I tempi di istituzione del Parco naturale degli Iblei determineranno, infine, la possibilità che i territori montani accedano ai molti vantaggi di cui, nella stagione di Agenda 2000, hanno goduto le altre principali aree montane della Sicilia. Un altro aspetto, potenzialmente significativo, delle politiche a valere sull’Asse 3 del nuovo POR Sicilia, è il sostegno alla creazione di marchi d’area, la cui introduzione, se opportunamente giustificata e calibrata, può contribuire in modo significativo al rafforzamento delle identità locali. Abbiamo sottolineato in precedenza come la questione della riqualificazione del contesto paesaggistico che accoglie i siti archeologici della regione megarese investa il tema del recupero dei fondi agricoli abbandonati, della valenza ambientale dell’attività agricola, della riconversione dell’agricoltura a partire dalla fondazione di un nuovo statuto del mondo rurale. Il Programma di Sviluppo Rurale della Sicilia 2007-2013 è quadro entro il quale, se organicamente e coerentemente organizzati, questi obiettivi possono prendere corpo, contribuendo alla sperimentazione di un nuovo modo di fruizione del patrimonio diffuso che veda un consistente ruolo del settore privato. Il PSR 2007-2013 è articolato secondo tre assi prioritari, due dei quali, in particolare, offrono opportunità significative di finanziamento di coerenti con lo scenario del Parco lineare. L’Asse 2, finalizzato al “miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale”, prevede, fra l’altro, interventi quali la «rinaturalizzazione in aree la cui naturalità è stata perduta o è stata fortemente compromessa a causa di interventi antropici dannosi e l’integrazione delle attività di afforestazione e agroforestazione con le previsioni della Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE), con riferimento alla creazione di fasce tampone arborate per il controllo dell’inquinamento diffuso ed
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alla creazione di aree di espansione di fiumi».8 L’Asse 3, finalizzato alla “qualità della vita nelle zone rurali e diversificazione dell’economia rurale” contiene una nutrita serie di misure rilevanti e di relative azioni a partire da una premessa chiara e largamente condivisibile, fondata sull’idea di agricoltura multifunzionale, destinata a ri-definire i rapporti città-campagna: A fronte dell’emergere di modelli basati sull’economia della conoscenza, le reti di cooperazione acquisiscono un valore rigenerativo del capitale umano e sociale e partecipano alla “fabbrica” del rurale. In questo quadro, l’agricoltura multifunzionale può operare attivamente per accrescere la vivibilità, l’attrattività e l’accoglienza del sistema locale, ma questo è strettamente dipendente dagli orientamenti pubblici e d’impresa. L’erogazione di nuovi beni e servizi da parte dell’agricoltura multifunzionale tende a ridefinire in profondità i rapporti tra città e campagna e ricolloca sotto nuove vesti l’agricoltura nel ruolo sociale. In funzione dei contesti rurali nei quali l’agricoltura multifunzionale opera (aree rurali profonde, aree rurali peri-urbane) essa è chiamata ad avere interazioni diverse con le aree urbane, per tipologia o intensità. In ogni caso, l’idea dell’agricoltura multifunzionale implica una profonda rilettura dei rapporti tra attività agricole e componenti non agricole locali, tra queste ed i ceti urbanoindustriali. L’agricoltura multifunzionale è chiamata, infatti, alla costruzione di alcune infrastrutture civili e sociali delle quali i principali fruitori sono soggetti non agricoli, specie nelle aree periurbane. In questa prospettiva l’interazione tra città e campagna necessita di un intenso sforzo di comunicazione per ricomporre rapporti dialettici tra ceti che a lungo hanno seguito percorsi di differenza e di allontanamento. La vitalità delle comunità rurali, la costruzione di un’interazione positiva tra queste ed i centri urbani, può contribuire a promuovere sistemi locali vitali e più solidali grazie alla definizione di soluzioni innovative utili nell’intento di assicurare adeguati livelli di qualità della vita delle persone e delle comunità locali.9
Le azioni previste dall’Asse per raggiungere l’obiettivo di una agricoltura diversificata, organica ai bisogni espressi dalle aree urbane in termini di qualità della vita, hanno natura diversa e sono accessibili secondo l’appartenenza dei territori comunali a quattro macroaree, nelle quali è ripartito l’intero territorio regionale10. Fra le più significative ai fini del concorso alla costruzione del Parco, 8
Programma di Sviluppo Rurale Sicilia 2007-2013, cit., p. 109 Ibidem, pp. 117-118 10 Il territorio regionale è così ripartito in quattro aree: A. Aree urbane; B. Aree rurali ad agricoltura intensiva e specializzata; C. Aree rurali intermedie; D. Aree rurali con problemi complessivi di sviluppo. La classificazione operata nell’ambito del PSR discende dai criteri stabiliti 9
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vi sono quelle relative alla diversificazione dell’attività agricola a fini turistici (destinate alle macroaree B – che comprende il grosso della fascia interessata dal progetto di Parco –, C e D) e quelle destinate alla infrastrutturazione dei territori rurali in termini di itinerari e reti telematiche e alla riqualificazione del patrimonio rurale (macroaree C e D). L’Asse 3 prevede, infine, una serie di importanti misure, finalizzate alla formazione, che possono divenire strategiche, se opportunamente utilizzate, per la costruzione di un nuovo ruolo dell’imprenditore agricolo, quale mediatore consapevole, capace di trasformare l’azienda nel nodo di una rete capillare di presidi diffusi dell’accesso al paesaggio e ai suoi valori naturalistici e culturali. La concreta realizzazione dello scenario del Parco lineare di ThapsosMegara, richiede un orizzonte temporale di medio-lungo termine, che va ben oltre il 2013, anno di chiusura della programmazione dei fondi strutturali prevista dal QSN. Questo periodo, però, rimane il riferimento fondamentale per l’avvio di azioni integrate volte alla costruzione dello schema territoriale del parco e all’attivazione del relativo sistema di gestione. È nostra convinzione che l’ottimizzazione delle opportunità offerte dal POR e dal PSR coincida con la capacità che avranno gli attori locali, protagonisti del progetto di parco, di individuare un numero ridotto di “progetti pilota” (uno o due al massimo) in grado di testare e sottoporre a valutazione e miglioramento l’ipotesi progettuale generale, costituendone il riferimento in termini di fattibilità tecnica e procedurale. In particolare, il prossimo periodo di programmazione potrebbe essere il quadro entro cui si collochi la realizzazione dei primi corridoi eco-culturali regionali come
dall’OCSE, in conformità alle prescrizioni del Regolamento attuativo del Reg. (CE) n. 1698/2005, e al punto 2.4 degli Orientamenti Strategici Comunitari (Decisione 2006/144/CE). Il principale discrimine è dato dalla densità abitativa dei territori, rilevata su base comunale. Per una descrizione esaustiva dei criteri adottati per la definizione delle zone nell’ambito del PSR, si veda PSR Sicilia 2007-2013, pp. 7-16. I comuni interessati dall’ipotesi di Parco Lineare di Thapsos Megara sono così classificati: Augusta, Floridia, Lentini, Melilli, Priolo Gargallo, Solarino appartengono al gruppo B; Sortino appartiene al gruppo C. La maggior parte del territorio del Parco ricade, dunque, nella zona B (aree di pianura a caratterizzazione significativamente rurale). In effetti, questa classificazione appare, per certi versi, poco appropriata, soprattutto se relazionata alla territorializzazione delle misure, che riserva le più significative possibilità di diversificazione dell’attività agricola alle Zone C (territori di collina significativamente rurali con una certa diversificazione delle attività economiche)e D (montagna e collina “rurali”), consentendo alle aree classificate come Zona B una diversificazione esclusivamente orientata al turismo, con la possibilità di finanziare attività agrituristiche solo nel caso di «strutture già operanti e caratterizzate da svantaggi strutturali» entro «territori già attraversati da itinerari riconosciuti» (PSR, cit., p.119). Cade così la finalità di riqualificare l’agricoltura degli ambiti periurbani -in tutto il territorio regionale, aree prevalentemente “di pianura” (Zona B)- trasformandola in attività erogatrice di nuovi servizi. Di fatto, il PSR sembra porsi obiettivi largamente condivisibili, senza prevedere gli strumenti concreti per la loro realizzazione.
Programmazione, territorio, attori
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modello di fruizione integrata del patrimonio naturale e culturale dell’isola. Pressoché tutte le incisioni della regione megarese prese in considerazione in questo lavoro, si candidano ad accogliere progetti pilota, tuttavia la lettura del patrimonio archeologico diffuso e dei suoi valori, come sistema che dovrebbe godere prioritariamente del supporto dei corridoi, ci porta a suggerire tre contesti che fra gli altri spiccano per interesse: procedendo da nord a sud, il fiume Mulinello, già oggetto nella regione della foce ad azioni significative di recupero, il sistema Cantera/Cava dei Mulini, il sistema Cava Sorciaro/Cava Canniolo. Gli ultimi due, in particolare, dovrebbe costituire l’occasione per la creazione di sistemi d’accesso riqualificati ai siti principali del territorio, Megara Hyblaea e Thapsos.
Conclusioni
Il visitatore che attraversi la regione megarese non può sottrarsi al fascino – a tratti angosciante – che emana da questo paesaggio così apertamente ferito, eppure ancora così bello. Esso evoca senza eufemismi la condizione dell’uomo contemporaneo, esprime i suoi atavici sensi di colpa, mostra senza pudore la hybris sottesa al vigore cieco delle trasformazioni dell’ultimo secolo e, al tempo stesso, invoca l’umana pietas per la natura e la storia di questi luoghi, ridotte a brandelli ma ancora fieramente evidenti. Il polo industriale, splendidamente terribile nei suoi bagliori notturni, è esso stesso patrimonio dell’umanità contemporanea, con o senza il timbro della burocrazia globalizzata. Il paesaggio della regione megarese ci inquieta perché rompe gli stereotipi, perché non concede rassicurazioni, perché pone domande difficili, perché preclude ogni pacificazione. Ci inquieta perchè ci chiede impegno e coraggio, memoria e progetto. Qui, più che altrove, il problema della valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso impone di superare le retoriche “deboli” dello sviluppo turistico, di costruire uno scenario strategico coerente, di sottoporre gli obiettivi proposti a una dura verifica di fattibilità. Non c’è pretesa di esaustività in questo lavoro, soltanto la speranza di avere raccolto e rilanciato l’appello che giunge dalla comunità scientifica e da quella locale a definire un orizzonte progettuale nuovo, a partire dal definitivo superamento di modelli di sviluppo obsoleti, per fondare sul concetto di patrimonio la base di un più felice rapporto fra uomo e ambiente.
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TAVOLE FUORI TESTO A cura di Francesco Mannino
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Fig. 2 - Uliveto nel territorio di Melilli: sullo sfondo il Petrolchimico
Fig. 3 - Cava Sorciaro nel territorio di Priolo Gargallo
Fig. 4 - Cava Sorciaro nel territorio di Priolo Gargallo
Fig. 5 - Il fiume Marcellino: sullo sfondo il Petrolchimico
Fig. 6 - Masseria dismessa e impianti produttivi nei pressi del fiume Marcellino
Fig. 7 - Il fiume Molinello nei pressi della foce: sullo sfondo l'hangar per dirigibili di Augusta
Fig. 8 - Masseria sul fiume Molinello - sito archeologico di Cozzo del Monaco
Fig. 9 - Saline nei pressi della foce del fiume Molinello
Fig. 10 - Terrazzamenti agricoli sul fiume Cantera
Fig. 11 - Paesaggio agrario nei pressi del fiume Cantera, a ridosso dell'insediamento industriale
Fig. 12 - Pascoli nei pressi dello stabilimento Erg-Isab
Fig. 13 - Torrente Monachella nel territorio di Priolo Gargallo: fenomeni di dispersione insediativa a ridosso del sito archeologico
Fig. 14 - Il letto del torrente Monachella attraverso il territorio urbano di Priolo Gargallo. Sullo sfondo la penisola Magnisi-Thapsos
Siti archeologici del Progetto K.A.S.A. SITI PREISTORICI (48)
SITI POSTCLASSICI (51)
GU 1 - Monte Tabuto GU 2 - Monte Racello GU 3 - Monte Salia GU 4 - Contrada Sante Croci GU 5 - Contrada Paolina GU 6 - Cozzo Ciavole GU 7 - Torre Mazzaronello GU 8 - Calaforno GU 9 - Cava dei Servi GU 10 - Cozzo Galesi GU 11 - Contrada Maestro GU 12 - Monte Casale/Grotta Masella
MA 1 - Molinello MA 2 - Cozzo Guardiole MA 3 - Sant’Elania MA 4 - S. Giovanni MA 5 - Ferla MA 6 - Ex feudo Gisira MA 7 - Grotta delle Monete MA 8 - Intagliata MA 9 - Intagliatella MA 10 - Senebardo MA 11 - Portopalo MA 12 - Cava delle Porcherie II MA 13 - Manomozza I MA 14 - Manomozza II MA 15 - Monachella MA 16- Riuzzo I MA17 - Riuzzo II MA 18 - Stafenna I MA 19 - Lardia I
TA 1 - Campolato di Augusta TA 2 - Molinello TA 3 - Avola TA 4 - Grotta del Conzo TA 5 - Grotta della Chiusazza TA 6 - Contrada Tabaccheddu TA 7 - Timpa Dieri/Petraro TA 8 - Vendicari TA 9 - Castelluccio TA 10 - Costa dei Grani TA 11 - Grotta di Calafarina TA 12 - Cugni di Calafarina TA 13 - Vulpiglia TA 14 - Thapsos TA 15 - Cozzo del Pantano TA 16 - Isolotto di Ognina TA 17 - Plemmirio TA 18 - Matrensa TE 1 - Baravitalla - Cava Ispica TE 2 - Bellamagna TE 3 - Calicantone I TE 4 - Castelluccio I TE 5 - Castiglione TE 6 - Cava Baratta TE 7 - Cava del Prainito - Povere Donne TE 8 - Cava Granati/Ternulla I TE 9 - Cava Granati/Vacche Morte TE 10 - Cava Lavinaro I TE 11 - Cava Lazzaro I TE 12 - Cava Palombieri/Case Molè TE 13 - Cava Palombieri/Cozzo Scalarangio TE 14 - Cava Prainito/Cozzo Tondo TE 15 - Cozzo Telegrafo TE 16 - Epipoli TE 17 - Gesira TE 18 - Granati Vecchi I TE 19 - Grotticella TE 20 - Ossena di Sopra I TE 21 - Pernice TE 22 - Petraro TE 23 - Quartiriccio - Modica TE 24 - S. Alfano/Passo del Ladro TE 25 - Scicli TE 26 - Stafenna TE 27 - Thapsos TE 28 – Timognosa
RI 1 - Cava Ispica - Larderia RI 2 - Grotta delle Trabacche RI 3 - Treppiedi RI 4 - Sulla RI 5 - San Pancrati RI 6 - Penninello Malvasia RI 7 - Finocchiara, ipogeo E RI 8 - San Marco RI 9 - Cozzo Tondo RI 10 - Cava Ddieri RI 11 - Grotta dei Santi RI 12 - San Nicola o Grotta della Madonna RI 13 - Scorrione RI 14 - San Bartolomeo RI 15 - Buttino RI 16 - Santa Maria RI 17 - Spezieria RI 18 - Cella RI 19 - Martorina - Coda di Lupo RI 20 -Scorrione TR 1 - Favorita TR 2 - Trigona di Cittadella di Vendicari TR 3 - Basilica di Cittadella di Vendicari TR 4 - S. Lorenzo Vecchio TR 5 - Cuba di S. Teresa TR 6 - S. Pietro ad Baias TR 7 - S. Focà TR 8 - Basilica Palazzo Platamone di Rosolini TR 9 - Tonnara di Vendicari TR 10 - Pirrera TR 11 - Caucana TR 12 - Cittadella dei Maccari
Siti archeologici del progetto Kasa Parco Lineare Nord Thapsos- Megara
TE15 – Cozzo Telegrafo TA1 – Campolato di Augusta TA7 – Petraro/Timpa Ddieri TE22 – Petraro MA1 – Molinello TA2 – Molinello TE6 – Cava Baratta MA16/17 – Riuzzo MA 15 – Monachella TA14/TE27 – Thapsos MA12 – Cava delle Porcherie MA14 – Manomozza TA6 – Contrada Tabaccheddu TE16 – Epipoli TR 6 – S. Pietro ad Baias Elaborazione cartografica basata su Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 - 2001
Schede di rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa Cartografia utilizzata: Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 - 2001 Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V) - 1967
Leggenda della cartografia
Testo che indica la fotografia segnalata, composto dalla sigla identificativa del sito archeologico di riferimento e a seguire, senza spazi, il numero dell’immagine. Rimanda alla didascalia.
Cono ottico: indica che la fotografia relativa è stata realizzata utilizzando un grandangolo, inquadrando una scena vasta. Indica inoltre la direzione verso cui è stata scattata (opposta al vertice).
Campo ristretto: indica che la fotografia relativa à stata realizzata inquadrando un particolare della scena complessiva. Indica inoltre la direzione verso cui è stata scattata.
Zoom: indica che il soggetto della fotografia è stato colto utilizzando uno zoom da notevole distanza. Indica inoltre la direzione verso cui è stata scattata.
Particolare: indica un particolare, ma non la direzione di ripresa.
Sito: indica la collocazione del sito archeologico sulla mappa.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TE15 Cozzo Telegrafo
Denominazione del sito:
Cozzo Telegrafo
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641100. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°17'23.2"N 015°08'29.3"E Localizzazione Il sito è collocato ad Est dell'autostrada CT- SR (attualmente in costruzione), sulla strada per Brucoli. In particolare è collocato alle spalle di una imponente discarica sulla strada, riconoscibile in quanto ai margini di una cava di pietra abbandonata. Accessibilità Buona Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > uscita Brucoli > indicazioni per Brucoli (strada prov. 57): 1,66 km dallo svincolo. La zona è recintata con elettrificazione a basso voltaggio per i bovini. Condizioni del sito - leggibilità Atti vandalici, discariche. La discarica di Cozzo Telegrafo è costituita da inerti anche di notevoli dimensioni, che giacciono ai margini della strada e a ridosso di una cava di pietra abbandonata. Descrizione di sintesi Il sito è visibile già dalla strada. E' costituito da una serie di grotte poste all'interno di un pizzo di roccia (cozzo). E' stato adattato a bunker durante la II guerra mondiale. All'interno vi sono cunicoli e stanze perfettamente visitabili, oggi usate probabilmente per attività di SOFT-AIR (guerra simulata). Il bunker contiene una "segnaletica" interna, forse riconducibile all'attività di soft-air. E' tempestato internamente di scritte sui muri realizzate con vernice spray. Paesaggio visivo - descrizione Il Cozzo Telegrafo è un punto di osservazione panoramica di rilievo. Dal punto sommitale del cozzo sono visibili (partendo dall'orizzonte visibile): a SO i Monti Climiti (Melilli) e le pale eoliche che li sormontano; la SS 114 (autostrada); alcuni altipiani coltivati ad agrumeto/mandorleto/oliveto; poche case di campagna, per lo più di villeggiatura. A Sud l'insediamento industriale; la costa jonica con alcuni agrumeti. A Nord l'Etna e la costa del golfo di Catania. a NE la costa di Brucoli con un insediamento denso adibito a villeggiatura (c.da Turchi). A Ovest la Piana di Catania; una rete stradale legata alla SS 114; la cava abbandonata di Cozzo Telegrafo.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Cozzo Telegrafo Paesaggio visivo - coni ottici:
TE1501 - L'agglomerato di c.da Turchi, l'Etna e il golfo di Catania
TE1510 - L'Etna e il golfo di Catania
TE1506 - Sullo sfondo le ciminiere del Petrolchimico di Priolo e i mandorleti intorno al Cozzo Telegrafo
TE1509 - Monti Climiti e gli altipiani coltivati
TE1505 - Coltivazioni arboree e cave carsiche
TE1508 - Piana di Catania sullo sfondo; la cava abbandonata in primo piano
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Cozzo Telegrafo Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il sito è immerso in un contesto agrario parzialmente incolto o adibito a pascolo. Si trova sul "cozzo" in posizione panoramica. E' confinante con una cava di pietra abbandonata e in parte adibita a discarica. Il contesto orografico è caratterizzato da cave carsiche; vi sono insediamenti di villeggiatura, densi sulla costa e sparsi all'interno. Agrumeti e oliveti sono sparsi. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo arborato – Pascolo - Agrumeto note: Sono predominanti gli oliveti e i mandorleti Elementi qualificanti - tratti formali del paesaggio agrario A Sud Ovest è presente una masseria Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni - Strutture effimere o di scarsa qualità note: Il Petrolchimico è a 8 km circa in linea d'aria; a margine della cava abbandonata si trovano alcune strutture di scarsissima qualità, in pessimo stato. Paesaggio insediativo Sparso rurale – Abusivo – Abbandonato. note: Oltre alle già citate residenze di villeggiatura, sono presenti alcune case rurali e alcuni edifici di piccole dimensioni probabilmente abusivi. Paesaggio naturale Vegetazione infestante - Corsi d’acqua con vegetazione naturale note: Le cave carsiche sono particolarmente rilevanti, data anche la flora e la fauna che caratterizzano quell'habitat.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Cozzo Telegrafo Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
TE1504 - Il Cozzo Telegrafo e, in rilievo, il bunker di accesso ai cunicoli interni
TE1513 - La cava abbandonata sulla strada prov. 57
TE1511 - L'interno del Cozzo Telegrafo, con le strutture riconducibili al bunker
TE1512 - L'interno del bunker
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Cozzo Telegrafo Strutture qualificanti del paesaggio Architetture difensive: Il bunker istallato all'interno del Cozzo è una struttura molto articolata e in buone condizioni. Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento NE Brucoli
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TA1 Campolato di Augusta
Denominazione del sito:
Campolato di Augusta
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641110. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°17'33.81"N 15°11'58.98"E Localizzazione Il sito è collocato nella parte Nord-Ovest del promontorio di Campolato, ad Est di Brucoli. Accessibilità Buona Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > uscita Brucoli > indicazioni per Brucoli (strada prov. 57) > 500 mt prima di Brucoli svoltare a destra seguendo le indicazioni Campolato > 200 mt prima della fine della strada imboccare una strada sterrata sulla sinistra: si raggiunge la costa > lasciare l'auto e proseguire a piedi in direzione Nord Est, raggiungendo il sito. Condizioni del sito - leggibilità Degrado delle strutture archeologiche. Descrizione di sintesi Il sito è ben visibile ma in stato di abbandono: un muro diruto chiude parzialmente la grotta principale. Paesaggio visivo - descrizione Il contesto paesistico è di grande rilievo e notevolemente aperto e ampio. A Nord è visibile l'Etna e il golfo di Catania. A Ovest Castelluccio. A Sud-Ovest Brucoli. A Est-Sud-Est il pianoro di Campolato e l'Hotel Residence Capo Campolato Augusta.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Campolato di Augusta Paesaggio visivo - coni ottici:
TA105 - La grotta di Campolato nel contesto del rilievo
TA106 - La grotta di Campolato (particolare)
TA101 - Il pianoro degradante verso il mare, ad Nord
TA107 - Ancora il pianoro e, a Est, il villaggio Hotel Residence Capo Campolato Augusta
TA103 - Il paesaggio a Ovest-NordOvest: la costa di Castelluccio e in primo piano il rilievo che ospita la grotta di Campolato.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Campolato di Augusta Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il sito, seppur vicino alla costa, è fortemente isolato. Il luogo è costiuito da una distesa pianeggiante molto vasta e incolta (Campolato) pressoché al livello del mare, con un rilievo di circa 5 mt, nella cui parte Est è collocata la grotta. Questa è rivolta a Nord-Est, verso il mare, ma è chiaramente visibile anche l'Etna e l'insenatura di Brucoli. Sono presenti rari cespugli di vegetazione spontanea (timo - olivastro). In lontananza è visibile il villaggio turistico, poche case sparse, ovili di fortuna e Brucoli. Paesaggio agrario Incolto Paesaggio industriale Strutture effimere o di scarsa qualità Paesaggio insediativo Sparso periferico – Degradato. note: Il villaggio Hotel Residence Capo Campolato Augusta costituisce una notevole centralità. Per il resto si incontrano alcune villette, sempre più rade più ci si allontana da Brucoli. Ovili e piccoli edifici abusivi costituiscono fattore di degrado. Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale - Aree con funzione di habitat note: La vegetazione predominante è la macchia mediterranea sparsa.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Campolato di Augusta Strutture qualificanti del paesaggio Non sono state rilevate strutture qualificanti del paesaggio. Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Alberghi o altre strutture ricettive: villaggio Hotel Residence Capo Campolato. Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento NE Brucoli.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TA7 Petraro - timpa Dieri
Denominazione del sito:
Petraro - timpa Dieri
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641110. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°15'22.28"N 15° 7'44.84"E Localizzazione La timpa di Petraro è a circa 1,5 km ad Ovest della SS 114, lungo il collegamento per Villasmundo. Accessibilità Pessima Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per la Strada Provinciale 3, direzione Villasmundo > 1,30 km dallo svincolo, svolta a sinistra, seguendo l'indicazione Discarica Sma.Ri. tipo 2B autorizzata con D.A. n. 398/18 > 550mt a sinistra > 200 mt a destra, sbarra e cartello. Il sito, principalmente collocato su una parete verticale, è inaccessibile se non per personale preparato, equipaggiato ed autorizzato. E' però visibile parzialmente dall'alto e totalmente dal fianco della cava. Condizioni del sito - leggibilità Degrado del contesto, discariche. L'accesso dalla strada Prov. 3 avviene passando dalla Discarica Sma.Ri. tipo 2B autorizzata con D.A. n. 398/18. Poi, a ridosso del sito, un altipiano ospita diverse discariche abusive. Descrizione di sintesi Il sito non presenta segni di gestione, ad eccezione di un cartello della Comunità Europea che recita: "Oggetto dei lavori: PIOS n° 27 'Thapsos Megara' Valorizzazione Itinerari Turistici dei siti Archeologici di Villasmundo, importo dei lavori € 291546,96, consegna dei lavori 23/10/2007" . Paesaggio visivo - descrizione Dal sito, collocato in posizione dominante sulla cava del Mulinello, sono visibili: a Est-Nord-Est Augusta, il suo porto e la Cava con il fiume. A Sud-Est la zona industriale e ancora la cava. A Nord-Ovest il pianoro e le discariche.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Petraro - timpa Dieri Paesaggio visivo - coni ottici:
TA702 - Il sito di Petraro sulla timpa Dieri, visto dal fianco Ovest della cava
TA701- Una panoramica del sito: sullo sfondo alcuni impianti industriali e Augusta
TA703 - La cava del Mulinello e in fondo Augusta e il porto
TA706 - Un particolare della vista su Augusta
TA704 - Il paesaggio a Sud: in fondo i montti Climiti
TA709 - Un particolare del sito
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Petraro - timpa Dieri Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Data la posizione rialzata, la parte alta del sito affaccia sulla Cava Petraro, sede del fiume Molinello. La cava apre a Est verso il mare. Significativo il contrasto tra le discariche della zona e gli agrumeti ben gestiti e ordinati. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo arborato – Pascolo - Agrumeto note: Predominante la presenza di agrumeti; è presente anche qualche ovile. Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni – Archeologia industriale - Strutture effimere o di scarsa qualità note: La relativa distanza dal Petrolchimico fa sì che le ciminiere costituiscano un elemento visivo consistente del paesaggio di Petraro. Non possono essere ignorate le strutture effimere delle discariche. Paesaggio insediativo Abbandonato. note: Nella zona sono presenti alcune villette, probabilmente di villeggiatura; qualcuna sembra appartenere agli agrumicoltori del luogo. Sono presenti alcune masserie di piccole dimensioni, probabilmente coloniche. Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale - Corsi d’acqua con vegetazione naturale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Petraro - timpa Dieri Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
TA710 - La casa colonica abbandonata sul pianoro di Petraro, a poche centinaia di metri dal sito
TA711 - Casa colonica o probabilmente edificio per la gestione di una cava di pietra a Nord-Ovest del sito
TA707 - Il cartello della Comunità Europea che avverte dell'imminenza di lavori di riqualificazione
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Petraro - timpa Dieri Strutture qualificanti del paesaggio Complessi rurali: Case coloniche in pessimo stato di conservazione. Altri siti archeologici: Petraro, tenuta Mandre. Molinello. Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata
Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento SE Melilli.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TE22 Petraro
Denominazione del sito:
Petraro
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641100. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°15'18.39"N 15° 7'7.96"E Localizzazione Il sito di Petraro è a circa 1,5 km ad Ovest della SS 114, lungo il collegamento per Villasmundo. Accessibilità Scarsa Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per la Strada Provinciale 3, direzione Villasmundo > 1,30 km dallo svincolo, svolta a sinistra, seguendo l'indicazione Discarica Sma.Ri. tipo 2B autorizzata con D.A. n. 398/18 > 1,35 km a sinistra > 100 mt a sinistra, in fondo ad un campo incolto. Ricade all'interno di una proprietà privata recintata. Descrizione di sintesi Le grotte del sito ricadono in area privata ma perfettamente leggibili anche dalla recinzione, a circa 100 mt. Paesaggio visivo - descrizione Il sito ricade in un'area leggermente depressa rispetto alla strada d'accesso e per il resto pianeggiante. Ad Est si intravede il mare, per il resto è circondato da campi e villette.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Petraro Paesaggio visivo - coni ottici:
TE2201 - Il sito di Petraro e i campi circostanti
TE2202 - Primo piano del sito
TE2205 - Il paesaggio verso Sud: sono visibili i monti Climiti
TE2206 - Pascolo di asini nei pressi del sito
TE2207 - Le recinzioni del terreno in cui ricade il sito e le villette intorno
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Petraro Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il contesto paesistico è caratterizzato da alcuni campi incolti e da pascoli di pecore e asini. Vi sono diverse abitazioni presumibilmente di villeggiatura o agricole. Paesaggio agrario Incolto - uliveti Elementi qualificanti - tratti formali del paesaggio agrario L'area è densamente recintata con reti e filo spinato. Paesaggio insediativo Sparso rurale – Abusivo – Abbandonato. note: Vi sono, oltre abitazioni di villeggiatura e rurali, alcuni edifici diruti di recente costruzione. Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Petraro Strutture qualificanti del paesaggio Altri siti archeologici: Petraro - timpa Dieri. Molinello Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento SE Melilli.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
MA1 Molinello - Cava
Denominazione del sito:
Molinello - Cava
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641150. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°14'22.68"N 15°10'17.94"E Localizzazione Sito a pochi chilometri dallo svincolo della SS114 per Augusta, è collocato a 1,5 km dalla costa; ricade sul fiume Molinello che sfocia poco più avanti e a 2,5 km dall'Hangar dei dirigibili. Accessibilità Pessima Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per Augusta, Strada Provinciale 193 > 3 km circa dallo svincolo, svolta a destra > 300 mt a destra > 900 mt a destra sbarra e "trazzera" che sale lungo il fianco Nord della cava. Condizioni del sito - leggibilità Degrado del contesto, degrado delle strutture archeologiche, discariche. Sono presenti diverse discariche abusive di inerti, rifiuti domestici e industriali. Descrizione di sintesi Il sito, visibile anche dall'autostrada, è difficilmente raggiungibile vista la sua posizione lungo i fianchi della cava del Molinello; la parte raggiungibile è in pessime condizioni, in quanto utilizzata come discarica. Paesaggio visivo - descrizione Il paesaggio visivo, sempre più prossimo al Petrolchimico, appare assai misto e variegato: se a Sud sono già perfettamente visibili gli impianti di raffinazione, a Est la foce del Mulinello e Augusta, incorniciati da agrumeti e oliveti, descrivono un paesaggio agrario abbastanza coerente. A Ovest la Cava del Molinello è attraversata dal cavalcavia della SS114 e a Nord il contesto è chiuso da altri oliveti e masserie posati su basse colline. A Nord-Est emerge in posizione di rilievo la sagoma dell'Hangar per dirigibili di Augusta.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - Cava Paesaggio visivo - coni ottici:
MA101 - Il lato Nord del sito e il cavalcavia della SS114
MA102 - La cava in direzione Est e Augusta sullo sfondo
MA103 - Ancora verso Est: la masseria Molinello e il sito archeologico
MA104 - A Sud, le ciminiere del Petrolchimico
MA107 - Il lato Sud del sito
MA105 - Il lato Nord del sito e la discarica che lo sommerge
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - Cava Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Quello del Molinello è un paesaggio agrario misto, con frequenti casi di abbandono e degrado (discariche). Le coltivazioni sono principalmente oliveti e agrumeti, alternati a terreni utilizzati come pascoli. Il letto del fiume Molinello caratterizza l'ambiente circostante, così come le cave carsiche. La "skyline" a Sud è disegnata dalle ciminiere del Petrolchimico. A Nord è centrale la presenza dell'Hangar. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo misto – Seminativo arborato Elementi qualificanti - tratti formali del paesaggio agrario Nella zona sono presenti molte masserie di diverse dimensioni. Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni. Paesaggio insediativo Sparso rurale. Paesaggio naturale Vegetazione infestante - Corsi d’acqua con vegetazione naturale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - Cava Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
MA112 - La masseria Molinello
MA114 - Il cancello che chiude la proprietà della masseria
MA113 - Ancora la masseria (al centro della foto) e lo sfondo del Petrolchimico
MA111 - Il Molinello e, su una collina, l'Hangar di Augusta
MA110 - Il ponte sul Molinello della strada da cui si accede al sito: visibili la masseria e il Petrolchimico
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - Cava Strutture qualificanti del paesaggio Il Molinello è caratterizzato dalla presenza di numerose masserie e dalla vicinanza con l'Hangar di Augusta. Altri siti archeologici: Molinello – Masseria Architetture produttive: Stabilimenti Petrolchimico Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento SE Melilli.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TA2 Molinello - masseria
Denominazione del sito:
Molinello - masseria
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641150. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°14'11.70"N 15°10'29.70"E Localizzazione Sito a pochi chilometri dallo svincolo della SS114 per Augusta, è collocato a 1,5 km dalla costa; ricade sul fiume Molinello che sfocia poco più avanti e a 2,5 km dall'Hangar dei dirigibili. Accessibilità Scarsa Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per Augusta, Strada Provinciale 193 > 3 km circa dallo svincolo, svolta a destra > 300 mt a destra > 900 mt a sinistra cancello; più avanti a sinistra (Est) è visibile la masseria Mulinello e, sotto, il sito archeologico (grotta): la masseria è recintata con elettrificazione a basso voltaggio per i bovini, e chiusa da un cancello (foto TA210). Descrizione di sintesi Il sito, ricadente in proprietà privata, è in buone condizioni; il terreno in cui ricade, essendo adibito a pascolo, non presenta (tranne rari casi) segni di abbandono o degrado. La masseria Molinello è in stato di semiabbandono. Paesaggio visivo - descrizione Il paesaggio visivo, sempre più prossimo al Petrolchimico, appare assai misto e variegato: se a Sud sono già perfettamente visibili gli impianti di raffinazione, a Est la foce del Mulinello e Augusta, incorniciati da agrumeti e oliveti, descrivono un paesaggio agrario abbastanza coerente. A Ovest la Cava del Molinello è attraversata dal cavalcavia della SS114 e a Nord il contesto è chiuso da altri oliveti e masserie posati su basse colline. A Nord-Est emerge in posizione di rilievo la sagoma dell'Hangar per dirigibili di Augusta.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - masseria Paesaggio visivo - coni ottici:
TA203 - Il paesaggio a Nord del Molinello; in primo piano a destra la masseria che sormonta il sito
TA201 - Il Molinello nei pressi della foce e Augusta sullo sfondo
TA204 - Ancora il paesaggio a Est con Augusta; in primo piano la masseria e il sito
TA206 - A Sud la masseria, il sito e il Petrolchimico sullo sfondo
TA208 - Il cavalcavia della SS114 a Ovest del sito
TA209 - Nei pressi del sito, un'immagine del contrasto tra attività agricola e industriale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - masseria Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Quello del Molinello è un paesaggio agrario misto, con frequenti casi di abbandono e degrado (discariche). Le coltivazioni sono principalmente oliveti e agrumeti, alternati a terreni utilizzati come pascoli. Il letto del fiume Molinello caratterizza l'ambiente circostante, così come le cave carsiche. La "skyline" a Sud è disegnata dalle ciminiere del Petrolchimico. A Nord è centrale la presenza dell'Hangar. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo misto - Seminativo arborato - Pascolo - Agrumeto Elementi qualificanti - tratti formali del paesaggio agrario Nella zona sono presenti molte masserie di diverse dimensioni. Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni Paesaggio insediativo Sparso rurale Paesaggio naturale Vegetazione infestante - Corsi d’acqua con vegetazione naturale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - masseria Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
TA205 - La masseria Molinello e, alla base, il sito
TA210 - Il cancello che chiude la proprietà della masseria
TA207 - Ancora la masseria (al centro della foto) e lo sfondo del Petrolchimico
TA202 - Il Molinello e, su una collina, l'Hangar di Augusta
TA211 - Il ponte sul Molinello della strada da cui si accede al sito: visibili la masseria e il Petrolchimico
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Molinello - masseria Strutture qualificanti del paesaggio Complessi rurali: Masserie Architetture difensive: Hangar per dirigibili Altri siti archeologici: Molinello - Cava Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento SE Melilli.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TE6 Cava Baratta
Denominazione del sito:
Cava Baratta
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641140. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°12'24.20"N 15° 9'3.29"E Localizzazione La Cava, sede del torrente Cantera, è a 2,7 km dalla costa (foce del Cantera, zona Megara Hyblaea), ed è attraversata/sormontata dal cavalcavia della SS114. Accessibilità Pessima Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per Petrolchimico > 400 mt circa dallo svincolo, svolta a destra > 250 mt a destra > 1,25 km ponte sul Torrente Cantera, Cava Baratta. Il sito ricade all'interno del terreno di proprietà della famiglia Spada-Ferrarini. Condizioni del sito - leggibilità Degrado del contesto, discariche: rifiuti e inerti edili. Descrizione di sintesi Il sito non è visibile dalla strada, parzialmente coperto da macchia mediterranea. E' ricadente all'interno di proprietà privata (Spada- Ferrarini) ed è recintato. Paesaggio visivo - descrizione Nella zona sono presenti masserie di diverse dimensioni, in parte abbandonate o ristrutturate e modernizzate. La zona industriale è prossima. Le cave sono sia carsiche che per l'estrazione di pietre. A Nord è visibile l'Etna sullo sfondo, il cavalcavia della SS114, la campagna coltivata e la Zona Industriale di Augusta.
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Cava Baratta Paesaggio visivo - coni ottici:
TE601 - Il cavalcavia della SS114 sulla Cava Baratta
TE606 - Il cavalcavia e l'Etna sullo sfondo
TE602 - La Cava e uno degli impianti del Petrolchimico
TE619 - Il letto del Torrente Cantera
TE603 - Ancora la Cava, le coltivazioni circostanti e l'impianto industriale
TE608 - Discarica sul lato Sud della Cava e gli impianti sullo sfondo
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Cava Baratta Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi La zona di Cava Baratta è caratterizzata da una forte promisquità paesaggistica: al cavalcavia della SS114, alle ciminere e agli impianti industriali fanno da contrasto ordinati agrumeti e cave carsiche. Risaltano le cave di pietra e le discariche abusive. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo misto - Seminativo arborato - Pascolo - Agrumeto Elementi qualificanti - tratti formali del paesaggio agrario Sono presenti muri a secco (anche di recente costruzione) e gebbie. Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni - Insediamenti dismessi. note: Il "Faro Militare", grande muro visibile anche dalla SS114, è una notevole struttura dismessa: risale probabilmente alla II Guerra Mondiale Paesaggio insediativo Sparso rurale – Abbandonato. note: Sono presenti diverse cascine, anche di piccole dimensioni, abbandonate. Paesaggio naturale Vegetazione infestante - Corsi d’acqua con vegetazione naturale
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Cava Baratta Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
TE614 - Il "Faro Militare" e sullo sfondo il Petrolchimico
TE617 - Un'altra veduta del Faro con alle spalle la SS114
TE607 - Cascina abbandonata sul lato Sud della Cava
TE618 - Campi coltivati, terrazzamenti di nuova sistemazione e casa abbandonata sul lato Sud della Cava
TE616 - Le strutture abbandonate del Faro
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Cava Baratta Strutture qualificanti del paesaggio Complessi rurali: Cascine abbandonate Altri siti archeologici: Molinello Architetture difensive: Faro Militare Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento SE Melilli.
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MA16 - MA17 Riuzzo
Denominazione del sito:
Riuzzo
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 641, Sezione n° 641100. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°10'36.60"N 15°11'6.10"E Localizzazione Poco a Nord della penisola Magnisi (Thapsos), il sito è collocato all'interno della Raffineria Erg Isab, a 1,5 km dalla costa jonica. Accessibilità Pessima Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS114) > Uscita Zona Industriale verso Sortino > Dopo 0,4 km svolta a destra verso Strada Statale ex 114 > 6,3 circa km su Strada Statale ex 114 fino allo stabilimento Erg – Isab. Descrizione di sintesi Il sito di Riuzzo è all'interno della raffineria Erg. E' in buone condizioni ma serve un'autorizzazione dell'impianto per visitarlo. Paesaggio visivo - descrizione Il sito è posto pressochè ad altitudine zero, quindi è collocato in posizione ribassata rispetto al terreno più interno della costa, dove passa la ex SS114. Già dalla statale però è possibile scorgere a Sud gli altri impianti del Petrolchimico, come a Nord: in quella direzione risalta la sagoma dell'Etna. A Ovest sono ben visibili i monti Climiti e Melilli.
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Riuzzo Paesaggio visivo - coni ottici:
MA16_1701 - La Erg, che ospita il sito di Riuzzo
MA16_1703 - Ancora la Erg e a Est il mare
MA16_1706 - Ciminiere degli impianti a Nord e la ex SS114
MA16_1709 - A Nord l'Etna dietro gli impianti
MA16_1710 - A Sud-Ovest i Climiti
MA16_1711 - A Sud i Climiti e l'area del petrolchimico
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Riuzzo Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il contesto è caratterizzato in modo imponente dalle strutture dell'impianto Erg. A Ovest (al di là della ex SS114) vi sono ampie zone di incolto alternate ad alcuni tratti coltivati. La zona è fortemente infrastrutturata, soprattutto da strade di dimensione variabile. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo arborato – Pascolo note: Molte parti dell'incolto sono destinate al pascolo Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni - Insediamenti industriali di piccole dimensioni Archeologia industriale. note: Il paesaggio industriale è dominante. Paesaggio insediativo Sparso rurale. note: Non vi è paesaggio insediativo, tranne rari casi riconducibili alle poche masserie. Paesaggio naturale Vegetazione infestante
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Riuzzo Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
MA16_1713 - Masseria abbandonata poco a Nord-Ovest di Riuzzo: sullo sfondo l'Etna
MA16_1714 - I monti Climiti e Melilli a Ovest: in primo piano capannoni di nuova costruzione
MA16_1715 - Ancora la masseria e altri edifici abbandonati
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Riuzzo Strutture qualificanti del paesaggio Complessi rurali: Masserie abbandonate o utilizzate in modo precario Altri siti archeologici: Megara Hyblaea Architetture produttive: Isab Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Materiale informativo Sito internet del Comune di Priolo Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante IV, orientamento SE Melilli.
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MA15 Monachella
Denominazione del sito:
Monachella
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 646, Sezione n° 646030. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37° 9'16.35"N 15°10'35.64"E Localizzazione Cava Monachella è nella parte Ovest di Priolo Gargallo, a Sud della via Manzoni Accessibilità Buona Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per Priolo Gargallo > 600 mt, a sinistra per via A. De Gasperi > 1,1 km a destra per via A. Manzoni > 100 mt, fermarsi sulla curva di fronte il Parco Comunale "La Pineta" > Proseguire a piedi in direzione Sud, verso il rudere sulla cava: alla base del rudere e sul fianco opposto si trovano le grotte queste sono più difficili da raggiungere). Condizioni del sito - leggibilità Degrado del contesto - degrado delle strutture archeologiche - atti vandalici – discariche: vi sono diverse discariche, principalmente di inerti edili. Descrizione di sintesi Il sito è perfettamente leggibile: sul lato Nord della Cava vi sono piccole grotte, sul lato Sud grotte molto grandi e articolate. I fianchi della Cava sono incolti e con episodi di abusivismo edilizio sulla sommità. Le strutture archeologiche sono in alcuni casi vandalizzate (vernice spray) e in altri semi-crollate. Paesaggio visivo - descrizione Il sito, collocato lungo la Cava che è orientata in direzione Ovest-Est, apre ad un paesaggio comprendente il paese di Priolo, gli stabilimenti e in fondo il mare e la Penisola Magnisi (Thapsos). A Ovest sono perfettamente visibili i Monti Climiti. A Nord incombe la città e il parco "La Pineta", mentre a Sud si alternano campagne e edifici abitativi.
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Monachella Paesaggio visivo - coni ottici:
MA1516 - La Cava Monachella verso Est, con Priolo, gli stabilimenti e Thapsos sullo sfondo
MA1504 - Il lato Sud della Cava
MA1506 - Il lato Nord, con una parte del sito
MA1513 - Ancora il lato Sud, con le grotte di grandi dimensioni
MA1511 - L'interno delle grotte a Sud
MA1503 - Il paesaggio a Ovest, con i monti Climiti sullo sfondo
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Monachella Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il torrente Monachella, praticamente una discarica a cielo aperto, mantiene malgrado ciò caratteristiche di forte naturalità: anse di pietra bianca, acqua pulita e vegetazione spontanea. Si tratta insomma di una piccola cava carsica immersa in una città fortemente caratterizzata dagli impianti petrolchimici. Paesaggio agrario Incolto - pascolo note: L'area è recintata con elettrificazione a basso voltaggio per i bovini Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni Paesaggio insediativo Compatto urbano - sparso rurale note: Vi sono, sul lato Nord, alcuni edfici abbandonati, forse case coloniche dei primi decenni del '900. Paesaggio naturale Vegetazione infestante - Corsi d’acqua con vegetazione naturale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Monachella Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
MA1507 - Edificio abbandonato alla sommità del lato Nord del sito
MA1508 - Il Parco comunale "La Pineta" e il viale delle Palme
MA1517 - Ancora il Parco e il paesaggio su cui esso affaccia
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Monachella Strutture qualificanti del paesaggio Il parco comunale "La Pineta" è un luogo ben tenuto e gestito, a poche centinaia di metri dal sito. Altri siti archeologici: Thapsos - Cava delle Porcherie - Manomozza Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Materiale informativo Sito internet del Comune di Priolo Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante III, orientamento NE Solarino.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
MA12 Cava delle Porcherie
Denominazione del sito:
Cava delle Porcherie
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 646, Sezione n° 646030. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37° 9'2.87"N 15°10'57.75"E Localizzazione Il sito è a Sud di Priolo, in una zona di forte espansione urbana, tanto da potere sostenere che è integrato nel tessuto urbano del paese, seppure periferico. Accessibilità Scarsa Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per Priolo Gargallo > Uscire dal paese verso Sud da via Mostringiano > 600 mt a destra > 200 mt, quindi proseguire a piedi ed entrare nella cava aggirando il bacino idrico. Condizioni del sito - leggibilità Degrado del contesto - Degrado delle strutture archeologiche – Discariche: Al lato del bacino idrico sono riversati inerti edili (masserizie) e rifiuti di vario genere. Descrizione di sintesi Il sito è collocato sulle sponde della cava Mostringiano, sul cui fondo scorre il torrente Porcaria. I rovi avvolgono e occludono le grotte. Alcune di queste ricadono in terreni privati recintati (con elettrificazione a basso voltaggio). Paesaggio visivo - descrizione Il sito si trova sul fondo della cava, da cui si scorgono solo alcune villette in costruzione e baracche adibite ad ovili. Sul lato Sud della Cava è collocato un grande bacino di raccolta dell'acqua, con targa della CAS.MEZ. (progetto speciale n°2).
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Cava delle Porcherie Paesaggio visivo - coni ottici:
MA1201 - Una delle grotte sul lato Sud
MA1202 - Il fianco Nord della Cava con le ville in costruzione
MA1203 - Le villette in costruzione
MA1204 - La Cava e il bacino idrico
MA1211 - Il lato Nord-Ovest della Cava con altre grotte
MA1206 - Il lato Sud-Est della Cava e le case in costruzione nella zona di espansione di Priolo
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Cava delle Porcherie Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il paesaggio di Cava delle Porcherie, poco profonda, è dominato dai roveti e dalle case di nuova costruzione, per lo più villette mono-familiari. Paesaggio agrario Incolto - Pascolo Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni Paesaggio insediativo Sparso periferico - Sparso rurale. note: Baracche-ovili di pessima qualità. Paesaggio naturale Vegetazione infestante - Corsi d’acqua con vegetazione naturale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Cava delle Porcherie Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
MA1208 - Il bacino idrico
MA1207 - Il bacino nel contesto urbano
MA1212 - Residui di recinzione realizzata con muretti a secco nel lato Sud della Cava
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Cava delle Porcherie Strutture qualificanti del paesaggio Complessi rurali: Oltre ad effimere strutture utilizzate come ovili, sono presenti alcuni muretti a secco di notevole lunghezza, che ricordano la vocazione agraria della zona. Altri siti archeologici: Manomozza, Cava Monachella, Thapsos Architetture sacre: Chiesa di recente costruzione Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Materiale informativo Sito internet del Comune di Priolo Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante III, orientamento NE Solarino.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
MA14 Manomozza
Denominazione del sito:
Manomozza
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 646, Sezione n° 646030. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37°08'37.5"N 15°11'28.8"E Localizzazione Il sito è a 100 mt circa dal PalaEnichem, il palazzetto dello sport di Priolo, nella parte Sud del paese. Accessibilità Ottima Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per Priolo Gargallo > Uscire dal paese verso Sud da via Mostringiano > 1,4 km a destra > 500 mt a destra, cancello della recinzione di Manomozza. Condizioni del sito - leggibilità Presenza di strutture riconducibili alla gestione del sito: cartello di segnalazione della manutenzione in corso. Descrizione di sintesi Il sito, una tomba sotterranea composta da più vani, è in ottime condizioni, messo in sicurezza e manutenuto. L'area è recintata, chiusa da un cancello e la grotta e sormontata da una struttura in muratura e cancelli, che impediscono l'accesso non autorizzato. Paesaggio visivo - descrizione Il sito è in un campo molto vasto e degradante verso Est. Sono visibili le ciminiere del Petrolchimico (a Sud) ma anche campi coltivati e i monti Climiti (a Ovest). A Est e Nord il paese di Priolo.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Manomozza Paesaggio visivo - coni ottici:
MA1403 - L'ingresso della grotta protetto dalla struttura e dai cancelli
MA1401 - Campi coltivati e il Petrolchimico sullo sfondo
MA1410 - Terreni incolti e i monti Climiti
MA1407 - Una delle aperture della grotta sotterranea e, sullo sfondo, Priolo e gli stabilimenti
MA1402 - In primo piano la struttura di protezione del sito e sullo sfondo il Palaenichem
MA1406 - Ancora la struttura di protezione del sito e la costa sullo sfondo
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Manomozza Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il sito, pur nel contesto industriale di Priolo, è circondato da un ampio pianoro incolto di pietra bianca. E' affacciato e domina il paese ed è in ottima posizione per la vista del mare e dei Climiti. Oltre all'incolto vi sono campi coltivati. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo misto – Pascolo Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni note: Alcuni capannoni nella zona, probabilmente per attività industriali o commerciali. Paesaggio insediativo Sparso periferico. note: Il PalaEnichem è senza dubbio una struttura urbana che costituisce una centralità forte. Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Manomozza Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
MA1402 - In primo piano la struttura di protezione del sito e sullo sfondo il Palaenichem
MA1409 - Ancora il PalaEnichem
MA1413 - L'ingresso del PalaEnichem
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Manomozza Strutture qualificanti del paesaggio Complessi rurali: Sono presenti cascine nei dintorni Altri siti archeologici: Monachella - Cava delle Porcherie - Thapsos Architetture sacre: Chiesa di nuova costruzione Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Materiale informativo Sito internet del Comune di Priolo - La struttura ricade in area di proprietà della "Pontificia Commissione di Archeologia Sacra", che ne gestisce la manutenzione. Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante III, orientamento NE Solarino.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TA14 Thapsos
Denominazione del sito:
Thapsos
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 646, Sezione n° 646030-646070. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37° 9'13.36"N 15°14'4.89"E Localizzazione La penisola Magnisi, che ospita il sito di Thapsos, è collegata alla costa di Priolo da un lembo sottile di terra. Accessibilità Ottima Modalità d’accesso Autostrada Catania-Siracusa (SS 114) > svincolo per Priolo Gargallo > Uscire dal paese verso Sud da C.da Petraro > Seguire le indicazioni Thapsos/Penisola Magnisi: la strada asfaltata finisce ad una sbarra quasi sempre aperta all'ingresso della penisola, per poi ricominciare subito dopo e percorrere da Nord a Sud tutta la penisola. Può essere quindi percorsa in automobile. Condizioni del sito - leggibilità Presenza di strutture riconducibili alla gestione del sito: segnaletica stradale. Descrizione di sintesi Il sito, pur abbandonato, è perfettamente leggibile: nella parte Sud si trovano tombe sotterranee, nella parte Nord resti di edifici. E' ampiamente segnalato in tutta la città da cartelli che conducono il visitatore sino a destinazione. Paesaggio visivo - descrizione Pur circondata dal mare, la penisola Magnisi è incorniciata dalla zona industriale, e a Sud affaccia su Siracusa.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Thapsos Paesaggio visivo - coni ottici:
TA1401 - La penisola Magnisi vista dalle colline sopra Priolo
TA1416 - Il paesaggio a Nord
TA1402 - La pianura della penisola
TA1403 - L'affaccio ad Est sul mare
TA1407 - L'insenatura Nord della penisola
TA1404 - La parte Sud della penisola e sullo sfondo Siracusa
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Thapsos Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Sulla penisola sono presenti solo due edifici industriali, di cui uno abbandonato. Vi è anche un capannone. Per il resto il paesaggio brullo ma naturale del terreno e il mare dominano il campo visivo. Sullo sfondo le ciminiere. Paesaggio agrario Incolto - Pascolo note: Sono presenti alcuni muretti di recinzione. Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni - Insediamenti industriali di piccole dimensioni Archeologia industriale - Insediamenti dismessi - Strutture effimere o di scarsa qualità Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Thapsos Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
TA1409 - Una torre nella parte centrosettentrionale della penisola
TA1414 - Alcuni edifici diruti sulla costa Est
TA1412 - Lo stabilimento abbandonato all'ingresso della penisola
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Thapsos Strutture qualificanti del paesaggio Altri siti archeologici: Monachella - Cava delle Porcherie – Manomozza Architetture difensive: Torre Architetture produttive: Edificio abbandonato all'ingresso della penisola Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Materiale informativo Sito internet del Comune di Priolo. Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante II, orientamento NO Belevedere.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TA6 Contrada Tabbaccheddu
Denominazione del sito:
Cozzo Telegrafo
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 646, Sezione n° 646100. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37° 5'32.37"N 15° 9'27.41"E Localizzazione Il sito si trova all'ingresso Est di Floridia, proveniendo da Siracusa Accessibilità Ottima Modalità d’accesso Da Siracusa indicazioni per Floridia, SS124 > 9.3 km, quindi a destra verso Via Scalorino > 1.6 km dritto su Via Scalorino > 700 mt, quindi svolta a destra, dietro il deposito di materiale edile: è però recintato e quindi visibile solo dall'alto. Condizioni del sito - leggibilità Degrado delle strutture archeologiche Descrizione di sintesi Il sito, probabilmente disposto su una larga superficie, è visibile da una struttura commerciale (materiale edile) posta in posizione sopraelevata. E' recintato e parzialmente utilizzato come deposito di legname da forno. Ricade interamente all'interno di un terreno privato e recintato. Una delle grotte sembra crollata. Paesaggio visivo - descrizione A Est, Sud e Ovest il sito è circondato da Floridia. A Nord incombono i monti Climiti e il pianoro di Floridia.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Contrada Tabbaccheddu Paesaggio visivo - coni ottici:
TA601 - I monti Climiti e in primo piano le grotte
TA604 - Ancora la periferia di Floridia
TA602 - Ancora i Climiti verso NordOvest
TA603 - La periferia di Floridia in espansione
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Contrada Tabbaccheddu Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il sito è posto a cerniera tra la zona agricola di Floridia e la periferia del paese Paesaggio agrario Seminativo misto – Pascolo - Agrumeto note: Sono predominanti gli oliveti e i mandorleti Paesaggio industriale Strutture effimere o di scarsa qualità note: Sono presenti alcuni capannoni commerciali Paesaggio insediativo Compatto/urbano – Sparso rurale note: A Sud il tessuto è denso, a Nord si trovano edifici rurali recenti Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Contrada Tabbaccheddu Strutture qualificanti del paesaggio Nessuna struttura qualificante rilevata Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante III, orientamento SE – Floridia.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TE16 Epipoli
Denominazione del sito:
Epipoli
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 646, Sezione n° 646110. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37° 5'27.33"N 15°13'16.46"E Localizzazione Il sito è vicino alla frazione Belvedere di Siracusa. Accessibilità Ottima Modalità d’accesso Da Siracusa, Viale Paolo Orsi > 1.0 km, quindi si continua su SS124/Viale Ermocrate > Per 1.6 km si continua a seguire la SS124 > Si svolta leggermente a destra su SP77/Strada Tremmilia > Per 3.0 km si continua a seguire la SP77 > 1.5 km, quindi si svolta leggermente a destra su Traversa Sinerchia > 100 mt e si svolta a sinistra a SP46/Viale Epipoli: la struttura, ampiamente segnalata, è recintata, custodita e accessibile solo in determinati orari e giorni. Condizioni del sito - leggibilità Presenza di strutture riconducibili alla gestione del sito - Presenza di strutture atte alla presentazione del sito Descrizione di sintesi Il sito, conosciuto come Castello di Eurialo, è in perfette condizioni. Recintato, custodito e manutenuto è interdetto per ordine della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Siracusa allo scatto di fotografie. Paesaggio visivo - descrizione La posizione del sito è ampiamente dominante su Siracusa ad Est; apre sulla Zona industriale di Priolo a Nord, con in fondo l'Etna; a Ovest il paesaggio è chiuso dalla frazione di Belvedere; a Sud si apre la piana si Siracusa/Avola e gli Iblei della cava del Cassibile.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Epipoli Paesaggio visivo - coni ottici:
TE1604 - I resti della cinta muraria greca e sullo sfondo la collina di Epipoli
TE1608 - Il golfo di Siracusa tra Ortigia e il Plemmirio
TE1606 - Siracusa
TE1607 - La piana di Avola e gli Iblei di Cassibile
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Epipoli Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il sito, in posizione dominante sul territorio circostante, affaccia su Siracusa e sulla piana di Avola. E' punto di osservazione privilegiato sul contesto siracusano, tra aree coltivate e zona industriale. Paesaggio agrario Incolto - Seminativo misto - Seminativo arborato - Pascolo Paesaggio industriale Insediamenti industriali di grandi dimensioni note: Il petrolchimico è a distanza tale da non potere essere considerato elemento integrante del paesaggio circostante. Paesaggio insediativo Sparso periferico - Sparso rurale note: Le poche villette circostanti sono di recente costruzione. Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Epipoli Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
TE1601 - Il cartello che indica l'ingresso alla zona di Epipoli
TE1602 - Le dettagliate informazioni stradali e i muretti a secco in pietra bianca
TE1603 - Il cancello di ingresso alla zona archeologica
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
Epipoli Strutture qualificanti del paesaggio Altri siti archeologici: San Petro ad Baias - Zona archeologica di Siracusa - GrottaPalombara Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi L'area del Castello di Eurialo/Epipoli è ben gestita e custodita. Vi sono degli edifici atti alla gestione e alle informazioni turistiche. Centro visite/ informazioni – Bar – Ristoranti - Alberghi o altre strutture ricettive. Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante II, orientamento SO Siracusa.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
TR6 San Pietro ad Baias
Denominazione del sito:
San Pietro ad Baias
Base cartografica di riferimento Carta Tecnica Regionale scala 1:10.000 (anno 2001) - Foglio n° 646, Sezione n° 646110. Coordinate WGS84 Lat/Long: 37° 4'58.89"N 15°14'32.64"E Localizzazione Il sito, a poca distanza da Epipoli, è poco fuori la periferia Est di Siracusa (circa 4 km). Accessibilità Ottima Modalità d’accesso Da Siracusa, Viale Paolo Orsi > 1.0 km, quindi si continua su SS124/Viale Ermocrate > Per 1.6 km si continua a seguire la SS124 > Si svolta leggermente a destra su SP77/Strada Tremmilia > Ad 1.0 km ci si prende la traversa sulla destra > 350 mt sulla destra villa nobiliare del settecento: alla sua destra (100 mt) la chiesetta diruta di San Pietro ad Baias. Condizioni del sito - leggibilità Degrado delle strutture archeologiche Descrizione di sintesi La chiesa di San Pietro ad Baias ricade all'interno di una proprietà privata a uso agricolo (serre). I proprietari non hanno permesso l'avvicinamento, ma da lontano la struttura sembra diruta e non manutenuta. Paesaggio visivo - descrizione A ridosso di una parete rocciosa, l'apertura paesistica è esclusivamente verso Sud-Sud-Est, cioè verso Siracusa e la piana di Avola.
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
San Pietro ad Baias Paesaggio visivo - coni ottici:
TR602 - La chiesa di San Pietro ad Baias tra le serre
TR603 - La chiesa in primo piano
TR606 - Le serre in primo piano e sullo sfondo, da destra, la chiesa, una nuova costruzione e una villa del '700 abbandonata
TR607 - Ancora le serre, a Sud
GP01 - Grotta a 800 mt Nord-Ovest
GP02 - Ancora la grotta, in un particolare
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
San Pietro ad Baias Natura e caratteri del paesaggio circostante - descrizione di sintesi Il sito è totalmente immerso in un terreno di circa 4 Ha destinato a serricoltura. Alle spalle (Ovest) una parete rocciosa delimita il campo. Paesaggio agrario Incolto – Pascolo note: Imponenti impianti di serricoltura. Elementi qualificanti - tratti formali del paesaggio agrario Sono presenti diverse masserie, alcune in stato di abbandono. Paesaggio insediativo Sparso periferico - Sparso rurale. note: Zona prevalentemente a vocazione agricola, è al centro di un processo di espansione di Siracusa. Sono infatti in costruzione diversi complessi di villette. Paesaggio naturale Vegetazione naturale con carattere residuale
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San Pietro ad Baias Strutture qualificanti del paesaggio - coni ottici:
TE1606 - Sulla destra la villa del '700 in stato di abbandono
TE1605 - La villa del '700
TE1601 - Un particolare dell'arco d'ingresso della villa, con lo stemma nobiliare
Rilevamento paesistico siti del Progetto Kasa
San Pietro ad Baias Strutture qualificanti del paesaggio La villa settecentesca costituisce sicuramente una centralità qualificante del paesaggio circostante. Significative anche le masserie dei dintorni. Altri siti archeologici: Epipoli. Strutture di servizio al visitatore/turista: Descrizione di sintesi Nessuna struttura di servizio rilevata Il sito e il suo contesto nella cartografia IGM del 1967
Carta topografica IGM 1:25000 (serie 25/V), foglio 274, quadrante II, orientamento SO Siracusa.
Indice dei Luoghi LUOGO
PAGINE
Acate Agrigento Alabon Anapo (fiume) Appia Antica Asinaro Augusta
48, 66 63 93 69, 71, 86, 93, 96-97, 101, 103, 107 34 81, 101 33, 48, 72-74, 82-83, 85-86, 92-94, 96-97, 101, 104-105, 120, 127, 136 44, 48, 69, 71, 82-83, 102 81 83
Avola Baravitalla Basilica di Cittadella di Vendicari Bruca (torrente) Brucoli Buccheri Buscemi Cala Bernardo Calicantone Campolato di Augusta Canicattini Bagni Cantera (torrente) Capo Murro di Porco Carlentini Cassaro Castelluccio Catania Cava Baratta
93 4, 93, 99 48, 69, 71 48, 69, 71 81 82 83, 105 48, 69, 71 93, 99, 101, 104, 106, 121 103 48, 69, 71, 93 48, 69, 71 81, 83, 95 44 84, 106
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Cava Canniolo Cava d’Ispica Cava dei Mulini Cava dei Servi Cava delle Porcherie Cava Grande Cava Lavinaro Cava Palombiere Cava Palombieri Chianti Chiaramente Gulfi Ciane Cittadella dei Maccari Climiti (monti) Colimbetra Comiso contrada Castellana Contrada Castellano Contrada Tabbaccheddu contrada Targia Cozzo del Monaco Cozzo Rose Cozzo Telegrafo Cuba di Santa Teresa Cugni di Calafarina Damryas Eloro Epipoli Etna Favorita Ferla Firenze Floridia Francofonte Gela Giarratana Gioi (torrente)
101, 106-107, 121 69, 81 99, 106, 121 81 84, 107 81 82 81 81 55 48 63, 101, 103 83 103, 107 93 48, 64, 66, 134 81 81 83 99 96, 105 81 83, 105 83 83 93 69-71, 81, 83, 135 4, 96, 107 96 83 48, 69, 71 17, 53, 55 48, 99, 107, 120 48, 69, 71, 86, 129 63 48 81
Indice dei Luoghi
Gisira Grotta dei Santi Grotta delle Monete Grotta di Calafarina Grotticelle Iblei (monti) Ionio Ispica Lentini Leontinoi Liguria Manomozza Marcellino (torrente) Marina di Melilli Megara Hyblaea Megaride Melilli Milano Modica Monachella Monte Lauro Monterosso Almo Mostringiano Mulinello Mylas Noto Noto Antica Ognina Ortigia Pachino Palazzolo Acreide Pantagia Pantalica Parco degli Iblei Penisola della Maddalena Petraro Porcaria (torrente)
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81 81 81 83 82 49, 62-70, 77, 79, 81-82, 99, 101-102, 110, 118, 125, 133 81, 133 45, 48, 66, 71, 81-82 48, 69, 71, 86, 93, 99, 105, 120, 129, 131 69, 71, 96 57 84, 107 93, 99, 101, 104, 106 101 4, 63, 73, 92-93, 96-97, 106, 121, 128 86, 90, 92, 98-99, 103-104 33, 48, 72, 74, 97, 101, 107, 120, 136 53 48, 66, 77, 80-82, 131-132 84, 107 71, 81 48 101 84, 93, 95-96, 99, 101-102, 104-105, 121 93 48, 69, 79, 81, 95 81 83 64 48, 69, 83 48, 69, 71 93 71, 107 64-66, 82, 101-102, 110, 125 103 83 93, 96, 99, 101-102, 105
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Portopalo di Capo Passero Pozzallo Prainito Priolo Gargallo Ragusa Riuzzo Roma Rosolini S. Croce Camerina Saia Rondeci Saline di Priolo Saline di Siracusa San Gusmano (torrente) San Leonardo (fiume) Scicli Sicilia
Siracusa Solarino Sortino Stentinello Strada Provinciale 95 Strada Statale 115 Tellaro Tellesimo Terias Thapsos Timpa Ddieri Tonnara di Vendicari Toscana Trigona di Cittadella di
69, 99 48, 71 81 48, 72, 120, 131, 136 44, 48,57-58, 61-62, 64-67, 81-82, 102, 125, 135, 137 84 53 48, 69, 81 48, 66 81 103 103 93 93 45, 48, 59 3, 6-7, 12-13, 28, 30-31, 35-39, 45-48, 50-56, 61-63, 6567, 71-73, 79-81, 85-87, 91-92, 95-96, 102, 111, 114115, 117-120, 125-126, 128-129, 131-132, 134-137 44-45, 48, 61-63, 68-70, 73, 79, 81, 83, 85, 87, 92-94, 96-97, 101, 103, 105, 107-108, 131, 133, 135, 137 48, 107, 120 48, 63, 69, 71, 79, 99, 120 94, 107 105 81 81, 83, 101 81 93 4, 48, 72-73, 85-86, 89, 92-96, 98-101, 103-104, 107, 111, 120-121, 134 83, 95, 106 83 53, 55, 125 83
Indice dei Luoghi
Vendicari Trotilon Val d’Orcia Val di Noto Valle dell’Alcantara Valle dell’Anapo Valle dell’Ippari Vendicari Venezia Villasmundo Vittoria Vulpiglia
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93 19 1, 11, 19, 43-47, 80 12, 38 103, 107 48, 66, 134 83 3, 53 93, 95, 105 48, 66, 93 83
Abstract, Curricula e parole chiave Parole chiave: Patrimonio archeologico, Identità, Paesaggio, Parco lineare, Iblei Keywords: Archaeological heritage,Identity, Landscape, Linear park, Iblei
Il lavoro, frutto della ricerca svolta nell’ambito del progetto K.A.S.A., affronta il tema della valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso in area iblea, con particolare riferimento ai siti di influenza maltese di periodo preistorico e postclassico. Il testo si articola in tre parti la prima delle quali, attraverso un excursus sulle politiche nazionali ed internazionali per il patrimonio culturale, focalizza l’attenzione sul problema del patrimonio “diffuso”, spesso erroneamente considerato “minore”. Si pone l’accento sulla necessita di una ricostruzione del rapporto, spesso reciso da fenomeni tumultuosi di urbanizzazione, fra sito e contesto, e si definiscono i caratteri peculiari dell’approccio paesistico proposto, fondato sull’idea di paesaggio come “connettivo denso” e “racconto identitario” in grado di restituire leggibilità e coerenza al patrimonio archeologico frammentato e assediato. La seconda parte è dedicata all’analisi dello statuto del patrimonio archeologico nelle retoriche regionali e locali dello sviluppo, attraverso la lettura delle autorapprentazioni delle comunità locali nei documenti della programmazione negoziata e della progettazione integrata da cui emerge il diverso ruolo del “paesaggio dell’archeologia” come “risorsa” e come riferimento identitario. Il territorio ibleo appare, così, come un caleidoscopio di immagini identitarie più o meno definite, più o meno coerenti, nelle quali il patrimonio culturale ricopre un ruolo di volta in volta marginale o –viceversa“salvifico”, integrandosi più o meno coerentemente nel quadro dei valori che gli attori locali riconoscono nel territorio. La terza parte analizza l’insieme dei siti K.A.S.A sulla base del contesto paesistico entro cui si collocano, concentrando infine l’attenzione sul patrimonio archeologico diffuso della regione megarese e avanzando la proposta di costruzione del “Parco lineare di Thapsos-Megara”, come scenario condiviso di riqualificazione del paesaggio ibleo orientale. Il progetto di valorizzazione muove dal ruolo storico delle incisioni iblee di percorsi di penetrazione e scambio interno-costa, e attribuisce al sistema delle cave il valore di corridoi eco–culturali e sistemi di accesso privilegiati al patrimonio archeologico diffuso, suggerendo l’integrazione fra le politiche per il patrimonio culturale diffuso e quelle finalizzate alla costruzione della rete ecologica. Una particolare attenzione è riservata al paesaggio agrario, come ambito entro il quale si “testa” l’efficacia delle politiche di concertazione istituzionale e di partecipazione, nonché la possibilità di ricondurre una pluralità di strumenti di programmazione e finanziamento di singoli interventi entro il quadro più ampio di un progetto organico di sviluppo territoriale. Mentre la riqualificazione del sistema lineare delle cave della regione di Thapsos-Megara può trovare il suo punto di forza nel regime demaniale dei suoli, la riqualificazione e la reinterpretazione del paesaggio agrario è lo strumento per la costruzione di un più ampio spazio di fruibilità del patrimonio che accoglie e “attiva” il sistema delle eccellenze, per una piena permeabilità ecologica e cul-
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Abstract, Curricula e parole chiave
turale. Una particolare attenzione è dedicata alle opportunità di finanziamento offerte dal nuovo periodo di programmazione dei fondi strutturali. A corredo del testo, le schede di rilevamento paesistico dei siti K.A.S.A. della regione megarese illustrano le attuali condizioni del contesto in cui si colloca il patrimonio archeologico diffuso, mettendone in luce qualità e fattori di degrado. The work, which is the fruit of the research carried out in the K.A.S.A. project, deals with the theme of the valorisation of the archaeological heritage in the Iblei area, with particular reference to the sites that underwent Maltese influence in the prehistoric and post-classical periods. The text is divided into three parts, the first of which, through an excursus on national and international policies on the cultural heritage, focuses attention on the problem of the “diffused” heritage, often wrongly considered “minor.” The need is stressed for a reconstruction of the relationship, often cut off by tumultuous phenomena of urbanization, between site and context, and the peculiar characteristics of the landscape approach proposed are defined, based on the idea of the landscape as “dense connective tissue” and “identity story” able to restore legibility and coherence to the fragmented archaeological and besieged heritage. The second part is devoted to the analysis of the statute of the archaeological heritage in the regional and local rhetorics of development, through the reading of the self-representations of local communities in the documents of negotiated planning and integrated planning, from which there emerges the different role of the “landscape of archaeology” as “resource” and as reference for identity. The Iblei territory thus appears like a kaleidoscope of more or less clearly and more or less coherently defined identity images, in which the cultural heritage plays a role at times marginal and at others “salvific”, being integrated more consistently in the picture of the values that the local protagonists recognize in the territory. The third part analyzes the K.A.S.A sites taken as a whole on the basis of the landscape context within which they are placed, lastly concentrating attention on the archaeological heritage in the Megara area and advancing a proposal for construction of the “linear Thapsos-Megara Park”, as a shared scenario of recovery of the eastern Iblei landscape. The project for valorisation starts from the historical role of the Iblei grooves as routes of penetration and inland-coast exchanges, and to the system of gullies it attributes value as eco-cultural corridors and privileged systems of access to the diffused archaeological heritage, suggesting integration between policies on the diffused cultural heritage and those aiming at the construction of the ecological network. Particular attention is paid to the agrarian landscape, as a place within which to “test” the effectiveness of policies of institutional harmonisation and participation, as well as the possibility of bringing a plurality of instruments for planning and financing single actions into the bigger picture of an organic project of territorial development. While adaptation of the linear system of gullies in the Thapsos-Megara area can find its strong point in the demesnal regime of the soils, the adaptation and reinterpretation of the agrarian landscape is the instrument for the construction of a bigger space for enjoyment of the heritage that welcomes and “activates” the system of excellences, for full ecological and cultural permeability. Particular attention is paid to financing opportunities offered by the new period of planning of structural funds. The text is backed up with the landscape survey sheets of the K.A.S.A. sites in the Megara area, illustrating the present conditions of the context in which the diffused archaeological heritage is set, highlighting its qualities and decline factors. Francesco Mannino è nato a Catania nel 1973. Si è laureato presso la Facoltà di Lettere della Sapienza di Roma, con una tesi di storia contemporanea dal titolo "Parco dell'Etna: storia difficile di un'istituzione”. Ha conseguito il master in Storia e Analisi del Territorio presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Catania. E’ dottorando di ricerca in "Filosofia e Storia delle Idee" presso l'Universi-
Abstract, Curricula e parole chiave
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tà di Catania, Dipartimento di Scienze Umane. E’ cultore della materia di Storia dell'architettura e Pianificazione e gestione paesistica del territorio, presso il Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali della Facoltà di Lettere (sede di Siracusa). Nell’ambito del Progetto K.A.S.A. ha curato le schede del rilevamento paesistico dei siti archeologici della regione megarese. E’ guida ambientale escursionistica, consulente per documentari e autore di guide turistiche. E’ socio dell'I.S.V.N.A. (Istituto per lo Studio e la Valorizzazione di Noto Antica) e dell’Associazione Italiana di Storia Urbana. Melania Nucifora è nata a Catania nel 1973. Si è laureata in Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e ha conseguito il master in Storia e Analisi del Territorio presso la Scuola Superiore per la Formazione d’Eccellenza dell’Università degli Studi di Catania. Ha prestato servizio come esperto tecnico presso il Dipartimento per la Ricerca Ambientale e lo Sviluppo del Ministero dell’Ambiente. Ha partecipato ai lavori del Gruppo di lavoro interministeriale sui PIT e alla redazione del documento Indirizzi per l’integrazione della componente ambientale nei PIT, pubblicato a cura del Ministero dell’Ambiente e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nell’ambito della Rete nazionale delle Autorità Ambientali. Ha fatto parte della task force del Ministero dell’Ambiente a supporto dell’Autorità Ambientale della Regione Sicilia. Ha partecipato alla redazione della Valutazione Ex ante Ambientale del Programma Operativo Regionale della Sicilia, per il periodo di programmazione dei Fondi Strutturali 2000-2006, e alla stesura della Relazione sullo Stato dell’Ambiente in Sicilia 2002, pubblicata a cura dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente per i capitoli Ambiente urbano, Paesaggio e beni culturali, Natura e biodiversità. Ha svolto e svolge attività di consulenza presso diversi enti locali. E’ assegnista di ricerca presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania per il programma Città e campagna nella Sicilia orientale di età moderna e contemporanea. Il paesaggio agrario come costruzione identitaria e bene culturale. Nell’ambito del progetto K.A.S.A. ha affrontato il tema della valorizzazione del patrimonio archeologico diffuso e dell’integrazione delle politiche culturali con quelle paesistico-ambientali. E’ curatrice dei Laboratori di Storia Analisi e Progetto del Territorio per il Master in Storia ed Analisi del Territorio; è docente del Master Internazionale in Economics and Valorisation of Cultural Heritage della Scuola Superiore per la Formazione d’Eccellenza dell’Università degli Studi di Catania, della Scuola di Alti Studi in Economia del Turismo Culturale - Cattedra Edoardo Garrone, del Master europeo European territories: identity and development della ELTE University di Budapest. Dal 2002 insegna Pianificazione e gestione paesistica del territorio e Storia dell’architettura al Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali della Facoltà di Lettere e Filosofia. È membro dell’Associazione Italiana di Storia Urbana. Ha pubblicato diversi saggi e articoli su riviste specializzate.
Finito di stampare nel mese di giugno 2008 FOTOGRAF di Spedale Dr. Paola Viale delle Alpi, 59 - Palermo